Nuove mosse per Tommy e Sally - LocoMondo

Transcription

Nuove mosse per Tommy e Sally - LocoMondo
Gianfranco Cazzaro
Nuove mosse
per Tommy e Sally
Gianfranco Cazzaro
LocoScacco
Le avventure di LocoMondo n. 2
© 2010 Gianfranco Cazzaro – Zzar Books
http://locomondo.altervista.org
[email protected]
Prima edizione dicembre 2010
Uno
Tommy e Sally giocavano a scacchi. A Tommy piacevano un sacco e aveva coinvolto sua sorella per avere
qualcuno con cui giocare. Ma ormai, Sally lo batteva di
continuo.
Stavolta gli aveva bloccato la regina, in un angolo
sorvegliato dal cavallo.
Sally, però, non sembrava molto interessata alla
partita. Qualche pensiero le frullava in testa. Mosse la
torre di un paio di caselle, poi disse: “Scacco matto...
Tommy, mettiamo in funzione la loco?”. La loco era la
grande locomotiva a carbone che si innalzava proprio
accanto a loro.
“Cosa? Scacco matto?”, gridò Tommy. “Impossibile, posso muovere l’alfiere e questo pedone qui e... e
come cavolo fai a battermi sempre, me lo spieghi? Accidenti! Doppio accidenti!”.
5
“Lascia perdere gli scacchi”, lo incitò la sorella.
“Sto parlando della loco. Non ti piacerebbe vivere una
nuova avventura?”.
A Tommy in effetti l’idea non dispiaceva. Qualche
giorno prima avevano vissuto una storia emozionante al
fianco di Sherlock Holmes: la loco trasformava in personaggi di altre epoche e faceva vivere fantastiche avventure.
“Però dobbiamo stabilire un segnale di riconoscimento”, suggerì Tommy. “Così, ci sapremo ritrovare anche se siamo separati”.
“Bella idea. La nostra parola d’ordine sarà... ecco,
sarà ‘Scacco matto’!”.
“Scacco matto?... Ok. Ma prima di partire, facciamo merenda?”.
I due si fiondarono in cucina. Spalmarono un sacco di marmellata sulle fette di pane e le divorarono di
gusto. Poi tornarono fuori di corsa. Passando, Sally allungò la mano e raccolse un paio di guanti da giardino.
La mamma se ne accorse all’istante: “A cosa ti servono i guanti? Non me li perdere!”. Ma ormai i due erano lontani e si arrampicavano sulla loco.
Sally si infilò i guanti, mentre Tommy apriva lo
sportello della fornace. L’apertura era buia, ma Sally vi
si infilò senza timore e iniziò a rovistare tra i pezzi di
6
carbone. Cercava il cristallo. Colpito dalla luce, quel
cristallo trasportava in altre epoche e in altri luoghi.
“Avanti, Sally, spicciati!”, la incitò il fratello. La
ragazza non gli badò e continuò a cercare. Finalmente,
lanciò un’esclamazione e ritirò la testa dall’apertura.
“Trovato!”, esclamò. E mise in mostra un grosso
cristallo azzurro, che palpitava nella luce del mattino.
“Azzurro?”, si stupì Tommy. “Ma non era ver--?...”.
Non terminò la frase. Ogni cosa intorno tremolò.
Sbiadì. Poi scomparve d’improvviso.
7
Due
Quando la realtà tornò solida, Sally scoprì di indossare un vestito elegante, di velluto rosso con bordi bianchi. Si guardò intorno. Era in un teatro gremito: signore
con abiti ampi e acconciature elaborate, e uomini con
parrucche bianche e guanti candidi.
Il suo sguardo si fermò sul palco. Non c’era una
rappresentazione. Non c’erano attori che recitavano.
Anzi, il palco era quasi vuoto. Solo due persone sedute
a una scrivania, con una scacchiera in mezzo, impegnate
in una partita. A qualche passo da loro, un presentatore
commentava le mosse. Le parole avevano un suono strano, aspro, ma Sally le capiva perfettamente.
Chissà Tommy dov’era finito, pensò. Tra il pubblico i bambini erano pochi e nessuno sembrava
dell’età di suo fratello. Oh, beh, ci avrebbe pensato
più tardi...
8
Un paio di poltrone più in là, una signora usava un
binocolo da teatro per osservare la scacchiera. Lo stesso
facevano altre qua e là nella platea, anche se tutti, comunque, potevano seguire la partita riprodotta su una
grande scacchiera verticale davanti al palco.
Sally si lisciò il vestito, poi si rivolse allo zio che le
sedeva accanto. In qualche modo sapeva che si trattava
dello zio Christian e che erano venuti insieme a vedere
lo spettacolo.
“Il nero è messo maluccio”, commentò sottovoce.
“Te ne sei accorta, eh? Brava, Heidi”, rispose l’uomo. “Povero signor Dorn. Il Turco lo sta proprio stracciando. Ma se scopro il suo segreto, vedrai che fuochi
d’artificio farò scoppiare!”.
Un Turco? Quale Turco?
E poi Sally lo vide. Anzi, lo aveva già visto prima,
ma non ci aveva fatto caso. Era uno dei due che giocavano a scacchi, quello seduto di fronte al pubblico, bene
illuminato da diverse candele.
Il “povero signor Dorn” doveva essere il signore di
spalle, con la testa coperta di goccioline di sudore. Dal
modo in cui i pezzi erano disposti sulla grande scacchiera, si capiva che doveva essere un giocatore di una certa
abilità. Ma il suo avversario era più forte.
Quel Turco le sembrò interessante. Portava un tur9
bante colorato e una larga casacca. Muoveva sempre
solo il braccio sinistro; l’altro lo teneva poggiato alla
scrivania. Osservava i pezzi sulla scacchiera, ma il viso non mostrava alcuna espressione. Sembrava quasi di
plastica... Ma naturalmente, pensò Sally, non esisteva
la plastica nel 1770. Chissà poi come faceva a sapere
che quell’anno era il 1770. E che si trovava nella città
di Vienna...
Accanto a lei, lo zio prendeva appunti su un taccuino e annuiva soddisfatto.
L’altro signore al suo fianco, invece, era irrequieto. Si grattava le guance, alzava e abbassava le spalle,
si soffiava il naso, si stropicciava gli occhi... Non la
smetteva più di muoversi. Questo qua, pensò Sally, ha
fatto una scommessa sul signor Dorn e sta perdendo i
suoi soldi...
10
Tre
Quando il mondo tornò reale, Tommy si guardò intorno a occhi spalancati. Si trovava in un grande teatro,
affollato di persone con vestiti eleganti. Le luci intense
si concentravano sul palco, dove due uomini erano impegnati in una partita a scacchi. Un terzo uomo camminava avanti e indietro e ogni tanto spostava i pezzi che
aderivano a una grande scacchiera verticale.
Intorno a Tommy, ogni tanto qualcuno parlava sottovoce al vicino, ma per la maggior parte osservavano
in silenzio la scena.
Quanto a lui, una mano continuava ad accarezzargli
la nuca e la schiena. Tommy volse lo sguardo in su e incontrò il viso di una bella giovane, con lunghi boccoli biondi.
“Stai seguendo la partita, Felix?”, gli chiese.
Felix? Lì lo conoscevano come Felix? Che razza di
nome... Non un granchè per un ragazzo...
11
Il suo pensiero corse alla sorella. Chissà dov’era
finita? Qua e là nel teatro scorse alcuni della sua età,
ma erano tutti maschi. Sarebbe stato divertente se in
quell’epoca Sally si fosse ritrovata ragazzo... Poi, a poca distanza, vide una ragazzina in abitino rosso e bianco.
Era lei, ci avrebbe scommesso...
Beh, c’era un modo per capirlo: la parola d’ordine
che avevano stabilito! Tommy si volse alla ragazzina e
sussurrò: “Ehi, scacco matto! Scacco matto!”. Ma dalla gola non gli uscirono parole: solo un sordo brontolio.
Che stava succedendo? Aveva perso la voce?
La giovane smise di accarezzargli la nuca e gli sollevò il muso: “Ti stai stancando, tesoruccio?”, chiese.
Il muso? Tesoruccio? Tommy sentì il cuore accelerare i battiti.
Volse di nuovo lo sguardo intorno, finché colse
l’immagine della giovane donna in uno degli specchi laterali. Sgranò gli occhi, perché la donna teneva in braccio non un bambino, ma un cagnolino dal lungo pelo
marrone!
Quello era lui, Tommy... Era diventato un cane!
12
Quattro
A teatro, lo spettacolo terminò. Il Turco aveva vinto. Il presentatore salutò con un inchino e il sipario si
chiuse tra gli applausi degli spettatori.
Non appena vide lo zio alzarsi in piedi, Sally fece
lo stesso.
“Facciamo in tempo a prendere un té e una fetta di
dolce”, disse lo zio. “Poi devo tornare qui per intervistare von Kempelen”.
Lo zio Christian si incamminò lungo le file di poltrone. Un po’ superando, un po’ spingendo, raggiunsero
una giovane signora elegante. Teneva in braccio un simpatico cagnolino, mentre raccoglieva una borsetta luccicante.
“Mia cara Inge”, disse lo zio, “mi è appena venuta
un’idea straordinaria. Perciò vi porto a festeggiare”.
La giovane approvò con entusiasmo, prese sotto
13
braccio lo zio e con Sally si avviarono scherzando e ridendo insieme.
Percorsero alcune vie lussuose del centro e si ritrovarono in un ampio locale dalle specchiere lucide e dai
morbidi divani. Sally divorò una fetta di torta e bevve di
gusto una tazza di té. Naturalmente, ricordava che a casa
il té non lo poteva soffrire Ma qui tutto sembrava avere
un gusto speciale.
Dopo avere un po’ chiacchierato e osservato l’andirivieni degli avventori nel locale, lo zio tornò all’argomento.
“Allora, che mi dite del Turco? Io mi sono fatto una
certa idea, ma vorrei prima sentire le vostre impressioni”.
“Se è un vero automa”, disse Inge, “è proprio straordinario. Molto di più delle carrozze animate o dei suonatori di orchestra...”.
“Su questo hai perfettamente ragione, mia cara”,
concordò lo zio. “Non c’è un meccanismo più perfetto
di quel giocatore di scacchi. E dal momento che--”.
