91 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO Anno XIV (nuova serie) n. 91 gennaio-febbraio 2008 n. 91 Altra giovinezza (Un’) ........................................................................ 49 Bimestrale di cultura cinematografica American Gangster ........................................................................... 11 Edito dal Centro Studi Cinematografici Assassino di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (L’) .... 22 Bentornato Pinocchio ........................................................................ 26 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Bianco e nero .................................................................................... 25 Biùtiful Cauntri ................................................................................... 42 Caos calmo ........................................................................................ 58 Caso Thomas Crawford (Il) ................................................................ 9 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Come tu mi vuoi ................................................................................. 24 Cous Cous ......................................................................................... 43 2061: un anno eccezionale ................................................................ 23 Falsario (Il) – Operazione Benhard ................................................... 52 Fine pena mai .................................................................................... 48 Forse Dio è malato ............................................................................ 35 Giorni e nuvole .................................................................................. 5 Si collabora solo dietro invito della redazione Grande grosso e... Verdone ............................................................... 54 Guardiani del giorno (I) ...................................................................... 53 Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Guerra di Charlie Wilson (La) ............................................................ 4 Innocenza del peccato (L’) ................................................................. 14 Into the Wild – Nelle terre selvagge ................................................... 31 John Rambo ...................................................................................... 45 Leoni per agnelli ................................................................................ 17 Lussuria – Seduzione e tradimento ................................................... 20 Non è mai troppo tardi ....................................................................... 6 Non è un paese per vecchi ................................................................ 47 Parlami d’amore ................................................................................. 46 Parole sante ...................................................................................... 41 Paura primordiale .............................................................................. 40 Persépolis .......................................................................................... 27 Petroliere (Il) ...................................................................................... 2 Prospettive di un delitto ..................................................................... 51 Resident Evil: Extinction .................................................................... 19 Rush Hour – Missione Parigi ............................................................. 16 Scafandro e la farfalla (Lo) ................................................................ 34 Scusa ma ti chiamo amore ................................................................ 32 Signorinaeffe .................................................................................... 13 Sogni e delitti ..................................................................................... 56 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Chiara Cecchini Davide Di Giorgio Alessio Granato Silvio Grasselli Maria Luisa Molinari Diego Mondella Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Ivan Polidoro Valerio Sammarco Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Spaccacuori (Lo) ............................................................................... 8 Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street ......................... 29 30 giorni di buio ................................................................................. 39 Tutta la vita davanti ............................................................................ 37 Uomo qualunque (Un) ....................................................................... 36 Tutto Festival Venezia ........................................................................ 60 Film Tutti i film della stagione IL PETROLIERE (There Will Be Blood) Stati Uniti, 2007 Supervisore musiche: Linda Cohen Canzoni/Musiche estratte: “Fratres for Violin and Piano” di Arvo Part; “Violin Concerto in D Major op.77:3. Vivace non troppo” di Johannes Brahms (Berliner Philarmoniker” Interpreti: Daniel Day-Lewis (Daniel Plainview), Paul Dano (Paul Sunday/Eli Sunday), Kevin J. O’Connor (Henry Brands), Ciarán Hinds (Fletcher Hamilton), Russell Harvard (H. W. Plainview), Colleen Foy (Mary Sunday), Coco Leigh (sig.ra Bankside), Paul F. Tompkins (Prescott), David Willis (Abel Sunday), Jacob Stringer, Matthew Branden Stringer (operai Silver Assay), Dillon Freasier (H. W. Plainview giovane), Harrison Taylor, Stockton Taylor (H. W. Plainview neonato), Randall Carver (sig. Bankside), Sidney McCallister (Mary Sunday giovane), Christine Olejniczak (madre Sunday), Kellie Hill (Ruth Sunday), James Downey (Al Rose), Dan Swallow (Gene Blaize), Robert Arber (Charlie Wrightsman), Bob Bell (geologo), David Williams (Ben Blaut), Joy Rawls, Louise Gregg, Amber Roberts (seguaci di Eli), Robert Caroline, John W. Watts, Barry Bruce (lavoratori del petrolio), Irene G. Hunter (sig.ra Hunter), John Chitwood (dottore), Hope Elizabeth Reeves (Elizabeth), David Warshofsky (H. M. Tilford), Tom Doyle (J. J. Carter), Colton Woodward (William Bandy), John Burton (LP Clair), Hans Howes (sig. Bandy), Robert Barge (barista), Robert Hills (interpreti di H. W. Plainview), Bob Bock (prete), Vince Froio, Phil Shelly (domestici di Plainview), Ronald Krut, Huey Rhudy, Steven Barr, Kevin Breznahan, Jim Meskimen, Erica Sullivan Durata: 158’ Metri: 4400 Regia: Paul Thomas Anderson Produzione: Paul Thomas Anderson, Daniel Lupi, JoAnne Sellar per Ghoulardi Film Company/Paramount Vantage/Miramax Films Distribuzione: Buena Vista International Italia Prima: (Roma 15-2-2008; Milano 15-2-2008) Soggetto: liberamente tratto dal romanzo Petrolio! Di Upton Sinclair Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson Direttore della fotografia: Robert Elswit Montaggio: Dylan Tichenor Musiche: Jonny Greenwood Scenografia: Jack Fisk Costumi: Mark Bridges Produttori esecutivi: Scott Rudin, Eric Schlosser, David Williams Casting: Cassandra Kulukundis Aiuti regista: Adam Somner, Richard Oswald, Eric Richard Lasko, Jerry Nolan, Ian Stone Operatore/Operatore steadicam: Colin Anderson Art director: David Crank Arredatore: Jim Erickson Trucco: John Blake, Catherine Conrad, Kim Ayers Acconciature: Linda D. Flowers, Lupe Devine, Sharon Ray Ely, Yesmin ‘Shimmy’ Osman Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin Supervisore effetti visivi: Grady Cofer, Paul Graff Coordinatore effetti visivi: Erin D. O’Connor Supervisore costumi: Eden Clark Coblenz C alifornia, 1898. Mentre in una delle sue esplorazioni è intento a scavare tra le pareti rocciose del sottosuolo, il minatore Daniel Plainview trova una pietra macchiata di petrolio. Quattro anni dopo, durante una discesa in un pozzo, è vittima di un incidente nel quale, però, riesce a salvarsi. 2 Un lavoratore, invece, perde tragicamente la vita. Daniel decide allora di farsi carico del neonato che lo sfortunato collega ha lasciato orfano. Da questo momento, comincia a viaggiare assieme al bambino, ribattezzato H.W., in cerca di terre utili da poter trivellare. Un giorno, un giovane di nome Paul Sunday si reca da lui domandandogli quanto è disposto a pagare per un podere pieno di giacimenti. Il ragazzo gli rivela il posto, ma soltanto a patto di avere subito cinquecento dollari. Padre e figlio si avviano alla fattoria dei signori Sunday per verificare lo stato del terreno che, malgrado appaia brullo e povero di risorse, si conferma ricco di petrolio. Plainview giunge a un compromesso con l’altro figlio, Eli, che avanza la richiesta di diecimila dollari per finanziare la chiesa della “Terza Rivelazione”. Acquista, quindi, tutte le proprietà e chiama i suoi operai per aiutarlo nell’impresa. Si presenta poi agli abitanti del luogo come un “salvatore”, assicuran- Film do loro un futuro fiorente, fatto di strade, istruzione, agricoltura, acqua e pane per tutti. Ma i suoi piani si scontrano con la prepotenza del pastore Eli e con un destino avverso. Dopo aver perso un uomo a seguito dell’ennesima disgrazia, non riesce ad evitare al figlio, che è stato coinvolto in un’esplosione, una grave menomazione all’udito. Per farlo curare lo manda in un istituto per sordomuti. Daniel si illude anche di aver ritrovato suo fratello, ma presto si accorge di essere stato ingannato e si sbarazza dell’impostore. Prima di potersi accordare con la Union Oil e realizzare una condotta che arrivi fino all’oceano, deve cedere al ricatto del devoto Bandy. Il quale, in cambio della cessione della propria terra, pretende che si converta. Nel 1927, H. W. si sposa con la figlia dei Sunday, Mary, e progetta di andare a vivere con lei in Messico per fondare una società tutta sua. Quando il padre, solo e alcolizzato, capisce che diventerà un suo diretto concorrente, lo caccia di casa. Plainview riceve infine la visita di Eli che, nonostante sia diventato un popolare predicatore, versa in condizioni economiche disperate. Per il vecchio magnate è giunto il tempo della vendetta: dopo averlo umiliato e obbligato a pentirsi della sua superbia, infierisce su di lui con un birillo fino ad ammazzarlo. N ella vita artistica di un grande cineasta, e lo è stato per alcuni maestri del cinema americano come Huston, Welles, Malick o Scorsese, arriva un momento in cui bisogna misurarsi con la Storia. Inoltrarsi nelle profondità più oscure e sgradevoli dell’animo umano per risalire alle origini di un popolo. Proprio questo percorso, così impervio e ambizioso, è alla base dell’ultimo lungometraggio del geniale Paul Thomas Anderson, il quinto di una carriera dagli esiti prodigiosi. Sono innumerevoli i riferimenti che si potrebbero abbozzare per un’opera di tale portata. Da Greed di von Stroheim, in cui il duello finale nella Valle della Morte tra McTeague e Marcus assomiglia all’orrorifica resa dei conti consumata nella sala da bowling, a Il Tesoro della Sierra Madre. Da Quarto Potere a Il Gigante, il kolossal di Stevens, in cui il personaggio di Rink, ossessionato anch’egli dall’oro nero, Tutti i film della stagione raggiunge abominevoli vette di crudeltà al pari di Plainview. Forse, però, nessuna di queste celebri pellicole riesce a rappresentare il sentimento di avidità con la stessa spregiudicatezza e incisività di Il Petroliere. Daniel Day-Lewis, in virtù di uno scrupoloso lavoro sull’interpretazione (che gli è valso l’Oscar), trasuda cinismo da tutti i pori, facendo parlare perfino il lercio che ha sotto le unghie. E anche qui le analogie con figure letterarie degne della sua rapacità si sprecherebbero: Achab, Fagin, Shylock... . Questo grandioso ed epico affresco passerà agli annali come un impietoso studio psicologico sugli istinti più belluini dell’essere umano, sulla sua innata misantropia. E, come spesso accade nelle sceneggiature dell’autore di Magnolia, i presupposti di tali comportamenti sono da ricercare nella famiglia, autentico “flagello” in cui covano rabbia e frustrazione (vedi il rapporto contrastato di Eli col genitore e la rivalità con il gemello Paul). Il protagonista è un individuo maledettamente arroccato nel proprio egocentrismo per dimostrarsi sensibile con il prossimo. Con un nebuloso passato privo di affetti, deve “accontentarsi” di relazioni sostitutive: con un figlio adottivo e un falso fratello. Sembra paradossale, eppure la vicenda narrata dal californiano Upton Sinclair nel romanzo Oil!, tolte le sue valenze politiche e sociali, potrebbe essere letta semplicemente come la storia, tenera e impossibile, tra un padre e un figlio. Prima salvato e allevato, poi “abbandonato” e quindi riaccolto e, infine, ripudiato per sempre. Lo sguardo tagliente di Anderson, forse esageratamente cupo, non risparmia di colpire due bersagli, che costituiscono le facce di una stessa medaglia: l’America. L’arrivismo economico, l’accumulo di capitale a ogni costo, la filosofia perversa del self-made man, da una parte; il fanatismo religioso, il potere spirituale dei presunti profeti, la strumentalizzazione della fede, dall’altra. È questa ultima questione quella che sta più a cuore al regista. Non a caso, il motivo del “sangue”, richiamato dal titolo originale There Will Be Blood, è di derivazione biblica (nella scena del battesimo Plainview invoca infatti il sangue dell’Agnello per avere la salvezza). Il pastore che scaccia via il demonio con pratiche quasi esorcistiche (nel film ha il volto del giovane ma preparatissimo Paul 3 Dano) non è altri che il portavoce di quella corrente “fondamentalista” del cristianesimo che oggi è in ascesa e rappresenta lo zoccolo duro dell’elettorato repubblicano. L’ammirabile impudenza di Anderson nel proporre un’opera così controversa e “politicamente scorretta” non è stata perdonata né dal pubblico, né dai membri dell’Academy (come fu d’altronde per Gangs of New York). A testimonianza del fatto che, quando agli americani vengono rammentate le proprie radici, fatte di odio, afflizione, violenza e immoralità, preferiscono fare gli struzzi... . Il netto e blasfemo rovesciamento dell’“american dream”, nonché del classico western, offerto da Il Petroliere, è sostenuto da un impianto figurativo altrettanto radicale. Gli spazi sconfinati del deserto texano, con le sue aride colline (identica location di Non è un paese per vecchi dei Coen), rivivono sullo schermo grazie alla splendida fotografia di Robert Elswit che, ora abbacinante ora rugginosa, non ha nulla da invidiare a quella di Almendros in I giorni del cielo. La sequenza che chiude la prima parte non ha precedenti nella storia del cinema in termini di potenza del linguaggio. H. W. segue da una tettoia le trivellazioni, quando all’improvviso uno scoppio di gas lo scaraventa a terra. Il padre, che assiste all’incidente, corre a salvarlo e lo fa riparare nell’ufficio. Ma, non appena vede che il pozzo brucia, lo lascia e si dirige verso l’incendio. È impressionante il repentino capovolgimento di situazione: in pochi istanti l’assolato paesaggio si trasforma in un inferno di fiamme e fumo, dove gli operai appaiono ridotti a lugubri ombre. È encomiabile, poi, la destrezza registica con cui Anderson costruisce questo nodo cruciale del racconto: un montaggio ansiogeno, in cui si alternano scene di massa ai volti tesi in primo piano dei protagonisti che fissano la torre, quasi fosse una sorta di totem, è accompagnato da una musica tambureggiante che sottolinea la tensione sprigionata dal precipitare degli eventi. Uno degli esempi più felici di come la presenza di una colonna sonora straniante, frutto del prezioso contributo del chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood (il vero “valore aggiunto” di Il Petroliere), si sposi perfettamente con la visceralità delle immagini. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione LA GUERRA DI CHARLIE WILSON (Charlie Wilsons War) Stati Uniti, 2007 sta ed eseguita da Barry White; “Opus 1” di Speedy West (Jimmy Bryant); “Siboney” di Ernesto Lecuona; “Pakistani Marketplace” composta ed eseguita da E. Prion, O. Prion; “Farewell of Slavianka” (The Red Army Choir); “Israeli Café n. 3” composta ed eseguita da Shai Hadad; “Bad Girls” di Donna Summer, Joe Esposito, Ed Hokenson, Bruce Sudano (Donna Summer); “Ladies Night” di George Funky Brown, Robert Kool Bell, Ronald Bell, J. T. Taylor, Earl Toon, Dennis D. T. Thomas, Claydes Smith, Meekaaeel Muhammad (Kool & The Gang); “Let’s Dance” composta ed eseguita da David Bowie; “Ths Little Light of Mine” arrangiata da Ry Cooder (Mavis Staples) Interpreti: Tom Hanks (Charlie Wilson), Emily Blunt (Jane Liddle), Amy Adams (Bonnie Bach), Julia Roberts (Joanne Hering), Philip Seymour Hoffman (Gust Avrakotos), Shiri Appleby (Jailbait – Charlie’s Angels), Mary Bonner Baker (Marla – Charlie’s Angels), Rachel Nichols (Suzanne – Charlie’s Angels), Ned Beatty (Doc Long), Terry Bozeman (annunciatore premi CIA), Brian Markinson (Paul Brown), Jud Tylor (Crystal Lee), Hilary Angelo (Kelly), Cyia Batten (Stacey), Ed Regine (autista limousine), Daniel Eric Gold (Donnelly), Peter Gerety (Larry Liddle), Wynn Everett (receptionist – Charlie’s Angels), P. J. Byrne (Jim Van Wagenen), John Slattery (Henry Cravely), Joe Roland (McGaffin), Patrika Darbo (banditore), Salaheddine Ben Chegra (steward pakistano), Om Puri (Presidente Zia), Faran Tahir (Generale Rashid), Amanda Loncar (schiava), Rizwan Manji (colonnello Mahmood), Maurice Sherbanee, Salam Sangi, Navid Negahban, Mozhan Marnò, Michelle Arthur, Shila Vossugh Ommi (profughi), Habib Saba (ragazzo afgano), Nadia Miller (ragazza afgana), Edward Hunt (arine ambasciata), Michael Haley (ufficiale ambasciata), Denis O’Hare (Harold Holt), Michael Spellman (agente Patrick), Russell Edge (agente Wells), Christopher Denham (Mike Vickers), Ken Stott (Zvi), Aharon Ipalé (Ministro Difesa egiziano), Mary Bailey (segretaria Doc Long), Trish Gallaher Glenn (assistente di Joanna), Ron Fassler (Mario), Enayat Delawary (interprete di Doc Long), Nancy Linehan Charles (sig.ra Long), Daston Kalili (interprete Mujahideen), Pavel Lychnikoff, Ilia Volokh, Alexander Lvovsky (piloti elicottero russi), Jim Jansen, Harry S. Murphy, Spencer Garrett, Kevin Cooney (giunta congresso), Kirby Mitchell, Thomas Crawford, Joseph Sikora, Gabriel Tigerman, Patrick Bentley, Marc Pelina, Sammy Sheik, Moneer Yaqubi, Gabriel Justice, Siyal Mohammad, Quill Roberts Durata: 102’ Metri: 2559 Regia: Mike Nichols Produzione: Tom Hanks, Gary Goetzman per Good Time Charlie Productions/Universal Pictures/Playtone/Participant Productions/Relativity Media Distribuzione: Universal Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008) Soggetto: dal libro Charlie Wilson’s War: the Extraordinary Story of the Largest Covert Operation in History di George Crile Sceneggiatura: Aaron Sorkin Direttore della fotografia: Stephen Goldblatt Montaggio: John Bloom, Antonia Van Drimmelen Musiche: James Newton Howard Scenografia: Victor Kempster Costumi: Albert Wolsky Produttori esecutivi: Celia D. Costas, Ryan Kavanaugh, Jeff Skoll Produttori associati: Mary Bailey, Edward Hunt, Paul A. Levin Co-produttore: Mike Haley Direttori di produzione: Cristen Carr Strubbe, Nigel Marchant Casting: Ellen Lewis Aiuti regista: Nathalie Vadim, Mohamed Nesrate, Michael Haley, Basil Grillo, Mustapha Grumij, Matthew Heffernan, Mark Trapenberg Operatori: Trevor Coop, Ray De La Motte Operatore steadicam: Will Arnot Art directors: Maria Teresa Barbasso, Brad Ricker, Alessandro Santucci Trucco: Luisa Abel, Kimberley Spiteri, Douglas Noe, Ruth Haney, Simone Almekias-Siegl, Kim Collea, Jake Garber, Silvi Knight, Rick Sharp Acconciature: Janice Alexander, Donna J. Anderson, John Isaacs Suono: Nourdine Zaoui Supervisori effetti visivi: Helena Parker (WhooDoo EFX), Robert Skotak (4Ward Productions), Richard Edlund Coordinatore effetti visivi: Sarah Vinson Coordinatori effetti speciali: John C. Hartigan, Andy Williams Supervisore costumi: Bob Morgan Supervisore musiche: Deva Anderson Canzoni/Musiche estratte: Stomp” di Rod Temperton, Louis E. Johnson, George Henry Johnson, Valerie Johnson (The Brothers Johnson); “Angel of the Morning” di Chip Taylor (Juice Newton); “Never, Never Gonna Give You Up” compo- A nni Ottanta negli Stati Uniti. Charlie Wilson è un imprenditore texano eletto al Congresso come esponente del partito dei Liberali. La sua vita dissoluta e godereccia ruota intorno a festini a base di cocaina e numerose amanti. Tra queste spicca una ricca possedente, Joanne Herring, che lo convince a stanziare aiuti al popolo afgano contro l’ingerenza sovietica. Inizia così, per Wilson, una campagna atta a unire gruppi politici e nazioni da sempre in conflitto come Israele, Egitto e Pakistan in nome di un nemico comune. Ma non solo, grazie all’aiuto della CIA, nella persona di Gut Avrakotos, riesce a fornire ai ribelli in Afghanistan le armi più sofisticate e un adeguato addestramento militare. Queste operazioni vengono effettuate, naturalmente, in maniera ufficiosa e portano a una clamorosa sconfitta dell’Unione Sovietica. 4 Charlie Wilson è soddisfatto, ma chiede un ulteriore sforzo ai suoi colleghi: fare delle opere umanitarie nelle zone devastate da questa guerra. La sua proposta non viene considerata e all’uomo non resta che riflettere sull’operato degli americani e sul loro modo di portare la pace. S e la Storia non avesse messo il suo sigillo La guerra di Charlie Wilson sarebbe risultato un otti- Film mo esempio di fantafiction. Vedere, infatti, il Congresso americano affannarsi per mandare denaro ai ribelli afgani o, addirittura, la CIA svelar loro segreti militari, considerata l’attuale situazione mondiale, ha quasi dell’incredibile. Ma la pellicola di romanzato ha ben poco. Siamo nei primissimi anni Ottanta, il deputato texano Charlie Wilson organizza, sotto consiglio dell’amante sfegatata anticomunista, una bizzarra quanto improbabile alleanza fra Israele, Egitto e Pakistan in favore dell’Afghanistan minacciato dall’ingerenza sovietica. All’urlo di “pericolo rosso”, ogni mezzo viene considerato lecito da Wilson per fortificare le sue schiere incluse soluzioni “alternative”(come ingaggiare danzatrici del ventre) per far crollare le reticenze dei politici più coriacei. Dopotutto certe furberie sono quasi la regola per uno che assume le sue dipendenti in base alla circonferenza seno (seguendo il motto «posso insegnar loro a battere a macchina non a farsi crescere le tette»)! A questo proposito, è d’obbligo far no- Tutti i film della stagione tare che la pellicola non mostra un ritratto politically correct del deputato texano dedito ad alcool, cocaina e ammucchiate, ma, nonostante questo, lo rende accattivante rivelando le sue abilità di politico sottile e di uomo dal raro ingegno diplomatico. A vestirne i panni cinematografici il sempre bravo Tom Hanks che, nonostante una faccia troppo “pulita” per far esplodere completamente il personaggio, riesce a tener testa a dei comprimari, Julia Roberts e Philip Seymour Hofmann, entrambi in ottima forma. I tre, merito di una sceneggiatura senza compromessi firmata Aaron Sorkin, riescono a mettere in scena dei dialoghi graffianti che non lesinano critiche a nessuno e che danno ritmo a un intreccio di per sé già molto interessante. Alla regia, Mike Nichols cerca di mantenere il tono brillante e satirico che caratterizza questa commedia senza però rinunciare alla concreta opportunità di dire qualcosa in più, magari camuffando il tutto dietro uno sketch irriverente. La scelta di usare un linguaggio cinematografico scanzonato e leggero, infatti, è forse l’unico modo per raccontare una storia così lontana e allo stesso tempo così pregna di attualità come il foraggiamento dei ribelli afgani; una vicenda che in molti “fingono” di non ricordare, ma che è la testimonianza (insieme a migliaia di altri avvenimenti) di quanto la Storia, nel suo lento mutare, sia docente testarda pronta a riproporre la sua lezione, a noi studenti zucconi, più e più volte. E, in riferimento a questo, appare ancora più toccante il mea culpa finale di Wilson, quando ammette che un grande difetto americano non è quello di esportare la democrazia a propria discrezione, ma l’incapacità di colmare, in un secondo momento, le voragini fisiche ed emotive, che le bombe “amiche” creano nei luoghi beneficiati dalla loro attenzione. Probabilmente nessun politico americano ha detto questo, ma ci piace pensare che sia così. Francesca Piano GIORNI E NUVOLE Italia/Svizzera, 2007 Regia: Silvio Soldini Produzione: Lionello Cerri per Lumière & Co., Tiziana Soudani per Amka Films Productions/RTSI. Con il contributo del Mibac, Eurimages Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007) Soggetto: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Silvio Soldini Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Silvio Soldini, Federica Pontremoli Direttore della fotografia: Ramiro Civita Montaggio: Carlotta Cristiani Musiche: Giovanni Venosta Scenografia: Paola Bizzarri Costumi: Silvia Nebiolo, Patrizia Mazzon Organizzatore generale: Antonella Viscardi Direttore di produzione: Attilio Moro Casting: Jorgelina Depetris Aiuto regista: Cinzia Castania Suono: (presa diretta) François Musy E lsa e Michele sono una coppia benestante che vive a Genova. Sposati felicemente da vent’anni, hanno una figlia, Alice, che con il proprio compagno ha aperto un bistrot. Elsa ha lasciato il lavoro, per portare a termine un sogno: laurearsi in storia dell’arte, mentre Miche- Interpreti: Margherita Buy (Elsa), Antonio Albanese (Michele), Alba Rohrwacher (Alice), Giuseppe Battiston (Vito), Carla Signoris (Nadia), Fabio Troiano (Riki), Paolo Sassanelli (Salviati), Arnaldo Ninchi (padre di Michele), Antonio Carlo Francini (Luciano), Teco Celio (ragionier Terzetti), Carlo Scola (Fabrizio), Alberto Giusta (Roberto), Orietta Notari (sig.ra Carminati), Nicoletta Maragno (restauratrice), Arianna Comes (apprendista restauro), Tatiana Lepore (Cristina), Roberto Serpi (Claudio), Mario Parrinello (Jacopo), Alessandro Dufour (sig. Melzi), Luisa Jane Rusconi (sig.ra Melzi), Lindamilage Pathmini Fernando (Daisy), Manuela Parodi (collega di Alice al bistrot), Silvia Gallerano (impiegata agenzia lavoro), Mariella Tacchella (acquirente casa), Michela Carri (segretaria ditta), Daniele Gatti (intervistatore), Lisa Galantini (selezionatrice call center), Marco Salotti (professore), Fabio Fiori (agente immobiliare), Andrea Sivelli (cacciatore di teste), Marika Ceregini (segretaria ditta Michele), Elsa Bossi (direttrice casa di riposo) Durata: 116’ Metri: 3166 le lavora con due soci in un’azienda che lui stesso ha fondato. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando Elsa si laurea. Infatti, subito dopo, Michele confessa alla moglie di aver perso il lavoro da due mesi: licenziato dagli altri due soci perché ritenuto non troppo moderno e ostile ai nuovi 5 metodi di gestione. Michele si trova a quarant’anni a essere un manager disoccupato. La situazione è disastrosa; è necessario vendere la barca e perfino la casa per riuscire a estinguere il debito con la banca. Elsa è risentita per non aver saputo nulla prima e decide di lasciare il suo la- Film voro come restauratrice per trovarsi un’occupazione più remunerativa. Dopo il trasferimento in una casa più piccola, anche Michele inizia a fare colloqui, ma incontra lavori sempre più deludenti e mortificanti. Arriva persino a chiedere indietro i soldi prestati tempo prima a un amico, ma con pessimi risultati. Mentre Elsa comincia a lavorare in un call center, Michele passa le sue giornate a casa a oziare, fino a quando si accontenta di un lavoro come pony express pur di sfuggire alla depressione. Umiliato per essere stato visto dalla figlia, l’uomo prova allora a reinveintarsi un lavoro come imbianchino insieme a due ex suoi dipendenti. Fallito anche quest’ultimo tentativo, Michele è sempre più apatico e distante. Un rapporto coniugale che prima sembrava a prova d’urto ora comincia a sgretolarsi. Elsa trova anche un lavoro serale come segretaria e si consola cedendo alle attenzioni del principale. Michele va via di casa e trascorre qualche giorno a casa del ragazzo della figlia, inizialmente tanto deplorato. L’affresco del Boniforti su cui lavorava Elsa si rivela prezioso: viene infatti fatta una nuova scoperta ed è proprio davanti a quel soffitto affrescato che marito e moglie si ritrovano. P resentato alla Festa Internazionale del Cinema di Roma, nella sezione “Première”, Giorni e nuvole di Silvio Soldini ha ricevuto la Menzione Speciale. Da L’aria serena dell’ovest, suo primo lungometraggio, a Pane e tulipani, che lo ha consacrato grazie al successo di critica e pubblico, passando attraverso Un’anima divisa in due e Le acrobate , il regista milanese sceglie di raccontare una storia dolorosa, uno dei suoi film più studiati e costruiti, come ha lui stesso dichiarato in un’intervista. Si parte infatti sempre da un iniziale vuoto esistenziale che permette ai suoi personaggi di interrogarsi e di guardarsi con altri occhi. A questa analisi corrisponde anche una dislocazione dello spazio: dopo aver perso il lavoro, Elsa e Michele traslocano. Ma, se nei suoi precedenti film i protagonisti abbandonano la propria casa alla ricerca di un altrove, qui non avvengono fughe verso chissà dove. Siamo sempre a Genova, con il suo porto, le sue viuzze e i suoi colori grigiastri. Quando Michele perde il lavoro, imprenditore abituato ai tempi dell’azienda, là dove il lavoro rappresenta la misura di ogni cosa, entrerà in una fase di attesa, nonché di introspezione che gli farà perdere la propria identità. Elsa, abituata a beneficiare della sicurezza economica costruita dal marito, si troverà improv- Tutti i film della stagione visamente a doversi rimboccare le maniche per fronteggiare la crisi e ritrovare l’equilibrio perduto. Il film si muove lento come una nuvola, attraverso continue allegorie, la presenza di acquari, di foto, di affreschi e barche, che rappresentano l’immobilità della condizione sociale dei protagonisti, nonché la precarietà del lavoro e la staticità della vita. Una riflessione su una situazione di immobilità che però, come il restauro di un antico affresco, si muove verso la riscoperta del proprio io. Soldini tratteggia un paesaggio socia- le, fotografando la realtà nei suoi aspetti quotidiani. Di riflesso, lo stile di cui si serve è simile a un documentario: gira in presa diretta, con macchina a mano e lunghi piani sequenza, per rimanere il più possibile vicino ai suoi attori. Superlative le interpretazioni di Margherita Buy e Antonio Albanese, per la prima volta sullo schermo insieme, senza dimenticare il simpatico Giuseppe Battiston, spesso utilizzato nei lavori del regista. Veronica Barteri NON È MAI TROPPO TARDI (The Bucket List) Stati Uniti, 2007 Regia: Rob Reiner Produzione: Alan Greisman, Neil Meron, Rob Reiner, Craig Zadan per Storyline Entertainment/Two Ton Films/Zadan-Meron Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008) Soggetto e sceneggiatura: Justin Zackham Direttore della fotografia: John Schwartzman Montaggio: Robert Leighton Musiche: Marc Shaiman Scenografia: Buill Brzeski Costumi: Molly Maginnis Produttori esecutivi: Travis Knox, Jeffrey Stott, Justin Zacham Co-produttore: Frank Capra III Casting: Janet Hirshenson, Jane Jenkins, Michelle Lewitt Aiuti regista: Frank Capra III, Brian Relyea, Stephen W. Moore, Eugene Davis Art director: Jay Pelissier Arredatori: Robert Greenfield, Mark Tuttle Trucco: Valli O’Reilly Acconciature: Medusah, Marie Larkin Effetti speciali trucco: Stephen Bettles, Matthew W. Mungle Coordinatore effetti speciali: Donald Frazee Coordinatori effetti visivi: Collin Fowler (Illusion Arts), Taryn P. Kelly (Ring of Fire) Supervisore effetti visivi: Jerry Spivack Supervisore costumi: Sandy Kenyon Canzoni/Musiche estratte: “I’ve Got a Feeling You’re Fooling” di Arthur Freed, Nacio Herb Brown; “Tush” di Billy Gibbons (Doug Legacy); “La vie en rose” di Louigay ed Edith Piaf; “On the Road Again” di Floyd Jones (Canned Heat); “It’s Alright” composta ed eseguita da Wade Hubbard; “Milord” di Marguerite Monnot (Edith Piaf); “Say” composta ed eseguita da John Mayer Interpreti: Jack Nicholson (Edward Cole), Morgan Freeman (Carter Chambers), Sean Hayes (Thomas), Beverly Todd (Virginia Chambers), Rob Morrow (dr. Hollins), Alfonso Freeman (Roger Chambers), Rowena King (Angelica), Annton Berry jr. (Kai), Verda Bridges (Shandra), Destiny Brownridge (Maya), Brian Copeland (Lee), Ian Anthony Dale (istruttore), Jennifer Defrancisco (Emily), Angela Gardner (amministratore), Noel Guglielmi (meccanico), Jonathan Hernandez (Manny), Andrea Johnson (Elizabeth Chambers), Dawn Lewis (assistente di volo), Jordan Lund (artista tatuaggi), Richard McGonagle (presidente consiglio di amministrazione), Jonathan Mangum (Richard), Karen Maruyama (infermiera), Amber Mead (donna attraente), Christopher Stapleton (Kyle), Taylor Ann Thompson (nipote di Edward), Alex Trebek (se stesso), Roy Vongtama (dottore), Hugh B. Holub Durata: 97’ Metri: 2660 6 Film Tutti i film della stagione E dward Cole è un ricco proprietario di cliniche che ha tutto: soldi, belle donne e una vita invidiabile. È convinto che un ospedale per diventare una proficua azienda debba tagliare su personale e servizi. Seguito solo con dal suo segretario tutto fare, è stato anche allontanato da sua figlia per il suo carattere burbero e irascibile. Carter Chambers è un umile meccanico nero di Los Angeles, con il pallino della cultura, di saldi principi morali, che ha dedicato la sua vita alla famiglia. Sognava di diventare professore di lettere, ma un figlio inaspettato lo ha costretto a guadagnarsi da vivere. I due uomini si ritrovano per caso a condividere la stessa stanza d’ospedale, logicamente di proprietà di Edward. Entrambi infatti sono gravemente malati di cancro e hanno ancora pochi mesi di vita. Dopo un’iniziale diffidenza dovuta alle diverse origini e classi sociali, Edward e Carter imparano a conoscersi l’un l’altro e si scoprono ugualmente decisi a non subire passivamente il destino a loro riservato. Così, tra una battuta e una partita a carte, pensano di compilare una “bucket list”, una lista del capolinea, con tutto quello che avrebbero voluto fare nella vita e che, per mancanza di tempo, denaro o pigrizia non hanno potuto realizzare. La moglie di Carter non riesce ad accettare la scelta del marito, considerandolo un ingrato. Superate le prime titubanze i due uomini partono, con la lista alla mano, pronti a sottoporsi a tutte le prove più stravanti. Iniziano con il buttarsi con il paracadute nel vuoto, affrontano folli corse automobilistiche, bizzarri tatuaggi o passeggiate in moto sulla Grande Muraglia. A bordo dell’aereo privato di Edward si spostano dalle piramidi all’Himalaya, dalla Costa Azzurra per una cena a base di caviale ai giardini del Taj Mahal, fino ad arrivare ad Hong Kong. Lungo il percorso, oltre a depennare le emozionanti esperienze compiute, i due settantenni imparano a riscoprire se stessi e le gioie della vita. Ma un episodio spiacevole spinge gli amici a fare ritorno a casa. Carter inizia a perdere sangue per lo spostamento di un catetere. Tornando sulla strada di casa, Carter organizza un possibile incontro di Edward con la figlia, allontanatasi da diversi anni. Il ricco imprenditore non reagisce bene e lascia per strada il suo amico a male parole. Carter torna dalla sua famiglia che lo accoglie con calore ed affetto e anche il rapporto con la moglie sembra essere più forte di prima. Ma per Carter quelli sono gli ultimi scampoli di felicità. Infatti dopo pochi giorni viene ricoverato e le sue condizioni sono gravissime. Viene avvisato anche Edward che, nel bel mezzo di una riunione di lavoro, non esita a correre dal suo amico. Tra il dolore della famiglia Carter si spegne, non prima di consegnare alla moglie una lettera per l’amico. Edward finalmente decide di andare dalla figlia, che a sua volta ha avuto anche una figlia, riuscendo così a depennare anche l’ultimo punto della lista. Ora che ha ritrovato la gioia per sé ed è riuscito a darla a qualcun altro è libero di raggiungere il suo amico. Le ceneri di Edward e Carter vengono poi portate in cima all’Himalaya, così come loro avrebbero voluto. “N on c’è cosa più bella che dire addio alla vita con gli occhi chiusi e il cuore aperto”. Questo il senso del film Non è mai troppo tardi – Vivi i tuoi sogni di Rob Reiner. Regista di successi senza tempo come Harry ti presento Sally e Misery non deve morire, Reiner, uno degli ultimi classici del cinema americano attuale, questa volta racconta l’imminenza della morte. E non lo fa come tanti film, in cui a far da protagonisti sono l’amarezza e l’ineluttabilità; qui la fine della vita assomiglia più ad una scampagnata per il mondo. È tale la leggerezza, infatti, attraverso la quale i due protagonisti si avvicinano alla fine, che potrebbe essere scambiata per superficialità. In realtà, non si tratta che di un approccio vitalistico alla morte, supportato da un senso profondo dell’amicizia. Si parte dalle corsie di un ospedale, dove si ritrovano fianco a fianco due uomini agli antipodi, divisi tra loro da estrazione sociale, interessi e passato. Eppure appena i loro sguardi si incrociano non ci si mette molto a capire che le due vite collimano tra loro. E scocca quella scintilla che, dal7 l’inesorabile baratro della malattia, condurrà i due uomini a una sorta di rinascita fisica, psicologica e spirituale. Il segreto sta nel titolo originale, The Bucket List, che parla chiaro: una lista di desideri prima di dare un “calcio alla vita”. Per capire che non è mai troppo tardi per prendersi le cose che non siamo mai riusciti a realizzare. Non è mai troppo tardi per parlare con un buon amico di filosofia davanti alle piramidi, o per buttarsi a corpo libero da un aereo in volo. Per spostare indietro le lancette del tempo, dimenticarsi flebo e aghi e rialzare il sipario del presente e dell’ “ora” da vivere intensamente, istante per istante. Nonostante si debba ammettere che temi fondamentali come gli affetti familiari, il senso della vita, l’esistenza di Dio vengano solo sfiorati, il film si basa tutto sull’interpretazione dei due protagonisti. I due mostri sacri sono Morgan Freeman e Jack Nicholson, per la prima volta insieme sullo schermo, che riescono a fare una commedia anche quando si parla di cancro, di ospedali e di ultimi mesi di vita. Entrambi settantenni, mantengono ancora intatta la verve che fa sorridere di un tema così profondo e doloroso come la morte. Anche se lo script è prevedibile e si aspetta il finale dall’inizio del film e ci si sia già abituati a un Nicholson vulcanico e avvezzo agli eccessi e a un Freeman più flemmatico e riflessivo, la storia mira dritto al cuore degli spettatori, portando alla commozione quelli più sensibili. Nicholson, che ha lavorato al fianco dello sceneggiatore Justin Zackman, ha scritto molte delle battute del film, confessando di essersi ispirato a Fellini. Freeman ci regala forse uno dei sorrisi più sinceri e smaglianti della sua carriera. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione LO SPACCACUORI (The Heartbreak Kid) Stati Uniti, 2007 “Muskrat Love” di Willis Alan Ramsey (Captain & Tennille); “Wannabe” di Geri Halliwell, Emma Bunton, Melanie Brown, Melanie Chisholm, Victoria Adams, Richard Stannard, Matthew Rowe (Spice Girls); “Canciones de amor” composta ed eseguita da Julieta Venegas; “The Devil Went Down to Georgia” di Chatlie Daniels, John Crain, William Digregorio, Fred Edwards, Charles Hayward, James Marshall (The Charlie Daniels Band); “May Be I’m Not the One” di Wayne Coyne, Steven Drozd, Michael Ivins (The Flaming Lips); “El Mariachi Loco” di Roman Palomar Arreola (Mariachi Bandido); “La cucaracha (Mariaci Bandido); “Take Em Or Leave Em” di Thomas Hull (Amy LaVere); “Mia” composta ed eseguita da Cordero; “Cheers” composta ed eseguita da Roger Webb; “Pachangueando” di Ramon Nova, Maya Martinez (Pacha Massive); “Samba Griot” di Thione Diop, Papis N’Diaye (Diop SenePercu); “Gypsy Woman” di Curtis Mayfield (Brian Hyland); “Painting by Chagall” di Deb Talan, Steve Tannen (The Weepies); “Cuando canto” di Willy Abers, Raul Pacheco, Justin Poree, Asdru Sierra, Jiro Yamaguchi, Ulises Bella (Ozomatli); “Put the Message in the Box” di Karl Wallinger (World Party); “Under Pressure” di David Bowie, Freddie Mercury, Roger Taylor, John Deacon, Brian May (Queen e David Bowie); “The First Cut is the Deepest” di Cat Stevens (Buva); “After Party” di Willy Abers, Raul Pacheco, Justin Poree, Ulises Bella, Jiro Yamaguchi, Asdru Sierra, Jabu Smith-Freeman, K. C. Porter (Ozomatli); “Annihilation of the Bee” (Metaphor) Interpreti: Ben Stiller (Eddie Cantrow), Malin Akerman (Lila), Michelle Monaghan (Miranda), Jerry Stiller (Doc), Rob Corddry (Mac), Carlos Mencia (zio Tito), Scott Wilson (Boo), Ali Hillis (Jodi), Polly Holliday (Beryl), Danny R. McBride (Martin), Roy Jenkins (Buzz), Nicol Paone (hostess), Stephanie Courtney (Gayla), Amy Sloan (Deborah), Jerry Sherman (nonno Anderson), Lauren Bowles (Tammy), Michael Kromka, Nicholas Kromka (gemelli dodicenni), Mishon Ratliff (ragazzino), Johnny Sneed (Cal), Kayla Kleevage (donna formosa), Dan Geraci (padre dei gemelli), Sean Gildea (camionista), Natalie Carter (ragazzina di 10 anni al matrimonio), Louis Accinelli (Manuel), Joel Bryant (Michael), Dean Norris (padre della sposa), Leslie Easterbrook (madre di Jodi), Gary Riotto (organizzatore matrimonio), Kathy Lamkin (madre di Lila), E.E. Bell (padre turista), Lorna Scott (madre turista), Sergio Ruiz (figlio turista), Miranda May (figlia turista), Kevin J. Flynn (uomo estroverso), Mitch Rouse (aggressore in bicicletta), Brett Oakley (giudice di pace), Jared Frazer (barista Cosmopolitan), Philthee Lopez (Gerard Facchini), Manuel Parada (El Mojado), Imelda Flores, Sandra Rikisting (bigliettaie), Jackie Flynn, Timothy Sherman, Julie Mandel (clienti Beach Shack), Bobby Doyle (Jack Bonoli), Docky, Mariann Neary, Gabriel Torres, Ernest Garcia, Jerry Castellano, Gloria Sandoval, Alejandro Patino, Alexis Demangelaere, Pete Quintanilla Durata: 116’ Metri: 2820 Regia: Peter e Bobby Farrelly Produzione: Ted Field, Bradley Thomas per DreamWorks Pictures/Conundrum Entertainment/Davis Entertainment/DreamWorks SKG/Radar Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007) V.M.: 14 Soggetto: dal racconto “A Change of Plan” di Bruce Jay Friedman e ispirato alla sceneggiatura di Neil Simon nel 1972 Sceneggiatura: Scott Armstrong, Leslie Dixon, Bobby Farrelly, Peter Farrelly, Kevin Barnett Direttore della fotografia: Matthew F. Leonetti Montaggio: Alan Baumgarten, Sam Seig Musiche: Bill Ryan, Brendan Ryan Scenografia: Sidney J. Bartholomew jr., Arlan Jay Vetter Costumi: Louise Mingenbach Produttori esecutivi: John Davis, Ted Field, Marc S. Fischer, Marc Haimes, Joe Rosenberg, Charles B. Wessler, Ashley Woodard Produttori associati: Matthew Aufdenspring, Ellen Dumouchel, Hal Olofsson Co-produttori: Mark Charpentier, Tony Lord, Kris Meyer, Matt Weaver Casting: Joseph Middleton, Rick Montgomery Aiuti regista: Hal Olofsson, Geoffrey Sawyer, Sean Vawter, Greg Guzik, Renan Bendersky, David Berke, Shea Farrell Operatore: Colin Anderson Arredatore: Cindy Carr Trucco: Keith Sayer, Ellen Vieira, Angel Radefeld, Amy Lederman, Gretchen Davis Acconciature: Bunny Parker Effetti speciali trucco: Vance Hartwell, Tony Gardner Coordinatore effetti speciali: Mark Byers Supervisori musiche: Manish Raval, Tom Wolfe Canzoni/Musiche estratte: “Finished” composta ed eseguita da William Goodrum; “Different Drum” di Michael Nesmith, Matthew Sweet, Susanna Hoffs; “The Tale of the Horny Frog” di Wayne Coyne, Steven Drodz, Michael Ivins (The Flaming Lips); “Together Again”; “So Good to See You” di Jerry Kalaf (JK Jazz Ensemble); “Honey Come Home” di John Alagia, Chris Keup (John Alagia); “A Moment Like You”, “She Makes Me Fall Down” di Tom Wolfe (Buva); “Queen Bitch”, “Rebel Rebel”, “Ashes to Ashes”, “Ziggy Stardust”, “Suffragette City” composte ed eseguite da David Bowie; “Miss Gultch” di Herbert Stothart; “She Makes Me Fall Down”; “Screwed Up” di Susan Sandberg, Jesse Valenzuela (Susan Sandberg); “Way Down” di Kaulana Kanekoa, Travis Rice, Vince Esquire, Shawn Michael, Brett Nelson (Kanekoa); “Conga” di Enrique Garcia (Miami Sound Machine); “Rosalta (Come Out Tonight)” composta ed eseguita da Bruce Springsteen; “Ready to Take a Chance Again” di Charles Fox, Norman Gimbel (Barry Manilow); “Rapture” di Deborah Harry, Chris Stein (Blondie); S an Francisco. Eddie Cantrow, single di quarant’anni proprietario di un negozio di articoli sportivi, il giorno di San Valentino trova finalmente l’amore grazie ad un fortuito incontro con Lila, affascinante e dolce ricerca- trice ambientale. Dopo sei settimane di frequentazione, però, Lila riceve la notizia del trasferimento a Rotterdam per motivi di lavoro. Tallonato dal padre Doc e dall’amico Mac, Eddie si convince finalmente di fare il grande passo e decide di sposarsi 8 con Lila, evitandole così di trasferirsi in Europa. Ma appena dopo il matrimonio, mentre i due cominciano a conoscersi meglio durante il loro viaggio di nozze in Messico, Eddie si rende conto di essere stato troppo Film impulsivo e di aver commesso un terribile errore: dietro la dolce mogliettina si nasconde, in realtà, una ragazza dagli atteggiamenti grossolani e aggressivi, dal linguaggio scurrile e amante del sesso estremo. Sfiancato e deluso dalla moglie, Eddie si reca nel bar del villaggio turistico. Qui incontra Miranda, una donna acqua e sapone, completamente l’opposto di Lila. Scatta il colpo di fulmine e per Eddie hanno inizio una serie di imbarazzanti situazioni per nascondere alla neo-consorte l’attrazione verso un’altra donna e alla nuova conquista di essere, in realtà, in luna di miele. Quando la verità salta fuori, Eddie viene rifiutato da Miranda e, inevitabilmente, abbandonato dalla moglie, la quale lo lascia in Messico senza soldi né passaporto. Dopo numerose peripezie per cercare di rientrare in America come clandestino, Eddie riesce, con l’aiuto del padre, a raggiungere la casa della famiglia di Miranda nel Mississipi, ma qui scopre che si è sposata da circa una settimana. Eddie non si dà per vinto e, durante la notte, si reca di nascosto dall’amata, la quale però rivela di essere felice della scelta fatta. Tutti i film della stagione Passa un anno e mezzo ed Eddie, perso il negozio