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I LUNEDÌ DEL CINEMA settembre/dicembre 2008 rassegna di cinema internazionale d’autore www.lunedicinema.com dal 15 settembre al 22 dicembre 2008 Spettacoli ore 20.15 e 22.15 Circolo Arci Xanadù Cinema Gloria Via Varesina 72 Como 031 449 108 0 LUNEDÌ DEL CINEMA - I FILM Spettacoli ore 20.15 e 22.15 Ingressi Intero € 7.00 - Soci Arci € 5.00 – Ridotto (studenti - over 65) € 4.00 Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60 - Tessera 10 film a scelta € 35 Lunedì 15 settembre spettacolo unico ore 21 IL DIVO di Paolo Sorrentino Italia 2008 Lunedì 22 settembre LA BANDA di Eran Kolirin (Bikur Ha-Tizmoret) Israele/Francia 2007 Lunedì 29 settembre LONTANO DA LEI di Sarah Polley (Away From Her) Canada 2006 Lunedì 6 ottobre LA ZONA di Rodrigo Plà (La zona) Spagna/Messico 2007 Lunedì 13 ottobre LA FAMIGLIA SAVAGE di Tamara Jenkins (The Savages) Stati Uniti 2007 Lunedì 20 ottobre UNA BALLATA BIANCA di Stefano Odoardi Italia/Olanda 2006 Lunedì 27 ottobre IL TRENO PER IL DARJEELING di Wes Anderson (The Darjeeling Limited) Stati Uniti 2007 Lunedì 3 novembre SOTTO LE BOMBE diPhilippe Aractiingi (Sous les bombes) Francia,/Gran Bretagna/Libano 2007 Lunedì 15 settembre IL DIVO di Paolo Sorrentino Regia: PAOLO SORRENTINO Sceneggiatura: GIUSEPPE D’AVANZO, PAOLO SORRENTINO Fotografia: LUCA BIGAZZI Montaggio: CRISTIANO TRAVAGLIOLI Scenografie: LINO FIORITO Personaggi e interpreti: Giulio Andreotti TONI SERVILLO, Paolo Cirino Pomicino CARLO BUCCIROSSO, Signora Enea PIERA DEGLI ESPOSTI, Franco Evangelisti FLAVIO BUCCI, Vittorio Sbardella MASSIMO POPOLIZIO, Livia Andreotti ANNA BONAIUTO. ITALIA 2008 - 110 minuti Festival Di Cannes 2007 Premio Speciale della Giuria Finalmente il cinema italiano acuisce lo sguardo sulla realtà, sociale, politica e culturale, senza mezzi termini. Emerge la capacità di affrontare con coraggio temi scomodi e difficili, aprendo gli occhi e additando le cose, innovando al contempo il linguaggio filmico, in una ricerca stilistica indispensabile per dare forma compiuta a quei contenuti e a quelle analisi, con un limpido sguardo contemporaneo. Sorrentino affronta l'inaffrontabile. Dare forma compiuta al ritratto dell'uomo più importante e più misterioso dell’intera storia repubblicana: Giulio Andreotti, oltre sessant’anni di vita politica, una vita segnata da un’impressionante connivenza con tutte le vicende che hanno fatto l’Italia. Una figura colossale, ingombrante e sfuggente al contempo. Paolo Sorrentino trova la forma cinema perfetta per materializzare in immagini il divo Giulio ed il suo mondo, la sua persona e il suo pensiero, arrivando ad aprire squarci di luce sulla sua anima. Lo fa con un linguaggio fortemente metaforico, una struttura che pur narrando precisi fatti storici si fa in qualche modo atemporale, mettendo in scena lo spettacolo del potere in modo scioccante e geniale, fino a renderlo universale. La sceneggiatura raggiunge momenti di lucida e chiarificatrice verità, non tanto dicendo più di quello che i fatti possono provare, ma mostrando nei modi dell'acuto e sagace Andreotti tutto l'orrore e lo sconcerto per come abbia attraversato, quasi indenne, tutto il male della nostra storia recente. Il suo compito non è assolvere o condannare un uomo, ma svelarne lo stile, il modus operandi, portando lo sguardo sempre più vicino, fin dentro alla sua essenza, che è l'essenza stessa del potere. E attraverso questo svelamento, ci scuote, ci porta ad interrogarci, a capire di più, a volere capire di più. NOTE DI Paolo Sorrentino Mi sono affannato a cercare un piano umano di Giulio Andreotti che difficilmente viene fuori, e forse, quello che di umano si evince nel film sono solo deduzioni mie. Tra l’altro detesto quelli che sostengono che i registi non dovrebbero mai prender posizione. E’ un alibi, e mi sono stancato di sentirlo dire, io credo che una posizione bisogna prenderla, soprattutto quando in un modo o nell’altro si affrontano fatti che coinvolgono molti. In altri paesi in cui ci sono stati dei misteri si è poi giunto ad una verità. Da noi i misteri sono ancora tali, ed è meno facile farne un film … Nelle due volte in cui ci siamo visti lui ha parlato per tre ore senza raccontare nulla di significativo. Lui è un grande conversatore, salta da un argomento all’altro, e poi, proprio mentre tu magari ti stai assopendo se ne esce con una frase che vuole farti capire che lui ha accesso a un mondo a cui tu non accederai mai. Ci tiene a farti intuire che questo mondo, magari, tu non sai neanche che esiste. Sa farti capire che lui le cose le sa con largo anticipo…Girando questo film ho scoperto che la DC, che sembra un mondo molto noioso, è invece molto divertente. Si davano soprannomi fra di loro... Di base poi ho fatto di tutto per spettacolarizzare, in senso alto, qualcosa che avevo paura fosse noioso. Allora ho lavorato molto sul montaggio e il suono. Qui trovo meglio coniugati forma e contenuto, mentre nel film precedente la ricerca formale era fin troppo preponderante. PAOLO SORRENTINO (Napoli, Italia, 1973) Ha scritto per il cinema e la televisione. E’ autore di cortometraggi, vincitore del Premio Solinas con DRAGONCELLI DI FUOCO (1997), nel 1998 ha diretto il corto L'AMORE NON HA CONFINI. Con UN UOMO IN PIÙ (2001) ha debuttato come autore di lungometraggi, vincendo diversi premi, tra cui il Nastro d’argento per l’opera prima e il Ciak d’oro per la sceneggiatura. Nel 2004 si rivela al pubblico con LE CONSEGUENZE DELL'AMORE e nel 2006 con L’AMICO DI FAMIGLIA. Lunedì 10 novembre MARS - DOVE NASCONO I SOGNI di Anna Melikian (Mars) Russia 2006 Lunedì 17 novembre L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA di Cao Hamburger (O ano em que meus pais saíram de férias) Brasile 2006 Lunedì 24 novembre INTERVIEW di Steve Buscemi (Interview) Stati Uniti 2007 Lunedì 1 dicembre ALEXANDRA di Aleksandr Sokurov (Alexandra) Russia 2006 Lunedì 8 dicembre INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO di Elio Petri Italia 1970 Lunedì 15 dicembre NOI DUE SCONOSCIUTI di Susanne Bier (Things We Lost in the Fire) Stati Uniti/Gran Bretagna 2007 Lunedì 22 dicembre FILM ANTEPRIMA Presentazione de I LUNEDì DEL CINEMA Gennaio/Maggio 2009 FUMETTANDO 26 27 28 SETTEMBRE 2° convention mostra mercato del fumetto VENERDÌ 26 ore 17.30 INAUGURAZIONE dell’esposizione di tavole originali di Sergio Toppi, presso la Biblioteca Comunale di Como. ore 18.00 APERTURA DELLA MOSTRA MERCATO del fumetto presso gli spazi del Cinema Gloria. ore 19.30 PROGETTO Aperitivo di apertura e presentazione del progetto DISEGNI PAZZI. ore 21.30 INCONTRO con Claudio Villa. ore 23.00 FILM TEKKON KINKRETT di Michael Arias (Giappone 2007 - 111 minuti). SABATO 27 ore 17.30 INCONTRO/PERFORMANCE CONTAMINAZIONI: LE NUOVE STRADE DEL DISEGNO con Squaz, Blu, Dr. Pira, Thomas Ott, Dem ed i giovani autori comaschi. ore 21.30 SPETTACOLO DR. JEKYLL spettacolo basato sulle tavole originali di Mattotti/Kramsky, con accompagnamento musicale dal vivo di Fabrizio Ostani. ore 23.00 FILM PERSEPOLIS di Marjane Satrapi (Francia/Stati Uniti 2007 - 95 minuti). DOMENICA 28 ore 10.30 LABORATORIO di fumetto con Squaz, Stefano Misesti, Stefano Palumbo, presso gli spazi del Cinema Gloria. ore 17.30 PERFORMANCE Blu dipinge sulla parete del Cinema Gloria (con musica e bar). ore 19.30 PROIEZIONE: selezione da ANTISTORIA DEL FUMETTO ITALIANO di Stefano Misesti, Stefano Pistolini, Massimo Salvucci e Matteo Stefanelli. INCONTRO con Thomas Ott. ore 21.30 FILM KEN IL GUERRIERO. LA LEGGENDA DI HOKUTO di Takahiro Imamura (Giappone, 2006 - 90 minuti). Lunedì 22 settembre LA BANDA (Bikur Ha-Tizmoret) di Eran Kolirin Regia: ERAN KOLIRIN Sceneggiatura: ERAN KOLIRIN Fotografia: SHAI GOLDMAN Montaggio: ARIK LAHAV LEIBOVITZ Scenografie: EITAN LEVI Musiche: HABIB SHEHADEH HANNA Personaggi e interpreti: Tewfiq SASSON GABAI, Dina RONIT ELKABETZ, Haled SALEH BAKRI, Simon KHALIFA NATOUR, Camal IMAD JABARIN. ISRAELE/FRANCIA 2007 - 90 minuti Festival di Cannes 2007 Un Certain Regard Premio Coup De Coeur - Munich Film Festival 2007 Premio Del Pubblico - Zurich Film Festival 2007 Miglior Opera Prima La banda musicale della polizia di Alessandria d'Egitto viene invitata a suonare all'inaugurazione del centro culturale arabo di una cittadina israeliana. All'aeroporto di Tel Aviv il pragmatico direttore d'orchestra e colonnello Tewfiq decide di raggiungere il luogo con un autobus locale. Arrivato nella remota e desertica cittadina capisce che, per un difetto di pronuncia, ha sbagliato destinazione. Non si trova nella moderna Petah Tikva, bensì nell'arida Bet Hatikva. Poiché non c'è modo di andarsene da lì, una sola corriera passa una volta al giorno, la banda è costretta a rimanerci per una notte. La straniante situazione li porterà a spogliarsi delle loro uniformi, innescando con gli abitanti del luogo, sul sottofondo della reciproca e astiosa diffidenza tra arabi ed ebrei, inattese possibilità di comunicazione. E’ questo il senso profondo della lieve e delicata novella dell’esordiente israeliano Eran Kolirin, che con un racconto ricco di valore, trova un modo del tutto originale e sorprendente per parlare del suo paese e del perenne conflitto con il mondo arabo. Lo fa con umorismo, sentimento e nostalgia, utilizzando un linguaggio delicato e suadente, che muove da tutto quello che si cela dietro le rispettive uniformi, per portare in primo piano quello che in verità accomuna tutti gli esseri umani. Anche per questo il collante del racconto è la musica, il linguaggio tramite il quale si aprono inediti squarci di sentimenti affratellanti, di cui è immagine emblematica la danza delle mani del colonnello, che muovendosi sinuosamente nell'aria mostrano alla locandiera come si dirige un'orchestra. Al di là delle divergenze culturali e delle barriere linguistiche c'è la musica, ed ovviamente l'amore. NOTE di Eran Kolirin Quando ero ragazzino, la mia famiglia ed io avevamo l’abitudine di guardare i film egiziani. Negli anni ottanta, questa era una consuetudine tipica delle famiglie israeliane. Di venerdì, nel tardo pomeriggio, noi assistevamo con il fiato sospeso agli amori impossibili e alle terribili sofferenze di Omar Sharif, Pathen Hamama, I’del Imam nell’unico canale televisivo della nazione. In realtà, era una cosa piuttosto strana per un Paese che aveva passato metà della sua esistenza in uno stato di guerra con l’Egitto.. I film arabi sono ormai scomparsi da molto tempo dai nostri schermi. In seguito, Israele ha costruito il nuovo aeroporto, dimenticando di tradurre i segnali stradali in arabo. Tra le migliaia di negozi che sono stati costruiti lì, non si è trovato alcuno spazio per questa strana e sinuosa scrittura, che è la madrelingua di metà della nostra popolazione. E’ semplice dimenticare le cose. Col tempo, abbiamo dimenticato anche noi stessi… Molti film hanno affrontato le ragioni per cui non esiste la pace nella regione, ma mi sembra che siano stati pochi quelli che si sono posti la domanda “perché abbiamo bisogno della pace?”