SOMMARIO n. 101/102 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 101/102 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO n. 101/102 Anno XV (nuova serie) n. 101-102 settembre-dicembre 2009 Abbracci spezzati (Gli) ....................................................................... 2 Bimestrale di cultura cinematografica Alibi perfetto (Un) ............................................................................... 34 Edito dal Centro Studi Cinematografici Astroboy ............................................................................................ 10 Barbarossa ........................................................................................ 38 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Bastardi senza gloria ......................................................................... 23 Biancaneve e gli 007 Nani ................................................................. 3 Brothers ............................................................................................. 26 Cado dalle nubi .................................................................................. 13 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Capitalism: A Love Story ................................................................... 20 Chrstimas Carol (A) ........................................................................... 42 500 giorni insieme ............................................................................. 33 District 9 ............................................................................................ 37 Dorian Gray ....................................................................................... 17 2012 ................................................................................................... 28 Dura verità (La) .................................................................................. 25 Si collabora solo dietro invito della redazione Eva e Adamo ..................................................................................... 12 Fà la cosa sbagliata – The Wackness ............................................... 43 Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Funny People ..................................................................................... 30 Hachiko – Il mio migliore amico ......................................................... 19 Io, loro e Lara ..................................................................................... 48 Isola delle coppie (L’) ......................................................................... 52 Jennifer’s Body .................................................................................. 22 Julie & Julia ........................................................................................ 55 Land of the Lost ................................................................................. 7 Mar Nero ............................................................................................ 11 Moon .................................................................................................. 49 Natale a Beverly Hills ........................................................................ 44 Nemico pubblico ................................................................................ 8 Prima linea (La) ................................................................................. 50 Principessa e il ranocchio (La) .......................................................... 16 Racconti dell’età dell’oro .................................................................... 57 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Luca Caruso Gianluigi Ceccarelli Chiara Cecchini Marianna Dell’Aquila Silvio Grasselli Elena Mandolini Diego Mondella Fabrizio Moresco Danila Petacco Francesca Piano Manuela Pinetti Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Ragazza che giocava con il fuoco (La) .............................................. 5 Ricatto d’amore ................................................................................. 47 S.Darko .............................................................................................. 39 Segreti di famiglia .............................................................................. 35 Senza amore ..................................................................................... 9 Serious Man (A) ................................................................................ 53 Sherlock Holmes ............................................................................... 31 Smile .................................................................................................. 40 Soul Kitchen ..................................................................................... 14 Uomo che fissa le capre (L’) .............................................................. 46 Viaggio di Jeanne (Il) ......................................................................... 4 Tutto Festival Cannes 2009 ............................................................ 59 Tutto Festival Pesaro 2009 .............................................................. 63 Film Tutti i film della stagione GLI ABBRACCI SPEZZATI (Los abrazos rotos) Spagna, 2009 Regia: Pedro Almodóvar Produzione: Augustín Almodóvar, Esther García per El Deseo S.A./Universal International Pictures (UI) Distribuzione: Warner Bros. Prima: (Roma 13-11-2009; Milano 13-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Pedro Almodóvar Direttore della fotografia: Rodrigo Prieto Montaggio: José Salcedo Musiche: Alberto Iglesias Scenografia: Antxón Gómez Costumi: Sonia Grande Produttore esecutivo: Agustín Almodóvar Direttore di produzione: Sergio Díaz, Toni Novella Casting: Luis San Narciso Aiuti regista: Guillermo Escribano, Ferran Rial, Daniel Rivero, Andrea Vázquez Operatore: Diego Leco ateo Blanco era un regista, oggi si fa chiamare Harry Caine, è uno scrittore cieco e vive cercando solo di godersi la vita. È accudito dalla sua assistente di produzione Judit e da suo figlio Diego, aspirante sceneggiatore e regista. Un giorno, Mateo, scosso dalla notizia della morte dell’imprenditore Ernesto Martel, ripensa al passato e a quando aveva conosciuto quell’uomo. Madrid 1992. Martel ha una segretaria affascinate, Lena, una ragazza dalla vita difficile. Il padre è molto malato e la ragazza chiede aiuto a Ernesto per farlo ricoverare. Due anni dopo, nel 1994, Lena è la nuova compagna di Martel. Il figlio dell’industriale, Ernesto, non vede di buon occhio la relazione. Intanto nel 2008 un aspirante regista Ray X, si presenta alla porta di M Art director: Victor Molero Trucco: Ana Lozano Acconciature: Massimo Gattabrusi Suono: Miguel Rejas Interpreti: Penélope Cruz (Lena), Lluís Homar (Mateo Blanco/ Harry Caine), Blanca Portillo (Judit García), José Luis Gómez (Ernesto Martel), Rubén Ochandiano (Ray X), Tamar Novas (Diego), Ángela Molina (madre di Lena), Chus Lampreave (portiera), Kiti Manver (Madame Mylene), Lola Dueñas (lettrice di labbra), Mariola Fuentes (Edurne), Carmen Machi (Chon), Kira Miró (modella), Marta Aledo (Maribel), Rossy de Palma (Julieta), Alejo Sauras (Álex), Asier Etxeandía (cameriere cieco), Ramón Pons (padre di Lena), Javier Coll (Luis), Chema Ruiz (dr. Blasco), Fernando Lueches (montatore) Durata: 129’ Metri: 3550 Mateo e gli propone una sua idea per un film: la vendetta di un figlio contro suo padre che gli ha rovinato la vita, un padre omofobo e violento, che si è sposato due volte. Solo dopo la morte del padre il giovane può rifarsi una vita ed è la sua salvezza e la sua rivincita. Mateo non accetta di fare quel film. Il giovane gli lascia il suo numero di telefono. Diego rivede quel giovane in una foto di scena di un film diretto da Mateo nel 1994: Ray X è in realtà Ernesto, il figlio di Martel. Diego pensa insieme a Mateo la sceneggiatura per un film, una storia di vampiri. Una sera, in discoteca, Diego mescola per errore due sostanze stupefacenti con l’alcool e finisce all’ospedale. In convalescenza, dopo essere stato sei ore in coma, è accudito da Mateo che gli racconta i fatti risalenti al 1994. Men- 2 tre è in procinto di girare il suo nuovo film, Mateo riceve la visita dell’amante di Martel, Lena, che chiede un provino. Lena viene scritturata e inizia le riprese del film di cui Ernesto è produttore. Mateo è stregato da Lena e ben presto tra i due si accende la passione. Ernesto fa spiare Lena e Mateo dal figlio che riprende i loro incontri e si fa tradurre i dialoghi da un’esperta di linguaggio labiale. Martel scopre la relazione e affronta Lena spingendola giù per le scale di casa. Tornata dall’ospedale ingessata, Lena chiede a Ernesto di poter finire il film, in cambio lei promette di restare a vivere con lui. Sul set, la donna chiede a Mateo di cambiare la sceneggiatura in funzione del suo handicap fisico ma di finire il film prima possibile. Terminate le riprese, Lena e Mateo fuggono sull’isola di Lanzarote. Dopo un mese, i due leggono la notizia che c’è stata la prima del film che Martel ha montato senza il consenso di Mateo. Il film è un pasticcio privo di senso che mette in ridicolo il regista e la sua attrice. Una sera, i due in auto vengono travolti da un’auto pirata: nell’incidente Lena muore e Mateo si salva ma perde la vista. Judit va a recuperare Mateo sull’isola e si prende cura di lui. Mateo cambia nome in Harry Caine e diventa scrittore. Si torna al presente, Diego e Mateo tengono segreto l’incidente del giovane a Judit. La donna racconta la verità sul film di Mateo. Judit era stata testimone di quello che aveva fatto Martel per vendicarsi di Mateo: il produttore aveva scelto i peggiori ciak per trasformare il film in un mostro. Inoltre Martel assunse diversi investigatori per cercare Mateo e Lena e poi mandò suo figlio a Lanzarote. Ma il figlio non ebbe nulla a che fare con l’incidente; il Film giovane assistette allo schianto da un’altra auto e fu il primo a correre in aiuto. Il giorno dopo, Judit rivela a Diego che Mateo è suo padre. Poi confessa a Mateo di aver conservato tutto il materiale non utilizzato del film. Recuperate le riprese fatte dal figlio di Ernesto a Lanzarote, Mateo rivede la scena dell’incidente e rivive l’ultimo bacio con Lena. Quattordici anni dopo, Mateo monta il materiale girato e mostra una scena del suo film Ragazze e valigie. Poi chiede a Diego e a Judit se debba continuare a montare e finire il suo film. ffetto cinema”. Parafrasando Effetto notte, “il” capolavoro sul cinema di François Truffaut, si potrebbe definire così l’ultimo film di Almodóvar. Senza dubbio Gli abbracci spezzati è più di ogni altra opera del maestro spagnolo, un film sul cinema, anzi, un atto di incondizionato amore. Più che mai. Il cinema e chi lo fa, il cinema e chi lo guarda. Sempre un occhio. L’occhio umano. L’occhio che può e che deve vedere, ma che vede spesso solo parzialmente. Il “piacere degli occhi” (rubiamo ancora l’espressione a Truffaut, usando il titolo di una sua celebre raccolta di scritti) che può diventare causa di dolore. Fisico e non. E può arrecare sofferenza al suo primo creatore, il regista, per il quale può essere doloroso, ma necessario, portarlo a termine (“I film vanno sempre finiti” afferma nel finale). L’occhio è in primo piano, fin dalla prima folgorante scena. Un regista ha perso l’uso degli occhi, è diventato scrittore (un regista cieco si, come il regista Woody Allen in Hollywood Ending). Si chiamava Mateo Blanco (“bianco” come lo schermo che un regista deve riempire di immagini, o come il foglio che un scrittore deve riempire di parole) ora si chiama Harry Caine (che letto tutto di fila suona come Hurricane, uragano). Ma il cinema è troppo importante e bisogna farlo bene anche se non si può vederlo. E così alla fine il regista cieco si rimette al lavoro e monta di nuovo il suo film. Almodóvar riflette sempre di più sul suo mestiere, ma forse è meglio chiamarla arte, almeno nel suo caso. E si interroga, anzi scandaglia l’unità minima del cinema, l’immagine, il singolo fotogramma e su cosa può dire (la tecnica della lettura del linguaggio labiale). Guarda le immagini e a che cosa si può arrivare manipolandole. Come il maestro Antonioni osservava le infinite possibilità di ingrandire la singola fotografia in Blow-up, così Almodóvar gioca con l’immagine. All’infinito. Non può ancora una volta non omaggiare i suoi maestri e qui lo fa ancora di più, Antonioni (quell’amples- “E Tutti i film della stagione so sotto le lenzuola!), Truffaut, Rossellini, Hitchcock, Sirk. Quali sono gli abbracci spezzati? Sono quelli dei due amanti innanzitutto, spezzati per sempre in un incidente. Ma non solo, qui tutto è spezzato. L’amore dei due innamorati, il film (spezzettato e montato male dal vecchio Martel, poi ricostruito da Mateo), le fotografie degli amanti conservate in un cassetto dall’ex regista diventato scrittore; e poi la vista e perfino la vita (Harry Caine, scrittore cieco, vive un legame ‘spezzato’ con il mondo). Tutto è spezzato, oltre che sdoppiato. Un regista-scrittore che ha due nomi, un padre e un figlio che hanno lo stesso nome, una donna che è segretaria e poi attrice. Doppia è la storia d’amore, l’uomo d’affari e la sua segretaria, il regista e la ‘sua’ attrice (un’attrice e i suoi mille bellissimi volti, la scena della prova di trucchi e parrucche resterà indelebile nella memoria di tutti i cinefili). E poi doppio è il piano del racconto, quello della realtà e quello della finzione cinematografica. Realtà e finzione, realtà e immaginazione del cinema. I diversi piani. La realtà, il film girato, e il ‘making of’ girato dal figlio del produttore, che consente di scoprire il tradimento grazie alla lettura del labiale (che omaggio al cinema!). Virtuosismi da capogiro. Legami. Ancora una volta. Mariti, mogli, amanti, madri, un padre e un figlio “legati” indissolubilmente dalla passione-ossessione per il cinema. Amore, passione, tradimento, colpa, gelosia, morte. Il film è un almodramma nero. Ma il rosso è ancora una volta ‘il’ colore ‘di’ Almodóvar. Il rosso fiammeggia, s’infiamma e infiamma gli animi (soprattutto) di chi ama il cinema. Il rosso del tailleur della protagonista (Penélope Cruz, sempre più ‘musa’ del regista mancheco, non è mai stata così bella) in una delle scene (melo)drammaticamente più forti del film, il rosso dei suoi tacchi a spillo inquadrati (che feticcio!) in primo piano, il rosso dell’immancabile gazpacho preparato dalla protagonista nella scena del film ricostruito nel finale (e qui il maestro autocita le sue Donne sull’orlo di una crisi di nervi). Il colore rosso e il paesaggio nero. Il paesaggio è ancora una volta funzionale agli stati d’animo. E la fuga sull’isola di Lanzarote, un luogo non-luogo, paesaggio nero, vulcanico, lunare, straniante, lontano dalla quotidianità di Madrid. Nella sua asperità e nei suoi scorci selvaggi, può essere paragonato all’isola deserta di L’avventura o al Deserto rosso di Antonioni. Gli amanti fuggono lì, in un ultimo e disperato tentativo di vivere il loro amore. E la scena dei due abbracciati nel cottage davanti al film-omaggio Viaggio in Italia di Rossellini ne è l’immagine più vividamente potente. Il loro ‘viaggio’ (d’amore) è quasi alla fine. Ma, in fondo, il cinema non è poi nient’altro che un viaggio, come la vita? Eccoci al grado zero, il cinema che narra il suo stesso farsi. Una dichiarazione d’amore totale al cinema inteso come veicolo di emozioni. Fonte di dolore e di gioia, come la vita che va accettata e amata, immancabilmente, fino al “the end”. E quando questa dichiarazione è fatta con arte magistrale, ma soprattutto con veemente passione, non c’è niente di più bello. Elena Bartoni BIANCANEVE E GLI 007 NANI (Happily NEver After 2) Stati Uniti, 2009 Regia: Steven E. Gordon, Boyd Kirkland Produzione: Loris Kramer Lunsford, Jason Netter, Susan Norkin per BAF Berlin Animation Film/ Kickstart Productions Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 2-10-2009; Milano 2-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Chris Denk Musiche: Paul Buckley Casting: Bernie Van De Yacht Effetti visivi: Michael Crippin Voci: David Lodge (Rumpelstiltskin), Helen Niedwick (Biancaneve), Kelly Brewer (Re Cole), Cindy Robinson (Lady Vanity), Jim Sullivan (Mambo), Kirk Thornton (Munk) Voci italiane: Antonella Clerici (Biancaneve), Jerry Calà (lo Specchio), Laura Boccanera (Lady Vanity), Fabrizio Pucci (Re Cole), Davide Lepore (Monk), Daniele Giuliani (Mambo) Durata: 75’ Metri: 1930 3 Film ue improbabili cantastorie, Mambo e Munk, raccontano e seguono le sorti di una fiaba. Nella Terra delle Favole vive il Re Cole, la Regina Grace e la piccola principessa Biancaneve. Grace, oltre a essere bella, è anche generosa e altruista e per questo amata da tutto il popolo. Biancaneve ne segue le orme, mentre, fra i sudditi c’è una ragazza brutta che vorrebbe diventare lei stessa regina. Grace si ammala e muore. Biancaneve cresce senza la sua figura, diventando così un’adolescente viziata ed egoista che gira tutta la notte per locali e discoteche assieme alle fidate amiche. Durante un torneo serale, conosce il bel Peter, buono d’animo e cresciuto in uno degli orfanotrofi voluti dalla Regina Grace. I due si piacciono subito, ma Peter appena comprende il carattere di Biancaneve l’abbandona in mezzo alla pista da ballo. La principessa ne resta delusa. Dopo l’ennesimo rientro all’alba, Re Cole capisce che si deve risposare per dare una guida alla figlia; chiede così aiuto all’agenzia matrimoniale di Fata Madrina. Intanto Mambo ha rotto la bilancia che detiene il bene e il male nelle favole, facendola pendere dalla parte del male. Inizia la selezione per la futura regina che non porta a buoni frutti, finchè non compare Lady Vanity, praticamente identica alla defunta regina. Lady Vanity, altri non è che quella ragazza che voleva a tutti i costi diventare regina e che ha stretto un patto con lo stregone Rumpy e lo Specchio Magico, che ha cambiato il suo aspetto. Contraria alle nozze, Biancaneve si attira le inimicizie della perfida Lady Vanity, che escogita un piano coi suoi lacchè: far mangiare alla principessa una mela avvelenata che le faccia dire tutto il male, anche non pensato, di ogni singolo amico e suddito. Il gossip si diffonde subito. Biancaneve, non ricordando nulla, si sente ingiustamente accusata e fugge nella forersta. Mentre Lady Vanity imperversa e chiede persino due guardie del corpo, fra cui c’è Peter, Biancaneve conosce i 7 nani, un tempo fidati amici della madre. Capendo che Biancaneve non è la principessa che dovrebbe essere, i nani decidono di farle un corso intensivo di bontà per farla diventare una vera grande regina. Intanto Mambo e Munk tentano di fermare inutilmente Lady Vanity. Peter scopre quanto sia malvagia la futura regina e corre in cerca di Biancaneve. La troverà, con sua gioia e sorpresa, visibilmente cambiata: ha persino aperto un centro d’aiuto. I due giungono proprio mentre Re Cole sta per sposarsi. Lady Vanity tenta di uccidere Biancaneve, ma sia Peter che Re Cole la difendono. Lo Specchio Magico si rompe rivelando le vere sembianze di Lady D Tutti i film della stagione Vanity, che, per volere di Biancaneve, viene mandata fra i nani quale nuova ragazza da aiutare. Biancaneve viene accolta nuovamente nel Regno come principessa amata da tutti, soprattutto da Re Cole e da Peter. ’era una volta una favola, poi arrivò la parodia della favola. Dissacrare le fiabe è una moda degli ultimi anni. Ogni film d’animazione riesce comunque a mantenere all’interno un messaggio positivo, tipico delle storie della buonanotte. Il capostipite Shrek docet: bisogna andare oltre l’apparenza. Con Biancaneve e gli 007 Nani è tutt’altra storia. Senza andare per il sottile: è un disastro. L’intento dei due registi Steven E. Gordon e Boyd Kirkland, sarebbe quello di svecchiare la favola e renderla maggiormente moderna. Il mondo in cui si muove Biancaneve è qui costituito da locali notturni, pettegolezzi e musica pop: purtroppo non basta. E neanche introdurre musica pop e cellulari non è la giusta chiave di lettura. La storia viene raccontata da due cantastorie che dovrebbero ricoprire il ruolo di spalle dei protagonisti e costituire la parte comica del film: siamo lontani anni luce da personaggi come Dory di Alla ricerca di Nemo, oppure il granchio Sebastian in La sirenetta. La sceneggiatura è banale e mancante dei momenti cardine, che fanno risultare il film privo di concatenazione di eventi logici. I personaggi sembrano unidi- C mensionali e noiosi; in primis, la protagonista stessa, così anche i dialoghi che sono mal scritti. In oltre la qualità dell’animazione è al di sotto della media. La fluidità dei movimenti è decisamente scarsa e talvolta persino fastidiosa, nonché gli stessi tratti fisionomici dei personaggi sono realizzati con troppa semplicità, a differenza di altri lungometraggi d’animazione come la grafica di Le avventure del Topino Despereaux, dove ogni singolo segno ha una motivazione simbolica ben precisa. Purtroppo il doppiaggio italiano non contribuisce a risollevare le sorti del film. Antonella Clerici, Biancaneve, non riesce a trasmettere nessuna emozione e non apporta alcun cambiamento nel tono di voce: in sostanza è una voce priva di interpretazione. Jerry Calà utilizza le sue battute più celebri e le mette in bocca al povero Specchio Magico: sentirlo pronunciare “libidine e doppia libidine” riferito a Biancaneve è proprio deprimente. La morale c’è: il bello di noi non và costruito guardandosi allo specchio, ma facendo del bene a chi ha bisogno di appoggio e aiuto. Ma c’è solo questo. Un film d’animazione che annoia non solo adulti, che comunque negli ultimi tempi hanno potuto divertirsi anche loro coi cartoni, ma persino i bambini. Forse sarebbe più adatto ai dvd. Forse. Elena Mandolini IL VIAGGIO DI JEANNE (Les grandes personnes) Francia/Svezia, 2008 Regia: Anne Novion Produzione: Christie Molia per Moteur S’il Vous Plaît/dfm Fiktion/ Film i Väst; con la partecipazione di Centre National de la Cinématographie (CNC)/TPS Star/CinèCinéma; il supporto di Eurimages/Swedish Film Institute e in associazione con La Banque postale Image/Uni Étoile 5 Distribuzione: Bolero Film Prima: (Roma 20-11-2009; Milano 20-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Béatrice Colombier, Anne Novion, Mathieu Robin e la partecipazione di Xabi Molia Direttore della fotografia: Pierre Novion Montaggio: Anne Souriau Musiche: Pascal Bideau Scenografia: Gert Wibe Costumi: Fabio Perone, Sara Pertmann Co-produttore: Olivier Guerpillon Direttore di produzione: Martina Eriksdotter, Elisabeth Perez Casting: Bouchra Fakhri Aiuti regista: Franck Heslon, Marie Aubert Art director: Gert Wibe Trucco: Lucky Nguyen Interpreti: Jean-Pierre Darroussin (Albert), Anaïs Demoustier (Jeanne), Judith Henry (Christine), Lia Boysen (Annika), Jakob Eklund (Per), Anastasios Soulis (Magnus), Björn Gustafsson (Johan) Durata: 84’ Metri: 2300 4 Film eanne, una ragazza francese di 17 anni, parte con suo padre Albert per festeggiare il suo compleanno su un’isola svedese. Arrivati a destinazione, scoprono che, per un disguido, la casa da loro affittata è abitata dalla proprietaria Annika e dalla sua amica Christine. Vista l’alta stagione, le due donne non sanno dove andare; così Albert, seppur a malincuore, propone loro di rimanere lì. Jeanne, affascinata da queste due signore, trascura un po’ il padre, completamente immerso nella ricerca di un fantomatico tesoro vichingo presente, secondo un vecchio libro, nell’isola. La ragazza, grazie all’esuberanza di Annika, inizia a frequentare altri coetanei e si innamora di un ragazzo del luogo. Per passare una serata con lui, mente al padre e trascorre tutta la notte fuori casa. Purtroppo l’incontro non va come dovrebbe e Jeanne si ritrova ad amoreggiare con un ragazzo che non le piace. In più al, suo ritorno, a casa trova un padre furibondo che copre lei e le altre due donne di insulti. Il mattino seguente Albert, ancora arrabbiato, parte da solo verso un isolotto in cui, sempre secondo il libro, si dovrebbero trovare degli indizi sul tesoro, ma ormeggia male la canoa che prende il largo. L’uomo si ritrova solo e impossibilitato a comunicare. Passano le ore, arriva la sera e le tre donne iniziano a preoccuparsi. Viene allertata la polizia e verso l’alba l’uo- J Tutti i film della stagione mo viene ritrovato. Ritornato sull’isola Albert chiama la figlia e le chiede scusa. mpossibile non pensare a Monsieur Hulot, mentre si guarda Albert che con uno strano marchingegno cerca un tesoro vichingo davanti a due signore attonite. E, allo stesso modo, è difficile concentrarsi sui paesaggi svedesi senza il richiamo involontario a Bergman. Ma non è un caso. Basta spulciare nelle note biografiche della regista Anna Novion (madre svedese e padre francese) per comprendere la ferma volontà di unire due scuole di cinema nella sua opera prima Il viaggio di Jeanne. Senza indugiare troppo sulle eventuali implicazioni personali della regista, la pellicola racconta il delicato rapporto fra un padre Albert, bizzarro bibliotecario abbandonato dalla moglie, e sua figlia adolescente, Jeanne, durante un viaggio in un’isoletta scandinava. La scelta del luogo di villeggiatura non è casuale, Albert, infatti, spera di scovare tra i fiordi un tesoro vichingo di cui ha letto in uno dei suoi tanti libri. Jeanne è rassegnata, quasi compatisce quel padre così bislacco; per questo, quando un inconveniente la costringerà a condividere la casa con due donne troverà, il tutto estremamente eccitante. Le due signore in questione, all’apparenza disinibite ed emancipate, sembrano aprire le porte di un mondo che per Jeanne è sconosciuto e, allo stesso tempo, desiderato. Quella femminilità, impri- I gionata in un corpo e in un vissuto ancora acerbi, reclama a gran voce il suo ruolo nella vita della ragazza. Ogni superficie, allora, diventa specchio dove scorgere il cambiamento e ogni impulso amoroso pretesto per sogni innocenti alimentati dalla solitudine di una cameretta. Albert, però, imbrigliato nei suoi schemi, nei suoi “piani di viaggio”, non comprende determinate necessità e sentendosi escluso, o forse, semplicemente incapace di rapportarsi con mondo femminile, inizia ad essere insofferente e scorbutico. Jean Pierre Darroussin e la giovanissima Anais Demoustier sono i volti di questo conflitto; navigato interprete il primo e felice scoperta la seconda, che con uno stile fresco e naturale dà all’innocenza fanciullesca di Jeanne un’impronta di realismo veramente notevole. Novion fa il resto, con una regia composta e misurata, che non si preoccupa della lentezza, anzi, ne fa il suo punto di forza. I paesaggi grigi, il mare non fanno da sfondo, ma invitano a essere ammirati a lungo come in un acquerello di un pittore di strada, dove non c’è perfezione, ma indubbia passione. Naturalmente Tati e ancor più Bergman sono lontani e, forse, nell’idea della regista c’è solo la volontà di evocarli, omaggiarli in qualche modo, in una piccola opera che i cultori del cinema “garbato” non dovrebbero lasciarsi scappare. Francesca Piano LA RAGAZZA CHE GIOCAVA CON IL FUOCO (Flickan som lekte med elden) Svezia/Danimarca/Germania, 2009 Suono: Anders Hörling Interpreti: Michael Nyqvist (Mikael Blomkvist), Noomi Rapace (Lisbeth Salander), Lena Endre (Erika Berger), Georgi Staykov (Alexander Zalachenko), Per Oscarsson (Holger Palmgren), Sofia Ledarp (Malin Erikson), Peter Andersson (Nils Bjurman), Annika Hallin (Annika Giannini), Hans Christian Thulin (Dag Svensson), Magnus Krepper (Hans Faste), Micke Spreitz (Ronald Niedermann), Yasmine Garbi (Miriam Wu), Ralph Carlsson (Björk), Tanja Lorentzon (Sonja Modig), Michalis Koutsogiannakis (Dragan Armanskij), Alexandra Eisenstein (giornalista), Paolo Roberto (Paolo Roberto), Niklas Hjulström (Richard Ekström), Anders Ahlbom (dr. Peter Teleborian), Jörgen Berthage (agente di polizia), Jacob Ericksson (Christer Malm), Ralph Carlsson (Gunnar Björk), Magnus Krepper (Hans Faste), Reuben Sallmander (Enrico), Johan Kylén (ispettore Jan Bublanski), Donald Högberg (Jerker Holmberg), Daniel Gustavsson (Niklas Eriksson), Lisbeth Åkerman (se stessa, reporter tv), Jennie Silfverhjelm (Mia Bergman), Sunil Munshi (dr. Sivarnandan) Durata: 129’ Metri: 3550 Regia: Daniel Alfredson Produzione: Nordisk Film/Sveriges Television (SVT)/Yellow Bird Films/ZDF Enterprises Distribuzione: Bim Prima: (Roma 25-9-2009; Milano 25-9-2009) V.M.: 14 Soggetto: dal romanzo omonimo di Stieg Larsson Sceneggiatura: Jonas Frykberg Direttore della fotografia: Peter Mokrosinski Montaggio: Mattias Morheden Musiche: Jacob Groth Scenografia: Jan Olof Ågren, Maria Håård Costumi: Cilla Rörby Produttori esecutivi: Lone Korslund, Peter Nadermann Produttore associato: Jenny Gilbertsson Direttore di produzione: Tobias Åström Casting: Tusse Lande Aiuto regista: Kerstin Sundberg Operatore steadicam: Knut K. Pedersen Effetti speciali trucco: Love Larson Trucco: Jenny Fred Supervisore effetti speciali: Johan Harnesk 5 Film isbeth Salander, la ragazza che odia gli uomini che odiano le donne, abbandona il suo ricco paradiso caraibico e torna a Stoccolma senza rivelare a nessuno la propria presenza. Nel suo anno di esilio volontario, ha viaggiato in incognito, tenendosi in contatto unicamente con l’uomo mai incontrato di persona che provvede a rifornirla di denaro e a gestire il suo patrimonio. Quando scopre che Nils Bjurman, il tutore che le ha rovinato la vita, vuol farsi cancellare il tatuaggio infamante che la stessa Lisbeth gli ha inflitto, va a far visita all’uomo e lo minaccia con la di lui pistola, aggiungendo che se non continuerà a scrivere ottimi rapporti su di lei lo ucciderà. Intanto Mikael Blomkvist è tornato alla guida di Millennium; la rivista fa un nuovo acquisto, Dag, giovane giornalista investigativo che porta in dote un’inchiesta scottante su prostituzione e traffiking di fanciulle dell’est. Grazie alle ricerche per la tesi di dottorato in Criminologia di Mia, la sua fidanzata, Dag può fare nomi importanti di imprenditori, politici e poliziotti corrotti. Mikael accetta la sfida e i pericoli a essa connessi. La sera prima di andare in stampa, Mikael va all’appartamento di Dag per ritirare un fondamentale cd di fotografie, ma trova il collega e la sua fidanzata giustiziati a colpi d’arma da fuoco. Anche se sconvolti, Mikael e il resto della redazione decidono di proseguire con l’inchiesta e di pubblicarla. Intanto Lisbeth vive in clandestinità ed entra in contatto soltanto con Malin Erikson, sua ex amante. La giovane occuperà il suo vecchio appartamento, ritirando la posta di Lisbeth come se la ragazza risiedesse ancora lì. Anche Bjurman viene trovato ucciso a colpi di pistola e le impronte digitali di Lisbeth spingono la polizia ad accusare la L Tutti i film della stagione giovane di tutti e tre gli omicidi; con i suoi soliti metodi da hacker, la ragazza comunica a Mikael la sua innocenza, poi scarica dal suo computer tutti i file sull’inchiesta sul traffiking e inizia ad indagare da sola. Il nome su cui sia lei che Mikael, come era accaduto anche ai poveri Mia e Dag, è un certo Zala, pseudonimo che nasconde un personaggio con un ruolo importante. Mikael va a parlarne con l’anziano Holger Palmgren, il vecchio tutore di Lisbeth, ricoverato in un ospizio da tempo. Mentre lui gli racconta la terribile vicenda personale della giovane, che ama come una figlia, la ragazza scopre le medesima verità dai documenti rubati al defunto Bjurman. Quando aveva dodici anni, Lisbeth tentò di uccidere suo padre dandogli fuoco, perché l’uomo picchiava e violentava sua madre, che l’aveva avuta in età adolescenziale. Dopo qualche anno in un ospedale psichiatrico, la ragazzina era stata dichiarata pazza e pericolosa e affidata a lui fino al giorno del suo ictus. A quel punto era finita nelle mani di Bjurman, che ne abusò sessualmente finche lei non l’aveva ripreso di nascosto e aveva iniziato a ricattarlo. Salander, il cognome di Lisbeth, deriva da quello del padre, Alexander Zalachenko, che altri non è che quel Zala che ricorre più volte nell’inchiesta. Intanto una specie di implacabile gigante biondo è sulle tracce della ragazza, ma al vecchio appartamento trova soltanto Malin, che non sa dove sia l’amica; insieme a Paolo Roberto, un pugile suo amico che ha tentato di liberarla, rischierà la vita. Lisbeth scova il vecchio padre in una villetta apparentemente incustodita. Ma è una trappola: Zala, aiutato dal muscoloso biondo – che è fratellastro di Lisbeth – prova a ucciderla, ma il provvidenziale arrivo di Mikael la salva all’ultimo momento. Il film termina con Lisbeth e suo padre caricati sulle ambulanze. opo lo straordinario successo di Uomini che odiano le donne, anche il fan più sfegatato rimarrà deluso da questo fiacchissimo sequel. Lento, con un ritmo men che televisivo e lontano dall’adrenalina che sprizzava l’omonimo romanzo da cui è tratto, La ragazza che giocava con il fuoco è infatti un film privo di qualunque interesse. Perfino Mikael Blomkvist, sempre interpretato dal solito Michael Nyqvist, è irritante nella sua camminata eccessivamente meditabonda. Le scene d’azione sono poco presenti e mai coinvolgenti, e i tentativi di rivestirle di qualche barlume ironico cadono pesantemente nel vuoto. L’unico elemento a dare un senso al tutto è l’immarcescibile Noomi Rapace, implacabile nel suo ruolo da eroina vendicatrice, con una morale tutta da scoprire e una missione salvifica nei confronti del genere femminile che non si ferma davanti a nulla. In questo “episodio” - La ragazza che giocava con il fuoco è dichiaratamente un film di transizione: a primavera 2010 uscirà La regina dei castelli di carta, il seguito –, il personaggio di Lisbeth si tinge di atmosfere sempre più dark, con look e travestimenti che mettono in risalto le trasformazioni che la ragazza ha praticato sul proprio corpo: piercing sul viso, tatuaggi sul corpo. Una macchina da guerra che non conosce requie, dall’aspetto apparentemente esile nell’altezza ridotta e le fattezze da bambina. Non ha lavorato a favore del film, va detto, il cambio di regia: da Niels Arden Oplev, che ha diretto il primo cavandosela senza infamia e senza lode, si è passati a Daniel Alfredson, che dirigerà, purtroppo per noi, anche il terzo: “televisivo” è l’aggettivo giusto per definire il suo stile di regia. La sua descrizione di quel campione di civiltà e urbanità che immaginiamo essere la Svezia ha parecchi punti oscuri e il vero giallo per lo spettatore è arrovellarsi su come riescano a convivere gli svedesi con le temibili e numerose organizzazioni malavitose, che a quanto pare da lungo tempo si muovono con disinvoltura nel cuore più profondo della società. Argomento sulla carta interessante, eppure dimenticato lì senza troppe spiegazioni. Permane, comunque, sempre il dispiacere per la precoce dipartita di Stieg Larsson, autore dei romanzi da cui sono stati tratti i lungometraggi: non ci sarebbe dispiaciuto conoscere il suo giudizio sull’intera operazione. D Manuela Pinetti 6 Film Tutti i film della stagione LAND OF THE LOST (Land of the Lost) Stati Uniti, 2009 Regia: Brad Silberling Produzione: Marty Krofft, Sid Krofft, Jimmy Miller per Universal Pictures/ Relativity Media/ Sid & Marty Krofft Pictures/ Mosaic Media Group Distribuzione: Universal Prima: (Roma 11-12-2009; Milano 11-12-2009) Soggetto: ispirato ai personaggi di Sid Krofft e Marty Krofft dell’omonima serie TV Sceneggiatura: Chris Henchy, Dennis McNicholas Direttore della fotografia: Dion Beebe Montaggio: Peter Teschner Musiche: Michael Giacchino Scenografia: Bo Welch Costumi: Mark Bridges Produttori esecutivi: Ryan Kavanaugh, Daniel Lupi, Adam McKay, Brad Silberling, Julie Wixson Darmody Produttori associati: Jessica Elbaum, Michele Panelli-Venetis, Will Weiske Co-produttori: Joshua Church, John Swallow Direttore di produzione: Daniel Lupi Casting: Avy Kaufamn Aiuti regista: David Mendoza, Michele Panelli-Venetis, Taylor Phillips Operatori: Sion Michel, Darin Moran Operatori steadicam: Steven G. Fracol, Mark Meyers Art director: John Dexter, Maya Shimoguchi Arredatore: Lauri Gaffin Effetti speciali trucco: Bart Mixon Trucco: Simone Almekias-Siegl, Steve Artmont, Ashley Fox, Acconciature: Nanci Cascio, Bridget Cook ick Marshall è un paleontologo che è stato cacciato dal Dipartimento di Scienze Naturali e preso poco sul serio dall’intera comunità scientifica, a causa delle sue bizzarre teorie su tachioni e sulle distorsioni spaziotemporali. Dopo aver preso a calci in diretta un famoso conduttore di talk show, colpevole di averlo schernito durante l’esposizione delle sue bislacche teorie, si ritrova, suo malgrado, a lavorare come insegnante per bambini in un museo. Marshall viene spinto a terminare la sua ricerca dalla collega Holly Cantrell, una tra le poche che appoggia la sua genialità, che gli mostra un fossile con impressa la forma del suo accendino. L’incredibile scoperta spinge il paleontologo a ultimare il suo amplificatore di tachioni. Lo strano apparecchio, come dimostrano le sue teorie, permette infatti di entrare in un buco dello spazio-tempo in un universo parallelo. I due si recano allora nella Caverna del Diavolo, il luogo dove Holly aveva rinvenuto il fossile. Accompagnati da Will Stanton, un malcapitato istrione che fa loro da “caronte”, attraverso un buco R Supervisore effetti speciali: Michael Lantieri Supervisori effetti visivi: Thomas Dadras (Hammerhead Productions), Ben Grossmann (CafeFX), Richard Malzahn, Min Su Park (Wonderworld Korea), Bill Westenhofer Coordinatori effetti visivi: Beverly Abbott, Ashwin Agrawal, Wendy Geary, Harrison Goldstein, Lonnie Iannazzo, Kelly Rae Kenan (Hammerhead Productions), Kip Lewis, Tracy Park (Animation Picture Company), Kathleen Rodriguez, Aashima Taneja, Sarah Vinson Supervisori animazione: Sean McComber, Matt Shumway (Rhythm & Hues), C.J. Sarachene (Rhythm & Hues Studios) Supervisore effetti digitali: Greg Steele (Rhythm & Hues) Supervisore costumi: Lynda Foote Interpreti: Will Ferrell (Dr. Rick Marshall), Anna Friel (Holly Cantrell), Danny McBride (Will Stanton), Jorma Taccone (Chaka), John Boylan (Enik), Matt Lauer (se stesso), Brian Huskey (insegnante), Kevin Buitrago, Noah Crawford, Logan Manus, Jon Kent Ethridge (teenager), Ben Best (Ernie), Scott Dorel, Sean Michael Guess (Pakuni più anziani), Dennis McNicholas (gelataio), Chris Henchy (responsabile stage), Ana Alexander, Moran Atias, Jesse Golden, Eve Mauro, Pollyanna McIntosh, Ania Spiering (Donne Pakuni), Paul Adelstein (Astronauta, voce), Adam Behr, Daamen J. Krall (Teschi della biblioteca, voci), Ana Alexander, Moran Atias, Jesse Golden, Eve Mauro, Pollyanna McIntosh, Ania Spiering (donne Pakuni), Paul Adelstein (voce dell’atronauta), Andreas Anderson, Bobb’e J. Thompson, Sierra McCormick, Shannon Lemke, Stevie Wash Jr. Durata: 102’ Metri: 2770 spazio-temporale finiscono in una terra nella quale i dinosauri e altre pericolose creature imperversano senza restrizioni. Inseguiti da rettili, chiamati Sleestaks, Marshall, Will e Holly si lasciano guidare dal loro unico alleato, un primate di nome Chaka, che li aiuta a muoversi in quella pericolosa e ibrida dimensione in cui sono capitati. Rick, grazie a una buona dose di coraggio, riesce a ritrovare il suo macchinario e, con l’aiuto di un t-rex, sconfigge i rettili-alieni. Conquista persino il cuore della bella Holly e, dopo aver lasciato Will e Chaka nella dimensione che a loro sembra più consona, fa ritorno con successo nel nostro mondo. ’originale Land of The Lost era una serie televisiva per famiglie andata in onda dal 1974 al 1976, diventata un piccolo ‘cult’ nella storia della tv americana. Raccontava la storia della famiglia Marshall e di come questi fossero finiti in una realtà terrestre parallela, nella quale i dinosauri e altre temibili creature vagavano ancora sul pianeta. Una landa popolata da una tribù di pseudo-primati e da lu- L 7 certole simili a umani, ma particolarmente aggressive. Nonostante il budget da serie tv family, la creazione degli ambienti alla Jurassik Park era apprezzabile e quindi il pubblico come impazziva per Starsky & Hutch, i Robinson o i Visitors, seguiva con interesse i tentativi dei Marshall di ritornare a casa. In anni in cui i revival vanno per la maggiore, era più che probabile che Land of the Lost arrivasse anche al cinema. E a portarlo sugli schermi ci hanno pensato Brad Siberling e il comico Will Ferrell. Tuttavia, nonostante ci fossero le basi per il successo, vedi un regista con esperienza e un comico abituato a fare incassi, il film è risultato davvero un flop. Mantenendo le stesse premesse della serie, Siberling porta a spasso nel tempo tre personaggi, mantenendone i nomi ma cambiando i ruoli, in un mondo popolato di bizzarri alieni e creature preistoriche. Rispetto all’originale l’obiettivo è, prima di tutto, il volerne fare una parodia; secondo poi l’esigenza di rivolgersi a un target che non è proprio da “famiglia felice” (si parla con la massima facilità di sesso e droghe). Film Il problema fondamentale è che la pellicola sembra girare interamente intorno agli effetti speciali, peraltro scarsi e per nulla avanzati, non offrendo nessun tipo di ispirazione. La sceneggiatura è esile e poco coerente, così come i dialoghi e gli Tutti i film della stagione stessi personaggi, totalmente privi di profondità. Il regista si muove fra scenografie artefatte e piatte che richiamano espressamente la staticità dei teatri di posa adoperati negli anni Settanta per ricreare la preistoria all’interno degli studi, ma non riesce a ritrovare quel tocco registico che gli ha permesso di filmare due delicati movie per famiglie come Casper o Lemony Snicket -Una Serie di Sfortunati Eventi. Veronica Barteri NEMICO PUBBLICO PUBLIC ENEMIES (Public Enemies) Stati Uniti, 2009 Coordinatori effetti speciali: Don Parsons, Bruno Van Zeebroeck Supervisori effetti visivi: Dick Edwards (Invisible Effects), Fortunato Frattasio (Wildfire VFX), Ben Grossmann (CafeFX), Don Lee (Pixel Playgroung), Robert Stadd Coordinatori effetti visivi: Collin Fowler Supervisori costumi: Cheryl Beasley Blackwell, Jennifer Jobst Supervisori musiche: Bob Badami, Kathy Nelson, Nicholas Johnson (Wildfire VFX), Ben Marks, Andy Schwab Interpreti: Johnny Depp (John Dillinger), Christian Bale (Melvin Purvis), Marion Cotillard (Billie Frechette), Billy Crudup (J. Edgar Hoover), Stephen Dorff (Homer Van Meter), Stephen Lang (Charles Winstead), Channing Tatum (giovane Floyd), Leelee Sobieski (Polly Hamilton), Emilie de Ravin (Anna Patzke), David Wenham (Pete Pierpont), Giovanni Ribisi (Alvin Karpis), Rory Cochrane (W. Carter Baum), Stephen Graham (‘Baby Face’ Nelson), Lili Taylor (sceriffo Lillian Holley), John Ortiz (Phil D’Andrea), Carey Mulligan (Carole), Shawn Hatosy (John Madala), James Russo (Walter Dietrich), Matt Craven (Gerry Campbell), Branka Katic (Anna Sage), Peter Gerety (Louis Piquett), John Michael Bolger (Martin Zarkovich), Michael Bentt (Herbert Youngblood), Richard Short (Sam Cowley ), Alan Wilder ( Robert Estill ), Adam Mucci ( Harold Reinecke),Bill Camp (Frank Nitti), Spencer Garrett (Tommy Carroll), Jason Clarke (John ‘Red’ Hamilton), Christian Stolte (Charles Makley), Michael Vieau (Ed Shouse), John Kishline (guardiano Dainard), Wesley Walker (Jim Leslie), John Scherp (conte Adam), Elena Kenney (Viola Norris), Madison Dirks (agente Warren Barton), Len Bajenski (capo della Polizia Fulz), Andrzej Krukowski (Oscar Lieboldt), Casey Siemaszko (Harry Berman), Brian Connelly (Chester Boyard), Ed Bruce (Senatore Kenneth D, McKellar) Durata: 140’ Metri: 3850 Regia: Michael Mann Produzione: Michael Mann, Kevin Misher per Universal Pictures/Relativity Media/Forward Pass/Misher Films/Tribeca Productions/Appian Way Distribuzione: Universal Prima: (Roma 6-11-2009; Milano 6-11-2009) Soggetto: dal libro Public Enemies: America’s Greatest Crime Wave and the Birth of the FBI, 1933-34 di Brian Burrough Sceneggiatura: Ronan Bennett, Ann Biderman, Michael Mann Direttore della fotografia: Dante Spinotti Montaggio: Jeffrey Ford, Paul Rubell Musiche: Elliot Goldenthal Scenografia: Nathan Crowley Costumi: Colleen Atwood Produttori esecutivi: G. Mac Brown, Robert De Niro, Jane Rosenthal Produttore associato: Maria Norman Co-produttori: Bryan H. Carroll, Gusmano Cesaretti, Kevin De La Noy Direttore di produzione: Julie Herrin Casting: Avy Kaufman, Bonnie Timmermann Aiuti regista: David Kelley, Allen Kupetsky, Lucillle Ouyang, Bob Wagner, Michael Waxman Operatori: Lucas Bielan, Roberto De Angelis, John Grillo, Michael Mann Operatore steadicam:Roberto De Angelis Art directors:Patrick Lumb, William Ladd Skinner Arredatore: Rosemary Brandenburg Supervisore effetti speciali trucco: Gregory Nicotero Effetti speciali trucco: Rob Hinderstein Trucco: Laura Calvo, Deborah K. Dee, Karisa DeLuca, Vicki L. Fischer, Jane Galli, Chantelle Marie Johnson, Aimee LippertBastien, Karen McDonald, Vicki Vacca, Patty York Acconciature: Connie Kallos, Emanuel Millar nni ’30: in un’America sconvolta dalla Grande Depressione, i fuorilegge spadroneggiano per le strade di Chicago. Tra questi, il più temuto è John Dillinger, leggendario rapinatore di banche, ma anche ladro gentiluomo che estingue i debiti dei cittadini impoveriti. Abilissimo col mitra, ironico e disinvolto, costantemente in fuga da banche e carceri, Dillinger rappresenta l’eroe che edifica la sua fama in un paese in frantumi e in balìa della criminalità, che insieme a due altri ricercati, Baby Face Nelson e Pretty Boy Floyd, semina il terrore rapinando banche e sfidando apertamente le autorità. Contro di lui l’appena nata Fbi, A guidata dallo spregiudicato direttore Edgar Hoover, con l’aiuto dell’ambizioso agente Melvin Purvis, scatena una caccia all’uomo senza precedenti, servendosi di ogni mezzo a propria disposizione. In una sala da ballo Dillinger, una sera, incontra Billie, un’affascinante guardarobiera di cui si innamora a prima vista. L’uomo non fa fatica a conquistare la donna e a portarla via con sé, promettendole un futuro insieme in Brasile. I due vengono sorpresi insieme e il bandito subito arrestato. Tuttavia, nessun uomo e nessuna prigione sembrano poter fermare il criminale, il cui fascino e le cui audaci evasioni dal carcere in breve conquistano tutta l’opinione pub- 8 blica. Le sue fughe rocambolesche e temerarie gettano infatti imbarazzo e sconforto sulle istituzioni. Dopo l’ennesimo colpo, durante una sparatoria, Dillinger perde quasi tutti i suoi compagni e rimane ferito, ma riesce a ritrovare Billie. La loro fuga è breve: la ragazza viene presa in un agguato, sequestrata dagli uomini di Hoover e torturata quasi fino allo stremo. Dillinger sta preparando il suo ultimo e definitivo colpo da 300 mila dollari per poi sparire per sempre. Una delle donne che sta frequentando, una prostituta di nazionalità rumena, pur di aver aggiornato dalle autorità il permesso di soggiorno, prende contatti con l’Fbi. Così, assediato dalla po- Film Tutti i film della stagione lizia, il criminale viene freddato alle spalle all’uscita del cinema, dopo la visione del film con Gable Manhattan Melodrama. Le sue ultime parole di addio sono in onore del “suo uccellino”, l’amata Billie. emico pubblico è un film basato sulla storia di John Dillinger: professione criminale e rapinatore di banche, passato alla storia. Guadagnandosi la fama di “Robin Hood” del crimine, Dillinger al termine di ogni rapina, dava fuoco ai registri su cui erano annotati i debiti dei clienti, attirando su di sé una notevole simpatia dell’opinione pubblica. Tratto dal libro “Public Enemies” di Bryan Burrough, il film affronta una delle figure chiave della mitologia yankee, quel “public enemies” morto nel 1934 all’età di 31 anni, che il cinema hollywoodiano ha più volte messo in scena, come nel film Lo sterminatore girato nel 1945. A distanza di oltre sessanta anni, la storia del famoso criminale ci viene riproposta da Michael Mann che, andando oltre i