a causa del divorzio da Lila, si trasferisce in Messico, dove apre una attività commerciale sulla spiaggia. Qui incontra nuovamente Miranda, che nel frattempo si è separata dal marito; si danno appuntamento per un drink. Sembra il classico happy end, ma ecco che appare Consuelo, la nuova conquista dello spaccacuori Eddie. Per lui l’inizio di una nuova disavventura amorosa. L a nuova commedia dei fratelli Farrelly (un remake di Il Rompicuori, 1972), così come per le pellicole precedenti (Tutti pazzi per Mary; Io, me e Irene...), diverte molto e risulta particolarmente azzeccata la scelta del cast, Ben Stiller (Eddie) e Jerry Stiller (suo padre Doc) su tutti. Dietro le risate si nascondono alcune interessanti riflessioni sul tema dell’amore, come la necessità di non rimanere soli, il desiderio di trovare la persona giusta e le diverse motivazioni che spingono uomini e donne a pronunciare il fatidico “si”. Ognuno affronta in modalità differenti questo senti- mento: chi rifugiandosi in week-end di sesso a Las Vegas (come il padre di Eddie), chi sottomettendosi ai voleri e ai molteplici umori del partner (l’amico Mac). Eddie si ritrova a viverle entrambe dopo il matrimonio con Lila; cerca fin da subito di scrollarsele di dosso, anche se inizialmente preferisce “fuggire” piuttosto che “affrontare”. Molto simpatico il finale che, al posto dello scontato happy end, mette in luce la debolezza dell’uomo e la difficoltà di compiere le scelte giuste. I Farrelly compongono con estrema facilità una commedia semplice e divertente che strizza l’occhio a una società dei sentimenti “usa e getta”, ma il ritmo e le trovate risultano a volte scontate e già viste (non manca anche qualche caduta di stile). Non sempre convincono le figure femminili, lasciate spesso ai margini e fin troppo stereotipate, soprattutto quella di Lila. Insomma una commedia discreta che pone qualche interrogativo. Cammeo di Eva Longoria nella parte di Consuelo, la fidanzata di Eddie nel finale. Alessio Granato IL CASO THOMAS CRAWFORD (Fracture) Stati Uniti/Germania, 2007 Regia: Gregory Hoblit Produzione: Charles Weinstock per New Line Cinema/Castle Rock Entertainment Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 2-11-2007; Milano 2-11-2007) Soggetto: Daniel Pyne Sceneggiatura: Daniel Pyne, Glenn Gers Direttore della fotografia: Kramer Morgenthau Montaggio: David Rosenbloom Musiche: Jeff Danna, Mychael Danna Scenografia: Paul Eads Costumi: Elisabetta Beraldo, Nava R. Sadan Produttori esecutivi: Toby Emmerich, Liz Glotzer, Hawk Koch Produttori associati: Samuel J. Brown, Michael Disco, Beverly J. Graf Co-produttore e direttore di produzione: Louise Rosner Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Steven F. Beaupre, Gregory J. Pawlik jr., Brian Relyea Operatore: Don Devine Operatore steadicam: Bob Gorelick Art director: Mindy Roffman Arredatore: Nancy Nye Trucco: Cynthia Barr, Jane English, Christina Smith Acconciature: Susan Germaine, Charlotte Parker Effetti speciali trucco: Clinton Wayne Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson Canzoni/Musiche estratte: “Ombra fedel anch’io” di Riccardo Boschi (Vivica Geneaux); “Nite Becomes Day” composta ed eseguita da Citizen Cope Interpreti: Anthony Hopkins (Thomas Crawford), Ryan Gosling (Willy Beachum), David Strathairn (Joe Lobruto), Rosamund Pike (Nikki Gardner), Embeth Davidtz (Jennifer Crawford), Billy Burke (detective Robert Nunally), Cliff Curtis (detective Flores), Fiona Shaw (giudice Robinson), Bob Gunton (giudice Gardner), Josh Stamberg (Norman Foster), Xander Berkeley (giudice Moran), Zoe Kazan (Mona), Judith Scott (domiciliata), Gary Cervantes (Ciro), Petrea Burchard (dr. Marion Kang), Garz Chan (assistente direttore hotel), Wendy Cutler (Gladys), Larry Sullivan (Lee Gardner), Valerie Dillman (Peg Gardner), Gonzalo Menendez, John Littlefield, Retta (poliziotti), Vivica Genaux (cantante opera), Lyla Kanouse (corriere), Sandra Prosper (Karla), Monica Garcia (segretaria di Crawford), Joe Spano (giudice Joseph Pincus), Peter Breitmayer (tipo NTSB), Mirron E. Willis (ufficiale giudiziario di Moran), David Purdham (Burt Wooton), Lou Reyes (medico SWAT), Rainy Kerwin (receptionis), R. J. Chambers, Eugene Collier (ufficiali giudiziari), Tom Virtue (avvocato Apley), Payton Koch, Cooper Koch, Sophie Hoblit, Caroline Weinstock, Alexander Weinstock (ragazzini), Michael Khmurov (uomo russo), Julia Emelin (donna russa), Alla Korot (interprete russo), Jeff Enden (detective), Kaily Smith (segretaria di Lobruto) Cooper Thornton, Gunter Simon, Frank Torres, Yorgo Constantine Durata: 113’ Metri: 3025 9 Film T homas Crawford, un ingegnere specializzato in fratture meccaniche negli aerei, un giorno scopre che la giovane moglie Jennifer frequenta, in sua assenza, un altro uomo e decide di ucciderla. La attende a casa e, dopo averle confessato il suo amore morboso, le spara in volto. Il loro giardiniere avendo sentito il colpo chiama la polizia che, grazie alle abilità negoziative del detective Rob Nunally, riesce a entrare in casa e ad arrestare l’uxoricida, che, con tutta tranquillità, confessa il crimine. Per il detective, però, c’è un’amara sorpresa: la donna che giace in terra ricoperta di sangue è la sua amante che fortunatamente non è morta nonostante sia in condizioni disperate. Thomas Crawford è portato in carcere in attesa di giudizio. Del suo caso deve occuparsi Willy Beachum, giovane assistente della Procura Distrettuale che decide di accettare solo perché il caso è apparentemente semplice. La situazione, però, si complica, perché Thomas Crawford ritratta la confessione e l’unica pistola che ha in casa, che tutti consideravano l’arma del delitto, risulta non essere stata mai utilizzata. Inizia il processo, ma nonostante gli sforzi della procura, non ci sono prove reali a carico di Crawford; in più, la situazione si aggrava, perché durante un interrogatorio emerge la relazione, tenuta nascosta a tutti, di Nunally con la moglie dell’imputato. L’avvocato Beachum si trova in un vicolo cieco, l’unica sua speranza è che Jennifer Crawford si risvegli dal coma e dica il nome del colpevole. Nunally, sicuro della colpevolezza dell’imputato, propone a Beachum di “far ritrovare” l’arma del delitto con la complicità degli addetti alle perizie. L’avvocato ci pensa, anche perché perdere la causa significherebbe perdere l’opportunità di associarsi a un grande studio che gli ha già fatto una proposta interessante, ma l’etica professionale ha la meglio e Thomas Crawford viene rilasciato per assenza di prove. Saputolo, Nunally si suicida con una pistola, stranamente uguale a quella del delitto. Beachum, però, non si arrende e passa ore al capezzale della donna sperando che si svegli e sveli la verità e per questo il Tutti i film della stagione marito di lei decide di staccarle la spina che la tiene in vita. Per l’avvocato tutte le possibilità di arrivare alla soluzione del caso sembrano svanire, ma un suo assistente, che involontariamente prende il suo cellulare scambiandolo per il proprio, gli suggerisce un’idea: Thomas Crawford è andato nell’albergo dove si consumavano i tradimenti della moglie e ha sostituito la sua pistola con quella di Nunally, riprendendosela poi quando l’uomo era impegnato nel soccorrere l’amante colpita. Beachum corre a casa di Crawford e gli dimostra di averlo incastrato, ma l’uomo, pur non negando, gli ricorda che non si può essere processato due volte per lo stesso crimine. Beachum dice di sapere benissimo che ciò è impossibile, ma precisa che lui è stato processato per tentato omicidio ed ora che la moglie è morta l’imputazione cambierebbe in omicidio. Thomas Crawford viene arrestato e si appresta ad affrontare un nuovo processo. E siste il delitto perfetto? Questa domanda affascina molti, criminali e non, perché rappresenta una singolare forma di supremazia intellettuale, un duello di menti che vede come partecipanti l’assassino e il suo persecutore. La vittima, invece, in questo macabro gioco, è messa all’angolo, così come il delitto stesso che diventa un mero pretesto per innescare il tutto. Nel cinema rimane memorabile Delitto perfetto del grande Hitchcock, dove un marito pianifica nei minimi particolari l’omicidio della moglie non riuscendo, però, a portare a termine il suo progetto a causa di un inconveniente che sconvolge tutti i suoi piani. Ma non è l’unico, ci sono molti altre pellicole di questo genere e tutte, a loro modo, singolari, perché di solito nei gialli si attende la fine per scoprire l’assassino, in queste, invece, si palesa fin dai primi fotogrammi lasciando allo spettatore un unico enigma: ce la farà a non farsi scoprire? Una domanda simile aleggia per tutto il film Il caso Thomas Crawford in cui un ingegnere uccide la moglie con un’arma che risulterà mai utilizzata, scatenando un’avvincente caccia alla prova da parte di un giovane e agguerrito avvocato. 10 A prestare il volto al lucido e spietato assassino è un nome noto al grande pubblico Anthony Hopkins, così come sono note le sue tipiche espressioni da “cattivo schizoide”, che tanto affascinano gli amanti del genere. Detto questo è necessario aprire una brevissima parentesi su Hopkins che, dopo il celeberrimo dottor Lecter di Il silenzio degli innocenti, sembra rimanere attaccato alle carni del personaggio che lo ha reso celebre. L’interpretazione a suo tempo fu strepitosa, ma ha lasciato un alone che permea ogni suo successivo personaggio. Anche in quest’ultimo film, l’associazione fra Crawford e Lecter è pressoché inevitabile, nonostante gli sforzi, ammessi dallo stesso regista, di cercare inquadrature, luci che non creassero questa confusione nello spettatore. Purtroppo, però, il risultato è parzialmente riuscito e verrebbe quasi da sospettare che l’attore abbia creato un personale paradigma recitativo da cui ha deciso di non discostarsi, con il doppio risultato di regalare sì interpretazioni molto intense e convincenti, ma tutte irrimediabilmente simili, come in questo caso. Più accattivante risulta, invece, la prova di Ryan Gosling nei panni dell’avvocato dell’accusa, capace di trasformare in maniera misurata il suo personaggio da scalatore sociale senza remore in idealista pronto a sacrificare il successo per l’etica. A dare man forte ai due attori principali c’è una sceneggiatura di ottima fattura, con dialoghi ben costruiti e un leggero cinico umorismo che allenta i momenti di tensione. Un film che, nel suo genere, si potrebbe considerare dunque un delitto perfetto, ma si sa bene che questo non esiste e c’è sempre una falla che fa sgretolare tutto. In questo caso è l’eccessiva costruzione e i continui richiami che spersonalizzano la pellicola, indubbiamente ben fatta, ma che non emoziona e coinvolge solo parzialmente lo spettatore. Come mostra lo stesso Thomas Crawford nel film, mentre gioca con le sue sfere dal moto perpetuo, a volte basta una leggera ed impercettibile curvatura a distruggere un meccanismo che sulla carta sembra perfetto. Francesca Piano Film Tutti i film della stagione AMERICAN GANGSTER (American Gangster) Stati Uniti, 2007 Regia: Ridley Scott Produzione: Ridley Scott, Brian Grazer per Universal Pictures/ Imagine Entertainment/Relativity Media/Scott Free Productions Distribuzione: Universal Prima: (Roma 18-1-2008; Milano 18-1-2008) V.M.: 14 Soggetto: dall’articolo The Return of Superfly di Marc Jacobson pubblicato sul “New York Magazine” nell’agosto 2000 Sceneggiatura: Steven Zaillan Direttore della fotografia: Harris Savides Montaggio: Pietro Scalia Musiche: Marc Streitenfeld Scenografia: Arthur Max Costumi: Janty Yates Produttori esecutivi: Michael Costigan, Branko Lustig, Nicholas Pileggi, Kehela Sherwood, James Whitaker, Steven Zaillan Co-produttore: Jonathan Filley Direttori di produzione: Jonathan Filley, Branko Lustig Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Darin Rivetti, Noreen R. Cheleden, Phattana Sansumran Operatore: Craig Haagensen Operatore steadicam: Larry McConkey Art director: Nicholas Lundy Arredatori: Sonja Klaus, Leslie E. Rollins, Beth A. Rubino Trucco: Don Kozma, Bernadette Mazur Felice Diamond Acconciature: Belinda Anderson, Kenneth Walker, Bert Reo Anderson, Brian Badie, Robin Day, Christine Fennell, Lorraine Godfrey, Thom Gonzales, Susan Shectar, Taurance F. Williams Effetti speciali trucco: Craig Lyman Responsabile effetti speciali: Connie Brink Supervisori effetti visivi: Dick Edwards (Invisible Effects), Gray Marshall (Gray Matter FX), Wesley Sewell Canzoni/Musiche estratte: “Why Don’t We Do It In the Road” di John Lennon, Paul McCartney (Lewel Fulson); “Only the Strong Survive” di Kenny Gamble, Leon Huff, Jerry Butler (Jerry Butler); “Checkin’ Up On My Baby” di Sonny Boy Williamson; “Back to Bangkok Blues” di Harry Garfield; “Hold On I’m Comin’” di Isaac Hayes, David Porter (Sam Moore, Dave Prater jr.); “Guess Things Happen That Way” di Jack Clement (Jonny Cash); “No Shoes” composta ed eseguita da John Lee Hooker; “I’ll Take You There” di Alvertis Isbell (The Staple Singers); “Do You Feel Me” di Diane Warren (Anthony Hamilton); “Goid Lovin” di Arthur Resnick, Rudy Clatk (The Rascals); “Across 110th Street” composta ed eseguita da Bobby Womack; “What a Time It Was” composta ed eseguita da Daniel May; “Wedding March” di Felix Mendelssohn (Bertalan Hock); “Winter Wonderland” di Felix Bernard, Dick Smith (Louis Armstrong); “Only the Lonely (Know the Way I Feel)” di Roy Orbison, Joe Melson; “How Great Thou Art” di Stuart K. Hine; “Can’t Truss It” di Chuc D, Gary Rinaldo, Hank Shocklee (Public Enemy); “Stone, Cold” di Hank Shocklee, Anthony Hamilton (An- N ew York. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la corruzione della polizia era in netta ascesa in città. Con la loro complici- thony Hamilton); “Trees amigos”, “Club Jam”, “Railroad”, “Nicky Barnes”, “Afro Beat” Interpreti: Denzel Washington (Frank Lucas), Russell Crowe (detective Richie Roberts), Chiwetel Ejiofor (Huey Lucas), Josh Brolin (detective Trupo), Lymari Nadal (Eva), Cuba Gooding jr. (Nicky Barnes), Armand Assante (Dominic Cattano), Ted Levine (detective Lou Toback), Roger Guenveur Smith (Nate), John Hawkes (detective Freddie Spearman), RZA (Moses Jones), Yul Vazquez (Alphonse Abruzzo), Malcolm Goodwin (Jimmy Zee), Ruby Dee (madre di Lucas), Ruben SantiagoHudson (Doc), Carla Gugino (Laurie Roberts), Skyler Fortgang (Michael Roberts), Kathleen Garrett (sig.ra Cattano), Joe Morton (Charlie Williams), Richie Coster (Joey Sadano), Bari K. Willerford (Joe Louis), Idris Elba (Tango), Common (Turner Lucas), Warner Miller (Melvin Lucas), Albert Jones (Terrence Lucas), J. Kyle Manzay (Dexter Lucas), T.I. (Stevie Lucas), Quisha Saunders (Darlynn), Kevin Corrigan (Campizi), Robert Funaro (McCann), Jon Polito (Rossi), Robert C. Kirk (capitano polizia), KaDee Strickland (Sheilah Dickerson, avvocato di Richie), Jon DeVries (giudice James Racine), Jim R. Coleman, Jason Furlani (ufficiali giudiziari), Lee Shepard (avvocato di Laurie), Gavin Grazer (Mike Sobota), Linda Powell (lavoratore sociale), Roxanne Amandez (medico), Norman Reedus (detective Norman Reilly), Pierra Francesca (stewardess), Eddie Rouse (detective al party), Roosevelt Davis (capitano), Roger Bart (avvocato), Eric Silver (ragazzino), Mitchell Green (guardia del corpo di Tango), Saycon Sangbloh (donna di Tango), Conor Romero, Daniel Hilt, Daniel Farcher (teenagers), Paul Doherty (giornalista TV), George Lee Miles (avvocato di Frank), Chris McKinney (reporter TV), Ric Young (generale cinese), David Wayne Britton (colonnello), Tommy Guiffre (esaminatore medico), Lawrence Lowry (medico), Dan Moran (capitano), Marjorie Johnson (Charlene), Larry Mitchell (agente FBI), Chuck Cooper (dottore), Kevin Geer (professore), Chanche Kelly (MP), Sam Freed (giudice), Joey Klein (chimico), Anthony Hamilton (cantante band funk), Tyson Hall, Kirt Harding, Bryant Pearson (spacciatori), Al Santos (meccanico), Jeahan-Pierre Vassau, Dawn Douglas (agenti), Robbie Neigeborn (poliziotto), Clinton Lowe (uomo arrestato nell’ascensore), Wilhelm Davis (fotografo), James Hunter, Neville White (diaconi), Lonnie Gaetano (guardia prigione), Jeff Mantel (agente Walsh), Serena Joan Springle (supervisore), Ron Piretti (giudice), Nino Del Buono (speaker), Arthur Mercante (arbitro), Panama Redd (poliziotto), Robert Wiggins (pianista), Steve McAuliff (poliziotto), Jonah Denizard (direttore negozio), Hamilton Clancy, Melissia Hill, Tom O’Rourke, Tom Stearns, Scott Dillin, Sarah Hudnut, Maryann Urbano, Cedric Sanders, Jason Veasey, David Spearman, Maurice Ballard, Jeff Greene, William Hudson, Christopher A. Sawyer, Dylan Gallagher, William C. Tate, Fab 5 Freddy Durata: 157’ Metri: 4283 tà, inoltre, i narcotrafficanti agivano praticamente con una certa tranquillità, vendendo migliaia di chili di droga a quei tossicodipendenti alla disperata ricerca di una 11 dose. Una classe privilegiata e potente di uomini bianchi sborsava centinaia di milioni di dollari a giudici, avvocati e poliziotti newyorkesi affinché tenessero la boc- Film Tutti i film della stagione Dopo un’operazione lunga e laboriosa, Roberts riesce una mattina ad arrestare Lucas quando questi si era recato in chiesa con la madre. Condannato inizialmente all’ergastolo, in prigione Lucas decide di collaborare con la giustizia. Nel frattempo, l’agente è diventato anche avvocato. Nel corso delle numerose conversazioni tra i due, escono fuori tantissimi nomi di agenti corrotti. Grazie al suo aiuto, a Lucas viene ridotta la pena. Alla fine resta in carcere 15 anni e ritorna in libertà nel 1991... B ca chiusa; il loro scopo era infatti quello di far prosperare al meglio questo mercato. La guerra in Vietnam stava cominciando a lasciare i suoi segni sul paese. Molti giovani soldati statunitensi morivano e ritornavano in patria dentro dei sacchetti di plastica, oppure erano diventati completamente dipendenti dall’eroina. In questo contesto, un giorno, Frank Lucas assume un potere enorme. Fino a quel momento nessuno si era accorto di lui. Era stato fino ad allora il silenzioso apprendista di Bumpy Johnson, uno dei più grande boss del crimine neri della zona interna della città del dopoguerra. Quando il suo capo muore improvvisamente, Lucas si costruisce un proprio impero personale. Non era mai andato a scuola ma poteva contare su anni di esperienza acquisita direttamente in strada che gli tornò molto utile per riuscire a governare il traffico della droga nella zona interna della metropoli, inondando le strade di un prodotto più puro a un prezzo migliore che si procurava direttamente a Bangkok. In poco tempo, Lucas scalza tutte le organizzazioni criminali e diventa, al tempo stesso, uno dei principali corruttori della città e un uomo potentissimo dall’esistenza apparentemente insospettabile. Ha un suo club dove conosce la moglie Eva, ex- Miss Puerto Rico. Compra un’abitazione lussuosissima nella quale vanno a vivere sia la madre, sia il resto della sua famiglia. Anche la mafia si accorge di lui e uno dei suoi uomini più potenti, Dominic Cattano, si vede costretto a diventare suo sottoposto e a dipendere da lui. Tra i suoi maggiori rivali c’è Nicky Barnes, altro boss nel commercio dell’eroina, e il detective Trupo del dipartimento di polizia di New York, che consente lo spaccio di droga nella sua zona, a condizione che gli venga data una parte del ricavato. Richie Roberts è invece un poliziotto scaltro e duro, abbastanza vicino alla strada per capire che si sta verificando un cambio ai vertici della malavita che controlla la droga. L’agente intuisce che qualcuno sta scalando i ranghi, scavalcando le famiglie mafiose locali e comincia a sospettare che un potente “giocatore” nero sia apparso dal nulla per dominare la scena. L’uomo è dedito completamente al lavoro, tanto è vero che proprio per questo si è separato dalla moglie e si trova spesso in tribunale per la causa sull’affidamento del figlio. Talvolta, ha qualche rapporto occasionale con qualche donna tra cui il suo avvocato. Gran parte del tempo però lo trascorre al lavoro, totalmente concentrato nel cercare le prove che possano incastrare Lucas. L’agente e il boss, così diversi tra loro, hanno però un rigoroso codice etico che li accomuna. Una volta, Lucas maltratta in modo violento un suo familiare dopo che questi si era fatto trovare con della droga nel bagagliaio dell’automobile. Roberts, invece, un giorno, trova un milione di dollari nel bagagliaio di un auto, provente di uno spaccio di droga, assieme a un suo collega. Quest’ultimo cerca di convincerlo a tenersi i soldi, mentre lui decide di riportare l’intero bottino in centrale. Da quel momento è diventato così un uomo segnato, malvisto sia dai suoi stessi colleghi sia dagli spacciatori, fino a quando si è riscattato dirigendo il reparto della Essex County SIU, dove ha selezionato un gruppo fidato di poliziotti che agivano sotto copertura. 12 lade Runner a New York tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo. Scott si porta dietro la stessa dimensione claustrofobica – all’oscurità della fotografia di Jordan Cronenewth del primo film si sostituisce quel grigio impermeabile di quella di Harris Savides (abituale collaboratore di Gus Van Sant) – e, soprattutto, quell’inquetudine di fondo che fa sia dell’agente Richie Roberts sia del boss narcotrafficante Frank Lucas, quasi due replicanti reincarnati sotto fattezze umane. Alla base di American Gangster c’è una storia vera, quella leggendaria dello spacciatore che apparve per la prima volta sette anni fa in un articolo di Mark Jacobson apparso sul “New York Times” nell’agosto del 2000 e intitolato “The Return of Superfly”. Eppure nel film di Scott la dimensione visiva appare come trasfigurata, inserita in una grandiosa allucinazione senza limiti, in cui anche le prospettive e i movimenti vengono distorti. La metropoli è al centro di questo eccitante sfida che costutuisce sempre un elemento ricorrente nel cinema di Scott non solo in Blade Runner. New York, in particolare, Harlem, assume, quindi, quasi le coordinate di un asfissiante labirinto proprio come Tokyo in Black Rain e gli squarci di Firenze in Hannibal. Inoltre, come spesso avviene nell’opera del cineasta di origine inglese, anche American Gangster può essere letto come una sorta di ‘romanzo criminale’ nel quale si affrontano ancora due duellanti redivivi. Richie Roberts e Frank Lucas appaiono come la materializzazione di 2 fazioni nettamente contrapposte, proprio come gli agenti statunitensi contro un boss locale in Black Rain, l’astronave Nostromo contro la natura mostruosa in Alien, il cacciatore di taglie contro i replicanti in Blade Runner, le due donne in fuga e l’agente che gli sta dando la caccia in Thelma & Louise, il generale Maximus e Commodo in Il gladiatore. Scott è sicuramente, oggi, uno dei più grandi registi visionari, anticlassico per Film eccellenza, capace di manipolare la realtà portando(ci) sensorialmente dentro dimensioni sconosciute, facendo vivere l’incubo (Black Hawk Dawn), o l’ebbrezza del piacere e del gusto (Un’ottima annata) sulla propria pelle. American Gangster è, dal punto di vista narrativo, uno dei suoi film più lineari, grazie anche alla sceneggiatura di Steven Zaillan (Schindler’s List, Gangs of New York, The Interpreter, che aveva già collaborato con Scott, adattando assieme a David Mamet il romanzo di Thomas Harris per Hannibal), che entra nella struttura del crime-movie. L’ascesa al potere del narcotrafficante Frank Lucas è resa con un’intensità e una magniloquenza che sembra avere come modello la trilogia di Il Padrino di Coppola. Basta vedere, da questo punto di vista, il modo con cui è inquadrata la figura di Denzel Washington – ancora straordinario nell caratterizzazione di un personaggio negativo così come aveva fatto con quella del poliziotto corrotto in Training Day di Fuqua – sia nell’accentuazione della sua apparente normalità (l’incontro con la donna che diventerà sua moglie nel proprio locale, lo stretto legame con la madre e con la sua famiglia), sia nelle sue feroci esplosioni di violenza. Magistrali, in questo senso, i momenti in cui Lucas esce dal bar e va ad uccidere il suo rivale sotto lo sguardo sbigottito dei suoi familiari, o quello in cui se la prende con il fratello dopo che si è fatto Tutti i film della stagione beccare dall’agente corrotto con la droga in macchina. American Gangster possiede quel delirio, quell’estasi del grande cinema di Scorsese. I locali dell’illegalità, la strada, proprio come Mean Streets, Quei bravi ragazzi e Casinò. La sfida tra l’agente (ancora una volta interpretato dal bravissimo Russell Crowe, alla terza collaborazione con il regista dopo Il gladiatore e Un’ottima annata) e il boss della droga è invisibile ma accesa e si è inghiottiti dentro un vortice senza uscita, dove lo sguardo del regista riesce ancora una volta ad annegare e a far perdere i sensi. Inoltre, in quel loro scontro a distanza, sembra rimaterializzarsi quella sublime contrapposizione tra il detective Vince Hanna (Al Pacino) e il rapinatore Neil McCauley (Robert De Niro) in quel capolavoro di Michael Mann rappresentato da Heat – La sfida. Lì c’era Los Angeles, qui New York. La città però diventa il set per innumerevoli e infiniti punti di fuga. Se in Heat – La sfida i due antagonisti si incrociavano per la prima volta verso la metà del film, qui la loro “resa dei conti” avviene quasi verso la fine. La scena in cui l’agente Roberts attende con i suoi uomini Lucas fuori dalla chiesa è da antologia ed è girata con un’essenzialità da grandissimo autore. In quel momento, Scott sembra annullare di colpo il lato privato delle due figure. Oltre a quello del narcotrafficante, va sottolineata anche l’in- timità con cui il cineasta materializza gli ‘affetti perduti’ del poliziotto, con la battaglia in tribunale con l’ex-moglie e la dolorosa separazione dal figlio. Il cineasta però ha davvero la capacità di far arrivare emotivamente tutte le emozioni anche attraverso brevissimi frammenti, pochissime inquadrature. Da quel momento, all’esterno della chiesa, Roberts e Lucas diventano di colpo la piena incarnazione della Legge e della Criminalità. Il film potrebbe quasi ricominciare da quel momento. Anzi, proprio da quel momento ne potrebbe cominciare ancora un altro, sempre con la durata di circa 2 ore e mezza. Nessuno se ne accorgerebbe. Dall’arresto del narcotrafficante alla sua collaborazione con l’agente (diventato anche avvocato) c’è tutto quel vibrante senso del rispetto tipico dei grandi gangster-movie. American Gangster potrebbe, quindi, trasformarsi ora in una sorta di western metropolitano, con quell’intensità tipica del grandioso rifacimento di Quel treno per Yuma di Mangold, dove era proprio lo stesso Crowe che si contrapponeva a Christian Bale. Forse American Gangster lascerà prepotentemente il segno anche con squarci della sua Storia (il Vietnam). Non solo come uno dei film più belli della stagione, ma proprio come uno dei più importanti nella recente (e non) storia del cinema americano. Simone Emiliani SIGNORINAEFFE Italia, 2007 Regia: Wilma Labate Produzione: Donatella Botti per Biancafilm. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 18-1-2008; Milano 18-1-2008) Soggetto: Wilma Labate, Francesca Marciano, Carla Vangelista Sceneggiatura: Domenico Starnone, Wilma Labate, Carla Vangelista Direttore della fotografia: Fabio Zamarion Montaggio: Francesca Calvelli Musiche: Pasquale Catalano Scenografia: Gian Maria Cau Costumi: Nicoletta Taranta Casting: Stefania De Santis Aiuto regista: Simone Spada Suono: Alessandro Zanon, Emanuela Di Giunta T orino 1980. Emma, giovane impiegata della Fiat laureanda in Matematica, viene da una mode- Interpreti: Filippo Timi (Sergio), Valeria Solarino (Emma), Sabrina Impacciatore (Magda), Fausto Paravidino (Antonio), Clara Bindi (nonna Martano), Gaetano Bruno (Peppino), Luca Cusani (Felice), Fabrizio Gifuni (Silvio), Giorgio Colangeli (Ciro), Marco Fubini (Angelo), Veronica Gentili (Cecilia), Luigi Lavagetto (ing. Federico Ferri), Ulderico Pesce (barista), Rosa Pianeta (Gianna), Franco Ravera (Carlo), Alessandra Vanzi (prof.ssa Ferrero), Roberta Carluccio (figlia di Silvio), Cristina Odesso, Fiammetta Olivieri (studentesse), Gian Maria Villani, Daniele Bernardi (studenti), Antonio Sinfisi, Toni Pandolfo, Paolo Parente, Alfredo Alpe (operai), Claudio Castana (bidello), Germano Giordanengo (impiegato), Massimo Del Sette (uomo all’incrocio), Massimo Avella (cameriere), Aglaia Moa, Gustavo Frigerio Durata: 95’ Metri: 2597 sta famiglia di emigranti che vede in lei e nel suo promettente futuro il riscatto sociale per una vita di sacrifici. Emma, inol- 13 tre, è fidanzata con Silvio, un dirigente della Fiat che le facilita notevolmente sia il percorso lavorativo che universitario. Film Tutto sembra scorrere sereno, ma, un giorno, la ragazza incontra in fabbrica un operaio, Sergio, che inizia a corteggiarla e a parlarle di diritti sindacali. Emma è infastidita, ma, allo stesso tempo, affascinata dall’uomo. Intanto la Fiat decide di licenziare 14.000 dipendenti. Inevitabilmente iniziano gli scioperi, ma Emma continua ad andare a lavorare, nonostante gli insulti e gli impedimenti degli operai più radicali. Dopo qualche giorno, però, qualcosa cambia, cede ai sentimenti di Sergio e si unisce alle proteste. La sua famiglia è sconvolta e anche il fidanzato, nonostante il cocente tradimento, le prova tutte per farla ritornare a sé, ma Emma sembra non importarsene. Chi le è vicino, allora, prova a parlare con Sergio spiegandogli che se la ama veramente deve permetterle di avere un futuro brillante e dunque deve lasciarla. L’uomo dapprima è riluttante a perderla, poi, con il passare dei giorni, si rende conto che è la soluzione migliore per la donna che ama. Le lotte operaie finiscono con la disfatta dei lavoratori e, allo stesso tempo, finisce la storia fra Sergio ed Emma che, dopo essere stata abbandonata, ritorna fra le braccia di Silvio e conserva il suo posto di lavoro. Q uanti meridionali con la valigia di cartone sono partiti per trovar fortuna al Nord? Quanti di loro hanno dovuto nascondere – inutilmente – il loro accento per farsi accettare e per poter tornare durante le vacanze al paese e farsi chiamare “i milanesi” (per un meridionale chi viene dal nord viene solo da Milano!)? Quanti hanno lavorato fino a spaccarsi le mani sognando un futuro diverso per i propri figli? Tanti e la famiglia Martano è tra questi con una vita passata in FIAT e una figlia, Emma, che, grazie a una laurea e a un buon matrimonio, si appresta a compiere il tanto agognato riscatto sociale. Un giorno, però, arriva Sergio e tutte le certezze della signorina Martano crollano sotto le mani sporche di grasso di un uomo con la voglia di cambiare le regole, di un operaio deciso a combattere contro l’azienda che ha permesso a lei e ai suoi fratelli di avere “la befana” ogni anno, di un uomo insomma, che risveglia in lei l’ardore giovanile e la naturale tendenza a opporsi a un progetto non proprio. Tutto questo durante il caldo ottobre del 1980, quando la minaccia di riduzione del personale FIAT fece scendere in piazza Tutti i film della stagione non solo gli operai, ma anche quelli che comunemente vengono chiamati colletti bianchi, trasformandosi poi in quella che viene ricordata come la più grande sconfitta del sindacato e della lotta operaia degli ultimi anni. Wilma Labate, tramite vissuti di Emma, ci propone una singolare visione di queste vicende nel suo ultimo film Signorinaeffe. La “effe” naturalmente sta per FIAT, luogo e causa degli eventi in questione. Ora, escludendo il bellissimo spot dell’azienda automobilistica degli anni Trenta che apre la pellicola (le cose datate hanno sempre un certo fascino!), ci sarebbero diversi appunti da fare a un lavoro che sulla carta aveva le potenzialità per farsi ricordare. Prima di tutto la vicenda storica. Si dà completamente per scontato che lo spettatore conosca o ricordi cosa è avvenuto a suo tempo e quindi la si risolve con qualche filmatino d’epoca buttato tra una scena e l’altra che crea soltanto con- fusione e toglie il piacere di veder ricostruito, in maniera consona, un momento relativamente importante per l’Italia sul grande schermo. Intendiamoci, non che la scelta di mettere spezzoni di vecchi tg sia sbagliata, anzi, ma doveva essere cementata da una struttura narrativa adeguata. Probabilmente si è voluto dare più spazio alla love story fra i protagonisti, ma anche questa fa acqua ovunque. Lasciando perdere tutte le (troppe) volte in cui il caso ci mette lo zampino, i personaggi non hanno respiro, sembrano muoversi impacciati, o addirittura, in alcuni momenti, braccati dallo stereotipo più banale. E cosi anche il talento di Valeria Solarino e Filippo Timi va a perdersi nella confusione del voler dire troppo e non riuscire a dire nulla, in un marasma di sentimenti, rivendicazioni e sogni che sfociano in un finale indefinito e amaro come il giudizio su questo film. Francesca Piano LINNOCENZA DEL PECCATO (La fille coupée en deux) Francia, 2007 Regia: Claude Chabrol Produzione: Patrick Godeau per Alicéléo. In coproduzione con Rhône-Alpés Cinéma/France 2 Cinéma/Integral Film. Con la partecipazione di Canal+/Ciné Cinémas/ CNC Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008) Soggetto e sceneggiatura: Claude Chabrol, Cécile Maistre Direttore della fotografia: Eduardo Serra Montaggio: Monique Fardoulis Musiche: Matthieu Chabrol Scenografia: Françoise Benoît-Fresco Costumi: Mic Cheminal Direttore di produzione: Michel Jullien Aiuti regista: Vincent Guillerminet, Mélanie Ravot, Cécile Maistre, Isabel Lebre Suono: Eric Devulder Trucco: Maya Benamer Interpreti: Ludivine Sagnier (Gabrielle Aurore Deneige), Benoît Magimel (Paul André Claude Gaudens), François Berléand (Charles Saint-Denis), Mathilda May (Capucine Jamet), Caroline Sihol (Geneviève Gaudens), Marie Bunuel (Marie Deneige), Valeria Cavalli (Dona Saint-Denis), Etienne Chicot (Denis Deneige), Thomas Chabrol (Stéphane Lorbach), Jean-Marie Winling (Gérard Briançon), Didier Bénureau (Philippe Le Riou), Edouard Baer (Edouard, l’attore intervistato), Clémence Brétecher (Joséphine Gaudens), Charley Fouquet (Eléonore Gaudens), Hubert Saint-Macary (Bernard Violet), Alain Bauguil (Louis Giraudet), Emanuel Booz (Alban), Stéphane Debac (Antoine Volte), PierreFrançois Dumeniaud (sig. Junot), Cécile Maistre (Cécile), Benoît Charpentier (se stesso) Durata: 115’ Metri: 3030 14 Film G abrielle Denege è una giovane ragazza ambiziosa che dirige con discreto successo una rubrica meteo in televisione e usa il proprio corpo per sedurre tutti gli uomini che le capitano a tiro. Perduto il padre da piccola, Gabrielle vive con la madre che ha una libreria. Charles Saint Denis è un affermato scrittore sulla sessantina, sposato da anni con Dona che non disdegna le avventure e la frequentazione dei privé. A ravvivare la sua pacifica vita matrimoniale è l’affascinante e seducente editrice Capucine Jamet, che ha realizzato un incontro fra l’autore e il pubblico in una libreria della cittadina. Casualmente si tratta della libreria della madre di Gabrielle. Qui i due, che già si erano intravisti durante una trasmissione televisiva, hanno l’occasione di conoscersi meglio. In fretta la loro relazione diventa sempre più intima e profonda e, nonostante la notevole differenza d’età, Gabrielle si innamora perdutamente di Charles. Anche lui, a suo modo, sembra essersi affezionato, ma in realtà vuole proteggerla da se stesso e dalle sue depravazioni sessuali. Gabrielle, invece, si dimostra pronta a soddisfare i desideri più bizzarri e azzardati dello scrittore, accecata dalle sue parole e dalle promesse di separazione dalla moglie. Per la ragazza esiste solo lui e non sembra prestare attenzione alla spudorata corte di Paul Gaudens, un giovane rampollo di una famiglia altolocata. Il ragazzo, viziato e psicolabile, viene stuzzicato dall’indifferenza di Gabrielle nei suoi confronti e le dichiara apertamente il proprio amore. Charles presenta Gabrielle ai suoi amici e la fa partecipare a una serata scambista. La mattina dopo, parte per lavoro, promettendo di tornare di lì ad una settimana. In realtà, l’uomo non si fa più vivo e Gabrielle entra in depressione, rifiuta di uscire e di vedere altre persone. La madre arriva addirittura a chiamare Paul, che intanto continua a corteggiarla ancora accanitamente. Il ragazzo, per scuotere Gabrielle dal torpore in cui è caduta, organizza un viaggio a Lisbona. Passa un anno e Gabrielle, nonostante sia ancora innamorata di Charles, accetta di sposare Paul, sperando che lui possa darle la felicità che desidera. Il giovane rampollo ha sempre odiato lo scrittore e lentamente il tarlo della gelosia comincia a disturbare la sua mente, tanto più dopo le confessioni della moglie. Nonostante Gabrielle con- Tutti i film della stagione duca una nuova trasmissione tutta sua, la vita matrimoniale non è affatto serena. In più si ritrova ad avere una suocera arcigna e tutta presa dagli interessi della famiglia. Charles torna a Lione e apprende del matrimonio di Gabrielle. Durante una festa di beneficenza, organizzata dalla signora Gaudens, i due amanti si rincontrano. Paul non riesce a sopportare oltre la presenza dell’uomo e di fronte a tutti gli spara. A questo punto, la famiglia, colpita nel buon nome dallo scandalo, ricorre al migliore avvocato sulla piazza. Gabrielle viene costretta a confessare pubblicamente i suoi perversi trascorsi amorosi pur di giustificare il gesto del marito. Dopo aver ottenuto il suo scopo, cioè l’infermità mentale, Paul allontana Gabrielle dalla sua vita, alla quale non rimane altro che fare la soubrette negli spettacoli illusionisti dello zio. P resentato al Festival di Venezia 2007, nella sezione Fuori Concorso, L’innocenza del peccato segna il ritorno del grande maestro francese dietro la macchina da presa. Basandosi su fatti realmente accaduti (un omicidio di un architetto a New York, nel 1906), Claude Chabrol realizza una superficiale analisi del decadimento della borghesia, che purtroppo rimane un ritratto d’ambiente patinato, formalmente impeccabile e ben recitato, ma mai incisivo o inquietante. All’interno di un dramma di provincia il regista cala i suoi personaggi in un’atmosfera malata e corrotta, dove non solo il sesso, ma anche l’amore, diventano un 15 esercizio di sopraffazione e di potere. Non c’è un personaggio che in parte risulti positivo, tutti in qualche modo sono stati invischiati nel vortice di ambiguità morale che fa della perversione “l’arte di trasformare il bene in male”. Ci vengono presentati due tipi di differenti borghesi: uno è il colto e raffinato scrittore maturo per cui la giovane perde la testa e l’altro il ricco erede, privo di stile e di talento, affetto da problemi psicologici. Tra i due lupi si trova l’ingenua e “innocente”, come citato dal titolo, Gabrielle, di estrazione piccolo borghese, destinata a farsi sporcare e poi sbranare da entrambi. Dietro le eleganti facciate delle ville, dei lussuosi salottini da tè la provincia francese nasconde scheletri e squallidi incontri a luci rosse, innocenze peccaminose e licenziosi tradimenti. La fille coupée en deux si legge nel titolo originale del film: la ragazza tagliata in due alla lettera, come dall’ ultima, simbolica, sequenza onirica. Qui la poveretta, tramite un gioco di magia, si appresta ad essere “tagliata in due” e versa una lacrima, guardando fisso in macchina da presa, quasi a tentare inutilmente di intenerire il cuore dello spettatore. Per raccontarci il suo dramma, Chabrol si serve di un linguaggio cinematografico duro e secco come una lama affilata di coltello, senza sbavature e senza sangue, ma che arriva dritto al cuore. Si avvale senz’altro di un cast prezioso: Ludivine Seigner, Benoit Magimel, François Berléand e Valeria Cavalli, attrice italiana molto apprezzata in Francia. Veronica Barteri Film Tutti i film della stagione RUSH HOUR: MISSIONE PARIGI (Rush Hour 3) Stati Uniti, 2007 eseguita da Prince; “Everybody Wants Me” di Radu Ianceoglu (Alina Puscau); “California Girls” di Mike Love, Brian Wilson (The Beach Boys); “L’amour une aventure” composta ed eseguita da Salaam Remi, Katin Cadet; “Sorry Seems to Be the Hardest Word” di Elton John, Bernie Taupin (Elton John); “Can Can” di Jacques Offenbach (The All Time Greats); “Bonnie & Clyde” di Serge Gainsbourg (Serge Gainsbourg, Brigitte Bardot); “Closer I Get to You” di Reggie Lucas, James Mturne (Chris Tucker, Jackie Chan); “La vie en rose” di Mack David, Edith Piaf, Louiguy (Grace Jones); “Kung Fu Fighting” di Carl Douglas (Chris Tucker); “War” di Barrett Strong, Norman Whitfield (Edwin Starr); “Who Made the Tater Salad” di Salaam Remi (Salaam Remi, Vincent Henry); “Last Night” di Charles Axton, Gil Caples, Chips Moman, Floyd Newman, Jerry Lee ‘Smmochy’ Smith (The Mar-Keys); “Less Than an Hour” di Lalo Schifrin, Salaam Remi, Nas, Cee-Lo (Nas e Cee-Lo) Interpreti: Chris Tucker (detective James Carter), Jackie Chan (ispettore capo Lee), Max von Sydow (Varden Reynard), Hiroyuki Sanada (Kenji), Yvan Attal (George), Noémie Lenoir (Genevieve), Jingchu Zhang (Soo Yung), Tzi Ma (console Han), Dana Ivey (sorella Agnes), Henry O (maestro Yu), Mia Tyler (Marsha), Michael Chow (Ministro Esteri cinese), David Niven jr. (Ministro Esteri inglese), Oanh Nguyen (Mi), Andrew Quang (ragazzino kung-fu), Sun Ming Ming (gigante kung fu), Lisa Thornhill (infermiera), Kentaro Matsuo (assassino francese), Ludovic Paris, Richard Dieux, Olivier Schneider (poliziotti francese), Philippe Bergeron (cartaio baccarat), Daniel Yabut (croupier), Frank Bruynbroek (barista), Silvie Laguna (donna ascensore), Micaelle Mee-sook (cameriera cinese), Daniel Decrauze (chitarrista che canta), David Goldsmith (clown), Michael Francini (uomo anziano), Julie Depardieu (oglie di Georges), Marc Hoang (vigilante Torre Eiffel), Lisa Byrnes, Melissa Cabrera, Mandy Coulton, R. J. Durell, Catherine Ferrino, Loriel Hennington, Rachael Markarian, Jaayda McClanahan, Ann Beth Miller, Victoria Parsons, Vanessa Tarazona, Laetitia Ray, Tovaris Wilson, Diana Carr, Noa Dori, Kayla McGee, Tanja Plecas, Kristin Quinn, Liliya Toneva (ballerine), Lisa Piepergerdes, Eric Naggar, Ann Christine, Heather Mostofizadeh, Jasmine Dustin, Francesca Cecil Durata: 91’ Metri: 2400 Regia: Brett Ratner Produzione: Roger Birnbaum, Andrew Z. Davis, onathan Glickman, Arthur M. Sarkissian, Jay Stern per New Line Cinema/ Roger Birnbaum Productions/Arthur Sarkissian Productions. In associazione con Unlike Film Productions Distribuzione: Key Films Prima: (Roma 5-10-2007; Milano 5-10-2007) Soggetto: dai personaggi creati da Ross LaManna Sceneggiatura: Jeff Nathanson Direttore della fotografia: J. Michael Muro Montaggio: Mark Helfrich, Dean Zimmermann, Don Zimmermann Musiche: Lalo Schifrin Scenografia: Ed Verreaux Costumi: Betsy Heimann Produttore esecutivo: Toby Emmerich Produttori associati: David Gorder, Darryl Jones Co-produttori: Leon Dudevoir, James M. Freitag Direttori di produzione: Gilles Castera, JoAnn Peritano Casting: Ronna Kress Aiuti regista: Gilles Kenny, James M. Freitag, Robert Schroer, Kevin Turley, Vernon Davidson, Yannick Fauchier, Jerome Borenstein, Julie Laugier Operatori: Gary Jay, Roger Simonsz Art director: Chad S. Frey Arredatore: Kate J. Sullivan Trucco: Felicity Bowring Acconciature: Kelvin R. Trahan, Margarita Pidgeon, Cathrine A. Marcotte Supervisori effetti speciali: Hans Metz, Clay Pinney, Grégoire Delage Coordinatore effetti speciali: Pascal Declercq Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures), Patrick Kavanaugh (CIS Hollywood), Ray McIntyre jr. (Pixel Magic), Jerry Pooler (Digital Dream), Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), John Bruno, Lindy DeQuattro, Eli Jarra Supervisori effetti digitali: Marco Recuay (Digital Dream), Tyler Foell Coordinatore effetti visivi: Robin Trickett Supervisore costumi: Joyce KOgut Coreografie: Marguerite Pomerhn Derricks Canzoni/Musiche estratte: “Do Me, Baby” composta ed D urante un discorso davanti alla commissione internazionale sul crimine organizzato, l’ambasciatore cinese Han viene colpito da un cecchino proprio nel momento in cui dichiara guerra alla “Società delle Triadi” (la più grande cosca mafiosa orientale). L’ispettore capo, nonché guardia del corpo del diplomatico, Lee, insegue per tutta la città il killer, ma, nonostante gli venga in soccorso il suo amico detective James Carter, non riesce a catturarlo. I due agenti, a cui viene affidato il caso dal capitano di polizia di Los Ange- les, devono proteggere Soo-Yung, la figlia del console. Anche lei infatti è in pericolo di vita, dal momento che è a conoscenza di una misteriosa lettera che il padre le aveva lasciato prima di essere ferito, nella quale sono contenute informazioni riservate sulla pericolosa banda di criminali. Lee e Carter vengono mandati in missione a Parigi per scovare il capo Shy Shen, il quale altri non è che il fratello adottivo dello sbirro cinese. Qui, però, devono affrontare diverse peripezie. Dopo aver incontrato un commissario un po’ 16 sadico e un pauroso tassista antiamericano (che in breve tempo convertono in una coraggiosa “spia” al loro servizio), rischiano la pelle in ben due situazioni. Nella prima, Lee viene sedotto da un’affascinate donna che in realtà si rivela essere una spietata assassina armata di un ventaglio lancia-coltelli; mentre; nella seconda, i due eroi sono costretti a fronteggiare una squadra di motociclisti che dà loro la caccia, inseguendoli per le vie di Parigi. Su incarico del ministro Reynard, si mettono poi sulle tracce di Genevieve, la Film donna con cui l’ambasciatore era entrato in contatto e che, in quanto ex componente della “Società delle Triadi”, è in possesso della lista dei “Tredici Dragoni” (è tatuata dietro la sua nuca e nascosta da una parrucca). Intanto SooYung viene rapita e Lee e Carter riusciranno a trarla in salvo soltanto al termine di un estenuante combattimento sulla Torre Eiffel. A ncora una volta l’irresistibile e stravagante coppia formata dall’attore-regista di Hong Kong Jakie Chan e dall’esuberante comico di colore Chris Tucker (un perfetto clone di Eddie Murphy) regala intrattenimento, azione e una buona dose di humor. Dopo Rush Hour – Due mine vaganti (1998) e Colpo grosso al Drago Rosso – Rush Hour 2 (2001), il regista Brett Ratner confeziona con molta furbizia un azzeccato terzo capitolo della saga ideata da Ross Tutti i film della stagione LaManna, ricco di tensione e trovate