INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica

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INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica
INTERVENTI
IV Corso internazionale
di Topografia e Geomatica
Madrid
di Fausto Savoldi
COSTRUZIONI
Gino Zavanella
e le sue architetture
PROTAGONISTI
Filippo Re Grillo
Agrimensore/Geometra
IDEE
Biografia
degli oggetti:
il ciclo di vita?
“La semplicità
è la forma più alta della perfezione”
Leonardo Da Vinci
Dall’esperienza ventennale in
materia di ICI e altre
imposte immobiliari...
nasce
EXPERT
imu
il software
indispensabile per
► Calcolo completo dell’Imposta Municipale Propria
(IMU) per gli immobili posseduti
► Calcolo delle detrazioni applicabili su base mensile
secondo la situazione familiare di ciascun soggetto
(importi detraibili, figli conviventi)
► Gestione delle riduzioni ed esenzioni secondo le
ultime disposizioni di legge (immobili storici/artistici;
terreni e fabbricati rurali in comunità montane ecc.)
► Gestione completa rateizzazione per abitazione
principale
► Importazione dati da visura catastale in formato PDF
► Calcolo degli acconti IMU utilizzando le aliquote di
legge con codici tributo di cui alla Risoluzione 35/E
dell’Agenzia delle Entrate del 12/04/2012
► Calcolo del valore per i fabbricati del Gruppo D e
stima del valore per le aree fabbricabili
► Stampa del nuovo Modello F24 approvato con
provvedimento AdE del 12 aprile 2012
► Stampa della Dichiarazione IMU (non appena
approvato il nuovo modello)
software per il calcolo dell’Imposta
Municipale Propria
Altre caratteristiche
► Calcolo automatico del valore imponibile
dell’immobile sulla base della rendita, della
categoria, del coefficiente di rivalutazione, del
moltiplicatore catastale e della quota e dei mesi di
possesso, secondo le ultime disposizioni di legge
► Coefficienti di cui al Decreto MEF 5 aprile 2012,
pubblicato sulla GU n. 85 del 11 aprile 2012
► Memorizzazione di tutti i documenti prodotti per
futura consultazione
► Assistenza tecnica compresa nel prezzo
► Aggiornamenti continui scaricabili da internet
Offerta speciale Expert IMU
a soli 79,00€ +IVA valido
fino al 30/06/2012!
Geo
R
network
software per l’edilizia
e lo studio professionale del futuro
Geo Network s.r.l.
Via Mazzini, 64 - 19038 Sarzana (SP)- Tel. 0187 622198 - Fax 0187 627172
[email protected] - www.geonetwork.it
azienda certificata
Dall’esperienza ventennale in
materia di ICI e altre
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nasce
EXPERT
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il software
indispensabile per
► Calcolo completo dell’Imposta Municipale Propria
(IMU) per gli immobili posseduti
► Calcolo delle detrazioni applicabili su base mensile
secondo la situazione familiare di ciascun soggetto
(importi detraibili, figli conviventi)
► Gestione delle riduzioni ed esenzioni secondo le
ultime disposizioni di legge (immobili storici/artistici;
terreni e fabbricati rurali in comunità montane ecc.)
► Gestione completa rateizzazione per abitazione
principale
► Importazione dati da visura catastale in formato PDF
► Calcolo degli acconti IMU utilizzando le aliquote di
legge con codici tributo di cui alla Risoluzione 35/E
dell’Agenzia delle Entrate del 12/04/2012
► Calcolo del valore per i fabbricati del Gruppo D e
stima del valore per le aree fabbricabili
► Stampa del nuovo Modello F24 approvato con
provvedimento AdE del 12 aprile 2012
► Stampa della Dichiarazione IMU (non appena
approvato il nuovo modello)
software per il calcolo dell’Imposta
Municipale Propria
Altre caratteristiche
► Calcolo automatico del valore imponibile
dell’immobile sulla base della rendita, della
categoria, del coefficiente di rivalutazione, del
moltiplicatore catastale e della quota e dei mesi di
possesso, secondo le ultime disposizioni di legge
► Coefficienti di cui al Decreto MEF 5 aprile 2012,
pubblicato sulla GU n. 85 del 11 aprile 2012
► Memorizzazione di tutti i documenti prodotti per
futura consultazione
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► Aggiornamenti continui scaricabili da internet
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azienda certificata
INTERVENTI
IV Corso internazionale
di Topografia e Geomatica
Madrid
di Fausto Savoldi
COSTRUZIONI
Gino Zavanella
e le sue architetture
PROTAGONISTI
Filippo Re Grillo
Agrimensore/Geometra
IDEE
Biografia
degli oggetti:
il ciclo di vita?
“La semplicità
è la forma più alta della perfezione”
Leonardo Da Vinci
MAggiO - giugnO 2012 21
GEOCENTRO/magazine
Periodico bimestrale
Anno IV N. 21
Maggio - Giugno 2012
DIRETTORE
RESPONSABILE
Franco Mazzoccoli
[email protected]
COMITATO
Fausto Amadasi
Carmelo Garofalo
Leo Momi
Bruno Razza
Mauro Cappello
Lucia Condò
Gianfranco Dioguardi
Stig Enemark
Franco Laner
Norbert Lantschner
Pier Luigi Maffei
Franco Minucci
Elisabetta Savoldi
Marco Simonotti
Antonella Tempera
COORDINAMENTO
REDAZIONE
Claudio Giannasi
A.D. e IMPAGINAZIONE
Filippo Stecconi
Francesca Bossini
www.landau.it
EDITORE
Fondazione Geometri Italiani
Via Cavour 179/a
00184 Roma
Tel. 06 42744180
Fax: 06 42005441
www.fondazionegeometri.it
STAMPA
artigraficheBoccia
www.artigraficheboccia.it
Carta interni:
riciclata Cyclus Print gr. 100
RESPONSABILE
TRATTAMENTO DATI
Franco Mazzoccoli
PUBBLICITÀ
Fondazione Geometri Italiani
Via Cavour 179/a
00184 Roma
Tel. 06 42744180
Fax: 06 42005441
[email protected]
ABBONAMENTI 2012
Annuo: euro 50
Un numero: euro 10
Richiesta via e-mail
[email protected]
e versamento a:
Banca Popolare di Sondrio
Intestato a:
Fondazione Geometri Italiani
Codice IBAN: IT27 F056 9603 2270
0000 2132 X22
RICHIESTE VARIAZIONE
INDIRIZZO DI SPEDIZIONE
Tel: 06 42744180
COPYRIGHT
È vietata la riproduzione,
anche parziale, di articoli,
fotografie e disegni
senza la preventiva autorizzazione
Autorizzazione del Tribunale di
Roma n. 250 del 29 maggio 2003
7
EDiTORiALE
FORMULE
REGOLE
COMPORTAMENTI
di Franco Mazzoccoli
8
inTERVEnTi
IV Corso internazionale
di Topografia e Geomatica
Madrid
di Fausto Savoldi
10
CiPAg/STRuMEnTi
GRETA
Professional Network
per le nuove
sfide del mercato
di Vincenzo Acunto
14
iSTRuZiOnE
Fondazione
Pavia Città
della Formazione
Istituto Tecnico Superiore
per l’Edilizia innovativa
19
PROFESSiOni
“Collegare
filiere formative
e filiere produttive
per la crescita
del Paese”
14
19
24
37
24
PROTAgOniSTi
Filippo Re Grillo
Agrimensore
Geometra
37
COSTRuZiOni
Gino Zavanella
e le sue architetture
50
EVEnTi
Biennale di Architettura
2012
Venezia 29/8 – 25/11
Padiglione Italia
“GeoEvenTus”
Geometri allo Juventus
Stadium
51
iDEE
Biografia
degli oggetti:
il ciclo di vita?
59
AMBiEnTE
I segni della storia
e le nuove tecnologie:
il Parco delle Crociere
di Orbetello
62
EDiLiZiA
Salvare i fabbricati
terremotati
si può e si deve
51
di Marco Biffani
65
MiSuRE
Studiare la Terra
osservando l’universo:
il VLBI geodetico
per la misurazione
delle deformazioni
crostali nell’area Padana
di Pierguido Sarti
62
69
69
88
FORMAZiOnE
Ex ligno
pontes facere
di Franco Laner
77
80
SOCiETà E COSTuME
La Bottega
di Pierluigi Ghianda
ebanista e falegname
iMPiAnTi
I componenti
fondamentali
dell'impianto elettrico
Terza lezione
di Mauro Cappello
96
nEWS
RECEnSiOni
“Un viaggio
lungo quarant’anni”
77
Per questo numero si ringrazia
Vincenzo Acunto
Vincenzo Bellavia / Presidente del
Collegio dei Geometri e dei Geometri
Laureati della Provincia di Agrigento
Marco Biffani
Giovanni Fanucchi
Giorgio Marri
Pierguido Sarti
Gino Zavanella
Online
80
La rivista è consultabile agli indirizzi
web: www.fondazionegeometri.it,
www.cng.it, www.cassageometri.it
Sezione “Geocentro”
Crepe nei muri?
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EDITORIALE
FORMULE
REGOLE
COMPORTAMENTI
di Franco Mazzoccoli
Direttore di GEOCENTRO/magazine
Viviamo in una realtà economica priva di regole che porta
alla distruzione del pianeta. Nel contempo tutti stanno
cercando, avendo coscienza della crisi, nuove formule e
comportamenti per cambiare questa situazione.
Nell'attività di progettazione: GREEN, SUSTAINABLE,
NORMAL, sono aggettivi “nuovi” che hanno dei precisi
riferimenti obbligati all'Economia, all'Impresa, al Mercato,
agli Utilizzatori.
Questi riferimenti ci portano a pensare a nuovi modelli
con nuove regole di: città, abitazioni, mobilità, nuovi
prodotti, sistemi e servizi, fonti energetiche, sicurezza, ed
anche del consumo alimentare.
Stiamo finalmente riflettendo sui nostri scorretti
comportamenti nei confronti della Terra e l'impegno ad
amarla, cosi come fanno i contadini, seguendo principi
di educazione alimentare, e non continuare ad essere
consumatori di terra, acqua ed aria. Senza regole.
Proprio del suolo ne facciamo un uso non controllato nello
sviluppo delle città. Unico rimedio è quello di “costruire
sul costruito”, come molti sostengono, al posto di costruire
su spazi liberi.
L’impatto ambientale delle infrastrutture, dei prodotti, dei
servizi si determina fino all'ottanta per cento. Le scelte e
le soluzioni adottate in questa fase progettuale (materiali,
modalità, energia in fase di gestione e di dismissione) sono
molto meno dannose. In tema di progetto siamo invitati a
riflettere su quanto scritto da E. Miller (Autore di Testi sul
Costruire e l'Economia):
“Pensa al sistema nel suo complesso: il disegno di un
congegno come una pompa o un sistema d'irrigazione non
rappresenta che il dieci per cento della soluzione: il restante
novanta per cento comprende distribuzione, formazione,
manutenzione, organizzazione dei servizi, modelli societari
e imprenditoriali”.
Proprio riflettendo sul “restante novanta per cento” penso
alle possibilità delle diverse figure professionali dei Tecnici:
Geometri, Architetti, Ingegneri, Periti, di “pensare al
sistema” mettendo in atto le proprie competenze avendo
la conoscenza approfondita ed aggiornata, la sicura abilità
in un dato campo, senza accentrare in un solo operatore il
privilegio che annulla il sistema. In un particolare momento
politico che vede ancora i Geometri vivere l'attesa di nuove
regole per la definizione nell'attività progettuale.
Ed in questo conta tanto il processo della istruzione e
formazione delle persone coinvolte, così come discusso
in occasione della seconda Conferenza dei Servizi sugli
Istituti Tecnici Superiori “Collegare filiere formative e
filiere produttive per la crescita del Paese”, tenutasi di
recente a Roma, nella quale sono intervenuti, fra gli altri, il
Sottosegretario Elena Ugolini, il Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo e il
Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera che
ha sottolineato l’importanza e il ruolo del Istituto Tecnico
Superiore nella nuova filiera dell’Istruzione.
Al proposito interessante iniziativa è l'istituzione della
Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto Tecnico
Superiore per le nuove tecnologie per il Made in Italy “sistema casa” che offre una risposta avanzata per formare
Tecnici e Geometri in grado di operare nel mondo delle
costruzioni. E che vede, fra i Soci fondatori, la Fondazione
Geometri Italiani e il Collegio Provinciale Geometri e
Geometri Laureati di Pavia.
Parlando di progettare sulla base del “sistema” un
bell'esempio e quello che ci racconta l'Architetto Luigi
Zavanella progettista di Stadi di nuova concezione ed
attenti alla sostenibilità, come lo Juventus Stadium di
Torino e lo Stadio della Città di Palermo.
Interessanti le considerazioni svolte da Emanuela
Scarpellini, docente di Storia contemporanea presso
l’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del
Festival dell’Economia 2102 dedicato al tema “Cicli di
vita e rapporti tra generazioni” svoltosi a Bari, Trento
e Rovereto. Intervento sul ciclo di vita degli oggetti nel
quale ha ricordato come, contrariamente a quanto si possa
pensare, anche nei tempi passati, l’inquinamento, dovuto
all’enorme presenza di rifiuti nelle strade e all’utilizzo di
sostanze nocive per la produzione di oggetti e persino
medicinali, fosse un problema che affliggeva le popolazioni
compromettendone gravemente la salute.
Dell’Agrimensore/Geometra Filippo Re Grillo, nato nel
1868, pubblichiamo i suoi progetti di ville, ed edifici
realizzati nei primi anni del Novecento, che interpretano
le tematiche del Liberty.
Lascio poi a Voi Lettori scoprire i contenuti delle altre
nostre Rubriche, che riguardano temi dell'Ambiente,
dell'Edilizia e quelle specifiche della Formazione sulle
Costruzioni in legno, e sugli Impianti... ed altro.
Buona lettura, pensando al “COMPORTAMENTO”: per
essere in equilibrio con il “GREEN”, colore che esaltiamo
nella nostra copertina.
7
INTERVENTI
IV Corso
internazionale
di Topografia
e Geomatica
Madrid
di Fausto Savoldi
Presidente del Consiglio Nazionale Geometri
e Geometri Laureati
Anche quest'anno il Consiglio Nazionale Geometri e
Geometri Laureati in collaborazione con la GEOWEB spa,
ha organizzato il IV Corso internazionale di Topografia e
Geomatica, dal 17 al 28 settembre a Madrid. E’ un Corso
di livello avanzato, in lingua inglese, dedicato agli Young
Surveyor Europei, dell'Area Mediterranea, con un’età
inferiore ai trentacinque anni.
Il Corso, molto apprezzato dalle Organizzazioni di Categoria
internazionali, ha lo scopo di contribuire alla formazione
di giovani colleghi, già professionalmente impegnati nel
mondo del lavoro, per divulgare le capacità e le conoscenze
del Geometra, elementi basilari ed indispensabili per la
crescita e lo sviluppo di questa professione.
Per due anni il Corso si è tenuto in Roma, poi la decisione
di esportare questa iniziativa, anche per sollecitare le
organizzazioni dei Geometri degli Stati Europei, ad
impegnarsi nell’interesse delle giovani generazioni di
Geometri.
Con questo impegno, il Corso patrocinato dalle
Organizzazioni internazionali dei Geometri: FIG, CLGE,
EGOS e UMG, è diventato un Evento di notevole
importanza che va crescendo.
Nell’anno 2012, il Corso si è tenuto in Atene con la
partecipazione di oltre cinquanta Geometri, provenienti
da ventidue Paesi europei grazie anche alla collaborazione
dell’Organizzazione dei Geometri Greci e dell’Università di
Atene.
I partecipanti giovani “Surveyors” di altre Nazioni, non sono
tutti liberi professionisti come i Geometri Italiani, perché
hanno ruoli nei loro Paesi in ambito catastale, ministeriale
e/o comunque, nei servizi geografici e geomatici, anche in
ambito dirigenziale, ricercatori o operatori nel settore della
8
conservazione, dell’amministrazione e della gestione del
territorio.
Grazie ai Geometri Spagnoli che hanno chiesto di poter
collaborare con il Consiglio Nazionale e con Geoweb, il
Corso si tiene nell'HOTEL AUDITORIUM, un grande
albergo alla periferia della città, dotato di tutti i servizi
necessari, di sale attrezzate, aule e di confort per un
piacevole soggiorno dei 52 corsisti, di cui 41 provenienti da
19 Stati europei ed africani. Gli 11 corsisti italiani sono stati
selezionati sulla base della conoscenza della lingua inglese
e del loro curriculum. La selezione è stata fatta tra le 40
richieste pervenute.
Le lezioni sono tenute dai docenti: Professor Biagio
Forte, Università in Inghilterra, Professor Alessandro
Capra, Università di Modena, Professor Fulvio Rinaudo,
Politecnico di Torino, Gianni Rossi, Geometra, Rahmi
Nuran Celik, Turchia, Nikos Zacharias, Grecia, tre
professori dell’Università di Madrid, uno dell’Università
di Malaga e Diego Gonzales Aguilera, dell'Università
di Salamanca, che è il massimo esperto spagnolo ed
internazionale della fotogrammetria.
Docenti che di buon grado hanno accettato di trasferire
il loro sapere con molta passione anche in questa edizione
del IV Corso patrocinato dall’Universidad Politecnica
di Madrid (Escuela Tecnica Superior de Ingenieros en
Topografia, Geodesia y Cartografia).
Gli argomenti ed i temi didattici, riguardano:
• il rilievo topografico con applicazione delle nuove e
diverse strumentazioni e tecniche di rilievo;
• il rilievo satellitare e le reti GNSS, le deformazioni dei
segnali GNSS ed il processamento dei dati satellitari
acquisibili;
•
•
il rilievo fotogrammetrico tridimensionale;
la fotogrammetria digitale, il laser scanner terrestre e
LIDar;
• l’interoperabilità dei dati geomatici su tutto il territorio
europeo;
• il monitoraggio globale dell’ambiente per la sicurezza
del territorio;
• i sistemi informativi geografici.
Questi temi si focalizzano sinteticamente nelle aree
applicative di grande interesse per i Surveyors di tutta Europa,
che sono quelle dell’aggiornamento delle cartografie e delle
mappe catastali, quelle dei sistemi informativi territoriali,
della tutela e della conservazione dei Beni culturali, storici
e monumentali, del monitoraggio costante delle strutture e
delle deformazioni del suolo.
In particolare, relativamente alla presenza dei corsisti
in Spagna, ci saranno anche alcune giornate dedicate
espressamente alla Cartografia ed alla Geodesia Spagnola,
al programma catastale in Spagna, nonché ai requisiti ed ai
riferimenti essenziali per il topografo e per il geomatico attivo
in ambito europeo e mediterraneo, nella conservazione,
gestione e sviluppo del territorio e delle sue unicità.
Occasione straordinaria quella di visitare la sede del Royal
Observatory Museum in Madrid che si trova presso l’Edificio
Villanueva, nel parco del Retiro. L’area espositiva propone
una ricca collezione di strumenti antichi, utilizzati per
diversi tipi di osservazioni astronomiche e meteorologiche.
Si segnalano in tal senso un circolo meridiano, una raccolta
di orologi di precisione e uno specchio di bronzo fabbricato
da W. Herschel. Inoltre, un pendolo di Foucault, sito nella
rotonda centrale, permette di seguire la rotazione giornaliera
della Terra. L’edificio è sormontato dal grande telescopio
equatoriale di Grubb, del 1912. La biblioteca custodisce
una delle raccolte più antiche e ampie di testi di astronomia.
Considerata la breve durata del Corso (due settimane), non
si ha la pretesa di dare ai partecipanti un’esaustività specifica
sui temi trattati, ma con questa “full immersion” geomatica,
una indicazione di eccellenza di grande interesse operativo,
soprattutto nel confronto delle diverse metodologie ed
esperienze applicate nei vari Paesi europei
Detti imput potranno quindi, in seguito, attivare
ulteriori approfondimenti a livello locale o nazionale
per ognuno dei corsisti, secondo il loro specifico
interesse e le loro puntuali attività.
Inoltre, l’affinamento di queste conoscenze,
contribuisce alla ricerca di un’uniformità perlomeno
europea, dei metodi di rilievo e di rappresentazione del
territorio, con collegamenti e monitoraggi sempre più
puntuali del territorio e delle attività ad esso correlate.
Infine, forse l’aspetto più importante è il confronto
e la conoscenza umana tra i partecipanti e tra questi
ed i docenti, in una unità di intenti e di condivisione
del sapere e del frequentarsi che, come è successo in
passato, cementano un rapporto di amicizia che va oltre
alla semplice conoscenza del mondo del lavoro.
Molti dei partecipanti si tengono costantemente in
contatto attraverso il web e gli strumenti informatici e
telematici oggi a disposizione di ognuno, partecipano
agli eventi internazionali contribuendovi con le
loro esperienze e con le loro aspettative ed in questa
occasione stanno organizzando un incontro tra i
corsisti degli anni passati con quelli di quest’anno, per
ritrovarsi e conoscersi sempre meglio, nell’ambito del
“Survey”.
Hotel Auditorium, Madrid
9
CIPAG/STRUMENTI
GRETA
Professional Network
per le nuove
sfide del mercato
di Vincenzo Acunto
Uno dei messaggi fondamentali che l’attuale periodo
storico diffonde è che stiamo cambiando, tutti noi stiamo
cambiando, e velocemente; le persone che ci circondano
stanno cambiando, e il mondo intero sta cambiando,
pertanto è inevitabile che le regole del mercato si evolvano
e si adattino ad una nuova realtà. E noi ci stiamo adattando
a questi cambiamenti?
Negli ultimi 60 anni il mercato del lavoro qualificato ed
in particolare delle professioni ha funzionato come una
scala mobile. Dopo aver studiato (diploma o laurea) ed
aver fatto qualche anno di gavetta per “sgrezzarti” venivi
avviato alla professione quasi per inerzia. Normalmente
dove facevi esperienza (datore di lavoro o Titolare di
Studio che sia) riuscivi anche a trovare formazione
ed opportunità di crescita. Se ti comportavi bene a
livello umano e professionale la scala mobile saliva
costantemente ed ogni fase ti procurava più potere, più
soldi, più sicurezza.
Alla fine, intorno ai 65 anni smontavi dalla scala
approdando comodamente alla pensione, magari col
sostegno di una polizza assicurativa integrativa.
Oggi, la scala mobile si è inceppata.
Molti giovani, compresi i più istruiti sono bloccati alla
base, sottoccupati o senza lavoro. Al tempo stesso chi ha
oltre 65 anni, con una pensione poco allettante preferisce
rimanere nel sistema lavoro.
Per i giovani è difficile salire sulla scala mobile, per
le persone di mezza età è difficile andare avanti e per
chiunque abbia superato i 65 anni è difficile scendere.
10
Dato che i tradizionali percorsi di carriera sono
ormai solo un sogno, è sparito quel genere di crescita
professionale di cui hanno tradizionalmente goduto le
generazioni passate.
Il crollo di queste aspettative tradizionali ha a che fare
con due forze correlate tra loro: la globalizzazione e la
tecnologia.
La tecnologia automatizza attività che richiedevano
conoscenze e competenze ottenute con il sudore della
fronte. Dà inoltre vita a nuove professioni e richiede
spesso competenze diverse, che se in alcuni settori
restano invariate, come minimo consentono a più
persone in ogni parte del mondo di farti concorrenza per
soffiarti lavoro.
Il mercato del lavoro in cui tutti operiamo è quindi
cambiato, e per sempre.
Scordiamoci, dunque, ciò che pensavamo di sapere sul
mondo del lavoro. Le regole sono cambiate.
Il networking come attività opportunistica è stato
sostituito dalla costruzione intelligente di una rete di
relazioni.
Sta crescendo il divario fra chi conosce le nuove regole
per far carriera e possiede le nuove competenze richieste
da un’economia globale, e chi invece rimane aggrappato
alla vecchia mentalità e si accontenta di competenze
ormai troppo comuni.
Il cambiamento reca nuove opportunità e nuove sfide.
Una risposta valida a tutto questo è lo sviluppo di un
Professional Network dedicato al mondo del “costruito”.
GRETA Professional Network come sviluppo di relazioni
professionali
“Relazione” può significare molte cose.
Esistono amici, familiari, conoscenti, colleghi,
collaboratori. Esistono persone con cui ci si relaziona
per amore, per amicizia, per rispetto o per necessità. Ci
sono persone che si frequentano solo in ambito privato
e poi ci sono persone che si frequentano unicamente in
un contesto professionale: colleghi, clienti, fornitori,
consulenti, ecc. Ad unire questi ultimi sono gli obiettivi
di business e gli interessi professionali in comune.
Un tempo per relazionarti con questi colleghi fidati o con
i potenziali o fidelizzati clienti ci si incontrava al bar o in
piazza, presso lo studio dell’amico influente od in chiesa,
al circolo od al cinema.
Oggi è tutto “Online” !
Occorre un network, una “piazza virtuale” per incontrarsi.
Una piattaforma da utilizzare per relazionarti con i tuoi
colleghi fidati o con i tuoi clienti attuali o potenziali, a
cui puoi raccomandare un amico medico od un altro
professionista, con il quale magari ti consulti di frequente
e gli chiedi consigli sul tuo settore professionale. E’
l’ambito in cui condividi informazioni dettagliate sul tuo
patrimonio di competenze e sulle tue esperienze lavorative.
La fotografia che ne emerge è di tipo professionale non
“sociale” nel senso stretto del termine. In questo caso a
nessuno importa con chi esci o se sei sposato, che segno
zodiacale sei o se ti piace pescare, ma solo se sei un bravo
professionista, un esperto nel tuo settore e soprattutto,
come hai lavorato in passato con altri. Senza dimenticare
quanto costi.
Un Network è un sistema composto da elementi
interconnessi, come gli aeroporti di tutto il mondo o la
stessa rete internet. Un Network sociale corrisponde ad
un gruppo di persone ed alle relazioni esistenti fra loro.
Ogni persona con cui interagisci in ambito lavorativo
rientra nel tuo network sociale professionale.
Pensa a tutte le volte che hai conosciuto qualcuno e
avete scoperto di avere amici o conoscenti in comune e
moltiplica per 100, 1.000, 10.000 volte la potenzialità “on
line”, senza avere i limiti del mercato in cui ti muovi, del
quartiere in cui vivi o lavori da sempre; perché su internet
sei presente in tutto il mondo nello stesso momento.
Il mondo però, è davvero così piccolo?
La risposta è SI! E’ piccolo in quanto è interconnesso.
Numerosi studi di sociologia fin dagli anni ’60 hanno
dimostrato che la Terra è un enorme network sociale, in
cui ogni essere umano è collegato a tutti gli altri attraverso
non più di sei intermediari. In pratica se si volesse conoscere
una persona che ci interessa per motivi professionali od
anche soltanto di amicizia, sappiamo che ci troviamo
al massimo a sei gradi di separazione da lei. I Social
Network con internet stanno trasformando in maniera
velocissima il concetto astratto dell’interconnessione su
scala mondiale in qualcosa di tangibile ed esplorabile
tramite funzionalità di ricerca.
11
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
La risposta al “nuovo” mercato
Con l’attuale fase di recessione, ora più che mai, non
importa in quale campo ed a che livello, è importante
interagire con la gente, con il “mercato”. Ma occorre farlo
in modo diverso. Non più tradizionale. Il “passaparola” è
cambiato; è “On line”.
L’obiettivo è quello di sviluppare nuovi business, nuove
specializzazioni per nuove figure professionali, aggiornare
i professionisti fornendo un punto d’accesso ad
informazioni verificate, ottenere consulenza specialistica,
fornire strumenti informatici innovativi, erogare
formazione (nuova figura del Building Manager), offrire
un potenziale mercato di “nuovi” clienti.
Chiunque di noi oggi per prenotare una vacanza o
semplicemente un viaggio (treno, aereo, nave) lo fa
utilizzando internet, senza muoversi dalla sedia e
confrontando prezzi, qualità e feedback di chi lo ha fatto
prima di noi. E così per fare l’assicurazione dell’auto o
fare un bonifico bancario, o valutare il curricula di un
chirurgo o comprare musica, film, libri, e così via.
Vi rendete conto che appena cinque anni fa era
fantascienza (almeno in Italia). Oggi sia noi che i nostri
figli (ma loro lo fanno meglio) chattiamo su facebook, o
twittiamo su twitter, siamo iscritti a LinkedIn per avere
relazioni professionali, abbiamo sempre in mano l’Ipad e
leggiamo più o meno ogni cinque minuti le mail che ci
arrivano sull’Iphone o sul Blackberry.
Come fare per adeguarci?
La soluzione che ci è apparsa immediatamente realizzabile
è alzare il velo su GRETA, la piattaforma per la gestione
integrata di patrimoni immobiliari che GROMA (Società
di proprietà della CIPAG – Cassa Italiana di Previdenza ed
Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, presieduta
da Fausto Amadasi) ha sviluppato oltre 10 anni fa e che
utilizza come strumento di lavoro per la sua attività
“core”, e mettere in contatto tutti gli attori presenti nella
piattaforma per farli interagire tra loro.
Inquilini, Condòmini, Fornitori, Building Manager,
Committenti,
Professionisti
(Avvocati,
Broker,
Commercialisti, ecc.). Chiunque può fornire le proprie
prestazioni a chiunque e diventare a propria volta cliente
per altra tipologia di servizi. Non ci sono più barriere
territoriali, ma vige la competenza e la meritocrazia
riconosciuta dal mercato. Che proprio perché aperta
diviene trasparente.
L’idea è maturata quando ci si è accorti che vi era sempre
più l’esigenza di avere, da parte non solo dei Proprietari
di immobili, ma anche da chi viveva in quegli stessi
immobili, (indipendentemente dalla tipologia), strumenti
COSA
PERCHè
Piattaforma per sviluppare la comunicazione di tutti gli
attori coinvolti nella gestione e nell'utilizzo di un bene
immobile (costruito)
Risponde alla necessità di mettere in comunicazione
domanda ed offerta nel mercato della gestione del
patrimonio immobiliare.
Insieme di soluzioni e procedure complete per la
gestione e l'utilizzo di un patrimonio immobiliare
Necessità di disporre di un sistema in grado di integrare
le diverse competenze necessarie alla gestione ed
all'utilizzo di un bene immobile.
Crescente attenzione sulla gestione del patrimonio
immobiliare e crescente complessità nella gestione
corretta e trasparente dello stesso
GRETA
Professional Network
(internet)
COME
Marketing - Promozione dei servizi, prodotti e
competenze necessarie allo svolgimento del facility
management
Training - Formazione continua della figura del Building
Manager
Management - Gestione del patrimonio immobiliare
attraverso applicazioni e soluzioni integrate specifiche
(help, chat, forum, wiki, e-learning)
Networking - Mettere "in rete" tutti gli attori coinvolti
12
CHI
Building Manager
Condomini ed inquilini
Fornitori
Professionisti
Committenti
Prospect
informatici innovativi, notizie ed informazioni,
professionalità
tecniche,
consulenza,
confronti,
reportistica. Strumenti divenuti tutti “indispensabili” in
questi anni in cui l’immobile non era più inteso come un
bene rifugio “statico”, immobile appunto.
GRETA Professional Network vuole essere la risposta ad
una evidente necessità del mercato, fatto di persone con
diversi ruoli. Un “Social Network Professional” dedicato
a chiunque viva uno spazio costruito. Tra le prime
applicazioni che verranno sviluppate c’è sicuramente una
piattaforma di servizi informatici “cloud like” attraverso
l’utilizzo delle nuove tecnologie “tablet e smart phone” per
supportare l’attività in completa mobilità; sarà poi creata
la vetrina del professionista (dove poter rappresentare la
propria professionalità e le singole competenze) ed avere la
possibilità di confronto (con blog, forum, bacheca e chat)
con la georeferenziazione.
Le tre macro aree di interesse principale che si andranno a
sviluppare, saranno: 1) gli aspetti gestionali, 2) i rapporti
con i fornitori/professionisti e 3) l’interazione sociale e
commerciale.
Già realizzate due importanti applicazioni: “GRETAeasy”
per lo studio professionale per gestire anche piccoli
portafogli immobiliari ed il “dossier del fabbricato” il
fascicolo virtuale dell’immobile sempre on line ed a
disposizione anche del Cliente/proprietario. A breve
sarà ultimata l’applicazione “Condoeasy”, dedicata alla
gestione dei rapporti condominiali e le “schede prodotto”
per una rapida consultazione tecnica dei più diffusi
prodotti nel campo dell’edilizia e dell’impiantistica, al
fine di creare una “cassetta degli attrezzi” a vantaggio del
“moderno” professionista.
13
ISTRUZIONE
Fondazione
Pavia Città
della Formazione
Istituto Tecnico
Superiore
per l’Edilizia innovativa
La Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto
Tecnico Superiore per le nuove tecnologie per il Made
in Italy – “sistema casa” è in Italia una risposta avanzata
per formare Tecnici e Geometri in grado di operare nel
mondo delle costruzioni.
Un mondo caratterizzato da nuove tecniche di
costruzione e posa, dall’ingresso sul mercato di materiali
di ultimissima generazione e all’interno del quale
sono diventati nodali, per Tecnici e Progettisti, temi e
valori che inducono a un’attenzione “intelligente” alla
sostenibilità ambientale delle opere, alla valutazione
dei rischi sismici e idrogeologici richiedendo inoltre,
specie in un periodo di grande difficoltà, capacità e
preparazione per quanto riguarda la pianificazione e il
controllo economico delle realizzazioni.
La Fondazione è stata costituita nel 2011, l’Istituto
Tecnico Superiore (ITS), quale scuola speciale di
tecnologia, consente, dopo la maturità, la fruizione di
un nuovo percorso formativo di alto livello, alternativo
all’Università e fortemente orientato all’inserimento
diretto nel mercato del lavoro.
14
Gli ITS sono nati dal dialogo tra mondo della scuola
e impresa, e avranno il compito di formare Tecnici
Superiori nelle aree tecnologiche strategiche per lo
sviluppo economico e la competitività del Paese
utilizzando il modello di insegnamento tipico delle più
rinomate “boarding school” internazionali nelle quali
gli studenti vivono a stretto contatto con professori
e ricercatori in un contesto dinamico ed altamente
innovativo.
Secondo questo modello, la Fondazione ha avviato nel
novembre del 2011 il primo corso per “Tecnico superiore
per l’innovazione e la qualità delle abitazioni”. Corso
che si sviluppa in due anni formativi (2012-2013 e 20132014) e prevede 1.800 ore di formazione suddivise in
quattro semestri di aula, laboratori, visite nelle imprese.
Con l’ultimo semestre totalmente dedicato allo stage
che vedrà gli allievi calati direttamente in un ambiente
lavorativo, vera e propria fucina di esperienze.
Formerà Tecnici Superiori capaci di operare negli
interventi edilizi di costruzione, ristrutturazione e
manutenzione.
Con le competenze giuste per contribuire a organizzare
il lavoro, valutare le offerte, stendere i capitolati, redigere
la contabilità. In grado di concorrere al posizionamento
di materiali e attrezzature e all’installazione di tecnologie
innovative e capaci di gestire al meglio il rapporto con
maestranze, progettisti, direttori dei lavori e collaudatori.
Il futuro Tecnico Superiore per l’innovazione e la qualità
delle abitazioni seguirà, inoltre, le indagini del contesto
orografico e ambientale del sito o del manufatto con
particolare attenzione alle strutture (rischio sismico).
Saprà riconoscere e applicare tecnologie, impiantistiche
e materiali innovativi del made in Italy per migliorare
la qualità, la sicurezza e la conservazione del patrimonio
edilizio. Collaborando alla gestione dell’intero ciclo di vita
del cantiere, sul piano tecnico, esecutivo, amministrativo
e contabile.
Lo sbocco professionale
Il biennio del percorso ITS è equiparato ai due anni di
praticantato, pertanto gli allievi, dopo aver acquisito
il diploma di Tecnico Superiore potranno accedere
direttamente all’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio della libera professione di Geometra oppure
potranno trovare impiego nel privato: imprese di
costruzioni, imprese di commercializzazione di materiali
e componenti per l’edilizia, negli Uffici Tecnici Pubblici
o negli Studi di Ingegneria e di Architettura, nei Vigili
del Fuoco e nella Protezione Civile. Il Diploma ITS
costituisce titolo per l’accesso ai pubblici concorsi e
il suo conseguimento prevede la certificazione e il
riconoscimento di crediti formativi universitari.
opportunità di business sui mercati internazionali.