generi, intrecciandoli e contaminandoli, dal western al gangster movie, descrive con tinte melodrammatiche gli ultimi mesi della sua vita. Dal materiale biografico di partenza, di cui conserva nomi, date e luoghi, (sembra che la maggior parte delle location, nonché alcuni indumenti siano reali), Mann sceglie i momenti significativi e gli snodi essenziali; l’evasione dal penitenziario di Stato dell’Indiana, la riunione con la gang, le rapine, gli inseguimenti e le fughe da una parte all’altra degli States, la sfida con Melvin Purvis, l’incontro con l’amata Billie Frechette, il tradimento di un’amica, l’uccisione a pochi metri dal cinema “Biograph” di Chicago, dove aveva appena visto Manhattan Melodrama. Un gangster movie che permette al regista una citazione meta-cinematografica, fino a estrapolare alcune N battute di Clark Gable, che finiscono per diventare il testamento di Dillinger. Il resto poi alle riprese: inquadrature strette dei volti da una parte, dall’altra la presenza quasi costante della macchina a mano: l’inquadratura oscilla di continuo, segue i volti, realizzando un connubio tra classicità e digitale. Un digitale esaltato dalla fotografia densa e impeccabile di Dante Spinotti. Mann non nasconde l’ammirazione che prova per il suo eroe; il film infatti sottolinea la sua galanteria a più riprese, quando mostra la generosità del rapinatore nei confronti degli ostaggi, o la tenace opposizione ai metodi violenti di Baby Face Nelson. Tratteggia un personaggio carismatico, simbolo della libertà e ribellione al sistema, di contro all’arroganza del potere assoluto rappresentato dall’Fbi. Ma il culmine della fascinazione lo si raggiunge grazie all’intreccio amoroso che il regista approfondisce studiando il modo in cui Dillinger corteggia, conquista e re- sta fedele alla sua compagna, la brava e bella attrice francese Marion Cotillard. Al romanticismo struggente del personaggio concorre l’interpretazione magistrale di Johnny Depp, che si cimenta superbamente ancora una volta in un ruolo di un personaggio realmente esistito. Suo nemico un rigido e monoespressivo Christian Bale, che esprime in pieno tutta la violenza e il cinismo dell’istituzione preposta a sconfiggere l’ondata di crimine del periodo. Oltre alla cura scrupolosa manniana per i dettagli, le ombre, i primi piani dei volti ruvidi e squadrati riempiono lo schermo alternandosi a nitidi campi lunghi. Mirabile la sequenza, tutta al ralenti, in cui Depp entra indisturbato nel quartier generale dell’Fbi che gli sta dando la caccia e osserva, con una tranquillità paradossale, i ritagli di giornale e le foto che ricostruiscono gli ultimi mitici anni della sua vita. Veronica Barteri SENZA AMORE Italia, 2007 Costumi: Monica Trappolini Fonico presa diretta: Lello Rotolo Casting: Francalberto Cucchini Trucco e acconciature: Nicola Vorelli Interpreti: Carloalberto Verusio (Luigi piccolo), Lidia Vitale (Rita), Francesco De Vito (Angelo), Eleonora Neri (Laura), Fausto Verginelli (Gaetano), Giacomo Furia (Don Oreste), Marco Cacciapuoti (Luigi), Luca Pizzurro (Marco), Renato Giordano (Giacomo) Durata: 105’ Metri: 2900 Regia: Renato Giordano Produzione: Barcelona Entertainment/Libero Spettacolo. In collaborazione con Rai Cinema e Mediaplex Italia Distribuzione: Mediaplex Prima: (Roma 11-12-2009; Milano 11-12-2009) Soggetto e sceneggiatura: Renato Giordano Direttore della fotografia: Felice De Maria Montaggio: Emanuela di Giunta Musiche: Cristina Vetrone, Gianni Fiorellino, Pericle Odierna, Monica Trappolini Scenografia: Stefania Camilleri 9 Film uigi è in macchina con Laura e Giacomo. I due amici rivelano finalmente la meta del viaggio: andare a trovare sua madre Rita. Così, Luigi, nel corso del viaggio, ricorda di quando era un bambino: il padre in galera, sorelle, fratelli ed una madre che non riusciva ad arrivare alla fine del mese coi pochi soldi. La vera disgrazia di Luigi, però, è quella di essere un bellissimo bambino. Infatti, il vigile Angelo, apparentemente brav’uomo ma in realtà pedofilo, ha messo gli occhi su di lui. Per avere la complicità di Rita, così da consentire tali incontri, Angelo la paga mensilmente. Il bambino, ignorando d’esser stato venduto, chiede aiuto alla madre; lei risponde semplicemente che bisogna esser grati dell’affetto dimostrato a lui e alla sua famiglia. L’unica che sembra realmente capirlo è la sua insegnante di danza classica, Laura, da cui va per non pensare al suo incubo. Per meglio star vicino a Luigi, Angelo decide di battezzarlo diventandone il padrino. Un giorno, Gaetano, cognato di Luigi, rientra in casa improvvisamente scoprendo la terribile verità. Da quel momento, grazie a Gaetano stesso, finiscono gli abusi, ma anche quelle poche attenzioni della madre verso il figlio. Passano gli anni: ora Luigi è un ragazzo. Gaetano muore in un incidente; Luigi, per aiutare la sorella rimasta vedova e il giovane nipotino, accetta di rincontrare Angelo, con la promessa di avere in cambio dei soldi. Angelo non ha ormai più nessuna attrattiva nei suoi confronti; anzi Luigi trova il coraggio di maltrattarlo verbalmente e di avere un suo riscatto. Laura decide di portare Luigi con L Tutti i film della stagione sé e il suo ragazzo Marco, a Roma. Luigi abbandona la madre maledicendola e augurandole una morte fra dolori e rimorsi. Nella capitale, il ragazzo lavora come barista e gigolò presso un locale notturno. Una sera, conosce Giacomo che si prende subito a cuore le sorti del ragazzo. Inizia così una bella amicizia, fra Luigi Laura e Giacomo, che decide anche di ospitarlo a casa sua col consenso del compagno. Giacomo riesce anche a fargli ottenere un importante e serio lavoro come ballerino. Luigi sente ormai di aver perdonato la madre: vorrebbe incontrarla di nuovo. Sentendo così tanto il peso del passato, Luigi tenta il suicidio tagliandosi le vene; Giacomo lo trova in tempo. Uscito dall’ospedale, Laura e Giacomo decidono di portarlo da sua madre. Luigi è ora di fronte a lei. l film si basa su di una storia vera. Non facile raccontare gli abusi subiti da un bambino e l’indifferenza della madre; così anche i difficili tentativi di aiutare un estraneo a trovare la giusta strada da percorrere. Renato Giordano, qui alla sua opera prima, tenta di affrontare la vita di Luigi e le sue vicissitudini con cautela. Evidente tale intenzione proprio nei momenti di violenza, dove il regista glissa sui due personaggi, facendo panoramiche sulla città o sulle campagne. Per il resto, Giordano si lascia andare, non riuscendo a essere minimamente obbiettivo nella narrazione, cadendo in eccessivi sentimentalismi; queste lacune dipendono sia dal reale coinvolgimento del regista nella storia sia per la scelta di porsi come attore all’interno del film. La pellicola ha indubbiamente diverse pecche. In molte sequen- I ze la sceneggiatura sembra mancare di diversi passaggi, che portano a non capire determinate logiche di causa ed effetto; il film tende a soffermarsi più su momenti che in realtà non mandano avanti la storia, e tralasciando passaggi cardine. I rapporti fra i personaggi non sono ben analizzati: in primis quello fra Luigi e Laura. Non si comprende quando la donna abbia capito gli abusi subiti dal bambino, né tantomeno quando abbia deciso di prendersene cura. Il personaggio principale non è ben delineato. I suoi pensieri, il suo iter psicologico che lo porta a sentire la mancanza della madre restano assolutamente un mistero; così anche gli abusi subiti diventano non il fulcro della storia, ma un evento del passato. I dialoghi risultano a volte astrusi, in altre di difficile comprensione. Viene infilata qualche perla di saggezza, ma all’interno del caos generale, resta difficile ricordarsene. I personaggi attorno a Luigi non subiscono il passare del tempo: gli anni procedono, il protagonista cresce ma nessuno invecchia. Troppo repentino, infine, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Lidia Vitale, interprete di Rita, assieme a Francesco De Vito nella parte di Angelo, sono gli unici a essere realmente in parte. Le sequenze dove i due attori duettano, infatti, sono quelle meglio riuscite. Purtroppo il giovane Marco Cacciapuoti, Luigi da grande, non riesce a trasmettere nessuna emozione. Peccato. Senza Amore è una storia che meritava d’esser meglio raccontata e recitata. Elena Mandolini ASTRO BOY (Astro Boy) Hong Kong/Stati Uniti/Giappone, 2009 Art director: Jake Rowell Supervisore effetti visivi: Yan Chen Supervisore immagini digitali: Christopher Dusendschon (iO FILM) Supervisore musiche: Todd Homme Animazione: Randy Link Voci: Freddie Highmore (Astro Boy), Nicolas Cage (Dottor Tenma), Kristen Bell (Cora), Samuel L. Jackson (Zog), Charlize Theron (narratrice), Bill Nighy (Dottor Elefun), Donald Sutherland (Generale Stone), Moises Arias (Zane), Eugene Levy (Orrin), Nathan Lane (Ham Egg), Matt Lucas (Sparx), Madeline Carroll (Widget/Grace), Sterling Beaumon (Sludge), Victor Bonavida (Sam), Tony Matthews (padre di Cora), Ryan Stiles (Mr. Pistachio) Durata: 94’ Metri: 2600 Regia: David Bowers Produzione: Pilar Flynn, Maryann Garger per Imagi Animation Studios/Imagi Crystal/Tezuka Production Company LTD. Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 18-12-2009; Milano 18-12-2009) Soggetto: personaggio dell’omonimo manga e della serie TV animata ideati da Osamu Tezuka Sceneggiatura: Timothy Harris, David Bowers Direttore della fotografia: Pepe Valencia Montaggio: Robert Anich Cole Musiche: John Ottman Costumi: Jane Poole Produttori esecutivi: Francis Kao, Cecil Kramer, Ken Tsumura, Paul Wang Direttore di produzione: Tony Matthews Casting: Linda Lamontagne 10 Film taccatasi dalla Terra, ormai ridotta a un cumulo di rifiuti e macerie, la metropoli giapponese MetroCity è in orbita nei cieli. Lì il geniale scienziato Tenma studia gli effetti del Nucleo Blu e del suo corrispettivo negativo Nucleo Rosso, equivalenti per potenza all’atomica. Durante un esperimento guidato da Tenma e dal malvagio presidente Stone, l’amato figlio di Tenma, Tobio, viene ucciso da un Robot alimentato con Nucleo Rosso. Sconvolta dalla perdita del figlio, Tenma trasferisce su un robot le sembianze e i ricordi di Tobio, per fare un sostituto del ragazzo. Ma il robot rivela inaspettatamente una propria personalità e viene quindi rifiutato dal suo creatore. Tobio fugge e scopre la vita sulla Terra, sulla quale spera di vivere come un bambino vero e incontra per la prima volta degli amici, sia umani sia robot, che lo ribattezzato Astro. Ma la sua natura robotica viene scoperta dal malvagio Hamm Egg, che lo programma come robot da combattimento per farlo lottare in un arena. Astro viene poi catturato da Stone, che vorrebbe utilizzare il Nucleo Blu per dare vita a un robot chiamato il Pacificatore (quello che a suo tempo causò la morte del vero Tobio), in realtà una letale macchina di distruzione della Terra. Stone ordina a Tenma di disattivare Astro, ma questi, all’ultimo momento, si pente e lo aiuta a fuggire, dopo aver finalmente scoperto la lealtà e la bontà del robot. Astro si scontra contro il Pacificatore e riesce a sconfiggerlo solo sacrificando la propria vita e la propria energia. Grazie all’intervento dei suoi amici robot, Astro riacquista le forze e diventa il paladino di MetroCity e della Terra contro l’imminente invasione degli alieni. S pparso per la prima volta agli inizi degli anni Cinquanta, il personaggio di Astroboy nasce dall’immaginazione di Osamu Tezuka, il “dio dei manga”, geniale creatore e ideatore di un vero e proprio genere fantascientifico nipponico, nel quale si fondono l’onnipresente trauma post-atomico con l’incrollabile fede nel progresso della scienza e della robotica. Sorta di Pinocchio moderno, Astroboy rappresenta infatti l’utopica sintesi tra uomo e macchina votata al bene, simbolo della rinascita di un paese e del rinnovamento della sua cultura. Dopo essere diventato un manga, un anime (il primo derivato a un fumetto) e aver avuto ben tre riedizioni più alcuni lungometraggi, era naturale che Tetsuwan Atomu (“Atom dal pugno di ferro” in originale) suscitasse l’interesse degli americani, sempre pronti ad appropriarsi del meglio e a trasformarlo secondo le loro esigenze e ideologie. Visti i recenti fallimenti, anzi veri e propri flop, A Tutti i film della stagione delle riedizioni USA di classici come Dragon Ball (ma le premesse lo lasciavamo presagire facilmente) e soprattutto Speed Racer (e lì ci sarebbe potuto invece aspettare di più e di meglio, invece ne è uscito fuori un film incomprensibile e fuori da ogni logica), i timori potevano dirsi più che giustificati. Astroboy è un film discreto in termini tecnici (l’animazione nel complesso è abbastanza inferiore ad altri prodotti contemporanei, ma è comunque molto curata), rispettoso dell’originale – una volta tanto! – ma che ha il difetto di essersi limitato a una semplice operazione di restyling; insomma un film del quale forse non si sentiva il bisogno, ma che, dal momento che proprio veniva messo in essere, almeno si tentasse un qualcosa di creativo e di personale, pur senza travisare l’originale, senza fermarsi al semplice omaggio, o alla rivisitazione citazionistica più o meno evidente. Abbondano infatti i rimandi a A.I. Intelligenza artificiale, sia a livello narrativo (l’arena nella quale si battono Astro e gli altri robot come la Fiera della carne del film di Spielberg), sia a livello tematico (l’androide come sostituto impossibile dell’essere umano, il suo vivere in bilico tra due mondi), a sua volta presente anche in Blade Runner (entrambi i film si rifanno a dei racconti di Isaac Asimov), Metropolis per l’avveniristica MetroCity sospesa tra i cieli, un classico della cultura nipponica come Godzilla mischiato ai grandi classici come Mazinga, Goldrake e UfoRobot per la trasformazione gigante- sca del Pacificatore, guidato con il pensiero da Stone; e ancora Pinocchio, Frankenstein di Mary Shelley per il creatore votato alla distruzione della propria opera, Freaks, capolavoro maledetto di Tod Browing, i bimbi sperduti di Peter Pan, lo scenario apocalittico alla Mad Max e Ken il guerriero. Fermo restando la già citata incapacità (o forse la non volontà) di andare oltre il semplice omaggio e la riproposizione moderna di un classico (impossibile non chiedersi cosa sarebbe diventato nelle mani ad esempio di un John Lasseter), Astroboy è comunque un buon film, volto a far conoscere e apprezzare una storia sempre valida e profonda alle giovani generazioni, probabilmente ignare della sua esistenza e forse poco attirare dalla veste grafica dell’originale, abituati come sono alle meraviglie della moderna animazione. Sulla carta, l’edizione italiana poteva essere veramente disastrosa per via della solita, incomprensibile mania di imporre come doppiatori, per scopi meramente pubblicitari, dei personaggi famosi del mondo dello spettacolo ma che nulla avrebbero a che spartire con l’arte del doppiaggio. Al di là del Trio Medusa, corretti e simpatici, colpisce invece la prova fornita da Silvio Muccino e Carolina Crescentini, entrambi alla prima esperienza con il doppiaggio e straordinariamente adatti e coerenti con i loro personaggi. Chiara Cecchini MAR NERO Italia/Romania/Francia, 2008 Regia: Federico Bondi Produzione: Francesco Pamphili, Ada Solomon, Giorgia Priolo per Film Kairòs/rai Cinema/HiFilm/Manigolda Film Distribuzione: Kairòs Film Prima: (Roma 30-1-2009; Milano 30-1-2009) Soggetto: Cosimo Calamini, Federico Bondi Sceneggiatura: Federico Bondi, Ugo Chiti Direttore della fotografia: Gigi Martinucci Montaggio: Ilaria Fraioli Musiche: Enzo Casucci, Guy Klucevsek Scenografia: Daniele Spisa, Dan Toader Costumi: Alessandra Vadalà Produttore esecutivo: Marina Spada Direttore di produzione: Paola Piattelli Aiuti regista: Cristina Iliescu Trucco: Edi Rossello Effetti: Francesco Struffi Suono: Mirko Guerra Interpreti: Ilaria Occhini (Gemma), Dorothea Petre (Angela), Vlad Ivanov (Adrian), Maia Morgenstern (Madalina), Corso Salani (Enrico), Vincenzo Versari (Lupi), Giuliana Colzi (Milena), Theodor Danetti (Nicolae), Marius Silagiy (Nelu) Durata: 95’ Metri: 2665 11 Film ella borghesissima Firenze del tempo presente, Gemma, anziana vedova non più in grado di vivere da sola, si trova costretta dal figlio Enrico – che abita fuori città con la moglie e i figli – alla convivenza forzata con una giovane badante rumena. Angela non sa che poche parole d’italiano; da pochi giorni in Italia, ha lasciato il suo paese per guadagnare denaro da mandare al marito, rimasto a lavorare in patria, e poter così finalmente pensare insieme a un figlio. Gemma è indurita dalla solitudine e dalla vecchiaia: all’inizio maltratta la ragazza, coprendola di rimproveri e insulti senza concedere alcuna confidenza, né, tanto meno, accettare le offerte di tenerezza. Passano i mesi, arriva l’inverno; tra le due donne si è lentamente instaurato un legame che, giorno dopo giorno, assomiglia sempre più alla relazione tra madre e figlia. Il pranzo natalizio a casa della famiglia di Enrico è il momento della definiva conferma dell’affetto cresciuto tra Gemma e Angela. La notte di capodanno la ragazza ottiene dalla donna un permesso eccezionale per andare a una festa organizzata da compaesani; alla serata parteciperà di sicuro anche un compatriota che da tempo segue la giovane con sguardo appassionato. Proprio al culmine dei festeggiamenti, Angela riceve una telefonata dalla Romania: suo marito è scomparso e nessuno sa più nulla di lui da giorni. La ragazza torna a casa all’alba, ubriaca e sconvolta, contravvenendo alle precise richieste di Gemma; la donna reagisce con rabbia a quello che vede come un tradimento della sua fiducia. Angela, dopo averle raccontato la sua storia, chiede a Gemma il permesso di partire per tornare in Romania a cercare il marito. Decisa a non restare di nuovo sola, Gemma si mette in viaggio insieme alla ragazza verso la Ro- N Tutti i film della stagione mania. Dopo un lungo tragitto, le due donne raggiungono il villaggio dove l’anziano padre della giovane le aspetta. Così, mentre Angela, risolto il mistero, va a riprendersi il marito perso nel letto dell’amante, il vecchio genitore e Gemma passano insieme tutto il giorno, raccontandosi ciascuno i frammenti della propria lunga esistenza, comprendendosi l’un l’altro oltre ogni distanza linguistica e culturale. ’opera prima di Federico Bondi è uno dei migliori lungometraggi narrativi nostrani delle ultime stagioni. Realizzato grazie al supporto di istituzioni locali (Mediateca Regionale Toscana), nazionali (il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha riconosciuto al film il contributo concesso alle opere prime) e internazionali (il sempre provvidenziale Programma Media, il Centro Nazionale per la Cine- L matografia Rumena e la Televisione Rumena), il film ha ottenuto la distribuzione in sala dopo esser stato mostrato al Festival di Locarno. Scritto insieme a un altro toscano di razza, Ugo Chiti, e vegliato da una produttrice esecutiva del tutto eccezionale – Marina Spada, una delle autrici più solide e importanti nel panorama italiano – Mar nero esibisce e dimostra l’efficienza di un progetto concreto, essenziale e giusto nello scegliere toni e misure della messa in scena, della narrazione, dei dialoghi, delle soluzioni visive. Una buona direzione della fotografia ritrae una coppia di protagoniste ben assortita, solidamente costruita sul volto e sulla voce d’Ilaria Occhini, professionista dalla nobile e lunga carriera. Ispirandosi più al dramma che al film di ritratto sociale, Bondi decide, superata la metà del racconto, una vivace e inaspettata virata verso il road movie. La Romania di Bondi è inattesa e complessa tanto quanto la sua Firenze, provinciale e quotidiana. Le ellissi di tempo e di spazio sono suggestive e coerenti lacune, così come i silenziosi pedinamenti della macchina che discretamente segue i malinconici percorsi singolari delle due protagoniste. Lo sguardo vivido ed essenziale del giovane regista, la sua distanza ed estraneità dalla rappresentazione più vieta e istituzionale dei luoghi e delle situazioni, l’inusuale talento nel dirigere gli interpreti producono un film piccolo e discreto, ma pieno di cose, dotato di acume e ricco di delicate sfumature. Un prodotto medio capace di evitare il clichè raccontando una vicenda tipica della contemporaneità senza moralismi o patetismi. Una danza degli affetti, nella quale gli sguardi e i corpi s’incontrano in un mondo vero e vicino. Silvio Grasselli EVA E ADAMO Italia, 2009 Regia: Vittorio Moroni Produzione: Stefano Mancini, Vittorio Moroni, Marco Piccarreda per 50Notturno in collaborazione con Onair Distribuzione: 50Notturno Prima: (Roma 25-9-2009; Milano 25-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda Direttori della fotografia: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda Montaggio: Marco Piccarreda Musiche: Mario Mariani Operatori: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda Organizzazione: Stefano Mancini Interpreti: Deborah Colombo, Veronica Viani, Erika Milano Durata: 77’ Metri: 2120 12 Film RIKA. Erika è una signora milanese di 76 anni, è ricca, istruita, poliglotta. Ha un appartamento a Milano, una villa in Sardegna e ama viaggiare attratta dal fascino dell’esotico. Ha pubblicato due libri autobiografici. Ha alle spalle due matrimoni, uno con un architetto giapponese da cui ha avuto due figlie, e il secondo con un egiziano. Da sempre crede nell’amore e nella passione. Oggi vive con il suo terzo marito: Moussà, un giovane senegalese di 35 anni, conosciuto durante una vacanza. Erika e Moussà dicono di non considerare la loro differenza di età un problema, ma i loro rispettivi bisogni entrano in contrasto e danno luogo a tensioni. In cerca di realizzazione, Moussà sente il bisogno di tornare nel suo paese. Il giovane africano vorrebbe avere un aiuto economico per costruire una casa e avviare un’attività tutta sua in Senegal. Dopo un primo rifiuto, Erika è tentata di cambiare idea: sta pensando di vendere la sua casa e ha comprato un biglietto per il Senegal. DEBORAH. Deborah è una ventenne con un corpo da pin-up. Orfana di padre, è scappata di casa a 14 anni per cercare fortuna a Milano. È fidanzata con Filippo che non ha mai un soldo in tasca e non sembra affannarsi molto per cercarsi un lavoro. Dopo aver lavorato come barista, Deborah comincia a esibirsi dal vivo in spettacoli porno, trasmissioni con telefonate erotiche in diretta TV e film hard. Filippo è molto geloso e, per un po’ di tempo, fa finta di non sapere del lavoro della fidanzata. I soldi di lei fanno comodo a entrambi, fino a quando accade un evento che stravolge le loro vite. Deborah aspetta un bambino. Dopo il parto, per la giovane è un netto cambio di vita. Lasciato il lavoro di pornostar, si dedica solo a fare la mamma. VERONICA. Veronica ha 35 anni, abita in un paese vicino Reggio Emilia ed è sposata con Alberto, affetto da sclerosi multipla. Quando Veronica lo ha conosciuto, l’uomo era già su una sedia a rotelle e la sua malattia era inesorabilmente destinata a peggiorare. Si sono conosciuti a Lourdes, dove lei era andata come infermiera. Per Veronica è stato un colpo di fulmine. Prima di Alberto la donna aveva deciso di non frequentare più uomini e di non avere più storie d’amore, dopo che il suo giovanissimo fidanzato era morto all’improvviso. Da quando ha sposato Alberto la sua vita è cambiata completamente. Dopo diversi anni di matrimonio, a sorpresa, rimane incinta. Con la nascita di due bambini, per Veronica la vita è diventata ancora più difficile ma anche più piena. Uno dei giorni più belli della sua vita è stato quando uno dei suoi piccoli ha pronunciato la sua prima parola: “papà”. E A damo ed Eva. No, Eva e Adamo. Eva prima di Adamo. La donna e l’uomo. Nell’Eden biblico, nel pa- Tutti i film della stagione radiso perduto, uomini e donne vivono un “paradigma di pienezza e felicità con cui ogni donna e ogni uomo occidentale, crescendo, inconsciamente si confronta, sospirando Principi Azzurri e attendendo Anime Gemelle” per usare le parole del regista. Ma fra “delusioni, compromessi, fallimenti e sopravvivenze”, si ricorderà che Adamo ed Eva da quell’Eden furono cacciati per aver mangiato dall’albero della conoscenza e condannati a un’esistenza di dolore e disperazione. Il regista sintetizza così il suo assunto di base: “Così ciò che chiamiamo amore forse non è altro che il riconoscimento di non essere i soli a essere stati gettati nella disperazione di un mondo estraneo e inadeguato”. Tre racconti, tre donne forti, tre storie d’amore speciali, “estreme e forse non ancora digerite” come le ha definite Moroni. Tre ‘Eva’ e i loro ‘Adamo’. L’amore che oggi sceglie liberamente (quanto liberamente?), l’amore emancipato (davvero?) da ogni condizionamento economico, religioso, sociale. Le tre donne sbriciolano convenzioni ancora dure a morire, o almeno ci provano. Non senza dolore. Il film prende in prestito la frase di lancio dal titolo di una famosa raccolta di racconti di Raymod Carver: “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?”. L’interrogativo è di quelli forti, difficili, eterni. I tre personaggi femminili appaiono come tre archetipi, tre figure dalle vite “segnate” (come Eva) ma che affrontano i momenti difficili con decisione e coraggio. Le vite private di tre donne sono scandagliate, quasi radiografate, dal loro interno, cercando di andare oltre la facciata, oltre la superficialità di tre coppie che, viste dal di fuori, si è tentati di definire semplicemente “anomale”. Minimo comune denominatore dell’amore delle tre donne è il sacrificio, talvolta più manifesto, talaltra più nascosto e ancora da maturare. Un sacrificio grande, doloroso ma necessario. E tre finali aperti, aperti su un interrogativo che riguarda ancora le tre donne: saranno abbastanza coraggiose da far durare quei loro amori così estremi? Un cinema ‘piccolo’ per narrare ancora un sentimento ‘grande’. Vittorio Moroni, al suo terzo lungometraggio dopo Tu devi essere il lupo (2004) e Le ferie di Licu (2006), firma un’opera vicina al documentario, per meglio dire, al confine tra documentario e fiction, che procede alternando la formula dell’intervista alla ricostruzione di scene di vita quotidiana. Una menzione particolare merita l’originale forma di distribuzione. Il film infatti ‘viaggia’ per l’Italia con la sua casa di distribuzione “50Notturno” (dal nome di un autobus di Roma). Come era già stato fatto con Le ferie di Licu, il film viene portato in giro su un camper colorato e viene distribuito, per iniziativa degli stessi autoridistributori, nei cinema di diverse città a rotazione. Con questa singolare promozione, la “50Notturno” riuscì a portare al cinema a vedere Le ferie di Licu più di 65.000 spettatori (una vera cifra record). Questa volta, neanche a dirlo, “L’Eva e Adamo Tour 09” viaggia su un camper dipinto di rosa. Curioso il modus operandi della promozione: ogni sera prima del film, incontrando il pubblico, la banda di autori-distributori-produttori regala a ogni spettatore seduto in sala un fotogramma di pellicola come souvenir. Come dire, facciamo a pezzetti una copia del nostro lavoro, per regalarne una piccola parte ad ognuno di voi. Eh già, il cinema è di chi lo fa, ma è anche un po’ di chi lo vede. Elena Bartoni CADO DALLE NUBI Italia, 2009 Regia: Gennaro Nunziante Produzione: Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt per Taodue Film Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 27-11-2009; Milano 27-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Gennaro Nunziante, Checco Zalone, Pietro Valsecchi Direttore della fotografia: Lorenzo Adorisio Montaggio: Maria Luisa Montalto Musiche: Checco Zalone Scenografia: Sonia Peng Costumi: Maria Luisa Montalto Casting: Elisabetta Curcio Supervisore effetti visivi: Andrea Battistoni Suono: Massimo Simonetti Interpreti: Checco Zalone (Checco), Francesca Chillemi (Luisa), Dino Abbrescia (Alfredo), Giulia Michelini (Marika), Fabio Troiano (Manolo), Raul Cremona (Roberto), Ivano Marescotti (padre di Marika), Luigi Angelillo (zio di Checco), Anna Ferruzzo (madre di Checco), Sereno Bukasa (Nicolas), Ludovica Modugno (zia di Checco), Stefano Chiodaroli (Giulio) Durata: 99’ Metri: 2720 13 Film hecco Zalone ha poco più di trent’anni ed è nato a Polignano a mare, il paese in provincia di Bari che ha dato i natali anche al grande Domenico Modugno. Checco vive con la mamma vedova, è fidanzato da sei anni con Angela e sogna il successo nel mondo della musica come cantante neomelodico. Nel frattempo, lavora part time in una gelateria dove si esibisce al piano bar con un repertorio di canzoni dedicate alla fidanzata ed è convinto che non sia necessario ritornare a fare il muratore con lo zio, tanto il successo prima o poi arriverà. I sogni di Checco si incrinano quando Angela decide di lasciarlo, perché vuole accanto a sé un uomo con uno stipendio sicuro, che le dia una famiglia e dei figli. Contrariamente a tutti coloro che gli dicono di abbandonare ogni speranza, Checco decide di tentare la fortuna a Milano dove sarà ospite di suo cugino Alfredo, un fisioterapista omosessuale che, da più di dieci anni, è fidanzato con Manolo, ma non ha il coraggio di confessarlo alla famiglia. Dopo un paio di esibizioni fallite (una in un locale per gay e l’altra davanti a una platea di seguaci della Lega Nord), Checco conosce Marika, una studentessa figlia di un leghista convinto, della quale si innamora al primo sguardo. Nonostante i suoi modi un po’ cafoni e ingenui, riesce a diventare maestro di musica nella parrocchia in cui Marika fa volontariato. Un bacio sfuggente che i due ragazzi si scambiano alla fine di una festa, in cui lei si è ubriacata per dimenticare l’uomo che ama, C Tutti i film della stagione spinge Checco a considerarla la sua fidanzata ufficiale. Nonostante questo, è in agguato la seconda delusione d’amore: Marika infatti gli confessa di non essere innamorata di lui e lo invita a non cercarla più. Proprio quando la vita sembra non sorridergli più, Checco decide di partecipare alle selezioni del nuovo talent show “I want you”. Dopo tre giorni di estenuante attesa, giunge finalmente il momento del provino, ma, nel tentativo (riuscito) di far riappacificare Manolo e Alfredo, arriva tardi e non trova più nessuno. Nonostante tutto, Checco improvvisa una performance live senza accorgersi che le telecamere sono accese. Qualcuno però lo nota e lo manda via. Per Checco Zalone è la fine di ogni speranza, ormai non gli resta che tornare in Puglia e fare il muratore. Ma proprio quando tutto sembra finito, ecco che improvvisamente si riaprono le porte dell’amore e della televisione. Proclamato vincitore del concorso televisivo e ormai sposo della sua amata Marika, a Checco resta un ultimo problema da risolvere: convincere gli zii ad accettare l’amore tra Alfredo e Manolo. on si tratta di commedia all’italiana, né tantomeno di commedia degli equivoci. Quando si guarda un film come Cado dalle nubi bisogna sempre tener presente che la sua forza fa leva soprattutto sulla popolarità televisiva di Luca Medici, in arte Checco Zalone, il tamarro barese che da anni cavalca le scene televisive con l’inno della nazio- N nale cantanti di calcio “Siamo una squadra fortissimi” e con le reinterpretazioni in chiave comica e neomelodica di alcune delle canzoni più famose della musica italiana. Se dal punto di vista della struttura narrativa, il film si presenta come un’opera assolutamente autosufficiente, dichiara troppo apertamente la volontà di rimanere una pellicola semplice, priva di quella forza comica che invece avrebbe permesso al film di decollare, soprattutto grazie alla bravura di alcuni interpreti (come Dino Abbrescia nel ruolo di Alfredo). E così che il tema della diversità, declinato non solo nell’accezione di differenze sociali e culturali tra Nord e Sud, ma anche in quella di incomunicabilità tra padre e figlio, tra amanti e tra popoli diversi, resta costantemente come un semplice sfondo a quello che è il vero protagonista del film: Checco Zalone con il suo barese italianizzato (o italiano storpiato). Nonostante questo, Cado dalle nubi è un film che può piacere perché fa ridere anche senza ricorrere a linguaggi volgari, o a corpi fin troppo esibiti. Anzi, proprio questi sono elementi del tutto assenti nel film. Se certamente non verrà ricordato nella storia della commedia italiana, almeno conferma la bravura di Luca Medici come attore comico più adatto alla televisione che al grande schermo, e la sua abilità di prendere un po’ in giro un certo tipo di musica, usando la parola in chiave demenziale. Marianna Dell’Aquila SOUL KITCHEN (Soul Kitchen) Germania, 2009 Aiuti regista:Cecile Heisler Operatore Steadicam:Donat Schilling Art director:Seth Turner Trucco: Nicola Faas, Maike Heinlein Supervisore musiche:Pia Hoffmann Interpreti: Adam Bousdoukos (Zino Kazantsakis), Moritz Bleibtreu (Illias Kazantsakis), Anna Bederke (Lucia Faust), Pheline Roggan (Nadine Krüger), Birol Ünel (Shayn), Dorka Gryllus (Anna Mondstein), Wotan Wilke Möhring (Thomas Neumann), Lukas Gregorowicz (Lutz), Demir Gökgöl (Sokrates), Cem Akin (Milli), Marc Hosemann (Ziege), Catrin Striebeck (sig.ra Schuster), Ugur Yücel (sig. Jung), Monika Bleibtreu (nonna di Nadine), Julia Wachsmann (Tanja), Maria Ketikidou (ispettrice), Jan Fedder (Meyer), Peter Lohmeyer (proprietario del ristorante) Durata: 99’ Metri: 2740 Regia: Fatih Akin Produzione: Fatih Akin, Ann-Kristin Homann, Klaus Maeck, Jeanetter Würl per Corazón International/ Dorje Film/ Norddeutscher Rundfunk (NDR)/ Pyramide Productions Distribuzione: BIM Prima: (Roma 8-1-2010; Milano 8-1-2010) Soggetto e sceneggiatura: Adam Bousdoukos, Fatih Akin Direttore della fotografia: Rainer Klausmann Montaggio: Andrew Bird Scenografia: Tamo Kunz Costumi: Katrin Aschendorf Co-produttori: Paolo Colombo, Alberto Fanni, Fabienne Vonier, Flaminio Zadra Line producer:Christian Springer Direttore di produzione: Andrea Bockelmann Casting: Monique Akin 14 Film mburgo (Germania). L’immigrato di origine greca Zino Kazantsakis gestisce con buoni risultati un piccolo ristorante alla periferia della città. Il locale è piuttosto spartano, ma accogliente e la cucina, benché non sia molto raffinata, viene comunque apprezzata dai clienti. Il ragazzo viene però improvvisamente travolto da una serie di avvenimenti che lo costringe a dare una svolta alla sua vita. Sia lavorativa, che sentimentale. La sua fidanzata Nadine gli preferisce un interessante posto di lavoro a Shangai e, contemporaneamente, rispunta fuori il fratello Ilias, il quale appena uscito di galera (è in semilibertà), lo implora di trovargli un’occupazione. Come se non bastasse, Zino riceve la visita di una funzionaria delle imposte perché non ha pagato le tasse. E, in ultimo, si procura un serio trauma alla schiena. Ma non può neppure recarsi dal medico in quanto non possiede l’assicurazione. Non potendo più cucinare a causa dell’incidente, prova a ingaggiare Shayn, un estroso chef che si è appena licenziato da un ristorante di lusso della città. I suoi piatti da gourmet, però, non riscuotono inizialmente il successo sperato presso la grossolana clientela del “Soul Kitchen”. Un giorno Zino incontra un suo vecchio compagno di scuola, Thomas Neumann, che vorrebbe acquistare il suo locale. Lui, però, è troppo affezionato per venderlo. Così l’amico agente immobiliare, determinato a non farsi scappare l’occasione, pensa bene di incastrarlo mandandogli gli ispettori dell’Ufficio d’igiene. Quando la nuova cucina inizia dare i primi frutti, Zino (che continua a soffrire di ernia del disco), decide di affidare la gestione del ristorante al fratello e trasferirsi dalla fidanzata in Cina. Ma, non fa in tempo a partire, che la ragazza anticipa il suo ritorno, con tanto di nuovo compagno con occhi a mandorla al seguito. Intanto, per pagare i debiti di gioco contratti con Neumann, Illias è costretto a vendergli la proprietà. Nel tentativo di rubare l’atto del contratto, l’ex galeotto viene scoperto in flagrante dalla polizia e condotto di nuovo in carcere. Qui, guarda caso, rincontra il suo “rivale”, accusato di aver frodato il fisco. Zino ha ancora un’ultima chance per riprendersi il “Soul Kitchen”: durante un’asta riesce a vincere la concorrenza di un altro offerente grazie ad un imprevisto che ha dell’incredibile... . A «C Tutti i film della stagione sta mentre si scatena finalmente sulla pista da ballo dopo lunghi mesi passati in gattabuia. Senza dubbio, sarebbe un mondo più triste e noioso – diciamo noi. Ma la domanda che, di rimbalzo, ci poniamo è invece la seguente: che cosa sarebbe Soul Kitchen senza musica? Se quest’ultima è «il cibo dell’anima» – come sostiene uno sconsolato Zino Kazantsakis al momento del sequestro dello stereo –, per la proprietà transitiva, possiamo tranquillamente affermare che la musica allora è l’anima di questo splendido film. Onnipresente e declinata in ogni possibile genere (dal rock al soul, dal funky fino alla dance), la colonna sonora conferisce all’opera di Akin un ritmo scoppiettante e travolgente. D’altronde non è la prima volta che il giovane cineasta turco (ormai naturalizzato tedesco), da grande appassionato quale è, costruisce le sue storie come autentiche partiture. Ricordate, ad esempio, il bellissimo documentario del 2006 Crossing the Bridge – The Sound of Istanbul? Un coacervo di suoni, rumori, melodie e forme musicali espressioni di diverse culture riempivano lo schermo di sana allegria e di un’energia contagiosa. Qui l’amore per le sette note è a tal punto esibito e debordante che ci scappa perfino un omaggio a La paloma di Natalino Otto, in una doppia versione (la seconda è interpretata da Gabriella Ferri). Dimenticatevi quindi il Fatih Akin in versione cupa e drammatica di La sposa turca, oppure l’autore “impegnato” a raccontare la difficile strada dell’integrazione, ai giorni nostri, nel Vecchio Continente, dal suo personale osservatorio di immigrato (Ai confini del paradiso). he cosa sarebbe il mondo senza musica?» – si chiede Illias, il fratello del protagoni- 15 In questo suo ultimo lavoro, rimasto per anni nel cassetto, tutto quel imprescindibile retaggio che si porta dietro si colora, scena dopo scena, di una comicità irresistibile. Sono davvero tanti gli episodi memorabili: dalla furiosa reazione del cameriere Shayn alla richiesta di un cliente di un gazpacho caldo, alla festa privata dove, complice un dolce afrodisiaco, tutti si accoppiano come in preda ad un incontrollabile libido (perfino l’austera esattrice delle tasse che si concede senza alcun freno inibitore a Neumann!). E ancora: dal brutale trattamento anti-mal di schiena che subisce il povero Zino da parte di un santone-guaritore turco, al conclusivo coup de théatre, in cui un ricco e distinto signore (il grande Udo Kier) viene messo kappaò, prima ancora che dall’offerta del legittimo proprietario, da un bottone ingoiato al posto di una mentina! Anche se il connubio “cinema-cibo” nelle ultime stagioni si sta rivelando una formula un po’ troppo abusata e forse pure logora (l’ultimo caso felice in ordine di tempo è Cous Cous di Kechiche), bisogna riconoscere che qui si carica di una nuova linfa. Non si vedono, infatti, soltanto i piatti e le gustose pietanze nel momento della loro preparazione in cucina. Il cibo vuole dire soprattutto condivisione di sentimenti, di esperienze e, perché no, anche di sventure. L’arte di arrangiarsi vale nella cucina come nella vita: a volte, basta semplicemente invertire l’ordine degli ingredienti per avere la “ricetta” giusta. Il merito è senza dubbio di una sceneggiatura agile, effervescente e senza alcuna sbavatura, in cui l’umorismo, a volte incontenibile, fa da contraltare a un Film amaro e bizzarro incrocio di solitudini, destini, amicizie e amori, sbocciati per caso (quelli tra Illias e la cameriera Lucia, e tra Zino e la fisioterapista Anna). Senza dimenticare, ovviamente, il fondamentale contributo di tutti gli interpreti (alcuni dei quali già comparsi nelle pellicole precedenti di Akin): da Moritz Bleibtreu a Birol Ünel, da Anna Bederke al protagonista Adam Bousdoukos, co-auto- Tutti i film della stagione re del copione assieme al regista. L’attore di sangue greco ispira simpatia e divertimento solamente a guardarlo in faccia: l’espressione di perenne sorpresa che lo accompagna per tutto il film è da manuale. Quando poi si muove per compiere i suoi esercizi di fisioterapia, addirittura in discoteca (!), o cammina quasi come un robot a causa del dolore, ci fa letteralmente sprofondare nella poltrona dal ridere. Soul Kitchen, insomma, è una commedia vera, come non se ne vedevano da tanti anni. Soprattutto nei festival. Ecco perché il Premio Speciale della Giuria ricevuto alla 66esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non è soltanto strameritato, ma rappresenta altresì un caso eccezionale. Diego Mondella LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO (The Princess and the Frog) Stati Uniti, 2009 Supervisore musiche:Tom MacDougall Voci originali: Anika Noni Rose (Tiana), Bruno Campos (Principe Naveen), Keith David (Dr. Facilier), Michael-Leon Wooley (Louis), Jennifer Cody (Charlotte), Jim Cummings (Ray), Peter Bartlett (Lawrence), Jenifer Lewis (Mama Odie), Oprah Winfrey (Eudora), Terrence Howard (James), John Goodman (Eli “Gran Papà” La Bouff), Elizabeth M. Dampier (Tiana da piccola), Breanna Brooks (Charlotte da piccola), Ritchie Montgomery (Reggie), Don Hall (Darnell), Paul Briggs (‘due dita’), Jerry Kernion (signor Henry Fenner), Corey Burton (signor Harvey Fenner), Michael Colyard (Buford), Emeril Lagasse (Marlon The Gator), Kevin Michael Richardson (Ian The Gator), Randy Newman (cugino Randy), Terence Blanchard (suonatore di tromba), Danielle Moné Truitt (Georgia), Kwesi Boakye (il ragazzo del giornale), Jennifer Kilger, Allison Norman, Lorry Ann Shea, Shanda M. Williamson (ragazze che svengono), Shane R. Williamson, Seth R. Williamson (Principe Ralphie), Jeff Draheim, Rob Edwards, Kelly Hoover, Lynwood Robinson, Bruce W. Smith, Marlon Wes Durata: 97’ Metri: 2660 Regia: Ron Clements, John Musker Produzione: Peter Del Vecho per Walt Disney Animation Studios/Walt Disney Pictures Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 18-12-2009; Milano 18-12-2009) Soggetto: ispirato al romanzo The Frog Princess di E.D. Baker Sceneggiatura: Ron Clements, John Musker, Greg Erb, Rob Edwards, Jason Oremland Montaggio: Jeff Draheim Musiche: Randy Newman Scenografia: James Aaron Finch Produttori esecutivi: Aghi D. Koh, John Lasseter Produttori associati: Paul D. Lanum, Craig Sost Direttore di produzione: Monica Lago-Kaytis Casting: Jen Rudin Art director:Ian Gooding Supervisori effetti visivi: Kyle Odermatt, Dan Turner (Yowza Animation) Coordinatore effetti visivi: Beau Parsons (Yowza Animation) Supervisore effetti animazione: Marlon West ew Orleans, anni Venti. Tiana è una giovane cameriera con il sogno di aprire un ristorante dove poter far gustare la famosa zuppa di suo padre. Nonostante le esigue mance e la derisione dei suoi amici è convinta che un giorno il suo desiderio potrà avverarsi. Un giorno, in città arriva il principe Naveen, un ragazzotto scansafatiche e donnaiolo, diseredato dai suoi genitori, che risveglia l’interesse di tante signorine della buona società, ma anche di un oscuro mago, Facilier. L’uomo, grazie all’aiuto di potenti piriti, riesce a trasformare Naveen in un ranocchio e il suo stolto servitore nel principe. L’idea di Facilier è quella di far accasare l’erede al trono con una facoltosa ragazza del luogo e poi rubarne gli averi. Il principe, ormai una ranocchio, si mette a girare per la città alla ricerca, come da tradizione, di una principessa disposta a baciarlo per spezzare l’incantesimo. Si imbatte in Tiana che, in occasione del car- N nevale, è vestita proprio da principessa. La ragazza ci mette un po’ a convincersi, ma poi lo bacia. Purtroppo l’esito non è quello sperato: anche Tiana si trasforma in una ranocchia. I due decidono di andare verso il bosco sperando nell’aiuto di qualcuno. Incontrano una lucciola, Ray, che consiglia loro di andare da una strega potentissima che vive su un albero. Siccome i due sono inesperti l’insetto si offre di accompagnarli. Durante il tragitto incrociano un coccodrillo trombettista, Louis, che si unisce al gruppo. Arrivati a destinazione vengono accolti da una vecchina, quasi bicentenaria, che tra fuochi d’artificio e serpenti, dà loro qualche consiglio sibillino. Per togliere il maleficio è comunque indispensabile una principessa. Tiana ricorda che una sua amica, essendo la figlia del Re del Carnevale, è in qualche modo una principessa e quindi potrebbe spezzare il sortilegio. Insieme ai 16 suoi compagni di viaggio, allora, decide di tornare in città e cercare la ragazza. Nel frattempo, però, tra i due “ranocchi “nasce un sentimento che entrambi cercano di soffocare; Tiana perché lui è un nobile e Naveen perché vorrebbe destinare la dote di una moglie facoltosa proprio alla realizzazione del sogno di Tiana: aprire un ristorante. Arrivati in città, trovano subito la ragazza, ma il tempo è tiranno e il bacio famigerato arriva dopo la mezzanotte quando i festeggiamenti del Carnevale, e quindi anche le nomine a re e regina, sono terminati. I quattro amici non si scoraggiano, con un po’ di fortuna riescono a trovare il “finto principe” e rubandogli l’amuleto di Facilier lo fanno ritornare quello che era. Il mago è su tutte le furie, il suo piano non va come dovrebbe e per questo scatena tutta la sua rabbia contro i 4 animaletti. Ray purtroppo perisce, ma gli altri riescono a sconfiggere il perfido fattucchie- Film re. Tiana e Naveen, nonostante la vittoria, sono rassegnati: passeranno la vita da ranocchi. Questo, però, non vieta loro di sposarsi in una pittoresca cerimonia nel bosco. Ma arrivato il momento del bacio succede qualcosa, entrambi ritornano umani. Tiana, infatti, sposando Naveen diventa principessa e quindi capace di sciogliere l’incantesimo. La cerimonia nuziale è ripetuta anche fra gli umani con grande felicità di tutti. Passa del tempo e Tiana riesce, con l’aiuto del marito, ad aprire il tanto desiderato ristorante. li amanti del cartoon classico possono tirare un respiro di sollievo. Dopo anni di motion capture, 3D e coputerizzazioni varie la Disney torna al disegno a mano per il suo nuovo lungometraggio La principessa e il ranocchio. Già dal titolo è facile intuire che lo sguardo al passato non si ferma alla tecnica, ma va ricercato anche nel soggetto, una fiaba classica dei fratelli Grimm rivisitata, per l’occasione, in chiave jazz. E naturalmente la location non poteva che essere una New Orleans colorata, chiassosa, resa ancora più vivace dal clima carnascialesco. Una New Orleans anni Venti che considerava “Katrina” un semplice nome femminile, in cui permeavano G Tutti i film della stagione ancori strane magie che potevano sconvolgere la vita delle persone. Ed è proprio un rituale voodoo che trasforma il principe Naveen in un ranocchio e lo costringe a cercare, fra la finzione della maschere, una principessa pronta a baciarlo per spezzare l’inantesimo. La scelta cade sulla ragazza sbagliata, Tiana, che si ritroverà a sua volta a condividere il destino da anfibio con un principe che di “azzurro” ha ben poco. Se Tiana, infatti, ha messo da parte le moine e l’ingenuità che caraterrizzavano le sue colleghe Disney, anche Naveen non si è lasciato influenzare dai suoi predecessori, sfoggiando un carattere libertino e spaccone che poco si addice a un eroe romantico. Effettivamente, di romanticismo in La principessa e il ranocchio c’è né poco. Lei ossessionata dal successo lavorativo e lui dal conquistare più donne possibili. Eppure a suo modo è una pellicola estremamente sentimentale. Il romanticismo c’è, ma è nascosto dalle paure, dalle fragilità che caratterizzano l’essere umano, la certezza è sostituita dalla speranza che porta a un lieto fine non dovuto, ma conquistato. Il “vissero felici e contenti” non è il frutto degli