98 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 98 Anno XV (nuova serie) n. 98 marzo-aprile 2009 Bimestrale di cultura cinematografica Aspettando il sole .............................................................................. 23 Ballare per un sogno ......................................................................... 6 Edito dal Centro Studi Cinematografici Beket ................................................................................................. 50 Bride Wars – La mia migliore nemica ................................................ 4 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Che la fine abbia inizio ...................................................................... 53 Come un’uragano .............................................................................. 25 Cosmo sul comò (Il) ........................................................................... 45 Dall’altra parte del mare .................................................................... 28 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Defiance – I giorni del coraggio ......................................................... 35 Denti .................................................................................................. 38 Due partite ......................................................................................... 40 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Ember – Il mistero della città di luce .................................................. 27 Fronzen River .................................................................................... 48 Frost/Nixon – Il duello ........................................................................ 20 Si collabora solo dietro invito della redazione Giardino dei limoni (Il) ........................................................................ 44 Gran Torino ........................................................................................ 2 Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Iago .................................................................................................... 58 I Love Shopping ................................................................................. 14 International (The) ............................................................................. 16 Indice dell’annata ............................................................................... 31 Katyn ................................................................................................. 36 Legami di sangue .............................................................................. 10 Madagascar 2 .................................................................................... 29 Matassa (La) ...................................................................................... 56 Pantera rosa 2 (La) ............................................................................ 22 Passato è una terra straniera (Il) ....................................................... 54 Pride and Glory – Il prezzo dell’onore ............................................... 57 Quell’estate felice .............................................................................. 39 Questo piccolo grande amore ........................................................... 42 Respiro del diavolo (Il) – Whisper ...................................................... 9 Siciliana ribelle (La) ........................................................................... 41 Sol dell’avenire (Il) ............................................................................. 46 Spirit (The) ......................................................................................... 13 Tutta colpa di Giuda ........................................................................... 11 Tutti insieme inevitabilmente .............................................................. 19 Tutto festival Venezia ......................................................................... 60 Two Lovers ......................................................................................... 52 Underworld – La ribellione dei Lycan ................................................ 49 Verità è che non gli piaci abbastanza (La) ......................................... 5 Verso l’Eden ...................................................................................... 24 Watchmen ......................................................................................... 8 Wrestler (The) .................................................................................... 17 Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Gianluigi Ceccarelli Chiara Cecchini Davide Di Giorgio Silvio Grasselli Elena Mandolini Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Manuela Pinetti Valerio Sammarco Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Film Tutti i film della stagione GRAN TORINO (Gran Torino) Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), Kelly Port Supervisore effetti digitali: Darren Poe Operatori: Stephen S. Campanelli, Bill Coe, Liz Radley Supervisore costumi: Cheryl Scarano Canzone/Musica estratta: “Gran Torino” di Clint Eastwood, Jamie Cullum, Kyle Eastwood, Michael Stevens (Jamie Cullum, Don Runner) Interpreti: Clint Eastwood (Walt Kowalski), Christopher Carley (padre Janovich), Bee Vang (Thao Vang Lor), Ahney Her (Sue Lor), Brian Haley (Mitch Kowalski), Geraldine Hughes (Karen Kowalski), Dreama Walker (Ashley Kowalski), Brian Howe (Steve Kowalski), John Carroll Lynch (barbiere Martin), William Hill (Tim Kennedy), Brooke Chia Thao (Vu), Chee Thao (nonna), Choua Kue (Youa), Scott Eastwood (Trey), Xia Soua Chang (Kor Khue), Sonny Vue (Smokie), Arthur Cartwright (Prez), Michael E. Kurowski (Josh Kowalski), Conor Liam Callaghan (David Kowalski), Thomas D. Mahard (Mel), Doua Moua (Spider), Davis Gloff (Darrell), Nana Gbewonyo (Monk), Cory Hardrict (Duke), John Johns (Al), Austin Douglas Smith (Daniel Kowalski), Julia Ho (dott.ssa Chang), Maykao K. Lytongpao (Gee), Greg Trzaskoma (barista), Marty Bufalini (avvocato), Clint Ward (agente), Stephen Kue (agente Chang), Rochelle Winter (ameriera), Vincent Bonasso (sarto) Durata: 116’ Metri: 3000 Regia: Clint Eastwood Produzione: Clint Eastwood, Bill Gerber, Robert Lorenz per Malpaso Productions/Warner Bros./Double Nickel Entertainment/Gerber Pictures/Media Magik Entertainment/Village Roadshow Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 13-3-2009; Milano 13-3-2009) Soggetto: Dave Johannson, Nick Schenk Sceneggiatura: Nick Schenk Direttore della fotografia: Tom Stern Montaggio: Joel Cox, Gary Roach Musiche: Kyle Eastwood, Michael Stevens Scenografia: James M. Murakami Costumi: Deborah Hopper Produttori esecutivi: Jenette Kahn, Tim Moore, Adam Richman Direttore di produzione: Tim Moore Casting: Ellen Chenowerth Aiuti regista: Donald Murphy, Peter Dress, Michael Judd Art director: John Warnke Arredatore: Gary Fettis Trucco: Tania McComas, Louise Holoday, Kimberly Jones, Kimberley Kirkpatrick Supervisore effetti speciali: Steve Riley A lla morte della moglie Dorothy, Walt Kowalski si scopre orgogliosamente solo, con i due figli grandi e ormai estranei e pochissimi amici ancora in vita. Uomo scostante, perennemente sul chi vive, presenzia quasi sull’attenti alla funzione funebre dell’amata consorte, mal tollerando le intemperanze adolescenziali dei nipoti e gli sguardi di compassione dei conoscenti, nonché del giovane officiante cattolico, padre Janovich. Comprensibilmente controverso il rapporto con il figlio Mitch, interessato probabilmente più ai suoi beni personali che alla persona, e con la nipote più grande – e figlia di Mitch –, che, durante il rinfresco, avvicina il burbero nonno soltanto per domandargli un vecchio divano e l’auto che non usa più da tempo come regalo per il venturo primo anno di college, ottenendo in risposta null’altro che un risentito ringhio. Non ha maggior fortuna neanche 2 padre Janovich, che invano tenta di confessare l’uomo, sì da realizzare un desiderio espresso in vita dalla moglie. L’unico vanto di Walt Kowalski è proprio la sua vecchia auto, una Ford Gran Torino del ’72, vero gioiello perfettamente funzionante che l’uomo tira fuori dal garage soltanto per lucidare e poi ammirare, dal portico di casa sua, bevendo birre in lattina e fumando troppe sigarette, come unica compagnia l’anziana cagna Daisy. Nella periferia di Detroit, in cui vive in una classica villetta unifamiliare, è ormai uno degli ultimi veri americani rimasti; curiosamente, il migliore (l’unico?) amico di Kowalski è un barbiere di chiara origine italiana, mentre il cognome di Walt rivela un’altrettanto evidente matrice polacca. Eppure l’odio per il diverso è una componente fondamentale dell’uomo e il suo essere reduce della Guerra in Corea lo porta a una grandissima intolleranza verso i numerosi asiatici che risiedono in quantità nel quartiere popolare in cui vive. Anche i suoi vicini di casa lo sono, ma Kowalski ha sempre mantenuto le distanze da loro; tuttavia, una sera, dal portico assiste a una lite così chiassosa, e soprattutto che sconfina nella sua proprietà, da vedersi costretto a intervenire, fucile alla mano. Accade infatti che Thao, timido adolescente, sia stato da tempo preso di mira da una banda di teppisti, della quale fa Film parte anche un suo cugino, che vuole invischiarlo in attività poco oneste. La famiglia del giovane, composta da mamma, nonna e una sorella poco più grande di lui, è infatti considerata debole dai connazionali perché priva di un vero capofamiglia, dunque esposta, vulnerabile. L’intervento di Kowalski salva Thao e trasforma l’uomo in eroe agli occhi della comunità Hmong di cui fa parte: fin dalle prime ore del mattino successivo, una processione continua di cesti di fiori e offerte di cibo vengono depositate davanti alla sua porta, ma lui è infastidito e caccia tutti in malo modo. Giorni dopo, è in giro per il quartiere alla guida del suo pick up, e nuovamente compie un intervento provvidenziale: stavolta a beneficiarne è Sue, la sorella maggiore di Thao, salvata da Walt dalle pesante attenzioni di un gruppo di bulli. Sulla strada verso casa, la giovane racconta all’uomo la storia degli Hmong, popolazione originaria di una zona montana tra Laos, Cina e Thailandia emigrata in massa negli Stati Uniti a causa dell’appoggio dato a questi durante la guerra del Vietnam. Kowalski pare incuriosito e benevolmente impressionato da Sue, ma il tentativo di furto della Gran Torino – commissionato dal solito losco cugino – da parte di un imbranato Thao mette nuovamente tutto in discussione. Per lavare l’onta, il ragazzo viene mandato da Walt: sarà al suo servizio per una settimana. L’uomo prova a opporsi, infine accetta, e invece di tenere i servigi del giovane per sé lo mette a disposizione del quartiere, facendogli fare piccole riparazioni nelle case e pulizie nei giardini, in nome del decoro urbano. Scopre un ragazzo sensibile, volenteroso, buono e intelligente; decide di trovargli un lavoro e aiutarlo anche a conquistare la ragazza dei suoi sogni. Intanto una tosse sempre più violenta e altri malesseri spingono Walt a una serie di controlli medici, che in seguito riveleranno un esito per niente positivo. Per il compleanno riceve la visita del figlio e della nuora, che sostanzialmente lo spingono ad “accettare la vecchiaia” e trasferirsi in una casa di riposo. Walt sbatte entrambi fuori casa senza troppe cerimonie, e in serata accetta, un po’ riluttante, l’invito di Sue e famiglia a una festa a casa loro. Dopo un inizio imbarazzante, dovrà riconoscere con amarezza di avere più cose in comune con dei perfetti estranei di cui non conosce né lingua né regole sociali che con la sua stessa famiglia. Thao inizia a lavorare nell’impresa edile di un amico di Walt, ma il cugino e i suoi compari non possono accettarlo e aggrediscono il ragazzo. Non appena Tutti i film della stagione Kowalski lo viene a sapere, scopre dove vivono i delinquenti, ne picchia uno e lo lascia con l’avvertimento di restare alla larga da quella famiglia. Per tutta risposta, quelli nella stessa sera sparano raffiche di colpi d’arma da fuoco contro la villetta di Thao, ferendolo superficialmente, e abusano selvaggiamente della sorella Sue. Padre Janovich, che non ha mai smesso di frequentare casa Kowalski, cerca di impedire la prevedibile, imminente, tragedia; quando si trova di fronte Walt nel confessionale, pronto a realizzare l’antico desiderio della moglie, capisce che è troppo tardi per fermarlo. Thao, ovviamente sconvolto e in cerca di vendetta, sprona l’anziano amico, ma non sa che l’uomo ha già deciso per lui. Con una scusa attira il ragazzo nella cantina di casa sua e lo chiude dentro a chiave; poi lascia la cagna Daisy alle cure della nonna di Thao, informa Sue su dove si trovi il fratello – e le chiavi per liberarlo – e, nel suo vestito nuovo e cucito su misura, si reca risoluto verso la casa dei teppisti. In strada, ad alta voce, attira l’attenzione loro e degli altri abitanti della zona, che sbirciano con timore la scena dalle proprie finestre. I delinquenti sono armati fino ai denti e pronti a sparare; quando Walt fa per mettere la mano sotto la giacca, viene colpito mortalmente da tantissimi colpi; in tasca aveva solo un accendino. Thao e Sue arrivano sul posto in tempo per vedere il corpo dell’amico portato via dai medici legali, e gli assassini giustamente arrestati dalla polizia. Alla lettura del testamento, scritto con il linguaggio diretto tipico di Walt, la famiglia scopre con sorpresa e una buona dose di livore che l’uomo ha lasciato la propria casa alla Chiesa, e la splendida Ford a Thao. Nel finale vediamo, il ragazzo, finalmente padrone della propria vita e fiducioso verso il futuro, alla guida della Gran Torino, con la cagna Daisy al proprio fianco. “N on avevo in programma molti altri film come attore, in realtà”, ha dichiarato con semplicità il regista e interprete a quanti, sorpresi, si erano posti l’interrogativo. Eppure è bastata la semplice lettura di una sceneggiatura – opera di Nick Schenk, un esordiente – per riportare sulle scene Clint Eastwood (si vocifera che sarà la sua ultima interpretazione) a cinque anni dall’ultima prova, il Premio Oscar Million Dollar Baby. Ad attrarre Clint è stata la storia, ma soprattutto il suo protagonista, un personaggio complesso e crepuscolare che, nelle abili mani del regista/interprete si è trasformato in una sorta di summa di buona parte della galle- 3 ria eastwoodiana, dall’Ispettore Callaghan in su, e che ben si inserisce anche nel percorso registico, tra lo sguardo nostalgico degli ultimi film che cercano nel passato le radici dell’oggi (Flags of Our Fathers, Letters from Iwo Jima, The Changeling) e la luce buona e calda di un’irraggiungibile espiazione (Mystic River). Walt Kowalski nella sua vita è stato molte cose. Di quel che è stato e di ciò che ha fatto, adesso, gli restano impigliate addosso soltanto una catena di definizioni, e una pesantezza d’animo dura da sopportare, soprattutto in solitudine. Il passato accumulato in una vita intera riempie – a parole - anche la sua statica attualità: operaio-meccanico della Ford in pensione, reduce dalla Guerra di Corea, vedovo, padre e nonno soltanto sulla carta, cattolico non praticante, vicino di casa amato senza averlo richiesto. Uomo scorbutico, spavaldo, tutto d’un pezzo, resta quasi muto se la domanda riguarda il presente: Chi sei? Cosa fai? Imbarazzato balbetta dei vaghi “Aggiusto cose...ho appena riparato questo, la settimana scorsa quell’altro...”, ed è meglio che il discorso cada in fretta. Un segreto terribile e mai confessato gli impedisce di vivere con serenità, e il – non voluto – rapporto con i vicini di casa immigrati dal sudest asiatico finirà col dare un nuovo senso alla sua vita; anche loro, d’altronde, convivono con un una pesante ombra che si allunga dal recente passato e il termine rifugiato si veste per l’uomo di uno struggente e inedito significato. Gli viene da chiedersi, con tutta probabilità, se esista davvero un americano senza macchia. I suoi dubbi esistenziali arriveranno a toccare perfino un uomo di fede – ma indubbiamente, e per sua stessa ammissione, con poca esperienza di vita vissuta – come padre Janovich, che durante l’omelia funebre di Kowalski ammetterà che aveva ragione Walt, quando lo definiva un seminarista capace soltanto di “tenere la mano ad anziane signore promettendo loro l’eternità”. Adesso che ha toccato con mano il sacrificio, l’altruismo, la bontà e la morte, ne sa di più anche della vita vera, anche lui. Il mondo d’oggi va veloce, a Walt non piace affatto e certo non fa nulla per nasconderlo: con il cuore fermo agli anni Cinquanta, ringhia – letteralmente – a ciò che disturba la composizione del proprio mondo ideale, dall’ombelico scoperto della nipote adolescente, alla presenza di “topi di fogna” dal “muso giallo” nelle vicinanze. Perché il razzismo è una componente ben presente nella sua persona, un odio feroce maturato con cura sin dai tempi della Guerra di Corea che gli fa dimenticare, tra un insulto e l’altro, le origini non america- Film ne – vedi il cognome polacco – proprie e dei suoi amici, tra cui un barbiere italiano. Ma sarà l’irruzione dello stra-ordinario – il tentativo di furto della Gran Torino – a rompere l’immobilismo e persino a donare una nuova e inimmaginabile funzione sociale all’uomo-cimelio Walt, attraverso l’affettuosa amicizia con Sue e soprattutto con Thao, vicini di casa adolescenti di etnia Hmong, una semisconosciuta comunità che da Laos, Thailandia e altre zone dell’Asia si è trasferita negli States all’indo- Tutti i film della stagione mani dell’alleanza ai tempi della Guerra del Vietnam. Il sogno americano, per loro, non è stato scontato, né facile. Gran Torino, a dispetto della manciata di mesi che lo separa da The Changeling e i suoi clamori, non è assolutamente un Eastwood “minore”, né ha bisogno della luce riflessa di una labbruta Jolie per farsi notare. È un film solido, forte, che sa cogliere da una storia che si potrebbe riassumere in tre frasi un universo intero, già a partire dall’ambientazione di una Detroit quasi decadente, la “Motor City” del Michigan, con le sue fabbriche di automobili ormai chiuse, al posto dell’originale – in sceneggiatura – Minneapolis. Il resto lo fanno l’impianto classico – ormai quasi una firma del regista –, la scelta di inquadrature, talvolta davvero sorprendenti, e un’inedita quanto fortemente voluta empatia che cerca – e trova – lo spettatore, con esiti piacevolissimi. E infine, su tutto e tutti, Clint. Manuela Pinetti BRIDE WARS-LA MIA MIGLIORE NEMICA (Bride Wars) Stati Uniti, 2009 Trucco: Liz Bernstrom, Trish Seeney, Jean Carney, Jeri La Shay, Tina LaSpina, Sherryn Smith Acconciature: Frank Barbosa, Cheryl Daniels, Paula Dion Supervisore effetti visivi: Mark Dornfeld Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisori musiche: Linda Cohen, Norman Durance Coreografie: John Carrafa Interpreti: Kate Hudson (Liv), Anne Hathaway (Emma), Bryan Greenberg (Nate), Chris Pratt (Fletcher), Steve Howey (Daniel), Candice Bergen (Marion St. Claire), Kristen Johnston (Deb), Michael Arden (Kevin), Victor Slezak (Consol), kelly Coffield (Kathy), John Pankow (John), Zoe O’Grady (Liv da piccola), Shannon Ferber (Emma da piccola), June Diane Raphael (Amanda), Charles Bernard (DJ), Emily Sarah Stikeman, Robert Capron, Kallie Mariah Tabor (studenti), Bruce Altman (Simmons), Hettienne Park (Marissa), Lauren Bittner (Amie), Jeremy Brothers (Nerdy, il collega), Rena Maliszweski (altra collega), Casey Wilson (Stacy), Sarah Kate Jackson (commessa), Jason Kolotouros (addetto alle consegne), Paul Sheer (Ricky Coo), Andre Holland (DJ Jazzles), Kristofer L. Stock (Agente ‘Non tuo marito’), Anna Madigan (Tanorexic), Manuel Lopes (Miguel), Pamela Figueiredo (Pamela), Rob Wilson (Rob) Durata: 89’ Metri: 2260 Regia: Gary Winick Produzione: Kate Hudson, Alan Riche, Peter Riche, Julie Yorn per Firm Films/New Regency Pictures/Regency Enterprises/ Sunrise Entertainment (II) Distribuzione: 20th Century Fox Italia Prima: (Roma 20-2-2009; Milano 20-2-2009) Soggetto: Greg De Paul Sceneggiatura: Greg De Paul, Casey Wilson, June Diane Raphael Direttore della fotografia: Frederick Elmes Montaggio: Susan Littenberg Musiche: Ed Shearmur Scenografia: Dan Leigh Costumi: Karen Patch Produttori esecutivi: Jay Cohen, Jonathan Filley, Matt Luber Co-produttore: Devon Wilson Direttore di produzione: John A. Machione Casting: Marcia DeBonis, Jennifer Euston Aiuti regista: Glen Trotiner, Eddie Micallef, Jason Graham, Jeremy Marks Operatore: Lukasz Jogalla Operatore steadicam: Ralph Watson Art director: James Donahue Arredatore: Ron von Blomberg L iv ed Emma, inseparabili amiche, sognano sin da bambine un matrimonio sfarzoso al Plaza. Ricevuto quasi in contemporanea l’anello iniziano a organizzare i rispettivi matrimoni con crescente entusiasmo. La fortuna vuole che riescano a trovare anche posto al Plaza. Tutto sembra perfetto fino a quando l’organizzatrice di matrimoni non comunica loro un errore: la data di prenotazione nell’esclusivo albergo è la stessa e non ce ne sono altre disponibili per i prossimi 3 anni. Le due ragazze sono in preda allo sconforto. Entrambe vogliono partecipare al matrimonio dell’altra, ma allo stesso tempo non sono pronte a rinunciare al Plaza. Cercano una soluzione, ma non la trovano. Prese dall’egoismo, ognuna inizia a organizzare il suo ”giorno speciale” cercando di sabotare quello dell’amica. E così, tra scherzi più o meno pesanti, si arriva a una settimana dal matrimonio. Liv ed Emma, però, si sentono strane, non sono felici come speravano e sentono la mancanza l’una dell’altra. Per questo, cercano di riavvicinarsi, ma ogni tentativo è irrimediabilmente distrutto da un destino beffardo. Neanche con i rispettivi fidanzati le cose vanno meglio. Lo stress, infatti, fa aumentare le litigate, ma, se queste per Liv diventano motivo di unione, per Emma sono causa di un ripensamento. 4 Il fatidico giorno arriva. Le due spose si incrociano in albergo e si sorridono teneramente. Liv, allora, si ricorda di un ultimo tiro mancino organizzato mesi prima: un dvd di Emma ubriaca che verrà proiettato durante la cerimonia. La donna, pentita, chiede disperatamente al suo assistente di sostituire il dvd con quello scelto dalla sposa, ma lui convinto dell’ennesima ripicca non lo fa. Inizia la cerimonia di Emma e sullo schermo appaiono le immagini di lei ubriaca che balla la lap-dance. La futura sposa ha una crisi isterica, corre nell’altra sala e inizia a picchiare Liv. Gli invitati cercano di dividerle e alla finte fra lacrime e graffi si chiedono scusa. Emma poi va a parlare col fidanzato e insieme decidono Film che non è il caso di sposarsi e si uniscono agli invitati di Liv. Passa un anno, Emma si è sposata col fratello di Liv, e come lei aspetta un bambino che nascerà a marzo. Q uanto in basso può scendere una donna che vede il suo “giorno speciale” offuscato da un particolare imprevisto? Senza avere dati alla mano una cosa è certa: più in basso di quanto lei creda. A volte basta una sfumatura troppo dorata nei capelli o un bouquet mal riuscito per trasformare una signorina “bon ton” nella più feroce delle amazzoni, se il danno, poi, è causato dalla migliore amica, non ci sono dubbi è guerra. È guerra, perché, l’amica, più di ogni altra persona, è partecipe alla preparazione di un matrimonio ancor prima che ci sia un “lui” da sposare. È la confidente e complice di un sogno che silenziosamente si comincia ad accarezzare in tenera età e che, con tutte le sue metamorfosi, sfocerà in un giorno che tutte considerano indimenticabile. Tutti i film della stagione Partendo da questo è facile comprendere come l’amicizia fra Emma e Liv possa esser naufragata nella deliziosa commedia di Gary Winik chiamata non a caso Bride Wars. Le due ragazze, interpretate dalle frizzanti Anne Hathaway e Kate Hudson, desiderano dire “sì” all’uomo che amano nei fastosi saloni del Plaza facendo l’una la damigella dell’altra. Purtroppo, il destino vuole che la data disponibile sia solo una. Chi cederà il passo all’altra?. Come da copione, Emma e Liv sono così prese a distruggersi l’una con l’altra da dimenticarsi tutto il resto. Inclusi i rispettivi partner relegati in un angoletto ad assistere allo spettacolo circense che viene loro offerto. Gary Winik, dopo aver tessuto La tela di Carlotta, continua a parlare di amicizia e questa volta lo fa usando i codici metropolitani di due giovani apprendista-sposine. Gli scenari, infatti, non sono più quelli dolci e pacati di una fattoria del midwest, ma quelli schizofrenici di una New York “che non dorme mai”. L’elemento fiabesco, però, rimane inalterato e scandito da una voce fuoricampo che narra le “zingarate” prematrimoniali delle giovani protagoniste. La Hathaway e la Hudson, rispettivamente, la remissiva maestrina e l’avvocatessa rampante, sono buffissime nelle loro scenate tanto che si può perdonar loro anche l’eccessiva mimica facciale e qualche urletto di troppo. Dopotutto possono permettersi questa leggerezza, visto che hanno già dimostrato, in particolare la Hathaway, di saper recitare in ruoli più robusti. Per il resto, niente di nuovo, tutto rigorosamente simile agli altri pink movie con cui le major stanno rimpinguendo la programmazione cinematografica. Dialoghi brillanti, dunque, e comicità al femminile “cotta e mangiata”, o meglio “shakerata e bevuta”, destinata a un pubblico esteso, ma selezionato che farebbe pazzie per Manolo. A proposito, pensate che quest’ultimo sia un ballerino sudamericano? Allora decisamente questo film non fa per voi. Francesca Piano LA VERITÀ È CHE NON GLI PIACI ABBASTANZA (Hes Just Not That Into You) Stati Uniti/Germania/Olanda, 2009 Regia: Ken Kwapis Produzione: Nancy Juvonen per Flower Films/Internationale Filmproduktion Blackswan/Sessions Payroll Management Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 20-3-2009; Milano 20-3-2009) Soggetto: dal libro He’s Just Not That Into You: The No-Excuses Truth to Understanding Guys di Greg Behrendt & Liz Tuccillo Sceneggiatura: Abby Kohn, Marc Silverstein Direttore della fotografia: John Bailey Montaggio: Cara Silverman Musiche: Cliff Eidelman Scenografia: Gae S. Buckley Costumi: Shay Cunliffe Produttori esecutivi: Drew Barrymore, Michael Beugg, Toby Emmerich, Michele Weiss Co-produttori: Michael Disco, Gwenn Stroman Casting: Justine Baddeley, Kim Davis Aiuti regista: Stephen P. Dunn, Ken Twohy, Anderson Vilien, Paul Byrne Prenderville, E. Langston Craig, Xanthus Valan Operatori: David Golia, Matthew Moriarty Operatore steadicam: Matthew Moriarty Art director: Andrew Max Cahn Arredatore: K. C. Fox Trucco: Tina Roesler Kerwin, Jamie Leigh DeVilla, Jorjee Dou- G iGi non viene richiamata da Connor, ragazzo con cui è uscita diverse volte. In cerca di spiegazioni, va nel bar da lui frequentato e incontra glas, Silvina Knight, Sandra Linn Koepper, Angela Levin, Kate Shorter, Heba Thorisdottir Acconciature: Bunny Parker, Germicka Barclay, Miia Kovero, Anne Morgan, Rhonda O’Neal, Kim Urgel Coordinatore effetti speciali: Larry Fioritto Supervisore musiche: Danny Bramson Supervisore costumi: Katie Saunders Interpreti: Ben Affleck (Neil), Jennifer Aniston (Beth), Drew Barrymore (Mary), Jennifer Connolly (Janine), Kevin Connolly (Connor), Bradley Cooper (Ben), Ginnifer Goodwin (GiGi), Scarlett Johansson (Anna), Kris Kristofferson (Ken), Justin Long (Alex), Wilson Cruz (Nathan), Leonardo Nam (Joshua), Cory Hardrict (Tyrone), Corey Pearson (Jude), Rod Keller (Bruce), Morgan Lily (Bambina di 5 anni), Michelle Carmichael (Mamma), Trenton Rogers (Bambino di 6 anni), Kristen Faye Hunter (Ragazza che piange), Sabrina Revelle (Amica consolatrice), Chihiro Fujii (Ragazza di Tokyo #1), Sachiko Ishida (Ragazza di Tokyo #2), Claudia DiMartino (Jogger), Carmen Perez (Recluta dell’esercito #1), Traycee King (Recluta dell’esercito #2), Délé (Donna Africana #1), Eunice Nyarazdo (Donna Africana #2), Anita Yombo (Donna Africana #3), Natasha Leggero (Amber), Anna Bugarin (Insegnante di Yoga) Durata: 129’ Metri: 3385 un suo amico, Alex, che le spiega che lui non è interessato a lei. Dopo la chiacchierata iniziale, i due diventano amici. Alex è per la ragazza una sorta di maestro nel 5 farle scoprire il linguaggio maschile e non viene più raggirata dagli uomini. Un giorno i due scoprono di amarsi e si mettono insieme. Film Anna, un’aspirante cantante ha una relazione con Ben, sposato con Janine. Un giorno la loro tresca viene scoperta, ma la moglie comprensiva lo perdona e cerca di sedurlo nuovamente. Anna, che si trova suo malgrado ad assistere alla scena, si arrabbia e lascia Ben. Tutto sembra tornato alla normalità, ma Janine scopre che il marito le aveva mentito sullo smettere di fumare e chiede il divorzio. Beth è fidanzata da sette anni con Neil, ma non riesce a farsi sposare. All’ennesimo rifiuto di portarla all’altare, allora, lo lascia. Passa del tempo e si accorge che la sua vita sentimentale era sicuramente meglio di quella di tante coppie sposate, così chiede a Neil di tornare insieme senza pensare più alle nozze. Lui, però, le fa una sorpresa: le fa trovare un anello e le chiede di diventare sua moglie. Connor, intanto, è riuscito a convincere Anna a mettersi con lui dopo la rottura con Ben, ma, al momento di andare a vivere insieme, lei ci ripensa e parte per un viaggio spirituale in India. Connor allora si consola con Mary, la pubblicitaria che lo aiuta a sponsorizzare la sua attività. C omplimenti ai geniacci che hanno montato il trailer! È raro trovare un promo pubblicitario così Tutti i film della stagione ingannevole, così lontano dalla realtà come quello di La verità è che non gli piaci abbastanza. Battute caustiche, dialoghi brillanti e la firma degli sceneggiatori Behrendt e Tuccillo avrebbero convinto anche i più scettici a correre al cinema per godersi due ore di spensierate risate sulle disgrazie amorose della generazione dell’happy hour. Eppure, dopo dieci minuti dall’inizio della pellicola, si intuisce il bluff. Il film è di una lentezza micidiale. Le battute, le trovate comiche sono solo quelle presenti nel sopraccitato trailer. Il resto è un continuo e inutile scorrere d’immagini, di personaggi che si intrecciano e di cui francamente si fa fatica a ricordare anche solo i nomi. E questo per ben oltre due ore! Il leitmotiv che guida l’impresa è l’invito ai giovani con problemi sentimentali a “scendere dal pero” e comprendere che se non si è richiamati, sposati, amati è perché dall’altra parte non c’è interesse. Esorta a dire basta a quelle leggende metropolitane che raccontano di una a cui è successo di incontrare un ranocchio e trasformarlo in un principe, o a quelle teorie sulla paura delle “donne troppo in gamba”. “Fantastico” verrebbe da pensare, “qualcosa di nuovo all’orizzonte”, e invece no. Questa “rivoluzione” d’intenti rispetto al trend classico della commedia romantica è sviluppata in maniera così maldestra da risultare non solo poco originale, ma terribilmente vicina a ciò che si vuole evitare. Sì, perché, La verità è che non gli piaci abbastanza, pur palesandosi come il trionfo del cinismo non è altro che una commedia romantica, anzi una brutta commedia romantica, di quelle che non vedi l’ora che finisca, di quelle che farebbero addormentare anche chi non si è perso una puntata di Friends. Forse, la carne a cuocere, era un po’ troppa per il regista Ken Wapis che non ha saputo valorizzare nemmeno un cast all stars (Jennifer Aniston, Ben Affleck, Scarlett Johansson, Drew Barrymore...), che nel suo piccolo ce l’ha messa tutta per far funzionare la commedia. O forse, ormai, siamo stanchi dell’ennesima declinazione cinematografica della “singletudine”. Comunque, l’unica verità è questa: “questo film non ci piace abbastanza”. O meglio, non ci piace per niente. Francesca Piano BALLARE PER UN SOGNO (Make It Happen) Stati Uniti, 2008 Regia: Darren Grant Produzione: Brad Luff, Anthony Mosawi per The Mayhem Project Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 3-4-2009; Milano 3-4-2009) Soggetto: Duane Adler Sceneggiatura: Nicole Avril, Duane Adler Direttore della fotografia: David Claessen Montaggio: Scott Richter Musiche: Paul Haslinger Scenografia: Ray Kluga Produttori esecutivi: Robert Benjamin, Darren Grant, Andreas Rialas Co-produttori: Duane Adler, Jennifer Rogers Produttore associato: Erix Arocha Direttore di produzione: Ellen Rutter Casting: Kim Coleman, Jim Heber Aiuti regista: Aiman A. Humaideh, Dianne Domaratzki, Martin Ellis Operatore: Chris Hayes Art director: Réjean Labrie L auryn è una ventenne che vive in una piccola cittadina dell’Indiana con il fratello Joel. Ereditata Arredatore: Stephen Arndt Trucco: Sylvain Cournoyer, Nina Kvaternik Supervisore costumi: Karen Kristalovich Supervisore musiche: Dana Sano Coreografie: Tracy Phillips Canzoni/Musiche estratte: “Teach Me How to Dance” (Che’Nelle); “Shawty Get Loose” (Lil Mama, Chris Brown); “Love Ya” (Unkle Jam); “Bottoms Up” (Keke Palmer); “Beware of the Dog” (Jamelia); “Push It” (Salt ‘n Pepa); “Just Dance” (Lady GaGa) Interpreti: Mary Elizabeth Winstead (Lauryn), Tessa Thompson (Dana), Riley Smith (Russ), John Reardon (Joel), Julissa Bermudez (Carmen), Ashley Roberts (Brooke), Karen LeBlanc (Brenda), Matt Kippen (Wayne), Erik Fjelsted (Marty), Aaron Merke (Clay), Gordon Tanner (David Lancer, coreografo), Kyle Nobess (Charlie), Michael Xavier (Marcus), Sara Thompson (Lauryn piccola), Tara Birtwhistle (madre di Lauryn), Dan Skene (barista), Debbie Patterson (receptionist audizione), Sofia Costantini (assistente coreografo), Terry Ray (tipo al compleanno), Alexandra Herzog (ragazza) Durata: 90’ Metri: 2910 dalla madre la passione per la danza, la ragazza dopo la prematura morte di entrambi i genitori, aveva dovuto mettere 6 da parte le sue aspirazioni per aiutare il fratello come contabile nell’officina di famiglia. Nonostante tutto, Lauryn tro- Film va il modo per allenarsi ogni giorno da autodidatta, con un unico obiettivo: l’audizione presso la prestigiosa Scuola di Danza di Chicago. Joel non appoggia affatto la sorella, anzi la fa sentire in colpa per gli obblighi verso i genitori defunti. Finalmente arriva l’atteso giorno della prova di ammissione. La ragazza esegue la coreografia senza sbagliare; tuttavia la commissione non le lascia neanche terminare, non reputandola all’altezza e poco sensuale. Lauryn è distrutta, non vuole tornare a casa, anche per non dover ammettere davanti al fratello la sconfitta. Per caso conosce in un bar Dana, una ragazza gentile e disponibile, anche lei ballerina con alle spalle lo stesso insuccesso, che le offre di stare a casa sua. Così fa credere a Joel di essere stata presa alla Scuola e di aver iniziato a frequentare i corsi. Dana le propone un lavoro come contabile al club Ruby, un night club molto alla moda, dove ogni sera c’è uno spettacolo. Insieme a lei altre due ragazze si esibiscono in uno stile di danza chiamato “burlesque”, simile a una sfilata di alta moda, ma coreografata con balli elaborati e molto sexy e appariscenti. Ogni serata è un successo, il pubblico è in delirio e fa la fila per entrare. A curare la parte musicale, ci pensa Russ, il deejay del locale, che mixa i brani, pur covando segretamente l’aspirazione di scrivere e produrre la sua musica. Lauryn inizia a fare con zelo il suo lavoro di contabilità, ma dentro di sé sente crescere una forte attrazione per il modo in cui Dana, Carmen e Brooke si muovono e sono orgogliose per ciò che fanno. Una notte, dopo la chiusura del locale, Lauryn, pensando di essere sola, fa partire la musica e sale sul palco, dando libero sfogo al suo corpo. È completamente immersa nel suo mondo, tanto da estraniarsi da ciò che la circonda e non si accorge che Russ la osserva in silenzio, rapito dalla sua bellezza e dalla fluidità dei suoi movimenti. I due iniziano a frequentarsi e Russ fa ascoltare a Lauryn un cd con della musica composta da lui e, nello stesso tempo, invita la ragazza a coltivare il suo sogno. Una sera, Brooke, una delle ballerine, decide improvvisamente di lasciare il suo posto da Ruby. Brenda, la proprietaria del locale, è disperata; Russ coglie l’occasione per proporre Lauryn come valida sostituta. Inizialmente Lauryn s’infuria ma, dopo averci riflettuto, Tutti i film della stagione trova il coraggio di affrontare la situazione. La proprietaria è scettica, ma corre il rischio di farla provare. La ragazza come previsto non delude le attese. Dopo aver entusiasmato il pubblico con la sua prima esibizione, Brenda le offre il posto di ballerina fissa. Un’iniezione di fiducia in se stessa che dà la forza a Lauryn per sperare di nuovo e mettersi alla prova una seconda volta. Giusto in tempo per ripresentarsi alla seconda audizione della Scuola di Danza. Tutto sembra procedere per il verso giusto. Le serate che registrano il sold out e il rapporto con Russ che cresce di giorno in giorno. Fino a quando, durante un’esibizione, Lauryn si trova davanti agli occhi il fratello Joel arrivato a Chicago per farle una sorpresa. Appresa la verità, Joel attacca duramente la sorella, attribuendole anche la responsabilità del fallimento dell’officina. La ragazza sconvolta dai sensi di colpa lascia tutto e tutti e torna nell’Indiana per cercare di aiutare il fratello a non chiudere l’attività. Il giorno prima della prova, Joel vede la sorella ballare e commosso dalla sua tenacia la costringe a partire subito per Chicago. Lauryn arriva giusto in tempo per esibirsi e lasciare senza fiato tutta la commissione della Scuola. Questa volta non ci sono dubbi, finalmente ha realizzato il suo sogno. D allo stesso autore di Step up e Save the last dance, ma una delusione rispetto ai precedenti, Ballare per un sogno è l’ultima pellicola di Darren Grant sul ballo. La prima considerazione che viene da fare è che di sicuro il regista, esperto di videoclip, se ne intenda di musica e danza. Peccato che ne capisca così tanto che, avendo esaurito le idee, le vada a prendere altrove. Gli appassionati del genere infatti ricorderanno Le ragazze del Coyote Ugly di David McNally, di sicuro non un capolavoro da iscrivere negli annali, ma con qualche pregio da riconoscere. Ebbene, Ballare per un sogno ne rappresenta più o meno la fotocopia molto stinta. Senza avere alle spalle una storia convincente infatti il film, che fa acqua da tutte le parti ed è intriso di luoghi comuni, non può che piacere soltanto ai teenager patiti della categoria. Anche se, probabilmente, persino gli spettatori accaniti del programma Amici della De Filippi avranno a che ridire. Per non parlare poi dei dia- 7 loghi scontati e all’insegna della banalità. Passando alla coreografia, che dovrebbe essere uno dei punti forti del film, non si rimane certo a bocca aperta. La tipica ragazzotta provinciale che arriva nella grande città alla ricerca del proprio sogno, incontra il giovane cittadino carino di cui si innamora, mentre l’amica le offre ospitalità e lavoro senza chiedere nulla in cambio. A questo si aggiungano drammi familiari più o meno risolvibili e, per finire, il classico e prevedibilissimo happy ending. Con il messaggio buonista che anche se tutto va a rotoli i sogni restano, bisogna crederci e continuare a perseguirli fortemente, senza darsi per vinti alla prima sconfitta. Forse questo l’unico pregio del film. Un’atmosfera meno metropolitana e più intimista, che guarda in maniera un po’ più approfondita all’animo della ragazza e alle sue paure e si sofferma meno sulle luci e sullo stile forzatamente glamour che hanno caratterizzato le produzioni precedenti. Perché tutto quello che Lauryn riuscirà a conquistare nella sua vita lo avrà davvero meritato grazie alla fatica, alla sveglia all’alba per gli allenamenti da autodidatta, al lavoro da contabile al fianco del fratello, ai balletti improvvisati nel night club, incontrato per caso sul proprio percorso. Una visione, quindi, meno semplicistica e forse più reale dello sforzo che richiede, nella vita quotidiana, la coltivazione di un sogno e la faticosa corsa sulla strada che porta alla sua realizzazione. La colonna sonora, in particolare gli stacchetti all’interno del locale, non sono malvagi; peccato per il provino finale, dove ci aspetteremmo come minimo un’esibizione alla Flashdance e invece si rimane a bocca asciutta. Più che altro la protagonista arriva all’audizione senza un pezzo preparato. A venirgli incontro il simpatico dj che dichiara di aver composto un pezzo per lei. A questo punto, lo spettatore attento si ricorderà di aver sentito durante il film un brano ancora inedito e non finito, che il ragazzo fece ascoltare proprio a Lauryn. Dunque ci si aspetterebbe che partisse quel brano durante l’audizione finale. E invece no, parte Lady Gaga con “Just Dance”! La curiosità del film è che Mary Elizabeth Winstead, la giovane attrice protagonista, ha debuttato con Quentin Tarantino in Grind House- A prova di morte in cui, guarda caso, ballava anche lì. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione WATCHMEN (Watchmen) Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti visivi: Lon Molnar (Intelligent Creatures), Bryan Hirota (CIS Hollywood), Dennis Jones, Peter G. Travers Coordinatori effetti visivi: Alicia Johnson, Tyler Kehl, Shandy Lashley, Michelle Ledesma, Ian McIntosh Interpreti: Malin Akerman (Laurie Jupiter/Spettro di Seta II), Billy Crudup (Dr. Manhattan/Jon Osterman), Matthew Goode (Adrian Veidt/Ozymandias), Jackie Earle Haley (Walter Kovacs/ Rorschach), Jeffrey Dean Morgan (Edward Blake/Il comico), Patrick Wilson (Dan Dreiberg/Gufo Notturno II), Carla Gugino (Sally Jupiter/Spettro di Seta), Matt Frewer (Edgar Jacobi/Moloch), Stephen McHattie (Hollis Mason/Gufo Notturno), Laura Mennell (Janey Slater), Rob LaBelle (Wally Weaver), Gary Houston (John McLaughlin), James M. Connor (Pat Buchanan), Mary Ann Burger (Eleanor Clift), John Shaw (Doug Roth), Robert Wisden (Richard Nixon), Jerry Wasserman (detective Fine), Don Thompson (detective Gallagher), Frank Novak (Henry Kissinger), Sean Allan (Generale Norad), Ron Fassler (Ted Koppel), Stephanie Belding (Janet Black), Nhi Do (ragazza vietnamita), Walter Addison (Lee Iacocca), Tony Ali, Alison Araya, Katie Bennison (giornalista stranieri), Greg Armstrong-Morris (Truman Capote), Tony Bardach (John con la madre di Rorschach), Carly Bentall (ragazza di Wally), Clint Carleton (Hollis Mason giovane), Mike Carpenter (Moloch giovane), Frank Cassini (marito di Sally), Fulvio Cecere (agente Forbes), Carrie Genzeol (Jackie Kennedy), Jaryd Haidrick (Jon giovane), J. R. Killigrew (David Bowie), John Kobylka (Fidel Castro), Martin Reiss (Breznev), Eli Snyder (Rorschack giovane), Brett Stimely (John F. Kennedy), Steven Stojkovic (Mick Jagger), Greg Travis (Andy Warhol) Chris Burns Durata: 162’ Metri: 4350 Regia: Zack Snyder Produzione: Lawrence Gordon, Lloyd Levin, Deborah Snyder per Warner Bros. Pictures/Paramount Pictures/Legendary Pictures/Lawrence Gordon Productions/DC Comics Distribuzione: Universal Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) V.M.: 14 Soggetto: dal fumetto omonimo di Alan Moore e Dave Gibbons Sceneggiatura: David Hayter, Alex Tse Direttore della fotografia: Larry Fong Montaggio: William Hoy Musiche: Tyler Bates Scenografia: Alex McDowell Costumi: Michael Wilkinson Produttori esecutivi: Herb Gains, Thomas Tull Co-produttore: Wesley Coller Direttore di produzione: Jim Rowe Casting: Kristy Carlson Aiuti regista: Martin Walters, Misha Bukowski, Eddy Santos, Ashley Bell, Rhonda Taylor Operatori: John Clothier, Trig Singer Operatore steadicam: John Clothier Supervisore art direction: François Audouy Art directors: Helen Jarvis, James Steuart Arredatore: Jim Erickson Trucco: Rita Ciccozzi, Rosalina Da Silva, Emanuela Daus, Miles Teves Acconciature: Anji Bemben Effetti speciali trucco: Greg Cannom, Will Huff, Geoff Redknap, Steve Winsett Supervisore trucco: Carrie LeGrand (Drac Studios) Supervisore effetti speciali: Chris Hampton Coordinatore effetti speciali: Joel Whist N ew York, 1985. In un appartamento di Manhattan viene brutalmente assassinato Il Comico, “vigilante mascherato” ormai messo al bando – come altri suoi colleghi – dal decreto Keene. Chi l’ha ucciso? E perché? Sull’omicidio inizia a indagare Rorschach, altro Watchmen convinto del fatto che qualcuno abbia deciso di sterminare i guardiani “in pensione”, esseri umani che un tempo indossavano una maschera per combattere il crimine e che oggi nascondono la propria identità. In un mondo oscurato dalla paura e regolato dalla paranoia, in bilico costante sull’orlo della guerra nucleare e tenuto in sospensione dall’arma finale, il Dr. Manhattan, essere sovrumano dai poteri illimitati, in grado di plasmare la materia solo con il pensiero, il baratro di una “mezzanotte nucleare” sembra sempre più vicino. L’unico che ancora, silenziosamente e nel buio, continua a esercitare il suo ruolo da Watchmen, a sfidare il decreto Keene e a dare la caccia alla feccia nei bassifondi della città, è proprio Rorschach, deciso a riunire la vecchia squadra per controbattere la minaccia portata da chi – ancora ignoto e per un motivo ignoto – ha deciso di eliminare i suoi vecchi “colleghi”. Tra questi, l’unico ad aver svelato al mondo la sua identità è stato Ozymandias, all’anagrafe Adrian Veidt, ora ricco imprenditore e a capo di un impero commerciale. Gli altri, Spettro di Seta II (figlia di Sally Jupiter) e Gufo Notturno II, eredi dei Miliziani (primo gruppo di eroi mascherati, di cui faceva già parte anche Il Comico), conducono una vita normale e non hanno mai rivelato ciò che sono stati. Messi in allerta, dapprima ritengono le parole di Rorschach frutto della sua celebre paranoia, ma, poco a poco – spinti anche dalla voglia di ritornare ai precedenti fasti – decideranno di indossare nuovamente le vecchie uniformi. Nel frattempo, sempre più distante da ciò che era prima (un fisico nucleare, innamorato e umano), Dr. Manhattan – dopo la fine della precedente relazione, compagno di Spettro di Seta II 8 – scopre che alcune persone avute accanto nel corso della sua esistenza si sono ammalate di cancro e per questo emigra su Marte. Continuando a indagare, invece, Rorschach viene incastrato e portato in galera, dove trova ad aspettarlo un gruppo di delinquenti mandati proprio da lui in prigione anni prima. Lo liberano Spettro di Seta II e il Gufo Notturno II, ora compagni anche nella vita: portata poi su Marte dal Dr. Manhattan, Laurie (questo il suo vero nome), comprende finalmente di essere la figlia del Comico, mentre Rorschach e Daniel (il Gufo), si introducono nella villa di Adrian in cerca di prove dopo il tentato assassinio subito da quest’ultimo. Ma ogni prova conduce proprio al loro ex-compagno, artefice di tutti gli avvenimenti accaduti fino a quel momento. Decidono di affrontarlo, si dirigono quindi nella sua fortezza in Antartide ma non riescono a evitare che il piano finale di Veidt si compia: un’esplosione nucleare e qualche milione di vittime, per salvare il mondo da se stesso. Facendo comparire Film Tutti i film della stagione un unico nemico comune, questa la teoria di Veidt, il pianeta si sarebbe coalizzato e le varie superpotenze, soprattutto USA e URSS, avrebbero abbandonato le ostilità per schierarsi insieme a difesa del mondo. Giunti anche Laurie e il Dr. Manhattan, i quattro testimoni di quanto accaduto rimangono disgustati, ma – a parte Rorschach – decidono di mantenere il silenzio per evitare un altro olocausto nucleare. Incapace di scendere a compromessi, Rorschach fa per dirigersi verso l’astronave e svelare la verità, ma viene disintegrato da Dr. Manhattan. G raphic novel tra i più celebri mai realizzati, Watchmen di Alan Moore (che, come consuetudine, non ha consentito venisse usato il suo nome per i credits) e Dave Gibbons arriva sullo schermo al termine di una storia molto travagliata (negli ultimi quindici anni il progetto è passato per diversi studi, fino alla 20th Century Fox per poi arrivare alla Warner Bros.) grazie a Zack Snyder, autore - dopo il remake di L’alba dei morti viventi - anche del ben più modesto 300, tratto dalle tavole di Frank Miller. Fedele nell’impianto, ma per forza di cose ancora distante dall’enorme portata dell’originale, Watchmen (il film) riesce a ben rappresentare il senso di cupezza e la valenza metaforica della miniserie a fumetti cui fa riferimento, uscita nel 1986 in 12 albi e ambientata in un contesto di realtà contemporanea ma, al tempo stesso, alternativa (Richard Nixon è ancora presi- dente degli Stati Uniti, che anni prima uscirono vittoriosi in Vietnam grazie all’impiego del Dr. Manhattan): pur soffrendo per alcuni “marchi di fabbrica” riconducibili allo “Snyder touch” (ralenti insistiti, movimenti di macchina esteticamente accattivanti ma abbastanza ridondanti, o pleonastici), il film segue con devota dedizione le linee guida del testo d’origine, puntando molto sulla decostruzione dell’archetipo del supereroe convenzionale, mettendo in luce gli aspetti umani, a volte insistendo sull’aberrazione degli stessi (in tal senso, le “maschere” più riuscite sono proprio quelle del Comico e di Rorschach, solitario e violento, quasi sempre con il volto coperto e chiamato così in virtù delle macchie dell’omonimo test psicologico), amalgamando personaggi e racconto (intelligente, a tal proposito, la scelta di fare affidamento a un cast di attori non divi) e sfruttando notevolmente i differenti piani di spazio e tempo dell’intera storia. Che in alcuni frangenti potrebbe apparire ostica, ma era il rischio inevitabile da correre una volta deciso di ridurre per lo schermo il lavoro di Moore e Gibbons, a oggi unico graphic novel inserito nella lista dei “100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923”, stilata dal Time Magazine. Valerio Sammarco IL RESPIRO DEL DIAVOLO (Whisper) Stati Uniti, 2007 Arredatore: Penny A. Chalmers Effetti speciali trucco: Julie Beaton, Toby Lindala, Geoff Redknap, Kyla-Rose Tremblay Coordinatore effetti speciali: Jak Osmond Supervisori effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title) Supervisore musiche:Randy Gerston Interpreti: Josh Holloway (Max Truemont), Sarah Wayne Callies (Roxanne), Blake Woodruff (David Sandborn), Michael Rooker (Sydney Braverman), Joel Edgerton (Vince Delayo), John Kapelos (Whitley), Julian Christopher (signor Haper), Teryl Rothery (Catherine Sandborn), Dulé Hill (detective Miles), Tara Wilson (Chloe), Rod Boss (prestigiatore), Roman Sodermans (ragazzo eccitato al party), Trevor Woodruff (ragazzo calmo al party), Brad Sihvon (conducente del carro attrezzi), Claire Riley (conduttrice del notiziario francese), Aidan Williamson (giocatore di Hockey), Rekha Sharma (Mora), Cory Monteith, Brandy Kopp (teenagers), Kevin MacKenzie (uomo misterioso), Cainan Wiebe (ragazzo al ristorante), Mark McConchie (padre del ragazzo) Durata: 95’ Metri: 2600 Regia: Stewart Hendler Produzione: Paul Brooks, Walter Hamada, Damon Lee per Deacon Entertainment/Gold Circle Films/H2F Management Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Christopher Borrelli Direttore della fotografia: Dean Cundey Montaggio: Armen Minasian Musiche: Jeff Rona Scenografia: Michael Joy Costumi: Maya Mani Produttori esecutivi: Chris Fenton, Scott Niemeyer, Norm Waitt Produttore associato: Jonathan Shore Co-produttori: Zak Kadison, Jeff Levine, Direttore di produzione: Sherry Gorval Casting: Eyde Belasco, Maureen Webb Aiuti regista: Richard Coleman, Jason Furukawa, Bryant Marshall, Glenn Bottomley, Dan Miller Art director: Paolo G. Venturi 9 Film D opo aver scontato un periodo in prigione, Max Truemont cerca di rifarsi una vita insieme alla fidanzata Roxanne, con cui vorrebbe aprire una tavola calda. A causa dei suoi trascorsi criminali, però, nessuna banca sembra volergli prestare il denaro necessario ad avviare l’attività. Così Max accetta di partecipare a un rapimento, organizzato dal vecchio amico Sidney. La vittima è David, un bambino di dieci anni, rampollo della famiglia Sandborn, che viene portato nel Maine, in un capanno abbandonato dove, oltre a Max, Roxanne e Sidney, si trova anche il loro complice Vince. Fin dall’inizio, è però evidente come David sia un ragazzo diverso dal solito: scaltro e freddo nell’agire, il piccolo sembra infatti conoscere i pensieri e i trascorsi dei suoi carcerieri, al punto che la situazione si rovescia in poco tempo. David diventa quindi il carnefice e i rapitori assumono i ruoli delle vittime, con un bodycount che viene scandito dai disegni che il bambino imprime sulle pareti della stanza dove è imprigionato. Il primo a cadere è proprio Sidney, colpito da un infarto fulminante quando David dimostra di conoscere i segreti nascosti nel suo passato; rimasti senza il loro leader, gli altri membri del gruppo cercano ugualmente di portare a termine la loro impresa con il beneplacito della persona che ha organizzato il rapimento e che finora è rimasta nascosta dietro lo pseudonimo di “Jones”, delegando a loro il lavoro sporco. Il tentativo di contattare i genitori del bambino per concordare il pagamento di un riscatto, però, si risolve in un nulla di fatto quando David riesce a fare in modo che i rapitori rivelino i loro nomi, costringendoli così a troncare la comunicazione. Subito dopo tocca a Vince, che David elimina lasciandolo annegare in un lago ghiacciato. Mentre gli eventi seguono inesorabilmente il loro corso, Roxanne inizia a sviluppare un profondo legame con il bambino, nel quale vede espresso il suo desiderio di maternità mai realmente appagato e si rinchiude progressivamente in questa ossessione, complice il fatto che Max l’abbandona, dopo aver scoperto il tradimento che la ragazza ha consumato nei suoi confronti quando era in prigione. Quindi tocca al Detective Miles, che intende risolvere autonomamente il caso per ottenere un successo personale che lo metta in buona luce rispetto ai superiori; raggiunge la baita e David riesce a fare in modo che Roxanne lo elimini con una fucilata. Infine Max riesce a incontrare direttamente Jones, che si scopre essere nientemeno che la madre di David! La donna, infatti, consapevole della natura demoniaca che alberga nel bambino, cercava un Tutti i film della stagione pretesto per liberarsene e così ha messo in piedi il suo piano. Ora vuole che tutto vada fino in fondo e che David sia finalmente eliminato. Così, tornato alla baita, Max tenta di salvare Roxanne, ma, nel trambusto generale, finisce accidentalmente per ucciderla. Fiaccato dal triste evolversi degli eventi, l’uomo rischia ora di soccombere dinanzi al potere di David, che palesa la sua natura demoniaca presentandosi come un cacciatore di anime che riesce, sussurrando nelle orecchie, a piegare il volere delle sue vittime, spingendole ad atti di violenza contro se stessi o il prossimo. Così intende fare anche con Max, che però ha la sagacia di usare la sua pistola per stordire il suo apparato uditivo, liberandosi in questo modo dall’influenza del maligno. Il confronto definitivo avviene nel bosco, dove Max riesce finalmente a eliminare il giovane carnefice. Il finale vede un ristabilito ma provato Max consegnare a un figurante vestito da Babbo Natale i soldi ricevuti dalla madre di David. R ealizzato nel 2007 e ambientato in un cupo scenario che rievoca le atmosfere dei racconti di Stephen King, Il respiro del diavolo è l’opera d’esordio del giovane Steward Hendler, che dimostra di conoscere i canoni fondanti del genere fantastico e sa sfruttare i riferimenti a suo vantaggio, componendo una curiosa miscela di thriller alla Ransom e di horror demoniaco, con evidenti debiti dal classico Il presagio. L’idea della mescolanza di generi non è nuova nel fantasy contemporaneo (pensiamo anche al bizzarro legal-horror di The Exorcism of Emily Rose) e sembra cercare il possibile punto d’incontro fra istanze divergenti, che riescano a mettere d’accordo gli amanti dell’horror tradizionale con gli spettatori attuali, che hanno con il genere un rapporto più smaliziato e sono poco propensi ad accettare una discesa nell’immaginazione più sfrenata. Ne consegue che il rapporto, posto in essere tra fantasia e realtà, è conflittuale e impedisce al film di avere uno svolgimento realmente innovativo: le scene orrorifiche, infatti, si adeguano a quanto già proposto dai modelli più noti, con iconografie riciclate (i lupi che proteggono e aiutano David) e una progressione priva di reali guizzi. Nulla di nuovo, insomma, per un progetto di maniera, dai ritmi un po’ televisivi, complice anche il cast che vede insieme Josh Holloway (fra gli attori di Lost) e Sarah Wayne Callies (vista in Prison Break). Gli appassionati potranno comunque trovare motivi d’interesse nella presenza carismatica di Michael Rooker, indimenticato interprete di Harry pioggia di sangue, peraltro in una apparizione molto breve. Su tutto svettano i giochi di luce che vedono protagonista il grande Dean Cundey, storico direttore della fotografia dei primi film di John Carpenter, che riesce in questo modo a creare un’atmosfera a metà strada fra l’onirico e il tattile, attraverso un accorto lavoro di illuminazione degli spazi. A funzionare, in questo caso, è il contrasto che si instaura fra la componente visionaria favorita dai poteri demoniaci di David e la concretezza degli ambienti, dei muri, della foresta e degli umanissimi problemi che affliggono i rapitori (difficoltà economiche, desiderio di maternità, colpe per le responsabilità nelle imprese andate male). Ciò che non riesce a fare la storia, insomma, tenta di realizzarlo il buon mestiere dei veterani del cinema. Davide Di Giorgio LEGAMI DI SANGUE Italia, 2008 Regia: Paola Columba Produzione: Fabio Segatori per Baby Films Distribuzione: Baby Films Prima: (Roma 27-3-2009; Milano 27-3-2009) Soggetto: Paola Columba Sceneggiatura: Paola Columba, Fabio Segatori Direttore della fotografia: Gianni Mastrovito Montaggio: Ugo De Rossi Musiche: Haim Frank Ilfman, Eleonor Firman Suono: Daniele Formillo Interpreti: Giovanni Capalbo (Giovanni), Cristina Cellini (Luana), Andrea Dugoni (Andrea), Arnoldo Foà (padre), Cristina Mantis (Rosy), Pino Rugiano (Peppe), Fulvio Cauteruccio (notaio), Alberto Cracco (padre Alberto), Vanessa Galipoli (dottoressa), Aldo Gioia (negoziante) Durata: 92’ Metri: 2500 10 Film G iovanni, dopo quasi quattro anni di carcere ritorna a casa, in campagna, dove niente è cambiato: la miseria regna sovrana, il fratello Peppe continua a fare il padrone e la sorella Luana la serva di casa. L’unico ad accoglierlo con un sincero abbraccio è il quarto fratello della famiglia: Andrea, affetto da sindrome di down e da una grave malattia respiratoria. Giovanni vorrebbe la sua parte di eredità a seguito della morte del padre, per rifarsi una vita. Peppe non vuole; vorrebbe invece, grazie all’aiuto dell’amico e notaio Pietro, richiedere una sovvenzione alla comunità europea, per sanare la fattoria. Per farlo ha bisogno delle firme di Luana e Andrea. Giovanni convince Andrea a non firmare nulla, promettendogli che quando avrà i soldi lo porterà con sé in città. Giovanni, reo di bancarotta fraudolenta, ritrova anche Rosy, suo vecchio amore, nonché sorella di Pietro. Dopo qualche titubanza, la donna intreccia di nuovo la relazione con Giovanni, confidandogli il suo passato milanese di prostituta. Intanto Luana, continua a occuparsi sia della casa che di Don Alberto, che le chiede sempre di diventare la sua perpetua; rifiuta pensando ad Andrea. Giovanni, nel mentre, scopre che il padre lo ha tolto dal testamento. Peppe, pur di raggiungere il suo scopo e sotto consiglio di Pietro, porta Andrea dalla nuova dottoressa locale per farsi firmare le carte per l’interdizione. Giovanni giunge in tempo. Ormai esausto, Peppe confida a Pietro di meditare l’omicidio del fratello. Giovanni lo ascolta; la sera stessa, col fucile in mano e Luana ed Andrea alle sue spalle, attende Peppe. In seguito, dopo un forte litigio, Peppe non lo uccide, ma anzi gli getta i soldi in faccia. Giovanni, li prende e, nonostante le lacrime di Luana e Andrea, decide di andarsene. Durante la notte, Luana va da Don Alberto, che memore delle minacce di Peppe per lasciarla in pace, la manda via; Luana riesce a strappargli un piccolo bacio. Il giorno dopo Giovanni tenta di convincere Rosy ad andarsene insieme: lei rifiuta. Ormai è troppo tardi; Rosy continua infatti a prostituirsi e drogarsi. Mentre si trova sul pullman, Giovanni riceve una telefonata di Luana: Andrea è morto, ucciso da Peppe. Tornato di corsa a casa, tenta di uccidere il fratello, nonostante la crudele rivelazione: Andrea si è suicidato. Luana, per fermare Giovanni gli spara; Peppe lo finisce con un forcone da fieno. Infine lo seppelliscono. Un anno dopo, Luana ha sempre lo sguardo perso nel vuoto mentre ricorda di quando erano bambini; Peppe sembra essere diventato premuroso come lo era un tempo Luana. Tutti i film della stagione U n racconto che parla di tensione, attriti e rancori. Legami di sangue, non è un film sull’affetto familiare. Tutti i componenti della famiglia qui rappresentata, sono costretti alla convivenza per il legame di sangue, appunto, che li lega e vincola l’uno all’altra. Peppe, il padre padrone, ha bisogno dei suoi fratelli per mandare avanti la fattoria e per sentirsi potente, nonché sovrano della sua stessa casa; Luana costretta a far da schiava, non ha il coraggio di abbandonare Andrea; Giovanni, il parassita, torna a casa dopo la galera e arraffa quello che può; Andrea, in apparenza l’unico ignaro, deve, per necessità, dipendere dai suoi fratelli. Tutti tentano la fuga dalla famiglia, ma nessuno vi riesce. Come una maledizione da sconfiggere, l’unico modo per liberarsene è la morte. Il primo a capirlo è proprio Andrea. La macchia indelebile, che Luana e Peppe si porteranno dentro dopo l’assassinio di Giuseppe, produce uno strano cambiamento; quasi sembrano prendere il posto degli altri fratelli: Luana di Andrea, con lo sguardo perso nel vuoto e Peppe di Luana stessa assumendo il carattere servizievole e sottomesso della donna all’inizio del film. Una bella sceneggiatura, con dialoghi brevi e sinceri. Se non fosse per la colonna sonora, semplice ma efficace, sembrerebbe uno spaccato di vita reale. Ben realizzata la tensione fra i due fratelli, in spe- cialmodo nella scena della prima cena dopo il ritorno di Giovanni: poche parole, solo sguardi che dicono molto più dello scarno dialogo. Un’altra scena resa con intensità è il modo in cui l’ex galeotto assapora la ritrovata libertà: gusta con estremo piacere una vera granita di caffè con panna, che non mangiava da quasi quattro anni, davanti al suo adorato mare. La campagna, una casa alla deriva, sono il giusto sfondo che porta i vari personaggi a compiere, a turno, esasperati gesti estremi. Bravi tutti gli attori, dal grande Arnoldo Foà (il padre), all’incisiva e commovente prova dell’attore Andrea Dugoni interprete di Andrea. Resa impeccabile anche di Giovanni Capalbo (Giovanni) e Pino Rugiano (Peppe). Intensa Cristina Cellini (Luana), vincitrice non a caso del Premio Flaiano. Peccato per il finale: proprio qui, gli attori sembrano non crederci fino in fondo. Molto buona quindi la prima prova della regista Paola Columba, che nei flashback più recenti usa il bianco e nero; mentre i ricordi di infanzia, ci vengono mostrati come fossero vecchi filmini girati in famiglia. Il film si è aggiudicato, meritatamente, il Premio Flaiano come miglior opera prima e un’ottima accoglienza anche a Festival internazionali. Elena Mandolini TUTTA COLPA DI GIUDA Italia, 2009 Regia: Davide Ferrario Produzione: Davide Ferrario per Rossofuoco Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 10-4-2009; Milano 10-4-2009) Soggetto e sceneggiatura: Davide Ferrario Direttore della fotografia: Dante Cecchin Montaggio: Claudio Cormio Musiche: Fabio Barovero Scenografia: Francesca Bocca Costumi: Paola Ronco Produttore esecutivo: Ladis Zanini per FARGOfilm Direttore di produzione: Federico Mazzola Aiuto regista: Barbara Daniele Suono: Vito Martinelli Coreografie: Laura Mazza Interpreti: Kasia Smutniak (Irena Mirkovic), Fabio Troiano (Libero Tarsitano), Gianluca Gobbi (Don Iridio), Luciana Littizzetto (Suor Bonaria), Cristiano Godano (Cristiano), Francesco Signa (Cecco), Paolo Ciarchi (zingaro), Linda Messerklinger (script girl), Angela Vuolo (commessa), Christian Konabité (lavorante), Valentina Taricco (Pezzi), Kaas (cantante presidio), Ladis Zanini (funzionario PS), Dante Cecchin (organista), Compagnia “Gap” (danzatori a teatro), Marlene Kuntz (gruppo musicale), detenuti e personale del carcere di Torino (sezione VI, blocco A) Durata: 102’ Metri: 2700 11 Film T orino, carcere di Le Vallette. Il cappellano don Iridio invita una giovane regista teatrale d’avanguardia serba, Irena Mirkovic, a realizzare un laboratorio (“qualcosa di salvifico”), in una sezione del carcere che sviluppa attività creative. Il rapporto iniziale con i carcerati è faticoso: dopo brevi autoritratti realizzati in digitale, Irene cerca di educarli all’uso della voce e del corpo, fa loro recitare Shakespeare o Pascoli, ma non trova una chiara linea estetica, indecisa fra messe in scena accademiche o “sperimentali”. La sua vita privata è segnata da un rapporto ormai logoro con il fidanzato, a sua volta attore, freddo e distaccato. I carcerati, ironici e disincantati, rifiutano inizialmente i vari “esercizi”. Ma, durante l’ora d’”aria”, sono essi stessi che suggeriscono in modo spontaneo e informale una performance musicale creata con percussioni e con l’armonica a bocca di uno di loro, Cecco, già componente di un gruppo rock. Il gruppo finisce altrettanto spontaneamente per improvvisare movimenti coreografici cui partecipa la stessa Irene. Il direttore del carcere, Libero, scettico e ironico, pur apprezzando il suo lavoro, la invita a “non far sentire troppo vivi” i carcerati. Anche suor Bonaria, che cerca di far opera di proselitismo, guarda agli sforzi di Irene con scetticismo. Don Iridio propone di mettere in scena una “Passione” che sottolinei l’aspetto umano di Cristo. Dopo un iniziale rifiuto, Irene si butta nel progetto e cerca diverse soluzioni stilistiche, da quelle tradizionali popolarescoieratiche a quelle più colte, di stampo “pasoliniano”. Legge i Vangeli e viene colpita dalla parabola del fico, destinato a rinsec- Tutti i film della stagione chire perché non aveva prodotto frutti e quindi maledetto da Cristo. Discute, poi, con il prete sulla presunta natura di giudice inflessibile di Gesù. Ottenuta la fiducia dai carcerati Irene li invita a scegliersi il ruolo, ma nessuno accetta di recitare nella parte di Giuda, simbolo ai loro occhi dell’”infame”, del delatore, colpevole della morte di Cristo e quindi dei mali dell’umanità. Irene approfondisce l’amicizia con il direttore del carcere e, dopo aver lasciato il fidanzato, si installa nel suo appartamento. Discute con i carcerati sul senso della Passione: alcuni di loro affermano pessimisticamente che il sacrificio e l’espiazione non servono a salvare il mondo, “il mondo non lo salva nemmeno il Padreterno”. “Facciamo che Gesù il processo non lo fa e esce di prigione per scadenza termini”, dice ironicamente un altro. Il fisarmonicista del gruppo canta poi il refrain della rappresentazione, in cui contesta la condanna dell’umanità “per colpa di Giuda”, l’inutilità del carcere e l’assurdità di dividere l’umanità in “buoni” e “cattivi”. Anche il direttore, durante una visita alla galleria Sabauda, critica la visione pessimistica della vicenda umana e invita Irene al sorriso e all’ottimismo. Dopo una manifestazione di centri sociali davanti al carcere, che si conclude con un concerto rock e il lancio dei fuochi d’artificio per la notte di san Giovanni, Irene finisce a letto col direttore. Ma subisce anche le attenzioni di un carcerato, che viene poi picchiato dai compagni. La stessa Suor Bonaria critica il lavoro di Irene attribuendo l’interesse dei carcerati all’attrazione sessuale per lei. Irene si sfoga con don Iridio affermando che, chiuso nel suo mondo perfetto, “a Dio non gliene frega 12 nulla” del mondo. Infatti, dopo la Resurrezione, lui torna in cielo, “mentre noi rimaniamo qui…” Supera tuttavia tutti i dubbi trovando in una sorta di gioioso “ballo di accoglienza”, inventato dai carcerati, la chiave simbolica della rappresentazione sacra. Essa sarà senza croce, senza dolore, rappresenterà un mondo felice in cui anche Cristo sarà liberato, in un’aula bunker di tribunale. Per la figura di Cristo viene scelto Beppe, l’unico ergastolano, che scendendo dalla croce canta un testo dedicato alla libertà e all’amore da condividere con altri esseri umani. Ma don Iridio, dopo un’aspra discussione con Irene, proibisce lo spettacolo. A complicare le cose, i carcerati scoprono la relazione di Irene con il direttore e si rifiutano di partecipare alla messa in scena. Convinta dal direttore che ora vuole che lo spettacolo abbia luogo, Irene rinuncia al rapporto con lui per ottenere la partecipazione dei carcerati. Ma proprio nell’imminenza dello spettacolo arriva la notizia dell’indulto che manda tutti liberi. Tuttavia, i carcerati-attori si accomiatano da Irene in una sorta di “ultima cena” durante la quale Beppe, l’ ergastolano che interpreta Cristo canta una canzone malinconica d’addio. Irene si ritrova con il direttore, nel carcere tristemente vuoto. Finita la finzione i carcerati si rivedono su un monitor, fra lazzi e ironie reciproche. “E della Croce, che vogliamo fare?”, è l’ultima battuta problematica del film, sulla scena ormai vuota dei carcerati che ritornano nelle loro celle. Il film pone domande, come dice all’inizio don Iridio: “la fede non nasce dalla luce, ma da mille dubbi”. Tutto il film esprime il tentativo di trovare il corrispondente nei codici narrativi e rappresentativi alla domande teologiche e umane che coraggiosamente l’autore si pone. Ferrario sceglie il metodo dell’assemblaggio e della contrapposizione fra generi, come se si mescolassero dolce e amaro, sacro e profano. Metodo evidentemente colmo di insidie, il kitsch sta continuamente dietro l’angolo, la farsa viene sfiorata, ma mai raggiunta. Denuncia sociale, storia d’amore, Vangelo e condizione umana affrontate con il taglio del documentario antropologico, la commedia di costume e il dramma sentimentale e, soprattutto, le canzoni che interrompono e commentano brechtianamente l’azione, l’alternanza fra realismo e fantasia (godibili i riferimenti - sognati da Irene - al cattivo gusto di certe “Passioni” del cinema di genere). Paradossale, eppure funzionale allo scopo, l’addio di Gesù ai discepoli Film nell’Ultima Cena per mezzo di una canzone “napoletana” simil-Fierro, che celebra malinconicamente un amore finito. Riuscito soprattutto il rapporto fra la recitazione di finzione della Smutniak, sufficientemente mobile e spontanea, del nevrotico Fabio Troiano e degli autoironici Gianluca Gobbi e Luciana Littizzetto e quella impacciata e però terribilmente “vera” e consapevole dei carcerati coinvolti nell’impresa. Molte le battute significative del dialogo che danno spessore e distanza ironica alla riflessione. In uno dei “ritratti” iniziali, un carcerato risponde alla domanda “Sei Tutti i film della stagione innocente?””Sì, abbastanza”. Un altro afferma che la sua colpa sociale è quella della “sfiga”. Il direttore del carcere critica l’istituzione come il frutto di un equivoco: “il carcere serve per tirare una linea, separare la monnezza dal resto e metterla sotto un tappeto. Il problema non è la monnezza, ma il tappeto”. Secondo Irene, a partire, dal sacrificio di Isacco, Dio certe volte “ci ripensa” ed evita il sacrificio. “Misericordia, non sacrificio” ricorda ancora Irene, citando l’evangelista Matteo. Replica il sacerdote che, se non ci fosse il mistero cristologico, basterebbe vi- vere da uomini per salvarsi, mentre per il cristiano la salvezza deriva dalla Fede e dalla morte in Croce di Cristo, capro espiatorio e Salvatore, secondo l’interpretazione e il magistero della Chiesa. Questo il dilemma centrale del film, su cui ciascuno di noi è chiamato a interrogarsi. Ma forse la risposta sta nell’immagine più emozionante del film, quella in cui il Cristo-ergastolano si slancia dalla Croce abbandonandosi all’abbraccio dei compagni che gli evitano la caduta al suolo e la solitudine. Flavio Vergerio THE SPIRIT (The Spirit) Stati Uniti, 2008 Coordinatore effetti speciali: Donald Frazee Supervisori effetti visivi: John Grower (Cinesoup), Brian Harding (Entity FX), Charlie Iturriaga (Ollin Studio), David Jones (Riot), Dave Morley (FUEL International), Thomas Proctor (Rising Sun Pictures), Mat Beck, Kevin Lingenfelser, Stuart T. Maschwitz, Richard McBride Coordinatori effetti visivi: Dustin Foster, Danny Huerta, Armando Kirwin, Krista Maryanski, Jonathan O’Brien, Jenny Basen, Cyntia Navarro (Ollin Studio) Supervisori musiche: Jay Faires, Daniel Hubbert Supervisori costumi: Richard Schoen, Lynda Foote Coreografie: JoAnn Fregalette Jansen Interpreti: Gabriel Macht (The Spirit/Denny Colt), Eva Mendes (Sand Saref), Sarah Paulson (Ellen Dolan), Dan Lauria (Dolan), Paz Vega (‘Plaster of Paris’), Eric Balfour (Mahmoud), Jaime King (Lorelei Rox), Scarlett Johansson (Silken Floss), Samuel L. Jackson (Octopus), Louis Lombardi (Phobos), Stana Katic (Morgenstern), Richard Portnow (Donenfeld), Meeghan Holaway (reporter), Johnny Simmons (Denny Colt ragazzo), Seychelle Gabriel (Sand ragazza), Dan Gerrity (detective Sussman), Arthur the Cat (se stesso), Kimberly Cox (signorina in difficoltà), Brian Lucero, David B. Martin (delinquenti), Larry Reinhardt-Meyer (agente MacReady), Frank Miller (Liebowitz), Daniel Hubbert (medico), Michael Milhoan (zio Pete), John Cade (mafioso), David Wiegand (agente Saref), Chad Brummett (reporter), Mark Delgallo (Seth), Aaron Toney (ladro di borsette), Al Goto (giocatore di Poker), Roman Tissera (portiere) Durata: 103’ Metri: 2650 Regia: Frank Miller Produzione: Deborah Del Prete, Gigi Pritzker, Michael E. Uslan per lionsgate/Odd Lot Entertainment/Continental Entertainment Group (CEG)/Media Magik Entertainment Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 25-12-2009; Milano 25-12-2009 Soggetto: dalla serie a fumetti di Will Eisner Sceneggiatura: Frank Miller Direttore della fotografia: Bill Pope Montaggio: Gregory Nussbaum Musiche: David Newman Scenografia: Rosario Provenza Costumi: Michael Dennison Produttori esecutivi: Michael Burns, Bill Lischak, Steven Maier, Benjamin Melniker Produttore associato: Marc Sadeghi Co-produttori: F. J. DeSanto, Linda McDonough Direttore di produzione: Alton Walpole Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: Benita Allen, Dennis Crow, Brad Arnold, Frederic Roth, Marcia Woske Operatore steadicam: Gregory Lundsgaard Art director: Rosario Provenza Arredatore: Gabrielle Petrissans Trucco: Isabel Harkins, Allan A. Apone, Elaine L. Offers, Heba Thorisdottir Acconciature: Camille Friend, Barbara Olvera, Robert L. Stevenson Effetti speciali trucco: Alan Tuskes Supervisore trucco: Meliane Tooker D enny Colt è un poliziotto che, tornato dalla morte, è noto come The Spirit e vigila sulla sua amata città Central City, difendendola da ladri, criminali comuni, e dalla sua nemesi, Octopus, ossessionato da Spirit poichè in qualche modo uguali. A complicare il tutto, arriva la femme fatale Sand Saref, con il chiodo fisso dall’oro e di qualsiasi cosa luccichi. La splendida ladra ha un tragico passato: amata da Colt/Spirit durante l’adolescenza, lascia la città dopo che suo pa- dre viene ucciso da un mafioso durante una colluttazione, il quale gli spara con la pistola dello zio di Denny che cerca di aiutarlo, ma vedendolo morto si suicida. Sand scopre due casse nascoste in uno stagno e prova ad appropriarsene, ma l’intervento di Octopus la mette in fuga con una sola cassa. Entrambi sono in possesso di quella sbagliata: Octopus vuole entrare in possesso del mistico sangue di Eracle, in grado di donare l’immortalità, che è nella cassa di Sand, la quale invece 13 vuole il contenuto della cassa di Octopus: il tesoro degli Argonauti. Spirit, eroe e spudorato donnaiolo (alla storia con Sand si alternano i flirt con la figlia del detective Dolan e qualche altra tresca fugace), ossessionato dall’angelo della morte Lorelei che attende di prenderlo con sé, si troverà a dover affrontare la sua vecchia fiamma e la follia dilagante di Octopus, coadiuvato dalla temibile Silken Floss, vero responsabile del ritorno in vita di Spirit grazie ai suoi esperimenti, che con la fiamma di Film Eracle potrebbero portare il mad doctor alla conquista dell’immortalità. I nutile indugiare più di tanto sull’esile trama di The Spirit, deludente approdo solista di Frank Miller in cabina di regia, forte del successo di pubblico toccato a Sin City che aveva co-diretto assieme a Rodriguez. Ma questa volta, il graphic novelist più innovativo degli ultimi 40 anni (evidentemente incoraggiato, più che dalla precedente regia a quattro mani, dal successo planetario di 300 di Snyder) non traspone una sua serie, bensì un eroe, Spirit, che dal 1940 al 1952 ha contraddistinto la produzione di un grande del fumetto mondiale quale Will Eisner. Ovviamente riproponendo in chiave pressoché inalterata la fotografia monocromatica e antinaturalistica del film precedente, che poco altro conteneva in termini di novità. E questo The Spirit non fa purtroppo eccezione: se cura e ricercatezza maniacale sono riservati alla sperimentazione sui colori fino a un’astrazione quasi totale di Tutti i film della stagione sfondi e contesti, la bidimensionalità dell’intera operazione rivela, una volta per tutte, la totale inadeguatezza di simili progetti allo schermo cinematografico, cui un’atmosfera costantemente tetra non può bastare per far emergere lo spessore dei personaggi (a differenza delle tavole, in cui la descrizione del paesaggio sottolinea in modo definitivo psicologie e registro narrativo). Passi per Spirit, smitizzato nella descrizione di un corpo vuoto e agente solo in base al puro istinto (carnale o, in senso lato, etico), ma gli altri personaggi sono poco meno che macchiette lasciate libere di sfogarsi in smorfie e tirate stucchevoli in barba a ogni idea di ritmo, dialoghi e regia: su tutte, la ridicola pantomima pseudonazista inscenata da Jackson e da una Scarlett Johansson che per l’ennesima volta si rivela inadeguata allo status di diva frettolosamente affibbiatale dalla moderna critica modaiola in cerca di bei volti da mettere sulla graticola. Dopo Sin City, la violenza viene annacquata ed edulcorata da un umorismo onnipresente e di ma- niera, che impedisce allo spettatore di empatizzare il (presunto) dramma interiore di Spirit, o di comprendere il legame verso la sua città, una Central City dove se sei fortunato prima o poi finisci ammazzato (perché non andarsene via con l’amata Sand Saref a suo tempo, vien da chiedersi?). Tutto, in The Spirit, cerca di giustificarsi in nome del rimando alle tavole illustrate, della citazione cinefila (Per un pugno di dollari, accipicchia), dell’ammiccamento estetico; ma vedere Gabriel Macht, nelle scene iniziali, imitare l’eroe delle vignette contorcendosi in varie pose come un divo espressionista in preda alla gastrite, dovrebbe dare immediatamente idea al pubblico dello scatolone vuoto che di lì in poi, per 108 lunghi minuti, saranno chiamati a sorbirsi. Le mode, si sa, battono il ferro finchè è caldo. Ora che quella della graphic novel è arrivata al cinema, non resta che augurarsi un rapido cambio di gusti. Gianluigi Ceccarelli I LOVE SHOPPING (Confessions of a Shopaholic) Stati Uniti, 2009 Coordinatore effetti speciali: Jeremy S. Brock Supervisori effetti visivi: John Knoll, Marc Varisco Supervisore musiche: Kathy Nelson Supervisore costumi: Marcia Patten Supervisore musiche: Kathy Nelson Coreografie: Fatima Robinson Interpreti: Isla Fisher (Rebecca Bloomwood), Hugh Dancy (Luke Brandon), Krysten Ritter (Suze), Joan Cusack (Jane Bloomwood), John Goodman (Graham Bloomwood), John Lithgow (Edgar West), Kristin Scott Thyomas (Alette Naylor), Fred Armisen (Ryan Koening), Leslie Bibb (Alicia Billington), Lynn Redgrave (donna ubriuaca), Robert Stanton (Derek Smeath), Julie Hagerty (Hayley), Nick Cornish (Tarquin), Wendie Malick (Miss Korch), Clea Lewis (Miss Ptaszinski), Stephen Guarino (Allon), Tuomans Hiltunen (Jan Virtanen), Yoshiro Kono (Ryuichi), John Salley (D. Freak), Lennon Parham (Joyce), Christine Ebersole (conduttrice televisiva), Michael Panes (Russell), Kaitlin Hopkins (organizzatrice di eventi), Katherine Sigismund (Claire), Alexandra Balahoutis (manager di Prada), Elisabeth Riley (cliente del negozio di Prada), Madeleine Rockwitz (Rebecca a otto anni), Tommy Davis (collega di Jan), Andy Serwer (Mr. Lewis), Kelli Barrett (ragazza in nero) Durata: 104’ Metri: 2715 Regia: P. J. Hogan Produzione: Jerry Bruckheimer per Touchstore Pictures/Jerry Bruckheimer Films Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 27-2-2009; Milano 27-2-2009) Soggetto: dai romanzi Confessions of a Shopaholic e Shopaholic Takes Manhattan di Sophie Kinsella Sceneggiatura: Tracey Jackson, Tim Firth, Kayla Alpert Direttore della fotografia: Jo Willems Montaggio: William Goldenberg Musiche: James Newton Howard Scenografia: Kristi Zea Costumi: Patricia Filed Produttori esecutivi: Roland M. Bozman, Chad Oman, Mike Stenson Direttore di produzione: Harvey Waldman Casting: Denise Chamian, Julie Shubert Aiuti regista: H. H. Cooper, Peter Thorell, Matthew Mason, Nate Grubb Operatore steadicam: David J. Thompson Art directors: Paul D. Kelly, Rosa Palomo Arredatore: Alyssa Winter Trucco: Sandra Linn Koepper, Souraya Hamdi, Pamela May, Amanda Miller, Elaine L. Offers Acconciature: Pamela May, Amanda Miller N ew York, Rebecca Bloomwood è una giovane che ama in modo maniacale lo shopping, fermamente convinta del potere terapeutico degli acquisti. Lavora in una piccolo giornale, ma il suo sogno più grande è scrive- re per la prestigiosa rivista diretta dalla guru della moda Alette Naylor. Dopo aver ottenuto un colloquio di lavoro presso la rivista, Becky non riesce a resistere alla tentazione dello shopping, acquistando una costosa sciarpa nonostante abbia già un 14 cospicuo debito con le sue carte di credito. Arrivata in ritardo al colloquio, la giovane resta delusa nell’apprendere che il posto è già stato assegnato alla bellissima Alicia Billington. Becky viene a sapere che nello stesso gruppo editoriale si stanno Film svolgendo selezioni per la rivista “Successful Saving” (“Far fortuna risparmiando”). La ragazza affronta un colloquio con il giovane direttore della testata, Luke Brandon, rimediando solo gaffes. Dopo aver saputo che il suo giornale sta chiudendo e sempre più piena di debiti, la ragazza si sfoga con l’amica Suze che le consiglia di scrivere un articolo per far colpo su Alette. Becky ne scrive due: uno per Alette e uno per “Far fortuna risparmiando”. Pochi giorni dopo, Luke Brandon la convoca per un nuovo colloquio. La ragazza si accorge di aver scambiato le buste mandando a Luke l’articolo destinato ad Alette. L’ironia vuole che Becky venga assunta a “Far fortuna risparmiando”. In crisi già al primo articolo, la ragazza si limita a scopiazzare. Luke la porta a una conferenza cercando di istruirla e le chiede un articolo pronto in poche ore. Mentre sta tornando al lavoro, Becky viene distratta dalla pubblicità di una svendita e cade di nuovo in tentazione. A casa, osservando il cappotto appena acquistato, si accorge di aver preso una bufala da cui prende spunto per scrivere un articolo sulla capacità di risparmiare. Il giorno dopo, colpito dal pezzo, Luke le propone di firmarlo con uno pseudonimo: “la ragazza dalla sciarpa verde”. Ma i guai non sono finiti per la giovane redattrice che è perseguitata da Derek Smeath, un impiegato dell’ufficio recupero crediti. Pedinata fin nel suo ufficio, Becky racconta a Luke che quell’uomo è un suo ex fidanzato che la perseguita fingendo di essere un impiegato del recupero crediti. Poco dopo, Luke invita la ragazza a Miami per una convention. In Florida, il giovane le confessa di essere l’erede di un grande patrimonio di famiglia, ma di aver scelto di avere successo a modo suo. Tornata a casa, Becky si iscrive alle riunioni dei “compratori compulsivi”. Ma già dopo la prima seduta, le si risveglia l’appetito dello shopping. Il giorno dopo, Alette porta Becky a scegliere l’abito con cui apparirà in uno show televisivo. Subito dopo, la ragazza va a ritirare il vestito con cui farà da damigella a Suze. Per non entrare alla seduta con le buste dello shopping, Becky chiede a una donna di nasconderle nella propria auto. Ma la donna è la nuova psicologa del gruppo che, subito dopo, costringe Becky a impegnare i nuovi vestiti. Becky va allo show televisivo con Luke, ma Derek Smeath, tra il pubblico, la smaschera davanti a tutti rivelando tutte le bugie che ha raccontato per sfuggire ai suoi debiti. Convinto di essere stato usato, Luke se ne va deluso. Anche Suze, scoperto che Becky ha impegnato l’abito da damigella, tronca con l’amica. Intanto Alet- Tutti i film della stagione te offre a Becky una rubrica nella sua rivista, ma la ragazza rifiuta. Becky mette in atto il suo piano e bandisce un’asta di tutti i suoi abiti, compresa la sua sciarpa portafortuna. Con il ricavato, Becky salda i suoi debiti. Poco dopo, la ragazza va al matrimonio di Suze che la perdona. Becky cammina felice ormai capace di resistere alle tentazioni delle vetrine, quando le si para davanti Luke con la sua sciarpa verde. Becky è una ragazza nuova: cura una rubrica per il nuovo giornale di Luke e ha una relazione con lui invece che con la carta di credito. L a ‘crisi dei debiti’ impazza ormai in tutto il mondo. Ciò che colpisce di più è la notizia che negli ultimi tempi sia cresciuto in maniera esponenziale il numero dei cosiddetti “giovani a credito”, ragazzi che collezionano carte di credito e che finiscono per rivolgersi alle banche per chiedere prestiti con cui far fronte ai pagamenti arretrati delle loro carte. Dalle stime di tanti mediatori di debiti (una figura dalle quotazioni in rialzo, manco a dirlo), i giovani sembrano sempre di più prendere a prestito più denaro di quanto possano permettersi. Un vero esercito che continua a ingrossare le proprie file insomma, quello dei “debitori a vita”. Un costume pericolosissimo che potrà avere ulteriori effetti catastrofici sul già provato sistema bancario. Proprio a questa nuova categoria di “giovani a credito” appartiene l’eroina del film, prigioniera della sua “bolla del debito”. “Shopping and the City” (si perché i produttori hanno ritenuto opportuno spostare l’ambientazione del romanzo da cui è tratto il film da Londra a New York, capi- 15 tale mondiale della moda): potremmo ribattezzare così la vita frenetica e sempre sull’orlo del totale collasso finanziario di Rebecca Bloomwood. Rebecca è una giovane donna erede delle due celebri ‘icone’ modaiole del grande schermo: un po’ versione professionalmente ‘sfigata’ della brillante giornalista e scrittrice Carrie Bradshaw di Sex and the City e un po’ versione più scafata della timida apprendista neolaureata Andy Sachs di Il diavolo veste Prada. Se è vero che la nostra Becky con la prima ha in comune la mania dello shopping e una rubrica che scrive prendendo spunto dalle sue esperienze di vita e con la seconda il sogno di scrivere per una prestigiosa rivista di moda, a onor del vero l’attrice Isla Fisher, chiamata a vestire i panni della ‘fashionista’ dalla fulva chioma Becky Bloomwood, non ha né lo charme frizzante dell’”icona” mondiale SarahJessica Parker né quel fascino misto a timidezza della lanciatissima Anne Hathaway. Il best-seller “I Love Shopping” di Sophie Kinsella che, dato il successo del libro di esordio, ha sfornato ben quattro sequel dallo stesso sapore (“I Love Shopping a New York”, “I Love Shopping in bianco”, “I Love Shopping con mia sorella”, “I love shopping per il baby”), ha offerto lo spunto per questa operazione commerciale che è soprattutto una vetrina per celebri marchi del lusso (la stessa scrittrice ha accettato di essere co-produttrice, tanto per incrementare ancora di più i suoi guadagni). Ma la commedia ha poco di ironico e poco di romantico ( fin dal primo incontro della protagonista con l’affascinante ‘lui’ si capisce subito come va a finire), sfociando in una farsa dai toni troppo sgua- Film iati e certamente molto meno frizzante dei suoi stretti parenti modaiol-cinematografici. La nostra ‘shopaholic’ è spesso descritta con atteggiamento indulgente, è sempre nei guai per via del suo impulso irrefrenabile ad acquistare, ma è molto affascinante e perennemente ottimista. Sta per essere colpita da uno ‘tsunami’ di debiti che ha accumulato, ma poi si salva miracolosamente e l’unica vera ‘onda anomala’ che la colpisce è quella dei suoi abiti compressi a dovere in sacchi sottovuoto che finiscono per esplodere spalancando le ante del suo armadio e trasformandosi in un’arma quasi letale. Tante sono le occasioni perdute del film: in primis, si sarebbe potuto Tutti i film della stagione sfruttare meglio il paradosso che si trova a vivere una ragazza shopping-dipendente costretta a scrivere per un giornale che dispensa saggi consigli sulla parsimonia. Un’operazione molto furba (ripagata in termini di incassi al botteghino, com’era ovvio aspettarsi) capitanata dal ‘re mida’ dei produttori Jerry Bruckheimer (artefice dei più rutilanti blockbuster degli ultimi anni) che ha affidato la regia all’australiano trapiantato negli Stati Uniti P.J. Hogan (di cui ricordiamo un successo su tutti, Il matrimonio del mio migliore amico). E se la protagonista condisce la sua interpretazione soprattutto di gridolini e mossette degne di un cartoon, nei ruoli di contorno non possiamo non notare un triade di comprimari di lusso: Kristin Scott Thomas nei panni di una specie di versione ammorbidita e ‘made in France’ della severa direttrice di una rivista di moda Meryl Streep di Il diavolo veste Prada, Joan Cusack e John Goodman nei panni dei parsimoniosissimi genitori dell’eroina spendacciona. Loro si che di stoffa ne hanno. Per il resto il film è evanescente come un abito di chiffon e lo scivolone nella macchietta è sempre dietro l’angolo: d’altronde quando si barcolla su altissime decolleté griffate Manolo Blahnik o Jimmy Choo il rischio va calcolato. Elena Bartoni THE INTERNATIONAL Stati Uniti/Germania/Gran Bretagna, 2009 Regia: Tom Tykwer Produzione: Lloyd Phillips, Charles Roven, Richard Suckle per Relativity Media/Atlas Entertainment/Mosaic Media Group/Papillon Productions/Rose Line Productions/Siebte Babelsberg Film/Studio Babelsberg/X-Filme Creative Pool Distribuzione: Sony Pictures Realising Italia Prima: (Roma 20-3-2009; Milano 20-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Eric Singer Direttore della fotografia: Frank Griebe Montaggio: Mathilde Bonnefoy Musiche: Rein hold Heil, Johnny Klimek, Tom Tykwer Scenografia: Uli Haniosch Costumi: Ngila Dickson Produttori esecutivi: Alan Glazer, Ryan Kavanaugh Co-produttori: Gloria Fan, Christoph Fisser, Henning Molfenter, Charlie Woebcken Direttori di produzione: Lilia Cioccarelli, Diloy Gulun, David Nichols, Daniel Mattig, Erik Paoletti, Lloyd Phillips, Michael Scheel, Pamela Thur, Gregor Wilson Casting: Michelle Guish, Kimberly Hope, Beatrice Kruger, Francine Maisler Aiuti regista: Sebastian Fahr-Brix, Miguel Lombardi, , Chris Surgent, Ahmet T. Uygun, Tobias Asam, Enrico Clerico Nasino, Tanja Daberitz, Takahide Kawakami, Melisa Kurtay, Corinne Le Hong, Verena Rahmig Operatore: Frank Griebe Operatori steadicam: Marcus Pohlus, Kyle Rudolph Supervisore art direction: Kai Koch Art directors: Sarah Horton, Luca Tranchino Arredatore: Simon-Julien Boucherie Trucco: Björn Rehbein, Mediha Safak, Nuria Sitja, Fulvia Bartoli, Anita Brolly, Arabel Decker, Rebecca Lafford, Paula Leupold, Dorka Nieradzik L ouis Salinger, agente dell’Interpol e un suo collega sono a Berlino su una traccia internazionale: la IBBC, Banca d’affari tedesca che sta trattando con l’imprenditore italiano Calvini una partita di sistemi missilistici del valore di centinaia di miliardi, è sospettata di alimentare con i suoi traffici il terro- Acconciature: Jeffery Rebelo, Sahin Gul, Björn Rehbein, Arabel Decker, Dorka Nieradzik, Ryan Trygstad Supervisori effetti speciali: Gerd Feuchter, Bernd Rautenberg, Murat Sengul, Coordinatore effetti speciali: Klaus Mielich Supervisore effetti visivi: Viktor Muller Coordinatore effetti visivi: Jaroslav Matys Supervisori costumi: Libby Dempster, Virginia D. Patton, Mergim Atakoglu, Joanna Brett, Gabriella Loria Interpreti: Clive Owen (Louis Salinger), Naomi Watts (Eleanor Whitman), Armin Mueller-Stahl (Wilhelm Wexler), Ulrich Thomsen (Jonas Skarssen), Brian F. O’Byrne (The Consultant), Michael Voletti (Viktor Haas), Patrick Baladi (Martin White), Jay Villiers (Francis Ehames), Fabrice Scott (Nicholai Yeshinski), Haluk Bilginer (Ahmet Sunay), Luca Barbareschi (Umberto Calvini), Alessandro Fabrizi (ispettore Alberto Cerutti), Felix Solis (detective Iggy Ornelas), Jack McGree (detective Bernie Ward), Nilaja Sun (detective Gloria Hubbard), Steven Randazzo (Al Moody), Tibor Feldman (Dr. Isaacson), James Rebhorn (Procuratore distrettuale di New York), Remy Auberjonois (Sam Purvitz), Ty Jones (Eli Cassel), Ian Burfield (Thomas Schumer), Peter Jordan (dottore berlinese), Axel Milberg (Klaus Diemer), Thomas Morris (ispettore capo Reinhard Schmidt), Oliver Trautwein (Dietmar Berghoff), Luigi Di Fiore (capitano dei carabinieri), Verena Schonlau (segretaria dell’I.B.B.C.), Laurent Spielvogel (commissario Villon), Marita Hueber (donna), Giorgio Lupano (cecchino di Milano), Loris Loddi (capo staff di Calvini), Natalia Magni (speaker/politico), Marco Gambini (avvocato di Calvini) Durata: 118’ Metri: 3400 rismo islamico. Un dirigente della banca disposto a parlare è ucciso il giorno dopo il colloquio avuto con il poliziotto dell’Interpol, che è invece abbattuto subito con un “infarto” simulato sotto gli occhi allibiti di Salinger. Questi e Eleanor Whitman, assistente Procuratore Distrettuale di New York, con la quale gestisce l’indagi16 ne, decidono di parlare con Calvini a Milano, nel frattempo impegnato nella campagna elettorale per le elezioni politiche in Italia. Calvini, nel breve colloquio preliminare con i due investigatori, effettivamente accenna ad alcuni elementi interessanti per l’indagine, che si dice disponibile ad approfondire in un colloquio succes- Film sivo di maggior durata. Cosa che non avviene perché l’imprenditore al culmine del suo discorso in piazza è ucciso dal colpo di un fucile telescopico; in realtà i colpi sono due, come mostrano i proiettili conficcati nel palco, ma partiti da due piani differenti del palazzo di fronte. La situazione è messa subito sotto controllo da chi sa e può: un capitano dei carabinieri uccide il falso killer seminando sul posto i bossoli adatti a provare l’assassinio e rispedisce in America i