I corsisti nel primo semestre affrontano differenti
tematiche: dagli elementi di scienza e tecnica delle
strutture agli aspetti tecnologici e normativi del progetto;
dalle norme e piani di sicurezza alle norme e modulistica
del procedimento edilizio; dagli elementi di conoscenza e
strumenti per la topografia agli elementi di Fisica Tecnica
e principi di energetica in edilizia.
Le ore di lezione si alternano ai laboratori che consentono
agli allievi di sperimentare le nozioni acquisite in aula e di
utilizzare macchinari e strumentazioni tecnologicamente
avanzate. Gli allievi visitano i cantieri ed effettuano
rilevazioni topografiche, attività che si incrementano nel
secondo semestre.
Le attività sono gestite da Docenti dell’ambito Universitario
e delle Scuole superiori della città, dell’Università degli
Studi di Pavia e degli Istituti superiori tecnici “A. Volta”
e “G. Cardano”. E per quanto riguarda il mondo del
lavoro, da Direttori e Tecnici di imprese edili e Liberi
Professionisti con anni di esperienze pregresse in studi
tecnici e presso enti pubblici.
Stage e Partner Tecnici
Dopo la prima fase di avviamento del corso e
consolidamento dei soci Fondatori l’ITS Pavia sta
iniziando il coinvolgimento nella didattica e nel progetto
stage di Partner Tecnici: Aziende leader nel proprio
settore di riferimento, YTONG e Brevetti Montolit SpA.
La didattica
Le materie insegnate possono essere sintetizzate in
sei macro aree: Costruzione, strutture e risanamento;
Materiali edili tradizionali ed innovativi; Normativa,
procedure e contabilità; Sicurezza, cantieri e gestione;
Impiantistica, installazioni e forniture; Quality control,
topografia e geotecnica.
Tutte le macro aree didattiche vengono trattate ponendo
particolare attenzione alle ultime innovazioni presenti sul
mercato.
Queste conoscenze specialistiche, non reperibili sui
manuali didattici, vengono fornite agli studenti con il
supporto di Aziende private nazionali ed internazionali
che mettono a disposizione i propri tecnici specializzati ed
i propri laboratori nell’ambito di moduli formativi mirati
ad alta componente tecnico/pratica. E sono supportate
da una formazione linguistica d’eccellenza che mette
in grado i Tecnici Superiori di dialogare fluentemente
in inglese sulle diverse tematiche legate alla professione,
garantendo così alle aziende ed al Sistema Paese maggiori
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MAGGIO - GIUGNO 2012
YTONG è un brand del Gruppo Xella International
srl, leader in Europa nel settore dei materiali per
l’edilizia.
è sinonimo di calcestruzzo cellulare nel mondo con
oltre 50 stabilimenti di produzione.
Nato 80 anni fa, il prodotto è conosciuto in Italia da
25 anni e nel 2005-2006 ha registrato una crescita
del 25% annua. I blocchi YTONG associano le
caratteristiche della bioedilizia a un’estrema semplicità
costruttiva e di gestione del cantiere.
Con i blocchi YTONG si realizzano pareti portanti
e di tamponamento, divisori, solai e tetti con un
unico materiale leggero e facilmente lavorabile. La
gamma YTONG include prodotti specifici per la
ristrutturazione e grazie ai pannelli parete e alle lastre
autoportanti il gruppo Xella è uno dei più grandi
player europei nelle soluzioni di edilizia industriale.
Le materie prime che compongono i prodotti
YTONG - sabbia quarzifera, cemento, calce e acqua
- sono estremamente semplici e facilmente reperibili
in natura. Durante il processo di produzione viene
aggiunta una piccola quantità di polvere di alluminio,
metallo che non presenta assolutamente caratteristiche
tossiche. Ciò permette al prodotto di sviluppare la sua
tipica struttura cellulare che gli conferisce l’estrema
leggerezza e le ottime qualità che lo contraddistinguono.
16
Durante la messa in opera non vi sono pericoli per la
salute dell’uomo, né emissioni nocive per l’ambiente.
I residui di cantiere possono essere depositati nelle
discariche per rifiuti inerti senza difficoltà, perché non
presentano problemi di inquinamento ambientale.
Questo materiale può essere anche riciclato e
impiegato come filtrante per la purificazione dei gas
oppure come lettiera per animali oppure ancora come
materiale per l’aerazione dei terreni ecc.
Per le loro peculiarità, i prodotti YTONG hanno
ottenuto la Certificazione “natureplus®” e dispongono
delle dichiarazioni ambientali basate sugli standard
internazionali prestabiliti dalla norma ISO 14025
(Enviromental Product Declaration). YTONG è
partner dell’Agenzia CasaClima di Bolzano.
Nel 2011 il Gruppo Xella International ha concluso
l’acquisizione dello stabilimento RDB Hebel di
Pontenure (PC) per la produzione di blocchi in
calcestruzzo aerato autoclavato. Il sito produttivo
di Pontenure si estende su un’area di oltre 97.000
m 2 e la nuova linea di produzione di blocchi è
dotata delle più moderne tecnologie e sistemi di
automazione con una capacità di produzione è di
360.000 m 3 all’anno.
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BREVETTI MONTOLIT SpA si occupa della
produzione e commercializzazione di attrezzature
professionali e varie linee di macchine elettriche e
manuali per il taglio e la foratura dei materiali lapidei.
Tutti i prodotti sono coperti, interamente o in parte,
da brevetti internazionali (300 quelli depositati di
cui 40 attivi) allo scopo di proteggere e tutelare gli
interessi dei clienti che possono contare su prodotti
particolari e unici.
L’azienda Brevetti Montolit SpA di Varese nasce
nell’immediato dopoguerra su iniziativa del Cav.
Vincenzo Montoli, poi insignito dell’ambito diploma
di Inventore Benemerito.
Grazie allo staff tecnico-produttivo costituitosi attorno
al progetto iniziale, tali idee si sono successivamente
finalizzate con lo studio e la realizzazione di attrezzature
che hanno permesso alla Brevetti Montolit SpA di
raggiungere una posizione di primo piano nel settore
edile e di essere oggi presente in 120 nazioni.
Dalle prime rudimentali “macchine” per il taglio
di materiali come il marmo e il granito, si è passati
a macchine più complesse (sempre esclusive) per
la lavorazione di ogni tipo di materiale lapideo.
Per la genialità della progettazione, perfezione,
robustezza, qualità e durata dei prodotti, sono
stati conferiti alla Brevetti Montolit SpA diversi
riconoscimenti internazionali tra cui citiamo l’ambito
Premio Europeo “Mercurio d’oro” e il premio
Mondiale “Ercole d’oro”.
Brevetti Montolit SpA è attiva nell’ambito della
formazione verso il mondo dell’Istruzione Tecnica
Superiore con stage e l’organizzazione di diverse
iniziative, tra le quali giornate formative che hanno
l’obiettivo di analizzare, insieme agli studenti,
tramite lo studio di casi reali e la simulazione in
laboratorio, le più frequenti problematiche di posa e
taglio che si riscontrano nei cantieri individuando le
cause e sperimentando in prima persona le soluzioni
specifiche. E, più in generale, di fornire nozioni utili
a rendere la figura professionale del Tecnico Superiore
un Supervisore del processo di posa in grado di
prevenire e/o risolvere le principali problematiche
legate alla posa dei materiali ceramici/lapidei
innovativi, all’istallazione degli impianti su pareti e
rivestimenti ed alla ristrutturazione di rivestimenti
esistenti.
“Pavia Città della Formazione” è una Fondazione di partecipazione costituita dai seguenti soci fondatori:
•
FondazioneGeometriItaliani
•
CollegioProvincialeGeometrieGeometriLaureatidiPavia
•
AncePavia–CollegiodeiCostruttoriEdiliedAffinidellaProvinciadiPavia
•
Eucentre–FondazioneCentroEuropeodiFormazioneeRicercainIngegneriaSismica
•
ProvinciadiPavia
•
IstitutoTecnicoIndustrialeeLiceoScientificoTecnologico“G.Cardano”
•
O.D.P.F.IstitutoSantachiara
•
DamianiCostruzioniSrl
18
PROFESSIONI
“Collegare
filiere formative
e filiere produttive
per la crescita
del Paese”
Questo è il tema della seconda Conferenza dei Servizi
sugli Istituti Tecnici Superiori, prevista dall’art. 3 del
D.P.C.M. 25 gennaio 2008. Conferenza promossa dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
e dai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico,
d’intesa con la IX Commissione Istruzione, lavoro, ricerca
ed innovazione della Conferenza delle Regioni, per offrire
utili contributi ai fini della predisposizione delle Linee
Guida previste dall’art. 52 della Legge n. 35/2012.
Ha visto la partecipazione di Presidenti delle Fondazioni
I.T.S., Dirigenti scolastici degli Istituti che ne sono Enti
di riferimento, Rappresentanti delle Regioni, degli Uffici
Scolastici Regionali, degli Enti Locali, delle Parti Sociali,
degli altri Ministeri coinvolti ed i soggetti interessati allo
sviluppo del settore.
Elena Ugolini, Sottosegretario di Stato, all’inizio della
Conferenza, tra l’altro, ha detto:
“Questa Conferenza dei servizi, ha un compito molto
importante, di disegnare un percorso che porterà a delle
Linee Guida dell’articolo 52 del decreto semplificazione,
che tratta un tema importante per la crescita del Paese,
quello del potenziamento della filiera dell’istruzione
tecnico-professionale, della formazione professionale,
dell’istruzione tecnica superiore in raccordo con le filiere
produttive e con i cluster tecnologici in una prospettiva di
crescita in cui tutti gli attori del Paese possano fare massa
critica per uno scopo, che è quello di dare un futuro ai
nostri figli.
Nel momento di crisi, l’unica cosa da fare è mettere a
frutto tutte le energie migliori che abbiamo e mettere
a sistema le eccellenze. Questo è l’unico regalo che
possiamo fare ai giovani e anche a quei due milioni di
ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono alla
ricerca di un’occupazione, anche a quei ragazzi che hanno
bisogno e che desiderano che i propri talenti e il proprio
merito siano riconosciuti”.
Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, è intervenuto dichiarando:
“Dopo l’entrata in vigore delle norme sull’ordinamento
degli Istituti Tecnici Superiori (D.P.C.M. 25/1/2008),
costituiti nel 2010, ogni anno, dal 2011, si svolge una
Conferenza dei servizi per l’integrazione degli interventi
in materia di istruzione, formazione e lavoro.
Nel nostro Paese il deficit annuo di tecnici intermedi
supera le 100 mila unità. La mancata possibilità per le
aziende di trovare sul mercato del lavoro le professionalità
tecniche di cui necessitano accresce la debolezza italiana
nella competitività internazionale.
Lo sviluppo della formazione tecnica è un fattore dunque
che influenza, in modo significativo e misurabile, la
crescita economica e sociale.
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ANNO IV
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MAGGIO - GIUGNO 2012
Francesco Profumo
Oggi esiste un forte disallineamento nel Paese fra:
• filiere produttive, intese come insieme delle attività
che comprendono tutte le attività che concorrono
alla creazione, trasformazione, distribuzione,
commercializzazione e fornitura del prodotto/
servizio;
• filiere formative, intese come insieme dei percorsi
quinquennali degli Istituti tecnici e degli Istituti
professionali, dei percorsi triennali e quadriennali
di qualifica e diploma professionale realizzati dalle
strutture formative accreditate dalle Regioni, dei
percorsi di formazione tecnica post secondaria
realizzati dagli Istituti Tecnici Superiori;
• poli tecnologici, intesi come reti di strutture di
ricerca industriale e trasferimento tecnologico, capaci
di promuovere l’evoluzione delle filiere produttive
verso una dimensione tecnologica;
• cluster tecnologici, intesi come aggregazioni di
imprese, università e altre istituzioni pubbliche
e private della ricerca e soggetti attivi nel campo
dell’innovazione, importanti per la crescita
economica sostenibile dei territori e dell’intero
sistema economico nazionale.
20
Per superare questa situazione di ostacolo alla crescita
del Paese, le recenti disposizioni urgenti in materia di
semplificazione e sviluppo, contenute all’articolo 52
della legge n.35/2012 in materia di istruzione tecnicoprofessionale, offrono gli strumenti per intervenire,
a breve, con un nuovo disegno strategico, idoneo a
collegare organicamente filiere produttive e filiere
formative in modo condiviso con le Regioni e le
Autonomie Locali.
In questo modo si potranno mettere a valore le
vocazioni del territorio e, nel contempo, preparare
giovani tecnici capaci di operare sui mercati
internazionali per il rilancio del sistema produttivo
del Paese.
Questa Conferenza dei servizi rappresenta lo start up
di:
a. un cambio di strategia per potenziare
l’istruzione tecnico-professionale a partire
da un’approfondita analisi delle “cartine
geografiche delle filiere produttive nelle regioni
italiane”, predisposte dal Ministero dello Sviluppo
Economico, che ha associato ad ogni filiera, in
base al codice ATECO, alcuni dati economici
di fonte ISTAT, numero di imprese, fatturato,
valore aggiunto, investimenti, export, nell’intento
di fornire un profilo dimensionale delle filiere e
una valutazione del loro peso, nell’economia. Ne
risulta un quadro complessivo che rappresenta, in
termini di valore aggiunto e fatturato, oltre l’80%
del sistema produttivo nazionale;
b. la definizione di un’Agenda per la formazione
tecnica, focalizzata sul ruolo centrale della
programmazione delle Regioni in materia, che
comprende impegni riguardanti:
1. l’offerta dei percorsi di istruzione tecnicoprofessionale, collegata organicamente sul
territorio con le filiere produttive
2. l’avvio della costituzione di Poli tecnicoprofessionali – previsti dall’art.13 della
legge n.40/2007 – come “luoghi formativi
di apprendimento in situazione”, fondati
su accordi di rete per la condivisione di
laboratori pubblici e privati già funzionanti
e/o sedi dedicate all’apprendimento in contesti
applicativi e delle relative professionalità,
al servizio delle scuole/strutture formative/
imprese del territorio, per la piena
utilizzazione delle risorse professionali,
logistiche e strumentali esistenti. I Poli
tecnico-professionali possono costituire anche
un’opportunità per il rientro in formazione dei
giovani e adulti;
3. la diffusione, soprattutto nell’ambito dei Poli
tecnico-professionali, delle migliori pratiche
di “bottega scuola” e “scuola impresa” come
luoghi nei quali la formazione è contestuale
alla produzione di beni e servizi, in modo
da valorizzare le specificità, le tipicità e
le tradizioni dei territori, con particolare
riferimento alle professioni agricole, artigiane,
di trasformazione, ivi comprese le connesse
attività di servizio, e alle professioni ad
elevato contenuto di creatività e di quelle
dell’artigianato artistico;
4. il rafforzamento degli Istituti Tecnici Superiori
come leva per il rilancio dell’istruzione
tecnico-professionale
a
sostegno
delle
sviluppo delle filiere produttive del territorio
e dell’occupazione dei giovani, nel ruolo di
scuole speciali di tecnologia per il trasferimento
delle innovazioni tecniche e tecnologiche nelle
filiere formative, con riferimento ai fabbisogni
di crescita e internazionalizzazione delle filiere
produttive;
5. l’innovazione e il potenziamento dei laboratori
di settore degli istituti tecnici e degli istituti
professionali, a sostegno sia della ordinaria
attività didattica dei docenti, sia dello sviluppo
dei Poli tecnico-professionali;
6. un orientamento efficace alle professioni
tecniche per gli studenti e le loro famiglie, anche
attraverso misure per la formazione congiunta
dei docenti e dei formatori impegnati nelle
diverse istituzioni educative e formative;
7. la diffusione dei percorsi di apprendistato come
efficace strumento per le politiche attive del
lavoro, a partire dai percorsi per l’assolvimento
del diritto/dovere;
8. i piani formativi sovraregionali per ambiti
complessi, a partire dalle priorità per lo sviluppo
economico (ad esempio, trasporti e logistica,
meccanica, turismo) attraverso le interconnessioni
tra cluster tecnologici, poli tecnologici, filiere
produttive e filiere formative, anche con la
partecipazione delle amministrazioni centrali
competenti per materia”.
Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico è
intervenuto precisando:
“L’Istruzione Tecnica è giusto che sia di tutti e di
nessuno. Io mi iscrivo alla categoria “tutti” o mi iscrivo
alla categoria di coloro che non daranno pace fino a
quando non si arriverà, fino in fondo, sul progetto di
dare all’Italia quel pezzo di istruzione che manca.
Corrado Passera
Il ruolo dell’Istituto Tecnico Superiore, cioè il terzo grado
della filiera tecnica, non ha nulla a che vedere con licei ed
università e con la scuola professionale, se non in parte,
per i primi gradi: è proprio una filiera dove mancava un
pezzo. E non è che mancava un pezzo minore, mancava
il pezzo che ha fatto il successo di molti Paesi che vanno
meglio di noi e che competono con noi.
Guarda caso è un pezzo molto importante in Germania
e basterebbe questo per dire che ci mancava un pezzo
che bisognava colmare e che mi sembra si stia andando
a colmare. Non c’è crescita senza formazione, senza
istruzione adeguata. E’ chiaro che oggi c’è un mismatch e
che non c’è una perfetta coincidenza con ciò che servirebbe
ai giovani per essere impiegati e alle aziende per potersi
sviluppare, e quello che è il prodotto formativo delle varie
filiere di istruzione e formazione e dei vari livelli.
E quindi venendo a parlare, d’accordo il Ministro
Profumo, brevemente del tema Istituti Tecnici Superiori,
vengo a parlare di una cosa cui personalmente e come
Ministero daremo il massimo supporto, perché ne
vediamo l’importanza.
Non è soltanto importante perché chi ce l’ha ne ha avuto
grandi vantaggi, è molto importante perché è un bisogno
tipico della tipica azienda italiana, dove per portare
innovazione, internazionalizzazione ed apprendimento
continuo è necessario portare quelle competenze da
Istituto tecnico e Istituto Tecnico Superiore che oggi non
21
ANNO IV
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MAGGIO - GIUGNO 2012
sono sempre disponibili.
Se oggi abbiamo alta disoccupazione, oltre che
inoccupazione, ma anche un alto numero di posti
non coperti che le aziende vorrebbero coprire, è
perché manca un pezzetto. E il progetto, se ben
gestito, va in questa direzione. Licei, Istituti Tecnici,
Scuole professionali, sono cose molto diverse, e guai a
“liceizzare” gli Istituti Tecnici.
Invece c’è sicuramente dello spazio per lavorare
insieme nell’area della formazione, molto insufficiente
oggi ed inadeguata in gran parte d’Italia, e il mondo
degli Istituti Tecnici che in più devono salire verso
l’alto e dare quel terzo livello senza complessi
d’inferiorità, perché nel nostro Paese si è sempre un
po’ tesi a dire che il Liceo è una qualità d’istruzione
adeguata, mentre gli Istituti Tecnici sono di ben altro
livello.
Questo dobbiamo superarlo, e chi vive nell’economia
e conosce quello che succede in giro per il mondo,
sa che questa attitudine non positiva da parte degli
Istituti Tecnici è autolesionista. Abbiamo come Italia
un bisogno di diffusione enorme delle competenze di
base tecnico-scientifiche. C’è un grandissimo bisogno
di istituti che permettano l’aggiornamento continuo
tra le missioni degli Istituti Tecnici Superiori.
Vedo molto anche la collaborazione con le imprese,
non solo per la formazione iniziale, ma anche per il
continuo aggiornamento delle competenze, che in
qualsiasi azienda è continua e che molto spesso le
aziende di minori dimensioni non sono in grado di
assicurare ai propri collaboratori, che si trovano con
personale inadeguato solo per non avere svolto questo
ruolo. Ruolo che, se ben amministrati, gli Istituti
Tecnici e quelli Superiori possono svolgere.
Naturalmente parliamo di un’Italia dove le necessità
delle diverse filiere, dei diversi distretti e diverse
regioni è strabiliantemente differente e quindi
abbiamo bisogno di uno strumento che, avendo una
struttura di base solida e di qualità, sia poi capace di
adattarsi alle esigenze dei singoli territori, dei singoli
distretti, delle singole filiere, e solo l’Istituto Tecnico,
al suo meglio, può svolgere questo ruolo.
Noi abbiamo una sfida enorme, quella di dare una
employability a milioni di giovani che oggi non ce
l’hanno, una capacità di rientrare nel mondo del lavoro
per persone di tutte le età e anche di età avanzata.
Questo appassionamento per gli Istituti Tecnici e
Tecnici Superiori che mi porto dietro da anni, lo vedo
di grande utilità per il Paese: vedere insieme il sistema
della formazione professionale e quello della tecnica
superiore, che è cosa ben diversa dal mondo dei Licei
ed Università, e di cui il Paese ha un enorme bisogno.
22
Questo mettere insieme i pezzi lo prendo come una
sfida del mio ruolo in politica”.
Elena Ugolini
Elena Ugolini, Sottosegretario di Stato, alla conclusione
della Conferenza ha detto:
“Oggi è l’inizio di un percorso che dovrebbe avere
come primo obiettivo la scrittura delle Linee Guida
relative all’articolo 52, presente all’interno del Decreto
Semplificazione e sviluppo. Per scrivere queste Linee
Guida gli attori principali sono ovviamente le Regioni,
perché compete alle stesse il compito di programmare
l’offerta formativa sul territorio, il Ministero dello
Sviluppo Economico, il Ministero del Lavoro, che in
raccordo con l’Istruzione sta lavorando per connettere il
piano formativo col piano anche della certificazione in
uscita delle competenze per il riconoscimento di quello
che serve per i profili lavorativi.
Il nostro lavoro è quello di portare le Linee Guida
in Conferenza Stato Regioni in modo tale che per la
programmazione del 2013 ci sia un contesto, un quadro
di riferimento chiaro che aiuti ad andare nelle direzioni
indicate.
Le due direzioni sono: quella di poter favorire la nascita
di poli, che possono essere poli fisici. Per esempio in
Trentino stanno costruendo un polo, nell’ambito
della meccatronica con laboratori e sedi per l’Istituto
tecnico, per l’Istituto professionale, per la formazione
professionale, per la formazione in apprendistato, per il
livello terziario dell’istruzione, in raccordo con un pool
di aziende del territorio.
Però questi poli potrebbero essere anche delle reti
incentrate sui laboratori o delle aziende o delle
scuole, laboratori di settore che dovrebbero poter
essere potenziati, in cui la centralità del lavoro, come
strumento di conoscenza, di cultura e di apprendimento
diventa qualcosa di fisico e di concreto. Dei poli in cui
le aziende o le realtà produttive, gli ordini professionali
si possano appoggiare anche per fare non solo
formazione iniziale, ma anche formazione permanente
per la riqualificazione o per promuovere orientamento
nel settore dell’istruzione tecnica o professionale, o per
promuovere start up, o per promuovere connessioni
con delle attività come quelle che sul territorio vengono
proposte dal CNR.
Gli interventi fatti nel corso di questa conferenza
dimostrano che se all’interno del nostro Paese noi
veramente mettessimo insieme a sistema tutte le
risorse che abbiamo (scuola, università, innovazione e
ricerca, imprese, realità artigianali, ordini professionali)
probabilmente, anche senza le Linee Guida, si
potrebbero fare già delle reti che aiutano i nostri ragazzi
ad avere un futuro.
Quindi io spero di riuscire, insieme a tutti gli altri attori
che ho citato, a portare a casa questo scopo, ad avere
delle Linee Guida che aiutino a lavorare meglio. Però
la mia convinzione è che solo la realtà di persone che
smettono di pretendere e cominciano a condividere e a
regalare quello che hanno imparato e iniziano veramente
a lavorare insieme, solo questo potrà costruire un futuro
per il nostro Paese.
A me piacerebbe che prima ancora che le Linee Guida
fossero pubblicate sulla Gazzetta ci fosse già questa rete
o, per le meno, siccome ci sono già delle reti di questo
tipo, si conoscessero, perché un altro grave gap del
nostro Paese è che noi andiamo sul sito del Ministero
– parlo di casa nostra – guardiamo Istituti tecnici
professionali e cosa vediamo? La legge. Non guardiamo
che cosa sono.
Quindi il primo obiettivo della odierna conferenza è
arricchire l’indice della bozza di Linee Guida, proposta
dalla IX Commissione della Conferenza Stato Regioni,
lavorando insieme. Lo scopo è arrivare rapidamente ad
un quadro di riferimento per realizzare dei poli tecnicoprofessionali con tutta la filiera. Sarebbe bello mettere
a sistema quello che c’è già, facendo delle alleanze
multiregionali in una prospettiva internazionale.
Per gli Istituti Tecnici Superiori sono state evidenziate
molte criticità, all’interno delle Linee Guida quindi c’è la
possibilità di intervenire su delle criticità, sugli standard
minimi nazionali delle prestazioni dei servizi, cioè i
requisiti minimi di partenza, i requisiti per l’attivazione
dei percorsi, i requisiti minimi di partecipazione di
imprese e di realtà professionali o produttive, i criteri di
valutazione, i criteri con cui valutare il percorso fatto in
termini di competenze acquisite dagli studenti.
Perché questa enfasi sugli ITS? Perché alcuni Istituti
funzionano e altri non funzionano. Sarebbe necessario
partire non dal “secondo me”, ma da un monitoraggio
reale, vero, composto di dati e numeri, necessario anche
per il sistema dell’istruzione tecnica, professionale,
della formazione professionale.
Guardiamo la realtà e poi, riflettendo sulla realtà,
cerchiamo di capire che cosa vale la pena cambiare,
come si può lavorare meglio e quali sono le esperienze
da valorizzare, da mettere a sistema e le esperienze che
forse vale la pena lasciare perdere. Questo non è un
compito del Ministero al quale spetta solo dare degli
indirizzi e degli strumenti di valutazione. Saranno poi
le Regioni, con i territori, a decidere come muoversi. Se
le Regioni dovessero far nascere e proliferare ITS che
non funzionano, saranno loro problemi.
Dal punto di vista della programmazione nazionale
penso che deve essere chiaro e fondamentale avere delle
Linee Guida che permettano un governo nazionale.
Pertanto si dovrà lavorare intensamente per arrivare alla
fine di luglio a proporre le Linee Guida.
L’idea della possibilità che degli insegnanti tornino,
per esempio, a fare dei tirocini, che esperti del mondo
dell’azienda possano insegnare nelle scuole, che delle
aziende o delle realità produttive possano favorire il
miglioramento e il potenziamento dell’offerta formativa
di tutta la filiera inferiore, più bassa rispetto a quella
degli Istituti Tecnici Superiori. Idea che si potrebbe
realizzare da subito: i ricercatori del CNR sono
12.000, se si mettessero a disposizione delle scuole, dei
ragazzi e degli insegnanti, se Finmeccanica nell’ITS
sull’aerospazio di Francavilla ha messo a disposizione
1.000 ore di lezione per l’Istituto Tecnico Superiore, le
aziende potrebbero mettere a disposizione delle ore di
lezione con i loro esperti.
Necessario anche riguardare il riordino della scuola
superiore, di tutta la filiera bassa dell’istruzione tecnica
professionale e della formazione professionale, non
per fare degli sconvolgimenti, ma per capire cosa è
necessario perché non ci sia solamente quantità, ma ci
sia anche qualità ed efficacia”.
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PROTAGONISTI
Filippo Re Grillo
Agrimensore
Geometra
di Vincenzo Acunto
Filippo Re Grillo nacque a Licata il 12 Maggio 1868 da
Francesco e da Grazia Grillo, primo di due figli.
Nel 1885, quando aveva 17 anni, si trasferì a Palermo
per frequentare il Regio Istituto Tecnico; ma prima di
completare il corso di studi in Agrimensura, che durava
quattro anni, fu chiamato a svolgere il servizio di leva nel
9° Reggimento Bersaglieri.
Il 30 Ottobre 1889 fu dichiarato idoneo al grado di
Sottotenente di complemento; dopo il congedo militare
riprese gli studi, conseguì l’agognato diploma e frequentò
l’Accademia di Ingegneria.
Nel 1893 decise di abbandonare gli studi universitari,
probabilmente per motivi economici; quindi iniziò
a lavorare, svolgendo l’attività di Agrimensore, che
attualmente viene definito Geometra.
Nel 1894 di sposò con Rosina Muscia, ma purtroppo
l’anno successivo rimase vedovo.
Cominciò ad esercitare la professione non solo a Licata,
ma anche nei centri limitrofi: Campobello di Licata,
Ravanusa, Naro, Canicattì, Palma di Montechiaro; più
che altro eseguì perizie nelle numerose miniere di zolfo
attive in quel periodo.
Il 18 Luglio 1896 si sposò in seconde nozze con Concetta
Muscia, sorella di Rosina; da questo matrimonio
nasceranno quattro figli: Dora, Guido, Ines e Rosa.
Dopo qualche anno oltre al lavoro e alla famiglia cominciò
a dedicarsi attivamente alla vita politica di Licata, infatti,
nel 1900 fu eletto consigliere comunale e mantenne questa
carica ininterrottamente fino al Gennaio 1919; però in
realtà ha svolto le mansioni di consigliere fino all’Aprile
1915, perché il mese successivo è stato richiamato alle
armi per l’avvento della Prima Guerra Mondiale.
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Con l’inizio del nuovo secolo, Filippo Re Grillo inizia
anche l’attività di progettista, infatti, nel 1900 progetta la
villa del Cav. Angelo Sapio Rumbolo.
Questa splendida villa, che nel 1903 è stata impreziosita
dagli affreschi del pittore palermitano Salvatore
Gregorietti, gli consentì di affermarsi professionalmente
dimostrando le sue qualità di progettista e direttore dei
lavori.
Nel 1902 progettò un’abitazione per la famiglia di
Francesco Grillo, nei pressi della chiesa di S. Maria la
Vetere.
Il 10 Agosto 1902 venne eletto a far parte della
Commissione per la compilazione del Regolamento
Edilizio di Licata, insieme ai Geometri: Giuseppe Vella,
Vincenzo Dainotto, Antonio Scrimali e Giuseppe
Granone.
L’anno successivo ha progettato la ristrutturazione del
palazzo dell’Onorevole Arturo Verderame, le cui stanze
subito dopo i lavori furono affrescate dal Gregorietti.
Nello stesso periodo eseguì qualche piccolo lavoro nella
villa del Barone Ignazio La Lumia.
Il 17 Marzo 1905 una frana in via Garibaldi danneggiò la
raffineria La Lumia, provocando 17 morti tra gli operai;
Re Grillo fu incaricato di progettare la ricostruzione degli
edifici danneggiati, questi lavori furono eseguiti tra il
1906 ed il 1908.
La sua conoscenza architettonica si arricchiva con
i frequenti viaggi che egli svolgeva, sia in Italia che
all’estero: 1901 a Tunisi, 1903 a Milano, 1909 a Roma e
La Spezia, 1911 a Torino, etc.
Filippo Re Grillo agli albori del 20° secolo si può
considerare il principale progettista operante a Licata
ed essendo un momento economico particolarmente
favorevole per la città, la sua produzione architettonica
ebbe un incremento notevole, infatti, nell’arco di pochi
anni progetta e dirige i lavori delle seguenti opere:
1906, villa Ernesto Verderame a Monte Sole;
1907, palazzo di Roberto Verderame in piazza
Progresso;
1908, abitazione per la sua famiglia in piazza Elena;
1911, tombe gentilizie appartenenti alle famiglie
Bonsignore e Vella.
Tra il 1912 ed il 1915 eseguì diverse stime e lavori negli
edifici di proprietà della Congregazione di Carità e
nella raffineria Verderame; inoltre, progettò il palazzo
Liotta in piazza Gondar e la ristrutturazione della casa
Vella in corso Serrovira.
Nella casa Vella sono interessanti le ringhiere in ferro
battuto dei balconi, che presentano un motivo floreale
molto simile a quello nella Casa Re Grillo ubicata in
piazza Elena.
Nel 1913 riceve dal Consiglio Comunale di Licata
l’incarico di redigere un progetto per un edificio
scolastico in collaborazione con l’Ingegnere Roberto
Verderame; di questo progetto non si hanno notizie,
probabilmente è stato accantonato per il sopraggiungere
dell’evento bellico.
Nello stesso anno presenta un’istanza per ottenere in
locazione i locali comunali per la ricostruzione del
Teatro cittadino.
Le opere preparatorie per la costruzione del Teatro,
appaltate al Capo-Maestro Vincenzo Schembri, furono
realizzate nel 1912.
Durante la Prima Guerra Mondiale, fu richiamato alle
armi con il grado di Tenente assegnato il 5° dipartimento
Fanteria a Girgenti; l’anno seguente fu promosso
Capitano, addetto alla sorveglianza dello stabilimento
ausiliario della società “Imprese elettriche” a Palermo.
Al termine del conflitto Re Grillo, tornato a Licata, si
disinteressò della politica e si concentrò più che altro alla
costruzione e gestione del Teatro che porterà il suo nome;
il 10 Ottobre 1919 ottiene in locazione, i locali Comunali
destinati alla ricostruzione del demolito Teatro, per la
durata di 29 anni.
In campo professionale, nel periodo successivo alla Prima
Guerra Mondiale, eseguì solo qualche lavoro come la
sopraelevazione della casa Biondi in piazza Elena; ciò
è dovuto anche al fatto che il benessere economico,
derivante dall’estrazione e dal commercio dello zolfo, era
diminuito sensibilmente, e ciò si ripercuoteva in tutti i
settori economici della città, fra i quali l’edilizia.
Il Teatro Re durante la proiezione di un film “Domenica
13 Aprile 1930 alle ore 20.00 è stato invaso da un pauroso
incendio che ha provocato 15 giovani vittime e 9 feriti”;
l’intera cittadinanza partecipò al luttuoso avvenimento,
ed anche il Comune, che si fece carico delle spese per i
funerali e le sepolture dei defunti.
Logorato nell’animo e nella mente da questo tragico
incidente, Filippo Re Grillo morì, un mese dopo, il 16
Maggio 1930 all’età di 62 anni.
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ANNO IV
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MAGGIO - GIUGNO 2012
I Taccuini di viaggio
Filippo Re Grillo, data la sua feconda osservazione, era
solito redigere un taccuino durante i suo viaggi.
I suoi Taccuini di viaggio, rinvenuti presso l’archivio della
famiglia Re, sono due ed offrono una pregevole serie di
immagini.
Il primo risale al periodo in cui Re Grillo frequentava
il Regio Istituto Tecnico a Palermo, ed è composto da
diverse bozze che riproducono il tema degli ordini classici
dell’architettura presente nei prospetti della Stazione
centrale di Palermo.
Probabilmente i particolari decorativi sono stati disegnati
nell’attesa dei treni che lo portavano a Licata, oppure
come esercitazioni assegnategli a scuola.
Sono inoltre inclusi schizzi di decorazione con motivi
floreali.
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Decorazione floreale con foglie d'acanto
Ornamento di un prospetto
Particolare di un capitello
Basamento ornato con inserti floreali
Basamento interno alla stazione centrale di Palermo
Il secondo taccuino è stato compilato da Re Grillo
durante il servizio di leva, svolto a Verona nel 1889; in
questi disegni egli mostra la sua attitudine a “narrare”
con la matita le emozioni suscitategli dalla bellezza
del paesaggio, qui si possono ammirare interessanti
rappresentazioni paesaggistiche di località nei pressi di
Verona come: Custoza, Ferrara di Monte Baldo e Cerro
Veronese.
Visionando questi disegni si intuisce la sua inclinazione
verso la rappresentazione architettonica, poiché mette
sempre in primo piano gli edifici.
Custoza, 20 Aprile
Ferrara di Monte Baldo, 29 Marzo
Cerro visto dal Monte Tondo, in data 3 Luglio 1889
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ANNO IV
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Il fenomeno Liberty
Il Modernismo, indicato con il nome di Art
Nouveau, si diffonde in Europa nell’ultimo
ventennio dell’Ottocento; si tratta di un movimento
di rinnovamento delle arti, che si propaga molto
velocemente, grazie anche agli scambi culturali,
amplificati dalle Esposizioni e dalle riviste dell’epoca.
Questo movimento modernista ebbe le sue origini
in Belgio ed interessò “ i paesi in cui lo sviluppo
industriale avesse raggiunto un certo livello”.
L’Art Nouveau in Germania prende il nome di
Jugendstil e si manifesta principalmente nel settore
delle arti applicate, mentre in Francia inf luenza
soprattutto la produzione di arredamenti.
Nel campo dell’architettura, professionisti come:
Otto Wagner in Austria, Victor Horta in Belgio,
Hendrik Petrus Berlage in Olanda, Charles Rennie
Mackintosh in Scozia, Antoni Gaudì in Spagna,
elaborarono il nuovo linguaggio espressivo, liberando
le proprie opere dai riferimenti agli stili storici.
