97 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 97 Anno XV (nuova serie) n. 97 gennaio-febbraio 2009 Amore che vieni, amore che vai ............................................................. 37 Australia ................................................................................................. 16 Bambino con il pigiama a righe (Il) ........................................................ 13 Banda Baader Meinhof (La) .................................................................. 34 Canarina assassina (La) ........................................................................ 36 Come Dio comanda ............................................................................... 44 Coniglietta di casa (La) .......................................................................... 39 Dubbio (Il) ............................................................................................... 35 Duchessa (La) ........................................................................................ 23 Ex ........................................................................................................... 29 Gioco da ragazze (Un) ........................................................................... 15 Impy e il mistero dell’isola magica ......................................................... 28 Io non ci casco ....................................................................................... 41 Italians .................................................................................................... 4 Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Lezioni di felicità ..................................................................................... 12 Lower City .............................................................................................. 25 Lui, lei e Babydog ................................................................................... 24 Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Matrimonio all’inglese (Un) .................................................................... 20 Max Payne ............................................................................................. 43 Milk ......................................................................................................... 26 Millionaire (The) ..................................................................................... 2 Natale a Rio ........................................................................................... 32 Nemico del mio nemico (Il) .................................................................... 42 Operazione Valchiria .............................................................................. 10 Peso dell’aria (Il) .................................................................................... 31 Pugile e la ballerina (Il) .......................................................................... 46 Quel che resta di mio marito .................................................................. 22 Rachel sta per sposarsi ......................................................................... 9 Revolutionary Road ................................................................................ 7 Saw V ..................................................................................................... 30 Sette anime ............................................................................................ 18 Star Wars – La guerra dei Cloni ............................................................. 11 Strangers (The) ...................................................................................... 19 Tony Manero .......................................................................................... 45 Ultimatum alla Terra ............................................................................... 6 Valzer con Bashir ................................................................................... 40 Women (The) ......................................................................................... 3 Bimestrale di cultura cinematografica Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Si collabora solo dietro invito della redazione Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Chiara Cecchini Silvio Grasselli Elena Mandolini Diego Mondella Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Ivan Polidoro Valerio Sammarco Giuliano Tomassacci Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Film Tutti i film della stagione THE MILLIONAIRE (Slumdog Millionaire) Gran Bretagna, 2008 Interpreti: Dev Patel (Jamal K. Malik), Anil Kapoor (Prem Kumar), Freida Pinto (Latika), Madhur Mittal (Salim) Saurabh Shukla (sergente Srinivas), Rajendranath Zutshi (regista), Jeneva Talwar (tecnico del mixaggio video), Irrfan Khan (ispettore di polizia), Azharuddin Mohammedv Ismail (Salim da piccolo), Ayush Mahesh Khedekar (Jamal da piccolo), Tanvi Ganesh Lonkar (Latika adolescente),Ashutosh Lobo Gajiwala (Salim adolescente), Tanay Hemant Chheda (Jamal adolescente), Sunil Kumar Agrawal (sig. Chi), Jira Banjara, Sheikh Wali (guardie giurate dell’aeroporto), Mahesh Manjrekar (Javed), Sanchita Choudhary (madre di Jamal), Himanshu Tyagi (sig. Nanda), Sharib Hashmi (Prakash), Virendra Chatterjee (uomo dei bassofondi), Feroz Abbas Khan (Amitabh Bachchan), Virender Kumar (uomo nel fuoco), Devesh Rawal (ragazzo blu), Rubiana Ali (Latika da piccola), Ankur Vikal (Maman), Tiger (Punnoose), Chirag Parmar (Arvind giovane), Nazneen Shaikh (bambina), Farzana Ansari (amica di Latika), Anupam Shyam (anziano paesano), Salim Chaus (collezionista di biglietti), Singh Shera Family (famiglia in treno), Harvinder Kaur (famiglia in treno), Chirag Parmar (Arvind giovane), Mia Drake (Adele), William Relton (Peter) Durata: 120’ Metri: 3200 Regia: Danny Boyle Produzione: Christian Colson per Celador Films/Film4/Pathé Pictures International Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008) Soggetto: dal romanzo di Vikas Swarup Sceneggiatura: Simon Beaufoy Direttore della fotografia: Anthony Dod Mantle Montaggio: Chris Dickens Musiche: A.R. Rahman Scenografia: Mark Digby Costumi: Suttirat Anne Larlarb Produttori esecutivo: Tessa Ross, Paul Smith Produttore associato: Ivana Mackinnon Co-produttore: Paul Ritchie Direttore di produzione: Jennifer Wynne Casting: Gail Stevens, Loveleen Tandan Aiuti regista: Raj Acharya, Avani Batra, Sonia Nemawarkar, Yugandhar S. Narvekar Art director: Abhishek Redkar Arredatore: Michelle Day Trucco e acconciature: Virginia Holmes, Natasha Nischol Supervisore effetti visivi: Adam Gascoyne J amal, un ragazzo che lavora in un call center di Mumbai, sta per rispondere a una delle ultime domande del quiz “Chi vuol essere Milionario”, ma viene fatto arrestare dal conduttore perché convinto che lui stia imbrogliando. Il ragazzo viene portato al commissariato e qui, dopo atroci torture, confessa che ogni domanda che gli è stata posta era legata ad un avvenimento tragico della sua vita. I poliziotti non convinti, registrazione televisiva alla mano, gli chiedono di rac- contare ogni singolo episodio che ha portato alla risposta vincente. Jamal inizia la sua storia e i poliziotti vengono a scoprire che il ragazzo è cresciuto in un orfanotrofio dove mutilavano i bambini per farli mendicare, che poi, insieme al fratello Salim, è scappato e ha iniziato a vivere per le strade compiendo piccoli furti fino a quando quest’ultimo è entrato in una organizzazione criminale, mentre lui ha deciso di proseguire verso la strada dell’onestà con un unico pallino ri- trovare Latika, la ragazzina di cui è stato sempre innamorato e che ora è in balia della criminalità. Ai poliziotti dice, inoltre, che lui ha partecipato al quiz non per i soldi in sé, ma per ritrovare la ragazza, affezionata telespettatrice del programma e, con la vincita, riscattarla dalla protezione di un potente boss. La polizia incredula lo libera e gli permette di partecipare al gioco. Tutta l’India segue la puntata inclusa Lalika che, grazie all’aiuto di Salim che le regala anche il suo cellulare, riesce a scappare e ad arrivare alla stazione Victoria, luogo in cui Jamal un giorno le aveva detto che l’avrebbe aspettata. Nonostante le insidie del presentatore, il ragazzo arriva all’ultima domanda e, non conoscendo la risposta, usufruisce dell’opzione chiamata, ma invece di rispondergli, come pensava, sua fratello, dall’altro capo del telefono c’è Lalika che gli dice di essere libera. A Jamal non interessa più vincere e dà una risposta qualunque. È quella esatta e vince 20 milioni di rupie. In preda alla felicità corre alla stazione dove trova la sua amata ad attenderlo. I l regista inglese Danny Boyle deve avere qualche particolare legame con l’Asia. Probabilmente non trova sufficientemente ispirazione nella vecchia Inghilterra per ambientare le sue storie e così, dopo averci fatto innamorare 2 Film delle spiagge tailandesi in The Beach, ripunta sull’esotico con l’India di The Millionaire diventando uno dei casi cinematografici della stagione. Il titolo ricorderà qualcosa agli amanti dei quiz: è infatti il nome originale del format esportato in tutto il mondo che da noi è conosciuto come “Chi vuol essere milionario” e che vede un concorrente rispondere a una serie di domande di crescente valore economico che arrivano fino a un milione di euro. Il film di Boyle inizia proprio così, con un ragazzo, Jamal, alle prese con le ultime domande che lo separano dalla vincita di 20 milioni di rupie. Ma Jamal non è un giocatore qualsiasi, a lui non interessa il denaro, lui ha partecipato solo per ritrovare e salvare la donna che ama dai suoi aguzzini. Jamal non ha studiato, non è colto ha vissuto tutta la vita nei sobborghi di Mumbai insieme al fratellino truffando e rubando. Come fa a sapere, allora, tutte le risposte? Semplice, ogni domanda è legata ad un momento drammatico della sua vita. Questa spiegazione al limite dell’incredibile, però, non convince il perfido con- Tutti i film della stagione duttore, irritato dal fatto che un “poveraccio” possa diventare ricco, e per questo lo fa arrestare e torturare fino a quando non si arrende all’evidenza: Era scritto. C’è molta India in questa conclusione, in questa frase che per un occidentale ha un sapore scialbo ed inutile, mentre nel Paese delle tigri e delle città rosa è un principio di vita. Danny Boyle ha colto bene questo concetto che non è mera rassegnazione, ma un modo “gioioso” di accettare le intemperie, così come gli arcobaleni, dell’esistenza. È una frase che raccoglie quell’atarassia che gli occidentali ricercano da sempre e che, per un modus vivendi errato, trovano a fatica. Il regista a differenza del lavoro precedente, non si sofferma troppo sulle incongruenze del mondo che cerca pace nei luoghi esotici, ma regala frazioni, immagini, in cui europei e americani vengono, in maniera molto sottile, messi alla berlina. La cosa, però, finisce lì. Il resto della pellicola è dedicata alle avventure di Jamal che ci vengono svelate domanda dopo domanda e che vanno dall’infanzia nei bassifondi, passando per l’orfanotrofio-lager (atro- ce la scena del bambino mutilato), fino al primo approccio col crimine, quello vero, che il ragazzo rifiuta con ferocia. Sì, perché Jamal, nonostante nella sua vita si sia sporcato molto, e non solo metaforicamente, crede ancora in un lieto fine. E’ un ingenuo, un sognatore che conquista per le sue caratteristiche di eroe d’altri tempi che per la sua bella è pronto ad andare avanti sia con una colt puntata alle tempie che con lo sguardo indagatore della polizia addosso. Difficile non tifare, come i milioni di spettatori, per lui e non unirsi simbolicamente al balletto boollywoodiano che sancisce il lieto fine nella, stazione Victoria. Si mormora che The Millionaire sarà la sorpresa dei prossimi Oscar, statuetta a parte, è un film che merita veramente di essere visto perché unisce il divertissement di un film da botteghino alla “cura dei momenti”, riscontrabile solo nelle pellicole d’essai. E poi, regala un briciolo di speranza. In questi tempi “strani” ne abbiamo tutti bisogno. Francesca Piano THE WOMEN (The Women) Stati Uniti, 2008 Trucco: Julie Hewett, Melanie Hughes, Kelley Mitchell, Araxi Lindsey Acconciature: Cydney Cornell, Araxi Lindsey Supervisori effetti visivi: Mark Dornfeld Coordinatori effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisore costumi: Virginia Johnson Supervisore musiche: Chris Douridas Interpreti: Meg Ryan (Mary Haines), Annette Bening (Sylvia Fowler), Eva Mendes (Crystal Allen), Debra Messing (Edie Cohen), Jada Pinkett Smith (Alex Fisher), Bette Midler (Leah Miller), Candice Bergen (Catherine Frazier), Carrie Fisher (Bailey Smith), Cloris Leachman (Maggie), Debi Mazar (Tanya), India Ennenga (Molly Haines), Natasha Alam (Natasha), Ana Gasteyer (Pat), Joanna Gleason (Barbara Delacorte), Tilly Scott Pedersen (Uta), Lynn Whitfield (Glenda Hill), Jill Flint (Annie), Emily Seymour, Allison Seymour (April Cohen), Lauren Lefebvre, Lindsay Lefebvre (May Cohen), Isabella Panteledes, Olivia Panteledes (June Cohen), Madaliene Black (January Cohen), Meredith Black (January Cohen), Jana Robbins (commessa negozio lingerie), Maya Ri Sanchez (Dora), Ruby Hondros (Jimmy Choo Wearer), NiCole Robinson (signora), Danielle Perry (assistente del salone di bellezza), Lindsay Flathers (Taylor), Christy Scott Cashman (Jean), Celeste Oliva (Gilda), Denece Ryland (Cory) Durata: 114’ Metri: 3100 Regia: Diane English Produzione: Victoria Pearman, Mick Jagger, Bill Johnson e Diane English per Picturehouse Enterteinment/Inferno Distributions/Jagged Films/New Line Cinema/Shukovsky English Enterteinment Distribuzione: Bim Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) Soggetto: dall’omonima commedia teatrale di Clare Boothe Luce alla base della sceneggiatura di Anita Loos e Jane Murfin del film diretto da George Cukor nel 1939 Sceneggiatura: Diane English Direttore della fotografia: Anastas N. Michos Montaggio: Tia Nolan Musiche: Mark Isham Scenografia: Jane Musky Costumi: John A. Dunn Produttori esecutivi: Jim Seibel, Bobby Sheng, James W. Skotchdopole Direttore di produzione: Daniel Hank Casting: Amanda Mackey Johnson, Cathy Sandrich Aiuti regista: Chris Surgent, Takahide Kawakami, Kenyon Noble Operatore: Susan Starr Operatore steadicam: Brant S. Fagan Art director: Mario Ventenilla Arredatori: Debbie Cutler, Mimi Wastein S ylvia, direttrice del giornale Cachet, scopre, per bocca di una manicurista pettegola, che il ma- rito della sua migliore amica Mary tradisce la moglie con una commessa del reparto profumi. 3 Indecisa sul da farsi, interpella le altre due amiche del gruppo Edie e Alex e insieme concordano di non dire nulla a Film Mary per evitare di farla soffrire. Quest’ultima, però, finisce sotto le grinfie della manicurista impicciona e ben presto viene a conoscenza dei tradimenti del marito. In un primo momento, e sotto consiglio materno, fa finta di nulla e cerca di ravvivare l’interesse del marito, poi però, ci ripensa e chiede il divorzio. Sylvia, intanto, si trova in cattive acque e chiede a una famosa giornalista di collaborare con lei per risollevare le sorti del suo giornale. Questa accetta in cambio di qualche informazione sulla storia del divorzio dell’amica. Sylvia messa alle strette accetta. La vicenda viene pubblicata con dovizia di particolari su un noto tabloid, rendendo la vita di Mary, se possibile, ancora più triste. Sylvia sentendosi in colpa confessa, ma l’amica non accetta le sue scuse. Mary, dopo aver incassato l’ennesimo tradimento, decide di ripartire da se stessa: segue diversi corsi e con l’aiuto della madre apre un atelier. Passa del tempo, Sylvia e Mary fanno pace e, grazie a una crescente autostima, Mary ha successo in tutto: nella moda come nella vita e diventa una donna nuova. Se ne accorge anche l’ex marito, ormai stanco dell’amante, che cerca di riconquistarla. Mary, ancora innamorata, prova a dargli una seconda opportunità, a patto che lui si attenga alle sue nuove regole. L ’eterno femminino non muta mai. La Storia, fra le righe, ci ha raccontato “la donna” in continuo cambiamento e questo ha creato l’illusione, o che si voglia, l’inganno, di un’immagine femminile costantemente più moderna, emancipata e perché no, più intelligente. Niente di più sbagliato, perché a cambiare non è l’essenza, ma l’approccio che la società ha, di volta in volta, con questo universo così incomprensibile che è la donna. Basta sfogliare, infatti, qualche pagina di letteratura, a caso, senza guardare l’autore o l’epoca e si ritroveranno delle caratteristiche universali che l’accompagnano da sempre quasi fossero parte di un unico patrimonio genetico. Un esempio è The Women di Diane English trasposizione, o meglio, ultima trasposizione cinematografica dell’omonima commedia teatrale di Clare Boothe Luce del 1936. Le date in questo caso sono importanti perché avallano la teoria iniziale. Le donne di Boothe Luce, infatti, sono le stesse di George Miller (altro remake del 1956) che a loro volta sono le stesse che propo- Tutti i film della stagione ne oggi Diane English, a dispetto di tutte le chiacchiere sulla mascolinità del gentil sesso postmoderno. C’è da dire, però, che la trama aiuta la causa; si parla infatti di tradimento e di rivalità femminile, due situazioni classiche che di per sé non hanno collocamento temporale o sociale e si prestano facilmente allo svisceramento di tutte le possibili variazioni sul tema “donna”, dal dolore all’isteria, passando per quella straordinaria forza di reazione che permette loro di rialzarsi all’ennesimo terremoto. Così come succede alla protagonista Mary che, dopo aver scoperto l’infedeltà del marito con Crystal, una donnetta da due soldi, riprende in mano le redini di una vita che l’aveva relegata per troppo tempo a semplice comparsa. Interessante notare, a tal proposito, la caratterizzazione dei due personaggi principali: Mary, la moglie, la mamma, la dolcezza e Crystal, l’amante, l’inganno, la cattiveria. Se ci si riflette un po’ sono due versioni assolutistiche di un unico essere, l’angelo e la sgualdrina che in ogni donna si contendono il predominio totale delle azioni. Nel film della English la felice scelta di questi due ruoli è caduta su Meg Ryan per Mary e Eva Mendes per quello dell’antagonista. Si diceva scelta felice perché grazie a una fisicità stereotipata, rassicurante, la Ryan, e trasgressiva, la Mendes, al pubblico, prevalentemente femminile, viene offerta la facile possibilità di parteggiare per l’una e coprire di rimbrotti l’altra, che poi è un gioco. Tornando al film va rimarcato, ahimè, un grave errore: in fase di scrittura si è scelto di creare un’atmosfera, dei dialoghi, che ricordano irrimediabilmente l’ormai nota serie Sex & the City. Una caduta di stile che dalla English non ci aspettavamo, perché, sebbene la pellicola scorra leggera, a volte si ha quella brutta sensazione di “riciclato” che fa perdere un po’ il gusto della visione. A riparare parzialmente al danno ci pensano i personaggi secondari, delle femmes agées, che, come nelle migliori società matriarcali, dispensano consigli e ricordano alle nuove leve che l’investimento su se stesse è la miglior arma per combattere il dolore. Effettivamente, al di là di tradimenti, di uomini o di pettegolezzi, il vero fulcro del film è proprio questo: la riscoperta dell’identità. Purtroppo i toni della commedia e le sue maglie troppo strette non permettono di dare troppo corpo al concetto, con il risultato di vedere in pellicola un classico manuale di autosostegno. Una scelta che potrebbe anche piacere, visto il successo ottenuto da queste pubblicazioni, ma che a livello tecnico è la conferma di un’incapacità a uscire dagli schemi sicuri della mediocrità nazionalpopolare. Probabilmente la English non voluto osare, o forse ha dimenticato, in questa giungla che è lo showbusiness, un assioma fondamentale dell’universo femminile: quando serve bisogna cacciar fuori le unghie. Laccate naturalmente. Francecesca Piano ITALIANS Italia, 2008 Regia: Giovanni Veronesi Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Andrea Agnello Direttore della fotografia: Tani Canevari Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Scenografia: Laura Pozzaglio Costumi: Gemma Mascagni Effetti: Alessandro Salomone Interpreti: Carlo Verdone (Giulio Cesare Carminati), Sergio Castellitto (Fortunato), Riccardo Scamarcio (Marcello Polidori), Ksenia Rappoport (Vera), Dario Bandiera (Vito Calzone), Remo Gironi (Roviglione) Durata: 116’ Metri: 2830 4 Film Tutti i film della stagione N el primo episodio, Fortunato, dopo aver passato gran parte della vita a trasportare Ferrari rubate negli Emirati Arabi per conto di un’azienda romana, decide che è ora di mettersi in “pensione” e lasciare il suo posto a qualcuno più giovane. Il prescelto è Marcello, e per iniziarlo al mestiere, lo porta con sé nel suo ultimo viaggio a Dubai. Durante il tragitto, Fortunato, cerca in ogni modo di trasmettere l’amore per le Ferrari a Marcello, ma quest’ultimo è concentrato a comprendere gli usi e costumi arabi, così lontani da quelli occidentali. Durante una sosta, si fermano a casa di un amico di vecchia data di Fortunato che ha una figlia con il volto deturpato da un’ustione e che necessita di una costosissima operazione. Il giovane Marcello ne rimane colpito e cerca di instaurare un dialogo con la ragazza. Il suo mentore, però, lo riporta subito all’ordine preoccupato da una eventuale reazione negativa del padre della donna. I giorni trascorrono tranquilli fra bagordi vari, ma durante una festa succede l’imprevedibile: Marcello si scontra con un pilota inglese per questioni patriottiche causando l’arresto suo e di Fortunato. L’unico modo di uscire di galera è gareggiare, al posto del pilota malconcio, in una competizione automobilistica. Fortunato si prende questa responsabilità e vince addirittura l’ambito premio in denaro di 30mila dollari. Liberi e con un sacco di soldi, i due si avviano verso casa, ma, dopo molte titubanze, decidono di destinare i soldi della vincita per l’operazione al viso della figlia del loro amico. Durante il viaggio di ritorno, in nave, Marcello confessa a Fortunato di essere un poliziotto e di averlo seguito solo per arrestarlo. Detto questo, va a prendere un caffè lasciando la possibilità a Fortunato di scappare. Nel secondo episodio, Giulio, un dentista rinomato, è costretto ad andare a un congresso a San Pietroburgo. L’uomo, in verità, vorrebbe evitare di andarci perché ancora depresso per il divorzio dalla moglie. Un suo amico, allora, per cercare di rallegrargli la vita gli dà il numero di Vito, un organizzatore di viaggi a sfondo sessuale in Russia. Giulio lo chiama e, già dall’aeroporto, si ritrova ad avere a che fare con le strampalate idee di questo imprenditore del sesso. Giulio è fortemente imbarazzato e il disagio aumenta quando, durante una cena di gala, sempre grazie a Vito, scambia la sua interprete per una prostituta. La donna lo rimprovera aspramente sciorinando tutti i luoghi comuni dell’italiano nei paesi dell’Est Europa, poi particolarmente piccata si vendica durante le traduzioni, volontariamente sbagliate. Intanto Vito organizza una grande festa a casa di un noto esponente della malavita locale e convince Giulio a seguirlo. Qui, il dentista, rimane vittima dei giochi erotici di una sadomasochista, mentre Vito seduce la figlia del padrone di casa. Quest’ultimo, scopertolo inizia a dare la caccia, insieme ai suoi scagnozzi, ai due italiani. Vito viene subito ucciso, mentre Giulio, grazie all’intervento della sua interprete, si rifugia in un orfanotrofio. Stare insieme ai bambini, fa rinascere l’uomo che decide di non tornare più in Italia. A noi italiani piace tanto riempirci la bocca con affermazioni del tipo “Siamo simpatici” o “Abbiamo il cuore d’oro”. Di questo ne siamo certi e portiamo avanti questa bandiera di giullari d’amore con orgoglio e fierezza. Nulla di riprovevole. Lo sbaglio nasce dalla convinzione che gli altri, intesi come quelli che vivono in altri Paesi, debbano necessariamente pensare lo stesso e apprezzare il nostro colore perché “gli italiani piacciono a tutti”. In proposito avrei dei dubbi... Basta guardare il modo, la falsa cortesia con cui si rivolgono a noi (e questo a tutte le latitudini) per intuire cosa passa loro per testa. E non sono cose belle. Ma noi, forti delle nostre credenze, continuiamo, continuiamo a farci ridere dietro senza capire che non ridono per noi, ma di noi. Veronesi ha colto la palla al balzo e di questa tendenza ne ha tratto un film Ita5 lians che sulla carta aveva tutti i numeri per essere “il circo” da accompagnare al (poco) “pane” quotidiano. Sulla carta appunto. La pellicola, divisa in due racconti ben distinti, infatti, mostra senza pietà (per lo spettatore) il ritratto di due tipologie di italiani all’estero. Il primo vede un truffaldino Sergio Castellitto scorazzare per gli emirati arabi con uno Scamarcio apprendista cialtrone al seguito, e il secondo un Carlo Verdone alla prese con il sesso a pagamento a San Pietroburgo. Ora, al di là delle scelte del regista, ci si aspettava qualcosa di più; l’italiano all’estero è praticamente la “bengodi cinematografica” di un autore di commedia che non può e non deve ripiegare nei banali cliché da cinepanettone come, ad esempio, l’uomo affetto da priapismo indomito in trasferta, perché al cinema, quello di evasione, non si richiede certo un sostrato di intelletualismo comprensibile solo a una schiera di prescelti, ma neanche uno strombazzare di volgarità becero e insensato. L’ideale è una via di mezzo che si chiama cinema brillante e che il nostro Paese, tranne rari esempi, non è più capace di produrre. Non basta strizzare l’occhio a Sordi, c’è bisogno di energia fresca che si traduca in pellicole che valgano la pena di essere viste. Questa faciloneria cinematografica, inoltre, non fa bene neanche agli attori, perché non si può certo dire che Castellitto non sappia recitare, anzi, dimostra sempre un talento camaleontico che non si può che apprezzare anche in questa pellicola; o Verdone, ormai un simbolo, una masche- Film ra nazionalpopolare quasi intoccabile. Ma qui vengono penalizzati, poiché manca quel “quid” che fa la differenza e che non è certo imputabile a loro. Italians, insomma, non convince e, ad Tutti i film della stagione aggravare la situazione, ci si mettono pure i due finali smielati che danno il contentino morale a quelli che credono che la cafoneria- nel migliore dei casi- si possa compensare con “un cuore grande”. Una nota di merito, invece, va data a chi ha montato il trailer: in assoluto la cosa migliore del film! Francesca Piano ULTIMATUM ALLA TERRA (The Day The Earth Stood Still) Stati Uniti/Canada/Australia, 2008 Supervisori effetti visivi: Williams Mesa (Flash Film Works), Kevin Rafferty, R. Christopher White (Weta Digital), Benjamin Seide (Elektofilm), Jeffrey A. Okun Coordinatori effetti visivi: Daniel Chavez (Hydraulx), Andrea Goodson (Flash Film Works), Scott Puckett, Romulo Adriano Jr. Interpreti: Keanu Reeves (Klaatu), Jennifer Connely (Dr. Helen Benson), Kathy Bates (Segretario Difesa Regina Jackson), Jaden Smith (Jacob Benson), John Cleese (Prof. Barnhardt), Jon Hamm (Michael Granier), Kyle Chandler (John Driscoll), Robert Knepper (colonnello), James Hong (Mr. Wu), John Rothman (Dr. Myron), Sunita Prasad (Rouhani), Juan Riedinger (William Kwan), Sam Gilroy (Tom), Tanya Champoux (Isabel), Rukiya Bernard (studentessa), David Lewis (poliziotto in borghese), Lloyd Adams (agente che guida), Mousa Kraish (Yusef), J.C. Mackenzie (Grossman), Kurt Max Runte (ingegnere civile), Daniel Bacon (Winslow), Richard Keats, Bill Mondy, Judith Maxie (scienziato in elicottero), Reese Alexander (sergente), Serge Houde, Lorena Gale (scienziati), Stefanie Samuels (guardia), Richard Tillman (sergente dell’esercito), George Shaperson (poliziotto), Roger R. Cross (Generale Quinn), Heather Doerksen (assistente di Regina), Alisen Down Durata: 104’ Metri: 2810 Regia: Scott Derrickson Produzione: Paul Harris Boardman, Gregory Goodman, Erwin Stoff per 3 Arts Entertainment/Earth Canada Productions/ Twentieth Century-Fox Film Corporation Distribuzione: 20th Century Fox Italia Prima: (Roma 12-12-2008; Milano 12-12-2008) Soggetto: dalla sceneggiatura di Edward H. North del film del 1951 diretto da Robert Wise Sceneggiatura: David Scarpa Direttore della fotografia: David Tattersall Montaggio: Wayne Wahrman Musiche: Tyler Bates Scenografia: David Brisbin Costumi: Tish Monaghan Direttori di produzione: Juliette Davis, Scott Thaler Casting: Heike Brandstatter, Mindy Marin, Coreen Mayrs Aiuti regista: Pete Whyte, Matthew D. Smith, Robert Rogers, Chad Belair Operatore: Stephen S. Campanelli Art director: Don Macaulay Arredatore: Elizabeth Wilcox Trucco: Jill Bailey, Allan A. Apone, Francisco X. Pérez Acconciature: Susan Boyd Effetti speciali trucco: Kyla-Rose Tremblay, Chad Washman L a giovane scienziata Helen Benson viene chiamata dalla polizia federale per una missione segretissima: monitorare, insieme ad altri colleghi, un meteorite che sta per schiantarsi su New York. Con grande stupore di tutti, al momento dell’impatto, l’oggetto volante atterra dolcemente su Central Park e si dimostra essere un’astronave da cui fuoriesce un alieno. Tutta la polizia è schierata con le armi puntate. Da una pistola fuoriesce un proiettile che colpisce l’alieno prontamente ricoverato in una struttura militare. Durante il processo di guarigione lo strano essere prende forma umana, dice di chiamarsi Klaatu e di avere un messaggio importante per l’incolumità degli abitanti della Terra. La sottosegretaria del Presidente, però, sottovaluta le parole dell’alieno e lo fa portare nei laboratori per studiarne la struttura molecolare. Qui Klaatu incontra Helen che subito si dimostra disponibile ad ascoltarlo. L’alieno le rivela che la Terra sarà presto distrutta a meno che gli uomini non cambino condotta e che sarà proprio lui a dare inizio alla catastrofe se non verrà ascoltato dai capi delle nazioni. Helen sentito questo parla immediatamente con la sottosegretaria, ma lei minimizza ulteriormente il problema, scatenando le ire di Klaatu che evade ed inizia a compiere, aiutato dall’automa Gort, una mattanza, La città di New York è semidistrutta. Il panico è ovunque. Klaatu, a però ha bisogno di un farmaco e contatta Helen. La donna insieme al figlio corre in suo aiuto e cerca di capire il perché di tanta cattiveria. L’alieno le spiega che la Terra, per colpa dell’uomo, sta morendo e che per salvarla bisogna che quest’ultimo muoia perché non c’è niente di buono in lui. Helen, mentre tutto intorno viene assalito da insetti demolitori, cerca di fargli capire che anche l’uomo ha degli aspetti positivi e che bisogna concedergli una possibilità. Klaatu è irremovibile, porterà a termine il suo piano. 