Sally riuscì a parlare solo in quel momento, il momento in cui non aveva la bocca del tutto ripiena di torta. “Come, come?”, farfugliò. “Un meccanismo? Un automa? Volete dire che quel Turco è un robot?”.
“Robot? Che parola strana, non l’ho mai sentita”,
disse lo zio Christian. “Te l’ha insegnata qualche bam14
bino straniero? Heidi, la parola corretta è ‘automa’. Un
congegno che si muove in modo, appunto, automatico.
Si racconta che cinquecento anni fa Alberto Magno abbia inventato un uomo meccanico di metallo, cuoio e vetro. Leonardo da Vinci costruì un leone che attraversava
la sala del trono, si accucciava davanti al re di Francia e
si apriva il petto mostrando lo stemma reale... E questo
francese, de Vaucanson--”.
“Ah, sì”, lo interruppe la giovane. “Quello del­l’a­
natra...”.
“Esatto, proprio lui. Pensa, Heidi, Jacques de Vaucanson ha costruito un’anatra grande come un vero animale, mossa da ingranaggi. Coperta di piume, non si riesce a distinguerla da un animale vero: passeggia avanti e
indietro, starnazza come un’anatra vera, muove la testa
per osservare in giro, becca i chicchi di granturco... Se la
mettessi in mezzo alle altre anatre, una massaia la prenderebbe e la ficcherebbe in pentola prima di accorgersi
dell’errore. Addirittura, quest’anatra mangia e... non so
come dirlo qui a tavola... ecco, mangia e fa i suoi bisognini!”.
“Ma come fa a muoversi?”, chiese Sally. “Mica
hanno inventato le batterie, no? Non ancora”.
“Le batterie? Batterie di cannoni? O batterie da
cucina? Quali intendi?”, replicò Inge, aggiungendo un
15
cucchiaino di zucchero al té. “Non capisco cosa c’entrino le batterie con gli automi. Sai che a volte fai discorsi
un po’ strani, Heidi?”.
“A chi lo dici...”, rispose Sally, arrossendo un poco. Si ripromise di stare più attenta e non lasciarsi sfuggire qualcosa di compromettente.
“Oh, come fanno a muoversi?”, continuò lo zio
come se niente fosse. “Care ragazze, la scienza oggi sta
facendo passi da gigante! La tecnica dell’orologeria sta
rivoluzionando il mondo. Sapete che a Strasburgo, nella cattedrale, funziona un orologio che in trecento anni
nessupo ha mai dovuto riparare o revisionare? Con gente capace di cose del genere, è possibile costruire automi favolosi. Tornando a Vaucanson, per esempio... avete sentito parlare del flautista e del pastore? No? Niente
paura, lo zietto è qui per questo. Heidi, non ingozzarti
con quella torta... e pulisciti gli angoli della bocca, ecco, così...”.
Lo zietto s’interruppe per ingozzarsi a sua volta
con un enorme boccone di torta, quindi riprese: “Sono
due automi grandi come persone vere. Uno è un suonatore di flauto: è vestito in modo rustico, soffia davvero
nello strumento, copre i fori con le dita e suona varie
melodie. Il pastore è anche più bravo: con una mano
suona il flauto, con l’altra un tamburo”.
16
Sorseggiò il té, si aggiustò il ciuffo sulla fronte, poi
riprese a parlare. “Sono giocattoli straordinari. Non sono
vivi, certo, si vede che sono automi meccanici. Il Turco,
invece... Quello è un’altra faccenda. Lo chiamano ‘Turco’ perché ne ha tutto l’aspetto, l’avete visto, soprattutto
con quel turbante. Wolfgang von Kempelen, quello che
presentava in teatro, è stato lui a costruirlo. È un barone
ungherese e l’ha presentato alla corte della nostra imperatrice. È stato un successo e da allora sta facendo spettacoli su spettacoli. All’inizio il barone apre gli sportelli
della scrivania del Turco e fa vedere un’enormità di molle e ingranaggi. Apre anche la schiena del Turco, piena
lo stesso di ruote dentate, fili e pulegge. Ci passa dietro
una candela accesa, per mostrare che ci sono solo ingranaggi. Poi richiude tutto, dà parecchi giri di carica alla
macchina e via. Il Turco è pronto a giocare. E a vincere.
Di solito dà scacco matto anche a giocatori in gamba...”.
In quel momento, il cagnolino che Inge teneva in
braccio e sgranocchiava un biscotto si sollevò di colpo
sulle zampe e abbaiò. Gli avventori si volsero a guardare. Inge fece accovacciare la bestiola e le offrì altri biscotti. Chissà cosa le era preso... sembrava un cagnolino
così mite...
Si rivolse di nuovo a Christian. “Hai già riempito
mezzo taccuino con le tue note”, osservò.
17
“Certo, ho in mente una serie di articoli... Ma soprattutto voglio scoprire se sia davvero un automa o vi
sia sotto un trucco...
“Ehi, sapete una cosa?”, balzò a dire Sally. “Non
vi sembra che ‘Turco’ faccia un po’ rima con ‘trucco’?”.
“Ah, mica male come idea!”, esclamò lo zio e si
affrettò ad annotarla sul taccuino. “Magari la utilizzo in
un articolo...”.
S’interruppe sentendo Sally sbuffare piano. Era arrabbiata per quanto aveva detto? Poi si accorse che la
ragazza non guardava lui, ma qualcuno che era entrato
nel locale. Un signore alto, con un naso pronunciato e i
capelli accuratamente spazzolati.
“È quello che mi stava seduto vicino in teatro”,
disse Sally. “Non stava mai fermo”.
“Ah, ecco, mi pareva di averlo già visto”, annuì lo
zio. “E ora che mi ci fai pensare, credo di sapere qualcos’altro su di lui. Ma non riesco a ricordarmi cosa”,
concluse scuotendo la testa.
Nel frattempo il nuovo venuto si era accomodato a
un tavolo non lontano. Levò di tasca un orologio dorato
e lo consultò con aria contrariata.
Sally e gli altri si affrettarono a distogliere lo sguardo non appena l’uomo guardò verso di loro.
In quel momento, un altro uomo entrò nel locale,
18
diede uno sguardo intorno e si affrettò a raggiungere il
tavolo del primo. Immediatamente i due presero a parlottare a bassa voce.
“Ehi, aspettate un attimo”, mormorò lo zio, che
aveva seguito la scena. “Quest’altro tipo l’ho già visto.
È Aleksej, uno degli aiutanti di von Kempelen; lo aiuta a
portare in scena il Turco e ad aprire e chiudere gli sportelli! Ah, ora mi ricordo anche dell’altro: è un russo, ma
vive a Vienna da vari anni; si chiama... Feodor Varnavskij. Ed è un famoso giocatore di scacchi... Non so per
voi, ragazze”, concluse, “ma per me qui stanno succedendo davvero cose strane. Cose... turche!”.
19
Cinque
“Sto vivendo proprio una bella avventura”, sbuffò Tommy. Anzi, non riuscì nemmeno a sbuffare, nel
suo corpo di cagnolino. Così conciato, non poteva parlare: non poteva dire la parola chiave. Aveva abbaiato
quando lo zio Christian aveva detto “Scacco matto”. E
quella svanita di sua sorella, l’aveva forse riconosciuto? No, si era limitata a guardarlo in modo strano e a
fare un sorrisino ai vicini incuriositi... Sarebbe stato il
colmo se non fosse riuscito a tornare a casa e avesse
dovuto trascorrere i suoi giorni come un cane. Sai che
soddisfazione!
Continuò un altro po’ a brontolare tra sé, ma ben
presto smise: le sue arrabbiature non duravano mai molto. E poi, era impegnato a zampettare in fretta dietro
a sua sorella e allo zio. Inge li aveva lasciati per delle
commissioni, così aveva affidato il cagnolino a Sally,
20
che ora seguiva lo zio nel nuovo teatro in cui si doveva
esibire il Turco.
Entrati nell’atrio spazioso, un giovane li guidò
lungo un corridoio verso i camerini degli attori. In un
camerino li attendeva il signore distinto, che avevano
già visto in teatro: il barone von Kempelen. Mentre lo
zio e Sally gli stringevano la mano, Tommy si avvicinò per annusarlo. Aveva scoperto che un’annusatina ben fatta permetteva di distinguere i tipi simpatici.
Questo lo era.
Il barone li fece accomodare e si sedette a sua volta. Lo zio tirò fuori il taccuino e iniziò con le domande.
Tommy, accucciato ai piedi del divano, scrutava ora i
capelli ben pettinati del barone, ora le sue scarpe lucide, ora i suoi folti baffi. Non riusciva bene a seguire domande e risposte - un cane ha qualche difficoltà con le
lingue straniere -, così, dopo un po’, abbassò il muso tra
le zampe e socchiuse le palpebre. Dopo tutto, essere un
cane non era neppure una brutta vita...
Ahi! Uno strappo alla coda lo ridestò di colpo. Si
guardò intorno. Il barone e lo zio erano indaffarati a parlare e non facevano caso a lui. Allora... era stata sua sorella a tirargli la coda! Quella deficiente! Si girò di scatto verso di lei e... si vide offrire un biscotto. Beh, forse
non era davvero deficiente. Magari solo un poco.
21
Sgranocchiò con gusto il biscotto, mentre Sally
faceva strani movimenti con gli occhi. Fissava ora lui,
ora la porta... Ora lui, ora la porta. Conoscendola come
solo un cucciolo - no, un fratello - poteva conoscerla,
era evidente che aveva in mente qualcosa e cercava il
suo aiuto.
Tommy si passò con cura le zampe sugli occhi, si
stirò per bene, poi trotterellò verso la porta e uscì nel
corridoio. Si fermò poco più avanti, al riparo di un grosso mobile. Da quella posizione poteva tener d’occhio il
corridoio alle sue spalle e la porta da cui era uscito.
Non dovette attendere molto. Sally - che lì si
chiamava Heidi - comparve quasi subito. Il cagnolino
la sentì rivolgersi all’interno della stanza: “Certo, zio,
lo recupero in un attimo. No, non mi metto a gironzolare. Sì, so che è proibito agli estranei mettere piede
sul palco... Non ti preoccupare, insomma, non ho mica
quattro anni!”.
