3 ottobre – La Voce dei Migranti
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3 ottobre – La Voce dei Migranti
Autori Vari La voce dei migranti 1° Concorso Nazionale Letterario 3 Ottobre ! SEI UGL con il patrocinio di ! Fondazione Migrantes, Consiglio Italiano dei Rifugiati, Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali, HEalt human caRe and social intercultural Assessments Università Cattolica del Sacro Cuore ! ! Si ringraziano le Associazioni che hanno patrocinato l’iniziativa, i mediatori interculturali: Maria Rosaria Elia, Silvana Leone, Veronica Merico, e Binario 15 onlus, che hanno sostenuto e accompagnato i cittadini immigrati in questo percorso attraverso l’assistenza alla lingua italiana, ! gli Autori Ahmad Kawari, Annamaria Arianna Sabo, Astride Kazadi, Azmat Ullah, Maria Cecilia Risso, Claudileia Lemes Dias, Dimitriu Andra Elena, Elena Efremova, Floria Amoin N’Dri, Gentiana Minga, Hussain Majid, Klarita Grazhdani Leonor Solange Alexandre Proenca, Meherina Javed Nicoleta Nicolau, Ounafaran Doumbia, Anna Smolinska, Guergana Radeva Muhammad Razi Muhib Ali, Suhaila Muhg Ibrahim, Waqas Navaz Michelle Dicu, Guerrino Kotlar, Gabriele Di Camillo. ! Si ringraziano i componenti della giuria Prof. Felice di Giandomenico, scrittore e psicologo dott.ssa Maria Luisa Ferrante, giornalista e direttore responsabile di Italiannetwork dr. Atef Metwally, letterato e responsabile della Comunità Egiziana in Italia, ! In questo ebook sono state inserite le opere inviate in regola con le norme del concorso e i cui autori hanno dato la liberatoria alla diffusione dell’iniziativa attraverso la scheda di adesione. ! Eccezionalmente e solo a scopo divulgativo sono state inserite le opere di chi, non immigrato, ha voluto comunque partecipare e offrirci il suo contributo. ! Si precisa che le opere sono inserite in ordine casuale e non in ordine di graduatoria di valutazione. ! L’immagine di copertina “Sciopero degli immigrati” è la reinterpretazione de “Il Quarto Stato” di Dario Fo. 2 ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! Sindacato Emigrati Immigrati Associazione dell’Unione Generale del Lavoro CON IL PATROCINIO DI: Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, Presidenza del Consiglio dei Ministri Centro di Ricerca Universitario HEalt human caRe and social intercultural Assessments - HE.RA dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ! Consiglio Italiano per i Rifugiati Fondazione Migrantes Organismo della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) 3 PREFAZIONE ! RACCONTI E POESIE DELL’IMPALPABILE VISSUTO! “LA VOCE DEI MIGRANTI”! di Luciano Lagamba! ! Componimenti originali in cui i vissuti degli autori riescono ad offrire emozioni e suscitare riflessioni, esperienze di vita dure descritte in modo semplice ma efficace.! Messaggi forti dal punto di vista emotivo che ben descrivono il dolore e il disagio di donne e uomini ma soprattutto, il desiderio di essere comunicati.! Prese di coscienza avvenute nel tempo, ambientante e narrate attraverso poesie, racconti brevi e sceneggiature in cui si animano luoghi, personaggi e situazioni con dialoghi e ricostruzioni di eventi subiti talora anche attraverso angherie e terrore.! Racconti sciolti con parole che a volte sembrano sassi, racconti chiusi a chiave nel cassetto che hanno attraversato il mare dell’immaginazione e i deserti della solitudine e dell’abbandono eppure,! ! “.. ognuno forse sprigionando un grido,! Se lo potesse, tornerebbe al lido..” ! ! come descrive il nostro poeta Edmondo De Amicis nella poesia “Gli Emigranti” .! Semplicemente racconti di amici, in cui si rispecchiano,! dopo gli autori, i lettori che vedono espresse immagine vivide ed evocative in cui si riconosce l’essere pienamente umano che vede rigenerate le motivazioni del senso dell’esistere. ! Racconti e poesie di integrazione vissuti e narrati come atti di coraggio e di grandezza che hanno coronato, a volte, un sogno di felicità ! ! “Dove appendo il cappello è casa mia! (Home is where I hang my hat)”! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! Philip Morre! ! LA VOCE DEI MIGRANTI ! ! ! ! ! 5 AHMAD KAWARI (Afghanistan) ! ! ! Oh!!! I saldi toccano anche la mia terra… Povero mio paese, vorrei capire come mai ti stanno svendendo! Ti svendono, alla Russia ed ai paesi Arabi, Ti consegnano ad Est e a Ovest, Ti svendono, giorno e notte, Ognuno, taglia una parte di te per se stesso, Questi disumani, ti svendono senza motivo, Oh!!! Mio paese sei diventato un cimitero di ladri, In fondo, ti svendono per il loro tornaconto, Presentandosi con una barba ed in nome della religione, Predicando i loro falsi insegnamenti continuano a “ svenderti “ Non sono solo ignoranti a farlo, Ma i potenti…i saggi….è questa la vera gravità… ! ! ! ! ! ! 6! ! ANNAMARIA ARIANNA SABO (Romania) ! ! Cercando un senso e trovando l’integrazione Esattamente 4 anni fa arrivavo in Italia, ad Altamura per raggiungere mamma che già da qualche anno si era trasferita ed aveva trovato un modesto lavoro. Non ero mai uscita dal mio Paese per cui ero molto confusa, emozionata, spaventata e piena di illusioni! Non sapevo, però, a che cosa andassi incontro, quale strada avrei potuto percorrere qui e chi eventualmente avrebbe potuto guidarmi e magari sostenermi in maniera disinteressata, giacché, comunque, ero ben convinta che mai avrei potuto cedere a ricatti o lusinghe ambigue! In Romania avevo vissuto 19 anni e mi ero resa conto che lì non avrei potuto trovare nessuna porta per vivere decentemente e per lavorare con passione, magari studiando con speranza! Ricordo i miei primi passi ad Altamura in una casa “troppo grande”, rispetto a quella in cui ero vissuta sino ad allora…, una casa del tutto diversa. Per questa circostanza avvertii uno shock e chiesi a mia madre … ”come mai in questo palazzetto abitano soltanto 4 persone?”. Compresi subito che la mia vita qui sarebbe stata proprio diversa! Nel mio Paese avevo terminato il liceo con voti soddisfacenti (devo dire che mi è sempre piaciuto studiare) ed ora rimaneva da decidere che cosa avrei dovuto o potuto fare qui. Mi resi conto che dovevo imparare l’italiano … e questo mi sarebbe stato più facile svolgendo qualche attività all’interno di un gruppo di italiani! Ero disposta a fare qualunque lavoro dignitosamente e cominciai a cogliere l’opportunità di svolgere il lavoro di cameriera. Adesso, ricordando i miei inizi lavorativi, mi viene anche da ridere, giacché allora, 4 anni fa, portavo “la forchetta” al posto dello “stuzzicadente” e magari “il pane” al posto dell’ ”olio” … e così altre confusioni si verificavano nella mia mente giorno e notte. Ma proprio così facendo riuscii ad apprendere l’italiano, fra timore di sbagliare, crisi di panico per il non comprendere e continuo ascolto, muto, quando uscivo con gli amici italiani, a tal punto che essi forse pensavano non avessi la lingua! E cominciai così ad apprezzare anche tempi migliori che non tardarono a giungere: iniziai a seguire corsi di lingua, corsi di formazione offerti gratuitamente dalla Regione Puglia, sicché potetti essere in grado di svolgere prima le funzioni di babysitter, poi quelle di badante presso un’anziana signora malata di Alzheimer … e di barista. L’esperienza di badante mi ha temprata molto e mi ha resa forte e tollerante perché vicino a persone molto malate si diventa umili, semplici e consci del grande dono di essere sani. Trascorsi così, il mio primo anno ad Altamura. Un giorno mentre ero a Bari, passeggiando con un amico italiano, vidi l’enorme palazzo dell’Università ”Aldo Moro” che mi piacque tanto. Studenti universitari entravano ed altri uscivano. La cosa mi colpì molto ed intimamente avvertii un grande senso di benessere: anch’io avevo sognato spesso di frequentare un giorno una Università, tuttavia pensai: ”non sarà possibile per me, quegli studenti hanno famiglie che li sostengono, hanno condizioni ideali per poter studiare, conoscenze basilari per poter accedere alle facoltà”. Insomma, pensai che quell’Ateneo, purtroppo non avrebbe potuto essere frequentato da me. Intanto l’amico che mi accompagnava, quasi scherzando e nello stesso tempo incoraggiandomi, mi disse: “entra nell’Ateneo, chiedi informazioni perché tu possa iscriverti a qualche facoltà”! La vita è imprevedibile, bisogna saper cogliere 7 l’occasione favorevole, sicché per me quella volta “il caso volle”! Tornai a casa più entusiasta che mai e dissi a mia madre per la prima volta e con ferma decisione: “Mamma, io voglio studiare qui, in Italia!” Ed eccomi, oggi, laureanda in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bari!! Devo aggiungere che ci sono state persone italiane che mi hanno aiutata e sostenuta…, persone che hanno fatto tutto con semplicità, buona volontà, disinteresse! Ed a loro esprimo un “Grazie sincero”! La mia è la storia felice di una immigrata in Italia, lo dico con convinzione!! Vivo contenta insieme alla mia famiglia ad Altamura, una città che prima respingevo perché mi sentivo “straniera”, ma che oggi apprezzo moltissimo perché sono “integrata”! La bella “città del pane” mi ha fatto conoscere i sapori della terra pugliese con la sua gente accogliente e ordinata in tutto, soprattutto nel raccogliere attorno alla mensa, alle ore tredici tutta la famiglia! Aspetti negativi ci sono ovunque, anche qui, ma voglio cercare di ignorarli…considerando che il mio Paese ne aveva ancora di più e purtroppo non mi aveva dato la possibilità di vivere serena! Ed è accaduto per me quanto sosteneva Aristo….”Pro Bono Malum”! Per concludere, la parola chiave di tutte queste mie esperienze qui, è, penso, INTEGRAZIONE. Aprirsi per conoscere l’altro, mettersi nei suoi panni per comprendere il perché del suo comportamento, ma far anche conoscere all’altro la cultura del proprio Paese di origine! In un dialogo interculturale, si arricchirebbero, così, tutti quelli che vi partecipano. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 8 ! În căutarea unui sens, am găsit integrarea… Am ajuns în Italia în urmă cu patru ani, într-un oraș numit Altamura, unde mama mea era deja stabilită de puțin timp și își găsise un loc de muncă modest. Nu mai călătorisem niciodată și mă simțeam confuză, emoționată , speriată dar în același timp, plină de iluzii! Nici nu știam ce m-ar fi putut aștepta aici, ce cale aș fi putut străbate și cine mi-ar fi putut călăuzi pașii sau cine ,eventual m-ar fi putut susține in mod dezinteresat , având în vedere că eram ferm convinsă să nu cedez șantajelor sau aluziilor ambigue. Trăisem în Romania până la vârsta de nouăsprezece ani și îmi dădusem seama că acolo nu mi s-ar fi ivit nici o șansă pentru a putea trăi în mod decent , a munci cu pasiune sau poate, a studia cu speranță. Îmi amintesc primii pași în Altamura, intr-o casă “mult prea mare” față de cea în care trăisem până atunci...o casă diferită! Atunci am rămas uimită și o întrebam încontinuu pe mama “cum de într-un singur bloc locuiesc doar patru persoane?“ Nu am găsit răspunsul în acel moment dar am înțeles, în fine, că viața mea aici ar fi fost cu totul alta , ar fi fost diferită! Liceul îl terminasem în România , cu note bunișoare (trebuie să precizez că dintodeauna mi-a plăcut școala) iar acum rămânea de decis ce aș fi putut face aici. Mi-am dat seama că pentru început ar fi trebuit să învăț bine italiana și asta aș fi putut-o face doar desfășurând vreo activitate intr-un grup de italieni. Eram dispusă să muncesc orice, cu demnitate ...așadar am început prin a munci intr-un restaurant, ca ospătăriță. Amintindu-mi acum primenele mele experiențe în domeniul muncii , îmi vine să râd, mai ales că , în urmă cu patru ani , clienților le duceam “o furculiță” în loc de o “scobitoare” sau “pâinea” în locul “solniței”...astfel, mii de confuzii se petreceau în mintea mea incontinuu. Doar așa am reușit să învăț italiana... printre frica de a greși, crize de panică în a nu înțelege și o continuă ascultare ,mută când ieșeam cu prietenii italieni, încât ei poate credeau că nu aș fi avut limbă. Astfel am putut aprecia vremuri mai bune care nu au întârziat să apară: am frecventat cursuri de limba italiana, cursuri de formare profesională , toate sponsorizate de către institutul “Regione Puglia” , și astfel am reușit să mă dedic și altor meserii cum ar fi: babysitter, îngrijitoare a unei femei în vârstă și bolnavă de Alzhimer și barman. Am devenit foarte puternică și mult mai tolerantă în urma meseriei de îngrijitoare deoarece în fața persoanelor bolnave devenim umili, simpli și conștienți de marele dar de a fi sănătoși. În așa fel am petrecut primul meu an în Altamura. Într-o zi, în timp ce mă plimbam prin Bari împreună cu un prieten, am zărit grandioasa universitate “Aldo Moro ” și mi-a plăcut enorm. Studenții intrau și ieșeau iar acest lucru m-a bulversat și deodată am simțit un sentiment plăcut, de bunăstare : visasem și eu destul de des să frecventez intr-o zi , cursurile unei universități, dar atunci mă gandisem: “nu va fi cu putință să mă înscriu aici la facultate, studenții aceștia au familii care îi susțin, au condiții necesare să învețe, au cunoștințe de bază pentru a se putea înscrie la universitate”. În timp ce eu mă frământam în tăcere ,prietenul meu imi spuse, mai în glumă, mai în serios: ”Hai să intrăm în clădirea Universității, să cerem informații cu privire la posibila ta înscriere aici !” Viața este imprevizibilă, trebuie doar să profităm de momentele oportune! Mie ,atunci, mi-a surâs norocul! M-am întors acasă plină de entuziasm, ca niciodată, și pentru prima oară i-am spus mamei cu fermă decize : ”Mamă, eu vreau să studiez aici, în Italia!” 9 Și...iată-mă astăzi...absolventă a Facultății de Limbi și Literaturi Străine din Bari!! Mai e de zis că au existat italieni care m-au susținut și m-au ajutat făcând totul cu simplitate, voință, dezinteres...persoane cărora le datorez un sincer „Mulțumesc”! Aceasta este povestea fericită a unei imigrate în Italia, spun asta cu hotărâre! Sunt mulțumită ... trăiesc liniștită bucurându-mă de familia mea , aici în Altamura, un oraș pe care obișnuiam să il detest ...fiindcă eram incă „străină” dar acum îl apreciez enorm fiindcă sunt „integrată”! Minunatul “oraș al pâinii” mi-a oferit posibilitatea de a cunoște bunătățile locale și oamenii calzi, ospitanți și ordonați în tot... mai ales în a strânge în jurul mesei , la ora treisprezece fix, toată familia! Oriunde în lume există aspecte negative, chiar și aici dar încerc să le evit....mai ales că în țara mea existau și mai multe ,fiind tocmai ăsta motivul pentru care nu am putut trăi liniștită acolo! Așadar pentru mine s-a adevederit ceea ce susținea faimosul scriitor italian Ludovico Ariosto ... ….”Pro Bono Malum”! În concluzie, cuvântul cheie al tuturor experiențelor mele aici , consider că e INTEGRAREA! E important să ne deschidem sufletul pentru a cunoaște , să ne putem pune în locul celuilalt pentru a-i înțelege acțiunile dar e important și să arătăm celorlalți cultura propriei națiuni! Doar așa s-ar îmbogăți toți cei care participă la un dialog intercultural! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 10 ASTRIDE KAZADI (Repubblica Democratica del Congo) ! La mia nuova vita in Italia ! Sono A.K. e vengo dal Congo. Sono nata il 9/06/1949 a Lubumbashi. Parlo lingala, swahili, ishiluba, francese e un poco di italiano. Sono venuta in Italia con l’aereo perché c’erano tanti problemi nel paese mio: guerra e insicurezza politica. Quando sono arrivata ho incontrato le persone buone che mi hanno aiutato per avere dove dormire. Ad Arcevia c’erano solo ragazzi. Dopo mi sono trasferita a Galatina dove ci sono anche le ragazze. Prima di andare via da Arcevia ero troppo triste perché io ero abituata ormai a stare con le operatrici di là. Piangevo sempre prima della partenza. Loro però mi hanno detto di essere tranquilla perché a Galatina c’era una signora grande e brava come loro. Prima della commissione avevo troppo male di testa. Quando poi è arrivato il documento io ho prima di tutto ringraziato Dio Padre. Ero veramente felice! Adesso sono in un progetto a Galatina dove ci sono gli operatori che pensano a me. Sono tutti buoni e bravi. Quando sono arrivata stavo troppo male ma il progetto mi ha aiutato tanto per essere in salute. Infatti gli operatori di qui di carattere sono buoni e aiutano noi per tutto quello che ci serve. Ora io vado a scuola e studio per la licenza media. La mia scuola si chiama “Giovanni Pascoli”. I maestri aiutano noi per imparare l’italiano, leggere e scrivere. Io oggi scrivo italiano e parlo grazie a loro. Hanno fatto molto lavoro per insegnarmi tutto. Sto imparando anche cucito e uncinetto. Per problemi di razzismo contro di me, qui come in tutti i paesi europei ci sono persone brave e non brave. Secondo me in Italia le persone generose sono tante. Quando ero giovane ho lavorato tanto. Per il mio lavoro autonomo ero sempre vicino alla gente ( ho fatto la sarta). Mi manca un poco il mio paese perché sono lontano dai parenti e dagli amici miei. Ho molti progetti per il futuro: sto studiando per ottenere il diploma e anche un certificato per il computer. Per tutte queste cose che l’Italia ha fatto per me, io sono contenta di stare in Italia. Adesso a Galatina sto bene, sono felice e sono la mamma di tutti. Le ragazze che abitano con me quando hanno problemi mi parlano e io do i consigli. Loro mi ascoltano e dopo torna la calma. Per finire: per le persone che hanno lasciato il loro paese per venire in Italia e cominciare una nuova vita ma non sono arrivate e sono morte durante il viaggio, spero che Dio Padre prende le loro anime e conforti i genitori e le famiglie. Amen. ! ! ! ! ! ! 11 ! Bomoi ya sika na Italie ! Ngai A.K. nazali congolaise nabotami 9/06/1949 nalobakai lingala, swahili, tshuiliba, moke français mpe italien. Nayaki na Italie na avion mpo na mboka na ngai ezalaki makambo ya bitumba politiki insecurité, tango nakamaki nakutanaki na bato ya malamu ayo basalisaki ngai mpo nazua esika yak olala , esika nakendeki na centre ya Arcevia ezalaki kaka mibali. Bango Roma etendaki ngai na Galatina. Esikaibasi bazali bongo mokolo ya kokende nazalaki na. ba operatrice suma bango balendisaki ngai mpo mokolo zala na kimia kuna okokende okokunta mama mokolo lakola ngai akoyamba yo malumu. Leboso ya kokende na comission nazalaki na mawa mpe moto pasi. Kasi tango mukanda ekomaki leboso nakumisaki nzambe mpe nasepelaki mingi. Sikoyo nazali na Galatina na progette awa tozali na ba operatrice ayo bazali kasalisa ngai bango banso bazali motema malamu ya kasalisa tango nakomaki nazalaki mpenza kobela kasi progette esalisi ngai mingi mpo nakoma mua malamu sikoyo nazali kokende kelasi mpo nakozua licenza media ( Giovanni Pascoli). Ezaleli ya ba operatrice bango banso Malamu mpe bazali kasalisa biso na nionso oyo tasengeli na yango. Balakisi bazali kasalisa biso mingi mpo na koloba italiano, kotanga mpe kokoma lelo ngai nazali koloba, kokoma na lisungi na bango basali masala mingi mpo nakotangisa ngai nianso. Tazali mpe kasala mosala ya kotanga bilamba mpe katonga na crochet.. Mpo na makambo ya razzisme epayi na ngai na Italie lokala ba mboka ya pato nionso ezali na batu malamu mpe mabe. Kasi mpo na ngai bato malamu awa bazali mingi bayeby koyamba generose. Tango nazalaki elenge nasalaki mosala mingi ya ngai moko pembemi na bato ( ex kotonga, koteka, koteya). Nakanisaka mua moke mpo nazali mosika na mboka nangai. Mpo na mikolo ekaya nazali kotanga mpo nazua diplome mpe certificat mpo na computer. Mpo na bolamu nionso Italie azali kasala mpo na ngai nazali na esengo ya kafanda awa. Sikoyo nazali na Galatina nazali malamu na esengo mpe nazali mama ya bato banso. Bana basi tazali na bango soki bazali koyokana te bazali koyebisa ngai mpe soki na pesi bango tali bazali koyokela nagi. Mpo na ba ndeko oyo batikaki ba mboka na bango mpo nakoya na Italie kobanda vie mosusu kasi bakokaki kokoma te bakufi na nzela nakosengana Nzambe abatela milimo na bango na esika ya kimia mpe alendisa baboti mpe ba famille na bango. Amen. ! ! ! ! ! ! 12 AZMAT ULLAH (Pakistan) ! Il mio viaggio in Italia Mi chiamo U.A. . Io sono pakistano e sono nato il 22/07/1968 nella regione Punjab, nel villaggio Kuthiala in provincia di Sialkot. Mia madre si chiama Razia, mio padre si chiama Aslam. Io ho cinque fratelli e non ho sorelle. Io sono il più grande di tutti. Il mio gruppo etnico è Jutt. Noi abbiamo dodici campagne. I miei genitori abitano nel villaggio Kuthiala. I miei due fratelli abitano in Libano, un fratello abita a Dubai. Il più piccolo abita in Pakistan e studia per completare l’università. Tutti i miei fratelli sono sposati e io non sono sposato. Nel 1990 ci sono state le elezioni per scegliere il sindaco. Mio zio era un candidato. In questo periodo ci sono state molte piccole lotte e poi una persona è morta per motivi politici. Io, mio fratello e mio cugino non avevamo fatto niente ma la polizia ha preso noi. Siamo rimasti in prigione quattro anni. Siamo usciti il 24/01/1994 e siamo andati a Kuthiala. Due mesi dopo un’altra persona è morta e noi siamo andati ancora in prigione. Anche papà è andato in carcere. La polizia ci dava le botte. Papà, mio cugino e mio fratello sono stati liberati dopo quattro mesi. Io sono stato condannato a morte. Stavo in una cella piccola. Non uscivo mai. Poi High Court ha cambiato la mia pena. Sono rimasto in carcere diciotto anni, sei mesi e cinque giorni. Il 22/11/2008 ero libero. Adesso non sapevo cosa fare. Ho abitato a Sialkot e poi a Lahore. In Pakistan per me c’erano due possibilità: andare in carcere o morire. Un mio amico mi ha aiutato ad andare qui in Italia. Sono partito da Islamabad, poi sono andato a Dubai e in Siria. Poi sono andato in Turchia e in Grecia a piedi. Poi sono andato in Macedonia, in Serbia, in Austria un po’ a piedi, un po’ in macchina e un po’ in camion. Quando sono arrivato in Italia non c’era nessuno. Qui non c’era mio fratello, non c’era il mio amico…ero solo e avevo molti problemi. Dove dormire? Dove mangiare? Ho dormito nella stazione di una città. Faceva freddo. Una persona mi ha detto di andare a Lecce. A Lecce la questura era chiusa e ho dormito fuori. Dopo, due gruppi di persone con i vestiti rossi sono venuti a portare il tè, l’acqua e la pizza. Il giorno dopo la polizia mi ha chiamato insieme ad altre otto persone. Ho dato le impronte digitali e mi hanno portato a Novoli. Dopo un mese sono arrivato a Galatina. Qui vado a scuola e ho gli amici. Gli italiani sono persone molto buone. C’è molto amore per me. Mi piace stare qui. Le mie maestre sono molto brave e anche gli operatori del progetto. Quando ho avuto l’infarto mi hanno tutti aiutato. In ospedale tutti i medici mi hanno curato. Adesso sto bene e sono felice. Io sto bene e non ho problemi. Non ho visto tutta l’Italia ancora. Quando avrò i documenti farò un viaggio in tutta Italia. Non voglio ritornare in Pakistan.Voglio abitare qui. ! ! ! ! ! 13 میرا اٹلی کا سفر ﻣ'ﺮ5ﻧﺎ] Oﻋﻈﻤﺖ ﷲ [Eﮯ ﻣ'ﮟ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎﻧﯽ Eﻮ C Dﻣ'ﮟ ﺻﻮﺑ) ﭘﻨﺠﺎ= ﮐﮯ ﺷﮩﺮ ﺳ'ﺎﻟﮑﻮ 7ﮐﮯ 45ﮏ ﮔﺎ 01ﮐﻮ',-ﺎﻟ) ﻣ'ﮟ 22C07C1968ﮐﻮ ﭘ'ﺪE 5ﻮ 5ﺗ,ﺎ Cﻣ'ﺮ Wﻣﺎ Dﮐﺎ ﻧﺎU Oﺿ') Eﮯ U15ﻣ'ﺮ Tﺑﺎ Sﮐﺎ ﻧﺎ5 Oﺳﻠﻢ Eﮯ ۔ ﻣ'ﺮ Tﭘﺎﻧﭻ ﺑ,ﺎﺋﯽ 'Eﮟ U15ﻣ'ﺮ Wﮐﻮﺋﯽ ﺑﮩﻦ ﻧﮩ'ﮟ Cﻣ'ﺮ 5ﺟﭧ ﺑﺮ WU_5ﺳﮯ ﺗﻌﻠﻖ Eﮯ ۔ Eﻤﺎ45 12 WUﮑﮍ [ﻣ'ﻦ Eﮯ ۔ ﻣ'ﺮ51 Tﻟﺪ4ﻦ ﮔﺎ 0hﮐﻮ',-ﺎﻟ) ﻣ'ﮟ Uﮨﺘﮯ 'Eﮟ Cﻣ'ﺮ1_ Tﺑ,ﺎﺋﯽ ﻟﺒﻨﺎ Dﻣ'ﮟ EUﺘﮯ 'Eﮟ 45ﮏ _1ﺑﺌﯽ ﻣ'ﮟ EUﺘﺎEﮯ ۔ ﺟﻮ ﺳﺐ ﺳﮯ ﭼ,ﻮ-ﺎ ﮨﮯ i1ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻣ'ﮟ EUﺘﺎEﮯ ۔ k5ﻧﮯ 5ﭘﻨﯽ ﺗﻌﻠ'ﻢ ﻣﮑﻤﻞ ﮐﺮﻟﯽ Eﮯ ۔ ﻣ'ﺮ Tﺳﺐ ﺑ,ﺎﺋﯽ ﺷﺪ'E iﮟ U15 ﻣ'ﺮ Wﺷﺎ_ Wﻧﮩ'ﮟ Eﻮﺋﯽ ۔ 1990ﻣ'ﻦ ﺑﻠﺪ4ﺎﺗﯽ 5ﻟ'ﮑﺸﻦ Eﻮ oﺗ,ﮯ k5Cﻣ'ﮟ ﻣ'ﺮ 5ﭼﭽﺎ 5ﻣ'ﺪ U51ﺗ,ﺎE D5U1_ k5Cﻤﺎ WUﭼ,ﻮ-ﯽ ﺳﯽ ﻟmﺮE5ﯽ EﻮEﯽ ﺗ,ﯽU15 C ﭘ,ﺮ 45ﮏ _tﻣﯽ ﻗﺘﻞ Eﻮ 5ﺳ'ﺎﺳﯽ 1ﺟﻮﮨﺎ rﮐﯽ ﺑﻨﺎ ﭘﺮ ﭘﻮﻟ'ﺲ ﻧﮯ ﻣﺠ,ﮯ Cﻣ'ﺮ Tﺑ,ﺎEﯽ U15ﻣ'ﺮ Tﮐﺪ Dﮐﻮ ﭘﮑﮍ ﻟ'ﺎ ﻟ'ﮑﻦ Eﻢ ﺑﮯ ﮔﻨﺎ iﺗ,ﮯ Eﻢ ﻧﮯ ﮐﻮﺋﯽ ﺟﺮ Oﻧﮩ'ﮟ ﮐ'ﺎ ﺗ,ﺎ۔ Eﻢ ﭼﺎ Uﺳﺎ uﺟ'ﻞ ﻣ'ﮟ EUﮯ ECﻢ 24C01C1994ﮐﻮ EUﺎ Eﻮ U15 oﮔﺎ 01ﮐﻮ',-ﺎﻟ) ﭼﻠﮯ ﮔﮯ ۔ _ 1ﻣﺎ iﺑﻌﺪ 45ﮏ _t U15ﻣﯽ ﻗﺘﻞ EﻮE U15 5ﻢ _1ﺑﺎ iUﺟ'ﻞ ﭼﻠﮯ ﮔﮯk5 C _ﻓﻌ) ﻣ'ﺮ Tﺑﺎ Sﭘﺮ ﺑ,ﯽ ﭘﺮﭼ) Eﻮ 5ﺗ,ﺎ ۔ ﭼﺎ Uﻣﺎ iﺑﻌﺪ ﻣ'ﺮ51 5ﻟﺪ Cﻣ'ﺮ 5ﺑ,ﺎﺋﯽ U15ﻣ'ﺮ Tﮐﺰ Dﮐﯽ ﺿﻤﺎﻧﺖ Eﻮ ﮔﺌﯽ ۔ ﻣﺠ,ﮯ ﺳﺰ5ﺋﮯ ﻣﻮ rﮐﺎ ﺣﮑﻢ Eﻮ 5۔ﻣ'ﮟ 45ﮏ ﭼ,ﻮ-ﯽ ﺳﯽ ﮐﻮ,-ﯽ ﻣ'ﮟ EUﺎ ﺗ,ﺎ Cﺑﺎﮨﺮ ﻧﮩ'ﮟ ﻧﮑﻞ ﺳﮑﺘﺎ ﺗ,ﺎ Cﭘ,ﺮ ﮨﺎﺋﯽ ﮐﻮ 7Uﻧﮯ ﻣ'ﺮ Wﺳﺰ 5ﺗﺒﺪ4ﻞ ﮐﺮ _C Wﻣ'ﮟ ﺟ'ﻞ ﻣ'ﮟ 18ﺳﺎ 6 uﻣﺎU D_ 5 iﮨﺎ ﮨﻮ C0ﻣ'ﺮEU Wﺎﺋﯽ ﮐﯽ ﺗﺎ4Uﺦ 22C11C2008 EﮯC =5ﻣ'ﮟ ﮐ'ﺎ ﮐﺮﺗﺎ ؟ ﻣ'ﮟ ﺳ'ﺎﻟﮑﻮ U15 7ﭘ,ﺮ ﻻEﻮ Uﻣ'ﮟ Uﮨﺘﺎ ﺗ,ﺎ –ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻣ'ﮟ ﻣ'ﺮ Tﻟﺌﮯ _ 1ﮨﯽ ,-ﮑﺎﻧﮯ E4rﮯ Cﺟ'ﻞ 4ﺎ ﻗﺒﺮ C ﻣ'ﺮ-5 Tﻠﯽ tﻧﮯ ﻣ'ﮟ ﻣ'ﺮ45 Tﮏ _1ﺳﺖ ﻧﮯ ﻣ'ﺮ Wﻣﺪ_ ﮐﯽ Eﮯ –ﻣ'ﮟ 5ﺳﻼt Oﺑﺎ_ ﺳﮯ _1ﺑﺊ U15ﺷﺎ4t Oﺎ ﺗ,ﺎ Cﭘ,ﺮ ﺗﺮﮐﯽ 4 U15ﻮﻧﺎD ﭘ'ﺪ4t uﺎ –ﭘ,ﺮ ﻣﮑﺪ1ﻧ'ﺎ –ﺳﺮﺑ'ﺎ t U15ﺳmﺮ4ﺎ 4tﺎ ﮐﭽ ,ﭘ'ﺪC uﮐﭽ ,ﮐﺎ Uﮐﭽ- ,ﺮ~ ﻣ'ﮟ ﺑ' ,mﮐﺮ- ﺟﺐ ﻣ'ﮟ -5ﻠﯽ ﭘﮩﻨﭽﺎ –ﺗﻮ ﺑﮩﺖ ﭘﺮ4ﺸﺎﻧﯽ ,-5ﺎﻧﯽ ﭘﮍ Wﮐ'ﻮﻧﮑ) 4ﮩﺎ 0ﻣ'ﺮ 5ﮐﻮﺋﯽ ﺟﺎﻧﻨﮯ 51ﻻ ﻧﮩ'ﮟ ﺗ,ﺎ ۔ﻧ) ﻣ'ﺮ 5ﺑ,ﺎﺋﯽ ﺗ,ﺎ U15ﻧ) ﮐﻮﺋﯽ _1ﺳﺖ ﺗ,ﺎ –ﻣ'ﮟ ﮐﮩﺎ 0ﺳﻮﺗﺎ ؟ﮐﮩﺎ 0ﺳﮯ ﮐ,ﺎﻧﺎ ﮐ,ﺎﺗﺎ ؟ ﻣ'ﮟ 45ﮏ ﺷﮩﺮ ﮐﮯ 4Uﻠﻮ5 Tﺳ'mﺸﻦ ﭘﺮ ﺳﻮﺗﺎ ﺗ,ﺎ-ﺑﮩﺖ ﺳﺮ_ Wﻟﮕﺘﯽ ﺗ,ﯽ –45ﮏ ﺷﺨﺺ ﻧﮯ ﻣﺠ,ﮯ ﮐﮩﺎ ﺗﻢ ﻟ'ﭽ) ﭼﻠﮯ ﺟﺎ1 1ﮨﺎ0 ﺗﻤﮩﮟ 5ﻧmﺮ Wﻣﻞ ﺟﺎﺋﮯ ﮔﯽ –ﺟﺐ ﻟ'ﭽ) 4tﺎ ﺗﻮ ﭘﻮﻟ'ﺲ 51ﻟﻮ 0ﻧﮯ ﮐﮩﺎ _ =5ﻓﺘﺮ -ﺎﺋﻢ ﺧﺘﻢ Eﻮ ﮔ'ﺎ Eﮯ – D_ k5ﺑﺎﮨﺮ ﺳmﺮ~ ﭘﺮ ﺳﻮﻧﺎ ﭘﮍ– 5ﭘ,ﺮ _ 1ﮔﺮ S1ﺳﺮ Ñﮐﭙmﺮ51 01ﻟﮯ tﺋﮯ ﺟﻨﮩﻮ 0ﻧﮯ ﮨﻤ'ﮟ ﮐ,ﺎﻧﮯ ﮐﮯ ﻟﺌﮯ ﭘﺎﻧﯽ –ﭘ'ﺰ 5ﭼﺎﺋﮯ _4ﺎ – _1ﺳﺮ D_ Tﭘﻮﻟ'ﺲ ﻧﮯ ﮨﻤ'ﮟ _t 8ﻣ'ﻮ 0ﮐﻮ ﺑﻼ4ﺎ ﮨﻤﺎ5 TUﻧﮕﺎﻟ'ﻮ 0ﮐﮯ ﻧﺸﺎ Dﻟﺌﮯ U15ﮨﻤ'ﮟ ﻧﻮ11ﻟﯽ ﺑ,ﮩﺞ _4ﺎ Cﭘ,ﺮ 45ﮏ ﻣﺎ iﮐﮯ ﺑﻌﺪ ﻣ'ﮟ ﮔﻼﺗ'ﻨﺎ tﮔ'ﺎ Eﻮ0 4ﮩﺎ 0ﻣ'ﮟ _1ﺳﺘﻮ 0ﮐﮯ ﺳﺎﺗ ,ﺳﮑﻮ uﺟﺎﺗﺎ Eﻮ-5 C 0ﻠﯽ ﮐﮯ ﻟﻮ Üﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ 'Eﮟ U15Cﻣﺠ ,ﺳﮯ ﺑﮩﺖ ﭘ'ﺎ Uﮐﺮﺗﮯ 'Eﮟ Cﻣ'ﮟ 4ﮩﺎ0 ﮐﻮ ﺑﮩﺖ ﭘﺴﻨﺪ ﮐﺮﺗﺎ EﻮC 0ﻣ'ﺮ5 Tﺳﺘﺎ_ ﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ 'Eﮟ Cﻣ'ﺮ Tﭘﺮ5ﺟ'ﮑﭧ ﮐﺎ ﻋﻤﻠ) ﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﺎ Eﮯ –ﺟﺐ ﻣ'ﮟ ﺑ'ﻤﺎU Eﻮ 5ﺗﻮ ﺳﺐ ﻧﮯ ﻣ'ﺮ Wﺑﮩﺖ ﻣﺪ_ ﮐﯽ –ﮨﺴﭙﺘﺎ uﻣ'ﮟ 5áﮐmﺮ 01ﻧﮯ ﻣ'ﺮ Wﺑﮩﺖ ﮐ'ﺌﺮ ﮐﯽ ۔ =5ﻣ'ﮟ ',-ﮏ Eﻮ U15 0ﺧﻮE àﻮC0ﻣ'ﮟ 5ﭼ,ﺎ Eﻮ U15 0ﻧ) ﮐﻮﺋﯽ ﭘﺮ4ﺸﺎﻧﯽ Eﮯ Cﻣ'ﻦ ﻧﮯ ﺳﺎ-5 5Uﻠﯽ ﻧﮩ'ﮟ _4ﮑ,ﺎ –ﺟﺐ ﭘ'ﭙﺮ ﻣﻠ'ﮟ ﮔﮯ ﺗﻮ ﺳﺎ-5 5Uﻠﯽ _4ﮑ,ﻮ 0ﮔﺎ-ﻣ'ﮟ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻧﮩ'ﮟ ﺟﺎﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﺎ Cﻣ'ﮟ 4ﮩﺎ 0ﮨﯽ Uﮨﻨﺎ ﭼﺎﮨﺘﺎ ﮨﻮ-0 ! 14 MARIA CECILIA RISSO (Perù) ! ! ! Il mio Paese qui a ! Bergamo Mi sveglio e guardo il sole mi sveglio e guardo il cielo Lo stesso sole Lo stesso cielo ! Nel tramonto si nasconde il sole, esce la luna tonda e senza sogno a giocare con le stelle mentre Io dormo ! Mi pais aqui en Bergamo Me despierto y veo el sol me despierto y veo el cielo el mismo sol… el mismo cielo… En el crepusculo se esconde el sol, sale la luna redonda y sin sueño a jugar con las estrellas mientras yo duermo. ! ! ! ! Vengo da lontano vengo dall'America del Sud, da un bel paese chiamato Perù. Vengo de lejos vengo de America del Sur, de un lindo pais llamado Perù. Ho attraversato l’oceano, e diverse montagne, è vero che siamo così lontani. He atravezado el oceano y varias montañas, es verdad ...estamos muy lejos. ! ! Ho portato a Bergamo un piccolo regalo, un bel sorriso ed un cuore caldo. ! Provate a guardare su, provate a guardare il cielo; Troverai quello che ho trovato Io, lo stesso sole, lo stesso cielo. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! He traido a Bergamo un pequeño regalo, una linda sonrisa y un corazòn caliente. ! Intenten mirar arriba, Intenten mirar el cielo, encontraràn aquello que he encontrado yo el mismo sol, el mismo cielo. 15 CLAUDILEIA LEMES DIAS (Brasile) ! Come sgretolare le nuvole a pallottole «Claudia, quasi non ti riconoscevo così truccata! Dove pensi di andare?» esclamò Giulio, non riuscendo, forse non volendo, celare un sorriso maldicente. «Non sarà mica vietato truccarsi!» risposi scontrosa, pur di chiudere immediatamente la conversazione. Subito dopo, tirai fuori dal bagagliaio della Punto verde la mia razione giornaliera di volantini fingendo di non sentire le sue opinioni sul mondo dei giovani, gli strappai dalle mani la mappa del quartiere e lo salutai velocemente, scarrozzando il malconcio carrello lungo le interminabili vie. Appena girato l’angolo della strada mi fermai, sistemai sulle spalle lo zainetto dentro il quale avevo messo il cambio di vestiti, ordinatamente piegato, le scarpe con il tacco basso e, sopratutto, come una cometa sull’albero di Natale, la mia piccola necessarie. Assestai un calcio alle ruote del carrello per sistemarne la convergenza e lo trascinai, come si fa con un fido cane, all’interno del primo casermone popolare. Non era la prima volta che ci entravo, anche se la vista mi turbava sempre. Ogni palazzo aveva un atrio cesellato da un numero incommensurabile di cassette della posta. Facendo scorrere le carte colorate tra l’indice ed il pollice inumiditi leggermente con la saliva, mi sentivo come zio Paperone mentre contava i soldi prima di tuffarsi dentro la sua montagna magica. Infilavo i volantini con grande velocità senza trascurare mai neanche la più nascosta ed insignificante fessura, risultato di una lunga esperienza e metodologia scientifica. Nelle buche destinate alla sola pubblicità, dopo un velocissimo conteggio dei nomi sui citofoni, piazzavo sempre il corrispondente numero di volantini con un errore mai superiore all’uno per cento. Durante le prime settimane di lavoro, avevo avuto la netta sensazione di essere seguita a distanza da Giulio, di essere osservata in ogni mio movimento, fino al punto d’averlo visto entrare nei palazzi a verificare se il lavoro era stato fatto a regola d’arte. Era gennaio e faceva un gran freddo. Senza i guanti le mie dita si congelavano e diventava quasi impossibile contare i volantini. Le estremità dei polpastrelli, rese insensibili dal vento e dalla pioggia, ubbidivano a stento e controvoglia alla mia ossessione nel contare il numero esatto da mettere in ogni cassetta postale. D’altra parte, lavorare con i guanti non era per niente pratico: i volantini, lisci com’erano, scivolavano tra le mani come un serpente impiastricciato di petrolio. Durante i giorni di pioggia, sistemavamo i volantini dentro buste nere per la spazzatura, per poi infilarle nei carrelli e trascinarli per tutte le vie marcate sulla fotocopia dello stradario che delimitava la zona da battere. Le attività non venivano sospese neanche quando il vento e l’acqua ci fustigavano come se avessimo commesso qualche delitto minore. Era frustrante vedere la carta infradiciarsi sotto la pioggia nelle cassette esterne per la pubblicità. Per fortuna il tempo ancora reggeva! I volantini del lidl erano gialli, lasciavano le mani e i vestiti impregnati di un inchiostro anemico; quelli della GS erano enormi, sembravano un giornale con l’inserto immobiliare incluso; quelli di Mondo Convenienza erano piccoli ma pesanti, realizzati per chi aveva il privilegio di possedere una casa, una moglie da baciare sul divano, figli da inserire in una cameretta, rosa, blu o fantasia. Erano volantini senza continuità, senza ideologia o impegno politico, buoni solo a convincere gli avventori della necessità di possedere o consumare tutto quel che le loro tasche si potevano permettere. 16 Pensavo all’accordo economico fatto con il datore di lavoro e avevo la sensazione di essere stata gabbata, ma avevo bisogno di guadagnare. I patti erano chiari: alla fine del secondo mese di fatica avrei ricevuto il primo compenso, naturalmente al nero. Il restante credito solo a fine lavoro, oppure quando, stremata dalla fatica di camminare dieci chilometri al giorno senza il tempo per andare in bagno, avrei finalmente mollato il posto a favore di un’ altro “extracomunitario/a” in condizioni più disperate delle mie. “Come ti chiami?” “Può chiamarmi Claudia” avevo risposto a Giulio, con un sorriso. Ogni volta che pronunciavo l’ammucchiata di lettere che componevano il mio nome brasiliano ero costretta a fare lo spelling. Chissà se un giorno m’avrebbero regalato un onomastico per facilitare le cose! “Se sopporti la fatica forse durerai una settimana, ragazzina!” aveva sentenziato Giulio, dispiaciuto per avere una donna tra i suoi “volantinari” e giù a borbottare che le donne si stufavano di quel lavoro, perché aspiravano a fare le cameriere, le baby-sitter o le commesse. “Avere una donna nel gruppo è una fregatura per tutti, lo sa bene il principale! Siccome ce l’ha con me, mi appioppa sempre i più sfigati. Mai un romeno, mai un africano grosso come un armadio, mai ‘na gioia!” Si dovette ricredere, il capo. Dopo sei mesi ero ancora lì. Magari avessi avuto un’altra scelta! Come cameriera ero stata un disastro e, senza esperienza e sprovvista di una sdolcinata lettera di raccomandazione nessuno mi aveva voluto come babysitter. Condividevo la stanza con una connazionale che faceva la domestica dalle 7:30 alle 18.00 e che aveva promesso, più volte, di darmi una mano ma, a dire il vero, le settimane si susseguivano senza alcuna azione da parte sua. Scodinzolavo per mezza Roma con l’ultima copia di Porta Portese inseguendo i più svariati annunci, dalla domestica alla lavapiatti, dalla telefonista di call center alla commessa di negozio, lavoro che guardavo come la mia massima aspirazione. Non osavo pensare ai negozi di via Condotti o via del Corso, dove le bellissime ed elegantissime ragazze mortificavano le mie velleità, ma quelli di Via Appia o di Via Tuscolana dove la gente comune non si sentiva a disagio. I miei occhi brillavano ogni volta che vedevo un annuncio per commessa. Per assicurarmi di avere “una bella presenza”, entravo nel negozio e mi paragonavo con la lavoratrice di turno in termini di bellezza, portamento e simpatia. Subito dopo osservavo l’interno del locale, immaginando il mio ingresso trionfale ogni mattina, alzando la saracinesca e regalando un sorriso riconoscente al primo cliente. Chissà perché il coraggio di lasciare il mio curriculum scompariva ogni volta che osservavo la loro andatura, in equilibrio su scarpe con dei tacchi alti e con il loro viso accuratamente truccato. “Raddrizza le spalle, figlia mia, cammini come una papera…” la voce di mia madre mi raggiungeva nei momenti più inopportuni. “Perché corri sempre, non hai la polizia che t’ insegue!” Quella mattina, trotterellando da un caseggiato all’altro, riconoscevo di essere un po’ più lenta del solito. Ogni volta che vedevo un frammento che potesse riflettere il mio viso, mi accostavo per monitorare lo stato del trucco. Poi, guardavo preoccupata il cielo plumbeo maledicendomi per aver dimenticato l’ombrello sulla sedia della cucina. Subito dopo, mi rimettevo in moto con più vigore di prima per recuperare il tempo perso e fare velocemente quello che facevo tutte le mattine, religiosamente, da sei mesi: trascinare il carrello su e giù per le vie, osservare se i palazzi avevano le cassette esterne per la pubblicità, suonare al citofono cercando di ignorare i soliti complimenti dei condomini seccati dal mio inconfondibile accento straniero che induceva a quattro diversi tipi di reazioni: cornetta del citofono sbattuta in faccia; sequela di improperi seguiti dalla cornetta sbattuta in faccia; apertura erronea del portone (il condomino aspettava qualcuno e ringraziavo Dio dell’equivoco); apertura del portone per pura compassione, mai per un particolare interesse per le offerte sul prosciutto crudo. 17 Qualche volta capitava che il portone fosse lasciato aperto dalla portiera, intenta a pulire l’androne e le scale. Altrettanto spesso accadeva di essere sorpresa ad attraversare felinamente il pavimento ancora bagnato e di essere cacciata, come si fa con un animale, sotto la minaccia dello spazzolone. In alcuni palazzi, erano gli stessi portieri a ritirare i volantini, ricevendo per questo servigio una percentuale sottratta alla mia futura paga. Come su un diario, dovevo annotare ogni situazione e segnalarla al capogruppo. Per esempio, se nel numero 100 di via Roma c’era un portiere che ritirava personalmente i volantini, si trascriveva sul retro della mappa: “100 p”; se non mi avevano fatto entrare al centodue: “102 no” e, se tutto filava liscio, bastava trascrivere il numero del palazzo e andare avanti. Un buon capogruppo conosceva tutto della zona e sapeva quanto tempo ci voleva per finirla, quanti volantini erano necessari per tappezzarla, dove c’erano i portieri e le donne delle pulizie che strillavano. L’arrivo all’ultimo palazzo coincise con le prime gocce di pioggia e le ultime di sudore. L’incubo di arrivare al colloquio in ritardo aveva cominciato a farsi strada. Presi il telefono e feci uno squillo a Giulio. Era il segnale per indicare che avevo finito la zona. Ferma, sotto la protezione della pensilina in plexiglass, attesi l’arrivo della Fiat. Per un attimo posai lo sguardo sulle mie mani: erano sporche d’inchiostro di tutti i colori, pur non avendole immerse in un secchio di arcobaleni sciolti. Avevo trent’anni e la brutta sensazione di non aver combinato niente d’importante. “Che senso ha andare in Italia? Guarda le tue sorelle, sono sposate, con figli! E tu?” “Mamma, c’è l’euro! Vale il triplo del real. Metto da parte un po’ di soldi e…” “Voglio proprio vedere dove finirai con tutti questi sogni!” Alzai la testa e mi guardai intorno. Tutti a correre per ripararsi dalla pioggia ed io lì, protetta ma senza l’ombrello. Io, sola come ogni singola goccia di pioggia che caracollava senza sapere dove sarebbe finita. Io, transitoria e precaria. Oggi qui, domani chissà. Io, costretta all’inafferrabilità delle cose rare e preziose pur sentendomi la più comune tra tutti i mortali. Quando ero piccola avevo un sogno: divenire invisibile così, all’improvviso, come uno schiocco di dita. Non ero la figlia più grande e nemmeno la più piccola e mi sembrava di avere un ruolo marginale e insignificante, soprattutto all’ora di cena quando le attenzioni erano dirette o ai capricci di mia sorella più piccola, Amaralina, o verso i compiti andati male della più grande, Maria Isabel. La totale invisibilità mi appariva, in quei momenti, l’unica soluzione perché i miei genitori si accorgessero della mia esistenza sulla terra. Almeno all’ora di cena mi avrebbero cercato per tutta casa, compreso l’orto, chiedendosi dov’ero andata finire. “Dove andrai a parare con tutti questi sogni?” I ricordi inumidirono i miei occhi, ma con un grande sforzo, impedii che le lacrime, scorrendo, potessero rovinare il trucco. Doveva essere ancora intatto. “Prega per le cose piccole se vuoi ottenere le grandi” la voce di mamma continuava a pedinarmi. Inutile depistarla. «Almeno un sogno ho realizzato, cara mamma. Sono finalmente invisibile…» * Appena Giulio mi lasciò, trovai riparo in un bar gestito da una coppia cinese. Dopo aver preso un caffè, mi diressi nella toilette per cambiarmi e ricomporre il trucco. “Prega per le cose minuscole se vuoi ottenere le piccole”. Pregai per trovare, fuori, un venditore di ombrelli grandi abbastanza da proteggermi dall’ansia che rischiava di bloccarmi. * Appena mi sedetti sull’autobus la pioggia iniziò a cadere con violenza sui finestrini. Guardavo ossessivamente il riflesso del mio viso sul vetro appannato. Tutto ciò che vedevo, però, era una maschera deforme. Scattai una foto con il telefonino per controllare se tutto fosse 18 ancora apposto nonostante la luce e i sussulti dell’autobus non mi permettessero di fare una foto decente. Impossibile da stabilire se il rimmel non era scivolato verso il rossetto. Scesi dall’autobus alla fermata indicata nell’annuncio e mi riparai sotto la pensilina. Dov’erano gli “extra-ombrellai”? Possibile che proprio quel giorno si fossero resi invisibili come me? Sentivo il mio corpo restringersi all’interno del cappotto di lana. Erano rimasti solo dieci minuti all’appuntamento di lavoro ed ero ancora lì, bloccata dalla pioggia e dal vento, nel tentativo di ingegnarmi su come arrivare alla via indicata in condizioni presentabili. Attesi altri trecento secondi, scanditi mentalmente, prima di prendere la decisione. Un lungo respiro, un balzo verso il mondo che mi appariva ostile, e via di corsa. Deviavo le pozze d’acqua, profonde come abissi, con la maestria di uno sciatore di slalom e mi coprivo la testa con il borsone in pelle che mi aveva regalato mia madre il giorno della partenza. Percorsi a grandi falcate viale Guglielmo Marconi, parallelamente alla processione di macchine che mi lanciavano, nell’intento di ostacolare la mia vita, secchi di acqua sporca, fango, detriti, foglie… I tacchi delle scarpe si piegavano come fuscelli al vento. Avevo percorso oltre trecento metri senza incontrare un solo sbalzo architettonico, un balcone o un misero cornicione, che potesse proteggermi dalla incessante pioggia. “Non pregare, se vuoi ottenere il minimo, figlia mia.” Pregai, invece. In un perpetuo soliloquio mi ripetevo: «Viale Marconi, centonovanta! Viale Marconi, centonovanta!». Ora potevo piangere sul fard senza che nessuno se ne accorgesse. Rallentai il passo all’improvviso. Correre era inutile quanto la maschera che mi ero dipinta sul viso. “Sei o non sei, Claudia, la padrona del tuo tempo?” Già. In tempi di vacche magre, pure la consolazione si mette a dieta! Arrivai a destinazione impietrita dal freddo. Appena varcai la soglia d’ingresso della libreria specializzata in letteratura sudamericana la responsabile mi venne incontro: «Fuori c’è il diluvio universale! Come hai fatto ad arrivare?» mi domandò stupita. Dalle mie labbra uscirono solo fiocchi di neve che si scusarono per i dieci minuti di ritardo: «Credo di aver sgretolato qualche nuvola a pallottole. Ora mi scivolano dalla testa…» Sono dieci anni che vendo libri di poesia con la stessa convinzione dei poeti che fanno guarire le ferite lacere con unguenti di versi anestetici. ! ! ! ! ! ! ! 