SOMMARIO n. 100 - Centro Studi Cinematografici

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SOMMARIO n. 100 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
n. 100
Anno XV (nuova serie)
n. 100 luglio-agosto 2009
Bimestrale di cultura cinematografica
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
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intestato a Centro Studi Cinematografici
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Gianluigi Ceccarelli
Chiara Cecchini
Fabio de Girolamo Marini
Silvio Grasselli
Elena Mandolini
Diego Mondella
Fabrizio Moresco
Francesca Piano
Manuela Pinetti
Valerio Sammarco
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Alieni in soffitta ...................................................................................
Anamorph ..........................................................................................
Avventure del topino Despereaux (Le) ...............................................
Baarìa ................................................................................................
Baby Love ..........................................................................................
Baby Mama ........................................................................................
Basta che funzioni ..............................................................................
Borderland – Linea di confine .............................................................
Cadillac Records ................................................................................
Cattivo Tenente (Il) – Ultima chiamata New Orleans ...........................
Cinema Universale d’essai .................................................................
Control ...............................................................................................
Cose in te nascoste (Le) ....................................................................
Cosmonauta ......................................................................................
Crossing Over ....................................................................................
Diari ...................................................................................................
Giulia non esce la sera .......................................................................
Grande sogno (Il) ...............................................................................
Home – Casa dolce casa? ................................................................
I Love You, Man ..................................................................................
Immagina che ....................................................................................
Informant (The) ..................................................................................
Just Friends – Solo amici ...................................................................
Legge del crimine (La) .......................................................................
Messaggero (Il) ..................................................................................
Miss Marzo ........................................................................................
Nemico pubblico N.1 – L’ora della fuga ...............................................
Niente velo per Jasira .........................................................................
Notorius B.I.G. ...................................................................................
Obsessed ..........................................................................................
Palermo Shooting ..............................................................................
Piede di Dio .......................................................................................
Polvere ...............................................................................................
Principessa ........................................................................................
Questione di punti di vista .................................................................
Ragazza del mio migliore amico (La) ................................................
Rivolta delle ex (La) ...........................................................................
Sangue dei vinti (Il) ............................................................................
Scuola per canaglie ...........................................................................
Segnali dal futuro ...............................................................................
Star Trek – Il futuro ha inizio ..............................................................
State of Play ......................................................................................
St. Trinian’s ........................................................................................
Sul lago Tahore ..................................................................................
Transformers – La vendetta del caduto .............................................
Visions ...............................................................................................
Vuoti a rendere ..................................................................................
Tutto Festival Torino 2008 ...............................................................
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Film
Tutti i film della stagione
BASTA CHE FUNZIONI
(Whatever Works)
Stati Uniti, 2009
Operatore steadicam: Kyle Rudolph
Arredatore: Ellen Christiansen
Interpreti: Larry David (Boris Yellnikoff), Evan Rachel Wood
(Melody St. Ann Celestine), Patricia Clarkson (Marietta), Ed Begley jr. (John), Conleth Hill (Leo Brockman), Michael McKean
(Joe), Henry Cavill (Randy James), John Gallagher jr. (Perry),
Jessica Hecht (Helena), Carolyn McCormick (Jessica), Christopher Evan Welch (Howard), Olek Krupa (Morgenstern), Adam
Brooks, Lyle Kanouse (amici di Boris), Nicole Patrick (amica di
Perry), Clifford Lee Dickson (ragazzo in strada), Yolonda Ross
(madre del ragazzo), Lindsay Michelle Nader, Armand Schultz
(voce televisione), Willa Cuthrell-Tuttlemann (ragazza), Samantha Bee (madre), Marcia DeBonis (signora al ristorante cinese)
Durata: 92’
Metri: 2420
Regia: Woody Allen
Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum per Sony Pictures Classics/Perdido Productions. In associazione con Wild
Bunch/Gravier Productions
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen
Direttore della fotografia: Harris Savides
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Santo Loquasto
Costumi: Suzy Benzinger
Produttori esecutivi: Brahim Chioua, Vincent Maraval
Coproduttore: Helen Robin
Casting: Ali Farrell, Laura Rosenthal, Juliet Taylor
Aiuti regista: Richard Patrick, Murphy Occhino, Dan Majkut
eduto al tavolino di un bar all’aperto del Village, Boris Yellnikoff prova inutilmente a convincere gli amici di una vita, Joe e Leo Brockman, che proprio di fronte a loro c’è una
nutrita folla di persone che, mangiando
pop corn o stiracchiandosi il collo, li osserva dal buio di una sala cinematografica. Naturalmente nessuno gli crede, prendendolo anche un po’ per matto quando
intavola una conversazione (con lo sguardo fisso in camera) con il niente di fronte a
lui. Boris non desiste e inizia a raccontare
la propria vita di ex professore alla Columbia University, ex marito di una donna
bella, ricca e brillante e genio incompreso
– ma candidato al premio Nobel – della
Meccanica Quantistica. Boris considera se
S
stesso come l’unico essere al mondo a possedere la “visione d’insieme”, che gli consente di comprendere l’insignificanza delle umane aspirazioni.
La sua vita passata era però perfetta
soltanto sulla carta. Boris soffriva di laceranti attacchi di panico, avvertiva sempre
più la morte e la fine in avvicinamento e
una notte, durante una lite con l’(ormai)
esasperata moglie Jessica si lancia dalla
finestra del soggiorno. Il tentativo di suicidio si risolve in un atterraggio su una
morbida tenda, qualche frattura e il divorzio da Jessica.
Nel passaggio dai quartieri alti al
downtown newyorkese, tuttavia, Boris ci
guadagna una sorta di serenità, rifugiandosi nella routine quotidiana fatta di le-
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zioni private del gioco degli scacchi – a
poveri ragazzini, puntualmente ricoperti di
insulti –, serate in casa con gli amici e poco
più.
Una notte, nei pressi del suo appartamento, si imbatte in una giovane – non è
neanche ventenne – e ingenua fuggiasca
del Mississippi di nome Melody St. Ann Celestine; la ragazza – affamata, infreddolita, sporca e senza un posto dove dormire chiede ospitalità all’anziano burbero, che
accetta più per evitare discussioni che per
buon cuore.
Melody, nonostante i continui – bonari? – insulti di Boris (“sei soltanto una stupida ragazzina senza cervello troppo fragile per vivere a New York”), è sempre più
intenzionata a rimanere. Trova un lavoro
come accompagnatrice di cani, prepara
cenette – talvolta deliziose, tal’altra immangiabili – e si rivela incredibilmente
abile nel placare i consueti attacchi di panico notturni dell’uomo.
Quando Melody incontra il coetaneo
Perry e trascorre una serata con lui, Boris confida ai suoi amici che sarebbe felice se il giovane la portasse via; tuttavia, tornato nell’appartamento troppo
tranquillo e silenzioso, è costretto a ricredersi ed è davvero felice quando la
ragazza torna, peraltro annoiatissima da
Perry e i suoi amici convenzionalmente
sub-umani.
Ben presto Melody rivela a Boris di
avere una cotta per lui. L’uomo prova a
respingere gli assalti sentimentali della
giovane – adducendo come flebile scusa
la propria naturale propensione alla solitudine, il carattere non facile e la conquistata serenità –, ma si ritrova a con-
Film
siderare il fattore fortuna, valutando infine positivamente il fatto che le strade
di due persone così diverse si siano incontrate.
Boris e Melody si sposano e la loro
vita si rivela felice, serena e soddisfacente. A lui fa molto bene la sua allegria
e lei è davvero fiera di avere un genio
per marito. Dopo un anno di matrimonio, giunge inaspettata quanto poco gradita la visita di Marietta, puritana madre di Melody giunta a New York per ricongiungersi con la figlia e per fuggire
dal marito che l’ha tradita con la sua
migliore amica. Boris porta a pranzo le
due donne insieme al solito amico Leo
Brockman e Marietta si distrae dallo
shock di aver ritrovato la figlia sposata
con un vecchio brontolone, per di più non
benestante. Lì conosce l’aspirante attore Randy Lee James, un uomo bello e
giovane che le confessa di essersi innamorato all’istante di Melody. Leo confida a Boris di essere molto interessato a
Marietta, difatti la invita a uscire e i due
finiscono la serata nell’appartamento di
lui. Tra un bicchiere e l’altro, Marietta
gli mostra delle fotografie da lei scattate e lui le rivela che è una vera artista.
La notte d’amore tra i due permette alla
donna di liberarsi anche artisticamente
e, nel giro di breve tempo non solo inizia
una brillante carriera da fotografa, ma
intraprende un felicissimo ménage à trois
con Leo e il proprietario della galleria
dove espone, tale Al Morgenstern. Ciò
non distrae Marietta dall’intento di far
sì che la figlia lasci Boris per il bel Randy Lee: organizza incontri apparentemente casuali tra i due e la ragazza non
è indifferente al fascino e ai modi gentili
del giovane. Tuttavia lo respinge (“sono
una donna sposata!”).
Eppure qualcosa è cambiato, e un
giorno Melody reagisce a uno degli sproloqui di Boris dicendogli che è come un
bambino che ripete sempre la stessa filastrocca quando non ottiene ciò che vuole; l’uomo è sorpreso dal fatto che Melody possa avere delle idee sue. A un
nuovo incontro tra Melody e Randy Lee
– tramato da Marietta –, i due finiscono
a fare l’amore sulla barca/abitazione di
lui. Nel frattempo, anche il padre di Melody, John, piomba a New York, deciso a
riportare a casa moglie e figlia. Melody
e Boris tentano invano di convincere
l’uomo che Marietta è cambiata, ma John
insiste nel volere incontrare subito sua
moglie, e si reca con loro al vernissage;
ovviamente è distrutto dalla trasformazione della moglie e finisce la serata a
Tutti i film della stagione
bere un bar. Lì conosce Howard Cummings; anche lui ha il cuore infranto – il
suo compagno, Norman, lo ha lasciato –
e John si ritrova ad ammettere di aver
sposato Marietta per avere una vita come
tutti gli altri, per non pensare che quando era liceale non era indifferente ai suoi
compagni di squadra...
Melody confida a Boris di essersi innamorata di un altro e di voler vivere questa storia fino in fondo. Boris la prende
quasi bene: del resto, se il mondo sta andando a rotoli, perché non dovrebbe succedere anche al loro matrimonio? Quella
sera stessa si butta dalla finestra, atterrando su una donna: lei finisce in ospedale,
lui è incolume. Quando va a farle visita
scopre che Helena – questo il suo nome –
la pensa come lui su molte cose. I due finiscono col mettersi insieme.
Tutti i personaggi, ricomposti in nuove, particolari relazioni – Boris e Helena, Melody e Randy Lee, Marietta, Leo e
Al, John e Howard – si ritrovano a festeggiare insieme un nuovo anno a New
York, consapevoli che per trovare l’amore ci vuole un colpo fortuna, ma bisogna
anche capire che, per quanto il risultato
possa apparire strano, “basta che funzioni”.
a notizia è che Woody Allen è
tornato a girare a New York, per
la gioia dei – non pochi – detrattori del suo periodo “europeo”, visto talvolta come poco interessante, commerciale, futile. Nel farlo non si è però esposto in prima persona – ritenendosi troppo
vecchio per la parte – affidandosi a un
alter ego di una decina – abbondante d’anni più giovane, perfetto nel ruolo del
brontolone misogino e rabbioso: Larry
David, già autore e attore del programma
della NBC Seinfeld e del Saturday Night
Live. Al suo fianco, il giovane astro nascente Evan Rachel Wood, a proprio agio
nei colorati panni dell’ingenua e suggestionabile ragazzina del sud in fuga da un
paesello opprimente e dai più improbabili concorsi di bellezza. Dopo qualche scintilla – da parte dell’uomo – i due formano
un’imprevedibile coppia di tipo complementare, in cui lei, Melody – da lui definita majorette submentale – ci mette la giovinezza, l’allegria, la fiducia verso il mondo e un’inesauribile joie de vivre, e lui,
pur abbozzando all’inaspettata felicità, il
terrore/odio per il prossimo, il panico per
il futuro – nero, inevitabilmente – la nostalgia per il passato e il vanto di sentirsi
un genio incompreso. A quanti hanno visto un velato richiamo –, alla personale
L
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situazione sentimentale del regista, da
anni legato alla – ben più giovane – figlia
adottiva dell’ex moglie Soon-Yi Farrow
Previn, non ci sentiamo di dar troppo torto, anche se i corsi e ricorsi del passato
che spiccano in Basta che funzioni vanno ritrovati nei trascorsi filmici dello stesso Allen.
La commedia è senza dubbio originale, ma certo non c’è nulla di nuovo sotto il
sole: i richiami ai lavori newyorkesi di Allen – Io e Annie, su tutte – sono palesi,
nei dialoghi come nelle situazioni e forse
sarà proprio questo a entusiasmare il
pubblico, o, meglio, il suo pubblico. Forse
adesso il disincanto verso la vita, l’amore
e la società è più gridato e tutto si svolge
in modo più rapido: basti guardare a quanto poco tempo impieghino i genitori di
Melody a essere risucchiati, ciascuno a
proprio modo, dalla “torbida” vita sentimentale della grande mela. In poco tempo, le certezze dei personaggi vacilleranno, e ognuno capirà l’inutilità di dare un
senso a ogni cosa; soprattutto l’impossibilità di proporsi come modello di vita – o
di rettitudine. L’ultimo ad arrivarci sarà il
cinico Boris, genio e uomo di numeri, cadendo innamorato – è il caso di dirlo – di
una donna che vive facendo la medium.
Ironia della sorte? Nessuno se lo chiede
più, perché, in fondo, cosa importa: basta che funzioni!
Non è difficile immaginare in tutto ciò
una riflessione sul tempo che trascorre
inesorabile, o sulla breve vita che ci tocca su questa terra; come dire, visto che ci
siamo, afferriamo senza porci troppe domande quel che ci troviamo davanti. In
fondo è questo il segreto di Boris: non
porsi limiti, non rinchiudersi in schematismi (precetti religiosi, gabbie sociali e
morali) che alla lunga si rivelano trappole
mentali, incompatibili con la vera essenza della vita.
Allen è (sempre stato) così: filosofia
spicciola pomposamente esibita e risate
a denti stretti, e in questo film arriva alla
leggiadra autocitazione di se stesso, anche raddoppiandosi in un interprete che
è, allo stesso tempo, altro da sé e alter ego.
Nel gioco degli specchi, mantenendo saldo il comando della regia, il risultato è che
la parte narrativa è sempre più mero pretesto e ciò che resta sono cinismo e misantropia. L’happy end finale lascia il sorriso sulle labbra, a malapena per il tempo
dei titoli di coda e presto sovviene che, in
fondo, siamo tutti vermetti in balìa degli
eventi.
Manuela Pinetti
Film
Tutti i film della stagione
TRANSFORMERS – LA VENDETTA DEL CADUTO
(Transformers: Revenge of the Fallen)
Stati Uniti, 2009
Arredatore: Jennifer Williams
Trucco: Robin Beauchesne, Edouard F. Henriques, Elizabeth Hoel,
Deidre Parness
Acconciature: Diane Dixon, Melissa Forney, Erin Hicks
Effetti speciali trucco: Kazuhito Tsuji
Supervisore effetti speciali: Wayne Toth (KNB Effects Group)
Coordinatore effetti speciali: Bruno Van Zeebroeck
Coordinatori effetti visivi: Stacy Bissell (ILM), Bron Barry,
Christine Felman
Supervisori effetti visivi: Matthew E. Butler (Digital Domain),
Scott Farrar, Richard Kidd
Supervisore costumi: Lisa Loovas
Coreografie: Terry Notary
Interpreti: Shia LaBeouf (Sam Witwicky), Megan Fox (Mikaela
Banes), Josh Duhamel (capitano Lennox), Tyrese Gibson (sergente Epps), John Turturro (agente Simmons), Ramon Rodriguez (Leo Spitz), Kevin Dunn (Ron Witwicky), Julie White (Judy
Witwicky), Isabel Lucas (Alice), John Benjamin Hickey (Galloway),
Matthew Marsden (Graham), Michael Papajohn (Cal), Glenn
Morshower (Generale Morshower), Rainn Wilson (prof. Colan),
Jonathon Trent (Fassbiner), Walker Howard (Sharsky), Sean T.
Krishnan (Yakov), Aaron Lustig, Jim Holmes, Kristen Walker (reporters), Cornell Womack (responsabile FBI), Josh Nielsen (capitano Wilder), Bonecrusher the Mastiff (se stesso), Hugo Weaving (voce Megatron), Mark Ryan (voce Jetfire), Peter Cullen
(voce Optimus Prime), Reno Wilson (voce Mudflap), Jess Harnell (voce Ironhide), Robert Foxworth (voce Ratchet), André Sogliuzzo (voce Sideswipe), Grey De Lisle (voce Arcee), Tony Todd
(voce The Fallen), Charles Adler (voce Starscream)
Durata: 150’
Metri: 4071
Regia: Michael Bay
Produzione: Ian Bryce, Tom DeSanto, Lorenzo di Bonaventura, Don Murphy per DreamWorks SKG/Paramount Pictures/
Di Bonaventura Pictures. In associazione con Hasbro
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009)
Soggetto: basato sui “Transformers” Action Figures della Hasbro
Sceneggiatura: Ehren Kruger, Roberto Orci, Alex Kurtzman
Direttore della fotografia: Ben Seresin
Montaggio: Roger Barton, Tom Muldoon, Joel Negron, Paul
Rubell
Musiche: Steve Jablonsky
Scenografia: Nigel Phelps
Costumi: Deborah Lynn Scott
Produttori esecutivi: Michael Bay, Brian Goldner, Steven
Spielberg, Mark Vahradian
Produttore associato: Matthew Cohan
Coproduttore: Allegra Clegg
Direttore di produzione: Allegra Clegg
Casting: Denise Chamian
Aiuti regista: K.C. Hodenfield, Bruce Moriarty, Jeff Okabayashi, Xavier Wakefield, Steve Battaglia, Chris Castaldi, Hope
Garrison, Yanal Kassay, Guilhem Malgoire, Kevin Berlandi,
Marvin Williams, Tamir Naber, Brandy D. Pollard
Operatori: Lucas Bielan, Philippe Carr-Foster, Jacques Jouffret
Operatore steadicam: Jacques Jouffret
Supervisore art direction: Jon Billington
Art directors: Julian Ashby, Sean Haworth, Naaman Marshall,
Ben Procter
el 17.000 a.C. sulla Terra si era
rifugiata una specie simile alla
razza umana, i robot alieni.
Stati Uniti, oggi. Sono passati quasi
due anni da quando il giovane Sam
Witwicky ha salvato l’universo dalla battaglia fra due razze rivali di robot alieni:
Autobots e Decepticons. Malgrado le sue
gesta eroiche, Sam è un ragazzo come tanti, alle prese con gli stessi problemi dei suoi
coetanei. Sta per partire per il college e si
sta per separare dalla sua ragazza, Mikaela, dai suoi genitori e dal suo nuovo fidato amico robot, Blumblebee. Nonostante il
giovane abbia deciso di lasciarsi alle spalle
il conflitto di Mission City, la battaglia fra
Autobots e Decepticons ha causato molti
cambiamenti. “Sector 7” è stato smantellato e il suo più fedele soldato, l’agente
Simmons, è stato liquidato. Al suo posto è
operativa una nuova agenzia, la NEST,
capitanata dai comandanti Lennox ed Epps
che lavorano in alleanza con degli Autobots per evitare un altro scontro fatale con
i Decepticons. Sull’operato della NEST si
intromette il Consulente della Sicurezza
N
Nazionale Theodore Galloway che non si
rende conto dei cambiamenti che stanno
per accadere. Il nemico numero uno dei
Decepticons si trova sotto il mare e sta
cercando “qualcosa”. Il terribile “The
Fallen” sta forse per risorgere? Ma Galloway, desideroso di controllare tutte le
operazioni preposte alla difesa e di gestirne il potere, vorrebbe chiudere la NEST,
convinto che le minacce di guerra siano
ormai acqua passata. Galloway crede che
gli umani non abbiano nessun interesse a
restare coinvolti nella guerra fra Autobots
e Decepticons. Nel frattempo Sam fa il suo
ingresso al college dove conosce il suo nuovo compagno di stanza, Leo, un giovane
appassionato di informatica e di belle ragazze. Intanto i Decepticons giungono sulla terra, dove rubano un prezioso frammento utile alla loro riproduzione e nelle profondità marine “The Fallen” risorge e arriva sulla Terra. Il capo degli Autobots,
Optimus Prime, chiede aiuto a Sam. Il giovane, intanto, viene colto da visioni che gli
attraversano il cervello. Sam non rivela a
nessuno il suo problema, fino a quando non
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può più fare a meno di ignorare quei simboli. Non sa di essere l’unico a possedere
nella sua mente la chiave per perpetrare la
razza di “The Fallen”. Intanto al college il
giovane è oggetto delle avances di una bellissima studentessa, Alicia, che in realtà si
rivela una pericolosa creatura aliena. Sam
fugge con Leo e Mikaela, giunta nel frattempo in suo aiuto. “The Fallen” è sulle
tracce di Sam, mentre i Decepticons sferrano un micidiale attacco alla Terra. I robots minacciano di distruggere il mondo
se non gli verrà consegnato Sam. Intanto i
ragazzi si recano da Simmons in cerca di
aiuto per decifrare i misteriosi simboli tatuati sul braccio di Sam. L’agente Simmons
si unisce alla squadra di Sam. Il gruppo si
reca in Egitto dove si troverebbe una misteriosa matrice nascosta in una tomba
milioni di anni fa. Ma solo uno dei robot,
Prime, può sconfiggere “The Fallen”. Sam
pensa di riattivare il robot Optimus Prime
mentre Simmons chiede aiuto al maggiore
Lennox della NEST. Intanto Sam e i suoi
trovano i misteriosi simboli in una tomba
all’interno di un tempio a Petra, in Giorda-
Film
nia, dove è nascosta la matrice. In prossimità delle piramidi, si catena una violenta
battaglia tra “The Fallen” e l’esercito. Sam
riesce a immettere la matrice in Optimus
Prime per farlo risorgere. La battaglia tra
Optimus e “The Fallen” è senza esclusione
di colpi. Alla fine, Optiumus ha la meglio e
ringrazia Sam per aver salvato la razza
umana e i robot alleati degli uomini.
omini e macchine. Ancora. E che
macchine! Nel 2009 i robot diventano una razza tutta particolare.
E si dividono in due specie: quelli buoni
(gli Autobots) e quelli cattivi (i Decepticons), quelli amici e quelli nemici degli
umani. Sono diversissimi: gli uni colorati,
simpatici, eroici; gli altri, grigiastri, metallici e cattivissimi. I primi, quelli buoni come
Blumbeee, possono presentarsi come una
normale automobile coupé ma possono
improvvisamente smontarsi, rimontarsi e
diventare una macchina da guerra; i secondi dichiarano guerra al mondo dagli
abissi marini.
Il produttore esecutivo Steven Spielberg (ma non aveva già detto tutto sul rapporto uomo-macchina, o per meglio dire
sul “duello mitologico tra l’uomo e il mostro della meccanica” come lo ribattezzò
Alberto Moravia, quasi 40 anni fa, con il
mitico Duel?) si affida alla regia esperta di
U
Tutti i film della stagione
Michael Bay (tra i suoi filmoni rutilanti ricordiamo Armageddon e Pearl Harbor, oltre che il primo film della serie Trasformers
del 2007), un regista che si esalta con le
guerre globali e che sopra ogni cosa ama
chiamare alle armi suoi eroi. Il salvatore
della patria (anzi dell’intero pianeta) questa volta non ha i bicipiti di Bruce Willis o
lo sguardo “assassino” di Josh Hartnett,
ma ha il viso buffo e il fisico normale di
Shia LaBeouf (già piccolo eroe nel primo
film della serie), uno studente sveglio e
furbetto accompagnato da una fidanzata
con fisico da pin-up e viso da copertina
(con chili di lucidalabbra sempre fresco
sull’immancabile bocca carnosa), cui presta il volto la bella Megan Fox. Fin qui tutto
negli schemi, ma mai ci saremmo aspettati di vedere John Turturro intento ad arrampicarsi sulle piramidi combattendo contro un gigantesco ammasso di ferraglia.
Se, da un lato, si fa entrare in gioco il
riferimento alla realtà di anni di guerre degli USA contro un nemico pubblico tanto
pericoloso, proprio perché pronto all’autodistruzione attraverso dis-umani uomini (e
donne) bomba, dall’altro si gioca alle citazioni cinematografiche nei confronti di tanto cinema avventuroso meno “militarizzato”, ma più divertente, come il filone archeologico-avventuroso alla Indiana Jones
dello Spielberg degli anni d’oro.
Il film procede con una sceneggiatura
sciatta e priva di ogni logica (in cui si fanno sfondoni anche in geografia, facendo
apparire uno accanto all’altro siti archeologici in realtà distanti come Petra e le piramidi), in cui risalta l’esiguo spazio ai dialoghi (quelle poche battute pronunciate dai
nostri eroi sono davvero ridicole) che lascia il dominio assoluto alle scene d’azione tutte effetti speciali (firmati dai maghi
della lucasiana “Industrial Light & Magic”
e dagli artisti della Digital Domain del regista Bay). Gli ultimi 40 minuti di film sono
davvero pesanti da digerire, pesanti come
il metallo che giganteggia, rumoreggia,
spadroneggia, fracassando tutto ciò che
si trova davanti (templi di Petra e piramidi
egiziane incluse, con buona pace del rispetto per i capolavori patrimonio dell’UNESCO).
Il fragore è forte, davvero troppo, per
non uscire storditi e confusi da tanto ... rumore per nulla. E davvero non serve proprio stordire così tanto i milioni di adolescenti e ahimè anche bambini (la maggior
parte del pubblico di questo film è rigorosamente under 14) che in tutto il mondo
sono accorsi a vedere il giocattolone ferroso campione di incassi. Distruzione totale, anche del buon vecchio cinema.
Elena Bartoni
MISS MARZO
(Miss March)
Stati Uniti, 2009
Regia: Zach Gregger, Trevor Moore
Produzione: Vince Cirrincione, Tobie Haggerty, Tom Jacobson,
Steven J. Wolfe per The Jacobson Company/Fox Atomic
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009) V.M.: 14
Soggetto: Dennis Haggerty, Ryan Homchick, Thomas Mimms
Sceneggiatura: Zach Gregger, Trevor Moore
Direttore della fotografia: Anthony B. Richmond
Montaggio: Tim Mirkovich
Musiche: Jeff Cardoni
Scenografia: Cabot McMullen
Costumi: Sarah de SA Rego, Alexis Scott
Produttori esecutivi: Jason Burns, Richard Rosenzweig
Coproduttori: Scott Hyman, Monnie Wills
Direttore di produzione: Jenny Hinkey
Casting: Sheila Jaffe
Aiuti regista: Joel Jeffrey Nishimine, Sloane Lewis
Operatore: David Sammons
Operatore steadicam: Glenn Brown
Art director: Dins W.W. Danielsen
Arredatore: Beth Wooke
Trucco: Mandu Danielle Benton, Stephen Bettles, Dominie Till,
Debbie Zoller
Acconciature: Theresa Velez, Thom Cammer, Ivonnah Er-
skine, Sekinah Erskine, Rita L. Hamlin, Adrienne Lynn, Pina
Rizzi
Coordinatore effetti speciali: Robert Garrigus
Supervisore effetti visivi: Stephen Dyson
Coordinatore effetti visivi: Kellum Lewis
Supervisore costumi: Jennifer Ireland
Supervisore musiche: Dave Jordan
Interpreti: Zach Gregger (Eugene Bell), Trevor Moore (Tucker
Cleigh), Raquel Alessi (Cindi Whitehall), Molly Stanton (Candace), Craig Robinson (Horsedick.MPEG), Hugh M. Hefner,
Shark Firestone, Carrie Keagan (se stessi), Carla Jimenez
(infermiera Juanita), Cedric Yarbrough (dottore), Geoff Meed
(Rick), Slade Pearce (Eugene adolescente), Remy Thorne
(Tucker adolescente), Eve Mauro (Vonka), Alexis Raben (Katja), Windell Middlebrooks (buttafuori), Lindsay Schoneweis
(Sheila), David Wells (preside), Tanjareen Martin (Crystal),
Britten Kelley (Chevonne), Barry Sigismondi (sig. Whitehall),
Alex Donnelley (sig.ra Whitehall), Josh Fadem (ragazzino),
Paul Rogan (sig. Biederman), Kate Luyben (sig.ra Biederman),
Seth Morris (boss), Michael Busch (impiegato), Ryan Kitley
(cameriere), Niki J. Crawford (Janine), Bonita Friedericy (cameriera), Brittany Buckner (Lorraine), Anthony Jeselnik
Durata: 89’
Metri: 2415
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Film
ugene e Tucker sono amici dall’infanzia. I loro caratteri, però,
non possono essere più differenti: il primo è molto religioso e dedito all’astinenza sessuale, mentre il secondo è
un donnaiolo malato di sesso.
Eugene ha una fidanzata, Cindy, con
cui promuove nelle scuole l’importanza di
mantenersi casti. La ragazza, però, non è
molto convinta di questo e, dopo varie insistenze, gli strappa la promessa di fare
l’amore durante il ballo studentesco.
Arriva la sera fatidica, Eugene è nervosissimo e Tucker gli consiglia di bere
qualcosa di alcolico per rilassarsi. Il ragazzo, non abituato, si ubriaca, cade dalle
scale e finisce in coma.
Passano quattro anni e Eugene finalmente si risveglia. Al suo capezzale c’è
Tucker, ma non Cindy. L’amico, allora gli
dice che la ragazza ha aspettato il suo risveglio, ma poi si è stancata e ha preso la
sua strada. Eugene incredulo decide di ritrovarla con l’aiuto dell’inseparabile compagno.
I due amici si mettono in viaggio, Tucker per ingannare il tempo sfoglia Playboy e scopre che una delle modelle è proprio Cindy.
Eugene è scioccato, non vuole credere
che la sua fidanzatina possa essere diventata una coniglietta. Tucker, allora, coglie
la palla al balzo e gli propone una visita
alla magione di Playboy. Dopo un rocambolesco viaggio i due si ritrovano nella
casa di Hugh Hefner, proprietario del giornale, circondati da donne succinte e alcol
a fiumi. Eugene, però, non si lascia tenta-
E
Tutti i film della stagione
re: vuole ritrovare Cindy. La fortuna lo
aiuta; dopo aver girato un po’ se la ritrova davanti completamente cambiata.
Deluso, il ragazzo le urla tutto il suo
dolore, ma lei si giustifica dicendo che ha
fatto tutto questo per pagargli le costosissime cure in ospedale. Eugene, commosso, l’abbraccia e le chiede di ricominciare
la loro storia lontano dal mondo di Playboy. La ragazza accetta.
Intanto Tucker riesce a incontrare Hefner e, dopo aver parlato con lui, si convince che la monogamia è molto più appagante rispetto al sesso “mordi e fuggi” a
cui era abituato.
al magico cilindro di youtube,
contenitore delle più svariate performance umane, sono emersi
tanti talenti. Musicisti, ballerini, cantanti
e fra questi un duo comico che con le
sue trovate ha fatto impazzire la rete: The
Whitest Kids. Dietro questo bizzarro
nome si celano Zach Cregger e Trevor
Moore due tipici adolescenti a stelle e
strisce che si fanno beffe di tutto ciò che
è americano.
Fin qui nulla di strano. Purtroppo i due
baldi giovanotti, rassicurati dal numero di
visualizzazioni, come si dice in gergo, dei
loro spettacolini hanno pensato di farne un
film. E, convinti delle loro qualità, hanno
considerato inutile ingaggiare un regista
per dirigere la loro opera prima.
Da questo concentrato di superbia e
ingenuità ha origine il film Miss Marzo, storia di due amici che, per ragioni diametralmente opposte, sognano la villa di Play-
D
boy. Il primo, per ritrovare l’amata il secondo per saziare la sua fame di donne.
Cregger e Moore, per non deludere il
loro target, scelgono di raccontare questa
storia con lo stile dei videoclip dei rapper
east-coast, senza dimenticare la lezione
dell’ormai classico American Pie. Tradotto
in parole povere, un tripudio di doppi sensi a sfondo sessuale, rumori corporali e
sederi ammiccanti in primo piano, scelta
che potrebbe risultare gradita solo ad adolescenti frustrati, o a sfegatati fan dell’hiphop.
Volendo trovare genialità, dove purtroppo non c’è, è interessante analizzare la figura di questi due amici: Eugene, convinto
promotore della castità e Tucker morbosamente attratto dal sesso in tutte le sue varianti. Due ragazzi che, in fondo, rappresentano la dicotomia americana in materia. Una
divisione netta che evidentemente i giovani registi non approvano, visto il finale, quasi didattico, contro gli estremismi.
Finale buonista a parte, questa commediola, merita veramente di essere dimenticata.
Una seconda possibilità, certo, la si
offre a tutti, ma se i signori Gregger e Moore hanno deciso di buttarsi nel cinema
conviene ricordargli che di bravi professionisti a cui affidarsi ce ne sono molti. O in
alternativa ritornare alle rassicuranti stellette di youtube , che con qualche click in
più riescono a far credere al più mediocre
degli artisti di essere un genio... purtroppo
compreso.
Francesca Piano
NIENTE VELO PER JASIRA
(Towelhead)
Stati Uniti, 2007
Regia: Alan Ball
Produzione: Alan Ball, Ted Hope per Indian Paintbrush/This Is
That Productions/Your Face Goes Here Entertainment
Distribuzione: Videa CDE
Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009) V.M.: 14
Soggetto: dal romanzo Beduina di Alicia Erian
Sceneggiatura: Alan Ball
Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio: Andy Keir
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: James Chinlund
Costumi: Danny Glicker
Produttori esecutivi: Anne Carey, Peggy Rajski, Scott Rudin
Produttore associato: Christina Jokanovich
Aiuti regista: Noga Isackson, Lisa Chu
Art director: Alexander Wei
Arredatore: Fainche MacCarthy
Trucco: Elisabeth Fry
Acconciature: Marie Larkin
Supervisori effetti visivi: Jean-Pierre Boies (Fly Studio),
Louis Morin
Supervisore costumi: Cheryl Scarano
Interpreti: Summer Bishil (Jasira Maroun), Aaron Eckhart (Travis Vuoso), Peter Macdissi (Rifat Maroun), Toni Collette (Melina Hines), Maria Bello (Gail Monahan), Eugene Jones III (Thomas Bradley), Matt Letscher (Gil Hines), Gemmenne de la
Peña (Denise), Lynn Collins (Thena Panos), Chris Messina
(Barry), Robert Baker (sig. Joffrey), Carrie Preston (Evelyn
Vuoso), Chase Ellison (Zack Vuoso), Shari Headley (sig,ra
Bradley), Randy J. Goodwin (sig. Bradley), Virginia Louise
Smith (infermiera), Eamonn Roche (fotografo scuola), Cleo
King (commesso), Soledad St. Hilaire (custode), Lorna Scott
(insegnante francese), Larry Cedar (fotografo Glamour), Lee
von Ernst (infermiera GYN), Irina Voronina, Michael McShae,
D.C. Cody, Nathalie Walker, Kim Knight, LoriDawn Messuri
Durata: 124’
Metri: 3020
6
Film
urante la prima Guerra del Golfo, la tredicenne Jasira Maroun,
figlia di madre irlandese e padre
libanese, sta entrato nel periodo più delicato della sua vita, l’adolescenza. Ella
vive a Syracuse, nello stato di New York,
assieme alla madre, ma quando il compagno della donna aiuta Jasira a depilarsi il pelo pubico, la madre, preoccupata, manda la figlia a vivere con il rigido e
prepotente padre, che vive a Houston, in
Texas. Jasira si ritrova sola in un ambiente
ostile, dovendo sottostare alla mentalità
tradizionalista e burbera del padre (che
fuori dalle mura domestiche, e in presenza della nuova compagna, si mostra di
tutt’altra pasta). Cerca di instaurare rapporti con i vicini di casa e compagni di
scuola, ma con scarso successo. Inizia
anche ad avere pensieri sul sesso: la eccitano le riviste per adulti che trova in
casa del vicino, il signor Vuoso, presso il
quale lavora come babysitter dell’impertinente figlio Zach, che non manca di insultarla per il colore della sua pelle. I
Vuoso sono una famiglia tipicamente repubblicana, piena di pregiudizi e la rottura tra loro e i Maroun è questione di
poco tempo. Ma tra Jasira e il signor Vuoso esiste da tempo un’intesa: lui ha scoperto il suo interesse per le riviste adulte,
e gliene fa pervenire una a casa. A scuola, conosce Thomas, un ragazzo di colore, con cui l’intesa sessuale comincia a
manifestarsi sempre più. Ma il padre di
Jasira svela, oltre alla brutalità ottusa,
anche il suo più bieco lato razzista e le
impone di non vederlo più: un nero “non
la farà mai felice”.
Nel frattempo, il signor Vuoso circuisce Jasira, lusingandola con parole dolci. Un giorno, l’uomo infila un dito nella vagina della ragazzina senza il suo
consenso, provocandole la rottura dell’imene. Mr. Vuoso si scusa con lei, non
pensando che lei fosse ancora vergine.
La “prima volta” sarà con Thomas, che
non mancherà di lamentarsi per “non
aver visto sangue” e chiederà insistentemente alla ragazzina se “ora si sente
più donna”.
Affascinata dal suo sentirsi apprezzata, ma incapace di orientarsi da sola nel
suo percorso adolescenziale, Jasira trova conforto in Melina, una vicina di casa
grazie ai cui discorsi (e alle letture che le
consiglia) scopre molte risposte alle sue
domande e, soprattutto, la conferma dei
comportamenti illegali del signor Vuoso.
Ciononostante, le si concede ancora
quando lui va a trovarla dicendole che
deve partire in guerra in Iraq il giorno
dopo. Il mattino dopo, lo vedrà in città
Tutti i film della stagione
D
guidare la macchina e capirà di essere
stata ingannata.
Quando il rigido padre di Jasira scopre la rivista per adulti, aggredisce e picchia Jasira che, spaventata, si rifugia in
casa di Melina. La donna e il marito, che
aspettano un bambino, le offrono protezione e ospitalità dal padre. Jasira non esiterà a portare Thomas in casa di Melina e a
fare l’amore con lui di nascosto: il padre,
giunto in serata da loro in cerca di una
riconciliazione, accecato d’ira per la presenza di Thomas si precipita in camera di
Jasira e trova un preservativo usato. Ormai esasperata, la ragazza si sfoga: non è
stato Thomas a toglierle la verginità, ma il
signor Vuoso, che viene arrestato e rilasciato sotto cauzione. Lui e Jasira hanno
un ultimo fugace colloquio: lui la rassicura che non ha alcuna colpa di quanto successo. Melina assiste alla scena e interviene per allontanare Vuoso, ma cade dalle
scalette di ingresso mettendo a repentaglio
la propria gravidanza. Sarà Vuoso a chiamare il 911 e garantire la nascita della
bambina. Jasira, incoraggiata dal padre
pentito della propria intolleranza, assiste
al parto.
na considerazione in primis. La
descrizione della scoperta del
sesso, elemento cardine del film
di Alan Ball (autore del serial Six Feet
Under), avviene in questo film in modo
tanto esplicito quanto naturale, senza le
morbosità o le improbabili, compiaciute
perversioni che caratterizzano certi romanzetti trasposti al cinema per fare cassa (Melissa P., per dirne una). E questo è
un dato di indubbio merito. L’assunto mostra una giovane adolescente priva della
U
7
minima guida che possa aiutarla ad affrontare i pericoli del mondo adulto e le
contraddizioni tra la sua giovane età e le
prime pulsioni sessuali, accentuate dal
suo precocemente florido aspetto fisico
(l’attrice che interpreta Jasira, Summer
Bishil, ha 20 anni e non 13...). Ben poco
di tutto questo si evince dall’incongruo titolo italiano, che menziona a sproposito
veli di cui nel film non c’è traccia, solo in
virtù dell’origine mediorientale della protagonista; fa pensare piuttosto a un lungometraggio di emancipazione a sfondo
religioso. Gli argomenti, come detto, sono
altri, e forse troppi nonostante le buone
intenzioni e il tentativo di affrontarli seriamente e “senza veli” (ci sia concessa la
battuta). Troppi, se è vero che nessuno di
questi viene affrontato in maniera decisa, ma solo citato e lasciato lì; dal razzismo che contraddistingue tanto i compagni di Jasira quanto il di lei terribile (un
po’ troppo rude) padre, alla noncuranza
dei genitori che si ripercuote sull’equilibrio dei figli, fino al delicato tema della
pedofilia – in cui se non altro viene risparmiata la descrizione di maniaci babau: il
signor Vuoso è un essere umano patologicamente e moralmente viziato, non per
questo incapace di un’azione positiva finale che certo non ne riscatta l’operato,
ma avrebbe fatto felice il Buñuel di Violenza per una giovane, lieto di inserire elementi lucidi e spiazzanti in una prosa altrimenti di torrida banalità. Che è un po’
la storia di Jasira, se priva di approfondimenti com’è stata resa, per di più appesantita da un finale a dir poco accomodante e “stonato”.
Gianluigi Ceccarelli
Film
Tutti i film della stagione
LA RIVOLTA DELLE EX
(Ghost of Girlfriends Past)
Stati Uniti, 2009
Acconciature: Emma C. Rotondi, Anita Roganovic, Paula Dion,
Elizabeth Cecchini
Supervisore effetti speciali: John S. Baker
Supervisori effetti visivi: Mike O’Neal (Rhythm & Hues),
Dottie Starling (CIS Hollywood), Richard Malzahn
Supervisore costumi: Hope Slepak
Interpreti: Matthew McConaughey (Connor Mead), Jennifer
Garner (Jenny Perotti), Michael Douglas (zio Wayne), Emma Stone (Allison Vandermeersh), Breckin Meyer (Paul), Lacey Chabert (Sandra), Robert Foster (sergente Volkom), Anne Archer
(Vonda Volkom), Daniel Sunjata (Brad), Noureen DeWulf (Melanie), Rachel Boston (Deena, damigella d’onore), Camille Guaty
(Donna, damigella d’onore), Amanda Walsh (Denice, damigella
d’onore), Emily Foxler (Nadja), Catherine Haena Kim (Charlece), Noah Tishby (Kiki), Rachelle Wood, Erin Wyatt (modelle),
Devin Brochu (Connor adolescente), Kasey Russell (Jenny adolescente), Scott Powers (padre di Connor), Heather Wilde (madre di Connor), Michael R. Pouliot (prete funerale), Logan Miller
(Connor teenager), Christa B. Allen (Jenna teenager), Chad
Mountain (D.J.), Samantha Goober (Marissa, amica di Jenny),
Alyssa McCourt (Clarissa, amica di Jenny), Sam Byrne (Pete
Hastings), Kortney Adams (collega di Jenny), Cindy Lentol (Amy)
Durata: 100’
Metri: 2620
Regia: Mark Waters
Produzione: Brad Epstein, Jonathan Shestack per New Line
Cinema/Panther
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore
Direttore della fotografia: Daryn Okada
Montaggio: Bruce Green
Musiche: Rolfe Kent
Scenografia: Cary White
Costumi: Denise Wingate
Produttori esecutivi: Samuel J. Brown, Jessica Tuchinsky,
Marcus Viscidi
Coproduttore: Ginny Brewer
Direttore di produzione: Donna E. Bloom
Casting: Geralyn Flood, Marci Liroff
Aiuti regista: Justin Miller, John M. Morse, Audrey Clark, Joshua Lucido
Operatore: Steve Adcock
Operatore steadicam: Harry K. Garvin
Art director: Maria L. Baker
Arredatore: Barbara Haberecht
Trucco: Craig Lyman, Deborah La Mia Denaver, Trish Seeney,
Jeri La Shay, Joe Rossi, Bernadette Mazur
onnor Mead è un famoso fotografo newyorchese che ama la
libertà, il divertimento e le donne. Sostenitore delle relazioni libere, non
esita a rompere con più ragazze contemporaneamente al telefono, mentre stringe
tra le braccia la sua nuova conquista. Invitato al matrimonio del fratello Paul, il
suo esatto opposto, Connor piomba a
Newport, nella villa dove fervono i preparativi per la cerimonia, gettando subito
scompiglio. Tra i presenti, oltre a Paul e
alla sua promessa sposa Sandra, a fare la
damigella d’onore c’è Jenny Perotti, vecchia fiamma di gioventù di Connor, che si
comporta in modo freddo con colui che le
ha spezzato il cuore anni prima. La sera
delle prove per il ricevimento, Connor pronuncia un duro discorso contro il matrimonio. Fuggendo dall’ira degli invitati, il
giovane si rifugia nel bagno degli ospiti.
Improvvisamente si ritrova davanti il defunto zio Wayne, idolo della sua adolescenza nonché suo “maestro” nell’arte delle
conquiste, che pronuncia delle parole che
lo spiazzano: non deve sprecare la sua vita
come ha fatto lui. Quella notte tre fantasmi verranno trovarlo e lui si vedrà costretto a provare sentimenti che non aveva mai
provato prima. Tornato al ricevimento,
Connor continua a comportarsi da playboy facendo avances perfino alla madre
della sposa. Una volta in camera, Connor
C
riceve la visita del fantasma della sua prima ragazza, Allison Vandermeersh, che lo
catapulta ai tempi del liceo quando era
ancora un ragazzo timido e sincero. Connor rivede sé stesso e Jenny quando, ancora bambini, provavano un tenero sentimento l’uno per l’altra. Allison lo accompagna poi ad un ballo della scuola, quando Jenny baciò un altro ragazzo sotto ai
suoi occhi. Deluso dalla ragazze e deciso
di non voler più soffrire, Connor si era rifugiato dallo zio che gli aveva insegnato
come conquistare una donna senza cedere
mai ai sentimenti. Due anni dopo, il giovane aveva avuto la sua “prima volta” con
Allison. Diversi anni dopo, Connor giovane e lanciatissimo fotografo, aveva rivisto
Jenny. I due avevano passato una notte
insieme ma, al mattino, Connor aveva preferito la fuga. Da quel momento, era diventato un donnaiolo impenitente. Connor
si sveglia dal suo incubo e scende in cucina, dove, nel tentativo di stappare una bottiglia di champagne, distrugge la torta nuziale di suo fratello. In suo aiuto accorre
Jenny; il giovane le chiede scusa per aver
troncato la loro relazione ma la ragazza
non si fida più di lui. Perseguitato dai suoi
incubi, si rifugia in auto dove gli appare il
fantasma delle donne presenti: Melanie, la
sua segretaria. La donna lo conduce in
viaggio nel presente: nella villa tutte le
donne parlano male di lui, solo il fratello
8
lo difende. Melanie lo porta a sentire i pareri delle ultime tre ragazze che Connor
ha lasciato in videoconferenza. Sconvolto,
il giovane si sfoga con il fantasma di zio
Wayne. Tornato a casa, trova il fratello
distrutto: Sandra è in crisi perché Connor
l’ha informata della passata relazione di
Paul con una delle damigelle. Paul lo caccia via accusandolo di aver reso quel
weekend un inferno per tutti. Da solo, in
mezzo alla neve, Connor viene visitato dal
fantasma delle donne future che lo conduce in una chiesa dove assiste impotente al
matrimonio di Jenny con un altro uomo.
Nella chiesa vuota, c’è solo Paul che non
si è più sposato per colpa sua. Connor vede
sé stesso vecchio e solo e poco dopo assiste al suo funerale, a cui presenzia solo suo
fratello. Svegliatosi bruscamente dal suo
incubo, Connor si accorge che il matrimonio è stato annullato e decide di correre ai
ripari. Insegue la sposa e la convince a non
rinunciare all’amore che la lega a Paul.
Sandra decide di sposarsi. Al ricevimento,
Connor fa il discorso di un uomo nuovo
poi esce fuori e, sotto la neve, chiede a Jenny un’altra possibilità: è pronto a tutto e
le promette che non si sveglierà mai più
da sola.
R
ieccoli, sono loro, i fantasmi che giungono dall’aldilà per dare una tiratina
d’orecchi al peccatore di turno.
Film
Tre fantasmi (anzi quattro) e un impenitente seduttore.
Tre donne per ciascun tempo della vita
(il presente, il passato e il futuro), un vecchio zio playboy pentito, un giovane e belloccio conquistatore. Ecco gli ingredienti
di questa commedia.
Da tempi lontani, Hollywood ha il vizio
di mandare ‘moniti dal cielo’ ai suoi “ragazzacci”. Per farlo ha usato espedienti diversi: come non ricordare la commedia Nei
panni di una bionda del mago Blake Edwards in cui uno ‘sciupafemmine’, ucciso
da tre donne vittime del suo fascino, veniva costretto, per “volontà divina”, a reincarnarsi per punizione nei panni di una
bionda esplosiva? Per non finire all’inferno doveva trovare qualcuno che lo aveva
amato veramente. Certo è che il ‘respiro
morale’ di Blake Edwards, mai scevro da
acuto spirito critico nei confronti dei rapporti tra uomini e donne, aveva ben altro
spessore, anche in una commedia che
scivolava verso un inaspettato (per un regista altrove irriverente e graffiante) finale
perbenista.
È proprio questo il punto. La redenzione grazie all’amore. Anche in questa
commediola dal titolo originale (Ghosts of
Girlfriends Past) più carino dell’italiano La
rivolta delle ex, sembra proprio che ci sia
una possibilità di redenzione anche per
lui, il playboy del terzo millennio che ha
Tutti i film della stagione
gli occhi azzurri e i bicipiti scolpiti del sex
symbol Matthew McConaughey. Tre fantasmi di donne lo accompagnano nel presente, nel passato e nel futuro per mostrargli i danni che la sua condotta ha provocato, provoca e provocherà. E un altro
fantasma, anzi più che un fantasma, un
doppio di se stesso, lo zio playboy sulla
cui immagine il fotografo tombeur des
femmes si è modellato, lo mette in guardia dal rischio di ritrovarsi vecchio e solo
senza aver mai amato veramente. Si, anche lui, il playboy anni Ottanta con tanto
di foulard al collo e doppiopetto blu (interpretato da un Michael Douglas che
sembra un po’ troppo la caricatura di sé
stesso) cede al buonismo. E così, la donna della vita, l’amore di gioventù, il primo
amore, quello che non si scorda mai (una
legnosa Jennifer Garner divenuta celebre
come eroina della serie TV “Alias”), avrà
il suo bel dongiovanni redento e finalmente tutto per sé.
Certo, lo stereotipo del peccatore costretto a rivedere la bobina del film della
propria vita è trito e ritrito, ma, soprattutto, a essere ormai un cliché troppo ripetuto, è la soluzione tutta rassicurante della redenzione della “pecora nera”. Come
nel recente Cambia la tua vita con un clic
dove lo stressato architetto Adam Sandler, con l’aiuto né di creature angeliche
né di fantasmi, ma di un più terreno (an-
che se magico) telecomando capace di
mandare avanti e indietro la sua vita, riesce a vedere dove potrebbe portarlo la
sua condotta egoista (anche qui verso
una morte triste e solitaria) e a redimersi
in tempo utile.
Nella sua carriera, votata per lo più al
cinema leggero (Quel pazzo venerdì e
Mean Girls tanto per fare due titoli), il regista Mark Waters ha già percorso anche
lui il sentiero della commedia soprannaturale mettendo in scena il fantasma biondo di Reese Whiterspoon imprigionato fra
la vita e la morte, intento a far innamorare di sé il bel Mark Ruffalo in Se solo fosse vero.
Certo è che in questo caso, una bella
mano gliela hanno data i due sceneggiatori, John Lucas e Scott Moore, nuove stelle della commedia a stelle e strisce che
qui si fanno prendere troppo dal fervore di
un moralistico buonismo (fortunatamente
non sempre, visto che nello stesso anno
hanno firmato anche la commedia “delirante” Una notte da leoni). E tutto finisce
per annegare nella melassa, la stessa che
ricopre la torta nuziale che il nostro bel
playboy distrugge in una delle scene più
divertenti del film.
Romanticoni di tutte le età, accomodatevi al buffet, il dolcissimo piatto è servito!