. Abbiamo perso le cose più naturali, impegnati come eravamo nelle conversazioni incentrate solo sui vantaggi e gli interessi economici. Quello che è certo, è che abbiamo perso qualcosa in questo percorso e abbiamo dimenticato il legame tra gli esseri umani e la magia della conversazione. ERAN KOLIRIN (Haifa, Israele, 1973) Il primo lavoro di Eran Kolirin per il cinema è stato lo script del film ZUR - HADASSIM grazie al quale si è aggiudicato il premio Lipper per la miglior sceneggiatura al Festival cinematografico di Gerusalemme nel 1999. Nel 2004 ha scritto e diretto THE LONG JOURNEY, un film per la televisione. LA BANDA è il primo film di Kolirin per il cinema. Attualmente, sta scrivendo il suo secondo film, che si intitolerà PATHWAYS IN THE DESERT. Via Milano 16 - Como - 031 267 344 b- fax 260 246 [email protected] Lunedì 29 settembre mento visivo essenziale alla messa in scena di un film prezioso che pone domande universali. Lunedì 13 ottobre LONTANO DA LEI di Sarah Polley (Away from Her) NOTE di Sarah Polley Mi ha spaventato molto non recitare, perché è in ogni modo un lato della mia carriera in cui ho messo molto impegno, e due anni fuori dagli schermi possono nuocere, ma sono stata ottimista e ho pensato che si potessero fare entrambe le cose in modo paritario. Il racconto della Munro mi affascinava perché narra di un amore incondizionato. Penso sia davvero qualcosa di più di una storia d'amore, quasi una specie di ordalia umana a settant'anni. I protagonisti scoprono se stessi e quello di cui sono capaci proprio alla fine della loro vita insieme. Per comprenderli meglio, dall'inizio delle riprese ho cercato di fare amicizia con persone della generazione dei miei nonni, ed è stato molto strano. Ho passato molto tempo nell'ospizio di mia nonna e ho letto tantissimi libri sull'Alzheimer, ma nulla è paragonabile ai mesi passati a parlare direttamente con le persone... Ho sempre avuto amici di età diverse, anche molto più grandi di me, come Julie Christie od Olympia Dukakis, ma comprendere davvero quello che può pensare un individuo di quell'età è stata una reale sfida. LA FAMIGLIA SAVAGE di Tamara Jenkins (The Savages) Regia: SARAH POLLEY Sceneggiatura: SARAH POLLEY dal racconto "L'orso attraversò la montagna" di ALICE MUNRO Fotografia: LUC MONTPELLIER Montaggio: DAVID WHARNSBY Musiche: JONATHAN GOLDSMITH Personaggi e interpreti: Fiona Andersson JULIE CHRISTIE, Grant Andersson GORDON PINSENT, Marian OLYMPIA DUKAKIS, Aubrey MICHAEL MURPHY, Kristy KRISTEN THOMSON, Dr. Fischer ALBERTA WATSON. CANADA 2007 - 110 minuti Fiona e Grant, sono una coppia sposata da quarant'anni, ma quando a Fiona viene diagnosticato l'Alzheimer, i due sono costretti a separarsi per la prima volta dopo molti anni di felice convivenza amorosa. Quando Fiona entra in casa di cura l’alternata dissolvenza della memoria la porta a dimenticarsi di lui, a vivere come da lontano i sentimenti e i ricordi della loro vita comune... Sarah Polley è da quasi un decennio una delle interpreti più sensibili del panorama internazionale, il prototipo dell’attrice che sceglie con attenzione le proprie apparizioni, aderendo solo a progetti che la coinvolgono umanamente. Il suo primo film è della stessa qualità che ha contraddistinto il suo lavoro di attrice. “Away from Her”, adattamento del racconto "L'orso attraversò la montagna" di Alice Munro, è la traduzione in regia del suo sistema interpretativo e di valori. La giovane regista, ventotto anni di incredibile maturità, dispiega il racconto con tutta la delicatezza e il pudore possibile. Una regia attenta, supportata da intensissime interpretazioni e illuminata dallo splendore senile di Julie Christe, segue il progressivo distacco della coppia, raccontando i due processi antitetici che li travolgono. Grant assiste impotente alla propria dissolvenza dalla psiche di Fiona, fino al momento in cui lei quasi non lo riconosce, totalmente immobile al cospetto della mente mobilissima di lei, che rimuove o ritrova di volta in volta frammenti della loro lunga vita in comune. Sarah Polley attenta ai mezzi toni e a tutte le sfumature del caso, senza negarsi nemmeno qualche sorriso ed un velo di vitale ottimismo, ci parla di sentimenti vivi, di corpi e menti nello sfumare dell’esistenza, sullo sfondo immenso del paesaggio innevato dell’inverno canadese, completa- Lunedì 6 ottobre LA ZONA di Rodrigo Plà (La zona) Regia: RODRIGO PLÁ Sceneggiatura: LAURA SANTULLO Fotografia: EMILIANO VILLANUEVA Montaggio: BERNAT VILAPLANA, ANA GARCÍA Scenografie: ANTONIO MUÑOHIERRO Musiche: FERNANDO VELÁZQUEZ Personaggi e interpreti: Daniel DANIEL GIMÉNEZ CACHO, Mariana MARIBEL VERDÚ, Gerardo CARLOS BARDEM, Alejandro DANIEL TOVAR, Miguel ALAN CHÁVEZ. SPAGNA/MESSICO 2007 - 95 minuti Festival di Venezia 2007 Premio Miglior Opera Prima Festival di Toronto 2007 Premio Internazionale della Critica Alejandro è un adolescente privilegiato che vive nella “Zona”, quartiere benestante nel centro di Città del Messico, protetto da guardie private e circondato da alte mura. Oltre quei confini e quel filo spinato c’è la miseria delle favelas. Tre ragazzi riescono a penetrare nella Zona per introdursi a rubare in una delle case. La rapina finisce male e un’anziana donna muore. Due giovani rapinatori sono uccisi. Il terzo, Miguel, riesce a fuggire, ma non a lasciare la Zona. I residenti si riuniscono per decidere il da farsi. La maggioranza decide di farsi giustizia da sola. Miguel, nel frattempo, ha trovato rifugio nella cantina di Alejandro che, scoprendolo, non sa che decisione prendere... Primo lungometraggio del messicano d’adozione Rodrigo Plá, “La Zona” è un film composto di diverse e variegate sfaccettature, uno stile e un tono che rieccheggia il noir, l’apologo sociale, l’indagine neorealista, incentrato su una grande idea forza: l’universo urbano contemporaneo diviso compartimenti stagni che quando casualmente si rompono, esplicita l’inedito incontro con l’altro da sé. Il centro del racconto risiede nel confronto, viso a viso, tra Alejandro e Miguel. L’occasione per Alejandro di vedere i confini del suo ghetto, di vedersi confinato in una prigione dorata fatta di viali alberati e ville monofamiliari, da difendere con SARAH POLLEY (Toronto, Canada, 1979) Figlia d’arte, il padre attore e la madre direttrice di casting, Sarah Polley esordisce al cinema ad appena cinque anni, ma il primo ruolo in una produzione prestigiosa è del 1988 con LE AVVENTURE DEL BARONE DI MUNCHAUSEN di Terry Gilliam. Il primo riconoscimento internazionale è nel 1997 grazie a IL DOLCE DOMANI di Atom Egoyan, che l’aveva già diretta in EXOTICA. Con David Cronenberg, EXISTENZ nel 1999, per proseguire con IL MISTERO DELL’ACQUA di Kathryn Bigelow nel 2000 e LE BIANCHE TRACCE DELLA VITA di Michael Winterbottom. Nel 2003 l’incontro con la regista spagnola Isabel Coixet che la dirige in LA MIA VITA SENZA ME e tre anni dopo in LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE. Autrice di diversi cortometraggi realizza con AWAY FROM HER il suo primo lungometraggio. la forza. Una dolorosa presa di coscienza, un percorso di iniziazione alla vita vera che Rodrigo Plá, coerentemente con il suo assunto, mette in scena con uno stile caotico e controllato al contempo. Come la sinistra convivenza di uomini e luoghi apparentemente rispettabili che invece nascondono paure e furori inconfessabili. Come il contrasto netto tra due mondi che non possono più comunicare tra loro. Alejandro si pone alla ricerca di un altro ordine, fuori dall’illusoria oasi di benessere, aprendo il conflitto con la generazione disillusa e indurita dei "padri" che si sono autoreclusi. NOTE di Rodrigo Plà La Zona è un “personaggio” a sé stante, il protagonista principale di questo film. Mi interessava scavare a fondo in quello che succede dentro ad universi chiusi, governati dal terrore, che finiscono per inventarsi regole a proprio uso e consumo, senza curarsi della legge. Mi interessava esaminare il modo in cui le regole morali, le nozioni fondamentali di rispetto e coesistenza, degenerino gradualmente in forme di comportamento primitive dove “l’altro”, il ladro, l’estraneo non è più visto come una persona, ma semplicemente come un nemico che deve essere distrutto. Era mia intenzione fare in modo che la struttura del film funzionasse come un canto corale, una polifonia di voci e personaggi, un tutto organico che attraverso la propria incapacità di guardare fuori e riconoscere le proprie contraddizioni e i propri fallimenti, pianta il seme della sua autodistruzione…Mi è parso essenziale sfruttare l’uso delle telecamere a circuito chiuso per creare un’impressione di sorveglianza costante, per rafforzare un’atmosfera di paranoia, con i residenti che aspettano l’attacco imminente. Quella stessa paranoia li porta ad adottare un comportamento totalizzante, da branco. Attraverso la diversa qualità delle immagini sono riuscito a creare un modo per distinguere il “dentro” dal “fuori”, enfatizzando all’interno della Zona l’idea di un mondo idilliaco, pulito, così perfetto da sembrare una scenografia, falsa ed ipocrita. RODRIGO PLÁ (Montevideo, Uruguay, 1968) Uruguayano di nascita e messicano di adozione, ha studiato fotografia, sceneggiatura e regia presso il Centro de Capacitación Cinematográfica a Città del Messico dove vive e lavora. L’esordio alla regia avviene nel 1988 con il corto MOIRA. Tra il 1995 e il 2000 realizza NOVIA MIA e EL OJO EN LA NUCA (miglior cortometraggio straniero, Student Academy Awards 2001). LA ZONA è la sua opera prima come lungometraggio. Viale F.lli Rosselli 13 - Como - telefono 031 570 445 www.unipolcomo.it Regia TAMARA JENKINS Sceneggiatura TAMARA JENKINS Fotografia MOTT HUPFEL Montaggio BRIAN A. KATES Musiche STEPHEN TRASK Personaggi e interpreti Wendy Savage LAURA LINNEY, Jon Savage PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, Lenny Savage PHILIP BOSCO, Larry PETER FRIEDMAN, Jimmy GBENGA AKINNAGBE, Kasia CARA SEYMOUR. STATI UNITI 2007 - 114 minuti I fratelli Jon e Wendy Savage hanno due vite separate ormai da molto tempo. Lui insegna a New York e sta scrivendo un saggio sul dramma borghese. Lei invece vorrebbe veder realizzata la prima commedia a teatro, ma nel frattempo sbarca il lunario lavorando come segretaria nell’East Side. Le loro vite si incontrano di nuovo quando scoprono che il loro padre, Jon, ha il morbo di Parkinson… Un melodramma dai toni soffusi che non si perita di nascondere l’imbarazzo e la pena dei figli davanti alla malattia del proprio genitore: imbarazzo nello scoprire la propria animosità al ricordo delle sue mancanze e imperfezioni e pena per la sofferenza che sta vivendo. Ma soprattutto colpa, nell’ammettere a se stessi di non riuscire veramente a volergli bene come si dovrebbe ad un padre e per non averlo ancora perdonato. Dai dialoghi e dalle situazioni, infatti, trapelano efficacemente sfumature e atteggiamenti caratteriali dei due protagonisti coinvolti, ma senza mai appesantire, volgendo semmai il ritmo narrativo sul versante della commedia. Tamara Jenkins affronta il tema in modo adulto, crudo, realista con una buona dose di ironia e tantissima umanità. La sua scrittura è diretta, non ci porta in nessun mondo fantastico o enigmatico. I suoi personaggi sono persone reali, ricche, complesse, sfaccettate, piene di contraddizioni, incapaci di