117 - Centro Studi Cinematografici
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Maggio-Giugno 2012 117 MAGNIFICA PRESENZA di Ferzan Özpetek Anno XVIII (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma QUASI AMICI di Eric Toledano, Oliver Nakache HUNGER di Steve McQueen I COLORI DELLA PASSIONE di Lech Majewski DIAZ di Daniele Vicari !"#$%&'!%()&* +!,-!%./0!'122! SOMMARIO n. 117 Anno XVIII (nuova serie) n. 117 maggio-giugno 2012 Arrivo di Wang (L’) ................................................................................. 39 Arthur e la guerra dei due mondi .......................................................... 4 A Simple Life ......................................................................................... 28 ATM – Trappola mortale ........................................................................ 17 Bel Ami – Storia di un seduttore ........................................................... 21 Biancaneve ........................................................................................... 12 Buona giornata ..................................................................................... 22 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Ciliegine ................................................................................................ 30 50 e 50 .................................................................................................. 15 Colori della passione (I) ........................................................................ 26 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Diaz ....................................................................................................... 2 17 ragazze ............................................................................................ 19 …E ora parliamo di Kevin ..................................................................... 11 Si collabora solo dietro invito della redazione Furia dei Titani (La) ............................................................................... 43 Henry .................................................................................................... 33 Hesher è stato qui ................................................................................. 27 Hunger .................................................................................................. 24 Hunger Games ...................................................................................... 16 Lady (The) – L’amore per la libertà ....................................................... 38 Leafie – La storia di un amore .............................................................. 44 Magnifica presenza ............................................................................... 34 Mio migliore incubo (Il) .......................................................................... 29 Paradiso amaro ..................................................................................... 6 Pink Subaru .......................................................................................... 8 Pollo alle prugne ................................................................................... 42 Posti in piedi in Paradiso ....................................................................... 40 Principe del deserto (Il) ......................................................................... 7 40 carati ................................................................................................ 20 Quasi amici ........................................................................................... 9 Raven (The) .......................................................................................... 31 Senna – Il film ....................................................................................... 41 Sfiorati (Gli) ........................................................................................... 37 Succhiami ............................................................................................. 3 Tre uomini e una pecora ....................................................................... 13 To Rome With Love ............................................................................... 18 Vacanze di Natale a Cortina ................................................................. 5 Young Adult ........................................................................................... 25 Tutto Festival – Torino Film Festival 2011 ........................................ 46 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Tiziano Costantini Marianna Dell’Aquila Davide Di Giorgio Simone Emiliani Jacopo Lo Jucco Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Silvia Preziosi Tiziana Vox Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Film Tutti i film della stagione DIAZ Italia, Francia, Romania 2012 Regia: Daniele Vicari Produzione: Domenico Procacci, Bobby Paunescu e Jean Labadie per Fandango, Madragora Movies, Le Pacte Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012) Soggetto: Daniele Vicari Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci, Alessandro Bandinelli (Collaborazione alla sceneggiatura), Emanuele Scaringi (Collaborazione alla sceneggiatura) Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Benni Atria Musiche: Teho Teardo Scenografia: Marta Maffucci Costumi: Roberta e Francesca Vecchi Effetti: Mario Zanot, Storyteller Interpreti: Claudio Santamaria (Max Flamini), Jennifer 0 luglio 2001. Nella redazione di “La Gazzetta di Bologna”, dove lavora Luca, arriva la notizia della morte di Carlo Giuliani. Il giornalista decide così di partire per Genova, dove ci sono già stati degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. In città intanto sono giunte moltissime persone. Tra queste ci sono Alma, una ragazza tedesca, scossa dalle violenze a cui ha assistito, che vuole cercare di rintracciare le persone disperse con Marco e Franci, rispettivamente organizzatore del Genoa Social Forum e avvocato del Genoa Legal Forum. In quella convulsa giornata, s’incrociano anche i destini di altri personaggi: Nick, un manager che si occupa di economia solidale giunto nel capoluogo ligure per se- 2 Ulrich (Alma Koch), Elio Germano (Luca Gualtieri), Davide Iacopini (Marco), Ralph Amoussou (Etienne), Fabrizio Rongione (Nick Janssen), Renato Scarpa (Anselmo Vitali), Mattia Sbragia (Armando Carnera), Antonio Gerardi (Achille Faleri), Paolo Calabresi (Francesco Scaroni), Francesco Acquaroli (Vinicio Meconi), Alessandro Roja (Marco Cerone), Eva Cambiale (Donata Stranieri), Rolando Ravello (Rodolfo Serpieri), Monica Birladeanu (Costantine Giornal), Emilie De Preissac (Cecile), Ignazio Oliva (Marzio Pisapia), Camilla Semino (Franci), Aylin Prandi (Maria), Michaela Bara (Karin), Sarah Marecek (Inga), Lilith Stanghenberg (Bea), Christian Blumel (Ralph), Christoph Letkowski (Rudy), Ester Ortega (Ines), Pietro Ragusa (Aaron), Gerry Mastrodomenico (Sesto Vivaldi) Durata: 120’ Metri: 3300 guire il seminario dell’economista Susan George; Anselmo, un vecchio militante della CGIL che con i suoi compagni e amici e pensionati ha partecipato a un corteo contro il G8; Etienne e Cécile, due anarchici francesi; Bea e Ralf, di passaggio in città. Chi per un motivo, chi per un altro, hanno deciso di fermarsi a pernottare presso la scuola “Diaz-Pascoli” prima di ripartire che per l’evento è utilizzata come dormitorio. Poco prima della mezzanotte del 21 luglio, centinaia di poliziotti irrompono nell’edificio scolastico. In testa c’è il 7° nucleo è comandato da Max, vicequestore aggiunto del 1° reparto mobile di Roma che non vede l’ora di tornare a casa dalla moglie e dalla figlia. Seguono gli agenti della Digos e della mobile. I cara- binieri intanto circondano lo stabile. Entrati nella scuola, le forze dell’ordine picchiano selvaggiamente tutte le persone che si trovano lì dentro, disarmati e con le mani alzate. Quando Max si rende conto di ciò che sta avvenendo, con corpi stesi a terra con volti tumefatti e alcuni che sembrano in pericolo di vita, da l’ordine di fermarsi ma è ormai troppo tardi. Vengono arrestate 93 persone che sono state massacrate. Alcuni di loro, tra cui Anselmo, vengono portati in ospedale così come Alma. La ragazza poi viene condotta nella caserma di Bolzaneto dove, assieme ad altri partecipanti, subisce ulteriori violenze e umiliazioni. Marco non era alla Diaz. Aveva passato la notte con una ragazza spagnola. L’indomani si trova davanti a una città devastata. Raggiunge la scuola e si rende conto della gravità del massacro. Tornato in ufficio, riceve la telefonata della madre di Alma. Lui non sa cosa le sia successo, ma promette che farà di tutto per ritrovarla. uò capitare di confondere il coinvolgimento emotivo, l’indignazione, con il valore del film. E Diaz potrebbe a prima vista correre questo rischio. Del resto, sui fatti avvenuti durante il G8 di Genova, tra il 20 e il 21 luglio 2001, esistono moltissimi frammenti, anche se spesso polverizzati: i servizi tv dei telegiornali, ma soprattutto le migliaia di riprese con telecamerine dei partecipanti visibili anche su youtube. C’è infatti nel film di Daniele Vicari, quasi all’inizio, la soggettiva di una telecamerina e questa è già una P 2 Film precisa linea intenzionale di una pellicola girata non più a di 10 anni di distanza (e presentata all’ultimo Festival di Berlino nella sezione “Panorama Special” dove ha riscosso un grande successo), ma proprio come se i fatti che venivano filmati stessero accadendo proprio in quel momento. Quindi un salto nel buio, all’indietro, dove la ricostruzione cinematografica in qualche modo duplica gli innumerevoli pezzi di un puzzle che avrebbero potuto formare un documentario ideale, ma impossibile da realizzare nella sua continuità temporale. E lo sguardo di Daniele Vicari non è ambiguo ma si schiera, trascinandosi dietro un’autentica rabbia, quella così estranea a quelle forme anche recenti di cinema civile che vuole dare più risposte certe invece che porre domande, come a esempio Romanzo di una strage di Giordana. Certo in Diaz i frammenti documentari entrano, come le immagini tra gli scontri che appaiono sempre sul punto limite tra finzione e repertorio. Le tracce noir del precedente film del regista, Il passato è una Tutti i film della stagione terra straniera, si addensano come ombre lugubri in Diaz, grazie anche all’ottimo lavoro di Gherardo Gossi (dopo Bigazzi, il direttore della fotografia migliore oggi in Italia), in cui le immagini sporche iniziali sembrano poi progressivamente piombare in una persistente penombra. Un film corale dove, a un certo punto, alcuni dei volti dei protagonisti (ci sono nel film oltre 100 personaggi) piombano dal buio, quasi come se si trattasse di figure reali, ma anche proiezioni mentali, allucinazioni di una visione sempre più incredula. Se la parte iniziale da l’idea di essere un po’ descrittiva, soprattutto nel modo come sono rappresentate le diverse storie prima che si ricongiungano e se a tratti il fatto scatenante (la bottiglietta filmata in ralenti) viene mostrato più volte in modo forse eccessivo, Diaz s’infiamma potentemente dal momento dell’entrata nella scuola. Già si sentono le avvisaglie nella partenza delle forze dell’ordine, dove Claudio Santamaria (ancora più di Elio Germano) gioca di sottrazione tranne nel momento in cui si rende conto di quello che sta realmente accadendo e grida: “Basta!”, ma l’attacco ha una fisicità devastante, replicato poi nei momenti della caserma di Bolzaneto, in cui i luoghi diventano spazi senza uscita, opprimenti nella loro apparente freddezza come quelli di Garage Olimpo di Bechis. Diaz riesce a creare una nuova tensione davanti a fatti già accaduti. Mostrati in quella maniera, senza freni; sembra di essere lì dentro a cercare vie di fuga. Tra calci in faccia, volti tumefatti, sputi e sangue. Dove quelle immagini hanno una potenza che lasciano il segno, un cinema dove Vicari è coinvolto in ogni angolo di ogni inquadratura. Oggi le ferite sono ancora aperte, tra un po’ di anni forse si apprezzerà di più. E il finale con le vittime e i familiari rompe tutti gli indugi di un cinema che progressivamente ha saputo lasciarsi andare e termina con uno stacco (sempre nel vuoto) all’improvviso bello, di una bellezza che fa riapparire nuovamente la luce. Simone Emiliani SUCCHIAMI (Breaking Wind) Stati Uniti 2011 Regia: Craig Moss Produzione: Craig Moss, Bernie Gewissler, Amy Jarvela Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 13-1-2012; Milano 13-1-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Craig Moss Direttore della fotografia: Rudy Harbon Montaggio: Austin Michael Scott Musiche: Todd Haberman Scenografia: Russell M. Jaeger Costumi: Ariyela Wald-Cohain Interpreti: Eric Callero (Edward), Heather Ann Davis (Bella), Frank Pacheco (Jacob), Peter Gilroy (Jasper), Alice Rietveld idanzata con Edward Cullen, il vampiro vegetariano più in vista della scuola, Bella, dopo essersi “distratta” con l’intera squadra di basket, ha deciso di mettere la testa a posto, pur continuando a frequentare anche il licantropo sovrappeso Jacob. In realtà, da quando i due si sono fidanzati, il povero Jacob non riesce a farsene una ragione; è arrivato persino ad abbandonare la palestra per dedicarsi a tempo pieno al cibo spazzatura. Mentre i due fidanzatini progettano il loro matrimonio, una nuova stirpe di letali vampiri si mette sulle tracce di Bella per ucciderla. Gli altri vampiri suoi amici (tra cui la perfida Rosa) e i lupi man- F (Alice), Jessica Kinsella (Jessica Stanley), Taylor M. Graham (Emmet), Eric Tiede (Willy Wonka/Edward mani di forbice), Danny Trejo (Billy Black), Alissa Kramer (Shirley), John Stevenson (Carlisle), Austin Michael Scott (Austin), Nic Novicki (Jasper da piccolo), Heidi Kramer (Laverne), Michael Adam Hamilton (Ronald), Ashley Martin (Ashley), Pancho Moler (Edward da piccolo), Kelsey Collins (Victoria), Rebecca Ann Johnson (Esme), Jesse Pruett (Jesse), Flip Schultz (Charlie), Martin Ruskov (Seth), Charles Anteby (Harry Levin), Dillon Garcia (Embry) Durata: 88’ Metri: 2370 nari per la prima volta decidono di unire le proprie forze al fine di salvarle la vita. Come se non bastasse a preoccupare Edward ci sono i terribili esseri duplicati, alter ego dei vampiri. Sotto gli occhi ciechi del bel tenebroso di cui è innamorata, durante una notte di veglia, in attesa dello scontro finale, Bella sarà salvata dall’assideramento grazie a un incontro ravvicinato in tenda con l’amico licantropo. Finalmente i due gruppi nemici si trovano faccia a faccia e dopo un’epica battaglia nella foresta e l’apparizione dei millenari Vulturi (in realtà bambini dell’asilo) l’intervento di Bella sarà fondamentale per stendere letteralmente a terra gli avversa- 3 ri. Così i due fidanzatini finalmente possono convolare a nozze e, dopo una focosa prima notte nell’esotico Brasile, la neo-signora Cullen si ritroverà incinta di un pargolo che però riserva alla coppia qualche imprevista (non più di tanto) sorpresa. Le analisi del sangue dimostrano che il dna non corrisponde a quello di Edward. e non fosse bastato Mordimi, per i fan sfegatati arriva un’altra razione di prese in giro della popolarissima saga di Twilight, che stavolta riguarda i capitoli più recenti della storia di Edward e Bella. Per chi non ne può più di vampiri e simili, il film diretto da Craig Moss S Film rappresenta una versione “riveduta e corretta” del fortunatissimo ciclo. A uso esclusivo dei suoi cultori, la pellicola conferma quanto la parodia cinematografica americana di nuova generazione sia, troppo spesso, solo una sequela di scurrilità. Succhiami risulta aggravato da una comicità addirittura meno inventiva rispetto a quella della già molto discutibile pellicola distribuita nel 2010. A partire dal titolo equivoco, la sceneggiatura infatti è davvero imbarazzante, la narrazione arranca in situazioni prive di mordente e comicità tra ripetute allusioni sessuali, siparietti sgradevoli e totale mancanza di ritmo. Nean- Tutti i film della stagione che le inquadrature dei paesaggi mozzafiato, accompagnate dalle insensate riflessioni di Bella, riescono ad alzare il livello. Tanti sono i riferimenti e le battute alla cultura pop del momento, agli idoli e ai social network che hanno invaso l’universo giovanile. Ma niente di intelligente e sensato che valga la pena di menzionare. Del resto non è una novità. Passando in rassegna gli svariati Epic Movie, Hot Movie, Disaster Movie, 3ciento, nessuna di queste parodie è realmente guardabile. E i vari Scary Movie, con il quinto episodio in uscita nel 2012, hanno ormai i giorni contati. Dunque non solo il film non diverte, ma mette una tristezza infinita e appare più che altro uno spreco di tempo, spazio, soldi ed energie. Il ricorso insistito alla scatologia, ai rutti e alle flatulenze risulta irriverente e fastidioso fino al disgusto. Se gli adolescenti di oggi amano queste porcherie, c’è davvero da preoccuparsi. Per fortuna il cast, a parte Danny Trejo, è composto da giovani attori sconosciuti: Frank Pacheco, Heather Ann Davis e Eric Callero. L’unica cosa di cui si ha voglia è di uscire al più presto dalla sala e di chiedere un rimborso per danni morali. Veronica Barteri ARTHUR E LA GUERRA DEI DUE MONDI (Arthur et la guerre des deux mondes) Francia 2010 Regia: Luc Besson Produzione: Luc Besson, Emmanuel Prévost, Stéphane Lecomte per Europacorp in coproduzione con TF1 Films Production, Apipoulaï Prod, Avalanche Productions Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 23-12-2011; Milano 23-12-2011) Soggetto: Luc Besson, Céline Garcia Sceneggiatura: Luc Besson Direttore della fotografia: Thierry Arbogast Montaggio: Julien Rey l temibile Maltazard è ormai alto più di due metri, ed è entrato nel mondo degli umani con l’intento di conquistarlo grazie al suo esercito. Arthur, Selenia e Betameche vogliono a tutti i costi impedirgli di raggiungere il suo scopo, e sperano di riuscirci grazie a una pozione in grado di far passare chiunque dall’altezza dei minimei a quella degli umani. Questa soluzione si trova però nella libreria di Archibald; quindi devono riuscire a entrare in casa e prenderla. Nel frattempo, Maltazard si aggira per le campagne indisturbato, e viene notato dal padre di Arthur, il quale rimane profondamente turbato da questa visione, al punto da chiamare gli sceriffi di zona dichiarando loro di aver visto il diavolo. Questi lo assecondano, attribuendo le parole dell’uomo agli effetti del caldo e di una possibile insolazione, ma durante il loro ritorno in centrale avvistano quel “diavolo” proprio in mezzo alla strada, rimanendone terrorizzati. Intanto Arthur e la sua combriccola provano a entrare in casa per mezzo di una bolla. Con questo sistema, non appena qualcuno si decida ad aprire un rubinetto o una qualsiasi fonte d’acqua, essi potran- I Musiche: Eric Serra Scenografia: Hugues Tissandier Costumi: Olivier Bériot Effetti: Pierre Buffin Interpreti: Freddie Highmore (Arthur), Mia Farrow (Nonna), Richard William Davis (M), Penny Balfour (Rose), Robert Stanton (Armand), Ronald Leroy Crawford (Archibald) Durata: 101’ Metri: 2755 no salire tramite le condutture. Lo fa proprio Archibald e i tre minimei si ritrovano in casa in poco tempo, precisamente nel bagno. Da qui si spostano in camera di Arthur, il quale prende iniziativa e sale insieme agli altri in una macchina giocattolo, con la quale riesce a spostarsi più velocemente, per poi passare invece a un treno a elettricità. Mentre i tre si muovono all’interno della casa, sull’uscio della stessa si è appena presentato un uomo molto alto, dall’aspetto inquietante ma al contempo goffo per via degli imprecisi e rapidi ricorsi estetici; comunque con un’aria familiare per lo stesso Archibal, il quale anche per questo gli apre la porta. Si tratta ovviamente di M il Malvagio, che però si presenta come un vecchio residente delle campagne circostanti. I tre minimei intanto devono affrontare un ulteriore pericolo, il figlio di Maltazard, Darkos, li ha seguiti ed è anche lui nella camera di Arthur, con il quale si trova a duellare sul treno giocattolo. Durante lo scontro però Darkos rivela il suo animo buono, mostrandosi triste per il comportamento del padre nei suoi confronti, e sentendosi quindi abbandonato cerca con- 4 forto nei tre che gli promettono di stargli vicino e aiutarlo. Intanto Maltazard è stanco della pantomima e si toglie la maschera rivelando la propria identità ad Archibald, a sua moglie, ai genitori di Arthur presenti in casa, obbligando inoltre l’anziano a donargli la pozione dell’altezza. Dopo averla ottenuta, M svuota l’intero contenuto nelle acque del lago più vicino, attirando a esso tutti i suoi seguaci, che risalendo in superficie vengono avvolti dalla magica pozione e assumono anche loro la statura e la grandezza degli esseri umani. Intanto Arthur – ancora in versione minimeo – sfida le sue paure e, nonostante l’allergia alle punture delle api, sale a bordo di uno di questi insetti insieme a Selenia e Betameche, fino al cospetto dell’Ape Regina, alla quale chiedono un’unione di forze per contrastare Maltazard e di concedere pertanto l’elisir della vita al giovane e abile condottiero Arthur. Un enorme sciame di api si aggira ora nel bosco a ridosso della casa del ragazzo; pertanto i suoi genitori, preoccupati per la sua sparizione e per la sua allergia, decidono di chiamare il pronto intervento per Film la disinfestazione, con lo scopo di distruggere tutti gli alveari. Fortunatamente, però, Arthur riesce a contattare la madre proprio grazie alle api, le quali si dispongono nell’aria formando delle parole; in questo modo i genitori capiscono che Arthur si trova lì e non è in pericolo. Il minimeo prende l’elisir e torna così un bambino, mentre anche Darkos assume proporzioni umane grazie ad Archibald che decide di fidarsi di lui, venendo adeguatamente ricompensato. Così Arthur, Archibald e Darkos arrivano in città, dove trovano una situazione apocalittica: l’esercito di Maltazard, in sella a zanzare giganti, sta mettendo tutto a ferro e fuoco. I tre cercano di attuare un piano; così Darkos, senza esser visto, si fa trovare alle spalle del padre, minacciandolo di morte con la sua spada se non deciderà di porre fine al massacro. M però riesce a raggirare con le parole l’ingenuo figlio, convincendolo di aver compreso i propri errori e che tutto ciò che ha fatto fino a quel momento è stato soltanto in funzione del futuro dello stesso Darkos, promettendogli di proclamarlo nuovo comandante. Darkos cede, e alla prima disattenzione viene catturato dal padre e fatto legare dai sicari; ma il figlio di Maltazard ha le pelle dura e riesce presto a liberarsi e a mettere a tappeto un ingente numero di guerrieri. Nel frattempo, anche l’esercito nazionale arriva in loro soccorso e sbaraglia i nemici, mentre M il Malvagio torna improvvisamente alla sua altezza da minimeo e viene intrappolato da Tutti i film della stagione Arthur in un bicchiere, e conservato poi al sicuro nella propria cucina. uando si parla di una saga, soprattutto quelle composte da tre film, solitamente si ritiene che il primo capitolo sia il migliore, mentre il secondo è il più delle volte un ibrido con il principale scopo di far transitare la storia dalla fase iniziale a quella finale. Ovviamente a questa legge non scritta non mancano le numerose eccezioni; una di queste è rappresentata da Arthur. L’idea che Luc Besson stesso abbia dato vita alle parole scritte di proprio pugno nel romanzo avrebbe dovuto aiutare l’ago del giudizio a pendere verso la positività, ma la sua trasposizione cinematografica è la prova lampante di quanto non sempre sia facile e possibile trasferire un libro su pellicola, nonostante Besson sia indubbiamente un ottimo regista e un buon romanziere. Pertanto se Arthur e il popolo dei minimei racchiude tutta l’essenza del suo operato e più generalmente del fantastico, altrettanto non si può dire di La vendetta di Maltazard, e meno che mai di questo terzo capitolo, La guerra dei due mondi, che in quanto a banalità e noia potrebbe avvalersi di un premio. La linearità del plot è sconvolgente ed è una delle poche volte in cui ciò non costituisce un pregio, ma un terribile difetto. Non c’è mai una scossa, né un brivido, tutto è talmente prevedibile da provocare ripetuti sbadigli; il modo in cui viene proposta una storia senz’altro poco originale, ma potenzialmente dotata di incanto e magia (non soltanto nel senso letterale, ma an- Q che metaforico) non fa che livellarla alla più comune frivolezza. Ogni tema viene affrontato in maniera poco analitica, come ad esempio il tormentato rapporto padre-figlio tra Maltazard e Darkos, che pur essendo un braccio della storia mantiene sempre un’aura artificiale e non viene sufficientemente approfondito. Questa mancata ispezione cova un’ulteriore gravità, costituita dal poco appeal che in questo capitolo seminano le situazioni riguardanti i cattivi, nonostante il villain stesso sia pressoché perfetto nel suo ruolo, ma assai meno per ciò che lo circonda, e gli effetti delle sue azioni si addormentano nella culla della debolezza dell’opera di Besson. Una delle principali cause dell’inaspettato flop può esser riscontrato in un’ideale tensione verso un pubblico giovanissimo, teoria che trova veridicità nei numerosi argomenti sfiorati dal regista, come quelli già citati, o come i più comuni amore e amicizia, valori nei quali i piccoli eroi credono al punto da rischiare il tutto per tutto. Ma come detto, quest’esplorazione dell’animo umano viene accarezzata per poi esser superata con poca accortezza. Eccezion fatta per poche scene, come un finale che tira in ballo Star Wars, Arthur e la guerra dei due mondi è un film che non sa emozionare e che si basa troppo su effetti scenici, senza dubbio brillanti, ma assai sterili poiché non finalizzati a un progetto complessivo. Tiziano Costantini VACANZE DI NATALE A CORTINA Italia 2011 Regia: Neri Parenti Produzione: Aurelio De Laurentiis & Luigi De Laurentiis per Filmauro Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 16-12-2011; Milano 16-12-2011) Soggetto e Sceneggiatura: Neri Parenti, Carlo Vanzina, Enrico Vanzina Direttore della fotografia: Tani Canevari Montaggio: Luca Montanari Musiche: Bob Sinclair ’avvocato Covelli dopo una vita passata a tradire la moglie decide di diventare un marito modello e di chiudere con tutte le relazioni extraconiugali. Felice del suo proposito raggiunge la consorte, Elena, a Cortina per L Scenografia: Luca Gobbi Costumi: Alfonsina Lettieri Interpreti: Christian De Sica (Roberto Covelli), Sabrina Ferilli (Elena Covelli), Ricky Memphis (Massimo), Valeria Graci (Brunella), Katia Follesa (Wanda), Giuseppe Giacobazzi (Andrea), Ivano Marescotti (Ing. Brigatti), Dario Bandiera (Lando), Olga Calpajiu (Galina), Patricia Varvari (Cristiana), Silvia Quondamstefano (Giulia), Niccolò Senni (Valerio), Monica Riva (Daniela) Durata: 113’ Metri: 3100 le feste di Natale. All’arrivo, però, scopre un uomo nudo in camera da letto della moglie. In realtà è il fidanzato della cameriera, ma Elena, stanca dei continui tradimenti coglie la palla al balzo e gli fa credere che sia il suo amante. 5 L’uomo è distrutto e per tutta la vacanza continua a ripensare al suo rapporto con la moglie fino a quando non scopre la verità e finge di andar via di casa. Elena convinta di aver torturato troppo il marito lo riaccoglie a braccia aperte e gli Film racconta di aver inventato tutto per punirlo. Sempre a Cortina l’ingegner Brigatti è alle prese con un danaroso magnate russo piuttosto reticente a chiudere un contratto per la fornitura di gas. Ad aiutarlo nell’impresa il suo autista Lando che, però, una sera commette l’irreparabile errore di andare a letto con Galina, la giovane moglie dell’imprenditore. L’uomo sa di essere stato tradito e decide di firmare il contratto solo quando scoprirà il volto dell’uomo che ha passato la notte con la moglie. L’ingegner Brigatti inizia a investigare e ben presto scopre che l’artefice del ritardo nella fornitura di gas è proprio il suo autista. Il destino però gli va incontro. Il russo, infatti, si innamora di un’altra donna e chiede proprio all’ingegnere di aiutarlo a sbarazzarsi della moglie senza pagarle gli alimenti. L’uomo allora lo porta da Lando per avere una confessione, ma nella stanza d’albergo con il ragazzo c’è anche la nuova fiamma del magnate. Quest’ultimo furioso, oltre a cacciare la moglie, rifiuta di intrattenere per il futuro rapporti economici con l’ingegner Brigatti. Lando viene licenziato e fatti i bagagli si dirige verso la stazione. Qui incontra Galina in partenza per la Russia e decide di andare con lei. Wanda e Andrea, proprietari di un’edicola insieme ai cognati Massimo e Brunella, dopo una cospicua vincita a un gioco televisivo iniziano a vivere come dei milionari. Ogni occasione è buona per ostentare ricchezza soprattutto di fronte ai parenti meno fortunati costretti a sorbirsi i pregi di una vita lussuosa. Una sera Wanda e Andrea comunicano ai cognati di aver prenotato una vacanza natalizia nell’albergo più esclusivo di Cortina. Massimo e Brunella stanchi delle continue vessazioni si mettono su internet e riescono a trovare la stessa vacanza a un prezzo irrisorio. Tutti i film della stagione I quattro cognati si ritrovano a Cortina e per delle fortunate casualità, Massimo e Brunella riescono a entrare a cene esclusive, party con gente famosa. Wanda e Andrea sono rosi dall’invidia e escogitano un piano per rovinare la vacanza: fanno una telefonata fingendosi vigili e comunicano alla coppia che la loro casa è allagata. A malincuore i due coniugi lasciano Cortina per correre a vedere i danni non prima, però, di aver regalato ai cognati due biglietti per un cenone di capodanno con alcuni vip. Wanda e Andrea non sono più nella pelle, ma qualcosa va storto e rimangono bloccati sulla seggiovia per tutta la notte dei festeggiamenti. Massimo e Brunella, invece, festeggiano in un semplice autogrill dove per caso vincono una grossa somma di denaro e un week-end nella villa sul lago di Como di George Clooney. ualcosa è cambiato. Nessuna fila al botteghino, pubblico in sala annoiato e i critici inopinatamente “morbidi”. Sono segnali inequivocabili della fine di un’era, quella del “cinepanettone”. Come ad ogni ciclo che si conclude verrebbe spontaneo dire “Che tristezza!”, ma in questo caso l’accezione è differente. L’amarezza che si percepisce, infatti, nasce dal vedere un gruppo di protagonisti accanirsi su un soggetto esanime. E farlo con un sorriso smagliante che nasconde la tragedia. Difficile pensare che non si siano resi conto di nulla, ma a volte è meglio negare e fingere che vada tutto bene, magari adottando qualche piccolo accorgimento per camuffare il tutto, piuttosto che cedere alla realtà. Nasce così l’operazione “nostalgia” che ha riportato il baraccone vacanziero nella Cortina dei vip, come agli inizi. Q Una mossa astuta? Decisamente no. Certo è apprezzabile la profonda pulizia dalle troppe volgarità che caratterizzavano le ultime pellicole, ma per il resto nulla di nuovo. È il solito panettone riciclato che gira di casa in casa come strenna dell’ultimo momento e che fa felice solo chi ne mangia un pezzo perché “è tradizione”. E ultimamente queste persone, che fino a qualche anno fa rivendicavano con forza la risata all’italiana, scarseggiano. Vacanze di Natale a Cortina cinematograficamente parlando non fa ridere, è grottesco. Come la recitazione forzatamente teatrale di Christian de Sica e Sabrina Ferilli nel consueto siparietto moglie tradita, marito donnaiolo reso ancora più surreale dal paragone, fatto dagli stessi attori in un eccesso di autostima, con Alberto Sordi e Monica Vitti. Fra i tre episodi, invece, il più interessante è sicuramente quello dei cognati che si fanno la guerra a suon di vip. La pellicola in questo passaggio rasenta livelli altissimi di drammaticità. È atroce, infatti, vedere come delle persone comuni possano agognare lo sguardo, il saluto di personaggi il cui unico merito è avere qualche comparsata in tv. Ed è veramente impressionante notare come questi ultimi si prestino al gioco ridicolizzando se stessi. La domanda nasce spontanea: ma l’avranno capito che è una farsa? Che lo scopo è ridere anche di loro? Qualche dubbio onestamente rimane. Di certo c’è solo una cosa: l’appuntamento il prossimo anno con il “nuovo” cinepanettone, perché nel pubblico qualcosa è cambiato, ma siamo ancora troppo lontani dalla rivoluzione. Francesca Piano PARADISO AMARO (The Descendants) Stati Uniti, 2011 Interpreti: George Clooney (Matt King), Shailene Woodley (Alexandra King), Beau Bridges ( Cugino Hugh), Robert Forster (Scott Thorson), Judy Greer (Julie Speer), Matthew Lillard (Brian Speer), Nick Krause (Sid), Amara Miller (Scottie King), Mary Birdsong (Kai Mitchell), Rob Huebel (Mark Mitchell), Patti Hastie (Elizabeth King), Barbara L. Southern (Alice Thorson), Linda Rose Herman (Dott.ssa Herman), Matt Esecson (Cugino Boom), Celia Kenney (Reina), Scott Michael Morgan (Barry Thorson), Milt Kogan (Dott. Johnston), Matt Corboy (Cugino Ralph), Melissa Kim (Emily) Durata: 110’ Metri: 3050 Regia: Alexander Payne Produzione: Alexander Payne, Jim Burke, Jim Taylor per Ad Hominem Enterprises Distribuzione: 20th Century Fox Italia Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012) Soggetto: Kaui Hart Hemmings Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash Direttore della fotografia: Phedon Papamichael Montaggio: Kevin Tent Musiche: Richard Ford Scenografia: Jane Ann Stewart Costumi: Wendy Chuck 6 Film att King vive alle Hawaii. Fa l’avvocato, è ricchissimo perché discende da una facoltosa famiglia hawaiiana e abita nel posto che tutto il mondo considera un vero paradiso terrestre. È un marito distante e un padre assente, ma la sua vita viene improvvisamente sconvolta dall’incidente nautico al largo del mare di Waikiki in cui è coinvolta la moglie, Elisabeth. Non si riprenderà più, è in coma irreversibile. Matt, da anni troppo concentrato sul lavoro, si ritrova improvvisamente ad affrontare la decisione più difficile della sua vita: staccare la spina alla moglie. Ma soprattutto si ritrova a dover riprendere il rapporto con due figlie che non conosce poi così bene. Scottie infatti è ancora troppo piccola e Alexandra, la più grande, vive in una clinica di disintossicazione. Il dolore di