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IL CLUB
Anno XVIII n. 109 (novembre/dicembre 2010)
Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS
Pubblicazione periodica a circolazione interna
inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa
Responsabile editoriale
Maurizio Karra
Associazione dei camperisti e
degli amanti del plein air del
Redazione
Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo
Hanno collaborato a questo numero
Rapporti associativi con
Filippo De Luca, Luigi Fiscella, Licia Gristina, Enza Messina,
Larisa Ponomareva Amenta, Giuseppe Eduardo Spadoni, Tatiana Tomasetta
In questo numero
Editoriale
pag.
3
Vita del Club
Uno sguardo sullo Stretto
Tesori nascosti
Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto
Una passeggiata nel barocco palermitano
Tra natura e atmosfere bizantine
Le nostre bambine
Sede sociale
Via Rosolino Pilo n. 33
90139 Palermo
Tel 091.608.5152
Internet: www.pleinairbds.it
E-mail: [email protected]
Facebook:
http://www.facebook.com/
pages/Club-Plein-AirBdS/167612983261417
Comitato di Coordinamento
Maurizio Karra (Presidente);
Giangiacomo Sideli (Vice Presidente); Pippo Campo, Massimiliano Magno, Luigi Pastorelli, Giovanni Pitré ed Elio
Rea (Consiglieri); Emanuele
Amenta, Rossella Costanza
Romano, Mimma Ferrante,
Pietro Messina, Marcello Oddo, Vittorio Parrino e Alfio
Triolo (Collaboratori)
Collegio sindacale
Luigi Fiscella (Presidente);
Sergio Campagna e Adele
Crivello (Componenti)
Collegio dei Probiviri
Rino Tortorici (Presidente);
Giuseppe Carollo e Pietro
Inzerillo (Componenti)
4
7
13
16
21
24
Tecnica e Mercato
La rinascita del Magnum
Doppia coppia
25
28
Viaggi e Turismo
Fino ai confini della Russia
Natale a Cervia
30
35
Terra di Sicilia
Il castello Maniace di Siracusa
Punta Secca
La preistoria in Sicilia
‘A trinca
37
38
39
40
Rubriche
Terza pagina
Il mio camper
Musica in camper
Riflessioni
Cucina in camper
Internet, che passione
News, notizie in breve
L’ultima parola
41
48
50
51
51
52
54
56
In copertina
“Le torri di Tallin” (Estonia) – Foto di Giuseppe Eduardo Spadoni
Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it
IL CLUB n. 109 – pag. 2
Editoriale
I
venti della crisi spirano
ancora gelidi su di noi ed è sempre più difficile riuscire a profetizzare se e quando ne usciremo per
davvero; nessuna ricetta riesce ad
essere magica se anche alcuni
stati d’Europa che un tempo venivano additati ad esempio di economia fiorente e galoppante, come l’Irlanda e la Spagna, sono
sprofondati nel più mero e paralizzante
deficit,
coinvolgendo
l’intera Europa e tutta l’area
dell’euro nella rincorsa a draconiane misure finanziarie a propria
difesa, nel tentativo di stabilizzare
e fronteggiare il deficit statale e la
conseguente speculazione finanziaria internazionale; misure che
però contraggono ancor più il potere d’acquisto delle persone e
mettono ancor più in crisi le aziende.
Insomma, il ciclo economico che stiamo attraversando è
fra i più tristi degli ultimi decenni
e per chi ha vissuto gli anni del
boom e del superfluo è davvero
dura accontentarsi, fare a meno di
tante cose che pure sono superflue, anche se rimangono persone
che continuano a sperperare infischiandosene della crisi. E probabilmente poco cambierà avvicinandoci ancor più a Natale, quanto meno a un Natale visto con gli
occhi delle famiglie che aspettano
di poter effettuare qualche spesa
in più confidando nelle tredicesime e con quelli dei commercianti
che aspettano quelle stesse tredicesime per vendere qualcosa nei
loro negozi paurosamente sempre
più vuoti anche in tempo di saldi.
Crisi dell’occidente e dei
valori che hanno sostenuto i suoi
popoli? Forse sì, soprattutto quando molti miti stanno rovinosamente crollando uno dopo l’altro lasciando americani e tedeschi, francesi e inglesi, italiani e greci e qualunque altro popolo cresciuto a tivu
e coca cola in balia di un’identità
perduta e ancora non sostituita da
modelli alternativi. Abbiamo paura
dell’Islam e degli stranieri che cercano di entrare a casa nostra, abbiamo paura di perdere quella ricchezza che abbiamo accumulato
puntando su facili certezze che tali
non sono. E la rissa continua che
anche i nostri politici ci mostrano
dai loro scranni testimonia quanto
sia grave e nel contempo inconcludente l’età che stiamo vivendo, noi
e i nostri figli.
Questa riflessione mi è nata nel corso dell’inaugurazione
della mostra fotografica del Club,
qualche giorno fa, quando Licia
Gristina – come potrete leggere a
pag. 15 – ci ha parlato della sua
esperienza dell’estate scorsa in un
Ospedale da campo della Tanzania
partecipando alla mostra non con
foto di viaggio ma con alcune bellissime immagini scattate soprattutto
ai
bambini
che
in
quell’ospedale lottano quotidianamente con la fame o con la dissenteria o con il virus dell’HIV
contratto già nel grembo materno.
Bambini che comunque sorridono
alla fotocamera che li immortala
mentre giocano o mentre aspettano pazientemente il loro turno per
essere visitati o per prelevare un
pasto caldo a metà giornata.
Bambini che soffrono e che pure
sorridono. Bambini che non hanno
le stesse aspettative dei nostri,
che non desiderano sotto l’albero
di Natale la nuova playstation o il
nuovo
cellulare
multifunzione,
semplicemente perché non hanno
nemmeno un albero sotto il quale
aspettare qualcosa e ancor più
drammaticamente perché la loro
aspettativa di vita è in molti casi
assai ridotta, tanto che a 10 o 12
anni sono considerati adulti e già
arruolati dagli eserciti più o meno
regolari o irregolari che seminano
morte e distruzioni nei vari villag-
IL CLUB n. 109 – pag. 3
gi del continente africano sfruttando le diatribe secolari fra popoli e tribù.
Questa è l’altra metà del
mondo, quella che non soffre per
la crisi in atto semplicemente perché sopravvivere giorno per giorno è già una bellissima conquista,
perché sapere leggere o scrivere è
una cosa da ricchi, perché anche
mangiare qualcosa ogni giorno è
un traguardo che non sempre viene raggiunto, perché vivere fino a
50 anni è infine qualcosa che solo
in pochi riescono a ottenere. Questo mentre da noi le scuole sono
occupate dagli studenti che lottano contro i tagli imposti dalla riforma Gelmini, mentre le “parti
sociali” (ma che significa parti sociali?) trattano per non fare chiudere industrie e limitare al massimo i licenziamenti dei dipendenti, mentre i manager che hanno
fallito la loro missione aziendale
vengono ...dimessi e nel contempo “premiati” con una lauta buona-uscita che un esercito di operai
e impiegati non sarebbe nemmeno in grado di spendere in tutta la
vita. E mentre i nostri ministri,
deputati, senatori e quant’altro
giocano ogni giorno nel teatrino
della politica infischiandosene dei
problemi veri della gente.
Due mondi che si ignorano. Due mondi che non si parlano.
Due mondi che si snobbano a vicenda. Eppure due mondi che
hanno bisogno l’uno dell’altro.
Senza fronteggiarsi, ma cercando
di integrarsi a vicenda, dato che
ognuna delle due metà non può
vivere - o sopravvivere – senza
l’altra. Che sia bianca o nera, nordica o “sudicia”, cristiana o islamica, ricca o povera. Dato che la
ricchezza non si misura solo con il
denaro ma con la capacità di amare, come affermava Erich Fromm,
uno dei massimi filosofi del ‘900
(“Avere o essere”).
Il Natale alle porte può essere l’occasione giusta per riflettere su queste cose, sul perché di
questa crisi, sui giusti metodi per
uscirne; e può essere un’ottima
occasione anche per renderci tutti
più “ricchi”, anche se non abbiamo molti ...soldi da spendere.
Maurizio Karra
Uno sguardo sullo Stretto
Tra il 16 e il 17 ottobre siamo andati alla (ri)scoperta di Messina, scandita dal suo amplissimo lungomare, che si
affaccia sul celeberrimo Stretto con vista sulla Calabria, e dalle sue suggestive costruzioni liberty
Questa volta le previsioni meteorologiche sono state rispettate e il tempo è stato …dalla
nostra parte, permettendoci di godere di uno splendido finesettimana di caldo e di sole con vista sullo Stretto, a parte un paio
d’ore di leggera pioggerella che
però non ci ha fermato, siglando di
fatto l’ultimo week-end quasi “estivo” prima dell’arrivo delle copiose piogge autunnali; ma andiamo
per ordine…
L’appuntamento per i soci
del Club, orchestrato dalla sapiente
regia del “nostro” Vittorio Parrino,
era per sabato 16 ottobre presso il
camping dello Stretto a Ganzirri,
una delle poche possibilità logistiche per visitare in camper la città
di Messina, data l’atavica mancanza di spazi di parcheggio di
quest’ultima. Ma in ogni caso si
tratta di uno dei punti più scenografici della costa siciliana, dato
che il campeggio è situato presso
la località di Torre Faro, nel punto
più …stretto dello Stretto di Messina (e qui si impone il gioco di parole), dove forse i nostri figli un
giorno vedranno il famigerato ponte che dovrebbe collegare la Sicilia
al “continente”. E proprio i lavori di
carotaggio per il ponte ci hanno
accolto sulla strada al nostro arrivo
in campeggio, mentre appena ci
siamo sistemati c’è stato l’aperitivo
con brindisi offerto dagli emozionati Gaetano e Giselda Russo per festeggiare il loro nuovo camper alla
sua prima uscita.
Dopo un pranzo veloce,
mentre il sole si oscurava dietro
qualche nuvola, ci siamo dedicati
ad una piacevole passeggiata sul
litorale circostante fra il mare e i
laghetti di Ganzirri, dove la vista
sulle dirimpettaie coste calabresi
era davvero notevole; facevano da
contraltare le spiagge orlate da
palme di questa splendida località
situata nella cuspide nord-orientale
della Sicilia, dove sembra lentamente riemergere dalle acque la
lunga catena appenninica attraverso i monti peloritani. E’ un luogo di
grande fascino, sempre immerso in
una straordinaria luce e confuso
fra terra e acque, con i pittoreschi
laghetti di Ganzirri; qui si individua
la linea di demarcazione fra Tirreno
e Ionio, mentre lo scenario è caratterizzato anche dall’alto traliccio
metallico, entrato ormai a far parte
del paesaggio, che una volta permetteva il collegamento della rete
elettrica fra Sicilia e Calabria.
Una leggera pioggerella ci
ha poi convinto a tornare in campeggio, dove il resto del pomeriggio
è trascorso mettendo a punto con i
componenti del direttivo presenti
alcuni programmi dei futuri raduni
del Club, prima di trasferirci tutti
alla pizzeria del campeggio per passare allegramente la serata.
La mattina della domenica
sotto uno splendido sole siamo saliti a bordo del pullman che ci avrebbe condotto a zonzo per la città in compagnia della nostra pre-
In alto alcuni nostri soci al brindisi di auguri per il nuovo camper di Giselda e Gaetano Russo. In basso il panorama del Lago Grande di Ganzirri
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Il nostro gruppo in una sala del Museo Regionale di Messina
paratissima guida Katia, che fin da
subito ha cominciato ad illustrarci
le peculiarità della città dello Stretto; infatti Messina vanta origine
antichissime, retaggio di antiche
leggende come quella della mostruosa creatura che con il solo
nome, Cariddi, suscitava le angosce dei marinai dell’antichità, come
la dirimpettaia Scilla.
Ai giorni nostri la città conserva pochi dei suoi tesori artistici,
a causa dei numerosi terremoti che
ha subito nel corso dei secoli, uno
dei più gravi avvenuto il 28 dicembre 1908, che la rase praticamente
al suolo e, come se questo ancora
non bastasse, grazie al martellante
bombardamento alleato che nel
1943 distrusse quel poco che era
sopravissuto di antico nella zona
del porto. In particolare della ricostruzione post terremoto restano
numerose pregevoli costruzioni in
stile liberty o eclettico, con influenze neogotiche e catalane.
La nostra prima tappa è
stata presso il Museo Regionale,
dove abbiamo ammirato notevoli
dipinti che vanno dal ‘300 al ‘600,
in particolare opere di Antonello da
Messina, che a metà del ‘400 ha
saputo coniugare la prospettiva dei
maestri italiani con la precisione
per i dettagli dei maestri fiamminghi, e quelle di Caravaggio, i cui
toni bui potrebbero spiegarsi con la
sua vita tumultuosa e la struggente personalità che lo portarono
perfino all’assassinio.
Quindi ci siamo spostati
verso il cuore del centro storico,
ammirando le numerose costruzioni
liberty e razionaliste che incontra-
vamo lungo il percorso, fino a raggiungere l’ombelico storico della città, piazza Duomo, vasto slargo su
cui si affaccia la cinquecentesca
Fontana di Orione, una delle poche
opere scultoree sopravvissute ai cataclismi cittadini, nata per celebrare
la costruzione del primo acquedotto
cittadino, con figure umane che personificano importanti fiumi. Il duomo
fu voluto dai normanni nel XII secolo
ed è stato parzialmente ricostruito
sia a causa dei frequenti terremoti
cittadini che del bombardamento del
1943; il suo interno a tre navate,
diviso da colonne con archi ogivali, è
sovrastato da un magnifico tetto ligneo a capriate dipinte, mentre la
facciata è scandita da fasce marmo-
ree a bassorilievo, da un bel portale
del ‘500 e dalla sagoma del famoso
campanile, con i due quadranti che
rappresentano il calendario e il sistema planetario e gli automi che
entrano in funzione a mezzogiorno.
E così, dopo la visita
dell’interessante Tesoro del Duomo, con splendidi pezzi di oreficeria sacra in argento e lamina d’oro,
a mezzogiorno in punto eravamo
tutti con il naso all’insù a scrutare
il campanile e i suoi automi, che
rappresentano le allegorie dei
giorni della settimana e dell’età
dell’uomo e la Madonna protagonista dell’episodio della consegna
della lettera: una leggenda vuole
che durante una grave carestia sia
giunta nel porto di Messina una
nave senza uomini a bordo, ma carica di frumento, con una lettera
contenente una ciocca di capelli e
un messaggio della Madonna che
benediceva la città e i suoi abitanti, probabilmente i primi siciliani a
convertirsi al cristianesimo nel 42
dopo l’arrivo di San Paolo.
La tappa seguente è stata
presso la vicina chiesa dei Catalani, scandita da notevoli influenze
arabo-normanne, una delle pochissime testimonianze antecedenti al
terremoto giunte fino a noi, dato
che il complesso d’impianto basilicale, con un interno a tre navate e
volte a crociera, risale al XII secolo
e mostra nella decorazione della
facciata e dei prospetti influenze di
impronta araba, con lisce colonnine addossate ad archetti, su un
piano di calpestio molto più basso
rispetto a quello della città moder-
Davanti al Duomo di Messina
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na, che ai giorni nostri risulta più
elevato a causa dell’accumularsi
delle macerie prodotte dal terremoto. E non poteva mancare l’acquisto
della pignolata, il tipico dolce messinese che alterna il bianco
dell’essenza del limone al nero del
cioccolato, vera delizia per i golosi.
L’immagine simbolo della città dello stretto: la Piazza del Duomo,
con la cinquecentesca Fontana di
Orione e il bellissimo campanile,
famoso perché a mezzogiorno in
punto, al suono dell’Ave Maria di
Schubert, i suoi automi iniziano un
carosello che dura ben dieci minuti
e che è visto sempre da centinaia
se non migliaia di persone
Infine ci siamo diretti al Sacrario di Cristo Re che domina la città dall’alto, e dalla sua terrazza ci
siamo affacciati a godere del notevole scenario sul porto e sulla vicina
Calabria, prima di spostarci verso
l’ultima tappa del tour, a pregevole
Fontana di Nettuno, posta sul lungomare, con la visione dello Stretto,
del forte San Salvatore e della colonna della Madonna che dà il benvenuto in Sicilia e che a noi ha invece dato un suggestivo arrivederci
dalla scenografica città dello Stretto,
dalla quale siamo poi ripartiti nel
pomeriggio per fare ritorno a casa.
Giusto il tempo che sulla città e su tutta la sua provincia si scatenasse dalla sera un violento nubifragio durato due giorni consecutivi,
come sottolineato anche dai vari telegiornali, che ha provocato i soliti
danni a uomini e cose. Ma almeno
questa volta, ce lo siamo scansati:
insomma, abbiamo avuto …fortuna.
Il Sacrario del Cristo Re, da cui si gode un grandioso panorama sulla
città, sul porto e sullo Stretto; sullo sfondo la costa calabra
Mimma Ferrante e Maurizio Karra
IL CLUB n. 109 – pag. 6
Tesori nascosti
La gita nella Sicilia centro-orientale del ponte di Ognissanti, alla scoperta di Militello Val di Catania, Grammichele e Palazzolo Acreide, patrimonio dell’Unesco
T
re giorni tutti da gustare alla scoperta della parte centroorientale della nostra isola, quella
che nel corso di un fine-settimana è
troppo lontana da raggiungere, almeno per i soci palermitani: con
questo allettante programma, messo egregiamente a puntino dal nostro Emanuele Amenta, la carovana
degli oltre venti camper previsti si è
data appuntamento sabato 30 ottobre nella prima cittadina meta dal
raduno, Militello Val di Catania,
fermandosi nell’ampio parcheggio a
ridosso di Viale Regina Margherita,
nei pressi dei campi sportivi. Qui,
dopo i saluti di rito e una prima esplorazione degli immediati dintorni
a caccia di prodotti tipici, i partecipanti si sono dedicati al pranzo, non
troppo frugale, in attesa della visita
guidata prevista nel pomeriggio.
La visita della cittadina, in
perfetto orario, è stata effettuata in
compagnia di Sebastiano Lisi che ci
ha condotto ad ammirare musei e
monumenti del borgo, dichiarato
appena qualche anno fa Patrimonio
mondiale dell’Umanità dall’Unesco
per la sua straordinaria impronta
tardo-barocca che marchia le pietre
cittadine. Militello affonda le sue
radici in un’epoca precedente
all’anno Mille, quando il suo nucleo
si sviluppò attorno ad una fortezza;
ma fu soltanto nel XIV secolo, sotto
la signoria dei Barresi, che il castello venne ampliato e l’abitato
venne dotato di una cortina muraria; a fine ‘500 il borgo passò ai
Branciforti che lo trasformarono in
una piccola capitale, arricchendolo
di opere pubbliche, come la fontana
di acqua corrente, e di edifici sacri,
come buona parte delle chiese che
punteggiano l’abitato.
Ma quello che colpisce fin
dalla prima occhiata è la monumentalità diffusa tra le facciate e i
balconi degli edifici che riverberano
decorazioni barocche di gran pregio, tra figure antropomorfe e forme vegetali, a testimonianza della
ricostruzione dell’abitato avvenuta
nel ‘700, in seguito agli ingenti
danni provocati dal disastroso terremoto che l’11 gennaio 1693 mise
in ginocchio l’intera Sicilia orientale,
causando morte e distruzione. Così
I nostri soci nel parcheggio di Militello Val di Catania pronti a iniziare la
visita guidata del paese e, in basso, in un momento del giro del centro
storico del paese, iscritto nel Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco
non si può fare a meno di passeggiare con il naso all’insù, alla scoperta di una decorazione dopo
l’altra, di un balcone ornato, di uno
stemma inciso, di un puttino circondato da inflorescenze, in una
sinfonia di puro barocco che incanta
e attira gli sguardi.
Di meraviglia in meraviglia
abbiamo così raggiunto la prima
tappa delle nostre esplorazioni,
l’opulenta abbazia dei benedettini, il
cui monastero ospita ai giorni nostri
il Municipio e la cui facciata è
anch’essa scandita dall’influsso barocco. L’opera fu voluta all’inizio del
‘600 dalla coppia nobiliare che, co-
IL CLUB n. 109 – pag. 7
me dicevamo, trasformò l’abitato in
una piccola capitale, il principe Francesco Branciforte e la moglie Giovanna d’Austria; l’interno presenta
stucchi settecenteschi, il coro ligneo
del ‘700 visibile nel presbiterio, con
la rappresentazione dei Misteri dolorosi e gloriosi, i cui temi sono magistralmente scolpiti e la cappella con i
misteri della vita di Gesù e della
Vergine, con un altare dorato e affreschi con puttini. L’edificio ospita
anche la lapide della sepoltura del
principe fondatore, la cui morte è
avvenuta a causa di avvelenamento
da arsenico, come hanno dimostrato
recenti indagini scientifiche; il che
Il Monastero dei Benedettini di Militello Val di Catania e, in basso, la
splendida Natività di Andrea Della Robbia custodita all’interno del Santuario di Santa Maria della Stella
dimostra che l’omicidio come scorciatoia per il potere è sempre esistito e vanta vittime illustri in qualunque epoca storica.
Quindi, costeggiando i palazzi nobiliari dagli splendidi balconi
con i mensoloni scolpiti, ci siamo
diretti lungo corso Umberto I fino al
salotto cittadino, piazza Vittorio
Emanuele II, su cui si affaccia scenograficamente dall’alto di una scalinata la sagoma settecentesca della
Chiesa Madre dedicata a San Nicola, scandita da stucchi e affreschi;
prima di visitarla abbiamo ammirato la collezione d’arte sacra ospitata
nel vicino Museo di San Nicola, ricavato nei sotterranei del transetto
della chiesa, ottenuti collegando tra
loro le cripte e i locali della vecchia
canonica che, in un’ambientazione
scenografica, mette in mostra sculture, argenti e dipinti di matrice sacra. All’estremità della piazza ha
meritato sicuramente una visita
anche la chiesetta della Madonna
della Catena, il cui interno è caratterizzato da una complessa decorazione in stucco con scene della vita
di Cristo e una teoria di statue delle
sante siciliane più venerate.
Proseguendo ancora oltre,
abbiamo visitato il Museo Civico, al
cui interno era visibile una mostra
sui bambini e la guerra, con foto
anche piuttosto forti di giovanissime vittime al cospetto purtroppo
della violenza e della morte, prima
di approdare al solenne Santuario
di Santa Maria della Stella, che si
innalza dall’alto di una scalinata e
che è incorniciato da un campanile
quadrato; al suo interno è visibile il
sarcofago ornato dalla statua di un
cavaliere che ospita Carlo Barresi e
la splendida Natività in ceramica
invetriata di Andrea Della Robbia,
oltre al Tesoro Mariano con argenti
e dipinti di impronta sacra.
Ancora più avanti, lungo
via Porta della Terra, abbiamo raggiunto l’ultimo residuo del castello
Barresi-Branciforti, il torrione cilindrico che ci riporta indietro al momento di maggior splendore della
cittadina, affiancato dall’arco della
Porta di Terra che introduce
nell’atrio del castello, in cui è visibile la fontana della Ninfa Zizza, testimone dell’acqua corrente giunta
in paese all’inizio del ‘600 per volontà del principe Branciforti e
messa da lui subito a disposizione
di tutti gli abitanti.
A questo punto si imponeva un po’ di ristoro per riuscire a
digerire tutta la cultura e l’arte in-
Un momento del concerto del Coro Polifonico Maris Stella organizzato
dal Comune di Militello Val di Catania per il nostro Club
IL CLUB n. 109 – pag. 8
gurgitate, così le cavallette si sono
prese una pausa nella pizzeria “U
trappitu”, pausa che doveva essere
breve, anche perché il nostro gruppo era stato invitato dall’Amministrazione Comunale a un concerto
di musica che doveva svolgersi di lì
a poco nella chiesetta del Circolo.