In Italia i nuovi codici espressivi furono adottati
in ritardo rispetto agli altri paesi europei e diedero
inizio allo stile Liberty; infatti risulta “unanime
il consenso degli studiosi nel fissare il momento di
apoteosi del Liberty al 1902, anno della 1a Esposizione
Internazionale di Arte Decorativa a Torino”.
Con il Liberty, elementi naturalistici entrano a far
parte delle decorazioni sia delle facciate che degli
interni: delle suppellettili, del mobile, degli arredi;
infatti la sua peculiarità consiste nella realizzazione
dell’unità fra edificio e parti decorative e d’arredo.
Le città italiane dove il fenomeno modernista
ebbe maggiore diffusione sono: Milano, Palermo e
Torino, nelle quali i rispettivi progettisti principali
sono Giuseppe Sommaruga, Ernesto Basile e Pietro
Fenoglio.
Nonostante il consueto ritardo del Meridione
italiano, la Sicilia viveva un periodo di grande
splendore dovuto principalmente all’estrazione,
lavorazione e commercio dello zolfo; alle quali
si aggiungevano altre attività commerciali: dagli
agrumi alle ceramiche, alle tonnare.
Il capoluogo siciliano, oltre ai grandi commercianti
stranieri “presenta una straordinaria dinastia
economica, quella dei Florio di Palermo, che
furono armatori, industriali e banchieri di attività
eccezionale”.
La borghesia imprenditoriale è la classe sociale che
più si identifica nello stile f loreale, perché essendo
una classe di nuova formazione rifiuta gli stili storici
e diviene la committenza principale delle opere
progettate con i nuovi stilemi.
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Il protagonista del Liberty palermitano è l’Architetto
Ernesto Basile (1857–1932), le cui opere appaiono
di grandi rilevanze e paragonabili a quelle degli
altri maestri europei, e “la fama internazionale e
gli impegni romani pressanti non gli impediscono di
lavorare nelle province ed esercitarvi la sua influenza”;
quindi, il linguaggio modernista grazie all’opera
di Basile si diffonde anche in varie zone dell’isola
siciliana, dove professionisti locali adottano ed
elaborano tale linguaggio architettonico.
Alla fine dell’Ottocento, l’attività portuale e
solfifera di Licata produceva benessere e ricchezza;
ciò si desume anche dall’ordinata crescita urbanistica
della città, oltre che dalla crescita demografica: la
popolazione era passata dalle 17.000 unità del 1889
alle 26.000 unità del 1909.
L’importanza del porto di Licata nel commercio
dello zolfo è testimoniata dal fatto che “ i solfi grezzi
venivano classificati nelle seguenti qualità: 1a Licata,
2 a Vantaggiata Licata, 3 a Buona Licata, 4 a Corrente
Licata, 5 a Vantaggiata fuori miscela, 6 a Vantaggiata
uso o tipo, 7a Buona, 8 a Corrente”.
Questa classificazione era già in uso nel 1830, ma
il periodo d’eccezionale prosperità nel commercio
dello zolfo “si ebbe tra il 1892 ed il 1905, quando
le zolfare attive in Sicilia passarono da 657 a 800”!
Quindi il Modernismo a Licata si sviluppò in un
contesto di fermento economico e culturale, dove
l’ambiziosa borghesia affidò alla raffinatezza dello
stile Liberty, il compito di rappresentare il loro
stato sociale.
Lo spirito modernista, che fondeva tradizioni locali
ed inf lussi europei, è stato acquisito dal tessuto
culturale e sociale di Licata, grazie anche al Basile
che nel 1907 ha progettato il Palazzo di Città, che
va inserito “tra i capolavori del maestro siciliano”.
Tra i professionisti locali, si distingue il Geometra
Filippo Re Grillo, che si può definire il principale
interprete delle tematiche Liberty di Licata.
Re Grillo riesce a soddisfare pienamente la
borghesia imprenditoriale licatese, che vuole
esternare il proprio livello sociale, economico e
culturale, attraverso la costruzione d’edifici che ne
siano l’espressione tangibile.
Alcuni di questi edifici sono stati affrescati dal
pittore palermitano Salvatore Gregorietti tra il
1902 ed il 1903.
Le opere di Re Grillo sono frutto di una
profonda elaborazione culturale e costituiscono
una considerevole realtà nell’ambito del Liberty
siciliano.
Palazzina Grillo
Filippo Re Grillo nel 1902 progetta un’abitazione per
la famiglia di Francesco Grillo, probabilmente suo zio;
ubicata nel versante sud orientale del Monte S. Angelo,
il quale è sormontato dall’omonimo castello costruito nel
1640.
Questo edificio, sebbene potrebbe essere definito villa, per
via del giardino annesso, non è concepito dal progettista
come tale; ciò si desume anche dal prospetto originale
rinvenuto presso l’archivio della famiglia Re, nel quale
viene denominata Palazzina Grillo.
Inoltre le soluzioni distributive e formali di quest’opera,
al contrario delle ville da lui progettate, non recepiscono
le istanze di rinnovamento della tipologia della villa
avviate da Bartolomeo Michelozzi (1396 – 1472), detto
“Michelozzo”, che fu l’architetto di diverse ville medicee.
La palazzina ha una pianta regolare, pressoché quadrata,
ben concepita nella sua semplicità ed è composta da due
piani fuori terra oltre a quello seminterrato.
In ogni modo alla semplicità della soluzione distributiva
si contrappone la ricercatezza delle soluzioni formali.
Le aperture del secondo livello, ossia del piano nobile, sono
bifore e nella sommità presentano elaborati ornamenti,
quasi merletti lapidei, che ricordano l’architettura
islamica; lo stesso motivo ornamentale si ripete nel
parapetto traforato del balcone.
Le aperture del primo livello sono archi a sesto acuto,
sormontate da fregi floreali in bassorilievo, la particolarità
consiste negli infissi sagomati per creare l’illusione ottica
di finestre bifore.
Il coronamento dell’edificio è composto di un fregio
floreale in bassorilievo sotto i beccatelli con archetti
moreschi che sorreggono il cornicione e dal muretto
d’attico merlato, di chiaro riferimento all’architettura
militare.
Il fronte principale, esposto a nord est, prospetta verso
il centro urbano e si affaccia su un terrazzo ubicato sul
basamento dell’edificio, ideato per ovviare alla pendenza
del luogo.
Nel fronte prospiciente su via Garibaldi, all’altezza del
piano nobile, sporge una graziosa loggia dalla quale si
poteva godere della vista del mare e della foce del fiume
Salso.
L’edificio, è stato realizzato rispettando fedelmente il
progetto, le uniche varianti consistono nell’ingresso del
basamento e la ringhiera del terrazzo.
Purtroppo, questo gioiello architettonico, è stato
deturpato da una ristrutturazione selvaggia, che ha
stravolto la configurazione originaria addossando un altro
edificio.
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ANNO IV
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Palazzo Navarra
Nel 1907 Filippo Re Grillo progettò e diresse i lavori di
ristrutturazione nel palazzo del Cav. Roberto Vecchio
Verderame, ubicato sull’angolo tra piazza Progresso
ed il corso Vittorio Emanuele; successivamente viene
denominato “Palazzo Navarra” perché è stato ereditato
dalla figlia del Cavaliere, Lucrezia Vecchio Verderame in
Navarra, anche se attualmente la costruzione è suddivisa
in diverse proprietà.
Questo edificio dimostra la maturità progettuale di Re
Grillo e la sua sapiente adesione ai temi floreali del Liberty.
I lineamenti architettonici di questa raffinata costruzione
non contrastano con le linee barocche del palazzo
Frangipane, di fronte al quale prospetta lungo il corso
Vittorio Emanuele; inoltre “tendono ad armonizzare con
quanto sull’altro lato della piazza si andava edificando su
disegno di E. Basile”.
L’edificio, dalla volumetria molto semplice, si sviluppava
su tre livelli: piano terra, piano nobile e sottotetto; però,
nell’area tra corso Vittorio Emanuele e via Carducci,
avendo a disposizione un’altezza maggiore dovuta alla
pendenza del corso, Re Grillo ha ricavato un piano
ammezzato, probabilmente destinato alla servitù.
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Dal prospetto originale si deduce che l’ammezzato
doveva estendersi in tutto l’edificio, ma in un secondo
tempo è stata ridotta l’altezza complessiva, considerando
che nella zona d’ingresso principale era necessario uno
spazio maggiore, il progettista ha preferito la soluzione
dell’ammezzato parziale.
Nel fronte principale, che prospetta su piazza Progresso,
si trova l’ingresso monumentale che aggetta leggermente,
sormontato dal balcone più ampio, composto da tre
moduli invece di due come gli altri; sopra il portone
in legno, evidenziato dal bugnato, è inserita una bella
raggiera in ferro battuto circoscritta dalla cornice rilevata,
ad arco policentrico con il concio di chiave più sporgente,
lo stesso tipo di arco si ripete in tutte le aperture del piano
nobile, dove sono inserite lunette prefabbricate ornate con
motivi floreali in bassorilievo.
Il piano nobile sembra evidenziato de tre cornici lapidee
orizzontali, due in corrispondenza dei balconi e l’altra
all’altezza delle linee d’imposta delle aperture.
I balconi lapidei, davvero particolari, sono concepiti come
se fossero recinti con balaustrate, ma al posto dei balaustri
sono inseriti pregiati elementi in ferro battuto forgiati
con motivi floreali; anche le pile angolari presentano
ornamenti floreali in bassorilievo.
Disegno del fronte sul corso Vittorio Emanuele
Nel sottotetto, che aggetta leggermente tramite una
cornice dentellata, si aprono graziose finestre bifore, ad
arco moresco, che si allineano con i balconi del piano
nobile; notevoli anche i beccatelli lignei, finemente
intagliati, che sorreggono la copertura.
I lievi aggetti, nei prospetti, confermano che la forte
luminosità dell’atmosfera siciliana rende apprezzabili
le minime vibrazioni plastiche; questo principio è stato
sperimentato da Basile nella sua casa palermitana del
1903.
Particolari anche le soluzioni degli angoli curvilinei che
accrescono la continuità prospettica e le edicole votive
nel fronte prospiciente su corso Vittorio Emanuele; gli
spigoli smussati ricordano il Palazzo Lumia a Canicattì,
costruito nel periodo Barocco.
Nel complesso il progetto iniziale redatto da Re Grillo
è stato rispettato, a parte nella modifica formale delle
finestre sottotetto e nella semplificazione del bugnato.
Per quanto riguarda i cinque balconcini del piano
ammezzato, considerata la differenza delle ringhiere,
dei fregi nelle cimase delle aperture ed il minore
deterioramento degli stessi, rispetto a quelle del piano
nobile, si può affermare che sono stati realizzati in epoca
successiva.
Inoltre l’edificio, al piano terra, ha subito modifiche
planimetriche di natura funzionale, per consentire
l’ubicazione di diversi punti commerciali.
Anche gli interni, decisamente in stile Liberty, dell’edificio
sono molto rifiniti, ovvero: i sostegni del lucernario, che
illumina la scala principale con ornamenti floreali in
bassorilievo; la ringhiera in ghisa della scala di pregevole
fattura; la pareti dell’ingresso principale rivestite con
lastre di marmo; la porte di accesso agli appartamenti;
le finestre con vetrate a piombo e decorazione floreali
policrome.
Le volte delle varie stanze sono impreziosite da decorazioni
pittoriche molto elaborate; l’affresco di una camera
ricorda quello del disimpegno al primo livello della villa
Sapio Rumbolo, ma non è certo che siano stati eseguiti
anch’essi da Gregorietti.
Particolare della ringhiera in ghisa
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Veduta del porticato d'accesso e del prospetto sud
Villa Sapio Rumbolo
I lavori di costruzione delle villa, destinata al soggiorno
estivo della famiglia del Cav. Angelo Sapio Rumbolo,
ebbero inizio del 1900 e furono completati due anni
dopo.
Questa lussuosa architettura si trova nel Monserrato,
nelle colline limitrofe al centro urbano di Licata, e
comprende due piccoli edifici di pertinenza.
Il prospetto principale, esposto a sud, si affaccia su un
terrazzo che offre un panorama spettacolare sulla costa.
Per ampliare questo terrazzo, il progettista ha pensato
bene di creare sulla rampa d’accesso un porticato di
mattoni, illuminato da sei archi moreschi; questa
soluzione architettonica, attraverso la modifica del sito,
trae il maggior vantaggio possibile dall’orografia del
terreno e dimostra l’ingegno di Filippo Re Grillo, che
riesce a far fruttare pienamente il lotto di terreno non
molto ampio.
La villa è costituita da due elevazioni, definite da
cornici, sopra le quali si accede al sottotetto e ad un
terrazzino utilizzato per asciugare la biancheria in
modo riservato.
L’edificio, nei lineamenti architettonici, è armonioso e
solido dal punto di vista statico, anche perché sorge su
un’altura rocciosa.
Le strutture di elevazione della costruzione sono
realizzate in muratura di pietrame intonacata, muratura
di mattoni e muratura di conci squadrati a faccia vista
nel basamento e nei cantonali.
L’impostazione planimetrica che si può definire
razionale, presenta un asse di simmetria che non è
rispettata solo nell’angolo nord-ovest, dove trovano
ubicazione la scala principale e quella di servizio.
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Dalle soluzioni distributive si deduce la predilezione di
Re Grillo per la retta, infatti, mancano superfici curve
sia all’interno che all’esterno; la particolarità consiste
nell’arretramento dei prospetti in corrispondenza dei
due ingressi, una sorta di segnalazione formale.
L’impianto planimetrico e distributivo è assimilabile
alla villa che Lorenzo il Magnifico nel 1479 si fece
progettare da Giuliano Giamberti da Sangallo, edificata
a Poggio di Caiano nei pressi di Firenze.
Nel prospetto sud sporge un portico d’ingresso con
tre archi a tutto sesto nel fronte e due scale laterali,
sormontato da un terrazzo accessibile mediante tre
aperture del piano nobile, nonostante l’ingresso
principale della villa sia nel prospetto nord, dove arriva
la rampa di accesso che supera il dislivello tra la quota
del cancello e la quota zero della villa.
Molto particolare è il rosone nel prospetto ovest,
utilizzato nelle chiese gotiche, con vetri policromi che
illuminano la scala.
Nel primo livello, le aperture sono sormontate da
decorazioni in bassorilievo, presenti anche nelle lesene
agli angoli dell’edificio, mentre le finestre sono bifore,
in marmo di pregevole fattura, di chiaro riferimento
all’architettura romanica.
Questo immobile, oggi di proprietà Cicatello, è
stato dichiarato di interesse storico-architettonico
particolarmente importante e soggetto a vincolo exlegge n° 1089 del 1939 con Decreto n° 5346 del 1994
Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali
e della Pubblica Istruzione; attualmente sono in corso
lavori di restauro conservativo e cambio di destinazione
d’uso.
Planimetria d'insieme
Prospetto del lato sud
Prospetto nord, con ingresso principale
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In quest’edificio si possono rilevare diverse analogie
con le opere di Ernesto Basile: il rosone è presente nel
villino Basile a Santa Flavia del 1874; le finestre bifore
si ritrovano nel palazzo Bordonaro a Palermo del 189396; mentre il portico di ingresso avanzato è adottato nel
palazzo Bordonaro, nella villa Igea a Palermo del 1899 e
nella palazzina Rudinì a Roma del 1903.
Meritevole di nota è anche il cancello in ferro battuto,
probabilmente frutto anch’esso della creatività di
Filippo Re Grillo.
La villa Sapio Rumbolo nel 1902 è stata impreziosita
dalle decorazioni pittoriche di Salvatore Gregorietti
(1870-1952), artista palermitano, che con le sue opere ha
“illuminato” l’interno di molti edifici in tutta la Sicilia
ed in Calabria.
Gregorietti in questa villa manifesta la padronanza di
tutto il suo repertorio decorativo, nella sala da pranzo,
definita una delle massime espressioni artistiche
nell’ambito floreale, “sottili steli emergenti da un fitto
sottobosco di foglie filiformi si attorcigliano con estrema
levità e si espandono in alto in un continuum di rose rosa
e giallo pallido, disposte in sequenza orizzontale come in
un etereo pergolato, trovando l’unico segno forte in spirali
di spine, che simbolicamente in tanta perfezione e levità
paradisiaca, introducono l’ idea latente del dolore e della
sofferenza”; al centro del soffitto con sfondo celeste,
un gruppo di graziosi puttini con le ali giocano tra le
ghirlande di rose, creando l’illusione di un cielo aperto.
Nella volta del salotto, cornici con amorini
monocromatici delimitano delicate fanciulle-fiore:
garofani, gigli, iris e rose che simboleggino le quattro
stagioni.
Nella stanza da gioco, dove si trova un biliardo di fattura
artigianale, la decorazione dai toni cromatici pacati
è composta da quattro figure danzanti con costumi
medioevali, iterate nel perimetro della volta.
Nelle camere da letto: ciclamini, garofani, orchidee e
viole del pensiero sono intrecciati, oppure sono iterate,
apparendo un ornato fitomorfo con una tale armonia
che riscatta la serialità.
Nella sala del disimpegno al piano nobile, iris di vari
colori si susseguono sullo sfondo celeste del soffitto, che
n’esalta le tonalità cromatiche.
Da alcune foto d’epoca si evince che la villa era arredata
con mobili Ducrot, quindi si deduce che quest’opera
seguiva pienamente le tendenze del Liberty, secondo
cui un gruppo d’artisti si occupava dell’edificio
integralmente, dall’architettura agli arredi, alla pittura.
Fanciulla giglio nell'affresco del salotto
Rose e puttini nella volta della sala da pranzo
34
Il Teatro
Filippo Re Grillo fin da giovane ebbe la passione per il
teatro, infatti nel sul “libro contabile” scolastico si evince
che durante il periodo in cui studiava a Palermo, spesso
si recava a teatro.
Nel 1906 ha redatto il progetto per la ristrutturazione e
l’ampliamento del teatro esistente a Licata, costruendo
anche un modello ligneo in scala 1:50.
Questo plastico è curato nei minimi particolari,
addirittura nel foyer vi ha costruito una porticina che
ricorda molto la porta con vetri decorati del palazzo
Verderame.
Inoltre ha fatto stampare un opuscolo per promuovere
la costruzione di tale opera, nel quale ha descritto il
progetto ed ha formulato una proposta per renderlo
realizzabile dal punto di vista economico, dato che il
Comune non aveva fondi per costruire quest’opera,
ritenuta di lusso.
Tra il 1912 ed il 1914, furono eseguiti i lavori occorrenti
al Palazzo Municipale, con annesso il vasto magazzino
ex teatro, provvedendo alle riparazioni necessarie;
nel contempo si realizzarono le opere preparatorie per
la futura costruzione, consistenti nelle fondazioni e
l’elevazione del primo livello.
Nel 1919 Re Grillo ha edificato, su un’area ceduta dal
Comune per ventinove anni, il teatro che ha preso il suo
nome.
La struttura della sala è quella tipica a ferro di cavallo e
comprende: platea, due ordini di palchi e loggione.
Il Teatro Re venne ultimato nel 1921 e “inaugurato dalla
compagnia lirica C. Abramonte e C. , direttore d’orchestra
il cav. Franz Morosoni, con la traviata di Verdi, il don
Pasquale di Donizetti e il Barbiere di Siviglia del Rossini,
rappresentati dal 25 Febbraio al 12 Marzo 1922”.
Il Tetro Re divenne un punto di ritrovo per la raffinata
borghesia licatese; in seguito, però, l’esercente dovette
adeguarsi alla novità, ossia le proiezioni cinematografiche;
infatti, in una dichiarazione autenticata alla pianista
Saverina Vitali nel 1924, Re Grillo nomina il locale:
Cinema-Teatro, nonostante nell’intestazione risulti
ancora Teatro Re.
Purtroppo, il 13 Aprile 1930 mentre si proiettava un film,
un pauroso incendio provocò 15 vittime.
Negli anni Settanta fu affidato in gestione e funzionò
qualche anno come cinema comunale; alla scadenza del
contratto rimase chiuso nuovamente.
Recentemente sono stati ultimati i lavori di restauro;
quindi nel breve periodo, si potrà riavviare nel prestigioso
Teatro Re la sua attività naturale.
Modello ligneo realizzato dal progettista F. Re Grillo nel 1905
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Teatro, spaccato assonometrico, 2° livello
I testi sono estratti dal volume “Le opere di Filippo Re Grillo a Licata”, promosso dal Collegio dei Geometri e Geometri Laureati
della Provincia di Agrigento, pubblicato per le Edizioni La Vedetta nel marzo 2004 a cura dell’autore Salvatore Carisotto che, nella
prefazione, fra l’altro, scrive: “La presente monografia nasce dalla rielaborazione della tesi di laurea che ho discusso, nel marzo 2001,
presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. La scelta del Geometra Filippo Re Grillo come soggetto
della tesi, è dovuta principalmente al mio desiderio di approfondire la conoscenza di questo geniale progettista licatese, al quale si
può attribuire senza dubbio la qualifica di architetto.
Infatti, studiando le sue opere non si possono non apprezzare le straordinarie capacità progettuali ed esecutive dell’autore, che
con i suoi edifici ha reso Licata, la città più ricca di monumenti in stile Floreale della provincia di Agrigento, un’importante meta
nell’itinerario Liberty siciliano”.
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COSTRUZIONI
Gino Zavanella
e le sue architetture
“Il fuoco, il tetto e la luna - Gino Zavanella e le sue
architetture. Un percorso spirituale” è il titolo del libro di
Maurizio Crosetti (Editore IMT Srl) dal quale sono estratti
i due brani: “La matita invisibile” e “Lo stadio degli amici”.
LA MATITA INVISIBILE
C’è tanta strada da fare, sempre. Si attraversano paesi e
piccole città, tutto a colpi di matita. Il giovane architetto
Gino Zavanella, neo laureato, si trova a muovere i primi
passi professionali a San Benedetto Po, nella provincia
mantovana, il suo paese. La storia comincia con un
amico.
“Si chiamava Roberto Malavasi e purtroppo non c’è più.
Era il presidente dell’Eca, vale a dire Ente Comunale
Assistenza, che gestiva il ricovero degli anziani indigenti
all’interno dell’antico monastero benedettino. La sua
intuizione fu quella di costruire una moderna casa di
riposo. Fresco di laurea, trascorrevo le sere al paese
parlando di questa iniziativa; a Firenze avevo anche
conosciuto un assistente universitario presso la Facoltà
di Architettura che aveva lavorato con il professor
Antonini, noto geriatra. Insomma, quasi per scherzo
cominciammo davvero a progettare la casa di riposo che
è ancora lì, a San Benedetto Po, dov’è stata ampliata e
dove svolge la sua funzione in modo eccellente, anche se
ormai risale al 1971”.
A ben guardare, sin dall’inizio il destino professionale di
Gino Zavanella lo portò a pensare spazi ampi, nei quali
far muovere tante persone. La casa di riposo, le banche,
gli impianti sportivi. Insomma, architettura sociale. E’
come se esistesse una traccia comune da seguire, e forse
c’è davvero. Una catena di idee per arrivare allo stadio
che è molte altre cose ancora. Invece, quell’ospizio
cos’era?
“Le linee-guida ci vennero date proprio dall’illustre
geriatra. Ogni settore aveva il suo salotto, la sala
giochi, la sala tivù: era costruito a braccia, per evitare
l’idea del casermone. Ogni reparto era autonomo, sia
per l’assistenza medica vera e propria, sia per le zone
di svago e socializzazione. Ogni corridoio era interrotto
più o meno a metà dagli spazi comuni. La casa di riposo
di San Benedetto Po nacque per anziani autosufficienti,
ma poi ospitò anche gli altri, i più gravi, i più bisognosi
di assistenza e quindi vennero predisposte le sezioni per
la fisioterapia e il recupero funzionale, come ad esempio
le aree di deambulazione. Il tutto cercando di non
creare strutture opprimenti o angoscianti: la vecchiaia
e la malattia lo sono già abbastanza. Quel progetto lo
ricordo molto bene, un po’ perché fu il primo e poi
perché era una cosa importante, una costruzione molto
grande con uno scopo anche sociale, dunque da trattare
con estrema delicatezza. Mi fu offerta una notevole
opportunità”.
Nella vicenda professionale di Gino Zavanella c’è poi
la lunga parantesi di costruttore. Un’epoca senza carta
e matita, piena invece di ponti, gallerie e viadotti.
“L’impresa che ho condotto per quindici anni e cioè la
SCA, Società Costruzioni e Appalti, a partire dal 1988 ha
realizzato grandi opere pubbliche stradali e ferroviarie.
Qualcosa di molto interessante, anche se diverso dalle
esperienze precedenti perché quelle costruzioni non le
progettavo io. Una responsabilità che mi cadde sulle
spalle, qualcosa di mica tanto creativo, eppure ci sono
momenti nella vita in cui tocca sobbarcarci anche
compiti che non avevamo scelto o previsto. Per quanto
riguarda l’architettura, diciamo che è stata una forzata
pausa di riflessione. E il mio studio è andato comunque
avanti grazie al collega, sodale e fraterno amico,
Alessandro Valenti. Se non mi avesse aiutato e aspettato
con infinita pazienza, forse avrei mollato tutto”.
Ma come funziona la “bottega artigiana” di Gino
Zavanella e della sua “mezza mela”, al secolo Alessandro
Valenti, detto Sandro? Perché la simbiosi è andata avanti
anche quando Zavanella era preso da ruspe e gru, più
che dal foglio bianco?
“Anche durante la mia lunga sosta – con Sandro e grazie
a lui – riuscimmo comunque ad affrontare progetti
importanti come quello del nuovo stadio di Tunisi,
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oppure il palazzo dello sport di Fossano. E’ chiaro che il
mio contributo era relativo, visto che dovevo occuparmi
dei 280 operai dell’impresa di costruzioni. Mi alzavo
alle cinque del mattino e andavo a letto a mezzanotte. In
questi casi, il tuo collega dev’essere anche il tuo migliore
amico, complice e confidente, bisogna potersi dire tutto.
Se manca la confidenza non può svilupparsi l’intesa”.
Perché questa è davvero una strana coppia, in grado di
lavorare insieme anche separata, riducendo le distanze
con un colpo di telefono, un fax oppure una e-mail.
Oggi, del resto, la tecnologia favorisce gli spostamenti
anche se Gino Zavanella non è davvero l’architetto più
tecnologico del mondo.
“Proprio stamattina Sandro mi ha spedito via computer
degli schizzi da rivedere, appena accennati e io glieli
devo modificare al telefono. Lui capisce al volo.
Un’infinità di passaggi nei quali si sviluppa il nostro
modo di progettare insieme”.
L’architetto afferra un computer portatile nero: a occhio
non è davvero l’ultimo modello disponibile sul mercato.
“Sarò sincero, spesso uso il fax invece del pc perché mi
trovo meglio”. I creativi a volte s’imbarazzano di fronte
a tasti e schermate. “Sandro è a Mantova, nel nostro
vecchio studio. Ogni tanto mi raggiunge e ci vediamo,
però non sempre è essenziale. L’importante è avere sotto
gli occhi lo stesso disegno, perché ora ci siamo così
affinati che ci capiamo quasi senza bisogno di parlare”.
Si vede che i due architetti sono affezionati alla loro
“bottega”.
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“Vorremmo tanto che non finisse con noi. Vorrà dire
che alleveremo per bene i nostri giovani collaboratori,
e la trasmissione delle idee procederà da noi a loro. Per
esempio, l’architetto Andrea Maio, che sta intensamente
collaborando con me da qualche mese in GAU Arena,
potrebbe essere tra quelli destinati a raccogliere il
nostro testimone”.
Il luogo dove nascono i progetti, o sarebbe meglio
dire “i progetti dei progetti”, è quello del cuore, cioè
Viareggio. E lì non servono strumenti fantascientifici.
C’è un semplice tavolo dove l’architetto stende i suoi
fogli bianchi, cioè lo spazio che già contiene tutte le
linee: solo bisogna trovarle. E’ come se fossero nascoste,
anche loro bianche nel bianco, come un leprotto dal
pelo color latte che corre nella neve. Come vedere il
bianco nel bianco? “Cercando, aspettando”.
Un tavolo, i fogli, una matita, il primo schizzo. Anche
se si potrebbe affermare che Gino Zavanella arriva alla
matita soltanto dopo. “Le mie gestazioni sono sempre
molto lente, ho bisogno di tempo”.
Le idee migliori sono quelle che nascono la mattina
presto, a passeggio. “Esco, e mi porto sempre appresso
un taccuino, oppure un pezzo di carta qualsiasi. In
fondo il mio studio quasi non esiste oppure è la pineta.
Tutto semplice, davvero: un tavolo e dei fogli di carta.
Comincio pasticciando e poi butto via. Preferisco
progettare camminando, perché quando cammino io
vedo le cose, o forse le immagino vedendole”.
Il momento creativo è sempre un mistero per tutti. “Io
penso molto in maniera tridimensionale. Immagino
già lo spazio, non la pianta dell’edificio. Immagino il
volume che diventa spazio: si torna sempre al famoso
cubo, 3x3x3, con il forellino per la luce”.
Ecco il progetto per lo stadio di Ponsacco. Molta carta
viaggia da Mantova a Torino, da Mantova a ovunque e
ritorno. Perché a Mantova c’è Sandro, e “ovunque” c’è
Gino. Il foglio è sempre l’inizio e la fine del percorso.
“Questi sono gli schizzi messi giù da Sandro seguendo
un mio schema. Per adesso facciamo solo queste
due parti qui”. L’architetto muove il dito sulle linee
del progetto, forse è questa la vera matita invisibile.
“Tribuna Ovest, tribuna Est, ecco, il pubblico sale
dai lati, così. Qui ci dev’essere un albergo con l’atrio
al piano terra, poi l’area commerciale di 750 metri
quadrati, con accesso diretto. Esisteva un altro mio
progetto precedente, a quest’altezza è previsto un
percorso e Sandro lo sapeva. In fondo è una cosa
semplice, carta e matita”.
Adesso tocca al vecchio “Think Pad” nero, che
mentre si accende ronza come un gatto contento.
L’architetto clicca su altre tappe del progetto, trasferito
sullo schermo a colori. “Questo è l’ammezzato e ora
vediamo l’ultima proiezione delle tribune laterali, no,
non questa, ecco, ci siamo. E’ la sezione dell’albergo.
Per esempio: qui c’è una cosa da cambiare. Si tratta
del portico e attorno si sviluppa una membrana di un
tessuto simile a quello che utilizzeremo per la copertura
dello stadio della Juventus, una specie di teflon su cui
è possibile fare proiezioni e modificare la luce. Poi ci
sono le stanze dell’albergo, alcune delle quali danno
direttamente sul campo di gioco. Ho detto a Sandro
che bisogna spostare il pilastro più verso l’esterno, in
maniera che questo balcone faccia anche da copertura
della tribuna”.
Le mani toccano lo schermo del computer come
se davvero potessero disegnare, ed è quello che sta
accadendo nella testa del progettista. “Vorrei inoltre
che questa parte seguisse la tribuna, questa invece va
più indietro… Quando lo spiego a Sandro, l’intesa è
talmente forte che mentre io parlo, lui ha già capito.
E’ ovvio che per arrivare al risultato finale occorre
attraversare una serie infinita di prove”. Intanto si
aprono altre pagine a colpi di mouse. Ancora lo stadio
di Ponsacco. “Ecco le aree di protezione, aperte di
giorno e chiuse la sera e durante le partite”.
Ogni autore deve fare i conti con la sindrome del foglio
bianco. Ne sanno qualcosa gli scrittori: la partenza
di un’avventura creativa è la tappa più complicata.
Servono le parole giuste per avviare il discorso, bisogna
subito catturare l’attenzione del lettore.
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Certo, per un architetto è diverso, però il bianco ancora
intatto del foglio è il medesimo. Così piena di possibilità
inespresse, così aperta alle più svariate soluzioni, la
tonalità di quel bianco è sorella del vuoto, del dubbio,
della ricerca, dell’inespresso. E allora, Gino Zavanella,
come si tira la prima riga? Come si vive quel momento?
“Ah, il primo segno è terrorizzante. Io non seguo nessuna
regola. Però ricordo perfettamente che il progetto dello
stadio di Torino è cominciato con una curva a destra,
così, perché volevo dare il senso del guscio”.
L’architetto si alza in piedi e mima nell’aria col braccio
quel tratto iniziale, che in qualche modo è una forma
ed è già memoria. La mano destra si protende, le dita
“disegnano”. “Una curva senza pretese, davvero molto
semplice, direi quasi banale. Quel guscio ha tenuto
insieme tutto”. Dunque, il cervello ha iniziato a lavorare
“vedendo” la copertura, e il resto di conseguenza. “Sotto
il tetto si infila la pelle, c’è questo stacco tra copertura
e pelle, e ancora sotto c’è una terza parte. Copertura,
guscio e poi la membrana che circonda la struttura
come una bandiera o un grembiale, dove verrà stampata
e proiettata la storia della Juventus”.
Si tratta di una curiosa progettualità corporea,
l’embrione del disegno che seguirà la visione, il flash dal
quale si è partiti.
Per la scintilla, capirete, non serve uno studio e neppure
il famoso tavolo diagonale dove ognuno di noi immagina
gli architetti chini sui fogli all’inseguimento di quello
che ancora non c’è. Nel caso di Gino Zavanella, quella
rincorsa parte a piedi, alla lettera e quasi sempre nella
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pineta di Viareggio. Se vi capiterà di passare da quelle
parti bellissime di prima mattina, potrete forse scorgere
un uomo alto che somiglia alle fotografie del maestro
Toscanini, con accanto un pastore tedesco. L’uomo,
forse, si metterà ad agitare mani e braccia come per
raccogliere qualcosa, un frutto o forse un fiore aereo,
e invece è un disegno. Qualcosa che vede solo lui.
Tranquilli, non c’è da preoccuparsi, è tutto a posto.
“Ho un amico fotografo che vorrebbe immortalarmi
in quei momenti, dove però ho bisogno di una totale
solitudine altrimenti le cose che sto immaginando,
nel loro inizio, si confondono e non le distinguo più.
Il mio amico mi ha spiegato che esiste una tecnica
fotografica attraverso la quale il gesto può essere
mostrato nella sua continuità di movimento, come
una linea bianca. I movimenti mi servono per avere la
visione tridimensionale del progetto, per dargli corpo
e per cominciare quel processo che dovrà portare alla
trasformazione del volume in spazio. Per mia fortuna,
queste cose accadono in luoghi dove non c’è gente,
altrimenti mi prenderebbero per matto. In pineta di
levante, a Viareggio, vado sia d’inverno sia d’estate,
percorro chilometri e chilometri perduto nei miei
pensieri e a volte mi ritrovo lontanissimo”.
Nell’aria, dunque, si può disegnare. Anzi, si può
disegnarla. Però è un po’ complicato prendere appunti…
“Nel momento in cui parlo con l’architetto Valenti, con
il mio amico Sandro, non ho più bisogno di mandargli
nulla, lui sa tutto”. Ecco, anche al telefono si può
disegnare.
“Poi è chiaro che carta e matita le ho sempre con me,
perché altrimenti le linee si possono smarrire. Spesso,
la mattina oppure di notte, mi sveglio e disegno
un breve tratto perché mi ricordo qualcosa che ho
pensato nel dormiveglia. Ci sono queste immagini che
vanno e vengono. Credo che raccontare la creatività
sia impossibile, è un processo individuale, quanto di
più soggettivo esista al mondo. Io posso, tutt’al più,
provare a spiegare il mio metodo, cioè come funziona il
laboratorio artigianale. Non ho mai fatto l’autoanalisi
dei miei percorsi creativi, so che questo accade e so
come accade, però non è una decisione, non è una
scelta: è qualcosa che si manifesta, che sgorga da
dentro. Ed è qualcosa che si produce mentre lo fai:
l’inizio è sempre vago, è come la famosa curva. Però
quella vaghezza può già contenere tutto”.
Come dice una famosa frase citata da molti artisti, da
Hemingway a Ennio Morricone, “la creatività è per il
dieci per cento ispirazione e per il novanta per cento
traspirazione, cioè fatica”. “Un lavoraccio, su questo
nessun dubbio. Anche sofferenza. E’ un parto, dove
però non ti decidi mai a partorire, non dici mai ‘questa
è la cosa che volevo fare’. Al contrario si è sommersi dai
dubbi, ci si chiede continuamente se non si stia facendo
una scemenza, oppure un’incredibile banalità. A un
certo punto, in qualche modo, bisogna pur decidersi:
però, quante difficoltà!”.
