Musica n. 227

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Musica n. 227
554009
9 770392
PUBBLICAZIONE MENSILE - ISSN 03925544
10227
www.rivistamusica.com
227
Zecchini Editore
R I V I S TA D I C U LT U R A M U S I C A L E E D I S C O G R A F I C A - G I U G N O 2 0 1 1
luisa
sello
tito
schipa
riccardo
rudolf
buchbinder
muti
6.90 - Frs.15.- Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
argerich_pubb 19-05-2011 16:59 Pagina 1
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Colori compositi
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La cosa più importante è riuscire a trasformare il pianoforte
da strumento a percussione in uno strumento che canta ...
il timbro cantante è fatto di sfumature, colori e contr
cont r asti …"
Cari amici musicisti
In fondo è semplice: per fare uno strumento musicale vivo è sufficiente scegliere materiali
naturali di ottima qualità e assemblarli secondo le migliori regole di costruzione- è così
che nasce la ricchezza di colori sonori auspicata da Horowitz.
Certo, ma questo riesce solo in meno di dieci fabbriche artigianali al mondo;quasi tutti i
nuovi pianoforti oggigiorno sono strumenti tendenzialmente percussivi,sminuiti al ruolo
di strumento a percussione.
La possibilità di modulare l'intensità e il timbro dei suoni prodotti è di vitale importanza
per il pianista professionista,il presupposto per qualsiasi interpretazione ... e anche per il
"semplice" piacere di fare musica e suonare,tutti i pianisti necessitano come prima cosa di
colori sonori.
Vi invitiamo a conoscere i nostri pianoforti verticali e pianoforti a coda costruiti secondo
la grande tradizione artistica artigianale-dal Vostro rivenditore Steingraeber o da noi,nella
città del festival di Bayreuth.
Siamo lieti di ricevere la Vostra visita
Udo Steingraeber
Klaviermanufaktur Steingraeber & Söhne, 95444 Bayreuth, Germany, Steingraeberpassage 1
[email protected] - www.steingraeber.de
Fondale: "Bagatelle sans tonalité" Franz Liszt 1885, p. 1
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Le Guide. Da leggere.
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Dei musicisti più importanti (settanta) ci sono
le composizioni che concorrono a formare il
repertorio orchestrale internazionale; di ognuna
c'è una scheda con organico, divisione in
tempi, genesi compositiva, caratteristiche artistiche e incisioni di riferimento. Completano la
Guida le schede sulla produzione sinfonica di
altri centodue compositori.
Ogni scheda è corredata da consigli discografici, frutto di oltre un trentennio di esperienza
critica dell'autorevole rivista MUSICA.
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OLTRE
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ANNI DI
MUSICA
OLTRE
370
MONOGRAFIE
OLTRE
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DISCOGRAFICI
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RIVISTA
Da Bach a Beethoven, da Mahler ai contemporanei: una Guida all'ascolto attivo e critico delle pagine sinfoniche che hanno fatto, e
fanno, la Storia della musica, inquadrate nella loro epoca e presentate da un punto di vista stilistico e formale. Inoltre, in questa
Guida, organizzata in ordine alfabetico per autore, trovano posto il Poema sinfonico, gli Intermezzi orchestrali, le Ouverture d'opera
e le Suite di balletti spesso eseguiti in concerto come brani autonomi (si pensi all'Ouverture de Il barbiere di Siviglia di Rossini, a
quella dei Vespri Siciliani di Verdi, all'Intermezzo di Manon Lescaut di Puccini, alle Suite di Romeo e Giulietta di Prokof'ev).
In preparazione
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a cura di Piero Rattalino
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per chi frequenta le sale dei concerti, per il discofilo,
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COMPOSITORI
OLTRE
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ANNI DI
MUSICA
OLTRE
150
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DISCOGRAFICI
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GUIDA AL TEATRO D’OPERA
a cura di Aldo Nicastro
Questa Guida, a differenza delle altre presenti sul mercato, ha un approccio
diretto, personale: un compromesso ideale fra piacevolezza della lettura
e informazione critica. Da Adams a Zimmermann, da Monteverdi
ai giorni nostri, uno sguardo completo sul più grande spettacolo
inventato dall’uomo nell’ultimo mezzo millennio.
Dopo il successo della Guida alla musica sinfonica, è la volta del teatro d’opera: una guida adatta a tutti, dalla scrittura omogenea e
appassionante, adatta a chi si accontenta di qualche informazione veloce prima di una serata a teatro e a chi, invece, vuole andare
oltre. L’autore – Aldo Nicastro – e i suoi collaboratori (Bellingardi, Cattò, Marinelli Roscioni, Orselli) sono fra le firme più apprezzate
nel settore in Italia e forti di una consolidata esperienza di divulgatori. Per tutte le opere illustrate è presente la sezione “come
ascoltare”: un approccio singolare per il debuttante, un ripensamento spiazzante per il melomane. Ancora una volta, la rivista
MUSICA, forte di 34 anni di storia, orienta il lettore nel mare magnum delle registrazioni audio e video, con i suoi consigli
discografici.
Selezionando un’ottantina di autori, illustri o meno (da Adams a Zimmermann), questa guida ha il compito di offrire uno stuzzicante
florilegio di titoli del teatro d’opera.
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&sommario
musica227 - giugno 2011
DIRETTORI
Conversazione con Riccardo Muti.
Un amore « da matrimonio »
con la Chicago Symphony
36
di Alberto Cantù
Foto di Todd Rosemberg, cortesia www.riccardomuti.com
RUBRICHE
7
Editoriale
8
Indice delle recensioni
10
Recite, Recital, Concerti
12
Dalla platea
22
Letture musicali
24
Attualità
32
Vetrina CD
VOCI STORICHE
L’inimitabile Schipa
40
di Michael Aspinall
Le recensioni di concerti e spettacoli a Bari, Bologna,
Brescia, Catania, Firenze, Genova, Ginevra, Liegi, Lugano, Milano, Palermo, Vicenza, Venezia
24 Intervista a Luisa Sello
26 Intervista a Udo Steingraeber
28 La polemica di Marzio Pieri
30 Ci hanno lasciato
GUSTAV MAHLER
Letture mahleriane di riferimento:
la Quinta e l’Ottava
di Riccardo Cassani
48 54
55
I dischi 5 stelle del mese
Le recensioni di MUSICA
80 Sedici domande ad Alexandre Tharaud
PIANOFORTE
Un perfezionismo d’altri tempi.
Il segreto di Rudolf Buchbinder
di Mario Marcarini
50 94
96
Etichette e distribuzione
Abbonamenti
Hanno collaborato a questo numero: Michael Aspinall, Carlo Bellora, Paolo Bertoli, Marco Bizzarini, Claudio Bolzan, Michele Bosio, Vera Brentegani, Roberto
Brusotti, Alberto Cantù, Riccardo Cassani, Nicola Cattò, Sergio Cimarosti, Benedetto Ciranna, Roberto Codazzi, Umberto Garberini, Gianni Gori, Stephen Hastings, Marco Leo, Mario Marcarini, Gianluigi Mattietti, Alberto Mattioli, Dario Miozzi, Maurizio Modugno, Aldo Nicastro, Stefano Pagliantini, Giuseppe Pennisi,
Marzio Pieri, Giorgio Rampone, Piero Rattalino, Riccardo Risaliti, Riccardo Rocca, Luca Rossetto Casel, Giuseppe Rossi, Giovanni Andrea Sechi, Luca Segalla,
Franco Soda, Alessandro Taverna, Lorenzo Tozzi, Massimo Viazzo, Carlo Vitali, Giovanni Vitali, Adriana Zecchini, Paolo Zecchini, Roberto Zecchini
redazione, direzione, amministrazione, pubblicità:
MUSICA - Via Tonale, 60 - 21100 Varese
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Foto: Dario Acosta/DG (68), Francesco Angelico (27), Archivio Rivista
Musica (copertina Schipa, 28b, 29a, 29b, 30b, 31a, 31c, 48b, 49, 60,
88, 92), Emanuele Arciuli (24a), Basta (copertina Buchbinder), Marco
Borggreve (74, 80), Brescia e Amisano/Teatro alla Scala (18), Rocco
Casaluci/Teatro Comunale di Bologna (12), foto di Luca d’Agostino Luisa Sello veste abiti Archetipo, sponsor personale dell’artista.
www.archetipo.com (copertina Sello, 24b), Alessandro Dobici (10), David Geringas (31b), Askonas Holt (11), Philipp Horak (51), Lauterwasser/DG (48a), Silvia Lelli, cortesia www.riccardomuti.com (copertina
Muti, 36-37), Library of Congress (40-41, 43, 45), Musacchio/Accademia Santa Cecilia (30a), Gianandrea Noseda (65), Palatului (26a), Marzio Pieri (28a), Quartetto Borodin (58), Todd Rosemberg, cortesia
www.riccardomuti.com (5, 39), Klaus Rudolph (48c), Udo Steingraeber
(26b), Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (16), Teatro Petruzzelli Bari (14), Sonja Werner (72), ZDF (82)
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editoriale &
R
iccardo Muti e Tito Schipa (entrambi in copertina questo mese), oltre a
condividere un amore forte per quella bellissima regione – la Puglia –
nella quale crebbero ed ebbero la prima (ottima) istruzione musicale,
sono accomunati ora da un rapporto quasi altrettanto intenso con la città di Chicago, dove Schipa fu un divo incontrastato nelle stagioni in-
vernali dal 1919 al 1931 e nelle stagioni estive (a Ravinia Park) dal 1923 al
1928 e dove Muti si è insediato da pochi anni, stabilendo non solo un’intesa
« da matrimonio » con una delle migliori orchestre al mondo, ma anche un legame
di riconoscenza e affetto reciproco con la stessa città. Ma la vera affinità tra il direttore con il
senso innato del canto e il tenore-musicista per eccellenza sta nel carattere inconfondibile del loro fraseggio, che si riconosce dopo poche battute e che lascia un’impronta unica su ogni composizione eseguita. La volontà del tenore di far vivere le parole con immediatezza nuova all’interno di una linea melodica di cesellato rilievo rese affascinante la sua arte anche quando il timbro si era quasi prosciugato. La capacità di Muti di dare un profilo nobile e una vitalità interiore alle melodie più familiari del nostro melodramma si è arricchita di uno spessore umano
più denso e intrigante quando il maestro – ancora indebolito dopo un intervento chirurgico –
ha diretto quel Nabucco al Teatro dell’Opera che rimarrà nella storia per diversi motivi. E
sono lieto di esserci stato anch’io a cantare il « Va pensiero » sotto la sua bacchetta all’ultima
recita, dove regnava un’atmosfera di felicità intensa per la battaglia (per la restituzione del
FUS)
vinta grazie all’intervento decisivo dello stesso Muti.
A questo proposito potrebbe sembrare paradossale il sogno raccontatoci da Marzio Pieri nella
polemica di questo mese. Una polemica che esprime tuttavia un timore che era piuttosto diffuso anche nel pieno della battaglia sacrosanta per il
FUS:
che le fondazioni musicali, rifornite
di soldi, continuassero ad accontentarsi del buono invece di mirare implacabilmente al meglio
(che non è necessariamente la meta più costosa). Quale teatro italiano, ci si domanda, saprebbe accogliere oggi un giovane (ma già geniale) Schipa ed affidargli sei titoli di seguito, come fece il San Carlo nel 1915? E il fatto che sia girata la voce in questi mesi che si vorrebbe far diventare Gustavo Dudamel, un giovane di talento enorme ma digiuno di cultura melodrammatica (e per certi incarichi la cultura conta molto, come ci ricorda qui Rudolf Buchbinder), il direttore musicale della Scala, fa riflettere su un modo di gestire i teatri assai più
attento ai colpi mediatici che riverberano all’esterno che alla vitalità dei personaggi che interagiscono sulla scena.
Stephen Hastings
&indice delle recensioni
& Sestetto
in Sol op. 36 violini Isabelle Faust, JuliaMaria Kretz viole Stefan Fehland, Pauline Sachse,
vc Christoph Richter, Xenia Jankovic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58
AA.VV
« Berlin Opera Night » (musiche di Händel, Mozart,
Puccini, Dvořák, Wagner, R. Strauss, Saint-Saëns,
Leoncavallo, Lehár, J. Strauss II) G. Bumbry, A.
Schwanewilms, Charles Castronovo, R. Pape, V.
Kasarova, A. Pieczonka, M. Crider, J. Kowalski, V.
Galouzine, J. Banse, S. Licitra, A. Kirchschlager,
M. Bruck; Orchester der Deutschen Oper Berlin,
dir Kent Nagano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3/4
« Historia Sancti Martini » (musiche sacre del XIII secolo) Diabolus in musica, dir Antoine Guerber . . . . . . . . . . 4
& « Les leçons particulières de musique » Anner Bylsma un film di François Manceaux . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5
& « Les leçons particulières de musique » Pierre-Yves
Artaud un film di Roger Kahane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5
« Venezia: Sonate e Sinfonie » (musiche di Rosenmüller, Legrenzi, Stradelli) The Rare Fruits Council, vl e dir Manfredo Kraemer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
57
65
66
66
Medium E. Keller, M. Powers, B. Dame, F. Rogier, C. Mastice; Orchestra non specificata, dir
Siberia (Preludio atto II); Fedora (Intermezzo Atto II)
Emanuel Balaban . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
The Saint of Bleecker Street G. Ruggiero, D. Poleri,
G. Lane, M. Di Gerlando, L. Lishner, C. Akos, M.
BRITTEN
HAYDN
Marlo, E. Gonzales, D. Aiken, L. Becque; Orche& Quattro interludi marini da Peter Grimes op. 33a
stra e Coro non specificati, dir Thomas Schippers .
Sei
Quartetti
per
archi
op.
20
Daedalus
Quartet
. . . . . . . . . . . 3/4
64
BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60 &
& The Telephone M. Kotlow, F. Rogier; Orchestra non
Sinfonia n. 53 in « L’impériale »; Sinfonia n. 54 Hei& Sinfonia per violoncello e orchestra op. 68 vcl Paul
specificata, dir Emanuel Balaban . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
delberger Sinfoniker, dir Thomas Fey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 64
Watkins BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . 5 60
The Unicorn, the Gorgon and the Manticore Orche& Suite sinfonica da Gloriana op. 53a ten Robert Murstra e Coro non specificati, dir Thomas Schippers .
HENZE
ray BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60
« Guitar Music 2 » (musiche varie) chit Franz Halász,
MESSIAEN
mand Anna Torge, arp Cristina Bianchi, Ensemble
BUCHHOLTZ
Oktopus, dir Konstantia Gourzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 64 & Harawi sopr Annika Skoglund, pf Carl-Axel Domini« Piano Works » (musiche per pianoforte) pf Marco
que . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Kraus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 60
90
& Sinfonia
CASTELNUOVO-TEDESCO
Platero y yo (selezione) narratore Moni Ovadia chit
Emanuele Segre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60
Doctor Atomic G. Finley, R.P. Fink, T. Glenn, S.
Cooke, E. Owens, E. Patriarco, M. Arwady, R. Honeywell; The Metropolitan Opera Orchestra, Chorus and Ballet, dir Alan Gilbert, reg Penny Woolcock, sc Julian Crouch, reg video Gary Halvorson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3 55
Sei Concerti per il cembalo concertato Wq 43; clav
Andreas Staier Freiburger Barockorchester, dir Petra Müllejans . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56
BACH
Mottetti Vocalconsort Berlin, dir Marcus Creed . . . . . . . . . . . . . . 4 55
Passione secondo Giovanni BWV 245 M. Padmore,
H. Müller-Brachmann, P. Harvey, B. Fink, K. Fugr,
J. Lunn; Monteverdi Choir, English Baroque Soloists, dir John Eliot Gardiner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56
Passione secondo Matteo BWV 244 A. Dieltiens,
S.K. Thornhill, T. Mead, M. White, G. Türk, J.
Podger, C. Daniels, P. Harvey, S. Noack; Kampen
Boys Choir, Netherlands Bach Society, Museum
Catharijne Convent, dir Jos van Veldhoven . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56
Loreley (Danza delle Ondine); La Wally (Preludio atto I, Preludio atto IV) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
Concerto per pianoforte n. 1 in mi op. 11; Concerto
per pianoforte n. 2 in fa op. 21 pf Daniel Barenboim Staatskapelle Berlin, direttore Andris Nelsons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 61
Fantasia in fa op. 49; Sonata in si bemolle op. 35;
Notturno in RE bemolle op. 27 n. 2; Barcarola in
FA diesis op. 60; Valzer in la op. 34 n. 2; Valzer
in FA op. 34 n. 3; Valzer in RE bemolle op. 64 n.
1; Valzer in do diesis op. 64 n. 2; Berceuse in RE
bemolle op. 57; Polacca in LA bemolle op. 53 pf
Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 61
CIAIKOVSKI
Il lago dei cigni, suite Orchestra Filarmonica di San
Pietroburgo, dir Yuri Temirkanov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
n. 2 op. 17 « Piccola Russia »; Sinfonia n. 3
op. 29 « Polacca » Orchestra del Ministero della
Cultura dell’URSS, dir Gennadi Rozhdestvensky . . . . .
BACH-BUSONI
& Sinfonia n. 4 op. 36; Sinfonia n. 5 op. 64; Sinfonia
Ciaccona pf Freddy Kempf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 77
n. 6 op. 74 « Patetica »; Romeo e Giulietta, Fantasia-ouverture Hallé Orchestra, dir John Barbirolli . . . . .
&
Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica » West-Eastern Divan
BARTÓK
Orchestra, dir Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Concerto per violino n. 2; Concerto n. 1 op. post. vl
Arabella Steinbacher Orchestre de la Suisse RoCILEA
mande, dir Marek Janowski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56
Adriana Lecouvreur (Intermezzo) BBC Philharmonic,
dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
BELLINI
Norma J. Anderson, D. Barcellona, S.Y. Hoon, I. Abdrazakov, S. Ignatovich, L. Melani; Coro del Festival Verdi, Orchestra Europa Galante, dir Fabio
Biondi, reg Roberto Andò, sc Giovanni Carluccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 4 57
4 62
& Sinfonia
5 62
5 62
5 82
4 65
DEBUSSY
Prélude à l’après-midi d’un faune; La mer; Jeux London Symphony Orchestra, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . 3 62
FAURÉ
BORODIN
& Messe
per archi n. 1 op. 26 Quartetto Borodin . . . . . . . 5 57
BOTTESINI
& Concerto
per contrabbasso n. 2 in si; Duetto per clarinetto e contrabbasso ctb Enrico Fagone, cl Corrado Giuffredi Orchestra della Svizzera Italiana, dir
Christoph-Mathias Mueller . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58
& Gran Duo Concertante per violino e contrabbasso;
Passione amorosa per violino e contrabbasso vl
Walter Zagato, ctb Enrico Fagone, Orchestra della
Svizzera Italiana, dir Christoph-Mathias Mueller . . . . . . . 5 58
BRAHMS
in Re op. 77 vl Isabelle Faust Mahler
Chamber Orchestra, dir Daniel Harding . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58
Ein deutsches Requiem sopr Natalie Dessay, bar
Ludovic Tézier, Orchestra Sinfonica della Radio di
Francoforte, Coro della Radio Svedese, dir Paavo
Järvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 59
Quintetto in fa op. 34 per pianoforte e archi pf Paolo
Restani Quartetto d’archi della Scala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 78
n. 2 « La campana » Houston Symphony
Orchestra, dir Leopold Stokowski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 85
KNUSSEN
Ophelia’s Last Dance op. 32 pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . 4 84
CATALANI
CHOPIN
BACH C.P.E.
de Requiem op. 48; Ave Verum op. 65 n. 1;
Ave Maria op. 67 n. 2; Tantum ergo op. 55; Messe des pecheurs de Villerville sopr Ana Quintans,
bar Peter Harvey, Ensemble Vocal de Lausanne,
Sinfonia Varsovia, dir Michel Corboz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 63
FRANCK
& Sonata
in LA per violino e pianoforte vl Francesca
Dego, pf Francesca Leonardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 63
GERSHWIN
Rhapsody in Blue; I Got Rhythm Variations; Concerto per pianoforte in FA pf Jean-Yves Thibaudet,
Baltimore Symphony Orchestra, dir Marin Alsop . . . . . . 4 64
LEONCAVALLO
Pagliacci (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
LISZT
& Die
Zelle in Nonnenwerth, per violino e pianoforte S.
382; Romance oubliée per violino e pianoforte vl
Jean-Marc Phillips Varjabédian, pf Vincent Coq . . . . . . .
& Elegie n. 1 S. 130 per violoncello e pianoforte; Elegie n. 2 S. 131 per violoncello e pianoforte; La Lugubre Gondola S. 134 per violoncello e pianoforte
vcl Raphaël Pidoux, pf Vincent Coq . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fantasia e fuga su B.A.C.H.; Bénédiction de Dieu
dans la solitude; Venezia e Napoli; Sonata in si pf
Marc-André Hamelin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sonata in si pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
& Tristia, per violino, violoncello e pianoforte S. 723c
Trio Wanderer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5 86
4 66
4 84
5 86
LULLY
MAHLER
4 70
5 71
4 70
5 72
da « Des Knaben Wunderhorn » bar Thomas
Hampson, Wiener Virtuosen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Sinfonia n. 4 sopr Camilla Tilling, World Orchestra
for Peace, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3
Sinfonia n. 5 London Symphony Orchestra, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4
Sinfonia n. 5 World Orchestra for Peace, dir Valery
Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3
MIASKOVSKI
& Quartetto
per archi n. 13 op. 86 Quartetto Borodin . . . . . 5 57
MOZART
Arie da Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Cosı̀ fan
tutte sopr Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester
Köln, dir Karl Sollak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
& Die Zauberflöte P. Beczala, D. Röschmann, D. Roth,
M. Salminen, D. Rancatore, W. Schöne, G. Le
Roi; Orchestre et Choeur de l’Opéra National de
Paris, dir Ivan Fischer, reg Benno Besson, sc e
cost Jean-Marc Stehle, reg tv François Roussillon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5
& Divertimento K 563 per trio d’archi Trio Zimmermann 5
Integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra clav
e fortepiano Viviana Sofronitzki, Linda Nicholson,
Mario Aschauer Musicae Antiquae Collegium Varsoviense, dir Tadeusz Karolak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4
Requiem K 626; Ave Verum Corpus KV 618 sopr
Marinella Pennicchi, msopr Gloria Banditelli, ten
Mirko Guadagnini, bas Sergio Foresti, Coro Canticum Novum di Solomeo, Accademia Hermans, dir
Fabio Ciofini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
& Sonata in DO K 330; Rondo in la K 511; Rondo in
RE K 485; Adagio in si K 540; Sonata in do K
457 for Kristian Bezuidenhout . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
86
72
74
73
73
74
OBRECHT
& Missa
de Sancto Donatiano Cappella Pratensis, dir
Stratton Bull . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 74
WILLEM VAN OTTERLOO
& Lieder
68
68
68
68
MASCAGNI
L’Amico Fritz (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir
Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
MENDELSSOHN
Ottetto per archi op. 20; Sestetto per pianoforte e
archi op. 110 I Solisti Filarmonici Italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 70
Quartetto per archi in LA op. 13; Quattro Pezzi op.
81 per quartetto d’archi Quartetto di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 70
MENOTTI
Amahl and the Night Visitors C. Allen, R. Kuhlmann,
A. McKinley, D. Aiken, L. Lishner, F. Monachino;
Orchestra e coro non specificati, dir Thomas
Schippers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 71
Sebastian, Suite dal balletto Robin Hood Dell Orchestra di Philadelphia, dir Dimitri Mitropoulos . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 71
I numeri della prima colonna si riferiscono
alle stelle attribuite a ciascun disco. La sigla
DVD prima del numero delle stelle segnala
un’edizione video.
I titoli preceduti dal quadratino rosso segnalano i dischi con 5 stelle (vedi pagina 54)
musica 227, giugno 2011
5 86
Bellérophon C. Auvity, C. Scheen, I. Perruche, J.
Borghi, E. Alexiev, J. Teitgen, R. Getchell; Chœur
de chambre de Namur, Les Talens Lyriques, dir
Christophe Rousset . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 67
& Concerto
8
5 71
KACHATURIAN
ADAMS
& Quartetto
& The
GIORDANO
& Musiche
di Smetana, Franck, Beethoven, Schubert,
Brahms, Bruckner, Wagner, Saint-Saëns, Rachmaninov, Berlioz, Weber, Meyerbeer, Grieg, Prokofiev, org Feike Asma, pf Cor de Groot, vl Theo
Olof, vl Herman Krebbers; Hague Philharmonic,
Royal Concertgebouw Orchestra, Wiener Symphoniker, Berliner Philharmoniker, dir Willem van Otterloo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 75
PONCHIELLI
La Gioconda (Danza delle ore) BBC Philharmonic,
dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
PROKOFIEV
& Concerto
per violino n. 1 op. 19; Concerto per violino n. 2 op. 63 vl Pavel Berman, Orchestra della
Radio Svizzera Italiana, dir Andrey Boreyko . . . . . . . . . . . . . . . 5 76
& Sonata per due violini in Do op. 56 vl Pavel Berman,
Anna Tifu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 76
PUCCINI
Manon Lescaut (Intermezzo); Suor Angelica (Intermezzo); Edgar (Preludio atto I, Preludio atto III)
BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
Tosca E. Magee, J. Kaufmann, T. Hampson; Coro e
Orchestra dell’Opernhaus di Zurigo, dir Paolo Carignani, reg Robert Carsen, sc e cost Anthony
Ward . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3/4 77
Turandot F. Corelli B. Nilsson G. Višnevskaja N.
Zaccaria R Capecchi F. Ricciardi P. De Palma A.
Mercuriali V. Carbonari, I. Farina, J. Valtriani, R.
Pelizzoni; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala,
dir Gianandrea Gavazzeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/5 91
RACHMANINOV
SHOSTAKOVICH
Danze Sinfoniche Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 62
Variazioni su tema di Corelli op. 42 pf Freddy
Kempf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 77
& Sinfonia
n. 1 op. 10; Sinfonia n. 11 op. 103; L’anno
1905 Symphony of the Air, dir Leopold Stokowski . 5 85
SIBELIUS
Sinfonia n.2 op. 43; Karelia suite op. 11 New Zealand Symphony Orchestra, dir Pietari Inkinen . . . . . . . . . . . . 3/4 86
RAVEL
& Sonata
per violino e pianoforte; « Tzigane » Rhapsodie de Concert per violino e pianoforte vl Francesca Dego, pf Francesca Leonardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Sonata per violino e violoncello vl Francesco D’Orazio, vcl Nicola Fiorino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Sonata postuma per violino e pianoforte; Sonata in
SOL per violino e pianoforte; Pezzo in forma di
Habanera per violino e pianoforte; Berceuse sul
nome di Gabriel Fauré per violino e pianoforte;
Tzigane per violino e pianoforte vl Francesco D’Orazio, pf Giampaolo Nuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Valses nobles et sentimentales pf Freddy Kempf . . . . . . . . 3/4
REGER
& Concerto
per pianoforte op. 114 pf Marc-André Hamelin, Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, dir Ilan
Volkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
REICH
& Electric
counterpoint, Six marimbas counterpoint,
Vermont counterpoint vibr, marimba, perc, nastro
preregistrato Kuniko Kato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
RISTORI
63
78
SMETANA
& Trio
in sol per pianoforte, violino e violoncello op. 15
Trio Wanderer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86
STRAUSS
e scene da Arabella, Capriccio e Ariadne auf
Naxos sopr Lisa della Casa, Wiener Philharmoniker, dir vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
& Burleske pf Marc-André Hamelin, Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, dir Ilan Volkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
& Vier letzte Lieder (3 Lieder); Monologo di Elektra
sopr Kirsten Flagstad, Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, dir Georges Sebastian . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5 66 &
Vier letzte Lieder sopr Lisa della Casa, Wiener Philharmoniker, dir Karl Böhm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vier letzte Lieder; Rosenkavalier-Suite; Till Eulenspiegel sopr Anja Harteros, Orchestra Sinfonica
della Radio Bavarese, dir Mariss Jansons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vier letzte Lieder; Scene da Ariadne auf Naxos e
5 78
Capriccio sopr Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester Köln, dir Karl Sollak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
78
77
Divoti affetti alla Passione di Nostro Signore D.
Mields, F. Vitzhum; Echo du Danube . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 78
Esercizi per l’Accompagnamento Echo du Danube . . . . . 4 78
& Arie
5 86
5 66
5 86
5 86
4 86
3 86
STRAVINSKI
& Concertino
per quartetto d’archi Quartetto Borodin . . . . . 5 57
Trois mouvements de Pétrouchka pf Freddy Kempf . . 3/4 77
ROSSI
Cleopatra D. Theodossiou, A. Liberatore, P. Pecchioli, S. Catana, W. Corrò, T. Carraro, P. Gardina, G. Medici; Orchestra Filarmonica Marchigiana,
Coro Lirico Marchigiano « V. Bellini », dir David
Crescenzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 79
STURLA
Passio di Venerdı̀ Santo Il Concento Ecclesiastico,
dir Luca Franco Ferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 89
TELEMANN
SCARLATTI A.
Lukas Passion sopr Veronika Winter, contr Anne
Serenate a Filli E. Galli, Y. Arias Fernandez, M. Oro;
Bierwirth, ten Julian Podger, bas Clemens HeiLa Risonanza, dir Fabio Bonizzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 82
drich, Matthias Vieweg, Rheinische Kantorei, Das
Kleine Konzert, dir Hermann Max . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 89
& Ouvertüre in la; Tre Fantasie per flauto dolce; ConSCARLATTI D.
certo in La minore per flauto dolce fl dolce Julien
& Sonate K 239, K 208, K 72, K 8, K 29, K 132, K
Martin, vlag Josh Cheatham, Capriccio Stravagan430, K 420, K 481, K 514, K 64, K 32, K 141, K
te, dir Skip Sempé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 90
472, K 3, K 380, K 431, K 9, pf Alexandre Tharaud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 80
VERDI
TITO SCHIPA
& Integrale
delle registrazioni 1913-1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 46
SCHUBERT
Quartettsatz in do D 703 Quartetto di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sonata in SI bemolle D 960; Improvviso in fa op.
142 n. 1; Klavierstück in MI bemolle D 946 n. 2 pf
Luca Ciammarughi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
& Trio D471 per archi Trio Zimmermann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
& « Nacht und Träume » (Lieder D827, D833, D637,
D869, D876, D778, D842, D193, D194, D891,
D889, D517, D289, D434, D502, D861, D303) bar
Matthias Goerne, pf Alexander Schmalcz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4 70
4 84
5 74
5 84
& Il
trovatore F. Corelli, E. Bastianini, M. Parutto, F.
Barbieri, A. Ferrin, A. Marcangeli, V. Pandano, C.
Platania, M. Russo; Orchestra e Coro del Teatro
dell’Opera, dir Oliviero de Fabritiis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Inno delle nazioni ten Francesco Meli, Orchestra e
Coro del Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea
Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La Traviata (Preludio atto III) BBC Philharmonic, dir
Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Libera me dalla Messa per Rossini; La vergine degli
angeli sopr Barbara Frittoli, Orchestra e Coro del
Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea Noseda . . . . . . .
Quattro pezzi sacri Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5 91
4 92
4 65
4 92
4 92
SCHUMANN
Humoreske op. 20 pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 84
Quintetto in Mi bemolle op. 44 per pianoforte e archi
pf Paolo Restani, Quartetto d’archi della Scala . . . . . . . . . 3 78
SCHÖNBERG
op. 31 West-Eastern Divan Orchestra, dir
Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 82
WAGNER
& Wesendonck-Lieder;
Scene e Arie da Tristan und
Isolde e Götterdämmerung sopr Kirsten Flagstad,
Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, dir Georges Sebastian . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86
& Variazioni
SCODANIBBIO
Oltracuidansa ctb Stefano Scodanibbio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 85
WOLF-FERRARI
I Quattro Rusteghi (Intermezzo); I gioielli della Madonna (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65
&recite recital concerti
BERGAMO-BRESCIA
Festival Pianistico Internazionale di
Brescia e Bergamo
(www.festivalpianistico.it)
1 (Bg, Teatro Donizetti), 2/6 (Bs, Teatro Grande) musiche di Liszt, Schubert-Liszt; pf B. Berezovsky
4 (Bg), 4/6 (Bs) musiche di Bartók,
Liszt, Ciaikovski; pf D. Laziæ; Budapest
Festival Orchestra, dir I. Fischer
6 (Bg), 7/6 (Bs) musiche di Schubert,
Liszt; pf A. Volodos
8/6 (Bg) musiche di Shostakovich,
Mahler; vl J. Jansen; Frankfurt Radio
Symphony Orchestra, dir P. Järvi
10 (Bg), 12/6 (Bs) musiche di Bach,
Schumann; pf G. Sokolov
BOLOGNA
Teatro Comunale di Bologna
(www.tcbo.it)
10, 12, 14, 15, 16, 18, 19, 21/6 Rossini:
La Cenerentola; M. Spyres/E. Scala, S.
Alberghini/E. Chan, P. Bordogna/
M.F. Romano, L. Polverelli/C. Amarù,
L. Regazzo/L. Tittoto; Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, dir
M. Mariotti; reg D. Abbado, scene G.
Carluccio
Bologna Festival
(www.bolognafestival.it)
Ciaikovski; Orchestra Giovanile Italiana, dir A. Boreyko
8, 9, 10/6 (Piccolo Teatro) ciclo Liszt;
pf A. Tardino, G. Graniti, F. Nicoletta,
C. Shekari Oreh, E. Cicconofri, A.
Marino
14/6 (Teatro Goldoni) musiche di
Reich; vl D. Ceccanti, vc V. Ceccanti;
Contempoartensemble, dir M. Ceccanti
17/6 musiche di Kodály, Musorgskij,
Berlioz; Philharmonia Orchestra, dir
E.P. Salonen
18, 20, 22/6 (Teatro della Pergola)
Monteverdi: L’incoronazione di Poppea; S. Graham, J. Ovenden, M. Brook,
J.M. Lo Monaco, A. Dahlin, F. Lombardi, S. Malfi, A. Kasyan; Il complesso barocco, Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino, dir A. Curtis; reg e scene
P.L. Pizzi
23/6 musiche di Donizetti; sop M. Devia; Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir D. Callegari
GENOVA
Teatro Carlo Felice
(www.carlofelice.it)
7, 9/6 Puccini: Madama Butterfly; R.
Angeletti, V. Simeoni, L. Caimi, L.
Grassi, M. Bolognesi; Orchestra e Coro
MILANO
Teatro alla Scala
(www.teatroallascala.org)
5/6 G. Huppertz: Metropolis; Filarmonica della Scala, dir F. Strobel
12, 14, 15/6 musiche di Ciaikovski,
Prokofiev; pf A. Toradze; Filarmonica
della Scala, dir N. Luisotti
6, 9, 11, 13, 16, 21, 23/6 Gounod: Roméo et Juliette; N. Machaidze/M. Alejandres, V. Grigolo/F. Portari, A. Vinogradov, R. Braun, F. Ferrari, C. Burggraaf; Orchestra e Coro del Teatro alla
Scala, dir Y. Nézet-Séguin; reg B. Sher,
scene M. Yeargan
20, 22, 24/6, 2, 4, 6, 8, 12, 15/7 Verdi:
Attila; O. Anastassov, M. Vratogna/L.
Nucci, M. Alvarez/F. Sartori, E. Pankratova/L. Garcia; Orchestra e Coro del
Teatro alla Scala, dir N. Luisotti; reg
G. Lavia, scene A. Camera
30/6, 1, 5, 7, 9, 11, 13, 14/7 Rossini:
L’Italiana in Algeri; M. Pertusi, F. Polinelli, L. Brownlee, A. Rachvelishvili, V.
Taormina; Orchestra e Coro del Teatro
alla Scala, dir A. Allemandi; reg e scene
J.P. Ponnelle
Orchestra Sinfonica di Milano
Giuseppe Verdi (www.laverdi.org)
2, 3, 5/6 Brahms: Ein Deutsches Requiem; Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, dir X.
Zhang
9, 10, 12/6 musiche di Gershwin, Copland, Shaw, Bernstein, Gershwin/Russell; cl M. Fröst; Orchestra Sinfonica di
Milano Giuseppe Verdi, dir X. Zhang
NAPOLI
Teatro San Carlo
(www.teatrosancarlo.it)
21, 22/6 musiche di Bernstein, Gershwin, Ciaikovski, Ravel; Orchestra del
Teatro San Carlo, dir D. Oren
29, 30/6 musiche di Debussy, Bernstein,
Elgar; Orchestra del Teatro San Carlo,
dir D. Renzetti
PALERMO
Teatro Massimo
(www.teatromassimo.it)
12, 14, 15, 17, 18, 19/6 Donizetti: Lucia
di Lammermoor; N. Alaimo/S. Piazzola, D. Rancatore/O. Peretyatko, F. Demuro/P. Fanale, D. Vatchkov/U. Guagliardo; Orchestra e Coro del Teatro
Massimo, dir S. Ranzani; reg G. Deflo,
scene W. Orlandi
ROMA
6/6 (Teatro Manzoni) musiche di Shostakovich, Mahler; vl J. Jansen; Frankfurt
Radio Symphony Orchestra, dir P. Järvi
Accademia Nazionale di Santa
Cecilia (www.santacecilia.it)
4, 6, 7/6 musiche di Beethoven; Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, vl e
dir L. Kavakos
Orchestra Mozart
(www.orchestramozart.com)
1/6 (Teatro Manzoni) musiche di Mozart, Beethoven; pf H. Grimaud; Orchestra Mozart, dir C. Abbado
Orchestra Sinfonica di Roma
(www.orchestrasinfonicadiroma.it)
5, 6/6 (Auditorium Conciliazione) musiche di Cherubini, Ciaikovski, Beethoven; Orchestra Sinfonica di Roma, dir
R. Bokor
12, 13/6 Invito all’opera; Orchestra Sinfonica di Roma, dir F. La Vecchia
CATANIA
Teatro Massimo Bellini
(www.teatromassimobellini.it)
17, 18/6 musiche di Dvořák, Brahms;
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Bellini, dir D. Kaftan
SPOLETO
54o Festival dei due mondi
(www.festivaldispoleto.com)
FIRENZE
24, 25, 26/6, 1, 2/7 (Teatro Nuovo)
Menotti: Amelia al ballo; A. Kučerová,
A. Antoniozzi, S. Guèze, A. Spina; Or-
Maggio musicale fiorentino
(www.maggiofiorentino.it)
7/6 musiche di Markevitch, Schubert,
& Roméo et Juliette
debutta alla Scala
Per quanto sembri strano, un’opera
celebre come quella di Gounod, cavallo di battaglia di divi come Alfredo Kraus, Franco Corelli e Mirella
Freni, non viene eseguita alla Scala
dal 1934, quando i giovani amanti di
Verona furono interpretati (in traduzione italiana) dalle splendide voci di Beniamino Gigli e Mafalda Fa-
del Teatro Carlo Felice, dir G. Sagripanti; reg I. Garcia, scene B. Montresor
a cura di Nicola Cattò
Vittorio Grigolo
vero. Si tratta quindi di debutto scaligero dell’opera nell’originale versione francese: ulteriore onere per
Vittorio Grigolo e Nino Machaidze,
che dal 6 giugno saranno Romeo e
Giulietta a Milano, nell’allestimento
di Bartlett Sher (proveniente da Salisburgo e recensito sul numero 205
di MUSICA) e con la direzione del giovane canadese Yannick Nézet-Séguin. www.teatroallascala.org
Il Rheingold diretto da Jeffrey Tate a Venezia . L’Arena apre con Traviata per la regia di Hugo De Ana . Metropolis in versione
integrale al Teatro alla Scala . Lucia di Lammermoor a Palermo, Torino e Trieste . Il Festival Pianistico di Brescia e Bergamo
10
musica 227, giugno 2011
chestra Sinfonica di Milano Giuseppe
Verdi, dir J. Debus; reg G. Ferrara, scene
G. Quaranta
29/6 musiche di Schubert, Battistelli,
Liszt, Mendelssohn; Orchestra Sinfonica
di Milano G. Verdi, dir G. d’Espinosa
TORINO
Teatro Regio
(www.teatroregio.torino.it)
21, 22, 23, 25, 26, 28, 29, 30/6, 2, 3/7
Donizetti: Lucia di Lammermoor; E.
Mosuc/M.G. Schiavo, F. Meli/P. Pretti, F.M. Capitanucci/S. Del Savio, V.
Kowaljov/A. Guerzoni; Orchestra e
Coro del Teatro Regio, dir B. Campanella; reg G. Vick, scene P. Brown
TRIESTE
Teatro Verdi (www.teatroverditrieste.com)
11, 12, 14, 15, 16, 17, 18/6 Donizetti:
Lucia di Lammermoor; S. Dalla Benetta,
M. Bronikowski, J.F. Borras, G. Furlanetto; Orchestra e Coro del Teatro Verdi; reg G. Ciabatti
VENEZIA
Teatro la Fenice
(www.teatrolafenice.it)
3/6 Omaggio a Nino Rota; Orchestra
del Teatro La Fenice, dir A. Fogliani
10, 11/6 musiche di Mahler, Ives, Copland, Beethoven; Orchestra del Teatro
La Fenice, dir J. Axelrod
24, 26, 28, 30/6, 2/7 Wagner: Das
Rheingold; G. Grimsley, S. Genz, M.
Miller, R.P. Fink, K. Azesberger, N. Petrinsky, N. Beller Carbone, C. Williams;
Orchestra del Teatro La Fenice, dir J. Tate
25/6 Rossini: Petite Messe Solennelle;
Coro del Teatro La Fenice, dir C.M.
Moretti
VERONA
89º Festival Lirico Arena di Verona
(www.arena.it)
17, 24/6 Verdi: La Traviata; E. Jaho, F.
Demuro, V. Stoyanov; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, dir C. Rizzi;
reg e scene H. De Ana
18, 26, 30/6 Verdi: Aida; M. Carosi, F.
Armiliato, G. Casolla, G. Prestia, A. Gazale, C. Striuli; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, dir D. Oren; reg G. De
Bosio
25/6 Rossini: Il barbiere di Siviglia; A.
Siragusa, A. Kurzak, B. De Simone, A.
Argiris, M. Vinco; Orchestra e Coro
dell’Arena di Verona, dir A. Battistoni;
reg e scene H. De Ana
Adriana Kučerová
& Amelia balla a Spoleto
Dal 24 giugno al 2 luglio il Festival
di Spoleto, giunto alla 54ª edizione, celebra i centesimo anniversario della nascita del proprio fondatore Gian Carlo Menotti riproponendone la prima opera, quell’Amelia al ballo che debuttò in lingua
inglese (Amelia Goes to the Ball) nel
1937 e l’anno seguente, in italiano,
al casinò di Sanremo. Questa go-
dibilissima opera buffa in un atto
sarà interpretata dal soprano
Adriana Kučerová e da Alfonso
Antoniozzi nei ruoli di Amelia e
del marito tradito; Johannes Debus
dirigerà l’Orchestra Sinfonica di
Milano Giuseppe Verdi, che ha
una lunga tradizione di esibizioni
al festival umbro.
www.festivaldispoleto.com
chiude in bellezza con Grigory Sokolov . Esa-Pekka Salonen
dirige la Sinfonia fantastica al Maggio Musicale Fiorentino
&dalla platea
Alla quinta delle sette recite previste di quest’Ernani bolognese il protagonista Roberto Aronica ha tirato
fuori lo squillo della festa in « O tu
che l’alma adora », Dimitra Theodossiou – sempre lodevole per
mezze voci, bel colore e piglio
drammatico – ha intonato con sicurezza i temibili Do acuti su « Involami » e « Tutto sprezzo », e cosı̀ a
seguire per tutti i quattro atti sino
al terzettone finale col vecchio Silva: un Furlanetto sempre in ruolo
con somma eleganza e ricompensato da ricca messe d’applausi. Qualche perplessità destava semmai il
Don Carlo di Ivan Inverardi, simpatico trombone dalla gestualità caricata che tuttavia riscopriva una
vena di umorismo assai forte nel
personaggio originale di Victor
Hugo. Imperdonabile la sua cabaletta « Vieni meco, sol di rose » sussurrata in disparte ad Elvira con
eterodossa emissione di falsetto, ma
nell’atto di Aquisgrana si congedava
con accenti di autentica e stentorea
maestà. Insomma un Carlo alla carlona, come da stereotipo attribuito
ai costumi del Magno di cui il
Quinto voleva emulare le virtù.
In questa promettente opera di transizione, assente per oltre quattro decenni dalle scene del Comunale bolognese, il meglio dell’innovazione
« Tutti gli uomini sono Dio almeno
per un minuto ma poi tornano a
essere se stessi », dice la « peccatrice »
Katerina. Ma per il giovane pastore
Manoliòs non sarà cosı̀: uscirà progressivamente da sé identificandosi
in Cristo per farsi portavoce del suo
messaggio di pace, fratellanza e solidarietà. Uno « scandalo » non sopportabile per la sua gente, da punire
con la morte. In estrema sintesi è
quanto si ritrova, elaborato in una
struttura narrativa densamente stratificata, in Cristo di nuovo in croce,
romanzo del 1948 di Nikos Kazantzakis, scrittore cretese dalla personalità fuori dagli schemi, la cui
opera fu a suo tempo celebre e
molto discussa, mentre in tempi più
recenti è tornata alla ribalta soprattutto quale fonte di un notevole
film di Scorsese (L’ultima tentazione
di Cristo). Conquistato dalla forza
della spiritualità di Kazantzakis e
dalla sua visione non ortodossa del
cristianesimo, in molti aspetti coincidenti con il suo umanesimo utopistico, Bohuslav Martinů dedicò i
suoi ultimi anni di vita a The Greek
12
Recensioni di concerti e spettacoli
VERDI Ernani R. Aronica, D. Theodossiou, I. Inverardi, F. Furlanetto, S. Calzavara, A. Taboga, S. Pucci; Coro e Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, direttore Roberto Polastri regia Beppe de Tomasi scene e costumi
Francesco Zito
Bologna, Teatro Comunale, 17 maggio 2011
verdiana si concentra nei cori e nei
concertati. Pure qui tutto è girato
al meglio grazie all’energica e puntuale concertazione di Roberto Polastri (che sostituiva Bruno Bartoletti). Lo conoscevamo come specialista del moderno; la sua competenza
in un Verdi ancora giovanile, corrusco di battaglieri fremiti romantici, è
piacevole rivelazione.
L’allestimento è una chicca. Né
psicoanalisi da bar, né genialate da
macchina del tempo, né amabili incursioni nel bordello o nella stanza
del buco. « Solo » un’ambientazione
nei cronotopi voluti dal libretto,
ma non « archeologica » come si dice con disprezzo tra i bidelli del
Konzept. La galleria dei ritratti
equestri nel castello dei Silva omaggia alla lontana quella alquanto allucinata nella Hofkirche di Inn-
Roberto Aronica e Dimitra Theodossiou
MARTINŮ The Greek Passion M. S. Doss, M. Hollop, J. Milner, B. Lazzaretti, E. Schilton, N. Ceriani, G. Lo Re, S. Nayda, J. Vacik, M. Srejma, C. Olivieri,
A. Profeta, M. Frusoni, B. Diaz, J. Howarth, L.-O. Faria, V. Lima, P. Passarello, J. Milner; Orchestra e Coro del Teatro Massimo, direttore Asher Fisch
regia Damiano Michieletto scene Paolo Fantin costumi Silvia Aymonino
Palermo, Teatro Massimo, 5 maggio 2011
Passion (uno dei due titoli con i
quali quel romanzo, tradotto da Jonathan Griffin, apparve nel 1953
nei paesi anglosassoni, essendo l’altro Christ Recrucified), assumendosi
anche l’onere di ricavarne un libretto in inglese, compito assolto
magistralmente. Il Covent Garden
nel 1958 avrebbe dovuto tenere a
battesimo l’opera con la direzione
di Kubelik, ma non se ne fece nulla, per inopportunità politiche (le
ripercussioni britanniche della crisi
greco-cipriota). Fu poi l’Opera di
Zurigo a prospettare a Martinů
un’altra occasione, chiedendo però
delle modifiche, a fronte delle quali
il musicista preferı̀ procedere, tra il
1957 e il 1959, anno della sua morte, a un rifacimento talmente radicale da consentire ad Ales Brezina,
l’artefice della ricostruzione dell’e-
musica 227, giugno 2011
dizione originale, di affermare che
oggi esistono « due versioni interamente differenti ed entrambe di
grande valore » del lavoro. Per molto tempo ad essere nota (anche discograficamente) è stata solo la seconda, andata in scena postuma in
lingua tedesca a Zurigo nel 1961 e
presentata più volte anche in Italia
(a Perugia nel 1962 in tedesco, alla
Rai di Torino nel 1965 in italiano,
a Parma nel 1969 e ancora a Bologna nel 1970, in cèco). Inaspettatamente recuperata, la prima versione
debuttò a Bregenz nel 1999, coprodotta con il Covent Garden dove finalmente arrivò l’anno seguente, iniziando cosı̀ a circolare e a
conquistarsi uno spazio autonomo
e alternativo rispetto all’altra.
Questo excursus storico è indispensabile per capire perché, giustamen-
sbruck, la tomba di Aquisgrana non
somiglia affatto al luogo reale, semmai al ciborio gotico di Arnolfo di
Cambio in San Paolo fuori le Mura, e cosı̀ via. C’è cultura visiva e
c’è invenzione in quei fondali boscherecci dipinti a mano, in quelle
fughe prospettiche accelerate che
continuano il costruito duro affacciato fin sul proscenio. Ci sono sete
e broccati a dominante scarlatta,
candele a centinaia, spade e armature, manti e corone. Zeffirelli?
No, Visconti; visto che alla base di
tutto sta un’importazione dal Massimo palermitano, dove ancora nel
1999 Beppe de Tomasi, Francesco
Zito, Fulvio Lanza e Raffaele Del
Savio coltivavano la secolare tradizione del teatro lirico all’italiana.
Con buona pace del pensiero registico unico, ex avanguardia ormai
degradata a noiosa accademia, sarà
meglio riaprire quei laboratori del
saper fare che tutto il mondo c’invidiava e riutilizzare i loro prodotti
sopravvissuti nei magazzini. Alla fine sarà pure un risparmio, nasceranno posti di lavoro e i giovani
spettatori, che in numero sempre
maggiore si vedono nelle sale, scopriranno un mondo per loro davvero nuovo e straniante: l’opera del
nonno.
Carlo Vitali
te, il Teatro Massimo parli di « prima italiana » per The Greek Passion,
differente da Griechische Passion in
modo sostanziale, come sostenuto
da Brezina. Il soggetto, è bene precisarlo, racconta degli abitanti di un
villaggio greco dell’Anatolia, Lycovrisi, alcuni dei quali, prescelti per
interpretare i personaggi di una sacra rappresentazione, si immedesimano in essi trasformando le loro
esistenze e quelle degli altri. Su tutti Manoliòs, il Cristo designato, che
finirà ucciso per avere difeso i profughi di un altro villaggio in fuga
dai turchi e impietosamente respinti
dai suoi compaesani.
Ad impressionare, fin dal primo
ascolto, è l’inedito taglio adottato
da Martinů: numerose situazioni di
carattere differente fissate in quadri
concatenati l’uno all’altro, ma al
tempo stesso autonomi, in genere
molto concisi e caratterizzati da
un’estrema variabilità di soluzioni
musicali. L’ossatura vocale, nel rapporto fra i personaggi, è affidata a
una originale e efficace « melodia
declamatoria » (per usare la defini-
zione di Brezina) che a volte si apre
in ariosi e, soprattutto, si contrappone a imponenti momenti corali,
includendo anche il ricorso a passaggi di puro parlato nonché a un
attore che illustra e commenta gli
accadimenti. Altrettanto dinamica
l’orchestra, dove spiccano il lavoro
per sezioni (archi, fiati, percussioni)
e i frequenti interventi di singoli
strumenti anche inconsueti (su tutti, la fisarmonica). Quando le voci
tacciono, brevi sezioni strumentali
proseguono la narrazione, mentre
veri e propri interludi svolgono una
funzione di sintesi emotiva. La
componente popolare e folklorica,
la ritmica irregolare e gli ostinati
possono far pensare a Janáček, ma
Martinů ha una cifra tutta sua, meno ruvida e violenta, una naturale
luminosità rasserenante che stempera il dramma, non per negarlo, ma
per indicare che bene e male sono
pur sempre due possibilità lasciate
al libero arbitrio dell’uomo. Secondo le categorie d’un tempo Martinů non aveva fama di innovatore,
ma un autentico capolavoro come
The Greek Passion sembra confermare che la modernità non risiede
nel linguaggio adottato e nei suoi
codici formali, ma nel modo in cui
i materiali, di qualsiasi tipo siano,
sono trattati e nella forza espressiva
che l’autore riesce ad imprimere ad
essi.
Cosı̀, con questa produzione, il
Massimo ha realizzato una delle
più importanti operazioni culturali
della corrente stagione, per di più
con una qualità visiva e musicale
d’eccezione. La vicenda di un popolo in fuga che chiede accoglienza a un altro offriva al regista l’occasione di riflettere la contemporaneità e Damiano Michieletto l’ha
colta in pieno, senza forzature, dal
momento che il testo è di un’elo-
quenza tale da non richiedere che
di essere esposto cosı̀ com’è. Ma
tutto il suo spettacolo è un felice
racconto per immagini che possiedono l’eloquenza plastica dei tableaux vivants e allo stesso tempo
ben aderiscono alla mobilità della
musica, calate in un’atmosfera di
fiaba spirituale con tocchi di realismo magico. Un contributo fondamentale è venuto dal magnifico
impianto scenico di Paolo Fantin,
una struttura multipiano rotante
chiaramente ispirata a Escher, che
non solo facilita i repentini mutamenti dell’azione ma realizza anche
una simultaneità di quadri perfetta
nel render vive le due comunità e
il loro conflitto. Autorevole e ispirata la direzione di Asher Fisch che
ha preteso e ottenuto dall’orchestra, dai cori e dagli interpreti precisione, passione e immedesimazione poetica.
The Greek Passion è un’opera dove
non ha senso una distinzione fra
personaggi maggiori e minori, e bisogna dare atto al teatro palermitano di averne avuto coscienza, con
una distribuzione delle parti dovunque ideale. È dunque solo per
la diversa ampiezza degli interventi
che qui si limita a citare la potente
caratterizzazione vocale e scenica
data da Mark S. Doss e Luis-Ottavio Faria alle contrapposte figure
sacerdotali, mentre straordinario è
parso lo Yannakos istintivo, visionario e generoso di Jan Vacik e
adeguatamente intensa Judith Howarth quale Katerina. In Manoliòs,
il giovane ingenuo pastore destinato al sacrificio, si ritrova qualcosa di
Parsifal (e di Peter Grimes), nelle
situazioni e ancor più nella vocalità,
risolta con notevole proprietà di
mezzi dal tenore Sergey Nayda.
Giorgio Rampone
MAHLER Sinfonia n. 9 in RE Swedish Radio Symphony Orchestra, direttore
Daniel Harding
Brescia, Teatro Grande, 2 maggio 2011
Un silenzio totale, protrattosi per
più di un minuto, ha preceduto l’esplosione degli applausi al termine
della Nona Sinfonia di Mahler diretta da Daniel Harding al Teatro
Grande per l’inaugurazione del
48.mo Festival pianistico di Brescia
e Bergamo. Sottolineiamo con piacere l’eccezionalità di un silenzio
cosı̀ prolungato e perfino magico,
logico sbocco di una sinfonia monumentale, che termina con un vastissimo Adagio, a sua volta sfociante
in suoni degli archi sempre più rarefatti, tenui, sottili. Un lungo silenzio non può che essere l’unico
sbocco della Nona di Mahler: sarebbe stato inopportuno affrettare l’applauso, togliere alla musica quel silenzio che le appartiene di diritto.
È stato un concerto memorabile
per più di un aspetto. Oggi ci sono
direttori d’orchestra che vengono
proiettati nello star-system in giovanissima età. Anche Harding, sul
cui talento hanno scommesso mae-
musica 227, giugno 2011
13
&dalla platea
stri quali Simon Rattle e Claudio
Abbado, ha bruciato le tappe, ma a
differenza di altri colleghi ha saputo
mantenere le promesse e le ha perfino oltrepassate. La Nona di Mahler,
per la sua complessità a tratti quasi
indecifrabile, sembra uno di quei testi musicali che si possono affrontare
solo in età più che matura: Harding,
a trentacinque anni, si è spinto molto
più in profondità di tanti maestri con
il doppio della sua esperienza, e con
esiti di perfezione unica.
Ecco il primo movimento, Andante
comodo, restituito con la massima
trasparenza fin dalle prime decisive
Il Teatro Petruzzelli si è aperto all’avventura della musica contemporanea, con la nuova opera di Fabio
Vacchi, Lo stesso mare, tratta dall’omonimo romanzo di Amos Oz.
Storia di una famiglia israeliana, vicenda di perdite e di attrazioni erotiche, una specie di girotondo alla
Schnitzler (che Vacchi aveva già
messo in musica nel 1982): un
commercialista rimasto vedovo (Albert) ha una relazione con una matura fiscalista (Bettin) e con una ragazza (Dita), la fidanzata di suo figlio (Rico), che è partito per il Tibet, ma che si consola con un’esperta prostituta (Miriam). Dita, che
vive il sesso con disinvoltura, va a
letto anche con un quarantenne
(Ghighi) e suscita le brame di un
produttore cinematografico (Dobi),
mentre la moglie di Albert (Nadia)
si riaffaccia periodicamente sulla
scena come un fantasma. Il libretto,
scritto dallo stesso Oz, riprendeva
non solo la vicenda ma anche lo
stile del romanzo, quello stile misto
di prosa e di poesia, insieme lirico e
diaristico, che lo scrittore considera
come la propria versione letteraria
di un madrigale, e che aveva attratto immediatamente Vacchi.
Peccato che la « musicalità » propria
di quel testo sbiadisse nella trasposizione operistica, e diventasse, quasi
paradossalmente, il suo punto debole. Su questa vicenda non lineare, sospesa, priva di progressioni
drammatiche, concepita come una
trama di sensazioni individuali,
Se gli anniversari offrono l’occasione di proporre angoli del repertorio
meno conosciuti, e illuminare i
compositori festeggiati da prospettive inconsuete, il recital che Angelika
Kirchschlager e Julius Drake hanno
proposto alla GOG ha ottemperato
senz’altro ad entrambi i fattori: da
un lato inserendo in programma al-
14
battute, in cui, sottovoce, compaiono le cellule generatrici di un brano
oltre modo complesso, che rappresenta sempre – come lo stesso Harding ha dichiarato – una suprema
« sfida intellettuale ». Ecco l’enigmatico Ländler, reso con la necessaria
rudezza iniziale e poi rilanciato ad
alta velocità come nell’universo
vertiginoso de La Valse di Ravel.
Ecco l’ancor più misterioso RondoBurleske, apparentemente centrifugo, ma in realtà compatto nella sua
densità polifonica. Ecco infine
l’Adagio, non più pensato come un
momento lirico a sé stante, ma co-
me il logico coronamento di quanto precede.
Forse la chiave di questa felicissima
introspezione da parte del direttore
inglese consiste in un atto di fiducia
nella scrittura mahleriana. Considerando Mahler come un compositore avvenirista (e non decadente),
come un autore dallo spirito giovane (dunque pieno di energie, malgrado la morte che lo avrebbe precocemente strappato a questo mondo), Harding ci ha fatto scoprire
l’organicità e la coerenza interna di
un’opera come la Nona Sinfonia che
pensavamo fosse giocata soprattutto
VACCHI Lo stesso mare J. Tovey, Y. Aleksyuk, C. Taigi, S. Macculi, G. Lanza, S. Pisani, D. Formaggia, A. Castellucci, S. Lombardi, G. Bozzolo, G. Piazza; Orchestra della Fondazione Petruzzelli, direttore Alberto Veronesi regia
Federico Tiezzi scene Gae Aulenti costumi Giovanna Buzzi
Bari, Teatro Petruzzelli, 2 maggio 2011
Yulia Aleksyuk e Stefano Pisani
molto intimistica, Vacchi ha costruito una grande opera in tre atti,
ingegnandosi in tutti i modi per
differenziare gli stili vocali dei singoli personaggi (dalla salmodia, all’aria di coloratura, agli echi di melodie yiddish e di canti di Muezzin), per ricreare sul piano musicale
i continui slittamenti stilistici del testo. Ma questa simbiosi non ha
funzionato. Le parole sembravano
sempre troppe, anche per le frequenti ripetizioni, e stipate a forza
dentro la musica, cosicché il canto
spesso contrastava con l’oggettiva
bellezza di alcuni passaggi orche-
strali. Anche la presenza di tre narratori (Sandro Lombardi, Giovanna
Bozzolo, Graziano Piazza), che parlavano in continuazione descrivendo ogni dettaglio dell’azione, se da
un lato rappresentava una guida sicura anche per lo spettatore più
sprovveduto, dall’altro appesantiva
l’opera, appariva ridondante e spesso inutilmente didascalica. La scrittura orchestrale mostrava invece
tutta la maestria di Vacchi: una
musica costruita su un solido, collaudato impianto armonico, dalla
densità variabile, ritmicamente
complessa, intessuta di echi medio-
ANGELIKA KIRCHSCHLAGER Lieder di Mahler e Liszt pianoforte Julius Drake
Genova, Teatro Carlo Felice, 9 maggio 2011
cune pagine non molto note, dall’altro inducendo a riflettere sul fatto
che Liszt e Mahler, figure quanto
mai differenti per tanti aspetti, sono
accomunati dalla mancanza di ritro-
musica 227, giugno 2011
sie nell’esporsi e tradursi in musica:
cosicché molti fra i loro Lieder godono di una particolare qualità diretta e comunicativa, al di là della maggiore o minore stratificazione e
sui contrasti, su esaltazioni e depressioni, su momenti intellegibili e
su lunghi interludi magmatici. E
invece, con una concertazione finissima e con un’acuta lettura di
quanto Mahler ha effettivamente
scritto, il direttore inglese ha liberato la partitura dagli aloni tardo-romantici per consegnarla a quella
galleria dei classici che, più che alla
storia, appartengono al futuro.
Esemplare e impeccabile, in questo
affascinante processo, l’apporto dei
musicisti dell’Orchestra Sinfonica
della Radio Svedese.
Marco Bizzarini
rientali e tardoromanici, di richiami
operistici, di effetti messi in risalto
dall’ottima prova dell’orchestra del
teatro, diretta dal nuovo direttore
musicale Alberto Veronesi.
La regia di Federico Tiezzi cercava
di imprimere dinamismo a una vicenda statica, con figuranti, mimi,
acrobati in continuo movimento,
schermi sui quali venivano proiettate le e-mail di Rico, il continuo saliscendi dei personaggi sulle lunghe
scale rosse inventate da Gae Aulenti,
che suddividevano la scena in spazi
diversi e distanti (che accentuavano
il senso di isolamento dei personaggi), su uno sfondo che cambiava ad
ogni atto: un mare raggrumato, con
schiuma e uccelli di cartapesta, un
deserto illuminato di colori diversi,
e alla fine un prato fiorito che avvolgeva tutti i personaggi stendendosi
anche in verticale.
Bravi tutti i cantanti: il baritono inglese Julian Tovey (Albert) era solo
un po’ penalizzato dalla linea vocale
sempre schiacciata sul registro di passaggio, il tenore Danilo Formaggia
(Dobi) sfoggiava un bel colore nei
suoi squarci lirici, le quattro voci
femminili caratterizzavano bene i rispettivi personaggi, quella agile e
timbrata di Yulia Aleksyuk (Dita),
sicurissima nei suoi virtuosismi
proiettati sempre nel registro acuto,
come quelle calde e piene di pathos
di Chiara Taigi (Bettin), Sabina
Macculi (Nadia), e del contralto
Giovanna Lanza (Miriam).
Gianluigi Mattietti
complessità di lettura. La prima parte
del Liederabend alternava canzoni
giovanili di Mahler e alcuni tra i più
compiuti Wunderhorn-Lieder, mettendo dunque a fertile confronto
brani ancora relativamente ingenui
con altri compiutamente « mahleriani ». L’impaginazione è parsa sempre
azzeccata, tranne che nel caso del
terribile « Das irdische Leben », avvicendato con troppa disinvoltura tra
lo sfrontato « Trost im Unglück » e
il lieve « Starke Einbildungskraft ».
Di tutti e tre peraltro la cantante salisburghese si è rivelata interprete
sensibilissima, palpitante e intensa
nel Lied sul bimbo morto per fame
(nel cui canto di sbalzo ha mostrato
una notevole uniformità tra i registri), spigliata nello scherzo giovanile, vera mattatrice in « Trost im Unglück »: vedi la strofa centrale (« Du
glaubst du bist der Schönste ») proferita tra i denti, preannunciata dal rude intervento del pianoforte. In effetti il mezzosoprano ha messo in
campo una particolare abilità nella
caratterizzazione dei Lieder a più
personaggi, come « Lob des hohen
Verstands » (dove rimane nella memoria la malizia del cuculo, lesto
ad approfittare dell’ottusità asinina)
o il dialogo tra amorosi sordi messo
in scena da « Verlorne Müh’! ». Suggello ideale, un « Urlicht » introdotto
da Drake senza fretta, con asciutta
religiosità, e condotto dalla
Kirchschlager con intensità espressiva e dovizia di legato.