Qualcun altro stava scendendo lungo il corridoio.
Pensò bene di muoversi per non farsi accalappiare. Uscì
dalla protezione del mobile e filò verso una porta all’altra estremità. Udì la sorella lanciare un richiamo dietro di lui, ma si guardò bene dal fermarsi. Un’altra voce sgraziata sbraitò qualcosa, un’ingiunzione a fermarsi,
ma neppure Sally ubbidí. Tommy attraversò un paio di
22
corridoi polverosi e sbucò in uno spazio più grande, ingombro di corde, carrucole, sacchetti di sabbia e attrezzature varie.
Si bloccò di colpo, con la lingua penzoloni e il respiro affrettato. Era proprio sul palcoscenico. E vi stava
capitando qualcosa di interessante.
23
Sei
“Fermati subito, ragazzina! Vieni qui! Fermati, ho
detto!”, gridava un tipo sgraziato alle spalle di Sally, ma
lei finse di non udire e proseguì veloce dietro al cagnolino. La bestiola aveva superato una porta e infilato un
nuovo corridoio. Sally continuò a correre, mentre i richiami si facevano più lontani. Era proprio una fortuna
che i cani fossero animali così intelligenti. Quel cagnolino, poi, sembrava proprio sveglio. Certo più sveglio di
suo fratello che, tonto com’era, chissà dove si era cacciato; magari in qualche guaio e ora aspettava che lei lo
salvasse. Beh, avrebbe aspettato.
Intravide un guizzo marrone sparire dietro un angolo e si precipitò in quella direzione. Una vocina dentro di
lei le sussurrò che stava per fare una scoperta importante.
Svoltò l’angolo e... per poco non calpestò il cane,
bloccato proprio all’entrata del grande palco.
24
In quel momento non c’erano attori.
C’era invece il Turco.
Proprio lui, l’automa, in carne ed ossa! Anzi, senza
carne e senza ossa, ma con tutti gli ingranaggi e i meccanismi. E non era solo. Due inservienti disponevano
le lampade per illuminare la scena. Accanto all’automa
c’era Aleksej, l’aiutante che avevano visto al locale insieme al giocatore di scacchi. Stava armeggiando dentro al Turco e intanto gli parlava. Sally strizzò gli occhi
per vedere meglio. Poi li spalancò di colpo: Aleksej non
parlava all’automa, ma a qualcuno che vi era infilato
dentro. “...Sportello due”, stava dicendo, “ti spingi in
avanti e abbassi la testa, giù, così, bene. Ora, senti il cigolio dello sportello tre, ti stendi tutto indietro e pieghi
le ginocchia. Poi giro l’automa, chiudo gli sportelli e
apro...”.
Ma allora era proprio un trucco!
Sally aveva sentito abbastanza. Iniziò a farsi indietro pian piano, quando alle sue spalle risuonò un passo
affrettato e veloce. Si guardò intorno. Lì accanto una
scala saliva verso il buio. Sally non perse tempo. Afferrò il cagnolino, se lo mise sotto braccio e si arrampicò
sulla scaletta.
Salì e salì, finché sbucò su una passerella sospesa
sopra il palcoscenico. Fece accucciare il cagnolino e si
25
sporse per vedere. Era davvero a una bella altezza. Sotto
di lei l’assistente continuava con le istruzioni, mentre il
loro inseguitore scrutava di qua e di là.
Sally tirò indietro piano la testa. Il cagnolino, invece, allungò il muso per osservare meglio. E, quando si
sentì afferrare da Sally e tirare indietro, diede uno strattone per liberarsi: cane e ragazza oltrepassarono la passerella e piombarono insieme sul palcoscenico.
26
Sette
Fu un volo di parecchi metri. Ma non troppo disastroso. Sally sfiorò l’aiutante di von Kempelen e piombò sull’altro uomo, il complice, mezzo infilato nell’automa. Un attimo dopo, su di lei atterrò il cagnolino.
Sally aprì la bocca per spiegare, ma le facevano
troppo male un braccio e tutto il fondoschiena. E comunque, a farla ammutolire bastò l’espressione minacciosa di Aleksej. Anche il tipo che stava dando loro la
caccia mostrava intenzioni niente affatto amichevoli.
L’unico a non reagire fu il primo uomo: l’impatto con
lei l’aveva spedito nel mondo dei sogni. Felix iniziò ad
abbaiare con foga contro i due uomini, mentre Sally si
raddrizzava a fatica.
In quel momento, risuonò una voce autoritaria:
“Che sta succedendo qui?”.
Apparteneva al barone, seguito dallo zio.
27
E una cosa era chiara: Sally e lo zio avevano scoperto il segreto del Turco.
Per di più, l’aiutante che si infilava all’interno
dell’automa aveva una brutta contusione alla schiena e
per qualche giorno non sarebbe stato in grado di lavorare.
Fu allora che, dopo le prime spiegazioni, il barone
sganciò la sua bomba: “La situazione non è così tragica”, dichiarò. “Dal momento che il pasticcio l’ha combinato Heidi, toccherà a lei tirarcene fuori”.
28
Otto
“Un po’ di esercizio e Heidi non avrà difficoltà con
lo spettacolo di stasera”, continuò il barone, come se
nulla fosse. “Anzi, con la sua statura ridotta le sarà facile nascondersi nell’automa”.
“Ehi!”, esclamò Sally, piantando i pugni sui fianchi. “Io in quell’affare non entro! E non intendo prendere parte a un imbroglio. Perché voi imbrogliate la gente,
questo è chiaro!”.
“Oh, oh, oh, che parole grosse, ragazza”, esclamò a
sua volta von Kempelen. “Ma vi prego”, proseguì cambiando di colpo tono, “non stiamocene qui tutti qui come pedoni sulla scacchiera. Accomodiamoci sulle poltrone là in fondo”.
Mentre parlava, si avviò nella direzione indicata.
Sally e lo zio lo seguirono, mentre gli assistenti controllavano che l’automa non fosse rimasto danneggiato.
29
“La storia non è troppo lunga”, disse von Kempelen, accomodandosi. “Dovete sapere che io sono nato in
Ungheria e, oltre al titolo di barone, ho anche quelli di
consigliere delle finanze dell’imperatore e direttore delle saline. Sono a Vienna su incarico della cancelleria del
mio Paese. Ma le cose che mi interessano davvero sono
l’idraulica e la meccanica. E per queste passioni mi sono
cacciato in un bel guaio”.
L’imperatrice Maria Teresa - continuò a raccontare - aveva offerto un giorno uno spettacolo con degli
automi. Mentre tutti applaudivano alle loro prodezze, il
barone non era stato capace di tenere la bocca chiusa
e si era lasciato sfuggire che lui poteva costruire automi molto migliori. La gente intorno non aveva dato importanza alle sue parole. L’imperatrice sì. Seccata che
il suo spettacolo non venisse apprezzato, aveva sfidato von Kempelen a fare di meglio. Il barone non aveva
avuto scelta: al massimo entro sei mesi, aveva annunciato, avrebbe inventato un automa che giocava a scacchi.
Così, si era messo a studiare tutto il materiale che
trovava sulla meccanica degli automi e aveva cominciato a fare schizzi e progetti. Lo aiutava un vecchio amico
russo, il dottor Osloff, che se la cavava bene a scacchi e
forniva buone idee. Il lavoro procedeva e il tempo passava. Tre mesi. Quattro. Ormai erano trascorsi cinque
30
mesi e la scadenza si avvicinava veloce. Il barone si sentiva sempre più nervoso e a volte si lasciava prendere
dallo scoraggiamento: semplicemente, aveva scoperto
che con molle, fili e ingranaggi non era possibile costruire un meccanismo che giocasse a scacchi. Certo, era abbastanza semplice realizzare un manichino e fargli muovere testa e braccia, fargli afferrare i pezzi e spostarli
sulla scacchiera. Ma fargli decidere quale pezzo muovere, e quando, e dove spostarlo... quello non si poteva fare. Avrebbe dovuto inserire nell’automa un cervello, un
vero cervello umano. Una cosa irrealizzabile.
O forse no?
In quel periodo a Vienna circolavano degli uomini particolari. Venivano dalla Russia, ed erano dovuti
scappare in fretta e furia per non essere arrestati come
rivoluzionari. Vivevano sotto falso nome, guadagnandosi da vivere con i mestieri più disparati. Erano in costante allarme, perché la polizia russa cercava in ogni
modo di scoprirli e riportarli in patria, dove li aspettava
la fucilazione. Non poteva farlo apertamente, perché gli
austriaci non avrebbero permesso che una polizia straniera facesse i propri comodi nel loro impero, così si
serviva di spie.
Nei giorni in cui il barone era alle prese col suo automa, una spia era riuscita a individuare uno dei rifugia31
ti. Era un polacco abbastanza facile da identificare, perché era stato ferito in battaglia e gli erano state amputate
tutt’e due le gambe. Ora era costretto a camminare con
le stampelle e due gambe di metallo. Si chiamava Worousky. Resosi conto di essere in pericolo, Worousky si
era rifugiato presso un suo amico, il dottor Osloff. Il dottore si era affrettato a nasconderlo, ma intorno alla casa
avevano incominciato a gironzolare strani personaggi,
sfaccendati che bighellonavano qua e là. Worousky era
sicuro che fossero agenti dell’impero russo. Aspettavano l’occasione buona per catturarlo.
Il dottor Osloff ne aveva parlato a von Kempelen
e insieme avevano architettato un piano. Il giorno dopo,
un carro tirato da un cavallo si era accostato alla porta
posteriore della casa del dottore; quattro facchini avevano portato fuori un baule e l’avevano sistemato sul
carro. Il dottore era salito anche lui sul veicolo, ed erano
partiti.
Immediatamente, un tizio che leggeva il giornale e
un altro che osservava una vetrina avevano preso a seguire il carro, tenendosi a distanza.
Altri sei individui si erano accostati al portone della casa. Uno si era chinato a forzare la serratura, mentre
gli altri lo coprivano agli occhi dei passanti. Quando il
portone aveva ceduto, il gruppetto si era introdotto in
32
casa e in un batter d’occhio aveva ispezionato tutti i locali. Invano.
“Di sicuro era nel baule”, aveva esclamato uno dei
russi. “Ma Ivan e Sergej non lo perderanno di vista”.
