ALBERTO GABELLINI Una vita, un partigiano Alberto Gabellini
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ALBERTO GABELLINI Una vita, un partigiano Alberto Gabellini
ALBERTO GABELLINI Una vita, un partigiano Alberto Gabellini Alberto Gabellini nasce a Cambiago il 4 febbraio del 1916. Orfano di padre, ucciso dai fascisti, lavora alla Isotta Fraschini come operaio. Arrestato il 29 aprile del 1937, viene imprigionato a San Vittore e quindi spedito al confino sull’isola di Ponza, dove rimane per quattro anni. Dopo l’8 settembre, entra nella formazione gappista “E. Rubini” e, con il nome di battaglia di “Walter”, compie diverse azioni, tra cui l’eliminazione del gerarca Gerolamo Crivelli avvenuta a Monza il 25 novembre del 1943. A seguito di altre azioni, è costretto a rifugiarsi con i suoi compagni sulle montagne orobiche, dove viene catturato il 14 gennaio del 1944 e tradotto nelle carceri di Bergamo. Condannato dal tribunale fascista alla deportazione in un campo di concentramento in Germania, durante il trasferimento riesce a fuggire e si rifugia a Cambiago, dove riprende la lotta partigiana. Il 4 settembre 1944, insieme a componenti della 103a Brigata Garibaldi, elimina il segretario federale repubblicano di Pisa che si era nascosto a Melzo. Il 6 ottobre “Walter” organizza il disarmo della caserma di Vaprio e il 19 partecipa all’incendio dell’aeroporto di Arcore. Viene arrestato a Monza il 5 gennaio del 1945 e fucilato a Pessano il 9 marzo insieme ad altri 6 combattenti. La figura di Gabellini è una delle più significative della zona. I sette martiri di Pessano L’8 marzo 1945 una SAP (Squadra Azione Partigiana) compie a Pessano un’azione contro il comandante dell’Organizzazione Speer di Pessano, che rimane ferito. La notizia si diffonde rapidamente nel paese, tanto che tutti gli uomini al di sotto dei cinquant’anni fuggono quella stessa sera per timore di un rastrellamento generale. Il giorno successivo, alle 18 circa, su un camion scortato da militari tedeschi e italiani, otto ostaggi provenienti dal carcere di Monza vengono condotti al comando tedesco presso le scuole elementari per essere fucilati sul posto dove era stato ferito l’ufficiale tedesco. Testimoni presenti all’evento raccontano: «Sul camion, incatenati, erano otto giovani, dalle vesti lacere e dal viso smunto per i patimenti e le percosse. Tutti sapevano che in paese, il giorno prima, era stato ferito un ufficiale tedesco. E tutti sapevano cosa doveva accadere, senza avere il coraggio di dirlo…». Sono le 18.50 del 9 marzo quando i fucili delle SS e degli ufficiali repubblichini eseguono la rappresaglia decisa in poche ore e paventata dai paesani in una notte di terrore. Vengono uccisi sette giovani partigiani, tutti della zona o brianzoli, prelevati dal carcere monzese: Alberto Gabellini, detto “Walter”, della 193a e 119a Brigata Garibaldi, 30 anni, di Cambiago; Mario Vago della 182a Brigata Garibaldi, 22 anni, di Busto Arsizio; Romeo Cerizza della 110a Brigata Garibaldi, 22 anni, milanese; Angelo Barzago della 201a Brigata Giustizia e Libertà, 20 anni, di Bussero; Dante Cesana, nome di battaglia “Marco”, sottotenente della 119a Brigata Garibaldi, 25 anni, di Carate Brianza; Claudio Cesana, nome di battaglia “Tito”, sottotenente, 21 anni, di Carate Brianza; Angelo Viganò, nome di battaglia “Tugnin”, sergente della 119a Brigata Garibaldi, 25 anni, di Carate Brianza. L’ottavo prigioniero, Carletto Vismara, un ragazzino, viene graziato solo per la sua giovanissima età, ma viene costretto ad assistere all’eccidio. Grazie al parroco, don Varisco, le salme, invece di essere sepolte in una fossa comune, come era stata deciso dal comando fascista, ricevono una giusta sepoltura nel cimitero di Pessano, dopo la messa celebrata dal parroco stesso alla presenza di tutta la popolazione. Da sinistra: Mario Vago, Romeo Cerizza, Angelo Barzago Da sinistra: Dante Cesana, Claudio Cesana, Angelo Viganò Dalla fine della guerra, tutti gli anni viene ricordato il martirio di quei giovani antifascisti, con una manifestazione, sempre molto partecipata, promossa dall’ANPI locale e dall’Amministrazione comunale, a cui aderiscono le sezioni ANPI di tutta la Martesana. Caratteristica peculiare di questa manifestazione è la partecipazione di una delegazione da Grancona, nel Vicentino, così spiegata dal presidente dell’ANPI di Pessano: «Venivano qui ogni marzo, e non sapevamo perché. Scoprimmo che molti dei loro ragazzi erano stati amici dei giovani fucilati, compagni di lavoro alla Falck o in altre grandi industrie di allora. E che anche Grancona, l’8 giugno del 1944, vide una strage di giovani partigiani, attirati in un’imboscata, uccisi e gettati nel fiume». Rita Caprotti Rita Caprotti Testimonianza di Rita Caprotti «Quella mattina Renzo, il fratello di Alberto, era venuto a cercarmi per andare insieme a Pessano. Aveva sentito brutte notizie su suo fratello, sono andata con lui e così l’ho visto, steso a terra con gli altri sei fucilati, aveva ancora sulla testa i segni della tortura, il segno di un morsetto sulla fronte, l’ho ancora chiaro nella mente dopo tanti anni». Chi parla è Rita Caprotti, staffetta partigiana, nata a Cambiago, in provincia di Milano, il 30 giugno 1924, che così ricorda Alberto Gabellini. «Ci conoscevamo da sempre, la sua era una famiglia perseguitata, il padre era stato ammazzato dai fascisti nel 1922, la madre si è battuta tanto per questo figlio». Rita ha ben presente quegli anni, orfana di madre fin da piccola, doveva badare ai due fratelli e lavorava alla Magneti Marelli; ricorda che partecipava a riunioni a Cassano e Trezzo sull’Adda, «prendevo il tram con i documenti addosso, nascosti sotto i vestiti», portava il materiale di propaganda nelle fabbriche di Sesto San Giovanni. «Gabellini lavorava alla Isotta Fraschini, certe mattine si alzava molto presto, alle 4, per preparare il camion con i viveri e i vestiti da portare ai partigiani prima di andare al lavoro. Mi affacciavo alla finestra e lo vedevo caricare il camion, tante volte sono scesa e l’ho aiutato. Poi l’hanno scoperto e non l’ho più visto, ho saputo che l’avevano mandato al confino, a Ponza e poi alle Tremiti e, dopo l’8 settembre era andato in montagna con i partigiani». Rita dopo la Liberazione ha continuato a fare politica e a impegnarsi nel sindacato, dividendo tutta la sua vita fra questa passione e la famiglia. Ancora oggi, nonostante la non più giovane età, lucidissima e con una tempra da far invidia, è impegnata nel sociale e, come dice lei «si occupa degli anziani».