Elena Bartoni
CONTROL
(Control)
Gran Bretagna/Stati Uniti/Australia/Giappone, 2007
Trucco e acconciature: Jeremy Woodhead
Supervisore musiche: Ian Neil
Interpreti: Sam Riley (Ian Curtis), Samantha Morton (Deborah Curtis), Alexandra Maria Lara (Annik Honoré), Joe Anderson (Peter Hook), James Anthony Pearson (Bernard Sumner), Harry Treadaway (Stephen Morris), Craig Parkinson (Tony
Wilson), Toby Kebbell (Rob Gretton), Andrew Sheridan (Terry
Mason), Robert Shelly (Twinny), Richard Bremmer (padre di
Ian), Tanya Myers (madre di Ian), Martha Myers Lowe (sorella
di Ian), Matthew McNulty (Nick Jackson), David Whittington
(insegnante di chimica), Margaret Jackman (signora Brady),
Mary Jo Randle (madre di Debbie), Ben Naylon (Martin Hannett), John Cooper Clarke (se stesso), James Fortune (presentatore), Angus Addenbrooke (Colin), Nicola Harrison (Corrine Lewis), June Alliss (madre di Corrine), George Newton
(proprietario dello studio), Mark Jardine (manager di un’altra
band), Herbert Gronemeyer (GP locale), Paul Arlington (medico dell’ospedale), Tim Plester (Earnest Richards), Joanna
Swain (infermiera), Laura Chambers (Claire), Monica Axelsson (fidanzata di Tony Wilson), Lotti Closs (Gillian Gilbert)
Durata: 122’
Metri: 3150
Regia: Anton Corbijn
Produzione: Anton Corbijn, Todd Eckert, Orian Williams per 3
Dogs and a Pony/Becker Films/Claraflora/EM Media/NorthSee/Warner Music
Distribuzione: Metacinema
Prima: (Roma 24-10-2008; Milano 24-10-2008)
Soggetto: dal libro Touching from a Distance: Ian Curtis & Joy
Division di Deborah Curtis
Sceneggiatura: Matt Greenhalgh
Direttore della fotografia: Martin Ruhe
Montaggio: Andrew Hulme
Musiche: Joy Division, New Order
Scenografia: Chris Roope
Costumi: Julian Day
Produttori esecutivi: Iain Canning, Lizzie Francke, Akira Ishii,
Korda Marshall
Co-produttori: Deborah Curtis, Megumi Fukasawa, Peter Heslop, Satoru Iseki, Tony Wilson
Casting: Shaheen Baig
Aiuti regista: Toni Staples, Andrew Foster, Katy Stenson
Operatori: Robert Binnall, Christopher Ross
Art director: Philip Elton
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Film
acclesfield, cittadina alla periferia di Manchester, Inghilterra, 1973. Ian Curtis vive
con i suoi amici una noiosa vita di provincia. Per spezzare la monotonia, si
prende cura di vecchi pensionati rubando loro medicine. Il giovane nutre una
grande passione per la musica. Colpito
dalla giovane Debbie, Ian la porta a un
concerto di David Bowie. Tra i due nasce l’amore. Tre anni dopo, a soli diciannove anni, Ian e Debbie si sposano. Ian
lavora come impiegato all’ufficio comunale, ma la musica è sempre la sua grande passione. Durante un concerto dei Sex
Pistols, Ian conosce Bernard Sumner e
Peter Hook; l’incontro porta alla formazione di una band, i Warsaw, della quale
Ian è il cantante e l’autore dei testi. Dopo
alcune serate a Manchester, il gruppo
cambia nome in Joy Division. La band
acquista importanza quando Rob Gretton diventa il loro manager: è il 1978.
Ian si fa notare ottenendo un ingaggio
per la trasmissione televisiva “Granada
Reports”, dopo aver discusso con il conduttore del programma Tony Wilson, il
quale, intrigato, mette i Joy Division sotto contratto con la sua etichetta discografica. Intanto Ian continua a lavorare
all’Ufficio Sussidi per la Disoccupazione. Un giorno, al lavoro, una ragazza è
vittima di un attacco epilettico sotto ai
suoi occhi, l’episodio gli ispira la canzone “She’s Lost Control” ed è anche un
presagio di ciò che gli accadrà in futuro. Poco tempo dopo, tornando a casa,
Ian ha il suo primo attacco epilettico. Il
medico gli prescrive una cura puntualizzando che si tratta solo di un tentativo
per trovare la combinazione più efficace
di farmaci. La cura ha pesanti effetti collaterali e il giovane si addormenta spesso al lavoro. Intanto Debbie partorisce
una bambina, Natalie, mentre i Joy Division sono impegnati nella registrazione del loro primo album. Dopo un concerto, Ian è colpito da una giovane giornalista belga, Annik Honoré. Tra i due
nasce una storia d’amore. Col passare
del tempo, Ian è sempre più indifferente
nei confronti della moglie e sempre più
attaccato ad Annik che lo accompagna
in tournée in Europa. Poco tempo dopo,
Ian finisce per confessare a Debbie che
a lui non dispiacerebbe se lei andasse a
letto con altri uomini. Un giorno, Debbie trova tra le cose di Ian il numero di
telefono di Annik. La donna affronta il
marito chiedendogli se è innamorato di
quella ragazza, Ian le promette che la
lascerà. Partito nuovamente per una
M
Tutti i film della stagione
tournée con Annik, Ian è sempre più attaccato alla ragazza. Il senso di colpa,
combinato alle difficoltà causate dall’epilessia, lo portano a una grave depressione. Il giovane tenta il suicidio con
un’overdose di farmaci, lasciando un biglietto a Debbie in cui dichiara ancora
il suo amore ad Annik. Ian sopravvive e
sembra essersi ripreso: divorzia da Debbie e prepara la tournée americana della band. Lasciata la casa in cui viveva
con la moglie, si trasferisce da Rob Gretton, poi da un altro componente della
band, Bernard Sumner, infine a casa dei
genitori. Si avvicina la partenza per gli
USA, ma Ian pensa di non andare. Tornato a casa di Debbie, Ian beve whisky
da solo davanti al televisore. Debbie torna a casa, Ian la prega di ritirare l’istanza di divorzio, ma Debbie è irremovibile
e se ne va. Rimasto solo, Ian cade preda
di un violento attacco e si sveglia sul pavimento, in lacrime. Il mattino seguente
Debbie torna a casa e trova Ian impiccato. È il 18 maggio 1980, Ian aveva solo
23 anni.
erdere il controllo. Improvvisamente. Il controllo della propria
vita, delle proprie emozioni, dei
propri impulsi. Perdersi per sempre. Il titolo del film, Control (che è anche il titolo del
primo album dei Joy Division) riassume
nella parola chiave la breve e sofferta esistenza di Ian Curtis, giovane talento della
musica inglese nei primi anni Settanta, leader della band post-punk dei Joy Division
morto prematuramente prima di spiccare
il volo verso la celebrità (il gruppo incise
solo due album).
Ian perse il controllo, mano a mano,
inesorabilmente, di se stesso e di ciò gli
stava attorno. “She’s Lost Control” è la
canzone che scrisse da giovanissimo, triste presagio di quello che gli sarebbe accaduto di lì a poco. Un corpo fragile e un
animo fragile, Ian Curtis è soprattutto questo: un talento artistico e il suo buio interiore. Colpiscono come un pugno nello
stomaco alcune sue riflessioni: “Tutto sta
franando davanti ai miei occhi. Sto pagando a caro prezzo i miei sbagli. Lotto tra
quello che so essere giusto e le verità
degli altri”.
Ian ama (forse troppo), soffre, si sente diviso, dilaniato, inadeguato (come
marito e come padre, ha una bambina
che non avvicina, che non tocca e non
accarezza), e poi fugge, ama di nuovo
(e il nuovo amore acuisce il rimorso e il
dolore per quello passato che non c’è
più), torna, e fugge via definitivamente
P
10
da se stesso, dai suoi affetti, dal mondo
e dalla fatica del vivere. Ian è un prigioniero, le sue catene invisibili hanno il
peso di un’angoscia che gli impedisce di
vivere e di guardare al futuro. Ian cita il
poeta William Wordsworth e lui stesso
scrive parole gonfie di dolore e sofferenza verso la crudeltà assoluta dell’esistenza. L’immagine finale di un giovane che
si toglie la vita a soli 23 anni è l’immagine del tentativo fallito di fuggire da una
sofferenza insopportabile, enorme, assoluta. E urlare la propria angoscia da un
microfono in faccia al pubblico non basta più.
Il bianco e nero in cui è girato il film
restituisce in pieno il clima dell’Inghilterra anni Settanta avvicinando la pellicola
allo stile del free cinema . Un po’ Kurt
Cobain, un po’ Jim Morrison, Ian Curtis
sembra, per alcuni versi, vicino a tante
icone della musica rock dalle vite brevi e
sfortunate.
Il pregio principale del film è di non
volersi presentare come un manifesto celebrativo di una band poco conosciuta, che
ha avuto un peso nella storia della musica
inglese degli anni Settanta, ma di muoversi con delicatezza tentando un ritratto umano dal sapore intensamente vero nel restituire il dolore di un giovane uomo dalla
sensibilità fuori dal comune. Anton Corbijn,
fotografo di celebri gruppi rock e regista di
diversi video musicali che conobbe e fotografò i Joy Division, azzecca in pieno la
tonalità del film, supportato da una sceneggiatura di Matt Greenhalgh che prende le mosse dal libro “Touching from a Distance” scritto da Deborah Curtis, la vedova del musicista.
La giusta chiave di lettura del film ce la
suggerisce lo stesso regista che ha tenuto a precisare come Control non sia da
considerarsi un film musicale ma “un film
personale”. Intensamente e decisamente
personale ci viene da aggiungere, se si
pensa come l’intrecciarsi della vita di Corbijn con quella della band di Ian Curtis
abbia davvero influenzato profondamente
la storia artistica e personale del regista
che, trasferitosi nel 1979 dalla nativa Olanda a Londra, scattò la foto, divenuta poi
famosa, dei Joy Division alla stazione della metropolitana. Si era trasferito nella capitale inglese da sole due settimane. Singolare incrocio di destini.
Il film è stato presentato al Festival di
Cannes 2007 nella sezione “Quinzaine des
Réalisateurs”.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
STATE OF PLAY
(State of Play)
Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2009
Regia: Kevin Macdonald
Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Andrew Hauptman per
Andell Entertainment/Bevan-Fellner/Relativity Media/Studio
Canal/Universal Pictures/Working Title Films
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 30-4-2009; Milano 30-4-2009)
Soggetto: dall’omonima miniserie tv della BBC creata da Paul
Abbott
Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Tony Gilroy, Billy
Ray
Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Alex Heffes
Scenografia: Mark Friedberg
Costumi: Jacqueline West
Produttori esecutivi: Paul Abbott, Liza Chasin, Debra
Hayward, E. Bennett Walsh
Produttore associato: Kwame Parker
Coproduttore: Eric Hayes
Direttore di produzione: Robert Huberman
Casting: Avy Kaufman
Aiuti regista: Gary Marcus, Dawn Massaro, Carlos De La Torre,
Chamonix Bosch, Scott Foster
Operatore: John Grillo
Operatore steadicam: Marc Cole
Art directors: Richard L. Johnson, Adam Stockhausen
n giovane di colore viene assassinato in un vicolo malfamato;
purtroppo il killer ferisce anche
un ignaro passante, che finisce in coma.
Cal McAffrey è un reporter del Washington
Globe, che deve scrivere un articolo sull’accaduto.
Quasi in contemporanea, Sonia Baker
muore in circostanze misteriose sotto il treno della metro. Sonia era un membro importante dello staff dell’Onorevole Stephen
Collins, che stava conducendo un’inchiesta sulla PointCorp. Dopo aver appreso di
questa morte, Collins si lascia andare alle
lacrime davanti ai media, che subito lanciano la notizia di una presunta relazione
fra i due, nonché del suicidio della giovane. Collins, la cui moglie non reagisce bene
alla notizia, chiede aiuto a Cal, suo vecchio amico dell’università. Cal, che si scoprirà aver avuto una relazione con Anne
Collins, decide di aiutarlo. Il reporter decide di coinvolgere nell’indagine Della
Frye, giovane giornalista che si occupa
della parte internet del Globe. Messi da
parte attriti generazionali e lavorativi, i
due iniziano a indagare. Cal riesce subito
a trovare un tassello d’unione fra l’omicidio del giovane di colore e l’assassinio di
Sonia: è lo stesso killer, che aveva ucciso
il ragazzo solo per aver scoperto acciden-
U
Arredatore: Cheryl Carasik
Trucco: Felicity Bowring, Sandy Andrle, John Caglione jr.
Acconciature: Sherri Bramlett, Rhonda O’Neal
Supervisore effetti speciali: Martin Bresin
Coordinatore effetti speciali: Jeremy Hays
Supervisore effetti visivi: Bob Mercier
Supervisore costumi: Lisa Lovaas
Supervisore musiche: Nick Angel
Interpreti: Russell Crowe (Cal McAffrey), Ben Affleck (Stephen
Collins), Rachel McAdams (Della Frye), Helen Mirren (Cameron Lynne), Robin Wright Penn (Anne Collins), Jason Bateman
(Dominic Foy), Jeff Daniels (George Fergus), Michael Berresse (Robert Bingham); Harry Lennix (detective Donald Bell), Josh
Mostel (Pete), Michael Weston (Hank), Barry Shabaka Henley
(Gene Stavitz), Viola Davis (dr. Judith Franklin), David Harbour
(persona interna alla Point Corp), Sarah Lord (Mandi Brokaw),
Tuck Milligan (executive Point Corp), Steve Park (Chris Kawai),
Brennan Brown (Andrew Pell), Maria Thayer (Sonia Baker),
Wendy Makkena (Greer Thornton), Zoe Lister Jones (Jessy),
Michael Jace (agente Brown), Rob Benedict (Milt), LaDell Preston (Deshaun Stagg), Dan Brown (Vernon Sando), Katy Mixon
(Rhonda Silver), Shane Edelman (D.A. Purcell), Maurice Burnice Harcum (cassiere di Ben), Gregg Binkley (Ferris), Trula M.
Marcus (Carol), John Badila (sig. James)
Durata: 127’
Metri: 3330
talmente i suoi piani. Scopre poi che la
PointCorp diventerà così potente da monopolizzare l’intera sicurezza e i sistemi
di comunicazione americani. Della invece, viene a conoscenza dell’oscuro passato di Sonia. Un nome ricorre sempre: Dominic Foy. Dopo diverse peripezie, che
vedono anche Cal in pericolo di vita davanti al killer, riescono a trovare Foy, il
quale interrogato sotto minaccia rivela che
Sonia era una spia assoldata dalla PointCorp. Sonia, poi, innamoratasi realmente
di Collins e rimastane incinta, aveva smesso il doppiogioco, causa dell’omicidio.
Collins rivela a Cal che la ragazza era stata
raccomandata dal Senatore Fergus, che
Collins stesso credeva fidato collega. Pronti a scrivere la notizia, i due giornalisti
vengono fermati dall’editore Cameron,
perché privi di dichiarazioni ufficiali. Proprio allora Collins con Anne, che aveva
tentato di riaprire una vecchia relazione
con Cal invano, giunge in redazione per
fare questa sospirata dichiarazione.
Tutto è pronto per la stampa, i coniugi
Collins sembrano aver fatto pace e Cal ha
un ultimo lampo di genio. Il killer ancora
a piede libero, è Robert Bingham, un commilitone a cui Collins salvò la vita in guerra. Collins aveva assoldato Bingham con
problemi mentali per seguire Sonia su cui
11
nutriva sospetti di tradimento; sapeva che
il militare fedele a lui ed alla patria avrebbe infine ucciso Sonia. Cal serviva come
ultima pedina per insabbiarne l’omicidio.
Finalmente l’articolo completo va in
stampa. Collins viene arrestato ed il killer
ucciso. Cal e Della hanno trovato la giusta intesa lavorativa.
n film che ti prende poco a poco.
Una trama da seguire con attenzione. Tratto dall’omonima miniserie della BBC, mai apparsa in Italia, State
of Play gioca su molti ingredienti che possano facilmente fare presa sul pubblico. C’è
il professionista navigato che viene coinvolto personalmente in un’indagine e la
giovane esordiente che viene iniziata a una
carriera tanto desiderata.
Sia Cal che Della risultano personaggi ben delineati, in ogni loro sfaccettatura.
Tant’è vero che Cal, ci viene presentato prima con i suoi oggetti d’appartenenza
coi suoi tic ed infine col suo comportamento. La sequenza inizia con la sua Saab del
’99, piena di cartacce e taccuini, radio vecchia generazione e snack grasso ingurgitato con gusto, la cui confezione farà compagnia alle altre. Taccuino e penna in
mano, parcheggia dove non dovrebbe ed
inizia la sua giornata lavorativa. Tutti ele-
U
Film
menti che ben ci raccontano questo personaggio scaltro e deciso, le cui peculiarità non vengono tradite nel corso del film.
Della è invece il personaggio in crescita; abituata a scrivere giornalismo on
line, è sempre impeccabile, non usa trucchi per chiedere dichiarazioni e non lavora d’assalto. Accanto al suo mentore, sco-
Tutti i film della stagione
pre il vero modo di fare giornalismo, i suoi
trucchi ed espedienti; lo impara così bene
che Cal le dona una collana di penne bic,
come simbolo del passaggio da apprendista a professionista.
Un film ben scritto, con dialoghi efficaci
che dosano con estrema cura, ironia e pathos. Un cast di tutto rispetto, in primis Rus-
sell Crowe e Helen Mirren, che alle spalle
vantano film importanti e Premi Oscar. Qui
non negano le loro doti artistiche, portandoci in un film di circa due ore senza far
minimamente pesare tale durata. Naturalmente è anche merito del regista Kevin
Macdonald, già conosciuto grazie a Il re di
Scozia (2006), che si giostra senza difficoltà fra scene sentimentali e di suspense.
Oltre la vicenda di base, State of Play,
racchiude uno sguardo analitico al mondo
del giornalismo e il suo rapporto con l’universo on line dei blog. Cal rappresenta il
vecchio modo di fare giornalismo, con penna, taccuino, indagine sul campo e deduzione, mentre Della è il moderno blog sempre attivo e in cambiamento. Punto su cui i
due si scontano più volte nel film. Alla fine,
almeno per volere di Macdonald, ha la meglio la carta stampata. I titoli di coda ne sono
la dimostrazione: viene mostrato l’intero
processo di stampa. Ancor più forte in tal
senso è il cambiamento d’opinione di Della
stessa, la quale, nonostante lavori in internet, comprende che, per una notizia così
forte, bisogna necessariamente sporcarsi
le mani d’inchiostro per leggerla.
Elena Mandolini
PALERMO SHOOTING
(Palermo Shooting)
Germania/Italia/Francia, 2008
Aiuti regista: Arndt Wiegering, Karina Sparks, Patrick Durst,
Martina Veltroni
Trucco: Barbara Lamelza, Marcus Michael
Acconciature: Barbara Lamelza, Susan Redfern
Suono: Martin Müller
Supervisore effetti speciali: Joerg Bruemmer
Interpreti: Campino (prof. Finn Gilbert), Giovanna Mezzogiorno
(Flavia), Dennis Hopper (Frank), Inga Busch (Karla), Sebastian Blomberg (Manager Julian), Francesco Guzzo (Giovanni), Wolfgang Michael (Erwin), Harry Blain (Harry), Gerhard
Gutberlet (Gerhard), Axel Sichrovsky (Hans), Patti Smith, Lou
Reed, Milla Jovovich, Giovanni Sollima (se stessi), Jana Pallaske (studente), Udo Samel (banchiere), Alessandro Dieli
(dottore), Melika Foroutan (donna straniera Anke), Olivia Asiedu-Poku (fan nel club), Anna Orso (madre), Letizia Battaglia
(fotografa), Alessandro Dieli (dottore), Irina Gerdt (donna dai
capelli neri)
Durata: 108’
Metri: 2830
Regia: Wim Wenders
Produzione: Wim Wenders e Gian Piero Ringel per Neue Road
Movies. In coproduzione con P.O.R. Sicilia/Arte France Cinéma/Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF). In associazione con
Pictorion Pictures GmbH/Rectangle Productions/Reverse
Angle Productions
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Wim Wenders, Norman Ohler
Direttore della fotografia: Franz Lustig
Montaggio: Peter Przygodda, Oli Weiss
Musiche: Irmin Schmidt
Scenografia: Sebastian Soukup
Costumi: Sabina Maglia
Produttori esecutivi: Peter Schwartzkopff, Jeremy Thomas
Produttori associati: Felix Eisele, Stephan Mallmann
Direttori di produzione: Mauro Maggioni, Georg Sarantoulakos, Elke Sasserath, Francesco Trifirò
Casting: Sabine Schwedhelm
inn è un fotografo professionista
che alterna l’attività artistica al
lavoro per il mondo della moda.
È separato dalla moglie con la quale continua ad avere diverbi per telefono. Ha una
relazione con una donna, che spesso evi-
F
ta di frequentare, per uscire con altre. Ha
una vita onirica intensa tanto quanto la
sua vita professionale e fa sogni surreali,
spesso a soggetto mortuario (sogna a volte di portare a spalle sua madre fuori dal
cimitero).
12
Si diverte inoltre a fare fotografie lungo
la strada mentre guida. Una notte rischia
un incidente mentre tenta di fotografare
un’auto che gli passa accanto. La luce del
flash gli permette di scorgere nell’auto un
volto anziano che lo fissa intensamente. Al-
Film
l’alba, fa lo strano incontro con un agente
di borsa che a volte, prima di recarsi in ufficio, porta al pascolo il suo gregge di pecore. Nel dialogo l’uomo parla di Palermo.
Finn si documenta sulla città siciliana
e decide di ambientarvi un servizio fotografico con Milla, nota modella, la quale
da tempo gli chiede immagini più realistiche, meno costruite. Dopo il servizio, decide di restare a Palermo. Intanto ha preso a sognare costantemente una figura incappucciata che lo prende di mira con arco
e frecce. Inoltre, la distinzione fra sogno e
realtà comincia a diventare più labile.
Vagando per la città, si imbatte in una
compagnia teatrale che prova uno spettacolo in un teatro dismesso. Si addormenta su una panca e, al risveglio, scopre di
essere stato ritratto in un disegno da Flavia, restauratrice. La ragazza si affretta
ad allontanarsi. Finn si reca su una collina per osservare Palermo dall’alto. Di
nuovo ha la sensazione che una freccia
stia per colpirlo. Istintivamente si ritrae,
facendo cadere la macchina fotografica
che si rompe.
Per caso incontra di nuovo Flavia,
alle prese con un grande affresco che ritrae la morte al lavoro. Le racconta degli
incontri con l’arciere e la ragazza si mostra disposta a credere che siano incontri
reali. Mentre sono al porto, viene colpito
da una freccia e cade in mare. Una volta
tratto in salvo, però, non risulta avere ferite. Rinuncia anche al soccorso dell’ambulanza.
Flavia lo porta a casa sua perché si
asciughi e si riposi. Poi discutono dell’affresco che sta restaurando. Si intitola “Il
trionfo della morte” e mostra la morte a
cavallo che colpisce a morte con le frecce
i potenti dell’epoca (‘500). Entrambi osservano che le frecce appaiono come trasparenti e non generano schizzi di sangue
sui corpi. Flavia racconta che il suo ragazzo qualche anno prima era morto cadendo dall’impalcatura mentre era al lavoro sull’affresco, senza apparente motivo. Le disavventure di Finn con le frecce
le hanno ricordato quei giorni.
Guardano le foto che Finn ha fatto sul
luogo del primo incontro con l’arciere e si
accorgono che l’uomo è rimasto impresso
nell’immagine. Finn torna lì, sogna di inseguire l’arciere fino a scoprire di essere
lui stesso. Flavia lo porta a Gangi, suo luogo di nascita, per tornare a vedere la casa
della madre. Insieme ci passano la notte.
Di nuovo in sogno, Finn si trova finalmente faccia a faccia con l’arciere. È la Morte, che gli rivela che presto sarà il suo turno. Gli imputa di non aver onorato la vita,
di non averla amata, sia come uomo che
Tutti i film della stagione
come fotografo, impegnato com’era a costruire immagini artificiali invece che cogliere la realtà così com’è. Inoltre, gli dice
che aver paura della morte è aver paura
della vita, che la morte non è altro che un
passaggio, l’unica via d’uscita.
Infine la Morte dà un compito a Finn:
mostrare agli uomini che la morte è in ognuno di loro, è parte di loro, e che il ritratto dell’orrenda morte è una loro falsa invenzione.
a sempre i personaggi di Wenders partono per insofferenza.
Non sono diretti a una meta precisa, sono in fuga da un luogo e da una
situazione esistenziale entrambi soffocanti.
Ma anche trovare un motivo a questa sensazione di straniamento è per loro difficile.
Finn è un fotografo di successo, giunto a
un punto della propria carriera in cui può
muoversi in qualsiasi direzione desideri,
senza limiti. Eppure quella sensazione gli
è sempre più evidente. L’instabilità che caratterizza i personaggi è il primo elemento
che attrae il regista tedesco, che dunque
trova prima di tutto interessante seguire gli
istanti che precedono e seguono appena
il punto di rottura.
Per Finn tale punto è una foto, scattata di notte a un’automobile sconosciuta e a un suo passeggero inquietante.
Quello scatto segna la prima tappa verso una sovrapposizione sempre più inestricabile tra realtà e sogno, tra mondo
materiale e mondo spirituale che porterà Finn a quel radicale riorientamento
esistenziale che sarà l’esito finale del suo
viaggio a Palermo.
D
Ma il ripensamento non tocca soltanto
Finn come uomo. In quanto fotografo, è
costretto a modificare progressivamente il
proprio modo di guardare il mondo. Il lavoro sulla fotografia lo ha portato a costruire
set artificiali, simulacri della vita e a dimenticare il ruolo primario della sua arte, che
è quello di documentare la realtà così com’è. Il contatto con Palermo, città certo non
asettica come la Dusseldorf dove vive, e il
dialogo onirico con la Morte servono a Finn
per riprendere contatto con questo lato
della fotografia.
Proprio il dialogo con la Morte ricorda,
in modo evidente, quello tra regista e produttore che segnava il finale di Lo stato
delle cose, qualche anno fa. Ma quello che
allora era un punto di forza del film, una
sorta di resa dei conti finale tra due mentalità, due opposti approcci al cinema (o
all’immagine, se la si vuole leggere in termini più generali), qui diventa un’inutile
didascalia, sorprendente per un regista
dello sguardo come Wenders. Nella sequenza in questione il regista fa spiegare
alla Morte l’etica della ripresa della realtà, come se non considerasse le immagini
già esplicite in sé. Un procedimento autocontraddittorio, in un certo senso. Inoltre,
Wenders fa l’errore del suo protagonista.
Struttura secondo un registro da detective
movie visionario (quindi doppiamente finzionale) un film, come detto, che reclama
la necessità di un ritorno al realismo. Anche questo certo non all’insegna della coerenza.
Fabio de Girolamo Marini
PRINCIPESSA
Italia, 2008
Regia: Giorgio Arcelli Fontana
Produzione: Giorgio Arcelli Fontana, Giorgio Leopardi, Enrica Gonella, Simone Gattoni per Filmaria srl./Film-On/Filmon Aggujaro
Distribuzione: L’Altrofilm
Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Giorgio Arcelli, Giuliano Miniati
Direttore della fotografia: Marco Sgorbati
Montaggio: Carla Simoncelli
Musiche: Luis Siciliano
Scenografia: Andrea Castorina
Costumi: Andrea Sorrentino
Aiuti regista: Lucilla Cristaldi, Francesca Lattanzi
Interpreti: Morena Salvino (Matilda), Michele Riondino (Pietro), Piera Degli Esposti
(Elena), Vanessa Gravina (Anna), Riccardo Lupo (Andrea), Luciano De Luca (Bux),
Anita Kravos (Luisa), Carlina Torta (madre di Matilda), Giovanni Battezzato (padre
di Matilda)
Durata: 90’
Metri: 2470
13
Film
a giovane Matilda cerca di farsi
strada nel ristretto mondo della
province piacentina, tra le aspirazioni da attrice e la dura realtà del lavoro precario. Un giorno, Matilda scopre di
aspettare un bambino dal suo ex-fidanzato, il fotografo di moda Piero, che però rifiuta tale paternità, rinfacciandole una vita
eccessivamente disinvolta nel periodo successivo alla loro rottura. Consapevole del
cambiamento che questo comporterà e ferita dalla reazione di Piero, Matilda non
desidera questa gravidanza e medita di
abortire. Nel frattempo, conosce Andrea,
un giovane marchese locale, gentile e premuroso, che la presenta in casa all’anziana madre spacciandola come nobile. Matilda diventa ospite fissa nel castello della
Marchesa, che si rivela ben presto donna
piena di misteri e estremamente legata alla
tradizione e al passato. Il sentimento di
Matilda nei confronti di Andrea si fa sempre più forte, trasformandosi da una semplice amicizia in “quasi” amore. Un tentativo da parte di Piero di ritornare con
lei e di riconoscere il bambino sembra far
vacillare la sicurezza di Matilda ma la ragazza decide di rimanere con Andrea.
Quando quest’ultimo parte per un viaggio
d’affari a Londra, Matilda accetta di partire con lui, ufficializzando la loro unione
ma decide all’ultimo di rimanere al castello
per far compagnia alla Marchesa, le cui
condizioni di salute sconsigliano che rimanga sola. L’anziana signora scopre ben
presto la vera identità “plebea” di Matilda e, soprattutto, viene a sapere della sua
gravidanza; durante un’accesa discussione tra lei e Matilda, il cuore della Marche-
L
Tutti i film della stagione
sa non regge e muore. Al ritorno a casa di
Andrea, Matilda confessa a lui solo la vera
ragione dell’infarto della Marchesa e gli
rivela inoltre di aspettare un bambino da
un’altra persona e di aver deciso infine di
tenerlo da sola. La bella favola al castello
è finita e Matilda prende in mano la propria vita.
rincipessa è l’opera prima di Giorgio Arcelli Fontana, un giovane
regista piacentino, uscito da poco
dal Centro Sperimentale di Cinematografia e frequentatore part-time dei corsi di
“Fare Cinema” di Bobbio diretti da Marco
Bellocchio. Prodotto quasi del tutto “in famiglia”, il film ha tutti i difetti delle opere
prime senza però averne i pregi o almeno le speranze, rimanendo costantemente
in bilico tra una rappresentazione realistica (almeno nelle intenzioni) e un’atmosfera fiabesca che dovrebbe rispecchiare il carattere e la vita della protagonista.
La “principessa” del titolo è Matilda, giovane aspirante attrice in quel di Piacenza
(all’inizio del film la si vede recitare la
parte della bella castellana in una pantomima per turisti). Precaria nel mondo dello
spettacolo e soprattutto in quello degli
affetti, Matilda è divisa tra un affascinante ma fedifrago fotografo e un marchesino buono e cortese (troppo buono per essere vero e credibile), che però per farla
accettare in famiglia deve farla passare
per “duchessina”. Una serie di eventi la
porterà ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e diventare padrona
della propria vita. La banalità dell’assunto di partenza e soprattutto della maggior
P
parte dei dialoghi fa il resto, unitamente
all’immaturità tecnica espressiva del giovane regista. L’impressione è che si sia
messa molta, troppa carne al fuoco: l’intreccio amoroso, la realtà del precariato,
la maternità, la crisi dei mezz’età rappresentata dai genitori di Matilda, le differenze sociali. La sceneggiatura annaspa faticosamente cercando di seguire come
meglio può tutti questi spunti ma il più
delle volte deve arrendersi. La regia di
Giorgio Arcelli è sostanzialmente anonima e poco rifinita, con vistosi errori di raccordo e tagli di inquadrature poco chiari
che non trovano nessuna giustificazione
e non sembrano avere significati particolari. Il regista dimostra più sensibilità nelle riprese degli esterni, privilegiando gli
splendidi paesaggi delle colline piacentine. Il cast è composto da attori provenienti
principalmente del mondo della televisione e della pubblicità, come Morena Salvino (diventa improvvisamente famosa
qualche anno fa grazie a un fortunato spot
televisivo e poi protagonista di una nota
soap opera), Vanessa Gravina e Michele
Riondino. Le interpretazioni mancano di
spontaneità, oltre che di profondità. La
protagonista Salvino fa uno sforzo lodevole per creare il proprio personaggio ma
questo rimane alla fine poco definito. Piera Degli Esposti interpreta la Marchesa,
personaggio inquietante e misterioso; la
sua ambiguità deriva congiuntamente
dalla scarsa definizione del personaggio
in sceneggiatura e dall’interpretazione
poco convinta dell’attrice.
Chiara Cecchini
BABY LOVE
(Comme les autres)
Francia, 2008
Aiuti regista: Nicolas Cambois, Sébastien Gardet
Trucco: Lydia Pujols
Suono: Pierre-Antoine Coutant
Suono: Pierre-Antoine Coutant
Interpreti: Lambert Wilson (Emmanuel), Pilar López de Ayala
(Fina), Pascal Elbé (Philippe), Anne Brochet (Cathy), Andrée Damant (Suzanne), Florence Darel (Isa), Marc Duret
(Marc), Liliane Cebrian (madre di Fina), Luis Jaime Cortez
(padre di Fina), Catherine Erhardy (M.me Carpentier, assistente sociale), Eriq Ebouaney (assistente sociale), Catherine Alcover (sindaco), Juliette Navin-Bardin ( infermiera),
Maroussia Dubreuil (baby-sitter), Marc Robert (ispettore di
polizia), Barbara Chavy (cliente avvocato), Alexandra Boyer
(cliente ginecologo)
Durata: 90’
Metri: 2380
Regia: Vincent Garenq
Produzione: Christophe Rossignon per Canal+/CineCinema/
France 3 Cinéma/Mars Distribution/Nord-Ouest Productions.
Con il sostegno del Centre National de la Cinématographie
(CNC) e la partecipazione di Cofinova 4
Distribuzione: Archibald Film
Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Vincent Garenq
Direttore della fotografia: Jean-Claude Larrieu
Montaggio: Dorian Rigal-Ansous
Musiche: Laurent Levesque, Loïc Dury
Scenografia: Yves Brover-Rabinovici
Costumi: Stéphanie Drouin
Produttori associati: Philippe Boeffard, Eve Machuel
Direttore di produzione: Jaches Attia, Kader Djedra
Casting: Gigi Akoka, Hervé Jakubowicz, Candice Meiers
14
Film
mmanuel (Manu per gli amici) è
un affermato pediatra, quarantenne e omosessuale. Amato dalla famiglia e dal compagno Philippe, sente però che nella sua vita manca ancora
qualcosa: un figlio. La messinscena con
l’assistente sociale per far partire le pratiche d’adozione come padre single fallisce
miseramente, ma Manu – nel frattempo
abbandonato da Philippe perché contrario al suo desiderio – non si dà per vinto e
tenta la carta “madre surrogata” rivolgendosi a Fina, ragazza argentina con cui si
era “scontrato” qualche giorno prima in
automobile: il primo tentativo è imbarazzante, ma quando Fina lo richiama per
farsi aiutare a risolvere una grana di assicurazione e permesso di soggiorno scaduti, ecco che il discorso riprende da dove si
era interrotto. È proprio lei, infatti, ora
ospitata a casa di Manu, a proporgli la
cosa: matrimonio di interesse, così da poter ottenere i documenti necessari per la
permanenza in Francia, e utero in affitto
per dare alla luce il tanto sospirato bambino. Sulla carta tutto sembra “perfetto”,
ma non sarà così semplice: Fina si innamora di Manu, lui “per sbaglio” ci finisce
anche a letto insieme e, giorni dopo, scopre che non può avere figli. A questo punto, l’unica cosa che gli rimane è chiedere
al suo ex di prestarsi come donatore: alle
prime risentito, Philippe alla fine accetta
e Fina rimane incinta. Matrimonio al co-
E
Tutti i film della stagione
mune, con tanto di ricevimento e balli, ma
quando Manu le spiega che nulla è cambiato in merito agli accordi precedentemente presi e che, tra l’altro, è molto probabile un ritorno del suo ex compagno,
Fina non sembra più così sicura di quello
che è stato fatto. E così, dopo la prima notte
di nozze con Manu a casa di Philippe..., la
ragazza prende tutte le sue cose e se ne va,
senza lasciare nulla, decisa ad abortire.
Passano i mesi, una telefonata inaspettata: Fina è all’ospedale per partorire. Manu
e Philippe si precipitano, nasce una bella
bambina, Zelie. Che Fina lascia come “da
accordi” a Manu, chiedendogli di non cercarla mai più. Zelie è accudita con amore
e cura dai due uomini, talmente apprensivi che, una sera, a cena da un’amica rimangono incollati al telefono con la babysitter. Ma non possono dimenticare che la
mamma della bambina è Fina e, insieme a
Zelie, le vanno incontro all’uscita del lavoro. Magari anche solo per far sì che si
sorridessero ancora.
’intento di Vincent Garenq è chiaro sin dalla prima inquadratura del
film: nessuna strumentalizzazione,
né in bene né in male, dello spinoso problema riguardante la paternità omosessuale. Rischiando solo in poche occasioni di
scivolare nel greve, il regista francese riesce ad assemblare e a far ben interagire
un cast di ottimo livello – capitanato dal pro-
L
tagonista Lambert Wilson, bravo a non eccedere tenendo sotto controllo qualsiasi
esagerazione macchiettistica – portando a
casa il “compitino” in meno di 90’ (pregio di
non poco conto), sfuggendo finalmente
qualsiasi tipo di angolazione cartolinesca
della città di Parigi, insistendo molto sul
quartiere di Belleville (dove lui stesso vive),
regalando però molte poche emozioni.
È proprio questo il grande limite di
Baby Love, commedia garbata con poche
cose fuori posto, talmente “ordinata” da
lasciarsi sopraffare dalla sua stessa freddezza, calcolata in ogni minimo sviluppo
(Fina tira il vino in faccia a Manu la prima
volta che lui le chiede di trasformarsi in
“madre surrogata”, poi lo fa chiamare la
sera stessa dalla polizia per andarla a tirare fuori dai guai...), di conseguenza prevedibile dall’inizio alla fine. E come spesso accade per pellicole di questo tipo, con
velleità da instant-movie ma ben attente a
infastidire il minor numero possibile di persone, il particolare cannibalizza il contesto tutto, e dal punto di vista sociologico
rimane ben poco su cui soffermarsi. In fondo, qualche minuto prima della coda finale (con la coppia gay e la bimba di fronte
alla mamma naturale di quest’ultima), cosa
si potrebbe obiettare a questo tenero quadretto con i due papà così premurosi e innamorati della piccola figlioletta?
Valerio Sammarco
IL CATTIVO TENENTE – ULTIMA CHIAMATA NEW ORLEANS
(Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans)
Stati Uniti, 2009
Trucco: Aimee Stuit, Stacy Kelly
Acconciature: Donna Spahn
Coordinatore effetti speciali: David K. Nami
Supervisore effetti visivi: Veselina Georgieva
Coordinatore effetti visivi: Kiril Georgiev (WorldWide FX)
Supervisore costumi: Ann Walters
Interpreti: Nicolas Cage (Terence McDonagh), Val Kilmer (Stevie Pruit), Eva Mendes (Frankie Donnenfeld), Fairuza Balk (Heidi), Jennifer Coolidge (Genevieve), Brad Dourif (Ned Schoenholtz), Michael Shannon (Mundt), Shawn Hatosy (Armand Benoit),
Shea Whigham (Justin), Denzel Whitaker (Daryl), Xzibit (‘Big
Fate’), Vondie Curtis-Hall (James Brasser), Tom Bower (Pat McDonough), Lance E. Nichols (Isiah Patterson), Irma P. Hall (Binnie
Rogers), Brandi Coleman (Yvonne), Katie Chonacas (Tina), Brandy Moon (moglie di Duffy), Marco St. John (Eugene Gratz), J. D.
Evermore (Rick Fitzsimon), Deneen Tyler (farmacista), Jillian
Batherson (assistente D.A.), Kyle Russell Clements (Lawrence),
Lauren Pennington (giovane donna), Michael Wozniak (agente),
Joe Nemmers (agente Larry Moy), Sean Boyd (tenente Stoyer),
Roger J. Timber (guardia), Sam Medina (Andy), David Joseph
Martinez (Juan Michel), Tony Bentley (Hurley)
Durata: 121’
Metri: 2847
Regia: Werner Herzog
Produzione: Nicolas Cage, Alan Polsky, Gabe Polsky, Edward
R. Pressman, John Thompson, Stephen Belafonte per Edward R. Pressman Film/Millennium Films/NU Image Films/
Polsky Films/Saturn Films
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009)
Soggetto: ispirato alla sceneggiatura del film del 2002 di Abel
Ferrara, Zoë Lund, Paul Calderon, Victor Argo
Sceneggiatura: William M. Finkelstein
Direttore della fotografia: Peter Zeitlinger
Montaggio: Joe Bini
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Tony Corbett
Costumi: Jill Newell
Produttori esecutivi: Alessandro Camon, Boaz Davidson,
Danny Dimbort, Avi Lerner, Diego J. Martinez, Elliot Lewis Rosenblatt, Trevor Short
Direttore di produzione: Cathy Gesualdo
Coproduttore: Melanie Brown
Casting: Jenny Jue, Johanna Ray
Aiuti regista: Michael Zimbrich, George Bott, Sherman Shelton jr.
Arredatore: Luke Cauthern
15
Film
erence Mc Donagh, sergente della Squadra Omicidi della Polizia
di New Orleans, salva un galeotto ispanico imprigionato dall’acqua che ha
devastato il territorio in seguito all’uragano Katrina. L’azione si trasforma, però,
in un difficile infortunio alla schiena che
compromette la vita del poliziotto, promosso tenente per il suo gesto di abnegazione,
presto schiavo di antidolorifici sempre più
forti e di droghe varie a cominciare dalla
cocaina.
Mc Donagh non ha le giornate noiose: è fidanzato con Frankie, professione
prostituta, che va a trovare tra un cliente
e l’altro, proteggendola dai più maneschi
che lasciano il segno e sfruttando i più
maldestri, ricattandoli e spillando loro
denaro; Mc Donagh deve poi prendersi
cura del padre alcolizzato, ex poliziotto,
ora gran frequentatore dei gruppi di sostegno, grazie ai quali tenta di stare lontano dalla bottiglia, visto il non grande
aiuto che riceve dalla seconda moglie, per
lo più intontita dalla birra. Infine, il tenente deve scoprire i responsabili del
massacro di un’intera famiglia di africani, colpevoli di uno sgarro ai danni del
capo dei trafficanti della regione, il boss
Big Fate. Ci sarebbe, è vero, un giovane
testimone che presto però sparisce a Londra con un biglietto pagato da una vecchia benefattrice in fin di vita che non
cede, nonostante i maltrattamenti che il
cattivo tenente le infligge, anche se “a fin
di bene”.
T
Tutti i film della stagione
Intanto i clienti di Frankie ricattati
vogliono soldi, minacciando sfracelli grazie alle loro amicizie altolocate; così un
bookmaker che il tenente non paga nostante il debito per le scommesse perse; in più
Big Fate, con cui Mc Donagh è entrato di
colpo in affari, non può dirsi certo un socio di massima fiducia; senza contare i divertissements di sesso che il tenente si concede nel corso di arresti veri o presunti per
spaccio vero o presunto.
Comunque il finale è dei più lieti tra
quelli ipotizzabili: le scommesse sono finalmente vinte e il debito pagato; i clienti
di Frankie, almeno quelli buoni, rinfoderano gli artigli mentre i cattivi sono annientati insieme alla banda di Big Fate,
grazie a una irruzione della polizia, finalmente capace di mettersi sulla strada giusta. Mc Donagh è promosso capitano per i
brillanti servizi resi alla città...
rima di tutto dimentichiamo il film
di Abel Ferrara in quanto il “Tenente” di Herzog non ha nulla a
che fare con quelle zone inesplorate dell’inconscio, con quegli incubi ossessivi,
con quei tabù. Meglio così, ci lamentiamo sempre quando un remake si appiattisce troppo sul suo predecessore; apprezziamo quindi questo distantissimo rifacimento che, in pieno, riflette il cinema
del suo autore e la sua inarrestabile ricerca di protagonisti capaci di fare propria la realtà in uno slancio totale e senza mezze misure.
P
Non c’é Kinski, non ci sono sfide estreme da lanciare alla natura, né paesaggi
amazzonici da domare; c’é però una realtà altrettanto impervia, la New Orleans del
dopo uragano, priva (finalmente) di orchestrine jazz e funerali musicali da cartolina,
ma popolata da coccodrilli e serpenti (in
tutti i sensi) e immersa nel fango, nella
polvere e nella sporcizia di un futuro senza luce. C’é Nicolas Cage che ha fortemente voluto e organizzato questo film per
sollevare la propria posizione professionale dagli ultimi lavori stereotipati, dimenticati e fatti per soldi e che hanno composto
di lui un’immagine frettolosamente negativa e facilmente liquidata al livello più basso, da ex attore.
Cage, invece, è bravo, ha una faccia
né bella né brutta, da uomo qualunque,
con stampato addosso un filo d’ironia pronto a spaccarsi in una risata liberatoria e
quindi ben si adatta alla realtà anonima,
comune di chi vive normalmente in una
metropoli degradata e per di più da poliziotto.
Non c’é bisogno per Cage di avere intorno una violenza urbana virata in patologia e in attesa di una redenzione altrettanto patologica (come era per Ferrara),
ma gli basta esserci, ogni giorno, come
lui sa e può, perchè la violenza e il male
di vivere gli verranno presto incontro, manifestandosi a ogni pié sospinto, senza ordine prestabilito: pronti per essere affrontati a colpi di pistola, o con una botta di
coca, o di sesso, o col singhiozzo di una
risata.
Per tutto questo e per i tanti momenti
grotteschi e quasi parodistici che vengono fuori, questo film è stato tacciato di non
avere il minimo spessore drammatico; noi
siamo convinti del contrario e cioè che
l’abiezione umana, morale e sociale degli
interpreti tocchi il suo punto più tragico
proprio in questi momenti, a significare un
uomo che non c’é più, una donna di cui si
è perso il ricordo, una società che nella
sua andatura schizoide ha cancellato di sé
ogni espressione.
Nel film gli animali lo hanno capito:
serpenti, iguane vere o sognate e coccodrilli vivono vicino a noi perchè già fanno
parte del nostro mondo, ci guardano fermi, spiano le nostre allucinazioni convinti
che presto staremo tutti insieme, a divorarci, a scambiarci le identità perchè non
ci sarà più nulla: né tolleranza, né dignità,
né cultura, né amore che potrà fare da
confine tra il mondo animale e quello degli
uomini. È di scarso spessore drammatico
tutto questo?
Fabrizio Moresco
16
Film
Tutti i film della stagione
STAR TREK - IL FUTURO HA INIZIO
(Star Trek)
Stati Uniti, 2009
Regia: J. J. Abrams
Produzione: J. J. Abrams, Damon Lindelof per Paramount Pictures/Spyglass Entertainment/Bad Robot
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009)
Soggetto: dai personaggi creati da Gene Roddenberry
Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman
Direttore della fotografia: Daniel Mindel
Montaggio: Maryann Brandon, Mary Jo Markey
Musiche: Michael Giacchino
Scenografia: Scott Chambliss
Costumi: Michael Kaplan
Produttori esecutivi: Bryan Burk, Jeffrey Chernov, Alex Kurtzman, Roberto Orci
Produttore associato: David Baronoff
Coproduttore: David Witz
Direttore di produzione: David Witz
Aiuti regista: Tommy Gormley, Heather Grierson, Tommy Harper, Jill K. Perno, David Waters, Matthew D. Smith, Stephen P.
Del Prete,
Operatore/Operatore steadicam: Colin Anderson
Supervisore art direction: Keith P. Cunningham
Art directors: Curt Beech, Dennis Bradford, Luke Freeborn,
Beat Frutiger, Gary Kosko
Arredatore: Karen Manthey
Trucco: Mindy Hall, Rebecca Alling, Richard Alonzo, Andy Clement, René Dashiell Kerby, Jed Dornoff, Marianna Elias, Earl
Ellis, Kimberly Felix, Mark Garbarino, Cynrhia Hernandez,
Russ Herpich, Jamie Kelman, Ned Neidhardt, Jessica Nelson, Lygia Orta, Christopher Payne, Richard Redlefsen, Ray
Shaffer, Brian Sipe, Mike Smithson, Dave Snyder, susan stepanian, Miho Suzuki
Effetti speciali trucco: Crist Ballas (Proteus Make-up FX),
na grande astronave romulana,
la Narada, emerge da un buco
nero di fronte alla nave stellare
della Federazione USS Kelvin. Il capitano
Robau si reca a trattare presso il capitano
della nave nemica, Nero, trovando la morte, ma non prima di avere affidato il comando al primo ufficiale, il giovane George Kirk. Kirk fa evacuare la Kelvin e si lancia in un attacco suicida riuscendo a danneggiare la Narada e dando modo a molte
navette di fuggire. In una di esse sua moglie Winona Kirk sta partorendo un bambino, James Tiberius Kirk.
Il figlio cresce senza la guida paterna,
diventando un ragazzo scapestrato e temerario. Dopo una rissa in un bar contro alcuni cadetti della Flotta Stellare, Kirk incontra Christopher Pike, capitano della
nave stellare USS Enterprise, che, rimembrandogli l’atto eroico del padre, lo spinge ad arruolarsi nell’Accademia della
Flotta Stellare.
Tre anni dopo, la Narada, riapparsa
U
Belinda Bryant, Toby Lamm, Bart Mixon, Ken Niederbaumer,
Clinton Wayne
Supervisore acconciature: Aida Caefer (Proteus Make-up FX)
Acconciature: Ginger Damon, Nicole Frank, Jason Green, Teresa Hill, Jules Holdren, Colleen LaBaff, Rhonda O’Neal
Coordinatore effetti speciali: Burt Dalton
Supervisori effetti visivi: Russell Earl (ILM), Matt McDonald, Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), Stefano Trivelli (Svengali FX), Edson Williams (Lola Visual Effects), Kelly Port (Digital Domain), Roger Guyett
Coordinatori effetti visivi: Joseph Bell, Melanie Cussac
(ILM), Stacy Bissell, Thomas Elder-Groebe
Supervisore costumi: Linda Matthews
Supervisore musiche: Michael Giacchino
Interpreti: Chris Pine (James T. Kirk), Zachary Quinto (Spock),
Eric Bana (Nero), Simon Pegg (Montgomery Scotty), Winona
Ryder (Amanda Grayson), Zoe Saldana (tenente Nyota Uhura), Karl Urban (Leonard Bones ‘Mccoy), Bruce Greenwood
(Christopher Pike), John Cho (tenente Hikaru Sulu), Leonard
Nimoy (Spock anziano), Anton Yelchin (Pavel Chekov), Ben
Cross (Sarek), Chris Hemsworth (George Kirk), Jennifer Morrison (Winina Kirk), Faran Tahir (capitano Robau), Clifton Collins jr. (Ayel), Greg Ellis (capo ingegnere Olson), Rachel Nichols (Gaila), Antonio Elias (agente Pitts), Sean Gerace (agente), Randy Pausch (membro equipaggio Kelvin), Tim Griffin
(ingegnere Kelvin), Freda Foh Shen (timoniere Kelvin), Kasia
Kowalczyk (alieno Kelvin), Sonita Henry (dottore Kelvin), Jimmy Bennett (James T. Kirk giovane), Spencer Daniels (Johnny), Jacob Kogan (Spock giovane), Tyler Perry (ammiraglio
Richard Barnett), Ben Binswagner (ammiraglio James Komack), Scottie Thompson (moglie di Nero)
Durata: 127’
Metri: 3310
dopo più di un ventennio, cattura una navetta, la Jellyfish, inghiottita anch’essa dal
buco nero, ma riapparsa molto tempo dopo
la Narada.
Kirk, entrato come cadetto nell’Accademia della Flotta, affronta il test senza
via d’uscita della Kobayashi Maru; per
riuscire a vincere non esita a riprogrammare il computer della simulazione, inimicandosi tuttavia il vulcaniano Spock, che
lo fa sospendere.
Intanto la Narada attacca il pianeta
Vulcano e l’Enterprise viene inviata sul
pianeta insieme ad altre navi federali. Il
dottor Leonard McCoy riesce a far salire
Kirk sulla nave, iniettandogli un vaccino
che produce i sintomi di una malattia. Ricordandosi delle circostanze in cui era avvenuta distruzione della Kelvin, Kirk si
precipita in plancia per avvertire il capitano Pike del pericolo imminente. Quando
l’Enterprise esce dalla curvatura si ritrova in mezzo ai relitti delle navi che erano
giunte poco tempo prima. Pike viene invi-
17
tato da Nero a bordo della Narada per trattare, ma riesce a lanciare da uno shuttle
Kirk, Sulu e Olsen che devono sabotare la
trivella della nave romulana che dovrebbe
creare un buco nero per inghiottire Vulcano. La missione fallisce e il pianeta viene
distrutto: Spock, teletrasportatosi a terra
per salvare l’Alto Consiglio e i genitori,
vede morire la madre davanti a lui.
