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IL CLUB Anno XVIII n. 109 (novembre/dicembre 2010) Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS Pubblicazione periodica a circolazione interna inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa Responsabile editoriale Maurizio Karra Associazione dei camperisti e degli amanti del plein air del Redazione Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo Hanno collaborato a questo numero Rapporti associativi con Filippo De Luca, Luigi Fiscella, Licia Gristina, Enza Messina, Larisa Ponomareva Amenta, Giuseppe Eduardo Spadoni, Tatiana Tomasetta In questo numero Editoriale pag. 3 Vita del Club Uno sguardo sullo Stretto Tesori nascosti Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto Una passeggiata nel barocco palermitano Tra natura e atmosfere bizantine Le nostre bambine Sede sociale Via Rosolino Pilo n. 33 90139 Palermo Tel 091.608.5152 Internet: www.pleinairbds.it E-mail: [email protected] Facebook: http://www.facebook.com/ pages/Club-Plein-AirBdS/167612983261417 Comitato di Coordinamento Maurizio Karra (Presidente); Giangiacomo Sideli (Vice Presidente); Pippo Campo, Massimiliano Magno, Luigi Pastorelli, Giovanni Pitré ed Elio Rea (Consiglieri); Emanuele Amenta, Rossella Costanza Romano, Mimma Ferrante, Pietro Messina, Marcello Oddo, Vittorio Parrino e Alfio Triolo (Collaboratori) Collegio sindacale Luigi Fiscella (Presidente); Sergio Campagna e Adele Crivello (Componenti) Collegio dei Probiviri Rino Tortorici (Presidente); Giuseppe Carollo e Pietro Inzerillo (Componenti) 4 7 13 16 21 24 Tecnica e Mercato La rinascita del Magnum Doppia coppia 25 28 Viaggi e Turismo Fino ai confini della Russia Natale a Cervia 30 35 Terra di Sicilia Il castello Maniace di Siracusa Punta Secca La preistoria in Sicilia ‘A trinca 37 38 39 40 Rubriche Terza pagina Il mio camper Musica in camper Riflessioni Cucina in camper Internet, che passione News, notizie in breve L’ultima parola 41 48 50 51 51 52 54 56 In copertina “Le torri di Tallin” (Estonia) – Foto di Giuseppe Eduardo Spadoni Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it IL CLUB n. 109 – pag. 2 Editoriale I venti della crisi spirano ancora gelidi su di noi ed è sempre più difficile riuscire a profetizzare se e quando ne usciremo per davvero; nessuna ricetta riesce ad essere magica se anche alcuni stati d’Europa che un tempo venivano additati ad esempio di economia fiorente e galoppante, come l’Irlanda e la Spagna, sono sprofondati nel più mero e paralizzante deficit, coinvolgendo l’intera Europa e tutta l’area dell’euro nella rincorsa a draconiane misure finanziarie a propria difesa, nel tentativo di stabilizzare e fronteggiare il deficit statale e la conseguente speculazione finanziaria internazionale; misure che però contraggono ancor più il potere d’acquisto delle persone e mettono ancor più in crisi le aziende. Insomma, il ciclo economico che stiamo attraversando è fra i più tristi degli ultimi decenni e per chi ha vissuto gli anni del boom e del superfluo è davvero dura accontentarsi, fare a meno di tante cose che pure sono superflue, anche se rimangono persone che continuano a sperperare infischiandosene della crisi. E probabilmente poco cambierà avvicinandoci ancor più a Natale, quanto meno a un Natale visto con gli occhi delle famiglie che aspettano di poter effettuare qualche spesa in più confidando nelle tredicesime e con quelli dei commercianti che aspettano quelle stesse tredicesime per vendere qualcosa nei loro negozi paurosamente sempre più vuoti anche in tempo di saldi. Crisi dell’occidente e dei valori che hanno sostenuto i suoi popoli? Forse sì, soprattutto quando molti miti stanno rovinosamente crollando uno dopo l’altro lasciando americani e tedeschi, francesi e inglesi, italiani e greci e qualunque altro popolo cresciuto a tivu e coca cola in balia di un’identità perduta e ancora non sostituita da modelli alternativi. Abbiamo paura dell’Islam e degli stranieri che cercano di entrare a casa nostra, abbiamo paura di perdere quella ricchezza che abbiamo accumulato puntando su facili certezze che tali non sono. E la rissa continua che anche i nostri politici ci mostrano dai loro scranni testimonia quanto sia grave e nel contempo inconcludente l’età che stiamo vivendo, noi e i nostri figli. Questa riflessione mi è nata nel corso dell’inaugurazione della mostra fotografica del Club, qualche giorno fa, quando Licia Gristina – come potrete leggere a pag. 15 – ci ha parlato della sua esperienza dell’estate scorsa in un Ospedale da campo della Tanzania partecipando alla mostra non con foto di viaggio ma con alcune bellissime immagini scattate soprattutto ai bambini che in quell’ospedale lottano quotidianamente con la fame o con la dissenteria o con il virus dell’HIV contratto già nel grembo materno. Bambini che comunque sorridono alla fotocamera che li immortala mentre giocano o mentre aspettano pazientemente il loro turno per essere visitati o per prelevare un pasto caldo a metà giornata. Bambini che soffrono e che pure sorridono. Bambini che non hanno le stesse aspettative dei nostri, che non desiderano sotto l’albero di Natale la nuova playstation o il nuovo cellulare multifunzione, semplicemente perché non hanno nemmeno un albero sotto il quale aspettare qualcosa e ancor più drammaticamente perché la loro aspettativa di vita è in molti casi assai ridotta, tanto che a 10 o 12 anni sono considerati adulti e già arruolati dagli eserciti più o meno regolari o irregolari che seminano morte e distruzioni nei vari villag- IL CLUB n. 109 – pag. 3 gi del continente africano sfruttando le diatribe secolari fra popoli e tribù. Questa è l’altra metà del mondo, quella che non soffre per la crisi in atto semplicemente perché sopravvivere giorno per giorno è già una bellissima conquista, perché sapere leggere o scrivere è una cosa da ricchi, perché anche mangiare qualcosa ogni giorno è un traguardo che non sempre viene raggiunto, perché vivere fino a 50 anni è infine qualcosa che solo in pochi riescono a ottenere. Questo mentre da noi le scuole sono occupate dagli studenti che lottano contro i tagli imposti dalla riforma Gelmini, mentre le “parti sociali” (ma che significa parti sociali?) trattano per non fare chiudere industrie e limitare al massimo i licenziamenti dei dipendenti, mentre i manager che hanno fallito la loro missione aziendale vengono ...dimessi e nel contempo “premiati” con una lauta buona-uscita che un esercito di operai e impiegati non sarebbe nemmeno in grado di spendere in tutta la vita. E mentre i nostri ministri, deputati, senatori e quant’altro giocano ogni giorno nel teatrino della politica infischiandosene dei problemi veri della gente. Due mondi che si ignorano. Due mondi che non si parlano. Due mondi che si snobbano a vicenda. Eppure due mondi che hanno bisogno l’uno dell’altro. Senza fronteggiarsi, ma cercando di integrarsi a vicenda, dato che ognuna delle due metà non può vivere - o sopravvivere – senza l’altra. Che sia bianca o nera, nordica o “sudicia”, cristiana o islamica, ricca o povera. Dato che la ricchezza non si misura solo con il denaro ma con la capacità di amare, come affermava Erich Fromm, uno dei massimi filosofi del ‘900 (“Avere o essere”). Il Natale alle porte può essere l’occasione giusta per riflettere su queste cose, sul perché di questa crisi, sui giusti metodi per uscirne; e può essere un’ottima occasione anche per renderci tutti più “ricchi”, anche se non abbiamo molti ...soldi da spendere. Maurizio Karra Uno sguardo sullo Stretto Tra il 16 e il 17 ottobre siamo andati alla (ri)scoperta di Messina, scandita dal suo amplissimo lungomare, che si affaccia sul celeberrimo Stretto con vista sulla Calabria, e dalle sue suggestive costruzioni liberty Questa volta le previsioni meteorologiche sono state rispettate e il tempo è stato …dalla nostra parte, permettendoci di godere di uno splendido finesettimana di caldo e di sole con vista sullo Stretto, a parte un paio d’ore di leggera pioggerella che però non ci ha fermato, siglando di fatto l’ultimo week-end quasi “estivo” prima dell’arrivo delle copiose piogge autunnali; ma andiamo per ordine… L’appuntamento per i soci del Club, orchestrato dalla sapiente regia del “nostro” Vittorio Parrino, era per sabato 16 ottobre presso il camping dello Stretto a Ganzirri, una delle poche possibilità logistiche per visitare in camper la città di Messina, data l’atavica mancanza di spazi di parcheggio di quest’ultima. Ma in ogni caso si tratta di uno dei punti più scenografici della costa siciliana, dato che il campeggio è situato presso la località di Torre Faro, nel punto più …stretto dello Stretto di Messina (e qui si impone il gioco di parole), dove forse i nostri figli un giorno vedranno il famigerato ponte che dovrebbe collegare la Sicilia al “continente”. E proprio i lavori di carotaggio per il ponte ci hanno accolto sulla strada al nostro arrivo in campeggio, mentre appena ci siamo sistemati c’è stato l’aperitivo con brindisi offerto dagli emozionati Gaetano e Giselda Russo per festeggiare il loro nuovo camper alla sua prima uscita. Dopo un pranzo veloce, mentre il sole si oscurava dietro qualche nuvola, ci siamo dedicati ad una piacevole passeggiata sul litorale circostante fra il mare e i laghetti di Ganzirri, dove la vista sulle dirimpettaie coste calabresi era davvero notevole; facevano da contraltare le spiagge orlate da palme di questa splendida località situata nella cuspide nord-orientale della Sicilia, dove sembra lentamente riemergere dalle acque la lunga catena appenninica attraverso i monti peloritani. E’ un luogo di grande fascino, sempre immerso in una straordinaria luce e confuso fra terra e acque, con i pittoreschi laghetti di Ganzirri; qui si individua la linea di demarcazione fra Tirreno e Ionio, mentre lo scenario è caratterizzato anche dall’alto traliccio metallico, entrato ormai a far parte del paesaggio, che una volta permetteva il collegamento della rete elettrica fra Sicilia e Calabria. Una leggera pioggerella ci ha poi convinto a tornare in campeggio, dove il resto del pomeriggio è trascorso mettendo a punto con i componenti del direttivo presenti alcuni programmi dei futuri raduni del Club, prima di trasferirci tutti alla pizzeria del campeggio per passare allegramente la serata. La mattina della domenica sotto uno splendido sole siamo saliti a bordo del pullman che ci avrebbe condotto a zonzo per la città in compagnia della nostra pre- In alto alcuni nostri soci al brindisi di auguri per il nuovo camper di Giselda e Gaetano Russo. In basso il panorama del Lago Grande di Ganzirri IL CLUB n. 109 – pag. 4 Il nostro gruppo in una sala del Museo Regionale di Messina paratissima guida Katia, che fin da subito ha cominciato ad illustrarci le peculiarità della città dello Stretto; infatti Messina vanta origine antichissime, retaggio di antiche leggende come quella della mostruosa creatura che con il solo nome, Cariddi, suscitava le angosce dei marinai dell’antichità, come la dirimpettaia Scilla. Ai giorni nostri la città conserva pochi dei suoi tesori artistici, a causa dei numerosi terremoti che ha subito nel corso dei secoli, uno dei più gravi avvenuto il 28 dicembre 1908, che la rase praticamente al suolo e, come se questo ancora non bastasse, grazie al martellante bombardamento alleato che nel 1943 distrusse quel poco che era sopravissuto di antico nella zona del porto. In particolare della ricostruzione post terremoto restano numerose pregevoli costruzioni in stile liberty o eclettico, con influenze neogotiche e catalane. La nostra prima tappa è stata presso il Museo Regionale, dove abbiamo ammirato notevoli dipinti che vanno dal ‘300 al ‘600, in particolare opere di Antonello da Messina, che a metà del ‘400 ha saputo coniugare la prospettiva dei maestri italiani con la precisione per i dettagli dei maestri fiamminghi, e quelle di Caravaggio, i cui toni bui potrebbero spiegarsi con la sua vita tumultuosa e la struggente personalità che lo portarono perfino all’assassinio. Quindi ci siamo spostati verso il cuore del centro storico, ammirando le numerose costruzioni liberty e razionaliste che incontra- vamo lungo il percorso, fino a raggiungere l’ombelico storico della città, piazza Duomo, vasto slargo su cui si affaccia la cinquecentesca Fontana di Orione, una delle poche opere scultoree sopravvissute ai cataclismi cittadini, nata per celebrare la costruzione del primo acquedotto cittadino, con figure umane che personificano importanti fiumi. Il duomo fu voluto dai normanni nel XII secolo ed è stato parzialmente ricostruito sia a causa dei frequenti terremoti cittadini che del bombardamento del 1943; il suo interno a tre navate, diviso da colonne con archi ogivali, è sovrastato da un magnifico tetto ligneo a capriate dipinte, mentre la facciata è scandita da fasce marmo- ree a bassorilievo, da un bel portale del ‘500 e dalla sagoma del famoso campanile, con i due quadranti che rappresentano il calendario e il sistema planetario e gli automi che entrano in funzione a mezzogiorno. E così, dopo la visita dell’interessante Tesoro del Duomo, con splendidi pezzi di oreficeria sacra in argento e lamina d’oro, a mezzogiorno in punto eravamo tutti con il naso all’insù a scrutare il campanile e i suoi automi, che rappresentano le allegorie dei giorni della settimana e dell’età dell’uomo e la Madonna protagonista dell’episodio della consegna della lettera: una leggenda vuole che durante una grave carestia sia giunta nel porto di Messina una nave senza uomini a bordo, ma carica di frumento, con una lettera contenente una ciocca di capelli e un messaggio della Madonna che benediceva la città e i suoi abitanti, probabilmente i primi siciliani a convertirsi al cristianesimo nel 42 dopo l’arrivo di San Paolo. La tappa seguente è stata presso la vicina chiesa dei Catalani, scandita da notevoli influenze arabo-normanne, una delle pochissime testimonianze antecedenti al terremoto giunte fino a noi, dato che il complesso d’impianto basilicale, con un interno a tre navate e volte a crociera, risale al XII secolo e mostra nella decorazione della facciata e dei prospetti influenze di impronta araba, con lisce colonnine addossate ad archetti, su un piano di calpestio molto più basso rispetto a quello della città moder- Davanti al Duomo di Messina IL CLUB n. 109 – pag. 5 na, che ai giorni nostri risulta più elevato a causa dell’accumularsi delle macerie prodotte dal terremoto. E non poteva mancare l’acquisto della pignolata, il tipico dolce messinese che alterna il bianco dell’essenza del limone al nero del cioccolato, vera delizia per i golosi. L’immagine simbolo della città dello stretto: la Piazza del Duomo, con la cinquecentesca Fontana di Orione e il bellissimo campanile, famoso perché a mezzogiorno in punto, al suono dell’Ave Maria di Schubert, i suoi automi iniziano un carosello che dura ben dieci minuti e che è visto sempre da centinaia se non migliaia di persone Infine ci siamo diretti al Sacrario di Cristo Re che domina la città dall’alto, e dalla sua terrazza ci siamo affacciati a godere del notevole scenario sul porto e sulla vicina Calabria, prima di spostarci verso l’ultima tappa del tour, a pregevole Fontana di Nettuno, posta sul lungomare, con la visione dello Stretto, del forte San Salvatore e della colonna della Madonna che dà il benvenuto in Sicilia e che a noi ha invece dato un suggestivo arrivederci dalla scenografica città dello Stretto, dalla quale siamo poi ripartiti nel pomeriggio per fare ritorno a casa. Giusto il tempo che sulla città e su tutta la sua provincia si scatenasse dalla sera un violento nubifragio durato due giorni consecutivi, come sottolineato anche dai vari telegiornali, che ha provocato i soliti danni a uomini e cose. Ma almeno questa volta, ce lo siamo scansati: insomma, abbiamo avuto …fortuna. Il Sacrario del Cristo Re, da cui si gode un grandioso panorama sulla città, sul porto e sullo Stretto; sullo sfondo la costa calabra Mimma Ferrante e Maurizio Karra IL CLUB n. 109 – pag. 6 Tesori nascosti La gita nella Sicilia centro-orientale del ponte di Ognissanti, alla scoperta di Militello Val di Catania, Grammichele e Palazzolo Acreide, patrimonio dell’Unesco T re giorni tutti da gustare alla scoperta della parte centroorientale della nostra isola, quella che nel corso di un fine-settimana è troppo lontana da raggiungere, almeno per i soci palermitani: con questo allettante programma, messo egregiamente a puntino dal nostro Emanuele Amenta, la carovana degli oltre venti camper previsti si è data appuntamento sabato 30 ottobre nella prima cittadina meta dal raduno, Militello Val di Catania, fermandosi nell’ampio parcheggio a ridosso di Viale Regina Margherita, nei pressi dei campi sportivi. Qui, dopo i saluti di rito e una prima esplorazione degli immediati dintorni a caccia di prodotti tipici, i partecipanti si sono dedicati al pranzo, non troppo frugale, in attesa della visita guidata prevista nel pomeriggio. La visita della cittadina, in perfetto orario, è stata effettuata in compagnia di Sebastiano Lisi che ci ha condotto ad ammirare musei e monumenti del borgo, dichiarato appena qualche anno fa Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco per la sua straordinaria impronta tardo-barocca che marchia le pietre cittadine. Militello affonda le sue radici in un’epoca precedente all’anno Mille, quando il suo nucleo si sviluppò attorno ad una fortezza; ma fu soltanto nel XIV secolo, sotto la signoria dei Barresi, che il castello venne ampliato e l’abitato venne dotato di una cortina muraria; a fine ‘500 il borgo passò ai Branciforti che lo trasformarono in una piccola capitale, arricchendolo di opere pubbliche, come la fontana di acqua corrente, e di edifici sacri, come buona parte delle chiese che punteggiano l’abitato. Ma quello che colpisce fin dalla prima occhiata è la monumentalità diffusa tra le facciate e i balconi degli edifici che riverberano decorazioni barocche di gran pregio, tra figure antropomorfe e forme vegetali, a testimonianza della ricostruzione dell’abitato avvenuta nel ‘700, in seguito agli ingenti danni provocati dal disastroso terremoto che l’11 gennaio 1693 mise in ginocchio l’intera Sicilia orientale, causando morte e distruzione. Così I nostri soci nel parcheggio di Militello Val di Catania pronti a iniziare la visita guidata del paese e, in basso, in un momento del giro del centro storico del paese, iscritto nel Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco non si può fare a meno di passeggiare con il naso all’insù, alla scoperta di una decorazione dopo l’altra, di un balcone ornato, di uno stemma inciso, di un puttino circondato da inflorescenze, in una sinfonia di puro barocco che incanta e attira gli sguardi. Di meraviglia in meraviglia abbiamo così raggiunto la prima tappa delle nostre esplorazioni, l’opulenta abbazia dei benedettini, il cui monastero ospita ai giorni nostri il Municipio e la cui facciata è anch’essa scandita dall’influsso barocco. L’opera fu voluta all’inizio del ‘600 dalla coppia nobiliare che, co- IL CLUB n. 109 – pag. 7 me dicevamo, trasformò l’abitato in una piccola capitale, il principe Francesco Branciforte e la moglie Giovanna d’Austria; l’interno presenta stucchi settecenteschi, il coro ligneo del ‘700 visibile nel presbiterio, con la rappresentazione dei Misteri dolorosi e gloriosi, i cui temi sono magistralmente scolpiti e la cappella con i misteri della vita di Gesù e della Vergine, con un altare dorato e affreschi con puttini. L’edificio ospita anche la lapide della sepoltura del principe fondatore, la cui morte è avvenuta a causa di avvelenamento da arsenico, come hanno dimostrato recenti indagini scientifiche; il che Il Monastero dei Benedettini di Militello Val di Catania e, in basso, la splendida Natività di Andrea Della Robbia custodita all’interno del Santuario di Santa Maria della Stella dimostra che l’omicidio come scorciatoia per il potere è sempre esistito e vanta vittime illustri in qualunque epoca storica. Quindi, costeggiando i palazzi nobiliari dagli splendidi balconi con i mensoloni scolpiti, ci siamo diretti lungo corso Umberto I fino al salotto cittadino, piazza Vittorio Emanuele II, su cui si affaccia scenograficamente dall’alto di una scalinata la sagoma settecentesca della Chiesa Madre dedicata a San Nicola, scandita da stucchi e affreschi; prima di visitarla abbiamo ammirato la collezione d’arte sacra ospitata nel vicino Museo di San Nicola, ricavato nei sotterranei del transetto della chiesa, ottenuti collegando tra loro le cripte e i locali della vecchia canonica che, in un’ambientazione scenografica, mette in mostra sculture, argenti e dipinti di matrice sacra. All’estremità della piazza ha meritato sicuramente una visita anche la chiesetta della Madonna della Catena, il cui interno è caratterizzato da una complessa decorazione in stucco con scene della vita di Cristo e una teoria di statue delle sante siciliane più venerate. Proseguendo ancora oltre, abbiamo visitato il Museo Civico, al cui interno era visibile una mostra sui bambini e la guerra, con foto anche piuttosto forti di giovanissime vittime al cospetto purtroppo della violenza e della morte, prima di approdare al solenne Santuario di Santa Maria della Stella, che si innalza dall’alto di una scalinata e che è incorniciato da un campanile quadrato; al suo interno è visibile il sarcofago ornato dalla statua di un cavaliere che ospita Carlo Barresi e la splendida Natività in ceramica invetriata di Andrea Della Robbia, oltre al Tesoro Mariano con argenti e dipinti di impronta sacra. Ancora più avanti, lungo via Porta della Terra, abbiamo raggiunto l’ultimo residuo del castello Barresi-Branciforti, il torrione cilindrico che ci riporta indietro al momento di maggior splendore della cittadina, affiancato dall’arco della Porta di Terra che introduce nell’atrio del castello, in cui è visibile la fontana della Ninfa Zizza, testimone dell’acqua corrente giunta in paese all’inizio del ‘600 per volontà del principe Branciforti e messa da lui subito a disposizione di tutti gli abitanti. A questo punto si imponeva un po’ di ristoro per riuscire a digerire tutta la cultura e l’arte in- Un momento del concerto del Coro Polifonico Maris Stella organizzato dal Comune di Militello Val di Catania per il nostro Club IL CLUB n. 109 – pag. 8 gurgitate, così le cavallette si sono prese una pausa nella pizzeria “U trappitu”, pausa che doveva essere breve, anche perché il nostro gruppo era stato invitato dall’Amministrazione Comunale a un concerto di musica che doveva svolgersi di lì a poco nella chiesetta del Circolo. Purtroppo però la pausa è stata molto più lunga del previsto, perché prima dell’arrivo della pizza ordinata è trascorsa oltre un’ora e mezza!!! Così non ci è rimasto che recarci al concerto di musica sacra con un notevole ritardo avvisando del nostro ritardo pur incolpevole; meno male che siamo comunque riusciti a goderci un po’ della notevole rappresentazione che ci attendeva e che ha avuto come protagonista il Coro Polifonico “Maris Stella”, diretto dal maestro Alfio Penna, accompagnato al pianoforte dal maestro Gaetano Ruggirei e al clarinetto da Graziano Lo Presti, in un crescendo di musiche sacre, ma anche jazz e gospel, oltre che di canti siciliani eseguiti con eccezionale maestria anche in polifonia. E con l’anima rasserenata da queste struggenti melodie siamo andati a nanna, grati di tutte le bellezze che la giornata ci aveva riservato. La mattina della domenica 31 ottobre, dopo aver rimesso indietro di un’ora l’orologio per tornare all’ora solare, la carovana dei camper si è spostata attraverso un gomitolo di strade fiancheggiate dalle piantagioni di fichidindia in direzione della cittadina di Grammichele, fermandosi come prima tappa quotidiana nella vicina area archeologica di Occhiolà, in contrada Terravecchia, dove ad attenderci c’era per una visita guidata il professor Saverio Amato, che ci ha innanzi tutto illustrato la storia del sito. Si tratta di un borgo medievale fortificato abbarbicato su una collina, di cui restano chiare tracce dell’impianto e delle diverse chiese che in esso erano state edificate ma che furono distrutte completamente dal terribile e famigerato terremoto dell’11 gennaio 1693 che proprio qui a Grammichele decimò la popolazione e ridusse l’abitato in un cumulo di macerie. Ma il sito della vecchia Grammichele vanta anche frequentazioni umane molto più antiche, al punto che si ipotizza che nelle sue fondamenta si celi la città greca di Eketla, come dimostrerebbero i numerosi ritrovamenti archeologici nella zona circostante, che in parte risalirebbero indietro fino all’età del bronzo. I nostri soci nel Parco archeologico di Occhiolà; in basso nella Piazza Carlo Maria Carafa, al centro di Grammichele IL CLUB n. 109 – pag. 9 A fine visita ci siamo recati nella vicina Grammichele, fermandoci nel piazzale di Largo Mercato, da cui dopo il pranzo ha avuto inizio la visita guidata del centro storico dell’attuale abitato in compagnia di Gianfranco Viola, che ci ha raccontato la curiosa storia della nascita del borgo. Infatti, subito dopo il catastrofico terremoto del 1693, il principe Carlo Maria Carafa, signore del feudo, per evitare che la popolazione sopravvissuta si disperdesse nelle campagne, decise di costruire una nuova città, ma non sulle rovine del vecchio sito di Occhiolà, ma in un nuovo luogo poco distante. Così il 18 aprile dello stesso anno, con l’aiuto dell’architetto Fra Michele da Ferla, venne posta la prima pietra della nuova città, sulla base di un impianto urbano di forma esagonale che anche ai giorni nostri è perfettamente leggibile, scandito da sei strade principali che dividono la pianta in sei spicchi chiamati sestieri, secondo il modello rinascimentale della città ideale che il principe, cultore delle scienze e studioso di esoterismo, aveva fatto suo. La statua del principe Carlo Maria Carafa, che ricostruì Grammichele dopo la distruzione di Occhiolà a causa del tremendo terremoto del 1693 Attraverso le vie e le piazze che si intersecano formando questa perfetta figura geometrica siamo giunti alla nostra prima sosta in Largo Occhiolà, così chiamato in omaggio dei morti del terremoto del 1693, dove si innalza un monumento a loro dedicato, un gruppo scultoreo che ricorda la fine di Oc- Lo splendido parcheggio dell’agriturismo Valle dei Margi, vicino Grammichele, che ci ha ospitato a cena la domenica sera; in basso un momento della cena chiolà e la fondazione della nuova città, con un grande pannello in bronzo che racconta da un lato l’esodo dei sopravvissuti verso la nuova città e dall’altro la nascita di quest’ultima, simboleggiata da Fra Michele da Ferla e da due operai al lavoro. Sulla stessa piazzetta è visibile uno degli orologi solari che scandiscono l’abitato in onore del principe Carafa, che era un esperto costruttore di questo tipo di orologi, oltre alla chiesetta di San Rocco, che ospita un crocifisso ligneo del ‘700 e la statua lignea di San Rocco. La visita è poi proseguita con la scoperta delle altre chiese cittadine, come quella dedicata allo Spirito Santo, con un affresco del Battesimo di Gesù e la statua di Cristo alla Colonna che viene portata in processione nel corso della Settimana Santa, o come quella di San Leonardo, la cui facciata è in- IL CLUB n. 109 – pag. 10 completa nella parte superiore, la cui unica navata ospita il pregevole crocefisso ligneo seicentesco proveniente dall’omonima chiesa di Occhiolà, o ancora come quella del Calvario, preceduta da una croce e con una facciata scandita da lesene, davanti alla quale si svolgono i riti della Settimana Santa. Ma il salotto cittadino è senza dubbio la scenografica piazza centrale, anch’essa a forma di esagono, dedicata al principe Carlo Maria Carafa, da cui sembra irradiarsi l’essenza stessa del borgo; si tratta di un vasto spiazzo su cui è visibile la statua del principe fondatore, intento a scendere la scalinata del suo sapere, simboleggiato dai gradini, ognuno di quali rappresenta una delle discipline amate dal principe, per andare incontro al suo popolo. All’estremità opposta della piazza si innalza un altro degli o- maggi degli abitanti al fondatore della città, un grande orologio solare orizzontale, caratterizzato da un’enorme figura umana inginocchiata che simboleggia il tempo imprigionato da una serie di cerchi che richiamano l’antica sfera armillare; l’uomo inginocchiato regge un’asta gnomonica che proietta la sua ombra su una serie di linee tracciate sulla pavimentazione, in grado di dare informazioni sulle ore, la data, gli equinozi, i solstizi, lo zodiaco e le date di distruzione di Occhiolà e di fondazione di Grammichele, in una sorta di cerchio temporale che si chiude su se stesso, pronto a riaprirsi ad ogni nuova alba. Inoltre sulla piazza prospettano i due monumenti più importanti: la Chiesa Madre dalla sobria facciata settecentesca, che ospita la pala del patrono San Michele Arcangelo e che è chiusa da anni per lavori di restauro; e la sagoma dell’ottocentesco Municipio, disposto su tre ordini, con un grande portico a tre arcate, che ospita al suo interno anche il Museo Civico, con importanti reperti provenienti dall’area archeologica di Occhiolà e la lastra di ardesia con incisa la pianta cittadina, iscritta in un perfetto esagono, che raffigura anche il castello del principe che non fu mai realizzato a causa della sua morte prematura. Peccato che ci sia stata preclusa la visita del museo, dato che nessuno dei suoi custodi era presente per aprirlo di domenica! E così, dopo le scoperte della giornata, ci siamo ulteriormente spostati all’imbrunire appena fuori dalla cittadina, fermandoci nel curatissimo agriturismo “Valle dei Margi”, dove la carovana dei camper ha trovato una comoda sistemazione in un parcheggio curatissimo fra gli agrumi. Abbiamo avuto modo di conoscere nell’occasione una struttura di grande eleganza e charme, che comprende diverse costruzioni all’interno di un grande agrumeto, con piscina e un piccolo zoo che ha deliziato i bambini presenti. In serata all’interno del locale ristorante è andata in scena una riuscita rappresentazione delle cavallette presenti che, più arraggiate che mai, si sono gettate a capofitto su un ricchissimo menù a base di stuzzichini e di numerosi antipasti, tra cui ricotta, primosale, bruschetta, pomodori secchi, peperoni, impanata, salsiccia secca, melanzane a cotoletta, frittatine di verdure e crocchette di patate, di un paradi- Foto ricordo nel Piazzale dei Palazzesi d’Australia, e in basso la splendida chiesa barocca dei SS. Pietro e Paolo a Palazzolo Acreide IL CLUB n. 109 – pag. 11 ad ammirare lo splendido museo etnografico creato da Antonino Uccello, che ospita mobili, oggetti e suppellettili del mondo contadino siciliano dell’800, mentre una terza ha preferito andare a zonzo attraverso le scenografie cittadine; questi ultimi, di cui la sottoscritta faceva parte, si sono goduti le atmosfere barocche del centro come la facciata appena restaurata della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, adorna di gruppi di sculture, la piazza Vittorio Emanuele, scandita da palazzi nobiliari e la via Garibaldi, su cui si affacciano tutti i più bei palazzi del ‘700 e dell’800, come quello con la mensola decorata in stile barocco più lunga della Sicilia che caratterizza Palazzo Judica, con una serie di mascheroni di grande effetto scenografico lungo tutta la balconata; concludendo la visita sempre con il naso all’insù ammirando i fregi e le decorazioni che incrostano le facciate dei palazzi nobiliari con uno splendido effetto di monumentalità diffusa. La chiesa di San Sebastiano, sempre a Palazzolo Acreide siaco bis di pasta con ravioloni in salsa di funghi e fusilli al pomodoro ciliegino e basilico, prima di darci sotto con la salsiccia alla griglia e con la lombata di maiale al limone con rispettivi contorni e finire degnamente con la frutta e un insieme di dolci tipici che sono spariti in un paio di …bocconi. E dopo tanto bendiddio i nostri soci hanno voluto dimostrare la loro soddisfazione dando vita ad un concertino che ha dato la buon notte a coloro che si erano già ritirati in camper, come il presidente, colto nel sonno del giusto. La mattina di lunedì 1° novembre, dopo esserci goduti le atmosfere bucoliche dell’agriturismo, ci siamo diretti verso l’ultima tappa del raduno, la cittadina di Palazzolo Acreide, dove ci siamo sistemati presso il parcheggio camper di piaz- zale dei Palazzesi d’Australia; qui i padroni di casa, Larisa ed Emanuele Amenta, ci hanno fatto da guida nella scoperta della splendida cittadina, anch’essa incrostata di decorazioni barocche di grande fascino e anch’essa iscritta nel Patrimonio dell’Unesco; una cittadina che vanta una storia ultramillenaria, dato che le sue origini risalgono alla dominazione greca. E i monumenti da vedere erano talmente numerosi che i presenti si sono divisi in tre gruppi, naturalmente dopo aver fatto scorta degli ottimi dolci locali, secondo la consolidata tradizione da cavallette. Così, dopo aver ammirato la chiesa di San Sebastiano, letteralmente incrostata da decorazioni barocche, una parte dei presenti si è recata ad esplorare il teatro greco e l’area archeologica di Akrai, un’altra IL CLUB n. 109 – pag. 12 Uno dei tantissimi fregi che adornano i palazzi nobiliari di Palazzolo Acreide Troppo presto è giunta l’ora del pranzo e dei saluti, in previsione delle numerose ore di guida necessarie per la maggior parte dei soci per tornare verso casa. Ma durante la rotta di avvicinamento alla solita vita siamo stati consolati dal ricordo degli splendidi tesori ammirati nel corso del raduno, che hanno reso un po’ meno pesante il ritorno al consueto tran tran quotidiano. Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra Le gite e i viaggi del 2010 in 160 foto L’undicesima edizione della mostra fotografica “Latitudini d’autore” e il Calendario 2011 del Club E siamo giunti all’undicesima edizione: partiti in sordina e quasi per gioco con pochi soci partecipanti nell’anno 2000, la tradizionale mostra fotografica di fine anno ha finito con il rappresentare uno degli appuntamenti di maggiore spessore della nostra attività associativa, coinvolgendo un sempre più considerevole numero di persone e soprattutto acquistando, anno dopo anno, una qualità che ci è stata riconosciuta sia dal pubblico che dai giornalisti e fotografi professionisti che attendono di ricevere ogni volta l’invito per esse- re presenti all’inaugurazione della mostra o comunque per visitarla nel corso dei giorni della sua apertura. Quest’anno a rispondere all’appello sono stati, con oltre 160 foto scattate nel corso delle loro gite e dei loro viaggi del 2010, 24 soci del Club: Giovanna Amico, Francesco Bonsangue, Francesco Carabillò, Paolo Carabillò, Adele Crivello, Giulia Crivello, Mimma Ferrante, Luigi Fiscella, Enrico Gristina, Licia Gristina, Marcello Karra, Maurizio Karra, Patrizia, La China, Domenico Napoli, Giovanni Pitrè, Luca Pitré, Larisa Ponomareva La sala mostre del Circolo del Banco di Sicilia e un’istantanea della serata dell’inaugurazione della mostra fotografica IL CLUB n. 109 – pag. 13 Amenta, Gaetano Russo, Giangiacomo Sideli, Giuseppe Eduardo Spadoni, Giselda Tedeschi, Mario Tomasino, Enzo Triolo e Anna Tumminello. Quasi tutti presenti, insieme a tanti altri soci, amici e altro pubblico, all’inaugurazione presso il Circolo del Banco di Sicilia, nel pomeriggio di venerdì 19 novembre u.sc. Ad ogni partecipante è stato dedicato un pannello contenente le foto presentate, che sono state testimonianza di luoghi vicini (molti in Sicilia) e lontani, dalla Spagna alla Russia, dalla Norvegia alla Croazia, dall’Olanda alla Tunisia, in un caleidoscopio di esperienze visive e “vissute” di grande interesse; la mostra, d’altronde, si propone ogni anno come testimonianza del nostro impegno nel promuovere il turismo all’aria aperta, e siamo felici di condividere le nostre esperienze con chiunque, anche con coloro che non sono mai entrati in un camper e che magari viaggiano solo con le ali della fantasia. Non ci stancheremo mai di affermare che il viaggio, vicino o lontano, breve come una gita o lungo più di un mese che sia, è infatti per i soci del nostro Club un’esperienza unica e irripetibile che ciascuno affronta nella consapevolezza che ogni nuova meta raggiunta servirà ad aggiungere qualcosa al patrimonio personale di conoscenze, tanto da stimolare la voglia di proseguire ancora avanti in cerca di un’altra meta e poi di un’altra ancora; un concetto di viaggio, insomma, che è prima di tutto conoscenza di luoghi, di persone, di tradizioni, di culture, di idee a volte diverse o diversissime dalle nostre, e proprio per questo prima di tutto arricchimento interiore. Lo ha riconosciuto anche Roberto Bertola, ultimo Amministratore Delegato del Banco di Sicilia e adesso Responsabile Territoriale della Sicilia di Unicredit, che ha voluto visitare la mostra in anteprima, nel primo pomeriggio di venerdì, prima dell’inaugurazione, per potervi dedicare più tempo e attenzione; e ha così apprezzato tante foto fra quelle e- sposte, chiedendo notizie dei vari autori, dei luoghi visitati e lodando la bontà dell’iniziativa. Nel corso della inaugurazione, volutamente senza nessun discorso ufficiale, vi sono stati molti interventi, e fra questi quello di Laura e Mario Tomasino che hanno parlato della loro esperienza personale nel corso del loro viaggio in Bosnia Erzegovina, e in particolare al Santuario mariano di Medijugorie, con le apparizioni della veggente Miriana, mentre Eduardo Spadoni ha accennato alla grande accoglienza ricevuta in terra russa dagli equipaggi del Club che vi sono stati nel corso del loro viaggio estivo; a lui ha fatto eco Giulia Crivello che ha posto l’accento sulla qualità del rapporto che deve istaurarsi fra il viaggiatore e la popolazione locale e ha ricordato a tale proposito i contatti con i monaci ortodossi dei monasteri della Moldavia e della Bucovina e quelli con le popolazioni berbere del deserto del Sahara avuti nel corso dei viaggi del Club di qualche anno addietro. Un’altra testimonianza particolare è stata poi quella di Licia Gristina, figlia di Enrico e Marilì, studentessa di medicina all’Università di Palermo che quest’anno, anziché effettuare nel corso dei mesi estivi un viaggiovacanza, ha dedicato il tempo del “riposo” dagli esami accademici a una bellissima missione umanitaria all’interno di un ospedale da campo in Tanzania (cfr. box nella pagina successiva), traendone anche spunto per le foto che ha voluto presentare - soprattutto immagini di bambini - per condividere con noi tutti la grande esperienza di vita di cui è stata protagonista. Fra paesaggi, immagini marine, visi di persone, scene di vita quotidiana e angoli di città, tutte le immagini esposte hanno riscosso un grande successo; e uno ancor più grande lo ha riscosso il calendario del nuovo anno, il 2011, realizzato con le foto più interessanti fra quelle esposte: ormai una tradizione, dopo 11 anni, tant’è che anche il calendario 2011 del Club è andato a ruba fra tutti i presenti all’inaugurazione della mostra. Al calendario di quest’anno è stato dedicato un apposito corner, con le 12 pagine recanti le 12 immagini scelte per i vari mesi dell’anno; e all’interno dello stesso Le 12 pagine del calendario 2011 del Club In basso le copertine degli undici calendari realizzati dal 2000 ad oggi corner sono state sistemate anche le copertine dei calendari realizzati nelle precedenti dieci edizioni della rassegna, visto che ciascuno di essi costituisce per tutti noi un ricordo bellissimo. IL CLUB n. 109 – pag. 14 Come sempre vasta eco ha riscosso la mostra fra i media; e, oltre ai quotidiani, ai mensili locali, alle riviste nazionali di turismo all’aria aperta, alle radio e tivù regionali che hanno dedicato servizi alla mostra, ancor più dell’anno passato ci siamo resi conto del grande tam tam con cui molti siti web e social network hanno rilanciato la notizia della mostra fotografica e commentato l’iniziativa, le immagini esposte o il calendario realizzato. A cuore aperto Quando le foto non sono solo ricordi di luoghi visitati... Desidero raccontarvi la bellissima esperienza che ho fatto quest'estate: a luglio sono partita come volontaria per la Tanzania insieme all'Associazione ONLUS "A cuore aperto", di cui è presidente il mio professore di cardiochirurgia Giovanni Ruvolo; l'associazione si occupa, tra le tante cose, di creare e migliorare l'assistenza sanitaria in ambito internazionale e nello specifico in Tanzania. Sostenendo l'ampliamento e il miglioramento dell'ambulatorio del paese di Ipogolo, finanziando grazie anche ai tanti benefattori la formazione di medici e infermieri locali, aiutando economicamente le varie missioni per l'attivazione di corsi di cucito, lavoro a maglia, ecc. che possano trattenere le giovani ragazze nel loro paese di nascita evitando che vadano a Dar es Salaam (capitale economica del Paese), dalla quale molto spesso non fanno più ritorno per la grande diffusione lì dell'AIDS. Alcune delle immagini del calendario 2011 del Club Segno di un mondo di relazioni che il nostro Club e i suoi soci hanno saputo coltivare non solo nella realtà concreta ma anche in quella virtuale del web. A proposito, penso che vi sarete accorti che il nostro Club è adesso anche su Facebook all’indirizzo http://www.facebook.com/pages/ClubPlein-Air-BdS/167612983261417 . A parte ciò, quest'estate al villaggio di Nyabula sono stati interrotti i lavori di costruzione della scuola elementare, visto che i benefattori che avevano promesso di finanziarli si sono ritirati a metà dell'opera, lasciando le cose incomplete (nel sito dell'associazione troverete delle foto a tal proposito): sono arrivati a costruire solo le fondamenta dell'edificio che ospiterà le terze classi. Ed è per questo che l'associazione sta cercando di raccogliere fondi, per aiutare padre Emilio e padre Justin, parroco e vice-parroco di Nyabula, affinché possano essere ultimati questi lavori per la costruzione di un'aula che ospiterà 180 bambini. Un reportage è stato girato proprio quest'estate da un reporter della Rai che è partito con noi, perchè le immagini spesso sono molto più esaustive delle parole, soprattutto per far prendere coscienza con i propri occhi di quella che è la realtà del posto, e di quella che è l'importanza di gesti per noi piccoli, ma che in quella terra hanno un enorme rilievo! Questo mio viaggio mi ha tanto coinvolto e sensibilizzato sulla questione, … mi ha permesso di capire e ritrovare il senso secondo me più puro della medicina e dell’essere medico, prescindendo dal potere, dalla politica e dai giochi di ruolo nei quali, nella vita quotidiana universitaria, mi sono più volte imbattuta, da cui mi sono sempre distaccata e che in certi momenti mi hanno fatto anche mettere in dubbio il mio percorso e i miei studi… Un viaggio che inevitabilmente ti cambia. Ti apre a nuove prospettive e ti porta a fare delle considerazioni. Il calore di questa gente, il senso di gratitudine che ti dimostra anche semplicemente, nel mio caso, per aver controllato la pressione o fatto un elettrocardiogramma, i sorrisi che ricevi dai bambini che ti vengono incontro per strada, cercando la tua mano per stringerla forte o che ti abbracciano dimostrando un profondo bisogno di affetto e di dolcezza: questo e molto altro mi sono portata dietro. Per chi volesse saperne di più sull’associazione “A cuore aperto” e dare il proprio contributo può visitare il sito internet: http://www.acuoreaperto.org/. Licia Gristina M. K. IL CLUB n. 109 – pag. 15 Una passeggiata nel barocco palermitano Fra decori, stucchi, marmi policromi e puttini, il grande successo della passeggiata organizzata la mattina del 20 novembre in collaborazione con l’associazione Itiner’ars nel cuore di Palermo, alla scoperta di alcune delle più belle chiese della città L a voglia di scoprire la nostra città, i suoi bellissimi monumenti e la sua storia è sempre viva e non c’è volta che si organizzi una visita guidata del centro storico di Palermo, uno dei più estesi di tutto il mondo secondo l’UNESCO, che non vi sia subito la richiesta da parte dei nostri soci di un immediato successivo appuntamento. Anche questa volta il successo della passeggiata organizzata la mattina di sabato 20 novembre, con la collaborazione dell’associazione Itiner’ars, è stato strepitoso e la promessa di altri appuntamenti ravvicinati nel tempo un obbligo morale. Merito della bellissima giornata di sole che ci ha aiutati, a dispetto di previsioni meteo che non facevano presagire nulla di buono, e merito soprattutto della nostra guida, Alessandra, laureata in storia dell’arte, preparata, simpatica, capace di seguire e interessare tutto il gruppo senza mai apparire pedante o ovvia. Ma andiamo per ordine. Il tema della passeggiata era stavolta le chiese barocche palermitane, e l’obiettivo era quello di conoscere alcuni i più importanti esempi della monumentalità religiosa della città fra ‘600 e ‘700, allorquando ordini religiosi come i Teatini, i Francescani, i Domenicani o i Gesuiti era- no fra i massimi protagonisti della vita sociale, economica e intellettuale della vice-capitale del regno, Palermo. L’appuntamento per il nostro gruppo era stato fissato alle 9,15 a Piazza Bellini, da cui poi ci saremmo mossi per la nostra passeggiata. E a presentarsi sono stati 25 soci. Piazza Bellini e la chiesa di Santa Caterina La Piazza Bellini, un tempo denominata Piano di San Cataldo, si stende in modo irregolare alle spalle del Palazzo Senatorio, oggi sede del Comune, che un tempo aveva qui la sua facciata principale; prendeva nome dalla Cappella di San Cataldo, del periodo normanno, che adesso si trova insieme alla limitrofa Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio (o della Martorana) su un piano sopraelevato rispetto a quello stradale. Dalla parte opposta rispetto alle due predette Chiese, accanto al Palazzo Senatorio, si trova la facciata della Chiesa di Santa Caterina, uno dei più insigni esempi di barocco palermitano, per tanti anni chiusa al pubblico fin quando proprio l’associazione Itiner’ars non è riuscita a gestirne il restauro e a ricevere l’incarico di tenerla aperta per le visite del pubblico. E I nostri soci all’interno della chiesa di Santa Caterina IL CLUB n. 109 – pag. 16 proprio da questa chiesa è iniziata la nostra passeggiata per Palermo barocca. L’architettura della chiesa è tardo-cinquecentesca, a navata unica e a croce latina, costruita in seguito all'ampliamento di un monastero di suore domenicane voluto dal predetto Ordine a metà del '500. Il monastero era nato a seguito del volere di una nobile palermitana, Benvenuta Mastrangelo, rimasta nel 1310 vedova e senza figli. Pare che all’inizio accogliesse semplici donne meretrici; soltanto in seguito, il suo stato mutò per magnificenza e ricchezza divenendo un monastero nobiliare e di clausura. Nel corso del XVI secolo, infatti, per l’accrescersi del numero delle suore, il monastero venne ampliato, e l’antica chiesa di 5an Matteo che dava il nome alla contrada, venne incorporata al monastero stesso. A suor Maria del Carretto, figlia di Giovanni conte di Racalmuto, si deve la fondazione della chiesa attuale, dato che la vecchia chiesa risultava ormai piccola e non più corrispondente all’importanza e alla ricchezza conquistata dal monastero. La nuova chiesa, dedicata a 5anta Caterina, venne quindi edificata tra il 1566 e il 1596 ed inaugurata il 24 novembre, nel giorno della ricorrenza della Santa. Ignoto è il nome del suo architetto. Alla facciata della chiesa, alquanto sobria, seppur posta su un’alta scalinata, corrisponde un ricchissimo interno, frutto di due secoli di lavoro di artisti perlopiù rimasti anonimi, con sculture, stucchi e intarsi marmorei che danno il senso dello sfarzo secentesco dovuto alla Controriforma. Grande attenzione è stata dedicata nel corso della visita ai preziosi quadri in marmi mischi e bassorilievi posti alla base delle lesene e ai medaglioni con le storie di Santa Caterina delle pareti. Altrettanto interesse hanno suscitato gli affreschi di cui la chiesa è letteralmente ricolma, come quello di “Gesù che appare a Santa Caterina”, quello della “Madonna che appare alla Santa” e quelli delle figure allegoriche di “Virtù” eseguiti da Francesco Sozzi con l’aiuto di Alessandro D’Anna, nonché quelli della volta, dipinta da Filippo Randazzo con la “Gloria di Santa Caterina” e quelli della cupola, con il “Trionfo dei Santi domenicani”, opera di Vito d’Anna. La chiesa del Gesù a Casa Professa Dopo questo primo “assaggio” del barocco palermitano, il nostro gruppo si è trasferito a Piazza Casa Professa, dove a metà del '500 i Gesuiti fecero sorgere, sul luogo dove precedentemente si trovava la Chiesa di Santa Maria della Grotta, il grande complesso di Casa Professa, collegio e insieme sede del loro Ordine, e l'attigua Chiesa del Gesù, rimasta a testimoniare forse meglio di qualsiasi altra costruzione il fasto del barocco a Palermo. La Chiesa poggia su un modesto rialzo al di sotto del quale una tradizione vuole che sia rimasto per lungo tempo in una delle grotte, ormai non più accessibili, San Calogero; sotto il piano stradale