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n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 DDAY.it e Corriere.it insieme per la buona informazione Hi-Tech DDAY.it entra nel sistema Corriere della Sera. Di fatto, pur rimanendo indipendente e senza cambiare proprietà, direzione e compagine redazionale, DDAY.it diventa un canale tecnologia di Corriere.it. Non si tratta solo di un fatto formale, ma di una vera e propria partnership tra DDAY.it e il Corriere della Sera, il quotidiano più importante d’Italia. Questo vuol dire, tra le altre cose, che gli articoli di DDAY.it potranno essere letti non solo arrivando direttamente sul sito ma anche accedendovi dalle popolari pagine di corriere.it. DDAY.it si apre così a un pubblico più ampio, forse anche più “generalista”, ma non per questo meno interessato. Per DDAY.it si tratta di un riconoscimento importante del lavoro fatto in questi anni. Più che un punto di arrivo, una nuova partenza, che ci dà entusiasmo ed energia per migliorare ancora. Si tratta di un risultato di cui non solo noi ma tutti, utenti e operatori, dovrebbero rallegrarsi. Da sempre su DDAY.it sosteniamo con forza e con buoni argomenti che solo attraverso una più completa e corretta informazione il mercato dell’elettronica di consumo possa diventare più sano. Se i cittadini italiani saranno messi in condizione, anche attraverso una maggiore diffusione degli articoli di DDAY.it, di conoscere e capire meglio le nuove tecnologie, gli acquisti saranno più corretti, l’utilizzo dei prodotti più completo, lo sviluppo digitale del Paese più adeguato, a vantaggio di tutti. Certo, non abbiamo mai pensato che DDAY.it potesse da solo essere decisivo nel far “svoltare” le consapevolezze digitali del popolo italiano, spesso lacunose; abbiamo comunque sempre operato in questi anni con la certezza che ogni sforzo teso alla maggiore divulgazione tecnologica fosse un piccolo passo nella direzione giusta. Ora, unire le forze in questo compito con gli autorevoli colleghi del Corriere della Sera trasforma i nostri “piccoli passi” in passi da gigante. Con una buona informazione più capillare e capace di raggiungere una base di utenti più ampia, gli acquirenti sapranno premiare gli apparecchi migliori, non solo quelli più economici; a imporsi saranno i servizi digitali più completi e sicuri, non necessariamente quelli gratuiti e magari scadenti; tornerà a crescere la centralità della qualità video, audio e fotografica; verranno considerate le prestazioni e tenute in buon conto la ricerca, la buona progettazione e le idee nuove e originali. Grazie quindi agli amici di Corriere della Sera per aver colto e condiviso lo spirito che da sempre anima DDAY.it: ci impegneremo al massimo per fare grandi cose insieme. Grazie ai miei ottimi collaboratori, senza i quali la “pazza idea” di sei anni fa non sarebbe mai diventata una realtà di cui andare così fieri. E grazie soprattutto a tutti i nostri fedeli lettori: il successo e l’attenzione che ci hanno decretato in questi anni è il primo ingrediente di questa nuova era di DDAY.it. Prometto che noi, riconoscenti, impiegheremo tutte le nostre energie per non deluderli e renderli ancora più fieri di far parte di questa bella avventura. . Gianfranco GIARDINA MAGAZINE LG G4 non è più solo Tutti i prezzi Apple rinnova Arrivano i nuovi dei nuovi il MacBook Pro 15’’ 22 Stylus e il G4C 08 Android TV Sony 19 e l’iMac 5K Tutto su Google I/O in dieci punti Android M, Android Pay, la smart home di Brillo e Weave Google Foto, realtà aumentata, novità per Android Wear Google dimostra di essere attivissima su tutti i fronti 02 Vedere un film 4K al cinema? È più facile vincere alla lotteria Ci raccontano che Hollywood sforna film 4K a ripetizione, ma quelli che arrivano da noi sono pochissimi e mancano le sale equipaggiate 14 Mediaset si aggiudica anche il pacchetto C della seria A Immagini di contorno e commenti da bordo campo in esclusiva per tre anni. Il pacchetto include anche il 4K e il 3D su satellite e digitale terrestre 16 IN PROVA IN QUESTO NUMERO Sky Online TV Box Veloce e pratico ma senza HD 26 Soffre solo alcune limitazioni di Sky in fatto di applicazioni e l’assenza dell’HD, ma è una precisa scelta commerciale 32 34 Moto E e Xperia E4 Asus Zenfone 2 Qualità e prezzo OK Dotazione al top 38 Panasonic Lumix G7 Prestazioni super n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Tutte le novità dal Google I/O, la conferenza dedicata agli sviluppatori che rappresentano l’anima e il cuore di Google Ecco i 10 annunci più importanti del Google I/O Tra Android Pay, la piattaforma per smart home Brillo, Photos, novità Wear e realtà aumentata, Big G è attiva su infiniti fronti di Roberto PEZZALI opo il Microsoft Build di fine aprile è ora il turno di Google, con Google I/O, la conferenza dedicata agli sviluppatori che rappresentano l’anima e il cuore di Google stessa. Gli sviluppatori stanno diventando un elemento, seppur esterno, sempre più importante per aziende del calibro di Apple, Google e Microsoft e non è un caso che vengano dedicate a loro intere giornate a contatto con l’azienda per mostrare cosa c’è di nuovo e quali sono gli scenari previsti per i mesi successivi. Google ha raccontato quindi alcuni di questi dettagli ma siamo certi che emergeranno tanti altri particolari sicuramente interessanti. Ecco un riassunto molto rapido di quello che Google ha già annunciato, i dieci punti caldi che il colosso di Mountain View ha voluto smuovere. C’è spazio per tutto, dal nuovo aggiornamento Android M disponibile in versione demo e rilasciato entro l’anno alla nuova app Foto, rilasciata anche per iOS che permette non solo di organizzare meglio la propria libreria fotografica ma anche l’archiviazione online senza costi e senza limiti di spazio su server cloud. Ma sono due le sfide più interessanti a nostro avviso: Brillo, la piattaforma per l’Internet delle Cose, sembra essere una soluzione affidabile per porre fine al caos di linguaggi e piattaforme che si è creato negli anni, e Google Now, che diventa ancora più intelligente e predittivo integrandosi con le app esistenti. Senza dimenticare il suo core business, il web: Google cerca di integrare nella app experience un po’ di web perché è internet, con le sue ricerche, a guidare ancora il grosso dei suoi introiti.. D 1 - Android M sarà più sicuro Il nome è ancora una incognita, e solo a fine anno sapremo se si chiamerà Marshmallow, Mars o Macadam Nut Cookie, ma la nuova release di Android in versione “sviluppo” è già disponibile da oggi per chi ha un Nexus 5, un Nexus 6 o un Nexus 9. Google, consapevole dei tanti problemi di Lollipop, ha pensato a torna al sommario sistemare le cose piuttosto che ad aggiungere altre funzioni, e così Android M sarà una sorta di Lollipop evoluto con migliorie grafiche e novità dal punto di vista della sicurezza. Due le novità più interessanti: la prima riguarda gli utenti, ai quali non sarà più chiesto un permesso cumulativo in fase di installazione dell’app ma sarà richiesto il permesso solo quando l’app sta per accedere ad un componente del sistema, un po’ come fa iOS sull’iPhone. Si evita così di premere OK a caso, dando l’accesso alla rubrica telefonica o al microfono ad applicazioni che probabilmente ne fanno uso “maligno”. 2 - La batteria degli smartphone durerà di più La batteria degli smartphone è uno dei punti dolenti e Google ha aggiunto in Android M una funzionalità, chiamata Doze, che rileva il movimento e inserisce uno stato di stand-by quando lo smartphone resta fermo su un tavolo o una scrivania per lungo tempo. Non si perde nulla in realtà, perché notifiche, chiamate e allarmi continueranno a funzionare, ma Google eliminerà dal multitasking e dai processi attivi quelle app, come i giochi, che consumano inutilmente risorse anche in stand-by. Secondo Google, almeno in stand-by, l’autonomia dello smartphone raddoppia. 3 - Foto offre spazio infinito per video e foto Google ha deciso di ridisegnare l’applicazione Foto: sarà disponibile per web, iOS e Android e offrirà una nuova GOOGLE Photos interfaccia organizzata più o meno come il rullino fotografico dell’iPhone. La novità è l’utilizzo di tecnologia cognitiva per riconoscere e raggruppare le foto secondo tag scelti da Google stessa, con analisi dei volti e degli ambienti. Il sistema, cloud based, è in grado di riconoscere la stessa persona anche dopo qualche anno. Interessante anche per segue a pagina 03 n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE 10 annunci più importanti del Google I/O segue Da pagina 02 chi si fida a mettere le foto sul cloud (privato) la disponibilità di spazio di archiviazione gratuito e soprattutto infinito per utenti consumer, con il limite appunto delle foto a 16 megapixel e dei video a 1080p. Tagliati fuori quindi gli smartphone con fotocamera da 20 pixel: saranno troppo professionali? 4 - Google Now On Tap, più intelligente e integrato ma operativo per la casa connessa secondo Google. Basato su Android, un po’ come Android Wear, ma molto più snello e veloce, Brillo è destinato a smart device in ambito demotico come termostati, elettrodomestici o altro ancora, ma il vero obiettivo è diventare il sistema operativo di tutte le board in circolazione, soprattutto i vari Raspberry. Brillo è accompagnato da Weave, che può essere usato con o senza Brillo: Weave è un linguaggio che permette a dispositivi come luci, serrature, termostati e sensori di parlare tra di loro un linguaggio comune riconoscendosi a vicenda tramite Wifi e bluetooth 4.0. Da anni tanti si cerca di creare uno standard unico, ma ancora nessuno ci è riuscito: quella di Google sarà comunque un’impresa molto dura, anche perché il concorrente si chiama Apple HomeKit. 6 - Android Wear migliora con nuove app Google Now è sempre stato a nostro avviso il servizio con maggior margine di crescita, quello che davvero può cambiare la vita delle persone offrendo i suggerimenti giusti al momento giusto. Il nuovo Google Now è più intelligente, si integra con le app di terze parti e guadagna anche una funzionalità chiamata Google Now on Tap che cerca di aiutare l’utente in ogni momento come un piccolo maggiordomo. Se stiamo per esempio guardando la foto di un vestito, con un tap sul tasto “Home” possiamo ricevere informazioni sul tipo di vestito e su dove si può comprare. Ma non solo: se leggiamo una mail con dei titoli di film, Google Now on Tap apre una finestra con i trailer e le informazioni, mentre se stiamo guardando una destinazione ci propone l’acquisto di biglietti, orari dei trasporti pubblici, meteo e altro ancora. Google Now On Tap funziona sempre mentre usiamo lo smartphone, e come fa è presto detto: viene catturata una schermata dello smartphone e viene inviata ai server di Google per un’analisi di tutte le informazioni in essa contenute, informazioni che si trasformano in chiavi di ricerca. Arrivano nuove app per gli smartwatch Android Wear (Uber ad esempio), oltre a un nuovo design dell’interfaccia. Presente anche una modalità always on che lascia attive, con luminosità bassa e in banco e nero, le notifiche sullo schermo anche quando non lo stiamo guardando. Molte delle novità annunciate sono comunque già integrate nell’ultima release già presente su LG Watch Urbane. 7 - Arriva Android Pay, ma non da noi Brillo, che ci sta simpatico solo per il nome, sarà il siste Il successore di Google Wallet era già stato annunciato, ma ora arrivano maggiori dettagli. L’alternativa di Google a Apple Pay sarà supportata dai maggiori fornitori di carte di credito, come Mastercard, e arriverà negli Stati Uniti in estate dove sarà accettato da oltre 700.000 negozi. Il principio di funzionamento è semplice: si associa la carta, si appoggia lo smartphone NFC sul POS e si inserisce il token di sicurezza per transazioni superiori a una certa cifra. Se lo smartphone ha un sensore di riconoscimento biometrico sarà possibile usare quello al posto del token. Al momento non ci sarà in Italia (e in Europa). Google ha lanciato un nuovo visore VR Cardboard per smartphone con schermi fino a 6”. La vera novità è il supporto per iOS: Google distribuirà un SDK anche per gli sviluppatori iPhone che vorranno realizzare app dedicate alla realtà virtuale. Ovviamente non siamo di fronte ad un prodotto per utenti finali, ma ad un utile visore low cost che gli sviluppatori potranno usare per provare le app senza spendere e investire troppo. Carino. 9 - Google e GoPro insieme per riprendere scene a 360° (ma con 16 videocamere) 5 - Project Brillo e Weave sono la via per la casa connessa torna al sommario 8 - Cardboard, il visore VR low cost, arriva anche per iPhone Oltre al visore per i contenuti arriva anche un rig per registrare video in tempo reale. Lo ha realizzato Google in collaborazione con GoPro, e comprende 16 videocamere in un anello circolare. Questo rig permetterà di registrare filmati a 360° che verranno poi uniti e processati da un software Google per la visione tramite YouTube. 10 - Con Project Jacquard i vestiti diventeranno smart I jeans come un trackpad, con sensori cuciti e inseriti direttamente nelle trame del tessuto. Si chiama Project Jacquard la sperimentazione di Google nel campo dell’abbigliamento intelligente, un sensore wireless che potrà essere usato in futuro per sostituire i telecomandi e le tastiere: chi non vuole rispondere ad una chiamata semplicemente sfiorando il polsino della camicia? n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO In rete il contratto siglato tra Sony Music e Spotify per il lancio del servizio negli USA Ecco quanto Spotify pagava a Sony Music Scoperti i meccanismi dietro ai compensi dello streaming e lo strapotere delle major B di Paolo CENTOFANTI en 42,5 milioni di dollari, a prescindere, in anticipo per i primi tre anni. È questa la prima cifra che colpisce della dettagliata analisi effettuata da The Verge del contratto formato da Spotify con Sony Music nel 2011 per il lancio del servizio negli Stati Uniti. Tanti soldi che, come consuetudine nel mondo discografico quando si tratta di anticipi, vanno nelle casse dell’etichetta senza alcuna distribuzione agli artisti. In base al contratto, Spotify può recuperare questi crediti con i ricavi del suo servizio, ma il meccanismo di attribuzione dei compensi in quota a Sony Music è roba da commercialisti esperti. Essenzialmente sono due le possibili fette dei ricavi di Spotify che spettano all’etichetta per l’utilizzo del suo catalogo e il contratto assicura a Sony sempre quella maggiore. Di base, il compenso viene calcolato come un forfait costituito dal 60% degli incassi lordi di Spotify per ogni tipo di piano (con pubblicità o a pagamento), moltiplicato per la percentuale degli stream del catalogo Sony sul totale dei brani riprodotti nel mese, a meno però che l’ammontare dei diritti che spetterebbero a Sony per lo streaming effettivo dei brani non sia superiore. In questo caso il calcolo si fa più complicato, perché la tariffa varia a seconda se l’ascolto avviene con il piano gratuito o a pagamento. Nel primo caso, Spotify paga 0,225 centesimi di dollaro per stream, che possono diventare 0,25 centesimi nel caso di obiettivi di crescita non raggiunti nel mese precedente. Per gli abbonamenti premium, invece, il compenso è calcolato moltiplicando la percentuale degli stream Sony sul totale per il numero di abbonati e quindi per 6 dollari. Il contratto prevede inoltre una clausola che rimette in discussione tutti questi numeri se un’altra etichetta discografica dovesse portare a casa un accordo più vantaggioso di quello di Sony Music con Spotify. In pratica, sia per quanto riguarda gli anticipi che gli altri compensi, a Sony spetta comunque l’adeguamento automatico alle tariffe delle altre major nel caso queste siano superiori a quelle accordate inizialmente alla firma del contratto. Ma non è finita qui: il contratto prevede per Sony Music anche l’equivalente di 8 milioni di dollari in spazi pubblicitari sulla piattaforma, spot che l’etichetta può tenere per promuovere i suoi artisti ma anche rivendere a terze parti al prezzo che vuole. Da notare che il contratto non parla dei compensi per gli artisti, visto che quello è un capitolo che riguarda gli accordi tra etichetta discografica e singoli musicisti e non Spotify. MERCATO Alcune fonti autorevoli danno per certa l’acquisizione di Metaio da parte di Apple Apple sempre più vicina alla realtà aumentata Metaio è leader nel settore della realtà aumentata e ha lavorato per colossi come Ikea e Ferrari di Emanuele VILLA onostante non vi sia alcuna comunicazione ufficiale in merito, possiamo considerare l’acquisizione di Metaio da parte di Apple come cosa certa: TechCrunch ha ottenuto i documenti legali che attestano il passaggio, e come se non bastasse ci sono indizi eloquenti come la cancellazione della conferenza annuale, dell’account di twitter e il blocco di tutti i servizi della startup. Metaio non commenta e Apple fornisce la solita “frase fatta” secondo cui di tanto in tanto acquisisce startup tecnologiche senza comunicarlo pubblicamente, ma possiamo dare l’acquisizione come cosa fatta. Il nome non dice nulla al grande pubblico, ma in realtà Metaio è una startup promettente nel mondo della realtà virtuale: dopo essersi costituita in azienda indipendente (era un progetto in seno a Volkswagen), Metaio ha ottenuto importanti riconoscimenti lavorando per Ferrari e Ikea, in entrambi i casi ad app N torna al sommario e progetti di realtà aumentata. Una volta tanto non si fa fatica a comprendere le intenzioni di Apple: l’azienda non è ancora entrata in modo importante nel settore della realtà virtuale, ma diversi indizi fanno pensare che stia progettando qualcosa di notevole: un visore per la realtà virtuale? Un sistema di realtà aumentata per Mappe? Lo scopriremo a breve, forse già al WWDC. Ferrari, realtà aumentata La Russia vuole il suo sistema operativo mobile Colloqui con i finlandesi di Jolla per realizzare un nuovo sistema operativo “nazionale” basato su Sailfish per sfilarsi dalla dipendenza dalle piattaforme statunitensi. Obiettivo: passare dal 95% di prodotti stranieri al 50% in dieci anni di Paolo CENTOFANTI La Russia vuole una sua piattaforma mobile “di stato”. Lo ha annunciato il Ministro delle Comunicazioni russo Nikolai Nikiforo, rivelando di aver invitato i finlandesi di Jolla a collaborare con le realtà tecnologiche russe alla realizzazione di un sistema operativo ad hoc sulla base di Sailfish OS, il software sviluppato per l’omonimo smartphone venduto dalla compagnia. Il motivo di questa scelta, stando alle parole del ministro, sarebbe nella volontà di ridurre la dipendenza nazionale dalle tecnologie straniere e in particolare statunitensi, visto che Android e iOS da soli vantano una quota di mercato superiore al 95% in Russia. Il governo vorrebbe ridurre questa percentuale al 50% in dieci anni, ma per farlo occorrono appunto tecnologie russe. La scelta di Sailfish non sarebbe causale, ma legata al fatto che si tratterebbe, a detta di Nikiforo, di uno dei pochi sistemi operativi completamente open source sul mercato ed è già stato creato un gruppo di lavoro che oltre a Jolla include ALT Linux, azienda che sviluppa la principale distribuzione russa di Linux. Il ministero aveva già iniziato a incentivare con sovvenzioni statali il porting di app verso piattaforme open source come Tizen oltre che lo stesso Sailfish. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Mossa inedita di Amazon: visite guidate al Centro di Distribuzione di Castel San Giovanni Dal 18 giugno Amazon apre alle “visite” Opportunità di vedere coi propri occhi come gli addetti spediscono milioni di pacchi all’anno di Emanuele VILLA efficienza di Amazon nella spedizione dei prodotti è nota in tutto il mondo, al punto da suscitare tanta curiosità da parte di clienti e addetti ai lavori: come viene gestito il lavoro? Quali sono gli step che seguono la pressione del tasto “compra” da parte del cliente? Dal canto nostro, abbiamo risposto mediante una visita al Centro di Distribuzione di Castel San Giovanni, la stessa visita che a partire dal 18 giugno tutti i clienti Amazon potranno fare, per valutare con i propri occhi come funziona un Centro di tali dimensioni e quali tecnologie adotta per essere sempre sulla cresta in fatto di efficienza. A tal proposito, Tareq Rajjal, Amministratore Delegato di Amazon Italia Logistica, ha dichiarato: “Vogliamo offrire l’opportunità a tutti di scoprire cosa accade dopo aver cliccato “Acquista” L’ sul sito Amazon.it [...] Poter vedere da vicino il modo in cui i nostri addetti spediscono decine di milioni di pacchi ogni anno suscita molta curiosità. Siamo molto orgogliosi dell’impegno che ognuno dei nostri 600 dipendenti mette nel servire i clienti all’interno dei nostri magazzini e permettere ai visitatori di osservare la nostra attività da vi- cino è il modo migliore per riconoscere i loro risultati”. I tour si svolgeranno ogni terzo giovedì del mese e saranno aperti a tutti i clienti previa registrazione e con un tetto massimo di 30 persone alla volta. Chi fosse interessato a scoprire come funziona Amazon, può registrarsi presso il sito Amazontours.it. MERCATO Stop alle corse per i tassisti “fai da te” di UberPop, almeno per il momento Il Tribunale ferma UberPop in tutta Italia Il Tribunale di Milano ha accertato la concorrenza sleale nei confronti dei tassisti con licenza E di Paolo CENTOFANTI ntro 15 giorni Uber dovrà sospendere il servizio UberPOP. È il risultato di una sentenza del Tribunale di Milano che ha accertato la configurazione di concorrenza sleale da parte di Uber nei confronti dei tassisti regolari. Attenzione, la sentenza riguarda specificatamente UberPOP, che a differenza del servizio “normale” di Uber, dove a guidare sono comunque autisti con regolare licenza N.C.C., permette a chiunque soddisfi i requisiti di idoneità, di improvvisarsi di fatto tassista utilizzando l’apposita app. È la componente di Uber più criticata dai tassisti, visto che le tariffe di UberPOP sono nettamente più basse di quelle sia di Uber classico che dei taxi, il tutto naturalmente senza alcuna licenza di trasporto pubblico non di linea. Recita il dispositivo dell’ordinanza per il blocco del servizio: “UberPop consente in tutta evidenza un incremento nemmeno lontanamente paragonabile al numero di soggetti torna al sommario privi di licenza che si dedicano all’attività analoga a quella di un taxi e parallelamente un’analoga maggiore possibilità di contatto con la potenziale utenza, così determinando un vero e proprio salto di qualità nell’incrementare e sviluppare il fenomeno dell’abusivismo”. Naturale la soddisfazione delle associazioni dei tassisti che avevano fatto ricorso per chiedere il blocco di UberPOP, mentre per il CODACONS si tratta di una decisione che produrrà “un duplice danno al consumatore finale: da un lato una minore scelta sul fronte del servizio, dall’altro tariffe più elevate per effetto della minore concorrenza”. L’Unione Nazionale Consumatori parla invece senza mezzi termini di “regalo alla lobby dei tassisti”. Per diventare autisti UberPOP bastava avere un’automobile relativamente recente (massimo 8 anni), la fedina penale pulita, regolare assicurazione e non aver mai avuto sospensioni della patente. Chi soddisfava i requisiti poteva richiedere l’adesione a UberPOP con un colloquio in azienda e quindi installare la speciale app per gli autisti con cui ricevere le chiamate dagli utenti. Lussemburgo addio, Amazon comincia a pagare le tasse in Italia Dal primo maggio Amazon avrebbe finalmente cominciato a contabilizzare le vendite direttamente in Italia senza passare dalla sede lussemburghese, che beneficiava di un regime fiscale agevolato di Emanuele VILLA Secondo vari organi di stampa, Amazon dal primo maggio 2015 ha cominciato a contabilizzare le vendite direttamente nei Paesi in cui queste avvengono. Ciò significa che da ora in avanti le tasse sul venduto verranno pagate non dalla casa madre in Lussemburgo, che giova di un regime fiscale agevolato, ma nei vari Paesi in cui il gigante dell’e-commerce è presente. In particolare, l’importante inversione di rotta è avvenuta in Italia, Germania, Regno Unito e Spagna. Si tratta di una vera e propria vittoria per l’Unione Europea, che aveva annunciato l’intenzione di dare un giro di vite ai regimi agevolati utilizzati da alcuni Paesi europei - tra cui il Lussemburgo e soprattutto l’Irlanda - per attirare investimenti da parte delle grandi multinazionali ai danni però degli altri Paesi dell’Unione, che vedono passare sotto il loro naso grossi fatturati, senza riuscire ad applicare significativi prelievi fiscali. L’azione della UE e ora questa scelta di Amazon, potrebbero mettere ulteriore pressione anche sugli altri colossi dell’hi-tech come Apple, Facebook e Google, aziende che pagano una minima percentuale nei Paesi in cui operano effettivamente. Apple, per esempio, recentemente è finita sotto inchiesta in Italia con l’accusa di evasione di imposte dal 2008 al 2013 per 880 milioni di euro, per aver “dirottato” i proventi delle vendite verso la filiale irlandese. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Il business a due facce del colosso cinese mostra record di vendita ma utili a picco Lenovo vende più di tutti ma guadagna meno ll trend negativo del mercato PC e la saturazione del mercato smartphone tra le cause S di Michele LEPORI i è appena chiuso un trimestre fiscale molto importante per Lenovo, quello che mette a bilancio tutta la verità sui conti dopo avere ottenuto il pieno controllo operativo sull’ex affiliata di Google, Motorola, acquisita per poco meno di 3 miliardi di dollari. I numeri sono lo specchio di una compagnia in transizione poiché ai 18,7 milioni di smartphone venduti non corrisponde affatto un corposo segno positivo a bilancio, alla voce guadagni. Vediamo perché. In quel mostruoso numero ci sono anche 7,8 milioni di pezzi firmati Motorola che hanno alzato fino ai 18,7 milioni quello che nel quarto precedente erano “solo” 16 milioni di pezzi. Considerando tutto l’anno fiscale 2014, l’asticella si ferma a quota 76 milioni di smartphone venduti nel mondo, che sono da aggiungere ai 60 milioni di PC entrati in altrettante case. Tutto meraviglioso, sembrerebbe, ma i bilanci segnalano profitti in calo del 37% anno su anno, una controtendenza che si è già vista sul lungo periodo dell’anno fiscale 2014 dove la dicotomia vendite/ricavi è stata ancora più marcata: 46,3 miliardi di ricavi, +20% YoY ma profitto netto annuo di 829 milioni di dollari, in discesa rispetto ai 5 miliardi del 2013. Ancora, perché? Oltre all’acquisizione di Motorola, sicuramente incidono i costi di acquisizione del pacchetto business server da IBM per 2,3 miliardi di dollari, ma il trend negativo del mercato PC che da sempre è il core business del colosso di Pechino e la saturazione del mercato smartphone nel mercato-chiave casalingo sono le ragioni dietro al business a due facce di una compagnia dominatrice ma che deve giocoforza diversificare la sua presenza e offerta sul mercato. “Alla luce delle opportunità e delle sfide La liquidità in casa Pebble inizia ad essere un problema e pare che le richieste di prestiti siano già in avanzata fase di analisi da parte delle banche californiane (qualcuno ha già detto no) Flessione fisiologica o qualcosa di più grave? di Michele LEPORI dell’era di Internet, siamo pronti alla trasformazione e passare dall’essere una compagnia di hardware a una realtà integrata di hardware e software”, così il CEO Yang Yuanqing sul futuro della sua creazione, che dopo aver acquisito know-how da Motorola e infrastrutture da IBM sembra davvero pronta a cavalcare l’onda del cambiamento. MERCATO Uber conferma il suo interesse nel progetto di self driving car con una test car in azione Questa è l’auto Uber a guida autonoma? L’azienda starebbe sperimentando soluzioni tecniche di self driving per le vie di Pittsburgh di Emanuele VILLA l concetto di self driving car va di moda ultimamente: molte case automobilistiche avrebbero progetti in tal senso, e sulla stessa lunghezza d’onda si starebbe muovendo Google, con addirittura alcune auto già in esercizio (sia pur, ovviamente, in fase di test). Dentro questo panorama dobbiamo inserire anche Uber, che non solo pare interessata ad acquisire le mappe Here di Nokia (chissà come andrà a finire, ogni giorno spunta un nuovo potenziale acquirente), ma anche ad eliminare i conducenti “umani” dalle proprie vetture. Lo testimonierebbe un articolo del Pittsburgh Business Times: un reporter della testata avrebbe infatti individuato una test car di Uber all’interno del traffico cittadino, I torna al sommario auto più che riconoscibile considerando il gigantesco Uber Advanced Technologies Center che campeggia sulla fiancata. L’azienda, interpellata in proposito, ha risposto in modo abbastanza vago, sostenendo che si tratta di un’auto che Uber utilizza per la ricerca sui sistemi di mappatura, sicurezza Pebble piace a molti ma l’azienda pare in difficoltà Possibile? e guida autonoma. Di fatto, l’azienda stessa conferma il suo forte interesse nel progetto di self driving car: nella fattispecie, l’auto immortalata nella foto era guidata da una persona in carne ed ossa, ma ciò non toglie che a breve vedremo (sull’esempio di Google) anche quelle “senza conducente”. I 18 milioni di dollari ricavati con la strepitosa campagna di crowdfunding per il nuovo modello della famiglia Pebble Watch potrebbero non bastare all’ azienda californiana per dormire sonni tranquilli e le richieste di credito alle banche sarebbero in avanzata fase di analisi, benché Valley VC abbia già comunicato al CEO Migicovsky che sarebbe meglio chiedere altrove i 5 milioni di prestito e gli altrettanti 5 di linea di credito. Perché questo bisogno di capitale? Per rimanere in linea di galleggiamento, stando ai sussurri degli azionisti che si guardano bene dal rilasciare dichiarazioni ufficiali ma che qualche ben informato ha comunicato a TechCrunch. Intervistati a riguardo, gli impiegati di Pebble si sono dimostrati moderatamente ottimisti, benché la lunga sequenza di assunzioni nel quartier generale californiano abbia fatto storcere il naso sulle linee guida per il futuro del papà dell’Indie Watch più popolare finora sul mercato. In attesa di quell’Olio Watch che potrebbe strappare la corona di più snob del reame dal polso di Pebble. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Non si chiamerà Z4 come in Giappone anche se in sostanza solo il nome è diverso Il nuovo top di gamma Xperia si chiama Z3+ Sony ha portato migliorie in tutti i reparti, con focus sulla qualità audio e sulla resa fotografica N di Roberto PEZZALI on sarà Z4 come in Giappone ma più semplicemente Z3+: Sony Mobile ha annunciato il suo nuovo top di gamma utilizzando una nomenclatura per lei insolita. La scelta del “Plus” al posto del numero quattro è chiaramente commerciale, anche se Sony non lo ammetterà mai: a meno di un anno dal lancio dello Z3 non si voleva rifare lo stesso errore fatto con il modello precedente, ammazzando in pochi minuti il predecessore con uno smartphone che oltretutto non è così diverso da quello presente attualmente sul mercato. Z3 Plus forse è il nome giusto, anche se la presenza del modello “compact” potrebbe far pensare a un dispositivo con schermo grande: non siamo davanti a un prodotto profondamente cambiato ma a una serie di tanti piccoli miglioramenti a 360 gradi, che impattano sia sul design sia sulle prestazioni. Xperia Z3+, che abbiamo avuto modo di provare le scorse settimane, mantiene il look premium del modello precedente con finiture in alluminio di pregio e un corpo sottile e leggero: 6.9 mm per 144 grammi. Il cambiamento più eclatante sotto il profilo estetico è la sparizione della copertura per la porta USB: lo smartphone resta waterproof IP65/68, ma la porta di ricarica e dati è stata protetta con l’aiuto di un rivestimento particolare che non richiede più lo sportellino stagno. Sony ha rimosso anche la presa di ricarica magnetica, utile per i pochi che avevano la dock ma assolutamente antiestetica per tutti gli altri. Lo schermo è identico a quello del modello precedente, un 5.2” Full HD con un nuovo rivestimento Gorilla Glass 4 che migliora la luminosità e diversi filtri di ottimizzazione dell’immagine come X-Reality, Triluminous e Live Color. Cambia anche il processore: Xperia Z3+ è dotato di processore Snapdragon 810 Octacore a 64 bit, 3 GB di RAM e modulo LTE Cat 6 per una velocità massima torna al sommario in download di 300 Mbps. Sony assicura, nonostante il cambio generazionale, un’autonomia di due giorni se si utilizzano i sistemi di risparmio energetico come lo Stamina Mode, e solitamente gli Xperia sono tra i pochi smartphone con un’autonomia superiore alla media. Xperia Z3+ è poi compatibile con Qualcomm QuickCharge 2.0, e in soli 45 minuti di carica si guadagna un giorno intero di utilizzo. Novità anche per le fotocamere: il sensore resta da 20 Megapixel ma ci auguriamo che Sony abbia usato il suo nuovo Exmor RS IMX230, il fiore all’occhiello della sua produzione di sensori per smartphone dotato di 192 zone di messa a fuoco a ricerca di fase. Purtroppo il sensore resta stabilizzato digitalmente. Cambia la camera frontale: un nuovo modulo anch’esso stabilizzato digitalmente assicura scatti da 5 Megapixel con ottica grandangolare 25 mm. Non mancano, infine, migliorie sotto il profilo audio, dove arrivano l’High Definition Audio con il codec LDAC per lo streaming meno compresso verso gli speaker compatibili e il DSEE HX, che aumenta la fedeltà audio delle tracce MP3 o AAC. Sony Xperia Z3 Plus sarà lanciato in Italia e in tutto il mondo a giugno a un prezzo che si avvicinerà ai 700 euro. Le varianti saranno quattro: ai classici bianco e nero saranno affiancati un colore ramato e il verde acqua. Google Nexus raddoppia? In arrivo due modelli, uno firmato LG, l’altro Huawei Dopo aver cambiato strategia lo scorso anno con il Nexus 6, uno smartphone Android di fascia molto più alta rispetto ai precedenti modelli della gamma di prodotti di Google, quest’anno Big G avrebbe intenzione di lanciare due smartphone di riferimento, uno da 5,2” (il nuovo Nexus 5?) e uno da 5,7”. Non solo due modelli diversi, ma realizzati anche da produttori differenti: secondo le fonti di Android Police, LG si occuperebbe dello smartphone più piccolo, che avrebbe nome in codice Angler, mentre quello più grande vedrebbe “la prima volta” di Huawei nel programma Nexus con Bullhead. LG Angler sarebbe indicativamente basato sullo stesso processore del G4, lo Snapdragon 808, con una batteria da 2700 mAh, mentre lo smartphone di Huawei monterebbe lo Snapdragon 810 con una batteria da 3500 mAh. Al momento non sarebbero noti ulteriori dettagli sui due modelli se non che con ogni probabilità verranno annunciati in ottobre. MOBILE Gli smartphone top di gamma Android vendono ma forse non come si sperava Samsung Galaxy S6 e HTC One stentano a sfondare Inseguire Apple con prodotti dal costo elevato ma con Android è la strategia giusta? I di Paolo CENTOFANTI n questo periodo girano due notizie, apparentemente scollegate tra loro, ma che portano alla stessa conclusione: i nuovi top di gamma Android stentano a sfondare. Prendiamo il Galaxy S6 ad esempio: Samsung ha investito molto, sia a livello di sviluppo, per produrre uno smartphone molto curato sotto il profilo hardware, che dal punto di vista degli investimenti pubblicitari. Ma nonostante ciò, Samsung avrebbe comunicato spedizioni (e non vendite effettive) intorno ai 10 milioni di pezzi nel primo mese di commercializzazione, un milione in meno rispetto a quanto ottenuto con il Galaxy S5 nello stesso arco di tempo; anche se 10 milioni di pezzi non sono pochi, per i ca- noni di Samsung il Galaxy S5 fu un insuccesso commerciale. Nella stessa fascia di prezzo, quella dell’iPhone 6 per intenderci, c’è anche One M9 di HTC. Ma anche qui le notizie che arrivano non sono del tutto buone. Nel mese di aprile le vendite si sarebbero aggirate intorno ai 4,8 milioni di pezzi contro gli 8 milioni di One M8 nell’anno precedente, mentre, secondo indiscrezioni, HTC avrebbe tagliato del 30% gli ordinativi presso i fornitori di componenti per lo smartphone, a causa della scarsa domanda. Sia il Galaxy S6 di Samsung che l’HTC One M9 sono in vendita a un prezzo di listino intorno ai 740 euro, sono ottimi prodotti, ben costruiti e costano quanto un iPhone 6, che però sta continuando a macinare vendite su vendite. Anche Google, con il Nexus 6, ha puntato forse troppo in alto, e non sembra aver fatto breccia nel cuore dei consumatori come con i modelli precedenti. È facile archiviare la faccenda come una questione di potenza di fuoco del marketing dell’azienda californiana o di moda, quando forse il problema è riconducibile alla particolarità del segmento Android: il mercato è invaso da prodotti che costano anche la metà dei top di gamma di HTC e Samsung, ma offrono praticamente le stesse cose e un’esperienza d’uso del tutto simile, visto che la piattaforma in fondo, salvo alcune personalizzazioni, è la stessa. Viene da chiedersi: ha senso inseguire le politiche di Apple con prodotti di indubbia qualità ma che costano un capitale? Per HTC e forse persino per Samsung, l’errore potrebbe rivelarsi fatale. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Da poco è iniziata la vendita di G4, ma LG non si ferma e presenta due parenti stretti G4 non è più solo: arrivano Stylus e G4C Presentati il phablet G4 Stylus e il G4C, versione lite del G4C. Prezzi 299 euro e 279 euro L di Massimiliano ZOCCHI a famiglia G4 è pronta ad allargarsi. Con un comunicato ufficiale, LG ha fatto sapere che nelle prossime settimane lancerà a un prezzo eccezionale due parenti stretti del nuovo top di gamma, ovvero G4 Stylus e G4C. Come suggerisce il nome, il primo avrà in dotazione un pennino capacitivo Rubberdium e sarà un phablet, mentre G4C è una versione più economica del modello flagship, con qualche specifica tecnica rivista al ribasso. G4 Stylus ha un display da 5.7” HD IPS da 258 ppi, 1 GB di RAM e 8 GB di storage interno. Inizialmente previsto in due versioni, in realtà arriverà in Italia solo quella compatibile con le reti 4G/LTE e dotata di processore quad-core da 1.2 GHz, mentre sotto il profilo fotografico troviamo un modulo posteriore da 8 Mpixel con autofocus laser e uno frontale da 5 Mpixel per i selfie. Completano la dotazione la batteria rimovibile da 3.000 Annunciato il successo della sperimentazione delle trasmissioni LTE Cat.11, con downlink fino a 600 Mbps. Ma prima di vedere la tecnologia sul mercato ci vorrà tempo mAh e la solita gamma di connessioni e sensori, il tutto mosso da Android 5.0 Lollipop. G4C, invece, ha solo la versione LTE. È un po’ più piccolo del fratello maggiore G4, con un display da 5.0” HD IPS da 294 ppi. Il processore è un quad-core da 1.2 GHz accompagnato da 1 GB di RAM e memoria interna da 8 GB espandibile, front camera da 5 Mpixel e 8 Mpixel per quella posteriore. In questo caso la batteria si ferma a 2.540 mAh. Anche per il “piccolo” della gamma troviamo una dotazione completa di sensori e connettività, e anche qui c’è a bordo Android 5.0. LG fa sapere che i due nuovi nati saranno in vendita a partire da giugno, e i prezzi per l’Italia sono di 299 euro per la versione Stylus e 279 euro per G4C. MOBILE Nelle prossime versioni ci saranno più sensori biometrici e un nuovo sistema antifurto Apple Watch potenzia la lettura di parametri fisiologici Apple vuole aggiungere la possibilità di leggere livello di glucosio, pressione e ossigenazione di Paolo CENTOFANTI pple Watch non è ancora disponibile in Italia e già emergono le prime indiscrezioni sul suo successore. Secondo le fonti di 9to5Mac, infatti, Apple ha già una roadmap molto precisa di come saranno le prossime iterazioni del suo smartwatch. La maggior parte delle nuove funzionalità necessiteranno di nuovo hardware e riguardano più o meno tutta la sfera della salute. Apple avrebbe infatti intenzione di potenziare le capacità di lettura di parametri fisiologici del Watch, aggiungendo al misuratore di battito cardiaco anche misuratore di pressione, livello di glucosio nel sangue e ossigenazione. Quest’ultima funzionalità era già prevista per il primo modello, ma l’affidabilità del sensore non era sufficiente ed è stata rimossa. Non tutti i nuovi sensori verranno introdotti nei nuovo modelli di Apple Watch, visto che l’azienda punterebbe a introdurli gradualmente e in particolare per quanto riguarda l’analisi della glicemia direttamente dal- A torna al sommario Huawei e Qualcomm fanno volare l’LTE a 600 Mbps lo smartwatch potrebbe volerci ancora qualche anno. Una nuova funzionalità interessante e che non richiederebbe nuovo hardware, riguarderebbe la capacità dell’Apple Watch di individuare e segnalare aritmie, ma le fonti avvisano che per motivi di regolamentazione sanitaria negli Stati Uniti potrebbe non vedere mai la luce. Apple sarebbe però al lavoro anche su altri aspetti del sistema operativo dello smartwatch. In particolare ci sarebbe la possibilità di offrire l’accesso agli sviluppatori di terze parti alla personalizzazione dei quadranti dell’orologio (si parla di una prima sperimentazione con Twitter) e soprattutto l’implementazione di un sistema di sicurezza denominato Find my Watch, che come il Find my Phone dovrebbe con- sentire in caso di furto o smarrimento di individuare la posizione dell’orologio e di bloccarlo da remoto. Alcune di queste novità potrebbero venire già annunciate alla prossima conferenza WWDC, anche se pare che per il Find my Watch potrebbe essere necessario un diverso chip wireless rispetto a quello attualmente installato s u l l ’A p p l e Watch. di Paolo CENTOFANTI Huawei ha annunciato di aver completato la fase di testing sui nuovi apparati LTE Cat.11, profilo di LTEAdvanced che supporta velocità in downlink fino a 600 Mbit/s. I test sono stati effettuati in collaborazione con Qualcomm, che ha fornito il modem LTE in grado di supportare la carrier aggregation di 3 bande da 20 MHz e la modulazione 256 QAM. Si tratta di un ulteriore passo verso la promessa di 1 Gbit/s su rete cellulare, anche se prima di vedere le prime soluzioni commerciali ci vorrà tempo: da una parte gli operatori devono aggiornare i propri apparati, dall’altra occorre una diffusione di terminali compatibili nelle mani dei consumatori. “La 256 QAM sarà presto commercializzata, quando la filiera industriale raggiungerà un’adeguata maturità” ha dichiarato David Wang, Presidente Wireless Network Product Line di Huawei; “Il successo di questi test rappresenta un’altra pietra miliare nello sviluppo della commercializzazione dell’LTE-A e della 256 QAM poiché dimostra che i terminali sono in grado di supportare sia tecnologie 3CC CA che sistemi 256 QAM”. La carrier aggregation è una tecnica che consente a un cellulare di sfruttare contemporaneamente tutte le porzioni di spettro assegnate a un operatore di rete, che nel caso dell’LTE sono sparse su tre bande diverse. La modulazione 256 QAM sfrutta una grande densità di simboli in trasmissione, ma per questo il segnale è più prono all’interferenza intersimbolica, specialmente su un canale imperfetto come quello radio in contesto urbano. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Durante un evento nel centro fieristico di Beijing, Oppo ha presentato due nuovi dispositivi Oppo R7 e R7 Plus, dual SIM di alta gamma Due smartphone operativi su bande LTE, RAM da 3 GB e 4K. In Europa la prossima estate di Andrea ZUFFI rrivano dalla cinese Oppo due nuovi smartphone dual SIM, top di gamma dal buon design e dalle specifiche interessanti. Entrambi i dispositivi sono dotati di display Super AMOLED con risoluzione 1920 x 1080 pixel. Come si intuisce dai nomi, i due smartphone si differenziano principalmente per la dimensioni: 5 pollici per R7 contro i 6 pollici di R7 Plus con schermo a curvatura 2.5 Arc Edge. All’interno della scocca metallica di entrambi i modelli trova posto un processore Qualcomm Snapdragon 615 MSM8939 Octa-Core a 1.5 GHz con RAM LPDDR3 da 3 GB. La memoria interna per lo storage, ulteriormente espandibile con Micro SD, è da 16 GB per R7 e 32 GB per la versione Plus. Per quanto riguarda il comparto foto, i due modelli sono dotati di fotocamera principale con apertura A MOBILE Galaxy A8 arriverà in Europa Al momento sono solo voci di corridoio, ma i ragazzi di Sammobile più di una volta hanno dimostrato di avere fonti attendibili. Circa un mese fa avevano scoperto la registrazione da parte di Samsung del marchio Galaxy A8, e si pensava che il nuovo arrivato della famiglia sarebbe rimasto nei confini cinesi o al massimo asiatici. Oggi invece si dicono certi che il terminale raggiungerà diversi mercati, compreso quello europeo, andando ad accrescere le fila di una gamma che è sempre stata particolarmente elegante. Gli “infiltrati” di Sammobile forniscono una scheda tecnica dettagliata. Il display, che originariamente si pensava fosse da 5.7”, in realtà sarà più piccolo, da 5.5” con risoluzione Full HD, e il cuore sarà uno Snapdragon 615, Octa-Core da 1.4 GHz. A supporto ci saranno 2 GB di RAM e 16 GB di storage. La coppia di fotocamere sarà da 5 e 16 Megapixel e l’autonomia garantita dalla batteria di 3.050 mAh. Connettività completa, compreso LTE, il tutto in solo 5.9 mm di spessore. Sono sconosciute eventuali date di lancio e prezzi. torna al sommario f/2.2 basata su sensore Sony Exmor IMX214 BSI da 13 Mpx, con l’ulteriore possibilità di registrare filmati in 4K a 30 fps. Risoluzione da 8 Mpx invece per la fotocamera frontale. Oltre alla connettività Wi-FI, al Bluetooth 4.0 e alla porta USB OTG, Oppo R7 e R7 Plus dispongono di operatività sulle bande LTE. Rispetto al fratello minore si rileva su Oppo R7 Plus la presenza di un sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Sul fronte dell’autonomia R7 e R7 Plus montano batterie rispettivamente da 2320 e 4100 mAh e integrano il sistema Meetic punta forte sul mondo mobile e ha mostrato la prima app di dating per smartwatch basati su Android Wear di Emanuele VILLA di ricarica rapida VOOC che garantisce in 30 minuti il raggiungimento del 75% della carica totale. Il sistema operativo è il nuovissimo Android 5.1 Lollipop arricchito dall’interfaccia utente Oppo ColorOS 2.1. I terminali, che arriveranno sul mercato europeo nel corso dell’estate, dovrebbero avere prezzi (ancora da confermare) intorno ai 360 euro per R7 e 430 euro R7 Plus. MOBILE Un software per gestire gli apparecchi di Internet delle cose Huawei ha presentato LiteOS Sistema operativo mobile da 10 KB N Con Meetic il dating online diventa “indossabile” di Emanuele VILLA on solo telefoni: Huawei sembra perfino più interessata alle tecnologie del futuro (prossimo) che agli apparecchi, e per questo ha presentato LiteOS, il sistema operativo più leggero al mondo. Appena 10 KB per un sistema completo, e non si tratta di un semplice esercizio di stile: in un mondo che potrebbe ospitare più di 100 miliardi di dispositivi connessi a Internet nel 2025, disporre di un software capace di far funzionare i più disparati apparecchi dell’Internet delle cose può davvero risultare un toccasana. Secondo le dichiarazioni dell’azienda, il sistema operativo sarà “aperto agli sviluppatori”, il che non significa necessariamente Open Source ma che gli sviluppatori lo potranno usare come base per alimentare gli smart device che inventeranno e progetteranno. In una dichiarazione al Financial Times, William XU, direttore marketing Huawei, ha affermato di non voler entrare in competizione con sistemi operativi più complessi quali Android o iOS ma di voler fornire qualcosa di semplice da usare, da gestire e molto versatile per tutti quegli strumenti - consumer o business - che mano a mano entreranno nel mondo dell’Internet delle cose. L’esempio fatto dal dirigente Huawei è quello dello spazzolino da denti “smart”, che non richiede particolari funzionalità e quindi potrebbe essere gestito in modo efficiente da LiteOS, dando un vantaggio notevole alle aziende produttrici e agli sviluppatori. Meetic, il noto portale di dating online, ha organizzato un evento per mostrare le sue ultime novità in fatto di dating tramite dispositivi mobili. Interessanti i dati diffusi: se il 17% dei single italiani afferma di essersi connesso a un sito di dating tramite device mobile, il 13% ha scaricato l’app relativa e la usa con una certa costanza. Il 13% di tutti i single fa un numero molto corposo (Meetic ha dichiarato di avere 7.000.000 iscritti) e giustifica la recente invasione di app di questo tipo, diverse come funzionalità ma con un meccanismo di funzionamento più o meno comune. Abbiamo assistito alla dimostrazione della nuova app Meetic apprezzandone la completezza: c’è il gioco del mi piace/non mi piace (che si chiama Shuffle) e la possibilità di affinare la ricerca con diversi parametri, fisici o di interessi. C’è il radar per scoprire chi ci sta vicino, ma ci hanno più che altro colpito due cose: gli eventi e la disponibilità della versione per smartwatch. Il primo aspetto si spiega in due parole: visto che le persone amano incontrarsi di persona senza vivere attaccate a uno schermo, lo staff di Meetic organizza eventi in tutta Italia. È una cosa che con l’app non c’entra nulla ma che gli altri non fanno, quindi va presa in considerazione quando si vuole scegliere il servizio di dating giusto. Poi ora c’è l’app per smartwatch, in particolare per Android Wear: pur non disponendo di tutte le funzionalità della versione “full” (d’altronde non sarebbe semplice scrivere con l’orologio), permette di visualizzare tutte le notifiche e anche i profili, intraprendendo anche un primo contatto con l’interlocutore. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Il supporto multi app dovrebbe debuttare nell’iPad Pro con maxi schermo da 12 pollici Con iOS 9 modalità multi finestra su iPad? Apple sarebbe pronta a introdurre il supporto per più app a schermo contemporaneamente In lavorazione anche la modalità multiutente, che i consumatori reclamano da molto tempo di Paolo CENTOFANTI A lla prossima conferenza WWDC 2015 (l’appuntamento è per l’8 giugno), Apple potrebbe finalmente introdurre una modalità “multi finestra” in iOS 9 su iPad. Il lavoro sulla funzionalità, che consentirebbe di aprire due app contemporaneamente, era già stato iniziato su iOS 8, ma poi la priorità è passata ad altro e il progetto è stato accantonato. Ora il supporto multi app sarebbe pronto a fare il suo debutto, come una delle caratteristiche del chiacchierato iPad Pro, versione con maxi schermo da 12 pollici del tablet di Apple. La funzione dovrebbe permettere di dividere lo schermo a metà oppure a due terzi per visualizzare due istanze della stessa app o due programmi diversi. Come è noto, Apple è particolarmente maniacale e rigida quando si tratta di esperienza d’uso e design di interfacce e ha sempre considerato come ottimale per l’iPad l’utilizzo di un’app a schermo per volta; non stupirebbe dunque più di tanto se lo split screen venisse introdotto unicamente su questo fantomatico iPad extra large. Insieme a questa nuova modalità d’uso, secondo le fonti di 9to5mac, ci sarebbe in lavorazione anche il supporto multi utente per iPad, anche se in questo caso la funzione potrebbe essere introdotta molto più in là nel corso dell’anno, magari nelle iterazioni successive di iOS 9. Come su OS X, diversi utenti potranno loggarsi sullo stesso iPad con il proprio account, accedendo alle proprie app, impostazioni e documenti personali, una funzione che i consumatori reclamano a gran voce da parecchio tempo. Quello che è certo è che negli ultimi anni iOS non si è evoluto molto su iPad e, modello Pro in arrivo o meno, una versione del sistema operativo con qualche ottimizzazione in più per il tablet sarebbe benvenuta. Stress da smartphone? Provate The Light Phone Niente email, nessuna fotocamera e browser, ma solo un display con orologio e tasti numerici di Andrea ZUFFI È torna al sommario do l’esigenza che tutti abbiamo di comunicare con i più moderni strumenti digitali, ritengono che in certi momenti della giornata o in certi giorni della settimana sia piacevole disconnettersi da tutto, tenendo in tasca solo un terminale che permetta di fare e ricevere telefonate. Nulla più, per liberare la mente e stare lontano da ogni tentazione online. Il telefono dovrebbe essere pronto a maggio 2016 e sarà venduto, almeno questa è l’ipotesi per il mercato americano, con una SIM prepagata e un’app per lo smartphone “prin- Dopo sole 5 settimane dal lancio la versione base del top di gamma viene venduta con garanzia italiana da uno store online a 499 euro Molto meno rispetto al prezzo consigliato da Samsung di Roberto PEZZALI MOBILE Minimalismo e praticità sono le parole chiave del progetto di Joe Hollier e Kaiwei Tang indubbio che, anche quando siamo lontani dal computer, gli smartphone ci permettono di fare molto, ma al tempo stesso la loro ingombrante onnipresenza rischia di farci perdere il contatto con tutto quanto ci circonda nel mondo reale. È proprio questo il concetto che sta alla base dell’anti-smartphone, nato dall’incontro presso l’incubatore Google 30 Weeks delle menti di Joe Hollier, artista e designer, e di Kaiwei Tang, sviluppatore e product designer di alcuni modelli della Motorola tra cui Razr. Il prodotto si chiama The Light Phone, ha le dimensioni di una carta di credito, uno spessore di 4 mm e il suo principale obiettivo è quello di essere usato il meno possibile. Poche altre le caratteristiche tecniche tra cui l’orologio a LED e la memoria per 10 contatti. I due soci e cofondatori della start-up Light, da qualche giorno alle prese su KickStarter con la raccolta dei fondi necessari a dare inizio alla produzione di The Light Phone, pur amando la tecnologia e riconoscen- Galaxy S6 tocca i 499 euro a un mese dal lancio cipale” che abiliterà l’inoltro automatico verso The Light Phone di tutte le chiamate entranti. Quest’ultimo potrà anche essere utilizzato “stand-alone”, come terminale per le emergenze o come primo cellulare per bambini, non troppo esigenti. Anche se il prezzo da pagare per questa regressione tecnologica è di 100 dollari, ci sono aspetti pratici innegabilmente positivi come la durata della batteria fino a 20 giorni. E soprattutto sarà la fine della costante rincorsa ai nuovi modelli, innovativi e dalle strabilianti specifiche tecniche. “Aspettate a prendere il nuovo Galaxy, scenderà di prezzo dopo qualche mese”: quando abbiamo dato i prezzi di Galaxy S6 e S6 Edge, questo è stato uno dei primi commenti. Effettivamente negli anni Samsung ci ha abituato a ritocchi di prezzo per correggere vendite e stime, ma con il nuovo top di gamma, costruito con materiali di qualità e con margini ridotti, eravamo portati a credere che il prezzo, seppur con le logiche oscillazioni di mercato, potesse rimanere costante per i primi mesi. Una questione più che altro di rispetto per coloro che al day one hanno dato fiducia a Samsung versando nelle casse del produttore coreano i 749 e 849 euro richiesti per le due versioni. Eppure, dopo poco più di un mese, un negozio ha a listino a 499 euro tutte le colorazioni della versione flat a 32 GB con garanzia Italia. Chiaro che non ci si può basare su un singolo negozio che neppure conosciamo, ma il grafico del comparatore di prezzi Idealo, mostra l’andamento dei prezzi dei Galaxy S6 a cinque settimane dalla commercializzazione: caduta libera, con più negozi che lo vendono a 549 euro. Il prezzo ovviamente risponde alle logiche del mercato: se non c’è richiesta l’offerta scende di prezzo e a quanto pare questo è l’ultimo di una serie di indizi che fanno pensare a un possibile buco nell’acqua. Un peccato, perché il terminale è davvero eccezionale eppure stiamo avendo da più parti conferme che Samsung non sta andando affatto come sperava, con vendite allineate a quelle dei vecchi Galaxy. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE SMARTHOME È atteso per il WWDC, eppure iOS 9 fa già parlare di sé per l’automazione domestica Con l’app Home, Apple controllerà la casa Sembra che per HomeKit i tempi siano maturi e il nuovo sistema operativo avrà l’app Home di Massimiliano ZOCCHI oco tempo fa abbiamo riportato delle voci secondo cui la nuova Apple TV potrebbe essere un Hub per controllare l’automazione casalinga, e adesso si torna a parlare ancora di Apple HomeKit, ma stavolta relativamente alla nuova versione di iOS che ci si aspetta venga presentata al prossimo WWDC. Per lo stesso periodo è attesa anche la presentazione dei primi prodotti per automazione domestica compatibili con HomeKit. E i soliti ben informati affermano che le due cose saranno strettamente collegate. Secondo il sito 9to5mac.com, iOS 9 integrerà una nuova app che si chiamerà Home, che secondo una fonte vicina allo sviluppo della stessa, sarà un centro di controllo dove si potranno comandare tutti gli strumenti compatibili, a partire dai termostati intelligenti, Emergono le prime specifiche del prossimo flagship Lumia 940, che dovrebbe essere proposto anche in una versione XL più grande con batteria e processore leggermente differenti P Gli smartphone di Sharp filmano a 2100 fps Sharp ha lanciato in Giappone una nuova gamma di smartphone contraddistinti da una funzione del tutto particolare: riprese video in slow motion a 2100 fps. Il risultato non è il frutto di un inaudito sensore di immagine, ma di un misto di hardware e software. I nuovi modelli sono in grado di riprendere a 120 fps con risoluzione di 1920x1080 pixel, che diventano 210 fotogrammi al secondo se la risoluzione scende a 854 x 480 pixel. A questo punto interviene un particolare algoritmo di interpolazione che moltiplica di un fattore 10 il numero di fotogrammi, aumentando così l’effetto di rallentamento del tempo. Come si vede dal video di esempio, la moltiplicazione dei fotogrammi rende le immagini in qualche modo artificiose, ma l’effetto è comunque interessante. Il sistema sembrerebbe funzionare meglio a 1200 fps. Trattandosi però di uno spot in questo caso è difficile dire se stiamo guardando qualcosa uscito effettivamente dalla fotocamera dei nuovi smartphone. Comunque sia, i nuovi modelli verranno distribuiti solo sul mercato interno. torna al sommario Lumia 940 come iPhone Ci sarà anche una versione XL serrature wireless, luci e quant’altro l’automazione casalinga possa offrire. Sempre secondo la fonte di 9to5mac, l’applicazione permetterà di riconoscere automaticamente i dispositivi nel raggio d’azione della rete Wi-Fi, creare una mappa virtuale dell’abitazione, e connettere anche una Apple TV come centro di controllo. Tuttavia l’app sarebbe ancora in uno stato embrionale e non pronta per essere mostrata al pubblico. Potremmo quindi aspettarci un annuncio del suo arrivo durante la presentazione di iOS 9 ma nulla più. MOBILE Riproduce app e schermo touch su una superficie Lenovo presenta Smart Cast Proietta la tastiera da smartphone Q di Michele LEPORI ualche anno fa sul web impazzò un video che giurava di essere l’ennesimo leak di una caratteristica tanto rivoluzionaria quanto folle: una tastiera proiettata sul tavolo e uno smartphone in grado di riconoscere i tocchi sul tavolo e riportarli nell’app. I più archiviarono il video come l’ennesima stranezza della rete ma evidentemente in Lenovo devono aver pensato che quell’idea poteva avere sviluppi tangibili, tanto che è stato presentato ufficialmente Smart Cast, lo smartphone con proiettore integrato in grado di riprodurre tastiere, app, video e tutto quanto a schermo su una superficie d’appoggio. In realtà, durante l’IFA dello scorso settembre abbiamo avuto modo di vedere allo stand Sony un’area allestita con picoproiettori da casa con la stessa tecnologia di base, ma il colosso giapponese ha tenuto a precisare che tutto quanto ricreato nell’ambiente domestico 2.0 era solamente un prototipo. Alla conferenza Lenovo Tech World, di contro, Smart Cast è decisamente più prossimo alla realtà e la tecnologia di proiezione “surface” si affiancherà alla normale proiezione da muro. Quando lo vedremo sul mercato, per ora non è dato sapere, ma è certo che non lo perderemo di vista da qui all’arrivo nei negozi. di V.R. BARASSI Secondo quanto riportato dai colleghi tedeschi di Winfuture, Microsoft starebbe per portare a conclusione il progetto di sviluppo del suo prossimo smartphone top di gamma che si chiamerà (come da previsione) Lumia 940. Non ci sono ancora notizie ufficiali in merito ma le voci di corridoio sembrano essere piuttosto insistenti e per questo meritano di essere citate. Prima di tutto pare che Microsoft abbia deciso di proporre due versioni del suo flagship, e questo per allinearsi alla strategia vincente di iPhone che ha saputo conquistare utenti anche con la variante Plus. Microsoft ha già fatto qualcosa di simile con Lumia 640 (disponibile anche in variante XL) ma i due terminali, appartenendo a fasce di mercato molto diverse, potrebbero coesistere senza problemi. Lumia 940 e Lumia 940 XL dovrebbero condividere gran parte delle specifiche tecniche di base, con 3 GB di memoria RAM quasi certi, fotocamera da 10 Megapixel con lenti Zeiss e 32 GB di storage interno. Il display avrà dimensioni diverse (5,2” contro 5,7” della XL) ma analoga risoluzione QHD (2560×1440 pixel) e cambierà anche il processore con uno Snapdragon 805 scelto per il modello base e uno Snapdragon 808 sulla versione XL. Anche la batteria dovrebbe essere diversa: 3000 mAh contro 3300 mAh del modello con il display più grande. Microsoft non ha voluto commentare le indiscrezioni ma pare comunque certo che per l’annuncio ufficiale dovremmo attendere Windows 10 Mobile. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Dopo il lancio di Sky Online TV Box abbiamo intervistato Riccardo Balestiero, Head of OTT and New Media di Sky Italia Nessuna paura di Netflix: Sky Online vincerà Nessun timore per l’arrivo di Netflix in Italia, Sky è convinta di avere una offerta davvero imbattibile a livello di contenuti di Roberto PEZZALI S ky Online ha lanciato il nuovo TV Box, set top box esterno basato su Roku 3 e disponibile al prezzo di 49 euro con due mesi di abbonamento a intrattenimento e Serie TV inclusi. Sky punterà veramente forte sul box TV e per farlo ha preparato anche una serie di spot realizzati con Frank Matano che andranno in onda nei prossimi mesi sulla TV pubblica. Molti i temi da approfondire, e per questo abbiamo scambiato qualche opinione con Riccardo Balestiero, Head of OTT and New Media di Sky Italia che è anche a capo del progetto Sky Online. DDay.it: Partiamo subito dalla domanda più “calda”: niente alta definizione. Sky per gli italiani più tecnologici è l’immagine stessa dell’alta definizione italiana, e vedere un nuovo servizio ancora in standard definition non può che lasciare l’amaro in bocca. Scelta tecnica o commerciale? Riccardo Balestiero: “Questa è una scelta commerciale. Sky Online per Sky è l’offerta entry level, e per usare una metafora automobilistica potremmo dire che se Sky è la Ferrari, Sky Online è una Mini destinata ad un pubblico specifico. La nostra definizione “standard” è comunque particolare, abbiamo raddoppiato il framerate e vi assicuriamo che la qualità percepita è molto alta. Inoltre lavoriamo offline i contenuti con una tecnica di compressione particolare per dare il migliore risultato possibile. Il box supporta anche il 1080p, ma al momento l’offerta commerciale di Sky Online è in standard definition. Non escludo però la possibilità, in futuro, di portare l’offerta in HD”. DDay.it: Questo per Sky Online è un vero “lancio”: fino ad oggi possiamo considerarla una sorta di fase “beta”. Cosa avete imparato in questa fase? Balestiero: “Si, è un vero lancio italiano. La campagna partirà da domenica con una serie di spot in rotazione. Il primo lancio per noi ha rappresentato un anno di apprendimento necessario per conoscere il mercato e capire chi sono i nostri clienti. torna al sommario Abbiamo visto che sono utenti diversi dal cliente tradizionale: per darvi qualche dato possiamo dire che i 60% di clienti di Sky Online attuali rientrano in quella categoria che definiamo “pay never”, utenti che non si sono mai avvicinati alla pay TV per i prezzi elevati o per volontà di non vincolarsi. Ora lo stanno facendo. La formula del subito e senza contratto, unito alla comodità del box, può essere un mix vincente”. DDay.it: La scelta di un lancio, o meglio di un “ri-lancio” in grande stile è legato in qualche modo all’arrivo di Netflix. È un concorrente temibile? Balestiero: “I concorrenti sono sempre i benvenuti perché sono uno stimolo al miglioramento continuo. Riteniamo tuttavia che Sky Online sia al momento quello meglio posizionato in questo mercato con un vantaggio competitivo dato dalla freschezza dei contenuti. Il 90% dei contenuti più visti su Sky Online sono contenuti recenti, come Il Trono di Spade, gli ultimi blockbuster cinema e i nostri contenuti esclusivi. Crediamo che il lungo archivio e la quantità di contenuti non facciano poi la differenza alla lunga. L’altro vantaggio che abbiamo è l’intrattenimento: X-Factor, Masterchef, Italia’s Got Talent vanno benissimo, e non dimentichiamoci infine lo sport, dove basta portare il box a casa di un amico per vedere una partita senza abbonamento e vincoli.” DDay.it: Non c’è il rischio che la bassa qualità dell’infrastruttura di rete italiana condizioni anche Sky Online? “Sto per guardare la finale di Masterchef, inizia e la vedo a singhiozzo, mentre mio cugino con la parabola la vede perfetta in HD.” Balestiero: “Sky satellitare è la Ferrari, hai la garanzia della qualità. Sky Online è una offerta dove la qualità dipende dalla banda a casa dei clienti, e sappiamo che l’Italia non è ai livelli dell’Inghilterra dove la penetrazione broadband è all’80%. Ricordiamo che la velocità media italiana è di 3 Mbit al secondo, in Inghilterra si viaggia a 18 Mbit al secondo. Ci sono chiaramente problemi infrastrutturali che limitano la crescita del mercato”. DDay.it: lo Sky TV Box gestisce anche la app: dovessero bussare alla porta Rai con una sua app o addirittura un concorrente con la sua app Sky cosa potrebbe rispondere? Balestiero: “Ben vengano queste richieste. Se si guarda al cugino inglese con il Now TV Box, si può trovare sull’interfaccia il BBC Player, l’equivalente di Rai.TV, ed è un servizio molto apprezzato. I concorrenti in Inghilterra però non ci sono: per quanto riguarda i servizi free siamo disponibilissimi a parlarne con tutti, per i concorrenti la cosa è più complessa”. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Ci raccontano che al cinema la ultra-risoluzione è una realtà assodata, ma la realtà italiana è molto diversa Film 4K al cinema? È più facile vincere alla lotteria Pochi film arrivano in 4K e soprattutto le sale equipaggiate sono davvero pochissime, probabilmente meno del 10% L di Gianfranco GIARDINA a maggior parte dei TV installati nelle case degli italiani sono Full HD e iniziano a diffondersi i TV Ultra HD, cioè 4K. Si tratta di TV, la maggior parte dei quali sul taglio di 50-55”: una dimensione probabilmente insufficiente per apprezzare davvero il 4K; e anche se lo fosse, a mancare sono i contenuti 4K. Per fortuna c’è la sala cinematografica: lì lo schermo è gigantesco e – si sente dire – oramai i film distribuiti in 4K sono tanti e le sale quasi tutte attrezzate. La realtà, invece, è in Italia purtroppo molto diversa da quella che viene raccontata. Film 4K distribuiti in Italia Solo una decina all’anno Abbiamo provato ad andare oltre ai luoghi comuni che vorrebbero oramai Hollywood completamente votato al 4K: un buon punto d’inizio si trova sul sito inglese di Sony, dove la società alimenta un elenco completo dei film distribuiti in 4K in Europa. Scorrendo questi titoli, si scopre che i film 4K sarebbero circa una ventina all’anno, negli ultimi tre anni, e non sempre titoli imperdibili. Di certo stiamo già parlando di una piccola parte dei film in distribuzione, ma comunque di una quantità che inizia ad essere sensibile.Ma questa fotografia potrebbe essere lontana dalla situazione italiana: abbiamo sentito a questo proposito Laura Fumagalli, proprietaria del cinema Arcadia di Melzo, quello che da molti anni è considerato il “tempio” della proiezione cinematografica di qualità, che ci ha messo in guardia: “Il fatto che un film sia disponibile il DCP 4K in USA, UK o altri territori, non è garanzia assoluta della distribuzione in Italia in 4K – ci ha spiegato Laura Fumagalli -. Quei titoli segnalati sul sito Sony come ‘4K releases’ sono usciti in 4K in altri Territori; in UK sicuramente: non avendo il problema del doppiaggio, tutto da loro è molto più facile a livello di distribuzione. In Italia non sono mai arrivati cosi tante release in 4K”. E quindi, di quanti film stiamo parlando? “I film di- Una vista aerea del multiplex Arcadia di Melzo (MI), uno dei cinema che ha dato maggior importanza alla qualità d’immagine e dell’audio. stribuiti con DCP 4K in Italia nell’ultimo anno sono stati poPer approfondire chissimi – prosegue Fumagalli Per sapere cos’è il 4K cinematografico e conoscere le differenze con -, direi una decina al massimo, quello domestico leggi questo approfondimento di DDAY.it stando larghi. Per lo più titoPer sapere perché al cinema il 4K è molto più importante che a casa, li Sony (distribuiti in Italia da consulta questo documento di Sony. Warner Bros) e qualche Universal, ma davvero pochissimi. Ma mi piace ricordare Torneranno i prati di Ermanno Olmi, il primo film italiano 4K. Un dato assolutamente coerente con quanto racad essere post-prodotto e distribuito in 4K da Rai contatoci dal gestore di Arcadia. Un polmone un po’ Cinema (girato in pellicola, ndr). Il regista Olmi è vedeboluccio per alimentare le supposte prossime venture release home video in Ultra HD. Chi parla quindi nuto da noi in Sala Energia per la assoluta prima di prossime abbondanti release cinematografiche in proiezione del film”. 4K, magari per l’utilizzo domestico, deve purtroppo Ovviamente a un cinema che ha sempre fatto delscontrarsi con la dura realtà: le produzioni veramente l’immagine di qualità il suo credo come Arcadia, la 4K per il cinema (dalla ripresa, agli effetti speciali fino scarsa disponibilità di film in 4K va stretta: “Questa alla distribuzuzione in Italia) sono ancora poche e il risettimana, caso eccezionale – prosegue Fumagalli - debuttano ben due titoli in 4K: Tomorrowland delschio di rivedere ancora una volta i master “upscalati”, come fu all’inizio del DVD e poi del Blu-ray, è purtropla Disney e La giovinezza di Sorrentino. Ma per il resto proponiamo la super-qualità di immagine con po dietro l’angolo. le pellicole a 70mm: dopo il successo di Interstellar in 70mm, abbiamo iniziato a proporre pellicole tratte dalla collezione privata di mio padre. La proposta ha come titolo ‘un film in 70MM ogni 7 settimane’: questa Qui si apre il vero tema, forse anche più grave della settimana è stato proiettato Il te ne deserto, il prossidisponibilità di film: quante sono le sale cinematografiche (di prima visione) con proiettore 4K? Infatti mo sarà Total Recall”. il dato di una decina di film all’anno in 4K, va incroSu Internet c’è anche chi, da spettatore appassionato, ciato, ovviamente, con quello delle sale cinematoha provato a ricostruire quanti fossero i film in 4K digrafiche attrezzate con proiettori 4K, ovverosia in stribuiti in Italia, riunendo i dati raccolti in un post sul grado di riprodurre al meglio questi master. Se il film, forum di AVmagazine. Può essere che ci sia qualche errore nelle rilevazioni (magari film distribuiti all’estero anche se distribuito in 4K, approda in un cinema che in 4K ma che in Italia non sono mai arrivati in questo ha solo un proiettore 2K, viene ovviamente proiettaformato), ma almeno abbiamo un ordine di grandezza: to in questa risoluzione. E soprattutto, è necessario secondo l’elenco pubblicato, tanto per fare un esemcapire quante sale 4K siano effettivamente aperte al pubblico e facenti parte dei circuiti della prima vipio, i film in 4K distribuiti al cinema in Italia nel 2014 sono 18, di cui 3 sono vecchissime release in pellicola sione. Il campione della ricerca Cinetel conta 3261 restaurate e rimasterizzate: quindi un totale di 15 film sale (2K e 4K) censite nel 2014 in Italia, di cui la stra“originali”, di cui 4 sono stati girati interamente o pargrande maggioranza con proiettore 2K. Sony, che ha una percentuale nettamente prioritaria del mercato zialmente con videocamere non 4K (la maggior parte con delle validissime Arri che catturano file RAW da (si dice intorno all’80% degli schermi 4K), ha recen2,8 K). Ne restano quindi 11 veramente e interamente I numeri delle sale 4K di “prima visione” Meno di 250 in Italia segue a pagina 15 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Inchiesta film 4K al cinema segue Da pagina 14 temente annunciato di aver tagliato il traguardo di 400 proiettori 4K installati in Italia; da questo dato potremmo dedurre, contando anche gli altri produttori, un numero di circa 500 sale attive in questa risoluzione nel nostro Paese. saremmo ancora a percentuali molto contenute rispetto alle oltre 3200 sale censite. Ma probabilmente le sale cinematografiche di prima visione con proiettore 4K sono molte meno. Secondo la dettagliata “anagrafe”, compilata e costantemente aggiornata da appassionati frequentatori del forum di avmagazine.it, le sale cinematografiche attrezzate 4K in Italia sarebbero circa 210, la metà di quelle che Sony afferma di aver installato. E quelle mancanti che fine hanno fatto? 4K all’oratorio, l’anomalia delle parrocchie iper-tecnologiche Se si guarda la directory delle installazioni sul sito Sony, si scopre che alcune – in realtà poche - riguardano screening room private o servizi di noleggio. Ma con un po’ di ricerche a campione, si scopre facilmente che molte delle sale 4K con proiettore Sony sono addirittura sale parrocchiali. Sì, con un parco sale cinematografiche italiano che come minimo all’80-90% è ancora in 2K, ci sono diverse sale parrocchiali già aggiornate al 4K, ma che ovviamente difficilmente faranno girare, almeno per un po’, film in questo formato. E che probabilmente non hanno neppure schermi e impianti audio dimensionati per una visione di altissima qualità. Di certo i cineforum parrocchiali, con la fine della distribuzione dei film in pellicola, sono stati costretti a passare al digitale per non chiudere i battenti; francamente incredibile, però, che invece di recuperare un buon usato dalle sale di prima visione in passaggio al 4K, l’abbiano fatto direttamente con la tecnologia più avanzata; e sappiamo che le parrocchie italiane non navigano nell’oro. In particolare, salta all’occhio come la stragrande concentrazione di queste sale parrocchiali hi-tech riguardi le provincie di Milano, Bergamo e Brescia, frutto – immaginiamo – di finanziamenti ad hoc di Regione Lombardia (qui alcuni beneficiari, soprattutto parrocchie appunto); e probabilmente anche dell’operato di ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema). Ovviamente, quindi, appare chiaro come il dato offerto dei ragazzi di avforum.it sia largamente più attendibile, anche se magari arrotondato per difetto, rispetto alle 400 sale citate da Sony. Pensiamo di non sbagliare di molto se ipotizziamo che le sale di prima visione 4K in Italia siano in questo momento non più di 250, una percentuale ben inferiore al 10% delle sale totali, troppo poco. Grandi multiplex: 4K quasi sconosciuto E mentre i parrocchiani esultano, gli spettatori dei multiplex piangono. Prendiamo, per esempio, due tra i circuiti principali di sale: UciCinemas e The Space. UciCinemas è stata ripetutamente contattata da noi senza che ci venisse fornita una risposta ufficiale; in ogni caso, secondo alcune fonti, risulterebbe che su 45 multiplex, e quindi diverse centinaia di sale, solo 6 siano quelle equipaggiate con proiettori 4K: si tratta delle sale identificate come “iSens”, che offrono anche l’audio Dolby Atmos. Per fortuna, almeno in questo caso, nella programmazione è indicato in Nella foto, don Adriano Bianchi, presidente di ACEC, nell’atto di benedire un nuovo proiettore parrocchiale in provincia di Brescia, diocesi in cui è anche direttore dell’ufficio Comunicazioni Sociali. torna al sommario maniera chiara quali film vengono proiettati in sala “iSens”, ma, come dappertutto, non c’è alcuna indicazione se il film sia distribuito in 4K. Non va meglio nei multiplex TheSpace: dalle “liste” che gli appassionati hanno pubblicato online risulterebbe che su 36 multiplex (e anche qui centinaia di sale) siano solo 7 quelle in 4K. La situazione è in realtà ancora peggio: la società ci ha risposto ufficialmente confermandoci che su tutte le sale del circuito TheSpace, solo una è equipaggiata con proiettore 4K, la n.6 del multiplex di Firenze. Per tutte le altre centinaia, solo proiettore 2K. Che probabilità si ha di riuscire a vedere un film in 4K? In queste condizioni, lo spettatore medio (che non vada a chirurgicamente sull’accoppiata film-sala) non avrà quasi mai occasione di vedere un film in 4K: se incrociamo i pochissimi film girati e distribuiti in 4K con le sparute sale disponibili, la probabilità di imbattersi “per caso” in uno spettacolo 4K è praticamente trascurabile. Se poi uniamo il fatto che non esiste una comunicazione chiara dei film nativamente in 4K e generalmente neppure delle sale equipaggiate, il fatto che si riesca a scegliere film e sala giusta è prerogativa dei super-appassionati che riescono, se ce la fanno, a incrociare le poche informazioni disponibili in rete. In questo contesto, viene da pensare anche a quali contenuti si riuscirà a portare sui tanti, presto tantissimi TV 4K installati nel mercato italiano: se la situazione è questa, con poco più di una decina di film all’anno veramente in 4K, sembra davvero difficile pensare a una diffusione decente di titoli home video, sia che questi siano in streaming che nel costituendo Blu-ray Ultra HD; a meno che non si tratti di contenuti 4K solo nella forma, ma provenienti da master ben meno nobili e opportunamente scalati. Ma, al di là della situazione domestica, quello che fa più pensare è che il 4K in Italia di fatto non ci sia là dove serve maggiormente, ovverosia al cinema. Con gli schermi giganteschi delle nuove sale e con rapporti tra dimensione schermo e distanza di visione estremi come accade nella maggioranza dei cinema, il 4K sarebbe necessario, un vero e proprio “must”. Sicuramente molto più utile di quanto non sia nelle case, su TV da 50 pollici visti a qualche metro di distanza. Tutta italiana, poi – come abbiamo visto –, l’anomalia delle parrocchie hi-tech. Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Biscione pigliatutto: esclusiva per tre stagioni delle immagini di contorno e dei commenti da bordo campo Mediaset si aggiudica il pacchetto C dei diritti della serie A Prevista anche un’esclusiva per le immagini di archivio e le riprese 3D e 4K trasmesse su piattaforma terrestre e satellitare D di Roberto FAGGIANO opo aver conquistato i diritti per la Champions League c’è un’altra esclusiva triennale per Medaiset Premium, il pacchetto C dei diritti per la seria A di calcio italiana. Questo pacchetto comprende per le prossime tre stagioni del massimo campionato tutte le immagini di contorno a ogni partita: dall’arrivo delle squadre allo stadio fino alle interviste del dopo partita, passando dalle immagini degli spogliatoi fino ai commenti da bordo campo. A dire il vero questo pacchetto non è stato uno dei più contesi dalle pay-TV, infatti la Lega Calcio lo aveva lancia- to sin dallo scorso anno e solo dopo numerose riaperture del bando sono arrivate offerte concrete. Nel primo bando la Lega indicava come cifra minima ben 15 milioni di euro a stagione, mentre secondo alcune indiscrezioni Mediaset sarebbe scesa a circa 3 milioni a stagione per aggiudicarsi il pacchetto C. Non pensiamo che gli abbonati Sky siano particolarmente delusi dal non vedere più i giocatori in mutande negli spogliatoi o sentire banali interviste ai giocatori alla fine del primo tempo, più grave invece perdere gli interventi dei commentatori a fianco delle panchine. In fondo questo pacchetto C è sempre sembrato più che altro un modo per monetizzare ogni istante di una partita, tuttavia è sempre un contenuto aggiuntivo che ora Sky non potrà più mostrare ai propri abbonati. Tra le pieghe del pacchetto C però ci sono altri punti importanti, per esempio il fatto che solo l’assegnatario di questo pacchetto potrà fare riprese in 3D e soprattutto in 4K per la trasmissione sulla piattaforma terrestre e satellitare. Ma non è finita qui perchè tra le esclusive di Mediaset rientrano anche le immagini d’archivio dei campionati già disputati. In pratica non potranno più essere mostrate da altre televisioni nemmeno le immagini dei gol o il classico servizio breve con gli high-lights di una partita. Per le prossime tre stagioni sono al di fuori dell’esclusiva i primi otto giorni successivi a ogni gara. Questa nuova ulteriore esclusiva però non riguarda le partite disputate da Empoli, Juventus, Roma, Sassuolo e Torino che tratteranno direttamente con le pay-tv i diritti per le proprie immagini. Ora resta da vedere se le trattative in corso tra Sky e Mediaset, nonché le indagini della magistratura, porteranno a situazioni concrete diverse. ENTERTAINMENT ENTERTAINMENT Appena chiuse le specifiche UHD Alliance, Fox proporrà l’home video in Ultra HD Fox pronta per l’home video Ultra HD e HDR Lo studio offrirà i nuovi titoli con master 4K e High Dynamic Range, in streaming e in Blu-ray F di Paolo CENTOFANTI ox è uno dei principali promotori della UHD Alliance, tanto che il presidente dell’associazione Hanno Basse è proprio lo stesso chief tecnology officer di 20th Century Fox. Non stupisce più di tanto allora che lo studio cinematografico ha annunciato che sarà il primo a proporre per l’home video tutti i propri nuovi contenuti in Ultra HD e HDR. I primi film dovrebbero diventare disponibili verso fine anno, presumibilmente in streaming (Netflix e Amazon) e Ultra HD Blu-ray Disc, non appena la UHD Alliance e la Blu-ray Disc Association rispettivamente pubblicheranno le specifiche per l’HDR. La UHD Alliance è l’associazione la cui formazione è stata annunciata allo scorso CES di Las Vegas, proprio con lo scopo di definire delle specifiche comuni per la futura distribuzione di contenuti in Ultra HD su molteplici piattaforme di- torna al sommario gitali. Oltre alla risoluzione 4K ci sono altri parametri infatti da definire per una supporto globale da parte dell’industria, quali l’HDR appunto, ma anche lo spazio colore wide gamut, audio 3D e l’eventuale supporto per high frame rate. Gli standard già ci sono, ma è questione di individuare quali adottare per avere il massimo dell’interoperabi- lità. Durante il CES 2015, dimostrazioni dell’HDR erano state effettuate con due titoli Fox, Life of Pi (in apertura) ed Exodus. La UHD Alliance è stata formata da DIRECTV, Dolby, LG, Netflix, Panasonic, Samsung, Sharp, Sony, Technicolor, The Walt Disney Studios, Warner Bros. Entertainment, oltre naturalmente a 20th Century Fox. Roland Garros in HDR e Dolby AC-4 France Télévisions ha annunciato che il torneo di tennis del Roland Garros viene trasmesso in 4K attraverso un canale di test satellitare in DVB-S2 all’interno del pacchetto FRANSAT e in DVB-T2 tramite il ripetitore sperimentale di TNT sulla Tour Eiffel. In entrambi i casi si parla per il video di codifica HEVC, ma la sorpresa viene dall’audio: per la prima volta viene testato il Dolby AC-4, evoluzione del Dolby Digital che offre un incremento del 50% nell’efficienza di compressione. La produzione del Roland Garros sta testando anche altre tecnologie. Come per la recente finale di Coppa Italia, alcuni match del torneo saranno ripresi in HDR come parte di una sperimentazione in collaborazione con Sony. Altro test riguarda le riprese a 360 gradi per la riproduzione su visori di realtà virtuale come il Samsung Gear VR e la Cardboard di Google. Alcuni estratti delle riprese in Ultra HD saranno pubblicati sui canali YouTube del Roland Garros e di France TV Sport. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Partirà a fine anno la piattaforma di download (legittimo) di contenuti 4K Con Vidity si potranno scaricare film 4K Fox e Warner sono i fondatori, a cui si è aggiunta Universal. Solo Disney latita... per ora S di Emanuele VILLA econdo la documentazione ufficiale, Vidity è il brand consumer creato dalla Secure Content Storage Association, un consorzio di aziende hardware e di contenuti fondato a gennaio 2012 e comprendente nomi noti nel panorama dell’entertainment quali Warner Bros e 20th Century Fox oltre a SanDisk e Western Digital. In poche parole, Vidity è la piattaforma che permetterà il download (sì, download) legale di contenuti Ultra HD su diversi dispositivi e si affiancherà quindi ad altre modalità di fruizione 4K quali lo streaming e l’Ultra HD Blu-ray. Anche in questo caso, comunque, per vedere Vidity in azione occorrerà attendere la metà/fine di quest’anno. Fermo restando che per avere il successo sperato c’è bisogno che (almeno) tutte le major cinematografiche siano coinvolte nel progetto (al momento manca solo Disney, poichè anche Universal è scesa in campo), affinchè il sistema funzioni c’è bisogno di dispositivi Vidity-compliant, anch’essi previsti in uscita entro fine anno. Per il resto il meccanismo è molto semplice: si acquista un film/serie TV dallo store e si scarica il file “blindatissimo” in uno strumento di storage certificato Vidity (non per niente tra i fondatori figurano Western Digital e SanDisk), oppure in un dispositivo mobile come uno smartphone o un tablet; a quel punto lo si può riprodurre con tutti gli strumenti certificati, che andranno dai TV 4K agli smartphone, ai PC e via dicendo. Ma attenzione, per lo scaricamento e la riproduzione è necessario che l’apparecchio sia certificato, e questo sia per questioni tecniche, sia di protezione antipirateria. Le FAQ di Vidity sono molto chiare in proposito, specie per il 4K: per esperienze di riproduzione “premium”, come il 4K o il 1080p ad alto bitrate, è necessario hardware compati- bile Vivity per riprodurre il contenuto su smartphone, tablet, PC o Smart TV. Una delle caratteristiche su cui il consorzio punta molto è il fatto di non essere vincolato (post-scaricamento) alla connettività web e alle sue oscillazioni di qualità soprattutto durante gli spostamenti. Ovviamente si consiglia una connessione stabile e a banda larga poichè comunque è necessaria la fase di download, che va ridotta il più possibile. Non ci resta che attendere la seconda parte dell’anno, che tra streaming, Ultra HD Blu-ray, Vidity e affini, potrebbe essere finalmente quella dell’arrivo dei contenuti 4K. ENTERTAINMENT In Francia fissato il termine (aprile 2016) per il passaggio da MPEG-2 a MPEG-4 Dal 2016 la TV francese passerà all’MPEG-4 Le frequenze dei canali dopo il 50 verranno liberate per gli operatori telefonici. E in italia? I di Roberto FAGGIANO n Francia la decisione è ufficiale: dal 5 aprile 2016 tutte le emittenti televisive che trasmettono sul digitale terrestre dovranno passare dal codec MPEG-2 all’MPEG-4 AVC. Nella stessa data le frequenze di trasmissione superiori ai 700 MHz (corrispondenti dal canale 50 in poi) dovranno essere liberate e passeranno agli operatori di telefonia mobile, inizialmente nella sola regione della Ile de France (la zona dove si trova Parigi). Per il resto del territorio francese il passaggio agli operatori telefonici sarà progressivo tra l’ottobre 2017 e il giugno 2019. In Francia si calcola che siano circa 4 milioni gli utenti non ancora attrezzati con un TV o un ricevitore abilitato all’alta definizione e verranno studiate misure per facilitare il passaggio all’HD. Va specificato che in Francia tutti i canali nazionali più importanti vengono già diffusi in HD e quindi il provvedimento consentirà di eliminare gli “inutili” doppioni in definizione standard. E in Italia? Un passaggio all’MPEG-4 in tempi così brevi è impensabile, così come sgomberare i canali superiori al 50. Basta pensare che sono ancora attivi alcuni multiplex trasmessi sopra al 59 e lo spropositato numero di emittenti locali che combatte a colpi di interferenze reciproche nel resto della banda disponibile. In ogni caso bisognerà attrezzarsi perchè nelle zone confinanti con la Francia le emissioni su frequenze superiori ai 700 MHz creerebbero interferenze. Ma un piano della Rai c’è già, reso noto durante una conferenza SMPTE (Society of Motion Picture and Television Engineers). Nella foto che pubblichiamo (tratta da twitter) notiamo le sconcertanti date previste per l’evoluzione tecnologica: fino al 2022 si ritiene “impossibile” abbandonare l’MPEG-2 e che sarebbe uno spreco di banda il simulcast dei canali HD. Mentre forse, nel periodo 2022- 2027, si annuncia un “aumento” dei canali in alta definizione. Come dire che per i nostri televisori Ultra HD bisognerà cercare altrove le sorgenti giuste. Senza contare che nel 2027 i TV 4K saranno già pezzi da museo. Lo streaming pirata di Popcorn Time arriva anche via browser Dopo l’applicazione per Windows e le app per dispositivi mobile (iOS compreso) Popcorn Time arriva sul browser web Durerà poco? di Emanuele VILLA Bloccare la pirateria sembra essere sempre più difficile. Ci sono servizi di streaming illegale, come il noto Popcorn Time (che trasmette film on demand di ogni genere e natura) che sopravvivono a distanza di mesi/anni dal primo avvistamento e che si espandono a macchia d’olio. I film sono in inglese e quindi non particolarmente attraenti per il pubblico italiano, ma la semplicità di utilizzo del servizio (clicchi un tasto e parte il film, tutto tramite torrent) l’ha reso un’icona dello streaming “selvaggio” di contenuti cinematografici. Nel corso dei mesi Popcorn Time ha esteso il proprio target: prima con l’applicazione per Windows, poi con Android, alla fine è arrivata anche l’app per iOS che funziona con jailbreak ma anche senza. Infine, il passaggio finale: Popcorn Time sarebbe accessibile anche via Web mediante il servizio Popcorn in your Browser. Ciò significa poter vedere i film direttamente sul browser, senza doversi dotare di app ad hoc o installare nulla sul PC, una comodità notevole soprattutto quando non si è alla propria postazione. Resta solo da capire quanto sopravviverà. . torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Importanti novità per Spotify, che annuncia l’arrivo di contenuti non musicali Su Spotify arrivano video, podcast serie TV Spotify si evolve, offrirà anche notiziari, podcast e persino programmi TV, alcuni originali Annunciato il nuovo Spotify Running, con playlist automatiche da ascoltare a ritmo di corsa S di Paolo CENTOFANTI potify ha tenuto a New York un incontro con la stampa in cui ha annunciato importanti novità. Di fatto si tratta del più grande aggiornamento del servizio dal suo lancio, con l’introduzione non solo di nuove funzionalità ma anche di nuovi contenuti. Spotify non è più soltanto sinonimo di musica, ma anche di video, podcast, news e persino programmi TV. Durante l’evento Daniel Ek ha snocciolato alcuni dati sulla centralità che sta acquisendo Spotify nelle abitudini di ascolto in tutto il mondo: sono 25 miliardi le ore di musica ascoltate sulla piattaforma e ogni mese 2 miliardi di volte qualcuno scopre un nuovo artista grazie alle playlist create dai curatori del servizio. Ma ora è giunto il momento di andare oltre la musica e trasformare Spotify in una completa piattaforma di intrattenimento portando a bordo produttori di contenuti come MTV, Comedy Central, ABC, NBC, TED, Vice, BBC, ESPN e tanti altri. Ma come si inserisce tutto ciò nell’esperienza di ascolto di Spotify? Attraverso una nuova funzionalità, denominata Now, e che essenzialmente proporrà contenuti personalizzati per ogni momento della giornata: si sceglie l’attività che si sta svolgendo (ad esempio viaggiando verso il lavoro) e Spotify proporrà playlist personalizzate, ma anche podcast e contenuti video. Now sarà in grado di imparare i nostri gusti, inizialmente dalle playlist che abbiamo già realizzato e dalle nostre abitudini di ascolto, in seguito memorizzando le nostre attività sulla piattaforma. La musica continua a rivestire il ruolo da protagonista, torna al sommario LG mostra un TV OLED sottile 1 mm che si appende come un quadro LG mostra i progressi sul fronte degli OLED con un TV sottile come un foglio e che si appende alla parete con dei magneti Sale anche l’efficienza di produzione dei TV OLED di Paolo CENTOFANTI ma per quanto riguarda i contenuti video si va ben oltre come si può vedere dai nomi coinvolti e l’azienda ha deciso anche di investire in produzioni originali per il suo servizio con gli Spotify Originals. Queste novità arriveranno inizialmente negli Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Svezia e verranno gradualmente estese negli altri paesi nel corso dell’anno. I contenuti non sono l’unica novità di Spotify. La piattaforma di streaming ha deciso di introdurre infatti anche nuove modalità di ascolto, di cui il primo esempio sarà la nuova funzione Spotify Running. Innanzitutto, attivando la modalità running si aprirà un nuovo player che analizza tramite i sensori di movimento dello smartphone il nostro ritmo durante una corsa per proporre musica dal con il giusto tempo e in base ai nostri gusti. Se si cambia ritmo durante la corsa, la playlist verrà aggiornata automaticamente senza bisogno che l’utente debba intervenire. Ma per un’esperienza davvero ottimizzata per la corsa, Spotify è andata un Spotify Running, video passo oltre coinvolgendo il DJ Tiesto nella composizione di sei tracce audio specifiche per motivare i corridori, realizzate in un nuovo formato audio che adatta automaticamente la musica in funzione del ritmo della corsa. Non si tratta semplicemente di un adattamento del pitch e della velocità del tempo, ma di qualcosa di più dinamico e sofisticato, anche se non sono stati divulgati ulteriori dettagli. Spotify Running sarà disponibili da oggi anche in Italia, inizialmente su iOS e a seguire sulle altre piattaforme. Il servizio sarà integrato poi anche nelle app Nike e Runkeeper più avanti nel corso dell’anno. LG Display ha mostrato in Corea alla stampa un display OLED spesso appena 0,97 mm e con un peso di 1,9 Kg per una diagonale di 55 pollici, un formato tanto sottile e leggero da consentire di appenderlo agevolmente alla parete con dei semplici magneti. Si tratta chiaramente solo di un prototipo allo stato attuale, ma esposto a dimostrazione dei progressi fatti nell’ultimo anno dalla divisione OLED, il cui capo, Yeo Sang-deog, ha annunciato che l’efficienza di produzione sta velocemente crescendo ai livelli di quella dei pannelli LCD, un fattore chiave per l’abbassamento dei prezzi: “C’è voluto un anno e mezzo per raggiungere questo livello di rendimento nella produzione di OLED, mentre ce ne sono voluti quasi 10 per ottenere lo stesso risultato con gli LCD”. LG Display punta a vendere circa 600.000 pannelli nel 2015, che diventeranno 1,5 milioni nel 2016; il principale cliente è naturalmente la casa madre per i suoi televisori. A questo proposito, entro la fine dell’anno dovrebbe arrivare persino un 99 pollici, che andrà ad affiancarsi ai tagli da 55, 65 e 77 pollici. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Tra qualche settimana saranno diponibili nei negozi i primi TV Sony con Android Ecco tutti i prezzi dei nuovi TV Android Sony Si parte dagli 899 euro del 43” W808 agli 8999 euro del modello top di gamma da 75” 4K A di Robero PEZZALI bbiamo già approfondito le caratteristiche della gamma di TV Sony (qui i dettagli), elencando tutti i modelli che arriveranno sul mercato nei prossimi mesi. Siamo in grado ora di dare i prezzi dei primi modelli disponibili nei negozi, anche se come sempre la gamma arriverà un po’ scaglionata. La serie più abbordabile sarà la W80C e sarà disponibile nei tagli da 43” (899 euro), 50” (1099 euro) e 55” (1299 euro): avrà ovviamente Android TV, sarà Full HD 3D con processore X-Reality Pro e sarà dotata di telecomando One Flick Entertainment. Interessanti, per chi vuole uno schermo di grandi dimensioni non 4K e senza spendere troppo, i due modelli W85C: sono uguali ai W80C nelle caratteristiSONY W80C che ma hanno tagli da 65” e 75”: il 65” ha un listino di 1999 euro, il 75” di 2999 euro, non male per un “bestione” di queste dimensioni. Chi vuole un pannello 4K dovrà orientarsi sulla X83C: due modelli da 43” (1199 euro) e 49” (1499 euro) dotati del nuovo processore X1 e, appunto, del pannello Ultra HD. Questa serie è priva però di 3D e di Triluminous, presenti invece sulla X85C, disponibile in tagli da 55” (1999 euro), 65” (2999 euro) e 75” (4999 euro). Un occhio al design per la serie X90C: siamo di fronte ai TV con design Ultra Slim, un profilo di soli 4.9 mm nella parte alta: le caratteristiche sono 4K, SONY W85C Triluminous e 3D, i prezzi vanno dai 3499 euro del 55” ai 4490 euro del 65”. Chiudiamo con i top di gamma, dotati di design Wedge, Hi-Resolution Audio, Xtended Dynamic Range (aggiornabile a HDR) e Triluminous: il 55” X93C costerà 3499 euro, il 65” X93C 4490 euro. Per portarsi a casa l’enorme e incredibile 75” X94C dserviranno invece 8999 euro. SONY X93C TV E VIDEO LG ha dichiarato la ferma intenzione di aggiornare all’HDR i TV OLED EG9600/EG960 LG aggiorna alla tecnologia HDR i TV OLED L’aggiornamento arriverà solo quando le specifiche tecniche dell’HDR saranno finalizzate di Emanuele VILLA L a prossima frontiera tecnologica in ambito televisivo è l’HDR (HighDynamic Range), una tecnologia conosciuta da tempo in ambito fotografico e che potrebbe portare avanzamenti qualitativi importanti anche nel mondo del video. L’abbiamo appreso allo scorso CES di Las Vegas, constatando peraltro il “solito” problema dei contenuti e dell’assenza di un vero e proprio standard. Dal canto suo, LG decide di puntare sulla longevità dei propri OLED annunciando che i modelli di ultimissima generazione EG9600/EG960 verranno aggiornati alla riproduzione di contenuti HDR con un nuovo firmware. L’azienda non si sbilancia sugli altri modelli che potrebbero essere aggiornati in seguito e sulla data di rilascio dell’aggiornamento, che torna al sommario arriverà “quando le specifiche tecniche dell’HDR saranno finalizzate”. Probabilmente ne riparliamo in autunno, sicuramente dopo l’IFA di Berlino. LG, interpellata da Forbes in proposito, ha risposto che “la tecnologia OLED è perfettamente adatta a mostrare contenuti HDR a causa della sua capacità di mostrare neri perfetti e contrasti infiniti [...] L’aggiornamento firmware permetterà agli utenti di godere dei contenuti HDR in streaming tramite le app presenti nella Smart TV LG o mediante altri device via interfaccia IP”. Da questa affermazio- ne si deduce, ma anche qui occorrono delucidazioni ufficiali in merito, che gli OLED in questione possano non essere compatibili con l’HDR via HDMI 2.0a, che poi è quello che verrà impiegato dai futuri Ultra HD Blu-ray. Ovviamente siamo in una fase iniziale del processo, e non ci resta che attendere sviluppi... Nasce TivùLink tutte le app in una schermata Nuovo servizio TivùSat Sul canale 100 arriva TivùLink, una pagina con tutte le applicazioni on demand disponibili sulla piattaforma Per accedere ai servizi basta il collegamento a internet di Emanuele VILLA Dal 28 maggio gli utenti TivùSat hanno a disposizione un nuovo canale: andando nella posizione 100 troveranno TivùLink, una schermata dalla quale accedere a tutte le applicazioni rese disponibili dalle diverse emittenti. Per usufruire del servizio è necessario avere un decoder Tivùsat con bollino HD e/o TivùOn oppure di un TV con cam TivùSat e tessera abilitata ai collegati al web. Dal canale 100, per accedere ai servizi desiderati basta semplicemente usare i tasti direzionali del telecomando. Sulla schermata si può scegliere da una colonna posta a sinistra il fornitore di servizi on demand tra Rai, Mediaset e La7 oppure avere subito sott’occhio tutti i servizi disponibili. Con questa iniziativa gli utenti TivùSat potranno avere a disposizione tutti i programmi Rai della settimana precedente con Rai Replay oppure le edizioni quotidiane dei Tg regionali Rai e le notizie sportive di Rai Sport. Mediaset mette a disposizione il servizio Rewind per rivedere programmi già trasmessi, i notiziari di TGCom24 e Sport Mediaset oppure i contenuti di Infinity per gli abbonati. Per La7 c’è la possibilità di vedere le puntate trasmesse dei programmi più importanti tramite OnDemand. . H Super garanzia L P n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE HIFI & HOME CINEMA Nella serie 79 manca l’aggiornamento con il Dolby Atmos e il DTS:X Amplificatori Yamaha, novità in arrivo A-S1100 è l’amplificatore stereo di alta gamma, ispirato al modello superiore anche nel prezzo Rinnovata anche la gamma media dei sintoampli home theater, con Bluetooth e Wi-Fi di serie L di Roberto FAGGIANO a tradizione Yamaha nel mondo dell’alta fedeltà è stata fortemente rilanciata dalla coppia A-S2100 e CD-S2100 (qui la nostra prova completa), eccellente nelle prestazioni e con l’inconfondibile estetica dei modelli entrati nella storia del marchio. Ora Yamaha accontenta le richieste degli audiofili verso un modello di amplificatore più accessibile: il nuovo A-S1100 (1.699 euro, foto a destra in alto) è a tutti gli effetti una versione lievemente semplificata del modello A-S2100, rispetto al quale si perdono solo gli ingressi bilanciati ma si mantengono tutte le particolarità tecnologiche e l’ottimo livello costruttivo. Identica pure l’estetica in versione nera o silver con fianchi in legno. Ritroviamo quindi la potenza di 2x90 watt su 8 ohm oppure 2x150 watt su 4 ohm (0,07 THD), finali mosfet, circuitazione bilanciata e completamente separata per i due canali, alimentazione sovradimensionata, ingresso per giradischi con testine MM o MC su scheda separata e a stadi discreti, controllo del volume elettronico e terminali per i diffusori in metallo pieno. Tra le connessioni si è rinunciato come anticipato all’ingresso bilanciato, ma non si è perso nulla in versatilità, compresa la separazione pre-finale. Di conseguenza anche il prezzo è solo di poco inferiore al 2100, ma comunque pur sempre qualcosa in meno. Il nuovo amplificatore sarà disponibile da giugno. Per quanto, invece, riguarda la nuova serie 79 dei sintoamplificatori HT di gamma medio-bassa, Yamaha colma una lacuna verso i concorrenti includendo i collegamenti senza fili Bluetooth e Wi-Fi, per i quali finora si doveva ricorrere ad accessori esterni. Tutti i nuovi modelli, escluso il modello base RX-V379, hanno la connessione di rete senza fili e la compatibilità con la musica liquida fino ai migliori DSD da 5,6 MHz. Altri miglioramenti tecnici sul video invece partono dal modello RX-V679. Saranno invece YAMAHA A-S1100 torna al sommario delusi gli appassionati dalla mancanza della compatibilità con il Dolby Atmos e il dts:X, che Yamaha riserverà ai soli modelli della serie Aventage in arrivo più avanti. Nessuna modifica nemmeno alla gamma di lettori Blu-ray. Il nuovo top di gamma RX-V779 (749 euro) sarà disponibile da luglio, ha potenza di 95 watt per canale (8 ohm, 0,06% THD) ed è compatibile con HDCP 2.2 e segnali 4K 60p (4:4:4) in pass through oltre al’upscaler integrato. Per l’audio vengono utilizzati convertitori D/A Burr Brown da 192 kHz con piena compatibilità fino a musica DSD 5,6 MHz. Il Wi-Fi integrato è del tipo b/g/n e non manca l’AirPlay per i dispositivi Apple. Il sistema di autocalibrazione YPAO è del tipo avanzato multipoint con funzione RSC (controllo dei suoni riflessi). Ampissima la versatilità con sei ingressi e due uscite HDMI, altri ingressi digitali e analogici, giradischi compreso. Il sistema DSP permette di ricreare gli effetti di diffusori Surround posteriori virtuali. Il modello RX-V679 (649 euro), disponiYAMAHA RX-V779 bile da luglio riprende tutte le caratteristiche del modello superiore ma con potenza inferiore, di 90 watt per canale (8 ohm, 0,06% THD) e la compatibilità con il 4K 60p è solo su due prese HDMI. Semplificati anche gli ingressi analogici. Il modello RX-V579 (549 euro) sarà disponibile da giugno è un 7.2 con potenza di 80 watt per canale (0,09% THD, 6 ohm), connessioni Wi-Fi e Bluetooth, convertitori Burr Brown compatibili con musica DSD, ingressi HDMI con 4K pass through e compatibilità HDCP 2.2, sistema di calibrazione YPAO e Virtual Rear Surround. Scendiamo un altro gradino con l’RXV479 (449 euro), il campione del rapporto qualità/prezzo disponibile da giugno e modello di ingresso per quanto riguarda le funzioni di network player con Wi-Fi e Bluetooth. La potenza è di 80 watt per canale (0,09% THD, 6 ohm), ma rispetto al modello superiore i canali sono solo i classici 5.1 e si perdono i diffusori Surround posteriori virtuali. Sempre abbondante la disponibilità di ingressi con sei prese HDMI e una in uscita. Il modello base RX-V379 (340 euro), disponibile da fine mese, è un 5.1 con 70 watt per canale (0,09% THD, 6 ohm) senza connessione di rete ma con Bluetooth, sistema di calibrazione automatico YPAO, front surround virtuale e compatibilità HDCP 2.2. Denon Heos Ecco il modello portatile Denon amplia verso il basso la gamma di diffusori multiroom Heos. Il nuovo “1” può diventare portatile e impermeabile grazie al kit Go Pack di Roberto FAGGIANO Denon completa verso il basso la gamma di diffusori Heos con il modello 1 (249 euro), il più piccolo della serie. Si integra con gli altri modelli della serie (qui il nostro test completo) e ha le medesime caratteristiche tecniche, come ingresso USB per riproduzione diretta da chiavette musicali e ingresso ausiliario minijack per altre sorgenti musicali. La particolarità è la possibilità di renderlo portatile e impermeabile con il kit aggiuntivo Go Pack (99 euro) che comprende una batteria ricaricabile con sei ore di autonomia e un ricevitore Bluetooth integrato in una chiavetta USB. La batteria si fissa alla base del diffusore con una guarnizione in silicone con certificazione IPX4 che protegge gli ingressi e rende il diffusore adatto all’utilizzo in ambienti umidi. Gli Heos 1 utilizzano un sistema a due vie con un midwoofer e un tweeter a cupola, pilotati da un amplificatore digitale in classe D con circuito DSP ed equalizzatore. I diffusori si controllano tramite l’applicazione del sistema e possono essere abbinati per creare un sistema stereo. Heos 1 e Go Pack saranno disponibili da giugno in versione nera o bianca e ci sarà anche una promozione per avere il pacchetto completo a 299 euro. Denon ha anche annunciato l’arrivo del modello soundbar per l’estate; con questo diffusore una coppia del modello 1 potrà riprodurre gli effetti Surround e formare un vero sistema home theater. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE PC Il miglior computer desktop mai realizzato da Apple, così l’azienda definisce il suo iMac 5K Apple rinnova MacBook Pro 15’’ e iMac 5K Apple lancia i nuovi MacBook Pro da 15 pollici con grafica AMD e Trackpad Force Touch Annunciato l’iMac 5K da 27”, prezzo da 2.329 euro, ma il modello entry non ha il Fusion Drive A Si chiamerà North West Studio e sarà un team di sviluppo dedicato a Project Morpheus, il nuovo VR headset che Sony ha in cantiere per il 2016 di Roberto PEZZALI pple completa l’aggiornamento della gamma di MacBook Pro: dopo aver aggiornato i modelli da 13” arrivano ora i nuovi 15”, un update atteso che migliora addirittura l’autonomia aumentando di un’ora la durata della batteria. La novità maggiore è la sostituzione del trackpad meccanico con il nuovo trackpad Force Touch, ma Apple non si è limitata a questo: il controller e le memorie SSD sono state sostituite con quelle usate nel MacBook da 12” e Apple parla di velocità 2.5 volte maggiore rispetto ai modelli attuali; poi, la batteria garantisce 9 ore di navigazione web e c’è una nuova scheda grafica discreta, con la scelta che cade su AMD con la Radeon R9 M370X. La nuova scheda grafica, a detta del produttore, ha prestazioni superiori dell’80% rispetto alla NVIDIA GeForce che equipaggia il modello in gamma fino a oggi. I prezzi non cambiano, anche perché Apple li aveva già alzati qualche mese fa a causa del rafforzamento del dollaro senza cambiare le specifiche dei prodotti: MacBook Pro 15” con display Retina è disponibile con processore Intel Core i7 quad-core a 2,2 GHz, 16 GB di memoria, unità flash da 256 GB e grafica Intel Iris Pro a un prezzo a partire da €2.299. La versione top con un processore Intel Core i7 quad-core a 2,5 GHz, 16GB di memoria, unità flash da 512 GB e grafica AMD Radeon R9 M370X ha un prezzo a partire da €2.849 IVA inclusa. L’iMac con schermo 5K (qui la nostra prova) ora costa meno: un nuovo modello annunciato qualche giorno fa porta il prezzo di listino a 2.329 euro, non molto se si considera il costo del solo pannello Retina con resa fotografica eccezionale. Philip Schiller, Senior Vice President Worldwide Marketing di Apple, ha dichiarato che “I clienti amano il rivoluzionario iMac con display Retina 5K e oggi, con un nuovo prezzo di partenza inferiore, ancora più persone potranno provare il miglior computer desktop che abbiamo mai realizzato”, ma ha dimenticato di dire che per raggiungere questo prezzo Apple ha levato quella che a nostro av- di Michele LEPORI viso è una componente fondamentale, il disco fusion Drive da 1 TB, sostituendolo con un disco di tipo tradizionale. Il nuovo modello entry integra un processore Intel Core i5 quad-core a 3,3 GHz, grafica AMD Radeon R9 M290 e 8 GB di memoria oltre alle due porte Thunderbolt 2 con un’ampiezza di banda fino a 20 Gbps. Il modello top di gamma, con Fusion Drive, resta posizionato a € 2.629 con un processore Intel Core i5 quad-core a 3,5GHz e grafica AMD Radeon R9 M290X. PC La novità di SanDisk andrà a mettersi in diretta concorrenza con gli hard disk meccanici SanDisk promette SSD allo stesso prezzo degli HDD In estate arriveranno gli SSD Z400s di SanDisk, soluzione entry-level dal costo contenuto di Paolo CENTOFANTI S anDisk ha annunciato l’imminente arrivo delle unità a stato solido Z400s, che saranno contraddistinte da un prezzo di vendita al dettaglio praticamente analogo a quello di un HDD di pari capacità. La notizia è di quelle che fanno tremare i mercati poiché, evidentemente, è la conseguenza di una “svolta” a livello di processi produttivi: SanDisk ha sicuramente trovato il modo di abbattere i costi, da cui indubbi vantaggi per gli acquirenti. Anche se non ci troveremo torna al sommario Sony apre lo studio di sviluppo per giochi VR di fronte a soluzioni dalle performance mostruose (si parla di 549/330 MB/s in lettura/scrittura sequenziale su interfaccia SATA 3.2), avremo comunque a che fare con unità più veloci (20x) e affidabili (senza parti meccaniche) in grado di offrire prestazioni decisamente superiori e consumi pari a 1/20 rispetto a quelli di un HDD normale. Il prodotto sarà disponibile nei form factor M.2 2280 e mSATA e avrà capacità che andranno da 32 GB fino a 256 GB. Pur essendo pensati per esser montati all’interno di notebook o mini-PC, nulla impedirà agli acquirenti di installarli anche all’interno di configurazioni desktop standard, magari anche solo per dare una spinta al sistema operativo. SanDisk ha fatto la sua promessa ma, alla fine, non ha ancora parlato di prezzi: manterrà la parola? Il 2016 sarà l’anno di Oculus VR e di tutto il carrozzone realtà virtuale applicata all’intrattenimento videoludico, ma Sony non vuole lasciare il solo casco di Facebook sotto le luci della ribalta e dal cuore della vecchia Europa è pronta a lanciare l’offensiva su PlayStation 4 con Project Morpheus, il casco VR da gaming definitivo (forse). Sony ha aperto in quel di Manchester North West Studio, una succursale di Sony Computer Entertainment che avrà come mandato lo sviluppo di Project Morpheus e di giochi ad esso correlati. Il Sony London Studio, secondo fonti di Eurogamer, sarebbe già da un po’ al lavoro sul progetto ma Sony si guarda bene dal confermare e per bocca di un portavoce si limita a confermare l’esistenza di NWS e che “…in esso potrebbero confluire membri dello Studio Evo, arrivati dopo la ristrutturazione dello stesso, anche se in questo momento ci stiamo occupando di cercare ed assumere le persone giuste”. Tempo al tempo, quindi: in fondo, il 2016 sta arrivando ma Sony ha tutto l’interesse a centrare il bersaglio piuttosto che arrivare per prima senza ottenere i successi di cui ha bisogno in uno dei pochi settori col segno “+” a bilancio... n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO C’è il rischio, secondo Faggin, che la tecnologia pseudo-intelligente possa essere usata contro l’uomo Intervista a Faggin, inventore dei microchip “Computer intelligenti come uomini? Favole!” L’inventore del microprocessore non crede che la sua creatura possa arrivare a somigliare, per intelligenza, all’uomo Ha realizzato una fondazione per dimostrare che l’intelligenza artificiale “senziente” è solo un sogno irrealizzabile “L di Gianfranco GIARDINA a consapevolezza è qualcosa di molto lontano dalle macchine: chi vi racconta che l’intelligenza artificiale si avvicinerà a quella umana, vi racconta favole”. A pronunciare queste parole è Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, dal palco del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. L’occasione è l’inaugurazione della mostra Make in Italy, dedicata a 50 anni di invenzioni e innovazioni frutto delle menti italiane. Parole che hanno l’effetto di un pugno nello stomaco per la platea che è composta in larga parte da tecno-entusiasti. La notizia c’è: l’inventore del microchip sta dicendo che la sua invenzione non riuscirà mai in quello che da decenni scrittori di fantascienza immaginano, il computer innovare in ambito tecnologico. “senziente”. Taglia diretto Faggin: “Non conosciamo La mostra è ben allestita e organizzata: neppure come funziona il cervello umano: come ponon grandissima, era già stata presentata, tremmo trasferire gli stessi meccanismi a una macchiseppur in versione ridotta, a Roma qualna?”