19 ! Como desintegrar Nuvens a tiros! «Claudia, quase não te reconheci maquiada desse jeito! Onde está pensando ir?» exclamou Giulio, não conseguindo, talvez não querendo, esconder um sorriso maldizente. «Espero não seja proibido se maquiar!» respondi de cara amarrada, tentando desconversar. Logo depois, tirei fora do porta bagagem da Punto verde a minha ração quotidiana de publicidade e, fingindo não ouvir a sua opinião sobre o mundo dos jovens, arranquei de suas mãos o mapa do quarteirão, cumprimentei-lhe rapidamente e, arrastando o maltratado carrinho de compras dobrável desapareci ao longo das intermináveis ruas. Logo que virei a esquina parei, ajeitei nas costas a mochila com dentro o meu outro vestido, ordenadamente dobrado, os sapatos de salto baixo e, sobretudo, como um cometa sobre a árvore de Natal, a minha pequena necessarie. Dei um chute nas rodas do carrinho para contrabalançar a convergência antes de arrastá-lo, como se faz com um cão fiel, ao interno do primeiro complexo de prédios populares. Não era a primeira vez que eu entrava alí dentro, ainda que a visão continuasse a disturbarme. Cada prédio possuía um átrio adornado por um número incomensurável de caixas postais. Escorrendo o papel colorido entre o índice e o polegar ligeiramente umedecidos pela saliva, eu me sentia como Tio Patinhas distraído em contar o vil metal antes de se jogar dentro da sua montanha mágica. Infiava a publicidade com grande velocidade, sem nunca deixar passar o mais escondido e insignificante buraco, resultado de uma longa experiência e metologia científica. Nos buracos destinados somente à publicidade, apos contar rapidamente os nomes nas campainhas, colocava sempre o número de publicidade corrispondente, com uma margem de erro nunca superior ao um porcento. Durante as primeiras semanas de trabalho, tinha tido a ligeira impressão de ser seguida a distância por Giulio, de ser observada em cada um dos meus movimentos, até o ponto de tê-lo visto entrar nos prédios para verificar se a tarefa tinha sido feita com perfeição. Era janeiro e fazia um grande frio. Sem as luvas os meus dedos se congelavam e era quase impossível contar a publicidade. As extremidades das pontas dos dedos, insensíveis ao vento e a chuva, obedeciam preguiçosamente e a contragosto a minha obsessão de contar o número exato a ser colocado nas caixas postais. Outrossim, trabalhar com luvas não era nada prático: a publicidade, escorregadia como era, escapava das mãos como uma serpente untada de petróleo. Durante os dias chuvosos colocávamos os massos de papel dentro de sacos pretos, daqueles destinados ao lixo, para depois introduzílos nos carrinhos que passeariam por todas as ruas marcadas na fotocópia do mapa estradal que delimitava a zona a ser feita. As atividades não eram suspendidas nem mesmo quando o vento e a chuva nos castigavam como se tivéssimos cometido um delito qualquer. Era frustrante ver o papel ensopar-se debaixo de chuva quando as caixas para a publicidade eram colocadas externamente. Felizmente o tempo ainda era firme! Os flyers do lidl eram amarelos, deixavam as mãos e as roupas impregnadas de uma tinta anêmica; aqueles da gs eram enormes, mais parecendo um jornal com o caderno imobiliar incluído; os do Mondo Convenienza eram pequenos mas pesados, realizados para quem tinha o previlégio de possuir uma casa, uma mulher para beijar no sofá, filhos para instalar em um quartinho, rosa, azul ou fantasioso. Eram flyers sem continuidade, sem ideologia ou compromisso político, bons somente para convencer os destinatários sobre a necessidade de possuir e consumir tudo aquilo que seus bolsos pudessem comprar. Quando eu pensava no acordo econômico feito com o patrão eu tinha a sensação de ter sido enrolada ainda que precisasse ganhar algo. O pacto era claro: no final do segundo mês de fatiga eu receberia a primeira parcela, naturalmente sem ser registrada. O crédito restante somente ao final do 20 trabalho, ou quando, exausta pelo esforço de andar dez quilômetros por dia, sem tempo para ir ao banheiro, eu finalmente entregasse o cargo em favor de um imigrante em condições mais desesperadas do que a minha . “Como você se chama?” “Pode me chamar de Claudia” tinha respondido a Giulio, com um sorriso. Cada vez que pronunciavo o monte de letras que compunham o meu nome brasileiro era obrigada a soletrar. Quem sabe se um dia não me dariam de presente um onomástico para facilitar as coisas! “Se você aguentar a fatiga, talvez durará uma semana, menina!” tinha sentenciado Giulio, desgostado por ter uma mulher entre os seus “distribuidores de publicidade”. E eis que inicia a lamentar-se das mulheres, afirmando que logo se cansavam daquele trabalho por que sonhavam de virar garçonetes, baby-sitters ou vendedoras. “Ter uma mulher no grupo é um sacanagem para todos, o chefe sabe muito bem! Mas como ele não vai com a minha cara, me joga nas costas uma maré de fracassados. Nunca me manda um romeno, nunca um africano grande quanto um armário, nunca uma alegria! Teve que comer a língua, o patrão. Passados seis meses eu ainda estava lá. Quem me dera ter tido uma outra opção! Como garçonete eu tinha sido um desastre e, sem experiência ou uma cândida carta de recomendação ninguém tinha me querido como baby-sitter. Condividia o quarto com uma minha compatriota que trabalhava como doméstica das 7:30 às 18.00 e que tinha prometido, diversas vezes, me dar uma mão mas, para dizer a verdade, as semanas transcorriam sem alguma ação da parte sua. Rodopiavo como um pião por toda Roma com a última cópia do Portaportese perseguindo os anúncios mais disparados que iam desde doméstica a lavadora de pratos, de telefonista de call center a vendedora de loja, função que constituía a minha máxima aspiração. Não ousavo pensar às lojas da via Condotti ou via del Corso, nas quais as belíssimas e elegantíssimas jovens distruíriam as minhas pretensões, mas àqueles de Via Appia ou de Via Tuscolana onde a gente comum se sentia mais à vontade. Os meus olhos brilhavam toda vez que via um anúncio a procura de uma vendedora. Para assegurar-me de ter uma “boa aparência”, eu entrava na loja e me comparavo com a jovem de turno em termos de beleza, porte e simpatia. Logo depois observavo o ambiente do estabelecimento, imaginando o meu ingresso triunfal toda manhã, levantando a porta de aço e oferecendo um simpático sorriso ao primeiro cliente. Quem sabe por que a coragem de deixar o meu curriculum desaparecia toda vez que observavo o modo de caminhar das vendedoras, perfeitamente equilibradas em sapatos com saltos altos e com o rosto meticulosamente maquiado. “Endireita as costas, minha filha, você caminha como um patinho…” a voz da minha mãe ecoava nos momentos mais inoportunos. “Prá quê correr sempre, como se a polícia estivesse atrás de você!” Naquela manhã, indo de um complexo para o outro, reconhecia ser um pouco mais lenta do que a norma. Cada vez que via um fragmento que pudesse refletir a minha imagem, eu me aproximava para monitorar a situação da maquiagem. Em seguida, fixavo preocupada o céu plúmbeo maldizendo-me por ter esquecido o guarda-chuvas em cima da cadeira da cozinha. Logo depois, iniciava a caminhar com muito mais vigor para recuperar o tempo perdido e terminar rapidamente o que fazia todas as manhãs, religiosamente, há seis meses: arrastar o carrinho pra cima e pra baixo ao longo das ruas, observar se os prédios tinham caixas externas para a publicidade, tocar a campainha buscando ignorar os “cumprimentos” de praxi feitos por condôminos enraivecidos pelo meu inconfundível sotaque estrangeiro que os induzia a quatro diferentes tipos de reação: resposta com o aparelho desligado na cara; sequência de palavrões seguido do aparelho desligado na cara; abertura errônea do portão (o condômino esperava alguém, 21 de modo que eu agradecesse a Deus pelo equívoco); abertura do portão por pura compaixão e não por um particular interesse na oferta de presunto cru. Algumas vezes acontecia do portão ser deixado aberto pelo porteiro, distraído pela limpeza dos corredores e escadas. Outrossim, geralmente sucedia de ser pega de surpresa enquanto atravessava felinamente o pavimento ainda molhado e de ser caçada como um animal sob a ameaça da vassoura. Em alguns prédios, eram os porteiros que retiravam a publicidade, recebendo para este serviço uma porcentagem a ser subtraída do meu futuro pagamento. Como em um diário, a ordem era anotar todas as situações e avisar o patrão. Por exemplo, se no número 100 de via Roma tinha um porteiro que retirava pessoalmente os flyers, tínhamos que escrever atrás do mapa: “100 p”; se não tinham permitido que eu entrasse no número cento e dois: “102 não” e, se tudo andava bem, bastava transcrever o número do prédio e continuar o percurso. Um bom entendedor conhecia tudo da zona e sabia quanto tempo era necessário per terminá-la, quantos flyers fossem preciso per completá-la, onde estavam os porteiros e as senhoras da limpeza que nos enxotavam. A chegada no ultimo prédio coincidiu com as primeiras gotas de chuva e as últimas de suor. O pesadelo de chegar tarde na entrevista que eu estava por fazer começou a se insinuar. Peguei o telefone e dei um toque no Giulio. Era o sinal para indicar que tinha acabado a zona. Parada debaixo da proteção da marquise em plexiglass, esperava a chegada da Fiat. Por um momento fixei minhas mãos: eram sujas de tintas de todas as cores come se as tivesse imergido em um balde composto de arco-íris dissolvidos. Tinha completado trinta anos e carregava dentro de mim a sensação horrível de não ter feito nada de importante. “Que sentido tem ir pra Itália? Olha as tuas irmãs, todas casadas, com filhos! E você?” “Mãe, lá tem o euro! Vale o triplo do real. Boto da parte um pouco de grana e…” “Quero ver só aonde você vai chegar com todos esses sonhos!” Levantei a cabeça e olhei ao redor. Todos corriam buscando se proteger da chuva e eu ali, protegida mas sem guarda-chuvas. Eu, sozinha como cada uma daquelas gotas de chuva que dançavam sem saber bem onde cairiam. Eu, transitória e precária. Hoje aqui, amanhã quem sabe aonde. Eu, obrigada a ser inaferrável como tudo o que é raro e precioso mesmo sentindo-me a mais comum entre todos os mortais. Quando era pequena eu tinha um sonho: virar invisível assim, improvisamente, como um estalar de dedos. Eu não era a filha maior nem a menor, parecia que o meu papel era destinado a ser marginal e insignificante, sobretudo na hora do jantar quando as atenções era dirigidas aos caprichos da minha irmã menor, Amaralina, ou então para as notas baixas de minha irmã maior, Maria Isabel. A invisibilidade total me parecia, naqueles momentos, a única solução para fazer com que os meus pais reparassem na minha existência sobre a terra. Na hora do jantar, ao menos, ero certa que eles começariam a me procurar por toda a casa, inclusive na horta, perguntando-se que fim eu tinha feito. “Onde é que você vai parar com todos esses sonhos?” Lembranças umedeciam os meus olhos, mas com um grande esforço, consegui impedir que as lágrimas, escorrendo, arruinassem a minha maquiagem. Ela tinha que restar intacta. “Reza para as pequenas coisas se você quiser obter as grandes!” a voz de minha mãe continuava a me perseguir. Inútil fugir. «Ao menos um dos meus sonhos foi realizado, querida mãe. Finalmente fiquei invisível…» * Logo que o Giulio me deixou, entrei no primeiro bar gestido por um casal de chineses. Apos tomar um café, marchei em direção do banheiro para me trocar e refazer a maquiagem. 22 “Reza por coisas minúscolas se quiser obter pouco”. Rezei para encontrar, fora, um vendedor de guarda-chuvas grandes o suficiente para conter a ânsia que arriscava de bloquear-me. * Apenas me acomodei no ônibus a chuva começou a cair com violência, batendo nas janelas. Miravo obsessivamente o reflexo da minha face no vidro embaçado. Tudo o que via, porém, era uma máscara deformada. Tirei uma foto com o telefone para controlar que tudo fosse nos seus devidos lugares, não obstante a luz e o movimento do ônibus me impedissem de fazer uma foto decente. Impossível estabelecer se o rímel tivesse se juntado com o batom. Desci do ônibus na parada indicada no anúncio e busquei abrigo embaixo de uma marquise. Onde estavam os “extra-vendedores de guarda-chuvas”? Possível que próprio aquele dia tinham ficado invisíveis como eu? Sentia o meu corpo ficar pequenininho dentro do casaco de lã. Tinham me restado somente dez minutos para chegar ao lugar onde realizaria e entrevista mas eu ainda estava ali, bloqueada pela chuva e pelo vento, tentando inventar um modo de chegar naquela rua em condições apresentáveis. Esperei outros trezentos segundos, contados mentalmente, antes de tomar uma decisão. Inspirei longamente, antes de me lançar naquele mundo que me parecia cruel, e comecei a correr. Desviava as poças de água, profundas quanto abismos, com a maestria de um esquiador de slalom e protegia a cabeça com a bolsa de couro que minha mãe tinha me dado de presente no dia em que fui embora. Percorri quase voando viale Guglielmo Marconi, paralelamente à procissão de automóveis que me lançavam, com o claro objetivo de obstacular a minha vida, baldes de água suja, lama, detritos, folhas… Os saltos dos sapatos dobravam-se como ramos ao vento. Tinha percorrido mais de trezentos metros sem encontrar um abrigo arquitetônico, nem mesmo uma varanda ou uma miserável cornija que pudesse proteger-me da chuva incessante. “Se quiser obter o mínimo não reze, minha filha.” Ao invés, rezei. Em um perpétuo delírio repetia: «Viale Marconi, cento e noventa! Viale Marconi, cento e noventa!». Agora podia chorar sobre o pó compacto sem que ninguém percebesse. Diminuí o passo improvisamente. Correr era inútil quanto a máscara que eu tinha colocado no rosto. “Você é ou não é, Claudia, a dona do teu tempo?” Efetivamente. Em tempos de vacas magras, até mesmo a consolação começa uma dieta! Cheguei na destinação congelada pelo frio. Imediatamente após atrapassar a porta de entrada da livraria especializada em literatura sulamericana, a responsável veio em meu auxílio: «Lá fora é o diluvio universal! Como você chegou até aqui?» me perguntou, espantada. Dos meus lábios saíram somente flocos de neve que logo pediram desculpas pelos dez minutos de atraso: «Creio ter desintegrado algumas nuvens a tiros, eis que me escorrem da cabeça…» São dez anos que vendo livros de poesia com a mesma sagacidade dos poetas quando curam as feridas abertas na alma com unguentos de versos anestésicos. ! ! 23 DIMITRIU ANDRA ELENA (Romania) ! ! Colori del destino Il mondo può essere paragonato ad un frutto con semi di amore e con semi di paura. Per conoscere noi stessi, dobbiamo analizzare le nostre paure, le nostre inibizioni e le nostre ambizioni; proviamoci a fare di tutto per superare i nostri limiti ed imparare ad amare; quando giungeremo a diffondere solo amore, possiamo dire veramenteColori del destino: “ Io sono una persona libera!”. Di solito pensiamo che gli altri vogliano intimidirci; teniamo sempre alta la guardia, mettendo alla prova l’istinto di conservazione. Dobbiamo rinunciare a quella competitività che ci separa, classifica, e fare spazio alla cooperazione che sviluppa l'amore del nostro essere. L’amore e la speranza; ecco, le pulsioni che mi hanno determinato a fare il cammino verso un altro paese. Sono una mediatrice culturale romena di 33 anni, sposata da otto anni con un connazionale; sono cristiana ortodossa non praticante con una laurea in Psicologia presa nel mio paese d’origine. Faccio parte di un regime molto severo, quello di Ceauşescu, un dittatore senza pietà verso il suo popolo, senza credenza in Dio e con l’ostinazione morbosa di eliminare tutto quello che può significare la ricchezza culturale e tradizionale di un popolo; il comunismo ha lasciato tracce che anche oggi, dopo 25 anni dalla “sua morte”, la nostra generazione sente ancora… Lavoravo tranquillamente come psicologa nel mio paese d’origine, finché è apparso davanti ai miei occhi lui, l’uomo della mia vita, mio marito, che mi ha cambiato il modo di vivere, mi ha determinato ad essere un partecipante attivo ai giochi del destino e a guardare gli altri come una parte di me stessa. Guadagnavo poco, ma per una giovane donna di 23 anni, senza grandi desideri e non troppo coinvolta nel meccanismo della vita, erano abbastanza soldi per mantenermi da sola nella casa dei miei genitori. Non avevo né sogni, né abbastanza disponibilità finanziaria per uscire a fare nuove amicizie. Sulla mia esperienza professionale e lavorativa in Romania, posso dire in poche parole che ho frequentato il Liceo di lingue straniere e poi mi sono laureata in Psicologia nel 2003 all’Università “Ovidius”- Romania; come esperienza lavorativa ho fatto vari tirocini in scuole, asili, carcere, ospedale e ho lavorato in Assistenza Sociale, assunta inizialmente come segretaria, poi sono stata impiegata come psicologa per la protezione dell'infanzia; in particolare ero responsabile di alcuni centri per minori con problemi fisici e psichici, facendo diagnosi e consulenza familiare, prevenzione di delinquenza; e come esperto poligrafo - consulenza psicologico e diagnosi attraverso l'utilizzo di test. Ho deciso di lasciare il mio paese e di venire in Italia, perché solo così io e mio marito potremo realizzare il nostro sogno di avere una casa e fare la nostra famiglia. La società da cui proveniamo non dispone delle risorse necessarie per una coppia giovane in ricerca di una stabilità economica minima. In poche parole sono immigrata in Italia per amore, decidendo con mio marito di lasciare il mio lavoro in Romania, perché qui lui avrebbe guadagnato di più. Vivo con mio marito a Schio, una città dalla provincia di Vicenza, mentre i miei genitori sono a Roma e la sorella minore è rimasta in Romania con il marito. Torniamo nel nostro Paese ogni estate. All’inizio abbiamo abitato a Recoaro Terme, un paese vicino a Schio, dove è stato difficile per me avere una tessera sanitaria e trovare qualcosa di stabile per guadagnare soldi; ho lavorato in una pizzeria come lavapiatti, un’ esperienza da cui ho imparato che la dignità si può mantenere anche 24 quando ti trovi nella situazione di fare qualcosa più umile. Poi ci siamo trasferiti a causa del lavoro di mio marito e Io ho dovuto rinunciare perché troppo distante; attualmente sto lavorando nel campo del mediazione culturale sulla base di un contratto di collaborazione . A Schio, nei primi due anni, ho avuto l’opportunità di seguire un corso di lingua italiana, di frequentare un corso di pratica filosofica e di andare ai seminari e conferenze con temi di Psicologia, di Filosofia e di temi svolti sull'interculturalità. Nel periodo del corso per la lingua tra me, l’insegnante e altre donne è nato un rapporto di vera “sorellanza”; abbiamo condiviso momenti belli, risate e difficoltà; sono nate anche belle amicizie. Da circa 4 anni faccio parte del “Laboratorio di lettura e scrittura” che si tiene a Schio, organizzato ogni sabato mattina alla fine del corso di italiano per donne straniere, essendo per tutti noi una vera opportunità di dibattito tra culture diverse e crescita nella conoscenza reciproca e nel dialogo interculturale. Il progetto del laboratorio di lettura e scrittura per donne è nato con la tesi in Scienze Antropologiche della nostra coordinatrice. E’ la più piacevole modalità che noi abbiamo trovato per leggere insieme testi e poesie, scambiarci foto e ricordare, raccontare le nostre vite in culture diverse, scrivere di noi, delle nostre idee e delle nostre emozioni. Sono proprio Io che lo sostegno e incoraggio la nostra coordinatrice a continuare a proporlo di anno in anno. Agli incontri hanno partecipato donne di varie nazionalità, dal Bangladesh, dalla Romania, dalla Serbia, dal Perù, dalla Cina, dalla Moldavia, Belgio, Kosovo. Per ogni incontro abbiamo letto delle brevi poesie e affrontato poi varie tematiche ad esse connesse: la famiglia, il viaggio, il lavoro, l’identità, le tradizioni, il tempo libero, la vita, la morte, i desideri/ i sogni (partendo dalla poesia del romeno Blaga, alla nostra scrittura), la religione (dalla poesia della bengalese Kamal al confronto tra le nostre religioni), la lingua (la poesia dello scrittore moldavo Vieru), la maternità (partendo dalla poesia del indiano Tagore). Tutto questo ci ha permesso di condividere le nostre vite all’insegna dell’integrazione e sottolineare come le donne affrontino gli stessi problemi, le stesse emozioni, le stesse sfide. Abbiamo provato a scrivere di noi, delle nostre storie, delle nostre esperienze, abbiamo parlato delle nostre qualità ereditate da persone che per noi sono state importanti. Lo scopo generale è di creare uno spazio e un tempo di condivisione e scambio tra donne, proprio a partire dalla bellezza della letteratura per spaziare poi nella vita di ciascuna e scoprire come nella diversità si possa continuare a dialogare e trovare magari dei vissuti comuni; questo è importante non solo per le straniere che incontrandosi migliorano il loro italiano, ma anche per tutte le donne che amano conoscere altre culture e aprirsi in un mondo che diventa sempre più interculturale. Durante questi anni sono stata sempre pronta ad interagire con le altre donne con osservazioni interessanti e suggestive, legate ai miei interessi (psicologia, storia delle religioni, filosofia, letteratura) e ho portato dei materiali che riguardavano la cultura romena nelle sue varie forme: la letteratura (poesie di Blaga, Vieru, Vasile Alecsandri, Eminescu, Blandiana, Burtescu), la lingua (la parola dor), la storia e la filosofia (commenti di Cioran, i viaggi di Eliade, il romancio delle Alpi svizzere), le tradizioni (i mărţişor e la festa di Primavera, i riti della morte, le danze hore). Inoltre sono coinvolta come volontaria ad aiutare nell’insegnamento della lingua italiana ai ragazzi stranieri delle elementari e delle medie che ogni sabato frequentano il corso all’oratorio salesiano con la motivazione che il mio apporto poteva essere significativo per i ragazzi e per gli educatori e avessi potuto mettere a frutto le mie conoscenze e competenze di psicologa. L’anno scorso abbiamo introdotto anche dei laboratori di art-attack, danza, teatro, per offrire spazio all’immaginazione dei bambini, alla loro creatività; è un modo di conoscere di più noi stessi e di suscitare l’appetenza di giocare insieme. 25 In questi ultimi anni ho frequentato il corso di formazione per mediatori grazie al progetto “Together” del Comune di Schio realizzato con i fondi europei per l’integrazione e sto prestando servizio quando richiesta dalle scuole e dai servizi socio-sanitari. La mediazione culturale mi sta molto a cuore, perché ho l’opportunità di conoscere altre culture e di offrire il mio aiuto alle persone che provengono dal mio paese ad integrarsi meglio, ma nello stesso tempo è un modo di scoprire me stessa attraverso i volti degli altri. Il mio compito non è solo di facilitare la comprensione, come interprete, e realizzare delle traduzioni; è soprattutto un modo di facilitare l’inserimento dei cittadini stranieri nel contesto sociale del paese di accoglienza, esercitando la funzione di tramite tra i bisogni dei migranti e le risposte offerte dai servizi pubblici. Interessata alla psicologia, alla filosofia, alla letteratura e alle religioni, partecipo spesso a conferenze e dibattiti su questi temi; mi piace scrivere poesie e brevi racconti, con i quali ho partecipato ad alcuni concorsi in Italia e Romania e posso dire che ho avuto dei risultati soddisfacenti. Le mie poesie presentano un evidente taglio spirituale e contengono spesso un messaggio collegato all’amore e alla elevazione verso il divino; simili a preghiere e con frequenti riferimenti religiosi, sembrano assumere una funzione ascetica. Sto anche scrivendo un libro in romeno che tratta di teosofia; in questo libro emerge tutta la mia formazione di studi letterari e psicologici coltivati sia alle superiori che all’università e approfonditi poi qui in Italia nel tempo libero; tutto ciò che imparo, andando alle conferenze, confrontandomi nel laboratorio, partecipando attivamente alla vita cittadina, viene inserito nel libro e ampliato, nello sforzo di creare un compendio che non ha la pretesa di mostrare la superiorità di una religione sulle altre, ma di dimostrare la ricerca del divino presente in ogni uomo. Traspare un mondo di conoscenza che non si ferma quindi alla religione, ma si apre ad una dimensione multidisciplinare che coinvolge sia l’ambito scientifico che quello umanistico, in una concezione globale dell’uomo in contatto costante con Dio. La scrittura in questo caso è diventata un modo per capire me stessa attraverso la religiosità e un’ancora di salvezza nel momento in cui la mia identità di donna migrante era stata messa in crisi dalla decisione sofferta di partire e dalla mancanza di comprensione da parte della famiglia; una catarsis, ma allo stesso tempo una modalitá di affermazione di me stessa nel confronto con l’Alterità. Attiva e partecipe in questo ruolo di mediatrice tra due mondi, tengo un blog che aggiorno di continuo con vari scritti, riflessioni, poesie e traduzioni, e sfrutto allo stesso tempo le nuove tecnologie e i social networks (Facebook) per divulgare un’immagine più positiva dei miei connazionali, per far conoscere meglio la Romania (letteratura, storia, tradizioni). e per informarmi su tutto ciò che dell’Italia e del mio Paese voglio approfondire. Il blog raccoglie tutte le poesie tradotte dall’italiano in rumeno subito dopo gli incontri settimanali al laboratorio. Un’altra sezione importante dedicata all’interculturalità raccoglie tutte le iniziative a cui ho partecipato. Questo “diario virtuale” è importante per me perché mi mette in comunicazione con gli altri e mi permette di esprimermi e di attuare una sorta di catarsi, soprattutto di fronte alle difficoltà dell’emigrazione. Con il tempo, ho deciso di cambiare il nome in Povesti scrise impreuna, cioè “storie scritte insieme”, a rimarcare la bellezza di condividere con gli altri le mie idee e sentimenti che può portare alla crescita di tutte le persone coinvolte. Sto partecipando infine in modo sempre più attivo alla vita cittadina e mi sono aperta alla comunità romena con cui non avevo mai stretto forti legami, facendo parte di una migrazione di coppia, e sto collaborando con altri rumeni nell’organizzazione di alcune feste dei popoli. L’anno scorso ho accettato di aiutare la coordinatrice del Laboratorio di lettura e scrittura nel ideare un piccolo 26 progetto didattico legato all’interculturalità; mi ha proposto di pensare e realizzare una lezione interculturale sulla Romania nella sua scuola, dove lei sta insegnando inglese; ho accettato subito con entusiasmo e disponibilità. Il fatto di aver potuto realizzare un intervento didattico a scuola mi ha messa ulteriormente alla prova; ha dovuto non solo approfondire i contenuti di quanto proposto, ma anche espormi in prima persona, raccontare di me, mostrare un’immagine del mio Paese diversa da quella che gli stereotipi comuni veicolano. Grazie a questo lavoro sul campo, ho scoperto un atteggiamento di vera accoglienza da parte degli italiani, un profondo sentimento di fratellanza tra il popolo rumeno e quello italiano. Tutto quello che cerco di fare da quando sono arrivata in Italia è di creare un ponte di alleanza tra diverse culture e religioni, di offrire l’opportunità di guadagnare più fiducia in noi stessi, di capire meglio gli altri, di adattarci di più nella società in cui ci troviamo adesso. Per una coesistenza reale in un mondo sempre in cambiamento, bisogna avere la coscienza che tutte le persone hanno le proprie radici e di avere la mente sempre aperta per un abbraccio stretto verso gli altri, senza pregiudizi e con una creativa comunicazione interetnica. Questo atteggiamento scardina la concezione del mediatore come di colui che viene contattato solo nell’emergenza o solo per tradurre, e propone invece una figura dinamica e attiva che crea le situazioni di intervento, consapevole che molto della futura convivenza si gioca proprio sui rapporti personali e sulla lotta ai facili stereotipi che stentano a sparire dalla nostra realtà quotidiana. Per diventare tolleranti, socievoli e rispettosi, dobbiamo fare parte di questa nuova, movimentata e produttiva identità interculturale. Noi non siamo proprietari della Libertà…. Noi siamo riflessioni, parti interne che offrono la loro disponibilità di contribuire insieme al Bene comune. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 27 Culorile destinului Lumea noastră poate fi asemuită unui fruct cu semințe de iubire și frică. Pentru a ne cunoaște, trebuie să ne analizăm temerile , inhibiţiile și ambițiile; să încercăm să facem tot ce este posibil pentru a ne depăși limitele și să învățăm a iubi; atunci cȃnd vom ajunge doar să răspândim iubire, putem spune cu adevărat: "Eu sunt un om liber". De obicei, gândim că ceilalți vor să ne intimideze, de aceea ţinem mereu garda sus, testȃndu-ne instinctul de auto- conservare. Trebuie să renunțăm la acea competitivitate care ne separă, clasifică și să facem loc cooperării care dezvoltă iubirea din ființa noastră. Iubirea și speranța, iată, impulsurile care m-au determinat să plec într-o altă țară. Sunt un mediator cultural din Romȃnia de 33 ani, casătorită de opt ani, cu un compatriot; sunt creştină ortodoxă non practicantă cu o licenţă în Psihologie obţinută în țara mea de origine. Sunt parte a unui regim foarte sever, cel al lui Ceaușescu, un dictator nemilos faţă de poporul său, fără credință în Dumnezeu și cu o încăpățânare morbidă de a elimina tot ceea ce poate însemna patrimoniului cultural și tradițional al unui popor; comunismului a lăsat urme care chiar și astăzi, la 25 de ani de la "moartea sa", generaţia noastra inca le mai simte ... Lucram fără probleme ca şi psiholog în țara mea de origine, până când a apărut în fața ochilor mei el, barbatul vieţii mele, soțul meu, care a schimbat modul meu de a fi, m-a determinat să fiu un participant activ la jocurile destinului și să-i privesc pe ceilalți ca o parte din mine insămi. Câștigam puțin, dar pentru o femeie tânără de numai 23 ani, fără vise prea mari și nu prea implicată în mecanismul vieții, erau destui bani pentru a mă intreţine singura în casa părinților mei. Nu aveam nici vise, nici suficiente resurse financiare pentru a lega noi prietenii. Ȋn ce priveşte experiența mea profesională și de muncă în România, pot spune în câteva cuvinte că am terminat Liceul de limbi străine, iar apoi am absolvit Psihologia în 2003 la Universitatea "Ovidius" – România; ca şi experienă de lucru am făcut mai multe stagii în școli, grădiniţe, penitenciare, spitale, și am lucrat în Asistenţa Socială, angajată inițial ca secretară, apoi am fost angajată ca psiholog pentru Protecția Copiilor, în special, am fost responsabilă pentru unele centre de minori cu probleme fizice și psihice, făcȃnd diagnoză și consiliere familială, prevenire a criminalității, și ca expert poligraf- consiliere psihologică și diagnoză prin utilizarea de teste. Am decis să-mi las țara și să vin în Italia, pentru că era singura modalitate prin care eu şi soțul meu puteam realiza visul nostru de a avea o casă și de a ne construi o familie. Societatea din care provenim nu are resursele necesare pentru a sprijini un cuplu de tineri ca noi în căutare de o stabilitate economică minimă. Într-un cuvânt, am emigrat în Italia din dragoste și am decis împreună cu soțul meu să renunț la slujba mea în România, pentru că aici am fi câștigat mai mult . Eu locuiesc cu soţul meu la Schio, un oraș din provincia Vicenţa, în timp ce părinții mei sunt la Roma, iar sora cea mică a rămas în România împreună cu soțul ei. Ne întoarcem în țara noastră în fiecare vară. La început am trăit la Recoaro Terme, un oraș in apropiere de Schio, loc unde a fost dificil pentru mine de a avea un card de sănătate și a găsi ceva stabil pentru a câștiga bani; am lucrat ca spălător de vase într-o piţerie, o experiență din care am învățat că demnitatea poate fi menținută chiar și atunci când eşti în poziția de a face ceva mai umil. Apoi ne-am mutat din cauza slujbei soțului meu, iar eu a trebuit să renunț la muncă din cauza distanţei; în prezent lucrez în domeniul medierii culturale, pe baza unui contract de colaborare. 28 În Schio, în primii doi ani, am avut ocazia de a frecventa un curs de limba italiană, un curs de practică filosofică și să merg la seminarii și conferințe pe teme de Psihologie, Filosofie și subiecte legate de interculturalism. În timpul perioadei cursului de limba italiană între mine, profesori și alte femei s-a creat o relație destul de strȃnsă, am împărtășit momente bune, râsete și dificultăți; s-au legat chiar și frumoase prietenii. De aproximativ patru ani fac parte din "Atelierul de citire și scriere" ce se desfăşoară la Schio, organizat în fiecare sâmbătă dimineață, la sfârșitul cursului de italiană pentru femei străine, fiind pentru noi toți o șansă reală de dezbatere între diferite culturi și o evoluţie în cunoaștere reciprocă și dialog intercultural. Proiectul de “Atelier de citire și scriere” pentru femei s-a născut odată cu teza în științe antropologice a coordonatoarei noastre. E modalitatea cea mai plăcută pe care am gasit-o pentru a citi poezii și texte împreună, să facem schimb de fotografii și să ne amintim, să ne expunem viețile din perspectiva diferitelor culturi, să scriem despre noi, despre ideile noastre și emoțiile noastre ... Chiar eu sunt cea care o sustin si o incurajez pe coordonatoarea noastră de a continua an de an întâlnirile noastre. La ele au participat femei de diferite naționalități, Bangladesh , România, Serbia, Peru, China, Republica Moldova, Belgia, Kosovo ... la fiecare întâlnire am citit scurte poezii și apoi abordat diverse subiecte legate de ele: familia , călătoria , muncă , identitatea, tradițiile, timpul liber, viața, moartea, dorinţe/vise (pornind de la poezia romȃnului Blaga la scrierile noastre), religia (poezia bengali a lui Kamal la religiile noastre), limba (poezia scriitorului moldovean Vieru), maternitatea (pornind de la poezia indianului Tagore). Toate acestea ne-au permis de a ne împărtăși viața în numele integrării și de a evidenția modul în care femeile se confruntă cu aceleași probleme, aceleași emoții, aceleași provocări. Am încercat să scriem despre noi, despre poveștile noastre, experiențele noastre, am vorbit despre calitatea noastră moștenită de la oameni care au fost importanţi pentru noi. Obiectivul general este de a crea un spațiu și un timp de schimb reciproc între femei, pornind de la frumuseţea literaturii și apoi variind în viața fiecăruia și descoperind cum prin diversitate putem continua să vorbim și putem găsi experiențe comune; acest lucru este important nu numai pentru femeile straine care întȃlnindu-se îşi îmbunătățesc italiana, dar, de asemenea, pentru toate femeile care iubesc faptul să învețe despre alte culturi și se deschid către o lume care devine din ce în ce mai interculturală. Ȋn timpul acestor ani, am fost întotdeauna dornică să interacționez cu alte femei prin remarci interesante si sugestive, legate de interesele mele (psihologia, istoria religiilor, filozofia, literatura) și am adus materiale legate de cultura română pe diferitele aspecte: literatura (poezii de Blaga, Vieru, Vasile Alecsandri, Eminescu, Blandiana, Burtescu) , limba (cuvântul “dor”), de istorie și Filosofie (comentariile de Cioran, Eliade, despre Romanshii din Alpii elvețieni), tradiții (“Mărţişorul” și Sărbătoarea de primăvară, ritualurile legate de moarte, dansurile “hore”). În plus, sunt implicată ca voluntar de a ajuta în procesul de predare în limba italiană pentru elevii străini din școlile primare și gimnaziale, care participa la curs in fiecare sâmbătă la Oratoriul Salesiani, cu motivarea că aportul meu ar putea fi semnificativ pentru copii și pentru educatori și aș putea să-mi folosesc cunoștințele și abilitățile mele de psiholog . Anul trecut am introdus, de asemenea, laboratoare de – art-atack, dans, teatru, pentru a dezvolta imaginația copiilor, creativitatea; este un mod de a învăța mai multe despre noi înșine și a trezi apetența de a ne juca împreună. În ultimii ani, am participat la un curs de pregatire pentru mediatori, graţie proiectului “Together” din oraşul Schio, realizat prin fonduri europene pentru integrare și efectuez servicii de interventii de pe bază de solicitări la școli și servicii sociale şi de sănătate . Medierea culturală este aproape de sufletul meu, pentru că am posibilitatea de a cunoaşte alte culturi și de a oferi ajutorul meu pentru 29 persoanele care provin din țara mea să se integreze mai bine, dar, în același timp, e un mod de a mă descoperi mine prin privirile celorlalţi. Treaba mea nu este numai de a facilita înțelegerea, de interpret și de a face traduceri; este în primul rând o modalitate de a facilita integrarea cetățenilor străini în contextul social din țara gazdă, acționȃnd ca un intermediar între nevoile migranților și răspunsurile oferite de serviciile publice. Interesată fiind de psihologie, filosofie, literatură și religie, particip deseori la conferințe și dezbateri legate de aceste subiecte; îmi place să scriu poezii și povestiri scurte, cu care particip la concursuri în Italia și România și pot spune că am avut unele rezultate satisfăcătoare. Poeziile mele au un evident suflu spiritual si conțin adesea un mesaj de dragoste și de evoluţie spre divin; similare rugăciunilor și cu referințe religioase frecvente, par a asuma o funcţie ascetică. De asemenea, scriu o carte în limba română, corelată cu teosofia; în această carte transpare toate pregătirea mea din studiile literare și psihologice cultivate atât în liceu cȃ și la facultate și apoi în profunzime aici, în Italia, în timpul activităților de petrecere a timpului liber; tot ceea ce am învățat, mergȃnd la conferințe, din confruntările de la atelier, participȃnd cȃt mai activ la viața civică, este inclus în carte și dezvoltat într- un efort de a crea un compendiu care nu este menit să arate superioritatea vreunei religii, ci pentru a demonstra căutarea divinului în fiecare om. Transpare o lume a cunoașterii, care nu se oprește la religie, ci se deschide spre o dimensiune multidisciplinară care implică atât mediul științific cȃt și pe cel umanist, într-o concepție globală a omului în contact constant cu Dumnezeu. Scrisul în acest caz a devenit un mod de a mă înțelege prin religiozitate și un colac de salvare, atunci când identitatea mea ca şi emigranta a avut de suferit în urma dificilei decizii de a părăsi ţara și de lipsa de înțelegere din partea familiei, un Catarsis, dar în același timp, un mod de a mă afirmare prin comparație cu Alteritatea. Activă și implicată în acest rol de mediator între două lumi, țin un blog pe care-l actualizez constant cu diferite scrieri, reflecții, poezii și traduceri, și, în același timp, fac uz de noile tehnologii și rețele sociale ( Facebook ) de a difuza o imagine cȃt mai pozitivă legată de neamul meu, de a face cunoscută mai bine România ( literatură , istorie, tradiții ) și a mă informa cu tot ce doresc a aprofunda in legatură cu Italia si țara mea . Blog-ul colectează toate poeziile traduse din italiană în română, imediat după reuniunile săptămânale de la atelier. O altă secțiune importantă dedicată domeniului intercultural colectează toate inițiativele la care am participat. Acest "jurnal virtual" este important pentru mine, pentru că mă pune în comunicare cu ceilalți și-mi permite să mă exprim și să-mi desfăşor un soi de catharsis, mai ales cȃnd sunt pusă în faţa dificultăților de emigrare. Cu timpul, am decis să schimb numele în “Poveşti scrise Ȋmpreună”, adică " povești scrise împreună ", pentru a sublinia frumuseţea de a împărtăși cu ceilalți idei și sentimente, care pot duce la dezvoltarea tuturor persoanelor implicate . Particip, de asemenea, într-un mod cȃt mai activ la viaţa socială si m-am deschis către comunitatea românească, cu care n-am avut legături strânse, facȃnd parte dintr-o migrare de cuplu și am început colaborarea cu alți români în organizarea de festivaluri populare. Anul trecut, am acceptat să o ajut pe coordonatoarea “Laboratorului de citire și scriere” pentru a pune bazele unui mic proiect educațional legat de interculturalitate; mi-a propus să concep și să realizez o lecție interculturală despre România la şcoala ei, unde ea predă engleză; am acceptat imediat cu entuziasm și disponibilitate. Faptul că am fost în măsură să realizez o intervenție didactică la scoala m-a pus la încercare şi mai mult; a trebuit nu numai să îmbunătățesc conținutul propunerii, dar, de asemenea, să mă expun la persoana întâi, să vorbesc despre mine, să arăt o imagine despre țara mea diferită de cea pe care stereotipurile o transmit. Mulțumimită acestui lucru pe teren, am găsit o atitudine 30 autentic primitoare din partea italienilor, un sentiment profund de fraternitate între poporul român și cel italian. Tot ce vreau să fac de când am ajuns în Italia este de a crea o punte de legatură între diferite culturi și religii, pentru a oferi posibilitatea de a câștiga mai multă încredere în noi înșine, de a ne înțelege mai bine, de a ne adapta mai mult în societatea de aici. Pentru o coexistență adevărată într-o lume în continuă schimbare, trebuie să avem conștiința că toți oamenii au rădăcinile lor și mintea deschisă întotdeauna pentru o îmbrățișare strânsă către toţi ceilalți, fără prejudecăţi și cu o creativă comunicare interetnică. Această atitudine perturbă concepția despre mediator că e acel care este contactat doar în caz de urgență sau pur și simplu pentru a traduce, și propune în schimb o figură dinamică si activă care creează situațiile de intervenție, conștient de faptul că o mare parte din coexistența viitoare este jucată pe relațiile personale și pe lupta pentru stereotipurile ușorare, care ţin să dispară din realitatea noastră de zi cu zi. Pentru a deveni toleranţi, sociabili și respectuoşi, trebuie să facem parte din această nouă, vibrantă productivă identitate interculturală. Noi nu suntem proprietarii Libertăţii .... Suntem reflecții, părţi interne care-şi oferă disponibilitatea de a contribui împreună la binele comun . ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 31 ELENA EFREMOVA (Russia) ! Introduzione. Oltre la geometria ! Ogni vita si può immaginare come una linea. La mia ha il punto di partenza nella profonda Russia siberiana con tanto freddo, tanta neve e una infanzia felicissima. Poi la linea prosegue per Mosca dove sono visibili la bellezza della gioventù, la scoperta dei colori della vita, i libri universitari. Poi un angolo dritto verso Napoli dovuto al sentimento più profondo della mia vita. Dopo molti anni di sali e scendi di questa linea mi trovate ancora qui al sud d’Italia. Sono arricchita con la mia esperienza fisica e mentale di una immigrata e con un preziosissimo “derivato”: mio figlio. Storia Prima: Linea A. Di fronte a me è lei, la mia carissima amica Anna. Ci vediamo talmente poco che ormai ogni volta ho paura di non riconoscerla. Avevo ragione, ultima volta l’ho lasciata con lunghissimi capelli biondi e ora invece la vedo bruna con una aura di una donna di successo. Mentre io mi sono buttata con la testa nel matrimonio e nel crescere il mio piccolo, lei è riuscita a fare tutte e due le cose: famiglia e carriera. Sta sempre in movimento, è una, come si dice, “aggiornata” e una donna moderna. Ispira sempre sicurezza in quello che fa e in quello che dice. Oggi però lei sembra diversa, forse insicura o infastidita. “Si, hai ragione-comincia lei- Non ce la faccio più! Mi conosci, vero! Mi considero abbastanza tollerante e trovo anche giusto che ci sia tutta questa immigrazione ma … Aspetta, ti spiego tutto. Adesso sono stata a scuola di mia figlia, un incontro straordinario con i genitori. Immagina che in classe sua ci sono 7 bambini stranieri che capiscono appena-appena e parlano ancora di meno!!!! Si, stiamo in prima elementare, ma ugualmente la classe non riesce a seguire il programma … Come devo fare? Come mamma devo dare a mia figlia una istruzione e una formazione giusta ma in tali condizioni mi sembra impossibile! Quello che non capisco è perché non si organizzino classi dedicate a LORO, considerando che ce ne sono cosi tanti. Ho l’ impressione che per non creare conflitti nazionali siano i NOSTRI figli autoctoni a dover pagare.. Non c’è bisogno di spiegarti, basta che guardi intorno! Anche il cameriere in questo bar è uno straniero. Si, capisco che loro fanno tutti questi lavori nei bar, pulizie di case, baby-sitter, muratori ecc. Ma mi domando : sono così tanti, non è che stiano rubando il NOSTRO lavoro? Immagina,Il marito di una mia cugina si è divorziato per una di LORO, lasciando quella poverina in lacrime! Da allora ogni volta che il mio caro punta lo sguardo curioso su una notevole commessa straniera ho la fissazione che lei tenterà di rubarlo! E non ridere, non si sa mai! Dai, girati, dietro di te stanno prendendo caffè due di LORO ..Capisci che cosa dicono? Certo, perché parlano la LORO lingua! È proprio questo che da’ fastidio! Vivono qua, rubano il NOSTRO lavoro e i NOSTRI 32 mariti, mandano i LORO figli nella NOSTRA scuola, prendono il NOSTRO caffè nei NOSTRI bar e non hanno neanche il rispetto per parlare la NOSTRA lingua! “ Storia Seconda: Linea B. Finalmente Veronica ha trovato il tempo per prendere un caffè con me. La chiamo «il motorino infermabile» perché lavora sempre! A volte mi sembra che lei faccia le pulizie in tutte le case di città. Ci tiene tanto al lavoro perché ricorda ancora il periodo quando non lo aveva e mangiava nella mensa della Caritas. È successo dopo l’abbandono del primo posto di lavoro che aveva comprato ancora nel suo paese da una amica con gli ultimi soldi messi da parte. Quel lavoro sembrava un dono per uscire dalla depressione e dalla crisi totale: abbandonata con un figlio piccolo, senza soldi e accompagnata dallo sguardo gelido della madre che sperava di trovare in lei un appoggio per la sua pensione miserabile. Come poteva sapere che quel lavoro sarebbe stato un incubo? Una casetta sperduta, pulizie infinite con mani sanguinanti, doccia per 15 minuti a settimana, un solo giorno di vacanze al mese e sospetti continui della padrona che lei rubasse la frutta dal frigo. E’ scappata dopo 3 mesi, e’ scappata nel nulla trovandosi completamente sola in un paese estero. Poi piano-piano la vita si è aggiustata, lei ha trovato un nuovo lavoro, anni dopo ha incontrato il Suo Uomo e adesso ha portato con sé il figlio già cresciuto. Di solito lei mi trasmette la certezza che tutto andrà a buon fine ma in questa mattinata grigia anche lei è piena di ansia e di disperazione. “Si, hai ragione!