della piazza e al di sotto della pavimentazione della chiesa corrono comunque vari cuniculi sotterranei, il cui accesso è ora murato, che furono utilizzati in passato anche dai Beati Paoli. Nonostante i pesanti danni subiti dalla chiesa nel corso dei violenti bombardamenti degli alleati nel 1943, i lavori di restauro avviati nell'immediato dopoguerra hanno ridato alla costruzione il suo assetto originario. La facciata è sobria e lineare, di aspetto tardo rinascimentale, con al centro la statua marmorea della Madonna della Grotta del '700. La cupola è di dimensioni un po' più grandi rispetto a quella originaria, andata completamente distrutta, ma rende comunque il senso delle proporzioni dell'intero edificio. E' comunque l'interno, a croce latina e a tre navate, ad assumere una specifica valenza storica. Per oltre un secolo, fino a tutto il '700, i più illustri artisti siciliani (Pampillonia, Novelli, Vitaliano, Melante, Grano, Marabitti, ecc.) operarono al suo interno sia per decorarla di tarsie marmoree multicolori e di statue di marmo, sia per impreziosirne le pareti con varie pitture. La teatralità dell'insieme, tra putti in estatica adorazione e travolgente e orgiastico gioco dei Due immagini della chiesa dei Gesuiti a Casa Professa IL CLUB n. 109 – pag. 17 colori delle tarsie marmoree doveva rendere il visitatore attonito della potenza dell'Ordine dei Gesuiti: questa era infatti la vera funzione di tutta la chiesa, dato che essi, fino alla loro cacciata avvenuta nel 1767 finirono col dirigere in pratica tutte le fila della vita politica siciliana. cato assetto interno, in quanto i Teatini, che rivaleggiavano all'epoca proprio con i vicini Gesuiti, vollero far di tutto perché la loro casa confessionale fosse la più stupefacente nella città. A tal proposito fu raccontata una leggenda relativa alla sua costruzione, raccolta da un cronista del secolo successivo (Zamparrone), secondo la quale «cavandosi il terreno dove aprirono la porta della chiesa di San Giuseppe de li Padri Teatini, si ritrovò alcuna quantità di moneta antica con l’armi di Re Pietro d’Aragona». Questa leggenda, che andava di bocca in bocca al popolino negli anni della costruzione della chiesa, tentava di spiegare come si era potuti giungere a tanta sontuosità. In realtà anche in questo caso è l'interno della chiesa a lasciare stupefatti, sia per la grandiosa monumentalità dovuta alle altissime colonne, sia soprattutto per la decorazione squillante dei marmi policromi che si annidano quasi ovunque, dalle cappelle al presbiterio all'altare maggiore. Numerosi stucchi e opere pittoriche completano l'insieme; da segnalare l'affresco della cupola, opera del fiammingo Guglielmo Borremans, raffigurante il Trionfo di Sant’Andrea Avellino, un quadro di Pietro Novelli raffigurante San Gaetano e alcune Madonne del Gagini; e un Crocefisso ligneo di intensa spiritualità di Frate Umile da Petralia; oltre allo splendido soffitto della navata centrale, dove stucchi e pittura si fondono in un insieme del tutto unico e particolare. Un particolare dei decori della chiesa del Gesù a Casa Professa La visita della chiesa è stata il preludio per la scoperta dell’annesso museo, contenente paliotti d’altare, oggetti sacri e ceramiche tardo medievali, della cripta con le catacombe e con l’accesso ai cuniculi (oggi chiusi) dei Beati Paoli, e infine all’Oratorio del Sabato, utilizzato per la preghiera del sabato (da qui il suo nome) dai padri gesuiti ed edificato nel ‘700 in modo alquanto più sobrio rispetto allo sfarzo della chiesa, abbellito solo con stucchi di scuola serpottiana. In alto il nostro gruppo all’interno dell’Oratorio del Sabato; in basso una panoramica dell’interno della chiesa di San Giuseppe dei Teatini San Giuseppe dei Teatini Dopo l’ubriacatura delle decorazioni di Casa Professa, il gruppo si è spostato alla vicina chiesa di San Giuseppe dei Teatini, prospiciente il Corso Vittorio Emanuele e addossata a uno dei quattro cantoni di Piazza Vigliena. Iniziata nel 1612 dalla Compagnia dei Teatini, insediatisi a Palermo pochi anni prima, questa chiesa è un altro esempio della sontuosità del barocco palermitano; dopo la conclusione nel 1645 dei lavori architettonici ci vollero ancora quasi 150 anni per concluderne il sofisti- IL CLUB n. 109 – pag. 18 centrale e tre piccole absidi semicircolari, nonché un campanile. Tra la fine del '500 e la fine del '600 la chiesa fu allungata demolendo la facciata duecentesca e il nartece interno e costruendo una nuova facciata di stile barocco; furono quindi eliminati l'abside centrale e i relativi mosaici che adornavano in origine tutte le pareti. Nel secolo scorso avvenne il dietro-front: si ricostruirono alcune parti dell'edificio di età normanna nel tentativo di fare riacquistare alla chiesa la precedente impronta, e così si rovinarono irrimediabilmente anche le successive aggiunte barocche. L'interno odierno è quindi un misto di stili normanno e barocco; il pavimento è intarsiato con mosaici di stile arabo; un po' dappertutto alle pareti e ai soffitti si trovano i brillanti mosaici del XII secolo su campo aureo con scene della vita di Gesù, degli Evangelisti, dei Profeti e della Madonna e, a destra entrando, la scena del re Ruggero incoronato da Cristo; all'ingresso e nella parte mediana della chiesa si trovano le decorazioni successive: affreschi di Borremans, dipinti e marmi policromi; il presbiterio presenta fini decorazioni marmoree e l'altare centrale ha al centro un tabernacolo settecentesco in lapislazzuli. Piazza Pretoria All’interno della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la Martorana, Matrice palermitana di rito bizantino A grande richiesta, uscendo dalla chiesa della Martorana, una sosta è stata effettuata nella magnifica Piazza Pretoria, sistemata nell'assetto attuale nella seconda metà del '500. La piazza è chiusa per tre lati; vi prospettano la La Martorana Approfittando della pausa fra una messa e l’altra, officiate come sempre in rito bizantino, è stata poi la volta della visita della chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, ben più nota ai cittadini palermitani come “la Martorana”, voluta nel XII secolo da Giorgio Antiocheno, Ammiraglio di Re Ruggero. E il barocco, vi chiederete? Nella realtà questa chiesa, che è la Matrice di rito greco-bizantino della città di Palermo perché al clero greco fu donata nel 1221, ha subito una metamorfosi pesante, e la costruzione attuale risulta quindi profondamente diversa da quella svevo-normanna originaria. La chiesa nacque infatti a pianta quadrangolare con cupola La Fontana di Piazza Pretoria con, alle spalle, il Municipio IL CLUB n. 109 – pag. 19 facciata principale del Palazzo Senatorio e una delle facciate laterali della già visitata chiesa di Santa Caterina. La straordinaria scenografia della piazza è dovuta alla magnifica fontana che, costruita fra il 1554 e il 1555 dallo scultore fiorentino Francesco Camilliani, era stata destinata originariamente alla villa toscana di Don Pietro di Toledo, ma fu poi venduta dai suoi eredi al Senato palermitano per un prezzo che all'epoca destò scandalo: trentamila scudi. La fontana, alla quale la nostra guida Alessandra ha dedicato re fuori dalle mura della città una loro "Gancìa", cioè un edificio che servisse per i loro ammalati e per coloro che si trovassero in città per varie ragioni, con annessa la relativa chiesa. Contravvenendo a quel limite, però, avevano finito con l'edificare il nuovo complesso al limite, ma comunque all'interno, delle mura cittadine, sul luogo della preesistente chiesa di San Girolamo. Dopo una notevole querelle giuridica, Papa Giulio II aveva "sanato" la nuova costruzione permettendo ai frati di completare la nuova chiesa e la limitrofa Gancia, alla quale il Il cortile della Gancia, che fu teatro dell’insurrezione antiborbonica del 1860 capeggiata da Francesco Riso alcune interessanti spiegazioni, è in realtà una gigantesca macchina d'acqua, composta in origine da ben 644 statue di marmo (allegorie, divinità pagane e varie figure femminili, sirene, arpie, animali e mostri) che, a causa delle loro nudità, hanno fatto sì che a livello popolare la piazza prendesse la denominazione di Piazza delle Vergogne (non dimentichiamo che proprio di fronte ad esse vivevano le suore domenicane di clausura del convento di Santa Caterina). La chiesa di Santa Maria degli Angeli alla Gancia L’ultima tappa del nostro giro è stata infine dedicata alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, più nota ai palermitani come Chiesa della Gancia. La storia della chiesa è legata a quella dei Frati di Santa Maria di Gesù che avevano ottenuto alla fine del XV secolo da Papa Innocenzo VIII il permesso di edifica- Viceré Vigliena aggiunse a sue spese nel 1609 un grandioso chiostro. Di quella Gancia originaria rimangono oggi poche visibili tracce (un porticato con alcune figure di Francescani dipinte, un loggiato e una bassa torre), anche perché l'edificio in cui la struttura era ospitata è stato più volte rimaneggiato e quindi adibito ad archivi e uffici pubblici. Invece la chiesa annessa alla Gancia, dedicata a Santa Maria degli Angeli, per quanto manomessa nel corso dei secoli, si mostra ancora oggi nella sua magnificenza rinascimentale. All'esterno l'architettura della chiesa si presenta in forme semplici, come tutte quelle francescane, con una facciata nuda e i muri perimetrali in conci squadrati. Ma è l'interno che, pur se non sempre in omogenee buone condizioni, lascia trasaliti sia per alcune sue strutture come il bellissimo soffitto a cassettoni in legno del '500, sia per il celeberrimo organo IL CLUB n. 109 – pag. 20 realizzato da Raffaele La Valle all’inizio del ‘600, sia per l'enorme numero di opere d'arte che gelosamente custodisce tra le navate, il presbiterio e le cappellette laterali. Tra i vari artisti che hanno lasciato il loro segno all'interno della chiesa vi sono Giacomo Serpotta, autore di numerosi stucchi sparsi un po' dappertutto, Giuseppe Salerno e Pietro Novelli con alcune opere pittoriche di pregio, e soprattutto Antonello Gagini: suoi sono un bassorilievo raffigurante Gesù al Limbo, la statua di San Michele e una Pietà nelle cappelle di sinistra, due tondi raffiguranti un Angelo e la Madonna dell'Annunciazione nel presbiterio, il grande pulpito poligonale a destra, con alcune delicate formelle con raffigurati gli Evangelisti, e infine una delicatissima statua della Madonna nella quarta cappella di destra. La storia e le vicissitudini della chiesa e del convento della Gancia ci sono state raccontate anche da un simpatico frate che ha fatto gli onori di casa e ha interessato tutti i nostri soci ricordando anche una storia realmente accaduta nel corso del risorgimento palermitano, quella di Francesco Riso e di alcuni suoi compagni che proprio all’interno di queste mura prepararono l’insurrezione contro i Borboni del 1860; al suono della campana della chiesa scoppiò a Palermo, infatti, un’insurrezione antiborbonica che fu però ben presto sedata. Il Riso e gli altri compagni si rifugiarono quindi nel convento ma furono sorpresi dalla truppe borboniche e uccisi tutti tranne due soli, che si nascosero tra i cadaveri dei frati nei sotterranei e qui rimasero cinque giorni. Distrutti dalla fame e dalla paura, riuscirono infine a fuggire dopo aver scavato con le loro mani nelle mura del convento una buca, ancora visibile in Via Alloro, mentre alcune donne facevano sfociare appositamente in una rissa un banale litigio per distrarre le truppe borboniche. A ricordo di quel fatto la buca si chiamò Buca della Salvezza. Un bellissimo finale per la nostra visita di Palermo barocca, con la promessa di rivederci al più presto per effettuarne un’altra alla scoperta di altri tesori della nostra sorprendente stupenda città. Testo di Maurizio Karra Foto di Larisa Ponomareva Amenta e Maurizio Karra Tra natura e atmosfere bizantine Tra il 20 e il 21 novembre siamo andati a caccia dei sapori autunnali del territorio di Chiusa Sclafani, tra l’ottimo olio e i formaggi locali, prima di dirigerci verso la vicina cittadina di Contessa Entellina, di matrice albanese, dove si incontrano ancora i papas bizantini N ella seconda metà di novembre gli appuntamenti per i soci del nostro Club si sono incatenati l’un l’altro a ritmo vertiginoso, cominciando dal pomeriggio di venerdì 19 con la bella inaugurazione della consolidata mostra fotografica “Latitudini d’autore” per proseguire la mattina di sabato 20 con la visita di alcune splendide chiese barocche di Palermo che tanto interesse e ammirazione ha suscitato. Per concludere degnamente il fine-settimana non ci restava che imbarcarci sui nostri amati camper per andare a respirare aria di libertà a zonzo per la nostra isola. Cosa che abbiamo prontamente fatto nel pomeriggio del sabato, dirigendoci verso un altro degli appuntamenti ormai consolidati del nostro Club: l’acquisto dell’olio presso il frantoio Gebbia di Chiusa Sclafani, grazie alla sapiente organizzazione dell’amico Nino Gendusa. Dopo averlo raggiunto girovagando fra le campagne del corleonese, la carovana di oltre venti camper si è sistemata nel parcheggio dell’oleificio, mentre i presenti cominciavano ad uscire i bidoni che a breve avrebbero riempito del prezioso nettare mediterraneo. Ma, mentre l’oscurità scendeva e i bidoni cominciavano a riempirsi di profumatissimo olio, fervevano anche i preparativi per la consueta cena contadina da gustare tutti insieme all’interno del frantoio, con le muffolette calde calde innaffiate con l’olio appena spremuto, pepe, origano e alici oppure con la ricotta e i formaggi, oltre alla pizza locale e allo sfincione; tutta robetta per stomaci spavaldi, che anche un buon Nero d’Avola (o per gli astemi qualche bicchiere di Coca Cola) hanno consentito di trangugiare facendo in modo che le nostre esperte cavallette spazzolassero tutto quel bendiddio in pochi minuti. Per poi riprendere con il riempimento delle file di bidoni fino a tarda sera, quando il totale dell’olio acquistato dal nostro gruppo ha raggiunto lo strabiliante totale di 732 chili, pari ad oltre 800 litri! Due immagini della fornitura dell’olio al frantoio Gebbia con i nostri soci in fila con bidoni e contenitori vari IL CLUB n. 109 – pag. 21 Dopo una buona notte di sonno ci siamo spostati alla vicina cittadina di Contessa Entellina, sistemandoci nella parte bassa dell’abitato, attorno a Piazza della Repubblica, dove abbiamo incontrato le guide messeci a disposizione dalla Pro Loco per la visita guidata. L’odierna cittadina, di meno di 2.000 abitanti, è stata in gran parte ricostruita dopo il terribile terremoto che distrusse gran parte della Valle del Belice nel 1968; ma la sua importanza è dovuta alle radici storiche: fu infatti uno dei più antichi insediamenti albanesi in Italia e le sue origini sono documentate al 1450 circa, quando un gruppo di soldati albanesi, sfuggiti dalla madrepatria invasa dagli Ottomani, popolarono questa zona della Sicilia per vivere in pace e perpetuare tradizioni e costumi dei loro antenati, tra cui il rito bizantino e la lingua albanese, ancora oggi in uso tra gli abitanti. Il nome originario della cittadina era Comitissa, divenuto col tempo Contessa, a cui fu aggiunto nell’800 quello di Entellina per la presenza nel suo territorio di una rocca su cui sorgeva l’antica città di Entella, una delle roccaforti della civiltà elima in Sicilia. Grazie ai reperti ritrovati negli ultimi vent’anni nel sito archeologico, che si trova a pochi chilometri dall’abitato, si è potuta seguire la storia di Entella, dalla sua fondazione dovuta ad un nucleo etnico proveniente dalla Frigia Pontica nel VI secolo a.C., fino al suo sviluppo sotto l’egemonia greca, punica, romana e quindi araba. Alcuni momenti della grande abboffata della sera, con le muffolette calde calde e innaffiate con l’olio appena spremuto, pepe, origano e alici oppure con la ricotta e i formaggi, oltre alla pizza locale e allo sfincione Reperti provenienti dagli scavi di Entella conservati nell’antiquarium di Contessa Entellina Notevoli testimonianze della lunga storia dell’antica città di IL CLUB n. 109 – pag. 22 Entella sono così visibili nel moderno antiquarium costruito a Contessa nella parte bassa del borgo, con alcune iscrizioni in elimo, greco dorico, osco, latino e arabo, le diverse lingue parlate nel corso dei secoli sulla rocca cittadina, con le raffigurazioni del granaio ellenistico