a cura di Alessandro Schiavetti - Fondazione Culturale Hermann
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a cura di Alessandro Schiavetti - Fondazione Culturale Hermann
a cura di Alessandro Schiavetti Col patrocinio di Catalogo realizzato in occasione della mostra JEAN TINGUELY – I FILOSOFI Dal 27 giugno al 20 settembre 2015 Sala esposizioni, Fondazione Culturale Hermann Geiger Piazza Guerrazzi 32, Cecina (LI) Mostra e catalogo a cura di Alessandro Schiavetti Testi in catalogo di: Federico Gavazzi Andres Pardey Alessandra Scalvini Alessandro Schiavetti Ricerche e documentazione: Giulia Santi Graphic Design e impaginazione: Fabrizio Pezzini Fotografie delle opere in mostra: © SchPhoto Editing testi e traduzioni: Daria Cavallini e David Eickhoff Ufficio Stampa: Spaini & Partners Tutte le opere esposte in mostra e fotografate nel catalogo sono state gentilmente concesse in prestito dal Museum Tinguely di Basilea. Bandecchi & Vivaldi – Editore ISBN: 978-88-8341-611-8 In copertina: Jean Tinguely, Jean-Jacques Rousseau, 1988 In quarta di copertina: Jean Tinguely, Knokke-le-Zoute, 1986. Eric Préau © Eric Préau/Sygma/Corbis Copyright 2015 Fondazione Culturale Hermann Geiger La Fondazione Culturale Hermann Geiger, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla riproduzione del corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito. Indice 4Introduzione 11 I Filosofi di Jean Tinguely 30 I FILOSOFI 46 Jean Tinguely ̶ Biografia 44 53 56 62 68 APPENDICE Niki de Saint Phalle ̶ Biografia Tutto si muove. L’immobilità non esiste Arte e movimento. Le avanguardie, Calder, Munari e Tinguely Bibliografia scelta 69Ringraziamenti Introduzione Come ex-artista dilettante si scopre, solo molti anni dopo, che si è già di gran lunga dei professionisti, purtroppo, si ha allora la nostalgia del dilettantismo: si ha anche questa malattia, per essere se stessi. Ma questa è una bella malattia 1. Le prime sculture mobili di Jean Tinguely erano attivate non da un motore ma da una manovella che trasmetteva loro il movimento; con queste prime opere l’artista scopriva una fonte inesauribile, il cui scopo divenne l’antiprecisione critica, attraverso una meccanica del caso. Il caso, evento avvenuto nel non-lineare, opera nel disequilibrio, quindi genera il «nuovo», il «nuovo in azione». L’arte, secondo Jean Tinguely, doveva prima o poi staccarsi dalla sua implacabile staticità, cercando di giungere verso una nuova prospettiva di movimento attraverso lo stesso «caso in azione». Lo scopo era realizzare quanto gli altri avevano solamente pensato e mai messo in pratica: la relatività in atto, senza un vero e proprio inizio, senza una fine, un passato e un futuro, ma solo realizzando opere in eterna mutazione. Negli anni Cinquanta, l’arte in generale è caratterizzata perlopiù da disfattismo e passività, mentre le opere di Tinguely si mettono in luce (e in movimento) grazie alla passione maturata dall’artista per l’arte cinetica e tutti i suoi sviluppi, in cui si modellano, con rispettosa centralità e modernità, gioia, dinamica e ironia attraverso un approccio costruttivista. Prende ispirazione da artisti come Vasarely, Soto e da opere d’arte compiute, come quelle di Alexander Calder, che gli spalancano una porta facendogli comprendere le grandiosità e la potenzialità del movimento. Rimane sempre molto vicino al dadaismo. Lui stesso ammette di esserne sempre influenzato, perché «i dadaisti mi hanno voluto bene, si sono interessati al mio lavoro, e allora mi sono reso conto di quanto grande fosse il mio interesse per Dada»2. Impiega nelle sue opere materiali di scarto, meccanici e di derivazione industriale cercando di mettere sempre in discussione il predominio delle macchine sull’uomo, rivoluzionando il sistema e forgiando macchinari senza senso alcuno e senza funzionalità, ricchi e permeati di humour, goffi e ironici. È uno dei primi artisti in assoluto a pensare di non dover «museificare» alcune sue opere inserendo, nelle stesse, sostanze indefinite come fumo, esplosioni, odori e luci, in modo da far risultare la stessa composizione come passante, filante e non recuperabile dai musei. Sequenziava infatti e sminuzzava così la costante temporale, rendendola minima. Come diceva lo stesso Tinguely, l’opera «doveva passare, essere sognata, discussa ed è tutto, il giorno dopo non restava più niente»3. L’arte di Tinguely si basa sul principio della ruota, il cui movimento rappresenta una ripetizione continuativa mutevole e variabile nel tempo, in costante rinnovamento; attraverso le ruote dentate che girano sconnesse senza regolarità si giunge senza fatica a un disordine meccanico, in un costante moto circolare perfettamente poetico e antisociale che stride sotto le dentellature del meccanismo stesso che, bloccandosi, ricomincia come in un moto perpetuo e cadenzato ad agire, ma in maniera imprevedibile. Le sue sculture si trasformano quindi in un attimo in creature prive di qualsiasi fondamento razionale, in cui la sua meccanica diviene meta-meccanica. Le sue macchine sono anti-macchine; non rappresentano un bello estetico né si ispirano a canoni di leggiadria. Sono congegni allegri, spiritosi e perfettamente inutili, perché volutamente si contrappongono alle macchine funzionanti. Libere e prive di ogni regola determinata, le opere di Tinguely si ispirano a liberi pensieri rivoluzionari, elaborati da uomini che lo stesso artista ha stimato e le cui teorie mettevano al centro gli esseri umani e il loro benessere attraverso un equilibrio all’interno della società. Intervista di Daniel Spoerri a Jean Tinguely, in «Lotta Poetica», n. 1, terza serie, gennaio 1987, p. 3. Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (a cura di), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogo della mostra a Palazzo Grassi, Venezia), Bompiani, Milano 1987, p. 350 (estratto della registrazione «Notre Monde», tavola rotonda organizzata da Jean-Pierre Van Tieghem, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Bruxelles, 13 dicembre 1982). 3 Ibid. 1 2 4 Nel 1988 Tinguely realizza il gruppo dei Filosofi, in concomitanza con la terza tappa della mostra itinerante retrospettiva allestita dal dicembre 1988 al marzo 1989 al Musée National d’Art Moderne del Centre Georges Pompidou di Parigi. Queste 29 sculture meccaniche rappresentavano i pensatori che lo avevano influenzato durante la sua giovinezza. Ogni Filosofo ritraeva l’uomo convinto delle sue idee, con semplicità e irriverenza costruttiva; un assemblaggio antiautoritario da contrapporre al modo tradizionale di intendere l’architettura delle macchine. Fra questi, ad esempio, Engels, padre fondatore insieme a Marx del socialismo scientifico, è rappresentato attraverso catene da sciacquone sospese, come marionette non libere e «incatenate», obbligate tutte a piegarsi al ritmo scandito dall’economia. Rousseau, invece, si identifica con il copricapo di piume indiano posto sull’opera, che spicca e si staglia come «buon selvaggio», individuo-identità che lo stesso filosofo opponeva all’uomo corrotto dalla quotidianità della società vivente. Tutta una serie di pensatori i quali portano, negli ingranaggi che movimentano rottami di ogni genere con suoni macabri e metallici, le loro idee rivoluzionarie e filosofiche. La Fondazione Hermann Geiger presenta parte di questa collezione attraverso un percorso composto da nove Filosofi appartenenti alla collezione del Museum Tinguely di Basilea, sculture affiancate in mostra da cinque creazioni di Niki de Saint Phalle, seconda moglie di Tinguely, compagna d’arte e musa ispiratrice dello scultore svizzero. Attraverso questa esposizione viene messa in mostra l’idea temporale di Tinguely e della compagna, cioè quella di cercare di ispirare il presente attraverso un impegno social-rivoluzionario, attraverso l’amore e attraverso la follia, ma soprattutto attraverso i rottami, mezzi di comunicazione intesi come fondamentali nonostante il loro inutilizzo. I rottami vengono visti infatti da Tinguely come un surplus prodotto in quantità eccessiva dalla società, residui che divengono efficaci in quanto semplici, anima dello scultore, mezzi necessari per assemblare le «méta», ovvero l’idea dello scherzo e dell’inesattezza, della non-produttività. Alessandro Schiavetti Direttore Artistico Fondazione Culturale Hermann Geiger 5 Einleitung Als ehemaliger Amateurkünstler entdeckt man erst viele Jahre später, dass man leider schon längst ein Profi ist. Dann bekommt man Sehnsucht nach den Tagen des Dilettantentums. Man hat diese Krankheit, und es geht darum, zu versuchen, man selbst zu sein. Doch ist dies eine gute Krankheit 1. Kein Motor, sondern eine Kurbel, übertrug die Bewegung auf die ersten beweglichen Skulpturen Jean Tinguelys. Mit ihnen entdeckte der Künstler einen unerschöpflichen Quell, dessen Bestimmung die kritische Antipräzision vermittels eines Zufallsmechanismus werden sollte. Der Zufall, dieses Geschehnis, das sich im Nicht-Linearen ereignet, wirkt im Ungleichgewicht, bringt darum das „Neue“ hervor, das „Neue in Aktion“. Die Kunst, so dachte Jean Tinguely, musste sich früher oder später von ihrem unversöhnlichen statischen Charakter lösen und versuchen, über den „Zufall in Aktion“ eine neue Sichtweise auf die Bewegung zu gewinnen. Ziel war es, das wahrzumachen, was die anderen nur gedacht, aber nie in die Praxis umgesetzt hatten: die vollzogene Relativität – ohne wahren Anfang, ohne Ende, ohne Vergangenheit und ohne Zukunft, allein durch das Schaffen von Werken in ewigem Wandel. Die Kunst im Allgemeinen ist in den Fünfzigerjahren zum größten Teil von Defaitismus und Passivität geprägt. Tinguely, hingegen, rückt seine Werke ins Licht (und setzt sie in Bewegung). Er kann dies auch dank der in ihm gereiften Leidenschaft für die kinetische Kunst und deren Entwicklungen tun. Freude, Dynamik und Ironie werden zu zentralen, modernen Themen und kommen mittels eines konstruktivistischen Ansatzes zum Ausdruck. Tinguely bezieht Inspiration von Künstlern wie Vasarely und Soto sowie aus vollendeten Kunstwerken wie jenen von Alexander Calder, die ihm die Tür zu einer Welt öffnen und ihn die Großartigkeit und das Potential von Bewegung begreifen lassen. Tinguely steht stets dem Dadaismus sehr nahe. Er selbst räumt ein, von diesem beeinflusst worden zu sein, weil „die Dadaisten mich mochten, sich für meine Arbeit interessierten, wodurch mir bewusst wurde, wie groß mein Interesse am Dada eigentlich ist“2. Tinguely verwendet in seinen Werken Abfälle, mechanische Teile industrieller Herkunft, und stellt die Vorherrschaft der Maschinen über den Menschen in Frage, indem er das System auf den Kopf stellt und Maschinen ohne Sinn und Funktionalität baut, die reich an Humor, ungelenk und ironisch sind. Er ist einer der absolut ersten Künstler, die nicht meinen, sie müssten alle ihre Werke museumsgerecht zubereiten, und die darum auch schwer zu definierende Substanzen wie Rauch, Explosionen, Gerüche und Licht in ihre Werke einbinden können. Im Ergebnis entsteht eine kurzlebige Komposition, die vorübergeht und von den Museen nicht wiederhergestellt werden kann. Tinguely sequenzierte und zerpflückte auf diese Weise die Konstante Zeit und degradierte sie. Wie Tinguely selbst sagte, musste das Werk „vorübergehen, geträumt und diskutiert werden und das war’s. Am Tag drauf war nichts mehr übrig“3. Tinguelys Kunst fußt auf dem Prinzip des Rades, dessen Bewegung eine kontinuierliche und sich im Laufe der Zeit verändernde Wiederholung darstellt, die sich konstant erneuert. Die Zahnräder drehen sich unregelmäßig und unverbunden und erzeugen so mühelos eine mechanische Unordnung. Die vollkommen poetische und antisoziale konstante Kreisbewegung kreischt unter den Verzahnungen des Mechanismus, der stecken bleibt, dann wieder von vorne beginnt und sich immerfort bewegt. Er ist zum Handeln getaktet, jedoch auf unvorhersehbare Art und Weise. Interview von Daniel Spoerri mit Jean Tinguely, in „Lotta Poetica“, Nr. 1, 3. Serie, Januar 1987, S. 3. Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (Hg.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (Katalog der Ausstellung im Palazzo Grassi, Venedig), Bompiani, Mailand 1987, S. 350 (Auszug aus der Aufnahme „Notre Monde“, von Jean-Pierre Van Tieghem organisierter Runder Tisch, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Brüssel, 13. Dezember 1982). 3 Ibid. 1 2 6 Tinguelys Skulpturen verwandeln sich von einem Moment auf den nächsten in freie Kreaturen, die jeglichen rationalen Fundaments entbehren. Sie machen die Mechanik zur Meta-Mechanik. Seine Maschinen sind Anti-Maschinen; sie stellen weder ein ästhetisch Schönes dar, noch orientieren sie sich an einem Kanon von Anmut. Sie sind fröhliche, geistreiche und vollkommen unnütze Apparate, die willentlich dem Funktionieren der herkömmlichen Maschinen entgegentreten. Bar jeder bestimmenden Regel, sind die Werke Tinguelys vom freien, revolutionären Denken jener Menschen angehaucht, die der Künstler selbst schätzte und deren Theorien den Menschen und sein Wohlbefinden durch ein Gleichgewicht in der Gesellschaft in den Mittelpunkt rückten. Im Jahr 1988 schafft Tinguely die Gruppe der Philosophen, pünktlich zur dritten Etappe seiner retrospektiven Wanderausstellung, die von Dezember 1988 bis März 1989 im Musée National d’Art Moderne im Centre Georges Pompidou in Paris gastiert. Diese 29 mechanischen Skulpturen stellen die Denker dar, die ihn in seiner Jugend beeinflussten. Jeder einzelne der Philosophen portraitiert, einfach und mit konstruktiver Unehrerbietigkeit, einen von seinen Ideen überzeugten Mann; gemeinsam bilden sie ein antiautoritäres Häufchen, das sich der traditionellen Auffassung von Maschinenarchitektur entgegensetzt. Engels, beispielsweise, neben Marx der Gründervater des wissenschaftlichen Sozialismus, wird dargestellt durch hängende Spülkastenketten, gleich unfreien und „angeketteten“ Marionetten, die sich alle dem von der Wirtschaft vorgegebenen Rhythmus beugen müssen. Rousseau, hingegen, wird mit der gefiederten Kopfbedeckung der Indianer auf dem Haupt portraitiert. Diese sticht heraus und lässt den Denker sich als den „guten Wilden“ abheben, jene Figur, die der Philosoph selbst dem von der Gesellschaft korrumpierten Menschen entgegengesetzt hatte. Die Denker tragen ihre revolutionären und philosophischen Ideen in ihrem Inneren aus Getrieben und Schrott. Die Hermann-Geiger-Stiftung zeigt neun dieser Philosophen aus der Sammlung des Museum Tinguely in Basel und stellt ihnen fünf Schöpfungen von Niki de Saint Phalle, Tinguelys Kunstgefährtin, Muse und zweiter Frau, zur Seite. Die Ausstellung bringt den Zeitbegriff Tinguelys und seiner Gefährtin zur Geltung, das heißt, ihren Versuch, die Gegenwart durch sozial-revolutionäres Engagement, durch Liebe und Torheit, vor allem aber durch Schrott, dieses trotz seiner Nutzlosigkeit als grundlegend aufgefasste Kommunikationsmittel, zu inspirieren. Schrott wird von Tinguely als ein Überschuss aufgefasst, der von der Gesellschaft in viel zu großen Mengen produziert wird, als Residuum, das erst durch seine Simplizität Geltung erlangt. Die Seele des Bildhauers formt daraus notwendige Mittel, um die „Métas“ anzufertigen, sprich, die Idee des Scherzes, der Ungenauigkeit und der Unproduktivität. Alessandro Schiavetti Künstlerischer Leiter der Kulturstiftung Hermann Geiger 7 Introduction It takes a while to discover that you’re an ex-dilettante as an artist and that you’ve unfortunately been a complete professional for any number of years. But you continue to have a nostalgia for when you were a dilettante. You’ve got this disease, and it’s a question of trying to be yourself. But it’s a good disease to have 1. Jean Tinguely’s early mobile sculptures were powered not by a motor but by a hand crank that transmitted motion. With these early works, the artist discovered an endless source, whose aim was critical anti-precision through the mechanics of chance. Chance, i.e. the event that takes place in the realm of non-linearity, acts in lack of balance and so generates the «new», the «new into action». The artist’s aim was to achieve what others had merely imagined, but never put into practice: relativity in progress, with no actual beginning, no end, no past and no future, through the creation of constantly mutating works. While art in the 1950s tended to be characterized mainly by defeatism and passiveness, Tinguely’s works drew attention to themselves (and set themselves in motion) thanks to the artist’s passion for kinetic art and all its developments. Joy, dynamics and irony became modern, central themes that ran through his constructivist-oriented production. He drew inspiration from artists such as Vasarely and Soto, as well as from finished works of art, such as those by Alexander Calder, which opened new horizons for him and made him understand the grandness and the potential of the movement. He always remained very close to Dada. He himself admitted to feeling very much influenced by them, because «Dadaists are fond of me, they took an interest in my work, and then I realized how big an interest I had in Dada»2. He used waste materials, mechanical pieces and industrial scrap to construct his works and always tried to challenge the prevalence of machines over man, revolutionizing the system to shape meaningless, functionless machinery, somehow humorous, but awkward and ironic at the same time. He was among the first artists to think that he did not want to confine some of his works to a museum, and to include undefined substances such as smoke, explosions, odours and lights in his compositions, which became fleeting and short-lived, not suitable for museums. He sequenced and fragmented time, which became irrelevant. As Tinguely himself used to say, «[the work of art] had to pass, be dreamed of, discussed and that’s all, the next day there would be nothing left»3. Tinguely based his art on the principle of the wheel, whose movement represents a continuous repetition that changes and varies in time, constantly renewing itself. The loose, irregular spinning of the cogwheels results in a mechanical disorder, in a constant, perfectly poetic and antisocial circular motion. The creaking notches of the mechanism seize up and then get moving again, in perpetual motion, following a rhythmic, unpredictable pattern. In a matter of moments, Tinguely’s sculptures become creatures deprived of any rational foundation, in which mechanics becomes meta-mechanics. His machines are anti-machines; they do not represent aesthetic beauty nor are they inspired by canons of gracefulness. They are cheerful contraptions – humorous and utterly useless – designed in deliberate contrast with working machines. Free and exempt from any rules, Tinguely’s works are inspired by free, revolutionary thoughts formulated by men whom the artist himself esteemed and whose theories centred around human beings and their well-being through an internal balance of society. Interview of Daniel Spoerri to Jean Tinguely, «Lotta Poetica», no. 1, series 3, January 1987, p. 3. Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (ed.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogue of the exhibition at Palazzo Grassi, Venice), Bompiani, Milano 1987, p. 350 (excerpt from the recording «Notre Monde», round table organized by Jean-Pierre Van Tieghem, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Brussels, 13 December 1982). 3 Ibid. 1 2 8 In 1988, Tinguely created the group of the Philosophers, for the third stage of his touring retrospective organized from December 1988 to March 1989 at the Musée National d’Art Moderne of the Centre Georges Pompidou in Paris. These 29 mechanical sculptures represented the thinkers who influenced him as a youth. Each Philosopher portrayed the man convinced of his ideas, with simplicity and constructive irreverence, in antiauthoritarian assemblages that clashed with the traditional way of understanding the architecture of machines. Among them, for instance, is Engels ‒ the founding father of scientific socialism together with Marx ‒ who is represented through suspended toilet-flushing chains, hanging like «chained» marionettes, all obliged to follow the dictates of the economy. On the other hand, the Native American feather headdress placed on the sculpture called Rousseau stimulates associations with the «noble savage» whom the philosopher contrasted with the man spoilt by living society. Through gears and scrap materials that produce macabre clangs, Tinguely’s thinkers convey their revolutionary philosophical ideas. The Hermann Geiger Foundation presents part of this collection, i.e. nine sculptures on loan from the Museum Tinguely Basel, together with five creations by Niki de Saint Phalle, who was Tinguely’s second wife as well as his art companion and inspirational muse. This exhibition highlights the concept of time shared by Tinguely and his companion, namely the attempt to inspire the present through societal and revolutionary engagement, through love and madness, but above all through scrap, which they considered fundamental despite its seeming uselessness. In Tinguely’s view, scrap was a surplus overproduced by society. This surplus becomes effective when used simply by the sculptor who, guided by his soul, turns it into the necessary means to assemble the «métas», that is to say the idea of joke and inaccuracy, of non-productivity. Alessandro Schiavetti Art Director of the Hermann Geiger Cultural Foundation 9 Jean Tinguely fotografato in occasione di una sua mostra al Casinò di Knokke. Knokke-le-Zoute, 1986. Eric Préau © Eric Préau/Sygma/Corbis 10 I Filosofi di Jean Tinguely Macchine da associazione, sculture-pensiero Le sculture dei Filosofi furono realizzate perlopiù nel 1988. Tinguely aveva appena finito la sua retrospettiva veneziana a Palazzo Grassi che era stata, secondo quanto lui stesso ebbe a dire in varie interviste, la sua mostra più bella. Questa retrospettiva su tutti i periodi della sua vita creativa, con piccoli cimeli e installazioni monumentali, era stata curata da Pontus Hultén. Aveva celebrato Tinguely, il plasmatore di ferro, il mago della macchina, mettendo al centro della presentazione il farsi materiale della sua arte e delle sue idee. La mostra fu, di seguito, riproposta al Centre Georges Pompidou di Parigi e Tinguely si accinse a realizzare il gruppo di 29 Filosofi che, insieme alla monumentale Dernière Collaboration avec Yves Klein, vennero esposti nell’antisala dello spazio espositivo. Il movimento, il caso, il materiale profano e riciclato: sono questi i tre parametri che caratterizzano l’arte di Tinguely fin dai suoi inizi nella Parigi degli anni Cinquanta quando, arrivando da Basilea insieme alla sua prima moglie Eva Aeppli, conquistò la capitale della Francia e dell’arte. Realizzò le sue delicate sculture in filo di ferro saldato – Moulin à prière, Méta-mécanique e Méta-Herbin, Elément Détaché – nonché i primi rilievi, Méta-Malevich, Méta-Kandinsky. Per i giovani sposi, lo studio nell’Impasse Ronsin nel quartiere di Montparnasse era al contempo officina, spazio per vivere e fonte di ispirazione. Si trovava in uno dei punti focali del mondo dell’arte parigino. Nel locale accanto lavorava Constantin Brâncuși; nel 1955 Max Ernst si trasferì in uno studio dietro l’angolo e altri artisti come François-Xavier e Claude Lalanne, Alexandre Istrati e, più tardi, Larry Rivers erano sempre presenti. Infine, anche le visite di Yves Klein, con cui Tinguely aveva presto stretto amicizia, contribuirono a creare un ambiente particolare. Jean e Yves avevano rapidamente scoperto la loro congenialità discutendo della loro arte e soprattutto della fondamentale natura dell’arte del loro tempo. Al centro del loro interesse non vi erano questioni di materiale o di stile, bensì piuttosto, o forse al contrario, la questione della dematerializzazione dell’arte. I due artisti concepivano l’arte come un’idea, come qualcosa che doveva trascendere la sua reale presenza, perfino come qualcosa potenzialmente privo di realtà materiale. L’arte poteva essere tutto, quindi anche un’azione, un momento, una fantasia, un’idea, un atteggiamento, una performance, un happening. Certo, proprio questi due ultimi termini erano estranei al vocabolario di Tinguely e Klein, perché vennero coniati soltanto più tardi e in un contesto diverso, ma se si guarda al contenuto, i due si muovevano nel medesimo ambito di artisti come Gustav Metzger o Allan Kaprow1. Da questa ricerca artistica emersero, nel Tinguely degli esordi, le sculture effimere e le performance che realizzò con esse: Art, Machine and Motion, A Lecture by Jean Tinguely (Méta-Matic Evening), all’ICA di Londra nel 1959, Homage to New York, al Museum of Modern Art di New York nel 1960, i due Studies for an End of the World, al Louisiana Museum Humlebæk nel 1961 e nel deserto del Nevada vicino a Las Vegas nel 1962, e tante altre ancora. Ma ciò che sembrava allontanare Tinguely dalla scultura in realtà lo avvicinò a essa. L’artista realizzò sculture non solo come opere d’arte fattesi materiali e messe in movimento, bensì come entità partecipi dell’azione, come compagne di gioco, come attrici in un dramma all’occorrenza più lungo o più breve. Fu in questo periodo giovanile che l’artista realizzò anche i Méta-Matics, macchine in grado di creare disegni, che avevano carattere d’istruzione per l’azione, di richiamo all’interazione, di vere e proprie macchine da performance, e con cui Tinguely ribaltò la definizione stessa dell’arte andando ben oltre quello che altri artisti del tempo avevano compiuto. Oramai, l’arte era diventata il momento dell’interazione dello spettatore attivato con la macchina. La scultura era diventata attrezzo, il disegno emergente era già relitto e ricordo. L’arte era stata promossa da materiale a esperienza. Già nel 1959 Tinguely, nel suo manifesto Riguardo alle performance di Tinguely, vedi miranda fuchs, „Kunst ist Aufruhr“ – Jean Tinguely als Aktionskünstler, in Museum Tinguely Basel, Die Sammlung, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, pp. 210 segg. 1 11 Per la Statica, aveva scritto che il movimento è l’unica cosa realmente statica chiedendo che fosse riconosciuto come aspetto centrale in ogni ambito della vita. E lui per primo metteva in pratica questi principî. Così, le sculture che seguirono sono sempre da considerarsi richiami al movimento, e questo è particolarmente evidente nel caso della Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia del 1987 di cui si possono apprezzare tutti gli aspetti unicamente attraversandola. Solo una passeggiata sulla scultura, percorrendo scale e ponti, procura le impressioni corporee causate anche dal vibrare della costruzione metallica. Chi rimane fuori non ne coglie la vera avventura. L’Utopia era l’opera centrale della mostra a Palazzo Grassi, del quale occupava tutto il cortile. Anche soltanto lo sforzo necessario per trasportare una tale mega-scultura a Venezia suscitò ammirazione e stupore. E poi la costruzione stessa, con le sue tante e diverse associazioni possibili a proposito di Venezia, del contesto artistico e privato di Tinguely, nonché del suo atteggiamento riguardo all’arte e alla vita. Infine l’ampia gamma di associazioni che si apre quando dall’altoparlante nascosto nella tromba azzurra si sente La Traviata, delicata, ma scelta con decisione, e di una presenza intensa. Alla stregua della Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia di Venezia, l’anno dopo fecero effetto i Filosofi che Tinguely concepì come insieme di sculture dominanti lo spazio all’ingresso della mostra al Centre Georges Pompidou. E alla stessa maniera dell’Utopia, i Filosofi sfuggivano a ogni tentativo di facile interpretazione. Pur sembrando i nomi indicatori palesi del significato delle sculture, la loro complessità esclude una comprensione letterale lasciando spazio soltanto a una riflessione associativa. In diverse interviste durante la retrospettiva di Parigi, Tinguely ribadì più volte che aveva, naturalmente, letto e capito i testi dei filosofi da lui «ritratti». Dimostrò di conoscere bene il pensiero di questi grandi uomini (le figure femminili in questa «galleria degli antenati», come usava chiamarla l’artista, erano rare; soltanto la African Queen e Nona von Eisenstein, il ritratto della cagna di Milena Palakarkina, l’artista che verso la fine degli anni Ottanta fu anche l’amante di Tinguely). In un’intervista con Geneviève Bréerette che gli chiede se abbia letto i testi dei suoi filosofi risponde: «Sì, ho cominciato molto presto, quando in un tempo record sono passato dal cattolicesimo allo stalinismo. Sono stato uno stalinista veloce, avevo 16 anni. Per liberarmi poi di tutto ciò sono entrato in contatto, per fortuna oppure per disgrazia, con gli anarchici. Conoscevo un signore molto gentile, Heiner Koechlin, che mi dava da leggere cose come Kropotkin, dopodiché sono arrivato ai testi anarchici avanzati come Proudhon, per esempio. E ho sempre letto e riletto Hegel ed Engels. Fu così che cominciai ad ampliare le mie letture fino a imbattermi in un uomo che era molto diverso: Schopenhauer. Ecco qualcosa di vivente! Prima di lui avevo già letto la Critica della ragion pura. E poi c’era Heidegger, che avevo cominciato a leggere fin dal momento in cui avevo saputo della sua esistenza. Forse anche perché Sartre non faceva che parlarne. Ce n’era per tutti i gusti. Sartre, invece, era per me un poeta, un po’ come Jacques Prévert e Les Feuilles Mortes in confronto a Goethe. In Goethe si leggono cose molto complesse e ci si sente subito molto intelligenti. Mi sono anche imbattuto in Bergson e, poco dopo, avendo letto Adorno, sono arrivato a Max Stirner, L’Unico e la sua proprietà. È un uomo essenziale che vive della responsabilità individuale e che ne ha fatto una forza contro il marxismo»2. Pare importante notare che fra la lettura e la realizzazione dei Filosofi trascorrono quasi quarant’anni, quelli della sua produzione artistica, della sua vita a Parigi, delle sue mostre. Naturalmente l’artista si trovò in una situazione del tutto diversa da quella della metà degli anni Quaranta quando, poco dopo la guerra (e il suo servizio attivo nell’esercito svizzero), esplorò la filosofia, si orientò prima verso il comunismo, poi verso gli anarchici, lesse con curiosità giovanile (e molto tempo dopo il periodo scolastico, quindi senza coercizione e per mera voglia di sapere) testi che lo influenzarono e con cui pose le basi di tante opere a venire. E naturalmente non si può affatto ascrivere alla lettura di Tinguely un impatto continuo e consistente negli geneviève bréerette, Tinguely au Centre Pompidou, in «Le Monde», 7 dicembre 1988, p. 14. 2 12 anni; naturalmente la lettura cambia come cambiano i ricordi, naturalmente rimangono pezzi, parti, impressioni, e di sicuro le interpretazioni non sono definitive. E naturalmente è questa la base su cui sono stati poi realizzati i Filosofi: ricordi, porzioni di testo, associazioni. Anche se Tinguely amava chiamarle ritratti, le sculture non sono probabilmente da considerarsi tali. Semmai sono ritratti di senso e di pensiero altamente selettivi, sono macchine da associazione e sculture-pensiero nel senso più alto del termine. Andres Pardey Vicedirettore, Museum Tinguely 13 Jean Tinguelys Philosophen Assoziationsmaschinen, Denkskulpturen Die Skulpturen der Philosophen entstanden im Wesentlichen 1988. Tinguely hatte gerade seine Retrospektive in Venedig gehabt, im Palazzo Grassi, seine schönste Ausstellung, wie er mehrfach in Interviews sagte. Pontus Hultén hatte sie eingerichtet, es war eine Retrospektive über alle Schaffensperioden, mit kleinen Preziosen und monumentalen Installationen. Tinguely der Eisenplastiker, der Magier der Maschine wurde hier gefeiert, die Materialisierung seiner Kunst und seiner Ideen stand vollends im Zentrum dieser Präsentation. Nun kam die Ausstellung ins Centre Georges Pompidou in Paris, und Tinguely schuf für eben diese Ausstellung die Gruppe der 29 Philosophen, die er mit der monumentalen Dernière Collaboration avec Yves Klein zusammen im Vorraum der Ausstellungshalle zeigte. Bewegung, Zufall, profanes, wiederverwertetes Material, diese drei Parameter kennzeichnen Tinguelys Kunst seit den Anfängen im Paris der Fünfziger Jahre, als er aus Basel kommend mit seiner ersten Frau Eva Aeppli die Hauptstadt Frankreichs und der Kunst eroberte. Seine zarten Drahtgebilde entstanden – Moulin à prière, Méta-mécanique und -Herbin, Elément Détaché – und die ersten Reliefs, Méta-Malevich, Méta-Kandinsky. Das Atelier in der Impasse Ronsin im Quartier Montparnasse war für das junge Künstlerpaar Werkstatt, Lebensraum und Inspiration, man befand sich an einem der Hotspots der Pariser Kunstwelt. Nebenan arbeitete Constantin Brâncuși, Max Ernst bezog Ende 1955 ein Atelier gerad um die Ecke, Künstler wie François-Xavier und Claude Lalanne oder Alexandre Istrati und später Larry Rivers waren präsent. Besuche von Yves Klein, mit dem sich Tinguely früh angefreundet hatte, trugen das ihre zur Stimmung bei. Jean und Yves waren schnell zu eigentlichen Sparringspartnern geworden, die über ihre Kunst und insbesondere über das grundsätzliche Wesen der Kunst ihrer Zeit diskutierten. Dabei standen nicht Fragen nach Material oder Stil im Vordergrund, sondern vielmehr oder im Gegenteil die Frage nach der Entmaterialisierung der Kunst. Die zwei Künstler verstanden Kunst als Idee, als etwas, das über seine reale Präsenz hinausgehen musste, ja als etwas, das vielleicht gar keine materielle Realität nötig hatte. Kunst konnte alles sein, also auch eine Handlung, ein Moment, eine Vorstellung, eine Idee, eine Haltung, eine Performance, ein Happening. Gerade diese zwei letzteren Begriffe waren Tinguely und Klein natürlich fremd, sie wurden erst später in einem anderen Umfeld geprägt, doch inhaltlich waren die zwei auf der gleichen Spur wie Künstler wie Gustav Metzger oder Allan Kaprow1. Aus dieser künstlerischen Recherche entstanden im Falle von Tinguely frühe ephemere Skulpturen, und Performances, die er mit ihnen durchführte. Art, Machine and Motion, A Lecture by Jean Tinguely (Méta-Matic Evening), 1959 im ICA in London, Homage to New York, 1960 im Museum of Modern Art in New York, die zwei Studies for an End of the World, 1961 im Louisiana Museum Humlebæk und 1962 in der Wüste von Nevada bei Las Vegas, und manches mehr. Was Tinguely aber vermeintlich von der Skulptur wegführte, brachte ihn in Wahrheit eher näher zu ihr. Er schuf Skulpturen nicht nur als materialisierte, statisch sich bewegende Kunst, sondern als Aktionsbeteiligte, als Mit- und Schauspieler in einem längeren oder kürzeren Drama. Und er schuf in dieser frühen Zeit mit den Méta-Matics, den Zeichenmaschinen Skulpturen, die nun mehr Handlungsanweisung, Aufforderung zur Interaktion, ja eigentliche Performancemaschinen waren und ging mit seiner Neudefinition des Kunstbegriffs einen grossen Schritt weiter als das, was er oder andere Künstler bisher geleistet hatten. Nun war Kunst der Moment der Interaktion des aktivierten Betrachters mit der Maschine, die Skulptur war Werkzeug, die entstehende Zeichnung Relikt, Erinnerungsstück. Die Kunst war vom Material ins Erleben gerückt. Schon 1959 hatte Tinguely in seinem Manifest für Statik geschrieben, dass Bewegung das einzig wirklich Statische sei, und hatte Bewegung in jedem Lebensbereich als das eigentlich Zentrale gefordert. Das hatte er nun für sich umgesetzt! Zu Tinguelys Performances etc. siehe: miranda fuchs, „Kunst ist Aufruhr“ – Jean Tinguely als Aktionskünstler, in: Museum Tinguely Basel, Die Sammlung, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, S. 210 ff. 1 14 So sind spätere Skulpturen auch immer als Aufforderung zur Bewegung zu verstehen – ganz deutlich etwa in der Grossen Méta-Maxi-Maxi-Utopia von 1987, die sich nur im Durchschreiten ganz erschliessen lässt. Erst der Gang über die Skulptur, ihre Treppen und Brücken erzeugt das körperliche Erleben, das auch von der Vibration der Eisenkonstruktion ausgeht. Wer aussen stehen bleibt, dem erschliesst sich nicht das eigentliche Abenteuer der Stahlkonstruktion. Die Utopia war das zentrale Werk in der Ausstellung im Palazzo Grassi, sie nahm den ganzen Innenhof des Hauses ein. Allein schon die Anstrengung, eine solche Mega-Skulptur nach Venedig zu bringen, erzeugte Bewunderung und Verblüffung. Und dann natürlich die Konstruktion selbst, mit ihren vielfältigen Assoziationsmöglichkeiten in Bezug auf Venedig, Tinguelys künstlerisches und privates Umfeld oder seine Haltung zu Kunst und Leben. Und das weite Feld, das sich etwa auftut, wenn man aus dem im blauen Trichter versteckten Lautsprecher La Traviata hört, ganz fein, aber doch sehr bewusst gesetzt und präsent. In ganz ähnlicher, zentraler Weise wie die Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia in Venedig kamen die Philosophen zur Geltung, die Tinguely im Jahr darauf als die den Eingang in die Ausstellung im Centre Georges Pompidou dominierende Gruppe schuf. Und gleich wie die Utopia verweigerten sich die Philosophen einer einfachen Interpretation, die wohl in ihren namentlichen Bezeichnungen angelegt ist, deren Vielschichtigkeit aber das wörtliche Verstehen völlig ausschliesst und nur ein assoziatives Nachdenken zulässt. Mehrfach betonte Tinguely in Interviews, die er während der Retrospektive in Paris gab, dass er natürlich die Texte der von ihm „porträtierten“ Philosophen gelesen und verstanden habe. Er zeigte sich vertraut mit dem Denken dieser grossen Männer (weibliche Geschöpfe kamen in dieser „Ahnengalerie“, wie er sie auch nannte, nur ganz wenige vor, die African Queen sowie Nona von Eisenstein, ein weiblicher Hund von Milena Palakarkina, der Künstlerin, die Ende der Achtziger Jahre auch die Geliebte Tinguelys war). In einem Interview mit Geneviève Bréerette erklärt er auf die Frage, ob er denn die Texte seiner Philosophen gelesen habe: „Ja, ich habe sehr früh angefangen, als ich in einer Rekordzeit vom Katholizismus zum Stalinismus gewechselt bin. Ich war ein schneller Stalinist, mit 16 Jahren. Um mich dann von all dem zu befreien, habe ich, zum Glück oder zum Unglück, die Anarchisten kennen gelernt. Ich kannte einen sehr freundlichen Herrn, Heiner Koechlin, der mir Sachen wie Kropotkin zum Lesen gab. Nach diesem bin ich dann zu fortgeschrittenen anarchistischen Texten gekommen, Proudhon zum Beispiel. Und ich habe immer und immer wieder Hegel und Engels gelesen. Dabei habe ich also angefangen, meine Lektüre zu erweitern, und bin auf einen Mann gestossen, der ganz anders war: Schopenhauer. Das war lebendig! Vor ihm hatte ich bereits die Kritik der reinen Vernunft gelesen. Und dann gab es Heidegger, den ich gelesen habe von dem Moment an, als ich wusste, dass er existiert. Vielleicht auch, weil Sartre so ein Theater um ihn machte. Da war für jeden was dabei. Sartre war für mich dagegen ein Poet, ein wenig wie Jacques Prévert und Les Feuilles Mortes im Vergleich mit Goethe. Wenn man Goethe liest, dann kommt man in ganz komplexe Sachen und man findet sich selbst sehr schnell intelligent. Ich bin auch über Bergson gestolpert, und ein wenig später, nachdem ich Adorno gelesen hatte, bin ich bei Max Stirner gelandet, Der Einzige und sein Eigentum. Ein wesentlicher Mensch, der aus der individuellen Verantwortung lebt, die er zu einer Kraft gegen den Marxismus macht“2. Wichtig scheint, dass zwischen der Lektüre und dem Schaffen der Philosophen fast vierzig Jahre standen, das ganze künstlerische Werk Tinguelys, sein Leben in Paris, seine Ausstellungen. Natürlich stand der Künstler an einem anderen Ort als Mitte der Vierziger Jahre, als er kurz nach dem Krieg (und absolviertem Aktivdienst in der Schweizer Armee) die Philosophie erkundete, sich nach dem Kommunismus den Anar geneviève bréerette, Tinguely au Centre Pompidou, in: „Le Monde“, 7. Dezember 1988, S. 14. 