due indesiderati investigatori. Salinger è adesso sulle tracce del killer del suo amico, ora a New York proprio per lui. Il killer si incontra al Museo Guggenheim con Wexler, ex dirigente della Stasi (la polizia politica della vecchia DDR), ora consulente finanziario della IBBC. I due non fanno in tempo a finire il colloquio che scoppia l’inferno: il conflitto a fuoco tra il gruppo di Salinger e quello del killer, che deve essere presto ucciso perché non parli, è terribile e semina morti e feriti in tutti i piani del museo. Salinger riesce a mettersi in salvo con Wexler, da cui ha delle informazioni che lo mettono sulla strada giusta. L’affare dei missili in- Tutti i film della stagione fatti sta avendo dei nuovi protagonisti dopo la morte di Calvini e il rifiuto dei figli di continuare a trattare: Skarsen, Presidente della IBBC e un ricco trafficante turco. Istanbul è il nuovo crocevia del contratto, la Moschea Blu il luogo dove convergono tutti e che vede l’epilogo della storia. L’affare sembra concludersi, ma Salinger è scoperto, Skarsen fugge ed è ucciso subito da una mano misteriosa che fa fuori anche il vecchio Wexler. Salinger pare così aver compiuto la sua missione, i dirigenti corrotti sono stati eliminati, la banca è al disastro finanziario: questo significa che il traffico di missili è stato sventato e tutto è finito? I l film si propone nella grande tradizione del thriller politico ma si perde nel mettere ordine alla grande varietà di temi di cui è infarcito e che lo appesantiscono in più punti intralciando quell’agilità (pur complicata) che caratterizza proprio un thriller politico: un terrorismo di tutti i colori stereotipato e infantile, le brigate rosse, i carabinieri attivi e corrotti come non mai, la politica e la finanza, la tirannide africana, il mercato delle armi, le spie DDR diventate consulenti di banca, gli avvocati al soldo del crimine, gli snodi spionistici in una Istanbul che va sempre bene, il tutto in un cocktail shakerato dal crepitio delle sparatorie d’obbligo e dai volti, anche questi d’obbligo, di Clive Owen e Naomi Watts, sempre con la barba di tre giorni il primo, sempre solidamente apprensiva la seconda. Il regista tedesco Tom Tykwer non riesce a sciogliere l’ingorgo, l’incomprensione di così tante strade che si affastellano, ma ci permette una non spiacevole visione grazie alla costruzione di un’atmosfera rarefatta, in quietante, spietata: i banchieri e gli uomini d’affari di oggi nella parte dei nuovi rappresentanti del crimine (una vendetta per i tanti disastri finanziari degli ultimi periodi?) sembrano giocare con le persone e gli avvenimenti proprio per il trionfo del male in se stesso, più che per raggiungere un arricchimento veloce e disonesto; a loro si contrappone l’umana professionalità dei due investigatori coraggiosi e intuitivi, a dimostrazione che il mondo “normale” può, forse, farcela ancora. Fabrizio Moresco THE WRESTLER (The Wrestler) Stati Uniti, 2008 Effetti visivi: Niko Tavernise Supervisore costumi: Steffany Bernstein Supervisori musiche: Jim Black, Gabe Hilfer Canzone/Musica estratta: “The Wrestler” composta ed eseguita da Bruce Springsteen Interpreti: Mickey Rourke (Randy ‘The Ram’ Robinson), Marisa Tomei (Cassidy), Evan Rachel Wood (Stephanie), Mark Margolis (Lenny), Judah Friedlander (Scott Brumberg), Todd Barry (Wayne), Ernest Miller (l’Ayatollah), Gregg Bello (Larry Cohen), Ron Killings (Ozzie D.), Wass Stevens (Nick Volpe), Elizabeth Wood (Melissa), Dylan Keith Summers (‘Necro Butcher’), Mike Miller (Lex Lethal), Tommy Farra (Tommy Rotton), Andrea Langi (Alyssa), John D’Leo (Adam), Vernon Campbell (Big Chris), Ajay Naidu (medico), Maurizio Ferrigno (Spotter), Donnetta Lavinia Grays (Jen), Armin Amiri (dr. Moayedizadeh), Vale Anoai (farmacista), Vernon Campbell (‘Big Chris’), Johnny Valiant (‘The Legend Johnny Valiant’), Ron Killings (Ron ‘The Truth’ Killings) Giovanni Roselli (Romeo Roselli), T. J. Kedzierski (Jameson), Maven Bentley (speaker WXV), Douglas Crosby (arbitro WXW) Durata: 105’ Metri: 2980 Regia: Darren Aronofsky Produzione: Darren Aronofsky, Scott Franklin per Wild Bunch/ Protozoa Pictures/Saturn Films/Session Payroll Management Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Robert D. Siegel Direttore della fotografia: Maryse Alberti Montaggio: Andrew Weisblum Musiche: Clint Mansell Scenografia: Tim Grimes Costumi: Amy Westcott Produttori esecutivo: Vincent Maraval, Agnès Mentre, Jennifer Roth Produttori associati: Evan Ginzburg, Ari Handel Co-produttore: Mark Heyman Casting: Suzanne Smith, Mary Vernieu Aiuti regista: Richard Graves, Matt Lake Art director: Matthew Munn Arredatore: Theo Sena Trucco: Judy Chin, Marjorie Durand, E. Morrow Acconciature: Mandy Lyons Effetti speciali: Drew Jiritano V erso la fine degli anni ’80, Randy “The Ram” Robinson era un wrestler professionista al culmine della carriera. Circa 20 anni dopo, invece, deve accontentarsi di esibirsi in spet- tacoli pilotati per i fan che si svolgono nelle palestre dei licei e nelle comunità del New Jersey. Per Randy, il senso di adrenalina che gli procurano i combattimenti e l’adorazione dei fans che gli rimangono, è tut17 to. Nella vita di tutti i giorni, è costretto a dormire nel suo furgoncino, dove viene svegliato dai bambini del posto dopo che è stato sfrattato. Inoltre, cerca di tirare avanti facendo qualche lavoretto. Una volta, Film però, ha un infarto dopo un combattimento. Il dottore che lo visita gli dice che ha rischiato di morire e che da questo momento deve eliminare gli steroidi e sospendere gli incontri. Lontano dal ring, Randy cerca di cominciare un’esistenza normale. Trova innanzitutto lavoro come commesso nel reparto alimentari. Poi prova ad allacciare una relazione duratura con Cassidy, una spogliarellista non più giovanissima. La donna, che ha un figlio di 9 anni, prova affetto per lui, però cerca momentaneamente di sfuggirgli, dopo che si sono baciati in un bar. Al tempo stesso, cerca di riallacciare i rapporti con la figlia Stephanie, ma la ragazza inizialmente non ne vuole sapere niente di lui. Randy non si da per vinto. Si presenta da lei con un regalo e la convince a fare una passeggiata insieme, nei pressi di un lungomare dove lei non veniva da tempo. Stephanie sembra gradualmente sciogliersi. Alla fine della giornata, il padre le propone di rivedersi un altro giorno per cena e lei accetta. Le cose però precipitano. Dopo una serata di alcol, droga e sesso con una ragazza conosciuta in un bar, si risveglia a casa stordito e si accorge di essersi dimenticato dell’appuntamento con Stephanie. Va da lei cercando, ancora una volta, di recuperare questa ennesima mancanza, ma stavolta la ragazza gli sbatte definitivamente la porta in faccia. Anche Cassidy rifiuta i suoi affettuosi tentativi di approccio e i due finiscono per litigare violentemente. Infine, nel corso di una giornata di lavoro, sta per spazientirsi con un’anziana cliente pignola e perde definitivamente la testa dopo che un cliente ha riconosciuto in lui il popolare wrestler ‘The Ram’. Da un pugno Tutti i film della stagione alla lama dell’affettatrice, la mano gli sanguina e se ne va spaventando la gente che si trova lì in quel momento. A questo punto, realizza che l’unico luogo dove può vivere è il ring. Accetta la rivincita contro un suo leggendario avversario, l’Ayatollah, pur essendo consapevole che con questo match rischia seriamente la vita. Intanto Cassidy, dopo aver ripensato alla possibilità di iniziare una relazione con lui, cerca di dissuaderlo a riprendere la sua attività. Lo raggiunge addirittura sul posto prima dell’incontro, ma stavolta Randy è irremovibile e gli dice che quello è l’unico posto in cui non si fa del male. Lei disperata se ne va mentre ‘The Ram’, acclamato dai suoi fans, combatte pur avvertendo delle forti fitte al cuore e alla fine si esibisce nella sua mossa distintiva, il ‘Ram Jam’, una sorta di volo dell’angelo. C opertine dei magazine e ritagli dei giornali, locandine, biglietti degli incontri e una voce fuoricampo dello speaker. In apertura del film The Wrestler già segna un profondo solco tra presente e passato, tra leggenda e fallimento. Quelle immagini iniziali, dove gli anni ’80 riprendono improvvisamente colore, sono simili a quei documentari su delle celebrità sportive del passato che oggi sono cadute nel dimenticatoio. E, da questo punto di vista, il film di Aronofsky potrebbe essere visto come un ‘falso documentario’, una sorta di ‘mockumentary’ su Randy ‘The Ram Robinson’. Al limite, mancherebbe solo un elemento: il protagonista che si descrive davanti la macchina da presa e gli altri personaggi (familiari, amici, manager, avversari) che parlano di lui. Ma se in questo caso non ci sono le 18 parole a descrivere lo stato d’animo del protagonista, ci sono comunque le immagini. The Wrestler è infatti un film di una potenza e una densità visiva impressionante, sicuramente la migliore del regista statunitense che ha finalmente abbandonato quel narcisismo sperimentale di Requiem for a Dream, le traiettorie cerebrali di ð o l’incontrollato delirio di L’albero della vita. Stavolta il suo sguardo fortemente riconoscibile ha trovato un perfetto equilibrio con la storia da portare sullo schermo. Forse per gli ammiratori più estremi del regista, The Wrestler potrebbe paradossalmente considerarsi come un passo indietro in quanto meno personale di altre opere. Invece si ha l’impressione che stavolta si è materializzato finalmente quel talento che nei film precedenti si vedeva a intervalli molto irregolari. La macchina da presa di Aronofsky segue il corpo di ‘The Ram’. La camera a spalla lo segue da dietro in ogni spostamento. Gli sta attaccata addosso durante gli incontri e lo pedina mentre cammina da solo, o quando incontra Cassidy, o la figlia Stephanie. Può essere anche un’idea di cinema molto elementare e semplicistica, però in questo caso funziona perfettamente, perché si entra prima gradualmente, poi completamente, nel pubblico e nel privato del protagonista. L’altra faccia del film è un grandioso, immenso Mickey Rourke, forse uno dei più grandi e autodistruttivi attori del recente cinema americano. The Wrestler è anche lui. O soprattutto lui. Con la chioma ossigenata e il volto segnato dalle botte che Rourke ha preso durante la sua carriera professionista da pugile, l’attore sembra catapultarsi in questo film con tutta ‘l’anima e il corpo’. Innanzitutto con The Wrestler disegna quel prototipo di loser che aveva caratterizzato il grande cinema americano degli anni ’70: le immagini delle palestre scalcinate, dove si va a esibire per i fan nostalgici riportano alla mente quelle che avevano caratterizzato lo straordinario Fat City –Città amara di John Huston. Inoltre, come in quel film, appare un personaggio senza meta, che vaga per la città, alla ricerca di un riscatto esistenziale che appare sempre come momentaneo, come provvisorio. Dopo essere stato colpito da infarto, ‘The Ram’ cerca una vita normale. Ma fuori dal ring, lui è come un marziano. I momenti con la figlia, soprattutto quello dell’intima passeggiata sul lungomare e del ballo, appaiono come i residui di un melodramma purissimo, tanto attraente ed emozionante, perché quegli istanti sono solo dei lampi di un’armonia che poi sarà per sempre perduta. In questo senso i movimenti di macchina nervosi di Aro- Film nofsky è come se volessero catturare quei frangenti di felicità, come se lo sguardo del regista avesse paura di perderli. Per certi aspetti, nel personaggio di ‘The Ram’ si può vedere la vicenda di Mickey Rourke stesso. Come il suo personaggio, anche l’attore era in auge negli anni ’80 diventando una specie di nuovo sex-symbol con film cone 9 settimane e ½ ma mettendosi in mostra anche come uno dei più degni rappresentanti di quella nuova generazioni di ‘ribelli senza causa’ (Rusty il selvaggio di Coppola e L’anno del dragone di Cimino). Poi dal decennio successivo è invece cominciato per lui un rapido declino. Oggi in The Wrestler, sia l’at- Tutti i film della stagione tore sia il personaggio sono come dei grandiosi sopravvissuti. Ed è proprio da queste macerie biografiche che Aronofsky regala un film di rara intensità, la cui struggente malinconia è scandita anche dalle note della canzone di Bruce Springsteen sui titoli di coda. Premiato con il Leone d’Oro al Festival di Venezia del 2008, The Wrestler appare una specie di riaggiornamento del chapliniano Luci della ribalta, in cui la vita e le emozioni vere fanno parte del passato. Acceso negli incontri di wrestling, istintivamente rabbioso (il pugno all’affettatrice di ‘The Ram’) e recitato alla grande anche da Marisa Tomei nei panni della spogliarellista e da Evan Rachel Wood in quello della figlia, il film materializza la totale mancanza di futuro proprio nel finale. Randy decide di tornare a combattere e di sfidare il suo avversario storico, l’Ayatollah malgrado il dottore gli abbia detto, dopo l’attacco di cuore, di non gareggiare più. Cassidy cerca di dissuaderlo, ma invano. Lui sta già sfidando il suo avversario. La donna lo guarda con le lacrime agli occhi e poi se ne va. Dopo aver steso l’Ayatollah, guarda nel punto dove si trovava Cassidy. Lei non c’è più. Un gran finale, sui residui di illusione definitivamente tramontati. Simone Emiliani TUTTI INSIEME INEVITABILMENTE (Four Christmases) Stati Uniti, 2008 Arredatore: Jan Pascale Trucco: Simone Almekias-Siegl, Steve Artmont, Jill Cady, Morag Ross, Molly Stern-Schlussel Acconciature: David Danon, Janine Rath, Morag Ross Supervisore effetti speciali: Josh Hakian Coordinatore effetti speciali: David Waine Supervisori effetti visivi: Paul Graff (Crazy Horse Effects), Richard Malzahn Supervisore musiche: Bob Bowen Supervisore costumi: Virginia Burton Coreografie: JoAnn Fregalette Jansen Interpreti: Vince Vaughn (Brad), Reese Witherspoon (Kate), Robert Duvall (Howard), Sissy Spacek (Paula), Jon Voight (Creighton), Jon Favreau (Denver), Mary Steenburgen (Marilyn), Dwight Yoakam (Pastore Phil), Tim McGraw (Dallas), Kristin Chenoweth (Courtney), Katy Mixon (Susan), Colleen Camp (zia Donna), Jeanette Miller (‘Gram-Gram’), Jack Donner (nonno), Steve Wiebe (Jim), Zak Boggan (Cody), Skyler Gisondo (Connor McVie), True Beella Pinci (Kasi), Patrick Van Horn (Darryl), Marissa Tejada Benekos (giornalista), Cedric Yarbrough (Stan), Brian Baumgartner (Eric), Peter Billingsley (addetto alla biglietteria), Laura Johnson (Cheryl), Collette Wolfe (Cindy) Kayla Blake (infermiera), Lora McLaughlin (reporter news), Sterling Beaumon, Ty Brown, Ryder Bucaro, Callie Croughwell, Taylor Geare, Zachary Gordon, Reef Graham (ragazzini) Durata: 88’ Metri: 2300 Regia: Seth Gordon Produzione: Gary Barber, Roger Birnbaum, Jonathan Glickman, Vince Vaughn, Reese Witherspoon per Birnbaum/Barber/New Line Cinema/Ott Medien/Spyglass Entertainment/ Type A Films/Wild West Picture Show Productions Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto: Caleb Wilson, Matt R. Allen Sceneggiatura: Jon Lucas, Matt R. Allen, Caleb Wilson, Scott Moore Direttore della fotografia: Jeffrey L. Kimball Montaggio: Melissa Kent, Mark Helfrich Musiche: Alex Wurman Scenografia: Shepherd Frankel Costumi: Sophie Carbonell Produttori esecutivi: Peter Billingsley, Derek Evans, Guy Riedel Produttore associato:Mary Rohlich Co-produttore: Udi Nedivi Direttore di produzione: Udi nedivi Casting: Seth Yanklewitz Aiuti regista: Rip Murray, Christina Fong, Katie Carroll, Clark Credle, Michael Jordan, Grace Liu Operatori: Robert Barcelona, Daniel C. Gold, Geoffrey Haley, David J. White II Operatore steadicam: Geoffrey Haley Art directors: Michael Atwell, Oana Bogdan K ate e Brad sono un’affiatata giovane coppia californiana. Mentre tutti i loro amici e colleghi sono terrorizzati all’idea dell’approssimarsi del Natale e delle tradizionali rimpatriate familiari, i due si preparano come tutti gli anni a passare le vacanze fuori in qualche splendida località esotica. Per evitare conflitti con i propri genitori, Kate e Brad inventano di volta in volta fantasiose scuse per mancare al rituale pranzo, ad esempio vantando visite umanitarie in sfortu- nati paesi del terzo mondo. Purtroppo, il volo che avrebbe dovuto condurli alle Fiji viene cancellato e la coppia si ritrova improvvisamente costretta a far visita ai propri parenti. Il problema è che ognuno di loro ha i genitori divorziati che, a loro volta, si sono risposati; quindi devono passare il Natale con quattro famiglie diverse. Il giro inizia con il padre di Brad, un pranzo allucinante con i fratelli e la cognata, durante il quale emergeranno inquietanti quanto imbarazzanti dettagli sull’adole19 scenza di Brad. Poi è la volta della madre di Kate, simpatizzante di una setta religiosa fuori dagli schemi, che coinvolge i due giovani in uno spettacolo allestito in chiesa per la messa di Natale. Segue la madre di Brad, balzana psicoterapeuta che convive ormai da anni con un amico d’infanzia di Brad, per finire con il padre di Kate, forse la figura più normale fra i vari familiari. Questa folle giornata porta Kate e Brad a conoscersi meglio e mettere in discussione il loro rapporto e le loro aspet- Film tative per il futuro. Nonostante tutto, alla fine, i due rimangono insieme e decidono di impegnarsi seriamente per formare una loro famiglia. T utti insieme inevitabilmente (tralasciamo ogni commento sulla banalizzazione italiana del titolo originale, Four Christmases) prende quello che per molti è un vero e proprio incubo, l’obbligo di passare il Natale con l’intero parentado, e lo moltiplica per quattro, costruendo la sua storia a partire dalla classica famiglia allargata del Duemila. Il regista Seth Gordon, dopo una serie di spot televisivi, video musicale e cortometraggi, fa il suo esordio al cinema e si fa aiutare da quattro sceneggiatori per portare sullo schermo una commedia che sulla carta sembrava promettere molto, ma che nei ri- Tutti i film della stagione sultati si rivela piuttosto deludente. La differenza di mani nella sceneggiatura si sente, e molto; purtroppo Gordon non riesce a dare unità al suo film. Tutti insieme inevitabilmente risulta, alla fine, solo un modesto collage di sketch moderatamente divertenti, più da programma televisivo che non da sala cinematografica. L’inizio è brillante, con un buon ritmo e il primo “episodio” a casa del padre di Brad diverte. Poi il film perde di tono, la comicità si fa di grana grossa e in qualche momento gratuitamente volgare. È palese l’intento satireggiante sulla moderna famiglia media americana ma gli strali non colpiscono quasi mai il bersaglio, persi come sono in una sceneggiatura piena di clichès così abusati da essere ormai troppo smaccatamente prevedibile. La satira, o meglio la presa in giro, del Natale secondo la tradizione americana sa di già visto, anche se cerca a onor del vero di farsi più pungente di tante altre pellicole simili. Un pizzico di sana cattiveria in più non avrebbe guastato (un situazione come quella della messa natalizia trasformata in mega show si prestava a ben maggiori possibilità di critica, come pure altri episodi del film). Risulta più apprezzabile il lavoro sui due personaggi principali, sull’evoluzione del loro rapporto. Menzione speciale al cast (cinque premi Oscar su sei interpreti principali), anche se da attori come Robert Duvall, Sissy Spacek, Mary Steenburger, Jon Voight e la stessa Resee Witherspoon era lecito aspettarsi qualcosa di meglio. Convince a tratti l’alchimia tra la minuta Witherspoon e la sua controparte maschile, il gigante buono Vince Vaughn, una strana coppia davvero. Chiara Cecchini FROST/NIXON-IL DUELLO (Frost/Nixon) Stati Uniti, 2009 Trucco: Edouard F. Henriques, Elizabeth Hoel, Sabine Roller, Patrick Baxter Acconciature: Karyn Huston, Lori McCoy-Bell Supervisore effetti speciali: Jeff Miller Supervisore effetti visivi: Eric J. Robertson Interpreti: Frank Langella (Richard Nixon), Michael Sheen (David Frost), Sam Rockwell (James Reston Jr), Kevin Bacon (Jack Brennan), Mattherw Macfadyen (John Birt), Oliver Platt (Bob Zelnick), Rebecca Hall (Caroline Cushing), Toby Jones (Swifty Lazar), Andy Milder (Frank Gannon), Kate Jennings Grant (Diane Sawyer), Gabriel Jarret (Ken Khachigian), Jim Meskimen (Ray Price), Patty McCornack (Pat Nixon), Geoffrey Blake (conduttore dell’intervista), Clint Howard (Lloyd Davis), Rance Howard (Ollie), Gavin Grazer (responsabile della Casa Bianca), Simon James (regista dello show di Frost), Eloy Casados (Manolo Sanchez), Jay White (Neil Diamond), Wil Albert (Sammy Cahn), Keith MacKechnie (Marv Minoff), Penny L. Moore (signora con bassotto), Janneke Arent (assistente di Frost), David Ross Paterson (presentatore televisivo), Jennifer Hanley (truccatrice), Robert Pastoriza, Louie Mejia (cameraman), Kevin P. Kearns (Fan all’aereoporto), David Kelsey, James Ritz, Pete Rockwell (reporter) Durata: 122’ Metri: 3360 Regia: Ron Howard Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Brian Grazer, Ron Howard per Imagine Rntertainment/Papillon Productions/Relativity Media/Studio Canal/Working Title Films Distribuzione: Universal Prima: (Roma 6-2-2009; Milano 6-2-2009) Soggetto: dall’opera teatrale omonima di Peter Morgan Sceneggiatura: Peter Morgan Direttore della fotografia: Salvatore Totino Montaggio: Mike Hill Musiche: Hans Zimmer Scenografia: Michael Corenblith Costumi: Daniel Orlandi Produttori esecutivi: Todd Hallowell, Peter Morgan Produttori associati: William M. Connor, Kathleen McGill, Louisa Velis Direttore di produzione: Kathleen McGill Casting: Janet Hirshenson, Jane Jenkins Aiuti regista: William M. Connor, Kristen Ploucha, Scott R. Meyers Operatore: Andrew Rowlands Art directors: Brian O’Hara, Gregory Van Horn Arredatore: Susan Benjamin S tati Uniti, anni Settanta. Il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon si dimette dalla carica in seguito all’inchiesta sullo spionaggio condotto ai danni del partito democratico in campagna elettorale, il cosiddetto scandalo Watergate. Interessato alla questione, David Frost, un giornalista britannico, decide di offrire un lauto compenso all’ex presidente per una intervista. Solo nel 1977, Nixon accetta di farsi intervistare da Frost, per riottenere la fama e la gloria perduta. Per l’uomo politico e per il suo staff l’occasione è quindi straordinaria. Frost ha fama di abile intervistatore, ma è considerato più affine al mondo dell’entertainment che non a quello di cui Nixon ha fatto parte. Il 23 marzo 1977, Frost parte per Washington, a casa del presidente per sborsare una quota di 200 mila dollari, 20 giocandosi l’intera carriera. Durante il viaggio, incontra l’affascinante Caroline. Frost sceglie per l’intervista, tre suoi stimati colleghi: John Birt, Bob Zelnick e Jim Reston, quest’ultimo in grado di incastrare Nixon e di inchiodarlo sulla questione Watergate. Frost e Nixon si preparano al primo giorno di intervista. L’ex presidente, dal primo momento quasi esterrefatto dalla stravaganza formale e dalle curiose scar- Film pe del giornalista, si dimostra un uomo furbo e ingegnoso. Il lungo faccia a faccia fra i due avversari diventa l’occasione per “dare a Nixon il processo che non ha mai avuto”; il tribunale, in questo caso, è costituito da un salotto adibito a studio televisivo, in cui l’occhio freddo e implacabile della telecamera è al tempo stesso giudice e giuria. All’analisi di un periodo che, con i suoi disastri (il Vietnam, la Cambogia), ha segnato la fine dell’innocenza di un intero paese, si aggiunge così un’acuta riflessione sul mezzo televisivo, nuovo micidiale strumento di indagine della verità. Per Frost, l’avversario è un vero osso duro: il giornalista britannico è criticato dai suoi stessi collaboratori, che lo accusano di non saper tener testa all’ex presidente. Il 28 marzo il duello prosegue e ancora Nixon ha la meglio, tanto che questa volta, Frost ammette la dura sconfitta. La stessa notte, Frost lavora per l’ultima intervista, utilizzando l’ultima possibilità per inchiodare Nixon. Quattro giorni prima, Frost riceve nella sua stanza d’albergo la telefonata di un Nixon ubriaco e senza veli. I due si affrontano pacati, come mai era successo prima. È evidente che uno solo dei due vincerà, mentre la carriera del perdente subirà una definitiva battuta di arresto. Il 22 aprile comincia l’ultima sfida: l’intervista riguardo il ruolo del presidente nello scandalo Watergate. Poco prima di cominciare, Frost menziona la loro ultima telefonata, ma ottiene solo stupore da Nixon che non sembra ricordare l’accaduto. Frost riesce questa volta a mettere in difficoltà il presidente, sotto lo sguardo incredulo dei presenti e dei suoi collaboratori. Proprio quando Nixon sembra ammettere la colpa, l’intervista viene interrotta, sotto ordine di Jack Brennan, collaboratore fidato del presidente. Jack si confida con Nixon, ma questi decide di proseguire l’intervista, ammettendo davanti alla telecamera i suoi errori e il suo tradimento nei confronti del popolo americano. David Frost ha vinto la sua battaglia. Il giornalista e l’ex presidente, ormai ritiratosi a vita privata nella sua faraonica villa, si incontrano un’ultima volta prima della partenza di Frost. Nixon gli chiede di cosa mai abbiamo parlato quella sera al telefono. “Chee- Tutti i film della stagione seburgers”, è la laconica risposta di Frost. Che prima di andarsene, gli consegna un regalo: un paio di scarpe identiche alle sue. D a un Ron Howard quasi impercettibile in cabina di regia (ma sempre molto attento a fornire quell’intrattenimento per masse da cui non prescinde) assistiamo a un’impietosa analisi della realtà mutuata dal tubo catodico della televisione. Quella televisione “occhio del mondo” da cui col tempo saremo sempre più abituati a guardare la realtà, sempre più tentati (o condizionati) a trovarvi la realtà, la spiegazione del mondo. Si tratta, invece, e a freddo tutti sappiamo dirlo, di una verità sempre parziale, filtrata, come tale, incompleta. Ma quella verità parziale, nel momento in cui viene circoscritta, appare davvero l’unica possibile, la più completa, quella che il giorno dopo sarà sulla bocca di tutti. Qualcosa che i due contendenti di un duello “verbale” all’ultimo sangue sanno bene: un giornalista, David Frost, e un ex presidente travolto dallo scandalo, Richard Nixon, entrambi all’ultima spiaggia, sanno di sfruttare scientemente un medium di portata mondiale, capace di infierire come di far assurgere a nuova vita. Quello del film, che porta su grande schermo una fortunata piéce di Peter Morgan, è uno spettacolo quasi nostalgico: la sfida mediatica tra i due appare come un punto di non ritorno, il primo grande Evento Televisivo fuori dall’ordinario, unicum, intorno al quale soldi e 21 audience la fanno da padrone: qualcosa di familiare, oggi. Un contesto che rende secondaria, quasi facoltativa, l’importanza oggettiva della verità: come in un processo, infatti, conta la verità imposta dai fatti, dalle parole, dai gesti. Ma un’incontrovertibile verità finirà per inchiodare Richard Nixon (Frank Langella, semplicemente in stato di grazia): ciò che per lui è lecito, inquinare prove nel nome dello Stato, è qualcosa che una collettività democratica non può accettare a nessun costo. Ben presto, all’abilità verbale e alla soggettività degli argomenti in esame, si sovrappone un giudizio morale che invade tanto l’attenzione del fittizio uditorio televisivo, quanto quella del pubblico in sala, ben in grado di individuare il cuore del problema in virtù dei tempi in cui vive. Potenza del tubo catodico: spenti i riflettori, i protagonisti del duello sembrano già diventati più impalpabili. Frost, celebre conduttore satirico, non tornerà a questi livelli; per Nixon la via è già segnata. Il loro incontro finale non ha più molto da dire, tutto sembra sia già stato scritto. Ed il dubbio su quanto i due abbiano realmente capito l’uno dell’altro (e quanto, invece, non si siano prestati a un gioco delle parti), si palesa in un finale beffardo, che afferma una volta in più quanto l’analisi più impietosa e minuziosa dei fatti non porti necessariamente alla conoscenza della persona che li ha commessi. Gianluigi Ceccarelli Film Tutti i film della stagione LA PANTERA ROSA 2 (The Pink Panther 2) Stati Uniti, 2009 Trucco: Marleen Alter, Douglas Noe Acconciature: Jerry De Carlo, Emma C. Rotondi, Cheryl Daniels, Elizabeth Cecchini, Paula Dion Coordinatore effetti speciali: Ray Bivins Supervisore effetti visivi: Bill Kent Supervisore effetti digitali: Dan Levitan Supervisore costumi: Kevin Draves Interpreti: Steve Martin (ispettore Jacques Clouseau), Jean Reno (Gilbert Ponton), Emily Mortimer (Nicole Nuveau-Clouseau), Andy Garcia (Vicenzo), Alfred Molina (ispettore capo Randall Pepperidge), Yuki Matsuzaki (Kenji Mazuto), Aishwarya Rai (Sonia Solandres), John Cleese (ispettore capo Dreyfus), Lily Tomlin (signora Berenger), Jeremy Irons (Avellaneda), Johnny Hallyday (Milliken), Geoffrey Palmer (Joubert), Philip Goodwin (Renard), Armel Bellec (Louis), Jack Metzger (Antoine), Yevgeni Lazarev (il Papa), Richard LaFrance (installatore del sistema di sicurezza), Simon Green (bibliotecario Inglese), Federico Castelluccio (guida), Abe Lee Tsunenori (poliziotto giapponese), Harold Chin (direttore giapponese), Michael Allosso (Maitre D’), Zofia Moreno, Alexis Furic, Rena Kano, Jonathan Dino (giornalisti), Sharon Tay (cronista), Josha R. Roberts (cameraman), Lia Ochoa (ballerina di flamenco), Harry Van Gorkum Durata: 92’ Metri: 2380 Regia: Harald Zwart Produzione: Robert Simonds per Metro-Goldwyn-Mayer (MGM)/Columbia Pictures/Robert Simonds Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) Soggetto: dai personaggi creati da Maurice Richlin e Blake Edwards Sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber, Stefe Martin Direttore della fotografia: Denis Crossan Montaggio: Julia Wong Musiche: Christophe Beck Scenografia: Rusty Smith Costumi: Joseph G. Aulisi Produttori esecutivi: Shawn Levy, Ira Shuman Direttore di produzione: Dustin Bernard Casting: Ilene Starger Aiuti regista: Matthieu Charter, Marty Eli Shwartz, Laurent Brégeat, Cedric Dosne, Louis Guerra, Matt Power, Celine Rossi, Chris Ryan, Ana Morales, Sébastien Marziniak, Delphine Bertrand, Emmanuel Gomes de Araujo, Yannick Fauchier Operatori: Faires Anderson, Patrick de Ranter Operatore Steadicam: Patrick de Ranter Art directors: Matthieu Beutter, Rick Butler Arredatore: Carla Curry T ornado ruba la Magna Charta, la Sacra Sindone, la spada imperiale giapponese: si forma un super team anglo-italo-nipponico e si richiede la consulenza del famoso Clouseau, che il suo capo Dreyfus ha assegnato alla vigilanza urbana. Già appena convocato nell’ufficio del capo, riesce a far distruggere tutto individuando il sistema di allarme appena inserito con una penna decodificatrice presa a dodici dollari su una bancarella cinese. Nel salutare l’amata Nicole prima di partire per Tokyo, ricordano quando provocarono l’incendio del ristorante “La plata de nada” e quasi riescono finalmente e baciarsi. Ma Clouseau ha appena messo piede in aeroporto che viene richiamato, perché è stata rubata la Pantera Rosa, quella gemma che lui ha già salvato una volta. Il gruppo dei quattro si riunisce quindi a Parigi e poco dopo giunge anche Sonia, una bella donna che ha come titolo il fatto di essere riuscita a scrivere una biografia di Tornado, grande esperto in gemmologia. Vincenzo, il detective italiano, viene affascinato da Nicole e Clouseau si pone subito sul “chi va là?”; a lui si aggiunge poi il problema che il fido Ponton, buttato fuori di casa dalla moglie, stufa del suo lavoro di poliziotto, viene a chiedergli ospitalità, portando però con sé un cane e due figli, due ragazzini scatena- ti, campioni di karate e che considerano Clouseau un mito, al punto di aver dato il suo nome al cane; naturalmente, passano subito a dimostrargli l’ammirazione scatenando si con lui in un combattimento impari... per lui. Le indagini portano il team a Roma, nella villa di Avellaneda, che Clouseau esplora a suo modo, finendo per precipitare nella canna fumaria. Lui e Ponton devono tenere d’occhio Avellaneda a cena a “La Plata de nada”, ma quando vede che c’è anche Nicole con Vincenzo, per entrare e togliere dal tavolo di Avellaneda la cimice che Ponton vi aveva messo per metterla dai due riesce a incendiare di nuovo il locale. Tornado ruba di notte l’anello al Papa, il gruppo entra in Vaticano a investigare e Clouseau riesce a cadere dal balcone papale, salvandosi a stento. Ma proprio nella stanza del Papa Vincenzo trova una chiave, individua la provenienza e risale alla casa di Tornado, dove trovano tutto ma non la Pantera Rosa che lui, nella lettera in cui dice che si uccide perché ormai ha rubato tutto, afferma di avere distrutto perché troppo al di sopra di ogni proprietario. Ma alla festa in onore del team, Clouseau, non invitato, accusa Sonia di avere lei il diamante: si scatena un inseguimento per tutto l’albergo e la gemma, che Sonia ha davvero, finisce 22 in briciole. Però Clouseau mostra quella vera, che lui aveva in casa perché di notte, complice l’amico guardiano, aveva sostituito l’originale con una copia che aveva in casa. Così, l’apoteosi mediatica stavolta è per Clouseau, che impalma la sua Nicole. I l personaggio di Clouseau è quello che passa indenne attraverso i disastri che provoca, di cui rimane inconsapevole, oppure, accorgendosene, li valuta riduttivamente e con una sorta di giovialità;. è il personaggio perfettamente sincero nel credersi capace in attività importanti. È graniticamente sicuro di sé quando esprime il suo metodo d’indagine, quello di “ mettersi nei panni dell’indagato “, in questo caso il Papa (che secondo lui ha nascosto l’anello per guadagnarci) e per questo ne riveste i paramenti. L’ inconsapevolezza e la sincerità di credersi capace di tutto (e non per vanagloria) sono le molle di una sequenza di catastrofi nello stile delle slapstick del muto, del quale erano tipiche, come l’invulnerabilità del protagonista e la vulnerabilità totale di tutti gli altri. Lo svolgersi del film ha seguito dunque questa strada, creando una progressiva accumulazione di disastri uno maggiore dell’altro, uno più assurdo del- Film l’altro. Si ride, senza dubbio, ma la sequenza ha una certa forzatura, è una carrellata di scenette. Sono gustose, ironiche alcune battute di Clouseau, alcune degli altri investigatori del team, ma non si tratta certo di comicità di parola. Le battute sono del tutto assoggettate Tutti i film della stagione alle situazioni, mentre avrebbero potuto dargli ulteriore spessore; alcune sono delle occasioni perdute per poter accentuare una carica dissacrante che questo Clouseau superenergetico perde un po’di vista. Dopo i titoli di testa che recuperano molto bene lo stile classico della Pantera Rosa, che forse sarebbe stato persino un delitto cambiare, abbiamo una trama comica realizzata con minore mordente, semplicemente più giocosa, dove i bambini tritatutto stanno perfettamente. Danila Petacco ASPETTANDO IL SOLE Italia, 2007 Direttore di produzione: Ivana Kastratovic Casting: Francesco Vedovati Aiuto regista: Barbara Pastrovich Suono: Alessandro Boscolo, Davide D’Onofrio Interpreti: Raoul Bova (Enea Chersi), Vanessa Incontrada (Kytty Galore), Gabriel Garko (Samuel), Claudia Gerini (Giulia), Rolando Ravello (sig. Bonetti), Sergio Albelli (l’operatore), Thomas Trabacchi (Raul Verani), Claudio Santamaria (Toni), Raiz (Moreno), Giuseppe Cederna (Santino), Bebo Storti (Bibi, il regista), Massimo De Lorenzo (Michele Magnifico), Michele Venitucci (Vicio), Alessandro Tiberi (il Piccolo), Corrado Fortuna (Coco, l’Attore) Durata: 96’ Metri: 2770 Regia: Ago Panini Produzione: Roberto Cicutto, Luca Fanfani, Cecilia Mazzà, Francesco Melzi d’Eril, Luigi Musini, Francesco Pistorio, Alessandro Usai per laCasa Film/Mikado Film Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 20-2-2009; Milano 20-2-2009) Soggetto e sceneggiatura: Ago Panini, Enrico Remmert, gero Giglio Direttore della fotografia: Paolo Caimi Montaggio: Antonio Di Peppo Musiche: Nicola Tescari Scenografia: Luca Merlini Costumi: Roberto Chiocchi Produttori esecutivi: Alexia Gamba, Cecilia Mazzà A nno 1982. Una qualunque provincia in Italia. Tre sbandati, durante la notte, raggiungono un hotel isolato in cui trovare temporaneo ristoro, in cerca di sigarette e donne con cui passare la serata. Si tratta dell’hotel Bellevue. Ad accogliere due di loro, un portiere abbastanza singolare. I ragazzi cominciano a prendersi gioco di lui e a metterlo in difficoltà. L’albergo è quasi al completo; è il periodo della fiera del bestiame. Ma a prendere alloggio però sono una decina di inquilini fuori della norma. C’è un regista di film hard con il suo operatore e la troupe: una ragazza molto appariscente, ma in realtà ingenua e romantica e un giovane attore alle prime armi. In un’altra stanza, la 219, c’è il rifugio di un uomo sposato e della sua perversa amante. A fianco a loro, un uomo che soffre per amore, consumato da una storia impossibile con una donna molto più giovane di lui, con cui intrattiene una telefonata che dura tutta la notte. La stanza 221 è invece occupata da due rapinatori che sono in attesa del complice con il bottino. Nella 214 c’è un uomo misterioso con il suo amato cagnolino, che si esercita con corsi di tedesco in audiocassette. La situazione comincia presto a degenerare. Mentre i due sbandati si appostano nella sala d’aspetto dell’albergo, seguiamo parallelamente la storia di ogni inquilino. Il portiere in realtà ha costruito la sua vita in perenne lotta con le termiti, che alleva gelosamente in una teca nascosta dietro la reception. L’amante focosa in un momento di euforia casualmente uccide l’uomo sposato e poi scopre che proprio quell’uomo probabilmente sarebbe stato il suo assassino. I due attori porno, dopo essersi confidati alcuni tra i segreti più intimi, si innamorano l’uno dell’altra. Uno dei due rapinatori inizia a parlare in diretta con uno show man di una televendita confessando la rapina, mentre l’uomo disperato della 216 viene abbandonato telefonicamente dalla donna amata. La rottura della teca di vetro che contiene le termiti rappresenta la catastrofe finale. Un improvviso terremoto fa crollare l’intero edificio, mentre la polizia irrompe alla ricerca dei rapinatore disadattato della 221 e trova invece il trafficante di armi della 214. Tutti coloro che si trovano all’interno dell’albergo vengono inghiottiti tragicamente. P resentato all’ultimo Festival di Roma Aspettando il sole è il lungometraggio di esordio di Ago Panini, regista già noto nel mondo della pubblicità e dei videoclip. A metà strada tra la commedia grottesca e il noir, il film ha una dimensione corale ed è interpretato da un cast eterogeneo e convincente. Storia coraggiosa e originale, dal sa23 pore a tratti tarantiniano (basti citare Four Rooms), l’opera di Panini sembra dettata dal desiderio di novità. Senza pretese sociologiche, il regista in un’unica unità spazio temporale mette in scena le tragiche esistenze di quindici personaggi, tutti con un segreto da custodire. Essi prendono vita in un posto qualsiasi ai confini del mondo, nella provincia italiana degli anni Ottanta, all’interno di un microcosmo, l’albergo Bellevue (ironico perché non c’è nessun panorama da vedere). Chiara metafora di una prigione, la struttura vecchia e simile a un casermone, è il rifugio di diverse nevrosi e solitudini. In un’atmosfera claustrofobica e angosciante, fatta di luci al neon, immagini e voci provenienti dalla televisione, la macchina da presa si sposta da una stanza all’altra comunicando un senso di vuoto interiore, dovuto alla coscienza di trovarsi in una notte eterna, dove si aspetta un sole che non sorgerà mai. Ogni personaggio, mai onesto e trasparente fino in fondo, sarà vittima della propria ossessione. Il rapporto tra la realtà e la finzione viene esasperato: in ogni stanza c’è sempre un televisore acceso, un registratore, un telefono o comunque un mezzo che media e raddoppia fatti e dialoghi, fungendo da commento su ciò che accade. I protagonisti guardano film che anticipano alle volte ciò che accadrà in quella stanza, o i mezzi di comunicazio- Film ne intervengono nelle vite dei protagonisti (è il caso di Gabriel Garko e la televendita), alle volte infine il racconto si fa mentre la storia procede (con le menzogne telefoniche di Raul Bova) oppure viene esplicitato a parole (la vita sognata dagli attori porno). I personaggi si sfiorano senza mai toccarsi, in un collage di frammenti tra loro distinti, legati solo attraverso un montaggio convulso, tra telefoni che squillano, pianti disperati, guaiti di cane, sussurri e grida che si mescolano tra loro come lo zapping frenetico da un canale all’altro. In un contesto surreale, il regista sembra giocare a scacchi con i generi, contaminando e contaminandosi con immagini bizzarre tipiche degli spot. E infine tutto si autodistrugge. La rottura della teca che contiene le termiti, “tra gli insetti più pericolosi”, rappresenta l’elemento devastan- Tutti i film della stagione te, causa della catastrofe a catena che “inghiottirà” dalle fondamenta l’intero hotel. Nonostante ci siano idee già viste come la coltivazione selvaggia e maniacale di elementi sterminatori come le termiti, l’idea del “tutto in una notte” seguito dell’alba come catarsi purificatrice, Aspettando il sole è una piacevole sorpresa, niente affatto scontata. C’è un’estrema cura nella scrittura dei dialoghi, un ritmo scorrevole nella sceneggiatura, nel disegno dei personaggi e nella composizione del cast, con l’idea di utilizzare alcuni interpreti, anche molto popolari, in maniera imprevedibile. Gabriel Garko, finalmente liberatosi dall’etichetta di sex simbol, si cala nei panni del siciliano disadattato, mentre Raoul Bova nel convincente ruolo drammatico dell’uomo disperato per amore, recita con grande generosità improvvi- sando un dialetto umbro. A fianco a loro, una stralunata Claudia Gerini in una sexy lingerie in una parte molto scura e noir e Vanessa Incontrada in un ruolo insolitamente casto, nonostante il personaggio della pornostar interpretato. Si è capito che Claudio Santamaria ben si adatta ai ruoli da duro e Bebo Storti diverte nella parte di uno strano regista che non si comprende se sia cinico o idealista. Un discorso a parte merita Giuseppe Cederna, davvero straordinario, che non a caso ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile al XVI Festival del cinema italiano di Annecy. Il suo portiere di notte frustrato e apparentemente tranquillo, ma animato da un mondo parallelo dai tratti nazisti, è esilarante. Veronica Barteri VERSO LEDEN (Eden à lOuest) Francia/Grecia/Italia, 2009 Suono: Thanassis Arvanitis Effetti visivi: César Chiffre Interpreti: Riccardo Scamarcio (Elias), Juliane Köhler (Christina Lisner), Ulrich Tukur (Nick Nickleby, il mago), Antoine Monot Jr. (Karl), Eric Caravaca (Jack, vicedirettore Eden Club), Konstandinos Markoulakis (Yvan), Florian Martens (Günther), Odysseas Papaspiliopoulos (amico di Elias), Léa Wiazemsky (Nina), Kristen Ross, Tess (amiche di Nina), Stella-Melina Vasilaki (hostess), Gil Alma (Bob), Marissa Triandafyllidou (direttrice dell’Eden Club), Mona Achace (Mari-Lou), Alexandre Bancel (Bernard), Igor Raspopov (Leonid), Ina Tsolakis (moglie di Leonid), Vitalyk Field (figlio di Leonid), David Lowe (Fred, turista americano), Ana Paula Aurijo (Elena), Dylan Talleux (assistente del mago), Arto Arpatian (commerciante del bazar), Tasos Kostis (autista ladro), Dina Mihailidou (Sofia), Manolis Psychogioudakis, Konstantina Hamalaki (figli si Sofia), Antoine Monot je. (Karl), Ahmed Elkourachi (operaio), JianZhang (Kim), Jean-Pierre Gos (Franz), Jean-Christophe Folly (cantante/musicista), Alain Aithnard (l’Africano), Costel Mirol (capo degli zingari), Justin Blanckaert (Basile), François Criqui (Salem), Anny Duperey (signora che da un vestito a Elias), Michel Robin (portiere del Lido) Durata: 110’ Metri: 2950 Regia: Costa-Gravas Produzione: Costa-Gravas, Manos Krezias, Jérôme Seydoux per Odeon, Pathé Renn Productions/Nova/Novo RPI/K.G./ Greek Television ET-1/Greek Film Center/France 3 Cinéma/ East Media Services Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Costa-Gavras, Jean-Claude Grumberg Direttore della fotografia: Patrick Blossier Montaggio: Yannick Kergoat Musiche: Armand Amar Scenografia: Alexandre Bancel Costumi: Mathé Pontanier, Ioulia Stavridou Produttori esecutivi: Nikos Doukas, Kostas Lambropoulos Co-produttori: Salem Brahimi, Léomard Glowinski, Dionyssis Samiotis Direttori di produzione: Nikos Doukas, Laurence Lafiteau, Florence Masset Casting: Sotiria Marini, Marie-France Michael, Sabine Schroth Aiuti regista: Joseph Rapp, Victor Holl, Dylan Talleux, Véronique Bréchot Operatore/Operatore Steadicam: Michael Tsimperopoulos Art director: Kostas Papageorgiou E lias, in fuga dal suo Paese insieme con altri centinaia di disperati su una carretta del mare, raggiunge a nuoto la riva eludendo il fermo dei guardacoste in prossimità dell’arrivo. L’approdo è rappresentato da un villaggio vacanze (che si chiama, guarda caso, Eden Village), dove il giovane, sveglio e abituato a darsi da fare e con una faccia da scugnizzo e due begli occhi che non guastano, se la cava senza perdersi d’animo: rubacchia qua e là indumenti dimenticati dai ricchi, si sfa- ma apprezzando la formula all-inclusive, si spaccia per dipendente del villaggio rendendosi anche utile come idraulico e si copre di gloria nel letto di una ricca tedesca, in quei giorni senza il proprio compagno, trattenuto in patria per affari. Elias riesce ad abbandonare il posto con un piccolo catamarano e prende terra sulla costa greca, dove, è aiutato da una commerciante di polli, vedova e con una bambina. Il giovane dura poco anche lì perché il suo scopo, oltre che sfuggire alle voglie della pollarola, è arri24 vare a Parigi, al mitico Lidò, per contattare un prestigiatore che aveva conosciuto al villaggio vacanze. L’attraversamento della Grecia non è facile: prima in autostop, in macchina con una coppia di isterici che lo scarica presto, poi su un TIR di due camionisti tedeschi gay che lo portano fino in Germania. Qui Elias sosta qualche giorno lavorando come schiavo in un’impresa di materiali ferrosi che sfrutta il lavoro clandestino; poi fugge anche da lì e, un po’ rubando, un po’ con l’aiuto di qualcuno meno Film Tutti i film della stagione abietto incontrato per strada, raggiunge Parigi: al Lidò l’incontro con il mago è sterile e lo lascia ancora una volta solo. Elias rientra in città, pronto a cavarsela, come sempre, in qualche modo. C i chiediamo che film sarebbe stato se al posto dello sguardo assassino di Riccardo Scamarcio avesse avuto come centralità d’interprete il volto segnato dagli stenti e dagli orrori del Paese di provenienza dei tanti clandestini che vediamo girovagare per le nostre città. Costa-Gavras ha detto nelle interviste che se avesse scelto un clandestino brutto sarebbe stato tacciato di razzismo e capiamo questa risposta fino a un certo punto; comunque si tratta di un film e quindi è giusto così. Doppiamente giusto perché il regista utilizza il suo attore fingendo di dimenticarne l’aspetto seduttivo e la sua vincente fisicità, per ricrearlo protagonista di un moderno slapstick, facendolo correre inseguito da donne e poliziotti, in bilico su automobili, immerso nell’acqua con in bocca un panino afferrato chissà come, con addosso abiti sempre diversi, rubati e ancora regalati, perché nessuno gli resiste. Lui pare non