Il Liszt liederista è sempre stato oggetto di remore: troppo esuberante
e forse troppo cosmopolita per inserirsi davvero nel solco della tradizione, rappresenta comunque un orizzonte, forse un limite, dell’ispirazione liederistica. Certo, il modo in cui
risolve in scena drammatica una lirica sublime come « Der König in
Thule » non può che suscitare per-
plessità; che si rinnovano quando
una certa visceralità espressiva fraintende l’intima qualità della poesia,
come è il caso, tra i Lieder proposti
dal nostro binomio, della delicata
« Ein Fichtenbaum steht einsam »
(da Heine). Tuttavia alcune pagine
colpiscono per l’arditezza di armonia
e struttura, mentre altre sono semplicemente deliziose nella loro epidermica comunicativa: se non soffrisse del paragone con la poderosa
costruzione schumanniana, « Im
Rhein, im schönen Strome » andrebbe ammirato senza remore, in
virtù della semplice invenzione musicale. Temibili confronti condizionano anche l’apprezzamento dei
goethiani Canti notturni del viandante
(il modello schubertiano è particolarmente evidente in « Über allen
Gipfeln »), pur rilevanti per l’irresistibile efficacia del cantabile.
Alle qualità melodiche e drammatiche dei Lieder lisztiani la Kirchschlager si è consegnata con intensità,
pienezza del canto, autorevolezza.
Quanto al pianoforte, la concezione
di Mahler e Liszt nel Lied è quasi opposta: per il primo si tratta di una
sorta di evocazione dell’orchestra,
per l’altro dello Strumento Assoluto.
In entrambi i casi le sfide che rivolgono all’« accompagnatore » sono alquanto ardue, ma il pianista londinese si è dimostrato all’altezza tanto
della sensibilità suggestiva reclamata
dall’uno, quanto del virtuosismo richiesto dall’altro.
Roberto Brusotti
VERDI Les Vêpres siciliennes M. Byström, F. Portari, T. Christoyannis, B.
Szabo, J. Brocard, C. Fel, C. Tilquin, F. Farina, H. Francis, G. Antoine, V.
Iliev; Cœur du Grand Théâtre de Genève, Orchestre de la Suisse Romande,
direttore Yves Abel regia Christof Loy scene Johannes Leiacker costumi
Ursula Renzenbrink
Ginevra, Grand Théâtre, 16 maggio 2011
Nell’allestimento Vêpres siciliennes
nato ad Amsterdam nel settembre
scorso e riproposto ora a Ginevra,
Christof Loy, per mantenere l’idea
della contrapposizione tra due popoli, ha messo in scena una vicenda
priva di alcuna plausibilità storica,
con Italiani oppressi e Francesi oppressori che si scontrano nella Sicilia del secondo Novecento. Né si
tratta dell’unica stranezza di una regia che prevede un balletto ridotto
a pantomima, a tratti volgare, che
ripercorre a flashback l’infanzia dei
protagonisti (nettissimo il contrasto
tra ciò che si vede in scena e la
musica delle Stagioni verdiane); gesti di sadismo nei confronti delle
spose siciliane rapite; la morte di
Procida, il quale viene ucciso prima
che giunga la grazia, non interviene
nel finale IV e si ripresenta come
fantasma nell’ultimo atto; lo spostamento dell’ouverture all’inizio del
II atto, perché « la si ascolta in maniera differente dopo aver già capito qualcosa del dramma ». La partitura, proposta molto opportunamente nella versione originale francese, è stata appunto tagliuzzata e
cucita per rispondere ad esigenze
registiche che in ogni caso lasciano
perplessi.
Buone sorprese sono giunte dalla
locandina. Anche se il ruolo di Hélène viene definito come drammatico d’agilità, il soprano Malin Byström, che ha timbro chiaro e voce
poco sviluppata nel registro mediograve, riesce, grazie allo scaltro uso
&dalla platea
della coloratura, a simulare appieno
quell’aura drammatica che manca al
suo strumento; e nel registro acuto
spazia con agio dalla spiritosa leggerezza del bolero alle note lancinanti
del terzetto finale. Il tenore Fernando Portari, pur non dotato di
timbro particolarmente suadente,
Il personaggio al quale Ferzan Ozpetek – regista di questo spettacolo
inaugurale del Maggio Musicale –
dedica maggiori attenzioni è Amneris. Una principessa vanitosa (le danze del secondo atto si trasformano in
un lusinghiero gioco di specchi) e
intensamente solitaria (la scena del
giudizio la mette veramente a nudo
psicologicamente) interpretata da
una Luciana D’Intino più portata all’introspezione lirica che agli scatti
crudeli. Non che rinunci a un registro di petto orgogliosamente esibito, ma tale esibizione sembra obbedire più agli automatismi della tradizione teatrale che a un’intima necessità della cantante e le genera qualche squilibrio quando passa dall’ottava grave aperta e corposa all’ottava
alta più raccolta e snella. I suoi momenti di amara consapevolezza nel
quarto atto – « Ohimé!...morir mi
sento... » – sono comunque i più
commoventi dell’intera recita.
Più in equilibrio è parso lo strumento del soprano cinese Hui He (Aida):
una voce lirica abbastanza penetrante per correre a dovere nei concertati
e sufficientemente duttile per reggere i pianissimi più soffici negli assoli.
La voce piena non ha tuttavia un colore, un carattere fortemente definiti
e la dizione è ancora poco idiomatica. E se da un lato si è apprezzato un
gioco di portamenti di gusto decisamente ottocentesco, il fraseggio nel
Per la serata inaugurale della XIV
edizione di « Omaggio a Palladio »,
il Festival ideato nel 1998 dal pianista András Schiff e realizzato dalla
Società del Quartetto di Vicenza
nella straordinaria cornice del palladiano Teatro Olimpico di Vicenza,
il musicista ungherese ha proposto
un concerto interamente dedicato a
due dei massimi capolavori di
Schubert, scritti entrambi in quell’anno miracoloso, ultimo della sua
vita, il 1828, nel quale fiorirono in
rapida successione geniali e sconvolgenti lavori.
Schiff, che da qualche anno si diletta anche a impugnare la bacchetta,
ha impaginato un programma che
metteva a stretto confronto due pagine profondamente contrastanti
16
lavora molto bene sul fraseggio, ottenendo belle sfumature soprattutto
nella mezza voce. E se deve maturare un po’ la lettura della melodia
del V atto, particolarmente convincente è stato il quadro iniziale del
III atto, snodo focale della vicenda
col duetto tra Henri e Montfort, nel
quale si è messo positivamente in luce anche il baritono Tassis Christoyannis, che ha saputo tratteggiare
interamente il proprio spettro emotivo, dal sussurro della tenerezza alla
spinta che indica non la violenza ma
l’intensità del sentimento paterno.
Più insipido il Procida di Balint Sza-
VERDI Aida H. He, M. Berti, L. D’Intino, G. Prestia, A. Maestri, R. Tagliavini,
S. Fiore, C. Di Tonno; Coro e Orchestra del Maggio Musicale, direttore Zubin
Mehta regia Ferzan Ozpetek scene Dante Ferretti costumi Alessandro Lai
Firenze, Teatro Comunale, 8 maggio 2011
Aida a Firenze
suo complesso era più da esperta
orecchiante che da musicista ispirata
e autonoma.
Marco Berti ha una voce generosamente dotata di quello squillo che
definisce in parte il personaggio di
Radamès già da « un esercito di prodi da me guidato... ». Il tenore deve
esercitare tuttavia un autocontrollo
notevole per conferire la dovuta finitezza ai legati sognanti dell’aria che
segue, dove ottiene risultati musicalmente dignitosi ma carenti di spon-
taneità. Il duetto finale invece viene
risolto con relativa facilità e il contesto scenico disegnato da Dante Ferretti – con una tomba invasa progressivamente dalla sabbia come se
fosse una clessidra – è quello che
maggiormente si imprime nella memoria.
Nel complesso lo spettacolo era
piuttosto attraente dal punto di vista
visivo (ciò che si vedeva era sempre
ben in sintonia con i suoni che uscivano dalla fossa), con scene ispirate
SCHUBERT Missa Solemnis D950; Sonata per pianoforte D960 M. Leluschko, B. Schwarz, W. Güra, A. Rocchino, A. Wolf; Cappella Andrea Barca,
Coro Schola San Rocco, direttore e pianoforte András Schiff
Vicenza, Basilica San Felice e Fortunato, 6 maggio 2011
come la grandiosa Missa Solemnis n.
6 in Mi bemolle maggiore e l’intima e sognante ultima Sonata in Si
bemolle maggiore per pianoforte.
Ne è sortito un connubio assolutamente inedito, che ha messo in luce la costante dualità del mondo
musicale schubertiano, teso tra l’aspirazione sinfonica di stampo beethoveniano, chiaramente presente
nella Messa, e l’intimismo dell’Hausmusik, trasceso in una dimensione visionaria e sognante, capace
di aprire verso mondi ultraterreni e
musica 227, giugno 2011
sconcertanti profondità. Proprio su
questi estremi ci è parso dirigersi
l’estro interpretativo del maestro
ungherese, che non ha avuto timore di ricavare nel primo dei due lavori sonorità ampie e vibranti dalla
sua Cappella Andrea Barca e dall’impegnatissimo Coro della Schola
San Rocco, lasciando intravedere
chiaramente future eredità bruckneriane, e di lasciare emergere dal
successivo silenzio la commossa intimità della sonata, con quel primo
tema dolce e sognante, interrotto
bo, che per il poco volume non riesce a imporsi sulle masse, ma rassicurante la qualità complessiva dei personaggi secondari, tra i quali non si
sono percepite sbavature, e dell’Orchestre de la Suisse Romande, guidata da Yves Abel.
Marco Leo
in parte alla terra d’origine del regista
(le tombe di Nemrut) e un’azione
talvolta inerte, ma libera almeno da
fastidiose incongruenze: l’ostica
conclusione del terzo atto è stata recitata con esemplare chiarezza.
Gli altri interpreti vocali hanno colpito più per la loro affidabilità vocale che per la fantasia del fraseggio,
ma Saverio Fiore è stato un Messaggero d’eccezione e Ambrogio
Maestri ha sfruttato con intelligenza
la ricca cavata della sua voce, senza
riuscire a dirci qualcosa di nuovo su
Amonasro. L’ampio vibrato di Giacomo Prestia è più adatto a personaggi meno implacabili, più umani
di Ramfis. Dignitosi il Re di Roberto Tagliavini e la Sacerdotessa di
Caterina Di Tonno e non priva di
inventiva la coreografia di Francesco Ventriglia, ben realizzata dai
ballerini di MaggioDanza.
L’invidiabile souplesse che distingue
spesso le direzioni di Zubin Mehta
era ben in evidenza in questa recita
pomeridiana. Capita raramente di
sentire un accompagnamento cosı̀
rifinita strumentalmente e cosı̀ capace nel contempo di dare l’impressione che tutto ciò che capita in scena
avvenga per caso e non per volontà
prestabilita. Una casualità che Ozpetek ha sfruttato solo in parte, ma si è
trattato dopotutto del debutto del
cineasta turco nell’arena lirica.
Stephen Hastings
da oscuri sussulti, eseguito da Schiff
con suono evocativo e lontano, più
celeste che terreno, grazie anche alla scelta di un magnifico Bösendorfer.
L’Orchestra, formata da musicisti
amici di Schiff, che annualmente si
riuniscono a Vicenza per il piacere
di suonare assieme, ha assecondato,
non senza qualche sbavatura, ma
con contagioso entusiasmo, il gesto
del suo direttore, cosı̀ come il bravissimo coro, al quale si sono uniti
dei solisti di eccezione, come il tenore Werner Güra, il soprano Meike Leluschko, il contralto Britta
Schwarz e il basso Andreas Wolf,
cui la partitura riserva però solo
brevi interventi.
Stefano Pagliantini
« Dalla salle Favart al Palais Garnier » (musiche di Offenbach, Massenet,
Delibes, Bizet, David) mezzosoprano Jennifer Larmore Opus V
Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, 14 maggio 2011
« Un pomeriggio a salotto » (musiche di Martini, Fauré, Debussy, Rossini,
Donizetti, Godefroid, Hahn, Lenoir, Messager, Bernard, Chatau/Delorme) soprano Felicity Lott arpa Isabelle Moretti
Venezia, Palazzetto Bru Zane, 17 maggio 2011
Il Centre de Musique Romantique
Française del Palazzetto Bru Zane a
Venezia ha messo assieme, nell’ambito del Festival « Dal Secondo Impero alla Terza Repubblica », due
serate a distanza ravvicinata con
l’intento, pienamente riuscito, di ricreare l’atmosfera del salotto parigino a cavallo tra Otto e Novecento,
dove era frequente eseguire arie
d’opera, trascrizioni da camera di
brani tratti da celebri melodrammi
e raffinate mélodies. Ha affidato la
non semplice impresa – quanto è
facile in questi casi calcare la mano
o trascendere i limiti del buon gusto – a due voci importanti: quella
di Jennifer Larmore, nella splendida
Scuola Grande di San Giovanni
Evangelista, e quella di Felicity
Lott, nella deliziosa sala da musica
del Palazzetto.
La cantante americana, spesso bistrattata dalla critica italiana e di rado presente sui nostri palcoscenici,
ha brillato per invidiabile salute vocale, sfoggiando voce tuttora salda
ed estesa, ancorché un po’ intubata
in basso, e soprattutto una capacità
di immedesimarsi nel clima « disimpegnato » della serata facendo ricorso alle sue riconosciute doti di attrice (fenomenale la sua mimica facciale) e a una carica di dirompente
ironia, con cui ha saputo catturare
il pubblico.
Il programma, interamente francese, era dedicato a quattro capolavori teatrali come Le contes d’Hoffmann di Offenbach, il Werther di
Massenet, la Lakmé di Delibes e la
Carmen di Bizet. La Larmore ha
cantato l’aria di Nicklausse « Vois
sous l’archet frémissant » con grande partecipazione emotiva, la stessa
che ha contraddistinto la drammatica aria di Charlotte « Va! Laisse
couler mes larmes ». Immancabile
l’esecuzione della Barcarolle, nella
trascrizione per voce sola con il
controcanto degli archi del Quintetto Opus V, trasformata, come il
duetto Lakmé-Mallika « Sous le
Dôme épais », in una dolce e carezzevole mélodie da salotto.
Nella « Chanson bohémienne » dalla Carmen la cantante ha improvvisato una divertente scena di seduzione con gli strumentisti del quintetto, mostrando al contempo una
voce salda nei diversi registri ed
ancora ampia negli acuti. Vera girandola di divertimento e di
(auto)ironia il bis, « Art is calling
for me », pagina tratta dal musical
The Enchantress di Victor Herbert del 1911, un ritratto scanzonato di
una diva del canto con tutti i suoi
tic, manie e capricci. Applausi calorosi anche per il Quintetto Opus
V, che si è divertito a seguire la
cantante e, in proprio, a eseguire
quattro piccoli quintetti di Félicien
David, musicista poco noto vissuto
tra il 1810 e il 1876, dedicati alle
stagioni, pagine salottiere e piacevolissime, ben adatte al clima della
serata.
Altrettanto riuscito il concerto al
Palazzetto con Felicity Lott, Dama
dell’Impero Britannico, cantante
dalla gloriosa carriera, dal repertorio
ricercato, qui accompagnata dall’arpa di Isabelle Moretti. Certo, la voce, che un tempo era dolce e carezzevole, ora ha un timbro più secco,
come svuotato; i fiati, ancora notevoli, si sono accorciati, ma che importa: la classe è sorprendentemente
fresca, il gusto impeccabile e l’eleganza intrigante. A ciò si aggiunga
una totale consonanza con il mondo francese (la Lott è Officier dans
l’Ordre des Arts et des Lettres e
Chevalier dans la Legion d’Honneur) e una grande familiarità con
la lingua d’Oltralpe, unite alla contagiosa voglia di divertire e divertirsi.
Grazie all’accompagnamento suadente di una fuoriclasse dell’arpa
come Isabelle Moretti, la cantante
inglese ha deliziato il pubblico con
un repertorio da salotto, raffinato e
intelligente nelle scelte: apertosi
con il celebre « Plaisir d’amour » di
Johann Paul Aegidius Schwarzendorf, detto il Martini Tedesco, è
proseguito con tre arie da camera
di Donizetti e Rossini, musicisti
che con la Francia ebbero un intenso rapporto, per arrivare a dei
gioielli come le melodies di Fauré e
di Reynaldo Hahn - di cui la Lott
ha eseguito con grande musicalità e
sottesa ironia « À Chloris », languido
cammeo che fa il verso a Rameau.
La seconda parte è stata un crescendo di humour e brio scintillante
con « Parlez-moi d’amour » di Jean
musica 227, giugno 2011
17
&dalla platea
Lenoir, l’irresistibile « Ça fait peur
aux oiseaux » di Paul Bernard fino
all’aria « J’ai deux amants » tratta
dalla comédie musicale L’amour maUn parallelepipedo di tre tonnellate
sospeso a mezz’aria sul palcoscenico
tramite 250 cavi d’acciaio. Con la
sua caratteristica indifferenza alle
sfumature storiche, Heiner Müller
volle ambientare l’azione del proprio dramma Quartett (1982) in
« un salotto prima della rivoluzione
francese » e in « un bunker dopo la
terza guerra mondiale ». Intorno,
grazie alla magia del chromakey, tutto un universo in espansione: cavalcate di nembi, tumultuoso ribollire
di oceani e ruotar di galassie, diorami tridimensionali di una metropoli
che potrebbe essere Parigi, minacciose masse umane, megaliti inquietanti; ma l’occhio dello spettatore è imprigionato senza scampo
in quei pochi metri quadrati impudicamente offerti alla sua voyeuristica curiosità come la casa del
Grande Fratello. Due sedie, una tavola, due bicchieri di vino e poco
altro ne fanno tutto l’arredo.
Dopo solo tre decenni il nichilismo
post-ideologico e fieramente immoralista del drammaturgo tedesco,
a quel tempo paradigma dell’avanguardia teatrale, appare logorato
dalla sazietà di un abuso mediatico
che ne ha fatto pane quotidiano per
famigliole teledipendenti. « Der
Rest ist Verdauung », come profetava Quartett; il resto è digestione,
col distillato della quale si può fare
spettacolo a sontuosa misura scaligera. Distanziandosi con eleganza
da un dialogo originale che più
graveolente di cosı̀ non si può immaginare, ma che tradotto in esangue international English da un Luca
Francesconi librettista di se medesiIn quattro anni di sodalizio Valery
Gergiev e la London Symphony si
sono plasmati a vicenda. A tratti il
suono e il fraseggio dell’orchestra
rievocano quelli delle orchestre russe di una volta, mentre Gergiev,
padre padrone dei complessi del
Teatro Marinskij di San Pietroburgo e star internazionale con il dono
dell’ubiquità, mostra un’attenzione
per lui nuova verso i dettagli e le
sfumature. In effetti i delicati pianissimi ascoltati nell’Andante elegiaco
della Terza Sinfonia di Ciaikovski e
la leggerezza del Concerto per orchestra n. 1 di Shedrin erano insoliti in
un direttore più incline all’enfasi
tragica e al turbinio informe delle
18
squé di André Messager. L’arpista
Moretti ha contribuito non poco
all’incanto della serata, dispiegando
tutto il suo virtuosismo in un brano
asperrimo come Le Carnaval de Venise di Dieudonné-Félix Godefroid
e nell’affascinante Une Châtelaine en
sa tour. A chi non c’era suggerisco
FRANCESCONI Quartett A. Cook, R. Adams; Orchestra e coro del Teatro
alla Scala, direttori Susanna Mälkki, Jean-Michaël Lavoie regia Àlex Ollé
scene Alfons Flores costumi Lluc Castells
Milano, Teatro alla Scala, 28 aprile 2011
Quartett a Milano
mo riecheggia paradossi alla Oscar
Wilde: « Love is the domain of the
servants »... « Fear makes philosophers »... « Virtue is an infectious
disease »... ed altrettali profonde
massime da cioccolatino Perugina.
« Our noble profession is to kill time », confessa a un certo punto il
visconte di Valmont mettendo il
dito nella piaga. E Àlex Ollé, condirettore de La Fura dels Baus, sviluppa ulteriormente il tema nelle
sue note di regia: « Valmont e la
Merteuil sono due personaggi archetipici: rappresentano l’alta società, o la nuova classe medio-alta di
qualunque città cosmopolita [...] i
cui membri si tengono ben lontani
dalla realtà che ne rende possibile la
sopravvivenza, estranei ai sacrifici
che il mantenimento dei loro con-
tinui capricci richiede all’intero pianeta ». Messa cosı̀, con approccio
ecologico e forse classista, la pièce
acquisterebbe ben altra rilevanza civile; peccato che dopo quasi ottanta
minuti di perversità verbali, denudamenti e cross-dressing con contorno di fellatio, sodomia, stupro e veneficio, lo scioglimento si attui in
chiave di mera psico(pato)logia individuale, con una crisi pantoclastica della malefica protagonista. Fatti
suoi, verrebbe da dire contemplando il cruento rito di rebirth che d’altronde il Francesconi drammaturgo
ha qui trapiantato in forma di pantomima dalla Hamlet-Maschine dello
stesso Müller.
Dove la triplice fatica dell’autore
prende davvero il volo è nella parte
musicale, che aderisce alla sfuggente
SHEDRIN Concerto per orchestra n. 1
MOZART Concerto per oboe in K 314
CIAIKOVSKI Sinfonia n. 3 oboe Emanuel Abbühl London Symphony Orchestra, direttore Valery Gergiev
Lugano, Palazzo dei Congressi, 19 maggio 2011
emozioni, a volte anche a scapito del
lavoro di scavo interpretativo, come
ha rivelato la parziale delusione della
recente Turandot scaligera.
La vitalità, che rappresenta il tratto
caratteristico di Gergiev, è emersa
tutta, invece, nella frenesia ritmica
del divertente Concerto di Shedrin,
un lavoro del 1963 molto tradizionale nel linguaggio e nello stile, tra
venature neoclassiche alla Stravinski
e qualche strizzatina d’occhio al jazz.
musica 227, giugno 2011
Il sottotitolo, Canzonette birichine,
non lascia spazio a dubbi; certo è incredibile come Shedrin abbia potuto
abbracciare in tutta tranquillità l’estetica di regime del realismo socialista negli stessi anni in cui Shostakovich viveva problematicamente e
tragicamente il rapporto con quella
stessa estetica.
La frenesia del fraseggio caratterizzava anche l’esordio della Sinfonia n. 3
di Ciaikovski. La Terza viene consi-
di ascoltare il CD Naive inciso nel
2009 dalle interpreti con lo stesso
repertorio.
Stefano Pagliantini
consistenza dei personaggi alternando il declamato atonale dagli smisurati salti di registro al recitativo
arioso; i concisi spunti di aria e di
duetto in stile di conversazione ai
floridi abbellimenti ed altri passi
vocalizzati di artificioso gusto neobarocco. Ai due antagonisti, il soprano Allison Cook (Marquise de
Merteuil) e il baritono Robin
Adams (Vicomte de Valmont) non
mancano le necessarie doti di virtuosità né la competente presenza
fisica, e nemmeno le attitudini trasformistiche per reggere un gioco
scenico che prevede sdoppiamenti
e inversioni di ruolo. Le loro schizofreniche pulsioni sono amplificate
dal piccolo complesso collocato in
fossa: una ventina di strumenti regolati con alacre gesto dalla finnica
Susanna Mälkki, prima donna a
calcare questo podio in 232 anni di
esercizio. Dal sesto piano, invisibili
agli spettatori, le rispondono una
grande orchestra e un coro diffusi
in sala da altoparlanti stereofonici.
Con la spazializzazione elettronica
curata dall’IRCAM parigino, tutte le
fonti sonore si combinano e si
proiettano in una sbalorditiva esperienza multidimensionale.
Teatro colmo in ogni ordine e poche defezioni lungo le tredici scene
dell’atto unico. Al termine gli applausi scroscianti per quasi dieci minuti non risparmiavano nessuno,
ma la fetta più cospicua toccava al
regista catalano, coautore a tutti gli
effetti di una visionaria produzione
per cui già si prevede la distribuzione su DVD.
Carlo Vitali
derata la più asettica tra le sei sinfonie
ciaikovskiane, ma in questo caso si
percepiva il ribollire di oscure forze
telluriche sotto la sua superficie levigata ed elegante. È avvenuto anche
nel secondo movimento, uno strano
valzer dove la melodia sembra faticare a prendere slancio, del quale Gergiev ha messo in evidenza la trama
sottile, quasi scheletrica. Ma qui il
direttore russo era nel suo elemento
naturale e con una London Symphony a disposizione il risultato non
poteva che essere eccellente.
Non era nel suo elemento naturale,
Gergiev, in Mozart, e lo si avvertiva dal peso eccessivo degli archi,
dal fraseggio a tratti rugoso, dalla
tendenza a scurire ed enfatizzare
quando bisognerebbe schiarire il
suono e alleggerire il fraseggio. A
tenere alta la temperatura emotiva
del Concerto per oboe K 314 è stato
cosı̀ l’ottimo Emanuel Abbühl,
oboista svizzero cresciuto alla scuola
di Heinz Holliger. Interprete raffi-
nato e autorevole, Abbühl ha affrontato il Concerto mozartiano da
gran signore, con una estrema ricchezza di dinamiche, senza eccessi
sentimentali né virtuosistici, esibendo un suono di una bellezza apollinea.
Luca Segalla
VERDI Otello F. Armiliato, D. Dessı̀, G. Meoni, C. Cremonini, L. Montanaro,
J. Edwards, S. Fournier, R. Joakim, Orchestra e Coro del Théâtre Royal de
Wallonie, direttore Paolo Arrivabeni scene Carlo Sala costumi Fernando
Ruiz regia Stefano Mazzonis
Liegi, Teatrotenda, 19 aprile 2011
A Liegi, città culturalmente vivace
che ha dato i natali a Grétry, da tempo vige, nella programmazione del
restaurando Teatro dell’Opera,
un’amministrazione virtuosa che si
lega alla conduzione di un sovrintendente italiano, Stefano Mazzonis
di Pralafera, che porta volentieri alla
ribalta artisti italiani. Cosı̀ sempre più
spesso anche sul palcoscenico, e non
solo tra i tavoli dei ristorantini del
Boulevard de la Sauvenière, si sente
parlare italiano.
A raccontare la vicenda del Moro di
Venezia sotto un capiente tendone
(il Palafenice acquistato per le necessità cittadine con 1100 posti tra cui
molti occupati da giovani), c’è difatti
uno stuolo di artisti extra moenia
che onorano il canto italiano. Onore
innanzitutto all’Otello di Fabio Armiliato, che debutta coraggiosamente nel ruolo, rivelando inaspettatamente, sin dall’exploit iniziale a
freddo in tessitura acuta, doti (e carattere) imprevisti da tenore eroico,
accanto alla duttile e sfumata Desdemona di una Daniela Dessı̀ ancora
nel pieno della sua maturità interpretativa. Apprezzabile anche la prova, nel ruolo di uno Jago infingardo
e subdolo, di Giovanni Meoni, che
dopo il forfait per il Nabucco dell’O-
pera di Roma a Pietroburgo, ha ritrovato con la salute la sua brunita
voce.
A concertare il tutto una bacchetta,
quella di Paolo Arrivabeni, capace di
cogliere sfumature, bagliori lividi e
soverchierie del dramma shakaspeariano messo in note dal bussetano.
Ma il cervello dell’operazione resta
Mazzonis, che si dimostra regista lucido ed inventivo. Basti vedere come in uno spazio angusto muove a
dovere nel primo atto le masse in
spasmodica attesa sul molo, solcato
da una cascata d’acqua nel proscenio,
o come imponga una sorta di determinismo nei personaggi condotti in
scena da carrelli, marionette manifeste ed inconsapevoli nelle mani del
perfido Jago.
Scene e costumi, colorite e vivaci, rispettivamente firmate da Carlo Sala e
Fernando Ruiz, sembrano saggiamente ispirarsi alla pittura veneziana
da Tintoretto a Giorgione e Veronese e conferiscono all’azione una cornice adeguatamente degna tra peristili, leoni alati di San Marco e riparate
alcove: uno spazio scenico intelligentemente ridisegnato volta per volta
con pochi elementi quali tendaggi,
pannelli divisori o luci adeguate.
Lorenzo Tozzi
ROSSINI Il barbiere di Siviglia M. Zeffiri, A. Rinaldi, A. Bonitatibus, C.
Senn, S. Alaimo, G. Alessi, direttore Will Humburg regia, scene e costumi
Dario Fo
Catania, Teatro Massimo Bellini, 10 maggio 2011
Era da tempo che il teatro catanese
non offriva uno spettacolo con regia
d’autore, di quelle che in un passato
non lontano avevano immesso il
Bellini nel circuito delle piazze teatrali italiane che contano. La presenza di Dario Fo ha concesso ora una
ripartita, che ci si augura foriera di
nuova linfa per questo travagliato
ente a corto di denaro. Fo ha impostato il suo Barbiere, già collaudato ad
Amsterdam, sulla prospettiva mimica di cui è maestro: rivisitazione di
un mondo, quello della commedia
dell’arte, sovente di felicissimo conio. Arlecchini, Colombine, acrobati, ballerini e perfino un somaro hanno ravvivato la parte iniziale dell’opera, Sinfonia compresa, gettando
riverberi assai godibili sul rimanente:
fascinosa intanto la simulazione di
un veneziano barcheggio nel corso
della serenata di Lindoro, con Almaviva che canta fra i rematori su una
barca ondeggiante sulla laguna; e
aguzzi altri episodi, vedi il duetto tra
musica 227, giugno 2011
19
&dalla platea
Rosina e Figaro del primo atto realizzato con la complicità di un’altalena; o la divertente citazione del Pinocchio di Comencini con cui viene
tratteggiata la « febbre scarlattina »
di Basilio, nel secondo atto: una
compagnia di becchini rigorosamente listati a lutto che recano in scena
una cassa da morto in cui sistemano
il pretaccio e se lo portano via fin
che Basilio non mette il naso fuori
della bara per augurare al consesso
riunito la buonasera.
Resterebbe semmai una domanda:
come mai un uomo dei trascorsi di
Fo abbia puntato questa regia solo
sul fatto ludico ignorando o quasi
la velenosità della satira sociale rossiniana; e sı̀ che due personaggi quali
Bartolo e Basilio gliene avrebbero
offerto il destro. Ma è il caso di aggiungere che nessuno dei due canSembra essere un minuzioso e caparbio studio sul « suono » il campo
d’indagine prediletto, oggi, da Mario Brunello, il quale ha confezionato per il recital al Quartetto milanese
un programma in bilico (spirituale)
tra passato, presente e futuro. L’uso
di un iPhone sul quale era preregistrata una linea di bordone per i Canti
armeni che concludevano la serata
non ha turbato più di tanto l’uditorio chiamato, tra l’altro, ad intervenire in prima persona per accennare
con la voce il bordone stesso durante il
suggestivo bis.
Fulcro fulcro e motore del programma restava sempre e comunque la
musica di Bach. Apriva la prima parte una Suite, la maestosa Terza, seguita da uno sguardo novecentesco
oltreoceano (Atlantico) attraverso la
Sonata per violoncello di George
Crumb, brano che iniziava con rintocchi bartokiani che lasciavano presto il terreno a materiale più autoctono, e Unlocked di Judith Weir, laCon un’artista come Sokolov ci si
può aspettare di tutto, tranne l’ordinario, la consuetudine. Ci vuol molto coraggio, infatti, a chiudere un
programma di recital con la Fughetta
dell’opera 32 di Schumann, brano
non certo adatto a scatenare le ovazioni del pubblico. Ma lo scopo di
Sokolov era far notare la relazione
tra Bach e Schumann, come l’uno
potesse confluire nell’altro, in una
sorta di ciclicità senza tempo, tale
da far credere che alla fine della Fughetta si potesse ricominciare tutto
da capo con il Concerto italiano e cosı̀
via, all’infinito. Un possibile ritorno
a Bach, dunque, quello suggerito
20
tanti preposti alla parte era in grado
di venir in soccorso di tal esigenza:
l’uno per dichiarata inidoneità vocale e l’altro per annose tendenze alla
gigioneria. E allora si capisce forse
meglio perché il glorioso uomo di
teatro abbia inteso stavolta solo divertirsi e divertire. Che non è cosa
trascurabile.
A supportare l’idea registica di credenziali verosimili, due nomi mi
son parsi stagliarsi alla ribalta, e
quello di Will Humburg, per primo: ben di rado ho ascoltato un
Rossini comico di tale scioltezza
narrativa, pungoli ritmici ed eleganza formale come quello del direttore tedesco e della sua fidata
compagine. Subito dopo menzione
d’onore ad Anna Bonitatibus, Rosina perfettamente in linea con le
agilità della parte e pastosa nel co-
lore. Furono le due uniche lezioni
di stile della serata, a dirla tutta;
perché ottime erano in tal senso
anche le intenzioni dell’Almaviva
di Mario Zeffiri, ma alterne le risposte pratiche: il colore è insinuante e l’estensione ragguardevole, pure l’esilità del peso rende impossibile farsi un’idea delle autentiche chances di questo tenore; e
l’eccesso di variazioni, non tutte di
oro zecchino rossiniano, non ha
aiutato a facilitare il giudizio. In
quanto al resto non c’era davvero
da scialare. Comune il Figaro di
Christian Senna, oltre che timbricamente inadeguato a corrispondere
alla tarantolata furia dei sillabati rossiniani. E deficitario in un contesto
che si proponeva l’ambiziosa carta
di una prova di stile l’apporto dei
due bassi, o sedicenti tali: Alberto
BACH Suite n. 3 in DO
CRUMB Sonata per violoncello solo
WEIR Unlocked
BACH Suite n. 2 in re
SOKOLOVIC Vez
AA.VV. Canti armeni per violoncello solo violoncello Mario Brunello
Milano, Sala Verdi del Conservatorio, 12 aprile 2011
DVOŘÁK Concerto op. 104 per violoncello e orchestra
CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica » violoncello Mario Brunello Filarmonica della Scala Valery Gergiev
Milano, Teatro alla Scala, 21 aprile 2011
voro basato su cinque Canti di prigionieri delle regioni Mississippi (qui
Brunello, con le capacità camaleontiche che gli si riconoscono, riusciva
addirittura a trasformare il suo Maggini in una chitarra elettrica, con
tanto di basso e base ritmica, coinvolgendo il pubblico in una sorta
di entusiasmante illusione uditiva
collettiva).
Dopo l’intervallo ecco un’altra Suite,
la più meditativa Seconda, che sapeva
affastellarsi a memorie sonore, anche
popolari, di culture dell’est europeo.
Indimenticabile, poi, nei Canti armeni, la ricreazione del suono del duduk, strumento simile al flauto, ma
ad ancia doppia come l’oboe, con
un violoncello che è sembrato per
più di un istante mutarsi esso stesso
in un aerofono. È pur vero che il
cuore emotivo del concerto non poteva che rimanere legato all’esecuzione delle due Suites bachiane, il
monumento che il violoncellista veneto non ama porgere nella sua interezza in un’unica serata. È la ricerca
pertinace, inesausta della linea melo-
BACH Concerto alla maniera italiana; Ouverture in stile francese
SCHUMANN Humoresque op. 20; Klavierstucke op. 32 pianoforte Grigory
Sokolov
Catania, Teatro Massimo Bellini, 20 maggio 2011
da Sokolov. Un Bach, comunque,
stilisticamente lontano dal romanticismo e più affine, semmai, ai clavicembalisti francesi (Couperin) e che,
nella splendida interpretazione del
Concerto italiano, ha presentato stacchi di tempo più « tradizionali »
(penso soprattutto all’ Andante, molto più veloce rispetto ad altre sue
esecuzioni in cui era più vicino a
un Adagio).
musica 227, giugno 2011
La tenuta complessiva della Ouverture francese è stata a dir poco sbalorditiva. Più di mezz’ora di musica, non
certo di impatto immediato, che ha
tenuto letteralmente soggiogato un
pubblico stregato dall’irresistibile
magnetismo di Sokolov (malia che
ha toccato vertici ipnotici nella Sarabanda). Con la Humoresque siamo entrati nel mondo dell’irrazionale fantastico di cui dicevamo. Ma la cosa
Rinaldi è nella fase calante di una
carriera lunga e rispettata, ma caratteristiche da basso buffo rossiniano
non ne ha mai avute e per di più la
voce è ormai incapace di reggere la
bruciante corposità dei picchettati
di cui Bartolo dovrebbe esibire l’apoteosi. Simone Alaimo, infine,
che pur cantante rossiniano di riferimento è stato, non v’è bacchetta
e regia al mondo che ne possa frenare l’istinto maramaldesco; il suo
Basilio, al dunque, era il consueto
spaventapasseri piuttosto che il cinico profittator di mense altrui che
dovrebbe essere. Due corpi estranei, insomma, che hanno finito col
decidere delle sorti ibride di questo
pur brillante Barbiere; ma anche una
traccia al ritrovamento di un’auspicata rinascita del teatro di Catania.
Aldo Nicastro
dica, la chiave di lettura ultima dell’interpretazione, mai solipsistica, di
Mario Brunello, che è parso in grado
di restituirci un Bach umano, vero,
eppure cosı̀ etico e superiore.
Qualche sera dopo al Teatro alla
Scala Brunello si misurava con quel
Concerto in Si minore di Dvořák che
l’aveva fatto innamorare, lui giovane chitarrista, del violoncello e che
aveva pure portato all’esame di diploma. Un’interpretazione brillante,
ma commossa quella del solista veneto, ricca di colori, sciolta e con
diversi momenti da incorniciare. Il
secondo tema dell’Allegro iniziale,
ad esempio, veniva reso con tale levità e tenerezza da far, quasi, dimenticare la presenza dell’orchestra,
diretta in modo non invadente (ma
anche poco fantasioso) da Gergiev.
Nulla da eccepire, invece, sulla Patetica infuocata e disperata che chiudeva il programma, terreno d’elezione del direttore russo.
Massimo Viazzo
sbalorditiva e fantastica era che il tutto non era lasciato a briglie sciolte,
ma dominato da una mente lucidissima e accorta, che metteva ordine
nel caos apparente. E l’op. 32 non
sembrava una raccolta minore di
piccoli pezzi, ma si caricava di arcani
e reconditi significati in grado di trascenderla. Acquistava, in breve, importanza maggiore di quanto lo stesso Schumann, probabilmente, gli attribuisse.
La generosità nei bis (ben sei), ha
prolungato di circa mezz’ora un recital trasformatosi in esperienza mistica.
Benedetto Ciranna
stresa festival 2011
Copyright Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati © Photoservice Electa, Milano / Luca Carrà
Direttore Artistico: Gianandrea Noseda
c i n q u a n t ’ a n n i
d i
f e s t i v a l
Umberto Boccioni, Elasticità, 1912 - Museo del Novecento e Case Museo, Milano
150 anni d’Italia
Sabato 23 luglio
Palazzo dei Congressi - Stresa
CONCERTO PER I 150 ANNI
DELL’UNITÀ D’ITALIA
Banda Musicale
dell’Arma dei Carabinieri
Massimo Martinelli, direttore
Meditazioni in Musica
Venerdì 29 luglio - Sabato 30 luglio
Eremo di Santa Caterina del Sasso - Leggiuno
SUITE PER VIOLONCELLO SOLO
di J.S. Bach
David Geringas
Domenica 31 luglio
Chiesa di S. Nicolao al Sacro Monte - Orta
MUSICA SPAGNOLA DEL ‘600
Hopkinson Smith, chitarra barocca
Martedì 2 agosto
Rocca Borromeo - Angera
PLATTI, VIVALDI
Ensemble Cordia
Venerdì 5 agosto
Chiesa Vecchia - Belgirate
VIRTUTE E CANOSCENZA
De Labyrintho
Note di viaggio
Domenica 21 agosto
Palazzo dei Congressi - Stresa
ŠOSTAKOVIC, BRAHMS
Alexander Toradze, pianoforte
Stresa Festival Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore
Lunedì 22 agosto
Loggia del Cashmere - Isola Madre
LONDON BRASS
Martedì 23 agosto
Chiesa Madonna di Campagna - Verbania
UNA SERATA A CASA BACH
Mercoledì 24 agosto
Castello Visconteo - Vogogna
ITALIAN WONDERBRASS
Giovedì 25 agosto
Palazzo dei Congressi - Stresa
LUCIA DI LAMMERMOOR
di G. Donizetti
Mosuc, Osborn, Vassallo
Anastassov, Liberatore
Casalin, Vendittelli
Ars Cantica Choir
Stresa Festival Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore
Il Suonar Parlante
Vittorio Ghielmi, direzione e viola soprano Venerdì 26 agosto
Martedì 30 agosto
Palazzo dei Congressi - Stresa
WEBER, BEETHOVEN, DVORÁK
Leif Ove Andsnes, pianoforte
Sabato 27 agosto
Chiesa del S.S. Crocifisso,
Collegio Rosmini - Stresa
BACH: SONATE E PARTITE
Isabelle Faust, violino
Filarmonica della Scala
Gianandrea Noseda, direttore
Domenica 28 agosto
Palazzo dei Congressi - Stresa
WEBERN, LISZT, CAJKOVSKIJ
Israel Philharmonic Orchestra
Zubin Mehta, direttore
Lunedì 29 agosto
Giovedì 1 settembre
Salone degli Arazzi - Isola Bella
RACHMANINOFF SOIRÉE
Pavel Berman, violino
Enrico Dindo, violoncello
Sabato 3 settembre
Auditorium La Fabbrica - Villadossola
EUROPA BAROCCA
Akademie für Alte Musik Berlin
Domenica 4 settembre
Palazzo dei Congressi - Stresa
BEETHOVEN, MENDELSSOHN
Maria João Pires, pianoforte
Gewandhausorchester Leipzig
Riccardo Chailly, direttore
Alexander Romanovsky, pianoforte
Salone degli Arazzi - Isola Bella
CHOPIN, BACH, LISZT
Simon Trpceski, pianoforte
Venerdì 2 settembre
Palazzo dei Congressi - Stresa
IMPROVVISANDO
Villa Ponti - Arona
Enrico Pieranunzi Trio
con i musicisti della
Masterclass di Improvvisazione
APOLLON MUSAGÈTE QUARTETT
w w w. s t r e s a f e s t i v a l . e u
tel. 0323.31095/30459
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Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
Con il contributo di
In collaborazione con
CITTÀ DI STRESA
main sponsor bancario
CITTÀ DI
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CITTÀ DI
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COMUNE DI
VOGOGNA
Appartenente a
&letture musicali
Mario Brunello, Fuori con la musica,
Rizzoli, Milano 2011, pp. 180,
E 18,00
Paul-André Demierre, Les opéras
napolitains de Rossini, Editions Papillon, Ginevra 2010, pp. 283, s.i.p.
Si legge tutto d’un fiato il primo libro
di Mario Brunello, scritto in modo lineare e con quel candore che gli si riconosce. « Fuori con la musica » è una
raccolta di istantanee musicali legate alla
carriera dell’artista veneto, ma non è
solamente un libro di aneddoti. Certo,
è divertente leggere del volo sul trabiccolo a motore che doveva portare il
violoncellista, appena concluso un matinée, a Stoccarda per eseguire il Concerto
per violoncello e orchestra di Haydn con a
terra un Andrea Lucchesini che faceva
gli scongiuri; oppure dell’entusiasmo
collettivo che contagiava il pubblico di
Belém, alle porte dell’Amazzonia, eccitazione suscitata dall’ascolto di un brano
di Giovanni Sollima, con tanto di piroette e balli improvvisati sul posto; o
ancora della scalata al Monte Fuji su
parete verticale con l’inseparabile
« Maggini » a tracolla ed esecuzione bachiana in cima.
Brunello è un girovago della musica
non perché perennemente in tournée,
ma per una curiosità inesausta, per una
ricerca instancabile dei « luoghi » della
musica, spazi in cui riconoscerla, in cui
riconoscersi. « Il profilo delle Dolomiti
assomiglia al disegno delle note di un
Preludio di Bach. Ho provato a sovrapporre il segno lasciato dalla cresta di una
cima sul rigo musicale: la musica e la
montagna si sono rivelate, senza saperlo,
l’una con l’altra ». Per Brunello la musica e la vita si condizionano e si alimentano vicendevolmente in un rincorrersi
di sinestesie cromatico-panteistiche.
Su www.mariobrunello.com è possibile
ascoltare tutti i brani citati nel testo (ci
sono anche le esecuzioni integrali della
Quarta di Bruckner e della Settima di
Mahler dirette da Claudio Abbado).
Questo libro utilissimo dello studioso
svizzero Paul-André Demierre – attualmente produttore di trasmissioni musicali presso la Radio Suisse Romande –
nacque come tesi di dottorato nel lontano 1987, e qua e là si avverte qualche
eco di un’epoca in cui gli allestimenti
delle opere napoletane del pesarese erano ancora avvenimenti rari. La bibliografia e la discografia, cosı̀ come la cronologia delle rappresentazioni, sono
tuttavia aggiornatissime, e l’argomento
viene trattato con abbondanti esempi
musicali e con molti estratti da recensioni e cronache d’epoca.
Demierre non limita la sua indagine a
Napoli e dedica capitoli sostanziosi alla
scenografia, ai costumi e alla recitazione
(ed è qui che emergono le testimonianze più eloquenti), prima di passare alla
materia specificamente musicale. La quale viene trattata in modo sintetico (senza
fare un’analisi capillare di ogni opera),
partendo dalle recensioni ottocentesche
per prendere esame alcune caratteristiche
dell’orchestrazione rossiniana e per mettere a fuoco la varietà espressiva della sua
scrittura vocale. È questo infatti l’argomento che appassiona maggiormente
l’autore, il quale aggiunge informazioni
preziose sulle carriere dei maggiori interpreti e un glossario di termini tecnici per
il lettori che conoscono poco il repertorio del primo Ottocento.
La lingua usata da Demierre è naturalmente il francese, ma lo stile è semplice, il registro informativo. È una gioia
poi leggere nella lingua originale quelle
cronache teatrali di Stendhal (pur avverso al Rossini « napoletano ») che
mettono a nudo per contrasto la relativa povertà (umana) della critica operistica dei nostri giorni.
Il valore di questo libro è soprattutto
iconografico: centocinquanta quadri,
bozzetti, stampe e disegni riprodotti in
modo esemplare. Testimonianze di
un’epoca in cui la Francia di Napoleone (con un breve intervallo asburgico a
cavallo tra i due secoli) dominava le regioni settentrionali della penisola e fece
di Milano la città capitale di una prima
Repubblica Italiana (1802) e poi, tre
anni dopo, di un Regno d’Italia, con
Bonaparte che si cingeva « in duomo
della corona ferrea dei Longobardi ».
Le immagini ci parlano di un’epoca decisamente portata alla celebrazione di
sé, nella quale pure lo spettacolo (e di
conseguenza quel Teatro dei teatri che
era già la Scala) faceva la sua parte. Cosı̀
nelle illustrazioni, accanto a scene di
battaglia e di feste all’aperto, a ritratti di
marescialli di Francia e dello stesso Napoleone in contesti svariati, troviamo
rappresentati diciotto anni di storia scaligera. Una storia di dive (spiccano i ritratti della Billington, della Grassini –
amante dello stesso Napoleone – e della
Colbran) e castrati, di impresari (già si
fa avanti Barbaja) e scenografi (Perego e
Landriani sopra tutti), ma anche di rapporti non sempre facili con il potere
dominante. Non fu questa in realtà – lo
si capisce bene dal racconto di Vittoria
Crespi Morbio – una stagione di meraviglie musicali, anche se l’approdo scaligero di Rossini e Paganini nel biennio
1812-13 segnò l’inizio di un trentennio
d’oro, ma vale la pena ripassarne la storia perché fu allora che Milano divenne
« finalmente, una città europea », accesa
da « una passione artistica », che avrebbe
dato poi i frutti che conosciamo.
Mancava, salvo errore, dalla pubblicistica italiana una monografia mascagnana
cosı̀ completa e minuziosa come quella
adesso approntata da Cesare Orselli.
Conscio di manovrare una materia controversa, il nostro saggista evita con cura le trappole dell’agiografia ma al tempo stesso è consapevole del ruolo che
spetta al Livornese nel nostro operismo:
forse non di primissimo piano eppure
di qualche peso, a dispetto degli indignati in servizio permanente effettivo.
E oltre l’indiscussa Cavalleria, individua
con giustezza in Guglielmo Ratcliff, Fritz,
Iris e Parisina, i titoli che di Mascagni
costituiscono il nocciolo duro, separando il grano dal loglio della sua troppo
prolifica produzione. Pagine di perspicace analisi suggeriscono, mediante l’attento scandaglio della metrica, l’idea di
un compositore assai più vigile ai rapporti fra musica e testo letterario di
quanto la sua apparenza naı¨f non volesse
far intendere (leggere, ad esempio, le
osservazioni in ordine al Ratcliff). Il « capobanda » di dannunziana memoria, insomma, possedeva i suoi numeri; e l’analisi del trattamento orchestrale in
opere quali Isabeau e Parisina induce a
qualche non improvvida riflessione.
Moltissime sono poi le notizie biografiche, sovente inedite; e uno sguardo
viene meritevolmente esteso alla produzione extrateatrale, con speciale attenzione alla lirica da camera, di cui
Orselli è probabilmente il più convinto
indagatore nazionale. E pazienza per
l’eccesso di note a piè di pagina, che distraggono e affaticano una lettura per
ogni altro verso scorrevole e penetrante. Non mi pare che Orselli avesse bisogno di rifarsi una verginità presso
l’accademia.
Massimo Viazzo
Stephen Hastings
Stephen Hastings
Aldo Nicastro
22
musica 227, giugno 2011
AA.VV. La Scala di Napoleone: Spettacoli a Milano 1796-1814, Amici della Scala/Umberto Allemandi & C.
Milano 2010, s.i.p.
Cesare Orselli, Pietro Mascagni, L’Epos, Palermo 2011, pp. 522, E 48,30
Kurt Weill, Die Legende vom toten
Soldaten, für gemischten Chor a
cappella, Universal Edition, Vienna
2007, E 10,50
Robert Schumann, Papillons op.2,
facsimile della prima edizione 1832, con
introduzione e commento di Eric Sams,
Analogon, Asti 2010, pp.XIV+26,
E 12,00
La Universal Edition pubblicò La leggenda del soldato morto, su versi di Bertolt
Brecht, nel 1930 (pochi mesi dopo che
lo Schubertchor l’aveva eseguita a Berlino in prima assoluta). Nel 2007 ha ristampato la partitura, collocando le diciannove strofe del testo originale in seconda di copertina e assegnando tre accollature corali, ben distanziate e in
corpo medio-grande, per facciata: nel
complesso, undici pagine che si studiano agevolmente.
Cosı̀ è di nuovo disponibile una partitura del Weill più politico. Nella poesia,
infatti, il Kaiser non accetta che il soldato sia morto in battaglia prima della fine
del conflitto, perciò ordina di esumarne
il cadavere e rispedirlo subito al fronte.
Un’apposita commissione profuma
d’incenso lo zombie in divisa, lo rivitalizza – alla lettera – con acquavite, lo
solleva nel morale infilandogli due donne sottobraccio, e infine, facendolo
scortare da una banda che lo incita con
chiassosi colpi di piatti, lo conduce a
una morte eroica: la seconda. Una grottesca satira antimilitarista, scritta da
Brecht nel 1918 come reazione indignata ai milioni di vittime della Grande
Guerra, ma anche una parabola nera
sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Weill musicò la Leggenda per coro misto a cappella. Un organico trattato
omoritmicamente, come un plotone
che canta marciando unito al passo di
6/8. L’armonia vaga per regioni minori
sempre più lontane e sinistre, ogni due
battute la polifonia sbatte contro spigoli
dissonanti. Una parodia senza comicità
dei cori militareschi che galvanizzano
gli eserciti, una traduzione in musica
delle caricature di Grosz.
Con questo settimo volume dell’opera
di Eric Sams da lui curata, Erik Battaglia ci fa conoscere questa « revisione »
postuma del grande studioso inglese,
che a Schumann ha dedicato gran parte
del suo lavoro. Si sa che Schumann si
ispirò al romanzo di Jean Paul – « Flegeljahre » – quando scrisse i suoi Papillons, anche se già nella prima edizione
aveva cancellato dal testo musicale ogni
riferimento letterario. Sams, con la sua
ben nota passione investigativa, ha ritrovato e chiarificato i legami tra le due
opere: quella letteraria « ispiratrice » e
quella musicale « ispirata », facendoci capire come dai due fratelli del romanzo
di Jean Paul, Vult e Walt Harnisch, discenda la ben nota dicotomia schumanniana di Florestano e Eusebio. La lunga
introduzione, che cita ampie parti del
romanzo, con le annotazioni di Schumann sulla copia da lui posseduta, comprende anche un’analisi semiologica sul
testo. E alla fine del testo musicale, riprodotto col facsimile della prima edizione curata personalmente da Schumann, Sams fa seguire un diffuso commento musicale brano per brano, chiosandolo con continui riferimenti letterari e preziose citazioni. Eric Battaglia
nelle note al testo (da lui tradotto) fornisce preziose informazioni su Sams e
aggiunge un « errata corrige » del testo
musicale nella prima edizione, oltre che
una bibliografia essenziale. Sperando
che questa edizione non passi inosservata, cosa che potrebbe succedere in seno
a un’editrice non essenzialmente musicale, la raccomando, e caldamente, a
chiunque si accosti, come ascoltatore e
come interprete, a questo capolavoro.
Massimo Pastorelli
Riccardo Risaliti
&attualità
& Alla Lulu di Stein il
Premio Abbiati
È l’allestimento dell’opera di Berg andato in scena nel 2010 alla Scala lo
spettacolo dell’anno secondo la giuria
del Premio Abbiati: la regia di Peter
Stein viene lodata « per la bellezza e
la coerenza fra messinscena e trama
musicale, nella naturalezza e nel rispetto dell’articolazione scenica e degli snodi dell’azione ». Fra gli altri
vincitori, segnaliamo Esa-Pekka Salonen come miglior direttore (Da una
casa di morti, ancora alla Scala), Nina
Stemme e il controtenore Franco Fagioli come migliori cantanti. L’opera
Il killer di parole di Claudio Ambrosini
(alla Fenice), è stata indicata indicata
come migliore novità assoluta e il
premio per il migliore solista è andato
al pianista Emanuele Arciuli.
www.criticimusicali.org
& La Argerich dà
un’impronta lisztiana al
Progetto
Emanuele Arciuli
Per la decima volta Martha Argerich
riunisce attorno a sé a Lugano, per tre
settimane circa (dall’8 al 30 giugno),
colleghi e amici di fama, assieme a
giovani talenti, per una rassegna densa
di avvenimenti che sarà incentrata
quest’anno su Liszt, con la versione
per due pianoforti della Nona di Beethoven, alcuni poemi sinfonici, la So-
nata. Poi la Argerich eseguirà il Concerto K 467 di Mozart, Stephen Kovacevich il Quarto di Beethoven, Nelson Freire il Secondo di Chopin. Tra
gli altri protagonisti, Margulis, Zilberstein, Capuçon, Maisky e il Coro della Radio Svizzera diretto da Fasolis.
www.rsi.ch/argerich
& Masterclass di canto
con Michael Aspinall
in Sicilia
Dall’8 al 13 agosto 2011, a San Salvatore di Fitalia, in provincia di Messina
si terrà una masterclass del cantante e
musicologo Michael Aspinall, che sarà
aperta a coloro che desiderano perfe-
Flautista attrice, regista, drammaturgo... Intervista a Luisa Sello
Fra attività cameristiche, concerti con
orchestra e one woman shows, il percorso artistico di Luisa Sello, una delle migliori flautiste italiane, si snoda
con fluidità in una dimensione decisamente teatrale.
tù un jazzista e mi ha spinto a guardare verso altre forme musicali. Io stessa
poi sono sempre stata aperta a tutte le
forme d’arte, anche non musicali,
compresa la letteratura, il gesto, il teatro, la scenografia: tutto quello che si
fa espressione. Avendo incontrato
molto presto nella mia vita la musica
contemporanea, ho conosciuto anche
il valore del « gesto »: una ricerca comune a Gazzelloni, tra l’altro. Dopo
questo incontro mi sono dedicata a
cercare forme di gestualità che si potessero abbinare in maniera forte all’espressione musicale: da qui alcuni
spettacoli in cui non sono solo musicista ma divento anche attrice, regista,
drammaturga. E questi spettacoli mi
hanno fatto vincere un premio per
l’innovazione nello spettacolo e uno
per l’impresa, che sottolinea una nuova maniera di porgere la musica: si
trattava del mio Pierrot solaire.
Luisa Sello
La scelta del flauto è stata casuale?
Direi del tutto naturale. Fin da bambina
sono stata attratta verso la musica e il
canto e quindi, pur non essendo figlia
d’arte, sono stata indirizzata dai miei genitori – che si dilettavano a cantare e fare
musica in casa – ad iscrivermi al Conservatorio. Il flauto, però, è arrivato dopo,
poiché ho iniziato cantando in un coro
e assumendo parti da solista, e quindi
studiando il pianoforte (dopo qualche
esperimento con la fisarmonica). Alla fine delle scuole elementari il flauto mi ha
scelto: dico cosı̀ perché all’epoca non
era uno strumento molto noto, tanto
che al Conservatorio di Udine eravamo
solamente due allievi nella classe di flauto. Come tutti, poi, ho seguito alcuni
corsi di perfezionamento sino ad incontrare quello che considero il mio vero
maestro, Raymond Guiot, col quale
ho studiato lungamente.
Cosa Le ha insegnato Guiot?
La scuola francese del flauto è la più
avanzata e Guiot, che è stato allievo a
sua volta di Marcel Moyse, mi ha insegnato molto sul piano tecnico: una
scuola diretta, di tradizione orale, di
cui oggi mi ritengo portavoce e ambasciatrice. È un metodo che ritengo
infallibile, che permette a ogni allievo
di superare scientificamente ogni
« blocco » strumentale. Ma da Guiot
ho imparato anche un modo di porsi
davanti al mondo, alla musica, alla vita: non si può vivere di sogni ma occorre studiare con molta umiltà.
24
Diversa, credo, l’esperienza con Severino Gazzelloni.
È stata più breve: ho studiato con lui
all’Accademia di Siena e poi l’ho seguito in altre lezioni a Roma, ma
quelle poche occasioni sono state per
me una grande ispirazione. Ho potuto
« bere » la sua solarità, il suo atteggiamento di gioia verso la musica, quel
talento naturale nel fare musica che
musica 227, giugno 2011
non si impara sui libri ma che lui sapeva trasmettere: per non parlare del carattere aperto, positivo. Se Guiot mi
ha insegnato il rigore, la concretezza
e il sacrificio, Gazzelloni mi ha mostrato il piacere di fare musica.
Da Guiot viene anche lo spunto per le
esperienze di contaminazione di genere.
Certo, Guiot stesso è stato in gioven-
È per questo motivo che ha abbandonato l’esperienza in seno a un’orchestra?
Non credo: e devo dire che ne ho
avute molte, dalle spedizioni punitive
al suonare nell’Orchestra della Scala.
Ho provato più volte a inserirmi in
questo percorso, ma ho capito che
non è ciò che desidero veramente.
Mi trovo bene ad essere solista e a vivere secondo la mia logica, i miei
tempi, coinvolgendo il mio pubblico.
Mi ha detto che ha iniziato cantando:
quanto c’è in comune fra l’emissione
vocale e la tecnica flautistica?
Molto: la respirazione è la stessa, perché impostare la voce in maschera o
impostare il suono in maniera che arrivi in fondo alla sala è la medesima
cosa. Inoltre, ho fatto l’esperienza
zionare la tecnica e l’interpretazione
del repertorio belcantistico. Sono
previsti laboratori, concerti, attestati
di frequenza. L’evento è inserito nel
cartellone dei Corsi internazionali di
musica « Nebrodi Itinerari Musicali »
organizzati dall’Associazione Culturale Musicale Parthenia. www.musicaleparthenia.com; tel. 339 7451210.
& I Berliner lasciano il
Festival di Pasqua di
Salisburgo
I Berliner Philharmoniker sono in
procinto di terminare la loro collaborazione con il Festival di Pasqua di
Salisburgo e di cominciare un nuovo
dello strumento traversiere storico
proprio per approfondire le questioni
legate alla respirazione: posso dire di
essere diventata un’esperta delle questioni di prassi esecutiva bachiana, che
ho portato sul flauto moderno. Con
Trevor Pinnock ho eseguito le quattro Sonate concertanti di Bach proprio
seguendo questo mio studio.
Ha affermato che trova necessaria una
reciproca fecondazione fra insegnamento e attività concertistica: in che
senso?
Nell’attività concertistica si apprendono i segreti per comunicare la musica,
e quindi come trasmetterli ai futuri
esecutori. Io sono anche un’insegnante di conservatorio che dovrebbe preparare i nuovi flautisti a salire su un
palcoscenico. Davanti al pubblico,
poi, ci si mette in discussione continuamente, si esercita la propria autocritica: un perfezionamento e un aggiornamento di sé e del repertorio
che impedisce ogni stanchezza e routine. Al contrario, insegnando si
ascolta in maniera molto concentrata
la produzione del suono e di un’interpretazione da parte degli allievi: si
può vedere allo specchio quello che
si vorrebbe ascoltare da parte di un
musicista.
Su cosa insiste maggiormente con i
suoi allievi?
Certamente sul rispetto verso loro
stessi, delle loro scelte: ma dietro a
questo ci deve essere una ricerca che
porti a un risultato, ossia sapere esprimere ciò che hanno dentro superando gli ostacoli tecnici posti dallo strumento. Chiaramente ci deve essere
un bel suono, una tecnica pulita, ma
soprattutto il sapere comunicare, il
virtuosismo non fine a se stesso ma al
servizio della musica.
Qual è il Suo rapporto con il disco?
sodalizio con il Festival di Baden-Baden. « Sono profondamente dispiaciuto per la decisione presa », ha affermato Peter Alward, direttore generale del festival salisburghese. « Le
richieste dell’orchestra di quattro
spettacoli d’opera e di una significativa estensione del programma di musica da camera e di varie attività formative, non potevano essere soddisfatte data l’attuale situazione finanziaria ».
& Licenziamenti
brasiliani
L’Orchestra Sinfonica del Brasile ha
allontanato quasi metà dei propri muIl CD Stradivarius con tutti i Concerti
di Mozart [si veda la recensione su
MUSICA n. 188] è stato un importante
biglietto da visita per me: in quell’occasione ho scelto una chiave di lettura
legata a una certa spontaneità espressiva e ai personaggi teatrali mozartiani,
poiché io credo che tutta la musica di
Mozart sia caratterizzata dalla presenza
di personaggi, anche il Requiem. Ma
non dimentico anche l’incisione in
prima mondiale di una serie di manoscritti che ho trovato nelle biblioteche
viennesi e italiane del periodo Biedermeier, per flauto e pianoforte. Prima di questi album ce n’erano stati
altri dedicati sia al repertorio consueto
da camera che a quello contemporaneo, dai compositori sloveni e croati
alle prime assolute di Donatoni e altri
compositori italiani. Ora mi piacerebbe dedicarmi alle pagine più celebri
per flauto solo, ma anche incidere
quelle sonate di Bach cui ho fatto riferimento prima (non so ancora se
con un pianoforte o un clavicembalo)
e i Quartetti di Mozart. Va detto che
per noi flautisti è difficile trovare spazio nei cartelloni delle grandi Stagioni
concertistiche, che preferiscono repertori con il pianoforte, il violino e
il violoncello.
Quali sono le ragioni, a Suo avviso,
per cui il flauto è uno strumento cosı̀
amato dai compositori contemporanei?
Si tratta di uno strumento « sperimentabile », duttile, in evoluzione continua e un custode di effetti sorprendenti: io stessa, continuando a studiare, trovo sempre nuovi multifonici,
nuove soluzioni sonore. E poi è un
buon conversatore, si presta ad esser
suonato e parlato, suonato e camminato, suonato e gestualizzato: comunica in tutti i sensi e si lega benissimo
agli altri strumenti.
Nicola Cattò
musica 227, giugno 2011
25
&attualità
sicisti (36 su 82) dopo che si sono rifiutati di sottoporsi ad audizioni di
valutazione, come richiesto dal direttore Roberto Minczuk. I musicisti ribelli avevano, per contro, chiesto la
cacciata del direttore, rifiutata dal management della OSB, ed ora meditano
di esibirsi autonomamente con la pianista Cristina Ortiz che, insieme a
Nelson Freire, ha preso le loro parti
nella disputa.
tional de France sotto la bacchetta di
Daniele Gatti (il 24 e 25 settembre) e
dell’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta
da Antonio Pappano (21 e 22 settembre). www.festivalenescu.ro
& Respighi
a Caracalla
& Il gotha musicale a
Bucarest
Il Festival e il Concorso Internazionale George Enescu, curati da Ioan Holender, si svolgeranno a Bucarest e in
altre località romene di interesse storico-artistico nel mese di settembre. Il
concerto inaugurale si terrà nella Sala
Mare al Palatului, con musiche di
Enescu e Shostakovich, protagonista
l’orchestra residente, The Hague Phi-
La Sala Mare al Palatului
larmonic, diretta da Christian Badea.
A questa seguiranno le esibizioni della
London Symphony Orchestra (8 e 9
settembre), dei Wiener Philarmoniker
(16 settembre), della Staatskapelle
Berlin diretta da Daniel Barenboim (il
13 e 14 settembre), della Israel Philharmonic Orchestra diretta da Zubin
Mehta con Vadim Repim solista (19
e 20 settembre), dell’Orchestre Na-
Il cartellone 2011 delle Terme di Caracalla ha l’intento di esaltare la splendida scenografia naturale dell’anfiteatro romano: in tal senso va letto il
concerto d’apertura del 2 luglio, con
la « Trilogia romana » di Respighi diretta da Charles Dutoit e affidata alla
regia di Carlus Padrissa (La Fura dels
Baus). Successivamente saranno allestiti il Lago dei cigni di Ciaikovski (720 luglio), Tosca (21 luglio-10 agosto)
e Aida (2-9 agosto). www.operaroma.it
Udo Steingraeber: un costruttore di pianoforti a Bayreuth
A poche centinaia di metri in linea
d’aria dal Festspielhaus, nel centro
storico di Bayreuth, davanti al monumento dedicato a Jean-Paul, sorge
un austero edificio in pietra addolcito
da una cancellata neorococò che si
apre su un cortile adibito a spazio
teatrale. All’interno, separati da un
tappeto rosso, che attenua un poco
lo scricchiolio dell’assito, pianoforti a
coda accolgono come due ali di granatieri il viaggiatore wagneriano.
