SOMMARIO n. 100 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 100 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO n. 100 Anno XV (nuova serie) n. 100 luglio-agosto 2009 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Gianluigi Ceccarelli Chiara Cecchini Fabio de Girolamo Marini Silvio Grasselli Elena Mandolini Diego Mondella Fabrizio Moresco Francesca Piano Manuela Pinetti Valerio Sammarco Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Alieni in soffitta ................................................................................... Anamorph .......................................................................................... Avventure del topino Despereaux (Le) ............................................... Baarìa ................................................................................................ Baby Love .......................................................................................... Baby Mama ........................................................................................ Basta che funzioni .............................................................................. Borderland – Linea di confine ............................................................. Cadillac Records ................................................................................ Cattivo Tenente (Il) – Ultima chiamata New Orleans ........................... Cinema Universale d’essai ................................................................. Control ............................................................................................... Cose in te nascoste (Le) .................................................................... Cosmonauta ...................................................................................... Crossing Over .................................................................................... Diari ................................................................................................... Giulia non esce la sera ....................................................................... Grande sogno (Il) ............................................................................... Home – Casa dolce casa? ................................................................ I Love You, Man .................................................................................. Immagina che .................................................................................... Informant (The) .................................................................................. Just Friends – Solo amici ................................................................... Legge del crimine (La) ....................................................................... Messaggero (Il) .................................................................................. Miss Marzo ........................................................................................ Nemico pubblico N.1 – L’ora della fuga ............................................... Niente velo per Jasira ......................................................................... Notorius B.I.G. ................................................................................... Obsessed .......................................................................................... Palermo Shooting .............................................................................. Piede di Dio ....................................................................................... Polvere ............................................................................................... Principessa ........................................................................................ Questione di punti di vista ................................................................. Ragazza del mio migliore amico (La) ................................................ Rivolta delle ex (La) ........................................................................... Sangue dei vinti (Il) ............................................................................ Scuola per canaglie ........................................................................... Segnali dal futuro ............................................................................... Star Trek – Il futuro ha inizio .............................................................. State of Play ...................................................................................... St. Trinian’s ........................................................................................ Sul lago Tahore .................................................................................. Transformers – La vendetta del caduto ............................................. Visions ............................................................................................... Vuoti a rendere .................................................................................. Tutto Festival Torino 2008 ............................................................... 23 27 51 24 14 56 2 28 41 15 43 9 31 42 50 46 35 47 19 59 57 21 34 29 22 5 49 6 58 37 12 53 44 13 30 45 8 38 26 32 17 11 54 39 4 52 18 61 Film Tutti i film della stagione BASTA CHE FUNZIONI (Whatever Works) Stati Uniti, 2009 Operatore steadicam: Kyle Rudolph Arredatore: Ellen Christiansen Interpreti: Larry David (Boris Yellnikoff), Evan Rachel Wood (Melody St. Ann Celestine), Patricia Clarkson (Marietta), Ed Begley jr. (John), Conleth Hill (Leo Brockman), Michael McKean (Joe), Henry Cavill (Randy James), John Gallagher jr. (Perry), Jessica Hecht (Helena), Carolyn McCormick (Jessica), Christopher Evan Welch (Howard), Olek Krupa (Morgenstern), Adam Brooks, Lyle Kanouse (amici di Boris), Nicole Patrick (amica di Perry), Clifford Lee Dickson (ragazzo in strada), Yolonda Ross (madre del ragazzo), Lindsay Michelle Nader, Armand Schultz (voce televisione), Willa Cuthrell-Tuttlemann (ragazza), Samantha Bee (madre), Marcia DeBonis (signora al ristorante cinese) Durata: 92’ Metri: 2420 Regia: Woody Allen Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum per Sony Pictures Classics/Perdido Productions. In associazione con Wild Bunch/Gravier Productions Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen Direttore della fotografia: Harris Savides Montaggio: Alisa Lepselter Scenografia: Santo Loquasto Costumi: Suzy Benzinger Produttori esecutivi: Brahim Chioua, Vincent Maraval Coproduttore: Helen Robin Casting: Ali Farrell, Laura Rosenthal, Juliet Taylor Aiuti regista: Richard Patrick, Murphy Occhino, Dan Majkut eduto al tavolino di un bar all’aperto del Village, Boris Yellnikoff prova inutilmente a convincere gli amici di una vita, Joe e Leo Brockman, che proprio di fronte a loro c’è una nutrita folla di persone che, mangiando pop corn o stiracchiandosi il collo, li osserva dal buio di una sala cinematografica. Naturalmente nessuno gli crede, prendendolo anche un po’ per matto quando intavola una conversazione (con lo sguardo fisso in camera) con il niente di fronte a lui. Boris non desiste e inizia a raccontare la propria vita di ex professore alla Columbia University, ex marito di una donna bella, ricca e brillante e genio incompreso – ma candidato al premio Nobel – della Meccanica Quantistica. Boris considera se S stesso come l’unico essere al mondo a possedere la “visione d’insieme”, che gli consente di comprendere l’insignificanza delle umane aspirazioni. La sua vita passata era però perfetta soltanto sulla carta. Boris soffriva di laceranti attacchi di panico, avvertiva sempre più la morte e la fine in avvicinamento e una notte, durante una lite con l’(ormai) esasperata moglie Jessica si lancia dalla finestra del soggiorno. Il tentativo di suicidio si risolve in un atterraggio su una morbida tenda, qualche frattura e il divorzio da Jessica. Nel passaggio dai quartieri alti al downtown newyorkese, tuttavia, Boris ci guadagna una sorta di serenità, rifugiandosi nella routine quotidiana fatta di le- 2 zioni private del gioco degli scacchi – a poveri ragazzini, puntualmente ricoperti di insulti –, serate in casa con gli amici e poco più. Una notte, nei pressi del suo appartamento, si imbatte in una giovane – non è neanche ventenne – e ingenua fuggiasca del Mississippi di nome Melody St. Ann Celestine; la ragazza – affamata, infreddolita, sporca e senza un posto dove dormire chiede ospitalità all’anziano burbero, che accetta più per evitare discussioni che per buon cuore. Melody, nonostante i continui – bonari? – insulti di Boris (“sei soltanto una stupida ragazzina senza cervello troppo fragile per vivere a New York”), è sempre più intenzionata a rimanere. Trova un lavoro come accompagnatrice di cani, prepara cenette – talvolta deliziose, tal’altra immangiabili – e si rivela incredibilmente abile nel placare i consueti attacchi di panico notturni dell’uomo. Quando Melody incontra il coetaneo Perry e trascorre una serata con lui, Boris confida ai suoi amici che sarebbe felice se il giovane la portasse via; tuttavia, tornato nell’appartamento troppo tranquillo e silenzioso, è costretto a ricredersi ed è davvero felice quando la ragazza torna, peraltro annoiatissima da Perry e i suoi amici convenzionalmente sub-umani. Ben presto Melody rivela a Boris di avere una cotta per lui. L’uomo prova a respingere gli assalti sentimentali della giovane – adducendo come flebile scusa la propria naturale propensione alla solitudine, il carattere non facile e la conquistata serenità –, ma si ritrova a con- Film siderare il fattore fortuna, valutando infine positivamente il fatto che le strade di due persone così diverse si siano incontrate. Boris e Melody si sposano e la loro vita si rivela felice, serena e soddisfacente. A lui fa molto bene la sua allegria e lei è davvero fiera di avere un genio per marito. Dopo un anno di matrimonio, giunge inaspettata quanto poco gradita la visita di Marietta, puritana madre di Melody giunta a New York per ricongiungersi con la figlia e per fuggire dal marito che l’ha tradita con la sua migliore amica. Boris porta a pranzo le due donne insieme al solito amico Leo Brockman e Marietta si distrae dallo shock di aver ritrovato la figlia sposata con un vecchio brontolone, per di più non benestante. Lì conosce l’aspirante attore Randy Lee James, un uomo bello e giovane che le confessa di essersi innamorato all’istante di Melody. Leo confida a Boris di essere molto interessato a Marietta, difatti la invita a uscire e i due finiscono la serata nell’appartamento di lui. Tra un bicchiere e l’altro, Marietta gli mostra delle fotografie da lei scattate e lui le rivela che è una vera artista. La notte d’amore tra i due permette alla donna di liberarsi anche artisticamente e, nel giro di breve tempo non solo inizia una brillante carriera da fotografa, ma intraprende un felicissimo ménage à trois con Leo e il proprietario della galleria dove espone, tale Al Morgenstern. Ciò non distrae Marietta dall’intento di far sì che la figlia lasci Boris per il bel Randy Lee: organizza incontri apparentemente casuali tra i due e la ragazza non è indifferente al fascino e ai modi gentili del giovane. Tuttavia lo respinge (“sono una donna sposata!”). Eppure qualcosa è cambiato, e un giorno Melody reagisce a uno degli sproloqui di Boris dicendogli che è come un bambino che ripete sempre la stessa filastrocca quando non ottiene ciò che vuole; l’uomo è sorpreso dal fatto che Melody possa avere delle idee sue. A un nuovo incontro tra Melody e Randy Lee – tramato da Marietta –, i due finiscono a fare l’amore sulla barca/abitazione di lui. Nel frattempo, anche il padre di Melody, John, piomba a New York, deciso a riportare a casa moglie e figlia. Melody e Boris tentano invano di convincere l’uomo che Marietta è cambiata, ma John insiste nel volere incontrare subito sua moglie, e si reca con loro al vernissage; ovviamente è distrutto dalla trasformazione della moglie e finisce la serata a Tutti i film della stagione bere un bar. Lì conosce Howard Cummings; anche lui ha il cuore infranto – il suo compagno, Norman, lo ha lasciato – e John si ritrova ad ammettere di aver sposato Marietta per avere una vita come tutti gli altri, per non pensare che quando era liceale non era indifferente ai suoi compagni di squadra... Melody confida a Boris di essersi innamorata di un altro e di voler vivere questa storia fino in fondo. Boris la prende quasi bene: del resto, se il mondo sta andando a rotoli, perché non dovrebbe succedere anche al loro matrimonio? Quella sera stessa si butta dalla finestra, atterrando su una donna: lei finisce in ospedale, lui è incolume. Quando va a farle visita scopre che Helena – questo il suo nome – la pensa come lui su molte cose. I due finiscono col mettersi insieme. Tutti i personaggi, ricomposti in nuove, particolari relazioni – Boris e Helena, Melody e Randy Lee, Marietta, Leo e Al, John e Howard – si ritrovano a festeggiare insieme un nuovo anno a New York, consapevoli che per trovare l’amore ci vuole un colpo fortuna, ma bisogna anche capire che, per quanto il risultato possa apparire strano, “basta che funzioni”. a notizia è che Woody Allen è tornato a girare a New York, per la gioia dei – non pochi – detrattori del suo periodo “europeo”, visto talvolta come poco interessante, commerciale, futile. Nel farlo non si è però esposto in prima persona – ritenendosi troppo vecchio per la parte – affidandosi a un alter ego di una decina – abbondante d’anni più giovane, perfetto nel ruolo del brontolone misogino e rabbioso: Larry David, già autore e attore del programma della NBC Seinfeld e del Saturday Night Live. Al suo fianco, il giovane astro nascente Evan Rachel Wood, a proprio agio nei colorati panni dell’ingenua e suggestionabile ragazzina del sud in fuga da un paesello opprimente e dai più improbabili concorsi di bellezza. Dopo qualche scintilla – da parte dell’uomo – i due formano un’imprevedibile coppia di tipo complementare, in cui lei, Melody – da lui definita majorette submentale – ci mette la giovinezza, l’allegria, la fiducia verso il mondo e un’inesauribile joie de vivre, e lui, pur abbozzando all’inaspettata felicità, il terrore/odio per il prossimo, il panico per il futuro – nero, inevitabilmente – la nostalgia per il passato e il vanto di sentirsi un genio incompreso. A quanti hanno visto un velato richiamo –, alla personale L 3 situazione sentimentale del regista, da anni legato alla – ben più giovane – figlia adottiva dell’ex moglie Soon-Yi Farrow Previn, non ci sentiamo di dar troppo torto, anche se i corsi e ricorsi del passato che spiccano in Basta che funzioni vanno ritrovati nei trascorsi filmici dello stesso Allen. La commedia è senza dubbio originale, ma certo non c’è nulla di nuovo sotto il sole: i richiami ai lavori newyorkesi di Allen – Io e Annie, su tutte – sono palesi, nei dialoghi come nelle situazioni e forse sarà proprio questo a entusiasmare il pubblico, o, meglio, il suo pubblico. Forse adesso il disincanto verso la vita, l’amore e la società è più gridato e tutto si svolge in modo più rapido: basti guardare a quanto poco tempo impieghino i genitori di Melody a essere risucchiati, ciascuno a proprio modo, dalla “torbida” vita sentimentale della grande mela. In poco tempo, le certezze dei personaggi vacilleranno, e ognuno capirà l’inutilità di dare un senso a ogni cosa; soprattutto l’impossibilità di proporsi come modello di vita – o di rettitudine. L’ultimo ad arrivarci sarà il cinico Boris, genio e uomo di numeri, cadendo innamorato – è il caso di dirlo – di una donna che vive facendo la medium. Ironia della sorte? Nessuno se lo chiede più, perché, in fondo, cosa importa: basta che funzioni! Non è difficile immaginare in tutto ciò una riflessione sul tempo che trascorre inesorabile, o sulla breve vita che ci tocca su questa terra; come dire, visto che ci siamo, afferriamo senza porci troppe domande quel che ci troviamo davanti. In fondo è questo il segreto di Boris: non porsi limiti, non rinchiudersi in schematismi (precetti religiosi, gabbie sociali e morali) che alla lunga si rivelano trappole mentali, incompatibili con la vera essenza della vita. Allen è (sempre stato) così: filosofia spicciola pomposamente esibita e risate a denti stretti, e in questo film arriva alla leggiadra autocitazione di se stesso, anche raddoppiandosi in un interprete che è, allo stesso tempo, altro da sé e alter ego. Nel gioco degli specchi, mantenendo saldo il comando della regia, il risultato è che la parte narrativa è sempre più mero pretesto e ciò che resta sono cinismo e misantropia. L’happy end finale lascia il sorriso sulle labbra, a malapena per il tempo dei titoli di coda e presto sovviene che, in fondo, siamo tutti vermetti in balìa degli eventi. Manuela Pinetti Film Tutti i film della stagione TRANSFORMERS LA VENDETTA DEL CADUTO (Transformers: Revenge of the Fallen) Stati Uniti, 2009 Arredatore: Jennifer Williams Trucco: Robin Beauchesne, Edouard F. Henriques, Elizabeth Hoel, Deidre Parness Acconciature: Diane Dixon, Melissa Forney, Erin Hicks Effetti speciali trucco: Kazuhito Tsuji Supervisore effetti speciali: Wayne Toth (KNB Effects Group) Coordinatore effetti speciali: Bruno Van Zeebroeck Coordinatori effetti visivi: Stacy Bissell (ILM), Bron Barry, Christine Felman Supervisori effetti visivi: Matthew E. Butler (Digital Domain), Scott Farrar, Richard Kidd Supervisore costumi: Lisa Loovas Coreografie: Terry Notary Interpreti: Shia LaBeouf (Sam Witwicky), Megan Fox (Mikaela Banes), Josh Duhamel (capitano Lennox), Tyrese Gibson (sergente Epps), John Turturro (agente Simmons), Ramon Rodriguez (Leo Spitz), Kevin Dunn (Ron Witwicky), Julie White (Judy Witwicky), Isabel Lucas (Alice), John Benjamin Hickey (Galloway), Matthew Marsden (Graham), Michael Papajohn (Cal), Glenn Morshower (Generale Morshower), Rainn Wilson (prof. Colan), Jonathon Trent (Fassbiner), Walker Howard (Sharsky), Sean T. Krishnan (Yakov), Aaron Lustig, Jim Holmes, Kristen Walker (reporters), Cornell Womack (responsabile FBI), Josh Nielsen (capitano Wilder), Bonecrusher the Mastiff (se stesso), Hugo Weaving (voce Megatron), Mark Ryan (voce Jetfire), Peter Cullen (voce Optimus Prime), Reno Wilson (voce Mudflap), Jess Harnell (voce Ironhide), Robert Foxworth (voce Ratchet), André Sogliuzzo (voce Sideswipe), Grey De Lisle (voce Arcee), Tony Todd (voce The Fallen), Charles Adler (voce Starscream) Durata: 150’ Metri: 4071 Regia: Michael Bay Produzione: Ian Bryce, Tom DeSanto, Lorenzo di Bonaventura, Don Murphy per DreamWorks SKG/Paramount Pictures/ Di Bonaventura Pictures. In associazione con Hasbro Distribuzione: Universal Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) Soggetto: basato sui “Transformers” Action Figures della Hasbro Sceneggiatura: Ehren Kruger, Roberto Orci, Alex Kurtzman Direttore della fotografia: Ben Seresin Montaggio: Roger Barton, Tom Muldoon, Joel Negron, Paul Rubell Musiche: Steve Jablonsky Scenografia: Nigel Phelps Costumi: Deborah Lynn Scott Produttori esecutivi: Michael Bay, Brian Goldner, Steven Spielberg, Mark Vahradian Produttore associato: Matthew Cohan Coproduttore: Allegra Clegg Direttore di produzione: Allegra Clegg Casting: Denise Chamian Aiuti regista: K.C. Hodenfield, Bruce Moriarty, Jeff Okabayashi, Xavier Wakefield, Steve Battaglia, Chris Castaldi, Hope Garrison, Yanal Kassay, Guilhem Malgoire, Kevin Berlandi, Marvin Williams, Tamir Naber, Brandy D. Pollard Operatori: Lucas Bielan, Philippe Carr-Foster, Jacques Jouffret Operatore steadicam: Jacques Jouffret Supervisore art direction: Jon Billington Art directors: Julian Ashby, Sean Haworth, Naaman Marshall, Ben Procter el 17.000 a.C. sulla Terra si era rifugiata una specie simile alla razza umana, i robot alieni. Stati Uniti, oggi. Sono passati quasi due anni da quando il giovane Sam Witwicky ha salvato l’universo dalla battaglia fra due razze rivali di robot alieni: Autobots e Decepticons. Malgrado le sue gesta eroiche, Sam è un ragazzo come tanti, alle prese con gli stessi problemi dei suoi coetanei. Sta per partire per il college e si sta per separare dalla sua ragazza, Mikaela, dai suoi genitori e dal suo nuovo fidato amico robot, Blumblebee. Nonostante il giovane abbia deciso di lasciarsi alle spalle il conflitto di Mission City, la battaglia fra Autobots e Decepticons ha causato molti cambiamenti. “Sector 7” è stato smantellato e il suo più fedele soldato, l’agente Simmons, è stato liquidato. Al suo posto è operativa una nuova agenzia, la NEST, capitanata dai comandanti Lennox ed Epps che lavorano in alleanza con degli Autobots per evitare un altro scontro fatale con i Decepticons. Sull’operato della NEST si intromette il Consulente della Sicurezza N Nazionale Theodore Galloway che non si rende conto dei cambiamenti che stanno per accadere. Il nemico numero uno dei Decepticons si trova sotto il mare e sta cercando “qualcosa”. Il terribile “The Fallen” sta forse per risorgere? Ma Galloway, desideroso di controllare tutte le operazioni preposte alla difesa e di gestirne il potere, vorrebbe chiudere la NEST, convinto che le minacce di guerra siano ormai acqua passata. Galloway crede che gli umani non abbiano nessun interesse a restare coinvolti nella guerra fra Autobots e Decepticons. Nel frattempo Sam fa il suo ingresso al college dove conosce il suo nuovo compagno di stanza, Leo, un giovane appassionato di informatica e di belle ragazze. Intanto i Decepticons giungono sulla terra, dove rubano un prezioso frammento utile alla loro riproduzione e nelle profondità marine “The Fallen” risorge e arriva sulla Terra. Il capo degli Autobots, Optimus Prime, chiede aiuto a Sam. Il giovane, intanto, viene colto da visioni che gli attraversano il cervello. Sam non rivela a nessuno il suo problema, fino a quando non 4 può più fare a meno di ignorare quei simboli. Non sa di essere l’unico a possedere nella sua mente la chiave per perpetrare la razza di “The Fallen”. Intanto al college il giovane è oggetto delle avances di una bellissima studentessa, Alicia, che in realtà si rivela una pericolosa creatura aliena. Sam fugge con Leo e Mikaela, giunta nel frattempo in suo aiuto. “The Fallen” è sulle tracce di Sam, mentre i Decepticons sferrano un micidiale attacco alla Terra. I robots minacciano di distruggere il mondo se non gli verrà consegnato Sam. Intanto i ragazzi si recano da Simmons in cerca di aiuto per decifrare i misteriosi simboli tatuati sul braccio di Sam. L’agente Simmons si unisce alla squadra di Sam. Il gruppo si reca in Egitto dove si troverebbe una misteriosa matrice nascosta in una tomba milioni di anni fa. Ma solo uno dei robot, Prime, può sconfiggere “The Fallen”. Sam pensa di riattivare il robot Optimus Prime mentre Simmons chiede aiuto al maggiore Lennox della NEST. Intanto Sam e i suoi trovano i misteriosi simboli in una tomba all’interno di un tempio a Petra, in Giorda- Film nia, dove è nascosta la matrice. In prossimità delle piramidi, si catena una violenta battaglia tra “The Fallen” e l’esercito. Sam riesce a immettere la matrice in Optimus Prime per farlo risorgere. La battaglia tra Optimus e “The Fallen” è senza esclusione di colpi. Alla fine, Optiumus ha la meglio e ringrazia Sam per aver salvato la razza umana e i robot alleati degli uomini. omini e macchine. Ancora. E che macchine! Nel 2009 i robot diventano una razza tutta particolare. E si dividono in due specie: quelli buoni (gli Autobots) e quelli cattivi (i Decepticons), quelli amici e quelli nemici degli umani. Sono diversissimi: gli uni colorati, simpatici, eroici; gli altri, grigiastri, metallici e cattivissimi. I primi, quelli buoni come Blumbeee, possono presentarsi come una normale automobile coupé ma possono improvvisamente smontarsi, rimontarsi e diventare una macchina da guerra; i secondi dichiarano guerra al mondo dagli abissi marini. Il produttore esecutivo Steven Spielberg (ma non aveva già detto tutto sul rapporto uomo-macchina, o per meglio dire sul “duello mitologico tra l’uomo e il mostro della meccanica” come lo ribattezzò Alberto Moravia, quasi 40 anni fa, con il mitico Duel?) si affida alla regia esperta di U Tutti i film della stagione Michael Bay (tra i suoi filmoni rutilanti ricordiamo Armageddon e Pearl Harbor, oltre che il primo film della serie Trasformers del 2007), un regista che si esalta con le guerre globali e che sopra ogni cosa ama chiamare alle armi suoi eroi. Il salvatore della patria (anzi dell’intero pianeta) questa volta non ha i bicipiti di Bruce Willis o lo sguardo “assassino” di Josh Hartnett, ma ha il viso buffo e il fisico normale di Shia LaBeouf (già piccolo eroe nel primo film della serie), uno studente sveglio e furbetto accompagnato da una fidanzata con fisico da pin-up e viso da copertina (con chili di lucidalabbra sempre fresco sull’immancabile bocca carnosa), cui presta il volto la bella Megan Fox. Fin qui tutto negli schemi, ma mai ci saremmo aspettati di vedere John Turturro intento ad arrampicarsi sulle piramidi combattendo contro un gigantesco ammasso di ferraglia. Se, da un lato, si fa entrare in gioco il riferimento alla realtà di anni di guerre degli USA contro un nemico pubblico tanto pericoloso, proprio perché pronto all’autodistruzione attraverso dis-umani uomini (e donne) bomba, dall’altro si gioca alle citazioni cinematografiche nei confronti di tanto cinema avventuroso meno “militarizzato”, ma più divertente, come il filone archeologico-avventuroso alla Indiana Jones dello Spielberg degli anni d’oro. Il film procede con una sceneggiatura sciatta e priva di ogni logica (in cui si fanno sfondoni anche in geografia, facendo apparire uno accanto all’altro siti archeologici in realtà distanti come Petra e le piramidi), in cui risalta l’esiguo spazio ai dialoghi (quelle poche battute pronunciate dai nostri eroi sono davvero ridicole) che lascia il dominio assoluto alle scene d’azione tutte effetti speciali (firmati dai maghi della lucasiana “Industrial Light & Magic” e dagli artisti della Digital Domain del regista Bay). Gli ultimi 40 minuti di film sono davvero pesanti da digerire, pesanti come il metallo che giganteggia, rumoreggia, spadroneggia, fracassando tutto ciò che si trova davanti (templi di Petra e piramidi egiziane incluse, con buona pace del rispetto per i capolavori patrimonio dell’UNESCO). Il fragore è forte, davvero troppo, per non uscire storditi e confusi da tanto ... rumore per nulla. E davvero non serve proprio stordire così tanto i milioni di adolescenti e ahimè anche bambini (la maggior parte del pubblico di questo film è rigorosamente under 14) che in tutto il mondo sono accorsi a vedere il giocattolone ferroso campione di incassi. Distruzione totale, anche del buon vecchio cinema. Elena Bartoni MISS MARZO (Miss March) Stati Uniti, 2009 Regia: Zach Gregger, Trevor Moore Produzione: Vince Cirrincione, Tobie Haggerty, Tom Jacobson, Steven J. Wolfe per The Jacobson Company/Fox Atomic Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009) V.M.: 14 Soggetto: Dennis Haggerty, Ryan Homchick, Thomas Mimms Sceneggiatura: Zach Gregger, Trevor Moore Direttore della fotografia: Anthony B. Richmond Montaggio: Tim Mirkovich Musiche: Jeff Cardoni Scenografia: Cabot McMullen Costumi: Sarah de SA Rego, Alexis Scott Produttori esecutivi: Jason Burns, Richard Rosenzweig Coproduttori: Scott Hyman, Monnie Wills Direttore di produzione: Jenny Hinkey Casting: Sheila Jaffe Aiuti regista: Joel Jeffrey Nishimine, Sloane Lewis Operatore: David Sammons Operatore steadicam: Glenn Brown Art director: Dins W.W. Danielsen Arredatore: Beth Wooke Trucco: Mandu Danielle Benton, Stephen Bettles, Dominie Till, Debbie Zoller Acconciature: Theresa Velez, Thom Cammer, Ivonnah Er- skine, Sekinah Erskine, Rita L. Hamlin, Adrienne Lynn, Pina Rizzi Coordinatore effetti speciali: Robert Garrigus Supervisore effetti visivi: Stephen Dyson Coordinatore effetti visivi: Kellum Lewis Supervisore costumi: Jennifer Ireland Supervisore musiche: Dave Jordan Interpreti: Zach Gregger (Eugene Bell), Trevor Moore (Tucker Cleigh), Raquel Alessi (Cindi Whitehall), Molly Stanton (Candace), Craig Robinson (Horsedick.MPEG), Hugh M. Hefner, Shark Firestone, Carrie Keagan (se stessi), Carla Jimenez (infermiera Juanita), Cedric Yarbrough (dottore), Geoff Meed (Rick), Slade Pearce (Eugene adolescente), Remy Thorne (Tucker adolescente), Eve Mauro (Vonka), Alexis Raben (Katja), Windell Middlebrooks (buttafuori), Lindsay Schoneweis (Sheila), David Wells (preside), Tanjareen Martin (Crystal), Britten Kelley (Chevonne), Barry Sigismondi (sig. Whitehall), Alex Donnelley (sig.ra Whitehall), Josh Fadem (ragazzino), Paul Rogan (sig. Biederman), Kate Luyben (sig.ra Biederman), Seth Morris (boss), Michael Busch (impiegato), Ryan Kitley (cameriere), Niki J. Crawford (Janine), Bonita Friedericy (cameriera), Brittany Buckner (Lorraine), Anthony Jeselnik Durata: 89’ Metri: 2415 5 Film ugene e Tucker sono amici dall’infanzia. I loro caratteri, però, non possono essere più differenti: il primo è molto religioso e dedito all’astinenza sessuale, mentre il secondo è un donnaiolo malato di sesso. Eugene ha una fidanzata, Cindy, con cui promuove nelle scuole l’importanza di mantenersi casti. La ragazza, però, non è molto convinta di questo e, dopo varie insistenze, gli strappa la promessa di fare l’amore durante il ballo studentesco. Arriva la sera fatidica, Eugene è nervosissimo e Tucker gli consiglia di bere qualcosa di alcolico per rilassarsi. Il ragazzo, non abituato, si ubriaca, cade dalle scale e finisce in coma. Passano quattro anni e Eugene finalmente si risveglia. Al suo capezzale c’è Tucker, ma non Cindy. L’amico, allora gli dice che la ragazza ha aspettato il suo risveglio, ma poi si è stancata e ha preso la sua strada. Eugene incredulo decide di ritrovarla con l’aiuto dell’inseparabile compagno. I due amici si mettono in viaggio, Tucker per ingannare il tempo sfoglia Playboy e scopre che una delle modelle è proprio Cindy. Eugene è scioccato, non vuole credere che la sua fidanzatina possa essere diventata una coniglietta. Tucker, allora, coglie la palla al balzo e gli propone una visita alla magione di Playboy. Dopo un rocambolesco viaggio i due si ritrovano nella casa di Hugh Hefner, proprietario del giornale, circondati da donne succinte e alcol a fiumi. Eugene, però, non si lascia tenta- E Tutti i film della stagione re: vuole ritrovare Cindy. La fortuna lo aiuta; dopo aver girato un po’ se la ritrova davanti completamente cambiata. Deluso, il ragazzo le urla tutto il suo dolore, ma lei si giustifica dicendo che ha fatto tutto questo per pagargli le costosissime cure in ospedale. Eugene, commosso, l’abbraccia e le chiede di ricominciare la loro storia lontano dal mondo di Playboy. La ragazza accetta. Intanto Tucker riesce a incontrare Hefner e, dopo aver parlato con lui, si convince che la monogamia è molto più appagante rispetto al sesso “mordi e fuggi” a cui era abituato. al magico cilindro di youtube, contenitore delle più svariate performance umane, sono emersi tanti talenti. Musicisti, ballerini, cantanti e fra questi un duo comico che con le sue trovate ha fatto impazzire la rete: The Whitest Kids. Dietro questo bizzarro nome si celano Zach Cregger e Trevor Moore due tipici adolescenti a stelle e strisce che si fanno beffe di tutto ciò che è americano. Fin qui nulla di strano. Purtroppo i due baldi giovanotti, rassicurati dal numero di visualizzazioni, come si dice in gergo, dei loro spettacolini hanno pensato di farne un film. E, convinti delle loro qualità, hanno considerato inutile ingaggiare un regista per dirigere la loro opera prima. Da questo concentrato di superbia e ingenuità ha origine il film Miss Marzo, storia di due amici che, per ragioni diametralmente opposte, sognano la villa di Play- D boy. Il primo, per ritrovare l’amata il secondo per saziare la sua fame di donne. Cregger e Moore, per non deludere il loro target, scelgono di raccontare questa storia con lo stile dei videoclip dei rapper east-coast, senza dimenticare la lezione dell’ormai classico American Pie. Tradotto in parole povere, un tripudio di doppi sensi a sfondo sessuale, rumori corporali e sederi ammiccanti in primo piano, scelta che potrebbe risultare gradita solo ad adolescenti frustrati, o a sfegatati fan dell’hiphop. Volendo trovare genialità, dove purtroppo non c’è, è interessante analizzare la figura di questi due amici: Eugene, convinto promotore della castità e Tucker morbosamente attratto dal sesso in tutte le sue varianti. Due ragazzi che, in fondo, rappresentano la dicotomia americana in materia. Una divisione netta che evidentemente i giovani registi non approvano, visto il finale, quasi didattico, contro gli estremismi. Finale buonista a parte, questa commediola, merita veramente di essere dimenticata. Una seconda possibilità, certo, la si offre a tutti, ma se i signori Gregger e Moore hanno deciso di buttarsi nel cinema conviene ricordargli che di bravi professionisti a cui affidarsi ce ne sono molti. O in alternativa ritornare alle rassicuranti stellette di youtube , che con qualche click in più riescono a far credere al più mediocre degli artisti di essere un genio... purtroppo compreso. Francesca Piano NIENTE VELO PER JASIRA (Towelhead) Stati Uniti, 2007 Regia: Alan Ball Produzione: Alan Ball, Ted Hope per Indian Paintbrush/This Is That Productions/Your Face Goes Here Entertainment Distribuzione: Videa CDE Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009) V.M.: 14 Soggetto: dal romanzo Beduina di Alicia Erian Sceneggiatura: Alan Ball Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel Montaggio: Andy Keir Musiche: Thomas Newman Scenografia: James Chinlund Costumi: Danny Glicker Produttori esecutivi: Anne Carey, Peggy Rajski, Scott Rudin Produttore associato: Christina Jokanovich Aiuti regista: Noga Isackson, Lisa Chu Art director: Alexander Wei Arredatore: Fainche MacCarthy Trucco: Elisabeth Fry Acconciature: Marie Larkin Supervisori effetti visivi: Jean-Pierre Boies (Fly Studio), Louis Morin Supervisore costumi: Cheryl Scarano Interpreti: Summer Bishil (Jasira Maroun), Aaron Eckhart (Travis Vuoso), Peter Macdissi (Rifat Maroun), Toni Collette (Melina Hines), Maria Bello (Gail Monahan), Eugene Jones III (Thomas Bradley), Matt Letscher (Gil Hines), Gemmenne de la Peña (Denise), Lynn Collins (Thena Panos), Chris Messina (Barry), Robert Baker (sig. Joffrey), Carrie Preston (Evelyn Vuoso), Chase Ellison (Zack Vuoso), Shari Headley (sig,ra Bradley), Randy J. Goodwin (sig. Bradley), Virginia Louise Smith (infermiera), Eamonn Roche (fotografo scuola), Cleo King (commesso), Soledad St. Hilaire (custode), Lorna Scott (insegnante francese), Larry Cedar (fotografo Glamour), Lee von Ernst (infermiera GYN), Irina Voronina, Michael McShae, D.C. Cody, Nathalie Walker, Kim Knight, LoriDawn Messuri Durata: 124’ Metri: 3020 6 Film urante la prima Guerra del Golfo, la tredicenne Jasira Maroun, figlia di madre irlandese e padre libanese, sta entrato nel periodo più delicato della sua vita, l’adolescenza. Ella vive a Syracuse, nello stato di New York, assieme alla madre, ma quando il compagno della donna aiuta Jasira a depilarsi il pelo pubico, la madre, preoccupata, manda la figlia a vivere con il rigido e prepotente padre, che vive a Houston, in Texas. Jasira si ritrova sola in un ambiente ostile, dovendo sottostare alla mentalità tradizionalista e burbera del padre (che fuori dalle mura domestiche, e in presenza della nuova compagna, si mostra di tutt’altra pasta). Cerca di instaurare rapporti con i vicini di casa e compagni di scuola, ma con scarso successo. Inizia anche ad avere pensieri sul sesso: la eccitano le riviste per adulti che trova in casa del vicino, il signor Vuoso, presso il quale lavora come babysitter dell’impertinente figlio Zach, che non manca di insultarla per il colore della sua pelle. I Vuoso sono una famiglia tipicamente repubblicana, piena di pregiudizi e la rottura tra loro e i Maroun è questione di poco tempo. Ma tra Jasira e il signor Vuoso esiste da tempo un’intesa: lui ha scoperto il suo interesse per le riviste adulte, e gliene fa pervenire una a casa. A scuola, conosce Thomas, un ragazzo di colore, con cui l’intesa sessuale comincia a manifestarsi sempre più. Ma il padre di Jasira svela, oltre alla brutalità ottusa, anche il suo più bieco lato razzista e le impone di non vederlo più: un nero “non la farà mai felice”. Nel frattempo, il signor Vuoso circuisce Jasira, lusingandola con parole dolci. Un giorno, l’uomo infila un dito nella vagina della ragazzina senza il suo consenso, provocandole la rottura dell’imene. Mr. Vuoso si scusa con lei, non pensando che lei fosse ancora vergine. La “prima volta” sarà con Thomas, che non mancherà di lamentarsi per “non aver visto sangue” e chiederà insistentemente alla ragazzina se “ora si sente più donna”. Affascinata dal suo sentirsi apprezzata, ma incapace di orientarsi da sola nel suo percorso adolescenziale, Jasira trova conforto in Melina, una vicina di casa grazie ai cui discorsi (e alle letture che le consiglia) scopre molte risposte alle sue domande e, soprattutto, la conferma dei comportamenti illegali del signor Vuoso. Ciononostante, le si concede ancora quando lui va a trovarla dicendole che deve partire in guerra in Iraq il giorno dopo. Il mattino dopo, lo vedrà in città Tutti i film della stagione D guidare la macchina e capirà di essere stata ingannata. Quando il rigido padre di Jasira scopre la rivista per adulti, aggredisce e picchia Jasira che, spaventata, si rifugia in casa di Melina. La donna e il marito, che aspettano un bambino, le offrono protezione e ospitalità dal padre. Jasira non esiterà a portare Thomas in casa di Melina e a fare l’amore con lui di nascosto: il padre, giunto in serata da loro in cerca di una riconciliazione, accecato d’ira per la presenza di Thomas si precipita in camera di Jasira e trova un preservativo usato. Ormai esasperata, la ragazza si sfoga: non è stato Thomas a toglierle la verginità, ma il signor Vuoso, che viene arrestato e rilasciato sotto cauzione. Lui e Jasira hanno un ultimo fugace colloquio: lui la rassicura che non ha alcuna colpa di quanto successo. Melina assiste alla scena e interviene per allontanare Vuoso, ma cade dalle scalette di ingresso mettendo a repentaglio la propria gravidanza. Sarà Vuoso a chiamare il 911 e garantire la nascita della bambina. Jasira, incoraggiata dal padre pentito della propria intolleranza, assiste al parto. na considerazione in primis. La descrizione della scoperta del sesso, elemento cardine del film di Alan Ball (autore del serial Six Feet Under), avviene in questo film in modo tanto esplicito quanto naturale, senza le morbosità o le improbabili, compiaciute perversioni che caratterizzano certi romanzetti trasposti al cinema per fare cassa (Melissa P., per dirne una). E questo è un dato di indubbio merito. L’assunto mostra una giovane adolescente priva della U 7 minima guida che possa aiutarla ad affrontare i pericoli del mondo adulto e le contraddizioni tra la sua giovane età e le prime pulsioni sessuali, accentuate dal suo precocemente florido aspetto fisico (l’attrice che interpreta Jasira, Summer Bishil, ha 20 anni e non 13...). Ben poco di tutto questo si evince dall’incongruo titolo italiano, che menziona a sproposito veli di cui nel film non c’è traccia, solo in virtù dell’origine mediorientale della protagonista; fa pensare piuttosto a un lungometraggio di emancipazione a sfondo religioso. Gli argomenti, come detto, sono altri, e forse troppi nonostante le buone intenzioni e il tentativo di affrontarli seriamente e “senza veli” (ci sia concessa la battuta). Troppi, se è vero che nessuno di questi viene affrontato in maniera decisa, ma solo citato e lasciato lì; dal razzismo che contraddistingue tanto i compagni di Jasira quanto il di lei terribile (un po’ troppo rude) padre, alla noncuranza dei genitori che si ripercuote sull’equilibrio dei figli, fino al delicato tema della pedofilia – in cui se non altro viene risparmiata la descrizione di maniaci babau: il signor Vuoso è un essere umano patologicamente e moralmente viziato, non per questo incapace di un’azione positiva finale che certo non ne riscatta l’operato, ma avrebbe fatto felice il Buñuel di Violenza per una giovane, lieto di inserire elementi lucidi e spiazzanti in una prosa altrimenti di torrida banalità. Che è un po’ la storia di Jasira, se priva di approfondimenti com’è stata resa, per di più appesantita da un finale a dir poco accomodante e “stonato”. Gianluigi Ceccarelli Film Tutti i film della stagione LA RIVOLTA DELLE EX (Ghost of Girlfriends Past) Stati Uniti, 2009 Acconciature: Emma C. Rotondi, Anita Roganovic, Paula Dion, Elizabeth Cecchini Supervisore effetti speciali: John S. Baker Supervisori effetti visivi: Mike O’Neal (Rhythm & Hues), Dottie Starling (CIS Hollywood), Richard Malzahn Supervisore costumi: Hope Slepak Interpreti: Matthew McConaughey (Connor Mead), Jennifer Garner (Jenny Perotti), Michael Douglas (zio Wayne), Emma Stone (Allison Vandermeersh), Breckin Meyer (Paul), Lacey Chabert (Sandra), Robert Foster (sergente Volkom), Anne Archer (Vonda Volkom), Daniel Sunjata (Brad), Noureen DeWulf (Melanie), Rachel Boston (Deena, damigella d’onore), Camille Guaty (Donna, damigella d’onore), Amanda Walsh (Denice, damigella d’onore), Emily Foxler (Nadja), Catherine Haena Kim (Charlece), Noah Tishby (Kiki), Rachelle Wood, Erin Wyatt (modelle), Devin Brochu (Connor adolescente), Kasey Russell (Jenny adolescente), Scott Powers (padre di Connor), Heather Wilde (madre di Connor), Michael R. Pouliot (prete funerale), Logan Miller (Connor teenager), Christa B. Allen (Jenna teenager), Chad Mountain (D.J.), Samantha Goober (Marissa, amica di Jenny), Alyssa McCourt (Clarissa, amica di Jenny), Sam Byrne (Pete Hastings), Kortney Adams (collega di Jenny), Cindy Lentol (Amy) Durata: 100’ Metri: 2620 Regia: Mark Waters Produzione: Brad Epstein, Jonathan Shestack per New Line Cinema/Panther Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 3-7-2009; Milano 3-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore Direttore della fotografia: Daryn Okada Montaggio: Bruce Green Musiche: Rolfe Kent Scenografia: Cary White Costumi: Denise Wingate Produttori esecutivi: Samuel J. Brown, Jessica Tuchinsky, Marcus Viscidi Coproduttore: Ginny Brewer Direttore di produzione: Donna E. Bloom Casting: Geralyn Flood, Marci Liroff Aiuti regista: Justin Miller, John M. Morse, Audrey Clark, Joshua Lucido Operatore: Steve Adcock Operatore steadicam: Harry K. Garvin Art director: Maria L. Baker Arredatore: Barbara Haberecht Trucco: Craig Lyman, Deborah La Mia Denaver, Trish Seeney, Jeri La Shay, Joe Rossi, Bernadette Mazur onnor Mead è un famoso fotografo newyorchese che ama la libertà, il divertimento e le donne. Sostenitore delle relazioni libere, non esita a rompere con più ragazze contemporaneamente al telefono, mentre stringe tra le braccia la sua nuova conquista. Invitato al matrimonio del fratello Paul, il suo esatto opposto, Connor piomba a Newport, nella villa dove fervono i preparativi per la cerimonia, gettando subito scompiglio. Tra i presenti, oltre a Paul e alla sua promessa sposa Sandra, a fare la damigella d’onore c’è Jenny Perotti, vecchia fiamma di gioventù di Connor, che si comporta in modo freddo con colui che le ha spezzato il cuore anni prima. La sera delle prove per il ricevimento, Connor pronuncia un duro discorso contro il matrimonio. Fuggendo dall’ira degli invitati, il giovane si rifugia nel bagno degli ospiti. Improvvisamente si ritrova davanti il defunto zio Wayne, idolo della sua adolescenza nonché suo “maestro” nell’arte delle conquiste, che pronuncia delle parole che lo spiazzano: non deve sprecare la sua vita come ha fatto lui. Quella notte tre fantasmi verranno trovarlo e lui si vedrà costretto a provare sentimenti che non aveva mai provato prima. Tornato al ricevimento, Connor continua a comportarsi da playboy facendo avances perfino alla madre della sposa. Una volta in camera, Connor C riceve la visita del fantasma della sua prima ragazza, Allison Vandermeersh, che lo catapulta ai tempi del liceo quando era ancora un ragazzo timido e sincero. Connor rivede sé stesso e Jenny quando, ancora bambini, provavano un tenero sentimento l’uno per l’altra. Allison lo accompagna poi ad un ballo della scuola, quando Jenny baciò un altro ragazzo sotto ai suoi occhi. Deluso dalla ragazze e deciso di non voler più soffrire, Connor si era rifugiato dallo zio che gli aveva insegnato come conquistare una donna senza cedere mai ai sentimenti. Due anni dopo, il giovane aveva avuto la sua “prima volta” con Allison. Diversi anni dopo, Connor giovane e lanciatissimo fotografo, aveva rivisto Jenny. I due avevano passato una notte insieme ma, al mattino, Connor aveva preferito la fuga. Da quel momento, era diventato un donnaiolo impenitente. Connor si sveglia dal suo incubo e scende in cucina, dove, nel tentativo di stappare una bottiglia di champagne, distrugge la torta nuziale di suo fratello. In suo aiuto accorre Jenny; il giovane le chiede scusa per aver troncato la loro relazione ma la ragazza non si fida più di lui. Perseguitato dai suoi incubi, si rifugia in auto dove gli appare il fantasma delle donne presenti: Melanie, la sua segretaria. La donna lo conduce in viaggio nel presente: nella villa tutte le donne parlano male di lui, solo il fratello 8 lo difende. Melanie lo porta a sentire i pareri delle ultime tre ragazze che Connor ha lasciato in videoconferenza. Sconvolto, il giovane si sfoga con il fantasma di zio Wayne. Tornato a casa, trova il fratello distrutto: Sandra è in crisi perché Connor l’ha informata della passata relazione di Paul con una delle damigelle. Paul lo caccia via accusandolo di aver reso quel weekend un inferno per tutti. Da solo, in mezzo alla neve, Connor viene visitato dal fantasma delle donne future che lo conduce in una chiesa dove assiste impotente al matrimonio di Jenny con un altro uomo. Nella chiesa vuota, c’è solo Paul che non si è più sposato per colpa sua. Connor vede sé stesso vecchio e solo e poco dopo assiste al suo funerale, a cui presenzia solo suo fratello. Svegliatosi bruscamente dal suo incubo, Connor si accorge che il matrimonio è stato annullato e decide di correre ai ripari. Insegue la sposa e la convince a non rinunciare all’amore che la lega a Paul. Sandra decide di sposarsi. Al ricevimento, Connor fa il discorso di un uomo nuovo poi esce fuori e, sotto la neve, chiede a Jenny un’altra possibilità: è pronto a tutto e le promette che non si sveglierà mai più da sola. R ieccoli, sono loro, i fantasmi che giungono dall’aldilà per dare una tiratina d’orecchi al peccatore di turno. Film Tre fantasmi (anzi quattro) e un impenitente seduttore. Tre donne per ciascun tempo della vita (il presente, il passato e il futuro), un vecchio zio playboy pentito, un giovane e belloccio conquistatore. Ecco gli ingredienti di questa commedia. Da tempi lontani, Hollywood ha il vizio di mandare ‘moniti dal cielo’ ai suoi “ragazzacci”. Per farlo ha usato espedienti diversi: come non ricordare la commedia Nei panni di una bionda del mago Blake Edwards in cui uno ‘sciupafemmine’, ucciso da tre donne vittime del suo fascino, veniva costretto, per “volontà divina”, a reincarnarsi per punizione nei panni di una bionda esplosiva? Per non finire all’inferno doveva trovare qualcuno che lo aveva amato veramente. Certo è che il ‘respiro morale’ di Blake Edwards, mai scevro da acuto spirito critico nei confronti dei rapporti tra uomini e donne, aveva ben altro spessore, anche in una commedia che scivolava verso un inaspettato (per un regista altrove irriverente e graffiante) finale perbenista. È proprio questo il punto. La redenzione grazie all’amore. Anche in questa commediola dal titolo originale (Ghosts of Girlfriends Past) più carino dell’italiano La rivolta delle ex, sembra proprio che ci sia una possibilità di redenzione anche per lui, il playboy del terzo millennio che ha Tutti i film della stagione gli occhi azzurri e i bicipiti scolpiti del sex symbol Matthew McConaughey. Tre fantasmi di donne lo accompagnano nel presente, nel passato e nel futuro per mostrargli i danni che la sua condotta ha provocato, provoca e provocherà. E un altro fantasma, anzi più che un fantasma, un doppio di se stesso, lo zio playboy sulla cui immagine il fotografo tombeur des femmes si è modellato, lo mette in guardia dal rischio di ritrovarsi vecchio e solo senza aver mai amato veramente. Si, anche lui, il playboy anni Ottanta con tanto di foulard al collo e doppiopetto blu (interpretato da un Michael Douglas che sembra un po’ troppo la caricatura di sé stesso) cede al buonismo. E così, la donna della vita, l’amore di gioventù, il primo amore, quello che non si scorda mai (una legnosa Jennifer Garner divenuta celebre come eroina della serie TV “Alias”), avrà il suo bel dongiovanni redento e finalmente tutto per sé. Certo, lo stereotipo del peccatore costretto a rivedere la bobina del film della propria vita