rendersi conto della forza mostruosa della sua seduzione e vola verso Parigi, pronunciando quattro parole di un gramelot incomprensibile e lasciandosi ai lati e alle spalle l’umanità abietta, onnivora e meschina dei nostri tempi, con la dovuta eccezione delle donne (e non solo) sciolte al sole per quel paio d’occhi. Favola? Certo, ma non solo; il viaggio del suo attore, mezzo Charlot, mezzo Alice nel Paese delle Meraviglie, per Costa-Gavras non è solo una favola, perché il vecchio cineasta ci tiene a graffiarla e macchiarla con qualcosa che ricorda la denuncia politica e morale dei suoi grandi lavori del passato; ma non basta a farne un film forte, duro che ci faccia guardare il forte, il violento, lo spietato che c’è intorno a noi, cosa sia il problema dell’immigrazione clandestina, la vita dei tantissimi, senza speranza né umanità, per i pochi che riescono a salvarsi. Chapliniano anche il finale: uno del Lidò dice che solo un mago potrebbe oggi salvare il mondo; il mago finalmente trovato se ne va lasciando Elias senza soluzioni; questi si allontana di spalle, senza drammi; ma sì, ci sarà pure ancora una donna da qualche parte vogliosa di averlo vicino. Fabrizio Moresco COME UN URAGANO (Nights in Rodanthe) Stati Uniti, 2008 Regia: George C. Wolfe Produzione: Denise Di Novi per DiNovi Pictures/Village Roadshow Pictures/Warner Bros. Pictures Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto: dal romanzo di Nicholas Sparks Sceneggiatura: Ann Peacock, John Romano Direttore della fotografia: Affonso Beato Montaggio: Brian A. Kates Musiche: Jeanine Tesori Scenografia: Patrizia von Brandenstein Costumi: Victoria Farrell Produttori esecutivi: Bruce Berman, Doug Claybourne, Dana Goldberg, Alison Greenspan Casting: Lisa Mae Fincannon, Lynn Kressel Aiuti regista: Van Hayden, Michael G. Jefferson, Traci M. Lewis, Brian Niemczyk, Nancy L. Ventura, Thomas Parris, Brian Avery Galligan Operatori: Chris Jones, Paul Varrieur, Art director: William G. Davis Arredatore: James Edward Ferrell Jr. Trucco: Sandra S. Orsolyak, Vivian Baker Acconciature: Kari Delaney, Peter Tothpal Effetti speciali trucco: Robert Hall (Almost Human Inc.) Coordinatori effetti speciali: Robert Calvert, Geoffrey C. Martin Supervisori effetti visivi: Eric Durst, Ray McIntyre Jr. Coreografie: Aakomon Jones Interpreti: Diane Lane (Adrienne Willis), Richard Gere (dr. Paul Flanner), Christopher Meloni (Jack Willis), Viola Davis (Jean), Becky Ann Baker (Dot), Scott Glenn (Robert Torrelson), Linda Molloy (Jill Torrelson), Pablo Schreiber (Charlie Torrelson), Mae Whitman (Amanda Willis), Carolyn McCormick (Jenny Flanner), Ted Manson (vecchio Gus), Ato Essandoh (amante di Jean), Terri Denise Johnson, John Lewis (medici), Jessica Lucas, Huyen Thi (infermiera), Marisela Ramirez (paziente), Kimberly Sauls (donna incinta), Irene Ziegler (donna dell’agenzia immobiliare), Dihedry Aguilar (passeggero del bus), William D. Hooper (pescatore), hal Scarborough (Capitano del traghetto), Candy Dennis, Gail Lane, Chookie Ramsey (donna sul traghetto), Patryk Andrzejczak (ragazzo sulla barca), Mia Clarke (Adrienne Willis da bambina), James Franco (Mark Flanner), John H. Peebles (chirurgo) Durata: 97’ Metri: 2700 25 Film A drienne è una donna che si sta riprendendo dalla rottura con il marito e che cerca di andare avanti con la sua vita occupandosi con amore dei suoi due figli. Combattuta da sentimenti contrastanti dopo la richiesta del marito di tornare con lei, la donna accetta l’invito dell’amica Jean che le chiede di badare al suo albergo a Rodanthe sulla costa del North Carolina per un fine settimana. La stagione è finita e l’albergo per quel weekend ha un solo ospite, Paul, un medico che ha sacrificato la famiglia alla carriera e che arriva nella cittadina sull’oceano per affrontare una profonda crisi di coscienza. Nella zona è previsto l’arrivo di un uragano. La prima sera, Paul chiede ad Adrienne di cenare con lui: l’uomo racconta di avere un figlio medico e confessa di essere lì per parlare con una persona. Paul ha avuto un grave problema sul lavoro: durante un’operazione di routine, una paziente è morta sotto i suoi ferri. Paul è a Rodanthe per parlare con il marito, Robert Torrelson. Recatosi a casa dell’uomo, Paul viene cacciato in malo modo dal figlio. Tornato in albergo, il dottore si sfoga con Adrienne raccontando della morte improvvisa della donna. A cena, i due approfondiscono la loro conoscenza: il medico racconta che suo figlio Mark era in ospedale quando morì la signora Torrelson e non approvò il fatto che Paul non sia andato a comunicare di persona al marito la morte della paziente. Poco dopo, il giovane decise di partire per l’Ecuador. Il giorno seguente, il medico riceve la visita del signor Torrelson, al quale cerca di spiegare che il caso di sua moglie è una rarissima reazione all’anestesia. Dopo aver ribadito le sue accuse, Torrelson va via distrutto dal dolore. Quella notte, l’uragano si scatena con tutta la sua forza devastatrice. Paul e Adrienne si rintanano dentro casa, la corrente salta e i due finiscono per baciarsi. Il mattino dopo, Adrienne viene a sapere che suo figlio è in ospedale per un attacco d’asma e si sente in colpa per non essere al suo fianco. Paul confessa di invidiarla per il suo rapporto con i figli. Adrienne accompagna Paul da Torrelson. L’uomo fa un commovente discorso su sua moglie, alla fine del quale Paul riesce a chiedergli scusa. Passato l’uragano, in paese c’è una festa e quella stessa notte Paul e Adrienne fanno l’amore. Il mattino dopo, il medico parte per l’Ecuador. Pochi giorni dopo, Adrienne comunica ai figli che non tornerà con il loro padre; la figlia Amanda non accetta quella decisione. Nel frattempo, riceve molte lettere da Tutti i film della stagione Paul: è felice e innamorata e finalmente arriva il weekend in cui Paul verrà a trovarla. Adrienne lo attende invano per tutta una notte. Il mattino dopo, la donna riceve la visita di Mark che le annuncia che suo padre è morto in Ecuador sommerso da una frana provocata da un temporale. Sola con il suo dolore, Adrienne apre la scatola degli effetti personali di Paul e trova una lettera che non aveva ancora spedito. I figli tornano a casa e trovano la madre distrutta. Nei giorni seguenti, Amanda si occupa amorevolmente della madre che trova il coraggio di aprire il cuore a sua figlia parlandole di Paul. Tempo dopo, Adrienne torna a Rodanthe dove la assalgono i ricordi. Scesa in spiaggia, la donna vede arrivare al galoppo un leggendario gruppo di cavalli di cui le aveva parlato Paul. N egli ultimi tempi da più parti si è lanciato un vero SOS in materia di sentimenti. Si è fatto un gran parlare di “anoressia relazionale”, “analfabetismo sentimentale”, “consumismo sessuale”, come se l’amore, quello vero, quello forte, quello passionale, sia sparito dall’orizzonte delle nostre vite. Assente, latitante, sempre più spesso inghiottito da altre priorità o semplicemente confuso con altri surrogati. Insomma, sembra che non siamo più capaci di provare un autentico abbandono, è come se ci fossimo tutti “rinsecchiti dentro” a dispetto di una libertà di costumi solo ingannevole. Tra le molte voci, si è distinta quella della scrittrice Elettra Aldani in un libro il cui titolo è un tutto un programma “La passione. Prima, durante, dopo”. È proprio sul terreno dei rapporti umani, suggerisce la scrittrice, più che su quello della crisi economica, che dovremmo giocare la partita futura. Ed è proprio sul bisogno di recuperare “l’alfabeto del cuore” che fa leva il film Come un uragano, dove a farla da padrone è proprio lei, l’autentica passione, quella passione che vuol dure innanzitutto coraggio, ostinazione, forza di credere nei sogni e di abbandonarsi all’amore. La forza della natura e la forza dell’amore. Un forte binomio non c’è che dire. La forza di un uragano che diventa ovvia metafora della potenza dell’amore. È come se un flusso ininterrotto collegasse la turbolenza esterna e quella interna. I due protagonisti sono “catalizzatori dell’auto-realizzazione uno dell’altra” ha sottolineato la sceneggiatrice del film Anne Peacock. Lui permette a lei di fare ciò che è 26 giusto per lei e non quello che si sente condizionata a fare, mentre lei permette a lui di abbassare la guardia e aprirsi all’idea dell’amore e dell’indulgenza. Due persone in crisi che possono abbassare le loro difese e riuscire a mettersi in contatto. Morale: un materiale per una perfetta love story destinata soprattutto al pubblico femminile desideroso di sospiri e lacrime. Nulla di cui stupirsi se si pensa che il film è tratto da un libro di Nicholas Sparks, autore di romanzi di successo divenuti film di altrettanto successo come “Le parole che non ti ho detto”, “I passi dell’amore”, “The Notebook – Le pagine della nostra vita”. I due ‘belloni’, che il passare del tempo ha reso ancora più affascinanti, si ritrovano a recitare insieme per la terza volta dopo Cotton Club di Francis Ford Coppola del 1983 (la bella Diane aveva solo diciotto anni e Gere era il nuovo sex symbol delle platee femminili esploso grazie a successi come American Gigolo e Ufficiale e gentiluomo) e dopo il dramma d’amore e morte Unfaithful – L’amore infedele di Adrian Lyne del 2001. E l’intesa fra i due è, dobbiamo ammetterlo, davvero forte, una specie di “magia sentimentale”. Ma ora iniziano le dolenti note. La regia è di George C. Wolfe, una prestigiosa carriera di regista, produttore e autore teatrale alle spalle che, al suo esordio sul grande schermo cade sul terreno scivoloso delle più comuni retoriche del caso: fotografia ai toni pastello che illumina ad arte i volti dei due protagonisti, musica nei punti nodali, effetti sonori ‘ad hoc’ nelle scene dell’uragano che fa scoccare la passione e poi atteggiamenti ritrosi e slanci passionali, lettere d’amore che grondano banalità, scatole che custodiscono gelosamente gli “oggetti dell’amore”; infine, apparizioni improvvise di cavalli selvatici al galoppo su spiagge deserte! Se il panorama sentimentale non convince, affascina molto di più quello naturale. La zona di Outer Banks, dove si trova la piccola città di Rodanthe, è una sottile striscia di terra lunga circa 160 chilometri sulla costa del North Carolina, separa l’oceano dalla baia di Albemarle (a nord) e dalla baia di Pamlico (a sud) ed è conosciuta anche come “il cimitero dell’Atlantico”. È una regione bellissima ma, ahimè, con un triste primato, se è vero che vanta la più alta densità di naufragi al mondo. Che il nostro regista sia naufragato con tutta la macchina da presa nelle gelide acque dell’Atlantico? Peggio di un Titanic, insomma. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione EMBER-IL MISTERO DELLA CITTÀ DI LUCE (City of Ember) Stati Uniti, 2008 Regia: Gil Kenan Produzione: Gary Goetzman, Tom Hanks, Steve Shareshian per Playtone/Walden Media Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto: dal romanzo La città di Ember di Jeanne DuPrau Sceneggiatura: Caroline Thompson Direttore della fotografia: Xavier Pérez Grobet Montaggio: Zach Staen Musiche: Andrew Lockington Scenografia: Martin Laing Costumi: Ruth Myers Produttori esecutivi: Diana Choi, John D. Schofield Direttori di produzione: Terry Bamber, David Cain, John D. Schofield Casting: Richard Hicks, David Rubin, Gail Stevens Aiuti regista: Patrick Clayton, Aron Clayton, Paul Butterworth, Michael Stevenson, Leon Coole, Samantha Ross Operatore: Peter Field Operatore steadicam: Alastair Rae Supervisore art direction: Jon Billington Art directors: James Foster, Ashleigh Jeffers Arredatore: Celia Brobak Trucco: Liz Boston, Sally Jaye, Niamh O’Loan, Supervisore effetti speciali: Kit West A l compimento dei dodici anni a Lina Mayfleet e Doon Harrow, come al resto degli abitanti della città sotterranea di Ember, viene assegnato un lavoro. Ember cade letteralmente in pezzi e, nonostante la potenziale inutilità delle loro mansioni (messaggera lei, addetto alle tubature lui), i due coraggiosi ragazzini vogliono a ogni costo venire a capo del mistero che sovrasta da più di due secoli la città di luce. I blackout energetici sono sempre più frequenti, la città è quasi preda dell’oscurità, l’enorme generatore che la alimenta si sta deteriorando, le sue luci abbaglianti sono sempre più flebili. Ma non è sempre stato così, come narrano le cronache di Ember, che ogni buon cittadino ben conosce. Per generazioni, la popolazione della città di luce ha prosperato nel sottosuolo, senza tuttavia sapere di esserci. Costruita due secoli prima da non meglio identificati – ma molto adorati – Padri Fondatori, Ember è stata sicuro rifugio per uomini e donne, ma è ormai chiaro per tutti che non lo sarà ancora a lungo. Intorno alla città si estendono soltanto buie terre desolate, popolate da animali mortali, e il generatore è l’unica fonte di vita: quando si estinguerà sarà morte certa per tutti. Nonostante la fondata preoccupazione per l’avvenire, gli studenti di Ember, tra cui Lina e Doon, affrontano con trepidante entusiasmo il rito di passaggio per tutti i diplo- Supervisori effetti visivi: Olivier Cauwet (BUF), Vincent Cirelli (Luma Pictures), Eric Durst Coordinatori effetti visivi: Carole Coeley, Francisco Ramirez Supervisore musiche: Lindsay Fellows Supervisore animazione: Pimentel A. Raphael (Luma Pictures) Supervisore costumi: William McPhail Interpreti: Saoirse Ronan (Lina Mayfleet), Harry Treadaway (Doon Harrow), Tim Robbins (Loris Harrow), Bill Murray (Sindaco Cole), Marianne Jean-Baptiste (Clary), Martin Landau (Sul), David Ryall (capitano Builder), B.J. Hogg (guardia del Maggiore), Toby Jones (Barton Snode), Lucinda Dryzek (Lizzie Bisco), Matt Jessup (Joss), Lara Jessup (Roner), Myles Thompson (Smat), Eoin McAndrew, Rachel Morton, Conor MacNeill (studenti), Lorraine Hilton (Miss Thorn), Liam Burke (Mr. Boaz), Mary Kay Place (Mrs. Murdo), Liz Smith (nonna), Simon Kunz (capitano Fleery), Frankie McCafferty (Arbin Swinn), Heathcote Williams (Sadge Merrall), Mackenzie Crook (Looper), Maureen Dow (Mrs. Sample), Becky Stark (Insegnante di canto), Brid Ni Chionaola (Seely Schnap), Mark Mulholland (pittore), Ian McElhinney (costruttore), B.J. Hogg (guardia del sindaco), Ann Queensberry (dott. Tower), Amy Quinn, Catherine Quinn Durata: 95’ Metri: 2400 mati: il Giorno delle Assegnazioni. Il giorno, cioè, in cui il sindaco in persona presenzia di fronte ai diplomandi, mentre essi scelgono, tramite una lotteria, il modo in cui trascorreranno le loro vite, lavorando per la loro società. Lina sogna da sempre di sfrecciare per le strade con la divisa da messaggero, ma è stata assegnata alla rete delle tubazioni. Doon, che più di qualsiasi altra cosa vorrebbe lavorare al Generatore, e magari ripararlo, estrae l’incarico di messaggero. Uno scambio degli incarichi tra i due renderà estremamente felice lei, accontenterà lui (le tubazioni sono vicine al generatore) e cementificherà la nascente amicizia. Lina svolge con destrezza l’incarico di messaggero: si tratta di girare a piedi – correndo - per la città per recapitare, a voce, messaggi tra gli abitanti; dal semplice agricoltore al sindaco, tutti usano questo mezzo di comunicazione, anche perché è l’unico e tutti i messaggi sono ugualmente importanti. Doon svolge invece il suo lavoro nelle buie viscere di Ember, tra tubi che perdono, talvolta non riparabili e scopre che la città cade a pezzi ancora di più di quanto avesse mai potuto immaginare. Intanto la vita quotidiana si ripete uguale a sempre, con le riserve di cibo – in scatola – che scarseggiano sempre di più e gli abiti che, dopo generazioni di rammendi e toppe, non hanno più un colore definibile. Un giorno, nell’armadio di casa, Lina 27 trova una vecchia scatola di metallo. La malandata nonna, con cui la ragazzina divide la casa insieme alla sorella minore Poppy, sembra molto felice: è assolutamente certa che il contenuto della scatola sia molto importante, solo che ne ha dimenticato la ragione. Lina riesce ad aprire il lucchetto della scatola e all’interno trova alcuni documenti il cui significato le appare incomprensibile. Incapace di decifrarli, Lina prova a chiedere aiuto al sindaco, ma una volta giunta al suo cospetto capisce di aver commesso un errore. L’uomo è chiaramente corrotto, egoista e spregevole; un black out le offre l’opportunità di fuggire nel buio. Lina si rivolge allora a Doon. Inizialmente scettico, il ragazzo apprende poi con sorpresa, insieme all’amica, che le informazioni all’interno della scatola potrebbero aiutarli a salvare la Città. Tutto ciò non può essere un caso: la famiglia di Lina discende da uno dei primi sindaci di Ember. Mentre i blackout diventano sempre più frequenti, gettando nel panico e nello sconforto la popolazione, i due ragazzi iniziano a seguire gli indizi, destreggiandosi tra politici corrotti e personaggi deplorevoli, tra cui anche una cara amica di Lina, che, assegnata ai magazzini, non si fa scrupoli nel rubare le esigue risorse alimentari, complice del suo nuovo fidanzato, lo spregevole Looper, scagnozzo di fiducia del sindaco. Film Alla morte della nonna, Lina e Poppy vengono accolte in casa di una vicina e la ragazza ha ora più tempo per dedicarsi alla ricerca della via d’uscita da Ember. Durante le esplorazioni sotterranee, Doon e Lina si imbattono in un magazzino segreto stracolmo di cibo, scoprendo anche che il sindaco non ha alcuno scrupolo ad avvalersene di nascosto, mentre la città non ha più nulla da mangiare. Rischiando il tutto per tutto, mentre i cittadini sono riuniti nella piazza principale a intonare inni patriottici, Lina, Doon e la piccola Poppy risalgono verso la superficie grazie a una piccola imbarcazione studiata appositamente per la fuga, ripercorrendo all’inverno la strada dei Padri Fondatori. L’amara sorpresa è che il nuovo mondo che si trovano di fronte è avvolto nelle tenebre. Dopo un sonno ristoratore, i tre si svegliano alla luce di qualcosa per loro sconosciuta: il sole, che mostra loro la bellezza del mondo e la ricchezza in frutti della terra dall’inaudita bontà. Da una spaccatura del terreno scoprono, a chilometri di profondità, le luci della città di Ember, e lanciano un messaggio scritto nelle viscere della terra, con le istruzioni per fuggire. Il biglietto verrà raccolto e una vita migliore si prospetta così per tutti gli abitanti della città di luce. E rano gli anni Ottanta quando Jeanne DuPrau decideva di raccontare in un romanzo le sue angosce di bambina; il timore di una catastrofe nucleare l’accompagnava fin dall’infanzia, vissuta in quegli anni Cinquanta in cui scavare nella terra per costruire rifugi era una consuetudine che nel mondo occidentale – ma non solo – donava sicurezza. La genesi di Ember – Il mistero della città di luce – (che si svilupperà, in seguito, per un totale di quattro libri, tutti di enorme successo negli States) prende dunque il via dalla fantasia di una ragazzina spaventata che, attraverso le pagine di un romanzo, riesce a sdoppiarsi in due giovanissimi salvatori della patria. Caparbi e mai domi, Lina e Doon si completano a vicenda e soltanto l’unione delle loro acerbe forze consentirà la sconfitta di politici corrotti e cittadini disonesti che, a quanto pare, si trovano a proprio agio anche sottoterra. La visione della città di Ember non si dimentica: illuminata soltanto da un cielo di lampadine, che la immergono in un’atmosfera giallastra che quasi cancella ogni altro colore, è composta da casette addossate l’una all’altra come in un presepe, che si affacciano su un dedalo di vicoli e poche strade principali, che confluiscono tutte in una piazza centrale, il classico fulcro Tutti i film della stagione della vita sociale e politica. La realizzazione cinematografica è curatissima, molto vicina a quel che il lettore del romanzo può immaginare, conservando intatto quel tocco di magia che soltanto i luoghi inesistenti nella realtà possono avere. Tuttavia la situazione è al collasso. Da qualche tempo il generatore di energia perde i colpi, i blackout si susseguono a un ritmo sempre più serrato, le derrate alimentari scarseggiano, e ogni abito, pezzo di carta o filo di tessuto è stato riutilizzato più e più volte. Perché, e questo piacerà molto agli ambientalisti – e dovrebbe far riflettere un po’ tutti – a Ember nulla viene gettato, ogni cosa viene accomodata, trasformata, reinventata e, per quanto logora, passata alla generazione successiva. In risposta alla crisi, il viscido sindaco Cole (interpretato da Bill Murray, che panciuto così non s’è mai visto prima) adotta l’antica formula del panem (per sé, alla faccia della carestia) et circenses (il popolino va in brodo di giuggiole, con la giornata annuale dei canti), e medita altruisticamente la salvezza della sua sola persona. Ovviamente le cose prenderanno una piega diversa, ma non confluirà in un epico scontro tra bene e male, perché le due parti si limiteranno a guardarsi in cagnesco per lo più a distanza. Ma va bene così. La sceneggiatura, firmata da Caroline Thompson (Edward Mani di forbice), è piuttosto fedele al testo originale e il giovane regista Gil Kenan (il suo esordio? Il pluripremiato e nominato all’Oscar film d’animazione Monster House) è riuscito nell’intento di realizzare un action movie avventuroso quanto fantastico, dal ritmo serratissimo, eppure mai angosciante, il che lo rende un prodotto adatto anche ai più piccoli. Nel film, come del resto nel romanzo, non vengono fornite spiegazioni sul perché l’umanità, nella figura quasi mitologica dei Costruttori, abbia deciso di (ovvero, sia stata costretta a) vivere a centinaia di metri sottoterra, dandosi addirittura una scadenza prefissata di due secoli: una catastrofe incombente, o forse una sciagura in atto, chissà. Come nessuna giustificazione viene data riguardo le ragguardevoli dimensioni raggiunte dagli animali delle oscure terre che circondano Ember (talpe e coleotteri) che occasionalmente i nostri eroi incontrano sul loro cammino. Questo forse può dare un po’ fastidio, o quantomeno lasciare una sensazione di incompletezza narrativa (nulla di insuperabile, a ogni modo). Inutile aggiungere che il romanzo fornisce delucidazioni maggiori, anche riguardo la genesi stessa di Ember. La città è la vera protagonista del film, e non potrebbe essere altrimenti, mentre il cast eterogeneo affianca stelle nascenti – Saoirse Ronan è la ragazzina di Atonement – e attori navigati divisi tra piccoli e grandi ruoli (c’è anche Toby Jones), tutti accomunati di tanto in tanto, da uno sguardo perplesso di troppo. Realmente altisonanti le dichiarazioni di Padri Fondatori e Costruttori, in cui si imbattono i giovani eroi tra targhette murali, testi e inni. Eccone un esempio: “Benvenuto nella Città di Ember. Come onorevole membro della società, sei stato scelto per mantenere viva la fiamma dell’umanità. Grazie a te, la razza umana può sperare in un futuro lungo e prosperoso”. Manuela Pinetti DALLALTRA PARTE DEL MARE Italia, 2009 Regia: Jean Sarto Produzione: Rean Mazzone per Dream Film Ila Palma/Caro Film Distribuzione: Caro Film Prima: (Roma 27-3-2009; Milano 27-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Monica Rapetti Direttore della fotografia: Aldo Di Marcantonio Montaggio: Patrizia Ceresani Musiche: Alessandro Molinari Scenografia e costumi: Erminia Palmieri Organizzatore: Barbara Spina Supervisione alla regia: Veronica Bilbao La Vieja Suono: Michele Tarantola Interpreti: Galatea Ranzi (Clara), Vitaliano Trevisan (Abele), Fulvio Falzarano (Claudio), Tony Allotta (Filippo), Viviana Di Bert (Gigliola), Alessandra Battisti (Franca), Paolo Summaria (Fabrizio), Gordana De Santis (Tosca), Dino Castelli (padre di Clara) Durata: 80’ Metri: 2214 28 Film P arigi, 1979. La documentarista Clara intervista la pianista Tosca Marmor, maestra di musica sopravvissuta alla Shoah. Roma, giorni nostri: Clara viene chiamata dal regista teatrale Abele per collaborare alla messa in scena tratta dal libro, scritto da un altro sopravvissuto ad Auschwitz, Ka-Tzetnik 135633, che dopo 30 anni ha accettato di rivivere la devastante esperienza del campo di concentramento sottoponendosi a una terapia a base di LSF, in 5 sedute denominate “Cancelli della memoria”. La compagnia di Abele inizia a studiare la rappresentazione – termine che lo stesso regista disprezza paragonandolo alla “prostituzione sentimentale”, con cui troppo spesso il mondo dello spettacolo ha cercato di riportare in vita orrori come quello dell’Olocausto di per sé irrappresentabile – che prevede la continua sovrapposizione delle due esperienze, da una parte Ka-Tzetnik, dall’altra Tosca. Ma i conflitti tra Clara e Abele, la prima decisa a entrare più direttamente nel soggettivo delle singole testimonianze, il secondo fermo sulle sue posizioni di “letture neutre” e impostazione oggettiva, ben presto arrivano a coinvolgere tutti gli altri attori, che iniziano a dubitare della bontà del progetto. Durante i sopralluoghi a Trieste (città Tutti i film della stagione che ha commissionato ad Abele il lavoro in occasione della Giornata della Memoria), poi, Clara inizia a fare delle ricerche su suo padre, scomparso quando lei aveva appena 8 anni, mentre Abele si convince sempre più dell’impossibilità di esprimere l’inesprimibile, desistendo dall’impresa di mettere in piedi il suo teatro itinerante. Il passato irrompe con forza, e una foto trovata negli archivi della città svela a Clara una realtà indicibile: il padre prese parte al movimento dei collaborazionisti sloveni nel ’43; la donna decide di incontrarlo, dopo aver scoperto che l’uomo vive ancora in città. Impiegato alle ferrovie, il padre finge di non sapere chi sia, pur lasciando trasparire un male di vivere irrisolvibile. Clara lo percepisce e riesce così a lasciarsi alle spalle i suoi fantasmi; dal molo potrà guardare dall’altra parte del mare. M emoria e rappresentazione. Archivio, teatro e cinema. Ambizioso per contenuti e forma, Dall’altra parte del mare segna l’esordio in regia di Jean Sarto (all’anagrafe Giancarlo Sartoretto), produttore, sceneggiatore e autore di qualche cortometraggio; attraverso la commistione dei vari linguaggi riporta in superficie orrori comunque impossibili da dimenticare, riflettendo sulla “spettacola- rizzazione” quale elemento per antonomasia in conflitto con la materia da rendere nuovamente “viva” attraverso il ricordo. Il discorso teorico è manifesto, portato avanti con insistenza, rischiando di sfiorare in più di qualche occasione la didascalia: come l’abuso di inserti (come quelli ai tavolini del bar, dove i personaggi si ritrovano dopo le prove teatrali a dibattere sul senso di quanto stanno facendo), o la virata sulla “questione personale”, quella che accompagna l’evoluzione di Clara, ulteriore strumento per sottolineare il punto di vista della donna, convinta, a differenza di Abele, che il compito di un attore preveda anche la possibilità di rimettere in scena l’orrore. Ed è proprio il contrasto con il regista, interpretato da un Vitaliano Trevisan comunque troppo compassato, a tenere in vita l’interesse di un film che si accartoccia su se stesso, senza riuscire a scrollarsi di dosso la pesantezza di dialoghi e monologhi che da teatrali non sanno farsi cinematografici: che fosse proprio questa la tesi metalinguistica, nascosta e da dimostrare in Dall’altra parte del mare? Potrebbe darsi, ma il cammino per arrivarci è sin troppo faticoso, a tratti estenuante, in una parola: irrappresentabile. Valerio Sammarco MADAGASCAR 2 (Madagascar: Escape 2 Africa) Stati Uniti, 2008 di Paul Jabara, Paul Shaffer; “Prologo” da “West Side Story” di Regia: Tom McGrath, Eric Darnell Leonard Bernstein, Stephen Sondheim; “Copacabana (At the Produzione: Mireille Soria, Mark Swift per DreamWorks AniCopa)” di Jack Feldman, Bruce Sussman, Barry Manilow (Barry mation/Pacific Data Images (PDI) Manilow); “New York, New York” (John Kander, Fred Ebb) Distribuzione: Universal Voci originali: Ben Stiller (Alex, il leone), Chris Rock (Marty, la Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) zebra), David Schwimmer (Melman, la giraffa), Jada Pinkett Soggetto e sceneggiatura: Etan Cohen, Eric Darnell, Tom Smith (Gloria, l’ippopotamo), Sacha Baron Cohen (Re Julien), McGrath Cedric the Entertainer (Maurice, il lemure), Andy Richter (Mort, Montaggio: Mark A. Hester, H. Lee Peterson il lemure), Bernie Mac (Zuba), Alec Baldwin (Makunga), Sherri Musiche: Hans Zimmer Shepherd (Florrie), Will.i.am (Moto Moto), Elisa Gabrielli Scenografia: Kendal Cronkhite (Nana), Tom McGrath (Skipper), Chris Miller (Kowalski), ConSupervisori effetti visivi: Philippe Gluckman, Scott Sinrad Vernon (Mason), Quinn Dempsey Stiller, Declan Swift (Alex ger, Jason Schleifer, Jason Spencer Galsworthy bambino), Willow Smith (Gloria bambina), Thomas Stanley Coordinatori effetti visivi: Max Rodriguez, Lindsay Ca(Marty bambino), Zachary Gordon (Melman bambino), Eric plan Darnell (Joe), Stephen Kearin (Stephen/turista con la telecaSupervisori animazione: Denis Couchon, Cassidy Curtis, mera), Phil LaMarr (guida), Fred Tatascione, Christopher KniSean Mahoney ghts Storyboard: Kelly Asbury, Gary Graham, Tim Heitz Doppiatori italiani: Alessandro Besentini (Alex, il leone), FranCanzoni/Musiche estratte: “The Traveling Song”, “Big and cesco Villa (Franz) (Marty, la zebra), Roberto Gammino (MelChunky”, “She Loves Me”, “Best Friends” di Hans Zimmer, man, la giraffa), Chiara Colizzi (Gloria, l’ippopotamo), Oreste Willi i Am (Will i Am); “More Than a Feeling” di Tom Scholz Baldini (Re Julien), Roberto Draghetti (Maurice, il lemure), (Boston); “Born Free” (John Barry); “I Like To Move It” di Erck Massimiliano Alto (Mort, il lemure), Marco Mete (Zuba), SteMorillo, Mark Quashie (Reel 2 Real, Mark Quashie); “I Like To fano De Sando (Makunga), Roberto Pedicini (Moto Moto) Move It” di Erick Morillo, Mark Quashie (Will i Am); “Le quattro Durata: 92’ stagioni” (Antonio Vivaldi); “Il buono, il brutto, il cattivo” (Ennio Morricone); “Private Dancer” (Mark Knopfler); “It’s Raining Men” Metri: 2220 29 Film U n flashback introduce l’infanzia di Alex il leone. Nato in Africa e figlio del maschio alfa del branco, Zuba, il cucciolo Alekey è più portato verso la danza che non per la caccia. Mentre Makunga, un altro leone, cerca di usurpare il ruolo di Zuba, Alekey viene catturato dai bracconieri. La cassa di legno in cui è rinchiuso finisce in un fiume e da lì poi nell’Atlantico; una volta ripescato, Alekey viene consegnato allo Zoo New York, di cui diventa l’attrazione principale: Alex, il primo leone ballerino. Dopo essere fuggito dallo Zoo insieme ai suoi amici, la zebra Marty, la giraffa Melman e l’ippopotamo Gloria, ora Alex si ritrova sull’isola di Madascar. I nevrotici pinguini, che li avevano accompagnati nell’avventura raccontata nel precedente film, sono riusciti a rimettere in sesto un vecchio aeroplano ritrovato sull’isola e ora tutti insieme progettano di ritornare a New York, alla vita facile e coccolata dello Zoo. Purtroppo, il piano fallisce e l’aereo è costretto a un atterraggio di fortuna in Africa. Alex ritrova la sua famiglia, Marty è felice con di ritrovarsi insieme a un branco di zebre esattamente identiche a lui, l’ipocondriaco Melman diventa lo ‘stregone’ della zona e Gloria sembra aver trovato l’amore nel prestante Moto Moto. Ma le cose non vanno per il verso giusto. Il malvagio e invidioso Makunga cerca ancora di prendere il potere e costringe Alex a sostenere una prova di coraggio, dalla quale il giovane leone esce però sconfitto. Makunga riesce alla fine, nel suo intento e diventa il capo del branco al posto di Zuba, che viene espulso insieme alla sua famiglia. Melman si convince di essere gravemente e mortalmente ammalato e non riesce a confessare il proprio amore per Gloria, che però nel frattempo si è accorta della vacuità e della idiozia di Moto Moto. Anche per Marty le cose non vanno bene: stufo ormai di essere considerato una zebra fra le tante, al punto che lo stesso suo amico Alex Tutti i film della stagione fa fatica a distinguerlo. In tutto questo, i pinguini non si arrendono, cercano di riparare il guasto all’aeroplano assaltando le jeep dei turisti della Riserva per trafugarne i pezzi. Un gruppo di turisti newyorkesi, guidati dalla terribile vecchietta Nana, decide di vendicarsi e di costruire una diga che prosciughi l’unico fiume della Riserva. Alex scopre l’inganno e per riscattarsi decide di affrontare i turisti ma viene catturato. Re Julien, il lemure dell’isola di Madagascar che era partito con il gruppo alla volta di New York, si spaccia per santone e propone di sacrificare uno di loro agli dei per riavere l’acqua. Convinto di essere ormai condannato dalla malattia, Melman si offre volontario ma Gloria lo ferma giusto in tempo quando Marty rivela l’inganno e propone di andare a salvare Alex. Guidati dai pinguini, che sono riusciti a rimettere in sesto l’aeroplano, il gruppo riesce a liberare Alex e a distruggere la diga. Dopo aver restituito il potere a Zuba, Alex, Marty, Melman e Gloria rimangono a vivere nella Riserva, rimandando il viaggio di ritorno a New York. O rmai non c’è successo della Dreamworks Animation del quale non si corra al sequel (nel caso di Madagascar, è addirittura già in cantiere un terzo film, come per altro si sta lavorando a Shrek 4). Di solito è raro che il seguito sia all’altezza del film precedente e il pubblico si divide sempre tra la voglia di tornare a godere delle avventure e della simpatia dei personaggi che ha amato e che lo hanno precedentemente divertito e l’ansia di ritrovarsi di fronte a un prodotto mediocre, che il più delle volte lascia l’amaro in bocca perché non è riuscito a sviluppare una storia interessante senza riproporre cose già viste, magari banalizzandole per mancanza di fantasia. Nel caso di Madagascar 2, le attese erano altissime, visto il grande successo del primo film. Bene, stra- no a dirsi, queste attese non sono andate deluse. Come sequel, il livello di Madagascar 2 si avvicina a quello di Shrek 2, un film se possibile ancora più divertente e ben fatto del primo. Lo spunto dell’originale, l’idea di un gruppo di animali nati e cresciuti in cattività (si fa per dire, ovviamente, viste le condizioni di vita extra lusso di cui usufruivano nello Zoo di New York), che decide di scappare e di ritornare alla Natura, era carino e indovinato e la sceneggiatura divertente e ben fatta. La resa grafica non poteva certo competere con il livello di Shrek, tanto per restare in casa Dreamworks, o con altri film del momento della Disney o della Pixar, però risultavano intriganti le atmosfere dalle linee squadrate che ricordavano un po’ la classica Warner Bros. Madagascar 2 fa quello che un buon sequel deve fare: riprendere i personaggi, svilupparli, inventare una storia nuova e convincente, che abbia sì legami con l’originale, ma che riesca ad avere autonomia e coerenza a prescindere dal primo film. La trama è notevolmente più sviluppata, complessa nel suo dividersi tra le vicende principali legate ad Alex e quelle degli altri personaggi, che hanno comunque ciascuno il loro spazio e le loro dinamiche di sviluppo (pinguini e scimmie comprese). Dalle pieghe del racconto emergono discretamente, senza essere troppo invadenti, temi fondamentali come la famiglia, l’appartenenza al gruppo, il desiderio di essere accettati per quello che si è in realtà, i legami affettivi tra specie diverse; il tutto senza falsi sentimentalismi o zuccherosità. Rimane sempre il problema del target: in quanto film d’animazione, Madagascar 2 è il classico prodotto indirizzato al pubblico infantile, strizzando però l’occhio a quello adulto, grazie soprattutto al citazionismo. Se nel primo film questo indirizzo era un po’ troppo sbilanciato verso la soddisfazione del gusto del pubblico adulto, in Madagascar 2 è stato raggiunto un felice equilibrio, fra citazioni “adulte”, ma comunque adatte ai bambini, e un tipo di comicità più slapstick. La caratterizzazione animata dei personaggi, modellata sulle sembianze dei doppiatori, è ottima e non si risolve nella mera “caricatura” dell’attore che presta la voce, rendendo poi nullo il piacere per chi vede in film non in lingua originale, o comunque non ha presente la sua fisicità o le sue caratteristiche. In originale prestano le voci attori come Ben Stiller, Chris Rock, David Schwimmer, Jada Pinkett Smith e Alec Baldwin, mentre nella versione italiana, a parte Ale e Franz, il cast è composto da doppiatori professionisti, indubbio valore aggiunto al film. Chiara Cecchini 30 Film Tutti i film della stagione 2008 INDICE DELLANNATA INDICE DEI FILM A Agente Smart – Casino totale 32/95-96 Air I Breath (The) 25/95-96 Alexandra 54/95-96 Alla ricerca dell’isola di Nim 55/92 Alla scoperta di Charlie 61/92 Altra donna del Re (L’) 52/92 Altra giovinezza (Un’) 49/91 American Gangster 11/91 Amore di testimone (Un) 18/93 Amore non basta (L’) 53/93 Amore secondo Dan (L’) 10/93 Amore, bugie & calcetto 11/92 Animanera 8/94 Anno in cui i miei genitori andarono in vacanza (L’) 47/93 Anno mille (L’) 19/92 Assassino di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (L’) 22/91 Asterix alle olimpiadi 9/92 B Babylon A.D. 18/95-96 Be Kid Reading – Gli Acchiappafantasmi 21/95-96 Bentornato Pinocchio 26/91 Bianco e nero 25/91 Biutuful Cauntri 42/91 Black House 12/94 Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo nero 35/95-96 Bratz 59/93 Burn After Reading – A prova di spia 20/94 C Cacciatore di Aquiloni (Il) 6/92 Cambio di gioco 43/95-96 Caos calmo 58/91 Caravaggio 46/93 Cargo 200 27/93 Carnera – The Walking Mountain 38/92 Caso Thomas Crawford (Il) 9/91 Cavaliere oscuro (Il) 6/94 Certamente, forse 28/93 Changeling 41/95-96 Charlie Bartlett 40/93 Chi nasce tondo 6/93 Chiamami Salomè 52/93 Chiamata senza risposta 54/93 Ci sta un francese, un inglese e un napoletano 20/93 Classe (La) – Entre les murs 2/95-96 Colpo d’occhio 5/93 Come tu mi vuoi 24/91 Corazones de mujer 58/93 Cous Cous 43/91 Cover-Boy 4/93 Cronache di Narnia (Le) – Il Principe Caspian 9/94 Gomorra 2/92 Gone Baby Gone 15/93 Grace is Gone 50/95-96 Grande grosso e... Verdone 54/91 Guardiani del giorno (I) 53/91 Guerra di Charlie Wilson (La) 4/91 H Hancock Hellboy: The Golden Army Hitcher (The) Hotel Meina Hunting Party (The) Hurt Locker (The) D 10 cose di noi Divo (Il) 12 Doomsday – Il giorno del giudizio Dr. Plonk -2- Livello del terrore 2061: un anno eccezionale 42/92 2/93 56/93 Improvvisamente l’inverno scorso 22/93 In amore niente regole 18/92 In viaggio per il College 40/95-96 Incredibile Hulk (L’) 30/95-96 Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo 21/92 Innocenza del peccato (L’) 14/91 Interview 24/93 Into the Wild – Nelle Terre selvagge 31/91 Invincibile 23/95-96 Io vi troverò 19/94 Iron Man 54/92 44/95-96 23/91 E 12/93 11/93 F Fabbrica dei tedeschi (La) 40/94 Falsario (Il) – Operazione Benhard 52/91 Family Game 57/93 Feel the Noise – A tutto volume 55/93 Fidanzata di papà (La) 14/95-96 Fine pena mai 48/91 Forse Dio è malato 35/91 J Jimmy della collina John Rambo Joshua Juno 26/92 45/91 52/95-96 35/92 Ken il guerriero – La leggenda di Hokuto 13/95-96 Kun Fu Panda 8/95-96 L 44/93 45/92 5/91 36/94 Leoni per agnelli Lezione Ventuno Lontano da lei 31 4/94 20/91 M Machan – La vera storia di una falsa squadra 34/94 Mamma mia! 33/95-96 Maradona 34/93 Matrimonio di Lorna (Il) 2/94 Matrimonio è un affare di famiglia (Il) 15/92 Mio sogno più grande (Il) 17/95-96 Miracolo a Sant’Anna 4/95-96 Mist (The) 39/95-96 Mongol 60/92 Morti di Ian Stone (Le) 47/95-96 N Nella rete del Serial Killer 27/94 Nelle tue mani 3/92 Nessuna qualità agli eroi 45/93 Next 63/92 No problem 51/95-96 Noi due sconosciuti 42/93 Non è mai troppo tardi 6/91 Non è un paese per vecchi 47/91 Nostro messia (Il) 35/93 Notte (Una) 37/92 Notte brava a Las Vegas 26/93 Notte dei girasoli (La) 55/95-96 Notte non aspetta (La) 14/93 O K G Gardener of Eden – Il giustiziere senza legge Germe del melograno (Il) Giorni e nuvole Giorno perfetto (Un) 28/95-96 60/93 24/92 21/93 45/95-96 I 39/94 57/95-96 Estate al mare (Un) Eye (The) 12/95-96 Love Guru (The) Lussuria – Seduzione e tradimento 17/91 5/95-96 10/92 Ombre dal passato Once Onora il padre e la madre Ortone e la guerra dei Chi Oxford Murders – Teorema di un delitto 17/94 34/93 46/92 56/92 50/92 P Padroni della notte (I) 15/94 Papà di Giovanna (Il) 45/94 Pa-ra-da 31/94 Parigi 15/95-96 Parlami d’amore 46/91 Film Parole sante Paura primordiale Per uno solo dei miei occhi Persépolis Petroliere (Il) Piacere Dave Postal Pranzo di Ferragosto Prospettive di un delitto 41/91 40/91 10/94 27/91 2/91 16/94 47/94 13/94 51/91 Q Quando tutto cambia 41/93 Quantum of Solace 20/95-96 14 anni vergine 31/93 Questa notte è ancora nostra 3/93 R Rabbia (La) 49/93 Racconti da Stoccolma 16/93 Rec 17/92 Redbelt 48/95-96 Reservation Road 62/93 Resident Evil: Extinction 19/91 Resto della notte (Il) 10/95-96 Riflessi di paura 34/95-96 Riparo 3/92 Riprendimi 36/93 Rocker (The) – Il batterista nudo 23/94 Rogue il solitario 43/94 Rolling Stones’ Shine a Light 39/93 Rovine 38/93 Rush Hour – Missione Parigi 16/91 S Sangue pazzo 25/94 Savage Grace 53/95-96 Scafandro e la farfalla (Lo) 34/91 Scusa ma ti chiamo amore 32/91 Seconda volta non si scorda mai (La) 44/92 Segreto tra di noi (Un) 9/95-96 Seme della discordia (Il) 41/94 Serenity 30/94 Setta delle tenebre (La) 33/94 Sex and the City 29/93 Sex List – Omicidio a tre 44/94 Sfiorarsi 36/95-96 Shorooms – Trip senza ritorno 24/94 Shortbus 21/94 Signorinaeffe 13/91 Slipstream – Nella mente oscura di H. 49/92 Sogni e delitti 56/91 Solo un bacio per favore 5/94 Sonetàula Sopravvivere coi lupi Sotto le bombe Spaccacuori (Lo) Speed Racer Sposa fantasma (La) Step Up 2 – La strada per il successo Superhero – Il più dotato fra i supereroi Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street Tutti i film della stagione TITOLI ORIGINALI 50/93 32/93 27/92 8/91 29/92 8/92 (P2) 44/95-96 Air I Breathe (The) 25/95-96 Aleksandra 54/95-96 American Gangster 11/91 Ano em que Meus Pais Sairam de Férias (O) 47/93 Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (The) 22/91 Astérix aux jeux olympiques 9/92 Away from her 10/92 40/92 58/92 29/91 Tadpole – Un giovane seduttore a New York 24/95-96 Terra degli uomini rossi (La) – Birdwatchers 28/94 Tre scimmie (Le) 11/94 3perciento che l’ha duro la vince 62/92 30 giorni di buoi 39/91 Tropa de elite 8/93 Tu, io e Dupree 35/94 Tutta la vita davanti 37/91 Tutti frutti 12/92 Tutti i numeri del sesso 7/93 Tutti pazzi per l’oro 63/93 Tutto torna 51/93 B Babylon A.D. 18/95-96 Baiser s’il vous plait (Un) 5/94 Be Kind Rewind 21/95-96 Before the Devil Knows You’re Dead 46/92 Boogeyman 2 35/95-96 Bratz 59/93 Bucket List (The) 6/91 Burn After Reading 20/94 C Cassandra’s Dream 56/91 Changeling 41/95-96 Charlie Bartlett 40/93 Charlie Wilson’s War 4/91 Chronicles of Narnia (The): Prince Caspian 9/94 Clubland 15/92 College Road Trip 40/95-96 U 16/92 19/93 23/93 36/92 D Dan in Real Life Dark Knight (The) Deaths of Ian Stone (The) Deception Definitely, Maybe Dnevnoy dozor Doomsday Dr. Plonk Dve) 12 V Velocità della luce (La) 4/92 27 volte in bianco 48/92 21 57/92 Vicky Cristina Barcelona 37/95-96 Vogliamo anche le rose 48/93 Volpe e la bambina (La) 25/92 10/93 6/94 47/95-96 44/94 28/93 53/91 39/94 57/95-96 56/93 E W Entre les Murs Evening Eye (The) Walk Hard – La storia di Dewey Cox 23/92 Wall-E 26/95-96 Wanted – Scegli il tuo destino 7/95-96 2/95-96 43/92 11/93 F Fälscher (Die) 52/91 Feel the Noise 55/93 Fille coupée en deux (La) 14/91 Firefilies in the Garden 9/95-96 Z Zona (La) 63/93 9/91 31/93 A T Ultima missione (L’) Ultimi della classe Underdog – Storia di un vero supereroe Uomo qualunque (Un) Fool’s Gold Fracture Full of It 36/92 32 G Game Plan (The) Gardener of Eden Geomeun jip Get Smart Gone Baby Gone Grace Grace is Gone Graine et le mulet (La) Gruz 200 43/95-96 44/93 12/94 32/95-96 15/93 17/95-96 50/95-96 43/91 27/93 H Hancock 12/95-96 He Was a Quiet Man 36/91 Heartbreak Kid (The) 8/91 Hellboy II: The Golden Army 28/95-96 Hitcher (The) 60/93 Horton Hears a Who! 56/92 Hunting Party (The) 21/93 Hurt Locker (The) 45/95-96 I Incredible Hulk (The) 30/95-96 Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull 21/92 Interview 24/93 Into the Wild 31/91 Invincibile 23/95-96 Iron Man 54/92 J Joshua Juno 52/95-96 35/92 K King of California Kite Runner (The) Kung Fu Panda 61/92 6/92 8/95-96 L Leatherheads Lions for Lambs Love Guru (The) 18/92 17/91 4/94 M Made of Honor Mamma Mia! Meet Dave Meet the Spartans Miracle at St. Anna Mirrors Mist (The) 18/93 33/95-96 16/94 62/92 4/95-96 34/95-96 39/95-96 Film Mongol Mr 73 60/92 16/92 N När mörkret faller 16/93 Nekam achat mishtey eynay 10/94 Next 63/92 Nim’s Island 55/92 No Country for Old Men 47/91 Noche de los girasols (La) 55/95-96 O Once One Missed Call Other Beleyn Girl (The) Over Her Dead Body Oxford Murders (The) 34/93 54/93 52/92 8/92 50/92 P Paris Persépolis Postal Primeval 15/95-96 27/91 47/94 40/91 Q Quantum of Solace 20/95-96 R Rambo 45/91 Rec 17/92 Redbelt 48/95-96 Renard et l’enfant (Le) 25/92 Reservation Road 62/93 Resident Evil: Exinction 19/91 Rise 33/94 Rocker (The) 23/94 Ruins (The) 38/93 Rush Hour 3 16/91 S Savage Grace 53/95-96 Scaphandre et le papillon (Le) 34/91 Se jie 20/91 Serenity 30/94 Sex and Death 101 7/93 Sex and the City: the Movie 29/93 Shin Kyuseishu densetsu Hokuto no Ken: Rao den Jun’ai no sho 13/95-96 Shine a Light 39/93 Shortbus 21/94 Shrooms 24/94 Shutter 17/94 Silence de Lorna (Le) 2/94 Slipstream 49/92 Sous les bombes Speed Racer Step Up 2: the Streets Street Kings Superhero Movie Survivre avec les loups Sweeney Todd: the Demon Barber of Fleet Street Tutti i film della stagione Anderson Paul Thomas Aractingi Philippe Arciero Alfredo Atwell Philip G. Avati Pupi Ayer David 27/92 29/92 40/92 14/93 58/92 32/93 B 29/91 Balabanov Aleksei 27/93 Balagueró Jaume 17/92 Baricco Alessandro 5/95-96 Bechis Marco 28/94 Bekmambetov Timur 53/91, 7/95-96 Belmont Véra 32/93 Benedetti Pablo 58/93 Berg Peter 12/95-96 Betancourt Jeff 35/95-96 Bier Susanne 42/93 Bigelow Kathryn 45/95-96 Biglione Luca 19/93 Bilge Ceylan Nuri 11/94 Bodrov Sergei 60/92 Boll Uwe 47/94 Breathnach Paddy 24/94 Brogi Taviani Franco 35/91 Brooks Adam 28/93 Burton Tim 29/91 Buscemi Steve 24/93 T Tadpole 24/95-96 Taken 19/94 Ten) 10 Items or Less 42/92 Then She Found Me 41/93 There Will Be Blood 2/91 Things We Lost in the Fire 42/93 Thirty) 30 Days of Night 39/91 Tropa de elite 8/93 Twenty-one) 21 57/92 Twenty-seven) 27 Dressen 48/92 U Üç maymum Underdog Untraceable 2/91 27/92 57/93 43/94 45/94 14/93 11/94 23/93 27/94 C V Cahill Mike 61/92 Calabria Esmeralda 42/91 Calopresti Mimmo 40/94 Cameron Mitchell John 21/94 Cantet Laurent 2/95-96 Cappello Frank A. 36/91 Carney John 34/93 Cattaneo Peter 23/94 Celestini Ascanio 41/91 Chabrol Claude 14/91 Chadwick Justin 52/92 Charles Christian 31/93 Chiantini Stefano 53/93 Chomski Alejandro 55/93 Chu John 40/92 Clooney George 18/92 Coen Ethan 47/91, 20/94 Coen Joel 47/91, 20/94 Comencini Cristina 25/91 Connolly Kevin 44/93 Conte Lorenzo 48/91 Corradi Orlando 26/91 Corsicato Pappi 41/94 Vantage Point 51/91 Vicky Cristina Barcelona 37/95-96 W Walk Hard 23/92 Wall-E 26/95-96 Wanted 7/95-96 War 43/94 We Own the Night 15/94 What Happens in Vegas 26/93 Y You, Me and Cupree Youth Without Youth 34/94 49/91 Z Zona (La) 36/92 INDICE DEI REGISTI D A D’Ambrosio Andrea 42/91 D’Angelo Toni 37/92 Darabont Frank 39/95-96 Dardenne Jean-Pierre 2/94 Dardenne Luc 2/94 De Biasi Volfango 24/91 de Heer Rolf 57/95-96 Adamson Andrew 9/94 Affleck Ben 15/93 Aja Alexandre 34/95-96 Alberti