Dopo qualche istante, il portone si era aperto di
nuovo per lasciar passare il gruppetto. Ognuno di loro aveva preso una strada diversa, per ritrovarsi in una
piazzetta poco lontana, in attesa di ordini.
Nel frattempo, il carro procedeva ad andatura spedita e i due pedinatori erano costretti a camminare in
fretta.
Fino al momento dell’incidente.
Alla fine di una lunga via, il carro svoltò di colpo
per imboccare una stradina. Il conducente fece svoltare
troppo presto il cavallo. Il fianco del carro sbattè malamente contro lo spigolo della casa e s’inclinò d’improvviso. Facchini e dottore ruzzolarono a terra in un mucchio confuso.
La cassa scivolò giù e rovinò sui ciottoli della strada, spaccandosi per l’impatto.
Fu allora che le spie russe strabuzzarono gli occhi:
dalla cassa sventrata si era sparpagliato a terra solo un
mucchio di libri e vestiti. Del fuggitivo, nessuna traccia!
Una delle spie era rimasta sul posto, l’altra era corsa ad avvertire gli altri. Nel frattempo, rimessisi in pie33
di, i facchini avevano raccolto e buttato sul carro pezzi
di cassa, vestiti e libri, senza far caso alle rimostranze
del dottor Osloff. Erano saliti di nuovo sul veicolo e ripartiti.
Dopo aver gridato un’ultima volta che si sarebbe
fatto restituire i soldi dal loro padrone, il dottor Osloff
si era avviato a passo lento lungo la viuzza, borbottando
tra sé. L’agente russo aveva continuato a pedinarlo.
La strana coppia aveva percorso così alcune strade, facendosi largo tra i passanti e i carri di mercanzie.
Finché avevano raggiunto un edificio imponente, color
giallo brillante, con ampi balconi fioriti. Il palazzo del
barone.
L’agente aveva vis il dottore entrare e il portone richiudersi. Lui se n’era rimasto lì fuori di guardia, in attesa dei complici. Ma una domanda lo tormentava, e lo
aveva preoccupato lungo il tragitto: dov’era finito Worousky, l’uomo da sequestrare e riportare in Russia?
34
Nove
La domanda che tormentava la spia russa non sfiorava per nulla il dottor Osloff: in quel momento, infatti,
l’uomo scomparso stava nel laboratorio, davanti a lui e
al barone.
“Non potete immaginare quanto sia felice di essere
sfuggito agli agenti dello zar”, stava dicendo Worousky,
appoggiato alle sue stampelle. “Sono le persone più crudeli al mondo.... ma per fortuna il vostro piano ha avuto
successo”.
“Già, ma qual era questo piano? E come ha fatto
a sparire Worousky?”, aveva sbottato Sally, incapace di
contenersi.
Ecco, stava proprio per spiegarlo, aveva sorriso il
barone. D’accordo col dottore, aveva reclutato carro e
facchini e fornito istruzioni adeguate. Insieme a libri e
a vestiti apparentemente voluminosi, nella cassa c’era
35
davvero Worousky, come sospettavano le spie. A un certo punto lungo il tragitto, poco prima della svolta fatale,
Worousky era scivolato da un’apertura della cassa verso
la parte anteriore del carro. Vestito anch’egli da facchino, non era stato notato dalle spie, troppo lontane e occupate a camminare in fretta. E nella confusione dell’incidente, provocato apposta dal conducente del carro, i
russi avevano avuto occhi solo per la cassa, senza accorgersi del fatto che i facchini erano aumentati di numero.
Poi, mentre il dottore faceva il resto del percorso a piedi,
facendosi seguire dalla spia, il carro aveva raggiunto in
fretta la casa del barone e vi aveva deposto il fuggitivo,
sano e salvo, con un nuovo paio di stampelle e una nuova speranza di salvezza.
“Una grande idea!”, aveva esclamato zio Christian.
Poi si era incupito. “Peccato che non la potrò inserire
nell’articolo”.
Il cagnolino aveva però sollevato la testa. E Sally
si era drizzata sulla poltrona: “Mica può essere tutta qui
la storia!”, aveva osservato. “Cosa c’entra il Turco con
tutto questo?”.
Da quel momento il Turco c’entrava, aveva spiegato il barone. Lui si era rimesso al lavoro sull’automa,
mentre Osloff e Worousky avevano iniziato una partita a scacchi. Una mezz’ora più tardi si erano presentati
36
alla porta due visitatori, chiedendo del barone. “Temo
che il nostro piano sia imperfetto, signori”, aveva detto il barone agli altri due. “A quanto dice il cameriere,
i due alla porta hanno un contegno un po’ strano. Non
mi meraviglierei se fossero proprio le spie che vi stanno
dando la caccia, Worousky. Vogliono scoprire se siete
in casa mia”.
“Naturalmente”, aveva proseguito, “potrei rifiutarmi di riceverli, ma servirebbe solo a farli insospettire di
più. Tutto sommato, credo sia meglio sentire cosa vogliono e fare in modo che non tornino”.
Gli altri si erano detti d’accordo. Ma dove nascondere il fuggitivo?
“Mi è venuta una splendida idea”, aveva sorriso
il barone. “Signor Worousky, come ve la cavate a scacchi?”.
“È un mostro, ecco cos’è”, aveva borbottato il dottore. “Non l’ho battuto neanche una volta!”.
“Ottimo!”, si era sfregato le mani von Kempelen.
E si era affrettato a spiegare il suo piano.
Qualche minuto più tardi, i visitatori erano stati introdotti nel laboratorio, nel quale dottore e barone erano
indaffarati con l’automa.
I nuovi venuti stavano raccogliendo fondi - così avevano detto - per un orfanotrofio nei pressi della città.
37
Sapendo che il signor barone era sempre stato generoso,
avevano pensato di rivolgersi a lui, eccetera eccetera.
Mentre fornivano queste spiegazioni, i loro occhi perlustravano ogni angolo della stanza, in cerca di nascondigli. Si erano mostrati delusi quando il barone aveva
spiegato di non poterli aiutare perché aveva impegnato
ogni suo avere nella costruzione dell’automa davanti a
loro. Ancor di più, erano rimasti sconcertati dall’assoluta mancanza di nascondigli. A meno che...
La loro attenzione si era concentrata sull’automa.
Un Turco che giocava a scacchi. Un Turco appoggiato a
una scrivania. Una scrivania che ricordava fin troppo la
cassa sul carro. Il barone e il dottore potevano quasi percepire la catena di ragionamenti nella mente dei visitatori.
E la conclusione era stata inevitabile: il fuggitivo
Worousky aveva trovato un nascondiglio. L’automa.
Quando il barone fu certo che i sospetti dei due
fossero appuntati sull’automa, si era offerto di mostrare la macchina all’opera. Li aveva fatti accomodare, poi
aveva aperto e richiuso i vari sportelli della sua creazione. Lo sguardo dei due frugava tra i meccanismi in cerca
di un nascondiglio.
Invano.
Il Turco apparira soltanto un automa molto complesso.
38
Il barone li aveva invitati a giocare. E l’automa
aveva vinto senza problemi una partita, poi una seconda. A quel punto i visitatori non avevano più scuse per
trattenersi e se n’erano andati.
Naturalmente, i loro sospetti erano giusti. Worousky era davvero nascosto nell’automa; era lui a giocare
e a guidare il braccio meccanico. I due agenti non erano
riusciti a scorgerlo perché a seconda degli sportelli aperti e chiusi dal barone, Worousky si era spostato da una
parte all’altra della grossa scrivania. I suoi rumori erano coperti dal mormorio degli ingranaggi; per non parlare del fatto che essere senza gambe si era rivelato un
vantaggio. Due semplici leve permettevano di spostare
il braccio sinistro e di afferrare le pedine sulla scacchiera. Quest’ultima era fatta di uno spesso cristallo, opaco
dall’esterno, ma dall’interno trasparente, così da far vedere pezzi e ambiente circostante.
“Ecco in che modo è nato il Turco”, aveva concluso von Kempelen. “Come vedi, Heidi, se ho imbrogliato, l’ho fatto per salvare la vita di un uomo”.
39
Dieci
Sally restituì lo sguardo al barone e allo zio. Scosse la testa. Non era convinta. Il Turco aveva salvato Worousky, eppure...
“D’accordo, signor barone”, disse finalmente. “In
quel caso si è trattato di fingere per uno scopo nobile.
Ma poi, lei ha continuato a presentare l’automa in giro
per il paese, e non lo fa certo gratis. Questo non è un imbroglio?”.
Il barone aveva sorriso. “Brava, Heidi. Ragioni con
la tua testa. Però io non ho alcuna intenzione di imbrogliarti. Ma gli agenti russi, quelli sì, ho dovuto continuare a ingannarli. Ho capito benissimo che i due visitatori
non erano convinti. I giorni seguenti, diversi personaggi tenevano d’occhio la mia casa. Perciò ho continuato
a fingere che il Turco fosse un automa e l’ho presentato all’imperatrice. Da quel giorno, è diventato famoso
40
e tutti vogliono vederlo all’opera. Così ho protetto Worousky, finché non gli ho trovato un posto sicuro in cui
sistemarsi, lontano dalle minacce dello zar”.
“Anche adesso continuano a tenermi d’occhio”,
aveva proseguito von Kempelen. “In ogni spettacolo ci
sono spie tra il pubblico. Se scoprissero che l’automa è
davvero truccato, non esiterebbero a rapirmi per farmi
rivelare il nascondiglio di Worousky. E comunque, i soldi degli spettacoli non vanno certo a riempire le mie tasche; servono come borse di studio per i ragazzi poveri
e abbandonati”.
41
Undici
“Basta! Non ne posso più!”, esclamò Tommy. O
Felix il cagnolino. Dalla sua gola uscì un mormorio sordo, mentre si agitava irrequieto.
Dopo la caduta dalla passerella e le spiegazioni del
barone, lo zio Christian l’aveva riportato a Inge, la sua
padrona. Sally, invece, era rimasta in teatro, ad esercitarsi per lo spettacolo della sera.
Dopo un po’, anche lo zio se n’era andato per assistere all’esibizione e Tommy aveva preso a zampettere
qua e là per il salotto, incapace di mettersi tranquillo. Inge lo aveva preso in braccio e l’aveva accarezzato, chiedendogli con voce dolce se ci fosse qualcosa che non
andava. Tommy non aveva risposto.