è trito e ritrito, ma, soprattutto, a essere ormai un cliché troppo ripetuto, è la soluzione tutta rassicurante della redenzione della “pecora nera”. Come nel recente Cambia la tua vita con un clic dove lo stressato architetto Adam Sandler, con l’aiuto né di creature angeliche né di fantasmi, ma di un più terreno (an- che se magico) telecomando capace di mandare avanti e indietro la sua vita, riesce a vedere dove potrebbe portarlo la sua condotta egoista (anche qui verso una morte triste e solitaria) e a redimersi in tempo utile. Nella sua carriera, votata per lo più al cinema leggero (Quel pazzo venerdì e Mean Girls tanto per fare due titoli), il regista Mark Waters ha già percorso anche lui il sentiero della commedia soprannaturale mettendo in scena il fantasma biondo di Reese Whiterspoon imprigionato fra la vita e la morte, intento a far innamorare di sé il bel Mark Ruffalo in Se solo fosse vero. Certo è che in questo caso, una bella mano gliela hanno data i due sceneggiatori, John Lucas e Scott Moore, nuove stelle della commedia a stelle e strisce che qui si fanno prendere troppo dal fervore di un moralistico buonismo (fortunatamente non sempre, visto che nello stesso anno hanno firmato anche la commedia “delirante” Una notte da leoni). E tutto finisce per annegare nella melassa, la stessa che ricopre la torta nuziale che il nostro bel playboy distrugge in una delle scene più divertenti del film. Romanticoni di tutte le età, accomodatevi al buffet, il dolcissimo piatto è servito! Elena Bartoni CONTROL (Control) Gran Bretagna/Stati Uniti/Australia/Giappone, 2007 Trucco e acconciature: Jeremy Woodhead Supervisore musiche: Ian Neil Interpreti: Sam Riley (Ian Curtis), Samantha Morton (Deborah Curtis), Alexandra Maria Lara (Annik Honoré), Joe Anderson (Peter Hook), James Anthony Pearson (Bernard Sumner), Harry Treadaway (Stephen Morris), Craig Parkinson (Tony Wilson), Toby Kebbell (Rob Gretton), Andrew Sheridan (Terry Mason), Robert Shelly (Twinny), Richard Bremmer (padre di Ian), Tanya Myers (madre di Ian), Martha Myers Lowe (sorella di Ian), Matthew McNulty (Nick Jackson), David Whittington (insegnante di chimica), Margaret Jackman (signora Brady), Mary Jo Randle (madre di Debbie), Ben Naylon (Martin Hannett), John Cooper Clarke (se stesso), James Fortune (presentatore), Angus Addenbrooke (Colin), Nicola Harrison (Corrine Lewis), June Alliss (madre di Corrine), George Newton (proprietario dello studio), Mark Jardine (manager di un’altra band), Herbert Gronemeyer (GP locale), Paul Arlington (medico dell’ospedale), Tim Plester (Earnest Richards), Joanna Swain (infermiera), Laura Chambers (Claire), Monica Axelsson (fidanzata di Tony Wilson), Lotti Closs (Gillian Gilbert) Durata: 122’ Metri: 3150 Regia: Anton Corbijn Produzione: Anton Corbijn, Todd Eckert, Orian Williams per 3 Dogs and a Pony/Becker Films/Claraflora/EM Media/NorthSee/Warner Music Distribuzione: Metacinema Prima: (Roma 24-10-2008; Milano 24-10-2008) Soggetto: dal libro Touching from a Distance: Ian Curtis & Joy Division di Deborah Curtis Sceneggiatura: Matt Greenhalgh Direttore della fotografia: Martin Ruhe Montaggio: Andrew Hulme Musiche: Joy Division, New Order Scenografia: Chris Roope Costumi: Julian Day Produttori esecutivi: Iain Canning, Lizzie Francke, Akira Ishii, Korda Marshall Co-produttori: Deborah Curtis, Megumi Fukasawa, Peter Heslop, Satoru Iseki, Tony Wilson Casting: Shaheen Baig Aiuti regista: Toni Staples, Andrew Foster, Katy Stenson Operatori: Robert Binnall, Christopher Ross Art director: Philip Elton 9 Film acclesfield, cittadina alla periferia di Manchester, Inghilterra, 1973. Ian Curtis vive con i suoi amici una noiosa vita di provincia. Per spezzare la monotonia, si prende cura di vecchi pensionati rubando loro medicine. Il giovane nutre una grande passione per la musica. Colpito dalla giovane Debbie, Ian la porta a un concerto di David Bowie. Tra i due nasce l’amore. Tre anni dopo, a soli diciannove anni, Ian e Debbie si sposano. Ian lavora come impiegato all’ufficio comunale, ma la musica è sempre la sua grande passione. Durante un concerto dei Sex Pistols, Ian conosce Bernard Sumner e Peter Hook; l’incontro porta alla formazione di una band, i Warsaw, della quale Ian è il cantante e l’autore dei testi. Dopo alcune serate a Manchester, il gruppo cambia nome in Joy Division. La band acquista importanza quando Rob Gretton diventa il loro manager: è il 1978. Ian si fa notare ottenendo un ingaggio per la trasmissione televisiva “Granada Reports”, dopo aver discusso con il conduttore del programma Tony Wilson, il quale, intrigato, mette i Joy Division sotto contratto con la sua etichetta discografica. Intanto Ian continua a lavorare all’Ufficio Sussidi per la Disoccupazione. Un giorno, al lavoro, una ragazza è vittima di un attacco epilettico sotto ai suoi occhi, l’episodio gli ispira la canzone “She’s Lost Control” ed è anche un presagio di ciò che gli accadrà in futuro. Poco tempo dopo, tornando a casa, Ian ha il suo primo attacco epilettico. Il medico gli prescrive una cura puntualizzando che si tratta solo di un tentativo per trovare la combinazione più efficace di farmaci. La cura ha pesanti effetti collaterali e il giovane si addormenta spesso al lavoro. Intanto Debbie partorisce una bambina, Natalie, mentre i Joy Division sono impegnati nella registrazione del loro primo album. Dopo un concerto, Ian è colpito da una giovane giornalista belga, Annik Honoré. Tra i due nasce una storia d’amore. Col passare del tempo, Ian è sempre più indifferente nei confronti della moglie e sempre più attaccato ad Annik che lo accompagna in tournée in Europa. Poco tempo dopo, Ian finisce per confessare a Debbie che a lui non dispiacerebbe se lei andasse a letto con altri uomini. Un giorno, Debbie trova tra le cose di Ian il numero di telefono di Annik. La donna affronta il marito chiedendogli se è innamorato di quella ragazza, Ian le promette che la lascerà. Partito nuovamente per una M Tutti i film della stagione tournée con Annik, Ian è sempre più attaccato alla ragazza. Il senso di colpa, combinato alle difficoltà causate dall’epilessia, lo portano a una grave depressione. Il giovane tenta il suicidio con un’overdose di farmaci, lasciando un biglietto a Debbie in cui dichiara ancora il suo amore ad Annik. Ian sopravvive e sembra essersi ripreso: divorzia da Debbie e prepara la tournée americana della band. Lasciata la casa in cui viveva con la moglie, si trasferisce da Rob Gretton, poi da un altro componente della band, Bernard Sumner, infine a casa dei genitori. Si avvicina la partenza per gli USA, ma Ian pensa di non andare. Tornato a casa di Debbie, Ian beve whisky da solo davanti al televisore. Debbie torna a casa, Ian la prega di ritirare l’istanza di divorzio, ma Debbie è irremovibile e se ne va. Rimasto solo, Ian cade preda di un violento attacco e si sveglia sul pavimento, in lacrime. Il mattino seguente Debbie torna a casa e trova Ian impiccato. È il 18 maggio 1980, Ian aveva solo 23 anni. erdere il controllo. Improvvisamente. Il controllo della propria vita, delle proprie emozioni, dei propri impulsi. Perdersi per sempre. Il titolo del film, Control (che è anche il titolo del primo album dei Joy Division) riassume nella parola chiave la breve e sofferta esistenza di Ian Curtis, giovane talento della musica inglese nei primi anni Settanta, leader della band post-punk dei Joy Division morto prematuramente prima di spiccare il volo verso la celebrità (il gruppo incise solo due album). Ian perse il controllo, mano a mano, inesorabilmente, di se stesso e di ciò gli stava attorno. “She’s Lost Control” è la canzone che scrisse da giovanissimo, triste presagio di quello che gli sarebbe accaduto di lì a poco. Un corpo fragile e un animo fragile, Ian Curtis è soprattutto questo: un talento artistico e il suo buio interiore. Colpiscono come un pugno nello stomaco alcune sue riflessioni: “Tutto sta franando davanti ai miei occhi. Sto pagando a caro prezzo i miei sbagli. Lotto tra quello che so essere giusto e le verità degli altri”. Ian ama (forse troppo), soffre, si sente diviso, dilaniato, inadeguato (come marito e come padre, ha una bambina che non avvicina, che non tocca e non accarezza), e poi fugge, ama di nuovo (e il nuovo amore acuisce il rimorso e il dolore per quello passato che non c’è più), torna, e fugge via definitivamente P 10 da se stesso, dai suoi affetti, dal mondo e dalla fatica del vivere. Ian è un prigioniero, le sue catene invisibili hanno il peso di un’angoscia che gli impedisce di vivere e di guardare al futuro. Ian cita il poeta William Wordsworth e lui stesso scrive parole gonfie di dolore e sofferenza verso la crudeltà assoluta dell’esistenza. L’immagine finale di un giovane che si toglie la vita a soli 23 anni è l’immagine del tentativo fallito di fuggire da una sofferenza insopportabile, enorme, assoluta. E urlare la propria angoscia da un microfono in faccia al pubblico non basta più. Il bianco e nero in cui è girato il film restituisce in pieno il clima dell’Inghilterra anni Settanta avvicinando la pellicola allo stile del free cinema . Un po’ Kurt Cobain, un po’ Jim Morrison, Ian Curtis sembra, per alcuni versi, vicino a tante icone della musica rock dalle vite brevi e sfortunate. Il pregio principale del film è di non volersi presentare come un manifesto celebrativo di una band poco conosciuta, che ha avuto un peso nella storia della musica inglese degli anni Settanta, ma di muoversi con delicatezza tentando un ritratto umano dal sapore intensamente vero nel restituire il dolore di un giovane uomo dalla sensibilità fuori dal comune. Anton Corbijn, fotografo di celebri gruppi rock e regista di diversi video musicali che conobbe e fotografò i Joy Division, azzecca in pieno la tonalità del film, supportato da una sceneggiatura di Matt Greenhalgh che prende le mosse dal libro “Touching from a Distance” scritto da Deborah Curtis, la vedova del musicista. La giusta chiave di lettura del film ce la suggerisce lo stesso regista che ha tenuto a precisare come Control non sia da considerarsi un film musicale ma “un film personale”. Intensamente e decisamente personale ci viene da aggiungere, se si pensa come l’intrecciarsi della vita di Corbijn con quella della band di Ian Curtis abbia davvero influenzato profondamente la storia artistica e personale del regista che, trasferitosi nel 1979 dalla nativa Olanda a Londra, scattò la foto, divenuta poi famosa, dei Joy Division alla stazione della metropolitana. Si era trasferito nella capitale inglese da sole due settimane. Singolare incrocio di destini. Il film è stato presentato al Festival di Cannes 2007 nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs”. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione STATE OF PLAY (State of Play) Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2009 Regia: Kevin Macdonald Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Andrew Hauptman per Andell Entertainment/Bevan-Fellner/Relativity Media/Studio Canal/Universal Pictures/Working Title Films Distribuzione: Universal Prima: (Roma 30-4-2009; Milano 30-4-2009) Soggetto: dall’omonima miniserie tv della BBC creata da Paul Abbott Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Tony Gilroy, Billy Ray Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto Montaggio: Justine Wright Musiche: Alex Heffes Scenografia: Mark Friedberg Costumi: Jacqueline West Produttori esecutivi: Paul Abbott, Liza Chasin, Debra Hayward, E. Bennett Walsh Produttore associato: Kwame Parker Coproduttore: Eric Hayes Direttore di produzione: Robert Huberman Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Gary Marcus, Dawn Massaro, Carlos De La Torre, Chamonix Bosch, Scott Foster Operatore: John Grillo Operatore steadicam: Marc Cole Art directors: Richard L. Johnson, Adam Stockhausen n giovane di colore viene assassinato in un vicolo malfamato; purtroppo il killer ferisce anche un ignaro passante, che finisce in coma. Cal McAffrey è un reporter del Washington Globe, che deve scrivere un articolo sull’accaduto. Quasi in contemporanea, Sonia Baker muore in circostanze misteriose sotto il treno della metro. Sonia era un membro importante dello staff dell’Onorevole Stephen Collins, che stava conducendo un’inchiesta sulla PointCorp. Dopo aver appreso di questa morte, Collins si lascia andare alle lacrime davanti ai media, che subito lanciano la notizia di una presunta relazione fra i due, nonché del suicidio della giovane. Collins, la cui moglie non reagisce bene alla notizia, chiede aiuto a Cal, suo vecchio amico dell’università. Cal, che si scoprirà aver avuto una relazione con Anne Collins, decide di aiutarlo. Il reporter decide di coinvolgere nell’indagine Della Frye, giovane giornalista che si occupa della parte internet del Globe. Messi da parte attriti generazionali e lavorativi, i due iniziano a indagare. Cal riesce subito a trovare un tassello d’unione fra l’omicidio del giovane di colore e l’assassinio di Sonia: è lo stesso killer, che aveva ucciso il ragazzo solo per aver scoperto acciden- U Arredatore: Cheryl Carasik Trucco: Felicity Bowring, Sandy Andrle, John Caglione jr. Acconciature: Sherri Bramlett, Rhonda O’Neal Supervisore effetti speciali: Martin Bresin Coordinatore effetti speciali: Jeremy Hays Supervisore effetti visivi: Bob Mercier Supervisore costumi: Lisa Lovaas Supervisore musiche: Nick Angel Interpreti: Russell Crowe (Cal McAffrey), Ben Affleck (Stephen Collins), Rachel McAdams (Della Frye), Helen Mirren (Cameron Lynne), Robin Wright Penn (Anne Collins), Jason Bateman (Dominic Foy), Jeff Daniels (George Fergus), Michael Berresse (Robert Bingham); Harry Lennix (detective Donald Bell), Josh Mostel (Pete), Michael Weston (Hank), Barry Shabaka Henley (Gene Stavitz), Viola Davis (dr. Judith Franklin), David Harbour (persona interna alla Point Corp), Sarah Lord (Mandi Brokaw), Tuck Milligan (executive Point Corp), Steve Park (Chris Kawai), Brennan Brown (Andrew Pell), Maria Thayer (Sonia Baker), Wendy Makkena (Greer Thornton), Zoe Lister Jones (Jessy), Michael Jace (agente Brown), Rob Benedict (Milt), LaDell Preston (Deshaun Stagg), Dan Brown (Vernon Sando), Katy Mixon (Rhonda Silver), Shane Edelman (D.A. Purcell), Maurice Burnice Harcum (cassiere di Ben), Gregg Binkley (Ferris), Trula M. Marcus (Carol), John Badila (sig. James) Durata: 127’ Metri: 3330 talmente i suoi piani. Scopre poi che la PointCorp diventerà così potente da monopolizzare l’intera sicurezza e i sistemi di comunicazione americani. Della invece, viene a conoscenza dell’oscuro passato di Sonia. Un nome ricorre sempre: Dominic Foy. Dopo diverse peripezie, che vedono anche Cal in pericolo di vita davanti al killer, riescono a trovare Foy, il quale interrogato sotto minaccia rivela che Sonia era una spia assoldata dalla PointCorp. Sonia, poi, innamoratasi realmente di Collins e rimastane incinta, aveva smesso il doppiogioco, causa dell’omicidio. Collins rivela a Cal che la ragazza era stata raccomandata dal Senatore Fergus, che Collins stesso credeva fidato collega. Pronti a scrivere la notizia, i due giornalisti vengono fermati dall’editore Cameron, perché privi di dichiarazioni ufficiali. Proprio allora Collins con Anne, che aveva tentato di riaprire una vecchia relazione con Cal invano, giunge in redazione per fare questa sospirata dichiarazione. Tutto è pronto per la stampa, i coniugi Collins sembrano aver fatto pace e Cal ha un ultimo lampo di genio. Il killer ancora a piede libero, è Robert Bingham, un commilitone a cui Collins salvò la vita in guerra. Collins aveva assoldato Bingham con problemi mentali per seguire Sonia su cui 11 nutriva sospetti di tradimento; sapeva che il militare fedele a lui ed alla patria avrebbe infine ucciso Sonia. Cal serviva come ultima pedina per insabbiarne l’omicidio. Finalmente l’articolo completo va in stampa. Collins viene arrestato ed il killer ucciso. Cal e Della hanno trovato la giusta intesa lavorativa. n film che ti prende poco a poco. Una trama da seguire con attenzione. Tratto dall’omonima miniserie della BBC, mai apparsa in Italia, State of Play gioca su molti ingredienti che possano facilmente fare presa sul pubblico. C’è il professionista navigato che viene coinvolto personalmente in un’indagine e la giovane esordiente che viene iniziata a una carriera tanto desiderata. Sia Cal che Della risultano personaggi ben delineati, in ogni loro sfaccettatura. Tant’è vero che Cal, ci viene presentato prima con i suoi oggetti d’appartenenza coi suoi tic ed infine col suo comportamento. La sequenza inizia con la sua Saab del ’99, piena di cartacce e taccuini, radio vecchia generazione e snack grasso ingurgitato con gusto, la cui confezione farà compagnia alle altre. Taccuino e penna in mano, parcheggia dove non dovrebbe ed inizia la sua giornata lavorativa. Tutti ele- U Film menti che ben ci raccontano questo personaggio scaltro e deciso, le cui peculiarità non vengono tradite nel corso del film. Della è invece il personaggio in crescita; abituata a scrivere giornalismo on line, è sempre impeccabile, non usa trucchi per chiedere dichiarazioni e non lavora d’assalto. Accanto al suo mentore, sco- Tutti i film della stagione pre il vero modo di fare giornalismo, i suoi trucchi ed espedienti; lo impara così bene che Cal le dona una collana di penne bic, come simbolo del passaggio da apprendista a professionista. Un film ben scritto, con dialoghi efficaci che dosano con estrema cura, ironia e pathos. Un cast di tutto rispetto, in primis Rus- sell Crowe e Helen Mirren, che alle spalle vantano film importanti e Premi Oscar. Qui non negano le loro doti artistiche, portandoci in un film di circa due ore senza far minimamente pesare tale durata. Naturalmente è anche merito del regista Kevin Macdonald, già conosciuto grazie a Il re di Scozia (2006), che si giostra senza difficoltà fra scene sentimentali e di suspense. Oltre la vicenda di base, State of Play, racchiude uno sguardo analitico al mondo del giornalismo e il suo rapporto con l’universo on line dei blog. Cal rappresenta il vecchio modo di fare giornalismo, con penna, taccuino, indagine sul campo e deduzione, mentre Della è il moderno blog sempre attivo e in cambiamento. Punto su cui i due si scontano più volte nel film. Alla fine, almeno per volere di Macdonald, ha la meglio la carta stampata. I titoli di coda ne sono la dimostrazione: viene mostrato l’intero processo di stampa. Ancor più forte in tal senso è il cambiamento d’opinione di Della stessa, la quale, nonostante lavori in internet, comprende che, per una notizia così forte, bisogna necessariamente sporcarsi le mani d’inchiostro per leggerla. Elena Mandolini PALERMO SHOOTING (Palermo Shooting) Germania/Italia/Francia, 2008 Aiuti regista: Arndt Wiegering, Karina Sparks, Patrick Durst, Martina Veltroni Trucco: Barbara Lamelza, Marcus Michael Acconciature: Barbara Lamelza, Susan Redfern Suono: Martin Müller Supervisore effetti speciali: Joerg Bruemmer Interpreti: Campino (prof. Finn Gilbert), Giovanna Mezzogiorno (Flavia), Dennis Hopper (Frank), Inga Busch (Karla), Sebastian Blomberg (Manager Julian), Francesco Guzzo (Giovanni), Wolfgang Michael (Erwin), Harry Blain (Harry), Gerhard Gutberlet (Gerhard), Axel Sichrovsky (Hans), Patti Smith, Lou Reed, Milla Jovovich, Giovanni Sollima (se stessi), Jana Pallaske (studente), Udo Samel (banchiere), Alessandro Dieli (dottore), Melika Foroutan (donna straniera Anke), Olivia Asiedu-Poku (fan nel club), Anna Orso (madre), Letizia Battaglia (fotografa), Alessandro Dieli (dottore), Irina Gerdt (donna dai capelli neri) Durata: 108’ Metri: 2830 Regia: Wim Wenders Produzione: Wim Wenders e Gian Piero Ringel per Neue Road Movies. In coproduzione con P.O.R. Sicilia/Arte France Cinéma/Zweites Deutsches Fernsehen (ZDF). In associazione con Pictorion Pictures GmbH/Rectangle Productions/Reverse Angle Productions Distribuzione: Bim Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008) Soggetto e sceneggiatura: Wim Wenders, Norman Ohler Direttore della fotografia: Franz Lustig Montaggio: Peter Przygodda, Oli Weiss Musiche: Irmin Schmidt Scenografia: Sebastian Soukup Costumi: Sabina Maglia Produttori esecutivi: Peter Schwartzkopff, Jeremy Thomas Produttori associati: Felix Eisele, Stephan Mallmann Direttori di produzione: Mauro Maggioni, Georg Sarantoulakos, Elke Sasserath, Francesco Trifirò Casting: Sabine Schwedhelm inn è un fotografo professionista che alterna l’attività artistica al lavoro per il mondo della moda. È separato dalla moglie con la quale continua ad avere diverbi per telefono. Ha una relazione con una donna, che spesso evi- F ta di frequentare, per uscire con altre. Ha una vita onirica intensa tanto quanto la sua vita professionale e fa sogni surreali, spesso a soggetto mortuario (sogna a volte di portare a spalle sua madre fuori dal cimitero). 12 Si diverte inoltre a fare fotografie lungo la strada mentre guida. Una notte rischia un incidente mentre tenta di fotografare un’auto che gli passa accanto. La luce del flash gli permette di scorgere nell’auto un volto anziano che lo fissa intensamente. Al- Film l’alba, fa lo strano incontro con un agente di borsa che a volte, prima di recarsi in ufficio, porta al pascolo il suo gregge di pecore. Nel dialogo l’uomo parla di Palermo. Finn si documenta sulla città siciliana e decide di ambientarvi un servizio fotografico con Milla, nota modella, la quale da tempo gli chiede immagini più realistiche, meno costruite. Dopo il servizio, decide di restare a Palermo. Intanto ha preso a sognare costantemente una figura incappucciata che lo prende di mira con arco e frecce. Inoltre, la distinzione fra sogno e realtà comincia a diventare più labile. Vagando per la città, si imbatte in una compagnia teatrale che prova uno spettacolo in un teatro dismesso. Si addormenta su una panca e, al risveglio, scopre di essere stato ritratto in un disegno da Flavia, restauratrice. La ragazza si affretta ad allontanarsi. Finn si reca su una collina per osservare Palermo dall’alto. Di nuovo ha la sensazione che una freccia stia per colpirlo. Istintivamente si ritrae, facendo cadere la macchina fotografica che si rompe. Per caso incontra di nuovo Flavia, alle prese con un grande affresco che ritrae la morte al lavoro. Le racconta degli incontri con l’arciere e la ragazza si mostra disposta a credere che siano incontri reali. Mentre sono al porto, viene colpito da una freccia e cade in mare. Una volta tratto in salvo, però, non risulta avere ferite. Rinuncia anche al soccorso dell’ambulanza. Flavia lo porta a casa sua perché si asciughi e si riposi. Poi discutono dell’affresco che sta restaurando. Si intitola “Il trionfo della morte” e mostra la morte a cavallo che colpisce a morte con le frecce i potenti dell’epoca (‘500). Entrambi osservano che le frecce appaiono come trasparenti e non generano schizzi di sangue sui corpi. Flavia racconta che il suo ragazzo qualche anno prima era morto cadendo dall’impalcatura mentre era al lavoro sull’affresco, senza apparente motivo. Le disavventure di Finn con le frecce le hanno ricordato quei giorni. Guardano le foto che Finn ha fatto sul luogo del primo incontro con l’arciere e si accorgono che l’uomo è rimasto impresso nell’immagine. Finn torna lì, sogna di inseguire l’arciere fino a scoprire di essere lui stesso. Flavia lo porta a Gangi, suo luogo di nascita, per tornare a vedere la casa della madre. Insieme ci passano la notte. Di nuovo in sogno, Finn si trova finalmente faccia a faccia con l’arciere. È la Morte, che gli rivela che presto sarà il suo turno. Gli imputa di non aver onorato la vita, di non averla amata, sia come uomo che Tutti i film della stagione come fotografo, impegnato com’era a costruire immagini artificiali invece che cogliere la realtà così com’è. Inoltre, gli dice che aver paura della morte è aver paura della vita, che la morte non è altro che un passaggio, l’unica via d’uscita. Infine la Morte dà un compito a Finn: mostrare agli uomini che la morte è in ognuno di loro, è parte di loro, e che il ritratto dell’orrenda morte è una loro falsa invenzione. a sempre i personaggi di Wenders partono per insofferenza. Non sono diretti a una meta precisa, sono in fuga da un luogo e da una situazione esistenziale entrambi soffocanti. Ma anche trovare un motivo a questa sensazione di straniamento è per loro difficile. Finn è un fotografo di successo, giunto a un punto della propria carriera in cui può muoversi in qualsiasi direzione desideri, senza limiti. Eppure quella sensazione gli è sempre più evidente. L’instabilità che caratterizza i personaggi è il primo elemento che attrae il regista tedesco, che dunque trova prima di tutto interessante seguire gli istanti che precedono e seguono appena il punto di rottura. Per Finn tale punto è una foto, scattata di notte a un’automobile sconosciuta e a un suo passeggero inquietante. Quello scatto segna la prima tappa verso una sovrapposizione sempre più inestricabile tra realtà e sogno, tra mondo materiale e mondo spirituale che porterà Finn a quel radicale riorientamento esistenziale che sarà l’esito finale del suo viaggio a Palermo. D Ma il ripensamento non tocca soltanto Finn come uomo. In quanto fotografo, è costretto a modificare progressivamente il proprio modo di guardare il mondo. Il lavoro sulla fotografia lo ha portato a costruire set artificiali, simulacri della vita e a dimenticare il ruolo primario della sua arte, che è quello di documentare la realtà così com’è. Il contatto con Palermo, città certo non asettica come la Dusseldorf dove vive, e il dialogo onirico con la Morte servono a Finn per riprendere contatto con questo lato della fotografia. Proprio il dialogo con la Morte ricorda, in modo evidente, quello tra regista e produttore che segnava il finale di Lo stato delle cose, qualche anno fa. Ma quello che allora era un punto di forza del film, una sorta di resa dei conti finale tra due mentalità, due opposti approcci al cinema (o all’immagine, se la si vuole leggere in termini più generali), qui diventa un’inutile didascalia, sorprendente per un regista dello sguardo come Wenders. Nella sequenza in questione il regista fa spiegare alla Morte l’etica della ripresa della realtà, come se non considerasse le immagini già esplicite in sé. Un procedimento autocontraddittorio, in un certo senso. Inoltre, Wenders fa l’errore del suo protagonista. Struttura secondo un registro da detective movie visionario (quindi doppiamente finzionale) un film, come detto, che reclama la necessità di un ritorno al realismo. Anche questo certo non all’insegna della coerenza. Fabio de Girolamo Marini PRINCIPESSA Italia, 2008 Regia: Giorgio Arcelli Fontana Produzione: Giorgio Arcelli Fontana, Giorgio Leopardi, Enrica Gonella, Simone Gattoni per Filmaria srl./Film-On/Filmon Aggujaro Distribuzione: L’Altrofilm Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009) Soggetto e sceneggiatura: Giorgio Arcelli, Giuliano Miniati Direttore della fotografia: Marco Sgorbati Montaggio: Carla Simoncelli Musiche: Luis Siciliano Scenografia: Andrea Castorina Costumi: Andrea Sorrentino Aiuti regista: Lucilla Cristaldi, Francesca Lattanzi Interpreti: Morena Salvino (Matilda), Michele Riondino (Pietro), Piera Degli Esposti (Elena), Vanessa Gravina (Anna), Riccardo Lupo (Andrea), Luciano De Luca (Bux), Anita Kravos (Luisa), Carlina Torta (madre di Matilda), Giovanni Battezzato (padre di Matilda) Durata: 90’ Metri: 2470 13 Film a giovane Matilda cerca di farsi strada nel ristretto mondo della province piacentina, tra le aspirazioni da attrice e la dura realtà del lavoro precario. Un giorno, Matilda scopre di aspettare un bambino dal suo ex-fidanzato, il fotografo di moda Piero, che però rifiuta tale paternità, rinfacciandole una vita eccessivamente disinvolta nel periodo successivo alla loro rottura. Consapevole del cambiamento che questo comporterà e ferita dalla reazione di Piero, Matilda non desidera questa gravidanza e medita di abortire. Nel frattempo, conosce Andrea, un giovane marchese locale, gentile e premuroso, che la presenta in casa all’anziana madre spacciandola come nobile. Matilda diventa ospite fissa nel castello della Marchesa, che si rivela ben presto donna piena di misteri e estremamente legata alla tradizione e al passato. Il sentimento di Matilda nei confronti di Andrea si fa sempre più forte, trasformandosi da una semplice amicizia in “quasi” amore. Un tentativo da parte di Piero di ritornare con lei e di riconoscere il bambino sembra far vacillare la sicurezza di Matilda ma la ragazza decide di rimanere con Andrea. Quando quest’ultimo parte per un viaggio d’affari a Londra, Matilda accetta di partire con lui, ufficializzando la loro unione ma decide all’ultimo di rimanere al castello per far compagnia alla Marchesa, le cui condizioni di salute sconsigliano che rimanga sola. L’anziana signora scopre ben presto la vera identità “plebea” di Matilda e, soprattutto, viene a sapere della sua gravidanza; durante un’accesa discussione tra lei e Matilda, il cuore della Marche- L Tutti i film della stagione sa non regge e muore. Al ritorno a casa di Andrea, Matilda confessa a lui solo la vera ragione dell’infarto della Marchesa e gli rivela inoltre di aspettare un bambino da un’altra persona e di aver deciso infine di tenerlo da sola. La bella favola al castello è finita e Matilda prende in mano la propria vita. rincipessa è l’opera prima di Giorgio Arcelli Fontana, un giovane regista piacentino, uscito da poco dal Centro Sperimentale di Cinematografia e frequentatore part-time dei corsi di “Fare Cinema” di Bobbio diretti da Marco Bellocchio. Prodotto quasi del tutto “in famiglia”, il film ha tutti i difetti delle opere prime senza però averne i pregi o almeno le speranze, rimanendo costantemente in bilico tra una rappresentazione realistica (almeno nelle intenzioni) e un’atmosfera fiabesca che dovrebbe rispecchiare il carattere e la vita della protagonista. La “principessa” del titolo è Matilda, giovane aspirante attrice in quel di Piacenza (all’inizio del film la si vede recitare la parte della bella castellana in una pantomima per turisti). Precaria nel mondo dello spettacolo e soprattutto in quello degli affetti, Matilda è divisa tra un affascinante ma fedifrago fotografo e un marchesino buono e cortese (troppo buono per essere vero e credibile), che però per farla accettare in famiglia deve farla passare per “duchessina”. Una serie di eventi la porterà ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e diventare padrona della propria vita. La banalità dell’assunto di partenza e soprattutto della maggior P parte dei dialoghi fa il resto, unitamente all’immaturità tecnica espressiva del giovane regista. L’impressione è che si sia messa molta, troppa carne al fuoco: l’intreccio amoroso, la realtà del precariato, la maternità, la crisi dei mezz’età rappresentata dai genitori di Matilda, le differenze sociali. La sceneggiatura annaspa faticosamente cercando di seguire come meglio può tutti questi spunti ma il più delle volte deve arrendersi. La regia di Giorgio Arcelli è sostanzialmente anonima e poco rifinita, con vistosi errori di raccordo e tagli di inquadrature poco chiari che non trovano nessuna giustificazione e non sembrano avere significati particolari. Il regista dimostra più sensibilità nelle riprese degli esterni, privilegiando gli splendidi paesaggi delle colline piacentine. Il cast è composto da attori provenienti principalmente del mondo della televisione e della pubblicità, come Morena Salvino (diventa improvvisamente famosa qualche anno fa grazie a un fortunato spot televisivo e poi protagonista di una nota soap opera), Vanessa Gravina e Michele Riondino. Le interpretazioni mancano di spontaneità, oltre che di profondità. La protagonista Salvino fa uno sforzo lodevole per creare il proprio personaggio ma questo rimane alla fine poco definito. Piera Degli Esposti interpreta la Marchesa, personaggio inquietante e misterioso; la sua ambiguità deriva congiuntamente dalla scarsa definizione del personaggio in sceneggiatura e dall’interpretazione poco convinta dell’attrice. Chiara Cecchini BABY LOVE (Comme les autres) Francia, 2008 Aiuti regista: Nicolas Cambois, Sébastien Gardet Trucco: Lydia Pujols Suono: Pierre-Antoine Coutant Suono: Pierre-Antoine Coutant Interpreti: Lambert Wilson (Emmanuel), Pilar López de Ayala (Fina), Pascal Elbé (Philippe), Anne Brochet (Cathy), Andrée Damant (Suzanne), Florence Darel (Isa), Marc Duret (Marc), Liliane Cebrian (madre di Fina), Luis Jaime Cortez (padre di Fina), Catherine Erhardy (M.me Carpentier, assistente sociale), Eriq Ebouaney (assistente sociale), Catherine Alcover (sindaco), Juliette Navin-Bardin ( infermiera), Maroussia Dubreuil (baby-sitter), Marc Robert (ispettore di polizia), Barbara Chavy (cliente avvocato), Alexandra Boyer (cliente ginecologo) Durata: 90’ Metri: 2380 Regia: Vincent Garenq Produzione: Christophe Rossignon per Canal+/CineCinema/ France 3 Cinéma/Mars Distribution/Nord-Ouest Productions. Con il sostegno del Centre National de la Cinématographie (CNC) e la partecipazione di Cofinova 4 Distribuzione: Archibald Film Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto e sceneggiatura: Vincent Garenq Direttore della fotografia: Jean-Claude Larrieu Montaggio: Dorian Rigal-Ansous Musiche: Laurent Levesque, Loïc Dury Scenografia: Yves Brover-Rabinovici Costumi: Stéphanie Drouin Produttori associati: Philippe Boeffard, Eve Machuel Direttore di produzione: Jaches Attia, Kader Djedra Casting: Gigi Akoka, Hervé Jakubowicz, Candice Meiers 14 Film mmanuel (Manu per gli amici) è un affermato pediatra, quarantenne e omosessuale. Amato dalla famiglia e dal compagno Philippe, sente però che nella sua vita manca ancora qualcosa: un figlio. La messinscena con l’assistente sociale per far partire le pratiche d’adozione come padre single fallisce miseramente, ma Manu – nel frattempo abbandonato da Philippe perché contrario al suo desiderio – non si dà per vinto e tenta la carta “madre surrogata” rivolgendosi a Fina, ragazza argentina con cui si era “scontrato” qualche giorno prima in automobile: il primo tentativo è imbarazzante, ma quando Fina lo richiama per farsi aiutare a risolvere una grana di assicurazione e permesso di soggiorno scaduti, ecco che il discorso riprende da dove si era interrotto. È proprio lei, infatti, ora ospitata a casa di Manu, a proporgli la cosa: matrimonio di interesse, così da poter ottenere i documenti necessari per la permanenza in Francia, e utero in affitto per dare alla luce il tanto sospirato bambino. Sulla carta tutto sembra “perfetto”, ma non sarà così semplice: Fina si innamora di Manu, lui “per sbaglio” ci finisce anche a letto insieme e, giorni dopo, scopre che non può avere figli. A questo punto, l’unica cosa che gli rimane è chiedere al suo ex di prestarsi come donatore: alle prime risentito, Philippe alla fine accetta e Fina rimane incinta. Matrimonio al co- E Tutti i film della stagione mune, con tanto di ricevimento e balli, ma quando Manu le spiega che nulla è cambiato in merito agli accordi precedentemente presi e che, tra l’altro, è molto probabile un ritorno del suo ex compagno, Fina non sembra più così sicura di quello che è stato fatto. E così, dopo la prima notte di nozze con Manu a casa di Philippe..., la ragazza prende tutte le sue cose e se ne va, senza lasciare nulla, decisa ad abortire. Passano i mesi, una telefonata inaspettata: Fina è all’ospedale per partorire. Manu e Philippe si precipitano, nasce una bella bambina, Zelie. Che Fina lascia come “da accordi” a Manu, chiedendogli di non cercarla mai più. Zelie è accudita con amore e cura dai due uomini, talmente apprensivi che, una sera, a cena da un’amica rimangono incollati al telefono con la babysitter. Ma non possono dimenticare che la mamma della bambina è Fina e, insieme a Zelie, le vanno incontro all’uscita del lavoro. Magari anche solo per far sì che si sorridessero ancora. ’intento di Vincent Garenq è chiaro sin dalla prima inquadratura del film: nessuna strumentalizzazione, né in bene né in male, dello spinoso problema riguardante la paternità omosessuale. Rischiando solo in poche occasioni di scivolare nel greve, il regista francese riesce ad assemblare e a far ben interagire un cast di ottimo livello – capitanato dal pro- L tagonista Lambert Wilson, bravo a non eccedere tenendo sotto controllo qualsiasi esagerazione macchiettistica – portando a casa il “compitino” in meno di 90’ (pregio di non poco conto), sfuggendo finalmente qualsiasi tipo di angolazione cartolinesca della città di Parigi, insistendo molto sul quartiere di Belleville (dove lui stesso vive), regalando però molte poche emozioni. È proprio questo il grande limite di Baby Love, commedia garbata con poche cose fuori posto, talmente “ordinata” da lasciarsi sopraffare dalla sua stessa freddezza, calcolata in ogni minimo sviluppo (Fina tira il vino in faccia a Manu la prima volta che lui le chiede di trasformarsi in “madre surrogata”, poi lo fa chiamare la sera stessa dalla polizia per andarla a tirare fuori dai guai...), di conseguenza prevedibile dall’inizio alla fine. E come spesso accade per pellicole di questo tipo, con velleità da instant-movie ma ben attente a infastidire il minor numero possibile di persone, il particolare cannibalizza il contesto tutto, e dal punto di vista sociologico rimane ben poco su cui soffermarsi. In fondo, qualche minuto prima della coda finale (con la coppia gay e la bimba di fronte alla mamma naturale di quest’ultima), cosa si potrebbe obiettare a questo tenero quadretto con i due papà così premurosi e innamorati della piccola figlioletta? Valerio Sammarco IL CATTIVO TENENTE ULTIMA CHIAMATA NEW ORLEANS (Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans) Stati Uniti, 2009 Trucco: Aimee Stuit, Stacy Kelly Acconciature: Donna Spahn Coordinatore effetti speciali: David K. Nami Supervisore effetti visivi: Veselina Georgieva Coordinatore effetti visivi: Kiril Georgiev (WorldWide FX) Supervisore costumi: Ann Walters Interpreti: Nicolas Cage (Terence McDonagh), Val Kilmer (Stevie Pruit), Eva Mendes (Frankie Donnenfeld), Fairuza Balk (Heidi), Jennifer Coolidge (Genevieve), Brad Dourif (Ned Schoenholtz), Michael Shannon (Mundt), Shawn Hatosy (Armand Benoit), Shea Whigham (Justin), Denzel Whitaker (Daryl), Xzibit (‘Big Fate’), Vondie Curtis-Hall (James Brasser), Tom Bower (Pat McDonough), Lance E. Nichols (Isiah Patterson), Irma P. Hall (Binnie Rogers), Brandi Coleman (Yvonne), Katie Chonacas (Tina), Brandy Moon (moglie di Duffy), Marco St. John (Eugene Gratz), J. D. Evermore (Rick Fitzsimon), Deneen Tyler (farmacista), Jillian Batherson (assistente D.A.), Kyle Russell Clements (Lawrence), Lauren Pennington (giovane donna), Michael Wozniak (agente), Joe Nemmers (agente Larry Moy), Sean Boyd (tenente Stoyer), Roger J. Timber (guardia), Sam Medina (Andy), David Joseph Martinez (Juan Michel), Tony Bentley (Hurley) Durata: 121’ Metri: 2847 Regia: Werner Herzog Produzione: Nicolas Cage, Alan Polsky, Gabe Polsky, Edward R. Pressman, John Thompson, Stephen Belafonte per Edward R. Pressman Film/Millennium Films/NU Image Films/ Polsky Films/Saturn Films Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009) Soggetto: ispirato alla sceneggiatura del film del 2002 di Abel Ferrara, Zoë Lund, Paul Calderon, Victor Argo Sceneggiatura: William M. Finkelstein Direttore della fotografia: Peter Zeitlinger Montaggio: Joe Bini Musiche: Mark Isham Scenografia: Tony Corbett Costumi: Jill Newell Produttori esecutivi: Alessandro Camon, Boaz Davidson, Danny Dimbort, Avi Lerner, Diego J. Martinez, Elliot Lewis Rosenblatt, Trevor Short Direttore di produzione: Cathy Gesualdo Coproduttore: Melanie Brown Casting: Jenny Jue, Johanna Ray Aiuti regista: Michael Zimbrich, George Bott, Sherman Shelton jr. Arredatore: Luke Cauthern 15 Film erence Mc Donagh, sergente della Squadra Omicidi della Polizia di New Orleans, salva un galeotto ispanico imprigionato dall’acqua che ha devastato il territorio in seguito all’uragano Katrina. L’azione si trasforma, però, in un difficile infortunio alla schiena che compromette la vita del poliziotto, promosso tenente per il suo gesto di abnegazione, presto schiavo di antidolorifici sempre più forti e di droghe varie a cominciare dalla cocaina. Mc Donagh non ha le giornate noiose: è fidanzato con Frankie, professione prostituta, che va a trovare tra un cliente e l’altro, proteggendola dai più maneschi che lasciano il segno e sfruttando i più maldestri, ricattandoli e spillando loro denaro; Mc Donagh deve poi prendersi cura del padre alcolizzato, ex poliziotto, ora gran frequentatore dei gruppi di sostegno, grazie ai quali tenta di stare lontano dalla bottiglia, visto il non grande aiuto che riceve dalla seconda moglie, per lo più intontita dalla birra. Infine, il tenente deve scoprire i responsabili del massacro di un’intera famiglia di africani, colpevoli di uno sgarro ai danni del capo dei trafficanti della regione, il boss Big Fate. Ci sarebbe, è vero, un giovane testimone che presto però sparisce a Londra con un biglietto pagato da una vecchia benefattrice in fin di vita che non cede, nonostante i maltrattamenti che il cattivo tenente le infligge, anche se “a fin di bene”. T Tutti i film della stagione Intanto i clienti di Frankie ricattati vogliono soldi, minacciando sfracelli grazie alle loro amicizie altolocate; così un bookmaker che il tenente non paga nostante il debito per le scommesse perse; in più Big Fate, con cui Mc Donagh è entrato di colpo in affari, non può dirsi certo un socio di massima fiducia; senza contare i divertissements di sesso che il tenente si concede nel corso di arresti veri o presunti per spaccio vero o presunto. Comunque il finale è dei più lieti tra quelli ipotizzabili: le scommesse sono finalmente vinte e il debito pagato; i clienti di Frankie, almeno quelli buoni, rinfoderano gli artigli mentre i cattivi sono annientati insieme alla banda di Big Fate, grazie a una irruzione della polizia, finalmente capace di mettersi sulla strada giusta. Mc Donagh è promosso capitano per i brillanti servizi resi alla città... rima di tutto dimentichiamo il film di Abel Ferrara in quanto il “Tenente” di Herzog non ha nulla a che fare con quelle zone inesplorate dell’inconscio, con quegli incubi ossessivi, con quei tabù. Meglio così, ci lamentiamo sempre quando un remake si appiattisce troppo sul suo predecessore; apprezziamo quindi questo distantissimo rifacimento che, in pieno, riflette il cinema del suo autore e la sua inarrestabile ricerca di protagonisti capaci di fare propria la realtà in uno slancio totale e senza mezze misure. P Non c’é Kinski, non ci sono sfide estreme da lanciare alla natura, né paesaggi amazzonici da domare; c’é però una realtà altrettanto impervia, la New Orleans del dopo uragano, priva (finalmente) di orchestrine jazz e funerali musicali da cartolina, ma popolata da coccodrilli e serpenti (in tutti i sensi) e immersa nel fango, nella polvere e nella sporcizia di un futuro senza luce. C’é Nicolas Cage che ha fortemente voluto e organizzato questo film per sollevare la propria posizione professionale dagli ultimi lavori stereotipati, dimenticati e fatti per soldi e che hanno composto di lui un’immagine frettolosamente negativa e facilmente liquidata al livello più basso, da ex attore. Cage, invece, è bravo, ha una faccia né bella né brutta, da uomo qualunque, con stampato addosso un filo d’ironia pronto a spaccarsi in una risata liberatoria e quindi ben si adatta alla realtà anonima, comune di chi vive normalmente in una metropoli degradata e per di più da poliziotto. Non c’é bisogno per Cage di avere intorno una violenza urbana virata in patologia e in attesa di una redenzione altrettanto patologica (come era per Ferrara), ma gli basta esserci, ogni giorno, come lui sa e può, perchè la violenza e il male di vivere gli verranno presto incontro, manifestandosi a ogni pié sospinto, senza ordine prestabilito: pronti per essere affrontati a colpi di pistola, o con una botta di coca, o di sesso, o col singhiozzo di una risata. Per tutto questo e per i tanti momenti grotteschi e quasi parodistici che vengono fuori, questo film è stato tacciato di non avere il minimo spessore drammatico; noi siamo convinti del contrario e cioè che l’abiezione umana, morale e sociale degli interpreti tocchi il suo punto più tragico proprio in questi momenti, a significare un uomo che non c’é più, una donna di cui si è perso il ricordo, una società che nella sua andatura schizoide ha cancellato di sé ogni espressione. Nel film gli animali lo hanno capito: serpenti, iguane vere o sognate e coccodrilli vivono vicino a noi perchè già fanno parte del nostro mondo, ci guardano fermi, spiano le nostre allucinazioni convinti che presto staremo tutti insieme, a divorarci, a scambiarci le identità perchè non ci sarà più nulla: né tolleranza, né dignità, né cultura, né amore che potrà fare da confine tra il mondo animale e quello degli uomini. È di scarso spessore drammatico tutto questo? Fabrizio Moresco 16 Film Tutti i film della stagione STAR TREK - IL FUTURO HA INIZIO (Star Trek) Stati Uniti, 2009 Regia: J. J. Abrams Produzione: J. J. Abrams, Damon Lindelof per Paramount Pictures/Spyglass Entertainment/Bad Robot Distribuzione: Universal Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009) Soggetto: dai personaggi creati da Gene Roddenberry Sceneggiatura: Roberto Orci, Alex Kurtzman Direttore della fotografia: Daniel Mindel Montaggio: Maryann Brandon, Mary Jo Markey Musiche: Michael Giacchino Scenografia: Scott Chambliss Costumi: Michael Kaplan Produttori esecutivi: Bryan Burk, Jeffrey Chernov, Alex Kurtzman, Roberto Orci Produttore associato: David Baronoff Coproduttore: David Witz Direttore di produzione: David Witz Aiuti regista: Tommy Gormley, Heather Grierson, Tommy Harper, Jill K. Perno, David Waters, Matthew D. Smith, Stephen P. Del Prete, Operatore/Operatore steadicam: Colin Anderson Supervisore art direction: Keith P. Cunningham Art directors: Curt Beech, Dennis Bradford, Luke Freeborn, Beat Frutiger, Gary Kosko Arredatore: Karen Manthey Trucco: Mindy Hall, Rebecca Alling, Richard Alonzo, Andy Clement, René Dashiell Kerby, Jed Dornoff, Marianna Elias, Earl Ellis, Kimberly Felix, Mark Garbarino, Cynrhia Hernandez, Russ Herpich, Jamie Kelman, Ned Neidhardt, Jessica Nelson, Lygia Orta, Christopher Payne, Richard Redlefsen, Ray Shaffer, Brian Sipe, Mike Smithson, Dave Snyder, susan stepanian, Miho Suzuki Effetti speciali trucco: Crist Ballas (Proteus Make-up FX), na grande astronave romulana, la Narada, emerge da un buco nero di fronte alla nave stellare della Federazione USS Kelvin. Il capitano Robau si reca a trattare presso il capitano della nave nemica, Nero, trovando la morte, ma non prima di avere affidato il comando al primo ufficiale, il giovane George Kirk. Kirk fa evacuare la Kelvin e si lancia in un attacco suicida riuscendo a danneggiare la Narada e dando modo a molte navette di fuggire. In una di esse sua moglie Winona Kirk sta partorendo un bambino, James Tiberius Kirk. Il figlio cresce senza la guida paterna, diventando un ragazzo scapestrato e temerario. Dopo una rissa in un bar contro alcuni cadetti della Flotta Stellare, Kirk incontra Christopher Pike, capitano della nave stellare USS Enterprise, che, rimembrandogli l’atto eroico del padre, lo spinge ad arruolarsi nell’Accademia della Flotta Stellare. Tre anni dopo, la Narada, riapparsa U Belinda Bryant, Toby Lamm, Bart Mixon, Ken Niederbaumer, Clinton Wayne Supervisore acconciature: Aida Caefer (Proteus Make-up FX) Acconciature: Ginger Damon, Nicole Frank, Jason Green, Teresa Hill, Jules Holdren, Colleen LaBaff, Rhonda O’Neal Coordinatore effetti speciali: Burt Dalton Supervisori effetti visivi: Russell Earl (ILM), Matt McDonald, Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), Stefano Trivelli (Svengali FX), Edson Williams (Lola Visual Effects), Kelly Port (Digital Domain), Roger Guyett Coordinatori effetti visivi: Joseph Bell, Melanie Cussac (ILM), Stacy Bissell, Thomas Elder-Groebe Supervisore costumi: Linda Matthews Supervisore musiche: Michael Giacchino Interpreti: Chris Pine (James T. Kirk), Zachary Quinto (Spock), Eric Bana (Nero), Simon Pegg (Montgomery Scotty), Winona Ryder (Amanda Grayson), Zoe Saldana (tenente Nyota Uhura), Karl Urban (Leonard Bones ‘Mccoy), Bruce Greenwood (Christopher Pike), John Cho (tenente Hikaru Sulu), Leonard Nimoy (Spock anziano), Anton Yelchin (Pavel Chekov), Ben Cross (Sarek), Chris Hemsworth (George Kirk), Jennifer Morrison (Winina Kirk), Faran Tahir (capitano Robau), Clifton Collins jr. (Ayel), Greg Ellis (capo ingegnere Olson), Rachel Nichols (Gaila), Antonio Elias (agente Pitts), Sean Gerace (agente), Randy Pausch (membro equipaggio Kelvin), Tim Griffin (ingegnere Kelvin), Freda Foh Shen (timoniere Kelvin), Kasia Kowalczyk (alieno Kelvin), Sonita Henry (dottore Kelvin), Jimmy Bennett (James T. Kirk giovane), Spencer Daniels (Johnny), Jacob Kogan (Spock giovane), Tyler Perry (ammiraglio Richard Barnett), Ben