Non di rado è lo stesso proprietario,
Udo Steingraeber, che ancora vive
con la famiglia nella casa-manifattura
degli avi, ad accogliere il viaggiatore
con innata cortesia e a illustrare la
curiosa storia di una manifattura che
segue gli artisti del Festival dalla sua
nascita.
tieri il pianoforte, non scrisse nulla di
importante per quello strumento e,
contrariamente a suo suocero Franz
Che cosa significa per Lei essere costruttore di pianoforti a Bayreuth?
Costruire pianoforti a Bayreuth significa... toccare il cielo con un dito!
Da nessuna parte al mondo vi sono i
desideri e le esigenze più disparate:
qui lavorano pianisti solisti, direttori,
compositori, cameristi e cantanti. Essi
ci svelano l’intera gamma dei loro
bisogni e delle loro aspirazioni al fine
di preparare degli strumenti di qualità sempre più elevata.
Ritiene che la tipica sonorità wagneriana, accentuata dall’acustica del
Festspielhaus, abbia influenzato la
concezione del suono di Steingraeber?
Richard Wagner non suonava volen-
26
musica 227, giugno 2011
Udo Steingraeber
Liszt, non diede nessun contributo
alla sua evoluzione tecnica. Con
un’eccezione però: le campane del
Graal nel Parsifal! Per la prima rappresentazione del 1882 il mio trisavolo Eduard Steingraeber costruı̀ per
Wagner un « piano a campane » con
solo quattro note, quelle del motivo
del Graal, appunto. Ovviamente
Steingraeber fornı̀ degli strumenti alla
famiglia Wagner e al Festival fin dalle primissime sessioni di prove del
1875, un anno prima dell’apertura
ufficiale e, in modo indiretto, un
grande influsso permane a tutt’oggi,
un’influenza che, inizialmente, si faceva già sentire attraverso l’operato
della cosiddetta Cancelleria dei Nibelunghi, ossia i gruppi dei copisti e dei
trascrittori delle parti orchestrali. Qui
si potevano incontrare personaggi
come Engelbert Humperdinck e Josef Rubinstein, ma anche direttori
d’orchestra (da Hans Richter fino ad
arrivare a Giuseppe Sinopoli e a Daniel Barenboim) e assistenti musicali
come Alfred Cortot. Tutti suonavano su uno Steingraeber e tutti davano concerti nella Rokokosaal (compreso Franz Liszt, naturalmente!). Alcuni hanno anche contribuito all’ideazione di uno Steingraeber ad hoc,
influenzando cosı̀, verso la fine del
XIX secolo, l’immagine sonora della
marca. Engelbert Humperdinck, ad
esempio, fece applicare al suo Steingraeber uno speciale pedale per il
pianissimo.
Gli Steingraeber erano apprezzati da
Liszt. Egli suonò su un particolare
modello « neorococò », ancora oggi
utilizzabile. Che cosa lo spinse, secondo Lei, ad orientarsi su quel prototipo?
Le ultime composizioni di Liszt sono
radicali e moderne. A Liszt non occorreva più il suono sontuoso dei
Romantici. Nel 1873 Steingraeber
aveva iniziato a fare esperimenti con
tavole armoniche insolitamente rigide: la conseguenza si traduceva in
armoniche molto chiare, suoni lunghi a lento decadimento e perfettamente idonei alla polifonia. La parola d’ordine del Romanticismo era
stata: « Più forte! Suoni più densi! ».
Presso Steingraeber, certo, anche la
dinamica si accrebbe, ma il dettato
musicale rimaneva sempre trasparente
all’ascolto. Liszt incontrò Eduard
Steingraeber già a Vienna nel 1846
quando il giovane esordiente costruttore lavorava per la casa Streicher e
seguiva le tournée del compositore
ungherese. Più tardi Eduard descrisse
questo periodo come « la peggiore
esperienza della mia carriera » perché,
durante i concerti, davanti al pubblico, doveva riparare tasti, martelli e
corde devastati dal funambolico solista. Ma forse ciò costituı̀ un buon
inizio per la successiva collaborazione
a Bayreuth... Probabilmente Liszt
conobbe la Rokokosaal con il suo
moderno pianoforte solo nel 1878.
Liszt era alla ricerca di un nuovo Sa-
& Il Deutscher
Dirigentenpreis
a un italiano
È il siciliano Francesco Angelico, nato
a Caltagirone nel 1977, il vincitore
della prestigiosa competizione tedesca
per direttori d’orchestra: il premio è
stato consegnato alla Konzerthaus di
Berlino dopo che i tre finalisti hanno
diretto l’Orchestra Sinfonica del Konzerthaus. La giuria internazionale era
presieduta da Lothar Zagrosek.
Francesco Angelico
lon, poiché a Villa Wahnfried dal
1878 non poteva più suonare per
non disturbare la quiete del Maestro... Più tardi tuttavia acquisı̀ uno
Steingraeber a coda da 200 cm da
piazzare a casa sua. Sembra che per
l’anziano Abbé si sia trattato di una
scelta molto soddisfacente: oltre che
nell’intimità della sua abitazione,
infatti, nel 1878 e nel 1882 egli si
esibı̀ alla Rokokosaal suonando proprio su quel modello.
Le ditte di pianoforti oggi tendono a
evitare ai pianisti problemi di adattamento, e offrono cosı` strumenti che si
assomigliano sempre di più nella
meccanica e nel suono. Se è d’accordo
con questa analisi, come si pone
Steingraeber in un simile contesto?
I buoni costruttori di pianoforti si
considerano servitori degli artisti e
della musica. Ne consegue che, ovviamente, ai pianisti non si riservano
mai « brutte » sorprese. E ciò riguarda
soprattutto la meccanica. Oggi vige
un accordo internazionale sugli standard di pesatura e misura proprio per
questioni legate alla meccanica e alla
tastiera, e ovviamente Steingraeber si
attiene ad essi. Tuttavia, per ciò che
concerne la sonorità ogni manifattura
dovrebbe vivere di vita propria. Le
caratteristiche di Steingraeber sono
molto individuali e si ispirano ancora
interamente al pianoforte di Franz
Liszt, con la sua forza, la sua lucentezza e la sua leggerezza. In fatto di
« peso », ad esempio, noi ci allontaniamo, e non di poco, dal concetto
di peso pianistico romantico. Quest’ultimo domina tuttora il mercato;
anzi, oggi il suono è ancora più denso e metallico. Ma con questa tendenza all’uniformità Steingraeber, in
compagnia di altre poche ditte in verità, non ha niente da spartire.
Steingraeber ha brevettato un particolare dispositivo che consente un maggiore controllo della dinamica. Vorrebbe spiegarci come funziona?
Lei intende le Phoenix-Agraffe, vero? Esse aumentano l’efficacia dinamica di un pianoforte fino a quasi il cinquanta percento e forniscono centinaia di armonici aggiuntivi. Tutto ciò
comporta una sonorità inaspettata che
raccoglie sempre più sostenitori, ma
che si è fatta anche molti nemici. Per
i « classici » i nostri Phoenix sarebbero
indicati solo per la musica sperimentale... Anche oggi vi sono colleghi che
applicano soluzioni analoghe ai loro
strumenti (Wayne Stuart & Sons
Newcastle e Paulello, Paris), ma
Steingraeber è l’unico costruttore che
offre queste innovazioni come alternativa, come seconda linea rispetto ai
modelli strettamente classici.
Oltre a Wagner e Liszt, quale altra
musica ama Udo Steingraeber?
Tutto ciò che è buona musica! Ed
essa si trova in tutti i secoli e in tutti
gli stili. I miei figli (Fanny di tredici
anni e Alben di sedici) mi danno lezioni nel campo del pop contemporaneo, ma per me nel cielo musicale
sulla terra rimangono Schubert, Scarlatti, Bach, Alban Berg e Palestrina:
l’ultimo senza pianoforte, eppure per
me irrinunciabile!
Massimo Viazzo
&attualità
La polemica
& Stanotte ho fatto un sogno...
Aspettando Godot? un troppo
celebre western,
Soldier Blue, ci
diceva che perfino
gli indiani avevano imparato. Aspetta la corriera delle paghe del forte e svaligiala. Qui non c’è stato attacco indiano ma una leggenda metropolitana degna dei fioretti di San Francesco: quando il solito fondo statale, sempre insicuro ma alla fine fedele come la
morte, sembrava proprio che questa volta
avrebbe appiedato i reggimenti d’una cavalleria votata a scarse e disinteressanti
battaglie, il Muti coi segni di non belligeranti ferite toccava col « Va pensiero » il
cuore rigido del ministro Tremonti. È un
destino: quando sulle macerie del muro di
Berlino si affollarono tutti a festeggiare la
pace tornata « per sempre », io piansi sui
macelli che si sarebbero anzi sminuzzandosi infittiti. Questa volta avevo sperato
fino in fondo che il Fondo non arrivasse e
che i teatri toccassero il fondo. Forse nulla
ho amato quanto il teatro d’opera; da anni lo diserto, perché il mio cuore è debole
e non ne tollera il disamore. Non applico
la logica triste del tanto peggio tanto meglio, ma del buono (due lire arrivate) nemico del meglio. Era l’occasione per guardarsi dintorno, sbigottiti; come il bambino
che ha avuto alla fine di capricci e scorribande, dalla mamma un sonoro ceffone.
Sognavo un teatro dove si ripartisse impolverati e con quel nulla che passasse il
convento. La densa rete dei teatri di provincia ha mostrato una via possibile. Le
& Le Duc d’Albe
completato in Belgio
« prime » come ritrovi rituali della classe
affluente non hanno che fare con la sempre
difesa, a parole, cultura. La cultura, se
non si può inventare una parola meno obnubilante, non è un possesso né un atto
dovuto. Scoprii il melodramma fra gente
povera ed emarginata, eppure era cosa viva fra loro. Era una condizione da cui si
poteva anche mettersi in viaggio. Non farei discorso diverso per l’università, di cui
son stato parte e testimone. Come in quel
romanzo di Morselli, Contro-passato
prossimo: se avesse vinto l’Austria, nel
1918. La tecnica dei pittori di esaminare
allo specchio le proporzioni di un quadro.
O nell’altro di lui, Roma senza papa.
Ecco, « stanotte ho fatto un sogno »: l’Opera senza Fondo. Vorrebbe dire, anche,
liberarsi dei falsi amici e custodi del baccelHändel
L’estrema opera donizettiana venne
completata per la prima volta nel
1881 dall’allievo Matteo Salvi, il quale si prese molte libertà con il manoscritto originale. Ora l’Opera di
Gand, che allestirà il titolo nel maggio 2012, ha affidato il completamento a Giorgio Battistelli. Sarà un’occasione per riscoprire questa affascinante
opera, che verrà diretta da Paolo
Carignani e vedrà Alexey Kudrya e
Elena Mosuc nei ruoli principali.
www.vlaamseopera.be
« Ci siamo quasi: tra un paio di settimane il Parlamento varerà il regolamento speciale per le fondazioni virtuose », il che vuol dire finanziamenti
su base triennale e facoltà di negoziare il contratto direttamente in teatro.
Cosı̀ si è espresso, il 4 maggio, il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Maria Giro. Soltanto la Scala e
Santa Cecilia beneficeranno dei vantaggi del nuovo statuto, poiché sono
« gli unici due teatri a soddisfare i requisiti richiesti: pareggio di bilancio
negli ultimi cinque anni, elevata produzione artistica e cospicua percentuale del contributo privato rispetto a
quello pubblico ».
Per i suoi dieci anni, il Festival du
Lied, che si tiene nella cittadina svizzera, ha scelto come tema « I canti
della Terra »: interpreti come Anna
Caterina Antonacci, Sandrine Piau,
Julia Kleiter, Sunhae Im, Eric Cutler
e Detlef Roth, cosı̀ come l’Orchestra
da Camera Friburghese, si danno appuntamento qui dal 3 al 13 luglio
2011. www.festivaldulied.ch
Lo Stanley Sadie Handel Recording
Prize 2011 – un premio esclusivamente händeliano ideato in memoria
del grande musicologo inglese – è
stato assegnato al direttore italiano
Fabio Bonizzoni e al suo complesso
La Risonanza per l’incisione, apparsa
su etichetta Glossa, di Apollo e Dafne,
una delle Cantate giovanili più at-
28
linese Annette Dasch e il duo da camera formato da Steven Isserlis e Olli
Mustonen. www.helsinginjuhlaviikot.fi
& Una legge speciale
per la Scala e Santa
Cecilia?
& A Friburgo un Festival
per il Lied
& Un premio
händeliano per
Bonizzoni
laio: una tavola ignuda è per costoro il
più efficiente degli spaventapasseri. Nulla,
del poco che in giro ci è offerto, è veramente scandaloso, uno che si prendesse un
macinino d’auto e corresse per la penisola
da una recita all’altra rischierebbe il collo
ma non la saturazione. Ma è fuggita la
Gioia. Voglio dire la zolla e il progetto,
l’invenzione e il piacere di comunicare.
Questi non sono optionals. Che male ci
sarebbe a tornare allo stadio fuggendo le
partite dei divi superpagati e delle classifiche precombinate? Se vuoi goder il gioco
riparti dalla serie B e C. Come dai western di serie Z, gli unici insostituibili. Si
vedevano con 20 lire. Il teatro « di cultura » apre i battenti trecento sere all’anno.
Siamo anche in questo anomalı´a europea.
Marzio Pieri
& Uto Ughi inaugura il
Festival di San Leo
traenti: una « perfetta conclusione per
l’ambizioso progetto di Bonizzoni di
registrare tutte le Cantate con stromenti
di Händel appartenenti al periodo italiano ».
& Grande musica a
Helsinki
Torna, verso la fine dell’estate (19
agosto-4 settembre), il Festival di
Helsinki, che nel suo cartellone acco-
musica 227, giugno 2011
glie le più diverse manifestazioni artistiche, in un entusiasmo che coinvolge l’intera città e che culmina, il 26
agosto, nella « notte delle arti », un
happening che dura fino alle prime
luci dell’alba. La parte musicale vede
la presenza del’Orchestra della Radio
Finlandese (Seconda di Mahler diretta
da Ingo Metzmacher) e l’Orchestra
Filarmonica di Helsinki, ma anche di
artisti ospiti come Jordi Savall, il pianista cinese Yundi Li, il soprano ber-
Sarà nella splendida cattedrale di San
Leo, sulle note di Vivaldi, che Uto
Ughi aprirà – il 4 luglio – con i Filarmonici di Roma il Festival di S. Leo,
la perla del Montefeltro. Il festival, risorto nel 2010 dopo una lunga pausa,
prevede, tra l’altro, una Maratona
Liszt con i pianisti Marco Forgiane e
Manuel Clerici e un’esecuzione della
Petite Messe Solennelle di Rossini, con
il Coro Petrassi. Per informazioni, tel.
800553800.
& Registrazioni gratuite
alla Library of Congress
La statunitense Library of Congress
ha lanciato « National Jukebox »
(www.loc.gov/jukebox), un sito che
dà accesso libero ad oltre diecimila
registrazioni effettuate tra il 1901 e il
1925 e che derivano dagli archivi
RCA e Columbia, spaziando da Al Jolson a Enrico Caruso, Rachmaninov,
Nellie Melba e George Gershwin. Vi
troverete anche la scansione completa
dell’impagabile « Victrola Book of the
Opera », del 1919.
& Menotti ricordato nel
paese di nascita
Per ricordare il centenario della nascita di Gian Carlo Menotti, dal 7 al 10
Luglio 2011, il paese di Cadegliano,
in provincia di Varese, si trasformerà
in un luogo d’arte. Il programma del
Festival, totalmente dedicato al com-
negli ultimi tre anni hanno trovato
in uno strumento musicale un tesoro, anzi, una « Pepita »: tale è il nome del progetto di Children in Crisis Italy che, ispirandosi al modello
di Abreu, ha l’obiettivo di creare
un’orchestra giovanile classica nel capoluogo lombardo, offrendo gratuitamente l’opportunità di ricevere
un’istruzione musicale e di far parte
di un’orchestra. La partecipazione al
progetto Pepita non prevede una
esperienza musicale pregressa, non
intende formare professionisti ma
un’orchestra musicale su base amatoriale. Con oltre mille ore di insegnamento musicale, quattordici docenti
appassionati e soprattutto, l’assiduo
impegno di ottanta giovani milanesi
e delle loro famiglie, i risultati sono
già visibili e l’Orchestra si è già esibita in diverse occasioni e in teatri
importanti di Milano, come il Teatro dal Verme e il Teatro degli Arcimboldi. www.childrenincrisis.it
& Alberto Veronesi e
Fabio Vacchi al
Petruzzelli
Il Consiglio d’Amministrazione della
Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari
ha nominato ufficialmente Alberto
Veronesi direttore musicale del teatro,
mentre Fabio Vacchi sarà compositore residente dal 2012 al 2016.
& Padova celebra
Teresa Rampazzi
Gian Carlo Menotti
Teresa Rampazzi è stata la prima
donna in Italia a occuparsi di musica
elettroacustica e di computer music.
Una bad girl degli anni cinquanta,
amica di Cage, Maderna, Bussotti e
Donatoni, con il suo lavoro ha for-
positore, celebrerà tutte le arti nelle
piazze, nei parchi e nelle ville Liberty
del paese. www.cadeglianofestival.
com
& A Muti il Premio
Principe delle Asturie
Oltre ai premi di cui si parla nell’intervista con Alberto Cantù, Riccardo
Muti ha ricevuto il prestigioso riconoscimento spagnolo per la sua vocazione di ricerca e per la formazione
umanista che « fa onore alla tradizione
classica del direttore capace di estrarre
lo spirito di ogni opera attraverso le
migliori qualità dell’orchestra ».
& Il progetto Pepita
Sono già ottanta i ragazzi milanesi
tra gli otto e i diciannove anni che
Teresa Rampazzi
musica 227, giugno 2011
29
&attualità
mato e influenzato gli odierni protagonisti della scena musicale italiana.
Nei dieci anni dalla sua scomparsa
l’Università di Padova e il Conservatorio la ricordano il 21 giugno 2011,
con una giornata di testimonianze,
interventi a carattere scientifico,
ascolti e proiezioni inedite.
zart proposta da Pappano a Roma, il
ritorno di Maurizio Pollini, con Mozart, per festeggiare il suo settantesimo compleanno (a gennaio) e l’esecuzione della Prima Sinfonia di Elgar,
partitura stranamente assente dai repertori delle nostre orchestre. Importante si preannuncia la serata del 20
novembre, quando Claudio Abbado
unirà le forze della sua Orchestra
Mozart e quelle di Santa Cecilia nell’esecuzione delle musiche di scena
per il Re Lear di Shostakovich, insieme alla proiezione del film di Grigory
Kozincev. E non va dimenticato il
periodo di residenza, in novembre,
dell’Orchestra del Mariinksy con Valery Gergiev, che completerà il suo
progetto mahleriano, né la presenza,
nel corso dell’anno, di musicisti del
calibro di Maazel, Kissin, Dudamel,
Conlon, Luisi, Temirkanov. Tutto il
& Santa Cecilia apre
con l’Ottava di Mahler
Sarà la Sinfonia « dei mille » di Mahler
(di cui parla Riccardo Cassani su questo numero) a dare il via, il 22 ottobre, al cartellone 2011-12 dell’Accademia di Santa Cecilia, sotto la bacchetta di Antonio Pappano. Per l’occasione, al Coro ceciliano si unirà il
China National Chorus. Fra gli appuntamenti successivi segnaliamo la
prima esecuzione del Requiem di Mo-
Antonio Pappano
Ci hanno lasciato
Alda Noni
Scrive Gianni Gori:
Sabato 14 maggio a Cipro, dove da
anni viveva, con la figlia, si è spenta
ALDA NONI, leggendaria protagonista della lirica tra gli anni quaranta e
sessanta, uno dei più celebri sopranisoubrette del Novecento, indimenticabile nei ruoli mozartiani e
30
donizettiani. Era nata a Trieste il 20
aprile 1916.
Esordiente nel 1936 al Teatro Verdi
nella parte di Biancofiore in Francesca
da Rimini di Zandonai, aveva poi
cantato a Lubiana nel 1937 (Rosina
nel Barbiere di Siviglia).
Nella Trieste della mia remota infan-
musica 227, giugno 2011
zia Alda Noni era un mito. Era la Diva in formato paggio-Oscar, l’incarnazione della giovinezza in forma canora, la voce scintillante d’oro filato
in un cast che nei foschi anni di guerra poteva esprimere persino un’autarchia di lusso: Tatiana Menotti, Rodolfo Moraro, Franca Somigli, Giovanni Vojer, Rina Pellegrini, Silvio
Maionica. E la Noni appunto. L’ascoltavo e la vedevo non solo a teatro. E ancora la rivedo nel ricordo attraversare un giardino: quello che la
mia famiglia ha condiviso per molti
anni con la famiglia del direttore
d’orchestra Nino Verchi, pianista e
talento formidabile. L’immagine è
quella ventenne di Alda Noni (viene
spesso in casa Verchi, con altri colleghi, a preparare le sue interpretazioni). Alda ovvero Adina o meglio ancora la femminilità temperamentvoll,
l’incarnazione composita di Assia Noris e Marika Rökk impastata di sensuale simpatia. Già consacrata a Vienna, prepara l’Elisir che sarà diretto
dallo stesso sovrintendente del Verdi:
Giuseppe Antonicelli. Sfarfallano trilli
e vocalizzi tra gli alberi del giardino.
Idillio musicale al profumo di tiglio.
La Noni irradia spigliate seduzioni
come una figurina di Schnitzler vestita da Dudovich. E fila suoni vispi,
asprigni e zuccherini. Niente di più
lontano dai sibili delle bombe che
presto squarceranno la primavera. Se
ne va su e giù, la Noni, per l’Europa
in fiamme. Ha appena dato voce, rassicurante, ammiccante a un film di
Géza von Cziffra dove canta « Kauf
dir einen bunten Luftballon ». Tre
settimane prima che le bombe squarcino la Staatsoper di Vienna, emozio-
na Richard Strauss, cantando una
Zerbinetta incandescente di arguzia e
fantasia, ancora documentata da una
leggendaria registrazione discografica.
Il vecchio maestro non riesce a trattenere un sonoro « bravo! » al termine
dell’aria asperrima. Per vent’anni la
sua tecnica adamantina, la sua sensuale malizia, la sua musicalità assoluta
unita allo sbalzo quasi visivo della parola e del sorriso intrecceranno modelli stilistici insuperati: Norine, Zerline, Despine, Rosine, Gilde, Nannette, Laurette. Accanto a partner
stellari, da Mariano Stabile e Sesto
Bruscantini a Cesare Valletti e Giuseppe di Stefano. Nello charme della
sua personalità brillava la civiltà mitteleuropea della Leggerezza, che la
Noni aveva in comune con l’intelligenza di artiste come Irmgard Seefried o come l’amica Elisabeth
Schwarzkopf, che proprio a Trieste
aveva rivisto alla fine degli anni settanta durante una memorabile master
class sul Lied romantico, alla quale
aveva preso parte anche la figlia della
Noni, il soprano Tiziana Sojat.
Tra le incisioni del soprano segnaliamo, oltre all’Ariadne viennese diretta
da Karl Böhm ( DG ), Don Pasquale,
L’elisir d’amore Il matrimonio segreto e
Le nozze di Figaro realizzate per la
Cetra, un Falstaff dal vivo con De Sabata alla Scala (Memories) e la Cenerentola di Gui realizzata a Glyndebourne per la EMI. In DVD si trova il
Don Pasquale televisivo con Valletti e
Italo Tajo (Hardy) e un Elisir d’amore
giapponese del ’59 accanto a Ferruccio Tagliavini (Encore). Un’intervista
con la Noni è stata pubblicata sul n.
181 di MUSICA.
programma è leggibile su www.santacecilia.it
& Una giornata in
ricordo di Paolo Silveri
Il 14 giugno si terrà, al Conservatorio
« A. Casella » dell’Aquila, una giornata
in ricordo del baritono abruzzese
Paolo Silveri a dieci anni dalla scomparsa, con la partecipazione di Mariella Devia. Il programma prevede
una conferenza che ripercorrerà la
carriera di Silveri, quindi una conferenza stampa di presentazione di una
ra barocca di Hopkinson Smith, con
Ensemble Cordia e con De Labyrintho. La parte centrale del Festival, che
quest’anno porta il titolo « Note di
viaggio » (21 agosto-4 settembre) apre
con l’Orchestra del Festival diretta da
Gianandrea Noseda (musiche di Shostakovich e Brahms) e termina con
l’Orchestra del Gewandhaus guidata
da Riccardo Chailly. Non manca,
poi, il consueto appuntamento con
l’opera in forma semiscenica:
quest’anno la Lucia donizettiana.
www.stresafestival.eu
& Musica ad alta quota
in Trentino
Paolo Silveri
serie di iniziative editoriali e discografiche. Per finire, alle 18.30, il concerto della Devia e di Silvia Silveri, figlia
del baritono.
& Il violoncello di David
Geringas per lo Stresa
Festival
Le Settimane Musicali di Stresa arrivano al cinquantesimo anno: un traguardo prestigioso, che un cartellone
ricchissimo celebra degnamente. Si
parte con la sezione « Meditazioni in
musica » (29 luglio-5 agosto) e l’integrale delle Suites per violoncello all’Eremo di Santa Caterina del Sasso a
Leggiuno, con il lituano Geringas come solista, e si prosegue con la chitar-
Si terrà al cospetto delle Pale di San
Martino di Castrozza, nella Valle di
Primiero, da lunedı̀ 4 a sabato 9 luglio 2011 la sesta edizione del Primiero Dolomiti Festival Brass, rassegna
trentina dedicata alla musica per ottoni. Il concerto inaugurale sarà affidato
al Bozen Brass (4 luglio), quintetto
d’ottoni sudtirolese il cui repertorio
spazia con disinvoltura dal barocco al
blues. Il giorno dopo toccherà al duo
Rava-Bollani conferire una nota jazz
al cartellone, mentre chiudono la manifestazione i concerti del Quintetto
d’Ottoni e Percussioni della Toscana
(8 luglio) e del Piazza Brass Ensemble (9 luglio). www.primierodolomitifestival.it
& Un omaggio a
Giuseppe Valdengo
A Casale Monferrato, città in cui visse
a lungo il grande baritono, è stato intitolato a Giuseppe Valdengo il ridotto del Teatro Municipale, alla presenza della vedova Maria. Si tratta di un
salotto di gran classe, calato nel centro del mondo musicale piemontese,
David Geringas
Giuseppe Valdengo
con oggetti di teatro, spartiti, cimeli e
costumi di scena. Nel corso della serata inaugurale, il 5 maggio scorso, si
sono alternati momenti di rievocazione storica (a cura di Giancarlo Landini) e testimonianze di grandi colleghi
di Valdengo, fra cui Rolando Panerai
e Carlo Bergonzi.
&vetrina
a cura di Nicola Cattò
novità e curiosità dal mondo del disco
Nella barra posizionata sotto ogni disco è indicato il distributore di ogni etichetta discografica
Aleksis Kivi, opera del 1996 di Rautavaara, è dedicata all’omonimo poeta
finlandese, morto a soli trentotto anni
e considerato lo scrittore nazionale per
eccellenza: il libretto, che attinge ai
suoi testi, mescola con sapienza tragedia, umorismo e fantasia. Nel DVD della
ONDINE il ruolo del titolo è impersonato dal baritono Jorma Hynninen.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
Spettacolo storico, questo che finalmente possiamo gustare in video nel
DVD ARTHAUS: la Turandot viennese
del 1983, infatti, vedeva alla guida dei
favolosi Wiener Philharmoniker un
Maazel all’altezza del suo talento e sul
palco la grande Eva Marton, una Ricciarelli che tornava al « suo » ruolo di
Liù e un Carreras ancora ammaliante.
Ducale, Brebbia (Va)
32
Il Motezuma di Vivaldi, che debuttò a
Venezia nel 1733, è un’opera piuttosto
originale: non si parla d’amore, ma
dell’oppressione di una cultura, e il
protagonista appare piuttosto sbiadito
innanzi al potente tratteggio del personaggio di Mitrena. In prima mondiale
in DVD ce lo propone ora DYNAMIC, con la regia di Stefano Vizioli.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
Nell’anno mahleriano, EUROARTS
ci propone un film sul compositore
boemo: una lettura realistica, aliena da
miti e suggestioni romantiche, che accosta suoni, colori, immagini come
Mahler stesso li visse e li conobbe. La
vita del compositore è raccontata tramite i suoi oggetti, rievocando l’anima
di un uomo, e non un monumento.
Ducale, Brebbia (Va)
musica 227, giugno 2011
Opera affascinante e misteriosa, la Donna di picche di Ciaikovski sa unire gli accenti spettrali della contessa che muore
sussurrando un minuetto di Grétry e
un intermezzo pastorale in stile mozartiano: da gustare ora nella qualità del
BLU-RAY OPUS ARTE in un allestimento con la regia di Gilbert Deflo
che proviene dal Liceu di Barcellona.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
La musica di Mozart è spia infallibile
del valore di un cantante: azzeccata,
quindi, appare la scelta del giovane soprano tedesco Mojca Erdmann la quale, per il suo debutto con DG, sceglie
una serie di arie mozartiane e di compositori contemporanei, quali J.C.
Bach, Holzbauer e Paisiello. Andrea
Marcon dirige La Cetra di Basilea.
Universal Music Italia, Milano
Il progetto del balletto La petite danseuse de Degas, che ARTHAUS ci
presenta in DVD, nasce dall’idea di tradurre l’intrinseca modernità di questa
storia ottocentesca tramite la musica e
la danza. Un’idea che ben presto si è
sovrapposta all’esplorazione dell’Opéra di Parigi, luogo simbolo della fusione fra sublime e grottesco.
Ducale, Brebbia (Va)
Il ventottenne montenegrino Miloš
Karadaglić è uno degli astri nascenti
della chitarra. Ha tenuto concerti applauditissimi alla Wigmore Hall, al
Festival di Lucerna. Naturale conseguenza è l’album di esordio con DG,
che contiene alcuni dei brani più celebri del repertorio chitarristico e un
DVD bonus di 30 minuti.
Universal Music Italia, Milano
Giunge a compimento l’integrale quartettistica beethoveniana che gli Artemis
hanno inciso per VIRGIN: in questo
CD ascoltiamo due fra i primi quartetti
(nn. 3 e 5 dell’op. 18) e l’estrema op.
135, composta nell’ottobre 1826, ultima composizione di Beethoven a essere
portata a termine. Un traguardo invidiabile per l’ensemble cameristico.
Emi Music Italy, Milano
Dopo il successo dell’album dedicato
a Mendelssohn, lo Swiss Piano Trio
torna a incidere un SACD per AUDITE, questa volta scegliendo l’op. 63 e
l’op. 80 di Schumann: si tratta di brani complessi, che richiedono agli esecutori un dominio tecnico assoluto
per poter esaltare le delicate sfumature
e i legami interni della musica.
Sound and Music, Lucca
Dopo la Creazione nel 2009, Sir Colin
Davis e la London Symphony Orchestra affrontano l’altro grande oratorio
di Haydn, ossia Le stagioni, che dipinge il ciclo vitale della natura tramite
gli occhi di tre contadini. Un cast di
grande prestigio, in cui spicca Miah
Persson, per questi due SACD a prezzo
speciale dell’etichetta LSO LIVE.
Sound and Music, Lucca
Ariodante è uno dei maggiori capolavori di Händel, composto nel 1735
per le eccezionali voci del castrato Carestini e della primadonna Strada del
Pò: alla fortunata discografia si aggiunge questa nuova incisione VIRGIN,
che promette scintille grazie a un cast
in cui spicca la stella di Joyce DiDonato. Dirige l’esperto Alan Curtis.
Emi Music Italy, Milano
In prima incisione mondiale SUPRAPHON ci propone alcuni concerti di
Antonı́n Reichenauer, compositore ceco del periodo barocco che, dopo
Fasch, fu compositore di corte al servizio del conte Morzin. Musica Florea è
l’ensemble che, nel CD, esegue questi
lavori concertanti, la cui ricchezza timbrica colpirà chi non li conosce ancora.
Sound and Music, Lucca
HYPERION ci offre, in due CD al
prezzo di uno, l’integrale delle sonate
per flauto di Bach nella lettura di Lisa
Beznosiuk. Scritti fra il 1720 e il
1741, anni in cui il flauto dritto veniva sostituito da quello traverso, questi
lavori sono una celebrazione delle
possibilità timbriche e tecniche del
nuovo strumento.
Sound and Music, Lucca
Il Falstaff napoletano del 1961 è ben
noto a tutti gli appassionati, per il parterre de roi in cui convivono Tito
Gobbi nei panni del protagonista,
Renata Tebaldi e Mirella Freni come
Alice e Nannetta d’eccezione, nonché
Renato Capecchi e Fedora Barbieri.
Serve altro per consigliare i due CD a
prezzo di uno curati da URANIA?
Sound and Music, Lucca
Sound and Music, Lucca
Del catalogo di Florent Schmitt, oggi
piuttosto dimenticato, solo La tragédie
de Salomé viene ancora oggi eseguita:
ed è proprio questo poema sinfonico,
composto per piccola orchestra, che è
inciso sul CD CHANDOS, assieme al
Salmo 47 e a Le palais hanté, tratto da
un racconto di Poe. Dirige Yan Pascal
Tortelier.
Sound and Music, Lucca
Steve Reich è certamente il padre del
minimalismo contemporaneo, ma anche una fonte di ispirazione per musicisti pop e rock come Brian Eno; nel
SACD CHANDOS – in offerta fino al
31/7 – ascoltiamo il suo più importante lavoro sinfonico, The Desert Music,
per coro e grande orchestra, ispirato
dall’atmosfera del deserto del Mojave.
Sound and Music, Lucca
I CD di Jordi Savall sono anzitutto il
frutto di un meditato progetto artistico: e dopo il successo di L’orchestra di
Luigi XIII (Philidor l’Aisné) e L’orchestra del Re Sole (Lully), il musicista catalano sceglie, sempre per ALIA
VOX, di dedicarsi a Rameau, incidendo, con L’orchestra di Luigi XV,
quattro suite orchestrali del francese.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
I tre CD a prezzo speciale di URANIA sono il prezioso risultato di una
sinergia, realizzatasi negli anni ’50, fra
Rca e Decca, che ha permesso questo
Don Giovanni dal cast irripetibile: troviamo infatti il nobile seduttore di
Cesare Siepi, il favoloso Ottavio di
Cesare Valletti, oltre a Fernando Corena, Leontyne Price e Birgit Nilsson.
Philippe Herreweghe torna, con la
sua etichetta PHI, ai Mottetti di Bach,
dopo molti anni dalla sua prima incisione: alla luce delle ricerche più recenti, Herreweghe ha fatto piazza pulita degli arbitri incrostatisi negli anni,
per riportare in vita le pratiche esecutive in vigore a Lipsia negli anni della
composizione di questi brani.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
musica 227, giugno 2011
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Con questo CD i Sixteen iniziano, su
etichetta CORO, una collana dedicata a Palestrina, ogni volume della quale sarà incentrato su di una messa e su
un tema ad essa attinente: si parte
quindi con l’Assunzione e alcuni fra i
ventinove arrangiamenti del Cantico
dei Cantici, che nel Rinascimento erano usati come lodi alla Vergine Maria.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
In prima mondiale l’incisione (per
CAPRICCIO) della colonna sonora
di Metropolis, celeberrimo film di Fritz
Lang che oggi finalmente può dirsi
completo grazie al ritrovamento di una
bobina mancante: Frank Strobel (che la
eseguirà anche il 5/6 alla Scala) con
l’Orchestra della Radio di Berlino ne
offrono una versione emozionante.
Ducale, Brebbia (Va)
Senza fare una classifica, è indubbio
che la Seconda di Mahler sia una delle
sinfonie più registrate di questi ultimi
anni, forse per il suo carattere tormentato che sfocia in un finale di speranza: da LPO giunge ora la stuzzicante lettura di un grande, giovane
talento, ossia Vladimir Jurowski, che
del complesso è direttore stabile.
Codaex Italia, Milano
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Il CD RICERCAR è dedicato allo sconosciuto Giovanni Giorgi, maestro di
cappella a San Giovanni in Laterano nel
1719 e morto a Lisbona nel 1762: la
scoperta della sua musica è stata un colpo di fulmine per il giovane direttore
argentino Leonardo Garcı́a-Alarcón,
che ha scelto una Messa concertante e
vari mottetti tratti dall’ampio catalogo.
Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb)
Meredith Monk è un’artista che occupa un ruolo centrale nel catalogo
ECM. Questo nuovo atteso album arriva dopo Impermanence del 2007. Con
l’impiego di un quartetto d’archi, due
gruppi vocali e percussioni, oltre alla
propria voce, Songs of Ascension (ispirata a una raccolta di salmi) è tra le sue
più ambiziose avventure musicali.
Ducale, Brebbia (Va)
E dopo la Seconda, ecco la Terza, altra
grande favorita dei cataloghi discografici: e benché in musica non si possano mai prevedere gli esiti, ci sentiamo
di dire che affidarla a Mariss Jansons e
all’Orchestra del Concertgebouw – il
complesso mahleriano par excellence –
sia davvero la miglior scelta possibile.
Un disco RCO LIVE.
Codaex Italia, Milano
musica 227, giugno 2011
L’ensemble El Mundo continua nella
sua opera di diffusione della musica
antica spagnola: questa volta, nel CD
DORIAN, il direttore, il chitarrista
Richard Savino, ha posto l’obiettivo
sull’influenza della cultura castigliana
nei paesi limitrofi e attraverso l’Atlantico, mescolando umori e tendenze
autoctone con la tradizione cattolica.
Ducale, Brebbia (Va)
Questo CD della QUARTZ contiene
una raccolta di lavori pianistici di Michael Nyman, uno dei compositori
britannici più celebri, e guru del minimalismo in musica, suonati da Ksenia
Bashmet, figlia del celebre violista Yuri. Non manca il tema del celebre film
Lezioni di piano: sono presenti, insomma, tutti gli ingredienti del successo!
Codaex Italia, Milano
« Ho sempre pensato che la mia prima
incisione sarebbe stata dedicata a Liszt,
l’unico in grado di presentare le varie
sfaccettature della mia anima », scrive
la georgiana Khatia Buniatishvili sul
suo album di debutto con SONY
che, naturalmente, all’ungherese è dedicato: fra le pagine scelte, la grande
Sonata e il vorticoso Mephisto Waltz.
Sony Music, Milano
Al di là delle ormai fugate dicerie sulla
sua responsabilità nella morte di Mozart, rimane il fatto che Antonio Salieri
fu compositore di corte per una trentina d’anni a Vienna: il motivo lo si capisce benissimo da questo CD CAPRICCIO, che contiene due concerti
e la Sinfonia « La Veneziana », che rivelano il talento di un grande operista.
Ducale, Brebbia (Va)
Su SACD NEOS un’importante incisione di due lavori di Niccolò Castiglioni, ossia la pagina sinfonica Altisonanza e l’oratorio Le favole di Esopo;
scomparso nel 1996, Castiglioni attraversò nel suo percorso l’esperienza dodecafonica e lo strutturalismo, per
giungere ad un linguaggio personale,
libero e dalla strumentazione luminosa.
Codaex Italia, Milano
Un CD graditissimo questo proposto
da SONY, dedicato al sigaro: l’Ensemble Huelgas ha scelto sedici fra
Lieder, ballate e canzoni degli ultimi
cinque secoli che provengono dalle
tradizioni cubane, spagnole, francesi,
inglesi e tedesche, tutte in onore del
sigaro e del tabacco. Non resta che lasciarsi sedurre dall’aroma!
Sony Music, Milano
Il Nazismo e i Berliner.
La storia di uno sfruttamento reciproco.
“Vale la pena leggere
il libro di Misha Aster
per ragioni che vanno
ben oltre l'interesse
verso la storia dei Berliner Philharmoniker” (Frankfurter Allgemeine)
“Ha raggiunto il suo
scopo, quello di una
rappresentazione
completa, supportata
dai fatti, delle relazioni tra due unità collettive, ossia l'orchestra
e il regime nazionalsocialista” (Süddeutsche Zeitung)
“È incredibile che un
libro del genere non
sia uscito molto prima” (Die Welt)
Misha Aster
L’Orchestra
del
Reich
I Berliner Philharmoniker e il Nazionalsocialismo
Presentazione di Claudia Fayenz
pag. XII+340, cartonato, euro 25,00
Nel 1933, quando Hitler viene nominato cancelliere del Reich, i Berliner Philharmoniker sono in gravissima
crisi economica: ma Joseph Goebbels, potentissimo neo-ministro per l’educazione del popolo e la propaganda,
intuisce che l’orchestra può essere un formidabile strumento di propaganda. Decide quindi non solo di salvarla,
ma di farne una branca del proprio ministero: i musicisti, da imprenditori, diventano dipendenti pubblici,
perdendo la propria indipendenza ma acquisendo dei privilegi inauditi fra cui salari regolari e generosi,
prestigio, fama e – più importante di tutti – l’esenzione dalla leva militare. Il libro dello storico canadese Misha
Aster è il primo tentativo di far luce su questo singolare rapporto di sfruttamento reciproco fra l’orchestra e il
Nazismo, attraverso un’analisi scrupolosa, documentata e imparziale degli aspetti culturali, sociali, economici e
politici, con un occhio di riguardo verso la figura di Wilhelm Furtwängler, la cui ambiguità nei confronti della
barbarie nazista riflette in maniera esemplare la ricchezza di sfumature del rapporto fra arte e politica di quegli
anni. Uno squarcio storico affascinante e attualissimo, documentato e obiettivo.
DISPONIBILE
DAL
20
GIUGNO
2011
Zecchini Editore
Troverete il libro: nelle migliori librerie, on-line visitando il sito www.zecchini.com,
oppure potete usufruire del modulo d’ordine contenuto nell’ultima pagina della rivista
DIRETTORI
Incontro con Riccardo Muti, tornato a Ravenna per Pasqua. Una chiacchierata quattro
giorni dopo il rientro da New York: Carnegie
Hall, Chicago Symphony, concerti trionfali
con venti minuti di standing ovations.
Conversazione
con Riccardo Muti
Un amore « da matrimonio » con la Chicago Symphony
di Alberto Cantù
Nel colloquio Chicago è come la madeleine proustiana. Fa
riandare l’interlocutore a remoti decenni statunitensi che dal
passato volgono al presente. Ne nasce un gioco continuo di rimandi, sul filo del ricordo o della riflessione, fra USA e Italia,
grande musica e grandi problemi della musica.
Negli anni settanta, quando iniziò la mia avventura americana,
diressi numerose orchestre tra cui la Chicago, la Boston Symphony e la Philadelphia Orchestra. Con la Philadelphia fu
amore forte e improvviso. Si sviluppò in una serie di concerti
estivi. Un’intesa estiva, o meglio un violento atto d’amore; un
legame durato dal 1972 al 1992 e coronato da una pubblicazione ad hoc e a ricordo (« I venti anni di Riccardo Muti alla
Philadelphia Orchestra »).
Dal 1976 Riccardo Muti fu direttore principale ospite – dopo il
regno di Eugene Ormandy durato più di quaranta anni – e dal
1979 direttore musicale e artistico del complesso statunitense.
Con un mare di dischi per la EMI – praticamente tutto il grande
repertorio sinfonico – riversati su CD, raccolti in cofanetti, oggi
allegati pure a riviste ed esposti festosamente in edicola.
Nell’86, quando fui nominato direttore musicale alla Scala, ritenni opportuno lasciare Filadelfia. Sarebbe stato troppo gravoso seguire seriamente due istituzioni: una basta e avanza.
Poi, quando lascia la Scala nel 2005, la libertà...
Mi sono trovato alla testa dei Wiener Philharmoniker e con
oltre orchestre in tournée a New York e altrove. In giro, finalmente, senza preoccupazioni, dopo essere stato a lungo direttore stabile, con tutto il carico di impegni che questo comporta. Ho potuto insomma gustare la libera attività; assaporarla
con i vantaggi che offre: tempo di cui puoi disporre come
vuoi, senza appuntamenti fissi, senza attività amministrative
sulle spalle.
Insomma. Me ne andavo a dirigere a Salisburgo come a Vienna in santa pace. Potevo tornare a capo dei Filarmonici berlinesi con cui avevo avuto un rapporto strettissimo fino alla
morte di Karajan.
Non pensavo più a un « futuro americano » anche se dirigevo regolarmente negli USA oltre che per l’Europa. Mi
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musica 227, giugno 2011
accorsi però, negli spostamenti europei, che a Parigi e a
Londra, ad esempio, veniva sistematicamente a farmi visita
la presidente dell’orchestra di Chicago, Deborah Rutter.
La Rutter mi chiese di dirigere concerti con la sua orchestra,
anche di seguirla in una tournée. A dire il vero, non ne avevo
molta voglia. Tra l’altro, per due volte mi ero trovato a declinare la proposta di direttore stabile della New York Philharmonic e la situazione diventava imbarazzante: no a New
York, si a Chicago... mah?
Mi pesava, poi, l’idea di ulteriori viaggi oltre Atlantico. Ancora. Non avevo più desiderio di incontrare nuove orchestre, visto che lo avevo fatto sempre: dagli anni di gavetta – quelli che
non esistono più per i direttori d’oggi – ai decenni con i colossi
del sinfonismo.
L’insistenza della Rutter ma anche Chicago, città sul lago Michigan di bellezza straordinaria, con una grande storia e nuove
splendide architetture cresciute in questi ultimi anni, con Enrico
Fermi, cui è dedicata parte dell’Università, che lı` compi il primo esperimento nucleare. Chicago ovvero la svolta.
Infatti. Dopo trent’anni anni di vincoli, mentre pensavo a
concerti « normali ma senza matrimonio alcuno », la tenacia
della Rutter e il fascino di Chicago hanno avuto la meglio.
Misi in programma, per il primo concerto-esperimento, la Sesta Sinfonia di Ciaikovski: la Patetica. Tempo poche battute,
trovai una rispondenza, un voler lavorare appassionato, unici.
Questo dopo esserci studiati reciprocamente come fanno gli
animali e come peraltro capita con qualsiasi grande direttore
e grande orchestra quando si incontrano e vogliono verificare
se quanto hanno letto e ascoltato o sentito dire corrisponde o
meno a verità e come.
Mi accorsi subito di qualcosa di straordinario. Ogni cosa che
chiedevo, con braccio e parole. aveva una risposta immediata e intensa, fatta di afflato ed emozione autentici. Da uno,
due, tre concerti nacque una tournée europea che toccò anche Roma e Torino, Londra e Parigi. Era sbocciato un
amore « da matrimonio » mentre si faceva infatti sempre più
forte, nell’orchestra, il desiderio di avermi come direttore
musicale.
musica 227, giugno 2011
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Foto di Silvia Lelli, cortesia www.riccardomuti.com
E qui viene il « dopo Daniel Barenboim »...
Barenboim infatti era andato via. Due direttori quali Pierre
Boulez e Bernard Haitink si dividevano gli impegni della Chicago Symphony in una sorta di interregno prestigiosissimo ma interlocutorio.
Ricevetti più di sessanta lettere individuali piene di affetto e di ammirazione in
cui ogni strumentista esprimeva il desiderio di fare musica continuativamente
con me.
Nel 2008 la scintilla si è cosı̀ rinnovata.
Come sempre, la richiesta è venuta dall’orchestra: come a Firenze, a Londra e
alla Scala. Ero titubante ma un movimento cosı̀ appassionato e un amore talmente contraccambiato, mi convinsero
Si partı` con la Messa da Requiem di
Verdi, solisti Barbara Frittoli, Olga Borodina, Mario Zeffiri e Ildar Abdrazakov. È il Requiem confluito su due CD: emissione autoprodotta
dall’orchestra, come fanno tanti grandi complessi internazionali
di fronte alla crisi del mercato discografico, registrando tutti i loro concerti e poi scegliendo cosa pubblicare. È l’edizione del Requiem che in breve si è guadagnata due Grammy Award: il primo per il miglior album classico in assoluto, il secondo per il miglior album corale. E che il coro di Chicago sia una favola di
emissione impeccabile, dolcezza e pienezza, flessibilità e colori
è indiscutibile...
Proponemmo il Requiem nel settembre 2010 al Millenium Park
in un concerto « Per Chicago » con trentamila persone – il parco venne chiuso per ragioni di sicurezza – dove i due grattacieli
che si fronteggiavano portavano, rispettivamente, le insegne
« CSO » e « MUTI » in un luminoso, ideale abbraccio. Il sindaco,
poi, volle che per un mese la Michigan Avenue prendesse il
nome Riccardo Muti.
Avventura splendida ma con un incidente di percorso qualche
mese dopo: l’aritmia cardiaca, una brutta caduta dal podio che
ha reso necessario una peraltro eccellente ricostruzione facciale.
Cure sapienti e medici che hanno parlato di cuore sanissimo dopo che un pacemaker ha corretto tale aritmia e mantiene soltanto
funzione di garanzia, di monitoraggio precauzionale.
In questo frangente l’orchestra mi è stata vicinissima anche con
lettere assolutamente affettuose. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, due gruppi della Chicago Symphony, uno di ottoni
e un altro d’archi, hanno tenuto due giorni di concerti come
ringraziamento per le cure prestate, con la commozione dei pazienti, mia, di amici e della mia famiglia.
Non solo Grammy e, nel 2010, il titolo , il titolo di Musicista
dell’Anno assegnato da « Musical America » ma anche, di recente, l’Opera News Award e il Premio Birgit Nilsson, il più ricco
nel mondo della musica colta.
Questo 17 aprile « Opera News » mi ha conferito appunto l’Opera News Award. A consegnarmelo è stato Francis Coppola,
regista de « Il padrino » e pure mio parente per parte di madre,
tanto che siamo lontani cugini. Si è poi aggiunto il Premio Birgit Nilsson, lascito di una fondazione voluta dal grande, scomparso soprano wagneriano e straussiano, la formidabile cantante
svedese. Conferito la prima volta a Placido Domingo, il Premio
viene assegnato ogni due anni a un artista del teatro e della musica dai criteri specialissimi: quelli stabiliti da una giuria internazionale di sette persone che decreta il riconoscimento all’una-
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musica 227, giugno 2011
nimità. O tutti d’accordo, o niente. Il riconoscimento consiste
in un milione di dollari e la cerimonia di consegna è prevista 13
ottobre prossimo al Teatro Reale dell’Opera di Stoccolma alla
presenza della famiglia reale svedese.
L’Opera News Award ha coinciso con
l’ultimo dei concerti con la Chicago Symphony tenuti nell’aprile alla Carnegie
Hall di New York. In programma, una
versione da concerto dell’Otello di Verdi;
Berlioz con la Sinfonia Fantastica e il
suo séguito, Lélio, voce recitante di Gérard Depardieu come a Salisburgo; un’ouverture di Cherubini, il poema sinfonico
Les Préludes di Liszt e la Quinta Sinfonia di Shostakovich. Il tutto, fra concerti pomeridiani e serali, preparato in meno
di quarantotto ore.
Sono stati appuntamenti straordinari, la
stampa ha scritto di un passaggio tempestoso, di « Muti che ha preso Manhattan by storm », di un’orchestra che ha stabilito un legame ancora più forte con il suo direttore musicale e, cosa che mi ha davvero inorgoglito, che il complesso ha ritrovato il livello sommo dei tempi di Fritz Reiner.
Da Ravenna a Chicago passando per Salisburgo con l’ultima
edizione mutiana del Festival di Pentecoste, che quest’anno cade
nella prima metà di giugno. In scena, I due Figaro di Saverio
Mercadante su libretto di Felice Romani, sequel di Barbiere e
Nozze, dove Cherubino si spaccia per Figaro. Lavoro scritto
nel 1826 per Madrid che descrive un arco tra la scuola napoletana
ormai declinante e il nuovo stile rossiniano ornando il tutto con
stilemi iberici. Un unicum, insomma, che si vale della nostra
Orchestra Cherubini con Muti e del coro dei Wiener Philarmoniker e vede la regia di Emilio Sagi.
Il manoscritto de I due Figaro proviene dalla Biblioteca del
Conservatorio di Madrid e l’allestimento è una coproduzione
tra il Festival di Salisburgo, Ravenna Festival e il Teatro Reale
di Madrid. Gérard Mortier, direttore artistico del Teatro madrileno, vorrebbe creare un gemellaggio fra la città spagnola,
Ravenna e Napoli (Ravenna per meriti sul campo fra Cimarosa, Paisiello eccetera riproposti negli anni; Napoli come luogo
deputato all’opera napoletana; si pensi anche ai rapporti politici
fra Napoli e la Spagna). Si tratterebbe di riprendere – l’esperienza di un lustro a Salisburgo mi sembra sufficiente – il lavoro
iniziato sulla Salzach e proseguire per vie nuove.
Questa estate a Salisburgo [dove in luglio Muti compie gli anni: auguri sin d’ora per i suoi settanta prossimi venturi portati con agio mozartiano] dirigerò Macbeth con la regia di Peter Stein e due produzioni del Requiem di Verdi assieme ai Wiener Philarmoniker.
Finiti impegni e tournée, ricomincia la stagione stanziale a Chicago dove ogni concerto ha due o tre repliche. Stagione che va
da settembre a giugno, comprende il Festival estivo di Ravinia,
vicino Chicago, tournée negli USA, in Estremo Oriente o in
Europa e di nuovo concerti in loco.
L’Italia: il Ravenna Festival, l’Opera di Roma, il San Carlo di
Napoli.
A Ravenna torno con i miei giovani « cherubini » per Mercadante prima del consueto « Viaggio dell’amicizia » che quest’anno è a Nairobi (so che a Nairobi bambini stanno imparando brani che canteranno con noi). Quanto ad opere di repertorio da proporre nei grandi teatri, sto pensando a un tris
verdiano: Macbeth, Attila ad apertura della stagione 2012 e in-
Riccardo Muti al Cloud Gate di Chicago (foto di Todd Rosemberg, cortesia www.riccardomuti.com)
fine Simon Boccanegra, l’unica grande opera di Verdi che mi
manca. Ho progettato anche un Requiem verdiano al San
Carlo.
Opera di Roma, 16 marzo scorso, Nabucco per i 150 anni
dalla costituzione dello Stato italiano, « Va’ pensiero » non solo bissato a furor di popolo ma, su invito di Muti, cantato dall’intero teatro con il direttore che chiosa: « non vorrei che questo
Nabucco o altre opere fossero il canto funebre dell’ignominiosa
scure che si è abbattuta » sulla musica e sulla cultura italiana.
Col seguito, per cosı` dire, « da bella favola », che sappiamo: il
« Veni, vidi, capii » (il latino è un’opinione) di Giulio Tremonti.
Il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, è stato ripristinato, pare.
La visita di Tremonti dopo tanti appelli di tanti musicisti e artisti dello spettacolo, visita di un’ora, fatta a chi da più di quarant’anni si è battuto per la cultura, mi ha fatto piacere se ha contributo a ridare alle istituzioni i ventisette milioni di euro congelati. Diciamo che sono stato l’iceberg di una montagna: la
parte che si è scontrata col Titanic ma in un incontro costruttivo.
Sono poi felice che quanto accaduto a Roma in marzo sia rimbalzato ovunque e abbia dato un peso importante nel mondo al
nostro paese. Un teatro intero che canta col coro è un segnale
positivo. Restituisce un grande orgoglio a quell’Italia che di
questi tempi ai giornali stranieri interessa per altri motivi decisamente meno nobili. È un momento di ammirazione ossigenante.
Ci sono però molte considerazioni da fare sulla situazione del
Bel Paese con relativi provvedimenti. Bisogna permettere ai
teatri italiani di respirare. Bisogna anche fare pensieri seri su come tali teatri devono marciare. Non col passo lento e obsoleto
di programmi messi su da persone che non hanno competenza
o conoscenza in materia di musica secondo nomine che, a loro
volta, nulla hanno a vedere con la conoscenza e l’esperienza
musicale. In America vedono il direttore musicale al vertice
delle istituzioni. Il motivo per cui nei programmi il suo nome
compare prima di tutti gli altri, senza la piramide italiana di sovrintendenti, direttori artistici eccetera. Mentre in Italia il direttore musicale non ha potere di firma se non la propria autorevolezza, che è comunque musicale ma non legale. Non può
prescindere purtroppo dal controllo esterno, esercitato troppo
spesso da burocrati.
È tempo di finirla poi con « discorsi di eccellenza » ovvero con
gare, fra un teatro e l’altro, a chi è o sarebbe il più bravo. Va
svecchiato tutto un mondo teatrale legato a formule parassitarie. Ogni teatro, poi, deve essere messo in condizione di dimostrare quanto sa fare e quanto vale.
Ci vuole anche una maggiore collaborazione fra le diverse
Fondazioni liriche, senza ambizioni infantili da primi della classe. Non è un caso che i grandi festival mondiali, oggi, guardino
con meno interesse all’Italia. Questo perché il nostro paese si è
impantanato. E poi quella italiana è una realtà molto particolare, fatta anche di tanti piccoli, splendidi teatri. Ha caratteristiche
sue proprie e imprescindibili.
Insomma. C’è molto cammino da fare. Bisogna però che i luoghi siano operativi in maniera moderna e non risultino invece
istituzioni assistenziali.
L’Italia e il mondo...
Chicago, Salisburgo, Roma, Napoli che vuole recuperare la
sua grande storia sono tutti elementi cui un musicista italiano
può guardare. Penso all’Orchestra Cherubini che ho creato e
cresciuto, che s’è guadagnata onori a Mosca e Parigi, è stata per
cinque anni protagonista del Festival di Pentecoste a Salisburgo
ed è il complesso in residence del Ravenna Festival. Orchestra
che è stata diretta da bacchette somme come Kurt Masur e Yuri
Temirkanov; che quest’anno offre un programma interamente
lisztiano con Michele Campanella. Tutto questo è la dimostrazione che in Italia esiste una realtà giovanile importante. A patto, s’intende, che chi fa musica sia messo in condizione di dare
il suo contributo. E qui sta il problema. Uno dei tanti.
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musica 227, giugno 2011
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VOCI STORICHE
In un’epoca in cui non mancavano tenoritrombe dai polmoni d’acciaio, Tito Schipa
coltivava un’arcata vocale fluida e flessibile
che gli permetteva di dare la massima importanza alle parole e ai sentimenti.
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L’inimitabile Schipa
di Michael Aspinall
I concittadini di Tito Schipa onorano tuttora la sua memoria, come dimostra l’integrale delle registrazioni, il risultato
di lunghe ricerche e di un amore inestinguibile. Ecco infatti
il tutto-Schipa in trentuno CD, per realizzare il quale l’Associazione Nireo di Lecce si è rivolta al reverendo Richard
Cantrell e a molti altri collezionisti. Chi avrebbe poi mai
immaginato che esistessero tante incisioni di questo cantante
amatissimo? Fra i tenori dell’epoca dei 78 giri, soltanto Gigli
potrebbe, nell’eventualità di un’integrale, uguagliarlo in termini quantitativi. Ed era Gigli che usava dire: « Quando
canta Schipa, noi altri stiamo ad ascoltare ». Caruso, invece,
ascoltandolo per la prima volta a New York, si alzò dopo le
prime battute di recitativo e disse alla moglie: « Possiamo andare a casa. È bravissimo, ma non c’è da preoccuparsi ».
Il metodo usato da Schipa per fondere musica e parola non
era infatti tecnicamente ineccepibile: non riuscı̀ mai a dare
piena uguaglianza alle vocali e nelle incisioni realizzate dopo
il 1930 la i divenne sempre più nasale. In un frammento sonoro del film « In cerca di felicità » Schipa pronuncia il suo
credo artistico: « La base del canto è la parola col suono. Si
canta come si parla, aggiungendo alla parola la melodia.
Sembra facile, ma non lo è ». Ma nella scuola italiana più antica la base è sempre lo strumento vocale. Come Rossini
spiegò all’amico Edmond Michotte, i maestri di canto della
sua giovinezza formavano lo strumento dell’allievo con almeno tre anni di esercizi sull’emissione del suono, sull’omogeneità del timbro e sull’uguaglianza dei registri prima che
l’allievo iniziasse a lavorare sulle vocali: « si cantavano tutte e
cinque le vocali su una nota sostenuta, o ripetendo un certo
vocalizzo con ciascuna vocale [...] Lo scopo era di arrivare al
punto in cui, per quanto fosse possibile, il suono non variasse né di timbro né di intensità nonostante i movimenti della
lingua e delle labbra causati dalla successione delle vocali
aperte o chiuse ». A volte, nella ricerca di colori particolari,
Schipa schiarisce il suono senza appoggiare bene la voce sul
fiato. Altri grandi cantanti – tra cui i tenori Caruso e
McCormack – riuscivano ad avere una dizione nitida e persino tagliente perfettamente amalgamata nell’arcata.
I brevi filmati della Vitaphone mostrano che l’apparente
flusso naturale della voce di Schipa era accompagnato da alcuni manierismi: se chiudi gli occhi sentirai una voce che
sgorga spontaneamente, ma aprendoli noterai delle smorfie
che non fanno parte dell’estetica del bel canto (la romanza
« Princesita » ne offre, nella versione video, esempi vistosi e
quasi caricaturali). Tuttavia, lui era Schipa e poteva farlo.
Anche Joan Sutherland e Alfredo Kraus manovravano vistosamente i muscoli facciali per ottenere i loro effetti. La voce
di Schipa ha poi il pregio di un vibrato naturale appena percepibile. La voce galleggia sul fiato e rimane ferma senza essere mai fissa. Forse è nato tenore naturale con i registri già
amalgamati; tuttavia la sua maniera di gestire il passaggio di
registro, sulle note fra Re e Sol, non è sempre ortodossa. Se
Schipa vuole fare suoni leggeri, non esita ad « aprire » le vocali. Ma in un’aria come « Recondita armonia », che richiede
tutta una serie di Fa (quinto rigo), il nostro sta attento a impostare le note sul passaggio correttamente. Nei suoi dischi
migliori Schipa mostra una precisione notevole nell’esecuzione delle note, se quelle note cadono in zone e su vocali a
lui favorevoli ma – come osservò Michael Scott (in « The
Record of Singing » vol. II) – nelle incisioni elettriche non è
sempre capace di eseguire un gruppetto con la dovuta nitidezza.
La cronolgia della carriera, dovuta a Carlo Marinelli Roscioni e pubblicata nella commovente biografia scritta da Tito
Schipa Jr., dimostra che dopo il felice esordio nella Traviata
a Vercelli nel 1909, esigenze economiche costringevano il
tenore a cantare opere per lui pesanti come Adriana Lecouvreur, Zazà, Mefistofele, Fedora, Cavalleria rusticana (venti recite
al Quirino di Roma nel 1911!) e Tosca. Un disco Pathé
(1916) di una pagina drammatica dall’ultimo atto di Zazà –
scelta curiosa, giacché l’opera era uscita dal suo repertorio
dopo le quattordici recite insieme a Lina Cavalieri a Roma
nel 1911 – illustra i pericoli della scrittura melodrammatica
novecentesca per una voce delicata come quella di Schipa.
Costretto a declamare nella zona più debole della voce,
quella media-bassa, e a fulminare contro « quell’immondo
musica 227, giugno 2011
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amplesso della tua carne impura », il timbro risulta gutturale,
mentre meravigliosa è la facilità con cui spazia nella tessitura
acuta delle parole « e al rientrar domani »: frase coronata da
uno squillantissimo Si naturale. Tuttavia, la cronologia ci insegna che dall’epoca dei suoi primi grandi successi internazionali – Buenos Aires, 1914 – il tenore rinunciò alle partiture
più pesanti, tenendo solo Tosca nel suo repertorio fino al
1921, quando cantò le sue ultime recite di Cavaradossi con
Claudia Muzio a Città del Messico. Quando divenne divo all’Opera di Chicago, Schipa restrinse il repertorio a quelle
opere che gli calzavano perfettamente: Lucia di Lammermoor,
Linda di Chamonix, Don Pasquale, L’elisir d’amore, La sonnambula, Il barbiere di Siviglia, La traviata, Rigoletto, Falstaff, Mignon,
Lakmé, Manon, Marta, Fra Diavolo, con poche recite di Roméo
et Juliette, Don Giovanni, Sadko, Il matrimonio segreto, L’amico
Fritz, Il flauto magico, Marcella e La principessa Liana, e molte
dell’Arlesiana e di Werther. La cura del repertorio e la maniera
in cui gestı̀ il graduale declino della voce erano sintomatici
della grande intelligenza musicale di Schipa.
Il booklet comprende saggi interessanti di Giorgio Gualerzi e
di Giancarlo Landini, con un’eccellente traduzione in inglese
dovuta a George Metcalf. L’indice alfabetico dei brani ci mostra dove trovare ciascuna delle quattordici incisioni diverse
di « Chi se nne scorda cchiù ». Sospetto, però, che l’indice sia
stato compilato da un computer piuttosto che da una persona. E non mancano stranezze neppure nei riversamenti. Troviamo riprese alternative di trentuno delle incisioni che compaiono nel corpus del lavoro, ma con una documentazione
frammentaria e in una qualità sonora che varia dall’accettabile
al pessimo. Controproducente è stata la furbizia della persona
che ha modificato la velocità della ripresa alternativa della
« donna è mobile » (1925) per farla ritornare nella tonalità
originale, mentre Schipa l’aveva abbassata di un semitono,
perché l’aumento della velocità rende la voce metallica e
aperta.