affrontare la vita. Il rapporto che s'instaura tra loro, complice la comune sofferenza per il padre, è descritto con cura ed eleganza nella sceneggiatura firmata dalla stessa Jenkins. I buoni dialoghi sono supportati in maniera esemplare dalla recitazione di entrambi gli attori. Grande Hoffman nel ruolo di un fratello nevrotico e sfiduciato nei confronti della vita. Ancor più grande l’interpretazione della Linney, che con la sua “debolezza” riesce a fronteggiare con orgoglio il carattere cinico del fratello. NOTE di Tamara Jenkins Non intendevo, con la rappresentazione della famiglia che ho dato nel film, mostrare una situazione contemporanea della famiglia, oggi meno unita di quanto poteva essere nel passato. Ma è vero che oggi la realtà è più simile a quella che ho descritto, anche se il mio desiderio principale era quello di raccontare i personaggi che ho creato per questa storia, il loro viaggio attraverso la malattia che gli permette di rivedersi come esseri tridimensionali e non più come stereotipi familiari. Alla fine di questa esperienza, entrambi riescono a riappropriarsi della loro vita. TAMARA JENKINS Philadelphia, Stati Uniti, 1962 Tamara Jenkins si trasferisce ben presto a Beverly Hills con il padre e i due fratelli in seguito alla separazione dei genitori. Si sposta a Boston con un fratello e poi a New York, dove si laurea in Cinema e molto presto inizia a calcare i palcoscenici. Dal teatro d'avanguardia di New York passa al grande schermo. Ma presto anche il ruolo di attrice le sta stretto: la Jenkins decide di passare alla scrittura e alla regia, prima di cortometraggi per la televisione e poi di lungometraggi. Il suo esordio dietro la macchina da presa, L'ALTRA FACCIA DI BEVERLY HILLS (1999), prodotto da Robert Redford e molto apprezzato al Sundance Film Festival, è la commedia semi-autobiografica che la consacra come uno dei più promettenti talenti del panorama indipendente americano. Dopo il successo di critica del film, la regista si dedica ancora alla scrittura pubblicando su diverse riviste letterarie. A quasi dieci anni di distanza dal suo primo film, torna dietro la macchina da presa per dirigere LA FAMIGLIA SAVAGE. Lunedì 20 ottobre UNA BALLATA BIANCA di Stefano Odoardi Regia: STEFANO ODOARDI Sceneggiatura: STEFANO ODOARDI, KEES ROORDA Fotografia: TAREK Montaggio: STEFANO ODOARDI, TAREK Scenografie: FRANCA DE MARTIS Musiche: CARLO CRIVELLI Interpreti: NICOLA LANCI, CARMELA LANCI, SIMONA SENZACQUA. ITALIA/OLANDA 2007 - 80 minuti In un appartamento, la vita di una coppia di anziani, marito e moglie, si svolge come un vecchio giradischi: lenta e meccanica. La donna non può vivere a lungo. Soffre di una malattia mortale. Evitano di parlarne. Sono silenziosi. Lo sono sempre stati ma ora lo sono ancora di più. Le parole non possono più esprimere significati. La presenza della morte rende importante e definitiva ogni minima interazione tra la coppia d'anziani. “Una Ballata Bianca” è un viaggio cinematografico di parole e immagini sull’isolamento, sulla decadenza e sull’amore, sulla complessa e incomprensibile dimensione tra la vita e la morte. “Io parto dal presupposto che il film diventi una poesia. Una ballata di vuoto. Non un vuoto disperato ma un vuoto sottile”. Così afferma Stefano Odoardi, abruzzese di nascita ma da anni oscillante fra Italia e Olanda che, al di là di una proficua attività di cortista con consensi in alcuni dei migliori festival internazionali, è autore anche di diverse videoinstallazioni e di opere sospese tra cinema e arte visiva. Come la sua vita il suo film è un’opera di confine, sospesa fra due mondi e due culture. Tratto dall’omonimo testo teatrale dell’attore e drammaturgo olandese Kees Roorda, “Una ballata bianca” ha qualcosa di intimamente religioso e spirituale, qualcosa che è immanente allo scabro paesaggio che fa da sfondo al racconto, e che trova nel silenzio e nel tenue ascolto dei suoni d’ambiente momenti di feconda espressività visiva. NOTE di Stefano Odoardi Il mio film non è un film fatto per piacere. Faccio questo tipo di cinema perché mi piace affrontare i grandi temi dell'esistenza. In questo film ho affrontato un tema come la morte che, per un lungo periodo della mia vita, ha avuto un'importanza fondamentale. Una ballata può essere una poesia, ma anche una musica, una danza, una metafora che racchiuda tutti questi elementi per trasformarli in qualcosa d'altro. "Bianca" perché questo è un film sul vuoto. Ecco, ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto portare a compimento un film sul vuoto, provare a capire cosa c'è dopo la morte, se c'è qualcosa. Una visione non direi religiosa quanto umana. Ho una fortissima fede nell'essere umano, credo nella possibilità di un qualsiasi riscatto. Dopotutto il cinema serve a rendere visibile l'invisibile, ad avvicinare il tangibile all'intangibile. “Una ballata bianca” è proprio questo. Un film che lascia spazio alla speranza. Ho girato il film in Abruzzo, la mia terra di origine. Ho preso due attori non professionisti che si sono prestati a recitare in silenzio la loro reale situazione: una coppia che sente vicino il momento dell'abbandono. Due persone che l'età sta per separare e che hanno passato insieme tutta la loro vita. I miei prossimi lavori verteranno invece sul pessimismo e sull'amore. Ma non su quello fra due esseri umani, vorrei portare a compimento qualcosa di più universale, qualcosa che indaghi sull'amore e sulle sue "mancanze". STEFANO ODOARDI (Aquila, Italia, 1967) È filmmaker e video artista che vive tra l’Olanda e l’Italia. Ha realizzato diversi cortometraggi che sono stati selezionati e premiati in diversi film festival internazionali. Nel 2002 ha ricevuto ad Amsterdam un post-graduate diploma dalla DasArts (The Amsterdam School Advanced Research in Theatre and Dance Studies). Nel 2005 ha girato il suo ultimo cortometraggio ESILIO DELLA BELLEZZA. Nel 2005 ha presentato alla triennale di Milano un film ispirato a Joseph Beuys UTOPIA CONCRETA DELLA TERRA. Un suo progetto di installazione "Esilio della Bellezza" è stato inaugurato nel settembre 2006 presso Grathem (Eindhoven). UNA BALLATA BIANCA il suo primo lungometraggio. Il film è stato presentato nel 2006 alla Festa del Cinema di Roma e nella selezione ufficiale del 36th Festival del Cinema di Rotterdam 2006. Si sta preparando a girare il secondo lungometraggio MANCANZA. Via Varesina 68 Como - telefono 031 587 706 0 www.ilgrandebluviaggi.it - [email protected] Lunedì 27 ottobre IL TRENO PER IL DARJEELING di Wes Anderson (The Darjeeling Limited) Regia: WES ANDERSON Sceneggiatura: WES ANDERSON, ROMAN COPPOLA, JASON SCHWARTZMAN Fotografia: ROBERT D. YEOMAN Montaggio: Andrew Weisblum Scenografie: MARK FRIEDBERG Musiche: dai film di SATYAJIT RAY e MERCHANT IVORY Personaggi e interpreti: Francis OWEN WILSON, Peter ADRIEN BRODY, Jack JASON SCHWARTZMAN, Rita AMARA KARAN, l’uomo d’affari BILL MURRAY, Patricia ANJELICA HUSTON. STATI UNITI 2007 - 91 minuti Tre fratelli americani che non si parlano tra loro da un anno pianificano un viaggio in treno in India, con lo scopo di ritrovare se stessi e il legame reciproco che avevano un tempo. La loro ‘ricerca spirituale’, tuttavia, rapidamente sfocia nel caos e li lascia bloccati da soli in mezzo al deserto con undici valigie, una stampante e una macchina rilegatrice… “Il treno per il Darjeeling” ha un prologo, “Hotel Chevalier”, un cortometraggio in testa al film, uno dei tanti frammenti vagoni che il suo racconto raccoglie e dissemina lungo i binari del Darjeeling. Una storia a sé, ma in qualche modo collegata al film principale, della durata di tredici minuti. Inizio emblematico del narrare di Wes Anderson, una delle più importanti e fresche personalità del panorama cinematografico americano, fin dal suo esordio (“Bottle Rocket“, 1996) come nei successivi “Rushmore“, “The Royal Tenenbaums“, “The Life Aquatic with Steve Zissou“, vera summa poetica del suo cinema. “The Darjeeling Limited“, quinto lungometraggio del regista, presenta tutte le qualità essenziali del suo stile: il surreale umorismo con cui descrive le grottesche realtà dei suoi personaggi, i toni pungenti e coloriti, la bellezza dei fotogrammi. Il suo procedere disorganico e folle, qui perfettamente a suo agio nel confronto straniante con l’universo dell’India, apre di volta in volta porte su mondi umani inaspettati, con personaggi alla ricerca vana e tenace di un senso della vita. Il film si accende per frammenti di fulminanti immagini, situazioni, volti, ambienti, un treno di luci colorite, indecifrabile e affascinante. NOTE di Wes Anderson Ho deciso che mi sarebbe piaciuto fare un film in India, ho deciso che mi sarebbe piaciuto fare un film su un treno e ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un film su tre fratelli. Allora, ho chiesto ai miei amici Jason Schwartzman e Roman Coppola di unirsi a me nello scrivere il film. e così siamo andati in India tutti assieme. Abbiamo incominciato a scrivere la storia a Parigi. Poi, ad un certo punto, ci siamo detti “forse sarebbe una buona idea recarci in India”. È stato allora che abbiamo iniziato a vivere veramente le cose di cui parlavamo. L’ispirazione iniziale per i personaggi derivava dai rapporti personali e dalle nostre esperienze di viaggio. In questo modo sono nati i tre fratelli Whitman. Li abbiamo portati con noi durante il viaggio, nell’atmosfera elegiaca, nell’energia movimentata e nel clima vivace dellIndia, tutti elementi che sono filtrati nelle svolte esilaranti e nei cambiamenti del racconto. L’India non è un posto come gli altri, è un luogo dove tanti aspetti della vita sono così radicalmente diversi dai nostri che ha influenzato notevolmente la sceneggiatura. Anche se la storia parla di Francis, Peter e Jack che provano a capirsi l’uno con l’altro, noi sentivamo che fosse molto importante che queste conversazioni si svolgessero su tragitti ferroviari che li facevano veramente viaggiare attraverso questa nazione antica. In India ci sono venute molte idee che non sarebbe stato possibile creare o immaginare dal nulla. Erano dei momenti magnifici che valeva proprio la pena di catturare. Il treno e l’India sono diventati dei veri personaggi. L’interazione è interessante. All’inizio l’India rimane sullo sfondo, in quanto i tre uomini rimangono nel loro mondo, si trovano in una nazione straniera. Ma poi sono costretti a trovare un punto d’incontro e così si avvicinano sempre di più all’autentica esperienza che stavano cercando. Spero che lo spirito vibrante e caotico che abbiamo trovato in India emerga chiaramente nel film. WES ANDERSON (Houston, Texas, 1969) Ha frequentato la University of Texas a Austin. E’ stato regista e cosceneggiatore del suo primo film nel 1996 UN COLPO DA DILETTANTI (Bottle Rocket), cui seguirà nel 1998 RUSHMORE. Trova visibilità internazionale nel 2001 con I TENENBAUM (The Royal Tenenbaums) e nel 2004 con LE AVVENTURE ACQUATICHE DI STEVE ZISSOU (The Life Aquatic with Steve Zissou). Lunedì 10 novembre MARS - DOVE NASCONO I SOGNI di Anna Melikian (Mars) Regia: ANNA MELIKIAN Sceneggiatura: ANNA MELIKIAN Fotografia: OLEG LUKICHEV Montaggio: IVAN LEBEDEV Scenografie: ULIYANA RYABOVA Musiche: ALEKSEY AIGI Personaggi e interpreti: Boris GOSHA YURI KUTSENKO, Greta NANA KIKNAZDE, Grisha ARTUR SMOLIANINOV, Galina YEVGENIYA DOBROVOLSKAYA, Vera ELENA. RUSSIA 2004 – 97 minuti Boris, un pugile stanco della sua notorietà si ritrova in una città sperduta, Mars. La presenza del laconico boxeur che conosce il mondo non può passare inosservata nella comunità e attira le attenzioni di un gruppo di particolari personaggi, tanto più vitali quanto a disagio nel loro presente: la piccola e pragmatica Nadya, l’ingenuo ed entusiasta Grigorij, l’eterea bibliotecaria Greta e altri eterogenei abitanti Marsiani che anelano ad un futuro che li porti lontano, verso nuovi orizzonti. Nel giro di appena ventiquattrore i loro destini fibrillanti si incroceranno con quello dello straniero e cambieranno per sempre. Una pellicola visivamente affascinante, una commedia agrodolce costruita con immagini incantevoli, firmata da una regista emergente di grande talento che con il suo nuovo film “Mermaid” ha ottenuto il premio per la Miglior Regia al Sundance Film festival 2008 e il premio della critica internazionale al Festival di Berlino 2008. Mars, suo primo lavoro del 2005, ci parla, attraverso la forza della metafora, dello spirito della Russia attuale, un luogo di frattura e straniamento, mobilità e possibilità, cantieri in evoluzione, contraddizioni pungenti, in cui convivono le rovine di ciò che fu e le fantasie immaginarie del futuro. Con una regia brillante, mai debordante, Anna Melikian realizza una versione cinematografica delle pitture di Chagall, delle sue atmosfere e dei suoi personaggi volanti. Una pellicola visionaria e fluttuante, che nella sua leggerezza guarda e critica la realtà politicosociale, e che proietta la tradizione russa dell’assurdo e del grottesco verso il cinema surreale, fatto di tanti spunti originali, di grande resa scenica e riuscita sperimentazione cinematografica. Lunedì 3 novembre Lunedì 17 novembre SOTTO LE BOMBE di Philippe Aractingi (Sous les bombes) L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA di Cao Hamburger (O ano em que meus pais saíram de férias) Regia: PHILIPPE ARACTINGI Sceneggiatura: MICHEL LÉVIANT, PHILIPPE ARACTINGI Fotografia: NIDAL ABDEL KHALEK Montaggio: DEENA CHARARA Scenografie: MOUHAB CHANESAZ Musiche: RENÉ AUBRY LAZARE BOGHOSSIAN Personaggi e interpreti: Zeina NADA ABOU FARHAT, Tony GEORGES KHABBAZ. FRANCIA,/GRAN BRETAGNA/LIBANO 2007 - 98 minuti Zeina vive a Dubai. In pieno divorzio, decide di mandare il figlio Karim a casa della sorella a Kherbet Selem, un piccolo villaggio nel sud del Libano, per proteggerlo dai litigi coniugali. Qualche giorno più tardi scoppia la guerra. Zeina, folle d’angoscia, parte velocemente per il Libano, passando per la Turchia. A causa del blocco però non riesce ad arrivare al porto di Beirut che il giorno del “cessate il fuoco”. È qui che avviene l’incontro con Tony, il solo tassista che accetta di portarla verso Sud… Due giorni dopo l'esplosione di una nuova e drammatica guerra in Libano (la terza guerra israelo-libanese del 2006), Philippe Aractingi gira un film con due attori, tutti gli altri, rifugiati, giornalisti, militari, religiosi sono persone vere, compresi i bombardamenti. Il regista francolibanese dimostra una straordinaria capacità di filmare ambienti autentici, inserendo senza confini visibili la storia di una madre alla ricerca disperata del figlio. Una storia che trova nel ricorso ad ambienti e situazioni reali una forza di verità assoluta. Una lezione di onestà e coerenza, quella di “Sotto le bombe”, che prende le distanze dai reportage televisivi. Aractingi mostra gli orrori e contemporaneamente mostra il Libano in tutta la sua bellezza, con i paesaggi affascinanti e i piccoli e bellissimi centri dell’interno del paese, nascosti e sconosciuti. Il regista impone il suo punto di vista, che non accusa né giustifica nessuno, si limita a mostrare gli orrori, la sofferenza e le incomprensioni e lo fa andando dove i media non arrivano mai. Il film va oltre la spettacolarizzazione della guerra e la rifiuta, imponendo il proprio sguardo carico di dolore e empatia. NOTE di Philippe Aractingi Questo film è nato in maniera spontanea. Il dodici luglio 2006 è scoppiata la guerra in Libano e il quattordici ho messo su carta l'idea di un film con due soli personaggi gettati nel caos. Poi nel 2006, quando esplose quest'ultima guerra, fu come ricevere una sberla, sentii un dolore che risvegliò in me i ricordi di conflitti precedenti. Ero maturo e pronto per realizzarla, nel frattempo infatti avevo girato tanti documentari, avevo fatto il mio primo lungometraggio. Restava soltanto la paura di girare letteralmente sotto le bombe… Ho scelto di fare un film di finzione perché girando molti documentari mi sono accorto che questo cinema parla molto alla ragione, emozionando poco. Tre giorni dopo la fine della guerra sono tornato in Libano su un battello e ho cominciato a girare con la mia troupe e i miei due attori. Ho diviso la struttura di “Sotto le bombe” in due parti: una è quella girata a caldo, quella spontanea che riprendeva la distruzione e la polvere alzata dalle bombe, dove gli attori hanno improvvisato su un testo che io avevo scritto in tempi brevissimi. Subito dopo sono "ritirato" in Francia per scrivere invece la parte propriamente di finzione. Rientrato in Libano abbiamo poi iniziato le riprese di quello che consideravo il nucleo della finzione. Allontanarmi per un po' è stato necessario perché non volevo fare un film di propaganda, la mia intenzione era quella di scrivere con la giusta concentrazione e per farlo avevo bisogno di stabilire un minimo di distanza dal dramma che stava colpendo il mio paese. PHILIPPE ARACTINGI (Beirut, Libano, 1964) Franco-libanese, Philippe Aractingi nasce nel 1964 a Beirut dove passa la sua infanzia. Nella sua carriera realizza una quarantina di film tra cui reportages, documentari e film, girati in Francia, in Libano, ma anche nel resto del mondo arabo, in Sudafrica, Sri Lanka, Mongolia. Autodidatta, dopo dodici anni trascorsi a Parigi, Aractingi torna alle sue radici e si trasferisce in Libano, dove gira BOSTA (2005) il suo primo lungometraggio di finzione, premiato poi in sei festival e selezionato a rappresentare il Libano agli Oscar. Via Borgo Vico 107 - 22100 Como - telefono 031 576 058 - Cell. 347 711 426 7 Regia: CAO HAMBURGER Sceneggiatura: CAO HAMBURGER, CLÁUDIO GALPERIN, BRÁULIO MANTOVANI, ANNA MUYLAERT Fotografia: ADRIANO GOLDMAN Montaggio: ARMANDO TORRES JR. Scenografie: CASSIO AMARANTE Musiche: BETO VILLARES Personaggi e interpreti: Mauro MICHEL JOELSAS, Shlomo GERMANO HAIUT, Hanna DANIELA PIEPSZYK, Bia SIMONE SPOLADORE, Italo CAIO BLAT. BRASILE 2006 - 104 minuti Nel 1970 il Brasile e il mondo intero sembrano essere sconvolti, ma il centro dell’attenzione del dodicenne Mauro, un ragazzino medio borghese di padre ebreo e madre cattolica, non ha niente a che vedere con la nascente dittatura militare. Il suo sogno più grande è vedere il Brasile diventare per la terza volta vincitore della Coppa del Mondo ai campionati di Città del Messico. I genitori, militanti di sinistra, costretti a fuggire in clandestinità, si trovano obbligati ad affidare il figlio al nonno Mòtel, morto improvvisamente di infarto poco prima di accoglierlo. Mauro viene allora adottato dalla comunità ebraica del quartiere di Bom Retiro, a San Paolo del Brasile, dove convivono da generazioni ebrei di varia estrazione nazionale… Il film di Cao Hamburger è un viaggio iniziatico che coniuga ampie riflessioni umaniste con una straordinaria delicatezza di racconto, la cui guida è lo sguardo innocente e curioso del dodicenne Mauro. Il forzato allontanamento dal guscio familiare gli pone nuove realtà, nuove domande con cui misurarsi, che saranno per lui altrettante occasioni per comprendere la sua identità e il suo mondo. Nel suo viaggio si mescolano temi politici, i mondiali di calcio, le tante piccole storie private della colorita comunità ebraica, un mondo culturale più antico e complesso dei legami familiari. Con una capacità rara il regista riesce a fondere la “Storia” e le “storie”, con serietà e sobrietà al contempo, NOTE di Anna Melikian Con le scenografie coloratissime di “Mars” ho voluto crare un palcoscenico sul quale in sottofondo si svolge l’incontro fra persone tanto diverse, accomunate dal fatto che vogliono cambiare la loro vita. Ho voluto creare un contro altare alla Mosca di oggi. Mentre a Mosca la vita continua, a Mars si ferma; mentre da Mosca si fugge, a Mars si arriva per caso; mentre a Mosca la gente vive l’una accanto all’altra come se fossero su pianeti diversi, a Mars i sogni s’intrecciano in un unico universo. In altre parole metto in scena un sogno postmoderno, per riuscire a trasmettere la poesia del quotidiano attraverso colori, gesti teatrali e stravaganze umane. Un universo che ho riempito di dettagli audiovisivi, colori, oggetti e prospettive. Spero che alcune immagini abbiano la forza di rimanere in mente perché voglio colpire ed accendere la fantasia degli spettatori, portarli a sognare. La nostra gente ormai si è stancata dei film d’azione. Oggi il pubblico preferisce delle storie vere e umane, vuole piangere al cinema e vedere film d’amore. Negli ultimi anni, infatti, dopo una fase di sorprese, effetti high-tech ed attrazioni, il cinema russo si è mosso nella direzione del cinema europeo, ci sono più storie che guardano ai sentimenti ed alla vita. ANNA MELIKIAN (Baku, Azerbaigian, 1976) Anna Melikian è considerata una delle più promettenti registe della generazione post sovietica. Nel 1994 entra nel l’Istituto Nazionale di Cinematografia di Mosca. Dal 2002 lavora per la televisione dirigendo documentari e programmi televisivi. I suoi cortometraggi hanno vinto numerosi premi tra cui il Premio della Giuria per POSTE RESTANTE a Clermont-Ferrand nel 2000. MARS, il suo primo lungometraggio, di cui è anche sceneggiatrice, ha riscosso un grande successo di pubblico e critica al Festival di Berlino 2005. lavorando soprattutto sui mezzi toni, conferendo profondità, rendendo visibili anche i più impercettibili movimenti emozionali. Grazie anche ad uno stile capace di inventare precise e adeguate sequenze di vero cinema, il film si iscrive di diritto tra i migliori esempi di rappresentazione della pubertà al cinema, l’età più difficile da raccontare. NOTE di Cao Hamburger È un film sull’esilio, sui vari tipi di esilio, sulla scoperta della transitorietà della vita da parte del protagonista, che impara ad andare d’accordo con gli altri e a sopravvivere in questo nostro mondo. Inoltre, sebbene nel film il calcio non sia il tema principale, ma resti un contesto, volevo parlare del mito rappresentato dalla squadra che ha vinto la Coppa del Mondo nel 1970. Volevo anche contribuire a sfatare alcuni pregiudizi comuni, stereotipi e false idee che generalmente gli stranieri hanno del Brasile. Tutto questo mi ha ispirato a tentare di raccontare una storia in cui si toccassero questi argomenti. “L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza” è un film sulle differenze generazionali e sul lavoro di squadra. Il film racconta molto del periodo in