-comincia lei- Sono esaurita..Non ce la faccio più! A scuola di mio figlio c’è questo gruppo di mamme, non mi salutano e parlano dietro le spalle. Mio figlio non è strano, solo da quando è venuto qua, parla poco. Dopo il mio lavoro ci mettiamo insieme a fare i compiti, finiamo tardi, spesso anche dopo le undici, ma giustamente a scuola lui è molto lento. Per forza, la maestra dedica a lui più tempo, gli scrive assegni a parte. Quando incontro queste mamme mi sento colpevole, come se avessi rubato l’università ai LORO figli. Ieri una mia cliente era agitatissima perché la figlia di una sua amica si è lasciata con il marito per una straniera giovane che faceva le pulizie in casa sua. Non immagini che cosa ho dovuto sentire su tutte noi! Dimmi tu, forse ho rubato io quel marito?! E poi sono i LORO mariti che cercano le straniere! Per esempio, l’altro giorno in un supermercato un tipico padre e marito perfetto mi inseguiva ripetendo: “Sei uno spettacolo!” E non parliamo di lavoro ….Sono fortunata ad averlo in questo momento di crisi, ma tu lo sai, che non ho nessuna speranza di avere un contratto, tutto in nero! L’altra volta mi hanno fatto una “super offerta”: lavoro in un albergo per 4- 5 euro all’ora… Dicono che c’è una fila di noi straniere per questo posto! Non riesco a liberarmi dai pensieri negativi che avendo una laurea sto facendo la donna di pulizie! Non era meglio rimanere a casa, sopportare tutte le difficoltà, guadagnare gli spiccioli ma avere il rispetto di me stessa? Certo che sono stressata, mi sento sempre sotto una pressione di continui pregiudizi, di colpe che non ho, mi sento rifiutata dalla società. Anche in questo momento prezioso per me e te mi sento circondata da nemici: nello sguardo del barista leggo odio perché noi stiamo parlando la NOSTRA lingua! Non tranquillizzarmi, perché mi sembra ingiusto! Al lavoro, a casa con marito, nei 33 supermercati e negli ospedali facciamo sforzi mentali per parlare la LORO lingua e poi quelle poche volte che c’incontriamo io mi sento colpevole di essere libera di esprimermi con la NOSTRA lingua “barbara”…. “ Il punto d’incrocio. Una teorema della geometria nello spazio ci dice che le rette (linee) appartenenti ai piani paralleli non si incrociano mai. Usando le formule si può calcolare la distanza tra due piani e anche tra due linee. Ma la vita va oltre la geometria e il punto d’incrocio tra la linea A e la linea B esiste. Sono tutte e due le mie carissime amiche. Sono tutti e due episodi veri che mi sono successi a distanza di un mese e di migliaia di chilometri. Sono le storie che hanno un punto d’incrocio: me. Nella prima storia sono una autoctona e affronto i problemi d’immigrazione attuali per Mosca (Russia), dove torno spesso a trovare i miei. Nello stesso tempo sono una straniera da più di 7 anni nella realtà di Napoli (Italia), si riconosce nella seconda storia. Ho provato a trasmettere alle mie amiche che il mondo moderno non ha confini blindati, che si vive uno affianco all’altro. Vogliamo o no, le società diventano multiculturali. Le cose sono più semplici di come sembrano: gli stessi uomini e le stesse donne si nascondo dietro “NOI” e dietro “LORO”, siamo la stessa specie “Human Sapiens”. Per fortuna i nostri figli sono più bravi di noi, subito fanno amicizia pur senza capire la lingua. Per fortuna saranno loro a crescere insieme senza avere paura di LORO. Per fortuna ugualmente tutti i figli saranno futuri lavoratori e cittadini dei NOSTRI paesi. Per fortuna la vita va oltre la geometria e prima o poi le linee parallele si incroceranno sui piani multidimensionali dei nostri cuori. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 34 ! Больше, чем геометрия Каждую жизнь можно представить как линию. Моя линия начинается в глубокой российской Сибири с кучой снега, холодом и счастливым детством. Потом линия проходит по Москве, где видны красота молодости, познавание красок жизни и университетские книги. Потом прямой угол до Неаполя, связанный с самым глубоким чувством моей жизни. После многих лет подъемов и спусков на линии вы найдете меня опять здесь, на юге Италии. Теперь я богата своим опытом иммигрантки, как физическим ,так и ментальным, но самое главноесвоим «производным»: моим сыном. Первая История: Линия А. Напротив меня она, моя дорогая подруга Анна. Мы видемся так редко, что каждый раз я боюсь не узнать ее при встрече. И я была права, в последний раз я оставила ее длинноволосой блондинкой, а сейчас вижу перед собой брюнетку с аурой успешной женщины. Пока я барахталась с головой в своем браке, а потом в воспитании сыночка, она сумела построить и семью и карьеру. Она постоянно в движении, одна из тех, о которых говорят «продвинутая», она современная женщина. От нее исходит уверенность в том, что она делает, и в том, что говорит. Сегодня, однако, она мне кажется другой, может неуверенной или раздраженной. «Да, ты права!- начала она- Я так больше не могу! Ты же меня знаешь, правда? Я тоже себя считаю достаточно толлерантной и вобщем нахожу правильным всю эту иммиграцию, но.. Подожди, все тебе объясню! Только что я была в школе дочери на внеплановом собрании родителей. Представь, в ее классе 7 детей иммигрантов, которые почти не понимают, а говорят еще меньше!!!!!! Да, мы в первом классе, но все равно они не успевают за школьной программой.. И как мне быть? Как мама я должна дать своей дочери достойное обучение и образование, но в таких условиях мне это кажется невозможным! То, чего никак не могу понять, так это почему не организуют для НИХ отдельные классы, учитывая их количество? Мне кажется, что из-за боязни национальных конфликтов расплачиваются НАШИ дети, коренные жители.. Нет смысла тебе объяснять, ты просто посмотри вокруг! Даже официант в этом баре и тот не местный. Да, понимаю, что они заняты на всех этих работах в барах, в уборках квартир, как нянечки, как строители и т.д. Но я спрашиваю: их столько много, а не отнимают ли они НАШУ работу у нас? Представь, муж моей двоюродной сестры развелся с ней из-за одной из НИХ, оставив ее бедняжку в слезах! С тех пор каждый раз, как мой благоверный бросает любопытный взгляд на заметную продавщицу-иммигрантку, меня зацикливает, что она попытается его отбить! И не смейся, никогда не знаешь, где и как! Ну вот глянь сзади тебя, там пьют кофе две из НИХ... Ты что-нибудь понимаешь, что они говорят? Конечно нет, ведь они на СВОЕМ языке! Именно это меня бесит! Живут здесь, отбирают НАШУ работу и НАШИХ мужей, обучают 35 СВОИХ детей в НАШИХ школах, пьют НАШЕ кофе в НАШИХ барах и не имеют даже чуточки уважения, чтобы говорить на НАШЕМ языке!» История Вторая: Линия В. Наконец-то Вероника нашла время, чтобы выпить кофе со мной. Я зову ее «вечный моторчик» , потому что она все время работает! Иногда кажется, что она убирается во всех домах города. Она очень дорожит своей работой, потому что помнит период, когда ее не было и когда она кушала в столовой для бездомных. Это случилось после того, как она бросила свое первое место работы, которое купила еще у себя на родине у знакомой третьей знакомой на последние скопленные деньги. Та работа ей казалась подарком судьбы, который был послан после долгой депрессии и тотального кризиса: брошенная с маленьким ребенком, без денег и сопровождаемая ледяным взглядом мамы, которой она разрушила надежды на финансовую помощь к нищенской пенсии. Откуда она могла знать, что та работа станет кошмаром? Затерянный где-то домишко, бесконечные уборки до кровоточения рук, пятнадцати минутный душ раз в неделю, всего лишь один выходной за месяц и постоянные подозрения хозяйки в том, что она ворует фрукты из холодильника. Она убежала через 3 месяца, убежала в никуда, оставшись одна в чужой стране. Потом по-тихоньку ее жизнь стала поправляться, она нашла другую работу, через какое-то время она встретила Своего Мужчину и недавно перевезла своего мальчишку, уже подросшего. Обычно она заряжает меня уверенностью, что все будет хорошо, но в этот серое утро и она показалась встревоженной, серо-отчаявшейся. «Да, ты права!- начала она- Я опустошена.. Не могу так больше! В школе моего сына есть эта группка мам, которые никогда со мной не здороваются и все время шушукаются за спиной. Мой сын не странный, просто с того момента, как он сюда переехал, он мало разговаривает. После работы я каждый день до поздна с ним делаю уроки, часто заканчиваем после одиннадцати, но естественно, что в школе он очень медлительный . Ни куда не денешься, учительнице приходится уделять ему много времени, давать больше упражнений. А когда я встречаю этих мам, я чувствую себя виноватой, как будто бы я ворую у ИХ детей университет. Вчера одна моя клиентка была вся на нервах, потому что дочку ее подруги бросил муж ради молодой иммигрантки, которая у них дома убиралась. Ты себе представить не можешь, что мне пришлось выслушать о всех нас! Ну скажи мне ты, может это я увела того мужа? Да и потом это ИХ мужья ищут неместных! Например, на днях в супермаркете один примерный муж и отец ходил за мной, повторяя: «Ты бесподобна!» И не буду говорить о работе... Мне повезло, что в этот кризисный период она у меня есть, но ты же знаешь, что у меня нет никакой надежды заполучить контракт, все в черную! Недавно мне сделали «супер предложение»: убираться в гостинице за гроши...Говорят еще, что очередь из нас понаехавших на эту вакансию! В последнее время вообще не могу избавиться от черных мыслей, что, имея за плечами образование, продолжаю работать уборщицей! Может надо было тогда остаться дома, перенести все невзгоды, зарабатывать копейки, но уважать саму себя? 36 Конечно, я под постоянным стрессом, чувствую осуждение и вину за то, чего не делала, я чувствую себя чужой в этом обществе. Даже сейчас, в такой редкий для нас обеих момент, мне кажется, что вокруг нас одни враги: во взгляде бармена читаю ненависть за то, что мы говорим на НАШЕМ языке! И не успокаивай меня, это не справедливо! На работе, дома с мужьями, в магазинах и больницах мы постоянно прикладываем усилия, чтобы говорить на ИХ языке и в эти мгновения, что мы видимся, я себя чувствую виноватой за то, что говорю на НАШЕМ языке «варваров».. » Точка пересечения. Одна из теорем геометрии в пространстве говорит, что линии, расположенные на параллельных плоскостях, никогда не пересекаются. Используя формулы, можно рассчитать дистанцию между этими двумя плоскостями и двумя линиями. Но жизнь больше, чем геометрия и точка пересечения Линии А и Линии В существует. Это обе мои лучшие подруги. Это два реальных эпизода, случившихся в моей жизни на расстоянии месяца и тысяч километров. Это две истории, точка пересечения которых-я. В первой истории я местный житель , столкнувшийся с животрепещащими проблемами иммиграции в Москве (Россия), куда я часто возвращаюсь, чтобы повидаться со своими родными. В то же время уже больше 7 лет я приезжая, иностранка, в реалиях Неаполя (Италия), которые можно узнать во второй истории. Я попыталась передать обеим моим подругам, что современный мир не имеет железобетонных границ, что все живут рядом. Хотим мы того или нет, общества становятся мультикультурными. Все намного проще, чем кажется: те же мужчины и те же женщины скрываются за понятиями «МЫ» и «ОНИ», мы одна расса «Human Sapiens». К счастью, наши дети лучше, чем мы, они умеют дружить, даже не зная языка. К счастью, это они вырастут бок о бок, не боясь ИХ. К счастью, в одинаковой мере все дети будут рабочей силой и гражданами НАШИХ стран. К счастью, жизнь больше, чем геометрия и рано или поздно параллельные линии пересекутся в мультиплоскостях наших сердец. ! ! ! ! ! ! ! ! 37 FLORA AMOIN N’DRI (Costa d’Avorio) Non voglio più avere paura Iniziare questo viaggio è stata la decisione più difficile della mia vita perché non avevo mai immaginato di lasciare il mio paese per un Paese lontano, soprattutto per l'Europa, perché in cuore e in coscienza avevo terribilmente paura del freddo. Nel mio Paese, la Costa d'Avorio, là dove la temperatura arriva a 40°, io non ho mai dormito sotto un ventilatore o un condizionatore. E poi non volevo lasciare il mio paese e i miei cari perché non volevo sentirmi sola. Venticinque anni di vita no si cancellano. Riuscirò ad integrarmi? Quanti anni prima di ottenere questa integrazione? Non avrei rimpianto la mia scelta? Cosa mi riservava il futuro in un paese straniero dove tutto dove tutto è per me straniero? Tutte queste domande mi tormentavano prima e durante il viaggio. Io non avevo scelta a causa della situazione del mio paese. Ho accolto l'occasione e con e con il cuore che mi stringeva nel petto ho affrontato questo tragitto di miliardi di chilometri in lacrime. Sono partita per l'Italia. Dopo qualche giorno a Roma, sono stata trasferita a Galatina. Quando mi hanno detto che dovevo andare a Galatina, ho sentito il vuoto nella mia testa. Non pensavo a niente perché non credevo più in questa vita. I miei primi giorni a Galatina sono stati un grande momento di felicità perché a Galatina ho trovato una famiglia che mi ha aiutato a scrivere la mia storia, la mia nuova vita. Immaginate una persona senza casa, senza luogo fisso che si ritrova in una città dove l'uomo che ti porta fino a qui ti dice: "ecco, questa è la tua camera", con un letto, un armadio, dei vestiti, le coperte e il cibo. Insomma, tutto quello che può servire in una casa. Immaginate la mia gioia! Ho chiamato quell'uomo Angelo mio. Ho detto grazie e grazie e lui e a tutte le persone che non conoscevo ancora. C'era veramente la gioia nel mio cuore. Là io ho trovato alcuni africani e con loro potevo parlare, mi sono sentita come se ero tornata a casa mia. Ma una vita non si cancella. Dopo qualche giorno sono caduta nella solitudine con una grande paura. Ma una paura fondata? Non fondata? Non so. Io ho i miei difetti come essere umano, ma credo fortemente in Dio. Mi sono informata per trovare una chiesa. Mi sono trovata in una situazione dove delle persone di buona volontà mi tendevano la mano, ma io non avevo più la forza e la voglia di andare avanti. Anche se mi avevano offerto delle opportunità, avevo perduto la speranza. Mio Dio, prima della commissione c'era il vuoto nella mia testa. Avevo paura perché era un'esperienza che non avevo mai immaginato e non mi sentivo capace di affrontare questo momento. Raccontare il mio passato era come riviverlo e io non volevo. Dopo una settimana o due che ero a Galatina dovevo incontrare il mio avvocato. Mi ricordo bene quel momento perché la mia paura è diventata più grande. L'avvocato mi ha detto: " tu sei adesso in un progetto, noi tutti insieme ti vogliamo aiutare ma tu hai dei doveri da rispettare perché tutti insieme possiamo raggiungere gli obiettivi. Noi abbiamo tre obiettivi principali e abbiamo sei mesi per raggiungere questi obiettivi". A quel punto avevo voglia di dire a lui grazie, ma no posso e non voglio raggiungerli. Ho cominciato a sentirmi male e lui mi ha detto il primo obiettivo. " tu devi capire e sapere parlare la lingua italiana", poi mi ha detto il secondo: " tu devi avere un lavoro" e poi il terzo: " devi ottenere i documenti che è l'obiettivo più importante. Io ti dico con sincerità, fai i 38 ! tuoi doveri, io sono qui per aiutarti a raggiungere l'obiettivo più importante: avere i documenti per poter soggiornare nel territorio italiano. Noi ti aiuteremo, tutto dipende da te". Nella mia pura totale l'unica frase che ho potuto dire è stata: " Scusate, ma non mi potete fare vivere senza documenti?". La domanda può sembrare assurda, ma bisognava essere al mio posto per capire la mia preoccupazione. Dopo qualche mese mi hanno comunicato che avevo i documenti. Non so descrivere questa giornata. Era come se mi avevano tolto un peso dalla testa. Come se queste persone che mi hanno aiutato mi hanno aperto in cammino di speranza. Era un giorno che avevo ricominciato ad avere fiducia in me stessa per dire che era valsa la pena e vale la pena di continuare, di crederci. Questa giornata era la più bella della mia nuova vita, perché in questo giorno vedevo rinascere le mie speranza e con tutto il mio cuore io ringrazio quelli che mi hanno aiutato perché da sola non ci sarei riuscita. La mia anima benediceva e benedirà per sempre dio di Israele e la Santa Vergine Maria, la mia mamma. Poi ho avuto un lavoro, è stata un'esperienza molto bella perché ero nel mondo della bellezza, l bellezza dei colori, la bellezza della creatività,perché ho lavorato in un atelier di vestiti da sposa che si occupava anche dell'organizzazione delle cerimonie di nozze. Adesso sono qui e non voglio avere più paura. Penso qualche volta alla mia Africa. Io credo che un giorno tutto cambierà e che il mio paese ritroverà la sua gioia di vivere e che i suoi figli potranno mangiare fino ad essere sazi grazie a questa terra benedetta e ricca che Dio ci ha offerto. E questa terra è diventata una maledizione per noi. Loro vogliono eliminare noi tutti, cancellarci dalla storia per questa ricchezza, per il nostro sottosuolo. Io dico no! Noi possiamo semplicemente passare ad un rapporto di business come degli uomini piuttosto che cadere più in basso come degli animali. Non siamo più all'epoca coloniale, le cose devono cambiare. E questo cambiamento deve passare da noi, i figli del paese. Ma peccato, la corruzione è a un livello indescrivibile. Solamente Dio può salvare questo paese. I miei progetti per il futuro son semplici: vivere una vita tranquilla e serena con un appartamento mio, una macchina e un lavoro che mi permette di vivere degnamente, e poter tendere la mano a uno sconosciuto come gli altri hanno fatto con me. Io voglio ritrovare la mia serenità interiore per avere una famiglia e dei bambini. Per quelli che perdono la vita durante il cammino, nel tentativo di trovare una terra che potrà accoglierli per realizzare il loro sogno, che Dio consoli le loro famiglie e salvi le loro anime. Non vi dimenticheremo mai. Lasciare il tuo Paese, i tuoi cari per un'avventura nella speranza che qualcosa cambierà per noi e per quelli che ci lasciamo dietro è un atto di coraggio e di grandezza, ma noi dobbiamo cercare di capire che in fin dei conti ci troviamo in un mondo diverso che rende la situazione più complicata. Ci sono degli immigrati che sono costretti a compiere degli atti ignobili per vivere perché ritornare non è la soluzione, perché loro hanno sacrificato tutto per essere qui. Io ho visto delle persone che sono diventate pazze, totalmente pazze, altre dormire sul pavimento con il clima che c'è qui in Europa. Secondo me bisogna avere una sensibilizzazione per l'immigrazione, migliorare l'entrata degli immigrati e creare più strutture per l'accoglienza. 39 Io ringrazio il cielo, mi son trovata in un progetto che non dimenticherò mai, mai, ma ci sono milioni di persone che non hanno avuto questa chance. Dio non vi dimentica! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 40 Je ne veux plus avoir peur Effectuer ce voyage a été la décision plus difficile à prendre dans ma vie car je ne m'été jamais imaginé laisse mon pays pour un pays lointain, surtout pour l'Europe parce que en âme et conscience j'avais terriblement peur du froid. Dans mon pays, la Côte d'Ivoire, là où la température va jusque 30°, mais je n'avais pas à dormir sous un ventilateur et à plus forte raison un climatisseur. En plus, de cela je ne voulais pas laisser les siens parce que je me sentirai seule. Vingt-cinq ans de vie, ça ne s'efface pas. Arriverais-je m'intégrer? Combien d'années pour atteindre cette intégration? Je ne regretterais pas mon choix? Que me reservait le futur dans un pays etranger où tout m'est étranger? Toutes ces questions me tourmentaient avant et pendant le voyage. Moi je n'avais pas la choix vu la situation de mon pays. J'ai bondi sur l'occasion et avec le cœur qui me serrait dans la poitrine j'ai effectué ces milliards de kilometrès de trajet en larmes. Je suis partie pour l'Italie. Après quelques jours à Rome, j'ai été transferée à Galatina. Lorsque on m'annonçait que je devais me rendre à Galatina c'était le vide dans ma tête. Je pensais à rien puisque je ne croyais plus en cette vie. Mes premiers jours à Galatina étaient un grand moment de bonheur parce là à Galatina j'ai trouvé une famille avec laquelle j'ai écrit mon histoire, ma nouvelle vie. Imaginez une personne sans abris, sans lieux fixe qui se retrouve dans une ville où l'homme qui te porte jusqu'à ce lieu te dit: "voilà, ici c'est ta chambre", avec un lit, un placard, des vetments, des draps et la nourriture. La maison faisait quatre pièces avec une télé. En somme tout ce qui peut servir dans une maison. Imaginez ma joie! Cet homme je l'ai surnommé Angelo moi. Je lui ai dit merci et merci à lui et aux autres que je ne connaissais encore. Etaient vraiment joie dans mon cœur. Là j'ai trouvé des africains avec lesquelles je pouvais échanger, je me suis sentie en ce moment comme si j'étais retournée chez moi. Mais une vie ne s'efface pas. Après quelques jours je me suis replongée dans la solitude avec une grande peur, mais une peur fondée? Non fondée? Je ne sais pas. J'ai mes defauts comme être humaine, mais je crois fortement en Dieu. Je me suis renseignée pour trouver une église. Je me suis retrouvée dans une situation où des personnes de bonne volonté me tendaient la main, mais je n'avais plus la force ni l'envie d'avancer. Malgré les opportunités qui m'été offertes j'avais carment perdu l'espoir. Mon Dieu, avant la commission s'était le vide dans ma tête. J'avais peur parce que c'est une expérience que je m'étais jamais imaginée et je ne me sentais pas capable d'affronter ce moment. Raconter mon passé était comme le revivre et je ne voulais pas. Une semaine ou deux après mon arrive à Galatina, je devais rencontrer mon avocat pour une prise de contacte. Je me souviens très bien de ce moment parce que ce moment a grandi ma peur. L'avocat m'a dit " tu es actuellement dans un projet, nous tous ensemble voulons t'aider mais tu as des devoirs à accomplir enfin qu'ensemble nous puissions atteindre les objectifs. Nous avons trois objectifs principaux et ces objectifs nous avons six mois pour le conclure". Sur le champ, j'ai eu l'envie de lui dire merci mais je ne veux pas et je ne peux pas les entendre. J'ai commencé à me sentir mal et il m'a dit le premier objectif: " tu dois comprendre et savoir parler la langue italienne". 41 ! Puis il m'a dit le second. " tu dois avoir un boulot" et puis le troisième : obtenir les documents qui est d'ailleurs le plus important. Mais moi je te dis en toute sincérité , tu fais tes devoirs, je suis là pour t'aider à atteindre l'objectif le plus important: avoir les documents pour pouvoir séjourner sur le territoire italien. Nous allons t'aider, tout dépend de toi". Dans ma peur totale, l'unique phrase que je pu dire: " Excusez-moi, mais vous ne pouvez pas me faire vivre sans documents?". La question peut paraitre absurde, mais il fallait être à ma place pour comprendre ma préoccupation. Après quelques mois il m'a été annoncé que j'avais enfin les documents, je ne saurais pas decrire cette journée. C'est comme on venait m' enlever un poids sur la tête. Comme si ces personnes qui m'ont aidé venaient d'ouvrir un chemin d'espoir, un jour où enfin j'avais repris à me faire confiance en moi-même pour dire ça fallu la peine et il faut la peine de continuer, d'y croire. Cette journée était la plus belle journée de ma nouvelle vie, parce que en ce jour je voyais renaître mes espoirs et de tout mon cœur je remercie ceux qui m'ont aidé parce que seule je n'y serais jamais arrivée. Mon âme bénissait et bénira à jamais le Dieu d'Israel et la Sainte Vierge Marie, la maman à moi. Puis j'ai eu un travail. Elle a été une très belle expérience , car j'étais dans le monde de la beauté, la beauté des couleurs, la beauté des fleures, la beauté des vêtements , la beauté de la créativité parce que j'ai travaillé dans un atelier de vêtements de mariage qui s'occupait aussi de l'organisation de la cérémonie de noce. Maintenant je suis ici et je ne veux plus avoir peur. Je pense quelque fois à mon Afrique. Je crois que un jour tout changera et que mon pays retrouvera sa joie de vivre et que ces fils pourront manger à leur faim grace à cette terre bénie et riche que Dieu nous a offert. Et cette terre est devenue une malédiction pour nous. Ils veulent nous éliminer tous, nous effacer de l'histoire pour cette richesse, pour notre sous-sol. Je dis non! Nous pouvons passer simplement à une relation de bisness comme des humaines plus tôt de tomber plus bas comme des animaux. Nous ne sommes plus à l'époque coloniale, les choses doivent changer. Et ce changement doit passer par nous, les fils du pays. Mais dommage, la corruption est à un niveau indescriptible. Seulement Dieu peut sauver ce pays. Mes projets pour le future sont semples: vivre une vie tranquille et gaie avec un appartement à moi, une voiture, un boulot qui me permet de vivre dignement et pouvoir tendre la main à un inconnu, comme les autres ont fait pour moi. Je veux retrouver ma sérénité intérieure pour envisager un foyer et des enfants. Pour ceux qui ont perdu la vie sur le chemin, dans le but de trouver une terre qui pourra les accueillir , et réaliser leur rêve, que Dieu console leur différentes familles et sauve leur âmes. On ne vous oubliera jamais. Laisser son pays, ses siens pour une aventure dans l'espoir que quelque chose changera pour nous et pour ceux qu'on laissé derrière soi est un acte de braver , un acte de grandeur, mais nous devons chercher à comprendre que en fin de compte nous nous retrouvons dans un monde différent qui rend la situation plus compliquée. Il ya des immigrés qui son contraints à poser des actes ignobles pour vivre parce que retourner n'est pas la solution, parce que ils ont tous sacrifié pour être ici. J'ai vu des personnes qui sont devenues fou, totalement fou, d'autres dormir à même le sol avec le 42 climat qui se retrouve ici en Europe. Selon moi il faut avoir une sensibilitation sur l'immigration, améliorer l'entrée des immigrés et créer plus de structures pour l'encadrement. Moi je remercie le ciel, je me suis retrouvée dans un projet que je n'oubliera jamais, jamais, mais il y a des million qui n'ont pas eu cette chance. Dieu ne vous oublie pas! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 43 GENTIANA MINGA (Albania) Mahmudu Fu senza dubbio l'ultima frase che fece cambiare loro idea. La voce di lui si mescolò con il brusio delle zanzare così che la fecero sembrare triste e decadente. ”Ah quei poveretti, quei sventurati Michele e Nadia!Ah...ah!Lo sapete ,no? La storia ...in Mauritania?”. Ecco, se non ci fosse stata quella frase lì, detta in quel modo, con l'orrore leggero e polverizzato, sarebbero andati a casa da un bel po. E Maurizio non ha dovuto sforzarsi. In fin dei conti la serata al “Cavallino bianco” aveva proseguito scorrevolmente ,come la minestra calda d’inverno, liscia e lattea, piccante quanto basta, mescolata di componenti banali e misteriosi. Quanto basta. Ma ecco che a Maurizio era saltato in testa di raccontare una storia lunga e curiosa, una di quelle storie da raccontare proprio quando il sole calava, e fuori pezzi di luna si amalgamavano con pezzi di cielo e nuvole. Era la serata giusta! E Maurizio conscio di tutto ciò grattava il naso con la coda dei occhiali, toglieva con il dito le cispe agli angoli dell'occhio e passava il palmo della mano sopra la camicia. A dire il vero, forse, fu sopratutto questo linguaggio del corpo che fece si che gli altri lo prendessero sul serio e, in seguito ad accomodarsi meglio sopra le sedie di paglia, rimettere i portafogli dentro le tasche e girare gli sguardi verso Maurizio che aspettava, con le mani incrociate dopo aver rimesso gli occhialini con scheletro bianco. Fu cosìSognare che aveva cominciato a raccontare in minimi particolari, con pause e arie significative, la cronistoria famosa che loro non conoscevano. Così lei torno a casa verso l’una, e da quell'ora in poi non riuscì a prendere sonno. Inutili gli scherzi di Memo per farla ridere, banalizzare la paura, il sonno non venne. Per ore e ore si girò nel letto da destra a sinistra, tutta la notte osservò come la luna inserisse tra le tapparelle i suoi timidi raggi, come un liquido denso color ambra,come certi corpi nella note si avvicinassero e si spingessero, si sbattessero e ridessero. Si alzò d'un colpo. Fu chiaro che non sarebbe riuscita a dormire, e si diresse verso la vasca. Aprì il rubinetto dell'acqua calda e si mise a ricordare pezzi del discorso della sera prima. Nel frattempo programmava la mattinata, e mentre faceva questo, ancora una volta balzò prepotentemente il pensiero di Mahmudu. Questo pensiero le occupò tutto il resto come anche durante la notte, la avvolse la paura per tenerla calda e fresca, le raffrescò l'incubo ed il subconscio. Ecco il perché non riusciva a prendere sonno. Sentì la prima sirena del treno e chiuse l'acqua. Si immerse con tutto il corpo, anche la testa. Rimarrojse così una decina di secondi e poi porse fuori il naso e le labbra. Oggi aveva tante faccende da sbrigare, commissioni e appuntamenti. Mancava anche la riunione con Mahmudu ...sospirò angosciata. Ovunque poggiasse gli occhi appariva la sagoma di Mahmudu. Sopra la saponetta di colore rosa scialbo, sopra l'asciugamano sul pavimento del bagno, di colpo dentro il vapore visualizzato sullo specchio del lavandino. Anche sulla maniglia della porta sembrava pendesse il corpo esile di Mahmudu. Talvolta vestito con un mantello, talvolta in un costume color verdognolo, e altre con i pantaloni da Schutzen con un bastone in mano. Non poté cacciarla, era impossibile, saltava da tutti gli angoli della stanza. 44 ! Si alzò disperata e rassegnata, indossò la vestaglia e si diresse verso la cucina. Aprì il pensile e mise fuori il barattolo del caffè con sopra la scimmietta che beve la coca-cola, il cucchiaino, e la moka. Mise il naso dentro il barattolo e annusò desiderosa quel profumo forte del buon caffè. In seguito, automaticamente, aprì la moka, mise dentro quattro cucchiaini colmi, la chiuse per bene e la appoggiò sopra il fuoco. Dopo pulì la punta del naso dal caffè. Erano movimenti meccanici, piccole cose quotidiane che la facevano felice, sopratutto il rumore del caffè mentre bolliva, quel vapore sotto il coperchio che aspettava di esplodere fuori, poi quel rigagnolo insostenibile del caffè che si versa dormiente nelle vecchie tazzine di porcellana, grosse e rotonde. Il caffè era pronto. Spense il fuoco e si sedette sulla sedia in attesa che si svegliasse Memo. Pensando a ieri, il bar “Cavallino bianco” era semi vuoto, i camerieri sbadigliavano e avevano cominciato a sistemare i tavoli liberi. Tutti al tavolo erano pronto per alzarsi quando Maurizio iniziò a raccontare una storia capitata a due missionari in Africa, alcuni anni fa. Per appunto, a Michele e Nadia. Il discorso non aveva niente a che fare con tutto ciò di cui si parlava prima. In effetti Emma appena aveva trattato in maniera disinvolta il tema dell'energia positiva, cosa che le aveva portato in mente il turbante dell'indiano Pakun, il ragazzo che faceva da oltre un anno il postino della Europa Novacella. Pakun andava in giro per le strade di Bolzano con una motocicletta rossa, con il turbante color visciolo e una tuta gialla. Sopra la motocicletta appoggiava una borsa di pelle vecchia stipata di carte, e un sacchetto di plastica con dei panini per il pranzo. Ma quel turbante li per la Emma era l'espressione di un amore sconfinato per l'universo e la pace, contrariamente che per la Lucia appunto, quel turbante le faceva girare gli zebedei. Lei lo inseriva dentro un'altra proiezione il buon indiano Pakun, e ogni tal volta scorgeva la punta del suo turbante avvicinarsi tra la folla le veniva da vomitare. Ricordava una fresca mattina di primavera quando aveva visto da lontano il suo capello dalla forma di lumaca che correva. Il ragazzo era corso ancora un po di metri più in giù e appena si era trovato vicino al bidone delle immondizie aveva rallentato il passo. Poi si era fermato proprio davanti, e, con un movimento nobile, mentre un paio di anziani trattenuti per pura curiosità lo osservavano, aveva spalancato il coperchio, messo il dito a fianco del naso, e facendo così aveva soffiato con grande zelo nel bidone. Per sua sfortuna la Lucia aveva notato quella massa grigia saltare dalle narici dentro il bidone, probabilmente sopra un sacchetto di immondizie residue, visto il color verde militare. La Lucia dirigeva da oltre vent'anni un bar, e ultimamente, diversamente da come profetizzava Emma, la sentiva, altroché se la sentiva girarsi intorno l'energia negativa. Aveva fatto solo la scuola elementare ma non le serviva tanta istruzione per percepire come questa energia sudicia accerchiava i clienti che andavano su e giù con un solo caffè e un bicchiere d’acqua, o come li ipnotizzava questa energia quando veniva il momento di pagare un bicchiere di Pinot bianco. La osservava in come sbattevano il portafoglio sopra il banco, come scavavano in modo ansimante le tasche strette per portare fuori monetine dopo monetine. E proprio per questo,quella sera, mentre ognuno stava calcolando a occhio il conto da pagare e pareva che nessun altro argomento potesse tenerli più a lungo, salta fuori la storia dei dieci missionari che partono da Milano per la Mauritania. Non ci voleva, ma la curiosità fece il suo dovere. Furono accompagnati da un prete, disse Maurizio, dopodiché capii che doveva iniziare, da cinque o sei chiatte zeppe di cibo e vestiti, ed un furgone. Descrisse minuziosamente tutto l'itinerario dei viaggi fantasmagorici attraverso il Sahara, queste 45 dune distese e alte, di là coni e di qua onde sabbiose, sempre il sole al tramonto e la luna piena ,certe sere un po' graffiata, l'accompagnatrice pignola con la stessa rotondità ovale. Questo accentuò Maurizio, sembrava che la luna volutamente non cambiasse per intero viaggio questa forma non perfetta ma ovale. Cerano delle mattine nelle quali si accorgevano meglio i residui scheletrici di cavalli mescolati con quelli umani, secchi e delicati per via dell'afa infernale. Cerano delle giornate che si trovavano vicini alle tende di varie tribù, e così che Maurizio raccontò la storia con la tribù dei gialli. Li chiamarono gialli non per via del colore giallastro del corpo, ma per una specie di maschera gialla che indossavano sopra il viso con dei lineamenti neri. Questi avevano azzardato delle pretese un po particolari. Volevano scambiare la loro merce con le donne della spedizione. Fu inutile l'intervento del prete che, conoscendo la lingua, si dava da fare con le braccia aperte e voce alta, con le mimiche e dittongazioni per spiegare le regole del mercato europeo. Il mercato europeo! Conosceva queste zone come gli angoli della chiesa, e questo lo faceva sperare che quelli orrendi poveracci lo capissero. Quando la situazione era uscita fuori controllo, e con possibilità che la tribù furiosa e offesa decidesse di attuare violentemente lo scambio, da un chiaro segno del prete che sottintendeva allarme, gli autisti salirono sopra i camion con la velocità del fulmine, fecero segnali di luce anche agli altri che erano ancora fuori, e volarono attraverso il deserto accompagnati dalle urla delle donne che, terrificate come erano, dimenticarono sopra la sabbia, vicino alle tende, di fianco ad una magra duna, gli slip sporche che cambiavano sempre ogni mattina. Vagarono così per un paio di settimane, tra caldo e il sudore, le malattie e la febbre ,fino che distribuirono come e dove potevano tutto, i cibi, i giocatoli per bambini, i quaderni, le matite multicolori. Al ritorno successe si ruppe l'ultimo camion, li nel bel mezzo del deserto. Dopo tante discussioni decisero di partire verso il paese più vicino lasciando là da aspettarli, secondo la loro richiesta, Michele e Nadia. Questi due, a dire il vero, durante tutto il viaggio si lusingavano a vicenda tramite messaggi sofisticati, sottintesi; era forse il deserto che evocava delle sirene d’amore, faceva si che si dimenticassero i matrimoni, farli sembrare lontani, non loro, come se fossero degli altri. Erano magici anche quei cespugli magri di la e di qua, il sole fiammeggiante al tramonto. Avevano aperto la loro tenda affianco ad una piccola palma, l'unica palma, e accostati ad una oasi magnifica, come un grande occhio blu in un viso pallido. Avevano fatto l'amore sotto la tenda, e quindi ebbri di un entusiasmo viscoso, vuoi per la passione, vuoi per via del cielo nero carbone, adornato di stelle che ballavano sotto un ritmo di valzer, decisero di immergersi così com’erano, nudi e sudati nell'oasi intrigante e graziosa, con acqua calda e plasmata come l'olio. Dopo che sguazzarono come due papere felici, misero addosso qualcosina di leggero, si buttarono sotto la tenda, sopra un grosso asciugamano disteso sulla sabbia. Bastò tutto ciò. Il sesso, la stanchezza e il caldo fecero il loro, caddero nel sonno e dormirono senza sosta fino a tarda mattina. Appena desti si accorsero di un paio di occhi rossi e fiammeggianti che li osservavano da sopra. Parecchi occhi e teste oblunghe. Si alzarono in fretta come paralizzati dalla paura, e capirono che erano circondati da una tribù di circa una trentina d'uomini. Tutti neri come la notte, con addosso dei mantelli bianchi come la neve. Notarono anche il capo, seduto accosciato in mezzo alla folla. Non hanno bisogno che lo fanno sapere, hanno imparato a conoscere i capi. Si distingue un capo,s i distingue dal modo come muove gli occhi per osservare, come si accoscia in mezzo alla gente, da una piccola bacchetta nella mano destra con la quale disegna sopra la sabbia segni e forme, e da un bastone nella mano sinistra con il quale dà dei colpi ai calcagni ai sudditi, quando vuole uscire dal 46 cerchio. Il nostro capo del Sahara non sembrò molto bendisposto,nemmeno gli altri. Da li in poi venne chiarito come fossero profondamente offesi dal fatto che avessero osato usare l'oasi, lavarsi e risciacquarsi laddove loro, ogni mese si fermavano una intera notte, e lungo la quale adoperavano l'acqua per i loro bisogni. Tutto ciò venne chiarito in un italiano chiaro e puro da un membro della tribù,che guarda caso era emigrato in Italia e si chiamava Safà. Dopo aver discusso relativamente a lungo con i ragazzi, chiedendo loro delle spiegazioni e sentirli con attenzione, Safà partì verso la tenda del capo e stette li un bel po'. Poi lo videro uscire e dirigersi verso di loro con due coppe in mano. Era una specie di latte fresco, dolce e denso, come il salep, e lui aveva un sorriso delizioso mentre lo offriva. Questo diede grande speranza ai ragazzi prendendolo come un chiaro segno di rappacificazione, e ragionando così, ringraziando con tante riverenze a sinistra e a destra, con gli occhi spalancati di felicità e movimenti delle mani, con tanto d'inchini e curvature, asciugarono d'un fiato lo strano liquido. Come raccontò Maurizio, sia Nadia sia Michele, caddero letteralmente nel sonno. Fu così che, detto da Maurizio, venero uccisi, poi spellati, e poi stufati sopra un fuoco improvvisato. E in seguito serviti per pranzo. I due amanti sconsolati finirono nelle pance buie della tribù, ed ovvio, la parte migliore,quella più tenera, nella pancia scortecciata del capo. Quando la Lucia chiese con lo sguardo atterrito “il perché”, Maurizio aggiunse alzando le spalle ”è il capo,o no..? è chiaro!”. Verso il tramonto, al ritorno, gli amici dei sventurati trovarono vicino all'oasi solo le ossa dure, quelle che non si potevano addentare. Come lo capirono? Maurizio non seppe chiarire bene come ed il perché si capi che le ossa erano dei nostri ragazzi. Presumibilmente dai reggiseni blu appesi sopra le foglie della palma, o dai pantaloni di Michele piegati per bene sotto due teschi bruciacchiati. Così che appena fini di raccontare chiuse il discorso e cominciò a pulire gli occhiali. La situazione diventò tesa. La Emma si alzò per prima e disse: ⁃ Leggenda metropolitana di merda! la nostra ignoranza che vuole accomunare l'emigrante africano con una tribù di cannibali! la solita buffonata! Aveva detto questo e chiamato il cameriere. Mentre Lucia aveva mormorato: ⁃ Beh … a dire il vero stelle mie, questi qui, sono aumentati che non ce la facciamo più....e chi me lo assicura che non ci sbranano quando gli girano i coglioni!- ma appena si era imbattuta con lo sguardo nervoso della Rina si era affrettata ad aggiungere: ⁃ Oh stellina, non per cattiveria, non c'è l'ho con te, te sei come noi...- e aveva girato gli occhi verso la Emma come per chiedere aiuto. Pero quest'ultima dopo averli buttato un sguardo del tipo “Hai proprio esagerato!”, aveva salutato seccamente, era salita sopra la bici per poi sparire tra le stradine metà buie. Erano rimasti con lei Maurizio, con i suoi occhialini da grande miope, e la Lucia che si sforzava di calmare la situazione. Faceva l'impossibile per non dare nell'occhio ma si capiva chiaramente che Maurizio se la rideva e se la giocava, cercava ti tenere il tipico atteggiamento dell'intellettuale che sa più di quello che fa 47 vedere. Rina non aveva parlato più,e zitta zitta si era diretta verso il portone del bar con sopra la grande statuetta del Cavallino Bianco. Mentre passava sotto ed appena aveva dato un’occhiatina alla criniera bianca, sentì dietro le spalle la voce di Maurizio: ”Eppure..se fossi al tuo posto avrei fatto un po di attenzione con i miei amici africani! Inter cultura – Inter cultura ma...l'uomo mangia l'uomo...niente da dire..è successo. Dammi retta!” Fu così che era passata la serata, e Rina non aveva chiuso occhio tutta la notte. Non vorrebbe ma gira e rigira le si ripete la stessa scena. Le sembra di vedere Mahmudu che va verso di lei con un bastone a mano. Pare di voler porgerle chi sa cosa ma lei scappa e corre. All'inizio a piedi, poi non sa come, ma si curva come un asinello e cavalca. Questo alleggerisce la corsa e lei cavalca e cavalca, sente di cavalcare con mani e piedi ed è salvata. Ce l'ho fatta, pensa, mentre le sembra di essere adagiata sopra una nuvola grande, grigia e fumosa. E allorché pensò che oggi dovrebbe andare a una riunione con Mahmudu si indignò. Ecco, ragionò, ma sono cose normali queste ...per carità?! E' come se io andassi a Senegal, per portare degli aiuti al paesino del mio amico Mahmudu, e costui senza il minimo ripensamento, senza vergognarsi, o perché stanco o offeso...mi mangiasse? Ma, è normale questa ingordigia? E chi, Mahmudu? Per carità! Sentì aprirsi la porta della camera e vide il viso ancora addormentato di Memo che leggendo tutti i suoi pensieri sussurrò: ⁃ Ehi!!! Andrai oggi si...alla riunione? - e le fece l'occhiolino – Se avrà fatto una buona colazione difficilmente ti divora sta mattina! Ma Rina tenne duro e resisté con dignità alla sua provocazione. Fece finta di sorridere, come se disprezzasse Maurizio e la sua storia illogica, come se non credesse mai in un probabile tradimento da un presunto emigrante. Insomma fece finta che non le passasse per la mente neanche per un decimo di secondo la terribile possibilità che così, a ferri corti, ad esempio per non aver ancora concluso il progetto I giochi nel mondo, Mahmudu li ordinasse di bere quel liquido denso e bianco, e zag e tac li spellasse per bene, la facesse a pezzi, ove una coscia e un seno, ove un dito e un naso. Dopodiché in tempo record, la stipasse nei pacchettini, e quando negli uffici non si fosse mossa anima viva li portasse a casa, dentro il congelatore...E deve averne uno di quelli grossi senz’altro, pensò con il cuore alla gola e gli occhi socchiusi. Fatto questo ha fatto tutto, continuò terrificata. Per mangiarci ...mica ci sono dei problemi! Oh mamma,certo che ci mangia, e annuiva con la testa! Una festa oggi e una domani. Mica è un problema a trovare le occasioni, pensava esasperata e quasi svenne dalla delusione. Intanto Memo stava mescolando il caffè tranquillo, e come se leggesse i suoi pensieri atroci bisbigliò: ”va beh...pero'...se ci rifletto un attimo...non credo che ti mangerebbe! Ti stima! - afferma con la testa fingendosi serio- Le persone non possono essere così ingrate! - e accentuando le parole aggiunse – Si mangia l'altro ma almeno per una causa sana, non così....mi rompi le balle...e ti ingozzo... Guarda caso in quell’attimo alla TV si vede Kofi Annan. Grazioso, sicuro, con quel passo agile e quella pelle di cioccolata. E mentre Rina stava per spruzzare un po di pensieri positivi su quelli 48 sporchi, così come l'ammorbidente dentro la lavatrice se non pulisse almeno profuma e ammolla, sentì Memo che esclamò: ⁃ In grande forma signor Annan! Avrà scortecciato sta mattina qualche poveraccio...si vede...è rilassato... ⁃ E basta... – contraddisse lei infastidita- non sono così rimbambita! E mentre disse “rimbambita” stava contempo e inconsciamente immaginando Kofi Annan con una coppa in mano e una collana di osso al collo, una di quelle collane che andavano fino sotto la pancia nuda, liscia e scura. Lo vede mentre si dirige verso il deserto del Sahara come per concludere quello che nella sua mente aveva oramai avuto inizio. La strada fino a Piazza Vittoria la fece a piedi con le cuffiette nelle orecchie. Il mattino era così attraente, con i viali immersi negli odori dei fiori e del caffè, stratificazioni di profumi d’erba, di dolci, di cornetti pieni di crema vaniglia, caldi, appena sfornati. Tutto questo subbuglio, le macchine che vanno e vengono, il ponte dove lei ogni giorno ama dondolarsi appoggiata al muro fissando il fiume e le montagne, le teste degli alberi immersi di castagne e Bob Marley che suona nelle orecchie, Stop the train I'am living! Stop...stop the train I'am living...living again.... tutto ciò le fecero tutto d'un tratto dimenticare Mahmudu. A Piazza Vittoria incontrò Khadija,che di suo vide da lontano Sanosy. Sanosy in giorni di festa camminava lentamente come se venisse dritto da Tambakunda, con quella tunica di leggero lino color late e con i sandali bassi. Gli fece un segno alzando la mano in modo che lui le scorgesse al piccolo bar di fronte alla chiesa di Sant'Antonio. Aveva con sé il tamburo. Offriva ogni tanto concerti per i bambini malati di San Maurizio. Questi bambini saltavano come degli scoiattoli appena scorgevano la esile e alta silhouette di Sanosy,con dietro degli amici, griots, carichi con sabar, kora e balafon. Sanosy arrivò e si sedette in mezzo alle donne, al che Rina ordinò del caffè, cappuccino e strudel. Spettava a lei, visto che l'ultima volta aveva offerto Sanosy. E mentre parlavano di tutto e di più finalmente chiese quello che voleva sapere. Se esisteva dove era nato lui il cannibalismo. E mentre completò a malapena la sua domanda fecce caso che lui non si stupì. Rimase un attimo attento a assaporare in bocca un sorso del caffè. Lo girò tra la lingua e i denti, alzò gli occhi verso il cielo e poi lo mandò giù. Rina ebbe paura che lui si fosse offeso, che adesso si alzasse e andasse via, la lasciasse lì, con il caffè e lo strudel in mano. Ma no, dopo che lui agitò ancora una volta la tazzina con quel poco liquido rimasto e lo girò di colpo, sussurrò qualche cosa del tipo elhamdulilahi,e disse: ⁃ Mah...