2 15 chisten zuwandte, in jugendlicher Neugier (und lang nach seiner Schulzeit, ohne Zwang also, aus Neugier oder Wissensdurst) Texte las, die ihn prägten, mit denen er die Basis legte für vieles spätere Schaffen. Und natürlich ist der Lektüre Tinguelys keineswegs eine über die Jahre anhaltende konsistente Wirkung zuzuschreiben, natürlich verändert sich die Lektüre wie sich die Erinnerung verändert, natürlich bleiben Fetzen, Teile, Eindrücke, und sicher nicht abschliessende Interpretationen. Und natürlich entstanden die Skulpturen der Philosophen auf eben dieser Basis – auf der Basis von Erinnerungen, Textstücken, aufgrund von Assoziationen. Porträts – auch wenn Tinguely seine Philosophen als solche bezeichnete – sind die Skulpturen wohl eher keine, allenfalls höchst selektive Sinn- oder Gedankenporträts, es sind Assoziationsmaschinen und Denkskulpturen im besten Sinne. Andres Pardey Vize-Direktor, Museum Tinguely 16 Jean Tinguely’s Philosophers Association machines, thought sculptures Tinguely created the Philosophers mostly in 1988. He had just finished his retrospective in Venice, at Palazzo Grassi, which he considered his most beautiful exhibition, as he said in several interviews. This retrospective on all periods of his creative life, consisting of small valuable pieces and monumental installations, had been curated by Pontus Hultén to celebrate Tinguely – the iron moulder, the machine magician – by putting the materialization of his art and ideas at the centre of the presentation. Eventually, the exhibition was staged again at the Centre Georges Pompidou in Paris and Tinguely set about the creation of the 29 Philosophers that were displayed in the lobby outside the exhibition hall together with the monumental Dernière Collaboration avec Yves Klein. Movement, chance, and profane, recycled material: these are the three parameters that had characterized Tinguely’s art since his beginnings in 1950s Paris when, coming from Basel with his first wife Eva Aeppli, he conquered the capital of France and art. He made his delicate sculptures of welded wire – Moulin à prière, Méta-mécanique and Méta-Herbin, Elément Détaché – as well as his first reliefs, Méta-Malevich, Méta-Kandinsky. For the young couple, the Impasse Ronsin studio in the Montparnasse district – one of the hotspots of the Parisian art scene – was their workshop, their home and source of inspiration. Next to them was the atelier of Constantin Brâncuși; in 1955, Max Ernst moved to a studio just round the corner and other artists such as François-Xavier and Claude Lalanne, Alexandre Istrati and, later on, Larry Rivers were always present. The visits of Yves Klein, with whom Tinguely had made friends, also contributed to creating a lively atmosphere. While discussing their art and above all the fundamental nature of the art of their time, Jean and Yves soon discovered that they had much to share. They were interested not so much in issues related to materials or style but rather, or perhaps on the contrary, in the theme of art’s dematerialization. The two artists conceived art as an idea, something that was supposed to go beyond its actual presence, even something potentially deprived of material reality. Art could be anything, therefore even an action, a moment, a fantasia, a performance, a happening. To be sure, these two latter terms were entirely foreign to Tinguely’s and Klein’s vocabularies, as they were coined later, and in a totally different context, but if you consider contents, the two artists followed the same track as Gustav Metzger and Allan Kaprow1. This artistic research led Tinguely to develop the style of his early works: the ephemeral sculptures and the performances that he staged with them, such as Art, Machine and Motion, A Lecture by Jean Tinguely (Méta-Matic Evening), at the ICA in London in 1959, Homage to New York, at the Museum of Modern Art in New York in 1960, the two Studies for an end of the world, at the Louisiana Museum Humlebæk in 1961, in the Nevada desert, close to Las Vegas in 1962, and many more. But what seemed to distance Tinguely from sculpture actually drew him closer to it. The artist created sculptures not only as works of art turned into materials and set in motion, but as entities participating in the action, playmates, actresses in a drama that could be longer or shorter, as required. It was in this early period that the artist made the Méta-Matics. These machines were able to create drawings; they were like a call to action, an invitation to interact, genuine performance machines, with which Tinguely overturned the actual definition of art, going far beyond what other contemporary artists had achieved. By then, art had become a tool, and the emerging drawing was already a relic, a keepsake. Art had been promoted from material to experience. As early as in 1959, in his manifesto For Statics, he wrote that the only authentically static thing is movement, which should be recognized as a core element in every area of our lives. And he himself put these principles into practice. As for Tinguely’s performances, see miranda fuchs, “Art is Revolt”: Jean Tinguely as a Performance Artist, in Museum Tinguely Basel: The Collection, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, pp. 210 ff. 1 17 Therefore, his later sculptures should always be considered as calls to movement, and this is particularly evident in the Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia from 1987, a sculpture whose essence you can grasp only if you go through it. You need to step on the sculpture itself, go up and down stairs and walk along bridges in order to perceive the bodily sensations caused, among other things, by the vibrations of the metal framework. If you remain on the outside, you miss the actual adventure. The Utopia, which was the central installation of the exhibition at Palazzo Grassi, occupied its courtyard entirely. Even the mere effort made to carry such mega-sculpture to Venice excited general admiration and the public was left amazed. And then, of course, the construction itself, with its many diverse associations with Venice, with Tinguely’s artistic and private sphere, as well as with his approach to art and life. And finally, the wide range of associations that develop when, from the loudspeaker hidden in the blue horn, you hear La Traviata. A gentle touch, resulting from a deliberate choice, and an intensely present feeling. Just like the Grosse Méta-Maxi-Maxi-Utopia in Venice, a big impression was made the following year by the Philosophers that Tinguely conceived as a group of sculptures dominating the space at the entrance of the Centre Georges Pompidou exhibition hall. And in the same way as the Utopia, the Philosophers resisted any attempt of simplistic interpretation. Although their names seemed to hint quite clearly at the meanings of the sculptures, their complexity excludes literal comprehension and only leaves space to associative reflexion. In several interviews during the Paris retrospective, Tinguely stressed more than once that obviously he had read and understood the texts of the philosophers he had «portrayed». He showed that he knew very well the philosophical thought of these great men (in this «ancestors’ gallery», as the artist used to call it, were few female figures: only the African Queen and Nona von Eisenstein, the portrait of the bitch belonging to Milena Palakarkina, the artist who became Tinguely’s mistress in the late 1980s). In an interview with Geneviève Bréerette, who asked him whether he had read his philosophers’ writings, he answered, «Yes, I started very early. In practically no time, I switched from Catholicism to Stalinism. I was a quick Stalinist, at the age of 16. Then, to free myself from all that, luckily or by mischance, I came into contact with the anarchist movement. I knew a very kind man, Heiner Koechlin, who gave me stuff to read, like Kropotkin, after which I started reading advanced anarchic texts such as Proudhon, for example. In addition, I used to read and re-read Hegel and Engels. That is how I started to widen my reading horizons, until I came across a very different man: Schopenhauer. There was something living! Before him, I had already read the Critique of Pure Reason. Then there was Heidegger, whom I started reading as soon as I became aware of his existence. Maybe because Sartre made so much fuss about him. There was something for everyone. Instead, I considered Sartre a poet, a bit like Jacques Prévert and Les Feuilles Mortes as compared to Goethe. In Goethe, you read such complex things and you immediately feel very intelligent. I also came across Bergson and, later on, after reading Adorno, I came to Max Stirner, The Ego and Its Own. He is an essential man who lives on individual responsibility, which – for him – becomes a strength against Marxism»2. It is important to stress that almost forty years passed from the reading to the creation of the Philosophers; the forty years of his artistic production, his life in Paris, his exhibitions. To be sure, the artist found himself in a very different situation as compared to the mid Forties when, soon after the war (and his national service with the Swiss Army), he explored philosophy, leaned towards communism and then anarchism, and read with youthful curiosity (a long time after his school education, therefore uncoerced and just for the sake of knowledge) the texts that would later influence him and lay the foundations of many of his geneviève bréerette, Tinguely au Centre Pompidou, «Le Monde», 7 December 1988, p. 14. 2 18 works to come. Of course, Tinguely’s readings did not have a continuous, consistent impact over the years; unquestionably readings change, as do recollections; you are left with pieces, parts, impressions; and interpretations, for sure, are not final. This is the basis used by Tinguely to create his Philosophers: recollections, portions of text, associations. Although Tinguely loved to call them portraits, these sculptures should probably not be considered as such. If anything, they are highly selective meaning and thought portraits; they are association machines and thought sculptures in the highest sense of the term. Andres Pardey Vice-Director, Museum Tinguely 19 20 Jean Tinguely al lavoro nel suo giardino su una scultura per Le Paradis Fantastique. Soisy-sur-École, 1966. John R. van Rolleghem Nella pagina precedente: Jean Tinguely in una pausa durante la realizzazione di Eurêka. Losanna, 1964. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 21 Jean Tinguely nel cortile di Impasse Ronsin. Parigi, 1960. Vera Mercer Jean Tinguely al lavoro su Fourrures (Balouba) nel suo studio di Impasse Ronsin. Parigi, 1960. Vera Mercer 22 Jean Tinguely con Variations nel suo studio di Impasse Ronsin. Parigi, 1958. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 Jean Tinguely mentre salda Méta-Matic n. 17 nel cortile di Impasse Ronsin. Parigi, 1959. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 23 Jean Tinguely al lavoro su un’opera della serie dei Rilievi nel cortile di Impasse Ronsin. Parigi, 1959. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 Jean Tinguely con Méta-Kandinsky nel suo studio di Impasse Ronsin. Parigi, 1956. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 24 Jean Tinguely al lavoro su Méta-Matic n. 17 nel cortile di Impasse Ronsin. Parigi, 1959. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 25 Jean Tinguely in mezzo a un mucchio di rottami di metallo. Dintorni di Parigi, 1957. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 In basso: Jean Tinguely con Méta-Matic n. 14 nel suo studio di Impasse Ronsin. Parigi, 1959. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 26 Eva Aeppli, Jean Tinguely e Olof Ultvedt avvolti nei disegni di Méta-Matic nello studio di Impasse Ronsin. Parigi, 1959. Hansjörg Stoecklin © Museum Tinguely, Basel, 2015 In basso: Jean Tinguely al lavoro sulla sua grande scultura Eurêka. Losanna, 1964. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 27 Niki de Saint Phalle al lavoro su Cheval et la mariée. Soisy-sur-École, 1963. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 Jean Tinguely con Niki de Saint Phalle in un caffè. Parigi, 1966. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 28 Niki de Saint Phalle durante uno dei suoi Tiri nel suo giardino. Soisy-sur-École, 1963. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 29 Friedrich Engels 1988 172×100×98 CM MATERIALI - LASTRA ED ELEMENTI IN FERRO, RUOTA DI LEGNO, CATENE DI SCIACQUONI CON MANIGLIE IN CERAMICA, MOTORE ELETTRICO 31 32 Jean-Jacques Rousseau 1988 201×227×133 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO, TUBO DI PLASTICA, MASCHERA DI CARNEVALE, PIUME D’UCCELLO, COPRICAPO DA NATIVO AMERICANO, CINGHIA DI TRASMISSIONE, MOTORE ELETTRICO 33 Henri Bergson 1988 223×138×178 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO, PROFILATO IN RAME, RUOTA DI LEGNO, RUOTE DI GOMMA, CINGHIA DI TRASMISSIONE, CUSCINETTO, MOTORE ELETTRICO 34 Jacob Burckhardt 1988 239×152×67 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO E FOGLIO DI LAMIERA, PARTE DELL’ASSE DI UN’AUTO, RUOTA DI LEGNO, MASCHERA DI CARTAPESTA DEL CARNEVALE DI BASILEA, PIUMA D’UCCELLO, MOTORE ELETTRICO 35 Ludwig Wittgenstein 1988 217×188×93 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO, TUBO ISOLANTE PER L’ALTA TENSIONE, PARTI IN PLASTICA, TELAIO DI MOTOCICLETTA, RUOTA DI ALLUMINIO, CINGHIA DI TRASMISSIONE, RUOTE DI GOMMA, CUSCINETTO, MOTORE ELETTRICO ISCRIZIONE SUL TUBO: «VON WITTGENSTEIN» 36 M A RT I N H E I D E G G E R 1988 157×102×72 CM MATERIALI - ELEMENTI E TUBO IN FERRO, RUOTA DI ALLUMINIO, MOTORE ELETTRICO 37 Wedekind 1988-89 189×91×69 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO, SGABELLO DI FERRO, RUOTA DI LEGNO, MOTORE ELETTRICO 38 Pëtr Kropotkin 1988 208×230×94 CM MATERIALI - BOMA DA WINDSURF, RUOTA DI LEGNO, ELEMENTI IN FERRO, FUSTO METALLICO, PALLET, CORDE ELASTICHE, MOTORE ELETTRICO ISCRIZIONE, NON DI JEAN TINGUELY, VICINO ALLA RUOTA DI LEGNO: «KROPOTKIN»; ISCRIZIONE DELLA FONDERIA SULLA RUOTA DI LEGNO: «BURCKHARDT» 39 40 Wac k e r n ag e l 1988 192×108×286 CM MATERIALI - ELEMENTI IN FERRO, TELAIO DI MOTORINO, RUOTA DI LEGNO, MASCHERA DI CARNEVALE, CINGHIA DI TRASMISSIONE, MOTORE ELETTRICO ISCRIZIONE SULLA RUOTA DI LEGNO: «JACKSON POLLOCK IN PAMPLONA»; NON DI JEAN TINGUELY, SULLA BASE: «MARTIN HEIDEGGER» 41 42 Sedie-serpente. Niki de Saint Phalle, 1996 130×72×70 cm circa Legno verniciato, specchio, pietra 43 44 Jean Tinguely. Parigi, 1960. Vera Mercer Jean Tinguely ̶ Biografia BIOGRAFIA Jean Tinguely nasce a Friburgo, in Svizzera, il 22 maggio 1925. Dopo pochi mesi la famiglia si trasferisce a Basilea. Dal 1941 al 1943 Tinguely lavora come apprendista decoratore per i grandi magazzini Globus, poi, licenziato per indisciplina, diventa assistente decoratore di Joos Hutter. Frequenta la Allgemeine Gewerbeschule, la scuola di arti applicate di Basilea, mostrando un interesse particolare per i corsi di scienze dei materiali tenuti da Julia Eble-Ris. Grazie ai suoi insegnanti, entra in contatto con i più recenti sviluppi dell’arte contemporanea, dal Bauhaus al costruttivismo, dal futurismo al surrealismo. Incontra Eva Aeppli e frequenta movimenti giovanili di orientamento comunista. Dal 1945 lavora come decoratore indipendente a Basilea, Zurigo e Biel. Frequenta il circolo dell’editore anarchico Heiner Koechlin e si avvicina ai grandi maestri del pensiero moderno, da Rousseau a Heidegger. La lettura di autori come Max Stirner o Proudhon lo allontanano dal marxismo militante e formano la sua coscienza politica libera e anarchica. Dipinge soggetti astratti e produce alcune sculture con parti metalliche, legno e carta. Alla fine del 1952 si trasferisce a Parigi con Eva Aeppli, diventata sua moglie, prima in un modesto albergo in Rue Pierre-Leroux poi nell’Impasse Ronsin, vicino allo studio di Costantin Brâncuși. Realizza le prime opere cinetiche, piccole sculture in filo di ferro (Moulins à prière) o rilievi di forme geometriche in movimento azionate da motori elettrici che l’artista chiama