Binswagner (ammiraglio James Komack), Scottie Thompson (moglie di Nero) Durata: 127’ Metri: 3310 dopo più di un ventennio, cattura una navetta, la Jellyfish, inghiottita anch’essa dal buco nero, ma riapparsa molto tempo dopo la Narada. Kirk, entrato come cadetto nell’Accademia della Flotta, affronta il test senza via d’uscita della Kobayashi Maru; per riuscire a vincere non esita a riprogrammare il computer della simulazione, inimicandosi tuttavia il vulcaniano Spock, che lo fa sospendere. Intanto la Narada attacca il pianeta Vulcano e l’Enterprise viene inviata sul pianeta insieme ad altre navi federali. Il dottor Leonard McCoy riesce a far salire Kirk sulla nave, iniettandogli un vaccino che produce i sintomi di una malattia. Ricordandosi delle circostanze in cui era avvenuta distruzione della Kelvin, Kirk si precipita in plancia per avvertire il capitano Pike del pericolo imminente. Quando l’Enterprise esce dalla curvatura si ritrova in mezzo ai relitti delle navi che erano giunte poco tempo prima. Pike viene invi- 17 tato da Nero a bordo della Narada per trattare, ma riesce a lanciare da uno shuttle Kirk, Sulu e Olsen che devono sabotare la trivella della nave romulana che dovrebbe creare un buco nero per inghiottire Vulcano. La missione fallisce e il pianeta viene distrutto: Spock, teletrasportatosi a terra per salvare l’Alto Consiglio e i genitori, vede morire la madre davanti a lui. Kirk prova a convincere Spock ad attaccare la Narada, ma il vulcaniano abbandona Kirk su un pianeta ghiacciato, Delta Vega. Lì, Kirk incontra un vecchio Spock, che gli spiega i motivi dell’ira di Nero. Entrambi provengono dal futuro: nel XXIV secolo, una stella sarebbe esplosa, distruggendo il pianeta Romulus. Spock aveva proposto all’Alto Consiglio un metodo per fermare la supernova, lanciando al suo interno della materia rossa per creare una singolarità, senza però essere preso in considerazione. La stella tuttavia esplose prima del previsto, causando la distruzione di Ro- Film mulus e la rabbia disperata di Nero, comandante della nave mineraria Narada, il quale incolpa Spock dell’accaduto. Spock si era lanciato con una nave contenente la materia rossa, la Jellyfish, per fermare la supernova: la missione riuscì, ma il buco nero inghiottì prima Nero poi Spock, trasportandoli nel passato. I romulani abbandonarono Spock su Delta Vega e si impadronirono della navetta e della materia rossa. Spock e Kirk si riuniscono con Scotty, e il vecchio vulcaniano offre all’ingegnere i piani per teletrasportarsi a velocità curvatura. Su consiglio del vecchio Spock, Kirk provoca la rabbia dell’alter-ego giovane del vulcaniano, in modo da sospenderlo dal comando. Kirk subentra dunque nel ruolo di capitano dell’Enterprise e si lancia all’inseguimento dei romulani, che hanno intrapreso l’attacco alla Terra. Spock, ricondotto a miti consigli, si allea con Kirk. Insieme si teletrasportano sulla Narada, dove il vulcaniano si impadronisce della Jellyfish e Kirk salva Pike, brutalmente torturato da Nero. Spock distrugge la trivella e insegue la Narada, lanciatasi a velocità curvatura. Il vulcaniano si lancia sulla nave come il padre di Kirk, venendo teletrasportato appena in tempo sull’Enterprise insieme a Kirk e Pike da Scotty. La materia rossa crea un immenso buco nero che inghiotte la Narada. Mediante un abile espediente, l’Enterprise evita la stessa fine e torna sulla Terra. Pike offre il comando dell’Enterprise a Kirk, che inizia anzitempo nuove avventure sull’Enterprise. Tutti i film della stagione I mprescindibile, per godere la visione di quest’ultimo Star Trek – falso prequel e nuovo capostipite di una serie alternativa e parallela – essere innanzitutto dei fan della serie televisiva creata da Gene Roddenberry e portata avanti negli anni dai successivi spin-off. La premessa non è casuale: il fandom che caratterizza l’universo di Star Trek è immenso, di proporzioni imparagonabili (nel tempo e nelle dimensioni) a qualsiasi altro fenomeno analogo. Lui, più che altro, può determinare il successo dell’undicesimo episodio per grande schermo della saga stellare. J.J.Abrams lo sa e, con l’apporto in fase di sceneggiatura dei fidi Orci e Kurtzman, riscrive la saga partendo dalle fondamenta. Grazie ai paradossi dello spazio-tempo traccia nuovi percorsi e psicologie più approfondite rispetto al prototipo televisivo, ma non può esimersi dal ricalcare clichés, movenze e perfino modi di dire dei personaggi originali; gli stessi che hanno fatto la fortuna (postuma) della serie e la cui riproposizione appare a tratti un tributo obbligato (accolto, in sala, da caldi applausi della claque trekkina). Che il film, a dispetto di pronostici quasi scontati, stia incassando assai meno del previsto in Italia è però segnale non da poco, quasi sociologico, viste le dimensioni del fenomeno Star Trek: come se il prodotto, scevro dall’aura mitica che contraddistingue la saga e i personaggi, non abbia la forza necessaria, o il semplice appeal, per arrivare anche ai non adepti (oltre ad incorrere nei prevedibili, puntigliosi appunti degli aficionados, alcuni dei quali non hanno mancato di storcere il naso). Forse non giova il periodo storico. A conti fatti, il futuro della serie originale è già alle nostre spalle, rispetto ai tempi in cui viviamo; teletrasporto e velocità della luce, al cinema, sono stati sviscerati in molteplici declinazioni negli ultimi trent’anni. Eppure la messa in scena è efficace, gli effetti speciali curatissimi, l’azione si sussegue senza tregua; fatta eccezione per i continui ammiccamenti a fatti e personaggi già noti ai fans, il plot racchiude una suspense che di certo non è preclusa ad alcuno. Ma delude la prima parte del film, significativamente ambientata sulla Terra anziché sull’Enterprise, con ellissi frettolose e approssimazioni fumettistiche ancor più gravi in un progetto che, nelle intenzioni di J.J.Abrams, mira innanzitutto a una riscoperta psicologica dei personaggi (un’unica sequenza action, palesemente debitrice da Lucas, dovrebbe illustrare l’infanzia difficile del capitano Kirk). Evidente come l’interesse del regista verta principalmente su Spock, diviso mentalmente e geneticamente dal suo essere ibrido di due specie. A lui, in questo “nuovo futuro” che come da tradizione si fa metafora del nostro presente, tocca farsi carico del messaggio di abbattimento del pregiudizio etico/etnico, con il bacio ad Uhura che nella serie originale veniva “sedotta” da Kirk. Il resto è innegabile divertimento, di quelli fermi nel tempo, rigorosamente subordinato a uno spettatore che sa già cosa voler vedere e si auspica di vederlo esattamente quando se lo aspetta. Gianluigi Ceccarelli VUOTI A RENDERE (Vratné Iahve) Repubblica Ceca/Gran Bretagna, 2007 Trucco: Zdenka Klika Effetti: Universal Production Partners Supervisori effetti visivi: David Vana Suono: Jakub Cech, Pavel Rejholec Supervisore costumi: Iveta Trmalova Interpreti: Zdenek Sverak (Josef Tkaloun), Daniela Kolarova (Eiska Tkalounova), Tatiana Vilhelmova (Helenka), Robin Soudek (Tomik), Jiri Machacek (Robert Landa), Pavel Landovsky (Rezac), Jan Budar (Ulisny), Miroslav Taborsky (Subrt), Nella Boudova (Ptackova), Jan Vlasak (Wasserbauer), Martin Pechlat (Karel), Vera Tichankova (Lamkova), Alena Vranova (preside), Ondrej Vetchy (Rezac Jr.), Jana Plodkova (Carkovana), Bozidara Turzonovova (Kvardova) Durata: 103’ Metri: 2810 Regia: Jan Sverak Produzione: Eric Abrahan, Jan Sverak per Biograf Jan Sverak/Phoenix Film Investment/Portobello Pictures/TV Nova/ U.F.O. Pictures Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Zdenek Sverak Direttore della fotografia: Vladimir Smutny Montaggio: Alois Fisarek Musiche: Ondrej Soukup Scenografia: Jan Vlasak Costumi: Simona Rybakova Direttore di produzione: Bara Adamova Aiuti regista: Katerina Oujezdska, Frantisek Loukota Art director: Jan Vlasak J osef è un insegnante che soffre d’insonnia, stress e tic nervosi. Dopo l’ultimo screzio con un alun- no decide di andare volontariamente in pensione. La vita domestica però non si rivela interessante: la moglie è depressa 18 perché non si sente più amata e l’idea di vivere da semplice pensionato non lo attrae. Si trova così un lavoro come pony Film express, da cui però ricava solo una gamba rotta. Di notte continua a soffrire d’insonnia, a cui alterna sogni erotici su di un treno con la sua ex collega Ptácková. Purtroppo la figlia si separa, poiché il marito, medico, ha una relazione fissa con l’infermiera che si scoprirà incinta. Josef, trova un altro lavoro: gestire i vuoti a rendere di un supermercato di quartiere. La moglie se ne vergogna, ma Josef inizia a divertirsi di nuovo. Scopre questo piccolo universo di cui fanno parte i colleghi Parlantina, in realtà Rezác (ex detenuto per aver attentato alla vita della moglie fedifraga), e Spiaccichino, giovane non ancora diplomato addetto alla pressa. Fra i clienti ci sono una giovane di cui Spiaccichino è invaghito e che sul fianco destro ha delle tacche fatte con una biro (secondo loro sono il numero di amplessi col compagno) e una signora attratta da Parlantina, che, seguendo i consigli di Josef, riesce a conquistare. Giunge l’ex genero, per spiegargli la rottura con la figlia; Josef non lo odia e anzi gli chiede delle analisi per poter prendere il viagra, col risultato che dovrà tenere per 24 ore una macchina per la pressione. A casa la situazione non migliora: continuano i sogni e la moglie è sempre più frustrata. A trovarlo arriva l’ex collega Robert, che si invaghisce della figlia senza sapere chi sia e Josef sta al gioco aiutandolo a conquistarla. Josef e Spiaccichino fanno sparire degli opuscoli su delle macchine automatiche per i vuoti a rendere. La Ptácková, va al supermercato e gli lascia un biglietto con un appuntamento per giovedì. Fra Spiaccichino e la ragazza con le tacche non succede nulla e il riusltato del tabulato di Josef dice “calma piatta” proprio quando la moglie gli sta vicino. Sembra sinceramente deluso. Tutti i film della stagione L’appuntamento con la Ptácková non va come sperato: andandoci il giorno prima, vi trova un altro uomo. Dopo aver mandato via con l’inganno gli operai per la macchina automatica, manda Spiaccichino dalla Ptácková per evitare ulteriori contrasti con la moglie, che riceve anche una dichiarazione d’amore dall’uomo a cui sta dando ripetizioni. Finalmente la relazione fra Robert e la figlia di Josef prende piede. Al matrimonio di Rezác, il giudice di pace è il corteggiatore della moglie di Josef. Si scopre anche la verità sulla ragazza delle tacche: una cameriera i cui segni sono fatti dalla biro rinfilata in tasca dopo aver preso le ordinazioni. Al supermercato hanno montato la macchina automatica e Josef, nonostante una controproposta di lavoro, decide di licenziarsi. Arrivano i 40 anni di matrimonio e la coppia si fa accompagnare dalla figlia e da Robert che capiscono l’inganno di Josef, ma alla fine sembrano superare il colpo. Josef e Moglie sono sulla mongolfiera (la sorpresa che il marito le aveva preparato), che per sbaglio è partita senza l’istruttore (il figlio di Parlantina). In cielo, Josef confessa alla moglie che le vuole ancora bene. Tutto sembra risolto, ma Josef non cambia: diventa controllore del treno dove finalmente fa avverare i suoi sogni. na buona commedia. Personaggi e macchiette la fanno da padrone, come l’ex alcolista che batte la testa nello stipite ripetutamente, o la vecchina che per risparmiare i soldi della pensione, si compra anche cibarie che non le piacciono. Il bello di queste macchiette è che sono ben delineate, ma non stereotipate: si possono incontrare nella realtà di tutti i giorni. U In Vuoti a rendere si parla, solo in apparenza, della vita da pensionato con le relative frustrazioni: l’idea che si sia arrivati al tramonto della vita, che ormai non si aspettano più sorprese e via discorrendo. Idee incarnate soprattutto da Moglie, mentre Josef punta di più sul concetto di “autunno della vita” e della continua ricerca di un qualcosa da fare e, in senso più esteso, della ricerca della felicità. Perché è proprio questo il significato del film; quando Josef abbandona i suoi lavori durante il corso della storia, lo fa perché non è più felice e vuole trovare un qualcosa per riprovare quella sensazione di benessere che tutti ricerchiamo. Così come anche l’amore, che ogni personaggio persegue a modo suo e secondo le proprie esigenze: la giovane divorziata che vuole amare di nuovo, il medico che ritrova la passione nella nuova compagna, il pensionato che si risposa, il giovane che tenta di conquistare la sua amata e la coppia di una vita che cerca di rinsaldare il rapporto. Obbiettivo esplicitato proprio da Josef all’inizio del film, quando recita ai suoi alunni una breve poesia di un autore ceco (“Per un po’ d’amore in capo al mondo andrei; andrei a capo scoperto, a piedi scalzi”). Il regista ceco Jan Sverak, si era già fatto conoscere con precedenti film, fra cui spicca Kolya, con cui vinse l’Oscar come miglior film straniero; in Vuoti a rendere, segue una regia priva di eccessi, lineare come la storia, la cui unica eccezione sono le soggettive dei sogni e dello screzio con l’alunno, girate come fossimo dietro la cornea stessa del protagonista. Interessante prospettiva. Bravi tutti gli attori, a partire dal protagonista Zdenek Sverák, che è anche sceneggiatore del film, con cui ha vinto numerosi premi. Da vedere. Elena Mandolini HOME CASA DOLCE CASA? (Home) Svizzera/Francia/Belgio, 2008 Aiuti regista: Mathieu Schiffman, Maurad Kara, Elitza Gueorguieva Trucco: Anna Andreeva Acconciature: Antonella Prestigiacomo Supervisore effetti speciali: Serge Umé Supervisori effetti visivi: Marc Umé Suono: Luc Yersin Interpreti: Isabelle Huppert (Marthe), Olivier Gourmet (Michel), Adelaide Leroux (Judith), Madeleine Budd (Marion), Kacey Mottet Klein (Julien), Renaud Rivier, Killian Torrent, Nicolas Del Sordo, Hugo Saint-James, Virgil Berset (amici di Julien), Ivailo Ivanov Durata: 95’ Metri: 2570 Regia: Ursula Meier Produzione: Denis Delcampe, Denis Freyd, Thierry Spicher, Elena Tatti per Box Productions/Archipel 35/Need Productions Distribuzione: Teodora Film Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Ursula Meier, Antoine Jaccoud, Raphaelle Valbrune, Gilles Taurand Direttore della fotografia: Agnès Godard Montaggio: Susanna Rossberg, Nelly Quettier, François Gédigier Scenografia: Ivan Niclass Costumi: Anna van Bree Direttore di produzione: Thomas Alfandari Casting: Brigitte Moidon 19 Film arthe e Michel vivono con i loro tre figli a ridosso di un’autostrada mai realizzata, in mezzo alla campagna. Da oltre dieci anni, hanno costruito intorno a quella casa il loro mondo. Michel ogni giorno percorre chilometri per raggiungere il primo centro abitato dove lavora, i due figli adolescenti vanno a scuola, mentre Marthe si occupa della casa e la figlia diciottenne Judith trascorre le sue giornate a prendere il sole, in attesa che il padre realizzi una piccola piscina. La vita della famiglia è fatta di semplicità, piccoli gesti quotidiani e serate insieme sul divano in giardino davanti alla televisione. All’improvviso, durante la notte, si trovano circondati dalle ruspe e in pochi giorni la vecchia strada in disuso si trasforma in un crocevia ininterrotto di macchine che sfrecciano ad altissima velocità. Abituati al silenzio del loro isolamento, i componenti della famiglia si ritrovano ora a dover fronteggiare un rumore continuo e assordante. A questo si deve aggiungere il livello altissimo di smog e inquinamento, a cui, giorno e notte, loro malgrado, sono sottoposti. Sebbene tentino di fronteggiare il disagio del continuo passaggio di automobili, ben presto tutti cominciano a dare segni di insofferenza e irritabilità, ma il desiderio di rimanere nella loro casa si dimostra più forte di ogni avversità. La figlia continua a prendere il sole nell’ormai minuscolo spazio del giardino, incurante degli apprezzamenti dei camionisti, fratello e sorella attraversano l’autostrada per andare a scuola e Marthe continua a pulire la casa senza sosta. Tuttavia il rumore e il caldo diventano insopportabili e neanche i tappi diventano un espediente per ritrovare il sonno. L’equilibrio comincia a vacillare sempre più, a partire da Marthe, costretta tutto il giorno in casa. Per trovare un po’ di sollievo, si cambia la disposizione dei letti, portando i materassi tutti nella stanza più lontana dalla strada, è solo una brevissima illusione. Judith ne approfitta del passaggio di un passante per scappare lontano da quella vita. Michel propone allora al resto della famiglia di andar via, ma Marthe si oppone e convince i figli a rimanere. Così il marito decide di cementare tutte le pareti della casa con pannelli isolanti, per cercare di alleviare una vita ormai infernale. Porte e finestre vengono murate, la struttura diventa un vero e proprio bunker senza vie di fuga. L’unica finestrella da cui passa un po’ d’aria M Tutti i film della stagione è nel bagno. I primi giorni la famiglia sembra ritrovare un po’ di pace, quantomeno per l’attutirsi dell’incessante frastuono. Ma poi il caldo diventa insopportabile. A poco serve la ventola e non basta neanche più dormire nella vasca da bagno. Non c’è un filo d’aria e la luce è sempre e solo quella artificiale. La situazione è sempre più critica e Michel comincia a distribuire sonniferi a moglie e figli. Accertatosi che tutti dormono copre con un mattone anche l’ultimo sprazzo di luce e di aria rimasto e si prende un sonnifero anche lui. Tutto tace, quando, all’improvviso, Marthe si sveglia come da un sonno profondo e ristoratore e ancora in camicia da notte prende un’accetta e comincia a buttare giù una parete di mattoni. La luce riempie la stanza e la donna respira l’aria esterna. Dopo aver scavalcato gli ultimi mattoni rimasti, simile ad una sonnambula, inizia a camminare lungo l’autostrada in direzione della campagna. A poca distanza da lei la seguono il marito e i due figli. ccolto con entusiasmo all’ultimo Festival di Cannes, Home è il primo lungometraggio di Ursula Meier. Dopo diversi documentari l’attrice franco-svizzera approda a una storia che potremmo definire un dramma collettivo. Da sempre attirata dall’attitudine ad andare fino in fondo alle cose, la Meier lancia una provocazione che più che una “favola ecologica” sa di critica alla civilizzazione, al confort e consumismo industriale a cui siamo ormai assuefatti. Metafora di un’umanità che cerca di dare un significato alla propria vita, tentando di adeguarsi ai tempi che cambiano troppo in fretta, nonché ritratto delle tante paure che ci attanagliano, Home è una pellicola creativa e originale, spiazzante nella netta divisione tra prima e seconda parte del film. Se infatti inizialmente la storia sembra prendere una piega ottimista, a tratti burlesca e ironica, da metà film iniziano a dominare nevrosi e tensioni, tanto da rendere un genere simile alla commedia una miscela tra il thriller psicologico e l’horror surreale. La felice casa nella prateria contro la strada che sparge rumore e inquinamento. Ma la lotta che si vede è tutta interiore. L’autostrada non è un semplice set, ma diviene un vero e proprio personaggio, intimamente legato alla famiglia. Diventa lo schermo su cui ognuno proietta le proprie nevrosi. A 20 La casa come rifugio, sembrerebbe, ma è invece una necessità, non una libera scelta. I pericoli infatti non vengono dalla strada, ma dall’interno. In una società in cui la famiglia resta ancora il porto sicuro per eccellenza, in questo caso invece è una bomba pronta a scoppiare. Quello che viene descritto è un nucleo familiare dove i rapporti sono ancora rimasti trasparenti e ancestrali. Fratello e sorella fanno insieme il bagno, il padre guarda la figlia adolescente nuda senza malizia. L’idea di “casa” precede ancor prima il concetto di famiglia, diventando il luogo che l’uomo plasma a sua immagine. Le mura domestiche, evocando sentimenti e stati d’animo, rappresentano la propria dimensione psicologica; nido sicuro e inattaccabile, unisce persone e consente loro di intrecciare rapporti d’amore. Tuttavia la privazione graduale e la sottrazione di questo spazio non possono che rappresentare la follia e la crisi di identità. Si verifica, di conseguenza, l’implosione nel luogo e l’estromissione totale dal mondo esterno. Ogni personaggio diventa facile preda di un’ossessione. Marion e Julien, i due figli adolescenti, si rinchiudono in un buffo scafandro e controllano ogni centimetro della loro pelle per cercare di limitare i danni fisici causati dall’inquinamento. Il padre Michel cerca inutilmente di erigere una sorta di prigione dove poter ricreare una trincea sicura e lontana dai pericoli esterni. La madre Marthe, che meglio di tutti incarna il senso di claustrofobia, rappresenta il motore della vicenda, folle e ribelle ma visceralmente ancorata alla sua casa. La scelta dei piani e delle immagini sottolinea ancor più il senso di isolamento dei personaggi. I toni caldi e solari iniziali della fotografia vengono via via sostituiti dall’oscurità e dai colori freddi degli interni. I rumori dei motori, seppure smorzati, arrivano in lontananza come l’eco di un mondo fatale. In una vertigine che tende al soffocamento, si compie una lenta discesa agli inferi. La psicosi dei personaggi inizia a contagiare anche i nervi dello spettatore. L’atmosfera diventa sempre più claustrofobica e si ha il desiderio impellente di uscire dalla sala cinematografica. Ma si resta solo per ammirare la splendida Isabelle Huppert, ormai sempre più spesso interprete ideale dei ruoli femminili più travagliati, oscuri, maledetti e alienati. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione THE INFORMANT! (The Informant!) Stati Uniti, 2009 Regia: Steven Soderbergh Produzione: Howard Braunstein, Kurt Eichenwald, Jennifer Fox, Gregory Jacobs, Michael Jaffe per Warner Bros. Pictures/Section Eight/Jaffe-Braunstein Enterprise. In associazione con Participant Media/Groundswell Productions Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009) Soggetto: dal libro-verità del giornalista Kurt Eichenwald Sceneggiatura: Scott Z. Burns Direttore della fotografia: Steven Soderbergh Montaggio: Stephen Mirrione Musiche: Marvin Hamlisch Scenografia: Doug J. Meerdink Costumi: Shoshana Rubin Produttori esecutivi: George Clooney, Michael London, Jeff Skoll Coproduttore: Michael Polaire Direttori di produzione: Gilles Castera, Robin Le Chanu Casting: Carmen Cuba Aiuti regista: Gilles Kenny, Jody Spilkorman, Lynne Martin Operatore: Patrick B. O’Brien Art directors: Billy Hunter, David Scott Arredatori: Daniel B. Clancy, Curtis Maneno Trucco: Elisa Marsh, Vicki Vacca, Christine Beveridge, Marsha Shearill Illinois, USA, 1992. Mark Whitacre è un biochimico di successo dell’ ADM, sposato e con una bella casa. L’ADM, e Mark in particolare, è alle prese con un un virus che infetta irrimediabilmente le scorte del grano, compromettendo la produzione ed esponendo la ditta a un ingente danno economico. Un giorno, Mark comunica ai vertici di essere ricattato da un misterioso emissario giapponese, che vuole soldi in cambio dell’antidoto contro il virus. L’ADM decide di rivolgersi all’FBI e mettere il telefono di Mark sotto controllo. Quella stessa notte, Mark, spinto dalla moglie, confessa all’agente Shepard, a casa sua per installare il microfono al telefono, che c’è ben altro: un’agenzia giapponese sta manipolando il prezzo del mais nel mercato globale. È l’inizio di una collaborazione molto speciale: da qui ai successivi due anni e mezzo Mark, per conto dell’FBI, comincia a registrare con l’ausilio di telecamere e microfoni ogni movimento e azione della compagnia in ogni parte del mondo, attraverso i meeting finanziari che avvengono in ogni parte del globo. Grazie alle registrazioni video e vocali, Mark Whitacre – fra mille contrad- I Acconciature: Gloria Pasqua Casny, Jules Holdren, Connie Kallos Coordinatore effetti speciali: Ron Bolanowski Supervisore effetti visivi: Thomas J. Smith Supervisore costumi: Sandy Kenyon Interpreti: Matt Damon (Mark Whitacre), Melanie Lynskey (Ginger Whitacre), Patton Oswalt (Ed Herbst), Scott Bakula (Brian Shepard), Frank Welker (sig. Whitacre), Thomas F. Wilson (Mark Cheviron), Joel McHale (Robert Herndon), Candy Clark (sig.ra Whitacre), Ludger Pistor (Reinhard Richter), Scott Adsit (Sid Hulse ), Eddie Jemison ( Kirk Schmidt ), Rusty Schwimmer (Elizabeth), Samantha Albert (Mary Spearing), Paul F. Tompkins (D’Angelo), Allan Havey (agente speciale FBI Dean Paisley), Richard Steven Horvitz (Bob Zaideman), Arden Myrin (assistente di Whitacre), Rick Overton (Terry Wilson), Wayne Pére (Sheldon Zenner), Tom Papa (Mick Andreas), Raymond Ma (Mimoto), Daniel Hagen (Scott Roberts), Larry Clarke (avvocato di Whitacre), Hans Tester (Peter Dreyer), Jayden Lund (James Mutchnik), Rome Kanda (Ikeda), Joshua Funk (agente speciale FBI Robert Grant), Howie Johnson (Rusty Williams), Brian Gallivan (Ronald Henkoff), Lucas McHugh Carroll (Alexander Whitacre), Gene Fojtik (avvocato) Durata: 108’ Metri: 2810 dizioni (esce fuori che la storia del ricatto era fasulla), riesce a dare prove concrete all’FBI sulla cospirazione, dopo due anni e mezzo di collaborazione con il governo americano. Numerosi membri vengono incarcerati per frode e truffa, mentre il biochimico sta per divenire il nuovo capo direttore dell’azienda di mais mandata sul lastrico da lui stesso per le rivelazioni scottanti. Sembra tutto andar liscio, quando gli avvocati dell’ADM scoprono che il buco finanziario dell’azienda agro-alimentare non è dovuto ai continui scambi di tangenti verso i giapponesi, ma ai trasferimenti illeciti che Mark Whitacre stesso inviava ai suoi numerosi conti esteri. L’ammontare: 9 milioni di dollari. Mark, ormai visibilmente in preda a sempre più frequenti crisi, nega ostinatamente la verità e cerca di accusare l’agente Shepard, che gli è sempre stato vicino, di percosse e maltrattamenti nei suoi confronti. Ma quando la menzogna diventa troppo grande, è lo stesso Mark a rendersi conto del proprio problema e a cedere. Mark Whitacre, con 45 capi d’accusa sulle spalle viene incarcerato per 9 anni nel 1997 e, liberato, torna a casa della moglie e figli nel 2006. I suoi capi, per incastrare i quali aveva lavorato due 21 anni e mezzo per l’FBI, in carcere resteranno solo tre anni. Prima di uscire, fa appena in tempo a correggere la guardia circa l’ammontare finale dei soldi che ha sottratto: non 9 milioni, come tutti credevano, ma 11 e mezzo... e la mette davvero tutta, Steven Soderbergh, per alzarsi oltre la mediocrità e risultare simpatico a ogni costo. In quasi ogni suo film la volontà di lasciare il segno è chiara; ambizione legittima per un regista che non ha mai rinnegato se stesso, replicando pressoché in toto pregi e – tanti – difetti del proprio stile, troppo estetizzante per riuscire anche ad andare oltre la superficie di quel che descrive e racconta. Forse la vera novità di quest’ennesimo film di Soderbergh è la consapevolezza del regista di fronte ai suoi stessi difetti e il conseguente mettere alla berlina, in chiave grottesca, la propria verbosità stilistica. Gliene riconosciamo il merito, passati al vaglio i tasti più superficiali della composizione filmica: la decostruzione del sex symbol Matt Damon, che interpreta un uomo apparentemente ordinario, il cui aspetto fisico tradisce un disturbo mentale che del quotidiano non C Film Tutti i film della stagione disorientato dei protagonisti; agenti federali alle prese con il caos di un “finto quotidiano” in realtà più unico che raro. Ma non siamo davanti all’apocalittico mondo impazzito dei fratelli Coen e nemmeno c’è la profondità di un plot fantapolitico da film-inchiesta anni ’70 che Soderbergh, con il consueto pseudonimo di Peter Andrews, cita ricorrendo a un’incongrua fotografia vintage. La vicenda non assurge mai all’universalità, così ancorata al gusto della riproduzione taroccata di un periodo e di uno stile di abbigliamento e il divertimento resta fine a se stesso. Anche se non ci si annoia e, a tratti, la visione risulta piacevole, restano sulla carta, solo accennate, tematiche non da poco come l’impossibilità di assurgere al vero e la menzogna come unico mezzo per realizzare il sogno americano. fa certo parte; i siparietti con l’FBI, la parte più divertente del film, mostrano il lato assurdo di una indagine nata dal nulla e, allo stesso tempo, il lato umano e Gianluigi Ceccarelli IL MESSAGGERO (The Haunting in Connecticut) Stati Uniti, 2009 Art director: Edward Bonutto Arredatori: Craig Sandells, Steve Shewchuk Trucco: Doug Morrow Acconciature: Ediena Hawkes, Forest Sala Effetti speciali trucco: Crystal Biloski, Joe Colwell, Mike Fields, Sarah Pickersgill, Nicholas Podbrey, Kyla-Rose Tremblay, Gideon Hay, Brian Hillard Coordinatori effetti speciali: Tim Storvick, James Kozier Supervisore effetti visivi: Erik Nordby Interpreti: Virginia Madsen (Sara Campbell), Kyle Gallner (Matt Campbell), Elias Koteas (reverendo Popescu), Amanda Crew (Wendy), Martin Donovan (Peter Campbell), Sophi Knight (Mary), Ty Wood (Billy Campbell), Erik J. Berg (Jonah), John Bluethner (Ramsey Aickman), D.W. Brown (dr. Brooks), John B. Lowe (sig. Sinclair), Adriana O’Neil (infermiera chemioterapia), Will Woytowich (poliziotto), Darren Ross, Sarah Constible (medici), Blake Taylor, Keith James, Kelly Wolfman, Jessica Burleson (presenti alla seduta del 1920), James Durham, Matt Kippen Durata: 92’ Metri: 2400 Regia: Peter Cornwell Produzione: Paul Brooks, Daniel Farrands, Wendy Rhoads, Andrew Trapani per God Circle Films/Integrated Films & Management Distribuzione: Key Films Prima: (Roma 21-8-2009; Milano 21-8-2009) Soggetto e sceneggiatura: Adam Simon, Tim Metcalfe Direttore della fotografia: Adam Swica Montaggio: Tom Elkins Musiche: Robert J. Kral Scenografia: Alicia Keywan Costumi: Meg McMillan Produttori esecutivi: Scott Niemeyer, Norm Waitt, Steve Whitney Produttore associato: Jonathan Store Coproduttori: Brad Kessell, Phyllis Laing, Jeff Levine Direttore di produzione: Lesley Oswald Casting: Eyde Belasco Aiuti regista: Richard O’Brien-Miran, Charles Crossin Operatore: Brad Vos iugno 1987. Matt Campbell è un ragazzo malato di cancro ed è in cura presso un ospedale del Connecticut che si trova molto lontano da casa sua. Per questo motivo, la madre Sara è costretta a lunghi ed estenuanti viaggi. Vedendo che con le cure ci sono dei miglioramenti, la donna decide di trasferire la famiglia in un’abitazione che possa essere il più vicino possibile all’ospedale. Riesce a trovare un affare: una vecchia casa vittoriana che ha un affitto decisamente vantaggioso. Una volta che si sono trasferiti lì però, cominciano ad G accadere cose strane. Dopo poco tempo, infatti Matt inizia ad avere delle visioni angoscianti e incubi sempre più ricorrenti. Sara non dà però importanza alla cosa e secondo lei questo comportamento è dovuto allo stress e all’uso di farmaci. Le cose però non migliorano. Anzi, Matt inizia a essere perseguitato dalla figura di un giovane di nome Jonah che molti anni prima in quel posto era protagonista di sedute spiritiche. Inoltre, nel seminterrato scopre la presenza di un’ex-camera mortuaria nella quale non riesce a entrare a causa di una forte sensazione di bru22 ciore. La famiglia Campbell è man mano inghiottita in questo vortice infernale. Il padre di Matt, Peter, non riuscendo a sopportare questa tensione, ha anche ripreso a bere. In seguito al ritrovamento di una scatola contenente fotografie di sedute spiritiche, la famiglia Campbell ci vede poco chiaro e decide di indagare. Le ricerche portano al dottor Aickman, una specie di medium che aveva il ruolo di messaggero tra il mondo dei vivi e quello degli spiritiche utilizzava Jonah come suo assistente per il suo dono di contattare i morti. Molta gente spesso andava Film da loro per parlare con i defunti e rimaneva spesso soddisfatta. Nel corso di una seduta però, quattro presenti, compreso Aickman, furono trovati morti. Lì c’era anche Jonah e di lui non si è saputo più nulla. Nel frattempo, le condizioni di Matt peggiorano. Il suoi corpo viene infatti ritrovato pieno di scritte e simboli che sono come marchiati e viene ricoverato in ospedale. Il medico dice a Sara e al marito che il ragazzo ha ormai le ore contate. Matt comunque ha la forza di uscire e di ritornare a casa. Ha un’ascia in mano e sembra minacciare i familiari rimasti lì. Invece dice loro di andar via perché sono in pericolo. Il giovane si barrica e mette a soqquadro l’abitazione, fino a quando scopre un ammasso di cadaveri nascosti. Poi da fuoco alla casa. Sara entra tra le fiamme e riesce a trascinarlo fuori. Appare ormai in fin di vita. Poi, però, all’improvviso si risveglia. i case stregate il cinema è pieno. Il messaggero dà l’idea di riprendere classici del genere, mostrando come l’abitazione a un certo punto possa iniziare a respirare, nascondere un torbido passato e diventare un (in)volontario elemento omicida. Cornwell, da questo punto di vista, non sembra farsi problemi e, più che ispirarsi, scopiazza da Amityville Horror, Shining e soprattutto, fa D Tutti i film della stagione ripensare a uno dei capolavori horror come Gli invasati di Robert Wise, del quale però non riesce affatto a ricreare quella grandiosa tensione nascosta, dove, anche all’interno di un’inquadratura normale, sembrava celarsi il pericolo nel fuori-campo. Il messaggero è, al contrario di queste pellicole, un film già dichiaratamente esplicito. Sin dai titoli di testa, si viene avvertiti che si tratta di una storia vera e poi si vede un ciak con il volto di Sara che parla al passato e, in qualche modo, anticipa quello che si vedrà. Un’immagine, questa, quasi stile mockumentary, un segno che annuncia che tutto sarà mostrato direttamente. E in questo tutto non c’è eliminazione, ma piuttosto condensazione; Il messaggero infatti contiene in sé le forme del dramma terminale mescolate con quelle dell’horror soprannaturale. Cornwell dimostra di non saper padroneggiare nessuno dei due. Per quanto riguarda il primo aspetto, la disperazione è solo presente nei primi piani di una spenta Virginia Madsen e in quel momento ‘disperato’, in cui il padre di Matt ha ricominciato a bere e terrorizza tutta la famiglia. Una scena, questa, potenzialmente forte, che poteva essere sviluppata con maggiore intensità e che invece viene confusa in questa sorta di ‘viaggio all’inferno e ritorno’. Per quanto riguarda il secondo aspetto, ci si trova davanti non solo a una non ispirata esercitazione del genere, ma, addirittura, a una presuntuosa e incontrollata autorialità nella quale il regista (che eppure si era messo in luce nel 2003 con il bel corto Ward 13) crede di modificare visivamente il genere contaminandolo con effetti videoclip; metodo questo che riesce soltanto al cinema del geniale Rob Zombie. Le apparizioni di Jonah a Matt vorrebbero creare degli effetti di scissione del corpo, di doppia personalità, quasi di una reincarnazione in atto. Non basta però insistere su choc, apparizioni e incubi rivelatori per raggiungere il risultato sperato. Cornwell non inventa nulla. Piuttosto utilizza situazioni ricorrenti come quelle di presenze oscure che passano velocemente lo specchio, metamorfosi demoniache, tende della doccia che schiacciano e soffocano i personaggi. E in più ci aggiunge flash con colori neutri ed effetti sonori insistiti, che sottolineano spesso ogni azione disturbante (i piatti che cadono per terra) e che si amplificano a dismisura nel corso del film. Tutto già visto, quindi. Con in più l’aggravante che, nel riproporlo, Cornwell pensa di farlo molto meglio e di inventare qualcosa di nuovo. Simone Emiliani ALIENI IN SOFFITTA (Aliens in the Attic) Stati Uniti/Canada, 2009 Supervisori effetti visivi: Randy Goux (CIS), allan Magled (Soho VFX), Chris Wells (Hydraulx), Douglas Smith Coordinatori effetti visivi: Lara B. Grant, Sean Stortroen (Rhythm & Hues), Ivy Agregan, Steve Carter, Shad Davis, Lisa Marra, Brad Nightingale, Katrissa ‘Kat’ Peterson, Neha Sharma, Aashima Taneja Supervisori animazione: Ryan Donoghue, Ben Sanders, Roberto Smith Responsabile animazione: Leon Joosen Supervisore costumi: Deb Brown Supervisore musiche: Billy Gottlieb Interpreti: Carter Jenkins (Tom Pearson), Austin Robert Butler (Jake Pearson), Ashley Tisdale (Bethany Pearson), Robert Hoffman (Ricky Dillman), Doris Roberts (Nana), Gillian Vigman (Nina Pearson), Kevin Nealon (Stuart Pearson), Tim Meadows (Doug Armstrong), Ashley Boettcher (Hannah Pearson), Henry Young (Art Pearson), Regan Young (Lee Pearson), Doris Roberts (Nana Rose Pearson), Andy Richter (zio Nathan Pearson), Tim Meadows (sceriffo Doug Armstrong), Malese Jow (Julie), Megan Parker (Brooke), Maggie VandenBerghe (Annie Filkins), Warren Paeff (speaker radio), Doug Mcmillan (speaker comunicato radio polizia), Thomas Aden Church (voce Tazer), Josh Peck (voce Sparks), Ashley Peldon (voce Skip), Kari Wahlgren (voce Razor) Durata: 86’ Metri: 2340 Regia: John Schultz Produzione: Barry Josephson per Josephson Entertainment/ New Upstairs Productions/Regency Enterprises/Twentieth Century Fox Film Corporation/Upstairs Canada Productions Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 14-8-2009; Milano 14-8-2009) Soggetto: Mark Burton Sceneggiatura: Adam F. Goldberg, Mark Burton Direttore della fotografia: Don Burgess Montaggio: John Pace Musiche: John Debney Scenografia: Barry Chusid Costumi: Mona May Produttore esecutivo: Marc S. Fischer Produttore associato: John R. Woodward Coproduttore: Joe Hartwick jr. Direttore di produzione: Annie Dodman Casting: Julie Ashton Aiuto regista: John R. Woodward Operatori: Michael Burgess, Calum McFarlane Operatore steadicam: Dana little Supervisore art direction: Nigel Evans Arredatore: Milton Candish Trucco: Michele Barber, Davina Lamont, Natasha Lees Effetti speciali trucco: Sarah Pickersgill Supervisore effetti speciali: Jason Durey 23 Film eriferia del Michigan. Stuart e la moglie Nina sono a capo di una famiglia della quale fanno parte anche i loro tre figli: il quindicenne Tom, fissato con la tecnologia, che ha avuto dei brutti voti a scuola; Bethany, appena rientrata in casa di nascosto dalla finestra dopo un appuntamento segreto con il ragazzo Ricky; Hannah, una bambina di 7 anni. Per cercare di ricompattare il gruppo, Stuart decide di andare a trascorrere le vacanze in una villetta nei pressi di un lago. A loro si uniscono anche lo zio Nate con i figli Jake e i gemelli dodicenni Art e Lee oltre alla nonna Nana Rose. Si aggiunge, all’improvviso, anche Ricky che, per estare accanto alla sua ragazza, si è inventato la scusa che la sua auto non riparte. Mentre sta calando la sera, si addensano attorno all’abitazione delle nuvole minacciose. Improvvisamente va via il segnale televisivo. Ricky e Tom, salgono sul tetto per vedere cosa è successo. Lì si ritrovano davanti a un gruppo di minuscoli alieni zirkoniani, composto dal rigido comandante Skip, dal muscoloso Tazer, dalla letale soldatessa aliena Razor e il tecnico con 4 braccia Sparks, l’unico invasore non minaccioso. Sin da subito, Ricky viene messo sotto controllo dagli alieni per mezzo di uno strumento collegato con la sua testa e, attraverso di lui, rivendicano il pianeta. Ben presto, oltre a Tom e Jake, anche Hannah e i fratelli gemelli vedono gli alieni. Tom prende il comando delle operazioni e decide, d’accordo con gli altri, di non far sapere nulla agli adulti. Dovendo cavarsela da soli, si arrangiano con delle armi fatte in casa e imparano a utilizzare lo strumento per controllare le menti e lo utiliz- P Tutti i film della stagione zano anche per far muovere Ricky come una marionetta per renderlo ridicolo agli occhi di tutti, Bethany compresa. Mentre gli adulti continuano a non accorgersi della presenza aliena, nasce una complicità tra Hannah e Sparks; quest’ultimo non ama la guerra e vorrebbe soltanto tornare a casa. Lo scontro si fa sempre più duro. Anche la nonna cade sotto il controllo degli alieni che le dona dei superpoteri che le consentono di proteggere i nipoti e scontrarsi con Ricky. I ragazzi si mostrano all’altezza della situazione e, alla fine, riescono a sconfiggere gli invasori. Resta poi in loro possesso lo strumento per controllare i movimenti di Ricky. Bethany, dopo essere stata lasciata, si vendica muovendolo a suo piacimento davanti a un’altra ragazza. embrano esserci delle tracce da teenager-movie in questa stanca e poco ispirata vicenda di invasione aliena domestica. La parte iniziale del film, fino all’arrivo degli zirkoniani sembra appartenere a quel filone adolescenziale, proprio del cinema statunitense, che si alimenta soprattutto su continui contrasti tra padre, figlio con brutti voti a scuola che non vuole essere con un cervellone come il proprio genitore, il prepotente cugino Jake e la sorella che esce con un ragazzo del college. Anche se sono come dei provvisori squarci, in questa descrizione della dimensione familiare di Alieni in soffitta si ha l’idea di ritrovare delle tracce sospese tra il cinema anni ’80 di John Hughes (scomparso proprio recentemente) e Chris Columbus. La presenza del primo è evidente nel modo naturale con cui ribalta la figura del S quindicenne Tom, lasciando emergere delle proprie insicurezze e del proprio malessere proprio come i cinque sedicenni di una scuola superiore di Chicago, costretti, per punizione, a passare il sabato in biblioteca di Breakfast Club. Al tempo stesso, le rocambolesche avventure familiari sembrano modellate su quelle di Kevin McAllister nei due Mamma, ho perso l’aereo, diretti da Columbus e prodotti proprio da Hughes, nei quali, proprio come in Alieni in soffitta, sono gli adulti a essere estromessi dall’azione. Forse la parte più divertente del film di John Schulz – che costruisce il suo film sulla commistione tra film per famiglie e dimensione fantasy proprio come un suo precedente film, Il sogno di Calvin, è nel modo con cui la figura di Ricky, classico teenager prepotente, viene telecomandato dagli altri in modo tale da renderlo ridicolo agli occhi di tutti, anche se questa situazione, alla lunga, viene ripetuta con troppa insistenza. Per il resto, l’anello debole della pellicola è proprio nello scontro tra umani e alieni. La sceneggiatura di Mark Burton e Adam F. Goldberg sembra dilatare eccessivamente lo scontro finale intervallandolo con la nonna che combatte stile kung-fu, con la caratterizzazione di Ashley Tisdale (che interpreta il ruolo di Bethany) che è vista e descritta più come star televisiva che come personaggio. E la citazione esibita con l’alieno buono Sparks, che vuole tornare a casa proprio come l’extraterreste di E.T. di Spielberg, è la dimostrazione di come Alieni in soffitta abbia esaurito da prima tutte le sue (poche) risorse e sia ormai entrato in riserva. Simone Emiliani BAARÌA Italia/Francia, 2009 Regia: Giuseppe Tornatore Produzione: Marina Berluscono, Tarek Ben Ammar per Medusa Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 25-9-2009); Milano 25-9-2009 Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Tornatore Direttore della fotografia: Enrico Lucidi Montaggio: Massimo Quaglia Musiche: Ennio Morricone Scenografia: Maurizio Sabatini Costumi: Antonella Balsamo, Luigi Bonanno Organizzatore generale: Giorgio Innocenti Produttore esecutivo: Mario Cotone per Exon Film Suono: Faouzi Thabet Supervisore effetti visivi digitali: Mario Zanot Effetti visivi digitali: Storyteller Interpreti: Francesco Scianna (Peppino), Margareth Madé (Man- nina), Nicole Grimaudo (Sarina giovane), Angela Molina (Sarina adulta), Lina Sastri (Tana/mendicante), Salvo Ficarra (Nino), Valentino Picone (Luigi), Gaetano Aronica (Cicco adulto), Alfio Sorbello (Cicco giovane), Luigi Lo Cascio (figlio mendicante), Enrico Lo Verso (Minicu), Nino Frassica (Giacomo Bartolotta), Laura Chiatti (studentessa), Michele Placido (esponente PCI), Vincenzo Salemme (capocomico), Giorgio Faletti (Corteccia), Corrado Fortuna (Renato Guttuso), Paolo Briguglia (maestro catechismo), Leo Gullotta (Liborio), Beppe Fiorello (venditore dollari), Luigi Maria Burruano (farmacista), Franco Scaldati (fotografo), Aldo Baglio (affarista), Monica Bellucci (ragazza del muratore), Donatella Finocchiaro (merciaia), Marcello Mazzarella (Podestà), Raoul Bova (giornalista romano), Gabriele Lavia (maestro commissione esami), Sebastiano Lo Monaco (padrone magazzino limoni), Tony Sperandeo (allevatore), Enrico Salimbeni (Alberto Lattuada) Durata: 150’ Metri: 4510 24 Film nizio secolo. Un uomo che gioca a carte chiama un ragazzino e gli ordina di andare a comprare le sigarette. Deve tornare prima che il suo sputo per terra si sia asciugato. Lui inizia così a correre a tutta velocità. Da qui inizia la vicenda di una famiglia siciliana di Bagheria, un paesino vicino Palermo, raccontata attraverso tre generazioni: da Cicco al figlio Peppino, al nipote Pietro. Tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, attraverso le loro vicende private, prende forma la vita di un’intera comunità e ne vengono rievocati i sogni, gli amori, le delusioni che attraversano non solo un pezzo della loro vita, ma della storia italiana. Negli anni del fascismo, Cicco è un modesto pecoraio che, però, riesce a trovare il tempo per soddisfare le proprie passioni: i libri, i poemi cavallereschi, i grandi romanzi popolari. Durante la seconda guerra mondiale suo figlio Peppino, imbattendosi nell’ingiustizia sociale, scopre di avere una grande passione per la politica. Terminato il conflitto, avviene il fatale incontro con la donna della sua vita, Mannina. La loro storia non viene vista bene soprattutto dal padre della ragazza che, per la figlia, punta a un partito migliore. Inoltre, questa relazione è osteggiata anche per il fatto che Peppino è comunista. La ragazza però è innamorata di Peppino e, alla fine, la sua tenacia le consentirà di sposarsi con l’uomo che ama e dal quale avrà numerosi figli. Tutti i film della stagione I robabilmente Baarìa è ‘il grande sogno’ di Tornatore. Un cinema magniloquente, epico, un kolossal sulla Sicilia, in cui si mescolano frammenti di memoria con squarci visionari senza controllo. Dentro il film c’è tutto: la Storia, la tradizione, il mito, il cinema e frammenti privati come la vicenda di Peppino e Mannina, che viene amplificata a tal punto da diventare la ‘storia d’amore’ assoluta, in piena regola con le forme del melodramma. Tornatore amplifica mai come stavolta la dimensione onirica, ancora di più che in Nuovo Cinema Paradiso, L’uomo delle stelle e Malèna che, con Baarìa, potrebbero costituire un’ideale ‘tetralogia sulla Sicilia’. L’inizio è esemplare. La corsa del bambino all’inizio che va a comprare le sigarette e poi vola improvvisamente, oltre a essere un (in)volontario omaggio a Miracolo a Milano di De Sica, è anche l’esempio di uno sguardo senza controllo, che vuole oltrepassare la realtà per sfociare nel fantastico. Peccato che la P libertà in Baarìa sia solo apparente. Nessuno mette ovviamente in dubbio la sua capacità di girare e il proprio talento visivo. Ma si ha il sospetto che il cineasta siciliano giri più per se stesso che per gli altri, come se volesse orgogliosamente specchiarsi sull’obiettivo della macchina da presa mentre sta filmando anche la singola inquadratura. La sua ambizione è smisurata e la ricostruzione di questo spazio ‘nel corso del tempo’ nel set tunisino potrebbe portarlo a definirlo, volendo essere volutamente eccessivi, come a una specie di ‘Cecil B. De Mille nostrano’. Baarìa è tutto l’opposto del cinema minimalista italiano. E questo potrebbe apparire sicuramente come un merito. Soltanto che quello che mostra, malgrado i presupposti, è estremamente più piccolo di quello che può sembrare. Magari il raggio d’azione di ciò che inquadra potrebbe essere molto più lungo. Ma anche se le scene di massa sono dirette sempre con grande mestiere, ciò che manca in questi frammenti è proprio quel respiro epico che permette di distaccarsi da ciò che si sta guardando e che fa precipitare così in un’altra dimensione. Ciò che vuole essere grande diventa improvvisamente pomposo. Forse, ciò deriva anche dalla fotografia troppo calda di Lucidi, con quei gialli insistenti che poi 25 provocano più un senso di stordimento che di seduzione. Oppure le musiche di Morricone sempre più ridondanti, come a sottolineare e avvertire lo spettatore che quella che sta per vedere è una scena madre, nel caso non se ne fosse accorto o si fosse distratto. O, ancora, da quell’insistenza dei dettagli, con personaggi che ritornano anche negli anni come figure fisse (quello di Beppe Fiorello), che si reincarnano (Lina Sastri) oppure che nella loro singolarità appaiono come gli esempi invisibili, ma determinanti, di una grande storia. Con L’uomo delle stelle questo di Tornatore è ancora un cinema di facce. Profilo destro, profilo sinistro. Queste però restano spesso lì ferme, immortalate e non danno mai l’idea di poter penetrare autenticamente nella storia. Sono rare quelle che riescono ad andare oltre la loro maschera e una di queste, sorprendentemente, è