Matt si trasforma subito in stordimento e confusione quando non solo deve affrontare la famiglia della moglie e tutti gli amici, ma soprattutto quando scopre che Elisabeth aveva un amante e, per questo, stava per chiedergli il divorzio. Mentre Matt cerca di ricompattare i rapporti con le figlie, deve affrontare anche la difficile decisione sulla possibilità di rintracciare l’amante della moglie per dirgli dell’incidente. Si tratta di un dentista che vive su una delle isole hawaiiane insieme alla moglie e ai figli. Con la complicità della figlia più grande, Matt riesce con una scusa ad allontanare la moglie e a parlare con l’uomo. Ora a Matt non resta che prendere un’altra decisione, quella che riguarda la vendita di un terreno appartenente alla sua famiglia da generazioni e posto in uno dei luoghi incontaminati delle Hawaii. Il terreno è molto ambito da un lato da un gruppo di immobiliaristi che vorrebbe costruirci un centro turistico, dall’altro invece da un gruppo di missionari. Matt quindi si ritrova a dover affrontare il peso delle decisioni, ma soprattutto si ritrova a dover rimettere insieme i pezzi del passato, cercando, in questo modo, di poter affrontare il futuro. Tutti i film della stagione M arebbe facile dire che poco importa se il film di Alexander Payne, Paradiso amaro, è piaciuto o meno. Ma così non è. Se un film viene girato è per piacere al pubblico, per raccontare una storia e delle emozioni, eppure non si può negare che le facce del pubblico uscente dalla sala, dopo la visione del film, non erano così entusiaste come la penna di chi scrive. Forse colpa di un George Clooney doverso dal solito, o forse colpa di un film un po’ lento nei ritmi. Ma a noi invece sembra che il Paradiso amaro di Payne riesca perfettamente a descrive- S re ciò che già dal titolo ci viene comunicato. Attraverso la figura di Matt King, magnificamente interpretato da un George Clooney distante dal solito ruolo del bel tenebroso, il regista riesce a scavare nella dimensione emotiva e psicologica dei suoi personaggi, riuscendo in maniera quasi perfetta a mantenere compostezza e delicatezza anche estetica in ogni momento del film. Colpisce l’equilibro tra ironia e dolore che Payne riesce a mantenere per tutto il tempo senza mai scadere con i toni. Complice anche un Clooney assolutamente adeguato, sin dalle prime battute, al ruolo dell’uomo confuso e comune, esattamente come potrebbe essere qualsiasi altra persona. Perfetto nei suoi silenzi, nei suoi abiti e nelle sue parole da uomo qualunque. Perché è proprio questo l’aspetto che più colpisce di tutti nel film: l’aver saputo raccontare emozioni e situazioni in cui tutti si possono riconoscere. Una dimensione universale raccontata e indagata quasi per sottrazioni, piuttosto che per enfatizzazioni. Nella scheggiatura sono stati preferiti momenti di silenzio piuttosto che dialoghi pieni di inutili parole (molto toccante la lunga e silenziosa scena finale del saluto al capezzale della moglie), mentre la regia si è concentrata su primo piani e ambienti lasciando che siano essi stessi a raccontare. Marianna Dell’Aquila IL PRINCIPE DEL DESERTO (Black Gold) Francia, Italia, Qatar 2011 Regia: Jean-Jacques Annaud Produzione: Carthago FilmsS.A.R.L., The Doha Institute, France 2 Cinéma, Prima Tv, Quinta Communications Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 23-12-2011; Milano 23-12-2011) Soggetto: dal romanzo “La Sete Nera” di Hans Ruesch Sceneggiatura: Menno Meyjes, Jean-Jacques Annaud, Alain Godard Direttore della fotografia: Jean-Marie Dreujou Montaggio: Hervé Schneid Musiche: James Horner Scenografia: Pierre Quefféléan Costumi: Fabio Perrone Interpreti: Tahar Rahim (Principe Auda), Antonio Banderas (Nassib), Mark Strong (Amar), Freida Pinto (Principessa Lallah), Riz Ahmed (Ali), Akin Gazi (Saleeh), Liya Kebede (Aicha), Corey Johnson (Thurkettle), Erik Ebouaney (Hassan Dakhil), Jan Uddin (Idriss) Durata: 130’ Metri: 3580 7 Film Penisola araba, primi anni del ’900. È appena finita la guerra tra Ne sib, emiro di Hobeika e Amar, sultano di Salmaah; le condizioni di pace dettate dal vincitore, Nesib, prevedono che il territorio desertico denominato “La Striscia Gialla” che divide i due regni, resti terra di nessuno; a garanzia del trattato i due figli maschi di Amar, Saleh e Auda, andranno a vivere in adozione presso il vincitore. Passano una quindicina d’anni: Saleh è diventato un uomo d’armi e provetto falconiere mentre Auda ha preferito seguire la strada dei libri grazie ai quali in breve tempo è divenuto un maestro di grande cultura; è nei confronti di quest’ultimo che si forma sempre più l’interesse e presto l’amore di Leyla, la figlia di Nesib. Nel frattempo, proprio nella “Striscia Gialla” una squadra di tecnici texani ha trovato il petrolio, che, se estratto secondo un procedimento industriale, potrebbe coprire d’oro il regno che decidesse di sfruttarlo. Nesib cerca dapprima la via diplomatica per non rinunciare a tutta la ricchezza che ha sotto i piedi e combina così il matrimonio tra Leyla e Auda; ma la fuga di Saleh e la sua uccisione nel tentativo di tornare dal padre mandano all’aria ogni tentativo di risoluzione pacifica della questione. Così Auda, non giudicato pericoloso da Nesib, è inviato come ambasciatore da Amar per arrivare a un compromesso sul territorio tanto ambito, ma il destino cambia le cose profondamente. P Tutti i film della stagione Amar e Auda decidono di non cedere e si convincono che l’unica soluzione sia, purtroppo, un’altra guerra: così mentre il sultano e il grosso dell’esercito si mette in marcia per colpire l’emirato nemico da nord, Auda dovrà solo farsi “vedere” sul campo di battaglia a sud perchè Nesib si convinca di essere accerchiato. Auda invece scopre di avere nel sangue i geni del condottiero pur essendo un uomo di lettere e guida brillantemente, a prezzo di enormi sacrifici nella traversata del deserto, l’attacco a sud: la masnada di galeotti che ha sotto il suo comando impara ad apprezzare e rispettare la sua guida e ben presto lo adora, mentre intorno tutte le tribù, una tempo disperse, lo acclamano come Mahadi, cioè “Ben guidato da Dio”. Nesib riconosce la sconfitta e si inchina al nuovo Auda che non ha però progetti di rivalsa; Amar capisce bene quanto l’immensa sete di petrolio dell’occidente e il fiume di denaro che presto scorrerà nel deserto corromperà le coscienze e preferisce stare in disparte, come custode delle tradizioni del passato; Nesib è inviato da Auda negli Stati Uniti come membro del consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera per tutelare gli interessi degli Arabi; Auda infine, riconquistato l’amore di Leyla, darà corso a una nuova monarchia, ricca, colta, illuminata. L ’intento non era malvagio: una storia d’avventure nel deserto che avesse sempre davanti a sé la lezione di David Lean come nume ispiratore; un conflitto tra antico e moderno, tra tradizioni che sembrano sgretolarsi giorno per giorno sotto i colpi di una modernità vorace e spietata e le esigenze di stare al passo con i tempi; un conflitto di identica forza tra opposti sentimenti e opposte fedeltà, quella ai valori rappresentati dalla fermezza ieratica di Amar e quella ai progetti finalizzati a una nuova famiglia e a una nuova nazione. Tutto questo poggiato sulla consumata esperienza professionale di Antonio Banderas e dei suoi sguardi ammaliatori e sulla freschezza forte e concentrata del giovane attore franco-algerino Tahar Rahim, nonché sul budget sontuoso (quaranta milioni di dollari, sembra) assicurati dal produttore internazionale Tarak Ben Ammar. Tutto questo però non è bastato e la regia di Jean Jacques Annaud, cineasta pur abituato a spaziare dalle epoche più diverse ai più diversi territori, non è riuscita a comporre quell’affresco epico e storicamente attendibile che era, di certo, nei progetti. Ci ha dato così un’opera piuttosto banale, appena “televisivamente” accettabile che affoga nella retorica e nella affabulazione sonora di dialoghi e musiche. Cosicchè il pathos, il coinvolgimento avventuroso che dovrebbe avvenire quando si seguono storie come questa abortisce subito, soffocato dal folclore, dall’ovvietà e dalla ridondanza del nostro doppiaggio. Fabrizio Moresco PINK SUBARU (Pink Subaru) Giappone, Italia 2009 Interpreti: Akram Telate (Elzober), Lana Zreik (Aisha), Michal Yanai (Smadar), Akram Khoury (Mahmoud), Nidal Badarneh (Jamil), Mantarô Koichi (Zen), Nozomi Kawata (Sakura), Dan Toren (Dani), Salwa Nakkara ( Im Subaru), Ruba Blal (Moglie di Mahmoud), Michael Warshaviak (Gedeon), Ronny Wertheimer (Shlomo), Louai Nufi (Ladro d’auto), Giuliana Mettini (Miss Legacy), Hassan Taha (Mustafa), Merav Sheffer (Esther), Eli Maman (Jordan), Nahd Bashir (Adel), Raquel Shore (La zia) Durata: 96’ Metri: 2620 Regia: Kazuya Ogawa Produzione: Mario Miyakawa per Compact, Revolution Distribuzione: Iris Film Prima: (Roma 2-9-2011; Milano 2-9-2011) Soggetto e Sceneggiatura: Akram Telawe, Kazuya Ogawa, Giuliana Mettini Direttore della fotografia: Hiroo Yanagida Montaggio: Kazuya Ogawa Musiche: Yasunori Matsuda Scenografia: Offer Rachamim Harpaz Costumi: Rami Ardah n’automobile nuova, lucida, fiammante. Per molti abitanti delle cittadine arabo-israeliane e palestinesi che si trovano al confine con il turbolento territorio della West Bank (la Cisgiordania tristemente nota alle crona- U che internazionali) possederne una è un sogno. Così il desiderio si realizza per Elzober, vedovo quarantacinquenne padre di due bambini, che dopo vent’anni di lavoro come cuoco in un sushi-bar di Tel Aviv, riesce ad acquistare l’auto desiderata, una 8 nuovissima Subaru Legacy nera metallizzata. Dopo aver portato l’auto nella cittadina arabo-israeliana di Tayibe e aver festeggiato l’evento, il mattino dopo scopre che è stata rubata. Elzober piomba nella disperazione coinvolgendo tutta la comu- Film nità di amici e parenti. Ma una scomoda verità viene a galla, l’auto non era ancora stata assicurata perché la venditrice aveva rimandato di poche ore la stipula della polizza. Tutti cercano di aiutare Elzober, in primo luogo sua sorella Aisha, poi Mahmoud, ex ladro d’auto, Jameel, il buffone della compagnia, Dani, il proprietario del ristorante in cui lavora, Sakura una ragazza giapponese sua collega nel sushi-bar, Jordan ed Esther una coppia di ebrei sefarditi. E così tra sfasciacarrozze, ladri, maghe che leggono i fondi di caffè, un anziano zio, Elzober compie un viaggio disperato e comico insieme. Tra le varie disavventure, Elzober deve vedersela con la disperazione della sorella Aisha che, a un passo dalle nozze, non vuole più sposarsi. Tutti i personaggi coinvolti nella ricerca si ritroveranno nella città palestinese di Tulkarem attorno a una Subaru di color rosa. In realtà, si tratta proprio dell’auto rubata, che tra mille avventure, aveva cambiato colore. Per Elzober è il momento del ricongiungimento con la sua tanto desiderata auto. ink Subaru è una commedia multietnica in tutti i sensi, diretta da Kazuya Ogawa, giovane videomaker giapponese, scritta dal regista insieme all’arabo israeliano Akram Telawe (che è anche l’attore protagonista, un palestinese che vive in Israele) e all’italiana Giuliana Mettini. Una specie di cooperativa multirazziale che ha lavorato con grande spirito di gruppo: produzione italo-giapponese (il produttore Mario Miyakawa è un giapponese cresciuto in Italia), cast tecnico metà italiano e metà giapponese, collaboratori palestinesi e israeliani. Insomma un vero ‘melting pot’ filtrato da culture diverse: italiana, giapponese, palestinese, israeliana. La distribuzione ha deciso, con scelta coraggiosa, di conservare questo livello di multicul- P Tutti i film della stagione turalità distribuendo il film in lingua originale perché nel doppiaggio si perderebbe il miscuglio di lingue parlate che è il suo tesoro maggiore (come ha ricordato il produttore non c’era una lingua comune nemmeno sul set!). Certo la scelta di mantenere il film in lingua originale, in Italia penalizzerà gli esiti al botteghino (il pubblico del belpaese è ancora molto restio a vedere pellicole in originale sottotitolate). Ma il film merita, soprattutto per l’inconsueta ambientazione nei territori “caldi” della Cisgiordania ma anche per il messaggio di fondo. L’idea che il film vuole restituirci di Palestina e Israele è infatti lontana da quella che abbiamo dai telegiornali, perché, come ha ricordato la sceneggiatrice, “in un paese in guerra esiste la vita”. Lo stesso regista ha dichiarato che i fuochi d’artificio dei matrimoni sono state le uniche esplosioni che lo hanno accompagnato durante il suo soggiorno in quei territori (ma anche lui ha confessato di averli scambiati per bombe la prima volta che li ha sentiti). Un altro valore aggiunto è rappresentato proprio da lui, il regista Kazuya Ogawa (nato in Giappone, studi e prime esperienze lavorative a New York, da qualche anno lavora in Italia) che ha voluto cercare un parallelismo tra le difficoltà della vita quotidiana nei territori palestinesi e il dramma vissuto nei territori giapponesi colpiti dal terremoto e dallo tsunami nel 2011. Anche in Giappone si è pianto molto per le vittime del disastro, ma si pensa allo stesso tempo al futuro e si cerca di vivere la vita di tutti i giorni anche con il sorriso. Le sue parole in proposito sono indicative: “Spero che il pubblico percepisca attraverso il film che alla fine siamo noi esseri umani, tutti uguali e che la felicità è qualcosa di molto semplice”. Una commedia originale che a tratti osa parecchio, mescolando realismo e inserti onirici, ma pregevole per gli intenti e tutto sommato piacevole. Il sogno è il leitmotiv di tutto il film. Il sogno è una nuova Subaru, il cui simbolo è (guarda caso) la costellazione delle Pleiadi, la casa automobilistica più diffusa nei territori palestinesi a partire dagli anni Settanta quando gli altri marchi erano restii a commercializzare le loro auto in quelle terre (oggi sono ancora moltissime le vetture rubate a Tel Aviv e ritrovate in Palestina). La scelta del giovane regista nipponico di mettere al centro della sua storia un oggetto fortemente simbolico come l’auto si è rivelata felice. L’auto è come una bella donna e il protagonista la tratta così. Quando la guida per la prima (e unica) volta, Elzober la accarezza, la bacia, le sussurra parole dolci, ci si sdraia sopra come se ci facesse l’amore. E in sogno la sua amata vettura gli apparirà come una provocante e bellissima ragazza vestita di nero in riva al mare. La scelta del colore rosa è l’ovvia metafora che domina il finale, con l’auto che ricompare a sorpresa (e con un colore diverso) dopo mille peripezie. Così come scoperto è il simbolismo di oggetti feticcio disseminati qua e là, come gli slip rosa capitati per sbaglio nelle mani del protagonista e l’abito rosa indossato nelle scene finali dalla ragazza giapponese. “Hanno rubato il mio sogno” dirà il protagonista disperato. Ma tutti lo aiuteranno a ritrovarlo in una strana comunità dove non si bada troppo alle differenze di lingua e religione. Noi possiamo augurarci che territori così tormentati da un’eterna guerra più spesso vengano mostrati come in questo film, nei loro stralci di vita quotidiana, liberi da check-point e carri armati. Il sogno deve rimanere vivo, il futuro “può” essere rosa, in fondo non costa nulla immaginarlo così. Elena Bartoni QUASI AMICI - INTOUCHABLES (Intouchables) Francia 2011 Regia: Eric Toledano, Olivier Nakache Produzione: Quad Productions, Chaocorp, Gaumont, TF1 Films Productions Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 24-2-2012; Milano 24-2-2012) Soggetto: dal romanzo “Il diavolo custode” di Philippe Pozzo di Borgo Sceneggiatura: Eric Toledano, Olivier Nakache Direttore della fotografia: Mathieu Vadepied Montaggio: Dorian Rigal-Ansous Musiche: Ludovico Einaudi Scenografia: François Emmanuelli Costumi: Isabelle Pannetier Interpreti: François Cluzet (Philippe), Omar Sy (Driss), Anne Le Ny (Yvonne), Audrey Fleurot (Magalie), Clotilde Mollet (Marcelle), Alba Gaïa Kraghede Bellugi (Elisa), Cyril Mendy (Adama), Christian Ameri (Albert), Marie Laure Descoureaux (Chantal), Grégoire Oestermann (Antoine) Durata: 112’ Metri: 3080 9 Film Tutti i film della stagione l film trae spunto da una storia vera, della quale gli autori hanno senz’altro inteso accentuare gli aspetti positivi, di cui nessuno forse avrebbe mai potuto immaginare l’esistenza. Il titolo originale “Intouchables” (intoccabili) parte da un quadro che, nell’attuale società, viene spesso reso negativo dal reale quotidiano che ha intorno: un tetraplegico è, in fondo, per una società che si ferma a quel che vede, un intoccabile (che cosa si potrebbe mai fare di lui o, persino, con lui?). Un giovane nero è “intoccabile” da parte di coloro che hanno tradizioni umane e culturali diverse, anche se egli è inserito in un Paese che di Neri ne ha (storicamente) moltissimi, fin da quando li colonizzava. Ma le difficoltà dei due personaggi sono oggi diffuse in tutta l’Europa. E allora perché non fare in modo che i due protagonisti si aiutino da soli? Non era possibile che Philippe “entrasse” nella realtà sociale di Driss, quindi il retroterra umano e culturale del giovane viene fatto apparire ben poco, sottolineando che il giovane sta sviluppando una sua nuova cultura che il suo ambiente ancora non capisce, almeno per ora. È più logico che Driss sia pronto a cogliere tutte le novità che gli propone una classe sociale finora considerata nemica. Alcune scene sparse nel film ci pongono possibili riflessioni di questo tipo, ma lo svolgersi della vicenda ha la gradevolezza della continua “sincerità” con cui i due protagonisti si mostrano l’un l’altro.È un duetto comico di espressioni, frasi, gesti in cui i due si prendono il campo a vicenda, dandosi lo slancio quasi per stupirsi l’un l’altro. Sono entrambi l’uno il Pigmalione dell’altro. La vicenda si svolge senza cadute di tono, senza collegamenti forzati tra le parti. Dominano i primi piani dei due protagonisti, perfettamente sostenuti dagli interpreti. Non si esclude nessuna possibile valutazione del film come storia sociale, psicologica o quant’altro; la vicenda e la realizzazione tecnica della sceneggiatura possono sostenerle. Si deve dare atto al titolo italiano, non potendo raggiungere la forza di quello originale, di essere in grado di suggerire che dietro le quinte della trama ci sono sfumature serie. Ma il comico, giustamente, prevale. La comicità della vicenda nasce dal fatto che gli “intoccabili” stringono una intesa che li porta a opporsi a quanto il mondo quotidiano si aspetterebbe da loro: in particolare, che arrivassero a capirsi come amici. I l film inizia con un giovane nero che, di notte, a Parigi guida a folle velocità una Maserati; accanto a lui c’è un cinquantenne tetraplegico, entusiasta quanto il giovane. La polizia li insegue, il giovane è costretto a fermarsi e subito si scaglia contro i poliziotti: dice che sta portando a casa un uomo malato, che sta per avere una crisi; in effetti, l’uomo inizia a soffocare e a perdere bava; li agenti si convincono tanto che si mettono a fare scorta all’auto, in corsa. Rimasti soli, i due compagni di viaggio muoiono dal ridere e il nero si stupisce ancora una volta che il suo amico riesca a fare quel trucco. Da qui inizia il film, che è dunque un lungo flash-back. Il giovane, Driss, vive in un quartiere disagiato con una famiglia povera ed è disoccupatio; ha bisogno di trovare qualcuno che firmi la sua richiesta di assunzione per poter avere il sussidio di disoccupazione. Per fortuna, è assunto per un periodo di prova da Philippe, un cinquantenne tetraplegico (in seguito a un incidente con il parapendio) e molto ricco. Driss dovrà vivere sei mesi in una stupenda villa, costantemente a fianco di Philippe, per fare proprio tutto per lui. Le donne di casa (segretarie, governanti) gli insegnano il da farsi e le sue reazioni sono costantemente o di stupore o anche di rifiuto, ma sempre momentaneo, perché in effetti questo giovane, un po’ sboccato e che parla ad alta voce, riesce a portare costanti novità in una vita che, purtroppo, deve essere organizzata in modo preciso. Impara a svolgere con serietà e correttezza tutte le terapie di cui Philippe ha bisogno; pranzando in casa, impara a comportarsi con lo stile giusto; da Philippe riceve I di continuo informazioni di alto livello. Ma quando lo accompagna a teatro, per assistere a un’opera lirica, non riesce a non ridere vedendo i personaggi vestiti da alberi e contagia Philippe. Quando, in casa, un quartetto suona musica classica, Driss si intromette facendo sentire musica rap e coinvolge tutti nell’ascolto e nella danza. Driss porta Philippe nella neve e un’altra volta lo fa correre con la sedia a rotelle; per ovviare ai dolori psicosomatici di Philippe, lo porta a passeggiare nel parco alle due di notte. Quando devono uscire in auto e un vicino di casa, come al solito, è fermo davanti allo spazio riservato a Philippe, che si rassegna, Driss mostra il modo per ovviare al problema: scende e va a prendere per la collottola il maleducato. I due mondi si aiutano! Il momento più bello è quando Philippe porta Driss in cima a un colle e, con l’aiuto degli amici del club di parapendio, lo fa legare a uno di quegli strumenti, come fa legare sé: Come al solito, Driss esordisce con il suo “Io no, no, no” e poi fa volare nel cielo il suo grido di gioia. Driss incoraggia l’amico ad approfondire una relazione epistolare con una Eleonore, gli dice di mandarle una foto. Finiti i sei mesi, Philippe dice che il giovane amico non può vivere facendo il badante, così si lasciano; Driss trova lavoro in una società di trasporti, ma Philippe non trova più un aiuto capace e si lascia andare; la sua assistente informa Driss, il quale decide si portare l’amico in un giro in auto: è l’inizio del film. In seguito, Driss porta l’amico in un ristorante con vista sul mare, saluta e gli augura fortuna per il suo incontro: arriva infatti Eleonore; il giovane si allontana lungo la riva del mare, sorridendo all’amico. 10 Danila Petacco Film Tutti i film della stagione …E ORA PARLIAMO DI KEVIN (We Need to Talk About Kevin) Gran Bretagna, Stati Uniti 2011 Regia: Lynne Ramsay Produzione: Independent in associazione con Artina Films e Rockinghorse Film, BBC Films e UK Film Council in associazione con Footprint Investment, LLP, Piccadilly Pictures, Lipsync Productions Distribuzione: Bolero Film Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012) Soggetto: dal romanzo di Lionel Shriver Sceneggiatura: Lynne Ramsay, Rory Stewart Kinnear Direttore della fotografia: Seamus McGarvey Montaggio: Joe Bini Musiche: Johnny Greenwood va è sola in una casa, tutto intorno a lei è rosso, ripensa al passato. Si va indietro nel tempo, Eva conosce Franklin, rimane incinta e mette da parte la sua carriera e le sue ambizioni per dare alla luce Kevin. Ma il piccolo dà problemi già a partire dai primi mesi di vita, non smette di piangere, non sembra trovare calma in nessun luogo e a fatica la mamma riesce a farlo addormentare. Eva è distrutta, mentre Franklin minimizza. A pochi anni di vita, Kevin ancora non parla, sembra non sentire quello che gli si dice e non reagire a nessuno stimolo. Eva lo porta da un medico che la rassicura: il piccolo ci sente e non è autistico, non reagisce agli stimoli ma fisicamente sta bene. Eva e Franklin cambiano casa ma Kevin continua a essere un bambino problematico: fa continui dispetti alla madre che cerca di coccolarlo, rifiuta di mangiare seduto a tavola, continua a non trattenere i bisogni. Un giorno, Eva per disperazione, dopo aver subito l’ennesimo dispetto, gli da una spinta provocandogli la rottura di un braccio. La donna è distrutta dai sensi di colpa. Il fragile equilibrio familiare è ancora più sconvolto quando Eva partorisce una bambina, Celia. Kevin assume fin dall’inizio atteggiamenti aggressivi con la sorella. Passano gli anni, Kevin è adolescente, Eva continua a tentare di avere un dialogo col figlio ribadendogli il suo amore e portandolo fuori con lei ma il ragazzo continua a tenere atteggiamenti provocatoriamente ostili. Gli hobbys che lo interessano sviluppano ancora di più la sua aggressività. In particolare il tiro con l’arco, cui Kevin si dedica assiduamente nel giardino di casa. Il ragazzo è aggressivo anche con la sorellina, prima provocando la morte dell’amato criceto della piccola, poi cau- E Scenografia: Judy Becker Costumi: Catherine George Effetti: Lip Sync Post Interpreti: Tilda Swinton (Eva), Ezra Miller (Kevin adolescente), John C. Reilly (Franklin), Jasper Newell (Kevin, 6-8 anni), Rocky Duer (Kevin piccolo), Ashley Gerasimovich (Celia), Siobhan Fallon (Wanda), Alex Manette (Colin), Kenneth Franklin (Soweto), Ursula Parker (Lucy), Lauren Fox (Dott.ssa Goldblatt), Aaron Blakely (Uomo), James Chen (Dottor Foulkes), Leslie Lyles (Donna) Durata: 112’ Metri: 2800 sando un incidente con l’acido che le causa la perdita di un occhio. Alla vigilia del suo sedicesimo compleanno, Kevin compie una efferata strage nella sua scuola. Subito dopo, armato delle sue frecce, torna a casa e uccide anche il padre e la sorellina. Precipitatasi prima a scuola e poi a casa, Eva assiste senza parole alle stragi compiute dal figlio–mostro. Si torna al presente. Due anni dopo, Eva va a trovare Kevin in carcere: è l’anniversario della strage, il ragazzo sta per compiere diciotto anni e sta per essere trasferito in una prigione vera. Guardando dritto negli occhi suo figlio, Eva gli chiede solo il perché di tutto ciò che ha fatto, ma Kevin non riesce ormai neanche a farsene una ragione. Eva lo abbraccia, risoluta e dolente. l rosso, il colore del sangue, del dolore, delle ferite, domina fin dalla prima scena. Un rito di massa con una serie di corpi imbrattati di pomodoro, apre il film con una sequenza che colpisce diritto negli occhi e nel cuore di chi guarda. Il colore rosso è declinato insistentemente nel film: nel tempo presente con quella vernice rossa di cui è imbrattata la casa e l’auto della protagonista, nel lungo flashback del passato con i primi piani sulla rossa marmellata nei toast del piccolo Kevin, sul rosso delle ferite, sul rosso del tiro al bersaglio, hobby-ossessione del protagonista. E ora parliamo di Kevin, ma chi è Kevin? Kevin è il male, nient’altro, forse una delle più vivide e asciutte rappresentazioni del male assoluto che si siano mai viste sul grande schermo. Il film è composto come un puzzle, una sinfonia del dolore di una madre costruita I 11 attraverso tasselli. L’azione procede per salti temporali: una struttura spezzata che si rivela quella drammaticamente più efficace per comporre il quadro d’insieme. Cioè la storia di Kevin. Il merito va innanzitutto alle grandi prove dei due attori, madre e figlio. Una Tilda Swinton semplicemente straordinaria soprattutto nei suoi silenzi dolenti ma carichi di emozione e un sorprendente Ezra Miller (una storia di bambino prodigio alle spalle), giovane talento più maturo e colto di tanti suoi coetanei che stupisce per la capacità di comunicare con un solo ghigno maligno tutta la portata della sua rabbia repressa. E ora parliamo di Kevin è una storia di disagi e di solitudini. Un figlio non voluto che percepisce la grave carenza fin dai primi mesi di vita, una madre che ripercorre le tappe della sua relazione col figlio, rivive gli episodi che hanno determinato il fallimento educativo e affettivo. Fino a restare con un unico interrogativo: il perché di tanto odio. La crescente aggressività del protagonista sembra psicoanaliticamente da considerarsi la conseguenza di una profonda frustrazione, risultato di una ‘disfunzione affettiva’ dell’ambiente in cui è cresciuto. La violenza di Kevin è ripetitiva, meccanica, esplicita ma, soprattutto, drammaticamente ‘anaffettiva’ cioè senza passioni, come nelle ricorrenti rappresentazioni della violenza dell’oggi. Ecco, Kevin sembrerebbe incarnare in senso lato il rigurgito di violenza dei nostri tempi. Violenza pura, senza una ragione, senza un vero perché. Come lascia intendere il ragazzo nell’ultima scena del film davanti a una madre sfinita. Un film che ha un epilogo degno di una tragedia classica, con quella strage Film finale che può ricordare quella di Elephant, capolavoro di Gus van Sant ma di matrice diversa. Se nel film di van Sant si trovava forse una ragione (se così si può dire) nel vuoto dell’adolescenza, qui alla base ci sono dolorose e irrisolte dinamiche madre-figlio che sfociano in una vendetta dura contro una madre colpevole di un sentimento ambivalente nei confronti del figlio. Tratto dall’omonimo romanzo di Lionel Shriver, E ora parliamo di Kevin è un’opera ricca di simboli, condita da una fotografia che gioca su un’efficace e vivi- Tutti i film della stagione da scala cromatica e da una colonna sonora che sembra andare di pari passo con il crescente stato ansioso della madre dolente. La regista scozzese Lynne Ramsay filma impassibile, registra i fatti senza distogliere mai lo sguardo (tranne nella scena della strage in cui sceglie opportunamente di lasciare la macchina da presa fuori dalla scuola degli orrori), ma soprattutto decide coraggiosamente di affrontare e smitizzare uno dei temi tabù per eccellenza della nostra cultura: l’amore materno, assoluto e naturale. Il senso di colpa della madre è sottile ma insistente e percorre, come una corrente sotterranea, tutta la pellicola. Eva non finisce di farsi domande sul perché il figlio le butti addosso un odio così forte e il film non dà risposte perché le risposte non ci sono. C’è solo rabbia, paura e poi il dolore, estremo, assoluto, una sofferenza che quasi toglie il fiato e che raggiunge come un colpo tirato nello stomaco dello spettatore. Un film spietato e durissimo. In una parola bellissimo. Elena Bartoni BIANCANEVE (Mirror, Mirror) Stati Uniti, 2012 Effetti: Toma wood, One Of Us, Comen VFX, Modus FX, Mokko Studio, Rodeo FX, Tippett Studio Interpreti: Julia Roberts (Regina), Lily Collins (Biancaneve), Armie Hammer (Principe Alcott), Nathan Lane (Brighton), Mare Winningham (Margaret), Michael Lerner (Barone), Robert Emms (Charles Renbock), Sean Bean (Re), Jordan Prentice (Napoleone), Mark Povinelli (Mezza pinta), Joe Gnoffo (Mangione), Danny Woodburn (Grimm), Sebastian Saraceno (Lupo), Martin Klebba (Macellaio), Ronald Lee Clark (Riso) Durata: 105’ Metri: 2850 Regia: Tarsem Singh Produzione: Citizen Snow Film Productions, Rat Entertainment, Relativity Media Distribuzione: 01 Disatrubution Prima: (Roma 4-4-2012; Milano 4-4-2012) Soggetto: dalla fiaba di Jakob e Wilhelm Grimm Sceneggiatura: Melissa Wallack Direttore della fotografia: Brendan Galvin Montaggio: Nick Moore, Robert Duffy Musiche: Alan Menken Scenografia: Tom Foden Costumi: Eiko Ishioka a principessa Biancaneve vive insieme al padre, il Re, in un paese felice e opulento. Un giorno l’uomo decide di prendere in moglie una donna bellissima che nasconde un terribile segreto: è esperta di magia nera. La vita coniugale dura poco, il Re, infatti, muore misteriosamente nel bosco lasciando la figlia nelle grinfie della Regina. Passano diversi anni, Biancaneve ormai adulta, sotto consiglio della sua cameriera, esce dal castello per vedere da vicino la situazione del suo popolo. Durante il tragitto incontra il principe di un paese straniero e tra i due scocca la scintilla, ma la ragazza presa dal suo compito scappa via. Arrivata al villaggio scopre che la sua gente è poverissima a causa delle continue tasse richieste dalla Regina e che la felicità che c’era durante il regno di suo padre ormai è solo un ricordo lontano. Decide, allora, di fare qualcosa. Intanto a palazzo è arrivato il principe. La Regina folgorata dalla sua avvenenza organizza subito un ballo per conquistarlo. Ai festeggiamenti partecipa anche Biancaneve che monopolizza l’attenzione L del ragazzo mandando su tutte le furie la Regina. La donna, invidiosa, decide di fargliela pagare e ordina al suo servo di portarla nel bosco e mettere fine alla sua vita. Il poveretto cerca di svolgere l’amara incombenza, ma, preso da pietà, non riesce ad uccidere la principessa che è costretta a scappare il più lontano possibile dal castello. Biancaneve, sola e infreddolita, trova riparo in una casetta. Ben presto scopre che è di proprietà di una banda di ladri formata da nani. La ragazza racconta la sua storia e dopo la titubanza iniziale viene invitata a restare. Al castello tutti piangono la morte di Biancaneve, in particolare il principe, insensibile alle attenzioni della Regina. Quest’ultima, allora, decide di preparare una pozione per conquistarlo. La magia fa il suo dovere e in breve tempo la Regina annuncia il suo matrimonio. La notizia arriva anche a Biancaneve gettandola nello sconforto. I nani convinti che ci sia qualcosa di losco dietro le propongono di mandare a monte il matrimonio e di rapire il principe poco prima delle nozze. La principessa accetta e insieme ai 12 suoi amici riesce a portare il ragazzo lontano dal castello e con un bacio lo sveglia dall’incantesimo. La Regina furibonda decide di occuparsi di persona della sua figliastra e le scaglia contro un terribile mostro stregato. Biancaneve, però, riesce ad annullare la magia e con sua grande sorpresa vede la bestia trasformarsi in suo padre. Tutto sembra risolto e il regno pronto a festeggiare le nozze di Biancaneve con il suo principe, ma proprio durante la cerimonia una vecchia si avvicina alla giovane sposa offrendole una mela in dono. La principessa riconosce nella donna la Regina e la invita a mangiarne un pezzo prima di lei. Compresa la sconfitta, la vecchia, addenta il frutto e scompare sotto gli occhi di tutti. Biancaneve e il principe, finalmente liberi dal pericolo, iniziano a festeggiare insieme al loro popolo. a strega di Biancaneve è uno di quei personaggi che difficilmente si dimentica. La più cattiva fra le cattive, invidiosa, perfida e, nella versione disneyana, foriera di traumi infantili che solo l’età adulta ha saputo cancellare. L Film Ciononostante è il personaggio più riuscito della famosa fiaba tedesca rielaborata dai fratelli Grimm. Se Biancaneve, infatti, rappresenta uno stucchevole tripudio di buone qualità raramente riscontrabile nella vita reale, la Regina è l’emblema della femminilità guerriera che, seppur esasperata, sottolinea le caratteristiche di un mondo che di “gentile” ha solo la fisicità. Partendo da questa considerazione è interessante