Purtroppo però la pausa è stata
molto più lunga del previsto, perché
prima dell’arrivo della pizza ordinata è trascorsa oltre un’ora e mezza!!! Così non ci è rimasto che recarci al concerto di musica sacra
con un notevole ritardo avvisando
del nostro ritardo pur incolpevole;
meno male che siamo comunque
riusciti a goderci un po’ della notevole rappresentazione che ci attendeva e che ha avuto come protagonista il Coro Polifonico “Maris Stella”, diretto dal maestro Alfio Penna,
accompagnato al pianoforte dal
maestro Gaetano Ruggirei e al clarinetto da Graziano Lo Presti, in un
crescendo di musiche sacre, ma anche jazz e gospel, oltre che di canti
siciliani eseguiti con eccezionale
maestria anche in polifonia. E con
l’anima rasserenata da queste
struggenti melodie siamo andati a
nanna, grati di tutte le bellezze che
la giornata ci aveva riservato.
La mattina della domenica
31 ottobre, dopo aver rimesso indietro di un’ora l’orologio per tornare
all’ora solare, la carovana dei camper si è spostata attraverso un gomitolo di strade fiancheggiate dalle
piantagioni di fichidindia in direzione
della cittadina di Grammichele, fermandosi come prima tappa quotidiana nella vicina area archeologica
di Occhiolà, in contrada Terravecchia, dove ad attenderci c’era per
una visita guidata il professor Saverio Amato, che ci ha innanzi tutto
illustrato la storia del sito. Si tratta
di un borgo medievale fortificato abbarbicato su una collina, di cui restano chiare tracce dell’impianto e
delle diverse chiese che in esso erano state edificate ma che furono distrutte completamente dal terribile e
famigerato terremoto dell’11 gennaio 1693 che proprio qui a Grammichele decimò la popolazione e ridusse l’abitato in un cumulo di macerie. Ma il sito della vecchia Grammichele vanta anche frequentazioni
umane molto più antiche, al punto
che si ipotizza che nelle sue fondamenta si celi la città greca di Eketla,
come dimostrerebbero i numerosi
ritrovamenti archeologici nella zona
circostante, che in parte risalirebbero indietro fino all’età del bronzo.
I nostri soci nel Parco archeologico di Occhiolà; in basso nella Piazza
Carlo Maria Carafa, al centro di Grammichele
IL CLUB n. 109 – pag. 9
A fine visita ci siamo recati
nella vicina Grammichele, fermandoci nel piazzale di Largo Mercato,
da cui dopo il pranzo ha avuto inizio
la visita guidata del centro storico
dell’attuale abitato in compagnia di
Gianfranco Viola, che ci ha raccontato la curiosa storia della nascita
del borgo. Infatti, subito dopo il catastrofico terremoto del 1693, il
principe Carlo Maria Carafa, signore
del feudo, per evitare che la popolazione sopravvissuta si disperdesse
nelle campagne, decise di costruire
una nuova città, ma non sulle rovine del vecchio sito di Occhiolà, ma
in un nuovo luogo poco distante.
Così il 18 aprile dello stesso anno,
con l’aiuto dell’architetto Fra Michele da Ferla, venne posta la prima
pietra della nuova città, sulla base
di un impianto urbano di forma esagonale che anche ai giorni nostri
è perfettamente leggibile, scandito
da sei strade principali che dividono
la pianta in sei spicchi chiamati sestieri, secondo il modello rinascimentale della città ideale che il principe, cultore delle scienze e studioso
di esoterismo, aveva fatto suo.
La statua del principe Carlo Maria Carafa, che ricostruì Grammichele dopo
la distruzione di Occhiolà a causa del
tremendo terremoto del 1693
Attraverso le vie e le piazze
che si intersecano formando questa
perfetta figura geometrica siamo
giunti alla nostra prima sosta in
Largo Occhiolà, così chiamato in
omaggio dei morti del terremoto
del 1693, dove si innalza un monumento a loro dedicato, un gruppo
scultoreo che ricorda la fine di Oc-
Lo splendido parcheggio dell’agriturismo Valle dei Margi, vicino
Grammichele, che ci ha ospitato a cena la domenica sera; in basso
un momento della cena
chiolà e la fondazione della nuova
città, con un grande pannello in
bronzo che racconta da un lato
l’esodo dei sopravvissuti verso la
nuova città e dall’altro la nascita di
quest’ultima, simboleggiata da Fra
Michele da Ferla e da due operai al
lavoro. Sulla stessa piazzetta è visibile uno degli orologi solari che
scandiscono l’abitato in onore del
principe Carafa, che era un esperto
costruttore di questo tipo di orologi,
oltre alla chiesetta di San Rocco, che
ospita un crocifisso ligneo del ‘700 e
la statua lignea di San Rocco.
La visita è poi proseguita
con la scoperta delle altre chiese
cittadine, come quella dedicata allo
Spirito Santo, con un affresco del
Battesimo di Gesù e la statua di
Cristo alla Colonna che viene portata in processione nel corso della
Settimana Santa, o come quella di
San Leonardo, la cui facciata è in-
IL CLUB n. 109 – pag. 10
completa nella parte superiore, la
cui unica navata ospita il pregevole
crocefisso ligneo seicentesco proveniente dall’omonima chiesa di
Occhiolà, o ancora come quella del
Calvario, preceduta da una croce e
con una facciata scandita da lesene,
davanti alla quale si svolgono i riti
della Settimana Santa.
Ma il salotto cittadino è
senza dubbio la scenografica piazza
centrale, anch’essa a forma di esagono, dedicata al principe Carlo Maria Carafa, da cui sembra irradiarsi
l’essenza stessa del borgo; si tratta
di un vasto spiazzo su cui è visibile
la statua del principe fondatore, intento a scendere la scalinata del
suo sapere, simboleggiato dai gradini, ognuno di quali rappresenta
una delle discipline amate dal principe, per andare incontro al suo popolo. All’estremità opposta della
piazza si innalza un altro degli o-
maggi degli abitanti al fondatore
della città, un grande orologio solare orizzontale, caratterizzato da
un’enorme figura umana inginocchiata che simboleggia il tempo imprigionato da una serie di cerchi
che richiamano l’antica sfera armillare; l’uomo inginocchiato regge
un’asta gnomonica che proietta la
sua ombra su una serie di linee tracciate sulla pavimentazione, in grado
di dare informazioni sulle ore, la data, gli equinozi, i solstizi, lo zodiaco
e le date di distruzione di Occhiolà e
di fondazione di Grammichele, in
una sorta di cerchio temporale che
si chiude su se stesso, pronto a riaprirsi ad ogni nuova alba.
Inoltre sulla piazza prospettano i due monumenti più importanti: la Chiesa Madre dalla sobria
facciata settecentesca, che ospita la
pala del patrono San Michele Arcangelo e che è chiusa da anni per
lavori di restauro; e la sagoma
dell’ottocentesco Municipio, disposto su tre ordini, con un grande
portico a tre arcate, che ospita al
suo interno anche il Museo Civico,
con importanti reperti provenienti
dall’area archeologica di Occhiolà e
la lastra di ardesia con incisa la
pianta cittadina, iscritta in un perfetto esagono, che raffigura anche il
castello del principe che non fu mai
realizzato a causa della sua morte
prematura. Peccato che ci sia stata
preclusa la visita del museo, dato
che nessuno dei suoi custodi era
presente per aprirlo di domenica!
E così, dopo le scoperte della giornata, ci siamo ulteriormente
spostati all’imbrunire appena fuori
dalla cittadina, fermandoci nel curatissimo agriturismo “Valle dei Margi”, dove la carovana dei camper ha
trovato una comoda sistemazione in
un parcheggio curatissimo fra gli agrumi. Abbiamo avuto modo di conoscere nell’occasione una struttura
di grande eleganza e charme, che
comprende
diverse
costruzioni
all’interno di un grande agrumeto,
con piscina e un piccolo zoo che ha
deliziato i bambini presenti.
In serata all’interno del locale ristorante è andata in scena una
riuscita rappresentazione delle cavallette presenti che, più arraggiate
che mai, si sono gettate a capofitto
su un ricchissimo menù a base di
stuzzichini e di numerosi antipasti,
tra cui ricotta, primosale, bruschetta, pomodori secchi, peperoni, impanata, salsiccia secca, melanzane a
cotoletta, frittatine di verdure e
crocchette di patate, di un paradi-
Foto ricordo nel Piazzale dei Palazzesi d’Australia, e in basso la splendida chiesa barocca dei SS. Pietro e Paolo a Palazzolo Acreide
IL CLUB n. 109 – pag. 11
ad ammirare lo splendido museo etnografico creato da Antonino Uccello, che ospita mobili, oggetti e suppellettili del mondo contadino siciliano dell’800, mentre una terza ha
preferito andare a zonzo attraverso
le scenografie cittadine; questi ultimi, di cui la sottoscritta faceva parte, si sono goduti le atmosfere barocche del centro come la facciata
appena restaurata della chiesa dei
Santi Pietro e Paolo, adorna di gruppi di sculture, la piazza Vittorio Emanuele, scandita da palazzi nobiliari e la via Garibaldi, su cui si affacciano tutti i più bei palazzi del ‘700 e
dell’800, come quello con la mensola
decorata in stile barocco più lunga
della Sicilia che caratterizza Palazzo
Judica, con una serie di mascheroni
di grande effetto scenografico lungo
tutta la balconata; concludendo la
visita sempre con il naso all’insù
ammirando i fregi e le decorazioni
che incrostano le facciate dei palazzi
nobiliari con uno splendido effetto di
monumentalità diffusa.
La chiesa di San Sebastiano, sempre a Palazzolo Acreide
siaco bis di pasta con ravioloni in
salsa di funghi e fusilli al pomodoro
ciliegino e basilico, prima di darci
sotto con la salsiccia alla griglia e
con la lombata di maiale al limone
con rispettivi contorni e finire degnamente con la frutta e un insieme
di dolci tipici che sono spariti in un
paio di …bocconi. E dopo tanto bendiddio i nostri soci hanno voluto dimostrare la loro soddisfazione dando
vita ad un concertino che ha dato la
buon notte a coloro che si erano già
ritirati in camper, come il presidente, colto nel sonno del giusto.
La mattina di lunedì 1° novembre, dopo esserci goduti le atmosfere bucoliche dell’agriturismo,
ci siamo diretti verso l’ultima tappa
del raduno, la cittadina di Palazzolo
Acreide, dove ci siamo sistemati
presso il parcheggio camper di piaz-
zale dei Palazzesi d’Australia; qui i
padroni di casa, Larisa ed Emanuele
Amenta, ci hanno fatto da guida nella scoperta della splendida cittadina,
anch’essa incrostata di decorazioni
barocche di grande fascino e
anch’essa iscritta nel Patrimonio
dell’Unesco; una cittadina che vanta
una storia ultramillenaria, dato che
le sue origini risalgono alla dominazione greca. E i monumenti da vedere erano talmente numerosi che i
presenti si sono divisi in tre gruppi,
naturalmente dopo aver fatto scorta
degli ottimi dolci locali, secondo la
consolidata tradizione da cavallette.
Così, dopo aver ammirato
la chiesa di San Sebastiano, letteralmente incrostata da decorazioni
barocche, una parte dei presenti si è
recata ad esplorare il teatro greco e
l’area archeologica di Akrai, un’altra
IL CLUB n. 109 – pag. 12
Uno dei tantissimi fregi che adornano
i palazzi nobiliari di Palazzolo Acreide
Troppo presto è giunta l’ora
del pranzo e dei saluti, in previsione
delle numerose ore di guida necessarie per la maggior parte dei soci
per tornare verso casa. Ma durante
la rotta di avvicinamento alla solita
vita siamo stati consolati dal ricordo
degli splendidi tesori ammirati nel
corso del raduno, che hanno reso un
po’ meno pesante il ritorno al consueto tran tran quotidiano.
Testo di Mimma Ferrante
Foto di Maurizio Karra
Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto
L’undicesima edizione della mostra fotografica “Latitudini d’autore” e il Calendario 2011 del Club
E
siamo giunti all’undicesima edizione: partiti in sordina
e quasi per gioco con pochi soci
partecipanti nell’anno 2000, la tradizionale mostra fotografica di fine
anno ha finito con il rappresentare
uno degli appuntamenti di maggiore spessore della nostra attività
associativa, coinvolgendo un sempre più considerevole numero di
persone e soprattutto acquistando,
anno dopo anno, una qualità che ci
è stata riconosciuta sia dal pubblico che dai giornalisti e fotografi
professionisti che attendono di ricevere ogni volta l’invito per esse-
re presenti all’inaugurazione della
mostra o comunque per visitarla
nel corso dei giorni della sua apertura.
Quest’anno a rispondere
all’appello sono stati, con oltre 160
foto scattate nel corso delle loro
gite e dei loro viaggi del 2010, 24
soci del Club: Giovanna Amico,
Francesco Bonsangue, Francesco
Carabillò, Paolo Carabillò, Adele
Crivello, Giulia Crivello, Mimma
Ferrante, Luigi Fiscella, Enrico Gristina, Licia Gristina, Marcello Karra, Maurizio Karra, Patrizia, La China, Domenico Napoli, Giovanni Pitrè, Luca Pitré, Larisa Ponomareva
La sala mostre del Circolo del Banco di Sicilia
e un’istantanea della serata dell’inaugurazione della mostra fotografica
IL CLUB n. 109 – pag. 13
Amenta, Gaetano Russo, Giangiacomo Sideli, Giuseppe Eduardo
Spadoni, Giselda Tedeschi, Mario
Tomasino, Enzo Triolo e Anna
Tumminello. Quasi tutti presenti,
insieme a tanti altri soci, amici e
altro pubblico, all’inaugurazione
presso il Circolo del Banco di Sicilia, nel pomeriggio di venerdì 19
novembre u.sc.
Ad ogni partecipante è
stato dedicato un pannello contenente le foto presentate, che sono
state testimonianza di luoghi vicini (molti in Sicilia) e lontani, dalla
Spagna alla Russia, dalla Norvegia
alla Croazia, dall’Olanda alla Tunisia, in un caleidoscopio di esperienze visive e “vissute” di grande
interesse; la mostra, d’altronde,
si propone ogni anno come testimonianza del nostro impegno nel
promuovere il turismo all’aria aperta, e siamo felici di condividere le nostre esperienze con chiunque, anche con coloro che non
sono mai entrati in un camper e
che magari viaggiano solo con le
ali della fantasia.
Non ci stancheremo mai
di affermare che il viaggio, vicino
o lontano, breve come una gita o
lungo più di un mese che sia, è
infatti per i soci del nostro Club
un’esperienza unica e irripetibile
che ciascuno affronta nella consapevolezza che ogni nuova meta
raggiunta servirà ad aggiungere
qualcosa al patrimonio personale
di conoscenze, tanto da stimolare
la voglia di proseguire ancora avanti in cerca di un’altra meta e
poi di un’altra ancora; un concetto di viaggio, insomma, che è
prima di tutto conoscenza di luoghi, di persone, di tradizioni, di
culture, di idee a volte diverse o
diversissime dalle nostre, e proprio per questo prima di tutto arricchimento interiore.
Lo ha riconosciuto anche
Roberto Bertola, ultimo Amministratore Delegato del Banco di Sicilia e adesso Responsabile Territoriale della Sicilia di Unicredit,
che ha voluto visitare la mostra in
anteprima, nel primo pomeriggio
di venerdì, prima dell’inaugurazione, per potervi dedicare più
tempo e attenzione; e ha così apprezzato tante foto fra quelle e-
sposte, chiedendo notizie dei vari
autori, dei luoghi visitati e lodando la bontà dell’iniziativa.
Nel corso della inaugurazione, volutamente senza nessun
discorso ufficiale, vi sono stati
molti interventi, e fra questi quello di Laura e Mario Tomasino che
hanno parlato della loro esperienza personale nel corso del loro
viaggio in Bosnia Erzegovina, e in
particolare al Santuario mariano
di Medijugorie, con le apparizioni
della veggente Miriana, mentre
Eduardo Spadoni ha accennato alla grande accoglienza ricevuta in
terra russa dagli equipaggi del
Club che vi sono stati nel corso
del loro viaggio estivo; a lui ha
fatto eco Giulia Crivello che ha
posto l’accento sulla qualità del
rapporto che deve istaurarsi fra il
viaggiatore e la popolazione locale
e ha ricordato a tale proposito i
contatti con i monaci ortodossi dei
monasteri della Moldavia e della
Bucovina e quelli con le popolazioni berbere del deserto del Sahara avuti nel corso dei viaggi del
Club di qualche anno addietro.
Un’altra
testimonianza
particolare è stata poi quella di
Licia Gristina, figlia di Enrico e
Marilì, studentessa di medicina
all’Università di Palermo che
quest’anno, anziché effettuare nel
corso dei mesi estivi un viaggiovacanza, ha dedicato il tempo del
“riposo” dagli esami accademici a
una bellissima missione umanitaria all’interno di un ospedale da
campo in Tanzania (cfr. box nella
pagina successiva), traendone anche spunto per le foto che ha voluto presentare - soprattutto immagini di bambini - per condividere con noi tutti la grande esperienza di vita di cui è stata protagonista.
Fra paesaggi, immagini marine, visi di persone, scene di vita
quotidiana e angoli di città, tutte le
immagini esposte hanno riscosso
un grande successo; e uno ancor
più grande lo ha riscosso il calendario del nuovo anno, il 2011, realizzato con le foto più interessanti fra
quelle esposte: ormai una tradizione, dopo 11 anni, tant’è che anche
il calendario 2011 del Club è andato
a ruba fra tutti i presenti
all’inaugurazione della mostra.
Al calendario di quest’anno
è stato dedicato un apposito corner, con le 12 pagine recanti le 12
immagini scelte per i vari mesi
dell’anno; e all’interno dello stesso
Le 12 pagine del calendario 2011 del Club
In basso le copertine degli undici calendari realizzati dal 2000 ad oggi
corner sono state sistemate anche
le copertine dei calendari realizzati
nelle precedenti dieci edizioni della
rassegna, visto che ciascuno di essi costituisce per tutti noi un ricordo bellissimo.
IL CLUB n. 109 – pag. 14
Come sempre vasta eco ha
riscosso la mostra fra i media; e,
oltre ai quotidiani, ai mensili locali,
alle riviste nazionali di turismo
all’aria aperta, alle radio e tivù regionali che hanno dedicato servizi
alla mostra, ancor più dell’anno passato ci siamo resi conto del grande
tam tam con cui molti siti web e social network hanno rilanciato la notizia della mostra fotografica e commentato l’iniziativa, le immagini esposte o il calendario realizzato.
A cuore aperto
Quando le foto non sono solo ricordi di luoghi visitati...
Desidero raccontarvi la bellissima esperienza che ho fatto quest'estate: a luglio sono partita come volontaria per la Tanzania insieme all'Associazione ONLUS "A cuore aperto", di cui è presidente il mio professore di
cardiochirurgia Giovanni Ruvolo; l'associazione si occupa, tra le tante cose,
di creare e migliorare l'assistenza sanitaria in ambito internazionale e nello
specifico in Tanzania. Sostenendo l'ampliamento e il miglioramento dell'ambulatorio del paese di Ipogolo, finanziando grazie anche ai tanti benefattori
la formazione di medici e infermieri locali, aiutando economicamente le varie
missioni per l'attivazione di corsi di cucito, lavoro a maglia, ecc. che possano
trattenere le giovani ragazze nel loro paese di nascita evitando che vadano a
Dar es Salaam (capitale economica del Paese), dalla quale molto spesso non
fanno più ritorno per la grande diffusione lì dell'AIDS.
Alcune delle immagini
del calendario 2011 del Club
Segno di un mondo di relazioni che il nostro Club e i suoi soci
hanno saputo coltivare non solo nella
realtà concreta ma anche in quella virtuale del web. A proposito, penso che
vi sarete accorti che il nostro Club è
adesso anche su Facebook all’indirizzo
http://www.facebook.com/pages/ClubPlein-Air-BdS/167612983261417 .
A parte ciò, quest'estate al villaggio di Nyabula sono stati interrotti i
lavori di costruzione della scuola elementare, visto che i benefattori che avevano promesso di finanziarli si sono ritirati a metà dell'opera, lasciando le cose
incomplete (nel sito dell'associazione troverete delle foto a tal proposito): sono
arrivati a costruire solo le fondamenta dell'edificio che ospiterà le terze classi.
Ed è per questo che l'associazione sta cercando di raccogliere fondi, per aiutare padre Emilio e padre Justin, parroco e vice-parroco di Nyabula, affinché
possano essere ultimati questi lavori per la costruzione di un'aula che ospiterà
180 bambini. Un reportage è stato girato proprio quest'estate da un reporter
della Rai che è partito con noi, perchè le immagini spesso sono molto più esaustive delle parole, soprattutto per far prendere coscienza con i propri occhi
di quella che è la realtà del posto, e di quella che è l'importanza di gesti per
noi piccoli, ma che in quella terra hanno un enorme rilievo!
Questo mio viaggio mi ha tanto coinvolto e sensibilizzato sulla questione, … mi ha permesso di capire e ritrovare il senso secondo me più puro
della medicina e dell’essere medico, prescindendo dal potere, dalla politica e
dai giochi di ruolo nei quali, nella vita quotidiana universitaria, mi sono più
volte imbattuta, da cui mi sono sempre distaccata e che in certi momenti mi
hanno fatto anche mettere in dubbio il mio percorso e i miei studi… Un viaggio che inevitabilmente ti cambia. Ti apre a nuove prospettive e ti porta a
fare delle considerazioni. Il calore di questa gente, il senso di gratitudine che
ti dimostra anche semplicemente, nel mio caso, per aver controllato la pressione o fatto un elettrocardiogramma, i sorrisi che ricevi dai bambini che ti
vengono incontro per strada, cercando la tua mano per stringerla forte o che
ti abbracciano dimostrando un profondo bisogno di affetto e di dolcezza:
questo e molto altro mi sono portata dietro.
Per chi volesse saperne di più sull’associazione “A cuore aperto” e dare
il proprio contributo può visitare il sito internet: http://www.acuoreaperto.org/.
Licia Gristina
M. K.
IL CLUB n. 109 – pag. 15
Una passeggiata nel barocco palermitano
Fra decori, stucchi, marmi policromi e puttini, il grande successo della passeggiata organizzata la mattina del 20 novembre in collaborazione con l’associazione Itiner’ars nel cuore di
Palermo, alla scoperta di alcune delle più belle chiese della città
L
a voglia di scoprire la
nostra città, i suoi bellissimi monumenti e la sua storia è sempre
viva e non c’è volta che si organizzi una visita guidata del centro storico di Palermo, uno dei più estesi
di
tutto
il
mondo
secondo
l’UNESCO, che non vi sia subito la
richiesta da parte dei nostri soci di
un immediato successivo appuntamento. Anche questa volta il
successo della passeggiata organizzata la mattina di sabato 20 novembre, con la collaborazione
dell’associazione Itiner’ars, è stato
strepitoso e la promessa di altri
appuntamenti ravvicinati nel tempo un obbligo morale. Merito della
bellissima giornata di sole che ci
ha aiutati, a dispetto di previsioni
meteo che non facevano presagire
nulla di buono, e merito soprattutto della nostra guida, Alessandra,
laureata in storia dell’arte, preparata, simpatica, capace di seguire
e interessare tutto il gruppo senza
mai apparire pedante o ovvia.