quella di Salvo Ficarra che mette nuovamente in ombra, come nei film che hanno fatto insieme, quella del suo partner Valentino Picone, ma anche di molti altri attori. Volendo essere maligni, nella quantità di interpreti utilizzati e nella ricorrente presenza di primi piani, si potrebbe vedere Baarìa anche come una gran bella pubblicità alla Sicilia Film Commission. Restando invece sul lavoro corale, come L’uomo delle Film stelle non riesce mai a dare un’anima vera ai suoi personaggi. C’è chi ha citato la Bagheria di Tornatore come il West di Sergio Leone. Ma il mito è artificiale, fatto di plastica, una luce creata solo per abbagliare. Certo, il cinema di Tornatore, come si è visto, ha bisogno di altro cinema per riprodursi. C’è così Lattuada a Villa Patagonia che sta girando Il mafioso, si vedono frammenti di Uno sguardo dal ponte, Gli Argonauti e Fellini Satyricon. Per certi aspetti, sembra di (ri)vedere i manifesti dei film sul cinema di Bastardi senza gloria. Volendo spingerci oltre, verrebbe istintiva- Tutti i film della stagione mente da accomunare Tornatore a Tarantino. Ma è solo un colpo di testa. Tarantino vive quasi esclusivamente del cinema degli altri, trasforma i film che ha visto in pezzi della propria memoria personale. Il regista siciliano, invece ha, anche lui quasi esclusivamente, bisogno di quello solo di quello suo per riguardarsi e riammirarsi. Nei momenti del ragazzino che guarda i film, sembra quasi di assistere a un remake di Nuovo Cinema Paradiso. La presenza della Bellucci dà l’idea di venire dritta dritta da Malèna. Oltre a questa autoreferenzialità, Baarìa da l’idea di scivolare spesso nel bozzetto, quasi da commedia italia- na. Si sa che Tornatore è un autore e non scenderebbe mai a questi compromessi con un cinema troppo basso anche se popolare. Il momento, però in cui Peppino controlla la lunghezza della gonna alla figlia potrebbe quasi apparire una riproposizione di una situazione della commedia erotica degli anni ’70. E il disegno maestoso, smisurato, resta più volte, come in questa scena, confinato dentro se stesso, in un ambiente che Tornatore conosce benissimo e manipola a suo piacimento, ma dal quale ogni autonomia è preclusa. Simone Emiliani SCUOLA PER CANAGLIE (School for Scoundrels) Stati Uniti, 2006 Art director: Scott Meehan Arredatore: Denise Pizzini Trucco: Keith Sayer, Janeen Schreyer, Amy Lederman, Patricia Regan, Lynne K. Eagan Acconciature: Rita Troy, Kathrine Gordon, Kerrie Smith, Joani Yarbrough Coordinatori effetti speciali: William Aldridge, Connie Brink Supervisore effetti visivi: David D. Johnson (Pacific Vision Productions) Supervisori costumi: Robin Roberts, Susan J. Wright Supervisori musiche: George Drakoulias, Randall Poster Interpreti: Billy Bob Thornton (dr. P), Jon Heder (Roger), Jacinda Barrett (Amanda), Michael Clarke Duncan (Lesher), Sarah Silverman (Becky), David Cross (Ian), Matt Walsh (Walsh), Horatio Sanz (Diego), Todd Louiso (Eli), Jon Glaser (Ernie), Paul Scheer (‘Little Pete’), Ben Stiller (Lonnie), Luis Guzmán (sergente Moorehead), Dan Fogler (Zack), DeRay Davis (Bee Bee), Omar J. Dorsey (Lawrence), Marcella Lowery (sig.ra Washington ), Joanne Baron (Lois ), Leonard Earl Howze, Jim Parsons, Aziz Ansari, Remy K. Selma, Andrew Daly, Bob Stephenson, Joe Nunez, Jack Kehler, Armen Weitzman (compagni di classe), Noel Guglielmi, Daniel Venegas ( tipi in metropolitana ), Samuel Schultz (uomo anziano in ospedale), Corey Richardson (Monty), Jessica Stroup (moglie di Eli), Sandy Helberg (Rabbi), Isabel Tylo (violinista) Durata: 100’ Metri: 2620 Regia: Todd Phillips Produzione: Todd Phillips, Daniel Goldberg, Geyer Kosinski per Dimension Films/Picked Last/Media Talent Group/Road Rebel/Scoundrel Productions/Todd Phillips Company/The Weinstein Company Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009) Soggetto: dal romanzo School for Scoundrels or How to Win Without Actually Cheating! di Stephen Potter e basato sulla sceneggiatura di Patricia Moyes, Hal E. Chester del film La scuola dei dritti (1960) di Robert Hamer Sceneggiatura: Todd Phillips, Scot Armstrong Direttore della fotografia: Jonathan Brown Montaggio: Leslie Jones, Dan Schalk Musiche: Christophe Beck Scenografia: Nelson Coates Costumi: Louise Mingenbach Produttori esecutivi: Hal E. Chester, Craig Mazin, Bob Weinstein, Harvey Weinstein Produttore associato: Annette Savitch Coproduttori: Scott Budnick, JoAnn Perritano Direttori di produzione: Amy Herman, JoAnn Perritano Casting: Jeanne McCarthy Aiuti regista: Joe Camp III, Polly Ann Mattson, Shawn Pipkin, Michael T. Meador, Andrea O’Connor, Joseph Payton, Jennifer D. Wilkins, Kate Marie Boyle Operatori: Kirk R. Gardner, Patrick Capone Operatore steadicam: Will Arnot oger è un ausiliario del traffico con grandi problemi di autostima e frequenti attacchi di panico. Dopo l’ennesimo problema sul lavoro ed esser stato licenziato dall’Associazione “Fratelli minori”, per continui fallimenti, crolla a pezzi; come se non bastasse non riesce a chiedere ad Amanda, la donna che ama, di uscire. Ian, capo dell’Associazione, lo indirizza presso lo stravagante Dottor P. che tiene un particolare corso sull’autostima, caratterizzato da inusuali, quanto pericolosi metodi di insegnamento. Nonostante tutto, Roger inizia subito a R far progressi e crearsi un gruppo di amici che in più di un’occasione salva dalle grinfie di Lesher, l’aiutante del Dottor P. Grazie a tutti i progressi compiuti, il Dottor P. gli dice perentoriamente di provarci con Amanda; sarà l’ ultimo ostacolo da superare per diventare un vero uomo. Roger segue il consiglio e finalmente esce con Amanda, facendo colpo su di lei e riuscendo anche a baciarla. Roger diventa così il primo della classe, attirando l’amore e l’odio del suo mentore che non sopporta quando un alunno diventa migliore di lui: inizia a persegui26 tarlo. Lo stesso Ian, gli dice di commettere degli errori a lezione per non finire come Lonnie, il primo della classe del suo corso, che ora vive da reietto in un’altra città. Il Dottor P. non perde tempo e inizia a corteggiare Amanda, facendo finta di incontrarla per caso e mentendo sul suo nome e sull’identità. Roger lo scopre e inizia così la sfida a colpi di bugie, battute e racchette da tennis. La battaglia degenera, il Dottor P. riesce a renderlo un maniaco agli occhi di Amanda e farlo licenziare. Roger chiede aiuto ai suoi amici del corso che, completamente soggiogati, non Film credono a una sola parola. Il ragazzo riesce almeno a trovare Lonnie, a cui il Dottor P. ha rubato la donna nello stesso modo. Lonnie accetta di aiutare Roger a distruggere il Dottor P. fornendogli anche un enorme dossier su chi sia realmente quest’uomo. Mostrando tutto il materiale ai suoi amici, finalmente Roger ottiene il loro appoggio. Mentre un alunno fedele al Dottor P. sta per portare Amanda all’aeroporto da dove partiranno per Miami, inizia la controffensiva di Roger per farle conoscere la moglie ed i figli del Dottor P. Intanto Roger arriva all’aeroporto, dove mostra all’ex mentore le foto della sua famiglia. Il Dottor P. getta la maschera: era l’ultima prova del corso avanzato e Roger l’ha superata brillantemente. Gli racconta anche di un certo Lonnie che non ha superato la prova e dei numerosi anni che il ragazzo ha passato in manicomio. Roger ferma in tempo la controffensiva: i biglietti per Miami sono per Roger ed Amanda. In realtà, è l’ennesimo inganno del Dottor P. Roger riesce ad arrivare in tempo sull’aereo, dove cerca di spiegare la verità ad Amanda. Con uno stratagemma svela l’inganno del Dottor P., riuscendo anche a dirle che la ama. Passa del tempo e il Dottor P. chiede un incontro con Roger che ormai è ufficial- Tutti i film della stagione mente il ragazzo di Amanda. Roger riceve l’unico Diploma che sia mai stato rilasciato dalla scuola del Dottor P. odd Phillips punta ancora una volta sulla commedia. Basti citare suoi film precedenti come Road Trip, Starsky & Hutch e la collaborazione per la stesura di Borat. Recentemente è uscito nelle sale anche Una notte da leoni che ha ottenuto successo in Italia grazie a un poderoso passaparola. Con Scuola per canaglie, Phillips racconta l’ennesima storia sull’adolescente goffo e impacciato e del suo riscatto finale. La sceneggiatura apporta un minimo di intreccio in più rispetto a film precedenti di questo sottogenere senza però veri slanci innovativi. Non mancano neanche, nei titoli di coda, piccoli corti che raccontano cosa è accaduto agli ex alunni del Dottor P. Ciò che realmente funziona sono i due protagonisti: Billy Bob Thornton e Jon Heder. Thornton può essere considerato a tutti gli effetti un artista poliedrico. Vincitore di un Oscar per la sceneggiatura di Lama tagliente e candidato come attore non protagonista per Soldi sporchi, ha recitato in T film drammatici e commedie, fra cui spicca Babbo bastardo. Heder si sta invece conquistando un podio accanto ad attori come Will Ferrell e Ben Stiller, qui presente nei panni di Lonnie; attualmente più conosciuto in America che non in Italia, Heder calza alla perfezione i panni del timido nerd. I due attori giocano fra loro con naturalezza, senza sbavature, creando una nuova versione di una moderna strana coppia; decisamente in parte, regalano momenti di ilarità, che non riescono ugualmente a salvare la storia che inevitabilmente noiosa. Una storia che passa indenne, che non coinvolge e si scorda facilmente non appena finisce il film. Un merito da riconoscere è la quasi totale assenza di battute di cattivo gusto, che generalmente impregna film di tale genere. Scuola per canaglie racchiude in diverse sequenze, parodie dedicate al genere thriller con tanto di musica da suspense. Una chicca per gli amanti del Dottor House, che nella parte finale vedranno una scanzonatura al famoso telefilm; anche qui con musica di accompagnamento decisamente parodistica. Elena Mandolini ANAMORPH (Anamorph) Stati Uniti, 2007 Regia: Henry Miller Produzione: Marissa McMahon per Kamala Films Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Henry Miller, Tom Phelan Direttore della fotografia: Fred Murphy Montaggio: Geraud Brisson Musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek Scenografia: Jackson De Govia Costumi: Eric Daman Produttore esecutivo: Campbell Miller Coproduttore: Michael G. Gunther Direttore di produzione: Sirad Balducci Casting: Kerry Barden, Billy Hopkins, Paul Schnee, Suzanne Smith Aiuti regista: Carrie Fix, Kara Doherty, Lauren Guilmartin, David Blazina, Jason Fesel Operatore: Bruce MacCallum Operatori steadicam: Andrew Casey, Jeff Muhlstock Art directors: Doug Huszti, Woods Mackintosh Arredatore: Carrie Stewart Trucco: Lynn Campbell Acconciature: Milton Buras Supervisore effetti speciali trucco: Jerry Costantine Effetti speciali trucco: David Fidel, Mike Mulligan, Michael Ostaszew, Noriko Sato, Tim Jarvis, Chris Kelly, Jimmy ‘Ramo- ne’ Marino, Brian Abbott, Mike Antolino, Tony Antolino, Andrea Bergstol, John Maisano, Catherine Marino, Michael Marino, James Marino Sr., Sylvia Nava, Paul Sutt, Scott Wallace, Diana Yun Soo Yoo Coordinatore effetti speciali: Conrad V. Brink jr. (EFX Rentals) Supervisore effetti visivi: Helena Packer (Whodoo EFX) Interpreti: Willem Dafoe (Stan Aubray), Scott Speedman (Carl Uffner), Don Harvey (Michael C.), James Rebhorn (capo Lewellyn Brainard), Peter Stormare (Blair Collet), Amy Carlson (Alexandra Fredericks), Yul Vazquez (Jorge ‘George’ Ruiz), Clea DuVall (Sandy Strickland), Samantha MacIvor (Crystal), Billy Wheelan (giovane uomo), Paz de la Huerta (giovane donna), Desiree Casado (ragazza), Robert C. Kirk, Robin Goldsmith (detective), Marcia Haufrecht (cameriera), Monique Gabriela Curnen (studentessa), Paul Lazar (esaminatore medico), Lucy Martin (donna tesa), Mick Foley (proprietario negozio oggetti antichi), Sharrieff Pugh (tecnico ECT), Ashley Springer (Jeff Samo), Deborah Harry (vicino), Gary Ray (agente), Elizabeth West, Stephen Daniels (reporter), Edward Hibbert (proprietario galleria), Barbara Sicuranza (tecnico forense), Tandy Cronyn (moderatore), Martin Pfefferkorn (membro AA), Amy Arison, Virginia Wing, Jordan Charney Durata: 107’ Metri: 2730 27 Film l detective e criminologo Stan Aubrey ha contribuito alla cattura di un pericoloso serial-killer chiamato zio Eddie. L’assassino utilizzava i corpi senza vita delle sue vittime per disporli come in dei quadri. Si serviva inoltre di una tecnica anamorfica per fare in modo che la visione prospettica della scena cambiasse a seconda da dove veniva guardata. Cinque anni dopo, però, i delitti riprendono. Aubrey viene così richiamato alla sezione omicidi per indagare su di una nuova ondata di omicidi che hanno forti analogie con quelle precedenti. Stan non ha poi mai superato lo choc di quelle visioni. Vive spesso appartato da solo, parla di rado con i colleghi e, in particolare, con Carl, un poliziotto fresco di promozione. Nel corso di una serata organizzata per festeggiare il collega, il detective se ne va all’improvviso rifiutandosi anche di rispondere alle domande di un’invadente giornalista. Nel corso delle indagini, emergono dal passato di Stan dei cupi fantasmi che lo condizioneranno e creano un legame, tra lui e l’assassino, tale che gli stessi poliziotti iniziano ad avere dei dubbi su di lui e, soprattutto, che mettono in discussione la sua reale identità. Per cercare di arrivare a una soluzione, un giorno Stan rivede un suo collega che aveva collaborato con lui per catturare zio Eddie. Subito dopo viene inseguito da una persona a piedi. Se ne accorge ed è lui che cerca di afferrarlo ma senza successo. Il suo amico verrà poi barbaramente ucciso e disposto anche lui come nella tela di I Tutti i film della stagione un quadro. A questo punto tra Stan e il killer c’è una sfida a due. Dopo che Sandy, una ragazza che era molto amica di una ragazza uccisa dallo zio Eddie, è stata presa dal killer, Stan cerca di evitare un altro omicidio. Verrà preso anche lui. In suo soccorso arriverà il collega Carl dopo che il detective è stato colpito da un proiettile. ’esperimento può essere sicuramente interessante: un thriller/ horror che si basa su un gioco al massacro tra detective e serial-killer privato di fisicità. In Anamorph infatti la forma sembra prevalere nettamente sul contenuto. E ciò non è evidente soltanto nei precisi riferimenti pittorici (Francis Bacon) e fotografici (Cartier-Bresson). L’azione aspira alla stasi e l’inquadratura serve soprattutto per fissarla e immortalarla. Ciò è evidente nel modo in cui Miller mostra gli omicidi: con una precisione geometrico-prospettica per mettere in risalto, appunto, l’anamorfosi del titolo e quindi, di conseguenza, l’importanza dell’angolazione soggettiva da cui un corpo/oggetto/scena, viene guardato. A livello visivo, il film sembra voler azzerare il movimento. Forse è per questo che anche quella sporca atmosfera notturna da noir è come congelata all’interno dell’immagine oppure lo stesso volto di Willem Dafoe (in realtà più imbambolato che turbato) è come una proiezione del passato che cerca di riprendere provvisoriamente forma nel presente. A livello narrativo, la sua ossessione per un vecchio caso del passato (gli omicidi dello zio Eddie) L rende labile l’elemento temporale e, nel corso del film, contribuisce a far diventare sempre più ambigua la personalità, l’identità del protagonista. I dettagli clinici, la ritualità tra passato e presente, la prevalenza del fattore concettuale fanno di Anamorph un’opera anche ambiziosa dal punto di vista teorico. Se, ipoteticamente, si depurasse il film dal genere cinematografico a cui fa riferimento e quindi si togliesse l’azione, resterebbero squarci di ‘cinema sperimentale’ che potrebbe guardare al modello del ‘New American Cinema’; oppure in maniera più drastica si potrebbero guardare le inquadrature con gli omicidi come se fossero delle videoinstallazioni. Da un punto di vista cinematografico poi, Anamorph può essere in linea con operazioni come Seven e la saga di Saw – L’enigmista. Soltanto che al film di Miller manca completamente quel senso di isolamento dall’esterno che caratterizzava la potente opera di David Fincher e, al tempo stesso, il film vola più alto rispetto la meccanicità di Saw. Ne viene così fuori uno strano ibrido, completamente intrappolato in un cinema schiavo del proprio ridondante pensiero che priva il film di ogni tensione. C’è solo un momento incalzante e riguarda quello del detective che insegue a piedi il serial killer. Proprio un momento con un ritmo tipico del genere, da cui Anamorph si è però voluto sempre, fin dall’inizio, allontanare programmaticamente. Simone Emiliani BORDERLAND LINEA DI CONFINE (Borderland) Stati Uniti/Messico, 2007 Regia: Zev Berman Produzione: Randall Emmett, George Furla, Lauren Moews, Elisa Salinas per Tonic Films/Emmett-Furla Films/Freedom Films/Tau Productions/Worldwide Media Group Distribuzione: Mediafilm Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Eric Poppen, Zev Berman Direttore della fotografia: Scott Kevan Montaggio: Eric Strand Musiche: Andrés Levin Scenografia: Tim Galvin Costumi: Monica Araiz Produttori esecutivi: Deborah Davis, Susan Jackson, Vance Owen, Keith Previte, Jeff Rice, M. Dal Walton III, Steve Whitney Direttori di produzione: Tania Araiz, Ernesto Garabito Casting: Claudia Becker, Matthew Lessall, Efrain Lomeli, Lynn Reinstein Aiuti regista: Ricardo Del Rio, Renan Bendersky, Jose Jimenez Operatore: Tristan Whitman Arredatore: Pachilu Moreno Supervisore trucco: Felipe Salazar Effetti speciali trucco: Ozzy Alvarez, Caleb Schneider Acconciature: Raul Covarrubias Supervisore effetti speciali: Manuel Cordero Supervisore musiche: Gene Alford Interpreti: Brian Presley (Ed), Rider Strong (Phil), Jake Muxworthy (Henry), Beto Cuevas (Santillan), Martha Higareda (Valeria), Sean Astin (Randall), Damián Alcázar (Ulises), Marco Bacuzzi (Gustavo), Roberto Sosa (Luis), José María Yazpik (Zoilo), Humberto Busto (Mario), Elizabeth Cervantes (Anna), Francesca Guillén (Lupe), Alenka Rios (Amelia), Tomas Goros (capitano Ramirez), Eric Poppen, Daniel Herrera Arau (‘signori della droga’), Andrés Tagliavini, Fernando Felix, Nasser Milanes, Joel Navarro, Zahida saucedo, Montserrat de León (membri del culto), Mircea Monroe (Nancy), Maribel Alaniz (stripper), Julian Bucio (uomo ubriaco allo strip club), Kate Berman (infermiera ospedale), Kathryn Tamblyn (Courtney) Durata: 105’ Metri: 2630 28 Film ittà del Messico. Due poliziotti stanno facendo irruzione in una fattoria che sembra abbandonata. Lì, scoprono la presenza di resti umani. All’improvviso, uno dei due viene però catturato dagli adepti di una setta che cercano delle vittime da immolare e che gestisce anche un ingente traffico di droga. Questi viene torturato prima di essere barbaramente ucciso, mentre, l’altro, Ulises, viene legato e costretto a guardare. Un anno dopo. Stati Uniti. Henry riesce a convincere i suoi amici Ed e Phil a trascorrere qualche giornata di sballo oltre il confine messicano. L’inizio del viaggio sembra andare bene. Henry è quello che sollecita frequentemente gli amici a godersi la vacanza e ad andare fuori di testa. Riesce a conquistare Valeria, un’affascinante barista di un locale di spogliarelliste, dopo averla difesa da un tipo del locale. Phil invece si innamora di una ragazza madre, prostituta. Una giorno, dopo essersi fatti di funghetti allucinogeni, trascorrono una serata al lunapark in compagnia di Valeria e di sua cugina Lupe. Ed e Valeria, a un certo punto, si allontanano dagli altri e si baciano. Phil invece decide di andarsene. Sulla strada, però, viene rapito dai seguaci della setta e portato in una fattoria isolata per essere utilizzato come prossima vittima del rito. Da quel posto, cercherà di scappare, ma dopo pochi metri viene subito catturato. Perse le tracce dell’amico, Henry e Phil cercano di rintracciarlo. Vanno in una stazione di polizia locale, ma col tempo si accorgono che la collaborazione delle forze dell’ordine è nulla. Ad aiutarli c’è solo Valeria e l’ex-poliziotto Ulises. Nel frattempo, C Tutti i film della stagione Henry viene inseguito e assassinato dai membri della setta nei pressi dell’hotel, mentre Lupe viene uccisa nel suo appartamento. A questo punto, resta solo Ed che cerca di salvare l’amico. La sua missione fallisce e Phil muore dopo il rito. Ulises, però, fa in tempo a sparare al boss della setta prima di morire ed Ed e Valeria a far fuori molti seguaci del culto, prima di essere arrestati e interrogati dalle autorità statunitensi mentre attraversavano il Rio Grande. robabilmente la cifra stilistica di Borderland è già nel prologo dove viene mostrata la tortura e poi l’uccisione di uno dei due poliziotti. La dimensione oscura con derive proprie del cinema horror porta il film dalle parti della saga di Saw e dell’opprimente dimensione claustrofobica di Captivity di Roland Joffé. Da un punto di vista narrativo, invece, la vicenda dei tre amici che partono per una vacanza e poi precipitano in una sorta di incubo senza uscita richiama invece il recente Turistas di John Stockwell e soprattutto i due Hostel diretti da Eli Roth. Rispetto a quest’ultimo film, però, la componente dell’horror prevale su quella del thriller. Berman da questo punto di vista non risparmia nulla esibendo in pieno tutti i dettagli dei riti sacrificali anche a costo di perdere quota nella costruzione della tensione emotiva. Ciò è evidente in maniera più frequente dal momento del rapimento di Phil, nel quale la pellicola sembra anche ambire alle zone dello snuff-movie, ma poi non riesce a sconfinarci pienamente. Oppure si vede anche nel momento dell’uccisione di Henry e nell’immagine di Lupe massacrata. Il proble- P ma grosso di Borderland è quella di non avere l’essenzialità di certo cinema horror, neanche quella sua dimensione artigianale. Ciò può dipendere, in parte, dal fatto che il film è ispirato a un fatto di cronaca relativo alla scomparsa di uno studente statunitense avvenuta nel 1989 proprio in Messico, a Matamoros. Al tempo stesso, però, lo sguardo di Berman – al suo secondo lungometraggio dopo Biar Patch, un dramma sentimentale realizzato nel 2003 – tende a manipolare visivamente gli ambienti e a ridefinire le prospettive attraverso l’utilizzo di colori tra il giallo, l’arancione e rossastro, che contribuisce a formare una visione come condizionata da una perenne allucinazione. L’elemento formale, benché ridondante, resta puro contorno. Tranne qualche lampo – Phil che cammina da solo in strada prima di essere sequestrato, il ragazzo ripreso con il lazo da un uomo a cavallo dopo che ha cercato inutilmente di fuggire – Borderland accumula situazioni senza soluzione di continuità con accenni estremamente superficiali sugli affari economici degli adepti della setta (il mercato della droga) e che finisce di squagliarsi poi nel finale, con una resa dei conti di sorprendente prevedibilità. Gli stessi attori (Brian Presley, Rider Strong, Jake Muxworthy) sono come elementi perfettamente integrati (nei loro movimenti, nelle espressioni del viso) nelle forme del genere. Più caratteri fissi che personaggi, dunque. Solo Sean Astin (già visto nella trilogia di Il Signore degli Anelli) nei panni del carceriere statunitense di Phil, prova a uscirne. Ma il suo ruolo dura troppo poco. Simone Emiliani LA LEGGE DEL CRIMINE (Le premier cercle) Francia, 2009 Trucco: Serena Forgeas Supervisori effetti visivi: Alain Carsoux, Joel Pinto Coordinatori effetti visivi: Anais Bertrand, Chauvet Florian Supervisore musiche: Elise Luguern Interpreti: Jean Reno (Milo Malakian), Gaspard Ulliel (Anton Malakian), Vahina Giocante (Elodie), Sami Bouajila (ispettore Saunier), Philippe Leroy (Halami), Isaac Sharry (Rudy), Alberto Gimignani (Emilio), Eric Challier (Missak), Julian Negulesco (Daniel), Franco Trevisi (Frank), Albert Goldberg (Bedik), Mirza Halilovic (Levin), Vladimir Milivojevic (Aram), Nicolas Bridet (Mirelli), Tony Gaultier (Coutard), Jean-Paul Zehnacker (Cazes), Gisèle Casadeus (sig.ra Malakian), Yan Brian (borghese), JeanMichel Chapelain (tenente GIPN), Anton Yakovlev (conducente Ferrari), Michel Ferracci (titolare night-club), Fabrice Bagni (responsabile sicurezza night-club), Kevork Alexanian (diacono), Ruben Bakar (Ruben), Alain Zef (Rafi), Jeff Hatchikian Durata: 95’ Metri: 2510 Regia: Laurent Tuel Produzione: Christine Gozlan, Alain Terzian per Alter Films/ Thelma Films. In coproduzione con TF! Films Production/TF! International/Medusa. Con la partecipazione di Canal+/CNC Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 31-7-2009; Milano 31-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Laurent Tuel, Laurent Turner, Simon Moutaïrou Scenografia: Carlos Conti Direttore della fotografia: Laurent Machuel Montaggio: Marion Monestier Musiche: Alain Kremski Costumi: Pascaline Chavanne Produttore esecutivo: François-Xavier Decraene Casting: Gérard Moulevrier Aiuti regista; Aurore Coppa, Julien Decoin, Renaud Epelboin, Adam Marchand Art director: Stéphane Cressend 29 Film ilo Malakian è il boss di una “famiglia” di criminali. Il figlio Anton vorrebbe iniziare una vita al di fuori della cerchia malavitosa, spinto anche dall’amore che lo lega all’infermiera Elodie. Alle calcagna di Milo, c’è l’Ispettore Saunier pronto a vendicare la morte di un caro amico e collega, ucciso durante l’ultimo scontro a fuoco contro i Malakian; in quella stessa sparatoria, Milo ha perso un figlio. Saunier cerca di mettere in guardia Elodie circa gli oscuri affari di Milo e le chiede, per il bene di Anton, di diventare un’informatrice per la polizia. Rifiuta, non potendo tradire Anton. Milo scopre che il figlio vorrebbe abbandonarlo, pensando che sia proprio la relazione con Elodie la causa di tale decisione, gli intima di interrompere il rapporto. Inoltre Milo sta preparando, aiutato da soci fedeli, un colpo ultramilionario con i soldi dei casinò e degli alberghi locali, rubando tali soldi nel momento in cui vengono depositati su un aereo civile e quindi privi di scorta. Quando Anton scopre che il padre sta impedendo di potersi creare quella vita al di fuori della famiglia, abbandona il colpo per rifugiarsi con Elodie, rimasta incinta, in un paese italiano. Milo incarica Rudy, fidato compare di Anton, di uccidere Elodie; nonostante i mille ripensamenti, alla fine accetta. Anton lo scopre in tempo e lo uccide sotto gli occhi della ragazza. Deciso a staccarsi definitivamente dal padre, Anton gli promette che parteciperà a quest’ultimo M Tutti i film della stagione colpo, per poi farsi una sua vita lontano da lui. Milo accetta. Saunier, avendo capito quale sarà la prossima meta dei Malakian, giunge in aeroporto, intercettando il gruppo di Milo. Durante la sparatoria Anton, per difendere il padre, viene ferito da Saunier. Presi i soldi, Milo e i suoi riescono a sfuggire alla polizia. Anton muore fra le braccia del padre, chiedendogli di portarlo da Elodie. La ragazza non vedrà mai più Anton. Sono passati nove mesi; è nato il bambino di Elodie e Anton. Milo, come a volersi scusare del male fatto, và in ospedale per vedere quell’unica volta il nipote. ecisamente un film al di sotto della media. Peccato per Jean Reno, che in passato aveva sostenuto ruoli con maggiore enfasi e, sicuramente, anche di maggiore rilievo. In La legge del crimine, non riesce a reggere il ruolo del padre-padrone, limitandosi a una superficiale interpretazione. L’unico momento di maggiore enfasi si trova nello sguardo finale che lancia a Elodie; per il resto del film non sembra essere attraversato da nessuna emozione. In egual misura, Gaspard Ulliel, qui interprete di Anton, non convince. Più preoccupato di mantenere un portamento da bello e dannato, Ulliel non riesce a trasmettere enfasi e pathos, neanche nel momento della sua morte. E pensare che prometteva decisamente bene. Basti pensare alla D sua interpretazione del giovane Hannibal Lecter. Il regista e sceneggiatore Laurent Tuel, realizza una sceneggiatura scontata, praticamente priva di colpi di scena, che passa indenne senza lasciare traccia. Ogni avvenimento o accadimento viene già facilmente subodorato anche dallo spettatore meno smaliziato. Una per tutte? Il prevedibilissimo attentato alla vita di Elodie. Una regia a tratti molto semplice, intervallata da primi piani e ripetuti dettagli, riescono comunque a regalare quel senso di ossessione che dovrebbe impregnare un film di tale genere. La colonna sonora, realizzata da Alain Kremski, è essenzialmente composta da musiche per pianoforte; con note reiterate all’infinito, contribuisce a enfatizzare quella sensazione di ossessione, ricercata dai già citati movimenti della cinepresa. Un punto a favore dell’opera è sicuramente la fotografia di Laurent Machuel, che riesce a esaltare con la giusta abilità i bei paesaggi a sua disposizione. Buona l’idea di enfatizzare la contrapposizione fra il mondo della purezza, Elodie, e quello del crimine, Anton, utilizzando differenti colori nei costumi: Elodie veste sempre colori molto chiari, mentre Anton è sempre vestito di nero. Alla fine del film, dopo novantasei minuti di pellicola, viene da chiedersi: ma è davvero tutto qui? Elena Mandolini QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA (36 vues du Pic Saint-Loup) Francia/Italia, 2009 Direttori di produzione: Pierre Wallon, Anne Farrer Aiuti regista: Shirel Amitay, Alice Di Giacomo Trucco: Michel Vautier Acconciature: Milou Sanner Suono: Olivier Schwob Interpreti: Sergio Castellitto (Vittorio), Jane Birkin (Kate), André Marcon (Alexandre), Jacques Bonnaffé (Marlo), Julie-Marie Parmentier (Clémence), Hélène de Vallombreuse (Margot), Tintin Orsoni (Wilfrid), Vimala Pons (Barbara), Mikaël Gaspar (Tom), Stéphane Laisné (Stéphane), Dominique D’Angelo (Dom), Hélène de Bissy, Pierre Barayre (proprietari albergo), Marie-Paule André (Estelle), Julie-Anne Roth (Xénie), Elodie Mamou (Elodie), Laurent Lacotte (sig. Gaffe), Marie Vauzelle (sig.ra Gaffe) Durata: 84’ Metri: 2390 Regia: Jacques Rivette Produzione: Martine Narignac, Maurice Tinchant per Pierre Grise Production. In coproduzione con France 2 Cinéma/Cinemaundici/Rai Cinema/Alien Produzioni. Con la partecipazione di Canal+/FR2/CNC Distribuzione: Bolero Film Prima: (Roma 8-9-2009; Milano 8-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Jacques Rivette, Pascal Bonitzer, Christine Laurent, Shirel Amitay, Sergio Castellitto Direttore della fotografia: Irina Lubtchansky Montaggio: Nicole Lubtchansky Musiche: Pierre Allio Scenografia: Emmanuel de Chauvigny, Giuseppe Pirrotta Costumi: Laurence Struz Coproduttori: Roberto Cicutto, Luigi Musini ate, amministratrice provvisoria di un piccolo circo che opera nei villaggi del Laguedoc, al sud della Francia, con la macchina in panne lungo una strada di campagna, viene soccorsa da Vittorio, un elegante e misterioso italiano, in K viaggio con la sua decappottabile da Milano a Barcellona. Vittorio è affascinato dalla donna e dalla vita del circo, partecipando nei giorni successivi a spettacoli e prove. In particolare si diverte a un numero comico, arrivando a proporre a uno dei clown, 30 Alexandre, delle variazioni e un arricchimento delle situazioni rappresentate. Le nuove gag aumentano a dismisura il numero. La malinconica Kate nasconde un dolore profondo, che ha occultato per quindici anni e che l’ha portata ad abbandonare il circo, tra- Film sferendosi a Parigi come creatrice di moda. Il mistero viene chiarito dalla nipote, la giovane ballerina Clémence, che racconta a Vittorio come Antonio, l’uomo amato da Kate, sia morto durante un numero pericoloso, stroncato da un colpo di frusta dopo aver perso l’equilibrio per la rottura forse non accidentale dello schienale di una sedia. L’amore fra Kate e Antonio era avversato dal padre, Peter, che non aveva voluto interrompere la tournée. Solo alla morte del padre, Kate aveva accettato di tornare a collaborare al circo, sia pure provvisoriamente. Un suo ritorno alla boutique parigina viene interrotto da Vittorio che si inventa un inesistente incendio del tendone. Vittorio si interessa sempre di più agli spettacoli del circo, finendo con l’accettare di sostituire un clown malato e immettendo nuovi elementi nel canovaccio. Nel tentativo di liberare Kate dalla sua angoscia esistenziale, l’uomo le fa rivivere la scena della morte di Antonio, facendole prendere il suo posto. Il colpo di frusta finale la lascerà indenne, ma le provocherà uno shock salutare. Forse riprenderà a vivere, mentre Vittorio continuerà il suo viaggio e il suo movimento instancabile verso approdi ignoti. ’è una scena a mio avviso fondamentale per cogliere il meccanismo rappresentativo perseguito da Rivette. Su una sorta di palcoscenico naturale, un semplice gradone sulla piazza del paese dove si è fermato il circo, due coppie, quattro personaggi, si attardano a discutere pianamente dei loro amori. Sullo sfondo si vede la facciata di un bar con i suoi tavolini all’aperto. Alternativamente, la luce data da lampade da scena teatrale illuminano il palcoscenico o lo sfondo, creando una sorta di alternanza irreale fra luce e ombra, verità e menzogna, realtà e illusione. Il tema del film riguarda appunto l’emergere della verità dei personaggi attraverso il gioco dello spettacolo e dell’improvvisazione. VittorioCastellitto è un poco un clown nella vita e scopre il lato più profondo della propria condizione esistenziale (un atteggiamento di ricerca nel “movimento”) e il segreto di Kate nel momento in cui accetta di mettersi in scena, cioè di mettersi a nudo. Come in altri film di Rivette gli eroi diventano se stessi attraverso le parole e i gesti di un altro personaggio. Come dice Alexandre, essere un clown è solo “una questione di trucco”, ma assumerlo significa correre il rischio della verità. Una battuta chiave, sin troppo programmatica, dice infatti: “La piccola pista è il luogo più pericoloso del mondo, dove tutto è possibile, dove gli occhi si aprono...”. È sulla pista, sottoponendosi al tragico numero della frusta che le ha ucciso l’uomo amato che Kate si libererà della corazza di dolore, come C Tutti i film della stagione le dice Vittorio: “Tutti i draghi della nostra vita sono forse principesse sofferenti che chiedono di venire liberate”. Come in molta parte del cinema di Rivette, anche qui lo spazio della rappresentazione è il luogo della finzione dichiarata, distanziata, messa in questione, persino irrisa. Non a caso i “numeri” del circo (Alexandre insiste con Vittorio nel definirle “scene”) sono ben povera cosa, persino puerili nella loro denudata pochezza: due acrobati eseguono un paio di banali esercizi, un trapezista sostenuto a vista da pesanti fili di ferro si solleva ben poco da terra in goffe movenze, un giocoliere fa roteare nel buio tre torce di fuoco... I personaggi recitano tutti in modo “teatrale”, costretti a battute di dialogo talvolta letterarie e filosofeggianti, irri- dendo alla stessa finzione. Fuori dello spazio della pista, i “numeri” acquistano talvolta una dimensione simbolica: si veda, in particolare, l’esercizio sul filo di Kate, alla ricerca di un equilibrio instabile fra natura (la montagna e la foresta sullo sfondo) e rappresentazione (il circo). Il titolo italiano del film, nella sua didascalicità riduttiva è fuorviante rispetto al titolo originale, 36 Vues du pic Sain-Loup, che suggeriva una dimensione straubiana alla rappresentazione (la luce tersa del paesaggio, la presenza incombente del monte, una sorta di divinità muta). Gli affanni degli umani vengono messi a confronto con la ieratica immutabilità della natura, riflesso del divino. Flavio Vergerio LE COSE IN TE NASCOSTE Italia, 2008 Regia: Vito Vinci Produzione: Nicola Contarello per N.C. Produzioni Distribuzione: A.B. Film Distributors Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008) Soggetto: Davide Pappalardo Sceneggiatura: Vito Vinci, Davide Pappalardo Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi Montaggio: Francesca Bracci, Ilaria Fraioli Musiche: Lisma Project Scenografia: Marta Zani Costumi: Caterina Nardi, Claudia Vaccaro Organizzatore generale: Roberto Di Coste Suono: Francesco Liotard Interpreti: Lea Mornar (Chiara), Luigi Iacuzio (Fabrizio), Elena Bouryka (Ada), Giovanni Luca Izzo (Riccardo), Francesca De Sapio (barbona), Franco Trevisi (Alfredo) Durata: 80’ Metri: 2200 31 Film na densa voice over scandisce deliranti liriche sul senso della vita; una giovane dall’aspetto sconvolto vaga mezza nuda per la città. Fabrizio incontra Chiara e tra i due subito s’innesca una cupa attrazione. Lui è operaio in una tipografia: vita precaria ma normale, una compagna, un figlio in arrivo. Lei è instabile, lunatica, violenta ed ermetica, fa la commessa in un negozio d’abbigliamento ma con due lauree in tasca e una fatale irrequietezza nella testa. Fabrizio vive in parallelo l’amore tenero e affranto per Ada, la fragile compagna sconvolta da una gravidanza difficile, e la passione disordinata per Chiara, smaniosamente oscillante tra le braccia di altri uomini, le telefonate notturne in cerca di sostegno e i cinici rabbiosi progetti di rivincita. Fabrizio è a tal punto soggiogato dalla giovane amante che, prossimo a perdere il posto di lavoro, si lascia coinvolgere nel folle progetto di rapinare una banca. Il terzo uomo è un’altra conquista notturna di Chiara; sarà lui a procurare le armi necessarie per la realizzazione del piano. Il giorno della rapina i tre entrano, travestiti, nel centro commerciale, poi si mettono in fila davanti agli sportelli. Il colpo va a segno, ma uno U Tutti i film della stagione dei tre resta morto a terra, insieme alla guardia giurata. Chiara e Fabrizio si precipitano fuori dalla banca, tentando di fuggire mescolati alla folla spaventata dagli spari, ma le porte del grande magazzino sono state chiuse. I due sono intercettati dalle guardie mentre corrono sui tetti. La ragazza fugge sola, Fabrizio e i due inseguitori sono colpiti e uccisi. Dopo aver lasciato il bottino nelle mani d’un bambino incontrato sull’autobus, Chiara si trova in breve accerchiata dagli agenti in borghese con le armi spianate. Un ultimo sparo a segno, un altro agente a terra, poi anche Chiara crolla ferita a morte. e cose in te nascoste è il secondo lungometraggio di finzione diretto da Vito Vinci, musicista, attore, regista di cinema e di teatro, sceneggiatore, nonché docente di molte di queste specialità. Nonostante l’inquinamento di cospicue infiltrazioni d’una letterarietà e d’una teatralità già in origine assai scadenti, il film di Vinci tenta, accettando il rischio, sentieri poco battuti dal cinema italiano di questi anni. Mescolando il dramma sociale e il noir europeo con un po’ d’azio- L ne e il disturbato sguardo d’un’autorialità poco sorvegliata Vinci prova a raccontare sullo schermo frustrazione ed esasperazione d’un uomo e d’una donna già sfioriti ma non ancora arresi all’orizzonte della vita adulta. Per scelta e per necessità Vinci sceglie un cast di professionisti non sconosciuti ma certo nemmeno “famosi” e li fa muovere in una Roma sporca, grigia, opprimente, persino monotona, tanto brutta quanto inedita: da San Paolo all’Esquilino, dalla Garbatella a Piazza Vittorio, Vinci usa la città con discrezione, una volta tanto evitando compiaciuti totali da cartolina, ma i ritagli della capitale che sceglie inquadrando – privi di forza e di organizzazione formale – sembrano troppo spesso scampoli di risulta, sguardi confusi e distratti. Con una narrazione ellittica che non concede alcuna comodità allo spettatore Vinci riesce a portare fino in fondo un film incompiuto e irrisolto, faticoso e arrancante, più vero nel ritrarre le rabbiose difficili tenerezze che nel dar corpo e immagine alla disperazione urlata dall’inizio alla fine. Silvio Grasselli SEGNALI DAL FUTURO (Knowing) Stati Uniti/Gran Bretagna, 2009 Trucco e acconciature: Leslye Vanderwalt, Helen Magelaki Supervisore effetti speciali: Angelo Sahin Supervisori effetti visivi: Antoine Deschamps (BUF), James Rogers (Postmodern), Eric Durst, Andrew Jackson Coordinatori effetti visivi: Daniela Giangrande, Debbie Steer (Animal Logic), Lucinda Glenn, John Ma Interpreti: Nicolas Cage (John Koestler), Chandler Canterbury (Caleb Koestler), Rose Byrne (Diana), Lara Robinson (Abby/Lucinda), D.G. Maloney (lo Straniero), Nadia Townsend (Grace), Alan Hopgood (reverendo Koestler), Adrienne Pickering (Allison), Joshua Long (Caleb da piccolo), Danielle Carter (signorina Taylor nel 1959), Alethea McGrath (signorina Taylor nel 2009), David Lennie (preside Clark nel 1959), Tamara Donnellan (madre di Lucinda), Travis Waite (padre di Lucinda), Ben Mendelsohn (Phil Beckman), Gareth Yuen (Donald), Lesley Anne Mitchell (Stacey), Liam Hemsworth ( Spencer), Raymond Thomas (insegnante ), Carolyn Shakespeare-Allen (preside nel 2009), Jake Bradley (ragazzo), Rody Claude (guardia), Nathaniel Kiwi, Blair Venn (medici), Alyssa McClelland (assistente di volo), Joseph Clements (agente FBI), Susan Miller (agente polizia), Menik Gooneratne (donna con bambino), Marc Lawrence (conducente treno), Terry Camilleri (cassiere), Erin Klein (autista jeep) Durata: 121’ Metri: 3280 Regia: Alex Proyas Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, Alex Proyas, Steve Tisch per Summit Entertainment/Escape Artists/Goldcrest Pictures/Kaplan-Perrone Entertainment/Wintergreen Productions. In associazione con Mystery Clock Cinema Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 4-9-2009; Milano 4-9-2009) Soggetto: Ryne Douglas Pearson Sceneggiatura: Ryne Douglas Pearson, Juliet Snowden, Stiles White Direttore della fotografia: Simon Duggan Montaggio: Richard Learoyd Musiche: Marco Beltrami Scenografia: Steven Jones-Evans Costumi: Terry Ryan Produttori esecutivi: David Alper, David J. Bloomfield, Topher Dow, Norman Golightly, Stephen Jones Coproduttore: Ryne Douglas Pearson Direttore di produzione: Jennifer Cornwell Casting: Gregory Apps Aiuti regista: Steve E. Andrews, Johnny Pacialeo, Kate North Ash, Betty Fotofili Operatori: Peter McCaffrey, Bruce Phillips Art director: Sam Lennox Arredatore: Nicki Gardiner 32 Film iamo nel 1959. In occasione di una cerimonia per una scuola elementare, un’insegnante chiede alla propria classe di disegnare come si immaginano il futuro del mondo. Tutti questi disegni verranno poi inseriti in una capsula del tempo, che verrà riaperta 50 anni dopo da una futura classe della stessa scuola. Lucinda riempie interamente il suo foglio con una serie apparentemente casuale di numeri come se fosse in trance. Durante la cerimonia, la bambina scompare; viene ritrovata dall’insegnante in uno stanzino, dove, graffiando con le unghie il legno della porta, ha terminato la sequenza. Lucinda le chiede di far smettere di sussurrare le voci che sente nella testa. Ora siamo nel 2009. Viene riaperta la capsula. Ogni disegno viene assegnato a un bambino per un compito successivo. Il messaggio cifrato di Lucinda capita a Caleb Koestler, bambino con leggeri problemi uditivi. Il padre di Caleb, il professore di astrofisica John Koestler, è uno degli eminenti professori del MIT. Ancora sconvolto per la perdita della moglie, morta durante un incendio in un albergo, si mette per caso a decifrare i numeri. Scopre così che il messaggio contiene le date ed il numero delle vittime di tutti i più grandi disastri dell’umanità degli ultimi 50 anni, compreso quello in cui morì la moglie. John, assieme all’amico e collega Phil scopre, inoltre, che tre catastrofi devono ancora verificarsi; Phil gli fa notare che alcuni numeri interni al codice sembrano apparentemente privi di significato. Intanto Caleb viene pedinato da strani uomini, che, ogni volta, gli regalano un sasso da conservare; Caleb, prima che questi uomini arrivino sente degli strani suoni. Sempre casualmente, John scopre che quei numeri sono in realtà le coordinate esatte dei luoghi dei disastri; casualmente si ritrova di fronte al primo: un aereo che si schianta su di una fila di macchine. Impotente, cerca comunque di aiutare i superstiti. La notte successiva, uno degli uomini mostra in sogno a Caleb un immenso incendio che devasterà la Terra. John, tramite la vecchia insegnante che le racconta l’episodio dello stanzino, trova Diana e Abby Wayland, rispettivamente figlia e nipote di Lucinda, a cui tenta di chiedere aiuto inutilmente: Diana credeva che la madre fosse solo una pazza che aveva persino predetto la data della sua morte. Caleb e Abby entrano subito in sintonia. John decide di andare a New York, luogo del secondo disastro: un incidente S Tutti i film della stagione nella metropolitana, che non riesce a sventare. Diana e Abby raggiungono la casa di John; anche lei ora gli crede. Decidono di andare a casa di Lucinda, dove trovano diversi sassi, uguali a quelli donati a Caleb. Gli Uomini giungono dai bambini, rimasti soli in macchina, dicendo loro che sono liberi di seguirli non appena decidano di farlo. John e Diana capiscono che l’ultima data del codice altro non è che la fine del mondo. Infatti, sta per verificarsi un’anomalia nei raggi solari, studiata mesi prima da John stesso in una pubblicazione di successo, che porterà a un’immensa gettata di fuoco sulla Terra; mortale per ogni essere vivente. I quattro decidono di provare a salvarsi nascondendosi in alcune grotte; John tenta di convincere il padre, con cui non parla da anni, la madre e la sorella a fare altrettanto, ma inutilmente. Con l’ultima illuminazione capisce di dover tornare alla scuola e scoprire le ultime cifre nascoste nella porta dello stanzino. Diana, credendolo pazzo, porta via i bambini, con l’ultimo disperato tentativo di seguirli, muore in un incidente d’auto davanti agli occhi di John che è riuscito a raggiungerla. John ritorna davanti alla casa di Lucinda; dietro vi è un bosco le cui coordinate si trovavano sulla porta. Gli Uomini altro non sono che alieni venuti per salvare dal disastro solo determinate persone. In questa navicella, devono partire Caleb ed Abby. Comprendendo, John lascia andare suo figlio. La navicella parte e con lei se ne vedono altre che si staccano in diversi punti della Terra. John raggiunge la sua famiglia. In un abbraccio riconciliatore muoiono tutti e quattro. In un pianeta lontano Caleb ed Abby sono i nuovi Adamo ed Eva che corrono verso l’Albero della Conoscenza. n film non facile da decifrare, tanto quanto il suo codice, perché sarebbe altrettanto facile etichettarlo come un film di genere riuscito solo in parte. Un’opera suddivisibile in due unità. Si inizia come il classico film sulla fine del mondo, con catastrofi al seguito, in cui il protagonista inizialmente non viene creduto da nessuno. Poi, prove alla mano, porta chi gli è vicino a non dubitare più delle proprie teorie. In quell’istante, però, cambia qualcosa. Entrano in gioco alieni e persino un’interpretazione personale del regista su chi in realtà sia Dio e sui misteri della Creazione. Indubbiamente, un finale con tale rivelazione riesce inevitabilmente a colpire. U 33 La sequela di film che stanno uscendo sulla fine del mondo e i numeri al botteghino sono una conferma di quanto tali storie stiano appassionando il pubblico. Senza dimenticare di annoverare, altro punto su cui il film fa perno per emozionare, queste entità aliene che vengono in soccorso dell’uomo. Quanto si sente il bisogno di credere in qualcosa di superiore che possa salvarci e darci un’altra possibilità di redenzione? Cos’altro, allora, può essere meglio di un nuovo Eden e di una nuova coppia di progenitori universali? Questo è quello che il regista Alex Proyas vuole raccontarci. Lui che già aveva colpito il pubblico con le due opere visionarie, Dark City e Il Corvo, rimasto negli annali anche grazie alla tragica morte di Brandon Lee durante le riprese, per poi deviare nel fantascientifico Io, robot. Un regista cupo, che riesce a mescolare sapientemente romanticismo a una giusta dose di incombente e inevitabile destino, in base alla storia che decide di raccontarci. Abbandonate le atmosfere dark dei primi due lavori, decide di portare quell’oscurità all’interno dell’uomo stesso. L’inquietante Lucinda, il senso di impotenza, la tragicità dell’umanità prendono sempre più spazio man mano che John compie il suo percorso. Un cammino già di per sé segnato dal dolore per la perdita della moglie, che, in verità, ricalca il personaggio di Mel Gibson in Signs e che prosegue col tentativo di redenzione, impregnato dal senso di impotenza per non aver potuto far nulla per salvarla. Una sceneggiatura costruita come una sapiente caccia al tesoro, i cui passaggi a volte risultano già comprensibili prima ancora che John faccia il passo successivo. Niente dialoghi folgoranti, niente di nuovo, ma almeno ha il merito di non utilizzare le solite banalità sull’umanità e sul perché dovrebbe essere salvata, come accade nel remake di Ultimatum alla Terra. Che gli Uomini siano alieni si subodora dal momento in cui ne appare uno in sogno a Caleb; intuizione aiutata dall’utilizzo della fotografia nel corso della scena, che ne ricalca una di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Almeno il colpo di scena finale