Méta-mécaniques. Espone nelle gallerie d’avanguardia della Parigi degli anni Cinquanta, presso Arnaud, Denise René e Iris Clert. In quegli anni conosce il critico Pontus Hultén, Bruno Munari, Niki de Saint Phalle e Yves Klein. Tinguely e Klein collaborano a diversi progetti e nel novembre 1958, da Iris Clert, presentano Vitesse pure et stabilité monochrome. L’artista svizzero espone in diverse gallerie europee. I rilievi si fanno sculture meccaniche a tutto tondo. Il 14 marzo 1959, da un aereo in volo sopra la periferia di Düsseldorf, lancia 150 000 volantini del manifesto Für Statik (Per la Statica) nel quale esalta l’importanza del movimento in ogni aspetto della vita e dell’arte. Nello stesso anno costruisce le Méta-matics, macchine in grado di produrre meccanicamente dipinti e disegni. Alla Biennale di Parigi presenta Méta-matic n. 17: azionata da un piccolo motore a benzina, l’opera si muove e dipinge ininterrottamente su un rotolo di carta scorrevole. Realizza anche i primi rilievi sonori, dove grande attenzione è rivolta al rumore prodotto dai meccanismi in movimento. Le opere si fanno rapidamente più complesse, combinando rottami e parti metalliche, ruote di ogni tipo e complessi meccanismi per la trasmissione del movimento. Tinguely è anche uno dei primi artisti a inserire nei suoi lavori nuove sostanze «non materiali» o indefinite per rappresentare l’immateriale dell’arte: suono, luce, odore, saranno presto affiancati da fumo, fuoco ed esplosioni. La sera del 17 marzo 1960 nel giardino del MoMA di New York viene presentata Homage to New York, una gigantesca scultura autodistruttrice che dopo aver funzionato per alcuni minuti collassa su se stessa. Di nuovo a Parigi, produce a ritmo frenetico e il 13 maggio, in un memorabile corteo, quattro macchine su ruote attraversano Montparnasse per raggiungere la Galerie des Quatre Saisons. Nell’ottobre del 1960 Pierre Restany fonda il gruppo dei Nouveaux Réalistes e Tinguely è tra i firmatari della dichiarazione costituiva. Decide allora di andare a vivere con Niki de Saint Phalle. Negli anni i due artisti saranno l’uno per l’altra fonte d’ispirazione e collaboreranno a molti progetti. Tinguely comincia la serie Balouba in omaggio al popolo congolese in lotta per l’indipendenza. Nel 1961 lavora alla grande mostra Bewogen Beweging (Amsterdam-Stoccolma-Humlebæk) e, a Copenaghen, costruisce una nuova macchina autodistruttrice, Étude pour une fin du monde n. 1. L’anno dopo, vicino a Las Vegas, mette in azione Study for an End of the World no. 2. A New York, insieme a Niki de Saint Phalle e Robert Rauchenberg, partecipa all’happening The Construction of Boston, con la coreografia di Merce Cunningham. Coordina la mostra Dylaby: Dynamisch Labyrinth presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam e realizza per l’occasione una scultura radiofonica, la scultura «balouba» Hommage à Anton Müller e un’istallazione di palloni mossi da potenti ventilatori. 46 Eurêka, presentata all’Esposizione nazionale svizzera di Losanna del 1964, è la sua scultura più grande: supera i 10 metri di lunghezza e gli 8 di altezza. Sempre nel 1964 vengono realizzate le serie Chars, Sisyphus e Eos, prototipi delle Copulatrices. Nel 1966, Tinguely, Niki de Saint Phalle e Per Olof Ultvedt realizzano Hon (Lei) per il Moderna Museet di Stoccolma: è una struttura dalle fattezze femminili al cui interno si susseguono meccanismi vari e strani, come un’enorme ruota che gira su se stessa e un planetario. L’anno dopo Tinguely e la compagna lavorano a un progetto ancora più grande chiamato Le Paradis Fantastique per l’Esposizione universale di Montréal, da collocare sul tetto del padiglione francese. Sempre a Montréal, per il padiglione svizzero, Tinguely crea il rilievo Requiem pour une feuille morte. L’anno dopo realizza le macchine Méta I, Méta II, Méta III, diverse dalla sua produzione precedente per l’uso di ferro non verniciato e per l’attenzione particolare rivolta al rumore. A Natale acquista un’antica locanda a Neyruz, nel cantone di Friburgo, dove allestisce un nuovo atelier. Rotozaza III viene assemblata nei grandi magazzini Victor Loeb a Berna e nel giro di pochi giorni la macchina distruttrice frantuma, a ciclo continuo, centinaia di piatti di ceramica. Nel 1970 comincia a realizzare La Tête (Le Cyclop), una struttura alta 22,5 metri nel bosco di Milly-laForêt poco fuori Parigi. Alla realizzazione partecipano Niki de Saint Phalle e gli assistenti Josef Imhof e Rico Weber. Nei suoi incredibili spazi la struttura ospita un vagone ferroviario, un teatro e opere di artisti quali Eva Aeppli, Bernhard Luginbühl, Daniel Spoerri, Larry Rivers, Arman e César. La Vittoria viene messa in scena nel 1970, per il 10° anniversario dalla nascita del Nouveau Réalisme, nella Piazza del Duomo a Milano: è una nuova macchina autodistruttrice, un enorme fallo d’oro alto 8 metri. Il 13 luglio 1971 Tinguely e Niki de Saint Phalle si sposano. Il 31 gennaio 1977 viene inaugurato a Parigi il Centre Georges Pompidou per il cui atrio Tinguely, insieme a Luginbühl e alla moglie, realizza l’installazione Le Crocrodrome. Nello stesso anno viene presentata la Theaterbrunnen – Fasnachtsbrunnen, la fontana simbolo di Basilea, posizionata nel luogo dove sorgeva il vecchio teatro della città. È la prima fontana permanente tra quelle realizzate dall’artista: la Fontana Stravinsky (1983) collocata a fianco del Centre Pompidou, la Fontana Jo Siffert (1984) a Friburgo e la fontana di Château-Chinon (1988), commissionata del presidente francese Mitterrand. Nel 1978 comincia a lavorare alla serie di rilievi policromi musicali Méta-Harmonies. Klamauk è il grande trattore-scultura capace di suonare musica, sparare fuochi di artificio e dare vita a un carnevale ambulante. Nel luglio del 1981, presso l’Abbazia di Sénanque, presenta le sue prime sculture-teschio. Costruisce Pit-Stop (1984) con parti di due monoposto Renault di Formula Uno. Nel 1985, in un locale abbandonato dello stabilimento siderurgico di Olten, in Svizzera, costruisce Méta-Harmonie IV – Fatamorgana, un enorme rilievo lungo oltre 12 metri. In novembre l’artista subisce un intervento chirurgico di bypass coronarico e, a seguito di complicazioni, rimane in coma per alcuni giorni. La serie di sculture Mengele (1986) presenta in modo esplicito il tema della morte: le opere sono realizzate con travi carbonizzate, parti di macchine agricole, crani e ossa di animali, recuperati dopo l’incendio che aveva distrutto una fattoria vicino al suo studio a Neyruz. Gli ultimi anni sono un susseguirsi di riconoscimenti e retrospettive, senza che si affievolisca la vena creativa dell’artista. Nella retrospettiva al Centre Pompidou del 1988-89, Tinguely presenta la nuova serie dei Filosofi: le sculture sono dedicate ai maestri del pensiero che hanno contribuito alla sua formazione, da Schopenhauer a Hegel, da Bergson a Rudolf Steiner. L’artista muore per emorragia cerebrale il 30 agosto 1991 a l’Hôpital de l’Île a Berna. 47 Jean Tinguely ̶ Biografie BIOGRAFIE Jean Tinguely kommt am 22. Mai 1925 in Freiburg in der Schweiz zur Welt. Wenige Monate nach seiner Geburt zieht die Familie nach Basel. Von 1941 bis 1943 macht Tinguely eine Lehre als Dekorateur beim Warenhaus Globus, wird aber wegen Disziplinlosigkeit entlassen. Er findet eine Anstellung als Dekorationsassistent bei Joos Hutter. Tinguely besucht die Allgemeine Gewerbeschule Basel, wo er sich besonders für die Kurse in Materialkunde bei Julia Eble-Ris interessiert. Dank seiner Lehrer kommt er auch mit den neuesten Entwicklungen in der zeitgenössischen Kunst in Berührung: vom Bauhaus bis hin zum Konstruktivismus, vom Futurismus bis hin zum Surrealismus. Er lernt Eva Aeppli kennen und schließt sich kommunistisch inspirierten Jugendbewegungen an. Ab 1945 arbeitet er als freier Dekorateur in Basel, Zürich und Biel. Er verkehrt im Umfeld des anarchistischen Verlegers Heiner Koechlin und nähert sich den großen Meistern des modernen Denkens an: von Rousseau bis hin zu Heidegger. Die Lektüre von Autoren wie Max Stirner und Proudhon bringen ihn vom militanten Marxismus ab und formen sein freies und anarchisches politisches Gewissen. Er malt abstrakte Subjekte und fertigt Skulpturen aus Metall, Holz und Papier. Ende 1952 zieht er mit Eva Aeppli, die er in der Zwischenzeit geheiratet hat, nach Paris. Die beiden beziehen zunächst ein bescheidenes Hotel in der Rue Pierre-Leroux, bevor sie sich in der Impasse Ronsin, in der Nähe des Ateliers von Constantin Brâncuși, niederlassen. Tinguely schafft die ersten kinetischen Werke: kleine Drahtskulpturen (Moulins à prière) sowie Reliefs aus bewegten geometrischen Formen, die von Elektromotoren angetrieben werden und die der Künstler Méta-mécaniques nennt. Er stellt in Pariser Avantgarde-Galerien der Fünfzigerjahre wie Arnaud, Denise René und Iris Clert aus. In jenen Jahren lernt er auch den Kritiker Pontus Hultén, Bruno Munari, Niki de Saint Phalle und Yves Klein kennen. Mit letzterem zusammen arbeitet er an verschiedenen Projekten und stellt er im Jahr 1958 bei Iris Clert Vitesse pure et stabilité monochrome aus. Tinguely stellt auch in verschiedenen europäischen Galerien aus. Aus seinen Reliefs werden ganze mechanische Skulpturen. Am 14. März 1959 wirft er über Düsseldorf 150 000 Flugblätter mit seinem Manifest Für Statik aus einem Flugzeug ab. In dem Manifest preist er die Bedeutung von Bewegung für jeden Aspekt des Lebens und der Kunst. Im selben Jahr baut er die Méta-matics, Maschinen, die malen und zeichnen können. Auf der Pariser Biennale stellt er die Méta-matic n. 17 vor, die von einem kleinen Benzinmotor angetrieben wird, sich unablässig bewegt und auf einem fortlaufenden Papierbogen Zeichnungen anfertigt. Auch die ersten Lautreliefs, bei denen die durch mechanische Bewegung erzeugten Geräusche im Mittelpunkt stehen, entstehen in dieser Periode. Schnell gewinnen Tinguelys Werke an Komplexität. Sie kombinieren Schrott und Metallteile, Räder aller Art sowie komplexe Mechanismen für die Übertragung von Bewegung. Tinguely ist einer der ersten Künstler, die in ihre Arbeiten neue, „immaterielle“ oder schwer zu definierende Substanzen wie Klang, Licht oder Duft miteinbeziehen. Auch Rauch, Feuer und Explosionen gesellen sich bald dazu. Am Abend des 17. März 1960 wird im Garten des MoMA in New York die Homage to New York präsentiert, eine gigantische sich selbst zerstörende Skulptur, die einige Minuten lang funktioniert und dann in sich zusammenbricht. Zurück in Paris beginnt Tinguely, wie besessen zu arbeiten, und lässt am 13. Mai in einem denkwürdigen Umzug vier Maschinen auf Rädern das Viertel Montparnasse durchqueren und zur Galerie des Quatre Saisons fahren. Im Oktober 1960 gründet Pierre Restany die Gruppe der Nouveaux Réalistes. Tinguely ist einer der ersten Unterzeichner von deren konstitutiver Erklärung. Zu dieser Zeit beschließt er auch, mit Niki de Saint Phalle zusammenzuziehen. Im Laufe der Jahre sind die beiden immer wieder Inspirationsquelle und Projektpartner füreinander. Tinguely beginnt die Serie Balouba als Hommage an die Menschen im Kongo, die für ihre Unabhängigkeit kämpfen. Im Jahr 1961 arbeitet er an der großen Ausstellung Bewogen Beweging (AmsterdamStockholm-Humlebæk) und baut in Kopenhagen eine neue sich selbst zerstörende Maschine, die Étude pour une fin du monde n. 1. Im Jahr darauf setzt er in der Nähe von Las Vegas die Study for an End of the World no. 2 in Gang. In New York nimmt er gemeinsam mit Niki de Saint Phalle und Robert Rauchenberg an dem Happening The Construction of Boston, mit der Choreografie von Merce Cunningham, teil. Er koordiniert die Ausstellung Dylaby: Dynamisch Labyrinth im Stedelijk Museum in Amsterdam und fertigt aus diesem Anlass eine 48 Radio-Skulptur, die „Balouba“-Skulptur Hommage à Anton Müller sowie eine Installation mit Bällen, die von mächtigen Ventilatoren in Bewegung versetzt werden. Eurêka, 1964 für die Schweizerische Landesausstellung in Lausanne entstanden, ist mit zehn Metern Länge und acht Metern Höhe Tinguelys größte Skulptur. Ebenfalls im Jahr 1964 werden die Serien Chars, Sisyphus und Eos, Prototypen der Copulatrices, fertiggestellt. Im Jahr 1966 fertigen Tinguely, Niki de Saint Phalle und Per Olof Ultvedt die Skulptur Hon (Sie) für das Moderna Museet in Stockholm. Es handelt sich um eine Konstruktion mit den Zügen eines weiblichen Körpers, in deren Innerem verschiedenartige, seltsame Mechanismen ablaufen, wie etwa die Drehung eines riesigen Rades um sich selbst oder die Planetenbewegungen eines Planetariums. Im Jahr darauf arbeiten Tinguely und seine Lebensgefährtin an einem noch größeren Projekt für das Dach des französischen Pavillons bei der Weltausstellung in Montreal. Es trägt den Namen Le Paradis Fantastique. Für den Schweizerischen Pavillon schafft Tinguely das Relief Requiem pour une feuille morte. Im Jahr darauf fertigt er die Maschinen Méta I, Méta II und Méta III an, die sich insofern von seiner bisherigen Produktion unterscheiden, als er für sie unlackiertes Eisen verwendet und erstmals die Geräusche im Mittelpunkt stehen. An Weihnachten kauft er ein ehemaliges Gasthaus in Neyruz im Kanton Freiburg und richtet sich dort ein neues Atelier ein. Die zerstörerische Rotozaza III wird im Warenhaus Victor Loeb in Bern aufgebaut und zerschlägt innerhalb weniger Tage Hunderte Porzellanteller in stetem Fluss. Im Jahr 1970 beginnt er die Arbeit an La Tête (Le Cyclop), einem 22,5 Meter hohen Aufbau im Wald von Milly-la-Forêt außerhalb von Paris. Am Bau beteiligt sind auch Niki de Saint Phalle sowie die Assistenten Josef Imhof und Rico Weber. In ihren unglaublichen Räumen beherbergt die Konstruktion einen Eisenbahnwaggon, ein Theater sowie Werke von Künstlern wie Eva Aeppli, Bernhard Luginbühl, Daniel Spoerri, Larry Rivers, Arman und César. La Vittoria wird 1970 zum zehnten Geburtstag des Nouveau Réalisme auf der Piazza del Duomo in Mailand vorgeführt. Dieser enorme goldene Phallus von acht Metern Höhe ist eine weitere sich selbst zerstörende Maschine. Am 13. Juli 1971 heiratet Tinguely Niki de Saint Phalle. Am 31. Januar 1977 wird in Paris das Centre Georges Pompidou eingeweiht, für dessen Atrium Tinguely, gemeinsam mit Luginbühl und seiner Frau, die Installation Le Crocrodrome anfertigt. Im selben Jahr präsentieren sie den Theaterbrunnen – Fasnachtsbrunnen, der heute ein Symbol der Stadt Basel ist und an der Stelle des alten Stadttheaters steht. Unter den Brunnen, die Tinguely baut, ist dies der erste permanente. Es folgen der Stravinsky-Brunnen (1983) am Centre Pompidou, der Jo-Siffert-Brunnen (1984) in Freiburg sowie der Brunnen von Château-Chinon (1988), in Auftrag gegeben vom französischen Präsidenten Mitterrand. Im Jahr 1978 beginnt Tinguely mit der Arbeit an einer Reihe von polychromen musikalischen Reliefs, den Méta-Harmonien. Klamauk heißt die große Skulptur mit Traktor, die, Musik machend und Feuerwerke abbrennend, einen fahrenden Karneval veranstaltet. Im Juli 1981 zeigt Tinguely in der Abtei Sénanque seine ersten Schädelskulpturen. Er baut Pit-Stop (1984) mit Teilen zweier Formel-1-Rennwagen von Renault. Im Jahr 1985 baut Tinguely in einer stillgelegten Industriehalle in Olten die Méta-Harmonie IV – Fatamorgana, ein massiges, zwölf Meter hohes Relief. Im November unterzieht er sich einer Bypass-Operation und liegt aufgrund von Komplikationen für einige Tage im Koma. Der Skulpturenzyklus Mengele (1986) befasst sich explizit mit dem Tod: Der Künstler fertigt die Werke der Reihe aus verkohlten Balken, Landmaschinenteilen sowie Tierschädeln und -knochen an, die er aus den Trümmern eines vom Feuer zerstörten Bauernhofs in der Nähe seines Ateliers in Neyruz gezogen hatte. In den letzten Jahren seines Lebens wechseln sich für Tinguely Würdigungen und Retrospektiven ab, ohne dass seine Schaffenskraft nachließe. In der Retrospektive im Centre Pompidou in den Jahren 1988-89 zeigt Tinguely seine Gruppe der Philosophen – Skulpturen, die denjenigen Meistern des Denkens gewidmet sind, die zu Tinguelys Bildung beigetragen haben: von Schopenhauer bis Hegel, von Bergson bis Rudolf Steiner. Der Künstler stirbt am 30. August 1991 im Inselspital in Bern an einer Hirnblutung. 