eventi che i personaggi subiscono, ma il traguardo raggiunto grazie al cambiamento, alla consapevolezza dei propri limiti e, perché no, sbagli. Ad accompagnarli in questo percorso due compagni di viaggio di tutto rispetto: il coccodrillo trombettista Louis e la lucciola Ray. Su quest’ultimo personaggio vale la pena di spendere due parole in più perché con la sua disarmante ingenuità e il suo amore incondizionato per una lucciola particolare Evangeline (che si scoprirà essere la luna) colpisce veramente nel segno. È il tocco in più, il quid che fa la differenza. Inevitabilmente la scena del suo funerale, in perfetto stile New Orleans, è una delle più riuscite e trascinanti del film. Gli ideatori della pellicola, John Musker e Ron Clements, possono ritenersi soddisfatti; sono riusciti ad amalgamare diversi generi in un’opera che ha un gusto squisitamente moderno e attuale e allo stesso tempo la giusta dose di soluzioni rétro che vanno ad attenuare quagli eccessi di troppo che avrebbero appesantito il film. E poi, come non applaudire la scelta di una bellezza afroamericana per il ruolo di Tiana? Certo forse la Disney ha aspettato un po’ troppo (è la quarantanovesima pellicola!), ma almeno ha dimostrato una parvenza di conformità ai messaggi che manda da anni sul piccolo e grande schermo. Francesca Piano DORIAN GRAY (Dorian Gray) Gran Bretagna, 2009 Arredatore: Niamh Coulter Trucco: Heather Manson, Paula Price, Lesley Smith Acconciature: Paul Mooney, Paula Price, Lesley Smith Supervisore effetti speciali: Mark Holt Supervisore effetti visivi: Charley Henley Interpreti: Colin Firth (Lord Henry Wotton), Ben Barnes (Dorian Gray), Rebecca Hall (Emily Wotton), Rachel Hurd-Wood (Sybil Vane), Emilia Fox (Lady Victoria Wotton), Ben Chaplin (Basil Hallward), Caroline Goodall (Lady Radly), Fiona Shaw (Agatha), Daniel Newman (Michael Radly), Maryam d’Abo (Gladys), Douglas Henshall (Alan Campbell), David Sterne (direttore del teatro), Johnny Harris (James Vane), Michael Culkin (Lord Radley), Jo Woodcock (Celia Radley), Pip Torrens (Victor), Hugh Ross (prete), Louise Rose (Angelique), Tallulah Sheffield (Caroline Bennett), Lily Garrett (Emily Wotton piccola), Lisa Marie Cooke (bella ragazza), Aewia Huillet (Elisa), Emily Phillips (Alice Radley), Paul Warren (proprietario del carro di thè), Noli McCool (Jj), Guillaume Grange (Ratcatche), George Potts (fotografo), Jeffrey Lipman (Lord Kelso), Robert Johnston (cantante dell’Opera), John Hollingworth (guardia) Durata: 112’ Metri: 3070 Regia: Oliver Parker Produzione: Barnaby Thompson per Ealing Studios/ Fragile Films Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 27-11-2009; Milano 27-11-2009) V.M.: 14 Soggetto: tratto dal romanzo The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde Sceneggiatura: Toby Finlay Direttore della fotografia: Roger Pratt Montaggio: Guy Bensley Musiche: Charlie Mole Scenografia: John Beard Costumi: Ruth Myers Produttori esecutivi: Paul Brett, Simon Fawcett, James Hollond, Xavier Marchand, Sophie Meyer, Charles Miller Smith, Tim Smith, James Spring Co-produttore: Alexandra Ferguson Direttore di produzione: Tim Wellspring Casting: Lucy Bevan Aiuti regista: Christopher Newman, Samantha Smith, Carly Taverner Operatore: Julian Morson Operatore steadicam: Julian Morson 17 Film iamo negli ultimi anni dell’800. Dorian Gray, un bellissimo ragazzo dall’aria ingenua e sognante, giunge nella Londra vittoriana perché ha ereditato una fortuna dallo zio. Rimasto orfano fin dalla nascita di madre e padre, trascorse la sua infanzia nella casa del rigido zio. Dopo l’iniziale spaesamento, viene subito preso sotto l’ala protettrice di Lord Henry Wotton, incallito fedifrago sposato a Lady Victoria. Nel frattempo, il pittore omosessuale Basil Hallward, colpito dalla bellezza del giovane, decide di fargli un ritratto. Alla presentazione del dipinto i presenti non possono fare a meno di notarne la somiglianza e la perfezione. Watton dice a Gray che l’opera di Basil è anche meglio del vero Dorian, perché esso non invecchierà, al contrario del giovane che, inevitabilmente, sarà soggetto ai segni del tempo. Wotton stuzzica semplicemente Gray chiedendogli se sarebbe disposto a vendere l’anima al diavolo pur di rimanere per sempre giovane e Dorian non si tira indietro. Per una sorta di strano incantesimo imprigiona la sua anima nel dipinto, ottenendone in cambio l’eterna giovinezza. Il ragazzo intanto si innamora della attrice teatrale Sybil Vane e decide di sposarla, ma è convinto da Wotton a non farlo. Da qui il giovane Gray, sempre più narcisista, diventa un vero seguace delle idee di Wotton e del suo stile di vita, abbandonandosi a corruzione e lussuria. Inizia a frequentare bordelli, a bere e a far uso di droghe, abbandonandosi ai piaceri della carne. Saputa la notizia del tradimento, Sybil si uccide affogandosi in un lago. Jim, il fratello della giovane attrice, accusa Dorian di averla indotta al suicidio, ma viene catturato quando sta per soffocarlo. S Tutti i film della stagione Il soggetto rappresentato nel quadro intanto ha perso completamente le sue fattezze, è invecchiato e ha assunto le terribili sembianze di un essere corrotto e degradato. L’autore del ritratto chiede a Gray il quadro per esibirlo in una sua personale mostra di opere, ma Dorian lo ha riposto in soffitta, affinché nessuno possa vederlo. Pur di sviare Basil dai suoi propositi, gli si concede sessualmente, ma questo non basta; a causa delle continue richieste di Basil, Gray gli mostra il quadro, svelando la verità. Basil intuisce di essere di fronte a qualcosa di demoniaco e cerca di far rinsavire Gray, che però perde il senno e uccide il pittore. Gray ormai sta perdendo completamente il controllo, decide di partire per un lungo viaggio e chiede all’amico Wotton di accompagnarlo, ma questo però sta per diventare padre e rifiuta. Gray torna a Londra dopo venticinque anni; egli dovrebbe avere cinquant’anni, ma è rimasto uguale rispetto alla sua partenza. Tutti ormai sono anziani, Henry ha settant’anni , ha perso la moglie e ha una figlia venticinquenne, Emily. Dorian inizia a comprendere la gravità degli atti che ha compiuto e si reca al cimitero dove è sepolta Sybyl. Qui incontra Jim, il fratello della ragazza, che è impazzito in ospedale e cerca di sparare a Dorian per vendicare la morte della sorella. Gray si salva grazie al suo aspetto, ma pochi giorni dopo, durante una sparatoria, Jim verrà investito dalla metropolitana. Emily e Dorian si innamorano l’uno dell’altra, ma la loro unione è ostacolata dal padre che, come tutti, è convinto che Dorian sia vittima di uno strano maleficio. Dorian è preso sinceramente da Emily e decide di cambiare radicalmente, ma per farlo dovrà fuggire lontano con lei e le 18 propone di andare a New York. Henry inizia a indagare e, osservando le loro foto passate, si rende conto del fatto che Dorian è effettivamente identico a come era in gioventù. Intuisce che il quadro è la chiave di tutto e si fa fabbricare una copia delle chiavi della soffitta di Dorian. Così inscena una festa per la partenza di Gray e la figlia. Durante i festeggiamenti, si precipita a casa di Dorian e, proprio quando è a un passo dalla verità, arriva il ragazzo. Ne segue un breve scontro, Gray sta per soffocare Henry, ma questi riesce a liberarsi e a scoprire il quadro, rimanendone scioccato: il ritratto di Dorian è deturpato da anni di lussi e spregiudicatezze e risulta del tutto irriconoscibile. Henry dà fuoco al dipinto, imprigionando poi Dorian nella soffitta in mezzo alle fiamme. In quel momento arriva sua figlia e Henry cerca di allontanarla; Dorian arriva a confessare addirittura il suo amore per lei, unico e sommo valore attribuito a una vita fino a quel momento vana e lussuriosa. Dorian dopo aver allontanato la donna, infilza il suo dipinto con una spada, morendo mentre si trasforma nel vecchio deforme che sarebbe dovuto essere. Il film si conclude con l’ormai vecchio Henry che, avendo ottenuto la dimora di Dorian dopo la sua morte, si reca in cantina e osserva il dipinto, ritornato alla sua forma originale, giovane e perfetto. on è facile adattare un libro per lo schermo, rinnovando e prolungando il piacere del testo. Ancora più complesso è realizzare la trascrizione cinematografica di un classico della letteratura come “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. Tenta l’impresa il regista inglese Oliver Parker, che già in passato si era cimentato a trasferire sullo schermo le parole di Wilde. Infatti dopo le ben riuscite trasposizioni di due commedie teatrali del poeta, Un marito ideale e L’importanza di chiamarsi Ernest, Parker cerca un confronto diretto con l’eroe decadente di Wilde. Dorian Gray è un dandy ribelle, a cui manca la tumultuosa vita interiore degli eroi romantici e a cui un contratto demoniaco ha fissato una maschera immodificabile. Il regista si è preso varie libertà in questo adattamento aggiungendo, ad esempio, il personaggio della figlia di Wotton, Emily, con cui Dorian Gray sembra avviare una storia d’amore nella parte finale del film, o i ricordi d’infanzia del protagonista, usando il testo di Wilde come “canovaccio” per realizzare un dramma a tinte blandamente horror e, a tratti, piuttosto paradossale. Parker si guarda bene dal buttarsi in un corpo a corpo tra letteratura e cinema, la- N Film sciando trasparire l’origine letteraria del film, ma esibendo, all’interno della dimensione scenografica, una spettacolarizzazione degli effetti speciali. Effetti che illustrano gli incubi nevrotici del protagonista e rendono visibile la sua mostruosità, la miscela umana e ripugnante di un dandy animato dalla vocazione a realizzare una vita inimitabile, vendendosi banalmente l’anima al diavolo. Accanto a lui due coscienze: una, Wotton, che incarna il male e lo trascina in un giro di bordelli e vizi della società mondana dell’epoca, l’altra, Basil, che rappresenta la retta via e tenterà di tenerlo con i piedi per terra per affrontare una vita tranquilla. Il film, a differenza del romanzo, è incentrato totalmente sulla figura del protagonista. Apprendiamo diversi aspetti del suo passato e tangibile è la sua evoluzione: ingenuo ventenne, egli diventa poi un uomo corrotto dedito al piacere, che maturerà infine la distinzione tra sensi e Tutti i film della stagione felicità. A invecchiare è il suo ritratto, che riporterà tutti i marchi della sua progressiva depravazione. Il quadro è una presenza oscura, il cui orrore è intuibile per gran parte del film, per poi essere esplicitato in scene molto efficaci. Molte inquadrature adottano il suo punto di vista quando è l’anima di Dorian a scrutare dopo essere indagata. Originale e di forte impatto la scelta di rendere il ritratto una creatura viva e orripilante, che marcisce ed emette spaventosi suoni. Le scenografie e la fotografia fredda e cupa contribuiscono a rendere più tenebrosa la vicenda narrata. Il tono dark è evidenziato anche dalla suggestiva colonna sonora, nonché da un’accurata ambientazione in stile vittoriano, consolidata dagli bei costumi d’epoca. Colin Firth, filantropo e tentatore, magnifico e sprezzante nel suo tentativo di scandalizzare i benpensanti borghesi e di alterare la frontiera morale del suo giova- ne protetto, nonostante la barba posticcia, conferma il suo talento. Non si può dire altrettanto di Ben Barnes, che poteva funzionare come superbo principe Caspian nelle Cronache di Narnia, ma non vestire i panni di Dorian Gray. Il giovane attore, a parte il non essere biondo e con gli occhi azzurri come voleva il romanzo, è inespressivo e difficilmente riesce a passare dall’ingenuità iniziale alla perversione che caratterizza il personaggio faustiano di Wilde. Al di là del tema dell’immortalità, sempre attuale e riprodotto nel film come nel libro (“Sono un dio”, dice Dorian), Dorian Gray è quindi un film che sarà apprezzato da chi non si soffermerà più di tanto nel paragone con il romanzo. Certamente non è un film che lascia indifferenti. Del resto ci ricorda Oscar Wilde: “Vi è solo una cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”. Veronica Barteri HACHIKO - IL TUO MIGLIORE AMICO (Hachiko: A Dogs Story) Stati Uniti, 2009 Arredatore: Gretchen Schlottman Trucco: LuAnn Claps, Nichole Pleau Acconciature: Lyndell Quiyou Supervisore effetti speciali: John A. McGrath Coordinatori effetti speciali: John Ruggieri Supervisore effetti visivi: David Isyomin (& Company) Supervisore costumi: Sheila Gentile Supervisore musiche: Liz Gallacher Interpreti: Richard Gere (Parker Wilson), Sarah Roemer (Andy Wilson), Cary-Hiroyuki Tagawa (Ken), Joan Allen (Cate Wilson), Jason Alexander (Carl), Erick Avari (Jess), Robert Capron (studente), Davenia McFadden (Mary Anne), Forest (Hachiko), Kevin DeDoste (Ronnie), Tora Hallstrom (Heather), Robbie Sublett (Michael), Bates Wilder (accalappiacani), Gloria Crist (pendolare), Donna Sorbello (Myra), Donald Warnock (capotreno), Gary Roscoe (pedone), Vincent J. Earnshaw (pendolare alla stazione), Denece Ryland (Miss Latham), Adam Masnyk (ragazzo impacciato), Morgan O’Brien (pendolare del treno), Oscar J. Castillo, Martin Montana (pendolare alla stazioni), Michael Kelly, Roy Souza (pendolari), Thomas Tynell (nuovo proprietario di casa), Ben Skinner (studente presente al funerale), Rob Degnan (Teddy Barnes), Rich Tretheway Durata: 93’ Metri: 2570 Regia: Lasse Hallström Produzione: Richard Gere, Bill Johnson, Vicki Shigekuni Wong per Inferno Distribution/Grand Army Entertainment/Opperman Viner Chrystyn Entertainment/Scion Films/Stage 6 Films Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 30-12-2009; Milano 30-12-2009) Soggetto: ispirato alla sceneggiatura di Kaneto Shindô del film Hachiko Monogatari (1987) di Seijirô Kôyama Sceneggiatura: Stephen P. Lindsey Direttore della fotografia: Ron Fortunato Montaggio: Kristina Boden Musiche: Jan A.P. Kaczmarek Scenografia: Chad Detweiller Costumi: Deborah Newhall Produttori esecutivi: Warren T. Goz, Paul Mason, Stewart McMichael, Jim Seibel Co-produttore: Dean Schnider Line producer:Robert Ortiz Direttore di produzione: Stephanie Accetta Casting: Rick Montgomery Aiuti regista:Cara Giallanza, John Tagamolila Operatori: Brant S. Fagan, Bruce MacCallum Operatore steadicam: Brant S. Fagan Art director: Jordan Jacobs n classe, Ronnie racconta che il suo ideale di eroe è Hachiko, il cane di suo nonno Parker; era “il cane del mistero” perché nessuno sapeva da dove fosse venuto. Noi lo vediamo che viene portato nel bagagliaio di un treno in una gabbietta che si rompe durante il viaggio. Così il cucciolo è libero e si ritrova I nella stazione ferroviaria di una cittadina nei pressi di New York; incontra per caso Parker, professore universitario di musica che rientra a casa la sera. Parker lo accarezza e, poiché forse si è perso (infatti ha una targhetta spezzata, dove si legge solo il nome, Hachiko), lo porta con sé a casa. Ma la moglie non è d’accordo. Il canile 19 cittadino ora non ha posto, quindi Parker sparge la voce che sta cercando una sistemazione per un cucciolo trovatello. Lo porta con sé durante le lezioni, lo fa vedere a un collega giapponese il quale lo riconosce come appartenente alla razza Akita, che vive in una zona del Giappone; il nome vuol dire “8”, numero fortunato con Film un significato molto spirituale: “salire in Cielo e poi scendere in terra”. È una razza nobile, scontrosa, quindi non seguirà se non Parker, perché “ha già fatto la sua scelta”. Nel giro di qualche giorno, Haci conquista tutta la famiglia ed è proprio la moglie che decide di tenerlo. Con il passare del tempo, Haci cresce ed è protagonista delle più varie scenette in famiglia, dalla quale esce la figlia per sposarsi e avere un bambino. Ma per Haci conta davvero solo Parker: si abitua ad accompagnarlo in stazione al mattino, poi si ferma lì fuori fino a quando egli non ritorna. Questa cerimonia si ripete ogni giorno, con ogni tempo e stagione. Infine, un mattino il professore esce ma il cane insiste a non seguirlo; appena l’uomo è lontano, il cane prende la palla con cui gioca con Parker, inseguendola ma non riportandola, e si precipita alla stazione: fa in tempo a dare a lui la palla, prima che salga in treno. In università, l’uomo fa la sua lezione in aula camminando avanti e indietro e giocando con la palla, ma a un tratto crolla a terra. A sera, il cane vede scendere dal treno tutti ma non il professore. Nei giorni che seguono, se ne rimane sconsolato nella sua cuccia in giardino. Dopo il funerale, il cane viene portato in casa della figlia, dove ci sono anche il marito e un bambino. Hachi è triste e fugge via, va alla stazione dove trova un angolino in mezzo ai binari; viene ritrovato ma ben presto fugge di nuovo. È proprio la vedova che gli dice “se devi andare, va bene lo stesso”; e così il cane ogni giorno, in ogni stagione e tempo, per anni passa la sua giornata al suo solito posto in stazione, venendo accudito da tutta la gente che lavora lì... diventa persino oggetto di notizie giornalistiche. Dopo dieci anni, la Tutti i film della stagione vedova ritorna in città e al vederlo si commuove ma non lo porta via. A casa, racconta la storia al nipote mentre osservano le foto. A dicembre, il cane si sistema nella neve, con il muso sulle zampe e chiude gli occhi: vediamo che ricorda scene belle e importanti della sua vita. La macchina da presa si solleva verso il cielo. Ritorniamo al bambino a scuola: dice che anche se non ha mai visto quel cane ha imparato da lui il valore della fedeltà e perciò “sarà sempre il mio eroe”. Ultime immagini: il padre porta al bambino un cucciolo di razza Akita. erché una major non dovrebbe dedicare un “piccolo” film di 93 minuti a una gentile notizia così? È una “piccola” operazione commerciale di successo, per lei e per il pubblico è una pausa di sollievo, di respiro nel turbine di film che si affidano sempre più, si può dire in ogni genere cinematografico, a uno scorrere di scene e di singole inquadrature sempre più veloce. La storia di Hachiko e Parker ha le carte in regola per attirare l’attenzione del pubblico: è una storia vera, avvenuta all’inizio del Novecento nella stazione Shibuya di Tokio; è una storia già letteraria di sua natura, quindi occorreva un regista con una sensibilità e uno stile adeguati: ecco Lasse Hallstrom, autore di Buon compleanno, Mr. Grape, Le regole della casa del sidro, Chocolat. Ama film ricavati da testi letterari e si può definire letterario il suo stile, che disegna ogni scena con la delicatezza di un narratore esterno, il quale è il primo a lasciarsene affascinare. In questo film, la storia inizia nella classe dove il piccolo nipote di Parker descrive il suo prototipo di eroe e lì termina; il ragazzo non rimane voce fuoricampo ma P il fatto stesso che la vicenda sia introdotta così dà verità alla sequenza di episodi. Mantenerla nel passato era non solo necessario per la sua credibilità ma anche per renderla meno “ didattica” e più simbolica; si sottintende un monito per l’anima della società di oggi ma il monito e la storia non si danneggiano a vicenda. Il cane è il modello di come sia e si esprima il sentimento di fedeltà, che nasce da una precisa scelta: è il cane che sceglie, ma non si mette a servizio dell’amico. È presentato con una quantità di carrelli, con molti primi piani e primissimi piani e dettagli tutti molto belli. Lo sguardo sulla realtà è il suo: non sono poche le soggettive del cane, moltissime delle quali sono in bianco e nero. La fotografia e il colore rendono vivaci gli ambienti in cui vive un mondo che è quasi un paese di una volta, dove tutti si conoscono e dove è persino possibile che il capostazione faccia ritardare di qualche minuto la partenza del treno mentre il professore cerca di convincere il cane a tornare a casa. A suggerire gli “stati d’animo” del cane e le sue decisioni è poi la musica, presente in quasi tutti i momenti, suggestiva nel senso primo della parola; in essa primeggia il pianoforte ed è giusto, perché è lo strumento che Parker suona. Hallström conferma ancora una volta le sue capacità di narratore elegante di storie molto umane, che prendono l’attenzione del pubblico in un modo non sdolcinato; senza dubbio non è particolarmente originale, ma sa usare in modo corretto il suo strumento e il pubblico può essere certo che da questo regista avrà sempre un racconto di forti sentimenti, fatti trapelare con buona misura. Danila Petacco CAPITALISM: A LOVE STORY (Capitalism: A Love Story) Stati Uniti, 2009 Co-produttori: Carl Deal, Tia Lessin Line producer: Jennifer Latham Suono: Francisco La Torre, Mark Roy, Hilary Stewart Interpreti: Thora Birch, William Black, Elijah Cummings, Baron Hill, Marcy Kaptur, Michael Moore, Wallace Shawn, Elizabeth Warren (se stessi) Interpreti (filmati di repertorio): Jimmy Carter, John McCain, Sarah Palin, Ronald Reagan, Franklin Delano Roosevelt, Arnold Schwarzenegger, George W. Bush, Nancy Davis, Martin Luther King, Helmut Kohl, Bela Lugosi, Barack Obama, Robert Powell, Joseph Stalin Durata: 119’ Metri: 3300 Regia: Michael Moore Produzione: Anne Moore, Michael Moore per Overture Films/ Paramount Vantage/The Weinstein Company/Dog Eat Dog Films Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 30-10-2009; Milano 30-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Michael Moore Direttore della fotografia: Daniel Marracino, Jayme Roy Montaggio: Conor O’Neill, John Walter, Jessica Brunetto, Alex Meillier, Tanya Ager Meillier, Pablo Proenza, T. Woody Richman Musiche: Jeff Gibbs Produttori esecutivi: Kathleen Glynn, Bob Weinstein Produttore associato: Eric Weinrib 20 Film ’America di questi ultimissimi anni, dilaniata dalla crisi economico-finanziaria, assomiglia all’antica Roma imperiale: il potere e l’apparente fasto nascondono i germi della decadenza e, inoltre, esistono enormi disparità all’interno della società, tra chi ha di più e chi non ha nulla. All’inizio la pubblicistica diceva che il capitalismo era compatibile con le leggi e gli insegnamenti della Bibbia, mentre adesso viene criticato anche dalla Chiesa. E non si capisce perché abbia finito per prevalere, quando termini come “libera impresa”, “concorrenza” o “profitto” non figurano nella Costituzione degli Stati Uniti. Fino all’elezione di Ronald Reagan come Presidente, gran parte del popolo americano conduceva una vita agiata. Oggi, invece, i lavoratori del ceto medio sono vittime di un sistema economico predatorio: ogni giorno subiscono infatti ipoteche, pignoramenti, sfratti sulle proprie abitazioni da parti di agenti immobiliari senza scrupoli. Le banche invitano soprattutto anziani possessori di una casa a chiedere prestiti, per poi metterli in ginocchio con tassi d’interesse sempre più lievitanti. Le più importanti aziende del Paese, come la General Motors, registrano licenziamenti a catena perché la Bank of America non è più disposta a fare credito. Oppure speculano sulla morte dei propri dipendenti per incassare ingenti somme di danaro dalle assicurazioni. I più importanti istituti bancari, nel volgere di breve tempo, sono falliti per responsabilità degli stessi uomini del mondo della Borsa (per esempio Goldman Sachs) che lavorano come lobbisti dall’interno del governo sotto le vesti di ministri del Tesoro (sia sotto l’amministrazione Clinton che sotto quella di Bush Jr.). A sancire il primato del potere della finanza nella politica americana è stato l’accordo segreto stipulato al Congresso tra democratici e repubblicani. Con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, le cose iniziano a prendere una piega diversa: la gente ha il coraggio di ribellarsi agli espropri forzati e i politici manifestano la loro solidarietà agli scioperanti che protestano nelle fabbriche. Tutti i film della stagione L ’avviso iniziale che invita gli spettatori facilmente impressionabili a lasciare la sala è solo l’ennesima boutade di un artista controcorrente che, forse, non riuscirà mai a cambiare il corso delle cose con i suoi film ma, almeno, è capace di fare indignare, riflettere e, allo stesso tempo, ridere delle storture L politiche e sociali del proprio Paese. Come nessun altro. A proposito di irriverente ironia, si veda in questo ultimo lavoro un estratto “rivisitato” dal Gesù di Nazareth di Zeffirelli mentre il Messia predica il liberismo! Dopo aver svelato le magagne dell’11 settembre e della folle politica estera del più falco dei falchi G.W. Bush e aver denunciato le iniquità del sistema sanitario americano (ora parzialmente riformato da Obama), stavolta Michael Moore prende di mira un intero sistema «costruito su fondamenta di sabbia», che ha portato prima l’America e, lentamente l’intero pianeta, al tracollo. Milioni di posti di lavoro che saltano ogni giorno, altrettante famiglie indebitate fino al collo e costrette a vivere nelle tende, compagnie assicurative e corporation sull’orlo della bancarotta. E pensare che i primissimi segnali della recessione risalgono a ben venti anni fa, quando il giovane e arrabbiato film-maker di Flint (Michigan) documentava la crisi di un gigante dell’industria automobilistica locale, la General Motors. Ieri come oggi, l’autore di Roger & Me insiste imperterrito ad andare sotto gli uffici dell’azienda nel tentativo di essere ricevuto dai vertici ma, puntualmente, viene allontanato dagli uomini della sicurezza. Segno, questo ultimo, che le sue garbate accuse in forma di satira continuano a dare parecchio fastidio. D’altronde, quando il potere da “controllore” diventa oggetto di controllo, inizia a temere per la propria indennità… . È a questo punto che possono venire a galla crepe di dimensioni preoccupanti: un condono a scopo di lucro in un carcere minorile della Pennsylvania; piloti che al posto dello stipendio vengono pagati con buoni alimentari, oppure sono costretti a 21 donare il proprio plasma per avere denaro in cambio; coniugi che dopo 18 anni di servizio alla Wal-Mart fanno i conti con la piaga delle cosiddette assicurazioni “del contadino morto” (ovvero contratti stipulati all’insaputa dell’impiegato, in cui il beneficiario è la società stessa). Ma la realtà più cruda e assurda di questa America di avvoltoi e squali, che non sempre arriva nelle sue effettive proporzioni a noi telespettatori d’oltreoceano attraverso telegiornali e reportage, è quella che riguarda il mercato immobiliare. Un esercito di potenziali “profughi”, impossibilitati a pagare mutui dalle cifre spropositate, combatte ogni giorno per la difesa della propria casa. Con l’ulteriore umiliazione: prima di abbandonarla, gli sfrattati devono addirittura lasciarla linda e profumata per il nuovo proprietario! La Democrazia delle democrazie ridotta a schiava del più grande “casinò” del globo, Wall Street... . Dinnanzi a queste immagini indecenti, l’intero mondo occidentale, vissuto finora in una bolla di sapone, è costretto a farsi un esame di coscienza, a ripensare su quali regole, non soltanto economiche, intende costruire il proprio futuro. Moore, da inguaribile ottimista quale è («mi vergogno di vivere in un paese come questo ma non me ne vado» – dice nel finale), prova a suggerire una soluzione che, in verità, viene dal passato: poco prima di morire il Presidente Roosevelt, nel corso di un discorso televisivo, propose infatti alla nazione una seconda Carta dei Diritti su temi come la salute ed il lavoro che, però, non fu mai realizzata. Penalizzato da una durata eccessiva (127 minuti per un documentario sono decisamente troppi!), Capitalism: A Love Film Story si riscatta tuttavia grazie a un felice montaggio, in cui si alternano un ricco materiale di repertorio, storie di vita quotidiana e simpatiche interviste (come quella al sacerdote che ha celebrato il matrimonio del regista). Ma anche gag gigionesche, inscenate ai danni dei principali istituti di credito (vere e proprie associazioni mafiose – secondo Tutti i film della stagione Michael Moore): a bordo del suo furgoncino, attraversa in lungo e largo New York, prima di appostarsi davanti all’ingresso delle banche “armato” di sacchetti di plastica per farsi restituire i soldi a nome dei contribuenti “derubati”! Si spinge addirittura a circondarne una con un nastro giallo su cui c’è scritto: «Qui sono stato compiuti dei crimini». Non è una novità, visto che perfino Thomas Jefferson lo diceva («Le imprese bancarie sono più criminali degli eserciti») ma, forse, sarà bene aprire gli occhi in tempo se non vogliamo che, dopo averci lasciato in mutande, ci tolgano anche la dignità... . Diego Mondella JENNIFERS BODY (Jennifers Body) Stati Uniti, 2009 Trucco: Monica Huppert Acconciature: Robert A. Pandini Coordinatore effetti speciali: Rory Cutler Supervisori effetti visivi: Phil Jones (Technicolor Beijing), Erik Nordby Supervisore musiche: Randall Poster Interpreti: Megan Fox (Jennifer), Amanda Seyfried (Needy), Johnny Simmons (Chip), Adam Brody (Nikolai), Sal Cortez (Chas), Ryan Levine (Mick), Juan Riedinger (Dirk), Chris Pratt (Roman Duda), Juno Ruddell (Agente Warzak), Kyle Gallner (Colin Gray), Josh Emerson (Jonas Konelle), J.K. Simmons (Mr. Wroblewski), Amy Sedaris (madre di Needy), Cynthia Stevenson (madre di Chip), Nicole Leduc (Camille), Aman Johal (Ahmet), Dan Joffre (Raymundo), Candus Churchill (nutrizionista), Carrie Genzel (madre di Jennifer), Emma Gallello (Jennifer piccola), Megan Charpentier (Needy piccola), Jeremy Schuetze (Craig), Emily Tennant (ragazza pettegola), Karissa Tynes (altra ragazza), Adrian Hough (padre di Colin), Colin Askey, Valerie Tian, Eve Harlow, Michael Brock, Genevieve Buechner Durata: 102’ Metri: 2800 Regia: Karyn Kusama Produzione: Daniel Dubiecki, Mason Novick, Jason Reitman per Dune Entertainment/Fox Atomic/Hard C Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 11-12-2009; Milano 11-12-2009) V.M.: 18 Soggetto e sceneggiatura: Diablo Cody Direttore della fotografia: M. David Mullen Montaggio: Plummy Tucker Musiche: Stephen Barton, Theodore Shapiro Scenografia: Arvinder Grewal Costumi: Katia Stano Produttore esecutivi: Diablo Cody Co-produttore: Brad Van Arragon Direttore di produzione: Michael Williams Casting: Heike Brandstatter, Mindy Marin, Coreen Mayrs Aiuti regista: Jason Blumenfeld, Gary Hawes, Gordon Piper, Tracey Poirier Operatori: John Clothier, Karl Herrmann, Dale H. Jahraus Art director: Paolo G. Venturi Arredatore: Joanne Leblanc Effetti speciali trucco: Mike Filed ’insicura Anita “Needy” Lesnicki (Amanda Seyfried) e la popolare e bella ragazza pon pon del liceo Jennifer Check sono amiche dall’infanzia, , nonostante abbiano poco in comune. Una notte Jennifer porta Needy a un locale in periferia, dove si esibisce la rock band indipendente dei Low Shoulder. Un incendio devasta il bar, uccidendo diversi spettatori e, nel trambusto, Jennifer viene portata via dalla band nonostante i tentativi di Needy di fermarla. Più tardi, la sera stessa, Jennifer appare nella cucina di Needy, ricoperta di sangue e con un aspetto agghiacciante. Si dirige verso il frigorifero e prova a mangiare qualcosa, ma comincia a vomitare un liquido nero in quantità. Se ne va di lì a poco, senza parlare. La mattina dopo, Jennifer è a scuola, bella, curata e tranquilla come sempre. È insofferente a Needy e alle sue domande. Mentre il paese è devastato dall’incidente della sera prima, costato la vita a decine di persone, Jennifer seduce il capitano della squadra di football e lo porta nei bo- L schi, dove si trasforma in una belva assetata di sangue e lo fa a pezzi. Mentre il tempo passa e il gruppo dei Low Shoulder acquista sempre più popolarità in seguito alla loro decisione di devolvere parte dei proventi del loro primo disco alle vittime della tragedia, Jennifer diventa sempre più pallida e sciupata. Un giorno, accetta un invito a uscire di Colin, ma solo per ucciderlo brutalmente quella sera stessa. Il delitto avviene mentre Needy fa sesso per la prima volta col suo ragazzo Chip e sente che sta accadendo qualcosa di terribile: scappa via e quasi si scontra con Jennifer, ricoperta di sangue. Corre a casa e ritrova la ragazza nella sua camera da letto. Jennifer la bacia, poi le racconta cosa è successo la notte dell’incendio: la band l’ha portata nei boschi, e offerta come vergine in sacrificio a Satana per ottenere successo nel mondo della musica. Purtroppo, a dispetto di quanto aveva raccontato loro, non era vergine e, quando il leader del gruppo Nikolai l’ha assassinata, un demone si è impossessata di lei. 22 Il giorno dopo a scuola, con il paese nuovamente sotto shock per la morte di Colin, Needy va a consultare dei testi di occultismo nella biblioteca della scuola e scopre la natura della possessione di Jennifer: deve continuare a nutrirsi di carne umana per mantenere sempre splendido il proprio aspetto. Needy racconta a Chip le proprie scoperte e lo avverte di non andare al ballo della scuola che si terrà a breve. Lui non crede alle sue parole, ma lei fa sul serio e, per proteggerlo, decide sul momento che è bene lasciarsi. Chip va al ballo, sperando di vedere Needy, ma si imbatte in Jennifer che lo seduce e lo porta a una piscina abbandonata. Needy riesce a trovarli e vede Jennifer che sta mordendo Chip. Needy prova ad annegarla, ma la ragazza levita in aria e passa al contrattacco, mordendola. Chip, alle sue spalle, riesce a trafiggerla con lo skimmer della piscina e a metterla in fuga. Needy vede Chip morirgli dissanguato davanti agli occhi. Needy si intrufola in camera di Jenni- Film fer dalla finestra e la affronta con un taglierino, che riesce a piantarle nel cuore. In quel mentre, sopraggiunge la madre di Jennifer, che vede Needy sopra il corpo privo di vita della figlia. Needy finisce all’ospedale psichiatrico. L’isolamento, con lei, serve a poco: il morso di Jennifer le ha trasmesso alcune sue abilità e poteri, come la forza e la levitazione, grazie alle quali evade con facilità. Arrivata a una strada, fa l’autostop e ottiene un passaggio per l’hotel dove i Low Shoulders sono alloggiati per una data del loro concerto: li ucciderà tutti con le sue mani, per poi dileguarsi sotto gli occhi della videocamera di servizio dell’hotel. J ennifer’s Body, ovvero un’occasione mancata destinata a lasciare poche tracce di sè. Il tutto no- Tutti i film della stagione nostante una Megan Fox sensuale e sulla cresta dell’onda, vagamente “data in pasto” allo spettatore voyeur e, nonostante il copione di una Diablo Cody che dopo Juno sembra assurgere al trono di regina degli sceneggiatori politicamente scorretti (ammesso che ne esista uno). La natura ibrida di questo suo nuovo copione vorrebbe essere un punto di forza e un nuovo modo di fare horror, ma non riesce nell’intento: ci vuole un bel coraggio a definire “teen-comedy horror” un prodotto talmente indeciso sulla direzione da prendere da scontentare tutti senza affondare il colpo. Di certo non era un horror convenzionale quello che la Cody aveva in mente: le ambizioni, come in Juno, sono alte e appena velate da uno strato di superficialità (la “voracità” di Jennifer che prova a riempire il suo vuoto interiore, la spregiudicatezza come unica e inu- tile ribellione alla vita di provincia). Malgrado si evochi senza troppa convinzione Wikipedia e il raggiungimento della fama immediata come difetti congeniti dell’ignorante e vuota adolescenza odierna, alcune trovate sono azzeccate e l’umorismo nero fa capolino (il sacrificio di Jennifer, eseguito dai ragazzi del gruppo mentre cantano Jenny I got your Number dei Tommy Tutone); principale difetto è invece la regia di Karyn Kusama che non riesce a tenere il passo, incapace di trasmettere paura quando dovrebbe, mentre una confezione edulcorata (fotografia e colonna sonora in primis) rende tutto innocuo impedendo qualunque empatia con i personaggi. Qualcosa di abbastanza grave per un film, che sia teen o horror poco importa. Gianluigi Ceccarelli BASTARDI SENZA GLORIA (Inglourious Basterds) Stati Uniti/Germania, 2009 Regia: Quentin Tarantino Produzione: Lawrence Bender per Universal Pictures/The Weinstein Company/A Band Apart/Zehnte Babelsberg/Visiona Romantica Distribuzione: Universal Prima: (Roma 2-10-2009; Milano 2-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Quentin Tarantino Direttore della fotografia: Robert Richardson Montaggio: Sally Menke Scenografia: David Wasco Costumi: Anna B. Sheppard Produttori esecutivi: Lloyd Phillips, Erica Steinberg, Bob Weinstein, Harvey Weinstein Produttori associati: William Paul Clark, Bruce Moriarty, Pilar Savone Co-produttore: Charlie Woebcken Direttori di produzione: Michael Scheel, Gilles Castera, Philipp Klausing Casting: Simone Bär, Olivier Carbone, Jenny Jue, Johanna Ray Aiuti regista: Delphine Bertrand, Jerome Borenstein, William Paul Clark, Tanja Däberitz, Carlos Fidel, Ariane Lacan, Noura Leder, Guilhem Malgoire, Jill Moriarty, Miguel Angelo Pate, Julien Petit, O’Neil Sharma Operatore: Leah Striker, Operatore steadicam:Sebastian Meuschel Art directors: Marco Bittner Rossen, Stephan O. Gessler, Sebastian T. Krawinkel, Andreas Olshausen, David Scheunemann, Steve Summersgill, Bettina von den Steinen Arredatore: Sandy Reynolds-Wasco Supervisore effetti speciali trucco: Gregory Nicotero Coordinatore effetti speciali trucco: Howard Berger Effetti speciali trucco: Grady Holder, Camille Calvet apitolo 1. 1941, Francia sotto l’occupazione nazista. Monsieur LaPadite abita in una casa isolata in campagna con le figlie. Mentre sta C Trucco: Jake Gerber, Pamela Grujic, Heba Thorisdottir Acconciature: Emmanuel Millar, Fulvio Pozzobon, Pamela Grujic, Emanuel Millar Supervisori effetti speciali: Gerd Feuchter, Uli Nefzer Coordinatori effetti speciali: Gerd Feuchter, Uli Nefzer Supervisori effetti visivi: Gregory D. Liegey, Viktor Muller Supervisore effetti digitali: Joe Henke Supervisore costumi: Daryl Bristow, Brigitte Friedländer-Rodriguez Supervisore musiche: Mary Ramos Interpreti: Brad Pitt (Tenente Aldo Raine), Mélanie Laurent (Shosanna Dreyfus), Christoph Waltz (Colonello Hans Landa), Eli Roth (Sergente Donny Donowitz), Michael Fassbender (Tenente Archie Hicox), Diane Kruger (Bridget von Hammersmark), Daniel Brühl (Frederick Zoller), Til Schweiger ( Sergente Hugo Stiglitz ), Gedeon Burkhard ( Caporale Wilhelm Wicki), Jacky Ido (Marcel), B.J. Novak (Soldato Smithson Utivich), Omar Doom (Soldato Omar Ulmer), August Diehl (Maggiore Dieter Hellstrom), Denis Menochet (Pierrer LaPadite), Sylvester Groth (Joseph Goebbels), Martin Wuttke (Adolf Hitler), Mike Myers (Generale Ed Fenech), Julie Dreyfus (Francesca Mondino), Richard Sammel (Sergente Werner Rachttman), Alexander Fehling (Sergente Maggiore Wilhelm/Pola Negri), Rod Taylor (Winston Churchill), Soenke Möhring (Butz/Walter Frazer), Samm Levine (Soldato Gerold Hirschberg), Paul Rust (soldato Andy Kagan), Michael Bacall (soldato Michael Zimmerman), Petra Hartung (soldato donna tedesco), Volker Michalowski Ken Duken, Arndt Schweing-Sohnrey (soldati tedeschi), Anne-Sophie Franck (Mathilda) Durata: 153’ Metri: 5100 tagliando la legna, riceve la visita del colonnello nazista Hans Landa che scopre che sotto il pavimento dell’abitazione c’è nascosta una famiglia ebrea, i Dreyfus. I 23 soldati iniziano a sparare e solo una ragazza, Shosanna, riesce a sfuggire. Capitolo 2. In Europa, il tenente Aldo Raine sta formando una squadra speciale Film composta da 8 soldati ebrei, noti col nome di “i Bastardi”. La loro missione è quella di uccidere ogni soldato tedesco che incrociano sulla loro strada e di prendere il loro scalpo. Raine ne chiede 100 ad ognuno dei suoi uomini. Tra di loro c’è Hugo Stiglitz, che ha un personale conto aperto con i nazisti e Donny Donowitz, che uccide i tedeschi prigionieri con una mazza da baseball. Una volta viene risparmiata la vita a un giovane nazista, ma sulla sua fronte gli viene inciso il marchio nazista in modo che l’uomo possa andare da Hitler per fargli vedere di cosa sono capaci ‘i Bastardi’. Capitolo 3. 1944, Parigi. Shosanna si è stabilita a Parigi e si è creata un’altra identità; il suo nuovo nome è Emmanuelle Mimieux. Inoltre gestisce una sala cinematografica dove è in programma una notte dedicata al cinema tedesco. Un giovane soldato nazista, Fredrick Zoller, intanto la sta corteggiando. Lui è un eroe di guerra, è stato soprannominato ‘il sergente York’ e alla sua figura è ispirato il film Orgoglio di una nazione interpretato da lui stesso. Una mattina lui la fa prelevare e condurre a un ricevimento dove c’è anche Goebbels. Lì le viene comunicato che hanno intenzione di organizzare la première di Orgoglio di una nazione proprio nel suo cinema. In questa occasione, poi, resta molto scossa per il fatto che rivede il colonnello Landa. Per la ragazza comunque questa è l’occasione per vendicarsi. Assieme al suo assistente, un proiezionista di colore, al quale è molto legata, escogita un piano per bruciare il cinema quando tutto il quartier generale nazista è dentro la sala utilizzando come esplosivo le sue 350 pellicole. Capitolo 4. Il piano di far fuori gli uomini di punta del Terzo Reich è anche la Tutti i film della stagione principale mossa strategica dei ‘Bastardi’ . Nel corso della serata che precede la première nazista, si travestono da tenenti nazisti e partecipano ad una festa di alcuni uomini delle SS in uno scantinato. Con loro c’è anche l’attrice tedesca Bridget Von Hammersmak, una spia degli Alleati. Un ufficiale però dubita di loro e poi scopre la loro vera identità. Fa così partire una sparatoria nella quale però resta ucciso. L’attrice viene ferita e curata da un veterinario. Capitolo 5. Arriva la sera della prima di Orgoglio di una nazione. Shosanna/Emmanuelle si trucca, indossa un vestito rosso e infila una pistola nella borsetta. Tra i vip presenti ci sono pure Emil Jannings e Bridget Von Hammersmak con una gamba rotta. Aldo Raine e altri due bastardi non mancano per l’occasione e si fingono siciliani. Prima dello spettacolo però, Hans Landa scopre che l’attrice è una spia e la strangola. Fa poi catturare Raine ma non i suoi seguaci perché si trovano già in sala. Lo interroga assieme a un altro ‘bastardo’ e alla fine trova un accordo con loro. I boss nazisti saranno uccisi quella sera stessa nel corso della proiezione del film Orgoglio di una nazione. In cambio, Landa gli chiede una proprietà nell’isola di Nantucket (nel Massachussets), la croce d’oro e altri riconoscimenti. Il comando sembra accontentarlo ma la condizione è che lui si arrenda appena entrato nelle linee americane. Nel corso della proiezione, Zoller va in cabina di proiezione e Shosanna gli spara. Il soldato, agonizzante, la colpisce anche lui con un proiettile prima di morire. Il cinema intanto salta in aria e Hitler e altri alti funzionari delle SS perdono la vita 24 dopo essere stati colpiti dalle pallottole delle mitragliatrici e bruciati dalle fiamme. Aldo poi incide sulla fronte di Landa una svastica affinché non possa cancellare mai il suo passato nazista. i/scrivere la Storia utilizzando il cinema come ‘arma letale’. È questa l’ultima follia di Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria. Nel film del cineasta statunitense non sembra esserci più differenza tra le immagini proiettate sullo schermo della sala parigina e le azioni di tutto il resto del film. Anzi, potrebbe accadere anche il contrario. Come in Truffaut, anche in Tarantino cinema e vita diventano inscindibili, quasi un elemento unico. E come l’autore francese, anche lui sembra innamorarsi ogni volta della sue attrici, che siano Uma Thurman, Pam Grier, o, in quest’ultimo caso, Mélanie Laurent, completamente reinventata e trasformata rispetto le sue altre prove come Baciate chi vi pare e Il concerto. Stavolta in Bastardi senza gloria si sdoppia, sembra quasi morire per poi rinascere, ha due identità (Shosanna prima ed Emmanuelle poi), come una dark lady e l’immagine della sua innocenza iniziale viene completamente stravolta e trasformata in quella di una fredda organizzatrice di un piano omicida. Lo sguardo è lo stesso. Sono le azioni che cambiano. Come Uma Thurman nel dittico di Kill Bill, anche lei è in cerca di vendetta. Non ha i nomi segnati su un foglio di carta ma li ha stampati nella sua testa: Hitler e Goebbels soprattutto ma anche il capitano Landa che ha sterminato la sua famiglia. Quindi da Jeanne Moreau di La sposa in nero a Uma Thurman dei due Kill Bill, per finire a Mélanie Laurent di Bastardi senza gloria. Donne giunte come gli eroi del western a un regolamento di conti. Non hanno quel malinconico romanticismo delle protagoniste del cinema di Besson, tipo Nikita, ma nel loro sguardo c’è tutto il loro dolore. Basta vedere la reazione di Shosanna/Emmanuelle quando rivede il colonnello Landa a un ricevimento. Fa fatica a trattenere le proprie emozioni, ha paura di essere scoperta, ma, al tempo stesso, la sua ambizione ultima è anche quella di far fuori quell’uomo. A costo della morte. Le sue armi non sono le pistole, o almeno non quelle principali. Le pellicole cinematografiche diventano il primario esplosivo. Lì dentro c’è impresso il cinema di quegli anni e queste sono le citazioni dirette. C’è una rassegna su Max Linder e sulla ‘notte del cinema tedesco’, vengono citati Leni Riefenstahl, il ritmo dell’inseguimento di Il monello di Chaplin, si avvertono le ombre di Clouzot con L’assassino abita al 21 e Il corvo. Con tutto questo materiale a un regista normale sarebbe bastato per fare almeno R Film due film. Per Tarantino è invece solo una piccolissima parte. Bastardi senza gloria è un film di una ricchezza impressionante, capace di rivelare dettagli nuovi a ogni visione e di crescere a dismisura. Il cinema non è soltanto elemento di citazioni. I film ai quali si fa un riferimento più o meno diretto, diventano (come è avvenuto del passato) i frammenti di una memoria personale, quindi in un certo modo il suo cinema si può definire autobiografico. Anzi, si può dire che ogni volta il regista statunitense riparta da un film. A una prima lettura, Bastardi senza gloria non è solo un remake (per Tarantino questo termine è sicuramente riduttivo), ma un omaggio entusiasta a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari del 1977. Ma questo è solo l’inizio. Nella sparatoria nella cabina di proiezione tra Shosanna e Stoller sembra di rivedere Duello al sole privato però intenzionalmente della passione melodrammatica. Tutti i film della stagione Le azioni dei ‘bastardi’, Brad Pitt, in testa, hanno nell’anima l’essenza di Aldrich (l’accostamento ovviamente più immediato è a Quella sporca dozzina), ma dentro ci sono anche le traiettorie nervose di Peckinpah e quella tensione continua del cinema di Walter Hill. Oltre a questi accostamenti immediati, c’è sicuramente molto di più (in Kill Bill bastava la presenza della colonna sonora per lasciar riaffiorare squarci del western all’italiana), magari anche dei B-movie che hanno visto pochi ragazzacci fanatici come lui. Quello che sorprende del cinema di Tarantino è la capacità, ogni volta, di reinventarsi. Il suo stile è sempre riconoscibilissimo, ma non si ripete mai. Non solo. Bastardi senza gloria, dopo l’intermezzo di Grindhouse. A prova di morte, rappresenta un’altra consistente frattura rispetto al suo cinema del passato ed è simile a quella che aveva segnato il passaggio tra Pulp Fiction e Jackie Brown. C’è quindi un’ansia di sperimentazione, un istinto a giocare con i codici linguistici e con la storia del cinema. Nulla appare organizzato. Se si va a vedere attentamente, l’azione di Bastardi senza gloria è ridotta. Gran parte delle scene si svolgono in interni; si potrebbero infatti vedere i 5 capitoli del film come i 5 atti di una tragedia. Eppure il film non ha nulla di teatrale. L’uso dello spazio riporta alla mente quelle estensioni di campo di William Wyler. L’uso dell’illuminazione come elemento deformante, soprattutto nel primo capitolo, fa tornare alla mente la fotografia di Gregg Toland. Inoltre i 5 capitoli del film si diversificano nello stile e potrebbero essere come 5 film realizzati da registi diversi. E Bastardi senza gloria è un altro decisivo passo in più di un cinema sempre più