Ma andiamo per ordine. Il
tema della passeggiata era stavolta le chiese barocche palermitane,
e l’obiettivo era quello di conoscere
alcuni i più importanti esempi della
monumentalità religiosa della città
fra ‘600 e ‘700, allorquando ordini
religiosi come i Teatini, i Francescani, i Domenicani o i Gesuiti era-
no fra i massimi protagonisti della
vita sociale, economica e intellettuale della vice-capitale del regno,
Palermo. L’appuntamento per il
nostro gruppo era stato fissato alle
9,15 a Piazza Bellini, da cui poi ci
saremmo mossi per la nostra passeggiata. E a presentarsi sono stati
25 soci.
Piazza Bellini e la chiesa
di Santa Caterina
La Piazza Bellini, un tempo
denominata Piano di San Cataldo,
si stende in modo irregolare alle
spalle del Palazzo Senatorio, oggi
sede del Comune, che un tempo
aveva qui la sua facciata principale; prendeva nome dalla Cappella
di San Cataldo, del periodo normanno, che adesso si trova insieme alla limitrofa Chiesa di Santa
Maria dell'Ammiraglio (o della Martorana) su un piano sopraelevato
rispetto a quello stradale.
Dalla parte opposta rispetto alle due predette Chiese, accanto al Palazzo Senatorio, si trova la
facciata della Chiesa di Santa Caterina, uno dei più insigni esempi
di barocco palermitano, per tanti
anni chiusa al pubblico fin quando
proprio l’associazione Itiner’ars
non è riuscita a gestirne il restauro
e a ricevere l’incarico di tenerla
aperta per le visite del pubblico. E
I nostri soci all’interno della chiesa di Santa Caterina
IL CLUB n. 109 – pag. 16
proprio da questa chiesa è iniziata
la nostra passeggiata per Palermo
barocca.
L’architettura della chiesa è
tardo-cinquecentesca, a navata unica e a croce latina, costruita in
seguito all'ampliamento di un monastero di suore domenicane voluto dal predetto Ordine a metà del
'500. Il monastero era nato a seguito del volere di una nobile palermitana, Benvenuta Mastrangelo,
rimasta nel 1310 vedova e senza
figli. Pare che all’inizio accogliesse
semplici donne meretrici; soltanto
in seguito, il suo stato mutò per
magnificenza e ricchezza divenendo un monastero nobiliare e di
clausura. Nel corso del XVI secolo,
infatti, per l’accrescersi del numero
delle suore, il monastero venne
ampliato, e l’antica chiesa di 5an
Matteo che dava il nome alla contrada, venne incorporata al monastero stesso. A suor Maria del Carretto, figlia di Giovanni conte di
Racalmuto, si deve la fondazione
della chiesa attuale, dato che la
vecchia chiesa risultava ormai piccola e non più corrispondente
all’importanza e alla ricchezza conquistata dal monastero.
La nuova chiesa, dedicata
a 5anta Caterina, venne quindi
edificata tra il 1566 e il 1596 ed
inaugurata il 24 novembre, nel
giorno della ricorrenza della Santa.
Ignoto è il nome del suo architetto.
Alla facciata della chiesa, alquanto
sobria, seppur posta su un’alta
scalinata, corrisponde un ricchissimo interno, frutto di due secoli di
lavoro di artisti perlopiù rimasti
anonimi, con sculture, stucchi e
intarsi marmorei che danno il senso dello sfarzo secentesco dovuto
alla Controriforma. Grande attenzione è stata dedicata nel corso
della visita ai preziosi quadri in
marmi mischi e bassorilievi posti
alla base delle lesene e ai medaglioni con le storie di Santa Caterina delle pareti.
Altrettanto interesse hanno suscitato gli affreschi di cui la
chiesa è letteralmente ricolma,
come quello di “Gesù che appare a
Santa Caterina”, quello della “Madonna che appare alla Santa” e
quelli delle figure allegoriche di
“Virtù” eseguiti da Francesco Sozzi
con l’aiuto di Alessandro D’Anna,
nonché quelli della volta, dipinta
da Filippo Randazzo con la “Gloria
di Santa Caterina” e quelli della
cupola, con il “Trionfo dei Santi
domenicani”, opera di Vito d’Anna.
La chiesa del Gesù
a Casa Professa
Dopo questo primo “assaggio” del barocco palermitano, il nostro gruppo si è trasferito a Piazza
Casa Professa, dove a metà del
'500 i Gesuiti fecero sorgere, sul
luogo dove precedentemente si
trovava la Chiesa di Santa Maria
della Grotta, il grande complesso
di Casa Professa, collegio e insieme sede del loro Ordine, e l'attigua
Chiesa del Gesù, rimasta a testimoniare forse meglio di qualsiasi
altra costruzione il fasto del barocco a Palermo.
La Chiesa poggia su un
modesto rialzo al di sotto del quale
una tradizione vuole che sia rimasto per lungo tempo in una delle
grotte, ormai non più accessibili,
San Calogero; sotto il piano stradale della piazza e al di sotto della
pavimentazione della chiesa corrono comunque vari cuniculi sotterranei, il cui accesso è ora murato,
che furono utilizzati in passato anche dai Beati Paoli.
Nonostante i pesanti danni
subiti dalla chiesa nel corso dei
violenti bombardamenti degli alleati nel 1943, i lavori di restauro avviati nell'immediato dopoguerra
hanno ridato alla costruzione il suo
assetto originario. La facciata è
sobria e lineare, di aspetto tardo
rinascimentale, con al centro la
statua marmorea della Madonna
della Grotta del '700. La cupola è
di dimensioni un po' più grandi rispetto a quella originaria, andata
completamente distrutta, ma rende comunque il senso delle proporzioni dell'intero edificio.
E' comunque l'interno, a
croce latina e a tre navate, ad assumere una specifica valenza storica. Per oltre un secolo, fino a tutto il '700, i più illustri artisti siciliani (Pampillonia, Novelli, Vitaliano,
Melante, Grano, Marabitti, ecc.)
operarono al suo interno sia per
decorarla di tarsie marmoree multicolori e di statue di marmo, sia
per impreziosirne le pareti con varie pitture. La teatralità dell'insieme, tra putti in estatica adorazione
e travolgente e orgiastico gioco dei
Due immagini della chiesa dei Gesuiti a Casa Professa
IL CLUB n. 109 – pag. 17
colori delle tarsie marmoree doveva rendere il visitatore attonito
della potenza dell'Ordine dei Gesuiti: questa era infatti la vera funzione di tutta la chiesa, dato che
essi, fino alla loro cacciata avvenuta nel 1767 finirono col dirigere in
pratica tutte le fila della vita politica siciliana.
cato assetto interno, in quanto i
Teatini, che rivaleggiavano all'epoca proprio con i vicini Gesuiti, vollero far di tutto perché la loro casa
confessionale fosse la più stupefacente nella città.
A tal proposito fu raccontata una leggenda relativa alla sua
costruzione, raccolta da un cronista del secolo successivo (Zamparrone), secondo la quale «cavandosi
il terreno dove aprirono la porta
della chiesa di San Giuseppe de li
Padri Teatini, si ritrovò alcuna
quantità di moneta antica con
l’armi di Re Pietro d’Aragona».
Questa leggenda, che andava di
bocca in bocca al popolino negli
anni della costruzione della chiesa,
tentava di spiegare come si era
potuti giungere a tanta sontuosità.
In realtà anche in questo
caso è l'interno della chiesa a lasciare stupefatti, sia per la grandiosa monumentalità dovuta alle
altissime colonne, sia soprattutto
per la decorazione squillante dei
marmi policromi che si annidano
quasi ovunque, dalle cappelle al
presbiterio
all'altare
maggiore.
Numerosi stucchi e opere pittoriche completano l'insieme; da segnalare l'affresco della cupola, opera del fiammingo Guglielmo Borremans, raffigurante il Trionfo di
Sant’Andrea Avellino, un quadro di
Pietro Novelli raffigurante San Gaetano e alcune Madonne del Gagini; e un Crocefisso ligneo di intensa spiritualità di Frate Umile da Petralia; oltre allo splendido soffitto
della navata centrale, dove stucchi
e pittura si fondono in un insieme
del tutto unico e particolare.
Un particolare dei decori della
chiesa del Gesù a Casa Professa
La visita della chiesa è stata il preludio per la scoperta
dell’annesso museo, contenente
paliotti d’altare, oggetti sacri e ceramiche tardo medievali, della
cripta con le catacombe e con
l’accesso ai cuniculi (oggi chiusi)
dei Beati Paoli, e infine all’Oratorio
del Sabato, utilizzato per la preghiera del sabato (da qui il suo
nome) dai padri gesuiti ed edificato
nel ‘700 in modo alquanto più sobrio rispetto allo sfarzo della chiesa, abbellito solo con stucchi di
scuola serpottiana.
In alto il nostro gruppo all’interno dell’Oratorio del Sabato; in basso
una panoramica dell’interno della chiesa di San Giuseppe dei Teatini
San Giuseppe dei Teatini
Dopo l’ubriacatura delle
decorazioni di Casa Professa, il
gruppo si è spostato alla vicina
chiesa di San Giuseppe dei Teatini,
prospiciente il Corso Vittorio Emanuele e addossata a uno dei quattro cantoni di Piazza Vigliena. Iniziata nel 1612 dalla Compagnia dei
Teatini, insediatisi a Palermo pochi
anni prima, questa chiesa è un altro esempio della sontuosità del
barocco palermitano; dopo la conclusione nel 1645 dei lavori architettonici ci vollero ancora quasi
150 anni per concluderne il sofisti-
IL CLUB n. 109 – pag. 18
centrale e tre piccole absidi semicircolari, nonché un campanile. Tra
la fine del '500 e la fine del '600 la
chiesa fu allungata demolendo la
facciata duecentesca e il nartece
interno e costruendo una nuova
facciata di stile barocco; furono
quindi eliminati l'abside centrale e i
relativi mosaici che adornavano in
origine tutte le pareti. Nel secolo
scorso avvenne il dietro-front: si
ricostruirono alcune parti dell'edificio di età normanna nel tentativo
di fare riacquistare alla chiesa la
precedente impronta, e così si rovinarono irrimediabilmente anche
le successive aggiunte barocche.
L'interno odierno è quindi
un misto di stili normanno e barocco; il pavimento è intarsiato con
mosaici di stile arabo; un po' dappertutto alle pareti e ai soffitti si
trovano i brillanti mosaici del XII
secolo su campo aureo con scene
della vita di Gesù, degli Evangelisti, dei Profeti e della Madonna e, a
destra entrando, la scena del re
Ruggero incoronato da Cristo; all'ingresso e nella parte mediana
della chiesa si trovano le decorazioni successive: affreschi di Borremans, dipinti e marmi policromi;
il presbiterio presenta fini decorazioni marmoree e l'altare centrale
ha al centro un tabernacolo settecentesco in lapislazzuli.
Piazza Pretoria
All’interno della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio,
detta la Martorana, Matrice palermitana di rito bizantino
A grande richiesta, uscendo dalla chiesa della Martorana,
una sosta è stata effettuata nella
magnifica Piazza Pretoria, sistemata nell'assetto attuale nella seconda metà del '500. La piazza è chiusa per tre lati; vi prospettano la
La Martorana
Approfittando della pausa
fra una messa e l’altra, officiate
come sempre in rito bizantino, è
stata poi la volta della visita della
chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, ben più nota ai cittadini palermitani come “la Martorana”, voluta nel XII secolo da Giorgio Antiocheno, Ammiraglio di Re Ruggero. E il barocco, vi chiederete? Nella realtà questa chiesa, che è la
Matrice di rito greco-bizantino della
città di Palermo perché al clero
greco fu donata nel 1221, ha subito una metamorfosi pesante, e la
costruzione attuale risulta quindi
profondamente diversa da quella
svevo-normanna originaria.
La chiesa nacque infatti a
pianta quadrangolare con cupola
La Fontana di Piazza Pretoria con, alle spalle, il Municipio
IL CLUB n. 109 – pag. 19
facciata principale del Palazzo Senatorio e una delle facciate laterali
della già visitata chiesa di Santa
Caterina.
La straordinaria scenografia
della piazza è dovuta alla magnifica
fontana che, costruita fra il 1554 e
il 1555 dallo scultore fiorentino
Francesco Camilliani, era stata destinata originariamente alla villa toscana di Don Pietro di Toledo, ma
fu poi venduta dai suoi eredi al Senato palermitano per un prezzo che
all'epoca destò scandalo: trentamila
scudi. La fontana, alla quale la nostra guida Alessandra ha dedicato
re fuori dalle mura della città una
loro "Gancìa", cioè un edificio che
servisse per i loro ammalati e per
coloro che si trovassero in città per
varie ragioni, con annessa la relativa chiesa. Contravvenendo a quel
limite, però, avevano finito con l'edificare il nuovo complesso al limite, ma comunque all'interno, delle
mura cittadine, sul luogo della preesistente chiesa di San Girolamo.
Dopo una notevole querelle giuridica, Papa Giulio II aveva "sanato" la
nuova costruzione permettendo ai
frati di completare la nuova chiesa
e la limitrofa Gancia, alla quale il
Il cortile della Gancia, che fu teatro dell’insurrezione antiborbonica
del 1860 capeggiata da Francesco Riso
alcune interessanti spiegazioni, è in
realtà una gigantesca macchina
d'acqua, composta in origine da
ben 644 statue di marmo (allegorie,
divinità pagane e varie figure femminili, sirene, arpie, animali e mostri) che, a causa delle loro nudità,
hanno fatto sì che a livello popolare
la piazza prendesse la denominazione di Piazza delle Vergogne (non
dimentichiamo che proprio di fronte
ad esse vivevano le suore domenicane di clausura del convento di
Santa Caterina).
La chiesa di Santa Maria
degli Angeli alla Gancia
L’ultima tappa del nostro
giro è stata infine dedicata alla
Chiesa di Santa Maria degli Angeli,
più nota ai palermitani come Chiesa
della Gancia. La storia della chiesa
è legata a quella dei Frati di Santa
Maria di Gesù che avevano ottenuto
alla fine del XV secolo da Papa Innocenzo VIII il permesso di edifica-
Viceré Vigliena aggiunse a sue spese nel 1609 un grandioso chiostro.
Di quella Gancia originaria
rimangono oggi poche visibili tracce (un porticato con alcune figure
di Francescani dipinte, un loggiato
e una bassa torre), anche perché
l'edificio in cui la struttura era ospitata è stato più volte rimaneggiato e quindi adibito ad archivi e
uffici pubblici. Invece la chiesa annessa alla Gancia, dedicata a Santa Maria degli Angeli, per quanto
manomessa nel corso dei secoli, si
mostra ancora oggi nella sua magnificenza rinascimentale.
All'esterno
l'architettura
della chiesa si presenta in forme
semplici, come tutte quelle francescane, con una facciata nuda e i
muri perimetrali in conci squadrati.
Ma è l'interno che, pur se non
sempre in omogenee buone condizioni, lascia trasaliti sia per alcune
sue strutture come il bellissimo
soffitto a cassettoni in legno del
'500, sia per il celeberrimo organo
IL CLUB n. 109 – pag. 20
realizzato da Raffaele La Valle
all’inizio del ‘600, sia per l'enorme
numero di opere d'arte che gelosamente custodisce tra le navate, il
presbiterio e le cappellette laterali.
Tra i vari artisti che hanno
lasciato il loro segno all'interno
della chiesa vi sono Giacomo Serpotta, autore di numerosi stucchi
sparsi un po' dappertutto, Giuseppe Salerno e Pietro Novelli con alcune opere pittoriche di pregio, e
soprattutto Antonello Gagini: suoi
sono un bassorilievo raffigurante
Gesù al Limbo, la statua di San Michele e una Pietà nelle cappelle di
sinistra, due tondi raffiguranti un
Angelo e la Madonna dell'Annunciazione nel presbiterio, il grande
pulpito poligonale a destra, con alcune delicate formelle con raffigurati gli Evangelisti, e infine una delicatissima statua della Madonna
nella quarta cappella di destra.
La storia e le vicissitudini
della chiesa e del convento della
Gancia ci sono state raccontate
anche da un simpatico frate che ha
fatto gli onori di casa e ha interessato tutti i nostri soci ricordando
anche una storia realmente accaduta nel corso del risorgimento palermitano, quella di Francesco Riso
e di alcuni suoi compagni che proprio all’interno di queste mura prepararono l’insurrezione contro i
Borboni del 1860; al suono della
campana della chiesa scoppiò a
Palermo, infatti, un’insurrezione
antiborbonica che fu però ben presto sedata. Il Riso e gli altri compagni si rifugiarono quindi nel convento ma furono sorpresi dalla
truppe borboniche e uccisi tutti
tranne due soli, che si nascosero
tra i cadaveri dei frati nei sotterranei e qui rimasero cinque giorni.
Distrutti dalla fame e dalla paura,
riuscirono infine a fuggire dopo aver
scavato con le loro mani nelle mura
del convento una buca, ancora visibile in Via Alloro, mentre alcune
donne facevano sfociare appositamente in una rissa un banale litigio
per distrarre le truppe borboniche.
A ricordo di quel fatto la buca si
chiamò Buca della Salvezza.
Un bellissimo finale per la
nostra visita di Palermo barocca,
con la promessa di rivederci al più
presto per effettuarne un’altra alla
scoperta di altri tesori della nostra
sorprendente stupenda città.
Testo di Maurizio Karra
Foto di Larisa Ponomareva
Amenta e Maurizio Karra
Tra natura e atmosfere bizantine
Tra il 20 e il 21 novembre siamo andati a caccia dei sapori autunnali del territorio di Chiusa
Sclafani, tra l’ottimo olio e i formaggi locali, prima di dirigerci verso la vicina cittadina di
Contessa Entellina, di matrice albanese, dove si incontrano ancora i papas bizantini
N
ella seconda metà di
novembre gli appuntamenti per i
soci del nostro Club si sono incatenati l’un l’altro a ritmo vertiginoso,
cominciando dal pomeriggio di venerdì 19 con la bella inaugurazione
della consolidata mostra fotografica “Latitudini d’autore” per proseguire la mattina di sabato 20 con
la visita di alcune splendide chiese
barocche di Palermo che tanto interesse e ammirazione ha suscitato. Per concludere degnamente il
fine-settimana non ci restava che
imbarcarci sui nostri amati camper
per andare a respirare aria di libertà a zonzo per la nostra isola. Cosa
che abbiamo prontamente fatto nel
pomeriggio del sabato, dirigendoci
verso un altro degli appuntamenti
ormai consolidati del nostro Club:
l’acquisto dell’olio presso il frantoio
Gebbia di Chiusa Sclafani, grazie
alla
sapiente
organizzazione
dell’amico Nino Gendusa.
Dopo averlo raggiunto girovagando fra le campagne del
corleonese, la carovana di oltre
venti camper si è sistemata nel
parcheggio dell’oleificio, mentre i
presenti cominciavano ad uscire i
bidoni che a breve avrebbero
riempito del prezioso nettare mediterraneo. Ma, mentre l’oscurità
scendeva e i bidoni cominciavano a
riempirsi di profumatissimo olio,
fervevano anche i preparativi per
la consueta cena contadina da gustare tutti insieme all’interno del
frantoio, con le muffolette calde
calde innaffiate con l’olio appena
spremuto, pepe, origano e alici
oppure con la ricotta e i formaggi,
oltre alla pizza locale e allo sfincione; tutta robetta per stomaci spavaldi, che anche un buon Nero
d’Avola (o per gli astemi qualche
bicchiere di Coca Cola) hanno consentito di trangugiare facendo in
modo che le nostre esperte cavallette spazzolassero tutto quel bendiddio in pochi minuti. Per poi riprendere con il riempimento delle
file di bidoni fino a tarda sera,
quando il totale dell’olio acquistato
dal nostro gruppo ha raggiunto lo
strabiliante totale di 732 chili, pari
ad oltre 800 litri!
Due immagini della fornitura dell’olio al frantoio Gebbia
con i nostri soci in fila con bidoni e contenitori vari
IL CLUB n. 109 – pag. 21
Dopo una buona notte di
sonno ci siamo spostati alla vicina cittadina di Contessa Entellina, sistemandoci nella parte bassa dell’abitato, attorno a Piazza della Repubblica, dove abbiamo incontrato le guide
messeci a disposizione dalla Pro Loco
per la visita guidata. L’odierna cittadina, di meno di 2.000 abitanti, è
stata in gran parte ricostruita dopo il
terribile terremoto che distrusse gran
parte della Valle del Belice nel 1968;
ma la sua importanza è dovuta alle
radici storiche: fu infatti uno dei più
antichi insediamenti albanesi in Italia
e le sue origini sono documentate al
1450 circa, quando un gruppo di soldati albanesi, sfuggiti dalla madrepatria invasa dagli Ottomani, popolarono questa zona della Sicilia per vivere
in pace e perpetuare tradizioni e costumi dei loro antenati, tra cui il rito
bizantino e la lingua albanese, ancora
oggi in uso tra gli abitanti.
Il nome originario della cittadina era Comitissa, divenuto col tempo Contessa, a cui fu aggiunto
nell’800 quello di Entellina per la presenza nel suo territorio di una rocca su
cui sorgeva l’antica città di Entella,
una delle roccaforti della civiltà elima
in Sicilia. Grazie ai reperti ritrovati negli ultimi vent’anni nel sito archeologico, che si trova a pochi chilometri
dall’abitato, si è potuta seguire la storia di Entella, dalla sua fondazione dovuta ad un nucleo etnico proveniente
dalla Frigia Pontica nel VI secolo a.C.,
fino al suo sviluppo sotto l’egemonia
greca, punica, romana e quindi araba.
Alcuni momenti della grande abboffata della sera, con le muffolette calde calde e innaffiate con l’olio appena spremuto, pepe, origano e alici
oppure con la ricotta e i formaggi, oltre alla pizza locale e allo sfincione
Reperti provenienti dagli scavi di Entella conservati nell’antiquarium di
Contessa Entellina
Notevoli testimonianze della lunga storia dell’antica città di
IL CLUB n. 109 – pag. 22
Entella sono così visibili nel moderno antiquarium costruito a Contessa nella parte bassa del borgo,
con alcune iscrizioni in elimo, greco dorico, osco, latino e arabo, le
diverse lingue parlate nel corso dei
secoli sulla rocca cittadina, con le
raffigurazioni del granaio ellenistico scoperto in loco e con le numerose anfore ricolme di granaglie
ritrovate al suo interno. Inoltre
nell’antiquarium sono visibili le foto
dei Decreti di Entella, conservati
presso il Museo Archeologico Salinas
di Palermo, in cui si informava la
popolazione delle varie opere pubbliche in programmazione e di altri
particolari della vita pubblica. Peccato che della struttura cittadina,
sopravvissuta fino al XIII secolo, sia
rimasto ben poco, perché fu messa
a ferro e fuoco sotto Federico II per
estirparvi un covo di musulmani ribelli che non volevano sottomettersi al potere dell’imperatore.
La parte centrale del borgo
è scandita da via Morea che, dopo
essersi momentaneamente allargata in una minuscola piazza, sulla
quale si affaccia la chiesetta delle
Anime Sante, prosegue fino alla
parte alta dell’abitato, che è chiusa
scenograficamente dalla Chiesa di
Santa Maria delle Grazie, la Chiesa
Madre di rito latino detta anche
della Favara, costruita nel luogo
dove, secondo la tradizione, sarebbe stata trovata un’immagine
della Madonna, dipinta su una lastra di pietra e immersa nelle acque di una fontana poco lontana.
L’interno della Chiesa Matrice di
rito bizantino di Contessa Entellina, dedicata a San Nicola di Mira
Alcuni momenti della visita di Contessa Entellina
Nella parte bassa del borgo si innalza invece uno dei simboli dell’identità religiosa e culturale di Contessa Entellina, la Chiesa Madre della SS. Annunziata di
rito bizantino, denominata Klisha
e dedicata a San Nicola di Mira,
con la facciata in pietra viva risalente al ‘600, con gli interni scanditi da un’iconostasi che, secondo
la tradizione bizantina, separa lo
spazio dedicato ai fedeli da quello
destinato all’officiante, e con un
tetto affrescato da icone di santi;
altre icone della Madonna, di Gesù
Cristo e dei santi, intese come finestra dell’aldilà davanti alle quali
i fedeli sono invitati a meditare, si
trovano nelle cappellette laterali,
oltre ad adornare l’iconostasi.