Dopo un po’ erano giunti dei visitatori e la giovane
l’aveva lasciato per andare ad accoglierli. Ora la bestiola stava accucciata ai piedi del morbido e imponente let42
to di Inge e mordeva una pantofola.
Qualcosa non andava. Ma non capiva cosa. Appoggiò il muso a terra e abbassò piano le orecchie. Fu allora
che intuì: le voci che venivano dal salotto avevano un
accento strano.
Si rimise a quattro zampe e si accostò alla porta
socchiusa. Di lì poteva sentire ogni parola.
E quello che udì lo fece immobilizzare.
Una voce di uomo diceva: “E quindi, capo, con Jacob fuori combattimento, se quel Turco è falso, ce ne
accorgeremo presto!”.
A queste parole seguì un grugnito di assenso.
Quindi un’altra voce profonda aggiunse: “Come stabilito, Ivan e Sergej sono al teatro. Ivan porta la cerbottana... Mentre aprono gli sportelli, sparerà un’ape intontita dentro al Turco. Se davvero c’è qualcuno, basterà
aspettare che l’ape si svegli...”.
A queste parole seguì uno scoppio di risa. Tommy
sporse un po’ il muso nella stanza. Due omaccioni grandi e grossi erano seduti al tavolo; e chiamavano “capo”
la sua dolce, affettuosa padrona Inge!
In quel momento la donna non appariva per nulla
dolce. O affettuosa. Una smorfia crudele le attraversava
il volto mentre parlava seccamente. “Questa è la sera
giusta per scoprire se il Turco è un imbroglio o una vera
43
macchina. Se scopriamo che è finto, non darò scampo al
barone finché non ci avrà rivelato dove si nasconde Worousky. Poi dovremo far sparire anche il suo assistente.
E Christian, quello stupido giornalista. È convinto che
sia innamorata di lui. E non dimentichiamo la piccola
Heidi. È troppo sveglia per i miei gusti. Forza, prendete
gli altri e appostatevi alle uscite del teatro. Se Ivan vi farà il segnale, sapete cosa fare. E questa volta non fatevi
imbrogliare, o qualcuno in patria penserà che non siete
troppo affidabili. Spero mi abbiate capito...”.
I due assentirono e scattarono come molle. Gli occhi di uno si fermarono sul muso del cane che faceva
capolino nella stanza.
“Ehi!”, esclamò, “quella bestia ha ascoltato tutto!”.
“Sì, grosso somaro”, lo rimbeccò la donna. “Sta’ a
vedere che capisce i discorsi e magari corre ad avvertire
il barone... Non dire stupidaggini. Muovetevi e fate un
buon lavoro, altrimenti per voi saranno guai!”.
44
Dodici
Era sera. Il teatro era al completo. Lo zio Christian
sedeva in prima fila, col taccuino di appunti sul ginocchio. Il brusio degli spettatori si spense quando le luci
si abbassarono e si aprì il sipario. Il barone von Kempelen fece il suo ingresso sul palco, accolto dagli applausi.
Dopo una breve presentazione apparve l’automa, spinto
da due assistenti. I due aprirono uno sportello frontale e
il corrispondente sportello posteriore. Poi li richiusero e
spalancarono gli altri due. Fecero ruotare l’automa e ne
misero in mostra l’interno: un aggrovigliato e delicatissimo sistema di ingranaggi, molle, tiranti, pulegge. Decisamente, non c’era posto per nasconderci qualcuno.
Nascosta dentro al Turco, Sally sorrise tra sé, mentre gli assistenti chiudevano tutti gli sportelli e riportavano l’automa in posizione. Aveva accettato di aiutare
il barone nello spettacolo di quella sera, mentre l’al45
tro operatore si riprendeva dal colpo che l’aveva messo
fuori combattimento. E ora stava rannicchiata all’interno dell’automa. La posizione non era troppo scomoda,
anche perché lei non era un gigante. Aveva imparato in
fretta ad azionare le leve che muovevano il braccio e
permettevano di afferrare e spostare i pezzi. Le mosse?
A quelle pensava Feodor Varnavskij, il giocatore russo
che a Sally era sembrato così irrequieto. Confuso tra
il pubblico, Varnavskij suggeriva le mosse a Sally, che
lo vedeva attraverso lo spesso cristallo della scacchiera. Una strofinatina sul naso e Sally spostava la regina. Una lisciatina sulla nuca e Sally muoveva l’alfiere. Un’occhiata al soffitto e un pedone avanzava. Una
all’orologio e a spostarsi era il re... Sally aveva imparato in fretta il codice.
In quel momento, tornò a concentrarsi sulla scena.
Un signore dai folti baffi, con un monocolo sull’occhio
e un’espressione intelligente, stava salendo sul palco.
Guidato dal barone, prese posto alla scacchiera.
Al solito, il Turco aveva i pezzi bianchi e la prima mossa. Il braccio sinistro si alzò, le dita meccaniche
raccolsero il cavallo e lo depositarono oltre la linea dei
pedoni. Il barone si avvicinò al grande pannello che riproduceva la scacchiera. Raccolse il quadrato con l’immagine del cavallo bianco e lo spostò nella nuova posi46
zione. Lo sfidante si lisciò i baffi un istante, poi spostò
in avanti il pedone del re.
Gli occhi dell’automa si mossero da un lato e
dall’altro. Davano l’impressione di osservare la scacchiera, anche se in realtà erano solo sfere di cristallo colorato. Il Turco indugiò un istante, afferrò un pedone e
lo spostò a contrastare quello nero.
L’alfiere nero aveva ora la strada aperta e ne approfittò per raggiungere il centro della scacchiera. La
contromossa del Turco a quel punto era semplice e Sally
l’avrebbe eseguita anche senza suggerimento. In fin dei
conti, pensò, non c’era molto da fare, lì dentro. Quasi
quasi, si finiva per annoiarsi.
Fu in quel momento che avvertì uno strano, minaccioso ronzio.
47
Tredici
Sally aggrottò la fronte. Quel rumore... Per un attimo, le era parso di udire qualcosa di diverso dal fruscio
degli ingranaggi che ruotavano.
Riportò l’attenzione alla scacchiera. Il gioco proseguì. Numerose piccole battaglie vennero disputate e
vinte, a volte dal Turco, a volte dal suo avversario. Sally poteva vederne il profilo attraverso la scacchiera trasparente. Aveva già perso i cavalli, una torre e un alfiere, oltre a quattro pedoni. In compenso, anch’egli aveva
sottratto diversi pezzi al Turco.
Sally fece ruotare il volto dell’automa, lasciando
vagare gli occhi sulla scacchiera. Tra il pubblico, Feodor
Varnavskij segnalò di muovere la torre. Ma così, pensò
Sally, restava scoperto il fianco del re. Era meglio far
avanzare la regina e...
Zzzz... Zzzz...
48
Ancora quello strano ronzio... Ci mancava che una
molla o un ingranaggio si rompessero proprio in quel momento. Sally tese le orecchie e ascoltò concentrata. Gli ingranaggi ruotavano con precisione e ogni leva rispondeva
al suo tocco. L’odore di ruote ben oliate riempiva come
sempre la cassa... Tutto pareva normale. Tutto funzionava.
Allora, decise Sally, meglio spostare la regina. Diede un’ultima occhiata alla scacchiera. Sì, la regina era la
mossa più saggia.
Zzzz... Zzzz...
Ancora quel ronzio da qualche parte lì dentro. E diventava più forte. Più vicino. Sembrava quasi un insetto.
Come... come un’ape, pensò Sally, mentre giusto un’ape
nera e gialla le sfrecciava davanti agli occhi. L’ape sembrava un po’ intontita, ma soprattutto arrabbiata di trovarsi chiusa in quello stretto posto buio.
Sally non si fermò a guardarla, ma azionò le leve.
Il Turco mosse il braccio e spostò la regina. In alto tra
il pubblico, Varnavskij aggrottò le sopracciglia. Non era
quella la mossa indicata.
Sally non aveva tempo di preoccuparsi delle preoccupazioni di Varnavskij. In quel momento l’ape aveva
preso a girare minacciosa vicino alla sua testa. Il ronzio
le ricordava uno stormo di caccia pronti a scendere in
picchiata contro l’obiettivo.
49
“Ape carissima, io sono una ragazzina, non un
obiettivo”, mormorò Sally. Ma l’ape non sembrò udire e
continuò a ronzare pericolosamente vicina.
“Scacco!”, esclamò lo sfidante muovendo la torre.
L’ape prese una rapida rincorsa e sfrecciò contro
Sally. Questa spostò svelta la testa e l’ape le sfiorò la
punta del naso. Dentro alla scrivania la luce era fioca e
Sally spalancò al massimo gli occhi per sorvegliare il
volo dell’ape che virava per attaccare di nuovo. Tra il
pubblico, Varnavskij si agitava sulla poltrona, ma Sally
lo ignorò.
“Potrei aprire lo sportello e farla uscire”, pensò
Sally. Ma così il pubblico avrebbe scoperto il trucco.
No, c’era un sistema migliore. La ragazza si contorse un
poco, infilò la mano in tasca e ne sfilò un fazzolettino.
Poi si mise in guardia.
Zzzz... L’ape arrivò in picchiata. Ma proprio sul più
bello, vicinissima al viso di Sally, una superficie morbida ne frenò lo slancio. Il fazzoletto le si avvolse stretto
intorno e la imprigionò senza speranza.
Con un sorriso soddisfatto Sally ripose il fazzoletto
con l’ape - arrabbiatissima, ma impotente - su un accenno di mensola, al riparo dagli ingranaggi.
Mentre si contorceva per rimettersi in posizione,
udì levarsi dal pubblico esclamazioni di “Oh! Ah!”.
50
Guardò subito attraverso la scacchiera. Vide facce
stupite e allarmate che fissavano proprio lei! O meglio, fissavano il Turco... Alzò di più lo sguardo e capì. Nella foga di catturare l’ape, aveva urtato le leve
dell’automa. Davanti a tutti, il Turco aveva sollevato
il braccio e stava calando un tremendo colpo sul suo
avversario!