proiettato in avanti. Cinema, quindi, che si alimenta proprio attraverso il cinema e non può vivere d’altro. Simone Emiliani LA DURA VERITÀ (The Ugly Truth) Stati Uniti, 2009 Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson Supervisori effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures), James McQuaide, Gabriel Sanchez (LOOK!Effects) Coordinatori effetti visivi: Kyle Ware (luma Pictures), Ian T. Barbella, Katie Godwin, James Notari Supervisore effetti digitali: Justin Johnson Supervisore animazione:Pimentel A. Raphael Supervisore costumi:Joyce Kogut Interpreti: Katherine Heigl (Abby Richter), Gerard Butler (Mike Chadway), Bree Turner (Joy), Eric Winter (Colin), Nick Searcy (Stuart), Jesse D. Goins (Cliff), Judy Greer (Julie), Cheryl Hines (Georgia), John Michael Higgins (Larry), Noah Matthews (Jonah), Bonnie Somerville (Elizabeth), John Sloman (Bob), Yvette Nicole Brown (Dori), Nathan Corddry (Josh), Allen Maldonado (Duane), Steve Little (Steve), Dan Callahan (Rick), Tess Parker (Bambi), Arielle Vandenberg (Candi), Kevin Connolly (Jim), Rocco DiSpirito (cuoco ospite), Valente Rodriguez (Javier), Tom Virtue (Pilota di mongolfiere), Adam Harrington (Jack Magnum), J. Claude Deering (Tizio ubriaco), Alexis Krause (brunetta carina), Craig Ferguson (se stesso), Jade Marx-Berti (presentatrice), Lenny Schmidt (cameriere), Kate Mulligan (cameriera), Ryan Surratt (barista), David Lowe (cameraman), Brooke Stone (Karen), Bob Morrisey (Harold), Holly Weber (cuoco Megan), Jamison Yang, Blake, Austin Winsberg Durata: 100’ Metri: 2760 Regia: Robert Luketic Produzione: Kimberly di Bonaventura, Gary Lucchesi, Deborah Jelin Newmyer, Steven Reuther, Tom Rosenberg, Kirsten Smith per Lakeshore Entertainment/Relativity Media Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 27-11-2009; Milano 27-11-2009) Soggetto: Nicole Eastman Sceneggiatura: Nicole Eastman, Karen McCullah Lutz, Kirsten Smith Direttore della fotografia: Russel Carpenter Montaggio: Lisa Zeno Churgin Musiche: Aaron Zigman Scenografia: Missy Stewart Costumi: Betsy Heimann Produttori esecutivi: Katherine Heigl, Nancy Heigl, Andre Lamal, Karen McCullah Lutz, Eric Reid Direttore di produzione: Ted Gidlow Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: Jon Mallard, Tyler Romary Operatori: Will Arnot, Kevin McKnight Operatore Steadicam:Will Arnot Art director: William Hawkins Arredatore: Kathy Lucas Trucco: Zoe Hay, Corinna Liebel, Tania McComas, Michele Tyminski Acconciature: Michelle Rene Elam, Sean Flanigan, Vickie Mynes, Christina Raye bby Richter è una producer di un talk show mattutino a Sacramento, in California. Di ritorno a casa dopo un disastroso appuntamento al buio, le capita di vedere lo spezzone di un programma trasmesso da un’emittente lo- A cale, “La dura verità”, condotto da Mike Chadway, il cui cinismo e maschilismo nei confronti dei rapporti di coppia è tale, sfacciato e volgare, da indurla a chiamare in diretta e litigare con lui. Il giorno dopo, scopre che il network presso cui lavora sta 25 pensando di cancellare il suo show a causa degli scarsi ascolti e il suo boss ha ingaggiato Mike, che avrà uno spazio tutto suo nello show mattutino da lei prodotto. Sulle prime, i due hanno un rapporto burrascoso: Abby trova Mike semplicemen- Film te ripugnante, mentre Mike la ritiene una maniaca del controllo. Ma quando lei incontra (o almeno pensa) di avere incontrato l’uomo dei suoi sogni, un dottore di nome Colin che abita a fianco a lei, è proprio Mike, “profondo conoscitore” della psiche umana, grazie al programma di dubbio gusto che conduce, a persuaderla a seguire il suo scopo. Lei accetta i suoi consigli: fra di loro ha luogo un accordo. Se lei riuscirà nel suo intento, dimostrando così le sue teorie sui rapporti di coppia, lavorerà felicemente con lui, ma se Mike farà fiasco, sarà lui ad andarsene. Mike riesce a far lievitare gli ascolti del programma, riuscendo addirittura a far riconciliare in diretta i due coniugi in crisi che lo conducono e porta con successo Abby ad essere esattamente quello che Colin vuole che lei sia. Mike viene invitato al Late Late Show con Craig Ferguson e gli viene offerta la chance di condurre un programma tutto suo in uno canale di primo piano. Abby viene costretta dal suo boss a cancellare un romantico weekend con Colin, nel quale aveva progettato di “concedersi” finalmente a lui, per accompagnare Mike all’intervista e approfittarne per convincerlo a restare con loro. Dopo lo show, i due vanno a ballare, si confidano, bevono un po’. Mike confessa di voler restare a Sacramento con la sorella e il nipotino. In albergo, mentre salgono in Tutti i film della stagione ascensore, si baciano appassionatamente, ma poi decidono che è meglio tornare nelle rispettive camere. Mike cambia idea e la raggiunge, ma trova con lei Colin che si è fatto vivo per farle una sorpresa. Abby è pronta a scaricarlo, ma lui si fa da parte e se ne va senza farle spiegare. Abby, affranta, rompe con Colin: per lui ha fatto finta di essere quello che non è. Mike si trasferisce a lavorare presso un’altra emittente, ma si ritrova a una diretta in esterni nella stessa location dove anche lo show di Abby viene trasmesso: un festival di mongolfiere. Abby non resiste, entra in scena e comincia a litigare con lui in diretta TV, mentre la mongolfiera che li ospita si libra in alto. In volo, dopo essersene dette di tutti i colori, ammettono di amarsi. Mentre sono a letto e lei geme di piacere, Mike accende le luci e le chiede se le sue grida di autentico piacere fossero reali (lui che con le sue teorie era sempre pronto a smontare queste manifestazioni rassicuranti per l’uomo medio). Lei sorride e gli dice che non lo saprà mai, se non spegne le luci un’ altra volta. on potrebbero esserci due personaggi più diversi dalla sofisticata e un po’ oca producer Abby Richter (Katherine Heigl) e dell’autentico troglodita Mike Chadway (Gerard Butler); N un incontro tra le parti, che probabilmente potrebbe avere luogo al massimo in una realtà virtuale; più che scintille genererebbe assoluta quanto reciproca indifferenza. Nell’ineffabile pellicola di Luketic, che non esita a ricorrere alle trovate più grevi per strappare invano l’ombra di una risata, si mettono insieme e vivono (più che altro, copulano) felici e contenti. Perché? Presto detto: gli opposti si attraggono e quanto si millanta di conoscere in tema di amore e di sesso, è solo una maschera per nascondere la propria sensibilità. E chi non è così?, ammicca insopportabile allo spettatore compiacente una morale di grana grossa che più non si può. La scurrilità del plot è la vera cifra stilistica di una pellicola che procede impavida fra inverosimiglianze palesi e gag vecchie come il cucco (quella delle mutande vibranti telecomandate non le scrive più neanche Manara). Mentre il sessismo spicciolo – incarnato da un Butler davvero a corto di vergogna – è quello più diseducativo: populista dietro il politicamente scorretto e ben lieto di smentirsi quando l’Amore fa capolino con la bella di turno. Una verità, più che dura, penosa al pari di chi la sostiene. Ma davvero bisogna fare cinema per un pubblico, con cui non vorresti mai avere a che fare? Gianluigi Ceccarelli BROTHERS (Brothers) Stati Uniti, 2009 Regia: Jim Sheridan Produzione: Michael De Luca, Ryan kavanaugh, Sigurjon Sighvatsson per Michael De Luca Productions/Palomar Pictures/Relativity Media Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 23-12-2009; Milano 23-12-2009) Soggetto: ispirato al film Non desiderare la donna d’altri (2004) con la sceneggiatura di Susanne Bier e Anders Thomas Jensen Sceneggiatura: David Benioff Direttore della fotografia: Frederick Elmes Montaggio: Jay Lash Cassidy Musiche: Thomas Newman Scenografia: Tony Fanning Costumi: Durinda Wood Produttori esecutivi: Scott Fischer, Ryan Kavanaugh, Zach Schiff-Abrams, Tucker Tooley Co-produttore: Matt Battaglia, Mark Fischer Direttore di produzione: Jeremiah Samuels Casting: Avy Kaufman Aiuti regista: Steve Battaglia, Joe Camp III Operatori: Tommy Lohmann, Ralph Watson Art director: Guy Barnes Arredatore: Wendy Ozols-Barnes Trucco: Gretchen Bright, Sian Grigg, Jennifer McDaniel, Michelle Vittone Acconciature: Enid Arias, Adruitha Lee, Bunny Parker Coordinatore effetti speciali: Randy E. Moore Supervisori effetti visivi: Joseph Conti, Jonah Loop, Scott Milne Supervisore costumi: Chris Burrows Supervisore musiche: Gina Amador Canzoni/Musiche estratte: “Winter” degli U2 Interpreti: Jake Gyllenhaal (Tommy Cahill), Natalie Portman (Grace Cahill), Tobey Maguire (Sam Cahill), Clifton Collins Jr. (Maggiore Cavazos), Bailee Madison (Isabelle Cahill), Sam Shepard (Hank Cahill), Mare Winningham (Elsie Cahill), Taylor Geare (Maggie Cahill), Patrick Flueger (Joe Willis), Jenny Wade (Tina), Carey Mulligan (Cassie Willis), Omid Abtahi (Yusuf), Navid Negahban (Murad), Ethan Suplee (Sweeney), Arron Shiver (A.J.), Ray Prewitt (Owen), Rebekah Wiggins (moglie di un Marine), Carrie Fleming (moglie di un Marine), Sheila Ivy Traister (pilota), Chad Brummett (copilota), Jason E. Hill (tenente Sanderson), Kevin Wiggins (cappellano marina), Yousuf Azami (leader dei Talebani), James D. Dever (Sergente Maggiore Dever), Kevin Adkins (Comandante ammiraglio), Johnnie Hector, Jeremiah Bitsui, William Lawrence Allen, Benjamin D. Baldwin (poliziotti), Michael-David Aragon (terrorista) Durata: 104’ Metri: 2960 26 Film ’ufficiale dei marines Sam Cahill è prossimo alla partenza per l’Afghanistan. Lascia al superiore una lettera d’addio per la moglie, nel caso non dovesse tornare, poi si reca alla vicina prigione per riportare a casa il fratello Tommy, che ha appena finito di scontare la pena per rapina a mano armata nella banca della città. A casa, durante la cena, si festeggia il rientro di Tommy e la partenza di Sam. Ci sono i genitori dei due ragazzi, c’è Grace, moglie di Sam, e le loro due bambine, Maggie e Isabelle. A Grace non piace Tommy e lui un po’ se ne dispiace. In Afghanistan l’elicottero di Sam precipita sotto il fuoco nemico, e in patria due uomini in divisa si recano da Grace per comunicarle la morte del marito. Al funerale l’intera città piange il suo eroe. Il padre, ex marine, beve un po’ troppo all’uscita della chiesa e ha una lite con Tommy, che dà all’uomo la colpa della morte del fratello: l’ha spinto fin da piccolo a intraprendere la carriera militare e adesso è morto. Tommy è anche consapevole che per il padre ad andarsene è stato il figlio sbagliato e glielo grida in faccia, senza eccessivi rancori. Grace si fa forza e con le due figlie prova a dare alla vita una parvenza di normalità. Tommy è spesso al loro fianco: fa giocare le bambine, e ristruttura con un paio di amici la cucina di Grace, facendole una sorpresa per il compleanno. Tra i due giovani nasce un’affettuosa amicizia, che non va oltre un singolo, innocente bacio che si scambiano una sera. Lui si sente ora un uomo migliore e va alla banca per chiedere perdono alla cassiera che minacciò di morte durante la rapina. In Afghanistan, intanto, scopriamo che Sam e un altro soldato sono sopravvissuti e sono stati catturati dai talebani, che li tengono prigionieri e li torturano per avere informazioni sul nemico invasore. Il soldato viene ripreso da una telecamera mentre dichiara, sotto la minaccia delle armi da fuoco, che gli Stati Uniti commettono un errore a stare lì. Sam viene costretto, per avere salva la vita, a uccidere a sprangate il soldato e amico, giudicato un debole dai talebani. L’indomani arrivano i marines e lo liberano, uccidendo i suoi terribili carcerieri. Sam evidentemente tace dell’accaduto e torna a casa come un eroe di guerra. Tuttavia, i mesi di prigionia e l’omicidio dell’amico lo hanno sconvolto nell’animo e Sam fatica a tornare alla vita di ogni giorno. Ha poca pazienza con le L Tutti i film della stagione figlie e tratta male la moglie, accusandola di averlo tradito con Tommy; a poco valgono le rassicurazioni della donna. Quando ricevono la visita della giovane vedova del soldato ucciso che chiede a Sam dettagli sul marito “morto con onore, da eroe, in Afghanistan”, l’uomo tocca il fondo e inizia a non dormire più la notte, vagando per casa, o rimanendo fuori, anche per tutta la notte. Neanche la terapia psicologica aiuta Sam e, una notte, minaccia di uccidere con la pistola la famiglia, poi rivolge l’arma contro se stesso. Soltanto il precipitoso intervento di Tommy risolve la situazione: il fratello depone la pistola. Sam confessa finalmente a Grace quanto accaduto in Afghanistan e un pianto liberatore di entrambi sembra accendere una luce in fondo al tunnel. rasposizione stelle e strisce del film della danese Susanne Bier Non desiderare la donna d’altri, Brothers affronta un tema caro agli Stati Uniti degli ultimi tempi: il rientro in patria di marines e soldati dall’Afghanistan, con ferite nell’animo e nella psiche ben più profonde di quelle fisiche. Spesso hanno subito, o assistito, a violenze d’ogni tipo – mutilazioni, omicidi, stupri e stragi – e tornare alla semplice vita quotidiana appare a molti un ostacolo insormontabile. In troppi arrivano a riversare la rabbia a lungo repressa su familiari e amici e molti non desiderano altro che tornare nell’inferno dal quale provengono, pur di non pensare. Il cinema si interessa sempre di più ai molteplici risvolti di queste situazioni così difficili, e spesso l’intento è quello di mostrare al mondo il male incredibile di cui l’America si fa carico nei confronti dei numerosi nipoti dello zio Tom. Lungi dall’essere un film d’azione, Brothers tenta la commistione tra il crudo dramma sociale che accomuna i soldati tornati in patria e il drammone sentimentale che lega i tre protagonisti. L’esito, purtroppo, non accontenta nessuno: la denuncia sociale è diluitissima e il ritratto che viene fuori di Sam non è certo quello del duro (non lo vedremo mai compiere azioni di guerra vere e proprie nelle scene in Afghanistan: al massimo riprende con il cellulare bambini locali che salutano, oppure dà comunicazioni via radio) mentre sul fronte romantic l’avvicinamento tra Tommy e Grace è talmente delicato da scivolare nell’insulso. Katherine Bigelow aveva già raccontato, prima e meglio, la durezza del durante e del dopo di un soldato rientrato in T 27 patria in The Hurt Locker: la soluzione, in quel caso, era il ritorno alla guerra, e il film, non certo esente da difetti, aveva sicuramente il pregio di andare diritto al punto. Qui invece Jim Sheridan carica l’esile storia di così tante sovrastrutture da cadere nella ridondanza. Passi per la polarizzazione dei due fratelli, già presente nel film originale – uno buon padre di famiglia, ligio al dovere, quadrato e seguace delle orme paterne, l’altro senza lavoro né posizione sociale, con tendenze all’alcolismo e un passato al di fuori della legge – ma pretendere di spiegarne le cause con un dialogo risicato che traspone ogni colpa nel padre è fatica non richiesta, come pure di grana grossa sono, nelle scene di prigionia in Afghanistan, le sottolineature caratteriali di Sam, personaggio che pare esistere solo grazie all’opposizione con un alter accanto che lo contrasti. Curiosamente, la scena del film maggiormente riuscita è apparentemente avulsa dal contesto. È la festa di compleanno della piccola Isabelle, e la famiglia è riunita per cena a casa dei nonni paterni. Il clima è teso: Sam è insofferente, Grace tenta di dissimulare i contrasti, i padroni di casa abbozzano. Maggie, la sorella maggiore, disturba tutti perché vuol stare al centro dell’attenzione e Sam si innervosisce sempre più. Tommy li raggiunge, in ritardo, con una ragazza appena conosciuta che studia per diventare infermiera professionista e che, con le sue parole, rompe il pesante muro di ipocrisia e convenzioni: dice chiaramente cosa pensa della guerra e afferma che si può addestrare un soldato a sparare, ma nessun uomo potrà mai essere addestrato a uccidere un altro uomo. La frase ha, ovviamente, l’effetto di una bomba per Sam e il tutto è aggravato dalla bugia di Maggie, che dichiara che “la mamma e lo zio Tommy fanno sesso”. Poi, purtroppo, tutto sprofonda nuovamente nella banalità e così si trascina fino al fiacco finale. Convincenti, anche se superficiali, le interpretazioni: Natalie Portman è credibile come mamma di famiglia e sa dare uno spessore dignitoso al dolore lancinante di Grace; Tobey Maguire è forse eccessivamente allucinato; Jake Gyllenhaal, fin troppo consapevole delle sfumature del personaggio di Tommy, si affida molto a sguardi languidi e intriganti, ma, perlomeno evita i clichè del bello e dannato. Manuela Pinetti Film Tutti i film della stagione 2012 (2012) Stati Uniti/Canada, 2009 Supervisori effetti visivi: Matthew Collorafice, Volker Engel, Rainer Gombos (Pixomondo), Paul Graff (Crazy Horse Effects), Ben Grossmann (The Syndicate), John H. Han (Scanline VFX), Phil Jones (Technicolor Beijing), John Kilshaw, Mohen Leo (Digital Domain), Matt McDonald (Evil Eye Pictures), Peter Nofz (SPI), Daniel P. Rosen (Evil Eye Pictures), Colin Strause, Greg Strause, Thomas Tannenberger (Gradient Effects), Olcun Tan (Gradient Effects), Stephan Trojansky (Scanline VFX), Marc Weigert, Chris Wells (Hydraulx), Alex Wuttke (Double Negative) Coordinatori effetti visivi: Andrea Biklian, E.M. Bowen (New Deal Studios), Daniel Chavez (Hydraulx), Adam Chazen (Pixomondo), Lisa Hansen (Pixomondo), Alexander Kucera, Lisa Marra, Chris McLeod, Cory L. McNeill, Danielle Probst, Franzisca Puppe (Pixomondo), Katie Spinelli, Michele Stewart, Kyle Ware Supervisore effetti digitali: Darren Poe Supervisori costumi: Dawn Y. Line, James W. Tyson Interpreti: John Cusack (Jackson Curtis), Amanda Peet (Kate Curtis), Chiwetel Ejiofor (Adrian Helmsley), Thandie Newton (Laura Wilson), Oliver Platt (Carl Anheuser), Thomas McCarthy (Gordon Silberman), Woody Harrelson (Charlie Frost), Danny Glover (Presidente Thomas Wilson), Liam James (Noah Curtis), Morgan Lily (Lilly Curtis), Zlatko Buric (Yuri Karpov), Beatrice Rosen (Tamara), Alexandre Haussmann (Alec), Philippe Haussmann (Oleg), Johann Urb (Sasha), John Billingsley (Professor West), Chin Han (Tenzin), Osric Chau (Nima), Chang Tseng (nonno Sonam), Lisa Lu (nonna Sonam), Blu Mankuma (Harry Helmsley), George Segal (Tony Delgatto), Stephen McHattie (capitano Michaels), Patrick Bauchau (Roland Ricard), Jimi Mistry (dr. Satnam Tsurutani), Ryan McDonald (Scotty), Merrilyn Gann (cancelliere tedesco), Henry O (Lama Rinpoche) Durata: 158’ Metri: 4400 Regia: Roland Emmerich Produzione: Roland Emmerich, Larry J. Franco, Harald Kloser per Columbia Pictures/Centropolis Entertainment/The Bridge Studios/Farewell Productions/The Mark Gordon Company Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 13-11-2009: Milano 13-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Roland Emmerich, Harald Kloser Direttore della fotografia: Dean Semler Montaggio: David Brenner, Peter S. Elliot Musiche: Harald Kloser, Thomas Wanker Scenografia: Barry Chusid Costumi: Shay Cunliffe Produttori esecutivi: Ute Emmerich, Mark Gordon, Michael Wimer Produttore associato: Kirstin Winkler Co-produttori: Aaron Boyd, Volker Engel, Marc Weigert Direttori di produzione: Drew Locke, Michael J. Malone, Eamon O’Farrill Casting: Susan Taylor Brouse, Scott David, Judy Lee, April Webster Aiuti regista: David Arnold, James Bitonti, Claudia Costa, Tommy Gormley, Andrew M. Robinson, Ken Shane, Megan M. Shank, Andrew Ward Operatore: Norbert Kaluza Operatore Steadicam: Peter Wilke Art directors: Ross Dempster, Kendelle Elliott, Dan Hermansen, Don Macaulay Arredatore: Elizabeth Wilcox Trucco: Gitte Axen, Beth Boxall, Anita Brabec, Tracy Lai, Thomas Nellen, Connie Parker, Lisa Taylor Roberts Acconciature: Cara Doell, Lisa Taylor Roberts, Forest Sala Supervisore effetti speciali: Mike Vézina Coordinatore effetti speciali: Cam Waldbauer drian Helmsley, responsabile dei consiglieri scientifici della Casa Bianca, durante una visita nelle viscere di una miniera in India, viene messo in allarme da un collega geologo che qualcosa di strano sta accadendo: un’attività solare quanto meno diversa dal solito sta provocando un incredibile surriscaldamento del nucleo della Terra, a velocità sorprendente e con conseguenze devastanti di proporzioni epiche. L’uomo si precipita a Washington e mette al corrente il proprio diretto superiore dell’incredibile gravità della situazione; immediatamente un’oscura macchina organizzativa mondiale si mette in moto. Jackson Curtis è uno scrittore scarsamente posizionato – autore di un romanzo che ha venduto sì e no cinquecento copie – che vive solo a Los Angeles da quando sua moglie Kate l’ha lasciato, portandosi dietro i figli, per un più solido chirurgo plastico. Proprio nel fine settimana che dovrebbe trascorrere con i suoi bambini, gli A si rompe l’auto, ma non si perde d’animo e li passa a prendere in Limousine, non proprio la vettura più adatta per un campeggio nel Parco dello Yellowstone. La bella Laura è la First Daughter del Presidente degli Stati Uniti Thomas Wilson; si occupa della cura e del trasferimento di importanti opere d’arte di tutto il mondo. Una sera, mentre è al telefono con un collega, ascolta impotente l’incidente mortale dell’uomo e, nei giorni seguenti, turbata, andrà a parlarne con l’illustre padre. Anche se lontane nel tempo come nello spazio queste singole storie, come molte altre, sono tutte legate tra loro da un invisibile filo di sotterfugi, privilegi, complotti. Arrampicandosi sulle colline dello Yellowstone, John e i suoi due figli vengono ostacolati da una rete metallica di stampo militare; John, conoscitore della zona, non se ne spiega l’improvvisa comparsa e scavalca insieme ai ragazzi per andare a curiosare. Al posto del lago trovano una piccola e fumosa pozzanghera, animali morti e, dulcis 28 in fundo, un manipolo di militari che, senza troppi complimenti, li carica sulle camionette e li porta al campo base, a capo del quale c’è Adrian Helmsley. Il caso vuole che sia uno degli sparuti lettori del suo romanzo, così la questione si risolve con una sommaria sgridata e qualche pacca sulle spalle. Nel frattempo, in città, l’ex signora Jackson e il suo nuovo compagno vivono con terrore il precipitare di una situazione che persiste da un po’: l’apertura di continue crepe nel terreno; la donna implora John di riportarle indietro i bambini. L’uomo fa però in tempo a conoscere Charlie Frost, apparentemente uno svitato hippie, che dalla sua radio casereccia trasmette notizie incredibili eppure precisissime sull’imminente fine del mondo: il nucleo terrestre sta fondendo, la crosta inizierà a fluttuare e ogni cosa verrà sommersa in breve tempo dalle acque. Lo diceva un’antica profezia maya e, nel tempo, vari scienziati ne avevano trovato conferma. I governi di tutto il mondo sono a conoscenza dell’imminente cataclisma, ma mantengono il riser- Film bo uccidendo chiunque divulghi la notizia, in quanto sarà possibile salvare soltanto poche persone, a bordo di enormi arche, costruite in gran segreto per i “pezzi grossi” e per chi potrà permettersi il costosissimo biglietto. John decide di ignorare le bislacche informazioni, ma quando, una volta rientrato in città, scopre che il suo ricchissimo capo – di origine russa – è in partenza per una località segreta con i due figli, la giovane amante e troppe valigie con un aereo privato, sa cosa fare. Preleva nell’ultimo momento utile ex moglie, figli e chirurgo dalla casa che sta crollando e, mentre la città collassa su se stessa, si alza in volo anche lui, alla volta del Parco dello Yellowstone. Charlie Frost ha infatti la mappa di queste arche, ma ha deciso di morire guardando il suo monte trasformarsi in un vulcano sotto i suoi occhi. Prelevata non senza difficoltà la preziosa mappa, John e famiglia si ricongiunge in un altro aeroporto con il ricco capo e i suoi, e insieme, rubando un jumbo, partono alla volta della Cina: è li che si trovano le arche. Intanto il mondo come lo conosciamo sta sparendo: crolla il Vaticano e il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, intere città sono inghiottite dalla terra, giganteschi tsunami inghiottono qualunque ostacolo: navi, coste, continenti interi. Il presidente statunitense ha deciso di rimanere con il suo popolo e morire con lui; la figlia, in salvo insieme ad Adrian, col quale è nata un’immediata intesa, non si dà pace. Giunti non senza parecchi intoppi ai piedi del K2, il magnate russo e i due figli vengono accolti all’interno dell’hangar segreto e che gli altri si arrangino: non hanno il biglietto. Fortuna vuole che nelle nevi si imbattano nella famiglia di un operaio che ha lavorato alle arche, e che può far entrare tutti clandestinamente. Mentre gli eventi precipitano, e una delle quattro arche si scoperchia sul più bello, Adrian e i maggiori capi di stato mondiali decidono di accogliere tutte le persone rimaste nell’hangar e destinate a morte certa (pur avendo pagando un milione di euro a testa). Dopo un ultimo fiato sospeso e qualche inevitabile intoppo che costerà la vita ad alcuni personaggi secondari – il magnate russo, la sua amante, il chirurgo –, le tre arche superstiti dimostreranno di saper reggere all’impatto dell’onda anomale e tutte insieme si metteranno in viaggio verso l’unica terra emersa rimasta, che è anche il nuovo tetto del mondo: l’Africa. Tutti i film della stagione l’anno 2012. Il tempo scorre, la fatidica data si avvicina, ed eventi allarmanti hanno luogo in varie zone della Terra, provocati, pare, da un’attività solare quanto meno diversa dal solito. Millenni di tecnologia ci separano dalla profezia dei Maya, e certamente sapremo come comportarci, come salvare la Terra e i suoi numerosi abitanti... oppure no? Per quanti aspettavano, sin dai tempi di Independence Day, un disaster movie degno di essere definito tale firmato Roland Emmerich, l’attesa è finita: archiviato Godzilla e compagnia cantante, 2012 è destinato a solleticare quei palati che dal film catastrofico non richiedono altro che intrattenimento disimpegnato, un buon taglio popolare e zero preoccupazioni. Anche se, in fin dei conti, si parla della fine del mondo, o giù di lì. Il nostro eroe risponde al nome di Adrian Helmsley (Chiwetel Ejiofor, che ha già lavorato con Spielberg, Allen e Frears), responsabile dei consiglieri scientifici della Casa Bianca. È lui il primo a lanciare l’allarme e a far partire un complicato processo che porterà alla costruzione di quattro enormi arche volte a salvare una piccolissima parte di umanità: quella che conta qualcosa, o che ha il denaro necessario per l’acquisto del costosissimo biglietto. Il nostro secondo eroe risponde al nome di Jackson Curtis (interpretato da John Cusack), scrittore semifallito – però gira in Limousine – soppiantato da un altro pure in famiglia. Per fortuna i rapporti non sono poi tanto male e, quando Jackson scopre in modo fortuito che il mondo sta per finire, passa a casa dell’ex moglie e salva tutti. Seguono incredibili fughe in auto – la Limousine di cui sopra –, poi in aereo e infine in jumbo, con al seguito lapilli im- n tempi non sospetti, i Maya l’avevano detto: il mondo, almeno così come lo conosciamo, è destinato a finire il giorno del solstizio d’inverno del- I 29 pazziti, grattacieli che si sbriciolano ed ettari di terreno che collassano vertiginosamente su loro stessi. Le quattro capienti arche basteranno appena a salvare quattrocentomila esseri umani, qualche coppia tra giraffe, elefanti e altri tipici passeggeri già cari a Noè, un paio di Picasso e l’immancabile Gioconda. Incredibili i costi affrontati per garantire un simile spettacolo – tra CGI, oceani di blue screen e piattaforme semoventi – in quanto più di metà del film contiene degli effetti visivi, che scatenano i quattro elementi. Ma i mastodontici super effetti speciali non distraggano dal classismo: si salva chi ha potere, soldi o entrambe le cose; e quanti possono vantare una conoscenza che permetta di imbarcarsi come clandestino. Tutto nella norma, più o meno consueta, della nostra splendida, umanissima società, se non fosse che Emmerich non si (ci) risparmia neanche di fare la morale a tutti, con discorsi su fratellanza, uguaglianza e diritti umani, messi in bocca al solito miglior presidente che gli Stati Uniti abbiano mai avuto (interpretato da un Danny Glover con l’espressione perennemente afflitta), alla sua illuminata figlia (la sempre gradevole Thandie Newton) e a quanti altri tifino fortemente perché “il popolo sia fatto entrare nell’arca”. Peccato che il popolo in questione sia composto dai ricconi che, pagato il biglietto da un miliardo di euro, sono rimasti fuori per un’avaria che ha riguardato proprio l’arca che spettava loro. Che il resto dell’umanità finisca pure sott’acqua, se non può permetterselo: nessuno piangerà per loro. La caratterizzazione del premier italiano ha potenzialità comiche notevoli. Manuela Pinetti Film Tutti i film della stagione FUNNY PEOPLE (Funny People) Stati Uniti, 2009 Regia: Judd Apatow Produzione: Judd Apatow, Barry Mendel, Clayton Townsend per Universal Pictures/ Columbia Pictures/ Relativity Media/ Apatow Productions/ Madison 23 Distribuzione: Universal Prima: (Roma 16-10-2009; Milano 16-10-2009) Soggetto e sceneggiatura: Judd Apatow Direttore della fotografia: Janusz Kaminski Montaggio: Craig Alpert, Brent White Musiche: Jason Schwartzman Scenografia: Jefferson Sage Costumi: Betsy Heimann, Nancy Steiner Produttori esecutivi: Jack Giarraputo, Evan Goldberg, Seth Rogen Produttore associato: Lisa Yadavaia Co-produttori: Andrew J. Cohen, Brendan O’Brien Casting: Allison Jones Aiuti regista: Matt Rebenkoff, Mark Trapenberg Operatori: George Billinger III, Mitch Dubin, Peter Hutchison Operatore Steadicam: George Billinger III Art director: James F. Truesdale Arredatore: Leslie A. Pope Trucco: Anita Brabec, Michelle Garbin, Kimberly Greene, Erin Wooldridge eorge Simmons è un comico sulla cresta dell’onda. Ha tutto ciò che si possa desiderare nella vita: successo, donne, una villa da favola, un aereo privato e un posto di riguardo nel jet set degli Stati Uniti. Il pubblico lo ama sia come cabarettista che come star cinematografica ed è idolatrato dagli aspiranti attori per i suoi monologhi pungenti e irriverenti. Tuttavia, la sua vita è vuota; George è sociofobico ed egoista, non ha molti interessi, nessun vero amico, un rapporto familiare solo superficiale e vive nel rimpianto di un amore perduto. A un tratto, la sua vita è scossa dalla diagnosi di una grave forma di leucemia che gli concede appena sei mesi di vita. La terribile notizia getta l’uomo nello sconforto. Desideroso di non trascorrere da solo gli ultimi giorni, si sceglie come assistente Ira, un aspirante comico che lavora in un fast food, incontrato per caso in un locale. Ira è un ragazzo semplice che convive con altri due attoruncoli della televisione. È timido e impacciato e ha poco successo con le donne, ma il suo sogno è diventare un animale da palcoscenico. George propone a Ira di andare a vivere con lui e di scrivergli i testi per quelle che sarebbero state le sue ultime esibizioni. Ira si rivela presto un buon talento in scrittura, anche se un po’ carente sul palco. Tra i due nasce una for- G Acconciature: Melissa A. Yonkey Coordinatore effetti speciali: Donald Frazee Supervisore effetti visivi: Justin Jones Coordinatore effetti visivi: Paulina Kuszta Supervisore costumi: Stacy Horn Supervisore musiche: Jonathan Karp Interpreti: Adam Sandler (George Simmons), Seth Rogen (Ira Wright), Leslie Mann (Laura), Eric Bana (Clarke), Jonah Hill (Leo Koenig), Jason Schwartzman (Mark Taylor Jackson), Aubrey Plaza (Daisy), Maude Apatow (Mable), Iris Apatow (Ingrid), RZA (Chuck), Aziz Ansari (Randy), Torsten Voges (dr. Lars), Allan Wasserman (dr. Stevens), Rod Man (se stesso), Wayne Federman (direttore del Comedy & Magic), Mike O’Connell (Escort), James Taylor (se stesso), Nicole Parker (Dawn), Nydia McFadden (Mandy), Andy Dick, Charles Fleischer (se stessi), Nicol Paone (Lisa, sorella di George), George Coe (padre di George), Budd Friedman, Monty Hoffman, Carol Leifer, Paul Reiser, Mark Schiff, George Wallace, Norm MacDonald, Tom Anderson (se stessi), Tonita Castro (Bonita), Jarrett Grode (mago), Qiana Chase (moglie di Chuck) Durata: 146’ Metri: 4000 te amicizia e confidenza e la cura sperimentale che sta seguendo George sembra avere i primi risultati. Per l’uomo è tempo di bilanci; si scopre fragile (ha bisogno di qualcuno a fianco per addormentarsi) e si lascia andare a confessioni, contattando le persone con cui è rimasto qualcosa di irrisolto. In lui matura il desiderio di mettere a posto alcuni tasselli della propria esistenza, a partire dal rapporto con la sua ex, Laura. Ira è sempre al suo fianco, pur non condividendo alcune sue scelte. La terapia si dimostra davvero miracolosa e, all’ultimo controllo, l’organismo di George sembra ormai aver reagito ed essere fuori pericolo. Ora l’obiettivo dell’uomo è solo quello di riconquistare Laura, che intanto si è sposata e ha avuto due figlie. Nonostante abbiano un approccio che fa ben sperare e George tiri fuori le sue carte migliori, facendosi perdonare le sue scappatelle passate, Laura sceglie di restare con il marito e le figlie. George amareggiato licenzia anche Ira e lo allontana dalla sua vita, credendolo in parte responsabile del suo insuccesso. Ira ritorna al suo vecchio lavoro, ma continua comunque il suo percorso cabarettistico, entrando sempre più nelle grazie del pubblico. George capisce di aver perso l’unico vero amico e torna sui suoi passi, questa volta proponendo a Ira di scrivere i testi per lui. 30 J udd Apatow realizza con due ore e mezza di film un’indagine intima e refenziale sul mondo dello spettacolo. Anche per un regista e sceneggiatore come lui, colpito sembra da una lunga sindrome di “Peter Pan” (40 anni vergine, Molto incinta), sembra essere arrivato il momento di diventare grande. Con il sogno, fin da bambino, di fare il comico, Apatow si impegna in una profonda esplorazione esistenziale attorno alla sua stessa professione. Funny People porta in scena, dagli esordi timorosi sui palchi delle piccole province, fino ai successi che spalancano le porte al mondo del cinema, una coppia di protagonisti che compie un excursus di crescita professionale e personale. L’ingenuità e la sensibilità di Ira vengono contrapposti al disincanto e al sarcasmo di George, che incarna in sé tutti gli stereotipi dell’attore comico di successo: dall’egocentrismo esasperato, all’acida ironia. I personaggi di George e Ira sono perfettamente delineati, andando a esprimere, l’uno la figura di un uomo che, realizzato il suo sogno, ha perso tutto il suo entusiasmo e la voglia di vivere e l’altro l’insoddisfazione di un giovane che sa di essere talentuoso, ma che non riesce a farsi avanti in un mondo così competitivo. Di grande interesse sono le sequenze iniziali del film, in cui un giovane George si diverte a realizzare scherzi telefonici: sce- Film ne che andranno a contrapporsi al suo modo “adulto” di ispirare comicità. La particolarità di queste scene è che sono assolutamente vere: si tratta infatti di filmati amatoriali che un giovanissimo Apatow girò mentre un altrettanto inesperto Sandler si divertiva a importunare i call center di varie ditte, venti anni fa, quando i due strinsero amicizia all’università. Altrettanto realistiche sono le performance sul palco dei comici protagonisti della pellicola. Sono state infatti organizzate per l’occasione delle serate di cabaret, in alcuni dei più famosi locali americani, dove ognuno degli interpreti ha avuto la sua mezz’ora Tutti i film della stagione sul palco, culminato in una serata di beneficenza, da cui sono poi stati estrapolati i frammenti da mettere nel film. Il ritratto di questo mondo, in cui ci si trova sempre sotto esame, di fronte a un “people” che a tutti i costi deve essere “funny”, spesso impietoso e che non capisce quanto sia difficile far ridere, è molto sincero. L’umorismo è spesso brillante e la sua natura “fallocentrica” e sessuale per fortuna non disturba, in quanto è smorzata nei toni dal clima pacato e malinconico della storia. Adam Sandler è assolutamente perfetto, in quella che è senza dubbio la miglior interpretazione della sua vita, la prima forse veramente impegnata, in cui riesce a essere divertente, credibile e misurato. Oltre a lui nel cast un grande Seth Rogen, alter ego del regista, giovane star della risata, già apprezzato in diverse pellicole per il proprio talento, Eric Bana, attore australiano che ben si cala nella parte di Clarke, il marito di Laura. Molti i cammei e il contributo di alcuni attori nei panni di se stessi, musicisti compresi, Eminem e James Taylor, che con la sua band ha suonato per ore sul set. Veronica Barteri SHERLOCK HOLMES (Sherlock Holmes) Stati Uniti/Germania, 2009 Trucco: Siobhan Harper Ryan, Chloe Meddings, Nikita Rae, Patricia Regan Acconciature: Carol ‘Ci Ci’ Campbell, Chloe Meddings Effetti: Mark Holt, Double Negative, BlueBolt, Framestore, Plowman Craven & Associates, The Visual Effects Company Supervisore effetti speciali: Mark Holt Coordinatore effetti speciali: Jeff Brink Supervisori effetti visivi: Jonathan Fawkner (Framestore), Chas Jarrett, David Vickery (Double Negative) Coordinatori effetti visivi: Szvák Antal (Cube Effects), Chloe Harrison (Framestore), Peter Olliff, Rob Shears, Sarah Louise Smith Supervisore costumi: Clare Spragge Interpreti: Robert Downey Jr. (Sherlock Holmes), Jude Law (dr. John Watson), Rachel McAdams (Irene Adler), Mark Strong (Lord Blackwood), Eddie Marsan (ispettore Lestrade), Robert Maillet (Dredger), Geraldine James (Mrs. Hudson), Kelly Reilly (Mary Morstan), William Houston (agente Clark), Hans Matheson (Lord Coward), William Hope (ambasciatore Standish), Clive Russell (Capitano Tanner), Oran Gurel (Reordan), David Garrick (McMurdo), Kylie Hutchinson (cameriera), Andrew Brooke (capitano delle guardie), Tom Watt, John Kearney (conducenti di carrozze), Sebastian Abineri (Capo dei conducenti), Jonathan Gabriel Robbins (Guardia), James A. Stephens (capitano Philips), Bronagh Gallagher (indovino), Ed Tolputt (uomo anonimo), Joe Egan (omone), Jefferson Hall (giovane guardia), Miles Jupp (cameriere), Marn Davies (agente di polizia), Andrew Greenough (guardia della prigione), Michael Jenn (predicatore), Terry Taplin Durata: 128’ Metri: 3580 Regia: Guy Ritchie Produzione: Susan Downey, Dan Lin, Joel Silver, Lionel Wigram per Warner Bros. Pictures/ Silver Pictures/ Lin Pictures in associazione con Village Roadshow Pictures/ Wigram Productions/ Internationale Filmproduktion Blackbird Dritte Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 25-12-2009; Milano 25-12-2009) Soggetto: tratto dal libro a fumetti di Lionel Wigram (ispirato ai personaggi creati da Sir Arthur Conan Doyle) Sceneggiatura: Mike Johnson, Guy Ritchie, Simon Kinberg, Anthony Peckham Direttore della fotografia: Philippe Rousselot Montaggio: James Herbert Musiche: Hans Zimmer Scenografia: Sarah Greenwood Costumi: Jenny Beavan Produttori esecutivi: Bruce Berman, Dana Goldberg, Michael Tadross Produttore associato: Peter Eskelsen Co-produttore: Steve Clark-Hall Direttori di produzione: Mark Mostyn, Emma Pike Casting: Reg Poerscout-Edgerton Aiuti regista: Matthew Baker, Sarah Brand, Tom Browne, Clare Glass, Max Keene, Carley Lane, Andrew Mannion, Danny McGrath, Lucy Thomas, Adam T. Weisinger Operatori: Vince McGahon, Des Whelan, Ben Wilson Operatori steadicam: Vince McGahon, Neal Norton Art directors: James Foster, Nick Gottschalk, Matthew Gray, Niall Moroney Arredatore: Katie Spencer Effetti speciali trucco: Maria Cork l geniale investigatore privato Sherlock Holmes e il suo fidato amico, il Dottor Watson, hanno appena arrestato lo spietato killer Lord Blackwood. Dedito alle arti oscure, l’assassino viene condannato a morte; poco prima dell’esecuzione promette di ritornare dall’oltretomba per causare altre tre I morti, che faranno parte di un piano più amplio. Quando effettivamente sembra essere risorto dalla morte, toccherà ancora una volta a Holmes fermare l’assassino. Per complicare ancora di più la vita dell’investigatore, entra in scena anche la sua ex fiamma, nonché ladra, Irene Adler, la quale gli chiede di trovare un 31 certo Reordan. Nel seguirla di nascosto per caprine le reali intenzioni, Holmes scopre che è manovrata da un uomo pericoloso e misterioso, di cui l’investigatore non vede il volto. Chiamati a indagare, i due amici scoprono che, nella tomba scoperchiata di Blackwood, si trova proprio il cadavere di Reordan. Con la sagacia Film che lo contraddistingue, Holmes trova il nascondiglio del defunto; assieme a Watson scoprono così che era complice di Blackwood e che stava lavorando a segreti progetti scientifici. I due vengono sorpresi da tre tirapiedi, giunti sul posto per bruciarlo e cancellare ogni indizio. Watson e Holmes riescono, dopo un rocambolesco combattimento, a fuggire creando non pochi danni a nuove imbarcazioni: finiscono in galera. I due affrontano, sempre con ironia, nei ripetuti tentativi di Holmes di impedire il matrimonio dell’amico con la bella Mary, che si è già resosi nemica in una precedente cena. Watson esce grazie a Mary che ha pagato la cauzione, mentre Holmes viene rilasciato e convocato, dal Gran Maestro del Tempio dei Quattro Ordini, che si rivela essere il padre di Blackwood. L’anziano lo esorta a catturare il figlio, perché sta acquisendo sempre più poteri; inoltre gli assicura l’appoggio del Ministro degli Interni, Lord Coward. Holmes incontra poi Irene in albergo e le intima di andarsene, perché in pericolo di vita; per tutta risposta lo droga e lo abbandona nudo nella stanza. Intanto Blackwood uccide suo padre nella vasca da bagno. Chiamato come sempre in aiuto da Scotland Yard sul luogo del delitto, Holmes trova una stanza segreta da dove trafuga un piccolo libro di magia. Intanto Lord Coward, indice una riunione dell’Ordine per far eleggere Blackwood come nuovo Gran Maestro, uccidendo l’unico componente che si era apposto. Watson e Holmes grazie a una serie di indizi trovano un altro laboratorio pres- Tutti i film della stagione so un mattatoio, dove Blackwood ha preparato per loro una trappola; oltre a salvare se stessi, i due devono salvare anche Irene che era stata precedentemente catturata. Nell’inseguire Blackwood, Watson aziona incidentalmente degli esplosivi. Il medico resta ferito gravemente e Holmes è costretto a fuggire, poiché Coward, che comanda la polizia, ha fatto emettere un mandato di cattura a suo nome. Irene, scampata al disastro, tenta la fuga da Londra; la trova l’uomo misterioso che le ordina di tornare indietro e prendere un importante oggetto creato da Reordan. Grazie a ulteriori indizi, Holmes, Watson, in via di guarigione e Irene capiscono che l’obbiettivo di Blackwood, complice Coward, sarà uccidere l’intero Parlamento Britannico. Il gruppo giunge in tempo, disinnescando la nuova arma chimica di Reordan. Irene fugge con una parte del macchinario; nell’inseguirla sul Tower Bridge in costruzione; Holmes si trova contro Blackwood, il quale ferisce la donna. Holmes rivela come abbia capito i suoi trucchi da baraccone, che non hanno nulla a che vedere con la magia. Blackwood, impigliandosi nelle corde, casca dal ponte impiccandosi da solo. Holmes lascia fuggire Irene che, prima di scappare, gli rivela il nome del pericoloso e misterioso uomo: Moriarty. Mary e Watson, ormai sposati, vanno a trovare Holmes. Vengono raggiunti da un poliziotto: Moriarty, che ha rubato il pezzo più importante del macchinario di Reordan, ha appena iniziato a colpire. Inizia una nuova avventura. U n po’ gotico, un po’ horror con un pizzico d’ironia. Il regista Guy Ritchie tenta di riportare in auge uno dei personaggi più classici della letteratura mondiale: Sherlock Holmes. La giusta chiave di lettura del film, sarebbe annullare ogni conoscenza regressa sull’investigatore per meglio apprezzarne ogni sfumatura. Il regista compie un lavoro di svecchiamento così potente, da togliere a Holmes l’icona stessa del suo personaggio, ossia il cappello, dandogli in cambio una scapigliatura degna di un folle; mentre Watson perde diversi chili di troppo sostituiti da prestanza fisica e agilità. In compenso sono state aggiunte scazzottate alla Fight Club, fughe che ricalcano quelle di Indiana Jones e scene adrenaliniche degne di 007. Interessante come Ritchie abbia cercato di aprire la mente di Holmes per meglio far comprendere i suoi iter e come usa il suo intuito. Un Holmes più donnaiolo e, anche se si rinchiude in casa per settimane, comunque meno solitario del personaggio originale creato da Sir Arthur Conan Doyle. Se Ritchie avesse osato anche solo un grado in più sarebbe stato veramente eccessivo. Fatto sta che in questa versione rimodernata, con una storia completamente inedita, Robert Downey Jr e Jude Law calzano alla perfezione. Immancabili i dialoghi siparietto fra i due protagonisti, che sono il punto di forza comico del film, alternati a maestosi effetti speciali, compresa una riproduzione dark della Londra ottocentesca; praticamente tutte le sequenze sono girate di notte, o con un cielo cupo e carico di nuvole nere. In più di due ore di film, che in alcuni momenti si fanno sentire, tutto scorre come un ingranaggio ben oliato, tranne alcuni passaggi della sceneggiatura che risultano decisamente poco chiari. Resta comunque evidente quanto Ritchie si sia assolutamente divertito nel girarlo, giocando con panoramiche, dolly e primissimi piani. Ottime, come sempre del resto, le musiche di Hans Zimmer che usano violini per le sequenze più drammatiche e composizioni stile western per le sequenze di lotta; da notare anche i costumi, in special modo i suntuosi abiti dei personaggi femminili. Già in questo film, viene dato il là per il seguito. Forse, l’inizio di una nuova saga. Elena Mandolini 32 Film Tutti i film della stagione 500 GIORNI INSIEME ((500) Days of Summer) Stati Uniti, 2009 Regia: Marc Webb Produzione: Mason Novick, Jessica Tuchinsky, Mark Waters, Steven J. Wolfe per Fox Searchlight Pictures/Watermark/Sneak Preview Entertainment Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 27-11-2009; Milano 27-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Scott Neustadter, Michael H. Weber Direttore della fotografia: Eric Steelberg Montaggio: Alan Edward Bell Musiche: Mychael Danna, Rob Simonsen Scenografia: Laura Fox Costumi: Hope Hanafin Produttore associato: Veronica Brooks Co-produttore: Scott Hyman Direttore di produzione: Jenny Hinkey Casting: Eyde Belasco Aiuti regista: Richard Graves, Eric Sherman Operatori: Jesse Feldman, Matthew Moriarty Operatore Steadicam: Matthew Moriarty Art director: Charles Varga Arredatore: Jennifer Lukehart Trucco: Jamie Leigh DeVilla, Jorjee Douglas, Silvina Knight, Vanessa Price on sbalzi temporali rapidi, ci viene raccontata la storia d’amore fra Tom e Sole. Lui romantico in attesa del grande amore, lei che, per paura di soffrire, fugge le storie durature. Si conoscono nell’ufficio di Tom, aspirante architetto, che invece lavora per una casa editrice di biglietti d’auguri; Sole irrompe nella sua vita quale nuova assistente del suo capo. Subito se ne invaghisce. Grazie all’amico e collega, McKenzie, riesce ad avvicinarla. Sole fa il primo passo concreto: i due iniziano a frequentarsi. Insicuro, Tom si confida con la sorellina Rachel, che in molte occasioni si rivela più matura e saggia del fratello. Fra alti e bassi prosegue la relazione che vede aprirsi Sole per la prima volta con un uomo, portando Tom a innamorarsi sempre di più. Purtroppo Sole continua a ribadire che non cerca una storia seria; e, se all’inizio, Tom faceva buon viso a cattivo gioco, durante una scazzottata in un pub per difenderla decide di parlare chiaro. Sole sembra rifiutarlo, ma alla fine fanno la pace. La rottura definitiva arriva proprio quando Sole, stanca del rapporto, lo lascia. Depresso per settimane intere, ubriaco più la mattina della sera, Tom vede la sua vita