è da tempo che non si usano più questi riti da noi. Magari...non so..nelle zone profonde- e scuotendo la testa chiarisce – si ...certo...qua e là puoi anche trovarle... Qua e là, ripetè la Rina con se stessa, e girò la testa verso di lui mentre Khadihja stava ascoltando con grande attenzione. ⁃ Noi siamo amici...no? – disse di colpo e lo guardò come se aspettasse da lui l'affermazione. E di fatto anche lui annuì con la testa, la assicurò.- “Facciamo finta che io, un 49 giorno...un giorno qualsiasi facessi una visita, là,dove vivi tu. E siccome, io, così...facciamo finta...che tu avessi un oasi..e decidessi di fare dei tuffi...cioè..facessi dei bagni senza chiederti il permesso...no?- poi schiarì la voce e continuò – A questo punto...tu...ti offenderesti a tal punto...ed hai ragione, niente in contrario..insomma tu – e si fermò. Lei si accorse che Sanosy proprio in quel momento, benché avesse gli occhi fissati sul tamburo e stesse battendo le dita sopra come se volesse convertire il suo discorso in una melodia, la stava ascoltando con tanta premura. Stava aspettando anche lui che lei finisse il ragionamento. Dopodiché smise anche di battere le dita sopra il tamburo e aspettò. Rina fu come si fosse paralizzata con le labbra aperte “come un uovo” avrebbe detto Memo. Le serviva scegliere la frase giusta. “E tu,carissimo Sanosy mi avresti mangiato?”, oppure”Amico mio mi avresti raschiata e arrostita ...per condanna ...e così via onorare la tua tribù!!!”. Sanosy stava aspettando tutto d'orecchio fissando la donna sopracciglio come un punto di domanda e le dice: ⁃ sulle labbra. Al che' incurvò un Je ne comprends pas! ⁃ Non intendo tu... - continuò lei – ma ...magari la tua gente. Decidono di svolgere quel vostro rituale cannibalesco ...la vostra tradizione, niente da dire...intendiamoci! Ma ...tu ...l'avresti permesso ...che mi sbranassero?- e detto questo si accasciò sulla sedia rassegnata. Rimase un po così, con aria stupefatta, come se fosse stata una forza soprannaturale a costringerla a dire quello che aveva appena detto. ⁃ Poi guardò il suo amico africano, lo guardò con così tanta compassione che si pentì. Ma lui non rispose. Si alzò in piedi. Mo si che si è offeso, si allarmò. Ma ancora no, fu solo perché qualcuno li stava informando che era ora di andare all'ufficio sopra. Allora si alzò anche Rina e proseguì con il suo amico Sanosy. Salirono le prime scale e mentre gli altri andarono a piedi, loro due si diressero verso l'ascensore. Entrarono. Solo loro due. Sanosy e Rina, che lo osservava con un sorriso servizievole e gentile con la speranza che anche lui, così per giocarci un po’ su, rispondesse con altrettanto senso di umorismo. Anche una frase qualsiasi, nessun problema. Basta che si fracassasse come una vecchia porcellana cinese quella situazione imbarazzante. Ma lui non disse niente. La stava solo contemplando minuziosamente e mentre l'ascensore stava salendo verso il terzo piano, la dove li stava aspettando Mahmudu, lei avvertì il panico salire dalle piante dei piedi . Non ci poteva credere ma la mente impazzita ripeteva come un megafono rotto, ”ah si,come se non ti mangia,ti divora costui, manda al diavolo l'inter cultura e chi l'ha fatto l'inter cultura! E mentre continuava a offrirgli sorrisi sdolcinati sentii il sudore scivolare sulla pelle dal collo e giù. Non smise di pensare, ed esausta da così tanta paura concentrata in una manciata di minuti, si accostò leggermente al tamburo che lì in mezzo sembrava l'unico riparo dai probabili attacchi sanguinosi. Arrivarono. Si accorse che il sudore era aumentato, e abbondantemente scorreva dal petto sulla pancia. La porta dell’ascensore si aprii, e Sanosy si girò verso di lei. Con eleganza da invidiare gettò il tamburo sopra le spalle, le tese la mano per tirarla fuori, e mentre stavano uscendo le disse: ”Rina, ma cheri,stai tranquilla! Non ti divorerò, anche se volessi tu, non lo farei mai”, e 50 girando lo sguardo sul suo corpo smilzo e tremante aggiunse: ”Non sei nemmeno 50 chili mon amie. Non sazieresti neanche il capo, pensa un po tutta la tribù!”. Poi scoppiò in una risata meravigliosa come poteva fare solo un senegalese, e continuò a tirarla verso l'entrata della porta dell'ufficio, dove li aspettava, con addosso una camicia azzurra e una giacca blu, Mahmudu. Non sembrava né affamato né arrabbiato. Semplicemente stava li, aspettando. Fu in quell'attimo che senti la vergogna soffocarla, e tutto d'un tratto si senti come un punto qualsiasi sopra un foglio pieno di parole. Un punto casuale e inutile in mezzo a decine di parole sensate. Poi si inginocchiò stanca, svuotata, e piombò sul pavimento. I ragazzi non dissero niente. La lasciarono a fare. Arrivarono gli altri e non dissero niente. Lei mise il viso tra le mani e pianse a lungo, e bene. Dopodiché tese la mano a Mahmudu e si alzò. Lui la diresse verso l'ufficio. Nel corridoio si sentiva il mormorio dei partecipanti e l'aria fresca che fuoriusciva dal condizionatore. Avvertì anche una leggera melodia sottofondo. Summertime ...Billie Holiday... ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 51 Mahmudu Qe padyshim fraza e fundit që i bëri të ndërronin mëndje.Zëri i tij u përzie me zhuzhurimën e mushkonjave e kështu e bënë ti dukej fatal e i trishtuar. “Ah fatzinjtë Mikele e Nadia!Ah...ah! E dini apo jo? Historinë në Mauritania? Jo? Nuk ka mundësi!”.Ja,sikur të mos ishte thënë ajo frazë aty,në atë mënyrë sidomos,me një shtresë të hollë llahtari,kishin për tu nisur prej andej prej kohësh. Në fund të fundit mbrëmja tek “Kali i bardhë” kishte shkuar rrjedhshëm , si supa e ngrohtë dhe e lëmuar në dimër, ngjyrë qumësht,pikante por jo shumë, e përzier me elemente banaliteti e misteri aq sa duhet,një omnibus i rehatshëm,sikur të mos ishte për Mauricion që i ishte shkrepur në kokë të tregonte një nga ato histori që shkonin për shtat kur binte dielli,e kur më vonë copa hëne përziheshin më copëza qielli e resh. Kur Mauricios i hipte në kokë të tregonte një histori të tillë,fërkonte hundën me bishtin e syzeve,hiqte sklepat në rrëzë të qerpikëve e kalonte dorën sipër këmishës. Ishte edhe kjo llomotisje e trupit që i bëri të gjithë ta merrnin shumë seriozisht,e për rrjedhojë u rehatuan më mirë mbi karriget e kashtës,futën portafolet në çanta dhe kthyen sytë nga Mauricio që priste me duar të kryqëzuara pasi kishte rivënë syzet e vogla me skelet të bardhë. E kështu kishte rrëfyar me imtësi, me pauza e vështrime kuptimplote historinë e famshme që ata nuk na ditkërkan. Ishin kthyer në shtëpi rreth orës një,dhe që nga ai moment e më vonë me gjithë humorin e Memos për t’ia banalizuar frikën , gjumi nuk e zuri tërë natën. Me orë të tëra që përpëlitej nga e majta në të djathtë,tërë natën që vërënte sesi hëna fuste mes grilave rrezet si lëng i trashë limoni,sesi ca zëra nëpër natë afroheshin e shtyheshin,shtypeshin e përplaseshin . U çua vërtik . Nuk kishte gjasa të flinte dhe u drejtua për nga vaska. Hapi rubinetin e ujit të vakët e filloi të kujtonte copa të bisedës së djeshme, pastaj të rendiste programin e ditës,e përsëri Mamudunë. Ja pse nuk flinte dot,çfarëdo të sillte në mënd , të gjitha papërjashtim i thithte si vrimë e zezë mendimi për Mamudunë. Ky mendim i pushtoi gjithë ç'ka mbetej,si edhe gjatë natës,i mbështolli frikën për t'ja ruajtur të ngrohtë e të freskët. U dëgjua sirena e trenit të parë dhe mbylli rubinetin. E futi trupin të tërin në vaskë ,deri edhe kokën . Ndenji ca sekonda ashtu me sy të mbyllur , pastaj nxorri jashtë hundën e gojën. Sot kishte shume punë për të berë,shumë pagesa e shumë takime. Edhe mbledhja me Mamudunë i duhej.Silueta e Mamudusë i shfaqej kudo që hidhte sytë .Mbi sapunin e duarve ngjyrë rozë të shplarë ,mbi peshqirin e këmbëve hedhur mbi dysheme ,tek avujt e pasqyrës mbi lavaman. Deri edhe mbi dorezën e madhe të derës së banjos dukej sikur varej trupi i hollë i Mamudusë. Dukej herë herë me mantel, e herë me kostum ngjyrë bizele,herë me pantallona shytsen e herë me një baston në dorë. Nuk e dëbonte dot,ështe e pamundur, i kudogjëndshëm. U ngrit,veshi rrobdishamin e u drejtua për nga guzhina . Hapi kanatet nxorri kutinë e kafesë me atë figurinën e majmunit që pin kokakola, lugën e vogël,e mokën. Futi hundën brënda kutisë e nuhati mesa fuqi që kishte atë parfumin e mbrehtë të kafes së mirë. Pastaj automatikisht hapi mokën e futi brënda katër lugë të vogla të mbushura plot,e mbylli mirë e mirë dhe e vuri mbi sobë.Paskëtaj pastroi majën e hundës nga kafeja. Këto gjëra të vogla të përditshme e bënin të lumtur,e sidomos zhurma e lëngut të zi që bulonte mokën,ai avulli poshtë kapakut që mezi priste të shpërndahej e pastaj rrëkeja e përmbajtur mbi filxhanë porcelani të vjetër , të medhenj e e dashamirës. Kafja ishte gati.Fiku sobën dhe u ul në karrige sa të zgjohej Memo. 52 ! U vu të rikujtonte bisedën e mbrëmshme.Lokali ishte thuajse bosh,kamarieret po gogësinin dhe kishin filluar të sistemonin tavolinat e lira. Të tërë ishin gati të çoheshin kur Mauricio,në mënyrën më të shpërfillur që mund të bëhej filloi tu rrëfente një histori që u kish ndodhur vite më parë dy misionarëve në Afrikë,Mikeles dhe Nadias. Biseda nuk kishte të bënte fare me gjithçka thuhej më parë.Në fakt Ema sapo kishte trajtuar në mënyrë të hollësishme temën e energjisë pozitive që qarkullonte në botë,gjë që ia kishte sjellur në mënd çallma e indianit Pakun që bënte që prej një viti postinon e lagjes.Pakuni shkonte e vinte nëpër rrugët e Bolzanos me një motoçikletë të kuqe,me një çallmë ngjyrë vishnje e një palë tuta tafta të verdha.Mbi motoçikletë mbështeste një çantë lëkure të vjetër të mbushur me letra, e një celofan me paninet për drekën. Kjo çallmë ishte për Emën shprehja e një dashurie të pakufishme për universin e paqen,gjë që Luçies, ç'është e vërteta ja cingërrinte nervat. Ajo e shihte të projektuar në një tjetër sfond indianin e mirë Pakun, dhe sa herë nga larg vinte re çallmën tek afrohej mes mizërisë së njerëzve i përshtjellohej dhunshëm gjithçka në stomak. I kujtohej një mengjes i freskët pranvere kur kishte parë nga larg pikërisht çallmën vishnje që vraponte me Pakunin . Pakuni kishte nxituar edhe ca metra më poshtë e sapo i ishte avitur një kazani plehrash në të majtë të dyqanit të bukës,kishte ngadalësuar hapin.Kishte ndaluar mu përpara , e me një lëvizje elegante e fisnike ndërsa ca pleq ishin stopuar dhe e shihnin ashiqari me kuriozitet , kishte hapur kapakun ,kishte vënë njërin gisht në anë të hundës, e kishte shfryrë me zell afro njëzet centimetra sipër plehrave. Për fat të keq Luçia e kishte parë sesi ajo masë gri që kishte fluturuar nga hunda ishte përplasur saktësisht brënda kazanit,mundësisht mbi nje celofan blu,duke parë ngjyrën militare të plehrave jo-ricikluese nga jashtë. Drejtonte prej njezet vjetësh një bar,dhe kohët e fundit, ndryshe nga ç'profetizonte Ema , ajo ndjente , që ç’ke me të e ndjente, energjinë negative . Tetë klasë kishte por kuptohej qartë sesi rrotullohej energjia negative tek klientët që vinin vërdallë me një kafe e me një gotë ujë ,o sesi i hipnotizonte energjia negative kur u duhej të paguanin një gotë vere të bardhë Pinoje . E vinte re sesi përplasnin portofolin mbi banak , e sesi gërryenin me vëshirësi e nervozitet xhepat e ngushtë për të nxjerrë jashtë monedha pas monedhash. E pikërisht,atë mbrëmje, kur sejcili prej tyre po llogariste me mënd shumën e porosive për tu paguar ,e ngjante se nuk kishte argument që ti mbante më gjatë, ja behu historia e dhjetë misionarëve që na nisen nga Milano për në Mauritania. Shoqëroheshin nga një prift ,u tha Maurizio, nga pesë a gjashtë maune me ushqime e veshje,e një furgon . U përshkoi në mënyrë të detajuar tërë itenerarin e udhëtimeve fantazmagorike nëpër Sahara,këto duna që shtriheshin e ngriheshin,ku kone e ku valë,ku diell në perëndim e hënë e plotë o e gërvishtur në qiell , shoqëruese e përpiktë me të njëjtën rrumbullaksi ovale.Këtë theksoi Maurizio,me gjasë hëna nuk e ndryshoi gjatë gjithë udhëtimit këtë formë jo perkefte rrethore. Kishte mëngjese në të cilat viheshin re më mirë mbetjet skeletore të kuajve përzier me kërcet humane,të thata e delikate prej afës ferrnore.Kishte edhe mëngjese që e gjenin veten fqinj me tenda fisesh të lojllojshme. Më të llahtarshëm, tha,ishin fisi i të verdhëve. Jo për ngjyrën e verdhë të trupit,por për llojin e maskës që u vinin surretërve.Një maskë e verdhe me vijëzime skeletore të zeza.Këtyre ua bënte zili gjinia femërore e grupit. Në formën më normale jepnin e merrnin në shkëmbim të “ femrave-mall”.E kotë ndërhyrja e priftit që duke ua ditur gjuhën ,përpiqej me krahë të hapur e zë të lartë ,me mimikë e me diftongje tu shpjegonte rregullat e tregtise europiane. I kishte bërë këto zona si kthinat e kishës,e kjo i ushqente shpresën se këta mjeranë do ta kuptonin. Kur situata u kishte dalë prej duarsh,dhe kishte gjasa që tribuja e inatosur të vendoste me dhumë 53 shkëmbimin ,nga një shenjë e qartë e priftit që nënkuptonte alarm, shoferët u kishin hypur me shpejtësinë e rrufesë kamionave,u kishin dhënë sinjale drite të tjerëve,dhe kishin fluturuar nëpër shkretëtirë të shoqëruar nga ulërmat e grave që të llahtarisura siç ishin u kishin lënë skeletverdhëve në mes të rërës,e anash dunës , të brëndëshmet e papastra që i ndërronin si përherë çdo mëngjes. Kishin udhëtuar kështu për nja një javë.mes vapës e djersës,sëmundjeve e etheve , derisa kishin shpërndarë siç mundën e ku mundën të gjitha,ushqimet,veshjet,lodrat për fëmijë e fletoret me lapsat e tushat shumëngjyrësh.Në te kthyer u ndodh tu prishet maunja e fundit, mu në mes të Saharasë. Panë e morën e vendosin të nisen për në zonën e populluar më të afërt dukë lënë aty ti prisnin në kthim ,sipas kërkesës së tyre, Mikelen e Nadian. Këta të dy ç'është e vërteta kishin tërë kohës që joshnin njëri tjetrin me mesazhe të sofistikuara ,të nënkuptuara. Vetë shkretëtira ndillte sirena dashurie,bënte të harroheshin martesat, tu dukeshin të largëta,jo të tyret, të të tjerëve. Ishin magjike edhe ato shkurret e pakta tek tuk,dhe dielli që përflakej në perëndim .E hapën tendën në krah të një palmë e re,pranë një oazi të mahnitshëm, si një sy blu i stërmadh në një fytyrë të zbehtë . Bënë dashuri brënda tendës ,e më pas të dehur nga një entuziazëm ngjitës , a prej pasionit që dogjën,a prej qiellit krejt pis të zi të mbushur me yje që kërcenin nën një ritëm valsi,vendosën të zhyten ashtu siç ishin, lakuriq , në oazin intrigues e joshës,me lëng të ngrohtë e të butë si vaj. Pasi u llakaçitën si dy patok të lumtur u veshën pak a shumë , e u plasën poshtë tendës mbi një cohë të madhe mbi rërë. U mjaftonte kaq. Dashuria,lodhja e vapa bëri të vetën,gjumi i këputi e fjetën pandërprerje deri në mëngjes vonë. Kur u doli shohin mbi vete ca sy të kuq e të përflaktë që i vrojtojnë. Shumë sy e koka picigjate të errëta. Çohen si të paralizuar nga frika dhe kuptojnë që janë të rrethuar nga një tribu,rreth tridhjetë persona pak a shumë.Të tërë të zinj pis , të mbuluar me pelerina të bardha borë . Vënë re edhe kapon në mes të grupit , të ulur galiç . Kanë mësuar ti njohin kapot. Dallohet kapo,nuk ka nevojë të ta thonë. Kuptohet nga mënyra se si lëviz sytë për të të vëzhguar, nga ulja galiç e trupit në mes të turmës,nga një shkop i vogël që mban në dorën e djathtë për të vizatuar mbi rërë ca forma e shenja, e nga një shkop i madh në të majtën me të cilën u bie kërcinjve të suditëve kur i duhet të bëjë përpara për të dalë nga mesi i tufës. Kapo në fjalë nuk duket shume dashamirës,dhe as të tjerët. Janë më të zinj seç u takon të jenë dhe sytë u vetëtijnë të kuq për nga pezmatimi.Më vonë u shpjegohet se janë thellësisht të ofenduar që kanë marrë guximin të përdorin ujin e oazit,të lahen e të shpëlahen aty ku ata gati çdo muaj ndalojnë një natë të tërë gjatë së cilës përdorin për nevojat e tyre edhe ujin. Të gjitha këto ua shpjegon gjërë e gjatë me një italishte të pastër një anëtar i tribusë,një emigrant në Itali me emrin Safà. Pasi flet relativisht gjatë me çiftin,i pyet ,i dëgjon me kujdes e u përgjigjet, Safà niset drejt tendës së kapos dhe qëndron aty një copë herë të mirë. Pastaj e shohin të dalë prej saj e të drejtohet për nga çifti me dy kupa në dorë.Brënda një lëng i freskët,ëmbëlak dhe i trashë si salep që ai ua drejton me një buzëqeshje dashamirëse në fytyrë. Kjo i dha shume shpresë Mikeles dhe Nadias,që e morën si shenjë të qartë paqeje,e duke falenderuar papushim nga e majta në të djathtë,me duar e me sy,me ulje e përkulje, na e gëlltisin me qef të madh lëngun e na e kthejnë me fund. Siç tregoi me tej Mauricio, si Nadja ashtu edhe Mikele u vunë në gjumë ,u poqën mbi zjarr e u hëngrën për drekë.Të dy të dashuruarit e përvëluar,e për si mori fati,të përcëlluar, përfunduan në barqet e terrosura të tribusë,e natyrisht pjesa më e madhe në barkun e rrjepur të kapos. Me që është kapo pra,sqaroi Maurizio Luçien që e pyeti me sy te ërrësuar “C'ne?” . Në të perënduar ,miqtë misionarë na kishin gjetur anash oazit vetem kockat e forta,ato që nuk haheshin më .Nga e kuptuan? Po ndoshta nga recipetat blu të varura tek 54 palma,apo pantallonat e Mikeles të mbështetura poshtë kafkave.Maurizio nuk di ta shpjegojë mirë se si e qysh u kuptua që ishin ata. Me kaq e mbylli ligjëratën e filloi të pastronte syzet. Situata ishte dukur e tendosur. Ema ishte ngritur e para dhe kishte shtuar: ⁃ Legjendë metropolitane di merda! Injoranca jonë që do të barazojë emigrantin afrikan me një palaço tribu kanibalësh! Kishte thënë këtë dhe kishte thërritur kamarierin.Ndërsa Luçia kishte mërmëritur: ⁃ Tani ,ç’është e vërteta yllkëzat e mia,janë shtuar këta sa nuk mbahen më….e ku ta dimë nëse na hanë a s’na hanë po të na i ngrihen kacabujtë!- por sapo hasi vështrimin nervoz të Rinës nxitoi të shtonte: ⁃ Ylli im,jo për keqdashje,nuk e kam me ty,ti je si ne….- e rrotulloi sytë nga Ema si për ndihmë , por kjo e fundit pasi i hodhi një vështrim të tipit “ E menderose fare !” përshëndeti thatë ,i hypi bicikletës e u zhduk nëpër rrugicëza . Mbeti Mauricio me syzet e tij të vogla prej miopi të madh,dhe Luçia që mundohej të qetësonte situatën. Mauricio po qeshte paksa me situatën e nderë e po përpiqej të mbante atë qëndrimin tipik të intelektualit që di më shumë seç thotë. Rina nuk kishte bebëzitur e pa u ndjerë ,kishte shkuar të paguante llogarinë, e prej banakut fill jashtë për nga porta e madhe .Aty kishte dëgjuar një zë të lartë që thoshte:” E megjithatë në vendin tënd do të bëja pak kujdes nga miqtë e tu afrikanë! Interkulturë …intërkulturë…por….njeriu e hakërka njeriun…” ⁃ E kështu kishte shkruar mbrëmja,e Rina nuk kishte vënë sy tërë natën. Nuk do ta mendojë por i sillet e përsillet e njëta skenë . I bëhet Mamudu ti afrohet me një shkop në dorë. Do ti zgjasë diçka por ajo vrapon e vrapon,në fillim me këmbë,pastaj fillon të kërruset si gomar,dhe kjo ja bën më të lehtë vrapin,galopon këmbadorazi dhe është e lumtur. Ja hodha mendon tek i bëhet sikur është në majë të një reje. Dhe ndërsa kujtohet që sot i duhet të shkojë në mbledhje me Mamudunë indinjohet. Po ja,thotë me vete, punë që bëhet është kjo? Të shkoj unë në Senegal, ti çoj ndihma fshatit të mikut tim Mamudu,e ai pa pikën e turpit,meqë është i lodhur,apo i fyer… të më hajë? Po pse ka ku të qëndrojë kjo makutëri? E kush, Mamudu! E kë? Mua. Dëgjon të hapet porta e dhomës së gjumit dhe sheh fytyrën gjumashe të Memos,që duke i lexuar në ballë mendimet i mërmërit : ⁃ Hë ? Do shkosh sot në mbledhje? …-dhe i shkel syrin - Po të ketë ngrënë mirë në shtëpi zor se të kullufit sot! Por Rina i qëndroi me dinjitet lojës,dhe bëri sikur nënqeshi,sikur tallet me Mauricion,me historinë e tij idiote,dhe me trathtinë e pamundur të ish-emigrantit. Bën sikur as që e ka kaluar në mënd mundësinë e tmerrshme që ashtu,në nerva e sipër,përshëmbull pse nuk e kishte përfunduar ende atë projektin Lojrat nëpër botë,i fut në zyrë,i urdhëron të pijnë atë lëngun e trashë e të bardhë ,e tak e fak u qëron mirë e mirë lëkurën ,ua bën trupin copa copa,ku një kofshë e ku një gjoks,ku një gisht e ku një hundë. Pastaj fësht nëpër thaskë, e në orarin ku s’ka asnjë lëvizje nëpër zyra , drejt e në 55 frigoriferin e shtëpisë,që,patjetër do jetë i madh! Pastaj për të ngrënë,s’ka problem.Na ha ai, na ha,tundi kokën! Një festë sot,e një festë mot! Pse hall kemi ne për festa,mendoi e pezmatuar. E Memo duke përzier qetë qetë kafenë e nxehte ,si ti kishte lexuar edhe një herë tjetër mëndjen i pëshpërit: - Megjithëse…hollë hollë…s’ma ha mëndja të të hajë! Ka respekt për ty!-dhe ia pohon me kokë duke u shtirë serioz.- Njeriu nuk është kaq mosmirnjohës!- dhe duke lakuar fjalët qartazi shtoi Hahet tjetri por me një llogjikë të shëndoshë,jo kështu…o burra…më hypët nervat,e po ju ha... Dhe si për inat ja tek shfaqet në ekranin e televizorit Kofi Annan,i hijshëm,i sigurtë,me atë hapin e lirshëm e atë lëkurën prej çokollate, e pikërisht kur Rina mendimin pozitiv po e fuste në lavatriçe si zbutës rrobash, Memo ja plasi: ⁃ Do këtë kullufitur ndonjë gjynafqar edhe ky sot! Duket,është në formë… ⁃ E teprove !- e kundërshtoi e bezdisur. Në fakt e teproi Memo,ndonëse nuk e dinte që pikërisht në atë sekondë ajo po i rraste Kofi Annan nje kupë në dorë , dhe me një varëse kockash mbi qafë që i varej deri tutje barkut lakuriq, po e niste për në Sahara,si për të bitisur atë që në mëndjen e saj ishte bitisur tashmë. Rrugen për në Piazza Vittoria e bëri në këmbë e me kufjet në vesh. Mëngjesi ishte kaq ndjellës, me rrugët të zhytyra në parfume e kafe,shtresime bari,dhe ëmbëlsirash , kornetot e mbushur me krem vanilje,të ngrohtë e të sapopjekur.E gjithë kjo rrëmujë,makinat që shkojnë e vijnë , ura ku ajo gati çdo ditë ja ka ënda të kolovitet, me pamje nga lumi e malet,pemet e mbytura në gështenja e Bob Marley që i përsëriste në vesh,Stop the train I’am living!Stop…stop dhe train I’am living again…., e bënë të harronte hallin e natës,që u kthye në siklet dite. Mamudunë. Në Piazza Vittoria takoi Khadizhën dhe për së largu vë re Sanosinë që në ditë festash çapitet si prej Tambakundës,me atë tunikën prej linoje të hollë ngjyrë qumësht e sandalet e sheshta. Ja bëri me dorë që t'i vinte re nga kafeja e vogël përballë kishës së Sant’Antonios. Kishte tamburin me vete. Ofronte herë pas herë shfaqje për fëmijët e San Mauricios, që hidheshin si ketra sapo në shkallët e spitalit fanepsej trupi i gjatë i Sanosisë ,me nga pas pjestaret e bandës griots , ngarkuar me sabar, kora, e balafon. I ofroi nje kafe, dhe kjo i krijoi mundësinë ti vinte rrotull bisedës mbi kulturën e kanibalizmit në Senegal. Pse jo,edhe në Mauritania! Nuk i dihej si vinte jeta! Para se të hynte në mbledhje me Mamudunë,donte të kishte një ide të vakët në ishte në rregull me mëndt e kokës, apo po thjesht po rridhte. Dhe ndërsa e pyeti,vuri re që ai nuk reagoi.Ndënji një çast tek shijonte në gojë gllënjkën e kafesë,e rrotulloi,ngrti sytë nga qielli,u gëlltit,(Rina mendoi se ai po fyhej,që tani do çohet e do iki,e do e lërë aty me kafenë e me strudel në dorë). Por jo,pasi rrotulloi edhe fundin e kafesë dhe e ktheu me fund,mërmëriti diçka të tipit,elhamuli-lahi e tha: ⁃ Ka ca kohë që nuk ekzistojnë më këto rite tek ne . Vetëm në zona të thella, - dhe duke tundur kokën sqaroi - tek tuk mund ti gjesh! 56 Tek tuk mund ti gjesh,përsëriti Rina me vete ,dhe i kthehet ndërsa Khadija dëgjonte me interes: ⁃ Ne jemi miq! - dhe i hodhi një vështrim pyetës si për të pritur një pohim.Dhe në fakt ai tundi kokën, e siguroi. – E unë një ditë prej ditësh të bëj një vizitë ,atje,ku jeton ti.E meqë unë ,ta zëmë ,lahem pa të kërkuar leje në oazin tend – këtu kruajti zërin - sikur të kishe një oaz tëndin merret me mënd,e ti,i mërzitur,e ke të drejtë ,nuk ta ha hakën…vendos të - e këtu ndaloi. Ajo vuri re që Sanosy pikërisht në këtë moment,megjithse sytë i kishte ngulur mbi tambur e po i binte lehtë lehtë si të kthente ligjërimin e saj në këngë ,po e dëgjonte me kujdes. Po priste edhe ai shtjellimin e mendimit. Ndaloi edhe gishtat mbi tambur. Rina qëndroi me buzët e hapura “si vezë”,do kishte thënë Memo. I duhej të zgjidhte fjalën e duhur.E ti Sanosi i dashur do më hash? Apo: Ti miku im Sanosy do më rrjepësh e do më pjekësh për dënim? Sanosi po priste gjithë sy e veshë. Po e shihte Rinën mu në gojë. Rrudhi pak vetullat si një pikëpyetje, e në fakt mërmëriti: ⁃ Je ne comprends pas! ⁃ Nuk them ti…- vazhdoi ajo - po fisi yt !Vendos të kryejë atë ritualin e kanibalizmit tuaj,tradita juaj,s’kam gjë kundër! Po ti, do….do ta lejoje…të më hanin? – tha këtë dhe u lëshua mbi karrige e dërrmuar. Ndenji një hop kështu,si e hardallosur,sikur të kishte qënë një force jonatyrore që e kishte pushtuar e detyruar të nxirrte ato gjëra nga goja. Pastaj hodhi sytë nga miku i saj afrikan,e kundroi me kaq dashuri sa u pendua. Por ai nuk u përgjigj. U hodh në këmbë. Tani po që u ofendua,mendoi ajo. Por jo,në fakt i lajmëruan që erdhi koha të ngjiten sipër në zyrë. Atëherë çohet edhe Rina e niset me mikun Sanosi .Ngjisin shkallët e para,dhe ndërsa të tjerët shkojnë në këmbë ,ata të dy nxitojnë drejt ashensorit.E hynë. Vetëm ata të dy. Sanosy dhe Rina që e sheh me një buzëqeshje servile e të përgjëruar, me shpresën që ashtu, edhe ai si për lojë do ti kthejë një përgjigje për të qënë. Edhe një dosido,s’ka problem. Ai e vrojton mirë e mirë dhe tek ngjiten lart në kat të tretë ,pikërisht aty ku po i pret Mamudu,ajo ndjen panikun në fund të shputave . Nuk i besonte vetes ndërsa truri i përsëriste, të han që ç’ke më te! Ky te grin,e në djall interkultura! E vazhdon ti buzëqeshë ndërsa djersa nis rrugën e saj nëpër lëkurë.Nuk rresht së menduari,dhe e dërrmuar nga gjithë ajo frikë e përqëndruar në një grumbull minutash,ju mbështet lehtë tamburit,që aty në mes ngjante si e vetmja mbrojtje nga sulme të papritura e të përgjakshme. .Mbërritën.Dera e ashensorit hapet , e Sanosi kthehet me një elegancë për ta patur zili,hedh tamburin pas krahëve ,i zgjati dorën që ta tërheqë nga jashtë,dhe i tha qartë e rrumbullak: - Rina,ma cheri,rri rehat! Nuk të kullufis, edhe sikur te duash ti nuk e bëj! – dhe tek i bredhëron sytë me kujdes nëpër gjithë trupin shtoi – Je as je 50 kile mon amìe. Nuk ngopet as kapo i fisit tim…e jo gjithë fisi! Pastaj ja plas me të qeshura të tilla siç mund të di vetëm një senegalez , dhe vazhdon ta tërheqë për nga hyrja e zyrës ku i pret veshur me një këmishë të lehtë linoje të kaltër e me një xhaketë blu, Mamudu. E nuk duket as i uritur e as i pezmatuar. Thjesht po i pret.Në atë çast u ndje e imët,si një pikë dosido mbi një fletë të mbushur me fjalë.Një pikë e rstësishme dhe e pavlerë në mes një dyzinë fjalësh me mënd. U ul përgjysëm e telendosur,e zbrazur.U përplas mbi dysheme. Djemtë nuk thanë gjë..Mbërritën të tjerët e nuk thanë gjë as ata. Ajo u përkul mbi krahët e kryqëzuar mbi gjunjë dhe qau gjatë e mirë.Të gjithë kishin hyrë brënda,vetëm Mamudu e priste. E la të lirohej . Mëpastaj ajo i 57 zgjati dorën që ta tërhiqte dhe u ngrit lart. U drejtuan përdore drejt zyrës.Nga korridori dëgjohej mërmërima e grupit dhe rryma e freskët e kondicionatorit. Në sfond edhe një melodi e lehtë dhome.Sammertime, Billie Holiday… ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 58 HUSSAIN MAJID (Nigeria) Lacrime di occhi rossi e asciutti (dolore in Italia) ! ! In fondo ai loro occhi, tutto ciò che vedi è dolore. Tutto ciò che loro vedono è dolore. Quando parlano, ciò che ascolti sono voci piene di dolore. Loro mangiano nel dolore, dormono nel dolore, si svegliano nel dolore e urlano nel dolore. Tutti i loro giorni sono diventati dolore. I loro giorni sono diventati bui. Stanno vivendo una vita piena di sofferenza. Piangono tutto il giorno e tutta la notte, ma nessuno sente il loro pianto. Gli adulti diventano come bambini ed I bambini restano in silenzio, come fossero la morte. Il loro futuro, I loro sogni, le loro abilità, le loro passioni, le loro capacità, la loro mente, il loro ardire e la loro umanità sono stati portati via da loro. Sono vivi, ma è come se fossero morti. La loro vita sta diventando priva di valore, ma loro sono ancora in piedi. Chiedendo aiuto, chiedendo di vedere la luce, di vivere una vita, chiedendo libertà ed uguaglianza. Loro chiedono e chiedono: dov’è la libertà di cui si è sempre parlato? È questa la libertà? È questa l’uguaglianza? È questa la democrazia? Loro continuano a chiedere: dove sono coloro che sostengono di battersi per la libertà? Dove sono coloro, che dicono che ogni vita è speciale? Dove sono quelli che dicono che ogni vita ha lo stesso valore di un’altra? Dove sono quelli che si battono per I diritti umani? Dove sono quelli che dicono di essere promotori della pace? Dove sono quelli che dicono di essere la luce? Dove sono quelli che dicono, il mondo è uno e noi siamo una sola cosa? Qualunque cosa loro dicano, noi siamo nel dolore, in catene e ciò ci rende malati. Siamo passati dalla padella alla brace. Questa è la voce dei rifugiati e dei richiedenti asilo ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 59 Crying with a dry red eyes (Pains in Italy) ! ! Deep down in their eyes, all you see is pain. All they see is pain. When they speak, all you listen are voices full of pain. They eat in pain, sleep in pain, awake in pain and shout in pain. All their days has turn to pains. Their days has turn to darkness. They are living a painful life. They cry all daylong and all night long. But no one listen to their crying voices. Adult becomes like babies and babies remain in silence like the dead. Their future, their dreams, their abilities, their passion, their capacities, their strong mind, their boldness and their humanities have been taking away from them. Yet, they are still alive, but as good as dead. Their lives have been caged. All they see, is sorrow. Their life is becoming out of value. But still yet, they remain on their feet, asking for help, asking to see the light, asking to live a life, asking for freedom and equalities. They ask and ask, where is the freedom that has been always mentioned? Is this the freedom? Is this the equalities? Is this the democracy? They keep asking, where are those that claim to be freedom fighters? Where those that says every life is special? Where are those that says one life is as good as the other? Where are that claims to be human right fighters? Where are those that says they are peace makers? Where are those that claim to be the light? Where are those, that says the world is one and we are all one? All they say is, we are in pain, in chain and it makes us go insane. Our life has become a life from a frying pan to fire. This is the voice of the refugees and the asylum seekers. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 60 KLARITA GRAZHDANI (Albania) ! Sognare Enderroj Sono seduta al lungomare e guardo nella profondità Guardo, penso e sogno la mia città E se fosse come Pesaro sarei tornata a tutta velocità. Jam ulur ne breg te detit dhe shikoj ne thellesi Veshtroj,mendoj dhe enderroj qytetin tim Po te ishte si Pesaro do te isha kthyer me vrap. Ma perché mi tocca di soffrire e combattere, contro una cattiva mentalità Per chi butta le battute senza nessuna responsabilità. Po perse me takon te vuaj dhe te luftoj, kunder nje mentaliteti te keq Per ke hedh rromuze pa asnje pergjegjesi. La vita è bella, è dura e piena di difficoltà Ma perché, non goderla quando ci sono tante opportunità L’importante è avere della volontà Un lavoro, una famiglia è molta onestà E’ semplice, subito sei circondato dalla gioia e dalla felicità. Jeta eshte e bukur, eshte e eger dhe plot veshtiresi, Po perse, te mos e shijosh kur ke shume variante Eshte e rendesishme te kesh vullnet nje pune, nje familje dhe shume ndershmeri, dhe je thjesht, gjithnje i rrethuar me gezim dhe lumturi. ! ! ! Penso sempre alla mia città Dove ho lasciato la mia tranquillità Dove gli sguardi della gente non si incrociano con malignità Dove il saluto è saluto e non un’ ipocrisia… ….Ma , peccato, perché adesso sento la nostalgia. ! ! ! Mendoj gjithnje qytetin tim Ku kam lene qetesine time Ku shikimet e njerezve nuk gershetohen me djallezi Ku pershendetja eshte pershendetje dhe jo nje hipokrizi… …por, sa keq, sepse tani po ndjej nostalgji. ! ! ! 61 Non sono debole, né handicap Ma coraggiosa e piena di energia Vado avanti con simpatia Per far progredire la gente, che sia Nuk jam e vrazhde , as hendikap Por e guximshme dhe plot energji Shkoj perpara me simpati Per te ndihmuar njerzit , kushdo qe jane. Mi piace fare Multicultura Spiegare loro, le mie tradizioni Perché le loro, le so già tutte e le amiche non sono brutte. Me pelqen te merrem me shume kultura T’I shpjegoj atyre traditat e mia, sepse te tyret i di te gjitha dhe shoqet e mia nuk jane te keqija. ! ! E’ bello stare vicino al mare Guardare, Pensare e Sognare E se i sogni si avverano Il mare non c’è più, ma trovi un ponte bello. ! ! Eshte bukur te rrish prane detit Te veshtrosh, te Mendosh dhe te Enderrosh Dhe neqoftese endrrat realizohen deti nuk eshte me, por gjendet nje urre e bukur. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 62 LEONOR SOLANGE ALEXANDRE PROENCA (Angola) Donna senza patria ! ! Mulher sem pátria Sono una donna senza un volto senza identità priva di diritti. Sou a mulher sem rosto sem identidade negada de direitos. Sono una donna che piange e lotta per i suoi figli. Sou a mulher que chora e luta pelos seus filhos . ! ! Sono quella donna che va alla ricerca di un destino, di un paese di un futuro . ! Sono quella donna in fuga dalla povertà dalla religione, dalla guerra che porta con sé i miei figli. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! Sou aquela mulher que vai em busca de um destino de um país de um futuro. ! Eu sou aquela mulher em fuga da pobreza da religião, da guerra que leva consigo os meus filhos. ! 63 MEHRINA JAVED (Pakistan) ! Dio aiuta chi vuole salvarsi ! Il mio nome è Mherina. Io vengo da Pakistan, dalla città di Multan. Sono andata a scuola dodici anni. Ho sei sorelle e mio padre è morto quando ero piccola. Quando vivevamo tutti insieme la vita andava molto bene. In Pakistan ho fatto un errore: ho sposato una persona che mi piaceva e mia madre non era d’accordo. Lei è una persona forte e ha molti contatti in Pakistan e voleva uccidere me e mio marito.. volevo rimanere in Pakistan ma le condizioni non erano buone. Lì ci sono molte persone povere che non hanno niente da mangiare. Lì non c’è lavoro neanche per gli studenti. Ogni anno ci sono alluvioni e le persone devono lasciare la loro casa. La vita in Pakistan è molto difficile. Alle persone non piacciono le donne che lavorano: in una casa un uomo lavora e tutti mangiano. Non c’è il valore dello studio. Era difficile salvare la mia vita. Io e mio marito siamo andati a casa dei suoi amici. Quando abbiamo deciso di lasciare il Pakistan ero triste perché non volevo lasciare il mio paese. Sono partita con mio marito, siamo andati in Belgio e abbiamo chiesto asilo. In Belgio hanno rifiutato il nostro caso. In Belgio mio marito mi ha lasciato insieme a mia figlia. In Belgio la vita era di nuovo difficile per me. Poi ho incontrato una famiglia e sono arrivata in Italia grazie a loro. Mi piace l’Italia perché qui mi danno tante cose. Sono in un progetto a Galatina. Tutti gli operatori sono bravi e anche le maestre insegnano l’italiano e ci aiutano in tutte le tappe della vita. Io voglio lavorare perché ho una piccola figlia. Voglio guadagnare soldi con il mio lavoro. Adesso anche mia figlia va a scuola e anche io. Tutti lavorano molto per noi. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 64 خدا ان کی مدد کرتا ہے جو اپنی مدد آپ کرتے ہیں ! ﻣ'ﺮ 5ﻧﺎ Oﻣﮩﺮ4ﻨ) ﺟﺎ41ﺪ ﮨﮯ U15 Cﻣ'ﺮ 5ﺗﻌﻠﻖ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﮐﮯ 45ﮏ ﺷﮩﺮ ﻣﻠﺘﺎ Dﺳﮯ ﮨﮯ Cﻣ'ﮟ 12ﺳﺎ uﺳﮑﻮ uﮔﺌﯽ Eﻮ C0ﻣ'ﺮ6 W ﺑﮩﻨ'ﮟ ﮨ'ﮟ U15 Cﺳﺐ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﮨﯽ ﮨﻮﺗﯽ ﮨ'ﮟ Cﻣ'ﺮ51 Tﻟﺪ ﺻﺎﺣﺐ ﮐﺎ 5ﻧﺘﻘﺎ uﮨﻮ ﮔ'ﺎ ﺗ,ﺎ Cﺟﺐ ﻣ'ﮟ ﺑﮩﺖ ﭼ,ﻮ-ﯽ ﺗ,ﯽ Cﮨﻢ ﺳﺐ 5ﮐ,mﮯ Uﮨﺘﮯ ﺗ,ﮯ[ Cﻧﺪﮔﯽ ﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﯽ ﮔﺰU Uﮨﯽ ﺗ,ﯽ Cﻣﺠ ,ﺳﮯ )4ﺳﮯ ﻏﻠﻄﯽ ﮨﻮ ﮔﯽ ﮐ) ﻣ'ﮟ ﻧﮯ 5ﭘﻨﯽ ﭘﺴﻨﺪ ﮐﯽ ﺷﺎ_ Wﮐﯽ ﺗ,ﯽU15 C ﻣ'ﺮ5 Wﻣﯽ ﮐﻮ )4ﺑﺎ rﺑﻠﮑﻞ 5ﭼ,ﯽ ﻧﮩ'ﮟ ﻟﮕﯽ i1 Cﮐﺎﻓﯽ 5ﺛﺮ U1ﺳﻮ51 Ñﻟﯽ ﺧﺎﺗﻮ Dﮨ'ﮟ U15 Cﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻣ'ﮟ D5ﮐﯽ ﮐﺎﻓﯽ ﺟﺎ DﭘﮩﭽﺎD ﮨﮯ k5 Cﻟﺌﮯ i1ﻣﺠ,ﮯ U15ﻣ'ﺮ Tﺧﺎ1ﻧﺪ ﮐﻮ ﻣﺎUﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﯽ ﮨﮯ Cﮨﻢ ﻧﮯ ﮐﺎﻓﯽ ﻣﺸﮑﻞ ﺳﮯ 5ﭘﻨﯽ ﺟﺎ Dﺑﭽﺎﺋﯽ Cﮨﻢ ﺗﻮ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﮨﯽ Uﮨﺘﮯ Cﻟ'ﮑﻦ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﮐﮯ ﻣﻌﺎﺷﯽ ﺣﺎﻻ5 rﭼ,ﮯ ﻧﮩ'ﮟ ﮨﮯ1 Cﮨﺎ 0ﺑﮩﺖ ﻏﺮﺑﺖ ﮨﮯ U15 Cﻟﻮ Üﺑ,ﻮﮐﮯ ﻣﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ Cﮐﺮﻧﮯ ﮐﻮ ﮐﻮﺋﯽ ﮐﺎ Oﻧﮩ'ﮟ ﮨﮯ U15 Cﭘﮍ Tﻟﮑ,ﮯ ﻧﻮﺟﻮ5ﻧﻮ 0ﮐﻮ ﺑ,ﯽ ﻧﻮﮐﺮ Wﻧﮩ'ﮟ ﻣﻠﺘﯽ Cﺗﻘﺮ4ﺒﺎ ﮨﺮ ﺳﺎ uﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻣ'ﮟ ﺳ'ﻼ= tﺗﺎ ﮨﮯ U15 Cﺳﺐ ﮐﮩﭽ5 ,ﭘﻨﮯ ﺳﺎﺗ ,ﺑﮩﺎ ﮐﺮ ﻟﮯ ﺟﺎ ﺗﺎ ﮨﮯ Cﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﻣ'ﮟ [ﻧﺪﮔﯽ ﮔﺰU5ﻧﺎ ﺑﮩﺖ ﻣﺸﮑﻞ ﮨﮯ Cﺳﺐ ﻟﻮ ÜﻋﻮUﺗﻮ 0ﮐﮯ ﮐﺎ Oﮐﺮﻧﮯ ﮐﮯ ﺧﻼ… ﮨ'ﮟ Cﮔ,ﺮ ﻣ'ﮟ ﮐﻤﺎﻧﮯ 51ﻻ 45ﮏ ﮨﻮﺗﺎ ﮨﮯ U15 Cﮐ,ﺎﻧﮯ 51ﻟﮯ [4ﺎ_E iﻮﺗﮯ ﮨ'ﮟ U15 Cﺗﻌﻠ'ﻢ ﮐﯽ ﺑ,ﯽ ﮐﻮﺋﯽ ﺧﺎ» ﻗﺪ Uﻧﮩ'ﮟ ﮨﮯ Cﮨﻢ ﻧﮯ [ﻧﺪﮔﯽ ﺑﮩﺖ ﻣﺸﮑﻞ ﺳﮯ ﺑﭽﺎﺋﯽ Cﮐ'ﻮﻧﮑ) ﻣ'ﺮ Tﮔ,ﺮ 51ﻟﮯ ﮨﻤ'ﮟ ﻣﺎUﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﮯ ﺗ,ﮯ Cﻣ'ﮟ U15ﻣ'ﺮ 5ﺧﺎ1ﻧﺪ ﮔ,ﺮ ﺳﮯ ﺑ,ﺎ Üﮔﺌﮯ ﺗ,ﮯ Cﻣ'ﮟ 5ﭘﻨﮯ ﺧﺎ1ﻧﺪ ﮐﮯ _1ﺳﺘﻮ 0ﮐﮯ ﮔ,ﺮ ﭼ,ﭙﺘﯽ Uﮨﯽ Cﭘ,ﺮ ﮨﻢ ﻧﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼ,ﻮÀﻧﮯ ﮐﺎ ﻓ'ﺼﻠ) ﮐ'ﺎ U15 Cﺟﺐ ﻣ'ﮟ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ DﭼﻮU Àﮨﯽ ﺗ,ﯽCﻣﺠ,ﮯ ﺑﮩﺖ 5ﻓﺴﻮ kﮨﻮ Uﮨﺎ ﺗ,ﺎ Cﻣﺠ,ﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼ,ﻮÀﻧﺎ ﺑﻠﮑﻞ ﻧﮩ'ﮟ ﻟﮓ Uﮨﺎ ﺗ,ﺎ Cﮐ'ﻮﻧﮑ) ﻣﺠ,ﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ5 Dﭼ,ﺎ ﻟﮕﺘﺎ ﺗ,ﺎ Cﻟ'ﮑﻦ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼ,ﻮ4_ Àﺎ Cﮐ'ﻮﻧﮑ) ﻣﺠ,ﮯ 5ﭘﻨﯽ ﺟﺎ Dﺑﭽﺎﻧﺎ ﺗ,ﯽ5 U15 Cﭘﻨﮯ ﺧﺎ1ﻧﺪ ﮐﮯ ﺳﺎﺗ45 ,ﮏ ﻧﺌﯽ [ﻧﺪﮔﯽ ﺷﺮ Õ1ﮐﺮﻧﺎ ﺗ,ﯽ Cﻣ'ﮟ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼﻮ U15 5Àﺑ'ﻠﺠﻢ tﮔﺌﯽ1 Cﮨﺎ t 0ﮐﺮ ﺳ'ﺎﺳﯽ ﭘﻨﺎ iﻟﺌﯽ Cﻟ'ﮑﻦ D5ﻟﻮﮔﻮ 0ﻧﮯ ﮨﻤﺎ 5Uﮐ'ﺲ ﻧﮕ''mﻮ ﮐﺮ _4ﺎ U15 Cﻣ'ﺮ 5ﺧﺎ1ﻧﺪ ﺟﺲ ﮐﮯ ﺳﮩﺎ TUﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼ,ﻮ 5Àﺗ,ﺎ ﻣﺠ,ﮯ U15ﻣ'ﺮ Wﺑﭽ,ﯽ ﮐﻮ ﭼ,ﻮ Àﮐﺮ ﻧ) ﺟﺎﻧﮯ ﮐﮩﺎ 0ﭼﻼ ﮔ'ﺎ Cﻣ'ﺮ Tﻟﺌﮯ [ﻧﺪﮔﯽ U15ﻣﺸﮑﻞ ﮨﻮ ﮔﺌﯽ ﺗ,ﯽ Cﭘ,ﺮ ﻣﺠ,ﮯ 45ﮏ ﻓﻤ'ﻠﯽ -5ﻠﯽ ﻟﮯ tﺋﯽ ﺗ,ﯽ -5 Cﻠﯽ tﮐﺮ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﭘ,ﺮ ﺳ'ﺎﺳﯽ ﭘﻨﺎ iﻟﯽ-5 Cﻠﯽ ﺳﮯ ﻣﺠ,ﮯ ﺑﮯ ﭘﻨﺎ iﻣﺤﺒﺖ ﮨﮯ Cﮐ'ﻮﻧﮑ) -5ﻠﯽ ﻣ'ﮟ ﻣﺠ,ﮯ ﺑﮩﺖ ﺳﺎ ﭘ'ﺎ5 U15 Uﭘﻨﺎﮨ'ﺖ _ Wﮨﮯ Cﻣ'ﮟ ﺻﺮ… 5ﭘﻨﮯ ﮐﺎﻏﺬ r5ﮐﺎ 5ﻧﺘﻈﺎ Uﮐﺮ Uﮨﯽ Eﻮ U15 C0ﻣﺠ,ﮯ -5 =5ﻠﯽ ﮐﯽ [ﺑﺎ Dﺑ,ﯽ tﺗﯽ ﮨﮯ -5 Cﻠﯽ ﮐﮯ ﮐﺎﻏﺬ r5ﻟﮯ ﮐﺮ ﮐﺎ Oﮐﺮﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﯽ Eﻮ C0ﻣ'ﮟ ﻏﻼﺗ'ﻨﺎ 45ﮏ ﭘﺮ1ﺟ'ﮑﭧ ﻣ'ﮟ Uﮨﺘﯽ Eﻮ4 C0ﮩﺎ 0ﺳﺐ ﻟﻮ Üﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ ﮨ'ﮟ5 U15 Cﺳﺘﺎﺗﺬ iﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ ﮨ'ﮟ U15 Cﮨﺮ ﻗﺪ Oﭘﺮ ﮨﻤﺎ WUﻣﺪ_ ﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ Cﻣ'ﮟ ﮐﺎ Oﮐﺮﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﯽ Eﻮ C0ﮐ'ﻮﻧﮑ) ﻣ'ﺮ45 Wﮏ ﭼ,ﻮ-ﯽ ﺑﭽﯽ ﮨﮯ Cﻣ'ﮟ ﻧﻮﮐﺮ Wﮐﺮ ﮐﮯ ﭘ'ﺴﮯ ﮐﻤﺎﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﯽ EC--ﻮ =5 C0ﻣ'ﺮ Wﺑ'mﯽ ﺑ,ﯽ ﺳﮑﻮ uﺟﺎﺗﯽ ﮨﮯ U15ﻣ'ﮟ ﺑ,ﯽ ﺳﮑﻮ uﺟﺎﺗﯽ Eﻮ U15 C0ﺳﺐ ﻟﻮ Üﮨﻤﺎ WUﺑﮩﺖ ﻣﺪ_ ﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 65 NICOLETA NICOLAU (Romania) La madre molto amata ! Sono passati giorni, mesi, poi gli anni Da quando, con lacrime agli occhi mia madre Mi disse che sarebbe andata a lavorar lontano Sperando di potermi offrire vita dignitosa e farmi studiare. ! Rimasi sola e mi sentì tradita, abbandonata, Perché lei che mi diede vita, la madre molto amata Scomparve all’improvviso dietro la porta bianca Lasciandomi ricordo non un sorriso caldo bensì, un viso di lacrime bagnato. ! La mia fiabesca infanzia finì proprio quel giorno Perché senza di lei la mamma, la casa era vuota Il dolce era diventato amaro, il cibo insapore E tutto ciò che mi piaceva prima, adesso non aveva più colore. ! Il sole del mattino non era più lo stesso Il fiore nel giardino di un bel colore rosso Che il mio naso amava odorare molto spesso È diventato grigio e privo di ogni odore o senso. ! Pian piano il senso d’abbandono è diventato altro Perché pensando bene, la madre molto amata Se n’era andata via per farmi stare meglio Così, il sentimento COLPA s’impadronì veloce del mio cuore. ! Non mi andava più di ridere o di scherzare A scuola ho smesso persino d’ascoltare, studiare Già, nella mia vita stracolma di tristezza e sofferenza Non c’era spazio per profumi, colori o spensieratezza Perché mancava il respiro, il battito del cuore, il sole… Insomma, mancava lei, la madre molto amata. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 66 Mult iubita mamă ! Au trecut zilele, lunile iar mai apoi si anii De când cu ochii lăcrimând iubita mamă Mi-a spus că s-ar fi dus la muncă foarte departe Sperând să-mi poată oferi o viaţă demnă, bunăstare. ! Am rămas singură şi m-am simţit trădată, abandonată, Pentru că ea, mama mult iubită, cea care mi-a dat viaţă Ieşind pe uşa albă a dispărut pe neaşteptate, dintr-o dată Lăsându-mi amintire nu un surâs cald, ci o faţă de lacrime udată. ! In ziua aceea urâtă copilaria mea de basm s-a terminat Pentru că fără de ea, mama, casa era goală goală, Mâncarea era fără gust iar dulcele se transformase în amar Iar tot ce îmi placea înainte, acum nu mai avea culoare. ! De dimineaţă soarele era cu totul altul, întunecos, Iar floarea din grădina de culoarea roşu intens Pe care nasul meu cu drag o mirosea destul de des A devenit de-un gri închis, fără miros sau sens. ! Treptat, abandonarea s-a transformat în altceva Căci reflectând profund, cu durere am observat Că pentru bunastarea mea, mama mult iubită s-a sacrificat Şi astfel sentimentul VINĂ a umplut simţurile şi inima mea. ! N-am mai putut să râd sau să glumesc nici o secundă La scoală am încetat să ascult, să scriu, să studiez Da, în viaţa mea plină de lacrimi, tristeţe, suferinţa Nu mai era loc pentru parfumuri, culori, o vorbă bună Caci îmi era dor de ea, de mama mult iubită Pentru că ea e aerul, bătaia inimii şi soarele ce mă sărută. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 67 OUNAFARAN DOUMBIA (Mali) ! Immigrato ! Dopo un lungo viaggio nel deserto bollente e in un mare senza strada sono diventato un uomo senza nazione Mi chiamano anche immigrato. Dopo aver affrontato sete e fame da morire nel deserto e nel mare Mi hanno chiamato immigrato. Tu pensi che io sia un immigrato? Tu pensi che io sia venuto qui per avere il cibo? No...no...ma per vivere la pace Perché vivere la pace era uno dei miei sogni quando cantavo dentro la pancia di mia madre. Se ho affrontato tutti i pericoli del deserto e un mare così immenso é proprio perché ho un cuore pieno di gioia. Perché il nostro pianeta é pieno d'amore e il mondo é molto stellato. Vi prego io sono un uomo che ha la sua dignità e non sono un uomo di cui aver paura. Per favore non allontanatemi!!! ! ! ! Immigrant ! Après un long voyage dans le desert et dans la mer bouillante sans route je suis devenu en homme sans pays On m'appelle aussi immigrant. Après avoir affronté la mort de faim et de soif dans le désert et dans la mer. Penses-tu que je sois un immigrant? Penses-tu que je sois venu ici pour avoir de la nourriture? Non...non...mais pour vivre la paix car vivre la paix c'était un de mes rêves Quand je chantait dans le ventre de ma mère. Si j'ai fait face à tous les dangers dans le désert et une mer tellement immense c'est justement parce que j'ai un coeur plein de joie. Parce que notre planète est plein d'amour et le monde est très étoilé. S'il vous plaît je suis un homme qui a sa dignité et pas un homme à craindre. S'il vous plaît ne m'éloignez pas!!! ! ! ! ! ! ! ! 68 ANNA SMOLINSKA (Polonia) ! ! Sono una polacca, ma una polacca riciclata … “L’emigrazione è come una seduta psicoanalitica. Ti trovi da solo a fare i conti con i tuoi pensieri. Ti porta a riflettere, a ripercorrere la tua vita passata, ad individuare le esperienze che si sono rivelate traumatiche, ad esplorare le proprie capacità ed i propri obiettivi, per poi alla fine cambiare definitivamente la tua vita. Ormai non si può tornare più indietro. Da quel momento in poi niente sarà come prima” - racconta la 35-enne Krystyna, che da oltre quindici anni vive in Italia. La sua avventura è iniziata nel 1991 quasi per caso. Da un giorno all’altro ha lasciato la sua vita in Polonia insieme a tutti i suoi affetti, abbandonando anche i sogni che ogni giovane donna fa prima di addormentarsi. Come tante altre è arrivata in Italia con la speranza di cambiare in meglio il suo avvenire. Associava il “bel paese” con l’America, dove la propria carriera si comincia “da capo”, o se vogliamo dai lavori più umili, per poi avanzare nel percorso professionale. Solo che ancora non sapeva che qui, in Italia, si comincia e si rimane per sempre al cosiddetto “capo”. Krystyna aveva diciott’anni quando è salita in quel pullman. Era pieno di altre donne, che come lei per oltre 36 ore sognavano il proprio futuro : -“… lavorerò, metterò i soldini da parte e tornerò in Polonia per comprarmi una casa. Avrò le mie quattro mura!”