Sally reagì. Per un soffio riuscì a deviare la traiettoria. La mano del Turco sfiorò la guancia dello sfidante
e si arrestò a pochi centimetri dalla scacchiera.
“Aaah!”. Il pubblico respirò di sollievo. E soprattutto lo sfidante. Ma il respiro di Sally si bloccò a mezzo: nella foga di deviare il colpo, la mano si era accostata ai pezzi e ora stringeva una torre bianca.
“Pezzo toccato, pezzo giocato”: una delle frasi di
suo fratello, quando lei aveva un ripensamento sul pezzo che aveva appena spostato. Chissà poi dov’era, quello sprovveduto di Tommy.
“E va bene, vediamo allora dove sistemare questo
pezzo”, si disse Sally. Spostò le leve e lo depose accanto alla regina. Poi contemplò la mossa. Tutto sommato,
non era male. La regina proteggeva la torre, la torre minacciava il re Nero, il re Nero poteva solo muovere...
Anzi, no, non poteva muovere! Assolutamente!
Dentro alla scrivania, Sally sorrise di gioia. Sul
51
palcoscenico, il barone annunciava solenne: “Scacco
matto!”.
Una marea di applausi accolse la fine della partita.
Il Turco aveva vinto.
Ma le spie russe erano ancora in agguato.
52
Quattordici
Il cagnolino Felix - o meglio, Tommy - sfrecciò veloce attraverso il salotto. Raggiunse la padrona e i suoi
complici nel momento in cui aprivano la porta. Sgusciò
loro tra le gambe e si ritrovò sul pianerottolo.
Libero.
Scese a precipizio gli scalini, senza badare ai richiami della padrona. Il portone era spalancato e la strada lo accolse col suo clamore rassicurante.
Si diresse di corsa al teatro ad avvertire il barone,
Sally e lo zio.
Un minuto più tardi, però, si arrestò di botto in
mezzo al marciapiede.
Che stupido era. Non si ricordava di essere un cane? E allora, cosa poteva fare? Saltare sul palco e mettersi ad abbaiare? Già, come quella mattina... L’avrebbero preso per la collottola e buttato fuori. No, gli serviva
53
un’idea. Ma come spremerne una dal suo piccolo cervello di cucciolo?
Tirò un altro grosso sospiro. Si accorse allora di
un altro animale poco lontano, un grosso cane pastore, che sonnecchiava beato all’ingresso di un portone. E
l’idea gli germogliò in testa. Si accostò all’altro animale
e guaì. Il cane alzò la testa e lo scrutò attraverso le palpebre socchiuse.
“Qualche problema, amico?”, chiese, senza molto
interesse.
“Dire che ho qualche problema è troppo poco”, rispose Tommy. Poi, fece come se avesse preso una decisione improvvisa. “Senti, voglio fidarmi di te. Così
grande e robusto, ti devi intendere di spie, rapimenti e
complotti”.
Lusingato dal sentirsi definire “grande e robusto”,
l’altro cane fu di colpo sveglio. Dopo tutto, forse quel
piccoletto aveva in serbo qualcosa di interessante.
In breve, Tommy spiegò la situazione a Rolf che,
pieno di energia, d’improvviso non vedeva l’ora di passare all’azione. S’incamminarono a passo svelto e raggiunsero un cortile circondato da alte costruzioni.
Rolf emise un latrato lungo e penetrante. Come per
magia, una decina di musi si affacciò dalle porte. Musi
di cane, di taglie e colori assortiti.
54
Appena li ebbero raggiunti, il cane pastore spiegò
la situazione.
“Ragazzi, ci sono in giro delle spie russe che tramano di rapire dei pacifici cittadini. Noi siamo gli unici
a saperlo, i soli capaci di sventare i loro piani. Che ne
dite?”.
Una scintilla di paura brillò negli occhi dei cani,
seguita da un brivido di eccitazione lungo la schiena.
“Siamo d’accordo, Rolf”, parlò per tutti Bulk, un
vecchio cane dal portamento militare. “Non possiamo
permettere che delle sporche spie facciano i loro comodi
nella nostra città!”.
In breve, approntarono un piano di battaglia e a
ciascuno fu assegnato un compito: Felix, Rolf e due bassotti si diressero al teatro; gli altri, capitanati da Bulk, si
distribuirono nel dedalo di viuzze circostanti.
Qualche minuto dopo, Felix e i compagni sbucarono nella piazza del teatro. Dappertutto manifesti colorati
pubblicizzavano lo spettacolo del Turco. Qualche passante si fermava a dare un’occhiata, per poi riprendere
il cammino. Tutti procedevano di buon passo, intenti ai
loro affari. Solo un gruppetto pareva sfaccendato e su di
esso si concentrò l’attenzione di Tommy.
Erano proprio loro. Tra i sei del gruppetto c’erano
i due tizi che aveva visto dalla sua padrona.
55
Li indicò ai bassotti, che si fermarono a tenerli
d’occhio. Lui e Rolf si mossero a ispezionare il vicolo all’entrata posteriore del teatro. Anche là due tipi sospetti stavano appoggiati al muro con aria indolente.
Tommy alzò il muso. Il sole era ormai al tramonto.
“Se Bulk non arriva in fretta, lo spettacolo finirà e il piano andrà in fumo!”, esclamò, scuotendo la testa.
Quasi in risposta alle sue parole, una serie di nitriti si alzò poco lontano, seguita da urla furiose e fischi.
Poco dopo, la sagoma di Bulk apparve all’ingresso del
vicolo.
“Tutto bene, soci!”, esclamò con un po’ di fiatone
e un mezzo saluto militare. “L’Operazione Caos sta andando a meraviglia. Cappelli rovesciati. Pantaloni strappati. Due cavalli imbizzarriti che hanno messo il carro
di traverso e provocato un bell’ingorgo... Cosette del genere. Niente di grave, ripeto, ma ora la zona pullula di
poliziotti”. Si strofinò il muso per togliere un brandello
di stoffa grigia impigliato tra i denti.
“Ottimo!”, esclamò Tommy. “E ora, la fase due!
Attiriamo l’attenzione dei poliziotti sulle spie russe!”.
Rolf abbaiò forte, lanciando il segnale convenuto.
Poi lui e Bulk si avvicinarono alle spie e iniziarono ad
abbaiare e ringhiare contro di loro con ferocia. Tommy
corse alla piazza e vide con soddisfazione che lo stesso
56
avveniva davanti al teatro. E già alcuni poliziotti iniziavano a spuntare dalle vie laterali.
La scena seguente fu molto rapida e Tommy non riuscì a seguirla tutta con precisione. Non appena i poliziotti notarono gli uomini oggetto dei latrati, li riconobbero come ricercati in molti Stati d’Europa. Si scatenò un
fuggi fuggi, ma in breve le sei spie davanti al teatro e le
due sul retro furono ammanettate e messe sotto scorta. A
loro si aggiunsero i due complici in teatro; fallito lo stratagemma dell’ape lanciata con la cerbottana, erano usciti
per raggiungere i compari all’esterno; i poliziotti li avevano riconosciuti e bloccati. Tommy li aveva aiutati a catturarne uno, addentandone con foga i pantaloni e facendolo
ruzzolare sui ciottoli della strada. Proprio divertente!
In pochi minuti, l’intera operazione fu conclusa. Le
spie vennero portate via sotto buona scorta, mentre un
certo numero di poliziotti rimaneva nei paraggi. Il pubblico cominciò a uscire dal teatro, lanciando occhiate
curiose ai poliziotti e chiedendosi cosa fosse accaduto.
Tommy, nel frattempo, ringraziara gli amici a quattro zampe, salutandoli uno ad uno.
“Grazie mille per l’avventura, Felix”, disse Rolf
mentre se ne andava. “Se ti trovi ancora nei pasticci, non
esitare a chiamarci!”. Così dicendo, si volse e trotterellò
dietro agli altri già in fondo alla strada.
57
Tommy li guardò sparire, poi si diresse all’entrata
posteriore del teatro. S’intrufolò attraverso la porta socchiusa e corse spedito lungo i corridoi. Sbucò sul palco
proprio nel momento in cui il barone e il suo aiutante
davano una mano a Sally ad uscire dall’automa. La ragazza s’illuminò tutta alla vista del cagnolino e lo abbracciò stretto.
“Felix, gli ho dato scacco matto!”, esclamò. “Scacco matto! Ho vinto!”.
Mentre parlava, faceva volteggiare il cagnolino
qua e là. E rimase un po’ stupita quando la bestiola iniziò ad abbaiare con foga alle sue parole.
58
Quindici
Sally depose Felix sulle assi del palco. Il cagnolino la fissò per un istante, poi si volse intorno in cerca di
qualcosa.
“È ora di tornare a casa”, disse Sally.
“Perfettamente d’accordo”, esclamò lo zio Christian. “Dopo queste avventure, Heidi, hai proprio bisogno di riposo”.
“No, non avete capito”, ribatté Heidi. O meglio,
Sally. “La mia casa è lontana. Molto lontana. Più di...
duecento anni!”.
Lo zio e il barone la fissarono. Poi si scambiarono
uno sguardo dal significato evidente: “Poverina, la tensione è stata troppo forte?”.
Ma, oltre che al barone e allo zio, le parole di Sally erano giunte alle orecchie morbide del cagnolino.
Era balzato sopra la scrivania dell’automa e proprio in
59
quel momento si mise ad abbaiare con foga alla scacchiera.
“Ehi, vieni via da lì!”, brontolò l’aiutante del barone. E si diresse risoluto verso l’automa.
“Un momento, Karl!”, lo fermò von Kempelen.
“Mi sembra che il cane voglia... vuol dirci qualcosa!”.
“Che c’è, Felix?”, gli chiese Sally, avvicinandosi
alla scacchiera. Il cane aveva smesso di abbaiare e con
una zampetta stava rovesciando a uno a uno tutti i pezzi.
Anzi, non proprio tutti.
“Oh, sei proprio un cane intelligente”, esclamò
Sally. “Guardate, ha lasciato in piedi i pezzi di uno scacco matto. Chissà--”.
Non poté proseguire, perché il cagnolino cominciò a saltellare intorno alla scacchiera e a uggiolare. Oh,
quanto erano stupidi, quelli! E quanto era tonta sua sorella, a non capire il messaggio!