6 A un certo punto, però, ascolta un discorso fra Helen e suo figlio e ne rimane colpito. Convinto che forse c’è ancora speranza per gli umani ritira lo sciame devastatore e lascia la Terra. G li amanti della fantascienza, o più in generale del buon cinema, sicuramente ricorderanno quel piccolo gioiellino firmato Robert Wise che è Ultimatum alla Terra. Erano gli anni ’50 e il pericolo più grande, lo dimostrano le tante pellicole in proposito, era un attacco nucleare da parte di uno dei due blocchi costituitisi dopo la Seconda Guerra Mondiale. In questo film, con un garbato buonismo, un alieno invitava la Terra a cambiare regime se non voleva vedere distrutta la razza umana. Una pellicola a sfondo pacifista, come molti ricordano, che una certa critica, purtroppo, tende a snobbare considerandola di serie B e piena di imperfezioni narrative. Pareri discordanti a parte, vale la pena di vederla. Stesso consiglio non si può dare, in- Film vece, per l’omonimo remake di Scott Derrickson. Al di là del (bel) messaggio ecologista che ha sostituito la Guerra Fredda e dell’ottima recitazione di Jennifer Connelly, Kathy Bathes e Keanu Reeves il film è veramente desolante. Addirittura soporiferoed è un film pieno di effetti speciali- in molti momenti! Mettere a paragone il vecchio con il nuovo è un’operazione ridicola e non conviene neanche perderci del tempo, però, è interessante analizzare alcuni aspetti di Ultimatum alla Terra 2008, perché, se non funzionali al film, sicuramente ottimi indicatori di uno “stato d’animo” generale. Tutti i film della stagione Ciò che colpisce maggiormente lo spettatore attento è il bambino, interpretato dal piccolo Smith junior, un concentrato di tutto ciò che c’è di brutto nell’animo umano. Dalla sua bocca, infatti, inopinatamente escono parole tipo “uccidere, ammazzare il nemico”, ed escono quasi prive del loro significato come se “l’altro”, lo “sconosciuto” fosse, a prescindere, da eliminare. Come in un grande videogioco dove tutto è finto, dove basta premere pausa riposarsi e ricominciare. Il bambino parla con l’alieno, ma non chiede spiegazioni, accusa convinto di sapere già tutto, convinto di essere nel giusto. Come la sottosegretaria di Stato tron- fia nel suo piccolo potere, in quella presunzione prometeica che da sempre ha relegato la razza umana a ingranaggio guasto dell’ecosistema. Neanche l’alieno, però, in questa carrellata di personaggi meschini riesce a galleggiare. Cattivo e spietato, quasi robotico, ricorda pericolosamente quegli umani che tanto disprezza, specialmente quando cerca di “diffondere”, costi quel che costi, le sue idee. È violento, uccide indiscriminatamente, salvo poi commuoversi, ritirarsi e lasciare dietro di sé solo distruzione. O vita, dipende dai punti di vista. Francesca Piano REVOLUTIONARY ROAD (Revolutionary Road) Stati Uniti/Gran Bretagna, 2008 Regia: Sam Mendes Produzione: Bobby Cohen, Karen Gehres, John Hart, Sam Mendes, Scott Rudin per DreamWorks SKG/BBC Films/Evamere Entertainment/Neal Street Productions/Goldcrest Pictures/Scott Rudin Productions Distribuzione: Universal Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009) Soggetto: dal romanzo omonimo di Richard Yates Sceneggiatura: Justin Haythe Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Tariq Anwar Musiche: Thomas Newman Scenografia: Kristi Zea Costumi: Albert Wolsky, Sandi Figueroa Produttori esecutivi: Henry Fernaine, Marion Rosenberg, David M. Thompson Co-produttore: Gina Amoroso Direttore di produzione: Ann Ruark Casting: Ellen Lewis, Debra Zane Aiuti regista: Joseph P. Reidy, John Silvestri, Christian Vendetti, Amy Lauritsen Operatore steadicam: Maceo Bishop Art directors: Teresa Carriker-Thayer, John Kasarda, Nicholas lundy Arredatore: Debra Schutt Trucco: Michelle Paris, Linda Melazzo, Carla Antonino, Sian Grigg, Scott Hersh A pril e Frank Wheeler sono una giovane coppia che abita nel quartiere residenziale di Revolutionary Road. Si amano molto e si sentono diversi dall’ambiente borghese e perbenista che li circonda. Ben presto però ogni loro sogno di felicità imperitura viene fagocitato da una quotidianità stressante e opprimente. April è costretta ad abbandonare ogni velleità artistica in favore di una vita da casalinga e Frank è imprigionato in un lavoro insoddisfacente e noioso. La vita di coppia ne risente, le litigate Acconciature: Alan D’Angerio, Thom GonzalesAnita Roganovic Coordinatore effetti speciali: John Stifanich Supervisore effetti visivi: Randall Balsmeyer Supervisore musiche: Randall Poster Supervisore costumi: Gail A. Fitzgibbons Coreografie: Cynthia Onrubia Interpreti: Leonardo Di Caprio (Frank Wheeler), Kate Winslet (April Wheeler), Michael Shannon (John Givings), Ryan Simpkins (Jennifer Wheeler), Ty Simpkins (Michael Wheeler), Kathy Bates (Signora Helen Givings), Richard Easton (Signor Howard Givings), Sam Rosen, Maria Rusolo, Gena Oppenheim, Kathryn Dunn, Allison Twyford, Jonathan Roumie, Samantha Soule, Heidi Armbruster, Neal Bledsoe, Marin Ireland, Christopher fitzgerald (ospiti della festa), David Harbour (Shep Campbell), John Ottavino, Adam Mucci, Jo Twiss, Frank Girardeau (attori), Catherine Curtin (donna del pubblico), Kathryn Hahn (Milly Campbell), Zoe Kazan (Maureen Grube), Dan Da Silva (Knox, addetto all’ascensore), Dylan Baker (Jack Ordway), Keith Reddin (Ted Bandy), Max Casella (Ed Small), Max Baker (Vince Lathrop), Jay O. Sanders (Bart Pollack), Chandler Vinton (receptionist Knox), Duffy Jackson (Steve Kovac), Kristen Connolly (Signora Brace), John Behlmann (Signor Brace) Durata: 119’ Metri: 3100 si fanno ogni giorno più accese tanto che Frank, per evadere, inizia una relazione clandestina con la sua segretaria e April a perdere il gusto per la vita. Tutto questo fino a quando lei ha un’idea: mollare tutto e partire per la Francia, dove, insieme alla famiglia, ricominciare tutto da capo. Frank è entusiasta all’idea. Tutto sembra ritornato come un tempo fino a quando un giorno gli viene proposto un avanzamento di carriera in ufficio con uno stipendio molto alto. L’uomo va in crisi, non 7 sa cosa fare. La risposta, però, arriva involontariamente dalla moglie che gli comunica di essere incinta. Considerata la nuova situazione, Frank dice alla moglie che non partiranno e che rimarranno a Revolutionary Road. April è furibonda e inizia a manifestare degli strani disturbi. Ogni sua speranza di cambiare vita è infranta e butta questa sua frustrazione sul marito. Le litigate si susseguono fino a che un giorno tutto apparentemente torna tranquillo. April ha trovato la soluzione dei suoi problemi. Film Dopo aver salutato affettuosamente i bambini e Frank si dirige lentamente in bagno e si procura un aborto. Qualcosa va storto. Inizia a perdere molto sangue e, nonostante il ricovero in ospedale, muore fra la disperazione del marito. L i avevamo lasciati alla latitudine 41°Nord, mentre la morte distruggeva ogni promessa e l’oceano gelava ogni speranza, con la certezza, però, che qualcosa sarebbe sopravvissuto, che una parte avrebbe meritato l’eterno. Li ritroviamo oggi, più adulti, in Revolutionary Road contornati da una bella casetta bianca e due bambini, quasi a soddisfare la voglia ossessiva di chi, per undici anni, si è immaginato un futuro matrimoniale per gli sfortunati Jack e Rose. Ma, attenzione, la coppia che vive nella “strada rivoluzionaria” non è la stessa che si abbracciava sulla prua di Titanic, Frank e April sono diversi, normali e maledettamente veri. Come tante altre coppie si conoscono a una festa, lui fa una battuta lei sorride, poi qualche uscita, il fidanzamento, il matrimonio e l’ingenua speranza di essere “speciali”, di non poter essere mai risucchiati dal perbenismo della provincia, dai meccanismi di una società borghese che imprigiona. Frank e April si sentono liberi, non vedono ostacoli alla loro corsa verso la felicità, una felicità da ottenere a ogni costo. Non pensano al denaro, ma alla realizzazione della propria identità e ci credono fino a quando tutto cambia, lentamente inesorabilmente. Questa volta, però, non ci sono iceberg, classi sociali o fato a distruggere la loro unione, ma qualcosa di molto, molto più pericoloso: la realtà. Tutti i film della stagione L’ultimo lavoro di Sam Mendes Revolutionary Road , tratto dal romanzo omonimo di Richard Yates, racconta proprio questo: l’autopsia, meticolosa, lacerante dell’amore di un uomo e una donna incarnati dalla coppia Leonardo Di Caprio e Kate Winslet, ancora una volta insieme dopo il kolossal di James Cameron, Titanic. Parlare di questo film è estremamente difficile. Lo è lo stesso “parlare” dopo averlo visto. È una di quelle pellicole che riesce a toccare non solo i sentimenti, ma anche i nervi dello spettatore, quelli protetti, quelli nascosti, quelli che fanno più male. Questo perché Mendes è riuscito a mettere a nudo, in maniera esasperatamente realistica, la crisi della coppia senza banalizzarla, evitando di creare una situazione straordinaria sopra le righe per giustificarla. Il dramma è lì, presente, vicino, è l’insoddisfazione nello scoprire che tutto ciò che si sognava era un bluff. Frank lo comprende prima e, in qualche modo, si adatta a una vita banale, diventando lui stesso un mediocre. April, invece, non vuole, non può accettare che la sua trascorra così. È nervosa, isterica, scostante fino all’incomprensibile, fino a quando non decide che è ora di cambiare. E allora la Francia, un Paese sconosciuto, diventa per lei, la meta da raggiungere, il luogo sacro dove ricominciare. April prende da sola questa decisione, nel silenzio di una casa vuota diventata prigione, Frank, però, la appoggia. Difficile comprendere la sua scelta. Il regista fa intuire che anche l’uomo avesse voglia di cambiare, ma una voglia superficiale che, infatti, sembra spegnersi appena si profila un avanzamento di carriera. Frank pare quasi voler solo assecondare la moglie per un momento, concederle qualche giorno di illusione. Perché è lei che organizza tutto, il marito è solo spettatore dell’euforia della donna e beneficiario di tutto ciò che ne scaturisce, tra cui la rinnovata passione. April, ormai soddisfatta nei suoi intenti, infatti, riscopre l’amore per il marito. Tutta la frustrazione, esauditi i suoi desideri, scompare per lasciare spazio a un erotismo assopito. Poi, però, accade qualcosa, una gravidanza inattesa accolta da Frank come una conferma, mentre da sua moglie come un ostacolo. Gli equilibri sono definitamente distrutti. Il baratro ha iniziato ad inghiottirli. Ma, mentre l’uomo cerca disperatamente di aggrapparsi alla realtà, di ricostruire, di capire (forse troppo tardi), April si lascia trasportare da una pazzia che la avvolge, la domina fino a riconsegnarcela in un ultimo atto drammatico e crudele. Chi ha ragione? Chi ha sbagliato? Impossibile dirlo. In un primo momento, forse, tutta l’empatia va ad April, impeccabile nel suo ruolo di madre e moglie, mentre a Frank, con i suoi modi da playboy da due soldi e la sua scialba amante, resta solo il biasimo. Poi, però, quando la delusione della donna diventa odio distruttore che il marito, pur sforzandosi, non riesce a contenere, risulta difficile prendere una posizione netta. Frank è un debole, un mediocre, si era detto, ma nel prosieguo del film acquista spessore, perché riesce ad andare oltre gli egoismi personali in favore del benessere della moglie, ormai, però, irrecuperabile. Sam Mendes dipinge tutto questo in maniera accurata, nella morbosa ricerca del dettaglio in un’America anni ’50, ricostruita come in un carosello sbiadito. Non racconta, lascia parlare, parlare i suoi personaggi fino a quando i sussurri diventano urla e le urla lacrime. Kate Winslet e Leonardo Di Caprio, nei panni dei coniugi April e Frank Wheeler, regalano agli spettatori una performance memorabile. Nei loro volti è scolpito tutto il dolore della vicenda, le loro viscere e la loro carne sono completamente a servizio degli alter ego cinematografici tanto che a volte si ha l’impressione che, quasi, ne siano posseduti. Revolutionary Road è, in conclusione, una pellicola ineccepibile sotto ogni profilo che riuscirebbe a mantenere tiepido solo il giudizio di chi non ha mai avuto, nemmeno da giovane, la speranza di non farsi “modellare”, il sogno di un amore vero, o l’illusione di cambiare il mondo. Di chi, insomma, ha avuto paura di vivere. Francesca Piano 8 Film Tutti i film della stagione RACHEL STA PER SPOSARSI (Rachel Getting Married) Stati Uniti, 2008 Regia: Jonathan Demme Produzione: Neda Armian, Marc E. Platt per Clinica Estetico/ Marc Platt Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Prima: (Roma 21-11-2008; Milano 21-11-2008) Soggetto e sceneggiatura: Jenny Lumet Direttore della fotografia: Declan Quinn Montaggio: Tim Squyres Musiche: Donald Harrison Jr., Zafer Tawil Scenografia: Ford Wheeler Costumi: Susan Lyall Produttori esecutivi: Carol Cuddy, Ilona Herzberg Produttori associati: Elizabeth Hayes, Innbo Shim, Jared Yeater Direttore di produzione: Carol Cuddy Casting: Tiffany Little Canfield, Bernard Telsey Aiuti regista: H.H. Cooper, Nate Grubb, Jennifer Truelove Operatore: Gerard SAva Art director: Kim Jennings Arredatore: Chryss Hionis Trucco: Louise McCarthy, Evelyne Noraz, James Sarzotti K ym esce da un centro di riabilitazione per malati psichici per recarsi al matrimonio della sorella Rachel. Arrivata a casa, viene accolta benevolmente da parenti e amici tutti presi dai preparativi per le imminenti nozze. Kym, però, è insofferente, vorrebbe quell’attenzione che tutti dedicano alla sorella. Per riportare i riflettori su di lei, allora, inizia a straparlare e a raccontare a chiunque i suoi drammi. In particolare uno che ha segnato la vita di tutta la famiglia, la morte accidentale del fratellino per mano sua. La famiglia, e in particolare Rachel, è turbata dal ricordo del dramma vissuto e ciò scatena una serie di accuse e insulti, che portano Kym a scappare di casa la sera prima del matrimonio. La ragazza si rifugia dalla madre, ma anche lì non riesce a tenere a freno la sua esuberanza e in un impeto di rabbia, la picchia; poi prende la macchina e va a schiantarsi in un dirupo. Fortunatamente viene trovata, con solo qualche livido, dalla polizia che la riporta a casa in tempo per le nozze. Rachel viste le condizioni della sorella si commuove ed inizia a lavarla e truccarla per la cerimonia. Il matrimonio è un successo, tutti sembrano stare bene inclusa Kym che non ha eccessi psicotici. Il giorno dopo tutti si salutano e serenamente Kym torna in riabilitazione. Acconciature: Frank Barbosa, Alan D’Angerio Effetti speciali trucco: Sunday Englis Supervisori effetti visivi: Eric J. Robertson Interpreti: Anne Hathaway (Kym), Rosemarie DeWitt (Rachel), Mather Zickel (Kieran), Bill Irwin (Paul), Anna Deavere Smith (Carol), Anisa George (Emma), Tunde Adebimpe (Sidney), Debra Winger (Abby), Jerome Le Page (Andrew), Beau Sia (Norman Sklear), Dorian Missick (Dorian Lovejoi), Kyrah Julian (sorella di Sidney), Carol Jean Lewis (madre di Sidney), Herreast Harrison (nonna di Sidney), Gonzales Joseph (cugino di Sidney), Paul Lazar (Al), Donald Harrison Jr., Fab 5 Freddy (se stessi), Robert W. Castle (giudice Castle), Tareq Abboushi, Johnny Farraj, Gaida Hinnawj, Dimitrios Mikelis, Amir El Saffar (musicisti), Christy Pusz (amica di famiglia), Molly Hickok (Molly), Maria Dizzia (giovane cliente alla moda), Josephine Demme (vicina di casa), Marin Ireland (Angela Paylin), Elizabeth Hayes (Susanna), Roger Corman (ospite matrimonio) Jimmy Joe Roche, Big Jim Wheeler Durata: 114’ Metri: 2985 P assato in sordina al Festival di Venezia e snobbato al botteghino, Rachel sta per sposarsi merita, invece, più di qualche apprezzamento perché rappresenta un riuscito esempio di cinema che va “oltre”. Oltre il semplice intrattenimento, oltre l’emozione fagocitata e digerita, oltre gli stereotipi, ma ferocemente attaccato alla realtà. Jonathan Demme, il regista, non ha voluto fare un film. Ha preferito fingersi un anonimo invitato che, con una videocamera a mano, ha raccontato l’evolversi di una vicenda familiare durante i preparativi per le nozze. Con una cinepresa piccola, infatti, ci si può insinuare negli angoli, nascondersi dentro un armadio e non essere visti mentre si ascoltano confessioni o si rubano momenti di intimità domestica. Demme ha preferito che la sua mano tremasse, che le riprese ogni tanto fossero ballerine per regalare al suo pubblico questi frammenti di emozioni. Dunque, la scelta che doveva penalizzare il film, ne diventa il suo punto di forza, di energia pulsante. In fondo, come si poteva raccontare il dramma di Kym se non in punta dei piedi? Sì, Kym, perché la Rachel del titolo, è “solo” la sorella che si sposa, è solo il pretesto per uscire due giorni da un centro di recupero e richiedere attenzione. A Kym, una straordinaria Anne Hathaway, non importa, infatti, che tutti, amici e parenti, siano a casa sua per festeggiare la sorella. A lei non importa di rovi- 9 nare tutto, vuole violentemente essere “vista”, compresa, perdonata. Non lascia scampo neanche allo spettatore a cui chiede costantemente clemenza. Vuole spiegare, far comprendere la malattia mentale, renderla familiare, anche a chi come Rachel, la studia su fredde pagine di un compedio di psichiatria. Ma non solo, chiede affetto, si rifiuta di concederlo colpevolizzando il prossimo in un sottile ricatto psicologico che vede come unica vittima il padre, un uomo fragile e immensamente innamorato delle figlia. Sua madre e sua sorella, invece, frustrano ogni suo tentativo di isteria e, paradossalmente, rispetto al padre, le concedono quella dignità acquisita dopo mesi di riabilitazione, così lontana, però, dal perdono sperato per aver causato la morte del fratellino. Questo il tema centrale del racconto, il detonatore di sentimenti che la garbata sceneggiatura di Jenny Lumet, illustra in un crescendo di tensione che porta alla domanda: si può amare tanto una persona e allo stesso tempo odiarla profondamente? Demme non ci offre una risposta, ma un ventaglio di proposte tra cui scegliere quella più affine, mentre l’orchestrina ignara suona e i restanti invitati ballano e cantano su ritmi esotici, quasi a ricordare che la felicità va condivisa, mentre il dolore è un fardello da portare da soli. Francesca Piano Film Tutti i film della stagione OPERAZIONE VALCHIRIA (Valkyrie) Stati Uniti/Germania, 2008 dt, Don Rutherford, Elizabeth Villamarin, Richard Wetzel, Randy Westgate Acconciature: Ailbhe Lemass, Lucia Mace, Sarah Monzani, Yasmin Iqbal Supervisore effetti speciali: Allen Hall Coordinatori effetti speciali: Kevin Hannigan, Andy Weder Coordinatori effetti visivi: Kevin Noel (SPI), Debora Neumann Supervisori costumi: Dulcie Scott, Richard Olaf Zintel, Pamela Wise Interpreti: Tom Cruise (Colonnello Claus von Stauffenberg), Kenneth Branagh (Maggiore Generale Henning von Tresckow), Bill Nighy (Generale Friedrich Olbricht), Tom Wilkinson (Generale Friedrich Fromm), Carice van Houten (Nina von Stauffenberg), Thomas Kretschmann (Maggiore Otto Ernst Remer), Terence Stamp (Ludwig Beck), Eddie Izzard (Generale Erich Fellgiebel), Kevin McNally (Dottor Carl Goerdeler), Christian Berkel (Colonnello Mertz von Quirnheim), Andy Gatjen (Ufficiale SS), Jamie Parker (Luogotenente Werner von Haeften), David Bamber (Adolf Hitler), Tom Hollander (Colonnello Heinz Brandt), David Schofield (Erwin von Witzleben), Kenneth Cranham (Wilhelm Keitel), Halina Reijn (Margarethe von Oven), Werner Daehn (Maggiore Ernst John von Freyend), Harvey Freidman (Dottor Joseph Goebbels), Matthias Schweighofer (luogotenente Herber), Waldemar Kopbus (capo della polizia Wolf-Heinrich von Helldorf), Florian Panzner (2° luogotenente Hagen), Ian McNeice (Generale), Danny Webb (Capitano Haans), Chris Larkin (Sergente Helm), Matthew Burton (Luogotenente-generale Adolf Heusinger), Philipp von Schulthess (assistente di Tresckow), Wotan Wilke Mohring (Sergente Kolbe), Christian Oliver (Sergente-Maggiore Adam), Bernard Hill, Julian Morris (Generali), Helmut Stauss (dr. Roland Freisler), Tim Williams (dottore), Karl Alexander Seidel (Franz von Stauffenberg) Durata: 121’ Metri: 3460 Regia: Bryan Singer Produzione: Gilbert Adler, Christopher McQuarrie, Bryan Singer per United Artists/Achte Babelsberg Film/Bad Hat Harry Productions/Sessions Payroll Management Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Christopher McQuarrie, Nathan Alexander Direttore della fotografia: Newton Thomas Sigel Montaggio: John Ottman Musiche: John Ottman Scenografia: Lilly Kilvert, Patrick Lumb Costumi: Joanna Johnston Produttori esecutivi: Tom Cruise, Ken Kamins, Chris Lee, Puala Wagner Co-produttori: Nathan Alexander, Lee Cleary, Henning Molfenter, Jeffrey Wetzel, Charlie Woebcken Direttori di produzione: Chris Brock, Oliver Luer, Chrisann Verges Casting: Roger Mussenden Aiuti regista: Lee Cleary, Jeffrey Wetzel, Jesse Allen, David Arnold, Basia Baumann, Nicolai Bode, Ola Czarniecka, Sabina Franke, Christoph Joecker, Marissa Kaplan, T. Sonny Klawitter, Sabrina Kunert, Anja Lill, Caitlin Pickall, Jim Probyn, Sharon Ryba-Kahn, Oneil Sharma, Manuel Siebert, Matthew D. Smith, Peter Soldo, Richard von Groeling, Patrick Winkler Operatore/Operatore steadicam: P. Scott Sakamoto Supervisori art direction: Keith Pain, Ralf Schreck, John Warnke Art directors: Jan Jericho, John B. Josselyn, Cornelia Ott, Su Whitaker Arredatore: Bernhard Henrich Trucco: Ailbhe Lemass, Sarah Monzani, Bill Corso, Leslie Devlin, Ed French, Camille Henderson, Yasmin Iqbal, Mike Mekash, Myke Michaels, Mareike Maya Mietke, Ned Neidhar- I l Colonnello Claus Von Stauffenberg, soldato leale dell’esercito tedesco è sempre riuscito a stento a controllare la sua netta opposizione alla follia hitleriana e alle persecuzioni razziali. Il grave ferimento subito (perde la mano destra, l’occhio sinistro e due dita della mano sinistra) durante un bombardamento del fronte nordafricano lo costringe a rientrare a Berlino come comandante della riserva. Può così contattare i generali Von Tresckow, Olbricht e Beck, di cui conosceva le convinzioni antihitleriane, per realizzare finalmente l’obiettivo sognato da numerosi alti ufficiali della Wermacht e da esponenti dell’aristocrazia: eliminare Hitler e tutta l’oligarchia nazista, il colpo di stato, la Germania di nuovo libera e lontana dagli orrori. La preparazione dell’attentato va così avanti tra certezze, dubbi e imprevisti (Von Tresckow trasferito inaspettatamente sul fronte orientale); non solo, i congiurati decidono di servirsi del pro- gramma di emergenza che proprio Hitler aveva predisposto per l’eventualità che fosse morto: l’Operazione Valkiria. La prima parte sembra riuscire: il 20 Luglio 1944 durante la riunione del Consiglio di Guerra nella Tana del Lupo, lo stesso Von Stauffenberg piazza una borsa con dell’esplosivo a tempo sotto il tavolo delle riunioni; dopo qualche minuto la bomba fa il suo dovere, l’esplosione è grande, la costruzione è distrutta, non possono esserci dubbi sull’esito dell’attentato. Von Stauffenberg torna a Berlino e dà il via alla seconda parte del piano: Olbricht si sostituisce all’equivoco generale Fromm per dare gli ordini cifrati dell’Operazione Valkiria. Il reggimento motorizzato di stanza nella capitale entra in azione; gli alti comandi delle SS sono arrestati, le stazioni militari cadono una dopo l’altra in mano ai ribelli. Quando tutto sembra volgere al meglio succede qualcosa di incredibile: al comandante delle truppe Valkiria in pro10 cinto di arrestarlo, Joseph Goebbels passa un telefono; all’altro capo del filo c’è Hitler in persona, è vivo, sta bene ed è ancora al comando, impartisce gli ordini affinché tutti i congiurati siano arrestati e consegnati vivi. La notizia che il Führer è scampato ancora una volta a chi lo voleva morto, fa in un secondo il giro della città; sono tagliate le linee telefoniche del quartier generale della congiura che così si affloscia di colpo. Il generale Fromm, la cui ambiguità aveva forse fatto illudere, prende in mano la situazione e preferisce far piazza pulita, mandando subito i congiurati davanti al plotone d’esecuzione (anche lui, però, sarà fucilato qualche mese dopo). Von Stauffenberg muore augurando lunga vita alla santa Germania. L a storia vera dell’ultimo attentato a Hitler (anche se i particolari sono, ancora oggi, sconosciuti e Film non si sa come le cose siano andate sul serio) ha interessato a tal punto Tom Cruise e il suo gruppo realizzativo da farne un film e da sopportare stoicamente gli infortuni, i sinistri, i guai accaduti durante la lavorazione e le problematiche distributive del dopo: in seguito ai primi saggi di proiezione in America la pellicola è stata stroncata (Cruise considerato finito) e successivamente tagliata, rimontata e confezionata di nuovo per l’uscita in Europa. Il film che si presenta ora per lo spettatore italiano ci sembra diviso nettamente in due parti molto diverse l’una dall’altra. La prima, la preparazione del complotto, è piuttosto noiosa e statica, basata del tutto sugli incontri e i dialoghi tra i personaggi. La seconda, articolata in uno splendido montaggio e accompagnata da una musica di gran livello (non è un caso che per entrambi sia accreditato lo stesso autore, John Ottman), diventa avvincente, serrata come un thriller, nonostante rappresenti un fatto di cui tutti conosciamo la conclusione. Nella cura dell’ambientazione scenografica e dei costumi, i pezzi, le sequenze, i momenti di cinema ben fatto sono più d’uno: l’alternanza di notizie e la frammentarietà delle prove che illudono dapprima i congiurati e man mano lasciano il campo allo sgomento è davvero magistrale; bene rispondono gli Tutti i film della stagione attori a cominciare da Cruise, la cui comprensione, un passo dopo l’altro, del disastro a cui sta andando incontro, il fallimento di un’idea, il suo Paese ancora nella vergogna, la sua famiglia amatissima che non rivedrà più, è umanamente e professionalmente toccante. Interessante risulta il quadro, forse inaspettato in un film sbrigativamente accolto e discusso che descrive con la stessa forza e senza giudizio le reazioni di entrambe le parti: sia coloro che appoggiano il complotto e alla fine sono spazzati via dal fallimento, sia coloro che sono dalla parte del Führer e alla fine risultano vincitori, esprimono le stesse sensazioni, comuni, normali, misere e sublimi, come misera e sublime è la vita di ogni essere umano. Fabrizio Moresco STAR WARS - LA GUERRA DEI CLONI (Star Wars: The Clone Wars) Stati Uniti, 2008 Storyboard: Steward Lee, Justin Ridge Voci: Matt Lanter (Anakin Skywalker), Ashley Eckstein (Ahsoka Tano), James Arnold Taylor (Obi-Wan Kenobi), Dee Bradley Baker (soldato clone/Capitano Rex/Cody), Tom Kane (Yoda/Narratore/Ammiraglio Yularen), Nika Futterman (Asajj Ventress), Ian Abercrombie (Cancelliere Palpatine/ Darth Sidious), Corey Burton (Generale Loathsom/Ziro the Hutt/Kronos-327), Chaterine Taber (Padme Amidala), Matthew Wood (droide da combattimento), Kevin Michael Richardson (Jabba), David Acord (Rotta), Samuel L. Jackson (Mace Windu), Anthony Daniels (C-3PO), Christopher Lee (Conte Dooku) Durata: 98’ Metri: 2600 Regia: Dave Filoni Produzione: George Lucas, Catherine Winder per CGCG/Lucasfilm Animation/Lucasfilm Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 19-9-2008; Milano 19-9-2008) Soggetto: George Lucas Sceneggiatura: Henry Gilroy, Steven Melching, Scott Murphy Montaggio: Jason Tucker Musiche: Kevin Kiner Produttore esecutivo: George Lucas Produttore associato: Sarah Wall Aiuto regista: Dave Bullock, George Samilski Trucco: Aurora Bergere Coordinatore effetti visivi: Tom Hendrickson L a guerra dei Cloni infiamma la Repubblica Galattica. Un gruppo dei Separatisti della Confederazione dei Sistemi Indipendenti arriva sul pianeta Tatooine e rapisce Rotta the Hutt, il figlio del contrabbandiere Jabba the Hutt. Quest’ultimo si rivolge alla Repubblica affinché lo aiutino a ritrovare il figlio. Frattanto, i Separatisti ingaggiano battaglia contro l’esercito della Repubblica sul pianeta Christophsis, scontro che viene vinto grazie all’intervento di ObiWan Kenobi e Anakin Skywalker. Mentre il nemico si prepara a riattaccare giunge inaspettatamente la giovane Padawan Ahsoka Tano, mandata dal maestro Yoda con discepola di Anakin, che si unisce a lui e Obi-Wan riconquistando Christophsis. 11 Yoda spiega ai due Jedi che il rapimento di Rotta fa parte del piano del Conte Dooku per convincere Jabba a passare dalla loro parte in modo da poter sfruttare così le sue rotte commerciali. Mentre Obi- Wan si reca a Tatooine per rassicurare Jabba, Anakin e Ahsoka vanno invece sul pianeta Teth dove pare sia tenuto nascosto Rotta. Arrivati sul pianeta, i due riescono a libe- Film rare il figlio di Jabba, ma vengono presi in trappola dal Conte Dooku che vuole incolpare gli Jedi del rapimento così da allontanare Jabba e convincerlo ad allearsi con i Separatisti. Aiutati da R2-D2, Anakin e Ahsoka riescono a fuggire da Teh e a fare ritorno su Tattoine per riportare Rotta dal padre ma sono inseguiti ancora di droidi di Dooku. Intanto su Coruscant, la senatrice Padmé Amidala cerca di convincere Ziro the Hutt, zio di Jabba, a collaborare con la Repubblica, ma questi rifiuta perché ritiene ci sia proprio la Repubblica dietro il rapimento del nipote. Padmé scopre che invece è proprio Ziro il responsabile del rapimento, avendo complottato con Dooku per togliere di mezzo Jabba e prendere lui il controllo del clan familiare e dei suoi affari. La senatrice viene fatta prigioniera, ma riesce a scappare grazie all’aiuto di C-3PO e a fare arrestare Ziro. Intanto su Tatooine, Ahsoka riesce a riportare Rotta da Jabba, mentre Anakin si batte contro Dooku. I piani dei Separatisti sono sventati ancora una volta, ma la guerra continua. I veri fan di Guerre Stellari faranno meglio ad astenersi da Star Wars – La guerra dei cloni: non sono loro i diretti interessati, non sono loro il pubblico Tutti i film della stagione di riferimento. Il tema immortale di John Williams riarrangiato da Kevin Kiner accompagna l’inizio del film, dal quale però scompare l’altrettanto mitica a immortale scritta a scorrimento “In una galassia lontana lontana”, sostituita da una voice over di commento e introduzione. Lo scopo quasi dichiarato dell’ultima fatica di George Lucas, produttore esecutivo, è di preparare il terreno e conquistare quella fascia di pubblico che ancora non si è appassionata alla saga, cioè il pubblico infantile, sintonizzato sui canali di cartoni 24 ore su 24 e destinatario del nuovo merchandising che già gremisce i negozi di giocattoli. Il film infatti non è altro che una pura e semplice operazione di marketing per lanciare la nuova serie animata ispirata ai personaggi e alle vicende della secondo trilogia, quella per intenderci che introduce l’infanzia, l’adolescenza e il passaggio al Lato Oscuro della Forza del jedi Anakin Skywalker, il futuro Dart Fener (o Darth Vader). Cronologicamente il film in questione si pone a metà strada tra Star Wars Episodio II – L’attacco dei Cloni e Star Wars Episodio III – La vendetta dei Sith. Ma, al di là di questo (Lucas è stato un pioniere del merchandising e dei gadget, comunque tanto di cappello), Star Wars – The Clone War non convince assolutamente come film in sé e per sé. La trama è più che mai un pretesto, con dialoghi banali e colpi di scena insignificanti e l’introduzione di addirittura due nuovi personaggi femminili, la giovane apprendista jedi Ahsoka Tano e Asajj Ventress, spietata agente del Conte Dooku, non basta a portare novità a cose già viste e riviste. Ma a parte la sceneggiatura, quello che lascia perplessi è l’animazione, considerando soprattutto l’intervento della Light & Magic di George Lucas. Gli autori si sono ispirati all’animazione giapponese e alla serie televisiva anni ’60 Thunderbirds per dare nuova vita animata ai personaggi in carne ed ossa, evitando però programmaticamente una resa eccessivamente realistica. Il risultato non convince del tutto, proprio a causa di questa scelta che rende i personaggi umani statici, legnosi e troppo poco inespressivi per poter dare peso a battute tutto sommato mediocri. Le sequenze di battaglia sono ben realizzate anche se non paiono sfruttare del tutto il potenziale offerto dagli effetti speciali e dalla computer grafica. Il tentativo di rinverdire il mito di Guerre Stellari e rilanciarlo presso le nuove generazioni può dirsi, in definitiva, poco riuscito. Chiara Cecchini LEZIONI DI FELICITÀ (Odette Toulemonde) Belgio/Francia, 2007 Produttori esecutivi: Genevieve Lemal, Alexandre Lippens, Olivier Rausin Suono: Philippe Vandendriessche Effetti: Thomas Larocca, Lucie Bories Interpreti: Catherine Frot (Odette Toulemonde), Albert Dupontel (Balthazar Balsan), Jacques Weber (Olaf Pims), Fabrice Murgia (Rudy), Nina Drecq (Sue Ellen), Alain Doutey (l’editore), Camille Japy (Nadine), Julien Frison (François), Laurence D’Amelio (Isabelle), Aissatou Diop (Florence), Philippe Gouders (M. Dargent), Nicolas Buysse (Polo), Bruno Metzger (Jésus), Erik Burke (Filip), Jacqueline Bir, Cindy Besson Durata: 100’ Metri: 2600 Regia: Eric-Emmanuel Schmitt Produzione: Gaspard De Chavagnac e Romain Le Grand e Anne-Dominique Toussaint per Bel Ombre Films/Antigone Cinema/Pathè Renn Production/TF1 Films Distribuzione: Videa-CDE Prima: (Roma 7-3-2008; Milano 7-3-2008) Soggetto e sceneggiatura: Eric-Emmanuel Schmitt Direttore della fotografia: Carlo Varini Montaggio: Philippe Bourgueil Musiche: Nicola Piovani Scenografia: François Chauvaud Costumi: Corinne Jorry O dette Toulemonde lavora in un centro commerciale in un piccolo paese della provincia belga. La sua vita è apparentemente monotona, ma lei riesce a cogliere la felicità nelle piccole cose e a sorreggere la famiglia nonostante una dolorosa vedovanza. Ad aiutarla in questa impresa ci pensano i romanzi di Balthazar Balsan che le infondono il giusto ottimismo per affrontare la vita. Odette ha, infatti, per quest’uomo una forma di venerazione e il suo sogno più grande è incontrarlo per ringraziarlo. L’occasione arriva con il tour promozionale del nuovo libro che porta lo scrittore a Bruxelles. Odette si prende una pausa dal lavoro e corre a mettersi in fila in libreria, ma, arrivato il suo turno, non riesce a dirgli neanche il suo nome. Tornata a casa, allora, decide di scrivergli una lettera, in cui racconta quanto lui sia importante nella sua vita. 12 La missiva viene ignorata da Balthazar che, dopo aver scoperto che la moglie lo tradisce con un critico, viene preso da una terribile depressione e tenta il suicidio. Fortunatamente si salva, ma nella stanza d’ospedale realizza che nessuno gli vuole veramente bene. Ritornato a casa ritrova per caso la lettera d Odette e, commosso per le sue parole, decide di andare a vivere per un po’ da lei. Film La donna all’inizio è sorpresa, ma poi accetta la strana proposta. Passano i giorni, la convivenza ridona ottimismo a Balthazar, tanto che propone a Odette di andare a letto con lui. Lei garbatamente rifiuta. Vista la situazione l’uomo si vede costretto ad andare via e ritornare alla sua normalità, ma non ci riesce e, insieme al figlio, raggiunge Odette al mare dove sta passando alcuni giorni di vacanza. Lei lo accoglie con estrema affettuosità e insieme passano delle piacevoli giornate. Un giorno la donna fa una sorpresa a Balthazar: gli fa trovare nel suo salotto la moglie e il suo editore che lo convincono a tornare a casa e alle sue vecchie occupazioni. Pochi minuti prima della partenza, però, Odette ha un malore e viene ricoverata in terapia intensiva. Al suo risveglio, trova al capezzale Balthazar che le dichiara il suo amore e le propone di passare il resto della vita insieme. Odette avendo capito che non è un capriccio accetta. L ezioni di felicità è un film delizioso, un po’ come una grossa e colorata meringa che non sazia la fame, ma regala per qualche minuto un’esplosione glicemica che mette di buon umore. La pellicola non illustra miracolose ricette per rendere la vita favolosa, ma, più semplicemente, racconta il mondo di Odette Toulemonde, una donna qualunque, ma straordinariamente invidiabile perché nella sua quotidianità riesce e cogliere quegli sprazzi di luce che le permettono di rialzarsi dopo ogni sgambetto di un destino Tutti i film della stagione che con lei non è stato particolarmente galante, costringendola giovanissima a una dolorosa vedovanza con in più due figli problematici da crescere. Ciononostante tutto intorno a lei è leggero, come le piume che ogni notte cuce sui vestiti delle ballerine per arrotondare il magro stipendio da commessa; talmente leggero che spesso riesce a volare grazie anche ai romanzi del suo scrittore preferito Balthazar Balsan. L’uomo, al contrario di Odette, è invece depresso, frustrato da critiche impietose e incapace di gestire, come accade per molti artisti, serenamente il successo. Quale migliore cura allora se non conoscere la donna che ha fatto della sua persona l’oggetto di una adolescenziale idolatria? Sull’incontro di questi due poli opposti, il drammaturgo e scrittore Eric-Emmanuel Schmitt ( già autore di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano) costruisce una favoletta sdolcinata, buonista, ma non mediocre che esalta le “fantasticherie” elevandole a mezzo per combattere il dolore e, allo stesso tempo, consegna al suo pubblico un personaggio femminile straordinario, surreale e in egual maniera comune. Odettte è, infatti, quella che nella realtà si potrebbe definire una donna insulsa, è il pubblico che nessun artista (come fa notare un critico nel film) vorrebbe avere perché ignorante, sempliciotta, una che fa diventare tale tutto ciò che sceglie, ma è anche quel