lascia una sensazione di dolceamaro che un film di tale genere dovrebbe donare. Le sequenze delle catastrofi sono ben realizzate, sia come costruzione di immagini sia come effetti speciali: niente musiche drammatiche di sottofondo, solo i puri rumori di esplosioni, urla strazianti e sfrigolii dei metalli. Elena Mandolini Film Tutti i film della stagione JUST FRIENDS SOLO AMICI (Just Friends) Stati Uniti/Canada/Germania, 2005 Acconciature: Angelina P. Cameron, Nina McArthur, Tinka White Effetti speciali trucco: Bill Terezakis Effetti trucco: Patricia Murray Supervisore effetti speciali: James Krozier Coordinatore effetti speciali: Tim Storvick Coordinatore effetti visivi: Ann-Marie Blommaert Supervisore musiche: Patrick Houlihan Interpreti: Ryan Reynolds (Chris Brander), Amy Smart (Jamie Palamino), Anna Faris (Samantha James), Chris Klein (Dusty Dinkleman), Chris Marquette (Mike Brander), Giacomo Beltrami (Mike Brander giovane), Fred Ewanuick (Clark), Amy Matysio (Darla), Julie Hagerty (Carol Brander), Wendy Anderson (sig.ra Palamino), Barry Flatman (sig. Palamino), Devyn Burant (Brett), Jaden Ryan (Joey), Annie Brebner (Sarah), Mike O’Brien (padre), Ty Olsson (Tim), Todd Lewis (Kyle), Stephen Root (KC), Robin Dunne (Ray), Trenna Keating (Nancy), Sharon Bakker (Rhonda), Maria Arcé (Athena), Jillian Walchuck (Mandy), Ashley Scott (Janice), Jody Peters (pilota), Simon Chin (ingegnere del suono), Dayna Devon (ospite show tv), Michael Ansah (Wafoofi), Skye Brandon (Toady), Sally Crooks (Granny Palamino), Mike Simpson (prete), Lorelei Gibson (Sheila) Durata: 96’ Metri: 2400 Regia: Roger Kumble Produzione: Chris Bender, Bill Johnson, Michael Ohoven, J.C. Spink, William Vince per Inferno Distribution/Cinerenta/BenderSpink/Cinezeta/Just Friends Productions. In associazione con Infinity Media Distribuzione: CDI Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009) Soggetto e sceneggiatura: Adam ‘Tex’ Davis Direttore della fotografia: Anthony B. Richmond Montaggio: Jeff Freeman Musiche: Jeff Cardoni Scenografia: Robb Wilson King Costumi: Alexandra Welker Produttori esecutivi: Cale Boyter, Richard Brener, Toby Emmerich, Marco Mehlitz, Jim Seibel Produttore associato: Magnus Kim Coproduttore: Jake Weiner Direttori di produzione: Brendan Ferguson, Jay Sedrish Casting: Rick Montgomery Aiuti regista: Jim Brebner, James Bitonti, Michael Pohorly, Ruby Stillwater, Jayden Soroka Operatori: Roger Finlay, Candide Franklyn Arredatore: Christina Kuhnigk Coordinatore trucco: Maureen Terezakis Trucco: Stan Edmonds, Jennifer Forberg, Jennifer Davis el 1995 Chris Brander è un liceale parecchio imbranato e piuttosto grassoccio, che ama senza essere corrisposto la bella, bionda, simpatica (e longilinea) coetanea Jamie Palamino, che ovviamente lo considera il proprio migliore amico e mai potrebbe immaginare i delicati sentimenti che da sempre lui nutre per lei. Dopo la consegna dei diplomi, durante una chiassosa festa a casa di lei, Chris decide di dichiararsi con una timida dedica sull’annuario scolastico, che però finisce nelle mani sbagliate e viene dunque declamata a tutti i partecipanti alla festa, compresa Jamie. Vittima di prese in giro a non finire, al poverino arriva anche il colpo di grazia della fanciulla, che gli comunica sorridendo che per lei è come un fratello. Dieci anni dopo, abbandonato il paesino del New Jersey teatro di tanta amarezza ed eliminati l’apparecchio ortodontico, i chili di troppo e l’insicurezza, Chris è un giovane aitante e di gran successo, che a Los Angeles lavora come produttore musicale. Fedele al principio di non arrivare mai come una donna nella “zona amici”, il neo-fusto colleziona ammiratrici e avventure e non si impegna mai. Purtroppo per lui, gli tocca mettere sotto contratto l’eccentrica – e molto instabile, se non folle - pop star Samantha James, nota N principalmente per le sue foto delicatamente osé e con la quale in passato forse c’è stato del tenero, ma soprattutto assolutamente incapace di cantare in maniera intonata. La viziata fanciulla compone da sola le proprie atroci canzoni, traendo ispirazione dalla realtà che la circonda e l’idea di passare del tempo col bel Chris la rende felicissima; lui, ovviamente, fa buon viso a cattiva sorte e vorrebbe sempre essere altrove. Durante il volo che dovrebbe portarli a Parigi per pseudo-motivi di lavoro, Samantha provoca un incidente all’aereo (fa esplodere un forno a microonde) e i due sono costretti a un atterraggio d’emergenza non troppo lontano dal paesello natio di lui. Chris riluttante propone di trascorrere una notte a casa della mamma per poi ripartire l’indomani. Una innocua puntatina di Chris e Samantha al pub lascia stupefatti gli amici d’infanzia di lui, che stentano a riconoscere in quel bellissimo giovane il pingue liceale che fu. Anche Jamie, che studia per diventare insegnante e arrotonda mescendo birra al bancone, è piacevolmente colpita, e un po’ imbarazzata: “Finalmente riesco ad abbracciarti tutto”, gli dice radiosa. Ovviamente la partenza viene rimandata da Chris, che organizza improbabili impegni lavorativi nei centri commerciali 34 della zona per l’ingenua Samantha – opportunamente affidata al fratello minore e trama per aggiungere la bella Jamie nel carniere delle conquiste da una notte. Tuttavia, qualcosa va sempre storto; lui sembra trasformarsi nell’imbranato di dieci anni prima e trova un rivale nell’autista d’ambulanze un po’ piacione Dusty Dinkleman, un tempo insulso strimpellatore di canzoni d’amore per Jamie, che non l’aveva mai considerato in passato ma che ora parrebbe interessata. Con i suoi modi di fare cordiali e alla mano Dusty conquista l’intera, numerosissima, famiglia di lei, è amato dai bambini e non perde occasione di far fare a Chris la figura del cretino. Addirittura, dopo averlo soccorso durante un’innocua partita a hockey su ghiaccio con dei ragazzini, lo fa cadere dalla barella a faccia in giù nella neve, costringendolo a un temporaneo apparecchio ortodontico per rimettere in sesto il sorriso. Quando, per caso, Chris scopre le reali, poco serie, intenzioni di Dusty nei confronti di Jamie, prova a mettere in guardia la ragazza, che però non gli crede e i due finiscono per litigare. A ciò va aggiunto che la sempre più instabile Samantha si comporta con Chris come se fosse il suo fidanzato, allontanando ogni speranza di una riconciliazione tra i due (ormai ex) amici. Come previsto, Dusty si rivela per quel che Film è anche agli occhi di Jamie, che lo liquida con il solito “sei un bravo ragazzo, ma non provo nulla per te”, ma non per questo cambia opinione sull’amico ritrovato. Chris riparte per Los Angeles con la consapevolezza di non aver mai smesso di amare Jamie. Quello che non può sapere è che a lei questa nuova attraente versione dell’amico piace molto, al punto da essere rimasta molto delusa dall’aver trascorso un’intera notte con lui nello stesso letto, come ai tempi della scuola, e di aver solo dormito. In ogni caso, Chris ci ripensa, torna indietro al paesello e nonostante le reazioni furibonde della recalcitrante fanciulla, le fa una dichiarazione d’amore in piena regola e, finalmente, i due iniziano una nuova e sfavillante vita insieme, come una coppia di innamorati. uriosa, ma non originale, variazione sul tema del brutto anatroccolo, Just Friends – Solo amici ha il grande pregio di non prendersi mai sul serio, e l’altrettanto grande difetto di raccontare una storia pressoché inutile. Nulla di grave, per carità: il regista ci ha abituato a prodotti ben peggiori, quali la doppietta di insulsi Cruel Intentions (1999) e Cruel Intentions 2 (2000), il demenziale La cosa più dolce (2003) e il vacuo In viaggio per il college, distribuito nei cinema italiani la scorsa estate ma più recente di tre anni rispetto a Just Friends, realizzato nel lontano 2005. Con i primi caldi, come da tradizione, si svuotano i magazzini dalle giacenze d’annata. Il film è una commedia romantica e abbastanza simpatica, recitata con una certa cura – tutti gli attori portano a casa un compitino ben fatto, senza particolari vette di eccellenza – e sa strappare qualche risata di pancia; non è esente da qualche volgarità, ma, per fortuna, ci si ferma sempre un attimo prima di superare la soglia della decenza. Tuttavia si regge su una trama esilissima e questo inficia gran parte del risultato, senza contare l’ombra incombente del déjà vu, che si insinua ricordando qua e là i fratelli Farrelly di Tutti pazzi per Mary e tanti altri blockbuster stelle e strisce. Ma, forse, il problema è un altro. Se lui è poco attraente e lei molto carina, le possibilità che lei lo ami per quel che è si riducono a zero, avvertono Kumble e l’insospettabile sceneggiatore Adam ‘Tex’ Davis (due anni dopo autore di Gardener of Eden), che implicitamente suggeriscono al proprio pubblico di curarsi di più e diventare belli (se diventi bello ti sposo?), sì da coronare il sogno d’amore. Ipotesi che qualcuno forse troverà interessante, C Tutti i film della stagione nella sua indubbia immoralità (per tacere della debolezza narrativa). Peccato, comunque la si pensi, aver puntato tutto sulla romantica storia d’amore, perché le potenzialità di Just Friends risiedono davvero altrove, ovvero nella sua spiccata demenzialità. E i protagonisti di questo film parallelo non sono affatto la provinciale (e calcolatrice, diciamolo) Jamie e la versione riveduta e corretta di Chris, bensì la futile Samantha, interpretata dalla sempre scoppiettante Anna Faris, e il lato “oscuro” del bel Chris, un ottimo Ryan Reynolds che non deve necessariamente imbruttirsi per dimostrare il proprio talento. La prima è un incrocio ben riuscito tra la platinata ereditiera Paris Hilton e la più svagata delle Britney Spears: ogni sua delirante apparizione lascia il segno, impone il ritmo giusto alla scena e permette di virare nelle acque tranquille di una comicità tutta fisica, libera da vincolanti – e fuori luogo - elucubrazioni moraliste. Quanto al cinico Chris, è interessante scoprire come dietro le apparenze da giovane uomo realizzato, bello, sportivo e sicuro di sé, si nasconda l’ex ciccione un po’ tonto che fu, che da dieci anni scalpita per tornare alla luce. La permanenza nei luoghi che l’hanno visto crescere sono certamente l’occasione giusta per un tuffo nel passato e, ancor più sorprendente, è la sua regressione, che prende il via azzuffandosi col fratello minore come se avesse ancora quindici anni, e finisce con l’indossa- re addirittura l’apparecchio smesso da almeno un decennio. Il background da cui proviene Chris, d’altronde, è squisitamente provinciale, con quel paesello che assomiglia al villaggio di Babbo Natale e una famiglia d’origine che non brilla certo per acume: la mamma ha il quoziente intellettivo di una ottenne e non perde occasione di dimostrarlo, con battute fuori luogo e la prontezza di riflessi mentali di una foglia di basilico. Con il trascorrere dei giorni, Chris rivela lo sconcertante vuoto della propria esistenza, fatta di gesti affettati, falsi sorrisi e una dieta di mantenimento che non ammette errori: non male, per una persona che ha fatto del desiderio di riscossa una (l’unica) ragione di vita. Ma il meglio, come spesso accade, arriva alla fine. Scavalcati il melenso finale e il brutto finalissimo, con l’inutile sketch dei tre bimbi alla finestra, ecco il ritorno in gran carriera del “vero” Chris, che con tutti i suoi chili in eccesso, le mossettine idiote e lo sguardo fiero, canta in playback, protetto dalla sua stanzetta da adolescente, la sdolcinata I Swear degli All 4 One (fingendo perfino di suonare il sassofono), subito seguito dall’esecuzione di Samantha del suo brano Forgiveness –, con cui ha tediato per l’intero film. Come dire che la bella Jamie si è innamorata del bel Chris, ma, in fin dei conti, per dirla come Carla Signoris, ha sposato un deficiente. Manuela Pinetti GIULIA NON ESCE LA SERA Italia, 2009 Regia: Giuseppe Piccioni Produzione: Lionello Cerri per Rai Cinema/Lumière & Co. Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 27-2-2009; Milano 27-2-2009) Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Federica Pontremoli Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Esmeralda Calabria Musiche: Francesco Bianconi, Baustelle Scenografia: Giada Calabria Costumi: Maria Rita Barbera Organizzazione generale: Massimo Di Rocco, Luigi Napoleone, Beatrice Biggi Casting: Fabiola Banzi Aiuti regista: Sophie Chiarello, Chiara Polizzi Suono: Remo Ugolinelli, Alessandro Palmerini Interpreti: Valerio Mastandrea (Guido Montani), Valeria Golino (Giulia), Sonia Bergamasco (Benedetta Montani), Domiziana Cardinali (Costanza Montani), Jacopo Domenicucci (Filippo), Jacopo Bicocchi (Enrico Giussi), Sara Tosti (Sofia), Chiara Nicola (Viola), Fabio Camilli (Eugenio), Sasa Vulicevic (Padre Rosario), Paolo Sassanelli (Bruno), Lidia Vitale (agente), Antonia Liskova (Eva), Piera Degli Esposti (Attilia) Durata: 105’ Metri: 2810 35 Film uido è uno scrittore appena fresco di nomination alla cinquina di un prestigioso premio letterario. Ma a questa importante tappa della sua carriera letteraria fanno riscontro gli inequivocabili sintomi di una crisi creativa: Guido non riesce più a scrivere, i personaggi dei suoi racconti girano a vuoto e non sembrano ottenere grande riscontro. neanche presso la sua agente e la sua famiglia: Benedetta, moglie con la quale il rapporto non sembra più offrire nuovi slanci – e la donna si illude che ristrutturare la casa nuova possa rappresentare un nuovo inizio-, e Costanza, la figlia adolescente e rotondetta, costretta ad andare in piscina dai genitori controvoglia. Un giorno, è proprio Costanza a confessarlo a Guido: ne ha parlato con l’istruttrice, che notando la riluttanza della bambina ha concluso che è il padre – che non sa nuotare – a voler andare in piscina, e non lei. Guido divide, dunque, le sue giornate tra la promozione del proprio libro – in verità, tutti coloro che lo hanno letto, pur lodandolo, ammettono di non averlo mai finito –, e le giornate in piscina sotto gli occhi dell’istruttrice Giulia, donna taciturna e dai metodi spicci che, poco a poco, si fa entrare in simpatia Guido per la sua goffaggine. I due cominciano a parlare di sé, ma sempre fino a un certo punto: Giulia mantiene una certa reticenza, insiste a dirgli che non può uscire con lui la sera, e cambia discorso. Un giorno cede: è detenuta, ha la semilibertà grazie alla quale lavora in piscina ma deve ancora scontare sette anni di reclusione per aver ucciso un uomo, il suo amante, colpevole di averla voluta lasciare. Guido la riaccompagna in carcere: Giulia gli mostra il bar del marito, la figlia che non ha mai più voluto vederla. Riaccompagnata al carcere, Guido G Tutti i film della stagione vorrebbe baciare Giulia, ma la donna lo respinge ed esce dalla macchina. Guido non si dà per vinto e riesce a portarla con sé prima a pranzo da lui, poi al mare. La diffidenza di lei è sempre palese, ma lui cerca di rassicurarla come può: anche se non riesce a fare 50 vasche in piscina resta sempre a galla ed è quello che a lui importa, perché lei potrà sempre appoggiarsi a lui. Costanza, nel frattempo, ha problemi col boy-friend Filippo, ragazzetto occhialuto e intellettuale con cui Guido ha raggiunto una veloce intesa; anche con Benedetta i nodi cominciano a venire al pettine. La donna non riesce a convincere Guido a raggiungerla nella nuova casa, salvo una notte in cui dei ladri si sono introdotti e hanno rubato delle cose. Quella notte, Benedetta si sfoga con lui, accusandolo di non provare più attrazione sessuale per lei. Guido è sempre più attirato, ricambiato, da Giulia: i due fanno l’amore nella casa ormai vuota di lui. Durante l’ultima conferenza stampa del concorso letterario, lei lo raggiunge e lo affronta stizzita: Guido, senza dirle niente, ha contattato la figlia spacciandosi per lei e le ha chiesto un appuntamento. La ragazza ha risposto di sì e lei ora non sa cosa fare. Guido si offre di accompagnarla, nonostante le pressioni dell’agente a rimanere per un’intervista esclusiva. Al bar, Giulia incontra prima il marito, che le chiede di lei, poi la figlia. Non è l’incontro che Giulia si aspettava: la ragazza mostra apertamente il suo disprezzo, dice di avere accettato solo per il padre che è ancora innamorato di lei. Le intima di lasciarli in pace e se ne va. Guido, che si era allontanato per tornare in sala conferenze, arriva tardi: il giornalista è andato via. Tornato sui suoi passi, non trova più nemmeno Giulia. 36 La donna sembra sparita: in piscina non c’è. La polizia la cerca. Guido se la ritrova sotto casa. Dapprima, la donna finge che tutto sia andato liscio, poi crolla: la figlia la odia e non sa più come andare avanti. Passa la notte con lui e la mattina dopo si ripresenta al carcere, ma già pochi metri dentro comincia a dare in escandescenze. Qualcosa in lei sembra essersi rotto. Guido non riesce più a vederla: né in piscina né in carcere per un colloquio, Giulia non dà il proprio permesso alla visita. Scoprirà presto, dalle chiacchiere dei clienti della piscina, che si è tolta la vita. Non ha retto al peso. Guido riuscirà a recuperare i suoi effetti personali: fra le altre cose c’è un diario, proprio come quello che Guido ha incominciato a scrivere da piccolo e che ha rappresentato il suo vero “esordio” letterario. Nel diario Giulia parla di sé e di lui, dalla propria prospettiva: ne vede i pregi e i difetti, descrive i suoi pedinamenti continui, capisce che non ha un futuro con lui. Un Guido cambiato raggiunge – senza Benedetta ma con la figlia Costanza – la sede della finale del premio letterario: fra cene fastose e ospiti anziani e melliflui, Guido assiste indifferente alla propria sconfitta e finisce in giardino a mangiare pasticcini con Costanza. erché continuare a lamentarsi del cinema italiano e dei propri congeniti, inguaribili difetti, se poi ci ritroviamo (pressoché) unanimi – noi e solo noi, chè all’estero ben poco sanno del cinema italiano – al plauso unanime per prodotti come Giulia non esce la sera? È ormai evidente che la distanza tra i cineasti italiani e la vita quotidiana è pressoché incolmabile. Viene da pensare che questi autori non vadano mai a fare la spesa, non siano mai colpiti da una disgrazia comune come un mal di denti (diversamente, vedremmo una VERA sala d’aspetto anziché un antro livido e quasi espressionista), vivano costantemente protetti da una intellettualistica campana di vetro che li protegge e allo stesso tempo li eleva una spanna sopra il resto del mondo. Che però è quello che paga il biglietto. Tutte cose che Dino Risi già sottolineava con una sola battuta di Gassman in Il sorpasso, per dire quanto il problema sia recente. Eppure continuiamo a farci del male, con Piccioni e tanti altri senatori del nostro cinema che continuano a girare film senza farsi (loro che potrebbero) testimoni delle nuove generazioni o dell’epoca malata e statica in cui viviamo, ma solo autoreferenziali narratori di se stessi. Che è poi la regola numero 1, in qualsiasi corso di scrittura creativa, che ti esortano a rispettare: a ben pochi importa della tua vita. Probabilmente Piccioni P Film e la sceneggiatrice Federica Pontremoli, fieri di poter fare cinema in un paese dove basta avere un prodotto finito per consacrare uno status di autore, non la pensano così: distinguersi dalla massa anziché comprenderla e alzare il tiro delle proprie ambizioni in chiave intellettualistica ed elitaria dev’essere la cosa più importante. Dopotutto c’è sempre l’arma della qualità da poter impugnare: ma che strano, quando la somma degli addendi qualitativamente migliori (la fotografia di Luca Bigazzi, le musiche dei trendyssimi Baustelle, le scenografie di Giada Calabria) dà un prodotto freddo e distante. A mancare in Giulia non esce la sera è l’anima e, soprattutto, la fantasia. Il nuovo che non avanza, e non si vede nemmeno col cannocchiale. Sul piano della narrazione assistiamo a scene deboli, problemi già visti, svolte narrative prevedibili. Il protagoni- Tutti i film della stagione sta Guido, felliniano sin dal nome proprio, si perde in fantasie trite e ritrite, con tanto di personaggi in cerca d’autore che si materializzano alle sue spalle; una vera novità, come la sua crisi creativa e sentimentale. (Il mondo, nel frattempo, è fuori a prendersi un caffè in attesa che qualcuno parli di problemi più ampi, magari anche solo condivisibili). L’attore che lo interpreta, Valerio Mastandrea, è un interprete di gran talento ma nettamente inadatto per raffigurare una sofferenza interiore debitrice a certo cinema francese che, tanto ammirato quanto criticato, va saputo comunque fare. La Golino regala un ritratto di donna sofferto e partecipe, ma la cornice che ne racchiude l’interpretazione è vecchiotta e non coinvolge; mostrano ulteriormente la corda i personaggi di contorno, troppo “studiati” per essere veri. L’errore, tipico di certo cinema come di certa altra ideologia (non a caso in preoccupante via d’estinzione), è affermare i - sacrosanti - valori narrativi più elevati a scapito del caos e della confusione culturale circostante, senza venire a patti col mondo, anche laido, che ci circonda: tra splendide cucine che nessun operaio potrebbe permettersi (ricordate l’incredibile appartamento di Accorsi in Le fate ignoranti?) e la totale assenza di vero quotidiano, si macchia tutto ciò che si fa col peccato originale dello snobismo, della parzialità di quel che si descrive. Citeremo ancora il povero Risi e Straziami...ma di baci saziami che è la fotografia essenziale di ciò che stiamo scrivendo. La soluzione è nelle nostre mani da oltre trent’anni e un cinema in mano a uffici stampa e addetti al marketing la sta bellamente trascurando. Gianluigi Ceccarelli OBSESSED (Obsessed) Stati Uniti, 2009 Arredatore: Dena Roth Trucco: Patricia Androff, Janeen Schreyer, Francesca Tolot Acconciature: Colleen LaBaff, Martin Samuel Supervisori effetti visivi: Edson Williams (Lola Visual Effects), Rocco Passionino Supervisore costumi: Heidi Higginbotham Supervisore musiche: Pilar McCurry Interpreti: Idris Elba (Derek Charles), Beyoncé Knowles (Sharon Charles), Ali Larter (Lisa Sheridan), Jerry O’Connell (Ben), Bonnie Perlman (Marge), Bruce McGill (Joe Gage), Christine Lahti (detective Monica Reese), Nathan Myers, Nicolas Myers (Kyle Charles), Scout Taylor-Compton (Samantha), Richard Ruccolo (Hank), Bryan Ross (uomo sicurezza), Nelson Mashita (dottore), Ron Roggé (Roger), George Ketsios (impiegato hotel), Meredith Roberts (Connie), Catherine Munden (cameriera cocktail), Dana Cuomo (Rachel), Jon Rowland (John), Janora McDuffie (infermiera) Durata: 108’ Metri: 2915 Regia: Steve Shill Produzione: William Packer per Screen Gems/Rainforest Films Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: David Loughery Direttore della fotografia: Ken Seng Montaggio: Paul Seydor Musiche: James Dooley Scenografia: Jon Gary Steele Costumi: Maya Lieberman Produttori esecutivi: Glenn S. Gainor, Jeffrey Graup, Beyoncé Knowles, Mathew Knowles, Damon Lee, David Loughery Produttore associato: George Flynn Coproduttore: Nicolas Stern Direttore di produzione: Glenn S. Gainor Casting: Ron Digman, Valorie Massalas Aiuti regista: Mark Anthony Little, Danny Green, Pamela Monroe Operatori: Joseph Aguirre, Barnaby Shapiro Art director: Chris Cornwell erek e Sharon sono felicemente sposati da quasi 3 anni e hanno un figlio, Kyle. La coppia si è trasferita da poco nella nuova casa. L’uomo, un importante dirigente d’azienda, ha da poco ottenuto una promozione dal suo capo. Un giorno, per sostituire un dipendente malato, viene assunta temporaneamente una nuova segretaria, Lisa. La donna, estremamente attraente, fa di tutto per farsi notare da Derek, mettendosi in mostra per le sue capacità e per la sua efficienza. Dietro la sua condotta, però, cerca in ogni modo di sedurrlo: spia le sue telefonate con la moglie e cerca di ottenere continuamente informazioni su di lui. Una D volta, lo impietosisce mettendosi a piangere davanti a lui parlandogli delle sue difficoltà di instaurare una relazione duratura con gli uomini. Lisa scopre definitivamente le sue carte durante la festa organizzata dalla sua azienda per festeggiare il Natale, quando lo corteggia apertamente nella toilette degli uomini. Lui si riesce a liberare a fatica e, sconvolto, rientra a casa. Le avances della donna però non finiscono qui. Dopo una giornata di lavoro, entra nella sua auto e apre l’impermeabile dove sotto c’è solo abbigliamento intimo. A quel punto pensa di dire tutto alla moglie Sharon, ma poi ci ripensa. Inoltre, non potendo più sostenere la sua presenza 37 sul luogo di lavoro, pensa di farla licenziare. Prima di questa eventualità, però, la sua agenzia ha chiamato in azienda dicendo che Lisa non tornerà a lavorare lì. Tutto sembra tornato alla normalità. Ma, all’improvviso, la giovane donna ricomincia a ossessionare Derek. Prima inizia a tempestarlo via mail. Poi viene a scoprire che con i suoi colleghi si trova per delle riunioni di lavoro in un hotel. Arrivata anche lei lì, mette una sostanza nel suo drink, e successivamente, approfitta di lui incosciente, dopo essersi intrufolata nella sua stanza d’albergo. Ormai Lisa non ha più remore. Si fa passare anche per sua moglie e poi, vedendosi rifiutata per l’en- Film nesima volta, tenta il suicidio inghiottendo delle pillole. In ospedale, il detective Reese sta indagando sul caso. Lì arriva anche Sharon che viene a sapere tutto e crede che Derek abbia fatto sesso con Lisa. L’uomo cerca invano di convincere la moglie che Lisa si è inventata tutto ma senza successo. Decide, così, di mandarlo via di casa. Passa qualche mese. La coppia si vede di tanto in tanto per il figlio. Derek comunque cerca di riallacciare in ogni modo i rapporti con Sharon e, alla fine, riesce a invitarla a cena per il suo compleanno. Mentre i due sono fuori e fanno pace, Lisa entra nella casa della coppia e convince la babysitter di essere un’amica di Sharon e di essere venuta lì per portare un regalo a Kyle. Quando Derek e Sharon tornano a casa si accorgono che il loro bambino è stato portato via. Kyle viene comunque ritrovato subito dopo dentro l’auto. Si rivolgono così al detective Reese e anche l’agente, alla fine, si convince di avere a che fare con una psicopatica. Un’altra volta, dopo essersi ritrovati la casa sottosopra, decidono di mettere un allarme collegato con la polizia. Poi si organizzano per andare a San Diego per l’anniversario di matrimonio dei genitori di Sharon. Dopo essere partita, però, la moglie di Derek si accorge di non aver inserito l’allarme. Rientra così a casa e lì si trova Lisa nella loro camera da letto. Le due donne si fronteggiano senza esclusione di colpi fino a quando Lisa muore schiantandosi su un tavolino di vetro. Tutti i film della stagione e la strada cinematografica che ha scelto la star musicale Beyoncé (che proprio quest’anno ha riscosso un grande successo con il singolo Halo) deve portare a pellicole come Obsessed c’è poco da stare allegri. Eppure la sua carriera come attrice aveva fatto sperare in qualcosa di meglio, visti i risultati dell’ottimo Dreamgirls di Bill Condon e del corretto Cadillac Records di Darnell Martin dove interpretava, con sorprendente intensità, il ruolo di Etta James. Di quest’ultimo film, oltre che di Obsessed , Beyoncé è produttore esecutivo. Se però la struttura di ‘biopic musicale’ di Cadillac Records appare in linea con gli interessi e la sensibilità della star, nella pellicola diretta da Steve Shill tutto appare stonato, a cominciare anche dallo stesso brano Smash Into You compreso nella colonna sonora del film, che appare dissonante con le forme del thriller torbido a cui Obsessed vorrebbe invano aspirare. Innanzitutto sembra che la cantante, proprio all’interno della struttura narrativa, si ritagli dei momenti tutti per sé, a cominciare dall’inizio del film con quella specie di incrocio tra balletto e seduzione tra Derek e Sharon nella nuova casa per continuare con quell’inquadratura dalla testa ai piedi in cui è davanti allo specchio con vestito nero e cambio di pettinatura (i capelli da ricci a lisci), prima di andare alla cena riconciliatrice con Derek, fino a concludersi con il finale dove il suo personaggio fronteggia Lisa in una lotta all’ultimo sangue. S Inoltre, lo stesso Obsessed appare debolissimo nella costruzione della suspence. C’è chi ha definito il film una specie di Attrazione fatale nero (e dal film di Lyne quest’opera scopiazza malamente anche quei colori patinati e glamour che provengono invece da un immaginario da videoclip degli anni ’80). Poi Shill, che eppure è un discreto regista televisivo che ha diretto numerosi episodi televisivi della serie Law & Order, si adegua svogliatamente al plot ravvivando il film solo con la scena del sequestro-lampo del bambino della coppia. La figura di Lisa, interpretata da Ali Larter, in quell’istante, potrebbe essere la provvisoria reincarnazione di Rebecca De Mornay in La mano sulla culla di Curtis Hanson, ma poi viene subito dissolta per rifar tornare in scena Beyoncè; forse era già assente da troppi minuti dall’inquadratura, anche se spesso il suo personaggio non è assolutamente fondamentale nell’intreccio. Anzi, rischia di mortificare ulteriormente quest’operazione amorfa e insipida che relega ingiustamente alle corde un caratterista come Bruce McGill (quasi un’inutile apparizione) e un’attrice come Christine Lahti (qui nei panni del detective Reese), nota soprattutto tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 con film come ...e giustizia per tutti di Jewison e soprattutto Di chi è la mia vita? di Badham e Tempo di swing di Demme. Simone Emiliani IL SANGUE DEI VINTI Italia, 2008 Organizzatore generale: Marco Alfieri Suono: (presa diretta) Filippo Porcari Interpreti: Michele Placido (Francesco Dogliani), Barbora Bobulova (Anna Spada/Costantina), Alessandro Preziosi (Ettore Dogliani), Valerio Binasco (Nello Foresi), Alina Nedelea (Lucia Dogliani), Stefano Dionisi (Kurt), Philippe Leroy (umberto Dogliani), Giovanna Ralli (Giulia Dogliani), Daniela Giordano (Maria Rossini), Massimo Poggio (Vincenzo Nardi), Ana Caterina Morariu (Elisa), Luigi Maria Burruano (Mario Vagagini), Raffaele Vannoli (Petrucci), Vincenzo Crivello (Caronte), Flavio Parenti (Riccardo Barberi), Pierluigi Coppola (Vittorio), Teresa Dossena (Elisa bambina), Tommaso Ramenghi (Marò), Durata: 108’ Metri: 3360 Regia: Michele Soavi Produzione: Alessandro Fracassi per Media One Entertainment. In collaborazione con Rai Fiction Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 8-5-2009; Milano 8-5-2009) Soggetto: Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani dal libro omonimo di Giampaolo Pansa Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani. Con la collaborazione di Michele Soavi Direttore della fotografia: Gianni Mammolotti Montaggio: Anna Napoli Musiche: Carlo Siliotto Scenografia: Andrea Crisanti Costumi: Sergio Ballo il 19 luglio del 1943. Francesco Dogliani è un Commissario di Polizia che si ritrova sotto il bombardamento di San Lorenzo. Fra le mace- È rie di una casa, scopre il cadavere della prostituta Costantina Coccia, uccisa con un colpo di pistola che ne ha sfigurato il volto; inoltre trova la figlia Elisa, nascosta dentro 38 l’armadio. Si salvano in extremis dall’ultimo bombardamento, che cancella ogni prova del delitto. Nel mentre muore anche il cognato di Dogliani, marito della sorella Film Lucia, che stava venendo a Roma in viaggio di nozze. Per distogliere la mente dalle atrocità della guerra e per un impegno morale preso con la piccola Elisa, decide di scoprire chi è l’assassino di Costantina. Il primo sospettato è Nello Foresi, compagno della donna, con precedenti penali; viene arrestato. Dogliani scopre anche che la morta ha una sorella, Anna, attrice di teatro in erba. La donna che ha come amante Nardi, un funzionario del ministero, giunge in commissariato per prendersi Elisa in custodia, cosa che non aggrada a Dogliani. Dogliani torna in Piemonte, dopo l’ennesima beffa da parte di Nardi che gli impedisce le indagini. A casa ritrova i genitori, il fratello partigiano Ettore e Lucia, che ormai è pervasa solo dall’odio verso gli Alleati. Lucia, dopo l’ennesimo litigio in famiglia in cui accusa tutti di tradimento, si arruola come ausiliaria nell’esercito della Rsi. Dogliani, sotto volere paterno, inizia a cercarla per riportarla a casa, ma nella sua testa c’è sempre quel delitto. In un comando partigiano, dove si trova anche Ettore, scopre che Foresi è il commissario politico del distaccamento. I due hanno un forte scontro riguardante il delitto di Costantina: per lui resta il colpevole. Tornato a casa, scopre che i genitori si sono tolti la vita per non lasciarsi torturare dai partigiani. Mentre li seppellisce, viene raggiunto da Ettore e lo accusa della morte dei genitori; sono stati infatti dei partigiani a distruggere la loro casa, convinti che vi abitassero dei filofascisti. Distrutto psicologicamente, Dogliani si aggira per la città dove viene arrestato dalle camicie nere; grazie a Lucia si salva. Non riesce però a convincerla a lasciar tutto; per lei quello è il suo destino, anche se sa bene che alla fine c’è la morte. Proprio mentre sta per andarsene, vede Anna ed Elisa giungere al distaccamento con l’accusa di tradimento: Anna portava con sé dei documenti utili ai partigiani. Dogliani, con l’aiuto di Lucia, riesce a far fuggire Anna e la bambina. I tre trovano rifugio in una baita, dove Elisa chiama la zia, “mamma”. Il giorno successivo, Dogliani si sveglia da solo. È il 25 aprile. Fascisti e tedeschi si arrendono, tranne alcuni gruppi che resistono a oltranza contro i partigiani. Senza saperlo, Lucia, ultima sopravvissuta del suo gruppo, uccide il fratello Ettore dalla cima di una torre. Dogliani, che assiste anche lui ignaro di chi sia l’assassino, piange il fratello portato via con tutti gli onori possibili. In un secondo momento, vede portar via Lucia a bordo di un camion, rasata e malmenata. Pur di salvarla, chiede aiuto a Nello e ad Anna, la quale gli dà indicazioni su dove trovare la sorella prima che venga fucilata. Quando arriva sul luogo indicato, tro- Tutti i film della stagione va solo le tracce della fucilazione ed un oggetto appartenuto a Lucia. Tutto questo, un anziano Dogliani lo racconta all’ormai adulta Elisa, alla quale chiede conferma di come sia svolto l’omicidio di Costantina e le mostra la foto di Anna e Costantina, in realtà sorelle gemelle. Anna, fascista, era andata dalla sorella Costantina, partigiana per impedirle di fare delle soffiate su Nardi e per denunciarla di tradimento. Per difendersi, Costantina uccise la sorella e ne prese il posto. Nello, padre di Elisa, l’aiutò nel far passare il tutto per delitto passionale. Elisa, dopo aver confermato tutto, porta Dogliani in un prato, dove vi erano state seppellite tutte le camicie nere fucilate, compresa la sorella Lucia. ichele Soavi, è un regista formatosi sotto l’ala protettiva di Dario Argento. Dedito, quindi, più al genere horror che ad altro, suonerebbe anomalo vederlo accostato a una pellicola di tale entità, sia emotiva che politica. In realtà Soavi porta sulle spalle, un cammino televisivo di fiction di successo. Basti pensare a Ultimo - La sfida, o al più recente Nassiriya – Per non dimenticare. Un percorso continuato poi col suo ritorno al grande schermo con Arrivederci, amore ciao opera che si distacca in toto da tutti i lungometraggi precedenti. Il sangue dei vinti, può essere, quindi, considerato un ennesimo giro di boa nella sua carriera. Un film controverso. Un libro controverso. Di certo, Soavi ha scelto un argomento non facile da gestire, ma anzi facilmente attaccabile. La seconda guerra mondiale, la guerra civile, non sono certo momenti storici da noi lontani, né tantomeno dimenticabili. Le atrocità dell’una e dell’altra parte saranno sempre oggetto di analisi da parte di registi e accademici. M Il punto di vista qui analizzato, è quello della famiglia e dei valori a essa connessi. Tre fratelli, l’uno diverso dall’altro. Francesco decide di restare nella linea grigia, ossia chi non prendeva una presa di posizione, ma sperava solo in una rapida conclusione del conflitto mondiale. Pur di non vedere nulla, di chiudere gli occhi, Francesco, preferisce indagare su di un omicidio, che alla fine, lo porterà comunque di forza all’interno della guerra che tanto voleva allontanare. Vero fulcro sono Ettore e Lucia; il primo partigiano, la seconda repubblichina. Inevitabile la morale per cui la guerra non vede né fratelli né sorelle. Come inevitabile è lo scontro fra i due chiamato fin dall’inizio dell’opera. Soavi sa bene che il pubblico nel finale si aspetta il conflitto e gioca con tale attesa, trascinando fino alla fine l’uccisione di Ettore da parte di Lucia. I morti dei vinti, vengono seppelliti in una fossa comune, quelli dei vincitori coperti di gloria. Il sangue dei vinti non ha valore, se non per chi ne era legato o emotivamente, o per parentela. Il film non segue un normale ordine cronologico, ma usa flashback e montaggio parallelo per raccontare in contemporanea, sia il riavvicinamento di Dogliani a Elisa, sia la storia dei tre fratelli. Tratto dal libro omonimo di Giampaolo Pansa, il film cerca di giungere al cuore del pubblico sfruttando visivamente, con primi piani, il volto tumefatto di Lucia contrapposto a quello crucciato e disperato di Francesco. Vi riesce. Un buon cast, da Ana Caterina Morariu e Alessandro Preziosi, fino a Philippe Leroy e Giovanna Ralli, ne completa il quadro. La cornice è qui Michele Placido interprete di Francesco Dogliani. Elena Mandolini SUL LAGO TAHOE (Te acuerdas de Lake Tahoe?) Messico, 2008 Regia: Fernando Eimbcke Produzione: Christian Valdelièvre per Cinepantera Distribuzione: Archibald Film Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009) Soggetto e sceneggiatura: Fernando Eimbcke, Paula Markovitch Direttore della fotografia: Alexis Zabé Montaggio: Mariana Rodriguez Scenografia: Diana Quiroz Costumi: Mariana Watson Produttore esecutivo: Jaime Bernardo Ramos Casting: Alejandro Caballero Suono: Lena Esquenazi Trucco: Mariana Watson Durata: 81’ Metri: 2200 39 Film mpio totale. Il deserto caotico e disabitato d’una periferia sudamericana. Nero. Un’auto attraversa l’inquadratura entrando a destra e uscendo a sinistra. Nero. L’improvviso scoppio di ferraglia dell’auto che va a fermarsi contro un palo. Dall’auto scende Jorge, un ragazzino magro, aria timida. Inizia così la ricerca d’un meccanico che metta riparo all’incidente. Dopo qualche richiesta a vuoto, il ragazzo fa per entrare in un cortiletto diroccato ma resta subito di sasso, minacciato dal feroce ringhio del cane da guardia. È Sica, la cagna del vecchio inquilino che, dopo aver minacciato di chiamare la polizia, s’offre di trovare e montare il pezzo necessario all’auto di Jorge. Il vecchio però si rimette presto a dormire e lascia il ragazzo solo, in un cortile pieno di cianfrusaglie ammucchiate: Jorge lascia Sica e il suo padrone e ricomincia la sua ricerca. In un negozietto buio, il ragazzo incontra una giovane commessa: il meccanico tornerà presto, intanto Jorge culla e addormenta il figlioletto neonato della coetanea che lo guarda con dolce ammirazione. Arriva David, il meccanico. In breve è concordato un prezzo, ma il pezzo di ricambio non è del modello adatto. David invita a casa sua Juan per trovare il ricambio giusto. Invece di mettersi all’opera, però, lo porta in camera sua, gli mostra un film di kung fu, gli presenta sua madre e gli offre la colazione. Juan, per la seconda volta, va via di nascosto. A casa sua, il ragazzo incontra il fratellino, stabilmente accampato con la sua tenda in cortile, indaffarato a tagliare e incollare fotografie. In bagno, immersa nella vasca, nascosta dietro la tendina della doccia, la mamma piange da sola. A Tutti i film della stagione Tornato al negozio dove lavora David, Juan trova il pezzo di ricambio pronto e decide di montarlo da sé, ma, senza neppure aver aperto il cofano dell’auto, presto, desiste. Il ragazzo cerca di nuovo aiuto dal vecchio, che gli promette il suo intervento in cambio d’un favore. Così Juan sfila per le vie del quartiere attaccato al guinzaglio teso di Sica che corre all’impazzata. Poi basta un momento di distrazione e il cane è perso. Al negozio, questa volta, trova David che gli promette di accomodare la sua auto una volta per tutte. Il guasto però è più serio del previsto; allora David ruba una parte del motore dalla macchina d’una famiglia amica di Juan e lo monta sull’auto del ragazzo. Poi lo invita al cinema per la sera stessa. Juan torna a casa. La lunga serie di piccoli dettagli, d’indizi discreti si ricompone finalmente nella tragica evidenza: il padre di Juan è morto. Joaquin, il fratellino, racconta a Juan le infinite telefonate di condoglianze mentre ancora ritaglia e incolla le foto del padre su un diario. Di nuovo in macchina, il ragazzo torna dal vecchio per aiutarlo a recuperare Sica. L’animale ha trovato accoglienza in una giovane famiglia; l’anziano padrone alla vista di Sica che gioca in mezzo agli schiamazzi di due gaie bimbette abbassa il capo e chiede a Juan d’andar via. Sul far della sera, Juan, accogliendo l’invito di David, va al cinema. Prima che arrivi la notte, il ragazzo raggiunge infine la commessa del negozio di ricambi che gli ha chiesto di tenerle il bambino perché lei possa andare a un concerto. L’impegno però è improvvisamente cancellato e i due si ritrovano in breve nudi, a letto, stretti in un abbraccio teneramente disperato. 40 Il mattino seguente Juan torna a casa. La mamma è a letto, esausta. Juan e Joaquin preparano la colazione, poi il fratello maggiore sfoglia il lungo collage costruito dall’altro con le foto del padre. “Manca solo una cosa” dice Juan attaccando un adesivo-souvenir sul quaderno di Joaquin. “Ah già. Ti ricordi il Lago Tahoe?” chiede il fratellino, “Non ci siamo mai stati su quel lago”, risponde subito Juan. assato inosservato al Festival di Torino nel 2008, il secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore messicano Fernando Eimbcke si è invece fatto notare nel corso dell’ultima Berlinale dove ha ricevuto due premi (Premio Alfred Bauer, Premio Fipresci) e dove ha convinto l’italiana Archibald a compiere l’acquisto e distribuire il film in Italia. Eimbcke dimostra d’aver imparato la lezione neorealista (al neorealismo il giovane regista si riferisce spesso in interviste e dichiarazioni; il nome della cagna nel film, Sica, è solo uno dei piccoli tributi al maestro d’elezione Vittorio De Sica e al suo Umberto D) ma anche d’averla saputa applicare al cinema contemporaneo. Il filo della narrazione è sottile al punto da poterlo considerare quasi un pretesto, la macchina da presa evita qualsiasi acrobazia, eccentricità, smaccato estetismo fissando immobile i protagonisti, spesso perpendicolarmente opposta alla loro azione in scena; la parola poi non è che raro sussurro, pensiero ad alta voce, intimo sentimento che affiora alla fine in punta di labbra. L’asciuttezza e l’essenzialità della messa in scena sembrano suggerire un discreto onirismo, quasi che lo scontro dell’auto del protagonista contro un palo non fosse altro che un vago segno di sonnambulismo. Il ragazzo si sta dirigendo da qualche parte, ma, dopo aver passato tutto il giorno a cercare di riparare la macchina, invece di proseguire il suo tragitto verso una meta misteriosa deciderà di dedicarsi fino in fondo alle persone che ha incontrato durante le ricerche. Il regista compone un elogio del vuoto sostituendo qua e là alla colonna visiva lunghe parti di nero: le immagini delle azioni fondamentali ci sono ostentatamente negate. Al loro posto il quadro vuoto “circondato”, sfondato si direbbe, dalla colonna sonora (cioè da tutto il suono inciso sulla pellicola: musica, dialoghi, rumori, ecc.). Il co-protagonista ideale del film è il padre defunto, l’assenza della figura paterna, la paternità perduta e già desiderata. Del babbo di Juan solo il finale concede di scorrere rapidamente alcuni ritratti tagliati e incollati dal piccolo Joaquin. Allora sembra che Eimbcke non si limiti a P Film raccontare il lutto listando di nero lo schermo, sottraendo agli occhi, ai sensi, come fa la morte, l’oggetto del desiderio (l’immagine dell’amato, del desiderato che diventa a un altro livello l’immagine tout court), ma che invece lanci il discorso del suo testo un Tutti i film della stagione po’ oltre, proponendo una riflessione sulla necessità del vuoto e dell’assenza, sulla pienezza dell’esperienza del limite. Sul retro della macchina squassata della quale non abbiamo mai visto l’urto c’è un adesivo di un luogo che nessuno dei personaggi del film ha mai visitato. A Juan sembra necessario chiudere il diario per immagini del fratello con quell’immagine d’un’esperienza impossibile e (solo) immaginata. Silvio Grasselli CADILLAC RECORDS (Cadillac Records) Stati Uniti, 2008 Regia: Darnell Martin Produzione: Andrew Lack, Sofia Sondervan per Parkwood Pictures/Sony Music Film Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 29-5-2009; Milano 29-5-2009) Soggetto e sceneggiatura: Darnell Martin Direttore della fotografia: Anastas N. Michos Montaggio: Peter C. Frank Musiche: Terence Blanchard Scenografia: Linda Burton Costumi: Johnetta Boone Produttori esecutivi: Beyoncé Knowles, Marc Levin Coproduttore: Petra Hoebel Direttori di produzione: Petra Hoebel, Andrew SAxe Casting: Michelle Adams, Kim Hardin Aiuti regista: Jonathan Starch, Tony Philippe, Gary S. Rake, Maurice Sessoms Operatori: Mark Schmidt, Pierson Silver, Robert Foster Art director: Nicholas Locke Arredatore: David Schlesinger Trucco: Nikki I. Brown, Marjorie Durand, Tomasina Smith Acconciature: Nicole Tucker Coordinatore effetti speciali: Ken Speed Supervisore effetti visivi: Robert Lopuski Supervisore costumi: Deirdre N. Williams Supervisore musiche: Beth Rosenblatt Canzoni/Musiche estratte: “I’m a Man” di Bo Diddley (Jeffrey Wright); “Country Blues” di Robert Johnson, Muddy Waters (Jeffrey Wright); “I Can’t Be Satisfied” di Muddy Waters (Jeffreey Wright, The Riflin’ Tones); “Forty Days and Forty Nights” di Berhard Roth; “Juke” di Little Walter (Soul 7); “I’m Your Hoochie Coochie Man” di Willie Dixon (Jeffrey Wright); “My Babe” di Willie Dixon (Columbus Short, Elvis Presley); outh Side, Chicago, 1947. Leonard “Len” Chess è un giovane immigrato polacco, pieno di ambizioni e sogni di ricchezza, che decide di abbandonare l’attività di sfasciacarrozze per aprire un night club. A passare dalle sue parti con il suo gruppo è un uomo, il cui incontro con Len cambierà le sorti della musica: quell’uomo è Muddy Waters, lavoratore nelle piantagioni di cotone sbalzato nella metropoli in cerca di fortuna per sé e la sua musica. Nonostante Muddy e l’amico armonicista Little Walter, dal carattere impulsivo e rissoso, quasi gli distruggano il locale in seguito a una lite, Len comprende l’enorme talento di Muddy e organizza per lui una sessione di re- S “Smokestack Lightin” di Chester Burnett (Eamonn Walker); Maybellene”, “Nadine (Is It You?), “No Particular Place to Go”, “Promised Land” di Chuck Berry (Mos Def); “Surfin USA” di Chuck Berry (The Will Lee Voices); “All I Could Do Was Cry” di Berry Gordy, Roquel Davis, Gwen Gordy Fuqua (Beyoncé Knowles); “Trust In Me” di Milton Ager, Ned Weaver, Jean Schwartz (Beyoncé Knowles); “At Last” di Harry Warren, Mack Gordon (Beyoncé Knowles); “I’d Rather Go Blind” di Billy Foster, Ellington Jordan (Beyoncé Knowles); “Last Night” composta ed eseguita da Little Walter; “Once In A Lifetime” di Beyoncé Knowles, Amanda Ghost, Scott McFarnon, Ian Dench, James Dring, Jody Street (Beyoncé Knowles); “Evolution of A Man” di Bo Diddley, A. Bailey, Steve Jordan (QTip) Interpreti: Adrien Brody (Leonard Chees), Jeffrey Wright (Muddy Waters), Gabrielle Union (Geneva Wade), Columbus Short (Little Walter), Cedric the Entertainer (Willie Dixon), Emmanuelle Chriqui (Revetta Chees), Eamonn Walker (Howlin’ Wolf), Mos Def (Chuck Berry), Beyoncé Knowles (Etta James), Tony Bentley (Lomax), Joshua Alscher (Mick Jagger), Marc Bonan (Keith Richards), Shiloh Fernandez (Phil Chess), Jill Flint (Shirley Feder), Tammy Blanchard (Isabelle Allen), Eric Bogosian (Alan Freed), Eshaya Draper (Charles Walters a 7 anni), Suzette Gunn (Minnie), Evan Hart (giovane amante), Osas Ighodaro (Vicky), Albert Jones (Hubert Sumlin), Chyna Layne (Juanita), Malikha Mallette (ragazza di Little Walter), Kevin Mambo (Jimmy Rogers), Aaron Munoz (manager), Natasha Ononogbo (ragazza di Muddy Waters), Ginnie Randall (nonna Muddy Waters), Norman Reedus (Chess), Jake Robards (Robert), Jay O. Sanders (sig. Feder), Stephen Seidel (agente Brown), Valence Thomas (James Cotton) Durata: 109’ Metri: 3050 gistrazione. In breve, grazie anche al talento di Len nell’“ammorbidire” a suon di mazzette i DJ radiofonici più importanti, i brani di Muddy scalano le classifiche RnB: Len e la sua Chess Records comincia a essere una realtà dal punto di vista discografico: grazie all’aiuto del musicista Willie Dixon, riesce a rinnovare efficacemente il repertorio di Muddy, ormai divo e impenitente donnaiolo a scapito della devota moglie Geneva, e a far sfondare come artista in proprio anche Little Walter e la sua armonica. Len tratta i suoi musicisti come se fossero una famiglia, comprando loro una Cadillac quando registrano il loro primo successo, ma talvolta il confine tra affari e 41 rapporti personali causa dei problemi con la sua schiera di artisti in costante crescita, sia a livello di talento che come risultati. Il primo a risentirne è proprio Little Walter, che, nonostante il successo, paga il suo carattere instabile e il costante rifugio nell’alcool. Le sue crescenti attenzioni verso Geneva finiranno per incrinare il rapporto con Muddy, fino al distacco definitivo. Altro elemento di successo della scuderia è il rude Howlin’ Wolf , un intenso e orgoglioso bluesmsn che impone le proprie regole nello studio e sviluppa una forte rivalità artistica con Muddy, al punto da interrompere una serata del rivale a colpi di pistola pur di riprendersi il chitarrista che gli era stato soffiato. Film Ma fino al 1955, nessuno degli artisti della Chess riesce a sfondare sul mercato mainstream e a sdoganarsi presso il pubblico dei bianchi. Ci riesce, definitivamente, un tipo magro di St. Louis che si chiama Chuck Berry, il cui dinamico “passo dell’anatra” e i brani trascinanti e intrisi di country segnano la nascita del rock-androll. Berry diventa mito e sex symbol, verrà inevitabilmente plagiato (su tutti i Beach Boys) e fatto fuori con una condanna “politica” alla prigione, proprio all’apice della carriera. Con la gallina dalle uova d’oro, Berry fuori dai giochi e Muddy e Walter ormai nulli discograficamente, Len gioca una nuova carta: la vulnerabile e tormentata Etta James, figlia di una prostituta e del campione di biliardo Minnesota Fats, che non vorrà riconoscerla nonostante la popolarità raggiunta grazie a Len, con cui comincia ad avere una relazione alle spalle della moglie. L’avvento degli anni ’60 farà calare il sipario: il rock-and-roll diventa più popolare, gli artisti della Chess si ritrovano adorati da una nuova generazione di musicisti, ma hanno anche guadagnato e perso una piccola fortuna in alcool, donne e vita agiata, mentre le loro dipendenze iniziano a farsi sentire. Little Walter ci lascia Tutti i film della stagione la pelle, dopo l’ennesima rissa. Len pagherà il suo funerale e di lì a poco, chiuderà i battenti dopo aver sentito cantare Etta per lui l’ultima volta. Morirà sulla sua Cadillac d’infarto, poco distante dallo studio di registrazione che ha fatto la sua fortuna, non prima di aver assicurato a Etta un tetto dove vivere. Muddy, sopravvissuto a un’epoca, potrà assaporare un’ultima grande soddisfazione: sarà invitato a suonare a Londra nel 1967 a fianco dei suoi ammiratori più sfegatati, quei Rolling Stones che raggiunsero la cima delle classifiche con le cover delle sue canzoni. arrell Martin scrive e dirige un atto d’amore per il blues che scava nel fertile e interessante periodo storico di una stagione musicalmente stimolante e irripetibile. Anni incredibili, quelli della scoperta del folk nero più tradizionale, il suo inserimento graduale nella scena pop, il successo reso possibile solo una volta che i bianchi seppero farla propria e coniugarla in tutte le salse (e dai Beach Boys, citati nel film, ai Beatles e Rolling Stones, la lista sarebbe lunga). Ma il lungo viaggio del rock’n roll deve tanto a pionieri come Chess e Waters, alla scoperta di una timbrica sporca e di una D produzione mal curata che ben rifletteva la musica suonata nei ghetti, in locali maleodoranti dove spesso i concerti diventavano contest di abilità se non finivano a coltellate o pistolettate. E Chess, col suo farsi dal nulla, è l’ennesima incarnazione del sogno americano nel corpo e nella mente di un immigrato, forse il migliore recettore di un messaggio simile. C’era solo l’imbarazzo della scelta, ma il regista tende a parlare un po’ di tutto invece di approfondire una specifica direzione, finendo per lasciare parecchio lungo la strada, tra approssimazioni, salti temporali vertiginosi e personaggi consegnati all’oblio (emblematica la moglie di Chess). Gli attori fanno la loro parte, e la splendida Beyoncé (che non si tira mai indietro, come in Dreamgirls quando ha rischiato di essere surclassata dalla collega Jennifer Hudson) recita e canta Etta senza timore reverenziale, conscia di non poterne possedere la roca sofferenza interiore. Ma, alla fine, sembra di aver assistito a un bignami del blues, pulito e corretto, ma incapace di andare in profondità o di regalare un vero sussulto. Senza infamia e senza lode. Gianluigi Ceccarelli COSMONAUTA Italia, 2008 Regia: Susanna Nicchiarelli Produzione: Domenico Procacci per Fandango. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Susann Nicchiarelli, Teresa Ciabatti Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Stefano Cravero Musiche: Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo Scenografia: Alessandro Vannucci Costumi: Francesca Casciello oma, 1957. La cagnetta Laika viene mandata nello spazio dall’Unione Sovietica e Luciana, nove anni, fugge dalla chiesa dove sta per ricevere la Prima Comunione. “Io là dentro non ci torno – urlerà poco dopo alla mamma – perché sono comunista”. Portata sulla “cattiva strada” dal fratello più grande, Arturo, strano ragazzotto affetto da improvvise crisi epilettiche e da una smodata passione per la corsa allo spazio dell’Unione Sovietica, la bambina frequenta assiduamente Marisa e Leonardo, amici di famiglia iscritti al R Organizzatore generale: Gian Luca Chiaretti Direttore di produzione: Michela Rossi Aiuto regista: David Maria Putortì Suono: Maricetta Lombardo Supervisore musiche: Max Casacci Interpreti: Miriana Raschillà (Luciana), Pietro Del Giudice (Arturo), Claudia Pandolfi (Rosalba), Sergio Rubini (Armando), Susanna Nicchiarelli (Marisa), Angelo Orlando (Leonardo), Michelangelo Ciminale (Vittorio), Valentino Campitelli (Angelo) Durata: 85’ Metri: 2340 Partito Comunista. Sei anni più tardi, in pieno conflitto con la madre, rea agli occhi della figlia di aver sposato in seconde nozze il tutt’altro che liberale Armando, Luciana è entrata a far parte del circolo della FIGC locale, nella sezione che frequentava suo padre, morto ormai da tanto tempo e che tutti ricordano come un “vero comunista”. Attratta da Vittorio, che però concede le sue attenzioni alla nuova arrivata, Luciana ripiega momentaneamente su Angelo, meno bello ma che almeno sembra saperla apprezzare. Quando, però, l’altro, una sera, le con42 cederà un momento di effusioni, Luciana si convince di averlo finalmente conquistato. Sarà un brutto risveglio; il giorno dopo, quando a scuola lo vedrà nuovamente tra le braccia della fidanzatina. Luciana la scaraventa a terra per picchiarla e sarà sospesa dall’istituto. Nel frattempo, le condizioni di Arturo sembrano peggiorare: oltre agli attacchi di epilessia, infatti, il ragazzo spesso dimentica chi è e dove si trova. Preso anche di mira da alcuni coetanei, il fratello di Luciana incomincia a diventare motivo di imbarazzo anche per lei, cosa che non tarderà Film Tutti i film della stagione a urlargli in un momento di disperazione. Arturo va via di casa, senza dare più notizie. E Luciana, che proprio in quei giorni sarebbe dovuta partire per Mosca insieme a Marisa per un convegno del partito sulla figura delle donne in politica, verrà a sapere che al suo posto è stata scelta un’altra, proprio per i comportamenti avuti nei confronti degli altri compagni: nel 1963, anche fra comunisti, avere più di un fidanzato e rubare il ragazzo a una compagna sono cose che non si fanno e Luciana è troppo aggressiva, troppo impulsiva, troppo spregiudicata. Allora, come Valentina Tereškova, la prima donna cosmonauta della storia, Luciana dovrà fare tutto da sé. Per fortuna con Arturo nuovamente al suo fianco, nel frattempo ritrovato dalle parti del mare. incitore della sezione “Controcampo italiano” alla 66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Cosmonauta è il lungometraggio d’esordio di Susanna Nicchiarelli, autrice, sceneggiatrice e talvolta anche attrice (come in questa occasione), già regista di numerosi documentari e cortometraggi (tra cui il più recente, Sputnik 5, presentato sia a Venezia che in sala in testa al film, racconto in plastilina del primo vero equipaggio, tutto composto da animali, che effettuò la prima orbita intorno alla Terra). Racconto di formazione ambientato al quartiere Trullo di Roma, in piena guerra fredda, Cosmonauta segue da vicino un periodo fondante per l’evoluzione dell’adolescente Luciana, quindicenne idealista e comunista, a cui presta volto e movenze l’esordiente Miriana Raschillà. Poggiando su un contesto storico e politico “termina- V to”, ma tutto sommato neanche troppo lontano nel tempo, Susanna Nicchiarelli incentra l’intera operazione non tanto sugli aspetti nostalgici di un’epoca che non c’è più (elemento, questo, già parzialmente “ucciso” dalle cover di varie canzoni del periodo, come “Cuore” ed “Io che amo solo te”), quanto sulla metafora di un passato che, 40 anni e oltre dopo, ritrova in alcuni aspetti del presente ben più che semplici rimandi. La corsa allo spazio, così come la guerra fredda, non ci sono più, è vero, ma come Luciana (e suo fratello Arturo), la regista va cercando nell’idealizzazione e nell’immedesimazione con i vari Gagarin e Tereškova quel “fuori orbita” che la possa portare lontano dalle insicurezze e dai dolori, così oggi molti suoi coetanei guardano altrove, lontano, anziché cerca- re eventuali risposte dentro di loro o nelle persone che amano. La natura del progetto è chiara, oltretutto scandita da vari filmati di repertorio o documenti sonori dei pionieri sovietici, un po’ meno la riuscita del film: intanto perché risulta difficile affezionarsi alla protagonista, aggressiva e impulsiva quanto si vuole, ma fondamentalmente antipatica, e poi perché – a fronte di una ricostruzione ambientale che sembrerebbe impeccabile – il taglio (mai un campo lungo, sempre piani stretti e intermedi) e i tempi della narrazione non si distaccano quasi mai dalla media di un discreto prodotto televisivo. Note positive: Claudia Pandolfi e Sergio Rubini, mamma bigotta e patrigno fascistoide perfetti. Valerio Sammarco CINEMA UNIVERSALE DESSAI Italia, 2009 Regia: Federico Micali Produzione: Navicellai. Con il supporto di Mediateca Regionale Toscana Film Commission/Provincia di Firenze/Comune di Firenze Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) Soggetto: tratto liberamente dal libro Breve storia del Cinema Universale di Matteo Poggi Direttori della fotografia: Pamela Maddaleno, Yuri Parrettini Montaggio: Yuri Parrettini Musiche: Firenze Underground 1960/90 con la consulenza di Stefano Bettini ela collaborazione di Giampiero Bigazzi Organizzazione di produzione: Marco Righi Suono: (presa diretta) Giacomo Guatteri Animazione stop-motion: Giacomo Salizzoni, Francesco Alessandra Interpreti: Michele Andrei, Simone Calonaci, Cesare Giorgetti, Maurizio Naldini, Andrea Giotti, Carlo Scarsellini, Loriano Stagi, Giuseppe Micali, Narciso Parigi, Anna Piazzini, Roberto Pelacani, Daniele Trambusti, Walter Fanelli, Maurizio Pistolesi, Gianluca Baldi, Mario Morelli, Giancarlo Pellegrini, Nicola Bina, Asghar Hadavandi, Stefano Bettini, Giancarlo Bardoni, Fabrizio Bonomo, Walter Cappucini, Benedetto Ferrara, Maurizio Novigno, Alessandra Gensini, Sara Maggi, Gianfranco Sticci, Giovanni Gozzini, Giorgio Van Straten, Fausto Meoli, Francesco Magnelli, Marco Romei, Stefano Bini, Jacopo Degl’Innocenti, Onorato Pierallini, Giovanni Bogani, Tamara Gerli, Settimio Dragone, Andrea Dragone, Romano Ciappi, Alessandro Paci, Giorgio Panariello, Graziella Giannoni, Dario Vinattieri, Sandro Parenti, Alessandro Montni, Alessio Papini, Tony Topazio, Andrea Borgognoni, Dina Parenti, Luigi De Biase, Andrea Di Carlo, Filippo Della Rocca, Alessandro Bonini Durata: 73’ Metri: 2000 43 Film l documentario ricostruisce la storia del glorioso Cinema Universale: sala di quartiere al Pignone nella Firenze goliardica e popolare degli anni Sessanta, poi cinema d’essai nei Settanta e negli Ottanta, fino al degrado prima della definitiva chiusura al fatidico inizio degli anni Novanta. Montando foto d’epoca, immagini di repertorio e interviste, inizia la narrazione che racconta l’alba del Cinema Universale, sorto nell’allora quartiere periferico del Pignone nei primi anni Sessanta. Poi molte interviste e qualche animazione muovono il resto del film. Nel 1974 il cinema viene trasformato in sala d’essai. Sono gli anni dell’attivismo politico, dei giovani comunisti, dei sentimenti proletari. Il pubblico è fortemente coinvolto nelle vicende proiettate sullo schermo, tanto che reagisce alla finzione cinematografica come si trattasse di eventi reali e presenti. In sala si urla, si lanciano slogan (e oggetti vari), si parla e discute, si fa l’amore, si fuma e si manifesta. Il figlio del protezionista d’allora e il figlio del gestore accumulano aneddoti su aneddoti; esemplare la storia dell’irruzione della polizia e della conseguente retata nel bel mezzo della proiezione del film Fragole e sangue. La sala osserva e rende testimonianza delle svolte epocali della città e della nazione, nelle storie dei singoli spettatori, nelle memorie dei piccoli gruppi di assidui si ritrovano i frammenti d’una storia comune: la rivoluzione sessuale, l’eroina, la nascita del nuovo tifo politicizzato per i grandi club di calcio. I primi anni Ottanta segnano per Firenze l’inizio della rinascita culturale. I cicli di proiezioni alternano i grandi autori del cinema di qualità ai grandi successi hollywoodiani, senza soluzione di continuità, senza dovere per for- I Tutti i film della stagione za rivolgersi a spettatori diversi. Alle voci dei comuni cittadini, degli spettatori storici, dei personaggi locali si aggiungono quelle dei volti celebri Alessandro Paci e Giorgio Panariello. L’ultimo gestore della sala ricorda l’estremizzarsi delle gesta goliardiche, la perdita del controllo sul pubblico sempre più propenso all’atto plateale, aggressivo, illecito. Il reclutamento d’un buttafuori è solo l’ultimo segno dell’inarrestabile degenerazione che nel 1989 porta il cinema alla chiusura. In una sostanziale comunanza con il destino della città di Firenze – che in quei decenni passa da luogo di fermento sociale e culturale a vetrina offerta allo struscio globale dei turisti distratti – l’Universale si tramutò, nei successivi e critici anni Novanta, in una discoteca alla moda. Ora restano solo la saracinesca abbassata e il triste abbandono. tefano Micali è nome noto nell’ambiente fiorentino, ma non solo. Attivo almeno da una decina d’anni nel vivace panorama della cultura a Firenze, Micali proviene da una piccola serie di documentari militanti, molti dei quali distribuiti grazie all’appoggio di testate e organizzazioni di chiara ispirazione politica. Un filmmaker impegnato sul fronte dell’audiovisivo come strumento di formazione e d’informazione che forse una volta non si sarebbe esitato a definire engagè. Cinema Universale, però, (ispirato dall’omonimo libretto scritto da Matteo Poggi nel 2003) dietro la patina di gesto politico, di ricostruzione d’un episodio esemplare, d’allegro pamphlet contro la cultura di massa svela presto un’anima meno lungimirante e “alta”. Il film è un esempio perfetto della nuova generazione di pellicole che, secondo un evidente modello di glocaliza- S tion, passano dal piano dell’iperlocalismo a quello della visibilità nazionale: prodotto e promosso all’inizio solo a Firenze e dintorni, il documentario, grazie al passaparola e grazie soprattutto a un’accorta politica di networking, è giunto all’uscita nel circuito nazionale delle sale di prima visione (anche se su uno sparuto numero di schermi). Di qui e dall’analisi di altri elementi ancora, risulta chiaro come invece che concentrarsi sull’analisi del film preso come testo, come oggetto chiuso, sia forse necessario interessarsi all’operazione nel suo complesso, ampliando lo sguardo anche a quel che gli sta intorno. Evitando la facile tentazione di usare viete etichette (“operazione nostalgia”, “operazione amarcord”, ecc.) consideriamo dunque i motivi di un appeal che, anche se in misure e in modi differenti, ha saputo coinvolgere una platea, considerata la speciale natura del progetto, piuttosto ampia. L’unica via possibile è quella delle ipotesi. Il film si articola su due essenziali direttrici: da una parte quella della testimonianza, dall’altra quella della narrazione colloquiale, soggettiva, colorita popolare e senza alcuna preoccupazione per la corrispondenza con gli eventi reali, storici. In questa accoppiata, si ritrova forse la migliore formula per soddisfare gli appetiti e le necessità del pubblico contemporaneo: la fame di realtà, di verità, di conoscenza e di verifica dei fatti, l’illusione che l’occhio del cinema possa vedere e conoscere tutto sempre e in ogni luogo, ammorbidita e addomesticata dall’amena cordialità dell’aneddoto sorridente e consolatorio che in sé tutto stempera e contempera. Un’idea furba messa in atto con imbarazzante carenza di cura tecnica, niente affatto giustificata dalla drastica ristrettezza del budget. Silvio Grasselli POLVERE Italia, 2008 Costumi: Grazia Materia Aiuto regista: Matteo Barzini Suono: Emanuele Costantini Interpreti: Primo Reggiani (Domini), Michele Alhaique (Giona), Victoria Larchenko (Giulia), Gaia Bermani Amaral (Betty), Gian Marco Tognazzi (Luca), Francesco Venditti (Fastidio), Eros Galbiati (Nick), Rita Rusic (madre), Giovanni Capalbo (Vittorio), Lola Ponce (Marcela), Fabio Ferrari (Castellacci), Loris Loddi (zio Mimmo), Alessandro Geraldini (Piacentini) Durata: 80’ Metri: 2283 Regia: Massimiliano D’Epiro, Danilo Proietti Produzione: Umberto Massa, Danilo Proietti, Massimiliano D’Epiro per Kubla Khan Distribuzione: Stella Production Prima: (Roma 15-5-2009; Milano 15-5-2009) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Simona Coppini, Massimiliano D’Epiro, Danilo Proietti, Ivo Vacca Direttore della fotografia: Gianni Giannelli Montaggio: Francesco Galli, Ivo Vacca Musiche: Emanuele de Raymondi Scenografia: Nino Aprea 44 Film omini ha da poco perso il padre. Cinefilo, estimatore di Francis Ford Coppola, decide di realizzare un documentario sulla cocaina. Il fidato amico Giona, attore, viene da lui ingaggiato per interpretare il ruolo di un giovane spacciatore di droga. Il capo di Domini, Vittorio, gestore di un night club importante, diventa a sua insaputa il contatto giusto per arrivare ai più importanti pusher romani. Domini, preso dal progetto, non si accorge che la sorella Giulia ha intrecciato una relazione con Giona; i due non solo si lasciano andare all’amore, ma anche alla droga. La situazione si complica con l’entrata in scena di Luca, pericoloso spacciatore, e del suo tirapiedi Fastidio. Luca fornisce a Giona una grossa partita di droga, con la promessa di venderla e di ripagarla in toto entro le ventiquattrore successive. Nonostante i ripetuti tentativi da parte di Vittorio di aiutare Giona, la droga resta invenduta. Luca, che, a sua volta deve rendere conto dell’accaduto al più pericoloso Zio Mimmo, inizia a cercare ovunque Giona per fargli del male. Intanto Giulia, che si scopre incinta, si confida con l’unica amica che ha vicino: Betty, giovane Pr anch’essa cocainomane. Durante un party, in cui Giona dovrebbe riuscire a vendere la droga, Domini scopre la relazione fra l’amico e la sorella. I due innamorati lasciano la festa. Ad aspettarli sotto casa di Giulia vi sono Luca e Fastidio. Giona colpisce mortalmente Luca; Fastidio, per vendetta ucci- D Tutti i film della stagione de Giulia. Giona resta accanto a lei tutta la notte. Solo alla fine viene rivelato il vero motivo della morte del padre di Domini e Giulia: overdose. n’opera che ha vissuto un lungo periodo di gestazione. Il progetto inizia nel corso del 2006, quando i due registi, Danilo Proietti e Massimiliano D’Epiro, decisero di realizzare un documentario sulla cocaina. L’idea di intrecciare film e documentario prese poi piede successivamente. Oltre, quindi, alle reali esperienze raccontate da cocainomani mascherati, si assiste alla fiction di una famiglia romana, distrutta dalla cocaina. Buon intento, ottime intenzioni di denuncia; peccato, però, che il troppo storpi. Un inizio alla The Snatch (2000), ci presenta i personaggi con fermoimmagine in primo piano e voce fuori campo. Inizialmente, l’idea di assistere a un prodotto italiano che provi un nuovo modo di fare regia, indubbiamente stupisce e convince. Poi, però, tutto diventa quasi un’ostentazione, un continuo tentativo di vivacizzare la narrazione della voce fuori campo; vi è anche una breve sequenza realizzata tramite fumetti in bianco e nero. Si viene quindi catturati più dal come ci venga raccontata la storia, che da cosa voglia realmente dirci questa stessa storia. Per un film con intenti di denuncia, diventa un punto a suo discapito. La storia di Giulia, nonché U la sua tragica fine, non riesce quindi a giungere picchi di empatia col pubblico. L’intero film è raccontato come un flashback che inizia con l’ultimo scontro fra Giona e Fastidio, per poi ripercorre le ventiquattrore precedenti e tornare nuovamente allo scontro finale. Un racconto in sé per sé molto semplice, con un solo colpo di scena, la morte di Giulia appunto; l’altro elemento che dovrebbe stupire, ossia la morte per overdose del padre di Domini, è purtroppo facilmente intuibile fin dall’inizio del lungometraggio.La voce fuori campo si scoprirà essere la Cocaina stessa, che assume quindi i connotati di un personaggio con una propria identità e un pensiero coerente all’interno di tutto il film; il suo interprete altro non è che Christian Iansante, già doppiatore di Ewan McGregor protagonista di Trainspotting, opera anch’essa sul mondo della droga. Brava Victoria Larchenko, interprete di Giulia, che riesce a distaccarsi nonostante la giovane età dagli altri membri del cast, fra cui ritroviamo anche Francesco Venditti e Gianmarco Tognazzi, che in alcune scene eccedono nella recitazione. Questo non toglie merito ai due registi, che hanno intrapreso una strada nuova e che hanno le potenzialità per creare un loro stile distinguibile dal resto del panorama italiano. Sicuramente due registi da seguire nei lavori successivi. Elena Mandolini LA RAGAZZA DEL MIO MIGLIORE AMICO (My Best Friends Girl) Stati Uniti, 2008 Trucco: Liz Bernstrom, Trish Seeney, Sherryn Smith, Ronnie Specter Acconciature: Brenda McNally, Elizabeth Cecchini Effetti speciali trucco: Joe Rossi, Mark Nieman Supervisore effetti speciali: Mike Uguccioni Supervisore costumi: Hope Slepak Supervisore musiche: Jay Faires Coreografie: Michelle Johnston Interpreti: Dane Cook (Tank), Kate Hudson (Alexis), Alec Baldwin (prof. Turner), Jason Biggs (Dustin), Diora Baird (Rachel), Lizzy Caplan (Amy), Riki Lindhome (Hilary), Mini Anden (Lizzy), Hilary Pingle (Claire), Nate Torrence (Craig), Malcolm Barrett (Dwalu), Taran Killam (Josh), Faye Grant (Merrilee), Richard Snee (Brian), Amanda Brooks (Carly), Alberto Bonilla (Pedro), Michael O’Toole (Michi Yamana), Sally Pressman (Courtney), Kate Albrecht (Laney, la babysitter), Tom Kemp (prete), Tony V. (cuoco Slava), Andria Blackman (sig.ra Barber), Melina Lizette (sig.ra Reiling), Josh Alexander (Burt), Jenny Mollen (Colleen), Rob Rota (Lee), Edna Panaggio (nonna), Frank Hsieh (leader band), Mike Elliott (uomo in bagno), Angel M. Wagner (leader band Mariachi) Durata: 101’ Metri: 2815 Regia: Howard Deutch Produzione: Guymon Casady, Dane Cook, Adam Herz, Doug Johnson, Barry Katz, Gregory Lessans, Josh Shader, Brian Volk-Weiss per Management 360/New Wave Entertainment/ Superfinger Entertainment/Terra Firma Films Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) Soggetto e sceneggiatura: Jordan Cahan Direttore della fotografia: Jack N. Green Montaggio: Seth Flaum Musiche: John Debney Scenografia: Jane Ann Stewart Costumi: Marilyn Vance Produttori esecutivi: Mike Elliott, Michael Paseornek Coproduttore: Jerry P. Jacobs Direttori di produzione: Jerry P. Jacobs, Rosemary Lara Casting: Freddy Luis, Anne McCarthy, Jay Scully, Maura Tighe Aiuti regista: K.C. Colwell, Craig Comstock, David Eric Chapman Operatore: Ryan Green Operatore steadicam: David J. Thompson Art director: T.K. Kirkpatrick Arredatore: Kyra Friedman 45 Film ustin, un ragazzo serio e timido è perdutamente innamorato di Alexis, una sua collega, bella, intelligente e raffinata, ma dopo cinque settimane di frequentazione ossessiva, commette l’errore di proporle una convivenza. La ragazza, intimidita dalla fretta di Dustin decide di prendersi una pausa di riflessione per rallentare il rapporto. Disperato, dopo aver provato inutilmente più volte a riconquistare la donna, Dustin si rivolge a Tank, suo migliore amico e coinquilino. Tank è un seduttore provetto che di professione abborda le ragazze per conto dei loro ex, al fine di convincerle che hanno fatto un errore a mollarli. La sua lingua sciolta, il suo atteggiamento da macho, i suoi modi rudi e il suo bell’aspetto fanno la sua fortuna presso le ragazze che si succedono una dopo l’altra nel suo letto; per le altre, quelle meno giovani e attraenti che insulta e tratta con sufficienza, è praticamente il demonio. Del suo talento nel ferire i sentimenti delle donne, Tank ha fatto un lucroso hobby: amici e conoscenti, appena piantati dalle loro compagne, lo ingaggiano perché esca con loro e le induca, dopo aver fatto trascorrere loro una serata infernale, a tornare di corsa tra le loro braccia. Tank viene infatti pagato per offrire un termine di paragone negativo, in modo tale che le ragazze rimpiangano di aver mollato i loro precedenti ragazzi. L’uomo, per aiutare l’amico allora mette in atto la sua strategia anche con Alexis, ma non sembra andare tutto come previsto. Infatti la donna sembra capire il gioco del latin lover: non solo non rimane per nulla impressionata dalle grettezze e dalle volgarità di Tank, ma si convince addirittura di aver perso tempo a frequentare soltanto Dustin. Tra Alexis e Tank nasce dunque uno strano rapporto, a base di sesso e complicità. L’uomo, per la prima volta nella sua inimitabile carriera di seduttore, si trova ad essere coinvolto e a dover scegliere tra una donna e il migliore amico. Dustin scopre in fretta la verità: proprio il suo amico fidato che si era offerto di aiutarlo lo ha tradito prendendosi la donna dei suoi sogni. Durante il matrimonio della sorella Alexis, presenta entusiasta Tank ai genitori, confessando di esserne innamorata. L’uomo pur essendo coinvolto, capisce di aver sbagliato nei confronti del suo amico e tira fuori il meglio del suo repertorio pur di mettere in ridicolo se stesso e in imbarazzo Alexis e la sua famiglia. Al matrimonio interviene anche Dustin che svela pubblicamente la verità sul conto di Tank e il suo piano per riconquistare Alexis. La donna, ferita, allontana sconvolta Tank dalla sua vita. Intanto i due amici si riappacificano e, questa volta, è lo stesso Dustin a dare consigli all’amico sul come riprendersi la donna amata da entrambi. D Tutti i film della stagione Dopo qualche mese mentre l’uomo nuovamente si cimenta nella sua opera di conquista su altre prede, Alexis, incinta e sempre più innamorata, tornerà a buttarsi tra le sue braccia. eppure originale nelle premesse, La ragazza del mio migliore amico di Howard Deutch è una delle tante commediole a stelle e strisce partorite nella stagione estiva. Come fa un antieroe dal cuore atrofizzato, capace di compiere le peggiori nefandezze, a redimersi e a provare finalmente un sentimento? Ed ecco pronto un rapido manuale di psicologia sul rapporto tra uomini e donne e sulle regole del corteggiamento. In amore, com’è luogo comune, vince chi fugge ed è questo che capita a Tank, il maestro di seduzione protagonista della storia. Proprio colui che allontana l’amore ne rimane poi inevitabilmente irretito. Il film nel suo spirito antiromantico si discosta violentemente dal genere in cui fiorisce e che cita nel suo migliore esemplare Harry ti presento Sally; anzi la pellicola, imbastardita dalla commedia sofisticata, quella della “guerra tra i sessi” e rimescolata con i teen-movie all’American Pie, non fa affatto ridere. Il regista sembra simpatizzare fin troppo con le tendenze egoistiche e superficiali della mascolinità completamente negativa che ritrae. Piuttosto volgare e scurrile, infatti, la sceneggiatura azzarda un tentativo di organizzazione e sistematica riduzione dei comuni schemi delle dinamiche tra sessi S opposti, impoverendo, come spesso capita, i meccanismi della screwball comedy per arrivare a un immenso e melenso inno all’amore imprevedibile. Che poi è invece prevedibilissimo. Come del resto anche lo scontatissimo happy ending finale. Peccato perché l’inizio della pellicola era di quelli che ben promettono: il conto alla rovescia delle cose da non fare ad un primo appuntamento. Soprattutto non ci si aspetta che il protagonista della storia non sia né la celebre Kate Hudson, né il noto Jason Biggs, ma il personaggio “cattivo”, quello interpretato dal mezzo sconosciuto Dane Cook: faccia da furbetto, grande sex appeal e voglia di andare sopra le righe. Ci vuole un po’ per capire come si muoveranno le fila del racconto e questa è la parte migliore del film, perché si tirano fuori parecchi stereotipi sul “come si tratta una donna” , ma quantomeno, presi per quel che valgono, strappano un sorriso. Sprecato anche il caratterista che qui è un Alec Baldwin, nei panni del padre di Tank, maschilista ossessionato dal sesso, che insegna in un college femminile. Nonostante l’attore appaia in splendida forma e abbia un gran carisma specie nei suoi sarcastici aforismi, anche lui può poco di fronte a una sceneggiatura che riconduce il tutto a un buonismo esasperante. L’unico divertimento è cercare di capire quale sia il possibile target di questi prodotti, perché si rischia di non accontentare nessuno fino in fondo. Veronica Barteri DIARI Italia, 2008 Regia: Attilio Azzola Produzione: Attilio Azzola, M. Nuzzo per Fuoricampo Distribuzione: Atlantide Entertainment Prima: (Roma 19-6-2009; Milano 19-6-2009) Soggetto: Attilio Azzola Sceneggiatura: M. Nuzzo, Beba Slijepcevic, Attilio Azzola Direttori della fotografia: Selene De Rui, Valerio Ferraro Montaggio: Massimo Sbaraccani, Attilio Azzola Musiche: Mauro Buttafava, Mell Morcone, Gipo Gurrado Scenografia: Riccardo Pirovano Produttore associato: Maria Grazia Biraghi per Polesis Direttori di produzione: Antonello Caragnano, Erica Gianesini, Stefano Renolfi Suono: (presa diretta) Paolo Benvenuti Interpreti: Roisin Greco (Leo Villa), Amine Slimane (Alì Trabelsi), Antonio Sommella (Michele Mancia), Manuel Ferreira (Juan Villa), Maria Teruzzi (Ester), Paolo Porta (Giulio), Matilde Pezzotta (Sara), Joseph Scicluna (Ahmed Trabelsi), Monica Barbato (Yasmine Trabelsi), Davide Lottfalla (Jalel Trabelsi), Luca Bonetti (Federico Rossini), Sonny Aro (Sonny), Elena Lolli (Elena), Alberto Beltran Madalenguitia (Beto) Durata: 90’ Metri: 2470 46 Film toria di Leo. Stefania, detta Leo, è una sedicenne che vive una difficile esistenza con la madre. La ragazza è tormentata e si chiede che cosa ci sia che non va in lei, dopo che anche il suo “fidanzatino” la lascia per un’altra. La sua vita viene sconvolta quando il padre riappare dopo dieci anni di assenza e chiede alla madre di rivederla. Senza rivelare la sua identità, la ragazza si iscrive a un corso di recitazione tenuto dal padre. Leo ha evidenti difficoltà nel lasciarsi andare e nel tirare fuori quello che ha dentro. Durante una lezione, riesce finalmente a esternare la sua rabbia e trova la forza di urlare al padre il suo odio per averla abbandonata per dieci anni. Tornata a casa, Leo si sfoga in un pianto disperato. Il giorno dopo, si trucca in modo vistoso e va a ballare. Beve fino a stordirsi e si sente male per strada: il padre la soccorre. A casa, mentre il papà la stringe, Leo si chiede se era questo il vuoto che sentiva dentro e se possa bastare quell’abbraccio per riempire dieci anni di assenza. La ragazza si addormenta sul divano. Storia di Alì. Alì Trabelsi è un giovane studente, figlio di immigrati tunisini perfettamente integrato. Promosso senza debiti scolastici, Alì è convinto di passare le vacanze in Tunisia con la madre ma il padre ha deciso che lui resterà in Italia per aiutarlo nel lavoro di giardiniere. Alì è innamorato segretamente di Sara, la ragazza più carina della scuola. Il giovane inizia a corteggiarla in chat non rivelando la sua identità e lasciandole qua e là romantici disegni di fumetti “manga” giapponesi. Sara apprezza il corteggiamento. Ma il giorno che Alì esce allo scoperto, Sara fugge. Una sera, Alì rivede Sara a una festa: la ragazza gli dice che ora le piace il suo amico Federico. Alì discute con Federico ma poi fa pace. Il giorno dopo Alì riceve in dono dal padre un fiammante motorino per tutto il lavoro che ha fatto. Storia di Michele. Michele è un uomo anziano e malandato che vive le sue giornate nel ricordo di un amore di gioventù, Maria. Prima di partire per le vacanze, la figlia lo lascia alle cure di una signorina che baderà a lui durante l’estate, Leo. Michele è burbero e non gradisce la presenza della giovane, Leo vorrebbe rifiutare l’incarico ma dopo le insistenze della figlia, decide di restare. Durante il giorno, Leo viene aiutata nelle faccende domestiche da Beto, ma la notte deve vedersela da sola con Michele. Anche Alì è a servizio da Michele come giardiniere. Leo e Alì fanno amicizia e si aiutano a vicenda nel tenere a bada Michele. Dal canto suo Michele insegna ai due giovani a vestirsi con stile e ballare come si faceva una volta. Un giorno, Leo trova un mucchio di lettere d’amore che Michele aveva scritto per Maria tutte da- S Tutti i film della stagione tate 1964. Quella notte, Michele esce di nascosto di casa, Leo si allarma e chiede aiuto ad Alì. I due giovani lo trovano su un ponte in attesa di Maria che non è mai arrivata. L’anziano vuole andare a ballare convinto che Maria lo aspetti lì. I due ragazzi portano Michele a un dancing all’aperto dove c’è la nonna di Leo che Michele scambia per Maria invitandola a ballare. Quella notte Michele va a letto sereno, mentre Leo e Alì in giardino ballano trasformandosi in un fumetto manga e volando via insieme. ’amore a vent’anni (o forse anche meno) ha le ali e può volare. Davvero. Ma Moccia e i suoi epigoni non lo hanno capito, intenti a dipingere amori giovanili più vacui che veramente leggeri. Milanese, classe 1971, Attilio Azzola debutta con Diari alla regia di un lungometraggio che ha lasciato il segno al Festival di Cannes 2008 vincendo il Gran Prix Ecrans Juniors come miglior film. È l’amore “giovane” e non solo “giovanile” a fare da motore alle vicende, l’amore giovane diversamente diretto. È amore “giovane” quello di Leo verso un padre che è stato assente tanto da crearle un buco, un senso vuoto che fa paura e impedisce di volare. È amore “giovane” quello di Alì verso la ragazza più carina della sua scuola. È l’amore “giovane” quello dei ricordi indelebili dell’anziano Michele per la mai dimenticata Maria nel lontano 1964. E infine è amore “giovane” quello di Leo e Alì che volano via insieme come due figurine di un fumetto manga (e certamente volano più in alto di 3 metri sopra il cielo). Il film è diviso in tre capitoli che divengono L una sola storia, un solo discorso sulla crescita, ma soprattutto un delicato trattato sull’amore nelle sue diverse forme. Frutto di un progetto che ha visto coinvolti a 360 gradi un gruppo di giovani, Diari è il risultato finale della collaborazione tra il regista Attilio Azzola e l’educatrice Maria Grazia Biraghi (anche produttrice associata del film). I due hanno dato vita a un’esperienza formativa “a tutto tondo” condotta nei primi sei mesi del 2007 con un gruppo di adolescenti, finalizzata sia allo sviluppo del soggetto, sia alla scelta dei personaggi, sia ad affiancare la troupe collaborando come assistenti. Tutti i giovani scelti per interpretare i ruoli sono non professionisti e per questo più autentici di tanti loro coetanei già lanciati nello star system. Il regista ha cercato (e trovato) una gioventù diversa da quella che ci restituiscono le cronache: dediti a eccessi di ogni tipo o vittime della società dei consumi dipendenti solo da cellulari, computer o televisori. “I ragazzi di Azzola” sono quelli capaci di trasformare un garage in una sala prove, quelli che passano la notte su un computer per realizzare un’animazione di pochi secondi, quelli che leggono poesie (ebbene si, ce ne sono ancora), o quelli che non hanno mai letto un libro ma, come ha sottolineato il regista, “hanno dentro di sé un enorme bisogno di gridare al mondo il proprio valore”. Il risultato di questo lavoro di gruppo è davvero piacevole e il film dimostra di possedere la stessa leggerezza e poesia di un romantico ballo di coppia, sì, proprio uno di quei balli che i giovani non fanno più. Elena Bartoni IL GRANDE SOGNO Italia/Francia, 2009 Regia: Michele Placido Produzione: Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt per Taodue/Babe Film. In collaborazione con Medusa Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 11-9-2009; Milano 11-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Doriana Leondeff, Angelo Pasquini, Michele Placido Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari Montaggio: Consuelo Catucci Musiche: Nicola Piovani Scenografia: Francesco Frigeri Costumi: Claudio Cordaro Organizzatore di produzione: Luciano Lucchi Aiuto regista: Federico Giorgio Ridolfi Suono: (presa diretta) Bruno Pupparo Interpreti: Riccardo Scamarcio (Nicola), Jasmine Trinca (Laura), Luca Argentero (Libero), Massimo Popolizio (Domenico), Alessandra Acciai (Francesca), Dajana Roncione (Isabella), Federica Vincenti (Rosa), Marco Brenno (Giulio), Marco Iermanò (Andrea), Laura Morante (Maddalena), Silvio Orlando (colonnello) Durata: 101’ Metri: 2780 47 Film oma, fine anni Sessanta. Nicola è un giovane pugliese arrivato nella capitale per lavorare come poliziotto. Il suo sogno però è quello di diventare attore. Il ragazzo è diverso dagli altri colleghi. Legge “Paese sera” di nascosto, va al cinema a vedere I pugni in tasca e Les parapluies de Cherbourg. Nelle università, intanto, c’è un fermento sempre più crescente, nel quale si respira una forte aria di cambiamento e che porterà poi alla protesta del ’68. Il colonnello, parlando con Nicola, decide così di mandarlo nelle facoltà occupate come infiltrato. Sul posto, il ragazzo incontra Laura, proveniente da una famiglia borghese di estrazione cattolica. Lei è una brillante e appassionata studentessa di Fisica che sogna un futuro senza più ingiustizie. Il principio della sua ribellione avviene nel corso di un esame, dove per la prima volta, decide di ribellarsi al sistema. Subito dopo, il professore viene chiuso in una stanza con i suoi assistenti. Inoltre, di nascosto dai genitori, partecipa prima alla marcia per la pace per il Vietnam e poi svolge un compito sempre più attivo nelle azioni degli studenti in lotta. In queste occasioni, conosce anche Libero, uno studente operaio leader del movimento studentesco che sogna di fare la rivoluzione. Laura è sedotta dal suo carisma e se ne innamora. Al tempo stesso, però, è attratta anche da Nicola ed è proprio con lui che fa l’amore una notte dentro l’università occupata, prima dell’arrivo della polizia. Il giovane non ha mai avuto il coraggio di confessare alla ragazza che è un poliziotto. E quando lo ha fatto, c’è stato un brusco allontanamento. Anche i fratelli minori di Laura, An- R Tutti i film della stagione drea e Giulio, sono sempre più coinvolti dal clima di contestazione e provocano sempre più fratture all’interno della loro famiglia tradizionalista. I genitori infatti non riescono più a trovare il modo di comunicare con i figli e, solo con la malattia del padre, ci sarà un riavvicinamento. Nel frattempo Nicola è stato finalmente ammesso all’Accademia di Arte Drammatica, dove c’è un’insegnante che crede in lui. Il vento della contestazione arriverà anche lì. Il riavvicinamento con Laura avviene quando decide di nascondere il fratello Giulio, ricercato dalla polizia, a casa sua. Il ragazzo però vuole rivedere il padre, che sta per morire. Nicola chiede aiuto ai suoi colleghi e fa in modo che la cosa avvenga senza conseguenze. Le forze dell’ordine, però, irrompono nell’abitazione mentre Giulio si trova nella stanza del padre. E questo episodio separa ancora la Laura e Nicola. i è lanciato nuovamente senza paracadute Michele Placido dopo Ovunque sei. Stavolta lo ha fatto ancora più direttamente mettendo in gioco se stesso, la propria memoria personale. Ed è forse per questo che in Il grande sogno non c’è distanza da quello che viene raccontato e, di conseguenza, non c’è oggettività neanche nella rappresentazione di quel periodo. Chi si aspetta dal regista-attore pugliese un ‘film sul ‘68’ può restare alla fine spiazzato o deluso, ma, del resto, non appaiono questi né i presupposti, né gli obiettivi. Placido si racconta in un film che, per sua stessa ammissione, è profondamente autobiografico. Quegli eventi vengono visti attraverso gli occhi del poliziotto e aspirante attore Nicola (interpretato da S 48 Riccardo Scamarcio che con Placido sembra dare ogni volta il meglio di sé). Perciò, forse, la figura di questo personaggio è sempre immerso tra gli altri, negli eventi. C’è un momento in cui con la camionetta della polizia passa davanti agli studenti in piena rivolta e lui si copre col casco. Neanche dopo 40 anni, quindi, lo sguardo del cineasta riesce ad avere una sua ‘lontananza’, a essere più oggettivo. Ed è forse questo uno dei maggiori motivi di seduzione di Il grande sogno. Si è visto in passato, comunque, come il cinema di Placido abbia saputo ricostruire diverse epoche storiche, ora con il respiro del miglior cinema civile (Un eroe borghese e, soprattutto, Del perduto amore, uno dei suoi film più belli e nascosti), ora con le forme di un noir esplosivo (Romanzo criminale). Il grande sogno rappresenta un ulteriore passo nella direzione di un cinema che si rimette in gioco e ri/ sperimenta quelle ‘strade perdute’ di Ovunque sei. Da una parte, c’è la figura di Laura, la sua presa di coscienza che la distanzia dalla sua famiglia di estrazione borghese-cattolica. Dall’altra c’è Libero, un ragazzo che sogna un futuro rivoluzionario. Al di là delle scene degli scontri tra studenti e forze dell’ordine, dove la macchina da presa del regista è sempre troppo dentro anche quando li inquadra, il ’68 è mostrato certamente attraverso degli squarci oggettivi, ma, soprattutto, sembra vivere nella testa dei suoi protagonisti. Quindi come un desiderio, come un’utopia. Il frammento in cui Laura partecipa alla marcia della pace per il Vietnam potrebbe non essere mai avvenuto. Potrebbe trattarsi di una proiezione mentale soggettiva, di un’aspirazione ideale, in cui si accentua ancora di più lo scarto tra la realtà e il sogno, anzi ‘il grande sogno’. In mezzo c’è Nicola, una specie di figura sospesa, a metà tra i poliziotti e gli studenti, che, alla fine, non riesce mai a trovarsi né da una parte né dall’altra. Il finale, con il mancato ricongiungimento con Laura, è esemplare. C’è qualcosa che lì divide, un vetro, forse per sempre. Non si può dire, come si è visto, che quello di Placido possa essere un film in soggettiva attraverso Nicola. Però, attraverso la sua figura, sembra esserci comunque l’obiettivo della macchina da presa che lo segue, che fa vedere proprio attraverso di lui. Forse Il grande sogno non ha quel respiro corale di Romanzo criminale. Ma, forse, dichiaratamente, non può e non vuole averlo. La pellicola appare soprattutto come un viaggio nella memoria individuale, dove certi personaggi, certi eventi appaiono più nitidi e altri più sfocati. Proprio come nei ricordi personali. E al di là delle cicatrici che Film può avere un film come questo (sembra infatti che sia stato tagliato di 45 minuti), c’è da sottolineare come Placido ci sia annegato dentro e l’abbia fatto con il cuore. Riccardo Scamarcio, che dà un saggio anche di ottima tecnica recitativa nella scena dell’audizione, forse è il suo Jean-Pierre Léaud e sta un gradino sopra ai pur bravi Jasmine Trinca e Luca Argentero. Ed è proprio per questo che, spingendoci oltre, si può considerare Il grande sogno come il personale The Dreamers del regista. Magari non in Tutti i film della stagione modo così evidente come nel film di Bertolucci, ma anche qui cinema e vita diventano elementi coincidenti. Ci sono brani, per esempio, da I pugni in tasca di Bellocchio e Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy. Inoltre, il momento della famiglia di Laura in vacanza d’estate ha le forme vibranti di un film amatoriale familiare. Altri frammenti visivi che forzano ma entrano nella pellicola e le accelerano ancora di più i battiti fino a quando questi diventano incontrollabili. Ed è ancora Scamarcio che, per un momento, diventa Placido proprio all’inizio del film quando viene ripreso dal suo superiore. Sembra un riciclaggio del soldato Passeri di Marcia trionfale di Bellocchio, interpretato proprio dal regista di Il grande sogno. Da lì il film inizia e prende forma più nell’istinto che nel cervello. Anzi inizia il personale diario di un sognatore. Incontrollato, pieno di sbalzi improvvisi e, per questo, bellissimo. Simone Emiliani NEMICO PUBBLICO N. 1 LORA DELLA FUGA (Lennemi public n° 1) Francia/Canada, 2008 Regia: Jean-François Richet Produzione: Maxime Rémillard, André Rouleau, Thomas Langmann per La Petite Reine/Pathé. In coproduzione con M6 Films. Con la partecipazione di Remstar Productions/Canal+/ TPS Star/120 Films. In associazione con Uni Etoile 4/Uni Etoile 5/Cinémage 2/Banque Populaire Images 8/CNC. Con il supporto di Région Haute-Normandie/Natixis Coficiné Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 17-4-2009; Milano 17-4-2009) Soggetto: tratto da l’autobiografia L’istinto di morte di Jacques Mesrine Sceneggiatura: Abdel Raouf Dafri Direttore della fotografia: Robert Gantz Montaggio: Bill Pankow, Hervé Schneid Musiche: Marco Beltrami, Marcus Trumpp Scenografia: Emile Ghigo Costumi: Virginie Montel Produttore esecutivo: Daniel Delume Produttori associati: Jean Cottin, Emmanuel Montamat Direttori di produzione: François Pulliat, Danny Rossner, Laurent Sivot, Jerry Thevenet Casting: Antoinette Boulat Aiuti regista: Ludovic Bernard, Alexandre Bernard, Patrice Lefevre, Sinan Saber Operatore: Benoit Dentan Supervisore art direction: Jean-Andre Carriere Trucco: Thi Thanh Tu Nguyen, Christophe Giraud, Sandrine Gonzales, Alice Robert, Nathalie Trépanier, Dana Vargas a seconda parte di Nemico pubblico n. 1 descrive la vita e, soprattutto, i crimini del bandito Jacques Mesrine dal 1973 al 1979, fino al momento della sua esecuzione in strada per mano della polizia: vita, crimini e morte di Jacques Mesrine, professione bandito. L’8 marzo 1973 Mesrine viene arrestato: la fuga del 6 giugno dal tribunale di Compiègne, con la complicità di Michel Ardouin che gli fa trovare una pistola nel bagno, è plateale. Più tardi, da latitante, visiterà camuffato da medico il padre agonizzante in ospedale. L Acconciature: Dana Vargas Supervisore effetti speciali: Georges Demétrau Coordinatore effetti speciali: François Philippi Supervisori effetti visivi: Alain Carsoux Stephane Dittoo Coordinatori effetti visivi: Anais Bettrand, Séverine De Wever, Chauvet Florian Supervisore musiche: Jérôme Lateur Interpreti: Vincent Cassel (Jacques Mesrine), Ludivine Sagnier (Sylvia Jeanjacquot), Mathieu Amalric (François Besse), Gérard Lanvin (Charlie Bauer), Samuel Le Bihan (Michel Ardouin), Olivier Gourmet (commissario Broussard), Georges Wilson (Henri Lelièvre), Michel Duchaussoy (padre di Mesrine), Myriam Boyer (madre di Mesrine), Anne Consigny (avvocato di Mesrine), Georges Wilson (Henri Lelièvre), Alain Fromager (Jacques Dallier, giornalista per “Minute), Arsène Mosca (Jojo, un poliziotto), Laure Marsac (giornalista), Christophe Vandevelde (ispettore Gégé), Luc Thuillier (commissario OCRB/Lucien Aimé-Blanc), Pascal Elso (commissario SRPJ), Serge Biavan (ispettore SRPJ), Isabelle Vitari (cassiera), Michael Vander-Meiren, David Seigneur (poliziotti), Nicolas Abraham (Grangier), Joseph Malerba (Robert), Pascal Doucet-Bon (giornalista Compiègne), Emmanuel Vieilly (ispettore al cimitero), Pascal Liger (pugile), Fanny Sydney (Sabrina 16 anni), Rachel Suissa (principessa Annie), Clémence Thioly (principessa Christiane) Durata: 130’ Metri: 3570 Nel settembre 1973 una rapina in banca degenera in scontro a fuoco e l’autista della banda viene arrestato. Jacques e Michel fuggono prima in macchina poi in metro, dove Ardouin prende le distanze da Mesrine, lasciandolo solo. In carcere l’autista canta: il 28 settembre la polizia circonda l’appartamento del