. -“ Beata te che puoi pensare così. Io vengo qui già la terza volta. Lo faccio per i miei figli. Mio marito è un alcolista, spende tutti i nostri soldi. I miei figli crescono e aumentano le spese. La più grande il prossimo anno andrà all’università. Devo riuscire a mettere qualcosa da parte proprio per questo.” - raccontava una vicina di viaggio. Una donna, che nonostante le rughe di una cinquantenne, sembrava giovane. – “Per te è la prima volta perciò ricordati sempre quello che dirò adesso – non perdere mai la tua anima polacca, mai!” *** Stremata ma felice Krystyna attraversava la città in un taxi con il suo futuro datore di lavoro. Le palme lungo il viale di Fuorigrotta, gli yacht nel porto di Mergellina, le barche blu dei pescatori, un profumo di mare intenso e penetrante, gli “scugnizzi”, che si tuffano dagli scogli e qualche travestito nei vicoli di Porta Capuana. Tutto era come in una cartolina che una volta all’anno arrivava dal Brasile da suo zio. Tranne ovviamente il travestito, che in ogni caso aggiungeva un pizzico di stravaganza. E poi quella montagna, imponente ed elegante, che con le sue colline verdi scivolava nell’azzurro del golfo ed abbracciava l’intera città. Era il Vesuvio. Il vulcano più bello del mondo. Krystyna infatuata pensava : “Si! Questo è il mio posto”. Le prime lacrime Krystyna era diretta a Sorrento. Lì doveva lavorare come donna di compagnia per una signora anziana. Prima di partire le avevano detto : “ … la donna vive da sola, è autosufficiente, le dovrai fare compagnia, niente altro”. Sul posto ha scoperto ben altro. La vecchietta era molto malata. Vicino al letto teneva la bombola di ossigeno e un comodino pieno di medicinali. Krystyna fu disorientata. In fondo ancora ieri stava a casa sua dove conduceva la vita di una diciottenne figlia di famiglia... 69 Ma quello che la scosse di più fu il bagno, o meglio quello che trovò nel bagno: biancheria sporca di escrementi. -“Tu “– indicava con un dito l’infermiera verso di lei - “lavare, hai capito, lavare”- ripeteva facendo il gesto di strofinamento. Krystyna la guardava con gli occhi spaventati. Nella sua breve vita aveva visto cose degradanti, ma nessuno fin’ora le aveva sventolato mutande sporche e puzzolenti davanti agli occhi. Potrebbe sembrare banale ma questa visione le rimase impressa per molto tempo. Così in un attimo la visone dell’Italia che portava dentro svanì. La “sua Italia” era il paese dell’amore, del vino e del sole. Ogni suo pensiero romantico la riportava al dolce dondolio della gondola veneziana che passa da un canale all’altro, accompagnato dalle note della chitarra di un gondoliere, tra il fresco riparo nei giardini d’aranci con il loro profumo di genuinità e tra le misteriose mura del Colosseo che nascondono le verità delle nostre origini. Tutto questo, in quel momento si richiudeva in quella mutanda … Quel giorno capì che non sarebbe stato facile. Pianse tutta la notte. Torno a casa! Krystyna dopo due giorni ha fatto le valigie e se ne andò da quella casa con l’intenzione di tornare in Polonia. Andando a Napoli era molto terrorizzata. Non sapeva dove passare la notte. Prese il telefono e chiamò una sua amica in Polonia. E bene fece, perché ottenne un numero di telefono di una loro comune conoscente, che da qualche anno viveva a Napoli. Così andò da lei. È lì rimase. L’entusiasmo dell’amica fece sì, che Krystyna si riprendesse subito e non volle più tornare in Polonia. Anzi, subaffittò da lei una camera e molto velocemente trovò lavoro ad ore come domestica. Inizialmente andava tutto bene, ma non conoscendo bene la lingua si sentiva sola. La nostalgia degli amici e familiari si faceva sentire sempre più spesso. Krystyna chiamava quasi tutti giorni a casa, spendendo praticamente tutto. Fu una domenica di primavera che accadde qualcosa. Dopo una telefonata in Polonia Krystyna non c’e la fece più. La nostalgia era così forte che decise di tornare in patria. Velocemente si dirisse verso piazza Garibaldi, dove si fermano i pullman. Una volta lì, si avvicinò ad un gruppo di donne polacche chiedendo: -Scusate, voglio tornare in Polonia, dove posso prenotare il viaggio? - Oggi é troppo tardi. I pullman sono già partiti. Per fare questo dovresti venire presto la mattina – hanno risposto quasi in coro – ma se vuoi, aspetta, fra poco viene una signora che ha i numeri di telefono degli autisti. Così puoi chiamare direttamente e prenotare il posto. Se hai paura puoi aspettare assieme a noi. Qui è pericoloso camminare da sola. In effetti le signore avevano ragione. La domenica la piazza Garibaldi diventava una “torre di Babele”. Marocchini, tunisini e uomini italiani di una certa età, che vestiti in giacca e cravatta fermavano tutte le donne invitandole a fare un giro. La vedi quella signora? – raccontavano le donne, con le quali Krystyna si era fermata – va sempre con quel signore, ogni domenica. Ho sentito, che in Polonia ha una famiglia, un marito e dei figli. Ma nonostante ciò se ne va con quel vecchietto! Tanto si sa che cosa vanno a fare - ha commento ironicamente una di loro. – sapete cosa risponde quando qualcuno le domanda di quel signore : “ tanto qui nessuno mi conosce …” Si, in effetti, questa frase era molto “popolare” fra le polacche che ogni domenica si concedevano “l’unico piacere” della loro sofferenza. Sofferenza perché praticamente tutte interpretavano così la loro scelta di emigrare. 70 Poteva sembrare, che alcune di loro si divertivano molto. Ma la verità è ben’altra. Tutte queste donne, sia quelle che andavano con questi uomini e sia quelle che mantenevano la loro integrità morale, in fondo soffrivano molto di solitudine. Per un pizzico di affetto avrebbero dato tutto. Altre invece sopravvivevano solo grazie ai ricordi degli affetti lasciati in patria. E la cosa buffa che qui, lontano da casa, il ricordo di un gesto d’affetto insignificante diventava la cosa più bella che potesse capitare. Insomma qui, lontano da casa, si ingigantiva tutto. Ed ogni ricordo evocato diventava come una scialuppa di salvataggio. Sentendo queste considerazioni Krystyna si commosse. Tutto quello che aveva sentito era vero. Le signore vedendo le lacrime ai suoi occhi le chiesero: Che succede, perché piangi? Perché ho sbagliato, non dovevo essere qui … ogni giorno mi sento umiliata. La signora dove lavoro strilla sempre. Mi dice che non so nemmeno lavare per terra, stirare e neanche fare il letto … Ai, non ti preoccupare. C’e di peggio. Una mia amica lavora giorno e notte in una famiglia . Pensa che a volte riposa solo 4 ore. Spesso fanno cene e cenette e lei deve stare vicino al tavolo pronta a servire. Ma non è solo questo. Alcuni di loro, quando bevono troppo fanno stupide domande tipo: “ma in Polonia le case hanno le finestre?”… Quindi pensa un po’ cosa immaginano sul nostro paese e su di noi. certo però che è una cosa assurda – intervenne una di loro – noi in Polonia da sole portavamo avanti una casa con figli e mariti che pensavano solo a ubriacarsi. Andavamo anche al lavoro. E poi qui veniamo a sapere che non sappiamo fare niente, neanche lavare per terra. Ma lo sapete una cosa - in fondo non è questa la nostra vita, noi siamo qui temporaneamente, dobbiamo pensare che è solo un periodo della nostra vita, che presto finirà. Krystyna sentendo questi racconti si riprese e all’improvviso ricordò del suo obbiettivo: deve comprare una casa! Eccola qua, è la signora che ha il numero di telefono, lo vuoi? No grazie, ho cambiato idea. È solo un periodo che finirà, vero? Perciò rimango ancora per un po’. Devo andare. Grazie per la compagnia. Arrivederci! E con passo svelto si diresse verso la metropolitana. Voleva allontanarsi al più presto da quella piazza. Sono una di loro Giorno dopo giorno Krystyna cercava di immergersi sempre di più nella nuova realtà. Nei momenti difficili ricordava quella domenica a piazza Garibaldi, le signore e quella conversazione con loro. Così svaniva tutto. La sua integrazione era eccellente. Anzi, a volte sembrava una italiana nata. Aveva i suoi programmi televisivi preferiti, le riviste ed i film. E ogni volta che i suoi nuovi amici italiani la invitavano a cena era felice: “Allora mi hanno accettato”-pensava. Non si è neanche accorta quando la sua integrazione è diventata una assimilazione. Andava anche raramente in Polonia. Passava ogni natale in Italia. Era entusiasta del menù natalizio, dimenticandosi delle tradizioni del proprio paese. Ma la cosa più strana è che stava dimenticando anche la propria lingua. Sognava perfino in italiano. La voglia di diventare una donna italiana aveva fatto sì, che praticamente Krystyna non manteneva più contatti con le proprie connazionali. Aveva cominciato a negare la propria nazionalità. Quando nei negozi le chiedevano – ma lei è tedesca? – rispondeva subito – si. 71 Quegli anni erano felici per lei. Sentiva che non le mancava nulla, finché un giorno ebbe un attacco di panico. Camminava per strada e andava di corsa perché doveva raggiungere in tempo il posto di lavoro. Ma sfortunatamente quel giorno c’era lo sciopero dei mezzi di trasporto. Ennesimo sciopero, “certo che qui è un vero eldorado per i sindacati”-pensò. Siccome qualche pullman era in servizio le fermate erano affollate. Decise comunque di unirsi agli altri passeggeri in attesa. All’improvviso cominciò a sudare. Si sentì spaesata e persa. Le lacrime scendevano da sole. Motivo? Davanti a lei vide una madre con una figlia più o meno della stessa sua età. La figlia parlava entusiasta della cena con i suoi amici, che dovrebbe organizzare assieme con la madre. Krystyna si sentì male. In quell’istante capì di cosa si era privata per tutti questi anni. Cosa aveva perso. Questo fu l’inizio di una depressione. Cominciò a perdere la stima di se stessa. Le forze la abbandonavano e ogni giorno aumentava la nostalgia di casa. In effetti erano passati oltre otto anni e lei non riusciva ad andare avanti. Era ferma, sia nel campo lavorativo sia come crescita personale, senza menzionare quella emotiva. Così decise che era arrivato il momento di tornare a casa e realizzare il suo obbiettivo. Aveva risparmiato abbastanza per tutti questi anni. Adesso poteva comprarsi la propria casa. Adesso poteva costruirsi il suo futuro migliore! Un futuro migliore Krystyna comprò la casa. La arredò con entusiasmo, orgogliosa di quello che era riuscita a fare con le proprie mani. Organizza cene con gli amici. Si diede un mese di tempo per trovare lavoro. Voleva riposare. Una giusta pausa dopo anni di duro lavoro e di sacrifici. Ma non fu così. Neanche dopo tre settimane Krystyna iniziò ad avvertire la mancanza di … qualcosa. Le cene con gli amici non erano come quelle in Italia. In Polonia la riuscita della serata dipendeva dalla quantità di alcol consumato, altrimenti nessuno rideva né faceva battute spiritose. Solo grazie a qualche drink l’atmosfera diventava piacevole, ma solo per poco, perché con l’aumentare del numero delle bevande alcoliche aumentava la volgarità. Anche lo stile di vita era molto diverso. C’era una continua corsa al successo e al guadagno. I suoi vicini di casa si chiudevano tra le proprie mura. Per la strada la gente non era disinvolta. Ma intanto qui, in Polonia aveva affetto, l’ affetto sincero dei familiari e degli amici, il rispetto e la dignità. Spesso ricordava le umiliazioni subite in Italia, il lavoro stremante e quella maledetta “mutanda”. Eppure sentì fortemente il bisogno di tornare in Italia. Così fece. In Italia riprese i suoi precedenti lavori. Passò un mese. Ma dopo poco sentì che neanche qui stava in pace. Tornò in Polonia, poi in Italia. Il suo calvario ebbe inizio. Andava avanti e dietro cercando il proprio posto. Oggi sta sdraiata su un lettino dal psicoanalista Chi è lei? – sente la voce dietro di lei Non lo so, non ho l’identità ben definita e non ho il proprio posto Perché sta qui? Perché cerco di capire cosa sia successo. So solo che se non cercassi di dimenticare chi sono, che alla Vigilia si servono ravioli imbottiti e non frutta di mare, che il 6 dicembre si festeggia “Santa Claus” e non la Befana il 6 gennaio, forse non sarei qui …. Sa, io sono polacca ma una polacca riciclata … la mia anima polacca è stata contagiata! ! ! ! ! 72 ! Jestem Polka, ale Polką z odzysku „Emigracja to tak jak sesja psychoanalizy. Jesteś sama i rozliczasz się ze swoimi myślami. Zmusza cię do rozmyśleń, do przeanalizowania twojego życia, do zidentifikowania twoich przeżyć, które okazały się traumatyczne, do zbadania własnych możliwości i własnych celów po to, by na koniec zmienić definitywnie twoje życie. I wówczas nie ma powrotu. Od tego momentu nic nie będzie , tak jak wcześniej” – opowiada 35-letnia Krystyna, która od piętnastu lat żyje we Włoszech. Swoją przygodę rozpoczęła w 1991 roku prawie przez przypadek. Z dnia na dzień porzuciła swoje dotychczasowe życie w Polsce a wraz z nim swoją rodzinę, rezygnując również z marzeń, które każda młoda kobieta zazwyczaj snuje przed zasnięciem. Tak jak wiele innych przyjechała do Włoch z nadzieją na zmianę na lepszą przyszłość. Kojarzyła „piękny kraj” z Ameryką, w której karierę zaczyna sie od podstaw, czyli od prac na najniższym szczeblu po to, by potem piąć się w górę zawodowej kariery. Tyle tylko, że nie wiedziała, że tutaj, we Włoszech zaczyna się od podstaw, i na zawsze pozostaje się na najniższym szczeblu. Krystyna miała 18 lat kiedy wsiadała do autokaru, który był przepełniony kobietami, które tak jak ona, przez 36 godzin śniły swoją przyszłość: -“… będę pracować, odłożę pieniądze, wracam do Polski i kupuję mieszkanie. Będę miała własne 4 kąty!”. -“ Jak ci dobrze, że możesz tak myśleć. Ja jadę tam już trzeci raz. Robię to dla moich dzieci. Mój mąż jest alkoholikiem, przepija wszystkie nasze pieniądze. Dzieci rosną a wraz z nimi wydatki. Najstarsza w przyszłym roku pójdzie na uniwersytet. Dlatego muszę coś odłożyć właśnie na to.” - opowiada sąsiadka podróży. Kobieta, która mimo zmarszczek 50-latki wyglądała młodo. – “Dla ciebie to pierwszy raz, więc pamiętaj to co ci teraz powiem – nigdy nie utrać twojej polskiej duszy, nigdy!” *** Zmęczona ale szczęśliwa Krystyna jedzie przez miasto w taksówce ze swoim nowym pracodawcą. Palmy wzdłuż ulicy w dzielnicy Fuorigrotta, jachty w porcie na Mergelinie, błękitne łódki rybaków, i ten silny i penetrujący zapach morza, młode chłopaki, którzy skaczą do morza z potężnych kamieni wzdłuż morza i jakiś trans w uliczkach Porta Capuana. Wszystko wygladało jak z pocztówki z Brazylii, która raz do roku przychodziła od wujka. Oczywiscie bez transa, który dodawał temu wszystkiemu odrobine ekstrawagancji. I ta góra, potężna i elegancka, której zielone stoki spływały do błękitnej zatoki i obejmowały całe miasto. To był Wezuwiusz. Najpiękniejszy wulkan na świecie. Zauroczona Krystyna pomyślała: “Tak! Tu jest moje miejsce”. Pierwsze łzy Krystyna jechała do Sorrento. Tam miała pracować jako pani do towarzystwa. Zanim wyjechała powiedzieli jej: “ … ta pani żyje sama, jest samowystarczalna, ty będziesz musiała 73 tylko z nią przebywać, tak do towarzystwa, nic więcej”. Na miejscu okazało się całkiem coś innego. Staruszka była bardzo chora. Przy łóżku miala butlę z tlenem i szafkę pełną lekarstw. Krystyna była zdezorientowana. Przecież jeszcze wczoraj była w swoim domu i prowadziła życie jako 18-letnia córka... Ale to co ją zszokowało najbardziej to łazienka, a raczej to co było w tej łazience: brudne od eskrementów majtki. -“Ty “– pokazywała na nią palcem pielęgniarka - “prać, zrozumiałaś, prać”- powtarzała pokazując dłońmi jak się pierze. Krystyna patrzyła na nią przestraszona. W swoim życiu widziała okropne rzeczy ale jeszcze nikt, jak do tej pory, nie machał jej śmierdzącymi i brudnymi majtkami przed oczyma. Może wydawać się banalne, ale ten wizerunek pozostał w jej pamięci na bardzo długo. I tak, w jednej chwili, jej wizerunek, który nosiła w sobie, pięknej Italii, zniknał. „Jej Italia” to kraina miłości, wina i słońca. Każda romantyczna myśl kojarzyła się ze słodkim kołysaniem weneckiej gondoli, która przepływała z jednego kanału do drugiego, przy notach gitary granej przez gondoliera, z chłodnym schronieniem w pomarańczowym gaju przepełnionym upojnym zapachem świeżowści i z mistycznym koloseum, które kryło w sobie tajemnice naszego pochodzenia. To wszystko, w tym właśnie momencie, zamknęło się w tych majtkach ... w tym dniu zrozumiała, że nie będzie łatwo. Płakała całą noc. Wracam do domu! Krystyna po dwóch dniach spakowała walizkę i wyszła z tego domu, z zamiarem powrotu do Polski. W drodze do Neapolu była bardzo wystraszona. Nie wiedziała, gdzie ma spędzić noc. Postanowiła zadzwonić do swojej koleżanki w Polsce. I dobrze zrobiła, bo uzyskała numer telefonu do ich wspólnej znajomej, która mieszkała w Neapolu. Poszła do niej. I tam została. Entuzjazm koleżanki sprawił, że Krystyna postanowiła nie wracać do Polski i spróbować jeszcze raz. Podwynajęła u niej pokój i w szybkim czasie znalazła też pracę na godziny jako pomoc domowa. Początkowo szło wszystko dobrze, ale nie znając dobrze języka czuła sie osamotniona. Tęsknota za przyjaciółmi i rodziną coraz częściej dawała się we znaki. Krystyna dzwoniła prawie codziennie do domu, wydając praktycznie każde zarobione pieniądze. W pewną wiosenną niedzielę nastąpił przełom. Po telefonie do Polski Krystyna pękła. Tęsknota była tak silna, że podjęła decyzje o powrocie do Polski. Szybkim krokiem szła w stronę placu Garibaldi, gdzie zatrzymywały się wszystkie autokary. Będąc już na placu przyuważyła grupę polskich kobiet. Podeszła do nich i spytała się: -Przepraszam, chciałam wrócić do Polski, gdzie mogę kupić bilet? - Dziś już jest za późno. Autokary już pojechały. Aby zarezerwować sobie miejsce musisz przyjść rano - odpowiedziały prawie chórem - ale jeśli chcesz, to możesz poczekać na panią, która ma numery telefonów do kierowców. I wtedy możesz sama do nich zadzwonić, by zarezerwować podróż. Jeśli się boisz, to możesz poczekać z nami. Tutaj jest niebezpiecznie spacerować samej. Kobiety miały rację. W niedzielę Plac Garibaldi zamieniał się w istny Babilon. Marokańczycy, tunezyjczycy i włoscy mężczyzni w podeszłym wieku, którzy ubrani w odświętny garnitur i pod krawatem podrywali spacerujące kobiety. 74 - Widzisz tę babkę? – mówiły panie, z którymi Krystyna stała – zawsze idzie z tym panem, w każdą niedzielę. Słyszałam, że w Polsce ma rodzinę i męża. I mimo tego chodzi z tym staruszkiem - Przecież wiadomo co idą robić – skomentowała ironicznie inna pani – a wiecie, co odpowiada, kiedy się jej pytają o tego pana i to z nim robi: “ i tak nikt mnie tu nie zna …” W gruncie rzeczy to zdanie było bardzo “popularne” wśród Polek, które co niedzielę pozwalały sobie na “jedyną przyjemność” podczas ich cierpienia. Cierpienia, ponieważ każda z nich w ten właśnie sposób odbierała ich wybór emigracyjnego życia. Mogłoby się wydawać, że każda z nich świetnie się bawi. Jednak prawda była inna. Wszystkie te kobiety, zarówno te, które chodziły z tymi panami jak i te, które zachowały swoją moralnośc, tak naprawdę bardzo cierpiały z powodu samotności. Dla odrobiny uczucia były w stanie oddać wszystko. Inne natomiast wytrzymywały tylko dzięki wspomnieniom i pamięcią o swoich bliskich, którzy pozostali w kraju. I najdziwniejsze jest to, że to właśnie ta rozłąka sprawiała, że najmniejszy, nic nie znaczący gest uczucia, który kiedyś miał miejsce, teraz stawał się najbardziej znaczącym i najważniejszym dowodem uczucia. Stawał się najpiękniejszą rzeczą, jaka mogła się kiedykolwiek przytrafić. I każde takie wspomnienie przywołane notorycznie było jak deska ratunku.. Słuchając tych rozmów Krystyna się wzruszyła. Czyli to wszystko, o czym słyszała to jednak prawda. Panie, z którymi stała, widząc łzy w oczach Krystyny zaniepokoiły sie i spytały: !" Co się dzieje, dlaczego płaczesz? !" Bo popełniłam błąd, nie powinnam tu być … Każdego dnia czuję się upokorzona. Pani, u której pracuję codziennie na mnie krzyczy. Mówi, że nie umiem umyć podłogi, prasować a nawet pościelić łóżka... !" Aj, nie przejmuj się. Są gorsze przypadki. Jedna moja koleżanka pracuje na dzień i noc w domu, gdzie co rusz robią przyjęcia i każą jej stać zawsze przy stole jako służąca. Dziewczyna sypia po niespełna 5 godzin. A jak niektórzy goście popiją troszkę więcej to zadają głupie pytania typu : “ czy u was w Polsce są okna...” Czyli wyobraź sobie, co oni o nas myśla i o naszym kraju. !" Rzeczywiście, to absurd – komentuje jedna z nich – My w Polsce same prowadziłyśmy dom, z dziećmi i mężami, którzy myśleli tylko o tym jak się upić. I na dodatek chodziłyśmy jeszcze do pracy. A tutaj dowiadujemy się, że nie umiemy nic robić, nawet umyć podłogi. Ale wiecie co, w gruncie rzeczy to nie nasze życie, my tutaj jesteśmy tylko chwilowo. Mamy nasze cele. Musimy myśleć, że to tylko okres przejściowy naszego życia i że szybko się skończy. Krystyna słuchając tych słów podniosła się na duchu i przypomniała sobie dlaczego ona tutaj jest: przecież musi kupić sobie mieszkanie! - O, właśnie przyszła ta pani, co ma numery telefonów. Chcesz? - Nie, dziękuję, zmieniłam ideę. To tylko pewien okres, który szybko się skończy, prawda? Dlatego też zostanę jeszcze troszkę tutaj. Musze iść. Dziekuje za towarzystwo. Do widzenia! I szybkim krokiem zmierzała do metra. Chciała jak najszybciej oddalić się od tego placu 75 Jestem jedną z nich Dzień po dniu Krystyna starała się wtopić w nową rzeczywistość. W trudnych momentach przypominała sobie zawsze tę niedzielę na placu Garibaldi i rozmowę z tymi paniami. I tak momenty zwątpienia zanikały. Krystyna integrowała się znakomicie. Mało tego, czasami nawet wydawało się, że jest rodowitą włoszką. Miała swoje ulubione programy telewizyjne we włoskiej telewizji, ulubione gazety i film. I za każdym razem, kiedy jej włoscy przyjaciele zapraszali ja na kolację była przeszczęśliwa i myślała: „Czyli mnie zaakceptowali”. Nawet się nie zorientowała, kiedy jej integracja zamieniła się w asymilację. Bardzo rzadko jeździła do Polski. Każde święta spędzała w Italii. Zachwycała się włoskim świątecznym menu, zapominając całkowicie o polskich tradycjach. I na dodatek zapominała swój ojczysty język. Do tego stopnia, że nawet śniła w języku włoskim. Pragnienie stania się włoską kobietą było tak silne, że Krystyna pozbawiła się też kontaktów ze swoimi rodaczkami. Zaczęła negować swoje pochodzenie. Kiedy w sklepie, ekspedientki pytały się, czy jest Niemką, bez zastanowienia odpowiadała „tak” To był szczęśliwy okres. Czuła, że nic jej nie brakuje. Aż któregoś dnia dostała ataku paniki. Szła ulicą, śpieszyła się, ponieważ musiała na czas dojśc do następnej pracy. A właśnie w tym dniu był strajk środków trasportu. „Kolejny strajk … - myślała – rzeczywiście tutaj dla związkowców to prawdziwe strajkowe Eldorado”. Ponieważ jednak jakiś autobus jeździł, przystanki były oblężone przez pasażerów. Ona też postanowiła poczekać. I nagle zaczęła się pocić. Poczuła się zdezorientowana i zagubiona. Łzy same spływały po jej policzkach. Dlaczego? Powodem był widok matki z córką, która była w jej wieku. Stały obok niej. Córka bardzo entuzjastycznie opowiadała o kolacji z przyjaciółmi, którą chciała zorganizować w domu. Krystyna zasłabła. W tym momencie zrozumiała czego, przez tyle lat, samowolnie się pozbawiła. Co straciła. To był początek długiej depresji. Zaczęła tracić wiarę w siebie. Siły opuszczały ją każdego dnia i tęsknota za domem zżerała ją codziennie. I tak minęło 8 lat. W tym czasie nie była w stanie brnąć dalej. Zatrzymała się. Zarówno pod kątem zawodowym jak i emocjonalnym. Zadecydowała więc, że czas wracać do Polski i zrealizować swoje marzenia. Przez tyle lat zdołała uzbierać pokaźną sumkę. I teraz mogła kupić sobie mieszkanie. Teraz mogła zacząć budować swoją lepszą przyszłość! Lepsze jutro Krystyna kupiła mieszkanie. Z entuzjazmem je umeblowała, i była bardzo dumna z tego, że to dzięki swojej pracy tyle osiągnęła. Organizowała kolacje z przyjaciółmi. Poczatkowo nie pracowała. Dała sobie miesiąc czasu na to, by znaleźć odpowiednią pracę. Teraz chciała tylko odpoczać. Zasłużony urlop po tylu latach ciężkiej pracy. Ale tak nie było. Nie minęło nawet trzy tygodnie jak Krystyna zaczęła odczuwać brak... czegoś tam. Kolacje z przyjaciółmi nie były takie we Włoszech. W Polsce udany wieczór był uzależniony od ilości wypitego alkoholu, ponieważ bez tego nikt nie potrafił się bawić. Tylko dzięki drinkom atmosfera stawała sie przyjemna, ale tylko do czasu, ponieważ im więcej alkoholu tym bardziej robiło sie wulgarnie. 76 Również styl życia bardzo się różnił. Była ciągła pogoń za sukcesem i pieniędzmi. Jej sąsiedzi zamykali się zawsze w swoich ścianach. Ludzie na ulicach byli zestresowani. Tyle tylko, że tutaj w Polsce miała swoich przyjaciół i szczere, bezinteresowne uczucie swoich bliskich, była szanowana i respektowana. Niejednokrotnie pamiętała poniżenia jakie znosiła we Włoszech, i tę wykańczającą pracę.. no i oczywiście te przeklęte majtki. I mimo tego odczuwała potrzebę powrotu do Włoch. I tak też zrobiła. We Włoszech powróciła do swoich poprzednich prac. Minął miesiąc. I zaczęła odczuwać, że to nie jest jednak miejsce dla niej. Nie mogła odnaleźć wewnętrznego spokoju. Znowu wróciła do Polski. Jej gehenna rozpoczęła się! Jeździła tam i z powrotem szukając swojego miejsca. Dzisiaj leży na kozetce u psychoanalityka - kim Pani jest? – słyszy głos za plecami !" nie wiem, nie mam swojej tożsamości, nie mam swojego miejsca... !" dlaczego pani tutaj leży? !" dlatego, że staram się zrozumieć co się stało... być może, gdybym nie starała się zapomnieć kim jestem, gdybym na Wigilię jadła pierogi a nie owoce morza, gdybym nie zapominała, że 6 grudnia mamy święto Mikołaja a nie 6 stycznia Befanę, być może bym tu nie była… Wie pan co, ja jestem Polką ale Polką z odzysku.. moja polska dusza została jednak skażona! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 77 GUERGANA RADEVA (Bulgaria) ! Cortocircuiti Senti il passaparola serpeggiare come un rettile invisibile su Lungarno degli Archibusieri. Sei diventata sensibile a queste cose, a molte altre, invece, sei diventata indifferente. Ognuno sceglie il proprio kit di sopravvivenza, pensi, mentre i lembi delle stoffe colorate si sollevano annodandosi rapidamente attorno alla merce, mani e gambe s’intrecciano e in un lampo il millepiedi umano si frantuma nei vicoli della vecchia Firenze. Saresti dovuta dileguarti anche tu, fonderti nell’ombra degli androni, ma non lo fai, non perché sei diversa, ma semplicemente perché usi un’altra tecnica mimetica. Sei appariscente... al punto di risultare invisibile. Improvvisamente orfani delle attenzioni dei vucumprà, i turisti sotto le arcate del Corridoio Vasariano scoprono un altro divertimento: le pantegane gigantesche che spadroneggiano sulle rive verdognole dell’Arno, fra rifiuti e marciume. Appena imboccato il Ponte Vecchio scorgi i vigili e rallenti il passo, cercando di contrastare a livello di puro muscolo l’atavico istinto di fuggire. Cortocircuito biochimico, il cervello va in tilt incantato sul replay del solito fotogramma: il passaporto ostaggio nella cassaforte del night, il visto irrimediabilmente scaduto, l’ipotetico rinnovo di un ipotetico permesso di soggiorno. ! «Riavrai il passaporto, una volta saldato il debito!» Il massiccio anello d’oro batte ammonitore sulla pagina dei conti... la rata del debito… l’affitto… «Potrei trovarmi un posto letto a molto meno…» «No, che non puoi, bella, tu abiti dove dico io! Dunque, dicevamo, l’affitto, più il dieci percento per l’agenzia, perché sono costretto anche a farvi da agente io, non posso mica rimetterci se qui non rendete!» Già, le avevi viste andarsene, alcune perché non rendevano, altre, come Darja, perché sgarravano alle regole. La notte in cui bruciò il night a Montecatini, spararono alla macchina del Basetta e Darja la scampò per un pelo. C’erano tanti divieti comici fra i comandamenti del locale, tipo non presentarsi al lavoro in pantaloni e non appiccicare le gomme masticate sotto i tavolini, ma c’era poco da ridere se trasgredivi il Mai farsi i pupilli del Proprietario! Una specie di lungo parentado che andava e veniva a singhiozzo dal sud e affollava il locale all’alba dopo aver sbrogliato i soliti ingarbugliati affari. Le dita contano le banconote, l’anello batte impaziente sull’esiguo mucchietto. Ed eccoti servita perché farsi il Proprietario è al di sopra dei comandamenti plebei e il Proprietario in persona sta aspettando una tua risposta riguardo un’eventuale cena tutto pesce e il sott’inteso tutto compreso. A lui la sua risposta, a te il tuo denaro e qualche stecca di sigarette dai cartoni stipati nell’angolo dell’ufficio. «Portale giù alla Bibì e dille di farle girare, su!» I finanzieri smerciano le sigarette di contraBibìando a metà prezzo, il locale ci fa sopra il suo, il solito cortocircuito fra luce e ombra, quella zona grigia e fluida, priva di resistenza, sicura. Basta non sconfinarci troppo. Ma è proprio quello che sei tentata di fare quando ti chini per infilare le stecche sotto il bancone del bar e vedi le pistole. Quelle d’ordinanza, lasciate in custodia alla Bibì, che scatenano in te una voglia improvvisa, genuina e irresistibile, di allungare le mani e premere le dita sui grilletti. E far scoppiare tutto come in un cazzo di western! 78 Bam! Gli specchi del bar esplodono mandando in mille pezzi i riflessi agitati dei questurini che spadroneggiano sui divanetti, fra bottiglie e seni traboccanti. Bam! Le immagini contorte del vecchietto arzillo e della sua mulatta scrosciano in sonante pioggia di vetro. Bam! Schegge taglienti di ragazze riflesse volano conficcandosi nelle carni tremule del Proprietario che sta scendendo le scale. Proprietario era stata la prima parola che avevi cercato nel dizionario. «Proprietario di cosa?» avevi chiesto e con un ampio gesto la Bibì aveva indicato gli specchi e negli specchi fumé tu avevi visto i tavolini, i divanetti e tutto il resto ma soprattutto avevi visto te stessa. Ora invece vedi ondeggiare la Bibì, deglutisci le tue folli voglie, le indichi le stecche, lei piazza subito qualche pacchetto al vecchietto, per la sua stupendissima mulatta, gli versa una coppetta di champagne truccato, poi versa una anche per sé e risucchia il cavaliere stordito in una delle sue apnee nostalgiche. Una della vecchia guardia la Bibì, filatasela ancora ai tempi del Muro attraverso le frontiere smagliate di Tito. «Sputata identica alla Bardot ero, al Royal di Viareggio gli uomini facevano la fila per bere lo champagne dalle mie scarpe… ah, che tempi che erano, mio caro, tempi d’oro!» ! Anche tu sei circondata d’oro. Le luci del Ponte Vecchio sfavillano nelle vetrine delle antiche oreficerie, i riflessi delle filigrane preziose risplendono fugaci sulle le tue gambe: filo d’oro spinato che aggancia gli sguardi dei vigili. Non dovresti rispondere a quelle occhiate perché sei una clandestina, ma è appunto per quello che lo fai. Perché non si diventa clandestini per la sola fame del corpo ma soprattutto per la fame dell’anima. Quella fame indefinibile ma intensa che lega i poli opposti della tua vecchia e la tua nuova identità. La vecchia, dagli occhi grigi da clandestina, che sa bene cosa non vuole e la nuova, dall’attillato abitino rosso, che non sa ancora cosa vuole. Sicché ti chiedi cosa vai cercando, poi ti distrai risucchiata dal moto perpetuo degli ambulanti che stanno ripopolando i propri territori tribali sotto la Torre Mannelli. La vitalità di quel baccanale di rumori, colori e odori fonde le tue incerte identità. Faris ti fa l’occhiolino dalla solita postazione. Ha della buona erba, Faris, e della coca tagliatissima, da turisti. «Sono contrario alle droghe pesanti» dice, «questione di principio.» La verità è che Faris vende quello che gli ordinano di vendere, vive esattamente come te nella zona grigia dove i principi sono articoli di lusso. Affascinata dalla placidità dell’imponente matrona africana con turbante giallo, senti l’impulso di comprare qualcosa a mo’ di amuleto contro l’irrequietezza. Ti chiedi se la sua calma sia granitica come sembra, oppure anche lei a volte si senta dentro uno stramaledetto western. Avresti dovuto prendere il dolcissimo elefantino, portatore di pace e prosperità e, invece, compri una pallina di gomma colorata per il gatto. Il gatto non ha un nome. Darja lo chiamava maz maz, il che era semplicemente micio micio nella sua lingua. Ora che Darja se né andata ci pensi tu a nascondere maz maz nell’armadio quando la Bibì viene a controllare se le ragazze che si danno malate lo sono davvero oppure se la siano filate a mungere qualche cliente a scapito del locale. Qualche passo dopo saluti Andrej, pittore di cartelloni pubblicitari e nel tempo libero – di volti di passaggio. Chiacchierate un po’ mentre lui scarabocchia al volo uno schizzo veloce del tuo volto. «Ci vediamo dopo da Arghirys?» chiede. «Mi spiace, Andrè, stasera non posso.» 79 Una ciocca di graffite scende rapida gettando ombra grigia sul viso disegnato. Ti piacciono le serate alla taverna greca, sei una da pietanze speziate ma stasera opterai per il pesce stracotto su un letto di verdure lesse. Questa faccenda è come un dente malato, prima te lo togli meglio è. Indugi sotto l’insegna spenta del night rigirando in mano la pallina colorata. Diventa sempre più difficile far entrare il gatto clandestino nell’armadio, la pallina sarà per maz maz quello che è per te lo schizzo di Andrej, un diversivo che placherà temporaneamente la fame dell’anima. Stasera il night è chiuso ma sai che ti aspettano. Prima di entrare infili la pallina e il disegno arrotolato nella borsetta ed è come se qualcuno avesse spento tutte le luci della città. L’ennesimo cortocircuito in una notte fiorentina di mezza estate. ! ! 80 ! Къси съединения Усещаш как паниката плъзва змиевидно като невидимо влечуго по Лунгарно дели Аркибузиери. Развила си изострена чувствителност към тези неща, затова пък, към много други си станала безразлична. Всеки сам избира собствения си кит за оцеляване, си казваш, докато около теб се диплят разноцветни вързопи със стока, ръце и крака се преплитат и в един миг човешката стоножка се разпада из сокаците на старата Флоренция. Би трявало и ти да си плюеш на петите, да се разтвориш в сянката на някой вход, но не го правиш, не защото си различна, а защото използваш различна техника на камуфлаж. Ефектна си, биеш на очи... и това те прави невидима. Изгубили вниманието на амбулантните търговци, туристите под арките на Коридора на Вазари си намират друго забавление: гигантските плъхове, които пъплят, под гнилоч и отпадъци, по зеленясалите брегове на Арно. Тръгваш по Понте Векио, забелязваш полицаите и инстинктивно забавяш крачка, опитвайки се да се противопоставиш на атавистичния импулс за бягство. Биохимично късо съединение, мозъкът зацикля и повтаря до безкрайност една и съща фотограма: паспортът заложник в сейфа на найт клуба, визата безнадеждно изтекла, едно хипотетично подновяване на едно все по-хипотетично разрешително за пребиваване. ! «Ще си получиш обратно паспорта, когато ми се издължиш!» Масивният пръстен бие по страницата на сметките: «Ето тук, наема...» «Бих могла да си намеря по-евтина стая…» «Как ли пък не! Ти живееш където аз кажа! Значи, наема, десет процента за агенцията, защото съм принуден да ви бъда и агент, аз за вас пари съм давал, ако тук не ми печелите, трябва по други клубове да ви пласирам!» Заминаваха си една след друга, някои защото не изкарваха достатъчно, други, като Даря, защото не спазваха правилата. Нощта, в която подпалиха найта в Монтекатини, стреляха по колата на Бакенбарда и Даря се спаси по чудо. Имаше куп комични забрани в правилника на заведението, например, да не се ходи на работа с панталони и да не се лепят дъвки под масите, но хич не беше до смях, ако някой нарушеше Не се пускай на хората на Собственика! Един вид клан, който прииждаше на вълни от юг и заливаше клуба на зори, след нощи прекарани в разплитане на все по-оплетения си бизнес. Пръстите отброяват банкнотите, пръстенът бие нетърпеливо по невзрачната купчинка. И ето ти обслужена, защото Да се пуснеш на Собственика стои над всеко плебейско правило и самият Собственик е в очакване на твоя отговор за една евентуална вечеря и не само... На него желаният отговор, на теб – това, което остава от хонорара и няколко стека цигари от кашоните струпани до стената на офиса. «Занеси ги долу и кажи на Биби да ги пласира!» Митничарите доставят контрабандни цигари на половин цена, заведението печели своя дял, едно нормално късо съединение между светлина и сянка, сива зона, лишена от съпротивление, безопасна. При условие да не излезеш от нейните граници. Но точно това си изкусена да направиш, когато се навеждаш да оставиш цигарите под плота на бара и виждаш 81 пистолетите оставени под охраната на Биби. Чувстваш как в теб се надига едно внезапно желание да протегнеш ръце и да натиснеш спусъците. И да хвърлиш всичко във въздуха като в един налудничав уестърн! Бум! Огледалата на бара избухват, пръскайки на хиляда парчета отраженията на полицаите, насядали по диваните, между преполовени бутилки и разголени гърди. Бум! Разкривените рефлекси на старчето и на неговата мулатка се разпадат в звънък стъклен дъжд. Бум! Режещи отломки от отразени момичета прехвърчат, забивайки се в треперливите меса на Собстевеника, който в този момент слиза по стълбите. Собственик беше първата дума, която потърси в речника. «Собственик на какво?» попита и с един широк жест Биби посочи огледалата и в огледалата ти видя масичките, диваните и цялото заведение, но преди всичко видя самата себе си. Но сега виждаш отражението на Биби, преглъщаш твоите щури желания и посочваш цигарите. Биби пробутва веднага няколко пакета на старчето за неговата великолепна мулатка, налива му чаша подправено шампанско, после налива и на себе си и засуква зашеметения кавалер в една от своите носталгични апнеи. Една от старата гвардия, Биби, измъкнала се още по времето на Берлинската стена през разбримчените граници на Тито. «Като близначка бях на Бардо, в Роял кавалерите на опашка се редяха да пият шампанско от обувката ми, ах, какви времена бяха, скъпи мой, златни времена!» ! И ти си заобиколена със злато. Светлините на Понте Векио блестят във витрините на бижутерските магазини, рефлекси на скъпоценен филигран искрят ефимерни по голите ти крака: бодлива златна тел, която закачва очите на полицаите. Не трябва да отговоряш на техните погледи защото си нелегална, но точно затова го правиш. Защото не се става нелегални само заради глада на тялото, а преди всичко, заради глада на душата. Онзи глад, неописуем, но всесилен, който свързва полюсите на твоята стара и на твоята нова идентичност. Старата, със сиви очи на нелегална, която знае много добре какво не иска, и новата, с вталена червена рокля, която още не знае какво точно иска. Така че се питаш какво всъщност търсиш, но те разсейва оживлението на амбулантните търговци, които започват наново да окупират племенните си територии под Кулата на Манели. Жизнерадостния кипеж на тази вакханлия от гласове, цветове и аромати стопява в едно твоите две несигурни самоличности. Фарис ти смига от обичайното си място. Има добра трева, Фарис, и кокаин, подправен, за туристи. «Аз съм против твърдите наркотици» заявява, «въпрос на принципи.» Истината е, че Фарис продава това, което му е заповядано да продава, живее, точно като теб, в сивата зона, където принципите са лукс. Очарована от хладнокръвието на една внушителна африканска матрона с жълт тюрбан, изпитваш един импулс да купиш нещо за амулет против твоето постоянно безпокойство. Питаш се дали това нейно самообладание е наистина гранитно както изглежда или и тя понякога се чувства като в един проклет уестърн. Би било по-добре да вземеш гиздавото слонче, гаранция за мир и просперитет, но вместо това купуваш едно шарено гумено топче за котето. Котето си няма име, Даря му викаше само мац мац. И сега, след нейното заминаване, трябва ти да криеш мац мац в гардероба, когато Биби проверява дали момичетата, които се 82 пишат болни, са си в апартамента или са хукнали да доят някой клиент за сметка на заведението. Малко по-нататък поздравяваш Андрей, художник на рекламни платна и в свободното време – на улични портрети. Докато си приказвате, той рисува една бърза скица на лицето ти. « Ще се видим ли по-късно при Аргирис?» пита. «Съжалявам, Андре, днес не мога.» Един графитен кичур пада, хвърляйки сива сянка върху нарисуваното ти лице. Обичаш вкусните подправки на гръцката таверна, но тази вечер ти си пада варена риба върху легло от разкапани зеленчуци. Тази работа е като един развален зъб, по-рано ли го извадиш, по-добре. Колебаеш се под изключения надпис на клуба и стискаш в ръка шареното топче. Става все по-трудно да накараш нелегалното коте да влезе в гардероба, играчката ще бъде за мац мац това, което е за теб рисунката на Андрей, едно разсейващо удоволствие, което ще засити временно глада на душата. Тази вечер найтът е затворен, но знаеш, че те очакват. Преди да влезеш, прибираш точето и навитата на руло рисунка в чантичката и сякаш изведнъж изгасват всичките светлини на града. Поредното късо съединение в една лятна флорентинска нощ. ! 83 MUHAMMAD RAZI MUHIB ALI (Afghanistan) Mela, Melograno, Blu ! ! Sequenza 1 – interno – ferriera – giorno Riflesso nel ferro fuso un’ immagine, un uomo e una donna che si baciano. Saluch distrutto e confuso infila il ferro fuso nella fornace. L’immagine dei due sparisce nel rosso del fuoco. La sporca e leggera camicia di Saruch aderisce per il sudore al suo scheletrico corpo. I suoi occhi sgranati e colmi di lacrime. ! Rosso ferro Calore Sudore Il freddo delle pareti ! ! Sequenza 2 – esterno – davanti alla porta della casa di Saluch – notte ! ! Sequenza 3 – interno – casa di Saluch E’ mezzanotte, Saluch con una sigaretta accesa in mano e uno zaino pieno di bottiglie di vino in spalla, si ferma davanti alla porta di casa sua. Riesce ad udire le voci della donna e della bambina, ma non ha il coraggio di bussare alla porta. Ritorna così’ nel vicolo. E’ freddo, buio e infinito. Un uomo anziano, probabilmente un clochard, con un grande cane al seguito si avvicinano a lui lentamente. Saluch con gli occhi rossi, osserva il vicolo infinito. Il cane si ferma davanti a lui. Ha l’odore del sangue, del ferro e del fuoco. Saluch si siede davanti al cane e comincia a coccolarlo. L’uomo anziano chiama il cane: “ehi! Andiamo! Andiamo! E’tardi piccolo! E’ tardi” Saluch torna davanti alla porta di casa, le sue mani dure e indecise sfiorano il campanello... Saluch conosce la sincerita’ crudele di sua moglie. Gli dira’ tutto e lo distruggera’ con i suoi occhi innocenti e bagnati lo osservera’ e accanto alla sua lunga gonna nera prendera’ il bambino e lo mettera’ fra le braccia di Saluch. Il bambino apre la porta (la camera da ripresa rimane dietro la porta) La luce inonda per un momento l’esterno. Tutto viene inghiottito dalla luce. Dall’esterno si possono udire il rumore delle bottiglie di vino e del gioco del bambino. La donna e l’uomo illuminati dalla fredda luce che dal vicolo penetra nella stanza, dormono. La donna con la schiena rivolta verso l’uomo supino. Il bambino nel letto a fianco. 84 La donna accarezza le sbarre del piccolo letto, dalla prima all’ultima, poi dall’ultima a meta’. Un silenzio pesante cade al gesto della donna. Saluch con gli occhi aperti guarda il soffitto, la donna si volta verso di lui. Donna: “perche’ sei triste?” Saluch: “Non sono triste” Donna: “Stai mentendo” “Sai gia’ tutto, hai gia’ visto tutto” Saluch: “No” Donna: “Stai mentendo” Entrambi rimangono ora in silenzio. La donna accarezza nuovamente le sbarre del lettino. Saluch: “Perche’?” Donna: “Non lo so” Saluch: “Vuoi andartene?” Donna: “Forse...” La donna accarezza due sbarre del lettino. Saluch: “Sei innamorata di lui?” Donna: “Come forse sono innamorata di tutti gli uomini” “Come forse sono infatuata di un ballo con uomini senza testa” Saluch: “Quando finisce?” La donna tace, i battiti del suo cuore si fanno piu’ veloci e con voce tremante dice: “Ogni cosa in cui il suo odore e la sua presenza appaiono, sono per me venerabili” Saluch: “Ma pensi a me? Pensi a Ruhan? Lo senti il suo respiro?” Donna: “Non lo so” Saluch: “Sono stanco delle tue pazzie. Mi hai ucciso, hai ucciso i miei sentimenti, il mio onore” La donna tace rannicchiata su se’ stessa, avvicinandosi al bambino. Donna: “Andiamo a fumare una sigaretta” ! ! Sequenza 4 – interno – spogliatoio della ferriera – giorno Lo spogliatoio della ferriera e’freddo e grigio. Gli appendiabiti di ferro in fila, le finestre con i vetri spessi ed opachi che si aprono verso la ferriera. Tutti gli appendiabiti sono vuoti, tranne uno a cui e’appeso il cappotto di Marius. Per un attimo la donna rimane indecisa nello spogliatoio grigio. Si toglie la sua grigia camicia elegante e la appoggia sul vecchio cappotto blu scuro di Marius. Saluch vede la donna dietro le finestre opache, bagnato dal sudore, dall’odore del ferro e del fuoco. Gli altri operai lavorano silenziosi. Sono indifferenti uno nei confronti dell’altro, passano davanti a Saluch come se non esistesse. La vita ha il significato del ferro, la fatica e’un cubo. Un cubo grande, deforme e grigio. Un cubo piccolo e stretto. Una televisione. Il suono. Il colore. Il caffe’ amaro, autobus. 