scoperto in loco e con le numerose anfore ricolme di granaglie ritrovate al suo interno. Inoltre nell’antiquarium sono visibili le foto dei Decreti di Entella, conservati presso il Museo Archeologico Salinas di Palermo, in cui si informava la popolazione delle varie opere pubbliche in programmazione e di altri particolari della vita pubblica. Peccato che della struttura cittadina, sopravvissuta fino al XIII secolo, sia rimasto ben poco, perché fu messa a ferro e fuoco sotto Federico II per estirparvi un covo di musulmani ribelli che non volevano sottomettersi al potere dell’imperatore. La parte centrale del borgo è scandita da via Morea che, dopo essersi momentaneamente allargata in una minuscola piazza, sulla quale si affaccia la chiesetta delle Anime Sante, prosegue fino alla parte alta dell’abitato, che è chiusa scenograficamente dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Chiesa Madre di rito latino detta anche della Favara, costruita nel luogo dove, secondo la tradizione, sarebbe stata trovata un’immagine della Madonna, dipinta su una lastra di pietra e immersa nelle acque di una fontana poco lontana. L’interno della Chiesa Matrice di rito bizantino di Contessa Entellina, dedicata a San Nicola di Mira Alcuni momenti della visita di Contessa Entellina Nella parte bassa del borgo si innalza invece uno dei simboli dell’identità religiosa e culturale di Contessa Entellina, la Chiesa Madre della SS. Annunziata di rito bizantino, denominata Klisha e dedicata a San Nicola di Mira, con la facciata in pietra viva risalente al ‘600, con gli interni scanditi da un’iconostasi che, secondo la tradizione bizantina, separa lo spazio dedicato ai fedeli da quello destinato all’officiante, e con un tetto affrescato da icone di santi; altre icone della Madonna, di Gesù Cristo e dei santi, intese come finestra dell’aldilà davanti alle quali i fedeli sono invitati a meditare, si trovano nelle cappellette laterali, oltre ad adornare l’iconostasi. Un’esperienza mistica da non perdere è stata la partecipazione alla messa officiata secondo il rito bizantino all’interno della chiesa, accompagnata suggestivamente dai canti dei fedeli, men- IL CLUB n. 109 – pag. 23 tre l’incenso si diffondeva lentamente al salmodiare del papas. Un’esperienza che molti componenti del nostro gruppo hanno avuto la fortuna di poter condividere con gli abitanti della cittadina, ritrovandosi immersi in un’atmosfera mistica dalle tonalità “esotiche”, pur a poche decine di chilometri da casa. E questo non è che uno degli innumerevoli vantaggi che ci regala il nostro compagno di mille avventure, il camper, in una gita fuori porta così come a migliaia di chilometri da casa e questi pensieri affollavano la nostra mente mentre tornavamo verso casa alla fine del raduno: meno male che c’è il camper! Testo di Mimma Ferrante Foto di Filippo De Luca e Larisa Ponomareva Amenta Le nostre bambine Le ultime notizie dalla Comunità di Sant’Egidio sulle nostre tre bambine adottate a distanza Dopo essere stata promossa a scuola con buoni voti, ha trascorso alcuni giorni di vacanza in campagna e ha potuto prendere parte a gite organizzate al mare e in città. Sono stati giorni sereni in cui è cresciuta l’amicizia. Grazie al sostegno dell’adozione a distanza, anche per lei è stato possibile acquistare nuovi vestiti e nuove scarpe. Anche l’alimentazione che riceve risulta equilibrata e nutriente. Olive N. - Ruanda La Comunità di Sant’Egidio ci ha comunicato che Olive sta bene. La buona alimentazione che riceve influisce positivamente sulla sua salute e la sua crescita. Grazie al contributo dell'adozione a distanza è stata iscritta anche quest'anno alla scuola della Creche Amizero e ha ricevuto il materiale didattico necessario. Il contributo dei nostri soci Grazie all’adozione a distanza è stato possibile acquistarle anche nuovi vestiti e scarpe, oltre che il materiale scolastico. Per questo Clarisse ci saluta con grande affetto. Annie C. - Madagascar Sono stati altresì acquistati per Olive e per gli altri bambini adottati anche dei vestiti e delle scarpe nuove. La sua famiglia saluta e ringrazia per il sostegno alimentare che ricevono regolarmente. Anche la seconda delle due bambine del Madagascar da noi adottate, Annie, sta bene; la Comunità di Sant’Egidio ci ha comunicato che è cresciuta di statura (e si vede dalla foto!) ed è sempre più una bambina socievole e molto educata. Clarisse R. – Madagascar Dalla Comunità di Sant’Egidio ci giunge notizia che anche Clarisse gode di buona salute. Nel corso di questi ultimi anni il suo rendimento a scuola è molto migliorato, ed è stata promossa con buoni voti: ciò è stato possibile anche perché Clarisse – come lei stessa ha comunicato - si è sentita “sostenuta” e accompagnata nello studio, potendo anche frequentare alcune ore di dopo scuola con ripetizioni private. Anche questo ha contribuito a farla maturare. Nel corso dell’anno 2010, fino al momento in cui andiamo in stampa, il c/c appositamente aperto per gestire il progetto di adozioni a distanza del Club (separato da quello ordinario relativo alla gestione amministrativa della nostra associazione) ha registrato uscite pari a 936,00 euro (per i tre bonifici da 312 euro in favore della Comunità di Sant’Egidio operati a gennaio e relativi alle tre quote annuali in favore delle bambine) ed entrate pari a 663,09 euro (in pratica quasi tutte legate a piccoli versamenti effettuati dai nostri soci nel corso dell’anno sul conto, oltre a pochi spiccioli di interessi a credito sul c/c). Il saldo contabile, che all’inizio del 2010 era di 2.455,22 euro, risulta quindi in questo momento di 2.182,31 euro. Speriamo di andare in pareggio entro la fine dell’anno. Nel ringraziare di cuore e con affetto quanti finora hanno contribuito a portare avanti il nostro progetto, ricordiamo che chiunque volesse contribuire allo stesso potrà effettuare un bonifico o un versamento sulle seguenti coordinate bancarie (che a seguito della riorganizzazione del Gruppo Unicredit sono in parte state modificate): IBAN: IT 49 C 02008 04642 000300563557 Banca: Unicredit Filiale: Palermo Agenzia Ruggero Settimo B Intestazione: Club Plein Air BdS – Progetto Adozioni a distanza IL CLUB n. 109 – pag. 24 La rinascita del Magnum Per festeggiare i 60 anni di vita dell’azienda, Elnagh rilancia con i nuovi motorhome S e c’è una casa costruttrice e un gruppo che hanno davvero lavorato tantissimo nell’ultimo biennio per fronteggiare con proposte concrete la crisi questi sono la Elnagh e tutto il Gruppo SEA. In particolare la Elnagh, uno dei marchi storici della produzione made in Italy nel settore dei veicoli abitativi, con 60 anni di storia alle spalle, oltre a irrobustire le gamme dei tradizionali mansardati e semintegrali e dopo la nascita - l’anno passato - dei primi semintegrali Elnagh Magnum 70 L’esterno del nuovo Magnum 70 e l’elegantissimo living anteriore Tipologia: motorhome Meccanica: Fiat Ducato 3.0 da 157 cavalli (disponibile anche in versione 2.3 da 130 cavalli) Lunghezza: m. 7,18 Larghezza: m. 2,35 Altezza: m. 2,89 Posti omologati: n. 4 Posti letto: n. 4 (2 matrimoniali: uno in coda e uno basculante) Serbatoio acque chiare: l. 100 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford cassetta l. 17 Riscaldamento: Webasto Air Top 3900 a gasolio Boiler: Truma 10 litri a gas Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 3 fuochi + forno a gas con cappa aspirante Oblò: 1 maxi 70x50, 2 cm. 40x40 e 2 con ventola cm. 30x30 Prezzo: € 64.160 chiavi in mano con letto basculante, quest’anno ha completato la sua gamma con il ritorno alla produzione sia di roulotte che di motorhome, ripescando dal libro dei ricordi un nome mitico per questi ultimi, Magnum, sinonimo negli anni passati di grande eleganza e di insuperata eccellenza nel rapporto qualità-prezzo. Era ovvio, quindi, che volessimo subito presentare, al suo arrivo a Palermo presso il conces- IL CLUB n. 109 – pag. 25 sionario Vemacar, uno degli esemplari di motorhome che la Elnagh ha esposto in anteprima alla fiera di Parma ricevendone subito grandi consensi, il Magnum 70, proposto su meccanica Fiat Ducato 3.000 cc da 157 cavalli (ma disponibile anche sul Ducato 2.3 da 130 cavalli) e pacchetto elegance (clima cabina, chiusure centralizzate, ecc.). Diciamo subito che nulla è stato lasciato al caso: dalla qualità Uno sguardo d’insieme della parte centrale del nuovo motorhome Elnagh: la porta divide fisicamente la zona notte dalla zona giorno della scocca, con grande attenzione ai materiali costruttivi e isolanti (pavimento da 70 mm. e pareti da 35 mm. con stiropar e fibra di vetro), all’impiantistica di bordo, con il riscaldamento Webasto a gasolio o la cucina con forno a gas, dai letti con doghe in legno alla tappezzeria al mobilio entrambi raffinatissimi. Il piano di lavoro con lavello e cucina a gas a tre fuochi con cappa; in primo piano l’anta stondata del mobiletto basso nasconde un cestello estraibile con grande capacità di stivaggio; dalla parte opposta si trova invece la colonna frigo, con frigorifero da 150 litri e forno a gas Zona giorno e zona notte sono divise fisicamente da una porta a vetri che lascia al di qua il grande living anteriore, con tavolo centrale che può essere sfruttato comodamente da sei persone, e la zona cucina, con piano di lavoro a elle da un lato, colonna frigo - forno e armadio dalla parte opposta, accanto alla porta di accesso alla cellula abitativa; e dall’altro la zona notte e servizi, con bagnetto a sinistra (wc e lavandino) e cabina doccia a destra, oltre al letto matrimoniale trasversale in coda, sotto il quale trova posto un ampio garage accessibile sia dall’interno che da ambedue le pareti esterne. Sono tanti gli esempi di scelte di qualità che stanno dietro al progetto di questo motorhome, dalle dimensioni perfette per essere grande e comodo senza essere “eccessivo” (meno di 7,20 metri): di alcuni abbiamo già fatto cenno, di altri ci si accorge solo se si è camperisti esperti. Si pensi per esempio al numero di oblò che è stato predisposto: uno di grandi dimensioni sul living, due da 40 cm. di lato e altri due da 30 cm con ventola fra bagnetto, camera da letto, zona cucina e cabina anteriore; si pensi al cablaggio già predisposto per la televisione e la retrocamera; si pensi alla grande e razionale capacità di stivaggio ottenuta in ogni zona del veicolo, e non solo nel garage posteriore dove possono trovare posto comodamente le biciclette o anche un ciclomotore; ma si pensi anche all’abbinata ciliegio-avorio di parte del mobilio, così da dare grande luminosità all’interno, complice una scelta delle tappezzerie assolutamente coordinata nei colori e di grande qualità nei tessuti (optional anche l’ecopelle di colore chiaro). Il vano bagnetto del Magnum 70 con wc e lavandino; la cabina doccia è separata e si trova dalla parte opposta del motorhome Nella foto ciò che si vede aprendo la porta centrale che introduce nella zona notte: al centro il letto matrimoniale con, in basso, il portello scorrevole di accesso al garage, a destra la cabina doccia e a sinistra la porta che dà accesso al bagnetto IL CLUB n. 109 – pag. 26 Insomma, un gran bel mezzo, davvero difficile trovarvi difetti; e quindi un ritorno alla grande, quello di Elnagh, nella produzione dei motorhome; quanto al prezzo, si faccia avanti chi pensa che circa 64.000 euro chiavi in mano siano troppi! Maurizio Karra IL CLUB n. 109 – pag. 27 Doppia coppia Un interessante mansardato con camera matrimoniale privata e mansarda F ra i mansardati che abbiamo trovato interessanti in quest’ultimo periodo ve n’è uno dell’Adria, ben noto costruttore dell’altra sponda dell’Adriatico, che propone un’inedita pianta in grado di soddisfare il desiderio di privacy di una coppia in viaggio con bambini (da allocare in mansarda) o in grado di ospitare in mansarda anche una seconda coppia di amici o parenti (genitori, cognati...): insomma un mezzo perfetto per una doppia coppia. Stiamo parlando del Coral A690SP, un mansardato dalle generose dimensioni (circa 7,40 metri) su meccanico Ducato 2,3 da 130 cavalli. Diciamo subito che è un camper che si fa ammirare già alla prima occasione di “incontro”, con interni di grande razionalità, comodi negli spazi e nello stivaggio e luminosissimi, complice anche In alto il profilo dell’Adria Coral A690-SP; in basso il living anteriore con le due poltrone della cabina girevoli e il tavolo allungabile Adria Coral A690-SP Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.3 da 130 cavalli Lunghezza: m. 7,39 Larghezza: m. 2,30 Altezza: m. 3,13 Posti omologati: n. 5 Posti letto: n. 5; 2 matrimoniali (uno in coda e uno in mansarda) e 1 singolo ottenibile dalla trasformazione della semidinette centrale Serbatoio acque chiare: l. 110 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford cassetta l. 17 Riscaldamento e boiler: Truma Combi a gas Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 4 fuochi + forno a gas Oblò: 2 cm. 60x40 e 2 cm. 40x40 Prezzo: € 56.200 chiavi in mano un colore di mobilio chiaro, oltre all’ampia finestratura e agli oblò, ben due di grandi dimensioni, il primo sul living anteriore e il secondo sul letto posteriore, oltre a due da 40 cm. per lato posizionati sul tetto del bagnetto e in corrispondenza della zona cucina. La parte anteriore sviluppa un accogliente zona giorno con semidinette a sinistra, poltrona a destra e tavolo allungabile che, grazie alle due poltrone girevoli della cabina, consente di fare salotto o stare a tavola comodamente in cinque, nonostante la presenza della mansarda. IL CLUB n. 109 – pag. 28 Al centro, dal lato destro, trova posto la zona cucina con un piano di lavoro a elle che comprende il lavello e il piano cottura a 4 fuochi; mentre a sinistra, accanto alla porta di ingresso alla cellula abitativa, ecco la colonna frigo con il forno e di seguito la porta di accesso al bagnetto, con wc e lavandino. L’area centrale del mansardato dell’Adria: una porta divide la zona giorno dalla zona notte Il bagnetto del Coral A690-SP accessibile dalla zona giorno; la cabina doccia, a parte, è accessibile dalla camera da letto posteriore Un’altra porta con vetro infrangibile smerigliato (metacrilato) divide la zona giorno dalla zona notte; qui, in coda, è stata sistemata una vera camera da letto dotata di ogni confort che di giorno è del tutto “invisibile”; la camera comprende un letto matrimoniale a isola, due ante di armadio ai lati e un grande gavone centrale al di sotto, accessibile sia dall’interno che dall’esterno; nonché, sulla destra, la cabina doccia, separata dal resto del bagnetto. Questo mansardato ha insomma tutte le carte in regola per ottenere successo, grazie all’eccellente abitabilità di giorno e all’ottima privacy che garantisce la notte anche a due coppie, ciascuna perfettamente a proprio agio in un comodo letto matrimoniale pronto; e grazie anche a un prezzo certamente interessante e concorrenziale (circa 56 mila euro chiavi in mano con pacchetto lusso sulla cabina Ducato). Qui in basso, la camera da letto con il letto a isola Maurizio Karra IL CLUB n. 109 – pag. 29 Fino ai confini della Russia Dall’Italia alle Repubbliche Baltiche e da queste di ritorno in Sicilia: un itinerario nell’itinerario, relativo alla Russia, di cui parleremo nel prossimo numero... F inalmente si parte: direzione Russia! Attraversiamo d'un baleno l'Italia fino a Tarvisio, l'Austria fino a Graz, che superiamo; ci concediamo una visita a Brno e alla vicina Slavkov U Brna (Austerlitz) dove, sulla collina della pace (Mohyla Miru), fu firmato il 26 dicembre del 1805 l'armistizio dopo la battaglia nella quale Napoleone aveva vinto sugli altri due imperatori – quello russo e quello austriaco - con soli 7.000 morti a fronte del totale di 19.000 soldati uccisi. Un monumento ed un museo ne ricordano le gesta. Due immagini simbolo del campo di concentramento nazista di Birkenau in Polonia: in alto il muro della fucilazione, in basso le camere a gas Il monumento che ricorda la battaglia vinta da Napoleone ad Austerlitz, vicino Brno in Moravia Dalla Slovacchia attraversiamo la libera frontiera con la Polonia a Cesky Tesin; un veloce sguardo a Bielsko Biala e da Kety arriviamo allo scalo ferroviario di Brzezinka, più conosciuto come Oswiecim o Kl Auschwitz, campo di concentramento nazista, che visitiamo e dove pernottiamo senza paura e con grande rispetto per i milioni di morti causati dalla feroce e fredda