cui io e molti miei collaboratori del film eravamo bambini. Come il protagonista Mauro avevamo una visione frammentaria della realtà. Questo film, in un certo senso racconta la nostra storia. Senza la mia troupe, che è quanto di meglio avrei mai potuto sperare, un risultato così soddisfacente da un punto di vista artistico e tecnico e da un punto di vista contenutistico, non sarebbe mai stato possibile. CAO HAMBURGER (San Paolo, Brasile, 1962) L’ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA è il secondo lungometraggio. Il suo primo film RÁ-TIM-BUM, THE MOVIE (1999) ha ottenuto un buon successo di critica e di pubblico. In televisione, il regista è responsabile di successi tra le quali pregiatissime serie per bambini che hanno vinto premi in tutto il mondo. Più recentemente ha lavorato alla creazione e alla regia della serie FILHOS DO CARNAVAL (2006), prodotta da HBO. Prima dei lungometraggi, Hamburger ha diretto diversi cortometraggi per i quali è stato premiato in Brasile e all’estero. Via Giulini 10 - Como - telefono 031 272 458 www.libraccio.it Lunedì 24 novembre INTERVIEW di Steve Buscemi (Interview) Regia: STEVE BUSCEMI Sceneggiatura: STEVE BUSCEMI, DAVID SCHECHTER Fotografia: THOMAS KIST Montaggio: KATE WILLIAMS Scenografie: LOREN WEEKS Musiche: VICKI FARRELL Personaggi e interpreti: Pierre Peders STEVE BUSCEMI, Katya SIENNA MILLER, Robert Peders MICHAEL BUSCEMI, Theo JACKSON LOO, Maggie TARA ELDERS, Avvocato ROBERT HINES. STATI UNITI 2007 - 110 minuti Pierre conosce bene la violenza e la crudeltà della vita. Si è fatto un nome come reporter di guerra, ha viaggiato in tutto il mondo e vissuto esperienze estreme. Non sorprende quindi che si irriti alquanto per l'intervista che deve realizzare ad una famosa attrice di soap opera, Katya. I due si incontrano ed entrano immediatamente in contrasto. Ma come il confronto si fa più intimo, Pierre e Katya svelano progressivamente le tante sfaccettature della loro personalità, trovando una comunicazione... Basato sull'omonimo film del 2003 di Theo Van Gogh, regista olandese vittima di omicidio per mano di un fondamentalista arabo, "Interview" è un film che scandaglia, osserva, analizza le dinamiche delle relazioni umane, cercando, nell'incontro tra immagine cinema e teatralità, di svelarne i sentimenti nudi, veri. La schermaglia tra Pierre e Katya, di cui il doppiaggio spegne la necessaria fluidità e importanti sfumature attoriali, oscilla tra argomenti banali e risvolti difficili, ruolo sociale e desideri intimi, retroterra personale e tensioni emozionali. Un sotterraneo gioco di seduzione permea l'incontro di due esseri che si pensano molto diversi, falsati dai rispettivi ruoli sociali, con cui la loro vita si fonde e si confonde. La sofferenza amorosa di Katya è anche il copione di un serial, il protagonismo del reporter Pierre è anche un sottile strumento di autoinganno. Un gioco a due che Buscemi segue con tre telecamere, due costantemente focalizzate sui protagonisti, una che coglie il gioco d'insieme. A completare il quadro la colonna sonora di Evan Lurie (ex Lounge Lizard) che con un jazz di toni in chiaro scuro si adatta perfettamente alle granulose atmosfere notturne delle immagini. NOTE di Steve Buscemi Girando questo film non era mia intenzione essere critico nei confronti dei media, quello che mi interessava era impersonare questo personaggio, questo giornalista, cercare di capire e vedere chi fosse e che cosa facesse per guadagnarsi da vivere. Dall'altra parte non volevo nemmeno esprimere un giudizio sul mondo delle star e delle celebrità anche se, ovviamente alla fine, il film un commento in questo senso lo fa. Quello che invece maggiormente mi premeva era il rapporto che si instaura molto rapidamente fra queste due persone, un rapporto che inizia in una maniera disastrosa come spesso accade nella vita in alcuni relazioni, partite male e poi trasformate in qualcosa di profondo. Il giornalista e la star, l'uomo e la donna, condividono quelle che sono le esperienze di una vita intera nel giro di poche ore, ovviamente si tratta di un rapporto disfunzionale, dove c'è in un certo senso una dipendenza reciproca. I due protagonisti provano un senso di repulsione e allo stesso tempo mantengono questo forte legame, ed era proprio questa relazione che mi interessava esplorare. STEVE BUSCEMI (New York, USA, 1957) Buscemi ha iniziato a recitare durante l’ultimo anno del liceo. Poco dopo, si è trasferito a Manhattan e ha studiato con John Strasberg. E lì che ha iniziato a scrivere e interpretare i suoi testi negli spazi teatrali del downtown. Attore di molti film importanti. MYSTERY TRAIN di Jim Jarmusch, NEW YORK STORIES di Martin Scorsese, CROCEVIA DELLA MORTE, BARTON FINK, IL GRANDE LEBOWSKI, FARGO dei fratelli Coen. Nel 1998 ha scritto e interpretato il primo film MOSCHE DA BAR. Il suo secondo film ANIMAL FACTORY è stato presentato al Sundance Film Festival nel 2000. Lunedì 8 dicembre INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO di Elio Petri Regia: ELIO PETRI Sceneggiatura: ELIO PETRI E UGO PIRRO Fotografia: LUIGI KUVEILLER Montaggio: SERGEJ IVANOV Scenografie: CARLO EGIDI Musiche: ENNIO MORRICONE Personaggi e interpreti: L'ispettore GIAN MARIA VOLONTÈ, Augusta Terzi FLORINDA BOLKAN, Commissario di polizia GIANNI SANTUCCIO, Ispettore Biglia ORAZIO ORLANDO, Mangani ARTURO DOMINICI. ITALIA 1970 - 114 minuti loro rappresentante, un “cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Il protagonista, un personaggio senza nome perfettamente cosciente del proprio ruolo, arriverà a sfidare con audacia i colleghi, convinto della sua intoccabilità, in quanto il Potere è “per forza” al di sopra della legge. L’ndimenticabile colonna sonora di Ennio Morricone che segue l’alternarsi ansiogeno delle indagini con i flashback della relazione fra l’uomo e la sua vittima: un rapporto contrassegnato da una latente frustrazione da parte dell’uomo, il cui motto che risuona nelle sale della Questura è la frase “repressione è civiltà”. Festival di Cannes 1970 Premio Speciale della Giuria Academy Awards 1970 Oscar Miglior Film straniero Il capo della Squadra Omicidi di una grande città italiana, soprannominato "il dottore", per l'efficienza dimostrata in servizio viene promosso dirigente dell'Ufficio Politico della Questura. Proprio nel giorno della promozione, l'alto funzionario, che dietro l'apparente sicurezza nasconde una psiche disturbata, uccide la sua amante, con la quale ha da tempo una relazione sessuale. Certo di essere al di sopra di ogni sospetto in virtù della sua posizione di potere, volutamente lascia tracce e indizi del suo passaggio. Come previsto, le indagini intraprese dai colleghi della Questura non lo toccano, complici ignari del superiore… Primo capitolo della “trilogia sul potere” firmata da Elio Petri, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” presentato al Festival di Cannes del 1970, dove ha ricevuto il Gran Premio della Giuria. Sceneggiato da Petri con Ugo Pirro, ed interpretato da un formidabile Gian Maria Volonté, il film rappresenta una delle opere più importanti nella carriera del regista. Uno dei titoli più significativi del cinema italiano di quegli anni. È difficile classificare il film di Petri in un singolo genere: : “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” è al contempo un poliziesco, un thriller psicanalitico, una commedia nera ed una tragedia satirica. L’intera trama è costruita su un’invenzione paradossale dove lo spettatore si ritrova a seguire le indagini degli inquirenti, che pur avendo fra le mani decine di indizi non riescono a concepire che il colpevole possa essere un ELIO PETRI (Roma, Italia, 1929 - 1982) Entra nel mondo del cinema nel 1951 come aiuto regista di Giuseppe De Santis mentre è critico cinematografico per “L’Unità”. Nei lustri che seguono, egli lavora alla sceneggiatura di numerose pellicole (“Uomini e lupi”, “L’impiegato”, “Il gobbo”, “I mostri”) e dirige due corti, “Nasce un campione” (1954) e “I sette contadini” (1957). Firma il suo primo lungometraggio nel 1961 con L’ASSASSINO, atipico poliziesco di analisi psicologica con un ottimo Mastroianni; ancor più convincente risulta I GIORNI CONTATI (1963). seguono IL MAESTRO DI VIGEVANO (1963) e LA DECIMA VITTIMA (1965), elegante adattamento di Ennio Flaiano e Tonino Guerra di un bel racconto di fantascienza di Robert Sheckley. Il seguente A CIASCUNO IL SUO (1967) traduce in immagini la pagina di Sciascia con notevole vigore: si affaccia qui quella propensione per il cinema d’impegno civile che troverà più tardi compiuta espressione in INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO (1970) e in LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO (1971). I successivi prima della prematura scomparsa sono LA PROPRIETÀ NON È PIÙ UN FURTO (1973), TODO MODO (1976) e BUONE NOTIZIE (1979). Lunedì 1 dicembre ALEXANDRA di Aleksandr Sokurov (Alexandra) Regia: ALEKSANDR SOKUROV Sceneggiatura: ALEKSANDR SOKUROV Fotografia: ALEKSANDR BUROV Montaggio: SERGEJ IVANOV Scenografie: DMITRI MALIC-KONKOV Musiche: ANDREJ SIGLE Personaggi e interpreti: Alexandra GALINA VISHNEVSKAYA, Denis VASILI SHEVTSOV, RAISA GICHAEVA, Baku ANDREJ BOGDANOV, ALEKSANDR KLADKO. RUSSIA 2007 - 90 minuti In un accampamento di soldati russi, nella Cecenia dei nostri giorni, un’anziana donna, Aleksandra Nikolaevna, arriva a far visita a suo nipote Denis, ufficiale dell’esercito. Trascorre con lui qualche giorno. Quanto basta a farle scoprire un mondo a lei sconosciuto, fatto di uomini soli, senza calore né conforto. A pochi chilometri di distanza, al fronte, si combatte ogni giorno tra la vita e la morte. Eppure le donne del luogo non hanno perduto il loro antico senso di ospitalità. E i soldati, tutti i soldati, sono soltanto ragazzi impauriti…Un’anziana donna che cammina sulle macerie dell’Impero, memento di un’epoca lontana, completamente avulsa dall’universo militare, giovane e maschile. Questa potrebbe essere l’estrema sintesi del film di Aleksandr Sokurov che rinnova il sodalizio con Galina Vishnevskaya, straordinaria soprano e icona vivente della Russia, da poco rimasta vedova del non meno celebre violoncellista Mstislaw Rostropovich. La Storia, ciò che fu Impero, poi Repubblica Federale Socialista, e che oggi vive di un presente e un futuro ambigui e incerti, attraversa l’anima di una donna, testimone attonita ma lucida, stupita ma presente, di eventi che non riesce a comprendere. Tutt’altro che rassegnata, attivamente impegnata a modificare il corso delle cose, la tenera donna nel recare conforto a suo nipote, finisce per portarne a tutti coloro che incontra, al di là delle distinzioni di bandiera o di appartenenza etnica. Visivamente ricchissimo di riferimenti pittorici e con la consueta cura della forma il film di Sokurov è un’opera politica e spirituale al contempo, che cerca l’armonia nell’etica, la bellezza nella giustizia. NOTE di Aleksandr Sokurov Per me, questa non è una storia che ha a che fare con l’attualità, ma con ciò che è eterno. Non racconta della Russia di oggi, della sua politica nel Caucaso, del suo esercito, è una storia senza tempo. Non c’è guerra in questo film sulla guerra. Le