85 E ancora un cubo grande deforme e grigio. ! La donna ritorna, prende la sua camicia e ne annusa l’odore. La continuita’ dell’odore di Marius. La continuita’ della fatica. La continuita’ della sensualita’, della sete, della sofferenza e dell’affetto della donna. ! Si sente un leggero rumore di vetri frantumati, Saluch esce dalla ferriera. ! Sequenza 5 – interno – la casa di Saluch – notte ! La stanza e’molto disordinata e colma del fumo di sigarette. Sul tavolo la confusione delle cose, melograni, mele e bottiglie di vino. La donna si accende un’altra sigaretta. ! Donna: “Ieri notte ho avuto ancora quel sogno orrendo: mio padre voleva dormire con me. Ogni tanto ho questo sogno, lui mi costringe a dormire con lui ed io soffro, non perche’ e’ mio padre, ma perche’ non voglio dormire con lui, e lui mi obbliga a farlo. Questa notte aveva i capelli ancora neri, come trent’anni fa, o forse piu’. Sapevo che era mio padre, sapevo cosa voleva fare e ne soffrivo. ” ! Saluch la osserva in silenzio. ! Saluch: “Ogni Primavera mi fai soffrire. Ricordi quella passata? Non posso piu’ sopportarlo. L’anno scorso la tua pazzia era diversa, mi costringevi a dipingere, ma questa volta mi distruggi, mi fai arrabbiare, non posso sopportarlo piu. Distruggera’ tutto.” Donna: “Nella mia vita, tre volte mi sono innamorata in modo profondo e sincero. Dieci anni fa, mi sono innamorata di Matteo. Lui era per me un quadro nero, all’interno del quale linee gialle esplodevano con un’energia inaudita. Era il giallo della follia. Potevo restare ore ed ore in silenzio innanzi a quel quadro nero, ore intere potevo stare a berne le linee gialle. ! Marius, invece, era per me come un dipinto il cui sfondo arancione, mobile e fluente, aveva al suo centro, come per contrasto, un quadrato di ferro immerso nella sua fissita’. Quel pezzo di ferro era duro come il cemento, come la burocrazia, e la politica, duro come i titoli rossi dei giornali, come una sedia con quattro piccole ruote eleganti, come un corridoio con mille maschere e mille scarpe. Ecco, al suo interno stava un cuore deforme, che gradualmente si tingeva di grigio. ! Saluch: “Ed io?” Donna: “Tu sei complicato. La tua immagine fugge da me e strilla.” Saluch: “Come mi vedi?” Donna: “In un deserto infinito e secco. Due mani pregano per afferrare. Sono prive di pelle, solo carne, sangue e vene. Lo sfondo e’ marrone.” Saluch: “Sai che e’ impossibile” Donna: “Si’. E so che mi distruggerà’’ 86 Saluch: “Perchè continui allora? Perderò il mio lavoro, i miei amici, la mia condizione sociale, perderò la vita che con tanta fatica abbiamo costruito. Anche tu hai lavorato tanto per costruire tutto questo.” Donna: “Lo so.” Saluch: “Ti ucciderò” Donna: “Stai mentendo” Saluch: “Cosa dice la tua famiglia?” Donna: “La mia famiglia e’ la mia nonna con le sue scarpe rosse, e’ il mio zio pazzo. Entrambi sono morti” ! Saluch esce dalla casa. La donna rimane sola circondata dal fumo delle sigarette. ! ! Sequenza 6 – illusione uno – interno – ferriera – giorno ! ! Sequenza 7 – interno – treno – giorno ! ! Sequenza 8 – esterno – davanti alla baita di Mario – giorno La donna e’ al centro della ferriera, indossa un lungo abito nero e tra le sue mani tiene un bicchiere colmo di vino rosso. Lo porge verso le labbra del suo amante inesistente. Improvvisamente i vetri dello spogliatoio iniziano a tremare e per lo spavento il bicchiere le scivola dalle mani frantumandosi al suolo. Saluch e il bambino sono seduti in treno. Il loro bagaglio, uno zaino colmo di vestiti. Un’anziana donna di origini scozzesi si rivolge al bambino che inizia a ridere a causa del suo strano accento inglese. Accortasi del divertimento del bambino, la donna inizia allora a fare delle imitazioni con diversi accenti, dapprima si trasforma in una tedesca, e con spirito autoritario si rivolge al piccolo, in seguito in una donna francese, a questo punto estrae dalla sua borsa un fazzoletto rosa contenente dei cioccolatini che porge al bambino. Infine imita un’inglese, fa un colpo di tosse provocando nel bambino un attacco di riso inarrestabile. Gli occhi di Saluch, a causa del pianto del pianto della notte precedente, sono gonfi e arrossati, la luce lo infastidisce. Una giovane donna sfoglia istericamente le pagine di una rivista. Un uomo anziano si copre il viso col cappello ed inizia a russare. Saluch sente mancare il respiro, esce così’ nel corridoio del treno ed apre li finestrino. Osserva le case e i profili delle montagne che si susseguono velocemente. Nel corridoio una coppia di giovani stranieri vengono interrogati dalla polizia. Entrambi non conoscono la lingua, la ragazza e’molto giovane e nei suoi occhi si può leggere il terrore. Il ragazzo invece sembra pregare il cielo affinché i poliziotti li lascino andare, prova allora a farsi comprendere con un inglese improvvisato. Racconta del suo viaggio dalla Turchia della sua stanza condivisa con altri uomini, tutti perennemente ubriachi, del viaggio durato una settimana e trascorsa in un camion, con la fame e il terrore sempre addosso. Buio, nero, manganelli. Saluch rientra nel suo compartimento e chiude le porte dietro si se’. 87 Saluch e Rohan sono davanti alla porta chiusa della baita di Mario. Senza alcun dubbio Mario e’andato a fare una delle sue lunghe passeggiate in montagna. Tornera’ sta sera o no? Nessuno puo’ saperlo, nemmeno lui. Mario non porta mai il cellulare con se’. Parte da solo, portando con se’ solo il suo diario e un carboncino. Disegna lo schema del paese. Per gli abitanti del luogo, i suoi schizzi sono solo linee confuse. Le linee della sua confusione. Perde ore in quei boschi e al suo ritorno porta con se’ il profumo dei piu’ lontani e misteriosi ciclamini delle montagne. ! Dopo esser diventato schiavo dell’alcol ed essersi ammalato, dopo aver vissuto dieci anni per la strada, dopo aver perso i suoi ideali anarchici di liberta’ ed aver lavorato quindici anni in una fabbrica torinese figlia del capitalismo, decide infine di tornare alla casa lasciatagli dalla nonna ed abbandonare per sempre la citta’. Citta’, fretta, traffico, tasse. Lavoro. L’affitto. Lavoro. Supermercato. Offerta. Due euro di sconto. ! Ha abbandonato tutto, la salute era cagionevole, meta’ polmone era andato perso definitivamente. Sono dieci anni che vive in Paese e ne narra in dialetto le storie. La storia di una donna che gli offre un caffe’ in un giorno di freddo. La donna che da un balcone, in una giornata di nebbia, lo saluta con affetto. Un’anziana poetessa, l’unica del paese, legge le storie di Mario dal suo balcone senza sole. Il suo gatto, percependo la tranquillita’ della situazione si abbandona al sonno. Rita, la donna piu’ strana e silenziosa del paese, passa dietro al balcone della vecchia poetessa e ascolta le storie raccontate. ! Tornera’ sta sera o no? Nessuno puo’ saperlo, nemmeno lui. ! Essere uomo in paese significa lavoro, lavoro e lavoro. Significa sudore. Significa lavorare e non stancarsi mai. La maggior parte degli abitanti pensava Mario fosse diventato scrittore a causa della sua poca voglia di lavorare in gioventu’ Niente era piu’ semplice di passeggiare, scrivere e bere un caffe’ in un giorno di freddo. ! Mario si avvicina da lontano col suo cappello nero e la capra bianca che gli danza attorno. La sua relazione con la capra, la sua relazione col lavoro, come la sua relazione con la vita ed i meli, sono un mistero. 88 Rohan dorme nel suo passeggino, Mario abbraccia Saluch, ed il suo viso si bagna di lacrime. Entrano in casa. ! ! Sequenza 9 – interno – agenzia del lavoro – giorno ! ! Sequenza 10 – illusione due – interno – ferriera – giorno ! ! Sequenza 11 – il giardino di meli - esterno – giorno La donna all’interno dell’agenzia sta compilando i moduli. Un’altra donna, sulla quarantina, molto magra e col volto segnato dalla sofferenza, sta parlando con l’operatore. Donna: “Sono dieci anni che vivo qui, dove posso andare?” Operatore: “Non lo so, devi parlare con la tua assistente sociale” Donna: “Ma l’assistente sociale ha detto che devo parlare con voi” La donna si copre la testa con le sue mani scheletriche e fragili e sospira. Donna: “Dove posso andare con cinque bambini?Mio marito e’disoccupato e pure io lo sono” La donna legge la parte finale del modulo, quando sente il rumore di un vetro che si frantuma. La donna vestita di nero sta di fronte allo specchio. In mano tiene un melograno. Tenta di porgerlo al suo amante immaginario, ma le scivola dalla mano e nel cadere il frutto si trasforma in un bicchiere di vino che si frantuma al suolo. Lentamente le foglie mutano il loro colore, tingendosi di giallo e arancione. Le mani di Saluch e quelle di altri uomini stranieri raccolgono le mele. Rohan disegna sotto un albero. Le mele di meta’ ottobre non fanno resistenza, ma si lasciano cogliere dolcemente. Sahid ha circa cinquant’anni, e’ di origine marocchina, e’molto magro. Il suo viso e’ bruciato dal sole, le sue lunghe dita sfiorano le mele e le raccolgono. Sahid indica un uomo, Aslam, che in un altro punto, poco piu’ lontano raccoglie altre mele. Sahid: “Sono molto dispiaciuto per lui, sua madre e’morta due mesi fa” Aslam si avvicina. Aslma: “Smettila, ti ho detto mille volte di non parlare di mia madre” Afferra il cesto delle mele e si avvia verso la cantina. Sahid: “Sono veramente dispiaciuto per lui” Saluch: “Non ritorna piu’?” Sahid: “No” Aslam torna al campo, raccoglie le mele e Sahid si allontana da lui. Saluch: “Sono dispiaciuto per tua madre” Aslan: “Mio fratello mi aveva chiamato dicendomi che era malata e si trovava in ospedale. Mi servivano i soldi per l’operazione. Gli avevo chiesto se stesse molto male. Mi rispose di no, che era il suo cuore, come sempre. Diceva fosse una semplice operazione, alcuni giorni dopo gli ho inviato tutti i miei soldi. Quando contavo gli ultimi 89 che mi erano rimasti, per consegnarli all’uomo pakistano, provavo un sentimento molto strano. Mentre attraversavo il Ponte dell’Adige, ho sentito che era morta. Per dieci giorni ho vomitato e ho avuto la febbre. In seguito ho chiamato mio fratello, mi ha detto che era morta. E’morta. E’finito. Tutto e’finito.” Saluch: “Non vuoi piu’ ritornare?” Aslam: “Perche’ devo ritornare? Per cosa devo ritornare? Chi mi aspetta?” Saluch: “Non hai una moglie e dei bambini?” Aslam: “Mia madre voleva mi sposassi, lei stessa mi aveva trovato moglie. Io non l’avevo mai vista prima. Mio figlio adesso ha sette anni. Vivono a casa di mio suocero. A volte mi chiama e mi chiede soldi, anche quando non ne hanno realmente bisogno, mi chiama e mi chiede soldi. Ma mia madre non era così, lei non era così. Mi chiedeva come stavo, se mangiavo abbastanza e se soffrivo la solitudine. Non mi ha mai chiamato per avere soldi. Perche’ dovrei ritornare? Perché dovrei ritornare in questo maledetto paese? Mio zio e’morto nella guerra contro i francesi e nessuno ha mai dato qualcosa a sua moglie o ai suoi figli. Mio padre ha lavorato come insegnante per quarant’anni e non e’mai andato in pensione. Guarda, Sahid” Saluch coglie le ultime mele rimaste e fa un cenno affermativo col capo. Aslam: “Prima studiava sociologia a Tolosa, dopo si innamoro’o non so che cazzo successe, lascio’ l’universita’ e venne qui. Ora sono vent’anni che vive qui in maniera molto confusa” Sahid si avvicina ad Aslam e a Saluch, Aslam: “Per me tu non esisti Sahid, capisci? Non esisti, sei morto. Morto.” Sahid ride. Sahid: “Ma tu chi sei?” Aslam: “Non te ne deve fregare” Sahid si volta verso Baluch. Sahid: “Chiedigli cos’ha lui nella vita?” Aslam: “Non te ne deve fregare” Sahid: “Da quanto tempo sei qui?” Aslam: “diciassette anni” Sahid: “Hai una moglie? Dei bambini? Una casa?” Aslam: “Si’, sono a casa di mio suocero. Quando andro’ in pensione tornero’.” Sahid inizia a ridere, quasi a volerlo prendere in giro. E dice a Saluch: Sahid: “Quando andra’ in pensione tornera’... Chi ti riconoscerà? Dove tornerai? Tra quanti anni andrai in pensione?” Aslam: “Venticinque, forse trenta” Sahid ride ancora piu’ forte e gli intima di smetterla. 90 Infilano le mele nel cestino e si avviano verso la cantina. ! ! Sequenza 12 – interno – casa di Saluch – giorno La donna apre la porta di casa, all’interno regna la confusione e il silenzio. Sullo stenditoio i panni stesi si osservano l’un l’altro. Lo stenditoio indica la continuita’ della vita. La continuita’ di vita e’colma di righe gialle e nere. La donna sfiora i panni, che sono secchi e duri. Prende tra le mani il vestito del suo bambino e lo annusa: ha l’odore della pioggia e della terra. Si sposta ora nella camera disordinata, si ferma davanti al letto, va verso l’armadio che contiene i colori di Saluch e prende il giallo, il rosso e il blu. Si versa un po’ di giallo su una mano, si ferma per un attimo ad osservarlo e se lo spalma sulle labbra. Aggiunge del rosso al giallo e si tinge i seni di arancione. Guarda il blu e inizia a piangere. Pianto di sofferenza Pianto di andare e non tornare Pianto di malinconia Pianto d’illusione ! Afferra il blu e se ne tinge i capelli. Lentamente inizia a cercare qualcosa nella stanza. Estrae un fazzoletto dal cappotto di Saluch. Apre il fazzoletto e vi infila il colore blu, la mela, il melograno e il vestito del bambino. Ne prende le estremita’ e ne fa un nodo. ! ! Sequenza 13 – esterno – campo di meli – sera Sahid e Aslam abbracciano Saluch salutandosi. Non ci sono piu’ mele sugli alberi. Rohan gioca con il suo aquilone di carta. Mario accompagnato dalla sua capra si avvicina a Saluch sventolando il suo cappello in segno di richiamo. Saluch: “La stagione delle mele e’terminata. Sta sera ritorno in citta’.” Mario si accende una sigaretta. Saluch prende Rohan fra le sue braccia e accompagnato da Mario e dal silenzio, passa tra le file degli alberi e li osserva. Alberi, che, come dopo un difficile e lungo parto, si mostrano in tutta la loro quiete. Alberi che a margine delle citta’ d’europa sono come le ragazze del piu’ lontano deserto: si sposano presto, e rami della loro liberta’ vengono tagliati affinche’ possano dare molti figli. Alberi che a margine delle citta’ d’europa fanno provare a Saluch una tremenda nostalgia di quelle ragazze. La nostalgia della loro sensualita’ immatura, la nostalgia di quegli occhi dipinti di nero, la nostalgia del pianto, la nostalgia dei loro piccoli seni immatura nella bocca del primo bambino. Saluch prende il suo scialle verde, lo lega attorno ad un albero e ne annusa l’odore. 91 Dopo il bosco, dopo le montagne Dopo le strade infinite, leggere il silenzio di Mario. ! Dopo i rumore della carezza del fiume, Dopo Saluch e Rohan E l’aquilone di carta nella stazione. ! Arriva l’autobus Salgono L’aquilone di carta di Rohan rimane alla stazione ! ! Sequenza 14 – cimitero delle macchine abbandonate – notte E’mezzanotte, Saluch arriva davanti al cancello del cimitero delle macchine abbandonate. Qui fa capolino una pianura delimitata da due piccole montagne. Si puo’ sentire il suono dell’Adige. E’da due anni ormai che Mohammad fa la guardia notturna, per questo potrebbe dare a Saluch il permesso di passare la notte li’. Nel qual caso Mohammad non fosse stato ubriaco, non si fosse comprato con lo stipendio rimanente dieci bottiglie di birra e non fosse immobile davanti al fuoco A pensare alla cugina e alla madre lontane o al suono del pianto di sua sorella, allora forse ci sarebbe stata per lui la speranza di passare la notte li’. Quando beve Mohammad diventa turbato, piange, grida vomita e fa degli incubi. Saluch attende l’arrivo dell’amico. Mohammad arriva in quel momento con una bottiglia di birra in mano e apre il cancello. Notte. I cadaveri delle auto illuminati dalla luce della pila. Rohan addormentato nelle braccia di suo padre. Mohammad e Rohan dormono su un divano. Saluch traccia le prime linee della donna che balla con gli uomini senza testa. ! ! 92 ! ﺳ,ﺐ & *ﻧﺎ' & %ﺑﯽ ! سکانس -1داخلی -کارخانه ذوب آهن – روز ﺑﺮ _5ﻏﯽ 1ﺳﺮﺧﯽ Etﻦ 1 D[ Cﻣﺮ_E Wﻤﺪ4ﮕﺮ 5Uﻣﯽ ﺑﻮﺳﻨﺪ .ﺳﻠﻮ‚ 41ﺮt 1 D5ﺷﻔﺘ‡ Etﻦ ﮔﺪ5ﺧﺘ‡ 5Uﺑﺮ ﮐﻮEt =1fl iUﻦ ﻣﯽ 4Uﺰ_. .ﺗﺼﻮ4ﺮ ﻣﺮ_ U_ D[1ﺳﺮﺧﯽ tﺗﺶ ﻣﺤﻮ ﻣﯽ ﺷﻮ_ ! 4[ .ﺮ ﭘ'ﺮE5ﻨﯽ ﻧﺎ[~ 1ﭼﺮ~ ﺳﻠﻮ‚ [5 Cﻋﺮ ‰ﺑﺮ ﺗﻦ 5ﺳﺘﺨﻮ5ﻧ'ﺶ ﭼﺴﺒ'ﺪ5 iﺳﺖ .ﭼﺸﻤﺎﻧﺶ ﺑﺮ5ﻓﺮ1ﺧﺘ‡ 1ﭘﺮ 5ﺷﮑﻨﺪ ﺳﺮﺧﯽ Etﻦ ﮔﺮﻣﺎ ﻋﺮ‰ ﺳﺮ_4_ WﻮEU5ﺎ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ -2ﺧﺎ'ﺟﯽ – ﭘﺸﺖ 4'5ﺧﺎﻧ 2ﺳﻠﻮ – /ﺷﺐ ! ﻧ'ﻤ‡ ﺷﺐ 5ﺳﺖ .ﺳﻠﻮ‚ ﺑﺎ ﺳ'ﮕﺎ1U WUﺷﻦ __ Uﺳﺘﺶ 1ﮐﻮ uﭘﺸﺘﯽ ﭘﺮ [5ﺷ'ﺸ‡ Eﺎ Wﺷﺮ =5ﭘﺸﺖ _ Uﻣﺘﻮﻗﻒ ﺷﺪ5 iﺳﺖ .ﺻﺪD[ W5 1 .ﮐﻮ_~ 5Uﻣﯽ ﺷﻨﻮ_ 1ﻟﯽ _ Uﻧﻤﯽ [ﻧﺪ ! .ﺑ‡ ﮐﻮﭼ‡ ﺑﺮ ﻣ'ﮕﺮ__ .ﺳﺮ_ 1ﺗﺎ4Uﮏ 1ﺑﯽ 5ﻧﺘ,ﺎﺳﺖ .ﭘ'ﺮﻣﺮ_ ﻣﺴﺖ 1 1ﻟﮕﺮ_ Wﺑﺎ ﺳﮓ ﺑﺰUﮔﺶ U1_ [5ﻣﯽ 4tﻨﺪ ﺳﻠﻮ‚ ﺑﺎ ﭼﺸﻤﺎﻧﯽ ﺳﺮ Ñﺑ‡ 5ﻧﺘ,ﺎ Wﻣﺴﺪ _1ﮐﻮﭼ‡ ﺧ'ﺮ iﺷﺪ5 iﺳﺖ Cﺳﮓ ﭘ'ﺮﻣﺮ_ ﺟﻠﻮ Wﺳﻠﻮ‚ ﻣﮑﺚ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﺑﻮ Wﺧﻮt 1 Dﺗﺶ 1 Et .ﻦ ﻣﯽ _Eﺪ Cﺳﻠﻮ‚ ﺟﻠﻮ Wﺳﮓ ﻣﯽ ﻧﺸ'ﻨﺪ 1ﺳﮓ 5Uﻧﻮ à[5ﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﭘ'ﺮﻣﺮ_ ﺳﮓ 5Uﺻﺪ 5ﻣﯽ ﮐﻨﺪ ! ! ...ﺳﻠﻮ‚ ﭘﺸﺖ _ Uﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮔﺮ__ _ .ﺳﺘﺎ Dﻣﺮ__ 1ﺿﻤﺨﺘﺶ [ﻧﮓ _ 5U Uﻟﻤﺲ ﻣﯽ ﮐﻨﻨﺪ ! ﺳﻠﻮ‚ ﺷﻔﺎﻓ'ﺖ ﺑﯽ Uﺣﻢ [ﻧﺶ 5Uﻣﯽ ﺷﻨﺎﺳﺪ E .ﻤ‡ ﭼ'ﺰ 5UﺧﻮE5ﺪ ﮔﻔﺖ 41 5U 15 1ﺮ D5ﺧﻮE5ﺪ ﮐﺮ_ .ﺑﺎ ﭼﺸﻤﺎ Dﺧ'ﺲ 1ﻣﻌﺼﻮﻣﺶ 5U 15 .ﻧﮕﺎ iﺧﻮE5ﺪ ﮐﺮ_ 1ﺑﻌﺪ [5ﮐﻨﺎ5_ Uﻣﻦ ﺳ'ﺎ 1 iﭼ'ﻦ _ 1 U5ﺑﻠﻨﺪ C àﮐﻮ_~ 5UﺧﻮE5ﺪ ﮔﺮﻓﺖ t U_ 1ﻏﻮ àﺳﻠﻮ‚ ﺧﻮE5ﺪ ﻧﺸﺎﻧﺪ ﮐﻮ_~ _ 5U Uﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ U1_) .ﺑ'ﻦ ﭘﺸﺖ _ Uﻣﯽ ﻣﺎﻧﺪ (.ﺳﺎ1U ‡4ﺷﻦ ﻧﻮ [5 Uﺧﺎﻧ‡ ﻣﯽ 4tﺪ 1ﺻﺪ W5ﺷ'ﺸ‡ Eﺎ Wﺷﺮ 1 =5ﺑﺎ[W .ﮐﻮ_~ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 3 *5ﺧﻠﯽ – ﺧﺎﻧ 2ﺳﻠﻮ – /ﺷﺐ ! 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[ U_ Dﺧﺎﻧ‡ 5Uﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﺧﺎﻧ‡ tﺷﻔﺘ‡ 5ﺳﺖ 1ﺧﺎﻣﻮ .àﺑﺮ ﺑﻨﺪ Uﺧﺖ Cﻟﺒﺎﺳ,ﺎ ﻏﻤﮕ'ﻦ _U[ 1ﺑ‡ Eﻤﺪ4ﮕﺮ [5 i_[ uﻧﺪ .ﺑﻨﺪ U .ﺧﺘ,ﺎ 5ﻣﺘﺪ[ _5ﻧﺪﮔﯽ 5ﻧﺪ 5 1ﻣﺘﺪ[ _5ﻧﺪﮔﯽ [5ﺑﺎt 1 D5Uﻓﺘﺎ= ﺑ',ﻮ_ﮔﯽ ﭘﺮ U [5ﮔ‡ Eﺎ Wﺳ'ﺎ _U[ 1 iﺷﺪ5 iﻧﺪ .ﺑﺮ ﺑﻨﺪ Uﺧﺘ,ﺎ _ﺳﺖ ﻣﯽ ﮐﺸﺪ 1ﻟﺒﺎﺳ,ﺎ Wﺧﺸﮑ'ﺪ 1 iﻧ‡ ﺧﺸﮏ ﺷﺪ iﮐﻮ_~ 5Uﻣﯽ ﺑﻮ4ﺪ .ﺑﻮ Wﺑﺎ 1 D5Uﺧﺎ ~ ﻣﯽ _Eﻨﺪ ﺑ‡ 5ﺗﺎ ‰ﺧﻮ =5ﻣﯽ U . _1Uﺧﺘﺨﻮt =5ﺷﻔﺘ‡ 5ﺳﺖ .ﻣﻘﺎﺑﻞ Uﺧﺘﺨﻮ =5ﻣﺘﻮﻗﻒ ﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﺑ‡ Ëﺮ… ﮐﻤﺪ Uﻧﮕ,ﺎ Wﻧﻘﺎﺷﯽ ﺳﻠﻮ‚ ﻣﯽ 1 _U[ . _1Uﺳﺮt1 Ñﺑﯽ 5Uﺑﺮ ﻣﯽ _ . _U5ﮐﻤﯽ [ _Uﺑﺮ _ﺳﺖ 5Uﺳﺘﺶ ﻣﯽ 4Uﺰ_ Cﺑ‡ [4_Uﺶ ﺧ'ﺮ iﻣﯽ ﺷﻮ_ W1U 5U _U[ 1 C .ﻟﺒ,ﺎ4ﺶ ﻣﯽ ﻣﺎﻟﺪ .ﮐﻤﯽ ﺳﺮ W1U 5U Ñﮐﻒ _ﺳﺖ [ à_Uﻣﯽ ﻣﺎﻟﺪ 1ﺑﻌﺬ ﻧﺎUﻧﺠﯽ W1U 5Uﺳ'ﻨ‡ Eﺎ4ﺶ ﻣﯽ ﮐﺸﺪ tﺑﯽ 5Uﻧﮕﺎ iﻣﯽ ﮐﻨﺪ 1ﺷﺮ Õ1ﺑ‡ ﮔﺮ ‡4ﮐﺮ_ Dﻣﯽ ﮐﻨﺪ ﮔﺮU ‡4ﻧﺞ Uﻧﺞ Uﻓﺘﻦ 1ﻧﻤﺎﻧﺪD Uﻧﺞ ﻣﺎﻟ'ﺨﻮﻟ'ﺎ Uﻧﺞ E1ﻢ t1ﺑﯽ W1U 5UﻣﻮEﺎ4ﺶ ﻣﯽ ﻣﺎﻟﺪ 99 5 U_.ﺗﺎ 1 O5Ut ‰ﮐﻨﺪ ﺑ‡ _ﻧﺒﺎ uﮔﻤﺸﺪ W5 iﻣ'ﮕﺮ__ _ﺳﺘﻤﺎ uﺧﺎﻣﮏ _ W[1ﺷﺪ iﺳﻠﻮ‚ [5 5Uﮐﺖ ﮐﺎ àUﺑ'ﺮ D1ﻣﯽ ﮐﺸﺪ U .ﻧﮓ tﺑﯽ 5Uﺑﺎ ﺳ'ﺐ 5 1ﻧﺎ 1 Uﭼﻨﺪ ﻟﺒﺎ kﺧﺸﮑ'ﺪ iﮐﻮ_~ _U _ .ﺳﺘﻤﺎ uﻣﯽ ﭘ'ﭽﺪ _ 1ﺳﺘﻤﺎ 5U uﮔﺮ iﻣﯽ [ﻧﺪ ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 13 ﺧﺎ'ﺟﯽ -ﺑﺎ Qﺳ,ﺐ -ﻋﺼﺮ .ﺳﻌﺪ 5 1ﺳﻠﻢ Cﺳﻠﻮ‚ t U_ 5Uﻏﻮ àﻣﯽ ﮔ'ﺮﻧﺪ .ﺳ'ﺒﯽ ﺑﺮ _Uﺧﺖ ﻧﻤﺎﻧﺪ5 iﺳﺖ E1U .ﺎ Dﺑﺎ ﺑﺎ_ﺑﺎ_~ ﮐﺎﻏﺬ4ﺶ ﺑﺎ[ Wﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﻣﺎ4Uﻮ ﺑﺎ ﺑﺰ U1_ [5 àﺑ‡ ﺳﻮ Wﺳﻠﻮ‚ ﻣﯽ 4tﺪ 1ﮐﻼEﺶ 5Uﺑﺮ45ﺸﺎ Dﺗﮑﺎ Dﻣﯽ _Eﺪ ﺳﻠﻮ‚:ﻓﺼﻞ ﺳ'ﺐ Eﻢ ﺗﻤﻮ Oﺷﺪ 5 .ﻣﺸﺐ ﺷ,ﺮ ﺑﺮﻣﯽ ﮔﺮ_O ﻣﺎ4Uﻮ ﺳ'ﮕﺎt WUﺗﺶ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ ﺳﻠﻮ‚ E1U Cﺎt U_ 5U Dﻏﻮ àﻣﯽ ﮔ'ﺮ_ 1ﺑﺎ ﻣﺎ4Uﻮ 1ﺑﺎ ﺳﮑﻮU_ [5 rﺧﺘﺎ Dﺳ'ﺐ O5Utﮔﺮﻓﺘ‡ 45[ [5ﻤﺎﻧﯽ Ëﻮﻻﻧﯽ 1ﺳﺨﺖ ﻣﯽ ﮔﺬU_ . _Uﺧﺘﺎ Dﺳ'ﺐ _5 iUﻣﺘﺪ _5ﺷ,ﺮ 1U5ﭘﺎ Cﻣﺜﻞ _ﺧﺘﺮU1_ D5ﺗﺮ4ﻦ ﮐﻮ4ﺮ ﺷﺮ _1[ C ‰ﺑ‡ ﺷﻮEﺮ ﻣﯽ 1Uﻧﺪ .ﺷﺎﺧ‡ EﺎW 4_5[tﺸﺎE Dﺮ kﻣﯽ ﺷﻮ_ 1ﻗﺎﻣﺘﺸﺎ Dﮐﻮﺗﺎ . iﺗﺎ [_1ﺗﺮ ﺑﺎUﺑﮕ'ﺮﻧﺪ 1ﺑ'ﺸﺘﺮ ﺑﺎ UﺑﺪEﻨﺪ U_ .ﺧﺘﺎ Dﺳ'ﺐ ﺣﺎﺷ'‡ ﺷ,ﺮ 1U5ﭘﺎ Cﺳﻠﻮ‚ 5U ﺑ‡ 4ﺎ_ _ﺧﺘﺮt D5ﻓﺘﺎ= ﺳﻮﺧﺘ‡ _Eﺸﺎ Dﻣﯽ 5ﻧﺪ . _[5ﺑ‡ 4ﺎ_ ﺷ,ﻮ rﺧﺎﻣﺸﺎ . 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D5ﮔﺮ ‡4ﻣﯽ ﮐﻨﺪ 1ﻓﺮ4ﺎ_ ﻣﯽ [ﻧﺪ 5 1ﺳﺘﻔﺮ C Á5ﺑﻌﺪ ﺑ‡ ﺧﻮ5ﺑﯽ ﺗﻠﺦ ﻣﯽ _1U ! .ﺳﻠﻮ‚ _ Uﻣﯽ [ﻧﺪ .ﻣﺤﻤﺪ ﺑﺎ ﺑﻄﺮ Wﺑ'ﺮ __ Uﺳﺘﺶ _ 5UUﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﺷﺐ ﺟﻨﺎ[ iﻣﺎﺷ'ﻦ Eﺎ _ Uﻧﻮ Uﭼﺮ Á5ﻗﻮ iﻣﺤﻤﺪ E1Uﺎ Dﺧﻮ5ﺑ'ﺪt U_ iﻏﻮ àﺳﻠﻮ‚ ! .ﻣﺤﻤﺪ E1U 1ﺎ W1U Dﮐﺎﻧﺎﭘ‡ ﻣﯽ ﺧﻮ5ﺑﻨﺪ .ﺳﻠﻮ‚ 15ﻟ'ﻦ ËﺮE ﺎ Wﻧﻘﺎﺷﯽ Uﻗﺺ [ Dﺑﺎ ﻣﺮ_ D5ﺑﯽ ﺳﺮ 5Uﻣﯽ [ﻧﺪ ﺳﮑﺎﻧﺲ 15 ﺧﺎ'ﺟﯽ – ﻗﺒﺮﺳﺘﺎ Iﻣﺎﺷ,ﻨRﺎ -ﺻﺒﺢ ﺧ,ﻠﯽ <=5 ! 100 E .ﻮ 5ﮔﺮ1 Üﻣ'ﺶ 5ﺳﺖ .ﺳﻠﻮ‚ 41ﺮ 1 D5ﻣﺤﻤﺪ ﺑﺪﻣﺴﺖ 5ﺳﺖ .ﺳﻠﻮ‚ ﺑﺎ 5ﺷﺎ_ iUﺳﺖ ﻣﺤﻤﺪ 5Uﺗﮑﺎ Dﻣﯽ _Eﺪ ﺳﻠﻮ‚ :ﻣﺤﻤﺪ E1U Cﺎ Dﭘ'ﺶ ﺗﻮ ﺑﺎﺷ‡ _ Cﻧﺒﺎ uﮐﺎ Uﻣﯽ _1[ . 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[ U_ Dﻣ'ﺎ DﮐﺎUﺧﺎﻧ‡ 45ﺴﺘﺎ_5 iﺳﺖ .ﭘ'ﺮE5ﻦ ﺳ'ﺎ iﺑﻠﻨﺪ Wﺑﺮ ﺗﻦ _ 1 _U5ﮐﻔﺶ Eﺎ Wﺳﺮﺧﯽ ﺑﺮ ﭘﺎ _ .ﺳﺘﺎﻧﺶ ﺧﺎﻟﯽ 5ﻧﺪ U1_ 1ﺗﺎ_ U1ﺗﻨﺶ 5U.ﻟﻤﺲ ﻣﯽ ﮐﻨﻨﺪ U_ .ﻻﻧﮓ ﺷﺎ rﺑﯽ ﻧ,ﺎ4ﺖ ﺟﺎ Oﺷ'ﺸ‡ W5ﺑﺮ [ﻣ'ﻦ ﻓﺮ _1ﻣﯽ 4tﺪ ! ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 18 ﺧﺎ'ﺟﯽ -ﺟﻠﻮ 4'5 Pﻗﺒﺮﺳﺘﺎ Iﻣﺎﺷ,ﻨRﺎ -ﻋﺼﺮ ﺑﻠﻮ‚ ﺑ‡ _ =Uﻗﺒﺮﺳﺘﺎ Dﻣﺎﺷ'ﻨ,ﺎ ﻧﺰ_4ﮏ ﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﻣﺤﻤﺪ ﺑﺎ ﺑﻄﺮ Wﻓﻠﺰ Wﺑ'ﺮ 1ﻧﻘﺎﺷﯽ ﻧ'ﻤ‡ ﮐﺎ iUﺳﻠﻮ‚ 1ﺑﻘﭽ‡ ﺳﺒﺰUﻧﮓ Uﻧﮓ Eﺎ .ﺟﻠﻮ U_ Wﻧﺸﺴﺘ‡ 5ﺳﺖ .ﺳﻠﻮ‚ ﮐ‡ ﺑﻘﭽ‡ ﺳﺒﺰ Uﻧﮓ 5Uﻣﯽ ﺑ'ﻨﺪ Cﻣﺘﻮﻗﻒ ﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﻣﯽ ﻧﺸ'ﻨﺪ _ .ﺳﺘﻤﺎ 5U uﻣﯽ ﺑﻮ4ﺪ .ﻣﺤﻤﺪ ﺟﺮﻋ‡ _4ﮕﺮ Wﻣﯽ ﻧﻮﺷﺪ ﺳﻠﻮ‚ E1U :ﺎE1U Dﻢ O[5ﮔﺮﻓﺘﻦ ﻣﺤﻤﺪ 5 O5Utﺷﮏ ﻣﯽ 4Uﺰ_ ﺳﻠﻮ‚ :ﺧﻮ_ﺷﻢ 15ﻣﺪ 45ﻨﺠﺎ؟ ﻣﺤﻤﺪﺳﺮ 1U àﺑ‡ ﻧﺸﺎﻧ‡ ﺗﺎ'4ﺪ ﺗﮑﻮ Dﻣﯽ _i ﺳﻠﻮ‚ 4_ :ﮕ‡ ﭼﯽ ﺑﺮ O5ﻣﻮﻧﺪ i؟ _ 1ﺳﺘﻤﺎ 5U uﭼﻨﮓ ﻣﯽ [ﻧﺪ ﺳﻠﻮ‚ 5 :ﻧﺪ5ﺧﺘﻨﺖ ﺑ'ﺮD1؟ .ﻣﺤﻤﺪ :ﻣ,ﻢ ﻧ'ﺴﺖ .ﺑ‡ _~U .ﺳﻠﻮ‚ [4ﺮ ﺑﻐﻞ ﻣﺤﻤﺪ 5Uﮐ‡ [5ﻣﺴﺘﯽ ﺗﻠﻮ ﺗﻠﻮ ﻣﯽ ﺧﻮ iUﻣﯽ ﮔ'ﺮ5 U_ 1 iﻓﻖ _ Uﮐﻨﺎ_1U i Uﺧﺎﻧ‡ ﮔﻢ ﻣﯽ ﺷﻮﻧﺪ ! ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 19 ﺧﺎ'ﺟﯽ-ﭘﺎ' - Zﻧ,ﻤ 2ﺷﺐ ﻗﻮﺳ,ﺎ Wﺧﻤ'ﺪ_t iﻣ,ﺎ _ Uﺗﻦ ﻣﺮ_ iﺳ'ﻤﺎ . Dﭘ'ﺮﻣﺮ_ ﺑﺎ ﺳﮕﺶ .ﻣﺮ_ ﺳ'ﺎE C iﻔﺖ Eﺸﺖ ﺟﻮ5 [5 D5ﻓﺮ4ﻘﺎ Wﺷﻤﺎﻟﯽ [ 1 .ﻧﯽ [4ﺒﺎ Cﺳ'ﺎ iﭘﻮﺳﺖ ﺑﺎ ﻟﺒﺎﺳ,ﺎ Wﭼﻮ Dﻟﺒﺎﺳ,ﺎE1 Wﻢ [ Dﺳﻠﻮ‚ ﮐ‡ _ Uﭘﺎ ~Uﭘﺮﺳ‡ ﻣﯽ [ﻧﺪ ! ﮔﺎ iﮔﺎEﯽ ﻣﺮ_ ﻣﺴﺘﯽ ﻋﺮﺑﺪ W5 iﻣﯽ ﮐﺸﺪ Cﺳﮓ ﭘ'ﺮﻣﺮ_ ﺧﻮ_ 5U àﺟﺎﺑﺠﺎ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﺳﻠﻮ‚ _ Uﻧﻮ Uﺳﺮ_ 1ﺑﯽ Uﺣﻢ ﭘﺎ ~Uﻧﻘﺎﺷﯽ ﻣﯽ .ﮐﻨﺪ ! ﭘ'ﺮ[4_ Dﻮ5ﻧ‡ ﻧﺰ_4ﮏ ﺻﺒﺢ ﺑ'ﺪ U5ﻣﯽ ﺷﻮ_ 1ﺳﻠﻮ‚ 5Uﻧﮕﺎ iﻣﯽ ﮐﻨﺪ .ﻣﻮEﺎ4ﺶ 5Uﻣﺮﺗﺐ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ Cﺻﻨﺪﻟﯽ ﮐﻮﭼﮑﺶ 5Uﺑﺮ ﻣﯽ 1U 1 _U5_ .ﺑﺮ W1ﺳﻠﻮ‚ ﻣﯽ ﻧﺸ'ﻨﺪ Cﺑﺎ _U5_ U1ﮐ‡ [4ﺒﺎﺗﺮ4ﻦ 1ﻟﻄ'ﻒ ﺗﺮ4ﻦ [ﻧﯽ 5ﺳﺖ ﮐ‡ Eﺮﮔﺰ ﻣﺪ uﻧﻘﺎﺷﯽ ﺑﻮ_5 iﺳﺖ ﺑﺎ 15ﻟ'ﻦ ﺷﻌﺎE Õﺎ WﺧﻮUﺷ'ﺪ Cﻧﻘﺎﺷﯽ ﺳﻠﻮ‚ ﺗﻤﺎ Oﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﺗﻤﺎEfl Oﻦ ﺳﻠﻮ‚ ﭘﺮ [5ﺻﺪ …_ W5ﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﺳ'ﺐ [ [5 5U D[ _Uﺑﻘﭽ‡ .ﺧﺎﻣﮏ _4[1ﺶ ﺑﺮ ﻣﯽ _ 5U _U[ 1 _U5ﺑﺮ ﺗﺎﺑﻠﻮ ﻣﯽ ﻓﺸﺎ_U ! ! .ﺻﺪ …_ W5ﺑﻠﻨﺪﺗﺮ ﻣﯽ ﺷﻮ_ ﺳﺮﺧﯽ 5ﻧﺎ 5U Uﺑﺮ ﺗﺎﺑﻠﻮ ﻣﯽ 4Uﺰ_ 4_ …_ .ﻮ5ﻧ‡ ﻣﯽ ﺷﻮ_ ﺳﻠﻮ‚ ﻣﯽ Uﻗﺼﺪ Cﻣﯽ ﭼﺮﺧﺪ ﻣﯽ Uﻗﺼﺪ 1ﻣﯽ ﭼﺮﺧﺪ ! 102 ! Uﻗﺺ ﺑﺮ Eﻤ‡ ﺧﺎﮐﺴﺘﺮ,4ﺎ 1ﻧﺪ4ﺪﻧ,ﺎ U Cﻗﺺ ﺑﺮ W5ﺑﺨﺸ'ﺪE Dﻤ‡ ﭼ'ﺰ ﺑ‡ Eﻤ‡ ﮐﺲ Uﻗﺺ ﺑﯽ ﻧ'ﺎ[W .ﺳﻠﻮ‚ E [5ﻮ àﻣﯽ _1U _.ﺳﺘﺎ D[ Dﺳ'ﺎ iﺑﺮ ﺻﻮUﺗﺶ ﺳ'ﻠﯽ ﻣﯽ [ﻧﻨﺪ ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 19 *5ﺧﻠﯽ – ﺧﺎﻧ=' I< 2ﺳﭙﯽ<=' - ﺳﻠﻮ‚ ﺗﺐ _ 1 U5ﭘﺮ Eﻀ'ﺎ U_ Dﺧﺎﻧ‡ ﻣﺤﻘﺮ 1ﮐﻮﭼﮏ [1U Dﺳﭙﯽ 5ﺳﺖ _ D[ .ﺳﺘﻤﺎ [5 5U uﺳﺮ ﺳﻠﻮ‚ ﺑﺮ ﻣ'ﺪ 1 _U5ﺧ'ﺲ ﻣ'ﮑﻨﺪ 1 _ .ﺳﺘﻤﺎ4_ uﮕﺮ Wﺑﺮ ﺳﺮ àﻣﯽ ﮔﺬ_U5 ! [1U Dﺳﭙﯽ :ﻧﺪ4ﺪ iﺑﻮ_ Oﮐﺴﯽ 45ﻨﺠﻮ WUﺑﺮﻗﺼ‡ ﺳﻠﻮ‚ :ﻧﻤﯽ Uﻗﺼ'ﺪO [1U Dﺳﭙﯽ :ﻧﻤﯽ Uﻗﺼ'ﺪW؟ ﺳﻠﻮ‚ :ﻧ‡ .ﻧﻘﺎﺷﯽ ﻣﯽ ﮐﺮ_O tﺑﯽ ﺑﻮ_ E .ﻤ‡ ﺷ,ﺮ tﺑﯽ ﺑﻮ_ 1ﭘﺮﻧﺪE iﺎ ﺑ‡ [ﺑﺎ Dﻋﺠ'ﺒﯽ ﺣﺮ… ﻣﯽ [_ﻧﺪ 1ﻟﺒﺎ kﺳﺮ[ Ñﻧﯽ ﮔﺮ ‡4ﻣﯽ ﮐﺮ_ ! [1U Dﺳﭙﯽ :ﻧﻤﯽ Uﻗﺼ'ﺪW؟ ﺳﻠﻮ‚ :ﻧ‡ ﻧﻤﯽ Uﻗﺼ'ﺪO ﻧﻘﺎﺷﯽ ﻣﯽ ﮐﺮ_O .ﻣﯽ ﺷﻨﻮ W؟ ﻟﺒﺎ kﺳﺮ[ Ñﻧﯽ ﮔﺮ ‡4ﻣﯽ ﮐﻨﺪ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 20 =?ﻢ 4 *5ﺧﻠﯽ -ﮐﺎ'ﺧﺎﻧ?% 4=@ 2ﻦ <=' - ! 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Stefano ha 50 anni, e` benestante e scandisce il suo tempo attraverso piccole routine quotidiane: il caffe`, i giornali, il rumore di una porta che si apre e si chiude, il leggero bussare di una ragazza sudamericana. Juliana e`il suo nome e ogni giorno pulisce lo stesso specchio, lavora per Stefano da ormai due anni in cambio di un posto letto. ! Stefano ha mai provato l`abitudine dell`amore?non lo sa nemmeno lui, ma conosce il sapore del caffe`, la comodita`di una poltrona e molteplici titoli di giornali. Se c’è una cosa importante nella vita di Stefano, questa e` l’ordine. ! Ogni sabato sera alla solita ora, Stefano siede sempre nello stesso locale. Il tavolo e`vuoto, solo lui e il suo bicchiere. Una bella donna gli si avvicina, indossa una gonna nera cortissima e rosse calze a rete, bisbiglia qualcosa a Stefano e ordina dello champagne. ! La domenica mattina torna a casa da solo, fa una doccia e dorme fino a tardi. ! ! Sequenza 2- esterno- giorno – agenzia immobiliare ! Basir sta in piedi davanti ad un’agenzia immobiliare ed osserva le offerte appese al muro. Basir ha circa trent’anni, e`alto, sul suo viso ovale fanno capolino due occhi profondi segnati dalla sofferenza. Nel suo paese era un giornalista, ma in Italia non ha trovato un lavoro fisso, talvolta pero’ collaborava per brevi periodi con altri giornalisti viaggiando in molti posti come in Grecia o in Serbia... ! All`interno dell`agenzia e`buio, alcune voci si sovrappongono. Un uomo anziano e ben vestito esce ubriaco. Senza che Basir chieda nulla, l’uomo domanda: “Sei in possesso di un contratto di lavoro indeterminato?” 105 “Sei referenziato?” “Puoi pagare i tre mesi di anticipo?” “E il mese di anticipo per l’agenzia?” Basir non risponde e ritorna sui suoi passi. ! ! Sequenza 3 – interno – la casa di Stefano – giorno Juliana e Stefano stanno di fronte allo specchio. Lui traccia una linea sullo specchio, come ad accarezzarle il viso. Juliana per un momento s’immobilizza interpretando questo come un gesto d’amore implicito, ma improvvisamente Stefano traccia un’altra linea orizzontale mostrandole un alone di sporco ed esce dalla cornice allontanandosi. ! Qualcosa pero`non va. La poltrona e`morbida come sempre, Stefano si siede ma i titoli di giornale e le parole scritte gli appaiono prive di significato. E`confuso, crede che il problema stia nel giornale di oggi, così comincia a rispolverare quelli vecchi non trovando pero`nessuna differenza. Stefano ripone il giornale e chiude gli occhi, piano piano nella sua mente iniziano a risuonare melodie africane e la voce di una donna che balla con la figlioletta. Per un momento viene invaso da una dolce calma. ! Improvvisamente tutto torna silenzioso, un silenzio grigio, privo di forma, che odora di malinconia. ! L`uomo si alza e cammina verso il corridoio, in direzione di quell`appartamento che una volta era abitato dalla famiglia africana. La porta e`rimasta socchiusa e da quello spiraglio Stefano puo`scorgere i letti ancora sfatti, le camere in disordine, i poster di star africane ancora appesi alle pareti. Così entra e chiude la porta alle sue spalle dirigendosi verso la camera di Basir e si accorge improvvisamente che quasi tutto e`rimasto li`: libri, film, vestiti, le sue passioni sono ancora tutte al loro posto. Stefano sorpreso, si ridirige verso il corridoio, perdendosi nel buio della sua casa. ! Sequenza 4 – interno – la fabbrica abbandonata Sloi al tramonto Basir entra nell`area grigia e chiusa della Sloi. Vicino alle pareti un uomo ha acceso un fuoco per scaldarsi e si strofina le mani, indossa un cappello blu. Basir gli si avvicina e l`uomo gli chiede una sigaretta. Con le sue mani affusolate Basir fa una sigaretta e gliela porge. Entra poi nel corpo immenso e addormentato della fabbrica. I vetri verdi del soffitto, le macchine e le lancette ferme, la vita presente nelle luci delle baracche fatte di vestiti. Passando lungo la fila delle baracche si ferma ad una di queste, dove un uomo abbellisce le lenzuola della sua baracca con il sangue della ferita che si e`inferto per lo scopo. Basir si siede accanto a lui e fa un’altra sigaretta che poi gli infila fra le labbra. ! ! ! Sequenza 5 – interno – casa di Stefano – notte 106 Stefano e`nel suo letto in dormiveglia, le lenzuola profumano di sapone. Il suo pensiero va alla bellezza della semplicità di un caffè , di un silenzio profondo, di un titolo di giornale, o di una solitudine ricercata. Ha appena finito di leggere un articolo riguardante la prostituzione e con la mente ancora inebriata dal piacere della lettura attende pazientemente il sonno. Tutto intorno a lui e’silenzioso. Improvvisamente un rumore lo distoglie: una radio le cui frequenze cambiano continuamente e il cui rumore aumenta progressivamente. Stefano e’confuso, immediatamente la tranquillità lo abbandona. Il silenzio torna ad inondare la stanza, ma questa volta e’un silenzio vuoto, il rumore ha inghiottito le sue passioni, ora il silenzio inghiotte lui. Confuso e intimorito si alza dal letto e si avvia verso l`appartamento di Basir, appoggia l`orecchio alla porta e riesce a cogliere il rumore di una radio. L`uomo apre allora la porta quasi a voler sorprendere qualcuno dall`altra parte, ma non c`e’ nessuno in casa. Si siede sul letto di Basir e ne accarezza le lenzuola, a lato appoggiato su un tavolino sta un diario al cui interno stanno delle fotografie. Prende poi un cd e lo mette nel lettore dvd. ! ! Sequenza 6 – interno – camera di Basir – notte ! ! Sequenza 7 – interno – fabbrica Sloi – notte Alcune scene di un film di Herzog: “Apocalisse nel deserto”. Il viso freddo e silenzioso di Stefano. Alcune scene di “Osama”. Il viso freddo e silenzioso di Stefano. Alcune scene del film “Soldato” Basir siede accanto ad un giovane uomo mezzo ubriaco. Basir e’pieno di voglia di ascoltare. Il giovane uomo prende un’altra sorsata dalla sua bottiglia e comincia a raccontare: “Io vengo dalla Croazia, mio padre era ricco ma non volevo rimanere con lui. Odiavo le sue mani dure e pesanti che picchiavano sempre mia madre e odiavo i suoi baffi neri che arricciava ogni mattina davanti allo specchio. Piu’ crescevo e piu’ volevo scappare da lui. Alla fine l`ho fatto. Capisci? L`ho fatto. Ho mollato tutto e sono venuto qui” Il ragazzo prende ancora una sorsata di vino. Basir chiede: “fumi una sigaretta?” Senza attendere la risposta, fa una sigaretta e gliela pone. Il fumo accarezza entrambi e Basir osserva la sua danza. Il giovane: “ero fuggito con la mia ragazza, ero molto innamorato di lei” Il ragazzo estrae dal taschino della sua giacca una foto che ritrae una bambina di circa 5 anni. Basir: “e’bella” 107 Il ragazzo: “si , e’bellissima. La sua mamma mi ha lasciato quattro anni fa. Ero disoccupato, non avevo i documenti, nel frattempo mi trovavo dei lavoretti in nero. Dopo che lei mi ha lasciato sono finito per strada.” E prende un`altra sorsata. “sono alcolizzato e se trovo della droga mi faccio pure quella” Basir: “non hai voglia di ritornare a casa?” Il giovane rimane in silenzio e guarda con aria assorta il fumo dileguarsi nell`aria. Il ragazzo: “avevo un’amichetta che lavorava in una profumeria ed una volta alla settimana andavo a trovarla per rubare un profumo.E si vendeva bene.. Avevano l’odore della mia bambina.” Prende un altro sorso, ma il vino e`finito, così il giovane croato getta la bottiglia in terra, che per l’impatto si frantuma. Ora ride, ma il suo e`un riso nervoso. Il ragazzo: “qui esisto solo per una ragione, solo per una ragione capisci?” Basir rimane in silenzio. Il ragazzo: “qui esisto solo perche’ ho rubato un profumo, e’solo per questo che non mi buttano via. Ho un processo in corso. Sono diventato importante per aver rubato un profumo.” Comincia ora ad urlare e a piangere, mentre si allontana uscendo dalla fabbrica. ! Sequenza 8 – interno – casa di Stefano – alba Stefano e’stanco, sono le cinque di mattina ormai, e i suoi occhi sono segnati dalle occhiaie. Apre la credenza della cucina in cerca del caffè, ma trova solo svariati tipi di the, decide allora di tornare nel suo appartamento, ma prima vuole prendere il Diario che Basir ha volutamente abbandonato. La confusione ha ora lasciato il posto alla curiosità, Stefano prende il diario di Basir e torna nel suo appartamento. Dopo aver fatto la doccia prepara il caffè, mette a scaldare del pane nel forno, si siede sulla poltrona e comincia a leggere il diario. ! ! Monologo: ! Sabato 22 Novembre ! Sequenza 9 – flash back 1 “Mi dirigo verso l’agenzia immobiliare in cerca di un appartamento. Perche`ogni volta vedo gli stessi uomini/lo stesso uomo ubriachi/o che ad un tavolo giocano/gioca a morra? Perche’ indossano tutti lo stesso cappello verde? Io aspetto, ma nessuno sembra accorgersi della mia presenza. Le mani, i numeri, le bottiglie di vino.” ! ! Sequenza 10 – interno – casa di Stefano – giorno Juliana apre la porta e e trova Stefano addormentato sulla sua poltrona con la bocca aperta. Immediatamente viene avvolta da un odore di ferro, caffè e pane bruciati, inizia a tossire, corre a svegliare Stefano e apre tutte le finestre. Le tende con la loro anima femminile accarezzano per un momento Stefano. 108 Piano piano gli oggetti iniziano ad impregnarsi di fumo. Con difficoltà Stefano si alza mentre Juliana pulisce il forno. Stefano: “Lascia stare, vai a casa, voglio essere lasciato solo.” ! Questa non era una novità per Juliana, Stefano voleva sempre esser lasciato solo, ma mai si era addormentato sulla sua poltrona e mai aveva scordato il caffè sul fuoco. Per Juliana tuttavia non cambiava nulla, sperava solamente che Stefano non morisse cosicché potesse ancora avere la sua stanza, tutto il resto non importava. Non si era mai sentita una donna accanto a lui, ne mai lui aveva notato le sue scarpe rosse. Non aveva mai pensato che Stefano potesse bruciare qualcosa. ! La ragazza apre la porta e se ne va. Stefano si versa un bicchiere d’acqua e riprende a leggere il diario di Basir. ! ! Sequenza 11 – flash back 2 Monologo: Lunedi` 24 Novembre ! “avevo sentito che in citta`esistono due posti dove vagabondi e ubriachi possono trovare ristoro.Due erano gli indirizzi a mia disposizione, uno era la chiesa dei Cappuccini situata all’inizio di una via che porta lo stesso nome, in questo luogo le persone che aspettavano il loro piatto di pasta mi ricordavano i mangiatori di patate di Van Gogh. In quel luogo si percepiva del calore. ! ! Sequenza 12 – flash back 3 Monologo: Venerdì15 Dicembre ! “Avevo sentito molto parlare della “Sloi”, la fabbrica distrutta, abbandonata, che un tempo produceva benzina per gli aerei. Nonostante non l’avessi mai vista prima, la “Sloi” produceva in me dei sentimenti misteriosi, indescrivibili, come il cielo, come il volo, come l’aereo. Immaginare che una volta qui si produceva artificialmente l’energia per volare, per me era una meraviglia. ! Il corpo morto di una fabbrica abbandonata nella terra, era per me come un cielo azzurro. Se non posso vivere sulla terra, preferisco vivere nel sogno morto del cielo. Guardare il cielo attraverso la “Sloi” e’ la pazzia che voglio permettermi. ! Sequenza 13 - interno – la casa di Stefano ! Stefano volta la pagina del diario di Basir e prosegue nella lettura. ! Sequenza 14 – flash back 4 ! Venerdì 13 Dicembre Monologo: ! “Stefano si e`lamentato ancora per l’affitto dell’appartamento, ma ha ragione lui. 109 E’ormai da troppo tempo che sono disoccupato e non pago l’affitto. Ieri sono andato in un’altra agenzia immobiliare, ancora la stessa scena: perche`ogni volta vedo gli stessi uomini ubriachi che ad un tavolo giocano a a morra? Perché indossano tutti lo stesso cappello verde? Io aspetto, ma nessuno sembra accorgersi della mia presenza. Le mani, i numeri, le bottiglie di vino.” ! ! Sequenza 15 - interno - la casa di Stefano - sera ! ! Sequenza 16 - esterno - vicoli - al tramonto ! ! Sequenza 17 - esterno - Sloi - al tramonto Stefano prende il suo cappotto, i suoi capelli sono arruffati e il suo viso e`segnato dalle occhiaie. Prende il diario di Basir e esce dalla casa. Stefano cammina per strada e in un vicolo vede delle persone che dormono per strada, indugia un attimo, ma poi prosegue. I capelli di Stefano sono piu’ spettinati del solito e la sua barba incolta gli dona un aspetto piu’ ingenuo. La porta della “Sloi”e’chiusa, i cartelli annunciano:”VIETATO ENTRARE” Stefano apre la porta con la forza ed entra all’interno della “Sloi”. ! Vuoto, nudo ! Non un’anima nell’area della “Sloi”. Stefano prosegue, sorpassa una delle tante casupole e all’esterno vede circa 50 persone, donne e uomini, che immobili osservano il cielo. Stefano si toglie il cappello e raggiunge gli altri. ! 110 ﺧﺎﻧ‡ t U_ W5ﺳﻤﺎD سکانس -1داخلی -خارجی – خانه مرد ایتالیایی –روز ! ! _ﺳﺘ,ﺎ Wﭼﺮ1ﮐ'ﺪ_ C iﺳﺘ,ﺎ Wﺳ'ﺎ iﺑﺎ ﺧﻄﻮU Ëﻧﺞ _ Cﺳﺘ,ﺎÏ Wﺮ4ﻒ ﺑﺎ 5ﻧﮕﺸﺘﺎﻧﯽ ﮐﺸ'ﺪU_U[ 1 iﻧﮓ _ Cﺳﺘﺎ Dﮐﻮ_~ C _ﺳﺘﺎ Dﺗﻨﻮﻣﻨﺪ [ Dﺳ'ﺎ C iﭼﻤﺪ5ﻧ,ﺎ 5Uﻣﯽ ﮔ'ﺮﻧﺪ [5 1ﺧﺎﻧ‡ ﺑ'ﺮ D1ﻣﯽ 1Uﻧﺪ .ﭘ'ﺶ =U_ [5ﺧﺎﻧ‡ _ 1ﮐﻔﺶ ﺳ'ﺎ1 i ﺿﻤﺨﺖ ﭘﻠ'ﺲ 45ﺴﺘﺎ_5 iﺳﺖ W1U 1ﭘﻨﺠ‡ Eﺎ4ﺶ ﻓﺸﺎ Uﻣﯽ 1 _U1tﭘﺎﺷﻨ‡ Eﺎ4ﺶ [ [5 5Uﻣ'ﻦ ﺑﻠﻨﺪ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ E .ﺮ ﭼﻨﺪ .ﺛﺎﻧ'‡ 4ﮏ ﺑﺎU ! _ﺳﺖ Eﺎ 1ﭼﻤﺪ5ﻧ,ﺎ _t 1ﻣ,ﺎ Cﮐﺸﺎ Dﮐﺸﺎ 1 Dﺧﺴﺘ‡ [5ﭘﻠ‡ Eﺎ ﭘﺎ'4ﻦ ﻣﯽ 1Uﻧﺪ .ﻣﺮ_ 45ﺘﺎﻟ'ﺎ4ﯽ – 5ﺳﺘﻔﺎ – Dﭘﺎ'4ﻦ ﺷﺪﻧﺸﺎ 5U Dﻧﮕﺎ iﻣﯽ ﮐﻨﺪ tﻧﻘﺪ Uﮐ‡ ﺗﻨ,ﺎ ﺧﻄﻮ5 Ëﻓﻘﯽ ﭘﻠ‡ Eﺎ ﻣﯽ ﻣﺎﻧﺪE 1ﻤ‡ _ﺳﺘ,ﺎ 1ﭼﻤﺪ5ﻧ,ﺎ _t 1ﻣ,ﺎ _ Uﮐﻮﭼ‡ ﻣﯽ 4U .ﺰﻧﺪ ! 5ﺳﺘﻔﺎ Dﭘﺸﺖ ﭘﻨﺠﺮ iﻣﯽ 1 _1Uﺑﺎ ﻣﺤﺎﻓﻈ‡ ﮐﺎE WUﻤ'ﺸﮕ'ﺶ ﮐﻤﯽ ﭘﺮ_ iﻧﺎ[~ [ 1ﻧﺎﻧ‡ 1ﻧﺮ 5U Oﭘﺲ ﻣﯽ [ﻧﺪ . 5ﻧﮕﺸﺘﺎ Dﭘ'ﺮ 1ﺧﺸﮑ'ﺪ à5 iﭘﺮ_ 5U iﻣﺸﺖ ﻣﯽ ﮐﻨﻨﺪ 15 1ﺻﻒ ﮐﻮﺗﺎ5 1 iﻓﻘﯽ _ﺳﺘ,ﺎ _t 1ﻣ,ﺎ 1ﭼﻤﺪ5ﻧ,ﺎ 5Uﻧﮕﺎ iﻣﯽ ﮐﻨﺪ _ .ﺧﺘﺮ [ Dﺳ'ﺎt U_ iﻏﻮﺷﺶ ﺑﺮ ﻣﯽ ﮔﺮ__ 1ﺑﺎ 5ﻧﮕﺸﺘﺶ ﺑ‡ ﭘﻨﺠﺮ5 iﺷﺎ iUﻣﯽ ﮐﻨﺪ 5 .ﺳﺘﻔﺎ [U_ Dﺑﺎ4Uﮏ ﭘﺮ_ 1 iﭘﻨﺠﺮi 5Uﻣﯽ ﺑﻨﺪ_ U_ 1ﻣﺒﻞ 5Uﺣﺘ'ﺶ ﻓﺮ 1ﻣﯽ -. _1Uﺣﺪ 50 _1ﺳﺎ [5 uﻋﻤﺮ àﮔﺬﺷﺘ‡ .ﺗﻨ,ﺎ ıU51ﺧﺎﻧﻮ i_5ﺑﺰ 1 ÜUﻧ‡ ﭼﻨﺪ D5ﺛﺮ1ﺗﻤﻨﺪ 5ﺳﺖ 1ﺑﺮ'45ﺶ ﭼﻨﺪ ﺧﺎﻧ‡ 1ﻣﻐﺎ[ [5 W5 iﻋﻤﻮEﺎ 1ﭘﺪUﺑﺰUﮔ,ﺎ4ﯽ ﮐ‡ Eﺮﮔﺰ ﻧﺪ4ﺪ iﺷﺎ 1 Dﻧ‡ ﺧﻮ5ﺳﺖ _4ﺪﻧﺸﺎ5_ 5U Dﺷﺘ‡ Cﺑﺎﻗﯽ ﻣﺎﻧﺪ[ .iﻧﺪﮔﯽ ﺑﺎ4_ Uﮕﺮ 4Uﺘﻢ ﮐﻨﺪ Eﻤ'ﺸﮕ'ﺶ 5Uﭘ'ﺪ 5ﮐﺮ_[1U . iﻧﺎﻣ‡ Cﻗ,ﻮ C iﭘ'ﺎ_ W1U iﺗﺎ ﻣﻐﺎ[ iﺳ'ﮕﺎ Uﻓﺮ1ﺷ'ﺶ _ Uﻣﺮﮐﺰ ﺷ,ﺮ Cﺧﺮ4ﺪ Dﻧﺎ 1 C Dﺻﺪ W5ﺑﺎ[ 1ﺑﺴﺘ‡ ﺷﺪ_ C U_ Dﺧﺘﺮ ~ [4ﺒﺎ5 Wﻣﺮ4ﮑﺎW ﺟﻨﻮﺑﯽ _ UﮐﻮﺗﺎEﯽ ﻣﯽ [ﻧﺪ Cﺑﺎ ﮐﻤﯽ ﻣﮑﺚ _ Uﺑﺮ5ﺑﺮ '4tﻨ‡ Cﺑﺮ W5ﺷﺴﺘﻦ _4ﻮEU5ﺎ 1ﮐﺎﺷ',ﺎ ﺑ‡ _ﺳﺘﺸﻮ4ﯽ ﻣﯽ . _1U Eﺮﮔﺰ [ﻧﯽ 1_ 5Uﺳﺖ _5ﺷﺘ‡ ؟ ﺣﺘﯽ ﺧﻮ_E àﻢ ﻧﻤﯽ _5ﻧﺪ .ﺑ‡ Ëﻌﻢ 45ﻦ ﻗ,ﻮ iﻋﺎ_ 1 _U5_ rﺑ‡ ﻧﺮﻣﯽ ﻣﺒﻞ 5Uﺣﺘ'ﺶ 1ﺑ‡ ﺗ'ﺘﺮEﺎ[1U Wﻧﺎﻣ‡ 1ﻣﺠﻠ‡ Eﺎ4_ _U[ Wﻮ5ﻧ‡ U51ﻋﺎ_ C _U5_ rﺑ‡ ﺗﻤ'ﺰ'4t Wﻨ‡ ﺑﯽ ﻧ,ﺎ4ﺖ ﺣﺴﺎ5 kﺳﺖ 1ﻗ,ﻮ4 iﻌﻨﯽ .ﺗﻠﺦ [1U 1 Á5_ Cﻧﺎﻣ‡5 .ﻣﺎ [D ! 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OUﭼﺮE U_ 5ﻤ‡ 5Ìtﻧﺲ Eﺎ ﭘﻨﺞ ﻣﺮ_ ﮐ‡ Eﻤ‡ 4ﮏ ﻧﻔﺮ Eﺴﺘﻦ Cﻣﺴﺖ 1ﻧ'ﻤ‡ ﻣﺴﺖ Cﻣﻮ 5Uﺑﺎ[ Wﻣﯽ ﮐﻨﻦ ؟ ﭼﺮE 5ﻤ‡ ﮐﻼEﯽ ﺳﺒﺰ ﺑﺎ ﭘﺮ Wﺳﻔ'ﺪ ﺑ‡ ﺳﺮ _ DU5؟ .ﻣﻦ ﻣﻨﺘﻈﺮ ﻣﯽ ﺷﻮ'E . Oﭻ ﮐﺲ ﺟﻮ =5ﻧﻤﯽ _Eﺪ _ .ﺳﺘ,ﺎ CﺷﻤﺎE iUﺎ CﺷﺮE =5ﺎ . ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 10 5_-ﺧﻠﯽ -ﺧﺎﻧ‡ 5ﺳﺘﻔﺎ[1U D ! ﻧ'ﮑﻞ _ 5U Uﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ 5 .ﺳﺘﻔﺎ W1U Dﻣﺒﻞ ﺑﺎ _Eﺎ Dﺑﺎ[ ﺧﻮ5ﺑ'ﺪ 1 iﻗ,ﻮ iﺳﺎﻋﺘ,ﺎﺳﺖ ﮐ‡ ﺑﺮ tﺗﺶ ﻣﯽ ﺳﻮ[_ .ﻧ'ﮑﻞ ﺳﺮﻓ‡ ﮐﻨﺎ Dﺑ‡ 5ﺗﺎ ‰ﭘﺮ 5 _1_ [5ﺳﺘﻔﺎ _U51 Dﻣﯽ ﺷﻮ_ 5 .ﺳﺘﻔﺎ 5U Dﺑﺎ ﺗﮑﺎ_ Dﺳﺖ ﺑ'ﺪ U5ﻣﯽ ﮐﻨﺪ 1ﭘﻨﺠﺮE iﺎ 5Uﺑﺎ[ ﻣﯽ .ﮐﻨﺪ 5 .ﺳﺘﻔﺎ [5 DﺑﻮEt Wﻦ 1ﻗ,ﻮ iﺳﻮﺧﺘ‡ ﻣﺴﺖ 1ﻧ'ﻤ‡ Eﺸ'ﺎ5 Uﺳﺖ .ﭘﺮ_E iﺎ ﺑﺎ [ 1Uﻧﺎﻧ‡ ﺷﺎ Dﻧﻮ[5ﺷﺶ ﻣﯽ ﮐﻨﻨﺪ 1 _1_ O5Ut O5Ut .ﺑﻮ Wﺳﻮﺧﺘﮕﯽ ﺑﺮ 5ﺷ'ﺎ ﺗ‡ ﻧﺸ'ﻦ ﻣﯽ ﺷﻮ_ 5 .ﺳﺘﻔﺎ Dﺑ‡ ﺳﺨﺘﯽ ﺑﻠﻨﺪ ﻣﯽ ﺷﻮ_ .ﻧ'ﮑﻞ ﮔﺎ[ 5Uﺗﻤ''ﺰ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ 5 :ﺳﺘﻔﺎD 1ﻟﺶ ﮐﻦ 5 .ﻣﺮ [1ﺑﺮ 1ﺧﻮﻧ‡ .ﻣﯽ ﺧﻮ O5ﺗﻨ,ﺎ ﺑﺎﺷﻢ 5ﺳﺘﻔﺎE Dﻤ'ﺸ‡ ﻣﯽ ﺧﻮ5ﺳﺘ‡ ﺗﻨ,ﺎ ﺑﺎﺷ‡ 45 .ﻨﺶ ﺗﺎ[ﮔﯽ ﻧﺪ5ﺷﺖ 1 .ﻟﯽ Eﺮﮔﺰ W1Uﻣﺒﻞ 5Uﺣﺘ'ﺶ ﻧﻤﯽ ﺧﻮ5ﺑ'ﺪE 1 iﺮﮔﺰ .ﻗ,ﻮ W1U 5U iﮔﺎ[ ﻓﺮ5ﻣﻮ àﻧﻤﯽ ﮐﺮ_ i 1ﻟﯽ ﺑﺮ W5ﻧ'ﮑﻞ ﭼ‡ ﻓﺮﻗﯽ ﻣ'ﮑﺮ_ 4 .ﮏ E [1Uﻢ 4ﮏ [1Uﺑﻮ_ 5 .ﻣ'ﺪ U51ﺑﻮ_ ﮐ‡ 5ﺳﺘﻔﺎ Dﻧﻤ'ﺮ C iﭼﻮ45 U_ Dﻦ ﺻﻮ5 rUﺗﺎ ‰ﺧﻮ5ﺑﺶ _ [5 5Uﺳﺖ ﻣﯽ _1 . _5ﻟﯽ ﺑﻘ'‡ ﻗﻀﺎ4ﺎ ﺑﺮ à5ﺑﯽ ﺗﻔﺎ r1ﺑﻮ_ E .ﺮﮔﺰ ﺣﺲ ﻧﮑﺮ_ iﺑﻮ_ ﮐ‡ 5ﺳﺘﻔﺎD [ Dﺑﻮ_ﻧﺶ 5Uﻣﯽ ﻓ,ﻤ‡ 4 .ﺎ ﮐﻔﺶ Eﺎ Wﺳﺮﺧﯽ 5Uﮐ‡ ﻣﺎ iﭘ'ﺶ ﻣﺎ_UﺑﺰUﮔﺶ ﺑﺮ à5ﻓﺮﺳﺘﺎ_ iﺑﻮ_ ﺑﺮ ﭘﺎEﺎ àﻣﯽ ﺑ'ﻨ‡ C 4ﺎ ﺧﻂ ﺳ'ﺎEﯽ 5Uﮐ‡ Eﺮ 4[ [1Uﺮ ﭼﺸﻤ,ﺎ àﻣﯽ ﮐﺸ‡ 4 .ﺎ 4ﺎﺳ,ﺎ4ﯽ 1Uﮐ‡ ﺗﻮ Wﺳ'ﻨ‡ ﺑﻨﺪ àﻣﯽ ﮔﺬE . iU5ﺮﮔﺰ ﺣﺲ ﻧﮑﺮ_ iﺑﻮ_ ﮐ‡ 5ﺳﺘﻔﺎE Dﻢ ﻣﯽ ﺗﻮﻧ‡ ﺧﻮﻧ‡ 5Uﻏﺮ ‰ﺑﻮ Wﻗ,ﻮEt 1 iﻦ ﺳﻮﺧﺘ‡ ﮐﻨ‡ 45 .ﻦ Eﻤ‡ [ﻧﺪﮔﯽ Eﺮﮔﺰ _5UﺳﺘﻔﺎD !ﻧﻤ'ﮕﻨﺠ'ﺪ ! ! .ﻧ'ﮑﻞ _ 5U Uﻣﯽ ﺑﻨﺪ_ 1ﻣﯽ 5 . _1Uﺳﺘﻔﺎ Dﻟ'ﻮ =t D5ﺳﺮ_ Wﻣﯽ ﻧﻮﺷﺪ 1_ 1ﺑﺎ_ iUﻓﺘﺮ ﺑﺼ'ﺮ 5Uﺑﺎ[ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 11 ﻓﻼ àﺑﮏ 2 ! _1ﺷﻨﺒ‡ 24ﻧﻮ5ﻣﺒﺮ 115 ﺷﻨ'ﺪ iﺑﻮ_1_ Oﺟﺎ _ Uﺷ,ﺮ Eﺴﺖ ﮐ‡ ﺑﯽ ﺧﺎﻧ‡ Eﺎ 1ﻣﺴﺖ Eﺎ 1 1ﻟﮕﺮ_Eﺎ ﺑﺮ W5ﻧﺎEﺎ 1 Uﺷﺎ Oﺧﻮ5 D_Uﻧﺠﺎ ﻣ'ﺮ 1_C Dﺗﺎ 5_ kU_tﺷﺘﻢ 4 Cﮑ'ﺶ ﮐﻠ'ﺴﺎ Wﮐﺎﭘﻮﭼ'ﻨﻮ 5 Cﻧﺘ,ﺎ Wﺧ'ﺎﺑﺎﻧﯽ ﺑ‡ Eﻤ'ﻦ ﻧﺎ Oﺑﻮ_ _t .ﻣ,ﺎ Wﻣﻨﺘﻈﺮ ﭘﺴﺘﺎ _t .ﻣ,ﺎ Wﻣﻨﺘﻈﺮ. .ﺷﺒ'‡ ﺗﺎﺑﻠﻮ Wﺳ'ﺐ [ﻣ'ﻨﯽ ﺧﻮEUﺎ1 Wﻧﮕﻮ~ ! 45ﻨﺠﺎ [ﻧﺪﮔﯽ ﮔﺮ Oﮔﺮ U_ Oﺟﺮ4ﺎﻧ‡ 45 .ﻦ 5ﻧﺘﻈﺎ Uﺷﻔﺎ… 1ﻋﺮ4ﺎﻧ‡ _ .ﺳﺘ,ﺎ Wﭘ'ﺮﻣﺮ_ 1ﺳﺒ'ﻠ,ﺎ Wﭼﺮﮐﺶ 5Uﻣﯽ ﺑﻮﺳﻢ. [ .ﻧﺪﮔﯽ Eﺴﺖ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 12 ﻓﻼ àﺑﮏ 3 ! ﺟﻤﻌ‡ _ 15ﺳﺎﻣﺒﺮ _Uﺑﺎ5 iUﺳﻠﻮ C WﮐﺎUﺧﺎﻧ‡ ﻗﺪ4ﻤﯽ 1ﻧ'ﻤ‡ 41ﺮ D5ﺑﻨﺰ4ﻦ Eﻮ5ﭘ'ﻤﺎ 4[ Cﺎ_ ﺷﻨ'ﺪ iﺑﻮ_4 . Oﮏ ﺣﺲ ﺧﻮ= ﺑ,ﺶ _5ﺷﺘﻢ ﺑﺎ 45ﻨﮑ‡ Eﺮﮔﺰ ﻧﺪ4ﺪ iﺑﻮ_ﻣﺶ .ﻣﺜﻞ tﺳﻤﺎ C Dﻣﺜﻞ ﭘﺮ C [51ﻣﺜﻞ Eﻮ5ﭘ'ﻤﺎ .ﺗﺼﻮ45 Uﻨﮑ‡ 5ﻧﺮ WÌﭘﺮ45 [51ﻨﺠﺎ ﺑ‡ ﺻﻮrU .ﻣﺼﻨﻮﻋﯽ _Uﺳﺖ ﻣﯽ ﺷﺪ iﺑﺮ O5ﺑﯽ ﺣﺪ 'Eﺠﺎ5 Dﻧﮕ'ﺰ ﺑﻮ_ ! ﺗﻦ ﻣﺮ_ iﮐﺎUﺧﺎﻧ‡ ﻓﺮﺳﻮ_ W5 iﺑﺮ [ﻣ'ﻦ ﻣﯽ ﺗﻮﻧﺴﺖ ﺑﺮ W5ﻣﻦ ﺗﺠﻠﯽ tﺳﻤﺎt Dﺑﯽ ﺑﺎﺷ‡ 5.ﮔﺮ ﺑﺮ [ﻣ'ﻦ ﻧﺘﻮﻧﻢ [ﻧﺪﮔﯽ ﮐﻨﻢ .ﺗﺮﺟ'ﺢ ﻣﯽ _41U U_ Oﺎ Wﻣﺮ_t iﺳﻤﺎ Dﺑﺎ ﺷﻢ ﺧ'ﺮ iﺷﺪ Dﺑ‡ tﺳﻤﺎ5 U_ Dﺳﻠﻮ C Wﺧﻮ_ _4ﻮ5ﻧﮕﯽ _1ﺳﺖ _5ﺷﺘﻨ'‡ ﮐ‡ ﻣﯽ ﺧﻮE5ﻢ ﺗﺠﺮﺑ‡ à5ﮐﻨﻢ ! ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 13 _5ﺧﻠﯽ -ﺧﺎﻧ‡ 5ﺳﺘﻔﺎ[1U D5ﺳﺘﻔﺎ Dﺻﻔﺤ‡ ﺑﻌﺪ ‰U1 5U Wﻣﯽ [ﻧﺪ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 14 ﻓﻼ àﺑﮏ 4 ! ﺟﻤﻌ‡ _ 30ﺳﺎﻣﺒﺮ ! 5ﺳﺘﻔﺎ Dﺑﺎ[Eﻢ ﺑﺮ W5ﮐﺮ ‡45ﺧﺎﻧ‡ ﺑﺎ Eﺎ Oﺑﺤﺚ ﮐﺮ_ . iﺣﻖ ﺑﺎ 15ﻧ‡ .ﻣﺪﺗ,ﺎ ﺳﺖ ﺑ'ﮑﺎ 1 OUﮐﺮ 5U à5 ‡45ﻧﺪ4_ . O_5ﺮ [1ﺑﺎ[ .ﺑ‡ 5Ìtﻧﺴﯽ _4ﮕﺮU Wﻓﺘﻢ ﭘﻨﺞ ﻣﺮ_ ﮐ‡ Eﻤ‡ 4ﮏ ﻧﻔﺮ Eﺴﺘﻦ Cﻣﺴﺖ 1ﻧ'ﻤ‡ ﻣﺴﺖ Cﻣﻮ 5Uﺑﺎ[ Wﻣﯽ ﮐﻨﻦ E .ﻤ‡ ﮐﻼEﯽ ﺳﺒﺰ ﺑﺎ ﭘﺮ Wﺳﻔ'ﺪ ﺑ‡ ﺳﺮ _DU5 .ﻣﻨﺘﻈﺮ ﻣﯽ ﺷﻮ'E . Oﭻ ﮐﺲ ﺟﻮ =5ﻧﻤﯽ __ . iﺳﺘ,ﺎ CﺷﻤﺎE iUﺎ CﺷﺮE =5ﺎ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 15 _5ﺧﻠﯽ -ﺧﺎﻧ‡ 5ﺳﺘﻔﺎ – Dﻋﺼﺮ 5ﺳﺘﻔﺎ Dﭘﺎﻟﺘﻮ4ﺶ 5Uﻣﯽ ﭘﻮﺷﺪ CﻣﻮEﺎ4ﺶ tﺷﻔﺘ‡ 5ﻧﺪ 4[ 1ﺮ ﭼﺸﻤﺎﻧﺶ ﮔﻮ_ Uﻓﺘ‡ 5ﻧﺪ .ﺷﺎﻟﮕﺮ_ﻧﺶ 5Uﻣﺤﮑﻢ ﻣﯽ ﮐﻨﺪ1 .ﮐﻼ 5U à iﺗﺎ W1Uﭼﺸﻤ,ﺎ4ﺶ ﭘﺎ'4ﻦ ﻣﯽ ﮐﺸﺪ _ . .ﻓﺘﺮ ﺑﺼ'ﺮ U_ 5Uﺟ'ﺐ ﮐﺘﺶ ﻣﯽ ﮔﺬ U_ 1 _U5ﺧﺎﻧ‡ 5Uﻣﯽ ﺑﻨﺪ_ ! ﺳﮑﺎﻧﺲ 16 ﺧﺎUﺟﯽ – ﮐﺎUﺧﺎﻧ‡ 5ﺳﻠﻮ -Wﻧﺰ_4ﮏ ﻏﺮ=1 ! ﻧﺰ_4ﮏ ﻏﺮ5 =1ﺳﺖ .ﻣﻮEﺎ5 Wﺳﺘﻔﺎt Dﺷﻔﺘ‡ ﺗﺮ E [5ﻤ'ﺸ‡ 5ﺳﺖ 1ﺗ‡ 4Uﺶ ﺳ'ﺎ 1 iﺳﻔ'ﺪ [ 1ﺑﺮ àﺻﻮUﺗﺶ 5UﻧﺮO .ﺗﺮ ﮐﺮ_5 iﺳﺖ U_.ﮐﺎUﺧﺎﻧ‡ 5ﺳﻠﻮ Wﺑﺴﺘ‡ 5ﺳﺖ 1ﺗﺎﺑﻠﻮ _1U1 Wﻣﻤﻨﻮ Õﺑﺮ _ Uﭼﺴﺒﺎﻧﺪ iﺷﺪ5 . iﺳﺘﻔﺎ 5U U_ Dﺑﺎ [ U1ﻓﺸﺎ Uﻣﯽ _Eﺪ 116 4ﮏ ﺳﺮ ﺑﻨﺪ Uﺧﺘﯽ Cﺑ‡ _ﺳﺘﮕ'ﺮ 1 U_ iﺳﺮ _4ﮕﺮ àﺑ‡ _Uﺧﺘﯽ Cﺗﻨ,ﺎ _Uﺧﺖ 5ﺳﻠﻮ C Wﺑﺴﺘ‡ ﺷﺪ5 iﺳﺖ 5 1ﺳﺘﻔﺎ Dﺑﺎ .ﺳﺨﺘﯽ [U_ [5ﺑﺎ4Uﮏ _5_ Uﺧﻞ ﻣﯽ ﺷﻮ_ ! .ﺧﺎﻟﯽ ﺧﺎﻟﯽ .ﻋﺮ4ﺎ Dﻋﺮ4ﺎD ! 'E .ﭻ ﮐﺲ _ Uﺣ'ﺎE_ 1 Ëﻠ'ﺰEﺎ ﻧ'ﺴﺖ 5 .ﺳﺘﻔﺎ Dﺑ‡ ﺣ'ﺎ Ëﭘﺸﺘﯽ ﻣﯽ Uﺳﺪ ﺣﺪ _1ﭘﻨﺠﺎ iﻧﻔﺮ ﺧﺎUﺟﯽ1 D[ Cﻣﺮ_ 45 Cﺴﺘﺎ_5 iﻧﺪ 1ﺑ‡ tﺳﻤﺎ Dﺧ'ﺮ iﺷﺪ5 iﻧﺪ 1ﻏﺮ 5U =1ﻧﮕﺎ iﻣﯽ ﮐﻨﻨﺪ 5 .ﺳﺘﻔﺎD ﮐﻼEﺶ 5Uﺑﺮ ﻣ'ﺪ 1 _U5ﺑ'ﻦ _tﻣ,ﺎ ﻣﯽ . _1Uﺗﺮ15ﻟ'ﻨﮓ _45ﺮ W5 iﺷﺮ Õ1ﻣﯽ ﺷﻮ_ E Cﻤ‡ 5ﻧﺴﺎﻧ,ﺎ U Cﻧﮓ Eﺎ 4[ Cﺒﺎ,'4ﺎ 1 .ﺑﻮEﺎ _E Uﻢ ﻣﯽ tﻣ'ﺰ_ 1ﻓﻠﻮ ﻣﯽ ﺷﻮ_ ! ! ! 117 WAQAS NAWAZ (Pakistan) ! ! Io qui sono felice ! Il mio nome è N.W.. Io sono pakistano e sono nato il 10/04/1991 nel villaggio Rugh distretto di Mandi Bahawaldi in provincia Panjab in Pakistan. Mio padre mi ha iscritto in una scuola elementare del villaggio quando avevo quattro anni. Ho studiato cinque anni in quella scuola elementare. Dopo ho iniziato la scuola secondaria Pilot Phalia. Ho superato gli esami in quella scuola. Dopo ho iniziato il collegio Mandi Bahawaldin per il corso di geometra civile. Dopo che il corso è finito per due anni non ho lavorato per problemi politici. Ho lasciato il Pakistan e ho viaggiato per l’Europa. Sono andato in Iran, Turchia e dalla Turchia alla Grecia. Ho viaggiato un po’ in taxi, in autobus e molto a piedi. Io ero in pessime condizioni per viaggiare a piedi. C’erano un sacco di problemi in viaggio perché sono stato senza cibo né acqua per due e tre giorni. Avevo paura. Ho vissuto in Grecia quattro anni e otto mesi. Ho lavorato un anno e sei mesi. Per gli altri tre anni e due mesi non ho avuto nessun lavoro. In Grecia vi è un gruppo di persone che sono razziste perché picchiano gli stranieri. Erano dieci o dodici ragazzi. Se vedono uno straniero fanno male. Per questi problemi ho lasciato la Grecia e ho viaggiato per venire qui in Italia. Sono entrato in Macedonia e ho camminato tanto a piedi. Dopo sono arrivato in Serbia e poi in Austria. Ho viaggiato in treno, in taxi e a piedi. Ho raggiunto Milano in Italia in treno. Sono arrivato a Lecce in treno. Sono entrato in una stazione di polizia e ho chiesto il permesso di soggiorno. Hanno preso la mia impronta digitale e dopo poco mi hanno mandato a Galatina. Qui sto vivendo da sei mesi. Qui la gente è molto buona, il loro comportamento è molto buono e ci rispettano. Mi fanno andare a scuola dove sto imparando la lingua italiana. Gli insegnanti sono molto bravi, ci insegnano molto bene. Spero che ho imparato l’italiano velocemente. Futuro. Ora voglio rimanere in Italia. Gli italiani sono molto buoni, rispettano l’umanità. Ora ho bisogno dei documenti per il soggiorno legale in Italia. Voglio vivere qui e lavorare qui. ! ! 118 میں یہاں خوش ھوں ! ﻣ'ﺮ 5ﻧﺎ1 Oﻗﺎ» ﻧﻮ [5ﮨﮯ U15Cﻣ'ﮟ 45ﮏ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎﻧﯽ ﮨﻮC0ﻣ'ﺮ Wﭘ'ﺪ5ﺋﺶ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﮐﮯ ﺻﻮﺑ) ﭘﻨﺠﺎ= ﮐﮯ ﺿﻠﻊ ﻣﻨﮉ Wﺑﮩﺎ51ﻟﺪ4ﻦ ﮐﮯ 45ﮏ ﮔﺎ 01ﻣ'ﮟ 1991C04C10ﻣ'ﮟ ﮨﻮﺋﯽ -ﺟﺐ ﻣ'ﮟ ﭼﺎ Uﺳﺎ uﮐﺎ ﮨﻮ 5ﺗﻮ ﻣ'ﺮ51 Tﻟﺪ ﺻﺎﺣﺐ ﻣﺠ,ﮯ ﮔﺎ 01ﮐﮯ 45ﮏ ﮔﻮUﺋﻤﻨﭧ ﭘﺮ5ﺋﻤﺮ Wﺳﮑﻮ uﻣ'ﮟ _5ﺧﻞ ﮐﺮt 5ﺋﮯË k5-ﺮ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﭘﺎﻧﭻ ﺳﺎ uﭘﺮ5ﺋﻤﺮ Wﺳﮑﻮ uﻣ'ﮟ ﺗﻌﻠ'ﻢ ﺣﺎﺻﻞ ﮐﯽ- k5ﮐﮯ ﺑﻌﺪ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﮔـﻮUﺋﻤﻨﭧ ﭘﺎﺋ'ﻠﭧ ﺳ'ﮑﻨﮉ WUﺳﮑﻮ uﭘ,ﺎﻟ') ﻣ'ﮟ _5ﺧﻠ) ﻟ'ﺎ k5-ﻣ'ﮟ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﻣ'mﺮ~ ﺗﮏ ﺗﻌﻠ'ﻢ ﺣﺎﺻﻞ ﮐﯽ Cﺑﻌﺪ ﻣ'ﮟ 5ﭘﻨﮯ ﺿﻠﻊ ﻣﻨﮉ Wﺑﮩﺎ51ﻟﺪ4ﻦ ﮐﮯ 45ﮏ ﮐﺎﻟﺞ ﻣ'ﮟ ﭼ ,ﻣﺎ iﮐﺎ ﮐﻮ kUﮐ'ﺎCﺟﺲ ﮐﺎ ﻧﺎ Oﺳﻮ uﺳﺮT1 ﺗ,ﺎ Cﮐﻮ kUﮐﺮﻧﮯ ﮐﮯ ﺑﻌﺪ _ 1ﺳﺎ uﻓﺎU ÁUﮨﺎ U15 Cﮐﭽ ,ﺳ'ﺎﺳﯽ ﻣﺴﺌﻠ) ﮐﯽ 1ﺟ) ﺳﮯ ﻣﺠ,ﮯ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﭼ,ﻮÀﻧﺎ ﭘﮍË k5C5ﺮ ﻣ'ﮟ ﭘﺎﮐﺴﺘﺎ Dﺳﮯ 45ﺮ45 U15 D5ﺮ D5ﺳﮯ ﺗﺮﮐﯽ U15ﺗﺮﮐﯽ ﺳﮯ ﮔﺮ4ﺲ 4tﺎ )4Cﺳﻔﺮ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﮐﭽ ,ﺑﺲ ﭘﺮ U15ﮐﭽ'- ,ﮑﺴﯽ ﭘﺮ 4[ U15ﺎ_ iﺳﻔﺮ ﭘ'ﺪ uﮐ'ﺎ Cﺳﻔﺮ ﮐﮯ _ D5U1ﺑﮩﺖ _ﺷﻮ WU5ﭘ'ﺪ 5ﮨﻮﺗﯽ ﺗ,ﯽ Cﺗ'ﻦ _ Dﺗﮏ ﮐ,ﺎﻧﺎ ﻧ) ﻣﻠﻨﺎ Cﭘﺎﻧﯽ ﻧ) ﻣﻠﻨﺎ U15 Cﭘ'ﺪ uﭼﻞ ﮐﺮ ﺑﺮ 5ﺣﺎ uﮨﻮ ﺟﺎﺗﺎ ﺗ,ﺎ Cﮔﺮ4ﺲ ﻣ'ﮟ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﭼﺎ Uﺳﺎ ,-t U15 uﻣﺎ iﮔﺰU15 C TU5 D5ﭼﺎ Uﺳﺎ ,-t U15 uﻣﺎ iﻣ'ﮟ ﺻﺮ… 45ﮏ ﺳﺎ U15 uﭼ ,ﻣﺎ iﮐﺎ Oﮐ'ﺎ Cﺑﺎﻗﯽ ﺗ'ﻦ ﺳﺎ 1_ U15 uﻣﺎ iﻓﺎ ÁUﮨﯽ ﺑ',mﺎ Uﮨﺎ1Cﮨﺎ45 0ﮏ 45ﺴﺎ ﮔﺮ S1ﺗ,ﺎ Cﺟﻮ ﻏ'ﺮ ﻣﻠﮑ'ﻮ 0ﭘﺮ ﺑﮩﺖ ﺗﺸﺪ_ ﮐﺮﺗﺎ ﮨﮯ 5 Cﮔﺮ i1ﮐﮩ'ﮟ 5ﮐ'ﻠﮯ ﻏ'ﺮ ﻣﻠﮑﯽ _tﻣﯽ ﮐﻮ _4ﮑ ,ﻟ'ﺘﮯ ﺗﻮ i1ﮔﺮ S1ﺟﺲ ﻣ'ﮟ _ Ckﺑﺎ iUﻟﮍﮐﮯ ﺷﺎﻣﻞ ﮨﻮﺗﮯ ﺗ,ﮯ - i1ﻮ 7ﭘﮍﺗﮯ ﺗ,ﮯ_t U15 Cﻣﯽ ﮐﺎ ﺑﺮ 5ﺣﺎu ﮐﺮ _4ﺘﮯ ﺗ,ﮯ k5 Cﺗﺸﺪ_ ﮐﯽ 1ﺟ) ﺳﮯ ﻣﺠ,ﮯ ﮔﺮ4ﺲ ﭼ,ﻮÀﻧﺎ ﭘﮍE_5 U15C5ﺮ ﺳﮯ ﻣ'ﮟ ﻣﮑﺪ1ﻧ'ﺎ 4tﺎ )4 Cﺳﻔﺮ ﺗ,ﻮ5À ﺑﺲ ﭘﺮ 4[ U15ﺎ_ iﭘ'ﺪ uﭼﻞ ﮐﺮ ﮐ'ﺎ k5 Cﮐﮯ ﺑﻌﺪ ﻣﮑﺪ1ﻧ'ﺎ ﺳﮯ ﺳﺮﺑ'ﺎ 4tﺎ )4 Cﺳﻔﺮ ﺳﺎ 5Uﭘ'ﺪ uﮨﯽ ﮐ'ﺎ U15 Cﭘ,ﺮ ﺳﺮﺑ'ﺎ ﺳﮯ ﮨﻨﮕﺮ4t Wﺎ )4 Cﺳﻔﺮ [4ﺎ_ iﭘ'ﺪ U15 uﺗ,ﻮ'- 5Àﮑﺴﯽ ﭘﺮ ﮐ'ﺎ U15 Cﭘ,ﺮ ﮨﻨﮕﺮ Wﺳﮯ tﺳmﺮ4ﺎ 4tﺎ )4 Cﺳﻔﺮ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ ﺮ4ﻦ ﭘﺮ ﮐ'ﺎ )4 Cﺳﻔﺮ ﭘﭽ,ﻠﮯ ﺳﻔﺮ ﺳﮯ tﺳﺎ Dﮨﯽ ﺗ,ﺎ U15 Cﭘ,ﺮ ﻣ'ﮟ tﺳmﺮ4ﺎ ﺳﮯ -5ﻠﯽ 4tﺎ )4 Cﺳﻔﺮ ﺑ,ﯽ ﻣ'ﮟ ﻧﮯ -ﺮ4ﻦﭘﺮ ﮨﯽ ﮐ'ﺎ-5 Cﻠﯽ ﻣ'ﮟ ﻣ'ﮟ ﻣ'ﻼ Dﺷﮩﺮ ﮐﮯ -ﺮ4ﻦ 5ﺳ'mﺸﻦ ﭘﺮ 4tﺎ 1 U15 Cﮨﺎ 0ﺳﮯ ﻣ'ﮟ ﻟ'ﭽ) 4tﺎ Cﻟ'ﭽ) ﻣ'ﮟ 45ﮏ ﺗ,ﺎﻧ) ﻣ'ﮟ 5ﻧmﺮ Wﮐﯽ D5 U15 Cﺳﮯ 4flﻞ ﮐﯽ _Uﺧﻮ5ﺳﺖ ﮐﯽ5 Cﻧﮩﻮ 0ﻧﮯ ﮨﻤﺎ TUﻓﻨﮕﺮ ﻟ'ﮯ U15 Cﮨﻤ'ﮟ ﮐﭽ4_ ,ﺮ ﺑﻌﺪ 45ﮏ ﮔﺎ WÀﻣ'ﮟ ﺑ',mﺎ ﮐﺮ ﮔﻼﺗ'ﻨﺎ ﭼ,ﻮ4_ Àﺎ =5 Cﮨﻤ'ﮟ E_5ﺮ ﭼ ,ﻣﺎ iﮨﻮ ﮔﮯ ﮨ'ﮟ4 Cﮩﺎ 0ﮐﮯ ﻟﻮ Üﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ ﮨ'ﮟ U15 C ﺳﻠﻮ~ ﺑ,ﯽ ﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﺎ ﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ U15 Cﭼ,ﻮ-ﮯCﺑﮍ Tﮐﺎ 5ﺣﺘﺮ O5ﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ U15 Cﮨﻤﺎ5 TUﺳﺎﺗﺬ iﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ ﮨ'ﮟi1 C ﮨﻢ ﭘﺮ ﺑﮩﺖ ﻣﺤﻨﺖ ﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ Cﺗﺎﮐ) ﮨﻢ ﺟﻠﺪ-5 Wﻠ'ﻦ [ﺑﺎ Dﺳ'ﮑ ,ﺟﺎﺋ'ﮟ =5 Cﻣ'ﮟ ﺑﮩﺖ ﺣﺪ ﺗﮏ -5ﻠ'ﻦ ﺑﻮ uﻟ'ﺘﺎ ﮨﻮU15 C0 ﻣ'ﮟ 4ﮩﺎ 0ﺑﮩﺖ ﺧﻮ àﮨﻮ 0۔ ]ﻣﺴﺘﻘﺒﻞ[ ﻣ'ﮟ -5ﻠﯽ ﻣ'ﮟ Uﮨﻨﺎ ﭼﺎﮨﺘﺎ ﮨﻮ-5 C0ﻠ'ﻦ ﺑﮩﺖ 5ﭼ,ﮯ ﻟﻮ Üﮨ'ﮟ 5 Cﻧﺴﺎﻧ'ﺖ ﮐﯽ ﻋﺰ rﮐﺮﺗﮯ ﮨ'ﮟ =5 Cﻣﺠ,ﮯ ﮐﺎﻏﺬ r5ﭼﺎﮨ'ﮯ ﻗﺎﻧﻮﻧﯽ ËﻮU ﭘﺮ -5ﻠﯽ ﻣ'ﮟ Uﮨﻨﮯ ﮐﮯ ﻟﺌﮯ -ﻣ'ﮟ 4ﮩﺎ 0ﮨﯽ Uﮨﻨﺎ ﭼﺎﮨﺘﺎ ﮨﻮ4 U15 C0ﮩﺎ 0ﮐﺎ Oﮐﺮﻧﺎ ﭼﺎﮨﺘﺎ ﮨﻮ-0 ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 119 MICHELLE DICU (Congo) ! La storia di Eyala Era una fredda giornata di novembre quando Eyala entrò nel suo appartamento di Torrenova dopo una mattinata lunga e stancante. Ebbe il tempo di sistemare il semolino, il pesce Thompson e il gombo gombo acquistati poche ore prima al mercato dell’ Esquilino, quando le prime gocce di pioggia caddero dal cielo. Non le piaceva la pioggia, le trasmetteva un senso di profonda desolazione, solitudine, ma soprattutto le faceva riaffiorare tristi ricordi. Sprofondando nella poltrona del salotto accese la televisione dove una conduttrice stava assegnando un premio ad una coppia di turisti che avevano documentato un loro viaggio in Africa. << Magari lo vincessi io quel premio, il mio sì che è stato un vero e proprio viaggio, altro che un safari in Kenya!>> Effettivamente non le si poteva dar torto: Eyala aveva vissuto una vera e propria avventura, molto diversa da quella di Robinson Crusoe o altri, la sua era più dolorosa e drammatica. Il suo viaggio iniziò nel 2000 l’ anno in cui fu costretta a lasciare Goma, una città all’est della Repubblica Democratica del Congo, il suo paese. Eyala era l’ ultima di tre figli, tutte femmine, da piccola andava a scuola come tutti i bambini della sua età e nel pomeriggio nonostante fosse la più piccola, trovava sempre il tempo di dare una mano nelle faccende domestiche. All’età di diciassette anni era una ragazza molto graziosa, alle prese con i primi amori, ma purtroppo gli anni della sua adolescenza che sarebbero dovuti essere i più belli, si trasformarono nel periodo più cupo della sua vita . In quel periodo nel Nord e nel Sud Kivu cominciavano a verificarsi diversi casi di stupro il cui numero aumentò in maniera esorbitante. Nei primi mesi del 1999 si contavano già migliaia di vittime. Gli autori di ciò erano e sono tutt’ora delle milizie armate, gruppi di uomini che di notte entravano nelle abitazioni e dopo aver consumato uno ciascuno la violenza su donne e bambini, agli occhi dei mariti li uccidevano. Baba Pasca, padre di Eyala decise che era giunto il momento di mandare la moglie e le figlie a Kinshasa da alcuni suoi cugini. L’ idea di allontanarsi dal padre e dal marito le faceva soffrire tantissimo, ma sapevano che era la decisione giusta. Fu così che dopo aver pagato un fattorino diretto a Kinshasa le quattro donne insieme a sei passeggeri partirono per la capitale. Purtroppo la prima notte di viaggio l’ incubo di Pascal si trasformò in realtà: nel cuore della notte il camioncino si fermò di colpo ed Eyala fu svegliata dal colpo di un’ arma da fuoco e dalle grida dell’ autista. Tutti entrarono nel panico quando un gruppo di quindici ribelli li obbligarono a scendere dal veicolo e li costrinsero a seguirli a piedi dentro la foresta. Mama Malaika si teneva stretta le sue figlie, terrorizzata non tanto per la sua sorte ma per quella delle sue bambine, al mercato di Goma le era capitato di sentire diverse volte il racconto di alcune donne: “ Si dice che vi portano nel loro accampamento e vi dividono, gli uomini vanno a scavare nelle miniere di coltan, bambini compresi, mentre le donne… beh avete capito”. Il sudore freddo le scendeva giù per la schiena mentre cercava di incoraggiare le figlie ad essere forti e a non piangere. Dopo diverse ore di cammino giunsero all’accampamento: c’erano tantissime donne ridotte in pessimo stato, magrissime e con lo sguardo assente, erano sorvegliate da altri miliziani dagli occhi rossi, avevano assunto delle sostanze stupefacenti. La vita, se così si poteva chiamare, all’interno del campo era un vero e proprio incubo dove Eyala all’età di 17 anni vide cose che una ragazza non dovrebbe mai vedere: lo stupro era un qualcosa di regolare, avveniva ogni giorno. A volte potevano prenderti in gruppo, trascinarti con violenza dentro ad una capanna o altre volte poteva essere uno solo. Nessuna delle quattro donne venne risparmiata. Non 120 sapevano da quanto tempo fossero rinchiuse lì dentro ma un solo giorno in quel campo equivaleva a dieci anni. Mama Malaika non poteva più tollerare quella situazione e fu così che un giorno ordinò alle proprie figlie di fuggire nel caso in cui fosse riuscita a distrarre la guardia di turno, chiaramente nessuna delle tre era d’accordo, lasciare la madre in quell’inferno era fuori discussione ma alla fine Masirika, Joelle e Eyala accettarono. L’ occasione si presentò una notte in cui i ribelli erano più ubriachi del solito e la maggior parte era andata a dormire, Malaika fece in modo che la guardia si distraesse le tre sgattaiolarono fuori dal campo. Addolorate per aver lasciato la madre in quel posto terrificante si interrogarono sul da farsi, esclusero l' idea di tornare verso Goma perché nell' accampamento avevano sentito i ribelli dire che la città era praticamente sotto assedio e l' unica alternativa era andare dai parenti. Fu un viaggio che durò settimane e la loro salute era molto critica, arrivate a Kinshasa furono accolte in una parrocchia di Ngaliema e dopo diverse ricerche erano riuscite, con l' aiuto del sacerdote a contattare gli zii da cui avevano trascorso le vacanze anni prima. Quel mese nell' accampamento era stata una vera e propria tortura fisica e psicologica che le rese vulnerabili ed ostili alla vita. Le sorelle maggiori non riuscirono mai più a riprendersi ed erano preoccupatissime per le loro sorti: in Congo le donne vittime di stupro di massa venivano anche emarginate per una ragione tutt'ora sconosciuta ed incomprensibile. Cosa sarebbe successo? Eyala non si preoccupava di ciò, la sola cosa che voleva era abbandonare quel paese il più presto possibile, ormai non le restava più nulla, le avevano strappato tutto, le avevano portato via la gioia e la voglia di vivere, l' onore, il rispetto e soprattutto la dignità umana. Non c' era più nessuna ragione per rimanere: ritrovare i suoi genitori era impossibile e le sorelle non erano più le stesse di una volta e vedere i loro sguardi spenti non faceva altro che riportarla con la mente in quell'inferno da cui erano appena uscite. Ne parlò con gli zii i quali dopo un' attenta riflessione decisero di mandarla in Italia dal loro figlio. Le pratiche durarono molto e alla fine nel 2003 riuscì a partire, non immaginava quanto le avrebbe fatto male lasciare le sorelle e il Congo ma era convinta che fosse la scelta giusta. Ora a distanza di sette anni, non ne era più così sicura . Certo in Italia aveva potuto ricominciare a vivere, il cugino le aveva anche trovato un lavoretto e un appartamentino offrendosi di pagare la metà delle spese, ma la verità è che neppure lì era felice. Non perché l' Italia non fosse un bel paese, aveva sempre avuto la fortuna di incontrare belle persone, ma il problema era la ragione che l' aveva spinta a recarsi lì. Nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a lasciare il proprio paese, tutti devono avere il diritto di vivere in pace ma nel suo caso non fu così. L' economia, la guerra e le multinazionali erano le responsabili di ciò che le era avvenuto, tutto questo perché Eyala e la sua famiglia insieme ad altri otto milioni di congolesi del Kivu, vivevano in una regione ricca di materie prime come il coltan, necessario per la produzione di computer, telefoni cellulari ed altri apparecchi super tecnologici. Ecco perché i ribelli li intimavano con la forza a lasciare le loro case e i loro averi, per fare in modo che i traffici di materie prime avvenissero senza problemi. Questa è solo una parte dei vari problemi che affrontano i congolesi del Nord e del Sud Kivu ed Eyala è solamente una delle 8 milioni di vittime del genocidio e degli stupri di massa consumati nella Repubblica Democratica del Congo. Una barbaria iniziata nel 1994 e che non è ancora terminata, un massacro che sta avvenendo nell' indifferenza del mondo. ! ! ! ! ! 121 GUERRINO KOTLAR (Croazia/Italia) Tu, da una riva all’altra Hai lasciato la terra che ti era madre, con tanti saluti e addio anche a tuo padre. Accompagnato al porto da tutto un paese, ed in riva ricordo tutti con le mani protese. C’ erano davvero tutti gli amici e parenti, mai più visti o avuti così tanti in altri momenti. E sei partito sognando di andare a vivere libero, e di ritornare nella tua patria con orgoglio vero. ! Ed ora che non ci sei più, caro papà mio, io col passare degli anni da quel umido addio, ! ho fatto sempre più tutte mie e non c’ erano proprio altre vie. ! Tutte le amarezze che hai dovuto subire, per le lotte sostenute senza poter dire, ! che il tuo orgoglio era da salvare, con tutti i conflitti interiori da curare. ! Ricordo bene quello che hai dovuto combattere, per tutte le tensioni che hai dovuto vivere. ! E le contraddizioni che erano da superare, insieme agli accanimenti che erano da parare. ! E per le sofferenze in questa terra e in questo mare, in ultimo ci hai dovuto proprio tutti noi lasciare. ! E’ lungo ormai il tempo passato da quel nostro arrivo. E così ora che non posso più dirtelo io ti scrivo. ! “ Grazie papà per quel tuo viaggio in - finito. Da una riva all’altra, per noi figli sarai sempre un mito ”. ! ! 122 Ma poi sul podio? ! ! Ho guardato in TV la cerimonia d’ apertura dei recenti XXX giochi Olimpici di Londra. Una festa di pace su un mondo perennemente votato alla guerra. Una sfida sportiva comunque capace di allontanare l’ odio almeno per un po’ di tempo. Brividi, emozioni, sentimenti, stati d’ animo diversi, confusi, uno dopo l’altro, quasi da vertigini. Ho visto rappresentare tradizioni millenarie del Regno Unito. Giochi di luci, di colori, di suoni, di canto, di movimenti, rappresentazioni di storia, di passato, di presente, di fatica, di lavoro, d’ arte e di tanto altro. Tutto questo mentre sfilavano le delegazioni di ogni angolo del pianeta portando con gioia le bandiere della propria nazione, il loro orgoglio di esserci, con sfavillanti sorrisi, salti, saluti, balli, delle stelle dello sport. Una serata da raccontare agli amici prima ancora che ai nipotini. Ho provato di divertirmi in una notte di fasto e di grande festa. Ma, forse perché ero da solo, invece, mi sono emozionato da ……. piangere, si proprio da piangere in silenzio. Infine gli ultimi orgogliosi tedofori e l’ accensione della fiaccola. Tedofori, proprio come il sottoscritto nel lontano, ma indimenticabile 1960, durante le olimpiadi di Roma . Ho cominciato così un’ emozionante viaggio sulle orme della giovinezza perduta, in precario equilibrio tra la voglia di esserci e la necessità di sognare. Un brivido, la pelle d’ oca, il passato, il presente, i tuoi vent’ anni. Tutto era ieri, o forse no, era l’ altro ieri o ancora prima. Quanto prima ? Dio solo lo sa. Gli atleti, i campioni, le gare, tanti sorrisi e qualche lacrima. Il mondo era lì con la gioia di stare insieme. E i giorni a venire le gare, le vittorie, le sconfitte, le bandiere e gli inni nazionali. E allora mi son visto su quel podio, con i colori della bandiera del mio paese, con il mio inno nazionale che suonava e che tutto lo stadio o quasi cantava a squarciagola con me, per me, per merito mio, per la mia nazione, per la mia patria. ! Almeno una volta nella vita, almeno solo sognando, vorresti quel momento, quel sentire, quella musica, la tua musica e vedere la sù sventolare i tuoi colori. Ma poi io, alla nascita ita (g) liano di Zara, città della Dalmazia, quindi dell’ Italia, e poi della Jugoslavia, ed ora della Croazia, mi sono chiesto, anzi mi hanno costretto gli altri a chiedermi: E poi sul podio: Quale INNO ? Quale BANDIERA ? 123 Quale NAZIONE ? E non c’ è vittoria, non c’ è premiazione, non c’ è inno, ovvero quella musica del gradino più alto del podio, che non mi fa ricordare quell’essere e quel sentire, quel calore e quell’onore, che suona così: “ Parce mihi domine, quia dalmata sum “ ! ! ! ! 124 ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! !! ! ! ! ! ! ! ! ! Quel fatal giorno degli addii Quel fatal giorno degli addii voluto con coraggio, tutto ci parve crudel in quel lasciar il natio villaggio. E fu il distacco dal paesello nostro così profondo, singhiozzavamo tutti, anche quelli là giù in fondo. Gli occhi ci caddero giù smarriti e dolenti, la lingua muta si rifugiò fra i tristi denti. Parole di commiato rimasero incompiute, ma eran d’ amore, e se ci volgevamo indietro non c’ era altro che il dolore. Con la nave siamo partiti diretti verso il confine. Fu un viaggio amaro e senza mai una sognata fine. Nel profondo del cuore un ansia che sempre più saliva, ci sembrava che quel viaggio ci portasse alla deriva. Non eravamo altro che un branco di poveri e illusi, incalzati dal destino che ci ha quasi tutti delusi. O memoria crudele spina nel nostro dolente cuore, dove sono quei parenti, il loro volto e le loro parole. Ora quei ricordi li abbiamo messi a dormire uno ad uno, speriamo solo che di loro non si svegli proprio nessuno. Ecco perché ci tormenta l’ ebbrezza di questi canti. Ecco perché ci lacera l’ angoscia di questi pianti. E questo mal che ci fu dato in destin d’ umana sorte, si può cancellar solo con un coraggio molto più forte. ! 125 Ora che non posso più dirtelo, io ti scrivo Tu alius, sed idem (Tu diverso, seppur uguale) Hai lasciato il tuo caro paese natio, era forte nel tuo cuore quell’italico desio. Ricordo bene quel viaggio, seppur piccolo ero io. Sognavi di andare a vivere libero, e ritornare nella tua patria speravi davvero. Era forte quel nobile tuo pensiero. ! Volevi poter continuare a parlare la tua madre lingua, e professare la tua cristiana fede che ti distingua, così che ne l’ una ne l’ altra in famiglia si estingua. ! Hai seguito il tuo cuore che ti dava dei consigli, per cercar fortuna ed avvenire per i tuoi figli, che eran tutti piccoli ed innocenti come dei gigli. ! Ma alla fine, caro papà mio, tu solo e lo sa anche il buon Dio, com’ è stato questo tuo irrequieto esilio. Metà della tua travagliata ma orgogliosa esistenza, a scrutare l’ Ovest con gli occhi pieni di speranza, verso la tua madre patria sognandola ad oltranza. ! L’ altra metà della tua vita che era anche la mia, con gli occhi gonfi di umida nostalgia, a guardare verso l’ Est, verso la terra natia. ! Nascere in Italia e morire in questo paese per te fatato, di qua e di là del mare nostrum, mare travagliato. Tu col cuore nel giusto ma sempre in un posto sbagliato. ! Sempre in minoranza se non da soli ed anche zoppi, contro qualcuno, sempre tanti e comunque troppi. E così non sono mancati mille malinconici groppi. ! Coraggio papà, quest’Italia pur sempre con noi benigna, anche se per te, sia qui che di là, è stata sanguigna, continuiamo più ad amarla che odiarla, come una matrigna. ! 126 Costretto ad un doppio giuoco da una riva a l’ altra ! Questo NOBIL GIOCO di OTTO più OTTO, sfruttar il pensier non è cosa da poco in uno spazio di otto per otto. Per me poi è una continua SFIDA, ma che bel intruglio, tra le due rive della S C A C C H I E R A, un perenne guazzabuglio. Prima cosa da precisare è che ad EST io sono nato e da ragazzo ad O V E S T il f a t a l destin mi ha sballottato. In questo gioco non so se mai il TEMPO mi basterà, per sconfiggere la perenne nostalgia della lasciata natia terra . Eppure io GIOCO per combattere la lontananza della gente, prima di qua con diffidenza, ora anche di là con indifferenza struggente. Gioco per rendere giustizia a mio padRE vissuto male, “ come è duro calle lo scendere e ’l salire per l’ altrui scale “. E ad ognuno dei miei FANTI io dico che qui soprattutto, passo dopo p a s s o, è da conquistare tutto, ma proprio t u t t o. Ne ho parlato anche con la mia REGINA e con dolce parola, come è dura la vita, lo ha potuto constatare anche lei qui da sola. Ho continuato ad insegnare al mio ALFIERE, come fare, ma è diventato grande e lo ha già capito anche lui da che parte remare. All’ inizio mi ero armato per dare al nemico lo Scacco Matto, ma alla fine l’ ho salutato come un amico e la pace con lui ho fatto. E così al termine di questa terrestre partita, almeno per me, e Dio solo lo sa quando, spero sia una “ PATTA “ di certo insieme a te. !! !! !! !! !! ! !! !! !! !! !! !! !! !! 127 GABRIELE DI CAMILLO (Italia) ! ! “Mother without a flag” In una sartoria mentre il titolare è intento al lavoro, entra un tizio. Un potenziale cliente. Al momento non so chi è. Vedremo cosa diventerà più avanti nei dialoghi ... CLIENTE (Entrando) Buongiorno. TITOLARE Buongiorno! (Pausa lo guarda e poi) Dica! CLIENTE Dica? (Si gira per vedere se c'è qualcuno) Dica a chi? TITOLARE (Abbozzando un sorriso)Beh, a lei!... È solo! CLIENTE A me? TITOLARE Si! CLIENTE Non, non ho niente da dire. TITOLARE Ah! (Lunga pausa. Continua a lavorare ) CLIENTE (Guarda intorno curiosando senza parlare) TITOLARE Mi scusi! CLIENTE Sì! TITOLARE Ha bisogno di qualcosa? CLIENTE No! TITOLARE Perché è entrato? CLIENTE (Indica l’uscio)… Era aperto. TITOLARE Sta’ cercando qualcosa qualcuno? CLIENTE Le ho già risposto di no! TITOLARE Perché è venuto qui? CLIENTE 128 É vietato entrare? TITOLARE No, non è vieta…. CLIENTE … Non c'è nessun cartello fuori ... TITOLARE … Ha ragione! Ma... questo è un esercizio pubblico! CLIENTE Appunto. Sono entrato... TITOLARE Ho visto che è entrato ma ... CLIENTE … Sono parte del pubblico sa! (Indica fuori) Vengo da lì! TITOLARE (Cerca di chiarire)Questo, è un, esercizio pubblico! CLIENTE … Se è un esercizio, mi esercito! TITOLARE Lei non deve esercitare niente! Caso mai sono io, che ho un esercizio e dovrei esercitare la mia attività. Ma vedo che lei ... CLIENTE … Eserciti eserciti! Gliel'ho forse impedito? TITOLARE Ci mancherebbe! CLIENTE Ma ci mancherebbe! Ma vedo che lei! Ma vede che io? … Cosa vede in me? TITOLARE Guardi... non ci posso credere! CLIENTE … Una minaccia! Lei in me vede una minaccia! TITOLARE No! CLIENTE Sì! Vede una minaccia! TITOLARE Che dice? CLIENTE … Una minaccia per il suo esercizio! TITOLARE Guardi che si sta sbaglian …. CLIENTE … Lo vedo sì! Lo vedo dai suoi occhi! Lei si sente minacciato! TITOLARE Ma chi le ha detto niente! Sono senza parole! 129 CLIENTE A sì? É senza parole? Lei è senza parole vero? TITOLARE … Esatto senza parole. CLIENTE … Non mi sembra che le manchi la favella! TITOLARE …Che dice? CLIENTE …Da quando sono entrato, mancava solo che mi puntasse una lampada agli occhi e ordinasse di chiamare il mio avvocato. TITOLARE È incredibile! Adesso fa anche la vittima! CLIENTE … Certo! Certo! Le ho chiesto qualcosa? Le ho forse puntato un'arma? TITOLARE No! No signore si calmi! CLIENTE Guardi, io non rappresento alcuna minaccia. Non la minaccio io! TITOLARE (Alza le mani) D'accordo non mi minaccia! (Pausa) CLIENTE Sono una persona onesta io!... Dio solo sa quanto mi è costato e quanto mi costa, essere onesto! TITOLARE Ma ma… signore non ho nessuna ragione per crederla disonesto! CLIENTE … Dio solo sa. Sì solo lui, credo, forse! (Parla tra se) Sì sì Dio lo sa cavoli! E no se non lo sa Lui! Sì Dio lo sa che sono onesto! Lui sì! TITOLAREMa… guardi io non le ho detto che…. CLIENTE Certo!... Ce l’ha! Lei ha più di una ragione per credermi disonesto!... Disonesto io? (Comincia a ridere)Io disonesto! TITOLARE Ride? CLIENTE (Si asciuga le lacrime per aver riso, fa un giro su se stesso)…Eh si! Mi guardi, mi guardi bene… lo sa che non ammazzo le zanzare? Non le ammazzo, fanno parte del creato… TITOLARE … Alcune zanzare potrebbero ammazzare lei! CLIENTE Lo so lo so, ma non le ammazzo…. TITOLARE 130 … Anche lei è parte del creato! CLIENTE Sarebbero una minaccia? Mi consiglia di ammazzarle vero? TITOLARE Le ammazzi, le ammazzi tranquillamente senza pensarci su’! CLIENTE Ma sì ma sì! Le minacce vanno neutralizzate subito. Sì, subito! Come il sottoscritto! TITOLARE Scusi eh, se mi permetto! Ma lei si sente perseguitato! CLIENTE (Incalza)Vuole neutralizzarmi vero? TITOLARE (Incredulo)Non c’ho pensato minimamente… CLIENTE (Pausa e lentamente) In che modo pensa di farlo? TITOLARE (Deciso)Che modo e modo oh! CLIENTE (Guardingo) … Sono pronto a tutto! TITOLARE Stia calmo si rilassi… Per chi mi ha preso? CLIENTE (Lo guarda socchiudendo gli occhi)Ehm! Vuole sembrare tranquillo ma, sotto sotto lei …. TITOLARE Cosa dice? Sotto sotto che? Guardi le ho già detto che non la temo! CLIENTE Non mi teme? TITOLARE In alcun modo! ! (Silenzio) CLIENTE Le faccio pietà? TITOLARE … No! CLIENTE Lei prova compassione! TITOLARE … No! CLIENTE Lei mi crede una persona ai margini della società…. TITOLARE Ma cosa sta dicendo? …. 131 CLIENTE … Non sono psicolabile! Le sembro psicolabile? TITOLARE (Non risponde) CLIENTE Chi tace acconsente… e lei tace…(breve pausa e un lungo respiro). Acconsenta acconsenta pure, ne ha il pieno diritto. TITOLARE …Non acconsento, non mi fa pietà ne’ compassione e non ho detto che è psicolabile e … CLIENTE … Però tace! TITOLARE …Cos’altro potrei fare? Cosa posso dire? E’ entrato in punta di piedi, con educazione devo dire … non vuole niente, non mi chiede niente… CLIENTE (Divertito)… Non sa che pesci prendere … (Serio)non vede l’ora che vada via vero? TITOLARE … No! CLIENTE … Adesso mente, mente mente! Sono sicuro che lei non vede l’ora che io esca …. (Lo guarda attento) TITOLARE (Tace) CLIENTE Avevo ragione. (Ride) TITOLARE Ha ragione sì! Devo dirle che mi sta’ turbando! CLIENTE La sto’ turbando?… La sto’ turbando…(Guarda giù rimuginando a bassa voce, attraversa la stanza lentamente, quasi tra se) Entro, non dico niente, non voglio niente, non ci conosciamo, non la minaccio… Ha ragione sa! Non rientro nei canoni universali del cliente… TITOLARE Beh cosa vuole che le dica? …. CLIENTE … E nemmeno delle persone comuni! Le cosiddette “persone normali”… TITOLARE Sì! Devo dire che non mi era mai capitato… CLIENTE (Lo interrompe) … Cosa voglio da lei? Mah!... Sa cosa le dico? Ha ragione ad essere turbato, pensi, non sono nemmeno un barbone … un senzatetto … TITOLARE In effetti non sembra … 132 CLIENTE … Non mendico, (mostra il viso)guardi mi rado sa!... TITOLARE (Risponde piano automaticamente)Vedo! CLIENTE … Tutti i giorni… Mi rado tutti i giorni! Profumo! (Si avvicina con il volto mentre l’altro indietreggia) Senta, senta è pregiato profumo inglese. E’ buono vero? TITOLARE (Distaccato)Buono sì! CLIENTE (Gran sospiro) Ehm caro signore, si trova in un bel pasticcio sa! TITOLARE … Perché? Quale pastic… CLIENTE (Fischia)… Un gran, bel pasticcio! TITOLARE Mi spieghi, non capisco! CLIENTE Io, (pausa)io non esisto! TITOLARE Cosa? CLIENTE Uno come me non esiste! TITOLARE Ma che sta dicendo? … CLIENTE Le ribadisco che uno come non esiste… TITOLARE Ma che dice! Esiste esiste! Eccome se esiste! Ne sono testimone Lei esiste… CLIENTE (Secco)…Conosce Teofrasto? TITOLARE Chi?? CLIENTE Teofrasto. TITOLARE No, mai sentito. Chi è? CLIENTE Era un allievo di Aristotele… TITOLARE Non lo conosco… e nemmeno Aristotele conosco … CLIENTE 133 Teofrasto diceva che “Il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere” TITOLARE Bravo cussù! CLIENTE (Seccato) Teofrasto non è cussù! TITOLARE Scusi, non volevo! È suo parente? CLIENTE … Mi prende in giro? TITOLARE No già perché dovrei? CLIENTE Le ho detto che era un allievo di Aristotele … TITOLARE Ed io le ho risposto che non conosco Aristotele … CLIENTE … Ogni ora di tempo perduto, è una probabilità di danno per l’avvenire … TITOLARE Embè?… CLIENTE Embè! Lei dice embè? Sa chi ha detto questo? TITOLARE (Tenta di indovinare)… Teofrastico? CLIENTE Si dice Teofrasto!... Lo ha detto Napoleone Bonaparte. TITOLARE Però! CLIENTE E’ tutto? (Pausa) Conosce Napoleone Bonaparte? TITOLARE (Soddisfatto sicuro)Sì, era un grande militare francese ... un generale…. CLIENTE … Era “Il Generale Francese” Il il, non un! TITOLARE Il, un, mbè che cambia? CLIENTE A sì? Lo sa lei quand’è nato Napoleone Bonaparte? TITOLARE Non mi ricordo! CLIENTE (Antipatico)Non mi ricordo!… Fa’ prima a dire non lo so … TITOLARE No, chi l’ha detto che io non lo… CLIENTE 134 (Diretto sfacciato)… Lei non l’ha mai saputo! Non sa dove e quando è nato, questa è la verità … TITOLARE … Ma chi gliel’ ha detto? Certo che lei è un bel tipo! CLIENTE (Ride) Tana! Scopa! Lei ha sentito parlare di Napoleone da qualcuno, ma non l’ha mai saputo ne’ dove, ne’ quando è nato aha!! Bingo! TITOLARE Evviva! Scopa Tana Bingo! Te piàce a iucà ah! Ma dìche na còse: ‘Sta’ vìje tè tànde putèche, proprie ècche tinìje vinì a fàrte lu svèlte? CLIENTE Colpito!... (Ride di nuovo divertito)E’ brutta l’ignoranza ah! Perché mi parla in dialetto? TITOLARE … Picchè quànde me ‘ncàzze pàrle còme dìche jì! CLIENTE (Canzonandolo)E’ incazzato? E perché mai è incazzato? Perché è ignorante? Uh! È ignorante! (Ride) TITOLARE No! Picchè so’ viste che te s’appicciàte l’ùcchie quànde me vìste in difficoltà… CLIENTE Mi dia del lei … TITOLARE Si, le do io del lei, ma non con le parole (prende minaccioso il ferro da stiro) CLIENTE Cosa fa? Cosa vuole dire? TITOLARE Ma come! Lei conosce Teofrustico e Napoleone, non capisce cosa voglio dire con il mio ferro da stiro bollente? CLIENTE Teofrasto! Si dice Teofrasto! No, devo dire che non ho capito il suo gesto… TITOLARE (Ride divertito)Ah ah ah! (Accademico)Eh! Eh! Caro signore conosce Napoleone! CLIENTE Embè? TITOLARE Embè??... Embè a me? Ma che fa mi copia? (Ride di nuovo)Mi copia! Lei mi copia! CLIENTE Non la copio! Cosa significa “Le do io del lei” brandendo il ferro da stiro… TITOLARE 135 (Sillabando tra se) Bran-den-do! Bran-den-do! Teo-frus-ti-co! Bah! Ma signore!! Se conosce Napoleone dovrebbe capire il significato del ferro da stiro…Bol-len-te no! CLIENTE Non riesco a collegare Bonaparte al ferro da stiro… TITOLARE Glielo spiego!(Simula il movimento con il ferro)Il ferro da stiro ssspiieega! Lei poco fa si è preso gioco di me perché non conosco Teo, Teo … Teo quello lì! Aristoppile e…e… quando dove è nato Napoleone … CLIENTE Ma no no!...Io… TITOLARE (Deciso) Sì! (Ripete le sue parole)Scopa Tana Bingo! E’ brutta l’ignoranza vero? CLIENTE Ma, se l’è presa per le mie parole? … TITOLARE (Serio)Io, poveraccio che non sono altro, ero disarmato… CLIENTE Ma io stavo parlando … TITOLARE (Incalza piano)… Ho provato a difendermi ma lei minacciava … CLIENTE Guardi, probabilmente ci dev’essere stato un ….. TITOLARE … Lei non immagina quante ne ho passate! CLIENTE … Anch’io! Sapesse!... TITOLARE Quanto ho sofferto! CLIENTE … Non volevo. Scusi, non era mia intenzione ferirla. TITOLARE Stava svilendo, annientando la mia dignità …. CLIENTE Le ripeto che non volevo ferirla. Ma poi, in tutto questo che c’entra Napoleone … TITOLARE Quando le parole non convincono, se non raggiungono il cuore, la testa lo scopo; se la diplomazia fallisce, allora si passa alle armi …è guerra! CLIENTE Cuore testa scopo che significa? TITOLARE Si passa alle armi “Il mio ferro da stiro bol-len-te” ha vinto la battaglia CLIENTE 136 Quale battaglia? TITOLARE La nostra! La sua lingua e la mia ignoranza! Ho vinto! CLIENTE Mi creda, continuo a non capire! TITOLARE Lei divertito si è preso gioco di me dimesso e remissivo, poi ho tirato fuori la mia arma… CLIENTE Il ferro da stiro? TITOLARE … Il dialetto! CLIENTE Il dialetto?? TITOLARE Il dialetto. Quando mi ha sentito parlare in dialetto ha fatto subito un passo indietro.. CLIENTE No!... TITOLARE … Sì… E’ stato lei poi a suggerirmi l’arma della vittoria… CLIENTE Il ferro da stiro? TITOLARE Napoleone! CLIENTE Lei mi fa impazzire! TITOLARE Ha ragione, non so e non ho mai saputo quando è nato Napoleone Bonaparte e nin me ne frèche! CLIENTE Non c’è niente di male … TITOLARE … Lo dice adesso! Parlandomi di Lui ho pensato alla strategia per potermi difendere… CLIENTE Difendere da chi da cosa? TITOLARE … Dalla sua violenza … CLIENTE …Violento io? Questa poi! TITOLARE È stato molto violento, violentissimo! CLIENTE Adesso sta’ bestemmiando, io non l’ho nemmeno sfiorata! 137 TITOLARE … Lei mi ha ferito! CLIENTE Ferito? No! No no! TITOLARE Sì! CLIENTE No! TITOLARE Sì! CLIENTE No, no no no e no! La smetta! TITOLARE … Innanzitutto abbàsse la cresta ca stì dèndre la casa mì! CLIENTE Ricomincia con l’aramaico? TITOLARE …Visto che l’italiano non lo capisce! CLIENTE Lo capisco l’italiano io! TITOLARE … Bravo! CLIENTE … Capisco anche l’inglese io! TITOLARE … Bravo! CLIENTE Scrivo parlo e leggo, in inglese… TITOLARE … Bravo! CLIENTE … Con insegnante madre lingua! TITOLARE … E padre? (Pausa) CLIENTE Quale padre? TITOLARE Niente! CLIENTE Parlo pure francese, tedesco spagnolo … e russo … TITOLARE Anche io! CLIENTE Anche lei? TITOLARE 138 Se dormo a pancia in su! CLIENTE Come? TITOLARE … Niente. CLIENTE Ho l’impressione che lei mi …. TITOLARE … È laureato? CLIENTE Certo, sono dottore in legge! TITOLARE Ah! Cura solo gli avvocati? CLIENTE Come? TITOLARE Niente! CLIENTE Meno male! TITOLARE Meno male cosa? CLIENTE Che si è calmato! Era convinto che l’avessi ferito… TITOLARE Non ero, sono convinto. Tuttora convinto che mi ha fatto del male. CLIENTE Ci risiamo! TITOLARE Ehm!... Io faccio questo mestiere praticamente da bambino, da sempre … CLIENTE Non vedo cosa c’entra con le sue fantasiose ferite… TITOLARE Lei non vede… però è laureato… CLIENTE … 110 e lode … TITOLARE Che significa? CLIENTE Niente. TITOLARE Ah!... Faccio questo mestiere da bambino ed ho letto pochissimi libri… CLIENTE … Si vede. TITOLARE Cosa? 139 CLIENTE Niente! TITOLARE Grazie 110 e lode! CLIENTE Come? TITOLARE Niente niente! CLIENTE Cosa faceva da bambino? TITOLARE Io (pausa) non sono mai stato bambino. CLIENTE Ricomincia a delirare? TITOLARE È la verità. CLIENTE (Divertito)È nato adulto? Che parto! 18 anni di travaglio! TITOLARE (Serio)N’ge sta’ nìnde da rìde! CLIENTE Il suo dialetto è minaccioso come una lama puntata alla gola … TITOLARE Le fa questo effetto?? CLIENTE Sì! TITOLARE Allòre nin pazzijà, picchè la lengue po’ tajà … chiù de lu curtèlle! CLIENTE Parli in italiano allora … TITOLARE Dipende da lei … CLIENTE Da me? TITOLARE Se si comporta da cristiano, io ragiono bene e parlo italiano … CLIENTE …Ah! E’ una questione di religione allora! TITOLARE Ehm! Parla tante lingue è laureato ma non basta… CLIENTE Non basta a cosa? TITOLARE Non capisce! Lei non capisce! (Ride)Cosa le hanno insegnato? CLIENTE 140 Tante, tante cose! TITOLARE Ma non mi capisce! Io parlo italiano e sono calmo se si comporta da cristiano, ma non nel senso della religione, qui ho clienti che seguono altre religioni e non mi hanno mai sentito parlare in dialetto… CLIENTE Mai? TITOLARE Mai! Parlo in dialetto se mi guida l’animale ! CLIENTE L’animale? TITOLARE Vede che non capisce! CLIENTE Evidentemente la mia laurea non basta… TITOLARE Evidentemente! CLIENTE Che fa prende in giro? TITOLARE Non potrei mai, non posso permettermelo! Non sono laureato io! CLIENTE Perché un ignorante non può prendere in giro un laureato? TITOLARE No! No non può! Un laureato, cretino stupido che sia, è sempre un laureato… CLIENTE (Ride divertito) TITOLARE E’ soddisfatto vero? Una brava persona, un lavoratore che non ha studiato, sarà sempre un buon cristiano, ma ignorante…Comunque lei, mi ha dato dell’ignorante! CLIENTE Io? TITOLARE … Sì lei, poco fa! CLIENTE Nemmeno per sogno!... TITOLARE … E invece sì!(Ripete quello che ha detto)Perché un ignorante non può prendere in giro un laureato? CLIENTE … Allora lei mi ha dato dello stupido e cretino! … TITOLARE Però è laureato! 141 CLIENTE Non sono stupido e cretino… TITOLARE Non l’ho detto! CLIENTE … Però lo ha pensato (pausa) TITOLARE Sì! (secco) Sì l’ho pensato! CLIENTE Come si permette? TITOLARE E lei come si permette di gioire perché non ho letto libri, non conosco quello lì Teoforastico Napoleone eccetera? CLIENTE Gioire io ? TITOLARE Sì! Era raggiante! CLIENTE (Ammiccando con l’indice) Ha haa! Questo termine non è suo! Eh eh! Raggiante non le appartiene, lo ammetta, da chi lo ha sentito? TITOLARE Ha ragione signore, raggiante non è mio, è di un mio caro amico esperto di raggi… CLIENTE È radiologo? TITOLARE … Ripara le biciclette! CLIENTE Prende in giro? TITOLARE È laureato! CLIENTE Lei ce l’ha con i laureati, non può vedere la gente istruita, detesta la gente colta. È invidioso! TITOLARE … Detesto i presuntuosi, gli arroganti, i maleducati, quelli che ti guardano dall’alto in basso… CLIENTE Ha il complesso? TITOLARE Sono solista! CLIENTE Come? TITOLARE Niente! 142 CLIENTE (Parla come se si rivolgesse al muro) Lei è strano… molto strano, stranissimo! Come ci sono capitato qui? TITOLARE Me lo sto chiedendo da quando è entrato! CLIENTE Che risposta si è dato? TITOLARE Nessuna! Non capisco… non riesco a inquadrarla… mi fa paura! CLIENTE Glielo avevo detto che mi temeva! Ma stia tranquillo! Sono una persona mite! Mai alzato la mano su nessuno! TITOLARE … Non temo il suo corpo? CLIENTE Come? TITOLARE Non la temo, non ho paura della violenza fisica … CLIENTE Si spieghi! TITOLARE Non so, non so e non posso spiegarmi… mi spaventa, mi spaventa la sua mente … CLIENTE (Scoppia a ridere)Questa poi! TITOLARE Vede? Vede che ho ragione! Io ho paura e lei ride! CLIENTE … Ma certo che rido, mi sbellico! (Ride ancora)La mia mente! TITOLARE Ma… ha pensato quando finirà? CLIENTE Cosa? TITOLARE (Alza il tono)Questo dialogo! Questo dialogo, queste chiacchiere! CLIENTE Vuole che vada via? Vuole che esca? TITOLARE NO! CLIENTE Allora cosa vuole?? TITOLARE Questo è il dramma! Lei chiede a me, cosa voglio! Sono io che chiedo a lei cosa vuole? CLIENTE 143 Niente, gliel’ho detto all’inizio! Non lo so! TITOLARE …(Urla di colpo) Noooo! Non dica così che impazzisco! No no! CLIENTE (Deciso si avvia all’uscita)… Ho capito me ne vado … TITOLARE (Lo raggiunge bloccandolo) … Che ha capito? Dove va? CLIENTE Non lo so! TITOLARE Come non lo sa? CLIENTE Non - lo - so!! TITOLARE (Parla tra se, mette le mani sul viso quasi piangendo)Oh pòvere a mmè! Che peccàte so’ fàtte jì! E còme fàcce a scì da ‘stù fòsse, ji m’ammattìsce! CLIENTE (Preoccupato si avvicina per consolarlo, come lo sfiora l’altro viene colto da un attacco isterico) Si sente bene …. TITOLARE ODDIJE! ODDIJE! Aiùte! Aiùte! Ji m’ammattìsce! DONNA (Entra decisa una donna con delle buste. Una per mano. Avanza da un lato, attraversa la scena in diagonale dando le spalle al pubblico. Mentre lei entra, il titolare si ricompone come fosse colto in flagrante, il cliente si allontana dal titolare. Lei sparisce e velocemente riappare senza buste attraversando di nuovo lo spazio in modo inverso. A metà scena si blocca all’improvviso, li guarda; prima a destra il titolare e poi a sinistra il cliente. Senza parlare esce energica così com’ è entrata). ENTRAMBI (Appena lei è uscita di scena, allo stesso momento all’unisono guardandosi, l’uno dice all’altro)È sua moglie? ENTRAMBI No! CLIENTE Come no? TITOLARE Non è mia moglie! CLIENTE E chi è? TITOLARE Non lo so! CLIENTE Non ci posso credere! È entrata così decisa… 144 TITOLARE Ho visto ho visto! Pensavo fosse sua moglie … CLIENTE … Non sono sposato io… TITOLARE Non lo sapevo! CLIENTE Non mi posso sposare! TITOLARE Cosa le manca? CLIENTE … Non esisto io, lo sa! TITOLARE Ricomincia? (Pausa) CLIENTE Si può sapere chi è quella? TITOLARE Non si può sapere chi è quella perché non lo so, gliel’ho detto dieci frasi fa … CLIENTE Conta le frasi? … Questa è bella! TITOLARE La donna? CLIENTE … Le frasi! TITOLARE Mah! CLIENTE (Pausa) Non riesco a credere che una entra, lascia buste, esce e lei è tranquillo, non si chiede chi è? Perché è entrata? Cosa c’è in quelle buste? TITOLARE Quali buste? CLIENTE Le buste, la tipa aveva due buste ed è uscita senza! TITOLARE Ma no!... CLIENTE …Sì! TITOLARE Veramente? Vado a vedere! (Va velocemente dietro e torna) CLIENTE Allora? Ha visto le buste? Cosa c’è dentro? TITOLARE … Non ci sono buste, lei ha visto male! CLIENTE 145 No! TITOLARE Sì! CLIENTE Non ci credo! TITOLARE Vada a vedere! CLIENTE No, non fa niente! TITOLARE Non mi crede? CLIENTE Si! TITOLARE Allora vada a vedere! CLIENTE … Non mi interessa! TITOLARE … Ha paura? CLIENTE Di cosa? TITOLARE Del niente. CLIENTE (Turbato) Cosa? TITOLARE Ha paura delle buste che c’erano ed ora non ci sono più! CLIENTE No ho paura! TITOLARE (Deciso)Vada a vedere! CLIENTE No! TITOLARE …(Si avvicina e lo prende per il braccio)Ce la porto io! CLIENTE (Divincolandosi energicamente)Non mi tocchi! TITOLARE Venga, venga a vedere che non ci sono! CLIENTE (Deciso)Non mi interessano le buste! TITOLARE (Serio)Venga, venga a vedere le ho detto! CLIENTE Perché mi guarda così? Non ci vengo! 146 TITOLARE (Faccia spaurita voce cupa)Tanto non ci sonoo! Buuu!! CLIENTE Lei è strano, molto strano, una entra, non sa chi è e manco se lo chiede! TITOLARE Mi scusi, ma, secondo lei, che è un acuto osservatore, quanto tempo è stata quella donna qui dentro? CLIENTE Non lo so con precisione, ma, non più di trenta secondi. TITOLARE E allora cosa vuole che mi interessi, trenta secondi sono volati … CLIENTE Già! TITOLARE Veloci, volati insieme alle buste… CLIENTE Allora le ha viste? TITOLARE Non ci sono buste! Mai state le buste chiaro? CLIENTE Chiarissimo! TITOLARE Io non devo e non mi posso preoccupare dei trenta secondi della donna … CLIENTE Come vuole. Non si preoccupi. TITOLARE Il fatto è, che non so come andrà a finire questa storia…(Rimugina)La signora è entrata ed è uscita, le buste non ci sono … CLIENTE … C’erano… TITOLARE (Deciso)Non ci sono!... CLIENTE … Le ho viste.. TITOLARE (Accenna con la mano)Vada a vedere! CLIENTE No! TITOLARE La signora(pausa breve) è uscita… CLIENTE Ed io no. TITOLARE (Tace lo guarda, si guardano) CLIENTE 147 Eh caro signore, noi laureati capiamo anche il silenzio… TITOLARE Lei crede al destino? CLIENTE (Serio)Non sono domande da farsi queste! TITOLARE È una semplice domanda! CLIENTE Semplice? Cosa vuole che le risponda? Si? Sbaglio. No? Sbaglio. TITOLARE Risponda quello in cui crede… CLIENTE Le cambia la vita sapere se credo o non credo? TITOLARE Non le ho detto se crede o non crede. Ho chiesto se crede al destino. CLIENTE … È la stessa cosa, è tutto concatenato. La prego ritiri la domanda…anzi lo chiedo a lei. TITOLARE Cosa vuole che ne sappia io, sto’ qui dentro dalla mattina alla sera… (Si abbassa sotto il tavolo come per prendere o riporre oggetti tessuto od altro)E poi, lo volevo sapere da lei… ha studiato… DONNA (Entra spedita come prima, si ferma un attimo a metà scena, apre lo specchietto, si specchia brevemente, lo chiude, le cade la custodia morbida. Il cliente in silenzio si china raccoglie e lo porge alla donna) Grazie! (Prende la custodia e sparisce verso il solito posto) CLIENTE … Ma si figuri! TITOLARE (Non avendo visto niente alza la testa, parla e poi torna giù) Beh! Uno che ha studiato sa’ di più di uno che sa’ di meno no? CLIENTE È vero, ma non dicevo a lei. TITOLARE (Si alza lentamente e sofferente stralunato chiede) Come no! E con chi parlava? CLIENTE La signora! TITOLARE … Quale signora? CLIENTE La signora di prima…… quella … senza buste! TITOLARE 148 Avevo detto che non le aveva! (Ancora intento ad armeggiare sotto il banco) CLIENTE (Silenzio. Indicando nel retro) Adesso cosa fa? TITOLARE (Armeggiando) Rimetto un po’ in ordine qui sotto, dico sempre di farlo ma rimando sempre… CLIENTE Non dicevo a lei! TITOLARE … Ah no? (Si alza guardandosi intorno) Con chi parlava? CLIENTE Con la signora senza buste. TITOLARE Dov’è? La signora senza buste? Non l’ho vista! Si è volatilizzata? CLIENTE Non poteva vederla perché era chinato sotto il bancone! TITOLARE Capisco. CLIENTE (Pausa) Si, ma perché non esce? Cosa sta’ facendo? TITOLARE (Mette le mani ai fianchi e lo guarda dritto)Cosa dovrei fare? Sto’ cercando, volevo lavorare prima che lei entrasse. Vuole cacciarmi fuori adesso? CLIENTE (Alza il tono)Non mi riferivo a lei ho detto! TITOLARE Qua ci sto’ solo io caro mio sconosciuto! CLIENTE … C’è anche la signora senza buste! TITOLARE ‘N’àtra vòte! Dove sta’? CLIENTE Di la’ nel retro! TITOLARE Che sta’ facendo lì? CLIENTE Che ne so! TITOLARE (Armeggia canticchiando una canzone senza senso) CLIENTE Hei!....(Pausa) Insomma, una sconosciuta entra nel suo locale e lei che fa, canticchia e armeggia tranquillamente sotto il bancone? TITOLARE 149 (Alza la testa)Non è che voi due, vi siete messi d’accordo per farmi impazzire? CLIENTE … Già e chi la conosce quella! TITOLARE Sicuro? CLIENTE … Non sia mai! Deve essere matta! TITOLARE Può darsi… CLIENTE La gente è strana.. entra esce… TITOLARE C’è anche chi rimane! CLIENTE Come? TITOLARE Niente! CLIENTE (Pausa, si affaccia per vedere dov’è la donna) Secondo me lei ha qualche problema. TITOLARE Lei chi? Io o (Guardando verso il retro) la donna senza buste? CLIENTE Lei lei! TITOLARE …Già, e non so come risolverlo… CLIENTE …Come fa ad essere così sereno! TITOLARE Infatti non lo sono! Proprio per niente! CLIENTE Si rende conto? Un’estranea entra e non esce! TITOLARE E’ pazzesco vero? CLIENTE E’ incredibile! TITOLARE Lu vòve dìce curnùte all’àsene! CLIENTE Come? TITOLARE Niente! (Con voce cupa)Mah! Vado a cercare la signoraaa! (Si allontana nel retro) CLIENTE 150 Stia attento! (Lo segue con lo sguardo) TITOLARE (Comincia a parlare dal retro;esce con due buste) Non c’è nessuna donna qui. Lei non sta bene! CLIENTE (Vedendo le buste fa un salto ed urla isterico) Ah! Ah! Eh! Eh! Eccole eccole! Ah! Ah! TITOLARE Tu stì màle addavère! Che t’ha pijàte mo’? CLIENTE ODdìo oDdìo le buste, le buste! E lei dov’è? Dov’è lei? TITOLARE Lei chi? CLIENTE Come chi! La signora, la signora! TITOLARE ‘N’ge sta’ la signòre! CLIENTE Le buste le buste! TITOLARE … Allora? Non ha mai visto delle buste? CLIENTE Sì! Sì! Ma quelle sono della signora! TITOLARE … Non sono della signora! CLIENTE … Si prima le portava la signora… TITOLARE … (Deciso)Le ripeto che non sono della signora. Sono mie, vuole vedere cosa c’è dentro? CLIENTE Non mi interessa! TITOLARE … Allora la smetta con le buste. CLIENTE Ma la signora non c’è? TITOLARE Le interessa la signora? CLIENTE No! TITOLARE Allora la smetta anche con la signora. CLIENTE (Pausa) Mah! Io non ci sto’ capendo più niente … TITOLARE 151 … Sante parole! Santissime parole (Pausa, tra se) Quàse quàse me ne vàje, tànde ormai hècche! CLIENTE Che dice, che ha detto? TITOLARE Sa che ho detto? Quasi quasi me ne vado, tanto ormai qui la giornata è andata ed io non so come… CLIENTE …Se ne va? E dove va adesso? Non faccia scherzi! (Pausa) Mica può fare così! TITOLARE …Certo che posso! Posso posso, eccome se posso! CLIENTE Nel bel mezzo di … TITOLARE … Nel bel mezzo di cosa? Di cosa? Sono tante pagine che parliamo di niente… CLIENTE (Interdetto)Prima contava le parole adesso le pagine. Quali pagine? TITOLARE Tante parole dette insieme potrebbero formare delle pagine, e noi ne abbiamo composte più o meno 18. CLIENTE Noi? TITOLARE Noi! CLIENTE Anch’io? TITOLARE Anche lei sì, la signora, le buste della signora, Teofrustico Napoleone Aristoppila… CLIENTE Lei è matto! TITOLARE Sì. CLIENTE Come sì? TITOLARE Sì! Sì sono matto! Matto! CLIENTE E lo dice così? TITOLARE Se vuole lo dico sdraiato seduto saltando, come lo preferisce? CLIENTE (Tra se’) Oh Madonna Santa questo è matto veramente! 152 TITOLARE Senta, io non ce la faccio più, se vuole rimanere rimanga, io vado via! CLIENTE Che fa? Lei non può andarsene! TITOLARE … Oh sì che posso! CLIENTE Ma…ma il locale è suo, non può uscire … TITOLARE Appunto che è mio, posso faccio quello che cavolo mi pare, quando e come voglio…(indossa la giacca) CLIENTE … Non può lasciare uno sconosciuto solo, anzi due, non è buona educazione! TITOLARE … E lo so caro signore, ha ragione, sono ignorante e un grande maleducato … CLIENTE Ma su non dica… non faccia così! TITOLARE Cosa vuole, purtroppo la gente ben educata ed istruita non capisce e allora me ne vado … CLIENTE Stia qui! TITOLARE No! CLIENTE Non mi lasci solo! TITOLARE Addio! CLIENTE Dove va? TITOLARE Addio! Addio!