determinazione dei nazifascisti, non solo tedeschi; visitiamo solo una decina di baracche in ricostruzione, fra il centinaio presenti; il muro della morte per le fucilazioni del tutto indiscriminate; guardiamo le foto di quei tempi con i colpi di grazia alla nuca e i forni crematori; e a pochi chilometri eccoci a Birkenau 1 e 2, tranquilli sobborghi i cui abitanti chiudevano il naso e gli occhi al fumo delle camere a gas. D'altra parte oggi si dice si fidassero del cartello Arbeit Macth Frei, l'eufemistico “il lavoro rende liberi”. Attraversiamo, io e mia moglie, a piedi l'enorme piazzale che culmina con il monumento e le IL CLUB n. 109 – pag. 30 targhe di tutte le nazionalità coinvolte nell'Olocausto, con i binari d'arrivo fino alle baracche di prima selezione e annientamento con il gas dei più deboli, dei malati, dei diversamente abili, dei bimbi, dei vecchi, degli ebrei di ogni nazionalità, degli oppositori, anche dei prigionieri di guerra, se sovietici, e in ogni caso dei non abili al lavoro, resi tali dalla denutrizione, dal freddo, dalle malattie. Notevoli i magazzini dello Zyklon B, l'innovativo gas di sterminio di ogni essere... C’è sempre chi mette in dubbio l'Olocausto, sconvolgendoci intimamente. Raccapricciante! Non volevo visitare il sito perché avevo già visitato nel 1989 Mauthausen nel primo viaggio all'estero in camper ed alcune visioni rimangono dolorosamente scolpite per sempre nell'animo umano senza bisogno di reiterazioni, o false interpretazioni ideologiche, oggi sempre più evidenti. Cambiamo scenario: ci aspettano le miniere di salgemma, Patrimonio dell’UNESCO, di Wieliczka ordinate turisticamente a partire dalla storia del re Casimiro il Grande di Polonia e visitabili fino a circa 135 metri (attenzione solo alla claustrofobia); quindi Wadowice, con il museo dedicato al papa Woitila dove scavalchiamo la fila solo perché italiani; non visitiamo Kalwaria e andiamo a Krakow che giriamo in pulmino; visitiamo la piazza del mercato ebreo dove fu girato il film “Schindler List”; ceniamo in piazza e ritorniamo in taxi. Ci spostiamo quindi a Czestochowa dove pernottiamo ai piedi del Santuario Paolino di Jasna Gòra, sempre grandioso, ma un po' freddo... Di notte, lasciato ad asciugare fuori, rubano l'ombrello al secondo equipaggio, che giura ...vendetta. A Jasna Gòra Da Piotrkov Trybunalski arriviamo a Varsavia che giriamo per due giorni con i mezzi pubblici e a piedi, ammirando(!) il grande monumento ai “dannati” ebrei in usci- ta dalle fogne sotto i mitra, i cani dei tedeschi durante la rivolta del ghetto, e il successivo sterminio di 300.000 abitanti durante l'insurrezione della città; il centro storico sempre più si somiglia a tutti gli altri nell'Europa globalizzata, con le bancarelle e i gazebo dei ristorantini a contornare le solite birre multinazionali... Ma c'è anche il Barracane sulle vecchie mura; l'onnipresente palazzo della cultura e della scienza, donato da Stalin (234 metri di altezza, 30 piani, tre teatri), quasi uguale a quello di Bucarest, ricchissimo di marmi e di centinaia di sale riccamente arredate e una enorme biblioteca, solo un po' tetro esternamente. Moderna e viva la città, quasi del tutto ricostruita, ma vivibilissima. Lasciamo la Polonia per la Lituania e andiamo, come prima tappa, a Kaunas dall'unica strada di accesso (Pultusk, Lomza, Augustow, Suwalki), attraversando l'ennesima frontiera prima di Marijampole. La visitiamo a turno perché nutriamo un minimo di timore a lasciare i camper; abbiamo dormito in un parcheggio incustodito e molto rumoroso, attraversato da poveri, nell'aspetto poco raccomandabile, ma in realtà inermi e dignitosi: una cittadina molto ben organizzata con il suo enorme vialone moderno, alberato e contornato da negozi; persone gentilissime ci accompagnano e ci indicano i vari luoghi, compreso il bancomat di una banca modernissima per il prelievo. Al di fuori dei percorsi principali i muri sono sbrecciati, le strade malandate, alcune case diroccate. Nel centro antico, godibilissimo, compriamo un vassoio di artista locale. Proseguiamo quindi per Vilnius passando da Trakai, con il bel castello e la gente al sole, nel camping dell'Expo, enorme e moderno, dove sono in smontaggio i vari padiglioni. Mi diverto a fotografare le notevoli sculture nel giardino d'ingresso, residui dell'ultima mostra internazionale. Città inserita nel patrimonio dell'UNESCO, sul fiume Neris, quasi integralmente barocca, a partire dalla piazza della cattedrale. Con i mezzi pubblici la visitiamo e beviamo eccellente birra locale in un locale del centro. In Lituania non paghiamo autobus perché pensionati. Ci avviamo a Rezekne (passando da Utena e Daugavpils). Mi ferma la polizia: una graziosa IL CLUB n. 109 – pag. 31 tenente che vuole controllare i passaporti... contenta che andiamo in Russia... dopo aver controllato tutti i visti. Passiamo la frontiera con la Lettonia a Zarasai e andiamo alla ricerca di un campeggio con un fuori programma che produce qualche fastidio al nostro terzo equipaggio: il campeggio è a Ludza, a 7 km, su un lago, ma va superato un tratto di 3 km di sterrato facile. Qui giunti, ci assiste una ragazza che parla un italiano quasi perfetto. Passiamo il pomeriggio in pieno relax sul lago protetti da una costruzione in legno con enormi assi scortecciati e totalmente bianchi, dove ceniamo. Il giorno dopo, a pochi km, andiamo a Zilupe, dove è fissato con gli altri equipaggi l'appuntamento per entrare in Russia (alla quale sarà dedicato un apposito autonomo articolo sul prossimo numero de IL CLUB - ndr). Finora non ci sono stati problemi di frontiera: tutti i varchi sono stati disattivati grazie agli accordi di Shengen con libertà assoluta di movimento entro i confini EU; ma si toccano con mano, purtroppo le diverse potenzialità economiche delle varie nazioni; a volte sono solo sensazioni lungo le strade di frontiera o di ingresso nelle città d'arte o addirittura nel retro dei vari monumenti che fungono da presentazione: due facciate in piena antitesi tra ricchezza e povertà. In estrema sintesi la nazione più ricca fra quelle attraversate è l'Austria, molto povera è la Slovacchia; passi da gigante fa la Polonia, seguita dalla Lituania. Più arretrata risulta l'Estonia, piena di contraddizioni, e la Lettonia, dove praticamente siamo costretti a parcheggiare entro un recinto chiuso e custodito di una stazione di servizio in pieno centro e solo per pochi spicci! La mancanza di risorse e di lavoro specializzato, malgrado abbiano richiesto, e ottenuto, da 20 anni la libertà, non ha fermato la migrazione all'estero di 200.000 persone su 2.000.000 di abitanti. Ma tutta l'Europa è piena di contraddizioni. Enormi campi agricoli disabitati e senza case, senza trattori, senza animali, per decine di chilometri; enormi concentrazioni industriali con aria irrespirabile e accanto città con altissima urbanizzazione, anche se a onor del vero non esistono che pochi cosiddetti casermoni dormitorio essendo l'urbanizzazione spalmata in casette basse. A volte siamo affumicati da camioncini puzzolenti che emettono chili di particelle carboniose: ma può succedere anche in Italia. Le strade, se affrontate ad alta velocità lasciano a desiderare, ma succede anche sulla Palermo-Messina. Dopo l’effettuazione del previsto tour in terra russa, usciremo a Narva, antica città anseatica, completamente distrutta nel 1944 dai bombardamenti sovietici per la sua liberazione dai nazisti, oggi ricostruita in senso moderno, con altra frontiera da attraversare senza problemi, dopo i soliti certosini controlli; ci avviamo sulla strada costiera verso Tallin. Cerchiamo e troviamo rifugio, con un senso di libertà indefinito ma che ci rende gioiosi e leggeri, nel parco Lahemaa Rahvuspark, nella cittadina di Viitna; nel villaggio costiero di Altija, ceniamo superbamente in una locanda tutta in legno, dopo avere a lungo passeggiato nel villaggio di pescatori, quasi preistorico e in riva al Baltico. Visitiamo Vhula, piena di dacie in legno, e Loksa con tutto il comprensorio, pieno di splendide chiese di villaggio e piccoli manieri sempre rigorosamente in legno. Dopo 108 km arriviamo a Tallin, abitata da oltre 400.000 abitanti, a fronte di soli 1.200.000 abitanti della Estonia, metà dei quali russi, città anseatica anch’essa, gemellata con Venezia nel 1970. La parte antica, medioevale, inserita nel patrimonio dell'UNESCO, pedonale, è deliziosa, ricca di piccoli gazebo, di negozietti interconnessi, ma occidentalizzati, in pieno contrasto con la parte moderna, ma piena di senso di povertà; non sono solo questi i contrasti: belle larghe strade, con marciapiedi o ponti sconnessi, ma attraversati da Suv ricchissimi; i palazzi da ristrutturare accanto a palazzi neogotici o all'albergo Viru, un grattacielo modernissimo di 22 piani; passeggiamo a lungo nella piazza Raekoda (del municipio); per dormire ci spostiamo, con gli efficienti mezzi pubblici, sulla lunga Pirita tee, sul mare, in un cortile interno tra palazzi, pomposamente chiamato camping città di Tallin. Di Parnu, pur essa città facente parte della Lega Anseatica, dopo i bombardamenti, non è rimasto nulla della sua parte medioevale, se non la città ricostruita in Due istantanee del centro storico di Tallin, capitale dell’Estonia senso 'termale'. Andiamo così a Riga, capitale della Lettonia, desiderosa di riprendere il suo vecchio IL CLUB n. 109 – pag. 32 ruolo di metropoli del Baltico, sul fiume Daugava. Anch'essa è inserita nel patrimonio dell'UNESCO. Un’immagine di Riga, capitale della Lettonia; in basso la collina delle croci (Kryziu Kalnas) vicino Siauliai in Lituania Dopo averla visitata, ci spostiamo a Siaulai (passando da Jelgava), città industriale, chiusa fino al 1987 perché era ricca di installazioni militari sovietiche, del tutto ricostruita dopo la completa distruzione subita nella II Guerra Mondiale. 5 km. prima, svoltiamo per Kryziu Kalnas, dove c'è dal 1831, la collina delle Croci, che ricorda le rivolte antizariste; ai nostri giorni invece l'uso di porre croci ricorda la resistenza lituana, progressivamente trasformatasi in pellegrinaggi religiosi; una lunga passeggiata pomeridiana molto rilassante ce lo conferma. Proseguiamo poi per Palanga (una volta detta la Rimini dell’Unione Sovietica), attraversando l'interno della Lituania fino al mare della cittadina, dove posteggiamo per la notte in una viuzza del centro, senza nessun tipo di problema. Di Palanga ci colpisce la vitalità, l'allegria, la libertà di costumi portata all'eccesso. Sembra proprio che la libertà ventennale di cui godono sia stata acquisita da qualche giorno con la mercificazione inusuale del corpo, e non abbiano ancora trovata una stabilità progettuale impegnativa, esclusa la lavorazione dell'ambra che può impegnare però solo pochi tecniciartisti. La strada che da Klaipéda scende verso Neringa e Kaliningrad nella stretta penisola dei Curoni A Klaipéda ci incolonniamo per il traghetto (solo 50 metri) il cui costo irrisorio è aumentato da una tassa ecologica; sbarchiamo nella famosa penisola dei Curoni, detta di Neringa, dal nome mitologico di una dea che la creò; essa in effetti è solo una lunga striscia di terra (100 km), molto bella, visto il tempo primaverile, che da Sud, territorio di Kaliningrad avanza verso Klaipéda. Avanziamo per 50 km su una strada perfetta, senza una curva, fiancheggiata da alberi, dietro i quali si nasconde una dop- IL CLUB n. 109 – pag. 33 pia scogliera a picco sui due mari, spesso intervallati da spiagge di finissima sabbia. I cinque villaggi che vi hanno sede sono ricchi di vedute e di musei, ma evitiamo di visitarli accuratamente, dato che per passare da Kaliningrad abbiamo un permesso di soggiorno che scade al 30° giorno di permanenza complessiva in Russia e siamo prossimi alla sua scadenza. Arriviamo alla graziosa cittadina di Nida, dove pernottiamo in una viuzza-posteggio dal costo notturno irrisorio, controllato da un ragazzo serissimo e dove passeggiamo a volontà; visitiamo il locale supermercato, compriamo coperte in pura lana, e infine ceniamo magnificamente a base di sogliole del Baltico e salmone selvaggio. Di mattina ci avviamo nuovamente alla frontiera, a soli 4 km, per l'ingresso nell'enclave Russa di Kaliningrad; l'attraversiamo e, all'uscita dal territorio russo, entrati in Polonia passiamo da Elblag e arriviamo a Gdansk (Danzica), dove troviamo ospitalità notturna nel posteggio molto piccolo, a pagamento, dell'hotel Mercure in pieno centro, custodito sia dalle guardie dell'hotel che da spuntoni in acciaio anti-uscita, a comando manuale. Ciò ci consente di visitare tranquillamente, lungamente e per due giorni, la città; bella anche se in parte ricostruita. All'uscita da Danzica ci avviamo verso l'impronunciabile Szczecin (Stettino), città cantieristica, ma ci fermiamo per la notte a Koszalin, nella magnifica grande e curatissima piazza del municipio che ricorda quelle francesi imbandierate e infiorate a festa. Faremo acqua da una efficiente fontanella pubblica al suo centro senza essere disturbati pur essendo in due camper. Attraversiamo quindi il fiume Oder, allontanandoci dal profondo fiordo che attraversa Stettino, ed entriamo nel famoso circo delle autostrade gratuite della Germania, verso Berlino. Staremo due giorni in pieno centro in un parcheggio a pagamento e visiteremo parte della città, non visitata da me le precedenti due volte che vi sono stato. Da qui infine la discesa di ritorno in Italia. L’arsenale di Danzica, sulla Vistola; in basso il monumento che ricorda gli impiegati delle Poste della città che furono i primi a cadere per mano dei nazisti nel primo scontro della seconda guerra mondiale, il 1° settembre 1939 Giuseppe Eduardo Spadoni IL CLUB n. 109 – pag. 34 Natale a Cervia Un suggestivo percorso che si snoda tra i diversi presepi preparati a Cervia per festeggiare il Natale, tra emozione e fascino del sacro, per i bimbi ma anche per gli adulti L’ emozione del Natale, la tradizione del Presepe, i festeggiamenti per la Natività: è un omaggio al grande pubblico delle famiglie quello voluto dalla città del sale che come ogni Natale si prepara a presentare i tanti presepi che accompagneranno le feste a Cervia e Milano Marittima. Si parte con i presepi nelle chiese per arrivare a quello, unico, fatto di sale, e ancora il Presepe dei Salinari e l’emozionante spettacolo del Presepe vivente. Il presepe di sale Cervia, la città del Sale, non può non avere un Presepe di sale. Le sculture, custodite negli spazi del Museo del sale sul Porto Canale, sono state create nel 1992 da un anziano salinaio, la cui passione e la cui maestria, sono tutt’oggi visibili nel museo del sale. L’intero presepe, che mette in scena la classica Natività, è conservato in una teca di vetro che lo ripara dai cambiamenti climatici e soprattutto dall’umidità. È composto da oltre quindici personaggi le cui statuine, alte dai 10 ai 40 centimetri, sono state realizzate a mano con una cristallizzazione guidata del sale. Una tecnica laboriosa e molto particolare che ha richiesto una grande cura, compresa la correzione giornaliera della cristallizzazione delle statuette dentro le saline fino ad ottenere la forma voluta. Museo del Sale, Magazzino del Sale “Torre”, Via Nazario Sauro. Dal 18 dicembre al 6 gennaio aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 15 alle 19. Il presepe dei salinari Sempre al MUSA in occasione del Natale viene allestito il Presepe dei salinari, un omaggio alla Natività ambientata nella tipica capanna in giunco dei salinari con all’interno le statue a grandezza naturale di Maria, Gesù e San Giuseppe che vanno a completare la coreografia formata dalle altre figure già ospitate negli spazi del museo. Queste statue in terracotta Il presepe di sale di Cervia; in basso il presepe meccanico patinata, plasmate su una struttura di sostegno in metallo, fanno infatti parte di una serie di realizzazioni che rappresentano i salinari al lavoro e le figure della vita in salina e che sono in mostra tutto l’anno su idea (e con la collaborazione) dei soci fondatori del Gruppo Culturale Civiltà Salinara. Tutta la serie fu realizzata (e cotta nel forno dell’artista) negli anni Ottanta da Paolo Onestini, figlio di Giacomo Onestini, famoso ceramista cervese. Si possono ammirare un finanziere nella sua postazione dentro alla garitta, un IL CLUB n. 109 – pag. 35 salinaro che spinge il carriolo ed uno che utilizza la gottazza, strumento usato per