. Federico Faggin da qualche anno non ha più una parte attiva sul fronte della progettazione, ma dopo aver che mese fa alla Maker Faire. La mostra è accessibile con il normale biglietto di approfondito tra le altre cose i temi legati alle reti neurali in alcune ricerche di Synaptics, società da lui fondata, accesso al museo nei normali orari di è convinto che ci siano interessi forti che non vogliono apertura (da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19, con “raccontarla tutta” sulle reali (limitate) possibilità dell’inchiusura ritardata alle 21 il sabato). Inspiegabilmente almeno per noi - la mostra prosegue anche in Expo altelligenza artificiale. Per questo ha creato una fondazione, la FagginFoundation, che è l’interno del padiglione Telecom tesa a provare scientificamente Italia: il visitatore non può certo “Non conosciamo neppure come iniziare la visita da una parte e che il libero arbitrio, le emozioni e la consapevolezza umani non funziona il cervello umano: come finirla dall’altra. possono essere sintetizzati nel potremmo trasferire gli stessi mec- Il pezzo più attuale tra quelli silicio e in righe di codice: “Sto canismi a una macchina?” esposti è la macchina del caffè lavorando con un matematico con la quale Samantha Cristofoper definire un processo formale che dimostri che la retti ha preparato, qualche giorno fa, un espresso sulla consapevolezza non può essere trasferita alle macchistazione orbitante internazionale: si tratta un macchinario molto complesso perché deve realizzare l’infusione ne. In nessun caso”. a pressione in condizioni di microgravità, in cui i liquidi Come interessante, anche se non molto vasta, è la monon se ne vanno verso il basso. Tra i pezzi più interesstra Make in Italy inaugurata in questi giorni: si tratta di una rassegna di 50 anni di invenzioni italiane a sfondo santi, tornando molto più indietro nel tempo, la mitica altamente tecnologico, un viaggio che ci ricorda che Programma 101 di Olivetti, una macchina accreditata siamo stati capaci (e per certi versi lo siamo ancora) di come il primo personal computer: si tratta più che alvideo lab Intervista a Federico Faggin DDay.it intervista l’inventore del microchip torna al sommario tro di un calcolatore elettronico programmabile, una macchina incredibile se si pensa che ha visto la luce nella prima metà degli anni ’60. E ovviamente, anche i processori inventati da Federico Faggin: l’intel 4004, il primo mai realizzato, e la sua evoluzione a 8 bit, l’8008, progenitore di tutta la famiglia degli x86. A margine dell’inaugurazione, Faggin parla anche di innovazione e della capacità di inventare. Per Faggin gli ingredienti base sono tre: il più importante è il coraggio, dato che le forze che vogliono mantenere le cose com’erano prima sono molto potenti; poi viene la visione, senza la quale non si sa verso quali obiettivi muoversi; e solo in fondo c’è l’aiuto della tecnologia. “Nell’innovazione – conclude Faggin – le cose più importanti sono i valori umani. Ed è per questo che molte volte le aziende troppo grandi e organizzate non sono più capaci di innovare”. Messaggio chiaro per i colossi della Silicon Valley che oramai da anni innovano più per acquisizioni di startup che per progetti interni. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO La Svizzera ha ben esemplificato il tema dell’Expo, peccato per il risultato Expo, progetto Svizzera troppo ideologico Dopo 18 giorni esaurito un quarto delle scorte di mele e acqua previste dall’allestimento Facendo due conti si capisce che non è il pubblico a esagerare ma le scorte troppo scarse I ReVault, primo cloud storage indossabile ReVault si presenta come smartwatch ma è una memoria cloud in grado di interfacciarsi con dispositivi mobili quali iOS, Android e Windows Phone ma anche con OS desktop quali OS X, Windows e Linux. Potrà essere accoppiato con smartphone, tablet e computer per eseguire automaticamente il backup via Wi-Fi o Bluetooth senza nessun costo di connessione. È disponibile per il pledge su Indiegogo dalla versione entry level 32 GB da 169 dollari ma sul mercato arriverà anche la premium da 128 GB: arriveranno a casa (se la campagna avrà successo) a partire dal gennaio 2016. Con un telaio che contiene idrogeno e un leggero generatore fuel cell, Horizon Unmanned Systems sostiene di aver risolto il problema dell’autonomia di volo dei droni portandola da minuti a ore di Gianfranco GIARDINA n tanti (anche noi) hanno trovato lo svolgimento del tema Expo da parte della Svizzera decisamente bello: riserve di mele disidratate, acqua, sale e caffè liofilizzato limitate e stivate in quattro torri; i visitatori possono prenderne quante ne vogliono, ma devono essere consapevoli che potrebbero non bastare per i prossimi visitatori. Infatti, lo slogan che campeggia sul padiglione è proprio un eloquente “Ce n’è per tutti?”. Si tratta forse della migliore esemplificazione del tema della manifestazione. A margine della giornata dedicata proprio alla Svizzera, è arrivata la dura notizia: circa un quarto delle riserve sono andate in fumo nei primi 18 giorni di manifestazione. E ci si immaginano orde di “accaparratori” noncuranti del prossimo; e ovviamente, fuor di metafora, ci si immagina un futuro di carestie e catastrofi. Nella nostra attività di “fact checking” abbiamo provato a mettere insieme qualche numero tra quelli resi pubblici dagli organizzatori: sarebbero stati “bruciati” 105mila porzioni di mela su 420mila che compongono la scorta e 88mila bicchieri d’acqua su 350mila. Tanti, dicono gli organizzatori, troppi: così facendo in poco torna al sommario Hycopter Drone a idrogeno con 4 ore di autonomia di Paolo CENTOFANTI più di due mesi le scorte saranno finite. Cosa si chiede alle 7000 persone che, in media, ogni giorno hanno visitato le torri svizzere? Evidentemente di non “servirsi” affatto: infatti, in 18 giorni hanno visitato il padiglione circa 125mila persone, che, mediamente, non solo non hanno “arraffato” ma hanno anche evitato di prendere. Per non parlare di sale e caffè, che non potendo essere consumati in loco, hanno riscosso ancora meno successo. Noi stessi, cercando un approccio corretto e rispettoso del prossimo, abbiamo bevuto un bicchiere d’acqua e preso una porzione di mele, sale e caffè, pensando così di essere stati rispettosi. E invece no: viene da pensare che le scorte siano calcolate per esaurirsi ben prima della fine della manifestazione. Basti pensare che la Svizzera si aspetta circa 3 milioni di visitatori al proprio padiglione. Così il sogno dell’ispirata interpretazione svizzera del tema Expo finisce in mille pezzi: si vuole dare a tutti i costi la notizia shock che i visitatori non si sono dimostrati responsabili e che l’effetto per il nostro Pianeta sarà la “devastazione”; la stessa che inevitabilmente metterà in scena il padiglione svizzero nel secondo trimestre di Expo. Con queste scorte, strutturalmente insufficienti, però la buona idea svizzera si trasforma solo in ideologia. Peccato. GADGET Il progetto nasce da un’idea di una startup italiana Aria controlla lo smartwatch a gesti A di Emanuele VILLA ria è un piccolo accessorio che si installa nel cinturino degli smartwatch e permette di gestirne le funzioni via gesture. Dietro c’è una startup italiana ma per averlo tra le mani c’è prima bisogno di sostenere una campagna su Kickstarter. Aria è un prodotto stand alone che si installa nella parte interna del cinturino degli smartwatch e “scompare” al suo interno, aumentando lo spessore dell’orologio solo di qualche millimetro. È stracolmo di sensori e, previa associazione di funzionalità dell’orologio a gesture specifiche, permette il controllo dello smartwatch senza mani. Secondo i realizzatori, necessita solo di una calibrazione e il gioco è fatto: l’apparecchio è in grado di riconoscere il movimento delle cinque dita, le cui associazioni mettono in atto le gesture riconosciute dall’apparecchio. Questo, dotato di un profilo metallico per non sfigurare negli smartwatch più belli, è composto da una piccola striscia di silicone, che è l’unico materiale a diretto contatto con la pelle: la comunicazione con lo smartwatch avviene mediante Bluetooth LE e la compatibilità è quindi indipendente dal sistema operativo: i vari modelli Android Watch e Apple Watch sono tutti supportati. Clicca qui per il video. La maggior parte dei droni ha un’autonomia di volo intorno ai 20 minuti a seconda del peso e del carico; il problema è sempre il solito: le batterie. Una nuova azienda, Horizon Unmanned Systems, promette ora di rivoluzionare il mercato dei droni con Hycopter, il primo UAV alimentato a idrogeno e fuel cell. L’idea è quello di utilizzare lo stesso telaio del drone, per immagazzinare l’idrogeno: bastano 4 litri di gas per avere un’autonomia di volo di 162 minuti, che diventano 112 minuti con un carico di 1 kg, comunque molto di più di un normale drone. Entro la fine dell’anno, però, HUS punta a dimostrare la capacità di Hycopter di effettuare un volo di addirittura 4 ore. Il generatore a celle di combustibile è stato realizzato dalla società gemella Horizon Energy Systems ed è in grado di produrre 1414 Wh di energia con un “pieno” del costo di circa 7 dollari. HES ha sviluppato infatti una tecnologia di celle a combustibile con una densità di energia di 700 Wh/Kg, che ha consentito di ridurre il peso della propulsione a bordo del veicolo e ogni grammo in meno si traduce in più autonomia o più capacità di carico. Hycopter è stato presentato all’AUVSI trade show di Atlanta a inizio maggio. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE APP La nuova applicazione di Adobe al momento ha il nome in codice di Project Rigel Photoshop Touch rinasce come Project Rigel L’applicazione di fotoritocco Photoshop Touch di Adobe eliminata dai principali app store Ma al suo posto arriverà un nuovo software di fotoritocco ancora più potente e versatile di Paolo CENTOFANTI A ddio Photoshop Touch. Una delle prime sortite di Adobe in ambito mobile va in pensione per lasciare il posto a una nuova app che sarà più potente e versatile. Per ora non ha ancora un nome, se non quello in codice di Project Regel, e un’anteprima di quello che potremo aspettarci è stata pubblicata da Adobe nella forma del seguente video. Come si può vedere si tratta di un’app di fotoritocco la cui principale caratteristica sembra essere la capacità di manipolare senza problemi immagini anche da 50 Megapixel. Da quello che si evince da questa breve dimostrazione, l’app erediterà il motore di riparazione di Photoshop e offrirà i principali strumenti che ci si aspetta di trovare in un software di questo tipo. Guar- dando bene la semplice interfaccia si possono scorgere i pennelli, il timbrino clone, tool di deformazione, scherma e brucia e così via. Sicuramente potremo aspettarci inoltre il supporto per la libreria fotografica di Creative Cloud e con ogni probabilità, come tutte le altre app recentemente lanciate da Adobe, anche questa sarà gratuita, con però molte funzioni riservate ai soli abbonati al servizio cloud. Photoshop Touch resterà pienamente funzionante per coloro che lo hanno già installato. APP Cortana arriverà su Android e iOS Microsoft ha confermato: presto Cortana uscirà dai confini del mondo Windows per abbracciare i competitor più agguerriti, Android e iOS. Microsoft mette un ulteriore tassello nel progetto di espansione dell’ecosistema in previsione di Windows 10: Cortana sarà integrata nel sistema operativo di casa Microsoft, quello che molti useranno su notebook o PC di casa, perché dunque non estenderne le funzionalità al mondo mobile? Tra Siri e Google Now non si può dire che i competitor manchino di assistenti smart, ma sarà comunque possibile provare Cortana e metterlo a confronto col sistema nativo valutando chi meriti di più. L’idea è far uscire Cortana in tempi diversi e sotto forma di app singola: per Android giugno, per iOS la seconda parte dell’anno. Microsoft ha sottolineato che ci saranno le medesime notifiche e che si potranno fare a Cortana le stesse domande che vengono rivolte dagli utenti Windows Phone, senza particolari limitazioni. torna al sommario APP Si tratta della nuova app di video streaming di Twitter Periscope ora è anche su Android A Twitter vuole comprarsi Flipboard? Secondo quanto pubblicato da Re/Code, Twitter avrebbe portato avanti trattative sin da inizio anno per una possibile acquisizione di Flipboard. Secondo le indiscrezioni, l’operazione prevederebbe uno scambio azionario che valuterebbe Flipboard un miliardo di dollari, ma le trattative avrebbero raggiunto al momento una fase di stallo. È interessante notare che il co-fondatore di Flipboard, Mike McCue, è stato membro del consiglio di amministrazione di Twitter fino al 2012, quando il social network ha cominciato a integrare anteprime degli articoli allegati nei Tweet, una situazione che cominciava a mettere per certi versi in competizione i due servizi. Detto questo non è chiara la strategia dietro a questa possibile acquisizione, visto che Flipboard non è un prodotto che possa essere integrato in Twitter o favorire più di quanto non faccia già oggi una crescita della base di utenti del social network. A fine aprile il titolo di Twitter aveva subito pesanti perdite sulla borsa americana dopo la pubblicazione di dati di crescita sotto le aspettative degli investitori. di Paolo CENTOFANTI due mesi dal debutto avvenuto su iOS, Periscope, l’app di video streaming di Twitter, è disponibile anche su Android. Si tratta di un’applicazione che permette a chiunque di trasmettere un video in diretta dal proprio smartphone con estrema semplicità: basta infatti inquadrare, premere registra e siamo in onda in tutto il mondo. I video possono essere pubblici, cioè visibili da tutti gli utenti di Periscope, oppure da solo un insieme dei “follower” degli utenti e l’autore della trasmissione può scegliere alla fine della registrazione se lasciare il video visibile in differita per 24 ore per chi se l’è perso. Periscope per Android è compatibile solo con le versioni 4.4 e superiori del sistema operativo e offre anche qualche funzione in più rispetto all’app per iOS: controllo più granulare sulle notifiche e soprattutto la possibilità di ritornare direttamente al video che si stava vedendo se interrotti da una chiamata tramite un widget che compare sulla home screen e il salvataggio automatico dei broadcast senza dover ricaricare il video sulla rete come avviene da iPhone. L’app e il servizio sono gratuiti e non è necessario avere un account Twitter per provarla. MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST L’installazione è abbastanza semplice, buono il media player integrato che riproduce anche il formato MKV e i file di rete In prova Sky Online TV Box: ecco come funziona Il set top box di Sky Online è veloce e pratico, soffre solo le limitazioni di Sky in fatto di applicazioni e l’assenza dell’HD P di Roberto PEZZALI iccolo, compatto e economico, solo 49 euro. Sky con lo Sky Online TV Box prova ad avvicinare gli italiani che mai hanno preso in considerazione una pay TV ad un concetto per loro nuovo, ovvero pagare per accedere ai contenuti senza avere un vincolo annuale. Il servizio Sky Online, già da tempo disponibile, rimane però lo stesso: prezzi, pacchetti e tecnologia non cambiano, la sola differenza è che si ha un dispositivo in più attivabile nel proprio account, lo Sky Online TV Box, per l’appunto. Si tratta di un piccolo box che si collega direttamente al TV e che risulta facile da utilizzare grazie al pratico telecomando. Lo abbiamo provato, una prova rapida per un set top box a base Roku, che viene da anni usato e apprezzato anche oltre oceano. Il Roku che viene venduto e distribuito da Sky Italia tuttavia non è un normale Roku: il design ricorda infatti quello del Roku 1 e rispetto al Roku 3 mancano alcune funzionalità come il telecomando con giroscopio e jack per le cuffie. Sky si è fatta realizzare da Roku un prodotto personalizzato sia sotto il profilo hardware sia sotto il profilo software, con un ambiente brandizzato dove non sono disponibili tutti i canali (così vengono chiamate le app da Roku) che sono invece disponibili per il modello liscio. Oltre all’app di Sky Online a bordo ci sono Vimeo, Redbull TV, Spotify, Vevo e una serie di altri canali free, ma manca all’appello per esempio Youtube, che probabilmente viene visto da Sky come un competitor. C’è, e questo è un bene, il Media Player per file locali e in rete: sul lato del box infatti c’è una porta USB per i contenuti e sul retro una piccola card microSD per espandere la memoria esterna (ma non serve in questo caso). Installazione semplice con qualche trappola Installare il set top box è semplice e Sky ha fatto di tutto per rendere la cosa indolore e immediata: nella scatola infatti è presente sia il cavo HDMI sia le batterie per il telecomando, e l’unico assente volendo essere pignoli è il cavo di rete. Assenza comunque di poco conto, anche perché nella maggior parte dei casi si sfrutterà il Wi-Fi integrato. La procedura di installazio- video lab ne del set top box è facile e guidata passo passo, al termine dei quali l’utente si trova davanti all’interfaccia finale aggiornata. L’unico elemento da gestire a parte è l’iscrizione a Sky Online per chi non ha un account e l’accreditamento sul proprio profilo del mese gratuito e del mese aggiuntivo. All’interno della scatola è stato inserito un piccolo tagliandino che garantisce 30 giorni a solo un euro, ma quello del mese gratuito è un po’ difficile da trovare. Anche noi, inizialmente, pensavamo che il mese venisse accreditato al collegamento del set top box, in realtà il coupon del mese è quel tagliando incollato sopra la scatola di cartone con il codice stampato sul retro. Senza una scritta “gira qui” o una indicazione chiara capire che quel piccolo tagliando nasconde sul retro il codice è davvero difficile trovarlo d’istinto. La seconda cosa che crea un po’ di difficoltà è l’utilizzo di “O” e di “0” nei codici dei coupon: facile per i meno esperti confondere le due cifre. Segnaliamo infine che il coupon da 1 mese incluso non si autorinnova, mentre quello da 1 euro per altri 30 mesi implica l’inserimento nel profilo di un sistema di pagamento (PayPal o carta di credito) e si autorinnova al prezzo di listino dopo un mese se non si da disdetta. tuati a guardare solo la TV e i DVD si troveranno di fronte allo stesso livello qualitativo che trovano anche quando affittano un DVD in videoteca o guardano un film su Canale 5 o Rai 1. Tutti noi vorremmo di più, ma le motivazioni di questa scelta le ha ben spiegate nella nostra intervista Riccardo Balestiero, Head of OTT and New Media di Sky Italia e capo del progetto. La qualità dei canali lineari, invece, è davvero terribile. Media Player compatibile MKV e DLNA L’app è veloce Per la qualità bisogna accontentarsi Il codice per ottenere il mese gratuito è nascosto dietro questo tagliando sulla scatola. L’applicazione di Sky Online è sufficientemente veloce e abbastanza intuitiva da navigare, con una struttura simile a quella degli altri canali. Il servizio funziona decisamente bene: pochissimo buffer e il contenuto parte subito, senza rallentamenti di sorta. Per fruire di Sky Online basta una ADSL da 2 Mbit, anche perché come ricordiamo i contenuti non sono in alta definizione: il set top box esce a 720p e 1080p, ma lo stream di Sky è una definizione standard in qualità DVD comunque con un livello di compressione accettabile. Chi è abituato a vedere in HD si accorgerà subito della bassa qualità dei contenuti, tuttavia la maggior parte degli utenti abi- Oltre a Sky Online e ai canali scelti da Sky sul set top box è presente anche Roku Media Player, un player per contenuti audio, video e foto che funziona sia in locale, quindi con file caricati sulla chiavetta USB, sia in rete, quindi da computer o da un eventuale NAS segue a pagina 27 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Secondo un report del Wall Street Journal, Apple avrebbe abbandonato da tempo l’idea di produrre un TV Apple voleva produrre un TV 4K. Ma l’ha abbandonato... Processo costoso e difficoltà nel creare qualcosa di diverso. Apple TV resta in vita, attese novità per lo streaming video S di Massimiliano ZOCCHI i è parlato a lungo della possibilità di un ingresso di Apple nel mondo dei televisori, e in realtà per un certo periodo pareva che la cosa fosse quasi fatta. Un report del Wall Street Journal torna sull’argomento e ci dice che Cupertino ha definitivamente cambiato rotta: possiamo dunque dire addio alla iTv prima ancora della sua nascita. Per molto tempo gli uomini di Steve Jobs prima, e di Tim Cook poi, hanno cercato un’idea che desse vita a un prodotto davvero originale, che potesse proporre qualcosa di magari già visto ma pur sempre “reinventato”. Secondo il WSJ, le strade percorse sono state diverse, dalla possibile implementazione di FaceTime, passando per il 4K e per fu- turistici display trasparenti. Ma nessuna di queste idee avrebbe garantito il livello di innovazione desiderato, oppure semplicemente non avrebbe generato utili considerevoli a causa del mercato TV in forte contrazione. Così il progetto per un mela-TV è stato messo nel cassetto, forse per sempre. Tuttavia gli analisti si dicono certi che Apple non abbia abbandonato l’idea di contagiare i salotti di casa tramite una nuova versione della Apple TV, per la quale lo stesso Cook non ha mai nascosto una certa simpatia. Si vocifera che il nuovo set top box avrà diverse novità rispetto al passato, a cominciare da un AppStore integrato e la possibilità di controllo tramite Siri. Ma il colpo da 90, atteso al prossimo WWDC, è una sorta di Internet TV che permetta uno streaming video in collaborazione con diverse emittenti (per ora i nomi sono dei soliti noti su suolo americano, ABC, CBS, Fox...), il tutto condito con la possibilità di installare direttamente le app ma senza dimenticare la questione domotica e Apple HomeKit. Insomma la nuova Apple TV avrebbe le carte in regola per diventare un vero e proprio hub casalingo. Vedremo a breve cosa Apple ha davvero in serbo per noi. TEST Sky Online TV Box segue Da pagina 26 esterno. Nella sua semplicità il media player è velocissimo a indicizzare le library e a scorrere i contenuti in rete ed è ovviamente compatibile con materiale a 1080p. Roku Media Player supporta file in formato MKV, MP4 e MOV, musica in AAC, MP3, WMA e Flac e immagini in formato Jpeg, GIF e PNG. I contenuti non compatibili vengono nascosti automaticamente. Da segnalare che il set top box non include i decoder Dolby Digital e DTS: se si guardano file con traccia audio multicanale l’HDMI dovrà essere collegato ad un TV o ad un decoder che possono effettuare la decodifica. Installare Plex su Sky Online TV Box Abbiamo detto che Sky ha blindato lo “store” per inserire solo i canali da lei selezionati, ma in realtà è possibile aggiungere una applicazione senza che Sky lo voglia. che in poche parole non ci da Sky può arrivare con questo cavallo di troia. E se per l’HD si pagasse di più? Sul set top box è infatti disponibile una modalità “sviluppatore” che si attiva premendo una sequenza di tasti ( home – home – home – su - su- destra – sinistra – destra – sinistra – destra) con la quale si può caricare una e una sola applicazione. torna al sommario Noi abbiamo scelto di caricare Plex (le istruzioni sono sulla pagina ufficiale) e il client funziona davvero bene. Plex, oltre ad accedere a tutta la nostra library di film e musica, ci permette anche di accedere ai vari plugin come per esempio Youtube e Twitch. Quello Sky Online è sicuramente un buon servizio e con il box diventa un servizio completo. Sotto il profilo dei contenuti ovviamente si può sempre migliorare, ma qui entrano in gioco problemi più complessi legati ai diritti. Quello che invece sta stretto è la qualità: da anni ci dicono che la pirateria si combatte con la qualità ma la qualità di alcuni contenuti su Sky Online è inferiore a quella che si può trovare scaricando pirata da Internet. Forse, come già accade con il normale Sky, è il caso di far pagare un po’ di più a chi vuole vedere tutto in HD e ne ha le possibilità. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Un prodotto riuscito, perfetto per gli utenti “moderati”, non ideale per i fotoamatori e per coloro che scattano con la reflex Google Foto in prova: infiniti video e foto in cloud ed è tutto gratuito. Il solito “miracolo” di Big G Il nuovo servizio/app per archiviare, gestire e condividere il proprio patrimonio di immagini e video appoggiandosi al cloud La solita magia di Google: tutto gratuito e con spazio infinito, a patto di scendere a qualche compromesso sulla qualità di Gianfranco GIARDINA oogle cerca di mettere ordine nelle foto. Non in quelle presenti su Web, ma nelle foto personali degli utenti, che spesso sono sparse su tanti supporti e device e che altrettanto spesso si perdono o sono pericolosamente duplicate su tanti apparecchi. La soluzione, presentata ufficialmente a Google I/O 2015 ma già anticipata nei giorni scorsi, è Google Foto. In questa prova, ecco cosa fa Google Foto e le nostre impressioni di utilizzo. G Una specie di “Google Drive” ma per foto e video La prima cosa da dire è che Google Foto non è un social: la condivisione è possibile ma non certo automatica; e non è questo lo scopo principale del sistema. Di fatto i server Google si candidano a diventare la cassaforte digitale delle nostre fotografie: l’utente può infatti facilmente caricare tutte le proprie foto e i propri video da qualsiasi device (ovviamente anche da più di uno). Il caricamento può essere manuale o addirittura impostato perché sia automatico: tutte le foto che arrivano sul PC, tramite chiavette, schede o altri sistemi vengono processate; lo stesso dicasi per tutte le foto che vengono scattate con smartphone e tablet su cui è caricata la app gratuita: tutto il materiale viene inviato al server Google e converge, per certi versi si auto-organizza, nello spazio destinato all’account dell’utente. Quest’ultimo può rivedere le proprie foto e i propri video in qualunque situazione, sincronizzare i propri device per avere le foto su tutti, anche offline, e condividere le immagini sui social, anche con operazioni “massive”. La condivisione va anche ben oltre i social, visto che l’utente può semplicemente decidere di condividere alcune foto o interi album con altre persone, non necessariamente utenti Google e comunque non iscritti né a Google+ né ad altri social: infatti, la gallery o gli altri elementi, se condivisi, possono essere fruiti in una qualsiasi torna al sommario finestra del browser, basta conoscere il link. Google Foto è un servizio che, come da tradizione Google, è multipiattaforma: accessibile quindi da PC e Mac via browser (ma c’è anche un tool che permette sincronizzazioni automatiche) e da device mobile Android e iOS, non quindi limitato al solo mondo di “Big G” (anche se Windows Phone è, ancora una volta, trascurato). Caricare le fotografie è facilissimo: basta trascinarle sulla finestra del browser e il resto lo fa il sistema. ovviamente se non si è già attivato il sistema di caricamento e backup automatico: in tal caso non c’è neppure da trascinare i file. Spazio illimitato e gratuito, ma solo con decremento di qualità Lo slogan alla base di Google Foto è “spazio illimitato e gratuito”, frase ricorrente nella presentazione al Google I/O 2015. In effetti è vero: lo spazio che l’utente occupa con le fotografie e con i video, non va a intaccare i 15 GB che normalmente Google mette a disposizione degli utenti gratuiti per mail e spazio file. A un patto, però: che si scelga la modalità “alta qualità” e non quella “originale”. Attenzione, la modalità “alta qualità” è sicuramente più che accet- tabile, ma è peggiore rispetto a quella originale: va chiarito perché il termine di per se stesso induce un po’ di confusione. Quando si carica in “alta qualità, infatti, il sistema, durante il caricamento, procede a un rescaling della risoluzione riportando innanzitutto l’immagine a 16 Megapixel e poi operando una compressione jpeg un po’ più aggressiva. Facciamo un esempio reale: abbiamo provato a caricare un’immagine jpeg da 36 Megapixel e precisamente da 7360x4912 con un peso di 13,3 MB; una volta caricata in modalità “alta qualità”, l’immagine è diventata precisamente da 16 Megapixel (4896x3268) con una dimensione file da 2,8 Megapixel: la compressione finale è quindi ben superiore a quella iniziale. Se, invece, si vogliono caricare le immagini in originale si intacca il proprio spazio Google e i 15 GB di base si riempiono velocemente: toccherebbe quindi, volendo espandere la capienza, acquistare spazio cloud di Google che, pur essendo più economico di quello di Apple, ha costi non trascurabili: per avere 100 GB, che si fa presto a riempire con le foto e con i segue a pagina 30 n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Google Foto segue Da pagina 29 video, bisogna sborsare circa 25 dollari all’anno. Un servizio di questo tipo va ovviamente bene per l’utente molto “disimpegnato”, che scatta prevalentemente con smartphone e sotto i 16 Megapixel: in tal caso ci sarà una ricompressione pesante dei file (che però sono già molto compressi) e nessun rescaling. Difficile che un fotografo appassionato o un utente attento alla qualità possa usare la modalità “gratuita” di Google Foto come proprio sistema di archiviazione e backup degli scatti: al di là del rescaling a 16 Megapixel, c’è anche il problema della ricompressione. Gli originali vanno comunque conservati su un proprio hard disk e quindi la “semplificazione” dell’archivio centralizzato cloud viene un po’ a perdersi, mentre resta intatta la funzione di sistema per la condivisione con gli amici delle immagini. Interessante il fatto che il sistema, oltre a gestire i classici jpg, png e bmp, accetti anche i principali formati RAW. Attenzione, però, al fatto che non si tratti di file troppo grandi: sopra qualche MB di dimensione l’usabilità del sistema precipita. Anche i video possono essere importati come “originali” o in “alta qualità”, ma qui la soglia di “accettabilità” del formato Alta Qualità, è fissata alla risoluzione Full HD 1080p, quindi quasi ai massimi. Certo, ci sono smartphone capaci di catturare video in 4K (almeno dal punto di vista formale), ma spesso il decremento qualitativo dettato da uno scaling a 1080 partendo da questo tipo di materiale neppure si vede. Va comunque tenuto in conto che il sistema faccia una ricodifica dei filmati con i medesimi codec utilizzati su YouTube per ridurne lo spazio di occupazione. La ricerca e l’organizzazione delle foto: bella ma si può fare meglio L’utente può cercare nella propria libreria gli elementi secondo diversi criteri: luoghi, cose e tipi, oltre che torna al sommario ovviamente per parole chiave. Per selezionare i luoghi, il sistema si basa sui metadati di geolocalizzazione, se presenti, come già visto in moltissime applicazioni. La selezione delle “cose” è più interessante e sofisticata: il sistema riconosce automaticamente alcuni oggetti e ne raggruppa le foto coinvolte. Nel nostro caso Google Foto ha isolato “cibo” e “spiagge”, radunando per ognuna delle due categorie una dozzina di foto: carino, ma da verificare meglio riguardo agli errori commessi, sia che si tratti di falsi positivi o falsi negativi. Per quanto riguarda i tipi, il sistema auto-raggruppa alcune tipologie omogenee come i video o le “creazioni”, che vedremo più avanti. Sembra che ci sia tutto quello che serve: e allora perché riteniamo che si possa fare meglio? Perché Google Foto fa già meglio, implementando anche un sistema di riconoscimento automatico dei volti e associazione ai nomi (simile a quello recentemente implementato dalle ultime versioni di Adobe Ligthroom), ma non in Italia, almeno per il momento. Il perché la funzione di riconoscimento volti sia stata limitata solo ad alcune nazioni non ci è chiaro; probabilmente - ma è solo un’ipotesi - per limitare il carico elaborativo dei server, visto che la ricerca dei volti viene perfezionata a livello centrale e non periferico. Il pezzo forte: condividere con gli amici è troppo facile Google in questo caso ha scambiato un po’ di sicurezza con la comodità di utilizzo: la condivisione degli album può essere fatta molto facilmente creando un link da inviare agli amici: al link corrisponde di fatto un minisito con tutte le foto e i filmati selezionati aperto e liberamente consultabile senza account, login o adesione a qualche social. Si tratta di una soluzione fantastica per velocità e “compatibilità” pressoché universale; unico difetto è che a un estraneo basterebbe entrare in possesso del link per accedere liberamente allo slideshow in questione. In questo esempio abbiamo condiviso alcune fotografie in modo da dimostrare il risultato finale ottenibile: facile e immediato, quello che ci vuole per la grande maggioranza degli utenti. L’utente può in un secondo tempo gestire i propri link condivisi, decidendo quali lasciare “vivi” e quali eliminare. Editing e correzioni di base a portata di tutti Abbiamo visto in passato molte app di elaborazione ed editing fotografico abbastanza facili da usare e molto potenti. Google Foto offre alcuni tool di ritocco fotografico davvero di base ma semplicissimi da usare. In particolare, c’è il reframing, che permette di ritagliare e ruotare le immagini a piacere. C’è poi la classica correzione tonale, declinata sui classi parametri di luminosità, saturazione e vividezza, oltre ché l’utilizzatissima vignettatura. Il miglior risultato, la maggior parte degli utenti lo otterrà con la scelta “automatico”, che applica i classici “auto- segue a pagina 31 n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Google Foto segue Da pagina 30 livelli” in un attimo; il tasto “confronta” permette all’utente di vedere al volo la differenza tra com’era la foto e come è diventata: chiunque in questa condizione può sperimentare e creare delle belle cose procedendo per tentativi. Infine, c’è la possibilità di applicare degli stili più “creativi” all’immagine, scegliendoli tra una tavolozza di una ventina di preset. Spazio alla creatività assistita con le “storie”, i “filmati” e le “animazioni” e i “collage” Il creativo professionista si sente costretto tra template e vincoli vari. Ma l’utente comune trova in questo Google Foto un ottimo strumento anche per “creare” qualcosa di nuovo e piacevole con le proprie foto e i propri video in maniera facilissima e assistita. Oltre ai classici Album, gli oggetti che si possono creare sono diversi, dalle “storie”, veri e propri minisiti HTML5 con gli elementi prescelti, alle animazioni GIF; dai filmati composti da foto e video, ben montati e sonorizzati automaticamente, fino ai “collage”, dei composit delle immagini selezionate. Queste interessanti funzioni, però, non sono disponibili nel browser ma solo sulle app e quindi non possono essere sfruttate su PC. Partiamo dalle storie: basta selezionare una serie di elementi foto e video e attivare la procedura di creazione “storia”. Il sistema costruisce un’applicazione HTML5 a pieno schermo che permette di navigare in orizzontale le foto e i video e può essere opportunamente personalizzata (anche se non troppo). Alla fine l’utente può decidere di condividere la storia così creata con gli amici: viene generato un link che punta a un server di Google e che permette di visualizzare la “storia”. In questo esempio, una storia che abbiamo creato in meno di un minuto. I “filmati” sono veri e propri montaggi video creati sulla base di filmati di partenza e/o fotografie. In questo caso l’utente ha di fronte tante personalizzazioni possibili, come poter cambiare l’ordine degli elementi, la musica di sottofondo (il montaggio sarà a ritmo), lo stile di immagine. Il video finale può essere poi condiviso, anche con un link aperto, o caricato sui principali social. Tanto per fare qualche esempio di “personalizzazione”, abbiamo realizzato tre filmati sulla base degli stessi materiali. Clicca qui per i tre video: video 1, video 2, video 3. Come dicevamo, poi è possibile condividere il singolo video anche direttamente dai server di Google Foto, come noi abbiamo fatto a questo link. Il sistema poi propone automaticamente delle “animazioni”: se trova una sequenza di fotografie in cui riconosce il medesimo sfondo e il movimento di un soggetto in primo piano, monta le immagini in una gif animata. Noi non abbiamo dovuto fare niente: a un certo punto la app ci ha notificato di aver montato torna al sommario un’animazione “spontaneamente” dopo aver analizzato le foto nel catalogo. La stessa operazione può essere compiuta manualmente, chiedendo al sistema di combinare due o più scatti già presenti nel nostro catalogo. Infine, è possibile unire due o più foto in un collage, che si autocompone e che nella maggior parte dei casi, come per miracolo, si presenta armonico. Tutti questi elementi possono essere poi salvati, per rivederli nel proprio Google Foto e, se si vuole, condivisi con gli amici. Come iniziare ad usare Google Foto Per usare Google Foto, la condizione necessaria e sufficiente è disporre di un account Google. Non serve che l’account sia stato abilitato all’utilizzo di Google+: Google Foto non è un social e non ha nulla a che vedere con Google+, anche se quest’ultimo aveva al proprio interno delle funzioni di gestioni del catalogo di immagini, ma puramente finalizzato alla condivisione. Malgrado ciò, se l’utente ha già attivato un account Google+, si troverà al suo ingresso in Google Foto precaricate le foto che eventualmente l’utente avesse già inserito nel social network. Per accedere da browser a Google Foto basta andare all’indirizzo http://photos.google.com. I device Android e iOS, invece, trovano l’applicazione gratuita Google Foto all’interno dei rispettivi Marketplace. Sempre sul sito di Google Foto è possibile trovare anche i programmi per Windows e per Mac per l’attivazione del backup automatico delle fotografie, in maniera simile a quanto fa il programma desktop di Google Drive. Le conclusioni: Google Foto, perfetto per fare ordine negli archivi degli utenti moderati Google Foto è la risposta di “Big G” alla rinnovata applicazione Foto di Apple. Una risposta ben fatta che arriva diretta allo stomaco del concorrente, dato che supera i limiti della soluzione di Apple e, come fa sempre Google, cerca di cambiare le regole. I limiti di Apple Foto sono evidenti: innanzitutto la consueta chiusura a piattaforme diverse da quelle Apple; e poi il fatto che, a colpi di fotografie e video, non ci vuole tanto a riempire i miseri 5 GB offerti gratuitamente da Apple. Google va oltre perché supporta anche iOS, oltre che Android, e soprattutto ha tirato fuori dal cilindro la capienza infinita e la gratuità completa, per lo meno se si accetta la riduzione (invero assai limitata) di qualità. E questo è il vero elemento qualificante. Inoltre, il sistema di condivisione aperta con un semplice link è a prova di neofita e non mancherà di avere successo. I widget creativi sono carini, ma probabilmente non decisivi per decretare il successo del servizio. Quindi, un prodotto riuscito, perfetto per fare il backup automatico delle foto scattate con lo smartphone e ideale per gli utenti “moderati”, che potranno affidare a Google Foto il loro intero archivio fotografico. Di certo non è il prodotto ideale per il fotoamatore e per chi scatta con la reflex, se non per gestire la condivisione con gli amici di alcune “collezioni” ma non certo per organizzare il proprio archivio: per questo scopo, sul target del fotoamatore, Adobe Lightroom resta ancora imbattibile, anche se meno aperto alla libera condivisione. In fondo va anche tenuto conto che Google Foto è un sistema puramente cloud: se di dispone di una normale ADSL (normalmente lenta in upload), quando si torna a casa da un weekend con qualche GB di fotografie, va messo in conto un tempo non trascurabile per fare il caricamento delle immagini su Google Foto. Poi resta l’ombra relativa al perché Google faccia questo ennesimo “regalo” ai propri utenti (difficile chiamare dei non paganti “clienti”): il fatto che la stessa app riconosca automaticamente gli oggetti sulle foto lascia pensare che la nostra fototeca verrà usata per capire ancora qualcosa in più su nostri gusti e abitudini. Informazioni che con certezza tutti gli utenti “moderati” lasceranno serenamente nelle mani di Google (in maniera più o meno cosciente) pur di avere il servizio totalmente gratuito. Infine, desta qualche preoccupazione il fatto che su Google Foto gli utenti possano caricare (e poi condividere con un link aperto) contenuti protetti da diritto d’autore: Google in passato si era dimostrata un po’ disattenta nel bloccare pratiche di questo tipo proprio su un server di archivio fotografico come Picasa. Vedremo come andrà a finire questa volta. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Da Motorola e Sony due dispositivi di fascia entry dotati di schermo dalle medie dimensioni e con fotocamera da 5 Megapixel Moto E 2015 e Xperia E4G, tanta qualità a basso prezzo Due smartphone con diversi punti in comune, tra cui la connettività LTE, ma anche qualche differenza: ecco la nostra prova di Roberto PEZZALI hi ha detto che per un buono smartphone bisogna per forza spendere 500/600 (e anche di più) euro di un top di gamma? Microsoft con i suoi ottimi Lumia ci ha insegnato che i numeri non sono fondamentali se ci sono reattività, velocità e tantissime funzioni. C’è però chi preferisce Android a Windows Phone, soprattutto per il maggior numero di applicazioni presenti sullo store, e abbiamo così deciso di fare una prova di due modelli Android di fascia entry che, per caratteristiche e blasone, sono probabilmente tra i migliori modelli acquistabili sul mercato. Uno è il Moto E 2015 di Motorola, recentemente rinnovato e dotato di connettività LTE e di Android Lollipop, l’altro è il Sony Xperia E4G, anch’esso recentissimo e, come la sigla ricorda, dotato della connettività wireless di ultima generazione. Due smartphone molto simili tra loro ma anche due prodotti che potrebbero interessare a un pubblico leggermente diverso: il Motorola, con il suo schermo da 4.5”, lo Snapdragon 400 e l’ultima versione del sistema operativo Android, è nato per attrarre coloro che preferiscono uno smartphone semplice e privo delle personalizzazioni di Android; il Sony ha uno schermo più grande, 4.7”, ed è dotato di processore Mediatek, una soluzione che spesso viene definita economica ma che nasconde anche tante sorprese. La fotocamera da 5 Megapixel, minimo necessario per scattare buone foto destinate ai social network, è stata la scelta di entrambi i produttori ed è quello che ci si aspetta da smartphone di questo livello. C Ottimo grip e scocca robusta Moto E e Xperia E4G sono simili anche nell’aspetto: la caratteristica che li unisce è la finitura leggermente gommata della scocca, che resiste molto bene alle impronte e soprattutto assicura un ottimo grip. La presa è buona, nonostante le dimensioni, e la disposizione dei tasti è un pattern ormai collaudato con accensione e volume posti sullo stesso lato, il destro, scelta che penalizza leggermente i mancini. Xperia E4G, per mantenere un collegamento estetico con i modelli di fascia alta, è caratterizzato dal classico tasto di accensione in alluminio, ma è l’unico elemento metallico della scocca: entrambi, infatti, sono in solido policarbonato, scelta saggia per due prodotti di questa fascia. La costruzione è eccellente per entrambi, con un piccolo punto di vantaggio per il Motorola che, leggermente più piccolo, sembra anche più pratico da maneggiare. Per entrambi il jack per cuffie e auricolare esterno è posizionato nella parte alta, ed entrambi sono privi di tasto frontale: è tutto touch. Sotto il profilo costruttivo dobbiamo segnalare la scelta di integrare completamente la batteria nella scocca, batteria che quindi non è removibile: nel caso del Motorola di removibile c’è solo la piccola cornice che nasconde lo slot per la SIM e la microSD di espansione, mentre per Sony si rimuove tutta la cover. L’unica differenza tra Sony e video Motorola, tralasciando pesi e dimensioni, è la presenza nel Sony dell’antenna per l’NFC. Per le dimensioni e il peso, invece, ci troviamo davanti a uno spessore di 12.3 mm per il Motorola contro i 10.8 mm del Sony, che può contare su un peso di 135 grammi contro i 145 grammi dell’avversario. Schermi: manca l’HD ma non si può pretendere troppo L’utilizzo di uno schermo da 1280 x 720, ovvero HD, dovrebbe essere un dato di fatto per tutti gli smartphone, tuttavia uno schermo così risoluto rischia di rompere un delicato bilanciamento tra autonomia, prestazioni e memoria. Motorola e Sony hanno scelto di utilizzare uno schermo comunque IPS di buona qualità ma da 960 x 540 pixel, che sui 4.7” del Sony si lab può comunque parlare di risoluzione mediocre. Sony ha scelto di usare uno schermo molto luminoso, forse persino troppo: “leggibilissimo” anche sotto la luce solare diretta, questo schermo ha un picco di bianco notevole, sopra i 500 nits, cosa che sorprendentemente non ha un grosso impatto sull’autonomia. Il lato meno piacevole è un contrasto non eccezionale, con un punto di nero che ci ricorda di avere di fronte un LCD. Buonissima la calibrazione cromatica: il bianco è ben calibrato attorno ai 6420K e il gamut discreto per essere lo schermo di uno smartphone entry level. Lo schermo del Motorola è buono, offre un’immagine più compatta e meno luminosa ma ha un briciolo di contrasto in più. Rispetto al Sony, tuttavia, soffre maggiormente l’angolo di visione, con un abbattimento della luminosità intorno ai 50° di inclinazione. Mediatek contro Qualcomm: chi vince? traducono in 234 ppi mentre spalmati sui 4.5” del Motorola diventano 245 ppi. Certo, la risoluzione è bassa ma forse siamo noi che ormai ci siamo fatti gli occhi su schermi più definiti: i pixel sono visibili se avviciniamo l’occhio allo schermo e li andiamo a cercare, ma non si Per Sony e Motorola l’obiettivo da raggiungere era la realizzazione di un ottimo smartphone LTE a basso costo, e per farlo ovviamente hanno dovuto pesare i prezzi dei singoli componenti stando attenti a non esagerare. Sony ha pensato di utilizzare uno dei processori Mediatek più recenti, un SoC a 64 bit da 1.5 GHz con quattro core ARM A53, una GPU Mali T760 e 1 GB di RAM: una scelta dovuta probabilmente a un costo più basso di Mediatek rispetto a Qualcomm e alla necessità di avere una CPU un po’ più potente per gestire l’interfaccia personalizzata e Android Kit Kat, più “duri” da spingere di Android 5.0 Lollipop in versione stock. La scelta di Sony si è dimostrata giusta: Xperia E4G non è lo Z3 Compact ma non si comporta affatto male in termini di fluidità d’interfaccia, dimostrandosi sempre pronto e reattivo. La differenza prestazionale con smartphone più carrozzati si percepisce in fase di avvio delle app, dove quelle pesanti richiedono qualche secondo, e con molte finestre aperte dove un po’ di lag e qualche scatto si avvertono comunque. Considerando tuttavia l’uso che ne fanno le persone di uno smartphone così non abbiamo riscontrato problemi di sorta: la tastiera è rapida a comparire e il browser Chrome integrato segue a pagina 33 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Motorola Moto E 2015 e Sony Xperia E4G segue Da pagina 32 fluido anche nello scrolling di pagine piuttosto lunghe e impegnative. La memoria per le app è di 8 GB, ma solo 3,48 sono a disposizione dell’utente. La stessa quantità di memoria è presente anche sul Motorola e anche qui liberi ce ne sono 3,67 GB. Motorola a livello di prestazioni può trarre vantaggio dall’avere a bordo l’ultima versione di Android, Lollipop, decisamente più snella essendo priva di interfaccia custom; dal canto suo, il processore Snapdragon 400 quad core, abbinato a 1 GB di RAM, spinge davvero bene il piccolo smartphone. Come per Sony, anche Motorola soffre un po’ la memoria eMMC, lenta nell’avviare le app, ma per il resto siamo di fronte a performance eccellenti se rapportate alla fascia di prezzo. Smartphone Android di due o tre anni fa dal costo ben più alto non andavano così bene. Interfaccia liscia o personalizzata? Motorola è apprezzato dagli utenti Android per la presenza di un’interfaccia praticamente identica a quella Android stock, e anche sul Moto E troviamo Android Lollipop 5.0.2 senza personalizzazioni di sorta se non il pannello Moto con le impostazioni personalizzate di Motorola Assist, Moto Actions e Moto Display. Assist è una sorta di assistente automatico che regola i profili a seconda delle situazioni: in fase di riposo spegne il display per risparmiare energia mentre in riunione imposta una risposta automatica. Actions aggiunge una gesture per attivare rapidamente la fotocamera: basta impugnare lo smartphone e ruotare due volte velocemente il polso. Moto Display, infine, è una sorta di Glance che mostra le notifiche di una serie di app preselezionate anche a schermo spento. Poche cose, ma come abbiamo detto si cerca di mantenere il più possibile l’esperienza naturale e “materiale” di Android. Per Sony, invece, è tutto il contrario: l’interfaccia è basata su Android 4.4 Kit Kat ed è profondamente personalizzata sia per le app che per le icone. Ci troviamo davanti alla stessa Xperia UI vista anche su altri prodotti, con lo stesso look e le stesse app Sony, inclusa l’app Playstation. Una scelta, quella di Sony, più radicale ma che potrebbe piacere di più a chi preferisce avere moltissime opzioni regolabili (come ad esempio la calibrazione dello schermo). Solo 5 Megapixel e il risultato si vede Entrambi gli smartphone hanno una fotocamera da soli 5 Megapixel: il modulo è Sony per entrambi i modelli e non si può pretendere troppo in termini di resa, anche per le ovvie dimensioni della lente. Sony fa della fotografia uno dei punti di forza di Xperia e ha scelto di aggiungere anche un piccolo flash e una lente F2.8 di discreta qualità. L’effetto della lente lo si vede in molte foto, dove ai bordi sono un po’ impastate e prive di dettaglio. Sony applica anche una serie di filtri automatici alle foto, incluso un filtro di enhancement che carica un po’ il colore, soprattutto i rossi e i verdi. Da apprezzare la possibilità di registrare video a 1080p, l’HDR e anche L’interfaccia di Moto E senza personalizzazioni di sorta se non il pannello Moto un’interfaccia semplice con moltissime opzioni disponibili, forse troppe per un prodotto che non può essere annoverato tra i migliori camera-phone. Alla fine, dopo aver provato le diverse opzioni disponibili, si capisce che il Camera Auto è la scelta migliore in molte situazioni. La camera frontale, per i selfie, è da 2 Megapixel e riprende video a 720p. Per vedere qualche scatto fatto con il Sony clicca qui. Più semNel Sony E4G l’interfaccia molto personalizzata è basata su Android 4.4 Kit Kat plice e immediata la fotocamera del Moto E: non torna al sommario ha il flash, ha un’interfaccia di base ed è priva di video a 1080p: ci sono solo slow motion a 720p e ripresa normale HD. La fotocamera non è certo il punto forte del Moto E, anche se il reparto migliora rispetto al modello precedente: la camera frontale, che nel primo Moto E non era prevista, ora fa bella mostra integrata nella cornice sopra il display. Per vedere gli scatti fatti con il Motorola clicca qui. Buona autonomia e ricezione Chi sceglie uno smartphone di questo livello quasi sicuramente non bada troppo alle apparenze e vuole qualcosa che funzioni bene e non costi troppo. Siamo di fronte a una tipologia di utente che non arriva da un top di gamma, anzi, probabilmente il suo precedente telefono era un Nokia, un Samsung clamshell o un Android da meno di 100 euro che ormai, con il passare del tempo, è diventato inutilizzabile. Ecco quindi che autonomia e ricezione rivestono un ruolo fondamentale, e qui dobbiamo dire che grazie alla scocca in policarbonato, la ricezione è abbastanza buona, migliore anche di alcuni smartphone più blasonati dotati di design super slim e scocca in alluminio. Discreta la qualità audio delle chiamate, citofonico lo speaker integrato. Per quanto riguarda l’autonomia ci troviamo davanti a due smartphone che hanno un ottimo stand-by e una buona durata se si usano poco, ma che non passano le 12 ore con uso intensivo. Sony parla sempre di due day battery life, ma i due giorni si raggiungono se si usa lo smartphone come un cellulare, quindi solo quando serve. Se non si usa il 4G l’autonomia cresce, ma si guadagna comunque un’ora o poco più. Nel complesso riteniamo comunque molto buona l’autonomia dell’Xperia E4G. Simili prestazioni le offre anche il Motorola: se avesse una modalità di risparmio energetico più efficace probabilmente riuscirebbe a battere il Sony, ma all’atto pratico ha un’autonomia leggermente inferiore. Si riescono comunque a coprire tutte le ore della giornata restando al 12 - 15% circa. I discorsi sulla batteria lasciano comunque il tempo che trovano: basta un’app che usa molto la rete, un widget programmato male o un uso intensivo di giochi e video che tutte le stime e i calcoli crollano irrimediabilmente. Sony meglio per la fotocamera Moto X per il software Entrambi i dispositivi sono ottimi smartphone 4G entry level: difficile stabilire un vincitore, perché hanno tanti punti in comune e anche i difetti, quali possono essere lo scarso spazio disponibile, lo schermo non HD, la camera di modesta qualità e l’assenza di batteria intercambiabile sono comuni a entrambi. La stessa cosa vale per i plus: ricezione, chiamata, autonomia, fluidità dell’interfaccia e design li mettono sullo stesso piano, e le uniche differenze marcate riguardano la presenza di Android Lollipop sul Moto E (ma non è da escludere un update per il Sony) e di una fotocamera più completa sul Sony. Chiudiamo la nostra prova con i prezzi: 129 euro per il Sony Xperia E4G, 149 euro per il Motorola Moto E, e per chi sceglie un prodotto di questo tipo guardando al budget 20 euro di differenza sono tanti. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Asus prosegue con la serie di smartphone Android con processore Intel. Il rapporto qualità/prezzo non è da sottovalutare Prova Asus Zenfone 2: zen fuori, sprint dentro Top di gamma primo al mondo con 4 GB di RAM. Non mancano connettività LTE, NFC e fotocamera da 13 Megapixel di Andrea ZUFFI opo averne mostrato il prototipo a Las Vegas in occasione del CES 2015, Asus lancia anche nel nostro Paese la nuova generazione di Zenfone con display da 5.5 pollici, un formato che mancava nella precedente serie e che ricalca la scelta di Apple con iPhone 6 Plus. La gamma è composta da tre differenti versioni con altrettante dotazioni hardware. Si va dal modello di punta da 349,00 euro (modello ZE551ML) che integra un processore Intel Atom quad core a 64 bit da 2,3 GHz con 4 GB di RAM, al modello ZE550ML dotato di processore sempre quad core ma con velocità di clock da 1,8 GHz e 2 GB di RAM, disponibile al prezzo di listino di 249,00 euro. Esiste poi anche una versione “minore” che sarà venduta a 179,00 euro (modello ZE550CL) da 5.0 pollici con processore sempre Atom ma da 1,6 GHz, 2 GB di RAM e risoluzione dello schermo a 720p, contro i 1080p degli altri due. Zenfone 2, nella versione top di gamma dual-sim che è oggetto di questa prova, si rivolge a un target di utenti che amano personalizzare e gestire ogni aspetto del terminale e non vogliono rinunciare a specifiche tecniche all’avanguardia senza dover D video ab 349,00 l€ Asus Zenfone 2 QUALITÀ/PREZZO ALLE STELLE Zenfone 2 è un prodotto interessante, ben realizzato e con un software maturo e funzionale. È un po’ grande da maneggiare e trasportare, ma ha specifiche tecniche e “feature” da top di gamma. Processore Intel da 2,3 GHz, RAM da 4 GB, connettività LTE e fotocamera di buon livello ne fanno il terminale adatto agli utilizzi più disparati. Il display da 5,5” permette di giocare, guardare film e consultare email e allegati in tutta comodità. Navigare su web o leggere un ebook sono esperienze piacevoli che non fanno sentire troppo la nostalgia del tablet, specie se si vuole viaggiare leggeri senza rinunciare alle proprie abitudini. La gestione di due Sim permette un uso ancora più flessibile del terminale sia per far coesistere in un solo dispositivo lavoro e vita privata, sia per avere a disposizione due linee e sfruttare sempre la miglior copertura di rete o garantirsi la tariffa più adeguata. Nonostante qualche difetto perdonabile, come la batteria non rimovibile e l’autonomia non strabiliante, Zenfone 2 è consigliabile soprattutto in virtù dell’ottimo rapporto qualità/prezzo: con 349 € ci si aggiudica uno smartphone performante e completo sotto ogni punto di vista. 8.1 Qualità 8 Longevità 8 Design 8 Semplicità 7 D-Factor Prezzo 9 8 Processore fluido e RAM abbondante Tasti di navigazione non retroilluminati Rapporto qualità/prezzo COSA COSA NON CI PIACE Autonomia migliorabile Batteria non removibile CI PIACE Interfaccia software matura e personalizzabile sborsare cifre da capogiro: questo Zenfone vanta il primato di primo smartphone Android al mondo con RAM da 4 GB e rappresenta sul mercato un rapporto qualità/prezzo al momento eccellente. Chi si vuole dilettare con la configurazione spinta del dispositivo ed è disposto ad approfondire la filosofia di Asus, troverà nell’ormai matura ZenUI un’interfaccia ricca di possibi- lità e profondamente plasmabile. Proprio in virtù della grande “customizzazione” operata da Asus con ZenUI, Android 5.0 Lollipop c’è ma non si vede. Volendo valutare le alternative sul mercato, rimanendo nella stessa fascia di prezzo possiamo orientarci su LG G3 che, per poco meno di 400 euro offre display da 5,5”, ma 2 GB di RAM, Android Lollipop e che nella versione per l’Europa non è dual sim. Nel mondo Android e con doppia sim si potrebbe guardare all’U988 di Hisense, ma a fronte di un prezzo intorno ai 200 euro ci si ritroverebbe con un terminale da 5,5” con un processore da 1,2 GHz e 1 GB di RAM. Puntando a un differente sistema operativo, e tralasciando iPhone che è un altro pianeta, anche nel prezzo, si potrebbe guardare al Lumia 830 di Microsoft per il quale spendendo circa 270 euro si ha un terminale da 5” semplice e funzionale ma non dualsim. Paradossalmente per cercare il vero competitor di Zenfone 2 non è necessario andare molto lontano e basta rivolgersi alla versione da 2 GB di RAM dello stesso modello. A nostro avviso il produttore asiatico ha messo in atto una strategia interessante, attirando a sé l’attenzione di molti consumatori con un top di gamma dalle specifiche brillanti e dal prezzo non esagerato e offrendo agli indecisi e ai più parsimoniosi un’alternativa del medesimo brand, e lo stesso software per il quale, accettando di avere un processore un po’ più lento e la RAM dimezzata, ci si ritrova a veder dimezzato anche il prezzo. Non si dimentichi poi che, come ormai siamo abituati a vedere nel mondo dell’elettronica di consumo, a qualche mese dal lancio il prezzo reale subirà un “fisiologico” e provvidenziale assestamento verso il basso. Esperienza d’uso appagante per il primo “4 GB” Zenfone 2 è realizzato in materiale plastico ben assemblato e presenta la scocca posteriore bombata, di un colore grigio lavorato in modo da conferire l’aspetto di metallo spazzolato. La forma curvata del retro rende salda, oltre che comoda, l’impugnatura nonostante le dimensioni più che generose per uno smartphone. Il corpo è ben bilanciato e non si rivela troppo pesante, pur con i suoi 170 grammi. La curvatura diventa però fastidiosa quando si digita del testo con lo Zenfone 2 appoggiato su una superficie piatta come un tavolo: in questo caso occorre tenerlo fermo con l’altra mano altrimenti oscilla e si sposta ad ogni pressione. Lo spessore massimo è di 10,9 mm, quello minimo di segue a pagina 35 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Asus Zenfone 2 segue Da pagina 34 3,9 mm (ai bordi), mentre la cornice ai lati del display misura 3,3 mm. I tasti di navigazione posti sotto al display sono capacitivi e sorprendentemente non retroilluminati. Sulla parte alta a fianco della fotocamera secondaria per le videochiamate è posizionato un led di notifica ben più visibile di quello della generazione precedente di Zenfone. Sul retro trovano posto il flash dual led e il bilanciere del volume rispettivamente sopra e sotto l’obiettivo della fotocamera principale. Questa soluzione, che ricorda in modo molto evidente la scocca posteriore del G3 di LG, si rivela funzionale per alzare o abbassare il volume durante una conversazione, un po’ meno quando si impugna il dispositivo in modalità “landscape” per guardare filmati o per giocare, almeno fintanto che non ci si è fatta l’abitudine. Aprendo la cover posteriore, operazione necessaria per inserire le due sim e la scheda di memoria micro SD, ci si accorge che la batteria non è rimovibile, il che obbligherà a recarsi presso un centro assistenza per la sostituzione. Questo, Apple docet, non è ritenuto un limite per molti consumatori, tant’è che anche Samsung per il suo S6 ha scelto la stessa soluzione. Il tasto di accensione si trova invece sul lato superiore della scocca e si rivela piuttosto inusuale e scomodo. Tra i punti di forza di Zenfone 2 vi è sicuramente il display IPS da 5,5 pollici con risoluzione Full HD 1920x1080 pixel. La resa cromatica, la nitidezza e la luminosità sono eccellenti; si apprezzano i colori vivaci delle immagini e la fluidità con cui vengono riprodotti i filmati. Asus dichiara tempi di risposta del pannello touch di circa 60 millisecondi, umanamente difficili da stimare anche se l’esperienza di utilizzo e la reattività percepita sono più che ottime e senza lag. A dare protezione pensa la copertura Gorilla Glass 3 di Corning, mentre uno speciale trattamento della superficie riduce sensibilmente la frizione rendendo più scorrevoli i movimenti delle dita sul touchscreen. Dopo diversi giorni di utilizzo si inizia ad avere la sensazione che il potere anti-frizione vada ad affievolirsi. In generale, lo smartphone si destreggia senza problemi in tutte le situazioni di utilizzo: il multi-tasking non mette mai in crisi il processore e la quantità di RAM permette di lasciare in background molte applicazioni, compresi giochi che ne richiedono molta. Con 4 GB è infatti remoto il rischio che si debba chiudere un programma in esecuzione per mancanza di risorse. Anche dal punto di vista grafico il multi-tasking è piacevolmente rappresentato con schede in 3D a rotazione. È un peccato che su un display così grande non sia possibile mantenere aperte due distinte finestre affiancate. Il rendering delle pagine web offre un’esperienza di navigazione sempre scorrevole, sia con il browser predefinito che con Chrome. L’interfaccia ZenUI di Asus ha raggiunto uno stadio di maturità che migliora l’usabilità generale dello smartphone e ne permette l’estrema personalizzazione. Oltre alle funzionalità software da sempre presenti negli Zenfone, come What’s Next, Do It Later e la serie ZenLink (PC Link, Share Link, Remote Link e Party Link), è infatti possibile modificare l’aspetto complessivo del sistema in fatto di temi, caratteri e icone tramite gli Icon Pack scaricabili dal Play Store. Una funzione aggiuntiva denominata Cartelle Smart permette di raggruppare tutte le icone delle app per categoria in modo completamente automatico. La nuova versione di ZenUI è arricchita da nuove funzioni quali Zen Motion che permette con semplici gesture di eseguire in modo rapido le operazioni più frequenti. Si potrà, ad esempio, bloccare il telefono con un doppio tap su una parte dello schermo libero da icone e, sempre con un doppio tap, sbloccarlo. Quando il display è spento, inoltre, è possibile attivare la fotocamera disegnando una “C” con il dito, oppure una “S” per accedere direttamente agli SMS, o ancora una “V” per essere portati direttamente all’app telefono. Anche la funzione con una mano che riproduce un’immagine ridotta del display per consentire l’utilizzo con una sola mano appunto, può essere attivata con un doppio tap sul tasto Home. Tra le “gesture” ricordiamo, infine, che con uno swipe dal basso verso l’alto si porta in primo piano il pannello di gestione della pagina iniziale per la quale si può modificare lo sfondo, le icone, gli effetti di scorrimento al cambio pagina e per accedere in modo rapido alle impostazioni di sistema. Una sorta di seconda area che completa il già ricco menù a discesa integrato nel pannello delle notifiche. SnapView consente poi di avere più profili utente differenziati, ad esempio per il lavoro e la vita privata, con uno spazio riservato a foto e file, che si attiva digitando una diversa password quando il dispositivo è in modalità di blocco. Dulcis in fundo, tutto quanto fa capo alla ZenUI può essere mantenuto aggiornato tramite la voce Aggiorna App ZenUi nel menù delle impostazioni che fa accedere direttamente alle ultime versioni di tutti i programmi ZenUI presenti sullo Store di Google. Asus Zenfone 2 appena estratto dalla confezione mette già a disposizione dell’utente un buon numero di applicazioni aggiuntive e integrative della suite di Google. Oltre a quelle già descritte nelle prove dei precedenti modelli di Zenfone, come Supernote, Omlet Chat, Meteo, Specchio e Modalità Bambini, vale la pena citarne di nuove come Mini Movie con la quale si possono creare videoclip con simpatici effetti e musiche partendo dalle foto scattate o salvate sul dispositivo. Citiamo, inoltre, la presenza di Trend Micro Dr. Safety per la protezione del terminale da violazioni della privacy, tentativi di fishing e altre minacce. Riportiamo una curiosa feature dell’interfaccia grafica per cui è possibile disinstallare un’app, oltre che con la modalità classica dal menù Impostazioni, anche con un’opzione che appone una piccola “x” a ciascuna icona. Toccandola si procede alla disinstallazione, in perfetto stile iOS. In merito alla sezione audio durante la prova non sono emersi problemi. Sia le suonerie che le chiamate in vivavoce denotano una buona presenza sonora e un volume di tutto rispetto. Idem dicasi per l’ascolto di musica: la tecnologia SonicMaster dell’altoparlante e un player ben realizzato rendono piacevole la fruizione di contenuti musicali. I toni predominanti sono quelli medi e la sostanziale assenza di bassi è compatibile con le dimensioni dello speaker. Durante la chiamata con capsula auricolare la voce dell’interlocutore non sempre è cristallina e comunque un po’ secca. Da sempre Asus permette sui suoi terminali la registrazione delle conversazioni che ora può anche essere settata come automatica per tutte le chiamate effettuate e ricevute. La localizzazione GPS è stabile e anche il primo fix (notoriamente più lento), dopo aver accettato la tracciatura della posizione da parte di Google, è stato segue a pagina 36 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Asus Zenfone 2 segue Da pagina 35 raggiunto in pochi istanti. Durante gli oltre dieci giorni di prova non si è mai verificata una perdita di segnale e questo costituisce un altro indicatore che il produttore di Taiwan si è preoccupato di carrozzare questo top di gamma con componenti hardware di buona qualità. Grazie alla quantità di RAM disponibile e alla fluidità del sistema, il navigatore può anche stare in background mente si usa lo smartphone per fare altro; anche in questo caso le indicazioni stradali sono risultate precise e tempestive. Hardware di tutto rispetto ed è Dual SIM Zenfone 2 è un terminale che permette di alloggiare due sim card gestendole in modalità Dual Sim Full Active (DSFA). Questo comporta la presenza di due apparati radio separati e completamente autonomi: il vantaggio per l’utente è di avere ciascuna delle due linee telefoniche sempre attive e raggiungibili indipendentemente dall’utilizzo che si sta facendo dell’altra. Si potrà, ad esempio, essere in conversazione con la sim1 e nel frattempo ricevere una chiamata o un sms sulla linea della sim2. Questo non avviene per i terminali che adottano la tecnologia DSDS (Dual-Sim Dual Standby) per la quale la radio è una sola e risulta condivisa durante lo standby dal software del telefono, con la naturale conseguenza che durante una chiamata con una linea l’altra risulterà inattiva. Il software di questo Asus permette di configurare alcune opzioni delle due linee, permettendo di impostare suonerie differenti per ciascuna sim o la possibilità di spegnere una delle due linee. Purtroppo non è però possibile lo switch a caldo, e questo potrebbe essere un problema poiché lo slot della sim1 è il solo in grado di gestire connessioni 3G e 4G; la sim2 è, infatti, abilitata al 2G soltanto. La connettività wireless di questo Asus è completa e prevede il Wi-Fi a/b/g/n/ac con supporto dei protocolli DLNA e Miracast, l’oramai diffuso Bluetooth 4.0 BLE e l’antenna NFC. Non ultima l’opportunità di sfruttare la velocità del 4G. Come già accennato nella parte introduttiva, Zenfone 2 è il primo terminale Android al mondo a integrare 4 GB di RAM di tipo DDR3 e un processore quad core Intel Atom Z3580 che supporta set di istruzioni a 64 bit e realizzato con tecnologia produttiva a 22 nanometri. Completano la panoramica sulla dotazione hardware una schiera di sensori per orientamento e il movimento come accelerometro, giroscopio, e-compass, sensore di gravità e di prossimità, oltre al sensore di torna al sommario luminosità ambientale. Segnaliamo a livello di curiosità che il sensore per la geo-localizzazione non supporta solo i conosciuti GPS e Glonass, ma anche sistemi asiatici come il giapponese QZSS e il cinese BDS. Autonomia e fotocamera Anche se orientandosi verso Zenfone 2 non si è probabilmente intenzionati ad acquistare l’ultimo grido in fatto di camera-phone, ci si trova comunque a beneficiare di un comparto fotografico caratterizzato da un buon hardware e da un software di tutto rispetto. Utilizzando la fotocamera in dotazione ci si rende facilmente conto infatti che, soprattutto in questa nuova generazione di Zenfone, Asus dedica molta attenzione a questo tema. Accanto alla conferma della tecnologia PixelMaster che implementa algoritmi per l’aumento della sensibilità e del contrasto, troviamo un obiettivo grandangolare a 85° stabilizzato automaticamente, un’apertura F/2.0 e un’ottima reattività dello shutter. Segnaliamo soprattutto la presenza di un flash dual LED con luci di diversa tonalità: quando si scatta in condizioni di luce insufficiente Zenfone 2 calibra luce bianca e luce gialla per restituire più naturalezza ai soggetti inquadrati. Anche in termini di potenza il flash in dotazione ha un’efficacia maggiore rispetto ai modelli precedenti. La fotocamera di questo Zenfone mantiene la risoluzione del sensore principale a 13 Megapixel (4096x3072 nel formato 4:3) e 10 Megapixel (4096x2304 nel formato 16:9). Viene invece aumentata da 2 a 5 Megapixel la risoluzione della fotocamera frontale. L’app fotocamera degli smartphone di casa Asus presenta, in continuità col passato, un menù ricco di funzioni e impostazioni in un layout ordinato e di piacevole utilizzo. Non mancano le novità software tra cui spiccano senza dubbio la modalità Manuale e la Super Resolution. In modalità Manuale è possibile interagire comodamente con le ghiere simulate degli ISO da 50 a 800, del bilanciamento del bianco, dei tempi da 1/2 a 1/500, della messa a fuoco e del valore esposimetrico. Con Super Resolution, invece, è possibile attivare una particolare elaborazione che cattura e combina quattro scatti e che, aumentando la definizione e diminuendo il rumore, porta l’immagine a una risoluzione equivalente di 52 Megapixel. Come detto, l’app fotocamera permette molte modalità di scatto preimpostate, che si avvalgono di comodi accorgimenti come l’autofocus e l’autoesposizione tramite un semplice tocco sul display. Rimangono pressoché identiche agli Zenfone precedenti funzioni quali Sorriso, HDR, Indietro Nel tempo, Riconoscimento Volto, Rimozione Intrusi, Panorama, Selfie e profondità di Campo, mentre dopo aver ri-testato l’opzione Luce Bassa possiamo affermare che la sua efficacia è migliorata anche se utilizzandola si ottengono sì scatti ben visibili anche in condizioni di luce scarsa, ma ci si ritrova con colori meno realistici. Anche nel caso della fotocamera l’app di sistema di Android 5.0 è stata completamente ricoperta dal software personalizzato di Asus. Non è stato però implementato il salvataggio degli scatti in formato RAW, possibilità offerta da Google nelle API di Lollipop. Clicca qui per vedere qualche scatto che abbiamo effettuato. La sezione video è, come da aspettative, meno completa dal punto di vista delle opzioni di ripresa, ma svolge discretamente il proprio compito permettendo la realizzazione di video in Full HD a 1920x1080 non stabilizzati oppure ridotti a 720p con stabilizzazione attivata. In conclusione, Zenfone 2 ha buone funzionalità fotografiche e una resa valida in relazione alla fascia di prezzo. L’app Fotocamera dispone di numerose opzioni, magari troppe per alcuni utenti, che comunque potranno limitarsi a scattare nella modalità completamente automatica lasciando allo smartphone l’onere di ricavare il meglio in ogni condizione. L’utente più esperto potrà, invece, dilettarsi con quanto offerto dallo Zenfone, mettendo a frutto le proprie competenze in tutti i casi in cui troverà scene meritevoli di uno scatto e la reflex non sarà immediatamente a portata di mano. Contrariamente ad altri modelli Asus con processore Intel, in questo caso la batteria sembra essere un po’ in difficoltà. La capacità di 3000 mAh, non è molto inferiore a quella da 3300 mAh dello ZenFone 6 provato lo scorso anno, ma non assicura la stessa resa. Con il consueto uso intenso, caratterizzato da gestione email, navigazione Internet, un po’ di musica in streaming e utilizzo del GPS durante gli spostamenti, si arriva all’ora di cena con il livello prossimo allo zero. Per impostazione di default, quando la carica scende sotto al 15%, Zenfone propone con un popup di modificare la modalità di risparmio energetico da ottimizzato a massimo. In questo modo vengono depotenziate varie funzionalità avide di energia e il processo di scarica rallenta per mantenerci reperibili per chiamate e SMS. La minor durata della batteria però non è indice di un peggioramento rispetto ai modelli precedenti, anzi. Trattandosi, infatti, di un Dual Sim Full-Active, gli apparati radio da tenere accesi sono costantemente due e questo grava sulla batteria in modo significativo. Dopo una prova di utilizzo con una sola SIM possiamo confermare che si guadagnano circa 90 minuti di autonomia. Asus viene incontro all’utente agendo su due fronti: fornendo in confezione un caricabatteria rapido da 2 Ampere e implementando la tecnologia BoostMaster che permette di raggiungere il 60% di ricarica in circa 40 minuti. Concert for one Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte- nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello, da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple. Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi. www.audiogamma.it n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Una piccola GH4, anzi, per qualche verso meglio della GH4. L’abbiamo avuta tra le mani per qualche giorno in anteprima Anteprima Panasonic Lumix G7: 4K pazzesco Panasonic G7 è una fotocamera che a soli 699 euro promette prestazioni super ma anche video 4K alla portata di tutti di Roberto PEZZALI uando Panasonic ha annunciato la Lumix G7 puntando tutto sul concetto di 4K eravamo un po’ scettici: G7 è una fotocamera e nasce per le foto, il 4K dovrebbe essere solo una funzionalità in più. Eppure questo 4K piace davvero tanto al colosso giapponese: Panasonic è convinta che gli utenti possano contribuire con i loro contenuti alla diffusione del formato e la nuova G7 è nata come una sorta di “ponte” che ambisce a traghettare utenti appassionati di foto alla scoperta del video, meglio se di elevata qualità. Siamo stati qualche giorno a provare la G7, una sorta di GH4 in miniatura caratterizzata da un abbordabilissimo prezzo di listino di 699 euro, al quale va però aggiunto un buon obiettivo. Quando parliamo di GH4 “in miniatura” crediamo di non esagerare: il sensore da 16 Megapixel è nuovo e migliorato e il sistema di messa a fuoco è praticamente lo stesso, una vera “scheggia” in quasi tutte le situazioni. Certo, mancano elementi come l’uscita per le cuffie ma sulla G7 ci sono anche un nuovo processore più veloce e qualche funzione in più. Se a questo aggiungiamo il fatto che Panasonic ha inserito la doppia ghiera per l’utilizzo manuale, che non è scomparso il mirino e che il corpo sembra più solido e con un grip migliore possiamo dire che, se non serve la tropicalizzazione, la G7 potrebbe essere addirittura migliore della GH4. Ovviamente se si bilanciano prestazioni e prezzo. Q Leggera e con un buon grip ma ha troppe funzioni Senza dilungarci troppo sui dettagli tecnici della macchina, che si trovano anche sul sito Panasonic, vogliamo spendere un po’ di parole per parlare del rapporto tra G7 e 4K e ci come ci è sembrata effettivamente la nuova macchina. La G7 è leggera ma non piccolissima: è più piccola della GH4 e della FZ1000, ma non è piccola come le Sony o le Olympus; si impugna bene, ha un buon grip e la posizione delle due ghiere è davvero comoda. Dei vecchi modelli eredita quello che a nostro avviso è un grosso difetto: anno dopo anno gli ingegneri aggiungono funzioni su funzioni ma si dimenticano di togliere quello che è superfluo. Un ingegnere giapponese, da noi spronato su questo punto, video lab video lab Panasonic Lumix G7 4K FOTO E VIDEO ha ammesso: “È vero, lo diciamo sempre che certe cose come le “scene” vanno bene su una compatta ma non su una macchina così eppure il marketing non ci sente”. Togliere una funzione è come togliere un rene... il nostro interlocutore non ha detto proprio così ma il concetto è questo. La G7 ha troppe cose: i menu sono una giungla infinita di funzioni, regolazioni, modalità di scatto e impostazioni e davvero ci si perde. Tra l’altro basterebbe poco per riorganizzare il tutto semplificando molte cose, magari accorpando le funzioni più evolute in menu avanzati e lasciando visibili solo quelle più utili. Come GH4, la nuova G7 fa video in 4K: si può impostare la modalità Movie realizzando dei video di eccezionale qualità usando anche i controlli manuali. Quello che però la GH4 non ha è la modalità 4K Photo: bestemmia per un fotografo old style, grande opportunità per i creativi che vogliono davvero divertirsi e vogliono essere sicuri di portare a casa lo scatto perfetto. Quello che Panasonic chiama 4K Photo è in realtà un video mascherato: la fotocamera, grazie a sensore e processore, è talmente veloce che riesce a scattare 30 foto a risoluzione 4K ogni secondo, foto che vengono incapsulate in un video 4K per poi essere selezionate ed estratte. La G7 dispone di tre modalità 4K Photo: raffica, per scattare a 30 fps a risoluzione 8K fino a quando si tiene premuto (e non si riscalda il sensore), pre-post burst, che attiva lo scatto a una pressione del tasto e lo ferma al termine e infine 4K Pre-burst, che inizia a preregistrare il video appena mettiamo a fuoco e salva per ogni scatto i 30 fotogrammi precedenti lo scatto e quelli successivi. Una funzione quest’ultima non nuova, ma Panasonic riesce a realizzarla ad una risoluzione davvero elevata. La modalità 4K Photo, anche se il file registrato dalla fotocamera è un video in formato MP4, non va considerata propriamente “video” e ora vi spieghiamo perché: prima di tutto si può scegliere il formato di scatto, scegliendo tra 3.840x2.160 (16:9), 3.328x2.496 (4:3), 3.504x2.336 (3:2) e 2.880x2.880 (1:1), e in secondo luogo la macchina tratta i video come fossero foto, quindi gamma estesa (0 - 256) e stessi filtri che vengono applicati sulle foto. Quello che fa impressione, e lo si può vedere nelle foto qui sotto, è la nitidezza e la qualità dello scatto che Panasonic riesce a gestire in questa modalità: 8 megapixel non sono tantissimi ma si riesce a riempire un A4 senza problemi con una qualità altissima. Il file di partenza è poco compresso, 100 Mbps, tuttavia scatti del genere senza un minimo di compressione nascondono probabilmente qualche altro segreto che la stessa Panasonic non ha voluto svelare. Sulla card l’utente si ritrova comunque il file MP4: se vuole estrarre la foto Jpeg da far stampare deve utilizzare l’interessante interfaccia creata da Panasonic, segue a pagina 39 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA GoPro si appresta a lanciare una videocamera sferica in grado di produrre contenuti per la realtà virtuale Nel futuro di GoPro ci sono videocamere sferiche e droni Confermato anche l’arrivo di un drone con GoPro camera per le riprese in prospettiva, arriverà entrò la metà del 2016 di Paolo CENTOFANTI lla seconda edizione della Code Conference,in California, il CEO e fondatore di GoPro, Nick Woodman ha delineato il futuro dell’azienda annunciando una videocamera sferica per la realtà virtuale (che in realtà è più un Rig comprensivo di più Action Cam) e confermando l’intenzione di approdare nel mondo dei droni. La videocamera sferica è ottenuta dall’assemblaggio di sei GoPro Hero4, montate su un telaio di supporto dalla forma di sfera che per- A mette di catturare immagini e filmati a 360 gradi. Grazie al know-how di Kolor, software house dedita alla realtà virtuale acquisita da GoPro, le riprese delle sei videocamere verranno elaborate per diventare fruibili in varie tecnologie di realtà virtuale. La molla è scattata quando Facebook ha acquisito Oculus, da quel momento - commenta Nick Woodman - tutte le barriere sono cadute e GoPro ha iniziato a lavorare a un setup sferico per la generazione di contenuti per i sistemi di realtà virtuale e di realtà au- TEST Anteprima Panasonic Lumix G7 segue Da pagina 38 dove con il display touch si riesce a scorrere fotogramma per fotogramma il video scegliendo l’istante giusto. Abbiamo confrontato un file Jpeg generato dalla fotocamera e uno estratto dal video utilizzando un comune software di editing e le due immagini sono identiche. Qui sotto un video realizzato con la nuova G7 in formato 4K: alcune sequenze, quelle con le bande nere ai lati, sono quelle realizzate in modalità foto 4K e con aspect ratio 4:3; le altre sono le normali immagini in formato 16:9 Ultra HD. Queste invece sono alcune fotografie scattate dal- la G7: trattandosi di un campione di pre-produzione, Panasonic ci ha chiesto di specificare che la qualità delle immagini non è quella definitiva e soprattutto ci ha imposto di pubblicare le foto ridimensionate a un massimo di 8 megapixel, quindi non possiamo fornire gli scatti “veri”. In ogni caso, analizzandoli al 100%, ritroviamo lo stesso dettaglio e la stessa “pasta” della GH4. Da segnalare inoltre l’aggiunta di un nuovo filtro di riduzione del rumore random applicato dal nuovo Venus Engine Quad-core: la fotocamera arriva a 25600 ISO, ma l’impressione è che rispetto alla GH4 riesca a gestire un po’ meglio il rumore sugli alti ISO. Nel complesso sembra che Panasonic abbia sfornato una “signora macchina” e abbia reso il video 4K alla portata di tutti: tra i pro sicuramente la qualità, l’ergo- I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca sulle immagini per l’ingrandimento torna al sommario mentata. Mr. Woodman ha poi spiegato il nascente entusiasmo della compagnia per i quadricotteri. “È incredibile vedere il nostro mondo da prospettive nuove”. Il drone per fotografie aeree, naturalmente equipaggiato con GoPro camera, sarà pronto per il primo semestre del 2016 e avrà un costo compreso tra i 500 e i 1000 dollari. La GoPro in configurazione sferica dovrebbe invece arrivare sul mercato entro la fine di quest’anno, in una fascia di prezzo che si aggirerà tra i 1500 e i 2000 dollari. nomia e il prezzo, tra i contro l’assenza di modalità di ripresa ad alto frame rate (un 1080p a 240 fps per esempio) e un’eccessiva lentezza nel salvataggio delle foto 4K. Non ci siamo soffermati troppo su questo punto perché speriamo che la cosa migliori con l’utilizzo di card più veloci, ma quando si scatta una foto in 4K bisogna attendere qualche secondo prima di poter scattare un’altra foto, il tempo che il file video venga salvato. La card da noi usata era una SDXC UHS-I con 85 MB/s di velocità in scrittura, ma la G7 supporta anche le nuove UHS-II: probabile che l’uso di una scheda più rapida riduca o annulli questo tempo di salvataggio. G7 come già detto arriva questa estate a 699 euro: non è una reflex ma è una macchina versatile, semplice e dalle enormi potenzialità. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Una soluzione ideale per chi vuole sonorizzare un’intera abitazione grazie alle connessioni Wi-Fi e Bluetooth. Migliorabile l’app harman/kardon Omni, il multiroom che suona bene Abbiamo provato il sistema di harman/kardon, composto dal modello Omni 10 e Omni 20, bello e con prezzi accessibili di Roberto FAGGIANO ella grande famiglia del gruppo Harman, il marchio harman/kardon ha il ruolo di ambasciatore di eleganza unita alla tecnologia e la gamma di diffusori multiroom Omni dotati di connessioni Wi-Fi e Bluetooth rientra pienamente in questi parametri. Il sistema Omni è composto dai diffusori 10 (199 euro) e 20 (299 euro), dal modulo Adapt (129 euro) e prossimamente dalla soundbar Bar. I diffusori possono essere anche usati in coppia per formare un sistema stereo nello stesso ambiente oppure per formare un sistema Home Theater con diffusori surround quando sarà disponibile la Bar. La compatibilità con la musica liquida è garantita fino ai 96 kHz. Le opzioni di connessione comprendono il Wi-Fi, il Bluetooth e anche un ingresso stereo diretto; interessante la possibilità di diffondere ad altri diffusori Omni (fino a 3), via Wi-Fi, il segnale in ingresso da uno dei diffusori o dall’Adapt, in modo da ampliare le funzioni multiroom. Disponibili anche la funzione Party Mode, per avere la stessa musica da tutti i diffusori connessi, e la funzione Link per sonorizzare con la stessa musica solo alcune stanze. C’è anche l’opzione Follow Me per farci seguire dalla musica mentre ci spostiamo in casa, premendo il tasto centrale sul diffusore più vicino. Il sistema di streaming utilizzato è quello della Blackfire che sfrutta una tecnologia in grado di superare (secondo l’azienda) i limiti dei protocolli TCP/IP e RTP. Per il controllo dei diffusori Omni basta scaricare e utilizzare l’app gratuita HK Controller, già disponibile per iOS e Android. La finitura dei componenti della serie Omni è disponibile in nero lucido oppure bianco. Per il nostro test abbiamo utilizzato una coppia di Omni 10, un Omni 20 e l’Adapt. N I modelli in prova, a ciascuno il suo L’attuale gamma Omni disponibile in Italia è più che sufficiente per coprire le più comuni esigenze degli utenti: gli Omni 10 sono molto compatti e possono Omni 10 è il modello più piccolo della serie, dal look sferico e woofer posteriore da 9cm. Disponibili connettività Wi-Fi, Bluetooth e via cavo. video 199,00 €lab harman/kardon Omni 10 MOLTE LUCI, POCHE OMBRE Il sistema multiroom Omni di harman/kardon si è dimostrato un’ottima soluzione per quanti vogliono sonorizzare un’intera abitazione. I lati positivi sono prima di tutto le prestazioni musicali, poi la finitura curata e la connessione alternativa via Bluetooth oltre al Wi-Fi. Quello che al momento non va è l’applicazione HK Controller, ancora acerba e povera di sorgenti. Sarebbe utile anche un equalizzatore dato che la collocazione in ambiente può influenzare la resa sonora sui bassi. Ottimo il rapporto qualità/prezzo di tutti gli elementi del sistema. 7.9 Qualità 8 Longevità 8 Qualità sonora COSA CI PIACE Finitura curata Collegamento Bluetooth Design 8 Semplicità 7 COSA NON CI PIACE D-Factor 8 Prezzo 8 Applicazione migliorabile Mancanza controlli di tono essere anche fissati a parete; gli Omni 20 sono ideali per gli ambienti più grandi ma rimangono comunque facilmente collocabili su un ripiano o fissati a parete; l’Adapt è indicato per chi vuole aggiungere la musica liquida a sistemi stereo già esistenti oppure per chi preferisce usare diffusori amplificati di maggiori dimensioni. Il modello Omni 10 è il più piccolo della serie ed è praticamente una sfera da 16 cm con un lato piatto per l’appoggio su una superficie. Gli altoparlanti utilizzati sono un tweeter frontale da 35 mm e un woofer con membrana piatta posteriore da 9 cm, la potenza disponibile è di 25 watt (senza ulteriori specifiche) per ciascun altoparlante. Alla base del diffusore troviamo la Omni 20 è pensato per ambienti di più grandi dimensioni, presa per l’alimentatore esterno (un po’ trop- ma ha lo stesso look e le funzionalità del “fratello minore”. po ingombrante), un ingresso ausiliario minijack e i tasti per il reset e per il collegamento nijack e i tasti per abbinamento WPS e reset mentre con WPS; non ci sono prese di rete, per il collegamenl’alimentazione è integrata. Anche per l’Omni 20 non to bisognerà sfruttare il Wi-Fi. Omni 20 è il modello ci sono connessioni di rete Ethernet ma solo Wi-Fi e più grande e adatto ad ambienti di dimensioni ampie, Bluetooth. Omni Adapt è il classico adattatore di sistema per imla forma è ellissoidale con misure di 26 x 16 cm e lieve inclinazione verso l’alto per una migliore dispersione. pianti Hi-Fi già esistenti oppure da collegare a diffusoGli altoparlanti utilizzati sono due tweeter frontali da ri attivi. Si tratta di un apparecchio molto compatto e 19 mm e due woofer posteriori da 75 mm abbinati per leggero con alimentazione esterna standard da cavo formare verso l’esterno un?unica superficie; la potenUSB; le uscite audio sono disponibili solo in analogico tramite presa minijack (con relativo cavetto in dotaza disponibile è di 15 watt per ciascun altoparlante. zione) ma c’è anche un ingresso di segnale per inseSotto al diffusore ritroviamo un ingresso ausiliare mi- segue a pagina 41 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST harman/kardon Omni segue Da pagina 40 Adattatore di sistema harman/kardon Omni Adapt. rire sorgenti tradizionali all’interno del sistema. Tutti i modelli hanno una piccola zona superiore con i tasti fondamentali per l’utilizzo anche senza l’app: variazione volume, abbinamento Bluetooth, pausa e play oltre alla zona centrale che segnala con varie colorazioni i diversi collegamenti utilizzabili. L’applicazione Bbella ma ancora incompleta Come di consueto anche i diffusori Omni hanno bisogno di un’applicazione per essere controllati a distanza da smartphone e tablet, quella di harman/kardon si chiama HK Controller e si scarica gratuitamente per iOS e Android. La grafica è semplice ma efficace, completa delle copertine dei dischi e con una guida per l’installazione. Il collegamento Wi-Fi è molto rapido, specie se si dispone di un router con WPS, non servono ulteriori accessori per un sistema multiroom e i diffusori si collegano direttamente al server. Una volta entrata nella rete domestica l’applicazione riconosce i diffusori e ci chiede di assegnarli a una stanza: se vengono trovati due diffusori Omni uguali nella stessa stanza si può effettuare l’abbinamento in stereofonia; in questo caso appare anche il livello del segnale Wi-Fi. Abbinando due diffusori in stereofonia bisogna assegnare a uno dei due il ruolo di Master, l’altro avrà il Bluetooth e l’ingresso ausiliario disabilitati. Da qui in poi le operazioni sono meno logiche e, una volta capito quale area bisogna toccare, ecco la lista delle sorgenti. Al momento purtroppo poche: c’è naturalmente il dispositivo sul quale stiamo operando, poi troviamo Mix Radio che propone musica di vari generi ma con scarsi contenuti, poi c’è la popolare Deezer e la meno diffusa Qobuz. E al momento la lista delle sorgenti finisce qui. L’applicazione è comunque torna al sommario in rapido aggiornamento e presto arriverà Tidal. Servirebbe però la possibilità di prendere la musica da un PC o da un server domestico. È un’integrazione che riteniamo necessaria per questo tipo di diffusori e da harman ci assicurano che arriverà, ma senza certezze sui tempi. Va anche detto che harman ha scelto di rendere libera la sua applicazione agli interventi di altri soggetti, quindi è prevedibile che presto diventino disponibili altre app per usare il sistema Omni, un’ottima scelta del costruttore che andrebbe imitata anche dagli altri concorrenti. Una volta scelta la sorgente è necessario creare una playlist di brani trascinandoli sull’icona del diffusore prescelto, per fortuna c’è l’opzione Play All per riprodurre un intero album. L’ascolto: belli e bravi mo preferito una maggiore libertà nel posizionamento mentre il mettere in luce le cattive registrazioni è un pregio, a patto di scegliere quelle giuste. Non ci sono preferenze per un genere musicale, anche gli appassionati di classica ascolteranno ottima musica per le loro orecchie, con un bel palcoscenico profondo e strumenti collocati con giudizio. Per ascoltare lo streaming gratuito da Spotify abbiamo usato il Bluetooth e la resa è rimasta molto buona. L’Omni 10 è senza dubbio un serio avversario per il concorrente “numero 1”, con un controllo di tono l’avrebbe superato. Prestazioni molto valide anche per l’Omni 20, capace di restituire l’impatto sonoro di un diffusore molto più grande e con una gamma bassa molto profonda, anche se rimane il problema di un eccesso di frequenze basse se non c’è abbastanza spazio dietro al diffusore. Nonostante la sorgente inevitabilmente quasi monofonica c’è comunque un piccolo allargamento della scena, specie se non ci si pone troppo distanti dal diffusore. Dal punto di vista puramente musicale l’Omni 20 ci pare il migliore diffusore multiroom sinora ascoltato in questa fascia di prezzo, non certo un semplice accompagnamento musicale di sottofondo. L’Adapt è da tenere in seria considerazione per gli interessati a questa categoria di apparecchi: le prestazioni del convertitore D/A interno sono davvero buone anche con brani Flac o con lo streaming da Deezer (Tidal è in arrivo), di conseguenza il rapporto qualità/prezzo è vincente. Iniziamo subito questa parte del test dicendo che i componenti Omni suonano tutti molto bene, dando un valore eccellente al rapporto qualità/prezzo. La soluzione migliore dal punto di vista sonoro ci è parsa l’abbinamento stereo di due Omni 10 ma anche il 20 da solo se la cava molto bene, così come ottime sono le prestazioni dell’Adapt. Il problema è che tanta qualità deve combattere con l’applicazione di controllo, carente in alcune funzioni (per fortuna aggiornabili in futuro) e non sempre logica nell’uso quotidiano. Per esempio, perché dover per forza impostare una playlist di brani, come se potessimo sempre programmare in anticipo quale e quanta musica ascoltare in ogni sessione? Sarebbe stato utile anche un controllo dei toni perché i woofer posteriori impongono una collocazione piuttosto precisa dei diffusori, se si vogliono evitare eccessi e rimbombi. Il Bluetooth è invece molto utile quando si vuole utilizzare Spotify in versione base, altri concorrenti costringono invece ad abbonarsi per poter usare la versione Connect in modalità Wi-Fi. Utilizzando la coppia Omni 10 in stereofonia si ha subito l’impressione di ascoltare un vero impianto stereo, con diffusori di ben altre dimensioni. Si crea un’ottima immagine tridimensionale anche senza dover scomodare musica Flac; ottime le voci e molto vivace il medio basso. La gamma più profonda dipende, invece, pagina 44 dal tipo di registrazionesegue e asoprattutto Un particolare del retro di Omni 20: si nota il connettore di dello spazio disponibile dietro al diffuso- ingresso analogico e il tasto per la connessione via WPS. re; per un diffusore così compatto avrem Dammi il cinque! MODELLO 730-1 redditi 2007 ALLEGATO B Scheda per la scelta della destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF Da consegnare unitamente alla dichiarazione Mod. 730/2008 al sostituto d’imposta, al C.A.F. o al professionista abilitato, utilizzando l’apposita busta chiusa contrassegnata sui lembi di chiusura. genzia ntrate CONTRIBUENTE CODICE FISCALE (obbligatorio) COGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile) DATI ANAGRAFICI DATA DI NASCITA GIORNO MESE ANNO NOME SESSO (M o F) COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA PROVINCIA (sigla) LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) Il tuo 5 per mille può cambiare la vita di molti bambini prematuri. E non ti costa nulla. Ogni anno in Italia nascono 30.000Assemblee bambini di Dio in Italiaprematuri, di cui circa 5000 hanno un peso inferiore a 1500 gr. Stato Chiesa cattolica Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi Chiesa Evangelica Luterana in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Questi bambini hanno bisogno di Unione Comunità Ebraiche Italiane e assistenza per molti anni. cure, controlli genitori hanno bisogno del tuo aiuto. AISTMAR Onlus interamente impiegate per: E anche i loro In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, si precisa che Le contenuta donazioninel ad paragrafo 3 delle istruzioni, vengono i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, il - l’assistenza delle gravidanze a rischio o patologiche contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Lacura scelta deve esserealfatta esclusivamente per una delle la e il supporto neonato prematuro istituzioni beneficiarie. e alla famiglia nel percorso di sviluppo crescita La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non sua espressa da parte del contribuente. In talecaso, la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. Le quote non attribuite spettanti alle Assemblee di Dio in Italia e alla Chiesa Valdese Unione delle Chiese metodiste e Valdesi, sono devolute alla gestione statale. Oppure puoi sostenere AISTMAR Onlus con versamenti su: • C/C Postale: SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso29328200 di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) • C/C BancoPosta: IBAN: IT 05 Z 07601 01600 000029328200 presso Posta di via Sambuco, 15agli- Milano Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, Finanziamento enti delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute della ricerca scientifica e della università che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a), • C/C Bancario: IBAN: IT 30 R 05216 01619 000 000 003641 del D.Lgs. n. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale presso Credito Valtellinese, Agenzia n°14 - Milano FIRMA FIRMA SOSTIENI AISTMAR Onlus con il tuo 5 per mille Sui moduli CUD, 730 o Unico scrivi Mario Rossi ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) 9 7 0 2 8 2 1 0 1 5 7 ........................................................................ Tutto il personale di AISTMAR Onlus è volontario. L’intero ricavato delle donazioni viene Codice fiscale del impiegato cure e assistenza ai neonati prematuri e patologici e alle loro famiglie. beneficiario in (eventuale) Finanziamento agli enti della ricerca sanitaria AISTMAR Onlus - via della Commenda, 12 - 20122 Milano - www.aistmar.it FIRMA ........................................................................ Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge FIRMA AISTMAR Onlus ........................................................................ FONDAZIONE IRCCS CA’ GRANDA - OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO Codice fiscale del Codice fiscale del beneficiario (eventuale) beneficiario (eventuale) Associazione Italiana per lo Studio e la Tutela della Maternità ad alto Rischio Dipartimento per la Salute delle Donna, del Bambino e del Neonato U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale In aggiunta a quanto indicato nell’informativa trattamento via Francesco Sforza, 28sul - 20122 Milano dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Interessante la possibilità di vedere che tempo fa in tutto il mondo grazie alla community di utenti che condividono informazioni Anywhere Kit, la stazione meteo connessa di Oregon In prova Anywhere Weather Kit che si controlla via app: non solo temperatura e pressione, ma anche vento e pioggia di Paolo CENTOFANTI regon Scientific è uno dei marchi più conosciuti quando si parla di piccole stazioni meteo per la casa, soprattutto in Italia. Anche questo settore, seppure più lentamente di altri, è stato investito dalla “rivoluzione smart”, con prodotti che possono essere collegati alla rete e utilizzati anche con lo smartphone. Anywhere Weather Kit (199,99 euro) è una delle prime sortite in questo senso di Oregon Scientific, una soluzione che l’azienda americana inserisce nella sua gamma di stazioni meteo “professionali”. Cos’ha di diverso questa dalle altre stazioni meteo di Oregon? In primo luogo non c’è la classica base con il display LCD a segmenti che caratterizza i normali modelli del produttore: questo ruolo viene svolto infatti dall’app per smartphone e tablet. Al posto della stazione base abbiamo invece un piccolo “scatolotto” che va collegato da un lato alla nostra rete locale, dall’altra a un ricevitore wireless che ha il compito di raccogliere i dati dei vari sensori forniti nel kit: termoigrometro, anemometro e pluviometro. O video lab abbiamo dovuto configurare nulla sulla nostra rete o firewall. Ogni stazione può “ospitare” un pluviometro, un anemometro e fino a 8 termoigrometri. Nulla vieta però di collegare al proprio account più stazioni, che possono essere disposte anche in località differenti. Opzionalmente è possibile anche acquistare separatamente un sensore di raggi UV. Durante la registrazione della nostra stazione, tramite lo smartphone verrà memorizzata anche la posizione geografica e potremo scegliere di renderla visibile agli altri utenti Anywhere Weather. Facile da installare Una volta aperta la confezione, l’operazione di installazione è abbastanza semplice e segue pedissequamente la filosofia plug&play. L’unità centrale è auto-configurante e va semplicemente collegata all’alimentazione e al router della propria rete mediante il cavo Ethernet fornito in dotazione. Questo modello, infatti, non supporta il collegamento in Wi-Fi alla propria LAN, il che per qualcuno potreb- L’anemometro e il pluviometro inclusi nel kit. Il primo ha una precisione di circa 3 m/s, il secondo di 1 mm/h di pioggia. Entrambe le unità sono chiaramente progettate per resistere a tutte le condizioni climatiche. Il ricevitore (a sinistra) e il box da collegare alla nostra rete locale che inviano i dati della stazione meteo alla piattaforma cloud di Oregon Scientific. be costituire un limite. Il ricevitore per i sensori si collega invece via cavo USB (anche questo fornito nella confezione) e tendenzialmente va posizionato in modo da garantire la migliore ricezione possibile: Il sistema impiega comunque una frequenza di 433 MHz con una copertura che ha un raggio di circa 100 metri, il che dovrebbe consentire sufficiente libertà di installazione soprattutto per pluviometro e anemometro, che chiaramente devono essere posizionati all’esterno e lontano da ostacoli per una lettura ottimale. Anche per i sensori la procedura di installazione e collegamento alla base è piuttosto semplice. Basta inserire le batterie fornite in dotazione seguendo le istruzioni del manuale (nel caso del pluviometro occorre svitare il coperchio per accedere all’alloggio) e premere su ciascuno di essi il tasto Reset. Fatto questo basta premere il tasto Search sul ricevitore e in un paio di minuti tutti i sensori dovrebbero essere collegati alla stazione base. La seconda fase consiste nel creare un account Anywhere Weather tramite l’app per iOS e Android e quindi registrare la stazione sul nostro profilo utente tramite il MAC Address e il Registration Code forniti sull’etichetta della stazione base. Nel nostro caso la procedura è stata indolore e non Si monitora tutto dall’app anche se è un po’ essenziale Il centro di tutto è l’app per smartphone, motivo per cui verrebbe da pensare che Oregon Scientific abbia colto l’occasione per andare oltre i limiti imposti dal solito display LCD delle stazioni meteo classiche. E invece, nonostante ci sia in effetti qualcosa in più, ci troviamo di fronte un po’ a un’occasione persa. L’app consiste in pratica di tre sezioni: Per l’anemometro è fornito in dotazione un aggancio a ferro di cavallo che ne agevola l’installazione su un palo. L’anemometro va puntato a nord per avere una lettura corretta della direzione del vento. segue a pagina 44 torna al sommario n.113 / 15 29 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Oregon Scientific Anywhere Weather Station segue Da pagina 43 indice UV), con una previsione del tempo nell’arco delle 12 - 24 ore. Ciò che delude un po’ è innanzitutto lo storico delle rilevazioni, perché visualizza con dei grafici l’andamento dei vari parametri o delle scorse 24 ore o dei passati 7 giorni, senza alcuna possibilità di personalizzazione o una vista più in là nel tempo. I grafici possono essere ingranditi ma solo all’interno della cornice fissa e non è possibile leggere un valore in un particolare punto. Inoltre dall’app non si può esportare alcun dato (anche se vedremo che un modo comunque c’è). Ma soprattutto a nostro avviso manca un’interpretazione dei dati, con qualche informazione in più di accompagnamento. Le impostazioni sono pochissime e riguardano essenzialmente le unità Non pretendiamo certo un trattadi misura per le varie grandezze e la localizzazione della stazione meto di meteorologia, ma magari un teo. È possibile scegliere di rendere pubblica la nostra stazione così da glossario, qualche informazione permettere ad altri utente di vedere i dati meteo nella nostra zona. sul significato di alcuni parametri o il perché la “previsione” segna un certo tempo sarebbero stati graditi. L’idea dell’app dovrebbe liberare dai vincoli il monitoraggio in tempo reale della nostra rete di rigidi del display delle classiche stazioni meteo, e insensori, lo storico delle rilevazioni e la mappa delle altre stazioni Anywhere Weather condivise in rete vece qui essenzialmente si è poco più che replicato dai loro proprietari, con possibilità di leggere i dati quel modello di visualizzazione dei dati. La funzione dei relativi sensori. La schermata principale, grafica più utile è sicuramente quella delle notifiche di “ala parte, non è poi molto diversa da quella di una stalarme” che possono essere impostate per ciascun parametro. Per temperatura e umidità possiamo fiszione classica di Oregon; qui troviamo infatti essenzialmente i dati dei sensori: temperatura, umidità, sare liberamente una soglia minima e una massima, pressione, quantità di pioggia, vento (se presente mentre nel caso di vento e pioggia l’allarme viene notificato al superamento di una certa quantità. I dati della propria stazione sono accessibili anche via web dalla pagina che essenzialmente è una replica della schermata live dell’app per smartphone. Da qui non è possibile impostare le notifiche, mentre per lo storico dei dati è disponibile unicamente la vista settimanale. Da questa pagina è però possibile scaricare in formato CSV lo storico completo delle rilevazioni registrate dalla stazione meteo nell’ultimo anno. È possibile selezionare uno qualsiasi dei sensori installati e un periodo temporale a piacere, una funzione questa non disponibile nell’app per lo smartphone. Per il resto valgono le stesse considerazioni fatte anche per l’applicazione mobile: possiamo leggere i dati della stazione meteo, A sinistra una delle funzioni più utili, la possibilità di impostare ma sta poi a noi farne qualcosa, videlle notifiche nel caso di superamento di alcune soglie. A destra sto che qui non abbiamo nulla di più. la mappa delle stazioni “pubbliche” di cui possiamo leggere i dati L’aspetto forse più interessante della allo stesso modo della nostra. Utile per vedere che tempo fa in piattaforma di Oregon è quello che altre località. riguarda la community degli utenti, torna al sommario con la possibilità di accedere in lettura anche alle stazioni meteo di chi ha deciso di condividere le informazioni, per vedere che tempo fa in altre località. Le stazioni condivise sono molte e in varie parti del mondo (soprattutto Europa e Stati Uniti), ma anche in questo caso nonostante le potenzialità per costruire qualcosa di più non mancassero, si è scelto di tenere “un basso profilo”: è possibile chiedere l’amicizia di un altro utente per accedere ai dati privati della stazione, ma al di là di questo non è possibile altro tipo di interazione. In definitiva si tratta di una soluzione interessante, più evoluta rispetto ai modelli classici, ma che avrebbe potuto essere anche molto di più. Speriamo in una prossima iterazione, anche perché di spazio sul mercato per idee innovative in questo settore ancora ce n’è molto. Il termoigrometro è forse lo strumento più conosciuto di Oregon Scientific essendo da anni utilizzato anche nelle stazioni classiche del produttore.