L’edizione è ordinata cronologicamente, e si divide in sette
parti: le incisioni fatte per « la Voce del Padrone » (1913);
quelle per la Pathé a Milano (1916 & 1919) e a New York
(1921); i dischi Victor (1922-4, 1926-34 e 1941); le incisioni
elettriche per « La Voce del Padrone » (1929-1953); colonne
sonore dai film; registrazioni « dal vivo » di scene d’opera o
concerti incisi in sala o dalla trasmissione radiofonica; incisioni private, per lo più inedite.
Schipa appartiene alla prima generazione di cantanti le cui incisioni spaziano dall’inizio fino alla fine della carriera. Quando il grammofono lo colse per la prima volta, nel novembre
del 1913, era appena arrivato nei teatri importanti dopo
quattro anni di gavetta in quelli minori. Aveva già cantato La
traviata, Tosca, La sonnambula e Rigoletto al Teatro Dal Verme
di Milano, aveva ottenuto i suoi primi successi al Colón di
Buenos Aires e teneva in tasca la prima scrittura per il San
Carlo di Napoli. Per la Voce del Padrone era una semi-celebrità, da presentare sull’etichetta economica verde anziché
quella rossa riservata ai divi; in seguito alcune di queste incisioni milanesi sarebbero state promosse all’etichetta rossa, e
sarebbero rimaste nel catalogo dei 78 giri della EMI italiana
fino al 1956. Ci sono indicazioni di un certo impegno da
parte della casa discografica, che colse l’occasione di incidere
alcuni brani con un buon coro, e in certe arie – ad esempio,
in quelle dalla Cavalleria rusticana – quell’eccellente direttore
che fu Carlo Sabajno tentò di rimanere il più fedele possibile
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musica 227, giugno 2011
all’orchestrazione originale del compositore (usando, però, il
pianoforte per la parte dell’arpa).
Come tutti i cantanti più amati, Schipa possiede un timbro
unico e immediatamente riconoscibile. Nei dischi del 1913
sentiamo una voce ancora fresca, pastosa e squillante. A venticinque anni si è già formato uno stile individuale e del tutto
accattivante. Anche un brano « pesante » come « Ah! dispar,
vision » dalla Manon viene cantato con somma facilità: ecco
un tenore tutto da studiare, un tenore che, nell’arco di trentuno CD che partono dal 1913 per arrivare al 1964, non spingerà mai e non forzerà una sola nota. L’attacco sul Sol di
« Ah! dispar » potrebbe essere preso a modello da tutti i cantanti; è una nota pura, luminosa, come lo è anche il Si bemolle acuto. Schipa non era famoso, certo, per gli acuti, tuttavia i dischi rivelano che sale al Si bemolle e al Si naturale
con una facilità irrisoria. Rodolfo Celletti mi disse che nella
scena dell’incendio della Mignon, alla Scala nel 1936, Schipa
lanciò un Si naturale acuto di straordinario effetto: questo poi
da un tenore che si considerava di estensione limitata! Ascoltandolo oggi il disco del 1913 in cui canta, nella tonalità originale e con la massima disinvoltura, « Tu che a Dio spiegasti
l’ali », si direbbe che se fosse nato cent’anni prima, l’avrebbero addestrato come tenore contraltino. Non solo per La sonnambula, ma anche per I puritani...
Le due facciate del 1913 che riportano il recitativo ed aria
« Parmi veder le lagrime » dal Rigoletto sono di una disinvoltura tecnica, di una raffinata musicalità, e di uno charme da superare qualsiasi altra incisione rivale. Quest’aria era stata sempre tagliata nelle recite italiane di Rigoletto e fu restituita da
De Lucia e Caruso, di conseguenza nessuna « interpretazione
tradizionale » era stata tramandata alla generazione di Schipa.
Non si sa cosa ammirare di più: il recitativo con i suoi contrasti fra lo sdegno e la tenerezza, oppure l’esecuzione delicatissima degli abbellimenti, oppure l’attacco dolcissimo di
« Parmi veder le lagrime ».
« Che gelida manina », abbassato di un semitono, ha già il
tocco delizioso del grande Schipa sulle parole « L’anima ho
milionaria » e il Si naturale è splendido. Sentiamo, però, la
mancanza del portamento di voce usato da tenori quali Caruso, Bonci e Gigli. Puccini chiede spesso il portamento, ad
esempio sulle parole « vuole » e « siete », ma questo giovane
iconoclasta di uno Schipa ha già deciso di eliminarlo dal proprio suo bagaglio stilistico. Fu in realtà il primo cantante italiano di fama a rinnegarlo. L’unico altro grande cantante della
sua epoca che avesse già inciso un’aria di Verdi senza nessun
portamento è il basso francese Marcel Journet.
Le due arie dalla Tosca, ascoltate magari insieme alle tre facciate Pathé del 1916 dedicate a « O dolci mani » e il duetto
« Amaro sol per te », spiegano perché Schipa tenne quest’opera in repertorio fino al 1921. Emilio De Marchi, il primo Cavaradossi, era un tenore drammatico di accenti squillantissimi
(a giudicare dai rulli Mapleson). Schipa, sapendo di non poter
mai offrire un’interpretazione da ex-carabiniere, sceglie la
strada degli accenti patetici, seducenti, e ne fa un capolavoro.
« E lucevan le stelle » è particolarmente riuscito. Schipa dice il
recitativo da maestro, conferendo il giusto peso a ogni sillaba
senza osservare pedissequamente il valore musicale di ogni
nota. Non può nascondere il suo disagio sui ripetuti Fa diesis
(primo spazio), una nota già gutturale, ma questo neo viene
subito dimenticato nell’esecuzione dell’aria, melliflua e toccante. Schipa fa il solito diminuendo sul La di « disciogliea »,
ma – diversamente dalla maggioranza dei tenori – non ha bi-
sogno di riprendere fiato per finire la frase, e canta anche la
lunga frase finale « E non ho amato mai tanto la vita » in un
sol fiato. Questa sua volontà di sfruttare tutte le risorse della
tecnica vocale per realizzare il desiderio del compositore senza ostentare la propria bravura ha fatto di Schipa un tenore
per veri conoscitori del canto.
Schipa interpretò il Faust di Gounod soltanto una volta, al Teatro Comunale di Bozzolo nel 1910; se nel 1913 volle incidere
l’aria « Salve dimora » – solo una strofa, abbassata di un semitono – sarà perché sapeva di avere qualcosa di particolare da offrire, un’interpretazione « da salotto », intima, pensierosa, carezzevole, ma con una salita raggiante al Si naturale. Lo stesso si
può dire di « Cielo e mar » dalla Gioconda, opera che non cantò
mai. L’aria è ridotta a una strofa sola, un’effusione di pura poesia nonostante l’omissione dei portamenti segnati spesso da
Ponchielli, persino sulle parole iniziali dell’aria (ed eseguiti in
disco con grande eloquenza da Caruso e Viñas).
Due brani dalla Cavalleria rusticana vengono affrontati con
una sicurezza e una fluidità che
nascondono le difficoltà della
tessitura acuta. Nella « Siciliana », dove i tenori di solito devono spingere sui ripetuti La6,
Schipa introduce persino i
mordenti e terzine alla Roberto Stagno. Le ultime frasi, con
la ripetuta salita dal Re al Fa, ci
fa sentire come Schipa gira il
suono per emettere un bellissimo Fa in registro di testa. È
sconcertante sentire però
quanto sia diverso l’approccio
tecnico nel disco Pathé del
1916; qui egli apre la vocale a
sui ripetuti Fa, una procedura
decisamente da non emulare.
Anche nel brindisi « Viva il vino spumeggiante » Schipa e
Sabajno seguono la tradizione
di Stagno, con tempi molto
elastici e corone introdotte per
mettere in mostra il diminuendo.
Nella Traviata si sente ancora
il profumo dell’Ottocento:
insieme al ruolo di Alfredo,
Schipa ha imparato numerose
« tradizioni », come gli abbellimenti di « Un dı̀ felice, eterea ». Anche qui Schipa fa il virtuoso senza ostentare, cosı̀ non si nota forse al primo ascolto
che canta il La acuto su « Croce » forte la prima volta e piano la
seconda. Il soprano Nina Garelli, una di quelle artiste « economiche » che Sabajno usava scritturare in Galleria prima delle sedute di registrazione, non è al livello di Schipa ma fa del
suo meglio. In « Libiamo ne’ lieti calici » né la Garelli né lo
stesso Schipa sono capaci di articolare con precisione il gruppo di quattro sedicesimi preceduto da un’acciaccatura che caratterizza il brano. Il brindisi del quarantunenne Caruso
(1914) è molto più preciso (ma neanche lui azzecca tutte le
note) ed evidenzia un legato più solido grazie all’appoggio
perfetto della voce e all’uso magistrale del portamento che
introduce ogni volta che viene richiesto dallo spartito. Alla fine del brano Caruso esegue il trillo sul Fa. Schipa omette
questa nota completamente, conservando il fiato per il Si bemolle finale.
Dal 1914 al 1919 Schipa conquistò i pubblici di Madrid, Barcellona, Lisbona e l’America Latina, appassionati dell’arte del
canto che nutrivano un gusto rétro per i virtuosismi dei cantanti
di una volta. La sua voce era più fragile di quelle di De Lucia,
Anselmi o Bonci, ma Schipa raccolse l’eredità di Anselmi (« il
tenore delle dame ») e incominciò a specializzarsi nelle sfumature tipiche dei suoi illustri predecessori. L’emissione facile, mai
forzata, rende la voce ferma: non c’è traccia del vibrato caprino
che i critici inglesi ed americani rimproveravano a De Lucia ma
che stranamente non percepivano nella voce di Bonci. Il monumento più perfetto alla maestria di Schipa in questo stile antico, che morı̀ con lui per essere riesumato in seguito da Alfredo Kraus, è il disco acustico Victor (1924) delle due arie dalla
Mignon: « Addio Mignon, fa
core » e « Ah! non credevi tu ».
Ormai Schipa possiede in pieno la messa di voce e una gamma notevole di colori e accenti, e le due belle arie di Thomas
si prestano volentieri al trattamento trasognato e edonistico.
A Milano nel 1916 e 1919, e
a New York nel 1921, Schipa
incise, per la Pathé, più di
trenta facciate, spesso di un
repertorio cosı̀ interessante
che siamo disposti ad ascoltare
incisioni a volte lontane ed
offuscate, afflitte sia da vibrazioni metalliche che da fruscı̀i.
A me piacciono in particolare
« O dolci mani » e il successivo duetto dalla Tosca con la
brava Giuseppina BaldassareTedeschi, uno di quei soprani
italiani dalla voce solida e robusta dalle note basse a quelle
acute. Il musicologo noterà
che Schipa allarga il tempo in
anticipo rispetto alle indicazioni pucciniane (e in ciò rispetta la prassi ottocentesca).
Il patito del canto rimarrà deliziato dai piani squisitamente
timbrati e degli acuti facili e
trasognati (« a pregar, giunte ») o anche drammatici e squillanti (« Voi deste morte »).
Di grande interesse poi sono « Questa o quella » e « La donna
è mobile »: esecuzioni all’antica in cui il tenore gioca deliziosamente con il ritmo e inserisce tutti gli abbellimenti della
tradizione Masini-De Lucia, compresa la risatina argentea, incantevole, nella Ballata. Schipa ha anche il sorriso nella voce
e in queste arie è disinvolto, brioso e leggero: forse troppo
leggero, perché si intuisce una certa mancanza di appoggio.
Alla fine della « donna è mobile » la cadenza viene cantata
con inflessioni nasali e gutturali, tuttavia il disco si conclude
con un Si naturale sensazionale. Quando Schipa incise quest’aria per la Victor nel 1925 era costretto a abbassarla di un
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semitono: il disco mostra come il tenore sia diventato un interprete più sobrio, più intonato con il gusto americano degli
anni venti. Gli abbellimenti sono stati ridotti; si conserva una
certa flessibilità di ritmo, molto meno variato che nel disco
del 1919, ma sempre più espressivo dei tempi rigidi che di
solito si sentono oggi.
Le incisioni acustiche Victor (1922-25) sono quelle che captano lo Schipa nella seconda fase della carriera. La voce viene registrata senza distorsioni e con estrema nitidezza. Si sente che le
opere di Leoncavallo, Puccini e Mascagni hanno sciupato un
pochino la freschezza del timbro e intaccato pericolosamente
il registro basso, che diventerà sempre più debole e gutturale.
Non importa: qui troviamo alcuni classici intramontabili del
canto tenorile, come « Granadinas », « O Colombina », « Se il
mio nome saper voi bramate » e « Chiudo gli occhi ».
Possiamo seguire lo sviluppo artistico di Schipa nelle arie che
incise parecchie volte in un lungo arco di tempo. Il disco Pathé della Serenata di Arlecchino dai Pagliacci (1916), in cui il
cantante è piazzato molto vicino alla tromba d’incisione, è
già un piccolo capolavoro, ma il disco Victor del 1922 presenta un’interpretazione più equilibrata e raffinata: l’uso del
tempo rubato, l’effetto malizioso dei piani, i lunghi fiati, i
contrasti, e la frase magistrale che unisce la prima strofa all’attacco della seconda – tutto parla di un artista, specializzato
nelle miniature, all’apice delle sue possibilità tecniche ed interpretative. Nell’incisione elettrica del ’27 si presentano piccole crepe nella facciata: l’attacco di « O Colombina » viene
realizzato da sotto, e mentre i La acuti sono splendidi, il Fa
sostenuto su « senza tardar » è ora troppo aperto.
Nell’aria dalla Manon sentiamo chiaramente perché nel 1915
un’intenditrice come Matilde Serao potesse descrivere la sua
esecuzione del « Sogno » come « un suo capolavoro di bel canto squisito, con quelle meravigliose sfumature che toccano le
corde più sensibili degli ascoltatori » (ringrazio Gualerzi per la
citazione). Nel 1915 « bel canto » significava espressione e non
soltanto agilità vocale, e per espressione si intendeva una libertà di tempi e di ombreggiature che provenivano dalla sensibilità del cantante. Il disco Pathé del 1916 evidenzia le qualità
che tanto entusiasmarono la Serao: Schipa introduce numerosi
abbellimenti e segue il modello di Anselmi, con una messa di
voce prolungata sul La naturale acuto – su una vocale, però,
pericolosamente aperta. All’inizio dell’aria il fraseggio è troppo staccato, mentre nell’incisione Victor del 1922 il canto è
molto più legato. Qui le corone sono un po’ più lunghe del
necessario, mentre la messa di voce è meno spettacolare e alcuni abbellimenti sono stati eliminati. Il La naturale è stato
perfezionato e non è più aperto. Deliziosi sono gli attacchi sul
Mi naturale, quarto spazio. Questo disco fu sostituito nel 1926
dalla famosa incisione elettrica che rimase a lungo nel catalogo
della Voce del Padrone. È un disco meno perfetto di quello
del ’22, perché qui Schipa canta più velocemente con suoni
meno trasognati e con una messa di voce appena accennata,
tuttavia la frase conclusiva è fra i suoi piccoli miracoli.
Siamo fortunati di avere, in un sonoro accettabile, tutto il second’atto della Manon che proviene da una trasmissione radiofonica dall’Opera di San Francisco nel 1939. La pronuncia
francese di Schipa lascia molto a desiderare, ma la dizione è
incisiva, sia nei parlati che nei recitativi cantati. Il « Sogno » –
ora privo di qualsiasi abbellimento – viene detto lentamente,
con suoni incantevolmente fanciulleschi. Non sono più disponibili le affascinanti ombreggiature di prima, e quando
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Schipa tenta un piano la voce è ingolata: il La naturale è buono, anche se alquanto nasale.
Benché Schipa abbia inciso il « Lamento di Federico » per la
Pathé nel 1916, dovette aspettare fino al 1936 per poter cantare L’Arlesiana in teatro (alla Scala). Poi, fino al 1951 l’opera
rimase una sua specialità. In una lettera del 1944 a Piero
Ostali, Cilea scrive che: « Schipa, per quanto con poca voce,
è pur sempre artista intelligentissimo ». Ostali invece, fa delle
osservazioni severe in una lettera al compositore del 1950:
« Oramai, dicono i nostri amici, non si può sentire L’Arlesiana
con i soliti tenori ... castrati, tanto più che Federico è un ‘‘figlio della terra’’ e quindi non può essere un raffinato alla ...
Schipa, alla cui interpretazione, non dimentichiamolo, noi
dobbiamo tante mancate rappresentazioni di questa nostra cara Opera, perché i nostri migliori tenori non si sentivano di
misurarsi con Schipa nella raffinatissima esecuzione del ‘‘Lamento’’, che Caruso, come io ben ricordo per averlo sentito
al Lirico nel 1897, eseguiva con una passionalità che richiedeva voce e non sospiri ».
Nel disco del 1916 Schipa aderisce strettamente allo spartito e
offre già una bella interpretazione – assai estroversa, alla maniera verista, la linea vocale spesso intrisa di singhiozzi. Nel disco
Victor del 1928, uno dei suoi migliori, sentiamo qualcosa di
ben diverso. Schipa utilizza una versione aggiornata della partitura – che cambia alcune parole e il valore musicale di alcune
note – e l’interpretazione è più contenuta e più curata nei dettagli. Eppure tutta l’angoscia rimane, sotto il contegno, espressa
nel timbro scuro che scoppia nella disperazione finale. Schipa
sceglie di cantare forte « vorrei poter tutto scordar », anche se la
frase è segnata pp, riservando per « il dolce sembiante » il suo pianissimo celestiale. Da ora in poi affretterà sempre il crescendo di
« Fatale vision mi lascia ». La registrazione del 1936, tratta dalla
colonna sonora del film « Vivere! », mostra Schipa in pieno declino vocale, con frasi più attenuate, alcune vocali sgradevolmente strette nel naso – ma poi in « Vorrei poter tutto scordar »
il timbro acquista all’improvviso una purezza, una limpidità impareggiabile. Una versione che proviene da un concerto alla radio di Berlino nel 1939 è cantata con somma perizia e con sentimento struggente, ma ora i ripetuti Fa diesis e Sol sono poco
limpidi, soprattutto se il tenore tenta di cantarli piano. Due versioni dell’aria di Cilea cantate nei concerti live di New York nel
1962 vengono accolte con applausi deliranti dal pubblico, e
certo dimostrano come Schipa sapeva utilizzare saggiamente
quel poco che rimaneva della sua voce.
Schipa interpretò Almaviva nel Barbiere di Siviglia per la prima volta a Pola nel 1911 e per l’ultima a Roma nel 1950.
Nel 1915 prese parte a delle recite storiche dell’opera al San
Carlo di Napoli (con Elvira De Hidalgo e Mario Sammarco) in cui il giovane Vittorio Gui introdusse di nuovo il
pianoforte nell’orchestra per accompagnare i recitativi; da
molti anni erano stati accompagnati dal violoncello insieme
al contrabbasso, oppure dal solo contrabbasso, come nell’incisione acustica completa del Barbiere effettuata a Milano nel
1918 dalla Voce del Padrone. Dal disco Pathé di « Ecco ridente in cielo » sentiamo che Schipa ha lavorato sull’esecuzione delle agilità, anche se non tutti i problemi sono stati
risolti. Qua e là l’esecuzione è esitante o approssimativa, e
manca il fascino di De Lucia, il fenomenale squillo e la diabolica precisione di Jadlowker (la cui voce, però, è dura e
fissa nelle note sostenute e senza charme), o la bravura più
convenzionalmente ottocentesca di Fernando Carpi e Giuseppe Paganelli. Come c’era da aspettarsi, sul disco acustico
Victor, trattandosi di una sola facciata a 25 cm., l’aria subisce
dei tagli, ma il disco elettrico del 1926 è superiore, e include la scala cromatica più precisa, più disinvolta e più brillante che io abbia mai sentito in disco da un tenore. Tuttavia,
il vero Schipa emerge nella serenata trasognata « Se il mio
nome saper voi bramate ».
Di grande interesse è una selezione dal Don Giovanni: tutto
quello che rimane di una trasmissione del 20 gennaio 1934.
Si tratta della più vecchia registrazione di una certa durata tra
le storiche trasmissioni dal Met, e i dischi acetati originali sono in pessime condizioni. Prima di scendere nei particolari,
comunque, devo indicare alcune trascuratezze da parte della
Nireo. Fa sorridere leggere che la trasmissione proviene dal
« Metropolitan Opera House, Milano », ma molto meno divertente è la scoperta che l’intera selezione è riversata alla velocità sbagliata, risultando tutto quanto crescente di un semitono. Come è possibile che nessuno si sia reso conto che il
duetto iniziale fra la Ponselle
e Schipa, « Fuggi, crudele,
fuggi », sembra cantato da Paperina e Topolino? In compenso, possiamo constatare
con piacere che Tullio Serafin ha ripristinato l’italianità
dell’opera: la sua direzione è
grandiosa e drammatica nei
brani solenni, festosa e briosa
nei momenti che ricordano
l’opera buffa napoletana. Editha Fleischer, un’allieva di
Lilli Lehmann che purtroppo
incise pochi dischi, è una
grande Zerlina, e la sua « Batti, batti, o bel Masetto » è la
gemma vocale della serata,
leggera e charmante senza
moine da soubrette. Chi si
aspetta molto della leggendaria Ponselle sarà in parte deluso: in quegli anni conclusivi
della carriera, mentre la sua
voce opulenta si espandeva
ancora con splendido effetto
nei cantabili, in passaggi rapidi il suono diventava nasale e
chioccio. Nella musica di
Mozart la Ponselle è stilisticamente discutibile: attacca tutta la musica della prima scena
in una maniera genericamente concitata, adoperando un’emissione con scossoni laddove vorrebbe marcare gli accenti.
Tuttavia, se nel grande recitativo « Don Ottavio! Son morta! » il soprano manca di nobiltà, nell’aria « Or sai chi l’onore » la voce è salda e ferma, la maniera maestosa, i La acuti
lanciati con vigore e ben sostenuti, e la cantante osserva minuziosamente ogni segno di contrasto fra forte e piano indicato sullo spartito: è una grande interpretazione, anche se
non viene eseguita una sola appoggiatura. Nel Don Giovanni
tutti i cantanti in realtà sono molto parsimoniosi con le appoggiature, ma in compenso Serafin adopera giustamente i
tempi tradizionali per « Là ci darem la mano » e « Batti, batti,
o bel Masetto », sanciti dalla nuova edizione della Bärenrei-
ter (2005). Ezio Pinza si trova in forma vocale smagliante,
ma troppo spesso grida invece di cantare, soprattutto nei recitativi.
E Schipa? Sereno e senza fretta sul palcoscenico, riesce a superare se stesso in « Dalla sua pace ». La voce, spesso definita
« piccola », è perfettamente adeguata anche agli spazi vasti del
vecchio Metropolitan, e l’orchestra non copre mai neppure
le deboli note basse. Sulla seconda sillaba di « morte » Schipa
sale a un Sol brillante. Alcune vocali sono nasali, ma l’interpretazione rimane un classico.
Il tenore aveva quarantasette anni allora e mentre l’impostazione delle note più acute sembra corretta nel forte, nei piani i
suoni sono troppo aperti. Quando la linea vocale richiede
scioltezza oppure qualche intervallo scomodo, Schipa ora introduce un aspirato per aiutarsi, cosa sconosciuta al giovane tenore di vent’anni prima. Possiamo comunque applaudire Schipa per aver capito perfettamente lo stile dell’aria « Il mio tesoro
intanto »: attacca la prima parte
in un tempo lentissimo, pregando gli amici a andare a
« consolare » Donna Anna, e
poi, nella seconda parte dell’aria, quando decide di « volare a
vendicare i suoi torti », stacca
un tempo marziale e vigoroso.
Nell’incisione Victor del 1927,
Schipa tenta la stessa interpretazione, ma l’effetto viene
compromesso dal taglio imposto dalla scelta di una matrice
di 25 centimetri anziché 30.
Come c’era da aspettarsi, il tenore Schipa viene un po’ sopraffatto dai soprani nei concertati, tuttavia si intuisce, nella
sezione del Finale « Or che tutti, o mio tesoro », che Schipa
stia cantando con una grazia e
un’eleganza speciali, fondendo
la sua voce con quella della
Ponselle.
Dagli estratti di una trasmissione dall’Opera di St. Louis
del secondo atto del Don Giovanni, diretto da Laszlo Halasz, del 16 aprile 1941, ci
interessa soltanto un’altra
versione di « Il mio tesoro ».
La buona qualità dell’incisione rivela un avanzato declino vocale (i passi di agilità sono
sempre più legnosi e pesanti), ma le ammirevoli intenzioni
del grande artista rimangono sempre percepibili. L’aria viene interrotta prima della fine dall’annunciatore: l’arte di
Schipa deve cedere davanti alle esigenze dello sponsor commerciale.
Sui dischi IX e X troviamo la celebre incisione completa del
Don Pasquale realizzata a Milano nel 1932, particolarmente
preziosa per la direzione brillante e sensibile di Sabajno. In
un ruolo che gli calza quasi perfettamente Schipa è in forma
splendida, nonostante le manovre per evitare il peso dei passaggi più pesanti. Gli altri non raggiungono il suo livello eccelso, ma si difendono bene.
musica 227, giugno 2011
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Il primo gruppo di estratti dal vivo dal Werther proviene da terzetto « Le faccio un’inchino » lei è l’unica a inserire le apuna serata incandescente alla Scala diretta splendidamente da poggiature. Per quanto sia interessante sentire Boris Christoff
Franco Ghione, il 27 aprile 1934. Troviamo Schipa in piena nel ruolo del Conte Robinson e Sesto Bruscantini come Geforma: nell’opera di Massenet infatti è come a casa propria. Il ronimo, nessuno dei due è particolarmente spiritoso e tutti e
timbro della voce è sempre bello e carezzevole, il fraseggio di due tendono ad abbaiare. L’unico vero canto legato della seraun’eleganza senza pari. Schipa coglie sempre l’atmosfera giu- ta viene offerto da Hilde Gueden nel ruolo di Elisetta.
sta in ogni momento di questo lavoro cosı̀ atmosferico, indi- Vale la pena ascoltare il secondo atto dell’Elisir d’amore regimenticabile in « O natura di grazia piena » e nel duetto « Di- strato dal vivo a Lecce il 28 ottobre 1954. L’incisione inizia
viderci dobbiam ». Il « periodo Anselmi » è ora definitivamen- un semitono sopra la tonalità giusta ma si corregge in tempo
te dietro le sue spalle, e egli non ci abbaglia più con le messe per i grandi momenti di Schipa. La maggior parte del Quardi voce, ma si accontenta del suo proprio modo particolare di tetto « Dell’elisir mirabile » è tagliata, ma rimangono il duetto
fondere la parola, l’accento e la frase musicale in un flusso si- con Belcore e l’aria. I recitativi secchi sono detti in una manuoso di eloquenza lirica. Nelle pagine conclusive dell’opera niera ideale: sono veloci, leggeri, brillanti, comprensibili e diSchipa è molto toccante, ma la mia più completa ammirazio- vertenti, e vengono incluse tutte le appoggiature. La voce di
ne è riservata per « Ah, non mi ridestar », abbassata di un se- Schipa risponde con un’alacrità sorprendente alla volontà delmitono e detta con grande passione: si tratta di un live parti- l’artista, anche se il timbro è piuttosto legnoso e restio alle
colarmente prezioso, anche per l’atmosfera dell’epoca che ci sfumature. La sua esecuzione di « Una furtiva lagrima » è semavvolge quando il pubblico, in delirio, applaude il tenore an- pre una master class di fraseggio; viene accolta con delirio dai
concittadini, che gridano frasi affettuose al loro idolo nel
che alla fine della prima strofa.
Per quanto riguarda la selezione dal Werther incisa, si suppone, chiedere l’inevitabile bis. Quanto avrei voluto essere là per
su dischi acetati durante una trasmissione dal Teatro dell’Ope- aggiungere la mia parte agli applausi!
ra il 3 febbraio 1948, si tratta di un cimelio prezioso. È consi- Nel 1958 venne pubblicato un disco intitolato: « Learn to
gliabile seguirla con lo spartito italiano in mano, perché la qua- sing with Tito Schipa ». Un presentatore americano ci assiculità sonora è disastrosa. Il baritono romano Andrea Petrassi fu ra che troveremo tutte le spiegazioni « in the booklet ». Sicpresente alla prima recita di questa ripresa del Werther, e mi come la Nireo non ci fornisce quel testo, è improbabile che
disse: « Schipa entrò in scena. Era vecchio, grasso, brutto e non qualcuno possa veramente « imparare a cantare insieme a Tito
aveva più voce. Dopo che ebbe cantato per appena cinque mi- Schipa », soprattutto perché il tenore canta (molto male, con
nuti, tutti noi eravamo convinti che era giovane, bello, magro, una voce totalmente inaridita) soltanto nelle prime dieci lee che la sua voce fosse fresca come sempre ». Il mago di Lecce zioni: la Nireo ha incluso però le altre nove in cui sentiamo
riesce ancor’oggi a compiere questo miracolo: una volta che il pianoforte solo. Il presentatore ci dice di stare in piedi; di
avevo iniziato ad ascoltare l’incisione, sono rimasto inchiodato adoperare, possibilmente, il diaframma quando respiriamo, di
sulla sedia a seguirla fino alla fine. Purtroppo i produttori del- non inspirare troppo profondamente (vuol dire « riempire
l’edizione non hanno curato la velocità della fonte usata. Alcu- soltanto la parte superiore dei polmoni » oppure « non pratine delle facciate originali iniziano crescenti di un semitono, care la respirazione addominale? ») e di conservate un sorriso
per scendere pian piano alla tonalità giusta, alcune sono corret- amichevole (un consiglio tradizionale).
te dall’inizio fino alla fine, altre rimangono costantemente a Il booklet definisce « insuperabili » i riversamenti dei dischi
una velocità eccessiva. In questa serata troviamo Schipa in di Schipa realizzati da Ward Marston e sospetto che la pregrande forma e laddove Massenet lo fa cantare comodamente sente edizione, per quanto riguarda i primi tre CD, derivi
nella zona media-acuta sentiamo un prezioso ricordo dello almeno in parte dall’edizione Romophone 82014-2 e dalSchipa storico. La scena che finisce nel passaggio « Ma, come l’edizione Marston Records 52008-2. Se il suo lavoro è
dopo il nembo » è da antologia, toccante fino alle lacrime, e davvero « insuperabile », perché cercare allora di migliorarlo
viene giustamente salutata con urli dal pubblico. Alla fine di aggiungendo una finta eco elettronica? Queste riverberazio« Ah, non mi ridestar » Schipa raggiunge, in tutte e due le stro- ni artificiali non fanno che aggiungere una leggera distorfe, un pianissimo celestiale, ripetuto anche nel bis. Purtroppo la sione al timbro vocale.
In molti casi poi si sente che il disco è stato
Pederzini è ormai diventata la caricatura delriprodotto su un grammofono a tromba.
la grande cantante sentita alla Scala nel 1934.
CD
In tutti questi riversamenti da esecuzioni dal
Ho confrontato il riversamento di « Fa la
TITO SCHIPA Integrale delle regivivo, la Nireo ha deciso di includere tutto il
nana, bambin » con la mia copia originale a
strazioni 1913-1964
materiale esistente, e perciò anche i brani in
78 giri. La trascrizione della Nireo sembra
NIREO 2010-1/31 (31 CD)
cui Schipa non canta. Una scelta dolorosa
provenire da un grammofono acustico,
ADD
HHHHH
quando arriviamo alla selezione dal Matrimomolto debole soprattutto nella riproduzione
nio segreto di Cimarosa, una delle ultime
delle frequenze più basse e più alte. La risoquattro recite del tenore alla Scala nel marnanza elettronica aggiunta dal tecnico serve
zo del 1949. Ci sono alcuni tocchi magici
soltanto a rendere questa preziosa voce più
dello Schipa che amiamo nel duetto iniziale
nasale e più dura.
Il cofanetto mette in mostra infine molti alcon Carolina (Alda Noni). Nell’aria « Pria
tri aspetti della carriera di Schipa: l’interpreche spunti in ciel l’aurora », una volta considerata una delle prove maggiori dell’agilità,
te incantevole della romanza da salotto, delvivacità e bravura di un tenore, Schipa può
la canzone napoletana, e della canzonetta
popolare; la stella dei film; il compositore.
offrire soltanto dei cauti sussurri. La stella
Se lo acquistate, vi aspettano settimane, medell’esecuzione è Fedora Barbieri, una Fidalsi, anni di piacevole ascolto.
&
ma splendidamente baritonale, e nel famoso
46
musica 227, giugno 2011
GUSTAV MAHLER
Prosegue la nostra rassegna sintetica delle
sinfonie mahleriane in disco, indirizzata tanto
agli esperti quanto ai neofiti.
Letture mahleriane di riferimento:
la Quinta e l’Ottava
di Riccardo Cassani
Il nostro pellegrinaggio sinfonico mahleriano riparte dalla Sinfonia
n. 5 – quella del celebre Adagietto – che apre una nuova fase nella
produzione sinfonica del compositore boemo. Scampato alla morte
nell’inverno del 1901, Mahler passa l’estate dello stesso anno a scrivere opere intensamente drammatiche come i Kindertotenlieder e i
primi due movimenti di questa sinfonia. Alla fine dell’estate qualcosa scatta dentro di lui e il successivo Scherzo (il più ampio e complesso della sua produzione sinfonica) diventa un vero canto di rinascita. I due movimenti conclusivi vedono la luce l’anno successivo e
proseguono l’evoluzione in positivo dell’opera. Mahler passerà però
il successivo decennio a correggere e riscrivere senza posa l’orchestrazione di questa sinfonia, vero punto di svolta nella sua produzione,
gettando nella disperazione l’editore Peters.
La prima scelta
Il suo opposto
Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione dell’URSS, direttore Kirill Kondrashin
MELODIYA 1000810
ADD 63:50
Berliner Philharmoniker, direttore Herbert von Karajan
DG 447450-2
ADD 73:45
Premiato con
una medaglia
dalla Società Internazionale
Mahleriana nel
1974, Kondrashin ci lascia un’interpretazione di
travolgente drammaticità musicale
nei primi due movimenti; di raffinata concertazione nell’ampio
Scherzo, semplice e scorrevole nell’Adagietto e fulminante (13:57),
senza inutili virtuosismi, nell’ultimo movimento. Quello che maggiormente colpisce di questa lettura
è l’estrema sincerità espressiva, capace da sola di dare piena valenza
artistica all’interpretazione di questo magnifico direttore russo,
scomparso troppo presto. Qualcuno potrà trovare le sonorità degli
ottoni russi troppo aperte, ma personalmente non mi dispiace per
nulla il vibrato della tromba solista
nel primo movimento e il colore
opaco dei corni nell’ultimo.
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L’approdo mahleriano di Karajan è stato tardivo e parziale,
ma non privo di
significato. Dopo aver lasciato che la « sua » orchestra apprendesse Mahler da altri
direttori (Barbirolli in particolare),
Karajan ha affrontato Quarta,
Quinta, Sesta e Nona. La sua Quinta
registrata nel 1973 risale al periodo
di massimo splendore dell’interprete: l’ottica è prepotentemente tardo-romantica ma mai « esausta » (i
Herbert von Karajan
musica 227, giugno 2011
dodici minuti dell’Adagietto sono
da antologia stilistica), mentre la
partitura è lucidata in ogni minimo
dettaglio ma senza risultare freddamente analitica. Da questo punto
di vista Karajan si conferma uno
straordinario « Blade Runner »: capace di camminare sul baratro del
kitsch senza mai lasciarsi tentare da
facili effetti speciali.
Solo storico, prego
New Philharmonia Orchestra, direttore
John Barbirolli
EMI 566910
ADD 74:29
Definire « storica » una registrazione in studio
anno 1970 di
questa qualità
sonora potrebbe
sembrare paradossale Ma non potevo certo esimermi dal segnalarvi
questa magnifica Quinta adorata da
sempre dalla critica e dal pubblico
inglese. Barbirolli risolve quasi tutto il lavoro con un’intensità di
canto lancinante (Ah, le origini italiane!) e un fraseggio degli archi
plasmato meravigliosamente (Ah, il
suo passato da violoncellista!) dalle
prime battute della marcia funebre,
passando per lo Stürmisch Bewegt si
approda a un Adagietto quasi naı¨f
Sir John Barbirolli
nella sua intimità espressiva. Il Rondo-Finale è poi uno dei più lenti e
anti-virtuosistici della discografia
con i suoi oltre diciassette minuti
di durata.
I mahleriani d’oggi
Melbourne Symphony Orchestra, direttore Markus Stenz
ABC 476102-4
DDD 71:52
Questa edizione
è una sorpresa
recente, appena
distribuita in Italia seppur datata
2002. Markus
Stenz è un direttore tedesco nato
nel 1965 con studi a Tanglewood
con Bernstein e Ozawa. Attuale
direttore dell’Orchestra Gürzenich
di Colonia (con cui ha nuovamente registrato la stessa sinfonia) nel
2002 era a capo della Melbourne
Markus Stenz
Symphony Orchestra con cui firma
questa registrazione di bellissima
sintesi, giustamente « storicizzata »
come piace agli interpreti attuali,
ma assai convincente dal punto di
vista drammatico. Meglio della raffinatezza un po’ fine a se stessa del
recente Rattle berlinese (EMI) o del
vitalismo ancora inconcluso del
molto acclamato Dudamel ( DG )
con l’Orchestra Simon Bolivar.
Il consiglio dell’amico
Junge Deutsche Philharmonie, direttore Rudolf Barshai
BRILLIANT 93719
DDD 69:33
Questa edizione
mi è stata suggerita da diversi
appassionati. Interprete acclamato di Shosta-
Non da tutti amata, l’Ottava è un’opera curiosa nel cammino
mahleriano: dall’organico potenzialmente spropositato, questo dittico
sinfonico corale si compone di una prima parte oratoriale su testo del
« Veni Creator Spiritus » e una seconda parte che si potrebbe definire come quanto di più vicino al melodramma Mahler ci abbia lasciato. Il problema dell’ interprete (oltre a maneggiare i mille possibili
esecutori) consiste proprio nel comprendere e realizzare il senso complessivo del lavoro.
La prima scelta
soprani Martina Arroyo, Erna Sipoorenberg, Edith Mathis contralti Julia
Hamari, Norma Procter tenore Donald Grobe baritono Dietrich Fischer
Dieskau basso Franz Crass BR,
NDR, WDR, Regensburger Domspatzen, Münchner Motettenchor, Symphonie-Orchester des Bayerischen Rundfunks, direttore Rafael Kubelik
AUDITE 92551
ADD 73:37
Passano gli anni,
ma l’edizione di
riferimento dell’Ottava resta
sempre questa.
A renderla ineludibile un cast vocale di grande
omogeneità e una visione interpretativa di superba coesione drammatica. Kubelik riesce come pochi altri a rendere immediatamente evidente come la seconda parte sia
una diretta evoluzione del materiale musicale esposto nel Veni Creator
Spiritus. Se l’edizione in studio firmata DG soffriva per una registrazione opaca e priva di spazialità, il
remastering Audite dell’esecuzione
dal vivo preparatoria all’incisione
offre invece un’ampiezza e una
profondità di ambiente inequivocabilmente superiori. L’esecuzione
è praticamente sovrapponibile alla
versione studio, ma in più c’è l’emozione del live.
Il suo opposto
soprani Alexandra Marc, Margaret
Jane Wray, Christiane Boesiger contralti Dagmar Pecková, Eugenie Grunewald tenore Glenn Winslade baritono Anthony Michaels-Moore basso
Peter Lika EuropaChor Akademie, Aurelius Sängerknaben, SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg,
direttore Michael Gielen
HÄNSSLER 93015
DDD 83:43
Interprete noto
per il suo apostolato nei confronti della musica contemporanea, Michael
Gielen ha realizzato due registrazioni dell’Ottava. La seconda, parte
dell’integrale mahleriana pubblicata
da Hänssler, è una lettura di grande
lucidità musicale, concertata con
estrema attenzione ai dettagli e
concepita con un occhio attento a
evidenziarne le istanze più moderne. Minimalista nel dispiegamento
delle forze in campo, ma non per
questo meno imponente nei punti
di climax, questa registrazione è
ideale per tutti quegli appassionati
che trovano eccessive e ridondanti
le più celebri edizioni discografiche. Da apprezzare in particolare
l’estrema preparazione e disciplina
delle forze corali coinvolte. Un
buon cast vocale e un’ottima qualità della registrazione completano il
risultato complessivo.
Solo storico, prego
soprani Anneliese Kupper, Ilona
Steingruber, Dorothea Förster-Georgi contralti Maria von Ilosvay, Ursula
Zollenkopf tenore Leorenz Fehenberger baritono Hermann Prey basso
Franz Crass Kölner Rundfunkchor,
Hamburger Musikhochschule, Städtischer Hamburg, Oberschule Eppendorf, NDR-Sinfonieorchester, direttore
Winfried Zillig
GALA 100806
ADD 72:35
Potrebbe far discutere la scelta
di preferire quest’edizione storica a quelle di
Mitropoulos,
Horenstein, Stokowski o Boulez.
kovich, il direttore di origine sovietica Rudolf Barshai, spentosi
nel novembre 2010, propone una
lettura priva di cedimenti sentimentali, lontana da tentazioni effettistiche, concertata con grande
attenzione alle macro-strutture e
splendidamente restituita dall’Orchestra Giovanile Tedesca.
Ulteriori pregi della pubblicazione
sono individuabili nell’estrema
economicità dell’acquisto e nella
stupefacente qualità della registrazione, effettuata nel 1999 alla
Philharmonie di Berlino sotto la
guida di Jürg Jecklin (mitico tecnico del suono svizzero), dalla resa
ambientale inusitata – per ampiezza, profondità e precisione – del
palcoscenico sonoro.
Amo moltissimo la teatralità di
Stokowski, il romanticismo sopra
le righe di Mitropoulos, la perfezione strutturale di Horenstein e
l’acume analitico di Boulez (Londra 1975), ma tutti e quattro presentano limiti vari: nella qualità del
suono (Stokowski), nella tenuta del
coro e nella credibilità di qualche
solista (Mitropoulos) o nella resa di
parte del cast vocale (Horenstein e
Boulez). Eccoci quindi all’allievo
di Schönberg, Winfried Zillig e al
suo cast vocale assai omogeneo (tra
cui svettano un magnifico Fehenberger e un giovane, incredibile
Prey) e alla sua lettura di affascinante spessore e di vero equilibrio
interpretativo.
reperibilità un po’ più incerta tramite i normali negozi.
I mahleriani d’oggi
soprani Jane Eaglen, Anna Schwanewilms, Ruth Ziesak contralti Sara
Fulgoni, Anna Larsson tenore Ben
Heppner baritono Peter Mattei basso
Jan-Hendrik Rootering Prague Philharmonic, Netherlands Radio, Kathedrale Koor St. Bavo, Sacramentskoor
Breda, Royal Concertgebouworkest,
direttore Riccardo Chailly
DECCA 467314-2
DDD 82:14
Riccardo Chailly è ormai giunto alla piena maturità artistica: e
la sua lettura
dell’Ottava registrata ad Amsterdam nel 2000 si
propone come una delle migliori
dell’ultimo ventennio. Si tratta di
un’esecuzione dal passo ampio e
dai grandi gesti sonori di impostazione essenzialmente romantica:
molto ben concertata e, soprattutto, dal cast vocale piuttosto omogeneo (Eaglen a parte) e convincente. Quest’ultimo dettaglio in
particolare mi spinge a preferire
questa ad altre edizioni recenti meno consistenti nel reparto voci seppur interessanti dal punto di vista
direttoriale (Rattle e Boulez tra
tutti). Unico vero neo è costituito
dall’uscita di catalogo di questo
doppio CD che diventa quindi di
Il consiglio dell’amico
soprani Jeannine Crader, Lynn
Owen, Blanche Christensen contralti
Nancy Williams, Marlena Kleinman
tenore Stanley Kolk baritono David
Clatworthy basso Malcolm Smith
University of Utah Children’s Chorus,
Utah Symphony Orchestra, direttore
Maurice Abravanel
AUDIO CLASSIC RECORDS
DVD 75:01
Il supporto doppia faccia DVD
audio o DVD video (la registrazione è però solo audio) è delicato e necessita di un lettore adeguato (possibilmente DVD audio
per leggere la traccia a 24 bit, 192
Khz). Inoltre reperire una copia di
questa ristampa non è facile né
economicamente indolore. L’edizione però vi dà la possibilità di
ascoltare l’interpretazione più entusiastica, gioiosa e « cuore in mano » di questo lavoro e una registrazione strabiliante dal punto di
vista dell’ampiezza e della definizione dello spazio sonoro. Neanche le più recenti registrazioni DSD
pubblicate in SACD (quelle di Zinman e Nagano per esempio) offrono lo stesso spettacolo sonoro. Su
un impianto adeguato l’immagine
sonora travalica addirittura i limiti
dei diffusori in larghezza e sfonda
l’eventuale muro di fondo in profondità. Se non vi basta...
&
Maurice Abravanel
musica 227, giugno 2011
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PIANOFORTE
Una carriera costruita senza fretta, con l’unica idea di migliorare: potrebbe sembrare
persino scontato, il percorso vissuto dal
grande pianista austriaco, ma oggi questo tipo di saggezza acquisita nel tempo viene
messo sempre più in discussione.
Rudolf Buchbinder è immerso nella vita musicale dai primi
anni cinquanta del Novecento, quando – enfant prodige – fu
ammesso a cinque anni (il più giovane allievo di tutti i tempi) alla Musikhochschule di Vienna. E sessant’anni dopo
questo interprete tradizionalista e intraprendente ha ancora
le riserve di energia fisica e spirituale che occorrono per eseguire in un’unica serata (in veste di direttore e di solista) i
Concerti per pianoforte di Brahms. La sua conversazione è
focosa: non è certo uno di quei pianisti che sanno parlare
esclusivamente del loro repertorio e del loro strumento.
Buchbinder è un ottimo conoscitore della letteratura mitteleuropea e un esperto di arti figurative che durante le rare
vacanze si dedica volentieri alla pittura. Le sue considerazioni sulla vita musicale sono quelle di un artista pienamente
calato nella propria epoca ma preoccupato per quella perdita
di memoria che affligge il mondo musicale di oggi.
Che cosa significa per Lei essere un artista in questo particolare momento storico? E che cosa significa essere un artista in
senso più ampio?
Partirò da un aspetto che potrebbe sembrare a prima vista
marginale, ma che in realtà è di fondamentale importanza:
non lascio passare uno solo dei miei concerti senza intrattenermi dopo la performance con il pubblico che me lo richiede, per la firma degli autografi, o semplicemente per
scambiare un’opinione sulla musica eseguita, o ancora meglio, solo per un sorriso o una stretta di mano. Inizio da
questo dettaglio per spiegare il mio concetto di tradizione e
di missione, con poche parole: le cattive tradizioni vanno
abolite, distrutte. Le buone tradizioni vanno tenute in vita,
adattandole al passare del tempo e al mutare delle condizioni
sociali, politiche, culturali. In questo senso più ampio va intesa la professione, il fare artistico, che è una missione ricca
di centinaia di anni di storia in trasformazione continua e
ininterrotta, nella quale i cambiamenti si innestano con naturalezza. Essere un artista significa per me innanzitutto essere un interprete. Non metto certo in secondo piano il versante tecnico: senza quello non esisterebbe l’interpretazione.
Lo studio è una condizione imprescindibile per l’esistenza di
un pianista. L’esercizio quotidiano è un compagno di viaggio dell’intera vita del pianista. Tuttavia essere artista presuppone un salto di qualità, entrare nel vivo della musica, comprendere i compositori, confrontarsi con ciò che hanno
scritto, eventualmente fino a trasfigurarlo. Abbiamo documenti di Stravinski che attestano come egli stesso cambiasse
la sua musica dopo il confronto con gli esecutori.
Come sono mutate le dinamiche del Suo lavoro?
I mutamenti sono vastissimi, e sono di due categorie ben distinte: potremmo definirle interne ed esterne. Innanzitutto
quelle interne: è cambiato completamente il metodo di avvicinarsi agli studi, all’acquisizione della tecnica, e di conseguenza è mutato il gusto esecutivo. Io non giudico, non categorizzo, non pretendo di dire ciò che è meglio o peggio:
50
musica 227, giugno 2011
constato solamente che ci si avvicina a un compositore, magari studiandolo a fondo, ma talvolta senza entrare nel suo
mondo, nella sua storia, senza valutare i motivi che hanno
condotto la sua estetica a prendere una certa direzione. Noto talora che i giovani pianisti sono tecnicamente inappuntabili, ma portano al pubblico note magnificamente suonate
senza far arrivare agli ascoltatori la cultura che le ha generate, l’epoca dalla quale i capolavori sono usciti. Io invece sono molto legato alla necessità di approfondire la conoscenza
delle fonti. Per amore delle sonate di Beethoven, ho acquisito circa venti edizioni differenti della raccolta completa. Per
passione ho poi collezionato un gran numero di manoscritti,
di autografi, di prime edizioni. Anche dei Concerti per pianoforte e orchestra di Brahms possiedo le copie anastatiche
dei manoscritti. Oggi la professione si è trasformata in una
corsa al concerto, talora senza comprendere la differenza tra
evento e interpretazione. Molti pianisti si sono trasformati in
uomo-evento, e questo è un cambiamento evidente, sotto
gli occhi di tutti.
Per quanto riguarda i mutamenti che abbiamo definito come « esterni », si può ben cogliere il fatto che la musica d’arte non è più sotto i riflettori come un tempo. Qualche decennio fa i giornali, i quotidiani come le riviste, avevano il
critico musicale, l’inviato a teatro per le « prime », e a volte
anche lo storico che introduceva e spiegava l’opera. In televisione c’erano molti più concerti, i telegiornali parlavano
dei musicisti come oggi parlano dei protagonisti della vita
sportiva. Tutto questo non esiste più, e ovviamente condiziona la percezione del pubblico. Una grandissima differenza
rispetto al passato riguarda la professione di pianista in relazione alle case discografiche. Un tempo il pianista veniva
quasi « adottato » da una casa discografica, che lo seguiva lungo tutta la sua carriera, con un vantaggio enorme: quello di
poter programmare il suo repertorio anche in funzione dell’eredità discografica. Tutto ciò costringeva in un certo senso
l’artista a delineare un percorso, a scegliere i « suoi » compositori. L’identificazione fra pianista e casa discografica poteva
essere addirittura totale o quasi, come dimostra il caso di
Glenn Gould e la CBS. Questo elemento ci porta alla considerazione forse più importante: il pianista del passato poteva
pensare in proiezione alla sua carriera e al suo percorso estetico, lentamente, senza scossoni. Riassumendo, la carriera del
pianista del passato era rivolta alla costruzione di un futuro,
quella del pianista di oggi guarda essenzialmente al presente.
La più grande fortuna della mia carriera è stata quella di poter
costruire il mio percorso con serenità, mettendo assieme le
tessere di un mosaico ideale per cinquant’anni, senza affanni
e senza rincorse, con l’unica idea di migliorare.
Qual è il destino dei più giovani che si avvicinano alla musica
colta e in particolare al pianoforte?
Penso che il problema fondamentale per il mondo della musica colta sia attualmente quello di trovare una soluzione che
permetta ai giovani e anche ai più piccoli di avvicinarsi in
Un perfezionismo d’altri tempi
Il segreto di Rudolf Buchbinder
di Mario Marcarini
musica 227, giugno 2011
51
modo naturale all’arte. Ripeto, è lo snodo vitale per la trasmissione della nostra cultura musicale, ed è una questione
che viene quasi totalmente accantonata dalle istituzioni della
quasi totalità dell’Occidente. Io ho la fortuna di attraversare il
mondo suonando, e da questa posizione di osservatore per
cosı̀ dire privilegiato devo dire che – dal Musikverein di
Vienna fino alla sala da concerto più sperduta in Islanda –
quando durante un concerto mi volgo al pubblico, o mi inchino per ricevere gli applausi, vedo sempre meno giovani
tra le file. Ci sono certo delle eccezioni, dovute alla lungimiranza non tanto dei governi ma delle orchestre e dei teatri:
direttori come Zubin Mehta e Nikolaus Harnoncourt fanno
sı̀ che vengano messi a disposizione biglietti economici per i
ragazzi. Anche nel Festival di Grafenegg, che ho fondato e
che dirigo, quello dell’accesso privilegiato ai giovani è un
aspetto fondamentale. Purtroppo noto che in Italia questo atteggiamento è meno frequente, con pochissime eccezioni,
rappresentate dal Teatro alla Scala e soprattutto dalla Filarmonica della Scala, che apre le prove alle scuole, gratuitamente.
Poi c’è un altro problema da affrontare, quello della crisi economica. Se il prezzo di un biglietto per un concerto o per
un’opera è assolutamente al di fuori della portata di un operaio o di un insegnante, figuriamoci come può uno studente
accedere alle sale da concerto. Inoltre il sistema scolastico è
oggi orribile, perfino in Austria, dove le scuole sono carenti
in numero e in qualità. La situazione nel vostro paese non è
migliore, ma finché non si prenderanno delle decisioni serie
e definitive a livello politico sicuramente sarà improbabile un
miglioramento. Sarebbe inoltre necessario far capire ai politici
la differenza tra istruzione e cultura; la prima non serve a nulla senza la seconda, e i governi dovrebbero investire maggiormente in tutti e due i campi.
Quali sono i Suoi impegni più coinvolgenti attualmente?
L’entusiasmo maggiore deriva dal mio carattere di perfezionista: come il grandissimo Claudio Arrau, vorrei arrivare dopo
cinquant’anni di carriera al massimo delle mie possibilità. Migliorare continuamente è la mia fonte principale di energia
ed entusiasmo. Come direttore e solista, dopo aver affrontato
tutti e cinque i Concerti di Beethoven con i Wiener, il mio
coinvolgimento maggiore in questo momento è diretto all’esecuzione dei due Concerti di Brahms che preparo con la
Tonhalle Orchester Zürich; li suoniamo nella stessa serata,
come abbiamo già fatto a Vienna e al Brucknerfest di Linz.
Ma tutta la mia vita come
pianista mi coinvolge comGrafenegg
pletamente, nello spirito e
Il Festival di Grafenegg, che viene
nella quotidianità: programospitato nel grande parco di un
mare il futuro significa avere
castello a pochi chilometri dal
l’opportunità di poter protratto più bello del Danubio in
porre al pubblico i propri soAustria, si svolge ogni anno tra figni. Fonte di enorme soddine agosto e inizio settembre, con
sfazione è per me la nomina a
una particolare concentrazione di
« Capell-Virtuoso », un incariappuntamenti intorno ai weeco creato per me dalla Staatkend. Il livello esecutivo è all’alskapelle Dresden come artista
tezza dei migliori festival internaresidente: con questa magnifizionali e i luoghi d’esecuzione –
che comprendono un auditorium
ca compagine suonerò sia in
all’aperto e due sale chiuse – sono
tournée negli Stati Uniti che
particolarmente accoglienti. L’atpresso la Semperoper. Sempre
mosfera poi è un po’ quella di fenell’ottica di affinare le mie
stival americani come Tanglescelte estetiche, ripropongo il
wood, con un compositore in resiciclo integrale delle sonate
52
musica 227, giugno 2011
per pianoforte di Beethoven, che eseguirò – tra l’altro – anche al Mariinsky. Non mi dispiacerebbe riproporre, dopo
tanti anni di distanza dalla mia incisione discografica, questo
ciclo fondamentale in compact disc.
Qual è appunto il Suo rapporto con il disco? Dopo averne registrati più di cento, c’è ancora qualcosa che sogna di incidere,
o un ciclo che desidera realizzare?
Sta per essere pubblicato il live dei due Concerti per pianoforte di Brahms realizzato con la Israel Philharmonic Orchestra
diretta da Mehta. Un ciclo completo di Beethoven poi mi
permetterebbe poi di realizzare un confronto fra il me stesso
odierno e il me stesso di venti anni addietro. Non aggiungo
altro tuttavia, proprio perché i sogni sono belli ma privati, e
non nascondo un certo grado di scaramanzia, misto anche alla
mia naturale riservatezza. Certamente guardando al mio passato posso dire di aver avuto la fortuna di realizzare progetti
fondamentali per la mia crescita, come l’incisione completa
dei Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, di tutte le
sonate di Haydn, dei Concerti di Beethoven, ma anche di
progetti più originali come il ciclo delle Variazioni Diabelli, in
cui ho affrontato le lezioni di più di cinquanta autori differenti
che si sono cimentati sul celebre tema. Posso solo aggiungere
che ultimamente prediligo le registrazioni dal vivo, per la loro
naturalezza, ma anche per la forza e l’energia che emanano.
In veste di fondatore e direttore artistico del Grafenegg Festival
può raccontarci qualcosa su questa esperienza?
Per mia natura sono un perfezionista, e ho cercato di cogliere
il meglio, selezionandolo, dai festival più affermati e consolidati a livello mondiale, come il Festival di Salisburgo, di cui
sono ospite abituale. Ho cercato di trasmettere tutta la mia
personalità e le mie idee a questo festival, cercando soprattutto di evitare gli errori compiuti da altri, che sono sotto gli
occhi di tutti. Spesso capita che i fondatori di Festival, se sono anche esecutori, desiderino essere anche le celebrità della
manifestazione, togliendo spazio agli altri. Decisamente non
è il mio caso: le mie apparizioni sono molto limitate, un recital
solistico e un concerto con orchestra, e quest’anno sarò lieto di
interpretare il Primo Concerto di Brahms con la Israel Philharmonic e Mehta. Come direttore artistico sono orgoglioso di
poter dire che sono lontano mille miglia dal sistema clientelare
che purtroppo vige in molte manifestazioni, sistema che io detesto. Nel mio Festival non sono invitati solo gli amici degli
amici, o i protetti di qualche
potente agenzia: a Grafenegg
Festival 2011
lo scambio culturale si svolge
dence (quest’anno Heinz Karl
soprattutto all’insegna del
Gruber, che sarà protagonista di
confronto fra scuole e stili. Io
un concerto di musiche proprie
invito artisti interessanti, che
e di Weill il 4 settembre). Buchpossono trasmettere il senso
binder si esibirà in un recital (il
dell’arte al pubblico, offrendo
20 agosto: Beethoven e Schurepertori variegati, dal barocco
mann) e un concerto (il 30 agosto:
al ventesimo secolo, senza preil Primo di Brahms), mentre tra gli
clusioni. Soprattutto non invialtri solisti figurano Jean-Yves
to solo artisti che io amo; mi
Thibaudet, Janine Jansen, Nikolaj
sforzo di invitare anche interZnaider e Anne-Sophie Mutter.
Sul podio invece spiccano i nomi
preti che io personalmente
di Paavo Järvi, Charles Dutoit,
non apprezzo, ma che possono
Zubin Mehta, Myung-Whung
coinvolgere il mio pubblico. Il
Chung e del colombiano Andrés
mio gusto non è importante,
Orozco-Estrada. Per ulteriori inio devo assemblare il miglior
formazioni: www.grafenegg.com
cartellone possibile.
&
PHAEDRA
WorldPremiere
GRAMOLA
Hans GAL (1890-1987)
Concerto per violino op.39 (1932)
Sonate per violino e pianoforte
n.1 (1920) n.2 (1933)
--------------------------------------Thomas Albertus Irnberger, violino
Evgenij Sinaiski, pianoforte
Orchestra da camera d’Israele
Roberto Paternostro, direttore
Wolfgang Amadeus MOZART
Q uintetto per clarinetto K.581
Johannes BRAHMS
Q uintetto per clarinetto op.115
---------------------------------------Roeland Hendrickx, clarinetto
Panocha Quartet
SACD
GRAM 98921
PH 292024
)
Franz LISZT
Trascrizioni per piano e orchestra (integrale)
da Franz SCHUBERT:
Wanderer-Fantasie
da Hector BERLIOZ
Grande fantasia sinfonica su temi del Lelio
da Ludwig van BEETHOVEN
Fantasia su Le rovine di Atene
da Carl Maria von WEBER
Polacca brillante
---------------------------------------Victor Sangiorgio, pianoforte
Queensland Symphony Orchestra
En Shao, direttore
HAGEN QUARTETT
Ludwig van BEETHOVEN
Quartetto op. 59/2, ‘R asumowsky ’
Wolfgang Amadeus MOZART
Quartetto K 428
Anton WEBERN
Fünf Sätze op.5, Bagatellen op. 9
--------------------------------------
SACD
MYR 006
ABC 476 4236
DIES
--------------------------------------Escolania del Escorial
Real Capilla Escurialense
Javier M.Carmena, direttore
WorldPremiere
Tomas Luis de VICTORIA (1548-1611)
Officium Hebdomadae Sanctae (1585)
LA MA DE GUIDO
Maurice OHANA (1913-1992)
S tudi d ’interpretazione
----------------------------------Maria Paz Santibaez, pianoforte
4CD a prezzo speciale
DIES 201123
LMG 4009
QUERSTAND
a cura di
Antonio MARTIN Y COLL (1671-1734)
C omposizioni anonime del
S eicento spagnolo
--------------------------------------Ignasi Jordà, organo di Montesa (1744)
La Dispersione Ensemble
Joan B. Boïls, direttore
EN 2031
PubbMUSICA_Giugno2011.indd 1
WorldPremiere
WorldPremiere
ENCHIRIADIS
IL TROMBONE RINASCIMENTALE
M usiche di B. de S elma y S alaverde
D.O rtiz , G.B.B onvicelli , G.B assano
C.M onteverdi , F.R ognoni -Teggio
--------------------------------------Ercole Nisini, trombone rinascimentale
Instrumenta Musica Ensemble
(flauto dolce, organo, dulciana e
percussioni)
W W W . C O D A E X I T A L I A . I T - Trovate tutte le novità nella sezione iGusto scaricabili in pdf
ABC
via Reina, 15
MYRIOS
e
CODAEX ITALIA s.r.l.
-----------direzione
20133 Milano tel. 02.3656.2060 - fax 02.3656.1967 - [email protected]
d dances
VKJK 1012
20/05/11 09:02
giugno 2011
i dischi 5 stelle del mese
NIREO
CD
ONYX
CD
STRADIVARIUS
CD
recensione a pagina 46
recensione a pagina 57
recensione a pagina 58
ALTO
URANIA
MIRARE
CD
CD
CD
HARMONIA MUNDI
CD
WIDE CLASSIQUE
HÄNSSLER
HYPERION
CD
recensione a pagina 63
DG
NAXOS
DOMINIQUE RECORDS
HARMONIA MUNDI
CD
recensione a pagina 68
recensione a pagina 71
recensione a pagina 72
recensione a pagina 74
CHALLENGE CLASSICS CD
DYNAMIC
LINN
VIRGIN CLASSICS
recensione a pagina 75
recensione a pagina 76
recensione a pagina 78
recensione a pagina 80
URANIA
HARMONIA MUNDI
AUDITE
NAXOS
CD
recensione a pagina 85
CD
CD
recensione a pagina 86
SACD
CD
recensione a pagina 86
CD
recensione a pagina 60
recensione a pagina 63
CD
DELOS
recensione a pagina 59
recensione a pagina 62
CD
CD
recensione a pagina 58
recensione a pagina 62
CD
CHANDOS
Premiato
con 5 stelle dalla Rivista
CD
CD
recensione a pagina 86
CD
CD
recensione a pagina 64
recensione a pagina 66
BIS
FINELINE CLASSICAL
SACD
CD
recensione a pagina 74
recensione a pagina 74
DECCA
HARMONIA MUNDI
CD
recensione a pagina 82
PARADIZO
CD
recensione a pagina 90
CD
recensione a pagina 84
URANIA
CD
recensione a pagina 91
Premiato
con 5 stelle dalla Rivista
HARMONIA MUNDI
DVD
recensione a pagina 66
HARMONIA MUNDI
DVD
recensione a pagina 66
ARTHAUS
DVD
recensione a pagina 72
segnala i dischi eccezionali recensiti in questo numero
LE RECENSIONI DI
H
HH
HHH
HHHH
HHHHH
Negativo
Discreto
Buono
Ottimo
Eccezionale
La fascia di prezzo segnalata è puramente indicativa
DVD Video
ADAMS Doctor Atomic (opera in 2 atti
su libretto di P. Sellars) G. Finley, R.P.
Fink, T. Glenn, S. Cooke, E. Owens, E.
Patriarco, M. Arwady, R. Honeywell;
The Metropolitan Opera Orchestra,
Chorus and Ballet, direttore Alan Gilbert regia Penny Woolcock scene Julian Crouch regia video Gary Halvorson
SONY 88697806659 (2 DVD)
M
171:00
HHH
.
Nell’ottobre del
2008 il capolavoro di John Adams
è arrivato anche
al Metropolitan,
con una velocità
(la prima mondiale a San Francisco si tenne il primo ottobre
2005) del tutto eccezionale, considerando i gusti conservatori del
pubblico del teatro newyorchese. E
riguardando questo doppio DVD
l’impressione suscitata dall’opera,
già recensita in occasione della
pubblicazione del DVD Opus Arte
(su MUSICA n. 202), rimane estremamente positiva. Una partitura di
potente impatto teatrale, musicalmente raffinata, che dipinge con efficacia i contrasti morali che la
scienza e invenzioni cosı̀ paurose
come la bomba atomica sollevano
nell’animo umano. Quella di Robert Oppenheimer è una figura
prometeica, insomma, ma lacerata
dai dubbi e dalle inquietudini dell’uomo del Ventesimo secolo. Un
ruolo di grande difficoltà vocale, tra
l’altro, che pone all’interprete enormi richieste in termini di musicalità, dominio del registro acuto e introspezione: Gerard Finley si conferma ancora (il cast è sostanzialmente immutato rispetto alla pro-
.A
.M
.B
duzione di Amsterdam conservata
nell’altro video) artista di statura
storica, arricchendo il suo ritratto
con una sorta di rassegnato fatalismo.