Kirk prova a convincere Spock ad attaccare la Narada, ma il vulcaniano abbandona Kirk su un pianeta ghiacciato,
Delta Vega. Lì, Kirk incontra un vecchio
Spock, che gli spiega i motivi dell’ira di
Nero. Entrambi provengono dal futuro: nel
XXIV secolo, una stella sarebbe esplosa,
distruggendo il pianeta Romulus. Spock
aveva proposto all’Alto Consiglio un metodo per fermare la supernova, lanciando
al suo interno della materia rossa per creare una singolarità, senza però essere preso in considerazione.
La stella tuttavia esplose prima del
previsto, causando la distruzione di Ro-
Film
mulus e la rabbia disperata di Nero, comandante della nave mineraria Narada, il
quale incolpa Spock dell’accaduto. Spock
si era lanciato con una nave contenente la
materia rossa, la Jellyfish, per fermare la
supernova: la missione riuscì, ma il buco
nero inghiottì prima Nero poi Spock, trasportandoli nel passato. I romulani abbandonarono Spock su Delta Vega e si impadronirono della navetta e della materia
rossa. Spock e Kirk si riuniscono con Scotty, e il vecchio vulcaniano offre all’ingegnere i piani per teletrasportarsi a velocità curvatura.
Su consiglio del vecchio Spock, Kirk
provoca la rabbia dell’alter-ego giovane
del vulcaniano, in modo da sospenderlo dal
comando. Kirk subentra dunque nel ruolo
di capitano dell’Enterprise e si lancia all’inseguimento dei romulani, che hanno
intrapreso l’attacco alla Terra.
Spock, ricondotto a miti consigli, si allea con Kirk. Insieme si teletrasportano sulla
Narada, dove il vulcaniano si impadronisce della Jellyfish e Kirk salva Pike, brutalmente torturato da Nero. Spock distrugge
la trivella e insegue la Narada, lanciatasi a
velocità curvatura. Il vulcaniano si lancia
sulla nave come il padre di Kirk, venendo
teletrasportato appena in tempo sull’Enterprise insieme a Kirk e Pike da Scotty. La
materia rossa crea un immenso buco nero
che inghiotte la Narada. Mediante un abile
espediente, l’Enterprise evita la stessa fine
e torna sulla Terra. Pike offre il comando
dell’Enterprise a Kirk, che inizia anzitempo nuove avventure sull’Enterprise.
Tutti i film della stagione
I
mprescindibile, per godere la visione di quest’ultimo Star Trek – falso
prequel e nuovo capostipite di una
serie alternativa e parallela – essere innanzitutto dei fan della serie televisiva creata da
Gene Roddenberry e portata avanti negli
anni dai successivi spin-off. La premessa non
è casuale: il fandom che caratterizza l’universo di Star Trek è immenso, di proporzioni
imparagonabili (nel tempo e nelle dimensioni) a qualsiasi altro fenomeno analogo. Lui,
più che altro, può determinare il successo
dell’undicesimo episodio per grande schermo della saga stellare. J.J.Abrams lo sa e,
con l’apporto in fase di sceneggiatura dei fidi
Orci e Kurtzman, riscrive la saga partendo
dalle fondamenta. Grazie ai paradossi dello
spazio-tempo traccia nuovi percorsi e psicologie più approfondite rispetto al prototipo
televisivo, ma non può esimersi dal ricalcare clichés, movenze e perfino modi di dire
dei personaggi originali; gli stessi che hanno fatto la fortuna (postuma) della serie e la
cui riproposizione appare a tratti un tributo
obbligato (accolto, in sala, da caldi applausi
della claque trekkina). Che il film, a dispetto
di pronostici quasi scontati, stia incassando
assai meno del previsto in Italia è però segnale non da poco, quasi sociologico, viste
le dimensioni del fenomeno Star Trek: come
se il prodotto, scevro dall’aura mitica che contraddistingue la saga e i personaggi, non
abbia la forza necessaria, o il semplice appeal, per arrivare anche ai non adepti (oltre
ad incorrere nei prevedibili, puntigliosi appunti degli aficionados, alcuni dei quali non
hanno mancato di storcere il naso).
Forse non giova il periodo storico. A
conti fatti, il futuro della serie originale è già
alle nostre spalle, rispetto ai tempi in cui
viviamo; teletrasporto e velocità della luce,
al cinema, sono stati sviscerati in molteplici
declinazioni negli ultimi trent’anni. Eppure
la messa in scena è efficace, gli effetti speciali curatissimi, l’azione si sussegue senza tregua; fatta eccezione per i continui
ammiccamenti a fatti e personaggi già noti
ai fans, il plot racchiude una suspense che
di certo non è preclusa ad alcuno. Ma delude la prima parte del film, significativamente ambientata sulla Terra anziché sull’Enterprise, con ellissi frettolose e approssimazioni fumettistiche ancor più gravi in un progetto che, nelle intenzioni di J.J.Abrams,
mira innanzitutto a una riscoperta psicologica dei personaggi (un’unica sequenza
action, palesemente debitrice da Lucas,
dovrebbe illustrare l’infanzia difficile del capitano Kirk). Evidente come l’interesse del
regista verta principalmente su Spock, diviso mentalmente e geneticamente dal suo
essere ibrido di due specie. A lui, in questo
“nuovo futuro” che come da tradizione si fa
metafora del nostro presente, tocca farsi
carico del messaggio di abbattimento del
pregiudizio etico/etnico, con il bacio ad Uhura che nella serie originale veniva “sedotta”
da Kirk. Il resto è innegabile divertimento,
di quelli fermi nel tempo, rigorosamente subordinato a uno spettatore che sa già cosa
voler vedere e si auspica di vederlo esattamente quando se lo aspetta.
Gianluigi Ceccarelli
VUOTI A RENDERE
(Vratné Iahve)
Repubblica Ceca/Gran Bretagna, 2007
Trucco: Zdenka Klika
Effetti: Universal Production Partners
Supervisori effetti visivi: David Vana
Suono: Jakub Cech, Pavel Rejholec
Supervisore costumi: Iveta Trmalova
Interpreti: Zdenek Sverak (Josef Tkaloun), Daniela Kolarova
(Eiska Tkalounova), Tatiana Vilhelmova (Helenka), Robin Soudek (Tomik), Jiri Machacek (Robert Landa), Pavel Landovsky
(Rezac), Jan Budar (Ulisny), Miroslav Taborsky (Subrt), Nella
Boudova (Ptackova), Jan Vlasak (Wasserbauer), Martin Pechlat (Karel), Vera Tichankova (Lamkova), Alena Vranova (preside), Ondrej Vetchy (Rezac Jr.), Jana Plodkova (Carkovana),
Bozidara Turzonovova (Kvardova)
Durata: 103’
Metri: 2810
Regia: Jan Sverak
Produzione: Eric Abrahan, Jan Sverak per Biograf Jan Sverak/Phoenix Film Investment/Portobello Pictures/TV Nova/
U.F.O. Pictures
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Zdenek Sverak
Direttore della fotografia: Vladimir Smutny
Montaggio: Alois Fisarek
Musiche: Ondrej Soukup
Scenografia: Jan Vlasak
Costumi: Simona Rybakova
Direttore di produzione: Bara Adamova
Aiuti regista: Katerina Oujezdska, Frantisek Loukota
Art director: Jan Vlasak
J
osef è un insegnante che soffre
d’insonnia, stress e tic nervosi.
Dopo l’ultimo screzio con un alun-
no decide di andare volontariamente in
pensione. La vita domestica però non si
rivela interessante: la moglie è depressa
18
perché non si sente più amata e l’idea di
vivere da semplice pensionato non lo attrae. Si trova così un lavoro come pony
Film
express, da cui però ricava solo una gamba rotta. Di notte continua a soffrire d’insonnia, a cui alterna sogni erotici su di un
treno con la sua ex collega Ptácková. Purtroppo la figlia si separa, poiché il marito,
medico, ha una relazione fissa con l’infermiera che si scoprirà incinta. Josef, trova
un altro lavoro: gestire i vuoti a rendere di
un supermercato di quartiere. La moglie
se ne vergogna, ma Josef inizia a divertirsi di nuovo. Scopre questo piccolo universo di cui fanno parte i colleghi Parlantina,
in realtà Rezác (ex detenuto per aver attentato alla vita della moglie fedifraga), e
Spiaccichino, giovane non ancora diplomato addetto alla pressa. Fra i clienti ci
sono una giovane di cui Spiaccichino è invaghito e che sul fianco destro ha delle tacche fatte con una biro (secondo loro sono
il numero di amplessi col compagno) e una
signora attratta da Parlantina, che, seguendo i consigli di Josef, riesce a conquistare. Giunge l’ex genero, per spiegargli la rottura con la figlia; Josef non lo odia
e anzi gli chiede delle analisi per poter
prendere il viagra, col risultato che dovrà
tenere per 24 ore una macchina per la pressione. A casa la situazione non migliora:
continuano i sogni e la moglie è sempre
più frustrata. A trovarlo arriva l’ex collega Robert, che si invaghisce della figlia
senza sapere chi sia e Josef sta al gioco
aiutandolo a conquistarla. Josef e Spiaccichino fanno sparire degli opuscoli su
delle macchine automatiche per i vuoti a
rendere. La Ptácková, va al supermercato
e gli lascia un biglietto con un appuntamento per giovedì. Fra Spiaccichino e la
ragazza con le tacche non succede nulla e
il riusltato del tabulato di Josef dice “calma piatta” proprio quando la moglie gli
sta vicino. Sembra sinceramente deluso.
Tutti i film della stagione
L’appuntamento con la Ptácková non va
come sperato: andandoci il giorno prima,
vi trova un altro uomo. Dopo aver mandato via con l’inganno gli operai per la macchina automatica, manda Spiaccichino
dalla Ptácková per evitare ulteriori contrasti con la moglie, che riceve anche una
dichiarazione d’amore dall’uomo a cui sta
dando ripetizioni. Finalmente la relazione
fra Robert e la figlia di Josef prende piede. Al matrimonio di Rezác, il giudice di
pace è il corteggiatore della moglie di Josef. Si scopre anche la verità sulla ragazza
delle tacche: una cameriera i cui segni
sono fatti dalla biro rinfilata in tasca dopo
aver preso le ordinazioni. Al supermercato hanno montato la macchina automatica
e Josef, nonostante una controproposta di
lavoro, decide di licenziarsi. Arrivano i 40
anni di matrimonio e la coppia si fa accompagnare dalla figlia e da Robert che
capiscono l’inganno di Josef, ma alla fine
sembrano superare il colpo. Josef e Moglie sono sulla mongolfiera (la sorpresa
che il marito le aveva preparato), che per
sbaglio è partita senza l’istruttore (il figlio
di Parlantina). In cielo, Josef confessa alla
moglie che le vuole ancora bene. Tutto sembra risolto, ma Josef non cambia: diventa
controllore del treno dove finalmente fa
avverare i suoi sogni.
na buona commedia. Personaggi e macchiette la fanno da padrone, come l’ex alcolista che
batte la testa nello stipite ripetutamente, o
la vecchina che per risparmiare i soldi della pensione, si compra anche cibarie che
non le piacciono. Il bello di queste macchiette è che sono ben delineate, ma non
stereotipate: si possono incontrare nella
realtà di tutti i giorni.
U
In Vuoti a rendere si parla, solo in apparenza, della vita da pensionato con le relative
frustrazioni: l’idea che si sia arrivati al tramonto
della vita, che ormai non si aspettano più sorprese e via discorrendo. Idee incarnate soprattutto da Moglie, mentre Josef punta di più
sul concetto di “autunno della vita” e della
continua ricerca di un qualcosa da fare e, in
senso più esteso, della ricerca della felicità.
Perché è proprio questo il significato del film;
quando Josef abbandona i suoi lavori durante il corso della storia, lo fa perché non è più
felice e vuole trovare un qualcosa per riprovare quella sensazione di benessere che tutti ricerchiamo. Così come anche l’amore, che
ogni personaggio persegue a modo suo e secondo le proprie esigenze: la giovane divorziata che vuole amare di nuovo, il medico che
ritrova la passione nella nuova compagna, il
pensionato che si risposa, il giovane che tenta di conquistare la sua amata e la coppia di
una vita che cerca di rinsaldare il rapporto.
Obbiettivo esplicitato proprio da Josef all’inizio del film, quando recita ai suoi alunni una
breve poesia di un autore ceco (“Per un po’
d’amore in capo al mondo andrei; andrei a
capo scoperto, a piedi scalzi”).
Il regista ceco Jan Sverak, si era già
fatto conoscere con precedenti film, fra cui
spicca Kolya, con cui vinse l’Oscar come
miglior film straniero; in Vuoti a rendere,
segue una regia priva di eccessi, lineare
come la storia, la cui unica eccezione sono
le soggettive dei sogni e dello screzio con
l’alunno, girate come fossimo dietro la cornea stessa del protagonista. Interessante
prospettiva. Bravi tutti gli attori, a partire
dal protagonista Zdenek Sverák, che è
anche sceneggiatore del film, con cui ha
vinto numerosi premi. Da vedere.
Elena Mandolini
HOME – CASA DOLCE CASA?
(Home)
Svizzera/Francia/Belgio, 2008
Aiuti regista: Mathieu Schiffman, Maurad Kara, Elitza Gueorguieva
Trucco: Anna Andreeva
Acconciature: Antonella Prestigiacomo
Supervisore effetti speciali: Serge Umé
Supervisori effetti visivi: Marc Umé
Suono: Luc Yersin
Interpreti: Isabelle Huppert (Marthe), Olivier Gourmet (Michel),
Adelaide Leroux (Judith), Madeleine Budd (Marion), Kacey Mottet
Klein (Julien), Renaud Rivier, Killian Torrent, Nicolas Del Sordo,
Hugo Saint-James, Virgil Berset (amici di Julien), Ivailo Ivanov
Durata: 95’
Metri: 2570
Regia: Ursula Meier
Produzione: Denis Delcampe, Denis Freyd, Thierry Spicher,
Elena Tatti per Box Productions/Archipel 35/Need Productions
Distribuzione: Teodora Film
Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud,
Raphaelle Valbrune, Gilles Taurand
Direttore della fotografia: Agnès Godard
Montaggio: Susanna Rossberg, Nelly Quettier, François Gédigier
Scenografia: Ivan Niclass
Costumi: Anna van Bree
Direttore di produzione: Thomas Alfandari
Casting: Brigitte Moidon
19
Film
arthe e Michel vivono con i loro
tre figli a ridosso di un’autostrada mai realizzata, in mezzo
alla campagna. Da oltre dieci anni, hanno costruito intorno a quella casa il loro
mondo. Michel ogni giorno percorre chilometri per raggiungere il primo centro
abitato dove lavora, i due figli adolescenti vanno a scuola, mentre Marthe si occupa della casa e la figlia diciottenne
Judith trascorre le sue giornate a prendere il sole, in attesa che il padre realizzi una piccola piscina. La vita della famiglia è fatta di semplicità, piccoli gesti
quotidiani e serate insieme sul divano in
giardino davanti alla televisione. All’improvviso, durante la notte, si trovano circondati dalle ruspe e in pochi giorni la
vecchia strada in disuso si trasforma in
un crocevia ininterrotto di macchine che
sfrecciano ad altissima velocità. Abituati
al silenzio del loro isolamento, i componenti della famiglia si ritrovano ora a
dover fronteggiare un rumore continuo
e assordante. A questo si deve aggiungere il livello altissimo di smog e inquinamento, a cui, giorno e notte, loro malgrado, sono sottoposti. Sebbene tentino
di fronteggiare il disagio del continuo
passaggio di automobili, ben presto tutti
cominciano a dare segni di insofferenza
e irritabilità, ma il desiderio di rimanere nella loro casa si dimostra più forte
di ogni avversità. La figlia continua a
prendere il sole nell’ormai minuscolo
spazio del giardino, incurante degli apprezzamenti dei camionisti, fratello e
sorella attraversano l’autostrada per
andare a scuola e Marthe continua a
pulire la casa senza sosta. Tuttavia il
rumore e il caldo diventano insopportabili e neanche i tappi diventano un espediente per ritrovare il sonno. L’equilibrio
comincia a vacillare sempre più, a partire da Marthe, costretta tutto il giorno
in casa. Per trovare un po’ di sollievo, si
cambia la disposizione dei letti, portando i materassi tutti nella stanza più lontana dalla strada, è solo una brevissima
illusione. Judith ne approfitta del passaggio di un passante per scappare lontano da quella vita. Michel propone allora al resto della famiglia di andar via,
ma Marthe si oppone e convince i figli a
rimanere. Così il marito decide di cementare tutte le pareti della casa con pannelli isolanti, per cercare di alleviare una
vita ormai infernale. Porte e finestre vengono murate, la struttura diventa un vero
e proprio bunker senza vie di fuga. L’unica finestrella da cui passa un po’ d’aria
M
Tutti i film della stagione
è nel bagno. I primi giorni la famiglia
sembra ritrovare un po’ di pace, quantomeno per l’attutirsi dell’incessante frastuono. Ma poi il caldo diventa insopportabile. A poco serve la ventola e non
basta neanche più dormire nella vasca
da bagno. Non c’è un filo d’aria e la luce
è sempre e solo quella artificiale. La situazione è sempre più critica e Michel
comincia a distribuire sonniferi a moglie
e figli. Accertatosi che tutti dormono
copre con un mattone anche l’ultimo
sprazzo di luce e di aria rimasto e si prende un sonnifero anche lui. Tutto tace,
quando, all’improvviso, Marthe si sveglia come da un sonno profondo e ristoratore e ancora in camicia da notte prende un’accetta e comincia a buttare giù
una parete di mattoni. La luce riempie
la stanza e la donna respira l’aria esterna. Dopo aver scavalcato gli ultimi mattoni rimasti, simile ad una sonnambula,
inizia a camminare lungo l’autostrada in
direzione della campagna. A poca distanza da lei la seguono il marito e i due figli.
ccolto con entusiasmo all’ultimo
Festival di Cannes, Home è il primo lungometraggio di Ursula
Meier. Dopo diversi documentari l’attrice franco-svizzera approda a una storia che potremmo definire un dramma
collettivo. Da sempre attirata dall’attitudine ad andare fino in fondo alle cose,
la Meier lancia una provocazione che più
che una “favola ecologica” sa di critica
alla civilizzazione, al confort e consumismo industriale a cui siamo ormai assuefatti. Metafora di un’umanità che cerca di dare un significato alla propria vita,
tentando di adeguarsi ai tempi che cambiano troppo in fretta, nonché ritratto
delle tante paure che ci attanagliano,
Home è una pellicola creativa e originale, spiazzante nella netta divisione tra
prima e seconda parte del film. Se infatti inizialmente la storia sembra prendere una piega ottimista, a tratti burlesca e ironica, da metà film iniziano a dominare nevrosi e tensioni, tanto da rendere un genere simile alla commedia
una miscela tra il thriller psicologico e
l’horror surreale. La felice casa nella
prateria contro la strada che sparge rumore e inquinamento. Ma la lotta che si
vede è tutta interiore. L’autostrada non
è un semplice set, ma diviene un vero e
proprio personaggio, intimamente legato alla famiglia. Diventa lo schermo su
cui ognuno proietta le proprie nevrosi.
A
20
La casa come rifugio, sembrerebbe, ma
è invece una necessità, non una libera
scelta. I pericoli infatti non vengono dalla
strada, ma dall’interno. In una società
in cui la famiglia resta ancora il porto
sicuro per eccellenza, in questo caso
invece è una bomba pronta a scoppiare. Quello che viene descritto è un nucleo familiare dove i rapporti sono ancora rimasti trasparenti e ancestrali. Fratello e sorella fanno insieme il bagno, il
padre guarda la figlia adolescente nuda
senza malizia. L’idea di “casa” precede
ancor prima il concetto di famiglia, diventando il luogo che l’uomo plasma a
sua immagine. Le mura domestiche, evocando sentimenti e stati d’animo, rappresentano la propria dimensione psicologica; nido sicuro e inattaccabile, unisce
persone e consente loro di intrecciare
rapporti d’amore. Tuttavia la privazione
graduale e la sottrazione di questo spazio non possono che rappresentare la
follia e la crisi di identità. Si verifica, di
conseguenza, l’implosione nel luogo e
l’estromissione totale dal mondo esterno. Ogni personaggio diventa facile preda di un’ossessione. Marion e Julien, i
due figli adolescenti, si rinchiudono in un
buffo scafandro e controllano ogni centimetro della loro pelle per cercare di limitare i danni fisici causati dall’inquinamento. Il padre Michel cerca inutilmente di erigere una sorta di prigione dove poter ricreare una trincea sicura e lontana dai
pericoli esterni. La madre Marthe, che
meglio di tutti incarna il senso di claustrofobia, rappresenta il motore della vicenda, folle e ribelle ma visceralmente
ancorata alla sua casa. La scelta dei piani
e delle immagini sottolinea ancor più il
senso di isolamento dei personaggi. I toni
caldi e solari iniziali della fotografia vengono via via sostituiti dall’oscurità e dai
colori freddi degli interni. I rumori dei
motori, seppure smorzati, arrivano in
lontananza come l’eco di un mondo fatale. In una vertigine che tende al soffocamento, si compie una lenta discesa
agli inferi. La psicosi dei personaggi inizia a contagiare anche i nervi dello spettatore. L’atmosfera diventa sempre più
claustrofobica e si ha il desiderio impellente di uscire dalla sala cinematografica. Ma si resta solo per ammirare la
splendida Isabelle Huppert, ormai sempre più spesso interprete ideale dei ruoli
femminili più travagliati, oscuri, maledetti
e alienati.
Veronica Barteri
Film
Tutti i film della stagione
THE INFORMANT!
(The Informant!)
Stati Uniti, 2009
Regia: Steven Soderbergh
Produzione: Howard Braunstein, Kurt Eichenwald, Jennifer Fox,
Gregory Jacobs, Michael Jaffe per Warner Bros. Pictures/Section Eight/Jaffe-Braunstein Enterprise. In associazione con
Participant Media/Groundswell Productions
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009)
Soggetto: dal libro-verità del giornalista Kurt Eichenwald
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Direttore della fotografia: Steven Soderbergh
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Marvin Hamlisch
Scenografia: Doug J. Meerdink
Costumi: Shoshana Rubin
Produttori esecutivi: George Clooney, Michael London, Jeff
Skoll
Coproduttore: Michael Polaire
Direttori di produzione: Gilles Castera, Robin Le Chanu
Casting: Carmen Cuba
Aiuti regista: Gilles Kenny, Jody Spilkorman, Lynne Martin
Operatore: Patrick B. O’Brien
Art directors: Billy Hunter, David Scott
Arredatori: Daniel B. Clancy, Curtis Maneno
Trucco: Elisa Marsh, Vicki Vacca, Christine Beveridge, Marsha
Shearill
Illinois, USA, 1992. Mark Whitacre è un biochimico di successo dell’ ADM, sposato e con una
bella casa. L’ADM, e Mark in particolare, è alle prese con un un virus che infetta irrimediabilmente le scorte del grano, compromettendo la produzione ed
esponendo la ditta a un ingente danno
economico. Un giorno, Mark comunica
ai vertici di essere ricattato da un misterioso emissario giapponese, che vuole
soldi in cambio dell’antidoto contro il
virus.
L’ADM decide di rivolgersi all’FBI
e mettere il telefono di Mark sotto controllo. Quella stessa notte, Mark, spinto
dalla moglie, confessa all’agente Shepard, a casa sua per installare il microfono al telefono, che c’è ben altro:
un’agenzia giapponese sta manipolando
il prezzo del mais nel mercato globale. È
l’inizio di una collaborazione molto speciale: da qui ai successivi due anni e
mezzo Mark, per conto dell’FBI, comincia a registrare con l’ausilio di telecamere e microfoni ogni movimento e azione della compagnia in ogni parte del
mondo, attraverso i meeting finanziari
che avvengono in ogni parte del globo.
Grazie alle registrazioni video e vocali, Mark Whitacre – fra mille contrad-
I
Acconciature: Gloria Pasqua Casny, Jules Holdren, Connie
Kallos
Coordinatore effetti speciali: Ron Bolanowski
Supervisore effetti visivi: Thomas J. Smith
Supervisore costumi: Sandy Kenyon
Interpreti: Matt Damon (Mark Whitacre), Melanie Lynskey
(Ginger Whitacre), Patton Oswalt (Ed Herbst), Scott Bakula
(Brian Shepard), Frank Welker (sig. Whitacre), Thomas F. Wilson (Mark Cheviron), Joel McHale (Robert Herndon), Candy
Clark (sig.ra Whitacre), Ludger Pistor (Reinhard Richter), Scott
Adsit (Sid Hulse ), Eddie Jemison ( Kirk Schmidt ), Rusty
Schwimmer (Elizabeth), Samantha Albert (Mary Spearing),
Paul F. Tompkins (D’Angelo), Allan Havey (agente speciale
FBI Dean Paisley), Richard Steven Horvitz (Bob Zaideman),
Arden Myrin (assistente di Whitacre), Rick Overton (Terry
Wilson), Wayne Pére (Sheldon Zenner), Tom Papa (Mick Andreas), Raymond Ma (Mimoto), Daniel Hagen (Scott Roberts), Larry Clarke (avvocato di Whitacre), Hans Tester (Peter
Dreyer), Jayden Lund (James Mutchnik), Rome Kanda (Ikeda), Joshua Funk (agente speciale FBI Robert Grant), Howie
Johnson (Rusty Williams), Brian Gallivan (Ronald Henkoff),
Lucas McHugh Carroll (Alexander Whitacre), Gene Fojtik (avvocato)
Durata: 108’
Metri: 2810
dizioni (esce fuori che la storia del ricatto era fasulla), riesce a dare prove
concrete all’FBI sulla cospirazione, dopo
due anni e mezzo di collaborazione con
il governo americano. Numerosi membri
vengono incarcerati per frode e truffa,
mentre il biochimico sta per divenire il
nuovo capo direttore dell’azienda di mais
mandata sul lastrico da lui stesso per le
rivelazioni scottanti. Sembra tutto andar
liscio, quando gli avvocati dell’ADM
scoprono che il buco finanziario dell’azienda agro-alimentare non è dovuto
ai continui scambi di tangenti verso i
giapponesi, ma ai trasferimenti illeciti
che Mark Whitacre stesso inviava ai suoi
numerosi conti esteri. L’ammontare: 9
milioni di dollari. Mark, ormai visibilmente in preda a sempre più frequenti
crisi, nega ostinatamente la verità e cerca di accusare l’agente Shepard, che gli
è sempre stato vicino, di percosse e maltrattamenti nei suoi confronti. Ma quando la menzogna diventa troppo grande,
è lo stesso Mark a rendersi conto del proprio problema e a cedere.
Mark Whitacre, con 45 capi d’accusa sulle spalle viene incarcerato per 9
anni nel 1997 e, liberato, torna a casa
della moglie e figli nel 2006. I suoi capi,
per incastrare i quali aveva lavorato due
21
anni e mezzo per l’FBI, in carcere resteranno solo tre anni. Prima di uscire, fa
appena in tempo a correggere la guardia circa l’ammontare finale dei soldi che
ha sottratto: non 9 milioni, come tutti
credevano, ma 11 e mezzo...
e la mette davvero tutta, Steven
Soderbergh, per alzarsi oltre la
mediocrità e risultare simpatico a ogni costo. In quasi ogni suo film la
volontà di lasciare il segno è chiara;
ambizione legittima per un regista che
non ha mai rinnegato se stesso, replicando pressoché in toto pregi e – tanti – difetti del proprio stile, troppo estetizzante
per riuscire anche ad andare oltre la superficie di quel che descrive e racconta.
Forse la vera novità di quest’ennesimo
film di Soderbergh è la consapevolezza
del regista di fronte ai suoi stessi difetti
e il conseguente mettere alla berlina, in
chiave grottesca, la propria verbosità stilistica. Gliene riconosciamo il merito,
passati al vaglio i tasti più superficiali della composizione filmica: la decostruzione del sex symbol Matt Damon, che interpreta un uomo apparentemente ordinario, il cui aspetto fisico tradisce un disturbo mentale che del quotidiano non
C
Film
Tutti i film della stagione
disorientato dei protagonisti; agenti federali alle prese con il caos di un “finto
quotidiano” in realtà più unico che raro.
Ma non siamo davanti all’apocalittico
mondo impazzito dei fratelli Coen e nemmeno c’è la profondità di un plot fantapolitico da film-inchiesta anni ’70 che Soderbergh, con il consueto pseudonimo di
Peter Andrews, cita ricorrendo a un’incongrua fotografia vintage. La vicenda
non assurge mai all’universalità, così ancorata al gusto della riproduzione taroccata di un periodo e di uno stile di abbigliamento e il divertimento resta fine a
se stesso. Anche se non ci si annoia e, a
tratti, la visione risulta piacevole, restano sulla carta, solo accennate, tematiche non da poco come l’impossibilità di
assurgere al vero e la menzogna come
unico mezzo per realizzare il sogno americano.
fa certo parte; i siparietti con l’FBI, la
parte più divertente del film, mostrano il
lato assurdo di una indagine nata dal nulla e, allo stesso tempo, il lato umano e
Gianluigi Ceccarelli
IL MESSAGGERO
(The Haunting in Connecticut)
Stati Uniti, 2009
Art director: Edward Bonutto
Arredatori: Craig Sandells, Steve Shewchuk
Trucco: Doug Morrow
Acconciature: Ediena Hawkes, Forest Sala
Effetti speciali trucco: Crystal Biloski, Joe Colwell, Mike
Fields, Sarah Pickersgill, Nicholas Podbrey, Kyla-Rose Tremblay, Gideon Hay, Brian Hillard
Coordinatori effetti speciali: Tim Storvick, James Kozier
Supervisore effetti visivi: Erik Nordby
Interpreti: Virginia Madsen (Sara Campbell), Kyle Gallner (Matt
Campbell), Elias Koteas (reverendo Popescu), Amanda Crew
(Wendy), Martin Donovan (Peter Campbell), Sophi Knight (Mary),
Ty Wood (Billy Campbell), Erik J. Berg (Jonah), John Bluethner
(Ramsey Aickman), D.W. Brown (dr. Brooks), John B. Lowe (sig.
Sinclair), Adriana O’Neil (infermiera chemioterapia), Will
Woytowich (poliziotto), Darren Ross, Sarah Constible (medici),
Blake Taylor, Keith James, Kelly Wolfman, Jessica Burleson (presenti alla seduta del 1920), James Durham, Matt Kippen
Durata: 92’
Metri: 2400
Regia: Peter Cornwell
Produzione: Paul Brooks, Daniel Farrands, Wendy Rhoads,
Andrew Trapani per God Circle Films/Integrated Films & Management
Distribuzione: Key Films
Prima: (Roma 21-8-2009; Milano 21-8-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Adam Simon, Tim Metcalfe
Direttore della fotografia: Adam Swica
Montaggio: Tom Elkins
Musiche: Robert J. Kral
Scenografia: Alicia Keywan
Costumi: Meg McMillan
Produttori esecutivi: Scott Niemeyer, Norm Waitt, Steve
Whitney
Produttore associato: Jonathan Store
Coproduttori: Brad Kessell, Phyllis Laing, Jeff Levine
Direttore di produzione: Lesley Oswald
Casting: Eyde Belasco
Aiuti regista: Richard O’Brien-Miran, Charles Crossin
Operatore: Brad Vos
iugno 1987. Matt Campbell è un
ragazzo malato di cancro ed è in
cura presso un ospedale del Connecticut che si trova molto lontano da casa
sua. Per questo motivo, la madre Sara è costretta a lunghi ed estenuanti viaggi. Vedendo che con le cure ci sono dei miglioramenti,
la donna decide di trasferire la famiglia in
un’abitazione che possa essere il più vicino
possibile all’ospedale. Riesce a trovare un
affare: una vecchia casa vittoriana che ha
un affitto decisamente vantaggioso. Una volta
che si sono trasferiti lì però, cominciano ad
G
accadere cose strane. Dopo poco tempo, infatti Matt inizia ad avere delle visioni angoscianti e incubi sempre più ricorrenti. Sara
non dà però importanza alla cosa e secondo
lei questo comportamento è dovuto allo stress
e all’uso di farmaci. Le cose però non migliorano. Anzi, Matt inizia a essere perseguitato dalla figura di un giovane di nome
Jonah che molti anni prima in quel posto era
protagonista di sedute spiritiche. Inoltre, nel
seminterrato scopre la presenza di un’ex-camera mortuaria nella quale non riesce a entrare a causa di una forte sensazione di bru22
ciore. La famiglia Campbell è man mano inghiottita in questo vortice infernale. Il padre
di Matt, Peter, non riuscendo a sopportare
questa tensione, ha anche ripreso a bere.
In seguito al ritrovamento di una scatola
contenente fotografie di sedute spiritiche, la
famiglia Campbell ci vede poco chiaro e decide di indagare. Le ricerche portano al dottor Aickman, una specie di medium che aveva il ruolo di messaggero tra il mondo dei
vivi e quello degli spiritiche utilizzava Jonah
come suo assistente per il suo dono di contattare i morti. Molta gente spesso andava
Film
da loro per parlare con i defunti e rimaneva
spesso soddisfatta. Nel corso di una seduta
però, quattro presenti, compreso Aickman,
furono trovati morti. Lì c’era anche Jonah e
di lui non si è saputo più nulla. Nel frattempo, le condizioni di Matt peggiorano. Il suoi
corpo viene infatti ritrovato pieno di scritte e
simboli che sono come marchiati e viene ricoverato in ospedale. Il medico dice a Sara e
al marito che il ragazzo ha ormai le ore contate. Matt comunque ha la forza di uscire e
di ritornare a casa. Ha un’ascia in mano e
sembra minacciare i familiari rimasti lì. Invece dice loro di andar via perché sono in
pericolo. Il giovane si barrica e mette a soqquadro l’abitazione, fino a quando scopre un
ammasso di cadaveri nascosti. Poi da fuoco
alla casa. Sara entra tra le fiamme e riesce a
trascinarlo fuori. Appare ormai in fin di vita.
Poi, però, all’improvviso si risveglia.
i case stregate il cinema è pieno.
Il messaggero dà l’idea di riprendere classici del genere, mostrando come l’abitazione a un certo punto possa iniziare a respirare, nascondere
un torbido passato e diventare un
(in)volontario elemento omicida. Cornwell,
da questo punto di vista, non sembra farsi
problemi e, più che ispirarsi, scopiazza da
Amityville Horror, Shining e soprattutto, fa
D
Tutti i film della stagione
ripensare a uno dei capolavori horror come
Gli invasati di Robert Wise, del quale però
non riesce affatto a ricreare quella grandiosa tensione nascosta, dove, anche all’interno di un’inquadratura normale, sembrava celarsi il pericolo nel fuori-campo.
Il messaggero è, al contrario di queste
pellicole, un film già dichiaratamente esplicito. Sin dai titoli di testa, si viene avvertiti
che si tratta di una storia vera e poi si vede
un ciak con il volto di Sara che parla al
passato e, in qualche modo, anticipa quello
che si vedrà. Un’immagine, questa, quasi
stile mockumentary, un segno che annuncia che tutto sarà mostrato direttamente.
E in questo tutto non c’è eliminazione, ma
piuttosto condensazione; Il messaggero
infatti contiene in sé le forme del dramma
terminale mescolate con quelle dell’horror
soprannaturale. Cornwell dimostra di non
saper padroneggiare nessuno dei due. Per
quanto riguarda il primo aspetto, la disperazione è solo presente nei primi piani di
una spenta Virginia Madsen e in quel momento ‘disperato’, in cui il padre di Matt ha
ricominciato a bere e terrorizza tutta la famiglia. Una scena, questa, potenzialmente forte, che poteva essere sviluppata con
maggiore intensità e che invece viene confusa in questa sorta di ‘viaggio all’inferno
e ritorno’. Per quanto riguarda il secondo
aspetto, ci si trova davanti non solo a una
non ispirata esercitazione del genere, ma,
addirittura, a una presuntuosa e incontrollata autorialità nella quale il regista (che
eppure si era messo in luce nel 2003 con
il bel corto Ward 13) crede di modificare
visivamente il genere contaminandolo con
effetti videoclip; metodo questo che riesce
soltanto al cinema del geniale Rob Zombie. Le apparizioni di Jonah a Matt vorrebbero creare degli effetti di scissione del
corpo, di doppia personalità, quasi di una
reincarnazione in atto. Non basta però insistere su choc, apparizioni e incubi rivelatori per raggiungere il risultato sperato.
Cornwell non inventa nulla. Piuttosto utilizza situazioni ricorrenti come quelle di
presenze oscure che passano velocemente lo specchio, metamorfosi demoniache,
tende della doccia che schiacciano e soffocano i personaggi. E in più ci aggiunge
flash con colori neutri ed effetti sonori insistiti, che sottolineano spesso ogni azione
disturbante (i piatti che cadono per terra)
e che si amplificano a dismisura nel corso
del film. Tutto già visto, quindi. Con in più
l’aggravante che, nel riproporlo, Cornwell
pensa di farlo molto meglio e di inventare
qualcosa di nuovo.
Simone Emiliani
ALIENI IN SOFFITTA
(Aliens in the Attic)
Stati Uniti/Canada, 2009
Supervisori effetti visivi: Randy Goux (CIS), allan Magled
(Soho VFX), Chris Wells (Hydraulx), Douglas Smith
Coordinatori effetti visivi: Lara B. Grant, Sean Stortroen
(Rhythm & Hues), Ivy Agregan, Steve Carter, Shad Davis, Lisa
Marra, Brad Nightingale, Katrissa ‘Kat’ Peterson, Neha Sharma, Aashima Taneja
Supervisori animazione: Ryan Donoghue, Ben Sanders,
Roberto Smith
Responsabile animazione: Leon Joosen
Supervisore costumi: Deb Brown
Supervisore musiche: Billy Gottlieb
Interpreti: Carter Jenkins (Tom Pearson), Austin Robert Butler (Jake Pearson), Ashley Tisdale (Bethany Pearson), Robert Hoffman (Ricky Dillman), Doris Roberts (Nana), Gillian
Vigman (Nina Pearson), Kevin Nealon (Stuart Pearson), Tim
Meadows (Doug Armstrong), Ashley Boettcher (Hannah Pearson), Henry Young (Art Pearson), Regan Young (Lee Pearson), Doris Roberts (Nana Rose Pearson), Andy Richter (zio
Nathan Pearson), Tim Meadows (sceriffo Doug Armstrong),
Malese Jow (Julie), Megan Parker (Brooke), Maggie VandenBerghe (Annie Filkins), Warren Paeff (speaker radio), Doug
Mcmillan (speaker comunicato radio polizia), Thomas Aden
Church (voce Tazer), Josh Peck (voce Sparks), Ashley Peldon (voce Skip), Kari Wahlgren (voce Razor)
Durata: 86’
Metri: 2340
Regia: John Schultz
Produzione: Barry Josephson per Josephson Entertainment/
New Upstairs Productions/Regency Enterprises/Twentieth
Century Fox Film Corporation/Upstairs Canada Productions
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 14-8-2009; Milano 14-8-2009)
Soggetto: Mark Burton
Sceneggiatura: Adam F. Goldberg, Mark Burton
Direttore della fotografia: Don Burgess
Montaggio: John Pace
Musiche: John Debney
Scenografia: Barry Chusid
Costumi: Mona May
Produttore esecutivo: Marc S. Fischer
Produttore associato: John R. Woodward
Coproduttore: Joe Hartwick jr.
Direttore di produzione: Annie Dodman
Casting: Julie Ashton
Aiuto regista: John R. Woodward
Operatori: Michael Burgess, Calum McFarlane
Operatore steadicam: Dana little
Supervisore art direction: Nigel Evans
Arredatore: Milton Candish
Trucco: Michele Barber, Davina Lamont, Natasha Lees
Effetti speciali trucco: Sarah Pickersgill
Supervisore effetti speciali: Jason Durey
23
Film
eriferia del Michigan. Stuart e la
moglie Nina sono a capo di una
famiglia della quale fanno parte
anche i loro tre figli: il quindicenne Tom,
fissato con la tecnologia, che ha avuto dei
brutti voti a scuola; Bethany, appena rientrata in casa di nascosto dalla finestra dopo
un appuntamento segreto con il ragazzo
Ricky; Hannah, una bambina di 7 anni.
Per cercare di ricompattare il gruppo,
Stuart decide di andare a trascorrere le
vacanze in una villetta nei pressi di un lago.
A loro si uniscono anche lo zio Nate con i
figli Jake e i gemelli dodicenni Art e Lee
oltre alla nonna Nana Rose. Si aggiunge,
all’improvviso, anche Ricky che, per estare accanto alla sua ragazza, si è inventato
la scusa che la sua auto non riparte.
Mentre sta calando la sera, si addensano attorno all’abitazione delle nuvole minacciose. Improvvisamente va via il segnale televisivo. Ricky e Tom, salgono sul tetto per
vedere cosa è successo. Lì si ritrovano davanti a un gruppo di minuscoli alieni zirkoniani, composto dal rigido comandante Skip,
dal muscoloso Tazer, dalla letale soldatessa
aliena Razor e il tecnico con 4 braccia
Sparks, l’unico invasore non minaccioso.
Sin da subito, Ricky viene messo sotto
controllo dagli alieni per mezzo di uno strumento collegato con la sua testa e, attraverso di lui, rivendicano il pianeta. Ben
presto, oltre a Tom e Jake, anche Hannah
e i fratelli gemelli vedono gli alieni. Tom
prende il comando delle operazioni e decide, d’accordo con gli altri, di non far
sapere nulla agli adulti. Dovendo cavarsela da soli, si arrangiano con delle armi
fatte in casa e imparano a utilizzare lo strumento per controllare le menti e lo utiliz-
P
Tutti i film della stagione
zano anche per far muovere Ricky come
una marionetta per renderlo ridicolo agli
occhi di tutti, Bethany compresa.
Mentre gli adulti continuano a non accorgersi della presenza aliena, nasce una
complicità tra Hannah e Sparks; quest’ultimo non ama la guerra e vorrebbe soltanto tornare a casa.
Lo scontro si fa sempre più duro. Anche
la nonna cade sotto il controllo degli alieni
che le dona dei superpoteri che le consentono di proteggere i nipoti e scontrarsi con
Ricky. I ragazzi si mostrano all’altezza della situazione e, alla fine, riescono a sconfiggere gli invasori. Resta poi in loro possesso lo strumento per controllare i movimenti di Ricky. Bethany, dopo essere stata
lasciata, si vendica muovendolo a suo piacimento davanti a un’altra ragazza.
embrano esserci delle tracce da
teenager-movie in questa stanca e poco ispirata vicenda di invasione aliena domestica. La parte iniziale
del film, fino all’arrivo degli zirkoniani sembra appartenere a quel filone adolescenziale, proprio del cinema statunitense, che
si alimenta soprattutto su continui contrasti
tra padre, figlio con brutti voti a scuola che
non vuole essere con un cervellone come
il proprio genitore, il prepotente cugino Jake
e la sorella che esce con un ragazzo del
college. Anche se sono come dei provvisori squarci, in questa descrizione della dimensione familiare di Alieni in soffitta si ha
l’idea di ritrovare delle tracce sospese tra il
cinema anni ’80 di John Hughes (scomparso proprio recentemente) e Chris Columbus. La presenza del primo è evidente nel
modo naturale con cui ribalta la figura del
S
quindicenne Tom, lasciando emergere delle proprie insicurezze e del proprio malessere proprio come i cinque sedicenni di una
scuola superiore di Chicago, costretti, per
punizione, a passare il sabato in biblioteca
di Breakfast Club. Al tempo stesso, le rocambolesche avventure familiari sembrano
modellate su quelle di Kevin McAllister nei
due Mamma, ho perso l’aereo, diretti da Columbus e prodotti proprio da Hughes, nei
quali, proprio come in Alieni in soffitta, sono
gli adulti a essere estromessi dall’azione.
Forse la parte più divertente del film di
John Schulz – che costruisce il suo film
sulla commistione tra film per famiglie e
dimensione fantasy proprio come un suo
precedente film, Il sogno di Calvin, è nel
modo con cui la figura di Ricky, classico
teenager prepotente, viene telecomandato dagli altri in modo tale da renderlo ridicolo agli occhi di tutti, anche se questa situazione, alla lunga, viene ripetuta con
troppa insistenza. Per il resto, l’anello debole della pellicola è proprio nello scontro
tra umani e alieni. La sceneggiatura di
Mark Burton e Adam F. Goldberg sembra
dilatare eccessivamente lo scontro finale
intervallandolo con la nonna che combatte stile kung-fu, con la caratterizzazione di
Ashley Tisdale (che interpreta il ruolo di
Bethany) che è vista e descritta più come
star televisiva che come personaggio. E la
citazione esibita con l’alieno buono Sparks,
che vuole tornare a casa proprio come l’extraterreste di E.T. di Spielberg, è la dimostrazione di come Alieni in soffitta abbia
esaurito da prima tutte le sue (poche) risorse e sia ormai entrato in riserva.
Simone Emiliani
BAARÌA
Italia/Francia, 2009
Regia: Giuseppe Tornatore
Produzione: Marina Berluscono, Tarek Ben Ammar per Medusa Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 25-9-2009); Milano 25-9-2009
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Tornatore
Direttore della fotografia: Enrico Lucidi
Montaggio: Massimo Quaglia
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Maurizio Sabatini
Costumi: Antonella Balsamo, Luigi Bonanno
Organizzatore generale: Giorgio Innocenti
Produttore esecutivo: Mario Cotone per Exon Film
Suono: Faouzi Thabet
Supervisore effetti visivi digitali: Mario Zanot
Effetti visivi digitali: Storyteller
Interpreti: Francesco Scianna (Peppino), Margareth Madé (Man-
nina), Nicole Grimaudo (Sarina giovane), Angela Molina (Sarina
adulta), Lina Sastri (Tana/mendicante), Salvo Ficarra (Nino), Valentino Picone (Luigi), Gaetano Aronica (Cicco adulto), Alfio Sorbello (Cicco giovane), Luigi Lo Cascio (figlio mendicante), Enrico
Lo Verso (Minicu), Nino Frassica (Giacomo Bartolotta), Laura Chiatti
(studentessa), Michele Placido (esponente PCI), Vincenzo Salemme (capocomico), Giorgio Faletti (Corteccia), Corrado Fortuna (Renato Guttuso), Paolo Briguglia (maestro catechismo), Leo
Gullotta (Liborio), Beppe Fiorello (venditore dollari), Luigi Maria
Burruano (farmacista), Franco Scaldati (fotografo), Aldo Baglio
(affarista), Monica Bellucci (ragazza del muratore), Donatella Finocchiaro (merciaia), Marcello Mazzarella (Podestà), Raoul Bova
(giornalista romano), Gabriele Lavia (maestro commissione esami), Sebastiano Lo Monaco (padrone magazzino limoni), Tony
Sperandeo (allevatore), Enrico Salimbeni (Alberto Lattuada)
Durata: 150’
Metri: 4510
24
Film
nizio secolo. Un uomo che gioca a
carte chiama un ragazzino e gli
ordina di andare a comprare le sigarette. Deve tornare prima che il suo sputo per terra si sia asciugato. Lui inizia così
a correre a tutta velocità.
Da qui inizia la vicenda di una famiglia siciliana di Bagheria, un paesino vicino Palermo, raccontata attraverso tre
generazioni: da Cicco al figlio Peppino,
al nipote Pietro.
Tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta,
attraverso le loro vicende private, prende
forma la vita di un’intera comunità e ne
vengono rievocati i sogni, gli amori, le
delusioni che attraversano non solo un
pezzo della loro vita, ma della storia italiana.
Negli anni del fascismo, Cicco è un
modesto pecoraio che, però, riesce a trovare il tempo per soddisfare le proprie passioni: i libri, i poemi cavallereschi, i grandi romanzi popolari.
Durante la seconda guerra mondiale
suo figlio Peppino, imbattendosi nell’ingiustizia sociale, scopre di avere una grande passione per la politica. Terminato il
conflitto, avviene il fatale incontro con la
donna della sua vita, Mannina. La loro storia non viene vista bene soprattutto dal
padre della ragazza che, per la figlia, punta
a un partito migliore. Inoltre, questa relazione è osteggiata anche per il fatto che
Peppino è comunista. La ragazza però è
innamorata di Peppino e, alla fine, la sua
tenacia le consentirà di sposarsi con l’uomo che ama e dal quale avrà numerosi figli.
Tutti i film della stagione
I
robabilmente Baarìa è ‘il grande
sogno’ di Tornatore. Un cinema
magniloquente, epico, un kolossal sulla Sicilia, in cui si mescolano frammenti di memoria con squarci visionari
senza controllo. Dentro il film c’è tutto: la
Storia, la tradizione, il mito, il cinema e
frammenti privati come la vicenda di Peppino e Mannina, che viene amplificata a
tal punto da diventare la ‘storia d’amore’
assoluta, in piena regola con le forme del
melodramma. Tornatore amplifica mai
come stavolta la dimensione onirica, ancora di più che in Nuovo Cinema Paradiso, L’uomo delle stelle e Malèna che, con
Baarìa, potrebbero costituire un’ideale ‘tetralogia sulla Sicilia’. L’inizio è esemplare.
La corsa del bambino all’inizio che va a
comprare le sigarette e poi vola improvvisamente, oltre a essere un (in)volontario
omaggio a Miracolo a Milano di De Sica, è
anche l’esempio di uno sguardo senza
controllo, che vuole oltrepassare la realtà
per sfociare nel fantastico. Peccato che la
P
libertà in Baarìa sia solo apparente. Nessuno mette ovviamente in dubbio la sua
capacità di girare e il proprio talento visivo. Ma si ha il sospetto che il cineasta siciliano giri più per se stesso che per gli altri,
come se volesse orgogliosamente specchiarsi sull’obiettivo della macchina da presa mentre sta filmando anche la singola
inquadratura. La sua ambizione è smisurata e la ricostruzione di questo spazio ‘nel
corso del tempo’ nel set tunisino potrebbe
portarlo a definirlo, volendo essere volutamente eccessivi, come a una specie di
‘Cecil B. De Mille nostrano’. Baarìa è tutto
l’opposto del cinema minimalista italiano.
E questo potrebbe apparire sicuramente
come un merito. Soltanto che quello che
mostra, malgrado i presupposti, è estremamente più piccolo di quello che può
sembrare. Magari il raggio d’azione di ciò
che inquadra potrebbe essere molto più
lungo. Ma anche se le scene di massa
sono dirette sempre con grande mestiere,
ciò che manca in questi frammenti è proprio quel respiro epico che permette di distaccarsi da ciò che si sta guardando e
che fa precipitare così in un’altra dimensione. Ciò che vuole essere grande diventa improvvisamente pomposo. Forse, ciò
deriva anche dalla fotografia troppo calda
di Lucidi, con quei gialli insistenti che poi
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provocano più un senso di stordimento che
di seduzione. Oppure le musiche di Morricone sempre più ridondanti, come a sottolineare e avvertire lo spettatore che quella che sta per vedere è una scena madre,
nel caso non se ne fosse accorto o si fosse distratto. O, ancora, da quell’insistenza
dei dettagli, con personaggi che ritornano
anche negli anni come figure fisse (quello
di Beppe Fiorello), che si reincarnano (Lina
Sastri) oppure che nella loro singolarità
appaiono come gli esempi invisibili, ma
determinanti, di una grande storia. Con
L’uomo delle stelle questo di Tornatore è
ancora un cinema di facce. Profilo destro,
profilo sinistro. Queste però restano spesso lì ferme, immortalate e non danno mai
l’idea di poter penetrare autenticamente
nella storia. Sono rare quelle che riescono ad andare oltre la loro maschera e una
di queste, sorprendentemente, è quella di
Salvo Ficarra che mette nuovamente in
ombra, come nei film che hanno fatto insieme, quella del suo partner Valentino
Picone, ma anche di molti altri attori. Volendo essere maligni, nella quantità di interpreti utilizzati e nella ricorrente presenza di primi piani, si potrebbe vedere Baarìa anche come una gran bella pubblicità
alla Sicilia Film Commission. Restando
invece sul lavoro corale, come L’uomo delle
Film
stelle non riesce mai a dare un’anima vera
ai suoi personaggi. C’è chi ha citato la
Bagheria di Tornatore come il West di Sergio Leone. Ma il mito è artificiale, fatto di
plastica, una luce creata solo per abbagliare.
Certo, il cinema di Tornatore, come si
è visto, ha bisogno di altro cinema per riprodursi. C’è così Lattuada a Villa Patagonia che sta girando Il mafioso, si vedono
frammenti di Uno sguardo dal ponte, Gli
Argonauti e Fellini Satyricon. Per certi
aspetti, sembra di (ri)vedere i manifesti dei
film sul cinema di Bastardi senza gloria.