49 Jean Tinguely ̶ Biography BIOGRAPHY Jean Tinguely was born in Fribourg, Switzerland, on 22 May 1925. After a few months, his family moved to Basel. From 1941 to 1943, he worked as an apprentice decorator at the Globus department store. After being dismissed for lack of discipline, he became assistant decorator for Joos Hutter. He attended the Allgemeine Gewerbeschule, the Basel school of applied arts, where he developed a growing interest in the courses in materials sciences held by Julia Eble-Ris. His teachers were instrumental in introducing him to the newest developments in contemporary art, from the Bauhaus to constructivism, from futurism to surrealism. He met Eva Aeppli and joined the Communist youth movement. In 1945, he started working as an independent decorator in Basel, Zurich and Biel. He became an adherent of the circle around the anarchist publisher Heiner Koechlin and developed a keen interest in the great masters of modern thought, from Rousseau to Heidegger. His reading of authors such as Max Stirner or Proudhon distanced him from militant Marxism and formed his political awareness as a free thinker and an anarchist. He painted abstract subjects and produced a few sculptures with metal, wooden and paper parts. In late 1952, he went to live in Paris with his wife Eva Aeppli. Initially, they stayed at a cheap hotel in Rue Pierre-Leroux and then moved to the Impasse Ronsin, close to Costantin Brâncuși’s studio. Tinguely created his first kinetic works, small sculptures made of metal wire (Moulins à prière), or geometric reliefs operated by electric motors that the artist called Méta-mécaniques. He exhibited in 1950s Paris avant-garde galleries such as Arnaud, Denise René and Iris Clert. In those years, he became familiar with art critic Pontus Hultén, Bruno Munari, Niki de Saint Phalle and Yves Klein. Tinguely and Klein collaborated on several projects and in November 1958, they exhibited Vitesse pure et stabilité monochrome at the Galerie Iris Clert. The Swiss artist exhibited in several European galleries. His reliefs became mechanical sculptures in the round. On 14 March 1959, from an aeroplane over Düsseldorf, he scattered 150,000 copies of his manifesto, Für Statik (For Statics), in which he extolled the importance of movement in every aspect of life and art. In the same year, he built the Méta-matics, automatic machines that could produce paintings and drawings mechanically. At the Paris Biennale he displayed Méta-matic no. 17. Powered by a small petrol engine, the work moves and paints incessantly on a roll of paper. He also produced his early sound reliefs, where he paid great attention to the noise made by moving mechanisms. His work became increasingly complex, in a combination of scrap metal parts, wheels of all kinds and elaborate mechanisms for the transmission of movement. Tinguely was also one of the first artists to use «non-material» or indefinite substances to represent the immaterial in art: smoke, fire and explosions would soon accompany sound, light and odour. On 17 March 1960, in the garden of the MoMA in NYC, Tinguely exhibited Homage to New York, a giant self-destroying sculpture, which was meant to collapse when set in motion. Back to Paris, he produced at a frantic pace and, on 13 May, he led a memorable parade of his work – four mobile machines – through Montparnasse to the Galerie des Quatre Saisons. In October 1960, Pierre Restany established the Nouveaux Réalistes group and Tinguely was among the artists who signed the founding declaration. At the same time, he decided to go and live with Niki de Saint Phalle. In the following years, the two artists became a source of inspiration for each other and collaborated on a number of projects. Tinguely started the Balouba series as a homage to the Congolese people who were struggling for independence. In 1961, he participated in the important exhibition Bewogen Beweging (AmsterdamStockholm-Humlebæk) and, in Copenhagen, he built a new self-destroying machine called Étude pour une fin du monde n. 1. The following year, close to Las Vegas, he staged Study for an End of the World no. 2. In New York, together with Niki de Saint Phalle and Robert Rauchenberg, he participated in the happening The Construction of Boston, choreographed by Merce Cunningham. He coordinated the exhibition Dylaby: Dynamisch Labyrinth at the Stedelijk Museum in Amsterdam and, on that occasion, he created a radio sculpture, the «balouba» 50 sculpture Hommage à Anton Müller and an installation consisting of balls shaken by powerful fans. Eurêka, presented at the Swiss National Exhibition in Lausanne in 1964, was his largest sculpture (over 10 metres long and 8 metres tall). In 1964 he also created the series Chars, Sisyphus e Eos, prototypes of the Copulatrices. In 1966, Tinguely, Niki de Saint Phalle and Per Olof Ultvedt created Hon (She) for the Stockholm Moderna Museet: a reclining woman inside which were several odd mechanisms, such as a huge wheel turning on itself and a planetary. In the following year, Tinguely and his partner worked on an even larger project, Le Paradis Fantastique, to be placed atop the French Pavilion at the 1967 International and Universal Exposition in Montreal. Again in Montreal, Tinguely created the relief Requiem pour une feuille morte for the Swiss Pavilion. At Christmas time, he bought an ancient guesthouse in Neyruz, in the Canton of Fribourg, where he set up a new atelier. He built Rotozaza III for the Victor Loeb department store in Berne and in just a few days, the machine programmed to destroy was able to shatter hundreds of porcelain dishes on a continuous cycle. In 1970, he began creating La Tête (Le Cyclop), a major sculptural project standing 22.5 metres tall, in the woods at Milly-la-Forêt just outside of Paris. Niki de Saint Phalle and Tinguely’s assistants Josef Imhof and Rico Weber collaborated on the project. In the huge space of this structure are a railway wagon, a theatre and works by artists such as Eva Aeppli, Bernhard Luginbühl, Daniel Spoerri, Larry Rivers, Arman and César. La Vittoria was set up in 1970, on the tenth anniversary of the foundation of the Nouveau Réalisme, in the Piazza del Duomo in Milan: a new self-destroying machine, it was a huge golden phallus standing 8 metres tall. On 13 July 1971, Tinguely and Niki de Saint Phalle got married. On 31 January 1977, the Centre Georges Pompidou officially opened in Paris. Together with his wife and Luginbühl, Tinguely created the installation Le Crocrodrome for the entrance hall. In the same year, Tinguely presented the Theaterbrunnen – Fasnachtsbrunnen, the fountain that stands in place of the old theatre, now a symbol of Basel. It was the first permanent fountain among those created by the artist: the Stravinsky Fountain (1983) close to the Centre Pompidou, the Jo Siffert Fountain (1984) in Fribourg and the fountain in Château-Chinon (1988), commissioned by French president Mitterrand. In 1978, he began working on a series of multi-coloured music reliefs, the Méta-Harmonies. Klamauk is the great tractor-sculpture able to play music, explode firecrackers and give life to a street carnival. In July 1981, at Sénanque Abbey, he presented his skull-sculptures for the first time. He then built Pit-Stop (1984) using parts of two Renault race cars. In 1985, in the abandoned premises of a factory in Olten, Switzerland, the artist constructed Méta-Harmonie IV – Fatamorgana, a huge wheelwork over 12 metres long. In November, Tinguely underwent heart surgery and, owing to complications, he was comatose for a few days. The Mengele series of sculptures (1986) is an explicit presentation of the theme of death. Tinguely created it with charred beams, parts of agricultural machinery, animal skulls and bones retrieved from a farmhouse that had burned to the ground near his atelier in Neyruz. His last years of life were full of awards and retrospectives, but his creative vein never waned. In the 1988-89 retrospective at the Centre Pompidou, Tinguely presented the new series of the Philosophers, which he dedicated to the masters of thought who contributed to his education, from Schopenhauer to Hegel, from Bergson to Rudolf Steiner. The artist died from brain haemorrhage on 30 August 1991 at the Inselspital in Berne. 51 Niki de Saint Phalle nel suo studio. Soisy-sur-École, 1980. Monique Jacot © Museum Tinguely, Basel, 2015 52 Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle nasce nel 1930 a Neuilly-sur-Seine, in Francia. Tre anni dopo la famiglia si trasferisce nel Connecticut e, in seguito, a New York, dove Catherine inizia a essere chiamata Niki. Cambia spesso scuola perché espulsa per due volte; diplomata, lavora come modella e nel 1949 sposa Harry Mathews. I due vanno a vivere nel Massachusetts, dove Niki si dedica ai primi dipinti, poi dal 1952 a Parigi, città in cui inizia a studiare recitazione. Nel 1953 Niki è vittima di un forte esaurimento nervoso da cui riesce a riprendersi solo grazie alla pittura, che su di lei ha una funzione terapeutica. A Barcellona visita il Park Güell, da cui trae l’idea di creare un proprio giardino di sculture. Nel 1956 espone per la prima volta i suoi dipinti a olio a San Gallo. Conosce Jean Tinguely, con cui andrà a vivere a Parigi nel 1960, dopo la separazione da Harry. Niki inizia a partecipare a diverse iniziative assieme ad altri artisti e le vengono organizzate molte personali. La sua arte è coloratissima e spazia da «azioni» a sculture a disegni. In alcune sue performance, spara contro dei rilievi di gesso al di sotto dei quali si trovano dei sacchetti pieni di colore, che esplodono al momento dell’impatto, dando vita agli shooting paintings. Crea le Nanas, sculture (in malta, calcestruzzo, cartapesta o vetroresina e poliestere) di figure femminili policrome, formose, dinamiche e gioiose con cui Niki, fervente femminista, rivendica il ruolo delle donne nella società. La più famosa sarà Hon, una gigantesca Nana sdraiata e incinta, costruita nel 1966 nel Moderna Museet di Stoccolma. Lavora anche a opere grafiche, per libri e poster, in cui si riconoscono le figure tipiche dell’immaginario di Niki. Talvolta si dedica ancora al teatro, scrivendo spettacoli, di cui disegna scenografie, costumi e promo. Nel 1968 ha dei problemi respiratori causati dalla polvere di poliestere, materiale che aveva iniziato a lavorare poco tempo prima. Tre anni dopo Niki e Jean si sposano. Tra il 1971 e il 1973 lavora, aiutata dal marito, ad alcune sculture dedicate ai bambini: il Golem a Gerusalemme e Il dragone a Knokke-le-Zoute, in Belgio. Nel 1974 installa tre gigantesche Nanas a Hannover. Colpita da un ascesso a un polmone, durante la convalescenza incontra Marella Agnelli, a cui racconta il proprio sogno di creare un giardino di sculture. Carlo e Nicola Caracciolo, fratelli di Marella, le offrono un appezzamento di terra a Capalbio. La costruzione del Giardino dei Tarocchi parte nel 1978, ma la realizzazione della prima scultura, a cui ne seguiranno altre 21 tutte ispirate alle carte dei tarocchi, inizierà nel 1980. Contemporaneamente ai lavori al Giardino, che aprirà nel 1998, Niki espone in importanti mostre e realizza con Jean, nel 1983, la Fontana Stravinsky a Parigi. Con Tinguely aveva già collaborato per Le Paradis Fantastique nel 1967 e Le Cyclop nel 1969. Scrive un libro sull’Aids e continua a esporre in Europa e in America. Dopo la morte di Tinguely, nel 1991, crea le sue prime sculture cinetiche, le Méta-Tinguely e, nel 1996 – quando già si è trasferita a La Jolla, in California – dona al Museum Tinguely 55 sculture e oltre 100 disegni di Jean. Nel 2000, dopo aver vinto in Giappone il Premio Imperiale per la Scultura (l’equivalente del Premio Nobel), inizia a lavorare al Cerchio Magico della Regina Califia, un giardino-scultura nella città di Escondido, in California. Nel 2001 decora tre stanze dello storico Grotto del XVII secolo a Hannover. Niki de Saint Phalle muore a La Jolla nel 2002. Il suo staff supervisiona gli ultimi lavori al Grotto e al Cerchio Magico, che apriranno entrambi nel 2003. Nello stesso anno viene istituita l’organizzazione no-profit Niki Charitable Art Foundation. 53 BIOGRAFIA Niki de Saint Phalle ̶ Biografia Niki de Saint Phalle ̶ Biografie BIOGRAFIE Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle kommt 1930 in Neuilly-sur-Seine in Frankreich zur Welt. Als sie drei Jahre alt ist, zieht ihre Familie nach Connecticut und anschließend weiter nach New York, wo Catherine fortan Niki genannt wird. Sie wechselt häufig die Schule, wird zwei Mal verwiesen und arbeitet nach ihrem Abschluss als Model. 1949 heiratet sie Harry Mathews und zieht mit ihm nach Massachusetts, wo sie sich zum ersten Mal mit der Malerei beschäftigt. 1952 zieht das Ehepaar weiter nach Paris und de Saint Phalle nimmt ein Schauspielstudium auf. 1953 erleidet sie einen Nervenzusammenbruch, von dem sie sich nur dank der Malerei erholt, die auf sie therapeutisch wirkt. In Barcelona besucht sie den Park Güell und hat den Einfall, einen eigenen Skulpturengarten zu schaffen. 1956 stellt sie in St. Gallen zum ersten Mal ihre Ölgemälde aus. Sie lernt Jean Tinguely kennen, mit dem sie 1960, nach der Trennung von Harry, nach Paris zieht. De Saint Phalle beginnt, gemeinsam mit anderen Künstlern an verschiedenen Initiativen teilzunehmen. Auch finden immer wieder Einzelausstellungen von ihr statt. Ihre Kunst ist außerordentlich farbenfroh und reicht von „Aktionen“ über Skulpturen bis hin zu Zeichnungen. In einigen ihrer Performances schießt sie auf Gipsreliefs, unter denen Farbbeutel angebracht sind, die beim Auftreffen der Projektile platzen. So entstehen ihre Shooting Paintings. Sie schafft auch die Nanas, bunte Skulpturen üppiger, dynamischer und fröhlicher weiblicher Figuren (aus Mörtel, Beton, Pappmaché oder Fiberglas und Polyester), mit denen die leidenschaftliche Feministin einen Platz für die Frauen in der Gesellschaft beansprucht. Die berühmteste dieser Figuren ist Hon, eine gigantische liegende schwangere Nana, die 1966 im Moderna Museet in Stockholm aufgebaut wird. De Saint Phalle arbeitet auch an grafischen Entwürfen für Bücher und Poster, auf denen man die für ihre Vorstellungswelt typischen Figuren wiederfindet. Von Zeit zu Zeit befasst sie sich auch noch mit dem Theater, schreibt Stücke und entwirft Bühnenbilder, Kostüme sowie Werbung. Ab 1968 leidet de Saint Phalle an Atembeschwerden, die vom Polyester verursacht werden, einem Material, das sie kurz zuvor zu verwenden begonnen hatte. Drei Jahre später heiratet sie Tinguely und arbeitet von 1971 bis 1973 unter seiner Mithilfe an einer Reihe von Skulpturen für Kinder: dem Golem in Jerusalem und dem Drachen von Knokke-le-Zoute in Belgien. 1974 stellt sie drei gigantische Nanas in Hannover auf. Während der Genesung nach einem Lungenabszess trifft de Saint Phalle ihre Freundin Marella Agnelli wieder, der sie von ihrem Traum, einen Skulpturengarten zu schaffen, erzählt. Carlo und Nicola Caracciolo, Marellas Brüder, bieten ihr ein Grundstück in Capalbio in der Toskana an. Der Bau des Tarot-Gartens beginnt im Jahr 1978, die erste Skulptur wird 1980 vollendet. Auf diese folgen 21 weitere, die jeweils von den Karten des Tarot-Spiels inspiriert sind. Während der Arbeiten am Tarot-Garten, der 1998 eröffnet wird, hat die Künstlerin wichtige Ausstellungen ihrer Werke und schafft 1983 zusammen mit ihrem Ehemann den Stravinsky-Brunnen in Paris. Mit Tinguely zusammen hatte sie 1967 bereits an Le Paradis Fantastique und 1969 an Le Cyclop gearbeitet. De Saint Phalle schreibt auch ein Buch über AIDS und stellt weiter in Europa und Amerika aus. Nach dem Tode Tinguelys im Jahr 1991 schafft sie ihre ersten kinetischen Skulpturen, die Méta-Tinguelys. 1996 – als sie bereits in La Jolla in Kalifornien lebt – schenkt sie dem Museum Tinguely 55 Skulpturen und mehr als 100 Zeichnungen ihres Ehemannes. Nachdem sie im Jahr 2000 den Praemium Imperiale des japanischen Kaiserhauses (in der Kunstwelt das Pendant zum Nobel-Preis) in der Sparte Skulpturen gewinnt, beginnt sie die Arbeit an Königin Califias Zauberkreis, einem Skulpturengarten in der Stadt Escondido in Kalifornien. Im Jahr 2001 gestaltet sie drei Räume der historischen Grotte aus dem 17. Jahrhundert in Hannover neu. Niki de Saint Phalle stirbt 2002 in La Jolla. Ihre Mitarbeiter führen die Arbeiten an der Grotte und am Zauberkreis zuende, die beide im Jahr 2003 eröffnet werden. Im selben Jahr wird die gemeinnützige Niki Charitable Art Foundation gegründet. 54 Catherine Marie-Agnès Fal de Saint Phalle was born at Neuilly-sur-Seine, France, in 1930. Three years after that, the family moved to Connecticut and later to New York City where Catherine started to be called Niki. She changed schools often as she was expelled twice. After graduating, she worked as a model and married Harry Mathews in 1949. Initially, they settled in Massachusetts, where Niki produced her first oils and gouaches, then, in 1952, they moved to Paris, where she started studying acting. In 1953, Niki suffered a severe nervous breakdown. She was able to overcome this crisis only through painting, which played a therapeutic role for her. When in Barcelona, Niki visited the Park Güell and came up with the idea of creating her own garden of sculptures. In 1956, she exhibited her oil paintings for the first time in St. Gallen. She met Jean Tinguely, and in 1960, after separating from Harry, she went to live with him in Paris. Niki started to take part in several initiatives, together with fellow artists, and got a number of solo exhibitions. Her art is full of colours and ranges from «actions» to sculptures and drawings. In some of her performances, she shot at plaster sculptures in which she had embedded bags of paint, causing color to splatter all over, so giving life to the so-called shooting paintings. Using mortar, concrete, papier-mâché or fibreglass and polyester, she created the Nanas. Through these multi-coloured, buxom, dynamic and joyful female figures, Niki – who was a fervent feminist – addressed the issue of women’s role in society. The most famous of her projects was Hon, a gigantic Nana, reclining and pregnant, that she built at the Moderna Museet in Stockholm in 1966. She also created graphic works, for books and posters, featuring the typical figures of her imagination. Occasionally she also worked for the theatre, writing plays and designing scenery, costumes and promos. In 1968, she suffered serious breathing difficulties caused by inhaling polyester dust, a material she had started using some time before. After three years, Niki and Jean got married. Between 1971 and 1973, together with her husband, she created a few sculptures for children: the Golem in Jerusalem and the Dragon in the Belgian town of Knokke-le-Zoute. In 1974, she installed three gigantic Nanas in Hannover. Niki spent a period in hospital because of an abscess on her lung, and during her convalescence, she met again Marella Agnelli. Niki told her of her dream of making a sculpture garden and Marella’s brothers, Carlo and Nicola Caracciolo, offered her a plot of land at Capalbio, in Tuscany. The layout of the Tarot Garden began in 1978, but she started working on the first sculpture – followed by 21 more, all inspired by tarot cards – in 1980. While working on the Garden, which opened in 1998, Niki took part in important exhibitions. In 1983, she collaborated with her husband Jean on the Stravinksy Fountain in Paris. They had already worked together on Le Paradis Fantastique in 1967 and Le Cyclop in 1969. She wrote a book on Aids and continued exhibiting in Europe and America. After Tinguely’s death, in 1991, she made her first kinetic sculptures, the Méta-Tinguelys. In 1996 – after moving to La Jolla, California – she donated 55 sculptures and over a hundred graphic works by Jean to the Museum Tinguely. In 2000, after winning the Praemium Imperiale award for Sculpture (the equivalent of a Nobel Prize), she started working on Queen Califia’s Magical Circle, a sculpture garden in the city of Escondido, California. In 2001 Niki redesigned and ornamented the historic 17th-century Grotto in Hannover. Niki de Saint Phalle died at La Jolla in 2002. Her staff oversaw final work on the Grotto and the Magical Circle projects, which both opened in 2003. In the same year, the Niki Charitable Art Foundation, a non-profit organization, was established. 