analizzare l’ultimo lavoro del regista indiano Tarsem Singh Biancaneve. Nella pellicola, la dolce principessa dai capelli d’ebano non è più una martire in balia del destino, ma una ragazza consapevole delle proprie capacità pronta a combattere per qualcosa di più del solito “e vissero felici e contenti”. La Biancaneve di Singh è una pasionaria che invece di rassettare la casa dei nanetti preferisce imbracciare le armi per aiutare il suo popolo affamato senza, però, venir meno alla sua natura di donna. Eh sì perché ci sono delle battaglie che vanno combattute con armi non convenzionali come un rossetto o, in alternativa, una fragola succosa. Stiamo parlando ovviamente della lotta fra Biancaneve e la Regina per il cuore del principe. Che dire? Finalmente le due donne giocano ad armi pari sul terreno delle astuzie e ciò le rende meravigliosamente moderne senza alterare l’intento pedagogico della fiaba. La Regina, un’ironica Julia Roberts, viene sconfitta perché va oltre, gioca sporco lasciandosi consumare dal- Tutti i film della stagione la cattiveria e dall’invidia. Non c’è nessun cavaliere che ribalta le sorti del racconto, anzi a dirla tutta, il principe in questione viene ridicolizzato durante tutta la pellicola dalle sue stesse contendenti. È Biancaneve la vera eroina, capace di salvare e salvarsi grazie all’intelligenza non subordinata ad uno specchio. Un’immagine psicologica interessante che il regista indiano ha saputo valorizzare mantenendo sempre il registro leggero e spensierato della commedia. Senza dimenticare il gusto per il classico che Tarsem Singh ha reinventato attraverso un’insolita commistione con atmosfere decisamente più contemporanee. Il risultato è un film coloratissimo e divertente con tanto di finale spettacolare in stile Bollywood. Dopotutto è cinema di intrattenimento, un balletto stravagante ci può anche stare. Francesca Piano TRE UOMINI E UNA PECORA (A Few Best Men) Australia, Gran Bretagna 2011 Costumi: Lizzy Gardiner Interpreti: Xavier Samuel (David), Kris Marshall (Tom), Kevin Bishop (Graham), Tim Draxl (Luke), Olivia NewtonJohn (Barbara), Laura Brent (Mia), Rebel Wilson (Daphne), Jonathan Biggins (Jim), Steve Le Marquand (Ray), Elizabeth Debicki (Maureen), Oliver Torr (Kall), Guy Gross (Yanni), Solveig Walking (Ragazza), David Sullivan (Vip Sicurity aereoporto), Angela Bishop (Reporter di Canale 10) Durata: 97’ Metri: 2660 Regia: Stephan Elliott Produzione: Quickfire Films Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 10-2-2012; Milano 10-2-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Dean Craig Direttore della fotografia: Stephen F. Windon Montaggio: Sue Blainey Musiche: Guy Gross Scenografia: George Liddle ue giovani ventenni, l’inglese David e l’australiana Mia si conoscono durante una vacanza su un atollo da sogno, ma quella che nasce solitamente come una “cottarella” estiva destinata a concludersi con il viaggio di ritorno si trasforma in qualcosa di molto più complesso: i due perdono la testa l’uno per l’altra e decidono di sposarsi. La scelta coglie un po’ tutti di sorpre- D sa e nonostante gli amici di David, che purtroppo è orfano, siano alquanto scettici a causa dell’eccessiva rapidità dei tempi; lo sostengono comunque e lo seguono nel viaggio verso l’Australia. Infatti le nozze avranno luogo nel paese natale di Mia, nel cuore delle incantevoli Blue Montains, dove David, insieme ai fidati Tom, Graham e Luke arriva con un giorno di anticipo, in modo da sistemarsi con cura. 13 I quattro intuiscono dal momento in cui scendono dall’aereo che la famiglia della ragazza abbia una posizione alquanto importante, poiché vengono scortati dalla sicurezza e accompagnati alla residenza Ramme (il cognome della futura sposa). Jim Ramme, il padre di Mia, è infatti un ricco, e importante senatore, e la sua famiglia è da generazioni possidente della più antica tenuta della zona. Mentre Da- Film vid viene accolto in casa, Tom e Graham vanno all’appuntamento con uno spacciatore trovato via web, per prendere un po’ di erba da regalare a David per il suo addio al celibato; Luke invece rimane in macchina triste e disperato perché la sua ex fidanzata lo ha lasciato per un altro. Quando entrano nella roulotte di Ray – lo spacciatore – Graham viene preso dal panico e non vede l’ora di andar via, mentre Tom appare più disinvolto. La preoccupazione del giovane genera un repentino cambiamento di personalità in Ray, che mostra uno strano e ambiguo interesse verso Graham e lo invita a prendere una birra una sera prima della loro partenza. Questi asseconda l’uomo, temendolo per il suo esser burbero e pericoloso; così trova una scusa per andar via. Una volta tornati alla residenza dei Ramme, si susseguono strani e bislacchi comportamenti della troupe di David, il quale non fa altro che scusarsi e vergognarsi per ciò che combinano i suoi amici e cerca anche di rassicurare la famiglia della sua futura sposa sul fatto che l’addio al celibato sarà qualcosa di molto sobrio e tranquillo. Durante l’assenza dei suoi amici David ha finalmente conosciuto anche Ramsey, una pecora alla quale il senatore J.Ramme deve moltissimo, tanto da giudicarla il pezzo forte della sua campagna elettorale e da tempestare la residenza di foto e altri oggetti raffiguranti l’animale. Quando arriva la notte dell’addio al celibato, i quattro amici ovviamente non prestano fede alle dichiarazioni di David e tornano a casa ubriachi finendo poi per vestire Ramsey da donna, con tanto di rossetto e filmare il tutto con il cellulare. Al mattino seguente il risveglio è a dir poco traumatico. C’è chi è totalmente nudo, con spinelli sistemati in parti del corpo poco consone, e chi si ritrova con una maschera sadomaso al volto. Ma c’è chi è in condizioni peggiori: David si ritrova in stanza con la pecora vestita e truccata. Preso dal panico riesce a distogliere la suocera dall’intenzione di entrare nella sua camera, e corre subito dai suoi amici per cercare una soluzione. I tre non sembrano essere di grande aiuto, ma, nonostante tutto, David riesce a farsi promettere che sistemeranno Ramsey nel suo recinto e soprattutto che la puliranno e svestiranno. Con l’animo leggermente più tranquillo, il promesso sposo inizia a prepararsi per le nozze, ma quando scende giù deve badare a Luke, che ubriaco da far schifo orina in una bottiglia di champagne ten- Tutti i film della stagione tando di far “canestro”. Decide allora di chiuderlo in macchina, ma una volta addormentatosi, Luke toglie per errore il freno a mano e la macchina colpisce una enorme pianta dalle dimensioni sferiche, che scivola giù velocemente, distruggendo tutto ciò che incontra sul cammino e finendo sull’altare, rischiando persino di colpire i due sposi, che hanno appena pronunciato il “sì”. Jim Ramme è già su di giri; inoltre gli viene data la notizia della sparizione della pecora, che ovviamente il gruppo di sballati non ha ancora riportato nel recinto. Graham e Tom intanto si accorgono che c’è stato uno scambio di borse e hanno lasciato la propria nella roulotte di Ray, prendendo per errore quella dello spacciatore, contenente armi e cocaina. Decidono così di chiamarlo al telefono, gli lasciano un messaggio in segreteria per spiegargli le buone intenzioni nel commettere tale misfatto, e scusarsi. Il messaggio però viene disturbato da una cattivare ricezione e Ray crede di esser stato truffato dai due. In preda alla collera trova nella borsa di Graham l’invito alla cerimonia nuziale; indossando l’abito dell’amico di David si avvia in direzione della residenza Ramme, con tutta l’intenzione di far fuori i due impostori. Nel frattempo, gli amici si accorgono che la pecora ha mangiato tutte le bustine contenenti la droga, e Graham si trova costretto a infilare una mano nel posteriore dell’animale per tirarle fuori una ad una. Mentre i quattro sono impegnati nell’abominevole pratica, vengono scoperti da Mia, che si aggirava per casa in cerca di David. La ragazza scappa via e il novello sposo la insegue cercando in tutti i modi di farle capire l’accaduto, e promettendole di risolvere la situazione. Una volta liberata la pecora dalla cocaina, i ragazzi la puliscono e trovano un bizzarro modo per portarla fuori, ovvero facendola calare dalla finestra nel giardino tenendola avvolta con delle lenzuola. Finalmente l’assistente del senatore ritrova Ramsey al suo posto e corre a dargli la lieta notizia, che viene accolta nel migliore dei modi da Jim, il quale spera ancora di salvare la faccia in questo matrimonio alquanto strano. Ray intanto è arrivato nella residenza, con tanto di invito. Cerca e trova Graham, che però sfrutta il fascino che inspiegabilmente esercita sullo spacciatore, per far uscire fuori il suo lato benevolo. Tom, vedendo i due parlare nel bagno con l’amico nella vasca, teme il peggio per Graham e si precipita, colpendo in testa Ray con una bottiglia di vetro. A questo punto provano 14 a chiuderlo in una sauna, cercando di limitare i danni, ma poco dopo il delinquente è di nuovo sveglio e seriamente arrabbiato, al punto da arrivare con un fucile fino al banchetto nuziale. Qui però ritrova suo padre che non vedeva da molti anni e i due si lasciano andare a un abbraccio commovente. Ovviamente i danni non finiscono qui e, alla lunga serie, va aggiunto anche il filmato che David aveva preparato per Mia, ma che per errore viene sostituito da quello amatoriale girato durante l’addio al celibato, nel quale ne fanno di tutti i colori a Ramsey. Questo è il colpo di grazia per Mia e per suo padre, i quali cacciano David a malo modo. Il ragazzo è disperato, e la sera torna da sua moglie cercando di scusarsi, e mostrandole il vero video. Mia si emoziona e capisce che David è veramente il ragazzo che fa per lei, andando così anche contro le resistenze di Jim. Alla fine, anche Luke riesce a superare la crisi dell’abbandono e Graham si bacia finalmente con una ragazza, ovvero la sorella di Mia. ’ è molto Dean Craig e molto Funeral Party nella collaborazione che ha dato vita a questo A few best man, o meglio – anzi peggio – l’atrocemente italianizzato Tre uomini e una pecora. Ma c’è anche molto Hangover, in una sfumatura però troppo aggressiva, quasi calcata e caricaturale, in una maniera che ricerca esasperatamente la risata e la rende pertanto meno naturale di quella di Funeral Party, opera assai più genuina e convincente. Sia chiaro, questo prodotto realizzato dalla collaborazione di Stephan Elliot e Dean Craig ha una riuscita senza dubbio positiva, confermata anche da una critica nel complesso benevola, ma penalizzata da questa sorta di parossismo. Lo sfrenato successo ottenuto da Todd Phillips con i due eccentrici addii al celibato delle “notti da leoni” ha infatti generato tra registi e sceneggiatori comici una corsa al clone più bello, cadendo così spesso nella trappola già citata. Nonostante le divertenti gag di cui Tre uomini e una pecora è costituito, non riusciamo a esimerci dal paragone con Hangover, soprattutto per scene come il risveglio, che appaiono ricreate con lo stampino basato sulla pellicola di Phillips; e il paragone ovviamente non può che esser a svantaggio di Elliot e Craig. Passando sopra a tali precisazioni, C Film ecco che abbiamo invece un film degno di nota, che strappa più volte la risata, in alcuni casi di gusto e in altri a denti più stretti, ma che è comunque in grado di trasmettere la necessaria spensieratezza allo spettatore. A onor del vero, va però segnalato che è al contempo evidente la differenza e il distacco dall’onda comica americana, grazie a uno humour tipicamente british che a più riprese emerge con forza, anche grazie a personaggi come Tom, che ne rac- Tutti i film della stagione chiudono l’essenza (anche dal punto di vista estetico). Continuando poi sulla scia del precedente paragone, non si può fare a meno di notare la schematica somiglianza di questi personaggi con quelli di Una notte da leoni: se David è la fedele riproduzione di Doug, Tom ricorda un po’ Phil nel suo essere affascinante ma spocchioso, Graham è la perfetta crasi di Stu e Alan. Nella spirale delle demenzialità c’è spazio un po’ per tutto, anche per temi un po’ più elevati, come lo scontro fra diverse culture, l’impostazione severa di un certo tipo di pater familiae, ma ognuno di questi elementi coinvolge poi verso la struttura più funzionale dell’opera, ovvero il divertimento, a tratti becero e spassionato. Se pertanto avete voglia di farvi quattro risate senza dover riflettere su problematiche impegnative, Tre uomini e una pecora è una giusta ricetta per l’allegria. Tiziano Costantini 50 E 50 (50/50) Stati Uniti 2011 Regia: Jonathan Levine Produzione: Nicole Brown, Evan Goldberg, Ben Karlin, Seth Rogen per IWC Productions, Mandate Pictures, Point Gray Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Will Reiser Direttore della fotografia: Terry Stacey Montaggio: Zene Baker Musiche: Michael Giacchino Scenografia: Annie Spitz Costumi: Carla Hetland dam è un ragazzo di ventisette anni che conduce un’esistenza tranquilla. Lavora come autore di programmi radiofonici assieme al suo migliore amico Kyle e convive da poco con la bella fidanzata Rachel, un’artista egocentrica e dominante. A causa di alcuni persistenti dolori alla schiena, Adam si reca in ospedale per degli accertamenti, dove gli viene diagnosticata una rara forma di cancro al midollo spinale. Secondo le statistiche ha il 50% di possibilità di salvarsi. Comincia così il suo percorso di accettazione della malattia e la sua lotta per sconfiggerla. Accanto a lui si stringono Kyle e Rachael, oltre alla soffocante madre Diane e alla neo psicoterapeuta Katherine. Dopo le comprensibili difficoltà iniziali, questa ingiusta e crudele situazione darà tuttavia ad Alan l’opportunità di capire quali siano le cose veramente importanti e preziose nella sua vita, oltre a fargli scoprire un lato sconosciuto di se stesso e delle persone che ha intorno. A 0/50 è un delicato “cancer-movie” basato su una storia vera, quella dello sceneggiatore Will Reiser, che racconta con delicatezza, profondità e inaspettato umorismo la propria esperienza. Non è certamente facile riuscire a fab- 5 Interpreti: Joseph Gordon Levitt (Adam), Seth Rogen (Kyle), Anna Kendrick (Katherine), Bryce Dallas Howard (Rachael), Anjelica Huston (Diane), Serge Houde (Richard), Andrew Airlie (Dott. Ross), Matt Frewer (Mitch), Philip Baker Hall (Alan), Donna Yamamoto (Dott.sa Walderson), Sugar Lyn Beard (Susan), Yee Jee Tso (Dott. Lee), Sarah Smyth (Jenny), Peter Kelamis (Phil), Jessica Parker Kennedy (Jackie), Daniel Bacon (Dott. Phillips), P. Lynn Johnson (Bernie), Laura Bertram (Claire), Matty Finochio (Ted) Durata: 100’ Metri: 2760 bricare una spiritosa commedia fondata su avvenimenti drammatici, il rischio è di scadere nella parodia o comunque nel cattivo gusto. Al contrario, questa sceneggiatura affronta con pungente onestà e senza alcuna forma di pietismo un tema molto sensibile, divertendo e, al contempo, facendo riflettere. La regia di Levine è ordinata ed impercettibile: asseconda gli exploit travolgenti di un cast ottimamente assortito ed evidenzia con precisione sia i momenti più scuri che quelli più leggeri attraversati da Adam. La bravura del regista si manifesta, sostanzialmente, attraverso un equilibrio che gli consente di non calcare troppo la mano durante le fasi drammatiche e di non esaurire anzitempo la verve comica dei suoi attori. Inoltre, Levine è abile nel legare insieme una sceneggiatura che è praticamente una serie di sketch, formando un filo logico conduttore coerente e razionale. Francamente il finale potrà apparire in qualche modo scontato, però è altrettanto vero che dispensa molte emozioni, non è mai superficiale ed è corroborato da una piacevole e speranzosa sincerità. Il film, fondamentalmente, non pretende di rispondere ai quesiti esistenziali più comuni, ma viceversa offre un punto di vista su come si possa reagire in circostanze così spiacevoli. I due 15 protagonisti maschili, Gordon-Levitt e Rogen, forniscono una prova di recitazione assolutamente di ottimo livello e sono indiscutibilmente gli elementi trainanti del film. La loro chimica è armoniosa ed emozionante, descrivono un’amicizia vera, solida, nella quale qualsiasi cosa si può affrontare scherzando insieme. Gordon-Levitt si conferma essere, ancora una volta, uno dei giovani attori americani più talentuosi del momento, capace di spaziare dal cinema indipendente a grosse produzioni con nonchalance, scegliendosi ruoli sempre diversi e interpretandoli convincentemente (ultimamente è stato l’indimenticabile capellone ribelle in Hesher è stato qui e presto sarà sugli schermi con Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno, l’ultimo capitolo della saga Batman di Nolan). Rogen è simpaticissimo nei panni del migliore amico Kyle, un vero maestro nel servirsi di un umorismo politicamente scorretto, che rende il film più godibile e veritiero (indimenticabile il suo consiglio di usare la malattia per rimorchiare, oltre alla scena della rasatura di Adam). La componente femminile del cast è di altrettanto ottimo livello; Howard interpreta una fidanzata fastidiosa, egoista e moralmente riprovevole con sicurezza e impeto, pare che realmente non si renda conto della gravità Film delle proprie azioni. Angelica Huston è una mamma apprensiva e asfissiante, sebbene lasci intendere che ciò non sia stata una scelta personale ma piuttosto una reazione agli eventi spiacevoli nella sua vita. Per Tutti i film della stagione concludere, Anna Kendrick è deliziosa nel ruolo della psicologa alle prime armi, capace di unire saggezza, dolcezza e humour in dosi ben misurate ed equilibrate (ogni seduta infatti regala almeno un istante di riflessione e molti momenti spassosi, particolarmente quando tenta di avere con Adam un contatto fisico di rassicurazione). Jacopo Lo Jucco HUNGER GAMES (The Hunger Games) Stati Uniti, 2012 Regia: Gary Ross Produzione: Color Force, Larger Than Life Productions, Lionsgate, Ludas Productions Distribuzione: 01 Disatrubution Prima: (Roma 1-5-2012; Milano 1-5-2012) Soggetto: dal romanzo omonimo di Suzanne Collins Sceneggiatura: Gary Ross, Suzanne Collins, Billy Ray Direttore della fotografia: Tom Stern Montaggio: Stephen Mirrione, Juliette Welfling Musiche: T-Bone Burnett, James Newton Howard Scenografia: Philip Messina Costumi: Judianna Makovsky Effetti: Rising Sun Pictures Interpreti: Jennifer Lawrence (Katniss Everdeen), Josh Hu- n un futuro non meglio specificato, quello che era un tempo il Nord America è risorto in uno stato chiamato Panem, il cui governo tiene in scacco i suoi abitanti attraverso rigide regole. Panem è formata da una ricca capitale, Capitol City e dodici poveri distretti periferici. Come promemoria della punizione inferta alla popolazione per la ribellione di settanta anni prima, ogni anno viene organizzato tra i distretti che compongono lo stato, un crudele reality show, noto con il nome di “Hunger Games”. A ogni famiglia viene imposto il sacrificio di un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni, che dovrà partecipare ad un gioco al massacro. Addestrati al combattimento e alla sopravvivenza, i concorrenti si sfideranno fino a che non emergerà un unico vincitore, il sopravvissuto. Quando la piccola Primrose Everdeen viene selezionata per partecipare, la sorella sedicenne Katniss decide di offrirsi volontaria e risparmiarle la vita. Nonostante le suppliche dei familiari e del migliore amico Gale, Katniss è determinata più che mai ad andare fino in fondo. Costretta da anni a cacciare illegalmente cibo dopo la morte del padre, la giovane è una vera leonessa, abile arciera e sprezzante del pericolo. Con lei viene selezionato Peeta Mellark, anche egli proveniente dal Distretto numero dodici, collocato in una regione ricca di carbone e segretamente innamorato di Katniss dall’infanzia. Una volta infatti le I tcherson (Peeta Mellark), Liam Hemsworth (Gale Hawthorne), Woody Harrelson (Haymitch Abernathy), Elizabeth Banks (Effie Trinket), Lenny Kravitz (Cinna), Stanley Tucci (Caesar Flickerman), Donald Sutherland (Presidente Snow), Wes Bentley (Seneca Crane), Toby Jones (Claudius Templesmith), Alexander Ludwig (Cato), Isabelle Fuhrman (Clove), Amandla Stenberg (Rue), Willow Shields (Primrose Everdeen), Leven Rambin (Glimmer), Jacqueline Emerson (Foxface), Paula Malcomson (Sig.ra Everdeen), Latarsha Rose (Portia), Dayo Okeniyi (Thresh), Jack Quaid (Marvel), Brooke Bundy (Octavia), Nelson Ascencio (Flavius), Kimiko Cazanov (Venia), Karan Kendrick (Atala) Durata: 142’ Metri: 3900 aveva ha salvato la vita, offrendole il proprio pane quando la famiglia di lei stava per morire di stenti. Katniss e Peeta condotti a Capitol City, incontrano gli altri “tributi” e vengono introdotti al pubblico di Panem. Durante l’intervista di presentazione, Peeta rivela in diretta i propri sentimenti nei confronti di Katniss. I giochi cominciano con undici dei 24 tributi uccisi nel primo giorno, durante il quale Katniss dimostra la propria abilità nella caccia e nelle tecniche di sopravvivenza per superare tale prova. Nel corso dei giochi continuano a morire altri ragazzi, ma sia Katniss che Peeta riescono ogni volta a cavarsela. Katniss fa amicizia anche con una bambina di un altro distretto che l’aiuta a salvarsi da un agguato teso dai tributi “favoriti”; ma poi la bambina viene poi ferita a morte. Viene annunciata una nuova regola nel corso dei giochi, che prevede la possibilità a due tributi dello stesso Distretto di vincere in pareggio. In conseguenza a tale proclama, Katniss si pone alla ricerca di Peeta, lo trova ferito e lo soccorre, conquistando il favore del pubblico che tifa per un amore tra i due. Quando la coppia rimane finalmente sola in gioco, i gestori del gioco decidono però di revocare la nuova regola e cercano di forzarli a un drammatico finale nel corso del quale uno dovrà uccidere l’altro per vincere. Ciò nonostante, i due giovani decidono di tentare il suicidio nella speranza che gli organizzatori possano accettare di 16 avere due vincitori invece di nessuno. Questo espediente ha successo e sia Katniss che Peeta sono dichiarati vincitori dell’edizione degli Hunger Games. olverizzando tutti i record d’incasso il film Hunger Games è riuscito a incassare la bellezza di seicento milioni di dollari in tutto il mondo. Primariamente perché è tratto come la saga di Twilight o Harry Potter da una collana di libri vendutissimi e secondariamente per l’enorme battage pubblicitario che ha circondato qualsiasi piccolo evento fosse attinente alla pellicola. Tuttavia mentre l’inglese Rowling s’inventa intorno al suo maghetto un mondo letterario, Suzanne Collins, autrice del bestseller americano, si limita a prendere ispirazione dai miti classici e metterli a macello in un calderone stereotipato, alla Grande fratello. E la regia di Gary Ross conferisce al film la giusta cornice per sbancare al box office. Eppure l’eroina a cui l’autrice si ispira sembra avere decisamente poco a che fare con il mondo romano e greco. Il mito di Teseo, a cui l’autrice dice di rifarsi, narra che Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso e che, quando Androgeo figlio di Minosse, morì ucciso da ateniesi infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi disonorandoli, Minosse decise di vendicarsi ed impose alla città di Atene, sottomessa allora a Creta, di inviare periodicamente sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro. P Film Proprio come in Hunger Games, a ricordo simbolico della sconfitta dei Distretti che si ribellarono, vengono mandati i tributi a morire nei “giochi della fame”. La stessa protagonista, con arco e frecce ci ricorda Diana, affascinante e coraggiosa dea della caccia. Ma il mito greco sopracitato non è l’unico aggancio a quel mondo lontano; l’idea delle bacche che giunge come un “invito” al suicidio, ricorda l’epoca in cui Nerone riteneva che il filosofo Seneca avesse preso parte alla Congiura dei Pisoni. Anche i nomi dei personaggi Caesar, Cinna, Lux, Cato e la Cornucopia sono chiari riferimenti al mondo romano. Lo stesso paese si chiama Panem, cioè “pane” in latino. A capo di questa mitoideologia, un cinico Presidente Snow (Donald Sutherland) che interviene nel racconto con frasi definitive e parafilosofiche sulla dura realtà del potere o sui vantaggi che gli vengono dalla speranza illusoria concessa ai sudditi. Già, perché Hunger Games semina anche in alcune scene dei momenti che non è illecito supporre “politici”, e che riempiono ancor di più una sceneggiatura già di per sé densa. Si cita persino la paura di una fine della democrazia, con l’avvento di politica totalitaria, che fagociti e schiacci le nuove generazioni. Ma Ross, Collins e lo sceneggiatore Ray preferiscono giocare a loro volta con la violenza e con la morte. Nel gioco si perde così ogni velleità critica, mentre i Tutti i film della stagione caratteri dei personaggi si moltiplicano inutilmente e si banalizzano. E alla fine resta solo una vuota preoccupazione di audience. La vera ragione del successo del film è infatti il calcolo commerciale dell’operazione, in cui a uno scarso grado di scrittura e di invenzione si affianca una confezione patinata, ingenua o ruffiana, che da sempre accompagna la letteratura dei giovani adulti. Altra sottolineatura la merita il valevole gruppo di attori che compone il cast di supporto del film: su tutti l’intramontabi- le Donald Sutherland, mellifluo e ipnotico come soltanto lui sa essere e il camaleontico Stanley Tucci. Per quanto riguarda invece il lato più specificamente tecnico del film, la fotografia e le musiche sono le cose più riuscite. Insieme a una scelta stilistica nervosa e a un buon impatto visivo del futuro hi-tech, quasi clownesco, svetta il talento emozionale e misurato della protagonista Jennifer Lawrence. Veronica Barteri ATM – TRAPPOLA MORTALE (ATM) Stati Uniti, Canada 2011 Regia: David Brooks Produzione: Buffalo Gal Pictures, Gold Circle Films, The Safran Company Distribuzione: M2 Pictures Prima: (Roma 17-2-2012; Milano 17-2-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Chris Sparling Direttore della fotografia: Bengt Jonsson Montaggio: David Brooks Musiche: David Buckley avid è un broker finanziario. Alla festa di Natale dell’azienda finalmente riesce a dichiararsi alla collega Emily, ottenendo di poterla accompagnare a casa. Tuttavia alla coppia si aggiunge anche Corey, bisognoso di un passaggio. I tre decidono di fermarsi a uno sportello bancomat per un prelievo, quando inaspettatamente all’ingresso della cabina si presenta un minaccioso sconosciuto. Le sue intenzioni si manifestano quan- D Scenografia: Craig Sandells Costumi: Patricia J.Henderson Interpreti: Alice Eve (Emily), Josh Peck (Corey), Brian Geraghty (David), Steve Nagribianko (BGP), Will Woytowich (Sargent), Aaron Hughes (Poliziotto), Glen Thompson (Harold), Robert Huculak (Robert), Omar Khan (Cristiano) Durata: 90’ Metri: 2460 do all’improvviso aggredisce un innocuo passante, uccidendolo a sangue freddo. Inizia così un sadico gioco che costringerà i tre a una spietata lotta per la sopravvivenza, tenuto conto inoltre della temperatura sotto lo zero portata dalla notte. TM – Trappola Mortale è un film d’alta tensione che si svolge, quasi interamente, in uno spazio circoscritto. L’intenzione è di amplificare l’an- A 17 sia provocata dall’apparentemente ingiustificata e imprevedibile aggressione di un maniaco sanguinario, abbinandola a un senso di claustrofobia dettato dall’ambiente confinato. Il fulcro della storia consiste nello stravolgere il falso senso di sicurezza assicurato dalla tecnologia moderna, evidenziando la vulnerabilità della quotidiana normalità. I tre ragazzi infatti inizialmente pensano che verranno salvati dal sistema di telecamere a circuito chiuso e dal telefo- Film no cellulare, ma ben presto si renderanno conto che lo squilibrato li costringerà a una lotta di primordiale sopravvivenza. La sceneggiatura è scritta di Chris Sparling, già autore nel recente passato di Buried. Il fil rouge che lega queste opere è abbastanza evidente, solo che stavolta i protagonisti passano dall’essere sepolti vivi al trovarsi intrappolati in una cabina bancomat. Purtroppo però il risultato in questo caso è abbastanza deludente e non pianificato nel dettaglio; chiaramente una persona relegata in una bara sottoterra non ha possibilità di fuga mentre in ATM le occasioni sarebbero molteplici. L’istinto di sopravvivenza dei tre protagonisti viene sopraffatto troppo facilmente da un sentimento di paura probabil- Tutti i film della stagione mente esagerato. Risultano così poco credibili e si mostrano assolutamente incapaci e pasticcioni: in tre contro uno sarebbe bastato ingegnarsi un po’ per trovare delle valide contromisure, al contrario perfino far scattare l’allarme anti-incendio diventa per loro un’impresa ciclopica. La regia di David Brooks non riesce a sopperire alle lacune della storia e il montaggio, da lui stesso curato, è pretenzioso e inutilmente disordinato. Le prove recitative dei tre interpreti principali sono facilmente dimenticabili. Geraghty in particolare appare impostato e poco naturale, l’energia e il carisma di Peck si affievoliscono rapidamente rendendo il personaggio banale e ingessato. Per concludere, l’interpretazione di Eve è probabilmente la migliore del film, pur non essendo niente di speciale in termini assoluti. A loro discolpa, gli attori si trovano alle prese con una sceneggiatura poco impegnativa e mal-pianificata, soprattutto nei dialoghi che non riescono a far affiorare le giuste tensioni. In un thriller di reclusione ci si aspetta, solitamente, che i personaggi rivelino i propri caratteri gradatamente e incontrollatamente, mentre in questo caso palesano una bidimensionalità mediocre e deludente. Il finale a sorpresa tenta di porre riparo alle numerose pecche, riuscendoci solo in parte e non abbastanza efficacemente. Jacopo Lo Jucco TO ROME WITH LOVE (To Rome With Love) Stati Uniti, 2012 Regia: Woody Allen Produzione: Mediapro, Medusa Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 20-4-2012; Milano 20-4-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Woody Allen Direttore della fotografia: Darius Khondji Montaggio: Alisa Lepselter Scenografia: Anne Seibel Costumi: Sonia Grande Effetti: Leonardo Cruciano Workshop Interpreti: Woody Allen (Jerry), Alec Baldwin (John), Roberto Benigni (Leopoldo), Penélope Cruz (Anna), Judy Davis (Phyllis), Jesse Eisenberg (Jack), Greta Gerwig (Sally), Ellen Page (Monica), Antonio Albanese (Luca Salta), Fabio Armiliato (Giancarlo), Alessandra Mastronardi (Milly), Ornella Muti (Pia Fusari), Flavio Parenti (Michelangelo), Alison Pill (Hayley), Riccardo Scamarcio (Ladro), Alessandro Tiberi (Antonio), Carol Alt (Carol), David Pasquesi (Tim), Lynn Swanson (Ellen), Monica Nappo (Sofia), Corrado Fortuna (Rocco), oma, oggi. John, architetto attento soprattutto alla lucrosa commercializzazione del design dopo un serio passato dedito allo studio di nuove forme artistiche e strutturali, è in vacanza a Roma dove tenta di ritrovare il quartiere e le strade teatro della sua boheme: vi riesce perchè aiutato da Jack, un ragazzo incontrato per caso che, ricordandogli la sua giovinezza, lo conduce a ritrovare luoghi e angoli che pensava perduti per sempre. Il legame diventa quasi un’amicizia che permette a John di fare da consigliere, naturalmente inascoltato, circa il precipitoso innamoramento del ragazzo per Monica, amica tra l’altro della sua fidanzata, civettuola, bugiarda, affascinante e furba quanto basta R Margherita Vicario (Claudia), Rosa Di Brigida (Mariangela), Giovanni Esposito (Impiegato hotel), Gabriele Rapone (Gabriele), Camilla Pacifico (Camilla), Cecilia Capriotti (Serafina), Duccio Camerini (Amico al cinema), Lina Sastri (Amica al cinema), Roberto Della Casa (Zio Paolo), Ariella Reggio (Zia Rita), Gustavo Frigerio (Zio Sal), Simona Caparrini (Zia Giovanna), Sergio Solli (Autista di Leopoldo), Massimo De Lorenzo (Regista), Marta Zoffoli (Marisa Raguso), Lino Guanciale (Leonardo), Fabio Bonini (Max), Marina Rocco (Tanya), Sergio Bustric (Sig. Massucci), Augusto Fornari (Cliente di Anna), Mariano Rigillo (Cliente di Anna), Gian Marco Tognazzi (Cliente di Anna), Vinicio Marchioni (Aldo Romano), Donatella Finocchiaro (Reporter), Ninni Bruschetta (Detective), Carlo De Ruggieri (Detective), Giuliano Gemma (Hotel Manager), Rita Cammarano (Nedda/Colombina), Matteo Bonotto (Tonio, lo scemo/Taddeo), Antonio Taschini (Silvio), Vinicio Cecere (Peppe/Arlecchino), Ruggero Cara (Pedone), Maria Rosaria Omaggio (Pedone), Maricel Álvarez (Reporter) Durata: 105’ Metri: 2850 per fare perdere la testa a un maschio, all’inizio di una carriera d’attrice per la quale è disposta a dare la vita propria e...quella degli altri. Finirà, naturalmente, male con Jack abbandonato e col cuore a brandelli. Anche Jerry, regista d’opera in pensione, arriva a Roma con la moglie per conoscere il fidanzato italiano della figlia; non è però questo l’argomento che più lo occuperà, bensì la scoperta che il futuro consuocero Giancarlo, impresario di pompe funebri, ha una voce tenorile migliore del grande Pavarotti. C’è solo un particolare: Giancarlo riesce a esprimersi solo sotto la doccia altrimenti è sopraffatto da stecche abissali. Proprio attrezzandogli una cabina doccia in palcoscenico, Jerry rie- 18 sce a organizzare per il tenore mancato una serata memorabile. Anche Antonio e Milly sono arrivati a Roma, in questo caso dalla provincia, per fare colpo sui parenti di lui, importanti, ricchi ma puritani. Inutile dire che lo scambio fortuito di moglie (ad Antonio si affianca per una giornata una procace escort a causa di un equivoco mentre Milly è corteggiata da un divo del cinema) non porterà nulla di buono. L’ultimo personaggio: Leopoldo, comune travet, noioso e senza attrattive è di colpo considerato un uomo famoso senza capire il come e il perchè. Giornalisti e paparazzi assediano la sua casa per accaparrarsi ogni minima azione della sua giornata, interessati alla vita sua e della sua Film Tutti i film della stagione famiglia per farne partecipe una folla di spettatori e lettori adoranti. Poi, di colpo e senza motivo tutto finisce, come di colpo e senza motivo era nato, lasciando più di un amaro in bocca al povero e incolpevole Leopoldo. stato detto di tutto ma tutto ha fatto capo a una tesi fondamentale: il vecchio Allen si è