tipo di donna custode di una saggezza popolare a cui si ricorre quando tutto il resto fallisce, a cui basta uno sguardo per capire ed una parola per consolare. Di Odette ce ne sono tante in giro e la grettezza umana permette, grazie a una stupida appendice prima del cognome, di trattarle con sufficienza e di sorridere compiaciuti davanti al loro piccolo mondo merlettato dove ci sono troppi ninnoli è vero, ma nessun antidepressivo. Schmitt riabilita questo tipo di donna e coglie l’occasione per fare, con dolcezza, un’accusa pesante al mondo degli intellettuali e al loro gestire la cultura come patrimonio di una casta ristretta a discapito di tutto ciò che viene definito “nazionalpopolare”. Il regista fa chiaramente capire di non escludere aprioristicamente il valore di un prodotto elitario, ma chiede più tolleranza verso tutte quelle espressioni artistiche che, pur se non perfette, suscitano in chi le fruisce qualche minuto di sana evasione, un po’ come fa questo film, a cui si riescono a perdonare tanti difetti in virtù della positività che riesce a emanare. Non si può non rimanere contagiati, infatti, dall’allegria di Odette che, sulle note di Joséphine Baker, trasforma dei semplici lavori domestici in siparietti da rivista, o dalla sua umanità quando consiglia a una donna, palesemente maltrattata dal compagno, alcuni rimedi per non “sbattere contro la porta”. Se poi si aggiunge l’ottima interpretazione di Catherine Frot e la colonna sonora di Nicola Piovani arricciare il naso è veramente difficile. Francesca Piano IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE (The Boy in the Striped Pyjamas) Stati Uniti, 2008 Regia: Mark Herman Produzione: David Heyman per BBC Films/Heyday Films/Miramax Films Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di John Boyne Sceneggiatura: Mark Herman Direttore della fotografia: Benoît Delhomme Montaggio: Michael Ellis Musiche: James Horner Scenografia: Martin Childs Costumi: Natalie Ward Produttore esecutivo: Mark Herman Co-produttori: Rosie Alison, Péter Miskolczi, Gábor Váradi Direttori di produzione: Gyorgy Kuntner, Mary Richards, István Király Casting: Leo Davis, Pippa Hall Aiuti regista: Martin Harrison, Zsuzsa Gurban, Heidi Gower Operatore: György Réder Supervisore art direction: Rod McLean, Art directors: Mónika Esztán, Razvan Radu, Szilvia Ritter Arredatore: Gábor Nagy Trucco: Hildegard Haide, Marese Langan Supervisore effetti visivi: Michael Bruce Ellis Coordinatori effetti visivi: Szvák Antal, Noémi Somoskövy (Cube Effects) Suono: John Casali Interpreti: Asa Butterfield (Bruno), Zac Mattoon O’Brien (Leon), Domonkos Németh (Martin), Henry Kingsmill (Karl), Vera Farmiga (la madre), Cara Horgan (Maria), Zsuzsa Holl (cuoca di Berlino), Amber Beattie (Gretel), László Áron (Lars), David Thewlis (il padre), Richard Johnson (nonno), Sheila Hancock (nonna), Iván Verebély (Meinberg), Béla Feszbaum (Schultz), Attila Egyed (Heinz), Rupert Friend (tenente Kotler), David Hayman (Pavel), Jim Norton (Herr Liszt), Jack Scanlon (Shmuel), László Nádasi (Isaak), László Quitt, Mihály Szabados, Zsolt Sáfár Kovács (kapò), Gabór Harsai (anziano ebreo) Durata: 94’ Metri: 2310 13 Film B runo, vive a Berlino con la sua famiglia. Il padre, ufficiale nazista, riceve una promozione che lo porterà a comandare un piccolo campo di concentramento. Dopo una sfarzosa festa, fra l’orgoglio della moglie e il disappunto della madre, l’intera famiglia parte. Bruno si annoia lontano dai suoi amici; l’unica cosa che sembra attirarlo è quella fattoria vicino a loro, dove lavorano strani contadini vestiti tutti con dei pigiami a righe. Mentre la sorella di Bruno si innamora del giovane tenente Kotler, gli equilibri della casa iniziano a rompersi; l’ebreo Pavel che lavora nella loro cucina, cura Bruno caduto dall’altalena e, così facendo, la madre inizia ad avvicinarsi umanamente agli ebrei. Iniziano le lezioni private che non attecchiscono su Bruno, che sempre più annoiato, trova la via di fuga dal giardino di casa, attraverso il capanno. Così, si avvicina per la prima volta al campo dove conosce il coetaneo Samuel, ebreo costretto ai lavori forzati col padre. Bruno ancora non riesce a capire la verità; crede ancora che sia un contadino, libero di fare quello che vuole, mentre lui è prigioniero nella sua casa. I due bambini iniziano così a vedersi, quando per entrambi è possibile, sempre divisi dal recinto elettrificato, attraverso cui Bruno passa del cibo per l’amico. Parlano dei genitori, dello strano abbigliamento dei contadini, dei numeri su quei pigiami e dello strano odore che esce dalle ciminiere adiacenti. In casa peggiora la situazione quando la madre scopre che gli ebrei vengono uccisi e poi bruciati, cosa che le provoca disgusto nei confronti del marito; il rapporto fra i due si inclina inevitabilmente. Il nonno arriva in visita e, durante la cena, si scopre che il pa- Tutti i film della stagione dre del tenente è fuggito in Svizzera; preso dalla rabbia e da un futile pretesto, il soldato trascina Pavel in cucina per picchiarlo. Bruno inizia ad avere dubbi sulla bontà del padre e si confida con Samuel, che nei giorni a seguire viene chiamato in casa a pulire piccoli oggetti. Bruno offre come sempre da mangiare all’amico, ma vengono scoperti da Kotler; intimorito, Bruno dice che Samuel ha rubato quel pasticcino. Samuel sparisce per giorni e Bruno è morso dai sensi di colpa; ma appena si rivedono vicino al recinto, tornano amici stringendosi la mano. Kotler, per via del padre, viene trasferito al fronte e la sorella di Bruno perde l’entusiasmo nei confronti del nazismo. La nonna paterna rimane uccisa sotto bombardamento; durante il funerale c’è un ulteriore screzio fra i genitori di Bruno. Vedendo la moglie star sempre peggio, l’ufficiale decide di far andare via la sua famiglia, con grande dispiacere del figlio. Nel mentre, il padre di Samuel scompare e Bruno si offre di aiutare l’amico a ritrovarlo. Il giorno dopo, quello della partenza, Bruno scava sotto al recinto per entrare nel campo e Samuel gli procura divisa e cappello per mimetizzarsi. Intanto in casa, nessuno riesce a trovare Bruno; tutti entrano in allarme quando si rendono conto che è fuggito dal capanno sul retro. Bruno e Samuel vengono trascinati con altri ebrei nelle docce a gas. I bambini intuendo il pericolo si prendono per mano. I genitori di Bruno non arriveranno in tempo per salvarlo. L ’olocausto è stato al centro di diverse pellicole, donandogli sfumature differenti, a seconda del modo di narrarlo, o di quale punto focaliz- zare. C’è chi ha preferito parlare di tedeschi che hanno salvato ebrei, chi della scelta difficile di madri in difficoltà, di fughe in treno o di bugie a fin di bene per nascondere ai figli la crudele realtà. Nel film di Mark Herman, la scelta cade su di un bambino e la sua famiglia. Bruno, con l’ingenuità dei suoi otto anni, apprende cosa sia un campo di concentramento a piccoli passi, accompagnandoci in quello che è un climax di forte impatto emotivo: la morte dei due amici, mentre si prendono per mano. La regia rigorosa, priva di virtuosismi, è accompagnata da una bella fotografia e da un buon cast, su cui primeggia Vera Farmiga (la madre). La bellezza, nonché la delicatezza, del film risiedono nel non mostrarci nulla, ma di farci intuire tramite suoni e sguardi dei protagonisti, la condizione in cui versano gli ebrei; giocoforza la consapevolezza storica di chi guarda e ben conosce cosa abbia affrontato questo popolo. La scena finale, infatti, verte proprio su questo; nel momento in cui gli viene ordinato di spogliarsi e di accalcarsi nelle docce, già capiamo cosa sta per accadere, proprio in virtù di quella coscienza storica. La crudeltà del nazismo si evidenzia tramite piccole pillole, nozioni, che sia il padre, il nonno o l’istitutore cercano di insegnare a Bruno stesso, che non comprende come possa un solo uomo o un intero popolo distruggerne un altro, senza capire che proprio loro sono la causa di uno sterminio. Il personaggio della madre è l’alter ego del pubblico stesso, che guarda, capisce ma non può far altro che continuare a guardare. L’interno del lager, ci viene mostrato solo alla fine, con l’ingresso di Bruno che diventa il portale di passaggio fra l’esterno e l’interno, divisi non solo da una barriera ideologica, ma anche fisica: quella del filo spinato elettrificato. Tale barriera viene già scalfita col passaggio del cibo per Samuel e, con più forza, quando i due bambini fanno pace stringendosi la mano. L’amicizia fra Bruno e Samuel, è sincera e sentita; entrambi hanno il solo desiderio di conoscere un proprio coetaneo con cui poter giocare. L’unico momento di tensione fra i due si ha, non perché Bruno creda ai dettami nazisti, ma perché spinto dalla paura che Kotler possa fargli del male, nel momento in cui li vede parlare. In questo crescendo di fratellanza, si rende ancor più giustificabile il fatto che Bruno passi il recinto e aiuti l’amico a ritrovare il padre. Il film si chiude sul portone serrato delle docce a gas, da cui proviene solo silenzio. Inevitabilmente ci si commuove. Elena Mandolini 14 Film Tutti i film della stagione UN GIOCO DA RAGAZZE Italia, 2008 Suono: Marco Lazzaro, Roberto Sestito, Fabrizio Quadroli, Marco Coppolecchia Interpreti: Chiara Chiti (Elena Chiantini), Nadir Caselli (Alice Paoletti), Desirée Noferini (Michela Ricasoli), Filippo Nigro (Mario Landi), Valentina Carnelutti (Serena Landi), Stefano Santospago (Lorenzo Chiantini), Giorgio Corcos (Carlo), Valeria Milillo (Matilde Chiantini), Franco Olivero (Giulio Cerulli), Elisabetta Piccolomini (Patrizia Cerulli), Tommaso Ramenghi (Fabrizio), Chiara Martegiani (Giovanna), Chiara Paoli (Livia Cerulli), Diana Albo (Simona), Eleonora Ceci (Ludovica), Daniela Fontani (Daniela), Cecilia Carponi (Martina), Pietro Matteucci (Gianluca), Lorenzo Fiuzzi (Luca), Federico Felicissimo (Federico Landi) Durata: 95’ Metri: 2500 Regia: Matteo Rovere Produzione: Maurizio Totti per Rai cinema e Colorado film Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008) V.M.: 18 Soggetto: dal romanzo omonimo di Andrea Cotti Sceneggiatura: Teresa Ciabatti, Andrea Cotti, Sandrone Dazieri, Matteo Rovere Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Andrea Farri, L’Aura Scenografia: Eugenia F. Di Napoli Costumi: Monica Celeste Effetti: Rodolfo Migliari Casting: Francesca Borromeo E lena, Michela e Alice sono delle sedicenni che frequentano un prestigioso liceo di provincia. Figlie di facoltosi imprenditori, passano le giornate a fare shopping, deridere il prossimo e concedersi sessualmente a qualsiasi uomo le capiti a tiro, il tutto sotto effetto di alcool e droghe. Un giorno, nel loro liceo, arriva un giovane docente di Italiano, il professor Mario Landi. L’uomo, idealista e innamorato della professione, cerca in tutti modi di redimere le “cattive ragazze”, convinto che ci sia ancora qualcosa di buono in loro. La giovane moglie, però, non è dello stesso parere e in tutti i modi cerca di fargli capire che deve allontanarsi un po’ dalle vicende scolastiche e prestare più interesse a lei e al loro bambino. Elena, la leader del gruppetto, invece, non apprezza le attenzioni paterne del professore e decide di fargliela pagare distruggendo la sua immagine. Il suo piano è sedurlo, ma il docente non cede alle sue avances. La ragazza, allora, per costringerlo ad andare a casa sua finge un tentativo di suicidio. Mario, spaventato per la possibile tragedia, corre da Elena che lo attende non in lacrime, ma in lingerie e con uno sguardo carico di desiderio. Davanti a questa immagine, Mario cede e inizia a fare sesso con lei, inconsapevole di una telecamera che riprende il tutto. L’amplesso, però, viene interrotto dal padre della ragazza che, furibondo, inizia a prendere a pugni l’insegnante. Durante la scazzottata il padre di Elena cade battendo la testa mortalmente. Mario Landi viene arrestato e condannato, mentre Elena e le sue amiche continuano la loro vita frivola come se nulla fosse successo. U na volta c’era Il tempo delle mele con la graziosa Vic-Sophie Marceau che affrontava quell’immensa e favolosa tragedia che è l’adolescenza con gli occhi sgranati e sognanti di chi ha tutto da scoprire. Delizioso. Oggi, invece, per avere uno spaccato dei giovani il cinema ci propone Un gioco da ragazze del novellino Matteo Rovere su cui, addirittura, si ipotizzava un divieto censorio per i minori di diciotto anni. E questo la dice lunga. Bando al rossore sulle guance e alle gomitate tra amiche, le fanciulline di Rovere non hanno nulla da chiedere alla vita, nulla da sperare, hanno tutto e prendono il resto per sfizio. L’altro non esiste o è un mero fantoccio da punzecchiare finché la noia non sopraggiunge e dunque va sostituito, distrutto, in favore di un altro piacere, più nuovo, più trasgressivo, in un circolo vizioso di emozioni finte e di drammi veri. È questo l’implacabile ritratto degli adolescenti che emerge dal film. Banale. Banale non per il contenuto che toglierebbe il sonno a qualsiasi genitore e che, a sentire le giovanissime, è molto più vicino alla realtà di quanto si creda, ma perché si è voluto cercare l’eccesso, come fanno le protagoniste, per dare sensazioni. È troppo facile creare “rumore” mostrando tre ragazzette fare sesso ovunque e ingurgitare una quantità di droghe che stenderebbe un cavallo. È un’operazione che lascia il tempo che trova e che, se non supportata da una solida struttura tecnica, rischia di rimanere bollata come “scadente”. 15 Vista l’inesperienza del regista, non useremo questo termine, ma va comunque detto che la pellicola fa acqua ovunque, a partire dalla sceneggiatura, debole, sfilacciata e, a tratti, incomprensibile che vorrebbe “spiegare” il disagio, ma, incapace, ne diventa sottomessa, lasciando lo spettatore all’oscuro di tutto ciò che accade nelle mente di queste ragazze e libero di ripiegare sul paradigma soldi, genitori assenti, figli problematici. I personaggi, inoltre, sono caricaturali e, per certi aspetti, pericolosi come le tre cattive ragazze che si muovono su pessimi fenomeni di costume che non vengono mai contrastati. Certo ci prova un po’ l’esile figura del professore idealista, ma anche lui non regge nel ruolo, perché appare più affascinato – il prosieguo del film lo dimostra – da queste lolite che interessato a salvarle. Non si sa, in questa inefficacia dei ruoli, quanto abbia giocato la sceneggiatura e quanto le doti sceniche delle fin troppo acerbe protagoniste, fatto sta che anche Filippo Nigro, dignitoso in altre pellicole, in questa appare quasi spiritato. Un gioco da ragazze, bisogna ammetterlo, però, colpisce. E non per la trasgressione, ma perché mostra un vuoto esistenziale che paralizza, spaventa e costringe a riflettere. Il finale, non risolutivo, ne è un esempio, svuota lo spettatore di ogni speranza e lo lascia in balia di una inspiegabile e prolungata tristezza. Se lo scopo di Rovere era questo, almeno negli ultimi cinque minuti, ci è riuscito alla perfezione. Francesca Piano Film Tutti i film della stagione AUSTRALIA (Australia) Stati Uniti/Australia, 2008 Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), James Rogers (Postmodern Sydney), Chris Schwarze (Complete Post), Edson Williams Lola Visual Effects), David Booth, Chris Godfrey, James E. Price, Kat Szuminska Coordinatori effetti visivi: Daniel Chavez (Hydraulx), Michael Currell (Framestore), Michelle Rose, Stuart Willis (Animal Logic), Lucinda Glenn, Kate Hagar, Danny Huerta, Gemma James, Naomi Mitchell, Ian Cope, Jenny Basen Interpreti: Nicole Kidman (Lady Sarah Ashley) Hugh Jackman (mandriano), Bryan Brown (King Carney), David Wenham (Neil Fletcher), Jack Thompson (Kipling Flynn), David Gulpilil (King George), Brandon Walters (Nullah), David Ngoombujarra (Magarri), Ben Mendelsohn (capitano Dutton), Essie Davis (Katherine Carney), Barry Otto (amministratore Allsop), Kerry Walker (Myrtle Allsop), Sandy Goore (Gloria Carney), Ursula Yovich (Daisy), Wah Yuen (Sing Song), Angus Pilakui (Goolaj), Jacek Koman (Ivan), Tony Barry (sergente Callahan), Ray Barrett (Ramsden), Jamal Bednarz-Metallah, Jarwyn Irvin-Collins (ragazzi in missione), Damian Bradford (agente), Nathin Butler, Shea Adams, Nathin Butler, John Walton, Nigel Harbach (ragazzi Carney), Tara Carpenter, Haidee Gaudry, Joy Hilditch (donne di servizio), Rebecca Chatfield (nipote di Magarri), Lillian Crombie (‘gambe storte’), Max Cullen (vecchio bevitore), Arthur Dignam (Padre Benedict), Michelle Dyzla (parrucchiera), Terence Gregory (ragazzo in missione), Peter Gwynne (Maggiordomo di Lady Sarah), Sean Hall (soldato), Matthew Hills (steward dell’idrovolante), Jimmy Hong (domestico), Bill Hunter (comandante), Eddie Baroo, Jamie Gulpilil, Durata: 165’ Metri: 4285 Regia: Baz Luhrmann Produzione: G. Marc Brown, Catherine Knapman, Baz Luhrmann per Bazmark Films/Twentieth Century-Fox Film Corporation Distribuzione: 20th Century Fox Italia Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009) Soggetto: Baz Luhrmann Sceneggiatura: Stuart Beattie, Baz Luhrmann, Ronald Harwood, Richard Flanagan Direttore della fotografia: Mandy Walker Montaggio: Dody Dorn, Michael McCusker Musiche: David Hirschfelder Scenografia: Catherine Martin Costumi: Catherine Martin Produttore associato: Paul ‘Dubsy’ Watters Co-produttore: Catherine Martin Direttore di produzione: Simon Lucas Casting: Nikki Barrett, Ronna Kress Aiuti regista: Jennifer Leacey, Simon Warnock, Danielle Blake, Michael Horvath, Darwin Brooks, Kelly Johanson, Eddie Thorne Operatore: Peter McCaffrey Trucco: Nick Dorning Acconciature: Kerry Warn Supervisore art direction: Ian Gracie Art directors: Karen Murphy Arredatore: Beverley Dunn Supervisore effetti speciali: Brian Cox Coordinatore effetti speciali: Thomas Van Koeverden Supervisori effetti visivi: Andy Brown (Animal Logic), Julian Dimsey, Glenn Melenhorst, Peter Webb (Iloura), Robert Duncan (Framestore), Erik Liles (Hydraulx), Matt McDonald, N el 1939, la giovane Lady Sarah Ashley decide di raggiungere il marito in Australia, dove lui sta controllando gli affari della sua immensa proprietà Faraway Downs, con allevamento bovino. Giunta al porto di Darwin, vede che l’uomo inviatole come aiuto, Drover, è un mandriano e il viaggio con lui su un furgone sporco e carico dei bagagli della donna è un continuo battibecco, durante il quale l’uomo tende a precisare che non è alle dipendenze di lord Ashley, ma ha con lui un contratto per portare 1500 bestie alla vendita e così finire il suo compito. Nel furgone viaggiano anche un aborigeno, amico di Drover, e il corpulento e simpatico Flinn, contabile della proprietà. Appena arrivata nella casa padronale, Sarah deve fare il funerale del marito, ucciso da una freccia di “King George”, il misterioso sciamano aborigeno che si muove in quelle terre, come dice Fletcher, il capomandriano. Ma il piccolo metic- cio Nullah, figlio proprio di Fletcher e di una donna al servizio nella fattoria, dice a Sarah che secondo suo nonno, Galapa (King Gorge), Fletcher è una maledizione per quelle terre. Anche se l’uomo dice che i ragazzini mezzosangue sono solo bugiardi e vanno tutti portati a una missione che li educherà (e cioè, cancellerà le loro tradizioni), Sarah lo licenzia e così perde tutti i bovari. Flinn mostra a Sarah che Fletcher gli faceva tenere due registri, quello ufficiale e quello segreto, in cui registrava gli spostamenti fatti per Carney e le dice che non ci si può rivolgere all’autorità “perché Carney è l’autorità”; a lei conviene vendere le bestie all’esercito inglese e così potrà salvare la proprietà. Ma, per portarle al porto di imbarco, ci vogliono uomini: Drover ora è disperato, mentre Sarah, ottima cavallerizza, accetta la sfida della sorte e, per convincerlo a farla partecipare, accetta di offrirgli la sua stupenda purosangue ingle- 16 se per un accoppiamento con un ottimo cavallo indigeno: così, saranno lei, Drover, l’aborigeno, Flinn, Nullah (che cavalca molto bene), un’altra donna e il cuoco cinese a portare la mandria. Dovrebbe esserci la madre di Nullah, ma annega nella cisterna in cui si è nascosta con il bimbo all’arrivo della polizia che cerca il meticcio. Per calmare il bimbo, prima di partire, Sarah gli racconta una storia: gli accenna la storia del mago di Oz, con la sua “canzone dei sogni” e il bimbo si calma e ricorda che il nonno gli dice che anche lui è mago. Fletcher e i suoi provocano un incendio sull’altopiano per far sbandare la mandria verso un burrone ma Nullah, ricordandosi di essere mago, fronteggia in silenzio la mandria stendendo le braccia e ottiene il risultato. Però Flinn è rimasto travolto e, un attimo prima di morire, assicura Drover che chi ha ucciso Ashley non è stato lo sciamano, ma Fletcher. In una pausa dopo aver sepol- Film to Flinn, Sarah e Drover si confessano la loro attrazione; l’uomo dice che ha combattuto per l’Inghilterra e, al ritorno, ha trovato la moglie morta di TBC “perché gli ospedali non curano i Negri”. Poiché Fletcher ha inquinato il corso d’acqua più vicino, per trovarne un altro i nostri devono superare la “ terra che non c’è”, un deserto attraverso il quale li guida King George. A Darwin, Carney è pronto a far salire le sue bestie sulla nave dell’esercito, ma il capitano tergiversa, sa che Sarah sta arrivando. Ha appena firmato l’acquisto, quando lei arriva ed egli prontamente dice: “Questo contratto non è vincolante fino a quando le bestie non sono caricate”. Drover spinge le sue direttamente sul molo e quindi sulla nave e così ha la meglio. Dapprima incerto, accetta poi di essere amministratore della proprietà di Sarah, vivendo con lei, che vuol tenere Nullah anche se Drover le dice che prima o poi dovrà lasciarlo andare, perché se no non avrà una storia e gli Aborigeni dicono che ogni bimbo “deve fare il suo viaggio “. Litigano su questo proprio ora che Drover deve allontanarsi sei mesi dietro alle mandrie; in questi mesi, i Giapponesi entrano in guerra e minacciano quella parte dell’Australia. In una sequenza molto drammatica, vediamo Darwin bombardata e anche la centrale radio dove lavorano Sara e Catherine, la figlia di Carney che ha sposato Fletcher e la missione dove sono raccolti tutti i meticci, compreso Nullah che Sarah non è riuscita a tenere con sé. Drover teme di averli persi entrambi, ma invece si ritrovano. Fletcher viene ucciso da King Gorge e, a guerra finita, lo sciamano porta il bimbo con sé: “Hai fatto un lungo viaggio. Ora vieni a casa, nella tua terra, la nostra terra”. G li sceneggiatori avevano certo in mente la tradizione western; e poi la tradizione bellica; e poi la tradizione romantica, come filo conduttore per tutta la storia. Bisogna ammettere che hanno saputo calibrare le prime due con una buona misura, nelle due parti del film. E hanno trovato un regista appassionato di David Lean che ha collocato primi piani, inquadrature di insieme, campi lunghissimi e riprese aeree tutti al posto giusto, per ottenere una storia di più di due ore che ti soddisfa come succedeva una volta. Tutti i film della stagione Ritroviamo piacevolmente caratteri tipici, dai protagonisti agli antagonisti, ai personaggi secondari e minori e tipiche sono, in fondo, anche non poche delle loro battute. Tra Sarah e Drover si sviluppa una storia d’amore canonica, che si vivacizza gradatamente grazie al cambio di mentalità sociale della donna, nel cui animo ciò che impara dalle battaglie di vita quotidiana fa emergere un forte senso di umanità, di amore in senso lato e una capacità decisionale. Tutte le sequenze iniziali, fino all’allontanamento di Fletcher presentano non solo l’Australia geografica, le cui immagini stupende continueranno per tutto il film, ma anche quella umana, con pochi personaggi, che della realtà aborigena dicono ben poco, in quanto la cultura e la tradizione sono concentrate in King George, i problemi di sfruttamento (che si avvale di diverse maschere ideologiche, come quella di educare i ragazzi meticci sì, ma per “eliminare il negro che è in loro”) sono appena suggeriti. Certo, un grande film avventuroso e romantico non poteva fare una critica socio-politica, ma una presenza maggiore della realtà indigena forse non sarebbe dispiaciuta, soprattutto perché nelle prime immagini dell’Australia vediamo solo Nullah, con il suo fuoricampo che parla della condizione dei meticci e dice che la prima volta che ha visto Sarah gli è parsa la donna più strana del mondo; poco dopo, le dirà che il nonno (King George) è sicuro che lei può salvare questa terra. Diversi fuoricampo di Nullah ci ricordano che, in effetti, il nar- 17 ratore è lui, o almeno riflette su quanto succede, ma a questo particolare non è stato dato un ruolo maggiore, che forse avrebbe reso più originale il tutto. A fine film, una didascalia ci informa del ravvedimento del governo australiano che, tempo fa, ha riconosciuto il danno provocato alle “generazioni perdute” dei piccoli meticci, ma ci sembra solo un modo per salvare un problema ispiratore, svolto ben poco. Gli Aborigeni hanno un rapporto speciale con la natura, ma questo tema resta nascosto sotto la trama più tradizionale; ci sono davvero delle occasioni sprecate: Drover dice a Sarah che dovrà lasciare Nullah libero di restare nella sua realtà, perché gli Aborigeni sostengono che ogni bambino deve fare il suo viaggio, per avere la sua storia. Raccontare è comunicare e donare un poco di sogno, un poco di realtà; quindi occorre una storia. Gli Aborigeni combattono perché sia dato rispetto alla loro terra e quindi a loro come persone, con le loro storie, cioè la loro vita; e Drover il più adatto a capirli, sostiene il diritto alla libertà da ogni sfruttamento, ogni tentativo di possesso di un popolo su un altro, perché: “Alla fine l’unica cosa che uno possiede è la sua storia”. Sviluppare questa via avrebbe evitato di farci sentire il film come qualcosa che ricorda anche un po’ La mia Africa, accostamento che l’arrivo di Sarah con una coda di eleganti valigie crea inevitabilmente. Danila Petacco Film Tutti i film della stagione SETTE ANIME (Seven Pounds) Stati Uniti, 2008 Supervisore trucco: Gregory Nicotero Supervisore effetti visivi: Danny Braet Supervisore musiche: Pilar McCurry Coordinatore effetti visivi animazione: Christina Castellan (Cafe FX) Suono: John Sweeney Supervisore musiche: Pilar McCurry Interpreti: Will Smith (Ben Thomas), Rosario Dawson (Emily Posa), Woody Harrelson (Ezra Turner), Michael Ealy (fratello di Ben), Barry Pepper (Dan), Elpidia Carrillo (Connie Tepos), Robinne Lee (Sarah Jenson), Joe Nunez (Larry), Bill Smitrovich (George Ristuccia), Tim Kelleger (Stewart Goodman), Gina Hecht (dott.ssa Brian), Andy Milder (dottore di George), Judyann Elder (Holly Apelgren), Sarah Jane Morrison (Susan), Madison Pettis (figlia di Connie), Ivan Angulo (figlio di Connie), Octavia Spencer (Kate), Jack Yang (ingegnere), Quintin Kelley (Nicholas), Louisa Kendrick (moglie di Dan), Fiona Hale (Inez), Amanda Carlin (vicina di casa), Connor Cruise (Ben giovane), David Haines (padre del giovane Ben), Casey Morris (Operatrice del 911), Audrey Wasilewski, Sonya Eddy, Cynthia Rube (infermiere), Charlene Amoia (donna alla tavola calda), Tood Cahoon (uomo alla tavola calda) Durata: 123’ Metri: 3130 Regia: Gabriele Muccino Produzione: Todd Black, Jason Blumenthal, James Lassitar, Will Smith, Steve Tisch per Columbia Pictures/Relativity Media/Overbrook Entertainment Distribuzione: Sony Pictures Resealing Italia Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Grant Nieporte Direttore della fotografia: Philippe Le Sourd Montaggio: Hughes Winborne Musiche: Angelo Milli Scenografia: J. Michael Riva Costumi: Sharen Davis Produttori esecutivi: David J. Bloomfield, David Crockett, Domenico Procacci Co-produttore: Molly Allen Casting: Denise Chamian Aiuti regista: Jeffrey Wetzel, Courtenay Miles, Paul Schneider, Mike Crotty OperatorI: David J. White II, Kirk R. Gardner Operatore steadicam: Kirk R. Gardner Art director: David F. Klassen Arredatore: Leslie A. Pope Trucco: Martha Callender, Shutchai Tym Buacharem, Myke Michaels, Brian Penikas Acconciature: Pierce Austin B en Thomas, ingegnere astronautico, ha provocato, per pura disattenzione dovuta a superficialità, un incidente stradale in cui sono morte la moglie e altre sei persone. Non può dimenticare la sua responsabilità e organizza un modo molto sui generis per pagare il suo debito; questo modo è la storia del film. Usando la tessera del fratello, che lavora negli uffici finanziari statali, entra in quegli uffici e, nei loro computer, riesce a ricavare le informazioni su persone disagiate. Si interessa anzi tutto a Emily Posa, una giovane malata di cuore che va anche a vedere in ospedale, senza presentarlesi; poi individua un’anziana che viene trattata con superficialità dal direttore della casa di cura dove è ricoverata. Ritorna a trovare Emily e ha un dialogo breve con lei poco prima che ella venga dimessa, per dirle che, essendo lei sotto osservazione, ora la segue lui. Alterna le visite alle due donne, ma si studia di vedere sempre più spesso la giovane, anche andando fuori di casa sua, camminando con lei mentre lei porta fuori il suo cane; le lascia un suo biglietto. Proseguendo l’indagine nel computer del fisco, individua una donna con due ragazzini che sta per perdere la casa e quindi la incontra. In un centro commerciale, un pianista molto bravo intrattiene il pubblico; è cieco. Ben apre un dialogo con lui, avendo capito che è Ezra, il centralinista cieco di un’azienda alimentare con cui, tempo prima, ha litigato pesantemente al telefono per un arrivo di merce scadente, come se fosse colpa di lui; ora mangiano insieme amichevolmente. Ricoverata di nuovo, Emily telefona a Ben; gli chiede se pensa mai alla morte e lui risponde: “Ogni tanto”; gli dice che le piace parlare con lui e gli chiede di raccontarle una storia; lui parla di un bambino che faceva aerei di carta... al mattino la va a trovare: è addormentata e lui pensa: “Ti ho mentito, penso tutti i giorni alla morte”. Vediamo poi la donna con i bambini guidare verso la casa sul mare che è di Ben, il quale le lascia una lettera “Questo luogo è una cura per l’anima. Spero che lo sarà anche per voi... non dire come l’hai avuta e non chiederti perché ho scelto te”. Ma con Emily si sviluppa davvero una storia d’amore, come vediamo nello incontrarsi più volte, camminare insieme in città e fuori, fino allo stare insieme. Tuttavia, questo amore non lo fa recedere dalla decisione del suicidio, anzi: quando è sicuro che può far trapiantare il suo cuore a Emily, riempie la vasca di ghiaccio e vi si immerge, portando con sé, presa dall’acquario che ha in casa, una medusa velenosa, da cui si fa pungere; questa specie animale era già nell’acquario della sua 18 casa di bambino e già allora lo affascinava. Così, poco dopo, in una festa per bambini all’aperto, Emily va a incontrare Ezra, che la vede e capisce: “Tu devi essere Emily”. Il fratello racconta che Ben gli aveva dato un polmone e fa sapere che il suo fegato è andato alla donna anziana. B en è un uomo di successo, meritato con la propria cultura e la propria grande capacità scientifica, ma non va esente da superbia e rischia la superficialità: l’incidente accade perché la moglie lo distrae facendo considerazioni sul brillante che le ha regalato, lui sta giocherellando con una modernità tecnologica. Il desiderio di ripagare sette vite con altre sette non poteva che essere totale. Già questa idea di partenza è capace di suscitare una riflessione, di accordo o di rifiuto. Ma vediamo cosa nasce da essa: il racconto di come Ben individui le persone da aiutare, di come le segua; di come si sviluppi l’amore con una di esse. Per controllare che i futuri beneficati siano davvero meritevoli, Ben svolge quindi diversi fili con cui si lega a loro e ogni filo assume una sfumatura sentimentale diversa per lui. Ma la trama fa intuire questa progressione attraverso una struttura particolare: i rapporti di Ben con le altre persone si inframmezzano gli uni con gli altri, Film Ben rimane l’unico elemento di continuità; lui e la sua decisione. Dei vari personaggi non sappiamo se non quanto è necessario per motivare la scelta fatta da Ben; in questo modo, possiamo costituirci un profilo di lui stesso; il narratore non vuole parlarci se non di lui e della sua tremenda decisione. Ad ogni comparsa di uno degli altri personaggi, noi sappiamo una piccola informazione su di lui, ma semplicemente perché si possa capire meglio il protagonista Ben, che cosa sta costruendo con ognuno. Il soggetto narrante della vicenda di Ben non è solo un onnisciente, è uno che indaga su di lui e lo fa con ogni mezzo. Il soggetto narrante non può evitare di darci informazioni su chi era Ben, come è arrivato a questo; ma come ogni informazione nel corso della storia ci viene data non chiaramente; le inevitabili, sono distillate con il contagocce durante la vicenda: alcune immagini di Ben che si aggira solo nella grande casa sul mare; alcune ricomparse veloci degli articoli che parlano dell’incidente; alcune ricomparse di momenti Tutti i film della stagione dell’incidente, di cui solo l’ultima, che si colloca poco prima della fine del film, ce lo mostra completo. Poco dopo l’inizio del film Ben è in questa casa, una domenica, in mezzo a confusione di fogli e foto: il fratello gli telefona sul cellulare: “Dove sei?”