55 BIOGRAPHY Niki de Saint Phalle ̶ Biography Tutto si muove. L’immobilità non esiste Alessandra Scalvini, Fondazione Culturale Hermann Geiger Jean Tinguely prova inizialmente a dedicarsi alla pittura, ma non riesce a completare neanche un dipinto perché non comprende quando un’opera possa dirsi terminata. Usare il movimento nell’arte lo libera da questo ostacolo e gli permette di arrivare alla conclusione di un’opera proprio grazie al suo essere, con il proprio moto, in eterna evoluzione. «Tutto si muove. L’immobilità non esiste»1, dichiara nel suo manifesto Per la Statica del 1959. Essendo il concetto di movimento – visto come cambiamento – eterno, stabile e immutabile, Tinguely lo definisce statico poiché l’unica cosa sicura è appunto l’esistenza stessa del movimento, intesa come metamorfosi ed evoluzione. E poiché il mutamento coinvolge tutto, anche l’esperienza dello spettatore con l’opera dovrà essere il più possibile completa. Ecco perché in molte macchine Tinguely inserisce anche il suono e, in alcune, persino l’odore, sviluppando così la sua padronanza dei «materiali immateriali». Il moto, il tempo e i materiali di scarto inseriti nell’arte di Tinguely conducono a rileggere le opere, guardando al significato delle macchine nel mondo moderno e al rapporto uomo-macchina. Le sue sculture, che si muovono senza scopo e che quindi non servono a niente, si contrappongono alle macchine industriali, il cui fine è la produzione continua. I dispositivi della catena di montaggio lavorano in modo lineare, cercando la regolarità, ottimizzando il tempo ed evitando gli imprevisti; Tinguely invece ricerca quegli elementi (per lui giocosi e ironici) considerati difetti nelle macchine: l’irregolare, il caos, la casualità, la discontinuità e talvolta anche, perché no, qualche intoppo. Il suo prendere in giro la macchina è una critica non nei confronti dei macchinari in sé, ma della società industrializzata, dell’asservimento dell’uomo alle macchine. Nel Manifesto del macchinismo di Munari (1938), Tinguely legge: «Il mondo, oggi, è delle macchine. […] Fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi. Gli artisti sono i soli che possono salvare l’umanità da questo pericolo […]. La macchina di oggi è un mostro! […] Noi scopriremo l’arte delle macchine!»2. Tinguely dice, «Costruendo delle macchine, io metto in dubbio l’utilità assoluta della macchina!»3. Jean afferma le sue origini proletarie indossando alle inaugurazioni una tuta da lavoro sporca. Insofferente all’autorità fin da piccolo, marina la scuola e compie piccoli furti solo per il gusto di infrangere la legge. A Basilea durante la guerra (Jean cerca invano di andare in Grecia in aiuto alla Resistenza antifascista) frequenta la libreria dell’anarchico Koechlin, dove si incontrano rifugiati politici, anarchici e comunisti. Studia Marx, poi si dedica ad altre letture, tra cui l’anarco-comunista Kropotkin, il cofondatore del marxismo Engels, il filosofo Rousseau, l’anarco-individualista Stirner. Tinguely, inizialmente marxista, diviene quindi anarchico nella vita così come nelle sue opere: il potere non va preso, ma va eliminato. Non bisogna dotare gli uomini di potere, bensì di più forza. Vorrebbe combattere la società maschilista a favore delle donne. Vedendo come purtroppo funzionano le cose, definisce una «barzelletta» i discorsi sulla parità di diritti tra uomini e donne4. Tinguely sostiene che «l’arte è una forma di rivolta manifesta, totale e completa, un atteggiamento politico, senza bisogno di fondare un partito politico»5. Pontus Hultén, suo amico e direttore del Moderna Museet di Stoccolma, afferma che l’arte di Tinguely non è da considerarsi innocente e inoffensiva bensì, con il suo messaggio di libertà, un attacco all’ordine stabilito. jean tinguely, Per la Statica, in pontus hultén (a cura di), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogo della mostra, Palazzo Grassi, Venezia), Bompiani, Milano 1987, p. 56. bruno corà et al. (a cura di), Tinguely e Munari: Opere in azione, Mazzotta, Milano 2004, p. 97. 3 frédéric jacques, Fascinant Tinguely!, in «CNAC-Magazine», n. 49, gennaio-marzo 1989. 4 Intervista di Daniel Spoerri a Jean Tinguely, in «Lotta Poetica», n. 1, terza serie, gennaio 1997, p. 8. 5 Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (a cura di), Una magia più forte della morte cit., p. 350 (estratto della registrazione «Notre Monde», tavola rotonda organizzata da Jean-Pierre Van Tieghem, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Bruxelles, 13 dicembre 1982). 1 2 56 Tinguely usa i rottami perché non costano niente, perché la fabbrica moderna ne produce una quantità spropositata e perché è facile assemblarli tramite saldatura. Per lo sviluppo della sua vena artistica è sicuramente importante la frequentazione, a scuola, del corso di Julia Eble-Ris sull’uso dei vari materiali. L’insegnante avvicina un giovane Tinguely al concetto di movimento come espressione artistica, anche se già da bambino si era dedicato al moto costruendo piccole ruote idrauliche. Jean, interessato a quel che offre l’arte contemporanea, volge lo sguardo verso molti artisti, tra cui Malevič e Kandinskij, dai quali riprende gli elementi geometrici che mette in movimento su alcuni rilievi; Calder, che aveva utilizzato il movimento naturale dell’aria invece di quello creato meccanicamente; Schwitters, per il suo uso dei materiali di scarto. Le prime opere di Tinguely sono attivate da una manovella, le successive da un motore. Esiste la possibilità che i vari elementi ritornino, in un certo momento, a una configurazione già elaborata; in alcune sculture il movimento diventa addirittura ripetitivo, ma l’idea di perenne cambiamento, dato dal dinamismo dei pezzi, è la filosofia su cui si basa il tutto. Se la vita stessa è dinamismo totale, anche l’arte deve esserlo per raccontarla. Tinguely spiega, «Smettetela di dipingere il tempo. […] Smettetela di costruire cattedrali e piramidi destinate a cadere in rovina. Vivete nel presente: vivete nel tempo e secondo il tempo, per una meravigliosa e assoluta realtà»6. Elabora una nuova concezione dell’arte nel momento in cui permette agli spettatori di interagire con le sue macchine, diventando così essi stessi degli artisti. Un esempio sono le Méta-matic, macchine in grado di dipingere grazie all’interazione con il pubblico. Nel 1960 pubblica il disegno di una Méta-matic con le istruzioni per realizzarla; chi le seguirà, riuscirà a creare una scultura che Tinguely si dichiara disposto ad autenticare come propria. Questo particolare rapporto artista-opera-spettatore e anche il fatto di considerare i bambini il suo miglior pubblico sono modi per criticare il concetto tradizionale di arte. Del resto, come disse una volta a Niki de Saint Phalle, «il sogno è tutto, la tecnica è niente, la tecnica si può apprendere»7. Una polemica contro l’idea convenzionale di arte e il mercato a essa collegato è data anche dalle sue sculture autodistruttive. Capolavoro dell’arte effimera è Homage to New York (1960), un’enorme macchina dagli intricati meccanismi elaborati per portare al collasso la costruzione affinché l’opera si suicidi per non lasciare traccia di sé. I musei sono in tal modo privati della possibilità di poter esporre un’opera che nel momento stesso in cui si presenta al pubblico, in realtà inizia a non esistere più: «non doveva essere museificata. Doveva passare, essere sognata, discussa ed è tutto, il giorno dopo non restava più niente»8. Come La Vittoria a Milano nel 1970, che in pochi minuti cessò di esistere divorata dalle fiamme e dai fuochi d’artificio da essa stessa prodotti, e Study for an End of the World no. 2, del 1962, allestita nel deserto del Nevada, vicino a un centro di sperimentazione nucleare, solo qualche mese prima che scoppiasse la crisi missilistica tra Stati Uniti e Cuba (opera quindi da vedere anche come forma di protesta contro le armi nucleari). Nel 1985 Tinguely ha due attacchi cardiaci e resta in coma per diversi giorni. Aver sfiorato la morte lo tocca profondamente e nelle opere dell’ultimo periodo si distingue una vena meno gioiosa, ma in fondo anche la morte viene accettata, facendo parte del ciclo della vita: «Non c’è morte! La morte esiste solo per quelli che non accettano l’evoluzione. Tutto cambia. La morte è una transizione dal movimento al movimento»9. Del resto Tinguely afferma, «Sono nato nel movimento. È in me»10. jean tinguely, Per la Statica, ibid., p. 56. Collaborazioni di Niki de Saint Phalle, 1987, ibid., p. 269. Tinguely parla di Tinguely, ibid., p. 350. jean tinguely, Static, static, static!, ibid., p. 67. 10 andres pardey (a cura di), Museum Tinguely Basel: The Collection, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, p. 382. 9 6 7 8 57 Es bewegt sich alles. Stillstand gibt es nicht Alessandra Scalvini, Kulturstiftung Hermann Geiger Jean Tinguely ist zunächst versucht, sich der Malerei zu widmen, doch es gelingt ihm nicht, auch nur ein einziges Gemälde zu vollenden, weil er nicht begreift, wann man von einem Werk sagen kann, dass es abgeschlossen ist. Die Entscheidung, sich für seine Kunst die Bewegung zu eigen zu machen, hilft ihm, dieses Hindernis zu überwinden und seine Werke, gerade dank deren Eigenbewegung in fortwährender Evolution, zum Abschluss zu bringen. „Es bewegt sich alles. Stillstand gibt es nicht”, erklärt er in seinem Manifest Für Statik aus dem Jahr 19591. Da Bewegung – konzeptuell als Veränderung aufgefasst – ewig, gleichbleibend und unveränderlich ist, definiert Tinguely sie als statisch, da das einzig Verlässliche eben die Existenz von Bewegung selbst, also von Metamorphose und Evolution, sei. Und da die Veränderung alles miteinbegreift, muss auch die Erfahrung des Betrachters mit dem Werk so vollkommen wie möglich sein. Darum bindet Tinguely in viele seiner Maschinen auch den Klang und in einige sogar Gerüche mit ein und treibt so seine Beherrschung der „immateriellen Materialien“ voran. Bewegung, Zeit und Abfälle – die Komponenten von Tinguelys Kunst – laden dazu ein, seine Werke immer wieder zu betrachten und ein Augenmerk auf die Bedeutung von Maschinen in der modernen Welt sowie auf die Beziehung zwischen Mensch und Maschine zu richten. Seine Skulpturen, die sich scheinbar zwecklos bewegen und daher nutzlos sind, stehen industriellen Maschinen gegenüber, deren Zweck die stete Produktion ist. Fließbänder arbeiten linear, zielen auf Regelmäßigkeit, sollen die Zeit optimieren und Unvorhergesehenes vermeiden; Tinguely, hingegen, spürt (spielerisch und ironisch) solchen Elementen nach, die an Maschinen als Defekte angesehen würden: der Unregelmäßigkeit, dem Chaos, dem Zufall, der Diskontinuität und bisweilen auch – warum nicht? – tatsächlichen Pannen. Indem er die Maschine auf den Arm nimmt, übt er Kritik nicht an dem Gerät an sich, sondern an der Industriegesellschaft, an der Knechtung des Menschen durch die Maschine. Im Manifest des Maschinismus (Manifesto del macchinismo) von Bruno Munari (1938) liest Tinguely: „Die Welt heute gehört den Maschinen. […] In wenigen Jahren werden wir deren kleine Sklaven sein. Künstler sind die einzigen, die die Menschheit vor dieser Gefahr bewahren können […]. Die Maschine von heute ist ein Monster! […] Wir werden die Kunst der Maschinen entdecken!“2. Tinguely sagt: „Indem ich Maschinen konstruiere, hinterfrage ich die absolute Nützlichkeit der Maschine!“3. Tinguely kehrt seine proletarischen Wurzeln heraus, indem er auf Vernissagen einen schmutzigen Overall trägt. Autoritäten duldet er schon als Kind nicht, schwänzt die Schule und begeht kleine Diebstähle, nur um den Geschmack des Gesetzesbruches auszukosten. Während des Krieges (Tinguely versucht vergebens, nach Griechenland zu gehen, um sich dem antifaschistischen Widerstand anzuschließen) verkehrt er in der Basler Buchhandlung des Anarchisten Koechlin, einem Treffpunkt für politische Flüchtlinge, Anarchisten und Kommunisten. Er liest Marx, schwenkt dann um auf andere Lektüren, darunter Texte des Anarcho-Kommunisten Kropotkin, des Mitbegründers des Marxismus Engels, des Philosophen Rousseau sowie des Anarcho-Individualisten Stirner. Vom Marxisten entwickelt sich Tinguely in Leben und Werk zum Anarchisten: die Macht nicht ergreifen, sondern beseitigen; den Menschen nicht mehr Macht verleihen, sondern mehr Kraft. Zugunsten der Frauen bekämpft Tinguely die Machogesellschaft. Weil er sieht, wie die Dinge leider liegen, nennt er das Gerede über die Gleichberechtigung von Frauen und Männern einen „Witz“4. Tinguely sagt, Kunst sei „eine Form der manifesten Revolte, total und vollständig, eine politische Einstellung, die keiner Parteigründung bedarf“5. Pontus Hultén, sein Freund und der Direktor des Moderna Museet in Stockholm, ist der Auffassung, dass Tinguelys Kunst weder als unschuldig, noch als unanstößig gelten kann, sondern mit ihrer Freiheitsbotschaft ein Angriff auf die bestehende Ordnung sei. Tinguely benutzt Schrott, weil dieser nichts kostet, weil die moderne Fabrik eine unverhältnismäßige Menge davon produziert und weil er leicht zusammengeschweißt werden kann. Für die Entwicklung seiner jean tinguely, Per la Statica, in pontus hultén (Hg.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (Katalog der Ausstellung im Palazzo Grassi, Venedig), Bompiani, Mailand 1987, S. 56. bruno corà et al. (Hg.), Tinguely e Munari: Opere in azione, Mazzotta, Mailand 2004, S. 97. 3 frédéric jacques, Fascinant Tinguely!, in „CNAC-Magazine“, Nr. 49, Januar-März 1989. 4 Interview von Daniel Spoerri mit Jean Tinguely, in „Lotta Poetica“, Nr. 1, 3. Serie, Januar 1987, S. 8. 5 Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (Hg.), Una magia più forte della morte cit., S. 350 (Auszug aus der Aufnahme „Notre Monde“, von Jean-Pierre Van Tieghem organisierter Runder Tisch, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Brüssel, 13. Dezember 1982). 1 2 58 künstlerischen Ader ist sicherlich der Besuch des Materialkundeunterrichts von Julia Eble-Ris an der Gewerbeschule ausschlaggebend. Die Lehrerin bringt dem jungen Tinguely das Konzept von Bewegung als künstlerischem Ausdruck näher, auch wenn er sich schon als Kind durch den Bau kleiner hydraulisch betriebener Räder mit Bewegung befasst hatte. Geleitet von seinem Interesse an dem, was die zeitgenössische Kunst vorzuweisen hat, richtet Tinguely seinen Blick auf viele Künstler: darunter Malewitsch und Kandinsky, deren geometrische Elemente er aufgreift und in einigen seiner bewegten Reliefs verwendet, aber auch Calder, der natürliche Luftströmungen anstelle mechanisch erzeugter nutzt, sowie Schwitters und dessen Verwendung von Abfällen. Tinguelys frühe Werke werden mit Kurbeln angetrieben, die späteren von Motoren. Es kann sich ergeben, dass die verschiedenen Elemente zu einem bestimmten Zeitpunkt zu einer bereits zuvor eingenommenen Konfiguration zurückkehren. In einigen Skulpturen wiederholt sich die Bewegung sogar. Doch die Idee der immerwährenden Veränderung, vom Dynamismus der Teile vorgegeben, bleibt die Philosophie, auf der alles gründet. Wenn das Leben selbst totaler Dynamismus ist, muss auch die Kunst es sein, sofern sie vom Leben erzählen will. Tinguely fordert: „Hört auf, die Zeit zu ‚malen‘. Lasst es sein, Kathedralen und Pyramiden zu bauen, die zerbröckeln wie Zuckerwerk. […] Lebt im Jetzt, lebt auf und in der Zeit. Für eine schöne und absolute Wirklichkeit!“6. In dem Augenblick, in dem er die Betrachter mit seinen Maschinen interagieren lässt und sie so selbst zu Künstlern macht, entwirft Tinguely eine neue Konzeption von Kunst. Ein Beispiel hierfür sind die Méta-matics, Zeichenmaschinen, die vom Publikum bedient werden. Im Jahr 1960 veröffentlicht Tinguely die Zeichnung einer Méta-matic gemeinsam mit der Anleitung zu deren Bau. Wer diese befolgt, dem verspricht Tinguely, die so geschaffene Skulptur als seine eigene zu beglaubigen. Dieser besondere Künstler-Werk-Betrachter-Bezug und auch die Tatsache, dass laut Tinguely Kinder sein bestes Publikum sind, sind Spielweisen einer Kritik am traditionellen Konzept von Kunst. Im Übrigen gilt, was der Künstler einmal Niki de Saint Phalle gegenüber äußerte: „Der Traum ist alles, die Technik nichts, die Technik lässt sich erlernen“7. Eine Polemik gegen die überlieferte Idee von Kunst und den damit verbundenen Markt stellen auch seine sich selbst zerstörenden Maschinen dar. Meisterwerk dieser kurzlebigen Kunstform ist die Homage to New York (1960), eine enorme Maschine, bestehend aus komplizierten Mechanismen, die erdacht wurden, um die Maschine selbst in einem suizidalen Akt zum Einsturz zu bringen und ihre Spuren zu verwischen. Die Museen werden auf diese Weise der Möglichkeit beraubt, ein Werk auszustellen, da dieses in dem Moment, in dem es dem Publikum präsentiert wird, in Wirklichkeit aufhört, zu existieren: „Es sollte nicht musealisiert werden. Es musste vorübergehen, geträumt und besprochen werden und das war’s. Am Tag danach war nichts mehr übrig“8. So wurde 1970 auch La Vittoria in Mailand in wenigen Minuten von den Flammen und dem Feuerwerk, die aus ihr selbst hervorschossen, verschlungen. Und dies war auch das Schicksal der Study for an End of the World no. 2 aus dem Jahr 1962, aufgebaut in der Wüste von Nevada, in der Nähe eines nuklearen Versuchszentrums. Nur wenige Monate vor Ausbruch der Raketenkrise zwischen den Vereinigten Staaten und Kuba konnte dieses Werk auch als eine Form des Protestes gegen Atomwaffen gelesen werden. Im Jahr 1985 erleidet Tinguely zwei Herzinfarkte und liegt mehrere Tage lang im Koma. Dem Tod nur knapp entronnen zu sein, berührt ihn zutiefst – ein Umstand, der sich in seinem Spätwerk bemerkbar macht. Dort herrscht eine weniger freudige Stimmung, doch im Grunde wird auch der Tod als Teil des Lebenszyklus angenommen: „Es gibt keinen Tod! Der Tod existiert nur in der Vorstellung derjenigen, die die Evolution nicht akzeptieren. Es verändert sich alles. Der Tod ist ein Übergang von der Bewegung zur Bewegung“9. Im Übrigen sagt Tinguely: „Ich bin in der Bewegung geboren. Sie ist in mir“10. jean tinguely, Per la Statica, ebd., S. 56. Collaborazioni di Niki de Saint Phalle, 1987, ebd., S. 269. Tinguely parla di Tinguely, ebd., S. 350. jean tinguely, Static, static, static!, ebd., S. 67. 10 andres pardey (Hg.), Museum Tinguely Basel: Die Sammlung, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, S. 382. 