(Forte) DONNA (Entrando spedita come sempre, a lui) Dove vai? CLIENTE (Frastornato da’ un’occhiata dentro e fuori) Come ha fatto ad entrare? Lei doveva essere lì dentro! DONNA E chi l’ha deciso che dovevo essere lì dentro? CLIENTE … Io l’ho vista, è entrata poco fa e non è uscita! DONNA E allora? 153 CLIENTE Come allora! (Al titolare) Ha sentito? (A lei)Senta questa non è mica un stazione ferroviaria! DONNA Appunto! Questo lo chiedo a lei! TITOLARE Oddio no no! Non ricominciamo! Lascia perdere andiamo, andiamo via! CLIENTE Come andiamo via! Perché mai dovremmo andare via? DONNA Perché sì! CLIENTE E’ una minaccia? DONNA …(Decisa si avvicina guardandolo negli occhi) E’ una minaccia! CLIENTE (Al titolare senza guardarlo) Chiami i Carabinieri! DONNA (Al titolare anche lei senza guardarlo)Chiama i Carabinieri! CLIENTE Io ho detto chiami i Carabinieri… DONNA (Ferma senza staccare lo sguardo)Io, dico chiama i Carabinieri! TITOLARE Mbè! Facète pàre o dìspari! ! (Staccano lo sguardo e minacciosi guardano lui) TITOLARE (Alza la mano) Vabbò! Chiamo i Carabinieri…(Si avvicina al telefono va per comporre il numero e…) Ma … che sto’ facendo? Che cavolo dico ai Carabinieri? CLIENTE Come che dico? Dica che ci vuole sbattere fuori! TITOLARE A lei vuole sbattere fuori, non a me! CLIENTE A me? DONNA A lei! CLIENTE (Guarda il titolare) Questa è bella!(A lui)Come cavolo si permette! DONNA Mi permetto mi permetto, eccome se mi permetto! CLIENTE 154 (Al titolare) E lei glielo lascia fare? Chiami, chiami i carabinieri! Ma guarda un po’ che tipa! Entra esce, con le buste senza, si trucca oh! Ma che è? DONNA (Si avvicina e lo fissa negli occhi) Si può sapere cosa vuole? CLIENTE (Incredulo) Io? DONNA Lei! Lei sì. Che è venuto a fare qui? CLIENTE Oh cielo è matta! (Cerca la complicità del titolare)Ha sentito? ! Vuole sapere da me cosa voglio!(Comincia a ridere) E’ comicamente surreale! (A lui ridendo)Ha sentito? TITOLARE (Ridendo imita) Si può sapere cosa vuole?… A lei? CLIENTE Sì sì a me! (Ride ancora più forte) TITOLARE Oddìo oddìo! (Sbellicandosi)Mo’ me mòre! DONNA (Seria al titolare) Che cavolo ti ridi tu? ! (All’improvviso silenzio) CLIENTE (Alla donna serio) Beh! Chi le ha dato ‘sta’ confidenza? Dia del lei al signore! DONNA Devo dare del lei a chi?? CLIENTE … Ha sentito bene, gli deve dare del lei! (Indicandolo) DONNA (Guarda il titolare)A chi? A lui? Io? (Scoppia a ridere. Guarda il titolare) Del lei a te! Ma va va ! (Ride all’impazzata) CLIENTE Che ti ridi? TITOLARE (Serio e duro alla donna)Esca immediatamente fuori, rientri e mi dia del lei! Subito! CLIENTE (Compiaciuto) Così si fa! DONNA (Mogia mogia) Devo uscire fuori… adesso? TITOLARE (Irremovibile) Immediatamente! 155 CLIENTE (Mentre lei si avvicina verso l’uscio) E beh! Quando è troppo è troppo! DONNA Buongiorno signore, mi può dire che diavolo vuole sto’ scemo? (Scoppia a ridere e ride anche il titolare) TITOLARE Signora bella glielo direi, ma non posso cara, perché non lo so! DONNA (Prende fiato)Scusi signore, visto che il locale è suo, mi dice allora perché non lo sbatte fuori a calci! CLIENTE A me?? DONNA Certo che sì signore! A lei! TITOLARE (Quasi piangendo)Scusi signora! Non ce la faccio sono troppo commosso! Vuole gentilmente chiederglielo lei perché è entrato? DONNA Già gliel’ho chiesto e non mi ha risposto! CLIENTE (Serio) Signora guardi, io non conosco il motivo che l’ha spinta qui dentro, ma sicuramente ci dev’essere! … DONNA (Interrompe)Guardi… CLIENTE Mi lasci finire! Se è qui una ragione ce l’avrà, però volevo dirle in tutta franchezza, che il suo linguaggio poco ortodosso non le fa onore ! DONNA Io volevo sapere … CLIENTE (Interrompe e quasi commosso) … Mi scusi di nuovo, perché mi ha dato dello scemo? Non ne ha il diritto! Lei non mi conosce, non sa chi sono… DONNA … Ha ragione… sono stata una sciocca. Sa, io entrando uscendo, ho ascoltato i vostri dialoghi e cercavo …. di … TITOLARE (Brusco a lei) Stàtte zìtte ‘mbò! CLIENTE … No perché? La lasci parlare! TITOLARE (A lei) Che devi dire? Cosa vuoi dire? DONNA Voglio dire che siete stati, anzi, (Al titolare) sei stato a chiacchierare e poi sei venuto…. TITOLARE 156 … La smetti? CLIENTE (A lei) E poi sei venuto?? Continui! DONNA (Indica il retro)E poi sei venuto a lamentarti con me lì dietro …. CLIENTE … Lamentarsi di cosa? DONNA … Di lei! CLIENTE Di me?(Guarda il titolare) TITOLARE Si di lei! Entra, non vuole niente, non parla, non esce, interroga, offende, … ma ma si rende conto che lei… CLIENTE (Al titolare)Gliel’ho detto che io non esisto! Gliel’ho detto o no? TITOLARE Me lo ha detto sì! CLIENTE (Al titolare) E poi lei si lamenta di me proprio con lei? DONNA Sì perché io posso entrare ed uscire dall’ingresso, dal retro … ho sentito tutto. CLIENTE Anch’io ho sentito tutto! TITOLARE … Lo so ma non è la stessa cosa! CLIENTE Perché? DONNA Io sono sua moglie. CLIENTE (Un attimo di silenzio, poi al titolare) Mi ha preso in giro! Mi avete preso in giro! Perché? Perché non me lo avete detto? TITOLARE Non volevo che lo sapesse! CLIENTE Perché? TITOLARE … Poteva essere pericoloso! CLIENTE Per chi? TITOLARE (Indica la donna)Per lei! CLIENTE 157 O Madonna! Per chi mi avete preso? DONNA Per nessuno o per tutti! Non lo sappiamo! TITOLARE Poteva essere un maniaco! CLIENTE Non sono un maniaco! DONNA Noi non lo sapevamo, poteva esserlo! Poteva essere un serial killer! CLIENTE (Pausa) Ho la faccia da serial killer? ! (Silenzio) Tacete, tacete, l’abito non fa il monaco … TITOLARE … La faccia è lo specchio dell’anima. CLIENTE (Mostra il volto)Cosa dice la mia faccia? Com’è la mia anima? Eh? DONNA (Autoritaria)Basta!... Basta. Scopra le carte! CLIENTE Questo non è un gioco! TITOLARE Uèi lu bardà! Mo’ avàste! Io sono una persona mite! CLIENTE Anch’io! TITOLARE Non ammazza le zanzare ma sarebbe capace di fare altro! CLIENTE Cosa? Cosa insinua? DONNA Le pare niente, le pare una sciocchezza questa storia? CLIENTE Ma che cosa ho fatto? Ho minacciato qualcuno? Ho rubato qualcosa? TITOLARE Sì! Il tempo! Lei mi ha rubato il tempo! È denaro sa? “Il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere” CLIENTE Buona memoria, bravo! (Indica il telefono) Mi denunci allora! Chiami il 112 e denunci che le ho rubato il tempo! DONNA Te sta’ a pijà pe’ culo! CLIENTE … Nel modo più assoluto! Controlli! Veda quanti minuti mancano dalla sua cassaforte e verbalizzi! Chiami, chiami la caserma! Ha anche una testimone! TITOLARE 158 E’ inutile che cerca di sdrammatizzare! Io sto’ qui per lavorare e lei con la sua assurda presenza me lo ha impedito, sì mi ha rubato il tempo! CLIENTE Capira’ che danno! DONNA Mbè! Per noi è un danno sì! CLIENTE Denunciatemi! De-nun-cia-te-mi! DONNA … E denuncialo no! TITOLARE Non dire stupidaggini! Che dico? Buongiorno Maresciallo, dovrei denunciare un signore che è entrato nel mio locale …. TITOLARE CARABINIERE Buongiorno! Si accomodi, mi dica, che cosa ha fatto? TITOLARE Niente! TITOLARE CARABINIERE Non ha commesso niente?…Che voleva? TITOLARE Niente! TITOLARE CARABINIERE Come niente? Ha rubato qualcosa? TITOLARE Sì una quarantina di minuti!... Sa che fanno? Denunciano me per oltraggio a Pubblico Ufficiale. CLIENTE (Abbozzando un piccolo sorriso)Esatto! DONNA E se il Maresciallo ti chiede se sai chi è? TITOLARE Gli rispondo che non lo so! DONNA Se ti chiede se questo signore ha i documenti tu cosa rispondi? TITOLARE Non gliel’ho chiesto. Però… (lo guarda) potremmo chiederglielo ora. DONNA Giusto!... Signor…signor non so, potrebbe mostrarci i documenti? CLIENTE Perché mai dovrei darvi le mie generalità? DONNA Perché abbiamo dentro casa uno sconosciuto e … TITOLARE 159 … Siccome è parecchio che è qui e non va via, vorremmo almeno sapere chi è lei. Chiediamo troppo? CLIENTE Quello che chiedete è giusto, più che giusto, ma io purtroppo non posso aiutarvi. DONNA Guardi, lei deve essere un brav’uomo ma … TITOLARE … Sarà sicuramente un brav’ uomo… DONNA Insomma, si metta nei nostri panni, come facciamo ad ignorare la sua presenza… CLIENTE (Serio)Guardate io vi capisco, lo so che la mia presenza non rientra nella quotidianità del convivere civile… DONNA Noi non vogliamo mandarla via, non vorremmo… in effetti… TITOLARE … Sì si, a parte le chiacchiere non è successo niente. CLIENTE Lo so lo so, vi ringrazio, siete delle brave persone , però temete una reazione, una qualsiasi… Anche io la temo. DONNA Da noi? TITOLARE Teme una nostra reazione? CLIENTE Eh sì! Potreste! Ne avete il diritto. TITOLARE Noi non abbiamo soldi… DONNA …Campiamo solo con l’attività di questa bottega… TITOLARE Faccio questo mestiere da bambino, e per impararlo non sono mai stato bambino… DONNA (Seria)Non lo prenda in giro!! CLIENTE No no già. Le chiedo scusa…ascolto! TITOLARE Sì, ho avuto anche io 12, 13, 14 anni, ma non andavo a giocare in strada. Non potevo vivere il mio tempo spensierato come i miei amici, perché, anche se guadagnavo poco, dovevo tirare il mio piccolo carro ed aiutare la famiglia. DONNA 160 Capisce adesso perché teniamo a questa bettola? TITOLARE … E’ la nostra unica risorsa. CLIENTE Capisco… lo so lo so, il mondo va così. Ci temiamo l’un l’altro…tutto quello che non rientra nella nostra visione delle cose ci fa’ chiudere in difesa. TITOLARE Oddìo, abbiamo capito comunque che lei non è violento… DONNA … No no già per carità … CLIENTE Siete sicuri? ! (Silenzio) CLIENTE (Solenne)“Homo homini lupus” TITOLARE Chi è? CLIENTE Lo scriveva Plauto, più o meno nel 212 a.C. DONNA Chi è Plauto? TITOLARE Lu cane di Topolino! DONNA Che stì dìce quello è Pluto! TITOLARE Ah è lu vère! Allora sarà un amico di Teofrustico! CLIENTE (Divertito)Non proprio, ma va bene lo stesso! DONNA Chi è Teofrustico? TITOLARE … Zìtte è ‘na storia vecchia! CLIENTE “Homo homini lupus” significa che l’uomo, è un lupo per l’uomo. TITOLARE Beh! Non è che adesso mi è più chiaro (A lei ) Tu ci capìte caccòse? DONNA Pe’ nnìnde! CLIENTE L’uomo, fondamentalmente è egoista, come un lupo prevale in lui l’istinto di sopravvivenza e sopraffazione sugli altri. TITOLARE 161 Allora che significa che ci dobbiamo magnà l’uno con l’altro? CLIENTE No. Però a differenza dei lupi, noi abbiamo creato leggi, che con le loro regole impediscono di sopprimere i più deboli e di comportarci come gli animali… DONNA …E manco ci si riesce! CLIENTE Manco ci si riesce!…E’ vero! Probabilmente dalla storia dell’umanità non c’è mai stato un periodo dove in alcuna parte del pianeta non ci sia stata una guerra. DONNA (Al marito) Però sa parlà! TITOLARE (Sottovoce) Frèchete cura gli avvocati! DONNA E’ medico? TITOLARE Dottore in legge. DONNA (Al cliente) E’ vero? CLIENTE Sì. DONNA Un uomo di cultura! TITOLARE (A lei)Vìde quànde è ‘mbortànde a jì a la scòle! La “u” o la “o” ti po’ cagnà la vìte! DONNA Mo’ ndì so’ capìte! TITOLARE … Se sei un uomo di cultura con la “u” còme hèsse, la gente ti rispetta, se invece lo sei di coltura con la “o” sì nu’ zappatèrre, nu gnurànde! CLIENTE Vedete… non sempre lo studio va a braccetto con la cultura…o meglio, non sempre la cultura è portatrice di benessere o felicità… DONNA Eh! Ma la persona che ha studiàte tè la còcce raffinàte! (Si sposta) ! (Canticchia una canzone strana mentre brevemente si sposta nel retro) ♪♫ Uà cnà, agadìndo’ asiò uà ghe bèll ♪♫ CLIENTE (A lei) Dove ha imparato quella canzone? DONNA Lunga. Lunga e complicata storia. Ricordi d’infanzia! 162 CLIENTE Ricordi d’infanzia? Questa non è musica locale sa? DONNA Lo so, ma lasciamo perdere la mia infanzia sennò facciamo notte! CLIENTE Lei è italiana? DONNA Sì, italiana, nata all’estero… CLIENTE In Africa? DONNA Le sembro africana io? CLIENTE No!... (Pausa) Io? Che dite di me? Sembro africano io? ENTRAMBI No! CLIENTE E invece sì! Vi ho già detto che l’abito non fa il monaco! TITOLARE L’abito no, ma la pelle sì… CLIENTE Eppure vi dico che sono africano! DONNA Non può essere … TITOLARE Beh no non è di colore!... CLIENTE Nato a Durban, Sud Africa… da madre inglese e padre abruzzese. DONNA E’ incredibile! CLIENTE Come vedete neanche la pelle fa l’africano… TITOLARE Stento a crederci! CLIENTE Uno pensa all’Africa e crede che siano tutti scuri, scalzi con l’anello al naso… l’Africa è … l’Africa è l’Africa e basta. DONNA Apposta mi ha chiesto della canzoncina che canticchiavo! CLIENTE Non voglio copiarla, ma anche per me sono ricordi d’infanzia…La canticchiavano operai al lavoro in un campo! DONNA Africani? CLIENTE 163 Africani! ♪♫ Uà cnà, agadìndo’ asiò uà ghe bèll ♪♫ TITOLARE Tu guarda, la sa veramente! CLIENTE La conosce anche lei? TITOLARE No! L’ho sentita da lei, la canticchia da sempre… DONNA La cantava mio padre mentre era intento a sbrigare piccoli lavori in casa… la cantava automaticamente come per darsi forza… CLIENTE E’ il significato della canzone… per darsi forza l’un l’altro…. DONNA (Guarda per terra) Avevo sei anni … lo seguivo dappertutto. TITOLARE (Si gira intorno)Beh! Abbiamo divagato parecchio …eravamo rimasti ai suoi documenti… CLIENTE La lingua batte dove il … vedete, qui, ogni persona per essere considerata tale, non basta essere persona… DONNA Cosa vuole dire? CLIENTE Puoi essere quello che vuoi. Bravo, bello, forte, ma deve essere scritto che tu sei bravo bello e forte. Ci vuole il pezzo di carta! TITOLARE E’ qui che il dente duole vero? CLIENTE … Dalle mie parti cammini in giro per case e villaggi, ti fermi, entri, ! ti siedi mangi, se c’è, bevi se ne hanno… non ti chiedono chi sei e il pezzo di carta che attesta che sei quello che hai detto… DONNA Quale parti? CLIENTE Dove sono nato io! TITOLARE In Africa? CLIENTE In alcune zone trovi grandi disagi povertà, sofferenza. Però vedi la luce negli occhi di chi ti guarda… TITOLARE E va bo’ però sono arretrati… DONNA C’è anche tanta ignoranza… 164 CLIENTE E questo voi lo chiamate progresso? Umanità? Cultura? DONNA Questo cosa? CLIENTE Qui vedo recinti, cancelli, portoni blindati, campanelli, video citofoni allarmi cellule … DONNA Oh, ma dove vive lei nel medio evo? Siamo in Europa mica nella savana … TITOLARE Alta, alta tecnologia signore, abbiamo il satellite che spia il pianeta e protegge le nostre case… giorno e notte. CLIENTE Il satellite che scruta tutto il globo, vi ha mai raccontato che in alcune zone, c’è molta gente che senza tanto clamore, senza manco lamentarsi muore semplicemente di fame? ! (Silenzio) ! E no! Queste cose il satellite non le vede… non è mica cattiveria però eh! E’ solo un piccolo problema di software … TITOLARE Che robba è? (Alla moglie) Tu le sì? DONNA Eh le so’ sendìte a dìce ma ‘nni capìsce! CLIENTE (Al titolare) Facciamo un esempio molto semplice: Se decide di tirarmi un pugno cosa usa? TITOLARE Io? CLIENTE … Lei! TITOLARE Mbè che discorso è? Un cazzotto!... Il pugno, la mano chiusa … CLIENTE Esatto! E questo si potrebbe chiamare anche Hardware! TITOLARE (Si guarda il pugno soddisfatto) Uèi! Arduèr! So’ ‘mbaràte n’àtra còse! CLIENTE Ma se io decido di non tirarlo, se la mia mente non vuole, chi è che mi impedisce di farlo? DONNA La sua testa, il cervello…. CLIENTE Questo è il software! 165 DONNA È la volontà allora! CLIENTE … In un certo senso!... Il satellite c’ è , vede, però manca … TITOLARE … La volontà di fare la spia … CLIENTE E’ una macchina. Non può decidere. Registra tutto, ma l’uomo trova il modo di far finta di non vedere. Eppure chi li ha progettati è gente che ha studiato… ALTRI DUE (Silenzio) CLIENTE È un consorzio multinazionale di scienziati … ma come dicevamo prima…. Questa cultura, lì, non genera ne’ benessere ne’ felicità… DONNA … E ma questi sono discorsi complicati… TITOLARE … E che significa? Allora adesso, dobbiamo abbandonare tutte le conquiste tecnologiche perché in Africa si muore di fame? CLIENTE No no chi ha detto questo!... Lei è credente? TITOLARE Sì! DONNA (Al marito) Tu?? TITOLARE (A lei)Jì eh! Picchè te risùlte che so’ ‘na bèstie? DONNA Non dia retta, va a messa due volte l’anno! Seppure. TITOLARE Se uno crede crede, questo non dipende dalla quantità di volte che si entra in chiesa… DONNA Si figuri non ricorda mànghe ‘na preghiera… CLIENTE Lei le ricorda? DONNA … Sì! CLIENTE … Tutte? DONNA Le più importanti! CLIENTE Ah! E quale sarebbe per lei una importante? 166 DONNA Sono belle tutte ma… io recito… insomma, ogni tanto Il Padre Nostro. TITOLARE Io non vado in chiesa però prego tutti i giorni… DONNA Tu?? TITOLARE Sì sì io! Te pàre stràne? DONNA Non ti vedo mai!... TITOLARE E scì mo’ le dìche in piazza e le pubbliche sul Centro! CLIENTE Secondo voi, il Padre Nostro è ancora attuale? DONNA Ma che scherza? E’ fondamentale! CLIENTE Mah! Secondo me, si dovrebbe ritoccare qualche passaggio… DONNA (Decisa) Mbè! Nin me tucchète lu Pàtre Nòstre ca sennò mo’ ce scàppe ‘na furbiciàte! TITOLARE (Compatto con la moglie)Eh Eh! Nin pazzijète! Ca se fìne e mo’ sème stàte educate mo’ ce scappà lu mòrte hècche! CLIENTE Calmi! Calmi!... Avete visto? Come si tocca la religione invece di unirci ci sbraniamo. La nostra piccola domestica Guerra Santa… DONNA Lascète stà le Sande! CLIENTE Non li tocco! Non li tocco… “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” quando è stato scritto aveva senso, perché le persone erano semplici, si accontentavano.”Il pane quotidiano per loro era tutto” TITOLARE E’ importante pure mo’ avè lu pane quotidiano … CLIENTE … In Africa! Dove il satellite finge di non vedere, dove il software fa’ lo gnorri…lì ha senso! Qui da noi, da voi, in occidente, forse la chiesa dovrebbe aggiungere altro al Padre Nostro… Il Pane quotidiano qui non basta. DONNA Mbè visto che lei sa’ tutto, vada al Papa e suggerisca! TITOLARE …Sì magari Lui è distratto da tante attività e non ci pensa! DONNA 167 E che ci vuole, tanto Roma è vicina…(Divertita sotto tono al marito) Jì mèttene la camice de fòrze! CLIENTE Buona idea! Ho in mente qualche aggiustamento ma me lo devo appuntare sennò dimentico. TITOLARE (L’occhiolino alla moglie) Ci faccia sentire, così le diamo un parere! DONNA (Complice)Sì si! Vediamo com’è, sei orecchie so’ meglio di due no? CLIENTE (Passeggiando nella stanza riflessivo e calmo) Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra, dacci oggi il nostro pane quotidiano, una buona bistecca, dei formaggi misti, buon vino doc frutta e…. TITOLARE … Caffè spumante! E che è lu menù pe’ le spùse? DONNA (Divertita)… Zìtte sindème! CLIENTE … Dacci della buona acqua e fa’, che nei nostri pasti ci sia il giusto equilibrato apporto di nutrienti certificati e suggeriti dal LARN… ! (Moglie e marito si guardano in silenzio e lui riprende con fare solenne) CLIENTE … Dacci, una bella casa al centro, una al mare, un’altra in montagna. Dacci un SUV, una berlina, una sportiva, una ecologica per il centro. Un fuoribordo, un bialbero, bei vestiti, tecnologia avanzata… fa’ che la nostra immagine sia impeccabile ed in linea alle tendenze moda. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione e noia ma liberaci dal male Amen. DONNA Adesso abbiamo capito perché è qui e non lo sa! Lei ha bisogno di cure. CLIENTE Dice? TITOLARE Sì! Ci vuole un medico speciale… di quelli che curano…che curano … come ha detto lei… (Si tocca la tempia con l’indice)sì, quelli che curano il software… CLIENTE C’è poco da scherzare! Se solo bastasse il pane quotidiano saremmo i più felici del pianeta! DONNA Noi non scherziamo … lei ha veramente bisogno di cure. CLIENTE 168 Sto’ bene grazie! Sto’ bene! Sto’ bene! (Si siede e mette il volto tra le mai,comincia a piangere piano senza troppo clamore) DONNA Che ha? (Al marito) C’ha fàtte? TITOLARE Boh! DONNA Si sente bene? CLIENTE (Non risponde) DONNA (Al marito sotto voce con fare risolutivo) Scì ma què nin po’ sta’ chiù qua mo’ eh! Se ne da’ jì! TITOLARE (Piano e rassegnato) ‘N’ze ne va! DONNA Càccele fòre! TITOLARE Picchè? DONNA Còme picchè! E da ùje che sta’ qua, ‘n’da fàtte fa’ nìnde! N’zìja mai arvè pùre dumàne! TITOLARE (Silenzio come non avesse capito o sentito) DONNA (Al marito)Oh! N’ghe te’ la hàje! TITOLARE Chi vvù?? Chi càvule vù da me? DONNA Càccele fòre! TITOLARE … Caccèle tu’! DONNA Jì?? TITOLARE Tu’ le vu’ caccià e càccele allòre! DONNA … A me nin m’ha fàtte nìnde! TITOLARE … Mànghe a ‘mmè! DONNA … Tìttele èsse! Mittèmeje ‘na brandìne lla ‘rrète ‘ccuscì ce pàssa la notte! TITOLARE E… ma nin po’ sta’ qua pe’ sìmbre! DONNA 169 Ma picchè? Picchè pròprie qua? Te l’ha detto? TITOLARE Nòneee! No! Nìn sàcce mànghe còme si chiama! CLIENTE (Con il volto tra le mani, le allarga e lascia uscire la voce fioca)Giuseppe. DONNA Ah Giuseppe! Finalmente ‘na cosa normale! Giuseppe! Come me! TITOLARE Mo ti chjìme Giuseppe tu? DONNA … Giuseppina da Giuseppe no! Come nonnò! TITOLARE (Prende coraggio) Giuseppe… non sia triste …ma insomma io, noi dovremmo andare via e…. CLIENTE Dovrei uscire anch’io? TITOLARE Sa …dovremmo tornare a casa! DONNA (Al marito sottovoce) Dìje di scì ccuscì se ne va! TITOLARE (A lei)E n’de dispiàce? DONNA Ma si scème!! CLIENTE Non so dove andare! TITOLARE Ce l’ha una casa? CLIENTE (Non risponde) DONNA … Una famiglia? CLIENTE (Non risponde) TITOLARE Degli affetti? CLIENTE Sono immigrato… immigrato clandestino. TITOLARE Non ci posso credere! CLIENTE Non mi crede nessuno… TITOLARE Ma come? E’ Dottore degli avvocati conosce Aristotile Tefrustico CLIENTE 170 (Pacato e rassegnato) Teo-frasto! DONNA Come ha fatto a studiare a laurearsi! CLIENTE Nel mio paese ero qualcuno…poi una rivolta popolare ha distrutto gli archivi… mi hanno bruciato i documenti … DONNA Perché? CLIENTE Non essendo di colore ero considerato una oppositore del regime e una spia dei ribelli…. TITOLARE E poi che ha fatto? CLIENTE E’ stata dura… sono vivo per puro miracolo, volevano ammazzarmi! DONNA E’ fuggito? CLIENTE No! Conoscendo bene le lingue, essendo del posto, sono riuscito a corrompere un miliziano… DONNA …Un film! CLIENTE Purtroppo è realtà! … TITOLARE Mi dispiace… e i suoi? CLIENTE La storia è lunga… Mia madre era figlia di un ufficiale inglese. Mio padre era prigioniero in un campo… DONNA Che aveva fatto? CLIENTE Niente! Era prigioniero di guerra, come tanti italiani… TITOLARE Brutto periodo! Mio padre fu deportato i Grecia... DONNA E poi? CLIENTE Siccome papà era un bravo artigiano, l’ufficiale lo chiamava spesso nel loro alloggio… mia madre era bellissima affascinante …era una giovane colta ragazza inglese… TITOLARE Suo padre? CLIENTE 171 Era un abruzzese purosangue, a malapena conosceva l’italiano… però, imparò presto l’inglese per un’ ardente sete di conoscenza …. TITOLARE Era bravo! CLIENTE Voleva conoscere e conobbe la bella figlia dell’ufficiale… DONNA Chiamalo fesso! CLIENTE Si presero subito. Papà era giovane allegro e mattacchione… ! Lei si divertiva; la conobbe così bene che… dopo tante belle indimenticabili serate nacqui io. DONNA Che bella storia! CLIENTE Bella sì! Ma fu una relazione sentimentale molto burrascosa. Mio nonno non voleva che io nascessi! DONNA Motivo? CLIENTE Sa! Il padre era abbastanza emancipato, ma loro non erano sposati. Io ero frutto di una relazione clandestina con un prigioniero italiano e lei era figlia di uno stimato ufficiale inglese… fu molto difficile! TITOLARE A quei tempi poi! CLIENTE Grazie a Dio l’amore di mamma non ha bandiera… ! Lei mi ha fatto nascere ed istruito, mio padre ogni tanto tornava in Italia. Di lui ho perso le tracce … ho saputo che girava per l’Europa… TITOLARE Sua madre? CLIENTE Mother…dear sweet mother! (Sospiro) Ero adulto indipendente, mio padre, non tornò più… Lei decise di raggiungere i suoi nel Regno Unito… DONNA Dov’ è adesso? CLIENTE Alle porte di Londra, credo, spero! … In campagna. TITOLARE Non ha voglia di rivederla? CLIENTE Tutti i giorni, tutti i giorni! Lo farò presto, ma adesso mi è impossibile. Dovrò ricostruire la mia identità … Anche se lì ho lasciato il cuore… non 172 potevo più restare in Africa …così ho deciso di fuggire clandestino per l’Italia… TITOLARE E’ incredibile! E’ incredibile lei clandestino! Come ha fatto ad arrivare in Italia? CLIENTE In Africa, essendo bianco, rischiavo la pelle ogni minuto…non avevo documenti… così mi sono imbarcato. Clandestino tra clandestini… in sala macchine di una nave cargo. TITOLARE Da quanto tempo è in Abruzzo? CLIENTE Qui da poco… ho vagato parecchio arrangiandomi come ho potuto. DONNA Quindi lei, qui, oggi, è senza documenti? CLIENTE Io non esisto. Ne’ in Africa ne’ qui! TITOLARE (Alla moglie)Non scherzava! Non scherzava! Mo’ so’ capìte! DONNA (Respira) Fiù!! Mamma che storia! TITOLARE Giuseppì mo tinème chiùde però! DONNA Signor Giuseppe …guardi, chiediamo scusa… a noi dispiace… veramente! Dobbiamo andare… CLIENTE Grazie… Sono io che chiedo scusa a voi… sono stato prepotente… violento! Mi sono illuso … illuso. Credevo cercavo!... Non esisto… io non esisto. TITOLARE Chiediamo scusa noi! Non potevamo immaginare… DONNA Che roba! Sto’ pomeriggio è durato ‘na vita! CLIENTE Arrivederci… no no, tranquilli, tranquilli! Addio! (Si alza mentre esce cade un foglio di carta) DONNA Ci dispiace! Veramente! TITOLARE Aspetti, aspetti un attimo le è caduto un foglio! CLIENTE (Rigira) Ah grazie! Meno male… ci tengo molto! DONNA Una cartolina! 173 CLIENTE … E’ una foto! (La mette in tasca e si avvia rassegnato verso l’uscita) Grazie, grazie ancora! DONNA Si può vedere? CLIENTE (Frena )Se desidera! (Rigira mogio mogio) TITOLARE Sìmbre la solita pittilona!(Si avvicina per vedere) DONNA Io sarei la pittilona eh? CLIENTE Scusatemi, piano, è l’unica che mi è rimasta! TITOLARE Chi sono? (Guardano in tre) CLIENTE (Non risponde subito, guarda di nuovo anche lui)Qui erano giovani… e sì… belli vero? TITOLARE Ah Ah! So’ belli! CLIENTE Li conoscete? TITOLARE No mai visti. (Alla moglie) Tu li conosci? (Lei non risponde) CLIENTE (Trattiene prima di parlare) Questi sono… Mamma e Papà! (Prende la foto e prova ad uscire)Grazie di tutto… Addio! DONNA (Sconvolta lo blocca senza parlare tirandolo per la giacca) ! (Incredula) Questi due sono veramente i... i suoi genitori?? CLIENTE Sì! DONNA (Sfila velocemente la foto, mostrandola al marito con il dito, piegandosi per non cadere) Guà! Guarda! Finalmente mo’… lo conosci pure tu’ Questo è … (Trattiene il respiro commossa) questo è… Papà e … (Al cliente guardandolo negli occhi singhiozzando) Tu… tu sei mio fratello! (Lo tira a sé vicino al marito e si abbracciano) ! (Buio) ! ! 174 ! Torna a casa amico Ciao amico, buona sera… Scusa non volevo farti scendere dal marciapiede… Il mio cane ha il guinzaglio lungo…scusa. E’ buio, sono le una di notte, non ti ho visto bene. Perché giri a quest’ora? E’ buio, piove …è molto pericoloso. Il mare è in burrasca, il vento soffia forte, potresti cadere... La tua bicicletta non ha luci, fermati non andare… Chi vuoi che compri le tue rose a quest’ora… Fermati amico scendi, le auto non ti vedranno… Il prossimo ristorante aperto è a sette chilometri… piove non andare. E’ troppo buio, fa freddo ci sono 3 gradi, scendi, non vale la pena. Non è la serata giusta, credimi amico… E’ già 25 dicembre, la gente è in casa… Non andare, i locali stanno chiudendo… Le persone vanno a letto … Sei nuovo da queste parti… sai, domani per noi sarà un giorno speciale. Domani si sveglieranno presto. Lo so… hai bisogno amico…credimi questa notte nessuno prenderà le tue rose. Non andare… è Natale! Scendi, vai a casa …comprerò io le tue rose! Dammele, le comprerò tutte…. Scendi dalla bicicletta. E’ pericoloso, voglio che torni a casa ad asciugarti… Voglio che torni a casa a riposare… Se hai qualcuno che ti aspetta, vai… Le voglio tutte, comprerò tutte le tue rose… No, non ho fidanzata, non ho moglie… Non voglio sconti, le tue rose hanno un grande valore… Non devi ringraziarmi amico, io voglio ringraziare te, per il tuo lavoro, per il tuo impegno, per l’amore verso la Tua Famiglia… Grazie Amico. Non preoccuparti per me, stai tranquillo le rose mi piacciono … domani ne regalerò una ad ogni donna che incontrerò per la mia strada, ogni donna ha il diritto di ricevere una tua rosa… ogni Tua rosa ha il sapore della sofferenza, della distanza, della gioia e della vita. Io le prenderò tutte amico, basta che scendi dalla bicicletta. Vai, vai, torna a casa amico mio… consegnerò per te, le tue rose…. ! 175 ! Wake up John! Sopra la neve fame, sotto la neve pane…brutta l’ignoranza. ‘Sta neve non finisce mai. Che ne sapevo che Boulder era a 16oo metri d’altezza. Qua è fame pure sotto. Che ne sapevo io del Colorado. L’America per me era l’America. A Torricella neve, qua neve. Ho sbagliato tutto! E mo qui, parlo da solo. Lui dorme! Guarda che devo vedere. Alla sua età sentivo l’erba crescere. Guarda là, io a 18 anni ero già muratore. Il muratore. Costruire case chiese, il mio sogno. Mastro muratore, no manovale! Ho iniziato presto io. Mi ve’ da piàgne! Ho le mani spaccate dal gelo e parlo da solo. Cosa mi tocca subire! Dorme! Al paese mi dicevano: Nicò! Vai in America Nicò! Là ci sono i dollari, là sì che puoi alzare muri! Che ti vu’ alzà qua! Il freddo gela. Per imparare ho speso la mia gioventù. Ho pagato con le mie ossa. Il mio mastro muratore era il più bravo, bravo ma geloso. Non voleva che imparassi la sua arte. Aveva capito che ero curioso. Le sue tecniche, quelle da vero maestro, non me le faceva vedere. Così quando stava per iniziare un lavoro particolare, trovava una scusa qualsiasi per mandarmi via. Quando lui furbo, mi spediva a svolgere le sue finte commissioni, mi nascondevo e sbirciando rubavo il mestiere. Eh sì, lu mistìre s’arrùbbe! Ero ladro ma non fesso. Era il migliore, ma era matto. Mi trattava come un asino. Pe’ ‘mbarà lu job fingevo di non capire e lui giù calci e sberle. Raccontava a mio padre che ero svogliato, che non volevo apprendere. Tornavo a casa stanco e svuotato e lì prendevo altri calci in culo. Le mie giornate erano un inferno. Quanti sacrifici e mo’ parlo da solo. Non ci posso credere, non è possibile, tu non sei figlio mio. Tornasse mio padre mi prenderebbe a schiaffi. Un giovane, un pezzo di giovane così a quest’ora ancora a letto. Volevo insegnarti il mio mestiere e tu no! Troppo pesante. Il calzolaio troppo sporco, lu sartòre è troppo noioso. Ma che vu fa’ da grande? Allora dormi!... Madonna Santa quanta neve! Si scioglierà ad aprile… E noi che mangiamo? Era meglio se rimanevo a Torricella, almeno tra una cipolla e l’altra passava l’inverno. Parla, parla da solo Nick. La colpa è tua, non dovevi salire su quella nave. Parla Nick! Questo ti meriti! E tu dormi! Sveglia John! Non senti vero? Wake up John! Meno male, meno male che non mi senti. Ti vergogneresti di me. Dormi. Tuo padre è affamato, disperato e piange… piange con le mani spaccate dal gelo, piange perché è deluso… Volevo darti un futuro migliore del mio. Ma si, dùrme! Dormi figlio mio! Perdonami . Ogni volta che ti ho sgridato è stata una pugnalata al mio cuore, ogni cazziatone che ti facevo era per me, alla mia ignoranza. Dormi, dormi e sogna cose buone… John – Pà Nick Uèi John, sei sveglio! John Pà Nick Dimmi John! John Hai la faccia bagnata pà, perché hai gli occhi rossi? Nick Fa troppo freddo John… sono raffreddato John Pà! 176 Nick Dimmi John! John Vorrei andare a Los Angeles Nick Dove si trova Los Angeles? John In California pà! Nick Cuscì lundàne! Perché vuoi andare lì ? John A Los Angeles non nevica mai, è a 70 metri di altezza pà! Nick Cavoli più basso di Torricella! L’hai detto a tua madre John? John Si, la mamma lo sa da tempo Nick Perché non l’ hai detto pure a me? John (Silenzio) Nick Hai ragione. Ti avrei sgridato. Che ti ha detto la mamma? John Va con il nome di Dio e che la Madonna ti accompagni… Nick John! … Fa vedè John! Guardami, hai gli occhi umidi! La faccia bagnata, maledetta neve, pure tu il raffreddore! John No. Non è il raffreddore pà… Ero sveglio. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 177 MERHAWI GHIBTSAWI (Eritrea) Il viaggio della disperazione Era d’estate quando ho iniziato il mio viaggio per una scuola migliore, per andare al College Sawa. Così ho dato l’addio alla mia scuola preferita e nel salutarla ho detto: “ci vediamo tra 20 anni”. Questi erano gli ultimi saluti ma poi ho ripensato a quello che avevo detto e mi sono sentito malissimo. ! È qui che è iniziato il viaggio con i miei compagni di scuola, con le chiacchiere, i sorrisi e lo spirito felice. Poi dopo aver viaggiato in pullman per quasi 13 ore siamo arrivati finalmente al College Sawa. ! Tutte le cose erano nuove per me, con il sole che bruciava mi sentivo strano e poi è arrivata la notte. Ci hanno fatto vedere dove avremmo dormito e ci hanno spiegato da chi avremmo ricevuto gli ordini. Il giorno dopo siamo stati svegliati con un fischietto alle cinque di mattina e ci hanno ordinato: “tutti in riga!”. Noi poveri studenti ci siamo messi in riga con la paura di non sapere nulla della vita militare. Dopo il saluto di benvenuto ci hanno divisi in gruppi per iniziare l’addestramento militare. ! Abbiamo iniziato a correre al ritmo di un fischietto. Tutto l’addestramento era sotto al sole e al vento che sollevava la polvere. Tutto questo era nuovo per noi, la nostra vita era cambiata improvvisamente, dalla penna al fucile. ! Dopo tanto tempo è arrivata la fine dell’addestramento militare e abbiamo festeggiato, ricordando tutto quello che avevamo passato insieme. Ci stavamo preparando per la fine del liceo e stavamo aspettando l’arrivo il ministro dell’educazione invece è arrivata soltanto la ministra per le pari opportunità. Verso le sette di sera siamo andati all’assemblea e qui è iniziata la disperazione di tutti gli studenti perché non era arrivata la persona che aspettavamo. Quando la ministra ha cominciato a parlare tutti gli studenti hanno protestato e il comandante del campo allora ha detto: “tutti i maschi si alzino e vadano nelle loro stanze”. Quando le mie orecchie hanno sentito queste parole del comandante mi sono spaventato e ho pensato: “domani ci ammezzeranno per quello che abbiamo fatto”. La notte non riuscivo a dormire pensando a quello che poteva succedere la mattina dopo. ! Ci siamo alzati alle cinque di mattina e tutti i militari che facevano gli istruttori hanno iniziato a fischiare per tutto il campo e hanno ordinato agli uomini di uscire fuori dalle stanze, dicendo: “uscite, uscite, tutti in riga” e prendendoci a calci. Ci siamo tutti allineati e i militari erano armati come se stessero per andare in guerra. Ci hanno detto: “tutti in piedi”, poi un altro ha detto “seguitemi”. Dopo un’ora di cammino in fila siamo arrivati sulla montagna più alta e più grande della zona e una 178 volta lì ci siamo messi in messi di nuovo in riga e ci hanno ordinato di girare cinque volte intorno alla montagna. ! “Mamma mia, questi ci hanno portato qui per ammazzarci”, così aveva detto Wedi Gedam, il mio migliore amico e io gli ho detto: “stai tranquillo, tutto passerà”. Dopo tanto sacrificio, con il sole che bruciava, la fame e la sete abbiamo finito di eseguire l’ordine che ci avevano dato. È qui, su questa montagna, che muore un nostro compagno di scuola. Dopo tutto questo, io e il mio amico Wedi Gedam, abbiamo deciso di scappare via dalla nostra amata terra. Qui è cominciato il nostro viaggio per il Sudan. La mattina verso le quattro, mentre tutto il campo dormiva, sono andato dal mio amico e l’ho svegliato a voce bassa, dicendo: “alzati, alzati”. Siamo usciti piano e abbiamo scavalcato il recinto spinato. Dopo un’ora e mezzo di cammino siamo arrivati in un posto che si chiama Forto Sawa e siamo entrati in un locale per fare colazione e riposarci. A un certo punto abbiamo visto arrivare un camion pieno di soldati diretti verso Asmara e ci siamo spaventati. Anche loro erano lì per riposare, ci hanno chiesto dove andavamo e noi abbiamo risposto che andavamo ad Asmara, mentre il nostro viaggio era per Haikota. I soldati ci hanno proposto quindi di andare con loro, però arrivati all’incrocio per Haikota siamo saltati giù dal camion. Eravamo senza soldi, né cibo e né acqua e così arrivati ad Haikota abbiamo chiesto aiuto agli abitanti della città per avere un po’ di cibo e acqua. Abbiamo aspettato fino al tramonto per iniziare il nostro cammino per il Sudan. Tutto questo cammino è stato fatto verso Teseney e Lafa e dopo un giorno e mezzo di viaggio siamo arrivati nella città di Kasala (Sudan), dove abbiamo incontrato un signore etiopico che parlava la nostra lingua. Dopo uno scambio di saluti, gli abbiamo raccontato la nostra storia, di come siamo arrivati dall’Eritrea e che non sapevamo cosa fare. Quest’uomo ci ha portato a casa sua e ci ha chiesto cosa volevamo fare e dove volevamo andare. Gli abbiamo detto che volevamo andare a Khartoum e ci ha spiegato che se la polizia ci avesse trovato senza documenti ci avrebbero arrestato e mandato indietro nel nostro paese. Si è offerto quindi di accompagnarci lui per 1.000 dollari. Dopo due o tre giorni i nostri fratelli ci hanno mandato i soldi e siamo partiti subito per Khartoum insieme a quel signore che ci ha portato dove si trovavano i nostri connazionali. Arrivati a Khartoum, dato che era rischioso rimanere lì senza i documenti per i rifugiati, abbiamo deciso di metterci in viaggio verso la Libia ma per fare questo viaggio ci volevano le persone che conoscono la strada e ci volevano i soldi. Alla fine abbiamo incontrato delle persone che si sono offerte di portarci fino a Tripoli pagando 1.500 dollari a persona. Il mio caro amico che non aveva questi soldi e nessun aiuto, ha deciso allora di rimanere, mentre io ho chiesto aiuto ai miei fratelli e mi hanno mandato subito i soldi. ! Sono partito con dei criminali senza scrupoli, libici e sudanesi, ci hanno fatto salire su un pick-up per quattro persone e invece eravamo in 39 oltre alle provviste per due settimane. Durante questo viaggio muore un’altra persona, un signore 179 dell’Etiopia che aveva il diabete. Questo è stato il viaggio che non avrei mai immaginato nella mia vita. Dopo 17 giorni di strada ad alta velocità siamo arrivati a Tripoli, dopo tre giorni ho incontrato quelle persone che ti fanno salire sulle barche della morte o della vita e dopo una lunga trattativa mi hanno chiesto 1.200 dollari per portarmi in Italia. ! La mattina alle quattro, prima che incominciassero a girare i poliziotti, ci siamo incamminati verso il mare … SI, IL MARE! Il viaggio più amaro, per la morte o per la vita, che avevo tanto desiderato per poter arrivare nei paesi dove c’è la libertà, la democrazia e il rispetto dei diritti umani. È per questo mio sogno che ho deciso di rischiare la vita. ! Ci avevano promesso una nave e invece abbiamo trovato una barca di legno dei pescatori e siamo saliti a bordo in 280, 60 donne e 220 uomini, tra cui anche dei bambini e alcune donne che hanno partorito sulla barca. Dopo tre giorni di viaggio abbiamo chiesto aiuto via radio perché il mare era troppo agitato, abbiamo avvertito i nostri amici e sono arrivate cinque grandi navi della Marina e un elicottero. Dopo aver fotografato e filmato la barca ci hanno fatto salire sulle loro navi e siamo arrivati tutti sani e salvi fino a Lampedusa con il grande aiuto della Marina. Dopo tutto questo viaggio amaro siamo arrivati proprio dove volevamo. Però il nostro viaggio ancora non era finito, alcuni volevano continuare per il nord d’Europa, altri per l’Italia, la Norvegia, la Svezia, la Germania, ognuno secondo il proprio desiderio. A Lampedusa ci hanno preso le impronte digitali e ci hanno dato il permesso per stare in Italia per un anno, dicendo che avremmo avuto il diritto di chiedere una casa, di avere 750 euro al mese e di andare a scuola. ! Dopo 21 giorni nel centro di accoglienza ci hanno chiesto di andarcene e noi abbiamo detto: “non abbiamo né soldi, non sappiamo dove andare”, ma il responsabile del centro ci ha risposto che avevamo i documenti e che ora dovevamo andare via. Io e altri miei amici abbiamo preso un pullman per arrivare a Palermo e arrivati lì abbiamo chiesto a un signore italiano dove dormire e lui ci ha ospitato per una notte e poi ci ha aiutato a prendere il treno per Roma. ! Arrivati a Roma, dopo 12 ore di viaggio, tutto era nuovo per noi, non sapevamo dove mangiare, dormire, lavarci. Poi dopo qualche giorno alcuni connazionali ci hanno fatto conoscere la Caritas dove poter almeno mangiare. La vita è stata molto dura due settimane senza lavarci. ! In quel periodo ho avuto un piccolo assaggio della vita da barbone, poi una notte mi sono detto: “basta, così non si può vivere più”. Ho chiesto a me stesso: “ho rischiato la mia vita per tutto questo?” Allora ho deciso di andare in Svezia per tentare un'altra vita e dopo essere arrivato a Stoccolma ho chiesto asilo politico. Lì mi hanno preso di nuovo le impronte digitali e hanno visto che ero già stato in Italia. Per gli Accordi di Dublino non potevo chiedere asilo politico se già l’avevo chiesto in 180 altro paese. Gli svedesi mi hanno spiegato che questa è la legge europea e che mi dovevano mandare in Italia ma che, finché l’Italia non mi avesse accettato, avrei avuto il diritto di studiare la lingua, di lavorare e avrei avuto un piccolo aiuto per il cibo e per la casa. Io ho accettato tutte queste condizioni che mi hanno offerto però ero scontento perché mi avrebbero mandato via. Sono rimasto in Svezia quasi un anno a studiare e lavorare. Lì ho intravisto un piccolo barlume di libertà e democrazia. ! Dopo tutto questo, è arrivata la decisione di tornare in Italia. Arrivato in Italia sono andato subito in questura per rifare i documenti, perché nel frattempo erano scaduti. Lì c’era tanta fila, meno rispetto per gli immigrati e quando chiedevi qualcosa ti rispondevano con maleducazione. La legge dice che i documenti devono essere rinnovati entro 20 giorni, però l’attesa si allunga spesso di più di un anno e mezzo e se non hai documento non puoi cercare e trovare un lavoro. ! Tutte queste cose messe insieme ti portano sulla via della disperazione. ! Dopo tutto il viaggio che ho fatto per la libertà e i diritti umani ho trovato che, nei paesi definiti democratici, la democrazia invece era già morta. ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! 181 ! Madre Il bimbo che esce dal suo utero è la sua miglior cosa lo tratta sempre bene per non fargli mancare nulla però se non sei suo figlio è come se fosse la tua matrigna la vita diventa amara e se non è mia madre non la chiamo madre e non mi diventerà madre se le chiedo di diventare mia madre anche temporaneamente non avrò fortuna e la cosa non cambia mai sono così le greggi senza pastore e che non hanno nessuna risposta come di essere umano è il mio desiderio arriva fino al cielo le cose che voglio non le trovo ci sarà un tempo migliore anche se tutto è difficile nella vita come un filo che passa per la cruna di un ago per far migliorare il mio futuro perché alla madre che ha pianto tante lacrime non si prosciughi anche il suo sangue io la affido a Dio che la protegga se anche grido fortissimo nessuno mi sente qui dove è tutta luce ma per me è buio qui sono un uomo disperato senza legge e senza regole e mi sto cuocendo come una pentola sul fuoco. 182 ! INDICE degli AUTORI Ahmad Kawari pag. 6 Annamaria Arianna Sabo pag. 7 Astride Kazadi pag. 11 Azmat Ullah pag. 13 Maria Cecilia Risso pag. 15 Claudileia Lemes Dias pag. 16 Dimitriu Andra Elena pag. 24 Elena Efremova pag. 32 Floria Amoin N’Dri pag. 38 Gentiana Minga pag. 44 Hussain Majid pag. 59 Klarita Grazhdani pag. 61 Leonor Solange Alexandre Proenca pag. 63 Meherina Javed pag. 64 Nicoleta Nicolau pag. 66 Ounafaran Doumbia pag. 68 Anna Smolinska pag. 69 Guergana Radeva pag. 78 Muhammad Razi Muhib Ali pag. 84 Suhaila Muhg Ibrahim pag. 105 Waqas Navaz pag. 118 Michelle Dicu pag. 120 Guerrino Kotlar pag. 122 Gabriele Di Camillo pag. 128 Merhawi Ghibtsawi pag. 178 183 ! www.seiugl.it ! Via del Corea 13 - 00186 Roma - tel e fax 06. 69200951 [email protected] ! ! ! edizione curata in proprio senza scopo di lucro ad uso educativo e culturale. 184 In occasione della Giornata Internazionale del Migrante, il 18 dicembre 2013, il SEI Ugl ha indetto il primo concorso letterario nazionale dal titolo ‘3 Ottobre - La voce dei migranti’. L’evento, è stato parte della Giornata d’Azione Globale per i Diritti dei Migranti, Rifugiati e Sfollati. “Vogliamo dare voce ed un’opportunità di espressione a chi lascia il proprio paese, la propria famiglia e la propria cultura alla ricerca di un futuro migliore, e sensibilizzare l’opinione pubblica, attraverso esperienze dirette di vita, sulla difficile realtà dell’immigrazione e dell’integrazione”. “L’iniziativa, è dedicata alle vittime ed alle famiglie della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, affinché non vengano dimenticate in fretta le loro storie e quelle di tanti altri che, seppur ancora vivi, non riescono a far valere i loro diritti, costretti a vivere in condizioni inumane. Il nostro scopo è quello di portare le storie di vita e di speranza attraverso testimonianze anche degli stessi protagonisti che sono sopravvissuti ai naufragi affinché le loro voci portino lontano la voce nelle onde di chi non ce l’ha fatta. 185