spettacolari. Scontri a fuoco, duelli fisici all’ultimo sangue a colpi di arti marziali, inseguimenti funambolici e salvataggi in extremis sono gli ingredienti principali che condiscono ad arte sequenze mozzafiato. Chan, grazie alle sue innate doti di acrobata, movimenta quasi ogni scena con audaci coreografie degne di La tigre e il dragone, in cui volteggia mirabilmente nello spazio (senza avere neppure bisogno di controfigure!). Tra letali mosse di kung-fu e sparatorie a tutto spiano, l’adrenalina è dunque garantita. Botte da orbi e non solo, però. Perché non è tanto l’aspetto poliziesco (tra l’altro piuttosto stereotipato, alla Arma letale - per intenderci) a rendere Rush Hour III un sicuro prodotto di successo, quanto invece il brio dei suoi interpreti, in particolare della “spalla” Tucker, al quale vengono affidate battute ora demenziali, ora esi- laranti. La collaudatissima formula “cazzotti & risate” funziona alla grande, insomma, anche in questo ultimo episodio della fortunata trilogia ambientato nella Ville Lumière. Due sono i momenti di trascinante comicità che segnaliamo, in cui spadroneggia il brillante detective nero: quando si cimenta in un’improbabile lotta contro un gigante cinese e poi quando, col suo collega, irrompono nello show della ballerina Genevieve per salvarla da un attentato e si lui improvvisa cantante. Davvero un gustoso siparietto. In questa spassosa ed energica pellicola c’è spazio anche per alcuni cammei: Philip Bakel Hall è il capitano di polizia William Diel; Roman Polanski è il commissario francese Jacques; infine, Max von Sydow veste i panni del subdolo ministro Reynard. Diego Mondella LEONI PER AGNELLI (Lions for Lambs) Stati Uniti, 2007 Regia: Robert Redford Produzione: Matthew Michael Carnhan, Tracy Falco, Andrew Hauptman, Robert Redford per Andell Entertainment/Brat Na Pont Productions/Cruise-Wagner Productions/United Artists/ Wildwood Enterprises Distribuzione: Twentieth Century Fox Prima: (Roma 21-12-2007; Milano 21-12-2007) Soggetto e sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan Direttore della fotografia: Philippe Rosselot Montaggio: Joe Hutshing Musiche: Mark Isham Scenografia: Jan Roelfs Costumi: Mary Zophres Produttori esecutivi: Tom Cruise, Daniel Lupi, Paula Wagner Produttore associato: Bill Holderman Direttore di produzione: Will Weiske Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Adam Somner, Ian Stone, Mike Topoozian, Jenny Nolan Operatore/Operatore steadicam: Mark La Bonge Art director: François Audouy Arredatore: Leslie A. Pope Trucco: Leo Corey Castellano, Gabriel De Cunto, Mustaque M. Ashrafi Acconciature: Bunny Parker, Terie Velasquez L a giornalista Janine Roth viene incaricata dal capo del network televisivo per il quale lavora di Coordinatore effetti speciali: Steve Cremin Supervisori effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), Grady Cofer (ILM), Scott Liedtka (Tweak Films) Coordinatori effetti visivi: Daniel Cavey, Courtney Ward (ILM), Anna Fielda (Tweak Films) Supervisore costumi: Lori DeLapp Canzone/Musica estratta: “Lean Wit It” composta ed eseguita da Herman Beeftink Interpreti: Robert Redford (professor Stephen Malley), Meryl Streep (Janine Roth), Tom Cruise (senatore Jasper Irving), Michael Peña (Ernest Rodriguez), Andrew Garfield (Todd Hayes), Peter Berg (tenente colonnello Falco), Kevin Dunn (Howard), Derek Luke (tenente Arian Finch), Larry Bates, Christopher May, David Pease, Heidi Janson (soldati), Christopher Carley (cecchino), George Back, Kristy Wu, Bo Brown, Josh Zuckerman, Samantha Carro, Christopher Jordan, Angela Stefanelli, Muna Otaru (studenti), Paula Rhodes (Summer Hernandez Kowalski, reporter ANX), Sarayu Rao (receptionist senatore Irving), Amanda Loncar (giovane assistente), Richard Burns (impiegato senato), Kevin Collins (ranger), Jennifer Sommerfield, Wynonna Smith (ospiti talk-show), Babar Peerzada (combattente afgano), Wade Harlan (pilota elicottero), Michael Peoples (veterano) John Brently Reynolds, Clay Wilcox, Chris Hoffman, Louise Linton, Candace Moon Durata: 92’ Metri: 2520 intervistare il rampante senatore repubblicano Jasper Irving. Quest’ultimo le rilascia delle dichiarazioni in esclusiva sul- 17 l’imminente piano che il governo americano intende adottare per vincere la guerra in Afghanistan e combattere il terrori- Film smo. Dopo gli errori compiuti da parte della Casa Bianca nella gestione del conflitto e del rapporto con i media, la politica vuole servirsi della stampa per fare chiarezza e riacquistare il consenso della gente. Secondo Irving, il nemico da tenere a bada sarà l’Iran, il temibile “Asse del male”, che riunisce sotto la stessa causa antiamericana gli estremisti sunniti e sciiti. Di fronte alle incalzanti domande della reporter, che chiede quali saranno i costi umani previsti per la nuova strategia, il senatore è risoluto nel sostenere la sua tesi: per assicurare la sicurezza al popolo statunitense, bisogna fare di tutto, anche proseguire la missione militare altri dieci anni. Nonostante il parere contrario del direttore, alla fine la Roth si rifiuta di mandare in onda l’intervista. Il docente di Scienze Politiche dell’Università della California, Stephen Malley, durante un lungo colloquio con un suo brillante allievo, lo esorta a impegnarsi concretamente in campo sociale e civile per tentare di cambiare lo stato attuale delle cose. Ma il ragazzo non ha minimamente intenzione di seguire il suo consiglio e attende con preoccupazione, come tutti i suoi coetanei, la chiamata alle armi. Due ex studenti del professor Malley, malgrado il disperato tentativo di questo ultimo di fermarli, decidono di arruolarsi. Una volta giunti al fronte, rimangono seriamente feriti nel corso di un duro scontro a fuoco. Costretti all’immobilità tra le asperità delle montagne afgane, chiedono invano l’intervento dei soccorsi e finisco- Tutti i film della stagione no tragicamente la loro spedizione fucilati dai talebani. S ono passati i tempi in cui andava di moda il cosiddetto “impegno civile”. Pellicole autorevoli come Il candidato, Tutti gli uomini del presidente, oppure ancora Brubacker, hanno consegnato alla storia non soltanto il talento di un interprete profondo e coriaceo quale è Robert Redford, ma anche alcune pagine di cinema di rara intensità, in cui la settima arte ha espresso appieno le sue potenzialità di farsi specchio deformante della società. L’anima liberal del divo americano, che non ha mai smesso di manifestare le sue idee e i suoi principi lungo tutto l’arco della sua carriera, è tornata a farsi sentire più combattiva che mai in Leoni per agnelli. Un film sicuramente controverso e indigesto a gran parte dell’opinione pubblica statunitense (in particolar modo a quella di fede repubblicana), perché affronta con coraggio e senza retorica questioni di scottante attualità, come la guerra in Iraq. Attorno a questo tema cardine, Redford fa ruotare ben tre storie differenti (la cronista e il senatore, l’insegnante e lo studente, i due soldati in Afghanistan), nelle quali si intrecciano non solo i destini dei rispettivi protagonisti, ma anche quello di un intera nazione che, per la prima volta, tenta di fare ammenda dei propri gravissimi sbagli. Si comincia dalla politica, la cui proverbiale ipocrisia è incarnata dal personaggio di Irving (Tom Cruise), che con la sua calma ieratica e 18 una dialettica da statista navigato cerca di usare la minaccia nucleare iraniana come sordido viatico per conquistare la presidenza. Ma anche la stampa ha le sue colpe da rimproverarsi. I mezzi di informazione che hanno appoggiato la dissennata amministrazione Bush e i suoi insuccessi (e che continuano a pubblicare dati, percentuali e grafici sul disastroso andamento della campagna irachena) avrebbero infatti uguale responsabilità degli stessi governanti nella morte di migliaia di marines. Anzi – come sostiene l’aspirante leader conservatore – alcuni quotidiani e televisioni avrebbero “soffiato sul fuoco”, strumentalizzando perfino gli orrori del carcere di Abu Ghraib. Per fortuna esistono anche professionisti come la giornalista interpretata da Meryl Streep, a ricordarci che fare del «vero giornalismo» non significa essere proni al potere, ma farsi guidare dalla ragione, dalla coerenza e dall’etica. In mezzo a tale sfacelo di valori in cui si trova impantanata la più grande potenza del mondo, c’è posto poi per un altro malessere di allarmanti proporzioni, quello rappresentato dalla scuola. Il livello di istruzione in America attraversa una fase di degrado estremo ed è da qui che bisogna ripartire se si vuole veramente migliorare il futuro. Il valente professor Malley sarà pure un nostalgico idealista che non si arrende a instillare il dono della curiosità e della vis polemica. Ma non gli si può dare certamente torto quando afferma che «i pezzi di merda che comandano (i cosiddetti “agnelli”) marciano sull’apatia e l’ignoranza dei giovani» e che quindi è necessario agire mentre gli altri ragazzi, reclutati soprattutto tra i ceti meno abbienti, vengono mandati sciaguratamente al mattatoio. L’accorato appello del regista, che per l’occasione si ritaglia il ruolo di istitutore, fa breccia nel cuore dei suoi corsisti sollevando un tema quanto mai stringente: il diffuso sentimento di anti-politica. Attraverso questa riuscita opera di denuncia sull’inutilità della guerra, avvalorata da un cast di attori superbi, il settantenne Redford vuole scaldare gli animi delle nuove generazioni, offrendo loro una irreprensibile lezione di democrazia, di umanità e di speranza. E ci auguriamo che non sia l’ultima. Diego Mondella Film Tutti i film della stagione RESIDENT EVIL: EXINCTION (Resident Evil: Exinction) Stati Uniti/Francia/Australia/Germania/Gran Bretagna, 2007 Regia: Russell Mulcahy Produzione: Paul W. S. Anderson, Jeremy Bolt, Robert Kulzer per Resident Evil Productions/Constantin Film Produktion/ Davis-Films/Impact Pictures Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 12-10-2007; Milano 12-10-2007) V.M. 14 Soggetto e sceneggiatura: Paul W. S. Anderson Direttore della fotografia: David Johnson Montaggio: Niven Howie Musiche: Charlie Clouser Scenografia: Eugenio Caballero Costumi: Joseph A. Porro Produttori esecutivi: Bernd Eichinger, Samuel Hadida, Kelly Van Horn Direttori di produzione: Héctor Lopez, Kelly Van Horn Casting: Scot Boland, Victoria Burrows Aiuti regista: Jose Jimenez, Mark Egerton, Joaquin Silva, Maria Raquel Dioni, Valeria Villalobos, Matias Risso Patron Operatore/Operatore steadicam: Norbert Kaluza Art director: Barbara Enriquez Trucco: Raul Zamora, Laura Hill Acconciature: Bunny Parker Supervisore e creazione creatura: Patrick Tatopoulos Effetti speciali trucco: Bruce Spaulding Fuller, Richard Redlefsen, Jorge Siller S ono trascorsi tre anni da quando il virus T si è diffuso oltre l’area di Racoon City, l’intero pianeta è ora abitato prevalentemente da zombie e gli effetti del contagio sulle piante hanno reso il mondo un’intera landa desertica. Gli unici superstiti umani sopravvivono spostandosi da un luogo all’altro, evitando accuratamente le grandi città (dove più forte è la concentrazione dei non morti), nella speranza di un domani migliore. Alice, però, non è più insieme ai suoi amici: gli esperimenti della Umbrella Corporation l’hanno infatti dotata di poteri che la rendono potenzialmente pericolosa per chiunque le sia vicino e così la ragazza viaggia da sola, a bordo di una potente moto. Quello che Alice non sa è che la Umbrella, nella persona del dr. Isaacs, sta continuando i suoi esperimenti in un nuovo laboratorio sotterraneo: il DNA della ragazza è infatti l’unico ad aver “assorbito” il virus senza farle perdere la propria umanità e, per questo, contiene la chiave che potrebbe portare alla fine del contagio e alla liberazione del mondo dai non morti. Dal momento che Alice è fuggita, Isaacs ha approntato una serie di suoi cloni per continuare gli studi, ma Supervisore effetti speciali: Casey Pritchett Coordinatore effetti speciali: Darrell Pritchett Supervisori effetti visivi: Matthew Gratzner (New Deal Studios Inc.), Thomas Turnbull (Rocket Science VFX), Dennis Berardi, Evan Jacobs Coordinatori effetti visivi: E. M. Bowen, Taryn P. Kelly (New Deal Studios Inc.), Luke Groves, Victoria Holt (Mr. X Inc.), Christa Tazzeo (Invisible), Rubina Cokar Supervisore effetti digitali: Aaron Weintraub Interpreti: Milla Jovovich (Alice), Oded Fehr (Carlos Olivera), Ali Larter (Claire Redfield), Iain Glen (dott. Isaacs), Mike Epps (L.J.), Spencer Locke (K-Mart), Ashanti (Betty), Matthew Marsden (capitano Alexander Slater), Christopher Egan (Mikey), Jason O’Mara (Albert Wesker), Linden Ashby (Chase), Rusty Joiner (Eddie), Ramón Franco (Runt), Shane Woodson (Piggy), Jamie Patrick Miller (Evan), Joe Hursley (Otto), Rick Cramer (hockey su ghiaccio/guardia corridoio), Madeline Carroll (‘White Queen’), Peter O’Meara (inviato inglese), William Abadie (inviato francese), Valorie Hubbard (Ma), Kirk B.R. Woller (scienziato), Connor McCoy (ragazzo magro), John Eric Bentley, James Tumminia, Geoff Meed, Brian Steele, Gary Hudson Durata: 95’ Metri: 2520 questi non riescono a superare le prove cui sono sottoposti. La situazione è a un punto di stallo, ma Isaacs non si arrende; è anche riuscito a sintetizzare un vaccino in grado di rendere intelligenti gli zombi e di inibire loro l’istinto cannibalistico, ma le prime prove si rivelano ancora insoddisfacenti. Intanto Alice, dopo essere sfuggita agli agguati tesi da alcuni predoni, trova un agenda che lascia supporre come in Alaska il contagio non abbia attecchito e come, forse, nel nord del mondo si nasconda la nuova terra promessa. Nel frattempo, un altro convoglio di disperati è in cerca della salvezza, a bordo di una serie di camion corazzati: fra loro ci sono anche Carlos Olivera e vecchie conoscenze di Alice, mentre leader del gruppo è la risoluta Claire Redfield. I disperati, durante una sosta, vengono attaccati da uno stormo di corvi che si sono nutriti di carne infetta e, per questo, hanno contratto l’infezione cannibalistica. La situazione sembra disperata, ma a risolvere il problema sopraggiunge inaspettatamente proprio Alice, che con i suoi poteri psichici scaccia i corvi. Riunitasi a Carlos Alice è malvista dagli altri a causa delle sue capacità, ma ugualmente pro19 pone loro di raggiungere l’Alaska tutti insieme. L’idea viene accettata all’unanimità da un gruppo ormai bisognoso di speranza. Per un viaggio così lungo occorre però benzina a sufficienza; dopo aver constatato la difficoltà nel reperire il carburante, il gruppo decide di recarsi a Las Vegas, ormai inghiottita dalle sabbie. Il posto sembra disabitato, ma invece si rivela una grande trappola predisposta da Isaacs, che ha rintracciato Alice con un satellite e ora le invia contro un gruppo di super-zombi, resi più veloci da una nuova mutazione. La ragazza combatte come una furia e, pur non riuscendo a evitare la morte di molti compagni, sconfigge i mostri e riesce quasi ad aver ragione di Isaacs, che comunque fugge, ma prima viene morso da un super zombie. Per non diventare anche lui un non morto, lo scienziato, una volta tornato alla base, si inietta dosi massicce di Virus T, diventando così un mostro spaventoso. Alice invece decide di recarsi al laboratorio dell’Umbrella per rubare l’elicottero con il quale Isaacs è fuggito e che potrebbe rivelarsi utile per raggiungere l’Alaska. Carlos si incarica di rompere la barriera di morti viventi che circonda la Film base: un’impresa suicida, ma inevitabile per lui che è stato morso e che fra poco diventerà uno zombie. L’eroe riesce nell’impresa e Claire e gli altri raggiungono così l’elicottero, con il quale partono per la terra promessa. A terra resta soltanto Alice, che vuole regolare una volta per tutte i conti con Isaacs e l’Umbrella. Entrata nel laboratorio, la ragazza scopre l’esistenza dei suoi cloni e le macchine che, forse, con l’aiuto del computer centrale, potranno permetterle di sintetizzare un antidoto all’infezione che ha distrutto il mondo. Quindi arriva anche il momento del confronto con Isaacs, condotto con le armi del corpo e della mente, fino alla vittoria finale. A questo punto, resta da eliminare soltanto il direttivo centrale dell’Umbrella, che ha sede in Giappone: per questo, Alice annuncia ai nemici una sua prossima visita, accompagnata dall’esercito dei suoi cloni. A cinque anni dalla sua uscita, si fatica ancora a comprendere se si debba o meno considerare importante un film come Resident Evil: i meriti di aver ridato linfa al filone dei morti viventi sono indiscutibili, così come quelli di aver reso possibile la nascita di un filone che, partendo da celebri videogame, oggi produce film di successo. Ma il vero problema sta nella mitologia che il film ha saputo o voluto produrre. Quello che interessa, quindi, è stabilire se la saga sia stata capace di fondare un immaginario nuovo o, quand’anche derivativo, capace comunque di porsi in una prospettiva virtuosa, appassionante e vitale. Certamente Paul W.S. Anderson, “mente” dell’intera operazione, possiede la giusta dose di entusiasmo, ha le idee chiare e dimostra di voler dare forma a una saga coerente, ma capace, a ogni film, di riflettere un differente sottogenere: se il primo Resident Evil era infatti un action-movie claustrofobico (un possibile riferimento è l’Aliens di Cameron), il secondo guardava più agli scenari metropolitani di tanto cinema anni Settanta, mentre in questo caso lo sguardo si volge verso le distese desertiche e postapocalittiche dei vari Mad Max. In tal senso, è coerente anche il fatto che a ogni capitolo cambi il regista; stavolta si segnali il ritorno dietro la maschera da presa di un talento decaduto come Russel Mulcahy, regista di Razorback e Highlander. Ma ogni buona intenzione si infrange inevitabilmente dinanzi alla pochezza e alla puerilità di un cinema che non Tutti i film della stagione ha alcuna ambizione, se non quella di offrirsi come nuovo a un pubblico distratto e dimentico dei modelli: film dopo film, si continua infatti a veleggiare nei territori del già visto, riciclando sequenze e icone di mitologie preesistenti senza guizzi né passione, con la presunzione di chi intende sfruttare il citazionismo nel segno della commistione di elementi eterogenei, ma evidentemente non ha un’oncia dell’onestà di Tarantino e compagni, che almeno hanno la forza di credere nei loro personaggi e di renderli entità vive, con cui lo spettatore possa confrontarsi e appassionarsi. Nello scorrere caotico delle immagini di Resident Evil: Extinction c’è tutta la nullità di un mainstream odierno che non conosce il piacere del racconto, ma si bea delle proprie deliranti invenzioni e di un continuo ammiccare che sconfina nel plagio senza produrre reali sussulti nella storia (la sequenza del test al morto vivente dota- to di intelligenza, mutuata dal Giorno degli zombi di Romero, non ha alcuna utilità ai fini narrativi, ma serve unicamente come strizzatina d’occhio ai fans). Il risultato è che non si prova alcun interesse per questi personaggi e queste vicende dal sapore artificioso, qualsiasi possibile tematica è appiattita dalla rigidità di uno sguardo che non possiede nemmeno la spavalderia cialtrona dell’Alexander Wytt che aveva reso quantomeno divertente il secondo capitolo. E il boccone amaro da mandar giù riguarda un cinema che ha completamente rovesciato di segno il mito del morto vivente, non più metafora di una morte palesata, da affrontare a viso aperto, ma implicito e sotterraneo imbalsamatore dell’immaginario. In questo senso Resident Evil è un franchise drammaticamente conservatore. Davide Di Giorgio LUSSURIA SEDUZIONE E TRADIMENTO (Se jie) Cina/Stati Uniti, 2007 Regia: Ang Lee Produzione: Ang Lee, William Kong per Haishang Films/Focus Features/Mr. Yee Productions/River Road Entertainment. In coproduzione con Hai Sheng Film Production Company Distribuzione: Bim Prima: (Roma 4-1-2008; Milano 4-1-2008) V.M. !4 Soggetto: dal romanzo omonimo di Eileen Chang Sceneggiatura: Wang Hui-ling, James Schamus Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto Montaggio: Tim Squyres Musiche: Alexandre Desplat Scenografia e costumi: Lai Pan Produttori esecutivi: James Schamus, Darren Shaw, Dai Song, Ren Zhong-lun Produttore associato: Lloyd Chao Co-produttori: David Lee, Doris Tse Direttori di produzione: Eric Fong, Chiu Wah Lee, Wai Luen Pang Casting: Rosanna Ng Aiuti regista: Rosanna Ng, Tze Hung Lam Art directors: Eric Lam, Bill Lui, Alex Mok, Chong Kwok-wing, Lau Sai-wan Coordinatore effetti visivi: Sarah Barber (Mr. X Inc) Supervisore effetti visivi: Brendan Taylor (Mr. X Inc) Interpreti: Tony Leung Chi-wai (sig. Yee), Tang Wei (Wang Jazhi/sig.ra Mak), Joan Chen (sig.ra Yee), Wang Leehorn (Kuang Yu-min), Chung Hua-tou (vecchio Wu), Chu Chih-ying (Lai Shu Jin), Kao Ying-hsien (Huang Lei), Ko Yue-lin (Liang Jun Sheng), Johnson Yuen (Auyang Ling Wen/sig. Mak), Kar Lok Chin (Tsao), Su Yan (Ma Tai Tai), Caifei He (Hsiao Tai Tai), Ruhui Song (zia di Wang), Anupam Kher (Khalid Saiduddin), Liu Jie (Leung Tai Tai), Hayato Fujiki (colonnello giapponese Sato), Yuji Kojima (comandante giapponese Taicho), Akiko Takeshita, Cheng Yu-lai, Li Dou Durata: 156’ Metri: 4300 20 Film Tutti i film della stagione S hanghai, 1942. Mentre la città è occupata dalle truppe giapponesi nel corso della Seconda guerra mondiale, la signora Mak entra in un lussuoso caffè, fa una telefonata e poi si siede ad aspettare. In quel momento, inizia a pensare a quando era cominciata la sua storia nel 1938. Allora si chiamava Wong Chia Chi ed era una studentessa che viveva a Hong Kong. Suo padre, fuggito in Inghilterra, l’aveva lasciata da sola mentre era scoppiata la guerra, mentre la madre era morta. Al primo anno di università, aveva incontrato Kuang Yu Min, uno studente che aveva messo in piedi una compagnia teatrale con lo scopo di tenere alto lo spirito patriottico della popolazione. La ragazza diventa così prima attrice della compagnia e, attraverso la sua recitazione, capisce che riesce a commuovere ed emozionare il pubblico. Anche lo stesso Kuang resta colpito dal suo talento. Lo studente, al tempo stesso, ha anche in mente un preciso piano politico; convince infatti un gruppetto di studenti a realizzare un progetto estremamente ambizioso, quello dell’assassino del signor Yi, un potente collaborazionista dei giapponesi. Ognuno di loro ha un ‘ruolo’ da interpretare. A Wong viene affidata la parte della signora Mak, che si deve conquistare la fiducia di Yi diventando prima amica di sua moglie, giocatrice incallita di mahjong, e poi deve iniziare una relazione con lui. La ragazza si infiltra nella vita dell’uomo. Per fare questo, comincia una profonda trasformazione sia nel fisico sia nel suo modo di comportarsi. Per un po’ le cose vanno secondo i piani; la giovane donna infatti rivela ai suoi compagni ogni spostamento dell’uomo e la sua volontà sembra essere quella di volerlo vedere morto. Un fatale imprevisto, però, manda all’aria i piani; i coniugi Yi decidono all’improvviso di ritornare a Shanghai. Inoltre un ex-guardia del corpo del collaborazionista si è accorto del piano degli studenti e comincia a ricattarli fino a quando l’uomo non viene assassinato. In seguito a questi eventi, Wang decide così di fuggire. 1941, Shanghai. Wong è emigrata a Hong Kong e cerca di tirare avanti. Con sua grande sorpresa però, rivede Kuang. Questi ormai fa parte della resistenza organizzata e torna ad arruolarla nella parte della signora Mak con lo stesso scopo di qualche anno prima: uccidere Yi. L’uomo, nel frattempo, ha assunto un ruolo ancora più importante diventando direttore del servizio segreto collaborazionista. La giovane donna riprende così il suo vecchio compito e ne diventa finalmente l’amante. Tra loro s’instaura una relazio- ne sessuale estrema. Lei si accorge però che, col tempo, è ormai in preda a una passione incontrollabile nei suoi confronti. Comincia a sentirsi sempre più confusa e inizia ad avere paura di perderlo e di vederlo morire. Nel 1942, al caffè dove si trova, Wang è così assalita da un atroce dubbio: portare l’uomo alla gioielleria dove è stato pianificato il suo omicidio, oppure raccontargli tutto? D opo La tigre e il dragone anche Lussuria potrebbe ipoteticamente apparire come una programmatica operazione a tavolino in cui si incrociano le atmosfere del cinema orientale con le forme narrative di quello occidentale. La tigre e il dragone aveva in sé la dimensione del kolossal combinata però con un respiro rarefatto, quasi aereo, che riprendeva in maniera geometrica ma anche emozionale la struttura del wuxiapian (“film di cappa e spada”). Lussuria invece combina le forme del mélo storico materializzando, grazie anche all’illuminazione di Rodrigo Prieto - il direttore della fotografia di film come La 25° ora e 8 Mile che aveva già collaborato con Ang Lee con il precedente I segreti di Brockeback Mountain (2005) – una Shanghai cupa e, al tempo stesso, scintillante, luogo di fuga ma anche di provvisorie attrazioni che fa da sfondo ad una vicenda passionale impossibile, disperata, eppure densissima, che viene però raccontata con quel ‘classicismo’ che si pone probabilmente un modello altissimo: quello di Casablanca (1942). Sia la città cinese, sia quella marocchina del film di Michael Curtiz appaiono infatti come set provvisori, luoghi di transito, non solo spaziale ma anche sentimentale. Certo, dietro al film 21 di Ang Lee c’è il racconto di Eileen Chang, considerata come una specie di Jane Austen d’oriente, che viene dilatato per accentuare probabilmente gli elementi forti della tragedia, proprio quella ‘seduzione e tradimento’ che non a caso fanno parte del titolo con cui il film è stato distribuito in Italia. Però c’è di più. Non è la prima volta che il regista taiwanese incrocia le forme del melodramma declinandolo, di volta in volta, in maniera diversa, incrociandolo con il western in I segreti di Brockeback Mountain, con un’avventura quasi fiabesca in La tigre e il dragone, con il calligrafismo del film in costume in Ragione e sentimento. Lee certamente si riappropria di un certo respiro visivo che porta ad accostare Lussuria all’opera di cineasti come Wong Kar-wai e Stanley Kwan: i tagli di luce, il modo di inquadrare gli ambienti e i personaggi con movimenti della macchina da presa lenti e cadenzati, la presenza della Storia e i residui del tempo che sembrano rintracciarsi dentro l’inquadratura, spingono ad accostare quest’opera agli straordinari In the Mood for Love (2000, che condivide con questa pellicola lo stesso attore ptotagonista, Tony Leung) ed Everlasting Regret (2005). Con questi film infatti Lussuria condivide quel senso di malinconica decadenza che, fino a questo momento, aveva attraversato solo in maniera tangenziale l’opera del cineasta. Il senso di classicità, che Lee ha probabilmente ereditato dalla sua esperienza negli Stati Uniti, è presente nella maniera potentissima in cui il regista recupera quei frammenti propri del cinema noir. C’è, per esempio, il momento in cui Wong Chia Chi/la signora Mak ha teso una trappola al signor Yi a Hong Kong e il piano sta per andare in porto. Lee gestisce magistralmente, come in tutto il film, un ‘ritmo dell’attesa’, Film evidente nei tempi vuoti, nella sospensione provvisoria delle azioni (il modo con cui vengono filmate, per esempio, le partite di mahjong), nella crisi d’identità della bravissima protagonista (Tang Wei) sempre più divisa tra il dovere e la passione. La ragazza, inquadrandola all’interno dei meccanismi del genere, potrebbe incarnare una sorta di moderna ‘dark lady’: affascinante, doppiogiochista, stavolta non diabolica ma piuttosto vittima lei stessa del meccanismo che ha creato assieme agli altri compagni della Resistenza. Inoltre Lussuria possiede un potente erotismo che nei noir era sempre presente anche se più trattenuto; una sessualità divampante, segno di come il film tenda progressivamente a surriscaldarsi come per materializzare ‘le fiamme del mélo’. L’attesa si avverte in quasi tutto il film ed è già presente in apertura, nel momento stesso in cui entra in un lussuoso caffè dell città, fa una telefonata e poi si mette ad aspettare. È come se da quell’istante la Storia della Tutti i film della stagione Cina sotto l’occupazione giapponese scorresse parallelamente alla propria vicenda personale; entrambe volte all’indietro, guardando quasi esclusivamente al passato. Non c’è dubbio che Lussuria – con il quale Ang Lee ha vinto a Venezia il secondo Leone d’Oro in tre anni dopo I segreti di Brockeback Mountain nel 2005 – possa essere ancora l’esempio di un cinema sempre mutevole nella sua forma, che per i detrattori di Ang Lee potrebbe rappresentare ancora una volta l’esempio della mancanza di uno sguardo personale. Certamente l’opera dell’autore taiwanese spazia da diversi generi, adotta la loro struttura dando molte volte quasi la sensazione di riprodurla come può essere accaduto, per esempio, con la ‘commedia degli equivoci’ in Banchetto di nozze (1993), con il western in Cavalcando col diavolo (1999) e con il fantasy d’azione di provenienza fumettistica rappresentato da Hulk (2004). Lee però, pur essendo un regista disequilibrato e incostante, ha sempre delle improvvise accensioni che attraggono all’improvviso. Lussuria è certamente uno dei suoi film più belli. Anzi, forse più che La tigre e il dragone, è il suo migliore film ‘orientale’, così come Tempesta di ghiaccio (1997) è il suo miglior film occidentale. Si tratta di due esempi diversissimi nello stile, ma condividono lo stesso provvisorio ‘raggelamento’ delle situazioni, ambientate nel passato (tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta Lussuria, all’inizio degli anni Settanta Tempesta di ghiaccio) in cui prendono gradualmente forma quelle ‘ombre di morte’. Ed entrambe queste pellicole giocano sull’accumulo, crescono progressivamente portando a dei finali indimenticabili. Così classici nella loro disperazione e nella loro emozionalità. Simone Emiliani LASSASSINO DI JESSE JAMES PER MANO DEL CODARDO ROBERT FORD (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford) Stati Uniti, 2007 Supervisore effetti visivi: Deak Ferrand (HATCH) Supervisore costumi: Kelly Fraser Canzoni/Musiche estratte: “Jesse James” arrangiata ed eseguita da Nick Cave; “Amazing Grace”, “Oh, Susannah” (Brooklyn Proulx) Interpreti: Brad Pitt (Jesse James), Mary-Louise Parker (Zeralda James), Zooey Deschanel (Dorothy Evans), Casey Affleck (Robert Ford), Sam Rockwell (Charley Ford), Jeremy Renner (Wood Hite), Sam Shephard (Frank James), Ted Levine (sceriffo James Timberlake), Garret Dillahunt (Ed Miller), Paul Schneider (Dick Liddil), Michael Parks (Henry Craig), Pat Healy (Wilbur Ford), Brooklynn Proulx (Mary James), Meredith Henderson (Nellie Russell), Kailin See (Sarah Hite), Dustin Bollinger (Tim James), Joel McNichol (corriere), J. C. Roberts (ingegnere), Darrell Orydzuk (passeggero treno ucraino), Jonathan Erich Drachenberg (giovane passeggero treno), Torben Hansen (passeggero treno danese), Alison Elliott (Martha Bolton), Lauren Calvert (Ida), Tom Aldredge (George Hite), Jesse Frechette (Albert Ford), Joel Duncan (deputato),James Carville (governatore Crittenden), Stephanie Wahlstrom (cliente negozio), Ian Ferrier (fotografo), Michael Rogers (spettatore alla morte di Jesse), Calvin Bliid (ragazzo alla morte di Jesse), Sarah Lind (ragazza di Bob), Michael Coperman (Edward O’Kelly), Laryssa Yanchak (Ella Mae Waterson), Hugh Ross (voce narrante), James Defelice, Adam Arlukiewicz, Matthew Walker Durata: 155’ Metri: 4300 Regia: Andrew Dominik Produzione: Jules Daly, Dede Gardner, Brad Pitt, Ridley Scott, David Valdes per Warner Bros. Pictures/Jesse Films Inc./Scott Free Productions/Plan B Entertainment/Alberta Film Entertainment/Virtual Studios Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 21-12-2007; Milano 21-12-2007) Soggetto: dal romanzo omonimo di Ron Hansen Sceneggiatura: Andrew Dominik Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Dylan Tichenor, Curtiss Clayton Musiche: Nick Cave, Warren Ellis Scenografia: Troy Sizemore Costumi: Patricia Norris Produttori esecutivi: Lisa Ellzey, Brad Grey, Tony Scott, Ben Waisbren Produttore associato: Ron Hansen Casting: Mali Finn Aiuti regista: Scott Andrew Robertson, Karen Sowiak, Lisa Jemus Operatore: Roger Deakins Operatore steadicam: Damon Moreau Arredatore: Janice Blackie-Goodine Trucco: Gail Kennedy, Rochelle Pomerleau, Jean Ann Black Acconciature: Iloe Flewelling, Chris Harrison-Glimsdale Effetti speciali trucco: Brian Hillard, Christien Tinsley Supervisore effetti speciali: James Paradis Coordinatore effetti speciali: Maurice Routly L ungo le strade del Missouri, nella seconda metà dell’Ottocento, dettano legge i fratelli James. Fi- gli di un pastore, Frank e Jesse, sono ormai tristemente noti per le loro rapine. Treni e banche, gli obiettivi preferiti. Con loro, un mani22 polo di uomini disposti a tutto, pur di sopravvivere. Siamo negli anni immediatamente successivi alla sanguinosa guerra di secessione. Film Jesse, il più giovane dei James, dallo sguardo accattivante e dai modi garbati, è già leggenda. La sua storia, il suo aver combattuto durante la guerra di secessione da confederato contro le prepotenze dei nordisti, ne fanno un capo carismatico. Di lui si dice sia terribile e spietato. Ora però, a 34 anni, è stanco. Jesse vive in piena clandestinità, sul suo capo pesano numerose taglie. Ha paura, sa di essere braccato. Intorno ha volti nuovi, persone di cui non sa se fidarsi o meno. Tra questi, il ventenne Robert Ford, ultimo di cinque figli, suo ammiratore, sin da bambino. Robert vuole a tutti i costi far parte della banda. È ancora un ragazzino, deriso da tutti, senza neppure una pistola. Eppure, riesce nel suo intento. Jesse lo porta con sè. Lo fa stare a casa sua, insieme alla moglie e ai suoi due figli. Gli parla di progetti, probabili rapine, infine gli regala una pistola. Una vera. Sarà proprio con questa che il giovane Ford, il 3 Aprile del 1882, gli sparerà. Ma non riceverà glorie, onori, riconoscimenti, no. Avrà solo disprezzo. La sua vita si trasformerà in un inferno. Fin quando qualcuno arriverà a vendicare l’assassinio di Jesse James. I l film di Andrew Dominik, tratto dal libro di Ron Hansen, non vuole essere un western. Mira maggiormen- Tutti i film della stagione te alla descrizione psicologica, quasi intima, dei personaggi, dei loro rapporti, delle loro fobie. Della contestualizzazione storica, infatti, non v’è traccia e, così facendo, molto si perde dello spessore del personaggio Jesse James, qui relegato a una sorta di bandito pentito, isolato dal mondo, che sembra ora desiderare solo un po’ di tranquillità. Magari accanto a sua moglie e i suoi due figli. Anche l’assalto al treno, cui assistiamo nelle prime scene, non restituisce l’efferatezza delle sue gesta. Gli ultimi sprazzi di guerra civile sono lontani. La banda non ha colore politico, è soltanto una banda di rapinatori. Ecco perchè il Jesse di Brad Pitt, manca di carisma, di fascino. (Ovviamente interiore, sia chiaro). Quella sua ribellione, che poi si tramuta in assalto alla diligenza, quel suo attaccamento alla terra, ai propri avi, è qui a malapena accennato. Se non con continui sguardi a praterie immense, a paesaggi magnifici, dal sapore nostalgico. Si fa un pò fatica, dunque, a credere come costui possa essere diventato leggenda. Ciò nonostante, la linea tracciata dal regista convince per altri motivi. Uno su tutti, lo sguardo introspettivo del gruppo, dove emerge un’amicizia ingannevole, basata molto spesso sulla paura. Senza però trarne giudizio alcuno, non ci sono buoni, nè cattivi. Soltanto uomini, il cui destino è segnato. Non per nulla, la sceneggiatura si sofferma sugli ultimi anni di Jesse James. Anni in cui sapeva di avere più nemici che amici. La sua sofferenza è quella di un qualsiasi essere umano, oramai vinto, in attesa di una fine. Ed è proprio quella fine che Jesse sembra cercare in Robert Ford. Un film malinconico, soprattutto nei due protagonisti, accomunati da un’unica speranza di gloria. Si potrebbe addirittura credere siano due cowboys vanesi. Brad Pitt, bello, affascinante, sospettoso, restituisce a Jesse un’umanità, una fragilità a noi molto vicina, giustificando quasi la sua spietatezza. Degno contraltare, il bravo Casey Affleck, che fa di Robert Ford un ragazzino antipatico e petulante, il cui unico scopo è quello di diventare qualcuno. Fino al punto di ripetere il suo gesto ben ottocento volte, in una squallida rappresentazione teatrale. Vale la pena di ricordare il Frank James di Sam Shepard e Nick Cave che presta la sua voce alla ballata dedicata a Jesse. È tutto qui il film. Magari a tratti lento, con qualche lungaggine di troppo, comunque da vedere. Splendida la fotografia e l’ambientazione. Ivan Polidoro 2061 UN ANNO ECCEZIONALE Italia, 2007 Regia: Carlo Vanzina Produzione: Carlo ed Enrico Vanzina per Rai Cinema/International Video 80 Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007) Soggetto: Carlo ed Enrico Vanzina Sceneggiatura: Carlo ed Enrico Vanzina, Diego Abatantuono Direttore della fotografia: Claudio Zamarion Montaggio: Raimondo Crociani Musiche: Federico De Robertis Scenografia: Luca Merlini Costumi: Nicoletta Ercole N el 2061 la Terra, a causa di una grave crisi energetica e dei cambiamenti climatici, è diventata completamente deserta e inospitale. L’innalzamento dei mari ha cancellato molte città ridisegnando le cartine geografiche. L’Italia, a duecento anni dalla sua Effetti speciali: Tiberio Angeloni, Davd Bush Interpreti: Diego Abatantuono (‘Professore’), Michele Placido (Cardinale Bonifacio), Anna Maria Barbera (Nunzia La Moratta), Massimo Ceccherini (Cosimo Delli Cecchi), Emilio Solfrizzi (Nicola), Sabrina Impacciatore (Mara), Dino Abbrescia (Tony), Andrea Osvárt (unna), Stefano Chiodaroli (Grosso), Jonathan Kashanian (Pride), Antonella Costa (Taned), Paolo Macedonio (Salvim), Roberto D’Alessandro (Barone Cirò), Ninì Salerno (Marchese di Villa Sparina), Ugo Conti (Shrek), Paolo Cevoli (Moby Dick), Gennaro Diana (uomo misterioso), Enzo Salvi (becchino) Durata: 100’ Metri: 2800 riunificazione, si ritrova nuovamente divisa in Sultanato delle due Sicilie, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Repubblica di Falce e Mortadella e Stato Longobardo. Un’associazione segreta, la “Giovane Italia”, decide di riunire lo stivale in 23 un’unica bandiera, ma per farlo ha bisogno di recuperare un importante tesoro, nelle mani di un complice, che permetta di comprare delle armi per combattere. La missione è affidata a un convinto patriota, chiamato il “Professore” che, Film insieme a un gruppo di scalcinati combattenti, parte dalla Sicilia in cerca dell’uomo misterioso. Non trovandolo è costretto a cercarlo in Calabria, in Puglia fino allo Stato Pontificio. Durante il tragitto, conosce diversi personaggi, tra cui Nicola, che sposano la causa e si aggregano al gruppo. Nello Stato Pontificio, però, vengono scoperti dalle autorità papali e condannati a morte dal cardinale Bonifacio. Quest’ultimo si rivela il complice della “Giovane Italia” che stavano cercando e con uno stratagemma libera tutti e consegna loro il tesoro: la Gioconda originale che dovrà essere portata a Torino per essere venduta ai francesi in cambio di diamanti. Entrare, però, nell’Italia settentrionale è piuttosto difficoltoso perché ci sono moltissime guardie che impediscono l’accesso ai meridionali. Nonostante questo, il gruppo riesce ad arrivare a Torino e consegnare al capo dei rivoluzionari, il duca di Biella, la Gioconda. Alla corte di quest’ultimo, però, c’è un traditore che riferisce tutto alla guardia longobarda. Intanto, una donna del gruppo, la prostituta pentita Mara, scopre che il “Professore” non è chi dice di essere, ma un semplice mercenario che oltretutto ha rubato dalla cassaforte i diamanti destinati a comprare i fucili. Delusa per il suo comportamento, lo raggiunge e gli intima di darle almeno la sua parte. Il “Professore” allora le propone di scappare con lui e dividere il malloppo. La donna, nonostante la nascente relazione con Nicola, decide di accettare. I due, però, durante la fuga scoprono del tradimento e ritornano indietro per salvare i loro compagni di viaggio, ma tutti sono spariti. L’unico a essere rimasto è Nicola che racconta agli amici di essere lì in attesa di Mara. Arrivano le guardie longobarde e iniziano a sparare, Mara e Nicola riescono a fuggire con i diamanti mentre il “Professore” viene colpito a morte, diventando, dopo l’unità d’Italia, eroe nazionale. D opo le ammonizioni di Al Gore, ci pensa Carlo Vanzina a raccontare i disastrosi effetti dello sconvolgimento climatico in un film che vede protagonista un’Italia pre-risorgimentale divisa in piccoli stati autonomi. Riunirla sotto un’unica bandiera sarà il compito di un gruppo di sgangherati eroi, capitanati dal “Professore” (Diego Abatantuono), che, in un’avventura dai toni picareschi, raccontano un Paese frammentato, paradossale, ma non troppo lontano da quello odierno Tutti i film della stagione Dichiaratamente ispirato a L’armata Brancaleone di Monicelli, 2061-Un anno eccezionale rappresenta un chiaro esempio di pellicola trash. Ma che differenza c’è fra un film “brutto” e un film “trash”? Il film brutto si propone come prodotto di qualità, si sforza di esserlo, ma suo malgrado non centra l’obiettivo, il film “trash”, invece, si impegna in tutti i modi di essere chiassoso, pacchiano e fuori da ogni regola del “buon cinema”, volutamente. In 2061 ogni personaggio è una caricaturale, così come le situazioni, pregne di satira socio-politica e di riferimenti grossolani al quotidiano che costituiscono i tasselli di una trama spezzettata da micro-sketch che vedono come protagonisti alcuni nomi della comicità italiana, da Dino Abbrescia alla simpatica Sabrina Impacciatore, nel ruolo della prostituta romana. Il presunto mattatore è naturalmente Diego Abatantuono che, dopo la riscoperta da parte del pubblico dei suoi film d’esordio, ripropone un mix dei suoi vecchi personaggi da “Attila” al “terrunciello” che ora rappresentano, però, una chiara assenza di idee e la voglia furbesca di sfruttare la “riabilitazione” di ciò che una volta era considerato di serie B. L’altro protagonista è Emilio Solfrizzi, attore dalla rara bravura comica che il nostro cinema italiano non riesce a sfruttare come dovrebbe, relegandolo a un ruolo, quello del tipico pugliese, che va a castrare un istrionismo di cui ha dato prova in un lontano passato. Ciononostante l’idea originaria non è male e fa sorridere, a tratti amaramente, vedere l’Italia divisa in una colonia islamica dove il maiale è proibito, in una repubblica “falce e mortadella” piena di balere, o in uno stato nordista che vieta l’accesso ai meridionali. Sicuramente la situazione non potrà mai essere così catastrofica, ma come suggerisce lo sceneggiatore Enrico Vanzina, gli egoismi e i regionalismi potrebbero condurre se non a questo al clima molto simile di cui si iniziano a vedere i primi germogli. Ma come ampiamente detto, questa non è una pellicola di denuncia e il suo lato pecoreccio è dimostrato anche della continua e prolungata pubblicità a notissimi marchi italiani talmente sfacciata da sembrare uno sketch nello sketch. Un film trash è anche questo! Francesca Piano COME TU MI VUOI Italia, 2007 Regia: Volfango De Biasi Produzione: Marina Berlusconi, Claudio Saraceni per Medusa Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007) Soggetto: Volfango De Biasi. Con la collaborazione di Gabriella Tomassetti Sceneggiatura: Volfango De Biasi, Alessandra Magnaghi. Con la collaborazione di Gabriella Tomassetti Direttore della fotografia: Tani Canevari Montaggio: Stefano Chierciè Musiche: Michele Braga Scenografia: Giuliano Pannuti Costumi: Monica Celeste Casting: Francesca Borromeo, Laura Muccino Aiuto regista: Leopoldo Pescatore Suono: Marco Fiumara, Diego De Santis Interpreti: Cristiana Capotondi (Giada), Nicolas Vaporidis (Riccardo), Giulia Steigerwalt (Fiamma), Niccolò Senni (Loris), Luigi Diberti (Giuseppe), Elisa D’Eusanio (Sara), Marco Foschi (Hermes), Roberto Di Palma (Peppe), Paola Carleo (Alessia), Paola Roberti (Katia) Durata: 107’ Metri: 2900 24 Film G iada è una studentessa universitaria modello, che da un piccolo paese vicino Roma si è trasferita nella capitale per seguire la facoltà di Scienze delle Comunicazioni. Divide la casa con una sua amica d’infanzia, Sara, e fa una vita morigerata, trascorrendo il tempo sui libri e riempiendo taccuini di annotazioni sull’ambiente e sulle società intorno a lei. Il suo look è decisamente arretrato e fuori moda e ciò per cui proprio non riesce a darsi pace è il dilemma alla base della sua ricerca personale: quello tra essere e apparire. Riccardo è un ragazzo bello e viziato, con la passione per la fotografia, che insieme al cugino e a un gruppetto di ragazze organizza feste e privè all’insegna dello sballo e del divertimento. Appartiene a una famiglia agiata ed è il tipico prodotto moderno, un concentrato di moda e superficialità. Anche lui frequenta Scienze delle Comunicazioni, ma i risultati lasciano molto a desiderare e costituiscono una delle maggiori fonti di conflitto con il padre. Il primo approccio tra i due non è dei migliori e avviene proprio durante un esame, superato come sempre brillantemente da Giada, da Riccardo invece con un venti tra sorrisi e complimenti a una giovane assistente del professore. La ragazza riceve la notizia che i suoi genitori non possono più mantenerla e che deve trovarsi un lavoro. In fretta si dà da fare e trova un lavoro serale in trattoria, con cui decide di conciliare anche le ripetizioni private. La prima persona che si fa viva è proprio Riccardo che decide di correre ai ripari per paura di non essere mandato a Ibiza dal padre. Seppure infastidita dalla proposta, spinta dalla necessità, Giada accetta di fare ripetizioni a Riccardo e tra i due nasce uno strano rapporto. Riccardo, durante una lezione, le ruba uno dei taccuini segreti e inizia a sbeffeggiarla con gli amici. Poi per non pagarle le lezioni arriva a portarsela a letto e un po’ per gioco, un po’ per curiosità, la storia tra i due va avanti. Giada, però, soffre perché con il tempo capisce che Riccardo si vergogna di lei e non la considera degna di entrare nel suo mondo, fatto di ragazza appariscenti e alla moda. Pur di conquistarlo, decide così di rinnegare i propri ideali (arriva persino a derubare il suo datore di lavoro) e quello per cui si era sempre battuta e accetta l’aiuto dell’affascinante Fiamma, amica di Riccardo. Viene trasformata dalla testa ai piedi e, tra l’incredulità di tutto il gruppo, conquista l’attenzione di Riccardo. Tutto sembra perfetto, ma la gelosia di Alessia, la “rifatta” del branco, da sempre inna- Tutti i film della stagione morata di Riccardo, rompe l’incantesimo e fa in modo che Giada conosca il vero Riccardo, quello dei “giovedì” sera, in cui si esibisce sul palco della discoteca e, tra alcool e droga, trascorre la nottata ogni volta con una ragazza diversa. Giada è sconvolta e tronca ogni rapporto. Si chiude in se stessa e decide di dedicarsi all’università, dove finalmente viene presa come assistente dal suo professore. All’esame, si ritrova Riccardo e si offre di interrogarlo lei. Il ragazzo, a sorpresa, risulta molto preparato e, dopo averle fatto la morale, le confessa il proprio amore. I due si riconciliano affettuosamente sul tetto soleggiato dell’università. E sordio alla regia del romano Volfango De Biasi, Come tu mi vuoi è l’ennesima commediola per teen-agers. Del dramma di Pirandello, in cui veniva affrontata la tematica della doppia identità, da cui il regista trae il titolo, non si avverte neanche l’ombra. L’unico dramma è, ancora una volta, quello di aver perso soldi e tempo nella visione della copia di “casa Moccia”, o Brizzi-Martani, se dir si voglia. Anche qui si parte da un romanzo come base d’appoggio, che sviluppa e traspone in immagini clichè di cui si è arrivati davvero ad avere la nausea. Una favola d’amore a metà strada tra una moderna Cenerentola e Il diavolo veste Prada. Da una parte, c’è il vitellone ricco e vizioso della “gioventù bruciata”, dall’altra il brutto anatroccolo povero, che diventa cigno vendendo l’anima. Il tutto per cosa? Parola d’ordine: apparire. Peccato che l’approfondimento psicologico dei personaggi risulti davvero insufficiente. Ed è poco credibile anche sul piano della denuncia che la pellicola vorrebbe documentare. La noia e i vizi dei giovani di oggi, con le tasche piene e la testa vuota, lo squallido rituale della cocaina chic e la rappresentazione dei locali di tendenza, non fanno altro che standardizzare già noti luoghi comuni. Alla fine, il risultato è che entrambi i protagonisti, dapprima così diversi, poi complementari, sono arrivisti e meschini. Ognuno, però, può dire di essere diventato “come l’altro lo voleva”. All’insegna dell’opportunismo, pardon, dell’amore. Nel cast non potevano che esserci i due divi del momento, Nicola Vaporidis e Cristiana Capotondi, che, come previsto da ogni operazione commerciale che si rispetti, agganciano e invitano a nozze il pubblico dei giovanissimi. La Capotondi è comunque perfetta nei panni della bruttina stagionata e mette un po’ in penombra il pavoneggiante Vaporidis, al quale, obiettivamente, manca un po’ il fisico per fare lo sciupafemmine. Per la prima volta, invece, sul grande schermo Elisa D’Eusanio, attrice teatrale, che interpreta Sara, la bizzarra ma sincera amica di Giada. Con la sua mimica facciale e i suoi toni di voce regala momenti brillanti, come quello in cui si allena sulla cyclette rivolgendosi ad un santino di Padre Pio, affinché le faccia trovare un uomo. Veronica Barteri BIANCO E NERO Italia, 2007 Regia: Cristina Comencini Produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini per Cattleya/Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 11-1-2008; Milano 11-1-2008) Soggetto e sceneggiatura: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti Montaggio: Cecilia Zanuso Musiche: brani vari Scenografia: Paola Comencini Costumi: Antonella Berardi Suono: Bruno Pupparo Interpreti: Fabio Volo (Carlo), Ambra Angiolini (Elena), Aïssa Maïga (Nadine), Eriq Ebouaney (Bertrand, marito di Nadine), Katia Ricciarelli (Olga, madre di Carlo), Franco Branciaroli (Alfonso, padre di Elena), Anna Bonaiuto (Adua, madre di Elena), Teresa Saponangelo (Esmeralda), Awa Ly (Veronique), Billo (Ahamdou), Bob Messini (Dante) Durata: 100’ Metri: 2750 25 Film E lena è una mediatrice culturale tra gli africani e le istituzioni italiane e vive il suo lavoro come una vera e propria missione. Proveniente da una famiglia borghese, inconsciamente cerca di espiare i suoi sensi di colpa e il razzismo dei suoi genitori dedicandosi anima e corpo all’organizzazione umanitaria. Vive in una bella casa con Carlo, tecnico informatico fannullone, che non condivide l’amore della moglie per l’Africa, soprattutto quando viene costretto ad accompagnarla alle serate di beneficenza. A completare il quadretto della coppia felice, c’è Giovanna, una figlia di dieci anni viziatissima dai genitori e dalla nonna. Durante una serata organizzata dall’associazione di Elena, Carlo conosce Nadine, una splendida donna senegalese, moglie di Bernard, l’intellettuale africano relatore della conferenza, nonché collega di Elena. Carlo rimane folgorato dalla bellezza della donna e si scopre suo complice dal primo sguardo. Convince la moglie a invitare Nadine e i figli alla festa di compleanno di Giovanna. Nadine e i suoi due bambini vengono accolti alla festicciola con un po’ di diffidenza da tutti i partecipanti e, tra una gaffe e l’altra, la donna è costretta ad andarsene dopo essere stata offesa per il colore della sua pelle. Carlo e Nadine riescono a malapena a scambiarsi una parola, ma l’intesa è nell’aria. Bernard è fuori per lavoro e Nadine porta il suo computer guasto al negozio di Carlo. L’uomo ne approfitta per ficcare il naso nei documenti di Nadine e legge alcune intime confessioni sul suo sentirsi inadeguata e invidiosa nei confronti delle donne bianche. Riparato il guasto, Carlo le riporta il computer direttamente a casa e, in quell’occasione, cadono anche le ultime barriere tra i due che cedono alla passione. La relazione adulterina va avanti anche quando tutto intorno cospira per renderla impossibile e farla sembrare sbagliata e innaturale. Ma basta un dettaglio taciuto che Bernard e Elena scoprono tutto. Così vengono entrambi cacciati dalle rispettive case e, mentre Carlo torna dalla madre, Nadine è costretta a sistemarsi in una camera improvvisata alla meno peggio da conoscenti della sorella. La nuova coppia comincia a frequentarsi assiduamente. Tuttavia, se inizialmente la relazione è appagante e felice, basta poco per sentire la nostalgia di casa, dei figli e per far prevalere i sensi di colpa. Passato un breve periodo di assestamento, gli amanti vengono riaccettati dai Tutti i film della stagione coniugi traditi e riprendono la loro vita normalmente. Dopo qualche tempo, i due, per caso, si rincontrano ai giardini con i bambini e non possono fare a meno di tornare l’una nelle braccia dell’altro. P artendo dal presupposto che il cinema deve far ridere anche parlando di razzismo, Cristina Comencini, dopo il successo di La bestia nel cuore, torna dietro la macchina da presa con Bianco e Nero, una storia d’integrazione razziale nella Roma multietnica. Ispirata fortemente da un viaggio fatto in Africa per girare un documentario in Rwanda, la regista parte dalla problematica di fondo secondo cui non possa esistere un amicizia tra bianco e nero. E, per trattare questo tema, la Comencini, in collaborazione anche con l’organizzazione sanitaria senza fini di lucro Amref, ha scelto di affrontare un genere come la commedia, che permette di toccare argomenti importanti da vicino, senza turbare, ma, allo stesso tempo, facendo riflettere. Ha deciso di lavorare sul simbolico, sui modi in cui i membri delle rispettive etnie simbolizzano e vivono il rapporto con il “diverso”. Perché nel film si parla di matrimonio e di tradimenti, ma si parla soprattutto di pregiudizi e razzismo. Si arriva, così, a semplificare una sorta di diffidenza che, allo stesso tempo, è attrazione; per cui, ad esempio, il maschio bianco imprigiona la donna nera in uno stereotipo erotico, o la bambina nera sogna di essere come la biondissima Barbie. In realtà, è quello che sembra dirci la regista, il bianco è come il nero, accomunati da un’unica corrente di pensiero, il più delle volte superficiale e sbagliata. Ciò che noi pensiamo di loro è esattamente ciò che pensano loro di noi. La scena più significativa a questo proposito, è la festicciola della figlia di Carlo e Elena, dove Nadine e l’uomo si sentono ugualmente estranei e cominciano ad avvicinarsi l’una all’altro. Il teatro d’azione della loro relazione sarà la “Roma bene”, dove a servire sono rispettivamente le cameriere nere con il grembiulino bianco e i camerieri bianchi con i guanti bianchi (in casa dei rari neri borghesi), o lo sfondo di Piazza Vittorio, dove un bianco si sente fuori posto e le donne nere perdonano le scappatelle dei mariti, purché non siano con donne bianche. Due comunità chiuse in sé e bloccate da un senso di superioritàostilità, ma anche sopraffatte da una reciproca attrazione. L’incontro tra i due mondi diventa quindi un fattore di cambiamento e vitalità, capace di abbattere barriere culturali e sociali, in cui tutto diventa possibile, anche ironicamente fingersi per un attimo la Ekberg e immergersi nella fontana di Trevi. Dal cast, a dire il vero, ci si aspettava qualcosa di meglio. Dopo l’interessante e apprezzata comparsata di Ambra Angiolini in Saturno contro, l’attrice appare in questo film decisamente sotto tono e monoespressiva. Lo stesso discorso vale per Fabio Volo, che, contrariamente ai suoi ruoli brillanti, fa la figura del “bambacione”, stralunato e distante. I momenti più gustosi li offre invece il cast di supporto: con Franco Branciaroli, assai spiritoso nella parte di un razzista ontologico, incondizionato estimatore delle bellezze dalla pelle nera; Anna Bonaiuto, nella parte della madre-suocera piena di pregiudizi; Katia Ricciarelli, proveniente dalla ridondanza dei palcoscenici dell’opera, che inaspettatamente recita in modo più credibile degli altri. BENTORNATO PINOCCHIO Italia, 2007 Regia: Orlando Corradi Produzione: Mondo TV Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007) Soggetto e sceneggiatura: Loris Peota, Clelia Castaldo Musiche: F. Micalizzi, F. M. Cantini Direttore di produzione: Gianni Galatoli Durata: 85’ Metri: 2500 26 Veronica Barteri Film O rmai Pinocchio è un bambino vero, va a scuola, è vivace, non dice più bugie ed è la gioia di papà Geppetto, ma questa felicità è di breve durata: il Gatto e la Volpe si alleano ancora una volta con l’Omino di Burro per compiere altre nefandissime azioni. Insieme agli aiutanti dell’Omino, i due decidono di andare al Polo Nord e di rapire Babbo Natale per privare i bambini della gioia della festa e dei doni. I malvagi sgherri dell’Omino di Burro convincono con l’inganno Pinocchio a rubare i risparmi della cassa della sua scuola, facendogli credere di poter contribuire con quei soldi alla costruzione dei regali di Natale per i bambini poveri. Per aver rubato, seppure in buona fede, Pinocchio è trasformato di nuovo in un burattino di legno. Vergognandosi della propria ingenuità e non avendo il coraggio di ripresentarsi a casa dal povero Mastro Geppetto, Pinocchio decide di andare in cerca della Fata Turchina per annullare l’incantesimo. Sulla sua strada incontra il cagnolino Winner, che diventerà l’inseparabile compagno di questa nuova avventura. La Fata Turchina, purtroppo, è fuori città per un viaggio e a Pinocchio non rimane altro che proseguire da solo la sua strada. Sul suo cammino, incontra ancora una volta l’Omino di Burro che lo convince di poter ritrovare la Fata Turchina nel Paese dei Balocchi, dove Pinocchio viene di nuovo trasformato in un ciuchino e costretto a lavorare per l’Omino di Burro, da cui riesce a scappare con l’aiuto di Winner. Per la via, i due incontrano il saggio Grillo Parlante, che li accompagna nel loro viaggio verso il Polo Nord, per liberare Babbo Natale. In prossimità del Polo, Pinocchio incontra il Cavaliere dei Princìpi Perduti, che lo prende come bestia da soma e, quando questi viene attaccato dai predoni, Pinocchio si sacrifica per lui; per questa buona azione viene di nuovo trasformato in un burattino di legno. Giunti finalmente a destinazione, Pinocchio e i suoi amici si alleano con gli orsi polari amici di Babbo Natale per scacciare l’Omino di Burro e i suoi scagnozzi. I cattivi sono puniti per le loro malvagie azioni dalla Fata Turchina e Pinocchio è ritrasformato di nuovo in un bambino vero e può così riabbracciare Mastro Geppetto. L’ animazione italiana versa ormai da anni in una situazione che definire critica sarebbe un mero eufemismo ma questo film riesce a sprofondare in un abisso difficilmente raggiunto finora. Lo spunto di partenza è Tutti i film della stagione talmente comico che se non fosse da piangere sarebbe da ridere, nel senso che anche a doverlo riassumere a un bambino di due, tre anni (perché questo è l’unico target di pubblico per un film come questo) risulterebbe comunque ai limiti dell’inverosimile (anche se bisognerebbe inchinarsi di fronte alla mente diabolica che è riuscita a concepire una “trama” del genere). Fare un elenco di tutte quelle perle nere che compongono il film sarebbe un’impresa veramente ai limite dell’impossibile (considerato il fatto che “intender non la può chi non la prova”)... Pinocchio che rimane invischiato nel rapimento di Babbo Natale da parte dell’Omino di Burro con il Gatto e la Volpe! La Fata Turchina (di rosso vestita) che è fuori città per un lungo viaggio! Pinocchio che incontra il Cavaliere dei Princìpi Perduti (e chi è??)! Il Grillo Parlante che a quanto risulta non è morto schiacciato dal martello, come tutti crediamo di ricordare, ma continua a dispensare consigli e opinioni a Pinocchio che però continua regolarmente a fare di testa sua. Le renne di Babbo Natale che si lasciano comandare dal Gatto e la Volpe e li accom- pagnano in giro a compiere le peggiori nefandezze e per poi improvvisamente ribellarsi solo quando costoro prendono in giro gli avversari! L’Omino di Burro che, alla fine, viene trasformato dalla Fata Turchina in un vero panetto di burro e viene mangiato dagli abitanti di un piccolo paesino costiero che si preparano a festeggiare il Natale (sic)…E preferiamo fermarci qui per decenza. L’animazione dei personaggi è veramente pessima, così come quella dei fondali. La tecnica, se così la vogliamo chiamare, è infantile, sciatta, ben oltre il limite della banalità. Le musiche sono inascoltabili; la canzoncina di apertura fa accapponare la pelle, sia per la melodia sia per il testo (“La Fata Turchina che è molto carina”). Il doppiaggio è affidato alle voci esperte di Emanuela Rossi, Mino Caprio e Oreste Baldini (con in più un delizioso cameo di Alina Moradei); buona la scelta di Federico Bebi per la voce di Pinocchio. Davanti a un prodotto del genere non si può fare a meno di chiedersi quali siano le finalità e gli scopi di una tale operazione. Chiara Cecchini PERSEPOLIS (Persepolis) Francia/Stati Uniti, 2007 Regia: Vincent Paronnaud, Marjane Satrapi Produzione: Marc-Antoine Robert, Xavier Rigault per 2.4.7 Films. In coproduzione con The Kennedy-Marshall Company/France 3 Cinéma/French Connection Animations/Diaphana Films. In associazione con Celluloid Dreams/Sony Pictures Classics/Sofica Europacorp/Soficinéma. Con la partecipazione di CNC. Con il supporto di Régione Ile-de-France, Fondation GAN pour le cinéma/Procirep/Angoa-Agicoa Distribuzione: Bim Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) Soggetto: dai personaggi dell’omonima graphic novel di Marjane Satrapi Sceneggiatura: Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud Montaggio: Stéphane Roche Musiche: Olivier Bernet Scenografia: Mariane Musy Produttori esecutivi: Marc Jousset, Kathleen Kennedy Co-produttore: Tara Grace Direttore di produzione: Olivier Bizet Coordinatore animazione: Christian Desmares Canzoni/Musiche estratte: “Eye of the Tiger” composta ed eseguita da Survivor; “Roses de Sud opus 338”, “Marche persane opus 284” di Johann Strauß Voci: Chiara Mastroianni (Marjane ‘Marji’ Satrapi, come teenager e donna), Catherine Deneuve (sig.ra Satrapi, madre di Marjane), Danielle Darrieux (nonna di Marjane), Simon Abkarian (sig. Satrapi, padre di Marjane), Gabrielle Lopes (Marjane bambina), François Jerosme (Anouche), Tilly Mandelbrot (Lali), Arié Elmaleh, Mathias Mlekuz, Jean Fraçois Gallotte, Stéphane Foenkinos Durata: 95’ Metri: 2524 27 Film I ran 1978. Marjane Satrapi è una bambina di otto anni precoce ed estroversa che vive a Teheran con i genitori e la nonna e sogna di essere un profeta che salverà il mondo. Appassionata di libri e di storia cresce in una famiglia dagli ideali progressisti, tra immagini di Bruce Lee e Che Guevara, proprio mentre vacilla il trono dell’ultimo Scià. La bambina è ispirata dai racconti dei prigionieri politici, come suo nonno e suo zio e dalla madre, che cerca di educarla secondo i principi di un moderato femminismo. Con l’instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei “pasdaran” che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Attraverso gli occhi di Marjane assistiamo all’infrangersi delle speranze di un popolo, quando i fondamentalisti prendono il potere, imponendo il velo alle donne e imprigionando migliaia di oppositori. Intelligente e impavida, la piccola Marjane aggira il controllo sociale dei “tutori dell’ordine” e della sua rigida insegnante, scoprendo il genere punk, i Bee Gees e gli Iron Maiden. Vive in un mondo dove le strade sono in mano a ragazzini col mitra, nelle case si fa il vino di nascosto, due centimetri di pelle sfuggiti al chador possono costare l’arresto, la Venere di Botticelli sui libri di scuola è tutta vestita, per non parlare dei missili che abbattono le case dei vicini. Ma, dopo l’insensata esecuzione del suo adorato zio e sotto i bombardamenti della guerra tra Iraq e Iran, la paura diventa una realtà quotidiana con cui fare i conti. Temendo per la sua sicurezza, i genitori decidono di mandarla a studiare in Austria quando compie 14 anni. Marjane si ritrova, così, da sola con i problemi dell’adolescenza e i pregiudizi di chi la identifica proprio con quel fondamentalismo religioso e quell’estremismo che l’hanno costretta a fuggire. Con il tempo, vede il suo corpo trasformarsi e riesce a farsi accettare, incontrando persino Tutti i film della stagione l’amore. Iniziano anche le prime delusioni (il primo ragazzo è gay, il secondo è infedele) e, dopo il liceo, la ragazza si ritrova nuovamente da sola e con una gran nostalgia di casa. Benché questo significhi mettersi il velo e vivere sotto una dittatura, Marjane decide di tornare in Iran per stare con la sua famiglia. Dopo un difficile periodo di adattamento, entra in un Istituto d’arte e poi si sposa, senza mai smettere di denunciare le ipocrisie di cui è testimone. A 24 anni, però, pur sentendosi profondamente iraniana, capisce di non poter più vivere in Iran. In preda alla depressione, si separa da un marito disimpegnato e interessato solo ai film occidentali. Prende, poi, la drammatica decisione di lasciare il proprio paese per la Francia, piena di speranze per il futuro, ma segnata in modo indelebile dal proprio passato. Il film termina con Marjane che, dopo aver trascorso del tempo nell’aeroporto di Parigi, indecisa se partire o meno, prende un taxi e torna in città. T rasposizione dell’omonima graphic novel realizzata dalla 38enne iraniana Marjane Satrapi, qui regista al fianco di Vincent Paronnaud, Persepolis è un fumetto autobiografico che racconta la vita dell’autrice. Accolto alla prima proiezione a Cannes da quindici minuti di applausi e dal premio della Giuria, il film d’animazione, costato circa sei milioni di euro, è l’elaborazione di quattro volumi di fumetti in cui la Satrapi narra, con dolore e ironia, la propria crescita in un paese segnato dalle guerre e dal fondamentalismo. Vistasi scippare l’Oscar come miglior film d’animazione da Ratatouille, Persepolis costituisce una vera e propria educazione sentimentale e, al contempo, un viaggio nella memoria collettiva. Marjane, infatti, testimone prima del potere tirannico esercitato dallo Scià, poi dal sistema oppressivo dei Guardiani della Rivoluzione, è stata vittima anche dei pregiudizi che caratterizzano la società occidentale. Il tutto viene raccontato dall’autrice in modo coinvolgente e con grande ironia, che però non cela la drammaticità della situazione nella quale si trova a vivere. L’invito di Cannes del film suscitò l’ira del Ministero della Cultura iraniano, con tanto di lettera di protesta (respinta) all’ambasciata francese a Teheran. Registrato come un normale film di “denuncia” contro il velo, il sessismo e la repressione culturale, Persepolis è invece un ritratto di un Paese e di un’epoca, leggero e duro insieme, che, tracciando a linee d’inchiostro la vita di una bambina, si pone come fine la speranza di un nuovo Iran, senza più sangue e dogma. La necessità di tradurre il vissuto in cartoon nasce dal desiderio di non voler imprigionare il personaggio della protagonista entro dei confini troppo stretti, cioè di una storia autobiografica di una ragazza iraniana, ma di darle un respiro più universale. Anche il disegno non vuole essere realistico. Tutto è disegnato a mano in 2D, utilizzando il bianco e nero, con rare immagini a colori (quelle a Parigi, che rappresentano il presente della protagonista), tra rimandi al neorealismo e influenze espressionistiche. I disegni sono volutamente infantili e tutte le sfumature si affidano al carboncino nero, che rende in modo semplice le espressioni dei volti. La regista ha osservato i disegnatori studiare i sui bozzetti, sezionare le sue espressioni e le sue emozioni. Ha dovuto riaffrontare momenti intensi della sua vita, con il giusto distacco, cercando di restituire un’immagine più veritiera possibile di quanto vissuto. Non ha trascurato nulla, i suoi pregi come i suoi difetti e ha posto la stessa cura e attenzione nel descrivere i suoi lati migliori come quelli peggiori. Proprio perché Persepolis è il riflesso sincero della Satrapi, l’autrice ha pensato più che bene alla persona con cui realizzarlo. La scelta è andata su Vincent Paronnaud, artista underground di corti di animazione, che ha guidato l’autrice iraniana nella sua prima regia. Non potevano certo finire, lei e la sua storia, in una produzione hollywoodiana con divi pronti a fagocitare con la loro immagine i veri personaggi del film. Nel doppiaggio originale, le voci sono state affidate a Catherine Deneuve e Danielle Darrieux (rispettivamente nelle parti della combattiva madre e della irresistibile nonna) e a Chiara Mastroianni (Marjane). Nella traduzione italiana hanno preso il posto Paola Cortellesi, Licia Maglietta e Sergio Castellitto. Veronica Barteri 28 Film Tutti i film della stagione SWEENEY TODD IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET (Sweeney Todd: the Demon Barber of Fleet Street) Stati Uniti, 2007 Regia: Tim Burton Produzione: John Logan, Richard Zanuck, Walter F. Parkes, Laurie MacDonald per DreamWorks Pictures/Warner Bros. Pictures/Parkes-MacDonald Productions/The Zanuck Company/Film IT Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) V.M.: 14 Soggetto: dal testo teatrale di Christopher Bond, ispirato a un racconto giallo vittoriano e dal musical Sweeney Todd: the Demon Barber of Fleet Street di Stephen Sondheim con testo di Hugh Wheeler Sceneggiatura: John Logan Direttore della fotografia: Dariusz Wolski Montaggio: Chris Lebenzon Musiche: tratte dal musical Sweeney Todd Scenografia: Dante Ferretti Costumi: Colleen Atwood Produttore esecutivo: Patrick McCormick Produttori associati: Brenda Berrisford, Derek Frey Co-produttore: Katterli Frauenfelder Direttori di produzione: Patrick McCormick, Nikki Penny, Samuel Sharpe Casting: Susie Figgis Aiuti regista: Katterli Frauenfelder, Toby Hefferman, Emma Stokes, Joe Barlow, Bryn Lawrence, Andy Madden, Eileen Yip Operatore: Des Whelan Operatore steadicam: Vince McGahon Art director: David Warren Arredatore: Francesca Lo Schiavo Trucco: Nana Fischer, Paul Gooch, Christine Greenwood, Ve Neill, Peter Owen, Lisa Pickering, Ivana Primorac, Christine Whitney, Duncan Jarman, Ivan Manzella, Tristan Versluis, Josh Weston, Lisa Wood Acconciature: Paul Gooch, Christine Greenwood, Ve Neill, Peter Owen, Lisa Pickering, Ivana Primorac, Christine Whitney, Lisa Wood Supervisore effetti speciali trucco: Neal Scanlan Supervisori effetti speciali: Gary Brozenich (MPC), Graham Christie, Chas Jarrett Coordinatore effetti speciali: Paul Driver (MPC) Supervisore costumi: Suzi Turnbull Supervisore musiche: Paul Gemignani Coreografie: Francesca Jaynes L ondra. Benjamin Barker un tempo era un uomo felice. Era felicemente sposato con Lucy, una donna bellissima dalla quale aveva avuto una bambina, Johanna. Il diabolico giudice Turpin però ha messo gli occhi addosso sulla sua sposa, cercando invano di ottenere il suo amore con ogni mezzo. Con l’ausilio del suo scellerato aiutante Beadl Bamford, lo fa arrestare e ingiustamente condannare a 15 anni di prigione per potergli rubare così la moglie e la figlia. Canzoni/Musiche estratte: “The Ballad of Sweeney Todd” di Stephen Sondheim; “No Place Like London” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Jamie Campbell Bower); “The Worst Pies in London”, “Poor Thing”, “Wait”, “Toby’s Finger (part 1)” di Stephen Sondheim (Helena Bonham Carter); “My Friends”, “Epiphany”, “A Little Priest”, “By the Sea”, “Final Scene (Part 1)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Helena Bonham Carter); “Green Finch and Linnet Bird” di Stephen Sondheim (Jayne Wisener); “Alms Alms” di Stephen Sondheim (Laura Michelle Kelly); “Johanna (Parts 1 & 2)” di Stephen Sondheim (Jamie Campbell Bower); “Pirelli’s Miracle Elixir” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Ed Sanders); “Pirelli’s Entrance” di Stephen Sondheim, “The Contest” (Sacha Baron Cohen); “Ladies in Their Sensitivities” di Stephen Sondheim (Timothy Spall); “Pretty Women”, “The Judge’s Return” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Alan Rickman); “Johanna (Act II)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp, Jamie Campbell Bower, Laura Michelle Kelly); “God, That’s God”, “Not While I’m Around” di Stephen Sondheim (Helena Bonham Carter, Ed Sanders); “Searching (Part 2)” di Stephen Sondheim (Laura Michelle Kelly); “Final Scene (Part 2)” di Stephen Sondheim (Johnny Depp) Interpreti: Johnny Depp (Sweeney Todd), Helena Bonham Carter (sig.ra Lovett), Alan Rickman (giudice Turpin), Timothy Spall (Beadle), Sacha Baron Cohen (Pirelli), Jamie Campbell Bower (Anthony), Laura Michelle Kelly (mendicante), Jayne Wisener (Johanna), Gracy May, Ava May, Gabriella Freeman (Johanna bambina), Jody Halse, Aron Paramor, Lee Whitlock (poliziotti), Nick Haverson, Mandy Holliday (clienti di Pirelli e Todd), Colin Higgins, Phill Woodfine (clienti), John Paton (uomo che resta senza fiato), Daniel Lusardi (ragazzo prigioniero), Toby Hefferman (cliente felice), Charlotte Child (moglie del cliente felice), Kira Woolman (figlia del cliente felice), David McKail (Ministro), Philip Philmar (sig. Fogg), Gemma Grey, Sue Maund, Emma Hewitt (detenuti), Buck Holland (cliente barbiere), Peter Mountain (dandy Fleet Street(, Harry Taylor (sig. Lovett), Jerry Judge, Stephen Ashfield, Norman Campbell Rees, Jonathan Williams, William Oxborrow, Tom PleydellPearce, Laura Sanchez, Johnson Willis, Jon-Paul Hevey, Liza Sadovy, Jane Fowler, Gaye Brown (clienti torta), Graham Bohea, Ian McLarnon, Helen Slaymaker, Jess Murphy, Nicholas Hewetson, Adam Roach, Marcus Cunningham Durata: 117’ Metri: 3051 Una volta finita la detenzione, torna in città assieme ad Anthony, un giovane marinaio che lo aveva salvato dal mare assumendo una nuova identità, quella di Sweeney Todd. Il suo solo e unico desiderio è quello di vendicarsi. Ritorna alla sua vecchia bottega da barbiere, posta sopra al negozio di Mrs. Lovett specializzato in torte. La donna racconta a Todd che sua moglie si è avvelenata dopo che il giudice Turpin ha tentato di possederla. La figlia Johanna invece vive 29 reclusa nell’abitazione dell’uomo. Inoltre, questi, dopo la scomparsa di Lucy, ha rivolto le sue attenzioni amorose verso di lei. La ragazza, però, viene notata un giorno da Anthony. Vedendo la dua immagine affacciata alla finestra, ne resta folgorato e si innamora subito di lei. Da quel momento il proposito del giovane è quello di liberare Johanna per salvarla. Un giorno, in un affollato mercato, c’è un esuberante uomo italiano di nome Pirelli che, con l’aiuto del suo assistente Film Toby, un adolescente da lui trattato malissimo, vende miracolose lozioni per capelli. Todd, che sta assistendo alla scena, lo smaschera. I due poi si fronteggiano in una competizione tra ‘barbieri’ che viene stravinta da Sweeney. Pirelli, però, ha scoperto la sua vera identità. Si reca così alla sua bottega chiedendogli una percentuale sui profitti, altrimenti avrebbe rivelato tutto. Todd lo uccide tagliandogli la gola. I corpi uccisi vengono poi gettati di sotto attraverso una botola. Molti altri suoi clienti faranno questa fine. Mrs. Lovett trova anche una possibile soluzione per i suoi affari in difficoltà e decide di utilizzare la carne umana per farcire le sue torte e i suoi pasticci. Gli affari cominciano ad andare meglio, anche grazie all’aiuto di Toby che la aiuta nel locale e che lei considera ormai come suo figlio adottivo. A questo punto, lei comincia a sognare una vita rispettabile avendo accanto Todd come marito. Nel frattempo, la fuga di Johanna progettata da Anthony fallisce. Dopo questo gesto, il giudice Turpin, che aveva intenzione di sposare la ragazza, decide di farla rinchiudere in un manicomio. Il giovane marinaio riuscirà comunque a trovarla e a farla scappare. Intanto Todd fa fuori altri clienti tra cui Bamford. Poi, una volta che il giudice Turpin si siede nel suo negozio per farsi la barba, non si fa sfuggire l’occasione e uccide anche lui. Tra le sue vittime però c’è anche una donna, che appare come una matta e una visionaria. Si trattava invece di Lucy, che aveva preso in passato il veleno (come gli aveva detto Mrs. Lovett): non era morta, ma impazzita. Anche la proprietaria del negozio di torte finisce nel fuoco gettata da Todd. Il barbiere viene invece ucciso da Toby. Tutti i film della stagione R itorna a essere oscura e sepolcrale l’atmosfera del cinema di Tim Burton. Abbandonate le derive del cinema di fantascienza di Il pianeta delle scimmie, quelle visionarie-favolistiche di Big Fish e il set-giocattolo di La fabbrica di cioccolato, si ha l’impressione che il cineasta voglia ridare consistenza a quella dimensione dark, popolata da figure che si trovano sempre in una posizione di dislivello e che ha reso grandiosa e perfettamente riconoscibile, a livello non solo visivo ma proprio di atmosfere, una buona parte della sua filmografia. Il personaggio del barbiere di Sweeney Todd (interpretato da Johnny Depp, ormai al sesto film con Burton, se si tiene conto anche di La sposa cadavere), può ipoteticamente apparire come una specie di reincarnazione del protagonista di Edward mani di forbice, però incattivito dal tempo e disilluso dagli eventi. Stavolta non c’è più futuro nei protagonisti di Burton. Si respira, sin da subito, un odore di morte, ma non più quella morte che è segno profetico (la predizione iniziale), ma anche la naturale conclusione di una vita straordinaria come in Big Fish, la stessa che aveva permeato (con la continua e dichiarata presenza degli scheletri) La sposa cadavere. Forse non è un caso che proprio questi siano i film più belli del cineasta statunitense realizzati nel nuovo decennio. Per quanto riguarda Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, Burton si confronta già con un personaggio conosciuto che ha terrorizzato e appassionato gli spettatori già da quando è apparso per la prima volta a Broadway in un musical nel 1979. Questo spettacolo si era basato sul testo teatrale di Christopher Bond del 1973. Non si sa se questo “bar- 30 biere assassino” sia realmente esistito o no. La maggiorparte concorda per la seconda ipotesi. Nel caso, comunque, sia vissuto veramente, sembra che abbia ucciso circa 160 persone nella Londra vittoriana del XVIII° secolo. Il cineasta riprende, quindi, una figura già conosciuta, entrata nell’immaginario già prima dell’esistenza di questo film. Sweeney Todd è un po’ come Batman. Entrambi sono, per motivi diversi, assetati di vendetta e hanno una doppia identità. Dietro la maschera dell’uomo-pipistrello si nasconde il giovane miliardario Bruce Wayne. Dietro quella del diabolico barbiere c’è quella – ormai sepolta, praticamente rimossa – di Benjamin Barker, che ha vissuto frammenti di provvisoria felicità quando era assieme alla moglie e alla figlia piccola. Forse questi squarci del passato, oltre alle immagini della figlia di Benjamin ormai cresciuta che guarda fuori dalla finestra, appaiono come i momenti più forti, più intensi del film, in quanto rimandano a degli squarci mélo abbaglianti tipici, per esempio, del cinema di William Dieterle. Però in questo ingranaggio visivo apparentemente perfetto c’è qualcosa che non torna. Rispetto al passato, Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street sembra calcolato, studiato quasi ‘kubrickianamente’, in ogni dettaglio. Ciò sembra creare una frattura rispetto a un’universo che appare già ultraterreno (la città di Londra che possiede delle zone d’ombra quasi horror simile alla Transilvania di Dracula), nel senso che può essere interpretato come una specie di città popolata solo da una specie di ‘zombie’ di personaggi non-vivi, già evidente dal personaggio di Mrs.Lovett e la sua bottega dove prepara le torte, al perfido giudice e il suo sinistro braccio destro, fino a finire al ragazzino Toby. Quelle atmosfere, straordinariamente funeree ma piene anche di autentica malinconia del cinema di Burton, è come se si fossero improvvisamente rarefatte. In Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, come anche in La fabbrica di cioccolato, non solo si sente il peso del décor, ma questo risulta essere addirittura prevalente rispetto alla storia. Gli oggetti scenici della fabbrica del signor Willy Wonka hanno infatti la stessa importanza delle lame, della sedia in cui si siedono i malcapitati clienti del barbiere, della botola di quest’ultimo film. È ovvio che Burton è e resta comunque un grandissimo autore capace di mascherare questa sua dipendenza alla ‘materia dello spazio’, facendo muovere i suoi personaggi con quelle traiettorie derivanti dalla versione aggiornata dello stop-motion di Tim Burton’s Nightmare Before Christmas, rifacen- Film dosi a quelle accensioni cromatiche improvvise che esaltavano il rosso del sangue dei film della casa Hammer e, in particolare, di Terence Fisher, riproponendo quel respiro gotico-claustrofobico del cinema di Mario Bava e recuperando, più a livello letterario che cinematografico, il mondo di Charles Dickens con l’infanzia incompresa e maltrattata. Non si può quindi dire che Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street non sia un film comunque visivamente ricco e pieno di riferimenti. Soltanto che, come si è sottolineato, tutto Tutti i film della stagione sembra integrato in un meccanismo dove non sfugge niente allo sguardo del suo creatore. Come se Burton, rispetto al passato, stia tentando di spostarsi da qualche altra parte mantenendo, al tempo stesso, una coerenza con la sua opera. Per fare questo ha come paura di ‘perdere il controllo’ di ciò che sta facendo. E allora, proprio sotto questo aspetto, in questo film ne risente la componente del musical, mai libero e straripante, ma ragionato nei minimi dettagli. Qui manca il suo musicista Danny Elfman (nella sua filmografia è sta- to assente soltanto un’altra volta, in Ed Wood) e probabilmente si sente. Ma è proprio la struttura del genere che anche qui prevale e s’impossessa della storia. Forse Burton ritornerà su questo personaggio una volta che si è liberato dalla necessità di raccontare la sua storia come è successo con quel capolavoro rappresentato da Batman – Il ritorno rispetto a Batman. E come in quel caso, forse si vedrà un altro film. Autenticamente ‘burtoniano’. Simone Emiliani INTO THE WILD NELLE TERRE SELVAGGE (Into the Wild) Stati Uniti, 2007 Regia: Sean Penn Produzione: Sean Penn, Art Linson, William Pohlad per Paramount Vantage/River Road Films/Art Linson Productions/Into the Wild/River Road Entertainment Distribuzione: Bim Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008) V.M.: 14 Soggetto: ispirato al romanzo Nelle terre estreme di Jon Krakauer Sceneggiatura: Sean Penn Direttore della fotografia: Eric Gautier Montaggio: Jay Cassidy Musiche: Michael Brook, Kaki King, Eddie Vedder Scenografia: Derek R. Hill Costumi: Mary Claire Hannan Produttori esecutivi: David Blocker, Frank Hildebrand, John J. Kelly Direttore di produzione: John J. Kelly Casting: Francine Maisler Aiuti regista: David J. Webb, Dylan Hopkins, John R. Saunders, Ian Calip Operatore/Operatore steadicam: Jacques Jouffret Art directors: John Richardson, Domenic Silvestri Arredatori: Danielle Berman, Christopher Neely Trucco: April Hutchinson, Robin Mathews Acconciature: Sterfon Demings, Doreen Vantyne Supervisore effetti speciali: Donald Frazee Supervisore effetti visivi: Marty Taylor (Entity FX) Supervisore costumi: Jacqueline Aronson Supervisore musiche: David Franco Canzoni/Musiche estratte: “Hard Sun” di Gordon Peterson (Eddie Vedder, Corin Tucker); “Society” di Jerry Hannan (Eddie Vedder, Jerry Hannan); “No Ceiling”, “Rise”, “Long Nights”, “The Wolf”, “Guaranteed” composte ed eseguite da Eddie Vedder; “Going Up the Country” di Alan Wilson (Canned Heat); “King of the Road” composta ed eseguita da Roger U na citazione da Byron (che termina così “Non amo meno gli uomini ma più la natura”) apre il film che racconta le avventure di Christopher McCandless seguendo in parallelo i due anni di viaggio precedenti l’arrivo Miller; “Doing the Wrong Thing”, “Frame” composte ed eseguite da Kaki King; “U Can’t Touch This” di M. C. Hammer, Rick James, Alonzo Miller (M. C. Hammer); “Emory and Old St. Andrews March” di Henry D. Frantz jr. (The Atlanta Pipe Band); “I Thougt I Was You” di Sean Hannan, Jerry Hannan (Kelly Peterson); “Fork and File” di Erik Pearson (The Crooked Jades); “Dakota Themes” composta ed eseguita da Peter Ostroushko; “Slab Song” composta ed eseguita da Everett ‘Insane Wayne’ Smith; “Kaa” composta ed eseguita da Claude Chaloub; “Angel from Montgomery” di John Prine (Kristen Stewart, Emile Hirsch); “Picking Berries” composta ed eseguita da Gustavo Santaolalla; “Tracy’s Song” di David Baerwald, Kristen Stewart (Kristen Stewart); “Best Unsaid”, “Timekeeper”, “Carte noir”, “Flood”, “I Saw It” composte ed eseguite da Michael Brook; “Porterville” di John Fogerty (Creedence Clearwater Revival) Interpreti: Emile Hirsch (Chris McCandless), Marcia Gay Harden (Billie McCandless), William Hurt (Walt McCandless), Jena Malone (Carine McCandless), Brian H. Dieker (Rainey), Catherine Keener (Jan Burres), Vince Vaughn (Wayne Westerberg), Kirsten Stewart (Tracy Tatro), Hal Holbrrok (Ron Franz), Jim Gallien, Leonard Knight (se stessi), Malinda McCollum (cameriera), Zach Galifianakis (Kevin), Craig Mutsch, Jim Beidler (gruppo di Wayne), Robin Mathews (Gail Borah), Candice Campos (ragazza bar), Steven Wiig (ranger), Signe Egholm Olsen (Sonja), Floyd Wall (uomo nella cabina telefonica), Bryce Walters (Chris a 4 anni), Jim Davis (agente immigrazione), Cheryl Francis Harrington (lavoratore sociale), R. D. Call (Bull), Haley Ramm (Carine a 11 anni), Merrit Wever (Lori), John Jabaley (speaker), Bart the Bear (orso), Sharon Olds, Carine McCandless (voci narrante aggiuntive), Matt Contreras, Denise Sitton (compratori libri), James Joseph O’Neil, Paul Knauls, John Decker, John Hofer, Jerry Hofer, Terry Waldner, Thure Lindhardt, Everett ‘Insane Wayne’ Smith, Durata: 148’ Metri: 4060 in Alaska e l’eremitaggio nel “grande Nord”, la meta finale del suo percorso. L’inizio del racconto è proprio l’arrivo nelle terre selvagge. Dopo una lunga marcia a piedi tra i monti e le foreste dell’Alaska, Cristopher scopre, oltre il fiume 31 mezzo ghiacciato, un autobus abbandonato e lo sceglie come ricovero. Poi si riparte dalla “nascita”, l’abbandono della vita borghese. L’estate del diploma al college, Cristopher mette in atto un piano meticolosamente preordinato da Film tempo: abbandonare la vita di agi e menzogne procuratagli dai genitori, per compiere un lungo viaggio verso la più radicale delle “rivoluzioni spirituali”. Così, lasciatosi alle spalle la città, Cristopher distrugge ogni sua proprietà. Passano mesi prima che i genitori si accorgano della “sparizione”, troppo tardi perché possano impedirla. Con il nuovo nome di Alexander Supertramp, il ragazzo affronta il deserto, i monti e le foreste. È la voce della sorella a scandire il viaggio di Cristopher, raccontando l’esperienza di chi è rimasto senza poter sapere nulla, passando in rassegna i comuni ricordi sui genitori, colpevoli più che dei propri errori della scelta di nasconderli. Sul suo cammino, Alexander s’imbatte in una gentile coppia di hippy, ormai fuori dalla giovinezza. Con loro - che lo prendono a ben volere quasi fosse un figlio stringe amicizia; poi, una mattina, riprende il suo viaggio, con la promessa di ritrovarli prima della spedizione in Alaska. Il secondo capitolo è “l’adolescenza”. Alaska, terza settimana sul “magic bus”: finisce la scorta di riso ma inizia il disgelo. Diciannove mesi prima, un altro incontro sulla strada per il grande viaggio. Wayne, un coltivatore di mais, accoglie AlexCristopher e lo fa lavorare nei campi. I due fanno presto amicizia e scambiano racconti e progetti. Ma, un giorno, all’improvviso, una squadra dell’F.B.I. arriva a sirene spiegate e arresta Wayne. Poi il viaggio arriva fino in Messico, dove Alex giunge dopo una lunga navigazione in kayak. Intanto la memoria della sorella torna alla grande menzogna dei genitori, la più dolorosa per Cristopher, che, appena adolescente, scoprì d’essere figlio illegittimo, nato prima che il padre lasciasse la sua precedente moglie e sposasse la madre. Superata la tentazione di chiamare casa, Alex torna in patria e conosce la durezza dell’età adulta, il terzo capitolo del suo viaggio. L’incontro con la grande città è solo botte e disperazione. Ma presto il ragazzo ritrova la coppia di hippy (il quarto capitolo, “la famiglia”), fermi in una “cittadella psichedelica”. Passato il Natale e avviata la preparazione fisica per l’Alaska, Alexander saluta gli amici e riprende il cammino. L’ultimo incontro è con un vecchio militare in pensione. È il capitolo finale, “la conquista della saggezza”. Il veterano, un vedovo chiuso nella sua solitudine, impara dal giovane lo stupore per la bellezza del mondo; Alex comincia a capire che la vera felicità non può esistere che nella condivisione, nel superamento della dimensione individuale. Quando il vecchio gli propone di farsi adottare Alex riparte per l’ultima volta. Tutti i film della stagione In Alaska si avvicina la fine. Ormai deciso al ritorno, Alex scopre con orrore di essere bloccato dal fiume che, in seguito al disgelo, è diventato troppo largo e impetuoso per essere attraversato. La caccia e la pesca vanno male: il ragazzo non sa come sopravvivere. Il ricorso alle erbe selvatiche è l’errore fatale. Avvelenato, troppo debole per continuare a provvedere a sé, Cristopher scrive l’ultima pagina del suo diario: “Sono felice”. La firma è il suo vero nome. Preparato alla fine, il suo cuore batte gli ultimi palpiti mentre gli occhi fissano l’azzurro del cielo. T ratto dal libro di J. Krakauer, a sua volta basato su una storia vera, il quarto lungometraggio diretto dall’attore Sean Penn inizia come sfida edipica, avventura d’affermazione di sé e di scoperta dell’Altro. Ma il film non si ferma a questo. La storia di Christopher McCandless, che Penn volge in classico bildungsroman, costituisce manifesto d’una certa mitologia statunitense, più o meno la medesima alla base degli eroi dell’universo Western; l’uomo/individuo, privato di tutto, mette alla prova la propria tempra resistendo alla durezza dell’habitat (sociale o naturale poco importa), esplora la frontiera geografica e, contemporaneamente, quella del proprio limite d’essere umano. Ma quello che a una sguardo meno che attento può apparire l’ennesimo road movie sfornato dalla “macchina Hollywood” ri- vela, soprattutto se si ripercorre retrospettivamente il film alla luce del non consueto finale, la propria interessante originalità. Il protagonista non è in Alaska per rimanerci: superata la prova, compiuto con successo il cimento psico-fisico- esistenziale, Cristopher vorrebbe uscire dal mondo selvaggio per rientrare “dentro i suoi limiti”, ora che ne ha saggiato la confortante e soddisfacente estensione. E non è la morte a fermarlo, ma quella stessa Vita (o Verità), oggetto finale della ricerca del giovane. Il percorso dell’esistenza, per chi decida di trascorrerlo alla luce della verità, non prevede inversioni di marcia. Il finale mistico riorienta e ridisegna in qualche misura tutto quanto gli sta prima. Non è la morale protestante a decidere di far coincidere con il successo esistenziale del ragazzo la sua riuscita materiale; non è l’ecologismo, che a ogni passo sembra dover far crollare la pellicola su se stessa a decidere una finale ricomposizione cosmica. Così, nonostante una certa ridondanza narrativa, una misura retorica non proprio perfettamente tarata e, da ultimo, una vicenda in fondo non originale, il film mantiene una solidità e, al contempo, una leggerezza di tocco davvero non comuni. Per di più, il regista ha il coraggio di far coincidere la felicità con la consapevolezza della necessità della perdita; la morte viene finalmente a ratificare il raggiungimento d’una gioia radicale. Silvio Grasselli SCUSA MA TI CHIAMO AMORE Italia, 2007 Regia: Federico Moccia Produzione: Medusa Film/Cecchi Gori Group Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di Fedeico Moccia Sceneggiatura: Federico Moccia, Chiara Barzini, Luca Infascelli Direttore della fotografia: Marcello Montarsi Montaggio: Patrizio Marone Musiche: Claudio Guidetti Scenografia: Maurizio Marchitelli Costumi: Grazia Materia Casting: Gaia Gorrini Suono: Antonio Pulli, Cinzia Alchimede Interpreti: Raoul Bova (Alex), Michela Quattrociocche (Niki), Francesco Apolloni (Pietro), Cecilia Dazzi (madre di Niki), Pino Quartullo (padre di Niki), Veronika Logan (Elena), Davide Rossi (Fabio), Luca Angeletti (Enrico), Francesca Antonelli (Susanna), Ignazio Oliva (Flavio), Luca Ward (Tony Costa), Riccardo Rossi (prof. Martini), Riccardo Sardonè (Marcello Santi) Durata: 110’ Metri: 2931 32 Film Tutti i film della stagione A Roma, Alex è un affermato pubblicitario di 37 anni; Elena, la sua donna, lo abbandona ed egli non riesce in nessun modo ad adattarsi alla vita da solo, nonostante vari tentativi degli amici per farlo partecipare a delle feste. Pietro, un avvocato, uno dei suoi migliori amici, gli porta persino in casa un gruppo di modelle russe, le quali creano uno scompiglio che richiama addirittura l’intervento della polizia. Ma l’inaspettato improvvisamente accade: vediamo Nichi, una diciassettenne molto vivace, correre verso la scuola in motorino, non fermarsi a uno stop e così battere contro l’auto di Alex. Ne nasce un litigio e la ragazza si fa portare a scuola da lui. Nonostante il ritardo, Alex arriva in tempo all’incontro con Leonardo, il direttore della sua agenzia, e Marcello, un suo collega: Leonardo li mette in gara tra loro per ottenere una campagna pubblicitaria per una nuova marca di caramelle giapponesi; chi perderà, sarà trasferito nella sede di Lugano. Durante l’incontro, Nichi gli telefona da scuola, gli dice che ha avuto un 7 e gli chiede di venire a prenderla all’uscita; lui non può rifiutarsi, in quel momento e quindi si presenta; credeva di doverla portare dal meccanico per ritirare il motorino invece lei lo fa andare nel centro storico, per un aperitivo e così, tornando all’auto, la trovano portata via dai vigili. Salgono in autobus senza biglietto e arriva il controllore. La ragazzina si intromette anche nei ritmi di lavoro di Alex, che non riesce ad evitare di rispondere alle sue chiamate, di presentarsi all’uscita di scuola e addirittura di portarla al mare; nei momenti in cui è con lui, Nichi è molto brava a eludere le telefonate che riceve dalla madre, mentre lui deve mantenere il contatto con il gruppo di lavoro e così, tra l’altro, non può evitare di presentarsi a un investigatore privato per incaricarlo di seguire una donna, la moglie del suo amico Enrico, che ha chiesto il suo aiuto. Nichi sollecita l’amore di Alex, mentre il gruppo di lavoro di lui non lo soddisfa; Leonardo dà il termine di un giorno perché Alex e Marcello gli presentino i loro progetti ed è proprio Nichi, adesso, a trovare delle idee che Alex presenta in tempo e che vengono accettate dal capo. Nichi passa la notte con lui e al mattino lo saluta dicendogli: “Scusa, ma ti chiamo amore”. La loro relazione ormai è nota a tutti, compresi i genitori di Nichi. Alex scatta foto a lei addormentata, le presenta al suo capo e stavolta anche i Gapponesi accettano. Ricompare Elena e riesce andare ad abitare di nuovo con Alex; a questo punto vediamo Nichi da sola o con le amiche che cercano di consolarla; la madre è la prima a dirle “Lo sai quanti ce ne sono la fuori che aspettano?” Elena riprende le sue amicizie e con loro commenta negativa il modo in cui ha trovato la casa. Ma ad Alex arriva la dimostrazione (da lui non cercata) che Elena lo ha tradito con Marcello e quindi la butta fuori di casa e torna da Nichi. I l filone “giovanilistico” lo si potrebbe definire come una delle forme di “romanzo d’appendice” (forse la più vivace), o come un vivace tipo di “cinema popolare”, nel senso di cinema con trame e personaggi che “fotocopiano” la quotidianità media di una classe media. Non è qui il caso di indagare se i libri di Moccia (e i film ricavatine) seguono il filone oppure hanno contribuito a crearlo: sta di fatto che la vita da adolescente di Nichi e il suo culminare nella storia d’amore con Alex sono un ennesimo racconto di questo tipo. La trama equilibra gli spazi dati agli adulti e quelli dati ai ragazzi. Degli adulti, sceglie quelli troppo giovani per essere genitori credibili e troppo vecchi per essere credibili “fidanzati”: ci mostra un certo campionario di schizzi su di loro. Dei ragazzi, sceglie quelli a un passo dalla maggiore età, ma poco attendibili come capaci di progettare davvero la propria vita: cioè, in un momento estremamente delicato; e anche qui abbiamo un campionario di schizzi. Il racconto inizia da Alex, ma subito Nichi prende uno spazio pari all’altro personaggio. Un adolescente ha convinzioni granitiche, su qualunque cosa; trincia giudizi fulminei su tutto e, a volte, questo modo di essere e di fare è utile, a tutti; costruire i personaggi e la trama stessa in modo che si evidenzi questo era quasi inevitabile, se si vuol essere semplicisticamente realistici, cosa che, crediamo sia stata una scel33 ta dell’autore. Era possibile cadere nel rischio del “già visto” su ogni elemento del racconto; escludiamo subito un riferimento a Lolita che ci sembra proprio il meno presente, ma includiamo pure tutto il resto. Si potrebbe anche aggiungere la pretenziosità (o la superficialità) di voler tracciare psicologie di adolescenti fissandosi sui loro “modi di fare e di dire”; o la banalità elegante di siglare i vari momenti della storia con citazioni letterarie... Cosa ci fa accettare gradevolmente questo racconto, dunque? La figura del narratore, all’inizio solo voce fuoricampo, poi anche personaggio con un volto; è lui a costruire il filo conduttore tra i diversi episodi, a suggerire una interpretazione; fare citazioni è il suo modo per suggerire come interpretare gli episodi, è abile nel pilotarci gradevolmente a concordare con le sue posizioni. L’intervento investigativo che fa conoscere ad Alex il rapporto della moglie con Marcello viene a inserirsi bene nello svolgersi della trama. Si inseriscono meno bene altri punti minori qua e là. All’inizio del film, la sequenza, veloce ma non troppo, che mostra i tentativi di Alex per dimenticare la sua ex donna, è costruita con un intreccio di campi, di battute del personaggio, di base musicale continua, di voce fuoricampo che ci racconta tutto quanto il personaggio prova, ma ironizzando simpaticamente su di lui; si sperava che sequenze di struttura così ben realizzata si sarebbero ripetute nel corso del film, ma purtroppo ciò è avvenuto solo in pochissimi altri momenti. La presenza della musica copre la quasi totalità delle scene; siamo certi che si deve anche a essa il fatto che il film riesca ad “accattivare” il suo pubblico: è una astuta decisione... Danila Petacco Film Tutti i film della stagione LO SCAFANDRO E LA FARFALLA (Le scaphandre et le papillon) Francia/Stati Uniti, 2007 Canzoni/Musiche estratte: «Excerpt» dalla colonna sonora di I 400 colpi di Jean Constantin; “La mer” composta ed eseguita da Charles Trenet; “Ultraviolet (Light My Way)” (U2); “Don’t Kiss Me Goodbye” (Ultra Orange & Emmanuelle); “Ramshackle Day Parade” di Joe Strummer (Joe Strummer e The Mescaleros); “All The World Is Green” di Tom Waits, Kathleen Brennan (Tom Waits) Interpreti: Mathieu Amalric (Jean-Dominique Bauby), Emmanuelle Seigner (Céline Desmoulins), Marie-Josée Croze (Henriette Durand), Anne Consigny (Claude), Patrick Chesnais (dott. Lepage), Niels Arestrup (Roussin), Olatz Lopez Garmendia (Marie Lopez), Jean-Pierre Cassel (Padre Lucien), Marina Hands (Joséphine), Max von Sydow (Papinou Bauby), Emma de Caunes (imperatrice Eugénie), Agathe de la Fontaine (Inès), Hiam Abbas (Betty), Franck Victor (Paul), Théo Sampaio (Théophile), Fiorella Campanella (Céleste), Isaach de Bankolé (Laurent), Zinedine Soualem (Joubert, impiegato PTT), Jean-Philippe Écoffey (dott. Mercier), Françoise Lebrun (sig.ra Bauby), Gérard Watkins (dottor Cocheton), Nicholas Le Riche (Nijinski), François Delaive, Virginie Delmotte (infermieri), Anne Alvaro (Betty), Laurent de Clermont-Tonnerre (Diane), Talina Boyaci (Hortense Bauby), Georges Roche (Fourneau, impiegato PTT), François Filloux (infermiere di notte), Cedric Brelet von Sydow (Papinou giovane), Sara Séguéla (paraplegica Lourdes), Vasile Negru (violinista), Antoine Bréant (assistente Jean-Baptiste Mondino), Azzedine Alaia, Michel Wincott (se stessi), Jean-Baptiste Mondino, Lenny Kravitz, Farida Khelfa Elvis Polanski, Yves-Marie Coppin, Daniel Lapostolle, Philippe Roux, Maria Meyer, Ilze Bajare, Anna Chyzh Durata: 112’ Metri: 2800 Regia: Julian Schnabel Produzione: Kathleen Kennedy, Jon Kilik per Pathé Renn Productions. In coproduzione con France 3 Cinéma. In associazione con The Kennedy-Marshall Company. Con la partecipazione di Canal+/Ciné Cinémas. In associazione con Banque Populaire Images 7. Con il supporto di C.R.R.A.V. Nord Pas de Calais/Région Nord Pas-de-Calais Distribuzione: Bim Prima: (Roma 15-2-2008; Milano 15-2-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di Jean-Dominique Bauby Sceneggiatura: Ronald Harwood Direttore della fotografia: Janusz Kaminski Montaggio: Juliette Welfing Musiche: Paul Cantelon Scenografia: Michel Eric, Laurent Ott Costumi: Olivier Bériot Produttori esecutivi: Pierre Grunstein, Jim Lemley Direttori di produzione: Stephan Guillemet, Olivier Jacob, Emmanuel Mathieu Aiuti regista: Sébastien Marziniak, Stéphane Gluck, Mathilde Cavillan Operatore: Gilber Lecluyse (Berto) Operatore steadicam: Jörg Widmer Trucco: Myriam Hottois, Florence Batteault, Sandrine Cirilli, Elizabeth Delesalle, Chloé Van Lierde Acconciature: Christian Gruau, Thierry Di Cecca, Laure Moulin Effetti speciali trucco: Benoît Lestang, Olivier Afonso Suono: Dominique Gaborieau Supervisore effetti speciali: Georges Demétrau Coordinatore effetti visivi: Laurence Vidot Supervisore musiche: Julian Schnabel 8 dicembre 1995. Jean-Dominique Bauby, caporedattore di “Elle France”, resta completamente paralizzato in seguito a un ictus che l’ha colto improvvisamente mentre era in macchina. È sempre stato un uomo in piena salute, atletico e di successo. Aveva sempre vissuto la sua professione di giornalista con passione frenetica e non si era mai reso conto di cosa fosse veramente importante. Un anno prima dell’incidente, era andato via di casa, lasciando la moglie e i suoi due figli. In seguito all’incidente che l’ha colpito, piomba in un coma profondo. Quando si risveglia, tutte le sue funzioni motrici sono ormai deteriorate. Non può parlare, né respirare senza assistenza. L’uomo è vittima di una sindrome “lockedin”; lui è mentalmente vigile, ma è come prigioniero dentro il suo stesso corpo. L’unica parte del corpo che riesce ancora a muovere è la palpebra dell’occhio sinistro. Quando la chiude una volta, è per dire sì. Quando la chiude due volte, è per dire no. Costretto a confrontarsi con quest’unica prospettiva di vita, Bauby riesce a costruire un ricco universo interiore, nel quale ha sviluppato soprattutto due componenti: l’immaginazione e la memoria. All’Hospitale Maritime di Berck-sur-mer, ha imparato un alfabeto completamente nuovo, che codifica le lettere più frequenti del vocabolario francese. Attraverso questo linguaggio e con l’aiuto di una logopedista, è riuscito a dettare lettera per lettera il romanzo in cui ha raccontato il proprio mondo interiore (la malattia, la sofferenza, la voglia di vivere), intitolato appunto “Le scaphandre et le papillon” che è stato pubblicato poco dopo la sua morte, avvenuta nel marzo 1997. L ascia sin da subito spiazzati un’operazione come Lo scafandro e la farfalla. Per tutta una serie di ragioni. Questo film, nel modo in cui 34 filma la malattia e l’immobilismo del protagonista, porta a un immediato parallelismo con Mare dentro di Alejandro Amenábar. Lì c’era la vicenda di un exmarinaio (interpretato da Javier Bardem) che rimase paralizzato dopo un tuffo in mare e che iniziò, con l’aiuto di un’associazione per i diritti umani, una forsennata lotta con i tribunali spagnoli per ottenere una morte dignitosa. Questa pellicola invece è tratta da una storia vera, quella di Jean-Dominique Bauby, colpito da un ictus a 43 anni che gli ha bloccato tutto il corpo tranne la palpebra sinistra. Si tratta, quindi, di due sguardi non solo sull’attesa della morte ma proprio su un tempo interiore che si ferma, che segue altri ritmi e nuovi percorsi. La visione del cineasta spagnolo era più distante e inserita in un racconto a tratti più oggettivo. In Lo scafandro e la farfalla, Schnabel sembra, sin da subito, privilegiare il punto di vista soggettivo di Bauby. Il film infatti comincia con il risveglio dal coma Film del protagonista. Ciò che vede lui è ciò che vede lo spettatore. Il mondo esterno è visto attraverso il suo occhio. Si entra, quindi, sin da subito nel suo mondo, nel suo pensiero, nel suo dolore. Del resto è come se l’artista statunitense, oltre che lo sguardo, volesse, in qualche modo, materializzare il linguaggio di Bauby, quello cristallizzato nelle pagine del romanzo autobiografico da cui il film è tratto e che è stato pubblicato nel marzo 1997 (che venne realizzato, appunto, grazie all’aiuto di una logopedista che trascriveva i suoi pensieri) e che costituiva la sua unica comunicazione, il suo unico contatto, col mondo esterno. Ora è chiaro che in opere di questo genere c’è sempre il rischio di cadere nel sospetto del ricatto emotivo. Confrontando Lo scafandro e la farfalla con il resto della filmografia di Schnabel, questa interpretazione potrebbe essere subito smontata. L’artista-cineasta infatti, oltre a questo film, aveva infatti portato sullo schermo già altre figure biografiche come quelle del famoso pittore in Basquiat (1996) e dello scrittore e poeta cubano Reinaldo Arenas in Prima che sia notte (2000). Queste due, assieme a Bauby, sono accomunate dal fatto di essere scomparse prematuramente. Quindi Lo scafandro e la farfalla, premio per la regia al 60° Festival di Cannes, diventa, in qualche modo, un altro esempio di come Schnabel utilizzi la vita di un’altra figura per un cinema di carattere quasi compositivo. La sua macchina da presa è come il pennello del pittore. Lo schermo è come la tela. Rispetto al dipinto, c’è un movimento che viene come fermato, sospeso, come per dare forma a un universo cromatico dove la figura del protagonista si mescola quasi a un universo dominante, quello del grigio sottolineato dalla fotografia di Janusz Kaminski. Il movimento è come rallentato, quasi azzerato. Ciò serve per ridare forma alla memoria di Bauby, al suo passato (fino al momento dell’incidente mentre si trovava in macchina), alla frattura tra il prima e il dopo. I volti degli altri sono come apparizioni. Le voci come echi da mondi lontani. Quindi, più che sulla storia, come aveva fatto Amenábar, Schnabel sembra lavorare essenzialmente sulla percezione, utilizzando il cinema per un processo figurativo e, contemporaneamente, sensoriale. Se c’era pienamente riuscito con Basquiat e parzialmente con Prima che sia notte; stavolta si ha l’impressione Tutti i film della stagione che abbia fallito il bersaglio. Certamente fa fare a un grande attore come Mathieu Amalric una sfida quasi atletica con la sua espressività, visto che non può comunicare col resto del corpo. Ma della vitalità, dell’anima, della scrittura di Bauby restano solo dei labili frammenti. Al contrario, malgrado le intenzioni, i residui di un melodramma costruito, sono invece evidenti e ben visibili come, per esempio, nella scena della telefonata con il padre, interpretato da Max von Sydow. Alla fine, ci si sente come ingannati. E ciò dispiace ancora di più, se ciò avviene davanti a un’opera di un artista come Schnabel. Simone Emiliani FORSE DIO È MALATO Italia, 2007 Regia: Franco Brogi Taviani Produzione: Grazia Volpi per Ager 3 Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008) Soggetto: liberamente ispirato al saggio omonimo di Walter Veltroni, Franco Brogi Taviani Sceneggiatura: Franco Brogi Taviani Direttore della fotografia: Stefano Moser Montaggio: Alessandro Cerquetti Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia. Interpretate da Siya Makuzeni Produttore esecutivo: Berto Pelosso Aiuto regista: Marcello Aliotta Suono: Ignazio Vellucci, José Nascimento, Fabio D’Amico, Franco Coratella Interpreti: Padre Horacio Caballero, Manuel Anselmo Miguel, Horatio Guiamba, Manuel Francisco, Elias Marufo Mafunde, Mamadou Wade, Mamadou Niang, Khalo Matabane, Dario Dosio, Brian Nemavhidi, Madine Nel, Jacinta Magero, Mazziwa Yudaya, Sarah Nakirijja Durata: 90’ Metri: 2493 35 Film D ocumentario che focalizza la sua attenzione su alcuni dei grandi problemi dell’Africa. La prima parte è dedicata alle persecuzioni che subiscono i bambini accusati di stregoneria. La seconda alle donne sieropositive che combattono quotidianamente contro la malattia. La terza al brutale trattamento fisico e psicologico dei bambini soldato e, infine, l’ultima parte all’emigrazione vista come unica speranza di riscatto. L a splendida voce rauca di Siyavuia Mazukeni ci accompagna lungo un viaggio difficile in un inferno senza ritorno, dove la speranza è morta già da tempo e dove non c’è spazio per nessuna emozione, nessun pensiero tranne la sopravvivenza. Questo inferno ha un nome: Africa. Su questa terra si è detto e visto un po’ tutto, certe immagini risultano così tanto scontate da averci praticamente assuefatto quasi a considerarle un colore locale, per questo il docu-fiction Forse Dio è malato di Franco Brogi Taviani merita più di un apprezzamento, perché non si lascia Tutti i film della stagione trasportare da sentimentalismi da pubblicità “raccoglifondi” , ma racconta, ispirandosi al diario di viaggio di Walter Veltroni, un’ Africa cattiva, spietata, un’Africa a suo modo diversa, popolata da gente arrabbiata che vede i “bianchi” come bancomat ambulanti e i bambini come cibo per ogni appetito. Un’ Africa cruda, dunque, che è come un pugno difficile da schivare. Ciò che differenzia questo lavoro da altri simili è la scelta di una linea registica asettica che toglie ogni passionalità alla narrazione. Non ci sono commenti, considerazioni o pietismi, ma soltanto immagini che non hanno bisogno di essere caricate di nessun significato poiché da sole urlano. Si vede una discarica e tra i rifiuti persone che esultano al ritrovamento di carne putrefatta, ragazzini ammazzati dai parenti a causa di una ridicola superstizione tribale, bambini, se risparmiati da stupri e malattie, costretti ad abbracciare un fucile sotto minaccia di mutilazioni fisiche, donne marchiate dall’AIDS costruire “libri della memoria” con foto, appunti, pensieri per non farsi dimenticare dai figli, gio- vani che sfidano la morte per arrivare in quell’Europa accusata di alimentare i loro sogni, ma si vedono anche gli occhi sgranati davanti ai poveri di Zavattini durante la proiezione in mezzo alla savana del film di De Sica Miracolo a Milano. Di fronte a queste immagini, come indirettamente fa intendere Taviani, i commenti sono inutili perché si finirebbe soltanto per fare retorica spicciola e dire cose talmente ovvie che, per onestà intellettuale, ciascuno dovrebbe tenere per sé partendo dal presupposto che su determinate vicende non c’è sostrato culturale o fede politica che tenga: il giudizio è unanime. Amaramente (ed egoisticamente) viene da pensare che forse per noi (e per le nostre delicate coscienze) siano meglio gli spot da cartolina, quelli che illudono di portare la felicità con due matitine colorate, perché da questa pellicola l’unica sensazione che se ne ricava è l’impotenza verso un problema talmente grande, di cui probabilmente solo Dio può occuparsi, magari quando si ristabilisce. Francesca Piano UN UOMO QUALUNQUE (He Was a Quiet Man) Stati Uniti, 2007 Canzoni/Musiche estratte: “Not Today” di Frank A. Cappello (Robert Cosio); “Midnight Train to Georgia” di Jim Weatherly (Robert Cosio); “Dance of the Goblin”, “Got It Going On Now”, “Here For You”, “Inner Depths of a Tortured Soul” composte ed eseguite da Robert Cosio; “You and I”, “For You” composte ed eseguite da Frank A. Cappello Interpreti: Christian Slater (Bob Maconel), John Gulager (Goldie/Maurice Gregory), Elisha Cuthbert (Venessa Parks), William H. Macy Jamison Jones (Scott Harper), Michael DeLuise (detective Soreson), Sascha Knopf (Paula Metzler), Cristina Lawson (Nancy Felt), K. C. Ramsey (Jackson), David Wells (Ralf Coleman), Randolph Mantooth (dr. Willis), Frankie Thorn (Jessica Light), Sewell Whitney (Derrick Miles), Lisa Arianna (assistente ADD), Livia Treviño (segretaria di Shelby), Tina D’Marco (infermiera), Bill Rothbard (moglie di Phil), Maggie Wagner (moglie di Phil), Brian Lohmann (maitre), Paul D. Roberts (cameriere), Bobby Hardy (karaoke MC), Courtney Balaker (signora in rosso), Greg Baker Durata: 95’ Metri: 2600 Regia: Frank A. Cappello Produzione: Michael Leahy per Neo Art & Logic/Quiet Man Productions Distribuzione: One Movie Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) Soggetto e sceneggiatura: Frank A. Cappello Direttore della fotografia: Brandon Trost Montaggio: Kirk M. Morri Musiche: Jeff Beal Scenografia: Ermanno Di Febo-Orsini Costumi: Sarah Trost Produttore esecutivo: Jason Hallock Co-produttore: Frank A. Cappello Direttore di produzione: Teresa Zales Casting: Jason Mundy, Don Phillips Aiuti regista: Alisa Fredericks, Roger Udwin, Dawn York Art director: Michael Barton Arredatore: Marina Starec Trucco: Bonni Flowers, Gary J. Tunnicliffe Acconciature: Michael Davis, Kathleen Toner Coordinatore effetti speciali: Ron Trost B ob Maconel è un modesto impiegato vessato quotidianamente dai colleghi e dai superiori. L’uomo vive nell’ombra, meditando un giorno non troppo lontano di reagire contro le ingiusti- zie. Ogni giorno prepara con cura una pistola con sei proiettili, cinque per colleghi odiati e il sesto per sé stesso, e si reca in ufficio. Il giorno designato per la strage, però, un suo collega, Ralph Coleman, lo precede 36 aprendo il fuoco all’interno dell’open space. In quegli attimi concitati, Bob reagisce e mette fine alla strage sparando a Coleman. Improvvisamente Bob diviene un eroe, colui che ha ucciso la “mela marcia”. La stampa Film lo segue dappertutto, vuole raccogliere le sue dichiarazioni. Il giorno dopo, al lavoro, Bob viene accolto dagli applausi dei colleghi e il suo capo, Gene Shelby, gli offre un nuovo ufficio con le mansioni di vice presidente del pensiero creativo. L’ufficio è lo stesso appartenuto alla giovane Vanessa Parks, che si è salvata dalla morte per merito di Bob, ma che ora è gravemente ferita in ospedale. Il primo incarico per Bob è proprio quello di andare a trovare Vanessa con una busta da parte di Gene. In ospedale, Bob vede la ragazza: è paralizzata dal collo in giù e urla tutta la sua rabbia contro Bob che non l’ha lasciata morire. Il giorno successivo, Bob va di nuovo da Vanessa: la ragazza è più calma e lo implora di aiutarla a completare ciò che Coleman ha iniziato ponendo fine a quella che per lei non è più vita. Bob è costretto a prometterle che la aiuterà. Il giorno in cui Vanessa viene dimessa dall’ospedale, Bob la va a prendere ed esaudisce i suoi ultimi desideri. I due vanno a cena in un bel ristorante dove la ragazza gli confessa di essere stata l’amante di Shelby. Dopo cena, Vanessa gli chiede di lasciarla investire da un treno, ma Bob non ce la fa e le salva nuovamente la vita. Vanessa urla la sua disperazione e un dito le si muove. Il medico dice che per la ragazza ci sono delle speranze di recupero, le strutture nervose non sono così compromesse come avevano pensato in un primo momento. Euforica a quella notizia, Vanessa bacia Bob e lo ringrazia per aver riacceso le sue speranze. Tra i due nasce un tenero legame sentimentale. Bob è sempre accanto alla ragazza anche quando lei vuole tornare in ufficio per la prima volta dopo il terribile giorno della strage. Intanto, in ufficio, lo psicanalista mostra a Bob un foglio nel quale qualcuno minaccia di completare l’opera di Coleman: il medico è convinto che sia scritto da lui. Bob discute con Shelby che lo provoca dicendogli che Vanessa si è legata a lui solo per bisogno. La posizione di Bob continua a peggiorare. Tornato a casa, trova Vanessa in compagnia di Shelby. Poco dopo, Bob trova una foto di Vanessa e Shelby con una dedica in cui la ragazza dichiara di amare solo lui. Disperato, Bob va in ufficio e sfoga la sua disperazione davanti a Shelby, poi rivolge la pistola contro se stesso e si spara. U n giorno di ordinaria follia. Quante volte nella letteratura, nel cinema e, ahimé sempre più spesso nella vita reale (i numerosi casi di cronaca nera non sono mai stati così tanti come in questi ultimi mesi), assistiamo a questi giorni di follia? Giorni neri, nerissimi, allucinati e allucinanti. E mani, tante mani “forti”, armate, insanguinate, disperate. Quante volte abbiamo assistito a in- Tutti i film della stagione terviste di vicini di casa o abitanti del quartiere dire di tanti insospettabili uomini “Era un uomo riservato, era un uomo tranquillo”? Ecco He Was a Quiet Man è proprio il titolo originale dell’italiano (ancora una volta una traduzione semplicistica e banalizzante) Un uomo qualunque, una pellicola di cui dispiace registrare la distribuzione limitata a poche sale e gli esigui incassi. Già, perché il film, diretto da Frank Cappello e interpretato da un quasi irriconoscibile Christian Slater, avrebbe sicuramente meritato più attenzione. Per diverse ragioni. Innanzitutto per la lucida rappresentazione di uno stato di angoscia cieca che nasce dentro e gonfia, preme, si materializza, frutto dei meccanismi atroci e perversi che nella nostra società dividono senza pietà i “vincenti” dai “perdenti”, i deboli dai forti. E qui il protagonista, l’uomo qualunque, l’uomo tranquillo, è un grigio impiegatuccio che veste in modo trasandato, porta occhiali dalla montatura demodé, ha una incipiente calvizie, ha denti brutti e storti, lavora in una grigia azienda che ha sede in un anonimo gigante di cemento, costretto davanti a un computer a controllare interminabili colonne di dati e numeri. Vittima continua di mobbing da parte di colleghi e superiori, è oltretutto costretto a guardare dietro le sue grandi lenti una bella collega che, ovviamente, non lo degna di uno sguardo. Ed ecco matura- re il gesto, un solo gesto, unico, estremo, definitivo. La strage, l’eliminazione di tanti si, ma anche di sé stesso. Ma il film ha un altro merito che sta tutto in quella tonalità che mescola monologo interiore, una cospicua dose di humour nero, un pizzico di surrealismo (il pesce rosso parlante nell’acquario che suona un po’ come la voce dell’inconscio del protagonista) con una fotografia a tratti sfocata, a tratti mossa, che fa un sapiente uso di immagini velocizzate che bene rendono la dimensione straniata e paranoide in cui il protagonista vive. Tutto concorre a dare al film l’atmosfera di un sogno che diviene incubo. I deboli, le vittime, i soli, i disperati, sono loro a percepire le note dissonanti di un mondo che li calpesta senza fare troppi complimenti, sono loro destinati a rinchiudersi sempre più con i propri fantasmi in uno spazio mentale cupo e ristretto. “Arriva il momento in cui i malati e i deboli debbono essere sacrificati per salvare il gregge”. Questa frase, pronunciata dal protagonista prima del tragico finale, suona come la triste considerazione di una sconfitta. E quella bambolina hawaiana dal sorriso lontano che ondeggia i fianchi sopra la sua scrivania, evoca il sogno tragico, impossibile, inarrivabile, di tanti disperati, di tanti malati, di tanti deboli .... E un brivido ci attraversa la schiena. Elena Bartoni TUTTA LA VITA DAVANTI Italia, 2007 Regia: Paolo Virzì Produzione: Motorino Amaranto/Medusa Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 28-3-2008; Milano 28-3-2008) Soggetto: tratto da Il mondo deve sapere – Romanzo tragicomico di una telefonista precaria di Michela Murgia Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni Direttore della fotografia: Nicola Pecorini Montaggio: Esmeralda Calabria Musiche: Franco Piersanti Scenografia: Davide Bassan Costumi: Francesca Sartori Produttore esecutivo: Daniele Mazzocca Fonico: (presa diretta) Mario Iaquone Interpreti: Isabella Ragonese (Marta), Sabrina Ferilli (Daniela), Elio Germano (Lucio), Valerio Mastandrea (Giorgio Conforti), Massimo Ghini (Claudio), Micaela Ramazzotti (Sonia), Valentina Carnelutti (Maria Chiara), Paola Tiziana Cruciani (madre di Sonia), Mary Cipolla (madre di Marta), Tatiana Farnese (signora Franca), Caterina Guzzanti (Fabiana Lanza Campitelli), Niccolò Senni (Sebastiano Mangiarotti), Edoardo Gabbriellini (fidanzato di Marta), Laura Morante (voce narrante) Durata: 117’ Metri: 2450 37 Film M arta è una giovane intelligente e capace. Appena ottenuta la laurea in filosofia teoretica, si ritrova però nella situazione critica comune a molti giovani della sua età. Situazione che il suo fidanzato sceglie di risolvere accettando l’invito d’una prestigiosa università statunitense. Marta – ormai ex studentessa fuori sede - resta così sola e senza una casa. Un giorno incontra la piccola Lara che le lascia un biglietto: “cercasi babysitter”. Marta inizia a prendersi cura della bambina e trova un alloggio precario nell’appartamento di Sonia, la mamma svanita e scapestrata di Lara, che la invita a lavorare nello stesso call centre in cui lavora lei. Superato lo sgomento per le bizzarrie del lavoro – coreografie di riscaldamento, premiazioni e punizioni altrettanto retoriche e spettacolari, un forte opprimente apparato ideologico violentemente imposto – Marta s’immerge con ingenuo impegno nel suo meschino lavoro di telemarketing; al punto da escogitare nuovi trucchi e divenire in breve una delle migliori telefoniste. La ragazza sembra aver risolto parte dei suoi problemi e potersi dedicare così a proseguire, anche se solo di notte, i suoi studi in vista di nuovi approdi professionali. Tra le ore passate con Lara e quelle spese alla Multiple, l’azienda truffaldina del telemarketing, la giovane inizia a fare nuove conoscenze, ad affezionarsi al ridicolo Lucio, venditore illuso d’essere all’inizio d’una brillante carriera, e a nutrire speranze di poter ottenere da Giorgio Conforti – sindacalista che da mesi ronza attorno all’azienda certo delle inadempienze e delle irregolarità imposte ai lavoratori – il piacere d’una relazione d’anime e di corpi. Tutti i film della stagione Ma la disillusione è dietro l’angolo. Al ritorno dall’ennesima visita in Sicilia alla mamma ammalata, Marta scopre che il sindacalista è sposato, ha una bambina e, per di più va a letto con la coinquilina Sonia. Con i licenziamenti brutali, istantanei e senza motivazione, la conoscenza più approfondita dei dirigenti e della loro squallida umanità, la ragazza inizia a vedere più chiaramente gli inganni e le prepotenze sulle quali si fonda la Multiple. Conforti, messo sotto pressione il direttore grazie alla confidenze di Marta, ottiene l’ingresso all’azienda. Ma la visita è una messa in scena che sembra non avere nessuna utilità per i dipendenti e, dopo la quale anzi, i licenziamenti avvengono ancor più violenti e numerosi. Tra i primi a esser cacciati c’è Sonia, creduta “spia” del sindacato, la quale, perduto il lavoro e caduta in depressione, intraprende in breve tempo la carriera di squillo. Lucio, perso il primato di migliore ed entrato in crisi, nel sottrarsi all’umiliazione dei colleghi, si schianta con l’auto e finisce in ospedale. Poi è l’azienda a rischiare il collasso. E quando nell’ufficio del presidente entra la capotelefonista Daniela, che con lui conduce da anni una squallida relazione clandestina, la storia trova anche il suo tragico epilogo. La mattina seguente, davanti ai venditori e alle telefoniste in attesa d’entrare al lavoro, la polizia arresta la donna per aver ucciso il suo amante, colpevole, dopo averla messa incinta e illusa d’un futuro insieme, d’averla pure rifiutata. Marta, intanto, riceve da una prestigiosa rivista internazionale la notizia che il suo saggio, scritto durante i mesi da telefonista mettendo a frutto anche il cambio di prospettiva dovuto a quella particolare esperienza, è stato scelto per la pubblicazione. Dopo aver salutato per l’ultima volta la mamma uccisa dalla malattia e incontrato con cordiale indifferenza il suo ex ragazzo, Marta s’incammina verso un nuovo inizio. E per prima cosa si ferma a risarcire una delle tante donne anziane contattate per telefono e ingannate spacciandosi per amica di figli e parenti. Attorno alla tavola imbandita offerta dalla gentile vecchietta sembra ancora possibile sperare. I n principio fu il blog d’una ex telefonista passata a vita professionale migliore, Michela Murgia. Poi il blog fu pubblicato da ISDN sotto il titolo Il mondo deve sapere e il duo Virzì (regista), Bruni (sceneggiatore) lo scelse come origine d’ispirazione per un film che non si fermasse al racconto dei call centre, ma che di essi facesse pretesto e metafora per rappresentare il paese precario nel quale siamo oggi. Il risultato è una commedia brillante che non dimentica la tradizione, lasciandosi spesso attraversare da correnti amarognole e che punta molto sui due cardini di sceneggiatura e direzione degli attori. Una delle cose migliori del film è senza dubbio l’affiatamento e l’efficacia del gruppo d’interpreti scelti e diretti da Virzì; tutti (o quasi) professionisti rodati che raramente hanno dato prove tanto convincenti e intonate. A cominciare dalla coppia perfetta Ferilli-Ghini, passando per il duo di nuove certezze Mastandrea-Germano, e finendo con la più che convincente protagonista Isabella Ragonese. Poco convincono invece le scelte di Virzì da “orchestratore d’immagini”. Esordio e conclusione, affidati a musiche pop, arditi movimenti di macchina e tono trasognato (addirittura onirico nel caso dell’incipit), sembrano stonature forti, svolazzi carichi di presunzione che poco hanno a che fare con una materia narrativa sulla quale per tutto il resto della pellicola si sceglie di lavorare in modo differente. Poi viene una regia più al servizio dell’effetto (drammatico, comico, surreale, poco importa) che della storia, la quale amplifica piccole codardie già contenute nello script: la critica forte è alla volgarità, mai al potere, alla meschinità, non all’ipocrisia, la condanna – quando arriva – non si sbilancia mai e cerca al contrario, subito dopo esser stata formulata, un elemento grazie al quale trovare un accomodante riequilibrio, facendo insomma uso strutturale di tutti i vituperati e scongiurati “se” e “ma”. Alla fine restano le molte preziose intuizioni e le altrettante occasioni perse di farne buon uso. Silvio Grasselli 38 Film Tutti i film della stagione 30 GIORNI DI BUIO (30 Days of Night) Stati Uniti, 2007 Regia: David Slade Produzione: Sam Raimi, Robert G. Tapert per Columbia Pictures/Dark House Entertainment/Ghost House Pictures Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008) V.M.: 14 Soggetto: dall’omonima graphic novel di Steve Niles e Ben Templesmith Sceneggiatura: Steve Niles, Stuart Beattie, Brian Nelson Direttore della fotografia: Jo Willems Montaggio: Art Jones Musiche: Brian Reitzell Scenografia: Paul D. Austerberry Costumi: Jane Holland Produttori esecutivi: Joseph Drake, Aubrey Henderson, Nathan Kahane, Mike Richardson Co-produttori: Ted Adams, Chloe Smith Direttori di produzione: Annie Dodman, Ronnie Hape Casting: Mary Vernieu Aiuti regista: Paul Grinder, Robyn Grace, Emma Hinton, Gene Keelan Operatore: Cameron McLean Art directors: Nigel Churcer, Mark Robins Arredatore: Jaro Dick Supervisore trucco e acconciature: Vinnie Smith Trucco: Anita Aggrey, Michael Krehl, Jane O’Kane Acconciature: Anita Aggrey, Michael Krehl, Maya Lewis, Jane O’Kane Supervisore effetti speciali trucco: Davina Lamont Effetti speciali trucco: Jeff Flitton, Gareth J. Jensen, Samantha Lyttle, Sarah Rubano Supervisore effetti speciali: Jason Durey B arrow, in Alaska, è la città più a Nord degli Stati Uniti e la notte dura ben 30 giorni: l’approssimarsi del lungo periodo di buio spinge parte degli abitanti a lasciare il posto in tutta fretta, complice la neve che rende difficile raggiungere l’aeroporto. Fra le persone in viaggio, c’è anche Stella, che si è appena separata dallo sceriffo Eben Oleson, ma ha un incidente ed è quindi costretta a rientrare a Barrow. Nel frattempo, lo stesso Oleson si rende conto che qualcosa non va: piccoli incidenti isolati (cani uccisi, generatori sabotati, terminali del computer isolati) sembrano voler tagliare la cittadina fuori dal mondo con l’approssimarsi della notte. Un solo uomo sembra avere chiaro cosa sta succedendo, è un barbone che promette l’arrivo della Morte in città. Una morte che sta arrivando in gruppo e al quale l’uomo spera di unirsi (ma le sue speranze andranno deluse). Troppo tardi Eben e i cittadini si ren- Coordinatore effetti speciali: Kat Stephens Supervisori effetti visivi: George Port (PRPVFX), Dan Lemmon, Charlie McClellan Coordinatori effetti visivi: Stephen Nixon, Amy Shand Supervisore costumi: Jaindra Watson Supervisore musiche: Brian Reitzell Interpreti: Josh Hartnett (sceriffo Eben Oleson), Melissa George (Stella Oleson), Danny Huston (Marlow), Ben Foster (lo straniero), Mark Boone jr. (Beau Brower), Mark Rendall (Jake Oleson), Amber Sainsbury (Denise), Manu Bennett (deputato Billy Kitka), Megan Franich (Iris), Joel Tobeck (Doug Hertz), Elizabeth Hawthorne (Lucy Ikos), Nathaniel Lees (Carter Davies), Craig Hall (Wilson Bulosan), Chic Littlewood (Issac Bulosan), Peter Feeney (John Riis), Min Windle (Ally Riis), Camille Keenan (Kirsten Toomey), Jack Walley (Peter Toomey), Elizabeth McRae (Helen Munson), Joe Dekkers-Reihana (Tom Melanson), Scott Taylor (Paul Jayko), Grant Tilly (Gus Lambert), Pua Magasiva (Malekai Hamm), Jared Turner (Aaron), Kelson Henderson (Gabe), John Wraight (Adam Colletta), Dayna Porter (Jeannie Colletta), Kate Butler (Michelle Robbins), Patrick Kake (Frank Robbins), Thomas Newman (Larry Robbins), Rachel Maitland-Smith (Gail Robbins), Abbey-May Wakefield (ragazzina vampira), John Rawls (Zurial), Andrew Stehlin (Arvin), Tim McLachlan (Archibald), Ben Fransham (Heron), Kate Elliott (Dawn), Allan Smith (Khan), Jarrod Martin (Edgar), Sam La Hood (Strigoi), Jacob Tomuri (Seth), Kate O’Rourke (Inika), Melissa Billington (Kali), Aaron Cortesi (Cicero), Matt Gillanders (Daeron) Durata: 113’ Metri: 2669 dono conto di essere diventati le prede di un branco di vampiri che, protetti dal buio, possono uccidere chiunque senza timore di essere disturbati. Eben, insieme al fratello Jake, a Stella e a un gruppo di superstiti, si nascondono in una soffitta dove, razionando il cibo, trascorrono alcuni giorni. Una volta usciti allo scoperto, notato come i vampiri, furbescamente, usino alcune delle loro vittime come esche, per attirare i pochi umani ancora rimasti in vita. La lotta per la sopravvivenza passa, quindi, per un continuo gioco del gatto e del topo, con gli umani che tentano di nascondersi, ma vengono inesorabilmente scoperti e eliminati, restringendo sempre più il gruppo dei superstiti. Il mese intanto sta passando e, con l’approssimarsi del nuovo periodo di luce, i vampiri decidono di distruggere il paese per non lasciare traccia del loro passaggio e riconsegnare, in questo modo, la loro figura alla leggenda. Per questo, un enor39 me incendio viene appiccato e sfortunatamente Stella, divisa da Eben, si trova nascosta sotto un’auto: le fiamme rischiano di raggiungerla, ma, allo stesso tempo, è impensabile uscire allo scoperto per non cadere vittima dei mostri. Così Eben si inietta il sangue prelevato da un cadavere infetto, in modo da assorbire i poteri dei vampiri e combattere con loro a mani nude, permettendo a Stella di fuggire. La lotta con il capo dei mostri vede l’ex sceriffo vincitore e il gruppo di assassini si dilegua così dalla cittadina. Il sorgere del sole vede Eben e Stella riuniti in un abbraccio, mentre i raggi bruciano la pelle dell’uomo, ormai diventato anche lui un vampiro. I l nuovo progetto della Ghost House, la casa di produzione di Sam Raimi e Robert Tapert specializzata in film horror, possiede più di uno spunto d’interesse, essendo non soltanto tratto da una graphic novel di culto (“30 gior- Film ni di notte”), già contesa da molti produttori, ma potendo anche vantare alla regia il nome di David Slade, fattosi notare con alcuni videoclip e con un piccolo film, Hard Candy (ancora inedito in Italia), ben valutato dalla critica estera e dagli appassionati. La presenza di Steve Niles, già autore del fumetto, nel ruolo di sceneggiatore, garantisce, inoltre, la giusta continuità con la storia originale, aumentando le aspet- Tutti i film della stagione tative per l’appassionato desideroso di un horror di qualità. In effetti, l’approccio utilizzato da Niles sembra esattamente lo stesso del fumetto: non affidarsi, cioè, alla forza del racconto (semplice e oltremodo slabbrato), puntando invece sulla forza visiva delle immagini, complice un’interessante fotografia plumbea di Jo Willems, le indovinate location neozelandesi che riproducono un ambiente artico molto convincente e ottimi effetti speciali di trucco, che ci regalano vampiri davvero inquietanti e mostruosi. Sfortunatamente ciò che può ben funzionare sulla carta non è detto che si riveli altrettanto efficace su schermo, soprattutto se sono evidenti i compromessi con il tipico cinema horror industriale, basti pensare al tema della coppia riunita grazie al pericolo, uno stanco body count e un confronto finale con il capo dei “cattivi”. Da questo punto di vista, anche la ricercatezza visiva si dimostra comunque insufficiente per sopperire alle enormi carenze di una sceneggiatura totalmente priva di qualsiasi vincolo di causa ed effetto nelle azioni e che perciò produce personaggi privi di alcuno spessore e scene spesso incomprensibili. A questo si aggiunga una regia che alterna momenti eccessivamente asciutti e piatti con autentiche esplosioni di caos, che producono scene d’azione in fast-motion alla lunga molto fastidiose. Il risultato è un film freddo e non coinvolgente, al pari degli altri progetti finora portati avanti dalla Ghost House (The Grudge, Boogeyman): purtroppo duole constatare come Sam Raimi, pur essendo un regista coraggioso e geniale, non si dimostri un produttore altrettanto illuminato e si contenti di sponsorizzare progetti privi di vitalità. Davide Di Giorgio PAURA PRIMORDIALE (Primeval) Stati Uniti, 2007 Regia: Michael Kaleman Produzione: Gavin Polone per Hollywood Pictures/Pariah/Sarah James Productions Distribuzione: Buena Vista International Italia Prima: (Roma 27-7-2007; Milano 27-7-2007) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: John D. Brancato, Michael Ferris Direttore della fotografia: Edward J. Pei Montaggio: Gabriel Wrye Musiche: John Frizzel Scenografia: Johnny Breedt Costumi: Dianna Cilliers Produttori esecutivi: Mitch Engel, Jamie Tarses Produttore associato: David Wicht Casting: John Papsidera Aiuti regista: Marchant Bellingan, Leigh Tanchel, Christo van Schalkwyk Art director: Fred Du Preez Arredatore: Melinda Launspach Trucco: Sue Michel, Juanette Van Der Merwe Acconciature: Sue Michel, Juanette Van Der Merwe, Rene Rossouw Effetti speciali trucco: Howard Berger, Gregory Nicotero Supervisore effetti speciali: Mickey Kirsten Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures), Paul Linden Coordinatore effetti visivi: Ashok Nayar (Luma Pictures) Canzoni/Musiche estratte: “Ni Wakati” composta ed eseguita da Kalamashaka; “Allah Wakbarr” di L. Ifediorama, T. Sotade, P. Kamson (Ofo & The Black Company); “Compe” di Simon Kimani (Bamboo(; “Keleya” composta ed eseguita da Moussa Doumbia; “Truth (Amazing Grace)” composta ed eseguita da Foundation Movement Interpreti: Dominic Purcell (Tim Manfrey), Brroke Langton (Aviva Masters), Orlando Jones (Steven Johnson), Jürgen Prochnow (Jacob Krieg), Gideon Emery (Mathew Collins), Gabriel Malerna (Jojo), Linda Mpondo (‘Gold Tooth’), Lehlohonolo Makoko (Beanpole), Dumisani Mbebe (Harry), Eddy ‘Big Eddy’ Bekombo (Ato), Chris April (apitano), Ernest Ndhlovu (Shaman), Erica Wessels (dr. Cathy Andrews), Vivian Moodley (agente indiano UN), Lika Van Den Bergh (Rachel), Andrew Whaley (senatore Porter), Patrick Lyster (Roger Sharpe), Jacqui Pickering, Kent Shocknek (giornalisti), Mathias Tabotmbi (abitante del villaggio), Kgmotoso Motlosi (figlio di Shaman), Thandi Nugbani (moglie di Shaman), Michael Mabizela (manovale), Thomas Kariuki, Azeez Danmola (pescatori), Pamphile Nicaye, Emmanuel Nkeshiman, Pierre Calver Nsabimana, Henry Jeane (batteristi Burundi) Durata: 93’ Metri: 2450 40 Film B urundi, Africa centrale. Un enorme coccodrillo, soprannominato Gustave dalla popolazione locale, semina il panico e miete vittime di villaggio in villaggio mentre nel paese infuria la guerra civile fra Hutu e Tutsi. Negli Stati Uniti la curiosità nei confronti della terribile belva diventa una vera caccia dopo la morte di un’ispettrice inglese. Il giornalista di un network televisivo, Tim Manfrey, viene incaricato di andare sul posto per un reportage che porti alla cattura del bestione; per la missione gli vengono affiancati l’amico cameraman Steven Johnson, la giornalista animalista Aviva Masters e il ricercatore Matt Collins che ha costruito una gabbia speciale. Giunta sul posto, l’equipe viene accolta da una guida locale che li informa del fatto che l’animale abbia resistito più volte agli spari dei proiettili. Al terrore seminato da Gustave, si aggiunge la scia di sangue di cui si macchiano ogni giorno i guerriglieri al servizio del dittatore Piccolo Gustave che governa come un re la zona dell’alto fiume Rusizi e che ha preso il nome dal coccodrillo. Al gruppo si unisce il cacciatore Jacob Krieg, convinto che l’animale non possa essere catturato vivo. Il gruppo si ferma nella zona dove sono localizzati gli attacchi del coccodrillo, nei pressi delle paludi di Kibira al confine tra Burundi e Ruanda. L’equipe familiarizza con Jojo, un ragazzo che vive nella foresta, ma l’agguato studiato fallisce e Gustave riesce a evitare la trappola. Steven, intanto, ha l’occasione di filmare il massacro di un’intera famiglia ad opera dei guerriglieri al soldo del dittatore: Aviva è convinta di poter mostrare quelle immagini al mondo. Ma un guerrigliero, ascoltata la conversazione, informa i capi che gli americani hanno filmato un’esecuzione nella boscaglia. Il gruppo è braccato dai guerriglieri. Aviva chiede un ponte aereo ma il coccodrillo li aggredisce e Jacob ci rimette la vita. Poco dopo, anche Matt muore investito da una jeep di guerriglieri in cerca del computer con le immagini delle loro esecuzioni. Medesima sorte trova Steven, attaccato dal