rimbambito e nel suo mettere in piedi una città da cartolina ha ritrovato tutti i vecchi fantasmi del suo cinema, ormai privo di graffi e di nerbo e tra “Volare” e “Romantica” ci ha dato una città che non esiste davvero e forse non è mai esistita se non nei sogni di chi oggi ha qualche anno di troppo, che faccia il cineasta o meno. Se poi andiamo a ritroso a rispolverare i suoi film ci rendiamo conto che neanche Parigi era Parigi, così Londra, così Barcellona e forse, chissà, neanche la grande Manhattan dei sogni di una generazione rappresentava davvero il centro di New York ma solo la centralità onirica, sentimentale, intellettuale e culturale di un regista di genio che ci ha fatto amare, desiderare e sognare una città come fosse nostra, come se ci abitassimo tutti da tempo. Woody Allen quindi fedele a se stesso anche ora, nell’impedirci di trovare una definizione adatta alla città che abbiamo visto e abilissimo nell’averci gettato negli stupidi, amletici dubbi tipo “ma non si è accorto che Roma è oggi un’altra cosa, sporca, violenta, ostile, volgare, caotica, ubriaca di ossido, in una parola inospitale e disumana?” Ma certo che se ne è accor- È to e lo sa. Non lo sapevano Fellini, Bergman, Truffaut come fossero le loro amatissime città dove vivevano le loro donne e i loro uomini, personaggi veri e finti di ciò che era vero e finto solo dentro se stessi? E tutto è vero e finto in questa città vera e finta, colorata come un cartone animato da Darius Khondji e punteggiata e accompagnata da una musica dolciastra che sa di nostalgia perchè tutto deve essere pronto a contenere il girotondo di personaggi che sgorgano dalla fantasia del maestro e che ci prendono per mano per farsi accarezzare e amare e farci prendere da quel sorriso, da quell’incantamento a cui ci rendiamo disponibili quando andiamo a vedere un film del cineasta della nostra vita. È il luogo comune che diventa grandezza, non privo di graffi e sgomento come nell’episodio dello sconosciuto diventato d’improvviso una star e presto ricaduto nell’anonimato: l’accanimento demenziale del circo mediatico televisivo che brucia vite e persone senza un interesse e senza un perchè lascia davvero inariditi e incapaci di affrontare questa futilità irreale: meglio continuare a sognare questa città delle favole così piena di colori accattivanti e di strade magiche, calde e consolatorie dove poterci fermare in silenzio e senza oppressioni in compagnia di un vecchio amico come Woody Allen. Fabrizio Moresco 17 RAGAZZE (17 filles) Francia 2011 Regia: Delphine Coulin, Muriel Coulin Produzione: Archipel 35, Arte France Cinéma, Canal +, Cinécinéma, Arte France Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Delphine Coulin, Muriel Coulin Direttore della fotografia: Jean-Louis Vialard Montaggio: Guy Lecorne Scenografia: Benoit Pfauwadel un piccola città della Bretagna, Lorient, la diciassettenne Camille Fourier, rimane incinta. La giovane vive con una madre assente, troppo assorbita dal suo lavoro e con un fratello che combatte in Afghanistan. Leader del U Costumi: Dorothée Guiraud Interpreti: Louise Grinberg (Camille), Juliette Darche (Julia), Roxane Duran (Florence), Esther Garrel (Flavie), Yara Pilartz (Clémentine), Solène Rigot (Mathilde), Noémie Lvovsky (Infermiera), Florence Thomassin (Madre di Camille), Carlo Brandt (Preside), Frédéric Noaille (Florian), Arthur Verret (Tom) Durata: 90’ Metri: 2460 gruppo del suo liceo, inizialmente Camille è spaventata dalla gravidanza, ma poi supportata con affetto dalle sue amiche, decide di tenere il bambino. Improvvisamente la sua condizione la rende diversa agli occhi delle altre: una donna speciale, un 19 esempio e un modello, per la forza e la voglia di cambiare la vita per prendersi finalmente le sue rivincite. E così, quello che era solo un gioco provocatorio, diventa, dal loro punto di vista, un atto d’amore e di ribellione. Quando anche un’altra ra- Film gazza dello stesso liceo confessa di essere incinta, non soltanto Julia, Florence, Flavie, Clémentine e Mathilde prendono la decisione di emulare la loro amica, ma anche il resto del liceo. Diciassette ragazze, tutte insieme e nell’arco di poche settimane, restano così incinte. L’idea, sempre più bizzarra e utopistica, è quella di crescere con le altre i loro figli tutte insieme, come in una comune, con il supporto e la vicinanza di ognuna, senza alcuna interferenza dal mondo adulto, per avere il libero arbitrio delle loro scelte e dei loro sbagli, intenzionate a fare a meno di chiunque, sia dei partner che dei genitori, troppo impegnati a mantenerle e ad educarle per capire pienamente il loro gesto. La gravidanza delle diciassette minorenni procede dunque contemporaneamente, lasciando interdetti la comunità e le autorità scolastiche, che, impotenti, non riescono a trovare ragioni né spiegazioni per l’accaduto. Genitori e insegnanti restano sbigottiti e impreparati di fronte a tale scelta e non sembrano possedere strumenti per persuadere le ragazze a ragionare o cambiare idea. Persino il telegiornale annuncia la notizia in prima serata. Il gruppo è felice della sua situazione e si sente invincibile rispetto al mondo esterno. Ma una sera al ritorno da una serata tutte insieme, Camille senza ancora aver preso la patente prende la macchina della madre e per andare a soccorrere un’amica perde il controllo della macchina ed esce fuori strada. A causa dell’incidente ha il distacco della placenta e perde il bambino. Nessuno da quel momento avrà più notizia di lei. Intanto le ragazze partoriscono e finiscono il liceo, crescendo ognuna per sé il proprio bambino. Tutti i film della stagione e registe Delphine e Muriel Coulin, dopo cinque cortometraggi, portano in scena un fatto vero, accaduto nel 2008 nel Massachusetts, trasportandolo da questa parte dell’Atlantico, in un porto bretone. Un luogo dominato da spiagge sterminate e palazzoni popolari, dove le prospettive sociali sono scarse e la sera un adolescente per divertirsi non ha niente di meglio che il fast food. Dopo il passaggio a Cannes, 17 ragazze non rimane inosservato; anzi, ricordandoci il cinema di Truffaut, riesce a conquistarsi il Premio speciale della Giuria all’ultimo Festival di Torino. Composta da inquadrature lunghe e silenziose, la pellicola in questione si potrebbe definire “riflessiva” perché lascia allo spettatore il tempo per interrogarsi su ciò che sta vedendo, per entrare nell’immagine non solo con gli occhi. La regia delle due sorelle francesi è quasi documentaristica, fatta di inquadrature che sembrano casuali più che stabilite. Quasi che la macchina da presa vaghi senza sapere di preciso cosa riprendere, l’inquadratura non ha confini netti. Le interpreti, quasi tutte non professioniste, tranne Louise Grinberg (Camille), già vista ne La Classe, si muovono in maniera spontanea, come se non stessero recitando e fossero segretamente spiate da una macchina da presa. La sensazione che si prova guardando 17 ragazze è proprio quella di non assistere alla proiezione di un film, ma di ricercare la realtà, ascoltare una storia vera che ci è capitata davanti agli occhi. Una storia tutta al femminile, in cui il desiderio di maternità e la lotta adolescenziale si trasformano in un atto di protesta e non c’è più spazio per gli uomini, troppo lontani e irresponsabili. In quel delicato periodo della vita umana in cui è più evidente il conflitto con se stessi, con il proprio corpo e con il mondo esterno, L subentra la gravidanza, non casuale, ma programmata a tavolino. Non però per ridicolizzare la società, ma per far risuonare ancor più forte l’incapacità del mondo degli adulti di rispondere alle domande che i figli gli pongono. La stessa inettitudine che emerge nelle scene in cui i professori delle ragazze, riuniti in consiglio, dimostrano nel non comprendere le ragioni e le ripercussioni di quella che tutto è tranne che “una moda”. Il gesto di Camille e le altre è un inno al riprendere le redini della propria vita e a condurla con coraggio e determinazione fuori dal caos pietrificato e oramai privo di sensi che le circonda. Un atto coraggioso che non una, ma ben diciassette ragazzine minorenni hanno avuto sufficiente “incoscienza” di compiere. E proprio su questo strano avvenimento (quale quello di una migrazione sconsiderata di coccinelle verso la spiaggia) il film lavora e insiste, mostrando le protagoniste sempre con la sigaretta accesa o la bottiglia di alcol in mano, in perenne corsa, salto, movimento libero di quei loro corpi sui quali rivendicano possesso e consapevolezza. Così piccole, ma già così organizzate, piene di progetti e ingenuamente sicure del futuro. Poi, durante un falò sulla spiaggia, un pallone da calcio prende fuoco, così iniziano a giocarci. Ed è questa la scena chiave del film, quella che raffigura la loro situazione e preannuncia il disastro e la crescita. Donne energiche, vitali, piene di forza, sicure di loro stesse e della loro amicizia, hanno messo in moto un meccanismo incandescente, che credono di saper domare. In realtà è giocare con qualcosa più grande di loro: la vita che cresce lentamente dentro i loro giovani corpi. Ed è proprio da qui che nasce il gesto rivoluzionario. Veronica Barteri 40 CARATI (Man on a Ledge) Stati Uniti, 2012 Effetti: Richard Kidd, Method Studios Interpreti: Sam Worthington (Nick Cassidy), Elizabeth Banks (Lydia Anderson), Jamie Bell (Joey Cassidy), Anthony Mackie (Mike Ackerman), Edward Burns (Jack Dougherty), Genesis Rodriguez (Angie), Kyra Sedgwick (Suzie Morales), Ed Harris (David Englander), Mandy Gonzales (Direttore), Patrick Collins (Padre Leo), J. Smith-Cameron (Psichiatra) Durata: 102’ Metri: 2800 Regia: Asger Leth Produzione: Di Bonaventura Pictures, Summit Entertainment Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 10-2-2012; Milano 10-2-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Pablo F. Fenjves Direttore della fotografia: Paul Cameron Montaggio: Kevin Stitt Musiche: Henry Jackman Scenografia: Alec Hammond Costumi: Susan Lyall N ew York. Nick Cassidy è un ex poliziotto appena evaso dalla prigione. Nick infatti era stato con- dannato a una lunga pena perché accusato ingiustamente di aver rubato un prezioso diamante a un importante e avido uomo 20 d’affari, David Englander. Oltre che di averlo rubato, Nick è accusato anche di aver tagliato e rivenduto la pietra. Ora, a Film un anno dalla sua fuga, l’ex poliziotto si trova al Roosevelt Hotel a Manhattan, in bilico sul cornicione di una delle finestre ai piani più alti, a ben settantotto metri dal suolo. L’ex poliziotto si dichiara innocente e minaccia di buttarsi giù. Inevitabile che l’attenzione dei passanti, dei media e della polizia si concentri tutta su di lui in poco tempo. Nick, che ha fornito false generalità, chiede che arrivi anche la poliziotta e psicologa Lydia Spencer, nota all’intera nazione per aver provato qualche tempo prima, senza successo, di evitare il suicidio di una persona. Mentre Lydia, sicura che l’uomo voglia suicidarsi davvero, prova a convincerlo a non compire il folle gesto, Nick in realtà sta pianificando e guidando da lì sopra una rapina supertecnologica. La strategia dell’ex poliziotto, infatti, quella di distogliere l’attenzione della polizia dai movimenti di suo fratello che sta per commettere davvero il più grande furto di pietre preziose di tutti i tempi. L’oggetto della rapina è, tra l’altro, proprio il prezioso del cui furto Nick era stato accusato. Il ritrovamento della pietra, infatti, potrebbe servire a dimostrare la sua innocenza. In un concitare di azioni, diret- Tutti i film della stagione te televisive 24 ore su 24 alla ricerca di scoop, la polizia incomincia a mettersi in posizione per fare irruzione nell’hotel, mentre Lydia non sa più chi stia dicendo la verità e chi stia mentendo. Se suicidarsi davvero o ha un altro scopo? Intanto la sua vita è sempre di più in bilico. l titolo originale del film, Man on a ledge, significa in italiano L’uomo sul cornicione. Messa così, piace decisamente di più un titolo come quello effettivamente scelto, 40 carati. Eppure, se vogliamo partire da una considerazione puramente estetica e da una valutazione della regia, dovremmo rimanere fedeli alla traduzione del titolo originale. Il film di Asger Leth infatti è davvero girato ai piani alti di un hotel, al punto che tutta la dinamica dell’azione e della trama partono proprio da quella dimensione spaziale. Anche il punto di vista delle spettatore assume spesso una visione iperbolica dall’alto verso il basso, avvicinandosi molto alla soggettiva del protagonista Nick (Sam Worthington). È soprattutto dall’analisi dei diversi livelli spaziali su cui viene costruita la strut- I tura filmica di 40 carati e dei diversi punti di osservazione proposti dal regista che si capisce la sua origine come documentarista. Il passaggio al thriller, segnato proprio da questo film, emerge forse con un comportamento troppo accondiscendente nei confronti degli stereotipi del genere. E qui ne abbiamo molti: dal poliziotto accusato ingiustamente alla psicologa indagatrice, dal familiare complice (Jamie Bell) all’avido David (Ed Harris), per finire con quella che forse rappresenta il vero senso del film: la reporter (Kyra Sedgwick) in cerca di informazioni per essere lei stessa l’artefice della notizia. Esattamente come i piani spaziali, anche quelli narrativi sono costruiti con una logica ben precisa, in cui ogni tassello (in primis i personaggi) sono incastrati perfettamente. Lo spettatore è chiamato a ogni azione a domandarsi cosa avverrà dopo. Ci sono pochi colpi di scena o, meglio, ci sono poche sorprese, ma tutto è congegnato alla perfezione e le aspettative del pubblico sono caricate di quella la suspence tipica del genere. Marianna Dell’Aquila BEL AMI – STORIA DI UN SEDUTTORE (Bel Ami) Gran Bretagna, Francia, Italia 2012 Regia: Declan Donnellan, Nick Ormerod Produzione: Redwave Filmsin associazione con XIX Film, Protagonist Picture e Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012) Soggetto: dal romanzo di Guy de Maupassant Sceneggiatura: Rachel Bennette Direttore della fotografia: Stefano Falivene Montaggio: Masahiro Hirakubo Musiche: Lakshman Joseph De Saram, Rachel Portman Scenografia: Attila Kovacs arigi, 1890. Georges Duroy, tornato in patria dopo un lungo periodo sotto le armi è solo e senza un soldo. Un incontro fortuito con Charles Forestier, conosciuto nella campagna nordafricana, gli apre le porte del salotto giusto, pieno di uomini che contano e di belle signore, a cui lui accede forte di un vestito nuovo che Forestier gli regala e del suo fascino di tenebroso vilain per cui le donne cominciano presto a perdere la testa, giustificandone il soprannome di Bel Ami. Forestier è il caporedattore di un quotidiano diretto da Rousset, interessato più a P Costumi: Odile Lynch-Robinson Interpreti: Robert Pattinson (Georges ‘Bel Ami’ Duroy), Uma Thurman (Madeleine Forestier), Kristin Scott Thomas (Madame Rousset), Christina Ricci (Clotilde de Marelle), Colm Meaney (Rousset), Philip Glenister (Charles Forestier), Holly Grainger (Suzanne Rousset), James Lance (Francois Laroche), Natalia Tena (Rachel), Pip Torrens (Paul), Amy Marston (Nanny), Christopher Fuldor (commissario di polizia) Durata: 102’ Metri: 2800 sostenere i fruttuosi intrallazzi con i politici che a scrivere cronache giuste e veritiere. Georges è incaricato di scrivere un articolo sulla sua esperienza di combattente e di reduce e in un batter d’occhio accontenta Rousset, sodddisfatto di unire alla redazione una penna nazionalista. C’è un piccolo particolare: Georges è incapace di scrivere alcunchè di serio, l’unica cosa che sa fare è sedurre le belle donne dell’alta società e trarre da questo il massimo del tornaconto. Gli articoli saranno quindi sempre scritti da altri, anzi da altre. La prima a cadere tra le sue braccia è Clotilde de Marelle, moglie di un facolto21 so uomo d’affari sempre in giro e quindi piuttosto libera di incontrarsi con George nel loro nido d’amore da lei, ovviamente, pagato. Quasi contemporaneamente Georges stringe una relazione con Madeleine Forestier, moglie del caporedattore, sposandola quando questo muore di tisi e da lei poi divorziando a suon di milioni quando scoprirà il suo tradimento. Il culmine è la relazione che Georges stringe con Madame Rousset, moglie del Direttore, da cui ha l’appoggio pieno per entrare nei posti giusti e conoscere le notizie giuste. Anche i mariti traditi hanno però le loro armi: Rousset non rende partecipe Geor- Film ges dei progetti espansionistici in Africa del nuovo governo, tenendolo fuori dalla speculazione sulle azioni delle miniere africane e negandogli così un guadagno di svariati milioni. Non mancano a Georges le carte per la risposta: l’ultima sua conquista è l’obiettivo più ambito, la giovanissima figlia dei Rousset con cui convola a nozze nonostante le isteriche opposizioni della madre. Il finale non apre nessuno squarcio su quali potranno essere le mosse di Bel Ami, adesso che lui ha raggiunto un così alto piedistallo. Tutti i film della stagione obert Pattinson, reduce dalla saga di Twilight, ha voluto utilizzare al più presto l’immensa base di pubblico conquistata per fare il suo ingresso nel cinema “adulto” e consolidare così fama e successo per la costruzione del suo futuro. È stato accompagnato nel progetto da una coppia di registi, Donnelan e Ormerod, al loro esordio cinematografico ma di forte provenienza teatrale e quindi ben capaci di guidare un giovane nei meandri della recitazione e della finzione scenica in un film così ricco di interni come questo. Aggiungiamo che a far da “madrine” all’esordio se- R rio di Pattinson sono state convocate tre splendide attrici d’alta scuola come la Thurman, la Scott Thomas e la Ricci, maestre della seduzione come dell’uso di sguardi, gesti e comportamenti che danno al loro recitare la padronanza assoluta della scena. Eppure tutto questo non è bastato: gli sguardi da bel tenebroso di Pattinson non risultano utili né sufficienti a contrastare sullo stesso piano l’amoralità, la corruzione e l’inciviltà politica del periodo e anche se l’andamento della storia sembra dare ragione ai suoi comportamenti, pare davvero che tutto accada perchè tutto è già scritto e non perchè il personaggio sia in grado di dominare il suo destino. C’è la languidezza, c’è la bellezza ingabbiata forse ancora nel vampirismo o, forse, tenuta un po’ ingessata proprio per uscire dal recente passato cinematografico; manca il fascino che deriva dalla depravazione, manca quella vertigine che unisce i sensi e la consapevolezza della manipolazione di donne e uomini che si realizza semplicemente nella consapevolezza del potere. Forse tutto questo è dovuto alla giovane età (ventisei anni): Pattinson ha dimostrato in questo film progressi, concentrazione e lavoro; qualche anno in più avrebbe potuto stendere il guasto di un po’ di polvere consumata sul suo bel viso levigato e conferire al personaggio quel velo di dissolutezza e di degenerazione che sono invece mancate. Fabrizio Moresco BUONA GIORNATA Italia 2012 Interpreti: Diego Abatantuono (Romeo Telleschi), Lino Banfi (Leonardo Lo Bianco),Teresa Mannino (Rosaria Miccichè), Maurizio Mattioli (Alberto Dominici), Vincenzo Salemme (Luigi Pinardi), Christian De Sica (Ascanio Cavallini), Paolo Conticini (Cecco), Chiara Francini (Chiara), Tosca D’Aquino (Marisa), Gabriele Cirilli (Settimio), Mario Ierace (Mario), Giuseppe Centola (Peppino), Antonio Centola (Tonino), Daria Baykalova (Svetlana), Giorgia Trasselli (Luciana), Gianantonio Martinoni (Federico), Teresa Pietrangeli (Zia Iole), Luis Molteni (Alfonso) Durata: 97’ Metri: 2660 Regia: Carlo Vanzina Produzione: International Video 80, Medusa Film in collaborazione con Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Enrico e Carlo Vanzina Direttore della fotografia: Carlo Tafani Montaggio: Raimondo Crociani Musiche: Manuel De Sica Scenografia: Tonino Zera Costumi: Nicoletta Ercole oma ore 6.20, un principe caduto in disgrazia si sveglia, poco dopo anche a Milano, Napoli, Monopoli, Firenze, altri personaggi iniziano la giornata. Queste le storie che si intrecciano nelle stesse ore in diversi luoghi d’Italia. A Roma il principe decaduto Ascanio Gaetani Cavallini si procura da vivere af- R fittando la sua nobile dimora storica alle troupe delle fiction; ma non basta: lo sfratto è imminente. Ascanio non se ne preoccupa più di tanto e passa le sue giornate da perfetto nullafacente presenziando a funerali, inaugurazioni di qualsiasi tipo (perfino di un negozio di sanitari) e feste. Il nobile decaduto non si cura del fatto che 22 sta per restare in mezzo alla strada e conclude la sua giornata a una festa in via Veneto, dove non riesce a combinare un matrimonio per salvare le sue finanze. A Milano la manager siciliana trapiantata al nord Rosaria Miccichè, prende il treno di prima mattina per Roma corredata dalle sue inseparabili tecnologie: computer, Film cellulari e carte di credito. Ma a Bologna, mentre è scesa per fare stretching, il treno riparte senza di lei. Rosaria si ritrova sul marciapiede senza la sua inseparabile tecnologia, tutta la sua vita è lì dentro e ora che le manca non ha più identità. Disperata, tenta di fare di tutto per riprendere un treno ma senza carte di credito e cellulari non riesce a pagarsi il biglietto. Arrivata con diversi espedienti a Roma, finisce per essere fermata dalla polizia perché priva di documenti. Scambiata per un’immigrata illegale, viene messa su un volo di rimpatrio insieme a un gruppo di clandestini africani. A Monopoli vive Romeo Telleschi, milanese trapiantato in Puglia. La sua ditta che vende prodotti di domotica è sull’orlo del fallimento e come se non bastasse il rapporto con moglie e figli è disastroso. La moglie lo accusa di non comportarsi abbastanza da uomo e con i figli non ha dialogo. Ogni tentativo di riavvicinamento con i figli Melissa, Noemi e Lello è fallimentare e l’epilogo della sua storia è una vera tragedia. A Roma, in una grande villa sulla Laurentina vive Alberto Dominici, ricco imprenditore romano e grande evasore fiscale. Ma la Guardia di Finanza è sulle sue tracce. Alberto inizia una lotta contro il tempo per nascondere tutto coinvolgendo il suo autista tuttofare Settimio. Il suo assistente deve far sparire di corsa una serie di documenti fiscali dai suoi uffici, sgomberare la villa di tutti i mobili, far sparire il vistoso yacht di nome “Bamboleira”, portare via il costoso SUV del suo datore di lavoro lasciando solo il suo motorino davanti alla villa. All’alba, all’arrivo della guardia di finanza, tutto è sparito e Dominici sembra quasi un nullatenente che abita in una villa vuota, ma l’arrivo del figlio su un bolide rombante proprio davanti ai finanzieri finisce per incastrarlo nella maniera più plateale. A Roma lavora anche il senatore Leonardo Lo Bianco: oggi il Senato dovrà votare se accettare o no l’autorizzazione a procedere contro di lui per corruzione e abuso d’ufficio. Il voto è in bilico, basterebbe una sola defezione per rovinare tutto. Lo Bianco si affanna così a reclutare su e giù per l’Italia i suoi colleghi costringendoli a precipitarsi nella capitale per il voto di fiducia. Ma mentre Lo Bianco si avvia al Senato, una telefonata lo informa che uno dei suoi colleghi è morto d’infarto mentre s’intratteneva con un trans brasiliano. Ora la maggioranza non ci sarà più. Disperato, Lo Bianco corre ai ripari, “riportando in vita” il suo collega e spingendolo in carrozzella fino ai banchi del Senato per farlo votare. A Napoli vive Luigi Pinardi facoltoso notaio dalla vita monotona. A complicare la vita ci si mette però Svetlana, una prosti- Tutti i film della stagione tuta raccomandata a Pinardi da un amico, con cui il notaio decide di distrarsi qualche ora mentre la moglie Marisa è a Ischia. Ma la moglie, tornata in anticipo, lo scopre con la ragazza. Colto sul fatto, Pinardi inventa che è sua figlia, nata da una relazione giovanile di cui non sapeva l’esistenza fino a quel momento. Ma qui iniziano i guai perché Svetlana è molto conosciuta anche dalla cerchia di parenti del povero Pinardi. E Marisa non tarderà a smascherarlo. Completa il quadro Cecco, scaramantico tifoso della Fiorentina che parte per una trasferta per Verona con la sua fidanzata Chiara per seguire la sua squadra del cuore. Ma il viaggio si trasforma presto in un incubo. L’anno prima la Fiorentina aveva vinto e lui era presente. Ora pretende di non cambiare una virgola di quello che aveva fatto l’altra volta. Stesso percorso, stesso albergo, stesso ristorante. Ed è proprio lì che accade il “fattaccio”. Cecco e Chiara ritrovano un cliente del ristorante che era lì anche l’anno prima e con il quale avevano fatto amicizia. Ma Cecco scopre che, mentre lui era allo stadio, Chiara e il tizio erano andati a letto insieme. Allora la Fiorentina aveva vinto e ora, schiavo della superstizione, Cecco è costretto a chiedere ai due di fargli di nuovo le corna. Nel finale la ex manager “terrona” Rosaria tenta la fortuna in TV al gioco di Fabrizio Frizzi “I soliti ignoti” dove si trova a dover scoprire l’identità di quattro protagonisti delle storie che si sono intrecciate nella giornata. uona giornata! Augurano i Vanzina a tutte le loro creature prima di seguirle nelle loro rocambolesche (dis)avventure per ventiquattro ore. Da Roma a Milano, passando per Verona e Napoli con una puntatina in Puglia, una parata di celebrità del cinema italiano dà vita a una serie di macchiette più o meno indovinate. E se non vi bastano più i soliti De Sica-Abatantuono- Salemme-Mattioli, ecco rispolverare un Lino Banfi d’annata, chiamato a rinverdire i fasti delle sue commedie nazional-popolari anni Settanta, nei panni di un senatore simil-Scilipoti. A condire il piatto infine, la “prezzemolina” Teresa Mannino, l’immancabile Paolo Conticini e il frizzante Gabriele Cirilli. Questa volta i Vanzina bros. provano a tornare all’antico modello di riferimento del film a episodi che tanta gloria ha regalato all’italica commedia. Ma la struttura del film resta unitaria e le storie, a onor del vero, sono ben intrecciate. Nello spazio di una sola giornata alcuni italiani-tipo affrontano i loro problemi strappando qualche risata con una comicità dalle sfumature diverse, B 23 dalla grana grossa, alla simil-pochade, alla macchietta vera e propria. Va detto che la satira sociale tentata resta molto di superficie, ma i Vanzina hanno sempre dichiarato leggerezza e semplicità d’intenti. Confessando di aver preso spunto da un magazine che proponeva decine di scatti fotografici su diversi aspetti del nostro Paese, hanno voluto riprendere l’Italia di oggi attraverso una ‘giornata particolare’ di alcune persone normali colte in situazioni più o meno buffe. Ed ecco una galleria di maschere: dal principe fannullone sull’orlo del fallimento, all’evasore fiscale totale, dal milanese (mal) trapiantato al sud, alla terrona diventata manager a Milano, dal notaio napoletano ‘sciupafemmine’, al senatore corrotto a caccia di voti di fiducia. Sono diversi i richiami cinematografici più o meno scoperti, dal Marchese del Grillo a Week-end con il morto fino alla commedia francese Joyeuses Pâques con Sophie Marceau, quest’ultima indicata dagli stessi Vanzina bros tra i modelli di riferimento. Evasori totali, corrotti, nullafacenti, bugiardi sciupafemmine, calcio-dipendenti, schiavi di tutte le ultime tecnologie. Tanti vizi, poche (anzi pochissime) virtù. Ma gli italiani sono davvero così? Come al solito, peggio del solito (non mancano neppure le escort russe e i trans brasiliani, riferimenti per nulla casuali alle prime pagine di cronaca). L’italietta messa in scena dai Vanzina è davvero meschina, ma purtroppo tristemente vera. Dobbiamo registrare che, rispetto al passato, alcune cose indovinate ci sono. Felice la scelta dell’unità di tempo, che concentra tutto in ventiquattro ore, e indovinata anche la grafica dei titoli di testa. Tanti orologi animati e tante lancette che girano al suono di una distensiva musica retrò. Che sia un omaggio alla vecchia commedia costume all’italiana di cui Vanzina senior fu uno dei padri fondatori? Certo le cadute di gusto non mancano. Una su tutte, l’episodio che vede protagonista Vincenzo Salemme, notaio napoletano sciupafemmine, più che ispirarsi alla pochade francese (modello invocato dai due registi) scivola, come su una buccia di banana, su un finale in cui a dominare sono le solite volgarità ‘italian style’. Lontani dal Natale e dalle tante Vacanze che li hanno resi famosi, i Vanzina ci riprovano piazzando l’uscita della loro commedia sotto Pasqua. Qualcuno ha anche provato a parlare di “Cineuovo”. Sarà, ma forse anche loro sono stufi delle etichette. Ma il grande pubblico in cerca dell’intrattenimento a buon mercato continuerà a premiarli? Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione HUNGER (Hunger) Gran Bretagna 2008 Regia: Steve McQueen Produzione: Blast! Films, Chanel Four Films, Film4 Distribuzione: Bim Prima: (Roma 27-4-2012; Milano 27-4-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Steve McQueen, Enda Walsh Direttore della fotografia: Sean Bobbit Montaggio: Joe Walker Musiche: David Holmes, Leo Abrahams Scenografia: Tom McCullagh Costumi: Anushia Nieradzik Effetti: Bob Smoke Interpreti: Michael Fassbender (Bobby Sands), Liam Cunnin- 1981, Irlanda del Nord, Belfast. L’esercito protestante di Margaret Thatcher affronta col sangue e la repressione le forze repubblicane cattoliche che rispondono con attentati e omicidi di personaggi collusi con Londra. Il Primo Ministro inglese considera come criminali qualsiasi i dissidenti arrestati mentre questi si rifiutano di indossare nelle carceri le uniformi dei prigionieri comuni. Nel penitenziario di Long Kesh scoppia così “la protesta delle coperte” e “la protesta dello sporco” che trasformano i rapporti tra agenti e detenuti, già al limite della sopportazione, in un inferno. Gli internati nel penitenziario riescono comunque a mantenere un contatto con il mondo esterno e con le loro famiglie: è proprio questo che l’ultimo entrato Gillan apprende da un altro detenuto repubblicano, Campbell che ha organizzato tutta una serie di sistemi per fare entrare nel carcere 1 gham (Padre Dominic Moran), Lalor Roddy (William), Stuart Graham (Raymond Lohan), Brian Milligan (Davey Gillen), Liam McMahon (Gerry Campbell), Laine Megaw (Sig.ra Lohan), Helena Bereen (Madre di Ray), Karen Hassan (Ragazza di Gerry), Frank McCusker (Direttore del carcere), Helen Madden (Sig.ra Sands), Des McAleer (Sig. Sands), Geoff Gatt (Uomo con la barba), Rory Mullen (Sacerdote), Ben Peel (Stephen Graves, agente penitenziario antisommossa), Paddy Jenkins (Sicario), Billy Clarke (Ufficiale sanitario), Ciaran Flynn (Bobby a 12 anni), B.J. Hogg (Inserviente lealista) Durata: 96’ Metri: 2635 messaggi e comunicazioni di ogni genere, perfino un minuscolo apparecchio radio. La vera anima della ribellione è Bobby Sands che alla fine dell’ultima sommossa sedata con pestaggi e umiliazioni, decide di passare insieme ad altri compagni allo sciopero totale della fame. Di questo Bobby informa in un ultimo, drammatico colloquio, Padre Moran che invano tenta di dissuaderlo dal sacrificare inutilmente la propria vita. Cominciano così gli ultimi sessantasei giorni dell’esistenza di Bobby Sands, un vero e proprio calvario, una sofferenza senza fine che trasforma un giovane sano in uno scheletro e poi in un cadavere. Altre scelte disperate di altri patrioti incarcerati accompagnano Bobby alla morte. Anche se allora sembrò che gli scioperi della fame portati alle estreme conseguenze non avessero prodotto alcun miglioramento della situazione, pure, fu proprio que- 24 sto periodo terribile a gettare le basi di quel lungo processo di pace che si concluse con gli accordi del Venerdì Santo del 1998. ual è il limite del recitare e (se c’è) quando lo si supera per fare un’altra cosa, per rendere se stessi, il proprio corpo e la propria anima appartenenti a un’altra dimensione? Non sappiamo, naturalmente, se tutto questo sia vero, sappiamo però che può accadere qualcosa di particolare, l’abbiamo visto con De Niro, con O’ Toole per esempio, quando il lavoro di un attore si libera dal suo peso specifico per condurre lo spettatore per mano in un altro, inesplorato territorio: dove non c’è più la “recita” del personaggio, dove scompare la più o meno diligente realizzazione della storia secondo le indicazioni registiche perchè tutto è spazzato via per fare posto a una specie di idea platonica, cioè un forma pura, un archetipo della sofferenza, della gioia, della disperazione, dell’odio e così via. L’attore non recita più ma è, è quell’idea. La discesa nella sofferenza che Fassbender fa percorrere al suo personaggio a dimostrare il significato della libertà e di come e quanto questi sia in grado di disporne diventa, fotogramma dopo fotogramma, insostenibile: giorno dopo giorno dei suoi ultimi sessantasei,il ragazzo irlandese compie l’esaltazione della propria vita e delle proprie idee che va di pari passo con la scarnificazione, brandello dopo brandello, di tutto ciò che in maniera sublime possiede e non può essere occupato da altri, il proprio corpo. In una concentrazione senza sbavature, in una compostezza umana, ideale e formale che va oltre lo schermo, oltre l’immagine, per ritornare e ritrovarsi facendo il cammino a ritroso, appunto, come idea, come forma pura. Naturalmente tutto questo è possibile Q Film quando un’espressione così sovrumana incontra un sostegno artistico di uguale spessore nella personalità e nell’azione di un regista. Così è stato, perchè Steve Mc queen, fin dall’inizio della sua giovane carriera interessato al culto maniacale dell’immagine realizzato nella fotografia e nella scultura ha instaurato con Fassbender una modalità di fare cinema colto, ambizioso, insomma nell’accezione più autentica, d’autore. Tutti i film della stagione I due cineasti arrivano così alla composizione di un linguaggio che modifica la “normale” e comune azione di chi si occupa di cinema per lastricare una strada completamente nuova che non sappiamo, per ora, quali traguardi possa raggiungere. Basta pensare al dialogo tra Sands e il prete cattolico, ripreso con macchina fissa per più di dieci minuti: chi avrebbe oggi la voglia, il coraggio (e la capacità...) di girare così? Avevamo già visto in Shame, il film uscito a Venezia prima di questo che aveva