spostare l’acqua da un bacino all’altro. Infine le figure sono vestite con abiti del periodo realizzati con grande passione da una azdora cervese. Museo del Sale, Magazzino del Sale “Torre”. Dal 18 dicembre al 6 gennaio aperto tutti i giorni, festivi compresi, dalle ore 15 alle 19. Il presepe animato Un’altra particolarità è il presepe animato, visitabile nella Chiesetta del Suffragio, che sorge Il territorio Il Comune di Cervia è situato in Emilia Romagna, in una parte meravigliosa della costa Adriatica, a 20 km a sud di Ravenna, con un litorale di 10 km caratterizzato da un arenile di sabbia finissima e da bassi fondali. L'antica "città del sale", il vecchio "borgo di pescatori" e le ampie distese della secolare pineta, si sono trasformate in funzione di uno sviluppo turistico che si è realizzato in modo pionieristico dalla fine dell'800 fino ad avere un impulso decisivo con la nascita, nel 1912, della "città giardino" di Milano Marittima, sorta ai margini della secolare pineta. Il cuore di Cervia è Piazza Garibaldi, con il Palazzo Comunale e la Cattedrale, ambedue del ‘700. Vicino ad esse il Teatro Comunale. Di particolare interesse la cinta muraria che rende l'idea della struttura quadrangolare della città di fondazione nella quale le mura sono formate dalle stesse case dei salinari: piccole abitazioni tutte uguali, divise in quattro stanze, una per ogni famiglia, ed intervallate da una serie di cortili interni utili per raccogliere l'acqua del pozzo e per ricoverare gli attrezzi da lavoro. Soste e pernottamenti: AA in loc. Pinarella, Viale Tritone, all’ingresso sud del paese; PS in Piazza Resistenza, in Piazza XXV Aprile e al parcheggio delle Terme (sotto i pini); a Milano Marittima in Piazza del Grattacielo, vicinissimo al mare. nel centro storico di Cervia. Il presepe presenta un toccante paesaggio che passa alternativamente dal giorno alla notte proponendo le attività della giornata alternate al silenzio ed al chiarore notturno; il movimento delle stelle, cometa compresa, illumina il paesaggio calmo e silenzioso. Le 50 statuette che animano la scena sono state realizzate e decorate a mano; il materiale usato è la creta. Si muovono spinte da una centinaia di piccoli meccanismi. Il presepe è stato realizzato in più di vent’anni, ma il lavoro continua perché ogni anno si aggiungono Il presepe fra i pini nuove figure e nuovi meccanismi. Aperto dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 il sabato e i festivi. Il presepe meccanico Il Presepe meccanico, allestito all’interno della Chiesa della Madonna della Neve sulla via Salaria, è visibile dall'Immacolata (8 dicembre) all'Epifania (6 gennaio). Ogni anno varia a seconda del tema spirituale che si vuole sottolineare (l'anno scorso ricordava la geografia della Terra Santa, dove a Natale il gruppo giovanile della parrocchia si è recato in pellegrinaggio). Quest'anno il tema è la giornata mondiale dei giovani a Madrid quindi il Presepe sarà realizzato in omaggio all'aggregazione dei popoli. Le statue disposte a semicerchio, attorno all’ampio fonte battesimale della Chiesa, sono frutto di un laborioso lavoro e restituiscono al pubblico la suggestione della Natività in tutto il suo splendore. Aperto dall’8 dicembre al 6 gennaio dalle 8 alle 19. Il presepe nella chiesa Stella Maris Il segreto di questo presepe risiede nell’uso dei materiali. Per la realizzazione della Natività della Chiesa Stella Maris a Milano Marittima vengono utilizzati solo materiali naturali e del territorio. Il presepe, che ha come caratteristica l'essere diverso ogni anno, grazie agli ampi spazi, circa 40 metri quadri, a disposizione e ai materiali naturali che si utilizzano, riesce sempre a creare una visione sem- IL CLUB n. 109 – pag. 36 plice ma efficace della Natività e ci porta nel luogo in cui nacque Gesù. L’anno scorso portò il pubblico nel luogo in cui nacque Gesù ricostruendo a lato dell’altare maggiore uno scorcio della Betlemme del tempo. Chissà quale tema sarà scelto quest’anno per omaggiare la natività con Giuseppe, Maria ed il bambino Gesù e tutti gli altri personaggi classici del presepe. Aperto tutti i giorni dal 24 dicembre al 31 gennaio dalle ore 8-12 e 15-18. Sfila il presepe vivente Lo spazio antistante la Chiesa Stella Maris a Milano Marittima si trasformerà in un palcoscenico che ospiterà un imperdibile Presepe vivente. Lo spettacolo realizzato con decine di comparse, si svolgerà nella notte di Natale (venerdì 24 dicembre dalle 22,30 all’una del 25 dicembre) quando i figuranti interpreteranno diverse scene classiche del presepe. Al centro di tutte, la Natività, allestita nella capanna che ospita la sacra famiglia. Accanto: il fabbro al lavoro nella caratteristica fucina, il pastore con il recinto di animali veri, asini, capre e pecore, e l’emozionante interpretazione della vita che si svolge intorno alla nascita di Gesù. Tutti saranno allietati dal cibo caldo cucinato in strada: si potranno gustare agnello, castagne e vin brulè raccolti intorno al calore dei fuochi di Natale allestiti per l’occasione. Tatiana Tomasetta Il castello Maniace di Siracusa Una fortezza militare che oggi ospita importanti eventi L a scelta del castello Maniace quale sede, l’anno passato, del G8 Ambiente potrebbe non essere stata suggerita solamente dalla offerta suggestiva dell'antica fortificazione. L'importanza della riunione e la conseguente necessità di sicurezza non potevano non tenere conto dell'individuazione di un luogo più semplice da proteggere: infatti, è praticamente inaccessibile per la posizione geografica. Per questo motivo fu eretto dal comandante bizantino Giorgio Maniace, nel 1038, impegnato allora nella cacciata degli arabi. La struttura occupa la parte terminale dell'isola di Ortigia che si affaccia immediatamente sull'imboccatura del Porto Grande da un lato, e sul mare aperto dall'altro. Nessuno, pertanto, poteva e può avvicinarsi a Siracusa, o peggio entrare nel porto. senza essere avvistato con abbondante anticipo. E' stato praticamente da sempre luogo militare. Tra il 1232 e il 1240 fu trasformato in castello da Federico II con la possibilità di ingresso solo attraverso un ponte levatoio. Le note storiche parlano del re Pietro d'Aragona che vi dimorò con la sua famiglia, e di Federico Il d'Aragona che nel 1321 convocò il Parlamento siciliano per l'eredità governativa al figlio Pietro II d'Aragona. Tra il 1305 e il 1536 il Castello ha ospitato le regine d'Aragona Costanza, Maria e Bianca e anche Germana de Foix, la seconda e ultima moglie, poi vedova, di Ferdinan- Il castello Maniace che protegge l’accesso al porto di Siracusa do il Cattolico. Nel 1540 ospitò anche l'ammiraglio Andrea Doria mandato da Carlo V contro i musulmani. Il sito fu quindi adattato, oltre che a caserma e presidio militare, a prigione e residenza. E' dunque chiaro che nei suoi mille anni, e soprattutto nei primi cinquecento, sono state molte e diverse per tipologia te modifiche apportate. Vanno anche considerati i devastanti terremoti del 1542 e del 1693, le opere di rafforzamento del castello e quelle di manutenzione contro la naturale erosione del mare. Le bocche per la fuoriuscita dei cannoni si fanno risalire all'età napoleonica mentre i Borboni nel 1838 innalzarono un altro edificio quale protezione dell'artiglieria sempre più pesante e precisa. Dall'Unità d'Italia, L’interno del castello IL CLUB n. 109 – pag. 37 e sino a pochi anni fa, il castello Maniace non ha quindi smesso di essere un sito militare. L'ultimo presidio, quello dell'Esercito italiano: le forze armate hanno utilizzato sino agli anni Novanta gli ampi spazi interni per i mezzi e per gli uffici del distretto militare. Gli anni Duemila, dunque, rappresentano di fatto un cambio epocale per l'antica fortificazione. Il castello perde, dopo circa un millennio, la sua naturale vocazione militare per la straordinaria posizione strategica. Una posizione, tuttavia, ancora sfruttata a protezione del G8 Ambiente. Il castello, in conclusione, per volontà delle ultime configurazioni politiche e per l'impegno della Soprintendenza aretusea, si è trasformato in un luogo di cultura, dove anche i profani possono sentire i racconti millenari delle mura che hanno conservato la storia personale di centinaia di migliaia di persone e di soldati. E questo grazie ad un progetto che ha dovuto tenere conto, tra le altre cose, della demolizione delle strutture realizzate nel recente passato, tanto da presentare il castello così com'era alla fine del Cinquecento, del restauro complessivo e del consolidamento dei torrioni e delle opere a mare. Unica concessione all’utilizzo militare, il sito della Casina presente nella Piazza d'Armi ospita la sede del Nucleo tutela patrimonio artistico e culturale dell' Arma dei Carabinieri. Alfio Triolo Punta Secca Un angolo di paradiso da Ulisse al Commissario Montalbano televisivo L a spiaggia, una volta conosciuta solo dai siciliani e dai viaggiatori più curiosi, è diventata una delle più famose d'Italia. Forse non l'avete riconosciuta, ma se guardate bene forse potete scorgere il commissario Montalbano mentre sorseggia il caffé dal balcone di casa sua. Siamo a Punta Secca, una frazione di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, dove il famosissimo commissario fa le sue nuotate televisive. Inutile dire che qui, oltre a Ingrid e Mimì, troverete un sacco di altri turisti che come voi intendono scoprire gli splendidi luoghi raccontati da Camilleri e visti in televisione, gli stessi vissuti da sempre (beati loro) dai ragusani. Ah, per la cronaca: su queste spiagge nel 1943 iniziò lo sbarco degli anglo-americani nella seconda guerra mondiale, ma questa è roba già vecchia. Punta Secca, sin dai tempi remoti, ne ha viste tante. Il facile approdo di Punta Scalambri (dirimpetto all'arcipelago maltese) vide sbarcare infatti molto tempo prima la nave di Ulisse; lo stesso luogo salutò greci e romani e diede il benvenuto, appunto, nel ‘43, agli anglo-americani. Adesso accoglie turisti, soprattutto quelli sulle rotte delle fiction televisivi, ansiosi di vedere e fotografare, in particolare, un "monumento": ovviamente, la casa di Montalbano. La villa sulla spiaggia da cui l'eccentrico commissario nato dalla fantasia del maestro Andrea Camilleri e magistralmente interpretato da Luca Zingaretti, guarda il mare, è infatti diventata oggetto di culto. La casa si trova a pochi metri dal mare, da cui è separata da dieci metri di sabbia dorata, e condivide una piazzetta con la torre Scalambri (del XVI secolo), a cui i turisti la preferiscono per evidenti motivi di notorietà. La casa di Montalbano è un immobile storico del piccolo borgo marinaro: originariamente magazzino per la dissalazione delle sarde, venne acquistato nel 1904 dagli avi dell'attuale proprietario e successivamente trasformato in abitazione. A cento metri si trova il faro di Punta Secca (altro monu- mento simbolo della serie televisiva), una torre circolare bianca del 1853 che, con i suoi 35 metri, domina il piccolo porticciolo proiettando la sua ombra nella piazza principale dell'abitato che, nelle sere estive, si anima di villeggianti. Sui tavolini del bar ai piedi del faro turisti e locali si cimentano in ardite sfide di briscola pazza. L'atmosfera che si respira è lonta- nissima dalla mondanità di certe spiagge famose: Salvo Montalbano, per fortuna, non ha modificato il dna di chi frequenta Punta Secca e Punta Secca non ha snaturato se stessa, offrendosi in tutta la sua affascinante semplicità. Al bar gli intenditori scelgono il gelato di ricotta (inventato negli anni ‘50 a Cassibile, frazione di Siracusa), molto apprezzato dai ragusani e Punta Secca vista dal mare, con il faro e, a sinistra, casa Montalbano In basso uno zoom sulla casa diventata, grazie ad Andrea Camilleri e alla trasposizione televisiva dellaRAI, la più famosa d’Europa... IL CLUB n. 109 – pag. 38 consumato nei muretti da cui si ammira il mare, appassionandosi alle sfide notturne di calcetto e pallavolo che si disputano in un campetto di sabbia. Poco più in là si trova il porticciolo e, al suo ingresso, il piccolo mercato del pesce fresco dove la mattina i pescatori vendono quel che le reti hanno tirato nel corso della notte. L'approdo ha un braccio che diventa camminamento per ammirare l'intera frazione marina racchiusa fra il faro e la casa di Montalbano. La vera attrazione di Punta Secca resta, comunque, il mare e la sua sconfinata spiaggia sabbiosa che in estate si trasforma in un infinito solarium, accogliendo i patiti della tintarella e gli appassionati di fitness. Per un tour completo di questo minuscolo angolo di Sicilia ci si può inoltrare lungo la costa per circa 300 metri, verso Casuzze, sino a raggiungere il vicino Parco Archeologico di Caucana, immerso nel verde di olivi e carrubi. Qui si scoprono i resti di una città, che fu importante ancoraggio, dove è stato riportato alla luce un insediamento di epoca tardo-antica con 25 edifici di diversa tipologia ed una piccola chiesa a tre navate facente parte di un'area cimiteriale. Punta Secca è tutta qui, e di certo non è poco. Per il Comune di Santa Croce Camerina naturalmente la fiction rappresenta una fonte di grandissima promozione. Basti pensare che proprio qualche tempo fa a Punta Secca sono arrivati dieci autobus tutti pieni di turisti che volevano visitare la frazione marinara proprio perché location della fiction. Ma Punta Secca sta puntando anche alla valorizzazione del pescato e alla orto-frutta locale, con occasione di formazione nelle scuole dell'obbligo per promuovere la dieta mediterranea. A questo si aggiunge un'attività di promozione dei beni culturali, e in particolare archeologici, il Bagno Arabo di Mezzagnone e il villaggio di Caucana, entrambi oggetto di restauro a opera della Sovrintendenza. Prossimamente Santa Croce Camerina diventerà un’importante vetrina in Sicilia per il pesce azzurro. D’altronde, nel suo territorio si trova la casa più famosa d'Europa in questo momento, quella del commissario Montalbano, e si intende sfruttare la notorietà per veicolare i prodotti del territorio! Alfio Triolo La preistoria in Sicilia Sicani, Siculi, Elimi abitarono l’isola prima dei Greci; molte le testimonianze dell’epoca tra Ragusa e Siracusa L a preistoria della Sicilia fu quel lasso di tempo che va dalla comparsa dell’uomo sull'isola fino al momento in cui i Greci, nel VII secolo a. c., vi introdussero la scrittura. Il Val di Noto risulta molto importante per le testimonianze delle epoche preistoriche, essendo abitato fin dai tempi più remoti. Si tratta di luoghi e itinerari meno conosciuti ma di grande valore storico. La necropoli di Castelluccio La necropoli di Castelluccio, ad esempio, è uno dei più importanti siti dell'età del bronzo in Sicilia. La cultura di Castelluccio prende il nome da questo insediamento posto tra Noto e Palazzolo Acreide. Lungo le pareti della cava si estende la necropoli costituita da 176 tombe scavate nella roccia. Spicca in questo sito la cosiddetta "Tomba del Principe", che ha un aspetto imponente, grazie ai pilastri scavati nella roccia che adornano il prospetto. Poco a nord di Siracusa si trova la penisoletta di Magnisi, sulla quale sorgeva l'antico abitato di Thapsos, della media età del bronzo. Qui è stata individuata una necropoli con tombe a grotticella artificiale. Pantalica è un'altra località naturalistico-archeologica della provincia di Siracusa che nel 2005 è stata inserita nel Patrimonio dell'Unesco. Il sito si trova su un altopiano, circondato da canyon formati nel corso dei millenni. Vari sentieri permettono di visitare la zona, costellata da necropoli in tutto il suo territorio, come la Necropoli di Filiporto, composta da un migliaio di tombe. IL CLUB n. 109 – pag. 39 Pantalica Cava Lazzaro è un altro sito preistorico poco conosciuto: si tratta di una cava ubicata nei pressi di Rosolini. Al suo interno si trova una necropoli preistorica con una tomba monumentale. E’ una delle numerose cave che attraversano la Sicilia sud-orientale. Anche in Contrada Baravitalla, che si trova nella parte settentrionale della Cava d'Ispica, ha sede una piccola necropoli di epoca coeva a quella di Castelluccio. La Cava d’Ispica Nei pressi di Ragusa è ubicato uno dei più antichi siti preistorici siciliani: il riparo sottoroccia di Fontana Nuova, una cavità naturale ampliata artificialmente per permettere ai cacciatori di trovarvi riparo. Nel sito di Monte Tabuto, nei pressi