Ma forse c’era qualche speranza...
La bambina aggrottò la fronte e fissò la scacchiera,
quindi il cane.
“Scacco matto!”, esclamò. Il cane fece un salto e
abbaiò.
“Scacco matto!”, ripeté. Nuovo salto e nuovo latrato.
“Ma allora sei Tommy!”. Sally spalancò le braccia
60
e strinse forte il cagnolino. Per la contentezza, Tommy
le leccò tutta la faccia. Sally non era poi così stupida,
dopotutto...
Lo zio e il barone assistevano alla scena ad occhi
sgranati. Mai visti un cane e una ragazzina comportarsi
in quel modo.
Sally si accorse del loro stupore. Continuando a
stringere il cagnolino, spiegò. “È tutto a posto, non sono
impazzita di colpo. Questo non è un cane qualunque: è
mio fratello! Sì, mio fratello. Noi viaggiamo nel tempo.
‘Scacco matto’ è il codice per poterci riconoscere. È una
storia lunga da raccontare...”.
Ci volle davvero tempo a spiegare la storia. E alla
fine i presenti non avevano ancora le idee chiare.
“È ora di andare”, osservò alla fine lo zio Christian.
La sua espressione di solito allegra era velata di tristezza. Durante il racconto di Sally, infatti, era sopraggiunto
un ufficiale di polizia: avevano arrestato l’intera banda e
scoperto l’identità del capo; era Hilde, la fidanzata dello zio; si era servita di lui per raccogliere informazioni
senza destare sospetti. In quel momento lei e i complici
viaggiavano sotto buona scorta verso il confine dell’impero. Espulsi, con proibizione di tornare.
Per quello lo zio era un po’ triste. Ma di sicuro
- pensò Sally - il buonumore gli sarebbe tornato. Così
61
avrebbe dimenticato la sua avventura e si sarebbe infilato dritto dritto in qualche altro guaio.
Il barone rimase a guardare i suoi amici mentre se
ne andavano. Certo, non avrebbe più rivisto la ragazzina
e il cane. Almeno non quelli che lui conosceva. Ma, in
qualche modo, sarebbero rimasti amici anche attraverso
duecento anni di distanza.
62
Sedici
Latte e biscotti. Una colazione perfetta, pensò Tommy, continuando a lappare di gusto. Sollevò lo sguardo
alla sorella. Anche per lei lo stesso menù. Per lo zio, invece, una tazza di caffè fumante, qualche focaccina e il
giornale del mattino. Dopo le avventure del giorno precedente, avevano dormito come ghiri. Tommy su un alto
cuscino morbido tutto per sé.
La mattina, però, si era presentata con un grosso
problema. Il solito grosso problema, aveva detto Sally.
“Dobbiamo scoprire il nascondiglio della loco. La volta scorsa ci siamo riusciti grazie all’intuito di Sherlock
Holmes. Ma qui a Vienna non esiste qualcuno come lui.
Anzi, credo che non esistano neppure le loco”.
“Loco?”, intervenne lo zio, che aveva prestato attenzione solo all’ultima parte del discorso. “Che significa? È una parola del futuro?”.
63
“Loco, zio, vuol dire ‘locomotiva’. Un lungo cilindro nero su una serie di ruote. E un camino che sbuffa.
Un tettuccio per il macchinista--”.
“Ehi, aspetta, aspetta!”, la interruppe lo zio facendo frusciare le pagine del giornale. “Ha anche un paio di
grossi funghi di ferro davanti e dietro, una campanella,
tubi a profusione--”.
Ragazza e cane balzarono in piedi all’istante. Come faceva lo zio a conoscere quei dettagli, se non aveva
mai visto una loco?
“Oh, ma l’ho vista”, assicurò lo zio. “Anzi, la sto
guardando proprio adesso!”.
Tommy spiccò un balzo e gli atterrò in grembo. Ed
eccola là, una loco, la loro loco, stampata in fondo alla
pagina.
“È un annuncio da poco prezzo”, disse lo zio spiegando il giornale sul tavolo. “Una piccola compagnia
promette uno spettacolo di circo e l’esposizione di, sentite un po’: ...Una grossa macchina aliena, un’astronave nera piovuta sulla terra. Prezzi contenuti. Sconti per
famiglie e bambini”.
Il giovane terminò di leggere il breve annuncio
e alzò gli occhi. Sally era davanti a lui, già pronta per
uscire. Al suo fianco, il cagnolino scodinzolava a più
non posso.
64
“D’accordo, andiamo!”, acconsentì lo zio. Afferrò
la giacca e seguì i due “alieni”.
65
Diciassette
Al circo, un omone grande e grosso stava davanti
all’entrata del modesto tendone. Lo spettacolo stava per
cominciare e dall’interno provenivano i suoni dell’orchestra che accordava gli strumenti. Un gruppetto di
spettatori attendeva di entrare. Sally, Tommy e lo zio si
accodarono e raggiunsero l’entrata.
“Ehi, dove credete di andare, voi?”, li bloccò con
voce cupa l’omone. “Qui dentro non sono ammessi animali!”, continuò, indicando Tommy.
Lo zio si arrestò, indeciso, ma Sally non si lasciò
intimidire. “Non sono ammessi animali? In un circo?
Ehi, signori”, gridò alla gente che entrava, “vi stanno
imbrogliando! Non ci sono animali in questo circo! Non
sono ammessi!”.
La piccola folla di spettatori si volse all’omone con
espressione interrogativa.
66
“Ehi, non facciamo scherzi, signorina!”, tuonò
quello. “Certo che ci sono animali qui al circo. Ne vedrete di straordinari, gente. Tigri, elefanti, cammelli,
coccodrilli, serpenti... Entrate, entrate pure!”.
Con un sorriso rassicurante agli spettatori, l’uomo
proseguì abbassando la voce “E va bene, tu e questo signore potete entrare. Ma il cane dovrà aspettare fuori”.
Sally sbuffò. “Questo non è un cane qualunque. È
un’artista straordinario. Sa leggere e scrivere, conosce
la matematica, è--”.
Lo zio Christian la interruppe. “In realtà, a interessarci non è lo spettacolo del circo, quanto la lo... locomotiva”.
“Locomotiva? E cosa sarebbe?”, chiese l’uomo osservandolo con sospetto.
“La macchina misteriosa del vostro annuncio”,
spiegò lo zio. “Era sul giornale”.
“Ah, l’astronave nera! Ebbene, signore, per quella
c’è un sovrapprezzo sul biglietto”, fece l’uomo, allungando tutto contento la mano.
Lo zio sospirò e vi fece cadere alcune monete.
“Fate tutto il giro del tendone e troverete l’Astronave”. L’uomo infilò il denaro in una sacca appesa alla
cintura, poi li ignorò e rivolse le sue attenzioni a una famigliola appena arrivata.
67
I tre seguirono il passaggio che curvava attorno al
tendone. Più avanti erano fermi alcuni carrozzoni variopinti. Un paio di cavalli brucava l’erba vicino alle stanghe. Un terzetto di acrobati fletteva le braccia e scaldava
i muscoli mentre si dirigeva al tendone.
Finalmente sbucarono in uno spiazzo più grande,
dov’era raccolta una ventina di persone. Davanti a loro,
circondata da paletti uniti da un lungo nastro dorato, la
loco si stagliava contro il cielo azzurro. Un tipo in divisa
stava illustrando le straordinarie proprietà dell’Astronave Nera.
Lo zio Christian abbracciò stretta Sally e permise a
Tommy di dargli una leccatina al viso. Poi cane e ragazza
sgusciarono tra gli spettatori, superarono il nastro dorato
e in un baleno furono sul pianale del macchinista. Tommy si mise di guardia. Il tipo in divisa non si era accorto
di nulla, ma qualche spettatore li osservava incuriosito.
Sally spalancò la fornace e vi si infilò dentro. Per
qualche istante rovistò fra i pezzi di carbone.
Il presentatore si era infine accorto che qualcosa
non andava: troppa gente guardava dalla parte sbagliata.
In quel momento Sally riemerse, stringendo tra le dita
un grosso cristallo azzurro.
“Trovato, Tommy!”, esclamò. Le sue parole coprirono il grido del presentatore.
68
Tommy scoprì i denti verso l’uomo. Ma già un raggio di sole aveva colpito la pietra. L’Astronave Nera
sfolgorò, tremolò, infine sparì sotto lo sguardo incredulo della folla.
“Auff!”, pensò Tommy, stringendosi alla sorella. I
due ragazzi stavano ricomparendo nel giardino di casa.
Il loro posto per giocare. E per qualche tempo avrebbero
giocato a tutto – tranne che a scacchi!
Fine
69
Siete curiosi?...
Automi, che passione!
Nel Settecento esplose in Europa la passione per la
meccanica. Soprattutto per i meccanismi automatici, gli
“automi”, appunto.
I costruttori di automi furono davvero artigiani e progettisti geniali. Utilizzando unicamente legno, metallo e
stoffa (in qualche caso caucciù), riuscirono a “dar vita” e
movimento a creazioni incredibili, ancora oggi in grado di
stupirci. Al vederle, il primo pensiero che ci viene in mente
è che si tratti di prodotti guidati da un microchip, un computer, e dotati di circuiti elettronici.
Niente di tutto questo.
I “pupazzi elettronici” del nostro tempo non hanno
nulla in comune con il modo di funzionare dei loro “colleghi” dei secoli passati.
E i loro costruttori erano artigiani appassionati, ma
anche molto pratici. Prendiamo ad esempio Jacques de
Vaucanson. Prima di arrivare a invenzioni “utili” dal nostro
punto di vista, si dedicò a costruzioni che ci possono apparire “frivole”, ma a quel tempo erano considerate con il
massimo interesse. Ad esempio, per poter vedere una delle creazioni di Vaucanson, un piccolo suonatore che muo-
73
veva lingua e labbra e con le dita chiudeva e apriva i registri del suo flauto, Vaucanson faceva pagare 3 lire.
Poco? Non esattamente: per un operario, 3 lire erano
una settimana di paga!
E gli abitanti di Parigi si accalcarono per mesi a veder
funzionare l’automa.
Non certo un sognatore, il nostro Jacques... Un genio
della meccanica e degli affari, piuttosto!