Interessante anche la lettura orchestrale che Alan Gilbert – direttore
musicale della New York Philharmonic – dà della complessa partitura, di cui sottolinea i momenti onirici, amorosi e meditativi, compresi
quelli affidati alla native American
Pasqualita, a scapito forse di quell’asciuttezza ritmica che è tratto saliente dell’ultima mezz’ora del secondo atto. Va altresı̀ detto che
John Adams ha nel frattempo rivisto la partitura e ne ha ammorbidito certe asperità armoniche e diluito, a mio parere in modo eccessivo,
la lunghezza di alcune scene. Una
revisione che spero venga presto
dimenticata, perché l’equilibrio
della lezione precedente viene
compromesso. Ma dove il DVD
Sony perde nettamente il confronto con quello Opus Arte è nella
parte visiva: alla stratificata, emozionante, polisemica regia di quel
geniaccio di Peter Sellars (il quale,
va ribadito, è anche librettista dell’opera), si sostituisce l’innocua mise en scène di Penny Woolcock, di
per sé corretta ma lasciata troppo
all’iniziativa dei singoli nella recitazione, senza un’idea ben chiara al
di là di una buona illustrazione dei
singoli momenti e – colpa maggiore di tutte – incapace di uniformarsi alla musica in troppi punti,
specie durante la sublime scena del
countdown finale.
Alto
Medio
Basso
Gli altri cantanti sono in massima
parte gli stessi delle precedenti produzioni: come Jack Hubbard (qui
chiamato Frank Hubbard, contrariamente a ogni dato storico) non abbiamo più, purtroppo, James Maddalena, sostituito da un assai meno
efficace Earle Patriarco, e cambiano
anche gli interpreti del giovane
scienziato James Nolan (un ottimo,
trasognato Roger Honeywell) e di
Kitty, moglie di Oppenheimer, la
cui tessitura è stata riportata a quella
mediosopranile, trovando in Sasha
Cooke un’artista efficace ma poco
più. E gli altri sono sempre bravi,
ma privi di quella spinta totalizzante
mostrata nel video precedente,
molto più ricco anche negli extra.
Nicola Cattò
CD
BACH Mottetti Vocalconsort Berlin,
direttore Marcus Creed
HARMONIA MUNDI HMC 902079
A
DDD 70:57
HHHH
.
I Mottetti di
Bach non rappresentano un
insieme immutabile come le sinfonie di Beethoven: il loro numero oscilla a seconda del parere degli studiosi che periodicamente rimettono in discussione le tradizionali attribuzioni.
Cosı̀, se una trentina d’anni fa John
Eliot Gardiner pubblicava un doppio CD dedicato a queste composizioni bachiane, ora al maestro inglese Marcus Creed, direttore del
Vocalconsort Berlin, basta un solo
album per esaurire la ricognizione
integrale del genere musicale in oggetto. Rispetto alla raccolta di Gardiner sono scomparsi due mottetti,
ma in compenso si è aggiunto Ich
lasse dich nicht BWV Anh 159, già
ritenuto opera del prozio di Bach,
Johann Christoph, e ora accolto
dagli specialisti fra le opere giovanili
del sommo Johann Sebastian.
Un’analoga oscillazione riguarda le
modalità esecutive di questi lavori.
Per esempio, il più celebre dei
mottetti, il possente e gioioso Singet
dem Herrn ein neues Lied BWV225,
si esegue di norma con un’orchestra
che raddoppia le parti vocali, mentre Marcus Creed lo restituisce alla
dimensione puramente corale, per
sole voci e basso continuo (nella
fattispecie, organo e violone). Il
magnifico ensemble del Vocalconsort Berlin – in tutto diciotto coristi
con voci femminili per le parti di
soprano e contralto, dunque senza
controtenori – supera a pieni voti la
difficile prova e restituisce a queste
pagine la loro essenzialità espressiva
in stretto rapporto con i testi tratti
dai Salmi e dalle epistole paoline.
Marco Bizzarini
CD
C.P.E. BACH Sei Concerti per il cembalo concertato Wq 43 clavicembalo
Andreas Staier Freiburger Barockorchester, direzione Petra Müllejans
HARMONIA MUNDI HMC 902083.84 (2 CD)
M
DDD 94:30
.
HHHH
Affascinante iniziativa quella dell’Harmonia Mundi austriaca di
proporre i Sei
Concerti per il cem-
musica 227, giugno 2011
55
BACH
SACD
BACH Passione secondo Matteo
BWV 244 A. Dieltiens, S.K. Thornhill, T.
Mead, M. White, G. Türk, J. Podger, C.
Daniels, P. Harvey, S. Noack; Kampen
Boys Choir, Netherlands Bach Society,
Museum Catharijne Convent, direttore
Jos van Veldhoven
CHANNEL CLASSICS CCS 32511 (3 SACD)
A
DDD 165:25
HHHH
balo concertato elaborati tra il 1770 e
il 1772 dal massimo esponente dello stile « sensibile » (o « sentimentale »), vale a dire Carl Philipp Emanuel Bach, all’epoca appena giunto
ad Amburgo, dopo il non sempre
gratificante soggiorno berlinese, al
servizio di Federico II (i cui gusti
musicali erano notoriamente conservatori).
Essi rappresentano dunque – come
sottolinea Andres Staier nelle interessanti note di presentazione – la
prima importante raccolta tardiva
dell’autore, precedendo le Sei Sinfonie per archi (1773), le Orchestersinfonien mit zwölf obligaten Stimmen
(1780) e le Clavier-Sonaten und freye
Fantasien (1779-1786), con le quali
presentano diversi punti di contatto, soprattutto con le sinfonie, di
cui anticipano lo splendore timbrico e l’inesauribile vitalità, oltre ad
alcune peculiari soluzioni formali,
come il diretto collegamento tra i
vari movimenti (che si snodano
uno dietro l’altro senza soluzione di
continuità).
Dal punto di vista espressivo risaltano poi l’intensità e l’eloquenza patetica dei tempi lenti: si ascoltino,
ad esempio, il dolente soliloquio
dell’Andante del Concerto in Fa maggiore n. 1, la soave connotazione del
Larghetto del Concerto in Mi bemolle
maggiore n. 3, o, ancora, l’assorto
divagare del Poco adagio del Concerto
in Do minore n. 4, (articolato in
quattro movimenti), per avere la
cifra esatta della profondità dell’ispirazione e della varietà espressiva,
come emerge anche dallo scintillio
dei movimenti veloci, sempre esuberanti e vitalistici, ulteriormente
valorizzati dalle novità formali, dalla
ricchezza della strumentazione, dalla singolare ampiezza di soluzioni
dinamiche ed agogiche, al punto
che Staier ha potuto concludere
che « in nessun’altra raccolta Bach
ha presentato in modo cosı̀ sistematico tutte le sfaccettature di un
compito formale dato come nei sei
Concerti ».
Questa raccolta ci è ora presentata
integralmente dallo stesso Staier,
affiancato dalla Freiburger Barockorchester diretta da Petra Müllejans: un’edizione che non esitiamo
a considerare di assoluto riferimento per adesione stilistica, per l’energia e la brillantezza della conduzione orchestrale, per il sicuro
virtuosismo e la flessibilità del solista (che per l’occasione ha utilizzato una copia di un clavicembalo
Hass del 1734). Un itinerario ricco
di sorprese, trascinante nei movimenti più veloci, spesso toccante
in quelli lenti, dato il non comune
spessore di un’invenzione melodica
altamente eloquente. Un approccio, peraltro, privo di quei limiti
che spesso hanno compromesso
non poche esecuzioni clavicembalistiche, vale a dire la meccanicità
o la rigidità del fraseggio nei tempi
più mossi, quando affrontati con
analoga incisività. L’unico neo è il
livello di una registrazione senz’altro limpida e naturale, ma nella
quale lo strumento solista sembra
relegato nello sfondo, probabilmente per riprodurre l’esatto equilibrio fonico tra il cembalo (timbricamente delicato) e un’orchestra
dall’organico comprendente anche
diversi strumenti a fiato (flauti e
corni in particolare). Una nota di
merito infine per l’elegante realizzazione grafica e per il libretto allegato.
Claudio Bolzan
.
CD
BACH Passione secondo Giovanni
BWV 245 M. Padmore, H. Müller-Brachmann, P. Harvey, B. Fink, K. Fugr, J. Lunn;
Monteverdi Choir, English Baroque Soloists, direttore John Eliot Gardiner
SOLI DEO GLORIA SDG 712 (2 CD)
M
DDD 114:47
HHHH
.
La Passione secondo Giovanni di
Gardiner risale al 2003 e ha i pregi
e i difetti delle registrazioni live
(vivezza ma anche una non sempre
nitidissima presa di suono). Tra le
voci soliste svetta quella contraltile
di Bernarda Fink (si vedano le arie
« Von den Stricken » e soprattutto
« Es ist vollbracht! »), assecondata
dal timbro brunito della viola da
gamba. Ma non dispiace neppure
la voce ferma e ascetica del Cristo
del basso Müller-Brachmann e
quella multicolore e partecipe dell’Evangelista del tenore Mark Padmore.
La Bach Society olandese è il più
antico ensemble di musica antica in
Olanda e dal 1983 viene diretta da
Jos van Veldhoven. Anche se i nomi dei cantanti non appartengono
allo star system internazionale, la
registrazione « surround » della Passione secondo Matteo è all’ultimo grido. Nell’esecuzione c’è gloria per
tutti: per i solisti che hanno, come
noto, le loro zone di primo piano,
gli snelli e duttili cori, l’orchestra
attenta alla prassi antica. Ascolto avvincente come in una sequenza filmica. Molto curato, soprattutto
iconograficamente, il libretto con le
note illustrative.
Lorenzo Tozzi
SACD
BARTÓK Concerto per violino n. 2;
Concerto n. 1 op. post. violino Arabella
Steinbacher Orchestre de la Suisse Romande, direttore Marek Janowski
PENTATONE PTC 5186 350
A
DDD 61:12
HHHH
56
musica 227, giugno 2011
.
Dopo la partenza
di Julia Fischer,
accolta a braccia
aperte dalla Decca, la violinista di
casa PentaTone
è oggi, al cento per cento, Arabella
Steinbacher. Monacense classe
1981, la Steinbacher è stata allieva
di artisti assai dissimili ma tutti importanti quanto ad apporti complementari: Ana Chumacenko ossia
una tecnica a prova di bomba, Dorothy de Lay vale a dire i modi eloquenti della Juillard School, ed
Yvry Gitlis l’iconoclasta, con quanto ne consegue.
Dopo il Concerto di Dvořák e il Primo di Szymanowski (ancora la PentaTone); in coda a emissioni per
Orfeo (Beethoven, Berg, Shostakovich), ecco il dittico bartokiano.
Dittico che in verità si sostanzia nel
Secondo Concerto, essendo il Primo,
che l’autore non volle mai pubblicare e infatti è stato edito postumo,
di semplice interesse documentario
(è la versione iniziale dei giovanili
Due ritratti op. 5).
L’Orchestre de la Suisse Romande,
quella con cui il compianto Ernest
Ansermet faceva miracoli, sotto la
bacchetta esperta di Jarowski suona
bene ma non benissimo; è sempre
un po’ agglutinata, poco analitica
anche se a un risalto sonoro di rispetto concorre il SACD.
Quanto alla Steinbacher, va osservata una forte personalità che, vicina, qui, al Gitlis di storiche registrazioni e lontanissima dallo « stile
Juillard », accentua gli aspetti espressionisti del lavoro con forti contrasti, bruschi accenti e una pensosità
dolorosa molto marcata. Il tutto
con intonazione inappuntabile, facilità, coerenza del dire. Ne scapitano un po’ il lirismo e lo squillo
aperto nelle stesure soprane, punto
di forza della lettura di Shaham con
Boulez, DG , interpreti che a loro
volta sottolineavano mahlerismi trascurati, in questa interpretazione, da
direttore e solista.
In un brano nato come tema con
variazioni, dunque tutto variazioni
incanalate nel sonatismo da Concerto, un direttore dal solido senso
dell’architettura come Janowski ottiene risultati eccellenti ed esemplare affiatamento con la solista.
Alberto Cantù
DVD Video
BELLINI Norma (melodramma in due
atti di F. Romani) J. Anderson, D. Barcellona, S.Y. Hoon, I. Abdrazakov, S.
Ignatovich, L. Melani; Coro del Festival
Verdi, Orchestra Europa Galante, diret-
BORODIN
tore Fabio Biondi regia Roberto Andò
scene Giovanni Carluccio
ARTHAUS 107 235 (2 DVD)
A
163:00
HHHH
.
Questo video
della
Arthaus
propone la registrazione del coraggioso esperimento belliniano
andato in scena al
Teatro Regio di
Parma nel 2001. L’idea di applicare
alla musica ottocentesca, dopo anni
di lavoro sui repertori più antichi,
la prassi esecutiva « storicamente informata » era dieci anni fa già ampiamente praticata sul fronte sinfonico (pensiamo alle conquiste di
Gardiner negli anni novanta). Applicare però tale convenzioni esecutive a un titolo come la Norma
di Bellini, con tutto ciò che ne
consegue a livello di sonorità orchestrali, agogica e rivisitazione generale del testo, era invece una
novità.
L’irruenza e i ritmi concitati dell’Europa Galante danno risultati
notevoli sul piano espressivo e la
lettura di Biondi attenua i tradizionali toni epici a vantaggio di
un’alternanza tra momenti di barbarica concitazione e altri di nudo
sostegno per le voci. E June Anderson garantisce un altro livello di
verità espressiva in una parte che le
richiede alcuni sforzi virtuosistici
ma soprattutto una linea vocale
elegiaca e dolente. Il finale primo,
la scena dei figli e « Deh! Non volerli vittime » sono momenti altissimi che forse nessun’altra cantante
negli ultimi anni ha saputo rendere
con altrettanta pertinenza.
Se la visione interpretativa della
Anderson si sposa perfettamente
con la prospettiva di Biondi, non
altrettanto si può dire di Daniela
Barcellona. Che certo sfrutta con
calore e trasporto la propria rigogliosa vocalità, ma che, chiamata
in una parte come quella di Adalgisa, reitera, in un contesto che
guarda del tutto altrove, la tradizione del mezzosoprano in una
parte creata da Giulia Grisi. Ciò
naturalmente non significa che in
generale la parte debba per forza
essere affrontata da soprani acuti
(come accade talora da quando il
Festival di Martina Franca convocò
Lella Cuberli), ma è chiaro che vi
sono richieste una certa facilità nel
sostenere le alte tessiture e una
certa ingenuità d’accento che non
sono mai state le caratteristiche peculiari della Barcellona.
Shin Young Hoon possiede tutte
le note di Pollione, ma poco dello
slancio eroico del personaggio né
sembra complessivamente dare un
qualsivoglia spessore interpretativo
al proprio canto.
Se di questa operazione di rilettura
si può comunque dare un giudizio
complessivo più che lusinghiero,
dispiace che sul fronte registico si
assista invece a una sostanziale rinuncia. Lo spettacolo di Roberto
Andò è tradizionale nel senso meno lusinghiero del termine e non
offre grandi stimoli alle notevoli
risorse attoriali delle due protagoniste.
Riccardo Rocca
DVD Video
« Berlin Opera Night » (musiche di
Händel, Mozart, Puccini, Dvořák, Wagner, R. Strauss, Saint-Saëns, Leoncavallo, Lehár, J. Strauss II) G. Bumbry, A. Schwanewilms, Charles Castronovo, R. Pape, V. Kasarova, A.
Pieczonka, M. Crider, J. Kowalski, V.
Galouzine, J. Banse, S. Licitra, A.
Kirchschlager, M. Bruck; Orchester
der Deutschen Oper Berlin, direttore
Kent Nagano
EUROARTS 2053589
A
73:00
H H H /H
HHHH
.
Beneficenza,
quanti delitti si
commettono in
tuo nome! Ben
trentasei tracce
conteneva l’originale registrazione
su CD del concerto di gala a sostegno della Deutsche
Aids-Stiftung (dal 1994 evento clou
della stagione invernale berlinese;
qui si tratta dell’edizione 2003).
Nella versione su DVD ne sono rimaste appena tredici e non sempre
il criterio di selezione pare obbedire ad un criterio di qualità musicale o interpretativa. Prevale invece
il facile ascolto, mentre il corpo tipografico del frontespizio, volendo
dividere i cantanti fra serie A e serie B, meriterebbe solo fischiate, o
quanto meno un bel rimescolamento di carte. Ignorando le furbate del marketing, come pure una
regia assai modesta, forse più adatta
alle riprese di una convention elettorale statunitense, diremmo comunque che il prodotto meriti l’attenzione del collezionista, e domani –
chissà – pure dello storico.
Anzitutto il mostro sacro Grace
Bumbry, qui nel suo sessanteseiesimo anno di età e tuttavia capace
di destare brividi sensuali con
un’aria di Dalila affrontata a passo
maestoso, sviluppata in spire e riprese adorne dei maliosi portamenti « all’antica » appresi alla
scuola di Lotte Lehmann, ed infine
conclusa sullo squillo di un Si bemolle acuto che molte colleghe
trentenni le invidierebbero. Poi un
inedito René Pape, oggi affermato
specialista di ruoli wagneriani, impegnato a snocciolare il catalogo di
Leporello tra sulfurei ammiccamenti, note basse scolpite, impeccabili sillabati. Peccato solo che
due versi del testo gli scappino
dalla memoria; ma pazienza: è un
infortunio che non riesce a intaccare una prestazione maiuscola sotto ogni aspetto. Anche l’aria della
lettera dal Werther trova in Vesselina Kasarova una lettura memorabile: duttile fraseggio, colore rotondo nei centri, saldezza nel registro
basso, forza dirompente in acuto.
La polacco-canadese Adrianne
Pieczonka completa il podio d’onore con un’invocazione alla luna
dalla Rusalka tale da farci rimpiangere che non canti spesso dalle nostre parti: bel suono, grazia di legati e mezze voci, acuti esultanti e
senza sforzo.
Pure interessanti l’aristocratica Anne Schawanewilms come Elsa di
Brabante nell’aria del sogno, l’ex
sovietico di lungo corso Vladimir
Galouzine con un « Vesti la giubba » molto drammatico e dignitoso,
e il giovanissimo tenore Charles
Castronovo con un « Dein ist mein
ganzes Herz » (per noi: « Tu che
m’hai preso il cor »), affrontato da
lirico spinto di grandi mezzi più
che da crooner di rito operettistico
viennese. Sarà poco filologico ma
lascia a bocca aperta.
Lasciamo ai rispettivi fans il privilegio di emozionarsi per le prodezze
di Angelika Kirchschlager, Juliane
Banse, Salvatore Licitra, Michèle
Crider; divi che già allora avevano
perso il fascino della novità e cominciavano a mostrare la corda di
uno scorretto metodo di canto.
Quel che più ci preme è segnalare
la superba prova di Kent Nagano,
ancora capelluto e corvino come
un Beatle ma già elegantissimo per
indipendenza totale delle mani,
precisione, economia e fluidità di
gesto. Sotto la sua bacchetta l’Orchestra della Deutsche Oper suona
all’altezza della propria fama; non
senza qualche fiorettatura umoristica nel finale straussiano, ossia il
gran concertato del Pipistrello cui si
uniscono gli emarginati dal montaggio di EuroArts: il controtenore
Jochen Kowalski e il baritono
Markus Bruck. Nell’altro Strauss
(terzetto dal Rosenkavalier), neppure
Nagano riesce a frenare lo sgomitamento fra le signore Banse e
Pieczonka, mentre la Kirchschlager
appare rinunciataria in partenza.
Complice il suono orchestrale un
filo troppo turgido, ne nasce una
discreta confusione.
Carlo Vitali
CD
BORODIN Quartetto per archi n. 1
op. 26 Quartetto Borodin
STRAVINSKI Concertino per quartetto d’archi Quartetto Borodin
MIASKOVSKI Quartetto per archi n.
13 op. 86 Quartetto Borodin
ONYX 4051
M
DDD 67:40
HHHHH
.
Il timore di
compromettersi
con la musica tedesca potrebbe
aver indotto i
compositori russi
a limitare l’interesse verso la forma
« sacra » del quartetto d’archi. In effetti, fatto salvo il caso di Shostakovich, che di quartetti (e che quartetti!) ne scrisse ben quindici, in
quest’area geografica i capolavori
del genere non sono, poi, cosı̀ numerosi.
La ricerca di equilibrio tra nazionalismo e occidentalismo è presente
nel Quartetto n. 1 in La maggiore di
Borodin composto tra il 1875 e il
1879. È addirittura Beethoven a
fornire il materiale per il primo tema dell’Allegro iniziale, ma l’evidente citazione dal Finale del Quartetto op. 130 esibisce qui contorni
squisitamente autoctoni. Per quanto riguarda Nikolaj Miaskovski si
può affermare che lo sdoganamento
della sua musica sia appena iniziato
musica 227, giugno 2011
57
BOTTESINI
&
Il Quartetto Borodin
&
qui da noi. In questo CD possiamo
ammirare l’ottima fattura dell’ultimo Quartetto per archi del prolifico
(e poco progressista) musicista, un
lavoro composto nel 1949, un anno prima della morte, che si colloca
ai vertici della sua produzione cameristica. Il lirismo intenso dell’Andante con moto e molto cantabile (terzo
movimento), di gusto un po’ retrò,
si imprime nella memoria.
Igor Stravinski instaura, invece, un
rapporto fugace con il medium
quartettistico. Il Concertino – licenziato nel 1920 in risposta a una
commissione del Quartetto Flonzaley, storico complesso fondato a
New York nel 1902 già dedicatario
dei Tre Pezzi per quartetto d’archi – è
una gemma preziosa, un distillato
di limpidezza graffiante sulla via del
neoclassicismo, sostanzialmente tripartito (stuzzicanti gli equilibrismi
armonico-coloristici della sezione
mediana) con Coda che si dilegua
in modo impercettibile; eppure
Stravinski, evidentemente non pago
del risultato, lo arrangerà, trent’anni
più tardi, per ensemble allargato ai
prediletti fiati.
Il Quartetto Borodin – qui nella
sua ultima formazione con Rubén
Aharonian e Andrei Abramenkov al
violino, Igor Naidin alla viola e
Vladimir Balshin al violoncello – va
a nozze con questa musica. Ad
esempio, rapiti, assaporiamo i delicati cromatismi che innervano il secondo tema del primo movimento,
mentre non è vietato intenerirsi nel
Trio dello Scherzo di fronte all’impagabile cantilena dei suoni armonici resi dal complesso russo a mo’
di iridescente carillon. Nessun personalismo e nemmeno motorismo fine a se stesso nella pagina stravinskiana, e davvero encomiabile l’im-
58
pegno profuso al servizio del Quartetto n. 13 di Miaskovski, un lavoro
intriso ancora di spirito romantico.
Massimo Viazzo
CD
BOTTESINI Concerto per contrabbasso n. 2 in si; Duetto per clarinetto
e contrabbasso contrabbasso Enrico
Fagone clarinetto Corrado Giuffredi
Orchestra della Svizzera Italiana, direttore Christoph-Mathias Mueller
Gran Duo Concertante per violino e
contrabbasso; Passione amorosa
per violino e contrabbasso violino
Walter Zagato contrabbasso Enrico
Fagone Orchestra della Svizzera Italiana, direttore Christoph-Mathias
Mueller
STRADIVARIUS 33865
M
DDD 48:06
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.
Ecco un bel programma bottesiniano pubblicato dall’etichetta
Stradivarius; un
disco che dovrebbe entrare di diritto nella discoteca di tutti gli appassionati del genere concertistico italiano romantico. Quattro composizioni con accompagnamento orchestrale che hanno per protagonista il contrabbasso (strumento d’elezione del compositore cremasco)
trattato da Bottesini con virtuosismo « paganiniano » e accompagnato con altrettanta bravura da clarinetto e violino. Composizioni che
esprimono appieno pregi e limiti
del sinfonismo ottocentesco italiano
di genere: profondamente legato al
modello del Concerto di bravura
paganiniano e intimamente correlato con lo stile operistico dominante. Compositore in proprio di melodrammi oggi completamente di-
musica 227, giugno 2011
menticati, Bottesini passa alla storia
della musica per il suo ampio lascito
contrabbassistico e per aver diretto
la prima assoluta di Aida di Verdi al
Cairo.
Il programma del CD (purtroppo
breve) si apre con il Secondo Concerto per contrabbasso e orchestra risolto con estrema bellezza di suono
e intonazione dal solista Enrico Fagone, strumentista italiano primo
contrabbasso dell’Orchestra della
Svizzera italiana. Fatta salva l’irreprensibile qualità tecnica dell’esecuzione, a stupire è la grande qualità
musicale della sua interpretazione.
L’abitudine a esibirsi in ensemble
da camera con grandi solisti come
Martha Argerich o Boris Belkin e la
partecipazione a un gruppo stabile
come il Quintetto Bislacco hanno
avuto sicuramente un’influenza sulla capacità di questo strumentista di
plasmare il fraseggio con eleganza:
qualità non comune quando si ha a
che fare con uno strumento dalla
sonorità poco malleabile come il
contrabbasso. Nel Concerto in Si minore consiglierei di ascoltare con attenzione la bellezza con cui Fagone
fraseggia il tema cantabile che apre
il secondo movimento (da notare la
linearità della cavata) o lo spolvero
virtuosistico con cui chiude il primo movimento (quartine di grande
pulizia e precisione).
Il successivo Duetto per contrabbasso e clarinetto, una sorta di divertimento in tre parti per i due solisti
con accompagnamento orchestrale,
ci offre ulteriori momenti di piacere dati dalla capacità dei due solisti
di dialogare tra loro scambiandosi i
ruoli di protagonista. Anche in
questo caso colpisce la capacità di
Fagone di far cantare il proprio
strumento nella prima parte più lirica e la leggerezza con cui riprende
nella sezione virtuosistica la brillantezza espressa dal clarinetto.
Il successivo rapporto con il violinista Walter Zagato, nei due brani
conclusivi della silloge, è sicuramente facilitato dal rapporto musicale sviluppato tra i due solisti nel
Quintetto Bislacco. Nulla da dire
sull’apporto orchestrale fornito dall’Orchestra della Svizzera Italiana e
dal direttore Christoph-Mathias
Mueller. Molto attento a fornire un
accompagnamento elegante, flessibile e puntuale, Mueller rinuncia a
priori a qualsiasi tentazione protagonistica (anche nei brevi passaggi a
solo dell’orchestra) mostrando un
rispetto ammirevole.
Unica nota discutibile la qualità
della registrazione, leggermente artefatta nei piani sonori. La presa del
suono dei solisti è vistosamente ravvicinata, mentre il riverbero appare
innaturalmente lungo rispetto alla
prossimità di ripresa. Non siamo ai
livelli da « antro della strega » tipici
di certe terribili registrazioni ECM,
ma il risultato è comunque un poco spiazzante per il mio orecchio.
Riccardo Cassani
CD
BRAHMS Concerto in Re op. 77 violino Isabelle Faust Mahler Chamber Orchestra, direttore Daniel Harding
Sestetto in Sol op. 36 violini Isabelle
Faust, Julia-Maria Kretz viole Stefan
Fehland, Pauline Sachse violoncelli
Christoph Richter, Xenia Jankovic
HARMONIA MUNDI HMC 902075
A
DDD 74:55
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.
Cambi anzi mutazioni generazionali. Non esiste più il violinista istintivo d’una volta; istintivo nel bene – Menuhin dove l’istinto si faceva rivelazione – e nel male – Ricci, più veloce di mano che di pensiero.
Oggi Isabelle Faust studia il carteggio Johannes Brahms-Joseph Joachim – lo Joachim che collabora alla composizione del Concerto in Re
maggiore, di cui è dedicatario e primo interprete – e sulla base del carteggio disegna la propria lettura
dell’op. 77 assieme a Daniel Harding e alla Mahler Chamber Orchestra.
La Faust e il Concerto di Brahms ovvero un suono terso anzi di cristallo, l’uso volutamente parsimonioso
– e molto accorto – del vibrato
(come ai tempi di Joachim & soci),
modi esecutivi di grande scioltezza
e prontezza, magari scatenati ma
sempre ordinatissimi, accordi e bicordi asciutti ad esorcizzare, col resto, il pericolo dell’enfasi. Questo
senza trascurare, fra mille chiaroscuri, oasi e plaghe liriche (non solo
l’Adagio). Modi svelti però con i
giusti, ben evidenziati respiri. Andamenti più spesso serrati come nel
Finale, Allegro giocoso energicamente
accentuato – anche archi e ottoni –
e più stilizzazione di modi tzigani
che espressione di accenti, appunto,
zingareschi.
La rara cadenza di Busoni, ovvero il
senso della storia (rimandi a Beethoven), fra le poche, forse l’unica,
composta per l’op. 77 da un non
violinista, è una scelta azzeccata
perché, con le parti di timpani (rulli) e gli interventi orchestrali a sostegno del solista, esalta il carattere
e il respiro, il fluire sinfonico del
componimento.
Harding è protagonista di una buona anzi ottima esecuzione – filologicamente « magra » ma notevole
come sempre la Mahler Chamber
Orchestra – anche se con quell’incertezza stilistica per cui Mozart diventa parente di Schumann e Mahler nonno di Haydn che notammo
sin da un lontano, famoso Don Giovanni (regia di Peter Brook) in scena anche al Piccolo Teatro di Milano e dove l’acerba ma notevole interpretazione di Harding lasciava
immaginare sviluppi che non abbiamo invece riscontrato.
Notevolissima è la lettura del secondo Sestetto (la Faust con cameristi e prime parti d’orchestra), mirabile per larga, pacata interiorità e
chiarezza delle parti. Molto superiore a quella di Menuhin, Gendron e via citando (Emi), moltissimo superiore a quella del Quartetto
Amadeus più aggiunti (DG; si sa che
intonazione e smalto non erano
virtù primarie dell’Amadeus), appena meno spontanea di quella con
Pina Carmirelli & soci al Festival di
Marlboro (Sony).
Cinque stelle, nonostante Harding:
ovvero un’esposizione orchestrale
(Allegro non troppo) poco memorabile, riscattata però in buona misura
dall’eccellente sintonia con il partner e dai risultati complessivi.
Alberto Cantù
CD
BRAHMS Ein deutsches Requiem
soprano Natalie Dessay baritono Ludovic Tézier Orchestra Sinfonica della
Radio di Francoforte, Coro della Radio
Svedese, direttore Paavo Järvi
VIRGIN 6286100 7
A
DDD 72:17
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.
Nell’ottobre del
2009 l’Orchestra
Sinfonica della
Radio di Francoforte festeggiò
alla Alte Oper il
proprio ottantesimo compleanno
eseguendo il Deutsches Requiem di
Brahms insieme al suo direttore stabile Paavo Järvi che ora viene fissata
in CD da Virgin Classics. Non sorprende certo l’impiego del Coro
della Radio Svedese, a buon diritto
considerato uno specialista del capolavoro di Brahms e già presente
nella sua discografia con le incisioni
di Abbado e Gergiev. Può invece
sorprendere la scelta come solisti di
due cantanti francesi, peraltro fra i
migliori oggi, come Natalie Dessay
e Ludovic Tézier.
La personalità del direttore si impone fin dalle prime battute per la
scelta di un suono asciutto e trasparente molto lontano dai colori scuri
e dai densi spessori di tante incisioni storiche. È una immagine sonora
peraltro perfettamente intonata a
una visione di nordica severità che
privilegia la contenutezza introspettiva allo sbalzo monumentale, senza
però all’occorrenza rinunciare ad
un notevole impeto drammatico. I
tempi sono abbastanza spediti ma
tutto sommato nella norma inscrivendosi comunque in un taglio misurato che rifugge da ogni esagerazione retorica. Järvi è ammirevole
nella capacità di garantire l’intelligibilità dei più piccoli dettagli durante i momenti di maggiore concitazione e densità di suono. Ogni parte strumentale e vocale è nettamente isolabile dal contesto anche nelle
pagine dalla scrittura polifonica più
fitta e articolata. Una lettura analitica che comunque non esclude un
approccio intenso e profondamente
commosso al quale il celebre coro
svedese diretto da Christoffer Holgersson presta un nitore di fraseggio, una qualità di impasti e un
equilibrio di insieme oggi con pochi confronti. Qualche riserva può
essere invece suscitata dalla prova
dei solisti. La bella voce chiara e
delicata di Tézier non possiede certo il bronzeo rilievo timbrico e la
scultorea terribilità di accento di
tanti grandi interpreti del passato,
anche se la sua sobrietà di accento
si intona all’impostazione generale
dell’esecuzione. Il bellissimo Lied
cantato dal soprano richiederebbe
un’angelica purezza di suono che
non rientra fra le tante doti di una
artista pur straordinaria come Natalie Dessay, dal timbro un po’ querulo e dal fraseggio della lingua tedesca scarsamente incisivo. Il suo
intervento costituisce in realtà l’unico vistoso punto debole di un’incisione che comunque nell’insieme
può essere considerata fra le migliori degli ultimi anni, senza naturalmente scomodare i riferimenti storici di Walter e Klemperer, Furtwängler e Karajan, Kempe e Giulini, Celibidache e Sawallisch.
Giuseppe Rossi
CD
BRITTEN Suite sinfonica da Gloriana
op. 53a tenore Robert Murray BBC
Philharmonic, direttore Edward Gardner
Sinfonia per violoncello e orchestra
op. 68 violoncello Paul Watkins BBC
musica 227, giugno 2011
59
BUCHHOLTZ
&
Philharmonic, direttore Edward Gardner
Quattro interludi marini da Peter Grimes op. 33a BBC Philharmonic, direttore Edward Gardner
A
CHANDOS CHAN 10658
HHHHH
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Questa pubblicazione dedicata a
Britten accosta la
sua più celebre
composizione
sinfonica, i Quattro interludi marini da Peter Grimes, a
due opere assai meno note e registrate. La Suite sinfonica da Gloriana
si riferisce all’opera andata in scena
al Covent Garden di fronte a un
pubblico di invitati nel 1953 per
celebrare l’incoronazione della regina Elisabetta. Il lavoro imperniato
sulla relazione tormentata fra la regina Elisabetta I e il conte di Essex
fu giudicato inadeguato alla circostanza e accolto molto freddamente, anche se oggi se ne riconosce la
bellezza e la capitale importanza
nell’evoluzione del teatro britteniano. La Suite fu diretta per la prima
volta da Rudolf Schwarz a Birmingham nel 1954 e curiosamente non
figura fra le incisioni realizzate in
studio dal compositore, anche se
recentemente è stata recuperata una
sua esecuzione radiofonica con Peter Pears registrata nel 1956 a Baden-Baden. La Sinfonia per violoncello e orchestra fu dedicata a Rostropovich che la eseguı̀ sotto la direzione
dell’autore a Mosca nel 1964 e ne
realizzò insieme a lui una pregevole
incisione in studio. Ricchissima è
infine la discografia degli Interludi
marini, diretti da Britten per la prima volta nel 1945 e registrati per la
Decca. Una incisione famosa alla
quale si aggiungono tante altre eccellenti versioni discografiche come
quelle di Bernstein, Giulini, Previn,
Kempe, van Beinum, Boult, Ormandy. Le interpretazioni di Edward Gardner sono però da includere fra le migliori e riescono a tenere testa perfino a quelle del compositore. La Suite da Gloriana diretta con incantevole finezza mostra
un’attenzione ai dettagli superiore a
quella dimostrata dall’autore, anche
per merito della straordinaria qualità della registrazione, e trova in
Robert Murray un interprete appropriato del Lute Song. La Sinfonia
concertante eseguita da Paul Watkins
e da Gardner è molto diversa da
quella di Rostropovich con Britten.
La presenza prepotente del grande
violoncellista russo conferiva a
quella un denso spessore sonoro e
un fraseggio più plastico e carico di
60
cheggiante. La melodia talora è accurata e l’armonia naturale e semplice, il pianismo poco più che dilettantistico, comunque mai arduo.
Una certa ricerca armonica più volutamente sperimentale la si nota
solo nel primo movimento della
sua Sonata. Comunque questa musica la si ascolta con piacere e relativo impegno. Le note d’accompagnamento scrivono in termini assai
elogiativi sia della musica sia della
sua compositrice, più di quanto esse
non meritino, ma in questo caso la
motivazione è comprensibile.
Riccardo Risaliti
CD
CASTELNUOVO-TEDESCO Platero y
yo (selezione) narratore Moni Ovadia
chitarra Emanuele Segre
DELOS DE 3383
M
DDD 50:37
HHHHH
Britten
&
pathos. I due artisti inglesi puntano
invece in perfetto equilibrio a una
lettura introspettiva, asciutta e trasparente, più moderna e paradossalmente più britteniana. Infine gli Interludi marini si pongono fra i migliori in assoluto ascoltabili in disco
per la sottigliezza dedicata dal direttore ad analizzare lo spettro sonoro
di ogni battuta e la delicatezza di
tratteggio che contraddistingue le
pagine più estatiche ma anche l’impeto travolgente della Tempesta finale. Insomma un grande disco da
collocare ai vertici nella discografia
del maggior compositore inglese
del Novecento.
Giuseppe Rossi
CD
BUCHHOLTZ « Piano Works » (musiche per pianoforte) pianoforte Marco
Kraus
CPO 777 635-2
A
DDD 55:46
HHHH
.
Charlotte Helena
Buchholtz fu una
distinta signora
lussemburghese
vagamente somigliante
nelle
splendide foto dell’epoca (attorno
all’anno 1900) a certi ritratti di Felix Nadar. Compositrice autodidatta, sempre vissuta nel suo angolino,
si dedicò per tutta la vita al suo
musica 227, giugno 2011
hobby creativo, lasciando centotrentotto composizioni: liriche da
camera in varie lingue (anche in
lussemburghese), pezzi per pianoforte tra cui molte sonate, opere
corali e sinfoniche, musica per banda. Dopo la sua morte questo materiale, scampato fortunosamente a
un incendio, fu ritrovato e in parte
fatto conoscere. Vi è naturalmente
una associazione che se ne interessa,
anche dietro motivazioni nazionalistiche, e forse anche le varie associazioni musicali femminili, note
per la loro bellicosa attività propagandistica (hanno una casa editrice
musicale che si chiama Furore!)
hanno preso in carico la dama lussemburghese. Il disco quindi è una
primizia e come tale ha delle rarità,
anzi delle prime assolute, presumo.
Il pianista e musicologo lussemburghese Marco Kraus, che vive nel
granducato, si è accollato l’apostolica fatica di farci conoscere un mazzetto di composizioni della signora,
e lo ringraziamo: fa sempre piacere
per ogni studioso conoscere il nuovo e l’inedito, anche perché – non
dimentichiamolo – la storia non si
fa solo con la grosse personalità, ma
anche con quelle minori che apparentemente non ne fanno parte.
Non saprei definire storicamente,
in effetti, la musica della Buchholtz,
che non appartiene a nessuna epoca
ben definita, tranne un romanticismo alquanto di maniera e classi-
.
Mario Castelnuovo-Tedesco
nutriva un’antichissima ammirazione per la cultura spagnola, da
cui trasse ispirazione per molti lavori: dalle Coplas ai Capricci di
Goya. Non può dunque sorprendere che, nell’autunno della sua esistenza e a seguito di un episodio
particolarmente deludente dal punto di vista umano (gli intrighi per
non far rappresentare alla Scala il
suo Il mercante di Venezia), sia rimasto affascinato dalla « narrazione lirica » Platero y yo di Juan Ramón Jiménez, all’epoca fresco premio
Nobel per la letteratura: un ciclo
poetico di sfondo autobiografico
(1914-1917) che racconta in centotrentotto liriche la singolare amicizia per un asinello, nel quale il misantropo alter ego del poeta trova le
qualità che non riconosce negli
umani. In effetti Castelnuovo stesso, nelle sue memorie, riconduce il
vasto affresco musicale creato sulle
poesie di Jiménez a una sorta di periodo « animalista », in quanto in
quello stesso 1960 il compositore
creò altre due importanti opere in
qualche modo affini: la Sonatina
zoologica, pensata come ampliamento della giovanile Lucertolina; e il ciclo per canto e pianoforte Il Bestiario, su poesie di Arturo Loria. Ma
nella stessa occasione il compositore
confida che tra i tre lavori « di gran
lunga il più vasto e importante » è
costituito dalle ventotto scene per
narratore e chitarra costruite sulle
liriche del poeta spagnolo: opera
difficile da « maneggiare » per natura
CHOPIN
e vastità (Segovia stesso, pur avendo
progettato una registrazione integrale, non riuscı̀ che inciderne dieci, e nella sola versione strumentale), che pure ben si presta ad esecuzioni parziali. Come quella che,
dopo una parallela esperienza concertistica, ci presentano Moni Ovadia ed Emanuele Segre: che hanno
selezionato dodici brani, interpolandovi una significativa poesia-manifesto non musicata dal compositore (« Asnografı́a ») e chiosando
con la delicata trascrizione per chitarra, di mano del compositore fiorentino, della Pavane pour une infante défunte di Ravel, adattissima con
la sua dolcezza lirica (e tanto più
nella spiccata cantabilità offerta da
Segre) a fungere da commosso epitaffio per l’umanissimo asinello.
La musica con cui CastelnuovoTedesco accompagna o commenta
le liriche appartiene senz’altro alla
sua migliore ispirazione: percorsa da
una forte vena popolaresca, la ricchezza della palette ritmica e coloristica riesce ad evocare vividamente
le atmosfere dei vari piccoli affreschi, creando una sinergia tra voce
e strumento raramente raggiunta
nello spinoso campo del melologo.
A volte l’altezza della poesia è tale
che a Castelnuovo è sufficiente fornire un adeguato sottofondo musicale: è il caso del finale di « Amistad », in cui il poeta scrive di Platero « È cosı̀ uguale a me... che sono
arrivato a credere che sogni i miei
stessi sogni ». La bellissima strofa
iniziale di « La Luna », invece, è introdotta da un suggestivo firmamento di armonici; che sottende
anche ai versi di Leopardi (poeta
amatissimo dal compositore fiorentino) a cui Jiménez lascia brevemente la parola. Appropriatissima
l’evocazione di una canzone popolare per l’intensa strofa finale de
« La Tı́sica »: sul dorso dell’asinello
« la bambina, con il suo vestito candido... trasfigurata dalla febbre e
dalla speranza, sembrava un angelo
che entrasse in paese dal cielo del
Sud »; su un cante jondo si impernia
anche l’estesa e bellissima « La Arrulladora ». Altrettanto efficace il
tono lirico e asciutto, ma struggente individuato per « La Muerte » e
per « Melancolı́a », conclusa dalla
bella immagine di Platero che, in
cielo, porta in groppa gli angeli
adolescenti, mentre il ricordo del
vecchio padrone-amico si materializza nel volo di una farfalla bianca.
Praticamente perfetto l’affiatamento
tra voce e strumento, essenziale in
questa forma ibrida tra musica e recitazione. Emanuele Segre è inter-
prete ideale di queste pagine, per
versatilità sonora ed espressiva, per
poesia del fraseggio; la voce di Moni Ovadia, almeno in disco, inizialmente non appare altrettanto ricca
di inflessioni, ma in realtà gradualmente convince nell’efficace caratterizzazione del Narratore, grazie
alla qualità timbrica matura e appena rude e a una declamazione scabra ed essenziale.
Nel booklet due brevi ma sentite
annotazioni da parte degli interpreti
introducono alle liriche, presentate
anche in traduzione italiana, seppur
con qualche piccolo errore ed
omissione.
Roberto Brusotti
CD
CHOPIN Concerto per pianoforte n.
1 in mi op. 11; Concerto per pianoforte n. 2 in fa op. 21 pianoforte Daniel Barenboim Staatskapelle Berlin,
direttore Andris Nelsons
DG 477 9520
A
DDD 73:34
H H H /H
HHHH
.
Si è dato molto
da fare, Daniel
Barenboim, nel
duecentesimo
anniversario della
nascita di Chopin. Dopo il recital dal vivo del
febbraio 2010 a Varsavia, è arrivato
questo live, registrato ad Essen, con
i due Concerti, che il pianista argentino non aveva mai inciso prima. Al
suo fianco la Staatskapelle Berlin,
diretta dal giovane lettone Andris
Nelsons.
L’Orchestra appare un poco ruvida
nel fraseggio e Nelson, direttore
musicale della City of Birmingham
Orchestra, si mantiene nell’ambito
di una prudente ed impeccabile
professionalità. Alla tastiera Barenboim non mette del tutto a fuoco
le intuizioni e le intenzioni. Del resto se la tecnica non è più quella di
una volta, se le scale non sono perfettamente sgranate, se nei fortissimi
il suono si fa aspro e se gli stacchi
di tempo devono forzatamente essere contenuti, l’interpretazione finisce per risultarne frenata. Barenboim suona da gentiluomo e da viveur, senza però lasciare davvero il
segno. È indicativo che il ritmo,
per esempio nel Maestoso d’apertura
del Concerto in Fa minore, acquisti
nei soli orchestrali una vitalità assente quando l’orchestra deve accompagnare il solista. A compensare la mancanza di verve c’è una
convincente retorica del fraseggio,
in particolare nei movimenti lenti,
dove il pianista argentino può abbandonarsi senza preoccupazioni al
cantabile. Si tratta di un fraseggio
marcato e dal respiro ampio, suadente e a piena voce, il fraseggio di
un pianista-direttore abituato a frequentare l’opera lirica. È la caratteristica distintiva, oggi, del pianismo
di Barenboim, che sembra poco incline, invece, a lavorare sul suono e
sul timbro.
In virtù di questa retorica troviamo
dei passaggi suggestivi anche nei
movimenti veloci, come l’entrata
del pianoforte nel Maestoso del Concerto in Fa minore, che ha il piglio
autorevole dell’attacco di un’aria
tenorile. Il Rondo conclusivo del
Concerto in Mi minore, pur staccato a
un tempo piuttosto lento e faticoso,
possiede la ruvida vitalità di una
danza ispirata al folklore. E la stessa
semplicità un po’ grezza caratterizza
il Finale del Concerto in Fa minore.
Luca Segalla
CD
CHOPIN Fantasia in fa op. 49; Sonata in si bemolle op. 35; Notturno in
RE bemolle op. 27 n. 2; Barcarola in
FA diesis op. 60; Valzer in la op. 34 n.
2; Valzer in FA op. 34 n. 3; Valzer in
RE bemolle op. 64 n. 1; Valzer in do
diesis op. 64 n. 2; Berceuse in RE
bemolle op. 57; Polacca in LA bemolle op. 53 pianoforte Daniel Barenboim
DG 477 9519
A
DDD 79:15
HHHH
.
Il pianismo di
Daniel Barenboim vive di retorica, nel senso
nobile del termine. Tutto è finalizzato, nei recital del musicista argentino-israeliano, a rendere evi-
dente l’essenza della partitura attraverso accentuati contrasti dinamici
ed un fraseggio molto espressivo,
ma anche per mezzo di una componente gestuale che in CD non
può essere apprezzata. Lo hanno
dimostrato i concerti di questi anni
al Teatro alla Scala. Erano interpretazioni non rifinite, a volte imprecise, che tradivano un certo affanno. Eppure il riscontro del pubblico è stato (quasi) sempre entusiasta.
Perché? Forse è solo il tributo a un
nome, come quando il vecchio
Horowitz affrontava la Polacca op.
53 di Chopin (che qui Barenboim
suona con uno slancio non sempre
sostenuto dalla solidità della tecnica) pestando maledettamente sulla
tastiera, ma facendo scoppiare la sala dagli applausi. La risposta, in
realtà, è un’altra.
Barenboim, da grande musicista e
da grande direttore, coglie d’istinto
il senso di un brano. Si veda la Sonata in Si bemolle minore, il brano
centrale di questo recital registrato
dal vivo a Varsavia il 28 febbraio
del 2010 e disponibile anche in
DVD , con i fortissimi esasperati e
una tenuta ritmica a volte precaria,
ma proprio per questi motivi affannata e lacerata e quindi convincente
sul piano emotivo.
L’approccio retorico funziona meno dove la retorica non c’è, come
nei Valzer e nella Berceuse op. 57. I
Valzer, sornioni e senza orpelli, suscitano grandi applausi, perché Barenboim conosce bene i mezzi per
sedurre il pubblico (basta ascoltare
come mette in evidenza il controcanto nel Valzer op. 62 n. 3); mancano, però, di rifinitura nei dettagli
timbrici (sono sempre un poco
opachi) ed a volte difettano di brillantezza.
musica 227, giugno 2011
61
CIAIKOVSKI
Il fatto è che Barenboim è oggi un
grande musicista e non è più un
grande pianista. Prendiamo la Fantasia op. 49. Siamo lontani dalla levigatezza sublime e apollinea di
Michelangeli, come dall’eleganza
nobile di Salomon. Eppure, anche
se a tratti Barenboim arranca un po’
nei passaggi più complicati, l’ascoltatore viene travolto. È un’interpretazione di fuoco. Rivelatrice.
Cosı̀ il Notturno op. 27 n. 2, che
non incanta per la finitezza e la leggerezza del suono – si ascolti, per
un confronto, la levigatissima interpretazione di Pietro De Maria (cfr.
n. 211 di MUSICA ), con il basso
sempre in ombra e calibrato al millimetro – eppure incanta per la bellezza del fraseggio.
Luca Segalla
cenni non ha mai inteso divenire
celebre oltre la stretta cerchia dei
capaci d’intendere la musica. Vorrà
pur dire qualcosa? Live, fra parentesi.
Paolo Bertoli
CD
CIAIKOVSKI Sinfonia n. 2 op. 17
« Piccola Russia »; Sinfonia n. 3 op.
29 « Polacca » Orchestra del Ministero
della Cultura dell’URSS, direttore Gennadi Rozhdestvensky
ALTO ALC 1103
A
DDD 78:03
HHHHH
CIAIKOVSKI Sinfonia n. 4 op. 36; Sinfonia n. 5 op. 64; Sinfonia n. 6 op. 74
« Patetica »; Romeo e Giulietta, Fantasia-ouverture Hallé Orchestra, direttore John Barbirolli
URANIA WS 119 (2 CD)
B
ADD 150:10
HHHHH
CD
.
.
CIAIKOVSKI Il lago dei cigni, suite
RACHMANINOV Danze Sinfoniche
Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov
SIGNUM SIGCD229
A
DDD 74:38
HHHH
.
Parliamo fuori
dai denti. D’accordo, negli ultimi anni Yuri
Temirkanov appare un po’ fermo sulle proprie posizioni: quanto
a repertorio, certo; e – sempre
d’accordo – anche quanto a proposte interpretative. Il CD di cui ci occupiamo non presenta novità clamorose, per coloro che hanno già
sperimentato in concerto o sul proprio impianto stereo l’ebbrezza della suite dal Lago dei cigni o delle
Danze Sinfoniche da colui dirette.
Del resto analoghe licenze non sono concesse ad altri benemeritissimi
senatori del podio (Abbado, Boulez, Haitink, oppure – scindendo e
scendendo – Maazel, Masur, Mehta
e cosı̀ via)?
La vera novità sta nel saper ritornare in luoghi consueti garantendo un
immutato, palpabile, piacere d’ascolto. Tutto si gioca su sottigliezze. La Suite dal Lago dei cigni è più
che mai colorita e festosa; le Danze
Sinfoniche si sono fatte meno profonde, cupe e mortifere, rispetto alla formidabile incisione RCA... ma
quanto maggiormente sfumate, scivolose, sornione, vellutate, allusive.
Insomma, Ars est celare artem è motto sempre più consapevolmente
sposato da un direttore che – meditate su questo – nonostante la formidabile orchestra diretta per de-
62
In sede critica si è spesso parlato di
una vera e propria antinomia – in
senso stretto, come compresenza di
due affermazioni contraddittorie
che possono tuttavia essere entrambe giustificate – tra la visione interpretativa « orientale » e quella « occidentale » della musica di Ciaikovski. I massimi paradigmi dei due
modelli contrapposti (fatto salvo il
denominatore comune del supremo
virtuosismo esecutivo) sono facilmente rintracciabili in Evgeny
Mravinsky con il suo lucido e affilato barbarismo e in Herbert von
Karajan con il suo estetismo decadente e « patologico », espresso attraverso una quasi maniacale – soprattutto nelle versioni EMI e DG
degli anni ’70 – ricerca timbrica.
Due splendide ristampe – caratterizzate da remastering particolarmente accurati – ci offrono l’occasione
ideale per meditare nuovamente sul
problema: da una parte Alto recupera le incisioni della Seconda e della Terza realizzate da Rozhdestvensky per la Melodiya nel 1988-9,
dall’altra Urania rende nuovamente
disponibili le storiche registrazioni
HMV di Quarta, Quinta, Sesta e Romeo con la Hallé Orchestra diretta
da Barbirolli (Manchester, 195759).
L’ascolto di questi CD conferma su
tutta la linea l’inconciliabilità – e al
tempo stesso la complementarità –
delle due prospettive. Il carattere
fieramente autoctono dell’ispirazio-
musica 227, giugno 2011
ne ciaikovskiana viene riaffermato
da Rozhdestvensky in maniera più
che mai perentoria: basti infatti dire che, fra sue mani, l’incipit della
Sinfonia n. 2 potrebbe essere tranquillamente scambiato per una scena del Boris Godunov; la quasi totale « immunità » rispetto a seduzioni
austrogermaniche, francesi o italiane è coerentemente ribadita nel
prosieguo di un’esecuzione sempre
ottimamente sostenuta, persuasiva
ed efficace. Nella Terza il direttore
moscovita si spinge però ben oltre:
il presunto carattere « leggero », rilassato e quasi ballettistico della
partitura (si pensi alle affettuose ed
eleganti interpretazioni di Beecham
e Boult) è negato da Rozhdestvensky con un radicalismo che definire
impietoso suona quasi eufemistico.
Il mondo fatato dello Schiaccianoci
appare infatti remotissimo: al contrario si può leggere in tralice addirittura una lontana anticipazione
delle Danze Sinfoniche di Rachmaninov. Capolavori assoluti di questa versione sono il secondo e il
terzo movimento. L’Allegro moderato e semplice suona qui come uno
stralunato giro di valzer con la
morte, che nel Trio si toglie platealmente la maschera (le figurazioni in terzine degli strumentini sembrano proprio grottesche e beffarde
risate). Allo stesso modo l’Andante
Elegiaco (traccia 7) schiude inediti
panorami di sconforto: si ascoltino
soprattutto, da 7.45 alla conclusione, i glaciali tremoli degli archi e
gli interventi prima vanamente imploranti (flauto, clarinetto) e poi
cupamente rassegnati (fagotto e
corno) dei fiati.
Tale pessimismo cosmico è accuratamente bandito nel Ciaikovski di
Barbirolli: la certezza della sconfitta
non può e non deve indebolire la
pervicace lotta contro le forze avverse. L’aperta ostilità del mondo,
anziché rendere inutile l’Io, lo rafforza. L’arduo viaggio della vita,
con le sue infinite bellezze, occasioni e conquiste (per quanto
provvisorie), va dunque assaporato
fino in fondo. La sensibilità profonda e sottile del maestro londinese, per mezzo di un sismografo
emotivo invidiabilmente ben calibrato, prende per braccio l’ascoltatore conducendolo con discrezione
e delicatezza alla scoperta di dettagli preziosi che, a mano a mano,
giustificano le premesse. Il rifugio
della bellezza diviene roccaforte
impenetrabile persino agli assalti
del Fato: prova ne siano l’affondo
degli archi nel secondo tempo della Quarta (da 4.36), sottolineato da
colpi cadenzati del timpano quasi
haydniani nella loro gioiosa pienezza, oppure lo spirito « sanamente voluttuoso » che pervade la Valse
della Quinta Sinfonia.
Paolo Bertoli
SACD
DEBUSSY Prélude à l’après-midi
d’un faune; La mer; Jeux London
Symphony Orchestra, direttore Valery
Gergiev
LSO LIVE LSO0692
M
DDD 56:07
HHH
.
Dopo un CD
raveliano con
Daphnis, Pavane
e Boléro Valery
Gergiev torna a
confrontarsi con
il Novecento francese in questa
pubblicazione dedicata a Debussy
ugualmente registrata dal vivo fra il
2009 e il 2010 con la London
Symphony Orchestra. Nella sua
voracità di stili e autori diversissimi
il direttore russo talvolta licenzia registrazioni di scarso rilievo perché
contrassegnate da un approccio
scarsamente personale. Non è questo il caso del suo Debussy, giudicabile anche severamente ma certo
ricco di idee e a suo modo indiscutibilmente originale. Bisogna dimenticare tanto le evanescenze impressionistiche degli interpreti storici francesi quanto la radiografica lucentezza di Boulez o di Abbado di
fronte a queste letture dai tempi insolitamente lenti prodighi di rubati
e delle sonorità dense e impastate.
Un Debussy cosı̀ marcatamente
languoroso o in certi casi smodatamente violento e drammatico, in
una parola cosı̀ inelegante, non lo si
ascoltava in disco da un pezzo...
Gergiev ricrea i tre celebri lavori in
un’estetica da poema sinfonico attraverso un plastico descrittivismo
illustrativo. Impregnata di melassa
l’esecuzione del Prélude à l’après-midi d’un faune, pur ottimamente suonata dal primo flauto Gareth Davies, si spinge ad evocare un erotismo quasi pornografico. Le maggiori sorprese vengono dall’enigmatico Jeux, forse la più straordinaria
opera sinfonica di Debussy, certo la
più moderna sul piano concettuale
come ha dimostrato da tempo
Boulez. L’esecuzione di Gergiev
nella carnosa tangibilità dei rilievi
ritmici come nella totale assenza di
continuità e tensione formale fra i
diversi episodi interni resta fra le
più umorali e bizzarre che conosca.
Gli spunti migliori vengono invece
FRANCK
dalla Mer rappresentazione di un
mare del nord cupo e limaccioso
che comunque nel tempo finale
non manca di evidenziare una propria dirompente forza espressiva.
Nella discografia di Debussy questo
disco arriva ad assumere il significato di un esempio estremo di alterazione stilistica, in quella di Gergiev
segna la tappa certo discutibile ma
non incolore di una carriera curiosamente zigzagante.
Giuseppe Rossi
CD
FAURÉ Messe de Requiem op. 48;
Ave Verum op. 65 n. 1; Ave Maria op.
67 n. 2; Tantum ergo op. 55; Messe
des pecheurs de Villerville soprano
Ana Quintans baritono Peter Harvey
Ensemble Vocal de Lausanne, Sinfonia
Varsovia, direttore Michel Corboz
MIRARE MIR 028
A
DDD 63:23
HHHHH
.
La storia del capolavoro sacro di
Fauré è complicata e in parte
ancora avvolta di
mistero. La prima versione in cinque tempi fu diretta dall’autore alla
Madeleine nel gennaio del 1888
per i funerali dell’architetto Joseph
La Soufaché ma in realtà non sap-
piamo bene quali furono le vere
ragioni che propiziarono la composizione del Requiem. Fra il
1889 e il 1891 Fauré sottopose la
partitura a una revisione ampliando l’organico e aggiungendo l’Hostias e il Libera me, che in realtà
era già stato scritto nel 1877 come
pezzo indipendente. È la versione
per orchestra da camera che l’autore diresse nel gennaio del 1893
nella stessa chiesa parigina. Solo
nel 1900 la partitura fu nuovamente modificata per un organico
ancora più vasto forse da un allievo del compositore ed è la versione più nota che venne presentata
al pubblico da Eugène Ysaÿe. Solo
agli inizi degli anni ottanta John
Rutter grazie al ritrovamento del
manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Parigi riuscı̀ a riproporre
la versione originale. Per non rinunciare però ai due bellissimi
tempi aggiunti Rutter li inserı̀ nella propria edizione recuperandoli
dalla terza versione. Infine nel
1994, grazie al ritrovamento di
nuove fonti, Jean-Michel Nectoux
and Roger Delage hanno potuto
ricostruire interamente la seconda
stesura che è sotto ogni aspetto
preferibile alle altre. Lo stesso
Rutter curò nel 1984 una incisione della propria edizione (Collegium Records), mentre quella di
Nectoux può essere ascoltata nelle
registrazioni di Philippe Herreweghe (Harmonia Mundi), Laurence
Equilbey (Naive) e ora di Michel
Corboz, in questa registrazione
Mirare che è senz’altro la migliore
di tutte. Il direttore ne aveva già
realizzate due incisioni nel 1972
(Erato) e nel 1992 (Virgin) seguendo la versione per grande orchestra. Questa supera nettamente
le precedenti non solo per la scelta
della versione del 1893 ma per un
taglio interpretativo di mirabile
equilibrio che punta ad esaltare
proprio il carattere raccolto e intimo della partitura in una dimensione sonora di diafana purezza e
toccante semplicità espressiva. Il
baritono Peter Harvey si inserisce
nella visione delicata e affettuosa
del direttore con sensibilità e la
voce ferma e limpida, quasi infantile, del soprano Ana Quintans è
fra le più appropriate dell’intera
vasta discografia del lavoro. Mirabile sotto ogni aspetto è anche
l’apporto dell’orchestra e del glorioso Ensemble Vocal de Lausanne, fondato cinquant’anni fa dallo
stesso Corboz, nel Requiem come
negli altri più rari e bellissimi pezzi
sacri che completano il CD. Una
pubblicazione che può essere considerata un vertice assoluto nella
discografia delle opere sacre di
Fauré.
Giuseppe Rossi
CD
FRANCK Sonata in LA per violino e
pianoforte
RAVEL Sonata per violino e pianoforte; « Tzigane » Rhapsodie de Concert per violino e pianoforte violino
Francesca Dego pianoforte Francesca Leonardi
WIDE CLASSIQUE WCL125
M
DDD 57:36
HHHHH
.
Quanto garbo
traspare dal tocco
delicato di Francesca Leonardi,
pianista che introduce l’Allegretto moderato della Sonata di Franck
con una sonorità calda e suadente.
E in questa atmosfera intimista, si
innesta il dialogo con la violinista
Francesca Dego, che sa dosare fin
dalle prime battute i chiaroscuri
della partitura. È la dialettica l’arma
principale di queste due personalità
musicali che si fondono in un unico disegno esecutivo. La pianista
ama cesellare ogni frase con degli
impercettibili rallentandi che aumentano la tensione espressiva; la
violinista alla bellezza del suono ag-
GERSHWIN
giunge la fluidità e la scorrevolezza
del fraseggio che acquista sempre
nuove screziature dinamiche e timbriche. E cosı̀ l’Allegretto diviene
un’introduzione quanto mai « parlante ». Poi si entra nel vorticoso
Allegro con il tocco calligrafico della
Leonardi sul quale si sovrappone la
cristallina bellezza della quarta corda di Francesca Dego. Colpisce la
straordinaria fluidità del dialogo tra
violino e pianoforte anche durante
quelle zone insidiose dove è facile lasciarsi trascinare e perdere l’appiombo. Il Recitativo-fantasia è ben tornito
e avvolgente: le atmosfere immobili
dell’inizio producono solo sul finire
un graduale e ben dosato crescendo,
impreziosito da celatissimi sostenuti
che rendono ancora più tornite le
splendide timbriche dei due strumenti; poi il movimento si spegne in
un piano mai impalpabile. L’Allegretto, poco mosso è staccato con un tempo non troppo spigliato nel quale si
torna a godere della gioiosa serenità
del fraseggio. Forte e fortissimo sono
centellinati per emergere solo nella
parte conclusiva, quando la melodia
diventa estroversa e passionale; poi
tutto si richiude verso zone delicate
ed intermedie della dinamica fino alla coda; mai sguaiata nelle sonorità e
staccata con un tempo ben controllato.
La Sonata di Ravel palesa colori nitidi e tersi nell’Allegretto, dove si coglie, oltre al trasparente e calligrafico tocco della Leonardi, la straordinaria duttilità del braccio destro
della Dego. Splendide le zone spettrali della partitura (« quinte vuote »
del pianoforte). Blues, moderato
esordisce con i carnosi pizzicati della violinista e ogni asperità dell’assieme viene risolta con brillante disinvoltura. Infine, un Perpetuum mobile sempre ben controllato, dove le
note sembrano scolpite nell’alabastro.
E che dire, infine della superba
Tzigane di Ravel? Brano che esalta
le splendide doti della Dego, musicista che non solo domina le difficoltà tecniche, ma rivela una personalità interpretativa già ben delineata, persino esaltante nel suo
controllo della materia musicale.
Carlo Bellora
CD
GERSHWIN Rhapsody in Blue; I Got
Rhythm Variations; Concerto per
pianoforte in FA pianoforte JeanYves Thibaudet Baltimore Symphony
Orchestra, direttore Marin Alsop
DECCA 478 2189
A
DDD 57:26
HHHH
64
.
Ferde Grofè è
tornato in auge,
in questi ultimi
mesi, come arrangiatore delle
musiche di George Gershwin, in particolar modo
per quanto riguarda le versioni per
jazz band (recensione MUSICA n.
222) dei lavori per pianoforte e
orchestra del compositore newyorkese. Questa volta è il raffinato
pianista francese Jean-Yves Thibaudet ad accomodarsi alla tastiera;
e questa volta la chicca è costituita
dalla più rara redazione per jazz
band del Concerto in Fa, agile, sorniona e maggiormente swinging rispetto alla versione orchestrale tradizionale. L’inizio del Concerto,
ad esempio, cosı̀ urbano e chiassoso, ricorda neanche tanto da lontano quello di An American in Paris. Thibaudet centra la cifra stilistica di questi lavori, in costante
bilico tra il mondo della musica
colta e quello del jazz, senza eccessi o vuoti istrionismi. Quando il
pianista francese decide, per esempio, di passare allo swing nella celebre pagina solistica in Sol maggiore che precede l’Andantino moderato nella Rhapsody in Blue lo fa
con consapevolezza e discrezione.
Giustamente netti e scattanti, invece, i momenti più ritmici. Ma
Thibaudet sa anche colorire le
melodie più cantabili sfruttando la
sua paletta timbrica con un pianismo fine e sempre molto nitido.