Volendo spingerci oltre, verrebbe istintiva-
Tutti i film della stagione
mente da accomunare Tornatore a Tarantino. Ma è solo un colpo di testa. Tarantino
vive quasi esclusivamente del cinema degli altri, trasforma i film che ha visto in pezzi
della propria memoria personale. Il regista siciliano, invece ha, anche lui quasi
esclusivamente, bisogno di quello solo di
quello suo per riguardarsi e riammirarsi.
Nei momenti del ragazzino che guarda i
film, sembra quasi di assistere a un remake
di Nuovo Cinema Paradiso. La presenza
della Bellucci dà l’idea di venire dritta dritta da Malèna. Oltre a questa autoreferenzialità, Baarìa da l’idea di scivolare spesso nel bozzetto, quasi da commedia italia-
na. Si sa che Tornatore è un autore e non
scenderebbe mai a questi compromessi
con un cinema troppo basso anche se
popolare. Il momento, però in cui Peppino
controlla la lunghezza della gonna alla figlia potrebbe quasi apparire una riproposizione di una situazione della commedia
erotica degli anni ’70. E il disegno maestoso, smisurato, resta più volte, come in
questa scena, confinato dentro se stesso,
in un ambiente che Tornatore conosce
benissimo e manipola a suo piacimento,
ma dal quale ogni autonomia è preclusa.
Simone Emiliani
SCUOLA PER CANAGLIE
(School for Scoundrels)
Stati Uniti, 2006
Art director: Scott Meehan
Arredatore: Denise Pizzini
Trucco: Keith Sayer, Janeen Schreyer, Amy Lederman, Patricia
Regan, Lynne K. Eagan
Acconciature: Rita Troy, Kathrine Gordon, Kerrie Smith, Joani
Yarbrough
Coordinatori effetti speciali: William Aldridge, Connie Brink
Supervisore effetti visivi: David D. Johnson (Pacific Vision Productions)
Supervisori costumi: Robin Roberts, Susan J. Wright
Supervisori musiche: George Drakoulias, Randall Poster
Interpreti: Billy Bob Thornton (dr. P), Jon Heder (Roger),
Jacinda Barrett (Amanda), Michael Clarke Duncan (Lesher),
Sarah Silverman (Becky), David Cross (Ian), Matt Walsh
(Walsh), Horatio Sanz (Diego), Todd Louiso (Eli), Jon Glaser (Ernie), Paul Scheer (‘Little Pete’), Ben Stiller (Lonnie),
Luis Guzmán (sergente Moorehead), Dan Fogler (Zack),
DeRay Davis (Bee Bee), Omar J. Dorsey (Lawrence), Marcella Lowery (sig.ra Washington ), Joanne Baron (Lois ),
Leonard Earl Howze, Jim Parsons, Aziz Ansari, Remy K.
Selma, Andrew Daly, Bob Stephenson, Joe Nunez, Jack
Kehler, Armen Weitzman (compagni di classe), Noel Guglielmi, Daniel Venegas ( tipi in metropolitana ), Samuel
Schultz (uomo anziano in ospedale), Corey Richardson
(Monty), Jessica Stroup (moglie di Eli), Sandy Helberg (Rabbi), Isabel Tylo (violinista)
Durata: 100’
Metri: 2620
Regia: Todd Phillips
Produzione: Todd Phillips, Daniel Goldberg, Geyer Kosinski
per Dimension Films/Picked Last/Media Talent Group/Road
Rebel/Scoundrel Productions/Todd Phillips Company/The
Weinstein Company
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009)
Soggetto: dal romanzo School for Scoundrels or How to Win
Without Actually Cheating! di Stephen Potter e basato sulla
sceneggiatura di Patricia Moyes, Hal E. Chester del film La
scuola dei dritti (1960) di Robert Hamer
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scot Armstrong
Direttore della fotografia: Jonathan Brown
Montaggio: Leslie Jones, Dan Schalk
Musiche: Christophe Beck
Scenografia: Nelson Coates
Costumi: Louise Mingenbach
Produttori esecutivi: Hal E. Chester, Craig Mazin, Bob Weinstein, Harvey Weinstein
Produttore associato: Annette Savitch
Coproduttori: Scott Budnick, JoAnn Perritano
Direttori di produzione: Amy Herman, JoAnn Perritano
Casting: Jeanne McCarthy
Aiuti regista: Joe Camp III, Polly Ann Mattson, Shawn Pipkin,
Michael T. Meador, Andrea O’Connor, Joseph Payton, Jennifer D. Wilkins, Kate Marie Boyle
Operatori: Kirk R. Gardner, Patrick Capone
Operatore steadicam: Will Arnot
oger è un ausiliario del traffico
con grandi problemi di autostima e frequenti attacchi di panico. Dopo l’ennesimo problema sul lavoro
ed esser stato licenziato dall’Associazione
“Fratelli minori”, per continui fallimenti,
crolla a pezzi; come se non bastasse non
riesce a chiedere ad Amanda, la donna che
ama, di uscire. Ian, capo dell’Associazione, lo indirizza presso lo stravagante Dottor P. che tiene un particolare corso sull’autostima, caratterizzato da inusuali,
quanto pericolosi metodi di insegnamento. Nonostante tutto, Roger inizia subito a
R
far progressi e crearsi un gruppo di amici
che in più di un’occasione salva dalle grinfie di Lesher, l’aiutante del Dottor P. Grazie a tutti i progressi compiuti, il Dottor P.
gli dice perentoriamente di provarci con
Amanda; sarà l’ ultimo ostacolo da superare per diventare un vero uomo. Roger
segue il consiglio e finalmente esce con
Amanda, facendo colpo su di lei e riuscendo anche a baciarla.
Roger diventa così il primo della classe, attirando l’amore e l’odio del suo mentore che non sopporta quando un alunno
diventa migliore di lui: inizia a persegui26
tarlo. Lo stesso Ian, gli dice di commettere
degli errori a lezione per non finire come
Lonnie, il primo della classe del suo corso, che ora vive da reietto in un’altra città.
Il Dottor P. non perde tempo e inizia a
corteggiare Amanda, facendo finta di incontrarla per caso e mentendo sul suo
nome e sull’identità. Roger lo scopre e inizia così la sfida a colpi di bugie, battute e
racchette da tennis. La battaglia degenera, il Dottor P. riesce a renderlo un maniaco agli occhi di Amanda e farlo licenziare. Roger chiede aiuto ai suoi amici del
corso che, completamente soggiogati, non
Film
credono a una sola parola. Il ragazzo riesce almeno a trovare Lonnie, a cui il Dottor P. ha rubato la donna nello stesso modo.
Lonnie accetta di aiutare Roger a distruggere il Dottor P. fornendogli anche un enorme dossier su chi sia realmente quest’uomo. Mostrando tutto il materiale ai suoi
amici, finalmente Roger ottiene il loro appoggio. Mentre un alunno fedele al Dottor
P. sta per portare Amanda all’aeroporto
da dove partiranno per Miami, inizia la
controffensiva di Roger per farle conoscere la moglie ed i figli del Dottor P. Intanto
Roger arriva all’aeroporto, dove mostra
all’ex mentore le foto della sua famiglia. Il
Dottor P. getta la maschera: era l’ultima
prova del corso avanzato e Roger l’ha superata brillantemente. Gli racconta anche
di un certo Lonnie che non ha superato la
prova e dei numerosi anni che il ragazzo
ha passato in manicomio. Roger ferma in
tempo la controffensiva: i biglietti per Miami sono per Roger ed Amanda. In realtà, è
l’ennesimo inganno del Dottor P. Roger
riesce ad arrivare in tempo sull’aereo, dove
cerca di spiegare la verità ad Amanda. Con
uno stratagemma svela l’inganno del Dottor P., riuscendo anche a dirle che la ama.
Passa del tempo e il Dottor P. chiede un
incontro con Roger che ormai è ufficial-
Tutti i film della stagione
mente il ragazzo di Amanda. Roger riceve
l’unico Diploma che sia mai stato rilasciato dalla scuola del Dottor P.
odd Phillips punta ancora una
volta sulla commedia. Basti citare suoi film precedenti come
Road Trip, Starsky & Hutch e la collaborazione per la stesura di Borat. Recentemente è uscito nelle sale anche Una notte da
leoni che ha ottenuto successo in Italia
grazie a un poderoso passaparola.
Con Scuola per canaglie, Phillips racconta l’ennesima storia sull’adolescente
goffo e impacciato e del suo riscatto finale. La sceneggiatura apporta un minimo
di intreccio in più rispetto a film precedenti
di questo sottogenere senza però veri
slanci innovativi. Non mancano neanche,
nei titoli di coda, piccoli corti che raccontano cosa è accaduto agli ex alunni del
Dottor P.
Ciò che realmente funziona sono i due
protagonisti: Billy Bob Thornton e Jon Heder.
Thornton può essere considerato a tutti
gli effetti un artista poliedrico. Vincitore di
un Oscar per la sceneggiatura di Lama
tagliente e candidato come attore non protagonista per Soldi sporchi, ha recitato in
T
film drammatici e commedie, fra cui spicca Babbo bastardo. Heder si sta invece
conquistando un podio accanto ad attori
come Will Ferrell e Ben Stiller, qui presente nei panni di Lonnie; attualmente più conosciuto in America che non in Italia, Heder calza alla perfezione i panni del timido
nerd. I due attori giocano fra loro con naturalezza, senza sbavature, creando una
nuova versione di una moderna strana
coppia; decisamente in parte, regalano
momenti di ilarità, che non riescono ugualmente a salvare la storia che inevitabilmente noiosa. Una storia che passa indenne,
che non coinvolge e si scorda facilmente
non appena finisce il film.
Un merito da riconoscere è la quasi
totale assenza di battute di cattivo gusto,
che generalmente impregna film di tale
genere.
Scuola per canaglie racchiude in diverse sequenze, parodie dedicate al genere
thriller con tanto di musica da suspense.
Una chicca per gli amanti del Dottor House, che nella parte finale vedranno una
scanzonatura al famoso telefilm; anche qui
con musica di accompagnamento decisamente parodistica.
Elena Mandolini
ANAMORPH
(Anamorph)
Stati Uniti, 2007
Regia: Henry Miller
Produzione: Marissa McMahon per Kamala Films
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: Henry Miller, Tom Phelan
Direttore della fotografia: Fred Murphy
Montaggio: Geraud Brisson
Musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek
Scenografia: Jackson De Govia
Costumi: Eric Daman
Produttore esecutivo: Campbell Miller
Coproduttore: Michael G. Gunther
Direttore di produzione: Sirad Balducci
Casting: Kerry Barden, Billy Hopkins, Paul Schnee, Suzanne
Smith
Aiuti regista: Carrie Fix, Kara Doherty, Lauren Guilmartin, David Blazina, Jason Fesel
Operatore: Bruce MacCallum
Operatori steadicam: Andrew Casey, Jeff Muhlstock
Art directors: Doug Huszti, Woods Mackintosh
Arredatore: Carrie Stewart
Trucco: Lynn Campbell
Acconciature: Milton Buras
Supervisore effetti speciali trucco: Jerry Costantine
Effetti speciali trucco: David Fidel, Mike Mulligan, Michael
Ostaszew, Noriko Sato, Tim Jarvis, Chris Kelly, Jimmy ‘Ramo-
ne’ Marino, Brian Abbott, Mike Antolino, Tony Antolino, Andrea Bergstol, John Maisano, Catherine Marino, Michael Marino, James Marino Sr., Sylvia Nava, Paul Sutt, Scott Wallace,
Diana Yun Soo Yoo
Coordinatore effetti speciali: Conrad V. Brink jr. (EFX Rentals)
Supervisore effetti visivi: Helena Packer (Whodoo EFX)
Interpreti: Willem Dafoe (Stan Aubray), Scott Speedman (Carl
Uffner), Don Harvey (Michael C.), James Rebhorn (capo
Lewellyn Brainard), Peter Stormare (Blair Collet), Amy Carlson (Alexandra Fredericks), Yul Vazquez (Jorge ‘George’
Ruiz), Clea DuVall (Sandy Strickland), Samantha MacIvor
(Crystal), Billy Wheelan (giovane uomo), Paz de la Huerta
(giovane donna), Desiree Casado (ragazza), Robert C. Kirk,
Robin Goldsmith (detective), Marcia Haufrecht (cameriera),
Monique Gabriela Curnen (studentessa), Paul Lazar (esaminatore medico), Lucy Martin (donna tesa), Mick Foley (proprietario negozio oggetti antichi), Sharrieff Pugh (tecnico
ECT), Ashley Springer (Jeff Samo), Deborah Harry (vicino),
Gary Ray (agente), Elizabeth West, Stephen Daniels (reporter), Edward Hibbert (proprietario galleria), Barbara Sicuranza
(tecnico forense), Tandy Cronyn (moderatore), Martin Pfefferkorn (membro AA), Amy Arison, Virginia Wing, Jordan
Charney
Durata: 107’
Metri: 2730
27
Film
l detective e criminologo Stan
Aubrey ha contribuito alla cattura di un pericoloso serial-killer
chiamato zio Eddie. L’assassino utilizzava
i corpi senza vita delle sue vittime per disporli come in dei quadri. Si serviva inoltre
di una tecnica anamorfica per fare in modo
che la visione prospettica della scena cambiasse a seconda da dove veniva guardata.
Cinque anni dopo, però, i delitti riprendono. Aubrey viene così richiamato alla sezione omicidi per indagare su di una nuova
ondata di omicidi che hanno forti analogie
con quelle precedenti. Stan non ha poi mai
superato lo choc di quelle visioni. Vive spesso appartato da solo, parla di rado con i
colleghi e, in particolare, con Carl, un poliziotto fresco di promozione. Nel corso di
una serata organizzata per festeggiare il collega, il detective se ne va all’improvviso rifiutandosi anche di rispondere alle domande di un’invadente giornalista.
Nel corso delle indagini, emergono dal
passato di Stan dei cupi fantasmi che lo
condizioneranno e creano un legame, tra
lui e l’assassino, tale che gli stessi poliziotti iniziano ad avere dei dubbi su di lui
e, soprattutto, che mettono in discussione
la sua reale identità.
Per cercare di arrivare a una soluzione, un giorno Stan rivede un suo collega
che aveva collaborato con lui per catturare
zio Eddie. Subito dopo viene inseguito da
una persona a piedi. Se ne accorge ed è lui
che cerca di afferrarlo ma senza successo.
Il suo amico verrà poi barbaramente ucciso e disposto anche lui come nella tela di
I
Tutti i film della stagione
un quadro. A questo punto tra Stan e il killer c’è una sfida a due. Dopo che Sandy,
una ragazza che era molto amica di una
ragazza uccisa dallo zio Eddie, è stata presa dal killer, Stan cerca di evitare un altro
omicidio. Verrà preso anche lui. In suo soccorso arriverà il collega Carl dopo che il
detective è stato colpito da un proiettile.
’esperimento può essere sicuramente interessante: un thriller/
horror che si basa su un gioco al
massacro tra detective e serial-killer privato di fisicità. In Anamorph infatti la forma
sembra prevalere nettamente sul contenuto. E ciò non è evidente soltanto nei precisi
riferimenti pittorici (Francis Bacon) e fotografici (Cartier-Bresson). L’azione aspira alla
stasi e l’inquadratura serve soprattutto per
fissarla e immortalarla. Ciò è evidente nel
modo in cui Miller mostra gli omicidi: con
una precisione geometrico-prospettica per
mettere in risalto, appunto, l’anamorfosi del
titolo e quindi, di conseguenza, l’importanza dell’angolazione soggettiva da cui un corpo/oggetto/scena, viene guardato.
A livello visivo, il film sembra voler azzerare il movimento. Forse è per questo
che anche quella sporca atmosfera notturna da noir è come congelata all’interno dell’immagine oppure lo stesso volto di Willem Dafoe (in realtà più imbambolato che
turbato) è come una proiezione del passato che cerca di riprendere provvisoriamente forma nel presente. A livello narrativo, la sua ossessione per un vecchio caso
del passato (gli omicidi dello zio Eddie)
L
rende labile l’elemento temporale e, nel
corso del film, contribuisce a far diventare
sempre più ambigua la personalità, l’identità del protagonista.
I dettagli clinici, la ritualità tra passato
e presente, la prevalenza del fattore concettuale fanno di Anamorph un’opera anche ambiziosa dal punto di vista teorico.
Se, ipoteticamente, si depurasse il film dal
genere cinematografico a cui fa riferimento e quindi si togliesse l’azione, resterebbero squarci di ‘cinema sperimentale’ che
potrebbe guardare al modello del ‘New
American Cinema’; oppure in maniera più
drastica si potrebbero guardare le inquadrature con gli omicidi come se fossero
delle videoinstallazioni. Da un punto di vista cinematografico poi, Anamorph può
essere in linea con operazioni come Seven e la saga di Saw – L’enigmista. Soltanto che al film di Miller manca completamente quel senso di isolamento dall’esterno che caratterizzava la potente opera di
David Fincher e, al tempo stesso, il film
vola più alto rispetto la meccanicità di Saw.
Ne viene così fuori uno strano ibrido, completamente intrappolato in un cinema
schiavo del proprio ridondante pensiero
che priva il film di ogni tensione. C’è solo
un momento incalzante e riguarda quello
del detective che insegue a piedi il serial
killer. Proprio un momento con un ritmo tipico del genere, da cui Anamorph si è però
voluto sempre, fin dall’inizio, allontanare
programmaticamente.
Simone Emiliani
BORDERLAND – LINEA DI CONFINE
(Borderland)
Stati Uniti/Messico, 2007
Regia: Zev Berman
Produzione: Randall Emmett, George Furla, Lauren Moews,
Elisa Salinas per Tonic Films/Emmett-Furla Films/Freedom
Films/Tau Productions/Worldwide Media Group
Distribuzione: Mediafilm
Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: Eric Poppen, Zev Berman
Direttore della fotografia: Scott Kevan
Montaggio: Eric Strand
Musiche: Andrés Levin
Scenografia: Tim Galvin
Costumi: Monica Araiz
Produttori esecutivi: Deborah Davis, Susan Jackson, Vance Owen, Keith Previte, Jeff Rice, M. Dal Walton III, Steve
Whitney
Direttori di produzione: Tania Araiz, Ernesto Garabito
Casting: Claudia Becker, Matthew Lessall, Efrain Lomeli, Lynn
Reinstein
Aiuti regista: Ricardo Del Rio, Renan Bendersky, Jose Jimenez
Operatore: Tristan Whitman
Arredatore: Pachilu Moreno
Supervisore trucco: Felipe Salazar
Effetti speciali trucco: Ozzy Alvarez, Caleb Schneider
Acconciature: Raul Covarrubias
Supervisore effetti speciali: Manuel Cordero
Supervisore musiche: Gene Alford
Interpreti: Brian Presley (Ed), Rider Strong (Phil), Jake Muxworthy (Henry), Beto Cuevas (Santillan), Martha Higareda
(Valeria), Sean Astin (Randall), Damián Alcázar (Ulises), Marco
Bacuzzi (Gustavo), Roberto Sosa (Luis), José María Yazpik
(Zoilo), Humberto Busto (Mario), Elizabeth Cervantes (Anna),
Francesca Guillén (Lupe), Alenka Rios (Amelia), Tomas Goros (capitano Ramirez), Eric Poppen, Daniel Herrera Arau (‘signori della droga’), Andrés Tagliavini, Fernando Felix, Nasser
Milanes, Joel Navarro, Zahida saucedo, Montserrat de León
(membri del culto), Mircea Monroe (Nancy), Maribel Alaniz
(stripper), Julian Bucio (uomo ubriaco allo strip club), Kate
Berman (infermiera ospedale), Kathryn Tamblyn (Courtney)
Durata: 105’
Metri: 2630
28
Film
ittà del Messico. Due poliziotti
stanno facendo irruzione in una
fattoria che sembra abbandonata. Lì, scoprono la presenza di resti umani.
All’improvviso, uno dei due viene però
catturato dagli adepti di una setta che cercano delle vittime da immolare e che gestisce anche un ingente traffico di droga.
Questi viene torturato prima di essere barbaramente ucciso, mentre, l’altro, Ulises,
viene legato e costretto a guardare.
Un anno dopo. Stati Uniti. Henry riesce
a convincere i suoi amici Ed e Phil a trascorrere qualche giornata di sballo oltre il
confine messicano. L’inizio del viaggio sembra andare bene. Henry è quello che sollecita frequentemente gli amici a godersi la vacanza e ad andare fuori di testa. Riesce a
conquistare Valeria, un’affascinante barista
di un locale di spogliarelliste, dopo averla
difesa da un tipo del locale. Phil invece si
innamora di una ragazza madre, prostituta.
Una giorno, dopo essersi fatti di funghetti
allucinogeni, trascorrono una serata al lunapark in compagnia di Valeria e di sua cugina
Lupe. Ed e Valeria, a un certo punto, si allontanano dagli altri e si baciano. Phil invece
decide di andarsene. Sulla strada, però, viene
rapito dai seguaci della setta e portato in una
fattoria isolata per essere utilizzato come prossima vittima del rito. Da quel posto, cercherà
di scappare, ma dopo pochi metri viene subito catturato. Perse le tracce dell’amico, Henry e Phil cercano di rintracciarlo. Vanno in
una stazione di polizia locale, ma col tempo si
accorgono che la collaborazione delle forze
dell’ordine è nulla. Ad aiutarli c’è solo Valeria e l’ex-poliziotto Ulises. Nel frattempo,
C
Tutti i film della stagione
Henry viene inseguito e assassinato dai membri della setta nei pressi dell’hotel, mentre Lupe
viene uccisa nel suo appartamento. A questo
punto, resta solo Ed che cerca di salvare l’amico. La sua missione fallisce e Phil muore dopo
il rito. Ulises, però, fa in tempo a sparare al
boss della setta prima di morire ed Ed e Valeria a far fuori molti seguaci del culto, prima
di essere arrestati e interrogati dalle autorità
statunitensi mentre attraversavano il Rio
Grande.
robabilmente la cifra stilistica di
Borderland è già nel prologo
dove viene mostrata la tortura e
poi l’uccisione di uno dei due poliziotti. La
dimensione oscura con derive proprie del
cinema horror porta il film dalle parti della
saga di Saw e dell’opprimente dimensione
claustrofobica di Captivity di Roland Joffé.
Da un punto di vista narrativo, invece, la vicenda dei tre amici che partono per una vacanza e poi precipitano in una sorta di incubo
senza uscita richiama invece il recente Turistas di John Stockwell e soprattutto i due Hostel diretti da Eli Roth. Rispetto a quest’ultimo
film, però, la componente dell’horror prevale
su quella del thriller. Berman da questo punto
di vista non risparmia nulla esibendo in pieno
tutti i dettagli dei riti sacrificali anche a costo
di perdere quota nella costruzione della tensione emotiva. Ciò è evidente in maniera più
frequente dal momento del rapimento di Phil,
nel quale la pellicola sembra anche ambire
alle zone dello snuff-movie, ma poi non riesce a sconfinarci pienamente. Oppure si vede
anche nel momento dell’uccisione di Henry e
nell’immagine di Lupe massacrata. Il proble-
P
ma grosso di Borderland è quella di non avere l’essenzialità di certo cinema horror, neanche quella sua dimensione artigianale. Ciò
può dipendere, in parte, dal fatto che il film è
ispirato a un fatto di cronaca relativo alla scomparsa di uno studente statunitense avvenuta
nel 1989 proprio in Messico, a Matamoros. Al
tempo stesso, però, lo sguardo di Berman –
al suo secondo lungometraggio dopo Biar
Patch, un dramma sentimentale realizzato nel
2003 – tende a manipolare visivamente gli
ambienti e a ridefinire le prospettive attraverso l’utilizzo di colori tra il giallo, l’arancione e
rossastro, che contribuisce a formare una visione come condizionata da una perenne allucinazione. L’elemento formale, benché ridondante, resta puro contorno. Tranne qualche lampo – Phil che cammina da solo in strada prima di essere sequestrato, il ragazzo ripreso con il lazo da un uomo a cavallo dopo
che ha cercato inutilmente di fuggire – Borderland accumula situazioni senza soluzione di continuità con accenni estremamente
superficiali sugli affari economici degli adepti
della setta (il mercato della droga) e che finisce di squagliarsi poi nel finale, con una resa
dei conti di sorprendente prevedibilità. Gli stessi attori (Brian Presley, Rider Strong, Jake Muxworthy) sono come elementi perfettamente
integrati (nei loro movimenti, nelle espressioni del viso) nelle forme del genere. Più caratteri fissi che personaggi, dunque. Solo Sean
Astin (già visto nella trilogia di Il Signore degli
Anelli) nei panni del carceriere statunitense
di Phil, prova a uscirne. Ma il suo ruolo dura
troppo poco.
Simone Emiliani
LA LEGGE DEL CRIMINE
(Le premier cercle)
Francia, 2009
Trucco: Serena Forgeas
Supervisori effetti visivi: Alain Carsoux, Joel Pinto
Coordinatori effetti visivi: Anais Bertrand, Chauvet Florian
Supervisore musiche: Elise Luguern
Interpreti: Jean Reno (Milo Malakian), Gaspard Ulliel (Anton
Malakian), Vahina Giocante (Elodie), Sami Bouajila (ispettore
Saunier), Philippe Leroy (Halami), Isaac Sharry (Rudy), Alberto Gimignani (Emilio), Eric Challier (Missak), Julian Negulesco
(Daniel), Franco Trevisi (Frank), Albert Goldberg (Bedik), Mirza
Halilovic (Levin), Vladimir Milivojevic (Aram), Nicolas Bridet
(Mirelli), Tony Gaultier (Coutard), Jean-Paul Zehnacker (Cazes),
Gisèle Casadeus (sig.ra Malakian), Yan Brian (borghese), JeanMichel Chapelain (tenente GIPN), Anton Yakovlev (conducente
Ferrari), Michel Ferracci (titolare night-club), Fabrice Bagni (responsabile sicurezza night-club), Kevork Alexanian (diacono),
Ruben Bakar (Ruben), Alain Zef (Rafi), Jeff Hatchikian
Durata: 95’
Metri: 2510
Regia: Laurent Tuel
Produzione: Christine Gozlan, Alain Terzian per Alter Films/
Thelma Films. In coproduzione con TF! Films Production/TF!
International/Medusa. Con la partecipazione di Canal+/CNC
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 31-7-2009; Milano 31-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Laurent Tuel, Laurent Turner,
Simon Moutaïrou
Scenografia: Carlos Conti
Direttore della fotografia: Laurent Machuel
Montaggio: Marion Monestier
Musiche: Alain Kremski
Costumi: Pascaline Chavanne
Produttore esecutivo: François-Xavier Decraene
Casting: Gérard Moulevrier
Aiuti regista; Aurore Coppa, Julien Decoin, Renaud Epelboin,
Adam Marchand
Art director: Stéphane Cressend
29
Film
ilo Malakian è il boss di una
“famiglia” di criminali. Il figlio
Anton vorrebbe iniziare una
vita al di fuori della cerchia malavitosa, spinto anche dall’amore che lo lega all’infermiera Elodie. Alle calcagna di Milo, c’è l’Ispettore Saunier pronto a vendicare la morte di
un caro amico e collega, ucciso durante l’ultimo scontro a fuoco contro i Malakian; in
quella stessa sparatoria, Milo ha perso un
figlio. Saunier cerca di mettere in guardia
Elodie circa gli oscuri affari di Milo e le chiede, per il bene di Anton, di diventare un’informatrice per la polizia. Rifiuta, non potendo tradire Anton. Milo scopre che il figlio
vorrebbe abbandonarlo, pensando che sia
proprio la relazione con Elodie la causa di
tale decisione, gli intima di interrompere il
rapporto. Inoltre Milo sta preparando, aiutato da soci fedeli, un colpo ultramilionario
con i soldi dei casinò e degli alberghi locali,
rubando tali soldi nel momento in cui vengono depositati su un aereo civile e quindi
privi di scorta. Quando Anton scopre che il
padre sta impedendo di potersi creare quella vita al di fuori della famiglia, abbandona
il colpo per rifugiarsi con Elodie, rimasta incinta, in un paese italiano. Milo incarica
Rudy, fidato compare di Anton, di uccidere
Elodie; nonostante i mille ripensamenti, alla
fine accetta. Anton lo scopre in tempo e lo
uccide sotto gli occhi della ragazza. Deciso
a staccarsi definitivamente dal padre, Anton
gli promette che parteciperà a quest’ultimo
M
Tutti i film della stagione
colpo, per poi farsi una sua vita lontano da
lui. Milo accetta. Saunier, avendo capito quale sarà la prossima meta dei Malakian, giunge in aeroporto, intercettando il gruppo di
Milo. Durante la sparatoria Anton, per difendere il padre, viene ferito da Saunier. Presi
i soldi, Milo e i suoi riescono a sfuggire alla
polizia. Anton muore fra le braccia del padre, chiedendogli di portarlo da Elodie. La
ragazza non vedrà mai più Anton. Sono passati nove mesi; è nato il bambino di Elodie e
Anton. Milo, come a volersi scusare del male
fatto, và in ospedale per vedere quell’unica
volta il nipote.
ecisamente un film al di sotto
della media. Peccato per Jean
Reno, che in passato aveva sostenuto ruoli con maggiore enfasi e, sicuramente, anche di maggiore rilievo. In La
legge del crimine, non riesce a reggere il
ruolo del padre-padrone, limitandosi a una
superficiale interpretazione. L’unico momento di maggiore enfasi si trova nello
sguardo finale che lancia a Elodie; per il
resto del film non sembra essere attraversato da nessuna emozione.
In egual misura, Gaspard Ulliel, qui interprete di Anton, non convince. Più preoccupato di mantenere un portamento da
bello e dannato, Ulliel non riesce a trasmettere enfasi e pathos, neanche nel momento
della sua morte. E pensare che prometteva decisamente bene. Basti pensare alla
D
sua interpretazione del giovane Hannibal
Lecter.
Il regista e sceneggiatore Laurent Tuel,
realizza una sceneggiatura scontata, praticamente priva di colpi di scena, che passa indenne senza lasciare traccia. Ogni avvenimento o accadimento viene già facilmente subodorato anche dallo spettatore
meno smaliziato. Una per tutte? Il prevedibilissimo attentato alla vita di Elodie.
Una regia a tratti molto semplice, intervallata da primi piani e ripetuti dettagli, riescono comunque a regalare quel senso di
ossessione che dovrebbe impregnare un film
di tale genere. La colonna sonora, realizzata da Alain Kremski, è essenzialmente composta da musiche per pianoforte; con note
reiterate all’infinito, contribuisce a enfatizzare quella sensazione di ossessione, ricercata dai già citati movimenti della cinepresa.
Un punto a favore dell’opera è sicuramente la fotografia di Laurent Machuel, che
riesce a esaltare con la giusta abilità i bei
paesaggi a sua disposizione. Buona l’idea
di enfatizzare la contrapposizione fra il mondo della purezza, Elodie, e quello del crimine, Anton, utilizzando differenti colori nei
costumi: Elodie veste sempre colori molto
chiari, mentre Anton è sempre vestito di nero.
Alla fine del film, dopo novantasei minuti di pellicola, viene da chiedersi: ma è
davvero tutto qui?
Elena Mandolini
QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
(36 vues du Pic Saint-Loup)
Francia/Italia, 2009
Direttori di produzione: Pierre Wallon, Anne Farrer
Aiuti regista: Shirel Amitay, Alice Di Giacomo
Trucco: Michel Vautier
Acconciature: Milou Sanner
Suono: Olivier Schwob
Interpreti: Sergio Castellitto (Vittorio), Jane Birkin (Kate), André
Marcon (Alexandre), Jacques Bonnaffé (Marlo), Julie-Marie
Parmentier (Clémence), Hélène de Vallombreuse (Margot),
Tintin Orsoni (Wilfrid), Vimala Pons (Barbara), Mikaël Gaspar
(Tom), Stéphane Laisné (Stéphane), Dominique D’Angelo
(Dom), Hélène de Bissy, Pierre Barayre (proprietari albergo),
Marie-Paule André (Estelle), Julie-Anne Roth (Xénie), Elodie
Mamou (Elodie), Laurent Lacotte (sig. Gaffe), Marie Vauzelle
(sig.ra Gaffe)
Durata: 84’
Metri: 2390
Regia: Jacques Rivette
Produzione: Martine Narignac, Maurice Tinchant per Pierre
Grise Production. In coproduzione con France 2 Cinéma/Cinemaundici/Rai Cinema/Alien Produzioni. Con la partecipazione di Canal+/FR2/CNC
Distribuzione: Bolero Film
Prima: (Roma 8-9-2009; Milano 8-9-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Jacques Rivette, Pascal Bonitzer, Christine Laurent, Shirel Amitay, Sergio Castellitto
Direttore della fotografia: Irina Lubtchansky
Montaggio: Nicole Lubtchansky
Musiche: Pierre Allio
Scenografia: Emmanuel de Chauvigny, Giuseppe Pirrotta
Costumi: Laurence Struz
Coproduttori: Roberto Cicutto, Luigi Musini
ate, amministratrice provvisoria
di un piccolo circo che opera nei
villaggi del Laguedoc, al sud della Francia, con la macchina in panne lungo
una strada di campagna, viene soccorsa da
Vittorio, un elegante e misterioso italiano, in
K
viaggio con la sua decappottabile da Milano a Barcellona. Vittorio è affascinato dalla
donna e dalla vita del circo, partecipando
nei giorni successivi a spettacoli e prove. In
particolare si diverte a un numero comico,
arrivando a proporre a uno dei clown,
30
Alexandre, delle variazioni e un arricchimento delle situazioni rappresentate. Le nuove
gag aumentano a dismisura il numero. La
malinconica Kate nasconde un dolore profondo, che ha occultato per quindici anni e
che l’ha portata ad abbandonare il circo, tra-
Film
sferendosi a Parigi come creatrice di moda.
Il mistero viene chiarito dalla nipote, la giovane ballerina Clémence, che racconta a Vittorio come Antonio, l’uomo amato da Kate,
sia morto durante un numero pericoloso,
stroncato da un colpo di frusta dopo aver
perso l’equilibrio per la rottura forse non accidentale dello schienale di una sedia. L’amore fra Kate e Antonio era avversato dal padre, Peter, che non aveva voluto interrompere la tournée. Solo alla morte del padre, Kate
aveva accettato di tornare a collaborare al
circo, sia pure provvisoriamente. Un suo ritorno alla boutique parigina viene interrotto
da Vittorio che si inventa un inesistente incendio del tendone. Vittorio si interessa sempre di più agli spettacoli del circo, finendo
con l’accettare di sostituire un clown malato
e immettendo nuovi elementi nel canovaccio.
Nel tentativo di liberare Kate dalla sua angoscia esistenziale, l’uomo le fa rivivere la
scena della morte di Antonio, facendole prendere il suo posto. Il colpo di frusta finale la
lascerà indenne, ma le provocherà uno shock
salutare. Forse riprenderà a vivere, mentre
Vittorio continuerà il suo viaggio e il suo movimento instancabile verso approdi ignoti.
’è una scena a mio avviso fondamentale per cogliere il meccanismo rappresentativo perseguito
da Rivette. Su una sorta di palcoscenico
naturale, un semplice gradone sulla piazza
del paese dove si è fermato il circo, due coppie, quattro personaggi, si attardano a discutere pianamente dei loro amori. Sullo sfondo si vede la facciata di un bar con i suoi
tavolini all’aperto. Alternativamente, la luce
data da lampade da scena teatrale illuminano il palcoscenico o lo sfondo, creando una
sorta di alternanza irreale fra luce e ombra,
verità e menzogna, realtà e illusione. Il tema
del film riguarda appunto l’emergere della
verità dei personaggi attraverso il gioco dello spettacolo e dell’improvvisazione. VittorioCastellitto è un poco un clown nella vita e
scopre il lato più profondo della propria condizione esistenziale (un atteggiamento di ricerca nel “movimento”) e il segreto di Kate
nel momento in cui accetta di mettersi in
scena, cioè di mettersi a nudo. Come in altri
film di Rivette gli eroi diventano se stessi attraverso le parole e i gesti di un altro personaggio. Come dice Alexandre, essere un
clown è solo “una questione di trucco”, ma
assumerlo significa correre il rischio della verità. Una battuta chiave, sin troppo programmatica, dice infatti: “La piccola pista è il luogo più pericoloso del mondo, dove tutto è
possibile, dove gli occhi si aprono...”. È sulla
pista, sottoponendosi al tragico numero della frusta che le ha ucciso l’uomo amato che
Kate si libererà della corazza di dolore, come
C
Tutti i film della stagione
le dice Vittorio: “Tutti i draghi della nostra vita
sono forse principesse sofferenti che chiedono di venire liberate”.
Come in molta parte del cinema di Rivette, anche qui lo spazio della rappresentazione è il luogo della finzione dichiarata,
distanziata, messa in questione, persino irrisa. Non a caso i “numeri” del circo (Alexandre insiste con Vittorio nel definirle “scene”)
sono ben povera cosa, persino puerili nella
loro denudata pochezza: due acrobati eseguono un paio di banali esercizi, un trapezista sostenuto a vista da pesanti fili di ferro si solleva ben poco da terra in goffe movenze, un giocoliere fa roteare nel buio tre
torce di fuoco... I personaggi recitano tutti
in modo “teatrale”, costretti a battute di dialogo talvolta letterarie e filosofeggianti, irri-
dendo alla stessa finzione. Fuori dello spazio della pista, i “numeri” acquistano talvolta una dimensione simbolica: si veda, in
particolare, l’esercizio sul filo di Kate, alla
ricerca di un equilibrio instabile fra natura
(la montagna e la foresta sullo sfondo) e
rappresentazione (il circo).
Il titolo italiano del film, nella sua didascalicità riduttiva è fuorviante rispetto al titolo originale, 36 Vues du pic Sain-Loup, che
suggeriva una dimensione straubiana alla
rappresentazione (la luce tersa del paesaggio, la presenza incombente del monte, una
sorta di divinità muta). Gli affanni degli umani vengono messi a confronto con la ieratica
immutabilità della natura, riflesso del divino.
Flavio Vergerio
LE COSE IN TE NASCOSTE
Italia, 2008
Regia: Vito Vinci
Produzione: Nicola Contarello per N.C. Produzioni
Distribuzione: A.B. Film Distributors
Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008)
Soggetto: Davide Pappalardo
Sceneggiatura: Vito Vinci, Davide Pappalardo
Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi
Montaggio: Francesca Bracci, Ilaria Fraioli
Musiche: Lisma Project
Scenografia: Marta Zani
Costumi: Caterina Nardi, Claudia Vaccaro
Organizzatore generale: Roberto Di Coste
Suono: Francesco Liotard
Interpreti: Lea Mornar (Chiara), Luigi Iacuzio (Fabrizio), Elena Bouryka (Ada), Giovanni Luca Izzo (Riccardo), Francesca De Sapio (barbona), Franco Trevisi (Alfredo)
Durata: 80’
Metri: 2200
31
Film
na densa voice over scandisce deliranti liriche sul senso della vita;
una giovane dall’aspetto sconvolto vaga mezza nuda per la città.
Fabrizio incontra Chiara e tra i due
subito s’innesca una cupa attrazione. Lui
è operaio in una tipografia: vita precaria
ma normale, una compagna, un figlio in
arrivo. Lei è instabile, lunatica, violenta
ed ermetica, fa la commessa in un negozio d’abbigliamento ma con due lauree in
tasca e una fatale irrequietezza nella testa. Fabrizio vive in parallelo l’amore tenero e affranto per Ada, la fragile compagna sconvolta da una gravidanza difficile, e la passione disordinata per Chiara, smaniosamente oscillante tra le braccia di altri uomini, le telefonate notturne
in cerca di sostegno e i cinici rabbiosi
progetti di rivincita. Fabrizio è a tal punto soggiogato dalla giovane amante che,
prossimo a perdere il posto di lavoro, si
lascia coinvolgere nel folle progetto di
rapinare una banca. Il terzo uomo è un’altra conquista notturna di Chiara; sarà lui
a procurare le armi necessarie per la realizzazione del piano. Il giorno della rapina i tre entrano, travestiti, nel centro
commerciale, poi si mettono in fila davanti
agli sportelli. Il colpo va a segno, ma uno
U
Tutti i film della stagione
dei tre resta morto a terra, insieme alla
guardia giurata. Chiara e Fabrizio si precipitano fuori dalla banca, tentando di
fuggire mescolati alla folla spaventata
dagli spari, ma le porte del grande magazzino sono state chiuse. I due sono intercettati dalle guardie mentre corrono
sui tetti. La ragazza fugge sola, Fabrizio e i due inseguitori sono colpiti e uccisi. Dopo aver lasciato il bottino nelle
mani d’un bambino incontrato sull’autobus, Chiara si trova in breve accerchiata dagli agenti in borghese con le armi
spianate. Un ultimo sparo a segno, un
altro agente a terra, poi anche Chiara
crolla ferita a morte.
e cose in te nascoste è il secondo
lungometraggio di finzione diretto
da Vito Vinci, musicista, attore, regista di cinema e di teatro, sceneggiatore,
nonché docente di molte di queste specialità.
Nonostante l’inquinamento di cospicue infiltrazioni d’una letterarietà e d’una
teatralità già in origine assai scadenti, il
film di Vinci tenta, accettando il rischio,
sentieri poco battuti dal cinema italiano
di questi anni. Mescolando il dramma sociale e il noir europeo con un po’ d’azio-
L
ne e il disturbato sguardo d’un’autorialità poco sorvegliata Vinci prova a raccontare sullo schermo frustrazione ed esasperazione d’un uomo e d’una donna già
sfioriti ma non ancora arresi all’orizzonte della vita adulta. Per scelta e per necessità Vinci sceglie un cast di professionisti non sconosciuti ma certo nemmeno “famosi” e li fa muovere in una
Roma sporca, grigia, opprimente, persino monotona, tanto brutta quanto inedita: da San Paolo all’Esquilino, dalla Garbatella a Piazza Vittorio, Vinci usa la città con discrezione, una volta tanto evitando compiaciuti totali da cartolina, ma
i ritagli della capitale che sceglie inquadrando – privi di forza e di organizzazione formale – sembrano troppo spesso
scampoli di risulta, sguardi confusi e distratti.
Con una narrazione ellittica che non
concede alcuna comodità allo spettatore Vinci riesce a portare fino in fondo un
film incompiuto e irrisolto, faticoso e arrancante, più vero nel ritrarre le rabbiose difficili tenerezze che nel dar corpo e
immagine alla disperazione urlata dall’inizio alla fine.
Silvio Grasselli
SEGNALI DAL FUTURO
(Knowing)
Stati Uniti/Gran Bretagna, 2009
Trucco e acconciature: Leslye Vanderwalt, Helen Magelaki
Supervisore effetti speciali: Angelo Sahin
Supervisori effetti visivi: Antoine Deschamps (BUF), James Rogers (Postmodern), Eric Durst, Andrew Jackson
Coordinatori effetti visivi: Daniela Giangrande, Debbie Steer (Animal Logic), Lucinda Glenn, John Ma
Interpreti: Nicolas Cage (John Koestler), Chandler Canterbury (Caleb Koestler), Rose Byrne (Diana), Lara Robinson
(Abby/Lucinda), D.G. Maloney (lo Straniero), Nadia Townsend (Grace), Alan Hopgood (reverendo Koestler), Adrienne Pickering (Allison), Joshua Long (Caleb da piccolo),
Danielle Carter (signorina Taylor nel 1959), Alethea McGrath
(signorina Taylor nel 2009), David Lennie (preside Clark nel
1959), Tamara Donnellan (madre di Lucinda), Travis Waite
(padre di Lucinda), Ben Mendelsohn (Phil Beckman), Gareth Yuen (Donald), Lesley Anne Mitchell (Stacey), Liam
Hemsworth ( Spencer), Raymond Thomas (insegnante ),
Carolyn Shakespeare-Allen (preside nel 2009), Jake Bradley (ragazzo), Rody Claude (guardia), Nathaniel Kiwi, Blair
Venn (medici), Alyssa McClelland (assistente di volo), Joseph Clements (agente FBI), Susan Miller (agente polizia),
Menik Gooneratne (donna con bambino), Marc Lawrence
(conducente treno), Terry Camilleri (cassiere), Erin Klein
(autista jeep)
Durata: 121’
Metri: 3280
Regia: Alex Proyas
Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, Alex Proyas, Steve Tisch per Summit Entertainment/Escape Artists/Goldcrest
Pictures/Kaplan-Perrone Entertainment/Wintergreen Productions. In associazione con Mystery Clock Cinema
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 4-9-2009; Milano 4-9-2009)
Soggetto: Ryne Douglas Pearson
Sceneggiatura: Ryne Douglas Pearson, Juliet Snowden, Stiles White
Direttore della fotografia: Simon Duggan
Montaggio: Richard Learoyd
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Steven Jones-Evans
Costumi: Terry Ryan
Produttori esecutivi: David Alper, David J. Bloomfield, Topher
Dow, Norman Golightly, Stephen Jones
Coproduttore: Ryne Douglas Pearson
Direttore di produzione: Jennifer Cornwell
Casting: Gregory Apps
Aiuti regista: Steve E. Andrews, Johnny Pacialeo, Kate North
Ash, Betty Fotofili
Operatori: Peter McCaffrey, Bruce Phillips
Art director: Sam Lennox
Arredatore: Nicki Gardiner
32
Film
iamo nel 1959. In occasione di
una cerimonia per una scuola
elementare, un’insegnante chiede alla propria classe di disegnare come
si immaginano il futuro del mondo. Tutti
questi disegni verranno poi inseriti in una
capsula del tempo, che verrà riaperta 50
anni dopo da una futura classe della stessa scuola. Lucinda riempie interamente
il suo foglio con una serie apparentemente
casuale di numeri come se fosse in trance. Durante la cerimonia, la bambina
scompare; viene ritrovata dall’insegnante in uno stanzino, dove, graffiando con
le unghie il legno della porta, ha terminato la sequenza. Lucinda le chiede di far
smettere di sussurrare le voci che sente
nella testa.
Ora siamo nel 2009. Viene riaperta la
capsula. Ogni disegno viene assegnato a
un bambino per un compito successivo. Il
messaggio cifrato di Lucinda capita a Caleb Koestler, bambino con leggeri problemi uditivi. Il padre di Caleb, il professore
di astrofisica John Koestler, è uno degli
eminenti professori del MIT. Ancora sconvolto per la perdita della moglie, morta
durante un incendio in un albergo, si mette
per caso a decifrare i numeri. Scopre così
che il messaggio contiene le date ed il
numero delle vittime di tutti i più grandi
disastri dell’umanità degli ultimi 50
anni, compreso quello in cui morì la
moglie. John, assieme all’amico e collega Phil scopre, inoltre, che tre catastrofi
devono ancora verificarsi; Phil gli fa
notare che alcuni numeri interni al codice sembrano apparentemente privi di
significato. Intanto Caleb viene pedinato da strani uomini, che, ogni volta, gli
regalano un sasso da conservare; Caleb,
prima che questi uomini arrivino sente
degli strani suoni. Sempre casualmente,
John scopre che quei numeri sono in realtà le coordinate esatte dei luoghi dei
disastri; casualmente si ritrova di fronte
al primo: un aereo che si schianta su di
una fila di macchine. Impotente, cerca
comunque di aiutare i superstiti. La notte
successiva, uno degli uomini mostra in
sogno a Caleb un immenso incendio che
devasterà la Terra.
John, tramite la vecchia insegnante che
le racconta l’episodio dello stanzino, trova Diana e Abby Wayland, rispettivamente figlia e nipote di Lucinda, a cui tenta di
chiedere aiuto inutilmente: Diana credeva
che la madre fosse solo una pazza che aveva persino predetto la data della sua morte. Caleb e Abby entrano subito in sintonia.
John decide di andare a New York,
luogo del secondo disastro: un incidente
S
Tutti i film della stagione
nella metropolitana, che non riesce a
sventare. Diana e Abby raggiungono la
casa di John; anche lei ora gli crede.
Decidono di andare a casa di Lucinda,
dove trovano diversi sassi, uguali a quelli donati a Caleb. Gli Uomini giungono
dai bambini, rimasti soli in macchina, dicendo loro che sono liberi di seguirli non
appena decidano di farlo. John e Diana
capiscono che l’ultima data del codice
altro non è che la fine del mondo. Infatti,
sta per verificarsi un’anomalia nei raggi
solari, studiata mesi prima da John stesso in una pubblicazione di successo, che
porterà a un’immensa gettata di fuoco
sulla Terra; mortale per ogni essere vivente. I quattro decidono di provare a salvarsi nascondendosi in alcune grotte;
John tenta di convincere il padre, con cui
non parla da anni, la madre e la sorella a
fare altrettanto, ma inutilmente. Con
l’ultima illuminazione capisce di dover
tornare alla scuola e scoprire le ultime
cifre nascoste nella porta dello stanzino.
Diana, credendolo pazzo, porta via i bambini, con l’ultimo disperato tentativo di
seguirli, muore in un incidente d’auto davanti agli occhi di John che è riuscito a
raggiungerla. John ritorna davanti alla
casa di Lucinda; dietro vi è un bosco le
cui coordinate si trovavano sulla porta.
Gli Uomini altro non sono che alieni venuti per salvare dal disastro solo determinate persone. In questa navicella, devono partire Caleb ed Abby. Comprendendo, John lascia andare suo figlio. La navicella parte e con lei se ne vedono altre
che si staccano in diversi punti della Terra. John raggiunge la sua famiglia. In un
abbraccio riconciliatore muoiono tutti e
quattro.
In un pianeta lontano Caleb ed Abby
sono i nuovi Adamo ed Eva che corrono
verso l’Albero della Conoscenza.
n film non facile da decifrare, tanto quanto il suo codice, perché
sarebbe altrettanto facile etichettarlo come un film di genere riuscito solo
in parte. Un’opera suddivisibile in due unità. Si inizia come il classico film sulla fine
del mondo, con catastrofi al seguito, in cui
il protagonista inizialmente non viene creduto da nessuno. Poi, prove alla mano,
porta chi gli è vicino a non dubitare più delle
proprie teorie. In quell’istante, però, cambia qualcosa. Entrano in gioco alieni e persino un’interpretazione personale del regista su chi in realtà sia Dio e sui misteri
della Creazione.
Indubbiamente, un finale con tale rivelazione riesce inevitabilmente a colpire.
U
33
La sequela di film che stanno uscendo sulla fine del mondo e i numeri al botteghino sono una conferma di quanto tali
storie stiano appassionando il pubblico.
Senza dimenticare di annoverare, altro
punto su cui il film fa perno per emozionare, queste entità aliene che vengono
in soccorso dell’uomo. Quanto si sente il
bisogno di credere in qualcosa di superiore che possa salvarci e darci un’altra
possibilità di redenzione? Cos’altro, allora, può essere meglio di un nuovo Eden
e di una nuova coppia di progenitori universali?
Questo è quello che il regista Alex Proyas vuole raccontarci. Lui che già aveva
colpito il pubblico con le due opere visionarie, Dark City e Il Corvo, rimasto negli
annali anche grazie alla tragica morte di
Brandon Lee durante le riprese, per poi
deviare nel fantascientifico Io, robot. Un
regista cupo, che riesce a mescolare sapientemente romanticismo a una giusta
dose di incombente e inevitabile destino,
in base alla storia che decide di raccontarci. Abbandonate le atmosfere dark dei
primi due lavori, decide di portare quell’oscurità all’interno dell’uomo stesso. L’inquietante Lucinda, il senso di impotenza,
la tragicità dell’umanità prendono sempre
più spazio man mano che John compie il
suo percorso. Un cammino già di per sé
segnato dal dolore per la perdita della
moglie, che, in verità, ricalca il personaggio di Mel Gibson in Signs e che prosegue
col tentativo di redenzione, impregnato dal
senso di impotenza per non aver potuto
far nulla per salvarla.
Una sceneggiatura costruita come una
sapiente caccia al tesoro, i cui passaggi a
volte risultano già comprensibili prima ancora che John faccia il passo successivo.
Niente dialoghi folgoranti, niente di nuovo,
ma almeno ha il merito di non utilizzare le
solite banalità sull’umanità e sul perché
dovrebbe essere salvata, come accade nel
remake di Ultimatum alla Terra. Che gli
Uomini siano alieni si subodora dal momento in cui ne appare uno in sogno a
Caleb; intuizione aiutata dall’utilizzo della
fotografia nel corso della scena, che ne ricalca una di Incontri ravvicinati del terzo
tipo. Almeno il colpo di scena finale lascia
una sensazione di dolceamaro che un film
di tale genere dovrebbe donare.
Le sequenze delle catastrofi sono ben
realizzate, sia come costruzione di immagini sia come effetti speciali: niente musiche drammatiche di sottofondo, solo i puri
rumori di esplosioni, urla strazianti e sfrigolii dei metalli.