premiato Fassbender, la realizzazione di una “diversità” cinematografica costruita sull’utilizzo di un corpo, prigioniero, in quel caso, di un’ossessione; qui l’utilizzo libertario del corpo nel film uscito per primo, è il manifesto di un linguaggio politico, è l’appropriazione sofferta di una nuova forma d’arte. Fabrizio Moresco YOUNG ADULT (Young Adult) Stati Uniti 2011 Regia: Jason Reitman Produzione: Jason Reitman, Diablo Cody, Charlize Theron, Russell Smith, Lianne Halfon, Mason Novick per Mr. Mudd Pruduction, Mandate Pictures, Right of Way Films, Denver and Delilah Productions, Indian Paintbrush Prima: (Roma 9-3-2012; Milano 9-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Diablo Cody Direttore della fotografia: Eric Steelberg Montaggio: Dana E. Glauberman Musiche: Rolfe Kent avis Gary è una ghost-writer di libri adolescenziali che abita a Minneapolis. La donna vive come se fosse una giovane eroina dei suoi racconti e passa molto tempo a “rubare” dialoghi reali da adolescenti in strada che inserisce nelle sue storie. Quando riceve l’e-mail di Beth Slade, la moglie del suo ex boyfriend del liceo Buddy che annuncia la nascita del loro figlio, Mavis ha un’illuminazione e il suo desiderio principale diventa riconquistare il suo vecchio amore. La donna torna a Mercury, la sua città natale, dove era una studentessa nella fase del suo massimo splendore: era la ragazza più bella della scuola ed era fidanzata con l’amore della sua vita, Buddy Slade. Mavis pensa di potersi riprendere tutto, convinta che Buddy si stia accontentando di una mediocre vita provinciale e di una moglie non alla sua altezza. Appena tornata nella cittadina, in un bar, Mavis si imbatte in Matt Freehauf, un ex compagno di scuola, fisicamente handicappato in seguito a un episodio di bullismo all’epoca della scuola, anch’egli, come lei, arrabbiato e disadattato nei confronti della vita. Mavis gli confessa di essere tornata per riconquistare il suo ex fidanzato, convinta che neanche lui l’abbia mai dimenticata. All’appuntamento con Buddy, Mavis si presenta vestita in modo provocante e decisamente fuori luogo per un bar della piccola M Scenografia: Kevin Thompson Costumi: David C. Robinson Interpreti: Charlize Theron (Mavis Gary), Patton Oswalt (Matt Freehauf), Patrick Wilson (Buddy Slade), Elizabeth Reaser (Beth Slade), Jill Eikenberry (Hedda Gary), Richard Bekins (David Gary), Collette Wolfe (Sandra Freehauf), Mary Beth Hurt (Jan), Kate Nowlin (Mary Ellen Trantowski), Hettienne Park (Vicki Robek), John Forest (Mike Moran), Nicholas Delany (Alan) Durata: 94’ Metri: 2600 provincia americana. La cordialità dell’uomo viene scambiata da Mavis per interesse. La donna sembra non prendere coscienza della realtà neanche quando va a far visita a casa di Buddy, completamente preso dal suo bambino appena nato e da sua moglie Beth che cordialmente la invita a un concerto della sua piccola band al femminile. Quella sera, dopo il concerto, Beth torna a casa presto mentre Mavis si offre di accompagnare Buddy che vuole continuare la serata. Davanti alla porta di casa, Mavis bacia il suo ex fidanzato che sta al gioco seppur con evidente imbarazzo. Convinta che stia per lasciare la moglie per tornare con lei, Mavis si confida con Matt. Ma i due finiscono per accusarsi a vicenda: Matt dice a Mavis che si sta rendendo ridicola rifiutandosi di vedere la realtà della vita matrimoniale di Buddy, mentre la donna rinfaccia all’amico di prendere come scusa il suo handicap fisico, in realtà frutto di una semplice scaramuccia ai tempi della scuola. Pochi giorni dopo Mavis incontra in paese sua mamma che aveva tenuto all’oscuro del suo ritorno. Nella vecchia casa dei genitori, Mavis torna nella sua cameretta rimasta intatta dai tempi della scuola e indossa la vecchia felpa che le aveva regalato il suo boyfriend. Al party del battesimo del bambino di Buddy, Mavis dà il peggio di sé, gettandosi sfacciatamente tra le braccia del 25 suo ex sotto gli occhi degli invitati. Respinta con fermezza dall’uomo, Mavis finisce per scontrarsi con Beth dicendole in faccia il peggio che pensa di lei davanti a tutti gli invitati. Dopo aver fatto una confessione shock, dichiarando che poteva essere lei oggi la moglie di Buddy se avesse tenuto il bambino che aspettava da lui ai tempi della scuola, Mavis lascia la festa. Rifugiatasi da Matt, la donna si sfoga con l’amico finendo a letto con lui. La mattina dopo, in cucina, Mavis incontra Sandra, la sorella di Matt, e si sfoga con lei. Sandra inietta una sferzata di forza nell’ego di Mavis; le confessa di non vedere i suoi lati negativi, ma di averla sempre invidiata per la sua bellezza, per la sua vita di successo al di fuori di quella cittadina, dove si vive in una comunità chiusa nella gretta mentalità di provincia. Sandra sfoga tutta la sua infelicità e prega Mavis di portarla con lei. Dopo essersi rifiutata dicendole che Mercury è il posto giusto per lei, Mavis sale in auto e torna a Minneapolis e alla sua vita, forse finalmente con una nuova coscienza. n ossimoro. Giovane adulta, letteralmente. Una donna bellissima ma fragile, emotivamente immatura e ritardata, problematica, complicata, una donna che, a trentasette anni, vive la vita come se fosse una liceale. U Film ‘Young Adult’ è il termine con il quale il marketing definisce quella fascia di pubblico che va dai 14 ai 21 anni. ‘Young Adult’, giovani non ancora del tutto adulti, sono anche i destinatari delle storie di cui è autrice la protagonista che, però, scrive sotto falsa identità. Il nucleo emotivo della protagonista, ‘giovane adulta’ fuori tempo massimo, è ben delineato per merito della sceneggiatrice Diablo Cody (premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale di Juno), qui alla seconda collaborazione con il regista Jason Reitman (Thank you for Smoking, Tra le nuvole) dopo Juno. Una borsa rosa dentro cui nascondere un cagnolino, T-shirt con il faccino di Hello Kitty, tuta da ginnastica, mini-cooper rossa su cui sfrecciare al ritmo delle hit di gioventù, atteggiamenti infantili che contrastano con l’alcoolismo e con un comportamento aggressivo con l’altro sesso (con cui è incapace di relazionarsi in modo Tutti i film della stagione maturo): ecco come si presenta la bella disadattata protagonista. Mavis è un personaggio in bilico, cammina sul filo del rasoio tra estremi che si toccano, è sgradevole e allo stesso tempo affascinante, una “passive aggressive mean bitch che sputa soltanto odio sul mondo che la circonda” come l’ha definita il regista Jason Reitman. Charlize Theron è praticamente perfetta, l’unica attrice che poteva interpretare questo ruolo, dotata di quella capacità di rendere personaggi in qualche modo “mostruosi”, spregevoli, complessi. Un talento capace di far prendere forma a caratteri difficili e farli convivere con una bellezza prepotente, quasi smaccata, rendendoli paradossalmente ancora più potenti. Una ‘bellissima sfigata’ ci viene spontaneo definire questo personaggio inconsueto, pungente, ricco di sfumature e contrasti, una felice invenzione di scrittura tradotta sullo schermo da un perfetto lavoro di regia. Una sboccata, egoista e provocante immatura legata ossessivamente allo splendore di una gioventù che non c’è più, circondata da un microcosmo di falsità dove, sotto la patina del perbenismo, si celano ipocrisie e rancori; il piccolo mondo della provincia americana che viene impietosamente fuori nella scena madre del party del battesimo e nel confronto finale tra la protagonista e la sorella del suo unico amico. Nell’universo dipinto da Reitman non si assegna la palma del vincente a nessuno. E se la ‘giovane adulta’ del titolo è una derelitta che vive allo sbando la sua età matura diventando spesso solo una ridicola caricatura di sé stessa, nessuno è vincente intorno a lei, neanche la coppia (apparentemente) perfetta formata dal suo ex fidanzato e dalla mogliettina saggia e premurosa. Perché i vincenti non esistono e, in fondo, la vita è un continuo percorso a ostacoli dove bisogna solo guardare avanti. Elena Bartoni I COLORI DELLA PASSIONE – THE MILL AND THE CROSS (The Mill and the Cross) Polonia, Svezia 2011 Interpreti: Rutger Hauer (Pieter Bruegel), Charlotte Rampling (Maria), Michael York (Nicholas Jonghelinck), Joanna Litwin (Marijken Bruegel), Dorota Lis (Saskia Jonghelinck), Ruta Kubas (Esther), Mateusz Machnik (Wheelfield), Bartosz Capowicz (Crocifisso), Marian Makula (Mugnaio), Sylwia Szczerba (Netje), Wojciech Mierkulow (Jan), Sebastian Cichonski (Venditore ambulante), Lucjan Czerny (Bram), Aneta Kiszczak (Mayken), Adam Kwiatkowski (Traditore), Pawel Kramarz (Pedro De Erazu), Tadeusz Kwak (Rogier De Marke), Andrzej Jastrzap (Scharmouille), Józef Barczyk (Ladro), Bernadetta Cichon (Moglie di Miller), Krzysztof Lelito (Millhand), Jerzy Suchecki (Pitje), Emilia Czartoryska (Beta), Agata Kokosinska (Wero), Tatiana Juszniewska (Magdali), Dariusz Lorek (Josef), Miroslaw Fuchs (Fabbro) Durata: 97’ Metri: 2660 Regia: Lech Majewski Produzione: Lech Majewski, Malgorzata Domin, Piotr Ledwig per Telewizja Polska, Freddy Olsson, Bokomotiv Filmproduktion, Odeon Studio, Silesia film, 24 Media, Supra Film, Arkana Studio, Piramida Film Distribuzione: CG Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012) Soggetto: dal libro omonimo di Michael Francis Gibson Sceneggiatura: Michael Francis Gibson, Lech Majewski Direttore della fotografia: Lech Majewski, Adam Sikora Montaggio: Elliot Ems, Norbert Rudzik Musiche: Lech Majewski, Józef Skrzek Scenografia: Katarzyna Sobanska, Marcel Slawinski Costumi: Dorota Roqueplo, Ewa Kochanska Effetti: Pawel Tybora, Wojciech Lebkowski, Artur Kopp, Piotr Kierzkowski, Odeon Film Studio, Katamaran, Rosenbot iandre XVI secolo. Il pittore fiammingo Pieter Bruegel osservando un ragno tessere la tela trova l’ispirazione per uno dei suoi quadri più celebri: “La salita al Calvario”. Protagonisti dell’epico capolavoro gli abitanti del suo villaggio, ritratti nella loro quotidianità, durante la sanguinosa occupazione spagnola. F aramente al cinema si ha il privilegio di assistere a un capolavoro, impresa ancora più ardua vederne due contemporaneamente. Eppure ogni tanto accade, senza trionfalismi, sen- R za rumore. Un po’ come quando, per caso, si tende a indugiare lo sguardo sulla tela di un ragno e attraverso le sue trame si scopre un angolo di vita pulsante e silenziosa che è pura poesia. Probabilmente il vero segreto di queste esperienze è l’assenza di stimoli esterni coercitivi, di quel chiasso che seda le masse. O forse più semplicemente la mancanza di un fine che non sia l’Arte per se stessa. Come accade in I Colori della Passione ultima straordinaria pellicola del regista polacco Lech Majewski. È veramente difficile usare gli strumenti classici per recensire questo lavoro, per- 26 ché non ci troviamo di fronte a un film, ma a una esperienza estetica di altissimo livello. Majewski, dopo diversi anni di studio sul testo critico di Michael Francis Gibson e grazie alla tecnica dei tableaux vivant , immerge lo spettatore in uno dei quadri più famosi del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio: La salita al Calvario, e contemporaneamente lo educa alla visione. Il tutto, però, non si riduce ad una lezione pedagogica, ma si trasforma in un percorso emozionale che vede, da una parte, il tormento della popolazione afflitta dall’occupazione spagnola e dall’altra la Passio- Film ne di Cristo, due eventi uniti anacronisticamente da un continuum narrativo che ne enfatizza il senso, il dolore. Bruegel, interpretato da uno ieratico Rutger Hauer, si trasforma così da narratore esterno in cronista dell’evento che rende immortale attraverso la sua tela. Nessuna azione viene enfatizzata e nessun personaggio prevaricato da tinte più forti. Majewski rimane fedele a questo concetto del pittore e nella sua pellicola non si limita a filmare solo le scene dal forte impatto visivo, ma concede respiro anche con numerosi squarci di vita rurale che prendono vita accanto ad una scenografia che confonde. Il paesaggio stesso, infatti, diventa personaggio da guardare, scrutare, magari socchiudendo un po’ gli occhi, per coglierne le sfumature, i toni bruni o un semplice movimento all’orizzonte che ricorda allo spettatore la natura dello spettacolo a cui sta assistendo. E poi l’uso della parola, misurato, scarno che lascia alle immagini, nella loro vividezza, il compito di svelare gli eventi. La stessa voce di Maria, roca, sofferente perde di forza se paragonata al suo sguardo che spalanca le porte ad un dolore atavico e, forse, non completamente accettato. È dunque la vista il catalizzatore di tutto il film, il senso con cui Majewski impasta le forme fino ad annullare ogni altra percezione, portando all’estremo una scel- Tutti i film della stagione ta stilistica già adoperata in passato da diversi autori. Quasi doveroso citare l’esempio di Tarkoswkij in Lo specchio, o fare riferimento ai numerosi richiami pittorici nelle opere di Pasolini, eppure Majewski va oltre. Scava nel passato e attinge al cinema degli albori quando le passion play medioevali prendevano vita in celluloide e una nuova forma d’arte si affacciava ad un secolo tormentato. Per questi motivi sarebbe inopportuno definire I Colori della Passione “innovativo”; è piuttosto una pellicola che, magistralmente, assorbe la lezione del passato e la esalta con i sofisticati mezzi contemporanei e un pizzico di genialità. Imprescindibili caratteristiche che trasformano un semplice film in Cinema. Francesca Piano HESHER È STATO QUI (Hesher) Stati Uniti, 2010 Regia: Spencer Susser Produzione: Lucy Cooper, Matthew Weaver, Scott Prisand, Natalie Portman, Spencer Susser, Johnny Lin, Win Sheridan per Corner Store Entertainment, The Last Picture Company, Handsomecharlie Films, American Work Inc., Dro Entertainment, Dreaming Entertainment, Catchplay, Nu Image Distribuzione: Bolero Film Prima: (Roma 3-2-2012; Milano 3-2-2012) Soggetto: Brian Charles Frank Sceneggiatura: Spencer Susser, David Michôd Direttore della fotografia: Morgan Susser Montaggio: Michael McCusker, Spencer Susser J è un ragazzino di tredici anni a cui è da poco morta la madre in un incidente stradale. Insieme al padre Paul vengono accolti in casa della nonna, che cerca disperatamente di accudirli e di farli uscire dalla stasi emotiva nel quale sono piombati. Contemporaneamente TJ sviluppa un sentimen- T Musiche: Frank Tetaz Scenografia: Laura Fox Costumi: April Napier Interpreti: Joseph Gordon Levitt (Hesher), Devin Brochu (T.J.), Rainn Wilson (Paul Forney), Natalie Portman (Nicole), Piper Laurie (Nonna), John Carroll Lynch (Larry), Brendan Hill (Dustin), Paul Bates (Sig. Elsberry), Frank Collison (Impresario di pompe funebri), Monica Staggs (Madre), Mary Elizabeth Barrett (Meryl), Audrey Wasilewski (Coleen), Lyle Kanouse (Jack) Durata: 100’ Metri: 2760 to nei confronti di Nicole, una ragazza più grande di lui, che lavora come cassiera in un supermercato e apparentemente incapace di reagire alle avversità che le si presentano. Questa quotidianità grigia e deprimente viene tuttavia scossa e spazzata via non appena irrompe Hesher nelle loro vite: un me27 tallaro disadattato sporco e volgare, una scheggia impazzita assolutamente imprevedibile e con una passione per la piromania. Quest’ultimo provocherà in tutti un desiderio di cambiamento istintivo e violento, influenzando indiscutibilmente il percorso di riabilitazione per ognuno di loro. Film esher è stato qui è un film indipendente presentato al Festival di Sundance del 2010 e solo recentemente uscito in Italia. Il principio fondamentale sul quale si basa la sceneggiatura è l’inserimento di un personaggio anomalo e anticonformista all’interno di un nucleo familiare ben definito. Ne consegue che più è ampia la differenza tra le parti e più inattesa e spregiudicata sarà la gamma di risultati possibili. Il punto di forza del film è infatti l’eccentricità del personaggio di Hesher, nettamente in contrasto con l’innocente dolcezza di TJ, la rassegnata abulicità di Paul e la timorosa insicurezza di Nicole. Il resto della storia, scritta a quattro mani dal regista esordiente Spencer Susser con David Michod, è abbastanza lineare e purtroppo ha un epilogo abbastanza prevedibile, dopo essere stato a tratti promettente e disorientante. Ciò che rimane impresso è soprattutto il processo di elaborazione del lutto (e di maturazione) di un preadolescente in crisi, contornato da un messaggio in- H Tutti i film della stagione solito e potente: a volte, prima di poter ricostruire bisogna distruggere, radere al suolo e questo vale metaforicamente per il carattere di ognuno dei protagonisti. Hesher incarna questo spirito con rabbia e sfrontatezza e, per quanto discutibili possano apparire i suoi atteggiamenti, è comunque convincente e magnetico. La regia è onesta e ordinata, capace di creare tensione e di assecondare l’ipotesi che Hesher possa essere in realtà una proiezione dell’immaginazione di TJ, un’allucinazione; la crudezza di alcuni avvenimenti e un elemento di surreale ambiguità infatti caratterizzano la pellicola, dando questa impressione e ulteriormente rafforzando lo spessore dei personaggi. Gordon-Levitt è sicuramente l’elemento portante del film e la sua interpretazione di Hesher è precisa e assolutamente calzante. Questo giovane attore si è sempre scelto ruoli stimolanti e molto diversi facendosi le ossa in una varietà di film indipendenti (l’interessante Brick, Shadowboxer ed ultimamente 500 Giorni Insieme) e recentemente sta sfondando anche in produzioni di grande successo come Inception. Un’altra nota lieta è rappresentata da Brochu, il quale è veramente sorprendente nei panni di TJ. L’intensità del suo dolore assieme al suo essere disorientato dalla perdita della mamma è commovente e mai pietoso. I suoi duetti con Gordon-Levitt sono spassosi e memorabili, come quando Hesher esorta il ragazzino a passeggiare con la nonna per difenderla da possibili gerontofili. Wilson è abile a interpretare l’agevole ruolo di un vedovo depresso e incapace di riprendersi e Laurie è pienamente a proprio agio nell’interpretazione di una nonna spigliata ed accudente. Portman merita una menzione speciale non tanto per la prova di recitazione comunque ottima (un’esteticamente insignificante cassiera insicura e smarrita), quanto per aver coprodotto un’inconsueta opera prima con coraggio e intuizione. Jacopo Lo Jucco A SIMPLE LIFE (Tao Jie) Cina, Hong Kong 2011 Regia: Ann Hui Produzione: Bona Entertainment Company/Focus Films Limited, Sil-Metropole Organisation Limited Distribuzione: Tucker Film Prima: (Roma 8-3-2012; Milano 8-3-2012) Soggettoe Sceneggiatura: Susan Chan, Roger Lee Direttore della fotografia: Nelson Yu Lik-wai Montaggio: Manda Wai, Kwong Chi-Leung Musiche: Law Wing-Fai h Tao è una donna anziana, da quando era poco più di una bambina è stata assunta “a servizio” nella famiglia in cui è cresciuto Roger, adesso giovane in carriera e unico membro della famiglia a essere rimasto ad Hong Kong (gli altri si sono trasferiti negli Stati Uniti). Roger è un produttore cinematografico spesso in viaggio. A prendersi cura di lui e della casa, la anziana domestica: l a donna pulisce, riassetta e cucina, si raccomanda che Roger stia bene e mangi. Quando lui esce, terminata la colazione, lei sbocconcella qualcosa in piedi, come se sentisse non suo il diritto di sedersi a tavola. Ma una sera Ah Tao si sente male e sviene colpita da un infarto; il ritorno di Roger la salva, ma la convince anche che non è più in grado di svolgere il suo lavoro, per cui decide di entrare in una casa di A Scenografia: Albert Poon Yck-Sum Interpreti: Andy Lau (Roger), Deannie Yip (Ah Tao), Qin Hailu (La signora Choi), Anthony Wong Chau Sang (Proprietario casa anziani), Tsui Hark (Direttore Tsui), Chapman To (Dentista), Suet-Fa Kong (Receptionist casa anziani), Paul Chun (Zio Kin), Raymond Chow , Wang Fuli Durata: 119’ Metri: 3300 riposo. Roger si mette quindi alla ricerca del posto migliore in cui farla trasferire, trovando una sistemazione accogliente e dignitosa. Quindi inizia ad assisterla con un rispetto e una devozione che mobilitano un po’ tutti: dai suoi vecchi compagni di scuola fino alla famiglia, che torna a Hong Kong dall’America per starle vicino, tanto da farle provare l’orgoglio di una madre per il proprio figlio. l film è un tributo alla gratitudine e alla cura reciproca, elemento semplice di relazioni umani (troppo) spesso complesse. A simple life racconta la storia vera del rapporto tra un produttore cinematografico e la sua domestica settantenne: lui un professionista single, indaffarato e spesso all’estero per lavoro; lei una minuta vecchina da cinque I 28 generazioni al servizio della famiglia dell’uomo, sempre attenta all’ordine della casa, alla bontà del cibo e al rispetto delle abitudini. Una materia così semplice e quotidiana poteva apparire un argomento senza mordente; invece acquista spessore e carattere nelle mani della regista Ann Hui, che regala un affresco commovente dei rapporti umani, e più ancora, familiari che si cementano nel tempo di una vita. Un uomo nel fiore degli anni e la sua anziana cameriera: il film mette a confronto le età dell’uomo, sottolinea con delicatezza come cambino i rapporti di forza tra generazioni, per cui chi prima si prendeva cura del più giovane deve poi rassegnarsi a essere a sua volta accudito. Al tempo stesso, sta alla responsabilità di Roger, e all’affetto che prova per chi lo ha cresciuto, farsi carico della vecchiaia di Ah Tao, cercando di alleviarne le difficoltà e – so- Film prattutto – evitando che si senta sola o dimenticata. La regia esperta di Ann Hui fa emergere la storia come se fosse osservata da lontano, seguita di nascosto da una cinepresa raramente fissa, capace di gestire la pros- Tutti i film della stagione simità al punto tale che nulla interrompe mai il fluire del racconto e dell’approfondimento delle relazione di affetto e di gratitudine tra Roger e Ah Tao. Accade così che prenda corpo una pellicola toccante e ben costruita, che permette allo spettatore di affezio- narsi alla figura della protagonista come se fosse una propria familiare, di ridere alle situazione buffe del quotidiano e di commuoversi nei momenti più toccanti. Tiziana Vox IL MIO MIGLIORE INCUBO! (Mon pire cauchemar) Francia 2011 Regia: Anne Fontaine Produzione: Ciné-@, Maison de Cinéma, Pathé Production, F.B. Production, M6 Films Entre Chien Et Loup, Artémis Productions Distribuzione: Bim Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Nicolas Mercier, Anne Fontaine Direttore della fotografia: Jean-Marc Fabre Montaggio: Luc Barnier, Nelly Ollivault Musiche: Bruno Coulais Scenografia: Olivier Radot Costumi: Karen Muller Serreau, Catherine Leterrier Interpreti: Isabelle Huppert (Agathe), Benoît Poelvoorde (Patri- ’incontro tra due mondi e due caratteri opposti. Lei, Agathe dirige un’importante galleria d’arte contemporanea, vive con il figlio e il marito editore, François, in un prestigioso appartamento parigino di fronte ai Giardini del Lussemburgo. Lui, Patrick, sbarca il lunario con lavoretti saltuari e con i sussidi dell’assistenza sociale e vive con suo figlio nel retro di un furgone. Lei ha rapporti stretti con il Ministero della Cultura e delle Arti, lui ha legami molto ravvicinati con le bevande alcoliche. A lei piace il dibattito intellettuale, lui è un amante del sesso occasionale con donne dalle grandi forme. Entrano in contatto diretto perché i loro figli diventano amici inseparabili. E così dopo che suo figlio Tony si è praticamente stabilito nella bella casa dell’amico Adrien, figlio di Agathe, anche Patrick si installa nell’appartamento dopo che il padrone di casa François lo assume per costruire una nuova cabina armadio per la moglie. È l’inizio di un incontroscontro dagli esiti sorprendenti. Agathe è infastidita dalla presenza di Patrick in casa e dai suoi modi volgari. Dal canto suo, l’uomo cerca di tenersi stretto quel nuovo lavoro perché è sotto la lente d’ingrandimento di un’assistente sociale, Julie, che gli chiede se ha un alloggio: in caso negativo, l’uomo rischia la custodia del figlio. Venuto a conoscenza delle L ck), André Dussollier (François), Virginie Efira (Julie), Corentin Devroey (Tony), Donatien Suner (Adrien), Aurélien Recoing (Thierry), Eric Berger (Sébastien), Philippe Magnan (Principale), Bruno Podalydès (Marc-Henri), Samir Guesmi (Ispetore DDASS), Françoise Miquelis (Psicologa), Jean-Luc Couchard (Milou), Emilie Gavois-Kahn (Sylvie), Serge Onteniente (Scenografo), Hiroshi Sugimoto (Sugimoto), Yumi Fujimori (Traduttrice),Valérie Moreau (Evelyne), Antoine Blanquefort (Assistente), Arielle d’Ydewalle (Ballerina), Émeline Scatliffe (Ballerina), Jessica Lefèvre (Ballerina), Régis Romele (Pittore), Léa Gabriele (Madre), Laurence Colussi (Madre), Marie Boissard (Madre), Gilles Carballo (Padre), Rose Cool (Cliente bar) Durata: 103’ Metri: 2830 difficoltà di Patrick, François gli offre di abitare nella mansarda sopra il suo appartamento. I due uomini entrano in confidenza e François finisce per confessare che i suoi rapporti sessuali con la moglie sono da tanto tempo praticamente inesistenti. Pochi giorni dopo, Patrick presenta François a Julie: tra i due sembra esserci intesa a prima vista. In breve tempo, l’editore allaccia una relazione con l’assistente sociale e confessa la cosa alla moglie Agathe lasciandola. Intanto Agathe e Patrick iniziano a dialogare e a lasciarsi andare a reciproche confidenze. Una sera, durante l’inaugurazione di un’importante mostra nella fondazione diretta da Agathe, la donna beve molti drink insieme a Patrick. Una volta a casa, i due, completamente ubriachi, continuano a scherzare e, perso ogni freno inibitorio, finiscono a letto insieme. Col passare del tempo, i due continuano la loro strana relazione, ma le difficoltà e le incomprensioni sono all’ordine del giorno. Sulla testa di Patrick incombono gli assistenti sociali che gli vogliono togliere Tony che, a differenza del figlio di Agathe, è un ragazzo promettente negli studi. Sul punto di lasciare in tutta fretta Parigi a bordo del suo camion insieme al figlio, Patrick viene fermato da Agathe che ha un’idea per salvarlo: sposarsi. Alle nozze è presente anche François, ormai prigioniero della relazione con Julie. L’uo- 29 mo, di indole mite, è completamente succube delle manie ecologiste della donna. Come dono di nozze, Agathe regala a Patrick un’importante fotografia d’arte che la ritrae, opera del famoso artista-fotografo Hiroshi Sugimoto. Ma Patrick ne combina una delle sue rovinando la preziosa fotografia. Dopo essersi reso conto del danno che ha fatto, l’uomo si allontana da Agathe. Mesi dopo ricompare completamente riabilitato e pronto a iniziare una nuova vita. Agathe ne è felice e il matrimonio si trasforma da falso a vero. Patrick infine riesce a realizzare il suo sogno e allestisce una bizzarra mostra di acquari contenenti donne seminude. li opposti si attraggono? Affermazione vecchia quanto il mondo ma forse vera, almeno stando a questa commedia di Anne Fontaine. C’era una volta “la strana coppia” si potrebbe dire, e c’è ancora, si potrebbe continuare. Una strana coppia ancora una volta sul grande schermo, questa volta ‘made in France’. E i due opposti in questione non potrebbero essere più diversi. Era ora che questa deliziosa commedia presentata al Festival del Cinema di Roma 2011 (titolo originale Mon pire cauchemar) uscisse finalmente nelle sale. Il punto di partenza è noto. Il cinema G Film francese infatti gioca ancora una volta con quello che ormai può essere considerato un topos ricorrente e cioè la coppia di opposti costretti a vivere a stretto contatto (basta guardare i più grandi successi del cinema d’Oltralpe da La cena dei cretini a Giù al Nord fino al recente exploit di Quasi amici per avere chiaro il quadro). E vince di nuovo. Questa volta la dirompente comicità, irriverente e a tratti provocatoria, di Benoît Poelvoorde, già venuta fuori nel divertente Niente da dichiarare? accanto a Dany Boon (regista e interprete di Giù al Nord), si incontra e si incastra alla perfezione con Tutti i film della stagione la classe algida di Isabelle Huppert, chiamata a fare un po’ il verso a sé stessa (o comunque all’immagine che viene fuori dalle sue interpretazioni più famose) con il ruolo di una snob, rigida (e anche un po’ odiosa) gallerista d’arte. Ed ecco che tante barriere, false quanto inutili, cadono con la giusta dose di sottile ironia. Ne viene fuori una lotta di classe frizzante, dal ritmo sostenuto, un po’ sboccata, un po’ sexy. E così le martellate con cui Patrick abbatte una parete della casa di Agathe fino a entrarle, per sbaglio, in bagno, sono i colpi simbolici con cui l’operaio fallito e ubriacone abbatte la cortina di ferro della ricca intellettuale borghese fredda e infelice. Ed è romanticismo, sui generis magari, ma pur sempre romanticismo. Magari un po’ irreale, o forse no. E così Anne Fontaine, che aveva già diretto Benoît Poelvoorde in Entre ses mains e Coco avant Chanel, oltre a divertire, azzarda anche un filino di critica al perbenismo borghese con particolare riferimento alle èlite intellettuali spesso vacue e autocompiaciute del mondo dell’arte e dell’editoria. Perfette le rapide pennellate con cui vengono dipinti gli ambienti in cui lavora la protagonista che trasudano supponenza da tutte le parti e delicata la sensibilità con cui viene tratteggiata la crisi di una coppia di mezza età. E così i cliché con cui vengono ritratti i personaggi all’inizio del film, man mano vengono messi in discussione. Come ha sottolineato la protagonista Huppert, il film finisce per riconciliare il mondo dell’intelletto e quello dei sensi, un’opposizione che in fondo è, essa stessa, un cliché. Divertimento intelligente e piacevole, tutto sommato privo di volgarità (a parte qualche uscita eccessiva del rozzo operaio), alcune battute particolarmente felici, interpreti indovinatissimi (con altri due l’esito non sarebbe stato lo stesso). E poi dite la verità, avreste mai immaginato di vedere Madame Isabelle Huppert ubriaca che si rotola nel pavimento di casa o intenta ad accennare a una lap-dance in un night di periferia? Elena Bartoni CILIEGINE (La cerise sur le gâteau) Francia, Italia 2012 Costumi: Agata Cannizzaro Interpreti: Laura Morante (Amanda), Pascal Elbé (Antonie), Isabelle Carré (Florance), Samir Guesmi (Maxime), Patrice Thibaud (Hubert), Frédéric Pierrot(Bertrand), Vanessa Larré (Valerie), Georges Claisse (Psicanalista), Nadia Fossier (Mathilde), Yves Verhoven (Victor), Elisabeth Catroux (Fabienne), Emmanuelle Galabru (Béatrice), Frédéric Moulin (Bruno), Mathilda Vives (Claire), Louis-Charles Finger (Léo), José Fumanal (François), Sandrine Le Berre (Anne-Lise), Ennio Fantastichini (Sig. Faysal) Durata: 85’ Metri: 2330 Regia: Laura Morante Produzione: Francesco Giammatteo, Philippe Carcassonne, Bruno Pesery per Nuts & Bolts Productions, Maison de Cinema, Soudaine Compagnie in Associazione con Mangouste Production, Cofinova 7 Distribuzione: Bolero Film Prima: (Roma 13-4-2012; Milano 13-4-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Laura Morante, Daniele Costantini Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi Montaggio: Esmeralda Calabria Musiche: Nicola Piovani Scenografia: Pierre-François Limbosch manda ha sempre avuto con gli uomini rapporti complicati, li trova irrimediabilmente inaffidabili ed è sempre pronta a cogliere i segnali certi dell’arroganza, dell’indifferenza, del tradimento. Ogni particolare, anche il più banale pretesto, può diventare una scusa A per interrompere le sue relazioni. E così accade puntualmente. Alla vigilia di Natale, durante una romantica cenetta, Amanda mette in seria discussione il suo rapporto con il compagno Bertrand perche l’uomo è colpevole di aver mangiato l’unica ciliegina che campeggiava sulla fetta 30 di torta che avevano davanti per festeggiare il loro anniversario, in un momento in cui la donna era distratta a raccogliere la sua borsa. Secondo Hubert, il marito psicoanalista della sua migliore amica Florence, Amanda è affetta da “androfobia”. Ma, a Film un veglione organizzato da un’amica di Florence la notte di Capodanno, Amanda incontra Antoine, un uomo che la spinge a cambiare il suo consueto atteggiamento con l’altro sesso. La donna appare fin dal loro primo approccio, tenera, indulgente e, per la prima volta, sembra instaurare un perfetto feeling con un uomo. Che sia scoppiato un colpo di fulmine? In realtà Amanda è vittima di un equivoco, convinta che Antoine sia gay e quindi innocuo. Poco tempo dopo Florence si accorge del malinteso: prima della sera di Capodanno lei aveva detto ad Amanda che l’unico uomo solo presente alla festa sarebbe stato un suo amico gay, ma l’uomo non si presentò. Quindi Amanda scambiò Antoine, da solo alla festa, per gay. Florence vuole confessare tutto all’amica ma il marito le chiede di non dirle la verità. Lo psicanalista è convito che, affinché Amanda riesca a superare il suo disturbo, bisogna che l’equivoco continui: quindi Antoine deve fingersi gay. Solo così Amanda forse riuscirà a non mettere in moto il solito meccanismo di difesa. Intanto, dopo continui tira e molla, Bertrand, stufo delle mille manie di Amanda, la lascia definitivamente. La donna invece si trova sempre più a suo agio con Antoine, convinta che lui sia diverso dagli altri uomini perché omosessuale. Avvisato da Florence, l’uomo è costretto a stare al gioco e continuare, seppur controvoglia, a fingersi gay. Dopo mesi di frequentazione è giunto il momento di mettere Amanda alla prova. E così Antoine si ammala e finge che Maxime, un collega di lavoro gay dichiarato, sia il suo compagno. Tutti i giorni Amanda è costretta ad andare ad accudire Antoine quando Maxime esce per andare al lavoro. La prova è molto dura per la donna che, folle di gelosia, finisce per dire ad Antoine che forse è meglio che non si vedano più. A quel punto Antoine getta la maschera e la bacia. Amanda fugge. Antoine le scrive raccontandole tutta la verità. Tempo dopo, Amanda e Antoine sono da soli in una romantica stanza d’albergo di fronte al mare, sono a letto e si dichiarano amore reciproco. Subito dopo, girandosi dall’altra parte, Antoine d’impulso si copre con il lenzuolo scoprendo involontariamente Amanda. La donna, assopita e serena, a quel gesto improvviso spalanca un occhio. È davvero guarita dalla sua androfobia? fine