Marin Alsop offre una direzione
non fantasiosissima, ma disinvolta
in questo live registrato durante tre
concerti tenutisi a Baltimora nel
novembre 2009.
Massimo Viazzo
CD
HAYDN Sinfonia n. 53 in « L’impériale »; Sinfonia n. 54 Heidelberger Sinfoniker, direttore Thomas Fey
HÄNSSLER 98.626
A
DDD 62:10
HHHHH
.
Nel quindicesimo volume della
pregevole integrale haydniana
che Thomas Fey
e gli Heidelberger Sinfoniker stanno portando
avanti per Hänssler Classic sono accostate due sinfonie presumibilmente datate 1778-79 e 1774. Due
opere poco conosciute e per lo più
registrate solo all’interno delle raccolte complete, anche se di quella
in Re maggiore ricordo una curiosa
musica 227, giugno 2011
incisione di Stokowski. La n. 53
soprannominata L’imperiale forse
per le pompose battute iniziali o
per il particolare favore che le accordò la regnante sembra essere un
lavoro messo insieme riunendo pagine per lo più destinate all’attività
teatrale di Esterháza specialmente
per gli spettacoli di marionette tanto apprezzati dal principe. La sinfonia ci è giunta in versioni differenti
e la nuova incisione presenta due
diverse stesure del Finale, il Capriccio originale in coda ai primi tre
tempi e al termine del CD una stesura alternativa indicata semplicemente Presto. La pagina migliore
della partitura è comunque individuabile nell’Andante costruito in
forma di doppie variazioni con un
secondo tema in minore.
Ancor più interessante è la n. 54,
anche questa pervenutaci in versioni diverse con un organico modificato. Vi spicca soprattutto lo straordinario Allegro assai in Sol maggiore
ricco di sorprese a cominciare dalla
curiosa cadenza affidata poco prima
della fine a due violini soli. In queste sinfonie ricche di problemi già
sotto l’aspetto della scelta testuale si
conferma in pieno l’affidabilità stilistica di Thomas Fey con esecuzioni
caratterizzate dall’appropriatezza di
tempi e di fraseggi che contrassegna
ogni suo confronto con Haydn.
Basti fra i tanti esempi possibili segnalare le deliziose ornamentazioni
introdotte nella ripresa del Minuetto
della n. 53. La soluzione di accostare strumenti d’epoca e moderni
utilizzati secondo criteri rispettosi
delle attuali convinzioni in fatto di
prassi esecutiva settecentesca risulta
anche in questo caso vincente e
l’orchestra tedesca aderisce alle richieste del suo direttore con la
grande bravura già rilevata nei precedenti volumi.
Giuseppe Rossi
CD
HAYDN Sei Quartetti per archi op.
20 Daedalus Quartet
BRIDGE 9326A/B (2 CD)
A
DDD 140:08
H H H /H
HHHH
.
Un po’ in controtendenza rispetto alla spregiudicatezza e ai
funambolismi dei
giovani quartetti
odierni, il Daedalus Quartet dà una
lettura tutto sommato sobria, equilibrata, temperata della fondamentale op. 20 haydniana, il primo ciclo quartettistico rilevante uscito
dalla penna del compositore di
Rohrau. Anche i tempi risultano
tranquilli e una certa rilassatezza,
qua e là, limita un po’ la vivacità,
l’esuberanza di queste pagine contenendone la temperie emotiva. I
« Sonnenquartette » (cosı̀ reca il frontespizio dell’edizione Hummel di
Berlino del 1779 pubblicata sette
anni dopo la loro composizione) si
situano, inoltre, in una fase quasi
sperimentale della produzione
haydniana accanto alle cosiddette
Sinfonie « Sturm und Drang »: ci sono, ad esempio, ben tre finali in
forma di Fuga, per non parlare del
sorprendente Capriccio del Quartetto
op. 20 n. 2 in Do maggiore (secondo movimento), del cullante Adagio
a mo’ di ninna-nanna del Quartetto
op. 20 n. 4 in Fa minore (terzo
movimento) e, infine, della nuova
concezione di indipendenza fra le
voci che governa il dettato strumentale. Nell’esecuzione del complesso americano tutto suona, in tal
senso, pulito ed eufonico, ma a
volte un po’ smorto.
Massimo Viazzo
CD
HENZE « Guitar Music 2 » (musiche
varie) chitarra Franz Halász mandolino
Anna Torge arpa Cristina Bianchi Ensemble Oktopus, direttore Konstantia
Gourzi
NAXOS 8.557345
B
DDD 70:24
HHHH
.
Lo strumento
protagonista è
sempre lui: la
chitarra. Ma lo
stile compositivo
cambia ad ogni
traccia, come è tipico di Henze. Si
comincia con Royal Winter Music, la
prima sonata henziana per chitarra
(1975-76), in cui l’autore ha tentato di circoscrivere a un solo strumento la sua vocazione (passione)
per il teatro: First Sonata on Shakespearean Characters, annuncia infatti
il sottotitolo, perché ciascuno dei
sei movimenti è ispirato a uno o
più personaggi di Shakespeare (nel
’79 Henze scriverà una seconda
Royal Winter Music shakespeariana
in tre tempi). Si tratta, come è noto, del più impegnativo pezzo per
chitarra sola del repertorio secondonovecentesco insieme alla Sequenza XI di Berio: Julian Bream, il
chitarrista committente, aveva chiesto a Henze qualcosa di paragonabile, come respiro e impegno per il
solista, all’Hammerklavier di Beethoven, e fu accontentato.
« The Italian Intermezzo »
Segue Carillon, Récitatif, Masque, un
lavorino del 1974, molto più leggero, in cui tutto si riduce al fascino
dei tintinnii dorati scaturiti dall’intreccio di tre strumenti a corde pizzicate cosı̀ simili nel principio organologico e cosı̀ diversi nell’effetto:
chitarra, mandolino, arpa. Più che
una composizione, un gioco di
prestigio musicale.
Anche Drei Märchenbilder aus « Pollicino » appartiene alla stessa linea disimpegnata: tre melodie accompagnate, niente di più, trascritte per
chitarra da Reinbert Evers dall’opera per bambini Pollicino, composta
da Henze nel 1980 per il suo Cantiere di Montepulciano. Chiude
l’Ode an eine Äolsharfe, di nuovo
l’Henze maggiore: un compositore
che, nel 1986, riscopre le proprie
origini espressioniste e, travestita la
chitarra da arpa eolia, la fa emergere da un paesaggio strumentale
oscuro nelle tinte e arcaico nelle
sonorità: flauto contralto, flauto
basso, oboe d’amore, clarinetto basso, viola d’amore, viola da gamba...
Franz Halász è un chitarrista raffinato, con un suono nobile, armonici
pieni e una notevole allure. Primeggia, dunque, nei brani dal fraseggio
tradizionale o in cui al centro dell’invenzione è il timbro (Carillon,
Drei Märchenbilder, l’Ode). Laddove
c’è drammatizzazione, come nella
Sonata, Halász tende a uniformare i
contrasti sotto un velo di eccessiva
bellezza, siano quelli lividi di Gloucester (n. 1) o quelli schizofrenici di
Ophelia (n. 4). Un’esecuzione molto elegante, ma poco teatrale. La
voce di un attore talmente suadente, da attirare l’attenzione tutta su
di sé, a scapito dell’« azione ».
Massimo Pastorelli
CD
« Historia Sancti Martini » (musiche
sacre del XIII secolo) Diabolus in musica, direttore Antoine Guerber
AEON AECD 1103
A
DDD 66:02
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La vita di San
Martino, morto
a Tours nel 397,
ci è ben nota
grazie al suo
amico e biografo Sulpicio Severo
che ne ricorda le vicende: l’abbandono della legione romana, la condivisione del mantello con un povero per strada, il suo incontro con
santo Ilario vescovo di Poitiers, la
fondazione dei primi monasteri, l’ascesa al soglio vescovile di Tours, le
numerose conversioni, i miracoli e
la drammatica morte (per saperne
di più si legga la preziosa Legenda
aurea di Jacopo da Varazze). La
tomba del Santo divenne presto
meta di pellegrinaggi non solo da
tutta la Gallia ma anche da fuori: il
primitivo oratorio diventò cosı̀ presto una ampia basilica che esortò
anche il re Clodoveo alla conversione e poté resistere sino alla distruzione degli eserciti rivoluzionari
francesi (1801), intrecciando un legame indelebile con la corona francese (carolingi e capetingi) sino alle
soglie del secolo decimonono.
L’Ensemble ultraspecializzato Diabolus in musica, diretto da Antoine
Guerber, ci rinvia ora con la memoria agli antichi riti ecclesiali, alle
liturgie della laus perennis (lode perenne) attraverso la registrazione del
Grande Uffizio Solenne della Basilica di S. Martino di Tours, databile
al XIII secolo, un misto di cantus
planus (gregoriano) e di antiche forme polifoniche come il variegato
rondellus, il sillabico e processionale conductus, il responsorio). La
storia del Santo riceve quindi luce
alterna ora dalla cantillazione (canto
declamato) che esalta la parola, ora
dalle pratiche polifoniche (anche
organuli) che esaltano il colore dell’impasto e la varietà intervallare
delle voci sovrapposte. Un colore
particolare viene dal ricorso a sole
voci maschili (due tenori, un baritono, due bassi-baritoni ed un basso) a conferire al racconto la giusta
dose di pensosità ed arcaicità pietrificata come nelle pareti delle grandi
cattedrali gotiche del tempo.
Il gruppo francese segue le indicazioni piene di dettagli del canonico
Péan Gatineau, scritte tra il 1226 e
il 1237, relative alla pratica musicale in uso al tempo nella importante
basilica, una pratica che durò anche
oltre ( all’epoca in cui tesoriere era
il fiammingo Ockeghem). La festa
più importante e solenne (l’11 novembre) coincideva con la data della sepoltura del Santo e proprio
questo rito di S. Martino d’inverno
è qui riproposto nella sua composita articolazione musicale. L’Ufficio
(databile al 1230 circa), dopo la
processione del Mattutino, comprende tre Notturni, articolati ciascuno in tre Salmi con relative antifone e qui intercalati da tre conductus polifonici talora della Scuola di
Notre Dame di Parigi, e tre lectiones
(che raccontano la fine di Martino)
seguite da altrettanti responsori ed
immancabilmente concluse da un
Te Deum laudamus. La ricerca filologica di questa preziosa esecuzione
si spinge al punto di plasmare la
pronuncia del latino sul vernacolo
dei canonici di Tours all’ inizio del
Duecento, ovvero la lingua d’oil
dei trovieri. Il risultato è a tratti
sorprendente per dovizia di colore,
perfezione di risonanze armoniche:
un mondo sepolto tra le nervature
ogivali del grande gotico nord-europeo.
Lorenzo Tozzi
CD
« The Italian Intermezzo »
CILEA Adriana Lecouvreur: Intermezzo
PUCCINI Manon Lescaut: Intermezzo; Suor Angelica: Intermezzo; Edgar: Preludio atto I, Preludio atto III
CATALANI Loreley: Danza delle Ondine; La Wally: Preludio atto I, Preludio atto IV
VERDI La Traviata: Preludio atto III
GIORDANO Siberia: Preludio atto II;
Fedora: Intermezzo Atto II
PONCHIELLI La Gioconda: Danza
delle ore
MASCAGNI L’Amico Fritz: Intermezzo
WOLF-FERRARI I Quattro Rusteghi:
Intermezzo; I gioielli della Madonna:
Intermezzo
LEONCAVALLO Pagliacci: Intermezzo BBC Philharmonic, direttore Gianandrea Noseda
CHANDOS CHAN 10634
A
DDD 72:32
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La
pregevole
collana « Musica
Italiana » della
Chandos si arricchisce di un bel
CD interamente
dedicato ad estratti sinfonici da
opere « nostrane » del secondo Ottocento e primo Novecento.
In un repertorio come questo è
ben raro imbattersi in antologie appositamente realizzate o quantome-
no costruite « a posteriori » con la
dovuta cura: di solito le case discografiche – blasonate o meno – si
accontentano di accozzare una dozzina di brani alla bell’e meglio attingendo spregiudicatamente al back
catalogue. Qui, per fortuna, ci si
muove su un piano completamente
diverso: da una parte l’accostamento di autori e brani risulta particolarmente raffinato e stuzzicante;
dall’altra, il livello omogeneamente
elevato delle esecuzioni è garantito
da una BBC Philharmonic in ottimo
spolvero guidata da Gianandrea
Noseda con partecipazione, gusto e
fantasia.
Attraverso una concertazione sapiente e accurata (si ascoltino ad
esempio la parte conclusiva dell’Intermezzo da Adriana Lecouvreur o il
Preludio al second’atto di Siberia),
opportunamente il maestro milanese si preoccupa di porre in luce anzitutto le finezze timbriche e armoniche caratterizzanti queste partiture, svelando – se ancora ce ne fosse
bisogno – l’infondatezza dei consunti luoghi comuni concernenti
l’imperizia dei nostri autori scapigliati e veristi. Al tempo stesso, grazie a un’adesione sincera e viscerale
all’appassionato e inconfondibile
melos che contraddistingue il teatro
musicale italiano da Verdi in avanti
(si ascoltino ad esempio le prime
pagine dell’Intermezzo da L’Amico
Fritz o i due squarci sinfonici dell’Edgar pucciniano), sa garantire agli
ascolti un indispensabile surplus di
carica emozionale.
Vista la ghiotta occasione sarebbe
stato forse auspicabile ripescare
qualche altra rarità « sostituendola »
ai brani maggiormente celebri, già
serviti da una più che copiosa di-
&
Gianandrea Noseda
&
musica 227, giugno 2011
65
« Les leçons particulières de musique »
scografia. In questi ultimi casi non
bisogna però temere che Noseda si
adagi nella comoda routine consegnandoci letture tutto sommato superflue: avviene anzi l’esatto contrario, come dimostrano ad esempio la restituzione tesa e tragica dell’Intermezzo da Manon Lescaut o
quella assai elegante, scorrevole e
vivace della Danza delle ore.
In somma delle somme, se il primo
pensiero che vi passa per la mente è
quello di comprare questo CD per
regalarlo al classico amico neofita,
sarà meglio non lasciarsi andare alla
tentazione di ascoltarlo preventivamente: la tentazione di conservarlo
nella propria collezione diverrebbe
troppo forte.
Paolo Bertoli
DVD Video
« Les leçons particulières de musique » Pierre-Yves Artaud un film di
Roger Kahane
HARMONIA MUNDI HMD 9909034
A
DDD 52:00
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« Les leçons particulières de musique » Anner Bylsma un film di François Manceaux
HARMONIA MUNDI HMD 9909035
A
DDD 56:00
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Sull’interesse della collana di Olivier Bernager e François Manceaux
mi sono già soffermato segnalando i
volumi dedicati a Jacobs, Ross,
Baumann e la Loriod. Ricorderò
solo che si tratta della serie di dodici trasmissioni diffusa fra il 1987 e il
1991 da La Sept, poi Arté, ora diffusa in DVD da Harmonia Mundi.
Filmati realizzati in anni e luoghi
diversi che ci permettono di seguire
le masterclasses dei alcuni dei maggiori musicisti del Novecento. In
questo caso si tratta di specialisti di
repertori molto diversi. Il francese
Pierre-Yves Artaud è uno dei maggiori conoscitori della letteratura e
delle tecniche del flauto contemporaneo. Come un tempo il nostro
Gazzelloni, Artaud è dedicatario di
molte composizioni che hanno segnato l’evoluzione tecnica dello
strumento ed è quindi l’iniziatore
ideale a un mondo sonoro poco
noto, ricco di delicati problemi esecutivi a cominciare già dalla varietà
66
e complessità di indicazioni sul piano della notazione. La sua lezione
tenuta nel 1988 si svolge nell’atelier
di un pittore parigino e fra gli allievi riconosciamo lo svizzero Emmanuel Pahud, all’epoca diciottenne e
oggi diventato una celebrità come
solista e primo flauto dei Berliner.
Artaud introduce ai segreti del flauto moderno partendo dall’emblematico Syrinx di Debussy, coronamento di un’immagine tradizionale
pastorale e galante dello strumento
ma anche rivelazione di una sua
nuova dimensione sonora poi sviluppata dalle avanguardie. Il lavoro
di Artaud si svolge interamente sui
dati concreti delle partiture e oltre
al pezzo di Debussy riguarda due
lavori di Yoshihisa Taira (Synchronie
e Maya), a dimostrazione dell’influenza esercitata dalla musica
orientale su certi stili della musica
contemporanea, e Cassandra’s
Dream Song di Brian Ferneyhough
che vediamo presenziare alla lezione. Al termine è poi lo stesso Artaud a suonare stupendamente Unity Capsule del musicista inglese.
Con Anner Bylsma siamo invece di
fronte a un guru del violoncello
barocco e soprattutto a uno dei più
illustri studiosi e interpreti delle
Suites di Bach. Attento e scrupoloso, Bylsma parla poco, preferendo
suggerire la soluzione di un problema attraverso l’esempio, anche se
da bravo insegnante non punta a
inculcare un’imitazione del proprio
stile ma a raggiungere una propria
visione del pezzo. Assistiamo a lezioni tenute in ambienti diversi,
nella sua casa di Amsterdam poi in
una cappella barocca vicino Harlem, e lo vediamo spaziare fra
mondi musicali lontani, quasi in una
sintesi ideale degli stili dello strumento, uno Studio di Franchomme,
una Canzone di Domenico Gabrielli, La Ligne des toits di Henri Pousseur
e naturalmente Bach, quello della
Suite in Do minore. Come è consuetudine del ciclo anche questo volume si chiude poi con un’esecuzione
del maestro, una ricreazione austera
e bellissima del Preludio dalla Suite in
Sol maggiore.
Giuseppe Rossi
CD
LISZT Fantasia e fuga su B.A.C.H.;
Bénédiction de Dieu dans la solitude; Venezia e Napoli; Sonata in si
pianoforte Marc-André Hamelin
HYPERION CDA67760
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DDD 79:25
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REGER Concerto per pianoforte op.
114
musica 227, giugno 2011
STRAUSS Burleske pianoforte MarcAndré Hamelin Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, direttore Ilan Volkov
HYPERION CDA67635
A
DDD 56:53
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Marc-André Hamelin ha fatto precedere oltre quaranta dischi alla sua
registrazione della Sonata in Si minore, che viene realizzata adesso, nell’anno dell’anniversario, in questa
bella scelta di composizioni lisztiane
che costituisce il suo terzo disco
dedicato interamente a questo
compositore. Nei due precedenti (il
primo per la Music & Arts) era palese la predilezione di Hamelin per
i settori più desueti della letteratura
pianistica, anche nell’ambito di un
compositore di maggior richiamo:
nel caso di Liszt alcuni brani giovanili o tardi, o preziose scoperte nel
campo della trascrizione (le tre
grandi Marce di Schubert, ad esempio). Abbiamo invece qui – e fa
parte dell’attuale politica di recupero, da parte di Hamelin, del grande
repertorio – oltre alla Sonata, la
versione pianistica della Fantasia e
fuga su B.A.C.H. scritta da Liszt
(come « Preludio e fuga ») per organo, uno dei brani più belli del ciclo
Harmonies poétiques et réligieuses, che
è Bénédiction de Dieu dans la solitude,
infine i tre brani che costituiscono
il supplemento, Venezia e Napoli, al
secondo anno delle Années de pèlerinage. Inutile dire che in questo repertorio il pianista canadese si muove come un pesce nell’acqua, direi
come uno squalo nell’oceano: la
sua tecnica gli permette effetti timbrici tellurici: si ascolti quel tremolo in accordi nel finale della Fantasia e fuga, o le note ribatture della
Tarantella di Venezia e Napoli.
Splendide anche le rapidissime filigrane della Gondoliera (dallo stesso
ciclo). Ma sono cose cui ormai Hamelin ci ha avvezzo. Il lavoro più
impegnativo, appunto la Sonata, è
da lui resa non solo con la tecnica
giusta (quindi velocità, impeti, scatti) e la sonorità più accattivante
(bellissima la parte centrale, Andante
sostenuto), ma con convincente coerenza discorsiva e strutturale. Egli
non esce però qui dai canoni interpretativi ormai affermatisi riguardo
questo capolavoro, che non pongono in primo piano le suggestioni
immaginifiche e il lato visionario
del pezzo, privilegiandone invece le
novità strutturali e le invenzioni
tecnicistiche. Non mancano però –
in questo la personalità di Hamelin
non si smentisce – soluzioni particolari e scelte anche un tantino eccentriche, che il testo pur permette.
Con l’altro disco, dedicato al Concerto di Max Reger e alla Burlesca di
Richard Strauss, Hamelin arriva a
venti brani orchestrali registrati per
la casa inglese, per lo più nella serie
« Romantic Piano Concerto ». E
brani non da poco, se si pensa che
già comprendevano Concerti di
Busoni, di Brahms (Secondo), di
Henselt, di Scharwenka (Primo), di
Shostakovich, e che con quello di
Reger giungono a uno dei vertici
della difficoltà pianistica, oltre che
dell’impegno musicale (specialmente per l’ascoltatore). Celebre per
l’incisione di Rudolf Serkin, che
ancor giovanissimo lo aveva eseguito nientemeno che con Furtwängler a Berlino, questo Concerto
non fu mai popolare, sia per la difficoltà di esecuzione (soprattutto di
memorizzazione), sia – appunto –
per la « difficoltà » di ascoltarlo: eccessivo spessore orchestrale, mancanza di melodie ben definibili, vicissitudini armoniche abbastanza
contorte. Ci vuole un interprete di
livello superiore non solo dal punto
di vista tecnico, ma soprattutto capace di muoversi con chiarezza nella complessa struttura: deve credere
in questa musica ed esporla in modo convincente. Serkin ci si buttava
a corpo morto e creava tensioni decisamente brahmsiane (il Concerto
risente chiaramente dell’esempio
del Primo Concerto di Brahms). Hamelin è meno coinvolto emozionalmente, rispetto a Serkin, ma la
facilità con cui supera la complessità
strutturale e tecnica del lavoro è al
solito sorprendente. E nel direttore
Volkov ha trovato analogo « chiarificatore » della parte sinfonica. Ottima anche la partecipazione dell’Orchestra della Radio di Berlino, le
cui prime parti (ovviamente qui il
timpanista) brillano nella Burlesca di
Strauss, straordinario brano del giovane Strauss, tale da farci rimpiangere che il compositore poi abbia
voltato le spalle al pianoforte, sia
pure per darci i capolavori che ci
ha dato. Avevo già ascoltato Hamelin in questo lavoro a Torino,
con l’Orchestra della RAI , in una
interpretazione pressappoco analoga: egli crede nella modernità di
questo pezzo, evidenziando di questo enorme valzer sinfonico più la
coerenza strutturale e il tessuto pianistico, decisamente arduo, che non
le reminiscenze romantiche che la
LULLY
forma stessa di danza si porta dietro:
diciamo, siamo agli antipodi de La
Valse di Ravel, ma anche del Rosenkavalier! Splendida prestazione,
anche qui, dell’orchestra e del direttore, che ha parecchio da fare
per tenere assieme un materiale ritmicamente trascinante e timbricamente lussureggiante.
Riccardo Risaliti
CD
LULLY Bellérophon (tragédie lyrique
in un prologo e cinque atti su libretto di
T. Corneille) C. Auvity, C. Scheen, I.
Perruche, J. Borghi, E. Alexiev, J. Teitgen, R. Getchell; Chœur de chambre
de Namur, Les Talens Lyriques, direttore Christophe Rousset
APARTÉ AP 015 (2 CD)
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DDD 133:46
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Il Bellérophon di
Lully, inaugurato
nel 1679 all’Academie Royale de
Musique, sopravvisse sulle scene
operistiche francesi per quasi un secolo. Precisamente fino al 1773,
quando il conte d’Artois poté
ascoltarlo alla propria festa nuziale;
quello stesso conte d’Artois che, effimero re col nome di Carlo X, fu
celebrato da Rossini con la sua ultima opera italiana: Il viaggio a Reims
(1825). A quel tempo le tragédies lyriques del bizzarro genio fiorentino
erano ormai reperti archeologici
noti solo a bibliotecari e storici della musica. Nemmeno l’impetuoso
revival barocco del secondo Novecento si era mai occupato di questa
partitura, che ha sperimentato la
riesumazione in forma di concerto
solo l’anno scorso, ed ora – dopo
un tour da Beaune a Vienna via
Versailles e Parigi – affronta il mercato discografico in una veste di
gran lusso. Il libretto è curato come
si deve quanto a metrica del testo
cantato e traduzioni, benché con
qualche errore di numerazione delle tracce; le note introduttive di
Jean Duron, piacevoli a leggersi,
contestualizzano storicamente il lavoro senza burbanza accademica, la
grafica è sontuosa come i manoscritti antichi di cui cita le immagini.
Tutti pregi non comuni di questi
tempi. Manca tuttavia un testo italiano, e in simili casi il danno è grave. Senza aver mai frequentato l’attico di Racine né gli atrii della Comédie Française è inevitabile smarrirsi nella selva dei lunghi discorsi
versificati in sonore e tortuose polimetrie, dove coabitano grandeur mi-
litaresca e ampollose trasfigurazioni
mitologiche del quotidiano a maggior gloria del Re Sole. I valori di
quella cultura cortigiana qui trovano espressione suprema mediante
gettoni semantici di sicuro effetto
(« gloire », « valeur », « héros », « victoire ») da introdurre in una sorta di
slot-machine compositiva che rimunera il giocatore con un diluvio di
declamati e brevi ariette, di trilli,
marce e fanfare in ritmo saccadé. Ma
ciò che più interessa è la loro applicazione finalizzata alla conquista di
« tendresse », « jeux », « plaisirs »...
Fondamentale è poi la funzione del
coro, da considerarsi alla stregua di
un vero personaggio collettivo secondo i canoni del classicismo allora imperante. Esso non si limita a
commentare l’azione in corso, anzi
vi partecipa a pieno titolo sonorizzando i movimenti scenici di un
invisibile corpo di ballo: Muse e
Amazzoni, maghi, sacerdoti e popolo. Ci voleva il DVD per rendere
giustizia a un lavoro che esige macchine, mostri e spettacolari scenografie secondo l’essenza dell’opera
barocca; tanto più se corredata di
un prologo allegorico-politico ambientato nella reggia di Parnaso. Sarà per un’altra volta.
Intanto godiamoci quello che c’è:
una compagnia di canto media-
mente assai competente, con l’unica eccezione del pur scultoreo baritono Evgueniy Alexiev (Jobate, re
di Lidia), la cui fonetica slava suona
troppo fuori contesto. L’altro cattivone, il mago Amisodar, è Jean
Teitgen: neppure lui uno specialista, ma il suo timbro cavernoso alla
Sparafucile risolve con autorità un
ruolo centrale nelle convenzioni librettistiche del tempo.
La regina Sténobée, perfidissima
femmina che non esita a devastare
un intero paese per vendicarsi di
uno scacco amoroso, è Ingrid
Perruche, soprano dall’ampia gamma espressiva svariante fra gli sdegni, le velenose ipocrisie e la patetica scena-lamento del finale;
pagina da catalogare fra le vette
del secolo, diciamo fra l’Ottavia
monteverdiana e la Dido di Purcell. I due nobili amanti bersagliati dal destino sono il tenore Cyril
Auvity (Bellérophon) e il soprano
belga Céline Scheen (Philonoë).
Possiedono entrambi colore grato,
duttile fraseggio, facile agilità; ma
lui prende molti rischi come suo
solito, mentre lei si contiene meglio nei limiti di una composta
eleganza, e nei duetti legano senza
problemi.
Bene i comprimari Jennifer Borghi
e Robert Getchell, strepitoso il
MAHLER
Chur de Chambre di Namur, dinamica la concertazione di Christophe Rousset alla testa dei suoi Talens Lyriques, seppure con qualche
intemperanza alla René Jacobs nell’uso di una panoplia di percussioni
maneggiate con virtuosismo da
Marie-Ange Petit.
Carlo Vitali
CD
MAHLER Lieder da « Des Knaben
Wunderhorn » baritono Thomas Hampson Wiener Virtuosen
DG 477 9289
A
DDD 67:04
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I
quattordici
Wunderhorn-Lieder dei quali
Mahler lasciò anche una versione
orchestrale sono
presentati qui in un’interpretazione
stimolante e sorprendente, per la
novità della prospettiva e l’elasticità
del fraseggio. Sono molteplici i
punti di forza che convergono a simile risultato: da un lato la rico-
che offre una trama sonora sontuosa e infinitamente ricca di colori,
dinamiche, dettagli; ancora, una
concezione flessibile e direi creativa
dell’articolazione interna di ogni
singolo Lied; e infine il contributo
di un liederista e mahleriano di prim’ordine come Thomas Hampson,
che nonostante qualche durezza
vocale dimostra una capacità di penetrazione di queste pagine ammirevole. Del resto proprio due album Telarc di Lieder (mahleriani e
non) basati sulla raccolta di Arnim
e Brentano furono tra i primi a segnalare il baritono americano all’attenzione universale, ormai una
ventina di anni or sono.
Il palinsesto è costruito abilmente:
al centro il gruppo di Lieder in cui
è protagonista quella figura, dominante nella poetica mahleriana, della vittima del destino; l’ultima parola alla trasfigurata (e qui davvero
commovente) « Urlicht ». Un aspetto che emerge immediatamente è
che la visione più levigata del tessuto orchestrale si traduce in una minore esasperazione del carattere
grottesco, in favore di sonorità più
Thomas Hampson
&
&
struzione dell’originale equilibrio
interno dell’orchestra, « sbilanciato »
verso i fiati (nella maggioranza dei
Lieder, per dare un’idea, il compositore prevede quattro corni) rispetto a un tessuto degli archi maggiormente votato alle trasparenze; poi
l’elevatissimo livello dell’ensemble
cameristico, imperniato sulle prime
parti della Filarmonica di Vienna,
68
sottili e sfumate; senza perdere peraltro vigore e graffio (vedi « Lob
des hohen Verstands »), ma riportandoli a una dimensione più ironica, alla fine più umana. La raffinatezza della visuale si può apprezzare
particolarmente in « Der Tamboursg’sell », caratterizzato da un
cambio di atmosfera improvvisa (tra
la terza e la quarta strofa) che tra-
musica 227, giugno 2011
sforma il cammino del condannato
in una dilatata e interiorizzata marcia funebre, amarissima ma priva di
ogni distorsione caricaturale. Anche
« Revelge » diviene qui una favola
macabra, una marcia a tappe forzate
verso l’ossessione e verso la morte.
Ma in ciascun Lied le nostre attese
e abitudini di ascolto vengono messe fertilmente in gioco: anche in
pagine più liriche come « Wo die
schönen Trompeten blasen », di cui
risalta tutta l’essenzialità e genialità
dell’orchestrazione. Qui peraltro,
come nel finale di un « Der Schildwache Nachtlied » elastico e prodigo di indugi, Hampson dimostra di
saper cantare ancora con levigata
morbidezza.
Roberto Brusotti
SACD
MAHLER Sinfonia n. 5 London Symphony Orchestra, direttore Valery Gergiev
LSO LIVE LSO0664
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DDD 70:46
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Con la più popolare delle sinfonie di Mahler,
registrata a Londra nel settembre
del 2010, si conclude l’integrale di Valery Gergiev
per LSO Live. Un ciclo dagli esiti
alterni che tirate le somme non
sembra aver mantenuto certe interessanti promesse intraviste nei primi volumi. In una posizione intermedia fra i risultati migliori (Prima
e Sesta) e i peggiori (Quarta e Settima) si viene a collocare questa
Quinta indubbiamente ben diretta
ma non contraddistinta da tratti
particolarmente personali. A differenza di altri illustri interpreti della
sinfonia come Scherchen e Maderna, per vie diverse tendenti ad esaltarne gli aspetti centrifughi più che
quelli coesivi allontanandola dalla
tradizione e proiettandola nel futuro, Gergiev punta in realtà su una
lettura di solida tenuta formale che
riesce a collegare in un arco compatto il suo percorso lungo e variegatissimo. Affrontata col cuore in
mano, come è consuetudine del
direttore russo, questa Quinta conosce momenti interessanti soprattutto quando l’approccio viscerale
basta a circoscriverne gli scenari
poetici. Ciò vale per certe convulse
esplosioni del secondo movimento,
rese con enfasi febbrile e indiscutibile impatto drammatico, come per
le zone più eccitate dello Scherzo e
del Finale. Altrove il direttore ap-
pare meno convinto e convincente.
La Marcia funebre iniziale non procede con la inesorabile dereminazione e l’ineluttabilità che rende
tanto suggestive le letture pur diversissime di Bernstein, Solti e Abbado. Le parentesi liriche e introspettive del secondo movimento
denotano una scarsa sottigliezza di
fraseggio e l’Adagietto, pur eseguito
a un tempo moderatamente lento,
non conosce la necessaria immateriale poeticità e ricercatezza di sfumature timbriche. Nell’insieme si
tratta però di una buona esecuzione, forse non destinata ad occupare
un posto di primo piano nella sterminata discografia della Quinta ma
certo ben suonata (magnifiche fra
le prime parti la tromba e il corno)
e a tratti perfino coinvolgente. Limitatamente alle precedenti incisioni della London Symphony, che
curiosamente non includono grandi
nomi, la versione di Gergiev è comunque preferibile alle versioni
marginali di Schwarz, Farberman,
Kaspsyk e DePriest.
Giuseppe Rossi
DVD Video
MAHLER Sinfonia n. 4 soprano Camilla Tilling World Orchestra for Peace, direttore Valery Gergiev
Sinfonia n. 5 World Orchestra for
Peace direttore Valery Gergiev
CMAJOR 702608
A
154:00
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È piuttosto raro
ascoltare la Quarta e la Quinta
Sinfonia di Mahler nello stesso
concerto e non è
certo un compito
facile per l’orchestra e il direttore che le devono
eseguire di fila. È accaduto il 5 agosto del 2010 in una serata dei
Proms londinesi dedicata alle celebrazioni del 150º anniversario della
nascita di Mahler. Sul grande palcoscenico della Royal Albert Hall
c’era la World Orchestra for Peace,
un complesso ideato da Georg Solti
nel 1995 che di volta in volta riunisce strumentisti provenienti da
ogni parte del mondo e da allora si
è ricostituito una volta all’anno per
tournées stagionali. Questa volta a
dirigerla nel ricco omaggio a Mahler c’era Valery Gergiev, fresco dell’integrale registrata con la London
Symphony. Il video immortala l’eccezionalità della serata con un’orchestra del tutto particolare, priva
per forza di cose di una definita
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
BANDO INTERNAZIONALE
Nella Anfuso
Fondazione Centro Studi Rinascimento Musicale
BANDO INTERNAZIONALE
INTERNATIONAL CALL FOR VOCALISTS
PLATONISMO MUSICALE
IL CANTO UMANISTICO E LA AUTENTICA
SCUOLA ITALIANA (XV-XVIII secolo)
PLATONISM IN MUSIC. HUMANISTIC
SINGING AND THE AUTHENTIC
ITALIAN SCHOOL (XV-XVIII century)
MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
DETAILS FOR PARTICIPATION:
Possono partecipare:
Vocalisti di qualsiasi nazionalità di età fra i 16 e 26 anni
con conoscenza basilare della Lingua italiana.
La durata di formazione è Triennale e si svolgerà nella
“Villa Medicea” di Artimino.
Sono previste Borse di studio per i partecipanti alla Alta
Formazione Vocale.
La scelta dei partecipanti avverrà con una selezione in
due fasi: PRE- AUDIZIONE ed AUDIZIONE
This call is addressed to vocalists of all nationalities, aged
16 to 26, with a basic knowledge of the Italian language.
The course lasts three years and is held at the Villa
Medicea in Artimino.
Scholarships are available for those attending the
Advanced School for Vocal Training.
The selection of vocalists will be carried out in two steps:
a pre-audition and an audition.
1. Prima fase: invio di Curriculum dettagliato (con
foto e dati anagrafici completi ) e di materiale AUDIO
(CD o DVD).
1. First step: send detailed Curriculum Vitae (with
complete personal details and photo) together with
audio material (CD or DVD).
2. Seconda fase: audizione ad ARTIMINO (Italia) con
l’esecuzione di 2 brani a piacimento del vocalista ed un
colloquio con la Giuria.
2. Second step: AUDITION in Artimino (Italy),
vocalists are required to perform two pieces of their own
choice; candidates will also be interviewed by the
selection board.
PRE-AUDIZIONE
Inviare il materiale richiesto entro il 30 Settembre
2011 ad uno dei seguenti indirizzi:
PRE-AUDITION
Please send material to one of the following addresses by
September 30th 2011:
Fondazione CSRM Museo “Gianuario”
Villa Medicea
59015 ARTIMINO - ITALIA
e-mail: [email protected]
Fondazione CSRM Museo “Gianuario”
Villa Medicea
59015 ARTIMINO - ITALY
e-mail: [email protected]
MENDELSSOHN
identità timbrica, anche se provvista
di alcune individualità di grande
spicco, a cominciare da Rainer
Küchl il primo violino dei Wiener.
Un confronto fra la Quarta registrata nel gennaio dello stesso anno per
LSO Live, una delle meno felici del
ciclo, rivela un taglio meno stucchevole e discutibile ma anche meno personale. Gergiev sembra qui
preoccupato soprattutto di assicurare una tenuta all’insieme con una
lettura discorsiva e quadrata ma anche poco rifinita nei dettagli e soprattutto decisamente anonima sul
piano delle idee. Solo nel Lied
conclusivo, staccato a un tempo assai lento come nell’incisione precedente, la voce fresca e il candore
espressivo di Camilla Tilling sembrano vivacizzare un po’ un’esecuzione per il resto priva di spunti interessanti.
La Quinta è nell’insieme migliore
soprattutto quando il direttore può
sfogare liberamente la propria propensione per le sonorità accese e i
fraseggi carichi di enfasi. Convincente e talvolta perfino entusiasmante nei climax carichi di tensione e di suono, Gergiev è altrove
meno coinvolto e come incapace di
preparali cosı̀ che quei momenti
culminanti sembrano configurarsi
come i classici effetti senza causa.
L’esecuzione è comunque in generale molto simile a quella immortalata il mese successivo con la London Symphony e recensita in questo stesso numero, solo che quella
era meglio suonata, mentre questa
è in fondo più godibile grazie alle
riprese di Matt Woodward che si
soffermano sul gesto instabile e apparentemente incomprensibile del
direttore, sul curioso raduno di
strumentisti di nazioni e scuole di-
70
verse e sul colpo d’occhi spettacolare della sala londinese con il suo
pubblico colorito ed entusiasta. La
pubblicazione è completata dal documentario Solti’s Vision sui primi
quindici anni di attività dell’orchestra-simbolo collegata all’Unesco.
Giuseppe Rossi
CD
MENDELSSOHN Quartetto per archi
in LA op. 13; Quattro Pezzi op. 81
per quartetto d’archi Quartetto di Roma
SCHUBERT Quartettsatz in do D 703
Quartetto di Roma
DISCANTICA 225
A
DDD 58:07
HHHH
.
MENDELSSOHN Ottetto per archi
op. 20; Sestetto per pianoforte e archi op. 110 I Solisti Filarmonici Italiani
CPO 777 524-2
A
DDD 62:28
HHH
.
Il Secondo Quartetto per archi in La
maggiore op. 13 di Mendelssohn, in
realtà il primo scritto dal compositore di Amburgo, è restituito dal
Quartetto di Roma con grande
partecipazione e slancio. Le relazioni, per nulla velate, con l’op. 132
di Beethoven (qui Mendelssohn
sembra rendergli un commosso
omaggio a pochi mesi dalla sua
scomparsa) vengono evidenziate dal
complesso italiano con una lettura
molto comunicativa, di suono vigoroso e fantasiosa. Ma è soprattutto la forza del canto a imporsi, un
canto vibrante e sincero che perva-
musica 227, giugno 2011
de tutti i movimenti del lavoro. Vitale, esuberante la resa dei Quattro
Pezzi op. 81, sorta di quartetto per
archi assemblato solo in sede editoriale, mentre discorsiva e mobilissima, pur in una compostezza formale di fondo, pare la fotografia sonora del celeberrimo Quartettsatz in
Do minore D 703 di Schubert.
Ancora pagine giovanili mendelssohniane nel CD CPO – il Sestetto per
pianoforte e archi op. 110 (1824) e
l’Ottetto per archi op. 20 (1825) –,
ma l’interpretazione dei Solisti Filarmonici Italiani, pur dignitosa,
non sembra saper cogliere quella
spontaneità e leggerezza loro connaturate, con un impiego della dinamica poco variegato e un fraseggio un po’ monocorde.
Massimo Viazzo
CD
MENOTTI The Saint of Bleecker
Street (opera in tre atti su testo di G.C.
Menotti) G. Ruggiero, D. Poleri, G. Lane, M. Di Gerlando, L. Lishner, C.
Akos, M. Marlo, E. Gonzales, D. Aiken,
L. Becque; Orchestra e Coro non specificati, direttore Thomas Schippers
The Unicorn, the Gorgon and the
Manticore coro e orchestra non specificati, direttore Thomas Schippers
NAXOS 8.111360-61 (2 CD)
B
ADD 155:48
HHHH
.
Rammento l’impressione di romanzesca, cinematografica teatralità suscitata da
una rappresentazione di quest’opera nel 1970, in
un teatro incapsulato nel ghiaccio
di una serata da tregenda, di quelle
più maligne dell’inverno triestino.
Menotti però vi aveva personalmente riattivato e portato a incandescenza tutti i lambicchi del suo
laboratorio teatrale. L’artifizio stava
nel rimettere a punto tutti i meccanismi tipici del Musical. Non a caso
The Saint era nata a Broadway. Nel
congegno aveva inserito, al posto
dell’eccellente David Poleri, interprete della prima edizione, un tenore che più tenore non si poteva,
come Franco Bonisolli. Meriterebbe un saggio a parte l’abilità del
compositore-regista nell’inventare
ogni volta cast pressoché impeccabili non solo per le opere proprie,
ma anche per le sue regie di repertorio e in genere per le sue produzioni di Spoleto: interpreti capaci di
brillare come stelle solo per quella
occasione, di ballare insomma una
sola estate e poi magari di perdersi
nelle nebbie.
Se il tenore americano David Poleri
ha dato prove rilevanti di talento
nel corso della sua purtroppo breve
carriera tra Europa e Stati Uniti,
non saprei dire per esempio quali
altre imprese abbia compiuto il soprano Gabrielle Ruggiero, qui
semplicemente perfetta nell’incarnazione esangue e smarrita di Annina tra estasi religiose e passioni terrene consumate nello spaesamento
della little Italy americana, al centro della Santa. E la sua sincerità alla
deriva nel contesto di fede e fanatismo della comunità è anche l’elemento strutturale energetico di
questo melo in cui si intersecano
fervori devozionali da oratorio popolare verista, impeti sensuali, turbamenti ambigui alla Tennessee
Williams (Michele – quasi un nipote di Turiddu emigrato negli States
– tra gli ardori per l’amante Carmela e l’incestuoso sentimento per la
sorella Annina), piani-sequenza
neorealisti.
Gli estremi dell’opera menottiana,
quelli che coinvolgono la protagonista, suo malgrado, in un impianto
corale di ottima fattura, sono anche
le pagine migliori della Saint of
Bleecker Street, ma tutta la prima
scena del terzo atto (l’incontro di
Annina e Michela nella stazione
della metropolitana, con la montante cupezza di quell’Allegro impetuoso da Pacific 231) è un numero davvero impressionante. Difficilmente trascurabile in una panoramica del teatro musicale del Novecento.
Certo fece orrore ai critici di quarant’anni fa il cartolinismo verista di
sangue e di coltello enfatizzato da
Michele. Nell’ottica del Musical
l’effetto è garantito. Ma allora, si sa,
al Musical non si concedevano permessi di residenza nel teatro musicale « serio ». Oggi la prospettiva è
forse cambiata e con tutte le riserve
del caso, il « mestiere » e la maestria
di Menotti in questo affresco sono
innegabili. Sarebbe uno spettacolo
da fare invidia a Lloyd Webber. Si
aggiungano, in questa edizione, le
emozionanti accensioni concertate
e dirette dal venticinquenne Thomas Schippers e il ritmo sbalzato
quasi visivamente dall’esecuzione.
L’album della Naxos riserba un
supplemento di qualità in un secondo CD con il delizioso « esercizio di stile » prodotto da Menotti
subito dopo la Santa, con spericolato, raffinato scarto di linguaggio e
di misura drammaturgica: il balletto
in forma di favola madrigalistica
(omaggio a Banchieri) di The Unicorn, the Gorgon and the Manticore:
MENOTTI
una galleria e una allegoria polifonica mossa e impaginata con grande
fantasia, tanto da essere apprezzata
persino da Stravinski. L’esecuzione
è quella newyorchese del ’57, coordinata da Schippers, con un formidabile ensemble vocale e un non
meno acuminato complesso strumentale. Il tutto ben conservato
dalla rigenerata registrazione.
Gianni Gori
CD
MENOTTI The Medium (opera in due
atti su libretto di G.C. Menotti) E. Keller,
M. Powers, B. Dame, F. Rogier, C.
Mastice; Orchestra non specificata, direttore Emanuel Balaban
The Telephone (opera in un atto su testo di G.C. Menotti) M. Kotlow, F. Rogier; Orchestra non specificata, direttore Emanuel Balaban
ADD 77:51
B
NAXOS 8.111370
HHHHH
.
MENOTTI Amahl and the Night Visitors (opera in un atto su testo di G.C.
Menotti) C. Allen, R. Kuhlmann, A.
McKinley, D. Aiken, L. Lishner, F. Monachino; Orchestra e coro non specificati, direttore Thomas Schippers
Sebastian, Suite dal balletto Robin
Hood Dell Orchestra di Philadelphia, direttore Dimitri Mitropoulos
ADD 63:06
B
NAXOS 8.111364
HHHH
.
Continua la Menottiade della Naxos,
omaggio postumo al Duca di Spoleto, che proprio in questi giorni
avrebbe compiuto cento anni. Si
rigenerano cosı̀ in CD gli introvabili (allora eccellenti) vinili che nell’immediato dopoguerra avevano
documentato uno dei più brillanti
fenomeni di successo nel teatro
musicale. Se il fenomeno accusa
adesso gli anni, la qualità di quelle
registrazioni storiche (specie quella
della Columbia) è ancora pregevole e rispecchia la calibrata regia
musicale di Menotti nella sua
drammaturgia d’esordio. Le incisioni del più fortunato dittico menottiano (La Medium e Il telefono)
confermano equilibri pressoché
perfetti. E non si tratta di facili
operine, di proporzioni e organico
ridotti, anche se oggi vengono
spesso riproposte come « integratori » operistici per « fare serata ».
Aveva ragione Schippers nel dire
che ogni direttore avrebbe dovuto
considerare un’opera come The
Medium un impegno insidioso. La
registrazione diretta a New York
nel ’47 da Emanuel Balaban serve
su un piatto di agrodolci trasparenze i fantasmi di Madame Flora
(Baba) e le dinamiche drammatiche dell’opera, non meno delle
lievi mordenze di quella cameristica tempesta in un bicchiere d’acqua che è l’esile Telephone In entrambe le opere guizzano spiritelli
vocali oggi dimenticati: la Monica
adolescenziale di Evelyn Keller, la
Lucy di Marilyn Catlow che cinque anni pria, non ancora diciannovenne, aveva debuttato come
Regina della Notte. Ma il pezzo
da novanta è la protagonista storica
della Medium (e della madre nel
Console): quella Marie Powers, che
a Menotti avrebbe dato tante soddisfazioni e tanti grattacapi per il
suo temperamento. Allieva di
Giannina Russ, dopo breve avventura italiana, la Powers aveva imboccato la strada dei grandi caratteri. Qui apre con grintosa, allucinata teatralità una galleria di Medium, che avrebbe attratto, a volte
con qualche eccesso, grandi personalità (dalla Pederzini alla Resnik) o cantanti forti d’accento se
non di risorse vocali. Il finale del
primo atto, in cui la disperata preghiera di Baba si sovrappone alla
cullante ballata di Monica (« The
sun has fallen ») è un momento di
grande teatro.
La fragilità di Amahl (sempre a rischio come tutte le opere che richiedano bambini-cantanti) trova
in Schippers una concertazione
perfettamente cesellata, da carillon
natalizio, come si addice a questa
edificante parabola televisiva in tinta pastorale per la NBC Television
Opera Theatre di New York nel
1951. La fiaba devozionale è filtrata
abilmente (anche nella musica) da
una delicata ironia. Tutti suasivi gli
interpreti, dai Re Magi alla bravissima Rosemary Kuhlmann nella parte della madre di Amahl.
Ma la sorpresa del CD è in coda con
la Suite del balletto Sebastian – oggi
meno frequentato ma per oltre un
ventennio in repertorio – affidata
alla direzione analitica di Mitropoulos. Tutte in evidenza, lucidamente sbalzate, nei sei episodi strumentali, le componenti di una partitura raffinata. Lo spunto viene da
Prokofiev per scivolare e distendersi
poi in morbidezze wolferrariane, ritessute con finezza e senso figurativo della danza, in linea con l’estetizzante vicenda dello schiavo moro
Sebastian (che si sacrifica per salvare
l’oggetto del suo amore segreto) e
con l’assunto del balletto creato nel
’46, pur tra molti contrasti, per il
Marchese de Cuevas.
Gianni Gori
MESSIAEN
CD
MESSIAEN Harawi soprano Annika
Skoglund pianoforte Carl-Axel Dominique
DOMINIQUE RECORDS DM14
M
DDD 65:01
HHHHH
.
Qui Tristano si
chiama Piroutcha. E Isotta è
una
colomba
verde. « Qui » è il
folklore peruviano, in cui Olivier
Messiaen si immerse nel 1945 per
dar vita al ciclo di dodici canti per
soprano e pianoforte Harawi, prima
parte di un trittico sul mito di Tristano e Isotta (le altre due saranno
la sinfonia Turangalıˆla e i Cinq rechants per dodici cantanti a cappella). Ma, nonostante la fuga dei due
amanti, sotto falso nome, nelle Ande, tutto, vocalmente e armonicamente, rimane occidentale, francese in particolare. E romantico: che
si tratti di melodie accompagnate,
non lo si dimentica mai, nonostante
i complicati canoni ritmici retrogradi, le sovrapposizioni di figure irregolari divenute regola, gli accordi
solidificati in cluster rocciosi (n. 3,
Montagnes). E neppure è raro che la
voce, circondata dagli immancabili
cinguettii sopracuti del pianoforte,
intoni languidi intervalli da chanson...
Harawi è un lavoro multiforme, insomma, che, come tutta l’opera di
Messiaen, riflette, senza preoccuparsi minimamente di nasconderle,
le contraddizioni della Weltanschauung del suo autore: misticismo
e sensualità, cristianesimo e culto
pagano della natura, trascendenza
dell’anima e carnalità del corpo.
Con le difficili conseguenze, per gli
interpreti, che si immaginano. Per
passare da suoni fissi a grida selvagge, da vocalizzi morbidi a ecolalie
sillabiche rituali, il soprano Annika
Skoglund sfodera un trasformismo
vocale alla Cathy Berberian, frutto
di un’estensione ampia e una duttilità timbrica naturali, certamente,
ma, soprattutto, è facile dedurlo
leggendo la biografia, di una formazione divisa tra opera, jazz e
canto popolare. Quanto a CarlAxel Dominique (che aveva già inciso il ciclo nel ’78 con Dorothy
Dorow), il musicista svedese si
guarda bene da spettacolarizzare
troppo il pianismo di Messiaen
(tentazione fortissima): preferisce rimanere sospeso tra il romanticismo
da « chants d’amour et de mort »
(come recita il sottotitolo) e qualche contemporaneo taglio nella te-
72
la, non troppo profondo. Da vero
allievo che fu di Messiaen.
Massimo Pastorelli
DVD Video
MOZART Die Zauberflöte (opera in
due atti su libretto di Schikaneder) P.
Beczala, D. Röschmann, D. Roth, M.
Salminen, D. Rancatore, W. Schöne, G.
Le Roi; Orchestre et Choeur de l’Opéra
National de Paris, direttore Ivan Fischer regia Benno Besson scene e
costumi Jean-Marc Stehle regia televisiva François Roussillon
ARTHAUS 107 233
A
158:00
HHHHH
.
Nel 2001, data
alla quale l’Opéra
parigino allestı̀
questo Flauto magico, Benno Besson aveva settantanove anni e
non so se avesse
mai provato a cimentarsi nel teatro
musicale; ma se questo fu l’esordio
va subito detto che mai esordio
avrebbe potuto essere più esaltante.
Opportuna allora l’iniziativa di proporre nel DVD lo spettacolo: è un
ha provato almeno per qualche
istante la sensazione dell’abbiocco
in presenza del pur inopinabile capolavoro; le quasi tre ore del testamento operistico di Mozart scorrono qui invece con l’inattesa felicità
di condividerne i due poli, il candore favolistico e la grave materia
massonica, alla quale ultima Mozart
dedicò il segno della sua insorpassabile scienza contrappuntistica ma
qua e là anche qualche pesantezza.
Besson sembra limitarsi a illustrare
con una sorta di gioiosa ingenuità i
fatti ma trova l’equilibrio giusto; e
tale è la sfrenata fantasia dei fulminei mutamenti di scena, a modo di
scatole cinesi, e l’apoteosi del colore, da sorprendere il colto e l’ignaro. Talvolta è possibile si rasenti
l’ovvio, vedi le prove iniziatiche
della coppia amorosa alle prese col
fuoco e l’acqua; ma assai più spesso
si resta ammirati: le tre colombe
che si depositano, per un arcano
gesto da prestigiatore, nella gabbia
di Papageno; la sfilata di fiere ammansite ed elegantissime, tigre e
pavone in testa a tutte, al suono del
flauto di Tamino; il primo ingresso
della Regina della Notte appollaiata
delle ambivalenze mozartiane, magari con qualche concessione in più
alla sfera del solenne, senza però
che ne discapitino accensione lirica
e senso del comico. E l’apice sconvolgente della « Ach, ich fühl’s » di
Pamina non viene tradito: in pari
misura se ne contendono il merito
la casta dolenza di Dorothea
Röschmann e un’orchestra di vigile
tensione. Tutte le voci, del resto,
evitano di cadere nella ormai insopportabile pratica del cosiddetto
« mozartese », con cui un tempo si
ammanniva a forza di moine e fini
dicitori l’opera del geniale ragazzo
austriaco: la Röschmann è una Pamina di intensa presenza espressiva,
l’ancora pastoso Matti Salminen fa
il suo bravo Sarastro senza mancare
la prova delle note gravi, ed è ormai uno dei rarissimi a poterselo
permettere; Detlef Roth esibisce un
simpatico, giovanile Papageno. Dal
loro canto Désirée Rancatore e
Piotr Beczala, Regina della Notte e
Tamino, fanno apprezzare, l’una i
propri giochi di funambolismo e
l’altro il limpido timbro che gli
consente l’esecuzione di una insinuante aria del ritratto. CompletaIvan Fischer
&
&
bellissimo Flauto, baciato dalla concomitanza di un livello musicale
non meno che degno, e vale a ricordo di uno dei più importanti
uomini di teatro che abbiano calcato le scene europee. Coloro ai quali
procura un inguaribile mal di pancia far i conti con regie operistiche
rispettose di tempi, luoghi e costumi e sdottoreggiano di reato di
vecchiezza, se ne tengano alla larga:
è un Egitto tutto di scene dipinte
alla moda d’un tempo e di trucchi
visivi, questo di Besson; ma l’intelligenza del fatto teatrale vi domina
incontrastata. Alzi la mano chi non
musica 227, giugno 2011
sul suo lunghissimo manto azzurro,
l’apparire dello Sprecher dal sottosuolo a far lezione di illuminismo a
Tamino. Vien voglia di credere che
giusta fosse la primitiva idea di
autore e librettista di capovolgere i
termini della contesa tra Ragione e
Oscurantismo e di relegare Sarastro
e la sua corte al loro vero ruolo di
imbonitori di precetti ipocriti.
La realizzazione esecutiva dell’Opéra è all’altezza del disegno della regia. Ivan Fischer non pare bacchetta
da magiche illuminazioni, eppure
autorevole è la manovra del fraseggio orchestrale e adeguato il risalto
no con giustezza il team di palcoscenico l’ottimo Sprecher di Wolfgang Schöne, la graziosa Papagena
di Gaële Le Roi, il terzetto femminile Perrin-Schneidermann-Perraguin quali dame della Regina, i
sempre insostituibili ragazzini del
Tölzer Knabenchor viennese. Besson era stato servito con riguardo,
insomma; e oggi che l’illustre regista non c’è più, morto cinque anni
dopo questo suo Flauto, possiamo
rivolgere grato pensiero al Palais
Garnier per avercene fatto godere
uno degli ultimi sortilegi.
Aldo Nicastro
MOZART
CD
MOZART Requiem K 626; Ave Verum Corpus K 618 soprano Marinella
Pennicchi mezzosoprano Gloria Banditelli tenore Mirko Guadagnini basso
Sergio Foresti Coro Canticum Novum
di Solomeo, Accademia Hermans, direttore Fabio Ciofini
DISCANTICA 236
A
DDD 50:47
HHHH
.
Il Requiem mozartiano non ha
certo bisogno di
presentazioni, essendo un’opera
che più di ogni
altra è assurta a una dimensione mitica, sia per le circostanze della sua
creazione che per le vicende legate
al suo completamento, affidato a tre
diversi allievi del maestro, tra i quali Franz Xaver Süssmayr, forse il
più dotato e il più rispondente al
dettato mozartiano. Dato anche il
fascino esercitato dal suo essere un
opus ultimum, la sua discografia ha
raggiunto proporzioni gigantesche,
come del resto la stessa bibliografia.
Qui ci troviamo di fronte a un approccio intenso, ricco di ombreggiature e di efficaci sottolineature
espressive (culminanti nel piagato
Lacrimosa), approccio dovuto a una
direzione di Fabio Ciofini costantemente tesa tra cupa drammaticità e
assorta introspezione. Qualche
squilibrio emerge nei rapporti tra
masse corali (particolarmente dense
e compatte) e organico strumentale
(più esiguo), con il particolare risalto conferito alle trombe e ai tromboni. Il forte riverbero della chiesa
di San Bartolomeo di Solomeo (PG)
rende a tratti poco differenziato il
fronte timbrico (i tenori e i contralti non sempre emergono con la dovuta chiarezza ed incisività). Tra i
solisti emergono il mezzosoprano
Gloria Banditelli e il tenore Mirko
Guadagnini, dotati di bella voce e
di sensibilità apprezzabile, mentre il
soprano Marinella Pennicchi risulta
carente di naturalezza. Molto disciplinato il coro Canticum Novum
di Solomeo, efficace nei momenti
più concitati e drammatici (notevole, ad esempio, il Confutatis) e nei
brani contrappuntistici, resi con rigore e con la dovuta energia (come
nel Kyrie). Un’interpretazione di
tutto rispetto, insomma, arricchita
da un fascicolo contenente note
(firmate da Silvia Paparelli) assai
puntuali, vivaci e ottimamente documentate.
Claudio Bolzan
CD
MOZART Integrale dei Concerti per
pianoforte e orchestra clavicembalo e
fortepiano Viviana Sofronitzki, Linda
Nicholson, Mario Aschauer Musicae
Antiquae Collegium Varsoviense, direttore Tadeusz Karolak
ET’CETERA KTC1424 (11 CD)
B
DDD 701:19
H H H /H
HHHH
.
Arriva dalla casa
discografica Etcetera la prima registrazione completa dei Concerti per pianoforte
e orchestra di Mozart su strumenti
originali. Le ormai « antiche » registrazioni di Malcom Bilson con
John Eliot Gardiner e di Robert
Levin con Christopher Hogwood o
quella più recente di Jos van Immerseel per la Channel non comprendono i primi quattro Concerti
K 37, 39, 40 e 41, scritti a Salisburgo da un Mozart undicenne, tra
l’aprile e il luglio 1767 – in realtà
trascrizioni di tempi di sonata di
autori quali Leontzi Honauer, Hermann Friedrich Raupach, Johann
Gottfried Eckhart e Johan Schobert
– e i tre adattamenti del 1772 per
clavicembalo, due violini e basso
continuo di altrettante sonate di Johann Christian Bach. Ben venga allora quest’edizione completissima,
affidata a Viviana Sofronitsky, figlia
dell’illustre pianista russo, e all’orchestra Musica Antiqua Collegium
Varsoviense, diretta da Tadeusz Karolak. Lo strumento utilizzato è una
copia di un fortepiano Anton Walter, alternato al clavicembalo nei lavori giovanili. Il pregio di questa
incisione, al di là dei meriti di completezza e di carattere filologico –
rispetto assoluto delle indicazioni in
partitura, uso attento degli abbellimenti, appropriatezza delle cadenze
(nel booklet se ne tace la paternità)
– è quello di proporre delle esecuzioni estremamente vitali e sbarazzine, fresche nei fraseggi e per nulla
intimorite nei grandi capolavori
dell’età matura, dove i paragoni
potrebbero essere schiaccianti. L’orchestra polacca è molto reattiva e
soprattutto nei Concerti in tonalità
minore si fa corrusca e spigolosa
nelle sonorità, mettendo in luce
certi caratteri stürmisch, che contraddistinguono molti tratti di queste composizioni: l’introduzione del
primo tempo Allegro del celebre K
466 in Re minore e la terza sezione
in minore dell’Andante sprigionano
un vigore e una forza teatrale contagiosa – davvero favolosi gli interventi dei fiati – precipitosa e cupa.
Peccato poi – e questo è il più vistoso limite della proposta – che a
tanta forza non segua un adeguato
vigore strumentale alla tastiera, dovuto alle sonorità troppo contenute
e ovattate del fortepiano, che no-
MOZART
nostante il fraseggio mosso della
pianista, mostra tutti i suoi limiti, al
punto da risultare spesso soffocato
dall’orchestra. Conseguentemente
Concerti come il K 491 e il K 537
perdono molto della loro dimensione sinfonica e del dialogo serrato
tra la tastiera e l’orchestra, facendo
rimpiangere la presenza del moderno gran coda, mentre migliore è il
risultato nei tempi lenti, resi espressivi grazie anche al suono particolarmente dolce dello strumento.
Più compiuti risultano i tre Concerti
K 413, 414 e 415, più contenuti
nelle dimensioni, cosı̀ come i lavori
giovanili, brillanti ed estroversi, resi
con grande abilità digitale e sensibile intesa con il direttore. Ottime
riuscite sono anche i Concerti per
due e tre pianoforti K 242 e K
365, dove a Viviana Sofronitsky si
affiancano Linda Nicholson e Mario Aschauer. Complessivamente
una riuscita di piacevole ascolto,
ottimamente registrata, che tuttavia
non scalza le pioneristiche registrazioni su strumenti originali di Bilson e Levin.
Stefano Pagliantini
CD
MOZART Sonata in DO K 330; Rondo in la K 511; Rondo in RE K 485;
Adagio in si K 540; Sonata in do K
457 fortepiano Kristian Bezuidenhout
HARMONIA MUNDI HMU 907498
A
DDD 70:42
HHHHH
.
Un Mozart iridescente e frizzante. Imprevedibile e drammatico. Questo secondo volume
della musica per tastiera del genio
di Salisburgo con il fortepianista
Kristian Bezuidenhout esplora gli
estremi opposti dell’ispirazione mozartiana. Sudafricano di nascita, studi in Australia e negli USA, il trentaduenne Bezuidenhout oggi vive a
Londra e collabora con gli ensemble più accreditati per il repertorio
barocco e classico su strumenti originali; per questa registrazione ha
utilizzato un’ottima copia moderna
di un Anton Walter & Sohn, datato
circa 1802.
Evitando gli eccessi virtuosistici,
Bezuidenhout mostra di aver compreso come molta della musica per
tastiera di Mozart conservi quella
bizzarria e quella verve ritmica che
sono un’eredità del Barocco. Avviene nella Sonata in Do maggiore K
330, una sonata « facile » che il fortepianista Bart Van Oort risolveva,
74
nell’integrale di qualche anno fa per
la Brilliant (cfr. numero 180 di MUSICA), con una compostezza molto
didattica e che qui rivela, invece,
tutta la sua brillante solarità. Il primo movimento scivola via rapido e
leggero, senza forzature e senza indugi ma anche con molto humour,
mentre il finale appare molto divertente nel suo ritmo finto pomposo.
L’Andante cantabile è una di quelle
pagine che iniziano in modo innocente per poi rivelare una profondità inattesa. La sua malinconia è
colta bene da Bezuidenhout, che
indugia sui dettagli, introduce molti
abbellimenti, si lascia sprofondare in
zone di sofferto intimismo, mentre
Bart Van Oort tende a procere più
a scatti ed accelerazioni.
Questa inclinazione a ritirarsi nell’intimità è evidente anche nell’Adagio in Si minore K 540, anche una
la lettura come quella di Paul Badura-Skoda (cfr. n. 139 di MUSICA)
risulta più efficace sul piano della
resa drammatica. Emozionante è il
Rondo in La minore, con il suo fraseggio precario e irregolare, a rendere l’umor nero di una pagina che
appare pericolosamente sospesa sull’abisso (mentre l’Adagio in Si minore
nell’abisso è ormai precipitato). La
stessa tensione espressiva caratterizza
la Sonata in Do minore K 457. Ancora una volta è illuminante il conKristian Bezuidenhout
fronto con Bart van Oort, che imposta la sua lettura sulla tensione
del movimento, staccando tempi
esasperati. Bezuidenhout, invece,
punta sui contrasti, nel movimento
d’apertura come nel movimento
conclusivo, dove la contrapposizione tra le prime sedice battute in
piano e le successive in forte viene
resa con un’incredibile forza drammatica. E l’Adagio, umorale e inquieto, è un capolavoro di introspezione psicologica.