Elena Mandolini
Film
Tutti i film della stagione
JUST FRIENDS – SOLO AMICI
(Just Friends)
Stati Uniti/Canada/Germania, 2005
Acconciature: Angelina P. Cameron, Nina McArthur, Tinka
White
Effetti speciali trucco: Bill Terezakis
Effetti trucco: Patricia Murray
Supervisore effetti speciali: James Krozier
Coordinatore effetti speciali: Tim Storvick
Coordinatore effetti visivi: Ann-Marie Blommaert
Supervisore musiche: Patrick Houlihan
Interpreti: Ryan Reynolds (Chris Brander), Amy Smart (Jamie Palamino), Anna Faris (Samantha James), Chris Klein
(Dusty Dinkleman), Chris Marquette (Mike Brander), Giacomo Beltrami (Mike Brander giovane), Fred Ewanuick (Clark),
Amy Matysio (Darla), Julie Hagerty (Carol Brander), Wendy
Anderson (sig.ra Palamino), Barry Flatman (sig. Palamino),
Devyn Burant (Brett), Jaden Ryan (Joey), Annie Brebner (Sarah), Mike O’Brien (padre), Ty Olsson (Tim), Todd Lewis (Kyle),
Stephen Root (KC), Robin Dunne (Ray), Trenna Keating (Nancy), Sharon Bakker (Rhonda), Maria Arcé (Athena), Jillian
Walchuck (Mandy), Ashley Scott (Janice), Jody Peters (pilota), Simon Chin (ingegnere del suono), Dayna Devon (ospite
show tv), Michael Ansah (Wafoofi), Skye Brandon (Toady),
Sally Crooks (Granny Palamino), Mike Simpson (prete), Lorelei Gibson (Sheila)
Durata: 96’
Metri: 2400
Regia: Roger Kumble
Produzione: Chris Bender, Bill Johnson, Michael Ohoven, J.C.
Spink, William Vince per Inferno Distribution/Cinerenta/BenderSpink/Cinezeta/Just Friends Productions. In associazione
con Infinity Media
Distribuzione: CDI
Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Adam ‘Tex’ Davis
Direttore della fotografia: Anthony B. Richmond
Montaggio: Jeff Freeman
Musiche: Jeff Cardoni
Scenografia: Robb Wilson King
Costumi: Alexandra Welker
Produttori esecutivi: Cale Boyter, Richard Brener, Toby
Emmerich, Marco Mehlitz, Jim Seibel
Produttore associato: Magnus Kim
Coproduttore: Jake Weiner
Direttori di produzione: Brendan Ferguson, Jay Sedrish
Casting: Rick Montgomery
Aiuti regista: Jim Brebner, James Bitonti, Michael Pohorly,
Ruby Stillwater, Jayden Soroka
Operatori: Roger Finlay, Candide Franklyn
Arredatore: Christina Kuhnigk
Coordinatore trucco: Maureen Terezakis
Trucco: Stan Edmonds, Jennifer Forberg, Jennifer Davis
el 1995 Chris Brander è un liceale parecchio imbranato e
piuttosto grassoccio, che ama
senza essere corrisposto la bella, bionda,
simpatica (e longilinea) coetanea Jamie
Palamino, che ovviamente lo considera il
proprio migliore amico e mai potrebbe
immaginare i delicati sentimenti che da
sempre lui nutre per lei. Dopo la consegna
dei diplomi, durante una chiassosa festa a
casa di lei, Chris decide di dichiararsi con
una timida dedica sull’annuario scolastico, che però finisce nelle mani sbagliate e
viene dunque declamata a tutti i partecipanti alla festa, compresa Jamie. Vittima
di prese in giro a non finire, al poverino
arriva anche il colpo di grazia della fanciulla, che gli comunica sorridendo che per
lei è come un fratello.
Dieci anni dopo, abbandonato il paesino del New Jersey teatro di tanta amarezza ed eliminati l’apparecchio ortodontico, i chili di troppo e l’insicurezza, Chris
è un giovane aitante e di gran successo,
che a Los Angeles lavora come produttore
musicale. Fedele al principio di non arrivare mai come una donna nella “zona
amici”, il neo-fusto colleziona ammiratrici e avventure e non si impegna mai. Purtroppo per lui, gli tocca mettere sotto contratto l’eccentrica – e molto instabile, se
non folle - pop star Samantha James, nota
N
principalmente per le sue foto delicatamente osé e con la quale in passato forse c’è
stato del tenero, ma soprattutto assolutamente incapace di cantare in maniera intonata. La viziata fanciulla compone da
sola le proprie atroci canzoni, traendo ispirazione dalla realtà che la circonda e l’idea
di passare del tempo col bel Chris la rende felicissima; lui, ovviamente, fa buon viso
a cattiva sorte e vorrebbe sempre essere
altrove.
Durante il volo che dovrebbe portarli
a Parigi per pseudo-motivi di lavoro, Samantha provoca un incidente all’aereo (fa
esplodere un forno a microonde) e i due
sono costretti a un atterraggio d’emergenza non troppo lontano dal paesello natio
di lui. Chris riluttante propone di trascorrere una notte a casa della mamma per poi
ripartire l’indomani. Una innocua puntatina di Chris e Samantha al pub lascia stupefatti gli amici d’infanzia di lui, che stentano a riconoscere in quel bellissimo giovane il pingue liceale che fu. Anche Jamie,
che studia per diventare insegnante e arrotonda mescendo birra al bancone, è piacevolmente colpita, e un po’ imbarazzata:
“Finalmente riesco ad abbracciarti tutto”,
gli dice radiosa.
Ovviamente la partenza viene rimandata da Chris, che organizza improbabili
impegni lavorativi nei centri commerciali
34
della zona per l’ingenua Samantha – opportunamente affidata al fratello minore e trama per aggiungere la bella Jamie nel
carniere delle conquiste da una notte. Tuttavia, qualcosa va sempre storto; lui sembra trasformarsi nell’imbranato di dieci
anni prima e trova un rivale nell’autista
d’ambulanze un po’ piacione Dusty Dinkleman, un tempo insulso strimpellatore di
canzoni d’amore per Jamie, che non l’aveva mai considerato in passato ma che ora
parrebbe interessata. Con i suoi modi di
fare cordiali e alla mano Dusty conquista
l’intera, numerosissima, famiglia di lei, è
amato dai bambini e non perde occasione
di far fare a Chris la figura del cretino.
Addirittura, dopo averlo soccorso durante un’innocua partita a hockey su ghiaccio con dei ragazzini, lo fa cadere dalla
barella a faccia in giù nella neve, costringendolo a un temporaneo apparecchio ortodontico per rimettere in sesto il sorriso.
Quando, per caso, Chris scopre le reali,
poco serie, intenzioni di Dusty nei confronti
di Jamie, prova a mettere in guardia la
ragazza, che però non gli crede e i due finiscono per litigare. A ciò va aggiunto che
la sempre più instabile Samantha si comporta con Chris come se fosse il suo fidanzato, allontanando ogni speranza di una
riconciliazione tra i due (ormai ex) amici.
Come previsto, Dusty si rivela per quel che
Film
è anche agli occhi di Jamie, che lo liquida
con il solito “sei un bravo ragazzo, ma non
provo nulla per te”, ma non per questo
cambia opinione sull’amico ritrovato.
Chris riparte per Los Angeles con la
consapevolezza di non aver mai smesso di
amare Jamie. Quello che non può sapere è
che a lei questa nuova attraente versione
dell’amico piace molto, al punto da essere
rimasta molto delusa dall’aver trascorso
un’intera notte con lui nello stesso letto,
come ai tempi della scuola, e di aver solo
dormito.
In ogni caso, Chris ci ripensa, torna
indietro al paesello e nonostante le reazioni
furibonde della recalcitrante fanciulla, le
fa una dichiarazione d’amore in piena regola e, finalmente, i due iniziano una nuova e sfavillante vita insieme, come una coppia di innamorati.
uriosa, ma non originale, variazione sul tema del brutto anatroccolo, Just Friends – Solo amici
ha il grande pregio di non prendersi mai
sul serio, e l’altrettanto grande difetto di
raccontare una storia pressoché inutile.
Nulla di grave, per carità: il regista ci ha
abituato a prodotti ben peggiori, quali la
doppietta di insulsi Cruel Intentions (1999)
e Cruel Intentions 2 (2000), il demenziale
La cosa più dolce (2003) e il vacuo In viaggio per il college, distribuito nei cinema italiani la scorsa estate ma più recente di tre
anni rispetto a Just Friends, realizzato nel
lontano 2005. Con i primi caldi, come da
tradizione, si svuotano i magazzini dalle
giacenze d’annata.
Il film è una commedia romantica e
abbastanza simpatica, recitata con una
certa cura – tutti gli attori portano a casa
un compitino ben fatto, senza particolari
vette di eccellenza – e sa strappare qualche risata di pancia; non è esente da qualche volgarità, ma, per fortuna, ci si ferma
sempre un attimo prima di superare la soglia della decenza. Tuttavia si regge su una
trama esilissima e questo inficia gran parte del risultato, senza contare l’ombra incombente del déjà vu, che si insinua ricordando qua e là i fratelli Farrelly di Tutti pazzi
per Mary e tanti altri blockbuster stelle e
strisce. Ma, forse, il problema è un altro.
Se lui è poco attraente e lei molto carina,
le possibilità che lei lo ami per quel che è
si riducono a zero, avvertono Kumble e l’insospettabile sceneggiatore Adam ‘Tex’
Davis (due anni dopo autore di Gardener
of Eden), che implicitamente suggeriscono al proprio pubblico di curarsi di più e
diventare belli (se diventi bello ti sposo?),
sì da coronare il sogno d’amore. Ipotesi
che qualcuno forse troverà interessante,
C
Tutti i film della stagione
nella sua indubbia immoralità (per tacere
della debolezza narrativa).
Peccato, comunque la si pensi, aver
puntato tutto sulla romantica storia d’amore, perché le potenzialità di Just Friends
risiedono davvero altrove, ovvero nella sua
spiccata demenzialità. E i protagonisti di
questo film parallelo non sono affatto la
provinciale (e calcolatrice, diciamolo) Jamie e la versione riveduta e corretta di
Chris, bensì la futile Samantha, interpretata dalla sempre scoppiettante Anna Faris, e il lato “oscuro” del bel Chris, un ottimo Ryan Reynolds che non deve necessariamente imbruttirsi per dimostrare il proprio talento. La prima è un incrocio ben riuscito tra la platinata ereditiera Paris Hilton
e la più svagata delle Britney Spears: ogni
sua delirante apparizione lascia il segno,
impone il ritmo giusto alla scena e permette di virare nelle acque tranquille di una
comicità tutta fisica, libera da vincolanti –
e fuori luogo - elucubrazioni moraliste.
Quanto al cinico Chris, è interessante scoprire come dietro le apparenze da giovane uomo realizzato, bello, sportivo e sicuro di sé, si nasconda l’ex ciccione un po’
tonto che fu, che da dieci anni scalpita per
tornare alla luce. La permanenza nei luoghi che l’hanno visto crescere sono certamente l’occasione giusta per un tuffo nel
passato e, ancor più sorprendente, è la sua
regressione, che prende il via azzuffandosi col fratello minore come se avesse ancora quindici anni, e finisce con l’indossa-
re addirittura l’apparecchio smesso da almeno un decennio. Il background da cui
proviene Chris, d’altronde, è squisitamente provinciale, con quel paesello che assomiglia al villaggio di Babbo Natale e una
famiglia d’origine che non brilla certo per
acume: la mamma ha il quoziente intellettivo di una ottenne e non perde occasione
di dimostrarlo, con battute fuori luogo e la
prontezza di riflessi mentali di una foglia
di basilico. Con il trascorrere dei giorni,
Chris rivela lo sconcertante vuoto della
propria esistenza, fatta di gesti affettati,
falsi sorrisi e una dieta di mantenimento
che non ammette errori: non male, per una
persona che ha fatto del desiderio di riscossa una (l’unica) ragione di vita.
Ma il meglio, come spesso accade,
arriva alla fine. Scavalcati il melenso finale e il brutto finalissimo, con l’inutile sketch
dei tre bimbi alla finestra, ecco il ritorno in
gran carriera del “vero” Chris, che con tutti
i suoi chili in eccesso, le mossettine idiote
e lo sguardo fiero, canta in playback, protetto dalla sua stanzetta da adolescente,
la sdolcinata I Swear degli All 4 One (fingendo perfino di suonare il sassofono),
subito seguito dall’esecuzione di Samantha del suo brano Forgiveness –, con cui
ha tediato per l’intero film. Come dire che
la bella Jamie si è innamorata del bel Chris,
ma, in fin dei conti, per dirla come Carla
Signoris, ha sposato un deficiente.
Manuela Pinetti
GIULIA NON ESCE LA SERA
Italia, 2009
Regia: Giuseppe Piccioni
Produzione: Lionello Cerri per Rai Cinema/Lumière & Co.
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 27-2-2009; Milano 27-2-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Federica Pontremoli
Direttore della fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Francesco Bianconi, Baustelle
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Maria Rita Barbera
Organizzazione generale: Massimo Di Rocco, Luigi Napoleone, Beatrice Biggi
Casting: Fabiola Banzi
Aiuti regista: Sophie Chiarello, Chiara Polizzi
Suono: Remo Ugolinelli, Alessandro Palmerini
Interpreti: Valerio Mastandrea (Guido Montani), Valeria Golino (Giulia), Sonia Bergamasco (Benedetta Montani), Domiziana Cardinali (Costanza Montani), Jacopo Domenicucci (Filippo), Jacopo Bicocchi (Enrico Giussi), Sara Tosti (Sofia), Chiara Nicola
(Viola), Fabio Camilli (Eugenio), Sasa Vulicevic (Padre Rosario), Paolo Sassanelli (Bruno), Lidia Vitale (agente), Antonia Liskova (Eva), Piera Degli Esposti (Attilia)
Durata: 105’
Metri: 2810
35
Film
uido è uno scrittore appena fresco di nomination alla cinquina
di un prestigioso premio letterario. Ma a questa importante tappa della
sua carriera letteraria fanno riscontro gli
inequivocabili sintomi di una crisi creativa: Guido non riesce più a scrivere, i personaggi dei suoi racconti girano a vuoto e
non sembrano ottenere grande riscontro.
neanche presso la sua agente e la sua famiglia: Benedetta, moglie con la quale il
rapporto non sembra più offrire nuovi slanci – e la donna si illude che ristrutturare
la casa nuova possa rappresentare un nuovo inizio-, e Costanza, la figlia adolescente e rotondetta, costretta ad andare in piscina dai genitori controvoglia. Un giorno, è proprio Costanza a confessarlo a
Guido: ne ha parlato con l’istruttrice, che
notando la riluttanza della bambina ha
concluso che è il padre – che non sa nuotare – a voler andare in piscina, e non lei.
Guido divide, dunque, le sue giornate tra
la promozione del proprio libro – in verità,
tutti coloro che lo hanno letto, pur lodandolo, ammettono di non averlo mai finito –, e le
giornate in piscina sotto gli occhi dell’istruttrice Giulia, donna taciturna e dai metodi
spicci che, poco a poco, si fa entrare in simpatia Guido per la sua goffaggine. I due cominciano a parlare di sé, ma sempre fino a
un certo punto: Giulia mantiene una certa
reticenza, insiste a dirgli che non può uscire
con lui la sera, e cambia discorso. Un giorno cede: è detenuta, ha la semilibertà grazie
alla quale lavora in piscina ma deve ancora
scontare sette anni di reclusione per aver
ucciso un uomo, il suo amante, colpevole di
averla voluta lasciare. Guido la riaccompagna in carcere: Giulia gli mostra il bar del
marito, la figlia che non ha mai più voluto
vederla. Riaccompagnata al carcere, Guido
G
Tutti i film della stagione
vorrebbe baciare Giulia, ma la donna lo respinge ed esce dalla macchina. Guido non si
dà per vinto e riesce a portarla con sé prima
a pranzo da lui, poi al mare. La diffidenza di
lei è sempre palese, ma lui cerca di rassicurarla come può: anche se non riesce a fare
50 vasche in piscina resta sempre a galla ed
è quello che a lui importa, perché lei potrà
sempre appoggiarsi a lui.
Costanza, nel frattempo, ha problemi
col boy-friend Filippo, ragazzetto occhialuto e intellettuale con cui Guido ha raggiunto una veloce intesa; anche con Benedetta i nodi cominciano a venire al pettine. La donna non riesce a convincere Guido a raggiungerla nella nuova casa, salvo
una notte in cui dei ladri si sono introdotti
e hanno rubato delle cose. Quella notte,
Benedetta si sfoga con lui, accusandolo di
non provare più attrazione sessuale per lei.
Guido è sempre più attirato, ricambiato, da Giulia: i due fanno l’amore nella
casa ormai vuota di lui.
Durante l’ultima conferenza stampa
del concorso letterario, lei lo raggiunge e
lo affronta stizzita: Guido, senza dirle niente, ha contattato la figlia spacciandosi per
lei e le ha chiesto un appuntamento. La
ragazza ha risposto di sì e lei ora non sa
cosa fare. Guido si offre di accompagnarla, nonostante le pressioni dell’agente a
rimanere per un’intervista esclusiva.
Al bar, Giulia incontra prima il marito,
che le chiede di lei, poi la figlia. Non è l’incontro che Giulia si aspettava: la ragazza
mostra apertamente il suo disprezzo, dice di
avere accettato solo per il padre che è ancora innamorato di lei. Le intima di lasciarli in
pace e se ne va. Guido, che si era allontanato per tornare in sala conferenze, arriva tardi: il giornalista è andato via. Tornato sui
suoi passi, non trova più nemmeno Giulia.
36
La donna sembra sparita: in piscina non
c’è. La polizia la cerca. Guido se la ritrova
sotto casa. Dapprima, la donna finge che
tutto sia andato liscio, poi crolla: la figlia
la odia e non sa più come andare avanti.
Passa la notte con lui e la mattina dopo si
ripresenta al carcere, ma già pochi metri
dentro comincia a dare in escandescenze.
Qualcosa in lei sembra essersi rotto.
Guido non riesce più a vederla: né in
piscina né in carcere per un colloquio, Giulia non dà il proprio permesso alla visita.
Scoprirà presto, dalle chiacchiere dei clienti
della piscina, che si è tolta la vita. Non ha
retto al peso. Guido riuscirà a recuperare i
suoi effetti personali: fra le altre cose c’è
un diario, proprio come quello che Guido
ha incominciato a scrivere da piccolo e che
ha rappresentato il suo vero “esordio” letterario. Nel diario Giulia parla di sé e di
lui, dalla propria prospettiva: ne vede i pregi
e i difetti, descrive i suoi pedinamenti continui, capisce che non ha un futuro con lui.
Un Guido cambiato raggiunge – senza
Benedetta ma con la figlia Costanza – la
sede della finale del premio letterario: fra
cene fastose e ospiti anziani e melliflui,
Guido assiste indifferente alla propria
sconfitta e finisce in giardino a mangiare
pasticcini con Costanza.
erché continuare a lamentarsi del
cinema italiano e dei propri congeniti, inguaribili difetti, se poi ci
ritroviamo (pressoché) unanimi – noi e solo
noi, chè all’estero ben poco sanno del cinema italiano – al plauso unanime per prodotti
come Giulia non esce la sera? È ormai evidente che la distanza tra i cineasti italiani e
la vita quotidiana è pressoché incolmabile.
Viene da pensare che questi autori non vadano mai a fare la spesa, non siano mai colpiti da una disgrazia comune come un mal
di denti (diversamente, vedremmo una
VERA sala d’aspetto anziché un antro livido
e quasi espressionista), vivano costantemente protetti da una intellettualistica campana di vetro che li protegge e allo stesso
tempo li eleva una spanna sopra il resto del
mondo. Che però è quello che paga il biglietto. Tutte cose che Dino Risi già sottolineava con una sola battuta di Gassman in Il
sorpasso, per dire quanto il problema sia
recente. Eppure continuiamo a farci del male,
con Piccioni e tanti altri senatori del nostro
cinema che continuano a girare film senza
farsi (loro che potrebbero) testimoni delle
nuove generazioni o dell’epoca malata e statica in cui viviamo, ma solo autoreferenziali
narratori di se stessi. Che è poi la regola numero 1, in qualsiasi corso di scrittura creativa, che ti esortano a rispettare: a ben pochi
importa della tua vita. Probabilmente Piccioni
P
Film
e la sceneggiatrice Federica Pontremoli, fieri
di poter fare cinema in un paese dove basta
avere un prodotto finito per consacrare uno
status di autore, non la pensano così: distinguersi dalla massa anziché comprenderla e
alzare il tiro delle proprie ambizioni in chiave
intellettualistica ed elitaria dev’essere la cosa
più importante. Dopotutto c’è sempre l’arma
della qualità da poter impugnare: ma che
strano, quando la somma degli addendi qualitativamente migliori (la fotografia di Luca
Bigazzi, le musiche dei trendyssimi Baustelle, le scenografie di Giada Calabria) dà un
prodotto freddo e distante.
A mancare in Giulia non esce la sera è
l’anima e, soprattutto, la fantasia. Il nuovo che
non avanza, e non si vede nemmeno col
cannocchiale. Sul piano della narrazione
assistiamo a scene deboli, problemi già visti, svolte narrative prevedibili. Il protagoni-
Tutti i film della stagione
sta Guido, felliniano sin dal nome proprio, si
perde in fantasie trite e ritrite, con tanto di
personaggi in cerca d’autore che si materializzano alle sue spalle; una vera novità, come
la sua crisi creativa e sentimentale. (Il mondo, nel frattempo, è fuori a prendersi un caffè in attesa che qualcuno parli di problemi
più ampi, magari anche solo condivisibili).
L’attore che lo interpreta, Valerio Mastandrea,
è un interprete di gran talento ma nettamente inadatto per raffigurare una sofferenza interiore debitrice a certo cinema francese che,
tanto ammirato quanto criticato, va saputo
comunque fare. La Golino regala un ritratto
di donna sofferto e partecipe, ma la cornice
che ne racchiude l’interpretazione è vecchiotta e non coinvolge; mostrano ulteriormente
la corda i personaggi di contorno, troppo “studiati” per essere veri.
L’errore, tipico di certo cinema come di
certa altra ideologia (non a caso in preoccupante via d’estinzione), è affermare i - sacrosanti - valori narrativi più elevati a scapito del
caos e della confusione culturale circostante,
senza venire a patti col mondo, anche laido,
che ci circonda: tra splendide cucine che nessun operaio potrebbe permettersi (ricordate
l’incredibile appartamento di Accorsi in Le fate
ignoranti?) e la totale assenza di vero quotidiano, si macchia tutto ciò che si fa col peccato originale dello snobismo, della parzialità di
quel che si descrive. Citeremo ancora il povero Risi e Straziami...ma di baci saziami che è
la fotografia essenziale di ciò che stiamo scrivendo. La soluzione è nelle nostre mani da
oltre trent’anni e un cinema in mano a uffici
stampa e addetti al marketing la sta bellamente trascurando.
Gianluigi Ceccarelli
OBSESSED
(Obsessed)
Stati Uniti, 2009
Arredatore: Dena Roth
Trucco: Patricia Androff, Janeen Schreyer, Francesca Tolot
Acconciature: Colleen LaBaff, Martin Samuel
Supervisori effetti visivi: Edson Williams (Lola Visual Effects), Rocco Passionino
Supervisore costumi: Heidi Higginbotham
Supervisore musiche: Pilar McCurry
Interpreti: Idris Elba (Derek Charles), Beyoncé Knowles (Sharon Charles), Ali Larter (Lisa Sheridan), Jerry O’Connell (Ben),
Bonnie Perlman (Marge), Bruce McGill (Joe Gage), Christine
Lahti (detective Monica Reese), Nathan Myers, Nicolas Myers
(Kyle Charles), Scout Taylor-Compton (Samantha), Richard
Ruccolo (Hank), Bryan Ross (uomo sicurezza), Nelson Mashita
(dottore), Ron Roggé (Roger), George Ketsios (impiegato
hotel), Meredith Roberts (Connie), Catherine Munden (cameriera cocktail), Dana Cuomo (Rachel), Jon Rowland (John),
Janora McDuffie (infermiera)
Durata: 108’
Metri: 2915
Regia: Steve Shill
Produzione: William Packer per Screen Gems/Rainforest Films
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: David Loughery
Direttore della fotografia: Ken Seng
Montaggio: Paul Seydor
Musiche: James Dooley
Scenografia: Jon Gary Steele
Costumi: Maya Lieberman
Produttori esecutivi: Glenn S. Gainor, Jeffrey Graup, Beyoncé Knowles, Mathew Knowles, Damon Lee, David Loughery
Produttore associato: George Flynn
Coproduttore: Nicolas Stern
Direttore di produzione: Glenn S. Gainor
Casting: Ron Digman, Valorie Massalas
Aiuti regista: Mark Anthony Little, Danny Green, Pamela Monroe
Operatori: Joseph Aguirre, Barnaby Shapiro
Art director: Chris Cornwell
erek e Sharon sono felicemente
sposati da quasi 3 anni e hanno
un figlio, Kyle. La coppia si è trasferita da poco nella nuova casa. L’uomo,
un importante dirigente d’azienda, ha da
poco ottenuto una promozione dal suo
capo. Un giorno, per sostituire un dipendente malato, viene assunta temporaneamente una nuova segretaria, Lisa. La donna, estremamente attraente, fa di tutto per
farsi notare da Derek, mettendosi in mostra per le sue capacità e per la sua efficienza. Dietro la sua condotta, però, cerca
in ogni modo di sedurrlo: spia le sue telefonate con la moglie e cerca di ottenere
continuamente informazioni su di lui. Una
D
volta, lo impietosisce mettendosi a piangere davanti a lui parlandogli delle sue
difficoltà di instaurare una relazione duratura con gli uomini. Lisa scopre definitivamente le sue carte durante la festa organizzata dalla sua azienda per festeggiare il Natale, quando lo corteggia apertamente nella toilette degli uomini. Lui si riesce a liberare a fatica e, sconvolto, rientra
a casa. Le avances della donna però non
finiscono qui. Dopo una giornata di lavoro, entra nella sua auto e apre l’impermeabile dove sotto c’è solo abbigliamento
intimo. A quel punto pensa di dire tutto alla
moglie Sharon, ma poi ci ripensa. Inoltre,
non potendo più sostenere la sua presenza
37
sul luogo di lavoro, pensa di farla licenziare. Prima di questa eventualità, però,
la sua agenzia ha chiamato in azienda dicendo che Lisa non tornerà a lavorare lì.
Tutto sembra tornato alla normalità. Ma,
all’improvviso, la giovane donna ricomincia a ossessionare Derek. Prima inizia a
tempestarlo via mail. Poi viene a scoprire
che con i suoi colleghi si trova per delle
riunioni di lavoro in un hotel. Arrivata
anche lei lì, mette una sostanza nel suo
drink, e successivamente, approfitta di lui
incosciente, dopo essersi intrufolata nella
sua stanza d’albergo. Ormai Lisa non ha
più remore. Si fa passare anche per sua
moglie e poi, vedendosi rifiutata per l’en-
Film
nesima volta, tenta il suicidio inghiottendo delle pillole. In ospedale, il detective
Reese sta indagando sul caso. Lì arriva
anche Sharon che viene a sapere tutto e
crede che Derek abbia fatto sesso con Lisa.
L’uomo cerca invano di convincere la moglie che Lisa si è inventata tutto ma senza
successo. Decide, così, di mandarlo via di
casa. Passa qualche mese. La coppia si
vede di tanto in tanto per il figlio. Derek
comunque cerca di riallacciare in ogni
modo i rapporti con Sharon e, alla fine,
riesce a invitarla a cena per il suo compleanno. Mentre i due sono fuori e fanno
pace, Lisa entra nella casa della coppia e
convince la babysitter di essere un’amica
di Sharon e di essere venuta lì per portare
un regalo a Kyle. Quando Derek e Sharon
tornano a casa si accorgono che il loro
bambino è stato portato via. Kyle viene
comunque ritrovato subito dopo dentro
l’auto. Si rivolgono così al detective Reese
e anche l’agente, alla fine, si convince di
avere a che fare con una psicopatica.
Un’altra volta, dopo essersi ritrovati la
casa sottosopra, decidono di mettere un
allarme collegato con la polizia. Poi si
organizzano per andare a San Diego per
l’anniversario di matrimonio dei genitori
di Sharon. Dopo essere partita, però, la
moglie di Derek si accorge di non aver inserito l’allarme. Rientra così a casa e lì si
trova Lisa nella loro camera da letto. Le
due donne si fronteggiano senza esclusione di colpi fino a quando Lisa muore
schiantandosi su un tavolino di vetro.
Tutti i film della stagione
e la strada cinematografica che
ha scelto la star musicale Beyoncé (che proprio quest’anno ha riscosso un grande successo con il singolo
Halo) deve portare a pellicole come Obsessed c’è poco da stare allegri. Eppure
la sua carriera come attrice aveva fatto
sperare in qualcosa di meglio, visti i risultati dell’ottimo Dreamgirls di Bill Condon e
del corretto Cadillac Records di Darnell
Martin dove interpretava, con sorprendente intensità, il ruolo di Etta James. Di quest’ultimo film, oltre che di Obsessed ,
Beyoncé è produttore esecutivo. Se però
la struttura di ‘biopic musicale’ di Cadillac
Records appare in linea con gli interessi e
la sensibilità della star, nella pellicola diretta da Steve Shill tutto appare stonato, a
cominciare anche dallo stesso brano
Smash Into You compreso nella colonna
sonora del film, che appare dissonante con
le forme del thriller torbido a cui Obsessed vorrebbe invano aspirare.
Innanzitutto sembra che la cantante,
proprio all’interno della struttura narrativa,
si ritagli dei momenti tutti per sé, a cominciare dall’inizio del film con quella specie di
incrocio tra balletto e seduzione tra Derek
e Sharon nella nuova casa per continuare
con quell’inquadratura dalla testa ai piedi
in cui è davanti allo specchio con vestito
nero e cambio di pettinatura (i capelli da
ricci a lisci), prima di andare alla cena riconciliatrice con Derek, fino a concludersi
con il finale dove il suo personaggio fronteggia Lisa in una lotta all’ultimo sangue.
S
Inoltre, lo stesso Obsessed appare
debolissimo nella costruzione della suspence. C’è chi ha definito il film una specie di Attrazione fatale nero (e dal film di
Lyne quest’opera scopiazza malamente
anche quei colori patinati e glamour che
provengono invece da un immaginario da
videoclip degli anni ’80). Poi Shill, che
eppure è un discreto regista televisivo
che ha diretto numerosi episodi televisivi della serie Law & Order, si adegua svogliatamente al plot ravvivando il film solo
con la scena del sequestro-lampo del
bambino della coppia. La figura di Lisa,
interpretata da Ali Larter, in quell’istante, potrebbe essere la provvisoria reincarnazione di Rebecca De Mornay in La
mano sulla culla di Curtis Hanson, ma
poi viene subito dissolta per rifar tornare
in scena Beyoncè; forse era già assente
da troppi minuti dall’inquadratura, anche
se spesso il suo personaggio non è assolutamente fondamentale nell’intreccio.
Anzi, rischia di mortificare ulteriormente
quest’operazione amorfa e insipida che
relega ingiustamente alle corde un caratterista come Bruce McGill (quasi
un’inutile apparizione) e un’attrice come
Christine Lahti (qui nei panni del detective Reese), nota soprattutto tra la fine
degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 con film
come ...e giustizia per tutti di Jewison e
soprattutto Di chi è la mia vita? di Badham e Tempo di swing di Demme.
Simone Emiliani
IL SANGUE DEI VINTI
Italia, 2008
Organizzatore generale: Marco Alfieri
Suono: (presa diretta) Filippo Porcari
Interpreti: Michele Placido (Francesco Dogliani), Barbora
Bobulova (Anna Spada/Costantina), Alessandro Preziosi (Ettore Dogliani), Valerio Binasco (Nello Foresi), Alina Nedelea
(Lucia Dogliani), Stefano Dionisi (Kurt), Philippe Leroy (umberto Dogliani), Giovanna Ralli (Giulia Dogliani), Daniela Giordano (Maria Rossini), Massimo Poggio (Vincenzo Nardi), Ana
Caterina Morariu (Elisa), Luigi Maria Burruano (Mario Vagagini), Raffaele Vannoli (Petrucci), Vincenzo Crivello (Caronte),
Flavio Parenti (Riccardo Barberi), Pierluigi Coppola (Vittorio),
Teresa Dossena (Elisa bambina), Tommaso Ramenghi (Marò),
Durata: 108’
Metri: 3360
Regia: Michele Soavi
Produzione: Alessandro Fracassi per Media One Entertainment. In collaborazione con Rai Fiction
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009)
Soggetto: Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani dal libro
omonimo di Giampaolo Pansa
Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani. Con
la collaborazione di Michele Soavi
Direttore della fotografia: Gianni Mammolotti
Montaggio: Anna Napoli
Musiche: Carlo Siliotto
Scenografia: Andrea Crisanti
Costumi: Sergio Ballo
il 19 luglio del 1943. Francesco
Dogliani è un Commissario di
Polizia che si ritrova sotto il bombardamento di San Lorenzo. Fra le mace-
È
rie di una casa, scopre il cadavere della
prostituta Costantina Coccia, uccisa con un
colpo di pistola che ne ha sfigurato il volto;
inoltre trova la figlia Elisa, nascosta dentro
38
l’armadio. Si salvano in extremis dall’ultimo bombardamento, che cancella ogni prova del delitto. Nel mentre muore anche il
cognato di Dogliani, marito della sorella
Film
Lucia, che stava venendo a Roma in viaggio di nozze. Per distogliere la mente dalle
atrocità della guerra e per un impegno morale preso con la piccola Elisa, decide di
scoprire chi è l’assassino di Costantina. Il
primo sospettato è Nello Foresi, compagno
della donna, con precedenti penali; viene
arrestato. Dogliani scopre anche che la
morta ha una sorella, Anna, attrice di teatro in erba. La donna che ha come amante
Nardi, un funzionario del ministero, giunge
in commissariato per prendersi Elisa in custodia, cosa che non aggrada a Dogliani.
Dogliani torna in Piemonte, dopo l’ennesima beffa da parte di Nardi che gli impedisce le indagini. A casa ritrova i genitori, il
fratello partigiano Ettore e Lucia, che ormai
è pervasa solo dall’odio verso gli Alleati.
Lucia, dopo l’ennesimo litigio in famiglia in
cui accusa tutti di tradimento, si arruola come
ausiliaria nell’esercito della Rsi.
Dogliani, sotto volere paterno, inizia a
cercarla per riportarla a casa, ma nella sua
testa c’è sempre quel delitto. In un comando partigiano, dove si trova anche Ettore,
scopre che Foresi è il commissario politico
del distaccamento. I due hanno un forte
scontro riguardante il delitto di Costantina: per lui resta il colpevole. Tornato a casa,
scopre che i genitori si sono tolti la vita per
non lasciarsi torturare dai partigiani. Mentre li seppellisce, viene raggiunto da Ettore
e lo accusa della morte dei genitori; sono
stati infatti dei partigiani a distruggere la
loro casa, convinti che vi abitassero dei filofascisti. Distrutto psicologicamente, Dogliani si aggira per la città dove viene arrestato dalle camicie nere; grazie a Lucia si
salva. Non riesce però a convincerla a lasciar tutto; per lei quello è il suo destino,
anche se sa bene che alla fine c’è la morte.
Proprio mentre sta per andarsene, vede
Anna ed Elisa giungere al distaccamento
con l’accusa di tradimento: Anna portava
con sé dei documenti utili ai partigiani.
Dogliani, con l’aiuto di Lucia, riesce a far
fuggire Anna e la bambina. I tre trovano rifugio in una baita, dove Elisa chiama la zia,
“mamma”. Il giorno successivo, Dogliani
si sveglia da solo.
È il 25 aprile. Fascisti e tedeschi si arrendono, tranne alcuni gruppi che resistono
a oltranza contro i partigiani. Senza saperlo, Lucia, ultima sopravvissuta del suo gruppo, uccide il fratello Ettore dalla cima di una
torre. Dogliani, che assiste anche lui ignaro
di chi sia l’assassino, piange il fratello portato via con tutti gli onori possibili. In un secondo momento, vede portar via Lucia a bordo di un camion, rasata e malmenata.
Pur di salvarla, chiede aiuto a Nello e
ad Anna, la quale gli dà indicazioni su dove
trovare la sorella prima che venga fucilata. Quando arriva sul luogo indicato, tro-
Tutti i film della stagione
va solo le tracce della fucilazione ed un
oggetto appartenuto a Lucia.
Tutto questo, un anziano Dogliani lo racconta all’ormai adulta Elisa, alla quale chiede conferma di come sia svolto l’omicidio di
Costantina e le mostra la foto di Anna e Costantina, in realtà sorelle gemelle. Anna, fascista, era andata dalla sorella Costantina,
partigiana per impedirle di fare delle soffiate su Nardi e per denunciarla di tradimento.
Per difendersi, Costantina uccise la sorella
e ne prese il posto. Nello, padre di Elisa, l’aiutò nel far passare il tutto per delitto passionale. Elisa, dopo aver confermato tutto, porta Dogliani in un prato, dove vi erano state
seppellite tutte le camicie nere fucilate, compresa la sorella Lucia.
ichele Soavi, è un regista formatosi sotto l’ala protettiva di Dario Argento. Dedito, quindi, più
al genere horror che ad altro, suonerebbe
anomalo vederlo accostato a una pellicola
di tale entità, sia emotiva che politica. In realtà Soavi porta sulle spalle, un cammino
televisivo di fiction di successo. Basti pensare a Ultimo - La sfida, o al più recente Nassiriya – Per non dimenticare. Un percorso continuato poi col suo ritorno al grande schermo con Arrivederci, amore ciao opera che si
distacca in toto da tutti i lungometraggi precedenti. Il sangue dei vinti, può essere, quindi, considerato un ennesimo giro di boa nella sua carriera. Un film controverso. Un libro
controverso. Di certo, Soavi ha scelto un argomento non facile da gestire, ma anzi facilmente attaccabile. La seconda guerra mondiale, la guerra civile, non sono certo momenti storici da noi lontani, né tantomeno
dimenticabili. Le atrocità dell’una e dell’altra
parte saranno sempre oggetto di analisi da
parte di registi e accademici.
M
Il punto di vista qui analizzato, è quello
della famiglia e dei valori a essa connessi.
Tre fratelli, l’uno diverso dall’altro. Francesco decide di restare nella linea grigia, ossia chi non prendeva una presa di posizione, ma sperava solo in una rapida conclusione del conflitto mondiale. Pur di non vedere nulla, di chiudere gli occhi, Francesco, preferisce indagare su di un omicidio,
che alla fine, lo porterà comunque di forza
all’interno della guerra che tanto voleva allontanare. Vero fulcro sono Ettore e Lucia;
il primo partigiano, la seconda repubblichina. Inevitabile la morale per cui la guerra
non vede né fratelli né sorelle. Come inevitabile è lo scontro fra i due chiamato fin
dall’inizio dell’opera. Soavi sa bene che il
pubblico nel finale si aspetta il conflitto e
gioca con tale attesa, trascinando fino alla
fine l’uccisione di Ettore da parte di Lucia.
I morti dei vinti, vengono seppelliti in una
fossa comune, quelli dei vincitori coperti
di gloria. Il sangue dei vinti non ha valore,
se non per chi ne era legato o emotivamente, o per parentela.
Il film non segue un normale ordine cronologico, ma usa flashback e montaggio
parallelo per raccontare in contemporanea,
sia il riavvicinamento di Dogliani a Elisa, sia
la storia dei tre fratelli. Tratto dal libro omonimo di Giampaolo Pansa, il film cerca di
giungere al cuore del pubblico sfruttando
visivamente, con primi piani, il volto tumefatto di Lucia contrapposto a quello crucciato e disperato di Francesco. Vi riesce.
Un buon cast, da Ana Caterina Morariu e Alessandro Preziosi, fino a Philippe
Leroy e Giovanna Ralli, ne completa il quadro. La cornice è qui Michele Placido interprete di Francesco Dogliani.
Elena Mandolini
SUL LAGO TAHOE
(Te acuerdas de Lake Tahoe?)
Messico, 2008
Regia: Fernando Eimbcke
Produzione: Christian Valdelièvre per Cinepantera
Distribuzione: Archibald Film
Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Fernando Eimbcke, Paula Markovitch
Direttore della fotografia: Alexis Zabé
Montaggio: Mariana Rodriguez
Scenografia: Diana Quiroz
Costumi: Mariana Watson
Produttore esecutivo: Jaime Bernardo Ramos
Casting: Alejandro Caballero
Suono: Lena Esquenazi
Trucco: Mariana Watson
Durata: 81’
Metri: 2200
39
Film
mpio totale. Il deserto caotico e
disabitato d’una periferia sudamericana. Nero. Un’auto attraversa l’inquadratura entrando a destra e
uscendo a sinistra. Nero. L’improvviso
scoppio di ferraglia dell’auto che va a fermarsi contro un palo.
Dall’auto scende Jorge, un ragazzino
magro, aria timida. Inizia così la ricerca
d’un meccanico che metta riparo all’incidente. Dopo qualche richiesta a vuoto, il
ragazzo fa per entrare in un cortiletto diroccato ma resta subito di sasso, minacciato dal feroce ringhio del cane da guardia. È
Sica, la cagna del vecchio inquilino che,
dopo aver minacciato di chiamare la polizia, s’offre di trovare e montare il pezzo necessario all’auto di Jorge. Il vecchio però
si rimette presto a dormire e lascia il ragazzo solo, in un cortile pieno di cianfrusaglie
ammucchiate: Jorge lascia Sica e il suo
padrone e ricomincia la sua ricerca. In un
negozietto buio, il ragazzo incontra una giovane commessa: il meccanico tornerà presto, intanto Jorge culla e addormenta il figlioletto neonato della coetanea che lo guarda con dolce ammirazione. Arriva David, il
meccanico. In breve è concordato un prezzo, ma il pezzo di ricambio non è del modello adatto. David invita a casa sua Juan
per trovare il ricambio giusto. Invece di
mettersi all’opera, però, lo porta in camera
sua, gli mostra un film di kung fu, gli presenta sua madre e gli offre la colazione.
Juan, per la seconda volta, va via di nascosto. A casa sua, il ragazzo incontra il fratellino, stabilmente accampato con la sua
tenda in cortile, indaffarato a tagliare e incollare fotografie. In bagno, immersa nella
vasca, nascosta dietro la tendina della doccia, la mamma piange da sola.
A
Tutti i film della stagione
Tornato al negozio dove lavora David,
Juan trova il pezzo di ricambio pronto e
decide di montarlo da sé, ma, senza neppure aver aperto il cofano dell’auto, presto, desiste. Il ragazzo cerca di nuovo aiuto dal vecchio, che gli promette il suo intervento in cambio d’un favore. Così Juan
sfila per le vie del quartiere attaccato al
guinzaglio teso di Sica che corre all’impazzata. Poi basta un momento di distrazione e il cane è perso. Al negozio, questa
volta, trova David che gli promette di accomodare la sua auto una volta per tutte.
Il guasto però è più serio del previsto; allora David ruba una parte del motore dalla macchina d’una famiglia amica di Juan
e lo monta sull’auto del ragazzo. Poi lo
invita al cinema per la sera stessa.
Juan torna a casa. La lunga serie di
piccoli dettagli, d’indizi discreti si ricompone finalmente nella tragica evidenza: il
padre di Juan è morto. Joaquin, il fratellino, racconta a Juan le infinite telefonate
di condoglianze mentre ancora ritaglia e
incolla le foto del padre su un diario.
Di nuovo in macchina, il ragazzo torna dal vecchio per aiutarlo a recuperare
Sica. L’animale ha trovato accoglienza in
una giovane famiglia; l’anziano padrone
alla vista di Sica che gioca in mezzo agli
schiamazzi di due gaie bimbette abbassa
il capo e chiede a Juan d’andar via.
Sul far della sera, Juan, accogliendo
l’invito di David, va al cinema. Prima che
arrivi la notte, il ragazzo raggiunge infine
la commessa del negozio di ricambi che
gli ha chiesto di tenerle il bambino perché
lei possa andare a un concerto. L’impegno però è improvvisamente cancellato e i
due si ritrovano in breve nudi, a letto, stretti
in un abbraccio teneramente disperato.
40
Il mattino seguente Juan torna a casa.
La mamma è a letto, esausta. Juan e Joaquin preparano la colazione, poi il fratello maggiore sfoglia il lungo collage costruito dall’altro con le foto del padre.
“Manca solo una cosa” dice Juan attaccando un adesivo-souvenir sul quaderno
di Joaquin. “Ah già. Ti ricordi il Lago
Tahoe?” chiede il fratellino, “Non ci siamo mai stati su quel lago”, risponde subito Juan.
assato inosservato al Festival di
Torino nel 2008, il secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore messicano Fernando Eimbcke
si è invece fatto notare nel corso dell’ultima
Berlinale dove ha ricevuto due premi (Premio Alfred Bauer, Premio Fipresci) e dove
ha convinto l’italiana Archibald a compiere
l’acquisto e distribuire il film in Italia. Eimbcke dimostra d’aver imparato la lezione neorealista (al neorealismo il giovane regista
si riferisce spesso in interviste e dichiarazioni; il nome della cagna nel film, Sica, è
solo uno dei piccoli tributi al maestro d’elezione Vittorio De Sica e al suo Umberto D)
ma anche d’averla saputa applicare al cinema contemporaneo. Il filo della narrazione è sottile al punto da poterlo considerare
quasi un pretesto, la macchina da presa evita qualsiasi acrobazia, eccentricità, smaccato estetismo fissando immobile i protagonisti, spesso perpendicolarmente opposta alla loro azione in scena; la parola poi
non è che raro sussurro, pensiero ad alta
voce, intimo sentimento che affiora alla fine
in punta di labbra. L’asciuttezza e l’essenzialità della messa in scena sembrano suggerire un discreto onirismo, quasi che lo
scontro dell’auto del protagonista contro un
palo non fosse altro che un vago segno di
sonnambulismo. Il ragazzo si sta dirigendo
da qualche parte, ma, dopo aver passato
tutto il giorno a cercare di riparare la macchina, invece di proseguire il suo tragitto
verso una meta misteriosa deciderà di dedicarsi fino in fondo alle persone che ha incontrato durante le ricerche. Il regista compone un elogio del vuoto sostituendo qua e
là alla colonna visiva lunghe parti di nero:
le immagini delle azioni fondamentali ci
sono ostentatamente negate. Al loro posto
il quadro vuoto “circondato”, sfondato si direbbe, dalla colonna sonora (cioè da tutto il
suono inciso sulla pellicola: musica, dialoghi, rumori, ecc.). Il co-protagonista ideale
del film è il padre defunto, l’assenza della
figura paterna, la paternità perduta e già
desiderata. Del babbo di Juan solo il finale
concede di scorrere rapidamente alcuni ritratti tagliati e incollati dal piccolo Joaquin.
Allora sembra che Eimbcke non si limiti a
P
Film
raccontare il lutto listando di nero lo schermo, sottraendo agli occhi, ai sensi, come fa
la morte, l’oggetto del desiderio (l’immagine dell’amato, del desiderato che diventa a
un altro livello l’immagine tout court), ma
che invece lanci il discorso del suo testo un
Tutti i film della stagione
po’ oltre, proponendo una riflessione sulla
necessità del vuoto e dell’assenza, sulla
pienezza dell’esperienza del limite. Sul retro della macchina squassata della quale
non abbiamo mai visto l’urto c’è un adesivo
di un luogo che nessuno dei personaggi del
film ha mai visitato. A Juan sembra necessario chiudere il diario per immagini del fratello con quell’immagine d’un’esperienza
impossibile e (solo) immaginata.
Silvio Grasselli
CADILLAC RECORDS
(Cadillac Records)
Stati Uniti, 2008
Regia: Darnell Martin
Produzione: Andrew Lack, Sofia Sondervan per Parkwood Pictures/Sony Music Film
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 29-5-2009; Milano 29-5-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Darnell Martin
Direttore della fotografia: Anastas N. Michos
Montaggio: Peter C. Frank
Musiche: Terence Blanchard
Scenografia: Linda Burton
Costumi: Johnetta Boone
Produttori esecutivi: Beyoncé Knowles, Marc Levin
Coproduttore: Petra Hoebel
Direttori di produzione: Petra Hoebel, Andrew SAxe
Casting: Michelle Adams, Kim Hardin
Aiuti regista: Jonathan Starch, Tony Philippe, Gary S. Rake,
Maurice Sessoms
Operatori: Mark Schmidt, Pierson Silver, Robert Foster
Art director: Nicholas Locke
Arredatore: David Schlesinger
Trucco: Nikki I. Brown, Marjorie Durand, Tomasina Smith
Acconciature: Nicole Tucker
Coordinatore effetti speciali: Ken Speed
Supervisore effetti visivi: Robert Lopuski
Supervisore costumi: Deirdre N. Williams
Supervisore musiche: Beth Rosenblatt
Canzoni/Musiche estratte: “I’m a Man” di Bo Diddley (Jeffrey Wright); “Country Blues” di Robert Johnson, Muddy Waters (Jeffrey Wright); “I Can’t Be Satisfied” di Muddy Waters
(Jeffreey Wright, The Riflin’ Tones); “Forty Days and Forty
Nights” di Berhard Roth; “Juke” di Little Walter (Soul 7); “I’m
Your Hoochie Coochie Man” di Willie Dixon (Jeffrey Wright);
“My Babe” di Willie Dixon (Columbus Short, Elvis Presley);
outh Side, Chicago, 1947. Leonard “Len” Chess è un giovane
immigrato polacco, pieno di ambizioni e sogni di ricchezza, che decide di
abbandonare l’attività di sfasciacarrozze
per aprire un night club. A passare dalle
sue parti con il suo gruppo è un uomo, il
cui incontro con Len cambierà le sorti della
musica: quell’uomo è Muddy Waters, lavoratore nelle piantagioni di cotone sbalzato nella metropoli in cerca di fortuna per
sé e la sua musica. Nonostante Muddy e
l’amico armonicista Little Walter, dal carattere impulsivo e rissoso, quasi gli distruggano il locale in seguito a una lite,
Len comprende l’enorme talento di Muddy e organizza per lui una sessione di re-
S
“Smokestack Lightin” di Chester Burnett (Eamonn Walker);
Maybellene”, “Nadine (Is It You?), “No Particular Place to Go”,
“Promised Land” di Chuck Berry (Mos Def); “Surfin USA” di
Chuck Berry (The Will Lee Voices); “All I Could Do Was Cry”
di Berry Gordy, Roquel Davis, Gwen Gordy Fuqua (Beyoncé
Knowles); “Trust In Me” di Milton Ager, Ned Weaver, Jean
Schwartz (Beyoncé Knowles); “At Last” di Harry Warren, Mack
Gordon (Beyoncé Knowles); “I’d Rather Go Blind” di Billy
Foster, Ellington Jordan (Beyoncé Knowles); “Last Night”
composta ed eseguita da Little Walter; “Once In A Lifetime”
di Beyoncé Knowles, Amanda Ghost, Scott McFarnon, Ian
Dench, James Dring, Jody Street (Beyoncé Knowles); “Evolution of A Man” di Bo Diddley, A. Bailey, Steve Jordan (QTip)
Interpreti: Adrien Brody (Leonard Chees), Jeffrey Wright (Muddy Waters), Gabrielle Union (Geneva Wade), Columbus Short
(Little Walter), Cedric the Entertainer (Willie Dixon), Emmanuelle Chriqui (Revetta Chees), Eamonn Walker (Howlin’ Wolf),
Mos Def (Chuck Berry), Beyoncé Knowles (Etta James), Tony
Bentley (Lomax), Joshua Alscher (Mick Jagger), Marc Bonan
(Keith Richards), Shiloh Fernandez (Phil Chess), Jill Flint (Shirley Feder), Tammy Blanchard (Isabelle Allen), Eric Bogosian
(Alan Freed), Eshaya Draper (Charles Walters a 7 anni), Suzette Gunn (Minnie), Evan Hart (giovane amante), Osas Ighodaro (Vicky), Albert Jones (Hubert Sumlin), Chyna Layne (Juanita), Malikha Mallette (ragazza di Little Walter), Kevin Mambo (Jimmy Rogers), Aaron Munoz (manager), Natasha Ononogbo (ragazza di Muddy Waters), Ginnie Randall (nonna Muddy Waters), Norman Reedus (Chess), Jake Robards (Robert),
Jay O. Sanders (sig. Feder), Stephen Seidel (agente Brown),
Valence Thomas (James Cotton)
Durata: 109’
Metri: 3050
gistrazione. In breve, grazie anche al talento di Len nell’“ammorbidire” a suon di
mazzette i DJ radiofonici più importanti, i
brani di Muddy scalano le classifiche RnB:
Len e la sua Chess Records comincia a essere una realtà dal punto di vista discografico: grazie all’aiuto del musicista Willie Dixon, riesce a rinnovare efficacemente il repertorio di Muddy, ormai divo e impenitente donnaiolo a scapito della devota moglie Geneva, e a far sfondare come
artista in proprio anche Little Walter e la
sua armonica.