pasto cosa c’è di meglio di una ciliegina fresca e gustosa per addolcire il palato? E così proprio come un invitante e succulento dessert, ecco Ciliegine, frizzante e garbato debutto nella regia per Laura Morante. A Tutti i film della stagione L’attrice italiana fa il pieno: del film è infatti regista, interprete, sceneggiatrice (insieme a Daniele Costantini) e anche coproduttrice (insieme al marito Francesco Giammatteo). Con un occhio a Woody Allen, richiami alla commedia francese dell’ultimo decennio, ma soprattutto con evidenti omaggi all’universo dei fumetti “Peanuts” di Schulz (debito dichiarato apertamente dalla regista), Laura Morante confeziona un dolcetto davvero appetitoso, impreziosito, non da una, ma da tante “ciliegine”. I turbamenti amorosi di una “androfoba” e le paure che si nascondono dietro a un atteggiamento di impietosa critica nei confronti degli uomini sono il motore della vicenda. E proprio l’errore iniziale, il “furto” dell’unica ciliegina che campeggia solitaria su una fetta di torta al cioccolato, commesso dal distratto compagno della protagonista durante una cena romantica, innesca la miccia. E la coppia scoppia. Ad accendere un rinnovato interesse della nostra eroina verso l’altro sesso sarà, non a caso, un uomo gentile e solitario, apparentemente diverso (forse in tutti i sensi). Lo sviluppo degli eventi si basa su una reale teoria freudiana contenuta nel saggio di interpretazione sul romanzo “Gradiva” di Wilhelm Jensen che convince lo psicanalista Hubert, marito della migliore amica di Amanda, a continuare l’inganno per portare la donna a superare il suo disagio. Il pretesto psicoanalitico ingarbuglia la vicenda quanto basta fino alla finale guarigione (ammesso che sia tale). La necessità della menzogna per arrivare alla verità dei sentimenti. Una picco- la grande verità? Forse, davvero. E magari lo scopo è arrivare all’happy end (sintomatico che l’insegna della casa editrice presso cui lavora la protagonista reciti proprio “Editions Happy End”). Non c’è dubbio, la bravura e la sensibilità della neoregista vengono fuori da questa commedia che si prende un po’ in giro scherzando affettuosamente sui cliché del sentimentalismo. Passeggiate nei parchi, cene romantiche, notti stellate (anche se contemplate da un planetario) e perfino svolazzanti tende di mussola bianca aperte su finestre vista mare. Il repertorio del romanticismo è sventagliato. No, non manca nulla. Musiche spensierate e dallo stile vagamente ‘alleniano’ di Nicola Piovani, bella fotografia dai toni caldi e interpreti indovinati fanno da contorno a una Morante perfettamente in parte in un ruolo che sembra cucito addosso a lei. Pascal Elbé è un tenero e fascinoso cuore solitario, Isabelle Carré (vista quest’anno in un altro ‘pasticcino’ francese, Emotivi anonimi) è una simpatica amica-confidente, Patrice Thibaud il marito psicoanalista e “deus ex machina” della menzogna terapeutica. La Morante ha dichiarato di aver impiegato sette lunghi anni per vedere realizzato il suo progetto, speriamo di non doverla attendere così a lungo per la prossima prova da regista. Leggerezza, ironia, romanticismo e un tocco di psicoanalisi, un film delizioso, come il suo titolo. Appetitoso esordio, brava Morante. Elena Bartoni THE RAVEN (The Raven) Stati Uniti, Ungheria, Spagna 2012 Regia: James McTeigue Produzione: Intrepid Pictures, Filmnation Entertainment, Galavis Film, Pioneer Pictures Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Hannah Shakespeare, Ben Livingston Direttore della fotografia: Danny Ruhlmann Montaggio: Niven Howie Musiche: Lucas Vidal Scenografia: Roger Ford Costumi: Carlo Poggioli Effetti: Paul Stephenson, Marcus Hindborg, Jan Stoltz, Trixter Film, Filmgate Interpreti: John Cusack (Edgar Allan Poe), Luke Evans (Ispettore Emmett Fields), Alice Eve (Emily Hamilton), Brendan Gleeson (Capitano Charles Hamilton), Oliver Jackson-Cohen (Ufficiale Cantrell), Jimmy Yuill (Capitano Elderidge), Brendan Coyle (Reagan), Kevin McNally (Henry Maddox), Pam Ferris (Sig.ra Bradley), Dave Legeno (Percy), Ana Sofrenovic (Lady Macbeth), Sam Hazeldine (Ivan) Durata: 111’ Metri: 3050 31 Film altimora, 1849. Un serial killer uccide barbaramente le sue vittime. La polizia brancola nel buio fino a quando il detective Fields scopre delle inquietanti analogie fra i crimini e i racconti di Edgar Allan Poe. Lo scrittore viene immediatamente sospettato, ma proprio durante l’interrogatorio l’omicida colpisce ancora. La polizia, allora, chiede a Poe di aiutarli nelle indagini. Lo scrittore acconsente e insieme alle forze dell’ordine si dirige verso il luogo del delitto. Qui, vicino al cadavere, scova una maschera con un biglietto che cita i passi di un suo racconto dove la Morte colpisce durante un ballo in maschera. Poe realizza che a breve il padre di Emily, la sua amata, darà proprio una festa del genere e fa di tutto per fargliela annullare. Il vecchio non vuole sentire ragioni: il ballo organizzato da tempo avrà luogo. La polizia, però, gli impone la sua presenza. Arriva la sera tanto attesa. Tutto sembra andare bene fino a quando un uomo mascherato entra in sala e sotto gli occhi delle forze dell’ordine rapisce Emily. Sono tutti sconvolti in particolare Poe che, subito dopo, riceve un biglietto dall’assassino in cui gli viene fatta una proposta: Emily rimarrà viva fino a quando lui scriverà , sul giornale locale e con dovizia di particolari, i delitti che seguiranno. Inoltre, in ogni delitto, ci sarà una prova che lo porterà sempre più vicino al luogo di prigionia della donna. La polizia consiglia a Poe di accettare. I crimini si susseguono così come i rac- B Tutti i film della stagione conti sul giornale. Ogni ipotesi sul possibile colpevole sembra vacillare, Poe esausto scrive l’ultimo pezzo dove propone uno scambio: la sua vita in cambio di quella di Emily e la conseguente cessazione di ogni altro crimine. La risposta, tramite un biglietto, arriva presto, insieme al giornale del mattino. Troppo presto. Grazie a delle goccioline di pioggia presenti sul pezzetto di carta, infatti, Poe capisce che il biglietto è antecedente al giornale e quindi il colpevole può essere solo uno dei suoi colleghi che avrebbe avuto la possibilità di leggere il tutto prima della stampa. Di corsa si dirige in redazione dove scopre il direttore, il suo principale sospettato, assassinato e dietro di lui Reynold, il compositore tipografico con un sorriso beffardo. L’uomo confessa i delitti e costringe Poe a bere il veleno in cambio della vita di Emily. Poi lasciando l’ultimo indizio scappa in Francia. Lo scrittore intuisce che la donna è sepolta sotto il pavimento e con le ultime forze rimaste la libera. Emily in fin di vita viene portata in ospedale mentre Poe si siede su una panchina ad aspettare la morte. Prima di esalare l’ultimo respiro, però, riesce a mandare un messaggio con il nome dell’assassino al detective Fields che va in Francia e con un colpo di pistola uccide Reynold. eynold. Un nome, pronunciato ossessivamente in punto di morte, che ha solleticato la fantasia di studiosi, medici e semplici appassionati. Cosa avrà mai voluto dire lo scrittore R 32 Edgar Allan Poe durante un delirio che è diventato leggenda? In verità non lo sapremo mai con certezza anche se numerosi critici hanno portato alla luce ipotesi suggestive che trasformano la morte di Poe nel suo ultimo e più sconvolgente racconto. James Mc Teigue, regista del controverso V per Vendetta, non si è lasciato sfuggire l’occasione e partendo proprio da quella panchina in cui tutto ha avuto inizio (o fine) ha confezionato un thriller che offre un’insolita visione sugli ultimi giorni dello scrittore statunitense. La trama, piuttosto semplice in verità, si snoda attorno a degli efferati delitti ispirati ai romanzi di Poe e gioca sul classico schema della caccia all’uomo da parte della polizia. Unico elemento innovativo è proprio la presenza di Poe che, imitando il suo celebre monsieur Dupin, diventa parte attiva nelle indagini. Il ritmo è serrato e la pellicola scorre veloce, ma nonostante i continui rimandi, si ha la sensazione che la presenza di Poe sia solo un pretesto per un thriller in costume. A guardar bene, effettivamente non si riesce a scovare fra le smorfie dello scrittore, interpretato da un convincente John Cusack, il “genio tra anime inferiori” decantato da Baudelaire. Il Poe di McTeigue, infatti, è un uomo “normale” quasi rassicurante, un borghese così lontano dalle descrizioni dei suoi contemporanei che diventa un estraneo agli occhi di chi ha familiarità con la sua morbosa fantasia. Fatta eccezione per un paio di minuti iniziali è come se la pellicola volesse, a suo modo, riabilitare la figura disordinata dello scrittore, allinearla al gusto compito di una nazione e farne, nel finale, un eroe. Una beffa che Poe non avrebbe esitato a condannare in uno dei suoi vivaci articoli e che rimanda ai continui moralismi di cui è stato vittima e che ha ferocemente combattuto per tutta la sua vita. Se si riesce a passare sopra questo particolare The Raven può risultare un film apprezzabile, anche se troppo legato ai canoni di genere. Da McTeigue ci saremmo aspettati qualcosa in più rispetto a questo compitino eccessivamente indulgente, dopotutto non si può chiamare in causa Edgar Allan Poe e poi offrirgli una mentina disgustati dalla puzza di alcol. Francesca Piano Film Tutti i film della stagione HENRY Italia 2011 Regia: Alessandro Piva Produzione: Alessandro Piva in associazione con Donatella Botti per Seminal Film in associazione con Bianca Film Distribuzione: Iris Film Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012) Soggetto: dal romanzo omonimo di Giovanni Mastrangelo Sceneggiatura: Alessandro Piva Direttore della fotografia: Lorenzo Adorisio Montaggio: Alessandro Piva, Giacobbe Gamberini Musiche: Andrea Farri Scenografia: Marianna Scriveres ianni è un giovane ragazzo innamorato di Nina, una bella insegnante di aerobica. I due decidono di trascorrere insieme la serata e Nina chiede a Gianni di procurarsi della cocaina da Spillo, lo spacciatore del quartiere. Gianni però quel pomeriggio era già stato da Spillo perché il suo amico Rocco aveva tanto insistito affinché lo accompagnasse da lui per potersi prendere qualche dose. Quando Gianni però era salito in casa del pusher, ci aveva trovato alcuni uomini di colore che gli avevano urlato di andarsene e così lui aveva lasciato Rocco lì ed era andato a prendere Nina in palestra. Gianni però si lascia convincere dalla ragazza e decide di passare di nuovo da Spillo per prendere “la roba” e poi tornare da Nina per passare con lei la serata. Mentre Nina e Gianni sono in palestra e si organizzano, Rocco vede uscire dal portone di Spillo gli uomini di colore e decide così di salire dal ragazzo per potersi finalmente prendere qualcosa. Prima però Rocco telefona al capo di un clan di malavitosi coinvolti nel giro della droga e dai quali Spillo prende la roba da rivendere, informandoli del doppio gioco di Spillo (che vende anche per “i neri”). Rocco entra in casa di Spillo chiedendogli qualche grammo, ma Spillo che deve avere da lui ancora 1500 euro per un debito precedente si prende i soldi senza dargli nulla. Rocco è arrabbiato, ma lucido e, prima di andare via, prende una statuetta a forma di Colosseo e colpisce Spillo alla testa. Il ragazzo cade a terra morto; nel frattempo rientra la madre e così Rocco colpisce ed uccide anche la signora. Prima di scappare via si prende dell’eroina che Spillo avrebbe dovuto vendere per “i neri”. Intanto Gianni, che nel frattempo aveva detto a Nina di aspettarlo a casa poi- G Costumi: Carolina Olcese Interpreti: Carolina Crescentini (Nina), Claudio Gioè (Commissario Silvestri), Aurelien Gaya (Kueku), Pietro De Silva (Rocco), Eriq Ebouaney (Karanja), Paolo Sassanelli (Bellucci), Michele Riondino (Gianni), Dino Abbrescia (Martino), David Coco (Ciccio), Vito Facciolla (Salvatore), Roberta Fiorentini (Madre di Spillo), Susy Laude (Marta), Max Mazzotta (Spillo), Alfonso Santagata (Franco), Pietro Manigrasso (Agente Mannoni) Durata: 86’ Metri: 2360 chè sarebbe passato da Spillo, entra nell’appartamento con la porta già aperta e trova il ragazzo e sua madre a terra ormai morti. D’istinto decide di prendersi comunque alcuni grammi di eroina che erano rimasti in casa, ma improvvisamente arriva la polizia. Il commissario Silvestri, sposato con una donna un po’ noiosa da cui aspetta un bambino, viene chiamato per recarsi sul posto insieme al suo compagno Bellucci. Gianni viene trattenuto in attesa degli esiti dell’autopsia e i referti della scientifica. Nel frattempo Rocco si reca a casa di Nina per avvisarla dell’accaduto, ma ovviamente racconta i fatti in modo diverso senza spiegare che Gianni si era trovato lì per caso e che a uccidere Spillo e la madre era stato lui; la avvisa che a breve sarebbero arrivati in casa sua per una perquisizione, fornisce un avvocato al ragazzo e cerca di scaricare la colpa sul gruppo di neri. Quando il commissario Silvestri e Bellucci arrivano da Nina, non trovano nulla in casa e le chiedono alcune informazioni. Intanto Gianni viene portato in carcere, mentre Nina cerca di trovare i neri che erano stati in casa di Spillo; quando poi va in carcere da Gianni lui si arrabbia con lei ed inizia a insultarla. È per colpa sua che lui era tornato da Spillo quella sera, forse lei lo aveva incastrato, o forse no, ma se si trovava in carcere in quel momento era per essersi fatto convincere da lei e le dice che non vuole più vederla. Intanto anche Rocco è intenzionato a trovare i neri che avevano rifornito Spillo per potersi guadagnare un posto nel clan dei malavitosi di Civitavecchia. In qualche modo infatti, uccidendo Spillo li aveva aiutati e ora voleva andare avanti. Così, una sera Nina e Rocco si recano in un locale dove sanno di trovare questi “neri”, ma, mentre Rocco è lì con l’intento di ucciderli (seguito 33 da alcuni uomini di Civitavecchia), Nina vuole capire come sia andata veramente la storia di Spillo e così fa amicizia con Kueku, uno dei ragazzi di colore che Rocco (e gli altri) vogliono uccidere. Nina parla con Kueku, inizia a capire che Rocco le ha nascosto alcune cose e così decide di aiutarlo a scappare e lo porta in casa sua. Intanto Gianni subisce maltrattamenti in carcere dagli altri detenuti e viene portato in ospedale, mentre il commissario Silvestri, interrogandolo nuovamente, inizia a credere alla sua innocenza. Rocco invece insieme con gli uomini di Civitavecchia torna a casa di Nina perché si è accorto che lei ha aiutato il ragazzo a scappare e quando li trovano in casa decidono di rapirli per farsi dire da Kueku chi era il suo capo, dove viveva e perché si era messo a spacciare nella loro zona. Kueku, che aveva già detto al suo capo Karanja di voler uscire dal giro, spiega tutto agli uomini e indica loro il suo appartamento. Nel frattempo, Nina riesce a comunicare tramite un messaggio con il cellulare l’indirizzo verso cui sono diretti al commissario Silvestri. Kueku, Nina, Rocco e tutti gli uomini del clan di Civitavecchia arrivano in casa di Karanja, ma poco dopo arrivano anche Silvestri e Bellucci che non potendo attendere l’arrivo di altri uomini- decidono di fare irruzione. Bellucci resta subito ucciso, mentre Silvestri sotto shock riesce a nascondersi la pistola del compagno dietro la schiena e consegna la sua facendo credere agli altri di essere quindi disarmato. Il capo clan obbliga Kueku ad uccidere Karanja, poi lascia due suoi uomini con Nina, Kueku e il commissario per farli uccidere, ma Silvestri riesce a eliminare i due anche con l’intervento degli uomini della polizia che intanto erano arrivati. Il capo clan e il suo braccio destro però riescono a scappare, non Film prima di aver ucciso Rocco che li aveva aspettati in macchina. Nina resta con Kueku in ospedale per alcune ferite, mentre Gianni ancora sconvolto, è finalmente libero. opo aver diretto per il grande schermo i film LaCapagira (1999) e Mio cognato (2002), Alessandro Piva è tornato alla regia con Henry che ha ottenuto il Premio del Pubblico al 28esimo Torino Film Festival. Ambientato nella Roma di periferia, una giovane insegnante di aerobica e il suo fidanzato un po’ infantile si ritrovano coinvolti in una storia molto più grande di loro, tra un clan di malavitosi italiani e un altro di africani che si fanno la guerra per conquistare il mercato dell’eroina nella capitale. Accanto a loro, due poliziotti, amici e colleghi, indagano su un duplice omicidio e sul traffico di droga. Una storia che si svolge in pochi giorni, o meglio in poche notti, con i protagonisti che girano per le strade di Roma, inseguendosi tra loro e ruotando intorno a D Tutti i film della stagione storie molto più grandi di quelle che avrebbero voluto. Henry è un giallo perché racconta la storia di due omicidi, con le inchieste e le domande dei poliziotti, ma, allo stesso tempo, è un moderno noir, ambientato nell’oscurità delle strade romane che si sofferma con particolare attenzione sulla psicologia dei personaggi, facendo raccontare a loro stessi le impressioni e le sensazioni vissute in quei pochi giorni che hanno cambiato per sempre le loro vite. E sono proprio le deposizioni dirette dei personaggi o il flusso di memoria di Nina che rendono il film più completo e più profondo, grazie anche a un cast ben riuscito: da Carolina Crescentini a Pietro De Silva, passando per Claudio Gioè e Michele Riondino. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, Henry è un film cupo e denso, girato prevalentemente in notturna e con un senso del grottesco, in una città abitata da spacciatori, poliziotti smarriti e ragazzi confusi dalle loro stesse vite. Rocco (Pietro De Silva) è un uomo che non ha nulla da perdere e poco da fare, trop- po preso dal suo bisogno di assumere droghe per rendersi conto di quello che ha scatenato e di quello che gli accade intorno. Gianni (Michele Riondino) è un ragazzino che fa uso di droga per passare il tempo, innamorato della bella Nina per la quale farebbe qualunque cosa; ma è proprio per lei che resta incastrato e la sua vita sarà rovinata per sempre da quelle tre notti passate in carcere. Nina (Carolina Crescentini) è una ragazza trasgressiva ma buona, lei cerca da sola di capire cosa sia veramente successo a Spillo e quindi a Gianni, per poterlo così far uscire dal carcere, ma resta coinvolta ancora una volta in qualcosa di più grande, innamorandosi di un altro uomo. E poi c’è il commissario Silvestri (Claudio Gioè), un uomo di legge e di cuore che mantiene la sua etica nonostante viva in un mondo a cui sente di non appartenere. Il suo è anche uno sguardo del regista su un paese soffocato da corruzione e debolezze, dove non esiste più neanche il cinema, ma soltanto la fiction. Silvia Preziosi MAGNIFICA PRESENZA Italia, 2012 Interpreti: Elio Germano (Pietro), Paola Minaccioni (Maria), Beppe Fiorello (Filippo Verni), Margherita Buy (Lea Marni), Vittoria Puccini (Beatrice Marni), Cem Yilmaz (Yusuf Antep), Claudia Potenza (Elena Masci), Andrea Bosca (Luca Veroli), Ambrogio Maestri (Ambrogio Dardini), Matteo Savino (Ivan), Alessandro Roja (Paolo), Gea Martire (Gea), Monica Nappo (Olga), Bianca Nappi (Nina), Giorgio Marchesi (Massimo), Gianluca Gori (Ennio), Platinette (Badessa), Massimiliano Gallo (Dottore Cuccurullo), Anna Proclemer (Livia Morosini), Eleonora Bolla (Carlotta) Durata: 105’ Metri: 2860 Regia: Ferzan Özpetek Produzione: Domenico Procacci per Fandango e Faros Film con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 16-3-2012; Milano 16-3-2012) Soggettoe Sceneggiatura: Federica Pontremoli, Ferzan Özpetek Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi Montaggio: Walter Fasano Musiche: Pasquale Catalano Scenografia: Andrea Crisanti urante i titoli di testa mentre la solita dedica stavolta è diretta a Wislawa (Szymborska?) si vedono alcuni dettagli di occhi truccati, maschili e femminili, di attori e attrici che indugiano dietro un sipario chiuso in attesa che il pubblico si accomodi in sala. Poi si passa a Pietro un giovane di origini siciliane giunto a Roma ospite della cugina Maria, che sta visitando una casa in affitto nel quartiere Monteverde (vecchio) di Roma, che decide di prendere per sé e Massimo al quale manda sms, senza che questi gli risponda. Pietro è a Roma non solo per Massimo ma anche per cercare di intraprendere la carriera d’attore. Intanto per D mantenersi lavora di notte in una pasticceria, unico italiano tra altri pasticceri cittadini stranieri, dove sforna cornetti. A un provino per una pubblicità viene notato e chiamato per un secondo provino per una fiction tv. Di giorno sistema la casa per sé e per Massimo, si ambienta nel nuovo quartiere, fa amicizia con due ragazze che lavorano nel bar di fronte casa, che trapelano scetticismo quando capiscono quale appartamento il ragazzo abbia affittato. Appena si trasferisce nella casa, Pietro sente dei rumori e dei bisbiglii, poi vede un bambino ciccione nascosto sotto un tavolo e, infine, gli altri occu- 34 panti della casa: sette adulti e un bambino in tutto, vestiti con abiti eleganti e retrò. Pietro pensa che siano degli abusivi e cerca di contattare la padrona di casa invano. Impaurito dalla loro presenza chiede aiuto a Maria ma solo lui sembra vedere gli intrusi ai quali chiede di lasciare l’appartamento. La sera che, finalmente, Massimo arriva a casa, il ragazzo, un giovane regista, gli intima di lasciarlo in pace, dicendogli che non può continuare a tormentarlo con mail e sms solo per una serata passata insieme due anni prima. La scenata avviene dinanzi gli intrusi, che ormai, è sicuro, solo Pietro riesce a vedere; i quali, dopo che Film Massimo è andato via, cercano di consolarlo e tirarlo su. Intanto fanno conoscenza. Filippo Verni un giovane vestito in frak si presenta come capocomico della compagnia Apollonio e gli presenta gli altri: le cugine Lea e Beatrice Marni, Yusuf Antep marito di Beatrice, loro figlio Ivan (il ragazzino ciccione) Ambrogio Dardini dalla possente stazza, e voce, Elena Masci e Luca Veroli. Tutti credono che Pietro sia lì per aiutarli a uscire dall’appartamento. Credono che l’abbia mandato una certa Livia Morosini. Tutti interpretano il silenzio frastornato di Pietro come timore di esporsi e lo rassicurano che non farebbero mai il suo nome. Senza dire niente, Pietro va a dormire. Viene svegliato da Luca, che lo stava guardando mentre dormiva, sedotto dalla sua bellezza. Affascinato da quelle presenze all’incontro con la padrona di casa per rescindere il contratto organizzato da Maria, che si spaccia per avvocato, nello studio dove lavora in realtà come segretaria, Pietro decide di rimanere nell’appartamento con grande stizza della donna evidentemente abituata a incassare l’anticipo di 4 mesi prima e alla successiva fuga degli affittuari appena vedono gli …abusivi. Pietro si rende conto che i suoi ospiti sono dei fantasmi. Cerca su internet informazioni della compagnia e su questa Lidia Morosini, scoprendo solo che di loro si sono perse le tracce nel 1943. Inizia una convivenza fatta di momenti in comune, tra le prove della compagnia, momenti in cui scartano le figurine di un album che celebra il 150enario dell’unità d’Italia e momenti di drammi personali come quando Beatrice si preoccupa per le sorti del figlio grande che ha deciso di mandare al nord… Una sera, Luca sveglia Pietro, pensando di fargli una cortesia, sa che lavora di notte. Ma quella sera è il giorno di riposo di Pietro che se ne rende conto solo quando arriva in pasticceria. Di ritorno a casa incontra per strada un uomo non più giovane, che parla di sé al femminile, indossa una parrucca biondo cenere e ha subito un’aggressione in un parco dove si può fare sesso con altri uomini, lì vicino. Pietro lo soccorre portandolo a casa e gli confida dei fantasmi (uno dei quali, Youssef, ha per lui dei commenti di rimprovero), al quale l’uomo dice di credere perché, se crede a se stessa, non può non credere anche ai fantasmi. Intanto Maria confessa a Pietro, in lacrime, di essere incita di uno dei tre avvocati per i quali lavora e di non sapere quale dei tre sia il padre. Tutti i film della stagione In procinto di andare al secondo provino Pietro riceve consigli dai fantasmi che lo fanno truccare e atteggiare come andava di moda nel 1943. Al provino Pietro si impone per la sua stravaganza ma strafà. Tornato a casa, arrabbiato coi fantasmi per i cattivi consigli ricevuti, non li trova. Deciso a cercare Livia Morosini chiede aiuto all’uomo che ha soccorso che lo invia da uno strano personaggio, che vediamo in un capannone circondato da vecchie donne trans che lavorano alle macchine da cucire, il quale fornisce a Pietro l’indirizzo di Livia che nel frattempo ha cambiato cognome. Quando Pietro si presenta all’indirizzo la donna dice di non conoscere nessuna Livia né la parola d’ordine che gli ha indicato Elena e non lo riceve. Sul tram di ritorno a casa, Pietro incontra Paolo, un vicino di casa col quale ha già scambiato qualche parola, che lo soccorre: Pietro infatti perde sangue dal naso e sviene. In ospedale Pietro è raggiunto da Maria che spiega al dottore delle sue visioni e l’uomo lo ricovera nel reparto psichiatrico per stress. Tornato a casa dopo qualche settimana, Pietro non vede più i fantasmi e se ne rammarica. Da solo in casa viene raggiunto da Livia che gli racconta quello che sa. I componenti della compagnia sono morti per la fuga di gas di una stufa difettosa, nel 1943. I fantasmi scoprono così dalla stessa voce di Livia quello che è capitato loro… Livia lascia la casa di Pietro il quale la segue mentre lei finisce di raccontargli la loro storia. La compagnia si 35 muoveva liberamente in Europa, per la tournée e loro ne approfittavano per mantenere i contatti della resistenza europea. Erano spie. Poi una sera la polizia venne a cercarli a teatro (e rivediamo le scene viste già durante i titoli di testa) inducendoli a nascondersi in quell’appartamento mentre lei si rifugiò a Buenos Aires con un’altra identità. Di ritorno a casa Pietro incontra Maria che lo invita a bere qualcosa per festeggiare il suo fidanzamento con il dottore che lo ha curato, che ha deciso di riconoscere il figlio che Maria aspetta. Distratto dalla presenza di Ivan per strada Pietro lascia il bar e riaccompagna il bambino in casa dove viene bombardato di domande dei fantasmi su cosa è successo da quando sono morti. Pietro usa internet per spiegare i fatti principali e aggiornarli fino a Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti. Sempre su internet cercano se il figlio di Beatrice e Youssef , quello che avevano mandato al nord, sia ancora vivo e commossi vedono online alcune sue foto. Il figlio non solo è ancora vivo ma ha avuto a sua volta un figlio che ha chiamato con il nome di suo nonno, il padre di Youssef. Con la scusa di restituirle alcune conchiglie di un vestito di scena, Pietro torna a trovare Livia e le chiede perché non ha mai parlato di loro e se sa chi li abbia denunciati. Poi quando Livia uccide con impeto un insetto che passeggia sul tavolo Pietro intuisce che è stata lei a denunciarli e Livia gli dà del frocetto saputello dicendogli che non può permettersi di criticarla lei che è stata una grande attrice. Film A casa Pietro racconta ai fantasmi quello che ha scoperto, i quali reagiscono con una liberatoria risata collettiva. Adesso che sanno davvero come i fatti si sono svolti possono lasciare la casa, prendere il tram e recarsi a teatro dove Pietro, unico spettatore, può vederli sul palcoscenico, gli occhi imbambolati e commossi, mentre scorrono i titoli di coda, nei quali campeggia un’altra dedica a troppi nomi per poterli ricordare tutti. he nei film di Ozpetek ci siano sempre dei buchi di sceneggiatura è una critica così ricorrente da essere diventata ormai un luogo comune. In realtà una delle caratteristiche più evidenti dello stile del regista, oltre alla direzione degli attori, che nei suoi film non sono mai banali o piatti, è proprio la capacità di saper restituire un’atmosfera, un punto di vista, con pochi elementi, nonostante i buchi di sceneggiatura più o meno proditoriamente rimproveratigli, arrivando a evidenziare con precisione, in ogni suo film, un aspetto del nostro paese, della sua storia e dei suoi cittadini. Questa volta Ozpetek ci mostra come la volgarità maschilista e patriarcal-omofobica non sia figlia del berlusconismo ma abbia radici ben più profonde, risalenti almeno ai tempi del ventennio fascista. Ce lo dimostra il personaggio di Livia Morosini, una splendida Anna Proclemer, donna anziana e unica presenza in carne ed ossa di quegli anni, quando, scoperta da Pietro come la delatrice della compagnia, mostra il suo vero volto di donna arrogante, aggressiva e squisitamente fascista (parola che, ricordiamo, è attestata nel vocabolario della lingua italiana anche come sinonimo di prepotente). Gli altri personaggi in carne ed ossa di Magnifica presenza mostrano invece una diffusa e attualissima immaturità emotiva. Pietro è incapace di intessere una relazione sentimentale al punto da non accorgersi nemmeno di stare facendo stalking con Massimo, fraintendendo una piacevole serata che ha trascorso con lui, due anni prima, con l’inizio di una inesistente relazione. Sua cugina Maria, più grande di lui e, apparentemente, coi piedi per terra, rimane incinta per caso senza nemmeno sapere chi dei tre avvocati sia il padre, segno evidente che alla sacrosanta libertà sessuale non corrisponde una adeguata attenzione e coscienza di sé. C Tutti i film della stagione A questa sprovvedutezza sentimentale corrisponde una diffusa ignavia civile, prima ancora che politica. Nel film ci sono sfruttatori, come la padrona di casa di Pietro, che approfitta della presenza dei fantasmi per incassare i 4 mesi di anticipo di pigione prima che i locatari scappino impauriti, o i tre avvocati, che pensano di condividere Maria non solo come segretaria. Ci sono anche gli sfruttati come, il dottore che Maria sposa pur di non essere ragazza madre, le trans del capannone, se possiamo leggere quella scena in questa chiave, e gli aggrediti come il bislacco omosessuale uscito dagli anni Cinquanta ,che Pietro soccorre una sera, senza che nessuno ne prenda coscienza, o senza che, peggio ancora, se ne indigni. Solo Pietro sembra accorgersene, essendo però completamente sprovveduto per poter fare qualcosa. L’impegno civile nella resistenza degli attori-fantasmi rende allora il comportamento dei personaggi vivi ancora più colpevole, vigliacco e ingiustificabile. Siamo più morti noi vivi di oggi, sembra dirci Ozpetek, di quanto lo siano gli attori-fantasmi di allora. Come al solito nei suoi film queste profonde, precise e lucide notazioni, hanno efficacia proprio perché sono a margine della trama, emergono come in controluce rispetto il film che ha sempre la vocazione del racconto e mai quella del saggio o del pamphlet. Purtroppo questa volta quello che al film sembra mancare del tutto è proprio la storia, che presenta dei personaggi magnifici come i fantasmi ai quali però non succede nulla. Il film sembra molto più interessato a risolvere il mistero della loro morte (senza spiegarne mai bene nemmeno la dinamica della fuga di gas, che ci viene detta ma non mostrata) che a parlarci davvero di loro (con l’unica eccezione di Youssef del quale però ci viene mostrata la storia del figlio e del nipote, non la sua). Magnifica presenza ci presenta un contenitore narrativi interessante e felicemente pensate che gli sceneggiatori sembrano non sapere di cosa riempire, come se quello che contasse non fosse la storia da raccontare, ma il format narrativo. Quel poco che accade nel film è infatti più adatto all’attenzione scarsa e saltuaria con cui guardiamo la tv nel privato delle nostre case che a quella totale che ci impone il buio della sala cinematografica Una caratteristica che, sospettiamo, sia 36 la cifra distintiva di Federica Pontremoli, che firma la sceneggiatura con Ozpetek, un altro film della quale, Habemus papam di Moretti, ha lo stesso identico difetto strutturale. Magnifica presenza sembra allora proseguire nelle trame parallele nessuna delle quali però si sviluppa veramente. Nulla sappiamo dell’esito del secondo provino di Pietro, oltre la figuraccia fatta per i consigli sciocchi dei fantasmi. Nulla sappiamo di Paolo, il vicino di casa che sembra interessato a Pietro, che scompare dal film senza lasciare traccia, stessa sorte capita alle due bariste, all’omosessuale anni 50 e alle trans cucitrici. Anche il ricovero di Pietro nel reparto psichiatrico non serve ad approfondire nulla (se i fantasmi sono una fantasia di Pietro non può conoscere la parola d’ordine che i fantasmi gli dicono tanto che Livia gli chiede come lui faccia a conoscerla) se non a fare fidanzare Maria con il dottore. Far capire a Pietro che è Livia la delatrice, semplicemente perché la donna uccide un insetto con violenza, è un espediente talmente debole che Stefano Disegni, nella sua deliziosa parodia al film su Ciak di aprile 2012, lo irride con giusta ironia. Una sceneggiatura che non sembra avere davvero nulla da raccontare se non creare un’atmosfera basata sulla presenza di maschere, di personaggi strani, che intrattengono lo spettatore per la loro diversità, offrendo al pubblico lo svago di una esperienza esotica come il capannone con le trans. Anche il personaggio di Pietro (uno splendido bravissimo Elio Germano), nonostante l’impegno di Ozpetek di mostrarci dei gay persone e non macchiette, non si sottrae dalla consuetudine tutta italiana che vede i gay soli, incapaci di avere relazioni sentimentali, impossibilitati a vivere il proprio orientamento sessuale in maniera altrettanto piena e gratificante dei personaggi etero. Gli errori di Magnifica presenza non sono però solo della sceneggiatura ma anche della produzione che ha la sua responsabilità nell’aver mandato in sala un film così male sviluppato. Ci chiediamo cosa sarebbe potuto diventare Magnifica Presenza nelle mani di produttori che facevano il loro mestiere come Cristaldi il quale, non convinto della versione di Tornatore di Nuovo Cinema Paradiso lo rimaneggiò facendogli vincere l’Oscar. Alessandro Paesano Film Tutti i film della stagione GLI SFIORATI Italia 2011 Regia: Matteo Rovere Produzione: Domenico Procacci pewr Fandango Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012) Soggetto: Sandro Veronesi Sceneggiatura: Matteo