coccodrillo mentre sta facendo delle riprese in una palude. Intanto i guerriglieri minacciano Tim e Aviva: vogliono il loro computer. Tim scopre che Harry, un funzionario governativo, è in realtà Piccolo Gustave; l’uomo vuole a tutti i costi il computer che contiene le immagini che lo inchioderebbero. Tim e Aviva portano Harry nella savana con la scusa di recuperare il computer e gli dicono che il coccodrillo è stato ucciso. In realtà Gustave è vivo e uccide Harry. Tim e Aviva riescono a mettersi in salvo. In aereo Tim e Aviva insieme a Jojo rivedono le riprese effettuate dal povero Steven. Il 15 maggio 2005, il cessate il fuoco tra il governo del Burundi e i ribelli Hutu pone fine a dodici Tutti i film della stagione anni di guerra civile. Gustave invece è ancora vivo e va a caccia sul fiume Rusizi. S tupore e paura. Sono state queste le primissime sensazioni provocate nello spettatore dal cinema ai suoi albori. Eravamo alla fine dell’Ottocento e i fratelli Lumière trasmettevano panico negli spettatori al Grand Cafè, proiettando immagini di una locomotiva che correva verso di loro. Il terribile, il pauroso e, con il passare degli anni, il mostruoso sono stati certamente i protagonisti della settima arte. Ed eccoci alla paura primordiale. Un gigantesco coccodrillo miete un gran numero di vittime saziandosi dei corpi di tanti indigeni in quel del Burundi, uno degli stati dell’Africa centrale più martoriati da guerre civili in anni recenti. Antecedente illustre (molto molto illustre) del nostro bestione terra-acqua è certamente Lo squalo, geniale invenzione con cui Spielberg era riuscito ad astrarre uno squalo dalla semplice minaccia animale facendolo diventare una bestia inafferrabile che sembrava muoversi secondo un’intelligenza omicida. Una cosa è certa: il clima simbolico-fantastico del capolavoro di Spielberg qui manca del tutto, semmai siamo più dalle parti di film come Alligator (1980) di Lewis Teague o Lake Placid (1999) di Steve Miner. Ma le somiglianze più evidenti sono con Anaconda (1997) di Luis Llosa, dove a seminare il panico nella foresta amazzonica è un serpentone di circa dodici metri di lunghezza, un predatore talmente mortale da essere diventato una leggenda e sulle cui tracce si mette, anche in questo caso, una troupe televisiva per molti versi simile a quella che caccia un coccodrillone nell’Africa nera. Ma qui c’è di più. All’intreccio tra horror (ben poco a dire il vero), action movie (tanto tanto action tra le foreste, le savane e i fiumi dell’Africa centrale) e fantastico (anche questo dispensato in dosi massicce, avete mai visto un coccodrillo lungo circa nove metri capace oltretutto di percorrere a forte velocità chilometri e chilometri sulla terra ferma?) si è sovrapposto il tema “impegnato” della guerra civile fra Hutu e Tutsi che ha occupato le cronache di pochi anni fa. Ed ecco il pasticcio, mescolare il tema della natura e del mostruoso che si ribella all’uomo (frasi tipo “La guerra civile, il genocidio, tutti quei cadaveri nell’acqua, così Gustave ha preso gusto alla carne umana, siamo noi che costruiamo e creiamo i nostri mostri” sono messe in bocca all’eroico giornalista d’assalto) con il tema dell’antibellicismo svolto con superficialità scolastica. La ribellione della natura come conseguenza della guerra! Ecco fatto. Ce ne aveva parlato già Spielberg ma attraverso modi, linguaggi e simboli lontani anni luce. Il suo squalo rimandava si a quel concetto di natura distruttrice, cieca e feroce, ma vista come parte dell’anima umana da combattere e riproposta in un mondo dove è l’uomo che minaccia la natura stessa. Senza fronzoli e senza discorsetti. Solo una pinna minacciosa. Qui c’è di tutto, e di più. E semmai dovesse mancare qualcosa, aggiungiamo pure uno sciamano che evoca in trance uno spirito malvagio e una discussione tra i nostri eroi sull’impotenza di organismi come le Nazioni Unite di fronte a genocidi di massa e sull’opportunità di mostrare i massacri che avvengono in terra d’Africa al mondo intero, quello stesso mondo che spesso si è dimostrato poco interessato ai problemi del “continente nero”. E piazzare in bocca a un cameraman (nero per di più) frasi ciniche sul menefreghismo delle grandi potenze per ciò che avviene in Darfur o in Burundi assesta il colpo letale alla favoletta avventurosa. Non era meglio fermarsi agli effetti speciali animatronic o alle immagini ricostruite al computer di un coccodrillone che corre per la savana? Elena Bartoni PAROLE SANTE Italia, 2007 Regia: Ascanio Celestini Produzione: Domenico Procacci per Fandango Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 1-2-2008; Milano 1-2-2008) Soggetto e sceneggiatura: Ascanio Celestini Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Alessandro Pantano Musiche: Roberto Boarini, Matteo D’Agostino, Gianluca Casadei, Ascanio Celestini Interpreti: Rosa Rinaldi (sottosegretario al Ministero de Lavoro), Alessio Dee Luca, Walter Schiavella (sindacalisti CGIL), Ascanio Celestini, Collettivo PrecariAtesia Durata: 75’ Metri: 2060 41 Film R oma, quartiere Cinecittà, accanto a uno dei centri commerciali più grandi della capitale, circa quattromila lavoratori precari attraversano ogni giorno per ventiquattro ore il portone di un’anonima palazzina, una fabbrica di occupazione a tempo determinato che sembra un condominio qualunque. Tra di loro, alcuni operatori telefonici hanno organizzato un’Associazione Coordinata e Continuativa contro la Precarietà. Si, perché a Roma c’è un realtà produttiva di circa quattromila persone che non ha neanche un dipendente diretto. Questo è il più grande call-center italiano, si chiama Atesia, vanta circa trecentomila telefonate al giorno. Attraverso le parole dei lavoratori, si entra a contatto con una realtà che ha dell’incredibile. Alcuni di loro ci spiegano come si entra a far parte di Atesia: dopo una serie di colloqui preliminari e di lunghi test psicologici, si deve seguire un corso preparatorio di tre settimane non retribuito. Poi si entra nel call-center. Il primo problema che si deve affrontare tutto da soli è la ricerca della postazione di lavoro: ogni volta ogni operatore si deve cercare una postazione che spesso è sporca, scomoda, non funzionale. Non si ha diritto a ferie, né a malattie. L’età media dei lavoratori è superiore ai trent’anni, per molti di loro si tratta del lavoro col quale mantenere la famiglia: trentasei ore a settimana per cinquecento euro. Il numero telefonico del call-center è gratuito, quindi può capitare di tutto: di notte chiamano i maniaci che non possono permettersi le hot-line a pagamento, di giorno chiamano i ragazzini per fare scherzi telefonici. Gli operatori sono retribuiti in base al numero e alla durata delle chiamate, sotto i venti secondi non vengono neanche pagati, mentre per le telefonate superiori ai venti secondi vengono pagati ottantacinque centesimi a telefonata. Per telefonate superiori ai due minuti e quaranta però, la paga viene abbassata. Ad un certo punto, i lavoratori decidono di fermarsi, si organizzano in collettivi e si riuniscono nella sala del comitato di quartiere. Nasce, così, il primo sciopero. Ma nel luglio 2005 sono partiti i licenziamenti per assemblea non autorizzata e interruzione di servizio. Nel luglio 2006, sarebbero scaduti molti contratti, c’era un accordo che Atesia aveva sottoscritto ma che non viene rispettato. Nel maggio 2006, a molti lavoratori non viene rinnovato il contratto. Per di più, c’era una specie di lista nera su cui c’erano i nomi di chi faceva parte del collettivo. Tagliati, non confermati. L’ispettorato del lavoro viene chiamato in causa, dà ragione ai lavoratori e impone l’assunzione di più di tremila persone. L’Atesia però ricorre in appello bloccando gli effetti dell’ispezione. Nell’autunno del 2006, ci si oc- Tutti i film della stagione cupa del lavoro precario, la CGIL firma con Atesia un accordo per l’assunzione dei lavoratori con contratto part-time a 550 euro al mese. I lavoratori che firmano il contratto devono sottoscrivere anche una liberatoria che evita multe all’azienda. Salvatore, un operatore precario, è stato licenziato per una frase pubblicata sul giornaletto del collettivo ritenuta offensiva. Finite le interviste, Ascanio Celestini fa le sue riflessioni; l’Atesia è un Titanic con tutte le luci accese e con la musica che suona, ma l’acqua sta già inondando la nave. Nei mesi scorsi, quindici lavoratori e lavoratrici sono stati raggiunti da avvisi di garanzia con la motivazione di aver gridato slogan contro la precarietà. L’ immagine più eloquente della realtà raccontata dal film-documentario Parole sante di Ascanio Celestini è quella della proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso” racchiusa nel monologo-apologo recitato dal bravo attoreautore romano all’inizio e alla fine del suo lavoro. Si spiega bene come un rubinetto che perde una piccola goccia dopo l’altra, se nessuno se ne preoccupa, rischia di provocare un diluvio devastatore che farà crollare l’intero palazzo. Un diluvio distruttivo, una catastrofe. Il bel documentario di Celestini, che quasi si scusa per aver girato un film “un po’ loffio, un po’ moscio perché privo di azione e avventura”, non è per niente “moscio” anzi, possiede una grande forza dirompente che ha il merito di gettare in faccia allo spettatore quello che tutti sappiamo, ma che non abbiamo forse il coraggio di denunciare. Siamo tutti a bordo di un gigantesco Titanic, l’orchestra continua a suonare come da contratto, ma stiamo tutti ballando sull’orlo di un baratro. Tantissimi giovani, l’esercito dei co- siddetti “precari” (ma non solo purtroppo, oppure alle soglie dei quaranta si deve essere considerati ancora giovani?) non riescono a vivere, forse solo a (soprav)vivere senza alcuna possibilità di guardare al futuro, perché non hanno un lavoro, oppure se lo hanno, vanno a infoltire quell’esercito di “precari” con contratti a termine che spesso non vengono rinnovati e che, comunque, se sono tra i fortunati, possono contare su una paga di cinquecento euro al mese o giù di lì. Il caso del “gigante” Atesia (il più grande callcenter italiano) raccontato dalle testimonianze registrate da Celestini la dice lunga. Mostra come chi ha provato a riunirsi in un collettivo e a protestare sia stato licenziato e in qualche caso raggiunto addirittura da avvisi di garanzia. Ci chiediamo smarriti: dove sono le forme di rappresentanza sociale? E i sindacati? E il governo? Ah già, dallo stesso documentario apprendiamo che i sindacati confederali sono quei signori che firmano con Atesia un accordo che prevede l’assunzione part-time di parte dei lavoratori precari. Una mezza vittoria? Meglio un condono forse, anzi, come ha osservato Celestini, un’amnistia. Anche perché firmando una liberatoria si libera l’azienda dal rischio di una multa. Flessibilità. Che parola di moda! Il bravo attore-regista riesce con stile semplice, chiaro e mai urlato, nell’intento di cancellare l’idea che la flessibilità possa essere uno strumento per far calare la disoccupazione, senza usare grimaldelli ideologici o politici. Ma si, forse è meglio intenderla in senso letterale, e cioè che il lavoratore deve dimostrarsi davvero “flessibile”, nel senso di “piegarsi” meglio e più che può. Parole sante, queste si! Elena Bartoni BIÙTIFUL CAUNTRI Italia, 2007 Regia: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Giuseppe Ruggiero Produzione: Lionello Cerri per Lumière & Co. Distribuzione: Lumière & Co. Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008) Soggetto e sceneggiatura: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Giuseppe Ruggiero Direttore della fotografia: Alessandro Abate Montaggio: Esmeralda Calabria Musiche: Paranza Vibes (Valerio Camporini Faggioni, Guido Zan) Suono: Daniele Marianello, Marta Billingsey, Bruce Morrison, Paolo Segat Interpreti: Raffaele Del Giudice, Mario Garlando, Patrizia Garlando, Mario Cannavacciuolo, Sabatino Cannavacciuolo, Antonio Montesarchio, Donato Ceglie, Giulio Treccagnoli, Umbero Arena, Salvatore Picone (se stessi) Durata: 72’ Metri: 2320 42 Film I l documentario racconta quel che oggi accade nel così detto “triangolo della morte” – zona nella provincia di Napoli compresa tra le località di Acerra, Qualiano, Giuliano e Villaricca – a quattordici anni dal commissariamento della Regione Campania per l’emergenza rifiuti, pochi mesi prima che scoppi la nuova recente crisi. Il percorso del film è una vera e propria via crucis lungo le ferite, che negligenza e delinquenza hanno inflitto a quelle terre. S’inizia dalla discarica di Villaricca. A guidare il triste pellegrinaggio è Raffaele Del Giudice, rappresentate locale di Legambiente, da anni coinvolto con rabbia e passione nella denuncia dei crimini e delle inadempienze che stanno condannando a morte vaste zone della regione Campania. Si passa poi ai pecorai che, da millenni nella zona, ancora pascolano le greggi accanto a discariche e impianti industriali. Ma gli armenti sono ammalati, il latte inquinato dalla diossina, che si accumula nelle falde acquifere, nei terreni e nei corpi degli animali; la stessa vita degli uomini e delle donne che abitano queste terre è a rischio. Le pecore fino a pochi mesi prima destinate alla produzione di latte e formaggi commestibili e certificate sono oggi destinate all’eliminazione, al macero, che spesso raggiungono già morte. Gli agricoltori raccontano come Acerra e i dintorni fossero storicamente tra le regioni del Suditalia più fertili e rigogliose; ora le polveri tossiche si accumulano sulle produzioni agricole prima ancora che possano giungere a maturazione, ne soffocano la crescita, ne impediscono la vendita sul mercato; gli alberi centenari, accerchiati da scarti industriali, inaridiscono, l’acqua che irriga i campi è avvelenata dagli sversamenti abusivi nei pozzi. Dietro lo sfacelo, l’ormai acclarata presenza della camorra, che sullo smaltimento dei rifiuti industriali provenienti da tutta Italia organizza un enorme giro di denaro, e che punta a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema dei rifiuti solidi urbani – l’immondizia –, distogliendola dal più serio e vasto di quelli provenienti dalle grandi industrie di tutta Italia. Con l’emissione d’un bando per la costruzione di un sistema d’impianti per lo smaltimento dei rifiuti sembra aprirsi una via d’uscita: ma la gara è vinta dalla Fibe Impregilo – società controllata dalla famiglia Romiti –, che progetta e realizza, solo parzialmente, impianti vecchi e inefficaci. Dopo azioni giudiziarie, trattative e gare d’appalto andate deserte, la gestione degli impianti e la costruzione delle nuove strutture necessarie è oggi tornata nelle Tutti i film della stagione mani della società inadempiente alla quale erano state sottratte. L’Unione Europea ha multato l’Italia per le sue 4886 discariche abusive tollerate in tutto il suo territorio nazionale. I l film porta la firma dei tre autori, Esmeralda Calabria, montatrice, Andrea D’Ambrosio, regista, Peppe Ruggiero, giornalista, ed è il risultato degli oculati, ma pur sempre coraggiosi sforzi del produttore Lionello Cerri. Dalla necessità di conoscere e raccontare una vicenda vicina e urgente come questa, il documentario è presto diventato film solido e convinto, lontano dall’improvvisazione o dal sensazionalismo del reportage, capace invece di usare il mezzo cinematografico in modo agile ma compiuto anche su temi tanto incandescenti. Come sempre, buona parte della solidità del film deriva dalla nettezza di alcune scelte iniziali. Così il documentario, pur coinvolgendo materiali eterogenei – le intercettazioni telefoniche e le riprese prodotte in sede d’indagine dai Carabinieri e dalla Guardia Forestale – non si disperde nella disamina di nomi e dati, ma si dà il tempo di guardare. Nei campi larghi sui ributtanti laghi di melma, sui monti di polveri e le piramidi di ecoballe, nei primi piani dei volti dei pastori e degli agricoltori, nelle inquadrature sui paesaggi naturali stravolti dalla violenza e dall’incuranza diventa leggibile un dramma che non è solo d’una regione, ma di tutto il nostro paese; affiora davanti agli occhi l’immagine brutalmente esplicita del fallimento d’una classe dirigente, politica culturale ed economica, delle sue colpe e di quelle di chi – noi tutti cittadini italiani – l’ha autorizzata e assecondata. Il film, uscito nelle sale con la bellezza di venti copie (cinque in più del molto discusso Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi), conferma una sempre più evidente crescita del cinema documentario nel nostro paese. Silvio Grasselli COUS COUS (La graine et le mulet) Francia, 2007 Regia: Abdellatif Kechiche Produzione: Claude Berri per Pathé Renn Productions/Hirsch. In coproduzione con Ciné Cinémas/France 2 Cinéma Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 11-1-2008; Milano 11-1-2008) Soggetto: Dominique Arce Sceneggiatura: Abdellatif Kechice. Con i dialoghi di Ghalya Lacroix Direttore della fotografia: Lubomir Bakchev Montaggio: Ghalya Lacroix Scenografia: Benoît Barouh Costumi: Maria Beloso-Hall Produttore esecutivo: Pierre Grunstein Produttore associato: Nathalie Rheims Direttori di produzione: Benjamin Hess, Benoît Pilot Casting: Morgane Bourhis, Anne Fremiot, Monya Galbi Aiuti regista: Carlo De Fonseca Parsotam, Morgane Bourhis, Raphaël De Vellis, Monya Galbi Operatore: Sofian El Fani Operatore steadicam: Fabrice Sebille Acconciature: France Rossi Suono: Eric Armbruster, Nicolas Waschkowski Interpreti: Habib Boufares (Slimane Beiji), Hafsia Herzi (Rym), Faridah Benkhetache (Karima), Abdelhamid Aktouche (Hamid), Bouraouïa Marzouk (Souad), Alice Houri (Julia), Cyril Favre (Sergueï), Leila D’Issernio (Lilia), Abdelkader Djeloulli (Kader), Bruno Lochet (Mario), Olivier Loustau (José), Sami Zitouni (Majid), Sabrina Ouazani (Olfa), Mohamed Benabdeslem (Riadh), Hatika Karaoui (Latifa), Nadia Taouil (Sarah), Henri Rodriguez (Henri), Bruno Lochet (Mario), Mohamed Karaoui (Lafita), Nadia Taoul (Sarah), Carole Franck (un’invitata), Paloma Casanova, Doris Stern, Salah Zaït (invitati sulla barca), Henri Cohen (Claude Dorner), Jeanne Corporon (la banchiera), Violaine de Carne (sig.ra Dorner), Nourdine Midoun (Thomas), Gilles Matheron Durata: 151’ Metri: 4000 43 Film N el porto di Sète (Marsiglia) il giovane Majid, guida turistica, si trastulla con una francese bianca con la quale intrattiene una relazione clandestina. A pochi metri di distanza il padre Slimane sta per chiudere la sua lunga carriera al cantiere navale: tra giri di parole e scuse reticenti il principale gli fa capire che la sua presenza non è più gradita. Il vecchio immigrato magrebino prende la cosa con la sua caratteristica flemma e, dopo qualche rimostranza, se torna a casa. Arriva presto domenica, il giorno in cui la famiglia si riunisce. Slimane è divorziato; lasciata la casa della moglie, si è sistemato in una delle stanze dell’alberghetto della sua nuova compagna. Lì lo raggiungono i due figli maschi, Majid e Riadh, che vengono dal pranzo domenicale a casa di Souad, la madre lasciata da Slimane e gli portano un po’ del suo leggendario cous cous di pesce. Al pranzo hanno partecipato tutti, figli e figlie, nipoti, generi e nuore; amicizie e inimicizie, amori e odii, lodi e insulti, tutto ha avuto il suo posto nella grande messa in scena del giorno di festa, davanti al ricco cous cous della “matriarca” Souad assisa in trono. Nella stanza di Slimane, i due ragazzi incontrano Rym, la giovane figlia della nuova compagna del vecchio, che senza complimenti si mette a mangiare con foga accanto a lui, mentre Riadh la spia con sguardo rapito. Quando il patrigno decide d’investire la sua liquidazione in una vecchio progetto, la ragazza è la prima a sostenerlo: l’idea è di metter su un ristorante di cous cous a bordo Tutti i film della stagione d’una barca ormeggiata nel centro della città. Il primo passo è l’acquisto d’una vecchia bagnarola che padre e figlio – il più piccolo Riadh – rimettono a nuovo in pochi giorni. Mancano però i permessi per l’attracco, le autorizzazioni sanitarie e soprattutto manca il finanziamento della banca, senza il quale l’impresa di Silmane non potrà mai neppure iniziare. Rym e Slimane fanno visita a segretari, ispettori, sovrintendenti e perfino al sindaco in persona; ma l’intrico della burocrazia sembra porre un ostacolo insormontabile al progetto del vecchio. Ancora una volta Slimane dimostra la sua perseveranza organizzando una serata dimostrativa a bordo della barca che ormai è pronta per ospitare il ristorante. Ed è ancora la sfacciata e impulsiva Rym a coinvolgere i vecchi immigrati musicanti che passano le giornate al bar dell’alberghetto, felici di poter sostenere con la loro musica il progetto dell’amico. Arriva la sera fatale, è Slimane ad accogliere i molti invitati tra rappresentati d’istituzioni e di banche, ristoratori, e amici; figlie e figlie pronti a servire gli ospiti. Le cose procedono bene, al punto che tra i convitati già serpeggiano invidie e maldicenze. Ma, al momento di servire il cous cous, Majid scopre tra gli invitati la sua amante, la moglie del sindaco; preso dal panico, farfuglia qualche scusa al fratello e corre via, portando con sé le pentole ancora nell’auto. Tra le sorelle scoppia la rabbia e lo sconcerto; gli ospiti intanto iniziano a mostrare insofferenza per la lunga attesa. Mentre Slimane si lancia alla ricerca di Souad perché risolva l’intoppo, Rym, rimasta fino all’ultimo momento insieme alla madre restia a presentarsi alla serata, indossa un provocante costume color porpora e danza quasi ipnotizzando gli invitati. Souad però non si trova e, per di più, un terzetto di piccoli balordi ruba il motorino a Slimane. Nella notte d’angoscia e disperazione Rym danza freneticamente senza sosta e Slimane rincorre i giovani aguzzini che ridono degli sforzi del vecchio, fino a che l’uomo non cade a terra stremato. I l terzo lungometraggio diretto dal franco-magrebino Abdellatif Kechiche è stato presentato con grande successo in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Anche se poi i premi ottenuti non hanno soddisfatto né le aspettative della critica e neppure quelle, legittime ed esplicite, del regista che al festival lagunare è particolarmente legato. È dunque facilmente comprensibile che la distribuzione italiana abbia voluto presentarlo come “Il Leone d’Oro del pubblico e della critica”. Lasciando da parte le questioni festivaliere (sempre relativamente interessanti), passiamo all’analisi dei meriti, effettivi e numerosi, del film. Kechiche dirige con mano ferma un folto gruppo d’attori, molti dei quali alla prima esperienza da professionisti e ne fa orchestra intonata, affiatato gruppo capace di dar vita con efficacia allo spartito meticolosamente preparato dal regista, ma anche di deviare in scoppi d’improvvisazione in armonica consonanza con lo script. Il talento dimostrato nella direzione degli interpreti deriva al regista dai suoi inizi come attore di cinema. “Non voglio andarmene senza prima aver lasciato qualcosa ai miei figli”. È il motto del protagonista, la sintesi di tutta la sua vita, spesa nel lavoro, per la famiglia: se il primo è “lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza”, anzi lotta contro il proprio annientamento, la seconda è il gruppo, la comunità, una rete sociale piena di “smagliature”, eppure in grado di produrre effetti più che concreti. Questo è il punto in cui il film mostra la sua forza politica. La sofferenza e l’angoscia degli ultimi minuti svelano il discorso che si va componendo fin dall’inizio. Non solo il testo di Kechiche dice la necessità e il significato della relazione e della solidarietà, della famiglia e della comunità, ma va ben oltre, smascherando il mito neooccidentale individualista del “trionfo della volontà”; il volto di Slimane porta chiari i segni d’una vita consumata nell’ostinata resistenza alle avversità, eppure la sua determinazione non può nulla contro l’accanirsi dell’esclusione e del rifiuto che la “società dei bianchi” gli getta addosso. Silvio Grasselli 44 Film Tutti i film della stagione JOHN RAMBO (Rambo) Stati Uniti/Germania, 2008 Coordinatore effetti speciali: Rangsun Rangsimaporn Supervisori effetti visivi: Wes C. Caefer, Nikolay Gachev, Veselina Georgieva, Velichko Ivanov, Peter Tomov Coordinatori effetti visivi: Milena Peneva, Nick Peshunoff Supervisore costumi: Sean Gundlach Supervisore musiche: Ashley Miller Canzoni/Musiche estratte: “Tiny”, “The Wishing Well” composte ed eseguite da Jake La Botz Interpreti: Sylvester Stallone (John Rambo), Julie Benz (Sarah), Matthew Marsden (mercenario), Graham McTavish (Lewis), Raynaldo Gallegos (Diaz), Jake La Botz (Reese), Tim Kang (En-joo), Maung Maung Khin (maggiore Pa Tee Tint), Paul Schulze (Michael Burnett), Cameron Pearson (Jeff, missionario), Thomas Peterson (dentista, missionario), Tony Skarberg (missionario), James With (predicatore, missionario), Kasikorn Niyompattana, Shaliew Manrungbun (cacciatori di serpenti), Supakorn Kitsuwon (Myint), Aung Aay Nou (tenente Aye), Ken Howard (reverendo Arthur Marsh), Aung Theng (leader pirati), Pornpop Kampusiri (proprietario villaggio serpenti), Wasawat Panyarat (MC villaggio serpenti), Kammul Kawtep (giovane ammaliatore villaggio serpenti), Sornram Patchimtasanakarn (Tha), Noa Jei, Kjan Saen (interpreti Karen),Aun Lung Su, Pan Dokngam, Han Pik, Tip Tiya, Nee Lungjai, Moan Adisak (guardie), Mana Sen-Mi (capitano nave), Toole Khan Kharm (sergente), Warcharentr Sedtho (ragazzo), Yupin Mu Pae, Somsak Wongsa, Surachai Muangdee, Saiwan Lungta, Rapimpa Dibu, May Kung Durata: 91’ Metri: 2740 Regia: Sylvester Stallone Produzione: Sylvester Stallone, Kevin King, Avi Lerner, John Thompson per Rogue Marble/Emmett-Furla Films/ Equity Pictures Medienfonds GmbH & Co. KG IV/Lionsgate/Millennium Films/Nu Image Films/The Weinstein Company Distribuzione: Buena Vista International Italia Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) Soggetto: dai personaggi ideati da David Morrell Sceneggiatura: Art Monterastelli, Sylvester Stallone Direttore della fotografia: Glen MacPherson Montaggio: Sean Albertson Musiche: Brian Tyler Scenografia: Franco Giacomo Carbone Costumi: Lizz Wolf Produttori esecutivi: Peter Block, Boaz Davidson, Danny Dimbort, Randall Emmett, Jon Feltheimer, George Furla, Josef Lautenschlager, Florian Lechner, Trevor Short, Andreas Thiesmeyer, Bob Weinstein, Harvey Weinstein Produttori associati: David Morrell, Christopher Petzel Casting: Sheila Jaffe Aiuti regista: William Paul Clark, Inthira Sawantrat, Tracey Poirier, Phattana Sansumran Operatori: Daniel Page McDonough, Vern Nobles Operatore steadicam: Gilles Corbeil Art director: Suchartanun ‘Kai’ Kuladee Arredatore: Witoon Suanyai Supervisore trucco: Scott H. Eddo Supervisore effetti speciali: Alexander Gunn J ohn Rambo trascorre la sua vita a Bangkok dove raccoglie veleno dai serpenti in completo isolamento. Un giorno, un gruppo di volontari occidentali gli chiede di traghettarli, sotto lauto compenso, verso la Birmania per portare aiuti umanitari nelle zone oppresse dal regime Ragoon. L’uomo accetta con difficoltà e consiglia al gruppo prudenza in quelle zone, perché estremamente pericolose. Poco tempo dopo il loro arrivo, infatti, vengono imprigionati durante un attacco compiuto dal regime. Rambo, saputolo, si unisce a una compagnia di mercenari, inviati in quella zona per liberarli. Le operazioni di salvataggio vengono programmate per la notte, ma qualcosa va storto e, vista l’impossibilità di recuperare tutti i prigionieri, il gruppo decide di sacrificarne qualcuno e scappare via prima di essere presi. Rambo, però, non è dello stesso avviso, rimane lì insieme a un altro soldato e porta in salvo anche l’ultima rapita. Durante la fuga, i mercenari vengono raggiunti dalla polizia che si appresta a fare una carneficina. Con grande tempestività, Rambo arriva in loro soccorso e inizia a sparare all’impazzata, scatenando una guerriglia che vede soccombere tutti i militari del regime, permettendo ai volontari di salvarsi. Dopo questa esperienza, John Rambo decide di ritornare nella sua terra e ai suoi affetti negli Stati Uniti. P er chi è stato ragazzino negli anni Ottanta, Rambo è un mito e i miti non possono essere toccati, neanche quando il tempo ha inesorabilmente tolto loro il vigore fisico o trasformato la furia virile in ascetica crisi. Mai. Dunque, ci accosteremo a questa pellicola in punta di piedi senza lasciarci influenzare da piccoli intellettualismi (di matrice sessista) che riducono il senso critico, ma neanche abbandonandoci alla nostalgia che è altrettanto dannosa per una giusta analisi dell’opera. Sono passati vent’anni dall’ultima volta che Sylvester Stallone ha vestito i pan45 ni di Rambo, un’esperienza ricordata da tutti come una clamorosa figuraccia diplomatica (il film narrava l’intervento statunitense in territorio afgano contro i russi e uscì in concomitanza con l’inizio della Perestrojka). Dopo questa gaffe, l’eroe si è ritirato a vita monastica ed è così che lo ritroviamo in John Rambo con il volto immobile, lo sguardo stanco di chi ha visto tutto, parco di emozioni e di parole, un uomo, in definitiva, deluso da non si sa bene cosa. A riaccendere il suo animo guerriero un gruppetto di missionari, o meglio un gruppetto di occidentali benestanti con velleità umanitarie, che gli fa riabbracciare le armi contro i militari del governo birmano. Il resto è scontato per gli aficionados: una carneficina che vede bombe, arti mozzati, mitragliette e tanto tanto sangue. Ma sempre per un buon motivo, in questo caso la silenziosa (perché se ne parla poco) guerra in terra birmana, tema molto caro a Stallone che però nel film viene ridotto a mero pretesto per scate- Film nare l’inferno interiore del suo personaggio. C’è una differenza sostanziale fra John Rambo e i tre episodi che lo hanno preceduto: una fortissima malinconia di fondo che permea in tutta la pellicola e che, in alcuni momenti, si trasforma in pietà, la stessa che aleggia in quei programmi te- Tutti i film della stagione levisivi che ripropongono vecchie glorie costrette a elemosinare attenzione. Molto triste, ma viene da sospettare che, in questo caso, tali sensazioni così poco virili siano una scelta voluta per andare al di là dell’icona e far risaltare l’uomo in tutta la sua debolezza. Non a caso viene usato, come titolo del film, il nome completo del personaggio. E quel John, un nome comune adatto a un impiegato come a un musicista di strada, nella narrazione ha più peso del testosteronico Rambo. Questo è forse il riscatto che ha scelto Stallone per il suo alter ego cinematografico di cui, secondo vecchie interviste degli anni Novanta, non andava fiero. Un riscatto che ha voluto gestire in prima persona non solo reinterpretandolo, ma anche curandone (e bene) la regia. Bisogna ammettere, infatti, che come regista non è malaccio, anzi si dimostra perfettamente conforme agli standard di genere, come attore invece è quello che è, i suoi punti di forza sono una fisicità nerboruta e una “maschera” che non può essere sostituita, neanche da chi ha qualità recitative nettamente superiori (per sua fortuna!). Nel complesso il film non delude le aspettative, pur essendo estremamente prevedibile. Sostanzialmente offre ciò che lo spettatore vuole (ri)vedere e lo fa, forse, per l’ultima volta perché John ha ritrovato la sua strada, quella di casa, con buona pace dei suoi nemici davanti e dentro lo schermo. Francesca Piano PARLAMI DAMORE Italia, 2007 Scenografia: Tonino Zera Costumi: Maurizio Millenotti Casting: Laura Muccino Suono: Gaetano Carito, Luca Anzellotti, Antonio Pulli, Gilberto Martinelli Interpreti: Silvio Muccino (Sasha), Aitana Sánchez-Gijón (Nicole), Carolina Crescentini (Benedetta), Andrea Renzi (Lorenzo), Flavio Parenti (Tancredi), Max Mazzotta (Fabrizio), Geraldine Chaplin (Amelie), Giorgio Colangeli (Riccardo) Durata: 115’ Metri: 2500 Regia: Silvio Muccino Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz, Matteo De Laurentiis per Cattleya/Alquimia Cinema. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 14-2-2008; Milano 14-2-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di Silvio Muccino e Carla Vangelista Sceneggiatura: Carla Vangelista, Silvio Muccino Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari Montaggio: Patrizio Marone Musiche: Andrea Guerra R oma, giorni nostri. Sasha ha venticinque anni; per vivere fa il parquettista, “riporta in vita il legno” per dirla con lui. L’infanzia l’ha trascorsa in una comunità di recupero, perché i genitori (il padre morto, la madre scappata chissà dove) erano tossicodipendenti. Fa fatica ad ambientarsi alla vita, ancora di più a manifestare l’amore che prova da quasi vent’anni per Benedetta, compagna di giochi quando bambina, ora ragazza ricca e viziata, frequentatrice di giri poco raccomandabili. Lavorare nella villa del padre di lei, però, potrebbe aiutarlo a riavvicinarla a sé. Oltre a questo, troverà nella quarantenne Nicole – conosciuta dopo un rocambolesco incidente d’auto – la migliore delle amiche in fatto di consigli sulla seduzione e simili. Ci vorrà del tempo, ma alla fine i due si accorgeranno che l’amore che stavano cercando si nascondeva proprio dietro la loro ami46 cizia: la donna, rifugiatasi in un matrimonio che le regalava sicurezza senza passione, dopo essere scappata dalla Francia, in seguito al suicidio dell’uomo che amava, inizialmente terrà a bada la scintilla scoppiata nei confronti di Sasha che, da par suo, dovrà passo dopo passo cancellare i fantasmi del passato, inclusa Benedetta. Prima il confronto/scontro col cugino/amico arrivato a Roma con grandi propositi lavorativi, svaniti nuovamente Film nell’eroina e terminati con la morte sotto un tunnel investito da un auto, poi la sfida risolutiva al tavolo verde con Riccardo, vecchio “tutore” acquisito e maestro di poker al quale Sasha non ha ancora perdonato l’improvviso allontanamento. S ilvio Muccino, ventisei anni, esordisce alla regia portando sullo schermo Parlami d’amore, tratto dal libro omonimo scritto insieme a Carla Vangelista, qui coautrice della sceneggiatura. Lo fa mettendo nel film “tutto se stesso”, a cominciare dai tanti (e pomposi) rimandi cinefili di appassionato spettatore (una passeggiata su Ponte Sisto che dovrebbe far pensare al Godard di Fino all’ultimo respiro, un pestaggio davanti al muro di Il conformista, senza contare un Tutti i film della stagione accenno in DVD di L’atalante di Jean Vigo, o la scena della festa chiaro omaggio all’orgia in maschera dell’ultimo Kubrick in Eyes Wide Shut), proseguendo con le citazioni musicali (“non conosci Chet Baker?”...), per terminare con i brani scelti per la colonna sonora, a dir poco onnipresenti. Fosse solo questo, ci troveremmo davanti a un giovane autore – che ovviamente ben si guarda dal mettersi in disparte, rimanendo solo al di qua della macchina da presa –, magari impaurito di fronte all’idea di snellire o alleggerire il testo per timore di non arrivare a quanta più gente possibile: ma il problema è estendibile, non limitato agli elementi di cui sopra e pervade l’intero contesto finendo per sovresporlo a 360°. Il veicolo emozionale è affidato non a una cernita dolorosamente sentita, ma imbustato in confezioni da ipermercato, accattivante a tutti i costi, alla fine esasperante e logorroico, semplicemente indigeribile. Si faccia attenzione a queste derive ormai incontrollabili del famigerato “nuovo cinema giovane italiano”: può andar bene soffermarsi sui turbamenti adolescenziali di un gruppetto di maturandi, ma raccontare così una storia, parlando all’infinito d’amore senza aver minimamente idea di come rappresentarlo col silenzio di un’immagine, dovrebbe far riflettere. Soprattutto chi ha deciso di elargire finanziamenti a scatola chiusa, contando semplicemente sul ritorno in termini di box office che, guarda caso, il primo weekend è stato ben al di sotto delle aspettative. Valerio Sammarco NON È UN PAESE PER VECCHI (No Country for Old Men) Stati Uniti, 2007 Regia: Joel ed Ethan Coen Produzione: Joel ed Ethan Coen, Scott Rudin per Paramount Vantage/Miramax Films/Scott Rudin Productions/Mike Zoss Productions Distribuzione: Universal Prima: (Roma 22-2-2008; Milano 22-2-2008) V.M.: 14 Soggetto: dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Joel ed Ethan Coen Musiche: Carter Burwell Scenografia: Jess Gonchor Costumi: Mary Zophres Produttori esecutivi: Robert Graf, Mark Roybal Produttore associato: David Diliberto Direttori di produzione: Robert Graf, Omar Veytia Casting: Ellen Chenoweth Aiuti regista: Betsy Magruder, Bac DeLorme, Jai James, Taylor Phillips Art director: John P. Goldsmith Arredatore: Nancy Haigh Trucco: Jean Ann Black Acconciature: Paul LeBlanc Effetti speciali trucco: Christien Tinsley Coordinatori effetti speciali: Peter Chesney, Jason Hamer Supervisore effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures) Operatore: Roger Deakins “P erché l’ho sempre saputo che uno dev’essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro. E io sono sempre stato disposto. Non per vantarmene ma è così. Se non sei disposto a morire quelli lo capiscono. Lo vedono in un batter d’occhio. Credo che dipenda soprat- Supervisore costumi: LoriDeLapp Canzoni/Musiche estratte: “Puño de tierra” di Michael Eloy Sanchez (Angel H. Alvarado jr., David A. Gomez, Milton Hernandez, John Mancha); Las mañanitas” eseguita da Lola Beltran Interpreti: Josh Brolin (Llewelyn Moss), Javier Bardem (Anton Chigurth), Tommy Lee Jones (Ed Tom Bell), Woody Harrelson (Carson Wells), Kelly Mcdonald (Carla Jean Moss), Garret Dillahunt (Wendell), Tess Harper (Loretta Bell), Barry Corbin (Ellis), Stephen Root (uomo che assume Wells), Rodger Boyce (sceriffo El Paso), Beth Grant (madre di Carla Jean), Kit Gwin (segretaria scriffo Bell), Zach Hopkins (deputato strangolato), Eduardo Antonio Garcia (uomo ‘Agua’), Gene Jones (benzinaio), Mayk Watford, Boots Southerland (vittime), Margaret Bowman (commessa), Thomas Kopache (negoziante), Doris Hargrave (cameriera), Rutherford Cravens (commesso negozio pistole), Matthew Posey (commesso negozio sport), George Adelo (messicano nella vasca da bagno), Marc Miles (commesso Hotel Eagle), Trent Moore (ragioniere), Brandon Smith (agente INS), Roland Uribe (messicano elegante), Richard Jackson (contadino), Josh Blaylock, Caleb Jones (ragazzi in bici), Angel H. Alvarado jr., David A. Gomez, Milton Hernandez, John Mancha (band Norteño), Chip Love, Ana Reeder, Kathy Lamkin, Johnnie Hector, Jason Douglas, Mathew Greer, Luce Rains, Philip Bentham, Eric Reeves, Josh Meyer, Chris Warner, Dorsey Ray Durata: 122’ Metri: 3150 tutto da quello che uno è disposto a diventare. E credo che in questo caso bisognerebbe mettere a rischio la propria anima. E io non voglio farlo. Ora che ci penso forse non l’ho mai voluto”. Parola dello sceriffo Bell, uomo d’altri tempi impegnato, mai come in questa occasione, ad affrontare il male nella sua 47 forma più estrema. Texas, 1980: Llewelyn Moss, cacciatore di antilopi nel deserto, s’imbatte in una zona dove è appena avvenuto un regolamento di conti. Tra i cadaveri, su un furgoncino, un ingente carico di droga. Qualche centinaio di metri più avanti, all’ombra di un albero, giace un altro corpo. Ac- Film canto, una valigetta contenente due milioni di dollari. Moss la fa sua. E torna alla roulotte dalla moglie. Nel frattempo, un killer dal passato ignoto, armato di una bombola ad aria compressa, uccide il vicesceriffo che l’ha appena arrestato e, poco dopo, un malcapitato automobilista per impossessarsi della sua vettura. Il suo nome è Anton Chigurh ed è seriamente intenzionato a recuperare la valigetta coi soldi. Nel frattempo, Moss spedisce la moglie (consapevole che il marito si sia cacciato in qualche guaio ma ignara dei particolari) a Odessa, dalla madre e si mette in fuga con i soldi. Da un motel all’altro, con la valigetta sempre appresso e il fiato sul collo di Chigurh, aiutato da una ricetrasmittente che capta i segnali provenienti dalla cimice infilata tra i soldi: si spareranno, colpendosi non mortalmente. Il primo ripara in Messico e, in ospedale, lo salveranno. Il secondo fa esplodere una vettura di fronte a una farmacia per entrare indistur- Tutti i film della stagione bato e prendere l’occorrente per una buona medicazione. Intanto, sulle tracce di entrambi si mettono rispettivamente il sergente Bell – implorato dalla moglie di Moss – e un bizzarro investigatore privato, Carson Wells, assoldato per fermare Chigurh una volta impossessatosi della valigetta. Morirà. Così come Moss, ma per mano dei narcotrafficanti messicani, prima del confronto risolutivo con il serial killer. Che ripiegherà sulla moglie dell’uomo, quasi per voler mantenere la parola data telefonicamente al cowboy prima del loro mancato incontro. I l ritorno dei fratelli Coen a un cinema ben più congeniale, dopo gli innocui tentativi in commedia con Prima ti sposo, poi ti rovino e Ladykillers, coincide con il loro primo adattamento per lo schermo di un romanzo (fatta eccezione per l’“Odissea” di Omero, fonte di ispirazione per Fratello, dove sei?): dell’omonimo ca- polavoro di Cormac McCarthy, sguardo pessimista su un mondo ormai sfuggito a qualsiasi logica morale, i Coen mantengono inalterati plot e atmosfere, puntando molto sui momenti di umorismo nero che, di tanto in tanto, McCarthy utilizza per stemperare la tensione di pagine che, trasposte, tendono forse ad alleggerirsi rispetto alla ben più profonda riflessione che le anima. Eremita da tempo, volutamente lontano da tutti e trasferitosi a El Paso, in Texas, l’autore di “Rhode Island” – specchio di un’America per certi versi prossima “alla fine” – serve su un piatto d’argento il trionfo agli Oscar dei Coen (miglior film, regia, sceneggiatura non originale e Javier Bardem attore non protagonista): la forza cinematografica di Non è un paese per vecchi, crepuscolare nostalgica operazione antinoir e lontana anni luce dagli stilemi riconoscibili del thriller, esplode nella consapevole sordità di una colonna sonora terribilmente muta, poggiata su fruscii e rumori che – da soli – costituiscono la musicalità di una vicenda dalla struttura coraggiosissima (nessuna figura centrale, con lo sceriffo interpretato dal solito, enorme Tommy Lee Jones, sorta di raccordo per il nucleo narrativo principale), soprattutto per la scelta di non sottomettersi a logiche di rappresentazione abituali (la morte di Moss, inaspettata e sorprendente), per la capacità di perdere volutamente per strada i personaggi e poi ritrovarli chissà dove, per l’ennesima dimostrazione di quanto conti, ancora oggi, saper dirigere gli attori: la maschera di Bardem – caschetto a parte – è glaciale e indimenticabile, così come la fotografia del sodale Roger Deakins, a tratti caldissima, valore aggiunto di un’opera magari non trascendentale, ma dalla potenza immaginifica devastante. Valerio Sammarco FINE PENA MAI Italia/Francia, 2008 Musiche: Brutopop, Antongiulio Galeandro Scenografia: Sabrina Balestra Costumi: Allegra Mori Ubaldini, Fiamma Benvignati Produttore esecutivo: Daniele Mazzocca Suono: Pierre Yves Lavoué Interpreti: Claudio Santamaria (Antonio Perrone), Valentina Cervi (Daniela Perrone), Daniele Pilli (Gianfranco), Giorgio Careccia (Daniele), Ippolito Chiarello (Nasino), Giancarlo Luce (l’Africano), Ugo Lops (il Bello), Danilo De Summa, Giuseppe Ciciriello (brindisini), Lea Barletti (moglie di Nasino), Fabrizio Parenti (tenente), Simone Franco (pescatore), Fabrizio Pugliese (ristoratore) Durata: 90’ Metri: 2695 Regia: Lorenzo Conte, Davide Barletti Produzione: Amedeo Pagani per Classic srl/Verdeoro srl/Paradis Films Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008) Soggetto: Massimiliano Di Mino, Pierpaolo Di Mino, Marco Saura, Davide Barletti liberamente tratto dal romanzo Vista d’interni. Diario di carcere, di “scuri” e seghe, di trip e sventure di Antonio Perrone Sceneggiatura: Marco Saura, Pierpaolo Di Mino, Massimiliano Di Mino Direttore della fotografia: Alberto Iannuzzi Montaggio: Roberto Missiroli, Paolo Petrucci 48 Film A ll’inizio degli anni Ottanta, Antonio Perrone è un ragazzo della provincia del Sud che ama la bella vita. Ma mantenere il lusso, le droghe e ogni genere di divertimento costa caro. Per questo, inizia a entrare nel giro degli spacciatori con l’appoggio complice della sua compagna Daniela, che sposerà e dalla quale avrà un figlio. Con il passare del tempo, però, la sete di ricchezza è sempre più forte e Antonio, dopo un periodo di quattro anni in carcere, non esiterà a entrare a far parte della Sacra Corona Unita. I suoi nuovi soci, “Nasino”, “Orso” e “Il bello”, conosciuti in carcere, si rivelano temibili e crudelmente pazzi uccidendogli Daniele, amico di sempre e socio fedelissimo di affari . Daniela che all’inizio appoggiava le azioni del marito, è la prima che si rende conto della pericolosità dei nuovi soci di Antonio e cerca di dissuaderlo per condurre una vita normale. La sua preoccupazione va, soprattutto, al bambino e fa promettere ad Antonio di non abbandonarli mai. Durante un pranzo intimamente familiare, la televisione dà notizie che sono iniziati gli arresti di molti componenti della Tutti i film della stagione Sacra Corona Unita e capiscono che questa volta è veramente finita. Nonostante iniziano a sentirsi le sirene in lontananza, Antonio non si scompone e continua a mangiare, guardando fisso davanti a sé come incredulo e, nello stesso tempo, sconfitto. Antonio non riuscirà a mantenere la promessa fatta alla moglie, perché verrà arrestato e condannato a 49 anni di pena di cui 15 con il regime carcerario del 41 bis. I l film è liberamente tratto dal romanzo autobiografico “Vista d’interni” (Manni Editori), scritto da Antonio Perrone stesso durante la sua detenzione. Il film colpisce per la fotografia eccellente (a opera di Alberto Iannuzzi), ma delude dal punto di vista narrativo, a causa di personaggi poco approfonditi ai quali il pubblico non può affezionarsi e a causa della poca attenzione data alle singole situazioni del racconto, solo accennate (come, per esempio, il matrimonio; o la morte del giovane amico Giancarlo per mano dei carabinieri, liquidata in una manciata di fotogrammi: inseguimento, spari, morte, dieci secondi dieci di piano medio di un Santamaria inespressivo, causando straniamento e noia. L’interpretazione dei due protagonisti, Claudio Santamaria (Antonio) e Valentina Cervi (Daniela), non eccelle a causa di