Len tratta i suoi musicisti come se fossero una famiglia, comprando loro una
Cadillac quando registrano il loro primo
successo, ma talvolta il confine tra affari e
41
rapporti personali causa dei problemi con
la sua schiera di artisti in costante crescita, sia a livello di talento che come risultati. Il primo a risentirne è proprio Little
Walter, che, nonostante il successo, paga
il suo carattere instabile e il costante rifugio nell’alcool. Le sue crescenti attenzioni
verso Geneva finiranno per incrinare il
rapporto con Muddy, fino al distacco definitivo. Altro elemento di successo della
scuderia è il rude Howlin’ Wolf , un intenso e orgoglioso bluesmsn che impone le
proprie regole nello studio e sviluppa una
forte rivalità artistica con Muddy, al punto da interrompere una serata del rivale a
colpi di pistola pur di riprendersi il chitarrista che gli era stato soffiato.
Film
Ma fino al 1955, nessuno degli artisti
della Chess riesce a sfondare sul mercato
mainstream e a sdoganarsi presso il pubblico dei bianchi. Ci riesce, definitivamente, un tipo magro di St. Louis che si chiama Chuck Berry, il cui dinamico “passo
dell’anatra” e i brani trascinanti e intrisi
di country segnano la nascita del rock-androll. Berry diventa mito e sex symbol, verrà inevitabilmente plagiato (su tutti i Beach Boys) e fatto fuori con una condanna
“politica” alla prigione, proprio all’apice
della carriera. Con la gallina dalle uova
d’oro, Berry fuori dai giochi e Muddy e
Walter ormai nulli discograficamente, Len
gioca una nuova carta: la vulnerabile e
tormentata Etta James, figlia di una prostituta e del campione di biliardo Minnesota Fats, che non vorrà riconoscerla nonostante la popolarità raggiunta grazie a
Len, con cui comincia ad avere una relazione alle spalle della moglie.
L’avvento degli anni ’60 farà calare il
sipario: il rock-and-roll diventa più popolare, gli artisti della Chess si ritrovano
adorati da una nuova generazione di musicisti, ma hanno anche guadagnato e perso una piccola fortuna in alcool, donne e
vita agiata, mentre le loro dipendenze iniziano a farsi sentire. Little Walter ci lascia
Tutti i film della stagione
la pelle, dopo l’ennesima rissa. Len pagherà il suo funerale e di lì a poco, chiuderà i
battenti dopo aver sentito cantare Etta per
lui l’ultima volta. Morirà sulla sua Cadillac d’infarto, poco distante dallo studio di
registrazione che ha fatto la sua fortuna,
non prima di aver assicurato a Etta un tetto dove vivere. Muddy, sopravvissuto a
un’epoca, potrà assaporare un’ultima
grande soddisfazione: sarà invitato a suonare a Londra nel 1967 a fianco dei suoi
ammiratori più sfegatati, quei Rolling Stones che raggiunsero la cima delle classifiche con le cover delle sue canzoni.
arrell Martin scrive e dirige un
atto d’amore per il blues che scava nel fertile e interessante periodo storico di una stagione musicalmente stimolante e irripetibile. Anni incredibili, quelli della scoperta del folk nero più
tradizionale, il suo inserimento graduale
nella scena pop, il successo reso possibile solo una volta che i bianchi seppero
farla propria e coniugarla in tutte le salse
(e dai Beach Boys, citati nel film, ai Beatles e Rolling Stones, la lista sarebbe lunga). Ma il lungo viaggio del rock’n roll deve
tanto a pionieri come Chess e Waters, alla
scoperta di una timbrica sporca e di una
D
produzione mal curata che ben rifletteva
la musica suonata nei ghetti, in locali maleodoranti dove spesso i concerti diventavano contest di abilità se non finivano a
coltellate o pistolettate. E Chess, col suo
farsi dal nulla, è l’ennesima incarnazione
del sogno americano nel corpo e nella
mente di un immigrato, forse il migliore
recettore di un messaggio simile. C’era
solo l’imbarazzo della scelta, ma il regista tende a parlare un po’ di tutto invece
di approfondire una specifica direzione,
finendo per lasciare parecchio lungo la
strada, tra approssimazioni, salti temporali vertiginosi e personaggi consegnati
all’oblio (emblematica la moglie di Chess).
Gli attori fanno la loro parte, e la splendida Beyoncé (che non si tira mai indietro,
come in Dreamgirls quando ha rischiato
di essere surclassata dalla collega Jennifer Hudson) recita e canta Etta senza
timore reverenziale, conscia di non poterne possedere la roca sofferenza interiore. Ma, alla fine, sembra di aver assistito
a un bignami del blues, pulito e corretto,
ma incapace di andare in profondità o di
regalare un vero sussulto. Senza infamia
e senza lode.
Gianluigi Ceccarelli
COSMONAUTA
Italia, 2008
Regia: Susanna Nicchiarelli
Produzione: Domenico Procacci per Fandango. In collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Susann Nicchiarelli, Teresa Ciabatti
Direttore della fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Stefano Cravero
Musiche: Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo
Scenografia: Alessandro Vannucci
Costumi: Francesca Casciello
oma, 1957. La cagnetta Laika
viene mandata nello spazio dall’Unione Sovietica e Luciana,
nove anni, fugge dalla chiesa dove sta per
ricevere la Prima Comunione. “Io là dentro
non ci torno – urlerà poco dopo alla mamma – perché sono comunista”. Portata sulla
“cattiva strada” dal fratello più grande, Arturo, strano ragazzotto affetto da improvvise
crisi epilettiche e da una smodata passione
per la corsa allo spazio dell’Unione Sovietica, la bambina frequenta assiduamente Marisa e Leonardo, amici di famiglia iscritti al
R
Organizzatore generale: Gian Luca Chiaretti
Direttore di produzione: Michela Rossi
Aiuto regista: David Maria Putortì
Suono: Maricetta Lombardo
Supervisore musiche: Max Casacci
Interpreti: Miriana Raschillà (Luciana), Pietro Del Giudice
(Arturo), Claudia Pandolfi (Rosalba), Sergio Rubini (Armando), Susanna Nicchiarelli (Marisa), Angelo Orlando (Leonardo), Michelangelo Ciminale (Vittorio), Valentino Campitelli (Angelo)
Durata: 85’
Metri: 2340
Partito Comunista. Sei anni più tardi, in pieno conflitto con la madre, rea agli occhi della figlia di aver sposato in seconde nozze il
tutt’altro che liberale Armando, Luciana è
entrata a far parte del circolo della FIGC
locale, nella sezione che frequentava suo
padre, morto ormai da tanto tempo e che tutti ricordano come un “vero comunista”. Attratta da Vittorio, che però concede le sue
attenzioni alla nuova arrivata, Luciana ripiega momentaneamente su Angelo, meno
bello ma che almeno sembra saperla apprezzare. Quando, però, l’altro, una sera, le con42
cederà un momento di effusioni, Luciana si
convince di averlo finalmente conquistato.
Sarà un brutto risveglio; il giorno dopo,
quando a scuola lo vedrà nuovamente tra le
braccia della fidanzatina. Luciana la scaraventa a terra per picchiarla e sarà sospesa
dall’istituto. Nel frattempo, le condizioni di
Arturo sembrano peggiorare: oltre agli attacchi di epilessia, infatti, il ragazzo spesso
dimentica chi è e dove si trova. Preso anche
di mira da alcuni coetanei, il fratello di Luciana incomincia a diventare motivo di imbarazzo anche per lei, cosa che non tarderà
Film
Tutti i film della stagione
a urlargli in un momento di disperazione. Arturo va via di casa, senza dare più notizie. E
Luciana, che proprio in quei giorni sarebbe
dovuta partire per Mosca insieme a Marisa
per un convegno del partito sulla figura delle donne in politica, verrà a sapere che al
suo posto è stata scelta un’altra, proprio per
i comportamenti avuti nei confronti degli altri compagni: nel 1963, anche fra comunisti,
avere più di un fidanzato e rubare il ragazzo
a una compagna sono cose che non si fanno
e Luciana è troppo aggressiva, troppo impulsiva, troppo spregiudicata. Allora, come
Valentina Tereškova, la prima donna cosmonauta della storia, Luciana dovrà fare tutto
da sé. Per fortuna con Arturo nuovamente al
suo fianco, nel frattempo ritrovato dalle parti
del mare.
incitore della sezione “Controcampo italiano” alla 66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Cosmonauta è il lungometraggio d’esordio di Susanna Nicchiarelli,
autrice, sceneggiatrice e talvolta anche attrice (come in questa occasione), già regista di numerosi documentari e cortometraggi (tra cui il più recente, Sputnik 5, presentato sia a Venezia che in sala in testa al
film, racconto in plastilina del primo vero
equipaggio, tutto composto da animali, che
effettuò la prima orbita intorno alla Terra).
Racconto di formazione ambientato al
quartiere Trullo di Roma, in piena guerra
fredda, Cosmonauta segue da vicino un
periodo fondante per l’evoluzione dell’adolescente Luciana, quindicenne idealista e
comunista, a cui presta volto e movenze
l’esordiente Miriana Raschillà. Poggiando
su un contesto storico e politico “termina-
V
to”, ma tutto sommato neanche troppo lontano nel tempo, Susanna Nicchiarelli incentra l’intera operazione non tanto sugli
aspetti nostalgici di un’epoca che non c’è
più (elemento, questo, già parzialmente
“ucciso” dalle cover di varie canzoni del
periodo, come “Cuore” ed “Io che amo solo
te”), quanto sulla metafora di un passato
che, 40 anni e oltre dopo, ritrova in alcuni
aspetti del presente ben più che semplici
rimandi. La corsa allo spazio, così come
la guerra fredda, non ci sono più, è vero,
ma come Luciana (e suo fratello Arturo),
la regista va cercando nell’idealizzazione
e nell’immedesimazione con i vari Gagarin e Tereškova quel “fuori orbita” che la
possa portare lontano dalle insicurezze e
dai dolori, così oggi molti suoi coetanei
guardano altrove, lontano, anziché cerca-
re eventuali risposte dentro di loro o nelle
persone che amano.
La natura del progetto è chiara, oltretutto scandita da vari filmati di repertorio o
documenti sonori dei pionieri sovietici, un
po’ meno la riuscita del film: intanto perché
risulta difficile affezionarsi alla protagonista,
aggressiva e impulsiva quanto si vuole, ma
fondamentalmente antipatica, e poi perché
– a fronte di una ricostruzione ambientale
che sembrerebbe impeccabile – il taglio
(mai un campo lungo, sempre piani stretti e
intermedi) e i tempi della narrazione non si
distaccano quasi mai dalla media di un discreto prodotto televisivo. Note positive:
Claudia Pandolfi e Sergio Rubini, mamma
bigotta e patrigno fascistoide perfetti.
Valerio Sammarco
CINEMA UNIVERSALE D’ESSAI
Italia, 2009
Regia: Federico Micali
Produzione: Navicellai. Con il supporto di Mediateca Regionale Toscana Film Commission/Provincia di Firenze/Comune
di Firenze
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009)
Soggetto: tratto liberamente dal libro Breve storia del Cinema
Universale di Matteo Poggi
Direttori della fotografia: Pamela Maddaleno, Yuri Parrettini
Montaggio: Yuri Parrettini
Musiche: Firenze Underground 1960/90 con la consulenza di
Stefano Bettini ela collaborazione di Giampiero Bigazzi
Organizzazione di produzione: Marco Righi
Suono: (presa diretta) Giacomo Guatteri
Animazione stop-motion: Giacomo Salizzoni, Francesco
Alessandra
Interpreti: Michele Andrei, Simone Calonaci, Cesare Giorgetti,
Maurizio Naldini, Andrea Giotti, Carlo Scarsellini, Loriano Stagi,
Giuseppe Micali, Narciso Parigi, Anna Piazzini, Roberto Pelacani, Daniele Trambusti, Walter Fanelli, Maurizio Pistolesi,
Gianluca Baldi, Mario Morelli, Giancarlo Pellegrini, Nicola Bina,
Asghar Hadavandi, Stefano Bettini, Giancarlo Bardoni, Fabrizio Bonomo, Walter Cappucini, Benedetto Ferrara, Maurizio
Novigno, Alessandra Gensini, Sara Maggi, Gianfranco Sticci,
Giovanni Gozzini, Giorgio Van Straten, Fausto Meoli, Francesco Magnelli, Marco Romei, Stefano Bini, Jacopo Degl’Innocenti, Onorato Pierallini, Giovanni Bogani, Tamara Gerli, Settimio Dragone, Andrea Dragone, Romano Ciappi, Alessandro
Paci, Giorgio Panariello, Graziella Giannoni, Dario Vinattieri,
Sandro Parenti, Alessandro Montni, Alessio Papini, Tony Topazio, Andrea Borgognoni, Dina Parenti, Luigi De Biase, Andrea Di Carlo, Filippo Della Rocca, Alessandro Bonini
Durata: 73’
Metri: 2000
43
Film
l documentario ricostruisce la
storia del glorioso Cinema Universale: sala di quartiere al Pignone nella Firenze goliardica e popolare
degli anni Sessanta, poi cinema d’essai nei
Settanta e negli Ottanta, fino al degrado
prima della definitiva chiusura al fatidico
inizio degli anni Novanta.
Montando foto d’epoca, immagini di
repertorio e interviste, inizia la narrazione che racconta l’alba del Cinema Universale, sorto nell’allora quartiere periferico
del Pignone nei primi anni Sessanta. Poi
molte interviste e qualche animazione muovono il resto del film.
Nel 1974 il cinema viene trasformato
in sala d’essai. Sono gli anni dell’attivismo politico, dei giovani comunisti, dei
sentimenti proletari. Il pubblico è fortemente coinvolto nelle vicende proiettate sullo
schermo, tanto che reagisce alla finzione
cinematografica come si trattasse di eventi reali e presenti. In sala si urla, si lanciano slogan (e oggetti vari), si parla e discute, si fa l’amore, si fuma e si manifesta. Il
figlio del protezionista d’allora e il figlio
del gestore accumulano aneddoti su aneddoti; esemplare la storia dell’irruzione
della polizia e della conseguente retata nel
bel mezzo della proiezione del film Fragole e sangue.
La sala osserva e rende testimonianza
delle svolte epocali della città e della nazione, nelle storie dei singoli spettatori,
nelle memorie dei piccoli gruppi di assidui si ritrovano i frammenti d’una storia
comune: la rivoluzione sessuale, l’eroina,
la nascita del nuovo tifo politicizzato per i
grandi club di calcio. I primi anni Ottanta
segnano per Firenze l’inizio della rinascita culturale. I cicli di proiezioni alternano
i grandi autori del cinema di qualità ai
grandi successi hollywoodiani, senza soluzione di continuità, senza dovere per for-
I
Tutti i film della stagione
za rivolgersi a spettatori diversi. Alle voci
dei comuni cittadini, degli spettatori storici, dei personaggi locali si aggiungono
quelle dei volti celebri Alessandro Paci e
Giorgio Panariello.
L’ultimo gestore della sala ricorda
l’estremizzarsi delle gesta goliardiche, la
perdita del controllo sul pubblico sempre
più propenso all’atto plateale, aggressivo,
illecito. Il reclutamento d’un buttafuori è
solo l’ultimo segno dell’inarrestabile degenerazione che nel 1989 porta il cinema
alla chiusura. In una sostanziale comunanza con il destino della città di Firenze –
che in quei decenni passa da luogo di fermento sociale e culturale a vetrina offerta
allo struscio globale dei turisti distratti –
l’Universale si tramutò, nei successivi e
critici anni Novanta, in una discoteca alla
moda. Ora restano solo la saracinesca
abbassata e il triste abbandono.
tefano Micali è nome noto nell’ambiente fiorentino, ma non
solo. Attivo almeno da una decina d’anni nel vivace panorama della cultura a Firenze, Micali proviene da una piccola serie di documentari militanti, molti dei
quali distribuiti grazie all’appoggio di testate e organizzazioni di chiara ispirazione
politica. Un filmmaker impegnato sul fronte dell’audiovisivo come strumento di formazione e d’informazione che forse una
volta non si sarebbe esitato a definire engagè.
Cinema Universale, però, (ispirato dall’omonimo libretto scritto da Matteo Poggi
nel 2003) dietro la patina di gesto politico,
di ricostruzione d’un episodio esemplare,
d’allegro pamphlet contro la cultura di massa svela presto un’anima meno lungimirante e “alta”. Il film è un esempio perfetto
della nuova generazione di pellicole che,
secondo un evidente modello di glocaliza-
S
tion, passano dal piano dell’iperlocalismo
a quello della visibilità nazionale: prodotto
e promosso all’inizio solo a Firenze e dintorni, il documentario, grazie al passaparola e grazie soprattutto a un’accorta politica di networking, è giunto all’uscita nel
circuito nazionale delle sale di prima visione (anche se su uno sparuto numero di
schermi). Di qui e dall’analisi di altri elementi ancora, risulta chiaro come invece
che concentrarsi sull’analisi del film preso
come testo, come oggetto chiuso, sia forse necessario interessarsi all’operazione
nel suo complesso, ampliando lo sguardo
anche a quel che gli sta intorno. Evitando
la facile tentazione di usare viete etichette
(“operazione nostalgia”, “operazione amarcord”, ecc.) consideriamo dunque i motivi
di un appeal che, anche se in misure e in
modi differenti, ha saputo coinvolgere una
platea, considerata la speciale natura del
progetto, piuttosto ampia. L’unica via possibile è quella delle ipotesi. Il film si articola su due essenziali direttrici: da una parte
quella della testimonianza, dall’altra quella della narrazione colloquiale, soggettiva,
colorita popolare e senza alcuna preoccupazione per la corrispondenza con gli
eventi reali, storici. In questa accoppiata,
si ritrova forse la migliore formula per soddisfare gli appetiti e le necessità del pubblico contemporaneo: la fame di realtà, di
verità, di conoscenza e di verifica dei fatti,
l’illusione che l’occhio del cinema possa
vedere e conoscere tutto sempre e in ogni
luogo, ammorbidita e addomesticata dall’amena cordialità dell’aneddoto sorridente e consolatorio che in sé tutto stempera
e contempera. Un’idea furba messa in atto
con imbarazzante carenza di cura tecnica, niente affatto giustificata dalla drastica
ristrettezza del budget.
Silvio Grasselli
POLVERE
Italia, 2008
Costumi: Grazia Materia
Aiuto regista: Matteo Barzini
Suono: Emanuele Costantini
Interpreti: Primo Reggiani (Domini), Michele Alhaique (Giona),
Victoria Larchenko (Giulia), Gaia Bermani Amaral (Betty), Gian
Marco Tognazzi (Luca), Francesco Venditti (Fastidio), Eros
Galbiati (Nick), Rita Rusic (madre), Giovanni Capalbo (Vittorio), Lola Ponce (Marcela), Fabio Ferrari (Castellacci), Loris
Loddi (zio Mimmo), Alessandro Geraldini (Piacentini)
Durata: 80’
Metri: 2283
Regia: Massimiliano D’Epiro, Danilo Proietti
Produzione: Umberto Massa, Danilo Proietti, Massimiliano
D’Epiro per Kubla Khan
Distribuzione: Stella Production
Prima: (Roma 15-5-2009; Milano 15-5-2009) V.M.: 14
Soggetto e sceneggiatura: Simona Coppini, Massimiliano
D’Epiro, Danilo Proietti, Ivo Vacca
Direttore della fotografia: Gianni Giannelli
Montaggio: Francesco Galli, Ivo Vacca
Musiche: Emanuele de Raymondi
Scenografia: Nino Aprea
44
Film
omini ha da poco perso il padre.
Cinefilo, estimatore di Francis
Ford Coppola, decide di realizzare un documentario sulla cocaina. Il fidato amico Giona, attore, viene da lui ingaggiato per interpretare il ruolo di un giovane
spacciatore di droga. Il capo di Domini, Vittorio, gestore di un night club importante,
diventa a sua insaputa il contatto giusto per
arrivare ai più importanti pusher romani.
Domini, preso dal progetto, non si accorge
che la sorella Giulia ha intrecciato una relazione con Giona; i due non solo si lasciano
andare all’amore, ma anche alla droga. La
situazione si complica con l’entrata in scena
di Luca, pericoloso spacciatore, e del suo tirapiedi Fastidio. Luca fornisce a Giona una
grossa partita di droga, con la promessa di
venderla e di ripagarla in toto entro le ventiquattrore successive. Nonostante i ripetuti
tentativi da parte di Vittorio di aiutare Giona, la droga resta invenduta. Luca, che, a
sua volta deve rendere conto dell’accaduto
al più pericoloso Zio Mimmo, inizia a cercare ovunque Giona per fargli del male. Intanto Giulia, che si scopre incinta, si confida
con l’unica amica che ha vicino: Betty, giovane Pr anch’essa cocainomane. Durante un
party, in cui Giona dovrebbe riuscire a vendere la droga, Domini scopre la relazione fra
l’amico e la sorella. I due innamorati lasciano la festa. Ad aspettarli sotto casa di Giulia
vi sono Luca e Fastidio. Giona colpisce mortalmente Luca; Fastidio, per vendetta ucci-
D
Tutti i film della stagione
de Giulia. Giona resta accanto a lei tutta la
notte. Solo alla fine viene rivelato il vero motivo della morte del padre di Domini e Giulia: overdose.
n’opera che ha vissuto un lungo
periodo di gestazione. Il progetto inizia nel corso del 2006, quando i due registi, Danilo Proietti e Massimiliano D’Epiro, decisero di realizzare un
documentario sulla cocaina. L’idea di intrecciare film e documentario prese poi
piede successivamente. Oltre, quindi, alle
reali esperienze raccontate da cocainomani mascherati, si assiste alla fiction di una
famiglia romana, distrutta dalla cocaina.
Buon intento, ottime intenzioni di denuncia; peccato, però, che il troppo storpi.
Un inizio alla The Snatch (2000), ci presenta i personaggi con fermoimmagine in
primo piano e voce fuori campo. Inizialmente, l’idea di assistere a un prodotto italiano che provi un nuovo modo di fare regia, indubbiamente stupisce e convince.
Poi, però, tutto diventa quasi un’ostentazione, un continuo tentativo di vivacizzare
la narrazione della voce fuori campo; vi è
anche una breve sequenza realizzata tramite fumetti in bianco e nero. Si viene quindi catturati più dal come ci venga raccontata la storia, che da cosa voglia realmente dirci questa stessa storia. Per un film
con intenti di denuncia, diventa un punto a
suo discapito. La storia di Giulia, nonché
U
la sua tragica fine, non riesce quindi a giungere picchi di empatia col pubblico.
L’intero film è raccontato come un flashback che inizia con l’ultimo scontro fra Giona
e Fastidio, per poi ripercorre le ventiquattrore
precedenti e tornare nuovamente allo scontro finale. Un racconto in sé per sé molto semplice, con un solo colpo di scena, la morte di
Giulia appunto; l’altro elemento che dovrebbe stupire, ossia la morte per overdose del
padre di Domini, è purtroppo facilmente intuibile fin dall’inizio del lungometraggio.La
voce fuori campo si scoprirà essere la Cocaina stessa, che assume quindi i connotati di un personaggio con una propria identità e un pensiero coerente all’interno di tutto il film; il suo interprete altro non è che Christian Iansante, già doppiatore di Ewan McGregor protagonista di Trainspotting, opera
anch’essa sul mondo della droga.
Brava Victoria Larchenko, interprete di
Giulia, che riesce a distaccarsi nonostante la giovane età dagli altri membri del cast,
fra cui ritroviamo anche Francesco Venditti
e Gianmarco Tognazzi, che in alcune scene eccedono nella recitazione.
Questo non toglie merito ai due registi, che hanno intrapreso una strada nuova e che hanno le potenzialità per creare
un loro stile distinguibile dal resto del panorama italiano. Sicuramente due registi
da seguire nei lavori successivi.
Elena Mandolini
LA RAGAZZA DEL MIO MIGLIORE AMICO
(My Best Friend’s Girl)
Stati Uniti, 2008
Trucco: Liz Bernstrom, Trish Seeney, Sherryn Smith, Ronnie
Specter
Acconciature: Brenda McNally, Elizabeth Cecchini
Effetti speciali trucco: Joe Rossi, Mark Nieman
Supervisore effetti speciali: Mike Uguccioni
Supervisore costumi: Hope Slepak
Supervisore musiche: Jay Faires
Coreografie: Michelle Johnston
Interpreti: Dane Cook (Tank), Kate Hudson (Alexis), Alec Baldwin (prof. Turner), Jason Biggs (Dustin), Diora Baird (Rachel),
Lizzy Caplan (Amy), Riki Lindhome (Hilary), Mini Anden (Lizzy), Hilary Pingle (Claire), Nate Torrence (Craig), Malcolm
Barrett (Dwalu), Taran Killam (Josh), Faye Grant (Merrilee),
Richard Snee (Brian), Amanda Brooks (Carly), Alberto Bonilla (Pedro), Michael O’Toole (Michi Yamana), Sally Pressman
(Courtney), Kate Albrecht (Laney, la babysitter), Tom Kemp
(prete), Tony V. (cuoco Slava), Andria Blackman (sig.ra Barber), Melina Lizette (sig.ra Reiling), Josh Alexander (Burt),
Jenny Mollen (Colleen), Rob Rota (Lee), Edna Panaggio (nonna), Frank Hsieh (leader band), Mike Elliott (uomo in bagno),
Angel M. Wagner (leader band Mariachi)
Durata: 101’
Metri: 2815
Regia: Howard Deutch
Produzione: Guymon Casady, Dane Cook, Adam Herz, Doug
Johnson, Barry Katz, Gregory Lessans, Josh Shader, Brian
Volk-Weiss per Management 360/New Wave Entertainment/
Superfinger Entertainment/Terra Firma Films
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Jordan Cahan
Direttore della fotografia: Jack N. Green
Montaggio: Seth Flaum
Musiche: John Debney
Scenografia: Jane Ann Stewart
Costumi: Marilyn Vance
Produttori esecutivi: Mike Elliott, Michael Paseornek
Coproduttore: Jerry P. Jacobs
Direttori di produzione: Jerry P. Jacobs, Rosemary Lara
Casting: Freddy Luis, Anne McCarthy, Jay Scully, Maura Tighe
Aiuti regista: K.C. Colwell, Craig Comstock, David Eric Chapman
Operatore: Ryan Green
Operatore steadicam: David J. Thompson
Art director: T.K. Kirkpatrick
Arredatore: Kyra Friedman
45
Film
ustin, un ragazzo serio e timido
è perdutamente innamorato di
Alexis, una sua collega, bella,
intelligente e raffinata, ma dopo cinque settimane di frequentazione ossessiva, commette
l’errore di proporle una convivenza. La ragazza, intimidita dalla fretta di Dustin decide di prendersi una pausa di riflessione per
rallentare il rapporto. Disperato, dopo aver
provato inutilmente più volte a riconquistare la donna, Dustin si rivolge a Tank, suo
migliore amico e coinquilino. Tank è un seduttore provetto che di professione abborda
le ragazze per conto dei loro ex, al fine di
convincerle che hanno fatto un errore a mollarli. La sua lingua sciolta, il suo atteggiamento da macho, i suoi modi rudi e il suo
bell’aspetto fanno la sua fortuna presso le
ragazze che si succedono una dopo l’altra
nel suo letto; per le altre, quelle meno giovani e attraenti che insulta e tratta con sufficienza, è praticamente il demonio. Del suo
talento nel ferire i sentimenti delle donne,
Tank ha fatto un lucroso hobby: amici e conoscenti, appena piantati dalle loro compagne, lo ingaggiano perché esca con loro e le
induca, dopo aver fatto trascorrere loro una
serata infernale, a tornare di corsa tra le loro
braccia. Tank viene infatti pagato per offrire
un termine di paragone negativo, in modo
tale che le ragazze rimpiangano di aver mollato i loro precedenti ragazzi. L’uomo, per
aiutare l’amico allora mette in atto la sua
strategia anche con Alexis, ma non sembra
andare tutto come previsto. Infatti la donna
sembra capire il gioco del latin lover: non
solo non rimane per nulla impressionata dalle
grettezze e dalle volgarità di Tank, ma si convince addirittura di aver perso tempo a frequentare soltanto Dustin. Tra Alexis e Tank
nasce dunque uno strano rapporto, a base di
sesso e complicità. L’uomo, per la prima volta
nella sua inimitabile carriera di seduttore, si
trova ad essere coinvolto e a dover scegliere
tra una donna e il migliore amico. Dustin
scopre in fretta la verità: proprio il suo amico fidato che si era offerto di aiutarlo lo ha
tradito prendendosi la donna dei suoi sogni.
Durante il matrimonio della sorella Alexis,
presenta entusiasta Tank ai genitori, confessando di esserne innamorata. L’uomo pur
essendo coinvolto, capisce di aver sbagliato
nei confronti del suo amico e tira fuori il meglio del suo repertorio pur di mettere in ridicolo se stesso e in imbarazzo Alexis e la sua
famiglia. Al matrimonio interviene anche
Dustin che svela pubblicamente la verità sul
conto di Tank e il suo piano per riconquistare Alexis. La donna, ferita, allontana sconvolta Tank dalla sua vita. Intanto i due amici
si riappacificano e, questa volta, è lo stesso
Dustin a dare consigli all’amico sul come
riprendersi la donna amata da entrambi.
D
Tutti i film della stagione
Dopo qualche mese mentre l’uomo nuovamente si cimenta nella sua opera di conquista su altre prede, Alexis, incinta e sempre
più innamorata, tornerà a buttarsi tra le sue
braccia.
eppure originale nelle premesse,
La ragazza del mio migliore amico di Howard Deutch è una delle
tante commediole a stelle e strisce partorite
nella stagione estiva. Come fa un antieroe
dal cuore atrofizzato, capace di compiere le
peggiori nefandezze, a redimersi e a provare finalmente un sentimento? Ed ecco pronto un rapido manuale di psicologia sul rapporto tra uomini e donne e sulle regole del
corteggiamento. In amore, com’è luogo comune, vince chi fugge ed è questo che capita a Tank, il maestro di seduzione protagonista della storia. Proprio colui che allontana
l’amore ne rimane poi inevitabilmente irretito. Il film nel suo spirito antiromantico si discosta violentemente dal genere in cui fiorisce e che cita nel suo migliore esemplare
Harry ti presento Sally; anzi la pellicola, imbastardita dalla commedia sofisticata, quella della “guerra tra i sessi” e rimescolata con
i teen-movie all’American Pie, non fa affatto
ridere. Il regista sembra simpatizzare fin troppo con le tendenze egoistiche e superficiali
della mascolinità completamente negativa
che ritrae. Piuttosto volgare e scurrile, infatti,
la sceneggiatura azzarda un tentativo di organizzazione e sistematica riduzione dei
comuni schemi delle dinamiche tra sessi
S
opposti, impoverendo, come spesso capita,
i meccanismi della screwball comedy per arrivare a un immenso e melenso inno all’amore imprevedibile. Che poi è invece prevedibilissimo. Come del resto anche lo scontatissimo happy ending finale. Peccato perché
l’inizio della pellicola era di quelli che ben
promettono: il conto alla rovescia delle cose
da non fare ad un primo appuntamento. Soprattutto non ci si aspetta che il protagonista
della storia non sia né la celebre Kate Hudson, né il noto Jason Biggs, ma il personaggio “cattivo”, quello interpretato dal mezzo
sconosciuto Dane Cook: faccia da furbetto,
grande sex appeal e voglia di andare sopra
le righe. Ci vuole un po’ per capire come si
muoveranno le fila del racconto e questa è
la parte migliore del film, perché si tirano fuori
parecchi stereotipi sul “come si tratta una
donna” , ma quantomeno, presi per quel che
valgono, strappano un sorriso. Sprecato anche il caratterista che qui è un Alec Baldwin,
nei panni del padre di Tank, maschilista ossessionato dal sesso, che insegna in un college femminile. Nonostante l’attore appaia
in splendida forma e abbia un gran carisma
specie nei suoi sarcastici aforismi, anche lui
può poco di fronte a una sceneggiatura che
riconduce il tutto a un buonismo esasperante. L’unico divertimento è cercare di capire
quale sia il possibile target di questi prodotti,
perché si rischia di non accontentare nessuno fino in fondo.
Veronica Barteri
DIARI
Italia, 2008
Regia: Attilio Azzola
Produzione: Attilio Azzola, M. Nuzzo per Fuoricampo
Distribuzione: Atlantide Entertainment
Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009)
Soggetto: Attilio Azzola
Sceneggiatura: M. Nuzzo, Beba Slijepcevic, Attilio Azzola
Direttori della fotografia: Selene De Rui, Valerio Ferraro
Montaggio: Massimo Sbaraccani, Attilio Azzola
Musiche: Mauro Buttafava, Mell Morcone, Gipo Gurrado
Scenografia: Riccardo Pirovano
Produttore associato: Maria Grazia Biraghi per Polesis
Direttori di produzione: Antonello Caragnano, Erica Gianesini, Stefano Renolfi
Suono: (presa diretta) Paolo Benvenuti
Interpreti: Roisin Greco (Leo Villa), Amine Slimane (Alì Trabelsi), Antonio Sommella (Michele Mancia), Manuel Ferreira (Juan Villa), Maria Teruzzi (Ester), Paolo
Porta (Giulio), Matilde Pezzotta (Sara), Joseph Scicluna (Ahmed Trabelsi), Monica Barbato (Yasmine Trabelsi), Davide Lottfalla (Jalel Trabelsi), Luca Bonetti (Federico Rossini), Sonny Aro (Sonny), Elena Lolli (Elena), Alberto Beltran Madalenguitia (Beto)
Durata: 90’
Metri: 2470
46
Film
toria di Leo.
Stefania, detta Leo, è una sedicenne che vive una difficile esistenza
con la madre.
La ragazza è tormentata e si chiede che
cosa ci sia che non va in lei, dopo che anche
il suo “fidanzatino” la lascia per un’altra.
La sua vita viene sconvolta quando il padre
riappare dopo dieci anni di assenza e chiede
alla madre di rivederla. Senza rivelare la sua
identità, la ragazza si iscrive a un corso di
recitazione tenuto dal padre. Leo ha evidenti
difficoltà nel lasciarsi andare e nel tirare fuori
quello che ha dentro. Durante una lezione,
riesce finalmente a esternare la sua rabbia e
trova la forza di urlare al padre il suo odio
per averla abbandonata per dieci anni. Tornata a casa, Leo si sfoga in un pianto disperato. Il giorno dopo, si trucca in modo vistoso e va a ballare. Beve fino a stordirsi e si
sente male per strada: il padre la soccorre.
A casa, mentre il papà la stringe, Leo si chiede se era questo il vuoto che sentiva dentro e
se possa bastare quell’abbraccio per riempire dieci anni di assenza. La ragazza si addormenta sul divano.
Storia di Alì.
Alì Trabelsi è un giovane studente, figlio
di immigrati tunisini perfettamente integrato. Promosso senza debiti scolastici, Alì è
convinto di passare le vacanze in Tunisia con
la madre ma il padre ha deciso che lui resterà in Italia per aiutarlo nel lavoro di giardiniere. Alì è innamorato segretamente di Sara,
la ragazza più carina della scuola. Il giovane inizia a corteggiarla in chat non rivelando la sua identità e lasciandole qua e là romantici disegni di fumetti “manga” giapponesi. Sara apprezza il corteggiamento. Ma il
giorno che Alì esce allo scoperto, Sara fugge. Una sera, Alì rivede Sara a una festa: la
ragazza gli dice che ora le piace il suo amico Federico. Alì discute con Federico ma poi
fa pace. Il giorno dopo Alì riceve in dono dal
padre un fiammante motorino per tutto il lavoro che ha fatto.
Storia di Michele.
Michele è un uomo anziano e malandato
che vive le sue giornate nel ricordo di un amore di gioventù, Maria. Prima di partire per le
vacanze, la figlia lo lascia alle cure di una signorina che baderà a lui durante l’estate, Leo.
Michele è burbero e non gradisce la presenza
della giovane, Leo vorrebbe rifiutare l’incarico ma dopo le insistenze della figlia, decide di
restare. Durante il giorno, Leo viene aiutata
nelle faccende domestiche da Beto, ma la notte deve vedersela da sola con Michele. Anche
Alì è a servizio da Michele come giardiniere.
Leo e Alì fanno amicizia e si aiutano a vicenda
nel tenere a bada Michele. Dal canto suo Michele insegna ai due giovani a vestirsi con stile e ballare come si faceva una volta. Un giorno, Leo trova un mucchio di lettere d’amore
che Michele aveva scritto per Maria tutte da-
S
Tutti i film della stagione
tate 1964. Quella notte, Michele esce di nascosto di casa, Leo si allarma e chiede aiuto
ad Alì. I due giovani lo trovano su un ponte in
attesa di Maria che non è mai arrivata. L’anziano vuole andare a ballare convinto che
Maria lo aspetti lì. I due ragazzi portano Michele a un dancing all’aperto dove c’è la nonna di Leo che Michele scambia per Maria invitandola a ballare. Quella notte Michele va a
letto sereno, mentre Leo e Alì in giardino ballano trasformandosi in un fumetto manga e
volando via insieme.
’amore a vent’anni (o forse anche
meno) ha le ali e può volare. Davvero. Ma Moccia e i suoi epigoni
non lo hanno capito, intenti a dipingere
amori giovanili più vacui che veramente
leggeri. Milanese, classe 1971, Attilio Azzola debutta con Diari alla regia di un lungometraggio che ha lasciato il segno al Festival di Cannes 2008 vincendo il Gran Prix
Ecrans Juniors come miglior film.
È l’amore “giovane” e non solo “giovanile” a fare da motore alle vicende, l’amore giovane diversamente diretto. È amore
“giovane” quello di Leo verso un padre che
è stato assente tanto da crearle un buco,
un senso vuoto che fa paura e impedisce
di volare. È amore “giovane” quello di Alì
verso la ragazza più carina della sua scuola. È l’amore “giovane” quello dei ricordi
indelebili dell’anziano Michele per la mai
dimenticata Maria nel lontano 1964. E infine è amore “giovane” quello di Leo e Alì
che volano via insieme come due figurine
di un fumetto manga (e certamente volano più in alto di 3 metri sopra il cielo). Il
film è diviso in tre capitoli che divengono
L
una sola storia, un solo discorso sulla crescita, ma soprattutto un delicato trattato
sull’amore nelle sue diverse forme.
Frutto di un progetto che ha visto coinvolti a 360 gradi un gruppo di giovani, Diari
è il risultato finale della collaborazione tra il
regista Attilio Azzola e l’educatrice Maria
Grazia Biraghi (anche produttrice associata del film). I due hanno dato vita a un’esperienza formativa “a tutto tondo” condotta nei
primi sei mesi del 2007 con un gruppo di
adolescenti, finalizzata sia allo sviluppo del
soggetto, sia alla scelta dei personaggi, sia
ad affiancare la troupe collaborando come
assistenti. Tutti i giovani scelti per interpretare i ruoli sono non professionisti e per questo più autentici di tanti loro coetanei già
lanciati nello star system. Il regista ha cercato (e trovato) una gioventù diversa da
quella che ci restituiscono le cronache: dediti a eccessi di ogni tipo o vittime della società dei consumi dipendenti solo da cellulari, computer o televisori. “I ragazzi di Azzola” sono quelli capaci di trasformare un
garage in una sala prove, quelli che passano la notte su un computer per realizzare
un’animazione di pochi secondi, quelli che
leggono poesie (ebbene si, ce ne sono ancora), o quelli che non hanno mai letto un
libro ma, come ha sottolineato il regista,
“hanno dentro di sé un enorme bisogno di
gridare al mondo il proprio valore”.
Il risultato di questo lavoro di gruppo è
davvero piacevole e il film dimostra di possedere la stessa leggerezza e poesia di un
romantico ballo di coppia, sì, proprio uno di
quei balli che i giovani non fanno più.
Elena Bartoni
IL GRANDE SOGNO
Italia/Francia, 2009
Regia: Michele Placido
Produzione: Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt per Taodue/Babe Film. In collaborazione con Medusa Film
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Doriana Leondeff, Angelo Pasquini, Michele Placido
Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Consuelo Catucci
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Francesco Frigeri
Costumi: Claudio Cordaro
Organizzatore di produzione: Luciano Lucchi
Aiuto regista: Federico Giorgio Ridolfi
Suono: (presa diretta) Bruno Pupparo
Interpreti: Riccardo Scamarcio (Nicola), Jasmine Trinca (Laura), Luca Argentero
(Libero), Massimo Popolizio (Domenico), Alessandra Acciai (Francesca), Dajana
Roncione (Isabella), Federica Vincenti (Rosa), Marco Brenno (Giulio), Marco Iermanò (Andrea), Laura Morante (Maddalena), Silvio Orlando (colonnello)
Durata: 101’
Metri: 2780
47
Film
oma, fine anni Sessanta. Nicola è
un giovane pugliese arrivato nella capitale per lavorare come poliziotto. Il suo sogno però è quello di diventare attore. Il ragazzo è diverso dagli
altri colleghi. Legge “Paese sera” di nascosto, va al cinema a vedere I pugni in
tasca e Les parapluies de Cherbourg. Nelle università, intanto, c’è un fermento sempre più crescente, nel quale si respira una
forte aria di cambiamento e che porterà
poi alla protesta del ’68.
Il colonnello, parlando con Nicola,
decide così di mandarlo nelle facoltà occupate come infiltrato. Sul posto, il ragazzo incontra Laura, proveniente da una famiglia borghese di estrazione cattolica. Lei
è una brillante e appassionata studentessa di Fisica che sogna un futuro senza più
ingiustizie. Il principio della sua ribellione avviene nel corso di un esame, dove per
la prima volta, decide di ribellarsi al sistema. Subito dopo, il professore viene
chiuso in una stanza con i suoi assistenti.
Inoltre, di nascosto dai genitori, partecipa prima alla marcia per la pace per il
Vietnam e poi svolge un compito sempre
più attivo nelle azioni degli studenti in lotta. In queste occasioni, conosce anche Libero, uno studente operaio leader del movimento studentesco che sogna di fare la
rivoluzione. Laura è sedotta dal suo carisma e se ne innamora. Al tempo stesso,
però, è attratta anche da Nicola ed è proprio con lui che fa l’amore una notte dentro l’università occupata, prima dell’arrivo della polizia. Il giovane non ha mai avuto il coraggio di confessare alla ragazza
che è un poliziotto. E quando lo ha fatto,
c’è stato un brusco allontanamento.
Anche i fratelli minori di Laura, An-
R
Tutti i film della stagione
drea e Giulio, sono sempre più coinvolti
dal clima di contestazione e provocano
sempre più fratture all’interno della loro
famiglia tradizionalista. I genitori infatti
non riescono più a trovare il modo di comunicare con i figli e, solo con la malattia
del padre, ci sarà un riavvicinamento.
Nel frattempo Nicola è stato finalmente ammesso all’Accademia di Arte Drammatica, dove c’è un’insegnante che crede
in lui. Il vento della contestazione arriverà anche lì. Il riavvicinamento con Laura
avviene quando decide di nascondere il
fratello Giulio, ricercato dalla polizia, a
casa sua. Il ragazzo però vuole rivedere il
padre, che sta per morire. Nicola chiede
aiuto ai suoi colleghi e fa in modo che la
cosa avvenga senza conseguenze. Le forze
dell’ordine, però, irrompono nell’abitazione mentre Giulio si trova nella stanza del
padre. E questo episodio separa ancora la
Laura e Nicola.
i è lanciato nuovamente senza paracadute Michele Placido dopo
Ovunque sei. Stavolta lo ha fatto
ancora più direttamente mettendo in gioco
se stesso, la propria memoria personale.
Ed è forse per questo che in Il grande sogno non c’è distanza da quello che viene
raccontato e, di conseguenza, non c’è oggettività neanche nella rappresentazione di
quel periodo. Chi si aspetta dal regista-attore pugliese un ‘film sul ‘68’ può restare
alla fine spiazzato o deluso, ma, del resto,
non appaiono questi né i presupposti, né
gli obiettivi. Placido si racconta in un film
che, per sua stessa ammissione, è profondamente autobiografico. Quegli eventi vengono visti attraverso gli occhi del poliziotto
e aspirante attore Nicola (interpretato da
S
48
Riccardo Scamarcio che con Placido sembra dare ogni volta il meglio di sé). Perciò,
forse, la figura di questo personaggio è sempre immerso tra gli altri, negli eventi. C’è un
momento in cui con la camionetta della
polizia passa davanti agli studenti in piena
rivolta e lui si copre col casco. Neanche
dopo 40 anni, quindi, lo sguardo del cineasta riesce ad avere una sua ‘lontananza’,
a essere più oggettivo. Ed è forse questo
uno dei maggiori motivi di seduzione di Il
grande sogno. Si è visto in passato, comunque, come il cinema di Placido abbia saputo ricostruire diverse epoche storiche, ora
con il respiro del miglior cinema civile (Un
eroe borghese e, soprattutto, Del perduto
amore, uno dei suoi film più belli e nascosti), ora con le forme di un noir esplosivo
(Romanzo criminale). Il grande sogno rappresenta un ulteriore passo nella direzione
di un cinema che si rimette in gioco e ri/
sperimenta quelle ‘strade perdute’ di Ovunque sei. Da una parte, c’è la figura di Laura, la sua presa di coscienza che la distanzia dalla sua famiglia di estrazione borghese-cattolica. Dall’altra c’è Libero, un ragazzo che sogna un futuro rivoluzionario. Al di
là delle scene degli scontri tra studenti e
forze dell’ordine, dove la macchina da presa del regista è sempre troppo dentro anche quando li inquadra, il ’68 è mostrato
certamente attraverso degli squarci oggettivi, ma, soprattutto, sembra vivere nella
testa dei suoi protagonisti. Quindi come un
desiderio, come un’utopia. Il frammento in
cui Laura partecipa alla marcia della pace
per il Vietnam potrebbe non essere mai avvenuto. Potrebbe trattarsi di una proiezione
mentale soggettiva, di un’aspirazione ideale, in cui si accentua ancora di più lo scarto tra la realtà e il sogno, anzi ‘il grande sogno’. In mezzo c’è Nicola, una specie di figura sospesa, a metà tra i poliziotti e gli studenti, che, alla fine, non riesce mai a trovarsi né da una parte né dall’altra. Il finale,
con il mancato ricongiungimento con Laura, è esemplare. C’è qualcosa che lì divide,
un vetro, forse per sempre.
Non si può dire, come si è visto, che
quello di Placido possa essere un film in
soggettiva attraverso Nicola. Però, attraverso la sua figura, sembra esserci comunque l’obiettivo della macchina da presa che
lo segue, che fa vedere proprio attraverso
di lui.
Forse Il grande sogno non ha quel respiro corale di Romanzo criminale. Ma, forse, dichiaratamente, non può e non vuole
averlo. La pellicola appare soprattutto come
un viaggio nella memoria individuale, dove
certi personaggi, certi eventi appaiono più
nitidi e altri più sfocati. Proprio come nei ricordi personali. E al di là delle cicatrici che
Film
può avere un film come questo (sembra infatti che sia stato tagliato di 45 minuti), c’è
da sottolineare come Placido ci sia annegato dentro e l’abbia fatto con il cuore. Riccardo Scamarcio, che dà un saggio anche
di ottima tecnica recitativa nella scena dell’audizione, forse è il suo Jean-Pierre Léaud
e sta un gradino sopra ai pur bravi Jasmine
Trinca e Luca Argentero. Ed è proprio per
questo che, spingendoci oltre, si può considerare Il grande sogno come il personale
The Dreamers del regista. Magari non in
Tutti i film della stagione
modo così evidente come nel film di Bertolucci, ma anche qui cinema e vita diventano elementi coincidenti. Ci sono brani, per
esempio, da I pugni in tasca di Bellocchio e
Les parapluies de Cherbourg di Jacques
Demy. Inoltre, il momento della famiglia di
Laura in vacanza d’estate ha le forme vibranti di un film amatoriale familiare. Altri
frammenti visivi che forzano ma entrano
nella pellicola e le accelerano ancora di più
i battiti fino a quando questi diventano incontrollabili. Ed è ancora Scamarcio che,
per un momento, diventa Placido proprio
all’inizio del film quando viene ripreso dal
suo superiore. Sembra un riciclaggio del
soldato Passeri di Marcia trionfale di Bellocchio, interpretato proprio dal regista di Il
grande sogno. Da lì il film inizia e prende
forma più nell’istinto che nel cervello. Anzi
inizia il personale diario di un sognatore. Incontrollato, pieno di sbalzi improvvisi e, per
questo, bellissimo.
Simone Emiliani
NEMICO PUBBLICO N. 1 – L’ORA DELLA FUGA
(L’ennemi public n° 1)
Francia/Canada, 2008
Regia: Jean-François Richet
Produzione: Maxime Rémillard, André Rouleau, Thomas Langmann per La Petite Reine/Pathé. In coproduzione con M6 Films. Con la partecipazione di Remstar Productions/Canal+/
TPS Star/120 Films. In associazione con Uni Etoile 4/Uni Etoile
5/Cinémage 2/Banque Populaire Images 8/CNC. Con il supporto di Région Haute-Normandie/Natixis Coficiné
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 17-4-2009; Milano 17-4-2009)
Soggetto: tratto da l’autobiografia L’istinto di morte di Jacques
Mesrine
Sceneggiatura: Abdel Raouf Dafri
Direttore della fotografia: Robert Gantz
Montaggio: Bill Pankow, Hervé Schneid
Musiche: Marco Beltrami, Marcus Trumpp
Scenografia: Emile Ghigo
Costumi: Virginie Montel
Produttore esecutivo: Daniel Delume
Produttori associati: Jean Cottin, Emmanuel Montamat
Direttori di produzione: François Pulliat, Danny Rossner,
Laurent Sivot, Jerry Thevenet
Casting: Antoinette Boulat
Aiuti regista: Ludovic Bernard, Alexandre Bernard, Patrice Lefevre, Sinan Saber
Operatore: Benoit Dentan
Supervisore art direction: Jean-Andre Carriere
Trucco: Thi Thanh Tu Nguyen, Christophe Giraud, Sandrine Gonzales, Alice Robert, Nathalie Trépanier, Dana Vargas
a seconda parte di Nemico pubblico n. 1 descrive la vita e, soprattutto, i crimini del bandito
Jacques Mesrine dal 1973 al 1979, fino
al momento della sua esecuzione in strada per mano della polizia: vita, crimini e
morte di Jacques Mesrine, professione
bandito.
L’8 marzo 1973 Mesrine viene arrestato: la fuga del 6 giugno dal tribunale di
Compiègne, con la complicità di Michel
Ardouin che gli fa trovare una pistola nel
bagno, è plateale. Più tardi, da latitante,
visiterà camuffato da medico il padre agonizzante in ospedale.
L
Acconciature: Dana Vargas
Supervisore effetti speciali: Georges Demétrau
Coordinatore effetti speciali: François Philippi
Supervisori effetti visivi: Alain Carsoux Stephane Dittoo
Coordinatori effetti visivi: Anais Bettrand, Séverine De
Wever, Chauvet Florian
Supervisore musiche: Jérôme Lateur
Interpreti: Vincent Cassel (Jacques Mesrine), Ludivine Sagnier (Sylvia Jeanjacquot), Mathieu Amalric (François Besse), Gérard Lanvin (Charlie Bauer), Samuel Le Bihan (Michel
Ardouin), Olivier Gourmet (commissario Broussard), Georges
Wilson (Henri Lelièvre), Michel Duchaussoy (padre di Mesrine), Myriam Boyer (madre di Mesrine), Anne Consigny (avvocato di Mesrine), Georges Wilson (Henri Lelièvre), Alain Fromager (Jacques Dallier, giornalista per “Minute), Arsène Mosca (Jojo, un poliziotto), Laure Marsac (giornalista), Christophe
Vandevelde (ispettore Gégé), Luc Thuillier (commissario
OCRB/Lucien Aimé-Blanc), Pascal Elso (commissario SRPJ),
Serge Biavan (ispettore SRPJ), Isabelle Vitari (cassiera), Michael Vander-Meiren, David Seigneur (poliziotti), Nicolas
Abraham (Grangier), Joseph Malerba (Robert), Pascal Doucet-Bon (giornalista Compiègne), Emmanuel Vieilly (ispettore
al cimitero), Pascal Liger (pugile), Fanny Sydney (Sabrina 16
anni), Rachel Suissa (principessa Annie), Clémence Thioly
(principessa Christiane)
Durata: 130’
Metri: 3570
Nel settembre 1973 una rapina in banca degenera in scontro a fuoco e l’autista
della banda viene arrestato. Jacques e
Michel fuggono prima in macchina poi in
metro, dove Ardouin prende le distanze da
Mesrine, lasciandolo solo. In carcere l’autista canta: il 28 settembre la polizia circonda l’appartamento del nemico pubblico numero uno e lo arresta senza sparare
un colpo dopo una cavalleresca trattativa
tra Mesrine e il commissario Robert Broussard, comandante della BRI (Brigade de
Recherche et d’Intervention). La detenzione è nel carcere della Santé, dove per acquistare maggiore visibilità, Mesrine de-
49
cide di scrivere la sua autobiografia
“L’istinto di morte”, pubblicata a ridosso
del processo che lo condannerà a venti anni
di reclusione. In carcere avviene il colloquio toccante con la figlia Sabrina, che
continua a volergli bene nonostante tutto.