andare in pezzi. Sole, intanto, si è licenziata dalla casa editrice. Si rincontreranno settimane dopo in occasione del matrimonio di una C Acconciature: Daniel Curet Coordinatore effetti speciali: Robert Garrigus Coordinatore effetti visivi: Kellum Lewis Supervisore costumi: Marcy Lavender Supervisore musiche: Andrea von Foerster Interpreti: Joseph Gordon-Levitt (Tom Hansen), Zooey Deschanel (Sole Finn), Geoffrey Arend (McKenzie), Chloe Moretz (Rachel Hansen), Matthew Gray Gubler (Paul), Clark Gregg (Vance), Patricia Belcher (Millie), Rachel Boston (Alison), Minka Kelly (Autunno), Charles Walker (nuovo marito di Millie), Ian Reed Kesler (Douce), Darryl Alan Reed (conducente autobus), Valente Rodriguez (impiegato), Yvette Nicole Brown (nuova segretaria), Nicole Vicius, Natalie Boren (ospiti della festa), Maile Flanagan (Rhoda), Gregory Thompson (prete), Michael Bodie (uomo), John Mackey (mimo), Jacob Stroop (Cupido), Kevin Michael (cantante di matrimoni), Richard McGonagle (narratore, voce), Jean-Paul Vignon (Narratore francese, voce), Bryan Anthony, Sybil Azur, Cheryl Baxter, Gus Carr (Ballerini), Olivia Howard Bagg (Sole a 12 anni), Adam Emery (Tom a 12 anni), Taylor Feldman (ragazza francese), Sid Wilner Durata: 95’ Metri: 2650 collega. I due sembrano apparentemente riavvicinarsi, per gioia di Tom, che viene anche invitato da Sole a una festa la settimana successiva. Purtroppo le aspettative del ragazzo si rivelano sbagliate: Sole è fidanzata con un altro. Altro periodo depressivo. In un barlume di raziocinio, Tom, decide di licenziarsi e provare seriamente la strada dell’architettura, sua passione e rimpianto. Con un ultimo saggio consiglio di Rachel, inizia a rivedere la propria storia anche nei suoi lati negativi e di capire quali segnali di rottura vi siano stati. Da qui la risalita. Colloqui su colloqui, Tom ricomincia sul serio a vivere. Sole si sposa. Un giorno, seduto sulla sua panchina preferita, incontra Sole. La ragazza, che adesso crede nell’amore e nel destino, in risposta alla sua domanda “ perché si è sposata”, risponde con sincerità che ha trovato l’uomo che gli ha fatto credere nell’amore e trovare quella sicurezza, che purtroppo Tom non è riuscito a darle. Infine, gli dice di continuare a credere nell’amore, perché lei semplicemente non era la donna del suo destino. Tom, in attesa di un altro colloquio, incontra un’altra aspirante al posto di architetto. La ragazza, che lo aveva notato in giro per la città, sorride amorevolmente. Tom, dopo attimi di indecisione, propone un caffè insieme. La ragazza si presenta: si chiama Luna. 33 e si dovesse giudicare 500 giorni insieme solo dalla storia, verrebbe da rispondere che si tratta di un film banale. Un guizzo rintracciabile è nell’inversione di ruoli che vede l’uomo romantico e la donna apparentemente insensibile. Per il resto tutto già visto. La particolarità della pellicola, che la rende decisamente piacevole e spensierata, nonostante anche gli attimi di tristezza, è quella costante dose di ironia che la pervade. Persino negli attimi di angoscia ci si ritrova a sorridere; senza contare che il film inizia con una frase sardonica a tutto schermo, che è meglio non citare per esteso, rivolta evidentemente ad una ex del regista. Il regista Marc Webb, gioca con abilità e astuzia con più di un espediente visivo per accentuare l’aspetto ironico e sarcastico del film; provenendo dal mondo dei videoclip è pane per i suoi denti. Si inizia con disegno che funge da calendario con i giorni che scorrono avanti o indietro, a seconda del salto temporale effettuato nella storia, con tanto di brutto o cattivo tempo in base all’andamento del rapporto di coppia. Si prosegue con due veri e propri videoclip, che corrispondono al periodo più felice di Tom a quello più struggente. Il primo, è la metafora del “toccare il cielo con dito” nel periodo iniziale di ogni rap- S Film porto di coppia; Webb lo rende con Tom che canta e balla accompagnato da stranieri nel parco, una banda sbucata da dietro gli alberi e un uccellino realizzato in animazione che gli si posa sulla spalla; assolutamente divertente. Il secondo è una commistione di scene di film drammatici o surrealisti, con Tom e Sole come protagonisti in bianco e nero, che omaggiano film quali Il settimo sigillo. Un’altra squisitezza è l’idea di suddividere lo schermo in due parti, in cui il lato sinistro corrisponde alla romantica fantasia di Tom, mentre quello destro alla triste realtà. Tutti i film della stagione Come se non bastasse, Webb riesce a scegliere le giuste canzoni che fanno diventare la colonna sonora complice della bella fotografia: Simon&Garfunkel, Doves, Spoon, Smith e altri ancora. Impossibile non citare i due protagonisti freschi, azzeccati non che perfetti nei loro ruoli: Zooey Deschanel (E venne il giorno) con gli occhioni da bambola stralunati è deliziosa; Joseph Gordon-Levitt (Mysterious skin, The lookout) ammiccante e coinvolgente. Peccato per la traduzione del titolo e del nome della protagonista, che sviano il gioco realizzato nella lingua originale: Sole sarebbe Summer con il relativo titolo di 500 days of summer. Infine, il film propone una giusta prospettiva dell’amore e dei rapporti di coppia: possiamo fare di tutto per la persona che amiamo e tentare di farci amare a propria volta, ma se non è la persona del nostro destino, il rapporto finirà comunque; il tutto snocciolato nell’ultimo dialogo fra i due protagonisti. In fondo, è già stato raccontato praticamente tutto; il bello è trovare un modo nuovo di raccontare quelle storie. E 500 giorni insieme fa proprio questo. Delizioso. Elena Mandolini UN ALIBI PERFETTO (Beyond a Reasonable Doubt) Stati Uniti, 2009 Art director: Kevin Hardison Arredatore: Hannah Beachler Trucco: Jimberly Amacker, Rose Librizzi Acconciature: K.G. Ramsey, Tony Ward Coordinatore effetti speciali: Jack Lynch Supervisore effetti visivi: John Lands Supervisore costumi: Jacqueline Aronson Interpreti: Jesse Metcalfe (C.J. Nicholas), Amber Tamblyn (Ella Crystal), Michael Douglas (Mark Hunter), Joel Moore (Corey Finley), Orlando Jones (Ben Nickerson), Lawrence P. Beron (tenente Merchant), Sewell Whitney (Martin Weldon), David Jensen (Gary Spota), Sharon London (Giudice Sheppard), Krystal Kofie (Taieesha), Randal Reeder (Sopravvissuto), Ryan Glorioso (lavoratore del canile), Jon McCarthy (Detective Rawley), Grant James (Aaron Wakefield), Eric Gipson (Allen), Gerry May (anchorman), Carl Savering (ufficiale giudiziario), Kelvin Payton (cameraman), Michelle Williams (Danielle), Arlando Smith (Dell), Dan Harville (deputato), Fred Ellis (esperto forense), Wallace Merck (Gilbert Romans), Michlle White Lafitte (Kelly Gertner), Robert Larrieviere (Kevin Tarlow), Edrick Browne (Manager), Carrie Slaughter (Marsha), Ron Flagge (impiegato proprietà), David Born (sergente proprietà) Durata: 106’ Metri: 2900 Regia: Peter Hyams Produzione: Mark Damn, Limor Diamant, Ted Hartley per Foresight Unlimited/RKO Pictures/Signature Pictures Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 13-11-2009; Milano 13-11-2009) Soggetto: dalla sceneggiatura di Douglas Morrow del film omonimo di Fritz Lang (1956) Sceneggiatura: Peter Hyams Direttore della fotografia: Peter Hyams Montaggio: Jeff Gullo Musiche: David Shire Scenografia: James A. Gelarden Costumi: Susanna Puisto Produttori esecutivi: Prince Faisal S. Al-Saud, Stephanie Caleb, Michael A. Helfant, Laura Ivey, Aaron Ray, Steven Saxton, Courtney Solomon, Allan Zeman Produttori associati: John Hyams, Olga Tymshan Co-produttori: Kevin Cornish, Michael P. Flannigan, Jonathan S. Marshall, James Portolese, Tamara Stuparich de la Barra Line producer: Joshua Throne Direttore di produzione: Joshua Throne Casting: Ryan Glorioso Aiuti regista: Tom Martin, Franklin A. Vallette Operatori: Joseph Barto, Andy Colvin, Kenji Luster Operatore steadicam: Andy Colvin ark Hunter non è solo un Procuratore Distrettuale ma un rullo compressore: diciassette casi di omicidio portati in tribunale, diciassette condanne del colpevole e quindi diciassette vittorie utili per la campagna elettorale che si appresta a condurre di lì a poco per la poltrona di Governatore della Louisiana. Il giovane Nicholas, brillante redattore dalle grandi ambizioni di un network in difficoltà, cerca il servizio bomba che possa mettere in luce una volta per tutte la sua carriera giornalistica. La sua prima inchiesta su una povera ragazza madre di colore, costretta a lasciare la sua bambina appena nata sui gradini di una chiesa e M poi morta di overdose è giudicato molto toccante ma non adatto per quello scoop che Nicholas va cercando. Il giovane sposta l’obiettivo, convinto che Hunter sia un procuratore corrotto che vince i processi perchè all’ultimo momento inserisce prove false (riguardanti soprattutto esami DNA) con l’aiuto di un investigatore della polizia sul suo libro paga. Quindi Nicholas, con l’aiuto del collega Finley, costruisce delle prove a proprio carico in merito a un delitto appena commesso, una prostitua di colore assassinata per strada, con lo scopo di sconfessare Hunter e di dimostrare che la sua capacità processuale si basa su prove costruite ad arte. Tutto questo nonostante le perplessità e le ansie di 34 Ella Crystal, assistente della procura, con cui il giornalista inizia, contemporaneamente, una storia d’amore. Da principio le cose sembrano mettersi sulla strada voluta dai due giornalisti, in quanto Nicholas è effettivamente arrestato dalla polizia per tutti gli indizi disseminati e portato in tribunale; in aula, però, dove lui avrebbe dovuto ribaltare la situazione con le registrazioni video esibite da Finley e accusare formalmente il Procuratore, si trova senza sostegno perchè il suo amico è ucciso dall’agente di Hunter: in un falso incidente brucia tutto, la macchina, il ragazzo, i dvd. Nicholas è avviato al braccio della morte dove ben presto avverrà la sua esecuzione. Film A questo punto, entra in gioco la Crystal che riesce a supportare Nicholas nell’acquisizione di nuove prove che lo liberano dall’accusa di omicidio e portano Hunter definitivamente in carcere; anche grazie al provvidenziale aiuto del poliziotto Ben Nicherson che salva Ella dall’inseguimento del poliziotto corrotto in un garage. Non è questa, però, la conclusione della storia. Ella infatti si accorge che quella prostituta uccisa per strada è la stessa ragazza protagonista del vecchio corto girato dal giornalista e presuntamente considerata morta come tossicomane. Quindi è stato davvero Nicholas a ucciderla, esasperato dal continuo ricatto di lei non più sostenibile: se lui fosse riuscito ad arrivare a un giudizio definitivo del processo (la vecchia azione giudiziaria era stata, intanto, annullata), non sarebbe più stato giudicato per un crimine commesso, invece, sul serio. Non resta a Ella che chiamare la polizia, farlo arrestare e congedarsi da lui con un insulto privo di qualsiasi difficoltà interpretativa. l regista Peter Hyams riprende un vecchio film del 1956 L’alibi era perfetto di Fritz Lang, ne utilizza l’idea centrale, cioé la responsabilità del- I Tutti i film della stagione l’individuo come persona e come uomo di legge e ne fa un noir moderno, perfettamente corredato degli elementi dell’oggi quali le prove DNA e l’interesse giudiziario delle redazioni televisive. In più ringiovanisce tutti gli interpreti lasciando alla sua età solo la figura dorsale, quella del procuratore corrotto: come a simulare che la vecchia disonestà incancrenita del potere giudiziario è spazzata via dal vento fresco e giovanilistico di una classe dirigente finalmente attenta a nuovi ideali e nuovi valori. Sappiamo bene e il regista con noi che non è così, questo è lo spunto del dramma; è lo stesso Fritz Lang a insegnarcelo, ossessionato, lui in fuga dalla Germania hitleriana, dal senso incombente della inarrestabile, ripetitiva e generale colpevolezza umana, nessuno escluso. Peter Hyams, convinto della lezione di Lang quanto il maestro, punta tutto sul sottofinale: accelera le numerose scene da action movie di cui è composto il suo film, tralascia l’approfondimento di tanti momenti che rimangono in superficie e scioglie, appunto, la post-fine in una metafisica senza speranza che accomuna sia i persecutori che i perseguitati. La narrazione spesso intricata, a tratti precipitosa scelta dal regista ha come conseguenza due aspetti: il primo, con belle note di lucido sgomento mette in rilievo quanto sia semplice, oggi, passare dalla quotidianità al delitto, anzi, considerare normale proprio la contiguità con il delitto, considerato come un qualsiasi mezzo di pratica risoluzione. Il secondo aspetto è negativo, perchè tutto questo avrebbe bisogno di una forza interpretativa molto marcata, padrona dei momenti suadenti e speculativi, come di quelli infidi, frenetici, intimamente concitati. Nulla invece: gli interpreti principali sono esili, superficiali, infantili, la stessa Tamblyn, nei panni dell’assistente del procuratore, fa della sua eroina una figura debole che sembra agire sulle forze, cosi poco incisiva da far risultare incredibile quanto la risoluzione degli avvenimenti debba a lei gran parte del merito. Resta Douglas. Quattro scene, quattro passi, quattro parole, sornione e indifferente, ha sostituito il fascino nervoso di un tempo con la padronanza di una immoralità assoluta e che sa inestinguibile. Hanno scritto di lui malissimo, hanno detto che è imbalsamato, quando sempre uguali e imbalsamati sono invece il vizio e la corruzione. Proviamo l’immorale desiderio di parteggiare per lui. Fabrizio Moresco SEGRETI DI FAMIGLIA (Tetro) Stati Uniti/Italia/Spagna/Argentina, 2009 Aiuti regista: Sol Aramburu, Juan Pablo Laplace, Óscar Manero, Mariana Wainstein Arredatore: Paulina López Meyer Trucco: Norberto Poli, Beata Wojtowicz Acconciature: Osvaldo Esperón Supervisore effetti visivi: Viktor Muller Coordinatore effetti visivi: Katerina Pokorova Interpreti: Vincent Gallo (Tetro), Maribel Verdú (Miranda), Alden Ehrenreich (Bennie), Klaus Maria Brandauer (Carlo), Carmen Maura (Alone), Rodrigo De la Serna (Jose), Leticia Brédice (Josefina), Mike Amigorena (Abelardo), Sofía Castiglione (Maria Luisa), Francesca De Sapio (Amalia), Adriana Mastrángelo (Angela), Silvia Pérez (Silvana), Erica Rivas (Ana) Durata: 127’ Metri: 3500 Regia: Francis Ford Coppola Produzione: Francis Ford Coppola per American Zoetrope/BIM Bistribuzione/Instituto Nacional de Cine y Artes Audiovisuales/Tornasol Films/Zoetrope Distribuzione: BIM Prima: (Roma 20-11-2009; Milano 20-11-2009) Soggetto e sceneggiatura: Francis Ford Coppola Direttore della fotografia: Mihai Malaimare Jr. Montaggio: Walter Murch Musiche: Osvaldo Golijov Scenografia: Sebastián Orgambide Costumi: Cecilia Monti Produttori esecutivi: Anahid Nazarian, Fred Roos, Masa Tsuyuki Direttore di produzione: Yousaf Bokhari, Adriana Rotaru Casting: Walter Rippell iovane e ingenuo, il diciassettenne Bennie arriva a Buenos Aires alla ricerca del fratello maggiore, che dieci anni prima ha abbandonato la famiglia. Dopo essere emigrata dal- G l’Italia in Argentina, la famiglia si era trasferita a New York per seguire Carlo Tetrocini, padre crudele e autoritario e acclamato direttore d’orchestra. Quando Bennie ritrova il fratello, il geniale e 35 tormentato scrittore “Tetro”, non è accolto a braccia aperte. Invece della figura idealizzata della sua infanzia, si trova di fronte un uomo freddo e autodistruttivo. Tetro cammina con le stampel- Film le, dopo un incidente in cui è stato ipnotizzato dai fari di un autobus che arrivava nella direzione contraria. Respinto dal fratello, Bennie si aggrappa alla fidanzata di Tetro, Miranda, e scopre da lei che quell’incidente non è stato l’unico. Ospitato nel loro piccolo appartamento del quartiere bohemien di La Boca, Bennie trova gli scritti nascosti di Tetro, in cui il fratello rivela il vero motivo del suo allontanamento dalla famiglia: il rapporto soffocante con il padre, feroce nel frustrare le ambizioni letterarie del figlio e determinato a essere l’unico genio in famiglia. Quando Miranda, che ha cominciato ad affezionarsi a Bennie, scopre il giovane con gli scritti di Tetro, lo mette in guardia: se Tetro venisse a sapere che li ha letti, si infurierebbe. Ma Bennie non demorde e insiste per scrivere il finale mancante di una delle commedie del fratello. Quando Bennie resta vittima di un incidente (investito da un autobus, come il fratello) e viene ricoverato in ospedale, Miranda cede e gli porta, di nascosto, il manoscritto. Tetro trova Bennie che scrive il finale e ne nasce un litigio violento. Un grande critico teatrale, una donna che si firma come “Alone”, legge la commedia e la sceglie come finalista al premio letterario argentino più importante, che sarà consegnato nella sua villa, in Patagonia. Durante il viaggio attraverso la Patagonia, una notte, Tetro scompare misteriosamente e Miranda, preoccupata, lo cerca lungo l’autostrada. Alla cerimonia di premiazione in Patagonia, Tetro ricompare e i due fratelli rivivono nella loro commedia la tormentata verità di un comune Tutti i film della stagione passato. La rivelazione per Benne è lancinante: Tetro non è suo fratello, ma suo padre. Quella stessa sera, ricevono anche la notizia che il padre è morto. Tutta la famiglia si ritrova a Buenos Aires, ai funerali di stato e, questa volta, è Bennie a scomparire nella notte: sconvolto, vaga sull’autostrada ipnotizzato dai fari delle auto che passano veloci. Tetro segue il fratello e lo salva: finalmente ha capito che sono una famiglia. gni ritorno alla regia di Francis Ford Coppola, forse l’ultimo dei veri “geni” al servizio dell’arte cinematografica, viene salutato sempre con gioia e una benevolenza talmente sopra le righe da far suscitare ogni volta sospetti circa la genuina sincerità di chi spande simili peana a piene mani. Non è un regista facile, Coppola; in pochi, tra quelli che lo elogiano a prescindere, quasi fosse il re del mainstream, ricordano le battaglie personali condotte per portare a termine le proprie regie più visionarie, la bancarotta con tanto di gestione controllata a seguito del flop di una magica follia come Un sogno lungo un giorno, il faticoso ritorno e le regie “alimentari” per sanare i debiti. È davvero difficile scindere l’uomo/regista Coppola dal concetto stesso di cinema che egli incarna e di cui vive giorno per giorno: la grandezza di questo regista è tutta qui (e non è poco), in una totale quanto dichiarata simbiosi con ciò che ha deciso di fare e di essere nella vita. E il cinema lo ha amato e respinto, ha posseduto ogni singolo membro della sua famiglia (da Talia Shire a Nicolas Cage, fino a Jason Schwartzman e alla sopravvalutata O figlia Sofia), si è lasciato manipolare da lui in tanti tasselli di un produzione che – nei casi più felici – sono andati ben oltre quanto mostravano: echi di tragedia greca nel Padrino parte 2, riflessioni sullo sguardo (e sull’udito) nel capolavoro La conversazione, omaggi personali alla realtà artificiale dei musical e dei buddy movies anni ’50 (I ragazzi della 56 strada, il succitato Sogno lungo un giorno). Tetro, in Italia distribuito col titolo Segreti di famiglia, non può prescindere da questa doverosa premessa sul proprio autore. È curioso immaginare un giovane spettatore, o un neofita dell’opera di Coppola, avvicinarsi a lui con questo suo ultimo film; e altrettanto curioso sarebbe chiedere il suo parere su un film che, con la sincerità propria del suo autore, si mostra chiaramente per quello che è: una summa e, al tempo stesso, una rielaborazione, in età matura, della filmografia di Coppola che abbiamo ammirato negli scorsi anni. Così, ecco il bianco e nero di Rusty il selvaggio (questa volta la splendida fotografia è curata da Mihai Malamaire, Jr.) dipingere lo sfondo di una inedita Buenos Aires, dove, ancora una volta, è un rapporto tra fratelli, un rapporto di sangue, a essere centrale nella narrazione: non più Matt Dillon e Mickey Rourke, ma Vincent Gallo e il giovane esordiente Alden Ehrenreich. Fratelli, ma anche padre e figlio, dualismo congenito di due personaggi speculari (come speculare, suo malgrado, è la rassomiglianza di Tetro con l’odiato padre), a cui non si sottrae l’affascinante Maribel Verdù/ Miranda, donna, per sua stessa natura moglie (di Tetro) e madre (di Bennie). La fertilità dei personaggi è tutta nei loro ruoli, nella loro predisposizione genetica a dare e a ricevere: l’impossibilità, o la non volontà a farlo è il centro di un dramma familiare tutto di testa, dove il settantenne Coppola ricorre a tutte le suggestioni del suo passato cinematografico, per un riepilogo filmato di un’intera vita di rapporti familiari e di vita vissuta. Non più un cinema proiettato in avanti, ma che si guarda alle spalle riproponendo in chiave più matura il già visto, con la consapevolezza che non molto è rimasto, davanti, da esplorare. Ma, nonostante tutto, c’è ancora tanta gioia per gli occhi, nel cinema dell’anziano Coppola e una liber tà espressiva e stilistica tra una scena e l’altra che lascia ancora piacevolmente esterrefatti. Gianluigi Ceccarelli 36 Film Tutti i film della stagione DISTRICT 9 (District 9) Stati Uniti, 2009 Regia: Neil Blomkamp Produzione: Carolynne Cunningham, Peter Jackson per TriStar Pictures/ QED International/ WingNut Films/ Key Creatives Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 25-9-2009; Milano 25-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Neill Blomkamp, Terri Tatchell Direttore della fotografia: Trent Opaloch Montaggio: Julian Clarke Musiche: Clinton Shorter Scenografia: Philip Ivey Costumi: Dianna Cilliers Produttori esecutivi: Bill Block, Ken Kamins Co-produttore: Philippa Boyens Direttori di produzione: Hannah Slezacek, Steven St. Arnaud Casting: Denton Douglas Aiuti regista: De Villiers Fourie, Robyn Grace, Richard Green, Paul Grinder, Jacques Terblanche Operatori: Georgia Court, Dean Leslie Art director: Emilia Roux Arredatore: Guy Potgieter Supervisore trucco e acconciature: Leon von Solms Supervisori effetti speciali: Steve Ingram, Max Poolman Coordinatore effetti speciali: David Barkes Supervisori effetti visivi: Matt Aitken (Weta Digital), Keegan Douglas (Goldtooth Creative), Dan Kaufman (Image Engine) ud Africa, 1982. Un’enorme nave spaziale aliena sbarca sulla Terra e va a posizionarsi sui cieli di Johannesburg, dove rimane per settimane, immobile, senza dare segni di vita. Stanchi per l’attesa, gli uomini del governo sudafricano incaricano una squadra d’esplorazione di andare a ispezionare il relitto in cerca di risposte. All’interno della nave viene rinvenuta una colonia di esseri umanoidi allo sbando, sporchi, spossati e denutriti che vengono condotti in salvo sulla terraferma. Col passare del tempo la convivenza tra esseri umani e alieni si fa sempre più difficile. Gli alieni, incompresi e malvisti dalla popolazione locale, vengono isolati in un campo profughi denominato Distretto 9, dove rimarranno segregati in regime di apartheid per i successivi vent’anni. Gli alieni, denominati “nonumani” (o “Gamberoni”, per via della loro somiglianza fisica nei confronti dell’omonimo crostaceo), vengono controllati dalla Multi-National United (MNU), una compagnia multinazionale che studia il modo di sfruttarne l’avanzata tecnologia (soprattutto bellica). Dopo varie contestazioni degli abitanti di Johannesburg per via dei continui processi di rivolta da parte degli esseri alieni che non accettano di essere S Coordinatori effetti visivi: Mary Jane Bolton (Zoic Studios), Juliette Davis, Nathaniel Holroyd, Danielle Kinsey (Image Engine), Suzanne MacLennan, Ozen Sayidof (Image Engine), Rachel Scafe (Image Engine), Vera Zivny (Image Engine), David Langtry (Zoic Studios) Supervisori costumi: Sam Morley, Leonie Roberts Supervisore musiche: Michelle Belcher Interpreti: Sharlto Copley (Wikus Van De Merwe), David James (Koobus Venter), Jason Cope (Grey Bradnam), Mandla Gaduka (Fundiswa Mhlanga), Vanessa Haywood (Tania Van De Merwe), Marian Hooman (Sandra Van De Merwe), Kenneth Nkosi (Thomas), Louis Minnaar (Piet Smit), William Allen Young (Dirk Michaels), Hlengiwe Madlala (Sangoma), Robert Hobbs (Ross Pienaar), Nathalie Boltt (Sah Livingstone), Sylvaine Strike (dr.ssa Katrina McKenzie), Elizabeth Mkandawie (intervistata), John Sumner (Les Feldman), Greg Melvill-Smith (intervistatore), Nick Blake (Francois Moraneu), Morena Busa Sesatsa, Themba Nkosi, Mzwandile Nqoba, Barry Strydom (intervistati), Jed Brophy (James Hope), Vittorio Leonardi (Michael Bloemstein), Johan van Schoor (Nicolas Van De Merwe), Stella Steenkamp (Phyllis Sinderson), Mampho Brescia (Reporter), Tim Gordon (Clive Henderson), Morne Erasmus (Medico), Anthony Bishop (Paramedico), David Clatworthy, Mike Huff (Dottori), Anthony Fridjohn (Dirigente MNU) Durata: 112’ Metri: 3100 rinchiusi nello spazio a loro dedicato, il governo sudafricano decide di sfrattarli in una zona franca a 240 km dalla metropoli. Per questo compito viene dichiarato capo squadra Wikus Van De Merwe, genero del capo della MNU. Ragazzo “per bene”, spinto da un forte senso del dovere, Wikus tenta sin dall’inizio di approcciare gli alieni in modo pacifico, anche se in maniera piuttosto “rozza” (durante le prime fasi dell’operazione arriverà a dare alle fiamme con ingenua noncuranza una nursery aliena piena di uova). Durante la perquisizione all’interno di una delle capanne del Distretto 9, Wikus rinviene un cilindro metallico contenente un liquido misterioso che accidentalmente gli schizza negli occhi provocandogli l’insorgere di strani sintomi. Giunto in ospedale per accertamenti, tali sintomi vengono identificati per ciò che sono realmente: le manifestazioni iniziali di una mutazione genetica nel DNA dell’uomo. Wikus viene subito prelevato con la forza e sottoposto a una serie di esami invasivi da parte degli scienziati dell’MNU. È in programma una dissezione. Per sfuggire a una morte certa, l’uomo decide allora di fuggire e di andare a rifugiarsi all’interno del Distretto 9. Poco a poco, Wikus entra a far parte 37 della comunità aliena conoscendo, nello specifico, Christopher, alieno padre che collaborerà con lui alla riconquista del liquido trovato dal protagonista stesso che gli causò la mutazione parziale iniziata dall’arto superiore sinistro e che potrebbe riportalo come l’uomo di un tempo. Lo sconforto e la disperazione crescono quando Christopher svela le lunghe tempistiche dello studio della cura (3 anni), tanto da portare Wikus a sabotare i piani del collaboratore alieno tentando una fuga che si impedirà pochi istanti dopo con l’impiego dell’esercito. Intanto Wikus continua la lotta contro gli umani: ad aggiungersi ci sono i nigeriani che gestiscono il mercato illecito delle armi aliene e non, oltre al cibo per gatti di cui gli alieni vanno ghiotti. La retata dell’esercito nel Distretto 9 comporta la cattura sia di Wikus che di Christopher, ma, grazie all’intervento del piccolo genio delle tecnologie Christopher Junior, soprattutto all’alleanza aliena creatasi nei tre giorni in cui Wikus entra a farne parte, vengono entrambi liberati con il solo svantaggio che Wikus non riesce a ripartire con Christopher che, promette di tornare con la cura fra tre anni esatti. Wikus conclude la metamorfosi fisica Film in essere alieno senza mai dimenticare l’unica ragione della sua vita: sua moglie Tania. ’esordio al lungometraggio del regista Neill Blomkamp (che prende spunto dal proprio cortometraggio Alive in Joburg) è a tratti sorprendente. Il succinto plot che lo precedeva (come la presenza di Peter Jackson nelle vesti di produttore) poteva far pensare a una goliardata volutamente grottesca e priva di ambizioni; il film, pur restando fedele alla sua natura di puro prodotto di intrattenimento, si prende invece sul serio (il giusto) e fa centro quando inscena una efficace metafora sull’intolleranza che non L Tutti i film della stagione risparmia nessuno, tanto i bianchi quanto i neri un tempo ghettizzati del Sudafrica, ora anche loro pronti a scagliarsi contro “l’altro da sé”, sintetizzato dalle mostruose forme di alieni chiamati “gamberi” per le loro indubbie fattezze crostacee. Riuscendo a tratti, grazie a una regia che poco indugia sul loro aspetto ributtante, a compiere un’operazione di adesione emotiva con gli umani che ha pochi precedenti nella storia del cinema sci-fi, forse il genere più resistente – per forza di cose – al manicheismo. Molto efficace, perché l’operazione funzioni, anche il ricorso a una tecnica documentaristica che, se alla lunga si rivela pretestuosa fino a essere bruscamente accantonata, sa calare inizialmente lo spettatore all’interno di un contesto urbano e sociologico fittizio e futuribile quanto realistico e (come la storia ha insegnato) verosimile. Al punto da rispettare – nella versione originale – il multilinguismo del Sudafrica (dove si parla inglese, afrikaans e il dialetto nyanja dei Bantu); ognuno, alieni compresi, parla la propria lingua e comprende quella dell’altro, segno di come la convivenza – forzata o meno – possa abbattere le barriere culturali e semantiche e rivelarci uguali gli uni con gli altri. Qualcuno lo vada a dire ai leghisti di casa nostra, che sembrano provenire da un’altra galassia. Gianluigi Ceccarelli BARBAROSSA Italia, 2009 Arredatore: Andreea Popa Trucco: Gabi Cretan Acconciature: Elisabeta Dancescu, Doina Popa, Clara Tudose Effetti: Marcello Buffa, Giuseppe Squillaci, Shuttle, Cane Cane Supervisore effetti speciali: Lucian Iordache Supervisori effetti visivi: Stefano Marinoni, Paola Trisoglio Interpreti: Rutger Hauer (Barbarossa), Raz Degan (Alberto da Giussano), Fred Murray Abraham (Siniscalco Barozzi), Hristo Jivkov (Gherardo Negro), Antonio Cupo (Alberto Dell’Orto), Cécile Cassel (Beatrice di Borgogna), Kasia Smutniak (Eleonora), Angela Molina (Ildegard Von Bingen), Elena Bouryka (Antonia), Hristo Shopov (Rainaldo di Dassel), Federica Martinelli (Tessa), Maurizio Tabani (Giovanni da Giussano), Riccardo Cicogna (Wibaldo), Gian Marco Tavani (Lorenzo della Pigna), Robert Alexander Baer (Alberto ragazzo), Zoltan Butuc (Otto da Giussano), Karl Baker (Rainero da Giussano), Vlad Radescu (Mastro Guitelmo), Marius Chivu (Guidone), Stefan Adrian (Ottone), Francesca Ruiz (Eugenie), Alin Olteanu (Enrico il Leone), Stefan Velniciuc (Evandro) Durata: 139’ Metri: 3800 Regia: Renzo Martinelli Produzione: Renzo Martinelli, Riccardo Pintus per Martinelli Film Company International; con la partecipazione di Rai Fiction/Na-Comm, in collaborazione con Rai Cinema e con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 9-1-2009; Milano 9-1-2009) Soggetto: Giorgio Schottler, Renzo Martinelli Sceneggiatura: Renzo Martinelli, Anna Samueli, Giorgio Schottler Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti Montaggio: Osvaldo Bargero Musiche: Pivio, Aldo De Scalzi Scenografia: Rossella Guarna Costumi: Massimo Cantini Parrini Co-produttore: Vlad Paunescu Direttori di produzione: Davide Lamberti, Marian Pascale Casting: Luca Confortini Aiuti regista: Ana Maria Bulata, Eleonora Martinelli, Maria Nita, Carlo Paramidani, Ovidiu Paunescu, Jacopo Tabanelli Art directors: Ioana Corciova, Doina Repanovici 158, campagna milanese: durante una battuta di caccia un ragazzo figlio di un fabbro salva dalla carica di un cinghiale un aristocratico guerriero. È l’incontro del destino perchè il primo è Alberto da Giussano e il secondo è Federico di Hoenstauffen, Imperatore. È l’Italia del XII secolo, divisa tra le guerre e le alternate supremazie dei comuni, ma certo contraria a una unificazione generale che avvenga sotto il tacco imperiale. Il sogno di Federico Barbarossa è invece proprio questo, la riconquista del centro-sud italiano per ricostituire il grande impero di Carlo Magno. La divisione egoistica delle città e il tradimento di alcuni notabili milanesi passati al soldo di Federico come Siniscalco 1 Barozzi, sembrano all’inizio favorire il disegno imperiale: l’incoronazione a Roma, le spedizioni punitive in tutta la Lombardia, la distruzione di Milano, il nord saldamente in mano tedesca grazie al terrore e all’oppressione. Eppure non tutto è sotto controllo perchè il figlio del fabbro è nel frattempo cresciuto e, dopo un primo periodo di incertezze e difficoltà per le rappresaglie e le persecuzioni di Federico, riesce a costruire il proprio futuro sia personale che pubblico: Alberto conquista finalmente l’amore di Eleonora, ragazza piena di slanci, di passione e di preveggenze (tacciata di stregoneria rischia di finire al rogo) e forma la Compagnia della Morte. Sarà questa organizzazione, composta da ragazzi provenienti da ogni zona del 38 contado e affratellati dal desiderio di libertà per la propria gente e per i propri paesi a formare il nucleo della Lega Lombarda che a Pontida dà il via all’insurrezione. Il risultato finale è la battaglia di Legnano, dove Alberto guida i comuni del nord alla vittoria e uccide il traditore Barozzi. Il Barbarossa, disarcionato durante gli scontri, vaga per tre giorni senza meta per riapparire a Pavia e riorganizzare il definitivo abbandono dell’Italia agli Italiani. l film di Martinelli riesce a racchiudere tutte le numerose variabili che conducono un’opera al fallimento: la caratterizzata bandiera di nascita; la padronale esibizione dei costi so- I Film stenuti (trenta milioni, compresa una sontuosa iniezione di intervento pubblico); una pessima sceneggiatura appesantita da dialoghi scritti senza la benchè minima percezione del ridicolo (qualità fondamentale per chi si occupa, in qualsiasi modo, di spettacolo); la roboante retorica delle musiche e il saccheggio di effetti speciali impropriamente utilizzati. A questo aggiungiamo lo scadente contributo degli attori (una Eleonora/Kasia Smutniak che strilla dall’inizio alla fine e un Alberto/Raz Degan inclassificabile per la sua inespressività), bilanciato nella media dalla professionalità delle due star Rutger Hauer e Murray Abraham come Barbarossa e Barozzi. La partenza, dicevamo, è avvenuta con l’handicap. Il film è stato concepito, preparato, prodotto, lavorato e presentato sotto l’egida della forte volontà leghista (supportata quindi, volendo o non volendo, dalla maggioranza che sostiene il governo in carica) di vedere consacrata la celebrazione epica dell’insurrezione delle popolazioni lombarde contro l’oppressore tedesco; forse a monito di eventuali altri attuali e/o presunti oppressori perchè stiano alla larga dalla sacra e vitale sete di indipendenza della gente “lumbard” (traduzione: federalismo). In fin dei conti niente di strano che una forza di governo fortemente caratterizzata come l’attuale voglia lasciare un imprinting forte utilizzando lo spettacolo a consolidare le idee e le convinzioni che sono alla base della sua attività esecutiva. Il problema è Tutti i film della stagione quando in tutto questo non crede nessuno, nemmeno il pubblico che dovrebbe essere considerato “in quota” rispetto a questo film. Il numero incredibile di sale (267!) che ha visto la sua oceanica presentazione nel primo week-end (quello che da sempre dà l’indirizzo della riuscita o meno di un film) ha registrato una media di settanta (70!) spettatori a sala, confermando il disinteresse pure nelle zone del nord-est: venti (20!) presenti in un cinema del comasco, dove la celebrazione avrebbe dovuto toccare il massimo del consenso. Cosa vuol dire? Vuol dire quello che vuol dire sempre e cioè che un film, come una rappresentazione teatrale o qualsiasi seria operazione di spettacolo paga quando è ben fatto; è forse uno dei pochi settori dove l’imbroglio, l’incapacità sono subito scoperti: un forte padrinato politico o relazionale di vario genere può portare sul palcoscenico o sullo schermo, ma se non si è capaci, dal palcoscenico come dallo schermo si va via. Il polpettone da soap opera di Martinelli, asettico, banale, privo di passione davvero non interessa nessuno, neppure la scuderia che così strenuamente ne aveva difeso l’allestimento. Fabrizio Moresco S. DARKO (S. Darko) Stati Uniti, 2009 Regia: Chris Fisher Produzione: Adam Fields, Ash R. Shah per Silver Nitrate Films/ Newmarket Capital Group/Adam Fields Productions Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 21-8-2009; Milano 21-8-2009) Soggetto:personaggi ideati da Richard Kelly, produttore e regista del film Donnie Darko (2001) Sceneggiatura: Nathan Atkins Direttore della fotografia: Marvin V. Rush Montaggio: Kent Beyda Musiche: Ed Harcourt Scenografia: Alfred Sole Costumi: Amy Jean Roberts Produttore esecutivo: Sundip R. Shah Co-produttori: Kent Beyda, Jim Busfield, Jennifer Lane Connolly Direttore di produzione: Michael C. Cuddy Casting: Sig De Miguel, Stephen Vincent Aiuti regista: Donald Hauer, Peter Silberstein Operatore: Patrick Reddish Operatore Steadicam:Jesse Evans Art director: Mark J. Mullins Arredatore: Suzy Eaton Supervisore effetti speciali trucco: Chris Hanson Trucco: Christel Edwards, Robin Glaser Acconciature: Emma-Lee Hoganson, Rachel Schroeder Effetti: The Animation Pictures Company Supervisore effetti visivi: Min Su Park Coordinatori effetti visivi: Junshik-Raul Yun (Digiart) Supervisore costumi:Amy Jean Williamson Supervisori musiche: Gerry Cueller, Greg Danylyshyn Interpreti: Daveigh Chase (Samantha), Briana Evigan (Corey), James Lafferty (Iraq Jack), Ed Westwick (Randy), Walter Platz (Frank), John Hawkes (Phil), Bret Roberts (agente O’Dell), Jackson Rathbone (Jeremy), Elizabeth Berkley (Trudy), Barbara Tarbuck (Agatha), Matthew Davis (Pastore John), Nathan Stevens (Jeff), Ryan Templeman (Mike), Zulay Henao (Baelyn), JJ Neward (collega), Bridger El-Bakhi (Billy), Gregory T. Collett (Ted Moncton) Durata: 103’ Metri: 2840 39 Film 9 giugno 1995. Sette anni dopo la tragica e misteriosa morte del fratello Donnie (ucciso durante il sonno dal motore di un aereo precipitato sulla sua casa), Samantha è ancora sconvolta dal grave lutto che ha colpito la sua famiglia. La ragazza, che ha perso la capacità di sognare ed è in preda a tremendi incubi, decide di fuggire di casa. Parte da Middlesex (Virginia) assieme alla sua amica del cuore Corey: destinazione California. Durante il viaggio, però, la loro automobile si ferma nel deserto dello Utah e vengono soccorse da Randy, un aitante giovane che le accompagna a un motel di Conejo Springs. Durante la notte, Sam annuncia a Justin, un ragazzo seduto su di un mulino a vento lì vicino, che mancano esattamente 4 giorni, 17 ore, 26 minuti e 31 secondi alla fine del mondo. Pochi istanti dopo la profezia, un meteorite si schianta al suolo scavando un enorme voragine. Le ragazze apprendono che nella zona si sono verificati eventi inspiegabili, come la scomparsa di due bambini, Bill e il fratello di Randy. Pensano che a rapirli sia stato Justin, il nipote della scienziata Roberta Sparrow (alias “nonna Morte”), autrice del trattato La filosofia del viaggio nel tempo. Il giovane reduce dell’Iraq, che girovaga vestito con mimetica, fazzoletto legato sul viso e con tanto di fionda al collo, in quanto disadattato e squilibrato, è ritenuto responsabile dell’incendio che ha devastato la chiesa del paese. Viene quindi arrestato. Intanto, gli abitanti del posto continuano a percepire terribili sensazioni: il pastore John è convinto che sul luogo operino degli influssi maligni, mentre Jeremy (colui che ha raccolto il meteorite) dice di vedere cose che fino a quel momento aveva visto solamente nei propri sogni. A seguito di un incidente stradale, Samantha viene investita e muore. Per riaverla accanto a sé, l’amica Corey è disposta a sacrificare la sua vita: guidata dal bambino Billy (che si scopre essere stato segregato in una prigione sotterranea), sceglie infatti di cambiare la direzione del proprio destino. Ma Sam, nel giorno in cui si festeggia l’indipendenza americana (il 4 luglio), muore ugualmente dopo essere stata colpita da Jeremy. Questo ultimo, da quando ha toccato il meteorite, ha delle strane piaghe sul corpo e sembra posseduto da forze oscure... . 2 li spettatori più attenti di Donnie Darko (2001) ricorderanno certamente il finale di questo piccologrande cult di inizio Terzo Millennio, portato sorprendentemente al successo grazie al passaparola sulla rete. Le ultime immagini ci mostrano la piccola Samantha in braccio al padre, mentre guarda allontanarsi la salma del fratello che viene caricata sull’ambulanza. Di lei, promessa ballerina di 10 anni, nonché elemento di punta della compagnia G Tutti i film della stagione di danza della scuola, non rimane alcuna traccia in questo scialbo sequel. Il suo personaggio, che incarnava perfettamente il Sogno americano, la voglia di sfondare tipica dell’epoca reaganiana, si riduce ad una sorta di demoniaco clone di Donnie. Anche lei è sonnambula, completamente persa in un mondo tutto suo e vuole salvare l’umanità dal pericolo di un’imminente fine. Ed anche qui compare il famoso coniglio gigante di nome Frank con la sua maschera di ferro. Questa volta, però, sotto le spoglie del matto del villaggio... . Fin qui tutto sembrerebbe quadrare, o quasi. Se non fosse che il resto della storia diretta da Chris Fisher pullula di macroscopiche incongruenze (avvenimenti privi di senso e personaggi a dir poco sfuggenti). Qual è, ad esempio, il ruolo della spregiudicata amica Corey? Oppure, ancora, del nerd mutante Jeremy? Infine, come si spiega l’incidente mortale di cui rimane vittima Samantha nel bel mezzo del film? Sono molti i punti oscuri di questa bella e buona trovata di marketing, che nulla ha a che vedere con l’episodio originale, congegnato con incredibile padronanza dal talento visionario di Richard Kelly. In quel caso, infatti, tutto combaciava con assoluta simmetria, come all’interno di un mosaico, e questo grazie a una sceneggiatura compatta e trascinante. Ciò che era nato un po’ per gioco e, senza neppure troppe pretese, come un semplice prodotto di intrattenimento per gli adolescenti, negli anni si è rivelato invece essere un illuminante racconto di formazione: sugli adolescenti, sulla perdita della loro innocenza, sulla scoperta della loro identità. Fragile, insicuro e decisamente problematico, il giovane Donnie sconfiggeva l’apatia cui erano destinati i suoi coetanei con l’arma dell’immaginazione: attraverso affascinanti viaggi nel tempo, gli si spalancavano infatti ignoti universi paralleli, mille volte più interessanti dell’anonima e deprimente vita di provincia. Dietro la figura di questo schizofrenico rivoluzionario dal cuore tenero, in realtà, si nascondeva una critica feroce all’ipocrita società del consumo e del business degli anni Ottanta, con tutti i suoi valori più ostentati: l’edonismo; la morale conservatrice; il fanatismo religioso. Aspetto, questo ultimo, che viene ripreso e accentuato oggi, nel film che vede protagonista la sorella, grazie alla presenza dell’ambiguo pastore John e di una sua devotissima seminarista. L’esistenza di Dio e, quindi, l’idea di un disegno divino, di un destino scritto, sono al centro delle domande che la “saga Darko” solleva e lascia volutamente in sospeso. Di contro, il libero arbitrio: il potere di cambiare le cose, la volontà di costruire un mondo migliore. Anche a costo di incendiare case, chiese e scuole. Perché, se è vero che il fuoco distrugge, è altrettanto vero che dalle ceneri si può creare il nuovo. Insomma, Donnie Darko era molto, molto di più di un teen-movie. Per questo lo rimpiangiamo e, con esso, rimpiangiamo anche le sue citazioni cinefile e la sua formidabile colonna sonora (Division Joy, Duran Duran, Tears for Fears, etc...). Anzi, dopo aver subito il supplizio di questo inutile sequel, possiamo addirittura confessare di sentirne una tremenda nostalgia. Diego Mondella SMILE Italia/Marocco, 2009 Regia: Francesco Gasperoni Produzione: Hamid Basket, Livia Benevento, Francesco Gasperoni, Gherardo Pagliei per Cinecittà-Luce/Moviemaker/Marocco Movie Group Distribuzione: Cinecittà Luce Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Francesco Gasperoni Direttore della fotografia: Giovanni Battista Marras Montaggio: Francesco Loffredo, Charles Kaplan, George Folsey Jr. Musiche: Federico Landini Costumi: Susanna Ferrando Produttori esecutivi: Marc Bikindou, Jay Julien, Livio Negri, Michael Tadross Jr. Produttore associato: Simone Frattari Supervisori effetti visivi: Andrea Baracca Suono: Federico Landini Canzoni/Musiche estratte: “A Long Long Time” è di Francesco Gasperoni e Federico Landini Interpreti: Armand Assante (Tollinger), Harriet MacMasters-Green (Clarissa), Antonio Cupo (Tommy), Manuela Zanier (Angelica), Robert Capelli Jr. (Paul), Giorgia Massetti (Jameela), Tara Lisa Haggiag (Geneva), Mourad Zaoui (Rashid), Rabie Kati (cacciatore) Durata: 90’ Metri: 2450 40 Film n gruppo di ragazzi è in vacanza in Marocco. Fra loro la bionda Clarissa, fotografa, segretamente innamorata del ragazzo più anziano, Paul (ma tutti hanno più o meno avuto o meditano di avere una relazione tra loro). A seguito di un incidente, una zingara ruba la macchina fotografica di Clarissa; fatta sosta nel paese più vicino, i ragazzi decidono di fermarsi e passare la notte lì. Clarissa, aggirandosi per il mercato del paese, entra in una specie di bazar dove uno sconosciuto, assieme a una bambina, la accolgono. L’uomo possiede una macchina fotografica istantanea, una Polaroid del 1966; gliela vende per due soldi e la incoraggia a fare molte foto. Clarissa, appena tornata, inaugura la macchina fotografando una del gruppo, Geneva. Quella sera i ragazzi la passano in discoteca: Tommy e Geneva fanno l’amore, poi lei decide di lasciare tutti e tornarsene a casa, insofferente all’idea di campeggio che si profila. Ma, arrivata alla stazione, muore infilzata da un dardo lanciato chissà da dove. Il giorno dopo gli amici, disorientati dalla scomparsa di Geneva, decidono di ripartire col loro fuoristrada. Tommy non smette di chiamare Geneva, ma il cellulare è sempre spento. In breve raggiungono una radura, dalla quale proseguono a piedi. Ci sono ancora delle tensioni, a causa del solito Tommy, testa calda, ulteriormente in crisi da quando non si sa più niente di Geneva. Uno sparo fa trasalire il gruppo, che comincia a correre. In breve si ritrovano davanti a un tuareg che ha sparato a un cervo e che li diffida dal restare in quei boschi e andarsene quanto prima. Supplicato dal gruppo, che non sa dove andare, il tuareg accetta di portarli al suo campo, per una sola notte. La serata sembra procedere tranquilla, con nuovi flirt all’orizzonte (Clarissa e Paul, Jameela e Rashid) e scherzi di pessimo gusto da parte di Tommy, che subisce la poco scherzosa reazione del tuareg. La notte, mentre gli altri dormono, Jameela e Rashid escono dalle loro tende e fanno l’amore, non prima di essersi reciprocamente fotografati: la mattina dopo, il tuareg scopre la macchina fotografica e – d’improvviso ostile – punta il fucile sui ragazzi, chiedendogli dove l’hanno presa. Clarissa glielo rivela, ma scopre che il tuareg è a conoscenza di vari dettagli (i leoni d’ottone U Tutti i film della stagione all’ingresso del bazar) e sa che chi viene ripreso da quella camera muore. Neanche a lui va troppo bene: i ragazzi lo ritrovano morto poco dopo in riva al fiume, seguito da Rashid che finisce fulminato. Comincia a piovere e i cinque superstiti trovano rifugio in un capanno abbandonato; Angelica, ferita a un piede, viene fatta sdraiare su un giaciglio. Mentre dentro si prova a cercare di capirci qualcosa (Tommy ammette di aver scattato una foto al tuareg prima che morisse) , Jameela esce di casa e finisce infilzata in un albero. Clarissa rivede le foto e capisce che c’è un legame fra le morti delle persone e il modo in cui i soggetti vengono fotografati: il flash “avvolge” Rashid come a bruciarlo, l’albero alle spalle di Jameela, ecc. Tommy aveva fatto poco prima una foto ad Angelica, per mostrarne l’innocuità: è ritratta con una pala. Ed è proprio una pala, sollevata da una forza misteriosa, a ucciderla nell’altra stanza senza che i ragazzi possano intervenire. Tommy impazzisce di paura: lui è stato fotografato, Paul