Alessandra 12/92 Allen Woody 56/91, 37/95-96 Amoroso Carmine 4/93 33 de la Iglesia Álex Del Monte Peter del Toro Guillermo Di Gregorio Gianni Dominik Andrew Du Chau Frederik 50/92 13/92 28/95-96 13/94 22/91 23/93 E Eastwood Clint 41/95-96 F Farrelly Bobby 8/91 Farrelly Peter 8/91 Favreau Jon 54/92 Febbraro Diego 19/92 Fickman Andy 43/95-96 Flackett Jennifer 55/92 Fletcher Anne 48/92 Ford Coppola Francis 49/91 Forestier Frédéric 9/92 Forster Marc 6/92, 20/95-96 Franchi Paolo 45/93 Friedberg Jason 62/92 G Garrone Matteo 2/92 Genovese Paolo 3/93 George Terry 62/93 Giordana Marco Tullio 25/94 Gondry Michel 21/95-96 Gray James 15/94 Grimaldi Antonello 58/91 Guggenheim Davis 17/95-96 Gutierrez Sebastian 33/94 H Hamburger Cao Hayward Jimmy Hedges Peter Herzog Werner Hoblit Gregory Hofer Gustav Hopkins Anthony Hunt Helen 47/93 56/92 10/93 23/95-96 9/91, 27/94 22/93 49/92 41/93 I Imamura Takahiro 13/95-96 J Jacquet Luc 25/92 K Kaleman Michael Kalin Tom Kasdan Jake Kassovitz Mathieu Kechiche Abdellatif Khalfoun Franck King Michael Patrick 40/91 53/95-96 23/92 18/95-96 43/91 44/95-96 29/93 Film Klapisch Cédric Koltai Lajos Kumble Roger Kusturica Emir 15/95-96 43/92 40/95-96 34/93 L Labate Wilma Langenegger Marcel Langmann Thomas Lee Ang Lee Dennis Lee Jieho Lee Spike Leternier Louis Levin Mark Lizzani Carlo Lloyd Phyllida Longoni Angelo Lowell Jeff Lucini Luca Luketic Robert Lumet Sidney 13/91 44/94 9/92 20/91 9/95-96 25/95-96 4/95-96 30/95-96 55/92 24/92 33/95-96 46/93 8/92 11/92 57/92 46/92 M Mamet David Marazzi Alina Marchall Olivier Marshall Neil Martinelli Renzo Mazin Craig McNamara Sean Mereu Salvatore Meyers Dave Mikhalkov Nikita Miniero Luca Moccia Federico Mograbi Avi Moreau David Morel Pierre Mouret Emmanuel Muccino Silvio Mulcahy Russell Munzi Francesco 48/95-96 48/93 16/92 39/94 38/92 58/92 59/93 50/93 60/93 56/93 3/93 32/91 10/94 11/93 19/94 5/94 46/91 19/91 10/95-96 N Negri Anna Nero Louis Nichols Mike Nilsson Anders Nolan Christopher Nowlan Cherrie 36/93 49/93 4/91 16/93 6/94 15/92 O Ochiai Masayuki Oldoini Enrico Orlando Angelo Osborne Mark Ozpetek Ferzan 17/94 14/95-96 36/95-96 8/95-96 36/94 Tutti i film della stagione Palud Xavier 11/93 Papini Andrea 4/92 Paronnaud Vincent 27/91 Pasolini Umberto 34/94 Pau Enrico 26/92 Penn Sean 31/91 Piana Dario 47/95-96 Pitzianti Enrico 51/93 Plà Rodrigo 36/92 Plaza Paco 17/92 Poll Jon 40/93 Polley Sarah 10/92 Pontecorvo Marco 31/94 Puccioni Marco Simon 3/92 Tennant Andy Travis Pete V Valette Eric Valori Alessandro Vanzina Carlo 23/91, Vaughan Tom Verdone Carlo Verzillo Raffaele Virzì Paolo Padilha José 8/93 54/93 6/93 12/93 26/93 54/91 8/94 37/91 W R Wachowski Andy Wachowski Larry Waters Daniel Welland Paul Whedon Joss Winick Gary Ragazzi Luca 22/93 Ranieri Martinotti Francesco 44/ 92 Ratliff George 52/95-96 Ratner Brett 16/91 Redford Robert 17/91 Reiner Rob 6/91 Reitman Jason 35/92 Robbins Brian 16/94 Rubini Sergio 5/93 Ruggiero Giuseppe 42/91 Russo Anthony 35/94 Russo Joe 35/94 Ruzowitzky Stefan 52/91 29/92 29/92 7/93 18/93 30/94 24/95-96 INDICE DEGLI AUTORI B Barteri Veronica 5/91, 6/91, 14/ 91, 24/91, 25/91,27/91, 54/91, 12/92, 18/92, 63/92, 14/93, 21/ 93, 31/93, 41/93, 11/94, 25/94, 41/95-96 Bartoni Elena 36/91, 40/91, 41/ 91, 10/92, 13/92, 36/92, 48/92, 24/93, 42/93, 48/93, 53/92, 63/ 93, 4/94, 6/94, 8/94, 10/94, 18/ 94, 43/94, 15/95-96, 30/95-96, 43/95-96, 48/95-96 Bortolotti Riccardo 27/92 Braccini Loredana 26/92, 44/92, 26/93, 50/93, 51/93 S Salemme Vincenzo 51/95-96 Sánchez-Cabezudo Jorge 55/ 95-96 Satrapi Marjane 27/91 Schnabel Julian 34/91 Schnabel Marco 4/94 Scorsese Martin 39/93 Scott Ridley 11/91 Segal Peter 32/95-96 Seltzer Aaron 62/92 Serughetti Claudio 35/93 Sestieri Claudio 52/93 Shepard Richard 21/93 Shin Terra 12/94 Silberling Brad 42/92 Slade David 39/91 Smith Carter 38/93 Sokurov Aleksandr 54/95-96 Soldini Silvio 5/91 Sordella Davide 58/93 Sorrentino Paolo 2/93 Spielberg Steven 21/92 Stallone Sylvester 45/91 Stanton Andrew 26/95-96 Stevenson John 8/95-96 Strocchi Silvana 45/92 Strouse James C. 50/95-96 C Ceccarelli Gianluigi 4/92, 38/92, 50/92, 45/93, 60/93, 20/94, 28/ 94, 18/95-96, 51/95-96 Cecchini Chiara 26/91, 9/92, 25/ 92, 55/92, 18/92, 9/94, 16/94, 8/95-96, 13/95-96, 40/95-96, 53/95-96 D De Girolamo Marini Fabio 16/92, 26/95-96, 55/95-96 Di Giorgio Davide 19/91, 39/91, 29/92, 21/95-96, 28/95-96 E T P 63/93 51/91 Tamahori Lee Tartaglia Eduardo Emiliani Simone 11/91, 20/91, 29/ 91, 34/91, 56/91, 6/92, 8/93, 15/94, 40/94 63/92 20/93 34 G Granato Alessio 8/91 Grasselli Silvio 31/91, 37/91, 42/ 91, 43/91, 53/91, 2/92, 3/92, 37/92, 45/92, 35/93, 49/93, 57/ 93, 12/94, 15/94, 27/94, 34/94, 36/95-96 M Mandolini Elena 42/92, 43/92, 49/ 92, 23/93, 38/93, 40/93, 44/93, 47/93, 58/93, 19/94, 24/94, 31/ 94, 47/94, 14/95-96, 25/95-96, 35/95-96, 47/95-96, 50/95-96 Molinari Maria Luisa 48/91, 56/ 92, 62/92, 15/93, 22/93, 28/93, 44/94, 32/95-96 Mondella Diego 2/91, 16/91, 17/ 91, 49/91, 58/91, 35,92 Moresco Fabrizio 51/91, 16/92, 24/92, 52/92, 4/93, 11/93, 20/ 95-96, 34/95-96 P Paesano Alessandro 21/94, 30/ 94, 35/94, 36/94, 24/95-96 Petacco Danila 32/91, 46/92 Piano Francesca 5/91, 9/91, 13/ 91, 23/91, 35/91, 45/91, 8/92, 11/92, 15/92, 3/93, 7/93, 10/93, 12/93, 19/93, 20/93, 29/93, 32/ 93, 46/93, 55/93, 59/93, 62/93, 5/94, 7/95-96, 9/95-96, 12/9596, 17/95-96 Pinetti Manuela 19/92, 40/92, 27/ 93, 36/93, 41/94, 45/94, 5/9596, 10/95-96, 37/95-96, 45/9596, 54/95-96 Polidoro Ivan 22/91, 52/91, 23/ 92, 5/93, 6/93, 34/93, 52/93, 23/94 S Sammarco Valerio 46/91, 47/91, 17/92, 21/92, 54/92, 57/92, 60/ 92, 61/92, 34/93, 39/93, 56/93, 4/95-96, 39/95-96, 52/95-96 T Tagliabue Carlo 2/93 Tomassacci Giuliano 59/92, 54/ 93, 33/94, 39/94, 23/95-96, 44/ 95-96, 57/95-96 V Vergerio Flavio 2/94, 2/95-96 Vox Tiziana 33/95-96 Film Tutti i film della stagione DEFIANCE - I GIORNI DEL CORAGGIO (Defiance) Stati Uniti, 2008 Regia: Edward Zwick Produzione: Alex Boden, Pieter Jan Brugge, Edward Zwick per The Bedford Falls Company/Grosvenor Park Productions/ Pistachio Pictures Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto: dal libro Defiance: the Bielski Partisans di Nechama Tec Sceneggiatura: Clayton Frohman, Edward Zwick Direttore della fotografia: Eduardo Serra Montaggio: Steven Rosenblum Musiche: James Newton Howard Scenografia: Dan Weil Costumi: Jenny Beavan Produttori associati: Alisa Katz, Troy Putney Co-produttore: Roland Tec Direttori di produzione: Elena Zokas, Clive Miles, Vladas Lyndo Casting: Gail Stevens, Arturas Zukauskas Aiuti regista: Andrius Brazas, Agne Januskyte, Monika Sakalauskaite, Alex Kaye-Besley, Darin Rivetti, Laura Akstinaite, Emereta Balciunaite, Julius Gaizauskas, Mikey Eberle, Mark Layton, Carolyn Milner, Viktorija Ogureckaja, Monika Sakalauskaite Operatore: Klemens Becker Supervisore art direction: Daran Fulham Art director: Yann Biquand Arredatore: Veronique Melery 1 941: la Russia bianca, l’odierna Bielorussia, terra a ridosso della Polonia, è facile oggetto dell’oppressione nazista, particolarmente spietata nei confronti della comunità ebraica, grazie anche al collaborazionismo delle forze di sicurezza locali. Sono in pochi a opporsi a tutto questo e a dare una mano agli ebrei, nascondendoli, aiutandoli, favorendone la fuga, perché chi è scoperto è massacrato senza pietà. La famiglia Bielski è decimata, si salvano i quattro fratelli maschi, Tuvia, Zus, Asael e Aron prendendo la via della foresta, dove si rifugiano conoscendone benissimo ogni luogo: il quarto è poco più di un bambino e rimarrà traumatizzato per sempre dalle stragi della sua famiglia; Asael, pur giovanissimo, imparerà presto il sacrificio della lotta di resistenza, forgiandosi come uomo e come combattente; Tuvia e Zus, i più grandi, diventano subito i leader della loro comunità. La foresta, infatti, diviene luogo di rifugio per tutti gli ebrei dei borghi vicini dove infuria la decimazione nazista; tutti sono accolti e tutti si danno da fare rendendosi utili in base alle proprie occupazioni della vita civile; il massimo di rifugiati è toccato quando la popolazione del Trucco e acconciature: Trefor Proud Supervisore effetti speciali: Neil Corbould Supervisori effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), William Mesa Coordinatori effetti visivi: Andrea Goodson, Dan Smith (Flash Film Works) Supervisore costumi: Mark Ferguson Interpreti: Daniel Craig (Tuvia Bielski), Liev Schreiber (Zus Bielski), Jamie Bell (Asael Bielski), Alexa Davalos (Lilka Ticktin), George MacKay (Aron Bielski), Allan Corduner (Shamon Haretz), Mark Feuerstein (Isaac Malbin), Tomas Arana (Ben Zion Gulkowitz), Jodhi May (Tamara Skidelsky), Kate Fahy (Riva Reich), Iddo Goldberg (Yitzchak Shulman), Iben Hjejle (Bella), Martin Hancock (Peretz Shorshaty), Ravil Isyanov (Viktor Panchenko), Jacek Koman (Konstanty ‘Koscik’ Kozlowski), Jonjo O’Neill (Lazar), Sam Spruell (Arkady Lubczanski), Mia Wasikowska (Chaya Dziencielsky), Mark Margolis (Jewish Elder), Markus von Lingen (scout delle SS), Rolandas Boravskis (Gramov), Algirdas Dainavicius (Motl Lubczanski), Aurelija Prashuntaite (Rachel), Vidas Petkevicius (Avram Rubinski), Ina Frismanaite (figlia di Avram), Ana Goldberg (Lila), Rimante Valiukaite (Miriam), Leonardas Pobedonoscevas (Jacov), Kristina Bertasiute (donna dai capelli scuri), Kristina Skokova (donna dai capelli rossi), Aleksandr Zila (padre di Chaya), Iveta Nadzeikiene (madre di Chaya) Durata: 137’ Metri: 3450 ghetto è fatta fuggire in massa da Tuvia e Zus. Il gran numero di scampati, i problemi di approvvigionamento, le malattie, gli scontri con i nazisti fanno anche affiorare le diversità di idee e di conduzione tra i due fratelli, Tuvia più riflessivo e coscienzioso, Zus più irruento e propenso sempre a soluzioni più estreme e dure. Così i due si separano: Zus e pochi altri seguono l’armata rossa nel combattimento regolare con l’esercito tedesco, Tuvia, con non poche problematiche intorno alla sua figura di comandante, continua a essere la guida della comunità ebraica. I due fratelli si incontrano dopo anni di stenti e sacrifici e la morte di tanti compagni: la comunità è stata costretta ad abbandonare la foresta sotto l’attacco di aerei e truppe di terra; Tuvia riesce a condurre tutti in fuga con l’attraversamento di una palude che li separa dalla salvezza; Zus arriva provvidenzialmente a salvare gli scampati dall’ultimo attacco nazista. N on solo Olocausto quindi, non solo lo sterminio con le file di ebrei a subire l’orrore e il sacrificio di un popolo intero: una storia vera e mai raccontata ribalta l’opposizione ebrai35 ca al nazismo conferendole gli onori del combattimento a viso aperto, a cui, in quella particolare congiuntura storica e territoriale, parteciparono tutti, uomini e donne di ogni età che contemporaneamente non persero di vista i modi per restare esseri umani, quali il senso di civiltà, l’altruismo, l’amore. A un tema di così profondo e ampio respiro corrisponde un film che risulta in più punti non omogeneo e che sconta, probabilmente, i problemi storici e realizzativi che gli autori si sono trovati ad affrontare, restando a metà del guado: non un documentario, impersonale e spietato, non un trattamento hollywooddiano, ma un lavoro che, pur professionalmente e concettualmente onesto e che merita credito, deve tener conto di tutti e due gli aspetti; finisce così per mostrarsi ripetitivo e pesante in più parti, per di più legate da un approssimativo montaggio, che fanno toccare alla lunghezza del tutto una misura eccessiva. Il film resta comunque godibile in più di un’occasione, a cominciare dalla vita quotidiana di questa anomala comunità, talvolta persa dietro beghe personali pur di fronte al nemico incombente; notevole poi l’ambientazione nella foresta tipo She- Film rwood e i numerosi episodi di guerriglia nei quali gli attori grandi e piccoli si disegnano tutti un personale momento di gloria. In particolare, abbiamo apprezzato la differenza di caratterizzazione tra i due fratelli comandanti che, anche se a prez- Tutti i film della stagione zo di qualche stereotipo e alle prese con personaggi meno vicini alle loro corde abituali (soprattutto nel caso di Zus/ Schreiber) si sono messi al servizio della storia con grande disciplina attoriale; anzi, proprio qui Daniel Craig, sporco, malato e ferito, tocca quell’eleganza e una non poca finezza espressiva mai mostrate con lo smoking di 007. Davvero magia del cinema! Fabrizio Moresco KATYN (Katyn) Polonia, 2007 Regia: Andrzej Wajda Produzione: Michal Kwiecinski per Akson Studio/TVP S.A./Polski Instytut Sztuki Filmowej/Telekomunikacja Polska. Con il sostegno del Polski Film Institute Distribuzione: Movimento Film Prima: (Roma 13-2-2009; Milano 13-2-2009) Soggetto: basato sul libro Post Mortem di Andrzej Mularczyk Sceneggiatura: Andrzej Wajda, Przemyslaw Nowakowski, Wladyslaw Pasikowski Direttore della fotografia: Pawel Edelman Montaggio: Milenia Fiedler, Rafal Listopad Musiche: Krzysztof Penderecki Scenografia: Magdalena Dipont Costumi: Magdalena Biedrzycka Produttori esecutivi: Katarzyna Fukacz-Cebula, Michal Kwiecinski Co-produttori: Dominique Lesage, Dariusz Wieromiejczyk Direttori di produzione: Dagmara Bonczyk, Aleksandra Frosztega, Jerzy Mizak, Kamil Przelecki Casting: Ewa Brodzka Aiuto regista: Agnieszka Glinska Operatore: Jeremiasz Prokopowicz I n Katyn si raccontano le tante storie degli ufficiali polacchi, trucidati nell’omonima foresta del titolo dalla NKVD durante la Seconda guerra mondiale, e delle loro famiglie che, inconsapevoli di quanto accaduto, aspetteranno il ritorno dei propri mariti, padri, figli, fratelli. Protagoniste del film sono le donne in attesa: Anna, Róza, Agnieszka. Dopo l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista scoppia la Seconda guerra mondiale. Il 17 settembre 1939, grazie agli accordi inclusi nel Patto Ribbentrop-Molotov (firmato a Mosca il 23 agosto 1939, dal Ministro degli Esteri sovietico Vyacheslav Molotov e dal suo omologo tedesco Joachim von Ribbentrop), anche l’Armata Rossa - su ordine di Stalin - sconfina sul suolo polacco (attraverso il confine orientale). Gli ufficiali polacchi vengono fatti prigionieri dai Russi. Il film si apre con il tragico incontro dei civili polacchi in fuga: da una parte invasi dai russi e dall’altra dai tedeschi, un ponte segna il loro disperato incontro. Sostanzialmente, la popolazione abbandona le Operatore steadicam: Andrzej Glacel Art directors: Marek Kukawski, Ryszard Melliwa Arredamento: Wieslawa Chojkowska Trucco: Aneta Brzozowska, Alicja Kozlowska, Tomasz Matraszek, Waldemar Pokromski Suono: Jacek Hamela Supervisore effetti visivi: Jarek Sawko Interpreti: Maja Ostaszewska (Anna), Artur Zmijewski (Andrzej, marito di Anna), Andrzej Chyra (Jerzy, ufficiale suicida), Jan Englert (Generale), Danuta Stenka (Róza, moglie del Generale), Pawel Malaszynski (Piotr, il pilota), Magdalena Cielecka (Agnieszka, sorella del pilota), Agnieszka Glinska (Irena, direttrice dell’Università), Maja Komorowska (Maria, madre di Andrzej), Wladyslaw Kowalski (Jan, padre di Andrzej), Antoni Pawlicki (Tadeusz, nipote di Anna), Agnieszka Kawiorska (Ewa, figlia del Generale e Róza), Sergei Garmash (Maggiore Popov), Krzysztof Kolberger (Padre Jasinski), Wiktoria Gasiewska (Nika, figlia di Anna e Andrzej), Stanislawa Celinska (Stasia, cognata di Róza), Anna Radwan (Elzbieta, sorella di Anna), Joachim Paul Assböck (Mueller) Durata: 117’ Metri: 3310 proprie case e così anziani, bambini, intere famiglie si scambiano di posto e d’invasore, certi e speranzosi di andare incontro a un miglior destino. Tra loro, Anna, la giovane moglie di Andrzej, capitano dell’8° reggimento dell’esercito, con lei la figlia di cinque anni, Nika e il cane di casa. Anna è in fuga da Cracovia e sta cercando di raggiungere suo marito, catturato dai sovietici e prigioniero in una zona di confine insieme a migliaia di ufficiali. Proprio sul ponte, Anna incontra Róza, moglie del generale dell’8° reggimento, e sua figlia Ewa: stanno tornando a Cracovia, consapevoli che l’uomo non verrà rilasciato. Invano Róza tenterà di convincere l’amica a seguirla. Giunta nel luogo dov’è tenuto prigioniero, Anna vede suo marito e Jerzy, un suo subalterno: la donna cerca di convincere il marito a fuggire, a togliersi la divisa e a tornare a casa con lei, ma un ufficiale polacco non macchia in questo modo il proprio onore. Lui promette che le scriverà ogni giorno e che annoterà tutto in un taccuino. Un treno lo porta via. Dopo un breve periodo trascorso nel campo di Kozielsk (zona di occupazione 36 sovietica) in cui un ufficiale dell’Armata Rossa si innamora sinceramente di lei e le chiede di sposarlo per risparmiarla dalla deportazione, Anna a novembre torna a Cracovia, a casa dei genitori di Andrzej. Jan, il padre, è professore all’Università ed è stato convocato dalle SS insieme ad altri docenti; con l’inganno sono stati deportati tutti nei campi di concentramento. Nella grande casa, restano dunque tre donne sole, in paziente attesa del ritorno dei loro uomini: mariti, figlio e padre. Passano i mesi - siamo ad aprile del ’40 - eppure l’inverno, nella zona orientale, non sembra ancora finito e la sorte dei sedicimila ufficiali polacchi resta incerta. Andrzej tiene alto come può il morale dei suoi uomini, tra loro notiamo anche un giovanissimo pilota; in ogni momento libero scrive le sue giornate sul taccuino che ha sempre con sé, proprio come ha promesso ad Anna. La sua uniforme è ormai logora e il freddo lo fa ammalare continuamente; il suo amico Jerzy gli regala il suo maglione, ha un’etichetta con su scritto il proprio nome. Sempre più frequentemente i russi deportano gruppi di ufficiali, ma non si sa anco- Film ra dove. Andrzej, il pilota e il generale vengono caricati su un treno merci. L’unico a restare è Jerzy. Il 10 aprile 1940 gli ufficiali polacchi portati fino a Gniezdovo vengono trucidati freddamente uno per uno e gettati nelle fosse comuni scavate nella foresta di Katyn. A casa di Anna arriva un pacco dalla Germania e la notizia che Jan è morto nel campo di concentramento; per Andrzej, invece, si continua a sperare. I tre anni successivi trascorrono ancora all’insegna dell’incertezza sulla sorte degli ufficiali polacchi, finché il 13 aprile 1943 Radio Berlino annuncia il ritrovamento di tremila corpi in fosse comuni nella foresta di Katyn. L’identificazione delle vittime appare facile: i bolscevichi hanno lasciato sui corpi i documenti di identità, in altri casi si ricorre agli effetti personali dei soldati. Per le strade di Cracovia gli altoparlanti diffondono l’elenco degli ufficiali uccisi, poi pubblicati anche su tutti i quotidiani: la moglie del generale viene a sapere così della scomparsa del marito. Il nome di Andrzej non risulta in alcun elenco. Agnieszka, la sorella del giovane pilota che era con Andrzej, ha invece il cuore spezzato dal muro di silenzio e di omertà che circonda l’assassinio del fratello. Jerzy, amico del capitano, è l’unico sopravvissuto. La moglie del generale e sua figlia vengono convocate dal comando delle SS: riceveranno una medaglia al valore conferita al marito dallo stesso Hitler se testimonieranno che il massacro è avvenuto per mano dei sovietici. La vedova è costretta a guardare un filmato girato dai tedeschi, prova che la strage è opera dei sovietici, ma la donna non ci crede e rifiuta di confermare la loro versione. Nel filmato compare anche padre Jasinski, il sacerdote chiamato dall’esercito tedesco per celebrare il funerale della strage. Nel 1945 gli Alleati entrano in Polonia e l’esercito russo prende il controllo di tutto il paese. Jerzy è stato risparmiato perché ha accettato di confermare la falsa versione sovietica, che attribuisce la responsabilità del massacro ai tedeschi. Si è arruolato nell’Armata Rossa. Torna a Cracovia e va a fare visita ad Anna, Nika e la madre di Andrzej. Lo stupore delle tre donne, nel vederlo vivo, è enorme: il suo nome compariva nelle liste di Katyn. Jerzy racconta loro l’inganno del maglione ritrovato con il suo nome e le informa della morte di Andrzej, distruggendo per sempre le speranze della sua famiglia. Lascia le tre donne in preda al dolore e si rivolge a un professore che gestisce l‘archivio degli oggetti personali degli ufficiali uccisi a Katyn, lasciandogli l’indirizzo di Anna. Tutti i film della stagione Una sera, nella piazza principale di Cracovia, i sovietici proiettano un documentario di propaganda sulle fosse di Katyn, nel quale danno la colpa del massacro ai tedeschi. La moglie del generale riconosce il medesimo filmato visto al comando delle SS tempo prima; incontrandosi con Jerzy lo accusa di tradimento, e di essere responsabile della diffusione di una menzogna. In preda al rimorso, Jerzy si uccide, sparandosi alla nuca: la stessa terribile morte dei suoi compagni trucidati a Katyn. Padre Jasinski, l’officiante del filmato, convoca nella sua parrocchia Agnieszka, sorella del pilota ucciso a Katyn. La ragazza ha perso la fede e non entra in chiesa da anni. Il sacerdote le consegna una foto che la ritrae col fratello e con l’altra sorella: Agnieszka si reca immediatamente in un negozio di foto - gestito da Anna – per duplicare la fotografia per la sorella. Tadeusz, nipote di Anna, torna a Cracovia dopo quattro anni, vuole frequentare l’università. Nella scheda di iscrizione il ragazzo deve inserire le generalità del padre e non esita a scrivere che è morto a Katyn nel 1940, ucciso dai sovietici. La direttrice dell’università (in lei riconosciamo la donna della fotografia, sorella di Agnieszka e del pilota) lo invita a modificare i dati: il ragazzo deve scrivere come data il 1941, come prevede la versione sovietica. In caso contrario, la richiesta non verrà accolta. Il ragazzo si rifiuta e uscito in strada danneggia dei manifesti di propaganda sovietica, ma viene visto dai militari, inseguito e investito nella fuga da una jeep. Agnieszka ha deciso di far realizzare una lapide per il fratello. Per ottenere il 37 denaro necessario vende i suoi lunghi capelli biondi per farne una parrucca: i teatri ebraici hanno difficoltà a portare in scena ruoli femminili perché la maggior parte delle loro attrici è stata nei campi di concentramento. Agnieszka sulla lapide fa incidere come data della morte “Aprile 1940”, sua sorella è contraria. Nonostante sia iniziata la dittatura comunista – che governerà la Polonia per decenni – la giovane non cede e porta la lapide in parrocchia, ma al posto di padre Jasinski (portato via dai militari) trova un nuovo parroco, che le vieta di esporre quella lapide. Lei decide ugualmente di metterla in un cimitero pubblico e viene arrestata dai militari, mentre la lapide viene distrutta. Ad Anna viene recapitato un pacco con gli effetti del marito, erroneamente conservati fino a quel momento a nome di Jerzy. All’interno Anna trova anche il diario del marito in cui sono descritti gli ultimi giorni di prigionia. L’indomita battaglia per preservare la memoria e affermare la verità non può dirsi tuttora conclusa. «H o cercato di raccontare alle nuove generazioni la sofferenza di chi, come mia madre, ha vissuto senza certezze, anche dopo la riesumazione dei corpi: perché ancora oggi non sappiamo tutto». In questa breve dichiarazione di Andrzej Wajda, maestro del cinema polacco, c’è tutta la forza di un film meditato per anni, non teso – o, meglio, non soltanto – a narrare dell’uccisione, da parte dell’NKVD (la polizia politica di Stalin), di 15.000 soldati (dei quali circa 8.400 ufficiali) dell’esercito polacco nell’aprile-maggio del 1940. Perché la verità del fatto storico è ormai stata acquisita, dopo le iniziali e reciproche ac- Film cuse tra l’esercito russo e l’esercito tedesco sulla paternità della terribile strage. Le menzogne, spinte oltre ogni evidenza per troppo tempo, hanno lasciato alla Polonia una profonda cicatrice, tuttora ben visibile e dolente per chi ha vissuto di persona il momento storico, ma pericolosamente sul baratro dell’oblio per la nuova generazione, definita dallo stesso regista «cosciente ed entusiasta», ma anche «impegnata in questioni banali, in allontanamento dal passato». Realizzare questo film è stato, dunque, quasi un dovere. Eppure c’è dell’altro, oltre al brutale resoconto della strage avvenuta nella silenziosa foresta di Katyn: la riconduzione di una tragedia nazionale nell’intimità familiare, con un chiaro e sentitissimo omaggio alle donne. Gli ufficiali, i soldati e i loro carnefici – veri e presunti tali – sono quasi personaggi secondari; la storia – le storie – narrata nel film è declinata tutta al femminile: madri, sorelle, mogli e figlie sono le vere protagoniste, mostrate nella sofferenza quotidiana che deriva dall’incertezza sulla sorte dei propri cari, mentre si consumano misurandosi con un’attesa che Tutti i film della stagione si rivelerà – quasi – senza fine. Neanche la lista dei nomi dei caduti di Katyn darà certezze su morti e sopravvissuti. I poveri corpi, ammassati in fosse comuni, sono riconoscibili quasi esclusivamente dagli effetti personali – una fotografia, un documento, un rosario stretto tra le dita – dando luogo a fatali errori. Wajda, che nella strage di Katyn perse il padre, per anni sperò insieme alla madre in un ritorno dell’uomo, per un banale errore di trascrizione nella lista. Ciononostante, il regista è riuscito a non dare al film un taglio personale, separando l’ispirazione e il ricordo dalla materia filmica. Proprio come aveva già fatto, anni fa, Roman Polanski, raccontando in Il pianista le vicissitudini di un ebreo polacco sopravvissuto agli anni della guerra e alla persecuzione nazista. Un episodio realmente vissuto in gioventù dal grande regista, che però al cinema ha preferito raccontare “epurato” da ogni riferimento personale, per onestà intellettuale e minor rischio di pericolose devianze emotive. Ciò che conta, per Polanski come per Wajda, è tener fede all’implicito giuramento di fedeltà nei confronti della propria gente, per non permettere che nulla di quanto è accaduto sia dimenticato, e si continui a dare voce a chi non ne ha. Echi di tragedia greca (vedi i riferimenti ad Antigone, soprattutto nell’episodio di Agnieszka) si rincorrono tra una storia e l’altra, permettendo una volta di più l’universalizzazione di vicende private, intime. Agghiacciante, invece, il lungo momento finale, che mostra, senza alcun tipo di filtro, la macchina della morte sovietica. Ciò che era soltanto immaginato dallo spettatore, evocato dalle parole dei personaggi, si concretizza con immediata brutalità nella carne, nel sangue, negli occhi pieni di paura – o di cristiana speranza – degli ufficiali polacchi uccisi a sangue freddo, con un colpo di pistola alla nuca, dai soldati sovietici. Il lirismo non trova posto, e neanche l’odio, c’è solo spazio per l’orrore e, si spera, dopo la visione e a sangue freddo, per riflettere. Katyn ha partecipato Fuori Concorso alla 58° Berlinale, ed è stato nominato all’Oscar 2008 come Miglior Film Straniero. Manuela Pinetti DENTI (Teeth) Stati Uniti, 2007 Supervisori effetti visivi: Mark O. Forker (DIVE), Gary Walker Supervisore musiche: Beth Rosenblatt Supervisore costumi: Leeann Radeka Interpreti: Jess Weixler (Dawn O’Keefe), John Hensley (Brad), Josh Pais (dr. Godfrey), Hale Appleman (Tobey), Lenny von Dohlen (Bill), Vivienne Benesch (Kim), Ashley Springer (Ryan), Julia Garro (Gwen), Nicole Swahn (Melanie), Adam Wagner (Phil), Hunter Ulvog (Brad da piccolo), Ava Ryen Plumb (Dawn da piccola), Trent Moore (signor Vincent), Mike Yager (Elliot), Nathan Parsons (Soda Spritzer), Paul Galvan (ragazzo che insulta), Kasey Kitzmiller (ragazza che insulta), Taylor Sheppard (insegnante di educazione sessuale), Denia Ridley (insegnante di biologia), Kiri Weatherby (studente curioso), Michael Swanner (detective), Tom Byrne (chirurgo), Andra Millian (infermiera), Frank G. Curcio (medico legale), Lana Dieterich (infermiera alla reception), Doyle Carter (uomo anziano) Durata: 94’ Metri: 2410 Regia: Mitchell Lichtenstein Produzione: Mitchell Lichtenstein, Joyce M. Pierpoline per Teeth Distribuzione: Mediafilm Prima: (Roma 22-8-2008; Milano 22-8-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Mitchell Lichtenstein Direttore della fotografia: Wolfgang Held Montaggio: Joe Landauer Musiche: Robert Miller Scenografia: Paul Avery Costumi: Rita Ryack Produttore associato: Richard Lormand Direttore di produzione: Richard E. Chapla Jr. Casting: Kerry Barden, Billy Hopkins, Paul Schnee, Suzanne Smith Aiuti regista: Katie Tull, Cleta Elaine Ellington, Doug Carter Operatore: Ian Ellis Art director: Tom Cole Arredatore: Sally Nicholaou Hamilton Trucco e acconciature: Marlene D. Whiton, Meredith Johns B rad e Dawn sono fratello e sorella, ma non potrebbero essere più differenti: lui è insofferente nei onfronti della famiglia, ribelle nel carattere e nell’aspetto, lei invece è di modi gentili, impegnata in un’associazione religiosa che inneggia all’astinenza sessuale e veste in modo parecchio castigato, nonostante la sua avvenenza susciti l’attenzione di molti compagni di scuola. Un giorno, durante una riunione della sua associazione, Dawn conosce Tobey, anch’egli di modi gentili e convinto assertore dell’astinenza e fra i due nasce un sentimento che entrambi faticano a contenere, oscillando quindi fra il desiderio di vedersi e il timore di cedere alle ten38 tazioni della carne. A ogni modo, un giorno, durante una gita presso un fiume, i due finalmente superano ogni remora e soprattutto Tobey preme per andare fino in fondo (dimostrando quindi di essere tutt’altro che soddisfatto della propria astinenza), ma il tentativo ha un esito tragico: il ragazzo finisce infatti evirato dal corpo di Dawn! Film Sconvolta e spaventata dall’accaduto, la giovane deve quindi destreggiarsi fra il timore per il proprio corpo e i problemi familiari, con una madre gravemente malata e un fratello sempre più insofferente, che sembra addirittura dimostrare per lei un’attenzione morbosa. La vita nell’associazione religiosa, conseguentemente, inizia ad accusare delle crepe e i discorsi della ragazza, da convinta assertrice dell’astinenza, si fanno ora confusi, lasciano trasparire il disagio di una adolescente che non capisce quale sia la condotta più giusta. Il corpo di Tobey, morto nel fiume, viene intanto ritrovato dalle autorità, ma nulla può ricondurre a Dawn. La ragazza, intanto, decide di affrontare una visita ginecologica per comprendere i segreti del suo corpo, ma con suo grande orrore, quando il dottore tenta di esplorare le sue parti intime si ritrova con le dita mozzate! È la prova che dentro il corpo della ragazza si nasconde qualcosa di mostruoso e l’origine di tutto, attraverso una ricerca, viene ricondotta al mito della Vagina Dentata, che, sempre secondo quanto codificato dalla tradizione, dovrà essere “sconfitta” da un “eroe” destinato a fare ben presto capolino nella vita della sventurata toccata da questo flagello. E ben presto Dawn crede di aver trovato quell’eroe, si tratta di Phil, un suo compagno di scuola che con abilità e savoir faire riesce a superare le ritrosie della protagonista e a coinvolgerla in un gioco di seduzione che culmina finalmente in un rapporto sessuale sereno e appagante per entrambi. Per Dawn sembra che il peggio sia passato, ma quando Phil le rivela Tutti i film della stagione di averla sedotta per vincere una scommessa con le amici, il suo corpo reagisce evirandolo. A questo punto Dawn capisce che quanto credeva essere una maledizione è invece qualcosa che può controllare e usare come un dono e un potere. Intanto Brad e suo padre hanno un violento litigio, durante il quale il ragazzo gli rinfaccia di averlo privato della felicità: Dawn infatti non è sua sorella naturale, ma anzi è la bambina di cui Brad era innamorato sin da piccolo, diventata sua sorella quando il padre ne aveva spostato la madre. La visione del padre ferito suscita però in Dawn un proposito di vendetta, e perciò la ragazza sfrutta ancora una volta il suo potere per evirare il fratellastro. Dopodiché abbandona la casa paterna per esplorare il mondo, forte del dono che le permetterà di vincere sugli uomini che vorranno avere ragione di lei. G iunto in Italia sulla scorta degli entusiasmi raccolti al Sundance Film Festival, il film di Mitchell Lichtenstein evoca sin dal titolo paure ataviche (tipicamente maschili) che, congiuntamente alla dimensione produttiva indipendente, fanno pensare a una possibile opera exploitation, sulla stregua di lavori quali Killer Condom, distribuito dalla Troma Film. Invece, sorprendentemente, siamo di fronte a tutt’altro tipo di pellicola, diretta con un certo garbo e capace di alternare a momenti più squisitamente grafici, una ironia di fondo che non rinuncia mai a un sottotesto intelligente. In questo senso la regia tende a porre in essere un universo che sembra aver in- troiettato nelle sue forme l’idea della sessualità, attraverso cavità vaginali e stalattiti falliche che, nel loro insieme, evocano l’idea di un mondo dove il sesso, non contaminato da pensieri di astinenza o da ruoli codificati in maniera castrante, è parte naturale dell’essere. Questo è il quadro nel quale la vicenda di Dawn si inserisce e prospera, attraverso un percorso che vede la ragazza passare da morigerata seguace dell’astinenza (con evidenti intenti dissacratori da parte del regista) a donna consapevole della propria sessualità. Quello che la protagonista deve compiere è dunque un percorso che le permetta di prendere coscienza del proprio corpo e del potere che questo le conferisce sul prossimo, imparando il piacere del sesso come momento appagante per sé, in contrasto con la brutalità di un maschilismo che vede la donna come mero strumento di piacere per le proprie voglie particolari. Ecco dunque che la presa di coscienza di Dawn si rivela in perfetta opposizione a una realtà dove ogni forma di convivenza sociale denuncia il suo fallimento: amore filiale, amore fraterno o primo amore di coppia ne escono con le ossa rotte, e mostrano soltanto la fragilità dell’agire umano mentre l’unica eroina è la ragazza che ha imparato a gestire il proprio dono e a contestualizzarlo nel mondo: la prospettiva diventa pertanto femminile e solo nell’ultima parte emerge un tono sopra le righe che sembra pagare dazio al genere e ai suoi fruitori, senza inficiare peraltro la buona resa generale dell’insieme. Davide Di Giorgio QUELLESTATE FELICE Italia, 2007 Regia: Beppe Cino Produzione: Mariano Arditi per M. Cinematografica Distribuzione: M. Cinematografica Prima: (Roma 20-2-2009; Milano 20-2-2009) Soggetto: liberamente tratto dal romanzo Argo il cieco di Gesualdo Bufalino Sceneggiatura: Beppe Cino Direttore della fotografia: Antonello Emidi, Alessandro Ojetti Montaggio: Roberto Siciliano Musiche: Fabrizio Siciliano Scenografia: Nello Giorgetti Costumi: Eloisa Cino Suono: Remo Ugolinelli, Alessandro Bianchi Interpreti: Olivia Magnani (Maria Venera), Dario Costa (An- gelo Amato), Djoko Rossich (Don Alvise Salibba), Giovanni Argante (professor Iaccarino), Sergio Friscia (professor Licausi), Aldo Puglisi (ragioniere Ficicchia), Sara Emmolo (Amalia), Pierluigi Misani (Don Nitto Barreca), Alessandro Schiavo (Sasà Trubia), Giuseppe Moschella (Liborio Galfo), Valentina Graziano (Isolina), Elena Presti (Cecilia), Barbara Capucci (Teresa Virgadauro), Costantino Carrozza (Onorevole Scillieri), Danilo Badalamenti (John Silver), Rosario Guerrieri (Noè), Nuzio Firrincieli (Angelo Amato), Angelo Zaffarana (Ciccio Patò), Maxime Motte (Michel), Barbara Graziosi (Juana), Daniela Ragonese (bidella), Assia Douglas Scotti (Esterina), Massimiliano Costantino (cantante) Durata: 113’ Metri: 3050 39 Film S icilia anni ’50. Angelo Amato, professore di un liceo locale, è innamorato della bella Maria Venera. Vive, presso la pensione della procace Amalia, con i colleghi Iaccarino e Licausi, invaghito dell’alunna Isolina. Una sera, il nobile Don Alvise, chiede il loro aiuto per scovare la nipote Maria Venera, fuggita con il ballerino Liborio. Li trovano in un albergo, seminudi, dal quale Liborio riesce a fuggire. Il giorno dopo lo scandalo è già scoppiato. Angelo inizia a ricevere lettere d’amore anonime, che ritiene siano uno scherzo del collega Iaccarino. Don Alvise, chiede ad Angelo di diventare il precettore di Maria Venera, per poterle così far conseguire il diploma magistrale: accetta e subito le confessa di amarla. La ragazza, rifiutandolo, gli chiede di consegnare una lettera al cugino Sasà. A sua volta, dopo aver ricevuto la lettera, Sasà chiede ad Angelo di portare un assegno a Don Nitto, boss locale, con un intento non chiaro. Don Nitto, accetta in cambio di un altro favore: che il professore scriva i discorsi per far rieleggere un onorevole del luogo. Maria Venera, rivela ad Angelo che è rimasta incinta del cugino Sasà, il quale non vuole né lei né il figlio in arrivo; la scappatella con Liborio, serviva a dare un padre legittimo al nascituro e dissipare malignità sull’omosessualità del ballerino. Decisa ad abortire in clandestinità, si fa accompagnare dall’amico a Catania, da dove la donna riporterà via le bende macchiate del suo sangue. Maria Venera, continua a rifiutarlo più e più volte, nonostante Angelo le chieda di sposarlo. Angelo continua a ricevere lettere d’amore; secondo Amalia sono di Isolina, che lo fissa dalla finestra attigua, ma lui continua ad essere dubbioso. Alla festa annuale di Don Nitto, giunge quasi tutto il paese. Angelo prova a chiedere aiuto a Sasà per conquistare Maria Venera: gli consiglia di lasciarla perdere e chiede di far nuovamente da intermediario con Don Nitto sempre per un assegno. Giungono Don Alvise e la nipote, che approfittando di una distrazione del nonno, si vendica del cugino: lo umilia dicendo che si sposerà con una ricca donna (presente alla serata) solo per sanare i suoi debiti di gioco, poi gli getta addosso le bende che aveva conservato dall’aborto. Angelo, cerca di farla calmare e continua a chiederle di sposarla inutilmente. Deluso, il ragazzo ritorna alla festa dove Don Alvise è colto da malore e muore. Angelo trova Maria Venera in procinto di sedurre un ospite del cugino, aiuto regista di Jean Renoir. È passato del tempo. Isolina, ormai diplomata, si è sposata con Licausi. Durante il ricevi- Tutti i film della stagione mento di nozze, gli confessa di essere lei l’autrice delle lettere d’amore. Maria Venera ha seguito l’aiuto regista in Francia, dove probabilmente diventerà attrice. Angelo è ancora innamorato di lei. Passano diversi anni. Angelo è ormai anziano. Passa di fronte la chiesa dove si è sposata Isolina. Ricorda quel giorno e i suoi amici di gioventù salutandoli con la mano. U n film dignitoso che meriterebbe maggiore attenzione. I pochi difetti di sceneggiatura, riscontrati in alcuni momenti di confusione o di scene che potevano essere omesse, sono comunque surclassati da una regia senza sbavature. Ottimi i costumi e le scenografie dell’epoca, così come anche il cast perfettamente scelto. In primis Olivia Magnani, nipote della grande Anna, fra l’altro citata implicitamente grazie al film La carrozza d’oro di Renoir, dove era stata magistrale protagonista. Bravi anche Dario Costa (Angelo) e Giovanni Argante, nei panni del collega filosofo Iaccarino. Beppe Cino, che nasce come documentarista e assistente di registi come Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, comincia a raccontare questa storia come fosse una commedia di macchiette (come i proprietari dell’albergo dove viene trovata Maria Venera), per poi sfociare nel dramma e nella nostalgia dei ricordi di gioventù. Girato nella Modica dei primi anni Cinquanta, il film ne ha il sapore anche nella regia che ricorda a tratti lo stile dell’epoca, ripercorrendo lo spaccato di quella che era la Sicilia di un tempo: dalle sue usanze, alla sua filosofia, alla condizione femminile. Come un flash ci viene raccontata la vita di pescatori che lavorano di notte e preparano il banco del pesce, donne che cucinano arancini e pizza per le feste, ragazze costrette a salvare il proprio onore aiutate dagli uomini della famiglia. Tutto quello che Maria Venera compie si potrebbe collocare in una sorta di emancipazione: dalla libertà sessuale al trasferirsi in un altro continente. Bellissima, quanto forte, la scena dell’aborto clandestino, seguita dalla donna che accarezza la borsa, dove ha messo le bende insanguinate, come se fosse il grembo materno. L’intero pensiero può essere raccolto nel monologo finale di Iaccarino, dove racconta la vera natura dei siciliani: non ci sono vie di mezzo; onore o disonore, sgualdrine o sante. Questa estate felice, che in realtà molto felice per Angelo non si rivela, è il tempo dei ricordi di gioventù. Nostalgia ben rimarcata nel finale, dove l’ormai anziano Angelo, vede nelle piazze della città, non più serate di ballo liscio e canzoni popolari, ma band di rock’n roll che suonano a tutto volume. Un finale commovente, anche per chi è ancora giovane e non ha tutti i ricordi di una vita da assaporare con malinconia. Tratto dal romanzo di Gesualdo Bufalino “Argo il cieco”. Elena Mandolini DUE PARTITE Italia, 2008 Regia: Enzo Monteleone Produzione: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi per Cattleya/Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 6-3-2009; Milano 6-3-2009) Soggetto: dalla commedia teatrale omonima di Cristina Comencini Sceneggiatura: Enzo Monteleone, Cristina Comencini Direttore della fotografia: Daniele Nannuzzi Montaggio: Cecilia Zanuso Musiche: Giuliano Taviani Scenografia: Paola Comencini Costumi: Marina Roberti Direttore di produzione: Raffaella Ridolfi Produttori esecutivi: Bruno Ridolfi, Matteo De Laurentiis (Cattleya) Produttore delegato: Gina Gardini Aiuto regista: Matteo Albano Suono: Andrea Giorgio Moser Interpreti: Margherita Buy (Gabriella), Isabella Ferrari (Beatrice), Marina Massironi (Claudia), Paola Cortellesi (Sofia), Carolina Crescentini (Sara), Valeria Milillo (Cecilia), Claudia Pandolfi (Rossana), Alba Rohrwacher (Giulia) Durata: 94’ Metri: 2360 40 Film Tutti i film della stagione A nni Sessanta. Claudia, Gabriella e Sofia sono a casa della loro amica Beatrice come ogni giovedì a giocare a carte, mentre nella stanza accanto le loro figlie ritagliano le foto di Grace di Monaco e giocano alle “signore”. Durante la partita le donne si confessano frustrazioni e sogni. Claudia è completamente presa dal suo ruolo di madre tanto da perdonare le numerose scappatelle del marito, Gabriella rimpiange la sua carriera da pianista che ha abbandonato per accudire la figlia, Sofia tradisce un compagno che non ama e spera un futuro di emancipazione per le donne e Beatrice, la padrona di casa, aspetta ansiosa il suo primo bambino guardando alla vita in maniera estremamente romantica. Trent’anni dopo le loro figlie Sara, Cecilia, Rossana e Giulia si ritrovano in quella stessa casa per la morte di Beatrice e insieme discutono di quanto sia difficile essere donne, professioniste e mamme negli anni Novanta. C apelli cotonati, smalto rosa shocking e la continua speranza di una “carta giusta”. Mentre dalle finestre echeggia il suono di un giradischi che racconta di un uomo perfetto che sa “dire parole d’amor”. Inizia così la pellicola, tratta dall’omonima pièce teatrale di Cristina Commencini, Due Partite. A differenza dell’opera originaria, per il grande schermo la regia è stata affidata a un uomo, Enzo Monteleone, che è riuscito nella difficile impresa di non insinuarsi troppo, di non dare un taglio “maschile” alla commedia. Il palco è tutto delle donne! E Monteleone lo sa bene, preferendo una regia asciutta e quasi teatrale rispetto a una più “virtuosistica”, ma forse, penalizzante per le emozioni delle protagoniste. Perché la pellicola vuole solo raccontare questo: il vissuto, la normalità e le speranze di due generazioni di donne a confronto, ponendo silenziosamente la domanda “Sono più felici ora le donne?”