Le modifiche, sempre possibili, sempre necessarie,
possono diventare un’ossessione. Perché ogni linea di
matita, sia nell’aria, sia sul foglio ma soprattutto sul
foglio, contiene in sé la moltitudine di tutte le linee
alternative e non tracciate. Erano migliori? Potrebbero
ancora esserlo? Così comincia la serie di domande che
non si chiudono mai. “A quel punto, bisogna avere la
fortuna dei collaboratori giusti. E io l’ho avuta. Questo
evita troppi ripensamenti. Credo che il mio ruolo sia
essenzialmente creativo: chi lavora con me, sa che io
do le idee e lo spunto. Poi, lo sviluppo materiale è
qualcosa di collettivo. Ammetto che a volte non seguo
la seconda fase con troppa insistenza. Tra l’altro sono
abbastanza negato per le questioni pratiche connesse al
mio mestiere: saranno venticinque anni che non vado
in Comune a fare le pratiche per ottenere una licenza
edilizia, non è snobismo, è che proprio non sono capace,
non ho pazienza, non ho neanche tanta voglia. Ecco
spiegata la fortuna di avere bravissimi collaboratori.
Lavorai, ad esempio, con Riccardo che oggi vive in
Sicilia e fa l’architetto come me. Da molto tempo non
collaboriamo più, però continuiamo a sentirci perché
l’amicizia è profonda. E poi, certo, Sandro. Persone che
mi hanno sempre aiutato e permesso un certo ruolo”.
Creare, a differenza di quello che si ritiene, significa
soprattutto aspettare. E’ una costruzione, non un
impulso. Metodo e non solo istinto. La prima idea, la
famosa curva tracciata nell’aria da una mano, quella
può essere l’intuizione, ma costruirci uno stadio
attorno richiede pazienza.
“Io sono molto lento. A volte posso pensare per un
mese a un progetto senza neppure prendere la matita
in mano. E’ una specie di digestione. Devo digerire il
luogo, ma anche il committente. Devo digerire il sito,
la mia idea e magari anche me stesso mentre lavoro”.
Sono i percorsi di uno strano metabolismo, qualcosa
che è anche se non soprattutto fisico, perché riguarda
il corpo che fatica e cerca le cose dentro di sé e nello
spazio circostante. “E’ essenziale conoscere benissimo il
territorio e più che conoscerlo assimilarlo. Abbiamo già
parlato dell’interazione necessaria tra luogo e struttura,
perché quest’ultima non rimanga un oggetto estraneo,
qualcosa che non riuscirà mai ad integrarsi con lo
spazio che la circonda. Per questo, la prima cosa che
faccio è andare a vivere per un lungo periodo nel posto
nel quale dovrò costruire qualcosa, oppure recarmi là
di continuo. A Ponsacco sarò stato trenta volte, lungo
la superstrada tra Pisa ed Empoli. Devo guardare bene
le cose che vedo. Ma soprattutto devo parlare con la
gente, con i cittadini, con gli amministratori pubblici,
naturalmente con il sindaco. Abbiamo fatto riunioni
su riunioni: non sarei davvero capace di astrarmi
per progettare, come se ogni struttura in fondo
fosse uguale ad un’altra e come se qualunque cosa
funzionasse in qualunque luogo. Lo ripeto: la matita
viene dopo. Credo sia così anche per un romanziere:
magari la trama si sviluppa cammin facendo, però il
nocciolo della storia dev’essere in testa già dall’inizio.
Un autore dovrà prendere un sacco di decisioni di
metodo e contenuto, dovrà preparare decine di scalette
su personaggi e trama, luoghi e ambientazioni, e poi, –
alla fine – penso si metterà a scrivere. Sono sicuro che
nessun autore parta di getto, senza avere fatto prima
un lungo lavoro dentro se stesso”.
L’architettura, par di capire, è un insieme di azioni e
idee parallele, che però devono essere governate da una
mente sola. “Non puoi mica pensare alle fondazioni
e non pensare al tetto! Il progetto è un tutt’uno,
bisogna avere il pensiero e il controllo di qualcosa che
sta crescendo. Poi, come ho detto, gli interventi e le
modifiche non finiscono mai. Con Valenti facciamo
duemila telefonate e cinquemila incontri. Ricordo
benissimo che per lo stadio di Tunisi, il progetto
complesso – che dovrà integrarsi col palazzo dello
sport – è scaturito rivedendo anche altri nostri lavori,
ad esempio a Venezia, e parlando molto di architettura
araba”.
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Non si tratta, come è ovvio, di copiare. Ma di portare
in ogni progetto la propria storia di autori: perché niente
di quello che è già stato fatto, trattandosi di creatività,
scompare dalla mente e dalle mani del creatore. Ogni
punto della retta definisce e compone la retta stessa. “Non
dobbiamo autocitarci, però la nostra storia la portiamo
sempre dentro. E’ accaduto anche per il progetto dello
stadio di Torino: talmente cambiato, nel corso del tempo,
ma sempre su una linea di sviluppo che non può prescindere
dalla vicenda personale e professionale dei progettisti. I
quali, tra loro, non finiscono mai di influenzarsi: e così
si accumulano i contributi degli autori e bisogna essere
aperti. Il nostro è stato un progetto a quattro mani: ci
passavamo le idee, le intuizioni, i suggerimenti, perché
non avrebbe senso lavorare a compartimenti stagni,
dividendosi prima i compiti. Non funziona così. Occorre
l’intesa è c’è stata”. Anche stavolta, grazie al telefono?
“Eh no, ci mancherebbe. Certe cose accadono solo con i
colleghi con i quali si sta insieme da quarant’anni. No, per
lo stadio di Torino abbiamo trascorso un’infinità di tempo
a contatto di gomito. Materialmente, l’abbiamo disegnato
a Roma insieme a un gruppo di architetti e ingegneri.
Ci sono state tante discussioni, a volte anche piuttosto
animate, ed è giusto perché niente nasce dall’assenza di
contrasto o di attrito. E’ una questione di energia e del
suo sviluppo. Prima si discute dell’insieme, poi di ogni
dettaglio. Sembra facile: non lo è per niente. Poi, devo
dire che siamo anche stati fortunati perché, partendo
da uno ‘stadio nello stadio’, cioè dal primo progetto che
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prevedeva la nuova struttura inscatolata dentro il vecchio
Delle Alpi, l’evoluzione è stata quasi automatica. L’idea
delle reti e delle notizie da stampare in qualche modo
lungo il perimetro dell’impianto c’era già; poi, è passata
attraverso la trasformazione di tutto questo nel progetto
per lo stadio degli Europei 2012, infine nello stadio che
pulsa come una bandiera”.
E’ bello pensare a un percorso così lento e continuo,
dove ognuno mette o toglie qualcosa di sé, visto
che le idee procedono per sottrazione e non solo per
accumulo. “Anche in questo, c’entra l’altruismo di
cui parlavamo all’inizio: una buona collaborazione
comincia quando un architetto non è convinto che
ogni sua idea sia irrinunciabile, e quando viceversa si
apre senza pregiudizi ai contributi dei colleghi. Senza
smettere, com’è ovvio, di difendere e valorizzare quello
in cui crede. Ma siccome nessuno di noi dispone, per
fortuna, di sacre tavole della legge, questa legge non
esiste”. Fino a che punto ci si batte per la propria matita?
“Devo dire che non mi è mai accaduto. Quando si è in
sintonia, l’intesa scaturisce in modo naturale. Non ho
mai battagliato per imporre un progetto: se ti trovi in
quelle condizioni, vuole dire che stai lavorando con le
persone sbagliate oppure che la persona sbagliata sei tu.
La logica guida le scelte, mica uno va a destra e l’altro
a sinistra”.
La direzione che prenderà un lavoro può dipendere da
molte cose, alcune casuali. “A Torino, prima di arrivare
alla soluzione definitiva abbiamo abbandonato la rete
microforata che doveva avvolgere lo stadio e strada
facendo l’abbiamo sostituita con le famose lamelle.
Per le quali, si badi bene, esistevano ipotesi diverse e
alternative. Per esempio si poteva decidere di colorarle,
magari di bianco e nero, oppure – com’è stato – si
potevano lasciare argentate. Alla fine, anche l’architetto
Giugiaro ha dato il suo tocco su alcuni dettagli. Un
lavoro molto interessante e complesso, sviluppato da
più persone, che ha avuto sempre un filo conduttore, un
concetto portante e coerente”.
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LO STAdIO dEGLI AMICI
Il concetto di stadio diventa centrale per comprendere
una rivoluzione che non è solo architettonica,
strutturale o commerciale, ma è prima di tutto mentale.
E chiama in causa il nostro modo di guardare le cose,
di considerarle. Perché le barriere, le recinzioni, quasi
sempre cominciano nella nostra mente: la realtà si
limita a confermarle.
“Io penso che quando diciamo stadio, non dobbiamo
immaginare solo l’invaso che lo ospita o la struttura
che lo forma. Stadio è quando cominci ad avvicinarti,
a entrare, è qualcosa di molto più ampio. Stadio è
quando inizi a partecipare all’evento, è il percorso
che compi per raggiungere le gradinate, comprese le
soste: per un caffè, per dare un’occhiata, per parlare
con qualcuno. Ecco un altro mio sogno, e anche
questo non lo ritengo un’utopia: uno stadio dove le
persone parlino tra loro e non si limitino a correre
con lo sguardo basso verso il posto assegnato, tra un
controllo e l’altro, tra una barriera e l’altra, facendo lo
slalom in mezzo agli agenti. Stadio è quando partecipi.
Nei grandi spazi, nelle piazze, cambierà l’intero modo
d’essere del pubblico sportivo. Perché l’uomo è una
creatura sociale, non asociale. Come diceva Aristotele,
è un “animale politico” nel senso della polis, della città
e della partecipazione. Amiamo stare con gli altri, più
che da soli. Si tratta, è chiaro, anche di un problema
culturale e certi obiettivi si raggiungono con il tempo”.
Sul tavolo, un vecchio giornale racconta gli incidenti
di Catania del 2 febbraio 2007, quando morì Raciti
prima del derby con il Palermo in una notte di follia
collettiva. “Guardo le fotografie, rivedo i filmati di
quella sera e mi accorgo che i protagonisti della violenza
erano quasi tutti ragazzi. E mi chiedo quali famiglie
avessero alle spalle, se fossero mai andati una volta in
chiesa, se avessero mai dato l’elemosina a un povero.
Come sono vissuti? Qual è il profondo malessere che
li alimenta? Mi rendo conto che si rischia la retorica,
però bisogna avere il coraggio di porsi la domanda
centrale: questi ragazzi, che etica hanno? Mi chiedo
chi sia davvero questa gente, coloro che feriscono e
talvolta uccidono per una partita di calcio. Neppure
per difendere la libertà o la propria stessa vita, si arriva
a tanto. Neanche i tibetani, minacciati ed emarginati
da sempre, fanno questo per difendersi. Non riesco
a darmi una risposta, provo solo angoscia. Io amo il
calcio, indirettamente vivo di calcio e davvero non
capisco”.
Ma se quella sera a Catania, invece del vetusto Stadio
Angelo Massimino, il teatro dello sciagurato derby
siciliano ci fosse stato un impianto di concezione
moderna, la violenza non sarebbe esplosa così?
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“La controprova è ovviamente impossibile, però io credo
che le cose non sarebbero andate in questo modo, non
fino in fondo, almeno. E’ chiaro che non abbiamo la
bacchetta magica e neppure la garanzia dell’equazione
‘nuovo stadio, fine della violenza’. Magari fosse così.
Il raggiungimento di quel traguardo può arrivare solo
al termine di un lungo processo di cambiamento:
culturale, etico e strutturale, nel senso della struttura
e della concezione degli stadi. Nessuno vuole mandare
la gente alla partita in smoking, sarebbe ridicolo. Però
deve cambiare la lettura dello stadio, il sentimento
di come lo si vive. Quando mi reco in un luogo di
svago, nel quale cerco piacere e divertimento, quando
identifico nella stadio un posto dove posso soddisfare
una mia antica passione, nata quand’ero bambino
e mantenuta negli anni – perché gli appassionati di
calcio sono sempre un po’ bambini – e vedo attorno a
me solo gente in divisa, equipaggiata con scudi, armi e
manganelli, ecco, anche se so che quegli agenti stanno
lì per garantire la sicurezza io non mi sento tranquillo,
non mi sento a mio agio. Quando vado a teatro oppure
al cinema, mica si sono i poliziotti all’entrata! Mica
mi chiedono il documento una, due, cinque volte.
Mica mi perquisiscono. Se nel giorno di una partita
a Torino andate in corso Agnelli, di fronte allo stadio
Comunale che ora chiamano Olimpico, vedrete solo
militari in tenuta anti-sommossa e vi chiederete se per
caso quella notte non si siano verificati un colpo di
stato o un’insurrezione popolare”.
Restando a Torino, città dell’architetto e della Juventus,
chi prova ad andare alla partita in tram – un gesto
semplice e antico – deve mettere in conto deviazioni
di percorso, interruzioni e impreviste scarpinate a non
finire. Quando c’è una gara di cartello, con qualche
rischio per l’ordine pubblico, la prima cosa che viene
decisa è la soppressione della corsa del tram n. 10
ad almeno tre o quattro isolati dallo stadio. Prima
conseguenza: la gente deve raggiungere l’Olimpico
a piedi, e tra questa gente ci sono anche gli anziani,
oppure coloro che hanno problemi nel camminare.
Seconda conseguenza ancora più grave: i cittadini
che usano il tram n. 10 solo per andare a casa, o per
spostarsi, o per i fatti propri e che nulla hanno a che
fare con il calcio, sono costretti ad affrontare un disagio
che non meritano e contro il quale non esiste difesa.
La terza conseguenza la illustra l’architetto Zavanella:
“Lo stadio in questo modo diventa un luogo contro la
città, una minaccia incombente. Mi pare inevitabile
che il quartiere lo viva come ostile e veda nella partita
un’autentica sventura a cadenza settimanale. Cioè
l’esatto opposto di quello che dev’essere uno stadio:
luogo per la città, non contro la città”.
Mai avrebbero previsto tutto questo i progettisti, ingegneri
Bianchini e Ortesi, e neppure l’architetto Fagnoni, quando
nella tarda primavera del 1932 si misero a disegnare le
prime linee dello stadio che sarebbe diventato Comunale
e poi Olimpico, ma che allora si sarebbe chiamato “Stadio
Mussolini”. Veramente un miracolo di velocità. Il 22
settembre le maestranze della ditta Saverio Parisi di Roma
aprono il cantiere che in 180 giornate lavorative porterà
alla conclusione delle opere, realizzate anche da altre tre
imprese: cioè lo stadio e il campo adiacente riservato
all’atletica leggera, la piscina coperta e quella scoperta, le
piste e le aree riservate al basket e al tennis.
L’inaugurazione dello “Stadio Mussolini” avviene il
14 maggio 1933. Ci sono 70 mila torinesi, quel giorno,
ad assistere all’evento. Il nuovo stadio si trova a ridosso
della Piazza d’Armi, sulla stessa direttrice in cui sono
già sorti altri campi sportivi, cioè gli stadi del primo
Novecento. Tale è l’orgoglio per lo “Stadio Mussolini”,
che il Comune decide di far pagare il biglietto a chi lo
vuole visitare nei giorni della settimana in cui non si
disputano le competizioni. Per entrare si paga una lira e
questa abitudine verrà mantenuta fino agli ultimi giorni
del vecchio Comunale, quando si pagavano duemila
lire per assistere agli allenamenti della Juventus, dentro
una struttura arrugginita, decrepita e cadente. Quasi
un simbolo del modo più sbagliato di usare uno stadio:
facendo pagare – in tuti i sensi – un prezzo alle persone,
invece di garantire servizi, comodità e svago.
Il nuovo stadio della Juventus
è stato creato uno stadio che vive il suo momento
clou durante le partite, ma nello stesso tempo ha una
propria dimensione polifunzionale, con spazi pensati
per rispondere a diverse esigenze e con servizi per tutta
la famiglia.
Un luogo condiviso, insomma, un punto di incontro
quotidiano per persone di tutte le età e con interessi
differenti, un naturale centro di aggregazione: in altre
parole un agorà del XXI secolo.
Lo stadio può ospitare 40.200 spettatori ed è stato
concepito con i massimi standard di sicurezza.
L’accesso, privo di barriere architettoniche, avviene
attraverso quattro ingressi posti sugli angoli.
Al termine degli eventi, in caso di emergenza,
l’impianto si può svuotare in meno di quattro minuti.
La copertura degli spalti, studiata in galleria del vento,
è stata realizzata ispirandosi al profilo delle ali degli
aerei: struttura leggera realizzata in una membrana in
parte trasparente ed in parte opaca.
Una delle caratteristiche più rilevanti del nuovo stadio
è il rivestimento delle pareti esterne, che viene replicato
in tutte le strutture che circondano l’arena, per ribadire
la coesione e la continuità dell’intera area urbana
interessata.
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ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
Progetto Stadio “US Città di Palermo”
Impianto moderno e sicuro, uno spazio incomparabile,
speciale ed esclusivo dove la partita è l’apice di un’intera
giornata di gioia e serenità, lo stadio si caratterizza come
luogo di spettacolo ed intrattenimento (ristoranti, bar,
sale giochi, baby club, area relax, ecc.), attivo 7 giorni su 7
con un alto livello di servizi in tutti i settori (media 0,80
m2/spett.).
Le tribune sono vicinissime al campo e la Curva di
visibilità di ogni singolo spettatore è studiata secondo
gli standard europei e secondo quanto previsto dalla
normativa italiana. Massima sicurezza è ottenuta
attraverso lo studio di un sistema di percorsi interni grazie
ai quali sarà possibile evacuare lo stadio in meno di 5
minuti (20m/min).
Assenza di barriere architettoniche per accedere a tutti
i settori, nessuna separazione tra gli spalti e il campo e
possibilmente nemmeno tra settore e settore.
Il raggio di curvatura studiato per il raccordo tra le tribune
sarà esclusivo dello stadio; in queste aree sono previsti i 2
ristoranti principali dello stadio con ampie vetrate a vista
campo.
All’interno dello stadio saranno allestite zone per
l’accoglienza e il tempo libero delle famiglie e in particolare
predisposte delle “kids area”. Ed, inoltre, un museo per i
tifosi e per i turisti: creando opportune sinergie con le
strutture turistiche, si potrà inserire un tour dello stadio e
del museo del Palermo.
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La trasparenza dell’involucro
Lo stadio è avvolto da un involucro in elementi metallici e
vetro che garantisce dinamicità e trasparenza. Gli elementi
metallici hanno una sezione a fuso e percorrono in
orizzontale tutto il perimetro dello stadio svasandosi verso la
copertura per meglio raccordarsi visivamente ad essa e per
non “appiattire” l’invaso.
Le chiusure vetrate atermiche evidenziano di giorno il legame
tra lo stadio e il quartiere, di notte accentuano al massimo la
luminosità dell’impianto e la sua funzione di “faro” per la
città. Gli elementi metallici orizzontali costituiscono anche
una protezione nei confronti delle vetrate.
Sui corner trovano posto schermi cielo-terra che attraverso
l’uso di avanzati sistemi tecnologici comunicano con la
città. Si tratta di apparati led di ultima generazione, che
saranno usati con varie caratteristiche e definizioni secondo
le zone dove saranno istallati, che hanno la prerogativa di
avere un’alta luminosità ed un elevato contrasto in tutte le
condizioni ambientali e di irraggiamento solare.
La Copertura
Il sistema di copertura studiato, dalla sezione a fuso
che richiama quella degli elementi metallici di facciata,
prevede 2 fasce di rivestimento: la prima è opaca, la
seconda semitrasparente in modo da far passare circa
l’80% della luce e allo stesso tempo impedire il passaggio
dell’acqua.
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ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
La copertura non sarà direttamente collegata all’involucro
perimetrale. Questa separazione, unita ai 4 passi carrai,
che fungono da ripresa, permetterà una naturale e/o
forzata ventilazione controllata nel catino. Questo sarà
fondamentale per il benessere del pubblico e del manto
erboso per il quale saranno utilizzati avanzati sistemi
tecnologici in tema di irrigazione e protezione.
Sistemi strutturali innovativi
Le gradinate del catino saranno realizzate con un sistema
strutturale che prevede l’impiego di elementi prefabbricati
sagomati in acciaio e poliuretano. Si tratta di un sistema
alternativo al cemento armato e alle carpenterie metalliche
tradizionali.
I benefici e i vantaggi sono notevoli:
• Peso strutturale ridotto: 70/80% più leggero del cls;
• Facilità e rapidità di posa in opera: montaggio 3 volte più
48
veloce con riduzione delle complessità logistiche e dei rischi;
• Riduzione dei costi del 30%;
• Facilità nello smontaggio e nel riutilizzo con un
incremento della flessibilità architettonica.
Le panchine sono inserite nella tribuna ovest a fianco
dell’uscita giocatori. Sono previsti 2 tabelloni interni
completamente digitali che consentono la fruizione di
contenuti ad alta definizione. Lo stadio sarà interamente
cablato e ciò consentirà di dotare ogni settore ed ogni posto
di pannelli interattivi.
Certificazione LEED
L’intero complesso sarà completamente ecosostenibile e
progettato in modo da garantire il rispetto degli standard
legati alla sostenibilità ed ecocompatibilità alla base
della certificazione LEED (Leadership in Energy and
Environmental Design).
Gino Zavanella
Nasce a Torino il 7 novembre 1944, ha studiato architettura e
urbanistica a Firenze laureandosi nel 1969 con il prof. Spadolini,
ha frequentato i corsi di Maestri come gli architetti Savioli e
Ricci con il quale collabora anche dopo la laurea. Attualmente
vive a Roma, Torino e Viareggio.
Iscritto all’ordine degli architetti dal 1970, fonda lo studio
GAU nei primi anni ’70 collaborando in maniera continuativa
dal 1976 con l’arch. Alessandro Valenti. Nel 1986 apre una sede
dello studio a Roma ed inizia ad interessarsi principalmente
d’architettura dello sport.
Costituisce in quegli anni “GAU srl”, società di engineering con
la quale sviluppa importanti incarichi come la stesura definitiva
del progetto per lo Stadio delle Alpi di Torino, seguendo anche
la realizzazione, ed il progetto del Palasport di Milano, con gli
architetti Aldo Rossi e Ron Labinsky (progetto mai realizzato).
In occasione dei mondiali del 1990 in Italia collabora con il
C.O.L. progettando le aree hospitality degli stadi S. Siro,
Palermo e Cagliari.
In questo periodo progetta, su incarico FIAT – Engineering in
qualità di concessionario, lo stadio di Venezia.
Nel 1992 costituisce, sempre con Alessandro Valenti, lo “studio
GAU – Architetti Associati” e acquisisce diverse e importanti
commesse come la progettazione e direzione lavori di “Sportilia
– cittadella dello sport”, lo Stadio Euganeo di Padova, lo Stadio
di Salò (BS), il palazzetto dello sport di Fossano (CN).
In questa fase l’architetto Zavanella inizia la progettazione
interdisciplinare collaborando con specialisti della medicina
sportiva, con esperti preparatori atletici e con gestori di impianti
sportivi al fine di eseguire opere finalizzate al massimo confort
sia degli atleti sia degli spettatori, ma tenendo sempre presente i
problemi della gestione della sicurezza.
Nel 1990 – 2000 vince il primo premio al concorso
internazionale per lo stadio e il palazzo dello sport per i giochi
del Mediterraneo a Tunisi.
Sulla base di queste esperienze tra il 2003 e il 2006 progetta e
dirige i lavori per il Centro di allenamento della Juventus e il
Centro allenamento dell’Empoli F.C.
Nel 2003 è coprogettista e capogruppo del progetto per lo
Stadio della Juventus a Torino con l’inserimento e il recupero
di parti dell’attuale Stadio Delle Alpi.
Elabora, sempre come capogruppo, una proposta per la
rifunzionalizzazione dello Stadio Castellani di Empoli su
incarico dell’Empoli F.C.
è stato responsabile del Servizio Impianti Sportivi del CONI
Provinciale di Mantova dal 1985 al 1992.
è componente della commissione Impianti Sportivi della Lega
Calcio dal 1998 e componente della commissione Impianti
Sportivi della F.I.G.C. dal 1999.
Nel 1998 per conto della L.N.P. visiona tutti gli stadi dei
Mondiali di Francia con particolare attenzione alle funzionalità
e alla sicurezza.
Nel 2000, sempre su mandato della L.N.P. supervisiona
tutti gli stadi del BeNeLux in occasione degli Europei,
interfacciandosi con i vari studi di progettazione durante le
varie fasi di lavorazione. (In particolare gli stadi di: Amsterdam,
Rotterdam, Harlem, Eindoven)
Tra il 2004 – 2006 collabora ai progetti di ampliamento e
riqualificazione degli Stadi di Siena e La Spezia in collaborazione
con gli uffici Tecnici Comunali.
Nel 2006 è progettista capogruppo e coordinatore del progetto
architettonico per il nuovo stadio della Juventus.
Nel 2007 viene incaricato della progettazione per il nuovo
stadio di Viareggio dalla F.C. Esperia Viareggio.
Nel 2008 inizia a progettare un nuovo stadio di Ponsacco (PI).
Da tempo sostiene la necessità di un radicale rinnovamento del
parco stadi d’Italia, optando in primis per la privatizzazione
degli stessi. In questo modo si darebbe alle squadre la titolarità
dello stadio, con il doppio vantaggio di una patrimonializzazione
delle società e con la garanzia di investimenti ed interventi
sostanziali. Così si potrà arrivare ad uno stadio accogliente,
multifunzionale, utilizzato tutta la settimana; allentando le
tensioni e abbassando quel vortice di violenza a cui abbiamo
assistito negli ultimi anni.
Ha svolto inoltre un’intensa attività sportiva, prima in
automobilismo e poi in motonautica (dal 1981 al 1992)
vincendo un Titolo Mondiale, due Titoli Europei e tre Titoli
Italiani.
Per questi meriti gli viene assegnata dal CONI la Medaglia
d’Oro al Valore Atletico, massima onorificenza sportiva
GAU Arena. Il team di lavoro
•
Arch. Gino Zavanella,
Progettista - Capo Progetto
•
Ing. Laura Catacchio
Progettista
•
Ing. Virgilio Manni
Coordinatore Tecnico
•
Ing. Pierangelo Longo
Progettista
•
Arch. Andrea Maio
Responsabile Progettista
•
Geom. Paolo Patarca
Supervisore Cantieri
•
Arch. Alberto Dolciami
Responsabile Progettista
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EVENTI
Biennale di Architettura 2012
Venezia 29/8 – 25/11
Padiglione Italia
Il pensiero di Adriano Olivetti, il suo modo di fare
impresa e di coniugare la cultura con il business è il
modello scelto da Luca Zevi, architetto e urbanista, per
il Padiglione Italia alla 13a Mostra Internazionale di
Architettura organizzata dalla Biennale di Venezia.
Il 3 maggio Luca Zevi, è stato nominato da Lorenzo
Ornaghi, Ministro dei Beni Culturali, curatore del
Padiglione Italia. A Roma, il progetto è stato presentato
alla stampa l’8 maggio. “Se negli ultimi trent'anni vi è
stato un dominio della finanza, nei prossimi anni dovrà
tornare a essere centrale il lavoro - ha esordito Zevi -. E
credo che nel messaggio di Adriano Olivetti vi sia un
seme che dice che si può essere imprenditori producendo
beni eccellenti, realizzando servizi qualificati e, al tempo
stesso, facendosi carico dello sviluppo urbanistico.
L'esperienza di Adriano Olivetti - ha continuato Zevi
- è diventata un modello di sviluppo in cui politica
industriale, politiche sociali e promozione culturale si
integrano nella proposta di una strada innovativa nella
progettazione delle trasformazioni del territorio. Nella
mia proposta - ha concluso - non c'è nulla di nostalgico:
per me Olivetti era un moderno per la sua capacità di
progettare in funzione delle esigenze dell'uomo.”
Il motivo per il quale è stato scelto, tra le undici proposte
arrivate, il progetto di Zevi è stato spiegato da Antonia
Pasqua Recchia, Segretario generale del Mibac: “Mette
in relazione l'architettura con l'economia, la cultura con
le imprese e abbiamo pensato che in un momento così
delicato per il Paese si dovesse fare qualcosa di più di
una semplice esposizione. Il Made in Italy del Padiglione
Italia - ha osservato Pasqua Recchia - tornerà quindi
alle sue radici, agli anni del boom economico, di un
momento storico particolarmente positivo per l'Italia”.
La realizzazione del Padiglione Italia sarà per la prima
volta ecosostenibile. Zevi ha detto: “La sostenibilità è
anche una grande opportunità per migliorare la qualità
nel settore dell'edilizia”.
Il Padiglione Italia per quanto “mostra” diventa
prototipo di un nuovo modo di abitare che tiene insieme
cultura dell’ambiente e green economy. I visitatori si
confronteranno con punti di vista diversi attraverso i
territori dell’architettura dell’economia, della cultura.
Avranno la possibilità di porre domande e dialogare
con i Rappresentanti delle Istituzioni politiche,
imprenditoriali, finanziarie e culturali.
L’Italia ed il mondo guardano con stupore al fenomeno
straordinario che è stato Adriano Olivetti la cui visione
tiene insieme architettura, economia e territorio. Diventa
il punto chiave dalla quale ricominciare a scrivere il
futuro dell’Italia.
Lo stesso Padiglione Italia, energeticamente
autosufficiente, è un prototipo per un nuovo modo di
abitare simulando un ecosistema produttivo in cui i
bisogni fondamentali dell’uomo (abitazione, acqua,
cibo ed energia) vengono messi a sistema di un ciclo
chiuso capace di garantire la propria autosufficienza
minimizzando la produzione di scarti.
“GeoEvenTus”
Geometri allo Juventus Stadium
GEOSPORT, l’Associazione sportiva dei Geometri
italiani, sotto l’egida del Consiglio Nazionale Geometri
e Geometri Laureati, nel suo programma di attività, oltre
alle manifestazioni sportive, ha inserito delle Conferenze
formative sul tema del progettare, realizzare, mantenere e
gestire luoghi ed impianti per lo sport.
Notevole è stato il successo di partecipazione a
“GeoEvenTus”, in Torino il giorno 28 aprile 2012, che
ha visto un centinaio di Geometri liberi professionisti,
provenienti dai diversi Collegi provinciali, seguire la
lezione tenuta dall’Architetto Gino Zavanella nella “Press
Conference Room” del nuovo Juventus Stadium.
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Grande attenzione è stata posta dai partecipanti durante
la visita della nuova moderna struttura guidata dallo
stesso Zavanella, progettista di altri Stadi in Italia ed
anche all’estero.
Alla conferenza ha partecipato anche Fausto Savoldi,
Presidente del CNG/GL, che, su invito di Gian Luca
Musso, Presidente di GEOSPORT, ha ribadito i
concetti e le necessità della Categoria dei Geometri sulla
formazione, base per lo sviluppo della conoscenza che
consente ai professionisti di prospettare alla Committenza
precise soluzioni ai diversi problemi connessi all’attività
del costruire con la coscienza ed il rispetto dell’ambiente.
IDEE
Biografia
degli oggetti:
il ciclo di vita?
photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Agf Bernardinatti
Questo il titolo dell'intervento, qui pubblicato in estratto,
tenuto da Emanuela Scarpellini, docente di Storia
contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano,
nell’ambito del Festival dell’Economia 2102 dedicato al
tema “Cicli di vita e rapporti tra generazioni” svoltosi a
Bari, Trento e Rovereto e promosso da: Provincia autonoma
di Trento, Comune di Trento, Università degli Studi di
Trento, in collaborazione, con il Comune di Rovereto e il
Gruppo 24 ore e la Progettazione di Editori Laterza.
In questa occasione ho la possibilità di parlare di un
argomento che mi sta a cuore, non solo i consumi, ma il
nostro rapporto con gli oggetti.
Quando ho cominciato a studiare questo tema mi sono
chiesta davvero tante volte quale ruolo hanno gli oggetti
per noi e l’ho chiesto prima di tutto a me stessa. E devo
dire che la prima risposta, facile, che mi viene da dire è,
per esempio, che ci sono degli oggetti che hanno per me
un particolare valore affettivo, quell’oggettino che mi
è stato regalato e mi ricorda qualcosa, e così via. Però
questa, forse, è ancora una risposta troppo semplice.
In realtà gli oggetti fanno parte della nostra vita
quotidiana, cioè rappresentano un po’ il nostro
quotidiano, il paesaggio domestico, potrei dire, e anche
lavorativo che abbiamo intorno. E invece molte volte,
noi non li consideriamo, li diamo per scontati.
Sarebbe bello immaginarsi se, per un momento, gli
oggetti della nostra casa sparissero di colpo. Che cosa
avremmo? La nostra casa non sarebbe più quella, perché
non riusciremmo ad orientarci. Il solito tavolo dove
mettiamo le cose, l’appendiabiti, qualunque cosa… Gli
oggetti in realtà hanno costruito intorno a noi una sorta
di panorama domestico che funge per noi da riferimento
importante.
Allora basandomi su questa riflessione, quando ho visto
il titolo di questo importante ciclo di incontri qui a
Trento, “Cicli di vita”, mi sono chiesta: potremmo fare
un ragionamento e pensare gli oggetti come qualcosa che
hanno, come dire, una specie di vita loro? Naturalmente
una vita sociale, perché la vita degli oggetti che interessa
noi è quella degli oggetti che hanno a che fare e che
entrano nella nostra vita.
Allora ho cominciato a pensare, per esempio, che
alcuni studiosi, gli archeologi, in effetti fanno proprio
questo lavoro. Trovano un vaso, un coccio, una punta
di freccia, e da quello, studiando il materiale, come è
stato fatto, dove è stato ritrovato, riescono a risalire alle
persone che l’hanno prodotto. Quindi sono loro i primi
a farci capire che gli oggetti sono una parte della nostra
storia.
E allora riferendoci a “Cicli di vita”, si può raccontare
una sorta di biografia degli oggetti? Possiamo parlare,
anche per loro, di una nascita, di una vita e di una
morte? Magari morte apparente, vedremo. E questa è
stata l’idea a cui ho pensato per questo intervento. E
quindi inizierei con la nascita, pensando alla quantità di
oggetti che noi abbiamo intorno. Oggetti che per noi, a
volte, direi, sono quasi invisibili. Ne abbiamo talmente
tanti intorno, che se dovessimo elencarli faremmo
davvero fatica perché li diamo per scontati. Sono
talmente dentro alla nostra vita che non li vediamo,
letteralmente. Li usiamo ma quasi senza accorgercene.
51
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
La nascita: come nascono, in fondo, gli oggetti? Anche
qui, la mia preparazione e soprattutto gli studi di storia,
mi fanno pensare che per raccontare la prima parte di
questa storia, la nascita degli oggetti, bisogna tornare
indietro nel tempo.
Potremmo cominciare con quadro, un quadro del ‘700
in cui c’è un nobile – questo era un Primo Ministro
portoghese, comunque un Conte – nel quale si vede che
già allora c’è una serie di oggetti importanti. Intanto ci
sono i vestiti, c’è poi la poltrona, abbiamo la carta, dei
mobili … Quindi gli oggetti hanno sempre fatto parte
del panorama umano.
Però c’è un piccolo problema, che questo nobile aveva
intorno a sé parecchi oggetti e diversi di questi, sono
anche molto belli. I suoi abiti sono molto preziosi. Io ho
trovato delle testimonianze che raccontavano che per
gli abiti di un nobile, fatti bene (ed è interessante notare
che gli abiti degli uomini erano più costosi e pregiati di
quelli delle donne), potevano servire anche fino a quattro,
cinque mesi di lavoro. Pensate a un abito che impiega più
persone per cinque mesi di lavoro. Non dimentichiamo
che questi abiti, per esempio, avevano bottoni che non
venivano usati, come adesso facciamo noi, per allacciare,
ma erano fatti solo per bellezza, ed erano fatti spesso di
pietre preziose.
Quindi abbiamo già degli oggetti straordinari in questo
quadro. Peccato che erano degli oggetti che pochi
si potevano permettere. Erano oggetti tutti di tipo
artigianale, fatti su misura, su richiesta del nobile che se
li permetteva. C’erano già alcune manifatture, laboratori
artigianali. Fra i primi che noi conosciamo, quelli che
lavoravano le ceramiche. Ma anche in questo caso si
trattava spesso di opere eccezionali, come pregio, come
qualità, erano spesso contornati d’oro.