e Clarissa no. Punta su di loro la camera, nasce una colluttazione, in seguito alla quale la lampada a olio cade appiccando il fuoco. Le fiamme si attaccano ai vestiti di Tommy, che viene ustionato al corpo e al viso nonostante l’intervento dei due amici. I tre scappano, mentre il capanno viene invaso dalle fiamme. La mattina dopo, stanno ancora scappando, ma Tommy viene raggiunto da un dardo scagliato al solito chissà da dove. Paul e Clarissa, unici superstiti, scappano fino a raggiungere un cimitero abbandonato. Qui Clarissa vede la lapide di una bambina, che di cognome fa Tollinger: è la stessa che era nel bazar. Poco più in là, un’altra lapide raffigura il tuareg: sia lui che la bambina sono morti nel 1966. Ripartiti col fuoristrada e riusciti ad accedere a Internet con un portatile, Paul e Clarissa ricostruiscono la vicenda: il padre della bambina è Edward Tollinger, perito forense. Nel 1966 venne chiamato a fare delle foto su una scena del crimine: ma il cadavere era quello di sua figlia. La moglie di Tollinger si suicidò dopo l’accaduto, lui si ributtò a capofitto nel lavoro, ma ormai qualcosa nella sua mente aveva ceduto: aveva visioni mentre scattava le foto e i superiori lo rimossero dall’incarico. Impazzito e disoccupato, Tollinger cominciò a fotografare soggetti che poi avrebbe ucciso con quello che 41 compariva nella foto: il primo fu proprio il tuareg. Dopo aver compiuto numerosi delitti, Tollinger si impiccò nella sua casa nel bosco (quella dove i ragazzi si erano rifugiati nella notte) e la fece finita; ma la sua maledizione continua. Paul esce dal fuoristrada e prova a telefonare alla polizia, mentre Clarissa sul bordo della strada scarica il rullino della macchina per renderla inoffensiva. Mentre Clarissa scatta, passa davanti a loro una macchina: la foto sviluppata mostra i due riflessi sul vetro della macchina. Che ora punta diritta verso di loro... a sinossi del film è sufficientemente esplicativa della propria pochezza. Pochezza narrativa, s’intende. Quella stilistica e visiva, altrettanto desolanti:e, lo si può evincere solo dalla visione. Smile di Francesco Gasperoni, opera prima finanziata con i soldi dello stato, dovrebbe essere un horror ma non spaventa, cosa di per sé già abbastanza grave. L’unica cosa davvero spaventosa sono i luoghi comuni di cui il film si nutre dal primo all’ultimo minuto e una sfacciata inverosimiglianza narrativa: esilarante nelle singole scene, estenuante se si prova a tirar le somme della trama (nel caso in questione, una perdita di tempo). La sceneggiatura non prova a motivare i continui ammazzamenti (tutti fuori campo: niente male per un horror) e, quando la “maledizione” della macchina fotografica viene spiegata si rimpiange che il mistero non sia rimasto tale. Inutile, per lunghi periodi, anche tentare di capire cosa stiano facendo i personaggi e perché mai non scappino a gambe levate di fronte a quel che accade: siamo tutti vittime di Gasperoni, spettatori e personaggi, in attesa della morte, o quantomeno della fine di un incubo (nel caso in questione, il film stesso). Meglio tacere di recitazione e regia: non si parla male degli assenti. Ci limiteremo a citare Armand Assante, con codino chilometrico, probabilmente ignaro della baracconata a cui andava partecipando, e a dimenticarci degli altri per far loro un favore. Se la rinascita del cinema italiano attraverso il genere deve passare da questo, allora c’è ben poco da sorridere. L Gianluigi Ceccarelli Film Tutti i film della stagione A CHRISTMAS CAROL Stati Uniti, 2009 Supervisori effetti digitali: Kevin Baillie, Ryan Tudhope Supervisore costumi: Anthony Almaraz Voci originali: Jim Carrey (Ebenezer Scrooge/fantasma del Natale presente, passato e futuro), Gary Oldman (Bob Cratchet/Joseph Marley/ Tiny Tim), Robin Wright Penn (Fan/Belle), Colin Firth (Fred), Bob Hoskins (Mr. Fezziwig/vecchio Joe), Lesley Manville (Mrs. Cratchit), Molly C. Quinn (Belinda Cratchit), Fionnula Flanagan (Mrs. Dilber), Raymond Ochoa (figlio di Caroline), Callum Blue (marito di Caroline), Steve Valentine (impresario di pompe funebri/Topper), Fay Masterson (Martha Cratchit/cliente/Caroline), Daryl Sabara (apprendista pompe funebri/cantante di Natale povero/mendicante/Peter Cratchin/cantante di Natale vestito di stracci), Sage Ryan (cantante di Natale Povero), Amber Gainey Meade (cantante di Natale povera/Cantante di Natale vestita con stracci), Ryan Ochoa (cantante di Natale povera/ mendicante/ ragazzino con la slitta/Tiny Tim), Bobbi Page, Ron Bottitta (cantanti di Natale poveri/cantanti di Natale vestiti di stracci), Sammi Hanratty (mendicante/piccola Cratchit/ragazza bisognosa), Julian Holloway (cuoco grasso/gentiluomo corpulento/uomo d’affari), Cary Elwes (gentiluomo corpulento/Dick Wilkins/cliente/uomo d’affari), Jacquie Barnbrook (Mrs. Fezziwig/cognata di Fred/ cantante di Natale vestita di stracci), Leslie Zemeckis (moglie di Fred), Paul Blackthorne (cliente/ uomo d’affari), Michael Hyland (cliente), Aaron Rapke (cantante di Natale vestito di stracci), Sonje Fortag (cantante di natale vestita di stracci/ cameriera di Fred) Kerry Hoyt, Julene Renee, Matthew Henerson Durata: 98’ Metri: 2470 Regia: Robert Zemeckis Produzione: Jack Rapke, Steve Starkey, Robert Zemeckis per Walt Disney Pictures/ImageMovers Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 3-12-2009; Milano 3-12-2009) Soggetto: dal racconto omonimo di Charles Dickens Sceneggiatura: Robert Zemeckis Direttore della fotografia: Robert Presley Montaggio: Jeremiah O’Driscoll Musiche: Alan Silvestri Scenografia: Doug Chiang Produttore esecutivo: Mark L. Rosen Produttori associati: Katherine C. Concepcion, Heather Smith Line producer: Peter M. Tobyansen Direttori di produzione: Brian Brecht, Kristen D. Chidel, Robert Keyghobad Casting: Scot Boland, Victoria Burrows, Nina Gold Aiuti regista: David H. Venghaus Jr., Jeffrey Schwartz Operatori: Trey Clinesmith, Brian Garbellini, Maurice K. McGuire, Matthew Moriarty, Tony Olivieri, Nick Paige, Christopher A. Schenck, John Scott Art directors:Marc Gabbana, Norman Newberry, Mike Stassi Arredatore: Karen O’Hara Trucco: Bill Corso, Tegan Taylor Effetti: Gentle Giant Studios Inc. Supervisore effetti speciali: Michael Lantieri Supervisore effetti visivi: George Murphy Coordinatori effetti visivi: Ben Hadden, Erin King, Zoe Ainee Zaitzaff, Brandon Foster l vecchio Ebenezer Scrogge ha seppellito sette anni prima il suo socio Jacob Marley e ora conduce da solo la sua ditta di investimenti, nella quale lavora come unico dipendente il mite Bob Cratchitt. Burbero, scontroso e taccagno, Scrooge non ha nessun affetto nella vita e il suo unico interesse è fare e accumulare quattrini. La notte di Natale Scrooge riceve inaspettatamente la visita del fantasma di Marley, costretto a portare pesanti catene per l’eternità a causa dei suoi peccati terreni, non meno gravi di quelli di Scrooge. Il fantasma preannuncia al vecchio l’arrivo per quella notte di tre spiriti e se Scrooge saprà ascoltare e capire la loro lezione forse avrà salva l’anima. Il primo a presentarsi è lo Spirito dei Natali Passati, che conduce Scrooge prima nei tristi e solitari natali della propria infanzia, lontano dalla famiglia e in collegio, e poi in quelli ridenti e gai della giovinezza, illuminati anche dalla presenza dell’adorabile Isabel, che però alla fine nulla potrà contro l’insaziabile sete di guadagno di Scrooge. Segue lo Spirito del Natale Presente che mostra a Scrooge la cena di Natale del nipote Fred (il quale lo aveva invano invitato a unirsi a loro) e quello di I Cratchitt, afflitto dalla povertà e soprattutto dalla malattia del suo figlio più piccolo, che Scrooge capisce destinato a morte certa. Lo Spirito del Natale Presente però si trasforma in quello dei Natali Futuri, mostrando la morte ignominiosa e miserabile di Scrooge, senza nessuno che pianga per lui; mentre il Fantasma spinge Scrooge in quella che sarà la sua tomba, il vecchio si pente e promette di cambiare. La mattina dopo Scrooge si sveglia un altro uomo, desideroso di fare del bene e di dimostrare il proprio affetto al prossimo, a cominciare dalla famiglia di Cratchitt. on sarebbe Natale senza il tradizionale appuntamento (televisivo, teatrale, letterario, cinematografico, a cartoni animati) con il “Canto di Natale” di Dickens e, nell’era delle meraviglie del cinema in 3D, quale miglior evento natalizio se non riportare sullo schermo Scrooge e i suoi Tre Spiriti, approfittando di tutte le risorse che il mezzo è in grado di offrire? A più di vent’anni da quel piccolo gioiello che è Il Canto di Natale di Topolino (da vedersi rigorosamente nell’edizione italiana con il primo doppiaggio, difficile ma non im- N 42 possibile a trovarsi), la Disney affronta il nuovo millennio e le nuove tecnologie riprendendo la storia dickensiana e affidandosi al Performance Capture, il sistema già utilizzato da Zemeckis per il – di nuovo – natalizio Polar Express e più recentemente per Beowulf. Il laido strozzino Ebenezer Scrooge ha infatti le sembianze di Jim Carrey, o per meglio dire la sua espressività e la sua mimica geniale. La sceneggiatura del film ricalca fedelmente il romanzo dickensiano e Zemeckis ha imposto alla Disney di evitare qualsiasi tentazione zuccherosa che ne alterasse il significato originario, in bilico tra gothic novel e il pamphlet di denuncia sociale (una traccia ben evidente di ciò è rimasta nel terribile discorso dello Spirito del Natale Presente poco prima dei rintocchi della mezzanotte) e ha ottenuto mano libera per mostrare efficacemente il disfacimento del fantasma di Jacob Marley e tutte le brutture e le miserie che compongono la storia. La nuova tecnologia consente a Zemeckis di realizzare delle vedute spettacolari di Londra a volo d’uccello, con la macchina da presa che si insinua, quasi fosse spinta dal vento, tra i fumi dei venditori di caldarroste fin sulla cupola di Saint Film Paul. Purtroppo però a volta si ha come l’impressione che Zemeckis si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano, ansioso di mostrare le potenzialità del “giocattolo” nuovo. All’ennesima corsa iperbolica nella quale Scrooge viene trascinato e sbatacchiato qua e là dallo Spirito di turno sembra infatti che la scena sia stata messa lì solo per suscitare lo stupore e la meraviglia del pubblico in sala con i gli occhialetti. Tale impressione viene quasi confermata nel lungo inseguimento che precede il confronto finale al cimitero tra Scrooge e il Fantasma dei Natali Futuri. Il ritmo del film tende spesso a sfilacciarsi, alternando momenti di una lentezza eccessiva a scene quasi psichedeliche. Dal punto di vista figurativo, il film raggiunge livelli mirabili, sia nella ricostruzione della Londra vittoriana, sia soprattutto nella trasposizione in immagini di quelle che sono le illustrazioni più classiche del racconto di Dickens; non per niente il film si apre e si chiude – come nella migliore tra- Tutti i film della stagione dizione dei grandi classici Disney – con il libro posato su un telo di velluto alla luce di una candela tremolante. La colonna sonora è affidata al veterano Alan Menken che compone bellissimi temi originali, ma soprattutto riadatta per grande orchestra le maggiori e più famose carols. Pur essendo una produzione Disney e pure essendo ampiamente pubblicizzato come “il film di Natale” insieme a La principessa e il ranocchio, A Christmas Carol è un film adulto e per adulti, che rimarranno spaventati – come è giusto che sia, visto il soggetto dell’opera – dai dettagli macabri e orrorifici che riempiono il film e riusciranno meglio a capire il vero significato della storia. Chiara Cecchini FA LA COSA SBAGLIATA (The Wackness) Stati Uniti, 20088 Regia: Jonathan Levine Produzione: Keith Calder, Jared Goldman, Felipe Marino, Joe Neurauter per Occupant Films/ SBK Pictures/ Shapiro Levine Productions Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 28-8-2009; Milano 28-8-2009) V.M.: 14 Soggetto e sceneggiatura: Jonathan Levine Direttore della fotografia: Petra Korner Montaggio: Josh Noyes Musiche: David Torn Scenografia: Annie Spitz Costumi: Michael Clancy Co-produttore: Brian Udovich Direttore di produzione: Jared Goldman Casting: Joanna Colbert, Richard Mento Aiuti regista: Paul Epstein, Bruce Hall Operatore: John Corso Operatori Steadicam: George Bianchini, Afton Grant, Aaron Medick Art director: Beth Kuhn ew York, 1994. Luke Shapiro, studente poco brillante, è riuscito ad agguantare il diploma di scuola superiore e si appresta a vivere in maniera poco entusiasmante i mesi che precedono l’ingresso all’università, un mito tutto americano fatto di vacanze e divertimento. La famiglia è sull’orlo dello sfratto, quindi il ragazzo ha ben poco da festeggiare; trascorrerà l’estate in città. Luke ha tendenze suicide, ed è dunque in terapia presso il quasi sessantenne dottor Squires, cui paga l’onorario con dell’ottima marijuana, una debo- N Arredatori: Cherish Magennis, Kara Zeigon Trucco: Linda Grimes, E. Morrow Acconciature: Daisy Curbeon, Patricia Grande Supervisore musiche: Jim Black Interpreti: Ben Kingsley (dr. Jeffrey Squires), Josh Peck (Luke Shapiro), Famke Janssen (Kristin Squires), Olivia Thirlby (Stephanie), Mary-Kate Olsen (Union), Jane Adams (Eleanor), Method Man (Percy), Aaron Yoo (Justin), Talia Balsam (Mrs. Shapiro), David Wohl (Mr. Shapiro), Bob Dishy (nonno Shapiro), Joanna Merlin (nonna Shapiro), Shannon Briggs (Bodyguard), Roy Milton Davis (senzatetto), Alexander Flores (ragazzino nel bar), Ross Levine (ragazzo), Ken Marks (Oliver), Kiah Fredricks (agente di polizia), Robert Armstrong (Edwards), Flint Beverage (barista), Rudy Costa (agente di correzione), Nick Schutt (Albert), Sam Dishy (musicista della metropolitana), Nicole Berger (coreografa), Dawn Noel Pignuola, Tyler Gilstrap, Erin Elliott, Natalie R Ridley, Ioana Alfonso (‘Fly girls’), Douglas J. Aguirre (agente nell’ufficio della prigione) Durata: 99’ Metri: 2750 lezza dello psicanalista insieme a molte altre sostanze più o meno psicoattive. Per evitare il peggio per sé e per la sua disastrata famiglia, Luke decide di aumentare il finora ristretto giro di clienti cui spaccia, sì da guadagnare quel denaro che suo padre proprio non riesce a mettere insieme. L’imprevisto più piacevole che può capitare a Luke nella calda estate newyorkese è innamorarsi; l’intoppo è che trattasi della spigliata figlia del dottor Squires, la bella coetanea Stephanie, anche lei destinata a rimanere in città per un prestigioso stage. Complice 43 l’assenza del fidanzato e la clamorosa mancanza di alternative per entrambi, i due iniziano a frequentarsi, chiaramente di nascosto dal padre di lei. Il quale, non immaginando si tratti della propria congiunta, dispensa consigli più o meno arditi al giovane virgulto, incerto sul da farsi. Luke ha finora vissuto molto isolato, ha pochi amici e naturalmente non è mai riuscito ad avvicinare una ragazza. Anche il dottore non se la passa troppo bene e, tra dipendenze varie e ormai inutili avances alla bella moglie, non esita a rom- Film pere il già fragile muro che lo vincola al giovane paziente: decide di diventare spacciatore “in seconda” assieme al ragazzo. I due sono, fra l’altro, accomunati dal desiderio di fare sesso, dunque si aggirano per la città in luoghi consoni e non, spesso tirandosi dietro il carrettino da innocuo gelataio che nasconde la droga da piazzare. Tra i clienti più assidui c’è la giovanissima Union, dolce sciroccata post-hippie dai lunghi capelli rasta che non esita a concedersi con il dottore una rapida liaison nei bagni di un pessimo bar, sotto lo sguardo un po’ allibito del candido Luke. La serata non può che finire con l’insolito duo arrestato, non per spaccio, bensì per aver scarabocchiato qualche graffito su un muro “per segnare il territorio”; a tirarli fuori su cauzione ci penserà proprio la figliastra di Squires, non proprio entusiasta della situazione. Nel frattempo, la storia tra Luke e Stephanie procede e i due trascorrono un romantico fine settimana nella bella tenuta sul mare di lei, che, sicura, lo inizia ai piaceri del sesso. Lui ora non ha più dubbi, ama davvero la ragazza e precipitosamente glielo comunica; lei diventa fredda e, una volta tornati in città, lo evita, non risponde alle sue chiamate. Luke tracolla nella disperazione più cupa, ma è in buona compagnia: dopo un ultimo momento di felicità coniugale, la bella signora Shapiro abbandona il dottore, che pure avvia le pratiche di autodistruzione nella solita tenuta al mare. Intanto lo sfratto per la famiglia di Luke è ormai realtà e a nulla serviranno i soldi accumulati dal ragazzo; il provvisorio rifugio è la casa di alcuni parenti, purtroppo lontana dagli agi della città. Luke fa’ però in tempo a salvare dal suicidio marino il folle dottore, che inizierà una Tutti i film della stagione nuova avventura sentimentale con un’altra cliente di Luke, fortunatamente più matura della precedente ragazzina, ma ugualmente un po’ “fuori”. pera seconda del giovane regista Jonathan Levine, Fa’ la cosa sbagliata – The Wackness è una classica storia di formazione, che affronta i temi tradizionali dell’incertezza riguardo il futuro, il rapporto conflittuale con i genitori, il divario generazionale, la prima volta, l’amore, l’amicizia. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire e, in effetti, è proprio così. Non basta certo il fatto che i due protagonisti, il giovane Luke e il maturo – ma solo all’anagrafe – dottor Squires, siano costantemente sopra le righe - per comportamenti come per scelte personali -, per imprimere il marchio di originalità alla pellicola. Cosa non strettamente necessaria, eppure è proprio all’essere differente – dunque, di tendenza – che punta il regista e il successo al Sundance Film Festival 2008 (dove ha vinto il premio del pubblico) devono avergli fatto credere di essere sulla strada giusta. Il film, questo va riconosciuto, scorre senza intoppi ed è, senza dubbio, accattivante; la città di New York assurge a personaggio importante, colta in un momento storico come il 1994, che ha visto molti cambiamenti stravolgere le regole non scritte della metropoli. È l’epoca del Rudy Giuliani sindaco controverso, che tenta metodi poco condivisi per affrontare il problema del crimine e dei senza tetto, mentre la città si agita al ritmo del movimento hip hop. La libertà finora data per scontata sta scomparendo in un vortice di anarchia e i due protagonisti osservano impotenti O gli eventi; nel dubbio, compiono scelte controcorrente, dunque sbagliate, eppure il mondo non crolla. Un forte lutto ha colpito il mondo della musica (e non solo): il recente suicidio del leader dei Nirvana, Kurt Cobain, segnerà inevitabilmente la fine di una flebile speranza, eppure visto dal futuro appare ridimensionabile, se si pensa che quell’anno erano ancora vivi Tupac e The Notorious B.I.G. Una strana energia serpeggia nelle strade afose della Grande Mela, un’ansia che Luke vorrebbe risolvere con gli psicofarmaci, esattamente la scelta del dottor Squires, che però lo ammonisce:“Non cercare la soluzione rapida. L’intera città vuole una soluzione rapida”. Ma, alla fine, tutta la rabbia, questa grande urgenza di cambiamento, a cosa porta? Se il dramma del giovane protagonista è il non vivere più in centro, sprofondando nella stantia routine degli assolati suburbs e non avere accesso alla vita luccicante e spensierata dei coetanei altolocati; a quanto pare, si tratta proprio di questo, viene da chiedersi se l’intero meccanismo messo in piedi da Levine non sia un po’ troppo furbetto nella sua vacuità, che fin dal titolo, citando in maniera inversa Spike Lee, dovrebbe essere consapevole del fatto che a giocare con il fuoco talvolta si finisce malino. Quel che nessuno potrà toglierli è una fotografia indovinata, luminosa e sapientemente sgranata, e un’ottima scelta degli attori, con (sir) Ben Kingsley in discreta forma che regge in gran parte sulle proprie spalle la credibilità dell’intero impianto scenico. Colonna sonora d’epoca, che oscilla tra il classico hip hop e il R &B. Manuela Pinetti NATALE A BEVERLY HILLS Italia, 2009 Regia: Neri Parenti Produzione: Giuseppe Cioccarelli, nicole Colombie, Aurelio De Laurentiis, Luigi De Laurentiis Jr. per Filmauro/Fast Lane Productions Distribuzione: Filmauro Prima: (Roma 18-12-2009; Milano 18-12-2009) Soggetto e sceneggiatura: Neri Parenti, Alessandro Bencivenni, Domenico Saverni, Alessandro Pondi, Paolo Logli Direttore della fotografia: Daniele Massaccesi Montaggio: Luca Montanari Scenografia: Tracey Gallacher Costumi: Alfonsina Lettieri, Bonnie Stauch Produttori esecutivi: Maurizio Amati, Effie Brown Direttore di produzione: Nicole Colombie Casting: Matthew Lessall Aiuti regista: Richard Robinson, Alexa Sheehan Operatore Steadicam: Michael Alba, Joseph Arena Art director: Rob Howeth Arredatore: Lori Mazuer Trucco: Kimberly Felix, Vincenzo Mastrantonio Acconciature: Ferdinando Merolla, Jose Zamora Supervisori effetti visivi: Giuseppe Squillaci Supervisore costumi: Tara Sanovich Interpreti: Christian De Sica (Carlo), Massimo Ghini (Aliprando), Sabrina Ferilli (Cristina), Paolo Conticini (Claudio), Vittorio Emanuele Propizio (Lele), Michela Quattrociocche (Susanna), Michelle Hunziker (Serena), Alessandro Gassman (Marcello), Gianmarco Tognazzi (Rocco), Jo Champa (Fiamma), Rossano Rubicondi (giovanotto) Durata: 110’ Metri: 2750 44 Film Beverly Hills viene mostrata di giorno… Poi di notte, mentre il traffico è bloccato per via di due auto ferme, dalle quali Marcello e Serena si baciano, prima di avviarsi alle rispettive feste di addio al celibato e nubilato. Mancano infatti pochi giorni alle loro nozze. Marcello incontra Rocco, suo ex compagno del liceo, arricchitosi producendo protesi per la chirurgia estetica. Serena, invece, viene fatta ubriacare dalle amiche e sale per errore sull’auto di Rocco, che la conduce in albergo, ove si addormenta nel letto di lui. La mattina dopo, Serena fugge via, ma Rocco se n’è perdutamente innamorato. Per terra rinviene il bigliettino di un lido e vi si precipita. Lì Serena fa la bagnina, mentre Marcello è proprietario dell’attiguo ristorante in riva al mare. Serena, che non ricorda nulla della notte precedente e teme di aver tradito Marcello, vorrebbe evitare l’incontro con Rocco, che però immancabilmente avviene. Rocco inizia una corte serrata e da avvio a una serie di inganni per far fallire le nozze, instillando in ciascuno dei due il dubbio che l’altro abbia un amante e non sia convinto di volersi sposare. Così, recapita a Marcello dei fiori di un’ammiratrice, gli macchia il colletto della camicia con del rossetto rosso, ricopre di equivoche impronte il parabrezza dell’auto, fa esplodere in cielo incantevoli fuochi d’artificio con la scritta ‘Marcello ti amo’ dentro a un cuore; infine escogita una trappola e fa sì che Serena sorprenda il fidanzato insieme a due ragazze giapponesi. I due si lasciano, Rocco però fa ingenuamente trapelare i suoi espedienti così che Serena scopre tutto l’imbroglio. Corre da Marcello, ma lo trova nella roulotte dell’amica e collega Gioia, con la quale in realtà la tradiva da quattro anni. Marcello e Rocco cercano infine di riconquistare Serena, con maldestre acrobazie su acquascooter, finendo per scontrasi tra loro. Oltre a un sorriso, a Serena non resta quindi che inviare un cane bagnino a recuperarli. 2) Da una enorme limousine scende Carlo, che si reca in aeroporto insieme alla moglie Miriam, molto più anziana di lui. Lì incontra per caso Cristina, abbandonata 16 anni prima, quando era incinta di 7 mesi, che lo aggredisce in bagno e lo informa che ha un figlio di nome Lele, al quale ha raccontato che il padre 1) Tutti i film della stagione è morto. Dei due si è preso cura un marchese, Aliprando, che adesso è il suo compagno e padre putativo del ragazzo. Carlo sta per partire, ma Miriam lo pianta, preferendogli un uomo più giovane. Rimasto senza un soldo, per le vie di Beverly Hills incontra di nuovo Cristina, con la sua famiglia. A riconoscerlo è Lele, identificandolo come zio Germano, fratello di sua madre, per via di una foto conservata in casa. Cristina ha raccontato che è missionario laico in Angola. Siccome Carlo-Germano confida di essere stato derubato, Aliprando si sente in dovere di ospitarlo per i tre giorni della loro permanenza a Beverly Hills, nonostante l’ostilità di Cristina. Lele s’innamora intanto della bella Susanna, figlia del direttore dell’albergo, Claudio. Si fa prestare l’auto dal padre e si offre di accompagnare la ragazza all’università. Cristina, terribilmente preoccupata, teme che il figlio sia scomparso e obbliga Aliprando e Germano ad andare a cercarlo. I due finiscono però preda di due avvenenti ragazze al ‘Pink hotel’. Cristina si affida allora a Claudio e i due accorrono al ‘Pink hotel’, ritenendo sia il nido d’amore dei loro figli. I ragazzi, nel frattempo, li scorgono insieme e li pedinano, credendo che abbiano una relazione. L’ininterrotta carrellata di equivoci infine si risolve in aeroporto. Lele finalmente riesce a chiamare Aliprando ‘papà’, dietro consiglio di Carlo-Germano, mentre Cristina ringrazia quest’ultimo per l’aiuto fornito. Carlo dovrebbe quindi partire per l’Angola, ma sulle scale mobili dell’aeroporto incontra casualmente Fiamma, che lo insegue in bagno e lo affronta. Lui l’ha abbandonata 18 anni prima, quand’era incinta di Susanna. Per fortuna di loro si è preso cura Claudio. Così, spacciandosi per fratello della donna, Carlo si fa ospitare senza fine in albergo e se la gode a spese di Claudio. rionfo di equivoci, film divertente e ben congegnato, basato sulle figure stereotipiche della commedia brillante: il 50enne irresponsabile e impenitente, la madre apprensiva, l’aristocratico magnanimo, i giovani innamorati, e poi i fidanzati sospettosi, con l’amico di lui che diviene il ‘terzo incomodo’ e trama in ogni modo per dividerli perché si è innamorato di lei. 100 minuti di allegria, in cui si assi- T 45 ste allo sviluppo parallelo di due storie. Nelle due situazioni che narra, coi loro molteplici intrecci, (protagonisti De Sica, Ghini, Ferilli da una parte, Hunziker, Gassman, Tognazzi dall’altra), la pellicola fluisce rapida e ruba ben più di una risata, anche grazie a qualche riuscito gioco di parole, un po’ di ambiguità a sfondo sessuale, volgarità frequenti seppure non profuse in abbondanza. Il film presenta il tema sempre vincente del viaggio, ormai consolidatosi negli ultimi anni, delle vacanze in mete esclusive, delle spiagge assolate, benché esca nelle sale in pieno inverno, sotto Natale. Amori sensuali affrontati con troppa leggerezza (esemplificati nel personaggio del gigolò Carlo-Germano, che vive con eleganza di espedienti e la cui storia sembra concludersi, per poi subito ricominciare nuovamente) sono contrapposti ad altri più maturi e responsabili, che divengono invece relazioni, famiglie e si consolidano (Aliprando-Serena, ClaudioFiamma). Vi sono poi i nascenti amori romantici che non decollano (Lele-Susanna) e quelli che crollano miseramente (Serena-Marcello), non a causa dell’intromissione dell’amico innamorato e delle sue diaboliche trame, che vengono infine superate, ma per un tradimento nascosto che si protrae invece da anni, con leggerezza, però, come fosse qualcosa d’irrisorio rispetto alla mole dei perfidi intrighi di Rocco. Al momento dei saluti in aeroporto, poi, quando tutto si avvia allo scioglimento, Carlo, che delle debolezze giovanili ha fatto una forza, capitalizza la sua arte nella finzione e può rimanere a Beverly Hills. Il suo sorriso diviene pertanto preludio di nuove avventure che non ci è dato conoscere, perché la storia sicuramente continuerà, lo spettacolo però a un certo punto termina. Il divertimento del film è leggero, la profondità è pressoché inconsistente, gli episodi appaiono a tratti surreali, ai limiti dell’inverosimile, eppure gesti ed eventi presentati sono sempre riconoscibili. In fondo, è la commedia umana… Dal cine-panettone, infatti, non ci si aspettano grandi lezioni di vita, moralità, riflessioni esistenziali. Essendone coscienti, Natale a Beverly Hills può perfino risultare una pellicola alquanto gradevole. E non è poco. Luca Caruso Film Tutti i film della stagione LUOMO CHE FISSA LE CAPRE (The Men Who Stare at Goats) Stati Uniti/Gran Bretagna, 2009 Regia: Grant Heslov Produzione: George Clooney, Grant Heslov, Paul Lister per BBC Films/ Smoke House/ Westgate Film Services/ Winchester Capital Partners Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 6-11-2009; Milano 6-11-2009) Soggetto: tratto dal romanzo Capre di Guerra di Jon Ronson Sceneggiatura: Peter Straughan Direttore della fotografia: Robert Elswit Montaggio: Tatiana S. Riegel Musiche: Rolfe Kent Scenografia: Sharon Seymour Costumi: Louise Frogley Produttori esecutivi: Barbara A. Hall, James A. Holt, Alison Owen, David M. Thompson Produttore associato: Luillo Ruiz Direttori di produzione: Ellen Gordon, Barbara A. Hall Casting: Amanda Mackey Johnson, Cathy Sandrich Aiuti regista: John R. Saunders, David J. Webb Operatori: Colin Anderson, Edgar Colón Operatore Steadicam: Colin Anderson Art director: Peter Borck Arredatori: Marcia Calosio, Monica Monserrate Trucco: Georgia Allen, Ken Diaz, Vanessa Jaramillo, Blair Leonard, Robert Maverick, Jay Wejebe ob Wilton è un giornalista impacciato e di scarsa personalità; quando la moglie lo lascia per unirsi definitivamente a un amante fornito di protesi meccanica al posto di un braccio, considera colma la misura della sua vergogna e decide di partire per l’Iraq come inviato di guerra. Lo scopo di costruire un brillante reportage su un forte avvenimento per fare colpo sulla moglie traditrice non è così facile da raggiungere per la sua incapacità di inserirsi nel gruppo di giornalisti presenti al fronte. Fino al giorno in cui, casualmente in un bar, Bob conosce Lyn Cassady, uno strano militare che sostiene di appartenere alla New Earth Army: una struttura segreta dell’esercito americano che addestra soldati forniti di particolari sensibilità e si prefigge di combattere il nemico sfruttando capacità e superiorità di ordine psicologico. Cassady è quindi una sorta, a suo dire, di monaco Jedi, forgiato e allenato per raggiungere una superiorità psichica (comprovata debolmente solo sulle capre), in una unità fondata dal guerriero hippy Bill Django. Nonostante la storia abbia, a dir poco, dell’incredibile, Bob interpreta l’occasione come la svolta della sua vita e decide di seguire Cassady verso il fronte iracheno. B Supervisore effetti speciali: Kevin Harris Coordinatore effetti speciali: Craig Barnett Supervisore effetti visivi: Thomas J. Smith (CIS Holliwood) Supervisore effetti digitali: Joe Henke (CIS Hollywood) Supervisore costumi: Richard Schoen Supervisore musiche: Linda Cohen Interpreti: George Clooney (Lyn Cassady), Ewan McGregor (Bob Wilton), Jeff Bridges (Bill Django), Kevin Spacey (Larry Hooper), Stephen Lang (Brigadiere generale Dean Hopgood), Robert Patrick (Todd Nixon), Waleed Zuaiter (Mahmud Daash), Stephen Rtoot (Gus Lacey), Glenn Morshower (Maggiore Holz), Nick Offerman (Scotty Mercer), Tim Griffin (Tim Kootz), Rebecca Mader (Debora Wilton), Jacob Browne (tenente Boone), Todd La Tourrette (Dave), Brad Grunberg (Ron), Elsa Villafane (madre di Gus), Fawad Siddiqui (cameriere del Kuwait), Samuel Ray Gates, McCaleb Burnett (giornalisti), Sean Phillips (soldato Vietnamita), Matt Newton (Chris, soldato Vietnam), Robert Curtis Brown (Generale Brown), Hrach Titizian, Shafik N. Bahou (sequestratori), Christopher Maher (conducente iracheno), Drew Seltzer (tecnico), Donn Lamkin (padre di Lyn), Sean Curley (Lyn a dodici anni), Merik Tadros, Michael-David Aragon (ribelli) Durata: 94’ Metri: 2500 Già sulla strada gli avvenimenti fanno capire come sarà lo stralunato svolgimento della storia: Cassady si distrae dalla guida nello spiegare a Bob le sue capacità di frantumare le nuvole col pensiero e porta la macchina a sbattere contro l’unico masso che ingombra la strada. I due sono subito fatti prigionieri da guerriglieri islamici, ma prima di essere giustiziati riescono a fuggire grazie all’aiuto di un prigioniero locale e raggiungere il gruppo di Bill Django che sta, nel frattempo, operando, o cerca di operare, al fronte. Bob ne fa parte con entusiasmo, grazie soprattutto a robuste dosi di LSD e di alcol, ma i fallimenti continui di Bill, nonostante gli allenamenti sostenuti a Forte Bragg fanno sì che l’unità sia sciolta e Bill cacciato per sempre. Bob e Cassady spariscono in volo con un elicottero senza che nessuno sappia mai dire in seguito che fine abbiano fatto. Bob può finalmente scrivere il suo pezzo: chissà, forse è proprio questa la missione a cui lo ha indirizzato il destino, celebrare la saga dei guerrieri Jedi dell’esercito americano. P recedenti illustri non mancano, da Mash a Comma 22, sulla serissima e comicissima strada di 46 presentare in maniera corrosiva e parodistica una guerra in cui nessuno crede. La retorica celebrativa e l’esaltazione dell’eroismo spazzati via da cannonate di demenzialità pacifista che scoprono il nervo dell’assurdità: la guerra non serve, mai, a nessuno, tranne che all’industria pesante e chi ne è a favore, a cominciare dai grandi burocrati dell’autoritarismo militare, è matto. Poi, se su tutto questo si vuole fare un film, la cosa è più difficile. Grant Heslov, qui regista, mette al servizio del film l’impegno del suo sguardo lucido, cinico, intellettuale (sua la sceneggiatura di Good night and Good Luck) e ottiene un telaio impeccabile di humour e serietà, seguìto, risulta evidente, dai suoi attori che credono ciecamente in lui e nelle sue idee. L’alchimia però non riesce e l’eccellenza di tanti elementi come la professionalità degli interpreti, l’ottima costruzione del dialogo, il montaggio non creano davvero quell’esplosione libera e anarchica, specchio di ogni verità artistica e di ogni comunicazione umana, soprattutto cinematografica. Noi pensiamo che una grossa defaillance sia data dalla mancata composizione del duo Cassady/Clooney – Wilton/McGregor. Il va- Film gare nel deserto della coppia (sulla carta studiata a tavolino nella contrapposizione classica che ha sempre pagato sullo schermo cioé giovane/timido/pavido/maldestro contro attempato/sfrontato/guascone/disinvolto non suscita un momento di interesse, il benché minimo sorriso, nonostante la filiera di battute e trovate a disposizione su cui Clooney e McGregor avrebbero dovuto fare scintille, rubandosi scambievolmente la scena. Tra i due, insomma, non ha funzionato (anche se non si può sempre avere in mente Elliot Gould e Donald Suttherland...) e, quando arrivano a destinazione, lo spettatore è muto e prostrato e ormai è tardi perchè il film possa decollare. Così anche la partecipazione mattatoriale di Jeff Bridges risulta fine a se stessa e praticamente inutile ai fini dell’economia del film. Naturalmente é meglio che ci sia piuttosto che il contrario: la figura di Bill Django in uniforme e medaglie, con la treccia bionda d’ordinanza freak è la summa di un istrionismo Tutti i film della stagione straordinario, intelligente che deborda fuori dalla scena e dallo schermo, a occupare compiutamente e finalmente quel bisogno di energia che distrugge a colpi di fiori, LSD e sballi vari ogni forma di militarismo e di bellica epopea. Fabrizio Moresco RICATTO DAMORE (The Proposal) Stati Uniti, 2009 Acconciature: Medusah, Elizabeth Cecchini Coordinatore effetti speciali: Nathanial Brotherhood Supervisori effetti visivi: Sean Devereaux (Brickyard Filmworks), Geoff McAuliffe Coordinatore effetti visivi: Chau Tong Supervisore musiche: Buck Damon Interpreti: Sandra Bullock (Margaret Tate), Ryan Reynolds (Andrew Paxton), Mary Steenburgen (Grace Paxton), Craig T. Nelson (Joe Paxton), Betty White (nonna Annie), Denis O’Hare (Mr. Gilbertson), Malin Akerman (Gertrude), Oscar Nuñez (Ramone), Aasif Mandvi (Bob Spaulding), Michael Nouri (presidente Bergen), Michael Mosley (Chuck), Dale Place (Jim McKittrick), Alicia Hunt (barista), Alexis Garcia (impiegato immigrazione), Kortney Adams (receptionist), Chris Whitney (pilota), Jerrell Lee (Jordan), Phyllis Kay (Mrs. McKittrick), Kate Lacey (ospite party), Gene Fleming (proprietario negozio), Mary Linda Rapelye (segretaria executive), Anne Fletcher (Jill), B. Johnson (tipo in ufficio), Gregg Edelman Durata: 108’ Metri: 2930 Regia: Anne Fletcher Produzione: David Hoberman, Todd Lieberman, Vitaliy Versace per Touchstone Pictures/Mandeville Films/Kurtzman-Orci Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia Prima: (Roma 3-9-2009; Milano 3-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Pete Chiarelli Direttore della fotografia: Oliver Stapleton Montaggio: Priscilla Nedd-Friendly Musiche: Aaron Zigman Scenografia: Nelson Coates Costumi: Catherine Marie Thomas Produttori esecutivi: Sandra Bullock, Alex Kurtzman, Mary McLaglen, Roberto Orci Direttore di produzione: Mary McLaglen Casting: Amanda Mackey Johnson, Cathy Sandrich Aiuti regista: Rich Sickler, Mollie Stallman, Rosemary C. Cremona, David Mendoza Operatore: Jim McConkey Art director: Scott Meehan Arredatore: Denise Pizzini Trucco: Ann Masterson argaret è la miglior editor di una prestigiosa casa editrice newyorkese: con il suo piglio e con il suo rigore tiene sotto scacco l’intero ufficio, soprattutto il suo giovane assistente Andrew. Margaret però è una cittadina canadese in attesa di ottenere la carta verde per diventare cittadina USA a tut- M ti gli effetti, il suo visto viene annullato e, per poter rimanere a New York, conservando il suo lavoro, è costretta a trovare qualcuno che la sposi e le garantisca la cittadinanza. La scelta cade su Andrew, che si vede obbligato, pena il licenziamento immediato, ad accompagnarla all’ufficio immigrazione fingendo di essere il suo fidan- 47 zato. Le cose si complicano quando Margaret e Andrew partono alla volta dell’Alaska per incontrare i genitori di lui. Margaret si trova subito bene accolta dalla famiglia di Andrew e, a causa della loro buona fede e del loro affetto, la donna si sente ben presto sempre meno sicura di voler costringere il ragazzo in un matri- Film monio truffaldino che non farebbe altro che gettare poi nella disperazione la famiglia. Il giorno del matrimonio, Margaret, ormai innamorata di Andrew, decide di rinunciare all’affare e, dopo averlo lasciato all’altare, torna a New York per sgomberare il proprio ufficio e ripartire per il Canada. Aiutato dalla famiglia, Andrew capisce i veri sentimenti di Margaret e la raggiunge per chiederle, stavolta davvero, di sposarla. opo essere stata considerata per anni, e a torto, una specie di Julia Roberts di serie B (più umana, forse, e priva dell’inconfondibile sorriso smagliante della collega), Sandra Bullock si è invece dimostrata la sua più diretta concorrente, sbaragliando il campo dalle altre eroine simili, provenienti soprattutto dal piccolo schermo e che non sono riuscite a fare il grande passo (come Jennifer Aniston e Sarah Jessica Parker). La nuova regina della commedia romantica americana si costruisce su misura un film semplice, ben congegnato e deliziosamente retrò come Ricatto d’amore, diretto con competenza e sicurezza dalla regista Anne D Tutti i film della stagione Fletcher (Step up e 27 volte in bianco). La storia infatti sembra uscita da una scewball comedy degli anni ’40, con un personaggio femminile che sarebbe stato perfetto per Katherine Hepburn o Barbara Stanwyck, un dosaggio sapiente degli ingredienti tra la prima parte newyorkese ambientata nell’ambiente lavorativo e la seconda “bucolica” della casa di famiglia di Andrew in Alaska e, soprattutto, una prevedibilità di fondo che anziché nuocere al film ne rafforza il valore perché rispecchia pienamente i punti cardini del genere con brio e onestà. Il film ruota principalmente intorno alla perfomance della Bullock, bravissima nel lasciare sottintendere le fragilità di Margaret, senza per questo farne la macchietta della solita donna in carriera che sembra aver abdicato ai sentimenti e alla femminilità per un lavoro “maschile” e appagante. Meno convincente risulta il suo partner Ryan Reynolds: giovane, bello, simpatico ma che sembra privo dell’alchimia giusta per suscitare in una donna come la Bullock un sentimento come quello che invece ella si ritrova infine a provare. Un affiatato terzetto di comprimari (la vera risorsa del cinema americano) compone la famiglia di Andrew: la deliziosa Mary Steenurger, Craig T. Nelson (di solito specializzato in ruoli sgradevoli, ma qui alla prese con il personaggio complesso del padre di Andrew) e una veterana della serie tv americane come Betty White (un po’ triste quando si ritrova a scimmiottare i rituali degli indiani d’America, ma spassosa al momento del finto infarto). La Fletcher si conferma regista sensibile, capace di infondere un buon ritmo al film. Dispiace un po’ una certa qual povertà nel disegno dei due protagonisti. Il personaggio di Margaret sarebbe risultato sicuramente più povero se interpretato da un’altra attrice e l’Andrew di Ryan Reynolds finisce per essere il personaggio più sbiadito. Ha fatto grande scalpore il primo nudo di Sandra Bullock, insieme a quello di Reynolds; si tratta in realtà di una scena sostanzialmente casta e molto poco romantica (considerato anche che il film è prodotto dalla Disney) e perfettamente coerente con la vicenda. Chiara Cecchini IO, LORO E LARA Italia, 2009 Operatore: Roberto Gentili Fonico di presa diretta: Gaetano Carito Interpreti: Carlo Verdone (Don Carlo), Laura Chiatti (Lara), Angela Finocchiaro (Elisa Draghi, assistente sociale), Anna Bonaiuto (Beatrice Mascolo, sorella di Carlo), Marco Giallini (Luigi Mascolo, fratello di Carlo), Sergio Fiorentini (Alberto Mascolo, padre di Carlo), Olga Balan (Olga), Agnese Claisse (Aida), Tamara di Giulio (Eva), Cristina Odasso (Mirella Agnello), Giorgia Cardaci (Francesca), Marco Guadagno (Padre Giuliano), Roberto Sbaratto (Padre Savastano), Loukoula Letizia Sedrick Boupkouele (Madou), Antoniette Kapinga Mingu (Sofia), Nimata Carla AKakpo (Hakira), Gianfranco Mazzoni (Signor Gallone), Valeria Ceci (Signora Gallone), Marco Minetti (Venditore Autosalone) Durata: 115’ Metri: 2740 Regia: Carlo Verdone Produzione: Warner Bros. Entertainment Italia Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia Prima: Soggetto e sceneggiatura: Carlo Verdone, Francesca Marciano, Pasquale Plastino Direttore della fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Fabio Liberatori Scenografia: Luigi Marchione Costumi: Tatiana Romanoff Produttore esecutivo: Laura Fattori Direttore di produzione: Shiv Mandavia, Gabriella Di Santo Casting: Yozo Tokuda Aiuti regista: Inti Carboni, Yozo Tokuda on Carlo Mascolo, sacerdote missionario in Africa, in profonda crisi spirituale, rientra in Italia per prendersi un periodo di riflessione presso la sua famiglia di origine che aveva lasciato anni prima. L’impatto è amaro e sorprendente: il padre, generale in pensione e vedovo si è sposato con Olga, la sua badante moldava; il fratello Luigi, cocainomane compulsivo si occupa di finanza più o meno lecita, più o meno allegra; la sorella Beatrice, divorziata e madre di una ragazza appartenente a gruppi giova- D nili che fanno della tristezza e della depressione il loro credo, cerca di sbarcare il lunario tenendo sedute psicoanalitiche. La situazione diventa ancora più movimentata quando Olga muore per un infarto e appare la figlia Lara, beneficiaria dell’eredità della casa (il padre si è trasferito in campagna) alle prese, a sua volta, con un grosso problema: l’affidamento di suo figlio, che a breve sarà deciso dall’assistente sociale. Lara ricatta i tre fratelli dicendosi disposta a lasciare l’appartamento se l’aiuteranno a fingere una situazione fa48 miliare umana e civile, quando l’asistente sociale farà loro visita per decidere o meno l’affidamento del bambino. La cosa sembrerebbe fattibile se non sorgesse un impedimento nuovo: Don Carlo ha infatti ritrovato a Roma delle ragazze africane che battono in una delle strade del sesso della capitale. Lui, per salvarle dal marciapiede, le accoglie in casa suscitando l’ira e la rappresaglia degli sfruttatori che praticamente assalgono l’appartamento a colpi d’arma da fuoco, compromettendo del tutto l’esame dell’assistente sociale. Non resta a Film Tutti i film della stagione Don Carlo che recarsi personalmente dalla donna, tra l’altro invaghita di lui in quanto somigliante come una goccia d’acqua al marito defunto, per tentare di ricomporre la situazione. E così avviene: Don Carlo riesce a respingere le avances dell’assistente sociale, ormai perduta per lui, e a ottenere l’affidamento del bambino a Lara. Tutti questi problemi hanno avuto almeno il merito di far svanire la crisi spirituale del sacerdote: meglio vivere nel suo villaggio africano piuttosto che in una città e in una società in cui non si riconosce più. itorna un prete alla fine della lunga processione di caratteri, di personaggi e di “mostri” regalatici da Verdone in tanti anni, per farci ridere e piangere insieme nel rivedere allo specchio le nostre debolezze, le nostre bassezze, le deformità dell’essere uomini e donne oggi. La scelta dell’autore (soggettista, sceneggiatore, regista e attore, non è forse un po’ troppo, ormai?) è però netta: via il grottesco, via il comico (se non qualche pizzico di sale qua e là), via l’amarezza, la meschinità, la misogenia, le elucubrazioni, i contorcimenti lunatici a sbattere sullo schermo una vita che fa ridere, ma più spesso soffrire, per abbracciare e umanamente condurre una commedia dalla forte centralità morale e dal lietissimo fine. Il prete di Verdone diventa umano, ordinario, sensibile certo, intelligente e intelligentemente virile, ma comune, irriconoscibile, inconsistente, non ci si ricorda scena dopo scena cosa abbia fatto cinque minuti prima. R D’altra parte si tratta di una direzione presa con coscienza, perchè Verdone in tutte le sue interviste ha più volte ribadito di avere voluto abbandonare in questo film la sua galleria di personaggi e storie in conflitto, per raccontarci qualcosa che desse speranza a tutti e che ci permettesse (a lui per primo) di respirare con un po’ di fiducia in una società che calpesta ogni diritto umano e che non piace a nessuno (e men che meno sicuramente a Verdone). Tant’è, questo è il risultato: un film troppo lungo (115 minuti !), con tanti momenti lenti e noiosi che con Verdone non abbiamo mai visto. Bravi tutti gli attori a seguire il solco tracciato, anche se li preferiamo in certi momenti da scenetta, quando sembrano sfuggire di mano al loro regista. E un’altra cosa preferiamo, quella che abbiamo volutamente visto nella scena finale, quando Don Carlo saluta i suoi dall’Africa tramite computer: la crisi spirituale dimenticata e polverizzata: meglio la fame, le malattie e i disastri ciclici di un villaggio africano che stare vicino alla propria famiglia, così tanto aiutata, così tanto amata. Chissà, speriamo, lo vogliamo, forse un’unghiata sfuggita all’ultima goccia d’inchiostro dalla penna del suo autore. Fabrizio Moresco MOON (Moon) Gran Bretagna, 2009 Regia: Duncan Jones Produzione: Stuart Fenegan, Trudie Styler per Liberty Films UK/Lunar Industries/Stage 6 Films/Xingu Films Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 4-12-2009; Milano 4-12-2009) Soggetto: Duncan Jones Sceneggiatura: Nathan Parker Direttore della fotografia: Gary Shaw Montaggio: Nicolas Gaster Musiche: Clint Mansell Scenografia: Tony Noble Costumi: Jane Petrie Produttori esecutivi: Trevor Beattie, Bil Bungay, Michael Henry, Bill Zysblat Produttore associato: Justin Lanchbury Co-produttori: Nicky Bentham, Mark Foligno, Alex Francis, Steve Milne, Deepak Sikka Line producer: Julia Valentine Direttori di produzione: Imogen Bell, Jeremy Burnage Casting: Manuel Puro, Jeremy Zimmerman Aiuti regista: Simon Downes, Alex Kaye-Besley, Guy Travers, Mick Ward Operatore: Alex Howe Operatore Steadicam: Leo Bund Art director: Hideki Arichi Trucco: Richard Muller