Luca Segalla
SACD
MOZART Divertimento K 563 per trio
d’archi Trio Zimmermann
SCHUBERT Trio D471 per archi Trio
Zimmermann
BIS 1817
A
DDD 59:25
HHHHH
.
Il Trio-Divertimento K 563 di
Mozart è un lavoro che sembra
fatto apposta per
far risaltare la
bravura degli strumentisti che sono
chiamati a eseguirlo. Composto nel
settembre del 1788 per l’amico e
sovvenzionatore massone Puchberg
(non è un caso che sia in Mi bemolle maggiore, quindi!), subito a
&
ruota delle ultime tre sinfonie, è un
lavoro imponente che va ben al di
là delle prerogative della forma settecentesca del divertimento. Si tratta di un vero e proprio Trio per archi, nella sua accezione più compiuta, ampliato a sei movimenti.
Il Trio Zimmermann, formato da
tre solisti del calibro di Frank Peter
Zimmermann, Antoine Tamestit e
Christian Poltéra, ha un impatto sul
lavoro chiaramente sinfonico. Il
primo movimento, Allegro, ci permette di godere della robusta forma-sonata in cui è strutturato direttamente dall’interno, tanto le linee
si alternano con precisione (mai
meccanica) ed eufonia in un dialogo avvincente. Il canto puro e pudico del violino si esprime, poi, nel
successivo Adagio in La bemolle
maggiore. Qui l’equilibrio dei pesi
sonori è pressoché perfetto. Dopo
un primo innocente Minuetto di vago sapore agreste è l’Andante in forma di variazione a mettere in evidenzia al meglio la musicalità dei
tre solisti. Qui Zimmermann, Tamestit e Poltéra inanellano perle
mozartiane di rara bellezza. La timbrica è assolutamente affascinante
(gli strumenti utilizzati sono due
Stradivari e un Guarneri) e il Divertimento dopo un’ulteriore Minuetto
si avvia alla conclusione leggero,
amabile, in un clima di raffinatezza
apollinea. Per chi non conosce
quest’opera la registrazione Bis, tra
l’altro di ottimo suono, è senz’altro
raccomandabile, anche perché il
successivo Trio in Si bemolle maggiore
D471 di Schubert non è solo una
semplice chicca scelta per riempire
il CD.
Massimo Viazzo
CD
OBRECHT Missa de Sancto Donatiano Cappella Pratensis, direttore Stratton Bull
FINELINE CLASSICAL FL 72414
M
DDD 63:13 + DVD 118:00
HHHHH
&
musica 227, giugno 2011
.
Quando impegno scientifico e
talento musicale
collaborano onestamente, il risultato è da non
perdere. Basta poco a dar conto di
una produzione come questa, dedicata a un capolavoro della polifonia
che pare l’opera meglio documentata nella storia musicale di ogni
tempo: la Missa de Sancto Donatiano
(1487) del vagabondo maestro
fiammingo Jacob Obrecht, venuto
a morire di peste nel 1505 in quel-
l’Italia dove sperava di raccogliere
la successione di Josquin. Dagli scavi archivistici di Reinhard Strohm
e Rob Wegman sappiamo tutto
sulla personalità dei facoltosi coniugi committenti e le loro strategie
comunicative (in una combinazione
di mecenatismo artistico a 360 gradi, pietà cristiana e opere di assistenza sociale), sull’ambiente di
Bruges in cui la Messa nacque e fu
eseguita per la prima volta, sulle
fonti del materiale musicale; insomma una « Messa minuto per minuto », volendoci avvalere di una metafora forse poco riguardosa.
Entrare nel dettaglio sarebbe irrispettoso per gli specialisti e superfluo per gli altri, visto che troveranno il tutto organicamente esposto
nel corredo cartaceo del CD ma soprattutto nel DVD annesso, dove l’esecuzione si avvale di un’illusionistica sceneggiatura tipo macchina del
tempo: cantori in cotta davanti al
gran leggio corale, graziosa vedovella orante, celebrazione liturgica in
tempo reale con le giuste intonazioni gregoriane del proprium debitamente nasalizzate all’uso gallicano.
E poi, terzo strato della sontuosa
torta, un lungo bonus filmato di sopraluoghi, retroscena delle prove,
piacevoli dialoghi didattici fra la
musicologa statunitense Jennifer
Bloxam e il falsettista Stratton Bull,
direttore del complesso Cappella
Pratensis. Quest’ultimo, a due voci
maschili per parte, dipana senza
rampanti estremismi la fabbrica politestuale e pluringuistica intessuta
da Obrecht sui tenores scelti in
omaggio al defunto da suffragare,
con suono fuso e carezzevole benché rispettoso delle individualità
timbriche. E per gli interessati (studenti, studiosi o semplici musicofili
in vena di approfondimenti) è perfino disponibile un sito web dedicato:
www.ObrechtMass.com. Schiaffo
morale a quei maestri di cappella
moderni pronti a spacciare le proprie arbitrarie « intuizioni » per frutto di severe ricerche musicologiche
che mai non fecero, e che il servo
encomio di certa critica accredita
loro sulla parola.
Carlo Vitali
CD
WILLEM VAN OTTERLOO Musiche
di Smetana, Franck, Beethoven,
Schubert, Brahms, Bruckner, Wagner, Saint-Saëns, Rachmaninov,
Berlioz, Weber, Meyerbeer, Grieg,
Prokofiev organo Feike Asma pianoforte Cor de Groot violino Theo Olof
violino Herman Krebbers Hague Philharmonic, Royal Concertgebouw Orchestra, Wiener Symphoniker, Berliner
Philharmoniker, direttore Willem van
Otterloo
CHALLENGE CLASSICS CC 72383 (7 CD)
B
ADD 507:35
HHHHH
.
Il nome di Willem van Otterloo
è noto ai discofili
di una certa età
che non avranno
dimenticato le
sue tante incisioni in vinile per la
Philips, anche se il direttore olandese
non è mai diventato una celebrità
fuori dai patrii confini e dall’Australia, dove ricoprı̀ incarichi stabili a
Melbourne e a Sydney e dove nel
1978 morı̀ in un incidente d’auto all’età di settantuno anni. Dopo le prime affermazioni come violoncellista
e compositore la sua carriera si legò
nel dopoguerra alle maggiori orchestre olandesi compresa quella del
Concertgebouw ma soprattutto alla
Residentie Orkest o Filarmonica
dell’Aja con un incarico stabile durato dal 1948 al 1973. Né mancarono
assidue collaborazioni con alcuni
grandi complessi sinfonici di altri
paesi come l’Orchestra dei Concerti
Lamoureux di Parigi, i Berliner e i
Wiener Philharmoniker. Fino a non
molti anni fa il ricordo della notevole statura interpretativa di van Otterloo era custodito soprattutto dagli irriducibili cultori del vinile, a parte
qualche isolata ristampa Philips,
Decca, DG e Doremi Records. Oggi
invece poggia essenzialmente sul
massiccio impegno di Challenge
Classics che ha già pubblicato un singolo dedicato al van Otterloo compositore e un cofanetto di tredici CD
con registrazioni effettuate fra il
1950 e il 1960 insieme alla Residentie Orkest. Questo nuovo album
completa la documentazione includendo incisioni realizzate fra il ‘51
e il ‘66 anche con altre orchestre, il
Concertgebouw, i Wiener Symphoniker e i Berliner Philharmoniker. Registrazioni bellissime fra le
quali si segnalano alcuni dei maggiori esiti discografici del direttore, la
Quinta e la Sesta di Beethoven la Settima di Bruckner, la Sinfonia, Les Eolides e Psyché di Franck, la Terza di
Saint-Saëns, il Siegfried Idyll di Wagner. Per riferirsi ad altri illustri direttori olandesi lo stile di van Otterloo appare vicino a quello classico e
controllato di van Beinum e di Haitink piuttosto che alle geniali intemperanze di Mengelberg. Due i settori
privilegiati del suo repertorio, il sinfonismo austro-tedesco da Beethoven a Mahler e la musica francese fra
Ottocento e primo Novecento. Le
sinfonie di Beethoven registrate a
PROKOFIEV
Vienna nel 1958 (la Quinta costituı̀
la prima incisione stereo del direttore) e nel 1953 (la Sesta) evidenziano
il senso della tradizione nella concezione del suono e allo stesso tempo
la modernità dello stile del direttore
nell’agile mobilità dei tempi, nella
cura dei dettagli come nel lirismo dei
cantabili. Letture allo stesso tempo
robuste ed eleganti che posso ricordare il rigore e la misura di Walter
più che la fantasiosa libertà degli interpreti di scuola romantica. Pregevoli sono anche le due Romanze registrate nel 1951 e nel 1952 con due
magnifici strumentisti olandesi Theo
Olof, all’epoca primo violino della
Residentie Orkest e collaboratore
privilegiato di Maderna, e Herman
Krebbers. Il Terzo Concerto per pianoforte proviene dall’integrale realizzata con il pianista olandese Cor
de Groot (1914-1993) interprete
notevolissimo che all’età di quarantacinque anni, all’apice della carriera,
per una paralisi alla mano destra dovette limitare il suo repertorio alle
opere per la sinistra. Il suo Beethoven limpido e asciutto diverge radicalmente dal taglio accentuatamente
romantico di molti dei suoi colleghi
dell’epoca e stabilisce un accordo
perfetto con la visione di van Otterloo. Cor de Groot è anche interprete
autorevole dei primi due Concerti di
Rachmaninov registrati con la Filarmonica dell’Aja nel 1954 e nel 1952.
Il pianista sfoggia una grande tecnica
e una fantasiosa elasticità di fraseggio
ma all’interno di una visione priva di
eccessi, imbrigliata da van Otterloo
in una cornice orchestrale che non
manca di evidenziare con bravura il
fasto della strumentazione.
Di Bruckner van Otterloo incise
l’Ouverture in Sol minore, la Quarta
e la Settima Sinfonia adottando in entrambe le edizioni di Robert Haas.
La Sinfonia in Mi maggiore incisa con
i Wiener Symphoniker nel 1954 illustra le credenziali dell’interprete
bruckneriano di razza nell’enfasi e
nella tenerezza che contrassegnano
l’enunciazione dei temi come nella
chiarezza assegnata agli intricati sviluppi polifonici. Una esecuzione dai
tempi scorrevoli ma accurata e intensamente lirica, lontana dalla sacralità monumentale degli interpreti
di scuola tedesca e animata da una
concezione decisamente moderna.
In particolare l’Adagio, privo del famoso unico colpo di piatti aggiunto
da Schalk, sfoggia un legato e una
gradazione dei piani dinamici assolutamente esemplari. Fra le incisioni di
van Otterloo raccolte in questo cofanetto spiccano le tre pagine di
Franck registrate ad Amsterdam nel
76
1954 (Psyché) e in stereo nel 1964
(Les Eolides e la Sinfonia). Di fronte al
composito amalgama di influenze
diverse riscontrabili nel Franck sinfonico il direttore sembra curiosamente privilegiare il versante francese rispetto a quello tedesco, risultando insomma più vicino a Monteux
che a Furtwängler. Lo si avverte nella trasparenza e vaporosità del suono
orchestrale, nel nitore dei particolari,
nella inflessibile logica dei tempi come nella sinuosa eleganza di un fraseggio che evita di accentuare il turgore espressivo caro ad altri illustri
interpreti. Tre esecuzioni magnifiche collocabili fra i vertici storici
nella discografia del musicista belga.
Nella stessa prospettiva è ricreata
con spolvero virtuosistico e mobilissima varietà di fraseggi la Terza di
Saint-Saëns incisa nel 1954 con la
Filarmonica dell’Aja e l’organista
Feike Asma, una registrazione mono fra le migliori dell’epoca. Originariamente abbinata alla Sinfonia
fantastica di Berlioz l’incisione dell’Idillio di Sigfrido di Wagner realizzata
a Berlino nel giugno del 1951 è un
gioiello di incantevole semplicità
musica 227, giugno 2011
espressiva e raffinatezza di colori. Il
direttore ne propone la versione
per orchestra ma trattandola con
una delicatezza e una lucidità di
analisi che sembrano conservare la
preziosa filigrana della stesura originale. Nell’ultimo CD, accanto a varie piccole pagine che illustrano la
brillantezza tecnica e l’eleganza del
direttore olandese, spicca infine la
Seconda Sinfonia di Weber incisa ad
Amsterdam nel 1956, all’epoca
un’autentica rarità dagli scarsissimi
riferimenti discografici, della quale
van Otterloo fa ammirare una lettura di deliziosa freschezza, ben
suonata nello spicco concertante di
flauto, oboe, corno e fagotto dalle
prime parti della Filarmonica dell’Aja. Lo stampaggio originale la
abbinava alla Sinfonia di Cherubini
diretta da Carlo Zecchi. Tutte le
registrazioni già all’origine di ottima qualità tecnica sono state riversate con grande cura e la pubblicazione è corredata da un serio opuscolo illustrativo di Otto Ketting
contenente molte utili informazioni
sul direttore e sulla sua discografia.
Giuseppe Rossi
CD
PROKOFIEV Concerto per violino n.
1 op. 19; Concerto per violino n. 2
op. 63 violino Pavel Berman Orchestra
della Radio Svizzera Italiana, direttore
Andrey Boreyko
Sonata per due violini in Do op. 56
violini Pavel Berman, Anna Tifu
DYNAMIC CDS 676
A
DDD 62:22
HHHHH
.
Si può dire qualcosa di nuovo
con due classici
del Novecento,
iper-conosciuti e
iper-eseguiti, come i Concerti violinistici di Prokofiev? Si può, se ci sono le condizioni. Come in questo CD, illuminato,
pure, nel completare i sessanta e
passa minuti con la trascurata Sonata
per due violini soli: quella che non
piaceva a David Oistrakh, il Virgilio delle Sonate prokofiane (le due
col pianoforte).
Per dire cose nuove ci vuole un
violinista quale Pavel Berman, medaglia d’oro al Concorso di Indianapolis, che è anche un « vero » direttore d’orchestra. Musicista che
ha dunque della partitura una visione non limitata alla parte solistica
ma « totale ». Il Berman che, tra
l’altro, si sta leggendo, in russo, le
novecento e passa pagine di Memorie di Prokofiev dopo avere registrato, sempre per la Dynamic, pochi mesi fa, la coppia di Sonate e le
Cinque melodie prokofiane (pianista
Vardan Marmikonian).
Ci vuole – ancora – un’orchestra di
assoluta eccellenza, camaleontica
nel cambiar pelle a seconda dei direttori ospiti, chiarissima come
quella della Radio Svizzera Italiana;
complesso certo stimato ma che
meriterebbe ben altra considerazione nel panorama delle compagini
internazionali.
Ci vuole anche e naturalmente una
bacchetta comme il faut. Qui il simpatico e giovane quanto navigato
Andrey Boreyko che con strumentisti e solista stabilisce il rapporto
cameristico-concertante di un concerto mozartiano; che è poi quello
della musica da camera.
Ed ecco la novità di queste letture,
chiare, fluide, naturali. Mozartiane,
appunto. Dove il solista si fa da
parte se la scrittura sinfonica lo richiede; dove Boreyko è misurato
ed equilibrato come Berman – stessa lunghezza d’onda –; dove l’OSI è
un prodigio di nitore ed evidenza;
dove tutto fluisce come in quei lirici meccanismi di precisione che so-
RACHMANINOV
no appunto i lavori violinisti prokofiani.
Con, in più, l’ex enfant prodige Anna Tifu che, nella sonata a due, dimostra di avere mantenuto le promesse e scioglie, in perfetta intesa,
col partner, la linea neoclassica del
lavoro con bell’eloquio e bellissima
misura.
Alberto Cantù
DVD Video
PUCCINI Tosca (opera in tre atti su libretto di L. Illica e G. Giacosa) E. Magee, J. Kaufmann, T. Hampson; Coro e
Orchestra dell’Opernhaus di Zurigo, direttore Paolo Carignani regia Robert
Carsen scene e costumi Anthony
Ward
DECCA 074 3420
A
125:00
H H H /H
HHHH
.
Non tutti i registi
d’opera cui è demandato di rinnovare la pratica
degli spettacoli
odierni sono riusciti a imparare
che in quel riottoso apparato del teatro musicale fa
capolino un’incognita maligna, predisposta non tanto dagli uomini
quanto dalle convenzioni stesse dell’opera. Mettiamo il caso di questa
Tosca, proveniente da una ribalta
autorevole quale è oggi l’Opernhaus di Zurigo: Robert Carsen,
uomo di teatro cui non mancano
intelligenza e senso della scena,
immagina Tosca ambientata più o
meno ai giorni nostri, e fin qui
niente di male; la vicenda si presta
e la stessa ricostruzione dei luoghi
deputati avviene con sobria verosimiglianza: una chiesa, l’interno di
un importante palazzo romano, un
terrapieno che funge da fortezza
per la finale fucilazione. Ma lo
scherzo glielo gioca quella benedetta convenzione, perché la convenzione vuole che i cantanti, specie nei momenti topici dell’azione,
cantino rivolti alla bacchetta e al
pubblico e non mai in posizione
sbilenca o di spalle. Il Nostro escogita invece nel primo atto un luogo di preghiera con le sedie rivolte
non verso il fondo ma in linea
orizzontale, quasi l’altare si trovasse
sul limitare estremo destro della
scena; di modo che, nell’atto del
finale Te Deum coristi e baritono
sono costretti a esporre le loro ragioni canore di sghembo, voltandosi verso la platea. È mai possibile
incappare in una gaffe teatrale del
genere? È possibile, secondo Carsen; ed è un peccato, visto che il
resto della vicenda si dipana con
bastevole credibilità e crea un clima di fosca foia che rende adeguatamente la cupa vicenda di sesso e
sangue. E per una volta diamo un
senso, tra l’altro, alla lussuria del
tristo barone e della incolpevole
diva: Tosca resta in sottoveste e si
prepara all’immolazione, Scarpia si
toglie giacca e cravatta e si butta
sulla sua vittima, la quale, guarda
caso, s’è sdraiata sulla grande tela
che ritrae l’Attavanti, tela che Scarpia, chissà perché, s’è portata a Palazzo Farnese.
La vicenda musicale soffre di analoghi strappi, stavolta non tanto alla convenzione quanto alla norma
esecutiva; per una Tosca provvista,
fra tenore, baritono e regista, di
cosı̀ tanti titoli di glamour, Paolo
Carignani offre una lettura per
molti versi pregevole, attenta soprattutto a far risaltare con cura
analitica gli innumerevoli, piccoli
episodi strumentali che fanno la
gloria di Puccini, e però manca
forse quel tratto di isteria sonora
necessario a dar risalto alle convulse violenze libertine della musica.
E manca una cantabilità franca,
sontuosa, atta a dipingere la Roma
papalina che il compositore aveva
in mente. In tal senso si poteva
esigere di più, per dire, dall’esplosivo finale primo (ma lı̀ c’entra in
buona misura anche Hampson),
che trascorre invece privo della sua
carica di tragica opulenza. Pur è
dato riconoscere al direttore italiano almeno un grande momento, la
splendida apertura orchestrale del
terzo atto: un’alba quirite di notevole fascino sonoro, che è la perla
dell’intera esecuzione.
Ma dicevo del glamour, che è garantito specialmente dalla presenza
di Jonas Kaufmann come Cavaradossi; il giovane tenore tedesco
conferma quanto di buono s’era
sentito di lui: il colore è brunito,
quasi baritonale, ma gli acuti squillanti il giusto; e la mezza voce, di
cui egli forse un poco abusa, ottiene al suo « E lucevan le stelle » effetti di malia oggi impensabili con
altri protagonisti. Emily Magee è
una bella signora alquanto ubertosa
e fa la sua Tosca con grande professionalità, difettando magari nel
registro grave; la voce non è voluminosa ma regge bene i passi aspri
dell’opera, Do della « lama » compreso. Quel che le manca sono la
vera sensualità del timbro e l’abbandono nervoso che fanno le
grandi Tosche. Thomas Hampson,
infine, è quel meraviglioso liederista che tutti ammiriamo, ma la sua
confidenza con il melodramma è
troppo scarsa perché si possa parlare di un congruo Scarpia. Dovessi
confessarlo sotto tortura, egli mi
sembra allora il vero punto oscuro
della Tosca zurighese: la voce e il
fraseggio non reggono alla tensione
declamatoria della parte e il Te
Deum letteralmente lo sovrasta.
Buoni momenti, sı̀, specie quando
la foga mortifera cede il passo alle
insinuazioni e ai sussurri, ma niente che consenta di farne il polo
dialettico che la drammaturgia
pucciniana esige. Il glamour, alla fine, è insomma parziale; ma con
quello che si ascolta in giro, è inutile fare i preziosi: questa Tosca non
si iscriverà nel libro mastro dell’eccellenza eppure si ascolta e si vede
senza grandi emozioni ma con gusto.
Aldo Nicastro
SACD
RACHMANINOV Variazioni su tema
di Corelli op. 42
BACH-BUSONI Ciaccona
RAVEL Valses nobles et sentimentales
STRAVINSKI Trois mouvements de
Pétrouchka pianoforte Freddy Kempf
BIS SACD-1810
A
DDD 63:45
H H H /H
HHHH
.
Quando uscirono, alcuni anni
fa, i primi dischi
di Freddy Kempf
(Studi di Chopin
e di Liszt, Ballate
di Chopin) pensai che al giovane
Kempf mancava una f per esser
preso in seria considerazione, dal
momento che la sua già notevole
manualità non eguagliava la musicalità e la bellezza di suono del
grande Wilhelm Kempff con due
f. Molto del suo Chopin e del suo
Liszt, peraltro lontano da quello
dei grandi virtuosi del passato, era
eseguito meccanicamente nei passi
brillanti e con una espressività deformata e poco ispirata nel cantabile. Non ho seguito più, poi, lo
sviluppo, la carriera e la discografia
del pianista inglese. Vedo che ha
registrato varie cose, soprattutto
autori russi, nei quali presumo un
pianista come lui si trovi a suo
agio: è musica poco difficile da interpretare, quando si ha la tecnica
giusta per superarne le asperità tecniche e realizzarne gli effetti, dato
che la ricerca dell’effetto è l’elemento base di questo repertorio.
La conferma infatti eccola in questo recente disco, un’antologia un
po’ sconclusionata che ha nei due
brani russi, di Rachmaninov e di
Stravinski il suo punto di forza,
anche se in realtà lo spirito fieraiolo di Petrouchka e la tragicità che
alligna in questa sagra paesana nella
figura del Pierrot russo sfuggono
all’interprete, teso a realizzare il
celebre trittico come un semplice
pezzo di bravura.
Un pezzo di bravura non sono le
raveliane Valses nobles et sentimentales, ma gli effetti timbrici sono ben
realizzati e con ottima sonorità.
C’è poi la Ciaccona in Re minore di
Bach, nella celebre trascrizione di
Busoni. E qui mi chiedo: per suonare la Ciaccona con chi dobbiamo
fare i conti, con Bach o con Busoni? Gli interpreti si dividono: o
con l’uno o con l’altro, ossia rispettando più l’originale o la libera
versione busoniana. Benedetti Michelangeli fece i conti con se stesso, eseguendo una Ciaccona che
non è né di Bach né di Busoni,
ma di Benedetti Michelangeli. Ecco, Freddy Kempf invece fa i conti con Rachmaninov, dandoci una
Ciaccona vista alla russa, e con gli
occhiali di Rachmaninov in particolare: la suona infatti non dissimile da quelle Variazioni op. 42 che
hanno aperto il disco. Manca la
logica discorsiva bachiana, ogni variazione va per la sua strada non
curandosi di quella che viene prima e di quella che segue. Una serie di frammenti, una collezione di
francobolli.
L’effetto naturalmente c’è: non
tanto quello dato dalla tecnica digitale, di cui era maestro Michelangeli, ma certo in fatto di potenza sonora e aggressività percussiva.
Riccardo Risaliti
musica 227, giugno 2011
77
RAVEL
CD
RAVEL Sonata postuma per violino e
pianoforte; Sonata in SOL per violino
e pianoforte; Pezzo in forma di Habanera per violino e pianoforte; Berceuse sul nome di Gabriel Fauré per
violino e pianoforte; Tzigane per violino e pianoforte violino Francesco
D’Orazio pianoforte Giampaolo Nuti
RAVEL Sonata per violino e violoncello violino Francesco D’Orazio violoncello Nicola Fiorino
DECCA 476 4399
A
DDD 67:04
HHHH
.
.
Nel primo dei due compact disc
pubblicati dalla divisione italiana
della Universal il protagonista assoluto è Francesco D’Orazio, fresco
vincitore del Premio Abbiati 2010,
unico violinista italiano ad aver
conseguito l’ambito riconoscimento
dopo Salvatore Accardo (nel 1985).
D’Orazio è un violinista che fa della versatilità (e la motivazione del
premio della critica italiana sottolinea proprio questo aspetto) la sua
arma vincente nei confronti dei repertori più disparati: lo possiamo
apprezzare, e sempre ad alti livelli,
in una esecuzione filologicamente
informata di una sonata di Vivaldi,
come pure nella vertiginosa Sequenza di Luciano Berio. In tal senso il
solista pugliese incarna al meglio la
figura del concertista contemporaneo. La solidità tecnica, la lucidità
nel mantenere viva la frase, l’impiego di un suono bello, ma non edonistico – ricordo che D’Orazio suona su un Giuseppe Guarneri del
1711 – rendono l’incisione di quest’omnia raveliana certamente interessante, anche se l’esecuzione, a
volte, un po’ sbilanciata proprio
verso il violino.
Nell’altra proposta firmata Decca
ecco la classica accoppiata che abbina i due Quintetti con pianoforte di
Schumann e Brahms, e che vede
impegnati il pianista Paolo Restani
e il Quartetto d’archi della Scala.
Esecuzioni quadrate, ineccepibili
dal punto di vista formale, non fantasiosissime (ed è Schumann a sof-
78
SACD
REICH « Kuniko plays Reich » Electric counterpoint, Six marimbas
counterpoint, Vermont counterpoint
vibrafono, marimba, percussioni, nastro
preregistrato Kuniko Kato
LINN CKD 385
A
DSD 47:06
HHHHH
BRAHMS Quintetto in fa op. 34 per
pianoforte e archi pianoforte Paolo
Restani Quartetto d’archi della Scala
SCHUMANN Quintetto in Mi bemolle
op. 44 per pianoforte e archi pianoforte Paolo Restani Quartetto d’archi
della Scala
DECCA 476 4373
A
DDD 72:58
HHH
frirne maggiormente) caratterizzate
da una timbrica piena, virile, ma
poco sfumata.
Massimo Viazzo
.
Esponente di
spicco del minimalismo in musica, Steve Reich
è presente in
questo disco con
tre ampie composizioni per organici diversi, arrangiate e presentate
dalla percussionista giapponese Kuniko Kato in una nuova veste strumentale (realizzata consultando direttamente lo stesso compositore):
Electric counterpoint, articolato in tre
movimenti (da eseguire senza soluzione di continuità), è presentato in
un’elaborazione per vibrafono, marimba e nastro preregistrato; Six
marimbas counterpoint è offerto in
una riduzione per la sola marimba
musica 227, giugno 2011
e nastro preregistrato, mentre Vermont counterpoint è eseguito nella
versione per solo vibrafono e nastro
preregistrato. Si tratta di composizioni nelle quali un modulo ritmico-melodico è ripetuto dall’inizio
alla fine apportando microvariazioni
tese a creare un impercettibile movimento all’interno di un tessuto
compatto e, solo apparentemente,
uniforme. Nell’affrontare questo arduo itinerario, la percussionista
giapponese Kuniko Kato si è dimostrata una strumentista straordinaria,
pienamente in grado di dipanare
questi vasti e complessi edifici con
una lucidità e una organicità tali da
dar vita a una trama sonora di singolare fascino, grazie anche alle
magie timbriche create con la marimba: è il caso, ad esempio, del Six
marimbas counterpoint, reso con una
precisione ritmica e con una energia davvero sorprendenti, o, ancora,
del Vermont counterpoint, pagina di
liquida fluidità affrontata con un
controllo assoluto non solo del ritmo, ma anche delle dinamiche. Al
disco è allegato un elegante fascicolo comprendente ampie e dettagliate note di presentazione firmate
dallo stesso Reich e da Kuniko Kato.
Claudio Bolzan
SACD
RISTORI Divoti affetti alla Passione
di Nostro Signore D. Mields, F. Vitzhum; Echo du Danube
Esercizi per l’Accompagnamento
Echo du Danube
ACCENT ACC 24209
A
DDD 63:57
HHHH
.
Dobbiamo ai corpulenti « Annales » (« de la musique et des musiciens en Russie au
XVIII siècle, Ginevra 1948-51 »)
del musicologo Robert Aloys
Mooser la conoscenza del principale merito del compositore bolognese Giovanni Alberto Ristori, figlio
del capocomico Tommaso. La sua
commedia per musica Calandro
(novembre 1731) risulterebbe infatti essere la prima opera rappresentata in terra russa per desiderio della
Zarina Anna. Precedendo dunque
anche quel Francesco Araja, giunto
a Pietroburgo nel 1735, che è considerato l’antesignano del teatro
musicale in Russia.
In realtà il nostro fu molto più attivo nel non meno blasonato territorio di Dresda, città dalla intensa
e qualificata produttività musicale
tra barocco e classicismo come attestano i nomi di Zelenka, Heinichen, Hasse e Naumann. E il viaggio a Mosca si era reso necessario
proprio per i trionfanti successi in
terra tedesca della concorrenza rappresentata dall’emergente Hasse.
Numerosi gli incarichi del Ristori
tra Dresda e Varsavia, da Kapellmeister del re polacco, organista da
camera di Federico Augusto II
(1733), compositore di chiesa e vice-kapellmeister (1750), mentre gli
si riconosce il merito di aver inserito opere comiche in Sassonia sotto la forma non solo di intermezzi
ma anche di commedie in musica.
Nel suo catalogo però oltre a melodrammi (il Calandro, unica sua
opere registrata discograficamente,
Don Chisciotte o Arianna), Oratori,
Cantate e musica sacra (quindici
messe, tre Requiem e ventidue
mottetti).
A riportarne in auge il nome è ora
l’Echo du Danube (salterio,arpa,
liuto, cembalo, organo e viola da
gamba) con le voci del soprano
Dorothée Mields e del contralto
Franz Vitzhumt, che ripropone all’ascolto una serie di devote meditazioni sonore del periodo quaresimale dal poetico titolo di « Divoti
affetti alla Passione di Nostro Signore », duetti sacri da camera
scritti per essere eseguiti dalla Real
ROSSI
Cappella di Dresda nella antica
Chiesa cattolica di corte « nei giorni
di Venerdı̀ e Domenica della Quadragesima » e intercalati, secondo
l’uso del tempo, con una serie di
Esercizi per l’Accompagnamento
(comprendenti una tripartita Sonata
in Sol minore) allora destinati allo
studio del basso continuo e alla improvvisazione, realizzati per una
bella varietà di gamma strumentale
dallo stesso Alexander Weimann,
cembalo-organista dell’ensemble.
Apre e chiude ad esempio il medesimo Esercizio (Andante) in Do minore eseguito rispettivamente prima
al cembalo e poi all’organo. La
morbidezza vocale delle due voci e
la grande varietà dell’organico strumentale appaiono pienamente convincenti e rendano pienamente
giustizia al dimenticato compositore
bolognese.
Lorenzo Tozzi
CD
ROSSI Cleopatra (melodramma in
quattro atti su libretto di M. D’Arienzo)
D. Theodossiou, A. Liberatore, P. Pecchioli, S. Catana, W. Corrò, T. Carraro,
P. Gardina, G. Medici; Orchestra Filarmonica Marchigiana, Coro Lirico Marchigiano « V. Bellini », direttore David
Crescenzi
NAXOS 8.660291-92 (2 CD)
B
DDD 105:10
H H H /H
HHHH
.
Chi scrive era al
Lauro Rossi di
Macerata quando, nel luglio
2008, è stata rappresentata
la
Cleopatra che ora viene pubblicata
dalla Naxos in registrazione live; e
ricorda ancora il clangore che la
grande orchestra del tardo Ottocento – Cleopatra risale al 1876 –
produceva nella piccola sala settecentesca del Bibbiena. Per riscoprire il compositore maceratese nel
teatro a lui dedicato si sarebbe potuta scegliere una delle opere che
lo avevano portato al successo quarant’anni prima, e se si voleva riesumare questo titolo con i suoi effetti-colossal bisognava avere il coraggio di rappresentarlo allo Sferisterio. Nell’edizione discografica, il
buon lavoro dei tecnici del suono
fa scomparire i problemi di natura
ambientale. Ma non sempre l’esecuzione procede a ranghi serrati,
come è del resto comprensibile se si
pensa che David Crescenzi, maestro
del Coro Lirico Marchigiano « V.
Bellini », si è trovato, a pochi giorni
dalla prima, a dover ricoprire anche
il ruolo di direttore d’orchestra a
causa del forfait di un collega.
Quello che, viceversa, si fa molta
fatica a comprendere è il motivo
per cui, nel momento in cui si sceglie di riportare alla luce un’opera
sepolta da centotrenta di silenzio, la
si debba aggiustare accorciandola
qua e là a proprio piacimento,
espungendo ad esempio l’intera sinfonia.
Protagonista, in tutti i sensi, è Dimitra Theodossiou. Il soprano greco, come è solita fare quando manca un direttore autoritario, si concede qualche eccesso negli acuti
buca-orchestra, ma riesce a dipingere a tutto tondo il personaggio
della regina egizia, supportata com’è da una voce piena e luminosa
e da una solida tecnica che le permette lo squillo sonoro e le smorzature, i filati in pianissimo nel registro più acuto e in quello più grave.
La partitura, offrendo a Cleopatra
un campionario di situazioni sentimentali varie (la felicità, l’apprensione e il disinganno, la fierezza
della regina ferita, la seduzione della femme fatale, la morte a testa alta),
permette alla Theodossiou di sfoggiare il proprio carisma interpretativo nell’aria del II atto: dalla delicatezza del recitativo alla dolcezza
fremente del cantabile che si conclude in un’atmosfera trasognata,
subito prima che le giunga la notizia delle imminenti nozze romane
di Antonio. Appresa la notizia, si rivela regina torreggiante e vendicativa nei suoi acuti lancinanti. Un simile mutamento spirituale si ha anche nel duetto di Cleopatra con
Ottavio Cesare (Ottaviano, non
ancora divenuto Augusto) nel IV
atto, dove la notizia della morte di
Antonio, suicida dopo la sconfitta
di Azio, giunge a metà del colloquio e permette ad Ottaviano di
gettare maschera mostrando il proprio disprezzo per la regina, che abbandona il timbro seducente per assumere l’accento terribile della disperazione.
L’opera – che segue abbastanza da
vicino le forme tipiche del melodramma ottocentesco nei duetti e
nei finali, mentre preferisce la più
libera romanza per le arie solistiche
– fa un certo uso di elementi timbrici e ritmici di sapore esotico. Dei
personaggi, se si toglie la monumentale regina, l’unico a subire una
propria evoluzione interiore è Antonio. Il tenore Alessandro Liberatore, tuttavia, riesce solo parzialmente ad esprimerne il carattere,
appiattendosi su un’interpretazione
sforzata che può andar bene a raffigurare il dolore della sconfitta nel-
musica 227, giugno 2011
79
D. SCARLATTI
l’ultima aria, ma manca, nel I atto,
tanto di grazia quanto di squillo
eroico.
Gli altri interpreti sono tutto sommato capaci, pur con mezzi non
sempre smaglianti, di incarnare i
semplici caratteri delineati da Lauro
Rossi: l’insistente vibrato del mezzosoprano Tiziana Carraro per l’insicurezza trepidante di Ottavia; il
fraseggio dolente e la voce un po’
impastata del baritono Sebastian
Catana per Diomede, amante respinto ma sempre fedele a Cleopatra; la voce solida e capace di significative sfumature del basso Paolo
Pecchioli per l’astuto uomo di Stato Ottaviano.
Marco Leo
minuti ad offrire il terreno fertile a
una fantasia inventiva ed a un acume quanto mai rari. Il tratto saliente
delle sue interpretazioni – questo CD
lo conferma – è infatti la ricerca di
una chiave di lettura capace di rivelare l’essenza profonda di un compositore. In questa prospettiva ChoAlexandre Tharaud
clavicembalisti. Per esempio la Sonata K 132 supera i 7:30 contro i
6:35 di Andreas Staier, mentre la
Sonata K 239 dura 3:30, circa trenta
secondi in più rispetto all’interpretazione di Pierre Hantaı̈. Anche
quando qualche concessione al virtuosismo viene fatta, come nel caso
della Sonata in Re minore K 141, il
fraseggio resta naturale, quasi parlante.
Le stesse considerazioni valgono per
il tocco, che è trasparente ma non
brillante, perché i preziosismi timbrici sono estranei all’universo
espressivo del pianista francese, attento alla concretezza dell’espressione musicale. Lo dimostra la Sonata
in Mi maggiore 380, che sotto le di-
&
CD
D. SCARLATTI Sonate K 239, K 208,
K 72, K 8, K 29, K 132, K 430, K 420,
K 481, K 514, K 64, K 32, K 141, K
472, K 3, K 380, K 431, K 9 pianoforte
Alexandre Tharaud
VIRGIN 50999 64201 627
A
DDD 68:05
HHHHH
.
Uno Scarlatti cosı̀ trasognato e
trasparente, sospeso tra vivacità
e malinconia e
animato da un’eloquenza umanissima poteva uscire
solo dalla fantasia di un artista
estroso e riflessivo come Alexandre
Tharaud. Estroso perché il pianista
francese ha sempre mostrato di possedere inventiva e verve – in Rameau come in Ravel, in Chopin
come in Chabrier, in Schubert e
Satie. Riflessivo perché le sue interpretazioni possiedono una forte
coerenza interna, nascendo tutte da
un lungo percorso di studio. Possiamo rinvenire, anzi, un filo comune nei CD di Tharaud, per cui
questa antologia scarlattiana, che segna il debutto con l’etichetta Virgin, appare come il completamento
di un cammino iniziato molti anni
fa con Grieg, Poulenc e i clavicembalisti francesi.
Tharaud predilige le miniature. Sono proprio le dimensioni ridotte di
pagine destinate a esaurirsi in pochi
80
&
pin non è soltanto il creatore di malinconiche suggestioni da salotto,
ma un geniale ricreatore di musica
di origine folklorica. Chabrier è un
grande e cordiale affabulatore e non
solo un bizzarro inventore di illusionismi ritmici sulla tastiera. Cosı̀ Domenico Scarlatti, oltre a essere il virtuoso imprevedibile delle corti di
Portogallo e Spagna, si rivela un
esploratore delle profondità della
psiche. Si vedano il clima introverso
della Sonata in Do maggiore K 132,
dove tutto appare come trasfigurato,
l’inquietudine umbratile della Sonata
in La minore K 3, la bizzarria strana
della Sonata in Do maggiore K 420.
I tempi sono estremamente moderati (in genere Tharaud è poco incline a tempi veloci), soprattutto se
messi a confronto con i tempi dei
musica 227, giugno 2011
ta di Horowitz era un miracolo di
invenzioni timbriche, mentre con
Tharaud conserva intatto il suo carattere di danza popolare. Il carattere danzante viene meravigliosamente accentuato nella Sonata in Re
minore K 64, su un robusto ritmo di
gavotta. Anche la pagina con cui si
apre questa personalissima antologia, compilata secondo criteri puramente estetici e non di completezza
musicologica, la Sonata in Fa minore
K 239, possiede, pur nella sua malinconia svagata, un eloquio molto
naturale. Lo Scarlatti di Tharaud,
insomma, non è confinato in un
olimpo di pura e intatta bellezza,
ma viene calato nella quotidianità
dell’esperienza.
Molto curata è anche la qualità tecnica della registrazione, effettuata su
un grancoda Yamaha nell’ormai
mitica sala L’Heure Blue a La
Chaux-de-Fonds, in Svizzera.
Luca Segalla
Sedici domande
ad Alexandre Tharaud
Alexandre Tharaud si è mosso sempre con libertà nel mondo del concertismo, seguendo il suo gusto e le
sue passioni. Anche nei ritmi di lavoro, con lunghe pause tra una
tournée e l’altra, Tharaud è un pianista insolito. Decisamente originale è il suo repertorio, molto francese e molto clavicembalistico. Bach,
Rameau, Couperin e Scarlatti. Poi
Chopin, Ravel, Satie e Poulenc.
Nella sua discografia c’è anche un
album con i Pezzi lirici di Grieg
(nel 1993, a inizio carriera), poi la
musica da camera – non moltissima, a dire il vero – e quindi un CD
dedicato al contemporaneo francese
Thierry Pécou.
Antivirtuoso ma a suo modo un divo, Tharaud, parigino, classe 1968,
è poco incline ai preziosismi timbrici; si concentra sul senso della
musica, è abituato a scavare in profondità. A lavorare sulla struttura di
un brano più che sulla superficie
timbrica. Matura lentamente le sue
idee e poi le realizza con determinazione. Anche quando ci racconta
del suo nuovo disco, le parole sono
misurate e precise.
Dopo molta musica francese, un CD
dedicato a Domenico Scarlatti. Perché
questa scelta?
Credo fosse un passaggio obbligato
dopo Bach, Rameau e Couperin.
Per anni, alla fine dei miei concerti,
molta gente veniva a chiedermi
quando avrei fatto un disco con le
sonate di Scarlatti; poi ci sono molte sonate scarlattiane poco note al
pubblico, che ritengo importante
far conoscere. Cosı̀ mi sono deciso.
Con quali criteri ha selezionato le sonate del disco?
In primo luogo ho voluto registrare
le sonate che ho studiato quando
ero molto giovane, a sette-otto anni, l’età in cui ho scoperto Scarlatti.
Poi alcune sonate virtuosistiche e
alcune malinconiche, altre basate
sui ritmi delle danze di corte come
la gavotta e infine qualche sonata di
ispirazione popolare, dal momento
che è molto importante – a mio
avviso – sottolineare il legame di
Scarlatti con la musica del popolo e
della strada, come il flamenco.
Ho notato che in molti casi i Suoi tem-
D. SCARLATTI
pi sono più lenti rispetto a quelli di altri interpreti, soprattutto nelle sonate
in modo minore. Per quale motivo?
La velocità non dipende soltanto
dal pianista, ma anche dal pianoforte, dall’acustica, dalle condizioni
della sala. In realtà non potrei dire
come sono davvero i miei tempi,
perché ogni volta, in concerto,
cambiano!
Dove è avvenuta la registrazione?
In una fantastica sala in Svizzera,
L’Heure Bleue, a La Chaux-deFonds: erano anni che sognavo di
registrare in quella sala. Ho usato
uno Yamaha, come nel CD di Satie
di tre anni fa: sono riuscito a trovare uno strumento meraviglioso,
ideale per Scarlatti.
Oggi è abbastanza comune affrontare
Scarlatti al pianoforte, mentre qualche
decennio fa erano più frequenti le interpretazioni al clavicembalo. Quali
sono i vantaggi e i limiti?
È importante, per prima cosa, avere
in mente che queste sonate sono
state scritte per il clavicembalo: bisogna cercare sul pianoforte la leggerezza del suono clavicembalistico.
In secondo luogo bisogna considerare la modernità della musica di
Scarlatti. Händel e Bach sono nati
nello stesso anno di Scarlatti, eppure appaiono più legati al loro periodo storico, mentre la musica di
Scarlatti sembra essere stata scritta
ieri. Cosı̀ è molto facile suonare
questa musica su un pianoforte,
certamente più facile rispetto alla
musica di Bach, di Händel, di Rameau o di Couperin. Il limite del
pianoforte è che è troppo lirico e
che in alcune situazioni manca di
forza: sembra incredibile, ma a volte le sonorità del clavicembalo sono
più incisive, anche se si pensa sempre il contrario.
Fra gli interpreti di Scarlatti chi apprezza in particolare, tra i pianisti?
Marcelle Meyer, Clara Haskil e
Vladimir Horowitz. Ritengo la
Meyer la più grande pianista donna
della storia: è il mio idolo e tutti i
suoi dischi sono per me fondamentali. Poi viene Clara Haskil, perché
quella di Scarlatti è la musica più
adatta alla sua personalità, per la
teatralità e per l’humour. Infine
Horowitz, perché lui è il cinema –
noi in Francia diciamo un piccolo
bambino con un carattere difficile.
Ed è anche molto lirico. Tra i clavicembalisti direi Pierre Hantaı̈. È
un interprete fantastico, semplice
ma deciso quando serve, sempre
pieno di sorprese: al clavicembalo,
per il repertorio scarlattiano, è senza dubbio il più grande.
Quali autori di solito affianca a Scarlatti nei suoi recital?
Mi capita spesso di fare una prima
parte dedicata a Beethoven e una
seconda parte dedicata a Scarlatti.
In effetti Scarlatti è in grado di reggere da solo un intero tempo, perché le sue sonate hanno caratteri
molto diversi. Ed è anche interessante accostarlo a Beethoven, per
esempio fare prima la Sonata op.
109 e poi delle sonate di Scarlatti:
funziona molto bene.
A questo punto dobbiamo aspettarci
un disco beethoveniano?
No, non a breve. Ho in progetto
di incidere due Concerti di Beethoven, ma non nei prossimi tre
anni. Devo ancora scegliere il direttore e l’orchestra e non sono scelte
facili, perché bisogna trovare l’orchestra ideale per questa musica e
un direttore con il quale si lavora
bene. Un direttore disponibile,
possibilmente un amico. E poi c’è
il problema della sala. È molto più
facile registrare dei CD solistici che
registrare con un’orchestra.
I direttori con i quali si è trovato più in
sintonia?
Ho avuto un’esperienza molto bella
insieme all’Orchestre de la Suisse
Romande e a Rafael Frühbeck de
Burgos, lo scorso anno in tournée
con i Concerti di Ravel. Vede, il
mio direttore ideale non è solo un
musicista che conosce molto bene
il brano da eseguire, ma è anche
una persona che, per esempio, non
parte subito dopo la prova, ma si
ferma a mangiare con me. Insomma, un direttore con il quale posso
avere un dialogo vero: per registrare un disco bisogna passare cinque
o sei giorni insieme!
È vero che ha rinunciato ai concerti per
sette mesi prima di registrare questo
CD?
In realtà ho fatto sette mesi sabbatici dopo averlo registrato. Ho bisogno di prendere i miei tempi, di lavorare al pianoforte senza la tensione del concerto. Di lavorare sul
mio suono e sulla tecnica.
Oggi, però, questo è sempre più difficile: in un mondo globalizzato i solisti
sono spinti a dare continuamente concerti. Lei sente questa pressione?
Nella vita è possibile dire di no.
Ormai sono cinque stagioni che
riesco a prendermi ogni anno alcuni mesi pausa dai concerti e sono
contento di questa mia decisione.
musica 227, giugno 2011
81
A. SCARLATTI
E la musica da camera?
Poca, adesso. In passato ne ho fatta,
ma oggi preferisco i Concerti con
orchestra e i recital, perché sono
molto più rischiosi. Ed a me il rischio piace: nella vita non voglio la
tranquillità!
I prossimi dischi per la Sua nuova etichetta, la Virgin?
Ho registrato i Concerti di Bach con
una meravigliosa orchestra canadese, Les Violons du Roi. È un’orchestra che utilizza strumenti moderni, ma con l’archetto barocco.
Abbiamo trovato – mi sembra – un
bel colore, molto leggero e un suono barocco: per queste pagine è
importante, perché di solito risultano troppo pesanti. In Francia il disco uscirà in novembre. Poi c’è un
altro progetto, ma preferisco non
anticipare nulla.
Ho letto, in un’intervista al mensile
francese « Diapason », che la Sua opera preferita è il Parsifal. Io mi sarei
aspettato un’opera del Settecento...
Arriverà ad affrontare le parafrasi operistiche wagneriane di Liszt?
Ho ascoltato il mio primo Parsifal a
diciassette anni, a Bayreuth ed è
stata un’esperienza che ha cambiato
la mia vita. E Liszt mi piace molto,
come mi piacciono le opere di
Wagner e anche quelle di Verdi.
Però le parafrasi, che ho suonato
dieci anni fa, oggi sono diventate
meno interessanti per me.
In questo periodo quali brani sta studiando?
Le Variazioni Goldberg di Bach, le
ho suonate in pubblico per la prima
volta a Barcellona pochi giorni fa.
È veramente l’opera della mia vita,
un’opera che desideravo suonare da
molti anni che credo suonerò per
tutta la carriera. Per la registrazione,
però, voglio ancora aspettare. In
genere suono per molti anni un
brano prima di registrarlo. È avvenuto cosı̀ per tutti i miei dischi ed
anche per le Goldberg mi piacerebbe
aspettare tre o quattro anni.
GLOSSA OCD 921511
DDD 63:40
HHHH
Del palermitano
Alessandro Scarlatti Bonizzoni
restituisce alla luce (ed all’ascolto)
due preziose serenate a tre voci
(due soprani e un contralto) con
strumenti: Tacete, aure, tacete e O
mie figlie canore, entrambe composte
a Roma nel 1706. E proprio in
quell’anno insieme a Corelli e Bernardo Pasquini Scarlatti fu tra i primi musicisti ammessi alla nobile accademia romana dell’Arcadia, insignita sino allora solo di poeti e letterati.
Nella prima i pastori Fileno, Niso e
Doralbo, infelici compagni di sventura amorosa, lamentano a turno la
spietata crudezza dell’amata ninfa
Filli che giace addormentata, unendosi a volte in brevi ma succose
arie a due o tre voci, sempre genialmente assecondate dagli archi:
un vero e proprio caleidoscopio del
pathos amoroso tra speranza e delusione, rimpianto e compiaciuta sofferenza. Nella seconda invece è il
Sole, insieme alle figlie Urania e
Clio, a decantare le bellezze della
venerea Filli tiberina (forse una favorita del marchese Ruspoli): la
guancia vezzosa simile a una rosa, il
seno candido che sembra un giardino di gigli, gli occhi dardeggianti.
CD
82
Doti alle quali si aggiunge naturalmente quella delle virtù. L’invito
finale del Sole tramontante è quello
di godere di un sereno sonno notturno.
La lettura di Bonizzoni e della Risonanza, affidata alle voci esperte
dei soprani Emanuela Galli, Yetzabel Aria Fernandez e del controtenore Martin Oro, si dimostra molto
rispettosa del testo poetico e delle
sue valenze emotive, ma piacevole
è anche il colore strumentale che
scaturisce dall’affiatamento dell’ensemble e dalla prassi esecutiva barocca. Ne deriva un linguaggio sonoro ricco di sfumature, di sottolineature psicologiche, di umori, di
affetti, che rende onore a un padre
fondatore della moderna musica
europea.
Lorenzo Tozzi
CD
SCHÖNBERG Variazioni op. 31
CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 op. 74
« Patetica » West-Eastern Divan Orchestra, direttore Daniel Barenboim
DECCA 478 2719
A
DDD 69:02
HHHHH
&
musica 227, giugno 2011
.
Insolito l’accostamento di Schönberg e Ciaikovski proposto da
questo CD che
riproduce il programma di un concerto tenuto da
Daniel Barenboim con la West-Eastern Divan Orchestra
Isola deserta, in assoluta solitudine.
Tre dischi da portare. Quali sceglierebbe?
Il Preludio del Parsifal con Toscanini, l’integrale discografica della cantante francese Barbara e le Variazioni Goldberg con Glenn Gould, la
versione del 1955.
Luca Segalla
A. SCARLATTI Serenate a Filli E. Galli, Y. Arias Fernandez, M. Oro; La Risonanza, direttore Fabio Bonizzoni
.M
Daniel Barenboim al Festival di Salisburgo il 13 agosto del 2007
escludendone l’iniziale Ouverture
Leonore n. 3 di Beethoven. La
West-Eastern Divan Orchestra
fondata nel 1999 dallo stesso Barenboim e dal critico letterario
Edward Said riunendo musicisti
arabi e israeliani, lo si è ripetuto
più volte, è una delle più straordinarie dimostrazioni di quanto la
musica possa unire ciò che secoli
di storia hanno diviso. In questo
caso sarà però opportuno accantonare per una volta l’ammirazione
per la formidabile testimonianza di
impegno umanitario e concentrarsi
sul livello di un’orchestra capace
di restituire in concerto una delle
opere più complesse dell’intero repertorio sinfonico con una disinvoltura e una qualità di suono degne di sostenere il confronto con
qualsiasi altra incisione in studio
delle Variazioni op. 31, siano pure
quelle lussureggianti di Karajan
con i Berliner e di Solti con la
Chicago Symphony, di Mehta con
la Los Angeles Philharmonic o di
Rattle con la City of Birmingham.
La lettura di Barenboim punta a
sottolineare i legami della partitura
di Schönberg con il passato, non
solo con Bach naturalmente, ma
con il mondo di Brahms, Mahler
e Strauss. La ricerca di una estrema
chiarezza formale non comporta
quindi l’atteggiamento distaccato e
impersonale di tanti « specialisti »
dello stile dodecafonico ma si accompagna a una ricchezza di colori, un lirismo e una intensità
espressiva capaci di far godere lo
splendido lavoro come musica
normale e di emozionare. È la
stessa strada percorsa dalla celebre
incisione di Karajan ma forse con
una convinzione perfino maggiore
e certo senza il compiacimento
virtuosistico di quella. Dopo una
&
L O R E L L A
T A F U R O
soprano
Tosca
Norma
Aida
Trovatore
Manon
e...
La voce del sole
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SCHUBERT
lettura cosı̀ insolitamente partecipata del capolavoro di Schönberg
l’accostamento al tardoromanticismo dell’ultima sinfonia di Caikovski non appare in fin dei conti
cosı̀ stridente come ce lo eravamo
prospettato. E anche in questo caso ci troviamo di fronte a una bella esecuzione seppure non originale come quella delle Variazioni. È
una lettura dai tempi lenti, commossa e affettuosa, immersa in una
calda luce crepuscolare che rimanda ad angolazioni interpretative
lontane, perfino con il recupero di
insistiti portamenti nel fraseggio
degli archi come non se ne ascoltavano da tempo. In ogni caso anche qui l’orchestra mediorientale
suona superbamente e il risultato
complessivo è di fortissimo impatto emotivo a coronare uno dei
migliori dischi recenti del Barenboim direttore.
Giuseppe Rossi
CD
SCHUBERT « Nacht und Träume »
(Lieder D827, D833, D637, D869,
D876, D778, D842, D193, D194, D891,
D889, D517, D289, D434, D502, D861,
D303) baritono Matthias Goerne pianoforte Alexander Schmalcz
HARMONIA MUNDI HMC902063
A
DDD 60:40
HHHHH
.
Con questa registrazione Matthias
Goerne
prosegue nella
sua
Schubert
Edition per Harmonia Mundi, un’impresa titanica
coronata finora da lusinghieri successi. Il baritono tedesco è, infatti,
uno dei maggiori liederisti attualmente in attività e il livello altissimo delle sue esecuzioni, sotto il
profilo vocale e interpretativo, lo
rendono degno erede del grande
Dietrich Fischer-Dieskau, di cui è
stato allievo. Distinguendosi però,
rispetto al modello, per una visione
di questo particolarissimo universo
domestico che è il Lied, maggiormente spontanea, imprescindibilmente attenta al significato del testo, ma anche capace di trascenderlo nel segno della freschezza e dell’immediatezza espressiva.
Tratti che sono evidenti anche nella nuova uscita, che porta il titolo
« Nacht und Träume » (notte e sogni): due emblemi del romanticismo più puro su cui sono stati versati fiumi di inchiostro e sparse copiose lacrime. La scelta dei diciassette Lieder che Goerne, accompagnato dal pianista Alexander
84
Schmalcz, inanella traendoli dal vasto catalogo schubertiano, mirano a
ritrarre un ventaglio di emozioni,
ora rattenute ora dirompenti, legate
al tema della morte, del sogno infranto, della speranza delusa. La voce robusta del baritono, capace di
ombrose discese verso il basso (come in « Totengräbers Heimweh »)
ma anche di tenorili salite all’acuto,
scandaglia questi microcosmi con
grande varietà di espressione, passando dalla vellutata cantabilità del
Lied che dà il titolo alla raccolta, e
che con la sua invocazione « Ritorna, santa notte! Dolci sogni tornate » sembra introdurre ante litteram il
tema della notte wagneriana, alla
dolcissima « An Silvia » su testo di
Shakespeare o « An die Geliebte »,
cantata con voce trattenuta ed eccellente legato. O ancora « An den
Mond » con quell’accompagnamento pianistico in terzine che ricorda
cosı̀ da vicino il primo tempo della
Sonata « Al chiaro di luna » di Beethoven.
Da sottolineare ancora la capacità
del baritono di dare plastica evidenza ad alcune parole chiave dei testi
poetici scelti, ricorrendo agli accenti, alla dizione particolarmente scolpita oppure a lievi rallentandi.
Quello che semmai sembra qui e là
difettare è un qualche spiraglio di
luce, trascurato in favore di un tono per lo più malinconico, spesso
addirittura drammatico che, in taluni casi, assume una dimensione
quasi operistica (si ascolti l’incipit di
« Totengräbers Heimweh »). Una
scelta, tuttavia, ampiamente plausibile considerando il tema scelto, e
che non inficia minimamente l’ottima riuscita complessiva della registrazione. Valido il supporto pianistico di Schmalcz, che può contare
su una lunga collaborazione con il
baritono tedesco e su un altrettanto
considerevole esperienza come accompagnatore.
Stefano Pagliantini
CD
SCHUBERT Sonata in SI bemolle D
960; Improvviso in fa op. 142 n. 1;
Klavierstück in MI bemolle D 946 n.
2 pianoforte Luca Ciammarughi
CLASSICA VIVA GTSELC0901
A
DDD 66:26
HHHH
.
I giovani pianisti
che
mettono
piede in sala di
registrazione appartengono, in
genere, a tre categorie. Si confezionano un CD in
musica 227, giugno 2011
proprio, spesso con risultati dignitosi ma con pochissime possibilità
di poterlo realmente distribuire.
Arrivano al debutto discografico
dopo il successo in qualche concorso più o meno importante.
Oppure si dedicano a un repertorio raro, dove – visto che mancano i concorrenti – hanno qualche
possibilità di farsi notare. Il trentenne Luca Ciammarughi non appartiene a nessuna di queste categorie. Non vanta vittorie di prestigio, non costruisce un CD di autopresentazione infarcito di pagine
virtuosistiche e sta alla larga dalle
rarità, visto che ha scelto l’ultima
Sonata di Schubert. A debuttare in
disco con una pagina simile, registrata da quasi tutti grandi pianisti,
ci vuole del coraggio e un po’ di
incoscienza; a suonarla bene ci
vuole talento.
Ciammarughi riesce a essere originale e coerente in un capolavoro
dove la tentazione di imitare i
grandi del passato è sempre dietro
l’angolo. Il fatto è che Ciammarughi, oltre a un essere un ottimo
pianista e un ottimo camerista, è
anche un valido giornalista e un fine musicologo; lo dimostrano le
note del booklet, un saggio in miniatura scritto con la chiarezza di
chi è abituato – dai microfoni di
Radio Classica – a fare quotidianamente divulgazione musicale.
Nella Sonata D960 la sua prospettiva è quella di un intimismo doloroso e dolce, senza eccessi di intellettualismo. L’esordio è lento, non
lentissimo come nella celebre e
provocatoria interpetazione di
Richter, ma più lento, per avere un
termine di confronto, dell’interpretazione di Radu Lupu del 1991. Il
colore timbrico è piuttosto scuro, le
sonorità sono tutte contenute, con
il forte (ascoltare la ripetizione del
tema alle battute 36 e seguenti) ridotto di fatto a un mezzoforte. Sono
tutte caratteristiche che ritroviamo
anche negli altri movimenti della
Sonata, compreso un finale che
suonato cosı̀ lentamente rischia di
sfilacciarsi. È evidente la volontà di
rinunciare ad ogni brillantezza, ad
ogni amabilità di stampo salottiero.
Anche il terzo movimento, pure risolto con una grazia malinconica,
in perfetto spirito da Hausmusik,
resta immerso in questa penombra.
Una penombra che nel secondo
movimento assume tratti quasi
spettrali, con un suono scarnificato
appena ravvivato nella parte centrale cantabile.
La stessa penombra sembra avvolgere l’Improvviso op. 142 n. 1, men-
tre il secondo dei Klavierstück D
946 è tutto immerso, al contrario,
in un’elegante dolcezza salottiera. Il
giovane Brendel, nel 1962, era
molto più neutro...
Pregevole è anche la qualità tecnica della registrazione, effettuata su
un grancoda Yamaha C 7 ben
preparato.
Luca Segalla
CD
SCHUMANN Humoreske op. 20
KNUSSEN Ophelia’s Last Dance op.
32
LISZT Sonata in si pianoforte Kirill
Gerstein
MYRIOS MYR005
M
DSD 65:30
HHHH
.
Kirill Gerstein è
un pianista di
origine russa, trasferitosi a quattordici anni negli
Stati Uniti per
studiare jazz al Boston Berklee
College of Music e successivamente
alla Manhattan School of Music di
New York, dove ha approfondito
gli studi classici con Solomon Mikowsky, poi con Dmitri Bashkirov
a Madrid e con Ferenc Rados a
Budapest. Se dunque è a stelle e
strisce la sua formazione, in realtà
questa è avvenuta nell’alveo della
grande tradizione russa.
Gertein ha già registrato per Myrios
Classics un disco con Tabea Zimmermann, ma questa è la sua prima
incisione da solista. Il programma
scelto sembrerebbe pretenzioso, almeno a guardare la Sonata di Liszt,
per un pianista giovane (ma non
giovanissimo: Gerstein è del 1979)
come lui: i precedenti in questo
campo si sprecano e ogni paragone,
in effetti, potrebbe giocare a suo
sfavore. Tuttavia sono pochi i giovani pianisti di oggi che accetterebbero, come fa il russo Gerstein, di
rinunciare allo sfoggio virtuosistico
e alla retorica altisonante di certi
passaggi del capolavoro lisztiano per
offrirne, piuttosto, una versione più
contenuta, attenta ai dettagli e alle
voci interne, che procede non per
grandi campiture, ma piuttosto per
piccoli tocchi. Il che non vuol dire
che l’esecuzione sia tecnicamente
dimessa, perché anzi qui la tecnica
è infallibile e superbo il controllo
anche nei passaggi più ostici. Il suono è sempre luminoso e diviene
parlante nei momenti più lirici,
quelli meglio riusciti, come il secondo movimento Andante sostenuto. Il limite, che peraltro è legato a
SHOSTAKOVICH
questo tipo di scelta interpretativa,
è la parziale rinuncia a quella retoricità cosı̀ innegabilmente associata
alla musica di Liszt. In ogni caso
un’interpretazione coraggiosa e
coerentemente sviluppata.
La stessa squisita musicalità si ritrova
nelle Humoreske op. 20 di Schumann, con il loro caleidoscopico
ventaglio di emozioni contrastanti:
leggerezza, brio virtuosistico, attenzione certosina ai dettagli sono le
qualità precipue dell’esecuzione di
questo pezzo schumanniano di non
cosı̀ frequente ascolto. Da ricordare
il sognante Einfach iniziale, dimesso
e virginale, che subito trapassa nell’esuberante Sehr rasch und leich,
l’ansia rattenuta del secondo movimento Hastig, il poeticissimo Intermezzo e la luminosità della virtuosistica Stretta nel quarto movimento.
Una riuscita da ricordare, che dimostra una particolare congenialità
di Gerstein per il pianismo schumanniano.
Più discutibile la scelta di incidere,
tra i due capolavori del Romanticismo tedesco, Ophelia’s Last Dance,
una composizione di Oliver Knussen, classe 1952, originariamente
scritta per Paul Crossley nel 2004,
rimaneggiata per il Gilmore International Keyboard Festival nel
2010 proprio per Kirill Gerstein.
Un pezzo, stilisticamente ancorato
al passato, quasi impressionistico,
costruito su imprevedibili cambi di
tonalità, uniforme nella successione
delle diverse sezioni, cui il pianista
russo rende omaggio con un’esecuzione accuratissima, ma che risulta
piuttosto fuori luogo in tanto consesso.
Stefano Pagliantini
CD
SCODANIBBIO Oltracuidansa contrabbasso Stefano Scodanibbio
MODE 225
A
DDD 58:14
H H H /H
HHHH
.
Qual è il linguaggio del contrabbasso? Come
dar voce a un
pensiero? A questo e altri quesiti
vuol dare risposta Oltracuidansa: termine provenzale da cui è derivata
la parola tracotanza. Lo fa con una
approfondita analisi delle possibilità
sonore dello strumento amplificate
e riverberate dall’uso di materiale
sonoro registrato su un nastro magnetico a otto piste. Secondo le parole dell’autore e interprete: « Oltracuidansa scava ora nelle viscere dello
campana » Houston Symphony Orchestra, direttore Leopold Stokowski
URANIA WS 114 (2 CD)
B
ADD 146:18
HHHHH
strumento, rivelando i lati oscuri e
animaleschi attraverso l’uso di tecniche non convenzionali ». E bisogna riconoscere che la musica si
tiene lontana dal facile effettismo,
grazie alla serietà con cui Scodanibbio ha affrontato il lavoro di catalogazione, sistematizzazione ed esecuzione dei suoni utilizzati in esecuzione.
Quest’opera, nata inizialmente per
uno spettacolo intitolato La fine del
pensiero, con coreografie di Hervé
Diasnas e la voce recitante di Giorgio Agamben, avrebbe però bisogno, secondo la stessa testimonianza
scritta dell’autore, della presenza visiva del solista live, i cui gesti vengono enfatizzati e commentati da
giochi di luce. L’ascolto della riduzione stereofonica modifica in maniera sostanziale la percezione spa-
ziale della partitura rendendo di
difficile riconoscimento gli interventi « dal vivo » del solista con il
risultato di ridurre sensibilmente la
complessità di percezione del lavoro da parte dell’ascoltatore. Meglio
sarebbe stato pensare direttamente a
un bonus DVD tratto da una delle
numerose esecuzioni rese da Scodanibbio nel corso dell’ultimo decennio da allegare alla versione CD
proposta dall’etichetta americana
specializzata in musica contemporanea.