Un’esperienza mistica da
non perdere è stata la partecipazione alla messa officiata secondo
il rito bizantino all’interno della
chiesa, accompagnata suggestivamente dai canti dei fedeli, men-
IL CLUB n. 109 – pag. 23
tre l’incenso si diffondeva lentamente al salmodiare del papas.
Un’esperienza che molti componenti del nostro gruppo hanno avuto la fortuna di poter condividere con gli abitanti della cittadina,
ritrovandosi
immersi
in
un’atmosfera mistica dalle tonalità
“esotiche”, pur a poche decine di
chilometri da casa.
E questo non è che uno
degli innumerevoli vantaggi che ci
regala il nostro compagno di mille
avventure, il camper, in una gita
fuori porta così come a migliaia di
chilometri da casa e questi pensieri affollavano la nostra mente
mentre tornavamo verso casa alla
fine del raduno: meno male che
c’è il camper!
Testo di Mimma Ferrante
Foto di Filippo De Luca e
Larisa Ponomareva Amenta
Le nostre bambine
Le ultime notizie dalla Comunità di Sant’Egidio sulle nostre tre bambine adottate a distanza
Dopo essere stata promossa a scuola con buoni voti, ha trascorso alcuni giorni di vacanza in
campagna e ha potuto prendere
parte a gite organizzate al mare e
in città. Sono stati giorni sereni in
cui è cresciuta l’amicizia. Grazie al
sostegno dell’adozione a distanza,
anche per lei è stato possibile acquistare nuovi vestiti e nuove scarpe. Anche l’alimentazione che riceve risulta equilibrata e nutriente.
Olive N. - Ruanda
La Comunità di Sant’Egidio
ci ha comunicato che Olive sta
bene. La buona alimentazione che
riceve influisce positivamente sulla sua salute e la sua crescita.
Grazie al contributo dell'adozione
a distanza è stata iscritta anche
quest'anno alla scuola della Creche Amizero e ha ricevuto il materiale didattico necessario.
Il contributo dei nostri soci
Grazie all’adozione a distanza è stato possibile acquistarle
anche nuovi vestiti e scarpe, oltre
che il materiale scolastico. Per
questo Clarisse ci saluta con grande affetto.
Annie C. - Madagascar
Sono stati altresì acquistati per Olive e per gli altri bambini
adottati anche dei vestiti e delle
scarpe nuove. La sua famiglia saluta e ringrazia per il sostegno alimentare che ricevono regolarmente.
Anche la seconda delle due
bambine del Madagascar da noi
adottate, Annie, sta bene; la Comunità di Sant’Egidio ci ha comunicato che è cresciuta di statura (e
si vede dalla foto!) ed è sempre
più una bambina socievole e molto
educata.
Clarisse R. – Madagascar
Dalla
Comunità
di
Sant’Egidio ci giunge notizia che
anche Clarisse gode di buona salute. Nel corso di questi ultimi anni il suo rendimento a scuola è
molto migliorato, ed è stata promossa con buoni voti: ciò è stato
possibile anche perché Clarisse –
come lei stessa ha comunicato - si
è sentita “sostenuta” e accompagnata nello studio, potendo anche
frequentare alcune ore di dopo
scuola con ripetizioni private. Anche questo ha contribuito a farla
maturare.
Nel corso dell’anno 2010,
fino al momento in cui andiamo in
stampa, il c/c appositamente aperto per gestire il progetto di adozioni a distanza del Club (separato da
quello ordinario relativo alla gestione amministrativa della nostra
associazione) ha registrato uscite
pari a 936,00 euro (per i tre bonifici da 312 euro in favore della
Comunità di Sant’Egidio operati a
gennaio e relativi alle tre quote
annuali in favore delle bambine)
ed entrate pari a 663,09 euro (in
pratica quasi tutte legate a piccoli
versamenti effettuati dai nostri soci nel corso dell’anno sul conto, oltre a pochi spiccioli di interessi a
credito sul c/c). Il saldo contabile,
che all’inizio del 2010 era di
2.455,22 euro, risulta quindi in
questo momento di 2.182,31 euro.
Speriamo di andare in pareggio
entro la fine dell’anno.
Nel ringraziare di cuore e
con affetto quanti finora hanno contribuito a portare avanti il nostro
progetto, ricordiamo che chiunque
volesse contribuire allo stesso potrà
effettuare un bonifico o un versamento sulle seguenti coordinate
bancarie (che a seguito della riorganizzazione del Gruppo Unicredit
sono in parte state modificate):
IBAN:
IT 49 C 02008 04642 000300563557
Banca:
Unicredit
Filiale:
Palermo Agenzia Ruggero Settimo B
Intestazione:
Club Plein Air BdS – Progetto Adozioni a distanza
IL CLUB n. 109 – pag. 24
La rinascita del Magnum
Per festeggiare i 60 anni di vita dell’azienda, Elnagh rilancia con i nuovi motorhome
S
e c’è una casa costruttrice e un gruppo che hanno
davvero
lavorato
tantissimo
nell’ultimo biennio per fronteggiare con proposte concrete la
crisi questi sono la Elnagh e tutto
il Gruppo SEA. In particolare la
Elnagh, uno dei marchi storici
della produzione made in Italy
nel settore dei veicoli abitativi,
con 60 anni di storia alle spalle,
oltre a irrobustire le gamme dei
tradizionali mansardati e semintegrali e dopo la nascita - l’anno
passato - dei primi semintegrali
Elnagh Magnum 70
L’esterno del nuovo Magnum 70 e l’elegantissimo living anteriore
Tipologia: motorhome
Meccanica: Fiat Ducato 3.0 da
157 cavalli (disponibile anche
in versione 2.3 da 130 cavalli)
Lunghezza: m. 7,18
Larghezza: m. 2,35
Altezza: m. 2,89
Posti omologati: n. 4
Posti letto: n. 4 (2 matrimoniali:
uno in coda e uno basculante)
Serbatoio acque chiare: l. 100
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: Thetford cassetta l. 17
Riscaldamento: Webasto Air Top
3900 a gasolio
Boiler: Truma 10 litri a gas
Frigorifero: trivalente l. 150
Cucina: piano cottura 3 fuochi +
forno a gas con cappa aspirante
Oblò: 1 maxi 70x50, 2 cm. 40x40
e 2 con ventola cm. 30x30
Prezzo: € 64.160 chiavi in mano
con letto basculante, quest’anno
ha completato la sua gamma con il
ritorno alla produzione sia di roulotte che di motorhome, ripescando dal libro dei ricordi un nome mitico per questi ultimi, Magnum, sinonimo negli anni passati di grande eleganza e di insuperata eccellenza nel rapporto qualità-prezzo.
Era ovvio, quindi, che volessimo subito presentare, al suo
arrivo a Palermo presso il conces-
IL CLUB n. 109 – pag. 25
sionario Vemacar, uno degli esemplari di motorhome che la Elnagh
ha esposto in anteprima alla fiera
di Parma ricevendone subito grandi
consensi, il Magnum 70, proposto
su meccanica Fiat Ducato 3.000 cc
da 157 cavalli (ma disponibile anche sul Ducato 2.3 da 130 cavalli)
e pacchetto elegance (clima cabina, chiusure centralizzate, ecc.).
Diciamo subito che nulla è
stato lasciato al caso: dalla qualità
Uno sguardo d’insieme della parte centrale del nuovo motorhome Elnagh: la porta divide fisicamente la zona notte dalla zona giorno
della scocca, con grande attenzione
ai materiali costruttivi e isolanti
(pavimento da 70 mm. e pareti da
35 mm. con stiropar e fibra di vetro), all’impiantistica di bordo, con il
riscaldamento Webasto a gasolio o
la cucina con forno a gas, dai letti
con doghe in legno alla tappezzeria
al mobilio entrambi raffinatissimi.
Il piano di lavoro con lavello e cucina
a gas a tre fuochi con cappa; in primo piano l’anta stondata del mobiletto basso nasconde un cestello estraibile con grande capacità di stivaggio; dalla parte opposta si trova
invece la colonna frigo, con frigorifero da 150 litri e forno a gas
Zona giorno e zona notte
sono divise fisicamente da una
porta a vetri che lascia al di qua il
grande living anteriore, con tavolo
centrale che può essere sfruttato
comodamente da sei persone, e la
zona cucina, con piano di lavoro a
elle da un lato, colonna frigo - forno e armadio dalla parte opposta,
accanto alla porta di accesso alla
cellula abitativa; e dall’altro la zona notte e servizi, con bagnetto a
sinistra (wc e lavandino) e cabina
doccia a destra, oltre al letto matrimoniale trasversale in coda, sotto il quale trova posto un ampio
garage accessibile sia dall’interno
che da ambedue le pareti esterne.
Sono tanti gli esempi di
scelte di qualità che stanno dietro
al progetto di questo motorhome,
dalle dimensioni perfette per essere grande e comodo senza essere
“eccessivo” (meno di 7,20 metri):
di alcuni abbiamo già fatto cenno,
di altri ci si accorge solo se si è
camperisti esperti. Si pensi per
esempio al numero di oblò che è
stato predisposto: uno di grandi
dimensioni sul living, due da 40
cm. di lato e altri due da 30 cm
con ventola fra bagnetto, camera
da letto, zona cucina e cabina anteriore; si pensi al cablaggio già
predisposto per la televisione e la
retrocamera; si pensi alla grande
e razionale capacità di stivaggio
ottenuta in ogni zona del veicolo,
e non solo nel garage posteriore
dove possono trovare posto comodamente le biciclette o anche
un ciclomotore; ma si pensi anche
all’abbinata ciliegio-avorio di parte
del mobilio, così da dare grande
luminosità all’interno, complice una
scelta delle tappezzerie assolutamente coordinata nei colori e di
grande qualità nei tessuti (optional
anche l’ecopelle di colore chiaro).
Il vano bagnetto del Magnum 70
con wc e lavandino; la cabina doccia è separata e si trova dalla parte
opposta del motorhome
Nella foto ciò che si vede aprendo la
porta centrale che introduce nella
zona notte: al centro il letto matrimoniale con, in basso, il portello
scorrevole di accesso al garage, a
destra la cabina doccia e a sinistra la
porta che dà accesso al bagnetto
IL CLUB n. 109 – pag. 26
Insomma, un gran bel
mezzo, davvero difficile trovarvi
difetti; e quindi un ritorno alla
grande, quello di Elnagh, nella
produzione dei motorhome; quanto al prezzo, si faccia avanti chi
pensa che circa 64.000 euro chiavi
in mano siano troppi!
Maurizio Karra
IL CLUB n. 109 – pag. 27
Doppia coppia
Un interessante mansardato con camera matrimoniale privata e mansarda
F
ra i mansardati che
abbiamo trovato interessanti in
quest’ultimo periodo ve n’è uno
dell’Adria, ben noto costruttore
dell’altra sponda dell’Adriatico,
che propone un’inedita pianta in
grado di soddisfare il desiderio di
privacy di una coppia in viaggio
con bambini (da allocare in mansarda) o in grado di ospitare in
mansarda anche una seconda
coppia di amici o parenti (genitori,
cognati...): insomma un mezzo
perfetto per una doppia coppia.
Stiamo parlando del Coral A690SP, un mansardato dalle generose
dimensioni (circa 7,40 metri) su
meccanico Ducato 2,3 da 130 cavalli.
Diciamo subito che è un
camper che si fa ammirare già alla
prima occasione di “incontro”, con
interni di grande razionalità, comodi negli spazi e nello stivaggio
e luminosissimi, complice anche
In alto il profilo dell’Adria Coral A690-SP; in basso il living anteriore
con le due poltrone della cabina girevoli e il tavolo allungabile
Adria Coral A690-SP
Tipologia: mansardato
Meccanica: Fiat Ducato 2.3 da
130 cavalli
Lunghezza: m. 7,39
Larghezza: m. 2,30
Altezza: m. 3,13
Posti omologati: n. 5
Posti letto: n. 5; 2 matrimoniali
(uno in coda e uno in mansarda) e 1 singolo ottenibile dalla
trasformazione della semidinette centrale
Serbatoio acque chiare: l. 110
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: Thetford cassetta l. 17
Riscaldamento e boiler: Truma
Combi a gas
Frigorifero: trivalente l. 150
Cucina: piano cottura 4 fuochi +
forno a gas
Oblò: 2 cm. 60x40 e 2 cm. 40x40
Prezzo: € 56.200 chiavi in mano
un colore di mobilio chiaro, oltre
all’ampia finestratura e agli oblò,
ben due di grandi dimensioni, il
primo sul living anteriore e il secondo sul letto posteriore, oltre a
due da 40 cm. per lato posizionati
sul tetto del bagnetto e in corrispondenza della zona cucina.
La parte anteriore sviluppa un accogliente zona giorno con
semidinette a sinistra, poltrona a
destra e tavolo allungabile che,
grazie alle due poltrone girevoli
della cabina, consente di fare salotto o stare a tavola comodamente in cinque, nonostante la
presenza della mansarda.
IL CLUB n. 109 – pag. 28
Al centro, dal lato destro,
trova posto la zona cucina con un
piano di lavoro a elle che comprende il lavello e il piano cottura a
4 fuochi; mentre a sinistra, accanto alla porta di ingresso alla cellula
abitativa, ecco la colonna frigo con
il forno e di seguito la porta di accesso al bagnetto, con wc e lavandino.
L’area centrale del mansardato dell’Adria:
una porta divide la zona giorno dalla zona notte
Il bagnetto del Coral A690-SP accessibile dalla zona giorno; la cabina doccia, a parte, è accessibile
dalla camera da letto posteriore
Un’altra porta con vetro
infrangibile smerigliato (metacrilato) divide la zona giorno dalla
zona notte; qui, in coda, è stata
sistemata una vera camera da
letto dotata di ogni confort che di
giorno è del tutto “invisibile”; la
camera comprende un letto matrimoniale a isola, due ante di
armadio ai lati e un grande gavone centrale al di sotto, accessibile
sia dall’interno che dall’esterno;
nonché, sulla destra, la cabina
doccia, separata dal resto del bagnetto.
Questo mansardato ha insomma tutte le carte in regola per
ottenere
successo,
grazie
all’eccellente abitabilità di giorno
e all’ottima privacy che garantisce
la notte anche a due coppie, ciascuna perfettamente a proprio agio in un comodo letto matrimoniale pronto; e grazie anche a un
prezzo certamente interessante e
concorrenziale (circa 56 mila euro
chiavi in mano con pacchetto lusso sulla cabina Ducato).
Qui in basso, la camera da letto con il letto a isola
Maurizio Karra
IL CLUB n. 109 – pag. 29
Fino ai confini della Russia
Dall’Italia alle Repubbliche Baltiche e da queste di ritorno in Sicilia: un itinerario
nell’itinerario, relativo alla Russia, di cui parleremo nel prossimo numero...
F
inalmente si parte: direzione Russia! Attraversiamo d'un
baleno l'Italia fino a Tarvisio, l'Austria fino a Graz, che superiamo; ci
concediamo una visita a Brno e alla vicina Slavkov U Brna (Austerlitz) dove, sulla collina della pace
(Mohyla Miru), fu firmato il 26 dicembre del 1805 l'armistizio dopo
la battaglia nella quale Napoleone
aveva vinto sugli altri due imperatori – quello russo e quello austriaco - con soli 7.000 morti a fronte
del totale di 19.000 soldati uccisi.
Un monumento ed un museo ne
ricordano le gesta.
Due immagini simbolo del campo di concentramento nazista di Birkenau
in Polonia: in alto il muro della fucilazione, in basso le camere a gas
Il monumento che ricorda la battaglia vinta da Napoleone ad Austerlitz, vicino Brno in Moravia
Dalla Slovacchia attraversiamo la libera frontiera con la Polonia a Cesky Tesin; un veloce
sguardo a Bielsko Biala e da Kety
arriviamo allo scalo ferroviario di
Brzezinka, più conosciuto come
Oswiecim o Kl Auschwitz, campo di
concentramento nazista, che visitiamo e dove pernottiamo senza
paura e con grande rispetto per i
milioni di morti causati dalla feroce
e fredda determinazione dei nazifascisti, non solo tedeschi; visitiamo solo una decina di baracche in
ricostruzione, fra il centinaio presenti; il muro della morte per le
fucilazioni del tutto indiscriminate;
guardiamo le foto di quei tempi
con i colpi di grazia alla nuca e i
forni crematori; e a pochi chilometri eccoci a Birkenau 1 e 2, tranquilli sobborghi i cui abitanti chiudevano il naso e gli occhi al fumo
delle camere a gas. D'altra parte
oggi si dice si fidassero del cartello
Arbeit Macth Frei, l'eufemistico “il
lavoro rende liberi”.
Attraversiamo, io e mia
moglie, a piedi l'enorme piazzale
che culmina con il monumento e le
IL CLUB n. 109 – pag. 30
targhe di tutte le nazionalità coinvolte nell'Olocausto, con i binari
d'arrivo fino alle baracche di prima
selezione e annientamento con il
gas dei più deboli, dei malati, dei
diversamente abili, dei bimbi, dei
vecchi, degli ebrei di ogni nazionalità, degli oppositori, anche dei prigionieri di guerra, se sovietici, e in
ogni caso dei non abili al lavoro,
resi tali dalla denutrizione, dal
freddo, dalle malattie. Notevoli i
magazzini dello Zyklon B, l'innovativo gas di sterminio di ogni essere...
C’è sempre chi mette in
dubbio l'Olocausto, sconvolgendoci
intimamente. Raccapricciante! Non
volevo visitare il sito perché avevo
già visitato nel 1989 Mauthausen
nel primo viaggio all'estero in
camper ed alcune visioni rimangono dolorosamente scolpite per
sempre nell'animo umano senza
bisogno di reiterazioni, o false interpretazioni
ideologiche,
oggi
sempre più evidenti.
Cambiamo scenario: ci aspettano le miniere di salgemma,
Patrimonio dell’UNESCO, di Wieliczka ordinate turisticamente a partire dalla storia del re Casimiro il
Grande di Polonia e visitabili fino a
circa 135 metri (attenzione solo
alla claustrofobia); quindi Wadowice, con il museo dedicato al papa
Woitila dove scavalchiamo la fila
solo perché italiani; non visitiamo
Kalwaria e andiamo a Krakow che
giriamo in pulmino; visitiamo la
piazza del mercato ebreo dove fu
girato il film “Schindler List”; ceniamo in piazza e ritorniamo in taxi. Ci spostiamo quindi a Czestochowa dove pernottiamo ai piedi
del Santuario Paolino di Jasna Gòra, sempre grandioso, ma un po'
freddo... Di notte, lasciato ad asciugare fuori, rubano l'ombrello al
secondo equipaggio, che giura
...vendetta.
A Jasna Gòra
Da Piotrkov Trybunalski arriviamo a Varsavia che giriamo per
due giorni con i mezzi pubblici e a
piedi, ammirando(!) il grande monumento ai “dannati” ebrei in usci-
ta dalle fogne sotto i mitra, i cani
dei tedeschi durante la rivolta del
ghetto, e il successivo sterminio di
300.000 abitanti durante l'insurrezione della città; il centro storico
sempre più si somiglia a tutti gli
altri nell'Europa globalizzata, con
le bancarelle e i gazebo dei ristorantini a contornare le solite birre
multinazionali... Ma c'è anche il
Barracane sulle vecchie mura;
l'onnipresente palazzo della cultura
e della scienza, donato da Stalin
(234 metri di altezza, 30 piani, tre
teatri), quasi uguale a quello di
Bucarest, ricchissimo di marmi e di
centinaia di sale riccamente arredate e una enorme biblioteca, solo
un po' tetro esternamente. Moderna e viva la città, quasi del tutto ricostruita, ma vivibilissima.
Lasciamo la Polonia per la
Lituania e andiamo, come prima
tappa, a Kaunas dall'unica strada
di accesso (Pultusk, Lomza, Augustow, Suwalki), attraversando l'ennesima frontiera prima di Marijampole. La visitiamo a turno perché
nutriamo un minimo di timore a
lasciare i camper; abbiamo dormito in un parcheggio incustodito e
molto rumoroso, attraversato da
poveri, nell'aspetto poco raccomandabile, ma in realtà inermi e
dignitosi: una cittadina molto ben
organizzata con il suo enorme vialone moderno, alberato e contornato da negozi; persone gentilissime ci accompagnano e ci indicano i vari luoghi, compreso il bancomat di una banca modernissima
per il prelievo. Al di fuori dei percorsi principali i muri sono sbrecciati, le strade malandate, alcune
case diroccate. Nel centro antico,
godibilissimo, compriamo un vassoio di artista locale.
Proseguiamo quindi per
Vilnius passando da Trakai, con il
bel castello e la gente al sole, nel
camping dell'Expo, enorme e moderno, dove sono in smontaggio i
vari padiglioni. Mi diverto a fotografare le notevoli sculture nel
giardino d'ingresso, residui dell'ultima mostra internazionale. Città
inserita nel patrimonio dell'UNESCO, sul fiume Neris, quasi integralmente barocca, a partire dalla
piazza della cattedrale. Con i mezzi
pubblici la visitiamo e beviamo eccellente birra locale in un locale del
centro. In Lituania non paghiamo
autobus perché pensionati.
Ci avviamo a Rezekne
(passando da Utena e Daugavpils).
Mi ferma la polizia: una graziosa
IL CLUB n. 109 – pag. 31
tenente che vuole controllare i
passaporti... contenta che andiamo
in Russia... dopo aver controllato
tutti i visti. Passiamo la frontiera
con la Lettonia a Zarasai e andiamo alla ricerca di un campeggio
con un fuori programma che produce qualche fastidio al nostro terzo equipaggio: il campeggio è a
Ludza, a 7 km, su un lago, ma va
superato un tratto di 3 km di sterrato facile. Qui giunti, ci assiste
una ragazza che parla un italiano
quasi perfetto. Passiamo il pomeriggio in pieno relax sul lago protetti da una costruzione in legno
con enormi assi scortecciati e totalmente bianchi, dove ceniamo.
Il giorno dopo, a pochi km,
andiamo a Zilupe, dove è fissato
con gli altri equipaggi l'appuntamento per entrare in Russia (alla
quale sarà dedicato un apposito
autonomo articolo sul prossimo
numero de IL CLUB - ndr). Finora
non ci sono stati problemi di frontiera: tutti i varchi sono stati disattivati grazie agli accordi di Shengen con libertà assoluta di movimento entro i confini EU; ma si
toccano con mano, purtroppo le
diverse potenzialità economiche
delle varie nazioni; a volte sono
solo sensazioni lungo le strade di
frontiera o di ingresso nelle città
d'arte o addirittura nel retro dei
vari monumenti che fungono da
presentazione: due facciate in piena antitesi tra ricchezza e povertà.
In estrema sintesi la nazione più ricca fra quelle attraversate è l'Austria, molto povera è la
Slovacchia; passi da gigante fa la
Polonia, seguita dalla Lituania. Più
arretrata risulta l'Estonia, piena di
contraddizioni, e la Lettonia, dove
praticamente siamo costretti a
parcheggiare entro un recinto
chiuso e custodito di una stazione
di servizio in pieno centro e solo
per pochi spicci! La mancanza di
risorse e di lavoro specializzato,
malgrado abbiano richiesto, e ottenuto, da 20 anni la libertà, non
ha fermato la migrazione all'estero
di 200.000 persone su 2.000.000
di abitanti.