*
* *
E non erano sognatori neppure i suoi colleghi costruttori, a cominciare dai tempi antichi fino ad oggi. Ne
riportiamo alcuni esempi nelle prossime pagine.
74
Egitto
Nell’antichità gli automi sono pensati come mezzi per
impressionare i fedeli e i visitatori dei templi, oppure come
strumenti per illustrare principi scientifici fondamentali.
In Egitto, durante alcune cerimonie religiose, i sacerdoti usano delle “statue animate”.
Amenhotep, figlio di Hapu, costruisce una statua di
Memnone, re d’Etiopia, che all’alba e altramonto, quando
viene colpita dai raggi del sole, emette suoni e melodie.
75
200 a.C - 100 d.C.
Nell’antica Grecia, i costruttori di automi usano direttamente le forze della natura, come l’acqua, l’aria e il fuoco.
Ctesibio, oltre duecento anni prima di Cristo, studia
la pressione dell’aria e ne applica i principi alle sue creazioni, come un merlo che canta e figure che bevono e si
muovono.
Filone di Bisanzio studia l’acqua, l’aria e il vuoto, il
fuoco e il vapore. Sue creazioni sono la fontana che spruzza acqua a intermittenza e altre fontane con personaggi e
animali azionati dall’acqua e dal vapore.
Erone di Alessandria studia la forza dei gas sotto
l’effetto del calore e della pressione, come pure l’equilibrio
e il movimento dei liquidi. Riprende gli automi di Filone,
modificandoli e migliorandoli. I movimenti riprodotti nei
suoi libri sono semplici, in modo tale che i lettori possano
capire chiaramente i principi esposti.
Costruisce il primo distributore automatico di liquidi, azionato da monete introdotte in una fessura. Inventa
76
la prima “macchina a vapore”, una sfera chiamata “eolipila”. Fabbrica un organo azionato dal vento e una macchina
tea­trale che in dieci minuti mette in scena uno spettacolo
programmabile di automi guidati da ruote dentate e cordicelle munite di nodi.
77
Europa 1200
Utilizzando legno e ferro, vengono creati grandi personaggi; muniti di martello, colpiscono ritmicamente le
campane in cima ai campanili.
78
1400-1700
Johannes Muller nel 1470 costruisce un’aquila meccanica che si alza in volo (così racconta la cronaca) per accogliere l’imperatore Massimiliano a Norimberga.
Per Luigi XII Leonardo da Vinci costruisce un leone
che si presenta al re e si apre il petto con un artiglio, mostrando l’emblema di Francia.
Per far divertire Carlo V e la sua corte, Gianello di
Cremona costruisce diversi automi: un flautista che suona il suo strumento mentre cammina in circolo o in linea
retta, uccelli volanti, soldati che suonano la tromba, fanno
rullare i tamburi e combattono fra di loro.
79
1600-1868
In Giappone, nel Periodo Edo, fioriscono le “bambole
magiche-misteriose” (karakuri ningyo). Ricordano gli automi europei, anche se presentano caratteristiche spiccatamente giapponesi, come gli ingranaggi in legno.
Ne esistono di tre tipi: bambole usate negli spettacoli
teatrali (butai karakuri); bambole di dimensioni ridotte che
si possono esibire in una stanza di casa (zashiki karakuri); e
bambole che si muovono su piattaforme galleggianti durante le cerimonie religiose.
80
1700
Grazie ai progressi della tecnica e a una certa miniaturizzazione dei meccanismi, vari artigiani realizzano creazioni geniali.
Nato a Grenoble il 24 febbraio 1709, Jacques de Vaucanson presenta la sua prima creazione notevole a 29 anni: il Suonatore di flauto. L’anno seguente arrivano il Suonatore di tamburo e l’opera più famosa di tutte: l’Anatra.
Degna di nota è l’idea di usare per la prima volta un nuovo
materiale, il caucciù, per simulare gli intestini dell’animale.
Inoltre Vaucanson inventa e migliora elementi meccanici che vengono usati anche ai nostri giorni. Nel 1745
costruisce il primo telaio completamente automatico. Sei
anni più tardi crea una ruota automatica per dipanare la
lana e usa la tessitura a spina di pesce.
Pierre Jacquet-Drotz, orologiaio, diviene uno dei
più abili costruttori di meccanismi del suo tempo. La sua
“ditta” è costituita da lui, dal figlio Henri-Louis e dal loro
braccio destro Jean-Frédéric Leschot. Debuttano nel 1774
con tre automi: lo Scrivano, un bambino che verga alcune
81
frasi con una piuma d’oca che intinge nel calamaio; il Disegnatore, in grado di tracciare quattro disegni e soffiar via i
frammenti di mina; la Musicista, che suona un armonio e
dà l’illusione di essere viva grazie alla sua statura (un metro e ottanta), al modo di respirare, di chinarsi per osservare lo spartito, di ruotare la testa e di terminare facendo un
inchino.
I tre automi funzionano tutt’ora.
Friedrich von Knaus. “Macchinista di corte” a Vienna, nell’arco di vent’anni costruisce diversi automi scrivani.
Il primo viene presentato in Francia nel 1753. I suoi sono
automi veramente complessi, in grado di scrivere testi di
lunghezza considerevole.
Henri Maillardet, in collaborazione con gli JacquetDrotz, costruisce diversi automi, dei quali il più famoso è lo
Scrivano-Disegnatore.
Anche suo fratello Jean-David, insieme al figlio Julien-Aguste, contribuisce al “vizio di famiglia” con numerosi automi, soprattutto prestigiatori.
82
1800
In questo secolo compaiono grandi ditte produttrici
di automi. Meno sofisticati di quelli del secolo precedente,
sono ugualmente piacevoli da ammirare.
Fabbricante di automi e giocattoli meccanici, Alexandre Nicolas Théroude diviene massimamente famoso grazie alla sua partecipazione alle Esposizioni industriali, nelle quali presenta creazioni sempre nuove e diverse: il
Bambino nella culla, l’Equilibrista, il Coniglio mal cresciuto,
la Gallina dalle uova d’oro, gli uccelli canterini, la scimmia
suonatrice di violino...
Dopo un quarto di secolo di lavoro, Joseph Faber rie­
sce a creare Euphonia: l’automa parla inglese (con accento
tedesco), recita l’alfabeto, saluta, canta, bisbiglia e ride. I
suoi meccanismi possono essere ispezionati per assicurarsi che i suoi siano opera dell’automa e non di un ventriloquo.
83
Oggi
Scoperto il mondo degli automi nel 1980, François
Junod si dedica a restaurare e rimettere in funzione meccanismi antichi. Ben presto, però, si sente spinto a creare
automi “in proprio”. Ne realizza di moderni, come l’Angelo
e l’Uomo che cammina, sia di “vecchio stile”, come i prestigiatori, gli scrivani e gli artisti del disegno.
Oggi esistono non soltanto automi di metallo,
plastica e gomma, ma anche di... carta. Hanno un numero
di movimenti limitato, ma in compenso chiunque con
poca spesa e senza grandi conoscenze di meccanica e
ingegneria può avere la soddisfazione di realizzare dei veri
e funzionanti automi meccanici. Su internet se ne trovano
diversi modelli gratuiti.
84
Il Turco
Stracciò Napoleone – sì, proprio lui, il grande stra­te­
ga – in 24 mosse. E sconfisse senza problemi Federico II
di Prussia, Benjamin Franklin, Giuseppe II, Giorgio III…
Durante la sua esistenza, dal 1770 al 1854, il Turco divenne
una celebrità, come oggi un campione dello sport o un
divo del cinema. Famosi giocatori di scacchi inserirono
nei loro libri le posizioni di alcune partite particolarmente
interessanti. Intorno al Turco si sviluppò un gossip di
straordinarie dicerie, proprio come ai nostri tempi:
qualcuno sosteneva che l’automa fosse posseduto da uno
spirito maligno; o che per realizzare il suo automa von
Kempelen avesse addirittura venduto l’anima al diavolo…
Quando il barone morì, nel 1784, i figli vendettero il
Turco a Johann Maelzel, l’inventore del metronomo. Questi
lo portò in giro a esibirsi in tutta Europa, finché, nel 1911,
lo vendette al pri cipe Eugene de Beauharnais.
Si dice che il principe abbia pagato una cifra astro­no­
mi­ca per potersi accaparrare il Turco. Per questo, quando
sco­prì che si trattava di un imbroglio, si sentì… ecco, im­bro­
glia­to. Il Turco, infatti, era azionato da una persona nascosta
al­l’interno (si calcola che nella sua “cassa/scrivania” il Turco
85
abbia ospitato una quindicina di maestri di scacchi – non
tutti insieme, naturalmente!).
Il principe Eugene andò su tutte le furie, denunciò
Maelzel e pretese indietro i soldi. Maelzel, da perfetto
gentiluomo… ehm, scappò via! Se ne andò in America
con l’automa e lo fece esibire a Broadway, Boston, New
York… fino a Richmond. Qui ebbe inizio però un periodo
disastroso, chiamato dai giornali “la maledizione del Turco”.
Dapprima due bambini riferirono di aver visto una donna
uscire dalla cassa dell’automa dopo lo spettacolo. Poi lo
scrittore Edgar Allan Poe pubblicò un articolo nel quale
sosteneva – con deduzioni logiche – che l’automa era
mosso da qualcuno al suo interno e che – guarda caso –
prima e dopo lo spettacolo gironzolava in scena una si­
gno­rina che letteralmente spariva durante lo show.
In fretta e furia Maelzel vendette di nuovo l’automa
– stavolta per una cifra modesta – e scappò a Cuba, dove
purtroppo morì di febbre gialla. La stessa sorte sfortunata
toccò alla ragazza scacchista, sulla nave che la riportava in
Francia.
E il Turco? Venne esposto al Peale Museum di
Filadelfia, dove riscosse comunque un grande successo.
Fino al 5 luglio 1854, quando finì in cenere nel grande
incendio che devastò la città.
86
Questa volta Tommy e Sally
si ritrovano a Vienna,
alle prese con una diabolica
macchina per giocare a scacchi...
Quale sarà il loro ruolo?
Quello di semplici pedoni, oppure...?
Scopri le gesta
di Sally e del Turco.
E che brutta fine
abbia fatto Tommy,
alle prese con spie,
complotti e soprattutto...
una nuova identità!