. “Nella casa al mare... il telefono fisso si è rotto, non mi serve più”. “Sei di nuovo depresso?” e gli ricorda che non gli ha restituito una cosa sua: il tesserino personale per entrare negli uffici fiscali, richiesta che non dovrà più ripetere a partire da un certo momento. Ancora all’inizio del film, il suo veloce ricordo felice di una sua lezione universitaria. Ma, sempre all’inizio del racconto, vediamo che Ben è anche capace di cattiveria, verso chi riesce a sopportare la vita pur avendo una grave mancanza (il cieco Ezra; sarà forse il caso di riflettere sul fatto che si tratta di cecità e non di altro; e sul fatto che il cieco può suonare il piano?). Questo svolgersi dei fatti, questo uso particolare di inquadrature e movimenti di macchina è chiuso dalla sequenza che mostra il suicidio e gli effetti ottenuti e aperto da poche immagini in cui Ben prepara il ghiaccio e telefona al pronto soccorso annunciando che sta per avvenire un suicidio: “il mio”. Ma le prime parole del film sono un suo fuoricampo: “In sette giorni Dio ha creato il mondo, in sette secondi io o distrutto il mio”. Tutto il film potrebbe essere dunque l’ultimo ricordo di Ben: è una scelta strutturale che è stata realizzata raramente e, senza dubbio, è rischiosa (anche quando sia tecnicamente ben fatta) . Quelle parole predispongono lo spettatore a una tensione drammatica, nella quale può essere difficile tenerlo interessato. Chiedergli di completare la costruzione con il proprio lavoro di intuizione significa chiedergli una fatica che già da sola allontana una partecipazione emotiva. È necessario avere un contenuto di pensiero forte, che solo le parole potrebbero esprimere: in carenza di questo, la storia solare tra Ben ed Emily non riesce a togliere la fastidiosa sensazione che il suicidio sia un gesto non d’amore ma di ragionata confusione. Danila Petacco THE STRANGERS (The Strangers) Stati Uniti, 2008 Aiuti regista: Linda Brachman, Rudy A. Persico, Tim Fitzgerald Operatore: Brian Sullivan Art director: Linwood Taylor Arredatore: Missy Berent Trucco: Wendy Bell, Vincent Schicchi Acconciature: Jennifer Santiago, Coni Andress Coordinatore effetti speciali: William Purcell Supervisore effetti visivi: Mark Freund Coordinatore effetti visivi: Phillip Hoffman Supervisore musiche: Season Kent Interpreti: Liv Tyler (Kristen McKay), Scott Speedman (James Hoyt), Glenn Howerton (Mike), Gemma Ward (faccia di bambola), Kip Weeks (uomo in maschera), Laura Margolis (ragazza pin-up), Alex Fisher, Peter Clayton-Luce (ragazzi mormoni), Jordan Orr (Jordan) Durata: 85’ Metri: 2830 Regia: Bryan Bertino Produzione: Doug Davison, Nathan Kahane, Roy Lee per Rogue Pictures/Intrepid Pictures/Vertigo Entertainment/Mandate Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 2-1-2009; Milano 2-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Bryan Bertino Direttore della fotografia: Peter Sova Montaggio: Kevin Greutert Musiche: tomandandy Scenografia: John D. Kretschmer Costumi: Susan Kaufmann Produttori esecutivi: Joseph Drake, Marc D. Evans, Kelli Konop, Trevor Macy, Sonny Mallhi Co-produttore e direttore di produzione: Thomas J. Busch Casting: Lindsey Hayes Kroeger, Tracy Kilpatrick, David Rapaport 1 1 Febbraio 2005. Due bambini mormoni chiamano la polizia: in una villa isolata hanno ritrovato dei cadaveri e l’intera abitazione sottosopra. James e Kristen, sono una giovane coppia che decide di lasciare in anticipo il matrimonio di un loro amico, per andare nella casa dei genitori di lui in campagna. Fra i due c’è tensione: Kristen ha rifiutato la sua proposta di matrimonio, perché ancora non si sente pronta. James chiama l’amico Mike, per chiedergli di andarlo a prendere il giorno dopo: niente è andato come voleva. Dopo attimi di freddezza, i due provano a far pace, ma improvvisamente sentono bussare con violenza alla porta. Una ragazza inquietante dai lunghi capelli chiede di una certa Tamara; di lei non vedono il volto, poiché la lampadina 19 del patio è stata allentata. La liquidano in poco tempo. James, per allentare la tensione rinata, decide di uscire con la macchina per andarle a comprare le sigarette. Rimasta sola, Kristen indossa l’anello: forse ci sta ripensando. Presa dai suoi pensieri, non si accorge che un estraneo con una strana maschera è entrato dentro casa e la sta spiando. Improvvisamente la situazione precipita. Qualcuno inizia a tormen- Film tarla con rumori improvvisi e staccando la linea telefonica. Non trova il cellulare: non si accorge che è stato gettato nel fuoco del camino. Finalmente James torna e la trova presa dal panico, con un coltello in mano. Kristen prova a raccontargli l’accaduto, ma lui non sembra crederle, finchè non vede una donna con la maschera di bambola che li osserva da lontano. James cerca il suo cellulare in macchina, ma lo ritrova dentro casa privo di batteria. Ormai entrambi spaventati, tentano la fuga con la macchina, che non riesce. Si barricano dentro casa con fucile del padre di James. Gli altri continuano a tormentarli e James è sempre più sotto pressione. Nel mentre, arriva Mike; venuto in anticipo in aiuto dell’amico. Aggredito in macchina, entra nella villa. Capisce che qualcosa non va e inizia a camminare con circospezione. Credendolo uno di loro, James gli spara uccidendolo. Infine, James si ricorda della radio amatoriale nel fienile; nel cercare di raggiungerlo, viene catturato. Dopo un po’, Kristen, si dirige verso il fienile, ma si ferisce alla gamba e viene inseguita da una donna che distrugge anche la radio. Kristen, ritornando con fatica alla villa, scopre che il gruppo è composto da tre persone: un ragazzo e due donne. Dopo poco, si ritrova tenuta sotto tiro da una di loro, mentre James viene trascinato dall’uomo dentro casa. Vengono legati e vestiti nuovamente come al matrimonio. Kristen chiede il perché di tutto. La loro risposta è semplice: Tutti i film della stagione perché erano in casa. I tre si levano le maschere. James e Kristen prima di venire uccisi con una pugnalata si dicono ti amo. James vede l’anello al dito di Kristen. Ritorniamo ai due bambini che, dopo aver incontrato i tre maniaci, si ritrovano dentro la villa per chiamare la polizia. Uno dei due si avvicina a Kristen che, urlando, si riprende. B ryan Bertino ha scelto, come base della sua opera prima, di raccontare un fatto di sangue realmente accaduto nel 2005. Niente torture alla Saw o alla Hostel; qui la suspence è data dall’inconsapevolezza di quello che sta per accadere. La tensione che si avverte ricorda Hitchcock: il gioco delle porte chiuse e del chissà che cosa possano nascondere dietro. Elemento acuito dalle maschere dei tre maniaci (una è simile a quella di The Orphanage), i cui volti verranno mostrati solo ai due malcapitati e mai al pubblico che li scorge solo in lontananza. La suspence viene rimpolpata anche dalla scelta, ben meditata, di non far prevalere la solita musica da thriller, lasciando amplio spazio ai rumori provocati dagli “strangers” per spaventare la giovane coppia; interessante, poi, il contrasto di alcune musiche allegre diegetiche (dal giradischi in scena), in contrasto con la suspanse e la paura derivante dalla certezza che stà per accadere qualcosa di tragico, che rende quelle scene ancora più inquietanti. La struttura del film è composta da un lungo flashback, racchiuso dalla scoperta da parte dei bambini, della strage appena conclusasi; al suo interno, poi, si sviluppano altri piccoli flashback che raccontano il perché della tensione fra i due innamorati. Il film si apre con una breve didascalia introduttiva, dove veniamo avvertiti che quello che stiamo per vedere altro non è che una storia vera, di cui il male e l’orrore vanno ben oltre l’immaginabile. Facile capire la citazione per gli amanti del genere (Non aprite quella porta di Tobe Hooper). Il finale ci lascia con un bel colpo di scena assolutamente inaspettato, che potrebbe essere lo spunto per un papabile seguito. Finale un po’ controcorrente, se si pensa al precedente Them (2006), a cui il film di Bertino è stato molte volte paragonato o considerato un possibile remake, dove la giovane coppia viene uccisa, ma la tensione non regge. In entrambi vi sono ragazzi che si divertono a torturare per noia, o per gioco, o perché semplicemente c’è qualcuno in casa; si pensi anche ai capolavori Funny Games (1997) ed Arancia Meccanica (1971), che ancora non hanno trovato una storia che li abbia surclassati. The Strangers resta, comunque, un film di tensione, sulla tensione, ben girato e che regala la giusta dose di adrenalina, senza scene splatter: sicuramente più adatto ai palati fini. Brava Liv Tyler. Elena Mandolini UN MATRIMONIO ALLINGLESE (Easy Virtue) Gran Bretagna, 2008 Regia: Stephan Elliott Produzione: Joseph Abrams, James D. Stern, Barnaby Thompson per Ealing Studios/Fragile Films/Endgame Enterteinment/ BBC Films Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009) Soggetto: dall’opera teatrale Virtù facile di Noel Coward Sceneggiatura: Stephan Elliott, Sheridan Jobbins Direttore della fotografia: Martin Kenzie Montaggio: Sue Blainey Musiche: Marius De Vries Scenografia: John Beard Costumi: Charlotte Walter Produttori esecutivi: Paul Brett, Louise Goodsill, Douglas Hansen, Ralph Kamp, Cindy Kirven, George McGhee, Peter Nichols, Tim Smith, James Spring Co-produttore: Alexandra Ferguson Direttori di produzione: Charlie Simpson, Tim Wellspring Aiuti regista: Christopher Newman, Richard Goodwin, James Chasey, Carly Taverner Operatore: Sean Savage Art director: Mark Scruton Arredatore: Niamh Coulter Trucco: Tamsin Dorling, Paul Gooch, Paula Price, Barbara Taylor, Jeremy Woodhead Acconciature: Tamsin Dorling, Paul Gooch, Paul Mooney, Paula Price, Barbara Taylor, Jeremy Woodhead Suono: Simon Gershon, Matthew Skelding Supervisori effetti speciali: Simon Carr, Simon Frame Supervisore costumi: Hannah Walter Supervisori musiche: Michelle De Vries, Tris Penna Coreografie: Litza Bixler Interpreti: Jessica Biel (Larita Whittaker), Ben Barnes (John Whittaker), Kristin Scott Thomas (Signora Whittaker), Colin Firth (Signor Whittaker), Kimberley Parkinson (Marion Whittaker), Kris Marshall (Furber), Christian Brassington (Phillip Hurst), Charlotte Riley (Sarah Hurst), Jim McManus (Jackson), Pip Torrens (Lord Hurst), Georgie Glen (Signora Landrigin), Laurence Richardson (Marcus) Durata: 95’ Metri: 2520 20 Film Tutti i film della stagione A nni ’20. Il giovane aristocratico inglese John Witthaker durante un viaggio in Francia si innamora perdutamente di Larita, un’esuberante americana, campionessa di gare automobilistiche, colta e spiritosa. La donna, più grande del ragazzo e con un matrimonio alle spalle, con la sua ironia e intelligenza riesce a farsi sposare in men che non si dica. Arriva il momento di fare le presentazioni ufficiali e John convince la sposina ad andare a conoscere la sua famiglia nella splendida tenuta di campagna. Il matrimonio lampo dell’unico figlio maschio, per giunta con un’americana divorziata e di dubbia integrità morale, scatena già le prime reazioni dei Witthaker. La famiglia, un tempo agiata, non naviga più in buone acque e vive nascondendosi dietro un finto perbenismo, fatto di esteriorità e ipocrisia. A tirare le redini, la madre Veronica, una donna glaciale, prepotente, snob e classista. Sotto di lei, succubi, per necessità, il marito, tornato dalla Grande Guerra profondamente trasformato, ma incapace di trovare il coraggio per ribellarsi e le due figlie, zitelle viziate e altezzose. Quando la coppia arriva nella villa l’accoglienza nei confronti di Larita non è delle migliori. Nonostante l’americana faccia buon viso a cattivo gioco, è presto evidente che la suocera non può vederla e anche le sorelle di John appaiono molto diffidenti. L’unico a non rimanere insensibile al fascino di Larita è proprio il capofamiglia. Nei gelidi corridoi della villa, tra impressionanti trofei di caccia e severi quadri di antenati, la solarità della giovane straniera non può che stridere e creare difficoltà. La donna cerca di fare il suo meglio per adattarsi e per sfuggire ai tranelli della suocera per tenersi stretto il figlio. Mrs. Whittaker cerca infatti di manipolare ogni situazione con lo scopo di mettere i due coniugi uno contro l’altro, mentre Larita passa alla controffensiva con calma disarmante. In un susseguirsi di battute brillanti e situazioni comiche, tra inutili party benefici e cacce alla volpe, si arriva alla resa dei conti. Le due sorelle affamate di scoop portano alla luce il passato di Larita, rimasta vedova dopo aver aiutato il marito malato a morire. John e Larita percepiscono il loro amore svanire. John, attirato dalla sua grande amica d’infanzia da sempre innamorata di lui, Larita affascinata da Mr. Whittaker, un uomo allergico ormai all’ipocrisia della famiglia, ma non insensibile all’intelligenza e all’ironia. All’indomani dell’ultimo ballo organizzato nella tenuta, Larita prende finalmente la sua decisione e saluta tutti, pronta per andare via una volta per tutte. Ma non da sola. Ad accompagnarla sarà Mr. Whittaker. D ifferenze di classe, differenze di generazioni e culture. L’America contro la vecchia Inghilterra, in una commedia perfetta, elegante e ben scritta. Stephan Elliott sulla base di un testo teatrale di Noel Coward, già trasposto al cinema da un giovanissimo Hitchcock, dirige Easy Virtue, Un matrimonio all’inglese, presentato al Festival di Roma, tratteggiando con la giusta dose di ironia uno scorcio di old England anni ’20, originale e brillante. La storia poggia sul conflitto di civiltà canonico, tra vecchio e nuovo mondo, ma le tinte con cui l’autore inscena tale confronto sono deliziosamente singolari e sembrano ricordare l’aforisma di Oscar Wilde per cui gli inglesi “oggigiorno hanno veramente tutto in comune con gli americani, tranne, forse, la lingua”. Il regista australiano torna alla regia dopo una lunga assenza con una commedia sorprendente, curata nei dettagli e divertente. La sua rilettura del materiale di partenza consente una visione al di là di ogni prevedibile clichè, pur sempre in toni leggeri, su diverse tematiche: i retaggi familiari, le scelte individuali, le interferenze dei genitori, la sofferenza per la guerra, la vacuità della vita aristocratica. Ma il film è soprattutto un affresco in chiave brillante della fine di un’epoca, del nuovo che irrompe nel vecchio, come un Picasso che sostituisce un ritratto di un avo sul camino della tenuta di campagna di nobili inglesi. Non ci può essere mediazione, solo scontro, niente finale conciliante; chi 21 sceglie il vecchio resta indietro ed è inevitabilmente destinato a perdere. In un arrovellato gioco di ruoli, tra frecce avvelenate, equivoci e contrattempi esilaranti, il “gruppo di famiglia in un interno” comincia a scatenare una lotta all’ultima battuta. Così che l’iniziale disagio prima fomenta una sorta di guerra di nervi tra suocera e nuora e poi smonta l’intera impalcatura delle ipocrisie e dei tabù, delle repressioni sessuali e dei pregiudizi di classe, connaturati alla società vittoriana. Il commento musicale, all’insegna del jazz, intonato al carattere del singolo episodio o della singola inquadratura, aggiunge un tocco di raffinatezza alla pellicola. La distanza geografica tra nuovo e vecchio mondo diventa distanza temporale, culturale e spirituale. Non a caso, l’unico a cogliere e apprezzare il cambiamento è il personaggio del padre reduce della Grande Guerra, definitivamente separato dalla propria fatua realtà, fatta di ricevimenti e caccia alla volpe, a causa del trauma subito in battaglia e, pertanto, pronto ad accogliere ciò che di nuovo la vita gli porta. La chiave adatta per accedere a tale ventata di modernità è la bella americana Larita, che con il suo anticonformismo come una “sex bomb” irrompe nel falso perbenismo della famiglia, creando uno scompiglio senza confronti. Atmosfere tra Gosford Park e Ti presento i miei, oltre a un senso d’ironia e raffinatezza totalmente “british”, sono gli ingredienti principali di una commedia che comunque non lascia mai da parte il buon gusto e l’intelligenza, per regalare novanta minuti di semplice e contenuto divertimento. Il tutto grazie soprattutto a un cast di primordine. Kristin Scott Thomas è impeccabile nel ruolo del- Film l’arcigna e nevrotica lady aristocratica, Colin Firth, con il suo faccione sornione, è capace di strappare la risata con una semplice smorfia, Ben Barnes, credibile come Tutti i film della stagione maritino plasmabile, ed eternamente indeciso e infine, Jessica Biel sorprende, oltre che per la sua bellezza, anche per una discreta interpretazione (in particolar modo resta impresso il tango ballato con Colin Firth nell’ultima parte del film). Veronica Barteri QUEL CHE RESTA DI MIO MARITO (Bonneville) Stati Uniti, 2006 Regia: Christopher N. Rowley Produzione: John Kilker, Robert May per SenArt Films. In associazione con Drop of Water Productions Distribuzione: Teodora Film Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008) Soggetto e sceneggiatura: Daniel D. Davis Direttore della fotografia: Jeffrey L. Kimball Montaggio: Anita Brandt-Burgoyne, Lisa Fruchtman Musiche: Jeff Cardoni Scenografia: Christopher R. DeMuri Costumi: Sue Gandy Produttori esecutivi: R. Michael Bergeron, Bob Brown Produttore associato: Lauren Timmons Casting: Avy Kaufman, Judi McKee Aiuti regista: Eric A. Pot, Robert “Skid” Skidmore, Taylor Phillips A rvilla Hoden, dopo 20 anni di matrimonio perde il suo amatissimo marito. La figlia di lui, Francine, vuole le ceneri del padre per dargli degna sepoltura nel cimitero di famiglia, vicino alla madre, ma Arvilla non è d’accordo, perché ha promesso al marito di spargere le sue ceneri nei luoghi a loro cari. Francine, nonostante la richiesta del defunto, non vuole sentire ragioni: o le ceneri verranno portate da lei in California, o lei sfratterà Arvilla dalla casa paterna. La povera vedova non ha scelta, chiama le sue due più care amiche, Margene e Carol, e si mette in marcia verso il sud degli Stati Uniti. Durante il cammino le tre donne si confrontano sui grandi temi della vita, scherzano e, qualche volta, piangono, ma si sostengono sempre a vicenda. Arvilla, in particolare, è molto combattuta: vorrebbe mantenere la promessa fatta, ma ha paura, allo stesso tempo, di dover abbandonare quella che considera la sua casa. Escogita così un’idea, butta un po’ delle ceneri del marito in ogni luogo che visita durante il tragitto nella speranza che la figliastra non si accorga di nulla. Purtroppo, in California, Francine si rende conto di essere stata gabbata e caccia via Armilla dal funerale. Operatori: Jody Miller, David ‘D.R.’ Rhineer Arredatore: Les Boothe Acconciature: Karyn Huston Supervisore costumi: Anne Gorman Supervisori musiche: Season Kent, Matt Kierscht Interpreti: Jessica Lange (Arvilla), Kathy Bates (Margene), Joan Allen (Carol), Tom Skerritt (Emmett), Christine Baranski (Francine), Victor Rasuk (Bo Douglas), Tom Amandes (Bill), Tom Wopat (Arlo), Robert Conder (tassista), Jayson Creek (maitre), Arabella Field (poliziotto in motocicletta), Kari Hawker (sposina), Kristen Marie Jensen (studentessa), Ivey Lloyd (Evelyn), Bruce Newbold (vescovo Paul Evans), Steve O’Neill (dottore), Laura Park (Riva Fox), Jodi Russell (Alison), Amber Woody (Crystal), Christina Thurmond (cameriera) Durata: 93’ Metri: 2230 Margene e Carol, dopo aver rassicurato l’amica sul futuro – potrà andare a vivere da una di loro –, insieme a lei partono verso il confine alla ricerca di nuove emozioni. U n paesaggio mozzafiato, tre grandi interpreti e dei dialoghi irresistibili. A volte basta “poco” per fare un film, a volte basta mescolare nel senso giusto, come dicevano i vecchi alchimisti, per ottenere cose incredibili. Si farebbe, però, un gran torto a usare il sostantivo “fortuna” per la pellicola Quel che resta di mio marito dell’esordiente Christopher N. Rowley, perché dietro c’è studio, ricercatezza e professionalità nonostante un canovaccio poco originale che lascia uno spazio limitato ai virtuosismi narrativi. Un road movie sulle strade americane, dunque, che, però, si trasforma, quasi da subito, in un viaggio nell’anima, con una compagna d’eccezione: la paura nelle sue molteplici vesti. Vesti che le tre donne, come in un rito tribale, cercano di stracciare a suon di risate, progetti futuri e un’affettività tutta femminile. Ma non solo; la pellicola racconta anche dell’amore, quello garbato che non ha bisogno di essere urlato, quello che è fatto di promesse che valgono più di ogni ri- 22 catto, ma, soprattutto, di quell’amore che spaventa e lascia senza fiato nell’attesa di un incerto domani. Il regista volutamente sceglie un’andatura pacata, delle strade poco battute per far viaggiare la vecchia Bonneville guidata dalle tre donne, come a permettere loro di fermarsi, rallentare, guardare, ma soprattutto “guardarsi”. E, di rimando, allo spettatore offre l’opportunità di godersi dei paesaggi isolati, ameni e forse proprio per questo così comunicativi. Proprio come i volti delle tre protagoniste incarnate da Jessica Lange, Kathy Bates e Joan Allen. Detto questo, ogni commento sulla loro performance risulterebbe superfluo; vale la pena, però, sottolineare che in questa pellicola hanno saputo mettere da parte l’egoismo, quasi naturale negli attori, per far luce l’una all’altra con un effetto complicità che fa sospettare sul serio che tra di loro ci sia stata una vita di racconti e segreti condivisi. Quel che resta di mio marito, in conclusione, è un film brillante che confonde piacevolmente il riso alle lacrime e che avvolge con sentimenti un po’ retrò che, come la vecchia Cadillac Bonneville, mantengono ancora un certo fascino per chi sa come apprezzarli. Francesca Piano Film Tutti i film della stagione LA DUCHESSA (The Duchess) Gran Bretagna/Italia/Francia 2008 Regia: Saul Dibb Produzione: Michael Kuhn, Gabrielle Tana per Paramount Vantage/Pathé/BBC Films/Pathé Renn Productions/Bim Distibuzione/Qwerty Films/Magnolia Mae Films Distribuzione: Bim Prima: (Roma 2-1-2009; Milano 2-1-2009) Soggetto: tratto dalla biografia Georgiana di Amanda Foreman Sceneggiatura: Jeffrey Hatcher, Anders Thomas Jensen, Saul Dibb Direttore della fotografia: Gyula Pados Montaggio: Masahiro Hirakubo Musiche: Rachel Portman Scenografia: Michael Carlin Costumi: Michael O’Connor Produttori esecutivi: Carolyn Marks Blackwood, Amanda Foreman, François Ivernel, Christine Langan, Cameron McCracken, David M. Thompson Produttore associato: Andrew Semans Co-produttori: Alexandra Arlango, Colleen Woodcock Direttore di produzione: Nick Laws Casting: Lucy Bevan Aiuti regista: Josh Robertson, Paul Cathie,Toby Hosking, Tom Breester, Sandrine Loisy, Nick Shuttleworth Art director: Karen Wakefield Arredatore: Rebecca Alleway Trucco: Daniel Phillips Acconciature: Barbara Taylor, Jo Adams, Jan Archibald, Gill I nghilterra XVIII secolo. Lady Georgiana Spencer è una spensierata ragazza della buona nobiltà inglese. Le sue giornate trascorrono tranquille tra giochi, balli e scherzi con le amiche, fino a quando sua madre le comunica che andrà in sposa a William Cavendish, duca del Devonshire. Georgiana aspetta con ansia il giorno delle nozze illudendosi di avere davanti a sé un futuro radioso. Le sue aspettative, però, vengono ben presto disattese: pochi giorni dopo lo sfarzoso matrimonio; infatti, William si dimostra egoista e poco incline alla vita di coppia. La donna ne soffre, ma si augura che un erede possa migliorare la situazione. Passa del tempo e, nonostante diverse maternità, il figlio maschio sembra non arrivare. William ha inasprito il carattere e Georgiana sconsolata si butta nella mondanità e nella vita politica. A una festa, incontra Lady Elizabeth Foster e, rimasta colpita dal carisma della donna, la invita a vivere a palazzo come sua dama di compagnia. Più passano i giorni, più l’amicizia fra le due donne diviene forte e sincera e questo nuovo affetto regala a Georgiana quella linfa vitale che da tempo le manca- Bunker, Anita Burger, Maureen Hetherington, Stephanie Hovette, Marc Pilcher, Loulia Sheppard, Manny Stirpe, Christine Whitney, Rosemary Warder Supervisore effetti speciali: Mark Holt Supervisori effetti visivi: Adam Gascoyne (CIS London), Charlie Noble (Double Negative) Coreografie: Francesca Jaynes Interpreti: Keira Knightley (Georgiana, la duchessa del Devonshire), Ralph Fiennes (duca di Devonshire), Charlotte Rampling (Lady Spencer), Dominic Cooper (Charles Grey), Hayley Atwell (Bess Foster), Simon McBurney (Charles Fox), Aidan McArdle (Richard Brinsley Sheridan), John Shrapnel (generale Grey), Alistair Petrie (Heaton), Patrick Godfrey (Dr. Neville), Michael Medwin (narratore), Justin Edwards (Macaroni), Richard McCabe (Sir James Hare), Calvin Dean (domestico della casa Devonshire), Hannah Stokely (cameriera della casa Devonshire), Andrew Armour (Burleigh), Emily Jewell (Nanny), Bruce Mackinnon (Sir Peter Teazle), Georgia King (Lady Teazle), Luke Norris (valletto), Eva Hrela (Charlotte a 3 anni), Poppy Wigglesworth (Charlotte a 10 anni), Emily Cohen (Harriet), Mercy Fiennes Tiffin (Piccola G), Sebastian Applewhite (Augustus), Angus McEwan (Lord Robert), Kate Burdette (Lady Harriet), Laura Stevely (Lady Elizabeth), Ben Garlick (Lord Ambrose), Max Bennet (Lord Walter) Durata: 110’ Metri: 2920 va. L’idillio dura poco. Elizabeth, infatti, cede al corteggiamento di William e tra la disperazione e il disgusto di Georgiana ne diviene l’amante ufficiale. La povera donna, tradita doppiamente, trova conforto fra le braccia di un vecchio amico, il conte Charles Grey con cui inizia una relazione sentimentale. William, venuto a conoscenza del nuovo amore della moglie, le propone un patto: un figlio maschio in cambio di una cospicua somma di denaro e la libertà di vivere successivamente la sua storia con Charles. Geargiana accetta e dopo innumerevoli umiliazioni dal marito, tra cui uno stupro, mette al mondo il tanto desiderato maschio. Finalmente sciolta da ogni vincolo la donna riprende, insieme a Charles, le fila della sua vita. William, però, se in un primo momento si è dimostrato indifferente alla cosa, dopo qualche tempo, inizia a essere insofferente a questo pubblico tradimento e minaccia la moglie di non farle vedere più i figli se non chiude la relazione. Georgiana prima rifiuta ogni compromesso, poi però cede alla richiesta e ritorna “ufficialmente” con il marito. Charles addolorato la implora, inutilmente, di ripensarci. 23 Passa qualche mese e la duchessa scopre di aspettare un figlio dall’amante. Comunica la situazione a William che la spedisce in campagna per concludere la gravidanza senza destare sospetti. Nasce una bambina che viene affidata, con grande dolore di Georgiana, alle cure della famiglia Grey. La donna fa ritorno a palazzo consapevole che la sua vita sarà solo frustrazione e accettazione di un marito disumano. Un giorno, a una festa rincontra Charles che le dice che la loro bambina sta bene e che lui sta per sposarsi. Alcune note alla fine del film raccontano che Georgiana ha vissuto il resto della vita curando i suoi figli e dividendo il marito con l’amica Elizabeth. L e commedie in costume che un tempo infarcivano notevolmente la programmazione nelle sale, sembrano ormai relegate a episodi isolati nel panorama cinematografico mondiale. Troppo costose, ambiziose e intente a raccontare storie, regalare emozioni di cui il pubblico, neanche quello cosiddetto “rosa”, sente più il bisogno. Parrucche, crinoline e bustini sembrano andare troppo stretti alle donnine emancipate del nuovo Film millennio che alla cipria preferiscono il botulino e alle dame di compagnia un buon agente. Eppure, siamo così sicuri che queste storie d’altri tempi siano così lontane dal nostro comune sentire dal non comunicarci più nulla? Per rispondere a questa domanda vale la pena di guardare l’ultimo lavoro del regista Saul Dibb, La Duchessa e, in particolare, una scena. Un lungo tavolo dove lei, lady Georgiana Spencer, propone al Tutti i film della stagione marito, seduto al capo opposto, e all’amante di lui, posizionata al centro, un patto: poter vivere anche lei con il suo amante. L’inevitabile risposta del marito umiliato è “sgualdrina”. Trascendendo dal contesto e dalla particolare situazione coniugale è interessante notare quanto facilmente certi epiteti resistano all’usura del tempo e vengano utilizzati per rinchiudere in un recinto di recriminazioni ogni “velleità” femminile. Questo dovrebbe far riflettere. Lady Georgiana, infatti, con la sua proposta non voleva certo chiedere al marito la legittimazione dei sui pruriginosi istinti, ma il riconoscimento di una dignità più volte stuprata, di un’umanità che sembra mancare nelle fredde stanze della sua magione. Un “freddo” che il regista riesce a far percepire attraverso delle particolari inquadrature dal basso che esaltano la grandezza degli ambienti e, allo stesso tempo, sottolineano la meschinità di chi vi ruota attorno. Lady Georgiana, un’apprezzabile Keira Knightley, sembra ribellarsi a questa bassezza, ma poi ne diventa complice accettando ogni richiesta del marito con serena rassegnazione. Le feste, il gioco d’azzardo e lo champagne, lungi dall’essere parte del film, ne diventano, invece, la cornice scrostata, perfetta però a racchiudere la vita di una donna la cui fortuna è cagione delle sue stesse disgrazie. Nonostante la chiave di lettura forse un po’ troppo moderna, La Duchessa, cinematograficamente, conserva un impianto stilistico decisamente classico (niente a che vedere, per intenderci, con la Maria Antonietta di Sophia Coppola), ma impreziosito da guizzo intimista che potrebbe coinvolgere un pubblico, di solito scettico davanti a un cartellone con troppi merletti. Francesca Piano LUI, LEI E BABYDOG (Heavy Petting) Stati Uniti, 2007 Aiuti regista: Josh Newport, Vadim Epstein Arredatore: Lisa Scoppa Trucco: Carla Antonino, Suzanne DeSimone Interpreti: Malin Akerman (Daphne), Brendan Hines (Charlie), Kevin Sussman (Ras), Steve Rosen (venditore), Sam Coppola (tipo strambo), Juan Carlos Hernandez (Juan), Anthony Fazio (proprietario della pizzeria), Geoffrey Cantor (Stefan Roche), Michael Ray Escamilla (Ricky), Shawand McKenzie (la signora sfacciata), Lauren Potter (ragazza graziosa), Annie V. Ramsey (ragazza strana), Krysten Ritter, Eric Zuckerman, Karen Shallo,Mason Pettit, Mike Doyle, Jennifer Ikeda, Martha Millan Durata: 98’ Metri: 2600 Regia: Marcel Sarmiento Produzione: Peter Glatzer, Vince P. Maggio, Marcel Sarmiento per SarcoFilms/LaSalleHolland Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 14-8-2008; Milano 14-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: Marcel Sarmiento Direttore della fotografia: Tim Ives Montaggio: David Codron, Phyllis Housen Musiche: Julian Nott Scenografia: Mark White Costumi: Lynn Falconer Co-produttori: Gill Holland, Lillian LaSalle Direttore di produzione: Michael Sledd Casting: Sheila Jaffe C harlie, proprietario di un negozio di torrefazione di caffè, è un ragazzo timido e imbranato che sogna il grande amore. Una sera, a una festa, il giovane resta affascinato da una bellissima bionda di nome Daphne. Il giorno dopo, Charlie confida all’amico Ras di essere completamente stregato da quella ragazza che conosce appena. Daphne va a trovare Charlie al negozio e il giovane le prepara una miscela di caffè speciale che battezza col suo nome. Charlie, che non ha una particolare passione per i cani, scopre che la ragazza sta passando un brutto 24 periodo dopo la morte del suo amato cagnolino, Fiocco d’avena. Pochi giorni dopo, Daphne è di nuovo felice, ha con sé un nuovo cane, il suo nome è Babydog. Oltre al vivace cucciolo, Charlie deve vedersela anche con la concorrenza di James, un giovane medico che ha molta con- Film fidenza coi cani e che sa come colpire al cuore la ragazza. Ras consiglia a Charlie di non mollare, deve riuscire a conquistare il cuore di Daphne per sconfiggere la concorrenza di Babydog nel cuore della ragazza. Una sera, Charlie riesce a salire a casa di Daphne e, proprio mentre la ragazza sta per cedere al suo corteggiamento, ci si mette di mezzo Babydog che deve uscire a fare i suoi bisogni. Tornato a casa, Charlie trova Daphne ubriaca e i due finiscono per addormentarsi. Il giorno dopo, Ras cerca di non scoraggiare l’amico. Di nuovo per strada, di sera tardi, per far fare i bisogni a Babydog, Charlie non riesce a rientrare in casa perché Daphne si è addormentata. Disperato e chiuso fuori, Charlie va a casa da Ras con Babydog. Il mattino dopo, Daphne si scusa con Charlie per l’accaduto e chiede di badare al suo cane ancora per qualche ora. Accade però che, grazie alla presenza di Babydog, la caffetteria di Charlie si riempie di nuovi clienti con i loro amici a quattro zampe. Anche Ras si accorge che in compagnia di Babydog riesce ad abbordare molte ragazze. Quella sera, Charlie riesce finalmente ad allontanare Babydog dalla camera da letto di Daphne, ma la ragazza sospetta che il suo cagnolino interessi a Charlie più di lei. Charlie ammette che per lui è più facile dire di essersi innamorato di un cane piuttosto che di lei. Anche Ras crede che ormai Charlie abbia un’ossessione per il Tutti i film della stagione cagnolino. Una sera, Charlie rivede Daphne e le dice che l’errore più grande che commettiamo è quando cerchiamo di misurare i nostri sentimenti; era convinto di essere un romantico ma non sa nulla dell’amore vero e ora ha perso sia lei che Babydog. A casa, Ras promette a Charlie che lo aiuterà, ma in quel momento Daphne telefona dicendo che Babydog è fuggito. Charlie e Daphne ritrovano Babydog e fanno la pace. Charlie prepara nuove miscele di caffè per clienti felici. Sei settimane dopo, Ras si è trovato un nuovo lavoro come dog-sitter mentre Daphne torna a casa con un gattino. “I l triangolo no, non l’avevo considerato ....” cantava Renato Zero tanti anni fa, ed eccoci a un altro triangolo amoroso, un ménage à trois davvero ‘sui generis’: lui, lei e un delizioso iperaffettuoso cagnolino. “L’amore è amore, indipendentemente dal fatto che sia una persona o un cane” dice la bionda protagonista al suo impacciato corteggiatore. E l’amore finisce per trionfare, al di là delle disavventure buffe, ma prevedibili, del nostro protagonista, che deve vedersela con un inedito rivale a quattro zampe. Certo, di simpatici protagonisti a quattro zampe il cinema è pieno, per non tornare troppo indietro al mitico Lassie ne citiamo solo due più recenti: Turner e il “casinaro” con un Tom Hanks giovanotto e Poliziotto a 4 zampe con il bravo James Belushi. Molto più modestamente, Lui, lei e Babydog si presenta come un film leggero e innocuo come una brezza estiva. Dietro la macchina da presa c’è il giovane Marcel Sarmiento, alla sua seconda esile regia cinematografica. Una lei biondina (Malin Akerman già ammirata nei panni della sorella rubacuori della protagonista Katherine Heigl nella commedia 27 volte in bianco di Anne Fletcher e nell’irriverente Lo spaccacuori di Bobby e Peter Farrelly accanto a Ben Stiller), un lui imbranatuccio (Brendan Hines, faccia da bravo ragazzo e qualche partecipazione a serie televisive come Senza traccia e The Middleman) e un viziato cagnolino. Tutto scontato. Se non fosse per quella “faccia un po’ così” di Kevin