Per gli altri non c’era molta storia, come ci racconta un
altro quadro di contadini. Gli oggetti della massa dei
contadini, che poi era la gran parte della popolazione,
erano pochissimi. I vestiti e quasi tutto era praticamente
fatto in casa. L’autoconsumo, quindi farsi in casa i vestiti,
gli attrezzi, i mobili … Si facevano praticamente tutto.
Pochissimo era comperato fuori, nei mercati oppure dagli
ambulanti.
La realtà era una realtà di oggetti, ma gli oggetti
52
importanti, veri, erano solo di una piccola élite. Il risultato
era che c’erano relativamente pochi oggetti nel mondo,
perché pochi se li potevano permettere.
Questa storia dei consumi cambia, invece, con la
Rivoluzione industriale. Quando penso alla Rivoluzione
industriale mi vengono sempre in mente le grandi
fabbriche che fanno macchine di ferro, i battelli a vapore,
ecc. Ma in realtà una delle vere trasformazioni della
Rivoluzione industriale è stata la produzione di serie. Il
fatto che si cominciasse a produrre in serie, abbattendo
i costi degli oggetti che potevano, quindi, andare ad una
massa di persone più ampia.
Tutto nasce, a volte non ci pensiamo, dalle armi. I primi
che ebbero effettivamente l’idea di fare una produzione in
serie – hanno avuto la licenza all’inizio dell’ ‘800 – furono
proprio gli armaioli. E questo perché loro pensarono,
giustamente, che nelle armi, ovviamente sempre
richiestissime dagli eserciti, era facile dividere i singoli
pezzi. Anziché fare l’operazione come si era sempre fatto
sino allora – produrre artigianalmente l’intero pezzo, su
richiesta del cliente – si prendeva il singolo pezzo, prima
le armi lunghe, poi quelle corte, e si tagliava letteralmente
la lavorazione in alcune parti semplici e le si faceva andare
avanti all’infinito.
Tra l’altro, non solo si poteva produrre molto di più
ed a prezzi bassi, ma c’era anche un altro grandissimo
vantaggio. Se si rompeva un pezzo di questa pistola, per
esempio il tamburo, questo si poteva sostituire. E in questo
caso, il Governo americano, che fu il primo a dare grandi
finanziamenti e spingere la produzione di massa, fece
proprio questo ragionamento: le armi devono funzionare,
ma io ho bisogno anche di armi che se hanno qualche
problema posso sostituirne un pezzo. Non che butto via
un’arma e ne compro un’altra che mi costa troppo.
Quindi con questa idea, soprattutto Samuel Colt, sviluppa
la produzione di massa e comincia a fare da esempio agli
altri sul fatto che si può produrre industrialmente, e su
numeri altissimi, un oggetto di uso comune, come per
esempio le armi.
Chi imparò moltissimo da questo esempio fu Isaac Singer
che, con le sue macchine da cucire, adottò lo stesso
sistema. Cominciò a produrre le sue macchine, non
solo per uso industriale ma anche domestico, dividendo
letteralmente i vari pezzi del lavoro. E fra l’altro, lui non
solo prese l’esempio dall’industria delle armi. Ho trovato
in alcuni giornali contemporanei che usava la “armory
practice”, cioè la pratica delle armi, perché questa era
diventata una sorta di standard. E addirittura che assunse
tre importanti dirigenti che avevano lavorato per la Colt
dicendogli: fate praticamente la stessa cosa, solo che mi
producete delle macchine da cucire.
Il risultato è che nel 1876 diventa leader mondiale nella
produzione di queste macchine.
Le macchine da cucire vogliono dire che si cominciano
a produrre abiti in serie. Non è più solo la sarta che li fa,
ma vuol dire che ci sono industrie che possono tagliare
industrialmente vari pezzi, cucire rapidamente le diverse
parti, assemblarle, stirarle, venderle in nuovi posti, come
i grandi magazzini che, per la prima volta, propongono
abiti pronti, abiti finiti.
E’ una grande rivoluzione di cui forse oggi, ormai, abbiamo
perso un po’ il senso. Perché per noi oggi è normale
comprare abiti industriali pronti. Ma una volta nessuno
lo faceva. Poche persone che potevano permettersi cose
artigianali, pagandole moltissimo, erano i fortunati. Per
gli altri, semplicemente, non c’era nulla.
Quindi questo passaggio della nascita degli oggetti
pronti è fondamentale. E chi forse l’ha lanciato a livello
mondiale come idea – perché spesso, poi, le idee sono
più importanti degli oggetti – è naturalmente Ford. Il
famosissimo Modello T della Ford, che nel 1911 comincia
la produzione e nel 1913 fa la prima catena di montaggio,
dimostra che, con un prodotto così complesso, come
addirittura un’automobile, si poteva usare lo stesso criterio
usato da Colt e da Singer.
Molti pensavano che fosse impossibile, perché le
automobili erano molto complicate, e lui lo dimostra.
Facendo questo piccolo gioiellino che costava, nel 1913,
260 dollari, che era effettivamente un buon prezzo. Anche
perché era un’auto che prima aveva una scocca in legno e
poi la rivestono in acciaio con 20 cavalli, e andava ad 80
all’ora, che non era male.
Sì, c’era un piccolo problema. Il sistema di frenaggio non
era molto adeguato, per cui non poteva frenare a più di
50 all’ora. Quindi diciamo che dai 50 agli 80 si andava
a proprio rischio … Comunque il successo di questa
macchina diffonde proprio l’idea che la produzione di
massa può cambiare il mondo. E si diffonderà non solo
in tutti i Paesi ma in tutti i tempi. In Italia, parlando
di macchine da cucire, la Necchi. E la Fiat, negli anni
’50, diffonderà l’idea di un’automobile diffusa su tutti gli
strati sociali.
Questa storia, che riguarda la nascita degli oggetti, ci fa
vedere che da un certo punto in poi succede qualcosa di
particolare e che aumentano notevolmente gli oggetti che
sono a nostra disposizione. Mentre prima erano pochi
e rari, ad un certo punto praticamente tutti i settori
riescono a produrre tanto. Riescono a produrre cose
anche di qualità.
E tutti noi, in realtà, tornando all’inizio del discorso,
abbiamo intorno a noi una quantità enorme di oggetti,
impensabile una volta. Direi che ognuna delle persone
presenti in questa sala ha oggi più oggetti di quanti
ne avesse un nobile due secoli fa. E questo ci ricorda
l’importanza che ha avuto la produzione in serie che ha
portato ad un’enorme moltiplicazione derivata anche dal
fatto che sono prodotti oggetti completamente nuovi.
Parlavamo prima della macchina, ma un altro classico
esempio è la televisione. Tutto il mondo dell’elettronica
spinge e porta oggetti, prima impensati, nelle nostre case.
La nascita ci riporta quindi una storia di aumento degli
oggetti perché da un certo punto in poi è facile produrli.
Ma poi c’è la parte importante, la vita degli oggetti.
Riguardo a quest’ultima dobbiamo dire che in fondo
questo stesso processo di trasformazione che abbiamo
visto – moltiplicazione degli oggetti e diffusione attraverso
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varie classi sociali – ha come seconda conseguenza di
diminuire la vita media degli oggetti e, diciamo, la loro
speranza di vita. Se vogliamo considerare la durata sociale
di un oggetto, in sostanza la verità e proprio questa.
Una volta l’oggetto finiva la sua vita sociale quando
era proprio logorato, distrutto. E, inoltre, si cercava di
ripararlo in tutte le maniere. Pensate agli ombrellai che
riparavano ombrelli rotti, oppure agli arrotini, agli attrezzi
da lavoro. Insomma qualsiasi cosa era riparata all’infinito.
E non solo perché c’era una grande povertà e non ci si
poteva permettere di perdere un oggetto importante.
Ma perché c’era anche una mentalità per cui l’oggetto
era prezioso, non si poteva buttare prima che fosse finita
la sua vita. Era uno spreco e anche un peccato. Quindi
anche le classi abbastanza abbienti stavano attente a non
sprecare e a non buttare gli oggetti.
Il valore positivo vero era il risparmio, non il consumo.
Quindi la vita degli oggetti era lunga. I mobili passavano
di generazione in generazione. Nessuno pensava; beh
lì butto via e me li ricompro nuovi. Arrivavano dai
genitori ed erano bellissimi. I vestiti anche. Guardando
una foto di una famiglia italiana degli anni ’30 posso
fare una scommessa. I più piccoli nella foto non hanno
certo dei vestiti nuovi ma indossano quelli portati prima
dai loro fratelli e dalle loro sorelle. I vestiti passavano
da generazione a generazione. Non si buttavano via. Il
bambino cresceva in fretta, il vestito era ancora buono
e non si buttava via. Si dava al fratellino o all’amico più
piccolo.
E poi magari quando la camicia aveva il colletto o i
polsini lisi si cambiano i colletti, non si cambia la camicia.
Il cappotto si rivoltava. Le lenzuola si rattoppavano. Io
mi ricordo per esempio mia nonna quando una volta
ero andata da piccola a casa sua e notai che aveva delle
lenzuola di lino bellissime però erano fatte con una
specie di patchwork, ed io pensavo che fosse un modello,
così, particolare. Ma in realtà, giustamente, lei quando
si rompeva una parte, tagliava un lenzuolo che si era
già rotto, in una parte buona e l’aggiungeva togliendo
il pezzo rotto. E queste sue cuciture facevano durare le
lenzuola un tempo inverosimile.
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Quindi, anche da questo punto di vista, potremmo dire
che la vita degli oggetti cambia da un certo punto in
avanti e si riduce. Perché noi, in realtà, con la rivoluzione
industriale e soprattutto con il benessere che arriva un
po’ in tutte le classi sociali non facciamo così. Io non
so se qualcuno di voi fa come faceva mia nonna con le
lenzuola. Secondo me noi le buttiamo via. Se va bene
le usiamo un po’ come copertura, ma poi fanno una
brutta fine. Non aspettiamo che si rompano neanche, in
realtà. Magari cambia la moda, preferiamo un oggetto
più nuovo …
Non parliamo poi della tecnologia che ci spinge
a comprare degli oggetti sempre nuovi. Il nostro
telefonino magari va benissimo, però poi esce quello che
è più potente, ha migliore definizione, prende meglio e
la tentazione sarebbe di cambiarlo e anche dopo poco,
anche se quello vecchio va benissimo e continua a
funzionare.
Lo stesso per la moda. I vestiti non si passano più per
generazione. Adesso addirittura si parla di “fast fashion”
parlando di questi negozi, soprattutto i grandi retailer,
che danno vestiti a prezzi davvero bassissimi che sono
pensati per durare pochi mesi ed essere ricomprati.
Sappiamo che è assolutamente vero perché è aumentato
enormemente il rifiuto tessile. Prima il rifiuto tessile era
una parte minima. Oggi è aumentato enormemente,
perché la gente prende un golfino lo mette un po’, poi
basta. Tanta costava 10 euro, lo butto via e ne compro
un altro da 10 euro.
Il mondo dei produttori ha cavalcato enormemente
questo discorso, questo nostro desiderio un po’ di essere
alla moda, cioè di essere anche socialmente nella giusta
posizione, di essere sempre all’ultimo grido, di avere
l’ultimo prodotto …
La televisione, adesso non è più quella di prima, ora
la televisione è super moderna, con collegamenti con
vari “devices”, ha internet e quant’altro. Che possiamo
permetterci grazie all’abbattimento del costo di questa
televisione e al nostro reddito abbastanza positivo.
Però il risultato, parlando della vita degli oggetti, è che
questa si è ridotta. Abbiamo avuto un’accelerazione
del turnover dei nostri oggetti e una spinta verso un
continuo cambiamento che è sembrata un po’ la chiave
di lettura della nostra epoca più moderna.
E adesso vengo alla morte. Perché se deve essere una vera
biografia degli oggetti ci deve essere prima la nascita,
poi la vita e poi ancora, la morte. Alla morte, gli oggetti,
dopo un ciclo che, come abbiamo detto, è diventato
sempre più breve, terminano la loro vita accanto a noi,
che possano essere usati o un po’ meno usati. E abbiamo
visto che rispetto al passato ci sono, in realtà, diverse
differenze.
Intanto, in primo luogo, nel passato l’oggetto andava
avanti moltissimo. Ma supponiamo che fosse davvero
rotto e non potessimo più usarlo. C’erano negozi che si
chiamavano rigattieri che erano comunissimi in molte
città. Erano negozi in cui si portava un oggetto che non
serviva più, anche un po’ rotto, loro prendevano di tutto.
Al limite pagavano a peso, anche poco o niente. Poi li
mettevano in luoghi dove si poteva trovare di tutto, a
volte li aggiustavano un po’, ma neanche tanto, e li
facevano entrare praticamente in un altro cerchio sociale.
C’erano persone che andavano lì e dicevano: ho bisogno
di un mobile che non mi costi tanto, che mi costi poco,
anche se non è troppo bello. E questi rispondevano: ecco
questo qui che mi hanno appena portato.
Così i rigattieri, ma c’erano anche i robivecchi questi
compratori e venditori ambulanti che andavano in giro
con i carretti e chiedevano se qualcuno voleva vendere dei
mobili vecchi. E loro praticamente li riutilizzavano per
persone a cui potevano servire o che non si sarebbero mai
potute permettere un mobile o un oggetto nuovo.
Quindi diciamo che la spinta al riuso o al riciclo era
fortissima in questa fase. E questo non vale solo per gli
oggetti grossi e importanti come mobili, oggetti di ferro,
di arredamento ecc. ma valeva persino per i vestiti. Vestiti
che, come abbiamo detto, avevano una vita lunghissima.
Da una persona all’altra, poi cuciti e ricuciti, rimessi a
posto in mille modi. Alla fine, quando proprio erano
conciatissimi, diventavano stracci. Gli stracci che sono
sempre utili per la casa perché gli strofinacci vanno
sempre usati.
Si poteva andare avanti così sino a quando persino gli
stracci diventavano inservibili, ma anche allora non era
certo il caso di buttarli via. In questo caso entravano in
azione quelle figure che sono chiamate diversamente a
seconda delle regioni.
Sono straccivendoli o cenciaioli. Anche in questo caso
si trattava di persone che spesso andavano in giro con
un carretto e compravano letteralmente stracci, tessile
usato, di qualunque tipo, a peso.
Loro praticamente, in realtà, dividevano, e se c’era
qualcosa di appena riutilizzabile veniva rivenduto per
l’ennesima volta, altrimenti sappiamo che portavano
questi materiali in due posti; o alle cartiere, e quindi
venivano utilizzati per fare la materia prima per la
carta di pregio, oppure li portavano alle industrie tessili
che in questo caso dividevano i vari tipi di tessuti e
li riciclavano per farne dei nuovi. Sappiamo tutti che
la città di Prato ha fondato le proprie fortune proprio
sul riciclo e riuso di stracci. Quindi questi oggetti non
morivano mai.
Vorrei fare però una piccola parentesi a questo punto,
perché sembrerebbe che tempo fa il problema della
morte degli oggetti non si ponesse. Perché erano
talmente riutilizzati e ce n’erano anche realmente pochi
che quindi il problema di smaltirli non c’era.
In realtà non è proprio così vero perché noi sappiamo che
guardando nel passato c’è una quantità di leggi, di editti,
di circolari in cui si cerca di regolamentare il problema di
quello che noi chiameremmo lo smaltimento di rifiuti.
Per cui si spiegava che non dovevano essere abbandonati
specialmente nelle città, nelle vie, dovevano essere messi
in posti particolari. Però la quantità di leggi fa pensare
che non fossero molto rispettate.
La verità è che le città di una volta erano piene di rifiuti
perché la gente quando doveva buttare via alcune cose,
o anche gli stessi straccivendoli, le lasciavano dove
capitava. Se andava bene le bruciava, ma altrimenti le
abbandonava e le città erano piene di sporcizia.
E noi sappiamo che, tra l’altro, uno dei motivi delle grandi
epidemie verificatesi nel passato erano dovuti proprio
a questo fatto. C’erano questi cumuli d’immondizia
che venivano lasciati lì nelle strade. Questi marcivano
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perdendo il percolato che scendeva nelle parti più basse
del terreno e raggiungeva le falde acquifere. Siccome
una volta non si parlava di acqua corrente ma tutti
usavano l’acqua dei pozzi, praticamente è risultato che
in molti casi le falde erano inquinate da questi rifiuti e
poi la gente beveva l’acqua del pozzo, bella, naturale e
pulita, che poi in realtà era inquinata da questi rifiuti. E
questo è stato uno dei grandi veicoli delle epidemie del
secolo scorso.
Quindi è vero sino ad un certo punto che la morte
degli oggetti e lo smaltimento dei rifiuti non dessero
dei problemi anche nel passato.
Andando in giro adesso a Trento guardavo la città come
è bella. Non solo tutti monumenti, le case e le piazze
sono pulite, ma proprio per le strade c’è questo senso
di ordine, di pulizia. Noi non abbiamo idea di cosa
dovesse essere girare per una strada secoli fa. Intanto
non c’erano le fognature, c’erano i rifiuti abbandonati,
soprattutto nelle stradine un po’ laterali, e c’era un
odore, lo sappiamo, molto forte. Quindi questo senso
di pulizia e di naturalità e di bella vita che si faceva
una volta nelle nostre città è un po’ lontano dalla
verità. Nelle nostre città una volta le cose non erano
così semplici per la pulizia e la sanità. Forse le cose
andavano meglio nelle campagne dove non c’erano i
problemi dello smaltimento dei rifiuti. Ma il problema
era grave.
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Noi abbiamo questa idea che una volta tutto era
legato alla natura, non c’era chimica, non c’erano
le industrie e tutto funzionava benissimo. Ma non è
così. Noi sappiamo che anche la natura può dare dei
problemi molto seri. Socrate è stato avvelenato con
una naturale tisana, infuso di erbe, di cicuta. Non
ha avuto bisogno di cose chimiche per morire.
Una volta, per esempio, parlando di oggetti, le
tinture dei vestiti che venivano spesso dalle erbe
o, a volte, anche dai minerali, erano tossiche. Al
punto che sappiamo che ci si poteva ammalare solo
a portarli perché poi la tintura passava nella pelle.
E avrete sentito tutti parlare di Napoleone, della
vecchia polemica sul fatto che sia stato avvelenato o
meno con l’arsenico. Sappiamo che pochi anni fa, a
Pavia, con un reattore nucleare hanno fatto un’analisi
dei suoi capelli. Effettivamente hanno visto che i
capelli contenevano una quantità di arsenico cento
volte superiore a quella che abbiamo noi. E quindi
si è detto: allora è stato avvelenato. No, perché
facendo la stessa analisi su suoi contemporanei
risulta che avevano lo stesso livello di arsenico. La
cosa è molto semplice perché una sostanza come
l’arsenico era molto presente nell’ambiente di allora.
Era molto utilizzata per esempio nelle tappezzerie,
nei coloranti, a volte come medicinale e quindi
veniva assorbita lentamente dall’organismo.
Quindi quando parliamo di oggetti del passato e
di oggetti naturali del passato, non chimici e non
industriali, volevo solo dire che leggendo si scopre che
noi ci facciamo un po’ un mito della vita del passato.
Che non sempre è così vero.
Tornando alla morte degli oggetti diciamo che anche
nel passato questa poteva essere un problema per lo
smaltimento di queste cose. Col passare del tempo,
invece, noi abbiamo cercato di risolvere questo
problema creando, per esempio, dei posti appositi
dove smaltire questi oggetti. Tossici o non tossici. Le
discariche che, sappiamo, sono un problema. Ogni
momento si sente dire che non bastano, che poi le
persone non le vogliono, ma servono. E’ un problema,
in pratica, di tutti i giorni. Ma che è diventato molto
grave da una parte per la grande quantità di oggetti che
noi scartiamo. Ognuno di noi consuma una quantità
enorme di oggetti e questi in qualche modo devono
morire, devono andare da qualche parte. Dall’altra il
problema è legato alla tecnologia, allo sviluppo che c’è
stato e alla qualità di questi oggetti. Lasciamo perdere
quelli tossici, ma noi ormai abbiamo tanti oggetti,
pensiamo a quelli derivati dalle materie plastiche, che
non sono biodegradabili. E quindi non si distruggono,
durano tantissimo. Diventa difficile smaltirli. Ci
vogliono magari posti particolari e sappiamo che il
loro smaltimento è molto più costoso.
Sarà capitato a tutti voi di dover smaltire un
elettrodomestico, un televisore o un computer. E
abbiamo visto che adesso bisogna pagare. O portiamo
noi stessi il rifiuto nella discarica o comunque bisogna
pagare una certa cifra perché bisogna smaltirlo in una
certa maniera. Perché non può essere messo insieme
agli altri.
E qui occorre anche osservare che non solo la morte
degli oggetti è un problema per il loro smaltimento ma
anche che non sempre tutto va per il meglio. Sappiamo,
ad esempio, che a volte non vengono smaltiti nella
maniera giusta. A volte abbiamo anche l’intervento
della criminalità organizzata che porta questi oggetti
in discariche abusive, oppure industrie che sotterrano
rifiuti tossici nel terreno e cose di questo genere.
Addirittura adesso, da un po’ di tempo, si è scoperto
anche un nuovo commercio. In un video fatto da
Greenpeace, che si trova anche su Youtube, loro fanno
vedere che ci sono tutta una serie di Paesi, soprattutto
in via di sviluppo, ma anche Cina e India, e adesso
principalmente Paesi africani, che in pratica fanno da
ricettacolo per i nostri rifiuti.
Hanno fatto un esperimento a Londra, inserendo un
gps dentro ad un televisore che non funzionava bene,
e poi sono andati a portare il televisore nella discarica.
Hanno pagato per lo smaltimento eccezionale e poi
sono stati a vedere. E’ risultato che dopo pochissimo
questo televisore si muoveva ed è finito in un porto
inglese e loro a questo punto si sono attrezzati per
seguire il suo viaggio. Viaggio che li ha portati tutto
intorno all’Africa fino alla Nigeria, a Lagos. Ed ecco
che vanno a Lagos e arrivati al porto con un apposito
apparecchio hanno seguito ancora il televisore
trovandosi poi in un posto, che è un gigantesco
mercato, in cui arrivano, si calcola, decine e decine
di container con televisori, computer ed elettronica
da parte, soprattutto, europea, che dovrebbe essere
smaltita in altra maniera. Ufficialmente dovrebbe
essere considerata roba di seconda mano, in verità si
tratta di veri e propri rifiuti.
Quindi loro vanno avanti seguendo il segnale e si
ritrovano il loro televisore che avevano regolarmente
pagato per smaltire in Gran Bretagna. E allora
chiedono: ma di tutta questa roba che arriva, tutti
questi container, cosa ne fate? E gli rispondono: circa il
15-20% riusciamo a riciclarlo, in tutto o in parte, come
oggetti di ricambio, il resto, sostanzialmente, diventa
una specie di gigantesca discarica. Semplicemente
l’inquinamento si sposta dai nostri Paesi a questi
altri, in questo caso a Lagos. E può essere che fra quei
pezzi ci siano anche quelli del nostro televisore super
moderno che credevamo di avere smaltito in maniere
corretta in una discarica.
Quindi il risultato finale di questo discorso, la
moltiplicazione degli oggetti, la loro vita più breve,
tutti i problemi legati alla loro morte, morte sociale,
che comprende addirittura viaggi globalizzati magari
più lunghi di quelli fatti alla produzione, ha creato un
aumento di quella che ormai tutti conosciamo come
l’impronta ecologica degli esseri umani sulla Terra.
Secondo un dato abbastanza noto elaborato dal
WWF, in pratica si tratta dell’impatto che ognuno di
noi ha sul pianeta, misurato in ettari di terreno. In
pratica si calcola che per vivere un anno io ho bisogno
di mangiare trenta chili di pane, allora faccio il conto
per vedere quanta terra ci vuole perché crescano trenta
chili di frumento. Mangio dieci chili di carne? Faccio
il conto di quanto consuma una mucca per dare dieci
chili di carne. Bevo tanta acqua, e così via. Quindi
faccio un conto di quanta Terra idealmente consumo
io per vivere. Allora nel grafico del WWF noi
vediamo che la prima linea dove c’è l’1, rappresenta
l’equilibrio. Quindi fino all’1 io e in genere gli esseri
umani consumano in un anno quello che la Terra può
rigenerare. Consumo tanto frumento ma in un anno
ne cresce altrettanto, e così via. E’ la situazione di
equilibrio.
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photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Daniele Mosna
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La conclusione è che forse noi dobbiamo pensare
davvero di più ai nostri oggetti, pensare a quello
che ne facciamo, al nostro uso. Pensare non solo alla
loro vita, ma anche alla loro morte. E controllare
poi come muoiono e quali sono le modalità con cui
vengono eventualmente riutilizzati, riciclati oppure
abbandonati, perché se poi finiscono la loro vita in
Nigeria per il pianeta non va bene lo stesso, troppo
comodo, dire tanto non è casa mia.
La vita dei nostri oggetti, allora, forse possiamo dedurre
che è anche la nostra vita. La storia degli oggetti è anche
la nostra storia. E il loro futuro, come il nostro futuro,
è nelle nostre mani, oggi.
Emanuela Scarpellini
è professore di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano. è
stata, tra l’altro, visiting professor alla Stanford University e Fulbright visiting professor
presso la Georgetown University a Washington. Ha ottenuto molti riconoscimenti
tra i quali l’Hagley Center Grant for Scholarly Research nel 2005 e nel 2008 e il
Newcomen Article Prize nel 2004.
Collabora con giornali, riviste e quotidiani culturali e ha partecipato a vari programmi
radiofonici e televisivi riguardanti la storia e l’attualità. I suoi interessi riguardano
principalmente la storia culturale, politica ed economica del Novecento.
Fra le sue principali pubblicazioni recenti: A tavola! Storia sociale della cucina italiana,
Laterza (2012); La rivoluzione dei consumi. Società di massa e benessere in Europa 19452000 (con S. Cavazza), Il Mulino (2010); Italiamerica, voll. 1 e 2 (con J.T. Schnapp), Il
Saggiatore (2008 e 2012); L’Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio,
Laterza (2008); La spesa è uguale per tutti. L’avventura dei supermercati in Italia,
Marsilio (2007).
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photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Daniele Mosna
Però noi vediamo che rapidamente già negli anni ’70
quella situazione di equilibrio si è andata rompendo. E
noi oggi, secondo questo ultimo calcolo uscito nel 2008,
siamo ormai a 1,5. Vuol dire che il nostro impatto sulla
Terra è di 1,5. Cioè noi in un anno consumiamo quello
che la Terra ci mette 1 anno e mezzo a dare.
Le proiezioni purtroppo sono molto negative. Nel 2030
consumeremo due volte quello che la Terra ci può dare in
un anno, e nel 2050 arriveremo ad un soglia considerata
effettivamente critica e forse di non ritorno, di tre volte.
Per cui il depauperamento della Terra dovuto anche a
tutti questi aspetti che abbiamo affrontato, così come il
nostro impatto, continuano a crescere.
AMBIENTE
I segni della storia
e le nuove tecnologie:
il Parco delle Crociere
di Orbetello
di Vincenzo Acunto
“I segni della storia e le nuove tecnologie: il Parco delle
Crociere di Orbetello”, questo il titolo della tesi di Laurea
in Archeologia, discussa presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia, a Siena, dal dottor Giorgio Marri.
Questa tesi prospetta la creazione di un dinamico sistema
di comunicazione per la valorizzazione e la fruizione
dei beni culturali, sfruttando le nuove tecnologie
informatiche. Il progetto di fruizione e divulgazione del
Parco delle Crociere di Orbetello tramite iPad, riguarda
una zona di notevole importanza storica, ma ancora oggi
priva di un adeguato intervento di riqualificazione.
In questo caso la fruizione attraverso le nuove tecnologie
informatiche risulta essere vantaggiosa sia per i suddetti
motivi, sia per la grande quantità di documentazione
scritta, grafica e video da gestire. Da un punto di vista
paesaggistico, Orbetello è un luogo pressoché esclusivo
nel suo genere; una lingua di terra che sporge nella laguna
racchiusa da due tomboli sabbiosi a nord e a sud, dal
roccioso Argentario a ovest, e dalla Maremma a est.
L’area dell’ex Idroscalo si colloca in maniera baricentrica
tra il centro storico di Orbetello e la nuova espansione
urbana del dopoguerra assimilabile allo “standard” delle
periferie urbane contemporanee.
Il Parco delle Crociere attualmente è sotto utilizzato perché
non completato, non strutturato, non adeguatamente
arredato. Molto poco rimane oggi di quello che fu un
tempo la base degli Atlantici e gran parte delle strutture
rimaste in piedi sono fatiscenti ed in cattive condizioni di
conservazione.
La tesi prospetta il recupero e la valorizzazione dell’intera
area tanto da poter rendere rintracciabile e fruibile un
periodo storico della cittadina che fra pochi anni sarà
impossibile ricostruire sul posto.
La Regia Marina decide la prima istallazione dell’Idroscalo
in Laguna intorno al 1916 perché riteneva quest’ultima
luogo ideale per le operazioni di ammaraggio e decollo
degli idrovolanti.
Nel 1923, anno di fondazione dell’Arma Aeronautica,
la zona dell’Idroscalo di Orbetello venne scelto per
l’addestramento del personale navigante destinato al
volo d’altura. Il 1928 è l’anno in cui prende una precisa
fisionomia “il Tempo delle Grandi Crociere”: 1928 prima
Crociera nel Mediterraneo Occidentale, 1929 Crociera
del Mediterraneo Orientale, 1930 la prima Crociera
transatlantica (da Orbetello a Rio de Janeiro) compiuta
con idrovolanti in formazione e infine, 1940 la seconda
crociera transatlantica compiuta da Orbetello a New York
e ritorno.
Oltre all’importanza storica legata alle imprese, l’Idroscalo
è importante anche da un punto di vista architettonico
con gli hangar costruiti da Pier Luigi Nervi, non meno per
una rilevanza paesaggistica con le risistemazioni arboree
effettuate dall’architetto Pietro Porcinai durante gli anni
’60. Nel corso della II guerra mondiale, la base fu infatti
oggetto di incursioni aeree alleate; nel 1944, i tedeschi in
ritirata minarono e fecero saltare la zona distruggendo quasi
completamente tutti gli edifici, gli hangar e le officine.
Dopo il 1975, anno in cui avvenne l’ultimo ammaina
bandiera, l’Idroscalo si è spento completamente fino a
diventare un rudere invisibile. Nel corso di questi 35 anni
si sono susseguite idee, proposte, progetti che miravano a
riutilizzare l’area per conferire alla cittadina, così come fece
la base aerea a suo tempo, un nuovo sviluppo economico
e sociale.
Nessuno di questi progetti è stato mai portato a termine.
Oggi, a quasi ottanta anni di distanza, dobbiamo guardare
all’Idroscalo come una fonte ancora tangibile della storia
di Orbetello.
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In questo caso non è la storia del Fascismo a dover essere
ricordata, ma è la storia di Orbetello, che per un lustro
circa si trovò ad essere accostata ai nomi delle grandi città
mondiali: Roma, San Paolo, Amsterdam, Chicago, New
York e così via.
La fama dell’Idroscalo di Orbetello e degli Atlantici è
planetaria negli anni tra il '28 ed il '33, per i record aviatori
abbattuti e la stima suscitata nelle altre nazioni incalcolabile.
è proprio la documentazione minuziosa di fotografie,
video, documenti militari e testimonianze dirette a rendere
il tema ancora più affascinante.
Dalla biblioteca comunale di Orbetello si è potuto recuperare
numerose immagini dell’epoca e bibliografia militare.
Dal sito dell’Istituto LUCE si sono visionati i numerosi
Cinegiornali presenti riferiti alle imprese ed alla vita militare
nell’Idroscalo. Dal Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna
di Valle si è avuto accesso ai reperti e agli oggetti di quel
periodo. Dall’archivio della famiglia Porcinai a Fiesole si è
risalito ai registri ed ai documenti dell’opera di sistemazione
del parco nord dell’architetto paesaggista Pietro Porcinai.
L’intera area in oggetto rappresenta una grandissima risorsa
per Orbetello: per i residenti, in quanto offre la possibilità
di interventi destinati ad incidere profondamente sull’uso
stesso della città, sulla qualità e vivibilità, trasformando
un’area residuale e degradata in un sistema articolato e
qualificato di spazi, verde e attrezzature d’uso pubblico,
in posizione intermedia fra il centro storico e le espansioni
urbane più recenti; per i turisti e i visitatori, in quanto il suo
riuso compatibile con la valorizzazione delle testimonianze
storiche presenti e la localizzazione di nuove attrezzature
può accrescere in modo rilevante il potere attrattivo di
Orbetello come meta di soggiorno ed escursioni; per gli
operatori economici, che vedono schiudersi potenzialità
finora rimaste inespresse in un territorio comunque
interessato da una forte domanda di turismo di qualità.
Questo progetto è stato caratterizzato da vari steps
organizzativi che hanno previsto non solo le modalità di
fruizione e comunicazione da parte dell’iPad ma anche una
pianificazione logistica e progettuale del Parco stesso.
La prima parte è stata dedicata agli accessi e alle modalità
di raggiungimento del Parco. Una seconda parte prevede
l’individuazione di percorsi possibili con un’ampia
descrizione delle evidenze importanti e di temi da voler
risaltare. Una terza, infine, riguarda le modalità di visita
tramite iPad a seconda dei percorsi scelti fra i tanti progettati.
L’iPad, primo tablet computer immesso sul mercato, è stato
scelto come nuovo strumento di comunicazione museale.
Costruito dalla Apple ambisce a rivoluzionare la nostra
vita informatica e cambia anche il nostro modo di fruire
la storia. A metà strada tra un telefono cellulare evoluto e
un computer portatile, presenta applicazioni e funzionalità
pressoché infinite proprio grazie alla sua versatilità.
60
Potrebbe scalzare facilmente le vecchie guide audio e video
perché più dinamico dal punto di vista della multimedialità.
Grande rilevanza è stata data al tentativo di sottolineare la
capacità dell’iPad di saper gestire una grande quantità di
dati di natura diversa e consultarli contemporaneamente.
Questa multimedialità in tempo reale non vale soltanto per
la stessa informazione che si vuole diffondere ma anche per
più informazioni contemporaneamente.
Con l’iPad è possibile visitare un parco od un museo
svolgendo simultaneamente diverse operazioni: visualizzare
immagini, video, mappe, planimetrie, stratigrafie
contemporaneamente ed in altissima risoluzione, conoscere
la nostra esatta posizione grazie al gps, connettersi ad
internet per rapide ricerche, così come prendere appunti,
disegnare, ricevere rapide informazioni su orari, tariffe,
eventi e così via.
La nostra visita sarà così indirizzata solo su ciò che può
coinvolgerci realmente selezionando le informazioni utili
e scartando quelle fuorvianti o che non ci interessano.
Indirizzandosi su particolari argomenti, il visitatore potrà
tornare molte altre volte al parco per completare il suo
bisogno di conoscenza e comprendere nuovi temi.
Le caratteristiche che ne fanno un buono strumento
di supporto alla visita, riguardano oltre la capacità
di gestire grandi quantità di dati e di visualizzarli
E l’altra diretta verso l’architettura informatica, ipotizzando
lo sviluppo dell’iPad e il modo in cui andrebbe comunicata
la storia.
Altra possibilità quella di creare inoltre delle tipologie
di divulgazione “ad hoc” a seconda del tipo di fruitore
che visita il Parco. Le modalità di apprendimento di un
bambino, ad esempio, saranno diverse da quelle di un
uomo adulto di media formazione, per questo si dovranno
prevedere metodologie di comunicazione diverse.
L’iPad, potrebbe in teoria sostituire anche la professione
della guida turistica. In pratica questo non potrà avvenire
perché la macchina non può sostituire in tutto e per tutto
contemporaneamente, l’ottima qualità dello schermo e la
portabilità dello strumento. A queste bisogna aggiungere
la sua immediatezza nell’utilizzo e una batteria in grado
di farlo funzionare correttamente per più di dieci ore. E la
possibilità di non veicolare il visitatore attraverso una storia
didascalica e confezionata, ma far decidere allo stesso cosa
apprendere, rendendolo protagonista della visita.
Questo sistema dinamico può diventare anche
“autoalimentato”. Come già succede per l’enciclopedia
libera Wikipedia, l’utente potrà aggiungere, completare,
aggiustare le informazioni che riguardano un’opera,
un’evidenza, una teoria. Ciò significa poter contribuire alla
ricerca attraverso testimonianze dirette, immagini, video,
pubblicazioni dopo averne appositamente controllato la
validità.