Rovere, Laura Paolucci, Francesco Piccolo Direttore della fotografia: Vladan Radovic Montaggio: Giogiò Franchini oma. Méte è un giovane grafologo, appassionato della ricerca del carattere di ogni essere umano nascosto dietro la scrittura. Il ragazzo è innamorato dell’unica persona sulla terra che non può amare, la sua sorellastra Belinda, bellissima e misteriosa adolescente spagnola, inafferrabile, quasi lontana dalla terra, che vive nascosta dagli occhi del mondo reale. Méte e Belinda hanno il padre in comune, Sergio, ex giocatore ed ex dirigente di calcio, rimasto a lungo lontano dal figlio e da anni legato a un’altra donna, Virna, la madre di Belinda. Ora finalmente, dopo una lunga convivenza, Sergio sta per sposare Virna. Una settimana prima del matrimonio, Sergio comunica a Méte che Belinda andrà a vivere in casa sua fino alle nozze. Il precario equilibrio della vita del ragazzo viene sconvolto. Per lui è difficile accettare tutto insieme il ritorno del padre nella sua vita dopo sei anni di lontananza (per di più un padre che si sta risposando con un’altra donna) e la convivenza con quella sorellastra da cui è fortemente attratto. Méte e Belinda praticamente non si sono mai conosciuti davvero, ma ora sono costretti a passare sotto lo stesso tetto la settimana che precede il matrimonio del padre. Nella vita di Méte ci sono presenze importanti come quelle dei suoi due amici, Bruno, suo collega grafologo, padre separato in difficoltà economiche e Damiano agente immobiliare donnaiolo e pronto a tutto per una nuova conquista. Méte è a disagio nei confronti di Belinda e perciò cerca di fare di tutto per evitarla. Ma Damiamo mette gli occhi sulla ragazza e ciò provoca una reazione di immediata gelosia da parte di Méte. Per distogliere la sua attenzione dalla sorellastra, Méte approccia Beatrice Plana a una festa, una nota frequentatrice delle notti romane, una giovane donna dall’umore instabile. Quella stessa notte, coinvolto dall’intraprendenza di Beatrice, Méte fa R Musiche: Andrea Farri Scenografia: Alessandro vannucci Costumi: Monica Celeste Interpreti: Andrea Bosca (Méte), Miriam Giovanelli (Belinda), Claudio Santamaria (Bruno), Michele Riondino (Damiano), Asia Argento (Beatrice Plana), Massimo Popolizio (Sergio), Aitana Sánchez-Gijón (Vima), Chiara Brunamonti, Ugo De Cesare Durata: 111’ Metri: 3050 sesso con lei, ma il mattino dopo il ragazzo è a disagio. Arrivato tardi a un appuntamento di lavoro, viene preso di petto da Bruno che gli rimprovera di essere un ragazzo poco responsabile. Il giovane confessa di avere dei problemi e dice di volere essere lasciato in pace. Quella stessa sera, tornato a casa, Méte vuole portare Belinda a una festa ma la ragazza si rifiuta per l’ennesima volta di uscire. Recatosi da solo alla serata, il ragazzo vede Beatrice e lascia la festa. Tornato a casa, Méte fa sesso con Belinda. Quella stessa notte Damiano va a letto con Beatrice. Il mattino dopo è il giorno del matrimonio di Sergio: Beatrice propone a Damiano di passare la giornata insieme ma il ragazzo dice di non essere libero perché deve recarsi a un matrimonio. Indispettita, prima di lasciare l’appartamento in vendita dove Damiano porta tutte le sue conquiste, Beatrice chiude dentro il ragazzo e si porta via le chiavi. Intanto Méte e Belinda vanno al matrimonio del padre. Al matrimonio c’è anche Bruno, Méte gli consegna ciò che voleva da tempo: un foglio con la sua scrittura. Bruno la archivia insieme ad altri campioni grafologici della nuova categoria che sta studiando, gli sfiorati. Dopo la cerimonia Méte e Belinda, cantano felici per le strade di Roma insieme ai neosposi a bordo di una decappottabile hi sono “gli sfiorati”? “Individui che vivono molto afferrando poco, e magri rendendosi conto solo più tardi di quello che gli è passato accanto, o addosso. Giovani e meno giovani, individui inquieti ma pronti a vivere, positivi e alla ricerca di qualcosa”. Così li ha definiti il regista Matteo Rovere che affida al personaggio di Bruno, amico e collega di Méte, protagonista del film, un’altra definizione della categoria degli “sfiorati” desunta da diverse analisi C 37 grafologiche: “Gli sfiorati sono quelli che sembrano sempre lontani, distratti. Non sono affatto superficiali, giocano consapevolmente, gli sfiorati possono attraversare cose meravigliose o anche cose terribili, cose che magari gli altri nemmeno vedono. Qui siamo in un altro mondo”. Un altro mondo? Gli “sfiorati” sono una categoria umana e dello spirito, che nel film i due grafologi Méte e Bruno scoprono in modo quasi scientifico attraverso l’analisi di alcune scritture ma che probabilmente è sempre esistita. E carico di senso di spaesamento nei confronti dello stare al mondo è l’universo a sé in cui vive il giovane Méte (colui che meglio coglie il nucleo dello “sfioramento”), protagonista della storia tratta dal romanzo di Sandro Veronesi “Gli sfiorati” pubblicato per la prima volta nel 1990. Nel passaggio dal libro allo schermo, Matteo Rovere, al suo secondo lungometraggio dopo Un gioco da ragazze del 2008, ha spostato la vicenda nella Roma contemporanea mantenendo intatto il nucleo emotivo dei personaggi. Una particolare menzione merita l’attore protagonista, Andrea Bosca (che si è fatto notare nell’affresco risorgimentale di Martone Noi credevamo) volto bello, intenso e al tempo stesso misterioso, che, insieme ai suoi due amici-confidenti, interpretati da Claudio Santamaria e Michele Riondino, forma un terzetto di giovani uomini convincente anche (e soprattutto) nelle rispettive debolezze. Sono loro la parte migliore del film. Ognuno dei tre personaggi sembra portare il carico di sofferenze irrisolte che incidono su vite insicure, problematiche, a volte edoniste e superficiali, in corsa, forse, verso la distruzione. Come potenzialmente distruttivo è l’amore impossibile e drammatico vissuto dal protagonista per l’unica persona che non può amare, una bellissima “sfiorata”. Il film resta per molti aspetti sospeso e Film irrisolto, ha un andamento ondivago e frammentato, a tratti quasi onirico, immerso in una Roma contemporanea pigra e molle (come i personaggi che la vivono), lasciando in chi scrive la forte tentazione di sospendere anche un giudizio definitivo. Una pellicola magari non memorabile ma che, per paradosso, “fissa” un tema interessante delineato nel romanzo da cui è tratto: quella “schiumevolezza” che altro Tutti i film della stagione non è che l’atteggiamento di navigare sulla superficie delle cose senza averne profonda esperienza, quindi senza rimanerne feriti. Sandro Veronesi ha raccontato di essere rimasto, all’epoca del romanzo, colpito da un incontro con dei ciechi e di come per loro sia fondamentale il verbo sfiorare perché toccare può essere troppo pericoloso. “Come i personaggi del libro, che s’avvicinano molto alle cose perché ne hanno una percezione limitata, non esperiscono profondamente, ma neanche evitano, che permette loro di andare oltre, verso la prossima esperienza. La prudenza, la superficialità, sono modi di proteggersi dal mondo”. E mai come oggi c’è davvero bisogno di farsi scudo dal mondo che ci circonda. Ma allora non viviamo un po’ tutti con la tentazione di diventare “sfiorati”? Elena Bartoni THE LADY – L’AMORE PER LA LIBERTÀ (The Lady) Francia, Gran Bretagna 2011 Interpreti: Michelle Yeoh (Aung San Suu Kyi), David Thewlis (Michael Aris), Jonathan Raggett (Kim), Jonathan Woodhouse (Alex), Susan Wooldridge (Lucinda), Benedict Wong (Karma), Dujdao Vadhanapakorn (Nita May), Htun Lin (Generale Ne Win), Agga Poechit (Than Shwe), William Hope (James Baker), Sahajak Boonthanakit (Leo Nichols), Marian Yu (Daw Khin Yi), Nay Myo Thant (Win Thein),Victoria Sanvalli (Ma Then) Durata: 127’ Metri: 3500 Regia: Luc Besson Produzione: Luc Besson Andy Harries e Virginie silla per Europa Corp., Left Bank Pictures, France 3 Cinéma Prima: (Roma 23-3-2012; Milano 23-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Rebecca Frayn Direttore della fotografia: Thierry Arbogast Montaggio: Julien Rey Musiche: Eric Serra Scenografia: Hugues Tissandier Costumi: Olivier Bériot ung San Suu Kyi, figlia di un generale birmano nazionalista assassinato dai rivoluzionari rossi subito dopo la seconda guerra mondiale, una volta adulta ha trasferito i propri interessi e la propria vita nel mondo occidentale: ha sposato un professore di Oxford, Michael Aris, con cui ha avuto due figli e, pur attenta a quanto avviene in Oriente, vive la sua vita nella cittadina inglese. Nel 1988 la svolta: richiamata a Rangoon per l’aggravarsi della salute della madre, Suu piomba nella drammatica realtà del suo Paese. La dittatura militare di Saw Maung opprime la Birmania con la violenza e la privazione di qualsiasi libertà; la popolazione più illuminata vede nel ritorno di Suu, figlia di un martire, colta, progressista e ancora sensibile alla situazione politica della Birmania, la possibilità di una redenzione. Così lei si convince a mettersi a capo di una formazione democratica che alle elezioni stravince con il supporto delle campagne più lontane come degli abitanti della città. La democrazia vera rimane però un sogno: mentre Michael e i figli ritornano a Oxford la repressione militare fa terra bruciata dei desideri usciti dalle urne, soffoca ogni speranza nel sangue e chiude Suu agli arresti domiciliari nella sua casa sul lago Inya. Questo periodo di confinamento e di costrizione, guardata a vista dai militari, dura A circa vent’anni, con sporadiche visite dei suoi che sempre con maggiori difficoltà ottengono i visti necessari per entrare in Birmania. Il marito continua per tutti gli anni del suo isolamento a battersi per lei da lontano, riuscendo a promuovere per la moglie il premio Nobel per la pace. Quando Michael si ammala di cancro non si rivedranno più perchè Suu è ben conscia che la sua partenza dalla Birmania sarebbe senza ritorno e significherebbe troncare con il suo mondo per sempre. Così Suu resta, Michael muore, i suoi figli diventano adulti e tornano a trovarla in Birmania, ma Suu, alla fine degli arresti domiciliari, non abbandona più il suo Paese continuando a lottare per la dignità del suo popolo e per le proprie idee di libertà e giustizia. un film nato (come ha detto nelle interviste lo stesso regista) da un incontro fatale, folgorante e inaspettato: Luc Besson, noto per la sua cinematografia caratterizzata da azioni senza fiato e da ritmi ossessivi e spesso inviso alla critica per le sue immagini patinate e sontuose ma considerate vuote e gratuite, incontra la vera Aung San Suu Kyi e ne rimane estasiato. Forse Besson ha creduto finalmente di trovare quell’incarnazione di eroina civile e carismatica che inseguiva dai tempi di Giovanna D’Arco o la personificazione di quell’umanità sempre mancante È 38 alle protagoniste dei suoi film, fatto sta che il regista francese, colpito e commosso da questa donna fragile e forte, sensibile, intensa e tenace ha voluto costruirle intorno un film; non solo, un film che parlasse soprattutto di lei e avesse al centro la sua evoluzione intellettuale, sociale e politica e tenesse sullo sfondo lo scenario storico in cui lei agiva. Anzi, Besson ha voluto in questo modo che il contesto sociopolitico in cui Suu Kyi ha realizzato i suoi ideali e affrontato la repressione della dittatura militare acquistasse una valenza e una divulgazione più ampia possibile proprio attraverso la sua figura di donna e di combattente. Tutto questo è l’assunto ideale su cui Besson ha costruito la sua storia che, non dimentichiamo, è un film, un mezzo cioè in cui i valori e le idee devono essere portati con passaggi ben chiari a interessare il cuore e la ragione dello spettatore, altrimenti il prodotto che ne esce va oltre la stessa azione del regista, finendo per divorarlo come un figlio ingrato che divori il proprio genitore. Questo per dire che il personaggio di Suu Kyi, spinto al massimo della purezza agiografica, resta fine a se stesso, inanimato, capace di abbracciare di colpo la causa libertaria del proprio Paese senza che si dica granchè sull’iter intimo e personale vissuto per arrivare a passi di questo genere mentre la giunta militare è presentata come un gruppo di cattivi da operetta, non privi di una Film Tutti i film della stagione certa vis comica. Sarebbe questo il “nemico” per cui una donna vede figli e marito quattro volte in vent’anni senza manifestare per quest’ultimo il benchè minimo desiderio o dimenticata passione né pietà né rimorso nemmeno quando il poveretto si ammala di cancro e muore solo come un cane? È chiaro che così un personaggio risulta distaccato, indifferente, freddo, monolitico e, colpa grave per una trattazione cinematografica, poco credibile, nell’ambito quindi di un lavoro poco avvincente. Besson avrebbe dovuto spingere il proprio sforzo creativo ben oltre la presentazione di una frigida icona ma, a questo punto, stiamo parlando di come sarebbe dovuto essere un altro film... Fabrizio Moresco L’ARRIVO DI WANG Italia 2011 Regia: Manetti Bros. Produzione: Manetti Bros. Film, Dania Film, Pepito Produzioni, Surf Film in collaborazione con Rai Cinema Prima: (Roma 9-3-2012; Milano 9-3-2012) Soggettoe Sceneggiatura: Manetti Bros. Direttore della fotografia: Alessandro Chiodo Montaggio: Federico Maria Maneschi Musiche: Pivio, Aldo De Scalzi Scenografia: Noemi Marchica Costumi: Patrizia Mazzon aia, un’interprete di cinese che sta lavorando alla traduzione di un film, viene chiamata per un lavoro urgentissimo, segretissimo e molto ben pagato. Mezz’ora dopo viene prelevata da un’automobile e si trova di fronte Curti, un agente privo di scrupoli e dai modi bruschi, che ha bisogno di lei per interrogare un misterioso signor Wang. Durante il tragitto viene bendata e condotta in un luogo non ben identificato: per la segretezza, l’interrogatorio avviene al buio. Ma Gaia non riesce a tradurre bene e chiede di accendere la luce. A questo punto la giovane interprete scopre, con sua grande sorpresa, perché l’identità del signor Wang viene tenuta celata. L’incontro con Wang cambierà per sempre la sua vita. Ma anche quella di tutto il pianeta terra. Wang è infatti un extraterrestre dall’aspetto inquietante e curioso; è legato alla sedia ed è sottoposto a un fuoco incessante di domande da parte di Curti. L’agente infatti vuole sapere il vero motivo dell’arrivo di Wang sulla terra. Si chiede G Effetti: Simone Silvestri, Maurizio Memoli, Palantir Digital Media Interpreti: Ennio Fantastichini (Curti), Francesca Cuttica (Gaia), Li Yong (Wang), Juliet Esey Joseph (Amunike), Antonello Morroni (Max), Carmen Giardina (Dottoressa), Rodolfo Baldini (De Renzi), Angelo Nicotra (Generale), Massimo Triggiani (Riboldi), Furio Ferrari Pocoleri (Torricelli), Jader Giraldi (Falco), Marco Iannitello (Poliziotto al centralino), Claudio Lullo (Giovane politico) Durata: 82’ Metri: 2250 perché sia piombato a casa della signora Amounike. E che cosa sia lo strano oggetto che aveva lasciato in casa della signora e che poi era tornato a prendere. Wang era poi sparito misteriosamente per due settimane. Dove era andato? Cosa cercava di fare con quello strano oggetto? Curti sospetta che Wang sia a capo di una missione di attacco alieno alla terra. Mentre Gaia traduce, Wang continua a rispondere di essere venuto in pace e di cercare solo amicizia e dialogo con i terrestri. Ma Curti non ci crede e i suoi toni divengono sempre più alterati e violenti; Gaia invece sembra credere alla buona fede di Wang e non tollera i modi dell’agente, convinto invece che Wang sia fuggito dalla casa della signora Amounike. Wang si sente male, ha mani e piedi legati, è disidratato, ha urgente bisogno di bere. Gaia riesce a dargli da bere e poi abbandona la stanza dell’interrogatorio: è scossa, vuole chiamare Amnesty International per denunciare quei maltrattamenti. La giovane interprete riesce a scappare all’in- 39 terno del misterioso edificio in cui si trova. Trova un ufficio deserto e prova a telefonare ad Amnesty International ma viene bloccata da Max, l’autista e assistente di Curti. Dopo una colluttazione, Gaia riesce a mettere al tappeto Max e a scappare. Per i deserti corridoi dell’edificio incontra Amoukine con la quale cerca una via d’uscita. Ma, giunte sulla porta, Gaia lascia andare Amoukine e decide di tornare indietro a salvare Wang. Tornata nella stanza dell’interrogatorio, trova Wang da solo e lo libera. Finalmente libero, l’alieno prende in mano il suo transistor e dà il via l’attacco delle astronavi aliene alla terra. Dalla sala operativa dei servizi segreti, Curti insieme a generali e vertici della difesa, assistono impotenti all’attacco massiccio delle astronavi aliene nel cielo di Roma. n inizio degno di un thriller, un finale da fumetto originalissimo, fantasy, metaforico, simbolico. Non semplicemente un film di genere, ma U Film una contaminazione di universi e linguaggi, un’interfaccia tra fantasia e realtà, tra fumetti e quotidianità. L’arrivo di Wang, perdonateci il gioco di parole, arriva, spiazza, colpisce. E non potrebbe essere altrimenti, visto che si tratta di un’opera partorita dal genio imprevedibile e creativo dei romani Manetti Bros. Chi è davvero Wang? Da dove viene? Cosa è venuto a fare tra noi? Ancora un problema di identità misteriosa e per nulla rassicurante. Un interessante recente studio aveva notato come da tempo il cinema americano sembri aver rinunciato ai punti di riferimento di un tempo, alla nozione tradizionale di corpo, alle componenti tranquillizzanti della nostra identità. Vedendo questo film abbiamo pensato che davvero era ora che iniziasse a farlo anche il cinema italiano. Generi come la fantascienza e l’horror da decenni hanno messo davanti agli occhi di noi spettatori riflessioni inquietanti sull’altro, sul diverso, sul mostruoso e, nel cinema più re- Tutti i film della stagione cente, la sua identificazione con una realtà sfuggente, mutante, talvolta persino onirica. Ed ecco Wang. Il film dei Manetti ruota attorno a uno strano terzetto composto dal misterioso signor Wang che parla solo il cinese mandarino (l’idioma più diffuso al mondo ma certo poco parlato in Italia) e da due persone diversissime che lo stanno interrogando. Una stanza chiusa, spoglia, un fuoco di domande, un interrogatorio al buio. E poi la luce. Quello che ne esce fuori sorprendentemente è un vero fantasy nostrano, intriso di humour nero e arricchito da decise pennellate thriller. Variazione sul tema della diversità, il film punta su un argomento universale, la difficoltà di comprendere l’altro ma, in fondo, anche noi stessi. E mentre la tensione narrativa sale, si fa strada il vecchio pregiudizio nei confronti di chi ci appare come diverso per tentare, da un’angolazione inedita, di dare un colpo di scure a tutti gli stereotipi, eccessivamente buonisti o inutilmente violenti che siano. Bella fotografia, pregevoli effetti speciali (ancor più ammirevoli se si pensa al basso budget), buona colonna sonora, ritmo che sale nel climax finale, un risultato più che apprezzabile che va ben oltre la facile e riduttiva etichetta del “cinema di genere”. Il grande merito dei talentuosi Manetti Bros. (tra i pochi autori giovani che hanno portato davvero un po’ di aria fresca nel panorama italiano dal Coliandro televisivo al Piano 17 per il grande schermo solo per fare due esempi) è di riuscire a tenersi lontani da quel buonismo dispensato a dosi eccessive dal cinema quando si mette a parlare del “diverso”. Viva il coraggio, viva la fantasia, viva l’originalità. Forse gli “alieni” del cinema made in Italy sono proprio loro. Una fortuna che ci siano e che siano riusciti a presentare il loro “piccolo” film alla Mostra del Cinema di Venezia 2011 nella sezione “Controcampo italiano”. Elena Bartoni POSTI IN PIEDI IN PARADISO Italia, 2012 Regia: Carlo Verdone Produzione: Aurelio De Laurentis e Luigi De Laurentis per Filmauro Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 2-3-2012; Milano 2-3-2012) Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Maruska Albertazzi Direttore della fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Antonio Siciliano Musiche: Gaetano Curreri, Fabio Liberatori Scenografia: Luigi Marchione lisse, Fulvio e Domenico sono tre padri separati alle prese con una situazione personale ed economica sempre più problematica con il passare del tempo. Ulisse è un ex produttore musicale spazzato via dalle esigenze del nuovo mercato discografico e oppresso dagli obblighi del mantenimento di una moglie un tempo cantante dal non promettente futuro e di una figlia ormai diciassettenne; ora Ulisse gestisce (dormendo nel retrobottega) un negozietto di dischi in vinile di una certa rarità e di vecchi cimeli appartenenti a star del passato come il famoso cinturone aureo di Jim Morrison. Fulvio è un critico cinematografico caduto in disgrazia per avere sedotto la moglie del suo direttore ed è ora relegato a occuparsi di gossip su riviste di infimo ordine; cacciato U Costumi: Tatiana Romanoff Interpreti: Carlo Verdone (Ulisse Diamanti), Pierfrancesco Favino (Fulvio Brignola), Marco Giallini (Domenico Segato), Micaela Ramazzotti (Gloria), Diane Fleri (Claire), Nicoletta Romanoff (Lorenza), Nadir Caselli (Gaia), Valentina D’Agostino (Marisa), Maria Luisa De Crescenzo (Agnese), Giulia Greco ( Marika Segato) Gabriella Germani (Luisella), Roberta Mengozzi (Gilda) Durata: 119’ Metri: 3270 di casa, vive in un pensionato di suore ed è anche lui alle prese con le esigenze del mensile da assicurare alla sua ex moglie. Domenico infine è nella situazione più difficile: una volta imprenditore affermato poi alla deriva per il gioco d’azzardo in cui ha bruciato tutti isuoi soldi, ha ora un’agenzia immobiliare i cui scarsi affari lo costringono a dormire nella barca di un amico; per arrotondare, offre a pagamento (e sostenute da pastiglie di viagra) prestazioni sessuali a signore di una certa età; di famiglie poi Domenico ne ha due, una di età giovanile con un figlio ormai adulto, prossimo alla laurea e una giovane compagna degli ultimi anni che gli ha dato una bambina: è ovvio che con questo menage così variegato i soldi non bastino mai. I tre personaggi hanno modo di incon40 trarsi quando Ulisse e Fulvio capitano per un equivoco allo stesso appuntamento concordato con Domenico per vedere un appartamento da prendere in affitto: i tre riconoscono immediatamente l’uno nell’altro gli stessi guai e seduta stante decidono di affittare insieme il locale per dividere le spese. Inizia così un’originale coabitazione che presto porta tutti e tre sull’orlo di una crisi di nervi che più volte sta per compromettere definitivamente il loro equilibrio esistenziale. A tutto ciò, come se non bastasse, si aggiunge una serie di altri eventi determinanti: a causa di un preoccupante malore notturno di Domenico dovuto ai suoi eccessi, i tre conoscono Gloria, cardiologa sciroccata appena lasciata dal fidanzato e lei stessa per prima bisognosa di cure... psicologiche; tra Gloria e Ulisse nasce presto un rapporto piuttosto stretto, quasi Film un amore, anche se disturbato dalla comparsa del primo marito di lei, appena uscito dal manicomio; il furto in un appartamento disabitato che Ulisse e Fulvio compiono su istigazione di Domenico, che nella casa vicina si intrattiene con una delle sue signore, finisce in un ovvio e ridicolo fallimento; la figlia di Ulisse che vive a Parigi con la madre, rimane incinta del suo boyfriend e con lui decide di tenere il bambino e iniziare insieme una vita che certo si prospetta difficile, nonostante gli avvertimenti e la disperazione di Ulisse, volato a Parigi. L’ultima parte del film pare rimettere le cose a posto: Ulisse decide di accettare l’offerta di un ricco collezionista per la cintura di Jim Morrison, per potere così aiutare la figlia all’inizio della sua nuova vita; Fulvio sembra riconciliarsi con la famiglia per l’amore della bambina; Domenico, salvo per miracolo da un brutto incidente automobilistico, è assistito in ospedale proprio dal figlio da cui era stato sempre allontanato e disprezzato. arlo Verdone affronta l’Italia di oggi prendendo spunto da un disastro che, per una legislazione carente e non lungimirante e per il logoramento dei rapporti umani ha accentuato ancora di più l’imbarbarimento di larghi strati della società cioè i padri separati: questi, costretti a corrispondere gli alimenti alla ex famiglia e sempre più impoveriti dai bassi redditi, dal caro affitti e dai vari costi che affliggono il vivere quotidiano, si trovano sempre più frequentemente in una situazione drammatica. Naturalmente Verdone lo fa alla sua maniera, con la commedia e mettendo alla ribalta una serie di personaggi rappresentativi dei vizi e delle miserie che infarciscono le vite di tutti, le nostre vite; perchè davvero non si salva nessuno, nell’insistenza soprattutto di un aspetto, la precarietà, tema che non riguarda solamente un particolare e doloroso lato dell’organizzazione del lavoro di oggi, ma la vita stessa: si è precari per il lavoro e per il denaro, precariamente si sopravvive e si stringono rapporti, precariamente si ama. Questi sono gli elementi che gonfiano il film di Verdone, forse troppi, a significare quanto il regista desiderasse, sentisse quasi il bisogno di mettere mano a tante cose di questa società mostrandoci tutti i suoi “mostri”, miserabili, inaffidabili mostri pieni di tic, fissazioni, bassezze, incapacità, meschini, nevrotici e traditori, oppressi da desideri e sogni infranti, ma bisognosi sempre e ugualmente d’amore. In questo girotondo di caratteri e si- C Tutti i film della stagione tuazioni che Verdone approfondisce drammaturgicamente nella scrittura di una sceneggiatura perfetta come struttura linguistica e cinematografica, viene in evidenza l’affiatamento dell’autore con gli altri due interpreti della storia cioè Favino e Giallini; insieme costruiscono un meccanismo perfetto, un’altalena a orologeria che oscilla tra i tempi comici dell’avanspettacolo e le grandi prove della commedia all’italiana. Agli uomini si unisce la bella caratterizzazione di Micaela Ramazzotti, una specie di Un sacco bello al femminile, dolcissimamente sbandata e bravissima a tenere testa ai tre schiacciasassi maschi. Commedia all’italiana abbiamo detto, di cui sicuramente Verdone è figlio e a cui lui si rifà continuamente, convinto, come spesso ha detto nelle interviste, che nessun genere meglio della commedia possa raccontare temi ostici e difficili, spesso mal rappresentati da tanti film seri. Certo Verdone non è Risi né Monicelli; gli manca, o non predilige, quell’amarezza, quel graffio con cui gli autori d’allora dipingevano i mostri d’allora: tutta la parte finale, il conforto, l’aiuto decisivo che i figli di oggi sanno dare ai loro padri per dare finalmente una sterzata significativa a una vita dissipata è un inno e una celebrazione della forza e della capacità dei giovani che, pur appartenenti a una società disastrata, si dimostrano, proprio loro, in grado di risollevare le sorti di coloro che sono, almeno in parte, i padri del disastro. Bene, il sapore è dolciastro, decadente e il significato che ne esce non regala una solida positività per il futuro, ma risulta eccessivamente e facilmente consolatorio e poco credibile: posti in Paradiso, molto probabilmente, non ci sono, né in piedi né seduti, per nessuno. SENNA Gran Bretagna 2010 Regia: Asif Kapadia Produzione: Working Title Films, Studio Canal, Midfield Films Distribuzione: Universal Pictures International Italia Prima: (Roma 11-2-2011; Milano 11-2-2011) Soggettoe Sceneggiatura: Manish Pandey Direttore della fotografia: Jake Polonsky Montaggio: Gregers Sall, Chris King Musiche: Luis Siciliano, Giovanni Vernia, Marco Zangirolami Durata: 107’ Metri: 2930 41 Fabrizio Moresco Film roiettato per la prima volta il 7 ottobre del 2010 a Suzuka – in occasione del Gran Premio di Giappone – il film documentario, diretto da Asif Kapadia, racconta la vita del campione di Formula Uno, Ayrton Senna. Attraverso immagini inedite, interviste rilasciate dai genitori, dai collaboratori, ma soprattutto dallo stesso Senna, Kapadia ha ricostruito la vita del campione fin da quando appena ragazzino vinse i campionati di Kart. P I l film ripercorre tutta la carriera di Ayrton, ma non si limita a riprendere immagini di vittorie o di lui in pista; l’aspetto più interessante è infatti quello personale. Senna era un ragazzo molto religioso ed estremamente comunicativo e fu per il Brasile una sorta di eroe nazionale che riusciva a far sorridere e gioire i suoi connazionali nonostante la povertà. I contenuti inediti; le riunioni dei piloti prima di scendere in pista; l’iniziale amicizia e poi i duri scontri con un altro grande campione della Formula Uno quale era Prost; le tre vittorie del campionato (ma Tutti i film della stagione anche le vittorie dei singoli gran premi); la vittoria in Brasile e l’abbraccio con il padre; le interviste alla mamma e poi le interviste e le considerazioni dello stesso Ayrton Senna, tutto questo rende il documentario del regista inglese un lavoro davvero ben costruito e interessante. Nulla è lasciato al caso, le immagini che si susseguono raccontano la vita del campione, la sua crescita, la sua natura e la sua intelligenza. La Formula Uno era (e lo è ancora)un mondo che seguiva anche le regole economiche e Senna cercava di combatterlo, studiando ogni minimo passaggio del regolamento e creando molto spesso dei precedenti. Da ogni vittoria e da ogni incidente Senna ne usciva più forte e più cosciente, il percorso della sua vita e della sua carriera si fondevano sempre più e la bravura di Kapadia sta proprio in questo. La sua ricostruzione aiuta lo spettatore a capire chi fosse Senna, quali fossero i suoi pensieri più profondi, quale il suo modo di affrontare la vita, ma anche la pista. Tutto porta poi all’incidente mortale di Imola, avvenuto il 1 Maggio 1994 e al quale il regista dedica gli ultimi 20 minuti del suo bel documentario. Impressionanti le dichiarazioni di Ayrton nei giorni e nei momenti precedenti la sua ultima gara, come se fosse consapevole di ciò che stava per accadere; un tragico epilogo che consacrò definitivamente Senna come eroe e persona indimenticabile nel mondo della Formula Uno e dello sport in generale. Un lavoro davvero ben riuscito, che ha ricevuto anche molti riconoscimenti e premi come miglior documentario nei festival internazionali, dal Sundance Festival, al Los Angeles Film Festival,al British Indipendent Film Awards, al British Academy Film Awards. Hanno contribuito alla realizzazione del documentario anche la famiglia di Ayrton, l’associazione presieduta da Alain Prost e nata dopo la morte di Senna per aiutare i bambini brasiliani a ricevere un’istruzione e infine la stessa società della Formula Uno che, per la prima volta, ha dato il consenso all’utilizzo di materiale visivo mai mostrato prima. Silvia Preziosi POLLO ALLE PRUGNE (Pulet aux prunes) Francia, Germania, Belgio 2011 Effetti: Damien Stumpf Interpreti: Mathieu Amalric (Nasser Alì), Édouard Baer (Azraël), Maria de Medeiros (Faranguisse),Golshifteh Farahani (Irâne), Éric Caravaca (Abdi), Chiara Mastroianni (Lili adulta), Mathis Bour ( Cyrus), Enna Balland (Lili), Didier Flamand (Maestro di musica), Serge Avédikian (Padre di Irâne), Rona Hartner (Soudabeh), Jamel Debbouze (Houchang/Mendicante), Isabella Rossellini (Parvine), Timothé Riquet (Nasser Alì da bambino), Frederic Saurel, Dustin Graf Durata: 91’ Metri: 2500 Regia: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud Produzione: Celluloid Dreams, The Manipulators, Ufilm, Studio 37, Le Pacte, Lorette Productions, Film(S), Arte France Cinéma, Zdf-Arte Distribuzione: Officine Ubu Prima: (Roma 6-4-2012; Milano 6-4-2012) Soggetto: Marjane Satrapi Sceneggiatura: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne Montaggio: Stéphane Roche Musiche: Olivier Bernet Scenografia: Udo Kramer eheran, 1958. Nasser Alì, musicista e virtuoso suonatore di violino, incontra casualmente per strada il suo grande amore del passato, Irana ma lei non lo riconosce o meglio, come più tardi è mostrato, finge di non riconoscerlo per struggersi subito dopo in un pianto dirotto. Nasser Alì torna a casa e, prendendo spunto dall’ennesimo scontro con la moglie Faranguisse che gli fracassa un violino Stradivari appena acquistato, si mette a letto per rinunciare completamente alla vita, cosa che riesce a fare in otto giorni. Durante quest’ultimo, lancinante peri- T odo della sua esistenza, Nasser Alì ripercorre, in un’andata e ritorno di flashback, i passi fondamentali che hanno segnato la propria esistenza: la scelta di una professione come quella del musicista, così poco consolidata, almeno allora, e dal futuro incerto; la conseguente negazione al matrimonio con Irana da parte del padre di lei (allora il no di un genitore era legge); la combine organizzata dalla madre di lui per arrivare al matrimonio con Faranguisse, unione da subito senza interesse e senza passione; la nascita di due figli, amati sì, soprattutto la ragazza ma di un amore inutile e senza costrutto; la constatazione defi- 42 nitiva per Nasser Alì che l’unico sostegno alla vita è dato dall’arte e, nel suo caso, dalla musica. E proprio il contemporaneo e definitivo riconoscere che è proprio questo che la moglie non aveva mai compreso porta il violinista a lasciarsi morire. uò un’opera d’arte come un quadro, una statua, una composizione musicale cambiare la vita di qualcuno? No, tantomeno un libro nè, per carità, la visione di un film. Può però contribuire a dare un significato a quale tipo di uomo o di donna si voglia appartenere e a quale tipo di esistenza credere. P Film Nasser Alì aveva le doti di un grande musicista, solo però dal lato tecnico e strumentale, mancandogli una vera ispirazione artistica, come sosteneva il suo grande maestro; avere però perdutamente amato Irana e non avere potuto colmare questa esigenza d’amore con lei lo aveva portato a riempire questo vuoto nella completa appropriazione del senso della musica, del suono del suo violino. Il respiro dell’arte aveva da un lato sostituito quel respiro d’amore negato e contemporaneamente di questo si era nutrito portando la grandezza dell’uno e la mancanza dell’altro a livelli di vertigine. Questo è stata la vita di Nasser Alì, il resto era zero. Ovvio che la distruzione dello Stradivari da parte della moglie, donna di spessore e di lui, a suo modo, innamorata, codifica la diversità dei due mondi, il superamento del non ritorno. Dopo non si può fare altro che morire. Tutto ciò è raccontato con la fantasia e lo spessore cromatico di un vecchio cartone animato (il film è la traduzione sullo schermo della graphic novel della regista Marjane Satrapi) che accomuna ambienti e interpreti in una dimensione fiabesca, distaccata nello spazio e nel tempo, di cui è difficile in più di un momento dire o capire se si tratti di un racconto reale o di fantasia, se sia un sogno o uno struggimento o la voglia illusoria di fuggire dal doloroso ripetersi del quotidiano. Tutti i film della stagione Poi abbiamo capito che è tutto questo insieme perchè tutto questo è il cinema, un incontro di sogno a cui per tutta la vita hanno pensato gli occhi sbarrati e increduli di un intensissimo Amarlic, davvero attore che più attore non si può; un giardino di piante e fiori che invade una casa dai colori pastello spessi e finti, adatti ad accogliere i ricordi e gli affanni del protagonista; una città ricostruita interamente in teatro, alveo perfetto di una fantasia che regna sovrana e che sembra agire come in transe sotto la spinta delle ali di maestri come Fellini, Bergman, Kurosawa... Se davvero il cinema non determina una scelta di vita, può condurre a miscelare realtà e finzione in una dimensione a noi vicina a cui unicamente sentiamo di appartenere, capace di dare corpo ai nostri sogni, lenire le nostre angosce, dare una speciale forma di concretezza a ciò in cui crediamo. Fabrizio Moresco LA FURIA DEI TITANI (Wrath of the Titans) Stati Uniti, 2012 Regia: Jonathan Liebesman Produzione: Louis Leterrier, Basil Iwanyk per Thunder Road Film, Warner Bros.Pictures in associazione con Legendary Pictures Prima: (Roma 30-3-2012; Milano 30-3-2012) Soggetto: Beverly Cross (da i suoi personaggi), Greg Berlanti, David Leslie Johnson, Dan Mazeau Sceneggiatura: Dan Mazeau, David Leslie Johnson Direttore della fotografia: Ben Davis Montaggio: Martin Walsh Musiche: Javier Navarrete Scenografia: Charles Wood Costumi: Jany Temine Effetti: Nick Davis, Neil Corbould, Conor O’Sullivan, Framestore erseo, pur essendo un semidio e figlio di Zeus, ha da tempo scelto la vita degli uomini in un tranquillo villaggio di pescatori insieme al figlio adolescente. La tranquillità non può però durare a lungo in quanto negli abissi del Tartaro dove è stato relegato e impri- P Interpreti: Sam Worthington (Perseo), Ralph Fiennes (Ade), Liam Neeson (Zeus), Rosamund Pike (Andromeda), Bill Nighy (Efesto), Édgar Ramírez (Ares), Toby Kebbell (Argenor), Danny Huston (Poseidone), John Bell (Helius), Lily James (Korrina), Alejandro Naranjo (Mantius), Freddy Drabble (Apollo), Kathryn Carpenter (Athena), Matt Milne (Guardia scelta), Kett Tur ton (Guardia scelta), Sinéad Cusack (Clea), Spencer Wilding (Minotauro), Juan Reyes (Capo del carcere), Jorge Guimerá (Theodulus), Asier Macazaga (Theron), Daniel Galindo Rojas (Eustachius), Lamber to Guerra (Timon) Durata: 100’ Metri: 2750 gionato Crono dai tre figli Zeus, Ade e Poseidone stanno covando la ribellione. Il volo di mostri orrendi che seminano la distruzione nei villaggi è il primo segnale di quanto sta per succedere: lo scopo è quello di rubare il potere agli dei e con l’esercito di Titani risalire dal Tartaro e battere gli uomini. 