Riccardo Cassani
CD
SHOSTAKOVICH Sinfonia n. 1 op.
10; Sinfonia n. 11 op. 103; L’anno
1905 Symphony of the Air, direttore
Leopold Stokowski
KACHATURIAN Sinfonia n. 2 « La
.
Chi è solito
identificare Leopold Stokowski
solo con l’abile
uomo di spettacolo che in Fantasia di Disney stringe la mano a
Mickey Mouse dimentica che in
realtà fu uno dei direttori maggiormente impegnati nella diffusione
della musica contemporanea e che
grazie a lui circa duecento opere
ebbero la prima esecuzione negli
Stati Uniti fra le quali ben quattro
sinfonie di Shostakovich, Prima,
Terza, Sesta e Undicesima. La Sinfonia n. 11 fu presentata per la prima
volta al pubblico americano il 7
aprile del 1958 a Houston e subito
registrata in disco da Capitol. È appunto la superba incisione riversata
in questo album Urania accanto alla
Sinfonia n. 1 incisa nello stesso anno
a New York con la Symphony of
the Air, il complesso che aveva raccolto buona parte degli strumentisti
della NBC Symphony sciolta nel
1954 dopo il ritiro di Toscanini. La
stessa orchestra impiegata poco dopo nella registrazione della Sinfonia
n. 2 di Khachaturian. Stokowski
aveva già inciso la Prima di Shostakovich a Philadelphia nel lontano
1933 realizzandone cosı̀ la prima
edizione discografica in assoluto.
Un’esecuzione contrassegnata da un
virtuosismo formidabile e dal rilievo di un’orchestra non di poco superiore alla Symphony of the Air.
Ciò limita solo in parte la bellezza
di questa registrazione, peraltro
nettamente migliore sotto il profilo
tecnico, tuttora da considerarsi fra
le migliori del capolavoro giovanile
di Shostakovich. Impressionante è
l’interpretazione dell’Undicesima
nella quale gli incalliti detrattori di
Stokowski non mancheranno di
scorgere la sua smodata inclinazione
alla spettacolarità. Personalmente
non escludo che il suo approccio
all’imponente affresco sonoro sia in
un certo senso condizionato da un
gusto illustrativo degno di una colonna sonora hollywoodiana. L’attenzione all’atmosfera di ogni scena
attraverso un ventaglio timbrico di
incredibile variegatezza e la terrificante plasticità dei volumi si traducono certamente nel descrittivismo
minuzioso di uno sgargiante documentario storico ma i dettagli finiscono per trasformarsi anche in
simboli sonori di straordinaria forza
musica 227, giugno 2011
85
SIBELIUS
dinamiche, mentre la forcella della
macro-dinamiche risulta ben realizzata. Il palcoscenico sonoro risulta
sufficientemente delineato e dettagliato.
Riccardo Cassani
CD
espressiva. Sul piano della messinscena timbrica nei primi due tempi
nessuno è giunto a tanta efficacia
evocativa ma a saper ascoltare senza
pregiudizi l’iperromanticismo struggente dell’Adagio funebre e la restituzione ruvida e monumentale del
Tocsin finale testimoniano anche
uno sguardo interpretativo di notevole profondità.
Quanto alla Seconda di Khachaturian, confrontandola con le incisioni realizzate dall’autore è possibile
valutare quanto un grande direttore
possa contribuire a rendere accattivante l’ascolto di una partitura decisamente retorica e banale. Prodigo quanto Khachaturian di enfasi
sentimentale Stokowski riesce però
a ingentilire la pesante rozzezza
della strumentazione senza per questo perdere di mordente e di vigore
drammatico.
La pubblicazione presenta una confezione assai spartana e per riunire i
tre lavori in due CD si è dovuto
spezzare la Prima di Shostakovich
collocando l’Allegretto alla fine del
primo e il resto all’inizio del secondo. I riversamenti sono però accurati nel riprodurre registrazioni stereo già in origine di livello tecnico
eccezionale.
Giuseppe Rossi
CD
SIBELIUS Sinfonia n. 2 op. 43; Karelia suite op. 11 New Zealand Symphony Orchestra, direttore Pietari Inkinen
NAXOS 8.572704
B
DDD 62:00
H H H /H
HHHH
.
L’integrale di
Pietari Inkinen
prosegue con la
pubblicazione
della più famosa
delle opere orchestrali di Sibelius: la Seconda Sinfonia. In questo nuovo CD troviamo
gli stessi pregi e i medesimi limiti
già riscontrati nella recensione della
Quarta e della Quinta Sinfonia. Inkinen caratterizza la Sinfonia n. 2 in
maniera estremamente lirica, evitando con convinzione di porre
l’accento sulle caratteristiche più
86
epiche della composizione. Questo
va a beneficio di passaggi come il
solo del violoncello nella seconda
sezione del Vivacissimo, ma a scapito
dei passaggi più intensamente
drammatici del secondo movimento dove a tratti si può notare anche
una certa scolasticità del fraseggio
legata alla volontà dell’interprete di
rendere estremamente chiara la
scrittura di Sibelius. Il celebre tema
dell’ultimo movimento esce dalle
mani di Inkinen quanto mai candido ed espressivo, ma nello sviluppo
successivo e soprattutto nell’ultima
sezione (dopo la ripresa del Vivacissimo) l’ascesa verso la chiusura epica
della partitura manca di tensione
drammatica creando una sensazione
di staticità.
Le pagine della Suite Karelia, meno
universalmente note e meno impegnative dal punto di vista musicale
risultano più convincenti. L’approccio morbido dell’interprete
non nuoce ai due movimenti estremi, mentre la Ballata risulta al meglio
grazie alla qualità del canto ottenuta
dal podio. Confermo quindi il netto
salto di qualità rispetto alla precedente integrale a catalogo Naxos
(firmata da Leaper), ma se dovessi
consigliare una edizione di riferimento a cui rivolgersi per la Seconda
Sinfonia la scelta cadrebbe sulla ristampa Testament della bellissima
registrazione realizzata da John Barbirolli con la Royal Philharmonic
Orchestra per la Selezione dal Reader’s Digest nel 1962. Un’esecuzione travolgente magnificata da una
presa del suono eccezionale firmata
dal tecnico RCA Kenneth Wilkinson
nella mitica Walthamstow Town
Hall di Londra.
La registrazione di questa nuova
produzione Naxos, effettuata nel
2008 a Wellington, si caratterizza
con uno spettro di frequenze insolitamente ampio e un rilievo timbrico di particolare qualità plastica,
ma non particolarmente incisivo in
particolare nella restituzione forse
troppo morbida delle frequenze più
gravi (che però non sono fuori
controllo). Ovviamente con queste
premesse la resa dinamica non può
essere molto incisiva nella micro-
musica 227, giugno 2011
SMETANA Trio in sol per pianoforte,
violino e violoncello op. 15 Trio Wanderer
LISZT Tristia, per violino, violoncello
e pianoforte S. 723c Trio Wanderer
LISZT Die Zelle in Nonnenwerth, per
violino e pianoforte S. 382; Romance
oubliée per violino e pianoforte violino Jean-Marc Phillips Varjabédian
pianoforte Vincent Coq
LISZT Elegie n. 1 S. 130 per violoncello e pianoforte; Elegie n. 2 S. 131
per violoncello e pianoforte; La Lugubre Gondola S. 134 per violoncello
e pianoforte violoncello Raphaël Pidoux pianoforte Vincent Coq
HARMONIA MUNDI HMC 902060
A
DDD 72:33
HHHHH
.
L’idillio tra Liszt
e la musica da
camera sboccia,
in parte, solo nel
suo ultimo periodo compositivo. Si tratta di una
manciata di lavori spesso non esclusivi ed autonomi in quanto trascrizioni o adattamenti di brani composti in precedenza. Nell’interessantissimo CD edito da Harmonia
Mundi possiamo ascoltare Tristia,
un trio per violino, violoncello e
pianoforte basato su materiale tratto
dalla pianistica Vallée d’Obermann
(Liszt opera sulla versione cameristica effettuata dal compositore danese Eduard Lassen), come pure da
un originale pianistico del 1848 nasce la Romance oubliée per violino e
pianoforte, mentre Die Zelle in
Nonnenwerth, ancora per violino e
pianoforte, affonda le proprie radici
in un Lied dell’inizio degli anni ’40
consacrato all’amata Marie d’Agoult. Ci sono, infine, due Elegie,
crepuscolari e nostalgiche, che esistono anche in altre versioni (fra le
quale quella pianistica è, naturalmente, d’obbligo), e una dolorosissima Lugubre Gondola modellata sulla sua seconda redazione.
Molto intelligente l’abbinamento
con il Trio in Sol minore op. 15 per
pianoforte, violino e violoncello di
Bedřich Smetana, pagina gagliarda,
appassionata, con ampi tratti elegiaci (suggestionata dalla morte prematura della figlia primogenita) apprezzata, ai tempi, quasi solo da
Liszt, musicista considerato dal
compositore ceco un modello quasi
inarrivabile.
Il Trio Wanderer vive queste pagine con grande intensità, trasporto e
passione tormentata. Il suono è
corposo e la timbrica suadente.
Emblematici in tal senso, ad esempio, l’infuocata esposizione del primo tema nel Moderato assai con cui
si apre il Trio in Sol minore, o la furibonda ed elettrizzante cavalcata
che ne contrassegna il Presto finale,
o, ancora, lo struggente assolo di
violoncello che apre l’Elegie n. 1
del compositore ungherese.
Massimo Viazzo
CD
STRAUSS Vier letzte Lieder (3 Lieder); Monologo di Elektra
WAGNER Wesendonck-Lieder; Scene e Arie da Tristan und Isolde e
Götterdämmerung soprano Kirsten
Flagstad Orchestra dell’Opera di Stato
di Berlino, direttore Georges Sebastian
AUDITE 23.416 (2 CD)
B
ADD 96:55
HHHHH
.
STRAUSS Vier letzte Lieder soprano
Lisa della Casa Wiener Philharmoniker, direttore Karl Böhm
Arie e scene da Arabella, Capriccio e
Ariadne auf Naxos soprano Lisa della
Casa Wiener Philharmoniker, direttori
vari
NAXOS 8.111347
B
ADD 67:21
HHHHH
.
STRAUSS Vier letzte Lieder; Rosenkavalier-Suite; Till Eulenspiegel soprano Anja Harteros Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, direttore
Mariss Jansons
BR KLASSIK 900707
M
DDD 63:33
HHHH
.
STRAUSS Vier letzte Lieder; Scene
da Ariadne auf Naxos e Capriccio
MOZART Arie da Le nozze di Figaro,
Don Giovanni, Cosı̀ fan tutte soprano
Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester
Köln, direttore Karl Sollak
CPO 777 641-2
M
DDD 67:30
HHH
.
Vengono pubblicati quasi simultaneamente quattro CD che propongono altrettante interpretazioni dei
Vier letzte Lieder, molto lontane per
epoca e per importanza storica, e la
DUCALE snc
DIETRICH
BUXTEHUDE
Oratorî
Leandro (cantata)
La Rêveuse
Un’alchimia musicale
Raphaële Kennedy, soprano
Da Pacem
Brani vocali e strumentali
DOV SELTZER
interpreta Bach (CD)
Le Temple de la Musique
ancienne (DVD Rom)
Lament for Yitzhak
Requiem to a man of peace
(In memoria di Yitzhak Rabin)
The New Israeli Opera Choir
The Ankor Children Choir
The Israel Philharmonic
Orchestra
Zubin Mehta
DUCALE snc
GIUSEPPE VERDI
Macbeth
Tiliakos, Urmana, Furlanetto
Orchestra e Coro dell’Opéra de
Paris Teodor Currentzis
Via per Cadrezzate, 6 - 21020 BREBBIA (VA)
Tel. 0332 770784 Fax 0332 771047 [email protected] www.ducalemusic.it
EL 1127
HATART 184
ARNOLD
SCHOENBERG
Opere per pianoforte
Ph-Hsien Chen, pianoforte
HEL 029637 (CD + DVD)
Wanda Landowska
BAC 054 (2 DVD) Blu-Ray BAC 454
La Pellegrina
Intermedii (1589)
Capriccio Stravagante
Renaissance Orchestra
Collegium Vocale Gent
Skip Sempé
K617 227
SÉBASTIEN DE
BROSSARD
PA 0004 CD + DVD
Vespro a San Marco
Chœur de Chambre de Namur
Les Agrémens
Leonardo García Alcarón
PA 0009 CD + DVD-Rom
ANTONIO VIVALDI
MIR 125
AMY 029 (2 CD al prezzo di 1)
Distribuzione esclusiva
Carmina Burana
(versione medioevale)
Ensemble Obsidienne
Emmanuel Bonnardot
STRAUSS
prima cosa che salta all’occhio è
che in nessuno dei casi ci troviamo
di fronte a un recital liederistico: il
ciclo del crepuscolo è sempre affiancato a pagine operistiche e sinfoniche del compositore monacense. Un fatto significativo (anche
guardando alla globalità della discografia) di quanto i Vier letzte Lieder
non vengano percepiti come un’opera « di genere », ma costituiscano
veramente una sorte di epitome
dell’intero opus straussiano, dal
punto di vista stilistico-musicale e
tematico: ricollegandosi a quel tema del congedo, nel segno della rigenerazione ma appena velato di
malinconia, che si può riscontrare
attraverso tutta l’opera matura del
compositore, a partire naturalmente
dal Rosenkavalier.
È chiaro che, tra quel 1911 e il secondo dopoguerra, tale senso di distacco avesse acquisito un sapore
particolarmente concreto. A ottantaquattro anni, gli orrori bellici appena alle spalle, il compositore si
sente davvero al termine del cammino: esplicita l’immagine del viaggio mano nella mano del quarto
Lied, immanente la stanchezza che
impregna tutte le liriche (tranne
« Frühling ») e tracima in uno stato
d’animo di compimento estatico
che si traduce nell’orchestrazione
rarefatta e nelle volute aeree e disincarnate della voce, in cui sembrano trasfigurarsi la Marescialla e
Madeleine.
Il compositore era morto da otto
mesi quando i Quattro ultimi Lieder
(che, pur con tutta la loro unitarietà, non furono concepiti da Strauss
come un vero ciclo) vennero battezzati da Kirsten Flagstad alla londinese Royal Albert Hall, il 22
maggio 1950, assieme alla Philharmonia Orchestra diretta da Wilhelm Furtwängler: dell’evento (o
meglio della prova generale) è rimasta una storica registrazione.
Quasi altrettanto significativa si rivela la documentazione divulgata
ora dalla Audite, etichetta che sta
guadagnandosi rapidamente lo status
di benemerita: si tratta in realtà di
due concerti consecutivi al berlinese Titania-Palast (9 e 11 maggio
1952), il primo su un palinsesto interamente wagneriano (comprendente i Wesendonck-Lieder) e il secondo diviso tra Wagner e Strauss.
Dei nostri Lieder, presentati per il
resto nello stesso ordine della prima
esecuzione (diverso da quello, più
logico, di pubblicazione, sempre
postuma peraltro) viene omesso il
primo, « Frühling »: sicuramente a
causa della tessitura acuta, che al so-
88
prano norvegese aveva creato qualche preoccupazione anche alla prima (tanto da consigliare una variante grave onde evitare il Si naturale
su « Wunder »). Nonostante qualche piccolo disturbo acustico, la registrazione ci permette di ammirare
senza problemi le qualità della voce, piena e matura, che colora i
brani di una vena non troppo nascosta di rimpianto; l’ampia arcata e
i melismi sontuosi danno quasi un
senso di stordimento e il congedo
finale, « Ist dies etwa der Tod? »
(« sarà forse la morte? »), pur correttamente esitante, assume qui una
sorta di malinconica consapevolezza. Alcune modifiche del testo caratterizzano « September »: se l’interpolazione di « müden » nel melisma su « Augen » (già proposto con
Furtwängler) sembra obbedire a
una logica prettamente tecnicomusicale, sono curiose le altre variazioni, con le acacie che diventano per l’occasione castagni. Per
quanto riguarda gli altri estratti, il
cinquantaseienne soprano si dimostra ancora in grado di mantenere il
suo leggendario livello come Isotta
(debuttata esattamente vent’anni
prima), Brünnhilde, Elektra cosı̀
come nei Lieder su testi di Mathilde Wesendonck.
Kirsten Flagstad
&
musica 227, giugno 2011
All’anno successivo risale quella che
va considerata una delle registrazioni di riferimento della raccolta
straussiana: fu anzi la prima registrazione in studio dei Vier letzte Lieder,
anticipando per pochi mesi un’altra
versione mitica, quella di Elisabeth
Schwarzkopf con la Philharmonia
diretta da Otto Ackermann. Si tratta di un’interpretazione troppo conosciuta perché sia necessario dilungarsi in questa sede: sia Karl
Böhm che Lisa Della Casa erano
interpreti straussiani d’elezione, e se
l’apprezzamento del sontuoso contributo orchestrale è appena condizionato dall’età ormai venerabile
della registrazione (ma l’assolo del
violino, vero protagonista di « Beim
Schlafengehen » risuona sempre rapinoso e vellutato), la cantante
trentaquattrenne offre timbro e stile
praticamente perfetti per i Lieder
da Hesse e Eichendorff; gli unici limiti riscontrabili sono note gravi
appena « vuote » e una minima carenza di dettagli nel fraseggio, ma
per il resto la purezza perlacea del
timbro, l’eleganza, il legato, la qualità raggiante dell’atteggiamento
espressivo rivelano una perfetta sintonia con l’aereo crepuscolarismo
dell’opera estrema.
&
Il resto del CD è molto omogeneo:
tre ruoli di parata del soprano svizzero esemplificati in registrazioni,
sempre Decca, del medesimo periodo (1952-4) e tutte con la Filarmonica di Vienna. Di Capriccio è
compresa tutta la scena finale; di
Arabella tre pagine celeberrime, una
per atto, registrate in due diverse
occasioni.
È chiaro che per gli interpreti
odierni il confronto con questi veri
giganti dell’interpretazione è alquanto ostico. Ma almeno nel caso
del disco commercializzato dall’etichetta « di casa » dell’orchestra bavarese, il confronto è sostenuto con
onore. Il palinsesto ha logicamente
un taglio decisamente più sinfonico
degli altri: particolarmente felice l’idea di accostare ai Lieder la Suite
dal Rosenkavalier, allestita da Strauss
nel 1945. Il CD tuttavia mette insieme estratti da tre diversi concerti;
quello da cui sono estratti i Lieder,
qui presentati nell’ordine di pubblicazione, è del 2009.
Un vantaggio evidentissimo all’ascolto-confronto è che l’attuale tecnica di registrazione permette di
cogliere tutti i dettagli della raffinatissima orchestrazione, tanto più
grazie alla trasparente concertazione
di Mariss Jansons, capace di mettere
in risalto lo splendido velluto dell’orchestra bavarese. Fin dalle prime
battute di « Frühling » colpisce in
effetti il fraseggio esuberante e plastico, che asseconda pienamente la
mobilità armonica del pezzo. Anja
Harteros poi quasi non fa rimpiangere le grandi apripista, grazie alla
pienezza vocale e al fervore interpretativo; se nel primo Lied gli
acuti appaiono appena forzati, in
« September » avvince la qualità
estenuata del canto, ben accordata
al clima dell’estate declinante. Molto ben controllato il melisma su
« Augen », che dà avvio con grande
naturalezza al prezioso assolo conclusivo del corno. Nel terzo Lied
spicca soprattutto l’intervento del
violino solista, velato di malinconia,
piuttosto trattenuto dinamicamente, resistendo alla tentazione di
espandersi e gonfiarsi; in « Im
Abendrot » apprezziamo nel canto
qualche acconcio portamento, e a
« ist dies etwa der Tod » il tono privo di autocompiacimento, annuncio del lutto che prevale nel finale
orchestrale, nonostante l’innesco
del tema della Trasfigurazione e i
garruli trilli dei flauti.
Più ordinaria la versione che proviene da Colonia. L’apporto orchestrale appare generoso, ma mai particolarmente illuminante: ancora
una volta è soprattutto l’assolo di
« Beim Schlafengehen » a spiccare,
nobile, quasi barocco, elegante ma
non avaro di rubato. La voce della
polacca Aga Mikolaj possiede le
qualità necessarie di estensione e legato, ma risulta un poco impersonale e controllata: a volte si avverte
che è troppo impegnata dalla scrittura vocale per esprimersi appieno.
Anche le pagine operistiche che
completano il CD non rivelano
qualità particolari, lasciando alla fine un sapore di alta routine.
Roberto Brusotti
CD
STURLA Passio di Venerdı` Santo Il
Concento Ecclesiastico, direttore Luca
Franco Ferrari
BRILLIANT 94184
B
DDD 51:58
HHHH
.
Ancora una volta
la Brilliant propone una prima
incisione mondiale di un’opera
degna di attenzione. Dell’autore, Carlo Sturla, si
sa ben poco: nato a Genova nella
prima metà del XVIII secolo, fu attivo come musicista presso il locale
Convento di Santa Brigida, dando
vita a composizioni che dovevano
essere eseguite nel corso delle svariate funzioni luturgiche, culminanti nelle cerimonie per la Settimana
Santa, come nel caso della Passione
qui registrata. Si tratta di un lavoro
nel quale al testo evangelico di
Giovanni, intonato secondo gli austeri canoni del cantus firmus, sono
aggiunti brevi cori a due voci, recitativi e svariate arie per soprano e
contralto, in genere piuttosto concise (fatta eccezione per il solo
duetto « Noli scrivere rex Iudeorum », pagina ben altrimenti elaborata). È una musica concepita in
modo semplice, con organico ridotto, comprendente solamente il
basso continuo, realizzato con cinque strumenti impiegati in modo
assai vario nel corso dell’esecuzione.
Un itinerario dunque privo di
quella densità e drammaticità tipica
delle Passioni d’oltralpe, in ogni caso tradotto dagli interpreti del
Concento Ecclesiastico con partecipazione e consapevolezza stilistica.
Una nota di merito, in particolare,
per Emanuela Esposito impegnata
nella lunga parte dell’evangelista,
delineata con chiara dizione e voce
gradevole. Non meno efficace il
soprano Laura Dalfino, spesso chiamata a tradurre arie di notevole vir-
tuosismo (come nel caso dell’iniziale « Numquid et tu », assai concitata
e ricca di passaggi insidiosi) rese
sempre con scioltezza, mentre nei
brani più meditativi (è il caso, ad
esempio, dell’intensa « Ego nullam
invenio ») dà prova di sensibilità e
di apprezzabile fluidità. Non sempre interessante, nonostante la voce
densa e morbida, il contralto Marina Frandi, a causa soprattutto di
una dizione poco chiara, mentre assai compatte sono le voci femminili
della turba.
La direzione di Luca Franco Ferrari
è improntata a una notevole incisività ritmica e a una vitalità capace
di mettere in piena evidenza i momenti più concitati, dando vita a
un affresco ricco di luci sferzanti e
di violenti chiaroscuri, peraltro ben
evidenziati da una registrazione alquanto aggressiva. Al disco è allegato un fascicolo comprendente note
di presentazione (firmate da Luisa
Bagnoli) solo in lingua inglese e il
testo integrale in latino (con traduzione inglese): non era il caso di
pensare anche ai possibili acquirenti
italiani?
Claudio Bolzan
CD
TELEMANN Lukas Passion soprano
Veronika Winter contralto Anne Bierwirth tenore Julian Podger bassi Clemens Heidrich, Matthias Vieweg
Rheinische Kantorei, Das Kleine Konzert, direttore Hermann Max
CPO 777 601-2 (2 CD)
A
DDD 91:32
HHHH
.
Una « guida musicale » della città
di Amburgo, intitolata Musica
amburghese e datata 1657, documenta eloquentemente l’importanza delle attività musicali legate alla
Settimana Santa, con particolare riguardo per le esecuzioni delle Passioni. In questo contesto anche l’ordine
dei Vangeli utilizzati come testo di
base era rigorosamente prestabilito
fin dal 1691, partendo dal Vangelo secondo Matteo per proseguire con
quelli di Marco, Luca e Giovanni.
Ogni quattro anni, dunque, Telemann avrebbe dovuto riprendere il
medesimo testo (sono ben 46 le Passioni da lui composte per queste funzioni cittadine), avendo comunque
la facoltà di inserire delle sezioni diverse creando un quadro emozionale sempre nuovo, derivante dalla
messa in musica di arie, recitativi accompagnati, cori, secondo lo schema formale della « Passione-orato-
TELEMANN
rio ». Anche la Lukas Passion del
1748 obbedisce sostanzialmente a
questa impostazione, presentando,
però, all’inizio e alla fine della partitura, un grande coro anziché il più
consueto versetto corale (oltre a offrire la consueta varietà di interventi
della Turba). La stessa parte iniziale
del lavoro offre una singolare gamma di soluzioni nella successione di
arie e di recitativi accompagnati,
dando vita a una vera e propria « introduzione » connotata in senso teatrale e tesa a preparare lo spettatore
all’evento straordinario della passione e morte di Cristo. Oltre ai brani
connessi alla narrazione vera e propria, incontriamo cosı̀ quattro grandi
affreschi destinati al coro, cinque recitativi accompagnati, dieci arie e
sette corali, tutti caratterizzati da
un’ispirazione ormai orientata nel
segno di quella Empfindsamkeit che
con la sua densità e linearità melodica stava ormai soppiantando le più
complesse costruzioni barocche.
L’incisione qui proposta da Hermann Max è basata su una registrazione dal vivo, datata 13 marzo
2010, messa a punto in occasione
dei Magdeburger Telemann-Festtagen e realizzata utilizzando i Rheinische Kantorei e Das kleine Konzert (con strumenti d’epoca). Se le
parti corali e strumentali possono
essere considerate pienamente all’altezza della situazione per aderenza stilistica, compattezza e sensibilità
(basterebbe l’ascolto dei quattro cori sopra menzionati a dimostrarlo,
e, più in particolare, dell’ultimo
« Seht noch einmal, mit welchem
Blicke », con il delicato episodio
centrale impreziosito dalle tenere
sonorità dei flauti), non meno rispondente agli intenti è stata la prova dei solisti. È doveroso rilevare la
chiarezza della dizione, la flessibilità
e la morbidezza del tenore Julian
Podger, impegnato nel non facile
ruolo dell’Evangelista. Sostanzialmente persuasivi anche i due bassi
Clemens Heidrich (nel ruolo di
Gesù) e Matthias Vieweg (impegnato nelle arie), anche se quest’ultimo mostra talvolta di una certa rigidità. Ottimo il soprano Veronika
Winter, morbida e fluida nei fraseggi, sempre chiara nella dizione e
espressiva negli accompagnati e nelle arie più meditative. Complessivamente interessante il contralto
Anne Bierwirth, in grado di cogliere le diverse esigenze espressive e
drammatiche della sua parte. Un’edizione, in definitiva, di notevole
livello, resa tanto più godibile da
una registrazione equilibrata (nonostante il fatidioso « effetto cattedra-
90
le », evidente soprattutto negli interventi corali) e dalla ricchezza degli apparati, comprendenti ampie
note di presentazione e il testo integrale in due lingue.
Claudio Bolzan
CD
TELEMANN Ouvertüre in la; Tre Fantasie per flauto dolce; Concerto in
La minore per flauto dolce flauto dolce Julien Martin viola da gamba Josh
Cheatham Capriccio Stravagante, direttore Skip Sempé
PARADIZO PA0002
A
DDD 61:19
HHHHH
.
Giustamente Skip
Sempé definisce
l’Ouvertüre in La
minore di Telemann « la Suite
per flauto dolce di tutta l’epoca barocca »: un lavoro giustamente celebre per varietà melodica, brillante
virtuosismo, ampiezza di concezione. Anche per questo si tratta di una
delle creazioni dell’autore più registrate, a cominciare dalle pionieristiche versioni con strumenti d’epoca
e prassi storica realizzate negli anni
sessanta del secolo scorso (tra le quali
spiccano le brillanti versioni di David Munrow e Frans Brüggen). Nel
disco in esame è abbinata a tre delle
Dodici Fantasie per flauto solo (trascritte per flauto dolce) e al singolare
Concerto in La minore per flauto dolce, viola da gamba, archi e basso
continuo, esempio tra i più suggestivi della versatilità e del gusto per le
più svariate combinazioni strumentali di Telemann. Anche se il catalogo discografico dell’Ouvertüre è ormai imponente, questa nuova versione non deve essere considerata
superflua: Sempé, infatti, sostiene –
a ragione – che le esecuzioni correnti appaiono spesso troppo rigide
e incisive, « basate su preoccupazioni
ereditate dalla tradizione [esecutiva]
tedesca », mentre « in questo repertorio barocco, che presenta spesso
degli elementi di « sfumato » e di
« atmosfera », lo stile francese produceva all’epoca un esito musicale generalmente più flessibile e risonante
rispetto a ciò che si ascolta spesso
oggi ».
Date queste premesse, le scelte interpretative appaiono indubbiamente innovative: i tempi sono
sensibilmente più lenti (e non solo
nei brani più meditativi, come la
celebre Air à l’Italien), l’andamento
globale più morbido, la gamma dei
abbellimenti assai variegata, comprese le diminuzioni aggiunte nella
riproposta delle sezioni dei singoli
musica 227, giugno 2011
movimenti (una componente essenziale della musica barocca). Tutto
questo non ha compromesso, ovviamente, lo scintillio nella resa dei passaggi più virtuosistici, qui affrontati
con invidiabile scioltezza e fluidità
dal giovane flautista Julien Martin,
uno strumentista davvero eccellente
per l’eleganza e l’ariosità dei fraseggi,
per la rotondità del suono e per la
chiarezza con cui vengono dipanati
i passaggi più brillanti. Ciò vale anche per le tre Fantasie, forse le più
ispirate tra quelle composte da Telemann, qui interpretate con grande
sensibilità e flessibilità nella resa dei
repentini contrasti dinamici e agogici. Analoghi risultati anche nel bel
Concerto in La minore per flauto dolce, viola da gamba, archi e basso
continuo, anche se la viola risulta relegata un po’ nello sfondo a tutto
vantaggio del flauto.
Sia nell’Ouvertüre che nel Concerto
Sempé ha pensato di utilizzare per il
ripieno le sole parti reali: una soluzione che ha trasformato i due lavori
in pagine cameristiche, quindi non
sempre rispondenti alla loro effettiva
concezione, per quanto il notevole
livello della registrazione permetta di
far risaltare i diversi piani sonori tipici delle forme concertanti. Una produzione, infine, molto curata anche
negli apparati, costituiti da un fascicolo contenente un’interessante intervista a Sempé e a Julien Martin.
Claudio Bolzan
CD
« Venezia: Sonate e Sinfonie » (musiche di Rosenmüller, Legrenzi, Stradelli)
The Rare Fruits Council, violino e direzione Manfredo Kraemer
AMBRONAY AMY028
A
DDD 81:53
HHHH
.
Come giustamente evidenziato nell’ampio fascicolo allegato,
« la repubblica di
Venezia fu in ogni tempo un crogiolo di popoli, di tradizioni e di costumi diversi. Autoctoni e stranieri
convivevano fianco a fianco e formavano, al di là dei secoli, un’identità culturale unica e singolare che,
fino ai nostri giorni, non ha perduto
nulla del suo potere di fascinazione ».
In questa realtà le attività musicali
erano particolarmente intense: le
chiese, i teatri, gli ospedali (o orfanotrofi), le dimore borghesi risuonavano letteralmente di musica, spesso
improntata a una grande vivacità e
a un autentico splendore timbrico,
come avveniva nelle funzioni presso
la basilica di San Marco. In questo
contesto, nella seconda metà del
XVII secolo, incrociarono il loro itinerario artistico nella città lagunare
tre compositori: Rosenmüller, Legrenzi e Stradella. Non è noto se i
tre ebbero modo di incontrarsi o se
conoscessero le loro rispettive opere.
Johann Rosenmüller, originario da
un paesino della Sassonia e attivo a
Lipsia come Kantor nella Scuola di
San Tommaso, accusato di omosessualità, dovette abbandonare precipitosamente la città, approdando a
Venezia, ove ebbe solide protezioni
negli ambienti mercantili d’origine
tedesca (come il Fondaco dei Tedeschi), venendo poi chiamato a Wolfenbüttel per riorganizzare l’orchestra di corte, impegno che non riuscı̀
però ad espletare a causa della morte
avvenuta nel settembre 1684. Giovanni Legrenzi, originario di Bergamo, giunse a Venezia intorno al
1670, ottenendo il posto di maestro
di cappella a San Marco e distinguendosi sia come autore di opere
e di oratori che come magistrale
compositore di musica strumentale
(la sua raccolta di Sonate, intitolata La
Cetra op. 10, venne dedicata all’imperatore Leopoldo I). Alessandro
Stradella, di origine toscana, trasferitosi poi a Roma, ove poté andare incontro ad esperienze musicali assolutamente determinanti, diede vita a
una intensa attività creativa culminante, anche in questo caso, nella
messa a punto di lavori teatrali e oratoriali. Implicato in diversi intrighi
fu, però, costretto a fuggire, ripiegando nella città lagunare ove ottenne importanti commissioni da parte
di influenti mecenati e ove si distinse
anche come virtuoso: le sue raffinate
e brillanti sinfonie videro la luce, con
ogni probabilità, in questo contesto.
Anche a Venezia, tuttavia, fu implicato in ulteriori intrighi, che lo costrinsero alla fuga e che furono poi
causa del suo assassinio.
Una cospicua selezione di sonate e
sinfonie di questi autori ci sono ora
presentate dal valente complesso
The Rare Fruits Council, diretto
dal violinista Manfredo Kraemer: si
avvicendano cosı̀ sei Sonate di Rosenmüller, quattro Sonate di Legrenzi e tre Sinfonie di Stradella,
permettendo non solo un raffronto
tra questi autori, ma anche di verificare l’evolversi stesso delle forme
strumentali in questione (globalmente articolate in svariate sezioni
assai contrastanti tra loro per condotta agogica e per valenza espressiva), in un itinerario reso tanto più
interessante dalla notevole abilità
dei sette interpreti, tutti capaci di
VERDI
piegarsi con duttilità alle esigenze di
una scrittura irta di passaggi insidiosi, di repentini cambi di umore, di
imprevedibili scatti di vitalità.
Una proposta che si apprezza, comunque, oltre che per l’organicità
della concezione, per il notevole
affiatamento, la freschezza dell’approccio. A queste qualità è doveroso aggiungere l’elevato livello della
registrazione, ben spaziata e timbricamente naturale, e la ricchezza
delle note di presentazione.
Claudio Bolzan
CD
VERDI Il trovatore (dramma in quattro
atti di S. Cammarano) F. Corelli, E. Bastianini, M. Parutto, F. Barbieri, A. Ferrin, A. Marcangeli, V. Pandano, C. Platania, M. Russo; Orchestra e Coro del
Teatro dell’Opera, direttore Oliviero de
Fabritiis
URANIA WS 121.115 (2 CD)
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ADD 123:36
HHHHH
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PUCCINI Turandot (opera in tre atti di
G. Adami e R. Simoni) F. Corelli B.
Nilsson G. Višnevskaja, N. Zaccaria, R.
Capecchi, F. Ricciardi, P. De Palma, A.
Mercuriali, V. Carbonari, I. Farina, J.
Valtriani, R. Pelizzoni; Orchestra e Coro
del Teatro alla Scala, direttore Gianandrea Gavazzeni
LA SCALA MEMORIES (2 CD)
A
ADD 113:51
H H H /H
HHHHH
.
Esamineremo in questa cartella la
forza del tempo, la forza del caso, la
forza dei nervi, la forza del destino, la
forza dell’imbecillità mica tanto furba, la forza dell’ingegno che si deve
sperare che prevalga. Vincerò, vincerò. Troppe forze per una cartella?
Mega biblı´on mega kakón. Il tempo:
quest’anno Franco Corelli avrebbe
novant’anni. Probabile che il Trovatore rimesso in lizza dalla Urania
inauguri una pioggia di ristampe live
che bagnerà tutto l’anno. La riedita
Turandot delle Scala Memories è un
altro discorso: qui si celebra (siamo al
numero sei della portentosa collana)
la gloria di una Scala che non ci sarà
più. Corelli è una delle perle della
corona, non la più amata né la più risplendente, certo l’irripetibile. L’abbinamento Scala-Skira compie oltre
ogni sognabile perfezione quello che
ci si aspetta da una riesposizione di
testimonianze già diffusissime. Basti
l’indice del libro-disco: il program-
ma di sala originale (Riccardo Allorto), l’introduzione di Giorgio Gualerzi (che piacere ritrovare la prosa
e la saviezza di questo civilissimo raccontatore), la storia dell’allestimento,
il racconto per immagini (venticinque o giù di lı̀ foto d’archivio del teatro, la gran parte in technicolor, a tenere in alta memoria non solo la bellezza delle scene, la ben nota maniera
di Benois, la regı̀a della immutabile
Wallmann, che rischiano di essere
solo nomi per i nuovi operofili se ne
siano, i cantanti in immagine, Corelli
che sembra Stewart Granger in Scaramouche, soprattutto la grande Višnevskaja indimenticabile nel suo
completino vedette chinoise), il libretto
stampato senza pasticci come ormai
quasi mai si verifica; questo è il futuro del live documentario. Qualcosa
di pallidamente simile era stato tentato nei primi tempi del CD dal Teatro dell’Opera di Roma, ahimé talora con una precarietà di ascolto (la
Fanciulla del West con Lauri Volpi e
la Caniglia) da riempirti soltanto di
inappagato desiderio.
Il Trovatore della Urania non precisa
nemmeno che l’esecuzione che stiamo per ascoltare fu in occorrenza di
una spedizione ufficiale del Teatro
dell’Opera a Berlino (l’unica volta di
Corelli in Germania). Il sonoro è
dozzinale e fa poco grazia a voci tanto ricche. La serata era stata già diffusa in CD (1993) in una collezioncina
elegante di breve vita, la Datum; e
non essendomela riuscita a procurare
a tempo, ricorsi a un amico arabocanadese che ci ha una botteguccia
nelle caverne della Sierra Madre,
Hatz-zahly, che me ne procurò una
riproduzione eccellente. Unico plusvalore della Urania credo sia aver
serbato l’applauso che seguı̀ alla prima scena dell’opera, con uno dei migliori Ferrandi, Agostino Ferrin. Del
resto davvero gli applausi a scena
aperta e a fine d’atto (e, come tradizione, all’entrata in arengo delle voci
amate) tengono campo in una occasione eccezionale.
Cosı̀ a distanza di tre anni possiamo
misurare due diverse ufficialità. A
entrata nel decennio Roma va a
Berlino, come ci sarebbe potuta andare la Roma o la Lazio; prima della
metà di esso la Scala va a Mosca, come ci sarebbe andata la Juventus, con
tutte le piume al vento. Sorpresa? La
Roma vince 4 a 2. La Turandot qui
lucentemente testimoniata era la ripresa di quella che i Moscoviti avevano ascoltato con Prevedi al posto
di Corelli e la Mirellina al posto della
Vinia. Mancai Prevedi-Calaf a Firenze, quando fu sostituito da un ormai spento Campora; venni via do-
musica 227, giugno 2011
91
VERDI
po « Nessun dorma ». La Višnevskaja, ancora prima stella del regime, è
l’unica Liù nel mio ricordo che non
si metta al séguito delle reginette del
lacrimatoio. Qui rifulge l’intelligenza di Gavazzeni, che seppe trasformare uno scambio di inchini in una
proposta interpretativa tagliente.
C’era il precedente della Schwarzkopf nella Turandot leggheiana che
restò ai margini del mito della Callas.
Eppure quella è ancora (direttore
Serafin, Calaf lo strapotente e misurato Eugenio Fernandi) la migliore
esecuzione discografica dell’opera,
altrimenti a rischio di essere letta come un prodotto minore dello Strauss
orientaleggiante (Karajan, Maazel) o
come una passarella offenbachiana di
glorie del can-can (Pavarotti Sutherland Caballé, perfino Pears a far
l’Imperadore, nella lussuosa registrazione Decca diretta da Mehta indiano-paggio). Forse a torto il Gavazzeni che dirige Puccini non ha stabilito
la fama che questa estrovagante personalità ottenne nei dominı̂ del Donizetti da riscoprire, del Verdi meno
noto da riqualificare; io ne ascoltai la
Fanciulla del West a Firenze con la regı̀a intelligente di Sylvano Bussotti e
posso rompere tutte le lance a favore
del Gavazzeni anche pucciniano. A
metà sentiero esatto fra i « nemici
della musica » e la musica comme il
faut. Dar torto al comme il faut metteva ali ai piedi del Gran Bergamasco.
In lui oltre che il lettore sterminato
di tutti i libri e il concertatore divertitissimo v’era anche un Pedagogo
sommo.
Con tutto ciò l’itinerarium Schalae in
Muscam non fu molto più che un
successo diplomatico. Se ne veda la
storia nel bellissimo « Musica e verità » di Beniamino Dal Fabbro. L’aver
previsto come la cosa sarebbe finita
costò indecentemente al grande critico e letterato, amico-nemico perpetuo di Gavazzeni, il posto al giornale. La serata di gala del 7 dicembre
1964 fu un trionfo, prevedibile epperò rôso da qualche tarlo. Fu anche
l’ultima venuta di Corelli alla Scala.
Tutti aspettavano l’esordio della Freni nella Traviata « di » Karajan. Non
ci sarebbe stata battaglia per la successione nel ruolo di « primo tenore », le armi si affilavano sulla probabile (e paradossale, cosı̀ poco avventurosa come sempre si vantò di essere la « prima della classe » modenese)
successione della ormai decantata
Callas. Invece il glorioso De Fabritiis
portò il Trovatore romano a una incandescenza e fabulosità che non
scapitano rispetto al Karajan della
Lucia scaligero-berlinese del 1955.
Il segreto è la narrazione e la convinta poesia (ascoltare l’attacco, con
la corrente degli archi, del « Balen
del suo sorriso »). Il vecchio collaboratore di Beniamino Gigli non
ha scrupoli: il Trovatore deve accendersi e deve commuovere. I cantanti non vanno frenati ma guidati
alla gloria, come nella carica dei
Seicento. La Barbieri, spesso insopportabile per eccesso di gesto, suona
qui come il tardo Del Monaco:
scostolata e arcipotente. Era stata
l’Azucena di Björling (RCA), di Di
Stefano (EMI), di Del Monaco (RAI),
qui è al massimo e al meglio di se
stessa. Ci sono oggi gli allergici a
Bastianini, ma non lo hanno ascoltato in teatro. Il suo Luna è bieco
in bassi profondi, tenorilmente sognante in canti rapiti dall’idea pura
della altezza. In forma eccezionale,
pensare che gli restava un pugno di
tempo prima della spietata malattia.
Franco Corelli
&
Corelli ah Corelli. Siamo alle soglie
del suo (in realtà brevissimo) periodo di sommo sul trono. Pochi mesi
e sarà l’eroe della Battaglia di Legnano (nel complesso un’esecuzione
meno convinta di quella del Limarilli, alla rinascita fiorentina dell’opera, diretta paradigmaticamente da
Vittorio Gui, messa in scena come
delle figurine Liebig da Franco Enriquez, con la Gencer perfettamente
vice-Callas e un Taddei che non
disgiunge mai il canto dalla parola),
finalmente il Raoul di quei vertiginosi Ugonotti. A quel punto fioriscono le scommesse: sarà Arnoldo,
sarà Arturo, sarà Otello. Fu (mediocremente) Werther, Edgardo, Roméo, Rodolfo. Qui non soccorre la
storia né la critica. È la favola di un
Arcangelo dimenticatosi in terra e
ogni volta sorpreso e titubante per
quelle ali che spiccano il volo o
posson trascinarlo giù all’inferno.
Solo una parola sulle due signore:
difficile che possa sorprendere la Turandot di Birgit Nilsson, scavata nella
rupe (si capisce la scommessa di Karajan sulla Ricciarelli, paradossale e
non cosı̀ a fondo perduto come di
solito si sente pretendere) e tuttavia
sorprende e conquista una tenuta
che pare sempre quella di una prima
volta. La Leonora di Roma, Mirella
Parutto, fu poco più che una meteora, che in ultimo tentò riciclarsi nel
registro di mezzosoprano. Per dare
un’idea siamo sulla linea ManciniBanaudi, alternativa a quella belcantista fiorita dalla Callas in avanti: la
Parutto vi è fresca, valorosa, sincera.
L’ho ascoltata ammirando.
Marzio Pieri
CD
VERDI Inno delle nazioni tenore Francesco Meli Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Gianandrea Noseda
Libera me dalla Messa per Rossini;
La vergine degli angeli soprano Barbara Frittoli Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Gianandrea Noseda
Quattro pezzi sacri Orchestra e Coro
del Teatro Regio di Torino, direttore
Gianandrea Noseda
CHANDOS CHAN 10659
A
DDD 70:35
HHHH
Gianandrea Noseda e i complessi del Teatro Regio di Torino
rendono omaggio a Verdi con
un’interessante antologia di opere
corali che include due pagine abbastanza rare e dalla discografia limitata. L’Inno delle nazioni composto su
&
92
.
musica 227, giugno 2011
testo di Boito nel 1862 per l’Esposizione internazionale di Londra ma
in realtà non eseguito in quella circostanza è un pezzo d’occasione retorico e francamente bruttino per
molto tempo conosciuto solo attraverso la celebre registrazione di Toscanini con Jan Peerce, in realtà basata su un arrangiamento del direttore che aggiunge al Canto degli italiani con testo rifatto, alla Marsigliese
e a God Save the King The Star-Spangled Banner in onore degli Usa e
l’Internazionale in onore dell’Urss.
Noseda torna naturalmente alla stesura originale dirigendola con generosa convinzione e Francesco Meli
presta la sua bella voce e la sua nitida dizione all’intervento del Bardo
previsto nella Cantica.
Più interessante è la versione del Libera me originariamente destinata alla
Messa per Rossini e poi riciclata come
ultima parte del Requiem alla memoria di Manzoni. Nel riprendere il
brano composto nel 1869 Verdi lo
migliorò radicalmente estendendo le
391 battute originali a 421. La versione del 1874 rimodella linee melodiche, armonie e strumentazione, sostituisce dieci battute della prima con
trenta nuove all’inizio della ripresa
del Dies irae e affida al soprano l’ultima intonazione salmodica del Libera
me che in quella del ‘69 era destinata
al coro. In questo caso i maggiori
precedenti discografici sono quelli di
Rilling (Hänssler), Chailly (Decca) e
Chung (DG). La nuova incisione di
Noseda si affianca degnamente a
quelle e affida la difficile parte del soprano solista a una Barbara Frittoli
senz’altro brava nonostante il vibrato
molto accentuato e una certa insufficienza di corpo nel registro grave. La
riascoltiamo poi più a suo agio in
chiusura di programma nella celebre
preghiera che chiude il secondo atto
della Forza del destino.
Il miglior risultato interpretativo di
Noseda e dei validi complessi torinesi è comunque individuabile nei
Quattro pezzi sacri restituiti con nitore e misura in un’angolazione
saggiamente equidistante fra intimo
fervore religioso e suggestioni
drammatiche di segno teatrale. La
concorrenza è in questo caso spietata (Giulini, Muti, Abbado, Solti,
Mehta, Fricsay, Gardiner, per tacere del Te Deum inarrivabile diretto
da Toscanini), ma le esecuzioni
meditate e accuratissime di Noseda,
all’occorrenza provviste anche della
giusta eloquenza e monumentalità,
si collocano comunque in una posizione di rilievo all’interno della
discografia dei Pezzi sacri.
Giuseppe Rossi
Musica 210x297_MUSICA 210X297 18/05/11 09:35 Pagina 1
Maurizio Baglini celebra
l’anniversario di Franz Liszt
con un nuovo, bellissimo CD
CD 476 4418
Mephisto Valse, S514
Valse oubliée n.1, S215
6 Grandes Etudes d’après Paganini, S141 (1851)
Grande Fantaisie de bravoure sur La Clochette,
S420 d'après “La Clochette” Concerto pour Violon op. 7 de Paganini
Hungarian Rhapsody n.2, S244
Liebestraum n.3, S541 “Rêve d’amour”
NEI MIGLIORI NEGOZI DI DISCHI E IN DIGITALE
www.amiatapianofestival.com
www.universalmusic.it/classica
Universal Music Group – Classics & Jazz Italia
&etichette e distribuzione
La presente guida è composta da una
lista in ordine alfabetico delle case discografiche, affiancate ognuna da un
numero. Ai vari numeri corrispondono
i relativi distributori, che troverete di seguito elencati con indirizzi e numeri telefonici. Le case discografiche momentaneamente sprovviste di una distribuzione ufficiale in Italia, sono ugualmente presentate nella lista generale senza
tuttavia un numero di riferimento.
2L
Abc Classics
Accademia
Accent
Accentus Music
Acte Préalable
Aeolus
Aeon
Ages
Agpl
Albany Records
Alia Vox
Allegria
Almaviva
Alpha
Altara
Alto
Altus
Ambroisie
Ambronay
Ame Son
Amon Ra
Analekta
Andromeda
Anemos
Aparté
Apex
Appian Records
Arbiter
Arcana
Archipel
Archiphon
Archiv
AR RE-SE
Argo
Arion
Arkadia
Arlecchino
Armide Classics
Arte Classica
Arthaus
Arsis
Ars Produktion
Arte Dell’Arco
Arte Nova
Arte Verum
Arts
ASV
Atopos
Atr
Attacca
Audiomax
Audite
Aulia
Avanti Classic
Avenira
Avi
Avie
Bayer Records
BBC Legends
Bella Voce
Bel Air Classiques
Berlin Classics
Berliner Philharmoniker
BMC Records
BIS
Black Box
Bluebell
Boheme Music
Bongiovanni
Bottega Discantica
BR Klassik
Bridge
Brilliant Classics
Brodsky Records
Cabaletta
Calliope
Camerata
Campion
Canary Classics
Cantaloupe
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Cantus Classics
Cappella Sistina
Capriccio
Capston Records
Carpe Diem
Caro Mitis
Carus
Cascavelle
CBC Records
Cedille Records
Challenge Classics
Chandos
Channel Classics
Chopin Institute
Christophorus
Clarinet Classics
Classic Records
Classica d’Oro
Classical Archive
Classound
Claves
Cmajor
Cobra Records
Coda Arrese
Col Legno
Collegium Records
Columna Música
Concerto
Coro
Coviello Classics
CPO
Cristal Records
CSO Resound
CV
Cybele Records
Cyprès
Dacapo
Dal Segno
Danacord
Daphénéo
Datum
DDT
Decca
Delos
Deutsche Grammophon
Deutsche Harmonia Mundi
Deux-Elles
Dies
Digital Classics DVD
Diligence
Discant
Divox
Dom Disques
Doremi
Dorian
Ducale
Dutton Laboratoires
Dux
Dynamic
Early Music
EBS
ECM
Edel Classics
Edipan
Edition Alberto Moraleda
Edition RZ
Eloquentia
E Lucevan Le Stelle
EMI
Enchiriadis
Erol
Et’cetera
Eufoda
EuroArts
Everest
Explore Records
Fabula Classica
Farao
Fimvelstar
Fineline Classical
Finlandia
First Edition
Flora
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Fonoteca
Forlane
Forum
Fra Musica
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Gavin Bryars
Genuin Classics
GHA
Gimell
Glissando
Globe
Glor Classics
Glossa
Glossa Reprise
Glyndebourne
Golden Melodram
G.O.P.
Gramola
Great Hall
Guild Historical
Hänssler Classic
Hardy Classic
Hat Hut
Harmonia Mundi France
Helicon Classics
Helios
Heristal
Hortus
Howe Records
Hungaroton
Hyperion
Idéale Audience
Idis
III Millennio
IMP Classics
Indésens
Inedita
Inscena
Jade
JVC XRCD
JuxtaPositions
Kairos
KHA
Kicco Music
King
KLE
K 617
Laborie Classique
La Ma De Guido
Largo
Laserlight
Lebendige Vergangenheit
Le Chant du Monde
Leman
Ligia Digital
Lindoro
Linn Records
Live Classics
L’Oiseau-Lyre
LPO
LSO
Ludi Musici
Lycanus
Lyrinx
Lys
MAA
Mandala
Marc Aurel
Marco Polo
MA Recordings
Mariinsky
MDG
Medici Masters CD
Medici Arts DVD
Megadisc
Melodiya
Membran / NCA
Meta Records
Metronome
MGB
Micrologus
Myto historical line
Milan
Mirare
Mode
Monopole
Motette Ursina
Mudima Music
Multisonic
Music Digital
Musica Antigua Aranjuez
Musica Ficta
Musica Sveciae
Music and Arts
Musique à la Chabotterie
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MV Cremona
Musique en Wallonie
Myrios
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Naxos
NB Musika
Nbe Live
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NBB Records
NMC Records
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New World Records
Nonesuch
Nuova Era Internazionale
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OCL Records
Oehms Classics
Ondine
Onyx
Opera Rara
Opera Tres
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Opus Arte
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Osteria / Ponto
Pan Classics
Pan Dream
Parnassus
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Passacaille
Paula
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Pentatone
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Phaedra
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Phil. Harmonie
Philips
Phoenix
Phoenix Edition
Phono Suecia
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Plus Loin Music
Pierre Verany
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Praga
Preiser Records
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Profil Gunther Hänssler
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Royal Opera House
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Sanctuary Classics
Satirino
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Scandinavian Classics
SDG Soli Deo Gloria
SFS San Francisco Symphony
Sheffield
Signum (UK)
Simax
Sipario
Sittelle
S.M.P.
Solstice
Solo Musica
Solo Voce
Somm Recordings
Sony Classical
Spring Art
Sterling
Stradivarius
Supraphon
Symphonia
Tacet
Tactus
TDK (CD)
TDK (DVD)
Telarc
Teldec
Telos
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Timpani
Toccata Classics
Transart
Tony Palmer
Triton
Tudor
United Archives
Urania
Vanguard
VAI
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Videoland
Virgin Classics
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Winter&Winter
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Sony Music via Amedei, 9, 20123 MILANO - tel. 02/8536272
Bottega Discantica Via Nirone 5, 20123 MILANO - tel. 02/862966
Deltadischi Via P. Pomponazzi 9, 20141 MILANO -tel. 02/87392039
Ducale Via per Cadrezzate 6, 21020 Brebbia (VA) - tel. 0332/771771
Edel Italia Ripa di P.ta Ticinese 63/A, 20143 MILANO - tel. 02/831381
EMI Music Italy Corso Sempione 68, 20154 MILANO - tel. 02/777971
La Tosca srl Via San Zanobi 43r, 50129 FIRENZE - tel. 055/3841760
Hardy Trading Ripa di Porta Ticinese 91, 20143 MILANO - tel. 02/
48705646
9 – Jupiter Via dell’Industria 31/b, 28924 Verbania Fondotoce (VB) - tel.
0323/586200
10 – Milano Dischi Via Sormani 18, 20093 Cologno Monzese (MI) - tel. 02/
25396575
11 – New Communication Via Campani 38, 50127 FIRENZE - tel. 055/
4368733
12 – P&P Classica Via Bartolomeo Gosio 85, 00191 ROMA - tel. 06/3338370
13 – Sound and Music Via Mazzarosa 105, 55100 LUCCA - tel. 0583/581327
14 –Universal Music Italia Via Crespi 19, 20159 MILANO - tel. 02/802821
15 – Warner Music Italia Via Milano,16, 20090 Redecesio di Segrate (MI) - Tel.
02/637831
16 – Well Music International C.P. 196, 65100 PESCARA - tel. 031/611648
17 – Codaex Italia srl Via Reina 15, 20133 MILANO - tel. 02/36562060
18 – Art Communication srl Mottola (TA) - [email protected]
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Riparte la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Difficile non farsi catturare. 24 appuntamenti in nove mesi,
solo grande musica, solo le migliori interpretazioni dal vivo.
In più se hai meno di trent’anni puoi avere l’intero abbonamento
a soli 84 euro, o un carnet da minimo sei serate a 5 euro l’una.
Biglietteria: piazza Rossaro . 011.8104653/4961 . [email protected]
Juraj Valčuha, Roberto Abbado, Ramin Bahrami, Mario Brunello, Semyon Bychkov, Renaud e Gautier Capuçon, James Conlon, Enrico Dindo, Matthias Goerne,
Christopher Hogwood, Leonidas Kavakos, Sergej Krylov, Omer Meir Wellber, Ennio Morricone, Helmuth Rilling, Giovanni Sollima, Christian Tetzlaff
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Codice fiscale ......................................................................
SOTTOSCRIVO
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nuovo abbonamento
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il rinnovo partirà dal numero
successivo a quello scaduto
dal n. ..............................
Annuale (10 numeri)
Biennale (20 numeri)
ITALIA
Biblioteche (10 numeri)
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105,00
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ESTERO
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sulla destra)
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Internet: sul sito www.rivistamusica.com cliccando su Abbonamenti
10,00 cad.
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Fax: al n. 0332 331013 inviando anche la copia del
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rinnovo abbonamento
Indici di MUSICA 1977-1991
25,00
Indici di MUSICA 1992-2004
35,00
Vladimir Horowitz di P. Rattalino
Wilhelm Backhaus di P. Rattalino
Sviatoslav Richter di P. Rattalino
Arturo Benedetti Michelangeli di P. Rattalino
Glenn Gould, di P. Rattalino
Sergej Rachmaninov di P. Rattalino
Ignaz Ian Paderewski di P. Rattalino
Artur Rubinstein di P. Rattalino
Claudio Arrau di P. Rattalino
Josef Hofmann di P. Rattalino
Ferruccio Busoni di P. Rattalino
Friedrich Gulda di P. Rattalino
Yehudi Menuhin, di A. Cantù
Jascha Heifetz, di A. Cantù
Dimitri Mitropoulos di A. Zignani
Herbert von Karajan di A. Zignani
L’interpretazione pianistica di P. Rattalino
Sergiu Celibidache di U. Padroni
Carlo Maria Giulini A. Zignani
Leonard Bernstein di A. Zignani
Carlos Kleiber di A. Zignani
Happy Fingers+DVD di T. Poli
Viaggi di note, note di viaggi di M. Malvasi
L’Europa all’Opera di P.V. Marvasi
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Schumann: Robert & Clara, P. Rattalino
Sergej Prokofiev, P. Rattalino
I grotteschi della musica, H. Berlioz
P. Buscaroli svela l’imbroglio del Requiem
Manuale del pianista concertista, P. Rattalino
Il Bianco e il Nero, Nino Gardi
Angelo Mariani, V. Ramón Bisogni
La Sonata per pf. nel 1700 e 1800, A. Gherzi
Franco Corelli di V. Ramón Bisogni
David Oistrakh di A. Cantù
Thomas Schippers di Maurizio Modugno
Richard Wagner di V. Ramón Bisogni
Alfred Cortot di Piero Rattalino
Alfred Brendel di Piero Rattalino
Controtenori di A. Mormile
Guida alla Musica Sinfonica
Guida al Teatro d’Opera
Bellini di A. Bucci
Charles-Marie Widor di G. Clericetti
Ermafrodite armoniche+CD di Beghelli-Talmelli
La Sinfonia dell’Ottocento di D. Toro
Le seduzioni di Bach di A. Brena
I suoni del tempo di A. Zignani
L’Orchestra del Reich di M. Aster
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19,00
25,00
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riceverete fino a 2 fascicoli oltre la scadenza del
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In caso di pagamento in
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11137213 intestato a Zecchini Editore srl, via
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per l'estero (10 numeri)
BIENNALE
per l'Italia (20 numeri)
105.00
per l'estero (20 numeri)
170.00
ANNUALE SOSTENITORE (SOLO PER L’ITALIA)
7 CD in dono
89.00
15 CD in dono
149.00
215.00
30 CD in dono
ARRETRATI (esclusi i numeri con asterisco)
10.00
INDICI DI MUSICA 1992-2004
35.00
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qui sotto (inviare copia del bollettino postale)
Novecento
2
tariffe
come abbonarsi
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89,00 con 7 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie]
149,00 con 15 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie]
215,00 con 30 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie]
Richiedo i seguenti numeri arretrati a
ATTENZIONE: per l’attivazione dell’abbonamento
fa fede la data del pagamento avvenuto.
Bonifico bancario
Desidero il rinnovo automatico
dell’abbonamento scaduto utilizzando
la seguente carta di credito
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CIN: A - ABI 03069 - CAB 10831
C/C n. 6250158971/78
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b Con assegno bancario non trasferibile intestato
a Zecchini Editore srl
b Con R.I.D. (solo per abbonamenti Italia)
chiamando il numero 0332 331041
Un libro rivelazione.
Zecchini Editore
Con CD allegato
Il contralto è morto. O forse no: semplicemente
cerchiamo oggi ciò che non è, rigettiamo ciò che
sarebbe. L’ascolto delle pionieristiche registrazioni di
contralti attivi negli ultimi anni dell’Ottocento ci
rivela voci di inimmaginabile ambiguità sonora:
baritonaleggianti al grave, sopranili in acuto, senza
nessun tentativo di mascherare lo scarto di registro
ed anzi sottolineando le differenze con effetti da
jodel. Dilettanti? Eppure furono le voci predilette da
Wagner e Saint-Saëns, Strauss e Toscanini!
Risalendo i decenni, scopriamo che l’appellativo
audace di ermafrodite armoniche era stato speso con
la più alta ammirazione per cantanti del calibro di
Maria Malibran e Marietta Alboni, mentre emissioni
baritonali furono apprezzate in castrati come Farinel-
li, Carestini, Pacchierotti, Marchesi. Il Novecento ha
però spazzato via l’androginia della “voce doppia”, la
tradizione operistica del “contralto sopranile”,
preferendo il mezzosoprano d’estensione più contenuta ma omogenea, con acuti sonori e ben “coperti”,
note gravi prive di eccessive risonanze “di petto”. E i
“veri” contralti che hanno tentato di riproporre in
pubblico il dualismo vocale naturalmente presente
nella loro voce sono stati emarginati dalla vita
teatrale.
Documenti sonori (nel Cd allegato) e verbali (tante
testimonianze d’epoca) s’intrecciano in questa trattazione assolutamente originale, che porterà il lettore (nonché ascoltatore) a dischiudere i segreti di un
mondo solo apparentemente perduto.
Marco Beghelli - Raffaele Talmelli
ERMAFRODITE ARMONICHE
Il contralto nell’Ottocento
pag. VIII+216, con numerose illustrazioni + CD allegato, coll. “Personaggi della Musica”, 7 - euro 25,00
Troverete il libro: nelle migliori librerie, on-line visitando il sito www.zecchini.com,
oppure potete usufruire del modulo d’ordine contenuto nell’ultima pagina della rivista
e
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SETTIMANE
MUSICALI
DI ASCONA
31 agosto - 14 ottobre 2011
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O
G
R
A
M
M
A
Con riserva di cambiamenti
Mercoledì 31 agosto - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Academy of St. Martin-in-the-Fields,
dir. e sol. Murray Perahia pianoforte
Concerto sinfonico - Musiche di Ries, Beethoven, Schubert
Venerdì 23 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Junge Deutsche Philharmonie,
Martin Helmchen pianoforte, dir. Lothar Zagrosek
Concerto sinfonico - Musiche di De Raaf, Mozart, Benjamin, Strawinsky
Venerdì 2 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Deutsches Sinfonieorchester Berlin,
Lars Vogt pianoforte, dir. Philippe Jordan
Concerto sinfonico - Musiche di Wagner, Schumann, Brahms
Lunedì 26 settembre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30
I Musici di Roma,
Xavier de Maistre arpa
L'arpa virtuosa - Musiche di Vivaldi, Marcello, Bacalov, Debussy, Geminiani
Giovedì 8 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Solisti e Coro della Radiotelevisione Svizzera, I Barocchisti
Max Emanuel Cencic e. a., dir. Diego Fasolis
Vivaldi: Il Farnace
Venerdì 30 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Orchestra della Svizzera Italiana,
Vadim Gluzman violino, dir. John Axelrod
Concerto sinfonico - Musiche di Mendelssohn, Mozart
Sabato 10 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
London Philharmonic Orchestra,
Dezsö Ranki pianoforte, dir. Vladimir Jurowski
Concerto di gala - Musiche di Kodaly, Liszt, Brahms
Martedì 4 ottobre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30
Venice Baroque Orchestra,
Michele Favaro, flauto traverso, oboe, dir. Andrea Marcon
Concerto barocco - Musiche di Vivaldi, Händel, Bach
Martedì 13 settembre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30
Quartetto Fauré
Quartetto con pianoforte - Musiche di Mahler, Mendelssohn, Brahms
Venerdì 16 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Orchestra della Svizzera italiana,
Jinsang Lee pianoforte, dir. Heinz Holliger
Concerto sinfonico - Musiche di Beethoven
Mercoledì 21 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Amsterdam Baroque Orchestra & Choir,
dir. Ton Koopman
Concerto corale - Musiche di Mozart
Venerdì 7 ottobre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Orchestra della Svizzera Italiana,
Sergej Nakariakov tromba, dir. Hubert Soudant
Concerto sinfonico - Musiche di Schubert, Hummel
Martedì 11 ottobre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30
Grigory Sokolov pianoforte
Recital di pianoforte - Il programma sarà comunicato successivamente
Venerdì 14 ottobre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30
Accademia d'archi di Bolzano,
Viviane Hagner violino, dir. Jörg Faerber
Concerto di chiusura - Musiche di Mozart
Per informazioni:
Ente Turistico Lago Maggiore
Viale B. Papio, 5 - 6612 Ascona - Svizzera
Tel. 004191 7851965 - Fax 004191 7851969
www.settimane-musicali.ch - e-mail: [email protected]
Settimane Musicali di Ascona