Ma tutta l'Europa è piena
di contraddizioni. Enormi campi
agricoli disabitati e senza case,
senza trattori, senza animali, per
decine di chilometri; enormi concentrazioni industriali con aria irrespirabile e accanto città con altissima urbanizzazione, anche se a
onor del vero non esistono che pochi cosiddetti casermoni dormitorio
essendo l'urbanizzazione spalmata
in casette basse. A volte siamo affumicati da camioncini puzzolenti
che emettono chili di particelle
carboniose: ma può succedere anche in Italia. Le strade, se affrontate ad alta velocità lasciano a desiderare, ma succede anche sulla
Palermo-Messina.
Dopo l’effettuazione del
previsto tour in terra russa, usciremo a Narva, antica città anseatica, completamente distrutta nel
1944 dai bombardamenti sovietici
per la sua liberazione dai nazisti,
oggi ricostruita in senso moderno,
con altra frontiera da attraversare
senza problemi, dopo i soliti certosini controlli; ci avviamo sulla strada costiera verso Tallin. Cerchiamo
e troviamo rifugio, con un senso di
libertà indefinito ma che ci rende
gioiosi e leggeri, nel parco Lahemaa Rahvuspark, nella cittadina di
Viitna; nel villaggio costiero di Altija, ceniamo superbamente in una
locanda tutta in legno, dopo avere
a lungo passeggiato nel villaggio di
pescatori, quasi preistorico e in riva al Baltico. Visitiamo Vhula, piena di dacie in legno, e Loksa con
tutto il comprensorio, pieno di
splendide chiese di villaggio e piccoli manieri sempre rigorosamente
in legno.
Dopo 108 km arriviamo a
Tallin, abitata da oltre 400.000 abitanti, a fronte di soli 1.200.000 abitanti della Estonia, metà dei quali
russi, città anseatica anch’essa,
gemellata con Venezia nel 1970.
La parte antica, medioevale, inserita nel patrimonio dell'UNESCO,
pedonale, è deliziosa, ricca di piccoli gazebo, di negozietti interconnessi, ma occidentalizzati, in pieno
contrasto con la parte moderna,
ma piena di senso di povertà; non
sono solo questi i contrasti: belle
larghe strade, con marciapiedi o
ponti sconnessi, ma attraversati da
Suv ricchissimi; i palazzi da ristrutturare accanto a palazzi neogotici
o all'albergo Viru, un grattacielo
modernissimo di 22 piani; passeggiamo a lungo nella piazza Raekoda (del municipio); per dormire ci
spostiamo, con gli efficienti mezzi
pubblici, sulla lunga Pirita tee, sul
mare, in un cortile interno tra palazzi, pomposamente chiamato
camping città di Tallin.
Di Parnu, pur essa città facente parte della Lega Anseatica,
dopo i bombardamenti, non è rimasto nulla della sua parte medioevale, se non la città ricostruita in
Due istantanee del centro storico di Tallin, capitale dell’Estonia
senso 'termale'. Andiamo così a
Riga, capitale della Lettonia, desiderosa di riprendere il suo vecchio
IL CLUB n. 109 – pag. 32
ruolo di metropoli del Baltico, sul
fiume Daugava. Anch'essa è inserita nel patrimonio dell'UNESCO.
Un’immagine di Riga, capitale della Lettonia; in basso la collina delle
croci (Kryziu Kalnas) vicino Siauliai in Lituania
Dopo averla visitata, ci
spostiamo a Siaulai (passando da
Jelgava), città industriale, chiusa
fino al 1987 perché era ricca di installazioni militari sovietiche, del
tutto ricostruita dopo la completa
distruzione subita nella II Guerra
Mondiale. 5 km. prima, svoltiamo
per Kryziu Kalnas, dove c'è dal
1831, la collina delle Croci, che ricorda le rivolte antizariste; ai nostri giorni invece l'uso di porre croci ricorda la resistenza lituana,
progressivamente trasformatasi in
pellegrinaggi religiosi; una lunga
passeggiata pomeridiana molto rilassante ce lo conferma.
Proseguiamo poi per Palanga (una volta detta la Rimini
dell’Unione Sovietica), attraversando l'interno della Lituania fino
al mare della cittadina, dove posteggiamo per la notte in una viuzza del centro, senza nessun tipo di
problema. Di Palanga ci colpisce la
vitalità, l'allegria, la libertà di costumi portata all'eccesso. Sembra
proprio che la libertà ventennale di
cui godono sia stata acquisita da
qualche giorno con la mercificazione inusuale del corpo, e non abbiano ancora trovata una stabilità
progettuale impegnativa, esclusa
la lavorazione dell'ambra che può
impegnare però solo pochi tecniciartisti.
La strada che da Klaipéda scende
verso Neringa e Kaliningrad nella
stretta penisola dei Curoni
A Klaipéda ci incolonniamo
per il traghetto (solo 50 metri) il
cui costo irrisorio è aumentato da
una tassa ecologica; sbarchiamo
nella famosa penisola dei Curoni,
detta di Neringa, dal nome mitologico di una dea che la creò; essa in
effetti è solo una lunga striscia di
terra (100 km), molto bella, visto il
tempo primaverile, che da Sud,
territorio di Kaliningrad avanza
verso Klaipéda. Avanziamo per 50
km su una strada perfetta, senza
una curva, fiancheggiata da alberi,
dietro i quali si nasconde una dop-
IL CLUB n. 109 – pag. 33
pia scogliera a picco sui due mari,
spesso intervallati da spiagge di
finissima sabbia. I cinque villaggi
che vi hanno sede sono ricchi di
vedute e di musei, ma evitiamo di
visitarli accuratamente, dato che
per passare da Kaliningrad abbiamo un permesso di soggiorno che
scade al 30° giorno di permanenza
complessiva in Russia e siamo
prossimi alla sua scadenza.
Arriviamo alla graziosa cittadina di Nida, dove pernottiamo
in una viuzza-posteggio dal costo
notturno irrisorio, controllato da
un ragazzo serissimo e dove passeggiamo a volontà; visitiamo il
locale supermercato, compriamo
coperte in pura lana, e infine ceniamo magnificamente a base di
sogliole del Baltico e salmone selvaggio.
Di mattina ci avviamo
nuovamente alla frontiera, a soli
4 km, per l'ingresso nell'enclave
Russa di Kaliningrad; l'attraversiamo e, all'uscita dal territorio
russo, entrati in Polonia passiamo
da Elblag e arriviamo a Gdansk
(Danzica), dove troviamo ospitalità notturna nel posteggio molto
piccolo, a pagamento, dell'hotel
Mercure in pieno centro, custodito sia dalle guardie dell'hotel che
da spuntoni in acciaio anti-uscita,
a comando manuale. Ciò ci consente di visitare tranquillamente,
lungamente e per due giorni, la
città; bella anche se in parte ricostruita.
All'uscita da Danzica ci avviamo
verso
l'impronunciabile
Szczecin (Stettino), città cantieristica, ma ci fermiamo per la notte
a Koszalin, nella magnifica grande
e curatissima piazza del municipio
che ricorda quelle francesi imbandierate e infiorate a festa. Faremo
acqua da una efficiente fontanella
pubblica al suo centro senza essere disturbati pur essendo in due
camper.
Attraversiamo
quindi
il
fiume Oder, allontanandoci dal profondo fiordo che attraversa Stettino, ed entriamo nel famoso circo
delle autostrade gratuite della
Germania, verso Berlino. Staremo
due giorni in pieno centro in un
parcheggio a pagamento e visiteremo parte della città, non visitata
da me le precedenti due volte che
vi sono stato.
Da qui infine la discesa di
ritorno in Italia.
L’arsenale di Danzica, sulla Vistola; in basso il monumento che
ricorda gli impiegati delle Poste della città che furono i primi a
cadere per mano dei nazisti nel primo scontro della seconda guerra
mondiale, il 1° settembre 1939
Giuseppe Eduardo Spadoni
IL CLUB n. 109 – pag. 34
Natale a Cervia
Un suggestivo percorso che si snoda tra i diversi presepi preparati a Cervia per festeggiare
il Natale, tra emozione e fascino del sacro, per i bimbi ma anche per gli adulti
L’
emozione del Natale,
la tradizione del Presepe, i festeggiamenti per la Natività: è un omaggio al grande pubblico delle
famiglie quello voluto dalla città
del sale che come ogni Natale si
prepara a presentare i tanti presepi che accompagneranno le feste a
Cervia e Milano Marittima. Si parte con i presepi nelle chiese per
arrivare a quello, unico, fatto di
sale, e ancora il Presepe dei Salinari e l’emozionante spettacolo del
Presepe vivente.
Il presepe di sale
Cervia, la città del Sale,
non può non avere un Presepe di
sale. Le sculture, custodite negli
spazi del Museo del sale sul Porto
Canale, sono state create nel 1992
da un anziano salinaio, la cui passione e la cui maestria, sono
tutt’oggi visibili nel museo del sale.
L’intero presepe, che mette in scena la classica Natività, è conservato in una teca di vetro che lo ripara
dai cambiamenti climatici e soprattutto dall’umidità.
È composto da oltre quindici personaggi le cui statuine, alte
dai 10 ai 40 centimetri, sono state
realizzate a mano con una cristallizzazione guidata del sale. Una
tecnica laboriosa e molto particolare che ha richiesto una grande cura, compresa la correzione giornaliera della cristallizzazione delle
statuette dentro le saline fino ad
ottenere la forma voluta. Museo
del Sale, Magazzino del Sale “Torre”, Via Nazario Sauro. Dal 18 dicembre al 6 gennaio aperto tutti i
giorni, festivi compresi, dalle ore
15 alle 19.
Il presepe dei salinari
Sempre al MUSA in occasione del Natale viene allestito il
Presepe dei salinari, un omaggio
alla Natività ambientata nella tipica
capanna in giunco dei salinari con
all’interno le statue a grandezza
naturale di Maria, Gesù e San Giuseppe che vanno a completare la
coreografia formata dalle altre figure già ospitate negli spazi del
museo. Queste statue in terracotta
Il presepe di sale di Cervia; in basso il presepe meccanico
patinata, plasmate su una struttura di sostegno in metallo, fanno
infatti parte di una serie di realizzazioni che rappresentano i salinari
al lavoro e le figure della vita in
salina e che sono in mostra tutto
l’anno su idea (e con la collaborazione) dei soci fondatori del Gruppo Culturale Civiltà Salinara.
Tutta la serie fu realizzata
(e cotta nel forno dell’artista) negli
anni Ottanta da Paolo Onestini, figlio di Giacomo Onestini, famoso
ceramista cervese. Si possono
ammirare un finanziere nella sua
postazione dentro alla garitta, un
IL CLUB n. 109 – pag. 35
salinaro che spinge il carriolo ed
uno che utilizza la gottazza, strumento usato per spostare l’acqua
da un bacino all’altro. Infine le figure sono vestite con abiti del periodo realizzati con grande passione da una azdora cervese. Museo
del Sale, Magazzino del Sale “Torre”. Dal 18 dicembre al 6 gennaio
aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 15 alle 19.
Il presepe animato
Un’altra particolarità è il
presepe animato, visitabile nella
Chiesetta del Suffragio, che sorge
Il territorio
Il Comune di Cervia è
situato in Emilia Romagna, in
una parte meravigliosa della costa Adriatica, a 20 km a sud di
Ravenna, con un litorale di 10
km caratterizzato da un arenile
di sabbia finissima e da bassi
fondali. L'antica "città del sale",
il vecchio "borgo di pescatori" e
le ampie distese della secolare
pineta, si sono trasformate in
funzione di uno sviluppo turistico che si è realizzato in modo
pionieristico dalla fine dell'800
fino ad avere un impulso decisivo con la nascita, nel 1912, della "città giardino" di Milano Marittima, sorta ai margini della
secolare pineta.
Il cuore di Cervia è
Piazza Garibaldi, con il Palazzo
Comunale e la Cattedrale, ambedue del ‘700. Vicino ad esse
il Teatro Comunale. Di particolare interesse la cinta muraria
che rende l'idea della struttura
quadrangolare della città di
fondazione nella quale le mura
sono formate dalle stesse case
dei salinari: piccole abitazioni
tutte uguali, divise in quattro
stanze, una per ogni famiglia,
ed intervallate da una serie di
cortili interni utili per raccogliere l'acqua del pozzo e per ricoverare gli attrezzi da lavoro.
Soste e pernottamenti:
AA in loc. Pinarella, Viale Tritone, all’ingresso sud del paese;
PS in Piazza Resistenza, in Piazza XXV Aprile e al parcheggio
delle Terme (sotto i pini); a Milano Marittima in Piazza del
Grattacielo, vicinissimo al mare.
nel centro storico di Cervia. Il presepe presenta un toccante paesaggio che passa alternativamente
dal giorno alla notte proponendo le
attività della giornata alternate al
silenzio ed al chiarore notturno; il
movimento delle stelle, cometa compresa, illumina il paesaggio calmo e
silenzioso.
Le 50 statuette che animano la scena sono state realizzate e
decorate a mano; il materiale usato
è la creta. Si muovono spinte da
una centinaia di piccoli meccanismi.
Il presepe è stato realizzato in più
di vent’anni, ma il lavoro continua
perché ogni anno si aggiungono
Il presepe fra i pini
nuove figure e nuovi meccanismi.
Aperto dalle 10 alle 12 e dalle 15
alle 18 il sabato e i festivi.
Il presepe meccanico
Il Presepe meccanico, allestito all’interno della Chiesa della
Madonna della Neve sulla via Salaria, è visibile dall'Immacolata (8 dicembre) all'Epifania (6 gennaio).
Ogni anno varia a seconda del tema
spirituale che si vuole sottolineare
(l'anno scorso ricordava la geografia della Terra Santa, dove a Natale
il gruppo giovanile della parrocchia
si è recato in pellegrinaggio).
Quest'anno il tema è la
giornata mondiale dei giovani a
Madrid quindi il Presepe sarà realizzato in omaggio all'aggregazione
dei popoli. Le statue disposte a
semicerchio, attorno all’ampio fonte battesimale della Chiesa, sono
frutto di un laborioso lavoro e restituiscono al pubblico la suggestione della Natività in tutto il suo
splendore. Aperto dall’8 dicembre
al 6 gennaio dalle 8 alle 19.
Il presepe nella chiesa
Stella Maris
Il segreto di questo presepe risiede nell’uso dei materiali.
Per la realizzazione della Natività
della Chiesa Stella Maris a Milano
Marittima vengono utilizzati solo
materiali naturali e del territorio. Il
presepe, che ha come caratteristica l'essere diverso ogni anno, grazie agli ampi spazi, circa 40 metri
quadri, a disposizione e ai materiali naturali che si utilizzano, riesce
sempre a creare una visione sem-
IL CLUB n. 109 – pag. 36
plice ma efficace della Natività e ci
porta nel luogo in cui nacque Gesù.
L’anno scorso portò il pubblico nel luogo in cui nacque Gesù
ricostruendo a lato dell’altare
maggiore uno scorcio della Betlemme del tempo. Chissà quale
tema sarà scelto quest’anno per
omaggiare la natività con Giuseppe, Maria ed il bambino Gesù e
tutti gli altri personaggi classici del
presepe. Aperto tutti i giorni dal 24
dicembre al 31 gennaio dalle ore
8-12 e 15-18.
Sfila il presepe vivente
Lo spazio antistante la
Chiesa Stella Maris a Milano Marittima si trasformerà in un palcoscenico che ospiterà un imperdibile Presepe vivente. Lo spettacolo
realizzato con decine di comparse,
si svolgerà nella notte di Natale
(venerdì 24 dicembre dalle 22,30
all’una del 25 dicembre) quando i
figuranti interpreteranno diverse
scene classiche del presepe.
Al centro di tutte, la Natività, allestita nella capanna che
ospita la sacra famiglia. Accanto:
il fabbro al lavoro nella caratteristica fucina, il pastore con il recinto di animali veri, asini, capre e
pecore, e l’emozionante interpretazione della vita che si svolge intorno alla nascita di Gesù. Tutti
saranno allietati dal cibo caldo cucinato in strada: si potranno gustare agnello, castagne e vin brulè
raccolti intorno al calore dei fuochi
di Natale allestiti per l’occasione.
Tatiana Tomasetta
Il castello Maniace di Siracusa
Una fortezza militare che oggi ospita importanti eventi
L
a scelta del castello Maniace quale sede, l’anno passato, del
G8 Ambiente potrebbe non essere
stata suggerita solamente dalla offerta suggestiva dell'antica fortificazione. L'importanza della riunione e
la conseguente necessità di sicurezza
non potevano non tenere conto dell'individuazione di un luogo più semplice da proteggere: infatti, è praticamente inaccessibile per la posizione geografica.
Per questo motivo fu eretto
dal comandante bizantino Giorgio
Maniace, nel 1038, impegnato allora
nella cacciata degli arabi. La struttura
occupa la parte terminale dell'isola di
Ortigia che si affaccia immediatamente sull'imboccatura del Porto Grande
da un lato, e sul mare aperto dall'altro. Nessuno, pertanto, poteva e può
avvicinarsi a Siracusa, o peggio entrare nel porto. senza essere avvistato
con abbondante anticipo.
E' stato praticamente da
sempre luogo militare. Tra il 1232 e
il 1240 fu trasformato in castello da
Federico II con la possibilità di ingresso solo attraverso un ponte levatoio. Le note storiche parlano del re
Pietro d'Aragona che vi dimorò con la
sua famiglia, e di Federico Il d'Aragona che nel 1321 convocò il Parlamento siciliano per l'eredità governativa al figlio Pietro II d'Aragona.
Tra il 1305 e il 1536 il Castello ha ospitato le regine d'Aragona
Costanza, Maria e Bianca e anche
Germana de Foix, la seconda e ultima moglie, poi vedova, di Ferdinan-
Il castello Maniace che protegge l’accesso al porto di Siracusa
do il Cattolico. Nel 1540 ospitò anche
l'ammiraglio Andrea Doria mandato
da Carlo V contro i musulmani. Il sito
fu quindi adattato, oltre che a caserma e presidio militare, a prigione
e residenza. E' dunque chiaro che nei
suoi mille anni, e soprattutto nei
primi cinquecento, sono state molte
e diverse per tipologia te modifiche
apportate. Vanno anche considerati i
devastanti terremoti del 1542 e del
1693, le opere di rafforzamento del
castello e quelle di manutenzione
contro la naturale erosione del mare.
Le bocche per la fuoriuscita
dei cannoni si fanno risalire all'età napoleonica mentre i Borboni nel 1838
innalzarono un altro edificio quale
protezione dell'artiglieria sempre più
pesante e precisa. Dall'Unità d'Italia,
L’interno del castello
IL CLUB n. 109 – pag. 37
e sino a pochi anni fa, il castello Maniace non ha quindi smesso di essere
un sito militare. L'ultimo presidio, quello dell'Esercito italiano: le forze armate
hanno utilizzato sino agli anni Novanta
gli ampi spazi interni per i mezzi e per
gli uffici del distretto militare.
Gli anni Duemila, dunque,
rappresentano di fatto un cambio epocale per l'antica fortificazione. Il castello perde, dopo circa un millennio,
la sua naturale vocazione militare per
la straordinaria posizione strategica.
Una posizione, tuttavia, ancora sfruttata a protezione del G8 Ambiente. Il
castello, in conclusione, per volontà
delle ultime configurazioni politiche e
per l'impegno della Soprintendenza
aretusea, si è trasformato in un luogo
di cultura, dove anche i profani possono sentire i racconti millenari delle
mura che hanno conservato la storia
personale di centinaia di migliaia di
persone e di soldati.
E questo grazie ad un progetto che ha dovuto tenere conto,
tra le altre cose, della demolizione
delle strutture realizzate nel recente
passato, tanto da presentare il castello così com'era alla fine del Cinquecento, del restauro complessivo e
del consolidamento dei torrioni e delle opere a mare. Unica concessione
all’utilizzo militare, il sito della Casina
presente nella Piazza d'Armi ospita la
sede del Nucleo tutela patrimonio
artistico e culturale dell' Arma dei
Carabinieri.
Alfio Triolo
Punta Secca
Un angolo di paradiso da Ulisse al Commissario Montalbano televisivo
L
a spiaggia, una volta
conosciuta solo dai siciliani e dai
viaggiatori più curiosi, è diventata
una delle più famose d'Italia. Forse
non l'avete riconosciuta, ma se
guardate bene forse potete scorgere il commissario Montalbano mentre sorseggia il caffé dal balcone di
casa sua. Siamo a Punta Secca,
una frazione di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, dove
il famosissimo commissario fa le
sue nuotate televisive.
Inutile dire che qui, oltre a
Ingrid e Mimì, troverete un sacco
di altri turisti che come voi intendono scoprire gli splendidi luoghi
raccontati da Camilleri e visti in
televisione, gli stessi vissuti da
sempre (beati loro) dai ragusani.
Ah, per la cronaca: su queste
spiagge nel 1943 iniziò lo sbarco
degli anglo-americani nella seconda guerra mondiale, ma questa è
roba già vecchia. Punta Secca, sin
dai tempi remoti, ne ha viste tante. Il facile approdo di Punta Scalambri (dirimpetto all'arcipelago
maltese) vide sbarcare infatti molto tempo prima la nave di Ulisse;
lo stesso luogo salutò greci e romani e diede il benvenuto, appunto, nel ‘43, agli anglo-americani.
Adesso accoglie turisti, soprattutto quelli sulle rotte delle
fiction televisivi, ansiosi di vedere e
fotografare, in particolare, un "monumento": ovviamente, la casa di
Montalbano. La villa sulla spiaggia
da cui l'eccentrico commissario nato dalla fantasia del maestro Andrea Camilleri e magistralmente
interpretato da Luca Zingaretti,
guarda il mare, è infatti diventata
oggetto di culto. La casa si trova a
pochi metri dal mare, da cui è separata da dieci metri di sabbia dorata, e condivide una piazzetta con
la torre Scalambri (del XVI secolo),
a cui i turisti la preferiscono per evidenti motivi di notorietà. La casa
di Montalbano è un immobile storico del piccolo borgo marinaro: originariamente magazzino per la dissalazione delle sarde, venne acquistato nel 1904 dagli avi dell'attuale
proprietario e successivamente trasformato in abitazione.
A cento metri si trova il faro di Punta Secca (altro monu-
mento simbolo della serie televisiva), una torre circolare bianca del
1853 che, con i suoi 35 metri, domina il piccolo porticciolo proiettando la sua ombra nella piazza
principale dell'abitato che, nelle
sere estive, si anima di villeggianti.
Sui tavolini del bar ai piedi
del faro turisti e locali si cimentano
in ardite sfide di briscola pazza.
L'atmosfera che si respira è lonta-
nissima dalla mondanità di certe
spiagge famose: Salvo Montalbano, per fortuna, non ha modificato
il dna di chi frequenta Punta Secca
e Punta Secca non ha snaturato se
stessa, offrendosi in tutta la sua
affascinante semplicità. Al bar gli
intenditori scelgono il gelato di ricotta (inventato negli anni ‘50 a
Cassibile, frazione di Siracusa),
molto apprezzato dai ragusani e
Punta Secca vista dal mare, con il faro e, a sinistra, casa Montalbano
In basso uno zoom sulla casa diventata, grazie ad Andrea Camilleri
e alla trasposizione televisiva dellaRAI, la più famosa d’Europa...
IL CLUB n. 109 – pag. 38
consumato nei muretti da cui si
ammira il mare, appassionandosi
alle sfide notturne di calcetto e
pallavolo che si disputano in un
campetto di sabbia. Poco più in là
si trova il porticciolo e, al suo ingresso, il piccolo mercato del pesce fresco dove la mattina i pescatori vendono quel che le reti hanno
tirato nel corso della notte. L'approdo ha un braccio che diventa
camminamento per ammirare l'intera frazione marina racchiusa fra
il faro e la casa di Montalbano.