Sussman (già visto nella serie televisiva “cult” Ugly Betty) nei panni di Ras, l’amico del cuore del protagonista, saggio consigliere dall’inaspettato futuro da dog-sitter e, manco a dirlo, una frana con le donne. Una segnalazione, tenetelo d’occhio nell’ultimo film dei fratelli Coen Burn After Reading, celebrata commedia con il duo di star Clooney – Pitt: il nostro Kevin ha una piccola parte, eh già quella faccia non è sfuggita neppure ai Coen! Elena Bartoni LOWER CITY (Cidade baixa) Brasile, 2005 Regia: Sérgio Machado Produzione: Walter Salles per VideoFilmes Distribuzione: Iguana Film Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Sérgio Machado, Karim Ainouz Direttore della fotografia: Toca Seabra Montaggio: Isabela Monteiro de Castro Musiche: Carlinhos Brown, Beta Villares Scenografia: Marcos Pedroso Costumi: Andrè Simonetti, Cristina Camargo Produttore esecutivo: Mauricio Andrade Ramos Produttori associati: Robert Bevan, Donald Ranvaud B rasile. Deco e Naldinho si guadagnano da vivere trasportando merci sulla loro vecchia barca a motore. Sono amici da una vita, dividono tutto, ogni cosa. Anche la bella e ossigenata Karinna, prostituta conosciuta per caso in un bar. A lei, in cambio di un pas- Direttori di produzione: Claudia REis, Marcelo Torres Aiuti regista: Marcia Faria, Maria Farkas, Daniela Carvalho Trucco: Rosa Versoça Interpreti: Wagner Moura (Naldinho), Lazaro Ramos (Deco), Alice Braga (Karinna), José Dumont (Sergipano), Harildo Deda (Careca), Maria Menezes (Luzinete), João Miguel (Edvan), Debora Santiago (Sirlene), Leno Sacramento (Rufino), Ricardo Spencer (Marcelo), Divina Valéria (Zilu), Tinho Bahia (pugile), Fernanda dei Freitas (Nilma), Anuréa Elia (D Lenita), Agnaldo Lopes, Ricardo Luedy (clienti Karinna) Durata: 100’ Metri: 2469 saggio per Salvador, chiedono una doppia prestazione sessuale. Karinna accetta. Verso sera, si parte. L’indomani fanno sosta a Cachoeira. Devono scaricare sacchi di cibo per cani. Decidono di fermarsi, il tempo di bere una cosa. Ma nel locale, dove c’è un combatti25 mento tra galli, si scatena una rissa e Naldinho, nel tentativo di sedare gli animi, ha la peggio. Ferito da un coltello, rimane a terra sanguinante. Deco allora, come una furia, si accanisce sull’aggressore. In piena notte, i tre sono di nuovo in barca, diretti a Salvador. Film Qui, un dottore rimargina la ferita di Naldinho. La vita può ricominciare. Ma ora, tra i due vecchi amici, si è insinuata Karinna. Il suo corpo, bello e disponibile, passa tra le braccia di uno a quelle dell’altro. Si va avanti così, per giorni. Intanto, i loro tentativi di uscire da quella spirale di povertà puntualmente falliscono. Le loro squallide vite sono lì a dimostrarlo. Karinna fa la spogliarellista in un locale e ha rapporti con chiunque la paghi. Presto rimarrà incinta. Deco rimette i guantoni e torna a boxare, ma è costretto ad accettare incontri fasulli. Infine, il più debole, Naldinho, non trova di meglio che legarsi a un malavitoso del quartiere. Unico appiglio è l’amore ossessivo che ambedue provano per la donna. Per lei, Deco e Naldinho si troveranno ad azzuffarsi come quei due galli a Cachoeira. A curar loro le ferite ci penserà Karinna. Tutti i film della stagione L ’esordio di Sergio Machado conferma la sua propensione a indagare l’animo umano, soprattutto se questo è messo in condizioni estreme, così come già fece nel bel documentario At the Edge of the Earth. Vale la pena, inoltre, ricordare che è stato assistente di Walter Salles (qui in veste di produttore insieme a Mauricio Andrade Ramos) in Central do Brasil, che pur trattava tematiche di violenza e disperazione in una terra difficile qual è il Brasile. L’azione qui si svolge in larga parte nella città di Salvador e più precisamente nella Chidade Baixa, zona in pieno sviluppo economico. Ma alla modernità del posto, che a malapena intravediamo, si contrappone la vita di questi tre disperati, alla ricerca affannosa di una felicità improbabile. Le loro esistenze, dipinte di scuro, appaiono fin da subito segnate da un tra- gico destino. Come se indossassero un abito da cui è difficile spogliarsi. Anche il loro fare all’amore con l’affascinante Karinna (Alice Braga), rimanda un senso di squallore, di fine. Proprio perché è un amore cercato, desiderato, quasi violento. Destinato, perciò, inevitabilmente a spegnersi. Un film senza speranza, trattato però con delicatezza e senza eccessivi tormenti. A rendere ben leggibile questo dramma, la bellissima fotografia di Toca Searba, oltre, naturalmente, la bravura degli attori che, non solo formano un trio perfetto, ma ci restituiscono una verità fuori dalla norma. Così la regia, attenta e scrupolosa a catturare ogni singola espressione. Unica nota un po’ stonata, ci è parsa la scrittura. A tratti ingenua e un tantino esplicativa. Ma ciò non toglie freschezza e vitalità a questa pellicola. Ivan Polidoro MILK (Milk) Stati Uniti, 2008 Acconciature: Debra Dietrich, Michael White, Sterfon Demings, Tess Green, Robert Mruck, Jennifer Tremont Coordinatore effetti speciali: Tom Sindicich Supervisore effetti visivi: Chel White Coordinatore effetti visivi: Collin Fowler (Illusion Arts) Supervisore costumi: Victoria DeKay Interpreti: Sean Penn (Harvey Milk), Emile Hirsch (Cleve Jones), Josh Brolin (Dan White), Diego Luna (Jack Lira), James Franco (Scott Smith), Alison Pill (Anne Kronenberg), Victor Garber (Sindaco George Moscone), Denis O’Hare (Senatore John Briggs), Joseph Cross (Dick Pabich), Stephen Spinella (Rick Stokes), Lucas Grabeel (Danny Nicoletta), Brandon Boyce (Jim Rivaldo), Howard Rosenman (David Goodstein), Kelvin Yu (Michael Wong), Jeff Koons (Art Agnos), Ted Jan Roberts (Dennis Peron), Boyd Holbrook (Denton Smith), Frank M. Robinson, Allan Baird, Tom Ammiano (se stessi), Carol Ruth Silver (Thelma), Hope Tuck (Mary Anne White), Steven Wiig (McConnely), Ashlee Temple (Dianne Feinstein), Wendy Tremont King (Carol Ruth Silver), Kelvin Han Yee (Gordon Lau), Robert Chimento (Phil Burton), Ginabel Machado (Lily), Daniel Landroche (giovane adolescente), Trace Webb (ragazzo dei volantini), Mark Martinez (Sylvester), Catherine Cook, Joe Meyers (cantanti opera Tosca) Durata: 128’ Metri: 3400 Regia: Gus Van Sant Produzione: Bruce Cohen, Dan Jinks, Michael London per Focus Features/Axon Films/Groundswell Productions/ Jinks/ Cohen Company/Sessions Payroll Management Distribuzione: Bim Prima: (Roma 23-1-2009; Milano 23-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Dustin Lance Black Direttore della fotografia: Harris Savides Montaggio: Elliot Graham Musiche: Danny Elfman Scenografia: Bill Groom Costumi: Danny Glicker Produttori esecutivi: Dustin Lance Black, Barbara A. Hall, William Horberg, Bruna Papandrea Direttore di produzione: Barbara A. Hall Casting: Francine Maisler Aiuti regista: David J. Webb, John R. Saunders, Grace Liu, Ian Calip, Michael Jordan, Neil Lewis Operatori: Robert Dalva, Stephen Lighthill, Michael Chin, Will Arnot Art director: Charley Beal Arredatore: Barbara Munch Trucco: Steven E. Anderson, Gretchen Davis, Gregory Nicotero, Karen Bradley, Stephan Dupuis, Toby Mayer, Jenny-King Turko 1 8 novembre 1978. 9 giorni prima della sua morte, Harvey Milk sta registrando su nastro le tappe della sua vita e della sua carriera 1970, New York. Milk, alla soglia dei 40 anni, conosce Scott Thomas che per molti anni sarà il suo compagno 1972. Harvey e Scott si trasferiscono a San Francisco, dove mettono in piedi un’attività commerciale (chiamata “Castro Camera”) nel quartiere popolare di Castro, diventato punto di riferimento per la comunità gay. Il negozio di fotografia diventa ben presto il ritrovo di un gruppo di persone e amici che sostiene il nascente attivismo di Harvey. Questi inizia a essere un militante, improvvisa comizi nei quali chiede pari diritti e opportunità per tutti. 26 Diventa, così, ben presto il paladino della comunità di Castro e appassiona omosessuali ed eterosessuali, giovani e anziani. A questo punto, decide di entrare in politica, candidandosi per la carica di consigliere comunale. In questa sua attività, trova sostegno in Scott e nel gruppo dei suoi fidati amici e, tra questi, c’è Cleve Jones. Nonostante abbia portato entusiasmo, non Film viene eletto. Tuttavia non si perde d’animo e con determinazione ritorna alla carica per entrare nel governo cittadino. Nel corso del suo quarto tentativo, Scott lascia Harvey, non potendo più tollerare questo susseguirsi di speranze e delusioni. Durante l’ultima campagna elettorale però, Milk viene eletto consigliere per il 5° Distretto, diventando il primo gay dichiarato ad assumere una carica istituzionale. Nel frattempo, inizia una relazione con Jack Lira, un ragazzo latino. In municipio, conosce il conservatore Dan White. Malgrado le differenze, tra i due si buttano le basi per un rapporto lavorativo. White lo invita al battesimo di suo figlio. Il loro rapporto però si fa teso dopo che Milk, in consiglio, non appoggia il progetto di White. Questi si sente tradito e comincia ad andargli contro su tutte le iniziative. Nel frattempo, Jack, non riuscendo a sopportare la scarsa presenza del suo amante, si toglie la vita impiccandosi. Milk è incredulo e stravolto dal dolore dopo che ritrova il corpo senza vita in casa. Da un punto di vista politico, si sta battendo contro la “Proposition 6”, legge sponsorizzata dal senatore John Briggs che prevedeva il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay. Questa campagna era stata intrapresa dall’ultra conservatrice cantante e attivista Anita Bryant Il 7 novembre del 1978, dopo una lunga ed estenuante battaglia, la legge non passa e Milk e il suo gruppo possono finalmente festeggiare. Intanto White, che non ricopre più la carica di consigliere, si dimostra sempre più instabile e insofferente ai successi di Milk. Cerca di riottenere il suo posto in municipio trovando però l’opposizione del sindaco Moscone. La mattina del 27 novembre, l’uomo entra nel municipio di San Francisco. Ottiene un colloquio col sindaco e poi gli spara. Successivamente si dirige verso l’ufficio di Milk e lo fredda brutalmente. A San Francisco, Harvey e il sindaco Moscone vengono commemorati con una grande fiaccolata che attraversa le strade della città. A prima vista, Milk potrebbe apparire il biopic più classico dell’opera di Gus Van Sant. La vita del protagonista, il primo politico dichiaratamente gay a essere eletto in una carica pubblica, viene infatti ripercorsa dal 1970 al 1978, attraverso consistenti ellissi temporali: il primo incontro con Scott Thomas, il trasferimento a San Francisco nel quartiere di Castro, l’attività e l’impegno politico. Un disegno, quello di Van Sant, in perfetto equilibrio tra dimensione pubblica e Tutti i film della stagione privata, che ricrea l’atmosfera di un paese, dove c’era il sogno di un cambiamento progressista da una parte e le radici conservatrici che lo ostacolavano dall’altra (le figure della cantante-attivista Anita Bryant e del senatore John Briggs). Milk è anche ma non soltanto una riuscita ricostruzione d’epoca. Sembra invece un film che è stato realizzato negli anni Settanta. Recentemente, nel cinema statunitense, aveva dato questa stessa impressione American Gangster di Ridley Scott. In effetti queste due pellicole condividono un volontario sfasamento nella prospettiva degli ambienti e una perdita di consistenza cromatica che riportano, non solo a livello visivo ma soprattutto sensoriale, all’interno di quel decennio. Il direttore della fotografia dei due film è infatti Harris Savides (che collabora spesso con Van Sant e ha lavorato anche con David Fincher in Zodiac e con James Gray in The Yards), forse oggi uno dei migliori tecnici per immergere in una dimensione temporale passata. Inoltre, la pellicola appare in sintonia con il miglior cinema americano politico di quegli anni. C’è un momento in cui il protagonista avverte di essere pedinato. Non accade niente, ma lui accelera il passo e lascia avvertire una paura che cerca di nascondere. Anche in Tutti gli uomini del Presidente (1976) di Alan J. Pakula era presente un momento simile dove Robert Redford, nei panni di Bob Woodward, percorreva la strada di notte e si avvertiva la presenza di qualcuno che lo stava inseguendo di nascosto. L’opera di Van Sant quindi può essere inquadrata come potente esempio di cinema civile, con attori al meglio. Il trasformismo e l’aderenza fisica ed emotiva di Sean Penn in Milk ricorda quella con cui ha interpretato l’avvocato di Carlito’s Way 27 (1993) di De Palma. Ma sorprendono anche le prove mimetiche e sofferte di un grande Josh Brolin (Non è un paese per vecchi e W.), Emile Hirsch (Into the Wild) e James Franco (i tre Spiderman). Al tempo stesso però il film del cineasta statunitense può essere anche visto come un lunghissimo flashback che dura per quasi tutto il film. Quei nastri dove il 18/11/78, 9 giorni prima della sua morte, registra la sua voce, sono una sorta non solo di autobiografia che poi prende forma attraverso i filmati della propria memoria, ma, soprattutto, di un testamento, come se il protagonista avvertisse quasi la sua fine. Chiaramente Van Sant non si spinge nella totale destrutturazione del biopic come in Last Days, ispirato agli ultimi giorni di vita del leader dei Nirvana Kurt Cobain, nel quale cercava soprattutto di catturare e materializzare l’allucinazione soggettiva e squarci di visioni oniriche, entrando quasi all’interno di un mondo soprannaturale. Però Milk è denso di slanci improvvisi, di percezioni ed emozioni epidermiche, come quella in cui ritorna a casa e vede il suo compagno impiccato, o tutta la folgorante parte finale in cui il suo volto, dopo che Dan White gli ha sparato, guarda come ultima immagine il teatro dove stanno rappresentando La Tosca, opera che era andato a vedere qualche giorno prima. Ecco, in quella scena, nel senso di improvvisa solitudine che si avverte in quel momento, il volto di Sean Penn appare ‘diviso in due’ tra malata estasi e straziata disperazione, proprio come quello di Tom Hanks in Philadelphia (1993) di Jonathan Demme mentre ascolta la voce della Callas che canta nell’opera lirica Andrea Chenier. Milk riprende i movimenti, i percorsi Film proprie dell’opera di Van Sant. L’inserimento di filmati documentari (l’inizio del film con il repertorio che testimonia la persecuzione della polizia nei confronti degli omosessuali con irruzioni nei bar e arresti tra gli anni ’50 e ’60) crea sempre quella sospensione tra la realtà e la ricostruzione che attraversa spesso la sua filmografia. Inoltre, le immagini del viaggio in auto di Harvey e Scott verso San Francisco, con loro che si inquadrano e guardano nell’obietti- Tutti i film della stagione vo, hanno la consistenza e l’immediatezza di un filmino familiare e, da questo punto di vista, il regista lascia intenzionalmente scontrare formati diversi proprio come in Paranoid Park. Infine l’inquadratura di spalle di Dan White mentre si sta avviando a uccidere prima il sindaco Moscone e poi Harvey Milk ha la stessa traiettoria di quella di Elephant. Milk è quindi un film di incredibile ricchezza, che a un’attenta analisi va oltre quello che mostra direttamente sullo schermo. La fiaccolata finale è un momento di cinema intensissimo ed emozionante, segno di come il regista sappia straordinariamente annegare dentro le proprie storie. E da quel momento si ha come la sensazione che il personaggio riprenda improvvisamente vita proprio dalla fine. Come un improvviso miracolo. Simone Emiliani IMPY E IL MISTERO DELLISOLA MAGICA (Urmel aus dem Eis) Germania, 2006 Co-produttore: Andreas Fallscheer Direttore di produzione: Fabian Mueller Effetti speciali: Gildas Gerdes, Tino Waschke Effetti visivi: Timo Schnitt Voci: Wigald Boning/Gianluca Iacono (Professor Tibberton), Anke Engelke/Cinzia Massironi (Piggy), Stefan Krause/Serena Clerici (pinguino Ping), Oliver Pocher/Riccardo Rovatti (Sonderburg), Domenic Redl/Patrizia Mottola (Impy), Frank Schaff/ Davide Garbolino (Monty), Klaus Sonnenschein/Pietro Ubaldi (Pumpolonio), Bernhard Volger/Natale Ciravolo (Dimitri), Wolfgang Volz/Claudio Moneta (Paki) Durata: 87’ Metri: 2400 Regia: Reinhard Klooss, Holger Tappe Produzione: Reinhard Klooss, Holger Tappe per Ambient Entertainment GmbH/Bavaria Pictures/Falcom Media Distribuzione: Mediafilm Prima: (Roma 27-6-2008; Milano 27-6-2008) Soggetto: dal libro per bambini Urmel venuto dai ghiacci di Max Kruse Sceneggiatura: Oliver Huzly, Reinhard Klooss, Sven Severin Montaggio: Fabian Mueller Musiche: James Dooley Scenografia: Henning Ahlers, Jens Benecke Produttori esecutivi: oliver Huzly, Sebastian Riemen Line producer: Michael Waldleitner I l professor Albert Siebenstein vive sull’isola di Hula-Hula dove tiene una scuola di linguaggio per animali: insieme al figlio adottivo Tim, Siebenstein insegna a parlare al pinguino Ping, al varano Monty e al pellicano Paki. Un giorno, trovano sulla spiaggia un uovo dal quale, una volta schiuso, esce fuori un cucciolo di dinosauro. Subito accudito con amore dalla maialina Piggy, che si occupa delle pulizie e delle vettovaglie, il piccolo Impy cresce grande e forte, vivace e pasticcione come tutti i cuccioli. Dall’altra parte del mondo, l’ex re Pumpolonio, dopo aver perso la corona, si annoia e passa il tempo andando a caccia di animali esotici e in via di estinzione; saputo dell’esistenza di Impy e dell’isola di HulaHula, Pumpolonio decide di partire alla volta dell’isola con il fedele maggiordomo Dimitri e un fucile da caccia. All’arrivo del re, Siebenstein e i suoi amici nascondono Impy in una grotta sotto il vulcano che troneggia sull’isola. Il re riesce a scoprire il nascondiglio, ma una frana, provocata dall’improvviso risveglio del vulcano, blocca l’ingresso alla grotta, lasciandolo solo con Impy. Ora che sono faccia a faccia però, Pumpolonio non ha coraggio di uccidere un cucciolo carino come Impy e confessa di non essere un cacciatore per cattiveria ma solo perché si annoia da quando non è più re. Intanto, con l’aiuto del leone marino Solomone, Siebenstein, Ping e Monty riescono a liberare Impy e il re, ormai diventati grandi amici. T ratto dal bestseller in patria pubblicato per la prima volta negli anni ’60 dallo scrittore ormai ot tantacinquenne Max Kruse, arriva nelle sale italiane due anni dopo la sua realizzazione Impy e il mistero dell’Isola Magica, un film d’animazione in 3D rivolto espressamente a un pubblico infantile. Incentrato sulle avventure di un gruppo di animali parlanti su di un’isola sperduta nell’oceano, il film ha il suo punto di forza non tanto nell’animazione in sé (di buona fattura ma non eccelsa) e nemmeno nella sceneggiatura (eccessivamente sacrificata come spesso accade in questo genere di film), quanto, piuttosto, nella caratterizzazione dei personaggi dei piccoli animaletti che si rifanno esplicitamente a modelli di comportamento propri del monto infantile, come del resto era alla base della stessa serie di racconto di Kruse. La storia è praticamente ridotta all’osso, con una serie di episodi quasi slegati l’uno dagli altri e che non segue minimamente lo sviluppo del personaggio principale di Impy. Il personaggio risulta però sim28 patico come solo i bambini sanno essere, nonostante spesso parli a sproposito, non obbedisca mai a quello che gli viene detto dagli adulti e riesca sempre a cacciarsi nei guai ed è veramente dolcissimo quando, con disarmante innocenza, chiede al re Pumpolonio la ragione del suo odio nei propri confronti. Dal punto di vista dell’animazione, funzionano decisamente meglio i personaggi animali, come il simpatico varano Monty (con la voce alla Duffy Duck di Davide Garbolino) e il pinguino Ping (buona la resa della pelliccia che lo avvolge), ad eccezione della maialina Piggy (uno sforzo in più si sarebbe potuto fare per rendere più simpatico e accattivante l’unica figura materna del film); risultano meno efficaci e schematici i personaggi umani come il re Pumpolonio e lo scienziato Siebenstein (che richiama espressamente alla mente Albert Einstein), mentre è pessimo il direttore dello zoo di Pumpolonia Zonderburgh, come pessimo sono pure le gag che lo vedono protagonista. La colonna sonora è di ordinaria amministrazione e ci risparmia canzoncine bislacche e fuori luogo (è già abbastanza la favola sulla “fata dei maialini”, chissà cosa sarebbe uscito fuori per le canzoni). Il film è pieno di buoni sentimenti, senza però grondare sentimentalismo, con un bel messaggio di tolleranza e compren- Film sione per il diverso e di amore per la natura. Poco citazionismo ma piace il versante gospel del leone marino Solomone che canta Nobody Knows The Trouble I’ve Seen Tutti i film della stagione con la voce di Louis Armstrong. La zanzara, che si vede all’inizio del film e che finisce prima ibernata e poi scongelata al sole dell’isola di Hula-Hula, richiama poi alla mente lo scoiattolo preistorico Scrat di L’era glaciale 1 e 2, seppure con minor simpatia. Chiara Cecchini EX Italia, 2008 Produttore esecutivo: Salvatore Morello Casting: Denver M. Beattie Aiuto regista: Alessandro Pascuzzo Suono: Marco Fiumara Interpreti: Claudio Bisio (Sergio), Elena Sofia Ricci (Michela), Silvio Orlando (Luca), Carla Signoris (Loredana), Vincenzo Salemme (Filippo) Nancy Brilli (Caterina), Cristiana Capotondi (Giulia), Malik Zidi (Marc), Cécile Cassel (Monique), Fabio De Luigi (Paolo), Alessandro Gassman (Davide), Claudia Gerini (Elisa), Flavio Insinna (don Lorenzo), Gianmarco Tognazzi (Corrado), Giorgia Würth (Roberta), Martina Pinto (Valentina) Durata: 120’ Metri: 3300 Regia: Fausto Brizzi Produzione: Fulvio e Federica Lucisano per Italian International Film. In coproduzione con Paradis Film/Mes Film. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 6-2-2009; Milano 6-2-2009) Soggetto e sceneggiatura: Fausto Brizzi, Marco Martani, Massimiliano Bruno Direttore della fotografia: Marcello Montarsi Montaggio: Luciana Pandolfelli Musiche: Bruno Zambrini Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi Costumi: Monica Simeone S ei coppie protagoniste si alternano sulla scena in un periodo compreso tra Natale e San Valentino. Caterina e Filippo stanno divorziando per non avere l’affidamento dei figli, due ragazzini “degeneri” che invece di accontentarsi della playstation chiedono di andare al teatro e al planetario. A giudicare la loro causa, Luca, che, una volta messa da parte la toga, ha problemi con la moglie Loredana. Alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo è in preda al complesso di Pater Pan e stufo della vita matrimoniale, si trasferisce a vivere nella casa dove sta il figlio universitario con altre ragazze. Luca ha un’altra figlia, Giulia che vive e lavora a Parigi con il fidanzato Marc. Alla ragazza viene proposta un’ottima trasferta in Nuova Zelanda e, dopo le iniziali titubanze, accetta la proposta, forte del suo amore con Marc. Sergio è un professore universitario di psicologia, divorziato da otto anni, con due figlie adolescenti di cui si è sempre occupato poco, troppo preso dalla passione per le donne. All’improvviso, a causa di un incidente stradale in cui la sua ex moglie Michela perde la vita, è costretto da un giorno all’altro, suo malgrado, a occuparsi delle due ragazze. Elisa sta per sposarsi con Corrado e scopre che il prete che dovrà benedire la sua unione è nientemeno che il suo storico ex, Lorenzo, etichettato con un dieci e lode nella sua classifica degli uomini avuti. Poi c’è Paolo, un medico bonaccione innamorato di Monique, una dj vispa e alternativa, che è continuamente minacciato da Davide, poliziot- to ed ex fidanzato della ragazza, geloso in maniera morbosa. Caterina e Filippo seguendo le direttive imposte loro dal giudice per riconquistare la fiducia dei figli, si scoprono più innamorati di prima. Loredana rimane ferita durante una rapina e Luca, di fronte all’eventualità di perdere la moglie, si prodiga per riconquistarla. Marc, consumato dalla gelosia e da un rapporto a distanza ormai ingestibile, decide di fare una sorpresa a Giulia raggiungendola in Nuova Zelanda. Peccato che al suo arrivo non trova la ragazza, ma anzi, credendola fuggita con un collega surfista, se ne torna sconsolato sui suoi passi. Giulia è arrivata, a sua volta, a Parigi e per un casuale fraintendimento è convinta che Marc la stia tradendo. I due si incontrano in aeroporto durante lo scalo a Hong Kong e basta poco per riaccendere la passione. Don Lorenzo, ancora segretamente innamorato di Elisa, fa le poste a Corrado durante il suo addio al celibato, cogliendolo in flagrante con una spogliarellista. Elisa, già da tempo confusa circa i propri sentimenti, davanti all’altare, prima di pronunciare il fatidico sì, decide di seguire il suo cuore, mentre Lorenzo senza pensarci a lungo scioglie i voti. Paolo, ormai impotente di fronte ai continui avvertimenti di Davide, arriva a farsi lasciare dalla fidanzata. Tuttavia, il destino vuole che sia lui a salvare la vita proprio al suo aguzzino, ferito da un proiettile durante una rapina. I due diventano amici e si alleano, architettando un piano per far fuori il nuovo spasimante di Monique. Dulcis in fundo Ser29 gio abbandona i panni da don Giovanni e finalmente si riscopre padre. I n una commedia corale ben orchestrata, sul modello di Love Actually e Manuale d’amore, Fausto Brizzi gioca con il tema degli amori finiti e degli amori ritrovati. Dopo il successo dei due Notte prima degli esami, pellicole giovanilistiche che hanno sbancato il botteghino, con Ex il regista romano si confronta con una storia più “adulta”, ragionando sul come si faccia presto a divenire ex, ma in fondo sul come non lo si divenga mai. Il film inizia dove solitamente le commedie romantiche finiscono: coppie che si baciano e si giurano amore eterno. Tuttavia l’ordine iniziale è solo apparente; in fretta ci si trova a dover cercare di riordinare un puzzle (come quello fatto da Marc e Giulia con la celebre foto Le Baiser de l’Hôtel de Ville) da mille pezzi. Ex è una commedia corale costruita sul sempreverde motivo dell’amore altalenante, di quello che finisce e rinasce, è soggetto a strappi e viene ricucito. Le sei coppie protagoniste rappresentano i prototipi delle problematiche amorose più comuni: dal divorzio, alla gestione dei figli, al problema della distanza, al tradimento. Alla fine, con prevedibile ottimismo, l’amore vince su tutto, più forte delle incomprensioni, degli equivoci e delle incompatibilità caratteriali. Con una non mascherata leggerezza diventa tutto possibile, senza ricorrere per forza alla volgarità, accondiscendendo un pubblico senza troppe pretese. Film In una gustosa confezione di intrattenimento, all’insegna di una regia lineare e senza particolari vezzi artistici, Brizzi lascia spazio alla scrittura e a un girotondo di attori che spazia dal grande schermo alla televisione, rendendo i 120 minuti di Tutti i film della stagione pellicola piacevoli e divertenti. Accanto all’utilizzazione di alcuni attori e delle loro potenzialità di persuasione di una certa fetta di pubblico, tipo Bisio, Salemme, Gerini, Capotondi, Brilli c’è anche il reclutamento e la prestazione di alcuni personag- gi assolutamente non scontati. Il televisivo Insinna, che si difende con molto onore, o De Luigi che sta diventando sempre più camaleontico e persino il cabarettista Dario Cassini. A fianco a loro, la professionalità di un Gassman, di un Tognazzi e di un brillante Silvio Orlando. Tanto che per un attimo ci si illude di trovarsi a che fare con una commedia degli anni ’60. E via allora alla ricerca del successo con le strategie del marketing più puro. La colonna sonora alla moda, una grande distribuzione, il libro scritto da Brizzi (“Il manuale degli Ex”) e edito da Mondadori, uscito in contemporanea con il film, foto e filmati nei titoli di coda di cento baci di sconosciuti inviati dal sito web del film nel corso dei mesi precedenti all’uscita. Si è ricorsi persino al duo dei Jalisse, richiesti esplicitamente dal regista e inseriti in maniera ironica e spassosa in un simpatico cameo musicale all’interno del costrutto filmico. Grande ritorno, anche se in comparsata, di Montesano, Angelo Infanti e l’ex morettiano Fabio Traversa. Veronica Barteri SAW V (Saw V) Stati Uniti/Canada, 2008 Supervisore effetti speciali: Jeff Skochko Supervisore effetti visivi: Jon Campfens Coordinatore effetti visivi: Beau Parsons (Switch VFX) Interpreti: Tobin Bell (Jigsaw/John), Costas Mandylor (Mark Hoffman), Scott Patterson (agente Strahm), Betsy Russell (Jill), Julie Benz (Brit), Meagan Good (Luba), Mark Rolston (Dan Erickson), Carlo Rota (Charles), Greg Bryk (Mallick), Laura Gordon (Ashley), Joris Jarsky (Seth), Mike Butters (Paul), Al Sapienza (capo di polizia), Mike Realba (detective Fisk), Lyriq Bent (Rigg), Sheila Shah (agente speciale Cowan), Samantha Lemole (Pamela Jenkins), Jeff Pustil (Bernie), Athena Karkanis (agente Perez), Justin Louis (Art), Donnie Wahlberg (Eric Mathews), Danny Glover (David Tapp), Dana Sorman (receptionist dell’ufficio legale), Shawnee Smith (Amanda), Bahar Soomekh (Lynn), Niamh Wilson (Corbett), Angus Macfadyen (Jeff), Lisa Berry (EMT), Bill Vibert (agente), Tony Nappo (Gus) Durata: 92’ Metri: 2350 Regia: David Hackl Produzione: Mark Burg, Oren Koules per Twisted Pictures Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Patrick Melton, Marcus Dunstan Direttore della fotografia: David A. Armstrong Montaggio: Kevin Greutert Musiche: Charlie Clouser Scenografia: Anthony A. Ianni Costumi: Alex Kavanagh Produttori esecutivi: Peter Block, Jason Constantine, Daniel J. Heffner, Stacey Testro, James Wan, Leigh Whannell Produttore associato: Troy Begnaud Casting: Stephanie Gorin Aiuti regista: Sam Lennox, Steve Webb, Sarah Buell, Greg Edmunds Arredatore: Liesl Deslauriers Trucco: Colin Penman S eth Baxter è un assassino che era stato condannato all’ergastolo per omicidio. Poi la sua pena, a causa di cavillo legale, è stata ridotta a 5 anni. Ora si trova incatenato a un tavolo con sopra un pendolo gigantesco, sul quale è montata un’enorme lama. La sua fine è ormai imminente. L’agente Peter Strahm, dopo aver ucciso Jeff Reinhart, viene chiuso dal detective Hoffman nella camera dove Jigsaw è morto. Qui c’è un passaggio segreto e un registratore gli dice di non procedere. Lui però ignora l’avvertimento e, al suo risveglio, si ritrova in una trappola costruita per giustiziarlo; sulla sua testa c’è infatti 30 una teca di vetro con due tubi che immettono acqua. Lui si pratica una rudimentale tracheotomia e riesce a sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi. Hoffman si stupisce nel vedere Strahm sopravvissuto all’Enigmista. Comunque Jigsaw viene dichiarato morto e Hoffman riceve una promozione per aver risolto il caso. Film Intanto Jill, l’ex-moglie dell’Enigmista, riceve tramite un notaio un videomessaggio dall’ex-marito che le dice di aprire la cassa che le ha lasciato in eredità. Jill lo fa e ne visiona il contenuto senza rivelarlo. Nel frattempo, Strahm, ricoverato in ospedale, comincia ad avere sospetti su Hoffman e inizia a pensare a tutte le vittime dell’Enigmista e ai loro legami con il detective. Alla fine, scopre anche che Seth Baxter era l’ex-fidanzato e l’assassino della sorella di Hoffman e giunge anche alla conclusione che la trappola del pendolo era stata, in realtà, costruita da lui per punire l’omicida, facendo poi ricadere la colpa dell’assassinio su Jugsaw. Per fare ciò, aveva studiato nei dettagli l’operato dell’Enigmista. In una trappola, intanto, cinque persone sconosciute tra loro, si risvegliano con addosso dei collari collegati fra loro che, alla fine del tempo, scandito da un timer, decapiteranno coloro che li hanno ancora addosso. La loro unica salvezza è costituita da una chiave per sganciare il collare. Un messaggio dell’Enigmista li avverte di non essere egoisti come nella loro vita quotidiana. Una di loro non ce la fa e resta decapitata. Gli altri quattro si cominciano a interrogare sui motivi per cui si trovano in quel posto e uno di questi, mostrando di saperne troppo, insospettisce gli altri. Alla fine, per salvarsi, i superstiti devono affrontare delle altre durissime prove. Di loro, alla fine non si salva nessuno. Strahm continua la sua ricerca e segue Hoffman nel suo nascondiglio. Si tro- Tutti i film della stagione va in una stanza dove c’è una bara trasparente. All’arrivo, i due lottano finché Strahm non spinge Hoffman nella bara e lo chiude all’interno. Questa, però, si abbassa lentamente in un buco del pavimento mentre le pareti cominciano ad avvicinarsi tra loro e Strahm viene schiacciato. I suoi superiori sono intanto alla sua ricerca... A volte la serialità nell’horror può diventare soltanto una meccanica riproduzione del film originale. È così accaduto, per esempio, per Nightmare (eccezion fatta per il numero 4 diretto da Renny Harlin, uno dei più interessanti), Venerdì 13 Halloween. Dalla realizzazione di Saw – L’enigmista del 2004 sono stati già realizzati quattro sequel e, da un punto visivo, uno squarcio di idea, già di per sé non potentissima (stanze buie, corpi incatenati, sofisticate trappole) è stata ripetuta all’infinito. Nel corso degli anni si sono alternati i registi (stavolta è David Hackl, che è stato lo scenografo della serie a partire dal numero 2) e le storie hanno variato attorno alla figura di Jigsaw (interpretato da Tobin Bell), costruendoci attorno una struttura narrativa sempre più complicata e complessa, dove a perdere la bussola sembrano essere per primi gli stessi sceneggiatori. Assistere a un horror che non fa paura è già un grossissimo limite. Se per di più la storia cigola come i rumori delle catene e delle lame nel film, il ritmo è pressoché assente e gli effetti sono davvero di quart’ordine, i risultati rischiano di diventare ancora più imbarazzanti. E non basta stavolta inserire quasi dei fram- menti da ‘giallo’ (la caccia dell’agente Strahm al detective Hoffman) e creare molteplici labirinti narrativi per rendere più imprevedibile la situazione. Certo, sotto certi aspetti ci si dovrebbe chiedere perché una saga come quella di Saw ha già avuto tutto questo successo. Da una parte, c’è il successo commerciale che questi film hanno al box-office; il numero 2 e 3 al botteghino hanno superato infatti gli 80 milioni di dollari. Dall’altro, c’è un pubblico di