operazioni militari non sono riprese o rappresentate. Non amo i film di finzione sulla guerra; mi è bastato aver visto una volta sola la guerra vera perché quei corpi cadenti in ralenti mi evocassero un’idea di volgarità e di finzione. Non c’è alcuna poesia nella guerra, alcuna bellezza. Non bisogna filmare la guerra in modo poetico: l’orrore è inesprimibile, così come è inesprimibile l’umiliazione dell’uomo di fronte alla guerra… Quello che noi definiamo contemporaneo è sempre relativo. Il tempo durante il quale abbiamo girato il film, rapportato a oggi, appartiene già al passato. Abbiamo cercato di esprimere questa collisione tra passato, presente e futuro, come una sorta di presente continuo. Un uomo dotato di un profondo senso sociale può trovare il nostro film molto contemporaneo, ma non c’è niente di attuale. Non c’è una sola parola che non sia già stata pronunciata. Così come parliamo di cose che vanno oltre i confini russi. La mia eroina potrebbe essere un’americana che fa visita al nipote in Iraq, così come una nonna inglese in Afghanistan… ALEKSANDR SOKUROV (Podorvikha, Russia, 1956) Nel 1974 consegue la laurea in storia e filosofia all’Università di Gorky mentre nel 1979 porta a compimento gli studi di cinema presso l’Istituto di Cinematografia di Mosca. Il suo primo film THE LONELY VOICE OF MAN (1978) vince il Pardo di Bronzo al Festival di Locarno. Tra il 1980 e il 1987 cura la regia di due lungometraggi, numerosi corti e documentari, nessuno dei quali ottiene l’autorizzazione della censura sovietica. Dal 1980 lavora per la Len Film Studios realizzando film e documentari. Fra i suoi titoli più famosi MADRE E FIGLIO (1997), MOLOCH (1999), THE SECOND CIRCLE (1999), TAURUS (2000), ARCA RUSSA (2002), IL SOLE (2005). Sokurov si è anche cimentato nell’adattamento di testi letterari di Shaw, Flaubert e Dostoevskij. Molto apprezzate anche le sue 'elegie', veri e propri esperimenti di poesia visuale. benzonibijoux Via Adamo del Pero 23 Como - telefono 031 264 481 Grazie anche alle intense e misurate interpretazioni di Halle Berry e Benicio Del Toro che vestono magistralmente i rispettivi ruoli. Lunedì 15 dicembre NOI DUE SCONOSCIUTI di Susanne Bier (Things We Lost in the Fire) Regia: SUSANNE BIER Sceneggiatura: ALLAN LOEB Fotografia: TOM STERN Montaggio: PERNILLE BECH CHRISTENSEN, BRUCE CANNON Scenografie: RICHARD SHERMAN Musiche: JOHAN SÖDERQVIST, GUSTAVO SANTAOLALLA Personaggi e interpreti: Audrey Burke HALLE BERRY, Jerry Sunborne BENICIO DEL TORO, Brian Burke DAVID DUCHOVNY, Harper Burke ALEXIS LLEWELLYN. STATI UNITI/GRAN BRETAGNA 2007 - 118 minuti Audrey è felicemente sposata con Brian, ha due figli, conduce una vita agiata e tranquilla. A sconvolgere tutto arriva una tragica fatalità: mentre cerca di sedare un litigio per strada Brian rimane ucciso da un colpo di pistola. Durante il funerale, Audrey incontra dopo tempo Jerry, vecchio amico del marito, tossicomane, ma al quale Brian non aveva mai smesso di offrire il suo aiuto. Jerry non è mai stato ben visto da Audrey, ma il forte e reciproco legame con il ricordo di Brian li porrà in comunicazione… Susanne Bier, la regista danese di “Dopo il matrimonio” torna con un nuovo lavoro tutto americano per produzione e cast. Con sguardo intenso e partecipe, con la consueta attenzione ai processi emotivi, racconta l’incontro inaspettato tra due anime perdute, due persone distanti solo in apparenza e unite dal destino, capaci di affrontare insieme le scelte più difficili della loro vita. Un percorso di perdita e redenzione girato con grande maestria, che sancisce nel passaggio americano la continuità e coerenza della poetica dell’autrice. Il pericolo di scivolare nelle semplificazioni, cui sono caduti molti autori europei, è scampato. La regista danese conferma con stile il suo retroterra culturale, il coraggio nel mostrare e analizzare il dolore senza scivolare in inutili esibizionismi emotivi. NOTE di Susanne Bier Io spero davvero di ripetere molto presto l'esperienza appena conclusa di girare un film negli States. Sono un po' stufa dell'atteggiamento supponente di alcuni colleghi europei che considerano spazzatura ogni cosa prodotta in America. Al contrario di altri autori, io non sopporto di essere magnificata per il già fatto, l'esperienza americana mi ha consentito di mettermi alla prova come artista, mi piace trovare delle resistenze, mi piace non darmi per scontata. Prima di trovare la sceneggiatura di Allan Loeb ho letto più di duecento script. La storia di Allan e mi è piaciuta subito molto perché aveva la qualità rara di descrivere personaggi profondamente veri. La cosa meravigliosa e che mi hanno lasciata libera di interpretare la sceneggiatura a modo mio, naturalmente non volevo fare un film americano e così ho cambiato l'incipit e l'epilogo della sceneggiatura originaria. Volevo fare un film sull'amicizia e sull'amore ma soprattutto mostrare il dolore creato dalla dipendenza. Volevo mettere in scena due personaggi che rientrano lentamente nella vita dopo aver subito una perdita enorme. Non era mia intenzione fare un film con un messaggio, non è il mio genere, ma certamente volevo far vivere allo spettatore una storia forte, di quelle che ti restano addosso e diventano l'occasione perfetta per una riflessione. SUSANNE BIER (Coopenaghen, Danimarca, 1960) Forse la voce più interessante del cinema scandinavo contemporaneo, Susanne Bier si diploma alla Danisch School of Film di Copenhagen nel 1987, iniziando da regista con diversi cortometraggi e clip musicali. Il suo primo film, FREUD’S LEAVING HOME (1990) la impone all’attenzione generale. A confermare il successo di critica e pubblico arrivano poi FAMILY MATTERS (1993), LIKE IT NEVER WAS BEFORE (1995), CREDO (1997) e THE ONE AND ONLY (1999), premiato ai Danish Film Academy Awards. In seguito dirige ONCE IN A LIFETIME (2000) e il film Dogma OPEN HEARTS (2002). La platea internazionale la conosce nel 2004 con NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI. A superare questi risultati è DOPO IL MATRIMONIO (2006), nomination all’Oscar per il Miglior film straniero. I FILM del MERCOLEDÌ Ai confini del cinema Spettacolo unico ore 21.00 Ingressi Intero € 7 - Soci Arci € 5 – Ridotto (studenti - over 65) € 4 Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60 Tessera 10 film a scelta su 27 € 35 Mercoledì 1 ottobre Mercoledì 15 ottobre LETTERE DA IWO JIMA MONGOL Interpreti Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Shido Nakamura, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase, Hiroshi Watanabe, Takumi Bando. Stati Uniti 2006 - 142 minuti. Interpreti Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan Chuluun, Odnyam Odsuren, Aliya, Ba Sen. Russia/Germania 2007 - 120 minuti. di Clint Eastwood (Letters From Iwo Jima) di Sergei Bodrov (Mongol) NUOVI CLASSICI Mercoledì 1 ottobre LETTERE DA IWO JIMA "I soldati scavano le buche in cui combatteranno, e nelle quali moriranno". Si apre con questo epitaffio preventivo l'ultimo, attesissimo lavoro di Clint Eastwood, seguito organico e ideale al tempo stesso di Flags of our Fathers. Con Flags abbiamo appreso tutto della guerra dal punto di vista yankee: la comunicazione, la stampa, la politica, la persuasione e, infine, il combattimento. Lettere da Iwo Jima ci porta direttamente sul campo, in mezzo alla lotta per la conquista di un maledetto sasso in mezzo all'Oceano Pacifico, l'unica base aerea adatta per far decollare gli aerei con destinazione Giappone ed avere qualche discreta speranza di vederli tornare. Il tempo dei quaranta giorni nei quali si sviluppò la terribile lotta per l'isola, che vide cadere sul proprio suolo quasi trentamila uomini, viene frammentato, contratto. Vi sono contenuti dentro tutti i temi del film, svolti passionalmente dalle lettere lette da una voice off. E il puro sentimentalismo, l'anelito speranzoso dei testi, fanno da cornice a una realtà secca, dura, infida. Eastwood costruisce un'opera perfettamente speculare a Flags. Lì era mostrata la gigantesca macchina del fronte interno (come già descritto su queste pagine), e posto al centro l'individualismo, la solitudine del singolo di fronte all'enorme marchingegno della storia, per cui un semplice gesto di quattro soldati diventava il cuore pulsante di tutta l'attività bellica. Qui, al contrario, si parla della prima linea, delle pallottole fischianti, e di come, a partire da singolo, si sviluppi e si incardini nella storia un senso complessivo delle cose, per cui l'azione del singolo personaggio si fonde in un magma continuo di azioni e sensazioni senza quasi soluzione di continuità. Un lavoro che sintetizza buona parte del cinema di guerra americano e che acquista una luce nuova e scintillante se messo in relazione a quello che è il dittico della guerra di Eastwood. Una grande co-produzione internazionale per un film che mescola abilmente storia ed intrattenimento. È questo, in estrema sintesi, “Mongol“, nuova pellicola del regista russo Sergei Bodrov (di lui si ricordi Il prigioniero del Caucaso, già candidato agli Oscar) incentrata sulla vita del condottiero e sovrano mongolo Gengis Khan. Il film condensa una parte importante della vita del leggendario imperatore, quella che va dall'infanzia alla conquista del potere e all'unificazione dello stato mongolo, passando per la schiavitù e lo scontro con il fratello di sangue Jamukha. La sceneggiatura integra le informazioni storiche presenti nel testo “La storia segreta dei Mongoli“, poema risalente a pochi anni dopo la morte del sovrano, con quelle carpite dal libro “La leggenda della freccia nera“, scritto dallo storico russo Lev Gumilev. Il risultato è un affresco visivamente potente, di notevole fascino estetico, che si sforza di dare un ritratto sfaccettato e imparziale di un personaggio fondamentale per il periodo preso in esame (gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo), con un occhio sempre presente alle esigenze spettacolari che possano rendere appetibile il film per il grande pubblico. Le sequenze d'azione sono quanto di più crudo e realistico il cinema ci abbia mostrato negli ultimi anni (un paragone in questo senso può essere fatto solo con “Seven Swords“ di Tsui Hark. Sangue e sudore, terra e sporcizia: ci sono tutti gli ingredienti di un cinema storico/avventuroso intriso di fisicità, in cui la graficità della messa in scena contribuisce alla definizione di un contesto e di un intero universo. Il fascino delle scenografie naturali, le sconfinate distese della steppa ricreate in esterni situati tra Cina, Kazakistan e Mongolia, contribuisce insieme alla buona fotografia, di stampo naturalistico, a donare al film il senso di epicità che lo permea fino in fondo. Mercoledì 8 ottobre Mercoledì 8 ottobre Mercoledì 22 ottobre L'ALBERO DELLA VITA L'ALBERO DELLA VITA IL PETROLIERE Interpreti Hugh Jackman, Rachel Weisz, Ellen Burstyn, Stephen McHattie, Mark Margolis, Fernando Hernandez, Sean Patrick Thomas, Cliff Curtis. Stati Uniti 2006 - 96 minuti. Interpreti Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin O'Connor, Ciarán Hinds, Dillon Freasier, Colleen Foy. Stati Uniti 2007 - 158 minuti. di Clint Eastwood (Letters From Iwo