Nel marzo 1978, assieme a François
Besse, avviene la rocambolesca evasione
dalla Santé. Nel corso della latitanza, i due
compiono un’ingente rapina al casinò di
Deauville. Poco dopo, l’incontro tra Mesrine e Sylvia Jeanjacquot, l’intervista a
“Paris-Match”, in cui si dichiara pronto
a sovvertire il sistema a suon di bombe e
terrorismo, e nel 1979, il sequestro dell’an-
Film
ziano miliardario Henri Lelièvre con relativo riscatto di sei milioni di franchi. In
agosto, l’incontro con Charlie Bauer, estremista di sinistra, sembra preludere a un
inserimento del “cane sciolto” Mesrine
nelle frange della lotta armata. Ma, poco
dopo, il bandito massacra di botte Jacques
Tillier, giornalista del settimanale di destra “Minute”, a causa di un suo precedente articolo infamante su di lui. È una
mossa azzardata, Bauer lo sa e prende a
sua volta le distanze da Mesrine. Un preludio a un epilogo annunciato in apertura: il 2 novembre Mesrine e Sylvia, alla
Porte de Clignancourt, cadono in un’imboscata dell’antigang comandata da
Broussard. Senza che la polizia abbia intimato la resa, Mesrine viene crivellato di
proiettili e giustiziato con un colpo alla
tempia.
C
he il puntualissimo citazionismo
dei grandi classici noir (su tutti
Melville) e l’azione più sfrenata
Tutti i film della stagione
e adrenalinica del film di Richet abbia saputo conquistare la critica (un po’ meno il
pubblico, ma L’ora della fuga è uscito stranamente in sordina) è solo la dimostrazione di quanto male fosse venuto il precedente L’istinto di morte. Il quale, intendiamoci, aveva sulle spalle gravose responsabilità: occorreva “preparare il terreno” delle azioni criminali di Mesrine,
svelarne il passato, spiegarne la psicologia. Tutte cose venute piuttosto male, ma
va dato atto di averci provato. L’ora della
fuga ha invece dalla sua l’innato vantaggio di dare per scontata la visione del film
precedente, e potersi concedere il lusso
di partire a tavoletta in una dinamica celebrazione delle gesta criminali del nemico pubblico numero 1. Il risultato può dirsi comunque riuscito in termini di partecipazione: quando Richet preme sull’acceleratore sa creare scene coinvolgenti (l’ultima, quella dell’esecuzione di Mesrine,
regala una suspense inaspettata quanto
gradita, giocando per una volta – una sola
– sulla sospensione). Non mancano, al
solito, facili approssimazioni (la fascinazione che Mesrine esercita verso l’avvocatessa, che gli fornisce le armi per evadere), ma Richet trova il tempo per frenare sull’action e soffermarsi sulla destrutturazione dell’aura mitica del personaggio, ideologicamente confuso e fatalmente
egocentrico da impedire qualunque joint
venture con i gruppi criminali dell’epoca
(e il richiamo agli anni di piombo e al caso
Moro sono un indubbiamente riuscito dettaglio storico e sociale). Una mossa azzeccata, in grado di sfrondare il tutto da
eccessi di didascalismo e facili romanticismi da romanzo criminale. Che talora
permangono (il totale amore della figlia
di Mesrine verso il padre è cieco di fronte
a qualsiasi cosa succeda, la Sagnier è
una pupa del gangster nel senso più stereotipato del termine), ma decisamente
ci si può accontentare.
Gianluigi Ceccarelli
CROSSING OVER
(Crossing Over)
Stati Uniti, 2009
Supervisore effetti speciali: Larry Fioritto
Supervisori effetti visivi: Adam Avitabile (LOOK! Effects),
Edson Williams (Lola Visual Effects)
Coordinatore effetti visivi: Phillip Palousek
Supervisore costumi: Anthony J. Scarano
Supervisore musiche: Brian Ross
Interpreti: Harrison Ford (Max Brogan), Ray Liotta (Cole
Frankel), Ashley Judd (Denise Frankel), Jim Sturgess (Gavin Kossef), Cliff Curtis (Hamid Baraheri), Alice Braga (Mireya Sanchez), Alice Eve (Claire Shepard), Summer Bishil (Taslima Jahangir), Jacqueline Obradors (agente speciale Phadkar), Justin Chon (Yong Kim), Melody Khazae (Zahra Baraheri), Merik Tadros (Farid Baraheri), Marshall Manesh
(Sanjar Baraheri), Nina Nayebi (Minoo Baraheri), Naila Azad
(Rokeya Jahangir), Shelley Malil (Munshi Jahangir), Jamen
Nanthakumar (Abul Jahangir), Jaysha Patel (Jahanara Jahangir), Leonardo Nam (Kwan), Tim Chiou (Steve), West Liang
(Mark), Johnny Young (Justin), Lizzy Caplan (Marla), Ogechi Egonu (Alike), Aramis Knight (Juan Sanchez), Chil Kong
(Chin Kim), Mahershalalhashbaz Ali (detective Strickland),
Sarah Shahi (Pooneh Baraheri), Sung Hi Lee (Min Kim), Andy
Kang (Seung Kim), Josh Gad (Howie), Maree Cheatham (giudice Freeman)
Durata: 113’
Metri: 2910
Regia: Wayne Kramer
Produzione: Wayne Kramer, Frank Marshall per C.O. Films/
The Kennedy-Marshall Company/Movie Prose/Road Rebel/
The Weinstein Company
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Wayne Kramer
Direttore della fotografia: Jim Whitaker
Montaggio: Arthur Coburn
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Tony Corbett
Costumi: Kristin M. Burke
Produttori esecutivi: Michael Beugg, Bob Weinstein, Harvey Weinstein
Coproduttore: Gregg Taylor
Direttore di produzione: Omar Veytia
Casting: Anne McCarthy, Jay Scully
Aiuti regista: Nicholas Mastandrea, Maria Mantia, Marisol ‘Ari’
Oyola
Operatori: Josh Medak, Brian T. Pitts
Operatore steadicam: Colin Hudson
Art director: Peter Borck
Arredatore: Linda Lee Sutton
Trucco: John E. Jackson, Tammy Ashmore
Acconciature: Daniel Curet, Marie Larkin, Richard De Alba
ax Brogan è un agente dell’ICE
(Immigration and Customs Enforcement) che opera sul confine tra il Messico e gli Stati Uniti per ostacolare con ogni mezzo qualsiasi forma di
immigrazione clandestina. Innumerevoli
sono le ispezioni e gli arresti che Max e il
M
suo gruppo eseguono nelle piccole aziende familiari di quella zona, dove tutto è
irregolare, precario, contro la legge. Max
cerca di compiere il suo dovere più umanamente possibile, cosa che gli porta la
pesante ironia dei suoi colleghi: così facendo arresta l’irregolare Mireya Sanchez
50
che ha un bambino affidato, a pagamento,
a una megera. Max preleva il bambino e
lo porta ai nonni, in Messico, a cui poi sarà
anche costretto a riferire che Mireya, durante l’evasione e la fuga per ritornare a
casa è stata uccisa dal locale trafficante
di esseri umani.
Film
Denise Frankel, avvocatessa dei deboli, si accorge solo alla fine che suo marito
Cole, funzionario dell’Immigrazione, ha
rilasciato la green card a una ragazza australiana dopo un lungo periodo di sesso
con lei e per questo è arrestato. La giovane palestinese Zahra è espulsa dagli USA
per avere tentato di fare capire in un compito in classe le ragioni degli attentatori
dell’11 Settembre. Yong Kim, ragazzo coreano che partecipa, suo malgrado, a una
sanguinosa rapina in un drugstore con una
banda di balordi, è lasciato in vita dal poliziotto Hamid (iraniano, collega di Brogan) dopo che gli ha ammazzato quattro
complici, per permettergli di partecipare
alla cerimonia di naturalizzazione di tutta
la sua famiglia. Lo stesso Hamid e il fratello sono arrestati da Brogan per avere
ucciso la sorella, “colpevole”, secondo
Tutti i film della stagione
loro di un’emancipazione all’occidentale
troppo spiccata e quindi immorale. Il giovane ebreo Kossef ottiene i documenti spacciandosi per insegnante nelle scuole religiose: ha come aiuto la testimonianza di
un rabbino che non crede minimamente
alla sua versione ma lo aiuta perché colpito dalla bella voce del ragazzo che utilizzerà come cantore nella sua sinagoga.
l film ha come predecessori Crash
e Babel di cui ripropone la struttura narrativa circolare, cioè un racconto che risolve e scioglie nella seconda
parte le storie presentate nella prima. Di
quei due film, però, il presente lavoro non
mantiene la stessa durezza d’immagine nè
la forza descrittiva di un montaggio mai in
calo; così quella tesi di fondo che riconosce, in pratica, l’impossibilità di tenere in un
I
accettabile livello civile i rapporti interrazziali perché sono proprio i comuni rapporti
di vita quotidiana a manifestare una completa e spietata difficoltà di coesistenza, risulta qui piuttosto annacquata; il film è sempre seduto, spesso noioso, sulla linea del
suo protagonista Harrison Ford, sempre
sommesso e dimesso nell’incarnazione del
dolore umano, di cui pare non comprendere l’appartenenza generale, dove non c’entra né la razza né la religione.
L’assurdo del risultato è che i personaggi, avviluppati nei loro problemi di razza, spesso non risultano simpatici e non
trascinano dalla loro parte quel coinvolgimento dello spettatore che dovrebbe essere la molla primaria a scattare in film di
questo genere.
Fabrizio Moresco
LE AVVENTURE DEL TOPINO DESPEREAUX
(The Tale of Despereaux)
Gran Bretagna/Stati Uniti, 2008
Regia: Robert Stevenhagen, Sam Fell
Produzione: Gary Ross, Allison Thomas per Universal Pictures/Larger Than Life Productions/Framestore Feature Animation/Universal Animation Studios
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 24-4-2009; Milano 24-4-2009)
Soggetto: dal libro omonimo per ragazzi di Kate DiCamillo
Sceneggiatura: Gary Ross, Will McRobb, Chris Viscardi
Direttore della fotografia: Brad Blackbourn
Montaggio: Mark Solomon
Musiche: William Ross
Scenografia: Evgeni Tomov
Produttori esecutivi: Robin Bissell, Ryan Kavanaugh, David Lipman, William Sargent
Produttori associati: Celia Boydell, Casey Crowe, Peiyu H.
Foley, Jamal McLemore
Coproduttore: Tracy Shaw
Direttori di produzione: Tripp Hudson, Frederick Lissau
Casting: Debra Zane
Art director: Olivier Adam
Supervisore effetti visivi: Barry Armour
Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta
Supervisore animazione: Gabriele Zucchelli
Animazione personaggi: Rosie Ashforth, Ferran Casas,
Jesus del Campo, Nelson Yokota de Paula Lima, Cecile Du-
el regno di Dor, ogni prima domenica di Primavera, si celebra
la Festa della Zuppa e, come
ogni anno, lo chef Andrè, assieme allo
spirito delle verdure, ne crea una differente
che verrà poi distribuita per tutta la città. Il
ratto Roscuro, diverso da quelli della sua
specie perché ama il sole ed è sincero, si
trova col suo amico umano proprio in quel
regno. Purtroppo, pur di vedere la bella
principessa Pea da vicino, cade nel piatto
N
bois-Henry, Benoit Dubuc, Hyun Chul Jung, Andrew Lawson,
Bart Maunory, Nathan McConnell, Simon Pickard, Allison
Rutland, Ricardo Silva
Animazione: Dan Ayling, Marc Beaujeau, David Beer, Antoine
Birot, Brendan Body, Bart Boirot, Andrea Castagnoli, Paul Claessens, Rahul Dabholkar, Phil Dale, Florent de La Taille, Pepe
de Lucas, Peter Dodd, Matt Everitt, Samy Fecih, Mike Ford, Aldo
Gagliardi, Daniel Gerhardt, Jordi Girones, Laurent Laban, Jeremy
Lazare, Stuart M. Ellis, Ambre Maurin, Peter McCauley, Sandra
Murta, Kevin O’Sullivan, Christopher Page, Matthieu Poirey, James Porter, In-Ah Roediger, Liam Russell, Alison Sanders, Michael Schlingmann, Nicolas Seck, Brad Silby, Elwaleed Suliman,
Andrew Myles Thompson, Tim Watts, Jardel Yvon
Voci: Matthew Broderick (Despereaux), Dustin Hoffman (Roscuro), Emma Watson (Principessa Pea), Christopher Lloyd (Hovis), Robbie Coltrane (Gregory), Kevin Kline (Andre), William
H. Macy (Lester), Stanley Tucci (Boldo), Ciarán Hinds (Botticelli), Tracey Ullman (Mig), Tony Hale (Furlough), Frances
Conroy (Antoinette), Frank Langella (sindaco), Richard Jenkins
(preside), Chales Shaughnessy (Pietro), Sigourney Weaver
(narratrice), Patricia Cullen (regina), Sam Fell (Ned), Jane
Karen (Louise), McNally Sagal (insegnante), Bronson Pinchot
(banditore comunale)
Durata: 90’
Metri: 2450
della Regina, che per lo spavento muore.
Roscuro, pur di salvarsi cade nelle fogne
finendo nel tetro regno dei Ratti. Nel mentre il Re, sopraffatto dal dolore, bandisce
dal regno sia i ratti che le zuppe; così facendo turba il normale equilibrio portando
alla perdita dei colori e siccità perenne.
Intanto, nel mondo sotterraneo dei
Topi, nasce Despereaux, che subito si distingue dagli altri per via della bassa statura e delle enormi orecchie. Le differenze
51
non terminano qui. Despereaux possiede
infatti un coraggio ed una curiosità, che
non si trovano in altri topolini. Tutto questo, preoccupa i genitori e gli insegnanti
della scuola, che invano cercano di farlo
diventare un topo pauroso e prudente.
Anche Roscuro non riesce a integrarsi
fra i suoi simili, che vivono di sporcizia e
bassezze. La cosa che più trova aberrante
è l’Arena, una sorta di Colosseo, con tanto di giochi simili.
Film
Sorte non migliore tocca alla principessa Pea, che soffre di solitudine per la madre e i colori. Il Re non fa che piangere e
suonare musica malinconica davanti al ritratto della regina. Neanche il popolo vive
più bene: ogni abitante di Dor è infelice.
Le cose cambiano quando Despereaux,
accompagnato dal fratello maggiore, sotto
consiglio paterno, va in biblioteca, per insegnargli a rosicchiare i libri. Despereaux inizia invece a leggere il libro, dove si racconta
la storia di una principessa in difficoltà. Nel
vedere Pea piangere, decide che sarà lui il
gentiluomo che la salverà. I due si conoscono; la sua impresa eroica sarà finire di leggere, per poi raccontarle, la favola della principessa prigioniera. Despereaux si confida
col fratello, il quale dice la verità ai genitori,
che a loro volta sono costretti a denunciarlo.
Despereaux, causa aver parlato con un’umana, viene condannato all’esilio nelle fogne
dove vivono i ratti.
In questo nuovo mondo, il topolino viene salvato in extremis da Roscuro, proprio
mentre stava per essere ucciso da un gatto
nell’Arena. I due diventano amici; Despereaux racconta della principessa Pea e della sua tristezza. Roscuro decide di andare
da lei e chiederle scusa. Ma Pea, riconoscendovi la causa di morte della madre,
grida aiuto. Roscuro, profondamente deluso e arrabbiato medita vendetta. Chiede
aiuto a Maya, grassoccia cameriera di Pea
in lite col mondo, perché vorrebbe lei stessa essere una principessa. Roscuro usa
Maya con l’inganno per far rinchiudere Pea
dai ratti, il cui intento è usarla come pasto.
Despereaux, dopo aver cercato aiuto sia
negli amici che nel Re invano, riesce a salvarla proprio grazie all’intervento di Roscuro, che ha capito i suoi errori. Intanto
nel mondo degli uomini, Andrè aveva rincominciato a cucinare zuppe, la qual cosa
ha permesso il ritorno dei colori e della
Tutti i film della stagione
pioggia ed infine del sole. Roscuro, grazie
a una lente riesce ad utilizzare la luce del
sole, per distruggere il regno dei Ratti.
Maya ritrova nel guardiano delle prigioni Gregory il padre che l’aveva abbandonata da bambina, il Re torna ad essere
un buon Re verso il suo popolo e Pea, Roscuro tornerà per mare, Despereaux diventa un eroe.
ravo il topino Despereaux! Protagonista di un film d’animazione
decisamente sopra la media. La
storia è quella di un topolino, diverso perché non si amalgama alla massa e differente persino nell’aspetto fisico. Questo diverso riesce nella sua missione: salvare
la principessa in pericolo e tornare da eroe
in casa propria.
Al di là del racconto di base, Le avventure del Topino Despereaux, offre mille
spunti di riflessione.
I tre mondi riscontrano caratteristiche
differenti, che possano renderli facilmente
distinguibili; quello degli uomini sembra tendere verso l’altro, con elementi architettonici
in verticale, qualità riscontrabile anche nella
principessa Pea e nel Re; in quello dei topi
si ricalcano le grandi città europee del ‘700;
quella dei ratti è cupa e tetra, con abitanti
che ricordano dei vampiri (non ha caso la
loro distruzione è data dalla venuta dei raggi
del sole nell’Arena); un mondo in cui vi è una
arena come l’antica Roma, con tanto di giochi al massacro e un Re che col pollice decide il destino del malcapitato. I mondi degli
animali si contrappongono, l’uno pulito e limpido, l’altro sporco e sudicio.
Diversi i riferimenti a film targati Disney:
la lotta che Despereaux immagina mentre
legge il libro, ricorda quella del Principe
Filippo in La bella addormentata nel bosco; il tribunale dei topi è un richiamo alla
B
sede della Società di Salvataggio, in cui
lavorano i due topolini Bianca e Bernie;
infine vi sono sicuramente le grandi orecchie di Despereaux, che come il suo collega Dumbo, le utilizza per volare.
La figura di Despereaux, si fa attendere.
L’eroe non si vede che circa quindici minuti
dall’inizio, creando attesa per la sua comparsa sul grande schermo. Questa più o
meno la sequenza: il padre arriva dalla moglie che ha appena partorito, quello che vedremo però non è Despereaux, ma una sua
soggettiva per farci capire come lui guarda il
mondo, senza mai battere ciglio. Questo ritardo è giustificato, poiché un eroe compare
solo quando il mondo ne ha bisogno.
Bella anche la costruzione del ratto Roscuro, anche lui diverso dagli altri della sua
razza, perché amante del sole e della buona cucina. Con questo personaggio, si viene forse a contatto con quello più umano di
tutti. Buono di cuore quindi inizialmente positivo, ma indurito dal dolore, prende per un
breve periodo una strada che lo avvicinerà
al male, per poi tornare dalla parte del bene.
Un film non molto adatto ai bambini per
diverse ragioni. Alcune scene risultano decisamente forti come quella del giudizio,
solenne quanto intenso; nonché il personaggio del topo cieco, che vive isolato da
tutti per il ribrezzo che suscita. Così anche
la città stessa dei ratti, con tanto di teschi e
la scena dell’assalto sulla povera Pea.
Forti anche i temi trattati come l’abbandono filiale o il dolore per la perdita della
persona amata.
Gli insegnamenti morali vanno di pari
passo; tanto per citarne di belli: quando si
prova un grande dolore, si cerca una colpa per sedarlo, oppure che quando ci si
spezza il cuore, si può aggiustare male.
Elena Mandolini
VISIONS
Italia, 2009
Casting: Shaila Rubin
Effetti trucco: Manlio e Luigi Rocchetti
Effetti digitali: Proxima
Suono: (presa diretta) Gaetano Carito
Interpreti: Henry Garrett (Mat), Jacob Von Eichel (Nick), Caroline Kessler (Hope), Steven Matthews (dr. Leemen), Ralph
Palka (Gale), Katie McGovern (Britney), Jennifer Norton (Katrina), Jeffrey Jones (coroner), Clark Grant Slone (tenente
Bancroft), Niccolò Senni (James), Francesco Martino (David),
Rob Allyn (Chad), Milena Mancini (Alex), Anthony Souter (capitano di polizia), Cyrus Elias (capo FBI)
Durata: 108’
Metri: 2610
Regia: Luigi Cecinelli
Produzione: Baker Pictures/Cydonia
Distribuzione: Istituto Luce
Prima: (Roma 5-6-2009; Milano 5-6-2009)
Soggetto: Andrea Dal Monte
Sceneggiatura: Andrea Dal Monte. Con la consulenza di John
Sheppard
Direttore della fotografia: Claudio Zamarion
Montaggio: Claudio Misantoni
Musiche: Stefano Fresi
Scenografia: Maurizio Marchitelli
Costumi: Paola Bonucci
Direttore di produzione: Stefano Canzio
52
Film
lcuni corpi speciali dell’Fbi irrompono in una fabbrica dismessa che sembra essere il covo di
un ricercato serial killer, noto come Spider.
Il sadico ha infatti l’abitudine di rinchiudere
le sue vittime in un bozzolo, simile alla tela
di un enorme ragno, per tenerle in vita il più
possibile e nutrirsi della loro sofferenza. In
realtà, si rivela come una trappola: nel momento in cui i poliziotti tentano di liberare
gli ostaggi, vengono innescate delle torture
che fanno una vera e propria carneficina. La
strage induce alle dimissioni il dottor Freederick Leemen, psichiatra criminale, che da
anni tenta di ricostruire la personalità dell’assassino. Rassegnato, il dottore chiude il
caso e torna a occuparsi della sua clinica
psichiatrica. Tra gli altri, Leemen ha in cura
Matthew, un ragazzo appena ridestatosi da
un coma, a causa di un misterioso incidente
stradale, che ne ha minato le percezioni, cancellato la memoria e compromesso i rapporti
interpersonali. Ma questo blackout gli consente di sviluppare alcune straordinarie doti
cognitive e sensitive. Il ragazzo inizia ad avere strane e agghiaccianti visioni e frequenti
incubi notturni. Matthew riesce ad aprirsi
soltanto con il tossico ed esuberante Nick,
un paziente della clinica che ha la passione
per il gioco con i dadi. Un giorno, durante
un’incursione nell’ufficio di Leemen per avere informazioni riguardo il proprio passato,
Matthew scopre le prove del caso Spider. Il
dottore aveva infatti raccolto delle videocassette con immagini raccapriccianti delle torture che il killer infliggeva alle sue vittime. A
quel punto, le visioni del ragazzo diventano
ancora più frequenti, da spingerlo a indagare personalmente sul caso. Tramite ricerche
sul web, i due ragazzi si mettono in contatto
con una giovane giornalista, Hope, che sta
seguendo le indagini sugli omicidi del serial
killer. La giovane reporter è motivata e cinica al punto giusto per seguire un caso del
genere, anche contro la volontà del suo direttore. Il dottor Leemen, venuto a conoscenza delle doti particolari del suo assistito, decide di riaprire il caso. Infatti le visioni di
Matthew permettono di scoprire i nascondigli del serial killer e di prevedere anche le
sue mosse successive. Con l’aiuto della giornalista e di Nick, il ragazzo conduce la polizia nel nascondiglio di Spider, dove si trovano alcune vittime ancora vive. È qui che uscirà fuori la verità. Spider non è altro che lo
stesso Matthew, affetto da schizofrenia e personalità multipla, che è stato sottoposto dallo staff di Leemen a un trattamento psichiatrico di perdita della memoria. Non riuscendo infatti a trovare le ultime vittime, l’unica
possibilità era che fosse lo stesso killer a
portare l’Fbi sulle loro tracce. Matthew viene arrestato e portato in una cella di isolamento. Tuttavia Hope, segretamente innamorata di lui, continua a pensare che in fondo
sia innocente.
A
Tutti i film della stagione
ra lo psico thriller e l’horror Visions è l’esordio del regista romano Luigi Cecinelli, scritto da
Del Monte ma girato negli Stati Uniti e recitato da attori poco visti e conosciuti. Fin dalla prima sequenza, si ha l’impressione di essere tornati indietro nel tempo; l’epoca è più
o meno quella dei telefilm degli anni Ottanta. Insomma il film si iscrive da subito in maniera consapevole e senza troppe pretese,
in serie B. Se infatti la matrice è il “serial thriller” americano di derivazione letteraria (vedi
Il silenzio degli innocenti o Il collezionista di
ossa) con alcuni innesti all’interno del meccanismo di incremento della suspense, che
richiamano alla mente gli enigmi psicologici
di Saw e di Spider (sarà un caso che il serial
killer si chiama proprio così?), il film viene
descritto più come una copia che come un
originale. Dalla fotografia sporca, ai luoghi
tipici del genere, a certe soluzioni stilistiche
artigianali (come le cornici iperrealistiche
delle varie visioni del protagonista, virate nei
colori e nella saturazione), Visions è una pellicola che di nuovo ha ben poco. Per non
parlare poi della recitazione e del doppiaggio, davvero poco riusciti. Del resto, a questo tipo di prodotti non si chiede molto: ci si
accontenta di una scarsa recitazione e pure
di dialoghi antirealistici, basta che quei nodi
della sceneggiatura sappiano dipanarsi adeguatamente in modo da coinvolgere il suo
spettatore, mantenere viva la voglia di seguire la storia fino alla fine, magari facendo
pure una chiusura a effetto. Giocando sui
diversi livelli di percezione della realtà, Ceci-
T
nelli, noto in tv e nel campo video musicale,
probabilmente ha fatto del suo meglio nell’intento di lasciare nello spettatore un senso di destabilizzazione forte, con il fine di creare un universo ambiguo, doppio, del quale
è impossibile (oltre che inutile) capirne e
svelarne i meccanismi di funzionamento. Il
problema è che se l’operazione viene applicata da registi come Lynch o Cronenberg, i
quali però da sempre aderiscono ad un preciso progetto estetico, è un conto, altro è se
a farlo è un regista alle prime armi. Il tentativo di emulazione di questi grandi modelli fallisce, nonostante si cerchi di camuffare il tutto con effetti speciali o verbosità tecniche.
Manca infatti totalmente la tensione necessaria a creare l’atmosfera che dovrebbe condurre lo spettatore con il fiato sospeso ad un
epilogo, per di più per nulla sorprendente. I
tempi della narrazione non appaiono ben
orchestrati, ci sono dei vuoti di sceneggiatura e i dialoghi spesso sono davvero scontati
e grotteschi. A volte mettere tanta carne al
fuoco per poi non consumarla può risultare
nocivo per la comprensione del pubblico, soprattutto se poi non si riescono a risolvere tutte
le tracce disseminate nel corso della narrazione e a giustificare dei passaggi poco chiari. È probabile che l’attenzione sia caduta in
gran parte sul richiamo del pubblico a scapito del resto. Peccato perché si sentiva il bisogno di un horror-movie nostrano, che non
fosse afflitto, ancora una volta, dall’inguaribile e contagiosa febbre da box office.
Veronica Barteri
PIEDE DI DIO
Italia, 2008
Regia: Luigi Sardiello
Produzione: Enzo Porcelli per Achab Film/Ripley’s Film
Distribuzione: Achab Film
Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Luigi Sardiello
Direttore della fotografia: Tommaso Borgstrom
Montaggio: Bruno Sarandrea
Musiche: Andrea Terrinoni
Scenografia: Carlo Rescigno
Costumi: Grazia Colombini
Organizzatore generale: Paolo Venditti
Aiuto regia: Marco Antonio Pani
Suono: (presa diretta) Remo Ugolinelli, Fabrizio Andreucci
Interpreti: Emilio Solfrizzi (Michele Corallo), Rosaria Russo (Benedetta), Filippo
Pucillo (Elia), Paolo Gasparini (Giulio), Antonio Catania (maestro), Elena Bouryka
(Vittoria), Antonio Stornaiolo (Mago Raian), Guido Quintozzi (direttore di banca),
Luis Molteni (dott. Romano), Matteo Girardi (Michele giovane), Daniele Mancini (Giulio
giovane), Angelo Argentina, Gian Nicola Resta (accompagnatori), Alessandra Caliandro (ragazza procace), Carlotta Sapia (Giorgia), Eleonora Gaggioli (madre di
Giorgia), Antonio Covatta (padre di Giorgia), Gaetano Gentile (cameriere bar Roma)
Durata: 95’
Metri: 2650
53
Film
ichele Corallo, ex promessa sui
campi di calcio stroncato da un
grave infortunio, è un talent
scout che gira l’Italia in cerca di nuovi talenti da lanciare nel professionismo. Giunto
in Salento per visionare una partita, s’imbatte per puro caso in Elia, diciottenne con
un cervello da dodicenne, talento purissimo
che si diverte a giocare con gli amici in spiaggia. In paese lo conoscono tutti, è famoso
per non aver mai sbagliato un calcio di rigore e Michele – che da qualche tempo vive
ben al di là delle proprie possibilità – intravede nel ragazzo lo spiraglio di un nuovo
avvenire. Convincere la madre di Elia a portarlo a Roma per un provino non è facile,
però. Alla fine, vinta l’indecisione della donna, Michele ritorna nella capitale con il ragazzo, che ospita a casa sua. Dove, tra le
altre cose, dovrà tener testa all’inconsistente Vittoria, aspirante “attrice” lamentosa e
piagnucolosa con la quale Michele porta
avanti un rapporto ormai più di facciata che
reale. Ma anche in questo caso, Michele si
convince che grazie all’asso nella manica
rappresentato da Elia, le cose finiranno per
aggiustarsi. Purtroppo il suo entusiasmo
dovrà scontrarsi dapprima con l’ostracismo
del Dottor Romano, procuratore senza scrupoli, poi con il progressivo intristimento di
Elia, spaesato lontano dalla sua casa e dai
suoi amici. L’occasione giusta sembra presentarsi quando un vecchio compagno di
Michele riesce a procurare un provino al
M
Tutti i film della stagione
ragazzo, che potrà finalmente mettere in
mostra il proprio valore. Elia parte bene,
qualche buono spunto, poi però si estranea
dal gioco; è tutto troppo serio intorno a lui,
nessuno ride, il pallone diventa pesante. E
quando l’arbitro fischia un rigore in favore
della sua squadra, il ragazzo si porta sul dischetto, controvoglia. Sbaglierà il suo primo
tiro dagli undici metri, Elia, di proposito. Michele non può credere ai suoi occhi: il suo
sogno si infrange definitivamente su quel rigore fallito. La banca gli è col fiato sul collo,
tenta addirittura di fare due soldi “prestando” il ragazzo a un sedicente mago del Luna
Park. Ma l’intervento dei carabinieri, allertati dalla madre di Elia, riporterà il ragazzo
tra le braccia di chi lo ama. Distrutto, Michele vende quel poco che gli è rimasto per
sanare il debito bancario. E poi, finalmente
libero, tornerà su quella spiaggia in Salento
per ricominciare a calciare il pallone. E per
riabbracciare Elia.
sordio alla regia per Luigi Sardiello, già critico cinematografico (direttore di Filmaker’s Magazine),
sceneggiatore e romanziere, Piede di dio
racconta il malessere di un mondo, quello
del calcio, che non è più a portata di spensieratezza e sorrisi. Per farlo, Sardiello si
affida al registro della commedia drammatica e incentra lo sviluppo della trama sull’incontro fra due persone apparentemente distanti, in realtà unite dalla stessa pas-
E
sione e dalla stessa “solitudine”: i sogni da
calciatore di Michele (Solfrizzi, visto meglio in altre occasioni) si spegnevano anni
prima su un campo di categoria e l’attuale, spasmodica ricerca del “talento puro”
lo porta un po’ a ricercare il se stesso che
fu e non diventò mai; la gioia e il sorriso di
Elia (Filippo Pucillo, “non” attore caro a
Crialese, che lo ha diretto in Respiro e Nuovomondo) tanto bravo col pallone tra i piedi quanto poco “capace” di stare al mondo, nascondono in realtà il peso di un’assenza data da quel padre che non ha mai
conosciuto. Il messaggio del film – che regala agli appassionati anche indimenticabili filmati di repertorio (da Garrincha alla
vittoria azzurra dei mondiali del 2006, passando per quei calci di rigore – di Graziani
e Conti in finale di Coppa Campioni contro il Liverpool – che in molti non avrebbero mai voluto vedere, figuriamoci rivedere...) – è limpido, così come la buona fede
del prodotto. Che però soffre, della povertà della messa in scena, della risibilità di
alcuni dialoghi, della performance di alcuni interpreti secondari (Elena Bouryka, tanto per fare un nome, “funzionava” meglio
nei programmi tv...) e la progressiva mancanza di ritmo.
Nota “scult”: Pucillo con la parrucca alla
Maradona vale comunque il costo del biglietto.
Valerio Sammarco
ST. TRINIAN’S
(St. Trinian’s)
Gran Bretagna, 2007
Arredatore: Bridget Menzies
Trucco: Charmaine Fuller, Mandy Gold
Acconciature: Liz Michie, Iain Guthrie
Supervisore effetti speciali: Mark Holt
Supervisore effetti visivi: Simon Frame
Supervisore costumi: Charlotte Sewell
Supervisore musiche: Ian Neil
Interpreti: Rupert Everett (Camilla Fritton/Carnaby Fritton), Talulah Riley (Annabelle Fritton), Colin Firth (Geoffrey Thwaites),
Jodie Whittaker (Beverly), Lena Headey (Miss Dickirson), Gemma Aterton (Kelly), Kathryn Drysdale (Taylor), Juno Temple (Celia), Stephen Fry (presentatore del quiz), Antonia Bernath (Chloe),
Amara Karan (Peaches), Tamsin Egerton (Chelsea), Lily Cole
(Polly), Paloma Faith (Andrea), Holly Mackie (Tara), Chloe Mackie
(Tania), Fenella Woolgar (Miss Cleaver), Theo Cross (insegnante di arte), Russell Brand (Flash), Tereza Srbova (Anoushka),
Toby Jones (economo), Caterina Murino (Miss Maupassant),
James Rawlings (segretario stampa), Emily Bevan, John Thompson (ispettori), Lucy Punch (Verity Thwaites), Anna Chancellor
(Miss Bagstock), Mille Foster (Saffron), Steve Furst (direttore di
banca), Preston Thompson (ragazzo al party), Misha Barton (JJ)
Durata: 100’
Metri: 2740
Regia: Oliver Parker, Barnaby Thompson
Produzione: Oliver Parker, Barnaby Thompson per Ealing Studios/Entertainment Film Distributors/Fragile Films/UK Film
Council
Distribuzione: CDI
Prima: (Roma 10-7-2009; Milano 10-7-2009)
Soggetto: dal fumetto omonimo creato da Ronald Searle
Sceneggiatura: Piers Ashworth, Nick Moorcroft, Jamie Minoprio, Jonathan M. Stern
Direttore della fotografia: Gavin Finney
Montaggio: Alex Mackie
Musiche: Charlie Mole
Scenografia: Amanda McArthur
Costumi: Rebecca Hale, Penny Rose
Produttori esecutivi: Rupert Everett, Nigel Green, James
Spring
Produttore associato: Sophie Meyer
Coproduttore: Mark Hubbard
Direttore di produzione: Alice Dawson
Casting: Lucy Bevan
Aiuti regista: Melanie Dicks, Dan John, Lucy Egerton
Operatore: Sean Savage
Art director: John Reid
54
Film
arnaby Fritton, collezionista di
opere d’arte, iscrive la riluttante
figlia Annabelle al College St.
Trinian’s. Nella scuola, gestita dalla “mascolina” Miss Fritton, sorella di Carnaby, la
trasgressione è la norma. Le allieve si dividono rigorosamente in gruppi: “Le Incazzose”, “Le Belle Micette”, “Le Cervellone”,
“Le EMO (Emotivamente Instabili)”, “Le
Primo Anno”. Nella scuola si insegnano
materie originali e si usano spesso mezzi
impropri e scorretti. Il St. Trinian’s è considerato uno dei peggiori istituti del Regno
Unito dal nuovo ministro dell’istruzione
Thwaites. Il ministro ha un incontro-scontro
con Miss Fritton, che conosce dai tempi dell’università, epoca in cui i due avevano avuto anche una relazione. In occasione della
sfida a hockey tra le allieve del St. Trinian’s
e quelle del blasonato College Chelthenam,
vero modello di istruzione secondo il ministro, le ragazze del St. Trinian’s vincono grazie a una condotta di gioco violenta e poco
rispettosa delle regole. Il ministro giura vendetta a Miss Fritton. Ma la direttrice ha una
grana ben peggiore: la scuola ha un debito
con una banca di più di 500.000 sterline e
rischia lo sfratto. Miss Fritton ha solo quattro settimane di tempo per ripianare il debito o la scuola verrà dichiarata in bancarotta. Di fronte al rischio di dover frequentare
scuole “normali”, le ragazze decidono di agire. Kelly, una delle allieve, ha un’idea: rubare il prezioso quadro di Vermeer, “La ragazza con l’orecchino di perla”, dalla National Gallery di Londra per poi rivenderlo
a una cifra stellare. L’occasione giusta viene offerta dal quiz televisivo “School Challenge”, una sfida tra istituti scolastici che si
svolge proprio all’interno del museo. Detto
fatto, le ragazze compiono un sopralluogo
al museo per organizzare il piano, studiano
il sistema di allarme e pensano di eluderlo
durate la ripresa televisiva del quiz cui parteciperanno tre di loro: Peaches, Chelsea e
Chloe. Ha inizio il quiz e, a sorpresa, le ragazze del St. Trinian’s si dimostrano molto
preparate, grazie a particolari “aiuti” ottenuti via auricolare e a una strategia che tende a indebolire le scuole avversarie. Le ragazze del St. Trinian’s giungono alla finalissima dove dovranno vedersela con il famigerato Chelthenam College. Intanto Allison,
divenuta ormai a tutti gli effetti una tipica
allieva del St.Trinian’s grazie anche a uno
sbalorditivo cambio di look, organizza la vendita della preziosa tela. Per farlo, organizza
un incontro tra il suo amico piccolo criminale Flash, che per l’occasione si fingerà un
famoso mercante d’arte, barone tedesco e
suo padre, proprietario della Fritton Gallery. Il finto barone propone il famoso quadro
di Vermeer a Carnaby Fritton. Alla National
C
Tutti i film della stagione
Gallery ha luogo la finale del quiz televisivo
mentre alcune allieve del St.Trinian’s si introducono nella sala dove è custodito il capolavoro. Durante il quiz, Miss Fritton prende da una parte il ministro e gli fa delle avances. Si riaccende l’antica scintilla e i due finiscono a letto insieme. Intanto le ragazze
rubano la preziosa tela, mentre le compagne
vincono a sorpresa il quiz. Il barone vende a
Carnaby Fritton il quadro di Vermeer, ma
poco dopo viene fuori che si tratta di una
copia. In televisione viene data la notizia che
il celebre capolavoro di Vermeer, rubato dalla
National Gallery, è stato ritrovato dalla ragazze del Saint Trinian’s College che ricevono un cospicuo premio per aver recuperato
l’opera. Il college è salvo, mentre il ministro
Thwaites si affaccia nudo proprio dalla finestra della direttrice Miss Fritton.
n tempi in cui si fa un gran parlare
di crisi della scuola, di proteste per
i tagli agli insegnanti e ai fondi per
la ricerca, è davvero rincuorante ridere di
un college inglese molto particolare inviso
dal severo Ministro per l’Istruzione perché
considerato il più anarchico e irriverente
del Regno Unito.
Tratto dalle omonime strisce satiriche a
fumetti di Ronald Searle (ispirate dal vero
College Saint Trinnean’s di Edimburgo, una
scuola all’avanguardia ispirata a innovativi
principi di libertà aperta negli anni Venti e
chiusa nel 1946), disegnatore e umorista
inglese da cui furono tratti cinque film tra il
1954 e il 1980, St. Trinian’s, diretto a quattro mani dagli inglesi Oliver Parker e Barnaby Thompson, è la colorata storia di un
college inglese molto ‘sui generis’, popolato da simpaticissime (e bellissime, un
po’ troppo forse) ragazze rigorosamente
divise in curiose categorie antropologiche.
La quotidianità al St. Trinian’s si muove sul
delicato confine tra totale follia e diffusa
anarchia (qualche esempio? Le lezioni di
gestione della rabbia con armi e tute mimetiche e la commercializzazione della
vodka al metanolo distillata clandestinamente a scuola). Dopo una prima parte, in
cui il film si muove sempre in bilico tra teen
movie e farsa stralunata e kitch, nella seconda parte l’azione di salvataggio della
scuola che rischia di chiudere per debiti
innesca un divertente e scoppiettante girotondo di equivoci. Ecco allora le allieve
impegnate a mettere in opera le loro scaltre doti votate all’imbroglio per portare a
segno il colpo del secolo: rubare la famosa tela di Vermeer “La ragazza con l’orecchino di perla” per ottenere i soldi necessari alla salvezza della scuola. Ed è qui che
ci si scatena, giocando con le citazioni metacinematografiche (Colin Firth che nel film è
I
55
il severo ministro per l’istruzione viene nominato parlando del quadro di Vermeer e
della sua versione cinematografica di cui
era appunto protagonista nei panni del
maestro olandese), con citazioni televisive (la timida e impacciata Annabelle Fritton viene paragonata a “Ugly Betty”) e
ancora con ricordi cinematografici (Rupert
Everett e Colin Firth sono stati davvero in
giovane età compagni di college nel film
Another Country, in cui erano entrambi esordienti attori inglesi).
E tra una gag e l’altra vale la pena sottolineare come l’innesto tra il modello teen
movie di marca statunitense con spruzzate
di humour squisitamente inglese possa dirsi
riuscito. Nel cast, spiccano deliziose bellezze femminili: Talulah Riley (già interprete di
Orgoglio e pregiudizio accanto a Keira Knightley e dello spassoso I Love Radio Rock
di Richard Curtis), Gemma Arterton (già
accanto allo 007 Daniel Craig in Quantum
of Solace), Tamsin Egerton (lanciata giovane attrice inglese già vista ne La famiglia
omicidi accanto a Kristin Scott Thomas). Ma,
sopra a tutti, ci sono loro due, le “promesse
mantenute” del cinema inglese al debutto
sul grande schermo nei panni di due compagni di college nel lontano 1984: Rupert e
Colin, divenuti oggi attori di razza e uomini
dal fascino irresistibile. Sempre più scatenato Rupert che gestisce alla perfezione il
doppio ruolo ‘en travesti’ (che prima di lui
era stato dell’attore scozzese Alastair Sim
nei film del ’54 e del ’57) che sembra cucito
addosso alla sua classe di attore abituato
a ruoli di ambiguo seduttore, sempre più
gentleman, Colin che, dal ruolo dell’indimenticabile Darcy nella miniserie della BBC
“Orgoglio e pregiudizio”, passando per il bel
Mark Darcy (ovvio omaggio al personaggio di Jane Austen) della saga di Bridget
Jones e per una serie di altri ruoli diversissimi, continua a dimostrare una classe davvero innata (incoronata dalla Coppa Volpi
all’ultima Mostra di Venezia per il film dell’esordiente ex stilista Tom Ford A Single
Man). Entrambi non la vogliono proprio
smettere di affascinare il pubblico e di dare
valore aggiunto anche a film leggeri come
questo. A proposito, da non perdere è lo
spassoso duetto canoro sulle note di “Love
Is In the Air” che si ascolta nei titoli di coda
e che dimostra come i due se la sappiano
cavare egregiamente anche nel canto.
Con due “purosangue” così, la vittoria
è assicurata.
A breve è attesa l’uscita del sequel
Saint Trinian’s: The Legend of Fritton’s
Gold; insomma, squadra che vince non si
cambia.
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
BABY MAMA
(Baby Mama)
Stati Uniti, 2008
Effetti speciali trucco: Todd Kleitsch
Supervisore effetti speciali: Steven Kirshoff
Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta
Supervisore musiche: Kathy Nelson
Interpreti: Amy Poehler (Angie Ostrowiski), Tina Fey (Kate
Holbrook), Greg Kinnear (Rob Ackerman), Dax Shepard
(Carl Loomis), Romany Malco (Oscar), Sigourney Weaver
(Chaffee Bicknell), Steve Martin (Barry), Maura Tierney (Caroline), Stephen Mailer (Dan), Holland Taylor (Rose Holbrook), James Rebhorn (giudice), Denis O’Hare (dr. Manheim), Kevin Collins (architetto/Rick), Will Forte (Scott), Fred
Armisen (venditore passeggino), John Hodgman (specialista fertilità), Siobhan Fallon (insegnante parto), Brian Stack
(Dave), Jason Mantzoukas, Dave Finkel (coppia gay), Felicity Stiverson (Ashley), Anne L. Nathan (commesso Bookstore), Kathy Searle (mamma calma), Almeria Campbell
(infermiera maternità), Alice Kremelberg ( figlia di Rob),
Catherine Rose (Caroline a 4 anni), Ian Colletti (Caroline a
7 anni), Andra Eggleston (cameriera), Andrew Hillmedo jr.
(Dante), Jon Glaser (cameriere Vegan), Thomas McCarthy, Jay Phillips
Durata: 99’
Metri: 2630
Regia: Michael McCullers
Produzione: John Goldwyn, Lorne Michaels per Broadway Video. In associazione con Relativity Media
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 24-7-2009; Milano 24-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Michael McCullers
Direttore della fotografia: Daryn Okada
Montaggio: Bruce Green, Debra Neil-Fischer
Musiche: Jeff Richmond
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Renee Ehrlich Kalfus
Produttori esecutivi: Jill Sobel Messick, Louise Rosner
Coproduttore: Kay Cannon
Direttore di produzione: Louise Rosner
Casting: Avy Kaufman
Aiuti regista: Stephen Lee Davis, Michael Pitt, Noreen R. Cheleden, Bellamy Forrest
Operatore: Mark Schmidt
Art director: David Swayze
Arredatori: Susan Bode, Jennifer Alex Nickason
Trucco: Richard Dean, Jenn ‘Jorge’ Nelson
Acconciature: Donna Marie Fischetto, Michelle Johnson, Anita Roganovic
ate Holbrook è l’unico vicepresidente donna di una società che
vende cibi naturali. Ormai vicina ai quarant’anni, single e totalmente presa dal suo lavoro, sente la mancanza di un
bambino nella sua vita. L’inseminazione artificiale, avendo una forma d’utero particolare, non funziona ed essendo una donna sola
l’adozione richiederebbe almeno cinque
anni. Si rivolge così a un Centro Maternità
Surrogati, per far crescere il proprio bambino nel corpo di una ragazza giovane; direttrice del Centro è Chaffee Bicknell, coetanea di Kate ma che è riuscita a partorire un
bambino con metodo tradizionale assieme al
marito. La scelta cade su Angie. Irrequieta,
convivente con lo scansafatiche Carl, e con
la testa fra le nuvole, Angie è ben contenta di
aiutare Kate. Già con la prima inseminazione, Angie resta incinta. Kate intanto, riceve
dal suo capo, la direzione della costruzione
di una grande filiale nella loro città. Angie
lascia Carl, decide quindi di andare a vivere
da Kate: inizia una convivenza non facile.
Kate conosce l’affascinante Rob, proprietario di un piccolo negozio di frullati, vicino al
lotto dove verrà costruita la filiale; fra i due
nasce subito del feeling. Ormai sull’orlo della
rottura, Kate ed Angie decidono di ricorrere
alla terapia di gruppo del Centro, suggerita
da Chaffee che è nuovamente incinta. Il rapporto fra le due donne migliora al punto tale,
che iniziano a raccontarsi le reciproche vite.
Angie s’incontra con Carl; dal loro dialogo
K
emerge che stanno ingannando Kate: Angie
non è mai rimasta incinta. Vorrebbe dire tutto all’amica, ma Carl lo proibisce: ci sono
troppo soldi in ballo. Il lavoro di Kate prosegue così bene, che le due decidono di andare
a ballare. Ubriaca, Kate si fa lasciare al negozio di Rob; stanno così bene insieme che
decidono di iniziare a frequentarsi seriamente. Kate, però, non rivela nulla del bambino
e di Angie, che continua a non trovare il coraggio di dire tutto a Kate. Ormai amiche,
Kate dona ad Angie l’ultimo assegno con
largo anticipo, in modo tale che possa iscriversi a un’importante scuola di moda: Angie infatti realizza da sola i suoi abiti. Durante l’ecografia, Angie scopre di essere realmente incinta. Il bambino è di Carl; la ragazza inizia finalmente a seguire quello stile
di vita sano, che Kate stava disperatamente
cercando di insegnarle. La relazione fra Kate
e Rob prosegue benissimo, mentre Angie lascia definitivamente Carl, che medita vendetta. Al party per la nascita imminente, dove
si trova anche Rob, Carl rivela a tutti la verità sulla gravidanza. Kate, dopo esser scappata dalla festa, trascina Angie in tribunale:
a difenderla lo stesso Rob. Kate non vince,
ma, in compenso, ritrova il suo uomo. Le due
donne tentano di riconciliarsi proprio mentre si rompono le acque: nasce una bambina. Kate e Angie, finalmente tornano amiche. In ospedale, Kate scopre che Chaffee
ha partorito due gemelli e, con sorpresa, che
è in dolce attesa.
56
n merito spicca subito. Riesce a
far ridere senza scadere in battute volgari. Sicuramente non c’è
originalità, si ritrovano molti cliché e la convivenza fra Kate ed Angie, personaggi agli
antipodi, è riconducibile a tutte le strane
coppie del piccolo e grande schermo. Personaggi in crescita nel corso del film, le
due donne prenderanno l’una dall’altra ciò
che occorre per migliorarsi come persona. Se un tempo Kate era solo dedita al
lavoro, ora comprende che serve anche la
giusta dose di divertimento, nonché di
mascara e rossetto, per equilibrare snervanti giornate di lavoro; dall’altra parte
Angie, scoprirà la sua strada da percorrere come madre, accompagnata da un sano
stile di vita. Baby Mama racconta una storia in cui vi si possono immedesimare milioni di donne moderne: dedite al lavoro,
niente tempo per la famiglia. Un breve accenno alle difficoltà sull’inseminazione artificiale e sull’adozione, se non sei una star
soprattutto, per poi tirare il colpo sugli uteri in affitto. Niente critiche, né morali. Qui
non si parla di cosa comporta l’idea di una
donna vende il proprio utero, per somme
veramente consistenti; è solo il pretesto per
una commedia. La stessa protagonista,
sembra più pervasa da un capriccio, che
non da un vero desiderio. Nel corso dei
primi minuti del film, vede bambini ovunque, in palestra o per strada e tutti sembrano cercarla con lo sguardo; quando
U
Film
Angie resta incinta, Kate ritorna pronta a
dedicarsi al lavoro e a un nuovo amore.
Nessun problema, quindi, per chi non
vuole assistere a tensioni sociali, o religiose; solo divertimento al femminile.
La sceneggiatura è costruita coi classici canonici tre atti e colpi di scena messi
nei punti giusti; comunque sia, tale precisione, non serve a salvare la storia che già
all’inizio odora di lieto fine. Unico vero colpo di scena, è la mancata gravidanza di
Angie; per come la storia stava evolvendo,
l’inganno poteva essere che fin dall’inizio il
bambino fosse di Carl. Manca un approfon-
Tutti i film della stagione
dimento maggiore dei personaggi; non è
detto che se si lavora a una commedia,
debbano necessariamente essere trattati
superficialmente; Rob è praticamente inesistente, spicca solo grazie al fascino del
suo interprete Greg Kinnear, senza il quale
sarebbe un personaggio unidimensionale.
Tina Fey, interprete di Kate, viene surclassata in più di un’occasione dalla brava e
ammiccante Amy Poehler. Delle vere chicche le regalano due spalle d’eccezione:
Steve Martin e Sigourney Weaver. Se Martin ci regala una divertente macchietta del
capo di Kate, la Weaver ci regala un picco-
lo gioiello interpretando la Chaffee; poche
battute, ma interpretate con naturalezza e
la giusta dose d’ironia.