fan affezionati che la saga si è conquistata comunque, al di là del valore dei singoli film. Ecco, forse il punto è proprio questo. Saw V sembra rivolgersi prevalentemente a loro. Quindi, più che di ennesimo sequel di un film, si ha l’impressione che abbia soprattutto la consistenza di un episodio televisivo. Chi non ne conosce bene le regole pur avendo visto le altre pellicole della saga, rischia di essere totalmente tagliato fuori. E provare a cercare in certi momenti (il pendolo gigantesco sul corpo dell’assassino all’inizio del film, la claustrofobia sempre più opprimente degli spazi) dei rimandi, magari al cinema di Tobe Hooper, appare un’operazione fine a se stessa, quindi inutile. Al di là dei riferimenti che si possono fare, Saw vive ormai di vita propria e si autoalimenta soltanto da se stesso, cioè dai frammenti dei precedenti episodi. E, in questo modo, non solo può sopravvivere, ma autogenerarsi anche in futuro. Non a caso, pare proprio che il numero 6 sia già in arrivo. Il finale aperto non dovrebbe lasciare dubbi. Simone Emiliani IL PESO DELLARIA Italia, 2008 Aiuto regista: Marta Gervasutti Fonico: Lello Rotolo Interpreti: Brunella De Nardo (Laura), Giampiero Lisarelli (Carlo), Stefano Calvagna (Stefano), Corinne Clery (Anna, madre di Laura), Claudio Angelini (Sandro, padre di Laura), Cinzia Mascoli (Rita), Francesca Antonelli (Spagnoli), Crisula Stafida (Nikita), Vincenzo Crocitti (Gianfranco), Letizia Letza (Serena), Sergio Petrella (Riccardo), Stefano Antonucci (Mario), Roberto Caprari (Roberto), Stefano Pantano (Grieco) Durata: 102’ Metri: 2914 Regia: Stefano Calvagna Produzione: Stefano Calvagna, Teresa Maliszewska, Carlo Bernabei per Poker Film/Global Movie Distribuzione: Poker Film Prima: (Roma 3-7-2008; Milano 3-7-2008) Soggetto e sceneggiatura: Stefano Calvagna Direttore della fotografia: Luca Santini Montaggio: Franco Carrozzino Musiche: Riccardo Della Ragione Scenografia: Giorgia Liberatore Costumi: Daniela Albano C arlo e Laura sono due giovani sposi. Laura lavora in un ufficio come impiegata, con un contratto di collaborazione che non le riconosce neppure le ferie; Carlo è un venditore di auto di lusso. Ma a Carlo il suo lavoro non piace, sono mesi che non vende più una macchina: così una mattina il suo princi31 pale prima lo rimprovera per gli scarsi risultati e poi gli chiede di presentare le dimissioni. È un duro colpo. A Laura il ragazzo decide di non dir nulla, con la spe- Film ranza di trovar presto una soluzione. All’armeria che Carlo frequenta per passione, però, non hanno bisogno d’un commesso e l’unica possibilità concreta d’un magro stipendio sembra essere l’impiego come “animatore” d’una chat erotica. La domenica i due sono invitati dalla sorella di Laura al maneggio dove lei si esibisce. Qui Carlo incontra per caso Stefano Missiroli, un vecchio compagno di scuola che gli racconta d’aver fatto fortuna giocando in borsa: il maneggio è da poco diventato suo. Qualche giorno più tardi, due ex colleghi di Carlo lo vanno a trovare per proporgli d’entrare con una quota nell’acquisto d’un agriturismo in costruzione. Carlo, di nascosto da Laura, si rivolge all’amico Stefano: il quale, senza batter ciglio, non solo accetta la richiesta d’aiuto ma decide di concedere a Carlo un prestito per il doppio della cifra necessaria all’affare: ventimila euro. Per Carlo è il sollievo e la gioia di non esser più dipendente dai suoceri. Con il denaro ottenuto, firma il contratto, poi con i soldi che gli restano fa acquisti, procurando a sé e alla moglie l’esaudimento d’ogni più concreto desiderio. Ma presto l’effimero equilibrio si rompe. Al casale in costruzione mettono i sigilli, così i tre soci scoprono la truffa nella qual son caduti. Quando poi Carlo incontra Stefano per parlargli delle nuove difficoltà, si svela anche l’ultimo e più tragico inganno: Missiroli non è che uno spietato usuraio e il debito di Carlo, nel giro di appena qualche settimana, ammonta già a novantamila euro. I modi di Stefano sono completamente cambiati, e ora al posto della gentilezza e della disponibilità, ci son solo il disprezzo e le minacce. Con le prime intimidazioni, anche Lau- Tutti i film della stagione ra scopre la verità. Dopo a notizia dell’assassinio d’un imprenditore incontrato a casa di Stefano, Carlo organizza la fuga: deciso a resistere alle pretese del malvivente, compra una pistola, cambia auto e, salutati genitori e amici, finge di partire con la moglie per un viaggio, rifugiandosi invece in un albergo di periferia. Ma Laura, dopo la rabbia per il comportamento del marito, sconvolta e stanca della vita da fuggiaschi, chiama Missiroli, nella speranza di raggiungere un accordo: lo strozzino la convince con l’inganno che in cambio d’una prestazione sessuale verrà loro azzerato il debito. La ragazza accetta, scoprendo troppo tardi l’inutilità del suo sacrificio. È la resa dei conti. I due giovani tornano malconci e disperati dai genitori, che subito decidono di rivolgersi alla polizia. Presto viene organizzato un nuovo incontro con Missiroli. Carlo, con un microfono addosso e sorvegliato da una squadra d’agenti, fronteggia il suo carneficie; ma, all’improvviso, sfodera la pistola e uccide a sangue freddo il braccio destro di Missiroli. Dopo una concitata colluttazione – durante la quale Carlo rimane ferito – lo strozzino viene finalmente arrestato. Un anno più tardi, i due sposi passeggiano felici con il figlio nato durante il periodo di arresti domiciliari che Carlo ha dovuto scontare; dietro di loro appare per un attimo appena lo sguardo minaccioso di Stefano Missiroli tornato in libertà. S esto lungometraggio dell’attore e regista indipendente Stefano Calvagna, il film tiene a dichiara re d’essere “basato su una storia vera”. Come già in passato, Calvagna prova a fare cinema sul presente, non necessariamente riuscendo nell’impresa. Qui il progetto sembra quello di dar spa- zio, almeno sul grande schermo, al fenomeno dell’usura, molto diffuso nel nostro paese eppure colpevolmente ignorato dai mezzi d’informazione, pubblici e privati. Per questo suo tentativo di “cinema sociale”, il regista/attore/sceneggiatore porta un passo avanti la ricerca d’una narrazione essenziale e lineare. La sceneggiatura però alterna momenti inaspettatamente efficaci a passaggi inutili, forzati, a volte semplicemente imbarazzanti. L’asciuttezza dei toni e una certa retorica dell’inquadrare - che vorrebbe essere degna eco del cinema di genere statunitense e che invece riesce a mala pena a non diventare parodia involontaria – e del recitare riescono a imprimere alla pellicola una qualche tensione dinamica; ma Calvagna non riesce a istillare nel corpo del film la brutalità tanto vastamente nominata e rappresentata, che invece resta velo sottile privo di consistenza. Alla carenza di risorse estetiche, corrisponde, nel film, l’assenza d’un orizzonte ideale degno. La scarsa padronanza dei mezzi linguistici propri del cinema, unita all’imprecisione del lavoro sugli attori impedisce a Calvagna, in più d’un’occasione, di colpire nel segno. L’esempio più evidente è forse il personaggio di Missiroli – interpretato dallo stesso Calvagna – che finisce per risultare più sopportabile di quello, incoerente e grottesco, di Carlo, protagonista “buono”: era forse un tale risultato previsto nei poco comprensibili propositi del regista? Il film resta un mediocre apologo dalle grandi aspirazioni ma dai piccoli risultati, che, seppure discreto sul piano dell’efficienza narrativa, non rende un buon servizio alla causa che sembra voler favorire. Silvio Grasselli NATALE A RIO Italia, 2008 Costumi: Alfonsina Lettieri Produttore esecutivo: Maurizio Amati Effetti: Proxima Srl Interpreti:Christian De Sica (Paolo Berni), Massimo Ghini (Mario Patani), Michelle Hunziker (Linda Vita), Fabio De Luigi (Fabio Speranza), Paolo Conticini (Gianni Corsi), Ludovico Fremont (Piero Berni), Emanuele Propizio (Marco Patani), Paolo Ruffini (impiegato agenzia di viaggi) Durata: 113’ Metri: 2950 Regia: Neri Parenti Produzione: Aurelio e Luigi De Laurentiis Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 19-12-2008; Milano 19-12-2008) Soggetto e sceneggiatura: Neri Parenti, Alessandro Bencivenni, Marco Martani, Domenico Saverni Direttore della fotografia: Gino Sgreva Montaggio: Luca Montanari Scenografia: Maria Stilde Ambruzzi F abio è innamorato da tempo della sua amica Linda ma non ha mai avuto il coraggio di rivelar- si. Inoltre lei non si è mai accorta della sua presenza, fino a quando non le si è bucata una gomma dell’auto e lui ha ten32 tato maldestramente di soccorrerla. A causa di un equivoco accaduto in una chat, Fabio pensa che finalmente Linda lo ab- Film bia notato e addirittura invitato a trascorrere le vacanze in Brasile con lei. Giunto sull’aereo però si accorge del malinteso; la ragazza infatti sta partendo col suo fidanzato segreto Gianni. Il motivo del viaggio di Linda è anche quello di presentare il suo compagno al padre, che vive in Brasile da molti anni. Fabio, a questo punto, non potendosi più tirare indietro, è costretto a partire come terzo incomodo. Una volta giunti a destinazione, però, Gianni viene sedotto da una giovane brasiliana e viene scoperto da Linda che decide di lasciarlo. La ragazza, però, non vuole rivelare al padre di essere stata ancora presa in giro da un uomo. Chiede così a Fabio, che la segue sempre dappertutto, di fingere di essere il suo nuovo marito. Per lui non poteva esserci proposta migliore e fa di tutto per prolungare con ogni trucco la durata di questa messinscena. Gianni, però, torna pentito e rischia di mandare in frantumi il sogno d’amore di Fabio. Paolo e Mario, due uomini divorziati di mezza età, hanno organizzato una lussuosa vacanza a Rio de Janeiro in occasione delle feste di Natale. Ignorano che anche i loro rispettivi figli, Piero e Marco, hanno prenotato un viaggio low-cost per la stessa destinazione, anche se hanno detto ai loro genitori di essere diretti altrove. A causa dell’omonimia tra padri e figli, le due vacanze vengono però scambiate. Così, mentre Piero e Marco si godono il soggiorno in una villa di lusso e utilizzano un auto superaccessoriata, Paolo e Mario iniziano a vagabondare in una macchina sgangherata tra ostelli di quart’ordine e le strade più malfamate di Rio, dove vengono anche rapinati. I due realizzano così che c’è stato un errore e cercano di rientrare in possesso della ‘loro vacanza’. A complicare ulteriormente le cose, ci si mettono anche le mamme di Piero e Marco, che all’insaputa dei loro figli e mariti, sono amiche e si trovano nella metropoli brasiliana per un’operazione di chirurgia plastica. Inoltre, i due uomini, che erano stati aiutati da una donna brasiliana conosciuta all’aereoporto dopo che erano stati rapinati, devono subire la sua furia voodoo dopo che questi le hanno ucciso casualmente l’amato gatto. I l ‘cinepanettone’ festeggia con Natale a Rio il suo 25° anniversario. Era infatti il 1983 quando, dal l’accoppiata De Laurentis-Vanzina, venne realizzato Vacanze di Natale, ambientato a Cortina, diventato nel corso degli anni un vero e proprio cult; forse, dopo Febbre da cavallo di Steno, questo è stato il film di cui vengono citati a memoria situazioni e Tutti i film della stagione interi dialoghi. Nel corso degli anni, la formula, pur nelle sue modifiche, ha mantenuto intatta la sua struttura: ambientazione in un luogo di vacanza da filmare con approccio quasi turistico, da guardare cioè attraverso gli occhi dei suoi protagonisti; cast corale composto da attori comici cinematografici e da altri scoperti nei varietà televisivi che, a volte, sono arricchiti da una presenza femminile di richiamo (come, per esempio, Elisabetta Canalis o Aida Yespica), o di una star d’oltreoceano (Danny De Vito e Ron Moss in Christmas In Love); situazioni costruite su una comicità che si alimenta attraverso una concatenazione continua di equivoci e malintesi. Dopo Bodyguards – Guardie del corpo del 2000, la parola “Natale” ricorre in maniera sistematica nel titolo sin da Merry Christmas e caratterizza un cinema fatto di frenetici spostamenti, di improvvise mutazioni del set, prendendo forse spunto da questo punto di vista, da quello che è uno dei film più belli e audaci dei Vanzina, A spasso nel tempo. I viaggi, nel corso di questi ultimi anni hanno preso diverse direzioni: Amsterdam, il Nilo, l’India, New York, Miami e ora Rio de Janeiro, con la parentesi ‘senza terra’ del precedente Natale in crociera, uno degli episodi più riusciti di questa saga. C’è da dire che, in questo schema ormai collaudatissimo, l’episodio con De Sica e Ghini (con rispettivi figli e mogli) funziona meglio di quello tra De Luigi e la Hunziker, coppia affiatatissima sin dagli sketch in tv. Forse perché comunque il gioco delle apparenze messe in atto (ogni personaggio non è in realtà quello che vuole essere allo sguardo dell’altro) appare più ricco e vivace nel primo caso. Non è che la storia dell’amore impossibile tra Fabio e 33 Linda non sia riuscita, però appare più prevedibile, tranne nel momento topico del funerale, in cui ci si dirige sulla strada della farsa più scatenata. Lo scambio di ruoli nell’episodio con Paolo e Mario, con i loro figli che si trovano a Rio a fare la vacanza che avevano programmato i loro genitori, mette in atto una serie concatenata di eventi che, nel corso del film, diventano sempre più irrefrenabili e devastanti. Il merito, comunque, di questi meccanismi che, nella loro ripetitività comunque funzionano, va assegnato al navigato mestiere di Neri Parenti che forse un giorno si potrà considerare come oggi vengono valutati cineasti come Mattoli o Mastrocinque e anche alla sua squadra di sceneggiatori (Marco Martani, Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni) che, al di là della storia che viene costruita attorno ai personaggi (da un punto di vista narrativo, appare particolarmente riuscito il contrasto tra il colto insegnante di Ghini e l’ignorante di De Sica), creano delle gag visive, in cui il set diventa un elemento da mandare in frantumi. Basta vedere la scena del gatto che muore alla donna brasiliana e come questa scena possieda una folle imprevedibilità: il gatto va per aria, ritorna giù mentre i due s’ingegnano a farlo resuscitare. E, per un momento, comunque, Parenti lascia l’idea che ciò possa avvenire per davvero. Al di là di questo, però, Natale a Rio appare anche un cinema ‘illusionistico e ipnotico’, che prende le traiettorie più strane attraverso oggetti (l’aeroplanino-giocattolo con cui Fabio, all’inizio, spia Linda) o la classica sparizione provvisoria dei corpi (De Sica e Ghini che si aiutano a vicenda a nascondersi dalle rispettive moglie con uno che copre l’altro con un lenzuolo Film in uno dei momenti più trascinanti del film), o il finale, dove le loro figure si trasformano in marionette dopo essere state vittime di una vendetta voodoo. Qui la comicità di Tutti i film della stagione Natale a Rio è sofisticata, attraente e va oltre la consolidata bravura dei suoi protagonisti. Il ‘cinepanettone’, al di là dei suoi esiti discontinui, si è comunque perfezio- nato. E questo film segna un altro passo avanti. Simone Emiliani LA BANDA BAADER MEINHOF (Der Baader Meinhof Komplex) Germania, 2008 Acconciature: Luca Vannella Supervisori effetti speciali: Uli Nefzer, Adolf Wojtinek Supervisore effetti visivi: Stefan Tischner Supervisore costumi: Brigitte Rodriguez Interpreti: Martina Gedeck (Ulrike Meinhof), Moritz Bleibtreu (Andreas Baader), Johanna Wokalek (Gudrun Ensslin), Bruno Ganz (Horst Herold), Jan Josef Liefers (Peter Homann), Alexandra Maria Lara (Petra Schelm), Heino Ferch (Dietrich Koch, assistente di Horst Herold), Nadja Uhl (Brigitte Mohnhaupt), Hannah Herzsprung (Susanne Albrecht), Niels Bruno Schmidt (Jan-Carl Raspe), Stipe Erceg (Holger Meins), Daniel Lommatzsch (Christian Klar), Vinzenz Kiefer (Peter-Jürgen Boock), Volker Bruch (Stefan), Bernd Stegemann (Hanns Martin Schleyer), Simon Licht (Horst Mahler), Sebastian Blomberg (Rudi Duschke), Tom Schilling (Josef Bachmann), Katharina Wackernagel (Astrid Proll), Hans-Werner Meyer (Klaus-Peter Röhl), Jasmin Tabatabai (Hanne), Anna Thalbach (Ingrid Schubert), Eckhard Dilssner (Horst Bubeck), Katharina Wackernagel (Astrid), Thomas Thieme (dr. Prinzing), Susanne Bormann (Peggy), Gerald Alexander Held (Siegfried Buback), Michael Gwisdek (Gudruns Vater), Hubert Mulzer (Jürgen Ponto), Annika Kuhl (Irmgard) Durata: 149’ Metri: 3850 Regia: Uli Edel Produzione: Bernd Eichinger per Constantine Film Produktion/ Nouvelles Editions De Films/G.T.Film Production/Dune Films Distribuzione: Bim Prima: (Roma 31-10-2008; Milano 31-10-2008) Soggetto: dal libro-inchiesta Der Baader-Meinhof Komplex del giornalista Stefan Aust Sceneggiatura: Bernd Eichinger con la collaborazione di Uli Edel Direttore della fotografia: Rainer Klausmann Montaggio: Alexander Berner Musiche: Florian Tessloff, Peter Hinderthür Scenografia: Bernd Lepel Costumi: Birgit Missal Co-produttore: Manuel Cuotemoc Malle Direttori di produzione: Ahmed Abounouom, Mark Nolting, Silvia Tollmann, Miki Emmrich, Piernicola Pinnola, Cornelia Popp Casting: An Dorthe Braker Aiuti regista: Frank Kusche, Lisa Hauss, Mouhssine El Badaoui, Chicco De Stefanis Operatore: Markus Eckert Art director: Hucky Hornberger Arredatore: Johannes Wild Trucco: Waldemar Pokrmski, Abounouom Marim Lee, Sabine Rohrman N egli anni Settanta, la Germania Federale viene letteralmente messa a ferro e fuoco da un gruppo terroristico denominato “Banda Baader Meinhof”, espressione della sinistra radicale. Tutto ha inizio in occasione della visita ufficiale dello Scià di Persia Reza Pahlavi, quando alcuni studenti che protestano contro la politica americana e la guerra in Vietnam vengono duramente attaccati dalle forze dell’ordine. La giornalista Ulrike Meinhof, che scrive in difesa dei giovani dimostranti scesi in piazza, denuncia nei suoi articoli lo stato di polizia in cui vive il popolo tedesco. L’uccisione dell’anarchico Rudi Duschke da parte di un fanatico di destra non fa che esasperare il clima di tensione e contribuisce ad alzare ancor di più le barricate dei dissidenti che, nel frattempo, si mobilitano in ogni angolo del Paese. In seguito all’incendio appiccato in un grande magazzino di Francoforte, viene fermata Gudrun Esslin, una delle autrici del piano. La Meinhof, una volta conosciutala in carcere per un’intervista, si con- vince che sia giusto sposare la causa rivoluzionaria e decide di aiutare la donna a far evadere il suo compagno Andreas Baader. Nel 1970 si costituisce così il gruppo armato RAF, che, dopo un periodo di addestramento militare in Medio Oriente, torna in patria per battersi per la liberazione dei prigionieri politici. I componenti della banda cominciano a mettere a segno i primi colpi contro “il sistema”: rapine in banca, attentati dinamitardi, atti di guerriglia, uccisioni di agenti, giudici e pubblici ministeri. Di fronte alla terribile escalation di violenze che infiamma la Germania occidentale, i rappresentanti del governo e i vertici della polizia decidono di usare il pugno duro: in breve tempo vengono arrestati e processati tutti i responsabili delle stragi. Pur di non sottostare ai “maiali” (gli odiati uomini in uniforme), i membri della RAF preferiscono scegliere la strada dello sciopero della fame e spegnersi lentamente. Nel 1976, ad appena 41 anni, la Meinhof muore impiccata alle sbarre del34 la propria cella di isolamento nel penitenziario di Stoccarda. Oltre a lei, anche gli altri detenuti vengono ritrovati privi di vita. Con l’intenzione di vendicarsi dei propri compagni (giustiziati - secondo loro – dallo Stato) il commando di nuova generazione torna a fare vittime. Senza sapere, in realtà, che uomini e donne della banda si sono suicidati. D opo preoccupanti anni di anonimato, scossi qua e là da isolati segnali di ripresa (vedi il fortunato caso di Good Bye Lenin! nel 2003), il cinema tedesco si riaffaccia prepotentemente sulla scena cinematografica internazionale, grazie a storie forti, ben raccontate e nobilitate dalla presenza di nuovi e interessanti attori. Prima con Le vite degli altri (2006) e adesso con La banda Baader Meinhof, la Germania torna coraggiosamente a fare i conti col suo passato più recente, riaprendo pagine di storia buie e sgradevoli, che molti avrebbero preferito buttarsi alle spalle. Un’equanime lezione di democrazia e civiltà, dalla quale anche noi italiani, da Film anni impegnati vanamente a raggiungere una “memoria condivisa”, dovremmo prendere esempio. Ma se l’acclamato e più volte premiato film dell’esordiente von Donnersmarck (una sorta di “sequel”, in quanto narrava l’infelice e cupa stagione degli anni Ottanta, dominata dalla Stasi) alternava con brillantezza cronaca e romanzesco, cedendo il passo, spesso e volentieri, al melodramma, quello di Uli Edel sceglie con rigore e senza mezze misure la strada semi-documentaristica della verità. Dal 1967, quando i primi germi della rivoluzione covavano nei violentissimi scontri tra polizia e manifestanti di estrema sinistra (immortalati in una lunga sequenza di massa girata magistralmente), scorrono sullo schermo, per circa un decennio, le immagini di morte e sangue più spaventevoli dai tempi del nazismo e della Seconda guerra mondiale. Il montaggio ha un ritmo piuttosto serrato e sostenuto e la fittissima trama di avvenimenti è ben scandita, salvo perdersi, a volte, in eccessivi e caotici frastagliamenti. Soprattutto nell’ultima parte, poi, Tutti i film della stagione sembra quasi di assistere a un interminabile cinegiornale, tra flash dei titoli di quotidiani, martellanti notizie radiofoniche e televisive e ricco materiale di repertorio. Al di là comunque di questi “difetti” marginali, o se volete, rischi calcolati (specie per chi come il regista tedesco ambisce a un affresco quanto più ampio e trasparente degli “anni di piombo”), La banda Baader Meinhof colpisce per la sensibilità, oltre che per la mancanza di retorica, con cui riesce a mostrare le psicologie dei deplorevoli protagonisti. Incarnati, questi ultimi, da giovani interpreti, tutti all’altezza del loro gravoso compito. Tra i quali, ci piace segnalare con particolare attenzione Johanna Wokalek, nella parte dell’indomita e affascinante Gudrun Ensslin. Parallelamente alle sistematiche azioni dimostrative, frutto di una lucida quanto ferrea teoria politica-economica-sociale (antimperialista e anticapitalista), emerge nel film anche il lato umano dei personaggi: tra le menti dell’organizzazione criminale si insinuano dubbi e interrogativi strazianti circa le possibili strategie da adottare e, perfino, lo spettro del fallimento. Insomma il fenomeno “terrorismo” non viene visto solamente come moderna forma di “guerra globale” (questa definizione del capo della polizia Horst Herold, rapportata ai nostri giorni, suona come un’agghiacciante premonizione). Ma anche come sogno mancato di una comunità di individui deboli, soli e sconfitti dalla Storia, perché costretti a lottare come martiri, fino allo stremo delle forze, in nome di ideali molto più grandi di loro. È a dir poco raggelante provare a immedesimarsi in quelle anime tormentate e maledette, in particolare in quelle innumerevoli donne disposte continuamente a travestirsi, a cambiare identità, con un’audacia pari soltanto all’incoscienza. Proprio come fece la giornalista e intellettuale Ulrike Meinhof: colei che diede il nome alla famigerata banda, colei che, magnificamente impersonata nella finzione dalla sempre più convincente Martina Gedeck, è stata al contempo militante e testimone di una vita senza paura. Diego Mondella IL DUBBIO (Doubt) Stati Uniti, 2008 Supervisori effetti visivi: John Bair (Guerilla FX), Randall Balsmeyer Supervisori costumi: David Davenport, Kevin Draves Interpreti: Meryl Streep (Suor Aloysius Beauvier), Philip Seymour Hoffman (Padre Brendan Flynn), Amy Adams (Suor James), Vila Davis (signora Miller), Alice Drummond (Suor Veronica), Audrie J. Neeman (Suor Raymond), Susan Blommaert (signora Carson), Carrie Preston (Christine Hurley), John Costelloe (Warren Hurley), Lloyd Clay Brown (Jimmy Hurley), Joseph Foster (Donald Miller), Bridget Megan Clark (Noreen Horan), Mike Roukis (William London), Haklar Dezso (suonatore di cetra), Frank Shanley (Kevin), Robert Ridgell (organista), Sarah Giovanniello, Katie Shelnitz, Aaron O’Neill, Thomas J. Meehan, Samantha Chadbourne, Christina Angelina Celone, Melissa Viezel, Emily Swimmer, Katelyn Snell, Shayne Fischman, Coby D. Moran (voci del coro), Alannah Iacovano (ragazza nella chiesa), Frank Dolce (Ralph), Paulie Litt (Tommy Conroy), Matthew Marvin (Raymond), Molly Chiffer (Sarah), Lydia Jordan (Alice), Suzanne Hevner (signora Kean), Helen Stenborg (Suor Teresa), Tom Toner (Monsignor Benedict), Michael Puzzo (Padre Sherman), Margery Beddow (signora Shields), Jack O’Connell (signor McQuinn), Marylouise Burke (signora Deakins) Durata: 104’ Metri: 2800 Regia: John Patrick Shanley Produzione: Mark Roybal, Scott Rudin per Goodspeed Productions/Scott Rudin Productions Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009) Soggetto: dall’omonima pièce teatrale di John Patrick Shanley Sceneggiatura: John Patrick Shanley Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Dane Collier, Ricardo Gonzalez, Dylan Tichenor Musiche: Howard Shore Scenografia: David Gropman Costumi: Ann Roth Produttore esecutivo: Celia D. Costas Produttore associato: Nora Skinner Direttore di produzione: Celia D. Costas Casting: Ellen Chenoweth Aiuti regista: John Rusk, David Fischer, Amy Lauritsen, John Silvestri, Christian Vendetti Operatore: Roger Deakins Art director: Peter Rogness Arredatore: Ellen Christiansen Trucco: Todd Kleitsch, Louise McCarthy, J. Roy Helland Acconciature: Alan D’Angerio, Jerry Popolis, Valerie Gladstone-Hapel, J. Roy Helland Coordinatore effetti speciali: John Stifanich B ronx, 1964. Nell’istituto religioso St. Nicholas vigono il rigore e la disciplina, impartite dall’austera e rigida Sister Aloysius, preside del- la scuola che crede nel potere della paura per continuare a tenere sotto controllo alunni e professori. Ma il vento del cambiamento, politico e non solo, sta arrivan35 do anche da quelle parti: intanto viene accettato il primo studente di colore, Donald Miller, che però ha enormi difficoltà di integrazione. Poi, grazie a padre Flynn, Film docente carismatico e progressista, i rigidi costumi della scuola sembrano poco a poco trovare una possibile smussatura. Affascinata da questa figura innovatrice, ma al tempo stesso devota e riverente nei confronti di Sister Aloysius, la giovane Sorella James - novizia ingenua e piena di speranza - serve involontariamente a quest’ultima la possibilità di dare vita a una crociata senza precedenti nei confronti di padre Flynn, secondo la giovane suora troppo premuroso e pieno di attenzioni nei confronti di Donald Miller. Basterà questa frase per insinuare in Sister Aloysius ben più che un sospetto, tanto da convocare lo stesso padre Flynn e interrogarlo senza mezzi termini sulle presunte molestie ai danni del ragazzino di colore. Accuse che lo stesso prete rispedirà con violenza al mittente, ma senza ottenere alcun esito. La suora, senza alcuna prova ma sostenuta dalla sua sicurezza morale, prosegue sen- Tutti i film della stagione za nella sua battaglia, mettendo al corrente della situazione anche la mamma del dodicenne. La donna, però, spiega a Sister Aloysius la dolorosa situazione familiare del figlio, picchiato più volte dal padre e malvoluto da tutto il resto della scuola, pertanto vede quasi di buon occhio il fatto che padre Flynn gli dedichi affetto e lo tratti al pari di un “essere umano”. Sconcertata, ma non per questo sconfitta, Sister Aloysius, alla fine, ottiene comunque quello che andava cercando, senza però essere riuscita a dimostrare la veridicità del suo attacco: il prete lascerà la scuola per andare a insegnare in un altro istituto. E la suora, seduta nel giardino dell’istituto con accanto sorella James, inizia a sentir vacillare ogni sua certezza. “I l dubbio è un legame tanto forte quanto lo è la certezza”. Il sermone di Philip Seymour Hoffman all’inizio del film è eloquente tanto quanto il titolo della pièce teatrale (premio Pulitzer) che lo stesso John Patrick Shanley (Oscar nel 1987 per lo script di Stregata dalla luna, ora nuovamente candidato per questo adattamento) –, alla seconda regia cinematografica diciotto anni dopo la commedia Joe contro il vulcano – porta adesso sullo schermo. Teatro che si fa cinema (attenzione alla rappresentazione delle differenti abitudini da parte di suore e prelati...), cinema di parola, di atmosfera (come sempre di alto livello l’apporto fotografico di Roger Deakins, capace di alternare il freddo degli esterni e il caldo degli interni con ispirazione quasi fiamminga) e di grande interpretazioni, che prende a pretesto un presunto scandalo nell’America in profonda trasformazione della metà degli anni ’60 (l’uccisione di Kennedy un anno prima), per diventare specchio quanto mai attuale dell’ormai (tramontata?) era Bush: la paura del nuovo, il timore del cambiamento, l’accanimento contro “il diverso da noi” – sembra voler suggerire il lavoro di Shanley – potrebbero accecare e portarci lontano dalla realtà delle cose. Realtà che comunque non sarà mai svelata completamente, avvolta e imperniata come “da copione” sul dubbio che tutto muove, macigno spesso irremovibile con il quale dovranno fare i conti tutti i personaggi principali della vicenda, tutti giustamente candidati all’Oscar (straordinaria la “non” protagonista Amy Adams, così come di enorme intensità la pur breve performance di Viola Davis, mamma del bambino di colore). Chi spera di trovarsi di fronte un film-inchiesta o un giallo dalla risoluzione mozzafiato si rivolga altrove: qui regnano l’incerto e la violenza del sospetto. Unica nota un po’ fuori posto, il finale tardivo e ridondante con le lacrime della Streep. Valerio Sammarco LA CANARINA ASSASSINA Italia, 2008 Organizzatore: Luigi Filippo Manzollino Fonico: Brando Mosca Interpreti: Ignazio Oliva (Franco), Bruno Armando (Ravelli), Chiara Conti (Clelia), Michele De Virgilio (Ruggero), Remo Remotti (regista “Dio del Cinema”), Emilio Bonucci (Mezzocorona), Caterina Vertova (Anna), Paolo De Vita (Raffaele), Lorenzo Monaco (Andrea), Vanni Bramati (Angelo Soda), Chiara Francini (Pamela) Durata: 94’ Metri: 2740 Regia: Daniele Cascella Produzione: Francesco Paolo Montini per Movie Factory Distribuzione: Movie Factory Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 29-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Ninchi Direttore della fotografia: Luca Coassin Montaggio: Lilli Lombardi Musiche: Bungaro, Aidam Zammit Scenografia: Cristina Del Zotto Costumi: Elisabetta Giacchi F ranco Angelini è un giovane regista che crede fermamente nella bellezza e nell’importanza del suo lavoro. Finalmente, il produttore Ravelli, è riuscito a trovare la villa ideale in cui poter girare il film scritto da Franco stes36 so. Così, regista e produttore accompagnati dall’attrice Clelia, dall’attore Ruggero, si dirigono alla villa. Ad attenderli, ci sono Film la ricca Anna ed il suo fedele quanto strano maggiordomo Raffaele. Si intuisce che entrambi stanno tramando qualcosa e, in primis, che Anna ormai non ha più soldi. Il gruppo si ingrandisce con l’arrivo dell’aiuto regista Andrea e dell’aiuto scenografo Paolo. Fra i due nasce subito un’alchimia. A pranzo, Ravelli racconta la storia del film, cambiata da lui stesso al punto tale, da non esser più ormai la storia scritta da Franco, che si demoralizza all’istante. Ravelli non ha soldi; le banche non gli fanno più credito e, in più, rifiuta i soldi dello sponsor Prezioso, impresario di pompe funebri. Il film è quindi a rischio, ma non lo rivela a nessuno, continuando a ripetere che prima o poi se ne andrà ai Caraibi e non lo vedranno mai più. Nel mentre, Franco contatta Mezzocorona, suo vecchio produttore, per farlo venire in villa come organizzatore del film. Nonostante si senta tradito dal giovane, accetta. Clelia e Ruggero continuano la loro relazione clandestina, nonostante lei all’inizio sembri titubante. Anche Paolo e Andrea si lasciano andare alla passione, ma, il giorno dopo, il primo fa finta che niente sia successo. Durante i provini, Ravelli sceglie i protagonisti del film: attori incapaci ma raccomandati da importanti politici. Franco continua a demoralizzarli. Mezzocorona, sempre in contrasto con Ravelli, cerca di farlo andar via: quello non è più il suo film. Franco, desiste. Clelia viene raggiunta dal marito Angelo; i due sembrano realmente felici ora che sono assieme. Raffaele, ormai entrato in confidenza con Franco, rivela che Mirko, suo migliore amico e stuntman di professione, è morto a seguito di un incidente sul lavoro. Il responsabile dell’accaduto non è altri che Ravelli. Angelo se ne deve andare per tornare a operare in ospedale. Raffaele sta per uccidere Ravelli sotto la doccia, ma viene fermato dal grido di Clelia: Ruggero, usando un mix di stimolanti sessuali, ha avuto un infarto. In ospedale, a curarlo è proprio Angelo che decide di lasciare la moglie. Andrea, inizia il piano escogitato con Ravelli: sedurre la ricca Anna, usare i suoi soldi per girare un film tratto dal racconto della stessa, “La canarina assassinata”, per poi mandar via Franco e diventare lui stesso il regista. Anna rivela ad Andrea che lei non ha una lira e di essere la vedova di Mirko. Andrea se ne và con la coda fra le gambe. Franco, aiutato da Mezzocorona spaventa Ravelli con trucchi da baraccone, nel giardino della villa. Ravelli, viene infine inseguito dal cane Rocky che lo fa cadere nella buca, scavata da Raffaele precedentemente. Ravelli muore. Il giorno dopo alla polizia, viene detto che il produttore è sparito; forse è andato ai Caraibi come aveva sempre detto. Franco rinuncia al suo film. Anna e Raffaele se ne vanno felici dalla villa che avevano affittato: hanno ottenuto la loro vendetta. Tutti i film della stagione O pera prima di Daniele Cascella, La canarina assassinata, ci racconta un mondo del cinema dai tratti decisamente non troppo lusinghieri. L’unico a salvarsi è il regista Franco Angelini. Idealista, che crede ancora in un cinema che dovrebbe essere passione e raccontare un bisogno, al di là dei soldi e dei guadagni. Vi crede al punto tale da infervorarsi e farsi sanguinare il naso, ogni qualvolta venga modificata una parte del film. Il resto è tutt’altro che edificante. Si parte dal produttore che va avanti nel suo lavoro a suon di marchette; scegliendo attrici e attori perché raccomandati da importanti politici. Ciò che conta, alla fine, è avere un consistente ritorno pecuniario. Di contro, il produttore di Franco, Mezzocorona, che non si lascia piegare e non si è mai venduto; infatti, è senza una lira, con uno sfratto imminente. La carrellata dei fenomeni continua con attori che si danno al viagra e aiuto registi che tradiscono senza difficoltà amici e ingannano donne pur di far carriera. Non potevano poi mancare un paio di stoccatine ben assestate al cinema italiano. La prima è più esplicita; ossia quando il Maestro, in sogno, rivela a Franco che il Paradiso per i registi italiani è solo una desolante e vecchia sala cinematografica, a differenza della sfolgorante Hollywood per quelli americani. La seconda è più velata, ma ben più aspra; quando Mezzacorona sprona Franco ad abbandonare il progetto, gli chiede dove sono finiti i suoi sogni e gli dice che non si può ridurre anche lui, a girare il solito film adolescenziale. Un punto che viene rimarcato, fra l’altro già affrontato dal grande Ingmar Berg- man, è il gioco delle maschere indossate nella vita, che, inevitabilmente, si intrecciano con quelle portate da chi fa spettacolo. L’esempio è Raffaele, attore che per vendicare l’amico recita la parte del maggiordomo, per poi chiedere al regista Franco se sarebbe stato un bravo attore. La storia si basa essenzialmente sulla vendetta personale di Raffaele e Anna che vogliono vendicare la morte di Mirko, migliore amico del primo e marito della seconda. Purtroppo, forse anche a causa di alcune incertezze nella sceneggiatura, tutte le trame del giallo si intuiscono immediatamente; cosi anche i percorsi emotivi dei personaggi e i legami che fra loro si intrecciano. Nel film si possono trovare citazioni cinematografiche, dedicate a veri cinefili, come lo spogliarello di Sofia Loren in Ieri, oggi, domani (1963), che Clelia riprende quando assume la stessa posizione della Loren, nel togliersi la calza autoreggente; oppure la famosissima scena della doccia di Psycho (1960), che ritroviamo nel tentato omicidio di Raffaele ai danni di Ravelli; infine la scena d’amore fra Paolo ed Andrea ricalca quella de I segreti di Brokeback Mountain (2005). Il soggetto è stato scritto dallo scomparso Alessandro Ninchi ed il titolo si rifà ad un racconto degli anni venti, che fra l’altro viene citato esplicitamente nel corso della storia. La canarina assassinata, risulta comunque un film piacevole, che scorre con facilità e prova ad andare oltre quei film adolescenziali, che hanno imperversato ultimamente sul grande schermo. Elena Mandolini AMORE CHE VIENI, AMORE CHE VAI Italia, 2007 Regia: Daniele Costantini Produzione: Gabriella Buontempo, Massimo Martino per Goodtime Enterprise. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008) Soggetto: dal libro Un destino ridicolo di Fabrizio De Andrè e Alessandro Gennari Sceneggiatura: Franco Ferrini, Antonio Leotti, Daniele Costantini Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi Montaggio: Carla Simoncelli Musiche: Nicola Piovani Scenografia: Luigi Marchione, Vincenzo Forletta Costumi: Elisabetta Montaldo, Elisabetta Antico Aiuto regista: Angelo Vicari Interpreti: Fausto Paravidino (Carlo), Filippo Nigro (Salvatore), Massimo Popolizio (Bernard), Donatella Finocchiaro (Veretta), Tosca D’Aquino (Luciana), Claudia Zanella (Maritza), Agostina Belli (Lina, madre di Carlo), Giorgia Ferrero (Antonia), Davide Paganini (Vichingo) Durata: 101’ Metri: 2880 37 Film G enova 1963. Dopo l’incontro con la prostituta Luciana, il giovane Carlo decide di accettare la proposta della ragazza di diventare il suo “pappone” al posto del precedente “magnaccia”. Luciana presenta a Carlo le sue colleghe, Antonia e Veretta. Dopo le prime perplessità, la mamma Lina decide di appoggiare il figlio nel suo nuovo lavoro accompagnandolo a controllare le serate delle ragazze. Nello stesso locale frequentato da Carlo, passa le sue serate Bernard, un contrabbandiere francese passato dalla resistenza alla malavita marsigliese, un uomo di mondo che vive organizzando soltanto “colpi grossi”. Una sera, Bernard è stregato da Maritza, una giovane fiorentina affascinante e sfuggente, legata a un giovane noto negli ambienti malavitosi come “il vichingo”. Una sera, Veretta attira l’attenzione di un giovane pastore sardo, Salvatore, giunto da poco a Genova per rifarsi una vita dopo cinque anni di galera. In breve tempo Salvatore diviene un habitué di Veretta. Volendo avere la ragazza tutta per sé, il sardo decide di parlare con Carlo promettendogli una grossa somma in cambio della giovane. Una sera, Bernard avvicina Carlo, dicendogli di essere rimasto colpito per come la sera prima aveva picchiato “il vichingo”. Il malavitoso porta Carlo in una cascina di campagna dove è stato convocato anche Salvatore. Bernard propone ai due uomini un colpo che li renderà ricchi. Seguendo le istruzioni di Bernard, Carlo e Salvatore sequestrano un furgone con un carico di preziose pelli. L’appuntamento con gli acquirenti della merce è per la sera dopo. Giunti sul posto, Bernard e Carlo trovano Salvatore ucciso e la merce sparita. I due scappano mentre qualcuno cerca di colpirli. Intanto Veretta va da Carlo per chiedergli invano aiuto: la ragazza è incinta e Salvatore è sparito. Intanto Carlo, che aveva allacciato una relazione con Maritza, scopre che la ragazza se ne è andata. Disperato, il giovane va dal “vichingo” e gli chiede dov’è Maritza. Quella stessa notte, Veretta è raggiunta da Salvatore, riapparso improvvisamente, che la porta via su una barca. Maritza intanto chiede aiuto a Bernard per liberarsi del suo nuovo amante, un ricco conte. La ragazza si imbarca per Barcellona. Anche Carlo è al porto in procinto di partire, mentre Bernard se ne va in Francia. Qualche tempo dopo, in Sardegna, Ve- Tutti i film della stagione retta partorisce un bambino morto. Su un treno Veretta e Salvatore ascoltano un sacerdote intento a parlare con un uomo di felicità e destino. Dopo aver discusso con Veretta, Salvatore va dal prete e gli dice di avere una valigia con 800 milioni, ma si tratta di soldi maledetti che non vuole. Il giovane interpreta quell’incontro come un segno del destino e si confessa. Dopo cinque anni di galera al posto del fratello gemello, Salvatore aveva accettato di fare un colpo a Genova. Dopo essersi fatto raggiungere da suo fratello, lo aveva ucciso. Credeva di agire nel giusto, voleva togliere la sua donna dalla strada e castigare suo fratello per tradimento, voleva solo una vita rispettabile, sarebbe stato il suo ultimo peccato. Ora vuole solo il perdono di Dio, lui e sua moglie vivranno poveri ma vuole essere assolto. Il prete si dice convinto che Dio lo abbia già perdonato, si fa consegnare la valigia e gli consiglia di continuare il viaggio. Il prete scende dal treno, si toglie il finto abito talare e telefona alla moglie incredulo del colpo di fortuna che gli è capitato. “Q uei giorni perduti a rincorrere il vento/a chiederci un bacio e volerne altri cento/un giorno qualunque li ricorderai/amore che fuggi da me tornerai/un giorno qualunque ti ricorderai/amore che fuggi da me tornerai”. Un uomo e una donna, vittime di “Un destino ridicolo”. Proprio questo è il titolo del romanzo da cui è tratto il film scritto a quattro mani dal cantautore Fabrizio De André e dallo psicanalista-scrittore Alessandro Gennari. “Una favola, di quelle che raccontano i nonni”, così il cantautore genovese ha definito il suo romanzo. Una storia di amore, malavita e destini incrociati ambientata nei vicoli della vecchia Genova nel 1963. Una santissima(!) trinità che incrocia una santa alleanza. Un giovane protettore di prostitute, un navigato contrabbandiere francese ex anarchico, un pastore sardo reduce dalla galera. Carlo, Bernard, Salvatore, i nomi. Una trinità di donne, perdute o quasi. La mamma iperprotettiva di un giovane che decide di fare il protettore di prostitute invece di sfruttare i suoi studi, una fatale seduttrice che colleziona amanti e ripetute fughe in cerca (forse) solo di se stessa, una prostituta che cerca l’amore come fuga verso un futuro migliore, ma che incappa nel più atroce scherzo del destino. Lina, Maritza e Ve- 38 retta, i nomi. Una favola, di quelle che raccontano i nonni, appunto. Una favola di (mala)vita e amore. E un fato beffardo che vince su tutto e su tutti, anche sul timore di Dio. Quello che lascia perplessi è il senso dell’opera. Si è parlato di un film omaggio al cantautore ligure, intriso di riferimenti all’universo delle sue canzoni. Se si guarda bene gli ingredienti ci sarebbero anche (ambienti, situazioni, personaggi), ma il riferimento a quel mondo è piatto e privo di poesia. Il cast poi, vincente sulla carta, inciampa in ruoli forse non molto indovinati: e se a convincere di più sono le donne, coloro che nelle canzoni di De André sussurrano emozioni vere (Donatella Finocchiaro prostituta triste in testa a tutte), gli uomini scivolano sulle bucce di banana di una sceneggiatura debole prima che sugli scherzi di un destino avverso. Filippo Nigro nei panni del pastore “sardegnolo” inciampa in una recitazione forzata e poco credibile (la cadenza sarda non è il suo forte), Fausto Paravidino “pappone” per caso eccede in mimica facciale e risate forzate, finendo per peccare di inesperienza, Massimo Popolizio nel ruolo del contrabbandiere francese si aggrappa più degli altri al suo solido mestiere, ma resta imprigionato in un personaggio a tratti troppo caricaturale. Insomma, se le atmosfere di De André incantano, quelle di questo film non accendono l’interruttore delle emozioni. Quella delle sue canzoni era poesia, mentre questo è cinema che non arriva a toccare le corde del cuore. E non bastano i carruggi genovesi, il porto del capoluogo ligure, i locali fumosi, le belle prostitute ancheggianti sui tacchi a spillo e fasciate in abitini anni Sessanta, no, non bastano davvero. Il regista Daniele Costantini (che ha firmato nel 2004 Fatti della Banda della Magliana) ha dichiarato di aver adattato un romanzo ma anche di essersi abbandonato alle suggestioni poetiche di alcune canzoni memorabili di De André e di avere tentato di rimanere nel contempo vicino e lontano ai personaggi, senza giudicarli, giocando con loro ma anche piangendoli. Ma forse, ci viene da aggiungere, per ritrovare davvero la poesia di brani come “Bocca di rosa”, “Via del Campo”, “La città vecchia”, “Amore che vieni amore che vai” bisogna solo chiudere gli occhi e ascoltare di nuovo quelle ballate. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione LA CONIGLIETTA DI CASA (The House Bunny) Stati Uniti, 2008 Trucco: Patty York, Kimberly Felix, Marianna Elias, Debra Coleman Acconciature: David Blair, Jason Green, Candy L. Walken, Lana Heying Coordinatore effetti speciali: John C. Hartigan Supervisori effetti visivi: George Cawood Coordinatore effetti visivi: Fawn Fletcher Supervisori musiche: Brooks Arthur, Michael Dilbeck Supervisore costumi: Virginia Burton Coreografie: Toni Basil Interpreti: Anna Faris (Shelley Darlingson), Colin Hanks (Oliver), Emma Stone (Natalie), Kat Dennings (Mona), Christopher McDonald (Dean Dimmons), Beverly D’Angelo (Signora Hagstrom), Katharine McPhee (Harmony), Rumer Willis (Joanne), Kiely Williams (Lilly), Dana Goodman (Carrie Mae), Kimberly Makkouk (Tanya), Monet Mazur (Cassandra), Tyson Ritter (Colby), Sarah Wright (Ashley), Rachel Specter (Courtney), Owen Benjamin (Marvin), Hugh M. Hefner, Holly Madison, Bridget Marquardt, Kendra Wilkinson, Sean Salisbury, Matt Leinart, Shaquille O’Neal (se stessi), Tyler Spindel (Steve), Sara Jean Underwood (Sara), Lauren Hill (Lauren), Hiromi Oshima (Hiromi), Dan Patrick (poliziotto), Nick Swardson (fotografo di Playboy), Jay Hayden (Kip), Mat Barr (Tyler), Tanner Alexander Redman (Trent), Michelle Fields (Michelle) Durata: 97’ Metri: 2350 Regia: Fred Wolf Produzione: Allen Covert, Jack Giarraputo, Heather Parry, Adam Sandler per Colunmbia Pictures/Relativity Media/Happy Madison Productions/Alta Loma Entertainment Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008) Soggetto e sceneggiatura: Karen McCullah Lutz, Kirsten Smith Direttore della fotografia: Shelly Johnson Montaggio: Debra Chiate Musiche: Waddy Wachtel Scenografia: Missy Stewart Costumi: Mona May Produttori esecutivi: Anna Faris, Karen McCullah Lutz, Kirsten smith Co-produttori: Jason Burns, Debra James, Richard Rosenzweig Direttore di produzione: Debra James Casting: Lisa London, Catherine Stroud Aiuti regista: Eric Tignini, Sunday Stevens, Kristina M. Peterson Operatore: Don Devine Operatore steadicam: Gregory W. Smith Art director: John Chichester Arredatore: Tracey A. Doyle L a bionda Shelley è una ragazza di ventisette anni orfana dei genitori e cresciuta alla Playboy Mansion di Hugh Hefner. Shelley è convinta di vivere in un vero paradiso e a completare la sua felicità manca solo l’elezione a “coniglietta del mese”, traguardo che spera di raggiungere di lì a pochi giorni. All’indomani del suo compleanno, però, la ragazza riceve una lettera in cui Hefner, assente per qualche giorno, la invita a lasciare la casa immediatamente per evidenti limiti di età. Di punto in bianco, Shelley si trova in mezzo alla strada trovandosi a fare i conti con un mondo reale a lei completamente sconosciuto. In giro senza meta con la sua vecchia auto, la ragazza viene colpita da una bella casa abitata da fascinose ragazze, il Club ?????? riservato alle studentesse universitarie che somiglia molto alla “sua” Playboy Mansion. Shelley si propone come direttrice, ma viene allontanata in malo modo. Proprio lì di fronte sorge il Club Zeta, malandata casa per studentesse che conta solo sette iscritte, una più problematica dell’altra a cominciare da Nathalie, occhialuta, saccente e imbranata con i ragazzi. Nathalie spiega a Shelley che stanno per perdere lo statuto di Club, non avendo il numero sufficiente di trenta richieste di iscrizioni. Col- pita dalla capacità di Shelley di attrarre su di sé lo sguardo dei ragazzi, Nathalie le offre la carica di direttrice. Shelley inizia così la sua opera con un solo obiettivo: trasformare le ragazze da anonime, dimesse e complessate studentesse bersaglio delle colleghe del Club ??????, in un gruppo di bombe sexy. Intanto, tornato alla “Playboy Mansion”, Hefner riceve una falsa lettera, in cui Shelley dice di essere andata a lavorare con gli orfani in Africa. Nel frattempo, le ragazze del Club Zeta spopolano grazie a un calendario che le ritrae in pose sexy. Subito dopo, Shelley organizza una festa azteca che si rivela un successone: il Club Zeta è affollatissimo, mentre il Club rivale è deserto. Una sera, Shelley accetta l’invito di Oliver, un giovane che si occupa di una casa di riposo per anziani, conosciuto durante i primi giorni al Club Zeta. La serata si rivela un disastro: la ragazza colleziona una gaffe dopo l’altra mettendo in luce la sua ignoranza e superficialità e Oliver finisce per andarsene deluso. Le ragazze del Club decidono di aiutare Shelley. Dopo alcune sedute intensive di studi, Shelley esce di nuovo con Oliver recitando la parte della studentessa colta e impegnata, ma, alla fine della serata, viene smascherata rimediando una figuraccia. Mentre torna a casa, Shelley 39 riceve la telefonata di Hefner che, accortosi dell’imbroglio, le propone di tornare alla “Playboy Mansion” offrendole il titolo di Miss Novembre. Shelley rifiuta perché sente il peso della responsabilità del Club Zeta. Tornata a casa però, la giovane viene investita dalle accuse delle ragazze che le rinfacciano di averle trasformate in stupide bamboline senza testa. Mortificata, Shelley accetta l’invito di Hefner e torna alla Playboy Mansion. Intanto le ragazze del Club Zeta spediscono molti inviti per una festa allo scopo di trovare le nuove iscritte, ma gli inviti vengono boicottati dalle ragazze del Club ??????. Alla festa del Club Zeta non si presenta nessuno. Nathalie e le compagne vanno a riprendere Shelley che ormai non si sente più a suo agio a posare per Playboy. Le ragazze del Club Zeta si presentano alla festa delle rivali, dove Shelley fa un commovente appello per trovare le nuove iscritte. Alzano la mano trenta ragazze e il Club Zeta è salvo. Dopo aver ritrovato Oliver, Shelley scrive una lettera a Hefner confessando che ora si sente davvero la protagonista di una favola. L a Cenerentola del terzo millennio fa la coniglietta per Playboy. I tempi sono cambiati anche se il tono Film del film è davvero quello della favola, la storia della ragazza che, caduta in disgrazia, saprà rinascere e ritrovare una nuova identità. Non mancano gli ingredienti della celebre fiaba e cioè nell’ordine, le sorellastre (le odiose rivali conigliette alla Playboy Mansion che con una lettera falsa la allontanano dalla “casa”), i topolini buoni e complici (le giovani “sfigate” del Club universitario dove la nostra eroina si accasa prendendo sotto la sua ala protettiva le scialbe studentesse trasformandole in bambole mozzafiato) e, naturalmente, il principe azzurro (che oggi è un bravo ragazzo che fa volontariato presso una casa di riposo per anziani). Il colore dominante è senza dubbio il rosa: dal rosa delle tenute striminzite che esaltano il corpo della bionda coniglietta, al rosa dei lucidalabbra della sexy protagonista e delle sue emule. Il messaggio è semplice e chiaro: ragazze per essere accettate dovete uniformarvi alla massa (soprattutto al mondo dell’immagine e ai suoi comandamenti), ma cercate comunque di Tutti i film della stagione rimanere voi stesse e di nutrire i vostri cervelli. Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Ma la commediola ha un altro merito, quello di toccare un tema di grande attualità negli States. Eh già, perché al di là dell’oceano sembra stia spopolando una nuova figura femminile: si tratta della “nerdette sexy”, ossia una secchiona sexy (“nerdette”, una riduzione volgare del maschile “nerd”). Ed eccoci al film; lo stuolo di ragazze cui la bionda coniglietta fa da istruttrice rappresentano proprio questo e cioè una realtà che raggruppa quanto c’è di meglio nel giovane panorama femminile USA. Sembra infatti che in tutti i più prestigiosi campus americani le “nerdette” stiano compiendo una vera nuova ‘rivoluzione femminista’. Il movimento è esploso con il successo di trasmissioni quotidiane alla radio e alla TV come “Geek brief” (“geek” significa esperta di informatica) che nacque nel 2001 quando una giovane maga dei computer, Ellen Spertus, oggi direttrice della ricerca alla Google, venne eletta la “geek più sexy” della Valle del silicio in California. A ufficializzare una volta per tutte il fenomeno ci aveva pensato tempo fa il celebre magazine “Newsweek” in un articolo intitolato “La vendetta delle nerdette”, in cui si affermava che “essere un genio dell’informatica è chic”, demolendo così il classico stereotipo che o sei una bambola sexy, o sei un’intellettuale bruttina e insopportabile. E rieccoci al filmetto in questione. Mattatrice a tutto tondo (curve comprese) e istruttrice del gruppetto di giovani “nerd” nel percorso di trasformazione in “nerdette sexy” è la biondissima Anna Faris, già protagonista dei quattro film della serie Scary Movie, che regala un’interpretazione spumeggiante come una coppa di champagne. Tra i ruoli di contorno segnaliamo la mai dimenticata Beverly D’Angelo (bionda eroina del musical Hair targato Milos Forman 1979), qui nei panni di una severa direttrice di un esclusivo club per studentesse e il vero Hugh Hefner (patron di Playboy) nella parte di se stesso. Elena Bartoni VALZER CON BASHIR (Vals Im Bashir) Israele/Francia/Germania, 2008 Musiche: Max Richter Art director: David Polonsky Direttori di produzione: David Berdah, Verona Meier Supervisore effetti visivi: Nitzan Roiy Responsabile animazione: Yoni Goodman Animazione: Gali Edelbaum, Tal Gadon, Barak Drori, Sefi Gayego, Neta Holzer, Lilach Sarid, Zohar Shahar, Orit Shimon, Asenath Wald, Micah Kredo, Adva Markovich Voci: Ron Ben-Yishai, Ronny Dayag, Ari Folman, Dror Harazi, Ori Sivan, Zahava Solomon (se stessi), Yehezkel Lazarov (Carmi Cna’an), Mickey Leon (Boaz Rein-Buskila) Durata: 90’ Metri: 2590 Regia: Ari Folman Produzione: Ari Folman, Serge Lalou, Gerhard Meixner, Yael Nahlieli, Roman Paul per Bridgit Folman Film Gang/Les Films d’Ici/Razor Film Produktion GmbH. In coproduzione con Arte France/ITVS. In collaborazione con Hot Telecommunication/ Israel Fund Film/Medienboard Berlin-Brandenburg/New Israeli Foundation for Cinema and Television/Noga Communication – Channel 8 Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Ari Folman Montaggio: Feller Nili I nverno 2006. Ari Folman, dopo aver ascoltato un terribile incubo di un suo amico (un branco 26 di cani feroci e dallo sguardo famelico corrono per una città distruggendo qualsiasi cosa trovino sulla loro strada, fino a fermarsi, ringhianti, sotto la finestra dell’uomo impaurito), inizia a rammentare la sua tragica esperienza durante la guerra del Libano, di oltre venti anni prima. I suoi ricordi, però, sono labili, frammentari, confusi e si mescolano continuamente con il sogno e l’immaginazione. Nella speranza di mettere finalmente ordine nella sua testa, decide di chiedere aiuto ad alcuni suoi compagni sul fronte all’epoca del conflitto. Carmi Cna’an, Ronnie Dayag, Shmuel Frenkel lo riportano ai tempi in cui, giova- ne e incosciente soldato dell’esercito israeliano, partecipava ai bombardamenti di Sindone e all’assedio di Beirut a bordo di potenti cingolati. Folman si rivolge anche a una psicologa, la quale gli diagnostica una sindrome da “memoria dissociativa”. Malgrado i numerosi racconti degli ex militari, egli non riesce a capacitarsi di essere stato un impotente testimone del massacro di Sabra e Shatila, l’eccidio perpetrato dai falangisti libanesi nel settembre del 1982 contro centinaia di rifugiati arabi palestinesi. La strage fu compiuta come vendetta per l’assassinio dell’appena eletto Presidente del Libano Bashir Gemayel, ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani. L’incursione delle milizie cristiane nei 40 campi profughi di Sabra e Shatila (distrattamente controllati dalle forze armate israeliane), provocò l’annientamento della popolazione civile stanziata: giovani, anziani, donne e bambini. Le cronache dei reporter che entrarono nei due insediamenti (uno di questi, Ron Ben-Yeshai, viene intervistato dal protagonista) parlano di corpi straziati e accatastati uno sopra l’altro sotto un cumulo di macerie. L a memoria ha tante voci. La memoria ha tanti suoni. La memoria ha tanti colori. Valzer con Bashir è un toccante ed intenso viaggio nella memoria come non se ne vedevano da tempo. Il sogno raccontato per caso dall’amico Boaz e un flashback folgorante ri- Film mettono in moto le oscure e, a volte, incomprensibili dinamiche della memoria. Ma non solo. Rischiarano la coscienza e fanno emergere in superficie atroci verità, troppo a lungo rimosse. Quando si “scrivono” le pagine della propria storia a colpi di fucile come è accaduto al protagonista Ari Folman, ebbene la Storia (quella con la maiuscola), prima o poi, ti presenta il conto. La “pena” da scontare per avere inflitto ferite indelebili all’umanità (i fatti sanguinosi di Sabra e Shatila furono condannati anche dalle Nazioni Unite), per essersi reso complice di un vero e proprio genocidio, è il ricordo mai compiuto, frustrato, tormentato. E se la facoltà mnemonica vacilla, perché dietro si annida un logorante (e forse atavico) complesso di colpa, il passato torna a farsi vivo sottoforma di visione. La singolare magia che è in grado di emanare il film risiede proprio nel fecondo e suadente amalgama di irrealtà e documentarismo. Questo secondo aspetto si palesa con crudezza nel finale: quando scorrono le immagini di repertorio delle donne sopravvissute mentre, in preda alla disperazione, attraversano lo scenario di morte e devastazione dei campi profughi. Fin dall’angosciante sequenza d’apertura (quella relativa all’incubo dei cani), la pellicola scritta e diretta dall’ex soldato israeliano è intervallata da slanci onirici di straordinaria forza evocativa. Uno su tutti, quello narrato dal commilitone Carmi Cna’an: egli fantastica di essere “rapito” da una donna nuda molto più grande di lui fisicamente, di prorompente bellezza, e di essere trasportato in mare sul suo ventre, mentre da lontano assiste al bombardamento della nave dove era in servizio con gli altri colleghi militari. Un’immagine di felliniana memoria che rimane impressa non solo nella mente ma anche nel cuore, almeno quanto quella creata da Almodóvar in Parla con lei (e scusate se il paragone vi sembra troppo azzardato). Ricordate quel curioso omino che camminava su un corpo femminile fino ad inoltrarsi nella sua vagina? E non è un caso che, fra tante scene suggestive, si sia presa come esempio proprio questa in cui è protagonista il mare. Qui, come in un altro episodio in cui un soldato si tuffa per nascondersi dal nemico e si lascia trascinare dalla corrente sino a riva, l’acqua (calma) funge da elemento simbolico che accoglie, protegge e proietta in una dimensione “altra”, allontanando i suoi ospiti dal pericolo, dalla morte. Dalla realtà. Se abbiamo dimenticato di menzionare la parola “animazione”, è perché Valzer con Bashir è un film che trascende qualsivoglia categoria o genere cinematografi- Tutti i film della stagione co. Come pure qualsiasi accorgimento formale. Il tratto del disegno, curato da David Polonsky, è scarno e funzionale; non c’è bisogno, infatti, di figure troppo ricercate o sofisticate per rappresentare una tragedia (ignorata) di simili proporzioni. La portata universale del messaggio è tale da arrivare diritta alle coscienze. Di chi (forse per opportunità politica o per codardia) non vuole ricordare gli scempi prodotti dall’eterna e ancora irrisolta contesa israelo-palestinese. Al di là della discreta impaginazione fumettistica, o meglio, da videogioco (scelta estetica molto accattivante e forse pensata per attirare il pubblico dei più giovani), l’opera del regista televisivo e documentarista Folman è soprattutto un piccolo capolavoro di cinema civile. L’insensatezza e l’inutilità della guerra, i momenti di ebbrezza (spesso accompagnati da canti bellici o da brani di musica dance) e i deliri di onnipotenza che essa determina nei soggetti coinvolti in prima linea, specie quelli più acerbi, sono riassunti emblematicamente un una sequenza di scioccante bellezza. Durante uno scontro a fuoco, mentre il cielo della martoriata Beirut è illuminato dai razzi al fosforo, un giovanissimo soldato imbraccia un mitra sfidando i cecchini nascosti sul tetto di un palazzo. Dietro di lui campeggia l’icona del leader Bashir Gemayel. Spara colpi in aria, senza sosta, facendo piroette come un ballerino. A ritmo di valzer, appunto. Diego Mondella IO NON CI CASCO Italia, 2008 Regia: Pasquale Falcone Produzione: Giallolimone/IDF (Italian Dream Factory) Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 5-12-2008; Milano 5-12-2008) Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Falcone Direttore della fotografia: Antonello Emidi Montaggio: Gianluca Vatore Musiche: Giovanna Cucinotta, Marco Randazzo Scenografia: Italo Toscano Costumi: Michela Angelotti Interpreti: Maurizio Casagrande (dott. Maurizio Baldi), Maria Grazia Cucinotta (caposala), Ornella Muti (prof.ssa Lamberti), Rosaria De Cicco (Lorenza), Antonio Stornaiuolo (Antonio), Claudio Coccoluto (se stesso), Pasquale Falcone (Franco), Antonio Casagrande (nonno Fabrizio), Pina Cutolo (professoressa di greco), Paola Russo (Cinzia), Paolo Albano (Marco), Vincenzo Falcone (Fabrizio), Elena Baldi (Angela), Federica Ferro (Maddalena), Fabio Massa (Davide), Fabiano Pagliara (Ciro), Maurizio Ambroselli (Fernando), Antonino Tamigi (Giuseppe), Marco Foscari (Antonino), Simona Fasano (Margherita), Irene Maiorino (Simona), Alessandro Haber Durata: 100’ Metri: 2350 41 Film M arco è nel pieno della giovinezza. Il liceo, gli amici, i sentimenti. E le feste. La prossima in agenda si annuncia come la più clamorosa dell’anno, perché pare che a raggiungerli in discoteca ci sarà il noto dj Claudio Coccoluto. Marco stesso si sta occupando dell’organizzazione dell’evento. Fino a quando, all’uscita da scuola, un pirata della strada urta violentemente il suo scooter e lo sbalza a terra, mandandolo in coma. La tragedia è sconvolgente. In ospedale, mentre attendono delucidazioni sullo stato del figlio, i genitori – separati –cercano di contenere le ingerenze dei rispettivi nuovi compagni. Gli amici fanno quadrato intorno al giovane, confortandosi a vicenda e cercando di organizzare i preparativi per la festa; un modo per portarlo con loro nel quotidiano, giorno dopo giorno. Intanto Marco è in prognosi riservata. Il primario non ha certezze, ma non esclude che un ambiente familiare e amicale intorno a lui possa giovargli. Così accetta, nel rispetto delle regole dell’ospedale, che i compagni di classe possano visitarlo di continuo, uno alla volta. Complice anche una comprensiva capo sala, gli amici iniziano a passare i pomeriggi da Marco, dandosi il cambio, senza mai lasciarlo solo. La terapia, poco evidente sui progressi del ragazzo, ha certo degli effetti su di loro. L’amico in fin di vita diventa un confessore taciturno e disponibile, capace di stimolare anche alla rivelazione dei segreti più profondi: le violenze domestiche, i rammarichi, le richieste di perdono e persino la gravidanza celata della sua innamorata. Non tutti però sono armati di ottimismo e di speranza: qualcuno non è convinto che lo stato comatoso dell’amico sia giusto e la sofferenza tra la vita e la morte l’unica alternativa alla prolungata latitanza di un agognato risveglio. Si defila la possibilità dell’eutanasia, scelta estrema ma forse inevitabile. Nel frattempo, i preparativi per la festa procedono e alla fine, grazie allo sforzo dell’intera classe, dei professori, dei supporti economici di sponsor e parenti l’evento ha luogo. In nome di Marco c’è anche Coccoluto, che, alla fine, informato della causa di tanta ostinazione per la sua partecipazione, chiede di vedere il ragazzo in coma. Il suo confronto con Marco ha su di lui lo stesso effetto liberatorio che avuto sui compagni: il dj si confessa e si interroga. Promette di non dimenticare e di rifarsi vivo. Poco dopo sarà proprio il trillare del suo cellulare, lasciato nella stanza d’ospedale, a impedire il suicidio dell’innamorata, incapace di sopportare il peso della gravidanza. Di lì a poco, proprio mentre i genitori di Marco si avvicinano a una riconciliazione, viene smascherato il pirata della strada responsabile della loro sofferenza: è il compagno della madre, ascoltato involontariamente da un amico del figlio durante la Tutti i film della stagione confessione privata alla vittima. Ed è sempre la forza dell’amicizia a sventare un ultimo, disperato tentativo di porre fine alla sofferenze di Marco nel ventilato atto estremo della “buona morte”. Anche se, nel sonno del coma, Marco vivrà. I n quella tartaruga che, spostata dalla casa del giovane protagonista in fin di vita nella sua stanza di ospedale, riesce nell’epilogo del film a uscire dal suo costringente contenitore si riversa il senso poetico di questo piccolo film e il compimento della sua grande metafora. Che rappresenti il trapasso dalla vita sospesa alla morte o, all’opposto, la guarigione e il risveglio del ragazzo dal coma, importa e non importa. È l’ambiguità, il non detto ma suggerito – a seconda della soggettività ideologica ed emotiva con cui si è fruito il testo – che nobilita i migliori finali aperti. Tant’è che in fondo un simile finale non ha poteri particolarmente retroattivi sul senso generale del film, almeno ai fini della sua tematica centrale: la speranza porta a migliorarsi. Questo cammino intraprendono tanto i genitori del ragazzo quanto i suo fedeli compagni. Alla fine, che Marco si risvegli o no, loro avranno garantito lo sforzo per un mondo migliore intorno a lui. E la fragilità di quell’animale così piccolo e lento è la stessa della generazione che viene raccontata. Spesso accusata di irresponsabilità di fronte all’ovvietà delle situazioni, delle scelte, di una miopia effimera di fronte a un buon senso tanto evidente, con la facilità con cui ci si stupisce della lentezza di una tartaruga e della sua difficoltà nello scavalcare qualche centime- tro di recinto. Il meccanismo di comprensione sta nel contesto. Scavalcare la staccionata che separa adolescenza e maturità per i ragazzi del lungometraggio è un ostacolo di pari portata. La lentezza del rettile è l’incertezza su ciò che si prospetterà fuori dalla sicurezza del contenitore. Varcare il limite è una scelta di vita. La tartaruga chiude il film seguendo, con il ritardo che le è congenito, il percorso poco prima imboccato dai ragazzi. Crescere. Il merito maggiore della regia di Pasquale Falcone è proprio quello di aderire al loro contesto, guidando lo spettatore nella vita della “comitiva”, con la macchina da presa sempre alla loro altezza e immersa nel loro quotidiano. Carpendo, in più di un’occasione, squarci di genuinità e naturalezza che riscattano uno spirito di messa in scena spesso eccessivamente filo-televisivo, così come qualche debolezza nelle interpretazioni e la forzatura retorica di alcune soluzioni narrative. A controbilanciare le cadute del film c’è anche un momento di grande sensibilità: l’artista idolatrato dai giovani che di fronte al male di un suo ammiratore si concede al fuori dalla fama, mettendosi in discussione in un monologo che lo avvicina inaspettatamente ai problemi della generazione protagonista. Assieme alla disanima dei problemi genitoriali, anche se magari timidamente e con leggerezza, la pellicola fornisce così uno sguardo trasversale e plurigenerazionale. Un altro punto di vista che fa di quella tartaruga il simbolo polisemico della difficoltà quotidiana, al di là della sfera anagrafica di riferimento. Giuliano Tomassacci IL NEMICO DEL MIO NEMICO CIA, NAZISTI E GUERRA