nemico pubblico numero uno e lo arresta senza sparare un colpo dopo una cavalleresca trattativa tra Mesrine e il commissario Robert Broussard, comandante della BRI (Brigade de Recherche et d’Intervention). La detenzione è nel carcere della Santé, dove per acquistare maggiore visibilità, Mesrine de- 49 cide di scrivere la sua autobiografia “L’istinto di morte”, pubblicata a ridosso del processo che lo condannerà a venti anni di reclusione. In carcere avviene il colloquio toccante con la figlia Sabrina, che continua a volergli bene nonostante tutto. Nel marzo 1978, assieme a François Besse, avviene la rocambolesca evasione dalla Santé. Nel corso della latitanza, i due compiono un’ingente rapina al casinò di Deauville. Poco dopo, l’incontro tra Mesrine e Sylvia Jeanjacquot, l’intervista a “Paris-Match”, in cui si dichiara pronto a sovvertire il sistema a suon di bombe e terrorismo, e nel 1979, il sequestro dell’an- Film ziano miliardario Henri Lelièvre con relativo riscatto di sei milioni di franchi. In agosto, l’incontro con Charlie Bauer, estremista di sinistra, sembra preludere a un inserimento del “cane sciolto” Mesrine nelle frange della lotta armata. Ma, poco dopo, il bandito massacra di botte Jacques Tillier, giornalista del settimanale di destra “Minute”, a causa di un suo precedente articolo infamante su di lui. È una mossa azzardata, Bauer lo sa e prende a sua volta le distanze da Mesrine. Un preludio a un epilogo annunciato in apertura: il 2 novembre Mesrine e Sylvia, alla Porte de Clignancourt, cadono in un’imboscata dell’antigang comandata da Broussard. Senza che la polizia abbia intimato la resa, Mesrine viene crivellato di proiettili e giustiziato con un colpo alla tempia. C he il puntualissimo citazionismo dei grandi classici noir (su tutti Melville) e l’azione più sfrenata Tutti i film della stagione e adrenalinica del film di Richet abbia saputo conquistare la critica (un po’ meno il pubblico, ma L’ora della fuga è uscito stranamente in sordina) è solo la dimostrazione di quanto male fosse venuto il precedente L’istinto di morte. Il quale, intendiamoci, aveva sulle spalle gravose responsabilità: occorreva “preparare il terreno” delle azioni criminali di Mesrine, svelarne il passato, spiegarne la psicologia. Tutte cose venute piuttosto male, ma va dato atto di averci provato. L’ora della fuga ha invece dalla sua l’innato vantaggio di dare per scontata la visione del film precedente, e potersi concedere il lusso di partire a tavoletta in una dinamica celebrazione delle gesta criminali del nemico pubblico numero 1. Il risultato può dirsi comunque riuscito in termini di partecipazione: quando Richet preme sull’acceleratore sa creare scene coinvolgenti (l’ultima, quella dell’esecuzione di Mesrine, regala una suspense inaspettata quanto gradita, giocando per una volta – una sola – sulla sospensione). Non mancano, al solito, facili approssimazioni (la fascinazione che Mesrine esercita verso l’avvocatessa, che gli fornisce le armi per evadere), ma Richet trova il tempo per frenare sull’action e soffermarsi sulla destrutturazione dell’aura mitica del personaggio, ideologicamente confuso e fatalmente egocentrico da impedire qualunque joint venture con i gruppi criminali dell’epoca (e il richiamo agli anni di piombo e al caso Moro sono un indubbiamente riuscito dettaglio storico e sociale). Una mossa azzeccata, in grado di sfrondare il tutto da eccessi di didascalismo e facili romanticismi da romanzo criminale. Che talora permangono (il totale amore della figlia di Mesrine verso il padre è cieco di fronte a qualsiasi cosa succeda, la Sagnier è una pupa del gangster nel senso più stereotipato del termine), ma decisamente ci si può accontentare. Gianluigi Ceccarelli CROSSING OVER (Crossing Over) Stati Uniti, 2009 Supervisore effetti speciali: Larry Fioritto Supervisori effetti visivi: Adam Avitabile (LOOK! Effects), Edson Williams (Lola Visual Effects) Coordinatore effetti visivi: Phillip Palousek Supervisore costumi: Anthony J. Scarano Supervisore musiche: Brian Ross Interpreti: Harrison Ford (Max Brogan), Ray Liotta (Cole Frankel), Ashley Judd (Denise Frankel), Jim Sturgess (Gavin Kossef), Cliff Curtis (Hamid Baraheri), Alice Braga (Mireya Sanchez), Alice Eve (Claire Shepard), Summer Bishil (Taslima Jahangir), Jacqueline Obradors (agente speciale Phadkar), Justin Chon (Yong Kim), Melody Khazae (Zahra Baraheri), Merik Tadros (Farid Baraheri), Marshall Manesh (Sanjar Baraheri), Nina Nayebi (Minoo Baraheri), Naila Azad (Rokeya Jahangir), Shelley Malil (Munshi Jahangir), Jamen Nanthakumar (Abul Jahangir), Jaysha Patel (Jahanara Jahangir), Leonardo Nam (Kwan), Tim Chiou (Steve), West Liang (Mark), Johnny Young (Justin), Lizzy Caplan (Marla), Ogechi Egonu (Alike), Aramis Knight (Juan Sanchez), Chil Kong (Chin Kim), Mahershalalhashbaz Ali (detective Strickland), Sarah Shahi (Pooneh Baraheri), Sung Hi Lee (Min Kim), Andy Kang (Seung Kim), Josh Gad (Howie), Maree Cheatham (giudice Freeman) Durata: 113’ Metri: 2910 Regia: Wayne Kramer Produzione: Wayne Kramer, Frank Marshall per C.O. Films/ The Kennedy-Marshall Company/Movie Prose/Road Rebel/ The Weinstein Company Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 26-6-2009; Milano 26-6-2009) Soggetto e sceneggiatura: Wayne Kramer Direttore della fotografia: Jim Whitaker Montaggio: Arthur Coburn Musiche: Mark Isham Scenografia: Tony Corbett Costumi: Kristin M. Burke Produttori esecutivi: Michael Beugg, Bob Weinstein, Harvey Weinstein Coproduttore: Gregg Taylor Direttore di produzione: Omar Veytia Casting: Anne McCarthy, Jay Scully Aiuti regista: Nicholas Mastandrea, Maria Mantia, Marisol ‘Ari’ Oyola Operatori: Josh Medak, Brian T. Pitts Operatore steadicam: Colin Hudson Art director: Peter Borck Arredatore: Linda Lee Sutton Trucco: John E. Jackson, Tammy Ashmore Acconciature: Daniel Curet, Marie Larkin, Richard De Alba ax Brogan è un agente dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) che opera sul confine tra il Messico e gli Stati Uniti per ostacolare con ogni mezzo qualsiasi forma di immigrazione clandestina. Innumerevoli sono le ispezioni e gli arresti che Max e il M suo gruppo eseguono nelle piccole aziende familiari di quella zona, dove tutto è irregolare, precario, contro la legge. Max cerca di compiere il suo dovere più umanamente possibile, cosa che gli porta la pesante ironia dei suoi colleghi: così facendo arresta l’irregolare Mireya Sanchez 50 che ha un bambino affidato, a pagamento, a una megera. Max preleva il bambino e lo porta ai nonni, in Messico, a cui poi sarà anche costretto a riferire che Mireya, durante l’evasione e la fuga per ritornare a casa è stata uccisa dal locale trafficante di esseri umani. Film Denise Frankel, avvocatessa dei deboli, si accorge solo alla fine che suo marito Cole, funzionario dell’Immigrazione, ha rilasciato la green card a una ragazza australiana dopo un lungo periodo di sesso con lei e per questo è arrestato. La giovane palestinese Zahra è espulsa dagli USA per avere tentato di fare capire in un compito in classe le ragioni degli attentatori dell’11 Settembre. Yong Kim, ragazzo coreano che partecipa, suo malgrado, a una sanguinosa rapina in un drugstore con una banda di balordi, è lasciato in vita dal poliziotto Hamid (iraniano, collega di Brogan) dopo che gli ha ammazzato quattro complici, per permettergli di partecipare alla cerimonia di naturalizzazione di tutta la sua famiglia. Lo stesso Hamid e il fratello sono arrestati da Brogan per avere ucciso la sorella, “colpevole”, secondo Tutti i film della stagione loro di un’emancipazione all’occidentale troppo spiccata e quindi immorale. Il giovane ebreo Kossef ottiene i documenti spacciandosi per insegnante nelle scuole religiose: ha come aiuto la testimonianza di un rabbino che non crede minimamente alla sua versione ma lo aiuta perché colpito dalla bella voce del ragazzo che utilizzerà come cantore nella sua sinagoga. l film ha come predecessori Crash e Babel di cui ripropone la struttura narrativa circolare, cioè un racconto che risolve e scioglie nella seconda parte le storie presentate nella prima. Di quei due film, però, il presente lavoro non mantiene la stessa durezza d’immagine nè la forza descrittiva di un montaggio mai in calo; così quella tesi di fondo che riconosce, in pratica, l’impossibilità di tenere in un I accettabile livello civile i rapporti interrazziali perché sono proprio i comuni rapporti di vita quotidiana a manifestare una completa e spietata difficoltà di coesistenza, risulta qui piuttosto annacquata; il film è sempre seduto, spesso noioso, sulla linea del suo protagonista Harrison Ford, sempre sommesso e dimesso nell’incarnazione del dolore umano, di cui pare non comprendere l’appartenenza generale, dove non c’entra né la razza né la religione. L’assurdo del risultato è che i personaggi, avviluppati nei loro problemi di razza, spesso non risultano simpatici e non trascinano dalla loro parte quel coinvolgimento dello spettatore che dovrebbe essere la molla primaria a scattare in film di questo genere. Fabrizio Moresco LE AVVENTURE DEL TOPINO DESPEREAUX (The Tale of Despereaux) Gran Bretagna/Stati Uniti, 2008 Regia: Robert Stevenhagen, Sam Fell Produzione: Gary Ross, Allison Thomas per Universal Pictures/Larger Than Life Productions/Framestore Feature Animation/Universal Animation Studios Distribuzione: Universal Prima: (Roma 24-4-2009; Milano 24-4-2009) Soggetto: dal libro omonimo per ragazzi di Kate DiCamillo Sceneggiatura: Gary Ross, Will McRobb, Chris Viscardi Direttore della fotografia: Brad Blackbourn Montaggio: Mark Solomon Musiche: William Ross Scenografia: Evgeni Tomov Produttori esecutivi: Robin Bissell, Ryan Kavanaugh, David Lipman, William Sargent Produttori associati: Celia Boydell, Casey Crowe, Peiyu H. Foley, Jamal McLemore Coproduttore: Tracy Shaw Direttori di produzione: Tripp Hudson, Frederick Lissau Casting: Debra Zane Art director: Olivier Adam Supervisore effetti visivi: Barry Armour Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisore animazione: Gabriele Zucchelli Animazione personaggi: Rosie Ashforth, Ferran Casas, Jesus del Campo, Nelson Yokota de Paula Lima, Cecile Du- el regno di Dor, ogni prima domenica di Primavera, si celebra la Festa della Zuppa e, come ogni anno, lo chef Andrè, assieme allo spirito delle verdure, ne crea una differente che verrà poi distribuita per tutta la città. Il ratto Roscuro, diverso da quelli della sua specie perché ama il sole ed è sincero, si trova col suo amico umano proprio in quel regno. Purtroppo, pur di vedere la bella principessa Pea da vicino, cade nel piatto N bois-Henry, Benoit Dubuc, Hyun Chul Jung, Andrew Lawson, Bart Maunory, Nathan McConnell, Simon Pickard, Allison Rutland, Ricardo Silva Animazione: Dan Ayling, Marc Beaujeau, David Beer, Antoine Birot, Brendan Body, Bart Boirot, Andrea Castagnoli, Paul Claessens, Rahul Dabholkar, Phil Dale, Florent de La Taille, Pepe de Lucas, Peter Dodd, Matt Everitt, Samy Fecih, Mike Ford, Aldo Gagliardi, Daniel Gerhardt, Jordi Girones, Laurent Laban, Jeremy Lazare, Stuart M. Ellis, Ambre Maurin, Peter McCauley, Sandra Murta, Kevin O’Sullivan, Christopher Page, Matthieu Poirey, James Porter, In-Ah Roediger, Liam Russell, Alison Sanders, Michael Schlingmann, Nicolas Seck, Brad Silby, Elwaleed Suliman, Andrew Myles Thompson, Tim Watts, Jardel Yvon Voci: Matthew Broderick (Despereaux), Dustin Hoffman (Roscuro), Emma Watson (Principessa Pea), Christopher Lloyd (Hovis), Robbie Coltrane (Gregory), Kevin Kline (Andre), William H. Macy (Lester), Stanley Tucci (Boldo), Ciarán Hinds (Botticelli), Tracey Ullman (Mig), Tony Hale (Furlough), Frances Conroy (Antoinette), Frank Langella (sindaco), Richard Jenkins (preside), Chales Shaughnessy (Pietro), Sigourney Weaver (narratrice), Patricia Cullen (regina), Sam Fell (Ned), Jane Karen (Louise), McNally Sagal (insegnante), Bronson Pinchot (banditore comunale) Durata: 90’ Metri: 2450 della Regina, che per lo spavento muore. Roscuro, pur di salvarsi cade nelle fogne finendo nel tetro regno dei Ratti. Nel mentre il Re, sopraffatto dal dolore, bandisce dal regno sia i ratti che le zuppe; così facendo turba il normale equilibrio portando alla perdita dei colori e siccità perenne. Intanto, nel mondo sotterraneo dei Topi, nasce Despereaux, che subito si distingue dagli altri per via della bassa statura e delle enormi orecchie. Le differenze 51 non terminano qui. Despereaux possiede infatti un coraggio ed una curiosità, che non si trovano in altri topolini. Tutto questo, preoccupa i genitori e gli insegnanti della scuola, che invano cercano di farlo diventare un topo pauroso e prudente. Anche Roscuro non riesce a integrarsi fra i suoi simili, che vivono di sporcizia e bassezze. La cosa che più trova aberrante è l’Arena, una sorta di Colosseo, con tanto di giochi simili. Film Sorte non migliore tocca alla principessa Pea, che soffre di solitudine per la madre e i colori. Il Re non fa che piangere e suonare musica malinconica davanti al ritratto della regina. Neanche il popolo vive più bene: ogni abitante di Dor è infelice. Le cose cambiano quando Despereaux, accompagnato dal fratello maggiore, sotto consiglio paterno, va in biblioteca, per insegnargli a rosicchiare i libri. Despereaux inizia invece a leggere il libro, dove si racconta la storia di una principessa in difficoltà. Nel vedere Pea piangere, decide che sarà lui il gentiluomo che la salverà. I due si conoscono; la sua impresa eroica sarà finire di leggere, per poi raccontarle, la favola della principessa prigioniera. Despereaux si confida col fratello, il quale dice la verità ai genitori, che a loro volta sono costretti a denunciarlo. Despereaux, causa aver parlato con un’umana, viene condannato all’esilio nelle fogne dove vivono i ratti. In questo nuovo mondo, il topolino viene salvato in extremis da Roscuro, proprio mentre stava per essere ucciso da un gatto nell’Arena. I due diventano amici; Despereaux racconta della principessa Pea e della sua tristezza. Roscuro decide di andare da lei e chiederle scusa. Ma Pea, riconoscendovi la causa di morte della madre, grida aiuto. Roscuro, profondamente deluso e arrabbiato medita vendetta. Chiede aiuto a Maya, grassoccia cameriera di Pea in lite col mondo, perché vorrebbe lei stessa essere una principessa. Roscuro usa Maya con l’inganno per far rinchiudere Pea dai ratti, il cui intento è usarla come pasto. Despereaux, dopo aver cercato aiuto sia negli amici che nel Re invano, riesce a salvarla proprio grazie all’intervento di Roscuro, che ha capito i suoi errori. Intanto nel mondo degli uomini, Andrè aveva rincominciato a cucinare zuppe, la qual cosa ha permesso il ritorno dei colori e della Tutti i film della stagione pioggia ed infine del sole. Roscuro, grazie a una lente riesce ad utilizzare la luce del sole, per distruggere il regno dei Ratti. Maya ritrova nel guardiano delle prigioni Gregory il padre che l’aveva abbandonata da bambina, il Re torna ad essere un buon Re verso il suo popolo e Pea, Roscuro tornerà per mare, Despereaux diventa un eroe. ravo il topino Despereaux! Protagonista di un film d’animazione decisamente sopra la media. La storia è quella di un topolino, diverso perché non si amalgama alla massa e differente persino nell’aspetto fisico. Questo diverso riesce nella sua missione: salvare la principessa in pericolo e tornare da eroe in casa propria. Al di là del racconto di base, Le avventure del Topino Despereaux, offre mille spunti di riflessione. I tre mondi riscontrano caratteristiche differenti, che possano renderli facilmente distinguibili; quello degli uomini sembra tendere verso l’altro, con elementi architettonici in verticale, qualità riscontrabile anche nella principessa Pea e nel Re; in quello dei topi si ricalcano le grandi città europee del ‘700; quella dei ratti è cupa e tetra, con abitanti che ricordano dei vampiri (non ha caso la loro distruzione è data dalla venuta dei raggi del sole nell’Arena); un mondo in cui vi è una arena come l’antica Roma, con tanto di giochi al massacro e un Re che col pollice decide il destino del malcapitato. I mondi degli animali si contrappongono, l’uno pulito e limpido, l’altro sporco e sudicio. Diversi i riferimenti a film targati Disney: la lotta che Despereaux immagina mentre legge il libro, ricorda quella del Principe Filippo in La bella addormentata nel bosco; il tribunale dei topi è un richiamo alla B sede della Società di Salvataggio, in cui lavorano i due topolini Bianca e Bernie; infine vi sono sicuramente le grandi orecchie di Despereaux, che come il suo collega Dumbo, le utilizza per volare. La figura di Despereaux, si fa attendere. L’eroe non si vede che circa quindici minuti dall’inizio, creando attesa per la sua comparsa sul grande schermo. Questa più o meno la sequenza: il padre arriva dalla moglie che ha appena partorito, quello che vedremo però non è Despereaux, ma una sua soggettiva per farci capire come lui guarda il mondo, senza mai battere ciglio. Questo ritardo è giustificato, poiché un eroe compare solo quando il mondo ne ha bisogno. Bella anche la costruzione del ratto Roscuro, anche lui diverso dagli altri della sua razza, perché amante del sole e della buona cucina. Con questo personaggio, si viene forse a contatto con quello più umano di tutti. Buono di cuore quindi inizialmente positivo, ma indurito dal dolore, prende per un breve periodo una strada che lo avvicinerà al male, per poi tornare dalla parte del bene. Un film non molto adatto ai bambini per diverse ragioni. Alcune scene risultano decisamente forti come quella del giudizio, solenne quanto intenso; nonché il personaggio del topo cieco, che vive isolato da tutti per il ribrezzo che suscita. Così anche la città stessa dei ratti, con tanto di teschi e la scena dell’assalto sulla povera Pea. Forti anche i temi trattati come l’abbandono filiale o il dolore per la perdita della persona amata. Gli insegnamenti morali vanno di pari passo; tanto per citarne di belli: quando si prova un grande dolore, si cerca una colpa per sedarlo, oppure che quando ci si spezza il cuore, si può aggiustare male. Elena Mandolini VISIONS Italia, 2009 Casting: Shaila Rubin Effetti trucco: Manlio e Luigi Rocchetti Effetti digitali: Proxima Suono: (presa diretta) Gaetano Carito Interpreti: Henry Garrett (Mat), Jacob Von Eichel (Nick), Caroline Kessler (Hope), Steven Matthews (dr. Leemen), Ralph Palka (Gale), Katie McGovern (Britney), Jennifer Norton (Katrina), Jeffrey Jones (coroner), Clark Grant Slone (tenente Bancroft), Niccolò Senni (James), Francesco Martino (David), Rob Allyn (Chad), Milena Mancini (Alex), Anthony Souter (capitano di polizia), Cyrus Elias (capo FBI) Durata: 108’ Metri: 2610 Regia: Luigi Cecinelli Produzione: Baker Pictures/Cydonia Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 5-6-2009; Milano 5-6-2009) Soggetto: Andrea Dal Monte Sceneggiatura: Andrea Dal Monte. Con la consulenza di John Sheppard Direttore della fotografia: Claudio Zamarion Montaggio: Claudio Misantoni Musiche: Stefano Fresi Scenografia: Maurizio Marchitelli Costumi: Paola Bonucci Direttore di produzione: Stefano Canzio 52 Film lcuni corpi speciali dell’Fbi irrompono in una fabbrica dismessa che sembra essere il covo di un ricercato serial killer, noto come Spider. Il sadico ha infatti l’abitudine di rinchiudere le sue vittime in un bozzolo, simile alla tela di un enorme ragno, per tenerle in vita il più possibile e nutrirsi della loro sofferenza. In realtà, si rivela come una trappola: nel momento in cui i poliziotti tentano di liberare gli ostaggi, vengono innescate delle torture che fanno una vera e propria carneficina. La strage induce alle dimissioni il dottor Freederick Leemen, psichiatra criminale, che da anni tenta di ricostruire la personalità dell’assassino. Rassegnato, il dottore chiude il caso e torna a occuparsi della sua clinica psichiatrica. Tra gli altri, Leemen ha in cura Matthew, un ragazzo appena ridestatosi da un coma, a causa di un misterioso incidente stradale, che ne ha minato le percezioni, cancellato la memoria e compromesso i rapporti interpersonali. Ma questo blackout gli consente di sviluppare alcune straordinarie doti cognitive e sensitive. Il ragazzo inizia ad avere strane e agghiaccianti visioni e frequenti incubi notturni. Matthew riesce ad aprirsi soltanto con il tossico ed esuberante Nick, un paziente della clinica che ha la passione per il gioco con i dadi. Un giorno, durante un’incursione nell’ufficio di Leemen per avere informazioni riguardo il proprio passato, Matthew scopre le prove del caso Spider. Il dottore aveva infatti raccolto delle videocassette con immagini raccapriccianti delle torture che il killer infliggeva alle sue vittime. A quel punto, le visioni del ragazzo diventano ancora più frequenti, da spingerlo a indagare personalmente sul caso. Tramite ricerche sul web, i due ragazzi si mettono in contatto con una giovane giornalista, Hope, che sta seguendo le indagini sugli omicidi del serial killer. La giovane reporter è motivata e cinica al punto giusto per seguire un caso del genere, anche contro la volontà del suo direttore. Il dottor Leemen, venuto a conoscenza delle doti particolari del suo assistito, decide di riaprire il caso. Infatti le visioni di Matthew permettono di scoprire i nascondigli del serial killer e di prevedere anche le sue mosse successive. Con l’aiuto della giornalista e di Nick, il ragazzo conduce la polizia nel nascondiglio di Spider, dove si trovano alcune vittime ancora vive. È qui che uscirà fuori la verità. Spider non è altro che lo stesso Matthew, affetto da schizofrenia e personalità multipla, che è stato sottoposto dallo staff di Leemen a un trattamento psichiatrico di perdita della memoria. Non riuscendo infatti a trovare le ultime vittime, l’unica possibilità era che fosse lo stesso killer a portare l’Fbi sulle loro tracce. Matthew viene arrestato e portato in una cella di isolamento. Tuttavia Hope, segretamente innamorata di lui, continua a pensare che in fondo sia innocente. A Tutti i film della stagione ra lo psico thriller e l’horror Visions è l’esordio del regista romano Luigi Cecinelli, scritto da Del Monte ma girato negli Stati Uniti e recitato da attori poco visti e conosciuti. Fin dalla prima sequenza, si ha l’impressione di essere tornati indietro nel tempo; l’epoca è più o meno quella dei telefilm degli anni Ottanta. Insomma il film si iscrive da subito in maniera consapevole e senza troppe pretese, in serie B. Se infatti la matrice è il “serial thriller” americano di derivazione letteraria (vedi Il silenzio degli innocenti o Il collezionista di ossa) con alcuni innesti all’interno del meccanismo di incremento della suspense, che richiamano alla mente gli enigmi psicologici di Saw e di Spider (sarà un caso che il serial killer si chiama proprio così?), il film viene descritto più come una copia che come un originale. Dalla fotografia sporca, ai luoghi tipici del genere, a certe soluzioni stilistiche artigianali (come le cornici iperrealistiche delle varie visioni del protagonista, virate nei colori e nella saturazione), Visions è una pellicola che di nuovo ha ben poco. Per non parlare poi della recitazione e del doppiaggio, davvero poco riusciti. Del resto, a questo tipo di prodotti non si chiede molto: ci si accontenta di una scarsa recitazione e pure di dialoghi antirealistici, basta che quei nodi della sceneggiatura sappiano dipanarsi adeguatamente in modo da coinvolgere il suo spettatore, mantenere viva la voglia di seguire la storia fino alla fine, magari facendo pure una chiusura a effetto. Giocando sui diversi livelli di percezione della realtà, Ceci- T nelli, noto in tv e nel campo video musicale, probabilmente ha fatto del suo meglio nell’intento di lasciare nello spettatore un senso di destabilizzazione forte, con il fine di creare un universo ambiguo, doppio, del quale è impossibile (oltre che inutile) capirne e svelarne i meccanismi di funzionamento. Il problema è che se l’operazione viene applicata da registi come Lynch o Cronenberg, i quali però da sempre aderiscono ad un preciso progetto estetico, è un conto, altro è se a farlo è un regista alle prime armi. Il tentativo di emulazione di questi grandi modelli fallisce, nonostante si cerchi di camuffare il tutto con effetti speciali o verbosità tecniche. Manca infatti totalmente la tensione necessaria a creare l’atmosfera che dovrebbe condurre lo spettatore con il fiato sospeso ad un epilogo, per di più per nulla sorprendente. I tempi della narrazione non appaiono ben orchestrati, ci sono dei vuoti di sceneggiatura e i dialoghi spesso sono davvero scontati e grotteschi. A volte mettere tanta carne al fuoco per poi non consumarla può risultare nocivo per la comprensione del pubblico, soprattutto se poi non si riescono a risolvere tutte le tracce disseminate nel corso della narrazione e a giustificare dei passaggi poco chiari. È probabile che l’attenzione sia caduta in gran parte sul richiamo del pubblico a scapito del resto. Peccato perché si sentiva il bisogno di un horror-movie nostrano, che non fosse afflitto, ancora una volta, dall’inguaribile e contagiosa febbre da box office. Veronica Barteri PIEDE DI DIO Italia, 2008 Regia: Luigi Sardiello Produzione: Enzo Porcelli per Achab Film/Ripley’s Film Distribuzione: Achab Film Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009) Soggetto e sceneggiatura: Luigi Sardiello Direttore della fotografia: Tommaso Borgstrom Montaggio: Bruno Sarandrea Musiche: Andrea Terrinoni Scenografia: Carlo Rescigno Costumi: Grazia Colombini Organizzatore generale: Paolo Venditti Aiuto regia: Marco Antonio Pani Suono: (presa diretta) Remo Ugolinelli, Fabrizio Andreucci Interpreti: Emilio Solfrizzi (Michele Corallo), Rosaria Russo (Benedetta), Filippo Pucillo (Elia), Paolo Gasparini (Giulio), Antonio Catania (maestro), Elena Bouryka (Vittoria), Antonio Stornaiolo (Mago Raian), Guido Quintozzi (direttore di banca), Luis Molteni (dott. Romano), Matteo Girardi (Michele giovane), Daniele Mancini (Giulio giovane), Angelo Argentina, Gian Nicola Resta (accompagnatori), Alessandra Caliandro (ragazza procace), Carlotta Sapia (Giorgia), Eleonora Gaggioli (madre di Giorgia), Antonio Covatta (padre di Giorgia), Gaetano Gentile (cameriere bar Roma) Durata: 95’ Metri: 2650 53 Film ichele Corallo, ex promessa sui campi di calcio stroncato da un grave infortunio, è un talent scout che gira l’Italia in cerca di nuovi talenti da lanciare nel professionismo. Giunto in Salento per visionare una partita, s’imbatte per puro caso in Elia, diciottenne con un cervello da dodicenne, talento purissimo che si diverte a giocare con gli amici in spiaggia. In paese lo conoscono tutti, è famoso per non aver mai sbagliato un calcio di rigore e Michele – che da qualche tempo vive ben al di là delle proprie possibilità – intravede nel ragazzo lo spiraglio di un nuovo avvenire. Convincere la madre di Elia a portarlo a Roma per un provino non è facile, però. Alla fine, vinta l’indecisione della donna, Michele ritorna nella capitale con il ragazzo, che ospita a casa sua. Dove, tra le altre cose, dovrà tener testa all’inconsistente Vittoria, aspirante “attrice” lamentosa e piagnucolosa con la quale Michele porta avanti un rapporto ormai più di facciata che reale. Ma anche in questo caso, Michele si convince che grazie all’asso nella manica rappresentato da Elia, le cose finiranno per aggiustarsi. Purtroppo il suo entusiasmo dovrà scontrarsi dapprima con l’ostracismo del Dottor Romano, procuratore senza scrupoli, poi con il progressivo intristimento di Elia, spaesato lontano dalla sua casa e dai suoi amici. L’occasione giusta sembra presentarsi quando un vecchio compagno di Michele riesce a procurare un provino al M Tutti i film della stagione ragazzo, che potrà finalmente mettere in mostra il proprio valore. Elia parte bene, qualche buono spunto, poi però si estranea dal gioco; è tutto troppo serio intorno a lui, nessuno ride, il pallone diventa pesante. E quando l’arbitro fischia un rigore in favore della sua squadra, il ragazzo si porta sul dischetto, controvoglia. Sbaglierà il suo primo tiro dagli undici metri, Elia, di proposito. Michele non può credere ai suoi occhi: il suo sogno si infrange definitivamente su quel rigore fallito. La banca gli è col fiato sul collo, tenta addirittura di fare due soldi “prestando” il ragazzo a un sedicente mago del Luna Park. Ma l’intervento dei carabinieri, allertati dalla madre di Elia, riporterà il ragazzo tra le braccia di chi lo ama. Distrutto, Michele vende quel poco che gli è rimasto per sanare il debito bancario. E poi, finalmente libero, tornerà su quella spiaggia in Salento per ricominciare a calciare il pallone. E per riabbracciare Elia. sordio alla regia per Luigi Sardiello, già critico cinematografico (direttore di Filmaker’s Magazine), sceneggiatore e romanziere, Piede di dio racconta il malessere di un mondo, quello del calcio, che non è più a portata di spensieratezza e sorrisi. Per farlo, Sardiello si affida al registro della commedia drammatica e incentra lo sviluppo della trama sull’incontro fra due persone apparentemente distanti, in realtà unite dalla stessa pas- E sione e dalla stessa “solitudine”: i sogni da calciatore di Michele (Solfrizzi, visto meglio in altre occasioni) si spegnevano anni prima su un campo di categoria e l’attuale, spasmodica ricerca del “talento puro” lo porta un po’ a ricercare il se stesso che fu e non diventò mai; la gioia e il sorriso di Elia (Filippo Pucillo, “non” attore caro a Crialese, che lo ha diretto in Respiro e Nuovomondo) tanto bravo col pallone tra i piedi quanto poco “capace” di stare al mondo, nascondono in realtà il peso di un’assenza data da quel padre che non ha mai conosciuto. Il messaggio del film – che regala agli appassionati anche indimenticabili filmati di repertorio (da Garrincha alla vittoria azzurra dei mondiali del 2006, passando per quei calci di rigore – di Graziani e Conti in finale di Coppa Campioni contro il Liverpool – che in molti non avrebbero mai voluto vedere, figuriamoci rivedere...) – è limpido, così come la buona fede del prodotto. Che però soffre, della povertà della messa in scena, della risibilità di alcuni dialoghi, della performance di alcuni interpreti secondari (Elena Bouryka, tanto per fare un nome, “funzionava” meglio nei programmi tv...) e la progressiva mancanza di ritmo. Nota “scult”: Pucillo con la parrucca alla Maradona vale comunque il costo del biglietto. Valerio Sammarco ST. TRINIANS (St. Trinians) Gran Bretagna, 2007 Arredatore: Bridget Menzies Trucco: Charmaine Fuller, Mandy Gold Acconciature: Liz Michie, Iain Guthrie Supervisore effetti speciali: Mark Holt Supervisore effetti visivi: Simon Frame Supervisore costumi: Charlotte Sewell Supervisore musiche: Ian Neil Interpreti: Rupert Everett (Camilla Fritton/Carnaby Fritton), Talulah Riley (Annabelle Fritton), Colin Firth (Geoffrey Thwaites), Jodie Whittaker (Beverly), Lena Headey (Miss Dickirson), Gemma Aterton (Kelly), Kathryn Drysdale (Taylor), Juno Temple (Celia), Stephen Fry (presentatore del quiz), Antonia Bernath (Chloe), Amara Karan (Peaches), Tamsin Egerton (Chelsea), Lily Cole (Polly), Paloma Faith (Andrea), Holly Mackie (Tara), Chloe Mackie (Tania), Fenella Woolgar (Miss Cleaver), Theo Cross (insegnante di arte), Russell Brand (Flash), Tereza Srbova (Anoushka), Toby Jones (economo), Caterina Murino (Miss Maupassant), James Rawlings (segretario stampa), Emily Bevan, John Thompson (ispettori), Lucy Punch (Verity Thwaites), Anna Chancellor (Miss Bagstock), Mille Foster (Saffron), Steve Furst (direttore di banca), Preston Thompson (ragazzo al party), Misha Barton (JJ) Durata: 100’ Metri: 2740 Regia: Oliver Parker, Barnaby Thompson Produzione: Oliver Parker, Barnaby Thompson per Ealing Studios/Entertainment Film Distributors/Fragile Films/UK Film Council Distribuzione: CDI Prima: (Roma 10-7-2009; Milano 10-7-2009) Soggetto: dal fumetto omonimo creato da Ronald Searle Sceneggiatura: Piers Ashworth, Nick Moorcroft, Jamie Minoprio, Jonathan M. Stern Direttore della fotografia: Gavin Finney Montaggio: Alex Mackie Musiche: Charlie Mole Scenografia: Amanda McArthur Costumi: Rebecca Hale, Penny Rose Produttori esecutivi: Rupert Everett, Nigel Green, James Spring Produttore associato: Sophie Meyer Coproduttore: Mark Hubbard Direttore di produzione: Alice Dawson Casting: Lucy Bevan Aiuti regista: Melanie Dicks, Dan John, Lucy Egerton Operatore: Sean Savage Art director: John Reid 54 Film arnaby Fritton, collezionista di opere d’arte, iscrive la riluttante figlia Annabelle al College St. Trinian’s. Nella scuola, gestita dalla “mascolina” Miss Fritton, sorella di Carnaby, la trasgressione è la norma. Le allieve si dividono rigorosamente in gruppi: “Le Incazzose”, “Le Belle Micette”, “Le Cervellone”, “Le EMO (Emotivamente Instabili)”, “Le Primo Anno”. Nella scuola si insegnano materie originali e si usano spesso mezzi impropri e scorretti. Il St. Trinian’s è considerato uno dei peggiori istituti del Regno Unito dal nuovo ministro dell’istruzione Thwaites. Il ministro ha un incontro-scontro con Miss Fritton, che conosce dai tempi dell’università, epoca in cui i due avevano avuto anche una relazione. In occasione della sfida a hockey tra le allieve del St. Trinian’s e quelle del blasonato College Chelthenam, vero modello di istruzione secondo il ministro, le ragazze del St. Trinian’s vincono grazie a una condotta di gioco violenta e poco rispettosa delle regole. Il ministro giura vendetta a Miss Fritton. Ma la direttrice ha una grana ben peggiore: la scuola ha un debito con una banca di più di 500.000 sterline e rischia lo sfratto. Miss Fritton ha solo quattro settimane di tempo per ripianare il debito o la scuola verrà dichiarata in bancarotta. Di fronte al rischio di dover frequentare scuole “normali”, le ragazze decidono di agire. Kelly, una delle allieve, ha un’idea: rubare il prezioso quadro di Vermeer, “La ragazza con l’orecchino di perla”, dalla National Gallery di Londra per poi rivenderlo a una cifra stellare. L’occasione giusta viene offerta dal quiz televisivo “School Challenge”, una sfida tra istituti scolastici che si svolge proprio all’interno del museo. Detto fatto, le ragazze compiono un sopralluogo al museo per organizzare il piano, studiano il sistema di allarme e pensano di eluderlo durate la ripresa televisiva del quiz cui parteciperanno tre di loro: Peaches, Chelsea e Chloe. Ha inizio il quiz e, a sorpresa, le ragazze del St. Trinian’s si dimostrano molto preparate, grazie a particolari “aiuti” ottenuti via auricolare e a una strategia che tende a indebolire le scuole avversarie. Le ragazze del St. Trinian’s giungono alla finalissima dove dovranno vedersela con il famigerato Chelthenam College. Intanto Allison, divenuta ormai a tutti gli effetti una tipica allieva del St.Trinian’s grazie anche a uno sbalorditivo cambio di look, organizza la vendita della preziosa tela. Per farlo, organizza un incontro tra il suo amico piccolo criminale Flash, che per l’occasione si fingerà un famoso mercante d’arte, barone tedesco e suo padre, proprietario della Fritton Gallery. Il finto barone propone il famoso quadro di Vermeer a Carnaby Fritton. Alla National C Tutti i film della stagione Gallery ha luogo la finale del quiz televisivo mentre alcune allieve del St.Trinian’s si introducono nella sala dove è custodito il capolavoro. Durante il quiz, Miss Fritton prende da una parte il ministro e gli fa delle avances. Si riaccende l’antica scintilla e i due finiscono a letto insieme. Intanto le ragazze rubano la preziosa tela, mentre le compagne vincono a sorpresa il quiz. Il barone vende a Carnaby Fritton il quadro di Vermeer, ma poco dopo viene fuori che si tratta di una copia. In televisione viene data la notizia che il celebre capolavoro di Vermeer, rubato dalla National Gallery, è stato ritrovato dalla ragazze del Saint Trinian’s College che ricevono un cospicuo premio per aver recuperato l’opera. Il college è salvo, mentre il ministro Thwaites si affaccia nudo proprio dalla finestra della direttrice Miss Fritton. n tempi in cui si fa un gran parlare di crisi della scuola, di proteste per i tagli agli insegnanti e ai fondi per la ricerca, è davvero rincuorante ridere di un college inglese molto particolare inviso dal severo Ministro per l’Istruzione perché considerato il più anarchico e irriverente del Regno Unito. Tratto dalle omonime strisce satiriche a fumetti di Ronald Searle (ispirate dal vero College Saint Trinnean’s di Edimburgo, una scuola all’avanguardia ispirata a innovativi principi di libertà aperta negli anni Venti e chiusa nel 1946), disegnatore e umorista inglese da cui furono tratti cinque film tra il 1954 e il 1980, St. Trinian’s, diretto a quattro mani dagli inglesi Oliver Parker e Barnaby Thompson, è la colorata storia di un college inglese molto ‘sui generis’, popolato da simpaticissime (e bellissime, un po’ troppo forse) ragazze rigorosamente divise in curiose categorie antropologiche. La quotidianità al St. Trinian’s si muove sul delicato confine tra totale follia e diffusa anarchia (qualche esempio? Le lezioni di gestione della rabbia con armi e tute mimetiche e la commercializzazione della vodka al metanolo distillata clandestinamente a scuola). Dopo una prima parte, in cui il film si muove sempre in bilico tra teen movie e farsa stralunata e kitch, nella seconda parte l’azione di salvataggio della scuola che rischia di chiudere per debiti innesca un divertente e scoppiettante girotondo di equivoci. Ecco allora le allieve impegnate a mettere in opera le loro scaltre doti votate all’imbroglio per portare a segno il colpo del secolo: rubare la famosa tela di Vermeer “La ragazza con l’orecchino di perla” per ottenere i soldi necessari alla salvezza della scuola. Ed è qui che ci si scatena, giocando con le citazioni metacinematografiche (Colin Firth che nel film è I 55 il severo ministro per l’istruzione viene nominato parlando del quadro di Vermeer e della sua versione cinematografica di cui era appunto protagonista nei panni del maestro olandese), con citazioni televisive (la timida e impacciata Annabelle Fritton viene paragonata a “Ugly Betty”) e ancora con ricordi cinematografici (Rupert Everett e Colin Firth sono stati davvero in giovane età compagni di college nel film Another Country, in cui erano entrambi esordienti attori inglesi). E tra una gag e l’altra vale la pena sottolineare come l’innesto tra il modello teen movie di marca statunitense con spruzzate di humour squisitamente inglese possa dirsi riuscito. Nel cast, spiccano deliziose bellezze femminili: Talulah Riley (già interprete di Orgoglio e pregiudizio accanto a Keira Knightley e dello spassoso I Love Radio Rock di Richard Curtis), Gemma Arterton (già accanto allo 007 Daniel Craig in Quantum of Solace), Tamsin Egerton (lanciata giovane attrice inglese già vista ne La famiglia omicidi accanto a Kristin Scott Thomas). Ma, sopra a tutti, ci sono loro due, le “promesse mantenute” del cinema inglese al debutto sul grande schermo nei panni di due compagni di college nel lontano 1984: Rupert e Colin, divenuti oggi attori di razza e uomini dal fascino irresistibile. Sempre più scatenato Rupert che gestisce alla perfezione il doppio ruolo ‘en travesti’ (che prima di lui era stato dell’attore scozzese Alastair Sim nei film del ’54 e del ’57) che sembra cucito addosso alla sua classe di attore abituato a ruoli di ambiguo seduttore, sempre più gentleman, Colin che, dal ruolo dell’indimenticabile Darcy nella miniserie della BBC “Orgoglio e pregiudizio”, passando per il bel Mark Darcy (ovvio omaggio al personaggio di Jane Austen) della saga di Bridget Jones e per una serie di altri ruoli diversissimi, continua a dimostrare una classe davvero innata (incoronata dalla Coppa Volpi all’ultima Mostra di Venezia per il film dell’esordiente ex stilista Tom Ford A Single Man). Entrambi non la vogliono proprio smettere di affascinare il pubblico e di dare valore aggiunto anche a film leggeri come questo. A proposito, da non perdere è lo spassoso duetto canoro sulle note di “Love Is In the Air” che si ascolta nei titoli di coda e che dimostra come i due se la sappiano cavare egregiamente anche nel canto. Con due “purosangue” così, la vittoria è assicurata. A breve è attesa l’uscita del sequel Saint Trinian’s: The Legend of Fritton’s Gold; insomma, squadra che vince non si cambia. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione BABY MAMA (Baby Mama) Stati Uniti, 2008 Effetti speciali trucco: Todd Kleitsch Supervisore effetti speciali: Steven Kirshoff Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisore musiche: Kathy Nelson Interpreti: Amy Poehler (Angie Ostrowiski), Tina Fey (Kate Holbrook), Greg Kinnear (Rob Ackerman), Dax Shepard (Carl Loomis), Romany Malco (Oscar), Sigourney Weaver (Chaffee Bicknell), Steve Martin (Barry), Maura Tierney (Caroline), Stephen Mailer (Dan), Holland Taylor (Rose Holbrook), James Rebhorn (giudice), Denis O’Hare (dr. Manheim), Kevin Collins (architetto/Rick), Will Forte (Scott), Fred Armisen (venditore passeggino), John Hodgman (specialista fertilità), Siobhan Fallon (insegnante parto), Brian Stack (Dave), Jason Mantzoukas, Dave Finkel (coppia gay), Felicity Stiverson (Ashley), Anne L. Nathan (commesso Bookstore), Kathy Searle (mamma calma), Almeria Campbell (infermiera maternità), Alice Kremelberg ( figlia di Rob), Catherine Rose (Caroline a 4 anni), Ian Colletti (Caroline a 7 anni), Andra Eggleston (cameriera), Andrew Hillmedo jr. (Dante), Jon Glaser (cameriere Vegan), Thomas McCarthy, Jay Phillips Durata: 99’ Metri: 2630 Regia: Michael McCullers Produzione: John Goldwyn, Lorne Michaels per Broadway Video. In associazione con Relativity Media Distribuzione: Universal Prima: (Roma 24-7-2009; Milano 24-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Michael McCullers Direttore della fotografia: Daryn Okada Montaggio: Bruce Green, Debra Neil-Fischer Musiche: Jeff Richmond Scenografia: Jess Gonchor Costumi: Renee Ehrlich Kalfus Produttori esecutivi: Jill Sobel Messick, Louise Rosner Coproduttore: Kay Cannon Direttore di produzione: Louise Rosner Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Stephen Lee Davis, Michael Pitt, Noreen R. Cheleden, Bellamy Forrest Operatore: Mark Schmidt Art director: David Swayze Arredatori: Susan Bode, Jennifer Alex Nickason Trucco: Richard Dean, Jenn ‘Jorge’ Nelson Acconciature: Donna Marie Fischetto, Michelle Johnson, Anita Roganovic ate Holbrook è l’unico vicepresidente donna di una società che vende cibi naturali. Ormai vicina ai quarant’anni, single e totalmente presa dal suo lavoro, sente la mancanza di un bambino nella sua vita. L’inseminazione artificiale, avendo una forma d’utero particolare, non funziona ed essendo una donna sola l’adozione richiederebbe almeno cinque anni. Si rivolge così a un Centro Maternità Surrogati, per far crescere il proprio bambino nel corpo di una ragazza giovane; direttrice del Centro è Chaffee Bicknell, coetanea di Kate ma che è riuscita a partorire un bambino con metodo tradizionale assieme al marito. La scelta cade su Angie. Irrequieta, convivente con lo scansafatiche Carl, e con la testa fra le nuvole, Angie è ben contenta di aiutare Kate. Già con la prima inseminazione, Angie resta incinta. Kate intanto, riceve dal suo capo, la direzione della costruzione di una grande filiale nella loro città. Angie lascia Carl, decide quindi di andare a vivere da Kate: inizia una convivenza non facile. Kate conosce l’affascinante Rob, proprietario di un piccolo negozio di frullati, vicino al lotto dove verrà costruita la filiale; fra i due nasce subito del feeling. Ormai sull’orlo della rottura, Kate ed Angie decidono di ricorrere alla terapia di gruppo del Centro, suggerita da Chaffee che è nuovamente incinta. Il rapporto fra le due donne migliora al punto tale, che iniziano a raccontarsi le reciproche vite. Angie s’incontra con Carl; dal loro dialogo K emerge che stanno ingannando Kate: Angie non è mai rimasta incinta. Vorrebbe dire tutto all’amica, ma Carl lo proibisce: ci sono troppo soldi in ballo. Il lavoro di Kate prosegue così bene, che le due decidono di andare a ballare. Ubriaca, Kate si fa lasciare al negozio di Rob; stanno così bene insieme che decidono di iniziare a frequentarsi seriamente. Kate, però, non rivela nulla del bambino e di Angie, che continua a non trovare il coraggio di dire tutto a Kate. Ormai amiche, Kate dona ad Angie l’ultimo assegno con largo anticipo, in modo tale che possa iscriversi a un’importante scuola di moda: Angie infatti realizza da sola i suoi abiti. Durante l’ecografia, Angie scopre di essere realmente incinta. Il bambino è di Carl; la ragazza inizia finalmente a seguire quello stile di vita sano, che Kate stava disperatamente cercando di insegnarle. La relazione fra Kate e Rob prosegue benissimo, mentre Angie lascia definitivamente Carl, che medita vendetta. Al party per la nascita imminente, dove si trova anche Rob, Carl rivela a tutti la verità sulla gravidanza. Kate, dopo esser scappata dalla festa, trascina Angie in tribunale: a difenderla lo stesso Rob. Kate non vince, ma, in compenso, ritrova il suo uomo. Le due donne tentano di riconciliarsi proprio mentre si rompono le acque: nasce una bambina. Kate e Angie, finalmente tornano amiche. In ospedale, Kate scopre che Chaffee ha partorito due gemelli e, con sorpresa, che è in dolce attesa. 