Il regista Michael Cullers è qui alla sua
opera prima. Precedentemente sceneggiatore, Cullers lavora la storia senza utilizzare guizzi creativi nei movimenti della cinepresa. Unico slancio artistico si trova
nella sequenza, in cui Angie e Kate si scelgono reciprocamente: parodia di milioni di
film romantici con lampo luminescente nel
momento in cui le due si stringono la mano.
Elena Mandolini
IMMAGINA CHE
(Imagine That)
Stati Uniti/Germania, 2009
Coordinatore effetti speciali: Lou Carlucci
Supervisore effetti visivi: Jamie Dixon (Hammerhead Productions)
Coordinatori effetti visivi: Kelly Rae Kenan, Heather J.
Morrison (Hammerhead Productions)
Supervisore costumi: Dana Kay Hart
Interpreti: Eddie Murphy (Evan Danielson), Thomas Haden
Church (Johnny Whitefeather), Yara Shahidi (Olivia Danielson), Ronny Cox (Tom Stevens), Stephen Rannazzisi (Noah
Kulick), Nicole Ari Parker (Tricia Danielson), deRay Davis
(John Strother), Vanessa Williams (Lori Strother), Martin
Sheen (Dante D’Enzo), Lauren Weedman (Rose), Timm
Sharp (Tod), Daniel Polo (Indigo Whitefeather), Stephen Root
(Fred Franklin), Richard Schiff (Carl Simons), Marin Hinkle
(sig.ra Davis), Bobb’e J. Thompson (ragazzino), Blake Hightower (Will Strother), Michael McMillian (Brock Pressman),
Catherine McGoohan (sig.ra Pressman), James Patrick
Stuart (sig. Pratt), Tonita Castro (Graciella), Charlie Koznick
(Rick), Talen Ruth Riley (Ella Strother), Jonathan Mangum
(assistente di Franklin), Mike Vorhaus (amministratore di
Franklin), Bob Rumnock (Whip Bryson), Allen Iverson, Carmelo Anthony, George Karl (se stessi), Heidi Marnhout (Cheryl Whitefeather), John Nance (contabile di Rowe), Jeff Kosloski (vicino di Evan)
Durata: 107’
Metri: 2815
Regia: Karey Kirkpatrick
Produzione: Lorenzo di Bonaventura, Ed Solomon per Paramount Pictures/Nickelodeon Movies/Di Bonaventura Pictures/
Internationale Filmproduktion Stella-del-Sud Third. In associazione con Goldcrest Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 31-7-2009; Milano 31-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Ed Solomon, Chris Matheson
Direttore della fotografia: John Lindley
Montaggio: David Moritz
Musiche: Mark Mancina
Scenografia: William Arnold
Costumi: Ruth E. Carter
Produttore esecutivo: Ric Kidney
Produttore associato: Lars P. Winther
Casting: Jeanne McCarthy
Aiuti regista: Lars P. Winther, Douglas Plasse, Nicholas Fitzgerald, Eric Fox Hays, Matthew D. Smith
Operatore/operatore steadicam: Lawrence Karman
Art directors: Sue Chan, Donna J. Hattin
Arredatore: David Smith
Trucco: Michael Germain, Susan Stepanian, Patty York, Vera
Steimberg Moder
Acconciature: Medusah, Melissa Forney, Marie Larkin, Emanuel Millar
Suono: Christopher T. Silverman
’economista Evan Danielson si ritrova improvvisamente a dover
badare per un’intera settimana
alla figlioletta Olivia, quando la sua exmoglie deve partire insieme al nuovo compagno. Evan è un buon padre, affezionatissimo alla bambina, ma in questo momento l’unica cosa che veramente gli preme è
riuscire a surclassare il collega Johnny
Withefeater, un falso indiano che spaccia
le proprie analisi finanziarie come divinazioni sciamaniche ammantando il tutto di
trita retorica new age e conquistare il favore del grande capo in vista dell’apertura di una nuova, importante filiale. L’attenzione di Evan nei confronti della figlia
L
aumenta decisamente quando scopre che
gli amici immaginari di Olivia (evocati
grazie a una specie di coperta di Linus
dalla quale la bambina non si separa mai)
sono in grado di dargli le previsioni esatte
dell’andamento del mercato finanziario. Il
gioco diventa via via più serio anche perché lo scetticismo di Evan viene dissipato
dai continui successi e avanzamenti di posizione che le previsioni provenienti dal
fantastico mondo di Olivia gli fanno ottenere. Anche il rapporto con la bambina migliora, diventando più stretto e più affiatato. Le cose peggiorano quando il grande capo decide di dare una stretta finale
alla lotta tra i due contendenti obbligando
57
Evan a tentare di rapire la piccola Olivia
da una festa di compleanno per poter avere le previsioni di mercato (mentre Johnny
Whitefeater intossica il figlio di Red Bull e
lo fa girare intorno al fuoco con una vecchia coperta indiana, sperando che anche
lui riesca a vedere così gli stessi amici di
Olivia) e arrivando, alla fine, al tentativo
di rubare la preziosa coperta della bambina. Alla fine, tutto andrà per il meglio:
l’impostore Johnny sarà cacciato e Evan
premiato. Per non perdere la recita scolastica di Olivia, Evan dice di no – senza
molti rimpianti- all’agognata promozione,
guadagnandosi così l’ammirazione e il rispetto del grande capo.
Film
E
liminata qualche sparuta eccezione (ad esempio il recente Dreamgirls, nel quale interpretava un
cantante a metà tra James Brown e Marvin
Gaye, rivelando superbe doti drammatiche
e canore), pare che Eddie Murphy abbia trovato la propria nicchia cinematografica specializzandosi nelle pellicole per bambini targate Disney, sebbene Immagine che sia prodotto dalla concorrente Nickelodeon Movie.
La formula è rimasta comunque pressoché
invariata, con Murphy di nuovo il protagonista di un film pieno di buoni sentimenti per
tutta la famiglia. Il film è una commedia leggera e scorrevole, che riesce a mantenersi
bene in bilico senza cedere troppo sul versante del sentimentalismo e dell’esagerazio-
Tutti i film della stagione
ne per strappare maggiori risate, nonostante la presenza galvanizzante di Murphy, assestandosi su una buona via di mezzo e lanciando a briglia sciolta il grandissimo e mai
abbastanza apprezzato talento di dell’attore
(ottimo sia come serio dirigente d’azienda
sia come padre affettuoso e “compagnone”).
Normalmente poco frequentato al cinema, il
rapporto “genitore divorziato – figlia” è invece qui al centro del film, intersecandosi con
una sottotrama economica (semplice e comprensibile a tutti) che non lesina strali al sistema finanziario americano nel periodo
della crisi (ad esempio, il borioso e disonesto finto indiano Johnny Whithefeater infarcisce le sue presentazioni ai clienti, pronti a
credere a tutto pur di non perdere ancora
altri soldi, di inconsistenti elementi new age
e di oscure nenie indiane per confondere le
idee e mascherare la propria incompetenza
e prosopopea). Il cast fornisce una buona
prova, diligente ma tutto sommato ordinaria, ed è arricchito dalla presenza di Martin
Sheen nel ruolo del grande capo dall’insospettabile cuore d’oro. Assolutamente imperdibile Eddie Murphy e il suo rituale – cantato, danzato, recitato e mimato- per essere
ammesso alla presenza delle principessa
Moppida e Koopida, dopo aver addormentato a suon di canzoni il drago Soppida, essersi rotolato sulla sabbia e aver sfidato mille e più prove di coraggio e bontà.
Chiara Cecchini
NOTORIOUS B.I.G.
(Notorious)
Stati Uniti, 2009
Regia: George Tillman jr.
Produzione: Wayne Barrow, Edward Bates, Trish Hoffmann,
Mark Pitts, Robert Teitel, Voletta Wallace per Fox Searchlight
Pictures/Voletta Wallace Films/Bystorm Films/State Street
Pictures/Bad Boy Worldwide Entertainment Group
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009)
Soggetto e sceneggiatura: Reggie Rock Buthewood, Cheo
Hodari Coker
Direttore della fotografia: Michael Grady
Montaggio: Dirk Westervelt
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: Jane Musky
Costumi: Paul Simmons
Produttore esecutivo: Sean ‘P. Diddy’ Combs
Coproduttore e Direttore di produzione: George Paaswell
Casting: Twinkie Byrd, Pamela Frazier
Aiuti regista: Ken Twohy, Marc Garland, Jasmine Alhambra,
David Catalano, Kenyon Noble, Aurora Warfield, Greg Hale
Operatore/Operatore steadicam: Andrew Casey
Art director: Laura Ballinger
Arredatore: Alexandra Mazur
Trucco: Geneva Nash Morgan, Germicka Barclay
ew York, primi anni Ottanta.
Christopher Wallace vive assieme alla madre Voletta in una zona
malfamata della Grande Mela, abitata soprattutto da gente di colore che spaccia droga.
Il ragazzino, timido e impacciato, trascorre le giornate in solitudine ad ascoltare
musica rap, cercando di impararne il sound.
Ma presto si accorge che, se vuole affermarsi, deve anch’egli sporcarsi le mani. Inizia
così a trafficare crack per la strada, fino ad
accumulare una vera e propria fortuna in
dollari. A 17 anni, decide quindi di diventare un rapper, con tutto l’armamentario del
caso: catena d’oro al collo, anelli e pistola.
Divenuto maggiorenne, continua a fare
il pusher, all’insaputa della madre, la quale
vorrebbe che suo figlio studiasse all’università e avesse un lavoro come tutti i suoi
N
Supervisori effetti visivi: Lucien Harriot (Mechanism Digital), Eric J. Robertson (Brainstorm Digital)
Supervisore musiche: Barry Cole
Coreografie: Tanisha Scott
Interpreti: Jamal Woolard (Christopher ‘Biggie’ Wallace), Angela Bassett (Voletta Wallace), Derek Luke (Sean ‘Puffy’ Combs), Anthony Mackie (Tupac Shakur), Antonique Smith (Faith
Evans), Naturi Naughton (Lil’ Kim), Dennis L.A. White (Damion ‘D-Roc’ Butler), Julia Pace Mitchell (Jan), Kevin Phillips
(Mark), Marc John Jefferies (Lil Cease), Aunjanue Ellis (Sandy), John Ventimiglia (detective Farelli), Charles Malik Whitfield (Wayne Barrow), Ricky Smith (Wally), Cyrus Farmer
(Selwyn), Naquon ‘Nino Brown’ Jackson (Nino Brown), Jermaine Denny (Primo), Denae Innis (T’yanna, 3 anni), Susie
Da Silva (Jessica), Duane Nakia Cooper (Howard Emcee),
Valence Thomas (50 Grand), Amanda Christopher (Keisha),
Lamont ‘Money’ L. Moskey (Money L), Sean Ringgold (Suge
Knight), Ginger Kroll (Debbie), Edwin Freeman (Mister Cee),
David Costabile (sig. Webber), Christopher Jordan Wallace
(Biggie 8-13 anni), Jasper Briggs (Damion 8-13 anni), Taylor
Dior (Tyanna Wallace)
Durata: 122’
Metri: 3360
coetanei. Ed invece lui che, nel frattempo,
ha messo incinta la fidanzata, viene beccato dalla polizia e sbattuto in carcere. Da
questa esperienza, trae ispirazione per cominciare a scrivere dei brani e tentare la
carriera musicale.
L’incontro con il produttore Puff (Daddy) gli cambia la vita. L’etichetta Bad Boy
Records sceglie di puntare tutto su Notorius B.I.G. (questo sarà il suo nome d’arte), nella speranza di farlo diventare il primo rapper dell’East Coast.
Il suo successo è travolgente. E lo è anche il fascino che esercita sul sesso femminile: fa cadere ai suoi piedi, prima Lil Kim
(che contribuisce a lanciare sul mercato discografico), e poi la cantante Faith Evans.
Dalla relazione con questa ultima (che ha
già una figlia a carico), nasce un bambino.
58
Ma i frequenti tradimenti dell’uomo finiscono per logorare il loro matrimonio.
Notorius è sempre più sulla cresta dell’onda, ma è costretto a dividere lo scettro di
rapper più popolare d’America con l’amico-nemico Tupac Shakur. Quando il collega
californiano viene aggredito in circostanze
oscure nei suoi studi di registrazione e, poco
dopo, ucciso a sangue freddo, lui è indicato
subito come il principale responsabile.
L’8 marzo del 1997, anch’egli viene
ammazzato da ignoti assassini, a bordo di
una motocicletta: dopo aver affiancato
l’auto nella quale viaggiava, gli scaricano addosso alcuni colpi di pistola. Christopher Wallace stava uscendo da un locale di Los Angeles, in cui aveva appena
presentato il suo ultimo album. Aveva soltanto 25 anni.
Film
l biopic, diretto senza guizzi di originalità e con ritmo quasi da videoclip, da George Tillman Jr. (già autore di Men of Honor – L’onore degli uomini), comincia e finisce proprio con l’episodio del delitto e con la voce del protagonista che racconta: «All’inizio Dio mi ha dato
una vita immacolata...».
Attorno a questo caso è rimasto tuttora
un alone di mistero (è stata tirata in ballo
anche una canzone “profetica”...), ma la pista della vendetta sembra quella più accreditata: i rapper della West Coast, preoccupati di perdere la supremazia sul territorio,
non avrebbero perdonato all’emergente rivale di essere coinvolto nell’uccisione dell’altro “Re della strada” Tupac Shakur.
Le scene appena successive all’omicidio, quelle relative al funerale, sono forse le
più significative per cogliere appieno il particolare rapporto tra Christopher (questo era
il suo vero nome, anche se lui si faceva
chiamare Biggie Smalls) e sua madre.
Mentre questa ultima si prepara a dare
una degna sepoltura al suo unico figlio, si
accorge che una folla sterminata di fans
invadono le vie di Brooklyn inneggiando
al nome del loro idolo (che ha il merito di
I
Tutti i film della stagione
aver riportato il funky nell’hip-hop) e cantando le sue canzoni. Ë come se, soltanto
in quel momento, la donna si rendesse
conto di quanto amore fosse circondato
quel gigante buono e saggio. «Non cambieremo il mondo, se non cambiamo prima noi stessi» - dice il personaggio interpretato dal convincente Jamal Woolard.
Voletta, che immaginava per il proprio
“bambino” un futuro migliore di quello a cui
sono destinati i ragazzi neri di Bed-Stuy (la
zona dove Spike Lee ha girato i suoi primi
lavori), non aveva mai veramente compreso le sue straordinarie doti artistiche, quel
sacro fuoco per la musica che ardeva in lui
fin da piccolo. E che, ancora oggi, rimane
la valvola di sfogo più naturale per i giovani
afro-americani che vivono sui marciapiedi
o, comunque, ai margini della società.
Nonostante la disapprovazione iniziale, la signora Wallace colpisce lo spettatore per la sua discrezione: il suo affetto non
si manifesta in maniera morbosa o invadente. Rimane volutamente nell’ombra, in
solitudine e, per di più, è afflitta da gravosi
problemi (dopo essere stata abbandonata
dal marito, è costretta pure a combattere
con un tumore al seno). Eppure, non ab-
bandona mai la speranza che, un giorno,
Christopher possa fare il salto decisivo e
trasformarsi in un adulto.
La rincorsa del figlio al Sogno (e non
più ai soldi - come lo invita a fare il produttore Puff), è costellata di difficoltà, perché
il pericolo di ricadere nel baratro della droga è all’ordine del giorno. Ma, per fortuna,
Notorius ha dalla sua parte un encomiabile complice e compagno di viaggio, l’amico Mark (la rivelazione Kevin Phillips), che
lo indirizza sulla via della redenzione con
parole piene di buon senso: «Quello che
non ti uccide, ti fortifica».
Dopo aver interpretato alcune delle icone afro-americane più influenti del secolo
scorso (Tina Turner in What’s Love Got to
Do with It, Betty Shabazz in Malcom X,
Rosa Parks nell’omonimo film per la televisione americana), Angela Bassett torna
a vestire i panni di una donna coraggiosa
e determinata a sconfiggere le avversità
della vita. La cinquantenne attrice
newyorkese, ancora una volta, offre una
lezione di stile, con un’interpretazione sofferta e intensa.
Diego Mondella
I LOVE YOU, MAN
(I Love You, Man)
Stati Uniti, 2009
Regia: John Hamburg
Produzione: John Hamburg, Donald De Line per DreamWorks
SKG/De Line Pictures/Bernard Gayle Productions/The Montecito Pictures Company
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 21-8-2009; Milano 21-8-2009)
Soggetto: Larry Levin
Sceneggiatura: John Hamburg, Larry Levin
Direttore della fotografia: Lawrence Sher
Montaggio: William Kerr
Musiche: Theodore Shapiro
Scenografia: Andrew Laws
Costumi: Leesa Evans
Produttori esecutivi: Jeffrey Clifford, Andrew Haas, Bill Johnson, Tom Pollock, Ivan Reitman
Coproduttore: Anders Bard
Direttore di produzione: Susan McNamara
Casting: Allison Jones
Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Jonas Spaccarotelli,
Matthew Heffernan, Eugene Davis
Operatore: Daniel C. Gold
Operatore steadicam: Brooks Robinson
Art director: Eric Sundahl
eter Klaven lavora per un’importante agenzia immobiliare. Grazie alla potenziale vendita di una
proprietà di Lou Ferrigno, può finalmente
chiedere all’amata Zooey di sposarlo. Non
appena rientrano in macchina, Zooey è talmente felice che chiama subito le sue due
amiche del cuore, mentre Peter non chiama
P
Arredatore: Christopher Carlson
Trucco: Tracey Levy, Geri B. Oppenheim
Acconciature: Terri Velasquez, Wendy Boscon, Deborah Holmes Dobson
Coordinatore effetti speciali: Michael Gaspar
Supervisore effetti visivi: Scott M. Davids
Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta
Supervisore musiche: Jennifer Hawks
Interpreti: Paul Rudd (Peter Klaven), Rashida Jones (Zooey),
Sarah Burns (Hailey), Jaime Pressly (Denise), Jon Favreau (Barry), Jane Curtin (Joyce Klaven), J.K. Simmons (Oswald Klaven), Andy Samberg (Robbie Klaven), Jason Segel (Sydney
Fife), Jean Villepique (Leanne), Rob Huebel (Tevin Downey),
Mather Zickel (Gil), Aziz Ansari (Eugene), Nick Kroll (Larry), Liz
Cackowski, Kulap Vilaysack, Catherine Reitman, Carla Gallo,
Vicki Davis (amiche di Zooey), Josh Cooke (Alan), Jay Chandrasekhar, Seth Morris, James P. Engel, Jerry Minor (amici di
Barry), Joe Lo Truglio (Lonnie), Thomas Lennon (Doug), Murray Gershenz (Mel Stein), Keri Safran (cameriera), Ethan S.
Smith, Nelson Franklin (amici di Sydney), Ping Wu (Mr. Chu),
Colleen Cabtree, Kym Whitley, Caroline Farah, Greg Levine
Durata: 105’
Metri: 2750
nessun amico. Peter è infatti un bravissimo
ragazzo di famiglia, ottimo compagno per
una donna che riesce persino a essere un
buon confidente con altre donne, ma assolutamente una frana con altri uomini. Sentendo una conversazione di Zooey e delle sue
amiche che l’avvertono di come potrà risultare un uomo ossessivo e possessivo nel cor59
so degli anni di matrimonio, decide di cercarsi un migliore amico nonché testimone di
nozze. Aiutato dai genitori e dal fratello Robbie, inizia la ricerca con risultati disastrosi.
Durante l’open house per la villa di Ferrigno, conosce lo stravagante imprenditore
Sydney Fife, con cui si scambiano i bigliettini da visita. Diventando una nuova strana
Film
coppia e con la benedizione di Zooey, inizia
un bel rapporto d’amicizia che insegna a
Peter le “regole” dell’amicizia maschile.
Eterno bambinone e inguaribile scapolo,
Sydney inizia, se pur con buone intenzioni, a
portare Peter sulla “cattiva strada” allontanandolo da Zooey. La ragazza, infastidita
dall’invadenza eccessiva di Sydney, decide
comunque di accettarlo nelle loro vite, vedendo quanto Peter sia felice. Sydney diventa così il testimone di nozze di Peter. Volendo
aiutare Peter nella vendita per Ferrigno prima che un collega soffi all’amico il mandato, si fa prestare da Peter stesso dei soldi per
un misterioso affare. Dopo aver litigato con
Zooey, la cui colpa indirettamente è proprio
il prestito fatto a Sydney, Zooey decide di
rompere il fidanzamento. Il misterioso affare
di Sydney altro non sono che giganteschi cartelloni pubblicitari, che dipingono Peter
come rampante venditore immobiliare, realizzati con fotomontaggi che lo ritraggono in
diverse locandine cinematografiche. Pensando che sia stata una pessima idea, Peter litiga con l’amico dicendogli che ormai è arrivato il momento di crescere e che non dovranno vedersi mai più. Riconciliatosi con
Zooey, Peter torna ad essere quello che è
sempre stato. Proprio grazie a quei cartelloni, Peter vende la proprietà di Ferrigno e accrescere il suo portfolio dei clienti; nonostante tutto non riesce a richiamare Sydney. Il
giorno delle nozze, Zooey chiama di nascosto Sydney vedendo quanto manchi a Peter.
Sydney, avendo capito quanto bene abbia
portato Peter nella sua vita, era già sulla via
per la Chiesa con tanto di smoking prima
Tutti i film della stagione
ancora della telefonata di Zooey. Davanti
all’altare, tutti diventano testimoni della riconciliazione fra Peter e Sydney, che riescono a dirsi quanto si vogliono bene.
n film con la spada di Damocle
sulla testa, in bilico sul ciglio del
burrone e che potrebbe da un
momento all’altro cadere inevitabilmente.
John Hamburg, regista di I Love You, Man,
non è nuovo agli schemi ed intrighi tragicomici. Precedentemente sceneggiatore di
film come Ti presento i miei (2001), nonché
regista di ...E alla fine arriva Polly (2004),
storie che mescolano battute al vetriolo e
sentimentalismi, Hamburg qui tenta una
strada potenzialmente in discesa.
Inizialmente ci sembra di trovarsi in un
originale “universo parallelo”, in cui è la donna della coppia ad avere numerose amiche
a cui confida persino ogni singolo aspetto
intimo del rapporto, mentre lui è il bravo ragazzo alieno dai meccanismi del cameratismo maschile. Interessante la ricerca del suo
migliore amico che lo porta inevitabilmente
ad incontrare omosessuali che travisano i
suoi comportamenti e i mariti delle amiche
di Zooey, che lo respingono dopo solo una
serata di prova. Si ride, indubbiamente, ma
non di gusto; alcune battute risultano prevedibili così anche diverse situazioni.
L’entrata in scena di Sydney porta il giusto scompiglio alla storia, facendo cambiare
così tanto Peter da far vacillare coppia e
matrimonio; e qui Hamburg tenta il tutto per
tutto. Il fulcro su cui si basa il film e su cui
gioca, alla fine, risulta essere sempre il me-
U
desimo: che succede se il migliore amico di
lui è un single incallito e troppo invadente?
Quanto lei riuscirà a non porlo di fronte all’inevitabile scelta? Lui chi sceglierà?
Fioccano quindi le classiche situazioni
di vita in cui molte coppie possono riscontrarsi e su cui il regista affida l’empatia per i
suoi personaggi e la riuscita del film. Purtroppo sono situazioni così classiche, da
risultare già viste e riviste. Ecco il ciglio del
burrone; niente di nuovo sotto il sole.
Se in Ti presento i miei, era riuscito a
regalare anche quella dose di freschezza
unendola sicuramente a una sceneggiatura di gran lunga migliore, creando un vero
piccolo capolavoro della tragicommedia
americana, qui non vi riesce. Un film che
rientra perfettamente nello schema dell’iniziale equilibrio, sua rottura centrale, con
finale riassestamento e l’indispensabile lieto fine. Nulla di male in questo, se fosse
riuscito a regalarci qualcosa di nuovo, sarebbe sicuramente stato meglio.
Contribuisce a questa sensazione di
bilico anche l’attore Paul Rudd. Tipica faccia da bravo ragazzo, visto in diversi film
ma che non riesce a fare effettivamente
breccia sul grande schermo, col risultato
di essere “quell’attore che ha interpretato
il ragazzo di Phoebe” nel telefilm Friends.
Una nota differente merita Jason Segel;
sia grazie alla sua fisicità che le sue doti di
attore comico, riesce a restare sempre in
parte e risultare realmente credibile.
Un film decisamente estivo.
Elena Mandolini
VALUTAZIONI PASTORALI
Alieni in soffitta – consigliabile / semplice
Anamorph – n.c.
Avventure del topino Despereaux (Le)
– consigliabile / semplice
Baaria – consigliabile / realistico
Baby Love – inaccettabile / negativo
Baby Mama – n.c.
Basta che funzioni – complesso-problematico / dibattiti
Borderland – Linea di confine – n.c.
Cadillac Records – consigliabile / problematico
Cattivo Tenente (Il) – Ultima chiamata
New Orleans – complesso / realistico
Cinema Universale d’essai – n.c.
Control – n.c.
Cose in te nascoste (Le) – n.c.
Cosmonauta – consigliabile / poetico
Crossing Over – complesso-problematico / dibattiti
Diari – accettabile-realistico / dibattiti
Giulia non esce la sera – consigliabileproblematico / dibattiti
Grande sogno (Il) – consigliabile-problematico / dibattiti
Home – complesso-problematico / dibattiti
I Love You, Man – n.c.
Immagina che – consigliabile / poetico
Informant (The) – consigliabile / realistico
Just Friends – Solo amici – futile / superficialità
Legge del crimine (La) – n.c.
Messaggero (Il) – The Haunting in Connecticut – consigliabile / problematico
Miss Marzo – n.c.
Nemico pubblico N.1 – L’ora della fuga
– consigliabile / realistico
Niente velo per Jasira – futile / scabroso
Notorius – n.c.
Obsessed – n.c.
Palermo Shooting – discutibile / velleitario
Piede di Dio – consigliabile / semplice
Polvere – n.c.
60
Principessa Part Time – consigliabile /
semplice
Questione di punti di vista – consigliabile / semplice
Ragazza del mio migliore amico – futile / grossolano
Rivolta delle ex (La) – consigliabile /
brillante
Sangue dei vinti (Il) – consigliabile-realistico / dibattiti
Scuola per canaglie – n.c.
Segnali dal futuro – consigliabile / problematico
Star Trek – Il futuro ha inizio – consigliabile / semplice
State of Play – consigliabile / problematico
St. Trinian’s – futile / grossolanità
Sul lago Tahore – n.c.
Transformers – La vendetta del caduto – consigliabile / semplice
Visions – futile / superficialità
Vuoti a rendere – consigliabile-problematico / dibattiti
Film
Tutti i film della stagione
TUTTO FESTIVAL
TORINO 2008
TORINO, RIPARTENZE E CONTINUITÀ
A cura di Flavio Vergerio e Davide Di Giorgio
Dunque, dopo due anni di direzione di Nanni Moretti, che abbandona per ragioni personali, il Torino Film Festival cambia ancora, affidandosi stavolta a Gianni Amelio. Siamo contenti della nuova nomina
perché Amelio, oltre a essere uno dei registi italiani della generazione di mezzo che
più amiamo per la sua coerenza morale e
per il suo rigore estetico, è un grande cinefilo e certamente costruirà un programma
di ottimo livello dando spazio al cinema di
ricerca e alla produzione capace di unire
intelligenza del mondo e originalità dello
sguardo filmico.
Nella circostanza, bisogna dare atto a Moretti di aver compiuto la non facile impresa di
aver “salvato” il Festival, attaccato inopinatamente dai politici piemontesi che chiedevano una maggior visibilità mediatica, programmi più “popolari” e quindi maggiore
presenza di pubblico. Moretti, da grande e
navigato professionista qual è, ha realizzato
una sorta di quadratura del cerchio non snaturando la vera ragion d’essere della manifestazione di Torino (che lo distingue dalle kermesse di Venezia e di Roma), nata per valorizzare il cinema “indipendente”, fuori dagli
schemi narrativi e tematici della grande produzione, unitamente alla proposta di retrospettive dedicate a grandi registi sconosciuti
al pubblico. Roberto Turigliatto e Giulia
d’Agnolo Vallan ci hanno offerto negli anni
precedenti a Moretti l’occasione unica di conoscere meglio e di studiare, ad esempio, De
Oliveira e il cinema portoghese, Pollet, Sokurov, Straub, oltre che collocare nella giusta dimensione autoriale grandi registi americani di “culto” quali John Carpenter e George Romero.
Presi dal loro amore puro e duro per un cinema rigoroso, spesso astratto e non “narrativo” (non sempre facile da trovare) i selezionatori del Concorso degli anni Turigliatto-Vallan hanno finito per sconcertare
il pubblico sia pure curioso di Torino (non
parliamo poi dei quotidianisti, sempre con
la puzza sotto il naso). Il bravo e abile Moretti, assieme alla navigatissima Emanuela
Martini e al nuovo gruppo di selezionatori,
ha rispettato apparentemente l’impianto originale del festival, modificando in parte le
motivazioni estetiche (e pragmatiche) sottese al concorso e alle retrospettive. Film
meno “sperimentali”, più lineari e riconoscibili sul piano narrativo e tematico in concorso, retrospettive rivolte non tanto a un
pubblico di cinefili-studiosi alla ricerca dell’inedito e dell’eccezionale, ma pensate
come servizio rivolto soprattutto ai giovani
che hanno visto poco o nulla anche della storia del cinema più recente. E così l’anno
scorso le retrospettive dedicate a Wim Wenders e a John Cassavetes, maestri del cinema moderno, hanno ottenuto grandi presenze, così come quest’anno Jean-Pierre Melville, Roman Polanski e la British Renaissance. A questo proposito mi pare giusto
replicare a quel quotidianista torinese che
ha criticato la scelta di presentare il giovane
cinema inglese degli anni ’60, già visto in
gran parte a Bergamo. Forse dobbiamo piantarla di pretendere egoisticamente che le retrospettive siano sempre nuove, originali e
inedite. Facciamole invece circolare in varie occasioni e permettiamo alle ignare masse degli studenti-DAMS e dintorni di conoscere autori e cinema di qualità soffocati dall’omologazione odierna. L’altra “furbata” di
successo di Moretti si è sviluppata negli incontri con registi italiani, intitolata poeticamente L’amore degli inizi (ma non era lui
quello che aveva in odio il “dibattito”?) invitati a riflettere sulla loro opera d’esordio.
Con arguzia e competenza, Moretti, dopo
aver interrogato lo scorso anno Rosi, Vancini, i Taviani, Brass e De Bosio, quest’anno ha invitato Giuseppe Bertolucci (Berlinguer ti voglio bene, 1977), Claudio Caligari
(Amore tossico, 1983), Peter del Monte (Irene, Irene, 1975), Salvatore Piscicelli (Imma-
61
colata e Concetta, 1980), Marco Tullio Giordana (Maledetti vi amerò, 1980), Paolo Virzì (La bella vita, 1994) a collocare i loro film
d’esordio all’interno di un periodo di storia
della società e del cinema italiani in crisi di
certezze valoriali e di schemi narrativi. Il
loro cinema appare più legato a una visione
soggettiva e frantumata della realtà, al di
fuori della tradizione del cinema di denuncia e di impegno sociale, sia pure nelle sue
variabili dal neorealismo alla commedia all’italiana.
Sempre stimolante la sezione dedicata al
documentario italiano, che testimonia
una sorprendente vitalità del nostro cinema, che non riesce purtroppo a imporsi nel
lungometraggio e nelle uscite in sala. Significativo il fatto che nel Concorso, dopo
i trionfi di Cannes, non sia stata selezionata alcuna opera italiana, proprio quando invece il cinema “fuori formato” che
affronta con originalità e forza narrativa
temi sociali occultati dal cinema “maggiore”. Notevole, ad esempio, il film premiato, Piazza Municipio di Bruno Oliviero,
che fa dell’omonima piazza napoletana il
simbolo del passaggio di popoli e di storie (dagli antichi conquistatori ai migranti d’oggi) che fanno del tessuto sociale di
Napoli qualcosa di misterioso e indecifrabile dalle normali coordinate sociologiche.
Commovente anche il documentario-testimonianza di Luca Gasparini e Alberto
Masi Uso improprio dedicato a una comunità di “resistenti” insediatasi in un cinodromo abbandonato di Roma, che ha trovato attorno al rugby una particolare forma di coesione soldaristica.
Molto stimolante anche la sezione dichiaratamente “politica”, voluta da Emanuela
Martini, Lo stato delle cose che ha raccolto film di natura diversa, accomunati dalla
volontà di riflettere sui mutamenti dell’azione militante, la fine delle utopie sessantottine, le vecchie e le nuove forme di
Film
protesta. Curioso, ad esempio, Armando e
la politica di Chiara Malta che narra in
modo fra il divertito e il surreale l’evoluzione politica del padre della regista, vecchio socialista che dopo una sbandata a
destra torna a militare in modo velleitario
e confuso a sinistra. Commovente e nostalgico invece lo sguardo di Andrea Zambelli
sulle mondine modenesi che in Di madre
in figlia ricostruiscono il clima di sfruttamento del lavoro contadino, affrancato nel
tempo dalla progressiva presa di coscienza
di classe dalle anziane ma vivacissime componenti di un gruppo di canto popolare.
Film che obbliga a una riflessione amara
sulla perdita d’identità della sinistra se dobbiamo dar credito al racconto di Paolo Rossi su come il gruppo sia stato escluso dal
concerto del I° Maggio a Roma forse perché fuori da un linea più “moderata” degli
organizzatori.
La sezione che tuttavia ci ha più interessato
è La zona, territorio privilegiato per la conoscenza del cinema sperimentale, che andrebbe a mio avviso meglio valorizzata con
una migliore collocazione in sale e in orari
meno affollati. Se il Torino Film Festival
deve continuare a svolgere la sua funzione
di difesa del “cinema-cinema”, la volontà
di (di)mostrare l’indefinibilità del cinema,
la sua inestinguibile forza di reinvenzione
dello sguardo apparsa in molti film selezionati da Massimo Causo e Roberto Manassero per La zona, mi sembra che proprio
questo sia lo spazio privilegiato in cui il cinema si è manifestato come mistero e rifondazione del mondo.
Flavio Vergerio
IL CONCORSO
Alcuni quotidianisti (i soliti noti) hanno criticato il fatto che alcuni film del Concorso
fossero stati già presentati in altri festival
o costituissero un’anteprima all’uscita in
sala. Anche questa polemichetta va sepolta con la considerazione che il festival di
Torino non ha la funzione mediatica di Venezia, ma piuttosto quella di fornire un servizio, possibilmente di stimolo culturale,
al suo pubblico giovane e appassionato.
Certo, sarebbe una bella cosa che il festival portasse alla scoperta di inediti nuovi
talenti, ma forse il mercato non offriva di
meglio. E quindi va benissimo il primo premio al già visto a Cannes Tony Manero del
cileno Alfredo Castro, ritratto angosciante
di un ballerino divorato dall’ossessione di
riprodurre l’icona di Johnny Travolta in La
febbre del sabato sera. Il film nel suo andamento implacabile verso la dissoluzione
e il delitto diventa anche una metafora della forza mediatica dell’occidente nell’imporre modelli sociali e vuote apparenze anche al Terzo Mondo. Apparentemente meno
Tutti i film della stagione
costruito e rigoroso, il film cui è stato attribuito il premio della giuria, Prince of
Broadway dell’americano Sean Baker, che
descrive a metà strada fra fiction e documentario la nevrotica lotta per la sopravvivenza di un ghanese che trascina dalla strada compratori in un retrobottega di abiti
falsamente griffati. Quando l’uomo si trova sulle braccia un neonato frutto di una
relazione ormai dimenticata, la sua vita
cambia di fronte alla nuova responsabilità.
Frutto della lezione di Cassavetes e di Robert Kramer, il film offre uno sguardo fresco e inedito sul tema purtroppo inflazionato (e che rischia quindi di annoiare gli
spettatori) dell’immigrazione clandestina.
Il film più chiacchierato e che veniva dato
come probabile vincitore è rimasto, forse
giustamente, a bocca asciutta. L’onda del
tedesco Dennis Gansel affronta uno dei
temi più inquietanti del nostro tempo, la rinascita degli autoritarismi e il fascino del
fascismo presso le giovani generazioni. Un
professore di ginnastica, libertario, ma frustrato e in cerca di identità, ha l’idea di provare in vitro in una classe, che ha scelto di
fare una “ricerca” sulle origini del nazismo,
l’affermarsi di metodi autoritari cui paradossalmente i ragazzi aderiscono con entusiasmo. La situazione sfugge di mano all’insegnante, gli alunni finiscono per identificarsi nell’ideologia e nei comportamenti
antidemocratici e, alla fine, ci scappa il
morto. Se la necessità di indagare in modo
non preconcetto e ideologico sulla possibilità del riaffermarsi del pensiero fascistoide, lo svolgimento narrativo e specificamente cinematografico di Gansel appare
piuttosto schematico e prevedibile, tanto da
non provocare un vero coinvolgimento coscienziale negli spettatori. Film “utile” nelle intenzioni, povero nei risultati.
Molti dei 15 film affrontavano le crisi sociali del nostro tempo attraverso l’indagine
nello spazio ristretto della coppia e della
famiglia. Notevole in quest’ambito il cinese Dixia de tiakong (Il pozzo) dell’esordiente
Zhang Chi che descrive, in tre episodi interagenti fra loro, il progressivo sfaldarsi di
una famiglia che vive in una città mineraria
fra le montagne dell’Ovest della Cina. Il
padre, un maturo minatore, vive nella vana
illusione di ritrovare la moglie che l’ha abbandonato. La prima figlia vorrebbe una
propria indipendenza, ma finisce per accettare un matrimonio di convenienza a Pechino. Il figlio più giovane sogna di affermarsi
come cantante pop, ma finisce prima in un
giro di malaffare e poi si adatta al lavoro in
miniera, sposando una parrucchiera. Il padre, dopo la pensione, continuerà la sua inutile ricerca della moglie in un lontano villaggio di montagna. Zhang Chi mostra un
notevole controllo dei tempi narrativi, sempre sospesi e aperti in una zona franca fra
attesa e chiusura. Il pozzo del titolo sembra
62
assumere la funzione simbolica di un “buco
nero” che finisce progressivamente per ingoiare i sogni e le aspirazioni dei protagonisti.
Bella prova d’attrice di Emmanuelle Devos in Non-dit della belga Fien Troch, storia glaciale sull’incapacità di una madre di
elaborare il lutto per la scomparsa della figlia adolescente. La coppia dei genitori
cerca nella violenza e nel tradimento un
labile sostituto dell’assenza. La regista
aspira a farsi testimone impassibile di una
condizione di progressivo auto-annullamento della donna che perde ogni contatto
con la realtà, lasciandosi morire (subisce
una violenza sessuale senza reagire) e lasciando morire i propri cari (il padre viene
abbandonato nel suo letto di morte, il marito la abbandona). Il male di vivere si fa
sguardo disperato sul mondo che ci circonda, occupato da segnali oscuri (un cane
morto, un incidente stradale, una macchia
che si allarga nel soffitto...). La salvezza
forse arriverà nella rinnovata riappacificazione della coppia.
Interessante per le soluzioni visive tese alla
costruzione del mistero in uno spazio ambiguo fra il visibile e l’invisibile l’irlandese
Helen di Joe Lawlor e Christine Mollowy,
vicenda pirandelliana di una ragazza che presta il suo corpo per la ricostruzione poliziesca delle circostanze della scomparsa di una
compagna di scuola. La protagonista, una
giovane “senza qualità”, che vive in un collegio per orfani e si mantiene lavorando come
cameriera, finisce progressivamente per assumere il ruolo sociale e l’identità della vittima, appartenente a una famiglia borghese che
finisce per accoglierla, e si concede per il suo
primo rapporto sessuale proprio con il fidanzato della ragazza scomparsa. Film dai molteplici livelli di lettura, riflessione amara sui
bisogni spesso devianti di un’identità da parte di giovani destinati altrimenti alla solitudine.
La condizione adolescenziale e la dissoluzione della famiglia si ritrova anche nel macabro e surreale Bitter & Twisted dell’australiano Christopher Weeks, in Momma Man’s
dell’americano Azazel Jacobs, volto piuttosto a i toni comici da humour nero, in Mein
Freund aus Faro della tedesca, classica scoperta della propria sessualità attraverso l’innamoramento, in Quemar las naves del messicano Francisco Franco, melodramma morboso di rapporti incestuosi, reso problematico dall’ironia surreale.
Oltre che nel film film cinese le tematiche
più esplicitamente sociali erano affrontate
anche da Entre Os dedos di Tiago Guedes
e Frederico Serra (Basile/Portogallo): qui
la perdita del lavoro da parte del protagonista provoca una serie di conseguenze anche morali, con i personaggi disposti a tutto pur di sopravvivere, con la perdita progressiva di regole di comportamenrto e del-
Film
la possibilità di una buona relazione con
gli altri. (f.v.)
LA ZONA
Il secondo anno di vita della sezione più
“sperimentale” (ma il vero cinema non dovrebbe essere tutto sperimentale?) ha rivelato l’ambizione di radicalità dei curatori
Massimo Causo e Roberto Manassero. Dice
infatti nell’introduzione alla sezione nel
Catalogo Causo: (la Zona) “si affida ai tracciati di una realtà eminentemente interiore,
di mondi che si agitano al di sotto della superficie apparente degli eventi, nella profondità di spazi e figure scandagliati dalla macchina cinema, facendo ricorso a tutta la sua
attuale complessità tecnica ed espressiva”.
Nell’impossibilità di dar conto delle infinite “provocazioni” proposte dal ricco programma, debbo scegliere a mò di esempi
significativi solo quei film che hanno meglio interpretato questo rapporto fra “mondi interiori” e apparenze visive messe in
opera dal cinema. L’americano Ken Jacobs
in Return to the Scene of Crime riprende e
amplifica la ricerca formale attuata quarant’anni fa con Tom, Tom, The Piper’s Son
(1969), una ri-lettura, riformulazione, ri-narrazione di un rullo di pochi minuti della Biograph (1905), un piano fisso di un’immagine di Luna Park con persone che si aggirano attorno a una giostra. Con tecniche complesse che vanno dalla vivisezione dell’immagine originale, al ralenti o all’accelerazione, alla ripetizione ossessiva dei movimenti delle figure umane, alla vera e propria “penetrazione” nell’immagine con ingrandimenti onirici di singole parti dell’immagine stessa, Jacobs ci suggerisce una vita
segreta, pulsionale e misteriosa che si nasconde dietro l’apparente banalità dell’immagine originale.
La dilatazione spazio-temporale sembra essere lo strumento rivelatore della condizione esistenziale della protagonista di Now
Showing del filippino Raya Martin
(208’…), vicenda ipnotica di un’adolescente, Rita, che trascorre lunghe ore semi-addormentata, in uno stato di dormi-veglia
con la madre e la zia a rivedere vecchi film
in televisione. In particolare, si identifica
con i melodrammi interpretati da una vecchia star con il suo stesso nome, molto
amati dalla nonna, a sua volta ex-attrice.
Divenuta grande, la ragazza diventa commessa nel negozio di dvd della zia, trascorrendo lunghe giornate nel vuoto dell’attesa di rari clienti. Dopo un’esperienza di
prostituzione, la donna deciderà alla fine
di liberarsi dei fantasmi del passato allontanandosi dalla famiglia e da un lavoro alienante. Raramente ci viene dato come nel
film di Raya Martin, di trovare una inquietante corrispondenza fra l’esperienza visio-
Tutti i film della stagione
naria e la vita rappresentata dei personaggi.
La grande scoperta di “La zona” è stata la
retrospettiva dedicata al giapponese Kohei
Oguri, erede semi-sconosciuto della grande tradizione degli Ozu e dei Mizoguchi.
Lo regista si ispira anche teatro popolare
giapponese, il Nô, forma di rappresentazione che unisce realtà e sogno. Oguri in effetti è noto ai cinefili più attenti per essere
stato scelto con la sua opera d’esordio, Fiume di fango (1981) nella cinquina di aspiranti all’Oscar per “il miglior film straniero” e per il più recente bellissimo La foresta pietrificata, grande successo di critica
al festival di Cannes del 2005. Ormai sessantenne, autore di sole cinque opere in 30
anni di attività, Oguri non si piega a una
facile classificazione estetica, manifestando una progressiva rarefazione a astrazione dei procedimenti narrativi e della forme
della rappresentazione. I suoi temi si concentrano attorno al rapporto fra la famiglia
giapponese e il malessere sociale del dopoguerra e, negli ultimi film nella descrizione poetico-minimalista della vita di piccole comunità alla ricerca della propria
identità in una relazione intensa con la natura. Per intendere il progetto estetico di
Oguri basti citare un paio di sue affermazioni fondanti: “I personaggi creano il loro
dramma in base ai cambiamenti delle loro
emozioni. Queste vengono percepite dagli
spettatori come elementi in movimento. Ma
i luoghi non si muovono, i luoghi sono. Ed
è per questo che gli spettatori non vi prestano attenzione (….) (Ma, nel caso di immagini fisse, di fotografie), il concetto di
movimento può essere sostituito con quello di tempo. In una rappresentazione immobile, il tempo è stato imprigionato, quindi chi la guarda non può fare a meno di immaginarlo”. Quanto poi alla perdita della
nostra capacità di penetrare il senso profondo del mondo in cui viviamo egli dice:
“Guardare vuol dire cercare di sopportare
l’inquietudine dell’individualità, perché
solo io posso sapere davvero cosa provo
nel guardare una certa cosa (…) Non riusciamo più a verificare la realtà della nostra vita quotidiana, e percepiamo il mondo come qualcosa che avanza continuamente, e al tempo stesso si allontana da noi”.
La forza creativa di Oguri si manifesta più
che nella narrazione di avvenimenti o nella descrizione di sentimenti, nella condensazione poetica di alcune immagini capaci
di comunicare il senso dell’esistenza, la
condizione dell’uomo di fronte alla morte.
Ad esempio la fine delle illusioni in Fiume
di fango viene suggerita dall’immagine fissa della famiglia del giovane protagonista
incagliata su una barca insabbiatasi sui fondali del fiume. In L’uomo che dorme (1996)
un vecchio muore, ma al di là della parete
che lo divide da un giardino, un albero è in
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fiore e un ceppo tagliato decenni prima torna a vivere… In La foresta pietrificata, la
scoperta di una foresta fossile permette agli
abitanti di un villaggio di ritrovare il senso
della propria appartenenza al “genio del
luogo” e di ricostruire progetti per il futuro. Nella festa finale, i giovani innalzano
verso il cielo un pesce di cartapesta sollevato da palloncini colorati. La sua immagine si proietta prima sulla cortina formata
dalla nebbia, poi sul costone di montagna,
oltre il quale c’è un altro villaggio... In
pochi altri registi viventi realtà e metafisica si intersecano e si interpellano vicendevolmente in modo così intimo e coinvolgente. (f.v.)
RETROSPETTIVE ROMAN POLANSKI E JEAN PIERRE-MELVILLE
Viene la tentazione di cercare possibili punti di contatto fra le poetiche del cinema di
Roman Polanski e quello di Jean-Pierre Melville, omaggiati dal Torino Film Festival in
uno spazio retrospettivo dal sapore squisitamente eurocentrico (se consideriamo anche l’omaggio alla British Reneissance).
Due autori profondamente diversi e che rimandano a immaginari tra loro distanti, sebbene, a ben guardare, alcuni passaggi rivelino degli intrecci interessanti e curiosi: primo fra tutti quello che vede entrambi i registi primeggiare nel genere noir. Che se in
Melville è un autentico marchio di fabbrica, tanto da dare vita a un autentico format
reiterato e perfezionato con il progredire
della filmografia, in Polanski è più uno stato dell’essere, una suggestione che si rincorre attraverso vari titoli e solo nel 1974,
con Chinatown, trova la sua puntuale rispondenza ai linguaggi di genere. D’altronde è
parte integrante del cinema del regista polacco l’esplorazione dei sentimenti nascosti
nell’animo umano, che ridisegnano lo spazio e il tempo ed evidenziano l’agire fragile
e scomposto di protagonisti complessi e preda dei loro sentimenti primari: esemplare in
questo caso l’autentico tour-de-force narrativo di La morte e la fanciulla (1994), devastante esempio di un confronto che affonda
nelle radici del tempo e pone in essere una
progressiva discesa nella degradazione umana, fomentata dal rancore e dal desiderio di
vendetta.
Allo stesso tempo, si potrebbe rievocare il
lacerante Luna di fiele (del 1990), che esplora i meccanismi del rapporto di coppia, dove
l’amore cede inesorabilmente il passo a un
impeto (auto)distruttivo. È il Polanski meno
conciliante, quello degli anni Ottanta, nel
quale rientra anche il bellissimo Frantic
(1987), che illustra l’estrema fragilità dell’essere in un mondo i cui fili sono manovrati da giochi di potere che schiacciano i
singoli e i sentimenti. Ma si farebbe torto a
Film
limitare l’opera del regista polacco in questo pur splendido trittico di capolavori: ché,
se esiste un motivo per amarne la filmografia in tutta la sua globalità, è proprio per la
sua imprevedibile capacità di scivolare dal
drammatico al grottesco. Ecco dunque che
l’umorismo rappresenta l’altra faccia della
medaglia del cinema caro al regista polacco: quell’umorismo garbatamente parodistico di Per favore non mordermi sul collo
(1967), quello picaresco di Pirati (1986),
ma anche e soprattutto quello che colora i
passaggi più gustosi del suo pur tragico Il
pianista (2002) e che affonda nella sua formazione e cultura ebraica. È quell’ironia
tagliente tipica della vita in tutta la sua complessità, dove non esistono schematismi
preordinati e l’incedere degli eventi spinge follia, tragedia e farsa ad accostarsi in
modo spiazzante e, in ultima analisi, geniale. Come in fondo è tutto il cinema di
questo ometto dai modi gentili e dall’immaginario inquieto. Sarà per questo che il
titolo destinato a restare maggiormente
impresso è L’inquilino del terzo piano
(1976), nel quale il Polanski regista e attore sembra sintetizzare più che in ogni altra
sua pellicola la coesistenza di sentimenti
ambivalenti e la tortuosa e ossessiva imprevedibilità del vivere.
Tutti i film della stagione
Da questo versante, il cinema di Jean-Pierre Melville appare invece più compatto,
sebbene la retrospettiva permetta di riscoprire meritoriamente soprattutto il suo periodo di formazione, quando emergono
esempi che guardano maggiormente alla
contemporanea nouvelle-vague (I ragazzi
terribili, del 1950) e che permettono di inquadrare prospetticamente il successivo
lavoro sulle coordinate del genere noir che
poi l’avrebbe reso celebre. Che è poi un
lavoro di ricontestualizzazione teorica di
linguaggi prelevati da cinematografie altre,
fatto che rende la sua opera importante non
soltanto per la sua unicità (produttiva e artistica) all’interno della cinematografia
francese ed europea, ma perché ne evidenzia la modernità. Il cinema melvilliano è
infatti una felice sintesi di passato e presente, postmoderno già nell’impostazione
che gli permette di far proprio il cinema
occidentale e quello orientale. Il rapporto
dialettico che i suoi film instaurano infatti
non è soltanto quello con il cinema americano, dal quale certamente recuperano le
principali iconografie, ma anche con il cinema giapponese, per i temi dell’onore e
della ricerca morale in un mondo che non
accetta più eroi. In questo senso, i suoi gangster sono dei samurai (come evidenzia il
titolo originale del suo film più bello, quel
Frank Costello faccia d’angelo rimasto
fuori dalla retrospettiva per problemi legati ai diritti), dotati di un proprio codice
d’onore, uniche figure coerenti in un mondo dominato da interessi più forti e pertanto destinati alla sconfitta, fatto che apre la
porta a splendide pennellate di malinconico lirismo.
Anche qui come in Polanski, in fondo, la
dialettica è quella dei sentimenti, che costituisce il vero fil rouge della filmografia
melvilliana in tutti i suoi periodi: la necessità di preservare (ma non distruggere come
in Polanski) l’idea di un sentimento che
lega i protagonisti è quella che porta spesso i protagonisti melvilliani alla fine delle
loro esistenze, ma anche all’affermazione
fiera dei loro principi e dei legami stessi.
In questo senso c’è sicuramente nichilismo
nel polar del regista francese, ma in modo
virtuoso, sebbene la progressione del suo
cinema volga sempre più verso una visione disperata dove i protagonisti si rimpiazzano e i commissari non possono fare altro
che rispondere all’ennesima chiamata che
li traghetterà verso altre storie e altre tragedie umane.
Davide Di Giorgio
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di Cinema
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