Il concetto è semplice: utilizzare questi calcolatori del futuro
come supporto multimediale, ipertestuale ed interattivo
durante la visita all’interno di un Museo o di un Parco
tematico; metterlo in pratica un po’ più complicato. Per
questo progetto devono collaborare fra loro diverse figure
professionali: archeologi, storici, informatici, geometri
e così via, con competenze diverse per dare un apporto
significativo alla complessità del progetto. Di cui una parte,
diretta alla determinazione delle evidenze da valorizzare,
alla documentazione scritta, grafica e video, alla fruizione,
ed infine alla creazione di percorsi che raccontino una storia.
l’esperienza umana. La guida turistica fornirà sempre
quella testimonianza reale, proveniente dalle tradizioni e
dai racconti popolari, quelle curiosità che possono essere
tramandate solamente a voce.
L’iPad e la guida turistica saranno dunque due servizi,
distinti o ad integrazione, impiegati entrambi per la
fruizione dei beni culturali. L’iPad può contribuire a rendere
più emozionante e viva la storia passata del nostro territorio
senza alcun tipo di intervento invadente, voltandosi verso il
passato ma puntando dritto verso un futuro della fruizione
dei beni culturali che deve adattarsi ai tempi moderni,
fatti di internet, multimedialità e realtà aumentata per un
immersione totale nella storia e nella conoscenza.
Giorgio Marri
Nato il 25/03/1984 a Grosseto, nel 2010 si laurea con il massimo dei voti in
Archeologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di
Siena. Tesi di Laurea magistrale in Museologia e Museografia dal titolo “I segni
della storia e le nuove tecnologie: Il Parco delle Crociere di Orbetello”.
Dal 2010 ad oggi collabora come libero professionista presso lo studio di
architettura ed ingegneria SATA2M (www.sata2m.com). Membro fondatore
del gruppo ECISTA (www.ecista.com) per la valorizzazione e la divulgazione
del patrimonio storico, culturale e paesaggistico attraverso l’utilizzo di supporti
tradizionali ed informatici.
61
EDILIZIA
photo©Sergio Bertolini
Salvare
i fabbricati
terremotati
si può e si deve
di Marco Biffani
Per giorni e giorni abbiamo visto in televisione capannoni,
edifici, chiese e monumenti dell’Emilia-Romagna,
abbattuti o pesantemente danneggiati dal terremoto che
continua a far vibrare il suolo di quella regione.
Non si tratta di fabbricati solamente in muratura o vecchi
di centinaia di anni, che hanno ceduto per primi alle
sollecitazioni sismiche, ma costruzioni anche in cemento
armato di recente posa in opera.
E’ quasi certo – per quel che riguarda stabilimenti
e capannoni – che si tratti di costruzioni basate su
prefabbricati, edificate prime che venissero applicate le
raccomandazioni anti sismiche. Norme costruttive che
consentono di resistere a forti sollecitazioni trasversali,
particolarmente dannose per quelle strutture industriali
fondate soprattutto sulla posa di elementi prefabbricati,
affidata quasi esclusivamente alla gravità.
Purtroppo è lo spettacolo che si ripete puntualmente
quando vengono colpiti da terremoti e catastrofi
naturali, paesini, cittadine, ma anche città storiche, che
rappresentano il volto autentico del nostro Paese, il quale
– in quanto a sismicità – è secondo solo al Giappone.
Il consolidamento, il restauro, il recupero di quei manufatti
diviene quindi il lavoro ingegneristico e architettonico
che occuperà gli anni successivi all’evento esiziale.
Può non essere inutile quindi elencare quella serie di
attrezzature specialistiche – particolarmente delicate –
destinate a queste operazioni di ripristino che consentono
di restituirci quei pezzi non solo di storia, ma anche di
produzione di beni e servizi.
62
Si tratta di attrezzature tecnicamente avanzate che forano,
tagliano e intervengono meccanicamente su muratura
pietrame e cemento armato, nel modo più preciso, veloce,
pulito e sicuro, oggi tecnicamente possibile. Metodologie
che operano sulle strutture colpite, anche per eliminarne
– demolendone in modo mirato ed il meno invasivo –
quelle parti eccessivamente danneggiate, per consentire il
recupero del salvabile.
Sistemi che da cinquant’anni vengono impiegati all’estero
e che non è molto che sono stati introdotti in Italia.
Metodologie ormai definite di “Demolizione Controllata”
– in quanto tecnicamente ben dominabili per quelle
funzioni (che solo in parte sono di demolizione) – nate
soprattutto:
A. Per realizzare carotaggi e fori delicati – lunghi anche
decine di metri – con le Carotatrici ad utensili
diamantati, per controllare spessori, qualità e stato
delle strutture; eseguire “cuciture” di travi soltanto
appoggiate su pilastri; inserire catene, chiodature,
strutture a sandwich; iniettare malte e resine;
costruire architravi originali, archi a tutto sesto
ed a sesto acuto; sistemi salva monumenti e molto
altro ancora anche nel settore dell’impiantistica, in
particolare su strutture fatiscenti e pericolanti. Ed
eseguire fori enormi di alleggerimento, ma anche con
valore estetico e strutturale.
B. Per eseguire tagli perfetti e rettilinei, con disco
diamantato:
1. Con le Seghe da Parete per aprire vani porta-
rivisitata, modernizzata e resa efficientissima, veloce
e pulita. Un “coltello” affilatissimo e delicato che è
servito persino a recuperare – nella Capitale – uno
stadio di calcio e delocalizzare famose strutture
archeologiche in occasione dell’ultimo Giubileo.
E. Per intervenire su cemento armato e muratura, con
Pinze idrauliche – anche manuali – per frantumare in
modo mirato quelle parti di strutture semidistrutte ed
anche pericolanti – per eliminare le parti inutilizzabili
– e consolidare successivamente quelle da salvare,
per recuperarle e metterle in sicurezza, anche senza
doverle puntellare.
è stato pubblicato a maggio, dalla EPC Editore di Roma,
il “Manuale della demolizione Controllata” che ne
descrive e analizza 12 tecniche, con centinaia di foto, di
esempi pratici, di diagrammi, schemi e disegni, in grado
di dare un quadro pressoché completo dello stato dell’arte
della materia.
Può interessare imprese edili e studi tecnici, e soprattutto
Architetti, Ingegneri, Geometri, Periti edili e addetti ai
lavori sapere che – collegandosi al sito della EPC – possono
scaricare gratuitamente il CD allegato al volume, che
rappresenta la IV edizione del prontuario che ne descrive
sinteticamente le tecniche.
Le conoscenze di base fornite da quest’opera analitica,
potrebbero persino risultare utili per iniziare una attività
di servizi specializzati in questo campo, in un momento
nel quale la disoccupazione giovanile ha superato il 36%.
photo©Sergio Bertolini
finestra e per impianti; separare strutture da
abbattere da altre che rimangono in sito, e
suddividere le prime in blocchi da allontanare
con mezzi di sollevamento.
2. Con le Seghe da Pavimento, per lo stesso uso, ma
su superfici sub orizzontali per delineare aperture
di sicurezza e luminosità, cunicoli intelligenti,
realizzare spire magnetiche di controllo e
impianti di illuminazione di piste aeroportuali,
creare giunti su pavimentazioni per ottenere, nel
tempo, superfici valide; suddividere strutture
lesionate in blocchi da allontanare con benne o
gru.
C. Per realizzare tagli (e fori rettangolari) con Seghe a
Catena diamantata e non, in modo maneggevole,
pratico, rapido e senza un lungo periodo di
istruzione; per deumidificazioni di murature, ma
soprattutto per intervenire agevolmente su strutture
anche portanti, in tutti quegli interventi di riduzione,
approssimazione, adattamento durante recuperi e
ristrutturazioni edili e di impiantistica nel senso più
ampio.
D. Per effettuare tagli qualsivoglia, su ogni materiale,
ampiezza e spessore, anche sott’acqua, con Seghe
a Filo Diamantato, che consentono di dividere
verticalmente e per tutta la sua altezza, persino
un grattacielo (qualora ce ne fosse bisogno!). Una
metodologia antica mutuata dalle cave di marmo,
63
ANNO IV
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MAGGIO - GIUGNO 2012
Manuale della demolizione controllata
Una volta c’era il martello demolitore. Poi, lentamente, sono
apparse sul mercato le prime attrezzature alternative per forare,
tagliare e demolire il cemento armato, la roccia e la muratura.
Cinquant’anni di evoluzione tecnologica che, tuttavia, non
sono mai stati raccontati in maniera esaustiva.
Questo libro di Marco Biffani riempie tale vuoto illustrando,
grazie all’esperienza diretta dell’autore, lo stato dell’arte delle
11 metodologie alternative di Demolizione Controllata.
Il CD-Rom allegato rappresenta la IV edizione di un prontuario
che elenca in modo sintetico, schematico ed essenziale dove
queste tecniche sono consigliabili, i lavori tipici, i vantaggi, le
caratteristiche di dettaglio, quali le potenze, le motorizzazioni,
i pesi, gli utensili, l’operatività, i lavori tipici, le limitazioni,
il personale necessario, le cautele, le protezioni, i rischi, la
rumorosità ed altri parametri utili anche alla sicurezza.
Nel testo viene riportato un lessico completo dei termini
tecnici impiegati. Sono presenti, inoltre, 344 tra foto, figure,
schemi e diagrammi. Gli Enti, le Associazioni e gli Ordini
Professionali che hanno patrocinato sia il prontuario che
questo Manuale Analitico, hanno apprezzato le caratteristiche
ecologiche di queste tecniche che presentano assenza di
percussioni, di vibrazioni dannose e di polvere, rumorosità
contenuta, episodica o assente, precisione e rapidità, limitato
affaticamento del personale e maggiore sicurezza.
Il volume è indirizzato a Ingegneri, Architetti, Geometri,
Periti Edili, Direttori di cantiere, Progettisti, estensori di
capitolati, laboratori di controllo dei fabbricati, uffici tecnici
privati e comunali, artigiani, manutentori, imprese edili,
stradali e di impiantistica, addetti ai lavori, alla sicurezza e
alle Soprintendenze ai Monumenti, che possono apprezzarne i
vantaggi anche in lavori di consolidamento, restauro e recupero
di strutture archeologiche, storiche, pericolanti e terremotate.
Marco Biffani
Geologo, imprenditore per quasi quaranta anni nel settore della Demolizione
Controllata, autore di oltre cinquanta articoli e di 4 edizioni di un prontuario
tecnico sulla materia, stampato in 230.000 copie, diffuse direttamente in Italia
dai numerosi Patrocinatori.
Titolare di alcuni brevetti tecnici, migliorativi di attrezzature, metodi di
consolidamento ed altro.
64
MISURE
Studiare la Terra
osservando l’universo:
il VLBI geodetico
per la misurazione
delle deformazioni
crostali nell’area Padana
di Pierguido Sarti
Che l’Italia sia un Paese a forte rischio sismico è cosa
nota. Per rendersene conto basta guardare una mappa
della classificazione sismica del territorio nazionale o, più
semplicemente, fare ricorso alla memoria, anche su brevi
periodi di tempo.
Negli ultimi 15-20 anni è possibile redigere una lunga
lista di eventi ai quali, in alcuni casi, si associano decine o
centinaia di vittime.
L’ultimo evento, che ha causato la morte di diverse
decine di persone, ha avuto luogo nella “monotona” e
“tranquilla” pianura Padana, un luogo che comunemente
(ed erroneamente) non si associa ai movimenti tellurici.
Tuttavia, come spesso (o sempre?) accade, la storia insegna:
nella zona si sono registrati più eventi di energia simile
o leggermente inferiore nel corso dello scorso millennio
(per chi fosse interessato a fare ricerche e ad approfondire
l’argomento si segnala l’istruttivo “Catalogo parametrico
dei terremoti Italiani” redatto dall’Istituto Nazionale
di Geofisica e Vulcanologia: http://emidius.mi.ingv.it/
CPTI04/)
Nel sentir comune cento anni sembrano tanti, più di una
vita per molti di noi, e la sensazione è che avvenimenti
occorsi secoli fa non ci riguardino. La misurazione del
tempo negli studi scientifici è invece insensibile alla scala
dei valori umani ed i secoli, quando riportati alla storia del
nostro pianeta, sono solo attimi.
La geodesia spaziale e la tecnica VLBI
In questa scala dei tempi scientifica è da meno di un
attimo che stiamo regolarmente osservando la deriva dei
continenti e la deformazione della crosta terrestre. Da 25
anni, infatti, presso l’osservatorio radioastronomico di
Medicina nel bel mezzo della “bassa” bolognese ed in piena
Pianura Padana, misuriamo i movimenti di un insieme
di punti posti a distanze variabili tra alcune centinaia ed
alcune migliaia di chilometri.
Tali misure si svolgono utilizzando la tecnica VLBI
geodetica (Very Long Baseline Interferometry o, in italiano,
interferometria a lunga base ed elementi disconnessi;
http://ivscc.gsfc.nasa.gov/) tramite grandi radiotelescopi
che osservano simultaneamente in diverse parti del mondo.
L’Italia partecipa alle osservazioni con tre telescopi: due
antenne di 32 m di diametro costruite a Medicina (BO)
e Noto (SR) e gestite dall’Istituto di Radioastronomia
dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ed un’antenna di 20
m situata in provincia di Matera e gestita dall’Agenzia
Spaziale Italiana.
Il radiotelescopio di Matera è totalmente dedicato alle
misure geodetiche mentre i radiotelescopi dell’INAF
svolgono osservazioni geodetiche per il 20% del loro
tempo di utilizzo, mentre il rimanente è dedicato alla
radioastronomia ed all’astrofisica.
Infatti, la tecnica di misurazione VLBI è profondamente
legata alla radioastronomia: si osserva una particolare
classe di sorgenti radio, i quasar, per determinare con una
precisione millimetrica la posizione reciproca di punti
separati anche da diverse migliaia di chilometri. Questa
precisione nel posizionamento globale permette di studiare
la forma e la dimensione della Terra e come esse si evolvono
nel tempo.
Così come gli antichi navigatori fenici solcavano i mari
affidandosi alla luminosità delle stelle per determinare
la posizione e la rotta, i moderni geodeti si affidano alla
luminosità dei quasar per determinare le posizioni dei
radiotelescopi, le cui variazioni nel tempo sono espressione
diretta delle deformazioni crostali indotte dalla deriva dei
continenti.
I quasar sono nuclei galattici attivi posti a miliardi di anni
luce dalla nostra galassia. Emettono forti flussi di energia la
cui origine è associata alla presenza di un buco nero supermassiccio ed al suo disco di accrescimento. Circa il 10%
dei quasar emette onde elettromagnetiche nello spettro
radio e sono queste le sorgenti che si osservano per gli studi
geodetici.
Proprio a causa della loro potenza, i quasar sono tra le
sorgenti radio extragalattiche più luminose; inoltre, le loro
strutture si presentano normalmente piuttosto compatte.
Come tali (oggetti luminosi e puntiformi nello spazio) essi
costituiscono un sistema di riferimento ideale per effettuare
misure geodetiche, così come in topografia segnali
puntiformi e ben visibili costituiscono oggetti ideali per la
collimazione tramite teodolite. La loro distanza, inoltre, ne
riduce anche il moto apparente e li rende un sistema quasi
65
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
inerziale completamente naturale.
Le rimanenti tre tecniche di geodesia spaziale, invece,
compiono misure nei sistemi di riferimento dinamici
definiti dalle orbite dei satelliti artificiali: il Global
Positioning System (http://igscb.jpl.nasa.gov/), il Satellite
Laser Ranging (http://ilrs.gsfc.nasa.gov/) e la tecnica
francese Doppler Orbitography and Radiopositioning
Integrated by Satellite (http://ids-doris.org/).
Proprio la tecnica VLBI è stata la prima ad essere impiegata
per fare misurazioni su scala globale e, nella breve storia
della geodesia spaziale, essa vanta la più lunga serie storica
di dati utili a ricostruire la deriva dei continenti: da circa
trent’anni essa viene impiegata per studiare i movimenti e
la velocità delle placche tettoniche e le deformazioni della
crosta terrestre.
Oggi, le quattro tecniche concorrono ad approfondire
tutte le aree di studio della geodesia spaziale. Tra esse, le
principali sono la definizione del sistema internazionale
terrestre (International Terrestrial Reference Frame; http://
itrf.ensg.ign.fr/), nonché lo studio:
• della velocità di rotazione della Terra attorno al suo
asse ed alla direzione dell’asse di rotazione nello spazio;
• del campo gravitazionale terrestre;
• della forma e delle dimensioni della Terra;
• della deriva dei continenti.
La misura delle deformazioni nell’area Europea
Il monitoraggio delle deformazioni crostali su scala
continentale nell’area Europea è iniziato alla fine degli
anni 80 tramite una rete di radiotelescopi VLBI (Figura 1)
Figura 1: mappa delle velocità orizzontali dei radiotelescopi Europei
calcolate con osservazioni VLBI effettuate a partire dal 1987. Il verso
dello spostamento è indicato dalla direzione delle frecce; la loro
lunghezza è proporzionale alla velocità. In basso a sinistra la lunghezza
di una freccia che corrisponde a 5 mm/a.
66
Il principio sul quale si basa la metodologia di osservazione
è piuttosto semplice. I radiotelescopi della rete osservano
contemporaneamente e registrano il segnale emesso da
un quasar per circa 5 minuti. Nell’arco di 24 ore (durata
tipica di un’osservazione VLBI geodetica) si osservano
alcune centinaia di quasar nelle più svariate direzioni
della volta celeste. Una volta terminato l’esperimento, le
registrazioni vengono correlate in un processo il cui scopo
è riallineare i segnali registrati ai vari osservatori così
da poter calcolare il ritardo tg col quale un’antenna ha
ricevuto il segnale rispetto ad un’altra (Figura 2).
Figura 2: il principio di misura della tecnica VLBI in campo
geodetico. Il ritardo tg rappresenta il tempo impiegato dal segnale
del quasar per arrivare alla seconda antenna dopo aver raggiunto la
prima. rappresenta la linea di base, la cui lunghezza è la distanza
tra i due radiotelescopi. Ŝ è la direzione del quasar (la direzione di
puntamento) e c è la velocità di propagazione del segnale radio.
Questi ritardi sono proporzionali alla lunghezza della
linea di base tra i due radiotelescopi tramite la seguente
relazione:
dove il versore Ŝ identifica la direzione della sorgente radio
e c rappresenta la velocità di propagazione del segnale
radio. Il vettore
linea di base tra due radiotelescopi
(il cui modulo, o lunghezza, rappresenta la distanza tra i
radiotelescopi) può essere calcolato ad ogni osservazione
di una quasar, realizzando così un insieme di misure
sovrabbondanti per stimarne il valore finale. In Figura 2
vengono mostrati solo due radiotelescopi ma è chiaro che,
quando si utilizzano più antenne (una rete di antenne), la
misurazione dei vettori linea di base è effettuata per ogni
puntamento di quasar e per ogni coppia di radiotelescopi
della rete di Figura 1.
Realizzando più volte nel tempo un’accurata stima
della linea di base
(e della sua lunghezza) si può
risalire al movimento relativo tra i due radiotelescopi
e, di conseguenza, alla variazione della distanza tra i
radiotelescopi ed alla velocità con la quale i radiotelescopi
si avvicinano, ovvero, si allontanano l’un l’altro.
Le deformazioni nell’area Italiana
La Figura 1, oltre a mostrare l’ubicazione dei vari
radiotelescopi della rete VLBI geodetica Europea, mostra,
rappresentandole tramite frecce, le direzioni e le velocità
orizzontali di spostamento di ogni radiotelescopio, stimate
analizzando più di venti anni di dati.
La direzione di spostamento è indicata dalla direzione in
cui punta la freccia; la velocità di spostamento è indicata
dalla lunghezza della freccia, riferita ad una lunghezza
campione corrispondente ad una velocità di 5 mm/a
della freccia mostrata in basso a sinistra nella Figura 1.
Velocità e direzione di spostamento fanno riferimento alla
placca Eurasiatica e rappresentano, pertanto, il grado di
deformazione crostale che avviene rispetto al movimento
della placca nel suo complesso, ovvero il movimento intraplacca.
Osservando la Figura 1 salta immediatamente agli occhi
che le frecce direzione-velocità sono visibili solo per le
tre antenne Italiane. Tutte le altre stazioni Europee sono
praticamente ferme rispetto alla placca, così come è
possibile verificare dai dati contenuti in Tabella 1.
In particolare, la quinta colonna di Tabella 1 mostra i
moduli dei vettori velocità e le deviazioni standard ad
essi associate. Le stazioni Italiane hanno velocità più che
doppie rispetto alle altre stazioni Europee che, solo in due
casi, mostrano velocità che superano il millimetro: 1.2
mm/a in direzione SSE per Ny Ålesund (Isole Svalbard)
e 1.1 mm/a in direzione Est per Metshaovi (Finlandia).
Le direzioni di spostamento sono indicate dai valori
contenuti in Tabella 1, colonna 6 come angoli rispetto
alla direzione Nord. Ben otto stazioni Europee hanno
velocità annuali comprese tra zero ed un millimetro.
Focalizzando l’attenzione sulle stime che riguardano le tre
antenne Italiane, gli spostamenti orizzontali avvengono
con velocità variabili tra i 2.8 mm/a di Medicina ed i
5.0 mm/a per Noto. Le direzioni di spostamento sono
molto simili per i siti di Medicina e Matera, entrambe
dirette verso NNE. Anche Noto mostra uno spostamento
prevalente in direzione Nord, ma leggermente spostata
verso Ovest.
Sito
Up
(mm/a)
Est
(mm/a)
Nord
(mm/a)
Orizzontale
(mm/a)
Azimut
(deg)
Simeiz
1.7 ± 0.3
0.2 ± 0.1
0.9 ± 0.1
0.9 ± 0.1
15.3 ± 0.1
Madrid
3.3 ± 0.1
-0.6 ± 0.1
0.0 ± 0.1
0.6 ± 0.1
270.0 ± 0.1
Effelsberg
3.2 ± 0.1
0.0 ± 0.1
0.1 ± 0.1
0.1 ± 0.1
5.2 ± 0.1
Matera
0.7 ± 0.1
0.8 ± 0.1
4.3 ± 0.1
4.4 ± 0.1
10.8 ± 0.1
Medicina
-1.2 ± 0.1
1.1 ± 0.1
2.6 ± 0.1
2.8 ± 0.1
22.2 ± 0.1
Metshaovi
3.0 ± 1.3
1.0 ± 0.3
-0.4 ± 0.4
1.1 ± 0.3
113.4 ± 0.8
Noto
-0.1 ± 0.1
-1.5 ± 0.1
4.7 ± 0.1
5.0 ± 0.1
341.8 ± 0.1
Ny Ålesund
7.6 ± 0.1
0.4 ± 0.1
-1.1 ± 0.1
1.2 ± 0.1
160.6 ± 0.1
Onsala
3.7 ± 0.1
-0.4 ± 0.1
-0.6 ± 0.1
0.7 ± 0.1
209.3 ± 0.1
Svetloe
1.1 ± 0.7
0.1 ± 0.2
-0.2 ± 0.2
0.3 ± 0.2
151.7 ± 0.1
Wettzell
0.4 ± 0.1
0.1 ± 0.1
0.3 ± 0.1
0.3 ± 0.1
17.7 ± 0.1
Yebes
3.4± 0.1
-0.2 ± 0.1
0.5 ± 0.1
0.5 ± 0.1
343.6 ± 0.1
14.1 ± 2.5
-0.5 ± 0.5
-0.4 ± 0.5
0.6 ± 1.0
231.0 ± 1.0
Zelenchukskaya
Tabella 1: per ogni stazione geodetica VLBI Europea (colonna
1) è mostrata la velocità di movimento (rispetto alla placca
Eurasiatica) lungo la direzione verticale (Up), Est ed Ovest,
rispettivamente in colonna 2, 3 e 4. In colonna 5, sono riportate
le velocità totali orizzontali mentre, in colonna 6, è indicata
la direzione di spostamento espressa come valore dell’angolo
(calcolato in senso orario) rispetto al Nord geografico
Le intensità e le direzioni di spostamento stimate con
i radiotelescopi italiani sono un’espressione diretta
della complessità tettonica dell’area mediterranea e,
particolarmente, dell’area nella quale è ubicata la nostra
nazione.
Il meccanismo principale del movimento è ricollegabile
67
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
all’azione di spinta che la placca Africana svolge sul
territorio Italiano ed a come, in funzione della complessa
tettonica mediterranea, questa si manifesta localmente.
(Per approfondire l’argomento: “Geodynamic map of the
Mediterranean” http://ccgm.free.fr/mediterra_geodyn_
gb.html).
Dunque, grazie a 266 esperimenti geodetici VLBI svolti in
25 anni (Figura 3) è stato possibile determinare con grande
precisione che, per esempio, la distanza tra l’osservatorio di
Wettzell (Germania) e quello di Medicina sta diminuendo,
in modo pressoché costante, di circa 2.5 mm/a. Durante
questo arco di tempo la distanza d≈522.461 km che separa
le due stazioni si è ridotta di circa 6.3 cm.
Gli ultimi due esperimenti geodetici che hanno coinvolto
il radiotelescopio di Medicina si sono svolti il 17 maggio
2012 (tre giorni prima del sisma di magnitudo 5.9 con
epicentro Finale Emilia) ed il 21 giugno 2012. Quest’ultimo
esperimento non ha evidenziato alcun cambiamento
significativo della distanza tra i due radiotelescopi, il cui
valore è cambiato di soli 0.2 mm rispetto al valore stimato
coll’esperimento del 17 maggio.
Le deformazioni locali che sono state misurate tramite
i satelliti COSMO/SkyMed e che in alcune aree sono
state stimate in più di 10 cm non hanno interessato
l’area del radiotelescopio di Medicina, ma solo zone
molto prossime agli epicentri degli eventi più energetici
della sequenza sismica (http://ingvterremoti.wordpress.
com/?s=cosmo+skymed).
I radiotelescopi, sino a quando ci saranno fondi per farli
funzionare, continueranno ad osservare lo spostamento
delle placche tettoniche ed a sorvegliare l’evoluzione del
pianeta Terra su scala globale, assicurando così osservazioni
su periodi di tempo sempre più lunghi e permettendo una
sempre più chiara comprensione dei complessi fenomeni
che avvengono all’interno, sulla superficie ed al di fuori
del nostro pianeta.
Figura 3: distanza stimata tra le stazioni
di Medicina e Wettzell a partire dal 1987.
Nel riquadro è mostrata la velocità con
la quale la distanza tra le due stazioni
diminuisce (avvicinamento).
Pierguido Sarti
Nato a Bologna nel 1968, si laurea a pieni voti in Fisica all’Università di Bologna
nel Marzo 1997 discutendo una tesi dal titolo “VLBI geodetico in Europa”.
Prosegue gli studi in campo geodetico con l’ammissione al XIII ciclo di dottorato
in “Scienze geodetiche e topografiche” della medesima università.
Nel 2001 ottiene il titolo di Dottore di ricerca discutendo una tesi sull’effetto del
plasma troposferico nelle osservazioni geodetiche che si basano sull’utilizzo delle
onde radio.
Dal dicembre 2001 è ricercatore confermato presso l’Istituto di Radioastronomia
dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
E’ membro di diverse organizzazioni internazionali ed associate editor del
“Journal of Surveying Engineering” della società americana di ingegneria civile
(ASCE). Dal 2008 è chairman del gruppo di lavoro “Site surveys and co-location
sites” dello IERS.
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FORMAZIONE
Ex ligno
pontes facere
di Franco Laner
Le banconote dell’euro hanno come simbolo il ponte, metafora di
comunicazione fra gli Stati membri e il mondo. Il ponte è mezzo di
unione, non solo fisico, fra territori e popoli. Colui che li costruisce
è il pontefice, carica sia sacra, sia militare presso i romani (Pontifex
maximus)
Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura
all’Università Iuav, da anni tiene un corso di “Tecnologia
delle costruzioni di legno”.
Tre famosi ponti di legno, il ponte Sublicio legato
all’eroismo di Orazio Coclide, il ponte sul Reno voluto
da Giulio Cesare nel 55 a.C. e il ponte sul Danubio
ordinato da Traiano, sono la dimostrazione dell’altissimo
ingegno costruttivo romano e consentono considerazioni
aggiuntive ai diversi significati che questi manufatti
hanno storicamente avuto.
Palladio chiamava i suoi ponti invenzioni. E non c’è dubbio
che l’ingegneria strutturale abbia proposto, nel corso dei
secoli, una grande ed intelligente varietà di soluzioni per
i ponti, dipendente dai materiali a disposizione, dalle
situazioni ambientali, dai carichi sopportabili previsti e
anche, non ultimo, dalla personalità e dall’ingegno dei
costruttori.
Nell’ideazione di un ponte si può, fatta salva la sempre
attuale tradizione e pratica costruttiva, scorgere e
quantificare l’invenzione, il progetto, ovvero quanto di
intelligenza strutturale il costruttore abbia aggiunto, tale
da far assurgere i costruttori di ponti, ancora sotto Anco
Marzio, all’ordine sacerdotale dei “pontefici” (pontes
facere = costruire ponti). Costoro, come ci spiegano gli
storici, erano esperti nel segreto delle misure e dei numeri.
Ad essi era commesso il compito, sacro e politico, di
sovrintendere alla costruzione e al taglio del ponte.
Il verbo pontificare, infatti, è assunto come sinonimo del
più alto grado del dire e del fare.
Oggi il titolo di Pontefice indica colui che è in grado di
gettare un ponte fra l’al di qua e l’al di là!
Unire due sponde, comunque, è sempre un gesto carico di
intenzioni, non solo tecniche, ma anche sociali, culturali
ed economiche.
Questa nota, come introduce il titolo in latino, riguarda
la costruzione di tre ponti di legno romani. Famosi non
solo perché sono collegati ad altrettanti eventi storici, ma
anche per la loro tecnologia costruttiva, ancora oggetto
di discussione, per la loro audacia e singolare concezione
strutturale.
Giustamente nell’immaginario di tutti noi, il ponte
romano è di pietra. Molti di questi manufatti sono
ancora in opera a dimostrazione delle eccezionali capacità
costruttive raggiunte con l’arco e la pietra, non solo per la
viabilità, ma anche per gli acquedotti.
Il ponte di pietra, stabile e duraturo, era costruito dai
romani per collegare territori sicuri, conquistati. Il ponte
di legno era generalmente considerato provvisorio, di
servizio. Forse il ponte di Traiano sul Danubio non
appartiene a questa regola, ma teniamo presente che
le pile del ponte sono manufatti enormi di pietra (la
base di ogni pila, come hanno documentato gli scavi
archeologici, era di 18x18m e la loro altezza di 20m).
Le arcate di 30m erano di legno. Il ponte sul Danubio
collegava stabilmente all’impero romano la Dacia,
odierna Romania e Moldavia, conquistata da Traiano.
Il ponte Sublicio (507 a. C.)
è il ponte legato all’eroismo di Orazio Coclide che
da solo tenne a bada gli etruschi di Porsenna mentre i
suoi compagni tagliavano i legami delle unioni lignee.
L’episodio viene collocato nel 507 a. C.
Secondo gli storici, come Tito Livio, Dionigi di
Alicarnasso e Plutarco, fu costruito da Anco Marzio e fu
il primo ponte per attraversare il Tevere, nei pressi del
Gianicolo.
69
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Il Ponte Sublicio nel plastico di Roma antica al
Museo della civiltà romana, EUR, Roma
Due fra le tante raffigurazioni dell’eroico episodio
di Orazio Coclide, che tiene a bada gli etruschi di
Porsenna finché il ponte Sublicio viene distrutto
(Incisione di Tobias Stimmer, Sciaffusa, 1570
e affresco di Bernardo Strozzi, 1620, nella villa
Centurione-Carpeneto a Sampirdarena, Ge)
70
Questo manufatto, costituito da stilate e travi (sublicius è
parola derivata dall’etrusco e significa stilata, palificata,
sinonimo di ligneus) per i nostri fini chiarisce una questione
dibattuta: nei ponti romani gli elementi strutturali erano
tenuti assieme da legami o perni? Vitruvio su questo
punto non è chiaro. I traduttori del De Architectura, dal
1400 in poi sono divisi ed illustrano le giunzioni eseguite
sia con perni, sia con legami (v. esempio figura del castello
ligneo). Per inciso ricordo che il testo di Vitruvio è giunto
a noi privo di immagini, andate perdute.
La vicenda del ponte Sublicio chiarisce che i nodi di
confluenza delle aste erano tenuti assieme da legami, che
i soldati recidevano qualora si decidesse di distruggere il
ponte.
Nella moderna tecnologia del legno per le unioni si usano
perni di acciaio, sia per la velocità esecutiva, sia per la
facilità di calcolo. Queste unioni però non permettono al
legno quei piccoli movimenti ingenerati ad esempio dalle
escursioni igrometriche, mentre le legature, da questo
punto di vista, sono da preferirsi.
L’eroico episodio di Orazio Coclide, alquanto enfatizzato
durante il fascismo – siamo un popolo di eroi, santi
e poeti – è stato rappresentato da molti artisti. Una
ricostruzione verosimile, considerato che le testimonianze
storiche sono di quattro-cinquecento anni posteriori alla
sua realizzazione, è quella di Gabriele Piva, oggetto di tesi
di laurea che ho seguito nel 2001.
Ponte sul Reno ordinato da Giulio Cesare nel 55 a. C.
Per questo ponte di legno l’aggettivo adatto è celeberrimo.
Di esso, come scrisse Scamozzi e più recentemente Choisy,
si occuparono molti elevati ingegni e con grandissima
suttilità ne hanno cercato la costruzione e forse con fatiche
infruttuose, senza pervenire alla verità.
Nonostante la precisa, anche se asciutta descrizione di
Cesare nel Libro IV, 17 - 18 del suo “De bello gallico”,
la “strettezza” del parlare latino non consente facile ed
univoca interpretazione.
Lo studio del ponte che Cesare ordinò nel 55 quando,
terminata la conquista della Gallia si preparava alla
campagna di Britannia, mi ha occupato per diversi anni e
con diverse tesi di laurea.
Solo la traduzione del brano di Cesare è stata un’impresa.
Tutte ottime sul piano letterario, ma nessuna in grado
di spiegare la tecnologia adottata. Ad esempio la parola
fibula, letteralmente fibbia, è sicuramente la parola
chiave, perché si tratta di immaginare un oggetto, che
quanto più sia sollecitato, tanto più si stringa e lavori. La
traduzione del brano, riportata nella “finestra”, è frutto
della collaborazione col prof. P. Ventrice.
Per assecondare la richiesta dei Galli di passare il Reno
e dare una lezione ai Germani, Cesare fece costruire in
dieci giorni un ponte di legno della lunghezza di 400m
(il luogo è stato individuato nei pressi di Aquisgrana, oggi
Aachen).
Il ponte Sublicio ricostruito da Gabriele Piva. Tesi di laurea del
2001, rel. F. Laner, Iuav Venezia)
71
ANNO IV
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Un ponte, perché né lui, né l’esercito romano era degno
di attraversare il fiume con barche! I problemi da risolvere
erano immani. Fra i suoi generali, con sé aveva tre legioni,
ovvero circa 15.000 uomini, c’era –quasi certamente–
anche un certo Vitruvio. L’operazione fu preparata
durante l’inverno ed eseguita all’inizio della primavera.
Ho calcolato che occorse tagliare circa duemila alberi.
Certo che usò tronchi non squadrati, piccola osservazione,
che però squalifica tutte le interpretazioni con travi,
ovvero tronchi squadrati, con le quali sono più facili sia la
carpenteria, sia i particolari costruttivi.
Ad ogni buon conto, sintetizzo i risultati più interessanti,
altrimenti sforo dai limiti di un articolo.
Connessione degli elementi lignei del castello per sollevare pesi
descritto da Vitruvio: Fra Giocondo la interpreta con l’impiego di
perni, mentre D. Barbaro pensa a legami fibrosi
72
La lunghezza del ponte (400m) presume che ogni giorno
il ponte avanzasse di 40m. Come importante corollario,
immaginando come potesse essere il cantiere, ho capito
che la larghezza del ponte di 40 piedi, circa 12m, non è
un’esagerazione, perché il ponte stesso è il cantiere, con
carpentieri che vanno avanti ed indietro e macchine che
abbisognano di spazio.
La fibula, come aveva intuito Palladio, è lo strumento
che fa sì che un nodo strutturale più viene caricato, più si
stringe e fa forza. E’ un vero e proprio stato di coazione.
Lo schizzo chiarisce il funzionamento della fibula.