56 n merito spicca subito. Riesce a far ridere senza scadere in battute volgari. Sicuramente non c’è originalità, si ritrovano molti cliché e la convivenza fra Kate ed Angie, personaggi agli antipodi, è riconducibile a tutte le strane coppie del piccolo e grande schermo. Personaggi in crescita nel corso del film, le due donne prenderanno l’una dall’altra ciò che occorre per migliorarsi come persona. Se un tempo Kate era solo dedita al lavoro, ora comprende che serve anche la giusta dose di divertimento, nonché di mascara e rossetto, per equilibrare snervanti giornate di lavoro; dall’altra parte Angie, scoprirà la sua strada da percorrere come madre, accompagnata da un sano stile di vita. Baby Mama racconta una storia in cui vi si possono immedesimare milioni di donne moderne: dedite al lavoro, niente tempo per la famiglia. Un breve accenno alle difficoltà sull’inseminazione artificiale e sull’adozione, se non sei una star soprattutto, per poi tirare il colpo sugli uteri in affitto. Niente critiche, né morali. Qui non si parla di cosa comporta l’idea di una donna vende il proprio utero, per somme veramente consistenti; è solo il pretesto per una commedia. La stessa protagonista, sembra più pervasa da un capriccio, che non da un vero desiderio. Nel corso dei primi minuti del film, vede bambini ovunque, in palestra o per strada e tutti sembrano cercarla con lo sguardo; quando U Film Angie resta incinta, Kate ritorna pronta a dedicarsi al lavoro e a un nuovo amore. Nessun problema, quindi, per chi non vuole assistere a tensioni sociali, o religiose; solo divertimento al femminile. La sceneggiatura è costruita coi classici canonici tre atti e colpi di scena messi nei punti giusti; comunque sia, tale precisione, non serve a salvare la storia che già all’inizio odora di lieto fine. Unico vero colpo di scena, è la mancata gravidanza di Angie; per come la storia stava evolvendo, l’inganno poteva essere che fin dall’inizio il bambino fosse di Carl. Manca un approfon- Tutti i film della stagione dimento maggiore dei personaggi; non è detto che se si lavora a una commedia, debbano necessariamente essere trattati superficialmente; Rob è praticamente inesistente, spicca solo grazie al fascino del suo interprete Greg Kinnear, senza il quale sarebbe un personaggio unidimensionale. Tina Fey, interprete di Kate, viene surclassata in più di un’occasione dalla brava e ammiccante Amy Poehler. Delle vere chicche le regalano due spalle d’eccezione: Steve Martin e Sigourney Weaver. Se Martin ci regala una divertente macchietta del capo di Kate, la Weaver ci regala un picco- lo gioiello interpretando la Chaffee; poche battute, ma interpretate con naturalezza e la giusta dose d’ironia. Il regista Michael Cullers è qui alla sua opera prima. Precedentemente sceneggiatore, Cullers lavora la storia senza utilizzare guizzi creativi nei movimenti della cinepresa. Unico slancio artistico si trova nella sequenza, in cui Angie e Kate si scelgono reciprocamente: parodia di milioni di film romantici con lampo luminescente nel momento in cui le due si stringono la mano. Elena Mandolini IMMAGINA CHE (Imagine That) Stati Uniti/Germania, 2009 Coordinatore effetti speciali: Lou Carlucci Supervisore effetti visivi: Jamie Dixon (Hammerhead Productions) Coordinatori effetti visivi: Kelly Rae Kenan, Heather J. Morrison (Hammerhead Productions) Supervisore costumi: Dana Kay Hart Interpreti: Eddie Murphy (Evan Danielson), Thomas Haden Church (Johnny Whitefeather), Yara Shahidi (Olivia Danielson), Ronny Cox (Tom Stevens), Stephen Rannazzisi (Noah Kulick), Nicole Ari Parker (Tricia Danielson), deRay Davis (John Strother), Vanessa Williams (Lori Strother), Martin Sheen (Dante D’Enzo), Lauren Weedman (Rose), Timm Sharp (Tod), Daniel Polo (Indigo Whitefeather), Stephen Root (Fred Franklin), Richard Schiff (Carl Simons), Marin Hinkle (sig.ra Davis), Bobb’e J. Thompson (ragazzino), Blake Hightower (Will Strother), Michael McMillian (Brock Pressman), Catherine McGoohan (sig.ra Pressman), James Patrick Stuart (sig. Pratt), Tonita Castro (Graciella), Charlie Koznick (Rick), Talen Ruth Riley (Ella Strother), Jonathan Mangum (assistente di Franklin), Mike Vorhaus (amministratore di Franklin), Bob Rumnock (Whip Bryson), Allen Iverson, Carmelo Anthony, George Karl (se stessi), Heidi Marnhout (Cheryl Whitefeather), John Nance (contabile di Rowe), Jeff Kosloski (vicino di Evan) Durata: 107’ Metri: 2815 Regia: Karey Kirkpatrick Produzione: Lorenzo di Bonaventura, Ed Solomon per Paramount Pictures/Nickelodeon Movies/Di Bonaventura Pictures/ Internationale Filmproduktion Stella-del-Sud Third. In associazione con Goldcrest Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 31-7-2009; Milano 31-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Ed Solomon, Chris Matheson Direttore della fotografia: John Lindley Montaggio: David Moritz Musiche: Mark Mancina Scenografia: William Arnold Costumi: Ruth E. Carter Produttore esecutivo: Ric Kidney Produttore associato: Lars P. Winther Casting: Jeanne McCarthy Aiuti regista: Lars P. Winther, Douglas Plasse, Nicholas Fitzgerald, Eric Fox Hays, Matthew D. Smith Operatore/operatore steadicam: Lawrence Karman Art directors: Sue Chan, Donna J. Hattin Arredatore: David Smith Trucco: Michael Germain, Susan Stepanian, Patty York, Vera Steimberg Moder Acconciature: Medusah, Melissa Forney, Marie Larkin, Emanuel Millar Suono: Christopher T. Silverman ’economista Evan Danielson si ritrova improvvisamente a dover badare per un’intera settimana alla figlioletta Olivia, quando la sua exmoglie deve partire insieme al nuovo compagno. Evan è un buon padre, affezionatissimo alla bambina, ma in questo momento l’unica cosa che veramente gli preme è riuscire a surclassare il collega Johnny Withefeater, un falso indiano che spaccia le proprie analisi finanziarie come divinazioni sciamaniche ammantando il tutto di trita retorica new age e conquistare il favore del grande capo in vista dell’apertura di una nuova, importante filiale. L’attenzione di Evan nei confronti della figlia L aumenta decisamente quando scopre che gli amici immaginari di Olivia (evocati grazie a una specie di coperta di Linus dalla quale la bambina non si separa mai) sono in grado di dargli le previsioni esatte dell’andamento del mercato finanziario. Il gioco diventa via via più serio anche perché lo scetticismo di Evan viene dissipato dai continui successi e avanzamenti di posizione che le previsioni provenienti dal fantastico mondo di Olivia gli fanno ottenere. Anche il rapporto con la bambina migliora, diventando più stretto e più affiatato. Le cose peggiorano quando il grande capo decide di dare una stretta finale alla lotta tra i due contendenti obbligando 57 Evan a tentare di rapire la piccola Olivia da una festa di compleanno per poter avere le previsioni di mercato (mentre Johnny Whitefeater intossica il figlio di Red Bull e lo fa girare intorno al fuoco con una vecchia coperta indiana, sperando che anche lui riesca a vedere così gli stessi amici di Olivia) e arrivando, alla fine, al tentativo di rubare la preziosa coperta della bambina. Alla fine, tutto andrà per il meglio: l’impostore Johnny sarà cacciato e Evan premiato. Per non perdere la recita scolastica di Olivia, Evan dice di no – senza molti rimpianti- all’agognata promozione, guadagnandosi così l’ammirazione e il rispetto del grande capo. Film E liminata qualche sparuta eccezione (ad esempio il recente Dreamgirls, nel quale interpretava un cantante a metà tra James Brown e Marvin Gaye, rivelando superbe doti drammatiche e canore), pare che Eddie Murphy abbia trovato la propria nicchia cinematografica specializzandosi nelle pellicole per bambini targate Disney, sebbene Immagine che sia prodotto dalla concorrente Nickelodeon Movie. La formula è rimasta comunque pressoché invariata, con Murphy di nuovo il protagonista di un film pieno di buoni sentimenti per tutta la famiglia. Il film è una commedia leggera e scorrevole, che riesce a mantenersi bene in bilico senza cedere troppo sul versante del sentimentalismo e dell’esagerazio- Tutti i film della stagione ne per strappare maggiori risate, nonostante la presenza galvanizzante di Murphy, assestandosi su una buona via di mezzo e lanciando a briglia sciolta il grandissimo e mai abbastanza apprezzato talento di dell’attore (ottimo sia come serio dirigente d’azienda sia come padre affettuoso e “compagnone”). Normalmente poco frequentato al cinema, il rapporto “genitore divorziato – figlia” è invece qui al centro del film, intersecandosi con una sottotrama economica (semplice e comprensibile a tutti) che non lesina strali al sistema finanziario americano nel periodo della crisi (ad esempio, il borioso e disonesto finto indiano Johnny Whithefeater infarcisce le sue presentazioni ai clienti, pronti a credere a tutto pur di non perdere ancora altri soldi, di inconsistenti elementi new age e di oscure nenie indiane per confondere le idee e mascherare la propria incompetenza e prosopopea). Il cast fornisce una buona prova, diligente ma tutto sommato ordinaria, ed è arricchito dalla presenza di Martin Sheen nel ruolo del grande capo dall’insospettabile cuore d’oro. Assolutamente imperdibile Eddie Murphy e il suo rituale – cantato, danzato, recitato e mimato- per essere ammesso alla presenza delle principessa Moppida e Koopida, dopo aver addormentato a suon di canzoni il drago Soppida, essersi rotolato sulla sabbia e aver sfidato mille e più prove di coraggio e bontà. Chiara Cecchini NOTORIOUS B.I.G. (Notorious) Stati Uniti, 2009 Regia: George Tillman jr. Produzione: Wayne Barrow, Edward Bates, Trish Hoffmann, Mark Pitts, Robert Teitel, Voletta Wallace per Fox Searchlight Pictures/Voletta Wallace Films/Bystorm Films/State Street Pictures/Bad Boy Worldwide Entertainment Group Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 17-7-2009; Milano 17-7-2009) Soggetto e sceneggiatura: Reggie Rock Buthewood, Cheo Hodari Coker Direttore della fotografia: Michael Grady Montaggio: Dirk Westervelt Musiche: Danny Elfman Scenografia: Jane Musky Costumi: Paul Simmons Produttore esecutivo: Sean ‘P. Diddy’ Combs Coproduttore e Direttore di produzione: George Paaswell Casting: Twinkie Byrd, Pamela Frazier Aiuti regista: Ken Twohy, Marc Garland, Jasmine Alhambra, David Catalano, Kenyon Noble, Aurora Warfield, Greg Hale Operatore/Operatore steadicam: Andrew Casey Art director: Laura Ballinger Arredatore: Alexandra Mazur Trucco: Geneva Nash Morgan, Germicka Barclay ew York, primi anni Ottanta. Christopher Wallace vive assieme alla madre Voletta in una zona malfamata della Grande Mela, abitata soprattutto da gente di colore che spaccia droga. Il ragazzino, timido e impacciato, trascorre le giornate in solitudine ad ascoltare musica rap, cercando di impararne il sound. Ma presto si accorge che, se vuole affermarsi, deve anch’egli sporcarsi le mani. Inizia così a trafficare crack per la strada, fino ad accumulare una vera e propria fortuna in dollari. A 17 anni, decide quindi di diventare un rapper, con tutto l’armamentario del caso: catena d’oro al collo, anelli e pistola. Divenuto maggiorenne, continua a fare il pusher, all’insaputa della madre, la quale vorrebbe che suo figlio studiasse all’università e avesse un lavoro come tutti i suoi N Supervisori effetti visivi: Lucien Harriot (Mechanism Digital), Eric J. Robertson (Brainstorm Digital) Supervisore musiche: Barry Cole Coreografie: Tanisha Scott Interpreti: Jamal Woolard (Christopher ‘Biggie’ Wallace), Angela Bassett (Voletta Wallace), Derek Luke (Sean ‘Puffy’ Combs), Anthony Mackie (Tupac Shakur), Antonique Smith (Faith Evans), Naturi Naughton (Lil’ Kim), Dennis L.A. White (Damion ‘D-Roc’ Butler), Julia Pace Mitchell (Jan), Kevin Phillips (Mark), Marc John Jefferies (Lil Cease), Aunjanue Ellis (Sandy), John Ventimiglia (detective Farelli), Charles Malik Whitfield (Wayne Barrow), Ricky Smith (Wally), Cyrus Farmer (Selwyn), Naquon ‘Nino Brown’ Jackson (Nino Brown), Jermaine Denny (Primo), Denae Innis (T’yanna, 3 anni), Susie Da Silva (Jessica), Duane Nakia Cooper (Howard Emcee), Valence Thomas (50 Grand), Amanda Christopher (Keisha), Lamont ‘Money’ L. Moskey (Money L), Sean Ringgold (Suge Knight), Ginger Kroll (Debbie), Edwin Freeman (Mister Cee), David Costabile (sig. Webber), Christopher Jordan Wallace (Biggie 8-13 anni), Jasper Briggs (Damion 8-13 anni), Taylor Dior (Tyanna Wallace) Durata: 122’ Metri: 3360 coetanei. Ed invece lui che, nel frattempo, ha messo incinta la fidanzata, viene beccato dalla polizia e sbattuto in carcere. Da questa esperienza, trae ispirazione per cominciare a scrivere dei brani e tentare la carriera musicale. L’incontro con il produttore Puff (Daddy) gli cambia la vita. L’etichetta Bad Boy Records sceglie di puntare tutto su Notorius B.I.G. (questo sarà il suo nome d’arte), nella speranza di farlo diventare il primo rapper dell’East Coast. Il suo successo è travolgente. E lo è anche il fascino che esercita sul sesso femminile: fa cadere ai suoi piedi, prima Lil Kim (che contribuisce a lanciare sul mercato discografico), e poi la cantante Faith Evans. Dalla relazione con questa ultima (che ha già una figlia a carico), nasce un bambino. 58 Ma i frequenti tradimenti dell’uomo finiscono per logorare il loro matrimonio. Notorius è sempre più sulla cresta dell’onda, ma è costretto a dividere lo scettro di rapper più popolare d’America con l’amico-nemico Tupac Shakur. Quando il collega californiano viene aggredito in circostanze oscure nei suoi studi di registrazione e, poco dopo, ucciso a sangue freddo, lui è indicato subito come il principale responsabile. L’8 marzo del 1997, anch’egli viene ammazzato da ignoti assassini, a bordo di una motocicletta: dopo aver affiancato l’auto nella quale viaggiava, gli scaricano addosso alcuni colpi di pistola. Christopher Wallace stava uscendo da un locale di Los Angeles, in cui aveva appena presentato il suo ultimo album. Aveva soltanto 25 anni. Film l biopic, diretto senza guizzi di originalità e con ritmo quasi da videoclip, da George Tillman Jr. (già autore di Men of Honor – L’onore degli uomini), comincia e finisce proprio con l’episodio del delitto e con la voce del protagonista che racconta: «All’inizio Dio mi ha dato una vita immacolata...». Attorno a questo caso è rimasto tuttora un alone di mistero (è stata tirata in ballo anche una canzone “profetica”...), ma la pista della vendetta sembra quella più accreditata: i rapper della West Coast, preoccupati di perdere la supremazia sul territorio, non avrebbero perdonato all’emergente rivale di essere coinvolto nell’uccisione dell’altro “Re della strada” Tupac Shakur. Le scene appena successive all’omicidio, quelle relative al funerale, sono forse le più significative per cogliere appieno il particolare rapporto tra Christopher (questo era il suo vero nome, anche se lui si faceva chiamare Biggie Smalls) e sua madre. Mentre questa ultima si prepara a dare una degna sepoltura al suo unico figlio, si accorge che una folla sterminata di fans invadono le vie di Brooklyn inneggiando al nome del loro idolo (che ha il merito di I Tutti i film della stagione aver riportato il funky nell’hip-hop) e cantando le sue canzoni. Ë come se, soltanto in quel momento, la donna si rendesse conto di quanto amore fosse circondato quel gigante buono e saggio. «Non cambieremo il mondo, se non cambiamo prima noi stessi» - dice il personaggio interpretato dal convincente Jamal Woolard. Voletta, che immaginava per il proprio “bambino” un futuro migliore di quello a cui sono destinati i ragazzi neri di Bed-Stuy (la zona dove Spike Lee ha girato i suoi primi lavori), non aveva mai veramente compreso le sue straordinarie doti artistiche, quel sacro fuoco per la musica che ardeva in lui fin da piccolo. E che, ancora oggi, rimane la valvola di sfogo più naturale per i giovani afro-americani che vivono sui marciapiedi o, comunque, ai margini della società. Nonostante la disapprovazione iniziale, la signora Wallace colpisce lo spettatore per la sua discrezione: il suo affetto non si manifesta in maniera morbosa o invadente. Rimane volutamente nell’ombra, in solitudine e, per di più, è afflitta da gravosi problemi (dopo essere stata abbandonata dal marito, è costretta pure a combattere con un tumore al seno). Eppure, non ab- bandona mai la speranza che, un giorno, Christopher possa fare il salto decisivo e trasformarsi in un adulto. La rincorsa del figlio al Sogno (e non più ai soldi - come lo invita a fare il produttore Puff), è costellata di difficoltà, perché il pericolo di ricadere nel baratro della droga è all’ordine del giorno. Ma, per fortuna, Notorius ha dalla sua parte un encomiabile complice e compagno di viaggio, l’amico Mark (la rivelazione Kevin Phillips), che lo indirizza sulla via della redenzione con parole piene di buon senso: «Quello che non ti uccide, ti fortifica». Dopo aver interpretato alcune delle icone afro-americane più influenti del secolo scorso (Tina Turner in What’s Love Got to Do with It, Betty Shabazz in Malcom X, Rosa Parks nell’omonimo film per la televisione americana), Angela Bassett torna a vestire i panni di una donna coraggiosa e determinata a sconfiggere le avversità della vita. La cinquantenne attrice newyorkese, ancora una volta, offre una lezione di stile, con un’interpretazione sofferta e intensa. Diego Mondella I LOVE YOU, MAN (I Love You, Man) Stati Uniti, 2009 Regia: John Hamburg Produzione: John Hamburg, Donald De Line per DreamWorks SKG/De Line Pictures/Bernard Gayle Productions/The Montecito Pictures Company Distribuzione: Universal Prima: (Roma 21-8-2009; Milano 21-8-2009) Soggetto: Larry Levin Sceneggiatura: John Hamburg, Larry Levin Direttore della fotografia: Lawrence Sher Montaggio: William Kerr Musiche: Theodore Shapiro Scenografia: Andrew Laws Costumi: Leesa Evans Produttori esecutivi: Jeffrey Clifford, Andrew Haas, Bill Johnson, Tom Pollock, Ivan Reitman Coproduttore: Anders Bard Direttore di produzione: Susan McNamara Casting: Allison Jones Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Jonas Spaccarotelli, Matthew Heffernan, Eugene Davis Operatore: Daniel C. Gold Operatore steadicam: Brooks Robinson Art director: Eric Sundahl eter Klaven lavora per un’importante agenzia immobiliare. Grazie alla potenziale vendita di una proprietà di Lou Ferrigno, può finalmente chiedere all’amata Zooey di sposarlo. Non appena rientrano in macchina, Zooey è talmente felice che chiama subito le sue due amiche del cuore, mentre Peter non chiama P Arredatore: Christopher Carlson Trucco: Tracey Levy, Geri B. Oppenheim Acconciature: Terri Velasquez, Wendy Boscon, Deborah Holmes Dobson Coordinatore effetti speciali: Michael Gaspar Supervisore effetti visivi: Scott M. Davids Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisore musiche: Jennifer Hawks Interpreti: Paul Rudd (Peter Klaven), Rashida Jones (Zooey), Sarah Burns (Hailey), Jaime Pressly (Denise), Jon Favreau (Barry), Jane Curtin (Joyce Klaven), J.K. Simmons (Oswald Klaven), Andy Samberg (Robbie Klaven), Jason Segel (Sydney Fife), Jean Villepique (Leanne), Rob Huebel (Tevin Downey), Mather Zickel (Gil), Aziz Ansari (Eugene), Nick Kroll (Larry), Liz Cackowski, Kulap Vilaysack, Catherine Reitman, Carla Gallo, Vicki Davis (amiche di Zooey), Josh Cooke (Alan), Jay Chandrasekhar, Seth Morris, James P. Engel, Jerry Minor (amici di Barry), Joe Lo Truglio (Lonnie), Thomas Lennon (Doug), Murray Gershenz (Mel Stein), Keri Safran (cameriera), Ethan S. Smith, Nelson Franklin (amici di Sydney), Ping Wu (Mr. Chu), Colleen Cabtree, Kym Whitley, Caroline Farah, Greg Levine Durata: 105’ Metri: 2750 nessun amico. Peter è infatti un bravissimo ragazzo di famiglia, ottimo compagno per una donna che riesce persino a essere un buon confidente con altre donne, ma assolutamente una frana con altri uomini. Sentendo una conversazione di Zooey e delle sue amiche che l’avvertono di come potrà risultare un uomo ossessivo e possessivo nel cor59 so degli anni di matrimonio, decide di cercarsi un migliore amico nonché testimone di nozze. Aiutato dai genitori e dal fratello Robbie, inizia la ricerca con risultati disastrosi. Durante l’open house per la villa di Ferrigno, conosce lo stravagante imprenditore Sydney Fife, con cui si scambiano i bigliettini da visita. Diventando una nuova strana Film coppia e con la benedizione di Zooey, inizia un bel rapporto d’amicizia che insegna a Peter le “regole” dell’amicizia maschile. Eterno bambinone e inguaribile scapolo, Sydney inizia, se pur con buone intenzioni, a portare Peter sulla “cattiva strada” allontanandolo da Zooey. La ragazza, infastidita dall’invadenza eccessiva di Sydney, decide comunque di accettarlo nelle loro vite, vedendo quanto Peter sia felice. Sydney diventa così il testimone di nozze di Peter. Volendo aiutare Peter nella vendita per Ferrigno prima che un collega soffi all’amico il mandato, si fa prestare da Peter stesso dei soldi per un misterioso affare. Dopo aver litigato con Zooey, la cui colpa indirettamente è proprio il prestito fatto a Sydney, Zooey decide di rompere il fidanzamento. Il misterioso affare di Sydney altro non sono che giganteschi cartelloni pubblicitari, che dipingono Peter come rampante venditore immobiliare, realizzati con fotomontaggi che lo ritraggono in diverse locandine cinematografiche. Pensando che sia stata una pessima idea, Peter litiga con l’amico dicendogli che ormai è arrivato il momento di crescere e che non dovranno vedersi mai più. Riconciliatosi con Zooey, Peter torna ad essere quello che è sempre stato. Proprio grazie a quei cartelloni, Peter vende la proprietà di Ferrigno e accrescere il suo portfolio dei clienti; nonostante tutto non riesce a richiamare Sydney. Il giorno delle nozze, Zooey chiama di nascosto Sydney vedendo quanto manchi a Peter. Sydney, avendo capito quanto bene abbia portato Peter nella sua vita, era già sulla via per la Chiesa con tanto di smoking prima Tutti i film della stagione ancora della telefonata di Zooey. Davanti all’altare, tutti diventano testimoni della riconciliazione fra Peter e Sydney, che riescono a dirsi quanto si vogliono bene. n film con la spada di Damocle sulla testa, in bilico sul ciglio del burrone e che potrebbe da un momento all’altro cadere inevitabilmente. John Hamburg, regista di I Love You, Man, non è nuovo agli schemi ed intrighi tragicomici. Precedentemente sceneggiatore di film come Ti presento i miei (2001), nonché regista di ...E alla fine arriva Polly (2004), storie che mescolano battute al vetriolo e sentimentalismi, Hamburg qui tenta una strada potenzialmente in discesa. Inizialmente ci sembra di trovarsi in un originale “universo parallelo”, in cui è la donna della coppia ad avere numerose amiche a cui confida persino ogni singolo aspetto intimo del rapporto, mentre lui è il bravo ragazzo alieno dai meccanismi del cameratismo maschile. Interessante la ricerca del suo migliore amico che lo porta inevitabilmente ad incontrare omosessuali che travisano i suoi comportamenti e i mariti delle amiche di Zooey, che lo respingono dopo solo una serata di prova. Si ride, indubbiamente, ma non di gusto; alcune battute risultano prevedibili così anche diverse situazioni. L’entrata in scena di Sydney porta il giusto scompiglio alla storia, facendo cambiare così tanto Peter da far vacillare coppia e matrimonio; e qui Hamburg tenta il tutto per tutto. Il fulcro su cui si basa il film e su cui gioca, alla fine, risulta essere sempre il me- U desimo: che succede se il migliore amico di lui è un single incallito e troppo invadente? Quanto lei riuscirà a non porlo di fronte all’inevitabile scelta? Lui chi sceglierà? Fioccano quindi le classiche situazioni di vita in cui molte coppie possono riscontrarsi e su cui il regista affida l’empatia per i suoi personaggi e la riuscita del film. Purtroppo sono situazioni così classiche, da risultare già viste e riviste. Ecco il ciglio del burrone; niente di nuovo sotto il sole. Se in Ti presento i miei, era riuscito a regalare anche quella dose di freschezza unendola sicuramente a una sceneggiatura di gran lunga migliore, creando un vero piccolo capolavoro della tragicommedia americana, qui non vi riesce. Un film che rientra perfettamente nello schema dell’iniziale equilibrio, sua rottura centrale, con finale riassestamento e l’indispensabile lieto fine. Nulla di male in questo, se fosse riuscito a regalarci qualcosa di nuovo, sarebbe sicuramente stato meglio. Contribuisce a questa sensazione di bilico anche l’attore Paul Rudd. Tipica faccia da bravo ragazzo, visto in diversi film ma che non riesce a fare effettivamente breccia sul grande schermo, col risultato di essere “quell’attore che ha interpretato il ragazzo di Phoebe” nel telefilm Friends. Una nota differente merita Jason Segel; sia grazie alla sua fisicità che le sue doti di attore comico, riesce a restare sempre in parte e risultare realmente credibile. Un film decisamente estivo. Elena Mandolini VALUTAZIONI PASTORALI Alieni in soffitta – consigliabile / semplice Anamorph – n.c. Avventure del topino Despereaux (Le) – consigliabile / semplice Baaria – consigliabile / realistico Baby Love – inaccettabile / negativo Baby Mama – n.c. Basta che funzioni – complesso-problematico / dibattiti Borderland – Linea di confine – n.c. Cadillac Records – consigliabile / problematico Cattivo Tenente (Il) – Ultima chiamata New Orleans – complesso / realistico Cinema Universale d’essai – n.c. Control – n.c. Cose in te nascoste (Le) – n.c. Cosmonauta – consigliabile / poetico Crossing Over – complesso-problematico / dibattiti Diari – accettabile-realistico / dibattiti Giulia non esce la sera – consigliabileproblematico / dibattiti Grande sogno (Il) – consigliabile-problematico / dibattiti Home – complesso-problematico / dibattiti I Love You, Man – n.c. Immagina che – consigliabile / poetico Informant (The) – consigliabile / realistico Just Friends – Solo amici – futile / superficialità Legge del crimine (La) – n.c. Messaggero (Il) – The Haunting in Connecticut – consigliabile / problematico Miss Marzo – n.c. Nemico pubblico N.1 – L’ora della fuga – consigliabile / realistico Niente velo per Jasira – futile / scabroso Notorius – n.c. Obsessed – n.c. Palermo Shooting – discutibile / velleitario Piede di Dio – consigliabile / semplice Polvere – n.c. 60 Principessa Part Time – consigliabile / semplice Questione di punti di vista – consigliabile / semplice Ragazza del mio migliore amico – futile / grossolano Rivolta delle ex (La) – consigliabile / brillante Sangue dei vinti (Il) – consigliabile-realistico / dibattiti Scuola per canaglie – n.c. Segnali dal futuro – consigliabile / problematico Star Trek – Il futuro ha inizio – consigliabile / semplice State of Play – consigliabile / problematico St. Trinian’s – futile / grossolanità Sul lago Tahore – n.c. Transformers – La vendetta del caduto – consigliabile / semplice Visions – futile / superficialità Vuoti a rendere – consigliabile-problematico / dibattiti Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL TORINO 2008 TORINO, RIPARTENZE E CONTINUITÀ A cura di Flavio Vergerio e Davide Di Giorgio Dunque, dopo due anni di direzione di Nanni Moretti, che abbandona per ragioni personali, il Torino Film Festival cambia ancora, affidandosi stavolta a Gianni Amelio. Siamo contenti della nuova nomina perché Amelio, oltre a essere uno dei registi italiani della generazione di mezzo che più amiamo per la sua coerenza morale e per il suo rigore estetico, è un grande cinefilo e certamente costruirà un programma di ottimo livello dando spazio al cinema di ricerca e alla produzione capace di unire intelligenza del mondo e originalità dello sguardo filmico. Nella circostanza, bisogna dare atto a Moretti di aver compiuto la non facile impresa di aver “salvato” il Festival, attaccato inopinatamente dai politici piemontesi che chiedevano una maggior visibilità mediatica, programmi più “popolari” e quindi maggiore presenza di pubblico. Moretti, da grande e navigato professionista qual è, ha realizzato una sorta di quadratura del cerchio non snaturando la vera ragion d’essere della manifestazione di Torino (che lo distingue dalle kermesse di Venezia e di Roma), nata per valorizzare il cinema “indipendente”, fuori dagli schemi narrativi e tematici della grande produzione, unitamente alla proposta di retrospettive dedicate a grandi registi sconosciuti al pubblico. Roberto Turigliatto e Giulia d’Agnolo Vallan ci hanno offerto negli anni precedenti a Moretti l’occasione unica di conoscere meglio e di studiare, ad esempio, De Oliveira e il cinema portoghese, Pollet, Sokurov, Straub, oltre che collocare nella giusta dimensione autoriale grandi registi americani di “culto” quali John Carpenter e George Romero. Presi dal loro amore puro e duro per un cinema rigoroso, spesso astratto e non “narrativo” (non sempre facile da trovare) i selezionatori del Concorso degli anni Turigliatto-Vallan hanno finito per sconcertare il pubblico sia pure curioso di Torino (non parliamo poi dei quotidianisti, sempre con la puzza sotto il naso). Il bravo e abile Moretti, assieme alla navigatissima Emanuela Martini e al nuovo gruppo di selezionatori, ha rispettato apparentemente l’impianto originale del festival, modificando in parte le motivazioni estetiche (e pragmatiche) sottese al concorso e alle retrospettive. Film meno “sperimentali”, più lineari e riconoscibili sul piano narrativo e tematico in concorso, retrospettive rivolte non tanto a un pubblico di cinefili-studiosi alla ricerca dell’inedito e dell’eccezionale, ma pensate come servizio rivolto soprattutto ai giovani che hanno visto poco o nulla anche della storia del cinema più recente. E così l’anno scorso le retrospettive dedicate a Wim Wenders e a John Cassavetes, maestri del cinema moderno, hanno ottenuto grandi presenze, così come quest’anno Jean-Pierre Melville, Roman Polanski e la British Renaissance. A questo proposito mi pare giusto replicare a quel quotidianista torinese che ha criticato la scelta di presentare il giovane cinema inglese degli anni ’60, già visto in gran parte a Bergamo. Forse dobbiamo piantarla di pretendere egoisticamente che le retrospettive siano sempre nuove, originali e inedite. Facciamole invece circolare in varie occasioni e permettiamo alle ignare masse degli studenti-DAMS e dintorni di conoscere autori e cinema di qualità soffocati dall’omologazione odierna. L’altra “furbata” di successo di Moretti si è sviluppata negli incontri con registi italiani, intitolata poeticamente L’amore degli inizi (ma non era lui quello che aveva in odio il “dibattito”?) invitati a riflettere sulla loro opera d’esordio. Con arguzia e competenza, Moretti, dopo aver interrogato lo scorso anno Rosi, Vancini, i Taviani, Brass e De Bosio, quest’anno ha invitato Giuseppe Bertolucci (Berlinguer ti voglio bene, 1977), Claudio Caligari (Amore tossico, 1983), Peter del Monte (Irene, Irene, 1975), Salvatore Piscicelli (Imma- 61 colata e Concetta, 1980), Marco Tullio Giordana (Maledetti vi amerò, 1980), Paolo Virzì (La bella vita, 1994) a collocare i loro film d’esordio all’interno di un periodo di storia della società e del cinema italiani in crisi di certezze valoriali e di schemi narrativi. Il loro cinema appare più legato a una visione soggettiva e frantumata della realtà, al di fuori della tradizione del cinema di denuncia e di impegno sociale, sia pure nelle sue variabili dal neorealismo alla commedia all’italiana. Sempre stimolante la sezione dedicata al documentario italiano, che testimonia una sorprendente vitalità del nostro cinema, che non riesce purtroppo a imporsi nel lungometraggio e nelle uscite in sala. Significativo il fatto che nel Concorso, dopo i trionfi di Cannes, non sia stata selezionata alcuna opera italiana, proprio quando invece il cinema “fuori formato” che affronta con originalità e forza narrativa temi sociali occultati dal cinema “maggiore”. Notevole, ad esempio, il film premiato, Piazza Municipio di Bruno Oliviero, che fa dell’omonima piazza napoletana il simbolo del passaggio di popoli e di storie (dagli antichi conquistatori ai migranti d’oggi) che fanno del tessuto sociale di Napoli qualcosa di misterioso e indecifrabile dalle normali coordinate sociologiche. Commovente anche il documentario-testimonianza di Luca Gasparini e Alberto Masi Uso improprio dedicato a una comunità di “resistenti” insediatasi in un cinodromo abbandonato di Roma, che ha trovato attorno al rugby una particolare forma di coesione soldaristica. Molto stimolante anche la sezione dichiaratamente “politica”, voluta da Emanuela Martini, Lo stato delle cose che ha raccolto film di natura diversa, accomunati dalla volontà di riflettere sui mutamenti dell’azione militante, la fine delle utopie sessantottine, le vecchie e le nuove forme di Film protesta. Curioso, ad esempio, Armando e la politica di Chiara Malta che narra in modo fra il divertito e il surreale l’evoluzione politica del padre della regista, vecchio socialista che dopo una sbandata a destra torna a militare in modo velleitario e confuso a sinistra. Commovente e nostalgico invece lo sguardo di Andrea Zambelli sulle mondine modenesi che in Di madre in figlia ricostruiscono il clima di sfruttamento del lavoro contadino, affrancato nel tempo dalla progressiva presa di coscienza di classe dalle anziane ma vivacissime componenti di un gruppo di canto popolare. Film che obbliga a una riflessione amara sulla perdita d’identità della sinistra se dobbiamo dar credito al racconto di Paolo Rossi su come il gruppo sia stato escluso dal concerto del I° Maggio a Roma forse perché fuori da un linea più “moderata” degli organizzatori. La sezione che tuttavia ci ha più interessato è La zona, territorio privilegiato per la conoscenza del cinema sperimentale, che andrebbe a mio avviso meglio valorizzata con una migliore collocazione in sale e in orari meno affollati. Se il Torino Film Festival deve continuare a svolgere la sua funzione di difesa del “cinema-cinema”, la volontà di (di)mostrare l’indefinibilità del cinema, la sua inestinguibile forza di reinvenzione dello sguardo apparsa in molti film selezionati da Massimo Causo e Roberto Manassero per La zona, mi sembra che proprio questo sia lo spazio privilegiato in cui il cinema si è manifestato come mistero e rifondazione del mondo. Flavio Vergerio IL CONCORSO Alcuni quotidianisti (i soliti noti) hanno criticato il fatto che alcuni film del Concorso fossero stati già presentati in altri festival o costituissero un’anteprima all’uscita in sala. Anche questa polemichetta va sepolta con la considerazione che il festival di Torino non ha la funzione mediatica di Venezia, ma piuttosto quella di fornire un servizio, possibilmente di stimolo culturale, al suo pubblico giovane e appassionato. Certo, sarebbe una bella cosa che il festival portasse alla scoperta di inediti nuovi talenti, ma forse il mercato non offriva di meglio. E quindi va benissimo il primo premio al già visto a Cannes Tony Manero del cileno Alfredo Castro, ritratto angosciante di un ballerino divorato dall’ossessione di riprodurre l’icona di Johnny Travolta in La febbre del sabato sera. Il film nel suo andamento implacabile verso la dissoluzione e il delitto diventa anche una metafora della forza mediatica dell’occidente nell’imporre modelli sociali e vuote apparenze anche al Terzo Mondo. Apparentemente meno Tutti i film della stagione costruito e rigoroso, il film cui è stato attribuito il premio della giuria, Prince of Broadway dell’americano Sean Baker, che descrive a metà strada fra fiction e documentario la nevrotica lotta per la sopravvivenza di un ghanese che trascina dalla strada compratori in un retrobottega di abiti falsamente griffati. Quando l’uomo si trova sulle braccia un neonato frutto di una relazione ormai dimenticata, la sua vita cambia di fronte alla nuova responsabilità. Frutto della lezione di Cassavetes e di Robert Kramer, il film offre uno sguardo fresco e inedito sul tema purtroppo inflazionato (e che rischia quindi di annoiare gli spettatori) dell’immigrazione clandestina. Il film più chiacchierato e che veniva dato come probabile vincitore è rimasto, forse giustamente, a bocca asciutta. L’onda del tedesco Dennis Gansel affronta uno dei temi più inquietanti del nostro tempo, la rinascita degli autoritarismi e il fascino del fascismo presso le giovani generazioni. Un professore di ginnastica, libertario, ma frustrato e in cerca di identità, ha l’idea di provare in vitro in una classe, che ha scelto di fare una “ricerca” sulle origini del nazismo, l’affermarsi di metodi autoritari cui paradossalmente i ragazzi aderiscono con entusiasmo. La situazione sfugge di mano all’insegnante, gli alunni finiscono per identificarsi nell’ideologia e nei comportamenti antidemocratici e, alla fine, ci scappa il morto. Se la necessità di indagare in modo non preconcetto e ideologico sulla possibilità del riaffermarsi del pensiero fascistoide, lo svolgimento narrativo e specificamente cinematografico di Gansel appare piuttosto schematico e prevedibile, tanto da non provocare un vero coinvolgimento coscienziale negli spettatori. Film “utile” nelle intenzioni, povero nei risultati. Molti dei 15 film affrontavano le crisi sociali del nostro tempo attraverso l’indagine nello spazio ristretto della coppia e della famiglia. Notevole in quest’ambito il cinese Dixia de tiakong (Il pozzo) dell’esordiente Zhang Chi che descrive, in tre episodi interagenti fra loro, il progressivo sfaldarsi di una famiglia che vive in una città mineraria fra le montagne dell’Ovest della Cina. Il padre, un maturo minatore, vive nella vana illusione di ritrovare la moglie che l’ha abbandonato. La prima figlia vorrebbe una propria indipendenza, ma finisce per accettare un matrimonio di convenienza a Pechino. Il figlio più giovane sogna di affermarsi come cantante pop, ma finisce prima in un giro di malaffare e poi si adatta al lavoro in miniera, sposando una parrucchiera. Il padre, dopo la pensione, continuerà la sua inutile ricerca della moglie in un lontano villaggio di montagna. Zhang Chi mostra un notevole controllo dei tempi narrativi, sempre sospesi e aperti in una zona franca fra attesa e chiusura. Il pozzo del titolo sembra 62 assumere la funzione simbolica di un “buco nero” che finisce progressivamente per ingoiare i sogni e le aspirazioni dei protagonisti. Bella prova d’attrice di Emmanuelle Devos in Non-dit della belga Fien Troch, storia glaciale sull’incapacità di una madre di elaborare il lutto per la scomparsa della figlia adolescente. La coppia dei genitori cerca nella violenza e nel tradimento un labile sostituto dell’assenza. La regista aspira a farsi testimone impassibile di una condizione di progressivo auto-annullamento della donna che perde ogni contatto con la realtà, lasciandosi morire (subisce una violenza sessuale senza reagire) e lasciando morire i propri cari (il padre viene abbandonato nel suo letto di morte, il marito la abbandona). Il male di vivere si fa sguardo disperato sul mondo che ci circonda, occupato da segnali oscuri (un cane morto, un incidente stradale, una macchia che si allarga nel soffitto...). La salvezza forse arriverà nella rinnovata riappacificazione della coppia. Interessante per le soluzioni visive tese alla costruzione del mistero in uno spazio ambiguo fra il visibile e l’invisibile l’irlandese Helen di Joe Lawlor e Christine Mollowy, vicenda pirandelliana di una ragazza che presta il suo corpo per la ricostruzione poliziesca delle circostanze della scomparsa di una compagna di scuola. La protagonista, una giovane “senza qualità”, che vive in un collegio per orfani e si mantiene lavorando come cameriera, finisce progressivamente per assumere il ruolo sociale e l’identità della vittima, appartenente a una famiglia borghese che finisce per accoglierla, e si concede per il suo primo rapporto sessuale proprio con il fidanzato della ragazza scomparsa. Film dai molteplici livelli di lettura, riflessione amara sui bisogni spesso devianti di un’identità da parte di giovani destinati altrimenti alla solitudine. La condizione adolescenziale e la dissoluzione della famiglia si ritrova anche nel macabro e surreale Bitter & Twisted dell’australiano Christopher Weeks, in Momma Man’s dell’americano Azazel Jacobs, volto piuttosto a i toni comici da humour nero, in Mein Freund aus Faro della tedesca, classica scoperta della propria sessualità attraverso l’innamoramento, in Quemar las naves del messicano Francisco Franco, melodramma morboso di rapporti incestuosi, reso problematico dall’ironia surreale. Oltre che nel film film cinese le tematiche più esplicitamente sociali erano affrontate anche da Entre Os dedos di Tiago Guedes e Frederico Serra (Basile/Portogallo): qui la perdita del lavoro da parte del protagonista provoca una serie di conseguenze anche morali, con i personaggi disposti a tutto pur di sopravvivere, con la perdita progressiva di regole di comportamenrto e del- Film la possibilità di una buona relazione con gli altri. (f.v.) LA ZONA Il secondo anno di vita della sezione più “sperimentale” (ma il vero cinema non dovrebbe essere tutto sperimentale?) ha rivelato l’ambizione di radicalità dei curatori Massimo Causo e Roberto Manassero. Dice infatti nell’introduzione alla sezione nel Catalogo Causo: (la Zona) “si affida ai tracciati di una realtà eminentemente interiore, di mondi che si agitano al di sotto della superficie apparente degli eventi, nella profondità di spazi e figure scandagliati dalla macchina cinema, facendo ricorso a tutta la sua attuale complessità tecnica ed espressiva”. Nell’impossibilità di dar conto delle infinite “provocazioni” proposte dal ricco programma, debbo scegliere a mò di esempi significativi solo quei film che hanno meglio interpretato questo rapporto fra “mondi interiori” e apparenze visive messe in opera dal cinema. L’americano Ken Jacobs in Return to the Scene of Crime riprende e amplifica la ricerca formale attuata quarant’anni fa con Tom, Tom, The Piper’s Son (1969), una ri-lettura, riformulazione, ri-narrazione di un rullo di pochi minuti della Biograph (1905), un piano fisso di un’immagine di Luna Park con persone che si aggirano attorno a una giostra. Con tecniche complesse che vanno dalla vivisezione dell’immagine originale, al ralenti o all’accelerazione, alla ripetizione ossessiva dei movimenti delle figure umane, alla vera e propria “penetrazione” nell’immagine con ingrandimenti onirici di singole parti dell’immagine stessa, Jacobs ci suggerisce una vita segreta, pulsionale e misteriosa che si nasconde dietro l’apparente banalità dell’immagine originale. La dilatazione spazio-temporale sembra essere lo strumento rivelatore della condizione esistenziale della protagonista di Now Showing del filippino Raya Martin (208’…), vicenda ipnotica di un’adolescente, Rita, che trascorre lunghe ore semi-addormentata, in uno stato di dormi-veglia con la madre e la zia a rivedere vecchi film in televisione. In particolare, si identifica con i melodrammi interpretati da una vecchia star con il suo stesso nome, molto amati dalla nonna, a sua volta ex-attrice. Divenuta grande, la ragazza diventa commessa nel negozio di dvd della zia, trascorrendo lunghe giornate nel vuoto dell’attesa di rari clienti. Dopo un’esperienza di prostituzione, la donna deciderà alla fine di liberarsi dei fantasmi del passato allontanandosi dalla famiglia e da un lavoro alienante. Raramente ci viene dato come nel film di Raya Martin, di trovare una inquietante corrispondenza fra l’esperienza visio- Tutti i film della stagione naria e la vita rappresentata dei personaggi. La grande scoperta di “La zona” è stata la retrospettiva dedicata al giapponese Kohei Oguri, erede semi-sconosciuto della grande tradizione degli Ozu e dei Mizoguchi. Lo regista si ispira anche teatro popolare giapponese, il Nô, forma di rappresentazione che unisce realtà e sogno. Oguri in effetti è noto ai cinefili più attenti per essere stato scelto con la sua opera d’esordio, Fiume di fango (1981) nella cinquina di aspiranti all’Oscar per “il miglior film straniero” e per il più recente bellissimo La foresta pietrificata, grande successo di critica al festival di Cannes del 2005. Ormai sessantenne, autore di sole cinque opere in 30 anni di attività, Oguri non si piega a una facile classificazione estetica, manifestando una progressiva rarefazione a astrazione dei procedimenti narrativi e della forme della rappresentazione. I suoi temi si concentrano attorno al rapporto fra la famiglia giapponese e il malessere sociale del dopoguerra e, negli ultimi film nella descrizione poetico-minimalista della vita di piccole comunità alla ricerca della propria identità in una relazione intensa con la natura. Per intendere il progetto estetico di Oguri basti citare un paio di sue affermazioni fondanti: “I personaggi creano il loro dramma in base ai cambiamenti delle loro emozioni. Queste vengono percepite dagli spettatori come elementi in movimento. Ma i luoghi non si muovono, i luoghi sono. Ed è per questo che gli spettatori non vi prestano attenzione (….) (Ma, nel caso di immagini fisse, di fotografie), il concetto di movimento può essere sostituito con quello di tempo. In una rappresentazione immobile, il tempo è stato imprigionato, quindi chi la guarda non può fare a meno di immaginarlo”. Quanto poi alla perdita della nostra capacità di penetrare il senso profondo del mondo in cui viviamo egli dice: “Guardare vuol dire cercare di sopportare l’inquietudine dell’individualità, perché solo io posso sapere davvero cosa provo nel guardare una certa cosa (…) Non riusciamo più a verificare la realtà della nostra vita quotidiana, e percepiamo il mondo come qualcosa che avanza continuamente, e al tempo stesso si allontana da noi”. La forza creativa di Oguri si manifesta più che nella narrazione di avvenimenti o nella descrizione di sentimenti, nella condensazione poetica di alcune immagini capaci di comunicare il senso dell’esistenza, la condizione dell’uomo di fronte alla morte. Ad esempio la fine delle illusioni in Fiume di fango viene suggerita dall’immagine fissa della famiglia del giovane protagonista incagliata su una barca insabbiatasi sui fondali del fiume. In L’uomo che dorme (1996) un vecchio muore, ma al di là della parete che lo divide da un giardino, un albero è in 63 fiore e un ceppo tagliato decenni prima torna a vivere… In La foresta pietrificata, la scoperta di una foresta fossile permette agli abitanti di un villaggio di ritrovare il senso della propria appartenenza al “genio del luogo” e di ricostruire progetti per il futuro. Nella festa finale, i giovani innalzano verso il cielo un pesce di cartapesta sollevato da palloncini colorati. La sua immagine si proietta prima sulla cortina formata dalla nebbia, poi sul costone di montagna, oltre il quale c’è un altro villaggio... In pochi altri registi viventi realtà e metafisica si intersecano e si interpellano vicendevolmente in modo così intimo e coinvolgente. (f.v.) RETROSPETTIVE ROMAN POLANSKI E JEAN PIERRE-MELVILLE Viene la tentazione di cercare possibili punti di contatto fra le poetiche del cinema di Roman Polanski e quello di Jean-Pierre Melville, omaggiati dal Torino Film Festival in uno spazio retrospettivo dal sapore squisitamente eurocentrico (se consideriamo anche l’omaggio alla British Reneissance). Due autori profondamente diversi e che rimandano a immaginari tra loro distanti, sebbene, a ben guardare, alcuni passaggi rivelino degli intrecci interessanti e curiosi: primo fra tutti quello che vede entrambi i registi primeggiare nel genere noir. Che se in Melville è un autentico marchio di fabbrica, tanto da dare vita a un autentico format reiterato e perfezionato con il progredire della filmografia, in Polanski è più uno stato dell’essere, una suggestione che si rincorre attraverso vari titoli e solo nel 1974, con Chinatown, trova la sua puntuale rispondenza ai linguaggi di genere. D’altronde è parte integrante del cinema del regista polacco l’esplorazione dei sentimenti nascosti nell’animo umano, che ridisegnano lo spazio e il tempo ed evidenziano l’agire fragile e scomposto di protagonisti complessi e preda dei loro sentimenti primari: esemplare in questo caso l’autentico tour-de-force narrativo di La morte e la fanciulla (1994), devastante esempio di un confronto che affonda nelle radici del tempo e pone in essere una progressiva discesa nella degradazione umana, fomentata dal rancore e dal desiderio di vendetta. Allo stesso tempo, si potrebbe rievocare il lacerante Luna di fiele (del 1990), che esplora i meccanismi del rapporto di coppia, dove l’amore cede inesorabilmente il passo a un impeto (auto)distruttivo. È il Polanski meno conciliante, quello degli anni Ottanta, nel quale rientra anche il bellissimo Frantic (1987), che illustra l’estrema fragilità dell’essere in un mondo i cui fili sono manovrati da giochi di potere che schiacciano i singoli e i sentimenti. Ma si farebbe torto a Film limitare l’opera del regista polacco in questo pur splendido trittico di capolavori: ché, se esiste un motivo per amarne la filmografia in tutta la sua globalità, è proprio per la sua imprevedibile capacità di scivolare dal drammatico al grottesco. Ecco dunque che l’umorismo rappresenta l’altra faccia della medaglia del cinema caro al regista polacco: quell’umorismo garbatamente parodistico di Per favore non mordermi sul collo (1967), quello picaresco di Pirati (1986), ma anche e soprattutto quello che colora i passaggi più gustosi del suo pur tragico Il pianista (2002) e che affonda nella sua formazione e cultura ebraica. È quell’ironia tagliente tipica della vita in tutta la sua complessità, dove non esistono schematismi preordinati e l’incedere degli eventi spinge follia, tragedia e farsa ad accostarsi in modo spiazzante e, in ultima analisi, geniale. Come in fondo è tutto il cinema di questo ometto dai modi gentili e dall’immaginario inquieto. Sarà per questo che il titolo destinato a restare maggiormente impresso è L’inquilino del terzo piano (1976), nel quale il Polanski regista e attore sembra sintetizzare più che in ogni altra sua pellicola la coesistenza di sentimenti ambivalenti e la tortuosa e ossessiva imprevedibilità del vivere. Tutti i film della stagione Da questo versante, il cinema di Jean-Pierre Melville appare invece più compatto, sebbene la retrospettiva permetta di riscoprire meritoriamente soprattutto il suo periodo di formazione, quando emergono esempi che guardano maggiormente alla contemporanea nouvelle-vague (I ragazzi terribili, del 1950) e che permettono di inquadrare prospetticamente il successivo lavoro sulle coordinate del genere noir che poi l’avrebbe reso celebre. Che è poi un lavoro di ricontestualizzazione teorica di linguaggi prelevati da cinematografie altre, fatto che rende la sua opera importante non soltanto per la sua unicità (produttiva e artistica) all’interno della cinematografia francese ed europea, ma perché ne evidenzia la modernità. Il cinema melvilliano è infatti una felice sintesi di passato e presente, postmoderno già nell’impostazione che gli permette di far proprio il cinema occidentale e quello orientale. Il rapporto dialettico che i suoi film instaurano infatti non è soltanto quello con il cinema americano, dal quale certamente recuperano le principali iconografie, ma anche con il cinema giapponese, per i temi dell’onore e della ricerca morale in un mondo che non accetta più eroi. In questo senso, i suoi gangster sono dei samurai (come evidenzia il titolo originale del suo film più bello, quel Frank Costello faccia d’angelo rimasto fuori dalla retrospettiva per problemi legati ai diritti), dotati di un proprio codice d’onore, uniche figure coerenti in un mondo dominato da interessi più forti e pertanto destinati alla sconfitta, fatto che apre la porta a splendide pennellate di malinconico lirismo. Anche qui come in Polanski, in fondo, la dialettica è quella dei sentimenti, che costituisce il vero fil rouge della filmografia melvilliana in tutti i suoi periodi: la necessità di preservare (ma non distruggere come in Polanski) l’idea di un sentimento che lega i protagonisti è quella che porta spesso i protagonisti melvilliani alla fine delle loro esistenze, ma anche all’affermazione fiera dei loro principi e dei legami stessi. In questo senso c’è sicuramente nichilismo nel polar del regista francese, ma in modo virtuoso, sebbene la progressione del suo cinema volga sempre più verso una visione disperata dove i protagonisti si rimpiazzano e i commissari non possono fare altro che rispondere all’ennesima chiamata che li traghetterà verso altre storie e altre tragedie umane. Davide Di Giorgio IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 64