Jima) Stati Uniti 2006 Mercoledì 22 ottobre IL PETROLIERE di Paul Thomas Anderson (There Will Be Blood) Stati Uniti 2007 Mercoledì 12 novembre ONORA IL PADRE E LA MADRE di Sidney Lumet (Before the Devil Knows You're Dead) Stati Uniti 2007 Mercoledì 3 dicembre NON È UN PAESE PER VECCHI di Ethan Coen, Joel Coen. (No Country for Old Men) Stati Uniti 2007 SOVVERSIONI di Darren Aronofsky (The Fountain) Stati Uniti 2006 Mercoledì 29 ottobre GO GO TALES di Darren Aronofsky (The Fountain) di Paul Thomas Anderson (There Will Be Blood) di Abel Ferrara (Go Go Tales) Stati Uniti 2007 Mercoledì 19 novembre FUNNY GAMES di Michael Haneke (Funny Games) Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007 TRANSGENERE Mercoledì 15 ottobre Epico MONGOL di Sergei Bodrov (Mongol) Russia/Germania 2007 Mercoledì 5 novembre Commedia Nera IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO di Martin McDonagh (In Bruges) Gran Bretagna/Belgio 2008 Mercoledì 26 novembre Horror CLOVERFIELD di Matt Reeves (Cloverfield) Stati Uniti 2008 XVI° secolo. Tomas il conquistador lotta per proteggere la regina Isabella da un feroce nemico che la perseguita. XXI° secolo. Lo scienziato Tommy Creo cerca disperatamente una cura per salvare la moglie Izzi, malata terminale di cancro. XXVI° secolo. Tom esplora l'universo rinchiuso in una bolla che contiene l'Albero della Vita, ossessionato dal fantasma di Izzi e dal desiderio di ridarle la vita. Le tre storie convergono in un'unica disperata ricerca, il raggiungimento dell'immortalità che passa attraverso il ritrovamento della Fontana della Giovinezza, ma il movente che spinge Tommy, in ognuna delle tre epoche, a superare ogni limite cognitivo per conquistare la vita eterna è l'amore per la compagna. Alla sua terza regia, Darren Aronofsky sceglie di cambiare completamente stile ancora una volta spiazzando decisamente lo spettatore e realizzando il suo lavoro, almeno fino ad ora, più visionario e new age. Organizzato su tre livelli temporali che si compenetrano e si interscambiano in continuazione, il film basa molta della sua forza sulla girandola vorticosa di effetti visivi realizzati con le tecniche più disparate mixando trucchi profilmici, digitale e effetti chimici volti a ottenere immagini astratte di notevole interesse. Ma “L'albero della vita“ è anche e più semplicemente una storia d'amore, è una dichiarazione di fallibilità, è l'accesso negato al segreto della vita eterna e l'invito a rassegnarsi alla propria natura umana come fa la giovane moglie del protagonista. In tempi in cui si è persa familiarità con la morte, quella privata e non quella rappresentata in diretta (suicidio o esecuzione capitale), il regista statunitense ne affronta il mistero in un'opera controversa, sospesa e confusa tra fantasy e metafisica. Dopo “Pi greco – Il teorema del delirio“ e “Requiem for a dream“, Aronofsky come Thomas prosegue la sua ricerca del significato ultimo della vita. Fosse anche celato dietro una stella estinta o dentro un amore ostinato. Ai primi del XX secolo Daniel Plainview, un ambizioso petroliere, arriva in California in cerca dell'oro nero. I suoi pozzi porteranno alla crescita di una ridente comunità a Little Boston, ma con gli anni Daniel diventerà sempre più arido e allontana da sé qualunque affetto. Basterebbe il bellissimo incipit, denso e vigoroso, a dimostrare che il film vuole raccontare l'epos di un uomo piuttosto che di una nazione. Siamo nel 1898 e Daniel è solo, chiuso in uno scavo della selvaggia California, intento a trovare pietre d'argento con tutti i mezzi e l'ingegno di cui dispone. Improvvisamente e incidentalmente dal terreno emerge del petrolio, la cui scoperta oltre a cambiargli la vita gli costerà la deambulazione. La prima ellisse ci trasporta avanti nel tempo di pochi anni, all'inizio del novecento e delle fortune petrolifere di Daniel e di suo figlio H.W., ancora in fasce. Neanche è finito il primo "atto" del film che è chiaro che Anderson non può e non vuole affrancarsi dal suo uomo che aleggia, anche nelle rarissime scene in cui è assente dalla scena, con la sua fisicità e il suo sguardo magnetico e minaccioso. Daniel Day-Lewis è un corpo calamita di sentimenti tesi e oscuri. La sua interpretazione, supportata dalla frontalità sorprendente della messa in scena e dalla straordinaria colonna sonora composta da Jonny Greenwood creano un'indomabile tensione sotterranea, di cui si fa fatica a liberarsi perfino ore dopo la visione. E' ovvio che non è più tempo di cinema post-moderno per non c'è più spazio per il virtuosismo di “Magnolia“ o per i giochi cromatici e le ellissi acrobatiche di “Ubriaco d'amore“. Il miglior cinema americano sembra inequivocabilmente tornare indietro nel tempo e Anderson si adegua portando in dote la sua innata abilità narrativa e uno sguardo che lascia il segno. Mercoledì 17 dicembre Commedia BE KIND REWIND - GLI ACCHIAPPAFILM di Michel Gondry (Be Kind Rewind) Stati Uniti 2007 Via Carducci 3 - 22100 Como - telefono 031 262 995 - www.einaudi.it Mercoledì 29 ottobre GO GO TALES di Abel Ferrara (Go Go Tales) Interpreti Willem Dafoe, Bob Hoskins, Matthew Modine, Stefania Rocca, Asia Argento, Justine Mattera. Stati Uniti 2007 - 100 minuti. un inglese nato e cresciuto a Londra da genitori irlandesi. Capace di alternare momenti di introspezione e di intrattenimento puro, dialoghi pungenti e gustose perle di saggezza, “In Bruges“ ha il grande pregio di essere semplicemente se stesso, di non assomigliare a nessun altro film. Mercoledì 12 novembre ONORA IL PADRE E LA MADRE di Sidney Lumet (Before the Devil Knows You're Dead) Interpreti Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert Finney, Marisa Tomei, Aleksa Palladino, Michael Shannon. Stati Uniti 2007 - 117 minuti. I due assassini psicotici invece sono, molto astutamente, americani e hanno i volti puliti ed enigmatici di Michael Pitt e Brady Corbet. Haneke ha tenuto a precisare che questo film è rivolto essenzialmente a chi non ha mai visto l'originale e in effetti non c'è da stupirsi perché ci troviamo di fronte a un remake shot by shot, cioè una perfetta copia per inquadrature e sceneggiatura del primo. Chi ha quindi già sopportato i vecchi giochi potrà quindi fare a meno di vedere il nuovo “Funny Games“, che ha come unica novità e attrativa i suoi interpreti, talmente bravi e calati nella propria parte, però, da rendere il film eccezionale come il precedente, ancora godibile e detestabile nello stesso momento per quei sentimenti contrastanti che Haneke ha saputo creare con la sua pellicola. Tornano quindi a giocare vittime e carnefici: da una parte la famigliola in vacanza che vuol finalmente godersi quel che possiede, dall'altra una coppia di ragazzi perbene che si presentano alla loro porta sfoggiando estremo garbo, prima di intrappolarli in un incubo di sopraffazione psicologica e tortura fisica assolutamente immotivata. “Funny Games“ è innanzitutto una riflessione sul consumo della violenza al cinema, sul godimento del pubblico di fronte all'esplosione dell'aggressività, della follia, della brutalità sullo schermo, sul piacere e l'eccitazione nello spettacolo del terrore. Mercoledì 26 novembre CLOVERFIELD di Matt Reeves (Cloverfield) Ray Ruby è il titolare di un club di lap dance denominato “Paradise” in downtown Manhattan. Lo coadiuva l'amministratore Jay mentre il silente fratello Johnny è colui che finanzia l'impresa. Il problema è dato dal fatto che il fallimento è alle porte e l'anziana proprietaria dell'immobile non sembra più contenibile. Il Paradise è una babele di suoni, rumori e attrazioni da cui sembrano autoescludersi uomini e donne come esseri umani. Definito dagli stessi produttori come una screwball comedy, il film è in effetti lontanissimo dalle atmosfere malsane o maledette dei precedenti film di Ferrara: non c'è traccia di violenza, il sesso è visto come arte grazie alle sensuali movenze delle ballerine/spogliarelliste del locale in cui è ambientato ed anche il finale è conciliatorio e da perfetta commedia. E' così che un'intera notte nel Ray Ruby's Paradise Lounge tra spogliarelli, mariti gelosi, un biglietto vincente della lotteria apparentemente scomparso e perfino imbarazzanti numeri da cabaret può far ridere con intelligenza grazie ad accattivanti dialoghi e personaggi ben delineati interpretati da tutti gli attori. A fare da collante c'è il solito carismatico Willem Dafoe e in tanti (più o meno) piccoli ruoli di contorno facce conosciute come quelle di Matthew Modine, Bob Hoskins e Burt Young, e tante belle prime donne tra cui spiccano le italiane: l'esordiente (splendida ma non molto in vista, a dire la verità) Bianca Balti, la grintosa Asia Argento e la brava Stefania Rocca. Mercoledì 5 novembre IN BRUGES - LA COSCIENZA DELL'ASSASSINO di Martin McDonagh (In Bruges) Interpreti Colin Farrell, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes, Jérémie Renier, Thekla Reuten. Gran Bretagna/Belgio 2008 - 101 minuti. Interpreti Lizzy Caplan, Jessica Lucas, T.J. Miller, Michael Stahl-David, Mike Vogel, Odette Yustman. Stati Uniti 2008 - 85 minuti. Sidney Lumet torna al cinema con un thriller che è prima di tutto un coraggioso dramma familiare nel quale i sentimenti in campo si scontrano e mutano in continuazione. E' la discesa all'inferno di una intera famiglia, al termine della quale il diavolo aspetta ognuno dei suoi componenti per far scontare loro le colpe di una vita terrena sciupata nella volgarità dell'individualismo e della noncuranza. A dare il via alla catena di drammatici eventi che porta dritta alla più classica delle peggiori tragedie è il bisogno di soldi di due fratelli: ad Andy servono soldi per mantenere uno stile di vita elevato, per la droga di cui si imbottisce ogni giorno e soprattutto per coprire gli ammanchi di cassa dell'azienda presso la quale lavora e dalle quali ha attinto a piene mani per permettersi i propri vizi; Hank è invece un giovane padre squattrinato che deve pagare gli alimenti all'ex moglie e nutrire perciò la loro figlia. Per recuperare in fretta una consistente somma di denaro Andy decide di organizzare il colpo perfetto, una rapina nella gioielleria di famiglia che sarà svaligiata dell'incasso settimanale e dei preziosi da ricettare, ma verrà ricompensata dai soldi dell'assicurazione, il tutto naturalmente senza far parola ai genitori. Caratterizzato da un montaggio non lineare, con numerosi salti temporali che raccontano la vicenda dai punti di vista dei vari componenti della famiglia (più precisamente da quelli maschili) “Before the Devil Knows You're Dead“ si trasforma nel finale in un coraggioso e singolare confronto tra padre e figlio, un duello di sentimenti estremi vinto infine dalla sete di vendetta. Il castigo per il delitto commesso diventa un atto catartico consumato in nome dell'amore per la donna amata, a discapito del legame primordiale che lega un padre al proprio figlio, in questo caso il primogenito. Sul monitor dell'ospedale si mescolano i battiti cardiaci dei due uomini, ma la linea di uno dei due deve appiattirsi per poter permettere la degna conclusione dell'esistenza dell'altro Mercoledì 19 novembre FUNNY GAMES di Michael Haneke (Funny Games) Interpreti Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart, Brady Corbet, Boyd Gaines. Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007 - 111 minuti. Ray e Ken vengono spediti a Bruges dal loro capo Henry, un implacabile gangster inglese permaloso e un tantino psicopatico. I due killer irlandesi dallo spiccato humor nero si trasformano così in due maldestri turisti costretti a nascondersi e a ingannare il tempo in attesa di istruzionI. Perennemente in bilico tra sarcasmo e tragedia, permeato dallo stesso tagliente humor irlandese che caratterizza anche tutte le sue opere teatrali, “In Bruges“ è il film d'esordio alla regia di Martin McDonagh. Un'opera prima di grande impatto emotivo, un'avventura al limite del mistico, alla scoperta della natura umana che racconta il viaggio, dell'anima e del corpo, di tre criminali alla ricerca di se stessi, tre uomini schiacciati dai sensi di colpa in colpa in cerca di redenzione dopo una vita spesa all'insegna del peccato. Luci e ombre, monotonia ed eccitazione, dramma e commedia, atmosfere dark e romantiche, antiche verità e misteri convivono da sempre in questo luogo incantato che a vederlo sembra uscito da una fiaba. Contrasti che rendono unico questo film, tutti racchiusi nel celebre passato di questa ridente cittadina delle fiandre occidentali che ha fatto letteralmente innamorare McDonagh, e che ha prestato non solo il nome, ma ogni angolo, ogni piazza, ogni canale e ogni sua meraviglia architettonica alla realizzazione di questa interessante produzione britannica: Bruges è uno degli incantevoli protagonisti di questa surreale e brillante storia scritta e diretta senza fronzoli ma con un pizzico di istintiva crudeltà da La scommessa di “Cloverfield“ aveva una posta decisamente alta. La sfida non da poco di realizzare oggi, ancora in pieno post 11/9, un monster-movie, un film catastrofico ambientato in quel di New York. Ma il regista Matt Reeves ed il diabolico produttore J.J. Abrams la loro scommessa la vincono a mani basse. La vincono per due motivi, o, se volete, su due differenti livelli: il primo è quello di un film che gli anglosassoni definirebbero "a hell of a ride", teso e avvincente, in grado di catturarti e di stupirti per la spettacolarità delle scene, per la misura e l'intelligenza con le quali l e distruzioni vengono mostrate (o non mostrate), in grado di farti appassionare alle vicende dei giovani protagonisti; il secondo e conseguente - è quello di un film che per stile, forma e scelte narrative si rivela l'unica via possibile al cinema catastrofico dopo il crollo delle Torri Gemelle. Raccontato unicamente attraverso l'occhio di una videocamera digitale, che documenta l'impresa di alcuni amici impegnati nel disperato tentativo di salvare l'amata da uno di loro “Cloverfield“ ha il suo centro narrativo non nel mostro o nella devastazione della città di New York, ma nei suoi protagonisti, nei personaggi, nelle lororelazioni. Protagonisti che sono amici, fratelli, fidanzati, innamorati. Persone che devono fare i conti con i loro sentimenti prima ancora che con il disastro che gli si para di fronte. Dopo l'11/9 mostrare è sostanzialmente inutile, poiché nulla che il cinema può rappresentare sarà mai tanto sconvolgente quanto quel che abbiamo visto quel giorno alla televisione. Certo, quel che “Cloverfield“ mostra della New York devastata ci colpisce, ma - complici anche numerosi riferimenti più che espliciti (i crolli, le nuvole di polvere, i fogli che volano nell'aria) - la nostra immaginazione torna sempre lì. A quel che è già accaduto. Quel che resta, quello che è sempre nuovo, imprevedibile, rinnovabile, siamo noi, sono i nostri legami, le persone care, i nostri sentimenti. E la scelta della videocamera non serve solo a rimandare ai documenti reali dell'11/9 ma è funzionale alla memoria: alla necessità di raccontare non un evento, ma delle persone, la loro vita, i loro sentimenti. La loro morte. Mercoledì 3 dicembre NON È UN PAESE PER VECCHI di Ethan Coen, Joel Coen (No Country for Old Men) Paganini non ripete, Michael Haneke sì. A undici anni dal primo “Funny Games“, il regista austriaco torna sul luogo del delitto, anche se è un altrove, si diverte a fotocopiare un'opera che aveva fatto all'epoca molto scalpore, per gettarla in pasto al pubblico anglofono, e in particolare agli americani,che di sottotitoli e lingue diverse dalla propria non vogliono proprio sentir parlare. Allora riecco i suoi giochi divertenti e spietati masticati beffardamente in inglese, escogitati e subiti da nomi noti del panorama hollywoodiano, anche se Naomi Watts è nata in Gran Bretagna, ma cresciuta in Australia, mentre Tim Roth è così inglese da aver ottenuto il suo primo successo come attore in un tv movie intitolato “Made in Britain“. Interpreti Tommy Lee Jones, Javier Bardem, Josh Brolin, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Garret Dillahunt. Stati Uniti 2007 - 122 minuti. Cominciamo col dire che “No Country for Old Men“ non solo è un bellissimo film, ma è in realtà il film che tutti gli amanti del cinema dei fratelli Coen aspettavano, perché rappresenta contemporaneamente un ritorno al cinema più noir e sanguinolento del primo periodo ma allo stesso tempo non rinuncia ai personaggi eccentrici e così profondamente vitali (e divertenti) dei vari “Fargo“ o “Il grande Lebowski“. Tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, lo script prende avvio in Texas con il ritrovamento da parte di Llewelyn di due milioni di dollari appartenuti a dei trafficanti di narcotici, e si trasforma presto in una caccia tra gatto e topo, in cui si inserirà un serial killer psicopatico e, ovviamente, la polizia locale. Che ci troviamo di fronte ad un Coen autentico lo si capisce dalla straordinaria caratterizzazione dei personaggi che appare evidente fin dalla prima sequenza. Quanto più la storia è semplice e lineare, tanto più i due fratelli possono sfruttare le loro straordinarie doti narrative nel pennellare dialoghi memorabili e personaggi eccentrici (se non completamente folli) come da migliore tradizione, ma al tempo stesso reali, così come reali sono le problematiche che si portano appresso, come la stanchezza di vivere e l'ineluttabilità della morte, non solo degli uomini stessi ma anche dei valori in cui essi credono. Sono tanti gli elementi che risuoneranno familiari per i conoscitori del cinema dei terribili fratelli minnesotani, ma si tratta di piacevoli richiami, mentre il film comunque mantiene una sua indipendenza e scorrevolezza nonostante le due ore piene di durata. Molto d'atmosfera i paesaggi splendidamente fotografati dal fedele Roger Deakins, che come sempre hanno un ruolo di grande rilevanza per un cinema profondamente calato nella provincia americana come quello di Joel Coen e Ethan Coen. Mercoledì 17 dicembre BE KIND REWIND - GLI ACCHIAPPAFILM di Michel Gondry (Be Kind Rewind) Interpreti Jack Black, Mos Def, Danny Glover, Mia Farrow, Melonie Diaz, Irv Gooch, Chandler Parker. Stati Uniti 2007 - 98 minuti. Be Kind Rewind è un lavoro proteiforme, complesso e stratificato che dietro il paravento della facile etichetta di genere nasconde un'anima molteplice e sfuggente. La prima possibile chiave di lettura ci viene offerta dallo stesso regista con gli splendidi titoli di testa che introducono fin da subito lo spettatore nel piccolo mondo antico della comunità di Passaic, isola felice a ridosso di New York dove la dimensione comunitaria ha ancora un peso preponderante. La raffinata eleganza delle immagini e il bianco e nero d'epoca ci iniziano al vero fulcro della pellicola: l'omaggio a un glorioso passato personificato nella figura dell'eroe locale, il pianista jazz afroamericano Fats Waller, omaggio che culminerà nelle struggenti riprese collettive di un film dedicato al mitico jazzista e realizzato artigianalmente dai suoi concittadini. E proprio questo 'fare insieme' rappresenta l'essenza costitutiva della pellicola di Gondry, il concetto che permea questo lavoro fotogramma dopo fotogramma è la celebrazione dell'atto creativo puro e semplice, genuino, povero, spontaneo, poetico. La filosofia che sottende “Be Kind Rewind” non può non riportare alla mente lo straordinario omaggio tratteggiato da Tim Burton in “Ed Wood”, lucida e toccante biografia perché incredibilmente focalizzata su ciò che per Burton rappresenta l'essenza stessa del cinema: la passione pura per il medium cinematografico, la fiducia incrollabile nei propri mezzi anche quando questi sfiorano il dilettantismo e l'entusiasmo inesauribile che permette di superare qualunque ostacolo. TABORELLI ANGELO s.a.s. SOLUZIONI PER LʼUFFICIO Via I° Maggio 3 - 22070 Montano Lucino (Como) - telefono 031 471 688 - fax 031 471 688 Via Adamo del Pero 23 Como - telefono 031 264 481 www.taborelli.it I LUNEDì del CINEMA I FILM del MERCOLEDÌ LUNEDÌ dal 15 settembre al 22 dicembre 2008 MERCOLEDÌ dal 1 ottobre al 17 dicembre 2008 Lunedì 15 settembre spettacolo unico ore 21 Mercoledì 1 ottobre rassegna di cinema internazionale d’autore IL DIVO di Paolo Sorrentino Italia 2008 ai confini del cinema LETTERE DA IWO JIMA di Clint Eastwood Stati Uniti 2006 Mercoledì 8 ottobre Lunedì 22 settembre LA BANDA di Eran Kolirin Israele/Francia 2007 L'ALBERO DELLA VITA di Darren Aronofsky Stati Uniti 2006 Mercoledì 15 ottobre Lunedì 29 settembre AWAY FROM HER di Sarah Polley Canada 2006 MONGOL di Sergei Bodrov Russia/Germania 2007 Mercoledì 22 ottobre Lunedì 6 ottobre LA ZONA di Rodrigo Plà Spagna/Messico 2007 IL PETROLIERE di Paul Thomas Anderson Stati Uniti 2007 Mercoledì 29 ottobre Lunedì 13 ottobre LA FAMIGLIA SAVAGE di Tamara Jenkins Stati Uniti 2007 GO GO TALES di Abel Ferrara Stati Uniti 2007 Mercoledì 5 novembre Lunedì 20 ottobre UNA BALLATA BIANCA di Stefano Odoardi Italia/Olanda 2006 IN BRUGES di Martin McDonagh Gran Bretagna/Belgio 2008 Mercoledì 12 novembre Lunedì 27 ottobre IL TRENO PER IL DARJEELING di Wes Anderson Stati Uniti 2007 ONORA IL PADRE E LA MADRE di Sidney Lumet Stati Uniti 2007 Mercoledì 19 novembre Lunedì 3 novembre SOTTO LE BOMBE di Philippe Aractingi Francia/Gran Bretagna/Libano 2007 FUNNY GAMES di Michael Haneke Gran Bretagna/Stati Uniti/Austria 2007 Mercoledì 26 novembre Lunedì 10 novembre MARS di Anna Melikian Russia 2006 CLOVERFIELD di Matt Reeves Stati Uniti 2008 Mercoledì 3 dicembre Lunedì 17 novembre L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA di Cao Hamburger Brasile 2006 Lunedì 24 novembre INTERVIEW NON È UN PAESE PER VECCHI di Ethan Coen e Joel Coen Stati Uniti 2007 Mercoledì 17 dicembre BE KIND REWIND di Michel Gondry Stati Uniti 2007 di Steve Buscemi Stati Uniti 2007 Lunedì 1 dicembre ALEXANDRA di Aleksandr Sokurov Russia 2006 Lunedì 8 dicembre INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO di Elio Petri Italia 1970 Lunedì 15 dicembre NOI DUE SCONOSCIUTI di Susanne Bier Stati Uniti/Gran Bretagna 2007 Lunedì 22 dicembre FILM ANTEPRIMA 2009 Circolo Arci Xanadù CINEMA GLORIA Via Varesina 72 Como 031 - 4491080 [email protected] www.arcixanadu.it Ingressi Intero € 7 - Soci Arci € 5 - Ridotto (studenti - over 65) € 4 Tessera 20 film a scelta su 27 (lunedì e mercoledì) € 60 Tessera 10 film a scelta su 27 € 35