9 6 7 8 59 Everything moves. Immobility does not exist Alessandra Scalvini, Hermann Geiger Cultural Foundation Initially, Jean Tinguely tried painting, but he was unable to complete even a picture because he could not understand when the work was finished. The use of movement in art freed him from this obstacle and allowed him to complete a work of art thanks to its being in constant evolution through motion. «Everything moves. Immobility does not exist», he declared in his manifesto For Statics (1959)1. Since the concept of movement – seen as change – is eternal, stable and immutable, Tinguely defined it as static, because the only certain thing is the existence itself of movement, in terms of metamorphosis and evolution. And since change involves everything, the spectator’s experience of the work of art will need to be as thorough as possible. This is the reason why many of Tinguely’s machines also include sound (some of them even odour), which led him to gain full command of «immaterial materials». Motion, time, and the scrap materials included in Tinguely’s art lead us to reconsider his works with an eye to the meaning of machines in the modern world and to the relationship between man and machine. His sculptures, which move aimlessly and are therefore useless, contrast with industrial machines whose aim is continuous production. The devices that make up an assembly line need to function seamlessly and regularly, optimizing the use of time and avoiding unforeseen events. For Tinguely, these elements, normally considered as defects, are playful and ironic and he seeks them in his works: irregularity, chaos, chance, discontinuity and sometimes, why not, even a glitch. His mocking of the machine is not so much a criticism of machinery as such but rather of industrialized society and of the subservience of man to machines. In Munari’s Manifesto of Machinism (1938), Tinguely read, «We live in a world owned by machines. […] In a few years, we will become their little slaves. The artists are the only ones who can save mankind from this danger. […] Machines today are monsters! […] We shall discover the art of machines!»2. Tinguely said, «By constructing machines, I question the absolute usefulness of the machine!»3. Jean stressed his working-class origins by wearing a dirty boiler suit at exhibition openings. Intolerant of authority since a very young age, he would play truant and commit petty thefts, just for the sake of breaking the law. In Basel, during the war (Jean tried in vain to travel to Greece to join forces with antifascist resistance fighters), he was introduced to a circle of political refugees, anarchists and communists at the bookshop run by Heiner Koechlin. He studied Marx, and then devoted himself to other readings, including the anarcho-communist Kropotkin, the co-founder of Marxism, Engels, the philosopher Rousseau, the anarcho-individualist Stirner. Tinguely, who was initially a Marxist, became an anarchist both in life and in his works: power should not be seized, it should be abolished. Men do not need power; they need more strength. He would have liked to fight against sexist society in favour of women, but seeing how things were going, he thought that all the talk about equal rights for men and women was «just a joke»4. For Tinguely, «art is an evident, total, and complete form of revolt, a political approach, with no need to found a political party»5. According to Pontus Hultén, a friend of his and director of the Stockholm Moderna Museet, Tinguely’s art should not be considered innocent and innocuous; with its message of freedom, it is rather a revolt against the established order. Tinguely used scrap metal and junk materials because they cost nothing, because the modern factory overproduced them, and they were easy to weld. A fundamental step in the development of his artistic vein jean tinguely, Per la Statica, in pontus hultén (ed.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogue of the exhibition at Palazzo Grassi, Venice), Bompiani, Milano 1987, p. 56. 2 bruno corà et al. (eds), Tinguely e Munari: Opere in azione, Mazzotta, Milano 2004, p. 97. 3 frédéric jacques, Fascinant Tinguely!, in «CNAC-Magazine», n. 49, January-March 1989. 4 Interview of Daniel Spoerri to Jean Tinguely, in «Lotta Poetica», no. 1, series 3, January 1987, p. 9. 5 Tinguely parla di Tinguely, in p. hultén (ed.), Una magia più forte della morte cit., p. 350 (excerpt from the recording «Notre Monde», round table organized by JeanPierre Van Tieghem, Radio Télévision Belge de la Communauté française, Brussels, 13 December 1982). 1 60 was the course held at the General Vocational School in Basel by Julia Eble-Ris, his teacher of materials. Eble-Ris initiated the young Tinguely into the concept of movement as an artistic expression, even though as a child he had already focussed on motion and constructed small hydraulic wheels. Deeply interested in contemporary art, he followed many artists, including Malevich and Kandinsky, from whom he drew the geometric elements that he set in motion on some of his reliefs; Calder, who used the natural movement of air instead of mechanically-induced motion; and Schwitters, for his use of junk materials. A hand crank powered Tinguely’s early works; later pieces had motors. It might happen that, at a given moment, the various elements go back to a preset configuration. In some of his sculptures, movement becomes repetitive, but the philosophy at the basis of everything is the idea of constant change conveyed by the dynamism of the pieces. If life itself is total dynamism, so should be art to recount it. Tinguely explained, «Stop painting time. […] Stop building cathedrals and pyramids which are doomed to fall into ruin. Live in the present, live once more in Time and by Time – for a wonderful and absolute reality»6. He developed a new conception of art as he allowed spectators to interact with his machines and become artists themselves. An example are the Méta-matics, i.e. machines that could automatically generate artworks through interacting with the public. In 1960, he published the sketch of a Méta-matic with assembly instructions. Whoever followed them could create a sculpture that Tinguely was prepared to certify as his own. This peculiar artist-work-spectator relationship and the fact that he considered children as his best public were ways to challenge the traditional concept of art. But then again, as he once told Niki de Saint Phalle, «The dream is everything, the technique is nothing. The technique is something you can learn»7. The polemic approach towards the conventional idea of art and the art-related market was also evident in his self-destructive sculptures. A masterpiece of ephemeral art is Homage to New York (1960), a huge machine made up of complicated mechanisms that contributed to its destruction, so that the sculpture would commit suicide and leave no trace of its existence. Museums are therefore deprived of the possibility of exhibiting a work, because at the same time as it is presented to the public, it is already doomed: «[The work of art] should not be confined to a museum. It had to pass, be dreamed of, discussed and that’s all, the next day there would be nothing left»8. This is what happened to La Vittoria in Milan in 1970: in a matter of minutes, it ceased to exist, burnt down to the ground by self-produced flames and fireworks. The same was true for Study for an End of the World no. 2 (1962), which Tinguely constructed in the Nevada desert, close to a nuclear testing site, only a few months before the outbreak of the Cuban missile crisis, as a form of protest, among other things, against nuclear weapons. In 1985, Tinguely suffered two heart attacks and lay in a coma for several days. He was deeply touched by having come close to dying, and his later works were of a less joyful kind, but after all, he accepted death, since it forms part of the cycle of life: «There is no death! Death exists only for those who cannot accept evolution. Everything changes. Death is a transition from movement to movement»9. For that matter, Tinguely declared, «I was born into motion: I had it in me»10. jean tinguely, Per la Statica, ibid., p. 56. Collaborazioni di Niki de Saint Phalle, 1987, ibid., p. 269. Tinguely parla di Tinguely, ibid., p. 350. jean tinguely, Static, static, static!, ibid., p. 67. 10 andres pardey (ed.), Museum Museum Tinguely Basel: The Collection, Kehrer Verlag, Heidelberg-Berlin 2012, p. 382. 9 6 7 8 61 Arte e movimento. Le avanguardie, Calder, Munari e Tinguely Federico Gavazzi, Fondazione Culturale Hermann Geiger Tinguely è stato il più grande artista del Novecento riconducibile, seppur non riducibile, all’arte cinetica. In antitesi a ogni concezione dell’oggetto artistico come forma statica, nell’arte cinetica il movimento, reale o virtuale, diventa mezzo d’espressione essenziale dell’opera stessa. La ricerca attorno al movimento come epifania della dimensione temporale nell’opera d’arte era stata una piacevole ossessione per le avanguardie storiche d’inizio Novecento, alimentata nella nuova visione del mondo plasmata dal cinema e dalla nuova concezione del rapporto spazio-tempo presentata dalla scienza (Einstein) e dalla filosofia (Bergson, Heidegger ecc.). Se l’esaltazione futurista della velocità e delle macchine rimase per lo più affidata alla penna di Marinetti o alle immagini pittoriche di Balla e compagni, le ricerche più sperimentali e consapevoli sul movimento reale in arte si sono avute, pochi anni dopo, in seno all’avanguardia costruttivista russa. Con utopistica fiducia nel progresso e nella tecnologia, nell’agosto del 1920 Naum Gabo presentò quella che è considerata la prima opera d’arte cinetica della storia, una lama di acciaio fatta vibrare da un motore elettrico che crea visivamente l’illusione di una forma tridimensionale nello spazio. L’altro protagonista del costruttivismo russo László Moholy-Nagy cominciò nel 1922 la costruzione di Lichtrequisit, una complessa scultura in metallo mossa da motori elettrici che è anche una delle prime ricerche sull’impiego artistico della luce. Le idee maturate in Russia raggiunsero rapidamente il cuore dell’Europa quando nel 1923 Josef Albers e lo stesso Moholy-Nagy subentrarono alla direzione del Vorkurs al Bauhaus di Weimar. Per sviluppare la riflessione attorno ai fattori dinamici della progettazione e ai concetti di equilibrio e spazio, gli studenti erano invitati a realizzare sculture di materiali leggeri, destinate a essere appese e sottoposte all’azione del vento: gli studi sull’equilibrio e sulle forme tridimensionali sospese di Marianne Brandt e Irmgard Sörensen si datano già al 19231. Alla Kunstgewerbeschule di Basilea, attraverso gli insegnamenti di Julia Eble-Ris e Theo Eble, Tinguely apprese alcune esperienze del Bauhaus che s’innestarono su una spontanea attrazione per il movimento e la velocità. Anni dopo l’artista svizzero sottolineò apertamente l’importanza di Lichtrequisit e del lavoro di Moholy-Nagy, e suggestioni del Manifesto realista della nuova mobilità nell’arte di Gabo e del fratello Anton Pevsner riecheggiano nelle parole del suo Per la Statica, breve proclama inneggiante al movimento lanciato sui cieli di Düsseldorf in una memorabile azione del 19592. Se Tinguely riprese queste ricerche e, in parte, lo spirito che le animava, il suo rapporto con la civiltà e l’estetica delle macchine è tuttavia più complesso, ironico e giocoso, a tratti dissacrante, oppure pessimistico e malinconico, ma mai semplicemente celebrativo. Tutto questo si ripercuote nella varietà, complessità e imprevedibilità dei movimenti che animano le sue opere, celebrazione del caso e della libertà. Riprogrammare un macchinario, liberandolo dal suo primo motivo d’essere, ossia la funzionalità, è di per sé un atto radicalmente rivoluzionario che si ricollega al mito dadaista della «macchina celibe». Marcel Duchamp fu il primo artista a presentare questa nuova estetica della macchina in opposizione alla visione fideistica delle avanguardie cubo-futuriste e neoplastiche. Il Grande Vetro. La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1915-23), prototipo delle macchine celibi, è una sorprendente allegoria di un’era delle macchine sulle quali si proiettano dinamiche e pulsioni tipicamente umane, inconsce, erotiche3: il vetro comprende un gran numero di elementi dinamici, ma nessun meccanismo atto a produrre movimento. Pochi anni dopo, però, Duchamp realizzò anche alcune tra le prime opere cinetiche, sfruttando il movimento rotatorio: Rotative glass plaques (1920), Rotative demisphère (1925) e i più famosi Rotoreliefs (1935), dei dischi di cartone disegnati, fatti ruotare su grammofoni e in grado di generare illusionistiche e ipnotiche figure tridimensionali. Questi hans m. wingler, The Bauhaus. Weimar, Dessau, Berlin, Chicago, MIT Press, Cambridge, MA – London 1969, pp. 291-93. Vedi anaїs rolez, La métaphysique dans la sculpture. Jean Tinguely: mécanique, contradiction et métamorphose comme principes générateurs, tesi di dottorato in Storia dell’Arte, Université Rennes 2, 2015, pp. 44-48; jean-pierre keller, Tinguely et le mystère de la roue manquante, Édition de l’Aube, La Tour d’Aigues 1992, p. 164. 3 Vedi pietro bellasi, Il cogito del sognatore di macchine, in bruno corà et al. (a cura di), Tinguely e Munari, Opere in azione, Mazzotta, Milano 2004, p. 31. 1 2 62 lavori di Duchamp sono stati per anni poco conosciuti, al pari di altre due importanti opere realizzate da Man Ray sempre nel 1920: Abat-jour, spirale di carta (poi di lamiera) sospesa davanti una finestra, e Equation-Obstruction, un albero di grucce appendiabito sospese le une alle altre4. In linea con lo spirito dadaista, il movimento era determinato dalla casualità delle correnti d’aria. Infine due artisti su tutti condivisero con Tinguely importanti aspetti della ricerca cinetica: Calder e Munari. Scultore e pittore americano tra i più originali artisti contemporanei, nell’autunno del 1931 Alexander Calder creò i suoi primi oggetti cinetici azionati da motori elettrici o manovelle. Questi lavori furono presentati nell’aprile del 1932 alla Galerie Vignon di Parigi e per essi Duchamp coniò il termine mobiles. Subito dopo Calder rinunciò ai congegni meccanizzati, rendendosi conto di poter realizzare mobiles capaci di oscillare da soli grazie alle correnti d’aria. In questo modo si evitava la ripetitività del movimento meccanico, avvicinandosi a più lievi dinamiche vegetali e organiche. Tinguely incontrò Bruno Munari a Milano nell’inverno 1954-55. Definito da Picasso «nuovo Leonardo», Munari aveva già attraversato e superato l’esperienza del Secondo Futurismo e interpretato l’esigenza di una «ricostruzione plastica dell’universo» in chiave totalmente personale. La macchina aerea del 1931 e le macchine inutili esposte per la prima volta alla galleria Pesaro nel 1933 erano forme sospese nello spazio e mosse dall’aria. Al pari dei mobiles ma costruite con materiali poveri, sagome di cartoncino, bastoncini di legno, fili di seta, queste opere sono state capaci di «liberare le forme astratte dalla staticità del dipinto e … confermare un passaggio dell’arte figurativa da due, o tre, dimensioni alla quarta dimensione: il tempo»5. Munari aveva anche pubblicato alcuni testi teorici fondamentali, su tutti il Manifesto del macchinismo (1938). L’astrattismo geometrico degli anni Trenta uscì quindi dall’impasse poetica e dalla ripetitività estetica attraverso l’apertura a una dimensione ambientale e attraverso il movimento. La mostra Le Mouvement nell’aprile del 1955 alla galleria Denise René presentava sculture mobili di Duchamp e Calder, i dipinti su vetro a doppio spessore di Victor Vasarely, altro precursore e teorico della ricerca optical e cinetica, le opere di Yaacov Agam, Pol Bury, Jesús-Rafael Soto, oltre a due macchine per dipingere di Tinguely. In un panorama artistico ancora dominato dall’astrazione costruttivista e dall’arte informale, la mostra fece scoprire «l’esistenza di un altro tipo di arte moderna, dinamica, costruttiva, gioiosa, deliberatamente sconcertante, ironica, critica, aggressiva e satirica»6. Fu in quella occasione che Tinguely vide direttamente i lavori di Duchamp e Calder: furono una conferma della validità del percorso di ricerca intrapreso e stimolo a realizzare opere sempre più complesse. In Tinguely il desiderio di movimentare le forme dell’astrattismo pittorico (Malevič, Arp ecc.) è presente già nei rilievi Méta-mécanique, mentre la ricerca di un movimento irregolare, quindi irriverente e «inutile», che contraddice la precisione meccanica e macchinica, si ritrova già nei Moulins à prière. Queste opere giovanili, anche dal punto visivo, sono simili ai primi mobiles di Calder e alle macchine inutili di Munari: articolate strutture di fili metallici dove si ricercano la smaterializzazione della scultura e il movimento. Suggestionati da tutte queste esperienze, tra il 1958 e il 1961, nacquero in Europa i vari movimenti di arte cinetica e programmata, come il Gruppo Zero a Düsseldorf, il Gruppo T a Milano e il GRAV a Parigi. Più inclini al rigore razionalista e all’eleganza formale, anche nel caso dei frequenti sconfinamenti nell’arte ambientale, nessuno di questi movimenti produsse tuttavia opere paragonabili al lavoro di Tinguely per complessità meccanica, grandezza e forza evocativa. arturo schwarz, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Feltrinelli, Milano 1977, p. 163. Vedi alberto fiz, La regola e il caso in bruno corà et al. (a cura di), Tinguely e Munari cit., p. 53; bruno munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari 1995, pp. 10-11. 6 pontus hultén (a cura di), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogo della mostra a Palazzo Grassi, Venezia), Bompiani, Milano 1987, p. 28. 