. Rispondere non è facile. I due spaccati che ci vengono proposti mostrano, da un lato, donne castrate nel ruolo di “angelo del focolare” alla continua ricerca di una realizzazione impossibile, dall’altro, invece donne dall’identità costruita, ricercata, però vacillante. Se, infatti, Gabriella, Claudia, Sofia e l’ingenua Beatrice negli anni Sessanta combattono, ciascuna con la sua arma, contro un sistema che non le permette di parlare che di abnegazione, sacrificio e prole, trent’anni dopo le loro figlie Sara, Cecilia, Giulia e Rossana ripetono la scena con pro- blemi diametralmente opposti, ma allo stesso tempo uguali. Uguali perché per una sorta di contrappasso dantesco loro sono riuscite a ottenere ciò che difettava nella vita delle loro mamme. Eppure non sono felici. Che l’insoddisfazione sia donna? No, non è così e neanche la pellicola suggerisce questo, piuttosto è la voglia, tutta femminile, di essere “interezza” e di esserlo “bene” che spinge le protagoniste a non accontentarsi di una parziale realizzazione della propria immagine. Questa “interezza”, inoltre, è resa molto bene dalle otto attrici protagoniste (Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Valeria Milillo, Claudia Pandolfi, Alba Rohrwacher) che, pur muovendosi sulle traballanti assi teatrali, riescono a dare genuinità ad un racconto, o meglio, a una chiacchierata di per sé godibilissima, impreziosita dai versi di Rilke. Francesca Piano LA SICILIANA RIBELLE Italia/Francia, 2008 Regia: Marco Amenta Produzione: Simonetta Amenta, Tilde Corsi, Gianni Romoli, Raphael Berdugo, Marco Amenta per R&C Produzioni/Eurofilm/Roissy Films in collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 27-2-2009; Milano 27-2-2009) Soggetto: Marco Amenta Sceneggiatura: Marco Amenta, Sergio Donati Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Mirco Garrone Musiche: Pasquale Catalano I Scenografia: Marcello Di Carlo Costumi: Cristina Francioni Organizzazione generale: Alessandro Mattei Casting: Pino Pellegrino, Chiara Agnello Aiuto regista: Davide Bertoni Suono: Mario Iaquone Interpreti: Veronica D’Agostino (Rita Mancuso), Gérard Jugnot (procuratore antimafia), Marcello Mazzarella (Don Vito Mancuso), Lucia Sardo (Rosa Mancuso), Paolo Briguglia (maresciallo Bruni), Primo Reggiani (Lorenzo), Francesco Casisa (Vito), Carmelo Galati (Carmelo Mancuso), Mario Pupella (Don Salvo Rimi), Miriana Fajia (Rita da bambina), Lorenzo Rosone (Vito da Bambino), Lollo Franco (Maresciallo Campisi) Durata: 110’ Metri: 3160 41 Film A nni 80: in un paesino della provincia siciliana la piccola Rita Mancuso assiste all’omicidio del padre, uno dei capi delle cosche mafiose del territorio; pochi anni dopo è il suo amatissimo fratello maggiore a cadere sotto il piombo dei sicari. A organizzare i delitti è stato proprio lo zio, don Salvo, deciso a gestire tutto il traffico di droga che transita per la Sicilia e quindi pronto a eliminare qualsiasi concorrente o testimone che possa compromettere la sua salita al potere. Per Rita, ora diciassettenne, la misura è colma: nonostante le perplessità di Vito, il suo fidanzato di sempre fin da quando erano bambini e ora alle dipendenze di don Salvo, lei si rivolge al Procuratore antimafia e comincia a raccontargli quello che sa, con lo scopo di vendicare l’uccisione dei suoi familiari. Sono effettuati i primi arresti, il traffico di droga subisce degli intoppi, è chiaro che qualcuno sta parlando; altrettanto facile capire che si tratta di Rita; così lei fugge con l’aiuto del Procuratore che la mette in salvo con un elicottero dei Carabinieri. Non si tratta ormai più di vendetta ma di giustizia. Il Procuratore, deciso a utilizzare Rita per istruire un processo che dia alla mafia un colpo mortale, riesce a farsi strada nel cuore della ragazza conquistandone completamente la fiducia. Rita diviene collaboratrice di giustizia, è trasferita a Roma in un appartamento sicuro; dovrà dimenticare la propria identità e collaborare con il Procuratore per la preparazione del processo. Così avviene: Rita è un torrente di rivelazioni, provate e suffragate dai diari che lei ha scritto per anni; a decine sono le persone arrestate; il processo più importante di tutta la lotta alla mafia sta per realizzarsi anche se i problemi e gli ostacoli sono enormi, a cominciare dall’assassinio del Maresciallo Bruni, vicino a Rita fin dall’inizio della vicenda, senza contare le minacce di morte sempre più pressanti giunte al Procuratore. Il processo ha inizio ma si interrompe presto perché Rita sembra non reggere le deposizioni preparate ad arte per diffamarla e la pressione degli avvocati dei mafiosi; la ragazza riesce però a riprendere la consapevolezza della sua missione proprio dopo un incontro con la madre che la insulta disconoscendone il valore. Con il sostegno del Procuratore Rita ricomincia a testimoniare in un processo che diventa così esemplare. La tragedia è però in agguato: il Procuratore e la sua scorta sono distrutti dal tritolo, Rita è sconvolta e viene messa in salvo in un altro appartamento più sicuro ; lì riceve Vito che le prospetta la possibilità di un rientro in Sicilia e di un matrimonio pacificatore nel caso lei ritrattasse al processo. Rita comprende che non ci può essere salvezza da tutto questo e che per lasciare Tutti i film della stagione integra la sua testimonianza già espressa in tribunale e chiudere il dolore per la morte del giudice deve farla finita: si uccide lanciandosi dal terrazzo. È un film civile di grande impegno morale e di un valore umano e sociale assoluto e si pone nella linea espressa dal nostro cinema quando era capace di mostrarci la realtà più difficile e dolorosa del nostro Paese, senza dimenticare le esigenze spettacolari di una storia raccontata per immagini. Marco Amenta, ora regista, viene dal documentario, dal fotogiornalismo e dal suo passato professionale e non solo, parte per darci questa storia universale ispirata ad avvenimenti veri, quelli che portarono alla presa di coscienza della collaboratrice di giustizia Rita Atria, del suo rapporto con il giudice Borsellino e della nota fine di entrambi. Il lavoro che ne risulta non è una biografia, né una storia di mafia (finalmente siamo lontani dai mafiosi “buoni, simpatici, e giustizieri”), ma la rappresentazione di ciò che è possibile fare, pur nell’orrore, nell’indifferenza e nell’omertà ambientale, se si vuole realizzare il proprio forte senso di giustizia e se si aspira a vivere in un equilibrio sociale migliore: i processi possono essere istruiti e condotti a termine, la mafia può essere battuta. Al servizio di tutto questo, Amenta mette un modo di raccon- tare scarno e sontuoso insieme: da un lato toglie ogni belletto al mare, alle pianure, agli ambienti esterni, tutti uniformati a una grigia, inattaccabile aridità; dall’altro “paga” il tributo allo spettacolo nell’approfondire una cromatura più densa in occasione delle scene della processione, degli inseguimenti, delle raffiche, degli omicidi. Gérard Jugnot, attore francese sconosciuto in Italia, si fa forte proprio di questo (come lui stesso ha dichiarato nelle interviste) per delineare la figura del Procuratore, lontano da stereotipi e da somiglianze forzate che potevano distrarre e che appare così solida della sua forza di eroe borghese che serve lo Stato, responsabile, determinato, incrollabile. La scelta di Veronica D’Agostino per la ragazza ribelle è stata molto coraggiosa: la sua rivolta contro il fatalismo preconcetto e la gestione accidiosa, mafiosa dell’ambiente è un vulcano di passione e testardaggine antica; la sua irruenza senza mezze misure fa piazza pulita di ogni possibile sosta, di ogni intimo smarrimento; certo, la scelta sarà stata registica ma fare un personaggio così “più realista del re” ci trova d’accordo fino a un certo punto; aspettiamo di apprezzarla ancora in situazioni di più consapevole “recita”. Fabrizio Moresco QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE Italia, 2009 Regia: Riccardo Donna Produzione: Matteo Levi, Giannandrea Pecorelli per 11 Marzo Film/Aurora Film/Medusa Film con la collaborazione di Sky e il sostegno di Film Commission TorinoPiemonte Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 11-2-2009; Milano 11-2-2009) Soggetto e sceneggiatura: Claudio Baglioni, Ivan Cotroneo Direttore della fotografia: Federico Schlatter Montaggio: Fabrizio Rossetti Musiche: Claudio Baglioni Scenografia e arredamento: Alessandra Panconi, Leonardo Conte Costumi: Maria Luisa Montalto Direttore di produzione: Tomaso Tyler Casting: Francesco Vedovati, Claudia Marotti Operatore: Bruno Di Virgilio Supervisore effetti visivi: Stefano Marinoni Suono: Alessandro Rolla Coreografie: Luca Tommasini Interpreti: Emanuele Bosi (Andrea), Mary Petruolo (Giulia), Daniela Giordano (Anna), Mariella Valentini (Vittoria), Federico Galante (Leo), Claudio Cotugno (Vincio), Valentino Campitelli (Secco), Giulia Amato (Irene), Veronica Corsi (Cinzia), Matteo Urzia (Nico), Stefano Masciolini (Marco), Veronica Bruni (professoressa Greco), Giancarlo Previati (Sergio), Piero Cardano (Sasà), Andrea Gherpelli (Lubrano), Antonio Gerardi (Reggiani), Ivano Marescotti (prete), Federico Costantini (ragazzo finale) Durata: 110’ Metri: 3210 42 Film Q oma, settembre 1971. A Piazza del Popolo i giovani manifestano per un mondo migliore, ma alla carica della polizia i ragazzi si disperdono. Andrea, studente diciannovenne al primo anno di architettura, si rifugia in un bar dove conosce Giulia. E’ il colpo di fulmine. Tornato a casa, nella zona periferica di Centocelle, il giovane racconta agli amici di essere stato stregato da una splendida ragazza. Anche Giulia parla di Andrea con la sua amica del cuore Irene. Andrea si presenta davanti al liceo della ragazza e i due vanno a fare una passeggiata in un parco. Il giovane la invita a una festa, ma la ragazza non gli dà una risposta. A sorpresa, Giulia si presenta alla festa insieme a Irene. Dopo poco, l’amica trascina via Giulia convinta che quell’ambiente sia troppo distante dal loro mondo della Roma borghese. Anche gli amici di Andrea cercano di convincere il giovane che Giulia è troppo diversa da lui. Ma l’attrazione è troppo forte e, durante una passeggiata sulle rive del Tevere, i due si baciano. Una sera, Andrea dice a Giulia che preferisce stare a casa a studiare ma poi viene convinto dagli amici a uscire. Intanto Giulia decide di fargli una sorpresa presentandosi a casa sua con una torta: ferita e delusa, la ragazza gli scrive addio sul muro sotto casa. Andrea non si dà pace e chiede al suo migliore amico di aiutarlo. Qualche giorno dopo, il giovane si presenta a scuola di Giulia con una macchina con la scritta “Vieni via con me”: al settimo cielo, la ragazza scappa da scuola. I due vanno al mare: dopo un temporale improvviso, si rifugiano in una cabina e fanno l’amore. Sempre più innamorati, i due sognano un lungo futuro insieme. Ma il giovane trascura gli studi e immancabile arriva la cartolina di convocazione al servizio militare. Andrea parte per Saluzzo, mentre Giulia gli promette che lo aspetterà, forte del suo immenso amore. Col morale a terra, il giovane si sfoga dipingendo nella caserma un affresco dedicato alla sua ragazza rimediando una punizione che gli nega la prima licenza. Giulia gli fa una sorpresa raggiungendolo a Saluzzo. La ragazza lo attende per tutta una notte in una pensione, ma Andrea non ottiene il permesso di uscire dalla caserma. All’alba, Giulia riparte per Roma. Dopo qualche giorno Andrea viene sospeso di nuovo e non ottiene ancora la licenza. Giulia, triste e delusa, viene convinta da Irene a uscire con alcuni amici tra cui c’è anche il suo ex, Marco. Intanto Andrea riesce a partire per Roma sostituen- Tutti i film della stagione dosi all’amico commilitone Sasà. Quella domenica mattina, al mercato di Porta Portese, Andrea vede Giulia a spasso per le bancarelle sorridente accanto a Marco. Distrutto, il giovane riparte immediatamente. Intanto Giulia dice a Marco che tra loro può esserci solo amicizia. Alla stazione di Saluzzo, Sasà trova Andrea che passeggia di notte, disperato, tra i binari. Al telefono Andrea dice alla ragazza che non ce la fa a continuare così e che è meglio chiudere. Passano diversi mesi, Giulia passa brillantemente l’esame di fine anno e Andrea torna a Roma. I due si rivedono nel luogo del loro primo bacio e si chiedono perché non ce l’hanno fatta, Andrea pensa con amarezza che forse tra loro doveva davvero finire. Giulia sta per partire per una vacanza, promette a Andrea di chiamarlo anche se entrambi sanno che non lo farà. I due si salutano sorridendo. Della loro bella storia resteranno indelebili i ricordi. I l primo amore. Quello forte, quello emozionante, quello che fa sognare. Quello che capita una volta, una sola volta, e la certezza è una sola, non tornerà mai più. Tra “magliette fine” e “baci a labbra salate”, assaliti dalla “paura e la voglia di essere nudi”, in giro tra “piazza del Popolo” e “Porta Portese”, i due protagonisti si muovono, ridono, piangono, amano, al suono delle canzoni di Claudio Baglioni e del suo album del 1972 “Questo piccolo grande amore”, vera testimonianza autobiografica di una stagione della vita del cantautore romano. Nel film le canzoni entrano infatti con la valenza di un vero “io narrante”, di una vera e propria voce fuori campo del protagonista sottolineandone di continuo gli stati d’animo. Il film rappresenta un genere a sé nel panorama italiano: non è un “musicarello” inteso in senso stretto (anche se in molti lo hanno letto così, come una versione aggiornata dei vari “filmettini” di Ettore Maria Fizzarotti con Gianni Morandi in divisa intento a cantare successi come In ginocchio da te e Non son degno di te alla sua Laura Efrikian) e neanche un musical vero e proprio (con i protagonisti “canterini”), ma un film che usa la musica e le parole di Baglioni come voce narrante per le immagini, mantenendosi fedele al soggetto sviluppato dal cantautore nel suo album del quale viene rispettato l’intero percorso narrativo. L’amore e il sogno. L’amore che sboccia improvviso (“E lungo il Tevere che an- 43 dava lento lento noi ci perdemmo dentro il rosso del tramonto”) e il sogno di un mondo migliore, dove ci sono solo prati verdi e cieli azzurri, dove ci sono città in cui tutti possano vivere bene (è questo che sogna di progettare il nostro studente di architettura) e dove è bello fuggire al mare a bordo di una mitica “Due cavalli” tutta dipinta a colori. Di questo amore, troppo acerbo, resta il ricordo di una scritta sul muro nella struggente scena dell’addio finale. Il tempo cancellerà le scritte sui muri ma non certo la memoria di quei primi e irripetibili forti battiti del cuore. Romantico quanto basta per giustificare l’uscita nelle sale nel week-end di San Valentino e a tratti davvero struggente, il film coglie nel segno, se si guardano le intenzioni del regista Riccardo Donna (una lunga carriera nella fiction televisiva) e dei produttori Matteo Levi (ideatore del progetto) e Giannandrea Pecorelli (già produttore del successone Notte prima degli esami), coadiuvati dalla coppia di sceneggiatori Claudio Baglioni e Ivan Cotroneo. Non è un film “generazionale”, anzi forse è un’opera transgenerazionale come lo è l’amore, un amore che vola leggiadro sulle sue ali, come solo l’amore a vent’anni può fare. E poi è da lodare la scelta di evitare lo scontato “happy end” da favoletta optando per quel finale malinconico e tristemente vero. È vero, si tratta dell’ennesima pellicola sentimental-adolescenziale di questi anni e come altre infarcita di banali battute sul’amore e interpretata da visi forse troppo belli e puliti, ma alla fine dei conti, quel sapore amarognolo e malinconico delle cose perdute può non dispiacere se quello che si cerca è levità e evasione. D’altronde, l’essenza stessa dell’amore non sta nella sua semplicità? Sarà per il sapore ingenuo di questi baci a labbra salate, sarà per i pantaloni a zampa e le due cavalli dipinte a colori, sarà per il sapore perduto di una “gassosa” consumata in un bar e pagata poche vecchie lire, o per il sorriso malinconico che ci ha strappato vedere la lunga fila per un telefono a gettoni, ma sicuramente ci ha comunicato di più l’interminabile bacio romantico sul Lungotevere con l’accompagnamento sognante di coppie che danzano leggiadre sul Ponte degli Angeli piuttosto che il bacio suggellato da un lucchetto a Ponte Milvio. Insomma meglio questo “come eravamo” dei tanti “come siamo”. E nella sfida tra acronimi, QPGA batte 3MSC & Co. due a zero. Palla al centro. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione IL GIARDINO DEI LIMONI (Etz Limon) Germania/Francia/Israele, 2008 Direttori di produzione: Ayelet Imberman, Uzi Karin, Ghad Haijut Casting: Yael Aviv Aiuto regista: Michael Engel Suono: As Milo Effetti speciali: Sassi Franco Interpreti: Hiam Abbass (Salma Zidane), Doron Tavory (Ministro della difesa israeliano Navon), Ali Suliman (Ziad Daud), Rona Lipaz-Michael (Mira Navon), Tarik Kopty (Abu Hussam), Amos Lavi (comandante Jacob), Amnon Wolf (Leibowitz), Smadar Jaaron (Tamar Gera), Hili Yalon (Sigi Navon), Danny Leshman (soldato Quickie), Linon Banares (Gilad), Jamil Khoury (genero), Makram Khoury (Abu Kamal), Yair Lapid (se stesso, presentatore tv), Loai Nofi (Nasser Zidane), Ayelet Robinson (Shelly), Michael Warshaviak (avvocato) Durata: 106’ Metri: 2790 Regia: Eran Riklis Produzione: Eran Riklis per Eran Riklis Productions in coproduzione con Heimatfilm/MACT Productions/Riva Filmproduktion Distribuzione: Teodora Film Prima: (Roma 12-12-2008; Milano 12-12-2008) Soggetto e sceneggiatura: Suha Arraf, Eran Riklis Direttore della fotografia: Rainer Klausmann Montaggio: Tova Asher Musiche: Habib Shadah Scenografia: Miguel Markin Costumi: Rona Doron Produttori esecutivi: Leon Edery, Moshe Edery, David Silber Co-produttori: Bettina Brokemper, Antoine de Clermont-Tonnerre, Michael Eckelt, Ira Riklis S alma Zidane è una vedova palestinese che vive in un villaggio della Cisgiordania, il Ministro della Difesa israeliano è il suo nuovo vicino di casa. Per ragioni di sicurezza, alla donna viene intimato di abbattere il suo giardino di limoni. Salma fa causa al ministro: il frutteto rappresenta il suo unico sostentamento e le sue stesse radici, ma riuscire a vincere appare una sfida impossibile. La donna è infatti completamente sola nel sostenere l’inattesa battaglia, che si prefigura, a detta di chiunque, come sicuro fallimento. Il figlio maschio vive lontano, negli Stati Uniti, e non può abbandonare il modesto impiego nel più classico dei diner per soccorrere la madre, mentre la figlia ha fin troppi problemi a mandare avanti la famiglia, con i bambini ancora piccoli e poche risorse economiche. Inoltre, Salma deve sottostare a tutte quelle regole che una donna sola deve necessariamente osservare, se vuole essere ancora rispettata in società; anche per questo il suo aspetto è sempre dimesso e umile. Ma non è certo la grinta a mancarle, se si tratta di distruggere il frutteto di famiglia, e il legale consigliatole dal genero, il giovane avvocato Ziad Daud, accoglie il suo caso. Ziad è agguerrito quanto basta, ma è difficile averla vinta sul nutrito team di avvocati dell’esercito, che hanno il supporto del governo israeliano. A complicare la situazione, irrompe la passione amorosa: Ziad, separato da una moglie conosciuta in Russia ai tempi dell’università, finisce per innamorarsi di Salma, il cui fascino maturo emerge anche attraverso gli abiti più castigati. Anche lei non è indifferente, d’altronde il vuoto sen- timentale in cui vive non può certo impedirle di amare. Il loro è un rapporto complicato e pericoloso: una vedova palestinese non è libera di fare quello che vuole, soprattutto con uomo molto più giovane di lei, e la pressione di familiari e amici si fa via via più insistente. Salma si prende cura di Ziad e della sua disordinata casa, lui cerca di sbrogliare l’incredibile matassa di leggi che autorizza il ministro in ogni prepotente azione. La causa procede e aumentano le pressioni da ogni parte, Salma capisce di aver scelto la strada più difficile, ma vuole ugualmente andare avanti: quegli alberi, piantati dal padre più di cinquant’anni prima, rappresentano tutta la sua storia, la sua vita, il suo futuro. Intanto la vicenda fa il giro del mondo, perfino il figlio ne viene a conoscenza, attraverso la televisione. Il giardino, nel frattempo, viene recintato da reti metalliche e filo spinato, con tanto di torretta di guardia pronta a impedire a chiunque di accedervi. Salma protesta, per un po’ si limita a osservare gli alberi seccarsi per la mancanza d’acqua e i limoni marcire sui rami, poi decide di passare al contrattacco. Entra attraverso un varco, si aggira nella sua stessa proprietà come una ladra, i soldati la scoprono e la cacciano a malincuore, mentre la stessa rete non impedisce agli uomini del ministro di depredare i limoni per l’esclusivo party nella lussuosa villa. Al di là del giardino, tuttavia, Salma ha un’alleata. È Mira Navon, moglie del ministro. Nella sua nuova, bellissima casa, con un marito dal lavoro prestigioso al proprio fianco, è costretta a vivere in una 44 dorata solitudine. I due non hanno avuto figli, e il rapporto con la figlia di lui, che studia all’estero e comunica con la donna attraverso il freddo schermo di un computer, non è certo appagante. Dopo l’iniziale diffidenza, Mira prende coscienza della situazione di Salma, ne parla apertamente col marito, che seguita però a trincerarsi dietro le vaghe motivazioni di sicurezza nazionale addotte dai sui esperti militari. Tuttavia, la prepotenza usata contro la vedova palestinese la scuote al punto di cercare un contatto diretto con la donna, con il risultato di essere letteralmente rinchiusa in casa senza possibilità d’appello. Tra Mira e Salma si crea comunque un invisibile legame di solidarietà, che svela a entrambe la possibilità di un nuovo futuro. La sentenza, in ogni caso, scontenterà tutti: metà degli alberi verranno rasi al suolo, e Salma, abbandonata anche dal bel Ziad, si aggira nel cimitero del suo giardino di limoni. Il ministro, dalla sua bella casa, osserva la costruzione dell’alto e massiccio muro di confine in costruzione, e non sembra esserne contento del tutto. P ossono degli alberi di limoni, vecchi di cinquant’anni, trasformarsi all’improvviso in una minaccia alla sicurezza nazionale? La possibilità che i terroristi attraversino il giardino per attentare alla vita del ministro e della sua famiglia è però reale, quindi i servizi segreti optano per la più semplice delle soluzioni, ovvero abbattere tutti gli alberi. Anche se nulla di ciò è mai accaduto in più di cinquant’anni di esistenza del frutteto, ma è una replica fin troppo debole. Il muro contro muro tra le due parti, l’israeliana e la Film palestinese, è destinato a protrarsi all’infinito, perché si ascoltano le proprie motivazioni e si continuano a ignorare quelle degli altri. Come regista (e cittadino) israeliano, Eran Riklis ha avvertito ancora una volta l’esigenza di raccontare, dalla sua privilegiatissima posizione “interna”, un conflitto che va avanti da più di duemila anni. Come nell’appassionato film precedente, La sposa siriana, il quotidiano si erge a riflesso di una situazione – umana, prima che politica – ai limiti della follia. Là era il matrimonio, qui la bega tra vicini di casa: entrambi non sono altro che pretesti che si caricano fin troppo facilmente del peso secolare della Storia. Dramma e commedia si fondono e si confondono da una parte all’altra di questo conflitto in miniatura tra Israele e Palestina: separati da un reticolato sottile ma invalicabile, i due contendenti non tentano la mediazione, ma neanche una semplice comunicazione. Asserragliati nei territori propri, continuano la vita di sempre: Salma sfida i soldati pur di raccogliere i frutti della sua terra e intanto si concede una libertà di troppo, innamorandosi di un uomo più giovane di lei; il ministro dà sfarzosi ricevimenti e nelle interviste dichiara di considerare gli alberi come esseri umani, ma poi non esita a condannare un intero frutteto all’abbattimento. Il messaggio di speranza il regista lo affida all’incredibile affinità – ai limiti dell’empatia – tra Salma, umile vedova di un paesino della Cisgior- Tutti i film della stagione dania, e Mira, moglie del Ministro della Difesa israeliano. Entrambe prive di libertà ma supportate dal coraggio e dalla volontà di cambiare, le due donne saranno capaci di abbattere, almeno in parte, almeno per quanto le riguarda personalmente, la barriera che le separa. Vibrante (come sempre) l’interpretazione della splendida Hiam Abbass, nello stesso periodo nelle sale italiane anche con L’ospite inatteso; in forma il resto del cast. Qualche schematismo di troppo costringe la storia in binari talvolta rigidi e risvolti prevedibili, portando la narrazione verso vicoli ciechi: si ha la sensazione, per esempio, che la delicata love story con il giovane avvocato serva a mostrare soltanto dove risiedano i limiti – sociali, per lo più – di Salma, costretta dal rigido codice comportamentale a vestire i panni della vedova infelice per sempre. Ma non è che l’emancipata Mira, dall’altra parte, se la passi meglio. La versione italiana non permette di cogliere le sfumature di incomunicabilità tra israeliani e palestinesi, che esistono anche a livello linguistico e che l’uniformità del doppiaggio azzera inesorabilmente. Manuela Pinetti IL COSMO SUL COMÒ Italia, 2008 Interpreti: Aldo (Pin/Aldo/menestrello ribelle/Beniamino), Giovanni (Tsu’Nam/Giovanni/Peppino Caravaggio/Mario), Giacomo (Puk/Giacomo/falso Van Dyck/Padre Bruno), Sergio Bustric (Napoleone in “Falsi prigionieri”), Victoria Cabello (dama con l’ermellino in “Falsi prigionieri”), Raul Cremona (dentista in “Temperatura basale”), Sara D’Amario (moglie di Giacomo in “Temperatura basale”), Silvana Fallisi (moglie di Aldo in “Milano Beach”/Madame in “Falsi prigionieri”), Angela Finocchiaro (dott.ssa Gastani Frinzi in “Temperatura basale”), Elena Giusti (dott.ssa Magnani Ciurli in “Temperatura basale”), Cinzia Massironi (moglie di Giacomo in “Milano Beach”), Isabella Ragonese (commessa in “L’autobus del peccato”), Debora Villa (moglie di Giovanni in “Milano Beach”), Luciana Turina (suocera di Aldo in “Milano Beach”), Alfredo Colina (il penitente in “L’autobus del peccato”), Federica Cifola (vigilessa in “Temperatura basale”), Lucianna De Falco (zingara in “Temperatura basale”) Durata: 100’ Metri: 2750 Regia: Marcello Cesena Produzione: Paolo Guerra per Medusa Film/Agidi SRL Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Valerio Bariletti Sceneggiatura: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Valerio Bariletti. Con la collaborazione di Marcello Cesena Direttore della fotografia: Agostino Castiglioni Montaggio: Danilo Torchia Musiche: Paolo Silvestri. Con la collaborazione di Stefano Bollani (pianoforte) e Gino Marcelli per l’episodio “Milano Beach”) Scenografia: Paolo Monzeglio Costumi: Valeria Campo Direttore di produzione: Simona Batistelli Aiuto regista: Miguel Lombardi Operatore: Steven Desbrow Operatore steadicam: Luca Dell’Oro Suono: Mario Iaquone 45 Film T su’Nam, un sedicente maestro orientale, è seguito dai suoi fedelissimi discepoli Pin e Puk. Il maestro è solito esprimere continuamente “pillole di saggezza” all’ombra di un Ginko Biloba, una pianta leggendaria. La storia di questi tre personaggi fa da cornice ai quattro episodi del film: in Milano beach, ambientato in una Milano deserta nei primi giorni di agosto, i tre amici devono partire assieme per le vacanze con le rispettive famiglie. Aldo è costretto a subire le continue spese della moglie e deve sopportare anche la bisbetica suocera. Giovanni è un uomo perfezionista e estremamente noioso e costringe tutta la sua famiglia a seguirlo in vacanza. Giacomo invece cerca di convincere la moglie, senza successo, a seguirlo in vacanza. Alla fine il gruppo di amici decide di non partire e trascorre le vacanze all’interno dello stadio di S. Siro. In L’autobus del peccato, il parroco di una piccola chiesa di provincia che cade a pezzi e il sagrestano sono alle prese con diversi problemi di bilancio, causati in parte dal fatto che il sagrestano ruba gran parte delle offerte destinate alla parrocchia. Amico dei due uomini è un ragazzo perdutamente innamorato della commessa di un negozio di animali, a cui non riesce mai a dichiararsi. Un giorno Aldo trova per caso una valigia piena di banconote da 500 euro e si confessa con il prete e con l’avido sagrestano. Alla fine, il parroco riesce a utilizzare parte del denaro per rimettere a posto la chiesa, Giovanni scappa con i pochi soldi che aveva precedentemente rubato dalle offerte e Aldo riesce a essere meno “imbranato” con la ragazza. In Falsi prigionieri, alcuni quadri famosi si ritrovano a parlare tra di loro nella stanza di un castello. A un certo punto, uno dei quadri vuole andare a trovare il quadro della regina Maria Antonietta. Anche Giovanni riesce a raggiungere La Dama con l’ermellino, mentre a Giacomo andrà meno bene... Temperatura basale comincia con le scene delle nascite dei 3 figli di Aldo e dei 2 di Giovanni; Giacomo e la moglie desiderano disperatamente avere un figlio, purtroppo Giacomo è quasi sterile e per riuscire a concepire c’è bisogno di consumare i rapporti mentre la temperatura basale della moglie è a 38 gradi. Questo causerà diversi inconvenienti e porterà Giacomo a visitare diversi specialisti nel vano tentativo di riuscire a concepire. La provvidenza è in agguato, con due bebè abbandonati nel cassonetto... C on molta umiltà, forse consci di non rappresentare più quel punto forte al botteghino che seppe- Tutti i film della stagione ro essere durante la seconda metà degli anni ’90, il trio Aldo - Giovanni – Giacomo accetta la “sfida di Natale” altresì consapevoli che un piazzamento, in un simile contesto, rappresenti di per sé un successo. E così è stato; terzi negli incassi, dietro solo a Natale a Rio e al sorprendente Madagascar 2, il trio comico può contare sullo zoccolo duro degli aficionados, che mai hanno dimenticato i picchi della loro comicità, purtroppo al cinema mai allo stesso livello di quella televisiva per ovvie differenze di tempi e modalità narrative. L’apice del successo di Aldo, Giovanni e Giacomo seppe cogliere il momento di un secondo sdoganamento dell’attore comico da cabaret e TV al cinema, in un periodo di riflusso dopo il decennio d’oro della generazione precedente i cui cognomi erano Benigni, Troisi, Verdone, Nuti, veri eredi dei numi della commedia all’italiana. La differenza con questi ultimi, non trascurabile, va rintracciata nella centralità che il mezzo televisivo aveva ormai acquisito negli anni 90 a scapito del cinema: di fatto, l’idea vincente (e unica, visti i modesti risultati) era quella di garantire al pubblico delle sale lo stesso spettacolo, né più né meno, di quello che vedevano comodamente seduti alla TV, in barba se non a scapito della storia (a quel punto di secondaria importanza), o della qualità, visto che la suddetta massa era legittimata a ridere di quel che si trovava in sorte o poco più. Nell’aurea mediocritas, battuta in quegli anni da molti, in prima istanza da Cecchi Gori e la sua scuderia di comici toscani, Aldo Giovanni e Giacomo seppero risaltare presentando la propria esilarante produzione televisiva come marchio di garanzia a prova dei palati più schizzinosi; i loro precedenti, altalenanti film avevano senz’altro il pregio di un intreccio quanto mai cercato, voluto, a tratti ambizioso al di là del loro esito. Ora che la loro innata simpatia, col tempo, ha dovuto fare i conti con l’inevitabile approssimazione dei loro intrecci, il recupero della struttura a episodi in questo Il cosmo sul comò sembrava poter essere la veste perfetta per il trio milanese: che non rinuncia a un tocco di ambizione, affidando all’episodio portante una morale che attraversa tutti gli sketch per farsi invito alla vita e alla presa d’atto che tutto è a portata di mano; basta prenderlo. Ma la sorpresa è un’altra, purtroppo: gli episodi hanno davvero il fiato corto. Malgrado la bravura dei tre e la divertita partecipazione di cast e guest star (su tutti una spettacolare Angela Finocchiaro, troppo poco valorizzata dal nostro cinema), l’ambizione di fondo mai è supportata da un convincente lavoro di scrittura e regia (nonostante il discreto budget e l’ausilio di effetti speciali), le storie spesso buttate lì (Milano Beach) quando non meri sketch paratelevisivi (i quadri viventi di “falsi prigionieri” sono, a conti fatti, uno scherzo tirato per le lunghe). Un macchiettismo cui non giova il passaggio di regia, da Massimo Venier a Marcello Cesena (meglio noto come “baronetto Jean-Claude”, qui presente in un cameo); ma forse è solo il tempo a metter maggiormente in risalto quei limiti che i precedenti, ridondanti incassi facevano passare in secondo piano. Gianluigi Ceccarelli IL SOL DELLAVVENIRE Italia, 2008 Regia: Gianfranco Pannone Produzione: Alessandro Bonifazi, Bruno Tribbioli per Blue Film Distribuzione: Prima: (Roma 6-2-2009; Milano 6-2-2009) Soggetto: Giancarlo Pannone, liberamente tratto da Che cosa sono le Br di Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini Sceneggiatura: Gianfranco Pannone, Giovanni Fasanella Direttore della fotografia: Marco Carosi Montaggio: Erika Manoni Musiche: Rudy Gnutti, Offlaga Disco Pax Aiuto regista: Tommaso Valente Suono: Angelo Bonanni, Fabio Cerretti, Gabriele Gubbini Interpreti: Alberto Franceschini, Paolo Rozzi, Tonino Loris Paroli, Annibale Viappiani, Roberto Ognibene, Adelmo Cervi, Corrado Corghi, Peppino Catellani, Max Collini, Enrico Fontanelli, Daniele Carretti Durata: 78’ Metri: 2160 46 Film D opo le – ingiustificate – polemiche, dopo un rapido e travagliato passaggio alla Festa del Cinema di Roma (e anche su questo le polemiche, le dichiarazioni e le conseguenti – attese – smentite non sono mancate), uno degli ultimi lungometraggi documentari di Gianfranco Pannone è riuscito a ottenere la sala. Scritto da Pannone insieme a Giovanni Fasanella, a partire da Che cosa sono le BR, volume firmato dallo stesso Fasanella insieme ad Alberto Franceschini – ex brigatista compreso tra i protagonisti del documentario –, il film prende l’avvio con una serie di didascalie sull’inizio della storia delle Brigate Rosse e sul ruolo che in essa svolse la cittadina di Reggio Emilia. Pannone organizza, così, una riunione, un incontro tra tutti quelli che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta entrarono nel così detto “gruppo dell’appartamento”, il nucleo d’attivisti politici dal quale originò poi un’importante costola delle Brigate Rosse. Alcuni di questi protagonisti sono stati direttamente coinvolti nelle azioni armate, altri hanno scelto di dissociarsi dagli sviluppi più radicali del gruppo, altri ancora non son stati che testimoni solidali ma staccati; tutti ci vengon presentati come in una foto segnaletica, con il nome, la descrizione della posizione rispetto al “gruppo dell’appartamento”, le eventuali vicende giudiziarie, le occupazioni al momento presente. I diversi materiali iniziano a mescolarsi: le immagini di repertorio sugli anni di quei fermenti, le riprese dedicate alla performance musicali del gruppo rock “militante” Offlaga Disco Pax, l’osservazione del presente tra interviste e “registrazioni”. Il gruppo di vecchi amici e compagni di lotta torna a riunirsi nello stesso ristorante dove, decenni prima, si celebravano le riunioni, si accendevano i confronti, si progettavano le azioni. Poi due dei fondatori ritrovano l’appartamento dove, nel 1969, iniziarono a conoscersi e lavorare molti di quei “compagni” che, anni più tardi, avrebbero scelto la via della lotta armata. I ricordi però si concentrano sui primi volantinaggi, sui manifesti attaccati fuori dalle fabbriche e, furtivamente, sulle pareti della città. Come detentore d’uno sguardo esterno, è chiamato a testimoniare l’ex membro della Democrazia Cristiana locale Corrado Corghi, il quale racconta i primi passi del gruppo di Reggio. Le voci degli attuali rap- Tutti i film della stagione presentanti istituzionali della città, poi, si allineano sul rifiuto a partecipare a quest’indagine del passato e sull’invito a centrare il film intorno ai più gradevoli aspetti del presente. Al gruppo si aggiunge poi anche Adelmo Cervi, membro della leggendaria famiglia fondatrice di uno tra i primi gruppi partigiani della zona: sette dei suoi fratelli morirono da resistenti per mano dei nazifascisti. S’inizia così a chiarire il percorso della ricognizione che Pannone e Fasanella cercano di portare a compimento, da una parte per dar conto delle effettive istanze politiche che portarono alcuni degli ormai attempati protagonisti alle tragiche estreme derive della violenza e dell’assassinio; dall’altra per ricollegare quell’esperienza alle sue origini culturali, storiche, sociali e geografiche più autentiche e concrete. Il vecchio Cervi gira in bicicletta ripercorrendo tutti i piccoli santuari della storia della resistenza sull’Appennino: le tombe, le targhe commemorative, i piccoli monumenti dello Stato, i commossi e fieri tributi istituiti dalla gente. Il vecchio racconta i giorni dei combattimenti, ma anche quelli, altrettanto duri e spietati, dei regolamenti di conti, e torna a parlare anche Corghi. È il passaggio dalla lotta armata della resistenza ai fascisti, alla rappresaglia sparsa, fino alla delusione e all’incertezza della via moderata della riconciliazione. Si giunge così fino agli anni Sessanta di Tambroni, dei morti in piazza, del tramonto dell’ipotesi d’una rivoluzione democratica. È il momento in cui gli ex compagni, seduti intorno al tavolo del pranzo, ricordano la loro militanza più attiva, alcuni rimotivando la propria presa di distanza, altri tornando a definire il brigatismo come lotta armata e non come azione terroristica. Alle notazioni ridanciane, alle narrazioni goliardiche succedono, d’improvviso, le lacrime: più dolorose degli assassini politici, le morti “necessarie” dei compagni uccisi in cella per evitare confessioni pericolose per il gruppo. Una breve didascalia chiude il film: dal 1971 le BR hanno provocato centinaia di morti e feriti, ma questa è un’altra storia. M entre scriviamo queste righe non solo il lungometraggio di Pannone ha intrapreso il suo non breve tour nelle sale cinematografiche italiane, ma è ormai approdato a una interessante uscita home video che, accan- 47 to al dvd del film, offre un libro-diario sulla non facile vicenda produttiva della pellicola. Sembra confermarsi quella certa tendenza del cinema italiano che, pur sentendo l’urgenza di dire sul presente, sceglie il passato come lente retrospettiva attraverso la quale interrogare, rincorrere, a volte cogliere, l’hic et nunc d’un paese vecchio e intristito. Così pure il film di Pannone non si limita a tentare di ricucire i brandelli svolazzanti d’un passato misconosciuto, poco e male studiato, pochissimo divulgato; cerca allo stesso tempo di ricollegare l’oggi, così inconsistente e inerte – apparentemente privo d’un prima e d’un dopo – alla Storia patria che lo ha preceduto, ricostituendone una leggibilità. L’inizio è lento, vago e macchinoso. Il filo del discorso non è chiaro. Poi il regista sembra far pulizia e impugnare il timone. Allora le interviste, le testimonianze, le canzoni e le immagini di repertorio s’incastrano l’una sull’ultra, si accumulano e, alla fine, si riordinano tutte disegnando una linea: al centro l’esperienza delle BR; a un capo, il tormentato paese del secondo dopoguerra, all’altro il disarticolato orizzonte d’un’inerzia oscura. Del confuso avvio però non tutto si rimedia. Dall’inizio alla fine resta chiara l’incapacità di Pannone d’usare i luoghi, di farli risuonare, di attivarne la forza memoriale, emotiva, concreta, visiva. Quello che conta, gli elementi grazie ai quali il film si anima e respira, sono i volti e le parole. Seppur apparentemente convinto della necessità di mettere in relazione i suoi protagonisti con quegli spazi, Pannone non riesce a produrre “l’evento cinematografabile”; si ferma invece sempre un passo indietro, raccogliendo e ritagliando i pezzi dei discorsi un po’ aridi, quasi inerti anch’essi, dei vecchi militanti – brigatisti e non –, chiamati a riunirsi per l’arbitrario progetto d’una coppia d’autori. Tranne che in rari precisi momenti, ancora una volta, come già in passato, a Pannone sembra mancare il coraggio e la pazienza di stare con i suoi protagonisti; di accettare l’idea che il suo progetto venga inquinato e dirottato dall’oggetto della sua ricerca, dalla materia viva che passa davanti e intorno all’obiettivo, che, infine, si possa rinunciare a una progettata correttezza un po’ esigua in favore d’una meno definitiva e appagante intuizione. Silvio Grasselli Film Tutti i film della stagione FROZEN RIVER FIUME DI GHIACCIO (Frozen River) Stati Uniti, 2008 Trucco e acconciature: Lindsey Novotny, Crystal Shade Supervisore effetti visivi: Leonardo Quiles (Leonardo Quiles Studios) Interpreti: Melissa Leo (Ray Eddy), Misty Upham (Lila Littlewolf), Charlie McDermott (T.J), Michael O’Keefe (Trooper Finnerty), Mark Boone Junior (Jacques Bruno), Jay Klaitz (Guy Versailles), John Canoe (Bernie Littlewolf), Dylan Carusona (Jimmy), Michael Sky (‘Billy Three Rivers’), Gargi Shinde (madre pakistana), Rajesh Bose (padre pakistano), Azin Jahanbakhsh (pakistano), Jack Phillips, James Phillips (bambino pakistani), Madelyn Cross (Velma), Donna Jacobs (Evelyn Littlewoof), Trudy Rice (Rosalie), Craig Shilowich (Matt), Brittany Lenborgne (Pat), Justin Kotyk (Mick), Betty Ouyang (Li Wei), Nancy Wu (Chen Li), Adam Lukens (Mitch), Betty Deer (Mrs. ‘Three Rivers), Pun Bandhu, Scott Chan, Joey Chanlin, Kenneth Fung (uomini cinesi), Brian Lashway, Paul Borst, Trisha M. Sky, Angus Curotte, Angelina Kent, Thahnhahténhyha Gilber Durata: 97’ Metri: 2680 Regia: Courtney Hunt Produzione: Chip Hourihan, Heather Rae per Cohen Media Group/Frozen River Pictures/Harwood Hunt Productions/Off Hollywood Pictures Distribuzione: Archibald Enterprise Film Prima: (Roma 13-3-2009; Milano 13-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Courtney Hunt Direttore della fotografia: Reed Morano Montaggio: Kate Williams (II) Musiche: Shahzad Ismaily, Peter Golub Scenografia: Inbal Weinberg Costumi: Abby O’Sullivan Produttori esecutivi: Charles S. Cohen, Donald Harwood Produttori associati: Jenny R. Evans, Alfonso Trinidad Co-produttore: Molly Conners Direttore di produzione: Anne Marie Dentici Aiuti regista: Kevin Pazmino, Vadim Epstein Art director: Brian Rzepka Arredatore: Jasmine E. Ballou R ay vive in un logoro prefabbricato vicino a una riserva Mohawk assieme ai figli Ricky e T.J. La donna deve affrontare gravi problemi economici, acuiti dalla recente fuga del marito, sparito con gli ultimi soldi, che sarebbero dovuti servire per un più moderno prefabbricato. Decisa a ritrovare il marito, giocatore d’azzardo, parte alla volta della riserva: vi trova solo la macchina parcheggiata davanti al bingo in cui lavora la Mohawk Lila. Ray segue la donna, che fugge con la macchina del marito, fino alla roulotte dove vive. Dopo un primo scontro, Lila le dice l’uomo è scappato su di un autobus per New York e che ha preso la macchina credendola abbandonata. Lila la porta poi dal contrabbandiere Jimmy per venderla e guadagnare entrambe dei soldi. Per andarci, attraversano il fiume San Lorenzo, ghiacciato, al confine fra Canada e Usa, in quel punto territorio Mohawk perciò privo di polizia di confine. Ray, sotto minaccia, è costretta a riportare dall’altra parte due cinesi da vendere, nascondendoli nel portabagagli; nel viaggio Lila racconta della morte del marito. Dopo uno scontro violento fra le due, Lila fugge con tutti i soldi ricavati dal contrabbando umano. Ray affronta le reticenze del figlio maggiore, mentre Lila osserva da lontano una famiglia, alla quale lascia di nascosto tutti i soldi guadagnati. Per riprendersi la sua macchina rimasta da Lila, Ray pretende la metà dei soldi pattuita, che la donna ormai non ha più: decidono di continuare il contrabbando di cinesi assieme attraverso il fiume. Si scopre che Lila ha un figlio di quasi un anno, che la suocera le ha rubato dall’ospedale; purtroppo la polizia non interviene essendo una questione dei soli Mohawk. Si avvicina sempre più il Natale e Ray promette a T.J di regalargli la tanto sperata casa. Bernie, fratello di Lila, giunge una mattina per darle lavoro in un call center; dopo solo mezza giornata e le prime difficoltà decide di rinunciare. La vigilia di Natale, le due donne si ritrovano così a lavorare nuovamente insieme: questa volta devono portare una coppia di pakistani con una borsa sospetta, che Ray getta a metà del fiume. A destinazione si scopre che dentro la borsa c’era il bambino dei pakistani. Lila e Ray tornano indietro, per ritrovarla: nonostante il bimbo sembri morto, lo riportano con loro. Intanto, nell’aggiustare i tubi congelati della casa con la fiamma ossidrica, dono del padre, T.J brucia una piccola parte esterna del prefabbricato. Intanto, le due donne vengono fermate dalla polizia per via di un fanalino mal funzionante; Ray fa passare Lila per sua babysitter. Grazie al calore del corpo di Lila, il bambino riprende vita. Lila, tornata a casa, ritrova i soldi che aveva lasciato per suo figlio. Il giorno di Natale, giunge il poliziotto ad avvertire Ray che la sua babysitter è in realtà una contrabbandiera di stranieri: le consiglia di non vederla più. La donna ha uno scontro duro con T.J che l’accusa di aver sparato al piede del padre, causa ultima della sua fuga. Alla fine, quando T.J confessa a suo modo d’odiare il padre, si riavvicinano. Ray propone a Lila l’ultima corsa: accetta. Jimmy, non avendo lavoro per loro, le manda a Montreal, dove però hanno un con- 48 trattempo per via dei soldi; Ray resta ferita da uno sparo e, inseguite dalla polizia, si rifugiano nella riserva. Costrette a passare nei punti più fragili del fiume, il ghiaccio si rompe costringendole a fuggire a piedi con le due cinesi. Jimmy le aiuta a trovare rifugio presso un’altra Mohawk. Mentre Ray sta per andarsene con la sua metà dei soldi, Bernie giunge dicendo che il consiglio ha votato l’espulsione di Lila dalla riserva per cinque anni; se Ray se ne andrà, i poliziotti, che vogliono un capo espiatorio si prenderanno Lila, che, avendo già precedenti penali, passerebbe la vita in carcere. Lila le dice comunque di andarsene. Alla fine, Ray dà i soldi a Lila per prendersi cura dei suoi figli, mentre lei, incensurata, passerà circa quattro mesi in prigione. Lila, ripresasi suo figlio, giunge da Ricky e T.J. U n film indipendente costato solo un milione di dollari e che è persino giunto alla corsa per ben due Oscar (miglior sceneggiatura originale e Melissa Leo come miglior attrice); anche se entrambe le statuette sono andate ad altri film, Frozen River ha comunque ottenuto premi in altre manifestazioni, fra cui il Sundance Festival. Guardandolo è facilmente intuibile il perché. Una storia raccontata con delicatezza, con personaggi forti e delineati che trascinano lo spettatore fino al colpo di scena finale. Contrariamente a quanto si possa pensare, pur essendo un film sull’amicizia, essa si palesa solo negli ultimi minuti della storia. Ray e Lila, hanno infatti lo stesso obbiettivo: fare soldi ognuna per i propri Film problemi personali (la prima per pagarsi una nuova casa, la seconda per darli alla suocera che ha rapito suo figlio). Trovato questo punto d’incontro, l’una ha ciò che manca all’altra per raggiungere lo scopo; Ray ha la macchina e Lila è l’unica a poter utilizzare i contatti per il contrabbando. Inizialmente, è quindi un rapporto di convenienza. Poi accade qualcosa. L’una all’insaputa dell’altra, le due donne iniziano a osservarsi, a capire, proprio in quanto madri, il bisogno di denaro per proteggere la propria famiglia. Due i momenti più significativi: Ray osserva Lila guardare suo figlio mangiare senza potersi avvicinare e Lila che ascolta la telefonata di Ray ai figli. Senza mai essersi scambiate parole di cortesia o affetto, le due protagoniste rivelano l’amicizia che le lega proprio nel momento in cui l’altra ne ha il bisogno. Entrambe sono infatti pronte a sacrificare la propria libertà per concedere all’amica tempo da dedicare alla propria famiglia. Non a caso, in una delle ultime scene, quando Ray viene portata via dal poliziotto che gli chiede chi chiamare per affidare i suoi figli, lei risponde semplicemente che ha già un’amica. Un racconto delicato, quindi, sulla forza della donna e la sua caparbietà. Il fiume San Lorenzo, è facilmente intuibile simbolo, non solo delle avversità che le due donne devono superare e, guarda caso, superano insieme, ma del confine fra Tutti i film della stagione stati e culture. Grazie alle temperature invernali, il fiume si ghiaccia consentendo il totale abbattimento del confine geografico e territoriale fra Stati Uniti e Canada; toccherà a Ray e Lila, portare a compimento la demolizione della barriera fra le rispettive etnie di appartenenza; interessante notare che proprio Lila, continuerà a chiamare Ray “donna bianca”, in molti momenti della storia. Un film interessante e coinvolgente, grazie anche agli immensi e sugge- stivi scenari innevati e la brava Melissa Leo (Ray). Una regia semplice che punta sui primissimi piani delle attrici conferendole maggiore importanza e sulla totale assenza di colonna sonora, donandole quel sapore di reale che qui contribuisce a un maggior coinvolgimento emotivo. Brava, quindi, la regista Courtney Hunt. E pensare che questo è il suo primo lungometraggio. Elena Mandolini UNDERWORLD: LA RIBELLIONE DEI LYCANS (Underworld: Rise Of the Lycans Stati Uniti, 2008 Regia: Patrick Tatopoulos Produzione: Gary Lucchesi, Tom Rosenberg, Skip Williamson, Len Wiseman, Richard S. Wright, Richard Wright per Sketch Films/Intelligent Creatures/Lakeshore Entertainment/Screen Gems/UW3 Film Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 20-2-2009; Milano 20-2-2009) Soggetto: Len Wiseman, Danny McBride, Robert Orr dai personaggi creati da Kevin Grevioux, Len Wiseman, Danny McBride Sceneggiatura: Danny McBride, Dirk Blackman, Howard McCain Direttore della fotografia: Ross Emery Montaggio: Peter Amundson, Eric Potter Musiche: Paul Haslinger Scenografia: Dan Hennah Costumi: Jane Holland Produttori esecutivi: Beth DePatie, James McQuaide, Eric Reid Co-produttori: Kevin Grevioux, David Kern Aiuti regista: Paul Grinder, Nick McKinnon Operatori: Michael Frediani, Peter McCaffrey Art directors: Brendan Heffernan, Gary Mackay Trucco: Deb Watson, Marjory Hamlin Effetti speciali trucco: Jeff Flitton, Richard Redlefsen Supervisore effetti speciali: Jason Durey Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures), Alexandre Ethier (elementFX), Michael Hatton (Intelligent Creatures Inc.), Michael Landgrebe (Celluloid VFX), Charlie McClellan, James McQuaide, Thomas Duval Coordinatori effetti visivi: Erika Abrams (Furious FX), Amy Benham, Lee Ann Cotton, Michelle Ledesma (Intelligent Creatures Inc.), Kyle Ware (Luma Pictures), Heather A. Yarbrough (elementFX), James Notari Supervisori musiche: Eric Craig, Brian McNelis Supervisore animazione: Pimentel A. Raphael Supervisore costumi: Sian Evans Interpreti: Michael Sheen (Lucian), Bill Nighy (Viktor), Rhona Mitra (Sonja), Steven Mackintosh (Tannis), Kevin Grevioux (Raze), David Ashton (Coloman), Geraldine Brophy (moglie di un nobile), Leighton Cardno (Lican spaventato), Alex Carroll (Lucian da giovane), Elizabeth Hawthorne (Orsova), Jared Turner (Xristo), Jason Hood (provocatore di morte), Mark Mitchinson (nobile), Tania Nolan (Luka), Craig parker (Sabas), Timothy Raby (Janosh), Larry Rew (Kosta), Peter Tait (Gyorg), Olivia Taylforth (Sonja da giovane), Eleanor Williams (ragazza adolescente), Edwin Wright (capo dei provocatori di morte), Brian Steele (Il Grande lican), Kate Beckinsale (Selene), Shane Brolly (Kraven), Kurt Carley, Richard Knowles Durata: 92’ Metri: 2410 49 Film S iamo all’origine di tutto, quando i lupi mannari non hanno ancora raggiunto la consapevolezza necessaria a reclamare il proprio ruolo e i vampiri sono la razza dominante nelle tenebre. Desideroso di sperimentare nuove possibilità per i lupi e la loro condizione bestiale, il patriarca Viktor Corvinus decide di creare una nuova razza e così favorisce l’avvento di Lucien, primo esemplare dei Lycan, in grado di assumere aspetto umano. Il giovane cresce come schiavo e guardia del castello di Viktor e, senza che nessuno se ne avveda, si innamora ricambiato della di lui figlia Sonja, guerriera indomita e testarda, nonché membro del Consiglio che decide le azioni dei vampiri. I signori delle tenebre peraltro sono tollerati nella regione, i loro servigi sono anzi richiesti dagli umani che non riescono a tenere a bada le incursioni dei lupi che scorazzano nella foresta circostante e così, quando Sonja si ritrova a combattere per la vita di un drappello di umani che hanno chiesto e ottenuto la fiducia del consiglio, Lucien l’aiuta, ma si vede costretto a togliersi la catena che porta al collo e che gli impedisce di trasformarsi, assumendo infine l’aspetto di una belva con la quale mette in fuga i nemici. Ma questo gesto viene interpretato come ribellione al volere di Viktor, che per questo punisce il suo pupillo e lo imprigiona. Mentre è rinchiuso, Lucien riflette su quanto è accaduto e inizia a maturare propositi di fuga per vivere una vita insieme a Sonja, cosciente com’è del fatto che i lupi lo temono e ubbidiscono ai suoi ordini. In cella, Lucien lega con alcuni detenuti, fra i quali svetta il gigantesco umano Raze. Insieme, il gruppo porta a compimento il suo tentativo di fuga e, una volta fuori, Raze viene morso da un lupo diventando così anche lui un Lycan e legando ormai indissolubilmente il suo destino a quello di Lucien. Ma non è finita: Sonja è nel castello e Viktor ha scoperto la sua relazione clandestina con Lucien, che non può in alcun modo avallare. Anzi, la scoperta che la ragazza è in attesa di un erede, che potrebbe davvero sancire l’inizio di una nuova specie e compromettere definitivamente l’equilibrio fra vampiri e lupi, spinge il padre a una decisione drammatica e spietata: Sonja viene perciò condannata a morte e lasciata esporre alla luce del sole fino a incenerirsi. Quando Lucien scopre l’accaduto, mobilita tutte le sue forze per una battaglia finale che veda finalmente cadere il castello del tiranno. Lo scontro è feroce e vede infine Viktor sconfitto e rinchiuso in un sarcofago, nell’attesa di un risveglio che Tutti i film della stagione avverrà molti secoli dopo, mentre Lucien continuerà la sua battaglia per la supremazia dei Lycan. L’ultima scena funge da legame con i film precedenti e vede l’eroica Selene, icona dei precedenti capitoli, apprendere di essere la prediletta di Viktor a causa della sua somiglianza con la figlia perduta Sonja. S i conclude con un prequel la saga di Underworld, che per l’occasione sfoggia un nuovo regista (il tecnico degli effetti speciali Patrick Tatopoulos, al suo esordio dietro la macchina da presa), una nuova eroina (l’affascinante Rhona Mitra, che sostituisce Kate Beckinsale), mentre sono riconfermati il cattivo Bill Nighy (Viktor), l’antagonista Michael Sheen (Lucien) e il gigantesco Kevin Grevioux (Raze). Il pretesto di raccontare l’antefatto della guerra tra vampiri e Lycan si inserisce perfettamente nella moderna tendenza che non intende lasciare vuoti narrativi in nessuna storia: d’altra parte, siamo di fronte a un cinema basato sull’accumulo e sull’esplicazione di ogni possibile spunto, in modo da appagare la sete di conoscenza di un pubblico pigro, che evidentemente non sente il bisogno di delegare al non detto la capacità mitopoietica. I Lycan come il Michael Myers di Halloween: the Beginning o il Leatherface dei nuovi Non aprite quella porta, insomma, anche se pare evidente che le ambizioni sono ben alt(r)e e si punti a un prodotto che nella ricerca di continui spunti trovi la chiave di volta per soluzioni narrative nuove, sebbene sempre derivative. Ecco dunque che, dal tono action-horror dei precedenti capitoli, si passa più agevolmente al fantasy, complice la location neozelandese che rievoca naturalmente i fasti del Signore degli anelli: il tono tenta pertanto di mediare fra le esigenze epiche tipiche dei racconti tolkieniani e la necessità spettacolare e estetizzante propria dei prodotti Sony. Ne viene fuori un curioso ibrido, viziato da un eccesso di fast-motion nelle scene d’azione ma comunque capace di non disperdere una certa fisicità brutale, recuperando in parte quello slancio positivo che possedeva il primo film, poi negato dal pessimo capitolo due. In questo modo, riescono a ritagliarsi un loro spazio anche gli attori, dal mefistofelico Bill Nighy alla lunare Rhona Mitra, mentre lo scontro fra vampiri, simbolo di una aristocrazia decadente, e lupi, emblema di un ipotetico “terzo stato” in cerca di riscossa, riverbera l’ideale della lotta di classe tipico dell’idea originale. Nel complesso non si sfugge a una certa sensazione di artificiosità, ma l’amalgama di elementi mantiene una sua funzionalità e permette alla visione di scorrere senza particolari scossoni. Certo, una necessaria disposizione d’animo è opportuna, d’altronde chi si accosta a questo prequel dovrebbe quantomeno avere presenti gli scopi e i limiti che la saga congenitamente si porta appresso. Davide Di Giorgio BEKET Italia, 2008 Regia: Davide Manuli Produzione: Davide Manuli, Alessandro Bonifazi, Bruno Tribbioli per Blue Film/Shooting Hope Productions Distribuzione: Blue Film Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Davide Manuli Direttore della fotografia: Tarek Ben Abdallah Montaggio: Rosella Mocci Musiche: Miss Kittin’ & The Hacker, Freak Antoni, Alessandra Mostacci, Stefano Ianne, Massimiliano Cigala, Marco Saveriano Scenografia: Mario Courrier Costumi: Valentina Stefani Supervisore effetti visivi: Fulvio Sturniolo per Automa Studio Suono: Marco Fiumara Interpreti: Fabrizio Gifuti (Agente Zero Sei), Paolo Rossi (Agente Zero Otto), Roberto “Freak” Antoni (Mariachi/Oracolo), Luciano Curreli (Freak), Jérome Duranteau (Jaja’), Simona Caramelli (Eva), Letizia Filippi (la Grande Madre), Simone Maludrottu (se stesso) Durata: 80’ Metri: 2290 50 Film P roviamo a dar conto del procedere d’un film onestamente sperimentale e antinarrativo per sta- tuto. Bianco e nero. Il film affida l’apertura a un pugile che sferra colpi nell’aria con lo sguardo rivolto in macchina. Dietro di lui, nel restante terzo d’inquadratura, le enormi pale d’un mulino per la produzione d’energia eolica. Il titolo compare a pieno schermo, lampeggiando freneticamente. La colonna sonora è un’ipnotica musica elettronica. In un tempo e in luogo, in un mondo non meglio identificati, solo nel deserto, Jajà siede su una roccia. Il primo incontro è con El Mariachi, cantastorie a cavallo che dopo una folle litania scompare di nuovo all’orizzonte. Poi Freak e Jajà corrono insieme nel tentativo di prendere l’autobus che li porterà da Godot. Il bus non solo non si ferma, ma li supera sollevandosi da terra e prendendo il volo. Freak e Jajà allora si ritrovano insieme, presso una fermata d’autobus. Jajà propone di raccontare la storia dei due ladroni a Freak, ma quello rifiuta. La cosa si ripete più volte, in modo vistosamente meccanico. Poi ricomincia la musica elettronica: i due iniziano a ballare, poi si dirigono verso dei monti, dietro i quali son convinti di trovare Godot.. I due ricominciano la loro lunga marcia attraversando ora un deserto. In mezzo al deserto, Freak e Jajà si fermano per un momento a guardare la lite meccanica e ripetitiva di un Adamo e un’Eva accompagnata da una terza figura, una giovane donna. Quello che poi scopriremo essere l’oracolo, interrompe le vicende della coppia: in una delle due metà dello schermo – rotto da uno split screen – l’oracolo canta, nell’altra si agitano i protagonisti. In riva a un fiume, Freak e Jajà cercano l’oro interrotti dall’arrivo dell’agente 06, un losco figuro nerovestito, giunto da lontano al volante d’una Panda. Senza rivelare per intero la sua identità, l’uomo fa salire in macchina i due e riparte. Dopo un breve viaggio, accompagnato dalla voce misteriosa d’un malato di mente che in una registrazione racconta il suo tormento, l’agente ferma la macchina, sveglia Freak e Jajà, abbandonandoli, mentre danzano sul ciglio d’un canale. I due uomini riprendono il loro viaggio sulle tracce di Godot, scambiandosi, durante le soste continue, idee alla rinfusa, commenti e racconti: il passato, la memoria, i dubbi sulla propria identi- Tutti i film della stagione tà, il tributo che ogni giorno ciascuno rende a Dio. Poi ricompare Adamo perso nel deserto. A prenderlo, arriva uno sconosciuto vestito in abito da sera. Un angelo? Dio? L’agente 06, seduto con le spalle alla battigia, dialoga con il suo collega 08, che gli compare su uno schermo televisivo. Freak gioca con una palla sgonfia, cercando di centrare lo specchio d’una porta da calcio, ridotta allo scheletro. Freak e Jajà, in camino nel bosco, incontrano un bambino, il messaggero di Godot: per arrivare a Godot (che “non verrà oggi, ma domani”), i due dovranno prima visitare l’oracolo. Freak e Jajà fanno un falò e s’accampano all’ombra d’una fabbrica dismessa. Jajà si mette a raccontare il suo doloroso passato di tossicodipendente, alcolizzato, padre e compagno inadempiente e quindi abbandonato. La voce dell’oracolo giunge dall’alto a guidare il cammino dei due. Il volto dell’oracolo è lo stesso di El Mariachi e l’ometto rivela d’essere in realtà niente più che il pastore al servizio di Godot. Dall’oracolo viene una nuova indicazione: per raggiungere Godot i due devono prima trovare la Grande Madre. Freak e Jajà salgono su un furgoncino che li porta su una spiaggia tra le rocce. Un’avvenente ragazza danza e passeggia mentre i due protagonisti giocano a carte. Poi la giovane si spoglia e si tuffa, invitandoli a seguirla in acqua. Mentre la ragazza svanisce, gli uomini si spogliano. Nero. Il suono di due spari. Un’inquadratura a colori: i due, cadaveri, stesi sulla riva, mentre il rosso sangue scorre dalle loro teste colorando l’acqua. Da capo. Bianco e Nero. Il pugile con lo sguardo in macchina il titolo lampeggiante. L’agente 06 sta riportando i due nello stesso punto in cui si trovavano all’inizio. Soli in mezzo alla strada, Freak e Jajà sono vestiti l’uno con gli abiti dell’altro e di quello che gli è accaduto sembrano non avere che vaghe impressioni. Di nuovo la corsa dietro all’autobus volante. Di nuovo l’inutile attesa alla fermata e il racconto meccanico dell’apologo sui due ladroni, ma stavolta a parti invertite. Quando i due si voltano per incamminarsi sulle tracce di Godot però, uno, improvvisamente, cambia direzione uscendo dall’inquadratura. Una citazione da Bertold Brecht chiude il film. L a biografia di Davide Manuli, regista, attore, scrittore, fotografo, irregolare per scelta e forse per 51 vocazione, dice d’un autore eclettico, magari troppo incline all’eccentricità, ma anche solido abbastanza da prendersi la responsabilità d’imprese non facili, vistosamente fuori dal coro. Il film è il terzo lungometraggio dopo il noto esordio Girotondo giro intorno al mondo (Italia, 1998) – più citato e discusso che realmente visto – e dopo Inauditi. Inuit! (2006), documentario girato nel nord del Canada. L’ispirazione a Samuel Becket e al suo mondo apocalittico e disperato non sembra facile citazione, comodo riferimento d’un eccentrico in vena di sperimentalismi vaghi, ma identificazione d’una via al lavoro d’autore, scelta d’un percorso radicale e difficile per progetto. A cominciare dalla prima inquadratura, il film dimostra la vera capacità del suo regista di fare immagini, di comporre quadri dinamici, azioni messe in quadro nelle quali il figurale sia carico d’una forza primigenia e debordante, di un ritmo grafico e d’una dinamica delle azioni (micro o macroazioni che siano) che, disinteressandosi alla narrazione naturalistica, all’attrazione della comunicazione, costituiscano di per sé spettacolo. Ma il film non è poi coerente dispiegamento di questa capacità, di questo indirizzo estetico. Lunghi tratti, anzi, sono segnati dall’understatement registico, sospesi in un’antinarrazione che sovverte le forme canoniche appropriandosene e riproducendole come vuoti simulacri. Le performance degli attori scelti da Manuli, volti noti e meno noti, professionisti della scena o del set e non, sono uno degli elementi sui quali poggia la forza del film; diretti, ispirati o condotti sulla giusta via, formano un coro non stonato ma dissonante, disordinatamente unito in una litania tra il grottesco e l’estatico. Il film, girato in pellicola quasi completamente in un rigoroso e magnifico bianco e nero, espone una sperimentazione anacronistica, quasi indifferente al tempo presente, al flusso audiovisivo. Un’antinarrazione disperata e disperante, una ricerca senza meta, una visione assurda ma viva. Girato in appena 13 giorni, con un budget bassissimo e una troupe ridotta all’osso, Beket è il grido d’un regista libero che sceglie di rivolgere la sua opera di piccole risorse ma di grandi aspirazioni (e ispirazioni) a un pubblico piccolo e attento. Silvio Grasselli Film Tutti i film della stagione TWO LOVERS (Two Lovers) Stati Uniti, 2008 Arredatore: Carol Silverman Trucco: LuAnn Claps, Jorjee Douglas Supervisore costumi: Laura Steinman Supervisore musiche: Dana Sano Interpreti: Joaquin Phoenix (Leonard Kraditor), Gwyneth Paltrow (Michelle Rausch), Vinessa Shaw (Sandra Cohen), Moni Moshonov (Reuben Kraditor), Isabella Rossellini (Ruth Kraditor), John Ortiz (Jose Cordero), Bob Ari (Michael Cohen), Julie Budd (Carol Cohen), Elias Koteas (Ronald Blatt), David Cale (gioielliere), Kathryn Gerhardt (Ospite della festa), Nick Gillie (autista in uniforme), Samantha Ivers (Stephanie), Anne Joyce (ex-fidanzata di Leonard), RJ Konner (sofisticato cliente dell’Opera), Evan Lewis (zio), Marion McCorry (infermiera), David Ross (cameriere), Jeanine Serralles (Dayna), Uzimann (tassista), Mark Vincent (autista di Ronald), Carmen M. Herlihy, Jose Edwin Soto, Craig Walker Durata: 110’ Metri: 2990 Regia: James Gray Produzione: Donna Gigliotti, James Gray, Anthony Katagas per 2929 Productions/Tempesta Films Distribuzione: BIM Prima: (Roma 27-3-2009; Milano 27-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Richard Menello, James Gray Direttore della fotografia: Joaquin Baca-Asay Montaggio: John Axelrad Scenografia: Happy Massee Costumi: Michael Clancy Produttori esecutivi: Marc Butan, Mark Cuban, Agnès Mentre, Todd Wagner Co-produttori: Couper Samuelson, Mike Upton Direttore di produzione: Anthony Katagas Casting: Douglas Aibel Aiuti regista: Doug Torres, Francisco Ortiz, Lauren Guilmartin Operatore: Craig Haagensen Art directors: Marc Benacerraf, Peter Zumba B righton Beach, Brooklyn. Leonard è un uomo sui quaranta che tenta il suicidio gettandosi da un ponte. Salvato dai passanti, torna a casa dei genitori, persone oneste, di origine ebrea che gestiscono una tintoria. L’uomo si trascina dietro un’esistenza grigia, prevedibile e desolante. Abbandonato a un passo dal matrimonio ed entrato in depressione, aveva già provato a compiere il tragico gesto di togliersi la vita. Riaccolto nella casa di famiglia, Leonard prova a condurre una vita normale. Lavora senza entusiasmo nella tintoria del padre e, appena può, si dedica alla fotografia, la sua vera passione. I genitori cercano di spingerlo ad avere una relazione con Sandra, la figlia dell’uomo che vorrebbe acquistare la tintoria. I due si conoscono durante una cena organizzata appositamente e Sandra si dimostra subito una persona dolce e rassicurante. Poco dopo, Leonard conosce per caso Michelle, una vicina di casa bella e misteriosa e non può che rimanerne stregato. Mentre si fa strada la storia con Sandra, Leonard si inventa di tutto pur di rivedere Michelle. Un giorno la segue e scopre che lavora in lussuoso studio legale a Manhattan. La ragazza lo prende subito in simpatia e lo invita a uscire con le sue amiche. L’affascinante bionda è l’antitesi di Sandra; è infatti pericolosa imprevedibile, fa uso di droghe e sembra nascondere una vita non semplice. Leonard infatti scopre che Michelle intrattiene una storia con un uomo sposato con figli, che da tempo la illude di lasciare la famiglia per lei. Nonostante la situazione, Leonard si innamora perdutamente della fragilità di Michelle e le chiede di troncare quel- la relazione adulterina. Parallelamente comincia a frequentare la dolce Sandra e la sua famiglia, con il vivo consenso dei genitori che vedono realizzarsi in quella unione il sogno di mettere in comune le rispettive tintorie e dare un futuro ai due ragazzi. Tuttavia, l’apparente situazione di equilibrio con Sandra finisce per essere turbata dall’aborto spontaneo di Michelle che chiede aiuto a Leonard. Uscita dall’ospedale, Michelle trova finalmente il coraggio di abbandonare il suo amante e accetta la proposta di Leonard di andare a San Francisco. L’uomo finalmente sembra felice. Ha conquistato la donna che da tempo desiderava e per lei è pronto ad abbandonare tutto e tutti e a rimettere in gioco la propria vita. Con i soldi messi da parte, compra un anello di fidanzamento e due biglietti per il viaggio. Come un ladro esce da casa per non farsi vedere dai genitori durante una festa, in cui sono presenti anche Sandra e la famiglia e va all’appuntamento con Michelle. L’unica a sapere è la madre, che, impotente, lascia andare il figlio. Michelle si presenta in ritardo e dice di non poter più partire. Il suo uomo finalmente ha lasciato la famiglia per lei. Leonard è disperato, fugge al mare e sta di nuovo per immergersi nelle acque gelide dell’Oceano, quando un guanto che cade dalla tasca gli ricorda Sandra. Così riprende l’anello gettato sulla sabbia e decide di tornare a casa. Davanti agli invitati, come se niente fosse, tira fuori l’anello e propone a Sandra di sposarlo. D allo sfondo poliziesco-criminale che ha caratterizzato i suoi ultimi film, James Gray trae ispirazio- 52 ne da un racconto di Dostoevskij “Le notti bianche”, per descrivere le dinamiche di un sentimento sempre più difficile da portare sullo schermo, perché ormai ampiamente analizzato e riletto in diversi modi. Tornando alla New York dei crepuscolari quartieri russi, questa volta infatti con Two Lovers Gray racconta un triangolo amoroso giocato nei meandri retrò di un vecchio condominio vicino al mare, evocando nostalgicamente gli anni’40. Muovendosi quasi interamente in una dimensione onirica il film, entrato nella selezione ufficiale a Cannes, è una storia d’amore raccontata come un noir. Ricordando le atmosfere di Sliding doors e Match point, la storia ha inizio con un tentativo di suicidio e si chiude allo stesso modo. Un uomo, instabile e ferito nei sentimenti, viene riportato alla vita da un amore a due facce. Una rappresenta la sicurezza, la comunità e la vita adulta, l’altra è il suo doppio, sofisticata e nevrotica, ma anche bisognosa di protezione. Il protagonista insegue fino in fondo la sua illusione, rinunciando a ogni orgoglio e poi a ogni speranza di vita felice. Fino al tragico finale. L’amarezza di scegliere la vita, ma di accontentarsi di una “parvenza” di felicità, portando però la morte dentro. Siamo di fronte a uno scontro tra due archetipi: l’amore travolgente e totalmente irragionevole e quello che segue la morale sociale, rassicurante, ma sempre confinante con l’ipocrisia. Una dicotomia da sempre in essere, ma spesso analizzata in maniera superficiale. Quello che fa il regista invece è una vera e propria immersione nelle zone più oscure dei suoi personaggi, nell’intimità delle coscienze, ricercando in maniera osti- Film nata, ma senza mai giudicare, segni e osservando dettagli. Da notare con attenzione le sequenze di raccordo, dove i momenti di imbarazzo e le routine comportamentali vengono tratteggiate con disarmante semplicità e tocchi di verità neorealista. Leonard, che ha la passione per la fotografia, ha infatti la funzione dello sguardo. Il suo scrutare le due donne e l’intermittente intrecciarsi con loro, è contemplare la sua vita futura, indecisa tra l’incognita dell’avventura romantica e senza garanzie e il calore di un sentimento più discreto, ancorato a una zona franca. Two Lovers sembra quindi descrivere un disagio diffuso, quel bisogno d’amore che pare essere destinato a rimanere un’illusione, se non al prezzo di inquietanti compromessi interiori ed esteriori. Il dramma del protagonista non è soltanto quello di chi è diviso tra l’amore rassicurante e stabilizzante e quello istintuale, selvaggio e pericoloso, è anche quello di chi non ha il coraggio di affrontare la verità su se stesso e sul mondo. Two Lovers è insomma un film devastante, che parla di straniamento e di male di vivere, che lascia traccia e obbliga lo spettatore a fare i conti con i propri fantasmi. Si è costretti a mettersi a nudo davanti alla natura del sentimento amoroso e a interrogarsi sulla imprescindibile necessità, ma anche e soprattutto sulla Tutti i film della stagione sostanziale emergenza di una maturità sentimentale. E non c’è nulla di più sbagliato che leggere il finale in maniera accondiscendente e consolatoria. Non potrebbe essere più raggelante, nella spietatezza del messaggio che trasmette, tutto affidato allo sguardo di Joaquin Phoenix dritto in macchina da presa. Ancora una volta, infatti, viene scelto come protagonista il carismatico Pho- enix, attore feticcio di Gray e ancora una volta non delude. Al suo fianco un binomio di grandi attrici Gwyneth Paltrow e Vinessa Shaw, in due opposte e sofisticate “identificazioni di donna” e un’Isabella Rossellini nel ruolo di una madre silenziosa, ma visceralmente complice. Veronica Barteri CHE LA FINE ABBIA INIZIO (Prom Night) Stati Uniti, 2008 Regia: Nelson McCormick Produzione: Neal H. Moritz per Alliance Films/Newmarket Films/Original Film Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 11-7-2008; Milano 11-7-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: J. S. Cardone Direttore della fotografia: Checco Varese Montaggio: Jason Ballantine Musiche: Paul Haslinger Scenografia: Jon Gary Steele Costumi: Lyn Paolo Produttori esecutivi: Christopher Ball, J. S. Cardone, Marc Forby, Glenn S. Gairon, Bruce Mellon, William Tyrer Casting: Lindsey Hayes Kroeger, David Rapaport Aiuti regista: Adam Druxman, James Moran, Marc Newland, Ingrid K. Behrens Operatori: Patrick B. O’Brien, Nick Paige, Kristy Tully Operatore steadicam: Chad Persons Trucco: Eryn Krueger Mekash, Jay Wejebe, Bernardette Beauvais, Jennifer Greenberg, Zoe Hay, Mike Mekash Acconciature: Larry Waggoner Effetti speciali trucco: Erik Porn Supervisori effetti visivi: Edson Williams (Lola Visual Effects), Rocco Passionino L a giovanissima Donna Keppel attende la notte del ballo dell’ultimo anno di liceo con grande Coordinatori effetti visivi: Marissa L. Fraering (Lola Visual Effects), Sean Tompkins Supervisori musiche: Gerry Cueller, Greg Danylyshyn Supervisore costumi: Philip Hayman Interpreti: Brittany Snow (Donna Keppel), Scott Porter (Bobby), Jessica Stroup (Claire), Dana Davis (Lisa Hines), Collins Pennie (Ronnie Heflin), Kelly Blatz (Michael), James Ransone (detective Nash), Brianne Davis (Crissy Lynn), Kellan Lutz (Rick Leland), Mary Mara (Signora Waters), Ming-Na (dottoressa Elisha Crowe), Johnathon Schaech (Richard Fenton), Idris Elba (detective Winn), Jessalyn Gilsig (zia Karen Turner), Linden Ashby (zio Jack Turner), Jana Kramer (April), Rachel Specter (Taylor), Valeri Ross (signorina Hines), Lori Heuring (signorina Keppel), Jennie Vaughn (sarta di Donna), Jay Phillips (DJ Tyler), Kevin Gould (fotografo di Prom), Tom Tarantini (carcerato), Charles Hirsch (Clerk), Brian Oblak, David Kaufman, Ross Partridge (uomini d’affari), Jacqueline Herrera (cameriera), Nicholas James (Denny Harper), Marcuis Harris, Troy Blendell, Gina St. John (reporter), Andrew Fiscella, David Lowe, Shawn Driscoll (agenti), Craig Susser (agente Hicks) Durata: 88’ Metri: 2480 eccitazione. Mentre si prepara per la grande serata, la ragazza non sa che lo psicopatico che ha ucciso tutta la sua famiglia è scappa53 to dal manicomio e ha tutta l’intenzione di completare la sua opera. Tre anni prima, Donna è stata l’unica sopravvissuta alla stra- Film ge compiuta da Richard Fenton, un insegnante ossessionato dalla sua bellezza. I genitori della ragazza ottennero un ordine restrittivo dal tribunale per proteggere la loro figlia. Nonostante ciò, Fenton si introdusse nella loro casa e massacrò i genitori e il fratello minore di Donna che riuscì a salvarsi nascondendosi. La testimonianza della ragazza fece sì che l’uomo venisse rinchiuso in un manicomio di massima sicurezza. Donna si era ripresa da quella notte orribile, anche grazie all’aiuto degli zii con cui ora vive. La notte del ballo, Donna si prepara a vivere una serata emozionante insieme al suo ragazzo, Bobby, e alle sue amiche Lisa e Claire. Insieme ai loro accompagnatori, le tre ragazze hanno noleggiato una suite nel lussuoso albergo dove si svolge il ballo e hanno programmato di passare lì la nottata. Sono serene, la loro unica preoccupazione è se sarà Lisa o la loro nemica Crissy, a ottenere l’ambito titolo di reginetta del ballo. Durante la festa, al distretto di polizia della cittadina di Bridgeport, il detective Winn riceve la notizia che Fenton è evaso da tre giorni dal manicomio in cui era rinchiuso. Mentre il detective va a dare la notizia agli zii di Donna, Fenton si introduce nell’hotel dove si svolge il ballo prendendo una stanza allo stesso piano della suite della ragazza e dei suoi amici. Dopo aver ucciso una cameriera, il criminale si appropria della chiave passepartout. Poco dopo, nella suite, Donna consola l’amica Claire che ha litigato col ragazzo Michael. Rimasta sola, Claire viene massacrata a coltellate da Fenton. Intanto il detective Winn e i suoi uomini arrivano all’hotel e allarmano la sicurezza diramando la foto del pericoloso criminale, che, nel frattempo, uccide anche Michael che era salito nella suite a cercare Claire. Non vedendo i loro amici, Lisa e il suo ragazzo Ronnie decidono di andare a cercarli nella suite. In ascensore Lisa incrocia lo sguardo di Fenton e poco dopo ha un’illuminazione. Mentre si precipita di sotto ad avvisare Donna che Fenton è lì, Lisa viene rincorsa per le scale dal criminale. Intanto Ronnie torna alla festa in cerca di Lisa. Dopo aver trovato la cameriera morta, Winn fa evacuare l’hotel interrompendo la festa, ma Donna sale nella suite a cercare Lisa e Claire. Fenton appare davanti agli occhi della ragazza che riesce a scappare. Il vice detective Nash porta Donna a casa degli zii insieme a Bobby. Intanto Winn resta a cercare Fenton nell’hotel imbattendosi nel cadavere di Lisa. Bobby resta con Donna per tutta la notte. Accortosi che Fenton è scappato dall’hotel, il detective Winn si precipita a casa di Donna trovando Nash morto nell’auto lì fuori. Nel frattempo, allontanatasi per pochi minuti, Donna torna in camera da letto trovando Bobby morto e Fenton che le si para Tutti i film della stagione davanti minacciandola. Mentre sta per sferrare il colpo finale alla sua vittima, Fenton viene ucciso dal detective Winn. Per Donna ora l’incubo è davvero finito. C ollege e sangue, un binomio frequentatissimo soprattutto nell’ultimo decennio, soprattutto negli States. Studenti belli e fusti, studentesse carine e alla moda e poi lezioni, feste di fine anno, aspiranti reginette di ballo, e poi lui, il serial killer di turno che irrompe a seminare terrore. Ma questa volta si fa di più, non ci si limita a scopiazzare, si fa praticamente un quasi-remake non dichiarato. La storia della studentessa che, nell’attesissima notte del ballo di fine anno (negli Stati Uniti questo ballo di chiama Prom Night che è anche il titolo originale) viene perseguitata da un ex professore ossessionato dalla sua acerba bellezza e che pochi anni prima aveva sterminato la sua famiglia, è presa da Non entrate in quella casa (titolo originale appunto Prom Night) teen movie targato 1980 diretto da Paul Lynch e interpretato da Jamie Lee Curtis nei panni di un’aspirante reginetta della scuola che si trovava nel mezzo di una strage di liceali compiuta da un killer di nero vestito. Al film seguirono tre mediocri sequel che ruotavano tutti attorno al ballo di fine anno: Prom Night II – Il ritorno (1987) di Bruce Pittman, Prom Night III – L’ultimo bacio (1988) di Ron Oliver e Peter Simpson e Discesa all’inferno (1991) di Clay Boris. Non entrate in quella casa, un titolo italiano sciagurato quanto questo Che la fine abbia inizio. Ordini perentori e minacciosi, imperativi categorici da brivido, ma la paura vera dov’è? Il regista Nelson McCormick (che ha maturato una lunga esperienza alla regia di serie televisive di successo come C.S.I. - Scena del crimine, Prison Break, Alias, Nip/Tuck, E.R. - Medici in prima linea, Cold Case) indugia volentieri sui liceali bellocci (in primis sulla bionda protagonista Brittany Snow), sui loro sorrisi bianchissimi, sui loro sogni, sui loro amori, ma si applica ben poco per far salire la suspense. Oltretutto non ci si sforza neanche un po’ di approfondire la psicologia del killer cercando le ragioni che muovono il suo comportamento criminale, e non si tenta neanche di giocare la carta dello ‘splatter’ nelle scene degli omicidi. Insomma la tensione è degna di un qualsiasi thriller giovanilistico all’acqua di rose da mediocre serata televisiva. Siamo lontanissimi da Carrie e dal suo sguardo di Satana, ma lì dietro la macchina da presa c’era un certo Brian De Palma, uno che seppe fare dell’innesto tra horror e commedia di ambiente studentesco una vera “poesia del sangue e del voyeurismo”. Qui la sola cosa che può far paura è il grande coltello in primo piano sulla locandina del film, davvero un po’ poco per mantenere le promesse del titolo. Quale fine? Qui non si inizia neanche. Elena Bartoni IL PASSATO È UNA TERRA STRANIERA Italia, 2008 Regia: Daniele Vicari Produzione: Domenico Procacci, Tilde Corsi, Gianni Romoli per Fandango/R&C Produzioni in collaborazione con Rai cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 31-10-2008; Milano 31-10-2008) V.M.: 14 Soggetto: dal romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio Sceneggiatura: Daniele Vicari, Massimo Gaudioso, Francesco Carofiglio, Gianrico Carofiglio Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Marco Spoletini Musiche: Teho Teardo Scenografia: Beatrice Scarpato Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi Organizzatore: Ivan Fiorini Casting: Laura Muccino Direttore di produzione: Elia Mazzoni Aiuti regista: Saverio Di Biagio Operatore Steadicam: Sascia Ippoliti Suono: Remo Ugolinelli, Benni Atria Interpreti: Elio Germano (Giorgio), Michele Riondino (Francesco), Chiara Caselli (Maria), Daniela Poggi (Anna), Romina jr Carrisi (Giulia), Marco Baliani (Franco), Lorenza Indovina (Alessandra), Valentina Lodovini (Antonia), Maria Jurado (Angela), Federico Pacifici (Avvocato), Antonio Gerardi (tenente) Durata: 122’ Metri: 3300 54 Film U n giovane avvocato, elegante e compassato, esce dall’aula dove si è appena conclusa un’udienza. Una ragazza con un occhio nero, gli si avvicina e lo ringrazia. Il passato. Giorgio è un giovane borghese prossimo alla laurea in legge, fidanzato, di bell’aspetto e brillante, rampollo d’una facoltosa famiglia ben posizionata ai piani alti della Bari bene. A una delle tante feste passate in compagnia della fidanzata però, accade qualcosa d’inaspettato: a uno dei tavoli dove si gioca, c’è Francesco, abile manipolatore di carte e di menti. Quando tre loschi figuri irrompono nella villa minacciando Francesco, Giorgio scatena una rissa, uscendo vincitore dalla lotta coi farabutti. I due ragazzi diventano in breve amici e soci: Francesco è un baro di professione e propone a Giorgio di diventare il suo compare. La prima partita è fissata per la notte dell’ultimo dell’anno. Dopo le prime prove, iniziano per il nuovo duo le sfide più impegnative, le visite alle bische clandestine, i tornei, le grosse vincite, le torbide relazioni. In una delle tante sere passate nel ventre d’una nave che nasconde una bisca, Giorgio incontra e conosce Maria, matura e facoltosa giocatrice incallita. Le notti di Giorgio diventano i suoi giorni: lo studio si dirada, la relazione con la fidanzata finisce e il tavolo verde occupa ormai il centro dei suoi pensieri. Dopo averla sfidata e vinta in un grande torneo di poker, Giorgio riesce a conquistarsi il letto di Maria, divenendo il suo amante segreto. Le notti passate fuori casa, i visibili cambiamenti nel carattere e, per ultimo, la nuova macchina sportiva acquistata grazie alle grosse vincite insospettiscono i genitori di Giorgio, che alla fine scoprono i pacchetti di banconote nascosti nella biblioteca. La reprimenda del padre e l’apprensione della madre fanno esplodere l’esasperazione del ragazzo, che, dopo una lite furibonda, torna alle sue occupazioni dissolute. La fortuna dura poco: allontanato da Maria, in rotta con Francesco, Giorgio si trova solo e stordito. Francesco però torna e lo coinvolge ancora nei suoi affari: l’occasione è il recupero d’un credito di gioco che Giorgio viene invitato a ottenere da un av- Tutti i film della stagione vocato insolvente a forza di calci e pugni. Francesco, convinto dalla prova, propone all’amico il colpo della vita. Un viaggio per due fino in Spagna a riempire la macchina di cocaina. Il viaggio sembra una facile e felice avventura. A Barcellona, i due aspettano in giro per locali che il meccanico trafficante imbottisca la macchina con la droga. L’attesa trascorre in un tempo sospeso; al giorno succede la notte e poi di nuovo l’alba. Francesco sparisce con una cameriera. Quando Giorgio inizia a temere d’esser caduto in un tranello però ritrova l’amico in compagnia della ragazza. Francesco tenta di prenderla con la forza, ma Giorgio lo ferma; poi è lui a stuprarla senza esitazione. Di nuovo a Bari, Giorgio sembra tentare un difficile riaffioramento. Una sera, davanti al solito bar, in cerca di Francesco, Giorgio incontra la bella cameriera che torna a casa da sola. In breve s’accorge che la ragazza è seguita dall’amico; pochi isolati più avanti Francesco l’aggredisce nel tentativo di stuprarla. Giorgio interviene e di nuovo lo ferma, poi arriva la polizia. Fino a che la giovane non rende la sua versione, Giorgio tace mentre gli agenti, convinti della sua colpevolezza, lo malmenano e lo torturano. Poi Giorgio viene liberato con le scuse di tutti. Di nuovo il presente. Giorgio, in giacca e cravatta, volto rasato e modi gentili, guarda per un momento appena la giovane che gli ha rivolto il saluto poco prima; è la cameriera dell’aggressione; negatole il riconoscimento, si volta e s’allontana. U na delle sfide più grandi per il cinema di fiction prodotto nel nostro paese è, da decenni, trovare una via d’accesso al presente; riuscire a dar conto di quel che avviene nel paese, intercettare passioni e patimenti, affetti e affezioni di un popolo vario e sempre meno leggibile, in un tempo particolarmente opaco. Daniele Vicari, fin dagli inizi della sua carriera cinematografica, sembra nutrire la forte aspirazione di riuscire in una missione difficile e ingrata come questa. Se forse non sono in molti a conoscere e ricordare i suoi primi documentari (alcuni dei quali davve- 55 ro convincenti, come il quasi ascetico Uomini e lupi, dal quale derivò poi più o meno direttamente quel L’orizzonte degli eventi così poco visto e compreso), l’esperienza di Il mio paese, film saggio di non-fiction, è sufficientemente noto per costituire chiara testimonianza di quest’attitudine. Il terzo lungometraggio di finzione diretto da Vicari prende le mosse, sparigliando le carte, da un’origine letteraria, il romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio. Tralasciamo qui l’indagine sulle relazioni tra testo originario e sua scaturigine cinematografica. Coerentemente con il titolo, il film usa largamente la narrazione in flash back, facendo del presente non solo e non tanto cornice funzionale, ma luogo di approdo di tutti gli esiti, momento di condensazione e scioglimento, elemento definitivo che (ri) orienta e ricolloca tutto quanto gli sta prima. Vicari sceglie un tono asciutto, essenziale, duro; un racconto che procede per accumulo di sguardi, di atti violenti, di gesti inconsulti. Uno dei pregi del film è dunque proprio il suo sottrarsi a ogni possibile didascalismo, a ogni esplicitezza molesta (pur rischiando una certa schematica meccanicità). I due protagonisti, circondati da bravi professionisti, riescono a stare nel gioco di equilibri ambigui e d’incerti profili. L’invito del delinquentello non spinge nel baratro il buon borghese, non è la causa di una sua pur temporanea perdizione: solo ne suscita la nera identità, ne stimola l’oscura violenza, la forza distruttrice sua propria. Poi i due – persi per vie e in misure assai differenti – sono insieme nella gara che tende all’autoannullamento. Vicari dirige con mano ferma, con senso della misura: ma forse non gli riesce fino in fondo di mettere in rima tutti gli elementi, la cui efficienza complessiva coraggiosamente non affida né alla parola, né al facile affresco. Così le belle intuizioni – quelle sulla relazione con l’altro sesso, con il denaro, con la concezione del tempo – si accumulano senza trovare il giusto innesco che ne faccia esplodere/emergere il forte senso, rischiando di rimanere materia inerte. Silvio Grasselli Film Tutti i film della stagione LA MATASSA Italia, 2009 Regia: Gianbattista Avellino, Salvatore Ficarra, Valentino Picone Produzione: Attilio De Razza per Tramp LTP. In collaborazione con Meduda Film e Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 13-3-2009; Milano 13-3-2009) Soggetto e sceneggiatura: Gianbattista Avellino, Francesco Bruni, Salvo Ficarra, Valentino Picone, Fabrizio Testini Direttore della fotografia: Roberto Forza Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Scenografia: Paola Bizzarri Costumi: Cristina Francioni Arredatore: Paola Bizzarri Suono: Mario Iaquone Interpreti: Salvo Ficarra (Gaetano), Valentino Picone (Paolo), Anna Safroncik (Olga), Pino Caruso (Don Gino), Claudio Gioè (Antonio), Tuccio Musumeci (vecchio sposo), Domenico Centamore (esattore), Rosa Pianeta (mamma di Gaetano), Mario Pulella (Don Mimì), Mariella Lo Giudice (mamma di Paolo), Francesca Agate, Plinio Milazzo (infermieri ambulanza), Antonia Ambra (mamma vecchietto), Turi Amore (portiere albergo), Gino Astorina (commissario), Gino Bonanno (dottore capezzale), Totò Borgese, Rosita Ferraro, Pippo Marchese, Sergio Seminara, Benito Placenti, Francesca Plata- C ’è un uomo seduto sul parapetto della finestra dell’albergo Geraci che minaccia il suicidio. Si tratta di Paolo, il proprietario dell’albergo. Le parole dei pompieri e dell’amico prete Don Gino, sopraggiunti sul luogo per evitare il tragico gesto, sembrano non sortire alcun effetto. Finché arriva un giovane con delle carte in mano; solo alla vista di quei fogli il suicida sembra avere una reazione. Nel frattempo arriva Gaetano, che scopriamo essere il cugino di Paolo, nonché l’altro proprietario dell’albergo. Abbandonati i suoi infelici propositi, Paolo inizia a litigare animatamente con il parente, mentre Don Gino inizia a raccontarci l’antefatto della vicenda. I due cugini, molto uniti da bambini, a causa di una lite familiare tra i rispettivi padri, riguardante l’eredità e la gestione dell’albergo, non si parlano da anni. Paolo si occupa dell’hotel di famiglia, mentre l’altro gestisce un’agenzia matrimoniale per extracomunitarie in cerca di permessi di soggiorno. Tanto è insicuro, ipocondriaco e timido l’uno, tanto è loquace, furbo e imbroglione l’altro. I due si incontrano ormai trentenni per una circostanza fortuita al funerale del padre di Paolo. In questo momento difficile, i due ragazzi si trovano inaspettatamente vicini a dormire sotto lo stesso tetto: Gaetano, per sfuggire dalle grinfie dei terribili fratelli russi che vogliono nia (parenti), Tiziana Buldini, Cinzia Molena (amiche samba), Giuseppe Butera (pizza boy), Gigi Borruso (padre di Paolo), Alessia Cardella (receptionist), Giuseppe Catalano (autista furgone), Marzia Cavallo (cameriera), Mary Cipolla (zia Concetta), Giovanni Ciranna, Alfio De Franco (vecchietti barattoli), Salvatore Coppola (assistente Bungee Jumping), Giancarlo Cori, Antonello Puglisi (mafiosi), Gabriele Davì (Gaetano bambino), Maria Di Biase (Svetlana), Carmelo Florio (psicanalista), Tomasz Gimte (russo smilzo), Lidya Giordano (mamma Paolo 25 anni), Angela Sciuto (mamma Gaetano 25 anni), Turi Giuffrida (dottore luminare), Vincenzo Ina, Angelo Scalia (ceffi), Paolo La Bruna (notaio Mascellaro), Enrico La Delfa (passante), Marco Li Vigni, Giuseppe Li Vigni (conoscenti giovane), Giovanni Lo Faro (gestore Bungee Jumping), Tu Loss (ristoratore cinese), Filippo Luna (padre Gaetano), Marcello Maniscalco (sindaco), Giovanni Martorana (Pietro), Roberto Nanfa (pompiere), Nuccio Morabito (bellimbusto), Gaetano Pappalardo (poliziotto), Emanuele Pavano (poliziotto pizza boy), Angelo Pellegrino (amministratore albergo), Dmitry Smirnov, Vadm Smirnov (fratelli Karamazov), Salvatore Sottile (parente grasso), Luca Spina (Paolo bambino), Yulia Zhiveynova (donna russa) Durata: 98’ Metri: 2770 rivendicare il matrimonio fallito della sorella minore con un ricco anziano, Paolo, impaurito anche da una semplice influenza, felice di sentire una persona della famiglia accanto. Grazie all’aiuto dell’accorto cugino infatti Paolo riesce a smascherare il direttore dell’albergo che si rivendeva da tempo parte dei viveri e della fornitura. Gaetano, conquistata la fiducia dell’altro si vede promettere anche in eredità l’albergo. Così l’uomo, con l’aiuto di un amico medico, grazie a uno scambio di analisi cliniche, fa credere a Paolo di essere in fin di vita. Il povero ragazzo allora cerca di viversi al meglio possibile i giorni che gli restano e scrive l’atto di donazione dell’albergo. Gaetano, raggiunto il suo scopo, prova a vendere subito l’albergo a un ricco cinese, proprietario di un ristorante limitrofo, ma, venuti al dunque, non ce la fa. Intanto però scopre che il padre di Paolo ha lasciato dei conti in sospeso con un boss mafioso che, stufo di aspettare, è venuto a riscuotere il pizzo. Ora si trovano entrambi nei guai. Paolo tenta il suicidio, ma alla vista delle analisi corrette chiede spiegazioni a Gaetano. I due, dopo una lite furibonda in cui riemergono tutti gli antichi rancori, si riappacificano e organizzano con l’aiuto della polizia un piano per incastrare i mafiosi. Dopo innumerevoli inseguimenti e peripezie, i malviventi cadono nella trappola. 