La vera attrazione di Punta
Secca resta, comunque, il mare e la
sua sconfinata spiaggia sabbiosa
che in estate si trasforma in un infinito solarium, accogliendo i patiti
della tintarella e gli appassionati di
fitness. Per un tour completo di
questo minuscolo angolo di Sicilia ci
si può inoltrare lungo la costa per
circa 300 metri, verso Casuzze, sino a raggiungere il vicino Parco Archeologico di Caucana, immerso nel
verde di olivi e carrubi. Qui si scoprono i resti di una città, che fu importante ancoraggio, dove è stato
riportato alla luce un insediamento
di epoca tardo-antica con 25 edifici
di diversa tipologia ed una piccola
chiesa a tre navate facente parte di
un'area cimiteriale.
Punta Secca è tutta qui, e
di certo non è poco. Per il Comune
di Santa Croce Camerina naturalmente la fiction rappresenta una
fonte di grandissima promozione.
Basti pensare che proprio qualche
tempo fa a Punta Secca sono arrivati dieci autobus tutti pieni di turisti che volevano visitare la frazione
marinara proprio perché location
della fiction. Ma Punta Secca sta
puntando anche alla valorizzazione
del pescato e alla orto-frutta locale,
con occasione di formazione nelle
scuole dell'obbligo per promuovere
la dieta mediterranea. A questo si
aggiunge un'attività di promozione
dei beni culturali, e in particolare
archeologici, il Bagno Arabo di Mezzagnone e il villaggio di Caucana,
entrambi oggetto di restauro a opera della Sovrintendenza. Prossimamente Santa Croce Camerina diventerà un’importante vetrina in
Sicilia per il pesce azzurro.
D’altronde, nel suo territorio si trova la casa più famosa
d'Europa in questo momento, quella del commissario Montalbano, e
si intende sfruttare la notorietà per
veicolare i prodotti del territorio!
Alfio Triolo
La preistoria in Sicilia
Sicani, Siculi, Elimi abitarono l’isola prima dei Greci; molte le
testimonianze dell’epoca tra Ragusa e Siracusa
L
a preistoria della Sicilia fu quel lasso di tempo che va
dalla comparsa dell’uomo sull'isola
fino al momento in cui i Greci, nel
VII secolo a. c., vi introdussero la
scrittura. Il Val di Noto risulta molto importante per le testimonianze
delle epoche preistoriche, essendo
abitato fin dai tempi più remoti. Si
tratta di luoghi e itinerari meno
conosciuti ma di grande valore storico.
La necropoli di Castelluccio
La necropoli di Castelluccio, ad esempio, è uno dei più importanti siti dell'età del bronzo in
Sicilia. La cultura di Castelluccio
prende il nome da questo insediamento posto tra Noto e Palazzolo
Acreide. Lungo le pareti della cava
si estende la necropoli costituita da
176 tombe scavate nella roccia.
Spicca in questo sito la cosiddetta
"Tomba del Principe", che ha un
aspetto imponente, grazie ai pilastri scavati nella roccia che adornano il prospetto.
Poco a nord di Siracusa si
trova la penisoletta di Magnisi, sulla
quale sorgeva l'antico abitato di
Thapsos, della media età del bronzo.
Qui è stata individuata una necropoli
con tombe a grotticella artificiale.
Pantalica è un'altra località
naturalistico-archeologica
della
provincia di Siracusa che nel 2005
è stata inserita nel Patrimonio dell'Unesco. Il sito si trova su un altopiano, circondato da canyon formati nel corso dei millenni. Vari
sentieri permettono di visitare la
zona, costellata da necropoli in tutto il suo territorio, come la Necropoli di Filiporto, composta da un
migliaio di tombe.
IL CLUB n. 109 – pag. 39
Pantalica
Cava Lazzaro è un altro sito preistorico poco conosciuto: si
tratta di una cava ubicata nei pressi di Rosolini. Al suo interno si trova una necropoli preistorica con
una tomba monumentale. E’ una
delle numerose cave che attraversano la Sicilia sud-orientale.
Anche in Contrada Baravitalla, che si trova nella parte settentrionale della Cava d'Ispica, ha
sede una piccola necropoli di epoca
coeva a quella di Castelluccio.
La Cava d’Ispica
Nei pressi di Ragusa è ubicato uno dei più antichi siti preistorici
siciliani: il riparo sottoroccia di Fontana Nuova, una cavità naturale ampliata artificialmente per permettere
ai cacciatori di trovarvi riparo.
Nel sito di Monte Tabuto, nei
pressi di Comiso, sono particolarmente suggestive le miniere di selce
che vennero usate fin dall'antica età
del bronzo per estrarre il minerale. Le
grotte di Monte Tabulo rappresentano le più antiche miniere della Sicilia.
All'interno della bellissima
area naturalistica attrezzata di Calaforno si trova infine un ipogeo costituito da ben 35 camere scavate nella
roccia e datate attorno al III millennio a.C.
A. T.
‘A trinca
Non un taglio pregiato di carne, ma un gioco che appassionava le ragazze siracusane di un tempo
S
e chiedete oggi alle giovani mamme di Siracusa cosa sia la
trinca, probabilmente vi risponderanno che è soltanto un taglio pregiato di carne bovina corrispondente
alla lombata. Eppure le loro madri
ancora ricordano bene un gioco con
questo nome per averlo praticato
dall'infanzia all'adolescenza. È questa la dimostrazione che la Trinca
era il passatempo preferito soprattutto dalle ragazze sino alla seconda
metà del secolo scorso: non per
niente si differenziava da tutti i giochi di quel tempo per la raffinatezza
e l'eleganza dell'esecuzione durante
la quale le partecipanti, più che giocare, sembravano danzare su quel
suggestivo palcoscenico naturale
che era Ortigia.
Anche se con varianti molto
accentuate, in Sicilia era diffuso ovunque; solamente nel Siracusano e
nel Ragusano aveva il nome di Trinca, nel Messinese e nel Catanese
aveva quello di Sciancatedda, nel
Palermitano si chiamava 'U Zuppiddu o A fu zoppu. La nostra Trinca
solo lontanamente si può paragonare al gioco della Campana del resto
d'Italia, talmente è diverso nell'esecuzione.
A Siracusa raramente dalle
ragazze era consentita la partecipazione dei maschietti insieme a loro;
se si verificava, il fortunato quasi
sempre era il fratello più piccolo o un
parente stretto di una delle giocatrici.
Questo passatempo di solito si svolgeva in un cortile o in un ronco (a
Siracusa questo termine designa una
strada senza uscita, ndr) perché sulla
strada passavano i carretti e c'era il
rischio che gli asini imbrattassero il
campo da gioco. Chi tra le giocatrici
aveva maggiori capacità grafiche, con
una bacchetta di gesso bianco prelevato appositamente a scuola, oppure
con un pezzetto di carbone che allora
non mancava mai nelle case, o addirittura con una pietra bianca, delineava per terra il campo da gioco che
poteva avere due forme, una a portoncino, come risulta dalla vignetta, e
l'altra a croce.
Mi limito a descrivere la prima perché era la più diffusa. Si segnavano tre linee longitudinali, di circa tre metri e distanti su per giù sessanta centimetri l'una dall'altra, che
poi si chiudevano con sei linee trasversali in modo da formare dieci caselle numerate da uno a dieci. Sopra
le ultime due, precisamente sulla
quinta e sulla sesta, veniva disegnato
un semicerchio al centro del quale si
scriveva a stampatello la parola RIPOSO.
Ogni ragazza teneva in mano una pietruzza piatta o una piastrella ('na chiappedda). Fatta la
tocca, chi vinceva iniziava il gioco da
sinistra e dal basso verso l'alto, seguendo progressivamente la numerazione segnata. Dopo avere gettato
la pietruzza, senza avere oltrepassato la linea di partenza, nella casella
uno, vi saltava con un piede tenendo
l'altro sospeso e, abbassandosi,
sempre su un piede, riprendeva la
pietra, si rialzava e usciva dal reticolato. Allo stesso modo, se non commetteva errori, faceva nella seconda, e poi via via nella terza, nella
quarta e nella quinta casella, senza
mai fermarsi. Arrivata dentro il semicerchio si riposava poggiando en-
trambi i piedi per poi, con un salto,
girarsi su se stessa di 180 gradi e
intraprendere, saltellando con un
piede, la via della discesa dalla sesta
alla decima. Se durante il gioco sbagliava a lanciare la pietruzza nella
casella dovuta, se con il piede toccava una delle linee che dividevano le
caselle o, poggiando l'altro piede, si
riposava quando non doveva, un'altra giocatrice prendeva il suo posto
facendo attenzione a non commettere errori; altrimenti, a sua volta, veniva sostituita.
Ulteriori percorsi dovevano
compiersi, saltellando, con la piastrella, ora su due dita, ora sul dorso di
una mano. Chi per prima compiva
l'intero tragitto risultava vincitrice di
quella prova. Il bello del gioco cominciava quando l'itinerario doveva compiersi, ovviamente saltando sempre
con un piede, con la piastrella sulla
fronte o con una benda agli occhi. A
questo punto la giocatrice, non vedendo il reticolato, ad ogni casella
doveva dire "Ah!" che stava per "Vado!". Se con la pietra aveva centrato
la casella giusta e l'aveva ripresa
senza toccare con i piedi le linee di
demarcazione, le compagne in coro
rispondevano "Salàm". Se sbagliava,
la risposta corale, ma spiritosa, era
"Salamino", e in questo caso la mano
del gioco passava ad un'altra compagna che per vincere doveva compiere
l'intero percorso senza commettere
errori, cosa che al buio era difficilissimo.
L'esclamazione Ah! e la risposta Salàm mi fanno legittimamente supporre che questo gioco fosse
praticato dagli Arabi durante la loro
lunga dominazione in Sicilia. L'Aleppo-Calvaruso fa infatti derivare, per
metatesi letterale, l'interiezione siciliana Ah! da quella araba hâ! (andiamo!) di cui si servono gli Arabi per
chiamare i cammelli o farli camminare. Che la voce araba Salam (pace)
esprima un concetto positivo e di assenso è noto. Se fosse un gioco arabo Trinca deriverebbe, per metatesi,
da TRICNA, forma dialettale nordafricana di TARIKUNA, che in arabo vuol
dire "il nostro percorso", quello, per
l'appunto, compiuto dalle fanciulle nel
corso di questa divertente gara.
Alfio Triolo
IL CLUB n. 109 – pag. 40
Terza pagina
Quando una banca muore: il caso Banco di Sicilia
Quando leggerete questo
articolo il Banco di Sicilia non esisterà più. Nel senso che l’ultima azienda bancaria che ha portato
questo nome, pur con alterne vicende e a seguito di tutte le rivoluzioni avvenute nel mondo bancario
e nello specifico di tutte le ristrutturazioni subite negli ultimi quindici
anni, bene l’ultimo “Banco di Sicilia”, come dicevamo, avrà cessato
di esistere, incorporato in un’altra
banca, la capogruppo Unicredit.
Cosa c’entra questo con il
nostro bimestrale, vi chiederete?
Beh, questa rubrica ha sempre
trattato un argomento di cultura,
anche avulso e indipendente rispetto alla totalità degli altri servizi
pubblicati, e sono certo che non
poteva non trattare adesso, in
questa occasione, proprio questo
argomento, dato che il Club Plein
Air BdS è prima di tutto, come recita il suo statuto, l’associazione
dei camperisti del Banco di Sicilia.
In ogni caso, chi scrive sentiva
l’obbligo morale di farlo, con il
massimo di serenità ed equilibrio
storico, seppur col magone dentro.
Le origini
Per scrivere una storia del
Banco di Sicilia dobbiamo andare
molto indietro nel tempo; dobbiamo
cioè partire dall’inizio, dalle ragioni
storiche ed economiche della nascita di questa banca. Sono certo che
pochissimi sono a conoscenza che il
primo “banco” in Sicilia fu istituito
alla fine del ‘400. Fu una nobile famiglia dedita anche all’attività mercantile, quella dei Sanchez, ad aprirlo insieme ad Ambrogio Levi, il
cui cognome è di chiara derivazione
ebraica, anche se il nome Ambrogio
evidenzierebbe una nascita milanese. Questo banco ebbe la tesoreria
in Sicilia per conto del re Ferdinando il Cattolico; ma le forze dei fondatori da sole non bastarono a coprire gli anticipi di tesoreria necessari e alcune famiglie genovesi irruppero ben presto sulla scena finanziaria dell’Isola fino a monopolizzare nei decenni successivi il
“mercato bancario” siciliano con vari sportelli sparsi sul territorio dediti
soprattutto all’attività finanziaria
per conto dei mercanti dell’epoca.
Nel 1551 e nel 1587 vengono istituite a Palermo e a Messina
(che erano le due città più importanti dell’Isola) le “Tavole Pecuniarie”, che ebbero funzioni di deposito
e di tesoreria, molto meno di banche d’affari; mentre il credito al
consumo iniziò a essere elargito dai
monti dei pegni e il “credito d’affari”
- come a quel tempo era definita
l’attività di prestare denaro per impiantare o sostenere un’impresa –
rimase nelle mani dei mercanti più
facoltosi. Ben poco di articolato e di
organizzato, quindi.
Fu così che «la Sicilia arrivò al XIX secolo senza banchi né
banche, senza un’organizzazione
creditizia, senza un sistema - qualunque fosse – capace di vitalizzare
la sua economia e la sua potenziale ricchezza», come acutamente
scrive lo storico e archivista Carmelo Trasselli; il quale nota altresì
che i Borboni, dal canto loro, erano
gelosissimi della loro monetazione,
a tal punto da «respingere con orrore la carta moneta... I soli titoli
di credito noti in Sicilia» – continua
- «rimasero le tratte dei mercanti e
le “fedi di credito” che non avevano le funzioni del “biglietto” perché
rappresentavano denaro metallico
realmente depositato».
Solo quando il casato dei
Borbone era ormai prossimo alla
sua fine, nel 1843, furono istituite
dalla corona le Casse di Corte
(sempre a Palermo e a Messina)
che, sebbene fossero istituti di
semplice deposito e circolazione,
operarono congiuntamente, tanto
che con lo scoppio della rivoluzione
del 1848 e il momentaneo distacco
della Sicilia dalla capitale borbonica
Napoli, divennero col governo rivoluzionario due articolazioni di un unico “Banco Nazionale della Sicilia”.
Il 13 agosto 1850, dieci
anni prima della spedizione garibaldina in Sicilia, nasceva il Banco
Regio dei Reali Domini al di là del
Faro, con sede in quell’edificio di
Piazza Marina a Palermo che da
sempre è conosciuto dai palermitani come “Palazzo delle Finanze”;
e il 10 aprile 1859 iniziarono a operare anche le due Casse di Sconto di Palermo e Messina, nate per
lo sconto di cambiali e per anticipi
su merci e su «mesate di stipendio
IL CLUB n. 109 – pag. 41
agli impiegati dello stato», con
tassi di interesse calmierati.
La situazione economica e
finanziaria dell’Isola all’atto dell’impresa garibaldina e dell’annessione
della Sicilia all’Italia era quindi abbastanza poco evoluta, ma il mutamento politico successivo al 1860
portò subito molte novità. In quel
momento le famiglie economicamente più prestigiose dell’Isola erano i Florio, i Chiaramonte Bordonaro, i Raffo, i Pojero, i Varvaro,
autorizzati anche dalle posizioni
chiave in cui erano collocati loro
rappresentanti (governatori del
banco, deputati della borsa dei
cambi, membri della Camera Consultiva del Commercio) a indirizzare e controllare agevolmente le attività economiche e finanziarie di
tutta la Sicilia. Fu proprio per loro
iniziativa che fu istituto il Banco di
Circolazione per la Sicilia, con sede
a Palermo e succursali a Messina e
Catania, con capitale iniziale di 6
milioni di lire italiane diviso in
6.000 azioni da 1.000 lire l’una.
Ma quella banca, per quanto regolarmente istituita, non divenne mai
realmente operativa abortendo
prematuramente.
Fu solo dalle ceneri del
Banco Regio dei Reali Domini al di
là del Faro, mai soppresso, che
ebbe di fatto origine il Banco di Sicilia, banca pubblica che segnò
comunque per gli operatori economici dell’Isola il primo momento
di una presa di coscienza della loro
funzione
autonoma
all’interno
dell’economia “italiana” che proprio
in quegli anni andava creandosi a
seguito dello stato unitario e della
circolazione anche nell’Isola della
prima carta moneta in sostituzione
della sola moneta metallica.
Ma la nascita di questa
prima vera banca siciliana attirò
subito su di sé la reazione della finanza piemontese e ligure, inducendo Carlo Bombrini, che allora
dirigeva la Banca Nazionale (nata
come banca di emissione dei Savoia dalla fusione nel gennaio del
1850 della Banca Nazionale degli
Stati Sardi, della Banca di Genova
e della Banca di Torino), ad aprire
una propria filiale anche a Palermo, come quella che la banca aveva appena aperto a Napoli, anche
parere, il governo sabaudo decise
quindi di autorizzare l’istituzione di
filiali in Sicilia della Banca Nazionale, ma senza tuttavia fare cessare
l’attività del Banco di Sicilia che infatti proseguì, come avvenne in
Campania col Banco di Napoli, anche se seguirono comunque anni
difficili e di continui screzi fra le due
istituzioni,
culminate
con
l’introduzione - il 1° maggio del
1866 - del costo forzoso del denaro
che obbligava le banche autorizzate
a emettere fedi di credito (titolo di
credito solo in parte uguale
all’attuale assegno circolare) a immobilizzare presso le proprie casse
almeno «due terze parti della massa metallica a copertura delle emissioni» dei titoli stessi. In contropartita, però, quando la Banca Nazionale riceveva presso i suoi sportelli
le fedi di credito emesse dal Banco
di Sicilia, iniziò a incamerarle cambiandole con cartamoneta e obbligando il Banco di Sicilia a restituire
in stanza di compensazione giornaliera monete.
Il decreto con cui Vittorio Emanuele II autorizzava il Banco di Sicilia
ad aprire altre sedi in Sicilia e nella penisola oltre a quelle iniziali di
Palermo e Messina
per evitare che l’emissione di carta
moneta per conto dello stato unitario potesse essere un giorno effettuata da più banche, come qualcuno aveva subito ipotizzato attribuendo tale compito, per la Sicilia,
proprio al Banco di Sicilia, come in
Campania al neonato Banco di Napoli. Da qui a chiedere la chiusura
dei due “banchi meridionali” (come
già allora vennero definiti) il passo
fu rapidissimo.
Ma l’operazione non riuscì: il
Consiglio del Banco di Sicilia, che
operava – ricordiamolo – per conto
dello Stato, fu infatti chiamato a esprimere un parere sulla delicata vicenda; e, pur non manifestando in
linea di massima alcuna opposizione
all’istituzione in Sicilia di filiali della
Banca Nazionale, fu chiaramente
dell’avviso che «non era conveniente
né possibile abolire l’istituzione prosperante del Banco governativo,
perché esso prestava dei servizi e
delle agevolazioni che la Banca Nazionale non avrebbe offerto coi biglietti al latore e col suo genere di
operazioni... Un passo non giustificabile abolire un’istituzione che rendeva utilissimi servizi al commercio,
alle private contrattazioni, al Governo», come è scritto negli atti del
Consiglio del Banco di Sicilia di quel
tempo.
Anche a seguito di questo
IL CLUB n. 109 – pag. 42
Una fede di credito del Banco di Sicilia, titolo di credito che consentiva
la girata “condizionata” che è stato
emesso fin quando il Banco è stato
un istituto di credito di diritto pubblico, cioè fino al 1990
La “guerra” fra le due banche comportò che anche il Banco di
Sicilia, come contromisura, iniziò
«a fare circolare i propri valori tenendo a sua volta in serbo quelli
della Banca Nazionale da utilizzare
unicamente per eseguire la riscontrata con essa e con le sue casse»,
come sottolinea lo storico Romualdo Giuffrida nel suo volume “Il
Banco di Sicilia”. Questo causò la
sparizione della “moneta” in Sicilia
con una crescente crisi finanziaria
dovuta «all’emissione di un estesissimo numero di polizzini di piccolo
taglio pagabili al portatore» (sempre
il Giuffrida, ibidem).
Questa crisi strisciante, che
caratterizzò con vari scandali tutta
l’Italia, si concluse con un apposito
atto legislativo che fu emanato l’11
agosto del 1867, allorquando il Governo, per rispondere alle richieste
degli stessi siciliani, trasformò il
Banco di Sicilia, unico stabilimento
pubblico dell’Isola, in “Ente Morale
Autonomo”, annettendovi le Casse
di Sconto fino a quel momento autonome. Per inciso, analoga trasformazione ebbe luogo anche per il
Banco di Napoli. E fu così che i due
banchi meridionali nel 1867 divennero istituti di credito autonomi, pur
se a capitale pubblico, sottraendo
alla Banca Nazionale il monopolio
dell’emissione della carta moneta
attraverso l’autorizzazione ad emettere polizzini di cassa e fedi di credito, richiedibili a titolo gratuito per
evitare di portare con sé masse monetarie ingenti da una parte all’altra
dell’Italia, titoli negoziabili a vista al
portatore presso ogni filiale in Italia
anche della Banca Nazionale.
La prima espansione e la
direzione di Notarbartolo
Un’ulteriore valorizzazione
del Banco di Sicilia avvenne con la
progressiva apertura di nuove filiali
in Sicilia (le prime a Catania, Girgenti, Trapani e poi a Caltanissetta, Siracusa e pian piano anche nel
“continente”) e con l’autorizzazione
già nel 1870 a effettuare operazioni di credito fondiario. Fra una crisi
finanziaria e l’altra, qualche anno
più tardi, la legge Minghetti del
1874 autorizzò sei banche in Italia,
fra cui il Banco di Sicilia, ad emettere “biglietti di banco”; in cambio
queste sei banche, riunite in consorzio, avrebbero concesso allo
stato un prestito di un miliardo di
lire, una enormità per l’epoca, a
causa delle cattive condizioni del
bilancio dello stato.
Ma mentre le altre banche
cessarono questa attività nel 1893,
il Banco di Sicilia ebbe il privilegio
insieme al Banco di Napoli di proseguirla ininterrottamente fino al
1926, affiancando l’istituto di emissione che continuò a gestire la
tesoreria di stato, anche se la denominazione “Banca Nazionale”
con la legge 449 del 1893 (che
riordinò dopo le varie crisi finanzia-
Banconota di 1 lira emessa dal Banco di Sicilia,
nella sua funzione di istituto di emissione proseguita fino al 1926
rie di fine ‘800 la banca) fu modificata definitivamente in “Banca
d’Italia”.
Il massimo prestigio del
Banco di Sicilia a fine ‘800 corrispose alla gestione del Direttore
Generale Emanuele Notarbartolo,
che era stato fra i seguaci di Garibaldi e che per circa tre anni era
stato anche Sindaco di Palermo,
uomo integerrimo che, fra le altre
azioni intraprese per rendere più
solida la banca e per aumentarne
la funzionalità, riuscì ad avere affidata dallo stato la gestione finanziaria delle opere pubbliche e quella del credito agrario. Oltre a ciò la
grande intuizione del Notarbartolo
fu quella dell’apertura di una rete
di agenzie (non di sedi come lo erano state le prime filiali), sì autonome, ma “controllate da una operazione superiore”, cioè appunto
da
sedi
capozona.
Oltre
all’apertura di Roma, Milano e Reggio Calabria, la banca iniziò la sua
espansione in centri di grande interesse commerciale (per lo zolfo,
per l’agricoltura, per il commercio), come Caltagirone e Sciacca.