4 5 63 Kunst und Bewegung. Die Avantgarden, Calder, Munari und Tinguely Federico Gavazzi, Kulturstiftung Hermann Geiger Tinguely war der größte kinetische Künstler des zwanzigsten Jahrhunderts, auch wenn man ihn nicht allein auf den kinetischen Aspekt reduzieren kann. Im Gegensatz zur Auffassung vom Kunstobjekt als einer statischen Form wird in der kinetischen Kunst die Bewegung, gleich ob real oder virtuell, zum eigentlichen Ausdrucksmittel des Werkes. Die Beschäftigung mit der Bewegung als Erscheinungsform der zeitlichen Dimension des Kunstwerks war bereits für die historischen Avantgarden zu Beginn des zwanzigsten Jahrhunderts eine der Lieblingsleidenschaften gewesen. Sie wurde befeuert von einem neuen Weltbild, das vom Kino und von der neuen Auffassung von Raum und Zeit in Wissenschaft (Einstein) und Philosophie (Bergson, Heidegger, u.a.) geprägt war. Wenn die futuristische Begeisterung für Geschwindigkeit und Maschinen auch lange Zeit nur aus der Feder Marinettis und den Gemälden von Balla und Kollegen strömte, konnte man doch die experimentellsten und bewusstesten Studien zur realen Bewegung in der Kunst wenige Jahre später bei der konstruktivistischen Avantgarde in Russland beobachten. Mit utopistischem Vertrauen in Fortschritt und Technik präsentierte Naum Gabo im August 1920 ein Werk, das als das erste kinetische Kunstwerk in die Geschichte einging: eine Stahlklinge, die von einem Elektromotor in Schwingung versetzt wurde und so die optische Illusion einer dreidimensionalen Form im Raum erzeugte. Der zweite Protagonist des russischen Konstruktivismus, László Moholy-Nagy, begann im Jahr 1922 mit dem Bau des Lichtrequisits, einer komplexen Metallskulptur, die von Elektromotoren angetrieben wurde und eine der ersten Studien zum künstlerischen Gebrauch von Licht darstellte. Die in Russland entwickelten Ideen erreichten bald das Herz Europas. Als im Jahr 1923 Josef Albers und wiederum Moholy-Nagy die Leitung des Vorkurses am Bauhaus in Weimar übernahmen, ließen sie die Studenten Skulpturen aus leichten Materialien anfertigen, die aufgehängt und dem Spiel des Windes ausgesetzt werden sollten. Diese Studien zum Gleichgewicht und zu schwebenden dreidimensionalen Formen sollten das Nachdenken über dynamische Faktoren des Designs sowie über den Gleichgewichts- und den Raumbegriff befördern1. An der Basler Kunstgewerbeschule machte sich Tinguely durch den Unterricht von Julia Eble-Ris und Theo Eble mit dem Bauhaus vertraut. Dessen Erfahrungen stießen auf sein eigenes spontanes Interesse für Bewegung und Geschwindigkeit. Jahre später betonte der Künstler offen die Bedeutung des Lichtrequisits und anderer Arbeiten von Moholy-Nagy für sein eigenes Schaffen. Auch die Thesen des Realistischen Manifests von Gabo und seinem Bruder Anton Pevsner klingen in den Zeilen von Tinguelys Manifest Für Statik an, jener Hymne auf die Bewegung, die er im Jahr 1959 in einer denkwürdigen Aktion über Düsseldorf abwarf2. Zwar griff Tinguely diese Studien und bisweilen auch den Geist, der ihnen innewohnte, auf, doch sein Bezug zur Zivilisation und zur Maschinenästhetik ist komplexer, ironischer und spielerischer, bisweilen entweihend, oder pessimistisch und melancholisch, aber nie einfach verherrlichend. All dies schlägt sich auf die Vielfalt, Komplexität und Unvorhersehbarkeit der Bewegungen nieder, die Tinguelys Werke beseelen und eine Zelebration des Zufalls und der Freiheit sind. Eine Maschine neu zu programmieren, sie von ihrem vorrangigen Daseinsgrund, sprich, vom Funktionieren-Müssen, zu befreien, ist bereits an sich ein radikal-revolutionärer Akt. Er erinnert an den Dada-Mythos von der „Junggesellenmaschine“. Marcel Duchamp zeigte als erster Künstler diese neue Ästhetik der Maschine, die im Gegensatz zur fideistischen Version der kubofuturistischen und neoplastizistischen Avantgarden stand. Das Große Glas. La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1915-23), der Prototyp der Junggesellenmaschinen, ist eine erstaunliche Allegorie auf eine Ära, in der den Maschinen unbewusste und erotische Dynamiken und Triebe zugeschrieben werden, die typisch menschlich sind3: Das Glas umfasst eine große Anzahl an dynamischen Elementen, aber keinen Mechanismus, der in der Lage wäre, Bewegung hervorzurufen. Nur wenige Jahre später fertigte Duchamp einige der ersten kinetischen Werke, für die er die Kreisbewegung nutzte: Rotative glass plaques (1920), Rotative demisphère (1925) und die berühmteren Rotoreliefs (1935), bemalte Pappscheiben, die sich auf Grammophonen drehten und illusionistische und hypnotische dreidimensionale Figuren erzeugten. Diese Arbeiten Duchamps waren jahrelang wenig bekannt, ähnlich wie zwei weitere wichtige hans m. wingler, The Bauhaus. Weimar, Dessau, Berlin, Chicago, MIT Press, Cambridge, MA – London 1969, S. 291-93. Siehe anaїs rolez, La métaphysique dans la sculpture. Jean Tinguely: mécanique, contradiction et métamorphose comme principes générateurs, Dissertation in Kunstgeschichte, Université Rennes 2, 2015, S. 44-48; jean-pierre keller, Tinguely et le mystère de la roue manquante, Édition de l’Aube, La Tour d’Aigues 1992, S. 164. 3 Siehe pietro bellasi, Il cogito del sognatore di macchine, in bruno corà et al. (Hg.), Tinguely e Munari, Opere in azione, Mazzotta, Mailand 2004, S. 31. 1 2 64 Werke von Man Ray, die ebenfalls aus dem Jahr 1920 stammen: Abat-jour, eine Spirale aus Papier (später Blech), aufgehängt vor einem Fenster, sowie Equation-Obstruction, ein Baum aus aneinanderhängenden Kleiderbügeln4. Gemäß dem Geist des Dadaismus bestimmten zufällige Luftströmungen deren Bewegung. Und schließlich teilten zwei weitere Künstler wichtige Aspekte der kinetischen Stoßrichtung mit Tinguely: Calder und Munari. Als Bildhauer und Maler war Alexander Calder einer der originellsten zeitgenössischen Künstler. Im Herbst 1931 schuf der Amerikaner seine ersten kinetischen Objekte, die von Elektromotoren und Kurbeln angetrieben wurden. Diese Arbeiten zeigte er im April 1932 in der Galerie Vignon in Paris, wo Duchamp für sie den Begriff der mobiles prägte. Unmittelbar im Anschluss beschloss Calder, auf mechanische Vorrichtungen zu verzichten, weil er sich bewusst geworden war, dass er die mobiles auch allein durch Luftströme zum Schwingen und Schaukeln bringen konnte. Auf diese Weise vermied er die Monotonie der mechanischen Bewegung und näherte sich leichteren Dynamiken, ähnlich denen von Pflanzen und anderen Organismen, an. Tinguely lernte Bruno Munari im Winter 1954-55 in Mailand kennen. Von Picasso als „neuer Leonardo“ definiert, hatte Munari bereits die Erfahrung des Zweiten Futurismus durchgemacht und überwunden und die Erforderlichkeit einer „plastischen Rekonstruktion des Universums“ auf völlig eigene Art und Weise interpretiert. Die macchina aerea (Luftmaschine) aus dem Jahr 1931 und die macchine inutili (nutzlose Maschinen), erstmals 1933 in der Galleria Pesaro ausgestellt, waren im Raum schwebende und von der Luft bewegte Formen. Sie ähnelten den mobiles, waren aber aus ärmlichen Materialien wie Pappschablonen, Holzstäbchen und Seidenfäden gebaut und in der Lage, „die abstrakten Formen vom statischen Charakter des Gemäldes zu befreien und […] nachdrücklich den Übergang der bildenden Kunst von der zweiten oder dritten in die vierte Dimension, die Zeit, zu vollziehen“5. Munari hatte auch einige grundlegende theoretische Texte veröffentlicht, darunter das Manifesto del macchinismo (Manifest des Maschinismus, 1938). Die geometrische Abstraktion der Dreißigerjahre verließ die poetische Sackgasse und überwand die ästhetische Monotonie, erstens durch Bewegung und zweitens, indem sie sich für eine neue umgebungsspezifische Dimension öffnete. Die Ausstellung Le Mouvement im April 1955 in der Galerie Denise René zeigte bewegliche Skulpturen von Duchamp und Calder, Gemälde auf übereinander geschichtetem Glas von Victor Vasarely, jenem anderen Vorläufer und Theoretiker der optischen und kinetischen Stoßrichtung; außerdem Werke eines Yaacov Agam, eines Pol Bury, eines Jesús-Rafael Soto, sowie zwei Zeichenmaschinen von Tinguely. In einem Kunstumfeld, das noch von konstruktivistischer Abstraktion und informeller Kunst dominiert war, lenkte die Ausstellung das Augenmerk auf „die Existenz eines anderen Typs moderner Kunst, die dynamisch, konstruktiv, fröhlich, bewusst befremdlich, ironisch, kritisch, aggressiv und satirisch war“6. Bei dieser Gelegenheit kam Tinguely zum ersten Mal direkt mit den Werken von Duchamp und Calder in Berührung: sie waren ihm eine Bestätigung der Gültigkeit des von ihm beschrittenen Weges und ein Anreiz für immer komplexere Werke. Das Verlangen, Formen der abstrakten Malerei (Malewitsch, Arp u.a.) mit Bewegung zu kombinieren, ist Tinguely bereits in den Reliefs der Méta-mecaniques anzumerken. Auch die Suche nach einer unregelmäßigen und folglich unehrerbietigen und „nutzlosen“ Bewegung, die der mechanischen und maschinistischen Präzision etwas entgegensetzt, trifft man bereits in den Moulins à prière an. Diese Jugendwerke ähneln auch optisch den frühen mobiles Calders und den nutzlosen Maschinen Munaris. Es sind ausgefeilte Strukturen aus metallischen Drähten, mit denen der Bewegung und der Dematerialisierung der Skulptur nachgegangen wird. Unter dem Eindruck all dieser Erfahrungen formierten sich zwischen 1958 und 1961 überall in Europa kinetische und programmatische Kunstbewegungen, wie die Düsseldorfer Künstlergruppe Zero, die Mailänder Gruppo T und die Pariser GRAV. In der Tendenz eher der Strenge des Rationalismus und formaler Eleganz zugetan, produzierte jedoch keine dieser Bewegungen – auch nicht dort, wo sie die Grenze zur Environmental Art überschritten – Werke, die in punkto mechanischer Komplexität, Ausmaß und Ausdrucksstärke mit denen Tinguelys vergleichbar wären. arturo schwarz, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Feltrinelli, Mailand 1977, S. 163. Siehe alberto fiz, La regola e il caso in bruno corà et al. (Hg.) Tinguely e Munari cit., S. 53; bruno munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari 1995, S. 10-11. pontus hultén (Hg.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (Katalog der Ausstellung im Palazzo Grassi, Venedig), Bompiani, Mailand 1987, S. 28. 4 5 6 65 Art and movement. The avant-gardes, Calder, Munari and Tinguely Federico Gavazzi, Hermann Geiger Cultural Foundation Tinguely was the greatest 20th-century artist in the field of kinetic art, although he was a lot more than that. Challenging the concept of the art object as a static form, kinetic art considers movement, whether real or virtual, as the essential means of expression of the work itself. Research into movement as the epiphany of the time dimension in the work of art had been a pleasant obsession for early 20th-century historical avant-gardes, fuelled by the new vision of the world conveyed by the cinema and by the new conception of the space-time relation presented by science (Einstein) and philosophy (Bergson, Heidegger etc.). While the Futurist exaltation of speed and machines was found mainly in Marinetti’s writings or in the pictorial images of Balla and Co., it was the Russian Constructivist avant-garde that conducted the more experimental, groundbreaking research on real movement in art, a few years later. Inspired by a utopian faith in progress and technology, in August 1920 Naum Gabo presented what is considered the first kinetic work of art in history: a steel rod that was made to vibrate by an electric motor in order to create the visual illusion of a three-dimensional shape in space. In 1922, the other protagonist of Russian constructivism, László Moholy-Nagy, started the construction of Lichtrequisit, a complex device with moving metal parts set in motion by electric motors, which was also among the first pieces of pioneering research into the artistic use of light. The ideas that developed in Russia soon reached the heart of Europe when, in 1923, Josef Albers and Moholy-Nagy took on the responsibility of running the Vorkurs, or preliminary course, at the Bauhaus in Weimar. In order to encourage reflection on the dynamic factors of design and the concepts of balance and space, students were asked to create lightweight sculptures, meant to be hung and exposed to the action of wind; indeed, the studies in equilibrium and three-dimensional forms by Marianne Brandt and Irmgard Sörensen date back to 19231. At the Basel Kunstgewerbeschule, through the teachings of Julia Eble-Ris and Theo Eble, Tinguely came into contact with the Bauhaus experience, which he found congenial to his spontaneous attraction to movement and speed. In later life, the Swiss artist openly stressed the importance of Lichtrequisit and Moholy-Nagy’s work. Theses of the Realistic Manifesto written by Naum Gabo and cosigned by his brother Anton Pevsner are echoed in the words of Tinguely’s For Statics, a brief proclamation that he dropped from a small airplane over the skies of Düsseldorf in a memorable action in 19592. If, on the one hand, Tinguely drew inspiration from these studies and partly shared the spirit that informed them, on the other hand his relationship with civilization and the aesthetics of machines was more complex, ironic and playful, at times desecrating, or pessimistic and melancholic, but never merely celebratory. All this reverberates on the variety, complexity and unpredictability of the movements that animate his works in a celebration of chance and freedom. Reprogramming an item of machinery, freeing it from its first reason of being, that is to say functionality, is a deeply revolutionary act in itself, closely linked to the Dadaist myth of the «bachelor machine». Marcel Duchamp was the first artist to present this new aesthetics of the machine, in opposition to the fideistic position of cubo-futurist and neoplastic avant-gardes. The Large Glass. La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1915-23) – the prototype of bachelor machines – is a surprising allegory of machines on which we project typically human, unconscious, erotic dynamics and drives3: the glass includes a large number of dynamic elements, but no mechanisms capable of producing any movement. A few years later, however, Duchamp created his first kinetic works, using rotational motion: Rotative glass plaques (1920), Rotative demisphère (1925) and the better-known Rotoreliefs (1935). These were cardboard discs meant to be spun on a turntable in order to create a hypnotic illusion of depth. These works hans m. wingler, The Bauhaus. Weimar, Dessau, Berlin, Chicago, MIT Press, Cambridge, MA – London 1969, pp. 291-93. See anaїs rolez, La métaphysique dans la sculpture. Jean Tinguely: mécanique, contradiction et métamorphose comme principes générateurs, Doctoral Thesis in Art History, Université Rennes 2, 2015, pp. 44-48; jean-pierre keller, Tinguely et le mystère de la roue manquante, Édition de l’Aube, La Tour d’Aigues 1992, p. 164. 3 See pietro bellasi, Il cogito del sognatore di macchine, in bruno corà et al. (eds), Tinguely e Munari, Opere in azione, Mazzotta, Milano 2004, p. 31. 1 2 66 by Duchamp were little known for several years, and so were two important oeuvres created by Man Ray in 1920: Abat-jour, a spiral of paper (and then of sheet metal) hanging in front of a window, and Equation-Obstruction, a tree made of suspended coat hangers4. In line with the spirit of Dada, movement was produced by air draughts. But it was mainly two artists, Calder and Munari, who shared a few important aspects of kinetic research with Tinguely. An American sculptor and painter among the most original of the time, in autumn 1931 Alexander Calder created his first kinetic objects operated by electric motors or cranks. These works, for which Duchamp coined the name mobiles, were exhibited in April 1932 at the Galerie Vignon in Paris. Immediately after that, Calder gave up mechanized devices as he realized that his mobiles could oscillate by themselves, moved by air draughts. By so doing, he was able to avoid the repetitiveness of mechanical movement, leaving space to more delicate vegetable and organic dynamics. Tinguely met Bruno Munari in Milan in the winter of 1954-55. Described by Picasso as «the new Leonardo», Munari had already experienced and gone beyond the Second Futurism and interpreted the need for a «plastic reconstruction of the universe» from a strictly personal point of view. The macchina aerea (air machine) and the macchine inutili (useless machines) first exhibited at the Galleria Pesaro in 1933 were forms suspended in space and moved by air. In the same way as the mobiles – although constructed with worthless materials, cardboard templates, wooden sticks, and silk threads – these works were capable of «freeing abstract forms from the static condition of the painting […] and confirming the transition of figurative art from two, or three, dimensions to the fourth dimension of time»5. Munari had also published groundbreaking theoretical texts, including the Manifesto del macchinismo (Manifesto of Machinism, 1938). The geometric abstractionism of the 1930s broke the poetic stalemate and went beyond aesthetic repetitiveness by opening to an environmental dimension and through movement. The exhibition Le Mouvement held at the Galerie Denise René in April 1955 displayed mobile sculptures by Duchamp and Calder; the superimposed glass panes by Victor Vasarely, he himself a forerunner and theoretician of optical and kinetic research; works by Yaacov Agam, Pol Bury, Jesús-Rafael Soto; and two painting machines by Tinguely. In an artistic landscape dominated by constructivist abstraction and informal art, the exhibition unveiled «the existence of a different kind of modern art that was dynamic, constructive, joyful, deliberately disconcerting, ironic, critic, aggressive and satirical»6. It was on that occasion that Tinguely saw with his own eyes Duchamp’s and Calder’s works. He thus realized that his research was substantial and received the impulse to create works that were ever more complex. Tinguely’s desire to animate the forms of pictorial abstractionism (Malevich, Arp etc.) is already present in the Méta-mécanique reliefs, whereas the pursuit of an irregular movement – therefore irreverent and «useless», in contradiction with mechanical and machinic accuracy – is visible in the Moulins à prière. Also in visual terms, these early works are similar to Calder’s mobiles and Munari’s useless machines, i.e. complex metal wire structures aimed at dematerializing sculpture in the pursuit of movement. Strongly influenced by all these experiences, various kinetic and programmed art movements developed in Europe between 1958 and 1961, such as the Zero Group in Düsseldorf, the Gruppo T in Milan and the GRAV in Paris. More inclined to rationalist rigour and formal elegance, including in their frequent digressions towards environmental art, none of these movements, however, was able to achieve results comparable to Tinguely’s work in terms of mechanical complexity, greatness and evocative power. arturo schwarz, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Feltrinelli, Milano 1977, p. 163. Vedi alberto fiz, La regola e il caso in bruno corà et al. (ed.), Tinguely e Munari cit., p. 53; bruno munari, Arte come mestiere, Laterza, Bari 1995, pp. 10-11. pontus hultén (ed.), Una magia più forte della morte: Jean Tinguely (catalogue of the exhibition at Palazzo Grassi, Venice), Bompiani, Milano 1987, p. 28. 4 5 6 67 Bibliografia scelta bréerette, geneviève, 1988: Tinguely au Centre Pompidou: J’ai été jusqu’à faire des choses qui se détruisaient, in «Le Monde», 7 dicembre. cecchetto, stefano (a cura di), 2009: Niki de Saint Phalle (catalogo della mostra alla Fondazione Roma Museo, Roma), Skira, Milano. colombet, marie j. a., 2008: L’Humour objectif: Roussel, Duchamp, “sous le capot”. L’objectivation du surréalisme, Publibook, Paris. corà, bruno et al. 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Un particolare e sentito ringraziamento a Sibylle Geiger per aver sempre creduto in questo progetto e averne seguito costantemente l’evoluzione, per averci reso partecipi della sua esperienza in campo artistico e averci raccontato e parlato di Jean Tinguely, trasmettendoci quell’entusiasmo che l’artista coltivava e che si riflette nella cinetica affascinante delle sue forme artistiche. Il ringraziamento si estende all’intera famiglia Geiger-Piermattei per il prezioso sostegno nella realizzazione della mostra. 69 Jean Tinguely all’interno del Dragone. Knokke-le-Zoute, 1986. Eric Préau © Eric Préau/Sygma/Corbis 70 71