56 Gaetano è costretto a sposare la giovane russa per placare l’ira dei due fratelli e si organizza una grande festa nell’albergo Geraci, durante la quale finalmente le due famiglie si riabbracciano. S alvo Ficarra e Valentino Picone filmano la terza regia cinematografica confermando un ennesimo successo. A differenza di altre coppie comiche di matrice televisiva, i due siciliani doc al cinema riescono a diversificare lo stile e il linguaggio tipico degli sketch cabarettistici. La matassa, diretto come il precedente Il 7 e l’8 con Giambattista Avellino, è nuovamente ambientato in Sicilia, ma questa volta a Catania. Via di mezzo tra la commedia di costume, la satira e il paradosso, il film non è mai volgare, ma anzi è caratterizzato da una comicità pulita e intelligente. Il tutto ruota intorno ai conflitti irrisolti e radicati nel tempo tra due cugini, uniti quasi come fratelli, che si trovano loro malgrado a dover sciogliere una matassa ormai troppo aggrovigliata. I due comici televisivi sono presi nelle loro solite dinamiche, uno più ingenuo l’altro più furbo, costantemente contrapposti da argomentazioni e accapigliamenti, ma in più si articola intorno a loro una varia umanità di mafiosi, preti, albergatori, medici venduti, che tiene viva l’attenzione e diverte con trovate originali. Film Come nella commedia dell’arte la vicenda parte da una “sciarra”, un’annosa lite familiare, che macchia la successiva generazione dei figli, costretti a risolvere i problemi dei padri. I moderni Franco e Ciccio della situazione finiscono per rimanere loro stessi ingarbugliati in un’avventura all’insegna di folli inseguimenti, fughe in auto e scontri con la polizia. Con leggerezza e umorismo, una sceneggiatura ben orchestrata solletica il palato dello spettatore, strizzando l’occhio all’action movie americano. E non solo. Spassosissima è la scena in cui i due protagonisti si fronteggiano con il clan mafioso, che evoca atmosfere tipiche dei western di Sergio Leone. Ficarra e Picone scelgono infatti di affrontare il tema della mafia in chiave grottesca, con l’intento di capovolgere i classici luoghi comuni. Gli stereotipi della sicilianità come le donne sottomesse, i mafiosi dominatori, l’omertà, i pizzini, o un certo modo di parlare in siciliano vengono rappresentati con disinvoltura e ironia come caricature e macchiette al limite del ridicolo. Non viene risparmiata neanche la stessa polizia, di cui viene data un’immagine autocelebrativa e pressappochista. Ulteriore passo avanti anche rispetto alle precedenti pellicole, La matassa vuole anche toccare la sensibilità dello spettatore con immagini legate al passato dei protagonisti e alle tradizioni familiari. Significa- Tutti i film della stagione U tivi i piani sequenza che i registi inseriscono per passare da un’epoca all’altra, facendo rivivere le emozioni dell’adolescenza di Paolo e Gaetano. Il film è arricchito dalla presenza del patrimonio attoriale siciliano. In primis Pino Caruso, grande attore teatrale, strepitoso nella parte di Don Gino, Claudio Gioè e Tuccio Musumeci nei ruoli minori, il caratterista Domenico Centamore, per la prima volta impegnato in una commedia, straordinario e incapace esattore mafioso con esilarante risatina stridula. Veronica Barteri PRIDE AND GLORY-IL PREZZO DELLONORE (Pride and Glory) Stati Uniti, 2008 Coordinatore effetti speciali: John Stifanich Supervisore effetti visivi: Randall Balsmeyer Supervisori costumi: Kevin Draves, Cheryl Kilbourne-Kimpton Supervisore musiche: Nic Harcourt Interpreti: Colin Farrell (Jimmy Eagan), Edward Norton (Ray Tierney), Jon Voight (Francis Tierney Sr.), Noah Emmerich (Francis Tierney Jr.), Jennifer Ehle (Abby Tierney), John Ortiz (Sandy), Frank Grillo (Eddie Carbone), Shea Whigham (Kenny Dugan), Lake Bell (Megan Egan), Carmen Ejogo (Tasha), Manny Perez (Coco Dominguez), Wayne Duvall (Bill Avery), Ramn Rodriguez (Angel Tezo), Rick Gonzalez (Eladio Casado), Maximiliano Hernàndez (Carlos Bragon), Leslie Denniston (Maureen Tierney), Hannah Riggins (Caitlin Tierney), Carmen LoPorto (Francis Tierney), Lucy Grace Ellis (Bailey Tierney), Ryan Simpkins (Shannon Egan), Ty Simpkins (Matthew Egan), Flaco Navaja (Tookie Brackett), Raquel Jordan (Lisette Madera), José Ramon Rosario (Maggiore Arthur Caffey), Christopher Michael Holley (detective Miller), Jason Rodriguez (proprietario del negozio all’angolo), Jessica Pimentel (Angelique Domenguez), Popa Wu (Reverendo Farraud), Nikkole Salter (Trish Mercer), David Pinon (proprietario), Lissetta Espaillat (moglie del proprietario), Sekhar Chandra (dr. Khomar), Bill McHugh (Gabriel Lopez Chaplin), Robert P. Alongi (capitano Lavier) Durata: 130’ Metri: 3350??? Regia: Gavin O’Connor Produzione: Greg O’Connor per New Line Cinema/Solaris/ O’Connor Brothers/Avery Pix Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 31-10-2008; Milano 31-10-2008) Soggetto: Gavin O’Connor, Greg O’Connor, Robert Hopes Sceneggiatura: Gavin O’Connor, Joe Carnahan Direttore della fotografia: Declan Quinn Montaggio: Lisa Zeno Churgin, John Gilroy Musiche: Mark Isham Scenografia: Dan Leigh Costumi: Abigail Murray Produttori esecutivi: Cale Boyter, Toby Emmerich, Marcus Viscidi Co-produttore: Josh Fagin Direttore di produzione: Meredith Zamsky Casting: Sarah Finn, Randi Hiller Aiuti regista: Todd Pfeiffer, Colin MacLellan, Sarah Rae Garrett, David Catalano, Andrew T. Wood Operatori: Petr Hlinomaz, Gerard Sava Art director: James Donahue Arredatore: Ron von Blomberg Trucco: Don Kozma, Bernadette Mazur, Tina LaSpina, Randy Westgate Acconciature: Michelle Johnson, Suzy Mazzarese-Allison 57 Film Q uattro agenti della polizia di New York sono rimasti uccisi in un agguato. Il tragico evento scuote l’intero Dipartimento di Polizia, mettendo tutti in allerta. Con un assassino a piede libero e così tanto in gioco, il Capo dei Detective di Manhattan, Francis Tierney Senior, chiede a suo figlio, il Detective Ray Tierney, di condurre le indagini. Ray accetta il caso anche se con riluttanza, consapevole del fatto che i poliziotti uccisi prestavano servizio sotto il comando di suo fratello, Francis Tierney Jr. e al fianco di suo cognato, Jimmy Eagan. Apparentemente sembrerebbe trattarsi del solito sequestro di droga finito tragicamente, ma col procedere delle indagini Ray comincia a rendersi conto che qualcuno deve aver informato gli spacciatori dell’imminente arrivo della polizia. Probabilmente si tratta di qualcuno dall’interno. Le prove sembrerebbero condurre verso persone di cui non dubiterebbe mai: suo fratello e suo cognato. Col trascorrere del tempo, il caso mette sempre più a dura prova i membri della famiglia, obbligandoli a scegliere tra la Tutti i film della stagione lealtà che li lega e la fedeltà verso il Dipartimento di Polizia... P resentato in anteprima alla terza edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (sezione Premiére), Pride and Glory fa assurgere l’archetipo della “polizia corrotta” ad autentico sottofilone del genere noir, visto come il cinema degli ultimi anni ha saputo abusarne con regolarità, dopo averne constatato il crescente interesse da parte di un pubblico disabituato dal mainstream alle mezzetinte in favore del più rassicurante manicheismo e della “scelta di campo”. Viene difficile da pensare che una scelta del genere possa giungere su grande schermo in modo scolastico e convenzionale, ma è ciò che succede col passare dei minuti al film di Gavin O’Connor, a cui in realtà non è attribuibile nessuna grave colpa se non quella di riproporre un cliché senza troppe varianti o spunti interessanti rispetto a ciò che la succitata inversione di tendenza verso il noir ha portato di recente al cinema e in TV (si pensi solo alla portata abissale, in termini di amoralità dell’io narrante, di un serial come Dexter). Non che il regista non provi a mischiare le carte: l’idea di scatenare un conflitto familiare è qualcosa che attinge alla tragedia classica greca, al dilemma tra giustizia e legame di sangue, archetipi narrativi secolari mai privi di forza dinamica. Ma quella del film è un’amoralità forzata, spesso condotta nei “giusti” binari del giusto e dello sbagliato, dove si ha sempre la sensazione che qualcuno (leggi Edward Norton) possa essere migliore di un altro (leggi Colin Farrell), laddove prerogativa del noir è quella di mostrare senza veli un’umanità contrapposta solo in apparenza, ma speculare nella propria negatività e nel perseguimento del proprio interesse individuale. Ma, nonostante manchi il coraggio di calcare fino in fondo il pedale della ferocia senza compiacimento, il film scorre fino alla fine, nonostante evidenti carenze di ritmo nella parte centrale, grazie soprattutto a un cast in stato di grazia. Norton, in particolare, sa sempre bucare lo schermo e avrebbe meritato un ritratto introspettivo maggiormente delineato. Gianluigi Ceccarelli IAGO Italia, 2009 Regia: Volfango De Biasi Produzione: Claudio Saraceni per Medusa Film/Cattleya/Ideacinema in collaborazione con Sky Cinema Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 27-2-2009; Milano 27-2-2009) Soggetto: Volfango De Biasi, Felice Di Basilio liberamente ispirati all’Otello di William Shakespeare Sceneggiatura: Volfango De Biasi, Felice Di Basilio, Tiziana Martini (collaborazione) Direttore della fotografia: Enrico Lucidi Montaggio: Stefano Chierchiè Musiche: Michele Braga Scenografia: Giuliano Pannuti I ago è un laureando in architettura a Venezia e presenta a un professore un suo progetto di città ideale, che è il tema proposto in concorso per la prossima Biennale d’arte; lo fa anche Desdemona, figlia del rettore della facoltà, Brabanzio, il quale ha in Iago un pupillo e, avendo ascoltato entrambi, per Iago propone anche la lode. Uscendo di facoltà, i due giovani incontrano il farfallone Cassio, che sta fotografando ragazze e si fa scattare una foto anche con Desdemona. Mentre passeggiano nel padiglione vuoto che dovrà contenere il progetto vincitore realizzato, e parlano di sé (lei parla della pos- Costumi: Monica Celeste Organizzatore generale: Paolo Vandini Effetti: Stefano Marinoni Suono: Andrea Fiorentini Coreografie: Luca Tommassini Interpreti: Laura Chiatti (Desdemona), Nicolas Vaporidis (Iago), Aurelien Gaya (Otello), Lorenzo Gleijeses (Roderigo), Fabio Ghidoni (Cassio), Giulia Steigerwalt (Emilia), Luana Rossetti (Bianca), Dioume Mamadou (Philippe Moreau), Dina Braschi (Maria), Cristina Liberati (madre di Otello), Pietro De Silva (professor Cheli), Gabriele Lavia (Brabanzio) Durata: 100’ Metri: 2650 sessività del padre, che si preoccupa anche della sua reputazione e dei propri contatti influenti; lui dice che suo padre, muratore, non gli ha perdonato neppure un punto di morte di aver voluto studiare; arriva Brabanzio con un architetto nero, Moreau e suo figlio Otello, che era amico d’infanzia con Desdemona e Cassio, prima che il padre andasse all’estero portandolo con sé. Ma ora Otello vuol finire l’università a Venezia. In una grande e assordante festa, Otello inizia a corteggiare Desdemona, suscitando la gelosia di Iago. Davanti alla commissione presieduta da Brabanzio abbiamo Otello, Iago, Desdemona, Cassio: il Senato accademico 58 ha scelto il progetto presentato da Otello, che ha “uno straordinario curriculum” e lui indica come assistente Cassio mentre il rettore indica Iago come secondo assistente; Desdemona si occuperà del design. Iago studia un piano di vendetta, con l’aiuto di Roderigo ed Emilia: anzitutto, rivela al padre che Desdemona ha già una storia con Otello; due giorni prima della scadenza per presentare il lavoro collettivo, Otello dà a Cassio un CD che contiene le parti degli altri che devono essere integrate con la sua, ma in una rissa creata ad arte da Roderigo e Iago, contro Cassio ubriaco, il CD, che Cassio ha infine completato, si rompe. Otel- Film lo caccia Cassio dal progetto e fa intervenire Iago a salvare la situazione. Desdemona calma Otello e cerca anche di riconciliarlo con Cassio; per scusarsi con lei, Otello le regala un antico e prezioso fazzoletto, che Emilia riesce a prendere. Iago, facendo visita a Cassio, finge di trovarlo lì, in casa di lui e gli suggerisce di chiamare Bianca, la sua ragazza con la quale ha litigato, per restituirglielo, perché è certo suo. Grazie all’intesa nata con Otello, Iago fa in modo che veda Desdemona parlare con Cassio quando invece a lui ha detto di doversi incontrare con il padre; fa trovare a Otello la foto di Desdemona con Cassio; fa in modo che Otello veda Cassio dare il fazzoletto a Bianca, che ovviamente non lo riconosce: ne viene un litigio che richiama il rettore e Iago così può svelare quanto del progetto sia opera propria, non di Cassio né di Otello. Infine, Roderigo e Emilia svelano a Desdemona la loro parte nel trucco di Iago ed è infine lei che va da Iago e gli dice che accetta lui perché è lui un vincente. Cassio sopravvive andando a donne come sempre e Otello trova una inaspettata attrattiva con Roderigo, che è un gay. L a prima sequenza crea diverse aspettative: vediamo Iago, Roderigo ed Emilia, grandi amici, analizzare il progetto di Iago, il quale afferma: noi abbiamo il dovere di proporre mondi migliori, perché sappiamo sognarli; afferma anche che l’unica cosa che conta, che Tutti i film della stagione spinge a creare, è l’amore.Gli amici vogliono dissuaderlo da amare Desdemona, la figlia del rettore, ma lui è certo che è come una principessa triste, troppo controllata dal padre, però quando il padre sarà stupefatto del progetto non ostacolerà il loro amore. Uscendo di facoltà all’alba, Iago in casa riceve i rimbrotti della zia, che gli dice di smettere di frequentare i ricchi, perché non basta una camicia inamidata per essere dei loro; e Iago: “Alla gente non importa quello che sei veramente, importa quello che sembri. Devi confonderti con loro”. Viene posto dunque il tema del rapporto padre-figlio; quello del rapporto tra figli dei ricchi e figli dei poveri; quello del rapporto giovane di genio e autorità accademica: ma nel corso della vicenda li vediamo di sottofondo tutti, sfilacciati in brevi e spesso casuali battute di dialogo. Iago è il giovane geniale che ha alcune illusioni: la genialità del suo progetto sarà riconosciuta, Desdemona saprà accorgersi dell’innamorato e saprà accettarlo proprio perché lo vedrà capace di tenerla in quella alta reputazione che il padre le ha costruito intorno. La trama si costruisce allora sul pro gressivo infrangersi di queste illusioni e sul progressivo vendicarsi del giovane. Ci pare che proprio l’aver suggerito troppi motivi di interesse abbia impedito uno svolgersi coerente e approfondito di almeno uno di essi; forse l’errore di partenza dell’intera operazione è stato il non voler staccarsi troppo dall’originale. Ma voler attualizzare un testo di questa portata o volervi leggere spunti modernistici o persino scherzare con esso sono tutte decisioni da ponderare settanta volte sette. L’idea di modernizzare il dialogo è possibile accettarla, ma non la si può realizzare tenendo un lessico medio-alto con aggiunta di parole in parlato volgare; non la si affida ad interpreti che sembrano leggere le loro battute pensando a tutt’altro (cosa riuscita perfettamente alla Chiatti). L’idea di fare di tutti i personaggi delle figure o negative (Cassio, ad esempio), o non prive di facce nascoste (Desdemona non è affatto une principessa prigioniera, ad esempio; Brabanzio porta avanti intrallazzi lucrosi) poteva essere persino interessante, ma richiedeva il coraggio di approfondirla, di fare almeno una critica precisa a un qualcosa, non a tante cose di per sé, purtroppo, ormai banali. Il novanta per cento della storia è accompagnato da una musica tenuta di sottofondo, a volte molto di sottofondo, una sottolineatura mai serena, come se si volesse così dare una tensione drammatica più nobile a tutta l’operazione: non ci è dispiaciuta, ma ci è parsa non sufficiente per salvare l’impresa, così come le accurate ed eleganti scenografie e la preziosa fotografia non hanno dato alla storia una qualunque simbolicità. Danila Petacco VALUTAZIONI PASTORALI Aspettando il sole – complesso / grossolanità Ballare per un sogno – consigliabile / semplice Beket – n.c. Bride Wars – La mia migliore nemica – consigliabile / semplice Che la fine abbia inizio – n.c. Come un’uragano – n.c. Cosmo sul comò (Il) – accettabile / semplicistico Dall’altra parte del mare – n.c. Defiance – I giorni del coraggio – consigliabile / problematico Denti – inaccettabile / negativo Due partite – complesso-problematico / dibattiti Ember – Il mistero della città di luce – accettabile / semplice Fronzen River – n.c. Frost/Nixon – Il duello – raccomandabile-problematico / dibattiti Giardino dei limoni (Il) – accettabileproblematico / dibattiti Gran Torino – raccomandabile-problematico / dibattiti Iago – Futile / superficialità I Love Shopping – consigliabile / semplice International (The) – consigliabile / semplice Katyn – raccomandabile-problematico / dibattiti Legami di sangue – inconsistente / superficialità Madagascar 2 – accettabile / brillante Matassa (La) – consigliabile / semplice Pantera rosa 2 (La) – futile / superficialità Passato è una terra straniera (Il) – discutibile / scabrosità Pride and Glory – Il prezzo dell’onore – discutibile / violenze Quell’estate felice – n.c. Questo piccolo grande amore – futile / semplice 59 Respiro del diavolo (Il) – Whisper – consigliabile / semplice Siciliana ribelle (La) – consigliabile-problematico / dibattiti Sol dell’avenire (Il) – discutibile-problematico / dibattiti Spirit (The) – discutibile / crudezze Tutta colpa di Giuda – complesso-problematico / dibattiti Tutti insieme inevitabilmente – futile / grossolanità Two Lovers – consigliabile / problematico Underworld – La ribellione dei Lycan – futile / violento Verità è che non gli piaci abbastanza (La) – consigliabile / brillante Verso l’Eden – consigliabile-problematico / dibattiti Watchmen – consigliabile / problematico Wrestler (The) – complesso-problematico / dibattiti Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL VENEZIA 2008 MOSTRA ALLA RICERCA DI IDENTITÀ A cura di Flavio Vergerio con il contributo di Silvio Grasselli, Luisa Ceretto, Marzia Gandolfi Al ritorno da Venezia ogni anno molti conoscenti mi ripetono la domanda-tormentone: “com’era la Mostra quest’anno, hai visto dei bei film?”. E ogni volta io mi affanno a segnalare i tre-quattro film significativi che entreranno nella programmazione commerciale, precisando con tono professorale che in una grande vetrina internazionale qualcosa di interessante c’è sempre... La 65.a Mostra presentava ancora una volta un programma zeppo di titoli: ben 166! 21 in Concorso, 12 nel Fuori Concorso, 10 in Fuori Concorso-Eventi, 18 nella sezione più misteriosa e indefinibile, Orizzonti, 7 in Orizzonti-Eventi, 18 in Corto-Cortissimo, 6 in Corto-Cortissimo Eventi, 20 nella retrospettiva dedicata al Leone d’Oro alla Carriera Ermanno Olmi, ben 32 nella retrospettiva “Questi fantasmi: cinema italiano ritrovato (1946-1975). Troppi, comunque impossibile vederli tutti, difficile talvolta fare delle scelte, soprattutto fra le opere prime, di cui non si conoscono i registi esordienti. Per fortuna le due retrospettive (Olmi e “Cinema italiano ritrovato”) presentavano molte opere ben note ai cinefili stagionati come me, lasciando spazio alla ricerca di altre possibili scoperte e sorprese. Per giudicare la Mostra di quest’anno debbo tornare a tentare una definizione della sua funzione, che non può che essere quella culturale. Fare cultura, a mio avviso, per un grande festival significa andare alla ricerca di nuovi modi di narrare e di comunicare, verificare lo stato della sperimentazione linguistica, scoprire quindi nuovi talenti in giro per il mondo, anche e soprattutto fuori del circuito Holly-Bolly-wood e dintorni europei, documentare e studiare il cinema e non adattarsi al ruolo di cinghia di trasmissione delle case di produzione più potenti. La modesta selezione degli italiani ha indotto qualche sospetto in merito, soprattutto se si pensa all’esclusione della nuova opera rigorosa di Paolo Benvenuti Puccini e la fanciulla e della piccola sorpresa Pranzo di Ferragosto, ceduta alla “Settimana della critica” e molto amato poi dal pubblico delle sale. È vero che sparsi qua e là nelle diverse sezioni c’erano opere di grande originalità (ad esempio il filippino Lav Diaz e il brasiliano Julio Bressane a Orizzonti), ma la sensazione è stata quella della mancanza di un disegno complessivo, quasi che quelle opere fossero state selezionate per giustificare la presenza di molte altre inutili o inguardabili. Nell’introduzione al Catalogo della Mostra, il Direttore Marco Müller motiva le sue scelte in modo che mi sembra utile discutere. Egli nega innanzitutto un approccio al cinema come a “una bussola infallibile”. A suo avviso, il cinema della modernità che pretendeva di costituirsi come “ lezione assoluta, profondità, essenza” non esiste più. Il post-moderno ci sottopone al rischio del contagio e dell’ibridazione, ha fatto esplodere forme e linguaggi. Il cinema contemporaneo ha perso poi, secondo Müller, capacità di fascinazione nei confronti del grande pubblico e sta forse cercando nuove formule comunicative. La consacrazione dell’Arte sarebbe oggi uno strumento inutile e bisognerebbe “fornire nuove piste, contribuire a rinnovare i sistemi di mappatura”. Sorprendente la prospettiva: “Purezza, omogeneità, assolutezza ci sono apparse impraticabili (perché improduttive), abbiamo dunque perseguito l’autenticità attraverso il suo contrario. La qualità ha contato, ma ancor più la non-identità dei fenomeni espressivi: la libertà narrativa; lo splendore delle forme; il piacere schermico, la sfida al comune senso del reale – la continua messa in discussione dell’idea di fiction (o di non fiction...) e dei limiti del punto di vista consentito allo spettatore. Mischiare le carte ha voluto dire: prendere rischi inattesi, provare soluzioni non sperimentate, ricapitolare le fasi recenti del nuovo al cinema per rivalutarle, risituarle nei territori a cui appartengono...”. Le affermazioni teorico-metodologiche di Müller hanno però trovato una clamorosa 60 sconfessione nelle scelte concrete delle selezioni, ove ci siamo trovati in non pochi casi a confrontarci con opere né moderne, né postmoderne, ma semplicemente vecchie e accademiche, o semplicemente deboli nell’impianto narrativo. Per andare contro corrente direi qualcosa delle due retrospettive, di cui non si occupa mai nessuno. Se l’omaggio a Ermanno Olmi era un doveroso atto d’amore, meno motivata mi è parsa quella curata dal buon Tatti Sanguineti e da Sergio Toffetti, dedicata al cinema italiano poco visto ma significativo per le sue posizioni controcorrente sul piano estetico o politicamente (troppo) coraggiose (da Luigi Zampa a Carmelo Bene). Ma noi, vecchi cineforisti, molti di quei film li abbiamo fatti conoscere a partire dagli anni ‘60 ai nostri pubblici di “periferia” e non costituivano certo delle grandi scoperte (e comunque molti di essi si possono recuperare in DVD). L’utilità della retrospettiva si è ridotta al recupero di alcune opere scomparse da tempo anche dagli elenchi delle cineteche (Giorgio Bianchi, Claudio Gora, Duilio Coletti) e che hanno confermato l’esistenza di una storia segreta del cinema italiano, sinora studiato quasi esclusivamente come storia del Neorealismo e dei Grandi Autori. La retrospettiva mancava poi di un catalogo che offrisse nuovi materiali critici e la tradizionale tavola rotonda finale si è svolta praticamente senza pubblico. Intendiamoci, sempre meglio della stracultiana celebrazione dell’epopea degli spaghetti western dell’anno scorso, con la sorprendente celebrazione del “genio” di Sergio Corbucci et co., ma ricordo che Müller aveva esordito nel 2005 con ben altro piglio, proponendo una illuminante retrospettiva dedicata ai “Cento anni di cinema cinese (1905-2005)”. Sarò in posizione minoritaria, triturato dalle necessità del quotidiano e del mondano, celebrati dalla straripante genia dei quotidianisti di “colore”, ma io credo fermamente che lo spessore culturale di una gran- Film de istituzione quale è la Biennale si debba misurare proprio dalle occasioni di conoscenza e di studio dei grandi autori e delle grandi cinematografie del passato. Penso con rimpianto ad alcune grandi retrospettive degli anni ’70 e ’80, quali quelle dedicate a Kenji Mizoguchi, King Vidor, Luis Buñuel (a Venezia si sono visti forse per la prima volta i suoi film messicani). Quale istituzione se non Venezia (e pochissime altre) hanno il prestigio e la forza per proporre tali retrospettive? Perché cedere questa fondamentale funzione di documentazione e di studio a Torino, Pordenone e Bologna? (f.v.) IL CONCORSO Ventuno i film selezionati, alcuni imbarazzanti (che non citerò per pudore), altri ovvi o inutili, una diecina quelli degni di attenzione. Su tutti il “radicale” The Hurt Locker (lett. Il bauletto del dolore) della rediviva Kathryn Bigelow (si ricordi il suo bellissimo Strange Days del ’95), ambigua e salutare descrizione di come la guerra possa diventare una droga per uomini privi di altri orizzonti esistenziali di senso. Ritratto atroce di un “eroe senza qualità” che supera e dà significato alla sua vita “inutile” a casa (malgrado una moglie e un figlio neonato), eccellendo sul fronte iracheno come “ranger” sminatore di bombe antiuomo e di cariche esplosive disseminate dai terroristi. Il sergente James vive la sua pericolosa specializzazione come occasione per conquistare la propria identità, da manifestare agli altri, nella adrenalinica lotta contro un male misterioso, nell’illusione ossessivamente di vincere la morte, privo di una qualsiasi altra motivazione politica o sociale. La guerra non è lo strumento, ma il fine della vita. Quasi didascalicamente la regista ci mostra lo smarrimento di James durante una licenza a casa, indeciso su quali corn flakes acquistare in un supermercato deserto o nella cura del giardino. Il vuoto e l’assenza di senso si manifestano nell’inquietante rappresentazione della Bigelow come ripetitività delle azioni, attesa frustrante delle esplosioni e della catastrofe, sospensione di una qualsiasi progressione drammaturgica. Grande lezione morale: la paura non può essere dominata, nemmeno con l’illusione narrativa, si può solo mostrare e compatire l’uomo che vi si immerge dolorosamente. L’altro bel film americano (vincitore di compromesso del Leone d’Oro), The Wrestler di Darren Aronofsky, imprevedibile giravolta dopo la fiaba morale de L’albero della vita, lavora invece su una struttura codificata di genere, diciamo il cinema di pugilato alla Rocky, modificandone profondamente la direzione narrativa e l’ideologia consolatoria. Randy Robinson detto l’“Ariete” (un inatteso bravissimo Mickey Rourke, che esibisce Tutti i film della stagione spudoratamente il proprio declino fisico) rifiuta la sua emarginazione di vecchio pugile tentando un’impossibile resurrezione sportiva e morale. Aronofsky nasconde la sua messa in scena dietro l’esibizione dolorosa del corpo e dell’anima martoriati di Randy-Rourke che, poco alla volta, si manifestano come metafora complessa dell’America. Randy, con il suo nome polacco, rappresenta la storia di un’integrazione mancata e di una solitudine (ha un matrimonio mancato alle spalle e una figlia che lo rifiuta) che cerca nell’eccesso e nella esibizione sportiva una illusoria compensazione. Più radicale e privo di concessioni narrative un terzo film americano, Vegas: based on a true Story di un Amir Naderi che abbandona stavolta la sua vena sperimentale per raccontare una vicenda kafkiana di una modesta famiglia proletaria che si distrugge inseguendo il sogno dell’arricchimento facile. All’ombra di una città (invisibile), che rappresenta la quintessenza dei valori dell’apparenza, dell’azzardo e del danaro, i tre componenti della famigliola scavano nel giardino di casa alla ricerca di un tesoro improbabile, La famiglia rompe la propria unità, rinuncia alla vita sociale, vive sino alle conseguenze ultime la sua ossessione. Della casa e del giardino rimarrà solo una distesa di crateri, come in una terra di nessuno piagata dalle bombe. Completavano la corposa pattuglia americana l’esordio piuttosto prevedibile dello sceneggiatore del messicano Iñarritu, Guillermo Arriaga, che in The Burning Plain racconta, con la formula ormai collaudata di storie che si incastrano l’un l’altra e con salti spaziotemporali che qui diventano vuoto manierismo la vicenda di tradimenti sentimentali e di sensi di colpa che si tramandano di madre in figlia, percorsi dalla coazione a ripetere e dal cupio dissolvi. Abbastanza convenzionale e memore della lezione altmaniana anche il ritratto di una ribelle all’interno di una famiglia infelice e autodistruttiva, offerta da Rachel Getting Married di Jonathan Demme. Ben più originale e coinvolgente Soldatini di carta del russo Aleksei German jr., confermatosi alla sua terza prova autore capace di reinventare la classicità con dolorosi umori personali. Come in Gaspartum (2005), in cui un gruppo di studenti sogna di fondare una squadra di football mentre incombe la Rivoluzione, anche qui il regista descrive lo spaesamento di un gruppo di scienziati e di astronauti impegnati nel progetto del lancio del primo uomo nello spazio (1961). In particolare, il protagonista, un medico idealista, vive una profonda crisi d’identità e di valori, diviso fra l’amore per la Patria, profondamente scettico nei confronti del regime stalinista sottoposto alla revisione critica di Kruscev e angosciato per i sacrifici umani che l’ambizioso progetto provocherà. L’uomo vive anche l’ambivalenza dei rapporti sentimentali, combattuto fra la moglie e una giovane aman61 te passionale. Quando l’uomo morirà, le due donne vivranno assieme accomunate nel ricordo di lui, rinunciando a ogni futuro progetto esistenziale. Il film descrive l’eterna lacerazione dell’animo russo, sospeso fra utopia e fallimento, con la significativa citazione cechoviana: “Vivremo, moriremo...”. German immerge il racconto in un paesaggio (la steppa kazaka ove si trovava il centro aerospaziale) desolato, gelato e nebbioso, metafora di una Russia che assorbe e annulla esistenze e movimenti della Storia. Fra gli altri film commendevoli, bisogna segnalare il nuovo delizioso tour de force (il regista-pittore usa ancora un metodo artigianale, rifiutando l’omologazione digitale) di Hayao Miyazaki, Ponyo sullo scoglio in riva al mare, favola ecologica dell’amicizia fra un bambino e un pesciolino che ambisce a essere umano. L’aspetto straordinario del film risiede nella capacità dell’artista di dar vita a mondi possibili, giustificati solo da ragioni estetiche e da un suo totale rifiuto della mimesi realistica. Teza (Rugiada) dell’etiope Haile Gerima narra il ritorno (autobiografico) nella patria africana di un intellettuale formatosi in Europa nel momento in cui il regime filosovietico di Mengistu si scontra con nuovi movimenti di ribellione. L’uomo sceglie di ritirarsi in campagna nella terra dei suoi avi, alla ricerca delle sue radici culturali profonde, sola possibile ancora di salvezza per ricostruire la dignità di un popolo. Più astratto ed ellittico, Gabbla (Inland) dell’algerino Tariq Teguia, percorso a ritroso di un cartografo chiamato a fare dei rilievi topografici in una regione interna, dove il fondamentalismo ha creato vuoto e terrore. L’uomo incontra in una baracca nel desero una ragazza in fuga dal Ciad verso il Marocco, verso una sorte incerta. Ma la ragazza cambia idea e tenta un viaggio di ritorno verso il suo luogo d’origine, accompagnata dall’uomo. Road movie antinarrativo, profondamente innervato di ragioni metaforiche, messaggio disperato sull’impasse che sta vivendo l’Africa. Flavio Vergerio EVENTI SPECIALI L’ultima edizione del Festival di Venezia è stata – come di rado negli ultimi anni – per i grandi maestri. Il Leone d’Oro alla carriera di Ermanno Olmi non è che il picco più evidente d’un articolato insieme d’autori che hanno costellato – alcuni accompagnando con la loro vivida presenza il proprio film, altri proiettando il proprio solo “fantasma filmico” sugli schermi del Lido – la mostra veneziana 2008. Per di più le opere di tanti e tali maestri si son trovate – per una coincidenza forse non esclusivamente dovuta al caso – a riflettere Film Tutti i film della stagione TEZA di Haile Gerima sul mezzo cinematografico, operando tutti una dislocazione dello sguardo in un altrove ogni volta diverso. Iniziamo allora dal centenario Manoel de Oliveira, che, con un piccolo cortometraggio – lungo appena sette minuti – pensato scritto e realizzato nel breve volger di poche ore, tenta una riflessione ironica sul mondo contemporaneo, sull’alienazione e il paradosso dell’iper-comunicabilità che finisce con l’ostacolare la relazione, l’incontro, la comunicazione dell’hinc et nunc. Do visivel ao invisivel è un leggero piccolo apologo – prodotto per essere inserito nel film collettivo Invisibile world, progettato e promosso dal Sao Paolo International Film Festival – che mette in scena i paradossi dell’iper-mediazione, suggerendo fin dal titolo di spostare l’occhio e la mente un po’ oltre l’esigua messa in scena d’uno sketch. È stato poi l’anno del ritorno di Abbas Kiarostami, che a Venezia ha portato – inspiegabilmente escluso dal concorso – il suo nuovo lungometraggio. Shirin compone un radicale e coraggioso inno alla condizione e allo statuto dello spettatore; un “documentario sui volti” si potrebbe dire citando Bazin, un articolato testo audiovisivo che sceglie la via dell’infrazione della regola, lasciando che la narrazione (un poema della tradizione iraniana che racconta l’amore tormentato e funesto tra la principessa Shirin e il Re Khosrow) sfili fuori dello schermo, affidata alle suggestioni del sonoro e centrando invece il fuoco dell’inquadratura sul paesaggio dei volti di centotredici attrici, sui loro sguardi, sulle microfibrillazioni dei loro occhi che seguono rapiti le immagini invisibili del fuori campo. Un capovolgimento dello sguardo che sembra alludere alla crisi delle immagini spettacolari, alla necessità di tornare incessantemente a interrogare il mezzo cinematografico e di non dimenticare mai il senso e il valore del ruolo dello spettatore all’interno del sempre più evanescente dispositivo cinematografico. Altro grande ritorno quello della donna regista forse più celebre e celebrata di tutte, Agnès Varda. Ventitré anni dopo il Leone d’Oro ottenuto a Venezia con Senza tetto né legge, Varda torna con un eclettico documentario, un lungo autoritratto eccentrico e ispirato che mostra, con discrezione, la grande vivacità artistica dell’ottantenne francese. Les Plages d’Agnès mette in serie, tenendo come unico vincolo e regola la linea del tempo cronologico dell’esistenza, tutte le spiagge che hanno costellato la sua vita, che hanno fatto da scena alle avventure, ai dolori, agli incontri e alle gioie più grandi. Dal Belgio alla Francia del sud, dagli Stati Uniti al centro di Parigi - dove la Varda ricrea una piccola spiaggia artificiale – la regista ricostruisce e rivisita l’orizzontalità infinita del confine tra mare e terra, andando via via costruendo un percorso di riconsiderazione esistenziale fatto di colto citazionismo, raffinata affabulazione, irripetibile libertà linguistica. Youssef Chahine invece al festival non c’era. Dopo aver portato in concorso all’ultima edizione il suo vivo e sottovalutato Chaos, il regista egiziano è scomparso l’estate scorsa a ottantadue anni, al termine d’una vita spesa sul set, per gli spettatori. La Mostra gli ha voluto dedicare un omaggio, riproponendo uno dei lungometraggi degli anni ’50. Bab el hadid (Cairo station, 1958) – che nell’anno dell’uscita guadagnò l’Orso d’Oro a Berlino – è un perfetto esempio della sapienza narrativa di Chahine, della sua attenzione alle figure femminili, della capacità di mettere insieme uno stile nitido da consapevole autore con i toni e i ritmi del miglior cinema popolare. Nel ritrarre il personaggio della protagonista Hanuma, giovane venditrice ambulante bella e irrequieta, Chahine dimostra tutta la modernità dell’Egitto di quegli anni, tessendo insieme i bozzetti d’un lieto romanzo rosa con l’azione e la suspence d’un giallo. Coerentemente con “l’onda anomala” che sembra stia facendo risalire agli onori delle cronache il cinema documentario un po’ 62 ovunque, questa mostra ha accolto anche il compimento d’un progetto di grande interesse. Giuseppe Bertolucci, prendendo spunto “da un’idea di Tatti Sanguineti”, ha lavorato alla formulazione di un’”ipotesi di ricostruzione della versione originale” di La rabbia di P.P.Pasolini, il lungometraggio che l’intellettuale friulano compose, su richiesta del produttore dei cinegiornali Mondo Libero, Gastone Ferranti, tra il 1962 e il 1963. Lungometraggio che poi lo stesso Pasolini fu costretto a rivedere, tagliandone una parte, a motivo dei timori della produzione che volle farlo affiancare da un omologo mediometraggio a firma di G. Guareschi, all’interno d’un dittico per il quale si scelse il discutibile nome di “cinematch”. Bertolucci, dopo lunghe e accurate ricerche, ricompone un’ipotesi dei sedici minuti espunti all’origine dal film di Pasolini, fa seguire il film effettivamente uscito in sala – della durata di 53 minuti – e chiude il suo nuovo testo con una inconsueta selezione di alcuni materiali tratti da notiziari e programmi televisivi per lo più dedicati alla figura di Pasolini, regista e intellettuale. Un’operazione critica importante non solo per i valori della ricerca storico-filologica, e nemmeno soltanto per i meriti di rendere di nuovo fruibile al pubblico un film-saggio-poema tanto inconsueto e prezioso, ma ancora per la direzione che questo lavoro indica e suggerisce: la necessità d’iniziare una nuova imponente attività di studio e riconsiderazione degli archivi cinematografici, di pensare al film come a un testo da frequentare, da conservare nella sua integrità, da mostrare al pubblico non più come un prodotto di (fugace) consumo, ma pure come oggetto testuale da percorrere e ripercorrere. Silvio Grasselli ORIZZONTI Anche quest’anno la proposta della sezione Orizzonti ha confermato la vitalità di una produzione cinematografica a livello internazionale che conduce la propria ricerca, in un ambito tra la documentazione della realtà e la fiction, che contamina i linguaggi, sperimentando formati differenti, dal 35mm al digitale. Distribuita in tre sezioni, due competitive (Orizzonti per i film di fiction e Orizzonti Doc per i documentari) e una fuori concorso (Orizzonti Eventi), è prevalso sul piano tematico uno sguardo verso la marginalità, verso l’essere umano alla ricerca di se stesso in una società sofferente, alienante, dove le condizioni esistenziali sono sempre più precarie. Melancholia di Lav Diaz, esponente di spicco del nuovo cinema filippino, è il film vin- Film citore, un’impresa coraggiosa fuori dagli standard commerciali distributivi, della durata di 540 minuti. A partire da tre protagonisti alla ricerca della felicità e in fuga da esperienze dolorose, l’opera riflette sull’esistenza umana, sulla necessità di inseguire i propri sogni nel tentativo in ogni modo di realizzarli. Come miglior documentario, la giuria, composta da Chantal Akerman, Nicole Brenez, Barbara Cupisti, José Luis Guerin, Veiko Ôunpuu, ha premiato una co-produzione italo-americana, Below sea level di Gianfranco Rosi. A quaranta metri sotto il livello del mare in una no man’s land a sud-est di Los Angeles, vive un gruppo di persone ai confini del mondo, senza nessun confort; sono i nuovi poveri che, per un motivo o per l’altro, si sono trovati “fuori” dal sistema sociale e dalle sue convenzioni. La camera di Rosi si avvicina rispettosamente ai protagonisti, li segue nella loro quotidianità. Una menzione speciale è stata assegnata ex aequo al francese Un Lac e al cinese Wo Men. Firmato da Philippe Grandieux, l’originalità di Un lac, che racconta di una famiglia del Nord della Francia isolata dal resto del mondo, in particolare di Alexi, il figlio epilettico che vive con la sorella un rapporto amoroso ai limiti dell’incestuoso, poggia principalmente su una scrittura sperimentale, sull’uso “in soggettiva” della camera, che restituisce il punto di vista e il modo di sentire del protagonista. Wo Men (We) del giornalista, scrittore e produttore Huang Wenhai, racconta un’altra Cina, dà voce alle inquietudini e alla coscienza di quelle “creature politiche”, di cittadini impegnati nella lotta e nella denuncia della violazione dei diritti umani. Girato in digitale con una videocamera a mano, Wo Men costituisce un documento unico, un atto d’accusa all’indomani delle Olimpiadi, che mina quell’immagine televisiva di un Paese moderno, trionfante e tollerante che per settimane ha raggiunto il mondo intero. Proveniente dall’Iran, Kasthegi (Tedium) di Bahman Motamedian segue le vicende di un gruppo di transessuali iraniani, alle prese con le difficoltà di farsi accettare dentro e fuori le mura domestiche. Un film il cui valore risiede, più che sul piano cinematografico, su quello della documentazione di una società che fatica ad accettare l’alterità. Sul filone dell’attualità, giunge da Israele, Z32, firmato dal regista Avi Mograbi, noto al pubblico italiano per il suo film precedente, Per uno solo dei miei occhi. Z32 è il codice di riferimento della testimonianza di un exsoldato israeliano rilasciata per il progetto “Shovrim Shtika” che prevede la creazione di un archivio di memorie sui conflitti nella West Bank. Tre i documentari provenienti dall’America Latina che focalizzano l’attenzione sull’universo infantile diretto dal messicano Euge- Tutti i film della stagione nio Polgosky, Les Herederos riprende le difficili giornate di bambini, trascorse a lavorare duramente: sono gli eredi di una generazione senza diritti e senza terra. Con Puisque nous sommes nés, Jean-Pierre Duret e Andrea Santana documentano in uno stile docu-fiction le condizioni di estrema povertà di una favela dove vive Nego, un ragazzino che, dopo il lavoro ai campi, sogna, insieme a un suo amico, di fuggire da quei luoghi. In Paraguay, firmato dallo statunitense Ross Mc Elwee descrive, in uno stile da home movies, le difficoltà burocratiche per adottare una bambina paraguaiana, riflettendo più generalmente sulla situazione politica di quel paese e sulla politica estera statunitense. Iraniano di origine, nato e vissuto in America, Ramin Bahrani fa ritorno sugli schermi veneziani, dove nel 2005 aveva presentato il suo film di esordio, Man Push Cart, col suo ultimo, Goodbye Solo. Amicizia, solitudine, senso di estraneità, sono i temi che il regista affronta con consapevolezza linguistica in questa ballata dal sapore amaro e dai colori autunnali. Spostandosi in Europa, e più precisamente in Romania, Marco Pontecorvo con Pa-ra-da, testimonia l’opera del clown Miloud Oukili, un francese di origine algerina, che giunge a Bucarest poco dopo la caduta di Ceausescu e scopre che centinaia di bambini vivono di accattonaggio, furti, prostituzione, nel sottosuolo della capitale. Tra le proposte di Orizzonti Eventi, ricordiamo il bel documentario firmato da Carlo Di Carlo, Antonioni su Antonioni, un ritratto pubblico e privato del maestro del cinema, a un anno dalla sua scomparsa. Due i lavori sulla tragedia della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni di Torino dove, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 sette operai persero la vita: il meno convincente, La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti, la cui struttura narrativa è costituita da un prologo “recitato” e da un documentario che segue il filo delle dichiarazioni dei testimoni. E ThyssenKrupp Blues, firmato da Pietro Balla e Monica Repetto, che nel seguire il percorso di un operaio, senza pretese di oggettività, ricostruisce un anno di storia della fabbrica. Luisa Ceretto SETTIMANA DELLA CRITICA EFFETTI COLLATERALI Accade a Venezia 65 (come in altri lidi) di vedere nelle sezioni collaterali film che non avrebbero sfigurato al posto di quelli inseriti in concorso. Ma da sempre la spartizione e la logica delle attribuzioni alle varie sezioni resta la questione più opinabile e misteriosa dell’intero apparato Mostra. 63 Così, mentre lo spessore del cinema presentato “in” è risultato medio, senza scoperte, onestamente autoriale, decentemente consumistico e con rarissimi picchi di urgenza o di scardinamento, la Ventitreesima Settimana della Critica ha presentato un programma di opere prime rilevanti, a partire da quella vincitrice, L’apprendista di Samuel Collardey. Dentro un mondo rurale ancora intatto, l’autore ambienta la storia di un bambino che cresce educato da un allevatore di mucche e maiali, confidente discreto degli affanni e delle tribolazioni dei suoi pochi anni. Esposto con rigore documentario, per riprodurre la cadenza della vita reale, il romanzo formazione di Collardey registra ad altezza di ragazzo la miseria del vuoto attorno a lui: vuoto di sensibilità, di intelligenza, di attenzione. Ignorato e “rimosso” dal padre, Mathieu matura attraverso la relazione con Paul e dentro un paradiso bucolico, dove si gioca da soli o in compagnia. L’uscita dall’aula scolastica e l’incontro con la realtà delle cose costituiscono gli elementi rilevanti del film. La campagna diventa il campo didattico e i mestieri le tappe della costruzione di un metodo, che impone l’incontro con la verità della propria vocazione. Samuel Collardey è un autore sincero, legato appassionatamente alla sua opera e al principio pedagogico di Paulo Freire, quello per cui “nessuno educa nessuno, ma gli uomini si educano in comunione, attraverso la mediazione del mondo”. Di relazioni umane parla pure il Cetriolo di Zhou Yaowu, che ha l’indubbio merito di puntare l’obiettivo su quella zona di frontiera che è il rapporto tra cultura e mentalità diverse: cinese - americana (cucina tradizionale e fast-food) e giovanile – adulta (padri e figli). L’ortaggio del titolo definisce i piatti e le storie di cui si compone il film ambientato nella Pechino contemporanea, dove i giovani preferiscono gli hamburger di McDonald’s alle striscioline di carne al profumo di pesce. Il giovane autore mette a confronto due mondi diversi sul terreno antropologico del rito-culinario: il pragmatismo americano che esige rapidità ed efficacia contro una tradizione che nel simbolismo perpetua i suoi valori fondamentali. Il contrasto tra una civiltà recente e una millenaria non è che una riedizione dell’eterno conflitto generazionale tra genitori e figli, i primi depositari e custodi di secolari memorie, i secondi smaniosi di raggiungere l’autonomia e “affamati” di una modernità senza ricordo. Su questa già complessa relazione di conflitti, pesa imponente il dramma personale dei protagonisti (la precarietà, la disoccupazione, l’impotenza sessuale e intellettuale) dentro una città dove le infinite felicità convivono con le incalcolabili miserie. Composto attraverso inquadrature fisse, modificate e “mosse” soltanto dall’alterazione dell’angolazione e dunque del punto di vista, Film Cetriolo registra il quotidiano, svelando il lato tragico di Pechino e della nazione. Accordato e appagato il sogno delle Olimpiadi, la Cina di Zhou Yaowu fa i conti con l’ingresso in una dimensione internazionale e globalizzante in cui smarrisce i valori preesistenti e rischia la dismissione degli affetti. Gli imperativi della modernizzazione distruggono il vecchio mondo e il modello di sviluppo capitalistico vince dentro “il” fast-food, in cui si recano i protagonisti prima di consumare la loro tragedia annunciata, prima di morire fuori campo. Le relazioni umane e le architetture in cui si sviluppano diventano l’emblema delle contraddizioni della Cina di oggi e un lucido atto di accusa verso una crescita disordinata e sproporzionata. L’altra faccia della medaglia è una Pechino brulicante di degrado e di disperazione, in cui si concorre e si lotta soltanto per sopravvivere. Si cucina anche nel Pranzo di Ferragosto Gianni Di Gregorio, trasteverino, classe 1949, aiuto regista di Matteo Garrone, sceneggiatore di Sembra morto ma è solo svenuto e co-sceneggiatore di Gomorra. Gianni Di Gregorio è, sul set e fuori dal set, marito “ripudiato” e padre incompreso perché nella vita ha fatto quello che nessuno fa o sa fare: sacrificare la propria esistenza per provvedere con sollecitudine a quella della madre, una nobildonna decaduta di cui sod- Tutti i film della stagione disfa diligentemente capricci e desideri e a cui affianca, nella realizzazione del film, tre gentili signore non professioniste. Mescolando realtà e finzione, mette in scena la seconda infanzia e obbliga il cinema a ripensare una società che includa l’anziano. Cercando di catturare la spontaneità e l’immediatezza delle (com)passate signore, la macchina da presa le segue nei loro disordinati movimenti, rubando i loro discorsi, i loro slanci e i loro umori. Sguardo pienamente oggettivo che cerca di far coincidere il cinema con la propria originaria purezza. Le protagoniste del film non appaiono mai costruite e spontaneo è pure il Di Gregorio attore, compreso a dirigere e ad accudire quattro donne sull’orlo di una crisi di terza (e quarta) età. Le nonne e le zie di Pranzo di Ferragosto sono creature vere, ben definite e decise nel loro porsi nei confronti del mondo, dei figli e degli altri. Alla vigilia di Ferragosto, Gianni deve occuparsi di un gruppo di signore in un interno con pretese gastronomiche e affettive e naturalmente organizzare un pranzo conveniente ma appropriato all’occasione. Al suo tavolo invita quindi una vecchiaia iper-numerosa, dominante per presenza (nella società), ma, allo stesso tempo, insicura, senza ruolo e sempre più emarginata. Capovolgendo la retorica dell’anziano debole, il regista romano al suo debutto celebra l’anzianità e la limpidezza dei suoi sentimenti dentro un film e con un pranzo che ha il dono della lievità e della straordinarietà. Straordinarietà radicata nel quotidiano, nella grazia dell’arte praticata dalle commensali (la chiromanzia, il ricamo, la cucina), nel tempo scandito dalla preparazione culinaria e in tutto quello che c’è di più profondamente umano. Ne risulta una commedia gentile che suggerisce la pienezza operativa degli anziani che non smettono di cercare la felicità edonistica e di abbandonarsi all’inconfessato piacere del cibo e del vino. Tra le “prime mondiali” selezionate dalla Settimana della Critica si fanno notare anche il malese Sell Out! di Yeo Joon Han, esilarante musical satirico sulla globalizzazione e il degrado dei media, il Sogno di una morte di mezza estate di un becchino pugliese e precario del giovane Pippo Mezzapesa e i Guardiani di notte di Namik Kabil, regista emergente della Bosnia Herzegovina. Distante dall’energia e dal ritmo forsennato del cinema di Kusturica, il cinema introverso e in divenire di Kabil attige al grande rimosso del dopoguerra, interrogandosi sulla paura e sui traumi dentro una notte intesa come “orizzonte d’attesa”. Marzia Gandolfi IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 64
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