Il sistema di avanzamento a sbalzo, per costruire senza
andare in acqua, è chiarito dal rendering, alquanto datato
e mi scuso, ma siamo nel 1993!
Per aggiungere queste osservazioni, ho messo insieme
tutto ciò che era possibile trovare, tanto, perché questa
meraviglia tecnologica, che spaventò i Germani, equivale
allo stupore che provocherebbe l’atterraggio di un disco
volante in una nostra piazza!
De Bello Gallico, libro IV, 17 - 18.
(traduzione di P. Ventrice).
1 7
1 Cesare, per le ragioni indicate, aveva deciso di passare il Reno, ma gli sembrava che non fosse abbastanza sicuro attravesarlo con
barche, né decoroso per lui, né per il popolo romano.
2 Perciò, anche se la costruzione del ponte si presentava molto difficile a causa della sua lunghezza, della velocità della corrente e
della profondità del fiume, riteneva tuttavia che bisognasse tentare l'impresa, oppure si dovesse rinunciare al passaggio dell'esercito.
3 Stabili il seguente procedimento costruttivo: prese tronchi dello spessore di un piede e mezzo (45 cm.), un pò appuntiti
all'estremità di minor spessore, proporzionali alla profondità del fiume, e Ii congiunse due a due, alla distanza di due piedi (60 cm.),
l'uno dall'altro.
4 Per mezzo di macchine li calò e con berte li fissò saldamente sul fondale, ma non perpendicolarmente come pilastri, ma in modo
inclinato ed obliquo, così da assecondare la corrente.
5 Analogamente, ma in senso opposto ed egualmente legati fra loro, piantò due tronchi, ad una distanza di 40 piedi (circa 12 m.)
alla base, rivolti contro la forza e l'impeto della corrente.
6 Al di sopra delle due coppie pose le travi, dello spessore di due piedi, quanto cioè distavano tra loro i tronchi, assicurandole con
coppie di "fibule", per ogni estremità.
7 Separate e strette in opposta direzione queste travi, l'opera era cosi solida e ben concepita nel suo insieme, che quanto più
violentemente si abbatteva l'acqua, tanto più strettamente si chiudeva.
8 L'impalcatura veniva poi collegata con travi longitudinali e completata con travicelli e graticci.
9 Nondimeno dei pali infissi, erano messi in condizione di agire obliquamente nella parte inferiore del fiume. Essi erano posti a
guisa di un ariete e congiunti con tutta la costruzione in modo da ricevere la forza della corrente.
10 Altri pali ancora erano infissi poco prima del ponte, perché se i barbari avessero inviato tronchi o altri galleggianti, con
l'intenzione di abbattere l'opera, la loro protezione attutisse l'urto ed evitasse danni al ponte.
1 8
1 In dieci giomi, da quando si era cominciato a tagliare il legname, l'opera venne portata a termine e l'esescito poté transitare.
2 Cesare lasciò un solo presidio alle due estremità del ponte e mosse verso il territorio dei Sugambri.
3 Durante l'avanzata ricevette delegazioni di molti popoli, che invocavano pace ed amicizia: risponde con generosità e si fa portare
ostaggi.
4 I Sugambri invece fin dal momento che si era dato inizio alla costruzione del ponte avevano meditato la fuga, sobillati dai
Tancteri e dagli Usipeti che si trovavano fra loro; avevano abbandonato le loro terre portando via tutto e si erano dileguati nella
solitudine delle foreste.
Traduzione del celebre passo che descrive il ponte nel “De
bello gallico”. La parola chiave è “fibulae”, che Palladio risolse
interpretandolo come strumento autostringente
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ANNO IV
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Il nodo ritti-trave che Cesare chiama fibula. Si capisce che più
grande sarà la sollecitazione, più il nodo si stringerà. Questa
interpretazione, chiave per la comprensione del ponte, è stata
esaltata con la realizzazione in grande scala del nodo per le
celebrazioni palladiane a Vicenza nel 2002 (M. Scolari/F.Laner)
74
Rendering del 1996 che mostra una fase costruttiva del ponte.
Il sistema impiegato sfrutta travi a sbalzo, aggettanti da due
cavalletti, all’estremità delle quali si lavora per porre in opera
il cavalletto successivo. In questo modo il ponte poteva essere
costruito senza mai entrare in acqua
Immagine virtuale del ponte di 400m ordinato da Giulio Cesare
nel 55 a. C. (da archivio ricerche F. Laner, 1993)
Particolare della colonna traiana del ponte sul Danubio.
Questo particolare fu scolpito dallo stesso Apollodoro che realizzò
il ponte
Il ponte di Traiano sul danubio
Questa volta c’è anche l’aiuto visivo. Il ponte è infatti
scolpito sulla colonna traiana, addirittura dal suo artefice
Apollodoro, oriundo di Damasco, che era l’architetto
ufficiale di Traiano. Cionondimeno, sapendo che il
ponte è lungo 1km, lo stupore è massimo. Per capire
di più ci siamo, con tesi e ricerche, concentrati ancora
sul cantiere. Per costruire pile e rostri l’acqua del fiume
è stata progressivamente deviata. Realizzati i rostri e le
pile, di interasse di circa 40m (la luce netta fra le pile, è
di 30m, essendo le pile larghe 18) risultano 40 campate!
L’impalcato del ponte, come si vede nella colonna, è
costituito da un arco di legno con più elementi sovrapposti
sopra cui appoggia l’impalcato. Noi pensiamo che gli
archi venissero prefabbricati a piè d’opera ed issati con
macchine, quindi solidarizzate trasversalmente.
75
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
Ma forse è una trasposizione di come oggi avremmo fatto,
poiché molto poco sappiamo di storia della tecnica. La
storia della tecnica, in particolare nel nostro Paese, non è
mai stata praticata e quando qualcuno se ne è occupato,
ha restituito una storia aneddotica, più che una storia
di evoluzione delle idee, scollegata dalle conquiste della
scienza nei vari settori. Ancor oggi la storia della tecnica
non ha valore, poiché abbiamo la convinzione che i
gradini del sapere tecnico già saliti non abbiano alcuna
inferenza per l’innovazione.
Invece, nella riscoperta del passato, spesso c’è la sorgente
dell’innovazione.
Dai pochi accenni a questi tre ponti di legno romani, a
parte gli episodi storici sottesi, si intuisce che duemila
anni non abbiano prodotto cambiamenti epocali. Penso
che – nonostante tutto il nostro sapere tecnico ed i mezzi
disponibili – un’opera come quella di Traiano non sarebbe
facile da realizzare nemmeno oggi. E nemmeno sbalordire
costruendo un ponte di 400m in dieci giorni senza toccare
l’acqua. Tante altre opere del passato aspettano risposta.
La posa in opera della cupola monolitica del Mausoleo di
Teodorico, ad esempio, del peso di 230t. (l’equivalente
di 230 automobili di media cilindrata) ci farebbe senza
dubbio grattar la pera!
Alcune storiche ricostruzioni del ponte di
Traiano. a) S. Donini, b) N. Zimarino,
c) M. Deperaux, d) V. Galliazzo, e) A. B.
Rondelet, f) A. Choisy, g) Arma del genio,
Istituto storico, h) Tesi M. P. Noto (relatori
F. Laner e A. Menegotto, Iuav, 1997)
Vista prospettica del ponte sul Danubio (105 d. C.) da tesi M. P.
Noto (Iuav, 1997)
76
SOCIETÀ E COSTUME
La Bottega
di Pierluigi Ghianda
ebanista e falegname
Pierluigi Ghianda, classe 1926, subentra nella direzione
della Bottega, fondata dal nonno nel 1850 a Bovisio di
Masciago e poi gestita dal padre – che negli anni ’30
collabora con grandi architetti milanesi come Emilio
Lancia e Giò Ponti –, a partire dal 1946, insieme al
fratello Giuseppe (poi deceduto) specializzandosi nella
produzione di arredi per ufficio.
Nel 1967, con la moglie Francesca, trasferisce la Bottega
nell’attuale sede e seguendo le orme paterne, ricerca
una stretta collaborazione con architetti e designer.
Negli anni Settanta, inizia, con un viaggio in
Giappone, la lunga e feconda amicizia con Gianfranco
Frattini. La creatività e l'intransigenza del designer
congiunte alla maestria dell'artigiano faranno nascere
opere come il tavolo Kyoto e il mobile Portofino.
Gli Ottanta sono gli anni clou dell'attività di Pierluigi
Ghianda e della sua Bottega, che realizza arredi per
dimore prestigiose, pezzi singoli, prototipi (Knoll,
Rosenthal, Rolex, Dior, Alcantara), piccoli e grandi
oggetti e sculture d'artista (M. Bill, A. Pomodoro).
Nel 1986 inizia la collaborazione con Hermès che
prosegue tutt'oggi, fondata sul rapporto professionale
con la famiglia Dumas, sulla reciproca stima, sul
comune amore per la perfezione e sulla condivisione
dell'ossessione quasi maniacale per la raffinatezza.
Dal 1987 al 1999, Pierluigi Ghianda lavora con noti
designer (Aulenti, Barokas, Boeri, i Castiglioni, Eileen
Gray, i Frattini, Magistretti, Sapper, Sottsass, Thun, i
Vignelli, Zanini e altri), per una clientela sempre più
esclusiva (Knoll, Rosenthal, Cini & Nils, ClassiCon,
Rolex, Dior, Rochas, Renault).
Pur continuando lo studio di prototipi e la produzione
di oggetti e di pezzi singoli, al fianco di noti designer,
negli anni Novanta la Bottega Ghianda realizza arredi
per una clientela internazionale (New York, Londra,
Parigi, Mosca, Helsinki).
Nel 1993 nasce il catalogo della Bottega, interamente
disegnato a mano da giovani allievi dell'Istituto
d'Arte di Monza (Mauro Fabbro e Claudia Scarpa),
su progetto grafico di Lino Gerosa, da un'idea di Isa
Ghianda.
Tra il 1995 e il 1998 Pierluigi tiene conferenze in
Università italiane e straniere (Milano, Helsinki e
Tokio) illustrando la sua fi losofia di lavoro e i suoi
prodotti sono esposti in mostre personali (Galleria
Dedalo, Milano; Caff è delle Arti e dei Mestieri, Reggio
E.; Galleria Libra, Monza).
Nel 2001, in Campidoglio, Ghianda riceve dal
Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azelio
Ciampi l'alta onorificenza di Ufficiale dell'Ordine al
Merito della Repubblica Italiana.
Dal 2010 Pierluigi Ghianda è affiancato nella
conduzione della Bottega dalla figlia Beatrice, reduce
da varie esperienze in Italia e all'estero. La Galleria
Consadori di via Brera espone i pezzi più significativi
della collezione Bottega Ghianda.
77
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
Quale la differenza, gli chiediamo, tra ebanista e
falegname?
Io mi sono sempre definito un falegname, altri mi
chiamano ebanista o, tra il serio e il faceto, maestro.
Non saprei dare definizioni, nella nostra Bottega si lavora
bene, se questa è ebanisteria lo lascio giudicare agli altri.
Quello che posso dire è che l'ebano è un legno particolare,
la sua struttura è talmente dura da ricordare un fossile,
necessita di molto tempo, non si può tagliarlo e lavorarlo
nella stessa settimana, è capriccioso.
Mi è capitato di finire un manufatto, era pronto per la
consegna e durante la notte abbiamo sentito dei botti,
come degli spari e abbiamo trovato l'oggetto spaccato a
metà...
Nell'ebano ci sono i "crepit" piccole fessure invisibili,
bisogna tenerne conto lavorandolo.
Quali le cognizioni per capire il legno e meglio
interpretarlo?
Il legno bisogna amarlo, io sono cresciuto circondato
dal legno, la nostra Bottega esiste dall'Ottocento,
la prima cosa che mi viene in mente di dire è che
il legno è vivo e che non muore mai, anche dopo
centinaia di anni.
Quale è stata la Sua preparazione scolastica ed i
corsi frequentati?
Mia mamma è rimasta vedova presto e si è ritrovata
tre figli e una Bottega da mandare avanti, dunque mio
fratello, che ere bravissimo, l'ha da subito affiancata
in Bottega e per me hanno pensato a Ragioneria e
poi ad Economia alla Cattolica. Ci voleva uno in
famiglia per fare i conti, ma non era la mia strada,
passavo più tempo al Politecnico, alla Facoltà di
Architettura che a studiare per gli esami, così alla
fine la mamma ha capito che era meglio impiegarmi
in Bottega piuttosto che insistere con i numeri.
Quali gli elementi basilari per dialogare con i
designers ed i progettisti?
La curiosità e l'apertura, il vero segreto è divertirsi.
Ogni architetto ha il suo modo di lavorare, il Vico
progettava al telefono, a Sottsass piaceva venire in
Bottega con la sua banda e si divertiva a guardare la
lavorazione.
Con la “banda” Castiglioni poi era proprio divertente,
me li ricordo fin da bambino, il papà (Giannnino,
ndr) era uno scultore fantastico e la creatività non ha
mai abbandonato questa famiglia.
Fondamentalmente si lavora insieme, a volte si
raggiunge lo scopo, a volte no ma tutto è utile perché
un'idea che ti è venuta per un lavoro che non è andato
in porto può servire per un altro.
Quanto valore dà alla matita (al disegno fatto a
mano) e quanto al computer?
Mai usato il computer, mai neanche schiacciato un
tasto, io disegno solo a matita.
Quale valore attribuisce all'apprendistato?
A scuola si imparano tante belle cose, è fondamentale,
anche per un artigiano, la formazione scolastica, ma
è in Bottega, sul lavoro, che si diventa falegnami,
si impara dai compagni, si impara dagli sbagli, si
impara dalla materia stessa, il legno che parla e a
volte canta.
Il problema sono gli schemi troppo rigidi, il contratto
di apprendistato dura al massimo un anno, troppo
poco per valutare, da entrambe le parti intendiamoci.
78
Tra i modelli che sono usciti dalla Sua Bottega
quali quelli che l'hanno maggiormente impegnata?
Mi vien da dire l'ultimo… Sono molto legato a tutta
la mia produzione difficile scegliere.
Posso dire, forse, che il pezzo a cui tengo di più è il
Kyoto fatto con Gianfranco Frattini che era un gran
rompiballe ma alla fine venivano fuori proprio delle
belle cose.
Lei tiene conferenze nelle Università italiane ed
estere sulla Sua filosofia di lavoro e i Suoi prodotti.
Qual è l'insegnamento per i giovani d'oggi?
Posso dire quello che è per me, l'entusiasmo e l'umiltà
sono doti fondamentali per aver successo in quello che
fai.
Il vero segreto è partire dal prodotto, farlo bene e
poi pensare a venderlo, non il contrario, partire dalle
esigenze commerciali e poi approntare una cosuccia
che possa andare.
Solo ragionando così si ottengono prodotti di qualità.
La Bottega Ghianda oggi ha delle importanti
commesse di lavoro all'estero, quale quella più
impegnativa?
Non saprei, forse il lavoro ventennale che facciamo
con Hermès è quello che dà più soddisfazione, la
nostra Bottega ha lo stesso spirito della grande Maison
francese, qualità prima di tutto.
Tra gli oggetti prodotti dalla Sua Bottega c’è “la
squadretta in legno di pero” (molto familiare ai
Geometri) di cui Lei racconta “che era il manufatto
che l'apprendista falegname eseguiva al termine del
suo tirocinio per dimostrare le capacità raggiunte”.
Perché proprio la squadretta? Oggi è ancora una
prova da superare? O quali sono le nuove prove?
Perché la squadretta… Perché bisogna fare, a mano, tre
incastri a coda di rondine belli precisi, non è facile. La
coda di rondine è il principe degli incastri, un cassetto
con le sue belle code di rondine ai lati non si rompe più,
se invece lo incolli e basta, beh è un'altra cosa.
79
RECENSIONI
“Un viaggio
lungo quarant’anni”
L’attività di Giovanni Fanucchi
“Siete mai stati in un cantiere edile?
Uscendo indenni da carte, normative e compromessi,
e dopo aver superato la selva ingarbugliata della
legislazione si arriva finalmente sul campo di
battaglia: il cantiere. Qui, schierati, attendono gli
attori protagonisti: muratori, capomastro, fornitori,
idraulici, elettricisti ed altre comparse, essenziali
alla realizzazione del progetto, occupano il posto
assegnatogli dal regista: in questo caso il Geometra.
Tutti, nessuno escluso, concorrono al raggiungimento
del piano di lavoro, tutti sono un mattone essenziale;
se uno manca, l’edificio non è completo.
L’edilizia, incide profondamente nella qualità del
paesaggio urbano, l’edificio è una di quelle strutture
attraverso cui una città, un comune, un quartiere
manifesta il proprio “essere”; l’edificio è un accessorio
che, se ben inserito, completa e modifica positivamente
l’ambiente.
Porcari, cresciuto sull’importantissima arteria della
via Francigena, dagli anni Sessanta dello scorso secolo
ad oggi ha preso parte alla rapida evoluzione che
ha percorso la nostra penisola, seguendo le linee di
sviluppo nazionali: da paese a prevalente produzione
agricola si è modificato in paese industriale.
L’agricoltura, con zone solo in parte produttive e con
piccole entità poderali non adeguate a raggiungere
colture redditizie, presentò alcune difficoltà. La
situazione fu peggiorata dall’aumento demografico
che non trovò una risposta adeguata con il lavoro
agricolo e conseguentemente fu assorbita nello
sviluppo industriale e artigianale che tra gli anni
Ottanta e Novanta del XX secolo, si consolidò.
I protagonisti di questa grande crescita, collocati
80
Il volume “Un viaggio lungo quarant’anni” (Maria Pacini
Fazzi Editore, Lucca) propone un’ampia retrospettiva della
attività professionale e dei progetti realizzati dal Geometra
Giovanni Fanucchi principalmente a Porcari e nei comuni
limitrofi, in provincia di Lucca.
Le motivazioni e il senso della pubblicazione vengono
illustrate dalla curatrice Claudia Nardini in premessa al
libro e attraverso un’intervista a Fanucchi.
nei territori di Porcari – Italcarta, Eurosak, Baldini
Vernici, Gruppo A. Celli, Euromek e tante altre
ancora – sono stati, e ancora oggi lo sono, per il sistema
economico lucchese un gancio trainante e stimolante
per lo sviluppo sul territorio di nuove iniziative.
L’aumento delle attività industriali e di conseguenza
la crescente domanda occupazionale che si venne a
definire nei decenni passati sviluppò una speranza di
maggiore benessere, auspicando un domani migliore.
Intorno agli anni Novanta, rispetto ai decenni
precedenti, caratterizzati dal progresso e dal
cambiamento, si insinuano i primi segnali di
decadenza; un forte numero di aziende scelse di
trasferirsi all’estero per impossibilità di sostenere i
costi, ma dal primo decennio del nuovo secolo grazie
a scelte urbanistiche effettuate dall’Amministrazione
Comunale, con moderne infrastrutture realizzate
di recente, come i sottopassi ferroviari o il casello
autostradale del Frizzone, si è cercato di migliorare
la viabilità della Piana con l’obiettivo di valorizzare e
potenziare non solo Porcari ma anche le aree limitrofe,
rendendo accessibile al circuito turistico la loro storia
e la loro ricchezza.
I mutamenti impetuosi susseguitisi negli ultimi tempi
hanno profondamente trasformato la struttura della
società, trasformazioni, queste, radicali che vanno a
intersecarsi con l’economia, la politica, l’istruzione e
la cultura.
Porcari, centro di questa nuova realtà, si espande
e conquista un nuovo aspetto. Gli interventi di
riqualificazione del paese, che lo proiettano verso
un futuro migliore, hanno riguardato lo Stadio
Comunale, la realizzazione dell’Auditorium “Da
Massa”, la zona 167, la ristrutturazione di Piazza F.
Orsi e del Palazzo Comunale, la risistemazione dei
Plessi Scolastici, l’edificazione della nuova sede della
Croce Verde, la realizzazione della Casa di Vetro
“Fondazione Lazzareschi”, l’acquisto del Collegio
Cavani e vari interventi di viabilità.
Se riflettiamo potremmo dire, parafrasando Filarete
(Trattato di Architettura – seconda metà del XV
secolo), che le strutture edilizie per nascere ed
esprimere al meglio le loro funzionalità, hanno
“bisogno di una madre e di un padre”, nel nostro caso
la madre può essere la figura del Geometra e il padre
il committente. La zona di Porcari ha esibito una
committenza, pubblica e privata, attenta e presente
alle trasformazioni del territorio e lo Studio Fanucchi
negli ultimi quarant’anni, impiegando profonde
energie, si è mostrato indiscusso protagonista in alcuni
di questi interventi di trasformazione del territorio
porcarese, e non solo, adeguando alle richieste della
committenza soluzioni progettuali diversificate.
Croce Verde, Porcari, via Romana Est
81
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
Come esprimono i progetti presentati in questa
pubblicazione il lessico architettonico impiegato dallo
Studio risulta essere sobrio e incisivo, un linguaggio
capace di combinare tradizione e modernità in un
sistema equilibrato, dando forma alle aspirazioni dei
committenti intrecciando razionalità e cuore, perché
l’arte di edificare non vuole dire solo progettare,
costruire, misurare e fare compromessi, ma vuol dire
anche immaginare, sognare e realizzare desideri altrui.
Giovanni Fanucchi con il suo numeroso Staff di
collaboratori, in questi anni, ha creato una ragnatela
di contatti strettamente necessaria alla gestione
del mestiere di Geometra. Infatti, questa figura
professionale deve essere capace di relazionarsi nel
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modo più adeguato con un equipe di professionisti che
si concretizzano come un prolungamento del pensiero
del Geometra stesso e sono il mezzo per arrivare a
concludere il progetto.
Le pagine di questo libro, che libro – come dice Giovanni
Fanucchi – non vuole essere perché troppo impegnativo,
si compongono come una raccolta di progetti vissuti
in prima persona dal loro autore in quarant’anni di
attività. Dai primi contatti che Giovanni ha avuto con
la professione di Geometra fino ad oggi sono cambiate
molte cose, ma sicuramente non è cambiato l’impegno e
la capacità che questo lavoro richiede; lui stesso ricorda
che questa professione “è una vocazione che non si può
svolgere a tempo determinato!”.
Fin dagli esordi degli anni Settanta del secolo scorso
svolti a Porcari e nei comuni limitrofi, il Geometra si è
sempre applicato con entusiasmo e “senza ripensamenti”
nello svolgere quest’attività per la quale “era nato”,
cercando di realizzare le proprie aspirazioni personali.
Tramite questa selezione di immagini che Giovanni
ha raccolto ci rende partecipi della varie fasi della sua
carriera; noi riusciamo a vedere solo l’ottimo risultato
finale del suo operato e possiamo solo immaginarci
le varie peripezie e difficoltà che comporta questo
mestiere.
Per iniziare bisogna saper ascoltare il cliente, poi è
necessario essere creativi e concretizzare in forme
architettoniche i desideri di quest’ultimo, ma nel
frattempo è necessario essere realisti per sottostare alle
leggi e alle rigide normative da seguire e per ultimo è
necessario che il Geometra assuma i panni del regista
per mettere in comunicazione tutti gli attori presenti
sul palcoscenico.
Croce Verde, Porcari, via Romana Est
Il prodotto finale di questo faticoso, quanto appagante,
percorso è un edificio progettato e realizzato che incide
in modo profondo sullo spazio che ci circonda.
L’architettura, infatti, oltre ad “entrare in relazione”
con il committente stabilisce un’empatia con chiunque
entra in contatto con essa, quindi il Geometra,
seguendo la sua vocazione, per realizzare una “buona
ricetta” deve inserire nel suo iter progettuale un ultimo
ingrediente fondamentale: “fare bellezza”. Perché “ogni
anima è e diventa ciò che guarda” (Plotino).
Questo libro con i suoi contenuti non vuole parlare
unicamente dello “Studio Fanucchi a Porcari” ma
vuole cercare di comunicare a noi “profani”, che non
esercitiamo questa professione, la complessità di questa
difficile ma affascinante attività.
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ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
A colloquio con Giovanni Fanucchi
Mi racconti un episodio divertente che è accaduto
sul lavoro
La nostra professione è talmente seria e complicata
che naturalmente è modesta di situazioni divertenti!
Un giorno, durante un compromesso tra due fratelli,
arrivati al momento della sottoscrizione del documento
mi è stata chiesta una cosa alquanto bislacca: “Oh
Giovanni, visto che hai scritto così bene il compromesso
sarà meglio che firmi te per me e per il mio gemello!”.
Quando ha capito che il suo lavoro era la sua
passione?
Già scegliendo la scuola di Geometra avevo fatto il
primo passo verso quest’attività, ma la grande passione,
che mi ha accompagnato fino ad oggi, è sbocciata con
l’inizio del tirocinio, il primo concreto contatto con
l’arte del costruire.
Che cosa è cambiato rispetto ai primi anni, quando
lei ha intrapreso la sua professione?
Naturalmente nel “viaggio” dei quarant’anni di
professione sono cambiate tante cose.
Consideriamo per esempio i cambiamenti verificatesi
nelle tecniche del disegnare, del rilevare e soprattutto
del “pensare”; infatti la tecnologia in continuo e costante
progresso ci ha portato ad assidui aggiornamenti
che hanno contribuito positivamente a velocizzare e
perfezionare il risultato finale sia per quanto riguarda
la progettazione sia per una migliore comunicazione.
C’è qualcosa che ha imparato durante gli anni
del suo tirocinio, con il Geometra Anselmo Della
Maggiora, che ancora oggi porta con sé?
Sono certo che se il periodo del tirocinio è fatto con
impegno e, specialmente, con l’esempio di un buon
maestro non può che lasciare profonde tracce indelebili
che ci accompagneranno nel tempo; per me è stato
così. Per farle un esempio: alcuni sistemi di calcolo
statico strutturale che ho potuto utilizzare subito dopo
il periodo scolastico sono stati fondamentali per il
progredire delle mie conoscenze, anche le esperienze
che in quegli anni di tirocinio ho potuto avere a
contatto con i clienti e il lavoro di pratiche specifiche
da eseguire hanno inciso sulla mia professione che si è
sviluppata in seguito.
Sarò sempre grato al Della Maggiora per l’esperienza
che ho potuto fare nel suo Studio.
L’attività svolta negli anni Settanta presso il
Comune di Porcari è stata una tappa importante
84
del suo percorso?
Determinante! L’esperienza esercitata, per un breve
periodo all’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo,
presso l’Amministrazione Comunale di Porcari si è
rivelata decisiva per l’accrescimento della mia carriera
poiché sono entrato in contatto con gli aspetti più
importanti del Diritto Amministrativo, soprattutto
con quegli aspetti inerenti al settore urbanistico dove
ho potuto vivere in prima persona la pianificazione e la
gestione di un progetto. Ricordo che quel periodo fu
un momento di particolare sviluppo industriale per il
Comune di Porcari.
Lo Studio con cui ha collaborato a metà degli anni
Settanta le ha dato la possibilità di sviluppare
a pieno le sue capacità tecniche imparate in
precedenza?
Certo. Tutte le esperienze conseguite dal tirocinio in
poi, come il far parte di uno Studio dove si impara ad
affrontare, in collaborazione con altri colleghi, le difficili
problematiche legate alla Professione, non possono che
arricchire ulteriormente le proprie capacità e rendono
fattibile la possibilità di esprimere al massimo tutti gli
insegnamenti immagazzinati precedentemente.
Con grande soddisfazione negli anni Ottanta
apre lo Studio Fanucchi; è stato faticoso avviare la
professione in completa autonomia?
Con il passare degli anni, affrontate le prime esperienze
formative, si percepisce la necessità di poter proseguire
il cammino facendo perno sulle forze personali e avere
un proprio Studio diventa fondamentale.
Si cominciano ad affrontare scelte che andranno a
forgiare, con il passare del tempo, uno stile personale
che sarà raggiunto con intensi sforzi sia professionali,
sia economici. Dal punto di vista professionale mi sono
trovato, come chiunque affronti un percorso lavorativo,
ad essere responsabile in prima persona delle mie scelte,
quindi ho subito percepito la necessità di aggiornare
costantemente la mia preparazione, dal punto di vista
economico l’investimento iniziale per le attrezzature
e per i collaboratori è stato rilevante. Fin dall’inizio
della Professione ho compreso che per svolgere il
lavoro con grande professionalità era necessario avere
una “squadra”, un gruppo che collaborasse insieme per
affrontare le complesse problematiche necessarie per
realizzare i progetti.
Qual è la sua filosofia del lavoro?
Ho messo sempre in primo piano il cliente con le sue
richieste e le sue necessità e soprattutto ho cercato
continuamente di adempiere con scrupolo a tutti gli
Palazzo storico
“Corte Giannini”
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ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
incarichi cercando di non sottovalutare quelli minori.
Quando inizia un progetto quali sono gli scopi che
vuole raggiungere?
Quando si svolge un incarico per realizzare un’opera il
primo scopo è quello di interpretare al meglio le esigenze
del cliente, ma secondo me non si deve tralasciare il
fatto che l’opera che verrà realizzata sarà una personale
creazione, in essa si esprimeranno tutte le individuali
capacità professionali.
Qual è l’aspetto che più la gratifica di questa
professione? E l’aspetto che più la amareggia?
La massima gratificazione è quando di fronte alle
smisurate e a volte problematiche pratiche urbanistiche si
riescono ad ottenere gli atti amministrativi necessari per
concretizzare i desideri dei clienti costruendo una casa,
un laboratorio artigianale. Di contro l’aspetto che più
mi amareggia è proprio non riuscire ad ottenere questo
risultato, domandandomi se ho fatto tutto quello che era
possibile fare.
C’è stato mai un momento di crisi in cui voleva
abbandonare tutto? Cosa l’ha spinta a proseguire in
questa professione?
Scandagliando l’attività che ho svolto in questi quarant’anni,
devo dire di non aver mai valutato la possibilità di lasciare
tutto; anche quando ho dovuto affrontare periodi difficili,
in cui ho dovuto far fronte a situazioni complesse l’impegno
che ho messo nel risolvere le problematiche insorte mi ha
donato fervore ed energia per proseguire con tenacia lo
svolgimento dei progetti, ogni volta con assoluta dedizione.
La figura del Geometra è una figura complessa ed
importante nel campo dell’edilizia, qual è l’iter
progettuale? Il cliente viene da lei e …
Devo dire che l’iter progettuale è molto complesso, il
Geometra deve essere capace d’interpretare le esigenze del
cliente e ciò include anche il saper regolamentare alcuni
aspetti caratteriali del cliente che a volte ha richieste
singolari e stravaganti.
Appena i clienti ci contattano per manifestare le loro
richieste dobbiamo calmierare le bizzarre idee e con
grandissima calma cerchiamo di farli ragionare per cercare
di realizzare un progetto che rispetti i rigidi principi che
regolamentano il campo dell’edilizia.
Con il passo successivo si devono affrontare le tempistiche
amministrative dove spesso si incontrano degli ostacoli che
il cliente stesso non comprende, quindi il Geometra deve
riuscire a mediare la comunicazione; il Geometra si deve
spostare all’interno di una selva molto intricata passando
dall’ASL, dalla Soprintendenza, dalla Commissione
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Ambientale, dall’Ufficio Strade, dalla Provincia, dal Genio
Civile, dalla Regione – solo per ricordarne alcune – e inoltre
deve sapere comunicare anche con gli altri professionisti
essenziali all’esecuzione del progetto: il Geologo, gli
Ingegneri strutturali, l’Impiantista addetto alla sicurezza,
ecc … E sa cosa può accadere? Che ci comunicano che la
pratica è stata rinviata o necessita di integrazioni. A volte il
cliente non riesce a concepire tutti questi passaggi ma essi
sono necessari per ottenere un risultato migliore.
Secondo lei in quale modo il suo contributo urbanistico
a Porcari, con progetti pubblici e privati, ha partecipato
allo sviluppo, ancora in atto, del rinnovamento
dell’identità del paese?
E’ evidente che il paese di Porcari in questi quarant’anni
ha affrontato cambiamenti importanti a seguito della
realizzazione di opere pubbliche come la sistemazione
della viabilità o la realizzazione di strutture residenziali.
Con alcuni incarichi ho partecipato direttamente a questo
rinnovamento: con la parcellizzazione e l’esproprio delle vie
Sbarra e Casoni e alla realizzazione della parcellizzazione
dell’area 167, ho partecipato con alcuni interventi nell’area
destinata alle attività artigianali e commerciali.
Importante è stato l’impegno che il mio Studio ha dato
per la realizzazione della nuova Sede della Croce Verde,
servizio sociale importantissimo, che il Comune di Porcari
ha dedicato ai suoi cittadini.
Vorrei anche precisare che lo sviluppo che ha investito
Porcari è stato possibile grazie all’intersezione della
collaborazione tra il Comune e l’intraprendenza e la
fattività degli imprenditori che hanno realizzato opifici,
industrie e numerose attività che hanno predisposto il
paese ad un notevole benessere sociale ed economico; oggi
la situazione necessita di ulteriori ed indispensabili opere
di riconversione industriale mediante la trasformazione
urbanistica di numerose “cattedrali” del passato,
oggi dismesse, è questa la scommessa che le prossime
amministrazioni dovranno affrontare.
Gli impianti residenziali, industriali, artigianali e
commerciali che il mio Studio ha realizzato per clienti
privati che si vanno a sommare agli interventi pubblici
si manifestano come una personale traccia indelebile
sul territorio di questo comune che sento un po’ mio,
soprattutto perché sono nato qui.
Se potesse tornare indietro, modificherebbe qualcosa
nel suo percorso professionale?
No. Non rinnego niente di quello che ho fatto nell’arco
della mia carriera professionale perché ogni passaggio
è stato essenziale per quello successivo. Ho avuto la
possibilità di esprimermi nei vari settori che orbitano
attorno alla professione del Geometra, potrei dire di aver
svolto il mio lavoro a 360 gradi, dall’edilizia in generale alla
contrattualistica, dal sistema di valutazione sia bancario,
sia peritale, agli incarichi per il tribunale fino alle attività
di tipo catastale con denunce di successione e divisionali,
alle pratiche amministrative.
Nel tempo la professione di Geometra si è modificata,
secondo lei questa evoluzione ha portato ad un
miglioramento o ad un peggioramento della
professione?
La professione di Geometra si è perfezionata con il passare
del tempo, si sono sviluppate attività più specialistiche
come i rilievi strumentali, le attività catastali e le
valutazioni di tipo scientifico. Il Geometra è stimolato
continuamente, deve aggiornarsi ininterrottamente per
essere competitivo.
Questo libro raccoglie i progetti realizzati fino ad
oggi, e per il futuro cosa ha pensato di realizzare?
Una parte importante del libro è dedicata a strutture di
vario tipo realizzate dagli anni Settanta fino ad oggi, ma
non ho voluto sottovalutare quei progetti, che andranno
ad interessare una parte del territorio comunale di Porcari,
residenziali, commerciali ed industriali, che attualmente
sono in fase finale di progettazione e che saranno realizzati
negli anni a venire grazie al lavoro collaborativo con il
mio Staff e con mio figlio Gianni, Ingegnere edile, che sta
prendendo in mano le redini future dello Studio.
Da un punto di vista organizzativo qual è la maggior
difficoltà che deve affrontare nel suo lavoro?
Le difficoltà nell’organizzare il lavoro sono molteplici, per
esempio si pensa che sia semplice coordinare i collaboratori,
riuscire a rispondere positivamente alle richieste, sempre
più esigenti, della clientela e contemporaneamente riuscire
a rispettare le normative di legge in materia di urbanistica
edilizia?
Inoltre questo lavoro è continuamente travolto da un
vortice di innovazioni normative che spesso ci ingarbuglia
la realizzazione con una miriade di interpretazioni
possibili portando la vita professionale, e spesso anche
personale, al limite del decoro e solo con una grande forza
d’animo e di esperienza è possibile superare i momenti
più critici.
Cosa l’ha spinta a realizzare un libro che raccoglie i
progetti svolti nell’arco di una vita?
Ad un certo punto della carriera professionale, iniziata
quarant’anni fa, si sente l’esigenza di fare una “verifica”
della propria attività; una mattina ci si sveglia e riflettendo
ci si pongono alcune domande. Che cosa sono riuscito a
realizzare in questi anni? E’ qui che è arrivata l’idea di
mettere “nero su bianco”, di raccogliere e imprimere in
un libro, i progetti realizzati durante la mia professione
di Geometra.
In sostanza, ho voluto realizzare questo volume per lasciare
una traccia della mia vita professionale nella storia.
A chi dedica il suo libro?