Emanuele Notarbartolo, Direttore
Generale del Banco di Sicilia dal
1876 al 1890, assassinato dalla
mafia il 1° febbraio 1893
IL CLUB n. 109 – pag. 43
Il suo lavoro al Banco di
Sicilia non fu però semplice, e non
solo per le continue crisi finanziarie
che attanagliavano l’Italia del tempo. Il consiglio generale della banca era composto infatti principalmente da politici, molti dei quali
collegati ad apparati locali di potere o peggio collusi anche con la
mafia. Per di più, durante il governo Depretis furono affiancati a Notarbartolo due personaggi a lui notoriamente ostili, tra cui il parlamentare Raffaele Palizzolo. Il deputato,
come
si
sussurrava
all’epoca in tutti gli ambienti, era
colluso con la mafia locale e le sue
speculazioni avventate avevano
già creato non pochi screzi con il
Notarbartolo.
Nel 1882 Emanuele Notarbartolo fu addirittura oggetto di un
sequestro, con la liberazione avvenuta solo a seguito del pagamento
di un riscatto. Ma fu solo il prologo
della sua triste fine: dopo la manifesta progressiva ostilità cui andò
sempre più incontro nella sua azione, Notarbartolo fu infine costretto dopo 14 anni alle dimissioni
dalla carica di Direttore Generale e
addirittura a intentare una causa
con lo stesso Banco di Sicilia che
gli negava la dovuta pensione. Infine, il 1° febbraio 1893, mentre
era sul treno che da Termini Imerese lo avrebbe condotto a Palermo, nei pressi di Trabia venne ucciso con 27 colpi di pugnale da
Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, legati alla mafia siciliana.
Questo caso avrebbe acceso un
importante dibattito sulla situazione della mafia in Sicilia e in Italia
e, soprattutto, sulla collusione tra
mafia e politica, ma inizialmente
nessuno osò fare nomi. Solo nel
1899 la Camera dei Deputati au-
torizzò il processo contro l’on. Palizzolo riconoscendolo mandante
dell'assassinio; ma per quanto in
primo grado il Palizzolo fosse stato
giudicato colpevole e condannato,
nel 1905 fu assolto in appello per
insufficienza di prove.
L’onorevole Nervo, quindi
un politico, sostituì Notarbartolo
nella carica prima di Commissario
Governativo e poi nel 1890 di Direttore Generale (allorquando fu
ricostituito il Consiglio Generale
dell’Istituto che era stato sciolto
con le dimissioni di Notarbartolo).
Ma dopo poco tempo fu il Duca
della Verdura a prendere il suo posto (era il 18 febbraio 1891). Crispi
aveva nel frattempo istituito una
commissione ispettiva che verificasse l’effettiva solvenza delle
banche italiane, sempre attanagliate da continue crisi, in particolare le banche di emissione (come
il Banco di Sicilia). E proprio il
Banco di Sicilia vacillò davanti alla
scoperta di speculazioni di borsa
non coperte da preventiva autorizzazione del Consiglio, tanto che
anche il Duca di Verdura fu costretto alle dimissioni.
Ci volle la nuova legge
bancaria del 1894 per portare un
po’ di serenità nell’ambiente bancario italiano, e al Banco di Sicilia
nello specifico, anche se le tristi
vicende delle guerre d’Africa e del
primo conflitto mondiale avrebbero
nuovamente indebolito il quadro
economico e finanziario della nazione e, ancor più, di tutto il meridione e della Sicilia.
Il primo Novecento
L’evoluzione dei principi
normativi che regolavano il mercato finanziario e creditizio in Italia portò nel 1926 a riscrivere la
legge bancaria del 1894, affidando
alla sola Banca d’Italia il compito
di istituto di emissione e di tesoreria dello Stato e autorizzando
invece tutte le altre banche ad effettuare operazioni di deposito e
di affidamento. Nel 1926, quindi,
il Banco di Sicilia cessò insieme al
Banco di Napoli la sua funzione di
istituto di emissione, anche se fedi di credito e polizzini di cassa
continuarono ad essere emessi
insieme ai vaglia cambiari al posto
degli assegni circolari consentiti a
tutte le altre banche, con agevolazioni quindi sul deposito di fondi
precostituito
a
garanzia
dell’emissione e del denaro così
circolante.
Il palazzo che ha ospitato finora la Direzione Generale del Banco di Sicilia in Via Ruggero Settimo a Palermo
Gli anni a cavallo delle due
guerre furono anche segnati per il
Banco di Sicilia da una imperiosa
apertura di filiali in tutta la Sicilia e
in molte città della penisola e si
pensò anche all’edificazione di una
nuova sede centrale a Palermo. Infatti, dopo un breve periodo nel
quale la sede del Banco di Sicilia
era stata trasferita dal Palazzo delle Finanze di Corso Vittorio Emanuele a Palazzo Nasca in via Roma,
durante il ventennio si sviluppò la
necessità di edificare ex novo un
palazzo che ospitasse molto più
comodamente sia la Direzione
Centrale che la sede operativa palermitana dell’Istituto.
Il progetto della nuova costruzione fu affidato all’architetto
Salvatore Caronia Roberti, allievo
del Basile, che ideò una compatta
volumetria in stile modernista, peraltro assai tipico del periodo, in linea con quella che egli stesso definì
"la volumetria e la razionalità mediterranea". Nel 1933 si diede inizio ai
lavori, affidati all’impresa Cardillo, e
in tre anni fu realizzato il palazzo
che ha il suo prospetto principale
sulla Via Roma, nuovo asse viario
della città dei primi anni del secolo,
ma che ben si radicava all’allora
centro economico e finanziario di
Piazza Borsa (oggi Piazza Cassa di
Risparmio), dove il Basile aveva realizzato la sede dell’allora direzione
della Cassa siciliana. Fra i locali del
palazzo, che si presenta massiccio e
squadrato, con marmi grigi su tutto
il prospetto (e che dalla fine degli
IL CLUB n. 109 – pag. 44
anni ‘50 ospita solamente la Sede di
Palermo del Banco di Sicilia), i più
eleganti sono certamente il salone di
cassa del piano terreno e la vecchia
Sala del Consiglio, oggi adibita a sala delle riunioni della direzione, dove
per tanti anni sono stati esposti alle
pareti i ritratti dei Direttori Generali
del Banco a partire dalla sua fondazione (adesso i dipinti si trovano
presso la Fondazione Banco di Sicilia
in Via Libertà).
Il secondo Novecento
Dopo gli anni della seconda
guerra mondiale, il Banco di Sicilia
iniziò una politica di consolidamento del proprio patrimonio immobiliare; fra gli altri immobili acquisì
sulla Via Ruggero Settimo, cuore
nevralgico del nuovo centro cittadino fra il Teatro Massimo e il Teatro Politeama, una vasta area edificabile venutasi a creare a seguito
delle distruzioni belliche, e lì decise
di costruirvi un nuovo edificio per
trasferirvi gli uffici della Presidenza
e della Direzione Generale. La nuova costruzione fu collegata alla sistemazione urbanistica del rione
Villarosa e fu bandito dal Banco un
«concorso pubblico per la compilazione
del
progetto
relativo
all’aspetto architettonico del Palazzo del Banco di Sicilia». I lavori, affidati alla Società Costruzioni Siciliane, si conclusero nel 1957.
L’edificio, in marmo bianco, fu realizzato con ampi portici e con una
teoria di finestre ritmate da semicolonne. Sull’ottagono di Piazza Re-
galmici un bel fregio, sempre in
marmo bianco, compare nella parte
alta della costruzione sotto la scritta
"Banco di Sicilia", mentre in basso i
portici sono chiusi da un fregio geometrico in marmo rosa. Nel palazzo sono state ospitate sia la Presidenza che la Direzione Generale
che la Sala del Consiglio, nonché
alcuni degli uffici della Direzione
Centrale. Altri uffici si trovano
nell’adiacente nuova costruzione,
conclusa e acquisita dal Banco nel
successivo 1979, che prospetta
sempre sulla Via Ruggero Settimo.
In questo stesso periodo,
mentre le aperture di filiali proseguono incessantemente, il Banco si
dota di un Ufficio Studi e inizia a
valorizzarsi e ad accreditarsi istituzionalmente anche nel ruolo di
sponsor culturale. Molti furono
proprio in quegli anni, per esempio, gli interventi in favore dell'archeologia siciliana da parte del
Banco di Sicilia, il primo dei quali
riguardante l’area archeologica di
Selinunte. Vi è un aneddoto rac-
contato, in un intervista di alcuni
anni fa, dal prof. Vincenzo Tusa, a
lungo
illustre
professore
dell’Università di Palermo, da poco
scomparso, per anni Sovrintendente del Capoluogo siciliano, che in
un‘intervista di alcuni anni addietro
sintetizzò così le ragioni di questa
sensibilità: «Quando nel ‘63 ho
cominciato ad occuparmi attivamente di Selinunte in qualità di
Sovrintendente - sono appunto le
parole di Vincenzo Tusa - gli scavatori clandestini infestavano la
zona saccheggiandone in maniera
irreparabile i reperti archeologici.
Era questo forse il principale problema da risolvere, che mi spinse a
conoscere meglio i "clandestini"...
Erano analfabeti, senza possibilità
di lavoro, non avevano neanche le
barche per andare a pescare, e gli
scavi rimanevano così la loro unica
fonte di reddito. Cominciai ad avvicinarli... dovevo assolutamente risolvere il problema... Occorrevano
adeguati finanziamenti, ma volevo
al tempo stesso evitare le lungag-
Una sala del Museo Ignazio Mormino, a Villa Zito in Via Libertà a Palermo, oggi sede della Fondazione Banco di Sicilia; il museo ospita, fra le
altre collezioni, una preziosa raccolta di reperti archeologici il cui nucleo
originario è quello degli scavi operati nell’area di Selinunte a metà del
‘900 con il contributo finanziario, fondamentale, del Banco
IL CLUB n. 109 – pag. 45
gini burocratiche che avrebbero
consentito ai tombaroli di lasciare
ben poco dei tesori ancora nascosti
nella necropoli. Pensai così di fare
visita al dott. Carlo Bazan, allora
Presidente del Banco di Sicilia...
Bazan mi accolse con grande cortesia e accettò la mia richiesta
d’aiuto... Tornai a Selinunte trionfante. Iniziarono così quattro anni
di scavi, dal ‘63 al ‘67, finanziati
dal Banco di Sicilia... Alla fine degli
scavi, all’Istituto spettò un quarto
del valore dei reperti trovati».
Possiamo dire che il Banco
di Sicilia promosse a quel tempo
un’operazione di sponsorizzazione
culturale in un’epoca in cui questi
interventi erano considerati pionieristici. E questo è forse il grande
merito dell’Istituto, che nella settecentesca Villa Zito a Palermo, oggi
sede della Fondazione Banco di Sicilia, ha realizzato un ricchissimo
Museo, intitolato a Ignazio Mormino, a ricordo del Direttore Generale
del Banco sotto i cui auspici aveva
avuto origine nel 1954 la "Fondazione per l'incremento economico,
culturale e turistico della Sicilia".
Sulla politica di espansione
del Banco di Sicilia nella seconda
metà del ‘900 va aggiunta qualcosa: oltre a consolidare la propria
posizione in Italia con l’apertura di
nuove filiali in quasi tutte le regioni, il Banco si propose fra le prime
banche italiane anche all’estero
con l’apertura di filiali e uffici di
rappresentanza in tutta Europa, in
Asia e in America; la filiale di New
York, fra tutte le altre, diverrà addirittura la più importante banca
italiana negli Stati Uniti.
Ma questa enorme espansione aveva forse i piedi di argilla
e, anche per le continue sovrapposizioni fra la sfera economicogestionale e quella politica, il Banco di Sicilia, assai scoperto sul piano del capitale proprio e dei fondi
rischi rispetto alla massa finanziaria circolante e dei prestiti erogati,
entrò in crisi a fine anni ’80. La
situazione lo accomunava a tutte
le banche del Meridione, e in particolare a quelle pubbliche che
scontavano una carenza di mezzi
propri, segno anche di una economia meno solida delle regioni
meridionali nonché di una gestione
amministrativa
squilibrata
dal
punto di vista aziendale: si trattava sempre di un’azienda pubblica,
gestita con criteri che erano disallineati rispetto a quelli di altre
banche private, organizzate come
società per azioni, che avevano
sempre gestito le loro attività con
criteri meno clientelari e aprendo
sportelli solo dove le piazze avrebbero garantito redditività (mentre
il Banco di Sicilia, in quanto banca
pubblica, operava in Sicilia in quasi
tutti i Comuni, anche in quelli dove
le filiali erano in perdita, al pari
delle Poste).
Fu così che il 21 agosto
1990, dopo un lungo iter legislativo,
entrò in vigore una nuova legge
bancaria che radeva al suolo alcuni
postulati della legge precedente, la
cosiddetta legge Amato-Carli: le
nuove norme attuarono fra l’altro la
trasformazione del Banco di Sicilia e
cilia, alla quale fu girato il tesoro
artistico della banca, fra cui le opere archeologiche che erano toccate
al Banco con il finanziamento degli
scavi di Selinunte.
Nel giro di pochi anni però
i mutamenti si susseguirono a
ritmo incalzante. Dopo gli anni
della massima espansione anche
all’estero voluta dal Direttore Generale Ottavio Salamone, la banca
entra seriamente in crisi per il peso esorbitante dei crediti in contenzioso e viene commissariata di
fatto dalla Banca d’Italia a opera
di Cesare Caletti. Nel 1997, dopo
la positiva valutazione espressa
dalla Banca d’Italia, il Banco di Si-
L’evoluzione del marchio del Banco di Sicilia negli ultimi anni
delle altre banche pubbliche in società per azioni sollecitando una ricapitalizzazione aziendale e scorporando in apposite Fondazioni tutte
le attività non strettamente legate
all’attività finanziaria e creditizia. Il
2 maggio 1991 la Regione Siciliana
approvò quindi una legge per la ricapitalizzazione delle banche pubbliche siciliane. Il 21 dicembre venne firmato l'atto costitutivo del
Banco di Sicilia SpA che dal 1° gennaio 1992 iniziò l'attività in Italia e
all'estero nella nuova veste giuridica di società per azioni, lasciando le
altre attività (culturali e filantropiche) alla “Fondazione” Banco di Si-
cilia acquisisce attività e passività
della Sicilcassa S.p.A. (altra banca
ex pubblica dell’Isola), prepotentemente in crisi e ormai in liquidazione. Successivamente il Mediocredito Centrale, banca di sviluppo
e investimento con sede a Roma,
fa il suo ingresso nella compagine
azionaria della nuova aggregazione creditizia. Fu forse questo il
canto del cigno per il Banco di Sicilia, rinnovato managerialmente
sotto la guida del compianto Gianfranco Imperatori che investì sul
Banco tutte le sue forze per indirizzarlo secondo logiche di sviluppo commerciale e del territorio.
IL CLUB n. 109 – pag. 46
Le ultime vicissitudini
Dopo che il Banco entrò a
far parte del gruppo Mediocredito
Centrale, il processo di privatizzazione avviato dal Ministero del
Tesoro toccò anche questa banca
di sviluppo: il pacchetto azionario
di MCC venne infatti a sua volta
acquisito dalla Banca di Roma.
Nel 2002, con la riorganizzazione
del Gruppo BancaRoma, il Banco
di Sicilia venne incorporato nella
Banca di Roma e, contestualmente, le sue attività bancarie tradizionali (solo quelle) furono scorporate e conferite ad una nuova
società, operativa dal 1° luglio
2002, che riassunse la denominazione Banco di Sicilia, partecipata al 100% da Capitalia, nuova
denominazione della holding del
gruppo bancario. Ma il nuovo
Banco di Sicilia era in realtà
monco di alcune parti, dato che
fu subito privato dei suoi immobili, della tesoreria e della finanza; cioè della sua reale ricchezza. Nel giro di qualche mese vennero chiuse tutte le sue filiali estere e si avviò anche un piano
di razionalizzazione degli sportelli di tutto il Gruppo per evitare
sovrapposizioni territoriali.
Ma la storia non è ancora
finita. Nel 2007, a seguito del
processo di fusione fra il Gruppo
Unicredit e il Gruppo Capitalia, il
Banco di Sicilia entrò a far parte
di Unicredit Group. Anche qui, a
seguito della riorganizzazione del
nuovo Gruppo, il Banco di Sicilia
venne incorporato in Unicredit;
contestualmente le attività bancarie retail (per le famiglie e le
piccole imprese) nella sola Sicilia
delle tre banche (Banco di Sicilia,
Unicredit e Banca di Roma) furono scorporate e conferite ad una
nuova società che riassunse la
denominazione Banco di Sicilia;
mentre il Banco perse le attività
bancarie legate alle grandi e medie aziende e alla gestione dei
patrimoni privati, oltre che tutte
le filiali che aveva nella penisola
tranne tre, di “rappresentanza”, a
Roma, Milano e Torino.
L’ultimo atto è di qualche
settimana fa: il 27 ottobre 2010 si
è riunito per l’ultima volta il Consiglio di Amministrazione del Banco di Sicilia, presieduto dall’ultimo
presidente Ivan Lo Bello; prima
dell’estate la Capogruppo aveva
avviato già l’iter per l’incorporazione definitiva del Banco di
Sicilia SpA e delle altre banche
italiane del gruppo; in tal modo
Unicredit ha riassunto sotto il suo
nome tutte le attività bancarie
(corporate investment, retail e
private) con il cosiddetto “bancone unico”. Scompaiono quindi dal
1° novembre 2010 sia il Banco di
Sicilia SpA che Unicredit Banca di
Roma SpA, Unicredit Corporate
Banking e Unicredit Private Banking. Il marchio “Banco di Sicilia”
rimarrà nell’Isola, forse solo per
qualche altro anno ancora, ma solamente come “marchio commerciale”.
Il magone c’è, inutile nasconderlo, soprattutto per tanti di
noi che in questa banca abbiamo
trascorso i migliori anni della nostra vita. «Il sentimento della nostalgia è del tutto legittimo» –
afferma Salvatore Butera, a lungo capo del Servizio Studi del
Banco e oggi Consigliere della
Fondazione Banco di Sicilia –
«ma il giudizio sulla fine di
un’epoca deve essere solo storico
e basato esclusivamente sui documenti. E quindi, se è il caso,
deve anche essere spietato». «Il
Banco è entrato in agonia irreversibile» – gli fa eco Gianni Puglisi, che della medesima Fondazione è Presidente – «in un periodo il cui il sistema economico
siciliano era fuori da ogni controllo e ha perso la propria autonomia nel momento in cui si è
spenta la sua capacità di essere
volano dell’economia siciliana».
Nella realtà, secondo un altro economista siciliano, il prof.
Carlo Dominici, che fu anche Presidente della Fondazione Banco di Sicilia nonché Vice Presidente del
Banco di Sicilia SpA, il Banco «ha
perduto la sua identità già ai tempi
dell’arrivo del Banco di Roma,
quando fu svuotato del patrimonio
e dei suoi migliori asset». E forse è
proprio così ed è a un tempo un po’
meno recente dell’attuale che bisogna andare per decretare la sua reale fine.
Insomma, fra giudizi contrastanti, mutamenti organizzativi
anche profondi, esuberi di personale, fusioni e controfusioni, ci lasciamo alle spalle l’ultima rivoluzione, il bancone unico creato da
Unicredit con tutte le banche italiane del Gruppo. Speriamo sia stata la soluzione migliore. Come dire: niente lacrimucce, è la globalizzazione, ragazzi...
Maurizio Karra
Alcuni degli uomini che hanno guidato il Banco di Sicilia
negli ultimi anni: Ivan Lo Bello ne è stato l’ultimo presidente, Roberto Bertola l’ultimo Amministratore delegato, adesso alla guida del Network Famiglie e Piccole e
Medie Imprese di Unicredit in Sicilia
Salvatore La Francesca
Beniamino Anselmi
Cesare Caletti
Ivan Lo Bello
Gianfranco Imperatori
Roberto Bertola
IL CLUB n. 109 – pag. 47
Il mio camper
Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto,
dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi!
«P
er spiegare perché
io e la mia famiglia viaggiamo in
camper, piuttosto che andare in vacanza nei villaggi turistici o in tour
organizzati, devo cominciare a raccontare di quando, dall’età di 9 anni,
ho iniziato a fare “vacanza en pleinair” con la tenda, senza la presenza
dei genitori». Così si presenta Giovanni Anello, socio del nostro Club
dal 2006 dopo aver acquistato il proprio camper l’anno precedente. «Ho
cominciato, infatti, a 9 anni – continua - facendo il lupetto in un gruppo
di Boy Scout nella parrocchia di Santa Lucia, di fronte il carcere dell’Ucciardone di Palermo. Ricordo ancora
perfettamente la prima notte in tenda nel lontano luglio del 1974, a Fonte Ramosa nel Bosco della Ficuzza,
avvolto in un pesante sacco a pelo
militare comprato da mio padre, il
giorno prima di partire, in quello che
in quei tempi era l’unico luogo dove
si potevano comprare attrezzature
da campeggio a poco prezzo: al
mercatino dei Lattarini. Ero talmente
emozionato che non chiusi occhio
tutta la notte. Ma da quel giorno ho
iniziato ad amare questo tipo di vacanza, a stretto contatto con la natura e con il territorio».
E’ indubbio che per Giovanni
Anello la scelta di viaggiare in camper
sia stata, quindi, l’evoluzione naturale
di quell’innamoramento iniziale, «un
tipo di vacanza che non delega ad
altri tutti gli aspetti organizzativi e
che, soprattutto, è sempre aperto a
nuovi ed imprevisti cambiamenti di
itinerario, decisioni dettate dall’emozione che può far nascere un’immagine, un monumento o un panorama
osservati pochi minuti prima in un
depliant o in una cartolina esposte in
una bancarella durante la vacanza»,
sottolinea. E’ ovvio che il passaggio
dalla tenda al camper è stato graduale, con una primissima esperienza nel
1992 con il noleggio con tre amici a
Roma di un vecchio Rimor Sloop 560
col quale girarono in lungo e in largo
l’Austria. Quell’esperienza fece capire
definitivamente al nostro Giovanni che
l’acquisto di un camper sarebbe stata
soltanto una questione di tempo.
Nel 1996 il nostro Giovanni
conosce Serena e dopo nemmeno
due anni, a dicembre del 1998, si
sposano. E nonostante Serena avesse avuto fino ad allora un concetto di
vacanza diverso dal suo, quasi esclusivamente basato su itinerari turistici
proposti dalle agenzie specializzate,
la “vacanza en pleinair” li ha messo
immediatamente d’accordo e così,
«dopo alcune vacanze in tenda, ci
ripromettemmo di provare alla prima
occasione l’esperienza del viaggio in
camper, che era una novità assoluta
per mia moglie. Il nostro primo viaggio in camper è stato nell’estate del
1999, Serena era già in attesa della
nostra prima figlia, Maria Chiara. Abbiamo affittato a Pisa un altro mezzo
prima e tenuto in maniera quasi maniacale dal primo proprietario. Il passo immediatamente successivo è stato quello di associarsi al nostro Club,
incoraggiato dai alcuni colleghi e amici che già ne erano soci.
Qual è il giudizio su questo
mezzo? «Avevo già conosciuto le
qualità costruttive di questa marca,
in occasione di uno dei noleggi presso
l’Holiday Camper di Misilmeri. È davvero costruito con materiali resistenti,
e con tre bambini piccoli a bordo è
stato facile constatarlo di persona.
Durante la marcia, non si sentono
cigolii nelle giunture e nel mobilio, lo
Da sinistra Serena, Francesco, Giovanni, Gabriele e Maria Chiara Anello davanti al loro Challenger
della Rimor insieme a una coppia di
amici, per fare un bellissimo giro della Toscana e dell’Umbria. Dopo
quell’esperienza assolutamente positiva, ci siamo convinti che la vita in
camper faceva per noi e che, quindi,
prima o poi avremmo fatto il grande
passo: acquistarne uno tutto nostro».