Supervisori effetti visivi: Steve Howarth, Simon Kilroe (Molinare), Gavin Rothery (ThinkTank Studios), Simon StanleyClamp (Cinesite) Coordinatori effetti visivi: Lee Chidwick (Cinesite) Supervisore costumi:Lucy Donowho Interpreti: Sam Rockwell (Sam Bell), Kevin Spacey (voce di Gerty) Dominique McElligott (Tess Bell), Kaya Scodelario (Eve), Benedict Wong (Thompson), Matt Berry (Overmeyers), Malcolm Stewart (tecnico), Rosie Shaw (piccola Eve), Robin Chalk (clone di Sam Bell), Adrienne Shaw (governante) Durata: 97’ Metri: 2610 49 Film n un futuro non troppo lontano, l’astronauta Sam Bell vive sul lato oscuro della Luna (sulla base chiamata Sarang), per portare a termine un programma sviluppato dalla Lunar Industries per l’estrazione dell’Elio-3, la principale fonte di energia per il nostro pianeta. Nei suoi tre lunghi anni di contratto, conduce un’esistenza durissima, nel più totale isolamento: il suo unico interlocutore è infatti il computer, Gerty (che non offre però grandi spunti di conversazione) e può soltanto inviare e ricevere messaggi registrati alla sua famiglia, perché il satellite con cui potrebbe comunicare con la Terra è guasto. Fortunatamente, la sua missione sta per concludersi e Sam è in procinto di ritornare presto da sua moglie Tess e dalla loro figlioletta di tre anni Eve. Ad appena due settimane dalla partenza, purtroppo, la sua salute subisce un improvviso quanto inspiegabile peggioramento: dolorose cefalee, allucinazioni e cali d’attenzione provocano un incidente quasi fatale durante un normale spostamento a bordo di un veicolo lunare. Mentre poi cerca di rientrare alla base, ha un incontro ravvicinato alquanto curioso: un clone di se stesso (ma più giovane), il quale rivendica con rabbia lo stesso ruolo di Sam nel progetto. In attesa di un “equipaggio di supporto” che dovrebbe rimettere in funzione la base, l’uomo si trova a vivere un vero e proprio incubo. Non riesce a capire se è I Tutti i film della stagione lui che sta impazzendo o se, forse, qualcuno dell’azienda per la quale lavora gli ha tenuto nascosto qualcosa. Ed ha pochissimo tempo a disposizione per scoprire la verità. o spazio visto come orizzonte estremo di vivibilità, come interstizio insondabile della mente. Come luogo in cui l’uomo misura tutta la limitatezza del proprio essere, si confronta con l’immagine distorta di sé e riscopre cosa vuol dire sentirsi in empatia con l’Altro. Per una volta, la fantascienza (o almeno quella che siamo stati abituati a vedere nelle ultime stagioni cinematografiche) ha un sapore più profondo, quasi filosofico. Che cosa succederebbe se l’umanità colonizzasse il sistema solare? Cosa sarebbe disposta a fare anche la società più virtuosa e attenta all’ambiente, pur di estrarre la massima quantità di materie prime con il minimo costo? A quaranta anni esatti dall’allunaggio, ci si interroga ancora sulla possibilità di popolare il cosmo, con delicati risvolti che non possono non tenere conto dell’attuale situazione di crisi. In un’epoca come questa, in cui i potenti della terra discutono (il più delle volte con risultati infruttuosi) di come alimentare il nostro pianeta agonizzante, l’idea di un satellite terrestre come fonte di energia pulita e rinnovabile acquista un significato denso di fascino e speranza. Nell’interessante film d’esordio del figlio di David Bowie, Duncan Jones (pro- L dotto da Trudie Styler, moglie di Sting), non aspettatevi di trovare battaglie intergalattiche, oppure scontri con terrificanti mostri mangia uomini tipo Alien. Il giovane regista, che si è autodefinito un “fanatico del genere”, preferisce volgere lo sguardo al passato, piuttosto che omologarsi ai prodotti mainstream di ultima generazione, fatti solo di azione e di effetti speciali: si è infatti ispirato ai grandi classici, a capolavori ineguagliabili come 2001: Odissea nello spazio, Atmosfera zero e Blade Runner. Non è un caso, se il computer di bordo tuttofare, la stazione lunare, i veicoli e gli escavatori hanno un aspetto un po’ retrò. La macchina Gerty (che nella versione originale ha la voce metallica di Kevin Spacey), ad esempio, assomiglia molto da vicino a H.A.L. 9000. E tutta l’ambientazione scenografica ricostruita meticolosamente in studio, per forme, colori e atmosfere, ricalca un paesaggio lunare e, più in generale, un’iconografia dello spazio che non ci appartiene più. Molto convincente, nel duplice ruolo, Sam Rockwell, già visto e apprezzato di recente in Frost/Nixon – Il duello e, prima ancora, in L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford. Girato in appena 33 giorni e con un budget davvero risibile (appena 5 milioni di dollari), Moon rappresenta un piccolo miracolo all’interno del cinema indipendente americano. Diego Mondella LA PRIMA LINEA Italia/Belgio, 2009 Produttore esecutivo: Delphine Tomson Produttore associato:Stefano Massenzi, Carl Clifton Direttore di produzione: Michela Rossi Casting: Francesco Vedovati Trucco: Franco Corridoni Supervisori effetti speciali: Paolo Galiano Suono: Mario Iaquone Interpreti: Riccardo Scamarcio (Sergio Segio), Giovanna Mezzogiorno (Susanna Ronconi), Daniela Tusa (guardiana di Firenze), Awa Ly (cantante Jazz), Michele Alhaique (Rosario), Jacopo Maria Bicocchi (Marco Donat-Cattin), Marco Iermanò (Willy), Francesca Cuttica, Fabrizio Rongione, Anita Kravos, Lucia Mascino, Maurizio Pompella Durata: 96’ Metri: 2650 Regia: Renato De Maria Produzione: Andrea Occhipinti, Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne, Arlette Zylberberg perLucky Red/Radio Télévision Belge Francophone (RTBF)/Les Films du Fleuve in collaborazione con Rai Cinema/Sky Cinema/Medusa Film/Quickfire Films Distribuzione: Lucky Red Prima: (Roma 20-11-2009; Milano 20-11-2009) Soggetto: dal libro La Prima Linea di Sergio Segio sceneggiatura: renato De Maria, Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile Direttore della fotografia: Gian Filippo Corticelli Montaggio: Marco Spoletini Musiche: Max Richter Scenografia: Alessandra Mura, Igor Gabriel Costumi: Nicoletta Taranta orino, novembre 1989, dal carcere “Le Nuove” Sergio Segio, parla di sé, della sua vita e della sua scelte. Nel 1968 è poco più che un bam- T bino, ma intuisce di voler combattere per i propri ideali. A metà degli anni Settanta, comincia a maturare l’idea della necessità di passare dalla forza della ragione alla 50 ragione della forza. Nella seconda metà degli anni Settanta, è tra i fondatori di “Prima Linea”, formalmente costituita nel 1976, organizzazione di estrema sinistra Film che riunisce molti ex militanti di “Lotta Continua”. Lui e i suoi compagni si sentivano come i guerriglieri per le lotte nel terzo mondo. Segio esce dal movimento nel 1980, nello stesso anno la sua compagna Susanna Ronconi, la donna che amava e con cui aveva condiviso idee e scelte politiche, viene arrestata. Il 3 gennaio 1982, Sergio è a Venezia, dove ha messo su un gruppo per far evadere Susanna e altre tre compagne dal carcere di Rovigo. Mentre il gruppo si avvicina al carcere, viaggiando nei territori del Polesine per mettere in atto il piano di evasione, Sergio ricorda gli inizi della clandestinità, il passaggio alle armi e l’incontro con Susanna. I primi tempi sono spensierati, con Piero, amico di sempre, si maturano le idee e l’unica pistola posseduta da Sergio è un ferrovecchio. A Napoli, Sergio incontra Susanna, una ragazza di Venezia che vive a Napoli dove è responsabile di “Prima Linea” e che viene a Milano per le riunioni importanti. E a Milano, dopo una riunione, Susanna perde il treno per Napoli e passa la notte con Sergio. Tra i due si accende una passione fatta di incontri saltuari. Nel 1978 Sergio va a vivere a Napoli con Susanna, cercando maggiori contatti con gli operai di aziende come l’Alfa o la Italsider. Fingono di essere una coppia regolarmente sposata. È l’epoca degli attentati ai dirigenti di fabbrica. Dopo il rapimento di Aldo Moro nel marzo del 1978, “Prima Linea” si dissocia mentre Sergio e Susanna continuano la loro attività a Napoli. A maggio criticano fortemente la decisione delle BR di uccidere Moro, ma a ottobre anche “Prima Linea” inizia a uccidere. Sergio non partecipa a molte di quelle azioni, ma gli tocca l’omicidio più atroce, quello del giudice Alessandrini che aveva assunto la direzione dell’antiterrorismo. Prima di quel fatto, Sergio torna dai genitori per una notte e, in quell’occasione, rivede il suo amico di gioventù, Piero. L’amico non approva la loro condotta perché sono un gruppo armato che semina morte. Gli chiede che razza di guerra stiano combattendo e gli rammenta che sono la prima linea di un corteo che non c’è. L’amico gli dice che se non ha ancora ucciso nessuno può ancora scappare in Svizzera. Ma Sergio sa che quello non è il suo destino. Il 29 gennaio 1979 a Milano, in pieno giorno Segio spara mortalmente al giudice Emilio Alessandrini. Il 1979 è l’anno peggiore nella storia del movimento: alcuni componenti perdono la vita e le loro azioni si fanno sempre più sanguinose. Ma è nel gennaio 1980 che toccano il fondo. Un loro collaboratore, William Vaccher, finisce in car- Tutti i film della stagione cere e confessa tutto quello che sa. È la prima volta che uno di loro collabora. Quando è scarcerato, nel febbraio 1980, Susanna gli spara sotto casa. Per un po’, Sergio e Susanna diradano i loro incontri, di tanto in tanto si vedono in una casa al mare. Sei mesi dopo l’omicidio di Willy, alcuni militanti iniziano a parlare. Sergio confessa a Susanna che sta pensando di uscire dall’organizzazione, convinto che hanno perso la loro umanità da quando si sono armati e ha un duro scontro con la donna. Il 3 dicembre 1980 a Firenze, Susanna viene arrestata. Si torna al 1982. Il piano per l’evasione lascia dietro di sé l’omicidio di un anziano passante. Durante la fuga, Sergio dice a Susanna che ha affittato una casa a Venezia per poi scappare all’estero, ma qualche mese dopo Susanna viene nuovamente arrestata. Nel gennaio 1983 anche Sergio finisce in carcere. Segio sconta 22 anni di reclusione. È l’ultimo dei militanti di Prima Linea a uscire dal carcere, terminando di scontare la condanna nel 2004. La Ronconi ha finito di scontare la pena nel 1998. Entrambi oggi sono impegnati nel sociale e nel volontariato. n compito non facile per un italiano. Parlare di terrorismo, della terribile stagione dello stragismo, esprimersi su idee, prima di tutto e su fatti, fatti sanguinosi fino all’aberrazione, dettati da pretesti ideologici, via via degenerati in delirio armato. “La ragione della forza” che prende il sopravvento e annulla “la forza della ragione”. Liberamente ispirato al libro “Miccia corta” che narra la vita e anche l’amore di Sergio Segio e Susanna Ronconi, La prima linea segue due piani paralleli di nar- U 51 razione, quello del lungo flashback degli anni passati con il racconto della scelta del terrorismo alternato con il piano del presente che segue, ora per ora, la lunga giornata della (mal)riuscita evasione (ci scappa anche il morto, un pensionato ucciso accidentalmente) della compagna del protagonista. Perfettamente consapevole di muoversi su un terreno minato, il produttore Andrea Occhipinti (co-produttori del film, vale la pena sottolinearlo, sono i fratelli Dardenne) ha tolto di mezzo qualsiasi possibile imbarazzo rinunciando volontariamente ai fondi statali. Ma, nonostante ciò, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in vista delle riprese e di eventuali richieste di sovvenzione, ha chiesto la verifica della sceneggiatura e addirittura il vaglio delle associazioni dei parenti delle vittime del terrorismo. E così gli sceneggiatori Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo e Fidel Signorile hanno dovuto difendere le loro pagine di sceneggiatura in un delicato confronto con i parenti delle vittime. Alla fine gli autori si sono detti soddisfatti per non essere scesi a compromessi. Meno soddisfatto Segio, che ha accusato la pellicola di scarso approfondimento ideologico. Il film, “liberamente” ispirato al libro dell’ex terrorista, ne tradirebbe, secondo Segio, la caratteristica fondamentale: quella di riassumere “l’albero genealogico, i riferimenti ideologici, culturali, le famiglie di provenienza, le motivazioni, le aspirazioni, per quanto infine pervertite dalle pratiche”. Querelle ideologiche a parte, dalla visione del film, si esce, tutto sommato, non troppo delusi, anche se si avverte che qualcosa manca. La lacuna più evidente, effettivamente, sembra essere la mancanza di una opportuna contestualizzazione sto- Film rico-ideologica del periodo in cui certe idee e certe “chiamate alle armi” maturavano. A detto contesto sono dedicati davvero pochi cenni. De Maria e gli sceneggiatori hanno compiuto la scelta precisa di focalizzarsi sull’uomo, Sergio Segio, e sulla donna, Susanna Ronconi: sulla loro storia soprattutto umana (certo la storia d’amore è più credibile quando a trasferirla sullo schermo sono due bei volti come quello di Scamarcio e quello della Mezzogiorno). Considerata la particolare ‘angolatura’ con cui si è deciso di raccontare un pezzo di dolorosa storia d’Italia, non si può non apprezzarne il rigore stilistico e formale, l’onestà e la sobrietà. Fermo restando che quello che manca è molto, in primis quella intricata trama di eventi, motivazioni, riflessioni sulla politica e su alcuni ideali, che solo qualche rara pellicola riesce a dare. Tutti i film della stagione Volutamente si sceglie di mostrare solo tre fatti di sangue, a paradigma di una lunga raffica di colpi violenti al cuore dello stato: la gambizzazione del capo reparto di una fabbrica, l’omicidio del giudice Alessandrini (felice l’inserimento delle immagini di repertorio dei funerali con lo sdegno dell’intero paese), l’uccisione del ‘traditore’ Vaccher. Movimento dal nome importante, “Prima Linea”, nome evocativo e significativo allo stesso tempo: una prima linea si sa, ne prevede altre più indietro, ma, come dice l’amico Piero al protagonista, compagno dell’epoca delle ragazzate che rifiutò di entrare nella clandestinità del movimento e che funge da efficace controcanto ideologico, loro sono la prima linea di un corteo che non c’è. Quando, poco prima dell’omicidio forse più efferato (quello del giu- dice Alessandrini), l’amico gli prospetta la possibilità di fuga all’estero dove si sarebbe rifatto una vita con la compagna, il terrorista ribatte che sarebbe stato “come nei film”, completamente cosciente dell’impossibilità di quella scelta perché la realtà non è un film. Bel gioco di specchi tra pretesa illusione di realtà e finzione da grande schermo. Una sottile linea (rossa) divide gli ideali dall’azione ma qui questa linea è poco spiegata o pressoché assente. Troppa semplificazione? Forse. E quello che paga è l’approfondimento, necessario soprattutto quando si parla di certi temi, soprattutto se si vuole alzare lo sguardo e guardare dietro, al di là di quella fantomatica ‘prima linea’. Elena Bartoni LISOLA DELLE COPPIE (Couples Retreat) Stati Uniti, 2009 Art directors: Curt Beech, Clint Wallace Arredatore: Daniel B. Clancy Trucco: Simone Almekias-Siegl, Steve Artmont, Cheryl Ann Nick Acconciature: David Danon, Jose Zamora Coordinatore effetti speciali: Daniel Sudick Supervisore effetti visivi: Jamie Dixon Supervisore costumi: Wendy M. Craig Supervisore musiche: John O’Brien Interpreti: Vince Vaughn (Dave), Jason Bateman (Jason), Faizon Love (Shane), Jon Favreau (Joey), Malin Akerman (Ronnie), Kristen Bell (Cynthia), Kristin Davis (Lucy), Kali Hawk (Trudy), Tasha Smith (Jennifer), Carlos Ponce (Salvadore), Peter Serafinowicz (Sctanley), Jean Reno (Marcel), Temuera Morrison (Briggs), Jonna Walsh (Lacey), Gattlin Griffith (Robert), Colin Baiocchi (Kevin), Vernon Vaughn (nonno Jim Jim), Jersey Jim (Mago), Paul Boese (venditore di moto), Daniel Cage Theodore, Phillip Jordan (venditori), John Michael Higgins, Ken Jeong, Charlotte Cornwell, Amy Hill (terapisti), Karen Shenaz David (addetta alle terme), Alyssa Julya Smith, Alexis Knapp (ballerine), Joy Bisco (Maitre d’), Janna Fassaert (massaggiatrice) Durata: 113’ Metri: 3100 Regia: Peter Billingsley Produzione: Scott Stuber, Vince Vaughn per Universal Pictures/ Relativity Media/ Wild West Picture Show Productions/ Stuber Productions Distribuzione: Universal Prima: (Roma 4-12-2009; Milano 4-12-2009) Soggetto e sceneggiatura: Jon Favreau, Vince Vaughn, Dana Fox Direttore della fotografia: Eric Alan Edwards Montaggio: Dan Lebental Musiche: A.R. Rahman Scenografia: Shepherd Frankel Costumi: Susan Matheson Produttori esecutivi: Guy Riedel, Victoria Vaughn Produttori associati: Micah Mason, Udi Nedivi, Sandra J. Smith Co-produttore: John Isbell Direttore di produzione: Udi Nedivi Casting: Sarah Finn, Randi Hiller Aiuti regista: Christina Fong, Rip Murray Operatori: Darin Moran, Peter Rosenfeld Operatore Steadicam: Peter Rosenfeld ynthia e Jason sono una giovane coppia in crisi matrimoniale. Per tentare di salvare la loro unione, decidono di andare in un magnifico resort in Indonesia, dove un famoso guru dovrebbe riuscire nell’intento. Avendo pochi risparmi, possono andarvi solo se aderiscono al Pacchetto Pellicano; in sostanza un pacchetto per comitive con relativo sconto. I due coinvolgono quindi i loro amici più cari, a cui promettono solo divertimento e niente terapia di coppia, che dovranno sostenere soltanto loro due. Così Dave C e Ronnie, con due figli piccoli, Joey e Lucy, sposati giovanissimi per l’improvvisa gravidanza e il loro amico Shane, recentemente divorziato e con la ventenne Trudy al seguito partono assieme a loro. Arrivati in questo paradiso, scoprono non solo che nell’Isola attigua c’è un resort per single, che mette subito in crisi Joey che vorrebbe darsi alla pazza gioia, ma che dovranno tutti quanti sostenere la terapia di coppia. Grazie al buon cibo, il magnifico mare e alle insistenze di Jason che pretende il sostegno dei propri amici, decidono tutti 52 di restare. Il gruppo conosce così Marcel, il guru dai metodi alquanto eccentrici. Durante la terapia di coppia, ognuna fatta con un proprio psicoterapeuta, emergono diversi problemi. Dave e Ronnie, apparentemente quelli più felici e che non litigano mai, scoprono che affrontano il matrimonio come un lavoro senza dedicarsi più l’uno all’altra pur amandosi ancora; Joey e Lucy, litigano violentemente accusandosi di trascuratezza reciproca; Cynthia e Jason capiscono che il continuo provare ad avere figli, oltre alla compulsiva pignoleria di lui, Film ha inciso la passione; infine Shane parla a vanvera della sua ex moglie di fronte a Trudy, che invece vorrebbe solo ballare e bere. Le giornate scorrono fra terapia, le sedute di yoga di un bontempone e i metodi discutibili di Marcel, che servono solo ad acuire le tensioni fra le coppie. Un pomeriggio, Trudy sparisce: capiscono che è andata nel resort dei single. Joey, che in realtà ha ben altre mire, organizza una spedizione per recuperare la ragazza. Dopo l’ennesimo litigio, Cynthia lascia Jason, portando il gruppo a dividersi fra uomini e donne non appena giunti sull’isola. Le ragazze incontrano l’insegnante di yoga che subito tenta un approccio con Lucy e fa ubriacare Cynthia, mentre Ronnie è l’unica che mantiene il contegno; i ragazzi litigano e si dividono alla ricerca delle donne. Ognuno ritrova la propria moglie. Dave e Ronnie capiscono che dovranno ascoltarsi di più; Cynthia e Jason ritrovano la passione; Joey e Lucy si riscoprono gelosi e innamorati e Shane ritrova Jennifer, l’ex moglie giunta sull’isola per cercarlo e per riconquistarlo. Il giorno dopo, Marcel, soddisfatto dei risultati ottenuti dona a ogni coppia un piccolo totem a forma di animale che ne rispecchi l’anima. Per Cynthia e Jason un coniglio, perché ritrovano sempre la propria tana; Dave e Ronnie un asino, in quanto sostengono l’uno il peso dell’altra e della famiglia; Joey e Lucy il lupo, quale sim- Tutti i film della stagione bolo della monogamia; infine Shane e Jennifer l’ape, che vola di fiore in fiore, ma alla fine torna sempre all’alveare. Tutti restano sull’isola per divertirsi. n pizzico di buoni propositi, un bel po’di giovani coppie in crisi, condite con poche battute ironiche. Questa la ricetta della nuova commedia di Peter Billingsley. Sarà per l’eccessiva durata, sarà che manca proprio un certo feeling fra gli attori, ma il piatto risulta decisamente scarso e insipido. La parte iniziale del film si dilunga per mostrarci quali siano le dinamiche e i problemi dei personaggi; essendo, però, veramente tanti, non si giunge mai in profondità e nessuno di loro ha un reale spessore. In questo modo, il film scade in banalità e ovvietà; a ogni coppia viene affidato un luogo comune sulle difficoltà matrimoniali, ossia crisi sessuale, incomunicabilità e via discorrendo. La storia vorrebbe avere un punto di svolta con l’entrata in gioco di Jean Reno interprete di Marcel, il terapeuta dell’isola. Le poco convenzionali sedute psicologiche, in cui i protagonisti si ritrovano coinvolti inaspettatamente, scadono anch’esse in situazioni già viste. I massaggi, le sedute di yoga con riferimenti sessuali, la pesca con l’improvviso arrivo di squali passano indenni, con la speranza che il film regali qualcosa di nuovo che non arriva mai. Il finale, poi, non lascia per nulla U il segno. Tutti i salmi finiscono in gloria, tutte le coppie si abbracciano felici e sorridenti, anche se un attimo prima si sarebbero scagliati coltelli a vicenda. Se la repentina riappacificazione fra Dave e Ronnie è più giustificabile, per via della piccola crisi nata sull’isola, il ricongiungimento di Joey e Lucy ed ancor più Shane con Jennifer risulta poco credibile; troppo grandi i loro problemi per essere risolti con uno schiocco di dita, o in questo caso, con un cambio di scena. Ciò a dimostrazione di quanto in realtà la sceneggiatura e il carattere dei personaggi non siano stati ben scritti. La visione del matrimonio, della vita di coppia, i litigi e i ricongiungimenti vengono qui banalizzati e semplificati; magari bastasse una vacanza in Polinesia per salvare un matrimonio. Anche se L’isola delle coppie rientra nelle commedie, ciò non giustifica una tale approssimazione. I dialoghi, forse anche a causa della traduzione italiana, lasciano in certi momenti basiti e il presunto moralismo sbandierato nel finale è realmente fastidioso. Manca, poi, la giusta dose di sarcasmo e ironia; veramente poche le risate strappate per un film che prometteva ben altro divertimento. I meravigliosi paesaggi e l’ironia di Jean Reno non possono reggere da soli l’intero film. Che noia. Elena Mandolini A SERIOUS MAN (A Serious Man) Stati Uniti/Gran Bretagna/Francia, 2009 Coordinatori effetti visivi: Katie Godwin, Kyle Ware (Luma Pictures) Supervisore costumi:Virginia Burton Suono: Chris C. Benson, Skip Lievsay Interpreti: Michael Stuhlbarg (Larry Gopnik), Richard Kind (Zio Arthur), Fred Melamed (Sy Ableman), Sari Lennick (Judith Gopnik), Aaron Wolff (Danny Gopnik), Jessica McManus (Sarah Gopnik), Peter Breitmayer (Mr. Brandt), Brent Braunschweig (Mitch Brandt), David Kang (Clive Park), Benjy Portnoe (Buddy), Jack Swiler (ragazzo sull’autobus), Andrew S. Lentz (Ragazzo sull’autobus), Jon Kaminski Jr. (Mike Fagle), Ari Hoptman (Arlen Finkle), Alan Mandell (Rabbino Marshak), Amy Landecker (Mrs. Samsky), George Wyner (rabbino Nachtner), Michael Tezla (Dr. Sussman), Katherine Borowitz (amica al picnic), Steve Park (padre di Clive), Allen Lewis Rickman (marito Shtetl), Yelena Shmulenson (moglie Shtetl), Fyvush Finkel (Dybbuk), Ronald Schultz (insegnante Hebrew), Raye Birk (Dr. Shapiro), Jane Hammill (Segretaria di Larry), Claudia Wilkens (segretaria di Marshak), Simon Helberg (rabbino Scott), Adam Arkin (avvocato divorzista), Jim Cada (poliziotto) Durata: 105’ Metri: 2900 Regia: Joel ed Ethan Coen Produzione: Ethan Coen, Joel Coen per Mike Zoss Productions/Relativity Media/Studio Canal/Working Title Films Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 4-12-2009; Milano 4-12-2009) Soggetto e sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen Direttore della fotografia: Roger Deakins Montaggio: Ethan Coen (as Roderick Jaynes), Joel Coen (as Roderick Jaynes) Musiche: Carter Burwell Scenografia: Jess Gonchor Costumi: Mary Zophres Produttori esecutivi: Tim Bevan, Eric Fellner, Robert Graf Direttore di produzione: Robert Graf Casting: Ellen Chenoweth, Rachel Tenner Aiuti regista: Bac DeLorme, Betsy Magruder Operatore: Roger Deakins Art director: Deborah Jensen Arredatore: Nancy Haigh Trucco: Jean Ann Black, Maureen Landa, Brenda Torre Acconciature: Fríða Aradóttir Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson Supervisore effetti visivi: Vincent Cirelli (Luma Pictures), 53 Film rologo: nel XIX secolo, in uno Shtetl (paesino in yiddish) dell’est europeo, un uomo senza nome arriva a casa durante una tempesta di neve e racconta a sua moglie di avere incontrato e invitato a cena un conoscente, Reb Groshkover. La moglie gli dice che Reb è morto da un pezzo, dunque deve aver visto un dybbuk (espressione del folklore yiddish per definire un non morto). Reb si presenta a cena e ride di queste illazioni, ma la moglie, per confermare le proprie parole al marito, lo accoltella. Sanguinante, il dybbuk si alza e se ne va di casa lasciando il mistero irrisolto… Nel 1967 a St. Louis Park, Minneapolis, vive il tranquillo e ordinario Larry Gopnik. Larry è un professore di fisica in attesa di una cattedra all’Università del Midwest. Lo vediamo uscire tranquillo da una visita medica, ma sta attraversando un periodo esistenzialmente difficile: la moglie Judith vuole un divorzio rituale per potersi risposare nella fede con l’amico di famiglia Sy Ableman (che non manca mai di sottolineare la propria stima per Larry quando lo vede) e lo manda a vivere in un motel assieme al fratello disoccupato Arthur che ormai vive stabilmente sul suo divano; il figlio Danny fuma gli spinelli mentre è in procinto di festeggiare il suo Bar mitzvah e deve 20 dollari al compagno di classe spacciatore che lo perseguita, ma non può ridarglieli perché i soldi sono nel fodero della radio a transistor che gli è stata confiscata a scuola; la figlia Sarah invece gli ruba i soldi dal portafoglio per farsi un intervento di rinoplastica. A complicargli ancor di più l’esistenza, ci si mette un allievo coreano, Clive, P Tutti i film della stagione che prima tenta di corromperlo e poi minaccia di denunciarlo per diffamazione, a giudicare dalle lettere giunte al responsabile che deve valutare per la sua cattedra. Inoltre, la sua affascinante vicina di casa, lo turba prendendo continuamente il sole nuda. Per trovare una stabilità esistenziale ed emotiva, Larry chiede consiglio a tre rabbini diversi, tentando di risolvere i suoi problemi e di diventare un mensch, un uomo serio. Il primo è un rabbino molto giovane, che annaspa nei luoghi comuni sul mantenere prospettive sempre nuove per vedere Dio. Il secondo gli racconta la storia di un dentista ebreo che venne a chiedergli un consiglio dopo aver letto la scritta “aiutami” in ebraico incisa sul retro dei denti di un ignaro paziente mentre stava facendogli un calco. La sua ricerca di un senso alla cosa si tramutò presto in un’ossessione. Quando Larry gli chiede il significato della storia, il rabbino risponde: “Che importa?” Il terzo rabbino, Marshak, è molto anziano e da tempo si è ritirato dall’attività pastorale. Riceve per appuntamento e si fa vivo solo alle cerimonie dei bar mitzvah. Dopo numerosi tentativi, Larry viene finalmente ricevuto dalla segretaria, che lo invita a raggiungere il rabbino al termine di un lungo, buio corridoio. Sy Ableman muore in seguito a un incidente stadale. Il giorno del Mitzvah, Danny è fatto di marijuana e termina a fatica al cerimonia sotto gli occhi della comunità e dei suoi genitori. Judith si dice pentita dei recenti conflitti con lui, sottolinea come Sy lo abbia sempre stimato e abbia addirittura scritto lettere di stima alla commissione universitaria per inter- 54 cedere all’assegnazione della cattedra. Dopo la cerimonia, Danny è ricevuto dal rabbino Marshak, che, citando una strofa da Somebody To Love dei Jefferson Airplane, rende al ragazzo la radio a transistor che gli era stata confiscata a scuola. Dentro la fodera ci sono ancora i 20 dollari che deve al compagno spacciatore. Più tardi, il responsabile della commissione comunica a Larry che la sua cattedra è ormai garantita. Dopo aver ricevuto il conto, salato, dall’avvocato che ne ha seguito le peripezie, Larry esita poi decide di intascare la bustarella offertagli da Clive, ancora lì sulla scrivania. Prende il registro e alza il voto al ragazzo. Tutto sembra essersi ricomposto. In quel mentre, suona il telefono: è il dottore presso il quale Larry si è sottoposto ai raggi X. I risultati sono pronti e il dottore sembra avere una certa urgenza nel chiedergli di vederlo prima possibile. Nello stesso tempo, un tornado si avvicina alla scuola di Danny. L’insegnante cerca di sbloccare l’ingresso del rifugio, Danny e il compagno spacciatore guardano la nuvola a forma di imbuto che si avvicina mentre il ragazzo medita se rendergli o no i 20 dollari che gli deve. e la illogica follia di Non è un paese per vecchi o Burn after Reading aveva saputo scuotervi da una tradizionale, “tranquilla” percezione del mondo intorno a noi, consolatevi: con A Serious Man i Coen tornano per dirci che il peggio deve ancora venire. Un assunto beffardo, lapidario e asciutto come un motto yiddish, che fa di questo film una dark comedy tremendamente in linea con la filmografia dei due autori, eterogenea nello stile quanto coerente per tematiche e poetica. Una carriera, quella dei Coen, che procede senza pause da oltre vent’anni e che ha saputo sdoganarli alle masse quando il loro innato gusto per la commedia brillante ha saputo tingersi di mainstream al momento di collaborare con i divi di turno (da Clooney a Brad Pitt, passando per Catherine Zeta-Jones e Tom Hanks). L’effetto, a lungo andare, si è rivelato paradossale: se l’attenzione verso i Coen è cambiata, è altrettanto vero che i Coen sono rimasti sempre se stessi. E così, dopo la pioggia di Oscar per Non è un paese per vecchi e l’umorismo rassicurante e sopra le righe delle loro parentesi più brillanti, un certo pubblico (come pure una certa critica) si è trovato spiazzato davanti un low-budget movie come A Serious Man, privo di attori di rilievo, ambientato nella comunità ebraica di Minneapolis nel 1967 S Film (c’è aria di autobiografia...), denso di un black humour tutt’altro che ammiccante; ha provato a ridere nel timore di rimanere indietro alla provocazione, per poi vedersi le risate morire in gola a causa di un finale crudele, aperto e senza appigli di sorta. Se, da un lato, i Coen sembrano volersi riappropriare dello spirito “indipendente” ed elitario delle loro origini, è anche vero che mai come in questa occasione mettono a nudo davanti allo spettatore la loro visione del mondo, con una sincerità inedita nelle precedenti commedie, dove la forma prevaleva sulla sostanza e con il riconosciuto Tutti i film della stagione debito al mondo ebraico cui appartengono, palese corresponsabile della loro forma mentis. Come e più che altrove, la vita in A Serious Man è un’enigma a cui è impossibile, perlomeno a livello terreno, dare una risposta; insolubile come il mistero del dybbuk che il prologo propone senza darvi spiegazione alcuna. Non c’è risposta ai perché di Larry, né da parte dei rabbini né dall’alto: la frattura nella sua vita sembra ricomporsi, per poi deflagrare nuovamente in qualcosa di peggio. Essere un mensch, una brava persona, retta ed equilibrata, comporta dunque una subumana accettazione delle cose al limite del tollerabile; il paradosso dei Coen è tutto qui, nel prendere coscienza, in una certa fase della vita, di quanto intollerabile sia la vita stessa. Il rabbino Marshak, quando rende a Danny la radiolina con tanto di citazione di Somebody to Love dei Jefferson Airplane, in fondo, non fa che invitarlo a vivere più che può senza pensare a quelle difficoltà ineluttabili che, inevitabilmente, arriveranno anche per lui. Come il turbine di un uragano all’orizzonte. Gianluigi Ceccarelli JULIE & JULIA Stati Uniti, 2009 Trucco: J. Roy Helland, Sherri Berman Laurence, Kyra Panchenko, Florence Roumieu, James Sarzotti, Amy Spiegel, Jean Luc Villeneuve Acconciature: Jerry DeCarlo, J. Roy Helland, Catherine Jabes, Anita Roganovic, Peggy Schierholz Supervisore effetti speciali: Fred Buchholz, Supervisori effetti visivi: Glenn Allen, Eric J. Robertson (Brainstorm Digital) Supervisore costumi: Kevin Draves Interpreti: Meryl Steep (Julia Child), Amy Adams (Julie Powell), Stanley Tucci (Paul Child), Chris Messina (Eric Powell), Linda Emond (Simone Beck), Helen Carey (Louisette Bertholle), Mary Lynn Rajskub (Sarah), Jane Lynch (Dorothy McWilliams), Joan Juliet Buck (Madame Brassart), Crystal Noelle (Ernestine), George Bartenieff (cuoco Max Bugnard), Vanessa Ferlito (Cassie), Casey Wilson (Regina), Jilliam Bach (Annabelle), Andrew Garman (John O’Brien), Michael Brian Dunn (Ivan Cousins), Remak Ramsay (John McWilliams), Diane Kagan (Phila McWilliams), Pamela Stewart (insegnante al “Le Cordon Bleu”), Jeff Brooks (prete), Frances Sternhagen (Irma Rombauer), Brooks Ashmanskas (Mr. Misher), Eric Sheffer Stevens (Tim), Brian Avers (Garth), Kacie Sheik (Annette), Megan Byrne (donna alla festa), Deborah Rush (Avis De Voto), Helen Coxe (Dorothy De Santillana), Amanda Hesser (se stessa), Maryann Urbano (ospite a pranzo) Durata: 123’ Metri: 3400 Regia: Nora Ephron Produzione: Nora Ephron, Laurence Mark, Amy Robinson, Eric Steel per Columbia Pictures/Easy There Tiger Productions/ Scott Rudin Productions Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 23-10-2009; Milano 23-10-2009) Soggetto: dai romanzi Julie & Julia di Julie Powell e My life in France di Julia Child e Alex Prod’homme Sceneggiatura: Nora Ephron Direttore della fotografia: Stephen Goldblatt Montaggio: Richard Marks Musiche: Alexandre Desplat Scenografia: Mark Ricker Costumi: Ann Roth Produttori esecutivi: Donald J. Lee Jr., Scott Rudin, Dana Stevens Produttore associato: J.J. Sacha Co-produttore: Dianne Dreyer Line producer:John Bernard Direttori di produzione: Gilles Castera, Donald J. Lee Jr. Casting: Kathy Driscoll, Francine Maisler Aiuti regista: Jeffrey T. Bernstein, Ali Cherkaoui, Estelle Gérard, Nancy Herrmann, Ariane Lacan, Guilhem Malgoire Operatore: Bruce MacCallum Operatore Steadicam: Jeff Muhlstock Art director: Ben Barraud Arredatore: Susan Bode arigi 1949. La statunitense Julia Child arriva nella capitale francese insieme al marito Paul, impiegato presso l’ambasciata statunitense. La donna è entusiasta del clima della città e del bellissimo appartamento dove vivrà. New York 2002. Julie Powell e il marito Eric si trasferiscono nel loro nuovo appartamento nel quartiere di Queens. La giovane non è soddisfatta della nuova casa e neanche del suo lavoro come impiegata al call center dell’Ufficio Risarcimenti per le vittime dell’11 settem- P bre. Il suo sogno è quello di scrivere. Alla sera, riesce a trovare un’evasione nella sua cucina cimentandosi con le ricette del libro “Imparare l’arte della cucina francese”, scritto dal suo ‘mito’ Julia Child, la cui prima edizione risale al 1961. La sua passione per la cucina la tiene in vita quanto quella per la scrittura tanto che, su suggerimento delle amiche e del marito, decide di scrivere un blog-sfida: cucinare tutte le 524 ricette del libro in 365 giorni. Il titolo del blog è “Progetto Julie/Julia” sottotitolo: “In campo Julie Powell e la sua folle impre- 55 sa”. A Parigi, Julia decide di seguire la sua passione per la cucina iscrivendosi alla prestigiosa scuola “Cordon Bleu”. Dopo qualche difficoltà iniziale, Julia riesce presto a eccellere contagiando nel suo entusiasmo anche il marito. Intanto a New York anche la passione di Julie cresce, come il suo blog che ottiene un numero sempre maggiore di lettori. Sempre Parigi, Julia conosce Simone Beck e Louisette Bertholle che le propongono di tenere un corso di cucina francese per americani nella loro scuola di cucina. A New York, Julie riceve una telefonata a Film sorpresa: Judith Jones, la curatrice del libro di Julia Child vuole venire a cena da lei. A Parigi Julia riceve l’incarico di scrivere una parte del libro di ricette che Simone e Louisette stanno preparando. Ma il marito, mal visto dal nuovo clima politico instaurato dal senatore McCarthy, rischia di essere trasferito. Julia finisce un capitolo del libro che piace a una casa editrice di Boston. A New York, Julie è in crisi: non va al lavoro per dedicarsi alla cena per l’ospite d’eccezione che, però, all’ultimo momento dà forfait. La sera stessa, litiga con il marito che, esausto dai suoi sbalzi di umore, se ne va di casa. Intanto Julia e Paul devono lasciare Parigi. Paul viene convocato a Washington dove è interrogato da una commissione. Anche Julia incontra delle difficoltà: alla casa editrice il suo libro viene giudicato troppo lungo. Ma la donna non si abbatte e pensa di ricominciare daccapo. Intanto, a New York, Amanda Hesser, giornalista del “New York Times” va a cena da Julie. Il giorno dopo pubblica un articolo su di lei. In poche ore Julie riceve una montagna di proposte di case editrici interessate a pubblicare un suo libro, ma riceve anche la notizia che la vera Julia Child ce l’ha con lei. Intanto, in Massachusetts, dove si è trasferita con Paul, Julia viene contattata da un nuovo editore interessato alla sua opera. A New York, per Julie è l’ultimo giorno della sfida: deve affrontare la ricetta più difficile, disossare e cucinare un’anatra. La cena è un trionfo. Il suo progetto si conclude con successo e la giovane raccoglie le sue ultime confessioni sul suo blog. Poi si reca con il marito a visitare la casa-museo di Julia Child: entrando nella sua famosa cucina, capisce quanto debba a quella donna. Julia Child è morta nel 2004. Julie Powell è diventata una scrittrice famosa. ei gradi di separazione? Forse anche molto meno. Cosa avvicina due donne così apparentemente distanti ma dal nome quasi uguale se non fosse per una vocale finale? Una donna degli anni Cinquanta, sposa innamorata di un uomo che segue per motivi di lavoro a Parigi e una trentenne di oggi che vive nella New York del post 11 settembre 2001, impiegata infelice e frustrata sposata a un docile giovanotto. New York contro Parigi. Julie contro Julia. Cucina contro cucina. La cucina di Julia a Parigi è calda, grande, luminosa, accogliente, piena di pentole, mestoli e S Tutti i film della stagione ogni sorta suppellettili. La cucina di Julie a New York è piccola e disordinata. Ma per entrambe le donne la cucina è un’arma, uno strumento di libertà. Le cucine divengono in entrambi i casi coté intimi, affettuosi, caldi, dove sfogare le proprie frustrazioni. Si, proprio la cucina che per decenni è stata il simbolo della ‘prigionia’ della donna ‘angelo del focolare’. Ma per Julia e Julie no, loro è proprio in cucina che ritrovano libertà e gioia di vivere. E si liberano: una da un ruolo di moglie fedele e perfetta degli anni Quaranta e Cinquanta, l’altra da una vita mediocre e da un lavoro poco soddisfacente (“incastrata” in un cubicolo dove passa otto ore con l’auricolare ad ascoltare gli sfoghi dei parenti delle vittime dell’11 settembre). Non è un caso che entrambe si trovino a vivere in anni successivi a due traumatici eventi ‘bellici’: l’epoca successiva al secondo conflitto mondiale e gli anni seguenti all’attacco alle Twin Towers. È ovvio che qui la cucina diviene anche facile metafora. Per la giovane newyorchese Julie, la sfida non a caso dura un anno e le difficoltà di preparare un aspic o di disossare un’anatra rappresentano i gradi di difficoltà che dobbiamo affrontare nella vita. Ed ecco che ricetta dopo ricetta, Julie riesce a salvare se stessa e la sua vita. La regista sceglie di non far incontrare mai le due donne sullo schermo. E meno male per le due attrici, soprattutto per Amy Adams che, per quanto graziosa, non può che uscire sconfitta dal confronto col carisma della Streep anche quando si tratta di fare la ‘guerra della padelle’ (le due hanno già recitato insieme in Il dubbio nel 2008). Le due vite si toccano solo astrattamente e il distacco temporale che separa le due vicende non può portare a nessun contatto concreto, neanche nel finale, dove per un attimo lo spettatore si aspetta di assistere all’incontro tra Julie e la novantenne Julia. Partendo da due romanzi, quello di Julie Powell che dà il titolo al film e quello di Julia Child “My Life in France”, più che girare l’ennesima commedia gastronomica (ce ne sono state fin troppe da far indigestione), Nora Ephron gioca con la moda delle “esperienze gourmand” raccontandoci di colei che per prima inaugurò un nuovo modo di stare in cucina. Non è una novità il vero boom editoriale di libri di ricette (ne siamo pieni ovunque, dalle librerie alle edicole), di programmi TV che insegnano a cucinare di tutto condotti da cuochi divenuti star, di corsi di cucina ‘in56 novativa’ (come l’ultimissima “wellness cooking” cioè l’alta cucina leggera, piatti perfettamente bilanciati ma raffinati e d’effetto o l’ardita “cucina molecolare”). Per non parlare della moda dei locali che superano il tradizionale concetto di ristorante (come i nuovi “multistore con cucina” dove può acquistare di tutto mentre si mangia). E che dire dei famosi programmi della TV americana come “Iron Chefs”, che mette in gara la competitività più feroce tra i fornelli o “Everyday Food” condotto dalla nuova regina del ‘lifestyle’ USA Martha Stewart (una delle tante nipotine della Child)? Ecco fatto. Tra le mani esperte della Ephron (regista di commedie di grandissimo successo), portare tra i fornelli la commedia sofisticata impreziosita da star (e qui abbiamo nientemeno che la più grande) è davvero un gioco da ragazza. Salvo inciampare quando si commette l’errore di procedere per addizione invece che per sottrazione. Meno male che c’è lei, la sublime Meryl, capace di rendere alla perfezione quel ‘donnone’ di Julia Child, la prima vera star della cucina in TV tra gli anni cinquanta e sessanta. Come il confronto tra le due donne in gara culinaria pende decisamente da un lato, così il paragone tra i due mariti è senza storia. E per il versatile Stanley Tucci, vera presenza forte sullo schermo (come non ricordarlo alle prese con fornelli e pirofile nei panni di un cuoco italiano al suo esordio nei doppi panni di regista e attore nella deliziosa commedia gastronomica Big Night nel 1996?), vincere il confronto con lo scialbo Chris Messina è davvero un gol a porta vuota. Dopo grandi successi come Insonnia d’amore e C’è posta per te, la Ephron qui rischia davvero di fornire un rimedio infallibile per sconfiggere la storica insonnia con un potente colpo di padella in testa allo spettatore. Tra giochi temporali paralleli e equilibrismi in cucina, tra frittate, montagne di cipolle sminuzzate a tempo di record, delicatissimi aspic spappolati in terra, aragoste uccise nell’acqua bollente, anatre capolavoro, si rischia l’indigestione e si esce esausti. La ricetta finale manca di leggerezza e diventa davvero pesante da digerire (sarà forse colpa del burro usato in dosi industriali dalla divina Julia maestra di cucina francese per il popolo americano?). Tutto è troppo, solo lei, Meryl non è mai troppo. E allora, solo per lei, giù il cappello, per l’ennesima volta. Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione RACCONTI DELLETÀ DELLORO (Amintiri din epoca de aur) Romania/Francia, 2009 Regia: Ioana Uricaru, Hanno Höfer, Razvan Marculescu, Constantin Popescu, Cristian Mungiu Produzione: Cristian Mungiu, Oleg Mutu per Mobra Films/Why Not Productions Distribuzione: Archibald Enterprise Film Prima: (Roma 18-9-2009; Milano 18-9-2009) Soggetto e sceneggiatura: Cristian Mungiu Direttori della fotografia: Liviu Marghidan, Oleg Mutu, Alexandru Sterian Montaggio: Dana Bunescu, Theodora Penciu, Ioana Uricaru Musiche: Hanno Höfer, Laco Jimi Scenografia: Cezara Armasu, Dana Istrate, Simona Paduretu, Mihaela Poenaru Costumi: Brandusa Ioan, Ana Ioneci, Dana Istrate, Luminita Mihai Direttori di produzione: Adrian Moroca, Catalin Neagu, Adrian Smarandache Q uattro storie di vita ordinaria in Romania sotto il regime di Ceausescu. LA LEGGENDA DELLA VISITA UFFICIALE. Nel piccolo villaggio di Vizuresti, il sindaco e il suo assistente si preparano per una visita ufficiale del partito. Si sistemano le strade e gli alberi, si cercano colombe bianche. Il quartier generale manda di continuo aggiornamenti. Il giorno prima della visita, si svolgerà una prova generale in tutti i villaggi dove passerà il corteo. Dal momento che Vizutesti è l’ultima cittadina sul percorso, si pensa che gli ispettori del partito restino a cena. I funzionari controllano tutto, ordinando la rimozione della giostra all’entrata del villaggio. Poi si fermano a cena e l’alcool scorre a fiumi. La cena viene interrotta da una telefonata dal quartier generale: il partito annulla la visita ufficiale. Rilassati, i funzionari decidono di festeggiare con un giro sulla giostra. Ma alcuni di loro hanno bevuto troppo e si sentono male, non c’è nessuno che fermi la giostra perché sono saliti tutti e si dovrà aspettare che finisca il carburante. La giostra gira fino all’alba. Un pastore di passaggio nota come mentre c’è chi lavora, le autorità si divertono. LA LEGGENDA DEL CAMMIONISTA DI POLLAME. Per anni Grigore ha trasportato camion pieni di polli dal nord della Romania fino a sud, al porto di Costanza. Il severo regolamento gli impedisce di aprire il camion, che deve restare sigillato, e di fare pause. Deve Aiuti regista: Andra Chiriac, Monica Lazureanu, Ciprian Panaite, Mariuca Petre, Anatol Reghintovschi Operatore: Mircea Valentin Trucco: Beti Facaianu, Cristina Ilie, Ruxandra Popa Acconciature: Lidia Ivanov, Cristina Temelie Interpreti: Ep. La leggenda della visita ufficiale. Alexandru Potocean (il segretario), Teo Corban (il sindaco), Emanuel Pirvu (l’ispettore di partito). Ep. La leggenda del fotografo di partito. Avram Birau (il fotografo), Paul Dunca (l’assistente del fotografo ), Viorel Comanici ( segretario del partito). Ep. La leggenda del poliziotto ingordo. Ion Sapdaru (Alexa, poliziotto), Virginia Mirea ( moglie del poliziotto), Gabriel Spahiu (vicino del poliziotto). Ep. La leggenda del camionista di pollame. Vlad Ivanov (Grigore ), Tania Popa (Camelia ), Liliana Mocanu (Marusia) Durata: 100’ Metri: 2750 arrivare sempre a destinazione prima che faccia notte. Un giorno, si ferma a pranzo in una locanda gestita dall’affascinante Camelia. Tornato al parcheggio, l’uomo trova il camion senza due ruote. Costretto a passare la notte nella locanda, il mattino Grigore apre per la prima volta il camion: i polli hanno fatto l’uovo. L’uomo porta migliaia di uova a Camelia che pensa di venderle. Grigore riparte, deve raggiungere il porto entro le 12.00. Il giorno dopo Camelia lo informa che le uova sono andate a ruba. L’uomo resta di nuovo a dormire. Il mattino dopo, Grigore e Camelia raccolgono le uova, la donna le vende in breve tempo. Poco dopo, Grigore finisce in prigione. LA LEGGENDA DEL FOTOGRAFO DI PARTITO. Il quotidiano del partito, “Scinteia”, era la pubblicazione più censurata della Romania. Tutte le foto e gli articoli dovevano seguire le severe direttive del partito prima di essere pubblicati. La visita del presidente Giscard d’Estaing per incontrare Ceausescu è un evento importantissimo. Il fotografo Emile e suo nipote sviluppano le foto dell’evento: il giornale deve arrivare nelle edicole all’alba in modo che gli operai possano leggerlo. Un impiegato dell’ufficio censura scopre che in ogni scatto il presidente francese indossa il cappello mentre Ceausescu tiene il suo in mano. Un funzionario osserva che la classe operaia potrebbe interpretarlo come un gesto di deferenza del partito comunista nei confronti 57 del capitalismo: ciò è inaccettabile. Si decide che la soluzione più rapida è quella di mette un cappello anche in testa a Ceausescu. I due fotografi si mettono al lavoro, ma per la fretta viene mandata in stampa una foto senza le modifiche ultimate. Sul giornale esce una foto in cui il presidente ha un cappello in testa e uno in mano. Vene interrotta la stampa ma le prime copie sono già in circolazione. Mentre Emile si sente male, un operaio apre il giornale e scoppia in una sonora risata. LA LEGGENDA DEL POLIZIOTTO INGORDO. È quasi Natale, Danut è figlio di un poliziotto, vive nel piccolo appartamento di un palazzo, in una piccola città. La tradizione vuole che si mangi maiale a Natale, ma i negozi sono vuoti. Quando un parente di campagna decide di portare del maiale per i festeggiamenti, sono tutti molto felici. L’unico problema è che porta l’animale vivo, per dimostrare che la carne è fresca. Come si macella un maiale durante la notte senza fare rumore e quindi farsi notare dai propri vicini affamati, per non parlare della polizia? Danut trova una soluzione brillante: avvelenare l’animale con il gas dei fornelli della cucina. Dopo una serie di maldestri tentativi, riescono a uccidere l’animale. Ma la fiamma ossidrica accesa per bruciare i peli, provoca una violenta esplosione. La leggenda racconta che, malgrado l’esplosione, la famiglia ha recuperato ciò che restava del maiale e lo ha utilizzato per Natale. Film “L a storia è piena di leader che manipolano i timori della gente per distrarla, ingannarla e indebolirne la libertà di scelta”. La frase è di Rick Stevens, famoso scrittore e conduttore TV americano e certamente la Romania di Ceausescu ne è l’esempio più lampante nella recente storia dell’est Europa. Una sola efficace immagine, nell’episodio del fotografo ufficiale, vale per tutte: gli ottusi e occhialuti burocrati al servizio del partito che sudano freddo e corrono con veloci e terrorizzati passetti per i corridoi di quei severi edifici, che incombono con la loro oscura mole ancora oggi come la pesante eredità architettonica nelle capitali dell’est Europa. Le quattro leggende che compongono il film, bizzarre, ridicole, a tratti commoventi, sono la prova di come si possa consegnare ai posteri una lettura ironica ma non per questo meno efficace, di una realtà, quella della Romania degli anni Ottanta, gli ultimi della dittatura di Ceausescu, che certo da ridere non era. Un paese in ginocchio, ridotto alla miseria, distrutto dalla fame e dalla mancanza di libertà. La struttura divisa in racconti alla maniera della commedia italiana degli anni del boom, quella firmata da maestri come Dino Risi e Mario Monicelli, mette insieme quattro registi coordinati da Christian Tutti i film della stagione Mungiu (il vincitore della Palma d’oro a Cannes con Quattro mesi, tre settimane, due giorni, qui anche produttore e sceneggiatore, all’opera con un esercizio molto più leggero): Ioana Uricaru, Hanno Höfer, Razvan Marculescu, Constantin Popescu. Il debito particolare allo stile felliniano si respira in particolare nel primo episodio, quello della visita ufficiale, con quella enorme giostra posta all’ingresso del paese ‘addobbato’ per la visita del leader, simbolo lirico, sognante, surreale, allegro e triste allo stesso tempo. Spruzzate di neorealismo qua e là condiscono il piatto, un neorealismo di cui è debitrice soprattutto l’immagine che funge da raccordo a tutti gli episodi: le scale semibuie di un condominio riprese da un’angolatura che suggerisce una prospettiva ‘a vertigine’ su una realtà ormai lontana ma, di cui oggi non si finiscono di contare i danni. L’opera ha diversi meriti, innanzitutto quello di restituirci, con efficaci tocchi surreali, la capacità del cinema di raccontare storie senza l’ausilio di tecnologie digitali (che oggi sembra essere diventato un vizio troppo diffuso) e con l’arma dell’ironia che ha il merito di frapporre un giusto filtro per osservare una realtà forse troppo brutta per essere vera. Un esempio per tutti: i salti mortali di due poveri diavoli di fotografi per ritoccare una foto di Ceausescu e per mettergli in testa un cappello. Eh già, tenere un cappello in mano di fronte al presidente francese che aveva indosso il suo, poteva essere interpretato come un gesto di deferenza, scoprirsi il capo di fronte al capitalismo! E così accade che si debba nascondere un maiale vivo nella propria cucina, tentare di ammazzarlo col gas dei fornelli e bruciarne i peli con la fiamma ossidrica, che sia vietato aprire il camion pieno di polli che si trasportano tutti i giorni per anni perché contenente galline “dalle uova d’oro” (d’oro come l’epoca che si faceva credere che si stesse vivendo), che si debbano dipingere di bianco i piccioni per farli sembrare colombe in vista della visita ufficiale del presidente in un villaggio, che si debbano ritoccare le foto di un leader che doveva apparire più alto, più autoritario, quasi più bello, di altri capi di stato. Ma davvero bastava un cappello per mascherare (e coprire) la realtà o un colpo di vernice bianca per trasformare volgari piccioni in candide colombe? E cosa poteva restare se non salire su una giostra ubriachi e girare, girare, girare, per ore, per sognare fino a stordirsi e vedere così i contorni della realtà sempre più sfumati? E perché scendere? Elena Bartoni VALUTAZIONI PASTORALI Abbracci spezzati (Gli) – complesso / problematico Alibi perfetto (Un) – consigliabile / semplice Astroboy – consigliabile / semplice Barbarossa – consigliabile / velleitario Bastardi senza gloria – complesso / violento Biancaneve e gli 007 Nani – consigliabile / semplice Brothers – consigliabile-problematico / dibattiti Cado dalle nubi – consigliabile / brillante Capitalism: A Love Story – consigliabile-problematico / dibattiti Chrstimas Carol (A) – consigliabile / poetico 500 giorni insieme – consigliabile / semplice District 9 – consigliabile / velleitario Dorian Gray – complesso / scabrosità 2012 – consigliabile / semplice Dura verità (La) – futile / volgarità Eva e Adamo – complesso-problematico / dibattiti Fà la cosa sbagliata – The Wackness – complesso / scabrosità Funny People – futile / volgarità Hachiko – Il mio migliore amico – raccomandabile / poetico Io, loro e Lara – consigliabile / brillante Isola delle coppie (L’) – futile / grossolanità Jennifer’s Body – sconsigliato-non utilizzabile / scabrosità Julie & Julia – consigliabile / brillante Land of the Lost – futile / grossolanità Mar Nero – consigliabile-problematico / dibattiti Moon – consigliabile / problematico Natale a Beverly Hills – futile / grossolanità Nemico pubblico – consigliabile / semplice 58 Prima linea (La) – consigliabile-problematico / dibattiti Principessa e il ranocchio (La) – consigliabile / brillante Racconti dell’età dell’oro – n.c. Ragazza che giocava con il fuoco (La) – complesso / scabrosità Ricatto d’amore – n.c. S.Darko – complesso / problematico Segreti di famiglia – consigliabile-problematico / dibattiti Senza amore – n.c. Serious Man (A) – consigliabile / problematico Sherlock Holmes – consigliabile / brillante Smile – consigliabile / semplice Soul Kitchen – consigliabile / brillante Uomo che fissa le capre (L’) – consigliabile / brillante Viaggio di Jeanne (Il) – n.c. Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL SPECIALE CANNES 2009 62° FESTIVAL DI CANNES. LANNO DEL LUNGO LUNGOMETRAGGIO A cura di Giancarlo Zappoli. Con la collaborazione di Flavio Vergerio e Veronica Maffizzoli Ci sono annate della manifestazione che si svolge sulla Croisette che si distinguono per le tematiche che, in qualche misura, tracciano un fil rouge tra le varie opere. Anche quest’anno è accaduto (come si potrà constatare leggendo le recensioni dei film), ma ciò che ha maggiormente caratterizzato il Festival si è legato all’elemento durata. Molte delle opere hanno abbondantemente superato le due ore, creando qualche problema nella programmazione e, in qualche occasione, il desiderio negli spettatori di istituire il Premio Forbice d’Oro da assegnare a opere meritevoli ma bisognose di più di un taglio in montaggio. Per quanto riguarda poi il verdetto della giuria, lo si può ritenere in gran parte equilibrato, se si escludono i premi assegnati a Thirst, Fish Tank e (questo è forse l’errore più eclatante, perché consolida l’idea che più si sviluppa una sorta di estetica del rivoltante più si ha la speranza di essere consacrati a Cannes) Kinatay di Brillante Mendoza. Tutto ciò conservando quella che sembra essere una caratteristica della Croisette: invitare in Concorso registi già premiati in passato e poi non tenerne, conto anche se, come Ken Loach quest’anno, hanno realizzato l’opera forse migliore della loro intera filmografia. Passiamo ora a prendere in considerazione i film a partire dai premi assegnati. Palma d’Oro DAS WEIßE BAND Regia: Michael Haneke. Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner, Josef Bierbichler, Marisa Growaldt. Drammatico, b/n durata 144 min. – Austria, Francia, Germania 2009. – Distribuzione: Lucky Red 1913-1914. In un villaggio del nord della Germania, in cui domina il protestantesimo, la vita scorre come sempre, ritmata dall’alternarsi delle stagioni. Un giorno, però, un evento inatteso scuote la quiete degli abitanti. Un cavo, tanto invisibile quanto solido, teso sul percorso che il medico locale compie abitualmente a cavallo lo fa cadere provocandogli una frattura a una spalla. Quanto quell’evento si rivelò scatenante ci viene narrato dalla voce di un anziano che, all’epoca, aveva il ruolo di istitutore; era giovane e proveniva da un villaggio poco distante. Ciò che da quel momento prende ad accadere si svolge sotto lo sguardo perturbante e attento dei bambini, ognuno dei quali ha una dimensione familiare non sempre facile da sopportare in un clima sociale teso e opprimente. Haneke continua nel proprio percorso di analisi delle relazioni tra gli esseri umani, non dimenticando di definirlo nello speciale contesto di un microcosmo che diviene laboratorio di una minacciosa società futura. Grand Prix UN PROPHETE Un film di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi. Drammatico, durata 150 min. – Francia, Italia 2009. Si tratta di un film in cui il genere carcerario viene riletto con originalità. Audiard si inserisce nei canoni del genere ma li scardina a partire dal casting. Ripropone qui nel ruolo del boss corso César Luciano proprio quel Niels Arestrup a cui aveva affidato il ruolo del genitore coinvolto in situazioni illegali nel precedente Tutti i battiti del mio cuore. Il gioco si fa immediatamente scoperto: César si costituirà come figura paterna per il Malik 59 condannato a sei anni per un reato che non verrà mai citato nel corso di tutto il film. È un padre ‘cattivo maestro’, destinato a venire simbolicamente ucciso dal figlio, a cui non ha risparmiato le più atroci umiliazioni e sevizie ma che ha preparato, a sue spese, ad affrontare il mondo del crimine organizzato da leader. Premio Speciale della Giuria LES HERBES FOLLES Un film di Alain Resnais. Con Sabine Azéma, André Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric. Drammatico, durata 96 min. – Francia, Italia 2009. Il grande Maestro del cinema francese, probabilmente al suo ultimo film, non poteva restare privo di riconoscimenti. In questo caso, il premio non va certo al suo film migliore ma sicuramente finisce con il manifestare apprezzamento per l’inesausta libertà creativa dell’autore, capace di rimodellare ogni volta il proprio cinema su tempi narrativi e stile di linguaggio sempre nuovi. Come accade nella storia di Marguerite, che esce da un negozio di scarpe e subisce il furto della borsa. Georges trova il suo portafoglio per terra, nel parcheggio di un centro commerciale e comincia a fantasticare su di lei, ancora prima di contattarla, senza conoscerla. Il desiderio di questa donna che fa la dentista e il pilota di aerei leggeri è così forte che riempie la sua vita di padre di famiglia e di marito di pensieri e azioni irrazionali. Marguerite resiste, ma per poco. Resta ogni tanto il dubbio di stare assistendo al funzionamento di un magnifico orologio, i cui meccanismi ben oliati sono però volutamente messi a nudo e ci privano di un po’ di necessaria meraviglia. Film Premio al Migliore Attore CHRISTOPH WALTZ per BASTARDI SENZA GLORIA di Quentin Tarantino Primo anno dell’occupazione tedesca in Francia. Il Colonnello delle SS Hans Landa, dopo un lungo e mellifluo interrogatorio, decima l’ultima famiglia ebrea sopravvissuta in una località di campagna. La giovane Shosanna riesce però a fuggire. Diventerà proprietaria di una sala cinematografica in cui confluirà un doppio tentativo di eliminare tutte le alte sfere del nazismo, Hitler compreso. Infatti, al piano messo in atto artigianalmente dalla ragazza se ne somma uno più complesso. A organizzarlo è un gruppo di ebrei americani guidati dal tenente Aldo Raine, i quali non si fermano dinanzi a niente pur di far pagare ai nazisti le loro colpe. Questa la sinossi in breve di un film di Tarantino, forse un po’ over size ma che ha trovato in Waltz una vera scoperta nei panni del temibilissimo colonnello Landa dall’astuzia quasi inarrivabile. Quando un regista americano come Tarantino scopre un attore europeo e lo fa conoscere al mondo dimostra una volta di più (se ce ne fosse stato bisogno) la propria duttilità e il proprio interesse nei confronti del cinema a 360°. Premio alla Migliore Attrice CHARLOTTE GAINSBOURG per ANTICHRIST di Lars Von Trier. Il film più discusso e respinto dell’intero Festival difficilmente avrebbe potuto trovare uno spazio nel Palmares se non nel premio a un’attrice che si è letteralmente consegnata nelle mani del regista più sadico, ma anche tra i più geniali, che il panorama europeo odierno ci offre. Charlotte ha del sangue off limits che le scorre nelle vene e questa volta ne ha fatto dono a un film certamente squilibrato, ma altrettanto sicuramente capace di scuotere gli spettatori da qualsiasi possibile torpore. Premio della Giuria ex aequo THIRST Un film di Chan-wook Park. Con Eriq Ebouaney, Kang-ho Song, Ha-kyun Shin, Dal-su Oh, Mercedes Cabral. Titolo originale Bak-Jwi. Thriller, durata 133 min. – Corea del sud 2009 Tutti i film della stagione Drammatico, durata 123 min. – Gran Bretagna, Paesi Bassi 2009. Qui nascono i problemi perché Thirst, come scrive Marianna Cappi “Di orrorifico non c’è nulla o quasi, di nuovo sui vampiri nemmeno; il film non tratta la paura, ma l’amore carnale e l’amore tenero, filmando entrambi senza interruzioni. Ridondante e imperfetto, passa senza posa per situazioni cinematograficamente note e ricorrenti, come un vampiro che torna in diverse epoche, e talvolta la sensazione che tutto sia già stato scritto è forte, ma la penna di Park ChanWook ha un inchiostro unico e il suo quadro e il suo lavoro sul sonoro un’espressività senza pari.” Mentre invece Fish Tank, pur affrontando un tema importante come quello delle dinamiche sociali nell’ambito delle periferie delle grandi città, non riesce a distaccarsi da stereotipi ormai invalsi nel cinema. La stessa scelta di vedere nell’hip hop l’unico vero mezzo di comunicazione e di conferma di sé di Mia, o la facile simbologia del vecchio cavallo da liberare, con la relativa attrazione nei confronti di chi ha una vita nomade si configurano come elementi a elevato rischio di retorica. È però attenta a utilizzare attori, come la protagonista, capaci di evitare le secche di una sceneggiatura non innovativa in materia. Il film dell’anticonformista Lou Ye potrebbe essere sbrigativamente definito un ‘film da festival’. Le caratteristiche le ha tutte: coproduzione internazionale, distribuzione indipendente, un regista vittima ad ogni sua opera della censura di un regime tanto liberista in economia quanto repressivo sul piano ideologico/morale. Con il suo ritratto di una società cinese che è vittima di un’ubriacatura di libertà che è tale solo in apparenza e con l’affrontare il ‘proibito’ tema dell’omosessualità il film non cerca alibi. Anche se ne trova in una giuria che gli conferisce il riconoscimento per la migliore sceneggiatura come se non avesse visto Looking for Eric applaudito in sala da Quentin Tarantino che ama anche i modi di fare cinema differenti dai suoi. Premio per la Regia KINATAY Olivier Père, dopo sei anni fertili di direzione artistica, lascia la Quinzaine per andare a dirigere il Festival di Locarno. Certamente il suo lavoro ha arricchito e contribuito a meglio identificare l’offerta dell’ “anti-festival” gestito dalla Societé des Réalisateurs, che tuttavia intrattiene rapporti di buon vicinato con il Festival ufficiale. Ne fa fede il premio Caméra d’Or per la migliore opera prima, cui partecipano film visti in tutte le sezioni, che ha infatti attribuito il suo premio speciale all’israeliano Ajami, selezionato appunto alla Quinzaine. A dire il vero, qualche problema diplomatico sussiste, se paradossalmente il Festival si è lasciato sfuggire un ottimo Coppola, che ha rifiutato di parteciparvi in proiezione speciale. Meglio l’atmosfera informale e sinceramente cinefila della Quinzaine che non l’implacabile rituale kitsch della “montée des marches”. Tetro è una summa delle ossessioni e un ritorno alle origini dell’ultimo patriarca (non riconosciuto a Hollywood) del cinema americano, girato in bianco e nero, con pochi soldi e un cast povero (fatta eccezione per Vincent Gallo). L’adolescente Benjamin si reca a Buenos Aires alla ricerca di Angelo, un fratello scrittore scomparso, che si fa simbolicamente chiamare Tetro. Il loro progressivo riavvicinamento Un film di Brillante Mendoza. Con Mercedes Cabral, Maria Isabel Lopez, Coco Martin, Lauren Novero, John Regala Drammatico, durata 105 min. – Filippine 2009. Qui nasce il problema più grosso. Quello cioè dell’abissale distanza tra giuria e pubblico (non necessariamente incolto). Perché un conto è sentire il bisogno che il cinema descriva anche i lati più oscuri e sgradevoli della società e un altro è il pensare che il compiacimento nel fare ciò si traduca in forma d’arte. Brillante Mendoza ha ormai mostrato più che a sufficienza il piacere che prova nel mostrare il degrado umano occultandolo sotto una parvenza di denuncia. È la stessa sua estetica che ne denuncia i confini di una consapevolezza difficilmente condivisibile e sterilmente estenuante. Premio per la Sceneggiatura SPRING FEVER FISH TANK Un film di Andrea Arnold. Con Michael Fassbender, Harry Treadaway, Jason Maza, Kierston Wareing, Jack Gordon». Un film di Ye Lou. Con Qin Hao, Wu Wei Titolo originale Chun Feng Chen Zui De Ye Wan. Drammatico, durata 115 min. – Cina 2009. 60 Non resta che riferire di un film a nostro avviso ‘dimenticato’ dalla Giuria (oltre al già citato Looking for Eric). Primo della lista è Motel Woodstock di un Ang Lee capace di tornare alla leggerezza narrativa di Banchetto di nozze senza dimenticare, come sempre, l’acuta osservazione su una società in mutamento. ECCENTRICITÀ E RICERCA ALLA “QUINZAINE”. Flavio Vergerio Film fa riemergere fantasmi di famiglia, gelosie, tradimenti, morti premature. Diventa quasi obbligatorio ricordarsi di Rusty, il selvaggio, storia della dolorosa presa di coscienza del mondo da parte di un adolescente, e naturalmente della saga del Padrino, labirinto inestricabile di tragici rapporti familiari. Anche qui c’è una famiglia di musicisti, gelosie, una morte oscura, lutti difficili da elaborare. Fortemente autobiografico, Tetro esprime forza e sincerità nella ricerca delle ragioni più intime del mondo espressivo di Coppola. Anche quest’anno la Quinzaine ha mantenuto fede alla sua vocazione originaria, cercando ai quattro angoli del mondo (dalla provincia francese alla Corea del Sud e alla Malesia…) nuovi talenti, produzioni indipendenti, nuovi modi di narrare e di rappresentare volti, paesaggi, problemi del nostro mondo. È sempre sorprendente scoprire a Cannes, anno dopo anno, anche per merito dalla Quinzaine, come il cinema sia un’arte giovane, ben lontana dall’aver esaurito la sua funzione creativa ed espressiva. 24 i lungometraggi selezionati, provenienti da ben 15 Paesi diversi: USA (4 film), Francia (5), Canada (3), e con un film ciascuno Israele, Messico, Bulgaria, Singapore, Corea del Sud, Malesia, Belgio, Cile, Portogallo, Cina, Italia, Argentina. In effetti identificare questi film dal punto di vista della loro origine produttiva serve a poco, dal momento che si tratta per lo più di co-produzioni faticose in cui entrano catene televisive e case di distribuzione le più disparate. Il cinema indipendente fa fatica più di altri a realizzare film, se si pensa che Coppola, ormai lontano da più di dieci anni dagli studios hollywoodiani ha realizzato la sua nuova opera in Argentina, producendo in proprio. Altrettanto difficile appare identificare i film in funzione dei generi o dei temi affrontati. Codici narrativi e ricerca espressiva si mescolano spesso tra loro (non solo nei film esposti alla Quinzaine, ovviamente). Quanto ai temi direi che la denuncia e l’analisi socio-politica nei film più riusciti si realizza con un’attenta e rigorosa costruzione di personaggi, con un’indagine psicologica rigorosa delle loro pulsioni esistenziali all’interno dei rapporti familiari e affettivi. È finito il tempo del cinema ideologico a tesi, oggi i registi più consapevoli lasciano liberi i loro personaggi di esistere, senza farci la lezione e indicarci chiavi interpretative. Ma forse questo valeva anche in passato. Realtà e finzione, documento e fantasia, tempo della vita e tempo del cinema, gli eterni binomi del cinema moderno negli autori più originali e consapevoli sono inestricabili e la loro con-fusione è la vera ragion d’essere della loro esistenza. Tutti i film della stagione Quello che mi interessa maggiormente in alcuni film della Quinzaine è la radicalità del loro sguardo, la progettualità estetica, la loro fiducia nell’esistenza in uno spettatore non ancora omologato, attento e reattivo. Così il film che più mi ha colpito è stato Ne change rien del portoghese Pedro Costa, autore ostico e austero, dedito alla rappresentazione della vita immota degli immigrati africani emarginati a Lisbona (alcuni ricorderanno Ossos, premiato a Venezia nel ’97). Qui si tratta di una serie di sedute di prove di registrazione e di concerti di Jeanne Balibar, attrice affermata del nuovo cinema francese (ha girato fra gli altri con Ruiz, Rivette, Assayas, Winterbottom), da qualche tempo cantante di culto, alla maniera delle grandi soliste francesi (ricorda in qualche modo la musa dell’esistenzialismo Juliette Greco, anche se Jeanne dichiara la sua ammirazione per Marylin Monroe, Blossom Dearie, Kurt Weill e le sue cantanti tedesche, Aretha Franklin, Patti Smith, Blondie, Nico e Mo Tucker). Costa registra in lunghi piani fissi la ricerca ossessiva dell’accordo, della modulazione del ritmo e del giusto rapporto fa parola e musica, che la Balibar realizza in un lavoro estenuante di confronto con il chitarrista e compositore Rudolph Burger. La Balibar esegue canzoni originali o rivisita motivi famosi quali Johnny Guitar o la Perichole di Offenbach, in uno stile estenuato e rarefatto. Il regista immerge nell’ombra i corpi dei musicisti e della cantante, illuminati da tagli di luce inquietanti. Il film non comunica altro che il mistero della creazione artistica, fatto di ricerca ossessiva di una forma che dia corpo alla propria inquietudine esistenziale. La cantante dice che, al contrario dell’arte attorale, fondata sul conflitto, nella musica c’è “unisono”, armonia, la sincope (altra forma di accordo, di tregua). “Fare musica, per me, contiene sempre una meravigliosa promessa d’abbandono”. Straordinario anche il risultato espressivo della giovane cinese Liu Jia Yin, che in Oxide II mette in scena in soli nove piani fissi (della durata di complessivi 132 minuti, che sono una deliziosa sorsata di acqua limpida) una tavola, prima banco di lavoro, poi desco in cui si prepara e si consuma il cibo, attorno cui si muovono tre soli personaggi, il padre, la madre e la stessa regista, un tipetto minuto e allegro. Nella prima parte assistiamo al lavoro preciso e meticoloso del padre, artigiano che fabbrica semplici borse di pelle, nella seconda si prepara il cibo, i tipici ravioli cinesi, in un rituale antico e sapiente, nel terzo il gruppo consuma il pasto in un’atmosfera di serenità. Dietro l’apparente banalità quotidianità delle azioni, la 61 giusta distanza dai personaggi e la misura temporale (che sono il vero tema del film) evidenziano il senso di un’esistenza vissuta in armonia con il proprio lavoro e con gli altri. L’artigiano esprime la sua creatività nella cura estrema dei gesti, che assurgono quasi a una forma di ritualità religiosa, cura che egli pone assieme alla moglie nella preparazione dei ravioli, la cui tecnica viene trasmessa amorosamente alla figlia. Ma dietro questo scenario che potrebbe apparire idillico incombe la minaccia della “modernità”: l’uomo è preoccupato di non potere più pagare l’affitto del laboratorio e di dover licenziare i suoi operai. Esprime così amaramente il suo orgoglio di artigiano-artista e la sua dignità di uomo messi in crisi da un fuori campo incombente e incontrollabile. Altro film memorabile mi è apparso Yuki § Nina dell’attore francese Hippolite Girardot al suo esordio nella regia e del giapponese Nobuhiro Suwa, storia di una separazione di due bambine amiche del cuore, che non vogliono accettare il divorzio dei genitori. La madre giapponese vorrebbe ritornare in patria con la figlia Yuki, ma nell’imminenza del viaggio le due bambine si ribellano e fuggono, affrontando un viaggio verso l’ignoto. Qui, superando il supposto realismo della prima parte, il film si inoltra in uno scenario fiabesco, in cui realtà e fantasia (del regista, della bambina?) si allacciano misteriosamente. La due bambine si inoltrano in una fitta foresta, Yuki perde la compagna e si ritrova in una radura magica ai margini di un villaggio giapponese ove incontra una antica compagna di giochi e le sue origini dimenticate. Il fascino del film consiste nel lasciare incerte e indeterminate le visioni finali, forse proiezioni mentali del desiderio di Yuki, materia dei suoi sogni, bisogno di armonia e di pacificazione. Il disagio sociale e i conflitti etnici dello scenario medio-orientale si articolano angosciose storie famigliari in Ajami, matura opera prima del palestinese Scandar Copti e dell’israeliano Yaron Shani. Ajami è un tumultuoso quartiere di Jaffa ove convivono Ebrei, Mussulmani e Cristiani. Quattro diverse storie si intrecciano mettendo in rapporto personaggi altrimenti lontani fra loro. Clan famigliari e bande mafiose dedite allo spaccio di droga si contrappongono anche in modo violento. Significativo il fatto che a tirare le fila dei rapporti sociali e dei traffici illeciti sia un boss cristiano autoritario e razzista. L’intreccio labirintico delle quattro storie (si pensa ai meccanismi narrativi di Iñarritu, ma qui la struttura ha una sua intima necessità) comunica la sensazione che i destini dei personaggi siano intimamente legati, quasi che Film la salvezza degli uni dipenda anche e soprattutto dagli altri. La struttura ripetitiva e concentrica funziona anche come occasione di osservare la realtà da opposti punti di vista, così che lo schema aggressore-aggredito viene talvolta problematizzato e capovolto.Il film comunica l’inquietante sensazione di precarietà delle esistenze e di un groviglio inestricabile di rapporti sociali fondati sul pregiudizio e la violenza. Da segnalare Amreeka (America) di Cherien Dabis, storia di palestinesi emigranti forzati negli USA. In effetti il film è una co-produzione americana-canadese-kuwaitiana. Mona, la protagonista è una donna di mezza età, divorziata e madre di Fadi, un adolescente. Preoccupata per il futuro, ma dotata di ottimismo e senso pratico, abbandona il suo piccolo lavoro in banca e raggiunge la sorella immigrata nel lontano Illinois. Ma siamo al tempo della guerra dichiarata da Bush all’Iraq e tutti gli Arabi vengono visti con sospetto, come possibili terroristi. Così Mona e Fadi provano sulla loro pelle gli aspetti scostanti dell’ospitalità americana. Mona si rende conto amaramente della propria condizione di rappresentante di una minoranza mal sopportata sia nella propria terra d’origine sia in America. Mona e Fadi troverano però un amico in un altro emarginato, un anziano professore polacco, a sua volta divorziato, con cui forse potranno fondare una nuova famiglia e una nuova comunità. Film che nella sua linearità ed efficacia narrativa rappresenta una bella dimostrazione di come si possa superare la didascalicità per avvicinarci alla verità dell’uomo. Un buon numero di film erano dedicati alla condizione giovanile e ai conflitti famigliari. Da segnalare: Le beaux gosses del francese di origini siriane Riad Sattouf, descrizione dell’ossessione sessuale (“la prima volta”) di una coppia di ragazzini, ove si mette in scena senza moralismi la pratica ossessiva della masturbazione; Eastern Plays del bulgaro Kamen Kalev, vicenda tragica di due fratelli posti di fronte all’insorgere del neo-nazismo xenofobo nel loro paese di frontiera fra mondo mussulmani ed Europa; La famiglia Wolberg della francese Axelle Ropert, storia della dissoluzione di un equilibrio famigliare minato dall’autoritarismo del padre, sindaco iperattivo di un piccolo centro di provincia; Go Get Some Rosemary dei giovani registi minimalisti nuovayorchesi Josh e Benny Safdie, descrizione condita di slap-stick dei difficili 15 giorni in cui un uomo divorziato di mezza Tutti i film della stagione età, lavoratore precario in un cinema, deve accudire due pargoletti, indeciso fra la condizione di padre e di compagno di giochi; J’ai tué ma mère del giovanissimo canadese Xavier Dolan, a dispetto del titolo provocatorio una delicata descrizione della vicendevole accettazione di un sedicenne omosessuale e di una madre un poco oppressiva. E infine il grottesco e affettuoso La merditude des choses dello spiritoso trentenne belga Felix va Groeningen, ritratto impietoso di un gruppo famigliare proletario dedito al sesso, alla birra e alla droga, visto con gli occhi di un tredicenne che, malgrado tutto, riconosce in esso i valori di una comunità solidale. UN CERTAIN REGARD 2009 Veronica Maffizzoli I venti film selezionati per il Regard 2009 hanno contraddistinto una sezione firmata da Autori già affermati, più che da giovani registi ai loro esordi, con una programmazione proiettata verso la qualità e la professionalità, pur lasciando spazio anche ad uno squarcio su alcuni temi caldi e possibili scandali cinematografici. Mentre sono state appena due le opere prime, si sono allineati in cartellone, nomi, anche se non sempre di forte carisma, come Alain Cavalier o Pavel Linguine,certo ormai di fama collaudata, senza aver bisogno di ulteriori presentazioni come Denis Dercourt, Barman Ghobadi, Hiro-kazu Kore-Eda, Mia HansenLove, Joao Pedro Rodrigues, Bong Joon-Ho, Pen-ek Ratanaruang, Corneliu Porumboiu, Lee Daniels, Nikolay Khomeriki. Con la loro presenza hanno confermato il valore di una sezione “parallela”, che non ha avuto nulla da invidiare al concorso ufficiale. E così il nazional Premio della Giuria di Cannes 2008 Paolo Sorrentino, Presidente della Giuria, ha dovuto guidare la difficile scelta dei vincitori tra importanti pellicole provenienti da ben quattro continenti, dall’Oceania alle Americhe, dall’Asia all’Europa dell’Est come dell’Ovest, sia pure con nessuna presenza italiana, se non quella dell’attrice Chiara Caselli nel film francese Le père de mes enfants. Il Gran Premio “Un Certain Regard” 2009 è stato assegnato a Kynodontas (Canino) del greco Yorgos Lanthimos e soltanto il Premio della Giuria a uno dei film favoriti della vigilia, Politist, Adjectiv (Aggettivo, Poliziotto) del promettente regista rumeno Corneliu Porumbiou, da quest’anno anche direttore artistico del festival di Karlovy Vary. 62 Due invece sono stati gli speciali ex-aequo, uno all’interessantissimo iraniano Kasi Az Gorbeaye Irani Khabar Nadareh (No one Knows about Persian Cats) di Bahman Ghobadi, basato sulla realtà musical-sociale underground di Teheran, e uno all’ applauditissimo Le père de mes enfants di Mia HansenLove. Yorgos Lanthimos, alla seconda pellicola, ha strappato alla Giuria un Premio abbastanza discusso, per un film per niente nuovo, piuttosto lineare e schematico che tende a giocare sulla provocazione di immagini di assoluta e gratuita crudeltà. Protagonista una famiglia patriarcale, (con madre debole, due figlie e un figlio adolescenti) che vive reclusa dentro la grande villa isolata, dalla quale solo al padre è permesso uscire. Costruita sul modello della dittatura, la storia si sviluppa secondo dinamiche di annullamento della persona e assoluto isolamento dall’esterno, con personaggi le cui età anagrafiche non coincidono con quelle intellettuali e oppressioni tali che solo la morte appare l’unica via di scampo. Peccato, però, che il messaggio dell’autore risulti fin troppo elementare e chiaro, senza che vi sia un lavoro più attento nella scrittura e una impronta registica di forte consapevolezza critica. Politis, Adjectiv, anch’essa opera seconda di Corneliu Poromboiu, già Camera d’or per A est di Bucarest nel 2006, è una commedia sociale politicamente amara. Protagonista è il poliziotto Cristi, che decide di rifiutare ordini e regole e non arrestare un giovane studente, accusato di uso di hashish, visto che di lì a pochi giorni la legge statale lascerà posto alle ben diverse direttive europee. La sua scelta viene quindi vissuta come gesto di responsabilità sul futuro dello studente. Si sviluppa così, tutta una questione di coscienza, la quale è magistralmente affrontata con il comico e pungente confronto del poliziotto con il suo superiore e un collega, per il quale, vocabolario alla mano, il termine stesso assume un significato opposto. Giocato sul pedinamento del “sospettato”, il film prende forma attraverso la realistica noia dei procedimenti polizieschi, dei vuoti silenzi, delle inutili attese, con interventi a pausativi refrain delle incursioni domestiche di Cristi e fidanzata che, colti in situazioni ridicolmente surreali, ci introducono a ironici confronti idonei a muovere una critica reale contro uno Stato europeo, che non si sente tale, rimasto legato a retaggi storici e psicologici di un passato autoritario. Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA PESARO, 21-29 GIUGNO 2009 ISRAELE, LATTUADA E NUOVI AUTORI. A cura di Flavio Vergerio Molto significativa l’edizione 2009 della Mostra di Pesaro, che ha proposto un’imperdibile rassegna del sempre più interessante nuovo cinema israeliano, un’accurata rivisitazione critica di un autore a torto dimenticato della grande stagione del cinema italiano, Alberto Lattuada, una retrospettiva del filmaker sperimentale Paolo Gioli. Malgrado le improduttive nostalgie di vecchi cinefili che rimpiangono le edizioni di Pesaro degli anni ’60-’70, in cui si teorizzava un cinema che fosse soprattutto testimonianza di impegno e di denuncia politica, la Mostra di Pesaro continua a essere l’occasione di scoperta e di studio del “nuovo” cinema più importante nel variegato panorama dei “piccoli” festival, alieno dalla dispersione e dallo spreco (non solo finanziario) di Venezia e Roma. Quest’anno, oltre alle tre retrospettive monografiche, anche l’offerta di film inediti o “scoperti ” a Rotterdam o Cannes, è apparsa più stimolante e più coerente con l’antica anima “non riconciliata” di Pesaro. Certo, per quanto riguarda il “Concorso” e gli eventi speciali delle proiezioni all’aperto, il direttore Spagnoletti deve fare i conti con le disattenzioni di una “piazza” disturbata da luci e rumori, ma è riuscito a conciliare le esigenze del pubblico estivo con il rigore di alcuni film impegnativi. Notevole, ad esempio, The Time That Remains del palestinese Elia Suleiman, amaro ritorno autobiografico nella natia Nazaret del regista, all’interno di una comunità sempre più stanca e disperata sotto l’assedio dello stato israeliano. Suleiman, già adottato dalla critica in occasione del suo precedente Intervento divino (2002), ha una cifra stilistica molto originale, al tempo stesso grottesca e astratta, fra Kaurismaki e Tati, che bene illustra la condizione esistenziale di una famiglia di “arabi-israeliani” che non hanno abbando- nato il loro paese e che sembrano solo aspettare la propria dissoluzione. Notevole l’esordio nella regia dello spagnolo Carlos Serrano Azcona, collaboratore dell’affermato messicano Carlos Reygadas, con El arbol, storia di solitudine e disperazione di un uomo abbandonato da moglie e figli. L’uomo viene pedinato a lungo dalla mdp nel suo vano vagabondare per le strade di un’anonima cittadina. Ma ciò che sembra un esercizio virtuosistico di vuoto “realismo” nasconde una profonda ricerca spirituale che si rivela nel contatto simbolico con un albero e forse con la fede, impersonata da un prete e da un quartetto di ragazze che intonano un lied di Mozart. Della retrospettiva dedicata a Lattuada è stato proposto all’aperto Cuore di cane (1978), uno dei film più ambiziosi del regista milanese. Tratto da un celebre romanzo di Bulgakov, il film narra la vicenda surreale di uno scienziato che innesta nel corpo di un cane randagio gli organi vitali di un funzionario, creando un umanoide che assomma in sé tutti i difetti della borghesia e della burocrazia comunista nascente (siamo nel 1917). Oltre al citato film di Suleiman, della retrospettiva dedicata a Israele è stato proposto l’intenso Tehilim (2007) di Raphael Nadjari, film metaforico sulla crisi di una famiglia (lo stesso Israele) sconvolta dalla misteriosa scomparsa del padre. Senza la presenza unificante dell’uomo, la madre e i figli vivono una drammatica crisi di identità. In particolare il sedicenne Menachem vive una sorta di misticismo religioso che sublima le sue pulsioni sessuali. La madre si chiude sempre più in se stessa. La donna e i due figli solo dopo un percorso doloroso accetteranno la propria solitudine in una nuova dimensione di dignità e consapevolezza. 63 Fra gli altri film del Concorso mi sono apparsi interessanti, più che il premiato La pivellina di Tizza Covi e Rainer Frimmel, storia di solidarietà di due circensi emarginati che accolgono una bambina abbandonata, viziato forse da un certo patetismo, Medicine for Melancholy dell’americano Barry Jenkins (ritratto amaro di due giovani afroamericani alla ricerca di un’identità che continua a essere negata alle minoranze etniche negli USA), Fixer: the Taking of Ajmal Naqshbandi dell’americano Ian Olds (documentario girato nell’incerta terra di nessuno afgana battuta dai Talebani al seguito di un reporter americano e del suo interprete, catturati dalla guerriglia e accusati di spionaggio), The Day After del coreano Lee Suk-gyung (lunga confessione terapeutica fra due donne divorziate, con scambio simbolico delle rispettive personalità). Bande à part, lo spazio dedicato al cinema “curioso” di nuove e più radicali forme narrative e espressive, ha offerto l’ennesima conferma della vitalità inesauribile del cinema “indipendente”. Rachel della franco-marocchina Simone Bitton (già autrice di Mur) ricostruisce in un’agghiacciante inchiesta “giornalistica” l’assassinio, occultato dai militari e dai media israeliani, di una giovane americana impegnata in una dimostrazione pacifista nella striscia di Gaza. Film Ist. A Girl & a Gun. dell’austriaco Gustav Deutsch è un assemblaggio provocatorio di disparate immagini di storia del cinema tese a dimostrare la preminenza della violenza e del sesso nella relazione fra uomini e donne. Fra la guerra e l’amore visto come desiderio il regista propone beffardamente il primato dell’eros. Bahoz (The Storm) del turco Kazim Õz descrive la caduta agli inferi di un giovane curdo, universitario a Istanbul, irretito dalle uto- Film pie rivoluzionarie, militante impegnato in azioni terroriste, arrestato e torturato. Il protagonista torna infine al suo villaggio natale fra le montagne, partecipe della vita comunitaria della sua gente. La video-artista Carola Spadoni con Meeting the SEWA Movement ha condotto un’inchiesta fra le difficoltà di un movimento cooperativistico di contadine indiane che lottano per migliorare le proprie condizioni di vita. Straordinario il ritratto di una contadina diventata a sua volta filmaker, impegnata a girare documentari sulla vita delle sue compagne. E veniamo rapidamente alle retrospettive. Il cinema israeliano sembra rappresentare la vera coscienza critica del Paese, unitamente alla schiera dei suoi grandi scrittori. Divisi fra l’ansia di proteggere il proprio spazio vitale e l’apertura verso gli arabi (per ora) sconfitti, i cineasti israeliani sembrano far proprio la prospettiva di questi scrittori che considerano “più facile e meno doloroso rinunciare a pezzi di terra che riflettere storicamente su noi stessi, riconoscendo che la nostra fondazione ha portato con sé dolore e catastrofe per un altro popolo”. In effetti il cinema israeliano non si manifesta solo come riflessione storico-politica, ma anche come strumento di indagine socioculturale sulla struttura famigliare, la condizione della donna, il rapporto fra integralismo e laicità, le relazioni nel lavoro e negli affetti fra ebrei e palestinesi, uno sguardo poliedrico sulla complessità della inquieta società israeliana. Spesso i registi sembrano registrare i fatti senza prendere posizione, ma la loro forza consiste nello sguardo diretto e impietoso posato sulla drammaticità delle situazioni, obbligando lo spettatore a una reazione critica. Spiazzante, ad esempio, 5 Days di Yoav Shamir che documenta lo sgombero forzato di ottomila coloni dalla striscia di Gaza e dal West Bank, voluto dall’ex-premier Sharon. Il film registra con la tecnica del cinema-verità un coacervo inestricabile di situazioni e sentimenti contradditori: la disperazione dei coloni unita alla violenza con cui distruggono le case per non abbandonarle agli Arabi, le affermazioni con cui l’ultimo occupante giustifica con una male intesa tradizione religiosa il possesso illegittimo della terra, l’attesa dolorosa dei palestinesi di ricuperare il loro spazio vitale. Significativa la testimonianza del generale inviato a dirigere lo sgombero, che rivela con imbarazzanti silenzi e mezze ammissioni il suo dissenso sulla politica del suo governo e sull’ottusa chiusura dei coloni. Un metodo di rappresentazione “minimalista” viene utilizzato da Dalia Hager e Vidi Blu, che in Close to Home descrivono il lavoro di controllo dei cittadini palestinesi (tutti Tutti i film della stagione sospettati di possibile terrorismo) in Gerusalemme. Le due protagoniste, ancora adolescenti, prestano il lungo servizio militare obbligatorio con un atteggiamento completamente diverso nei confronti degli arabi, l’una più ligia al compito, l’altra più critica e alla fine ribelle. Slaves of the Lord di Hadar Friedlich appare una dura contestazione alle tradizioni religiose come somma di riti e cerimonie lontane da una vera fede. Una adolescente si prepara alla festa di entrata nella comunità dei fedeli, il Bar-Mitzvah. Convinta di essere impura si sottopone a una serie di riti di purificazione, ma entra nella depressione e finisce col soccombere al senso di colpa. Accanto ai film sull’infinito conflitto bellico con i palestinesi (in particolare il drammatico Beaufort di Jpsdeph Cedar) vanno segnalate le opere dedicate alla struttura rigidamente maschilista della famiglia israeliana (I sette giorni di Ronit e Shlomi Elkabetz e Tehilim di Raphael Nadjari), la complessa identità storico-culturale della nazione israeliana (I figli del sole di Yaldeh Ha’shemesh e Odessa... .Odessa di Michale Boganim). La dramatica condizione della donna viene illustrata dal drmmatico ritratto di una matura prostituta e dal copione famigliare, una sorta di profezia autoverificantesi, che porterà la figlia a percorrere la stessa caduta agli inferi della madre (Or di Keren Yedaya). A proposito dei pregiudizi ideologici che hanno impedito alla critica di attribuire il giusto valore a molti registi italiani che operarono nei primi anni del dopoguerra e poi del “boom” economico, Sergio Toffetti, nel saggio d’apertura del bel volume “L’inganno più dolce – Il cinema di Alberto Lattuada” ricorda come lo stesso Roberto Rossellini fosse sottoposto ai sospetti e alla disattenzione della critica dopo la celebrata “trilogia della guerra” quando sembrò “deviare” verso soggetti “spiritualisti”. Sfuggiva (e sfugge) ai più che la visione del mondo di un artista si esprime nel come egli rappresenta quel mondo, sulle sue figure ricorrenti, sugli aspetti misteriosi delle relazioni umane. Ebbene, nel caso di Alberto Lattuada la critica fu spesso prevenuta e anche negativa nei confronti di dei suoi film giudicati incoerenti e ambigui sul piano “politico”. Se è vero che Lattuada ha affrontato nella sua lunga carriera, dal 1943 al 1989, storie e temi apparentemente lontani fra loro, la sua coerenza d’autore va ricercata nel suo stile raffinato, nelle sue atmosfere “morbide”, nella fine descrizione di tormentate psicologie femminili, nella drammatica attrazione dei sensi spesso vissuta da uomini adulti per fanciulle falsamente ingenue. Ma sarebbe riduttivo imprigionare una personalità complessa, sfuggente e anticonformista 64 quale quella di Lattuada in formule forzosamente schematiche. Mi sembra significativo ricordare che Lattuada era un intellettuale milanese di “buona famiglia”, autore di novelle e poesie apparse su riviste importanti quali “Domus” e “Corrente”. Dopo la laurea in architettura, collaborò a vario titolo a alcuni cortometraggi e realizzò un notevole album di fotografie. Divenne poi cosceneggiatore e aiuto-regista dei maggiori esponenti del “calligrafismo”, Mario Soldati e Fernando Maria Poggioli. Il suo esordio nel cinema come regista manifesta la grande cura formale della “messa in scena”. Giacomo l’idealista (1943), tratto da un romanzo dello “scapigliato” Emilio De Marchi, contiene già in nuce la visione pessimistica, fortemente critica (che diventerà successivamente sarcastica e persino grottesca) delle relazioni fra le classi e fra i sessi. Giacomo, giovane socialista pieno di speranze ama la servetta Cristina e le giura eterno amore. Ma questa viene sedotta dal figlio dissoluto di una famiglia di aristocratici e viene allontanata. Giacomo, vinto e deluso , la abbandona salvo sposarla in punto di morte. Un certo patetismo romantico nuoce allo sviluppo del racconto, ma è un limite da cui Lattuada si libererà rapidamente. Anche la sua opera seconda, completata subito dopo la Liberazione, il dimenticato La freccia nel sangue, anticipa uno dei temi che il regista svilupperà poi nei più noti Guendalina (1957) e Dolci inganni (1960): la sessualità adolescenziale. Si tratta qui dell’amore “impossibile” di un ragazzino per una donna più grande di lui, chiuso dal suicidio di lei. In altri film, il regista porrà più chiaramente il problema di una sana e libertaria educazione sessuale, fuori da vieti tabù e ipocrisie. Ma Lattuada ha vissuto anche una malintesa stagione “neorealista”. La guerra e il primo dopoguerra fu da lui descritto non come la stagione delle speranze resistenziali, ma doloroso itinerario di “spostati” alla ricerca della pura sopravvivenza (Il bandito, 1946 e Senza pietà, 1948). Lattuada è anche il regista di uno dei più efficaci e premonitori film sulla mafia (Mafioso, 1962), in cui Alberto Sordi, siciliano emigrato a Milano, viene inviato a New York per uccidere, al tempo stesso vittima e carnefice di un sistema di morte pervasivo. Bisogna infine ricordare il Lattuada fustigatore sarcastico dei falsi valori borghesi perbenisti (La spiaggia, 1954, storia di una prostituta che si fa accettare nell’ambiente sofisticato di un albergo di lusso solo sposando un vecchio ricco), Venga a prendere il caffè da noi (1970, velenosa descrizione dei piccoli vizi di provincia, da un noto romanzo di Piero Chiara). Flavio Vergerio