una eccesiva monoespressività. Il film si inscrive in quel filone, trainato da Romanzo criminale, che descrive la vita malavitosa e strizza l’occhio al genere documentaristico. I due registi non prendono una posizione e non danno giudizi creando così un’atmosfera asettica e talvolta distratta che non permette la focalizzazione completa della vicenda. Nonostante il film parta dalla fine e, con vari flashback (secondo una consueta scansione del gangster-movie americano, come per esempio Carlito’s Way), mostra cosa è successo, con la voce fuori campo di Antonio che commenta la sua vita, di nessun personaggio si sa il background e film scorre, senza troppe pretese, verso un finale che sembra voler perdonare i crimini commessi dal protagonista. Film mediocre che meritava un trattamento migliore da parte di Barletti & Conte, tanto da far riecheggiare la celebre sentenza di un ipotetico professore: i ragazzi non sono stupidi, ma non si applicano. Maria Luisa Molinari UNALTRA GIOVINEZZA (Youth Without Youth) Stati Uniti/Germania/Italia/France/Romania, 2007 Regia: Francis Ford Coppola Produzione: Francis Ford Coppola per American Zoetrope/Bim/ Bavaria Atelier/Pricel/SRG Atelier Distribuzione: Bim Prima: (Roma 26-10-2007; Milano 26-10-2007) Soggetto: dal romanzo di Mircea Eliade Sceneggiatura: Francis Ford Coppola Direttore della fotografia: Mihai Malaimare jr. Montaggio: Walter Murch Musiche: Osvaldo Golijov Scenografia: Calin Papura Costumi: Gloria Papura Produttori esecutivi: Anahid Nazarian, Fred Roos Produttore associato: Masa Tsuyuki Direttori di produzione: Diona Dragnea, Adriana Rotaru Casting: Florin Kevorkian, Karen Lindsay-Stewart Aiuti regista: Anatol Reghintovschi, Craita Nanu, Oana Ene, Vladimir Anton Art directors: Ruxandra Ionica, Mircea Onisoru Arredatore: Adi Popa Trucco: Peter King, Jeremy Woodhead, Dana Roseanu 2 4 aprile 1938, Pasqua. Il settantenne professore di linguistica Dominic Matei viene folgorato da Acconciature: Peter King, Jeremy Woodhead, Domnica Sava Supervisore effetti visivi: David Vana Coordinatore effetti visivi: Jan Vseticek Supervisore costumi: Adina Bucur Canzone/Musica estratta: “Middle Village” composta ed eseguita da Lev Zhurbin Interpreti: Tim Roth (Dominic), Alexandra Maria Lara (Veronica/Lara), Bruno Ganz (prof. Stanciulescu), André Hennicke (Josef Rudolf), Marcel Iures (prof. Giuseppe Tucci), Adrian Pintea (Pandit), Alexandra Pirici (donna nella camera 6), Florin Piersic jr. (dr. Gavrila), Zoltan Butuc (dr. Chirila), Adriana Titieni (Anetta), Mircea Albulescu (Davidoglu), Dan Astileanu (professore), Christian Balint (Grenzschutz), Dragos Bucur (barista), Theodor Danetti (dr. Neculache), Andrei Gheorge (tassista), Roxana Guttman (Gertrude), Anamaria Marinca (receptionist hotel), Hodorog Anton Mihail (Doru, la guardia), Mihai Niculescu (Vaian), Gelu Nitu (poliziotto), Mirela Oprisor (Craita), Alexandru Repan (dr. Chavannes), Dorina Lazar, Rodica Lazar, Dan Sandulescu, Andi Vasluianu Durata: 124’ Metri: 3398 un fulmine davanti alla stazione di Bucarest, città nella quale si era recato per porre fine alla sua esistenza con una dose di stric49 nina. Ricoverato in ospedale con il corpo ustionato, l’uomo è autore di una guarigione sorprendente. Film Il dottore che lo ha in cura, Stãnciulescu, gli diagnostica una “ipermnesia”. A causa del trauma, Matei ha sviluppato una memoria fuori dal normale che gli consente di mettere a fuoco tutto il suo vissuto personale e ricordare il bagaglio culturale acquisito nel campo delle lingue orientali. Dotato di facoltà intellettive straordinarie, è in grado di riprendere a scrivere il libro al quale stava lavorando da giovane sull’origine del linguaggio. Il suo caso clinico, divenuto oggetto d’interesse per l’opinione pubblica, viene studiato dai maggiori medici della Romania e anche dai tedeschi. Questi ultimi, che attraverso gli esperimenti di “elettro-locuzione” del professor Rudolf cercano la soluzione per perfezionare il genere umano, pretendono di esaminare il fenomeno come una cavia da laboratorio. Dopo aver scoperto di essere stato incastrato da una finta prostituta che ha trasmesso le sue conversazioni private alla Gestapo, Matei si rifugia a Ginevra e cambia identità. Sono gli anni in cui infuria la seconda guerra mondiale e lui vive nella paura di essere catturato dalla polizia segreta. Un giorno, un rappresentante del governo americano lo presenta al professor Monroe con la promessa che questi possa aiutarlo. In realtà, dietro il fantomatico dottore si nasconde il cinico Rudolf, fedele servitore di Hitler, che vuole coinvolgerlo nelle sue ricerche. Matei rifiuta di collaborare col folle scienziato e, per evitare di essere eliminato, è costretto a ricorrere alle sue doti “soprannaturali”: riesce infatti a indurre l’uomo al suicidio. Non sentendosi più al sicuro, nel 1947 decide di lasciare una testimonianza in una Tutti i film della stagione lingua oscura in cui profetizza l’avvento di una catastrofe nucleare. Alcuni anni più tardi, conosce per caso Veronica, un’avvenente insegnante svizzera che salva a seguito di un incidente in montagna. La donna parla il sanscrito e in un’altra vita afferma di essere stata il filosofo indiano Rupini. Il professore, che rivede nella ragazza la fidanzata di gioventù Laura, finisce per innamorarsene e scappa con lei a Malta. Attraverso Veronica (che arriva a parlare le lingue più antiche del mondo), riesce a portare avanti la sua opera, ma tutto questo al prezzo di dover vedere la sua amata invecchiare precocemente. Pur di salvarla, sceglie di rinunciare a lei. Nel dicembre del 1969, dopo essere tornato al suo paese natale Piatra Neamt e aver rincontrato i colleghi d’università, Dominic Matei viene ritrovato morto con un passaporto che reca sopra il nome di Martin Audricourt... «D unque – disse – la storia riparte dall’inizio. Sto sognando ed è solo quando mi sveglierò che mi sembrerà di cominciare a sognare per davvero... È come la storia del re che sognava di essere una farfalla, che sognava di essere un re, che sognava di essere una farfalla». Il sonno della ragione genera mostri – non soltanto per Goya ma anche per Mircea Eliade? La complessità dell’opera dell’intellettuale e storico delle religioni rumeno, lo stile criptico e visionario (non sempre facile da tradurre visivamente perfino per un maestro come Francio Ford Coppola e per il suo montatore di fiducia Walter Murch) si rivela, sin dalla primissima sequenza: in 50 una serie di immagini, si alternano ingranaggi di orologi, ideogrammi cinesi e la figura di una donna misteriosa riflessa in uno specchio d’acqua... . Bisogna ammettere che, per il suo ritorno al cinema dopo ben dieci anni di inattività, il regista ha scelto un soggetto a dir poco ambizioso, per non dire proibitivo. Non è affatto semplice trasporre sul grande schermo una storia che si interroga su spinosi concetti, quali il significato del tempo (definito nel film «suprema ambiguità della condizione umana») e i limiti della conoscenza. E il discorso vale altrettanto per chi “è costretto” a mandare giù per 124 minuti contorte e snervanti elucubrazioni accademiche: gli spettatori. Ci sta bene che nella filosofia indiana il confine tra passato, presente e futuro, o fra sogni e vita materiale possa essere agilmente cancellato, in virtù del fatto che il tempo, lo spazio, la natura mentale e fisica, si incarnano tutte nella sostanza dell’universo, che è Dio. Ed, ancora, che l’intrigante tema delle identità molteplici venga sviscerato sotto forma di “trasmigrazione dell’anima” (o “metempsicosi”). Ma quando, a questa idea di base orientale della vita e della coscienza, si aggiungono teorie sul superuomo, studi sul proto-linguaggio (la donna che si professa eremita buddista del VII secolo, in piena trance medianica, si esprime addirittura in sumero e babilonese!) e sui poteri tele-cinetici, si ha l’impressione, francamente, che ci sia davvero troppa carne al fuoco, per di più indigesta, per il povero pubblico. Al quale, poi, spetta anche l’ingrato compito di destreggiarsi tra i labirintici anfratti dell’inconscio del protagonista che, lacerato nel proprio io da una sfibrante lotta tra bene e male, tiene degli interminabili “monologhi” col suo doppio. I tormenti, le paranoie e il disordine interiore che agitano il rigenerato professore, prendono corpo attraverso apparizioni immaginarie e continue presenze di specchi, con un lavoro sulla messa in scena di tipo “sperimentale” che predilige inquadrature sghembe o addirittura ruotate a 360°. Nella prima parte, in corrispondenza degli anni bui del nazismo e della forzata clandestinità, il sentimento prevalente di solitudine viene visualizzato grazie al supporto di una fotografia scura e contrastata, che tende ad “ingabbiare” l’uomo in luoghi angusti e claustrofobici. Il tentativo di Coppola di fare di Un’altra giovinezza non soltanto un pamphlet mistico-filosofico ma anche un thriller politico è andato sicuramente a vuoto; l’azio- Film ne, che ben si confà al genere, è relegata infatti in secondo piano rispetto all’indagine psicologica, con conseguente fissità della macchina e riprese quasi da kammerspiele. Per fortuna, però, rimane la volontà da parte dell’autore di mettere in discussione Tutti i film della stagione quella supremazia del sapere, su cui è imperniato l’intero racconto. E rendere così l’erudito Matei, interpretato da un ineguagliabile Tim Roth, capace di provare emozioni e passioni calde come tutti gli esseri umani, benché nel romanzo sia più simile a un alieno o a un mutante. La riscoperta dell’amore per Veronica (l’attrice Alexandra Maria-Lara, che si divide brillantemente in tre ruoli diversi) ha il sapore di una vicenda faustiana, in cui il sacrificio estremo è la privazione dell’amore stesso. Diego Mondella PROSPETTIVE DI UN DELITTO (Vantage Point) Stati Uniti, 2008 Art director: arcelo Del Rio Arredatore: Denise Camargo Trucco: Eduardo Gomez, Ruth Bermudo, Fernando Legarreta Acconciature: Gerardo Perez Arreola Supervisore effetti visivi: Paddy Eason Coordinatore effetti visivi: Michael MacGillivray Interpreti: Dennis Quaid (Thomas Barnes), Matthew Fox (Kent Taylor), Forest Whitaker (Howard Lewis), Bruce McGill (Phil McCullough), Edgar Ramirez (Javier), Saïd Taghmaoui (Suarez), Ayelet Zurer (Veronica), Zoe Saldana (Angie Jones), Sigourney Weaver (Rex Brooks), William Hurt (Presidente Ashton), James LeGros (Ted Heinkin), Eduardo Noriega (Enrique), Richard T. Jones (Holden), Holt McCallany (Ron Matthews), Leonardo Nam (Kevin Cross), Dolores Heredia (Marie), Alicia Zapien (Anna), Justin Sundquist (Parsons), Sean O’Bryan (Cavic), José Carlos Rodriguez (De Soto), Rodrigo Cachero (Luis), Guillermo Ivan (Felipe), Xavier Massimi (Miguel), Shelby Fenner (Grace Riggs), Ari Brickman (agente servizi segreti), Brian McGovern (Mark Reinhart), Lisa Owen (donna statunitense), Rocio Verdejo (Paulina), Marisa Rubio (poliziotta) Durata: 90’ Metri: 2460 Regia: Pete Travis Produzione: Original Film/Relativity Media Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 29-2-2008; Milano 29-2-2008) Soggetto e sceneggiatura: Barry Levy Direttore della fotografia: Amir M. Mokri Montaggio: Stuart Baird, Sigvaldi J. Karason, Valdis Oskardottir Musiche: Atli Örvarsson Scenografia: Brigitte Broch Costumi: Luca Mosca Produttori esecutivi: Andrea Giannetti, Callum Greene, Tania Landau, Adam Milano Co-produttori: Ricardo Del Rio, Tania Landau Direttori di produzione: Pablo Buelna, Arturo Del Rio, Cristina Ecija Casting: Sarah Finn, Randi Hiller, Carla Hool Aiuti regista: Nick Heckstall-Smith, Frederic Henocque, Joceline Hernandez, Renan Bendersky, Patrick Heyerdahl, Hiromi Kamata Operatore: Jaim Reynoso Operatore steadicam: Gerardo Manjarrez I l Presidente degli Stati Uniti Ashton si appresta a concludere a Salamanca, città colta della Spagna e quindi particolarmente adatta a ospitare l’evento, un trattato con gli altri grandi della Terra con lo scopo di rafforzare il fronte comune contro il terrorismo e aprire un periodo di prosperità e di pace. Punti fermi del gruppo di body-guards sono Barnes, un agente ritornato sul campo, anche se con qualche problema nervoso, dopo essersi preso un anno prima un proiettile in pieno petto per salvare la vita del Presidente, e il suo capo Taylor a cui è molto legato. Gli auspici di pace sono però presto cancellati: il Presidente non fa in tempo a iniziare il discorso di apertura nella Piazza Mayor gremita di gente che viene abbattuto dai colpi di un cecchino, presumibilmente sparati dal palazzo di fronte; gli agenti cercano di coordinare le prime ricerche nel caos che si è prodotto, ma sono spazzati via insieme alla folla dalle forti esplosioni di un ordigno collo- cato sotto il palco. A questo punto, lo svolgersi della vicenda è presentata secondo i vari punti di vista dei protagonisti, forte ognuno della sua storia personale e dei propri mezzi di percezione della realtà: Ashton non è morto (al suo posto è a terra un sosia) e, nel ripercorrere i minuti precedenti alla strage, ha a che fare prima con il suo staff che cerca di convincerlo a bombardare un campo in Marocco (fantomatico covo del terrore), poi con terroristi in carne e ossa che lo addormentano e lo portano via in ambulanza; Taylor, inizialmente all’inseguimento di un presunto cecchino in fuga, è presto scoperto come colluso con gli stessi terroristi che cerca di raggiungere in auto; Barnes, dapprima a rilento nel collocare al posto giusto i pezzi del rompicapo, si lancia nella rincorsa di Taylor in una specie di raid automobilistico metropolitano; Lewis, un turista semplicione, che però ha ripreso tutto con la sua telecamera, riesce a fornire delle informazioni preziose agli agenti e a salvare 51 una bambina dal traffico impazzito della città; Javier, un poliziotto spagnolo legato all’equivoca Veronica, fa inconsapevolmente da tramite per l’esecuzione dell’attentato, mentre i terroristi, di cui la ragazza fa parte, fanno strage della centrale dei servizi segreti e si impadroniscono di Ashton. È Barnes a tirare le fila della storia: procura con uno scontro devastante la morte di Taylor, uccide i terroristi in fuga e salva ancora la vita del suo Presidente. N essuno è quello che afferma e vuole dimostrare di essere; niente è ciò che si vede, anzi proprio ciò che si vede è il contrario di ciò che è. Che cos’è, allora, la verità e, soprattutto, dov’è? Essa appartiene a noi perché tutti noi ne portiamo avanti una parte, la più vera, perché nostra. Da qui prende il via il plot narrativo del film. Bene, detto questo, sappiamo tutti quanto il concetto di relatività e quanto l’appartenenza del falso al vero (e il suo contrario) sia connaturato alla Film storia del cinema, sia al cinema stesso. Niente di strano, quindi, che gli autori del film abbiano voluto approfondire ancora una volta uno dei significati simbolici del fare cinema; ed è superfluo citare riferimenti imbarazzanti con capolavori del passato (è la cosa più letta in questo periodo) per scovare queste o quelle relazioni, questi o quei punti di contatto. Potremmo ricordare di tutto, gialli, perfino western, noir a montagne. Siamo certi però di una cosa che questo modo di trattare possa (debba) rendere completamente liberi il fascino, la se- Tutti i film della stagione duzione, il gioco vertiginoso dell’illusionismo che porta avanti un pezzo di verità e, contemporaneamente, la spiazza, addirittura arrivando all’eccesso, al pericolo del girotondo intellettualistico fine a se stesso ma ricco di charme. Non c’è ombra di ciò in questo film: otto storie continuamente riavvolte al punto di partenza nella noiosa dimostrazione di come possa variarsi un evento criminale; il tutto condotto con l’asetticità della tecnica televisiva che propone contrasti spazio/temporali sempre più violenti e con un montaggio che man mano che si arriva alla fine strappa sussulti e non partecipazione, fa scoppiare incongruenze visive e non ottiene coinvolgimenti emozionali, quasi a lasciare spazio alle inserzioni pubblicitarie che al cinema, per ora, non ci sono. Pesa, in più, la scelta scriteriata degli attori, ognuno solo con se stesso e privo di contatto con gli altri: un Dennis Quaid perpetuamente ghignante, un Forest Whitaker spaesato come non mai, la Weaver e Hurt a mortificare lo smalto delle loro lontane interpretazioni. Fabrizio Moresco IL FALSARIO OPERAZIONE BERNHARD (Die Fälscher) Austria/Germania, 2007 Arredatori: Christian Krüger, Gerhard Krummeich, Johannes Slapa Trucco: Waldemar Pokromski, Daniel Slaka Suono: Torsten Heinemann Supervisore effetti visivi: Markus Degen, Christian Pundschus Interpreti: Karl Markovics (Salomon Sorowitsch), August Diehl (Adolf Burger), Devid Striesow (maggiore Friedrich Herzog), Martin Brambach (maresciallo Holst), August Zirner (dott. Klinger), Marie Bäumer (Aglaia), Veit Stübner (Atze), Sebastian Urzendowsky (Kolya Karloff), Andreas Schmidt (Zilinski), Tilo Prückner (dott. Viktor Hahn), Lenn Kudrjawizki (Loszek), Arndt Schwering-Sohnrey (Hans), Werner Daehn (Rosenthal), Dolores Chaplin (ragazza del casinò), Norman Stoffregen (Abramovic), Hille Baseler (Grete Herzog), Jan Pohl (Sascha), Matthias Luhn (Ganove), Werner Daehn (Rosenthal), Erik Jan Rippmann (direttore di banca), Michael Blohn (croupier) Durata: 98’ Metri: 2630 Regia: Stefan Ruzowitzky Produzione: Josef Aichhlozer, Nina Bohlmann, Babette Schröder per Babelsberg Film/Beta Cinema/Josef Aichholzer Filmproduktion/Magnolia Filmproduktion/Zweites Deutsches Fernsehen Distribuzione: Lady Film Prima: (Roma 25-1-2008; Milano 25-1-2008) Soggetto: dal libro Des Teufels Werkstatt di Aldolf Burger Sceneggiatura: Stefan Ruzowitzky Direttore della fotografia: Benedict Neuenfels Montaggio: Britta Nahler Musiche: Marius Ruhland Scenografia: Isidor Wimmer Costumi: Nicole Fischnaller Co-produttori: Henning Molfenter, Caroline von Senden, Charlie Woebcken Direttori di produzione: Monika Maruschko, Christian Springer Casting: Heta Mantscheff, Lisa Olah, Markus Schleinzer Aiuti regista: Anton Maria Aigner, Timon Modersohn B erlino 1936. Il re dei falsari, Salomon Sorowitsch, un ebreo russo dal viso spigoloso e di poche parole, viene arrestato. Portato dapprima a Mauthausen, dove per la sua abilità nel disegno godrà di alcuni piccoli privilegi, viene successivamente trasferito a Sachsenhausen, dove, nei blocchi 18 e 19, i nazisti stanno allestendo un laboratorio di contraffazione. Qui, un ristretto gruppo di ebrei, composto da abili disegnatori, tipografi, incisori, stampatori, dovrà riprodurre valuta falsa. In cambio, verrà data loro la speranza di “rimanere in vita”. È il 1942, sta per avere inizio l’“Operazione Bernhard”. Voluta dal maggiore tedesco Bernhard Kruger, l’operazione mira non solo a rimpinguare le casse del Terzo Reich, ma, soprattutto, a indebolire l’economia inglese e statunitense, immettendo sul mercato sterline e dollari, tutti rigorosamente falsi. Per fare questo, c’è bisogno di un esperto, un artista del falso. Sorowitsch è lì, disposto a tutto pur di sopravvivere. È lui che traghetterà la squadra fino alla fine e nulla lo fermerà, né basteranno umiliazioni o sensi di colpa per farlo cadere. Il tentativo di boicottaggio del suo compagno di prigionia, Adolf Burger, è soltanto l’ultimo ostacolo da superare. Posto di fronte al dubbio se sia giusto essere complici dei disegni nazisti o ribellarsi, “Sally” Sorowitsch continuerà da solo. Stamperà egli stesso alcune mazzette di dollari. L’unico suo pensiero è di uscire vivo da quell’inferno. La fine della guerra, metterà a tacere dubbi e rimorsi. 52 T ratto dal libro “The Devil’s Workshop” di Adolf Burger, ebreo slovacco che fece parte di quel l’impresa, il film è un’ennesima riflessione sulla mostruosità e l’efferatezza dell’Olocausto. Ma la sorpresa e il fascino della pellicola sta nel modo in cui tratta l’argomento, evitando accuratamente qualsiasi banalizzazione o pietismo di sorta. L’azione si svolge in gran parte nelle due baracche, i blocchi 18 e 19, dove pulsioni, paure, speranze, si alternano a soprusi e vigliaccherie di ogni genere, dando forma a un tessuto narrativo denso e drammatico. Lo sguardo del regista si concentra sui rapporti tra i prigionieri, senza però calcare la mano o insistere sul già detto, quasi fosse la situazione in sé ad Film essere già piena di significati. Avvertiamo la guerra e le crudeltà che essa comporta, senza vederla. Ed è invece interessante assistere a come i protagonisti la subiscano. Ciascuno a suo modo. Ecco allora che il conflitto tra Salomon Sorowitsch, cui il bravo Karl Markovics dà spessore e ambiguità, e il suo compagno Adolf Burger (August Diehl) diventa elemento portante del racconto. La disperata ostinazione di Sorowitsch, incurante di sputi, calci e persino di pisciate in testa, è resa ancor più evidente dalla mai sopita dignità di Burger che insinua in lui dubbi atroci e irrisolvibili. In un contesto del genere, servire la causa nazista è il dilemma delle coscienze, il desiderio di sopravvivenza è l’unica giustificazione possibile. È un quadro così desolante che ogni azione, sguardo o silenzio, diventa significativo di un’umanità profonda e disperata. In quelle baracche, non ci sono vincitori, ma soltanto vinti. Ne è figura emblematica, in tal senso, Herzog, il comandante del campo. Costui, con un passato da comunista, instaura con Salomon un rapporto che prescinde da ogni tipo di gerarchie. Il Tutti i film della stagione comandante ha lo stesso desiderio del prigioniero, salvarsi. Stefan Ruzowitzky ci conduce magistralmente in questo abisso, ben coadiuvato dagli attori e dalla lucida fotografia di Benedict Nevenfels. Adolf Buger, lo stampatore, continua a girare il mondo per raccontare la sua terribile esperienza. Ha 90 anni. Ivan Polidoro I GUARDIANI DEL GIORNO (Dnevnoy dozor) Russia, 2006 Regia: Timur Bekmambetov Produzione: Konstantin Ernst, Anatoli Maksimov per Bazelevs Production/Channel One Russia/TABBAK Distribuzione: Twentieth Century Fox Prima: (Roma 9-11-2007; Milano 9-11-2007) Soggetto: dal romanzo Dnevnoj dozor di Sergei Lukyanenko e Vladimir Vasiliev Sceneggiatura: Alexander Talal, Timur Bekmambetov Direttore della fotografia: Sergei Trofimov Montaggio: Dmitri Kiselev Musiche: Yuri Poteyenko Scenografia: Mukhtar Mirzakeev, Nikolai Ryabatsev, Valery Viktorov Costumi: Varvara Avdiushko Produttori esecutivi: Natela Abuladze, Aleksei Kublitsky Produttore associato: Adam F. Goldberg Operatore: Yelena Ivanova Effetti speciali: Pavel Perepyolkin S i ricomincia da dove ci si era fermati nel precedente I guardiani della notte. Anton, lo sfortunato e trasandato guardiano dei “cattivi” si ritrova innamorato dell’Eletta della Luce – Svetlana – , la donna in grado di portare il Bene alla vittoria finale, ma an- Supervisori effetti visivi: Aleksandr Gorokhov, Vladimir Leschinski, Andrew Mesniankian Supervisore animazione: Viktor Lakisov Interpreti: Konstantin Khabensky (Anton), Mariya Poroshina (Svetlana), Vladimir Menshov (Geser), Galina Tyunina (Olga), Viktor Verzhbitsky (Zavulon), Zhanna Friske (Alina), Dmitri Martynov (Yegor), Valeriy Zolotukhin (padre di Kostya), Aleksei Chadov (Kostya), Nurzhuman Ikhtymbayev (Zoar), Aleksei Maklakov (Semyon), Aleksandr Samojlenko (Orso), Yuri Kutsenko (Ignat), Irina Yakovleva (Galina Rogova), Yegor Dronov (Tolik), Nikolai Olyalin (inquisitore), Rimma Markova (Darya, la strega), Anna Slyusaryova (la maga), Igor Lifanov (Parrot), Sergei Trofimov (segretario di Zavulon), Mariya Mironova (madre di Yegor), Anna Dubrovskaya (vampiressa), Sergei Ovchinnikov, Anton Stepaneko (se stessi) Durata: 132’ Metri: 3350 che padre del piccolo Ergon, l’Eletto delle Tenebre, colui che invece potrà consegnare il mondo intero nella mani del Male. Un nuovo evento viene a turbare il millenario equilibrio tra le due fazioni in lotta perenne: visti i disperati progetti di riconquistare il figlio perso, Zavu- 53 lon, signore delle Tenebre, organizza l’assassinio di Galia Rugova, membro della sua stessa parte, nel tentativo d’incastrare Anton e metterlo fuori gioco. Boris Ivanovic, il sovrano della Luce, intuisce l’inganno e, con la speranza di tenere nascosto Anton, gli presta il cor- Film po della sua vice Olga (l’anima della quale si trova a sua volta ospitata nel corpo dell’uomo). La situazione dà il via a una serie di peripezie tragicomiche visto che Anton viene ospitato – ancora dentro il corpo di Olga – dall’inconsapevole amata Svetlana. Il trucco comunque non è sufficiente a ingannare Zavulon: i guardiani del giorno scovano Anton, ma mentre stanno per catturarlo e metterlo a morte Svetlana, grazie ai suoi enormi poteri, sferra un contrattacco tanto devastante da permettere al ricercato di fuggire e costringere gli oppositori a un accordo. I guardiani della notte (che, è bene ricordare, sono “i buoni”) avranno tempo fino all’alba per dimostrare l’innocenza dell’ormai fuggitivo. Come prima cosa Anton si precipita in Iran nel tentativo di recuperare dalla tomba di Tamberlano il leggendario Gesso del Fato. La ricerca fallisce. Tornato a Mosca Anton scopre che il Gesso è custodito dal suo barista Zoar, che, senza batter ciglio, glielo consegna. Da qui in avanti, una serie sfrenata d’eventi conduce a un finale in grande stile. Fervono i preparativi per la festa di compleanno del piccolo Ergon, il quale, dopo un diverbio col padre, gli ha sottratto il prezioso gessetto, prima ancora che lo potesse usare per provare la sua innocenza. Anton si presenta alla festa e fronteggia il figlio che ancora non gli perdona l’errore fatale – commesso in passato - d’averlo rifiutato. Mentre Zavulon avvelena Anton, Svetlana, Olga e altri guardiani delle tenebre si muovono in soccorso del compagno. Così, mentre tutti sono distratti in mezzo alla confusione del salone della festa, nel silenzio del corridoio Svetlana e Ergon s’incontrano. La ragazza non vuole lo scontro perché sa che da esso deriverebbe la rovina del mondo, ma il piccolo gioca a provocarla e le impedisce di andar via. Svetlana allora lo sposta con la forza e una goccia di sangue cade a terra: è la guerra. Il duello tra i due “titani” scatena morte e distruzione per chilometri all’intorno. Al culmine della devastazione, i due eletti si trovano, stremati, a contendersi il comune oggetto d’amore: Anton. È il piccolo insignificante Anton ad avere originato la fine del mondo e ora l’uomo si trova sull’orlo d’un precipizio, strattonato da una parte e dall’altra sul punto d’esser tagliato in due da una lastra di vetro che piomba dall’alto. Quand’ecco, il sovrano Ivanovic scatta una foto e il tempo si cristallizza in un’istantanea senza vita. Solo Anton è ancora libero di muoversi. Ferito e ormai quasi Tutti i film della stagione morto, l’uomo si precipita nel luogo in cui tutto era iniziato. Sull’unica parete superstite scrive col Gesso del Fato e nel giro d’un secondo si sente sottoporre una seconda volta la domanda che nel 1992 aveva cambiato i corso della sua e di tutte le altre storie: “Sei d’accordo?” “No”. I l film è il secondo capitolo d’una trilogia iniziata un paio d’anni fa con I guardiani delle notte e che si concluderà nel 2009 con l’ultimo I guardiani del crepuscolo e rappresenta l’apice visibile, la proverbiale punta dell’iceberg, di uno specifico filone cinematografico: quello della produzione moscovita, tipicamente main stream e generalmente ispirata alla “poetica” del blockbuster. Aumentato il budget e aumentate pure le contorsioni d’una trama sempre più pirotecnica, quello che resta fermo è uno spiccato gusto per l’eclettismo narrativo - il continuo mutare dei toni e degli accenti, dalla commedia all’action puro, dalla spy story in rosa al fantasy più vivace e truculento –, l’intelligente e accorto “riciclag- gio” d’una lunga e ricca tradizione letteraria e un’impostazione estetica schizoide che mette a contatto la concretezza della Russia di oggi con una collezione di trovate raccolte dalle fonti più diverse: videogioco, illustrazione, fumetto, animazione seriale e non e il cinema stesso (la figurina che si anima potrebbe ricordare, per esempio, le foto che prendono vita dell’ameno Il meraviglioso mondo di Amelie). Il film è godibile e, nonostante la sua ridondanza, estetica e narrativa, raggiunge e mantiene una certa credibilità, elemento non di poco conto. Ma non tutto funziona fino in fondo: la pellicola, ad esempio, sembra mancare prima di tutto di compattezza, la sceneggiatura non sempre è in grado di comporre con la giusta misura gli eventi in un nitido disegno. Come spesso si dice dei film a episodi, il secondo raramente è il migliore. Restiamo, quindi, in attesa di arrivare alla conclusione di questa eccentrica saga. Silvio Grasselli GRANDE, GROSSO E VERDONE Italia, 2008 Regia: Carlo Verdone Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis per Filmauro Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008) Soggetto e sceneggiatura: Piero De Bernardi, Pasquale Plastino, Carlo Verdone Direttore della fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Fabio Liberatori Scenografia: Luigi Marchione Costumi: Tatiana Romanoff Produttore esecutivo: Maurizio Amati Aiuti regista: Inti Carbone, Roberto Giandalia Suono: Fabrizio Quadroli Trucco: Alfredo Marazzi Acconciature: Aldo Signoretti Effetti: Emanuele Pescatori, Kristina Russo, Flaminia Speziale, Matteo Stirati Interpreti: Carlo Verdone (Leo/Callisto/Moreno/politico), Claudia Gerini (Enza), Geppi Cucciari (Tecla), Eva Riccobono (Blanche), Emanuele Propizio (Steven), Andrea Miglio Risi (Severiano), Martina Pinto (Lucilla), Clizia Fornasier (Carmela), Vincenzo Fiorillo (Clemente), Alessandro Di Fede (Sisto), Stefano Natale (Guerrino), Anna Maria Torniai (Olga), Roberto Farnesi (Fabio Muso), Marco Minetti (Mirco Crestadoro), Massimo Marino (impresario pompe funebri), Pierluigi Ferrari (capo ricevimento) Durata: 131’ Metri: 3550 54 Film A tto primo. Il simpatico Leo che andava in vacanza a Ladispoli e alzava gli occhi al cielo si è sposato con Tecla e ha due figli paffuti, Clemente e Sisto. La famiglia Nuvolone è in procinto di partire per un raduno nazionale di boyscout. Tuttavia la serenità e i progetti della giornata vengono bruscamente turbati dalla morte improvvisa della madre di Leo che vive con loro. Il capofamiglia, sconvolto, avverte il fratello in Australia e cerca di predisporre in fretta un degno funerale per la madre. Un impresario funebre sbucato dal nulla, stravagante e cocainomane, provvede a organizzare il tutto. Dopo la difficile scelta della bara e dei fiori, la famiglia dopo un viaggio a dir poco rocambolesco (passando per sbaglio per il Verano) si avvia al cimitero di Vetrano. Durante la strada, la macchina con il feretro ha un incidente e l’impresario funebre finisce all’ospedale. La famiglia è costretta a caricarsi la bara in macchina e a proseguire per il cimitero. Peccato che, arrivati a Vetrano, trovano i cancelli chiusi e decidono di accamparsi con la tenda davanti al campo santo. Il giorno successivo svolgono le pratiche per la sepoltura, ma la bara viene confusa con un’altra, identica, e anziché cremare la salma della madre di Leo viene cremato il corpo di un motociclista metallaro. Atto secondo. Il pignolo e metereopatico Furio, ha mutato il suo nome in Callisto, ha un lavoro prestigioso come professore universitario di Storia dell’Arte, il vizietto per le squillo e un figlio introverso, Severiano, avuto dall’ultima delle tre mogli, da sistemare il prima possibile. Il carattere dispotico di Callisto ha reso il figlio insicuro e timido e, pur avendo vent’anni, il ragazzo non ha molti rapporti con l’esterno e soprattutto con le ragazze. Durante un esame universitario, Callisto rimane favorevolmente colpito da una ragazza seria ed educata, Lucilla, e la invita a casa per farla conoscere al figlio. Tra i due, inaspettatamente, nasce un sentimento molto forte e nella ragazza Severiano trova la speranza di fuggire da quella tetra casa e da quel padre padrone. I due innamorati si sentono entrambi vittime delle circostanze e sempre più desiderosi di libertà fanno di tutto per sbarazzarsi dell’uomo, organizzando una rapina e lasciandolo da solo durante una visita alle catacombe, ma ogni tentativo fallisce. Atto terzo. Jessica e Ivano, rientrati dal viaggio di nozze, hanno concepito Steven e hanno “affinato” i gusti e i loro Tutti i film della stagione nomi. I coatti, che ora vendono cellulari e si credono signori, si chiamano Enza e Moreno. Steven ha ormai quattordici anni e la famiglia decide di andare a trascorrere le vacanze estive nell’albergo più esclusivo di Taormina. La famiglia è in crisi; tra marito e moglie c’è il classico momento di stanchezza e mancanza di desiderio, aggravato da un figlio con cui non c’è dialogo e che sembra interessato solo al calcio. Non mancando le finanze, Enza e Moreno, su consiglio della psicologa che segue Steven, decidono di provare a ritrovarsi trascorrendo una vacanza tutti e tre insieme. Ma la sobrietà e l’eleganza dell’hotel San Domenico sono molto lontani dalla classica vacanza forma villaggio turistico a cui è abituata la famiglia. I conflitti così anziché svanire si acuiscono. Moreno è attratto da un’ospite dell’albergo, Blanche, elegante e raffinata e le attenzioni che le rivolge ingelosiscono Enza, che fa i bagagli e va a stare da sola in un altro albergo. Qui viene presa di mira da un attore di un reality show che la coinvolge in una gita sulla sua barca. Moreno, intanto, scopre con tristezza che la sua “dama bianca” altro non è che una prostituta d’alto bordo. Enza pur essendo ubriaca si rende conto che l’attore l’ha invitata per una notte di sesso a tre e si tuffa dalla barca per raggiungere la riva a nuoto. Marito e moglie si ritrovano in ospedale più innamorati di prima. D opo le regie asciutte e composte di L’amore è eterno finché dura e Il mio miglior nemico, assai lontani dal macchiettistico Viaggi di nozze 55 degli anni ’90 e ancor più dagli archetipi Un sacco bello e Bianco rosso e Verdone dei lontani anni ’80, il nostro Carlone torna in gran forma, in omaggio alle innumerevoli richieste dei suoi tanti fan. A distanza di trent’anni, Verdone rispolvera le sue maschere lontane, per adattarle ai gusti di oggi. Grande grosso e...Verdone rappresenta un salto nel buio, un esperimento coraggioso di un autore che gioca su se stesso, ripuntando su ciò che lo ha consacrato all’immortalità. Verdone già sapeva a cosa andava incontro e il suo gesto, a prescindere dalla riuscita o meno del film, appare come un vero atto di coraggio, solo per questo ammirevole. È quasi impensabile che un regista, per di più affermato, possa competere con il segreto del suo successo. Verdone lo ha fatto. E lo ha fatto con la piena coscienza di mettersi a rischio. La sua è stata una risposta onesta, lontana dalla ipocrisia e volgarità a cui siamo, purtroppo, abituati. Questa volta siamo davanti a una comicità diversa, dal sapore nostalgico, in cui si avverte un retrogusto amaro, una nausea nei confronti della società. L’imbranato Leo adesso è sposato con una ragazza sarda, ha due figli che parlano non solo come lui, ma proprio con la sua voce e una mamma a carico che ha la pessima idea di morire il giorno che la famigliola ha deciso di fare una gita. I quattro si trovano così ad affrontare una serie di eventi sfortunati dove brilla per stravaganza comica la stella di Massimo Marino, star della tv trash notturna della capitale (“A frappé” è la sua frase storica), nei panni di un fetente Film cassamortaro. Ma il vero regalo ai fan dell’attore è l’arrivo del fratello emigrato in Australia, Stefano Natale, che non solo parla anche lui come Verdone, ma che è stato il modello originario del personaggio di Mimmo di Bianco rosso e Verdone. Nel secondo episodio, il più costruito (ricorda luci e ombre dell’espressionismo) e il più cupo, è di scena il professore pignolo che aveva liquidato nei precedenti film le due mogli Magda e Veronica Pivetti. Niente moglie qui, ma il professore sfoga la sua carica di follia sul figlio, timido pianista e sulla fidanzatina di lui, orfanella. L’idea è quella di fare il ritratto di un “mostro” di oggi, legato alla politica, alla Chiesa, ma pronto a tratta- Tutti i film della stagione re sul prezzo con le prostitute. Nel terzo episodio, il più funzionale, torna la coppia Ivano e Jessica, leggi Moreno e Enza, con l’idea di ricostruire una famiglia in crisi e di sfruttare l’occasione per elevarsi di classe. I protagonisti scopriranno, come nelle commedie anni ’60, che i mostri non sono loro, ma le persone finte che hanno intorno. Questa volta, a differenza dei casi precedenti, i tre segmenti non sono più ad incastro, ma sequenziali e non si incrociano mai tra loro. I personaggi sono cresciuti, si sono evoluti, nel bene e nel male, si fanno portatori della vena malinconica e pessimistica del regista. Dal trittico infatti emerge, più o meno pale- semente, la visione della morte. Nel primo capitolo è assai evidente, nel secondo e nel terzo è simbolica (labirinto e fine del matrimonio). Grande ritrattista della nostra Italietta, ormai Verdone non pare più muoversi con l’intento di far ridere il pubblico, ma sembra volerlo indurre alla riflessione sui mali della società e sulla volgarità dei nostri costumi. Nel cast, interpreti più o meno noti della tv e del grande schermo. Verdone e la Gerini sono fantastici come ai tempi di Ivano e Jessica, con grandi battute e indimenticabili tormentoni. Veronica Barteri SOGNI E DELITTI (Cassandras Dream) Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2007 Regia: Woody Allen Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum, Gareth Wiley per Iberville Productions/Virtual Studios/Wild Bunch Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 1-2-2008; Milano 1-2-2008) Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen Direttore della fotografia: Vilmos Zsigmond Montaggio: Alisa Lepselter Musiche: Philip Glass Scenografia: Maria Djurkovic Costumi: Jill Taylor Produttori esecutivi: Brahim Chioua, Vincent Maraval, Ben Waisbren, Daniel Wührmann Co-produttori esecutivi: Charles H. Joffe, Jack Rollins Casting: Patricia Kerrigan DiCerto, Gail Stevens, Juliet Taylor Aiuti regista: Todd Embling, Ben Howarth, Sam Smith, James Chasey, Beatrice Manning, Catherine Tyler Arredatore: Tatiana Macdonald Trucco: Sallie Jaye, Sharon Martin Acconciature: Francesco Alberico Suono: Robert Hein L ondra. Ian e Terry, due fratelli di diverso carattere, vogliono dare una svolta alla loro esistenza e migliorare la propria situazione finanziaria. Insieme decidono di comprare una barca e la chiamano “Cassandra’s Dream”. Ian aiuta il padre a gestire il ristorante di famiglia ma vorrebbe mollare tutto per realizzare un progetto che lo vedrebbe coinvolto in un affare di una catena di alberghi in California. Terry invece fa il meccanico e ha la passione per il gioco d’azzardo. Questo suo vizio però gli Operatore/Operatore steadicam: George Richmond Interpreti: Ewan McGregor (Ian), Colin Farrell (Terry), m Wilkinson (zio Howard), John Benfield (padre), Clare Higgins(madre), Ashley Madekwe (Lucy), Andrew Howard (Jerry), Sally Hawkins (Kate), Keith Smee (collega di Terry), Hayley Atwell (Angela Stark), Peter-Hugo Daly (proprietario barca), Stephen Noonan (Mel), Dan Carter (Fred), Richard Lintern (direttore), Jennifer Higham (Helen), Lee Whitlock (Mike), Hugh Rathbone, Allan Ramsey, Paul Marc Davis, Terry Budin-Jones, Franck Viano, Tommy Mack (giocatori di poker), Philip Davis (Martin Burns), Phyllis Roberts (madre di Burns), Tamzin Outhwaite (ragazza di Burns), Cate Fowler (madre di Angela), David Horowitch (padre di Angela), Matt Barlock (proprietario della Jaguar), Jim Carter (capo del garage), Paul Gardner (venditore di Bentley), Michael Harm (agente immobiliare), Mark Umbers (Eisley), Maggie McCarthy (domestica), Richard Graham. Ross Boatman (detectives), Milo Bodrozic, Emily Gilchrist, George Richmond Durata: 108’ Metri: 3038 procura molti danni. Una sera infatti, perde una somma notevole al tavolo da gioco e, disperato, si rivolge al fratello. Lui cerca di aiutarlo come può, ma il denaro procurato non basta. Ian inoltre, ha conosciuto Angela, una bellissima aspirante attrice e se ne è innamorato perdutamente. Sembra, però, giunta l’occasione per i due ragazzi di uscire dai loro problemi finanziari. In occasione del compleanno della madre, arriva in città, dagli Stati Uniti, il facoltoso zio Howard, che già 56 in passato ha aiutato i due fratelli. Ian e Terry così colgono l’occasione per chiedergli l’ennesimo aiuto. Anche questa volta l’uomo accetta di aiutarli. Stavolta però lo zio gli chiede in cambio un favore enorme: i due devono infatti uccidere un uomo che lo sta ostacolando indagando nei suoi traffici non proprio puliti. I due giovani entrano subito in crisi. Non sanno se accettare o meno. Il più deciso è Ian mentre Terry appare terrorizzato. Alla fine i due nipoti si presentano da Howard dicendo che accet- Film tano l’affare che gli è stato proposto. Cominciano così a escogitare i piani per far fuori la vittima designata. Una sera, lo incontrano in un locale e ci scambiano anche due parole. Alla fine, riescono a ucciderlo in un luogo isolato. I due reagiscono a questo omicidio in maniera totalmente differente. Ian si riesce a controllare e continua a comportarsi come ha sempre fatto. Terry, invece, entra in una crisi profonda ed è ossessionato dal senso di colpa. Beve sempre di più, prende delle pastiche e la notte ha continui incubi. Anche la sua fidanzata, con la quale convive, nota che sta cambiando sempre di più. A un certo punto, dice a Ian che non riesce a vivere più con questo peso, lo accusa di averlo trascinato in questa storia e ha intenzione di andare a confessare tutto alla polizia. Questi cerca di prima dissuaderlo, poi contatta lo zio per comunicargli le intenzioni di Terry. A questo punto, Howard, per non avere problemi di nessun tipo, chiede al nipote un ulteriore, estremo sacrificio: uccidere Terry. Il delitto si deve compiere nella barca che hanno insieme. I due organizzano così una gita in mezzo al mare. L’epilogo però è differente rispetto a quello programmato... C on Sogni e delitti Woody Allen sembra chiudere la sua trilogia londinese, affrontando nuovamente le forme del giallo, più cupo in Match Point, più tendente verso il comico e il fantastico in Scoop. Ancora una volta, nel cinema del prolifico cineasta newyorkese si affaccia il fantasma di Dostoevskij, evidente sia nel raggelato Match Point, ma soprattutto, in Crimini e misfatti, una delle sue “commedie umane” più tragiche. Anche in quest’ultimo film, inoltre, il denaro e il delitto sono intrinsecamente legati, anzi lo sono ancora di più rispetto sia a Match Point sia a Crimini e misfatti dove la componente passionale aveva invece una sua importanza. Per sottolineare questa atmosfera cupa, quasi malata, il regista si affida a quelle tonalità uggiose della fotografia di Vilmos Zsigmond (con cui aveva già collaborato nel 2004 in Melinda e Melinda) e recupera, anche se in maniera meno evidente di quanto potrebbe far apparire il titolo originale, elementi simbolici e mitologici. I primi sono sottolineati dalla presenza del teatro. Lo spazio è come un palcoscenico, piuttosto chiuso, dove le azioni sembrano aprirsi e chiudersi autonomamente in ogni scena. Inoltre la Tutti i film della stagione componente teatrale è presente sia negli spettacoli dell’affascinante ragazza di cui si innamora Ian sia nel finale dove la barca, luogo di per sé limitato e definito, diventa il set della tragedia finale. Gli elementi mitologici sono invece già messi in luce dal nome di “Cassandra”, non a caso quello con cui i due fratelli hanno chiamato la loro imbarcazione e questa figura della mitologia greca era nota per avere avuto da Apollo il dono della preveggenza e quindi anticipava terribili sventure. C’è, quindi, il cinema di Woody Allen dentro Sogni e delitti. Soprattutto l’ultimo cinema, quello più stanco, che ricicla se stesso, quasi affannato nel continuo tentativo di mantenere costante un ritmo incalzante, lo stesso che aveva nelle sue pellicole degli anni Settanta e Ottanta, che seguiva soprattutto le traiettorie di dialoghi fulminanti. Ecco, ultimamente nella sua filmografia la parola si è fatta più debole. Allora, o il cineasta si indirizza verso una follia incontrollabile, quella che aveva caratterizzato recentemente sia Hollywood Ending sia Anything Else, oppure la sua opera appare incolore, priva ormai di un’autentica ispirazione. Pur essendo stilisticamente più compiuto, già da Match Point si era affacciato il sospetto che la struttura del noir fosse piuttosto estranea allo sguardo del cineasta. Lì, in ogni caso, l’aveva saputa affrontare con un certo mestiere. Scoop e Sogni e delitti appaiono come la testimonianza di un’involuzione che Allen non cerca neanche di 57 mascherare, ma, piuttosto è come se la esibisse. Se si pensa al modo con cui viene costruito ed eseguito il delitto dai due fratelli e al finale, c’è una frattura tra la velocità della scrittura e quella della messa in scena. Inoltre, lo stesso senso di colpa e la progressiva follia di Terry appaiono isolati come puri elementi di un meccanismo narrativo anche farraginoso che restano epidermicamente distanti e freddi; al contrario, invece, dei grandi noir, in cui si tende a precipitare nella storia e nelle ossessioni mentali dei protagonisti. Poi, tranne la bella prova di Tom Wilkinson nei panni dello zio Harold, anche Ewan McGregor e Colin Farrell (soprattutto quest’ultimo) appaiono a disagio, come spaesati in un cinema che è sempre più fuori controllo, cha è come un set continuamente aperto e ininterrotto (a Barcellona infatti ha già completato le riprese di Vicky Cristina Barcelona con Penelope Cruz, Scarlett Johansson e Javier Bardem ed è già al lavoro su un altro progetto), segno di come la vita e il cinema siano ormai diventati elementi coincidenti. Questa sua prolifica attività (oltre 40 film), soprattutto ultimamente, rischia di creare criticamente una notevole dispersione. Attenzione, quello di Allen non è un cinema invecchiato, ma un cinema che non ne vuole sapere di fermarsi ma anche di rinnovarsi. Ed è così, nella sua ripetizione, che almeno oggi lascia più disorientati che delusi. Simone Emiliani Film Tutti i film della stagione CAOS CALMO Italia, 2008 Canzone/Musica estratta: “L’amore trasparente” (Ivano Fossati) Interpreti: Nanni Moretti (Pietro Paladini), Valeria Golino (Marta), Isabella Ferrari (Eleonora Simoncini), Alessandro Gassman (Carlo), Blu Yoshimi Di Martino (Claudia), Hippolyte Girardot (Jean-Claude), Kasia Smutniak (Jolanda), Denys Podalydès (Thierry), Charles Berling (Boesson), Silvio Orlando (Samuele), Alba Rohrwacher (Annalisa), Manuela Morabito (Maria Grazia), Roberto Nobile (Taramanni), Babak Karim (Mario), Stefano Guglielmi (Matteo), Tatiana Lepore (madre di Matteo), Beatrice Bruschi (Benedetta), Cloris Brosca (psicoterapeuta), Antonella Attili (maestra Gloria), Sara D’Amario (Francesca), Anna Gigante (madre), Nestor Saied (marito di Eleonora), Dina Braschi (donna anziana al gala), Ester Cavallari (Lara), Anna Gigante, Valentina Carnelutti (amiche di Maria Grazia), Roman Polanski (Steiner) Durata: 112’ Metri: 3009 Regia: Antonello Grimaldi Produzione: Domenico Procacci per Fandango. In collaborazione con Portobello Pictures/Phoenix Film Investment/Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 8-2-2008; Milano 8-2-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi Sceneggiatura: Nanni Moretti, Laura Paolucci, Francesco Piccolo Direttore della fotografia: Alessandro Pesci Montaggio: Angelo Nicolini Musiche: Paolo Buonvino Scenografia: Giada Calabria Costumi: Alexandra Toesca Casting: Laura Muccino, Annamaria Sambucco Aiuto regista: Loredana Conte Suono: Gaetano Carito U n giorno d’estate, il manager cinematografico Pietro Paladini perde la moglie Lara a seguito di un malore improvviso. L’uomo, che non ha assistito alla tragedia in quanto si trovava in spiaggia col fratello Carlo a salvare la vita a una donna sconosciuta, decide da qual momento di dedicarsi interamente alla figlia di dieci anni Claudia. Abbandona anche il lavoro, proprio quando la sua società attraversa una fase delicata, perché in odore di fusione con una multinazionale. Per stare sempre vicina alla bambina, trascorre le sue giornate davanti alla sua scuola ad aspettarla fino al termine delle lezioni, seduto su una panchina. Durante la lunga attesa, Pietro osserva la gente che frequenta i giardinetti (una bella ragazza di nome Jolanda che porta a spasso il suo cane San Bernardo, un ragazzino down che si diverte a giocare con l’antifurto della sua auto) e finisce per stringere amicizia con il proprietario del bar dove pranza tutti i giorni. Poiché si ostina a non muoversi da lì, i colleghi d’ufficio sono costretti ad andarlo a trovare. Pietro, che soffre in silenzio per il lutto della moglie e non riesce a esternare il suo male, riceve intanto le confidenze dell’amico francese Jean Claude, che gli racconta le proprie difficoltà coniugali e quelle della cognata Marta (sua compagna prima di conoscere la sorella Lara), una persona problematica che non sa come affrontare una gravidanza indesiderata e lo rimprovera di non aver amato abbastanza la moglie. Un giorno, rincontra la donna che ha salvato in mare, Eleonora Simoncini, che scopre essere l’amante segreta del signor Steiner, potente imprenditore ebreo interessato all’acquisto della società dove lavora. Dopo averla invitata nella sua casa al mare, passa una focosa notte di sesso con lei. Ma neppure questo lo aiuta a dimenticare la terribile perdita. Come, d’altronde, non gli era stato di nessuno conforto il tentativo di partecipare a una seduta di gruppo terapeutica per mettere fine ai suoi sensi di colpa. L’unica forza per andare avanti, Pietro la trova nella figlia, sulla quale cerca di non far pesare i suoi tormenti interiori. È proprio lei, alla fine, a spingerlo a ritornare a lavorare, sebbene abbia rifiutato un importante promozione offertagli dal suo nuovo capo Steiner. P eccato di presunzione voler ridurre il romanzo Premio Strega di Sandro Veronesi a una copia sbiadita e senz’anima di La stanza del figlio. Perché il riferimento è d’obbligo (leggi più avanti). Peccato di presunzione voler annullare il ricco materiale antropologico del libro, dove figura una gal58 Film leria di ritratti umani disperati, ironici, a volte grotteschi, fagocitando così il resto del cast con ingordigia quasi cannibalesca. Peccato di presunzione, infine, volere credere, a tutti i costi, che la partecipazione onnipotente dell’Autore-factotum sia sinonimo di garanzia. Niente di più sbagliato! Non si può costruire un intero film sul carisma (disturbante e indisponente) di Nanni Moretti e sulle sue (indiscutibili) doti di attore, sacrificando un potenziale narrativo così generoso quale è quello di Caos Calmo. Il cui folgorante incipit con il drammatico salvataggio in mare preannuncia la morte, con un’intensità espressiva pari a quella presente nella scena che anticipa la fatale immersione subacquea di Andrea nell’opera sopra citata, Palma d’oro a Cannes nel 2001: mentre la madre è al mercato, un misterioso ladruncolo sfreccia via tra i banchi distraendo la sua attenzione... . La sceneggiatura, firmata anche da Piccolo e Paolucci, si concede alcune licenze e lacune inspiegabili, oltre che evidenti incongruenze. Ed è il vero punto debole di questa equivoca e ruffiana (vedi la tanto chiacchierata scena di sesso, dove Tutti i film della stagione Moretti si mostra in una veste insolita e trasgressiva) operazione popolar-autoriale. È sacrosanta la scelta di voler rappresentare in primissimo piano il caotico flusso di coscienza dell’uomo medio Paladini che, affetto da catatonia post-trauma, guarda il mondo circostante dall’abitacolo della sua macchina come un immenso e meraviglioso acquario. Pietro, mentre è assorto a ripassare a mente le compagnie aeree con le quali ha viaggiato e gli indirizzi delle case nelle quali ha abitato, riscopre la bellezza e la semplicità della vita: i piccoli gesti d’affetto, gli sguardi complici, i sorrisi liberatori. Al contrario, appare quasi sacrilega la decisione di relegare artisti di navigata fama a ruolo di povere comparse (c’è perfino un cammeo del grande Roman Polanski nella parte di Steiner). E mi riferisco, in particolare, a quel monumento vivente di malinconico sarcasmo che è Silvio Orlando, la cui fugace apparizione nei panni del battagliero e illuso direttore del personale Samuele, lascia piuttosto perplessi, se non delusi, i suoi tanti estimatori. Per non parlare, poi, dei personaggi interpretati da Valeria Golino e Alessandro Gassman (rispettivamente Marta e Carlo), che a stento riescono a rubare la scena al “dittatore” Nanni, rimanendo due personalità malate ma difficilmente inquadrabili. I loro profili, infatti, non vengono sufficientemente approfonditi ed è un peccato, perché è grazie anche all’interazione con queste figure che Paladini si confronta con l’altro aspetto fondamentale del dolore: la solitudine. Per quanto la regia di Grimaldi riesca a essere sobria e in sintonia con quella atmosfera di apparente atarassia e sospesa inquietudine che si respira lungo tutta la storia, difetta immancabilmente dal punto di vista del ritmo: soporifero e mai incalzante, come è invece nel testo originale di Veronesi. L’amara e silente elaborazione del lutto e la sua parziale accettazione finale, insomma, non convince e, soprattutto, non coinvolge, lasciando lo spettatore un po’ più confuso, assente e freddo di prima. Proprio come il protagonista di Caos Calmo che, a forza di comprimere le sue emozioni, si “scioglie” in una crisi di pianto soltanto dopo un’ora dall’inizio del film. Diego Mondella VALUTAZIONI PASTORALI Altra giovinezza (Un’) – discutibile / ambiguità American Gangster – accettabile / problematico Assassino di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (L’) – discutibile / problematico Bentornato Pinocchio – inconsistente / banale Bianco e nero – discutibile / ambiguità Biùtiful Cauntri – accettabile-realistico / dibattiti Caos calmo – discutibile / ambiguità Caso Thomas Crawford (Il) – accettabile / problematico Come tu mi vuoi – inconsistente / superficialità Cous Cous – accettabile-problematico / dibattiti 2061: un anno eccezionale – accettabile / brillante Falsario (Il) – Operazione Benhard – accettabile-realistico / dibattiti Fine pena mai – discutibile / ambiguità Forse Dio è malato – discutibile / ambiguità Giorni e nuvole – accettabile / problematico Grande grosso e... Verdone – accettabile / semplice Guardiani del giorno (I) – accettabile / crudezze Guerra di Charlie Wilson (La) – accettabile-problematico / dibattiti Innocenza del peccato (L’) – discutibile / scabrosità Into the Wild – Nelle terre selvagge – accettabile-problematico / dibattiti John Rambo – discutibile / violento Leoni per agnelli – accettabile-problematico / dibattiti Lussuria – Seduzione e tradimento – discutibile / scabrosità Non è mai troppo tardi – raccomandabile / problematico Non è un paese per vecchi – discutibile-crudezze / dibattiti Parlami d’amore – discutibile / velleitario Parole sante – n.c. Paura primordiale – n.c Persépolis – accettabile-problematico / dibattiti 59 Petroliere (Il) – discutibile / problematico Prospettive di un delitto – accettabile / crudezze Resident Evil: Extinction – discutibile / crudezze Rush Hour – Missione Parigi – accettabile / brillante Scafandro e la farfalla (Lo) – accettabile-problematico / dibattiti Scusa, ma ti chiamo amore – inconsistente / superficiale Signorinaeffe – discutibile / ambiguità Sogni e delitti – discutibile-problematico / dibattiti Spaccacuori (Lo) – inaccettabile / volgare Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street – discutibile / crudezze 30 giorni di buio – inaccettabile / malsano Tutta la vita davanti – accettabile-riserve / problematico Uomo qualunque (Un) – accettabileproblematico / dibattiti Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL VENEZIA 2007 OTTIMA SELEZIONE, SBAGLIATO IL LEONE A cura di Flavio Vergerio, Francesca Felletti, Luisa Ceretto e Davide Di Giorgio Un consuntivo della 64a Mostra di Venezia, 75° anniversario dalla fondazione, comporta i soliti rischi di valutazione legati al gusto personale. Pur considerandomi un cinefilo snob che mette al di sopra di tutto l’autorialità, avendo in spregio le ragioni del cinema come industria e i riti spesso osceni del divismo e della mondanità, mi unisco all’apprezzamento pressoché unanime della critica che ha giudicato molto buona la selezione dei film del Concorso e delle altre sezioni proposta da Müller. In questi giorni, finito il mandato del Presidente della Biennale uscente Davide Croff, torna a rispuntare un altro manager navigato quale Paolo Baratta, che aveva ben operato in coppia con Alberto Barbera. Gli equilibri e le alchimie politiche sono sempre qualcosa di misterioso, territorio che non mi affascina. Continuo a non capire tuttavia come un Direttore di una manifestazione complessa e quindi bisognosa di continuità quale la Mostra, pur avendo dimostrato competenza, equilibrio e attenzione al rinnovamento delle strutture narrative di nuovi autori (quest’anno ad esempio Abdellatif Kechiche), ogni anno debba vivere nell’incertezza della nomina. Nel momento in cui redigo questo rendiconto leggo che il Ministro Rutelli auspica una conferma di Marco Müller alla direzione di Venezia. Visto il difficile momento politico speriamo che l’auspicio non sia solo un esercizio retorico. Mai come quest’anno la Mostra, dopo aver definitivamente riconquistato attenzione e prestigio presso produttori e critica, avrebbe bisogno della continuità di una direzione collaudata, in vista di un rimescolamento delle carte provocato dalla Festa del Cinema romana. La larghezza di mezzi finanziari, l’attenzione massiccia dei media ai riti del “red carpet”, la spettacolarizzazione dell’evento, non possono non provocare un riposizionamento degli altri festival maggiori. La richiesta di maggiore “visibilità” da parte dei politici ha già prodotto un cambiamento profondo nella direzione del Festival di Torino, ma forse Venezia ha i mezzi e il prestigio per continuare con coerenza su una propria strategia culturale. Tuttavia i beni informati ci riferiscono di un certo malumore per le date della Festa, troppo vicine sia a quelle di Venezia che di Torino. Certamente i selezionatori di Roma e Venezia hanno litigato con i produttori per accapparrarsi alcuni titoli. I film richiesti di Coppola, di Corneau e di Sean Penn hanno preso la strada di Roma piuttosto che quella di Venezia. Ma, sulla carta, salvo alcune delusioni di cui diremo poi, il menu era principesco, mescolando piatti classici e cucina innovativa: Wes Anderson, Kenneth Branagh, Youssef Chahine, Brian De Palma, Peter Greenway, Paul Haggis, Todd Haynes, Abdellatif Kechiche, Ang Lee, Ken Loach, Eric Rohmer e poi i Leoni d’Oro attribuiti a Tim Burton e Bernardo Bertolucci, l’omaggio al redivivo Alexander Kluge. Credo che la selezione veneziana sia stata la migliore degli ultimi anni. In questo panorama purtroppo i tre film italiani di Paolo Franchi, Vincenzo Marra e Andrea Porporati sono apparsi modesti, se non sbagliati. I produttori di Carlo Mazzacurati (La giusta distanza), Silvio Soldini (Giorni e nuvole), Mimmo Calopresti (L’abbuffata) hanno preferito la vetrina romana, più casereccia e buonista di quella spesso prevenuta dei cinefili del Palagalileo, e forse dal loro punto di vista hanno avuto ragione. Rimane però incomprensibile come il brillante e puntuto Non pensarci di Giovanni Zanasi sia stato concesso alle Giornate degli autori, così come La ragazza del lago, geometrico ritratto al noir della provincia friulana dell’esordiente Andrea Molaioli sia stato presentato alla Settimana della critica. Consideriamoli incidenti di percorso che non inficiano il risultato complessivo. Se Müller era stato ingiustamente criticato l’anno scorso per l’eccesso di film asiatici, ha pensato bene quest’anno di ribadire la sua giusta attenzione per la Cina, nominando direttore della Giuria uno Zhang Yimou che, dopo i suoi esordi di regista “contro”, appare oggi uomo d’apparato e di potere. Ebbene, è facile pensare che Yimou sia riuscito a condizionare una giuria formata da registi forse meno navigati di lui, capovolgendo tutte le aspettative della critica che avevano tributato un vero trionfo al bellissimo La graine e le moulet di Kechiche. Col senno di poi si può adombrare un qualche conflitto d’interessi nel fatto che il produttore di La tigre e il dragone e del premiato Lust, Caution di Ang Lee, Bill Kong, abbia prodotto anche tutti film di Yimou. Rimango infine perplesso circa la retrospettiva dedicata al Western all’italiana, curata dall’infaticabile studioso del B-Movie italiano Marco Giusti. Egli afferma che “tra il 1963 e il 1974 in Italia c’è stata una rivoluzione. Come definire altrimenti la nascita di un genere che cambiò completamente il linguaggio cinematografico del tempo, le regole del mercato, della moda, i modelli produttivi e riesce ancora oggi, a quarant’anni di distanza, a produrre nuovo cinema”. Per quanto riguarda gli aspetti narrativi e linguistici la “rivoluzione” adombrata da Giusti sarebbe consistita nella reinvenzione di un genere quasi finito come il western e nella costruzione del primo cinema postmoderno. A me sembra che, a parte Leone che sta una spanna sopra tutti i suoi compagni d’avventura per rigore e consapevolezza, gli spaghetti western siano stati un impoverimento e una banalizzazione del genere americano d’origine. Il dato che accomuna molti di quei film è costituita dall’ironia (spesso però facile se non becera) e dall’ideologizzazione schematica, con una rozza analisi di classe, il femminismo, la critica alle istituzioni. Il cosiddetto “postomoderno” si riduce spesso in una comicità popolaresca e nella stanca riproposta di meccanismi narrativi prevedibili. Per dovere di documentazione ho visto finalmente l’osannato Django di Sergio Corbucci (1965), storiella di un reduce della Guerra Civile che si fa vendicatore dei soprusi subiti da contadini messicani a opera una banda di razzisti. L’ho trovato noioso, ripetivo e grossolano. Corbucci tenta la carta dell’ironia nel caricare di banalità gli stereotipi insiti nel soggetto. Ma si ride poco. 60 Film Tutti i film della stagione Mi sembra del tutto fuorviante richiamare il cinema giapponese dell’epoca (Yojimbo, I sette samurai) come modello stilistico. La storia del western all’italiana merita forse uno studio sociologico più che un’analisi critica. Continuo a pensare che la Mostra dovrebbe dedicarsi anche nell’ambito delle retrospettive alla conoscenza e alla valorizzazione del cinema d’autore altrimenti invisibile e non tanto nel rilancio di un genere in occasione di nuove uscite in DVD. (f.v.) IL CONCORSO: ROHMER E KECHICHE di FLAVIO VERGERIO Malgrado l’affollamento nella sezione maggiore di molti grandi registi il Concorso di Venezia 2007 rimarrà segnato nel nostro immaginario cinefilico dagli straordinari Gli amori di Astrea e Céladon di uno dei “grandi vecchi” della cinematografia europea, il sempre sorprendente Eric Rohmer, e da La graine et le moulet (Il grano e il miglio) del talentuoso tunisino Abdellatif Kechiche. A parte queste e altre particolari riuscite (Anderson, Guerin) mi pare che stavolta Müller sia andato sul sicuro puntando su un gruppo di film accomunati dall’impegno civile e dal pacifismo. Non a caso, la maggiore presenza è stata attibuita al cinema americano “democratico”, penalizzando probabilmente a malincuore altre aree geografiche. Facendo i conti i film in concorso erano in numero leggermente superiore allo scorso anno (23 contro 20), di cui ben sei statunitensi, quattro inglesi, tre italiani, tre cinesi (due erano però prodotti a Hong- Kong), due francesi (ma uno era diretto dal tunisino Kechiche), un giapponese, un egiziano, uno spagnolo, un taiwanese. Insomma, ancora una volta prevale il cinema occidentale, l’Africa nera e l’America Latina sono assenti. Forse la selezione veneziana non fa altro che prendere atto dei dati della produzione mondiale, ma continuo a pensare che nel mondo esistano altre cinematografie e talenti emergenti. Il film che avrebbe meritato il massimo riconoscimento era La graine et le moulet (Il grano e il miglio) del franco-tunisino Kechiche, già segnalatosi alla Settimana della Critica del 2001 con La colpa di Voltaire e poi a Cannes nel 2003 con La schivata. Kechiche riesce a coniugare un’acuta osservazione sulle difficoltà di inserimento nel tessuto sociale francese di immigrati nordafricani con una straordinaria fluidità di un racconto fondato sulla costruzione di personaggi credibili e su una descrizione emozionante dei loro rapporti. Precisione sociologica e forza dei sentimenti: un connubio dal difficile equilibrio che qui funziona benissimo. Il protagonista è un immigrato nordafricano sessantenne che si licenzia da un cantiere navale di Sète in crisi, ove ha lavorato a lungo. L’uomo, stanco e deluso da una vita ormai senza prospettive, si divide fra due famiglie. Mantiene buoni rapporti con la donna da cui ha divorziato e con i figli ormai grandi, pur vivendo con una nuova compagna che gestisce un bar-ristorante e con la figlia avuta da questa da un precedente matrimonio. L’uomo sogna di coinvolgere le due famiglie in un nuovo progetto che ridia slancio alla sua vita. Con i soldi della liquidazione acquista una carretta del mare che adatta a ristorante galleggiante. La sera dell’inaugurazione, cui partecipano sia amici che i maggiorenti della città, incentrata su piatti tipici della tradizione araba, il figlio sparisce con il piatto forte, il couscous. Per tener buoni nella lunga attesa i commensali, la figlia della seconda moglie (Hafsia Herzi, premiata per la migliore interpretazione femminile) improvvisa un’interminabile sensuale danza del ventre. A prima vista il soggetto assomiglia ai film di Guédiguian, ambientati fra gli emarginati della periferia di Marsiglia, oppure a quelli di Kaurismaki in cui i poveri sognano un’inafferabile felicità. Ciò che distingue Kechiche da quei modelli è la totale moralità della sguardo e la rinuncia a qualsiasi intento didascalico. La comunità araba è descritta con tutte le sue contraddizioni, evitando ogni possibile pregiudizio e stereotipo. Le due famiglie litigano e si odiano, ma solidarizzano, coinvolte dal sogno del padre; le tradizioni religiose sono messe in crisi dall’impatto con i disvalori consumistici della società occidentale; il senso della famiglia, con i suoi riti collettivi, convive con maschilismo e tradimenti. Tutto sembra sciogliersi nel sentire comune del cibo, della musica e del ballo sensuale. Lo sguardo apparentemente non selettivo di Kechiche permette che la verità delle azioni e dei personaggi si manifesti inattesa e sorprendente attraverso lunghe pregnanti inquadrature con la mdp sempre addosso eppure rispettosa dei personaggi. Ne deriva una tensione drammaturgica che raramente incontriamo al cinema. L’altra grande riuscita mi è apparso Gli amori di Astrea e Céladon di Eric Rohmer (di cui abbiamo già parlato nel numero precedente di Film), straordinaria riflessione sul miracolo del manifestarsi dello spirito attraverso l’illusionismo dei linguaggi e delle rappresentazioni. Rinunciando al “realismo” e allo psicologismo delle serie delle Commedie e dei Proverbi il grande “teorico” della Nouvelle Vague mette in scena un’opera in versi settecentesca di Honoré d’Urfé, in cui si tratta d’amori e di fedeltà in una Gallia al tempo dei Druidi, totalmente di fantasia. Depurato da ogni obbligo di verisimiglianza il film coniuga leggerezza e astrazione, coinvolgendoci in un labirinto di forme, ove essere e apparire, sensualità e purezza, religiosità precristiana e panteismi entrano in una relazione poetica. Lo spirito ha a che fare con la rima barocca e il dolce frusciare del vento sui boschi incontaminati di una Francia ancora agreste. E veniamo al gruppo dei film di “denuncia” americani, applicati alla guerra in Iraq o allo strapotere dell’economia. Gli estimatori di Brian De Palma (Redacted) hanno apprezzato la sua consueta abilità nel manipolare tecnologie e le conseguenti forme di linguaggio, ma il soggetto del dramma – la violenza agita dalle truppe USA contro la popolazione civile – finisce per esserne depotenziato. Il film diventa una riflessione sulla manipolazione delle immagini più che una protesta civile contro la guerra imperialista.. Decisamente più tradizionale nelle scelte narrative, con una solida sceneggiatura lineare e la costruzione 61 di personaggi a tutto tondo (ben interpretatati da Tommy Lee Jones e Charlize Teron) In the Valley of Elah di Paul Haggis. Un padre svolge una ricerca personale sulle sorti del figlio “assente ingiustificato” dopo essere ritornato dall’Iraq, scoprendo così un quadro inquietante sulla vera natura della guerra. Alla fine, l’uomo farà un alzabandiera con le stelle e strisce americane rovesciate, non riconoscendosi più nei valori di un acritico patriottismo. Tony Gilroy con Michael Clayton ci ripropone in modo un poco stanco il noto acritico teorema secondo cui gli USA avrebbero gli anticorpi per vincere le forze del male. In questo caso, un avvocato in crisi d’identità (un George Clooney che rifà il verso al grande “Bogey”) riesce da solo a scardinare i piani di una grande azienda agrochimica inquinatrice. Abbiamo bisogno di fiabe, lasciateci sperare. Più stimolante il “politicamente scorretto” The Darjeling Limited di Wes Anderson che narra il viaggio scombinato e surreale di tre fratelli alla ricerca della madre fattasi suora al Nord dell’India. Umorismo sardonico, gag al limite dell’assurdo, spiazzamento continuo della consequenzialità del racconto nascondono un’ironia non poi tanto nascosta sui luoghi comuni conflitti fra colonialismo e impenetrabilità culturale dell’India. Se l’ennesima rivisitazione del mito di Jesse James (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford di Andrew Dominik) non ha lasciato alcuna traccia nella memoria degli spettatori, di notevole interesse è apparso il caleidoscopico I’m Not There (Io non sono qui) di Todd Haines, dedicato alla complessità della figura di Bob Dylan. La molteplice personalità del cantautore, rappresentata con una sceneggiatura a incastro in cui convivono le diverse fasi (reali o immaginarie) della vita di Dylan, sono lo specchio problematico della società americana, sospesa fra utopia e pragmatismo, arte e vita, tradizione e omologazione consumistica. Ken Loach sembra essere tornato in gran forma con Un mondo libero, in cui denuncia le nuove forme di sfruttamento della manodopera proveniente dall’Europa ex-comunista. Una impiegata licenziata da un’agenzia di collocamento di lavoro “interinale” (ah, le belle parole...) impara la lezione e da vittima diventa carnefice. Lucido, senza facili speranze e proprio per questo utile. Il film di Ang Lee, Lust, Caution (chissà se verrà tradotto letteralmente, Lussuria, attenzione!, il che produrrebbe un effetto esilarante) si divide in due parti, la prima, noiosa e prevedibile narra dei tentativi di seduzione di una giovane resistente nei confronti un collaborazionista al soldo dei giapponesi occupanti nella Shanghai del 1941. Nella seconda parte, l’adescamento a fini spionistici si trasforma in attrazione fatale fra i due, che si avvinghiano e copulano instancabilmente per almeno un’ora Film di film. Solo che la supposta “lussuria” del titolo si riduce a un erotismo inerte da “omelette norvegese” (come spiritosamente dice Positif), la cui preoccupazione precipua è quella di nascondere il pisello del povero Tony Leung. I film di Andrea Porporati Il dolce e l’amaro e di Vincenzo Marra L’ora di punta, pur lodevoli nelle buone intenzioni di far riaccostare il cinema italiano a temi di impegno civile (la mafia, la corruzione negli apparati dello Stato) purtroppo non funzionano per debolezze di sceneggiatura ed eccessi di didascalismo. Mi piace concludere con due film diversissimi fra loro, ma egualmente interessanti per la ricerca linguistica. Il grande Youssef Chahine assieme al suo assistente Khaled Youssef firma con Chaos un’opera acuta e beffarda, mescolando denuncia politica e melodramma, buoni sentimenti e ironia. Nel narrare la persecuzione di un poliziotto corrotto nei confronti di una donna difesa da un magistrato democratico (e la patetica rivolta di un quartiere vessata dai soprusi della polizia), il vecchio regista egiziano mette in scena una nuova opera popolare che unisce alle dichiarate finalità “didattiche” la rivisitazione intelligente del cinema di genere. Più sottile e raffinata l’operazione del catalano José Luis Guerin, regista di ricerca già impostosi all’attenzione per il suo rigore formale. Con Nella città di Silvia Guerin mette in scena il “pedinamento” (reale e metafisico) di un giovane pittore che insegue, dietro a diverse figure femminili, l’immagine di una donna sognata. Il film diventa una riflessione sul sogno e sulla rappresentazione, ricerca quasi religiosa di un segno puro attraverso la confusione e le contraddizioni del reale. Guerin si ispira contemporaneamente a Hitchcock e a Ozu. L’intrigo e la direzione di senso. La purezza del cinema. Troppo ambizioso per un festival. FUORI CONCORSO di FRANCESCA FELLETTI La sezione “Fuori Concorso” della 64esima edizione della Mostra di Venezia ha brillato, come pure i film della competizione, per la presenza di grandi autori. Affianco a una trascurabile “Venezia Notte”, che ha fatto parlare di sé solo per l’ennesima versione (The final cut) di Blade Runner di Ridley Scott e per la presenza di una bruna Scarlett Johansson nella commedia di Robert Pulcini e Shari Springer Berman Diario di una tata, una delle perle dell’intero festival è stata proprio “Venezia Maestri”. Woody Allen, Julio Bressane, Claude Chabrol, Amos Gitai, Im Kwon Taek, Takeshi Kitano, Carlo Lizzani, Manoel de Oliveira, i nomi dei grandi che hanno presentato la loro ultima creazione. In ordine alfabetico viene prima Allen, che pure con il suo Cassandra’s Dream non ha convinto la platea. Ma i film di Woody, probabilmente per la prolificità del loro autore, non sempre riescono a raggiungere le vette e, dopo i memorabili Match Point e Scoop pare ispirati dalla musa Johansson, qui siamo di fronte a uno dei “minori”. Il cast non è da poco: protagonisti Ewan McGregor e Colin Farrel nel ruolo di due fratelli che commettono un omicidio a scopo di lucro. Originale per la filmografia alle- Tutti i film della stagione niana l’ambientazione sociale nella lower class e geografica nella periferia londinese, ma la storia non riesce a decollare. Un tema, quello della colpa e della pena, del delitto e del castigo, ormai abusato dal regista americano che questa volta non riesce a essere convincente. Tutt’altro stile e registro per la Cleopatra di Julio Bressane: il mito dell’ultima regina d’Egitto viene descritto dal più sperimentale fra i registi brasiliani con la forza di immagini essenziali, dai colori saturi, al cui centro sta la plasticità erotica dei corpi di Cleopatra (Alessandra Negrini) e dei suoi due amanti romani: Cesare (Miguel Falabella) e Antonio (Bruno Garcia), l’amore intellettuale e il diletto di Bacco. Sullo sfondo, al posto delle sanguinose lotte di conquista dell’Impero Romano, la potenza della natura e la ricchezza della corte di Alessandria d’Egitto. Inedita Cleopatra in lingua portoghese. Sesso, amore e morte anche in La Fille coupée en deux di Claude Chabrol. La sensuale Ludivine Sagnier è una conduttrice televisiva in cerca del successo che si innamora dell’anziano e affermato scrittore Francois Berléand. L’uomo la conduce attraverso giochi erotici sempre più perversi per poi lasciarla. La ragazza cercherà consolazione nel matrimonio con il paranoico milionario Benoit Magimel, che non riuscirà a superare la gelosia per lo scrittore con tragiche conseguenze. Una storia tutta giocata sui limiti, sulla linea sottile che separa la vittima dal carnefice, la pazzia dalla bizzarria, la finzione dalla realtà. Interpreti all’altezza di una regia sempre credibile e coinvolgente, per l’ennesima affascinante storia di amour fou chabroliana. Arrivato al Lido all’ultimo momento Disengagement di Amos Gitai. Ed è stato davvero un peccato che le proiezioni siano state fatte “d’emergenza” sul piccolo schermo della Sala Pasinetti. L’inizio è folgorante: una palestinese (la sempre più interessante Hiam Abbass) e un israeliano si incontrano su un treno italiano e si baciano. Dopo i titoli di testa, le vicende di Ana (Juliette Binoche) che accoglie il fratellastro israeliano Uli (Liron Levo) giunto in Francia per i funerali del padre. A contatto con la parte mediorientale della sua vita, Ana decide di tornare in Israele per ritrovare la figlia abbandonata alla nascita, vent’anni prima. Incontra la ragazza in un kibbutz durante le operazioni militari per lo sgombero dei coloni israeliani da Gaza (2005), in cui è coinvolto come poliziotto anche Uli. Gitai riesce, ancora una volta, a fondere in un racconto appassionante la Storia del popolo ebraico con le singole vicende personali. Prende le cose da lontano, dall’Europa, e adotta il punto di vista di una francese per descrivere il dramma dell’ennesimo esilio, dell’ennesima violenza che colpisce il suo popolo. La tragedia viene stemperata dall’ironia senza per questo perdere forza e l’incontro fra madre e figlia getta una luce di speranza su un finale drammaticamente già scritto. La storia di un Paese, la Corea, anche nel commovente melodramma di Im Kwon Taek Beyond the Years, ovvero la storia di due bambini adottati da un cantante girovago. A Dongho viene insegnata l’arte del tamburo, mentre 62 Song-hwa è sottoposta a un durissimo training (che include la cecità permanente) per affinare le doti di cantante. Dong-ho non regge la situazione e scappa di casa, ma passerà il resto della sua vita a cercare la sorellastra da sempre amata. Anche qui il dramma umano si inserisce, facendo un passo indietro nel tempo, nella storia coreana: la tradizione del bel canto (che a orecchie occidentali appare dapprima lamentoso, ma poi strega con la sua ipnotica e triste melodia), il dramma sociale e quello umano del protagonista, destinato all’infelicità. Dalla tragedia alla commedia con Glory to the Filmmaker! di Takeshi Kitano, seconda parte della delirante trilogia sull’arte iniziata con Takeshi’s. Un manichino con tanto di maglietta blu targata “K crew” viene sottoposto a una tac e a svariati esami clinici, ma il consiglio del medico è : “Dica al signor Kitano di venire di persona, la prossima volta!”. Solo alla fine del film si scoprirà l’incurabile malattia del regista: il cinema. I sintomi della malessere dell’autore si rispecchiano nella stanchezza d’ispirazione: stufo dei soliti film di gangster e dubbioso sul gusto del pubblico, Kitano prova a girare un film classico in bianco e nero alla Ozu, poi si cimenta nel genere cappa e spada, in quello sentimentale, nella fantascienza, in un crescendo ironico e umoristico irresistibile. Nella seconda parte, il film si perde invece nei meandri grotteschi nella storia assurda e interminabile di due stravaganti truffatrici alle prese con situazioni imprevedibili. Peccato. Il buon artigiano Carlo Lizzani con Hotel Meina è di nuovo alle prese con una vicenda legata alla lotta contro il nazismo: sul Lago Maggiore nel ’43 gli ebrei ospiti del raffinato albergo vengono sequestrati all’interno dello stesso da un reparto di SS. Nonostante gli sforzi del proprietario dell’albergo e di un’affascinante tedesca antinazista, i non-ariani saranno uccisi e gettati nel lago. I buoni sono buoni (gli ebrei) e i cattivi sono proprio cattivi (le SS); i fatti sono prevedibili (e tristemente veri, dal saggio di Marco Nozza), lo svolgimento scolastico. Questo non vuole dire che il film non sia godibile o interessante, come talvolta lo sono le fiction in televisione. Lizzani è un buon narratore e il suo impegno ammirevole. Last but not least, il centenario Manoel de Oliveira. Instancabile, lucidissimo, questa volta vuole rivoluzionare la storia: e se Cristoforo Colombo fosse stato portoghese? Cristóvão Colombo - O Enigma racconta la vita di un giovane medico diviso fra il lavoro, l’amore per la moglie e la passione per le scoperte marittime portoghesi, il Portogallo e l’America. Impersonato in età “matura” proprio dal grande regista, il protagonista è convinto che colui che scoprì l’America fosse nato in Portogallo, nel paese di Cuba, nome che avrebbe poi dato all’omonima isola delle Antille. C’è una parte “storica”, tratta dal libro dei coniugi Manuel Luciano da Silva e sua moglie Sílvia Jorge, e c’è la vita vera dei coniugi de Oliveira che davanti alla macchina da presa non nascondono il sentimento di amore e profondo rispetto che li lega da tanto tempo. Quando la realtà commuove più della finzione. Film Tutti i film della stagione ORIZZONTI 2007 di LUISA CERETTO Paragonabile, per certi versi, a Un certain regard del festival di Cannes, Orizzonti è un interessante contenitore in cui si sperimentano linguaggi e formati differenti, dalla pellicola in 35 millimetri al digitale. Articolata in due sezioni competitive, Orizzonti (per i lungometraggi di fiction) e Orizzonti Doc (per i lungometraggi documentari), cui si aggiungono i fuori concorso di Orizzonte Eventi, quest’anno il filo rosso che ne ha unito i percorsi era individuabile in una scelta tematica tesa verso la documentazione antropologica e la testimonianza di realtà sociali conflittuali, da un lato, e una tematica più intimistica che ruota intorno ai rapporti umani e, in particolare, familiari colti nelle sue svariate sfumature ed eccessi, dall’altra. Si inserisce in quest’ultimo filone, il film portoghese, Mal nascida firmato da João Canijo, già assistente alla regia di nomi noti, come Manoel de Oliveira e Wim Wenders, e considerato figura di spicco nel panorama cinematografico portoghese odierno. Nel ritrarre le umiliazioni di una giovane donna, maltrattata e disperata per la morte del padre, tormentata dal ricordo del crimine e del tradimento della madre, cui non perdona di essersi rimaritata, la narrazione, gelida e cupa, talvolta eccede in tonalità da tragedia greca, senza tuttavia riuscire a restituire la drammaticità di fondo della vicenda. Forse, un’eccessiva attenzione nel rendere visibili e urlare certi conflitti, finisce col fare implodere quell’atmosfera claustrofobica (altrimenti ben descritta) del bar locanda. Il rischio è quello di un déjà vu. A proposito di tragedia greca, non si può non citare la riuscita rivisitazione in chiave contemporanea di Medea, a opera del torinese Tonino De Bernardi, interpretata dalla brava Isabelle Huppert, nei panni di una donna devastata dal dolore di un abbandono, che trascorre le sue notti in squallidi locali notturni, alla ricerca di compagnia per sfuggire alla solitudine e all’amarezza. Tuttavia Médée Miracle si discosta dal testo originale, almeno per quel che riguarda il finale. Vincitore del Leone d’oro con Still Life nell’edizione precedente, il cinese Jia Zhanke ritorna sugli schermi della mostra veneziana con Useless. Seguendo il lavoro della stilista Ma Ke il regista svela la realtà imprenditoriale dell’industria tessile in Cina e il quadro che ne esce è quello di una realtà complessa e articolata, contraddittoria, dove ancora, malgrado il modello vincente ed esportabile, vi sono importanti nodi da sciogliere. Un ritratto raffinato sul piano linguistico, ma che forse, proprio per questo motivo, rischia di cadere talvolta in una ricerca estetizzante un po’ fine a se stessa. In Xiaoshuo (The Oscure), l’ex direttore della fotografia di Zhang Yimou, Lü Yue, nel corso di un simposio tenutosi nella sede dell’Associazione degli scrittori in una piccola cittadina della Cina sud-occidentale, ne filma le conversazioni. La mdp segue la discussione, divagando qua e là e cogliendo momenti privati di alcuni protagonisti. Ne esce un lavoro interessante, una lettura inedita da parte di MICHAEL CLAYTON di Tony Gilroy intellettuali cinesi che si confrontano col loro paese, con i suoi recenti sconvolgimenti e cambiamenti, di fronte ai quali faticano a rapportarsi. Un film, dato l’argomento, destinato certamente a un ristretto pubblico, tuttavia meritevole di attenzione. Produttore di film di Marco Ferreri (El cochecito) e di Luis Buñuel (Viridiana), sceneggiatore e regista, Pere Portabella, classe 1929, è da considerarsi uno dei padri del cinema spagnolo. Con Die stille vor Bach il regista si cimenta nell’impresa non facile di ritrarre la vita e l’opera del celebre compositore. In un viaggio attraverso i secoli, dove il racconto si dipana seguendo storie differenti e dove la figura di Johan Sebastian Bach, seppure in maniera appena accennata, prende forma, è la musica la vera protagonista della pellicola. La musica che, grazie al suo potere evocativo, va oltre il proprio compositore, e riesce a comunicare, attraverso i secoli con uguale intensità il proprio messaggio. Nel procedere con la narrazione, Die stille vor Bach ci pare smarrire la sua brillantezza iniziale. E alcune scene, nell’intento di celebrarne il talento, rischiano un po’ la maniera. Quanto sopra non sminuisce il valore del film che è una dichiarazione d’amore per la musica e l’arte di Bach. Ne L’histoire de Richard O. veniamo in qualche misura sorpresi da un inizio a sorpresa: Richard O. ha agganciato una donna in un bar. La porta in una camera dove lei gli chiede di essere stuprata nel sonno. L’uomo invece la riprende con una videocamera. Al risveglio la donna si infuria e lo getta a terra facendogli battere la testa. Richard O. è morto. Da questo momento, ci verrà narrata la coazione a ripetere di un uomo incapace di controllare le proprie pulsioni sessuali. Il film di Daniel Odoul, che parafrasa spudoratamente nel titolo il ‘classico’ Histoire d’O, vorrebbe essere trasgressivo, ma finirebbe col divenire prevedibile se non venisse ‘salvato’ dalla prestazione ‘fisica’ di un Mathieu Amalrik sempre più versatile nell’affrontare ruoli lontanissimi gli uni dagli altri. 63 Non sostenuto d’alcunché se non dalla pretesa di narrare il degrado del nostro tempo è invece Il passaggio della linea di Pietro Marcello. Con riprese notturne su treni a lunga percorrenza, il regista vorrebbe raccontarci di un’umanità ormai vicina all’azzeramento. Riesce soprattutto a mostrarci immagini sgranate e dialoghi quasi incomprensibili, grazie a un sonoro sporco che vorrebbe fare tanto ‘cinema-verità’ e che invece riesce solo a irritare chi non abbia già pregiudizialmente sposato la causa dell’intellettualismo a tutti i costi. Chi invece ci ricorda che i registi con la R sanno passare dalla fiction al documentario con maestria e consapevolezza del mezzo è Jonathan Demme in Man from Plains. Seguendo la campagna promozionale dell’ultimo libro di Jimmy Carter, intitolato “Palesatine. Peace Not Apartheid”, Demme ci offre il ritratto di un ultratottantenne che continua la sua battaglia per la pace con l’onestà intellettuale di chi non ha il timore di indicare meriti e colpe di entrambe le parti in conflitto. È il ritratto di un’altra America distante anni luce da quella di George W. Bush. VENEZIA 64 – GIORNATE DEGLI AUTORI di DAVIDE DI GIORGIO Uno spazio in cerca della sua dimensione, in transito tra figure del nostro prestigioso passato (l’omaggio a Carlo Lizzani), la fiera difesa del cinema indipendente (la presentazione di Fabio Ferzetti spiega che “spetta ai festival difendere i suoi spazi di invenzione, estetica, produzione”) e un occhio che dal cinema italiano, decisamente ben rappresentato, muove verso le cinematografie di dieci altri paesi: questo il programma tracciato dalle “Giornate degli Autori”, giunte al loro quarto anno di attività e che si rivelano sempre più un interessante laboratorio che, nel rispetto di quell’autorialità invocata programmaticamente, si di- Film mostra capace di cercare sguardi in grado di radiografare il mondo contemporaneo, ma, allo stesso tempo, di tracciare nuove strategie di intrattenimento, ponendosi quindi a metà strada fra il prodotto d’essai e quello popolare. In questo senso, è interessante notare come molte delle figure riscoperte e dei nuovi nomi portati alla ribalta dal programma siano degli autori “borderline”, a cavallo fra sistemi produttivi e generi, capaci di armonizzarsi con l’industria per lavorare dall’interno la macchina cinema e dare vita a linguaggi personali. Come altrimenti definire la figura di Giulio Questi, “milite ignoto” del cinema italiano, omaggiato contemporaneamente nella retrospettiva dedicata al Western nostrano per il suo Se sei vivo spara e al quale Ferzetti e i suoi collaboratori hanno dedicato uno spazio mostrando al pubblico lagunare i cortometraggi realizzati in maniera totalmente autarchica nella solitudine di casa propria? La natura profondamente naïf dei lavori di Questi è affrontata con piglio interessato e curioso, in grado perciò di far riflettere sul ripiegamento personale di un cineasta da sempre interessato alla forza e alla centralità del linguaggio e che, per questo motivo, sfrutta questi lavori per una riflessione sulle proprie ossessioni (si veda la lotta partigiana nel più incisivo dei corti, Visitors). A queste possibili tendenze del nostro cinema, risponde Gianni Zanasi con il suo Non pensarci, che, in ossequio al dualismo arte/industria enunciato in precedenza, batte invece le più consolidate strade della commedia all’italiana, gratificata da un bel cast che vede in Tutti i film della stagione prima linea un convincente Valerio Mastandrea. Con ghigno beffardo e capacità di coinvolgimento, Zanasi racconta il ritorno a casa di un giovane musicista che deve fare i conti con il disfacimento della famiglia. La regia dimostra stile e la storia intriga per la sua capacità di non utilizzare l’ironia per stemperare l’amarezza, ma per amplificare anzi quel senso di disagio tipico della periferia apparentemente più sonnacchiosa, che si rivela invece coacervo di incomprensioni. Ritenuto da molti il miglior film italiano presente al festival, Non pensarci è senza dubbio il più onesto, privo com’è della presunzione dei più blasonati colleghi presentati in concorso e non. La tensione legata al complesso rapporto tra l’uomo e l’ambiente si ritrova anche negli ultimi due titoli che segnaliamo in questo spazio, ovvero Andalucia di Alain Gomis e Sous les bombes di Philippe Aractingi: frutto di una coproduzione franco-spagnola, Andalucia racconta le peripezie di Yacin, altissimo, dinoccolato e dall’aria spiritata, che passa da un lavoro all’altro in cerca di un qualcosa che non ha forma e che pare essere soltanto un motivo per domare l’irrequietezza innata che si porta dentro. Il film vive letteralmente dell’eccellente performance fornita dall’attore protagonista Samir Guesmi, che riesce a dare corpo e nervosa energia al continuo girovagare di Yacine e crea una grande empatia con lo spettatore, lieto di abbandonarsi alle continue torsioni narrative e caratteriali del personaggio e del mondo con cui lo stesso interagisce. Per questo motivo, Andalucia è un ottimo esempio di cinema libero e vitalistico, degno di essere recuperato. Più drammatico, ma non meno importante, è invece il contributo fornito da Agnes Poirier per creare il personaggio di Toni, il tassista cristiano al centro di Sous les bombes, toccante grido d’allarme contro la guerra in Libano. Philippe Aractingi, prolifico documentarista che alle spalle aveva un unico lungometraggio, un musical libanese campione d’incassi in patria, dirige il film con grande sensibilità e riscuote per questo gli entusiasmi della platea presente alla Mostra. La vicenda si dipana a partire dalla missione di Zeina, libanese sciita emigrata da tempo a Dubai, che torna a Beirut per ritrovare suo figlio, disperso dopo i bombardamenti israeliani dell’estate 2006. Quasi un instant-movie di una drammatica pagina della storia recente, Sous les bombes riesce a evitare ogni rischio di retorica, costruendo la vicenda come un appassionante road-movie, dove il viaggio di Zeina e Toni diventa momento di confronto tra due diverse concezioni del mondo: il tutto si riflette in un paesaggio devastato dai bombardamenti, ma che Aractingi riprende con rara sensibilità, gridando il suo dolore di uomo e testimone per una terra che, nonostante la distruzione, continua a riverberare la sua selvaggia bellezza e per questo offre una possibile speranza, nonostante la durezza della vicenda narrata. Un film che ci piacerebbe vedere distribuito e che eleva il programma della sezione dimostrando come sia possibile raccontare in maniera emozionante le tragedie dei nostri tempi. IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e degli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERI DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 64