Ma quel passo non è stato
immediato: dopo la nascita del secondo bambino, Gabriele, la famiglia
Anello ormai composta da 4 persone,
affitta nell’estate del 2001 un camper
a Roma, e con quello effettua un bellissimo tour del centro Italia. Dopo la
nascita del terzo figlio, Francesco, e
altri tre noleggi di camper tra il 2003
e il 2004, finalmente nel 2005
l’acquisto dell’attuale mezzo: un
Challenger 172 di seconda mano, 7
posti letto, già dotato di tutti gli optional, immatricolato appena un anno
IL CLUB n. 109 – pag. 48
spazio interno è più che sufficiente
per una famiglia con tre bambini.
L’unico neo che gli trovo, non potendo rinunciare ad una delle due cuccette laterali, è la limitata capacità di
stivaggio esterno. Un altro mezzo
con la doppia cuccetta posteriore invece che laterale e con doppio portello di accesso avrebbe risolto questo problema, ma l’occasione che ci
era capitata non poteva essere rifiutata. Altro piccolo difetto è la dimensione del bagnetto, forse troppo piccolo rispetto ad altri modelli, ma dopo tutto si tratta di ben poca cosa
rispetto alla qualità di tutto il resto».
Purtroppo, si rammarica
Giovanni, la sua partecipazione alle
gite associative non è mai stata assidua, dapprima perché i bambini
erano ancora troppo piccoli e non ci
consentivano di seguire il ritmo delle
gite, delle visite guidate e delle cene
luculliane che il Club da sempre organizza mensilmente. Adesso che i figli
sono più grandi, il motivo è dettato dai
ritmi di lavoro che, a causa dei numerosi
impegni
sopraggiunti
con
l’avvento di Unicredit, lo costringono a
stare fuori Palermo quasi ogni settimana e che, quindi, non gli lasciano
molto spazio per uscire con una certa
assiduità durante il sabato e domenica. Da molti anni Giovanni Anello è
infatti analista funzionale nell’ambito
dei Canali Telematici presso il Centro
elettronico della banca. «A partire dalla convergenza di Capitalia in Unicredit, sono stato chiamato a fare molte
trasferte, prima presso i poli di Roma
e Verona e poi, da un paio di anni a
questa parte, anche a Monaco e a
Vienna, per partecipare ai progetti di
migrazione della banca tedesca HVB
e di Bank Austria».
Ma è anche il lavoro della
moglie Serena che a volte costringe
la famiglia Anello a limitare le uscite
settimanali. Da qualche anno, infatti,
la moglie, che è giornalista, è la corrispondente per la Sicilia dell’agenzia
di stampa “Redattore Sociale”, specializzata nel reperire sul territorio
nazionale attraverso corrispondenti
locali notizie che riguardano problematiche di natura sociale e politica
che poi diffonde attraverso un portale
web a tutti gli organi di stampa nazionali. Oltre a questo lavoro, Serena
è da una decina d’anni direttore responsabile del settimanale di ispirazione cristiana “CNTN - Cieli Nuovi e
Terra Nuova”, che fa riferimento alla
fervente comunità parrocchiale di
piazza Magione e all’intuizione di uno
dei “preti di frontiera” più intraprendenti di Palermo, padre Giacomo Ribaudo. «E così – aggiunge lei - molto
spesso sono gli impegni di lavoro che
Carta d’identità
Socio: Giovanni Anello (anni 45)
Residenza: Palermo
Occupazione: Dipendente di UGIS, analista funzionale nell’ambito dei
Canali Telematici (sede di lavoro: Palermo, Vienna e Monaco di Baviera)
Altre persone che compongono l’equipaggio: la moglie Serena e i
tre figli Maria Chiara, Gabriele e Francesco
Caratteristiche del camper
Veicolo: Challenger Mageo 172
Anno di acquisto: 2005
Anno di prima immatricolazione: 2004
Tipologia: mansardato
Meccanica: Ford Transit 2.5
Misure: lunghezza: m. 7,10, larghezza: m. 2,30, altezza: m. 3,15
Posti omologati: n. 6
Posti letto: n. 7: 1 matrimoniale in mansarda, 2 singoli a castello in coda,
1 matrimoniale ottenibile dalla trasformazione della dinette centrale e 1
singolo centrale ottenibile dalla trasformazione della mini-dinette accanto
Serbatoi acque chiare: l. 250
Serbatoio acque grigie: l. 100
WC: Thetford a cassetta
Riscaldamento e boiler: Combi Truma a gas con ventilazione
Frigorifero: trivalente l. 90
Cucina: piano cottura 3 fuochi + forno
Optional montati: tendalino, pannello solare, antifurto, generatore
220v, inverter, retrocamera, televisione
Valutazione del mezzo da parte del socio
Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa)
Impianto freni
Tenuta di strada
Spazio utilizzabile nella cellula abitativa
Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...)
Qualità del mobilio ed eleganza arredi
Cuscineria e tappezzeria
Comodità dei letti
Comodità dei divani e dei posti a tavola
Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante)
Servizio WC/doccia
Cucina/piano cottura/frigo
ci dettano il calendario delle uscite
settimanali in camper». Anche se, ne
siamo certi, oltre a questi motivi pro-
I nostri soci all’interno del loro camper
IL CLUB n. 109 – pag. 49
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Molto soddisfatto
Abbastanza soddisfatto
Abbastanza soddisfatto
Molto soddisfatto
fessionali, ci sono anche gli impegni
legati al “mestiere” di genitori e alle
attività dei figli, in particolare dei due
più grandi che, seguendo le orme
paterne, hanno iniziato l’esperienza
dello scoutismo e della vita all’aria
aperta, e che quindi tutti i sabato e
domenica partecipano alle riunioni di
Branco (per i più piccoli, i lupetti) e
di Reparto (per gli adolescenti, ossia
gli esploratori e le guide).
«Tengo però a dire una cosa
– conclude Giovanni - che i miei figli
stanno imparando ad apprezzare le
attività del Club; anche nella bella gita
di fine ottobre a Militello Val di Catania, Grammichele e Palazzolo Acreide
tutti e tre si sono divertiti moltissimo,
merito anche della presenza di altri
loro coetanei, tanto che, arrivati a casa, ci hanno subito chiesto: “quando
facciamo un’altra gita con il Club?”».
Maurizio Karra
Musica in camper
Due proposte internazionali per allietare le nostre gite invernali
I
l freddo e le sempre più
poche ore di piena luce incombono
sulle nostre giornate invernali, permettendoci spesso solo di sognare
il tempo libero da godere all’aria
aperta con il nostro amico camper.
E allora, mentre sogniamo le vacanze (ahimé decisamente lontane!), progettando magari il viaggio
della prossima estate, non ci rimane che goderci qualche uscita nel
fine settimana e le note di una bella canzone con cui farci cullare a
piene mani.
Fra le novità del mercato
discografico, la prima proposta riguarda una giovane cantautrice,
pianista e attrice americana, Nora
Jones, dalle notevoli doti vocali ed
interpretative che spaziano dal
jazz al blues, dal pop all’hip hop al
country. L’artista ha ottenuto un
notevole successo già dall’album di
esordio del 2002, “Come away
with me”, vendendo circa 20 milioni di copie; e dopo questo strabiliante successo mondiale ha vinto
molti premi internazionali, tra cui 5
Grammy Awards in una sola serata. Ha poi bissato i consensi dei
fan con l’uscita di altri tre album
che l’hanno resa una delle cantautrici più popolari dell’odierno panorama musicale, con la conseguente
vendita di 40 milioni di album in
tutto il mondo.
In questi giorni Nora Jones
replica i suoi successi con l’uscita
del suo nuovo album “… Featuring”. Si tratta di una collezione di
18 brani che spaziano tra i migliori
duetti che la cantante ha eseguito
nel corso della sua carriera con
numerosi artisti, alcuni dei quali
sono degli autentici mostri sacri,
come Ray Charles, Willie Nelson e
Dolly Parton, per proseguire con
Outkast, Herbie Hancock e Bryan
Adams. A questo proposito l’artista
racconta: «E’ così eccitante, divertente e lusinghiero cantare con
qualcuno che ammiro, collaborare
con un altro artista ti porta fuori
dalle tue certezze, non sai mai cosa aspettarti. Per molti degli artisti
presenti in questo album ho sempre avuto, fin da piccola, una venerazione, molti sono più giovani
di me e altri miei coetanei; anche
se tutti questi artisti sono così differenti tra loro è solo mettendo insieme questi brani che si trova il
giusto senso». Ed effettivamente
ascoltando questi pezzi, alcuni dei
quali non sono mai stati editati sul
mercato discografico, si passa attraverso generi, atmosfere ed emozioni diverse di grande spessore, in grado di arricchire l’anima
fino all’ultima nota.
Dall’altro capo del mondo
arriva la seconda proposta musicale del momento, e precisamente
dal martoriato medio oriente; è infatti israeliana la cantante Noa,
nata a Tel Aviv da una famiglia di
ebrei yemeniti, cresciuta a New
York fino all’età di 17 anni quando,
in preda ad una crisi di identità,
decise di tornare in patria a prestare servizio militare rispolverando in un certo senso le sue origini
...multietniche. Da quel momento,
dopo un prevedibile momento di
confusione in cui non riusciva
nemmeno a parlare ebraico con le
sue coetanee, iniziò la sua nuova
vita di madre e moglie di un pediatra israeliano e la sua carriera di
cantante, profondamente impegnata nell’utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento
fra i popoli in conflitto, con particolare riguardo alla tragica questione
mediorientale.
Forse per questa ragione è
stata scelta da Roberto Benigni per
cantare il pezzo principale della colonna sonora del film “La vita è
bella”. Le sue canzoni sono fortemente influenzate dall’ambiente
israeliano, con le sue numerose
contraddizioni, i suoi dolori e le sue
speranze e l’artista per il suo im-
IL CLUB n. 109 – pag. 50
pegno sociale è stata nominata
Ambasciatrice della FAO. Nel corso
della sua carriera ventennale la
cantante ha duettato con numerosi
artisti, tra concerti e manifestazioni di beneficenza.
Ma la sua collaborazione
più eclatante è stata con l’attricecantante palestinese Mira Awad;
queste due stelle del firmamento
mediorientale, come due facce della stessa medaglia, si sono impegnate in una campagna sociale e
musicale che ha lo scopo di sensibilizzare il pubblico sul sanguinoso
e devastante conflitto in palestina.
E poco tempo fa è uscito l’album
“There must be another way”,
cioè “Ci deve essere un’altra strada”, in cui i 12 brani presenti sono
un inno alla pace che ha la caratteristica di essere cantato in tre lingue diverse, l’ebraico, l’arabo e
l’inglese, per giungere a più cuori
contemporaneamente.
Il brano che dà il titolo
all’album è un pezzo divenuto celebre per essere stato presentato
al concorso annuale di Eurovision
per rappresentare lo stato israeliano, innescando numerose polemiche sia da parte ebraica che araba.
Ma il messaggio di pace e di speranza trasmesso da questo album
è molto chiaro: ci deve pur essere
un’altra strada per giungere alla
convivenza pacifica di due popoli
così diversi e, come spesso accade, la musica è una strada privilegiata per unire anime, popoli e culture così lontane tra loro. Non siete d’accordo?
Mimma Ferrante
Riflessioni
Cucina in camper
Come giustificare la propria esistenza
Gnocchetti al pesto
di zucchine
E
se quel giorno la
sveglia non avesse suonato? Tanti
eventi non sarebbero accaduti o
non li avrei vissuti. Forse sarebbe
stato meglio, non sarebbe accaduto
ciò
che
poi
avrebbe
condizionato i miei comportamenti,
il mio modo di vivere. O forse no.
Perché se subito viene da pensare
che avrei potuto non vivere quei
momenti indesiderabili, contemporaneamente però non avrei vissuto
nemmeno tutto il bello, il positivo
che sarebbe scaturito da quelle
situazioni.
Perché la vita è fatta di
eventi, occasioni, causa-effetto,
coincidenze, azioni e razioni di momenti belli e brutti, apparentemente non legati tra loro ma che
invece hanno il senso di esistere,
in quanto strettamente in relazione
consequenziale.
Varrebbe davvero la pena,
potendo, cancellare quel brutto
momento, fare in modo che non
fosse mai accaduto, pensando di
eliminare la causa del malessere,
sapendo pure che si perderebbe
anche tutto ciò che di bello è
accaduto in conseguenza a quello
accadimento negativo? Forse la
risposta viene da sé.
Ingredienti:
400
gr.
di
gnocchetti,
2
zucchine
genovesi, 2 cucchiai di pinoli,
un pugno di foglie di basilico, ½
bicchiere
di
olio
d'oliva,
parmigiano, sale.
Ogni essere umano è
unico, irripetibile, ogni vita è il
risultato di un impasto magico tra
positivo e negativo che alle volte
subiamo inermi, ma che altre volte
possiamo manovrare: aumentare il
volere,
diminuire
il
piacere,
rinunciare alle novità, accontentarsi del certo, accettare il rischio,
affrontare l’incognito…
La vita è bella perché viene
costruita istante dopo istante,
nessuno sa cosa succederà tra un
secondo, tra un giorno, tra un
mese o un anno. E’ soltanto
l’esperienza, la conoscenza di sé
che
aiuta
a
scegliere
i
comportamenti che presumiamo ci
possano
fare
raggiungere
gli
obiettivi che giustifichino la nostra
esistenza.
I percorsi sono spesso tortuosi e non sempre gli accadimenti piacevoli e desiderabili. E’
come un romanzo che cresce, si
sviluppa e diventa sempre tanto
più interessante, quanto più il suo
autore è in grado di creare
un’alternanza
di
situazioni
piacevoli
ed
anche
meno
piacevoli, che si intersecano tra
loro.
L’osservare
i
singoli
eventi, avulsi dal contesto di
un’esistenza, mi porterebbe a
IL CLUB n. 109 – pag. 51
Preparazione: tagliare a rondelle le zucchine e lasciarle
sbollentare. Scolarle appena
cotte e frullarle insieme ai
pinoli, al basilico e all'olio
d'oliva, salando il tutto. Cuocere la pasta e, appena cotta,
amalgamarla al condimento,
aggiungendo
il
parmigiano
grattugiato (il pesto si può
preparare anche prima e si può
congelare).
Involtini di tacchino
Ingredienti:
4
fette
di
tacchino, 4 fette di prosciutto
cotto, 4 fette di caciocavallo
(tagliato sottile), sale, 2 uova,
olio d’oliva, pangrattato.
Preparazione: porre le fette di
tacchino su un ripiano, ricoprendole con una di prosciutto
ed
una
di
caciocavallo.
Rotolarle e chiuderle con uno
stecchino. Passare gli involtini
nel battuto d’uova e poi nel
pangrattato e friggerle in olio
caldo.
Enza Messina
desiderare
di
scegliere
quali
lasciare e quali preferire non
fossero mai accaduti, dimenticarli.
Si creerebbero dei vuoti nel
mosaico tracciato finora. Forse
sarebbe
gratificante,
ma
le
tessere restanti non avrebbero più
relazione, in quel contesto.
Il bilancio in fondo è
positivo: i segni + sono maggiori
dei segni – e in fondo, riflettendo
bene, sono contento che quella
sveglia,
quel
giorno,
abbia
suonato.
Luigi Fiscella
Internet che passione
La “realtà aumentata
F
orse qualcuno si ricorderà ancora di Tom Cruise, investigatore “precriminologo” in
Minority Report, che armeggia
con le dita su un video virtuale
alla ricerca di file, letteralmente
spostati con le mani. Oppure ancora la splendida mappa virtuale
tridimensionale di Pandora, il
mondo alieno del film Avatar. Si
tratta di due esempi, ormai concreti, di “realtà aumentata” e cioè
di quella sovrapposizione di informazioni sensoriali reali e virtuali che compongono una “mixed
reality”.
Da non confondere con la
realtà virtuale, il cui ambito è costituito esclusivamente da oggetti
virtuali e quindi generati artificialmente, la realtà aumentata
riguarda essenzialmente la amplificazione sensoriale di tutto ciò
che ci circonda e che vediamo,
tocchiamo e sentiamo (sia col
gusto che con l’udito), ottenuta
grazie all’utilizzo di strumenti informatici, capaci di aggiungere
ulteriori elementi di stimolazione
sensoria.
Un’applicazione della realtà aumentata (o AR, dall’inglese
“augmented reality”) molti di noi
possono facilmente sperimentarla:
un comunissimo smartphone, infatti, con l’ausilio di appropriati
programmi e delle periferiche di
cui è disposto, quali il GPS o la
bussola, può rivelarsi particolarmente utile nell’aiutarci a individuare gli esercizi commerciali o i
monumenti che stanno intorno a
noi, semplicemente puntandoli
con la videocamera del dispositivo.
In questo caso l’esatto
posizionamento del cellulare, de-
Un touchscreen, esempio ormai concreto di “realtà aumentata”
terminato dai satelliti collegati al
GPS, fa sì che sull’immagine presente nello schermo vengano evidenziate le informazioni relative
alla storia di un antico palazzo
cittadino o, più semplicemente, il
numero di telefono del parcheggio taxi a noi più vicino. O ancora, dettagli sulle opere esposte
nei musei o il menu del ristorante
della strada adiacente.
Link utili
http://augmentedworld.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Realtà_aumentata
http://be-part-of-it.unicredit.eu/it/tour/digital/
http://www.unicef.it/web/malnutrizione/index.html
http://ge.ecomagination.com/smartgrid/#/augmented_reality
http://www.joinpad.net/
http://www.tissy.it/category/nuove-tecnologie/realta-aumentatanuove-tecnologie/
IL CLUB n. 109 – pag. 52
Se poi la simulazione si
potesse anche spingere oltre,
magari restituendoci anche per
esempio in anteprima la consistenza tattile della panna del dolce e l’odore del caffé che ci aspettano
a
fine
pasto,
l’esperienza sensoriale a distanza
potrebbe senz’altro definirsi completa!
Inutile dire che questa
tecnologia è nata per scopi militari (pensate infatti ad un missile teleguidato, capace di superare tutti gli ostacoli fisici) e per
finalità mediche (interventi chirurgici a distanza) ma, com’è
spesso accaduto, è stata poi utilizzata in campo civile e in ultimo specialmente su internet,
dove è sempre più sovente utilizzata in campo pubblicitario
per creare una sia pur minima
interazione con il sito che si sta
visitando.
Uno smartphone, capace di “aggiungere” alla realtà che ci circonda altre utili informazioni
Un esempio di tale utilizzo
è reperibile nel sito UniCredit dedicato alla Champions League dove,
stampando
un
marker
(cioè
un’immagine guida che verrà letta
dalla webcam e interpretata da un
programma applicativo) e accedendo ad una specifica pagina, chiunque può fotografarsi con una virtuale Coppa dei Campioni sul palmo
della mano. Con lo stesso sistema
nel sito dell’Unicef si potrà effettuare un piccolo tour in un villaggio africano e, nel sito della General Electric, si potrà “dare fiato” ad una
centrale eolica!
Sempre con l’utilizzo di
markers, per esempio, e sempre
naturalmente con la nostra webcam
e la connessione a internet, si po-
trebbe provare a collocare nella
propria casa la versione virtuale dei
mobili che piacciono, prima del loro
acquisto. Stessa cosa per gli abiti o
per il taglio dei capelli o il trucco.
Oppure ancora, grazie al nostro cellulare, puntando un orizzonte marino, sapere quali relitti stanno nel
fondo del mare che tanto stiamo
ammirando.
Con la realtà aumentata è possibile anche provare in anteprima
un paio di occhiali
Per concludere, credo sia
inutile dire che computer sempre
più potenti e sempre maggiore
velocità della rete non possono
che affinare e potenziare questa
tecnologia che, in un futuro forse non troppo lontano, potrebbe
magari permetterci di viaggiare
in modo attivo, oltre che sensorialmente efficace; dappertutto,
anche tra i pianeti del nostro sistema solare!
Giangiacomo Sideli
La “Coppa dei Campioni” digitale del sito UniCredit
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News, notizie in breve
Una guida per conoscere i
luoghi dell’unità d’Italia
Il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino, capitale del
regno, proclamò Vittorio Emanuele II re d'Italia "per grazia di Dio
e volontà della Nazione". Fu l'atto
di nascita della Nazione, a compimento di un lungo e controverso percorso cominciato dalla cinque giornate di Milano, proseguito con la spedizione dei Mille di
Garibaldi e le grandi battaglie del
Risorgimento e conclusosi con i
plebisciti di annessione di altre
regioni, l'assedio di Gaeta e la
breccia di Porta Pia che aprirà le
porte di Roma capitale.
Per
celebrare
l’unità
d’Italia a 150 anni dalla sua realizzazione, è stata pubblicata anche una guida che vuole condurre
gli italiani sui luoghi in cui si sono
compiuti i loro destini, alla conoscenza degli eventi storici e politici e dei personaggi che li hanno
determinati: la Torino di Vittorio
Emanuele II e di Cavour, le Regge dei Savoia, le battaglie di Solferino e Custoza, la Firenze che
fu per breve tempo capitale, la
Roma finalmente conquistata e la
Napoli dei Borbone; e ancora nei
musei e Sacrari, e altri luoghi
particolari ed importanti o solo
curiosi.
Il titolo del volume è “L'Unità d'Italia - Guida ai luoghi del
Risorgimento da raggiungere in
camper”; l’autore è Mario Bussoni, il costo è 19 euro.
Pedaggi sulle autostrade
siciliane?
C'è un nuovo balzello all'orizzonte per il turismo siciliano:
il pagamento dei pedaggi autostradali che da qualche tempo è
una delle proposte in discussione
a Roma per sanare i bilanci
dell’Anas potrebbe infatti avere
ripercussioni anche sull'economia
dell'isola, forse già a partire dal
1° maggio 2011.
L'elenco delle tratte che
dovrebbero essere trasformate "a
pagamento" comprende la Siracusa-Catania,
la
CataniaPalermo, la Palermo-Mazara. E si
parla già di tariffe: il criterio generale fisserebbe un introito di
7.50 euro ogni cento chilometri.
Spostarsi da Catania a Palermo
verrebbe quindi a costare circa
15 euro a tratta per l’auto, qualcosa in più per un camper, mentre siracusani e catanesi dovrebbero sborsare circa 3 euro e 50
centesimi per ogni collegamento.
Un costo che andrebbe a ripercuotersi anche sulle tasse dei turisti costretti, tra l'altro, a fare i
conti con l'assenza di collegamenti alternativi.
Intanto, l'Anas si prepara
ad indire la gara, prevista a fine
novembre, per appaltare l'installazione dei sistemi elettronici di
telerilevamento. Dalla riscossione
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dei ticket autostradali l'Anas dovrebbe così recuperare i fondi
necessari al mantenimento della
rete viaria non potendo più contare nei trasferimenti statali.
L’Italia al 7° posto fra
i Paesi da visitare
Il miglior posto dove andare in vacanza è la regione del
Sinai in Egitto, mentre le isole
Shetland in Scozia sono rimaste
l'unico posto inesplorato del Regno Unito, dove è ancora possibile vedere facilmente animali
come le balene e godere di
splendidi paesaggi. E l'Italia? E'
al settimo posto tra i Paesi da
visitare.
I consigli sono contenuti
nell'ultima edizione della guida
Lonely Planet sui luoghi migliori
da visitare in tutto il mondo,
'Best in Travel 2011', appena
pubblicata dalla casa editrice,
specializzata in guide turistiche,
che mette al primo posto dei paesi imperdibili l'Albania, "l'ultima
delle frontiere" secondo gli esperti, seguita dal Brasile e Capo
Verde. Tra le regioni, invece, il
Sinai si posiziona in cima alla
classifica seguita dall'Istria in
Croazia, mentre le città 'indimenticabili' sono, in ordine di
classifica, New York, Tangeri in
Marocco e Tel Aviv in Israele.
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