43 La prima parte sembra andare secondo i progetti dei ribelli grazie al tradimento di Ade e Ares che imprigionano Zeus alla roccia del Tartaro. Perseo a questo punto non può più tentennare; torna a impugnare la spada guidando l’esercito degli uomini insieme alla regina guerriera Andro- Film meda, al cugino Agenore (figlio di Poseidone) e ad Efesto, grande tecnico di macchine e armi micidiali. Tutti insieme sconfiggono i Titani in una terribile battaglia, salvando Zeus, che lascia il potere a Perseo e tutto il genere umano. ue facce della stessa medaglia. La prima: la trama didascalica e letteralmente esplicativa a livello elementare, infarcisce in un cockatil di intrecci e immagini retaggi mitologici d’epoca scolastica e pennellate di psicanalisi a buon mercato sciorinata a livello promo- D Tutti i film della stagione zionale. Così lo scontro padri e figli, continuamente ripetuto e riproposto fin dalla notte dei tempi, qui si rinnova in un continuo divorarsi tra generazioni di dei e semidei con i rispettivi tradimenti e pentimenti che non mancano mai; aggiungiamo l’entrata in scena di un dio caduto (Efesto), la cui azione si rivela basilare per la risoluzione della storia e, naturalmente, la figura femminile di una regina guerriera che aiuta Perseo a ritrovare quell’animus pugnandi di cui all’inizio l’eroe sembra un po’ deficitario. La seconda: il lavoro tecnico-autoriale è davvero ben fatto e trova nella rea- lizzazione in 3D la naturale spettacolarizzazione di tanto impegno. La fantasia di tutta l’equipe che ha dato vita a Ciclopi, Minotauri e Chimere, a voli entusiasmanti a cavallo di Pegaso, a duelli apocalittici e a discese all’inferno (l’isola di Tenerife e le cave del Galles come impianti naturali e gli studi Shepperton in Inghilterra come supporto tecnologico) si è realizzata senza risparmio mettendo in mostra gli ingenti investimenti produttivi così visivamente e tangibilmente ottimizzati. Fabrizio Moresco LEAFIE – LA STORIA DI UN AMORE Madangeul naon amtak Corea del Sud 2011 Regia: Oh Seongyun Produzione: MK Pictures Distribuzione: Mediterranea Productions Prima: (Roma 24-4-2012; Milano 24-4-2012) Soggetto: dal racconto di Hwang Seonmi Sceneggiatura: Kim Eunjeong eafie è una gallina che ha grandi progetti per il suo futuro, vorrebbe vedere il mondo, sentirsi libera, godere del profumo dei fiori, fare una passeggiata nello stagno e conoscere ogni singolo animaletto della foresta. È per questo motivo che decide di provare il tutto per tutto per scappare dalla fattoria dove si trova rinchiusa in gabbia insieme ad altre centinaia di sue amiche. Costretta come in una catena di montaggio a sfornare le sue uova e frustrata dal non poterle covare, Leafie inizia a digiunare fino a quando non viene portata via insieme alle altre galline morte per essere gettata via. Quando si riprende dallo svenimento, si ritrova in mezzo al bosco sotto attacco di una donnola affamata, One Eye, e viene salvata da Wanderer, un germano reale, un’elegante e maestosa anatra guardiana che ha un’ala fuori uso, ma tanto coraggio da vendere. Leafie prova ad andare a vivere con gli animali da cortile, ma non è facile farsi accettare dagli altri. Così decide di tornare nella foresta e trovare un posto adatto per poter vivere. A darle una mano è il sindaco della zona, una lontra simpatica e fracassona, che possiede il control- L Direttore della fotografia: Lee Jonghyuk Montaggio: Kim Gaebum. Kim Sangbum Musiche: Lee ji-soo Durata: 92’ Metri: 2555 lo assoluto sul “mercato immobiliare” intorno alla palude. Il destino farà rincontrare Wanderer e Leafie in un tragico momento. One Eye ha fatto un’altra vittima, pur di placare il suo istinto di sopravvivenza: l’anatra compagna del germano reale, che ha appena deposto un uovo. Leafie decide senza indugio di prendersi cura dell’uovo ed è proprio per difendere il nido in cui l’amica Leafie sta covando il suo piccolo, che Wanderer viene ucciso dalla spietata donnola. Proprio in quella notte l’uovo si schiude per dar vita all’anatroccolo dalla piuma verde sulla testa, Greenie. La coraggiosa gallina Leafie si fa in quattro per difendere dai pericoli e crescere al meglio il piccolo anatroccolo come se fosse suo figlio, insegnandogli valori importanti come la libertà, il sacrificio e l’amore incondizionato. Presto il piccolo tuttavia inizia ad accorgersi delle differenze con gli altri anatroccoli e a soffrire del non saper volare. Chiede dunque aiuto agli altri animali e decide di allontanarsi dalla madre per cavarsela da solo. Un giorno però viene catturato dal proprietario dell’allevamento e rischia di perdere per sempre le sue ali. Appena Leafie viene a cono- 44 scenza di ciò, si precipita nella fattoria per salvare il suo piccolo. La gallina, grazie anche all’aiuto del buon sindaco riesce a salvare suo figlio. È tempo di migrazioni e arriva nello stagno un enorme stormo di anatre, che subito bandisce una gara per eleggere il nuovo guardiano dello stagno. Greenie, pur non avendo alcuna esperienza, decide di partecipare. Sfida con coraggio gli altri avversari e riesce a vincere. Fiero del suo nuovo posto da guardiano ora però Greenie è costretto a salutare sua madre per condurre il suo stormo in altri lidi. E la trova nella tana di One Eye a vegliare sui suoi cuccioli. Dopo l’ultimo commovente saluto il figlio lascia la madre e parte. Leafie, orgogliosa del suo piccolo, decide di rinunciare alla sua vita e si immola, offrendosi come cibo per sfamare i cuccioli della donnola. uasi sei anni di lavorazione e un grande successo al botteghino coreano e cinese, Leafie La storia di un amore ha raggiunto incassi che hanno persino superato quelli di Kung fu Panda 2. Richiamando alla memoria La gabbianella e il gatto di D’Alo, la pellico- Q Film la sud coreana l’anno scorso ha conquistato il premio come miglior film animato all’Oscar asiatico, battendo agguerriti concorrenti. La sceneggiatura è basata su un libro per ragazzi che il regista Oh Seong-yun, al suo esordio, ha voluto portare sul grande schermo. Il valore del film cresce man mano che la storia si snoda e per alcune trovate assai efficaci, come, per esempio, la marcia delle galline fuori dalle gabbie, che sembra assumere un tono epico (con l’allontanamento della macchina da presa e ripresa dall’alto) e per il delinearsi dei sentimenti tra i vari personaggi e lo scavo psicologico che diventa sempre più profondo. Storia d’amore sì, ma non solo tra madre e figlio (adottivo, perché anatra), ma tra animali di razze diverse che passano da un atteggiamento di superbia e superiorità alla solidarietà verso chi è in pericolo. Chi appare certamente in cattiva luce in questo contesto è l’uomo, che non solo schiavizza le galline in gabbie microscopiche, ma vuole ridurre il germano reale ad animale da cortile tagliandogli le ali. Simile a un lungo percorso tra le gioie e i dolori della vita, il film vero e proprio romanzo di formazione, è la sto- Tutti i film della stagione ria di una crescita, di un amore materno, di un adattamento alla natura. Prova infatti a raccontare la vita, con le sue difficoltà e le tappe più importanti, con picchi acuti di tenerezza e drammaticità, che lo rendono appetibile a un pubblico giovane, ma godibile anche per un pubblico non proprio giovanissimo. La scalata di Greenie al potere e la conquista del suo posto nella “società” grazie alla vittoria nella gara di volo non può non farci pensare ad Avatar (chissà che non sia un omaggio), proprio quando anche lì il protagonista doveva conquistarsi il suo spazio nei cieli. Alcuni passi sono notevoli. La scoperta di ciò che c’è al di là della gabbia e del cortile per la gallina Leafie rimanda tanto a una agognata lotta per la libertà; ma anche la rivolta del figlio anatroccolo contro la madre, quando scopre di essere diverso da lei e per questo sbeffeggiato da tutti. Il ritrovare il legame con lui invece quando, spinto a seguire la sua natura e ad affrontare la sfida dei suoi simili, vince la lotta contro la paura e il nuovo. Tanti temi, quindi, tutti ugualmente portati a termine con l’ausilio di un ottimo disegno di animazione, che sembra colorato a matita, con tonalità forti e luminose seppure molto schematico, di una musica che si adatta ai diversi momenti e di dialoghi scarni, ma efficaci. La verità è che Leafie incanta e conquista proprio per la forma espressiva che sceglie nel rappresentare un apologo amaro e commovente. Nel finale, già fuori scena, ma presente solo attraverso la voce della gallina, il sacrificio di una madre perché un’altra madre, la donnola, possa allattare i suoi cuccioli. L’animazione, fin troppo appannaggio di happy ending e colpevolmente pronta a veicolare un’idea di crescita che non fa mai rima con dolore, ha qui una forza e una sincerità per noi inedita. La Corea del Sud ci regala quindi un film per bambini e adulti puramente pedagogico, così come lo erano le fiabe dei fratelli Grimm e i primi film di casa Disney, tra tutti Bamby, restituendo dignità ad un genere che spesso si è riscoperto ipocrita e fin troppo buonista. Grazie dunque per averci fatto aprire gli occhi verso una natura che non è né buona né cattiva, ma semplicemente è fatta di leggi che devono essere rispettate. Bando alla retorica, viva i sentimenti. Veronica Barteri VALUTAZIONI PASTORALI Arrivo di Wang (L’) – n.c. Arthur e la guerra dei due mondi – consigliabile / semplice A Simple Life – complesso-problematico / dibattiti ATM – Trappola mortale – n.c. Bel Ami – Storia di un seduttore – complesso / superficialità Biancaneve – consigliabile / poetico Buona giornata – consigliabile / brillante Ciliegine – consigliabile / brillante 50 e 50 – consigliabile / problematico Colori della passione (I) – raccomandabile-poetico / dibattiti Diaz – complesso-violento / dibattiti 17 ragazze – complesso / scabrosità …E ora parliamo di Kevin – complesso-problematico / dibattiti Furia dei Titani (La) – consigliabile / semplice Henry – complesso-ambiguo / dibattiti Hesher è stato qui – futile / scabrosità Hunger – consigliabile - problematico / dibattiti Hunger Games consigliabile / problematico Lady (The) – L’amore per la libertà – consigliabile-semplice / dibattiti Leafie – La storia di un amore – consigliabile / semplice Magnifica presenza – complesso / problematico Mio migliore incubo (Il) – consigliabile / superficialità Paradiso amaro – complesso-problematico / dibattiti Pink Subaru – consigliabile / semplice Pollo alle prugne – consigliabile / poetico Posti in piedi in Paradiso – complesso / brillante 45 Principe del deserto (Il) – consigliabile / semplice 40 carati – consigliabile / semplice Quasi amici – consigliabile / semplice Raven (The) – consigliabile / problematico Senna – Il film – n.c. Sfiorati (Gli) – complesso-problematico / dibattiti Succhiami – sconsigliato-non utilizzabile / volgarità Tre uomini e una pecora – consigliabile / superficialità To Rome With Love – consigliabile / brillante Vacanze di Natale a Cortina – consigliabile / superficialità Young Adult – consigliabile-problematico / dibattiti Film Tutti i film della stagione TORINO FILM FESTIVAL 2011 ALTMAN, SIONO, GREEN A cura di Flavio Vergerio e Davide Di Giorgio Gianni Amelio ed Emanuela Martini (insieme alla loro banda agguerritissima di curatori di sezioni e di selezionatori) hanno proposto un’edizione “monstre” del Torino Film Festival. Quello che riteniamo il più cinefilico dei festival italiani, (oltre alla proposta di film inediti del Concorso, una “informativa” di molte opere interessanti provenienti da Cannes e altri festival, anteprime, sezioni documentaristiche e altro ancora), ha offerto tre straordinarie retrospettive dedicate a un “grande” del cinema americano “non riconciliato”: Robert Altman, al nuovo regista di “culto” giapponese Siono Sion, e a un eccezionale erede del cinema “bressoniano”, Eugene Green. La New Hollywood anni ’70 dei Rafelson, Penn e Pollack manifestava un dichiarato furore icononoclasta nei confronti del capitalismo americano, viziato da un certo schematismo ideologico. Altman non crede nelle inarrestabili sorti progressive dell’umanità e si dedica piuttosto alla messa in luce dei meccanismi rappresentativi di una società i cui rapporti umani sono inguaribilmente fondati sul valore di scambio fra danaro, sesso e potere. Il mondo che egli analizza presenta una totale coincidenza fra realtà e rappresentazione, fra natura e palcoscenico. Non c’è più nei suoi film differenza fra ciò che è vero e ciò che è finto, o meglio in essi la finzione ha definitivamente sostituito il mondo reale. Una società che si è sempre retta sui miti bugiardi dell’american dream e della eterna nuova frontiera appare nei film di Altman come un assemblaggio caotico e casuale di superficialità, individualismo ipocrita, solitudine e follia. Altman dà conto di questa società con le forme della destrutturazione e della decostruzione. Un ponderoso catalogo curato dalla stessa Martini ha raccolto in occasione della retrospettiva un serie di saggi penetranti e in qualche modo “definitivi” sulla personalità del grande regista scomparso nel 2006. Le strutture narrative dei film di Eugene Green (presentato all’interno della sezione sperimentale “Onde” curata da Massimo Causo e Roberto Manassero) raccontano vicende analoghe di amori, di abbandoni e di ricerca di assoluto nel ricordo e nella sua trasformazione in una dimensione “altra”, indicibile e inconoscibile. La dimensione dell’as- senza e dell’attesa (ad esempio un uomo si innamora di una donna, che lo abbandona quando ritorna il fidanzato lontano di questa, cui lei è rimasta comunque fedele) diviene metafora di ricerca di una dimensione “spirituale” per l’uomo, nell’indeterminato e nell’infinito. Siono Sion, dopo alcune prove giovanili di cinema rigorosamente “sperimentale”, si dedica a una rivisitazione, critica, intelligente e talvolta divertita di alcuni ”generi” del cinema giapponese, dal manga, all’horror, allo splatter, alla commedia erotica. La sua è una visione dell’esistenza umana lucidamente pessimista, ma volta a svelare le origini del nostro malessere e della violenza nei rapporti interpersonali. Omaggio cinefilico voluto da Gianni Amelio quello dedicato a Dorian Gray (nome d’arte letterario di Maria Luisa Mangini), recentemente scomparsa. La Mangini, dopo una breve carriera come soubrette di rivista, si era imposta come attrice “brillante” con Totò e successivamente in alcune commedie di Franciolini, Comencini, Bianchi, Mastrocinque e Camerini. Ma aveva rivelato le sue grandi potenzialità drammatiche nell’interpretare la dolorosa figura della benzinaia Virginia ne Il grido di Antonioni. Interessante anche la sezione “Figli e amanti”, divenuta al terzo anno un appuntamento originale del TFF, in cui registi italiani “in crescita” hanno dichiarato nella scelta di un film le loro ascendenze estetiche e tematiche. Val la pena di citarli, perché non sempre scontati e quindi in qualche modo rivelatori. Kim Rossi Stuart, esordiente nella regia con il dolente Anche libero va bene, ha riproposto la storia del difficile rapporto madre-figlio di Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini; Michele Placido ha dichiarato il suo legame al neorealismo scegliendo Il tetto (1956) scritto da Cesare Zavattini e diretto da Vittorio De Sica; Ascanio Celestini ha rivelato il suo interesse per i movimenti rivoluzionari ottocenteschi riproponendo Allonsanfan (1974) di Paolo e Vittorio Taviani; Sergio Rubini ha sorprendentemente scelto una cupa storia di esplosione di violenza in Cane di paglia (1971) di Sam Peckinpah; Antonio Albanese ha proposto con Round Midnight (1986) di Bertrand Tavernier una riflessione sul dolore 46 e la solitudine dell’artista (la figura di un sassofonista jazz). IL CONCORSO In nessun altro festival come a Torino il “concorso” non è la sezione più importante, intrecciata com’è con lo “spirito” delle altre sezioni “informative” e con le retrospettive. In effetti i direttori e i selezionatori cercano più che altrove di liberarsi dalle leggi di mercato e di andare alla ricerca di opere sinceramente innovative e di registi esordienti (nell’anima più che nella biografia). Funzione di “scoperta” certamente non facile e sempre pericolosa e aleatoria. Anche quest’anno il raccolto ha dato alcuni buoni frutti e qualche delusione. La Giuria ha premiato un’opera compatta e ambiziosa dal punto di vista stilistico, Either Way (Un’altra strada) del sorprendente esordiente islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson. In un’atmosfera rarefatta e quasi metafisica, lungo una strada deserta che non sembra portare da qualche parte, due uomini, uno più anziano, l’altro più giovane, lavorano come precari alla manutenzione estiva del manto stradale. È la crisi lassù, come altrove. I due hanno qualche dissapore inespresso fra di loro (il più maturo ha un legame con la sorella del più giovane), si parlano poco, alienano le loro giornate impegnati negli stessi gesti del lavoro, del cibo e del sonno, accompagnandosi con l’ascolto di un’incongrua colonna sonora di canzoni anni ’80. Si pensa al rapporto fra il vecchio custode di dighe e il giovane liceale di Il tempo si è fermato di Olmi, ma forse siamo piuttosto dalle parti dell’umorismo nero di Kaurismaki o dei problemi comunicativi ed esistenziali di Beckett e Antonioni. Poi qualcosa sembra smuoversi, i rapporti umani si sgelano, forse si può continuare a vivere fianco a fianco. La natura immobile assiste, sorda e beffarda.... Premiato da due altre giurie esterne a quella ufficiale (Premio Cipputi per i film sul mondo del lavoro e Premio FIPRESCI dei critici stranieri) Le vendeur (Il venditore) di un altro esordiente, il canadese Sébastien Pilote, doloroso e inquietante ritratto di un vedovo, anziano venditore di auto in un desolato Qué- Film bec innevato. Vittima della “religione” del lavoro l’uomo è colpito dalla crisi del settore e annichilito dalla morte accidentale della figlia e del nipotino. Rimasto solo, l’uomo perde ogni possibile orientamento per la sua esistenza. Apologo amaro sull’alienazione di una vita dedita all’illusione dell’affermazione personale in un mondo dominato dalla metafora della “vendita” perenne, il film comunica un profondo senso di desolazione. Meno convincente a mio avviso il Premio Speciale della Giuria attribuito a 17 filles (17 ragazze) delle sorelle francesi Delphine e Muriel Colin (anch’esse esordienti), teorema troppo didascalico sulla ribellione di un gruppo di adolescenti ai programmi esistenziali imposti dalle famiglie e a una società immota (siamo in un villaggio francese solare affacciato sull’Atlantico). Le ragazze si fanno mettere incinte, rifiutando di abortire, seguendo l’esempio di una compagna dotata di un certo carisma, non tanto per amore quanto per un’affermazione libertaria e di critica a una società perbenista. Ma la logica del “tutto e subito” sarà destinata al fallimento.... Incerto fra i toni della commedia e quello acre del dramma, il film sembra alla fine vago nei suoi propositi e privo di una scelta estetica. Eppure il film trasmette un certo sapore agro-dolce destinato a produrre qualche interrogativo. Il secondo Premio Speciale è stato attribuito significativamente a un’ opera di coproduzione Emirati Arabi/Libano, Tayeb, Khalas, Yalla (Va bene, basta, arrivederci) di Rania Attieh e Daniel Garcia (di nascita libica e americana), che sembra fare il verso a Pranzo di ferragosto di Gianni di Gregorio. Si tratta di un ritratto ironico (e crudele) di uno zitellone, piccolo commerciante solitario, che entra in crisi profonda quando viene abbandonato dalla madre. Quando assume una donna eritrea per far cucina e per i lavori di pulizia rivela tutta la sua incapacità a comunicare con gli altri e il suo latente razzismo. Commedia amara, capace di rivelare alcuni aspetti nascosti della complessa società libanese. Intensa e corposa l’opera seconda del tedesco Andreas Kannengiesser, Vergiss Dein Ende (Dimentica la tua fine), cui é stato assegnato il premio per la migliore interpretazione femminile a Renate Krossner. Hannelore, una donna matura, ma ancora abitata da pulsioni e da voglia di vivere, si occupa praticamente a tempo pieno del marito disabile, colpito da demenza senile. Logorata da una situazione disperante, la donna fugge in un villaggio sul Mar Baltico, raggiungendo Gunther, un vicino di casa che sembra interessarsi a lei, e abbandonando il marito alle cure del figlio inesperto. Ma la fuga durerà poco: Gunther, omosessuale, è chiuso nel suo dolore per la morte del compagno, il figlio non è in grado di accudire il padre e la donna ritorna nella sua prigione esistenziale. Il film si impone per la sua forza drammaturgica e l’intenso realismo delle situazioni descritte, privo di buonismo e infingimenti. Tutti i film della stagione Inconsueto dramma carcerario, Ghosted (Isolato) di un altro esordiente, l’inglese Craig Viveiros, descrive la lotta per la sopravvivenza e la riconquista dei legami familiari di Jack un delinquente che manifesta in prigione un comportamento irreprensibile per ottenere un sconto della pena e poter così riabbracciare la moglie. Quando la moglie lo lascia nell’anniversario della morte del figlio, l’uomo si chiude nel più cupo dolore. Per sopravvivere si dedica alla protezione di Paul un giovane che rischia di farsi manipolare da un gruppo di carcerati, violenti spacciatori di droga e che lo obbligano a rapporti omosessuali. Quando però scopre che Paul è coinvolto nell’uccisione del figlio, rischia di ucciderlo e lo perdona solo all’ultimo momento. Il film manifesta una forte tensione drammatica che il regista ottiene con la capacità di descrivere i rapporti di violenza reciproca e di dominio psicologico fra i carcerati in una dimensione claustrofobica. Il film ha ottenuto il premio per la migliore interpretazione maschile al già noto Martin Compston (Paul). Interessanti a vario titolo altri film dimenticati dal palmarés. Ganjeung (Una confessione) del coreano Park Soo-min è il ritratto inquietante di un vecchio torturatore della polizia, perseguitato dai rimorsi. Il suo ravvedimento e la riconquista della fede si concluderanno paradossalmente in tragedia. Seh-o-nim (Tre e mezzo) dell’iraniano Naghi Nemati narra il tentativo frustrato di tre ragazze carcerate che approfittano di un permesso di libera uscita per tentare una fuga all’estero alla ricerca di migliori condizioni di vita. Si scontrano con una serie di difficoltà che farà abortire il tentativo. Il film denuncia con le consuete (per il cinema iraniano) armi dell’allusione e del non-detto lo stato di polizia in cui versa il Paese e il profondo maschilismo che opprime la donna. Oggetto curioso e difficile a mio avviso da definire Serbuan maut (Il raid) del gallese Gareth Huw Evans che narra l’attacco di una squadra di polizia indonesiana al covo di una banda di trafficanti di droga e assassini. Male e bene si confondono: i “cattivi” stanno da ambedue le parti. Il film si sviluppa attorno a una serrata interminabile sequela di scontri di arti marziali e di sparatorie. Ma non si tratta solo di un action movie. Il talentuoso regista nobilita la messa in scena con un alto livello coreografico e con un distanza critica rivelata dall’ironia. Apparentemente commedia classica hollywoodiana Win Win dell’americano Tom McCarthy, già noto per L’ospite inatteso, delicata operina sull’integrazione, rivela un doppio fondo amarognolo. Il protagonista Mike è un piccolo avvocato in crisi (accattivante interpretazione di Paul Giamatti) che si dedica nel tempo libero ad allenare una sfigata squadra di lotta libera di un liceo. Un suo cliente gli affida un nipote introverso che si rivela un piccolo campione nella disciplina. Ma dietro il suo buonismo si nasconde l’interesse economico 47 (si appropria impropriamente dell’eredità della madre). Commedia dei rapporti umani, ma anche occasione per riflettere sulla doppiezza dell’animo umano. Flavio Vergerio FESTA MOBILE: UNO SPAZIO IN MOVIMENTO La sezione “Festa Mobile” tenta di essere qualcosa in più di un contenitore/cuscinetto situato fra le altre proposte codificate del festival (ovvero il concorso e le retrospettive): la sua ambizione è quella di definire uno spazio “fluido”, all’interno del quale l’eterogeneità delle offerte costituisca la vera cifra stilistica, che sia perciò capace di fornire allo spettatore la possibilità di creare percorsi personali, tanto più stimolanti quanto coraggiosi e sorprendenti si rivelano gli accostamenti. Uno spazio che dunque è, allo stesso tempo, di sperimentazione e di consolidamento, lungo la doppia direttrice di conservazione/ riscoperta e di ricerca/folgorazione che ha sempre contraddistinto la manifestazione piemontese. Virtualmente impossibile da esplorare nella sua interezza, “Festa Mobile” si offre con la forza di un programma che vede affiancati nomi importanti come Werner Herzog, Aki Kaurismaki, Woody Allen, Alexander Payne e Christophe Honoré, talenti di genere come Jaume Balaguerò o Juan Carlos Fresnadillo, ma anche nuove scoperte come Clay Jeter e Valerie Donzelli, senza dimenticare un’intera sezione dedicata ai documentari (“Figure nel paesaggio”). Difficile pertanto cercare una traccia comune, che non sia quella di un’espressione cinematografica stratificata e complessa e, forse anche per questo, ci pare che uno dei percorsi più interessanti sia quello che definisce una doppia natura interna ai singoli film, che spesso si pongono in una prospettiva, salvo poi disattendere consapevolmente le aspettative, portando lo spettatore verso derive inattese. Come definire altrimenti il Woody Allen che in Midnight in Paris carezza l’effetto nostalgia salvo poi portarci alla conclusione che il rimpianto per il passato è frutto unicamente dell’errore soggettivo di chi guarda? O il Balaguerò che con il suo Mientras Duermes sembra comporre un thriller hitchcockiano su un portiere che perseguita una bella inquilina, salvo poi provare empatia per un protagonista afflitto da solitudine e desiderio di normalità? Tutto questo mentre il francese Honoré in Les Bien Aimés passa in rassegna decenni di storia contemporanea con il piglio lieve del musical e il taglio più cupo del melodramma sul desiderio d’amore che muove il mondo. Forse a sintetizzare meglio di tutti il percorso è l’Albert Nobbs di Rodrigo Garcia, incentrato sulla figura duplice di una donna che indossa abiti maschili fingendo una seconda identità e che vede mattatrice la grande Glenn Close. Film È chiaro che quando, al contrario, il film si ripiega su meccanismi più tipici, il risultato appaia invece più scontato e poco interessante, come dimostra l’horror Bereavement, di Stevan Mena, ennesimo esercizio sull’educazione del serial killer di turno, che non riesce mai a spiccare realmente il volo. Ma può anche capitare che un’opera apparentemente programmatica come Jess + Moss, di Clay Jeter, sull’estate di due cugini americani alle prese con i reperti vintage di una casa abbandonata, sia al contrario capace di sprigionare un lirismo autentico sul senso di appartenenza al proprio tempo e sui sentimenti che muovono il presente in una generazione ancora ignara del futuro e ingenuamente curiosa rispetto al passato: le atmosfere ipnotiche, l’importanza dei luoghi e degli oggetti, insieme agli splendidi paesaggi diventano così la chiave per esprimere emozioni intime e universali al tempo stesso. Anche questo è un esempio di quel rapporto felice fra immediatezza e complessità che “Festa Mobile” riesce a esprimere molto bene. RAPPORTO CONFIDENZIALE: OMAGGIO A SION SONO Le fonti sono un po’ contraddittorie, ma intrecciandole per quanto possibile, risulta che Sion Sono abbia diretto 22 fra medi e lungometraggi, cui vanno aggiunti anche gli immancabili corti: si tratta senza dubbio di un talento Tutti i film della stagione prolifico, ben più espanso di quanto non facesse immaginare il “caso” Suicide Club, che fece parlare di sé anni fa a causa dell’incipitshock in cui un gruppo di studentesse si lancia sotto un treno. Pertanto la riscoperta torinese arriva graditissima e, sotto molti aspetti, opportuna per offrire qualche appiglio più solido. La sezione “Rapporto Confidenziale” non ha puntato sull’integralità assoluta della selezione, ma su una proposta qualitativa che cercasse di restituire le molteplici sfaccettature dell’opera di Sono, dai corti di inizio carriera, al passaggio al lungo in Super 8, fino al successo e alle moderne sperimentazioni di titolifiume come Love Exposure, sorprendente sarabanda di toni grotteschi e melò, combinati con un gusto autentico del fare cinema. In effetti ciò che colpisce positivamente dell’autore è la sua capacità di giocare con gli opposti, evidenti già nell’eleganza discreta dei suoi modi, nelle sue dichiarazioni sempre a favore di un rapporto pieno e complice della vita, contrapposte a pellicole dove si affronta il tema del suicidio, e i personaggi sembrano oppressi non tanto da un destino crudele, quanto da una sovrastruttura sociale e culturale che sembra premere perché ogni afflato vitalistico sia ricondotto in percorsi di normalizzazione e – in ultima istanza – di infelicità. Da questo punto di vista Sono è un artista critico nei confronti del suo presente e del mondo in cui vive, in un intelligente mix di sensazioni che lo porta a riflettere sui meccanismi emulativi tipici della società basata su icone e fenomeni pop (in Suicide Club sembra che la piaga del suicidio fra i giovani sia veicolata da un gruppo canoro), ma anche su malesseri innati che affondano poi in rapporti umani basilari, come quello familiare o di lavoro. Il tutto con un gusto per l’invenzione visiva davvero trascinante, che rende ogni sua opera una sfida dai toni molto forti, che rovescia letteralmente addosso il suo malessere, ma che è anche capace di affascinare per la perizia dimostrata nei confronti del mezzo. Così, violenza esibita e rapporti umani complessi si configurano ogni volta in diverse modalità espressive tipiche dei linguaggi di genere: Strange Circus (2005) è una sorta di moderna rappresentazione grand-guignol, Hair Extension (2007) una risposta ai cliché del “J Horror” alla Ring, mentre Cold Fish è una spietata discesa agli inferi in cui un povero padre di famiglia si ritrova prigioniero di una situazione senza uscita a causa di un collega di lavoro che lo rende complice dei suoi omicidi. Capita poi che il titolo-outsider sia quello che riesce a affrontare i temi personali con una piega intimista che risulta perciò ancora più sorprendente: è il caso di Be Sure to Share (2009), in cui un giovane affronta il dramma della malattia paterna con una delicatezza di toni che all’amarezza generale accompagna una sincera voglia di serenità e di condivisione delle emozioni. Una perfetta teorizzazione delle sensazioni duali che suscita la figura di Sion Sono. Davide Di Giorgio IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 30,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 48 3&4!()5!+!*67'5(!85!#$!*&8#667'& +!,-!89:;.<!81<<9;;.<=!$-:>!7/?9/1,! 35($@($&A& +!,-!6./29?!*-<BC Euro 5,00
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