FREDDA (My Enemys Enemy) Francia/Gran Bretagna, 2007 Regia: Kevin Macdonald Produzione: Rita Dagher, Kevin Macdonald per Wild Bunch/Yalla Film/Channel 4 Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008) Soggetto: Kevin Macdonald Direttore della fotografia: Jean-Luc Perréard Montaggio: Nicolas Chaudeurge Musiche: Alex Heffes Direttore di produzione: Sylvie Balland Suono: Stéphane Bucher, Yves Coméliau, Yves Lévêque Interpreti: Klaus Barbie (se stesso – immagini di repertorio), Kevin Macdonald (narratore/intervistatore), André Dussolier (narratore, versione francese) Raymound Aubrac, Robert Badinter, Ladislas De Hoyos, René Hardy, Adolf Hitler, Beate Klarsfeld, Serge Klarsfeld, Bruno Masure, Jacques Vergès (se stessi) Durata: 87’ Metri: 2460 42 Film K laus Barbie, nato il 25 ottobre 1913 a Bad Godesberg, nel 1933 entra nella gioventù hitleriana. Due anni dopo è una SS ai comandi di Helmut Knochen, futuro capo della SIPO-SD in Francia. Dal 1942 al 1944 assume l’incarico di responsabile della quarta sezione della Gestapo di Lione, guadagnandosi ben presto il triste soprannome del “Macellaio di Lione”. Qui, nel 1943, arresta e tortura Jean Moulin, il fondatore del CNR (Consiglio Nazionale della Resistenza). Nell’estate del 1944 è costretto a riparare in Germania, dove entrerà a far parte del CIC (Controspionaggio Americano). Ma la Francia lo reclama, ne chiede l’estradizione. Il CIC decide dunque di trasferirlo in America del Sud. Destinazione Bolivia. Dopo essere transitato in Argentina, nel 1951 Klaus Barbie e famiglia giungono a La Paz. E, mentre viene condannato in contumacia per crimini di guerra, lui instaura una fitta rete di rapporti con ex generali tedeschi alle dipendenze del potere boliviano. Assume il nome di Klaus Altmann, riesce a metter su un traffico d’ar- Tutti i film della stagione mi per favorire i militari dell’estrema destra. Nel 1980 è uno dei fautori del colpo di stato del generale Luis Garcia Meza. Nel 1983, dopo che la sinistra è tornata al governo, Barbie viene espulso dalla Bolivia e condotto a Cayenne. Le autorità francesi lo arrestano. Nel 1987 comincia il processo. I giudici lo dichiarano colpevole di ben 17 crimini contro l’umanità. Muore in prigione il 25 settembre 1991. Verrà sepolto in Bolivia. D opo L’ultimo re di Scozia, Kevin Macdonald ritrae un altro personaggio spietato e crudele fino al l’inverosimile. Immagini di repertorio e numerose interviste si susseguono in forma documentaristica, senza trascurare però un tessuto narrativo e una suspence che inchiodano lo spettatore alla poltrona. Alcune interviste, in particolar modo quella in cui compare il signor Halaunbrenner, sono a dir poco scioccanti. Si fa fatica addirittura a guardarle. Neal Ascherson, storico e biografo, dice di Barbie: «Non c’è un avvenimento particolare del suo passato che lo abbia reso antisemita, è qualcosa che gli è stato trasmesso dagli altri. C’era una comunità ebraica a Trea, che non era una città molto grande. Lui conosceva tanti ebrei e sapeva chi era il rabbino Altmann quando lo incrociava in strada. Molto più tardi, quando il rabbino era ormai morto da tempo nelle camere a gas di Auschwitz, Klaus Barbie si appropria del suo cognome per crearsi delle false generalità». E continua: «Sono convinto che Barbie fosse una spia già ai tempi della scuola, impiegato come agente per controllare i suoi compagni». Basterebbe questo per dare un’idea del personaggio. Un assassino lucido e motivato. La storia impressionante di un uomo che, nella sua vita, non ha fatto altro che questo. In ultimo, le parole della figlia di Barbie, Ute Messner, che sembrano pura follia, frutto di una mente fantasiosa. Purtroppo, così non è. C’è poco da dire. Bisogna assolutamente vederlo. Ivan Polidoro MAX PAYNE Canada/Stati Uniti, 2008 Regia: John Moore Produzione: Scott Faye, John Moore, Julie Yorn per Abandon Enterteinment/Collision Enterteinment/Depth Enterteinment/ Dune Enterteinment/Firm Films/Foxtor Productions Distribuzione: 20th Century Fox Italia Prima: (Roma 28-11-2008; Milano 28-11-2008) Soggetto: dall’omonimo video game ideato da Sam Lake Sceneggiatura: Beau Thorne Direttore della fotografia: Jonathan Sela Montaggio: Dan Zimmerman Musiche: Marco Beltrami, Buck Sanders Scenografia: Daniel T. Dorrance Costumi: George L. Little Produttori esecutivi: Tom Karnowski, Karen Lauder Produttore associato: Peter Veverka Direttori di produzione: Whitney Brown, Tom Karnowski Casting: Mindy Marin Aiuti regista: Jeff J.J. Authors, Penny Charter, Tyler Delben, Karen Young, Kathryn Hughes Operatori: Roger Finlay, Gregory W. Smith Art director: Andrew M. Stearn Arredatore: Carolyn’Cal’ Loucks Trucco: Donald Mowat Supervisori effetti speciali: Warren Appleby, John MacGillivray N ew York. Il detective Max Payne è deciso a vendicare la morte della moglie e della figlia neonata, uccise da criminali sotto l’effetto della droga Valkyr. L’assassino non è mai stato tro- Coordinatore effetti speciali: Rob Sanderson Supervisori effetti visivi: Jeff Campbell (Spin), Kevin Kutchaver (HimAnl Productions Inc.), Everett Burrell Coordinatori effetti visivi: Matt Daly (Mr. X Inc.), Leann Harvey Supervisore effetti digitali: David Carriker (Modern Videofilm) Supervisore costumi: Kathleen Meade Interpreti: Mark Wahlberg (Max Payne), Mila Kunis (Mona Sax), Beau Bridges (BB Hensley), Ludacris (tenente Jim Bravura), Chris O’Donnell (Jason Colvin), Donal Logue (Det. Alex Balder), Amaury Nolasco (Jack Lupino), Kate Burton (Nicole Horne), Olga Kurylenko (Natasha Sax), Rothaford Gray (Joe Salle), Joe Gordon (Owen Green), Jamie Hector (Lincoln DeNeuf), Andrew Friedman (Trevor Duncan), Marianthi Evans (Michelle Payne), Nelly Furtado (Christa Balder), Jay Hunter (uomo del monte di pietà), Maxwell McCabe-Lokos (Doug), Kerr Hewitt (Kid), Stephen R. Hart (proprietario negozio di tatuaggi), Philip Williams (sergente Adams), Warren Belle (detective), Ted Atherton (detective Shipman), Katie Odegaard (Jakie), Rico Simonini (sergente detective Amerini), Pj Lazic (Junkie), Brandon Carrera (giovane poliziotto), Conrad Pla (capitano Bowen), Larry Wheatley (barista), Janice Nguyen (detective), Martin Hindy, Herbert Johnson, Joshua Barilko Durata: 100’ Metri: 2630 vato. Ora, passato un po’ di tempo, Max lavora all’ufficio casi irrisolti, dove deve ordinare i documenti e metterli in archivio. Contemporaneamente però, il poliziotto sta facendo delle indagini private sul43 l’assassinio della moglie e della figlia. Nel frattempo, mentre sta indagando su un nuovo caso d’omicidio, il suo amico e collega Alex sta trovando alcuni elementi che potrebbero aiutarlo a rintracciare colui che Film ha fatto fuori la sua famiglia. Gli dà appuntamento a casa sua, ma, quando Max arriva, lui è già morto. A questo punto, Max è rimasto completamente solo ed è diventato il bersaglio sia della polizia (che lo ritiene responsabile della morte dell’amico in quanto è ignara del fatto che il detective stava svolgendo delle indagini in incognito), sia dai malviventi. Al funerale poi, la moglie dell’amico gli chiede esplicitamente di andarsene. È comunque sempre più deciso a stanare i colpevoli. Si trova a combattere con la famiglia mafiosa che controlla il mercato della Valkyr. Scopre che il commercio di questa droga non fa parte soltanto di un traffico malavitoso, ma è elemento fondamentale di un progetto militare; veniva infatti utilizzata per aumentare la resistenza al dolore e la potenza fisica dei soldati statunitensi. Il piano è stato poi bloccato, perché ritenuto nocivo per la salute dei militari e per mancanza di fondi, ma Nicole Horne, capo della Aesir Corporation, ha proseguito comunque la ricerca. Michelle, la moglie di Max, che lavorava presso l’ufficio del Procuratore Distrettuale, aveva scoperto accidentalmente i documenti di questo progetto e la Horne, per evitare che la verità venisse a galla, ha ordinato il suo assassinio e quello della figlia. Max a questo punto, pieno di rabbia, non segue più l’etica professionale. Ad affiancarlo c’è Mona Sax, anche lei in cerca di vendetta dopo l’omicidio della sorella Natasha. Nel corso delle sue ricerche, Max scopre anche che il collega più anziano B.B., che aveva sempre pensato che fosse dalla parte sua, è in realtà un traditore e, alla fine, riesce a farlo fuori. La sua battaglia però non è finita. Anzi, sembra appena cominciata. C on Max Payne non è il videogame che si orienta verso il cinema ma viceversa. L’influenza Tutti i film della stagione dell’omonimo videogioco creato da Sam Lake appare infatti decisiva a livello iconografico e il film di Moore sembra riprodurne meccanicamente le atmosfere, i colori e le azioni. Questo rapporto di dipendenza è simile a quei film tratti da opere letterarie, in cui si cerca di essere più fedeli e aderenti possibile al testo d’origine. Con Max Payne si va oltre. Si ha infatti l’impressione, ma può essere anche un’illusione ottica, che gli stessi movimenti del protagonista siano rallentati e anche i volti degli attori è come se avessero subito una trasformazione. Negli ultimi anni, i film tratti da videogame (Lara Croft – Tomb Raider, The Hitman, Resident Evil, The Punisher) non sono stati certo memorabili e, se non fosse per il soggetto che li ha ispirati, potrebbero essere considerati come delle variazioni all’interno del blockbuster d’azione statunitense. L’unico elemento che potrebbe differenziarli da quest’ultimi potrebbe essere soltanto un’accentuazione cromatica che contribuisce a rendere queste atmosfere maggiormente artificiali. Con Max Payne, però, si è andati oltre. All’interno di una vicenda in cui la figura interpretata da Mark Wahlberg (anche qui bravissimo, capace comunque di alimentare la disperazione e il senso di totale isolamento suo personaggio anche in un film sbagliato come questo) appare come la variazione riaggiornata di quello interpretato da Charles Bronson nella saga di Il giustiziere della notte, Moore cerca di costruire un’apparato iconografico che alimenta una dimensione con tracce noir: illuminazione bluastra, una città oscura piena di strade buie e sordide che sembra ancora più ‘solidificarsi’ con le immagini della neve sul porto, la figura di un detective ormai irrimediabilmente prigioniero del proprio vissuto. I momenti del suo felice passato vengono invece caratterizzati con un’illuminazione forte e accesa, evidenti soprattutto sulle immagini della sua famiglia e della sua abitazione subito poco prima della tragedia. Inoltre, proprio come nella dimensione prospettica del videogioco, viene talvolta privilegiata l’angolazione soggettiva del detective. Moore forse pensa così di creare una maggiore adesione con il personaggio e con le atmosfere del videogame da cui il film è tratto. Si tratta, però, solo di un’illusione. Max Payne è un film freddo e senz’anima, che forse aspira a creare quel rapporto di dipendenza tra il protagonista e lo spazio che attraversa come nella saga su Jason Bourne (in cui gli ultimi due episodi diretti da Paul Greengrass hanno un ritmo e un tasso di adrenalina a cui Max Payne non ci si avvicina minimamente). Le scene d’azione sono spesso risolte meccanicamente, sbrigativamente e vengono, a volte, sottolineate da esibiti ralenti. Ciò è evidente nel momento in cui il detective uccide il collega più anziano B.B. che l’ha tradito, o nella scena dell’assassinio di Natasha. Le forze del male, quindi, non prendono mai pienamente forma. Sono solo delle deboli e fugaci apparizioni, che sembrano acquistare momentaneamente una maggiore consistenza nelle scene di omicidio. Forse questi frammenti di ombre rappresentano l’unico squarcio seducente di un’opera apparentemente sovraccarica ma vuota, che ricicla più che ispirarsi alle atmosfere di Matrix. Che lo sguardo di John Moore non avesse una grande fantasia si era già visto nei suoi due piatti remake, Il volo della fenice ed Omen – Il presagio. L’utilizzo del digitale non arricchisce questo suo ‘personale gioco’ né lo rende, malgrado le intenzioni, più inventivo, ma solo più rumoroso. E stavolta, rispetto al videogame, si attende che il percorso del protagonista sia finito per poter così spegnere tutto. Anche se, dopo i titoli di coda, il film sembra riprendere e continuare. Come in un successivo episodio. Simone Emiliani COME DIO COMANDA Italia, 2008 Suono: Mauro lazzaro, Paolo Amici, Luca Novelli, David Quadroli, Fabrizio Quadroli, Roberto Sestini Effetti: Gaia Bussolati, Paolo Ricci, Effetti Digitali Italiani (Edi), Luca & Paolo Ricci Effetti speciali Cinematografici Interpreti: Alvaro Caleca (Cristiano Zena), Filippo Timi (Rino Zena, padre di Cristiano), Elio Germano (Quattro formaggi), Fabio De Luigi (Beppe Trecca, assistente sociale), Angelica Leo (Fabiana), Linda Bobbo (professoressa), Alessia Bellotto (infermiera), Alessandro Bressanello (Marchetta), Giuseppe Cristiano (infermiere), Franco De Maestri (parroco), Andrea De Neri (Alex), Ludovica di Rocco (Esmeralda), Giovanni Franzoni (padre di Fabiana), Vasco Mirandola (Dottor Brolli), Rita Pirro (Corinna), Stefano Rota (medico) Durata: 103’ Metri: 2810 Regia: Gabriele Salvatores Produzione: Maurizio Totti per Colorado Film/Rai Cinema. Con Friuli Venezia Giulia Film Commission Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 12-12-2008; Milano 12-12-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti Sceneggiatura: Niccolò Ammaniti, Antonio Manzini, Gabriele Salvatores Direttore della fotografia: Italo Petriccione Montaggio: Massimo Fiocchi Musiche: Mokadelic Scenografia: Rita Rabassini Costumi: Patrizia Chericoni, Florence Emir Casting: Francesco Vedovati Aiuto regista: Alessandro Pascuzzo 44 Film R ino Zena e suo figlio Cristiano abitano da soli in un paesino sperduto del Friuli. L’uomo, un disoccupato con il culto di Hitler e del nazismo, vuole educare il ragazzo a vivere secondo i propri principi. Lo incita alla violenza e gli insegna a difendersi dai compagni di scuola. Cristiano rispetta gli ordini del padre, senza accorgersi che questi suoi comportamenti finiscono per isolarlo dal contesto scolastico. Chi vive in un mondo tutto suo è invece Quattroformaggi, un giovane disadattato (anch’egli licenziato dopo anni passati in una fabbrica produttrice di materiale elettrico), che trascorre le sue giornate chiuso in casa parlando con i personaggi del presepe e guardando filmini hard dove è protagonista la sua attrice preferita, Ramona. Un giorno, crede di vedere in una ragazza bionda la porno star di cui è segretamente innamorato. Decide di seguirla col suo motorino tra le stradine di campagna. Finge un finto incidente per farsi soccorrere e, quando le salta addosso per baciarla, lei lo respinge duramente facendosi scudo con il proprio casco. La colluttazione continua in mezzo al bosco: qui Quattroformaggi tenta di violentarla e, di fronte all’ennesimo rifiuto, la colpisce con una sassata alla testa. Resosi conto dell’accaduto, chiama in aiuto l’amico fraterno Rino, il quale, dopo averlo rimproverato e percosso, viene colto da un ictus. Confuso e spaventato il giovane scappa via con la pistola dell’uomo (che riesce comunque ad avvertire il figlio del suo malore). Cristiano si precipita sul posto e, quando scopre che accanto al genitore svenuto giace a terra la ragazza morta, riconosce in lei la sua compagna di scuola Fabiana. Convinto che sia stato il padre ad ammazzarla, provvede a far sparire il corpo per cancellare qualsiasi prova a suo carico. Dopo averla trascinata sul camioncino e averla nascosta per alcuni giorni, la getta nel fiume. La salma ricoperta da un telo di cellophane viene immediatamente ritrovata dalla polizia. Nel frattempo, Rino finisce in coma in ospedale e lui viene affidato ad un assistente sociale. Quattroformaggi, avendo paura che, una volta risvegliatosi, Zena possa rivelare la verità, pensa inizialmente di eliminarlo. Ma, quando se lo trova davanti, non ha il coraggio di sparargli. I sensi di colpa lo spingono al suicidio. Cristiano (che ha appena partecipato ai funerali di Fabiana), purtroppo, non fa in tempo a evitare la tragedia. Quando arriva a casa del giovane e rinviene l’I-Pod della sua amica, capisce che è lui il vero responsabile dell’omicidio. Proprio nel momento in cui va a fare visita al padre per domandargli perdono, questi si risveglia dal coma. N ero nel senso più letterale possibile. Anzi nerissimo. Delirante più di una tragedia shakespeariana. Tutti i film della stagione Greve e luttuoso fino all’inverosimile. In una parola sola: l’esatto contrario di Io non ho paura (2003). Se l’intento di Gabriele Salvatores era quello di spiazzare gli spettatori, c’è riuscito perfettamente. Ma, purtroppo – viene da chiederci –, a quale prezzo? L’adattamento del libro di Ammanniti per il grande schermo è il risultato di un “arrotondamento per eccesso”. La storia scritta dall’autore del bestseller Premio Strega nel 2007, già di per sé sufficientemente cupa e desolante, si trasforma in una favola dark maledetta ed esageratamente torbida. In Come Dio comanda ogni singolo elemento risulta essere sopra le righe: dall’ambientazione friulana notturna, piovosa e fangosa, alla recitazione degli interpreti (in particolare Filippo Timi ed Elio Germano). È anche vero che qualcuno potrebbe interpretare metaforicamente questo registro stilistico, eccentrico ed esasperato, come il lamento, o meglio, il grido di dolore di un umanità reietta e disfunzionale, che è “costretta” a usare la forza per affermare la sua esistenza e ad urlare la propria rabbia (Rino Zena), o il proprio bisogno di amore represso (Quattroformaggi) contro una natura sorda e alienante. Lo spiantato impersonato da Germano suscita pietà e tenerezza quando si fa stringere da un paio di braccia di gomma finte attaccate al televisore, o quando si meraviglia come un bambino alla vista di uno scoiattolo. Lo spazio sociale dell’estrema provincia del nostro Nord-est (il film è stato girato nei dintorni di Pordenone), compresso tra gli hangar degli stabilimenti industriali, le discariche abusive e i “mostruosi” centri commerciali (ottimamente fotografato da Italo Petriccione), sembra una terra di confine dimenticata dal Signore, in cui gli uomini vivono come bestie selvatiche in cattività. Come è tristemente noto, oramai che la dura realtà del precariato, della disoccupazione e della concorrenza nel lavoro con gli extracomunitari, spesso e volentieri, alimenta il razzismo, l’aggressività e la paura dell’Altro. Ma al di là dei facili e ingannatori sociologismi, il film perde la sua coraggiosa scommessa col pubblico sul piano della credibilità. La vicenda della ragazza uccisa “accidentalmente” nel bosco sotto una pioggia incessante (che richiama quella della fiaba di Cappuccetto Rosso e del Lupo) è il pretesto per far scaturire un intreccio orrorifico quanto bislacco. Dove si susseguono maldestri tentativi di vendetta, affannose ricerche, strazianti scoperte e occultamenti di cadavere da serialkiller di professione... . E dove, alla fine, a scontare “il peccato originale” è – guarda caso – l’anello più debole e indifeso della catena, incapace di sopportare il peso del misfatto. L’insistito ricorrere da parte di Salvatores a simbolismi e allegorie (confortato anche da alcune scelte musicali di facile presa, come She’s the one di Robin Williams che riecheggia dall’I-Pod della vittima) finisce comunque per offuscare l’unica nota positiva di tutto il racconto, ovvero la storia d’amore e di eterna fedeltà, anche nel presunto Male, tra un padre e suo figlio, che nel film ha il volto dell’interessante Alvaro Caleca. Diego Mondella TONY MANERO (Tony Manero) Cile/Brasile, 2008 Regia: Pablo Larraín Produzione: Juan de Dios Larraín per Fabula. In coproduzione con Prodigital Distribuzione: Ripley’s Film Prima: (Roma 16-1-2009; Milano 16-1-2009) Soggetto e sceneggiatura: Pablo Larraín, Alfredo Castro, Mateo Iribarren. Con la consulenza di Eliseo Altunaga Direttore della fotografia: Sergio Armstrong Montaggio: Andrea Chignoli Musiche: Frecuencia Mod, José Alfredo Fuentes, Juan Cristóbal Meza Scenografia: Polin Garbisù Organizzazione: Ruth Orellana Produttori esecutivi: Ariane Hartard, Juan I. Correa Produttore associato: Tomas Dittborn Aiuto regista: Oscar Godoy Consulente artistico: Rodrigo Bazaes Operatori: Pablo Larraín, Sergio Armstrong Trucco: Margarita Marchi Acconciature: Paola Morales Suono: Miguel Hormazabal Interpreti: Alfredo Castro (Raúl Peralta), Amparo Noguera (Cony), Héctor Morales (Goyo), Paola Lattus (Pauli), Elsa Poblete (Wilma) Durata: 98’ Metri: 2290 45 Film S antiago del Cile, 1978. Raúl Peralia è un uomo di cinquantadue anni che passa le sue giornate ossessionato dall’idea di impersonare Tony Manero, il ballerino protagonista di La febbre del sabato sera, film che sta spopolando nelle sale cinematografiche di un Cile governato ormai da anni dal generale Augusto Pinochet. Quella di Raúl per Tony Manero è una vera ossessione: l’uomo passa molto tempo a studiare i passi di ballo, le movenze e le espressioni del personaggio interpretato dall’attore John Travolta. Insieme a tre ballerini, sul piccolo palco di uno scalcinato bar di periferia, tutti i giorni Raúl si esercita sui passi da disco-music del suo idolo. Il suo sogno sembra essere a portata di mano quando un programma televisivo bandisce un concorso per trovare dei sosia di Tony Manero. Nel febbrile tentativo di raggiungere il suo sogno, l’uomo non si ferma davanti a nulla. Un giorno, dopo aver soccorso per strada un’anziana signora da un’aggressione, si introduce in casa sua per rubarle il televisore. Con il ricavato della vendita dell’elettrodomestico, Raúl acquista in un magazzino dei mattoni di vetrocemento per ricreare nel piccolo palco del bar il pavimento della discoteca dove nel film si esibisce Tony Manero. Pochi giorni dopo, uccide il proiezionista di un cinema per rubare una copia della pellicola che ormai per lui è divenuta un’ossessione. Una notte, si introduce nel magazzino per uccidere il titolare e rubare le mattonelle mancanti per la sua opera di ricostruzione del pavimento da discoteca. Una sera, finalmente, Raúl si esibisce sul palco del bar insieme alla compagna Cony, a sua figlia Pauli e al suo ragazzo Goyo. Quella stessa sera, Raúl si apparta con la giovane Pauli provocando il risentimento di Cony. Il mattino dopo, nel locale irrompe la polizia che interroga Goyo perché sospettato di attività di opposizione clandestina al regime. Nel frattempo, Raúl si nasconde e scappa da un’uscita secondaria per recarsi agli Tutti i film della stagione studi televisivi dove si svolge il concorso per i sosia di Tony Manero. Raúl si esibisce e si classifica secondo. U n uomo allo stato primordiale, rappresentante di una sottospecie umana: semianalfabeta, sottosviluppato, opportunista, privo di coscienza politica e morale. Un ladro e un assassino. Raúl, aspirante sosia del mitico Tony Manero di La febbre del sabato sera, è un uomo affamato che segue solo i suoi appetiti: l’appetito della fama, quello dei soldi, quello del sesso. Un uomo “senza qualità”, in preda solo ai suoi bisogni più bassi che vive nella più completa “miseria spirituale e materiale” sono parole del regista - che aspira a diventare come “l’eroe americano”. E così cerca di sovrapporre la sua appartenenza culturale a un’altra, assumendone in pieno i parametri (sintomatico il vizio di ripetere ossessivamente le battute in inglese del suo film mito, riempiendosi la bocca, divorando letteralmente quelle parole fino a farne un vero nutrimento per l’anima). Tony Manero è la storia di un’ossessione sullo sfondo di un paese che sta attraversando quel processo culturale che ha definito il modo di vivere attuale di tanti paesi sudamericani. Si respira nel film quell’”aria pericolosa di sottosviluppo” che ha visto tanti paesi latinoamericani minacciati nel corso degli anni ’70. Ed ecco la speranza riposta nel vecchio modello di sogno americano che la storia di Manero rappresenta: un perdente che, grazie al talento nel ballo, riesce a risalire la scala sociale. Raúl è un uomo ossessionato, ha fame per i dettagli, colleziona feticci (il feticcio, un oggetto parziale come si definisce in psicoanalisi, una sineddoche, una “parte per il tutto”). I mattoni di vetrocemento da mettere sul pavimento, la palla con gli specchietti da appendere al soffitto, la pellicola del film, il vestito bianco del suo eroe, sono parti per il tutto, parti di un mondo, parti dell’universo di Tony Manero. Oggetti cui essere affettivamen- 46 te legato. Affettivamente e morbosamente. Raul è un feticista privo di senso morale: balla e uccide, uccide per ballare, balla per (soprav)vivere. Ma qui più che mai, il personaggio è tutt’uno con la realtà che lo circonda, egli è il resto di quella “sottoclasse” sociale che ha subito il colpo di stato del 1973 da una posizione politica che non sosteneva la dittatura ma neanche era contraria a essa e non le opponeva resistenza. Quella massa silenziosa che cercava solo di sopravvivere. Le strade della Santiago perfettamente sono colte nella sua atmosfera anni Settanta: un’atmosfera strana, indefinita, pervasa da un misto di paura e oblio. Quelle strade semideserte, il silenzio, poi il passaggio delle camionette dei militari. Una Santiago diversa da quella di oggi. E Raúl, un uomo che vive proiettato in avanti rispetto al suo paese: il suo assurdo desiderio – ha osservato il regista – è quello del Cile odierno. Dietro la macchina da presa (intento a ‘pedinare’ il suo protagonista con la macchina a mano), Pablo Larrain (classe 1976 alla sua opera seconda dopo Fuga del 2006) non ha paura di essere duro o addirittura “molesto” con lo spettatore, aiutato nell’arduo compito dal suo protagonista mattatore assoluto, Alfredo Castro, inguainato nel suo costume bianco alla Travolta (ma più che il divo di La febbre del sabato sera, il volto scavato dell’attore ricorda molto da vicino il profilo dolente del grande Al Pacino). Il sogno del successo e le sue ossessioni, dolorose e attualissime (il giovane ballerino Goyo che fa da sfondo all’esibizione del nostro aspirante Manero, prima di andare in scena dirà “Oggi la vita ci dà una possibilità, la possibilità di emergere”). Trent’anni dopo, anche se non si vive sotto una dittatura, le illusioni perdute hanno sempre un sapore amarissimo, soprattutto quando diventano ossessioni. Accendere la TV e sintonizzarsi su un canale qualsiasi per credere. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione IL PUGILE E LA BALLERINA Italia, 2006 Regia: Francesco Suriano Produzione: Pier Francesco Aiello, Veronica Bilbao La Vieja per P.F.A. Films/Caro Film. Con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Distribuzione: P.F.A. Films S.R.L. Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008) Soggetto: Francesco Suriano, Marco Saura Sceneggiatura: Francesco Suriano, Marco Saura, Sergio Vecchio Direttore della fotografia: Alessio Gelsini Torresi Montaggio: Natalie Cristiani Musiche: Giuseppe Napoli Scenografia: Bruno Colella Costumi: Caterina Nardi, Claudia Vaccario Effetti: Ercole Cosmi, Tiberio Angeloni, M.A.G. Special Effects Aiuto regista: Clarita Giovanni, Guendalina Zampagni R oma. Un carabiniere alla radio segnala un uomo che balla nudo sul cofano d’un’auto. È Enzo, mercante d’arte omosessuale, sposato e separato, padre d’un figlio. L’agente che lo arresta si fa chiamare Osho. Durante la notte, in guardina, Enzo gli racconta le sue pene d’amore. Anni dopo i due si rincontrano. Non è un giorno qualunque. È il giorno in cui i loro rispettivi compagni prenderanno strade diverse, separando i propri destini. Così procede il film, alternando il diario d’un giorno solo, l’ultimo, ai frammenti disordinati dei tre anni precedenti. La mattina presto il gioielliere sotto casa di Enzo viene derubato del bracciale che l’uomo ha fatto confezionare per il suo amico coinquilino, Fabio. Osho è sul luogo, ma non capisce, e lascia fuggire il ladro. Cacciato dall’arma dei Carabinieri, Osho vive di truffe e piccoli delitti, appoggiandosi al compare di sempre, il succube Carletto: orfano di padre carabiniere, il ragazzo vive nella menzogna, professandosi membro dell’arma e rubando di nascosto la pensione dell’anziana madre, insieme alla quale ancora vive. A chiedere un cambio di vita a Carletto c’è la vicina di casa, hostess argentina giovane e bella, compagna di chiacchiere della vecchia dirimpettaia, apertamente invaghita del ragazzo. Enzo ha incontrato Fabio tre anni prima, davanti alla palestra dove si allenava come pugile. Dopo qualche avance e un invito a casa, Enzo ha ottenuto di vivere con il rude giovanotto. Così si è venuta Suono: Alessandro Rolla, Maximialiono Angelieri Interpreti: Marcello Mazzarella (Osho), Enzo Mazzarella (Enzo), Fabio Mattei (Fabio), Peppino Mazzotta (Carletto), Francesca Benedetti (Lucia), Arturo Cirillo (Tavoletta), Crescenza Guarnieri (Concetta), Moira Grassi (Francesca), Raffaella Lebboroni (Alessandra), Sara Bertela (Chiara), Carmelo Galati (Antonio), Piermaria Cecchini (Marcellone), Michel Altieri (pugile), Rosa Pianeta (Isa), Euglen Sota (Jemin), Carla Cassola (madre di Carletto), Achille Brugnini (gioielliere), Saverio La Ruina (Gerardo), Bernarda Reichmuth (Gitte), Ivan Sabetti (Sandrino), Emiliano Possenti (Roberto), Massimo Proietti (Massimone), Michelangelo Trizza (pugile), Ketty Di Porto (Mariangela), Mario Mazzarella (Mariolino) Durata: 88’ Metri: 2430 costruendo una relazione turbolenta e inconsueta, dalla quale Enzo ha tratto conforto e disperazione e che a Fabio, mantenuto dal suo ammiratore, è costata la fine della carriera pugilistica. Le liti tra Osho e Carletto e quelle tra Enzo e Fabio arrivano fino al tramonto. Fabio è stanco di vivere accanto a Enzo, al quale pure vuole bene, ma che occupa con invadenza anche gli ultimi spazi della sua vita privata, stendendo il suo controllo su ogni spostamento dell’altro, fino al punto da stringere amicizia perfino con la di lui fidanzata. Mentre Enzo aspetta con ansia il ritorno a casa di Fabio, Osho e Carletto sono all’inseguimento del ladruncolo che la mattina s’è portato via il bracciale d’oro sotto il naso dell’ex carabiniere. Catturato, il giovane straniero, non può far altro che svelare l’inattesa verità: il furto è stato commissionato da Fabio; è lui ora ad avere il gioiello. Si è fatta notte. Enzo e Fabio si ritrovano sotto casa, in piazza. Dopo la solita lite, sfociata in colluttazione, Enzo e Fabio si lasciano. Carletto abbandona per l’ultima volta l’auto del compare; si decide a smettere la vita di miseri espedienti offertagli da Osho, progettando un nuovo avvenire tra le braccia della sua vicina di casa. Osho, rimasto solo nella piazza deserta, esce dall’auto, raccoglie il bracciale d’oro caduto a Fabio durante la lotta e se lo mette in tasca. I l film è l’esordio nel lungometraggio di Francesco Suriano, autore e regista per il teatro, sceneggiatore (Sud Side Stori, 2000, e Oreste a Tor Bel- 47 la Monaca, 1994) e documentarista (Partenze, 1996) per il cinema. Il titolo, come pure l’intera concezione del film esplicita una convinta, raffinata cinefilia. Ma come troppo spesso accade nel cinema nostrano, il progetto di Suriano-Saura-Vecchio (nel caso dell’ultimo nome si tratta di sola collaborazione alla sceneggiatura), articolato e suggestivo sulla carta, diventa, una volta versato sullo schermo, pallido oggetto indefinito. Molte le scelte discutibili, a cominciare dall’ambizione di tenere insieme le fila d’uno schema narrativo tanto complesso alla prima prova nella direzione d’un lungometraggio. Uno scarto della fotografia dovrebbe fornire riferimento certo e discreto allo sguardo dello spettatore, altrimenti del tutto disarmato dentro un racconto rapsodico e disperso; il film però – tutto girato in alta definizione – manca della sufficiente precisione tecnico-estetica, cosicché, durante la visione, ci si ritrova persi dentro i meandri della narrazione squadernata che con l’inanellarsi delle scene sembra costruire un rompicapo senza soluzione. L’imprecisione è forse il peggior peccato della pellicola. Così, l’interpretazione degli attori (molti dei quali non professionisti) sporca ma vivida, forte e sbilenca, l’originalità d’uno sguardo capace di trasfigurare il centro di Roma, strappandolo alla consunzione cine-televisiva, un gusto per l’inquadratura magari non impeccabile ma capace di dare forma alle cose: tutto questo si trova diluito e inquinato da una colpevole mancanza di accuratezza, di rigore, di affilatura. Silvio Grasselli Film Tutti i film della stagione VALUTAZIONI PASTORALI Amore che vieni, amore che vai – inconsistente / banalità Australia – consigliabile / poetico Bambino con il pigiama a righe (Il) – raccomandabile-problematico / dibattiti Banda Baader Meinhof (La) – discutibile-problematico / dibattiti Canarina assassina (La) – inconsistente / banalità Come Dio comanda – discutibile / ambiguità Coniglietta di casa (La) – inconsistente / banalità Dubbio (Il) – complesso-problematico / dibattiti Duchessa (La) – accettabile / realistico Ex – sconsigliato-non utilizzabile / superficiale Impy e il mistero dell’isola magica – n.c. Io non ci casco – inconsistente / velleitario Italians – futile / superficialità Lezioni di felicità – accettabile / poetico Lower City – n.c. Lui, lei e Babydog – n.c. Max Payne – discutibile / violenze Milk – complesso / scabrosità Millionaire (The) – raccomandabile-problematico / dibattiti Natale a Rio – inconsistente / grossolanità Nemico del mio nemico (Il) – n.c. Operazione Valchiria – consigliabileproblematico / dibattiti Peso dell’aria (Il) – n.c. Pugile e la ballerina (Il) – n.c. Quel che resta di mio marito – accettabile / problematico Rachel sta per sposarsi – discutibile / problematico Revolutionary Road – complesso-problematico / dibattiti Saw V – inaccettabile / farneticante Sette anime – complesso / velleitario Star Wars – La guerra dei Cloni – accettabile / semplicistico Strangers (The) – futile / velleitario Tony Manero – complesso / scabrosità Ultimatum alla Terra – accettabile / semplice Un gioco da ragazze – inaccettabile / ambiguo Un matrimonio all’inglese – consigliabile / brillante Valzer con Bashir – consigliabile-problematico / dibattiti Women (The) – accettabile / brillante IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 48
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