Non posso sottrarmi a dedicare il mio libro “Alla mia
Famiglia”, in particolare a mia moglie Paola e ai miei figli
Anna e Gianni. Purtroppo come ho sempre sostenuto
la professione di Geometra, nel bene e nel male, è una
vocazione che non si può svolgere a tempo determinato!
Giovanni Fanucchi
Nato a Porcari nel 1951, dopo aver conseguito il Diploma di Geometra, negli anni
Settanta ha intrapreso la sua carriera esercitando il tirocinio presso lo Studio del
Geometra Anselmo Della Maggiora, a Porcari.
L’impegno professionale si è poi consolidato negli anni Ottanta con l’apertura dello
“Studio Professionale Fanucchi”.
I progetti che ha realizzato in quarant’anni hanno dato forma alle aspirazioni della
numerosa committenza privata e pubblica principalmente legata al territorio di Porcari
e dei dintorni.
Il suo lavoro progettuale si è diversificato tra la realizzazione di ville, di rustici, di
edifici residenziali, di fabbricati commerciali e direzionali e di ristrutturazioni di
antiche dimore incidendo positivamente e profondamente nella storia urbanistica del
suo paese.
Attualmente svolge la sua attività affiancato da un gruppo di collaboratori.
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IMPIANTI
I componenti
fondamentali
dell'impianto elettrico
Terza lezione
di Mauro Cappello
GEOCENTRO/magazine pubblica, di Mauro Cappello,
Ingegnere e Ispettore Verificatore del Ministero dello
Sviluppo Economico, la lezione del ciclo dedicato al tema
degli impianti elettrici per illustrarne la normativa, la
componentistica, le metodologie di dimensionamento, le
regole basilari d’ installazione ed infine le verifiche da
eseguire prima della messa in esercizio.
La struttura fondamentale dell’impianto elettrico civile
Gli impianti elettrici installati nelle abitazioni e
negli uffici vengono denominati anche “civili” al fine
di distinguerli dagli impianti installati in ambienti
particolari, quali: industrie, officine, laboratori, ecc. che
per la particolare natura vengono definiti “industriali”.
La struttura di un impianto elettrico civile, installato
ad esempio in una abitazione di piccole, medie e
grandi dimensioni, è abbastanza semplice e volendola
schematizzare si può dire che essa è costituita da:
• quadro elettrico (potrebbero essere anche più di
uno specialmente in caso di abitazioni di grandi
dimensioni, come ad esempio una villa);
• interruttori elettrici (deputati alla protezione ed
alla manovra dell'impianto);
• cavi elettrici (realizzano le linee dell'impianto e
sono di varia tipologia a seconda dell'impiego e
della posa in opera scelta dal progettista);
• tubazioni e canali (per la posa in opera delle linee);
• scatole e cassette di derivazione (servono a
determinare lo smistamento delle linee elettriche
dell'impianto);
• morsetteria di vario tipo (è utilizzata per realizzare
i collegamenti tra i vari cavi);
• scatole da frutto (garantiscono la collocazione
dei dispositivi di manovra nelle zone periferiche
dell'impianto).
88
La conoscenza dettagliata dei vari componenti
l'impianto elettrico, nelle varie tipologie costruttive,
caratteristiche tecniche, funzionali e modalità di posa,
costituisce il punto di partenza per redigere e leggere in
modo consapevole un qualunque elaborato progettuale.
Il quadro o centralino elettrico
L'impianto elettrico di un appartamento è originato
dal “quadro” o “centralino” elettrico all'interno del
quale giunge la montante che proviene dal punto di
consegna dell'energia elettrica.
Il centralino di appartamento è costituito da un
involucro di materiale plastico all'interno del quale
vengono installati i dispositivi di protezione e manovra
dell'impianto.
In estrema sintesi, per un impianto di appartamento, il
centralino dovrà ospitare almeno i seguenti dispositivi:
• 1 interruttore differenziale con corrente
differenziale nonimale IΔn=30 mA, destinato
alla protezione delle persone in caso di difetto di
isolamento;
• 1 interruttore magneto termico di corrente
nominale pari ad In=16 [A], destinato alla
protezione del circuito forza motrice;
• 1 interruttore magneto termico di corrente
nominale pari ad In=10 [A], destinato alla
protezione del circuito luce.
Gli interruttori automatici
La protezione delle persone e delle cose, rispetto
a possibili eventi di incidente o danno causati
dalla corrente elettrica, è demandata a particolari
apparati denominati “interruttori automatici”.
L'interruttore automatico è un dispositivo che
provvede ad “aprire” il circuito, interrompendo così
il passaggio della corrente elettrica, in particolari
condizioni di malfunzionamento dell'impianto che
potrebbero causare surriscaldamento delle linee,
incendi ed infine folgorazione per le persone che,
accidentalmente, dovessero entrare in contatto con
la parte di impianto danneggiata.
In generale le condizioni di malfunzionamento del
sistema elettrico sono:
• sovraccarico;
• corto circuito.
Sovraccarico
La condizione di sovraccarico si verifica quando in
un impianto elettricamente sano si stabiliscono,
transitoriamente, correnti superiori alla portata
massima della conduttura, ovvero superiori al
valore di corrente che il cavo può sopportare senza
subire alcun danno.
Il sovraccarico spesso è originato da transitori di
avviamento degli utilizzatori, o da condizioni di
funzionamento anomale dell’impianto.
Si pensi alla messa in marcia di motori asincroni
trifase, essi all’avviamento richiamano una corrente,
detta corrente di spunto, avente valore 6-7 volte il
valore della corrente nominale del motore, tuttavia
tali correnti elevate durano poche frazioni di
secondo quindi è sufficiente aumentare la sezione
del cavo rispetto a quella che si otterrebbe con un
dimensionamento fatto con la sola I n del motore.
Ulteriori esempi di funzionamento anomalo
dell’impianto sono:
• errata valutazione del coefficiente di
contemporaneità che stimato in difetto, porta
ad un sottodimensionamento delle condutture
dell’impianto, che poi si troveranno a
sopportare un carico maggiore di quello
previsto in progetto;
• utilizzatori guasti, il contatto tra le fasi in fondo
alla linea rappresenta di fatto un corto circuito,
ma dal punto di vista dell’entità della corrente,
che risulta limitata da una grande impedenza
(quella della linea e delle apparecchiature
interposte tra punto di guasto e alimentazione)
può essere trattato come un sovraccarico.
Corto circuito
Il corto circuito si verifica quando entrano in contatto
due o più conduttori a potenziale diverso, esso può
instaurarsi ad esempio, quando si verifica un difetto
di isolamento, in queste condizioni si assiste al
passaggio di correnti elettriche di elevato valore.
Situazioni di tal genere, estremamente pericolose, in
passato si sono verificate durante l'effettuazione di
lavori di scavo durante i quali, le pale meccaniche
hanno inavvertitamente tranciato condutture
elettriche non segnalate.
Il corto circuito insorge anche quando in alcuni
apparecchi utilizzatori si verifica una perdita di
isolamento, per esempio la cassa esterna di una
lavatrice potrebbe assumere valori di potenziale
pericolosi per gli utenti che dovessero toccarla.
Struttura fondamentale degli interruttori automatici
L’interruttore
automatico
è
dunque
un
importantissimo presidio per la sicurezza delle
persone e delle cose, ad esso sono delegate le funzioni
di:
• interrompere la corrente di corto circuito;
(protezione)
• interrompere la corrente di sovraccarico;
(protezione)
• inserire o disinserire parti dell’impianto.
(manovra)
Nella sua tipologia più semplice esso è dotato di un
circuito magnetico in prossimità del quale è presente
un’ancora mobile. In condizioni di corto circuito, il
circuito magnetico (praticamente un elettromagnete)
viene alimentato da una frazione della corrente di
guasto, si induce così sull’ancora mobile una azione
di richiamo che determina l’apertura del circuito,
tale meccanismo viene detto relè magnetico.
L’intervento in caso di sovraccarico viene attuato
da una lamella formata da due sottili lastre di diverso
materiale metallico incollate tra loro. Sotto l’effetto
termico della corrente esse tendono a dilatarsi, ma
il differente coefficiente di espansione termica dei
due metalli fa sì che esse si inflettano, in tal modo
viene provocata una vistosa curvatura che determina
la apertura dei contatti (relè termico).
Esiste anche una camera di estinzione dell’arco,
durante l’apertura dei contatti l’arco si allunga ed in
questa fase esso attraversa la camera di estinzione,
che costruita in materiale isolante e suddivisa in
setti, permette il raffreddamento ed il frazionamento
dell’arco, così da creare le condizioni ottimali per lo
spegnimento di esso.
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ANNO IV
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MAGGIO - GIUGNO 2012
Dal punto di vista costruttivo esso viene rappresentato
nella figura 1, recante uno spaccato che mostra le parti
interne dell’interruttore delle quali è già stata illustrata
la funzione.
Sulla base dei loro tempi di intervento, gli interruttori
vengono classificati in: interruttori lenti aventi tempi
di circa 60-100 millesimi di secondo (l’elevato tempo
di interruzione impone che la loro installazione, per
esigenze di selettività, sia operata a monte dell’impianto
p.es. interruttore generale per utenze industriali,
interruttore cabina lato bassa tensione), rapidi con tempi
di 12-13 millesimi di secondo (utilizzati tipicamente per
presidiare impianti utilizzatori), limitatori caratterizzati
da un tempo di interruzione pari a 0.6-0.9 millesimi
di secondo (utilissimi quando è necessario limitare
l’integrale di Joule e quindi potere utilizzare conduttori
con sezione piccola).
Per comprendere meglio il funzionamento dell’interruttore
e potere determinare una scelta corretta per difendere
gli impianti dalle conseguenze di sovraccarichi e corto
circuiti è indispensabile conoscere la curva caratteristica
d’ intervento dell’interruttore magneto-termico.
Curva caratteristica di intervento
La curva caratteristica di intervento degli interruttori
automatici viene rappresentata su un sistema di assi
cartesiani, graduato tramite una scala logaritmica (al
fine di contenere le dimensioni del grafico) e rappresenta
graficamente i tempi di intervento dello specifico
interruttore in relazione alle sovracorrenti che, a seconda
dei casi, sono sovraccarichi o corto circuiti.
La normativa CEI 23-3 raggruppa gli interruttori
automatici, in tre grandi famiglie, individuate tramite
il tipo di curva caratteristica di intervento, esse sono la
curva B, curva C e la curva D.
La differenza fra le tre curve risiede nella soglia di
intervento del relè magnetico, che per la curva B è 3 In ÷
5 In , per la curva C è 5 In ÷ 10 In (il caso della figura 2)
mentre per la curva D è 10 In ÷ 20 In .
Come si può notare la curva caratteristica dell’interruttore
si compone di due parti, una vera e propria curva ed una
sorta di gradino rettilineo.
Esaminando la figura si nota che per valori di corrente fino
a circa 5 volte la corrente nominale, interviene solamente
la lama bimetallica o termico dell’interruttore, secondo
i tempi desumibili dalla curva, per valori della corrente
di guasto che superano di 10 volte la corrente nominale
dell’interruttore, si ha l’intervento della parte magnetica
dell’interruttore, in questo caso il tempo di interruzione
è sempre lo stesso all’aumentare della corrente, circa 1
centesimo di secondo.
90
Figura 1 - Interruttore magneto termico
(Pubblicazione BTicino)
Ogni curva caratteristica si compone di due curve
simili che delimitano una zona (nella figura 2 tale zona
è stata campita in grigio), tali curve rappresentano,
sinteticamente, i valori della corrente di sicuro intervento
(curva superiore) If e della corrente di sicuro non intervento
Inf (curva inferiore).
Figura 2 - Curva caratteristica di intervento di un interruttore
automatico (Pubblicazione BTicino)
Corrente nominale In: è individuata dal valore 1 sulla
ascissa del sistema cartesiano, tale corrente non genera mai
l’intervento della protezione, infatti la verticale condotta
per il valore 1 non interseca la curva caratteristica;
Corrente convenzionale di non intervento Inf : considerando
il tempo convenzionale di intervento T (1 ora per
interruttori fino a 63A) e 2 ore per gli interruttori di taglia
maggiore, si conduce la retta orizzontale di ordinata
pari a T fino ad intersecare la curva più bassa tra le due
componenti la caratteristica, da tale punto di intersezione
si traccia la verticale e si stacca sull’asse delle ascisse il
valore della corrente di non intervento Inf. Sotto tale valore
il dispositivo non deve intervenire e quindi la protezione
dell’interruttore è operante per correnti di valore maggiore
di Inf. Tipicamente i valori che si incontrano per questa
grandezza sono 1.05 In ÷ 1.10 In .
Corrente convenzionale di intervento If : è il valore della
corrente che fa sicuramente intervenire l’interruttore
entro il tempo convenzionale T fissato dalla norma,
il metodo da usare per individuarne il valore è simile a
quello utilizzato per determinare la corrente Inf, valori
tipici di tale grandezza sono 1.25 In ÷ 1.45 In. I dati di
targa degli interruttori
Le principali caratteristiche tecniche degli interruttori
automatici sono desumibili dai dati presenti sulla
targa dell’ interruttore. La targa degli interruttori viene
solitamente apposta, tramite una targhetta adesiva, sulla
parte frontale. Nella targa il costruttore riporta i seguenti
dati: la corrente nominale dell’interruttore (nell'esempio di
figura 3 tale valore è pari a 20 A) preceduta da una lettera
identificativa della tipologia di curva (curva di intervento
di tipo C 5In ÷ 10In).
Viene indicato, all’interno di un rettangolo, anche il potere
di corto circuito nominale Icn del dispositivo (nell'esempio
pari a 6000 A), rappresenta il massimo valore della
corrente di corto circuito che un interruttore può
sostenere nella sequenza di prova O-t-CO, ovvero [(O)
apertura-(t) tempo deionizzazione contatti - (C) chiusura(A) apertura]. Infine la targa reca una rappresentazione
circuitale dei contatti, dalla quale si evince a quanti poli
è estesa la protezione ovvero se il dispositivo in caso di
intervento è predisposto per l'apertura di un solo polo
(in tal caso si parla di un solo polo protetto) oppure il
dispositivo comanda l'apertura di entrambe i poli (come
nell'esempio della figura 3, due poli protetti).
Figura 3 - Targa (Pubblicazione BTicino)
Selettività di intervento
La corretta comprensione ed impostazione di questo
fenomeno è basilare per la progettazione di un impianto
che possa garantire alti livelli di continuità del servizio.
Si consideri un impianto, che sia stato suddiviso in
un certo numero di livelli (p.es. ne ipotizziamo tre
che denominiamo A, B, C), all’origine di ogni livello
viene installata una opportuna protezione con il
compito di difendere la propria porzione di impianto
sia da sovraccarichi che da corto circuiti (interruttore
magnetotermico).
Selettività di intervento tra interruttori significa che se si
dovesse verificare un guasto a valle dell’interruttore C,
l’unico interruttore che deve intervenire è solo il C, non
l’interruttore A e nemmeno l’interruttore B, in questi
due ultimi casi infatti, avremmo una inutile estensione
del fuori servizio anche a parti dell’impianto che sono
elettricamente sane.
Si pensi al caso di due interruttori A e B, le cui caratteristiche
di intervento siano quelle riportate in figura 4, i due
interruttori risultano totalmente selettivi. Ne consegue
che, affinché due interruttori siano selettivi tra loro in
modo totale, le loro caratteristiche di intervento, non
dovranno mai intersecarsi, quella sovrastante sarà relativa
all’interruttore più lento (nella fig. 4 sarà l’interruttore A)
quella sottostante sarà relativa all’interruttore che invece
interverrà per primo (nella fig. l’interruttore B).
Figura 4 - Caratteristiche di intervento relative a due interruttori
tra loro totalmente selettivi (Pubblicazione BTicino)
Interruttore differenziale
L’enorme diffusione ed utilizzazione dell’energia elettrica
cui si è assistito negli ultimi anni, congiuntamente
all’elevato tasso di incidenti mortali da elettricità, ha
imposto l’esigenza di studiare una protezione di tipo
attivo nei confronti delle conseguenze, spesso mortali, di
contatti tra parti in tensione e corpo umano.
Furono le esperienze condotte dal Dalziel ad aprire la
strada alla realizzazione di quello che sarebbe poi stato
denominato interruttore differenziale.
91
ANNO IV
| n. 21 |
MAGGIO - GIUGNO 2012
Dal punto di vista costruttivo, esso si presenta come
un elemento, in genere toroidale, (nucleo) realizzato in
materiale ferromagnetico intorno al quale sono avvolti
due avvolgimenti che sono direttamente alimentati
dalla corrente che fluisce nella fase (o nelle fasi), in
particolare un avvolgimento sarà alimentato dal
conduttore di andata (fase) e l’altro dal conduttore di
ritorno (neutro).
Sullo stesso elemento ferromagnetico, è avvolto
un ulteriore avvolgimento collegato ad un relè che
comanda l’apertura dei contatti dell’interruttore.
In condizioni ordinarie, la corrente proveniente
dal conduttore di andata e quella che si chiude sul
conduttore di ritorno sono caratterizzate dallo stesso
valore, esse alimentano i rispettivi avvolgimenti e
danno luogo alla generazione di due flussi magnetici
di uguale intensità ma di verso opposto, quindi la
risultante dei citati flussi magnetici nel nucleo è nulla,
ne consegue che è nullo anche il flusso concatenato con
il terzo avvolgimento collegato al relè di apertura.
In queste condizioni non sarà indotta alcuna corrente
nell’avvolgimento collegato al relè ed i contatti
rimarranno chiusi.
Quando si verifica il contatto tra una parte in tensione
ed il corpo umano oppure un danno all’isolamento
dei conduttori, con conseguente dispersione a terra
della corrente, si verifica uno squilibrio nel valore di
intensità di corrente tra la “via di andata” e quella di
“ritorno” della corrente.
Il bilancio tra la corrente che parte dalla sorgente e
quella che ritorna ad essa non è più equilibrato, tale
squilibrio genera un flusso magnetico (questa volta
diverso da zero) nella parte toroidale. Esso induce una
nuova corrente elettrica nell'avvolgimento toroidale
collegato al relè di sgancio, che ne verrà quindi
sollecitato e che per tale motivo comanderà l'apertura
del circuito.
In condizioni generali di danno all’isolamento la somma
dei flussi magnetici all'interno del nucleo sarà diversa
da zero, concatenandosi con il terzo avvolgimento darà
luogo ad una corrente che alimentando l’apposito relè,
provocherà l’apertura dei contatti eliminando così la
situazione di pericolo.
Nel dettaglio i principali parametri che caratterizzano
l’interruttore differenziale nelle sue tipiche realizzazioni:
• differenziale puro; in questa tipologia di interruttore,
è presente solamente un relè differenziale che
rilevando la corrente di dispersione comanda
l’apertura dei contatti dell’interruttore cui è
accoppiato. è chiaro che questa realizzazione non
è adatta alla protezione dal sovraccarico e dal corto
circuito;
92
• magneto – termico – differenziale; si tratta di una
tipologia di interruttore che consente una protezione
totale delle apparecchiature e delle persone, infatti
l’interruttore oltre ad essere accoppiato con relè
di tipo termico e magnetico, cui è delegata la
protezione, rispettivamente, dal sovraccarico e
dal corto circuito, presenta anche un modulo
differenziale posto a guardia dei guasti a terra;
• corrente differenziale IDn; identifica il valore della
corrente di dispersione a terra che il relè può
individuare, proprio questo valore permette di
ripartire gli interruttori differenziali in interruttori:
- ad alta sensibilità: aventi valori della corrente
differenziale minore di 30 mA, sono quindi
ad alta sensibilità gli interruttori differenziali
caratterizzati da IDn pari a 0,005A; 0,01A;
0,03A;
- a bassa sensibilità: sono quelli aventi IDn maggiore
di 0,03A, anche essi hanno taglie standard che
sono: 0,1A; 0,3A; 0,5A; 1A; 2A; 5A.
• corrente nominale In: rappresenta il valore della
corrente che può fluire negli avvolgimenti toroidali
senza causare danni all’interruttore, i suoi valori
sono: 6A, 10A, 16A, 20A, 25A, 32A, 40A, 50A,
63A, 75A, 100A.
• tensione nominale: indica il valore di tensione per
cui sono isolati e, conseguentemente il valore della
loro tensione di esercizio, trattando in questa parte
le apparecchiature di bassa tensione, l’unico valore
che riportiamo è 220/380 V.
A conclusione della panoramica condotta sull’interruttore
differenziale, è opportuno richiamare all'attenzione
che sul mercato è possibile scegliere tra interruttori
che possono rilevare diverse tipologie di corrente
differenziale.
In particolare si hanno i dispositivi di tipo AC,
caratterizzati dal fatto che essi possono rilevare correnti
di guasto di tipo alternato applicate istantaneamente o
lentamente crescenti.
Sono diffusamente applicati nel campo della protezione
differenziale degli impianti di tipo domestico, tuttavia è
importante rilevare che in presenza di correnti di guasto
aventi componenti continue, tale interruttore non riesce
ad intervenire.
Interruttori di tipologia A, sono in grado di garantire la
stessa tipologia di difesa offerta dagli interruttori di tipo
AC, in aggiunta essi sono in grado di rilevare, ovvero
intervenire, anche in presenza di correnti di guasto
alternate aventi componenti di guasto unidirezionali,
quali sono quelle generate negli impianti che alimentano
apparecchiature di tipo elettronico (p.es. banche,
supermarket, centri elaborazione dati ecc.).
Interruttori di tipologia S, si tratta, come facilmente lascia
intuire la lettera S, di interruttori di tipo selettivo, che
sono dotati di dispositivi di ritardo intenzionale.
L’identificazione del tipo di interruttore differenziale,
relativamente alla forma della corrente di guasto
interrotta: A, AC, S, può essere compiuta rintracciando
sulla targa uno dei simboli riportati nella figura 5.
Figura 5 - Tipologie di corrente di guasto rilevate
(Pubblicazione BTicino)
I cavi elettrici
Con la parola “cavi” si intendono quei conduttori che,
a filo unico o a più fili, oppure sotto forma di corda,
vengono impiegati per il trasporto dell’energia elettrica.
I cavi elettrici sono costituiti da una serie di elementi ed
ognuno di essi svolge una specifica funzione all'interno
della struttura.
Nella sua forma più generale il cavo è costituito da:
• conduttore; esso è di forma cilindrica ed è formato
tramite un processo di estrusione. Il materiale
impiegato per i conduttori dei cavi è molto spesso
il rame elettrolitico, aggettivo che indica un grado
di purezza del 99,99%. Più raramente si possono
incontrare dei conduttori formati in alluminio
o sue leghe (spesso utilizzati per il trasporto di
ingenti quantità di potenza su lunghe distanze p.es.
attraversamento dello stretto di Messina). Ai fini del
presente testo, parlando di cavi si intenderà indicare
solamente quelli in rame. Il dimensionamento della
sezione del conduttore viene condotto in base alla
potenza elettrica (e quindi alla corrente) che esso
dovrà trasportare senza raggiungere temperature tali
da danneggiare l’isolamento;
• isolante; esso ha la funzione di isolare elettricamente
il conduttore dagli altri conduttori, in caso di cavo
multipolare, o da possibili contatti con persone o
parti metalliche in genere. è intuitivo che, dovendo
esso garantire alti valori della rigidità dielettrica
(ovvero del potere isolante) il materiale ed il suo
spessore varierà da caso a caso, in funzione del livello
di tensione per il quale viene impiegato;
• schermo; nel settore delle medie e delle alte tensioni
può essere necessario dare una certa uniformità alla
distribuzione del campo elettrico nelle vicinanze
del cavo, il tutto al fine di sfruttare al massimo
le proprietà dielettriche del materiale isolante.
Per garantire questo effetto, i costruttori di cavi
inseriscono, tra l’isolante e la guaina esterna, uno
strato di rivestimento metallico, realizzato con
avvolgimenti elicoidali di nastri metallici oppure
con calze metalliche;
• armatura; il suo scopo è quello di difendere il cavo
da eventuali danni di tipo meccanico possibili in
particolari modalità di posa come per esempio la
posa interrata. Molto spesso si utilizzano cavi dotati
di tale particolarità per difendere il cavo stesso
dall’azione di roditori che potrebbero altrimenti
arrecare gravi danni.
• guaina; la sua funzione è quella di protezione
meccanica, ovvero deve difendere il cavo dagli
effetti indesiderati di possibili abrasioni ed in
una certa misura anche da possibili aggressioni
di tipo chimico. Anche in questo caso bisognerà
fare uno studio del tipo di ambiente che ospiterà il
cavo, infatti le azioni possibili su un cavo elettrico
installato in un cantiere sono prevalentemente
di tipo meccanico, mentre quelle che possono
interessare un cavo installato in una fabbrica di
vernici sono prevalentemente di tipo chimico.
Per questi motivi bisognerà stare molto attenti
nella scelta del tipo di cavo anche in relazione alla
tipologia di materiale della sua guaina;
• filo marchio HAR ed IMQ; è un segno di
riconoscimento per distinguere cavi nazionali e
cavi armonizzati.
Molto spesso i conduttori di un cavo vengono anche
chiamati anime, quindi un cavo a tre conduttori o
tripolare viene anche detto a tre anime.
Figura 6 - Esempio di struttura fondamentale di un cavo elettrico
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MAGGIO - GIUGNO 2012
Le sigle di designazione dei cavi elettrici
Per potere individuare le varie tipologie di cavi elettrici
presenti sul mercato, si è deciso di attribuire ad ognuno
di essi una sigla particolare la quale raccoglie una
serie di informazioni sul cavo stesso che vanno dalla
sua formazione, alla sezione dei suoi conduttori fino
alla designazione dei materiali impiegati per la sua
fabbricazione.
Le regole con cui costruire tali sigle, e quindi denominare
i cavi, sono state dettate da due normative, oggi entrambe
vigenti, in particolare la norma CEI UNEL 35011 e la
norma CENELEC HD 361 recepita dall’Italia attraverso
la norma CEI 20-27.
E' opportuno precisare in anticipo che per potere
comprendere appieno il significato delle varie sigle è
necessario conoscere in dettaglio la loro chiave di lettura,
per tale motivo si riportano nella pagina seguente le
tabelle relative alle due normative citate.
Nella tabella relativa alla norma CENELEC HD 361
(CEI 20-27) si parla di tensione nominale di un cavo,
tale grandezza definisce il massimo valore di tensione
cui il cavo può essere sottoposto durante l’utilizzazione
garantendo l’isolamento verso l’esterno se unipolare e tra
le fasi se multipolare. Tale grandezza viene fissata con due
valori di tensione U°/U che definiscono rispettivamente:
U° = tensione nominale di isolamento tra una fase e terra
U = tensione nominale di isolamento tra le fasi di un cavo
trifase o tra le fasi di tre conduttori unipolari.
Come applicazione delle due tavole di lettura proposte,
seguono qui a fianco alcuni esempi di lettura di sigle
relative a cavi usati molto spesso nella impiantistica
elettrica civile.
94
N1VV-K
Norma di riferimento:
Cavo di tipo nazionale (N);
Tensione nominale:
Tensione
nominale
di
isolamento Uo/U = 0,6/1 kV (07);
Materiale isolante:
Polivinilcloruro (PVC) (V);
Rivestimenti metallici:
non presenti;
Armatura:
non presente;
Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V);
Componenti costruttivi: cavo rotondo (nessun segno);
Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun
segno);
Forma del conduttore:
Conduttore flessibile di un
cavo per servizio fisso (K);
H03VV-F
Norma di riferimento:
Cavo conforme a norme
europee (H);
Tensione nominale:
Tensione
nominale
di
isolamento Uo/U = 300/300 V (03);
Materiale isolante:
Polivinilcloruro (PVC) (V);
Rivestimenti metallici:
non presenti;
Armatura:
non presente;
Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V);
Componenti costruttivi: cavo rotondo (nessun segno);
Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun
segno);
Forma del conduttore:
Conduttore flessibile di un
cavo flessibile per servizio mobile (F);
H03VVH2-F
Norma di riferimento:
Cavo conforme a norme
europee (H);
Tensione nominale:
Tensione
nominale
di
isolamento Uo/U = 300/300 V (03);
Materiale isolante:
Polivinilcloruro (PVC) (V);
Rivestimenti metallici:
non presenti;
Armatura:
non presente;
Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V);
Componenti costruttivi: cavo piatto non divisibile (H2);
Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun
segno);
Forma del conduttore:
Conduttore flessibile di un
cavo flessibile per servizio mobile (F).
Sistema di identificazione dei cavi nazionali italiani
secondo CEI UNEL 35011
Grado
di flessibilità
del conduttore
F
FF
R
S
U
E
G
G7
G9
Natura
e qualità
dell’isolante
R
R2
R3
R7
H
Schermi
Armature
Natura
della guaina
H1
H2
A
F
N
Z
E
G
R
M1
Forma
dei cavi
Eventuale
organo portante
O
d
X
W
S
Y
Corda flessibile
Corda flessibilissima
Corda rigida
Corda settorale
Filo unico
Isolante a base di polietilene
Isolante a base di gomma naturale e/o sintetica
Isolante a base di gomma etilenpropilenica
Isolante a base di elastomero reticolato a basso
sviluppo di fumi e gas tossici e corrosivi
Isolante a base di polivinilicloruro a temp.
caratteristica di 70 °C qualità TI1-TI2
Isolante a base di polivinilicloruro a temp.
caratteristica di 70 °C qualità R2
Mescola isolante a base di polivinilcloruro
per 105 °C
Mescola isolante a base di polivinilcloruro
a temperatura caratteristica di 90 °C qualità
TI3
Schermo di carta metallizzata o carta carbone
o nastro di alluminio
Schermo a nastri o piattine o fili di rame
Schermo a treccia o calza di rame
Armatura a treccia o calza di rame
Armatura a fili cilindrici, normalmente in
acciaio
Armatura a nastri, normalmente in acciaio
Armatura a piattine di acciaio
Guaina in polietilene
Guaina in gomma naturale e/o sintetica
Guaina a base di polivinilcloruro
Guaina a base di materiale termoplastico a
basso sviluppo di fumi e gas tossici e corrosivi
Cavo a forma cilindrica
Cavo a forma appiattita
Anime riunite ad elica visibile
Cavo piatto divisibile
Organo portante generalmente metallico
incorporato nella guaina
Organo portante tessile o metallico, incluso
tra le anime o legato esternamente al cavo
Sistema di designazione dei cavi armonizzati
secondo CENELEC Hd 361 (CEI 20-27)
Riferimento
delle norme
H
A
N
00
01
Tensione
nominale
Materiale usato
per l’isolante
e per le guaine
03
05
07
1
E
N
Q
R
V
V2
V3
V4
V5
X
C4
Schermi
C5
C7
Armature
Forma
costruttiva
del cavo
C8
Z2
Z3
Z4
Z5
H
H2
H3
H5
H6
H7
d
F
Grado
di flessibilità del
conduttore
H
K
R
U
Cavo conforme a norme armonizzate
Cavo di tipo nazionale riconosciuto
Cavo di tipo nazionale
Minore di 100/100 Volt
Superiore a 100/100 V
ed inferiore a 300/300 V
300/300 V
300/500 V
450/750 V
0,6/1 kV
Polietilene
Policloroprene
Poliuretano
Gomma
PVC di uso comune
PVC per temperature di funzionamento
di 90 °C
PVC per cavi installati a bassa temperatura
PVC reticolato
PVC resistente all’olio
Polietilene reticolato
Schermo a treccia di rame sull’insieme
delle anime
Schermo a treccia di rame sulle singole anime
Schermo a rame costituito da fili o piattine
o nastri
Schermo come C7 sulle singole anime
Armatura a fili rotondi di acciaio
Armatura a piattine di acciaio
Armatura a nastri di acciaio
Treccia di fili di acciaio
Cavi piatti divisibili, con o senza guaina
Cavi piatti non divisibili
Cavi piatti con anime distanziate da un listello
Cavo costituito da una o più anime cordate
a spirale visibile
Cavo piatto avente tre o più anime,
secondo HD 359
Cavo con isolante in doppio strato
applicato per estrusione
Conduttore flessibile di cavi per saldatrici
Conduttore flessibile per cavi per installazioni
mobili (classe 5 IEC 228)
Conduttore flessibilissimo per cavi
per installazioni mobili classe 6 IEC 228)
Conduttore flessibile per cavi per installazioni
fisse (classe 5 IEC 228)
Conduttore rigido, rotondo, a corda
Conduttore rigido, rotondo, a filo unico
95
NEWS
GREEN BUILDING
InstantHouse “Temporary Housing”:
primo premio a progetto che porta
il legno ecosostenibile in città
Sono stati decretati i vincitori dell’edizione 2012
del concorso InstantHouse “Temporary Housing”,
promosso da FederlegnoArredo in collaborazione con il
Politecnico di Milano per MADE expo, la manifestazione
internazionale dedicata all’edilizia e al mondo del progetto
e dell’architettura, durante la quale saranno esposti, dal
17 al 20 ottobre a Fiera Milano Rho, i progetti vincitori e
quelli che hanno ottenuto una menzione speciale.
Ad aggiudicarsi il primo premio è l’italiano Andrea Di
Marino, della Facoltà di Architettura Luigi Vanvitelli
di Aversa, con un progetto innovativo, rispondente
alle esigenze di temporaneità di abitazione e rispetto
ambientale. Una struttura abitativa che può accogliere al
proprio interno diverse configurazioni, trasformando con
originalità un semplice allineamento di piccole abitazioni,
collegate tra loro da una luminosa passeggiata protetta da
una struttura lignea in grado di rilasciare energia.
Il secondo premio è andato alle tedesche Julia Jordan
e Margitta Wagner della University of applied sciences
Wurzburg-Schweinfurt, con un progetto che crea una
vera e propria isola verde nella maglia urbana, ribaltando i
classici rapporti tra edificato e verde urbano. L’aspetto più
interessante per la giuria è stato proprio l’ibridazione tra
edificio e parco, una convivenza votata all’ecosostenibilità e
al vivere naturale in città.
Terzo posto al progetto del gruppo costituito da Linfan
Liu, The State University of New York at Buffalo e Gregory
Serweta, Cornell University. La proposta si basa su una
piazza a doppia altezza che consente la presenza di volumi
abitabili al suo interno rappresentando un interessante
connubio di pubblico e privato.
ASTRONOMIA
Scoperto “sosia” del Sistema solare
Annuncio di un gruppo di ricerca USA
E' stato scoperto un “sosia” del Sistema Solare, i cui pianeti
ruotano intorno alla loro stella con una configurazione
simile a quella del nostro sistema planetario.
La scoperta si deve a un gruppo di ricerca statunitense
coordinato da Roberto Sanchis-Ojeda, del Massachusetts
Institute of Technology (MIT) ed è stata possibile grazie
al telescopio spaziale Kepler della Nasa. Secondo quanto
illustrato dalla prestigiosa rivista Nature, i pianeti orbitano
intorno alla stella chiamata Kepler-30 simile al Sole e,
come sostengono gli esperti, è la prima volta che viene
scoperto un sistema planetario del genere e i dati possono
essere considerati illuminanti per poter meglio capire la
struttura dei sistemi planetari e la loro formazione.
96
Il sistema extrasolare individuato è formato da tre pianeti,
Kepler-30b, Kepler-30c, Kepler-30d (in riferimento alla
loro stella). Sono tutti notevolmente più grandi della
nostra Terra e si muovono secondo un’orbita allineata
all’equatore solare, presumibilmente, è stato spiegato,
perché si sono formati da un unico disco gassoso.
PER UNA NECESSARIA PIANIFICAZIONE DELLE SPESE POSTALI, IL NOSTRO BIMESTRALE,
CHE IN PASSATO VENIVA INVIATO GRATUITAMENTE A TUTTI I GEOMETRI LIBERI
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N° Iscrizione Albo
Città
Via/Piazza
Telefono
Data
Fax 06.42005441
Cognome
Cap
N°
e-mail
Firma
97
NEL PROSSIMO NUMERO
GEOMATICA
“Geomatica ed oltre …”
Luigi Mussio/Rossella
Nocera
PROTAGONISTI
Addio a Carlo Rambaldi
Premio Oscar
Creatore di “E.T.”
GREEN BUILDING
13a Mostra internazionale
di Architettura
Biennale di Venezia
Padiglione Italia
INNOVAZIONE
La Casa del Futuro
“attiva con il pensiero”
IDEE
“Vivere la famiglia
e le sue contraddizioni …”
Silvia Vegetti Finzi
Festival dell’Economia
… e tanti altri interessanti articoli
che illustrano lavori ed interventi
dei Geometri liberi professionisti.
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