di Comiso, sono particolarmente suggestive le miniere di selce che vennero usate fin dall'antica età del bronzo per estrarre il minerale. Le grotte di Monte Tabulo rappresentano le più antiche miniere della Sicilia. All'interno della bellissima area naturalistica attrezzata di Calaforno si trova infine un ipogeo costituito da ben 35 camere scavate nella roccia e datate attorno al III millennio a.C. A. T. ‘A trinca Non un taglio pregiato di carne, ma un gioco che appassionava le ragazze siracusane di un tempo S e chiedete oggi alle giovani mamme di Siracusa cosa sia la trinca, probabilmente vi risponderanno che è soltanto un taglio pregiato di carne bovina corrispondente alla lombata. Eppure le loro madri ancora ricordano bene un gioco con questo nome per averlo praticato dall'infanzia all'adolescenza. È questa la dimostrazione che la Trinca era il passatempo preferito soprattutto dalle ragazze sino alla seconda metà del secolo scorso: non per niente si differenziava da tutti i giochi di quel tempo per la raffinatezza e l'eleganza dell'esecuzione durante la quale le partecipanti, più che giocare, sembravano danzare su quel suggestivo palcoscenico naturale che era Ortigia. Anche se con varianti molto accentuate, in Sicilia era diffuso ovunque; solamente nel Siracusano e nel Ragusano aveva il nome di Trinca, nel Messinese e nel Catanese aveva quello di Sciancatedda, nel Palermitano si chiamava 'U Zuppiddu o A fu zoppu. La nostra Trinca solo lontanamente si può paragonare al gioco della Campana del resto d'Italia, talmente è diverso nell'esecuzione. A Siracusa raramente dalle ragazze era consentita la partecipazione dei maschietti insieme a loro; se si verificava, il fortunato quasi sempre era il fratello più piccolo o un parente stretto di una delle giocatrici. Questo passatempo di solito si svolgeva in un cortile o in un ronco (a Siracusa questo termine designa una strada senza uscita, ndr) perché sulla strada passavano i carretti e c'era il rischio che gli asini imbrattassero il campo da gioco. Chi tra le giocatrici aveva maggiori capacità grafiche, con una bacchetta di gesso bianco prelevato appositamente a scuola, oppure con un pezzetto di carbone che allora non mancava mai nelle case, o addirittura con una pietra bianca, delineava per terra il campo da gioco che poteva avere due forme, una a portoncino, come risulta dalla vignetta, e l'altra a croce. Mi limito a descrivere la prima perché era la più diffusa. Si segnavano tre linee longitudinali, di circa tre metri e distanti su per giù sessanta centimetri l'una dall'altra, che poi si chiudevano con sei linee trasversali in modo da formare dieci caselle numerate da uno a dieci. Sopra le ultime due, precisamente sulla quinta e sulla sesta, veniva disegnato un semicerchio al centro del quale si scriveva a stampatello la parola RIPOSO. Ogni ragazza teneva in mano una pietruzza piatta o una piastrella ('na chiappedda). Fatta la tocca, chi vinceva iniziava il gioco da sinistra e dal basso verso l'alto, seguendo progressivamente la numerazione segnata. Dopo avere gettato la pietruzza, senza avere oltrepassato la linea di partenza, nella casella uno, vi saltava con un piede tenendo l'altro sospeso e, abbassandosi, sempre su un piede, riprendeva la pietra, si rialzava e usciva dal reticolato. Allo stesso modo, se non commetteva errori, faceva nella seconda, e poi via via nella terza, nella quarta e nella quinta casella, senza mai fermarsi. Arrivata dentro il semicerchio si riposava poggiando en- trambi i piedi per poi, con un salto, girarsi su se stessa di 180 gradi e intraprendere, saltellando con un piede, la via della discesa dalla sesta alla decima. Se durante il gioco sbagliava a lanciare la pietruzza nella casella dovuta, se con il piede toccava una delle linee che dividevano le caselle o, poggiando l'altro piede, si riposava quando non doveva, un'altra giocatrice prendeva il suo posto facendo attenzione a non commettere errori; altrimenti, a sua volta, veniva sostituita. Ulteriori percorsi dovevano compiersi, saltellando, con la piastrella, ora su due dita, ora sul dorso di una mano. Chi per prima compiva l'intero tragitto risultava vincitrice di quella prova. Il bello del gioco cominciava quando l'itinerario doveva compiersi, ovviamente saltando sempre con un piede, con la piastrella sulla fronte o con una benda agli occhi. A questo punto la giocatrice, non vedendo il reticolato, ad ogni casella doveva dire "Ah!" che stava per "Vado!". Se con la pietra aveva centrato la casella giusta e l'aveva ripresa senza toccare con i piedi le linee di demarcazione, le compagne in coro rispondevano "Salàm". Se sbagliava, la risposta corale, ma spiritosa, era "Salamino", e in questo caso la mano del gioco passava ad un'altra compagna che per vincere doveva compiere l'intero percorso senza commettere errori, cosa che al buio era difficilissimo. L'esclamazione Ah! e la risposta Salàm mi fanno legittimamente supporre che questo gioco fosse praticato dagli Arabi durante la loro lunga dominazione in Sicilia. L'Aleppo-Calvaruso fa infatti derivare, per metatesi letterale, l'interiezione siciliana Ah! da quella araba hâ! (andiamo!) di cui si servono gli Arabi per chiamare i cammelli o farli camminare. Che la voce araba Salam (pace) esprima un concetto positivo e di assenso è noto. Se fosse un gioco arabo Trinca deriverebbe, per metatesi, da TRICNA, forma dialettale nordafricana di TARIKUNA, che in arabo vuol dire "il nostro percorso", quello, per l'appunto, compiuto dalle fanciulle nel corso di questa divertente gara. Alfio Triolo IL CLUB n. 109 – pag. 40 Terza pagina Quando una banca muore: il caso Banco di Sicilia Quando leggerete questo articolo il Banco di Sicilia non esisterà più. Nel senso che l’ultima azienda bancaria che ha portato questo nome, pur con alterne vicende e a seguito di tutte le rivoluzioni avvenute nel mondo bancario e nello specifico di tutte le ristrutturazioni subite negli ultimi quindici anni, bene l’ultimo “Banco di Sicilia”, come dicevamo, avrà cessato di esistere, incorporato in un’altra banca, la capogruppo Unicredit. Cosa c’entra questo con il nostro bimestrale, vi chiederete? Beh, questa rubrica ha sempre trattato un argomento di cultura, anche avulso e indipendente rispetto alla totalità degli altri servizi pubblicati, e sono certo che non poteva non trattare adesso, in questa occasione, proprio questo argomento, dato che il Club Plein Air BdS è prima di tutto, come recita il suo statuto, l’associazione dei camperisti del Banco di Sicilia. In ogni caso, chi scrive sentiva l’obbligo morale di farlo, con il massimo di serenità ed equilibrio storico, seppur col magone dentro. Le origini Per scrivere una storia del Banco di Sicilia dobbiamo andare molto indietro nel tempo; dobbiamo cioè partire dall’inizio, dalle ragioni storiche ed economiche della nascita di questa banca. Sono certo che pochissimi sono a conoscenza che il primo “banco” in Sicilia fu istituito alla fine del ‘400. Fu una nobile famiglia dedita anche all’attività mercantile, quella dei Sanchez, ad aprirlo insieme ad Ambrogio Levi, il cui cognome è di chiara derivazione ebraica, anche se il nome Ambrogio evidenzierebbe una nascita milanese. Questo banco ebbe la tesoreria in Sicilia per conto del re Ferdinando il Cattolico; ma le forze dei fondatori da sole non bastarono a coprire gli anticipi di tesoreria necessari e alcune famiglie genovesi irruppero ben presto sulla scena finanziaria dell’Isola fino a monopolizzare nei decenni successivi il “mercato bancario” siciliano con vari sportelli sparsi sul territorio dediti soprattutto all’attività finanziaria per conto dei mercanti dell’epoca. Nel 1551 e nel 1587 vengono istituite a Palermo e a Messina (che erano le due città più importanti dell’Isola) le “Tavole Pecuniarie”, che ebbero funzioni di deposito e di tesoreria, molto meno di banche d’affari; mentre il credito al consumo iniziò a essere elargito dai monti dei pegni e il “credito d’affari” - come a quel tempo era definita l’attività di prestare denaro per impiantare o sostenere un’impresa – rimase nelle mani dei mercanti più facoltosi. Ben poco di articolato e di organizzato, quindi. Fu così che «la Sicilia arrivò al XIX secolo senza banchi né banche, senza un’organizzazione creditizia, senza un sistema - qualunque fosse – capace di vitalizzare la sua economia e la sua potenziale ricchezza», come acutamente scrive lo storico e archivista Carmelo Trasselli; il quale nota altresì che i Borboni, dal canto loro, erano gelosissimi della loro monetazione, a tal punto da «respingere con orrore la carta moneta... I soli titoli di credito noti in Sicilia» – continua - «rimasero le tratte dei mercanti e le “fedi di credito” che non avevano le funzioni del “biglietto” perché rappresentavano denaro metallico realmente depositato». Solo quando il casato dei Borbone era ormai prossimo alla sua fine, nel 1843, furono istituite dalla corona le Casse di Corte (sempre a Palermo e a Messina) che, sebbene fossero istituti di semplice deposito e circolazione, operarono congiuntamente, tanto che con lo scoppio della rivoluzione del 1848 e il momentaneo distacco della Sicilia dalla capitale borbonica Napoli, divennero col governo rivoluzionario due articolazioni di un unico “Banco Nazionale della Sicilia”. Il 13 agosto 1850, dieci anni prima della spedizione garibaldina in Sicilia, nasceva il Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro, con sede in quell’edificio di Piazza Marina a Palermo che da sempre è conosciuto dai palermitani come “Palazzo delle Finanze”; e il 10 aprile 1859 iniziarono a operare anche le due Casse di Sconto di Palermo e Messina, nate per lo sconto di cambiali e per anticipi su merci e su «mesate di stipendio IL CLUB n. 109 – pag. 41 agli impiegati dello stato», con tassi di interesse calmierati. La situazione economica e finanziaria dell’Isola all’atto dell’impresa garibaldina e dell’annessione della Sicilia all’Italia era quindi abbastanza poco evoluta, ma il mutamento politico successivo al 1860 portò subito molte novità. In quel momento le famiglie economicamente più prestigiose dell’Isola erano i Florio, i Chiaramonte Bordonaro, i Raffo, i Pojero, i Varvaro, autorizzati anche dalle posizioni chiave in cui erano collocati loro rappresentanti (governatori del banco, deputati della borsa dei cambi, membri della Camera Consultiva del Commercio) a indirizzare e controllare agevolmente le attività economiche e finanziarie di tutta la Sicilia. Fu proprio per loro iniziativa che fu istituto il Banco di Circolazione per la Sicilia, con sede a Palermo e succursali a Messina e Catania, con capitale iniziale di 6 milioni di lire italiane diviso in 6.000 azioni da 1.000 lire l’una. Ma quella banca, per quanto regolarmente istituita, non divenne mai realmente operativa abortendo prematuramente. Fu solo dalle ceneri del Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro, mai soppresso, che ebbe di fatto origine il Banco di Sicilia, banca pubblica che segnò comunque per gli operatori economici dell’Isola il primo momento di una presa di coscienza della loro funzione autonoma all’interno dell’economia “italiana” che proprio in quegli anni andava creandosi a seguito dello stato unitario e della circolazione anche nell’Isola della prima carta moneta in sostituzione della sola moneta metallica. Ma la nascita di questa prima vera banca siciliana attirò subito su di sé la reazione della finanza piemontese e ligure, inducendo Carlo Bombrini, che allora dirigeva la Banca Nazionale (nata come banca di emissione dei Savoia dalla fusione nel gennaio del 1850 della Banca Nazionale degli Stati Sardi, della Banca di Genova e della Banca di Torino), ad aprire una propria filiale anche a Palermo, come quella che la banca aveva appena aperto a Napoli, anche parere, il governo sabaudo decise quindi di autorizzare l’istituzione di filiali in Sicilia della Banca Nazionale, ma senza tuttavia fare cessare l’attività del Banco di Sicilia che infatti proseguì, come avvenne in Campania col Banco di Napoli, anche se seguirono comunque anni difficili e di continui screzi fra le due istituzioni, culminate con l’introduzione - il 1° maggio del 1866 - del costo forzoso del denaro che obbligava le banche autorizzate a emettere fedi di credito (titolo di credito solo in parte uguale all’attuale assegno circolare) a immobilizzare presso le proprie casse almeno «due terze parti della massa metallica a copertura delle emissioni» dei titoli stessi. In contropartita, però, quando la Banca Nazionale riceveva presso i suoi sportelli le fedi di credito emesse dal Banco di Sicilia, iniziò a incamerarle cambiandole con cartamoneta e obbligando il Banco di Sicilia a restituire in stanza di compensazione giornaliera monete. Il decreto con cui Vittorio Emanuele II autorizzava il Banco di Sicilia ad aprire altre sedi in Sicilia e nella penisola oltre a quelle iniziali di Palermo e Messina per evitare che l’emissione di carta moneta per conto dello stato unitario potesse essere un giorno effettuata da più banche, come qualcuno aveva subito ipotizzato attribuendo tale compito, per la Sicilia, proprio al Banco di Sicilia, come in Campania al neonato Banco di Napoli. Da qui a chiedere la chiusura dei due “banchi meridionali” (come già allora vennero definiti) il passo fu rapidissimo. Ma l’operazione non riuscì: il Consiglio del Banco di Sicilia, che operava – ricordiamolo – per conto dello Stato, fu infatti chiamato a esprimere un parere sulla delicata vicenda; e, pur non manifestando in linea di massima alcuna opposizione all’istituzione in Sicilia di filiali della Banca Nazionale, fu chiaramente dell’avviso che «non era conveniente né possibile abolire l’istituzione prosperante del Banco governativo, perché esso prestava dei servizi e delle agevolazioni che la Banca Nazionale non avrebbe offerto coi biglietti al latore e col suo genere di operazioni... Un passo non giustificabile abolire un’istituzione che rendeva utilissimi servizi al commercio, alle private contrattazioni, al Governo», come è scritto negli atti del Consiglio del Banco di Sicilia di quel tempo. Anche a seguito di questo IL CLUB n. 109 – pag. 42 Una fede di credito del Banco di Sicilia, titolo di credito che consentiva la girata “condizionata” che è stato emesso fin quando il Banco è stato un istituto di credito di diritto pubblico, cioè fino al 1990 La “guerra” fra le due banche comportò che anche il Banco di Sicilia, come contromisura, iniziò «a fare circolare i propri valori tenendo a sua volta in serbo quelli della Banca Nazionale da utilizzare unicamente per eseguire la riscontrata con essa e con le sue casse», come sottolinea lo storico Romualdo Giuffrida nel suo volume “Il Banco di Sicilia”. Questo causò la sparizione della “moneta” in Sicilia con una crescente crisi finanziaria dovuta «all’emissione di un estesissimo numero di polizzini di piccolo taglio pagabili al portatore» (sempre il Giuffrida, ibidem). Questa crisi strisciante, che caratterizzò con vari scandali tutta l’Italia, si concluse con un apposito atto legislativo che fu emanato l’11 agosto del 1867, allorquando il Governo, per rispondere alle richieste degli stessi siciliani, trasformò il Banco di Sicilia, unico stabilimento pubblico dell’Isola, in “Ente Morale Autonomo”, annettendovi le Casse di Sconto fino a quel momento autonome. Per inciso, analoga trasformazione ebbe luogo anche per il Banco di Napoli. E fu così che i due banchi meridionali nel 1867 divennero istituti di credito autonomi, pur se a capitale pubblico, sottraendo alla Banca Nazionale il monopolio dell’emissione della carta moneta attraverso l’autorizzazione ad emettere polizzini di cassa e fedi di credito, richiedibili a titolo gratuito per evitare di portare con sé masse monetarie ingenti da una parte all’altra dell’Italia, titoli negoziabili a vista al portatore presso ogni filiale in Italia anche della Banca Nazionale. La prima espansione e la direzione di Notarbartolo Un’ulteriore valorizzazione del Banco di Sicilia avvenne con la progressiva apertura di nuove filiali in Sicilia (le prime a Catania, Girgenti, Trapani e poi a Caltanissetta, Siracusa e pian piano anche nel “continente”) e con l’autorizzazione già nel 1870 a effettuare operazioni di credito fondiario. Fra una crisi finanziaria e l’altra, qualche anno più tardi, la legge Minghetti del 1874 autorizzò sei banche in Italia, fra cui il Banco di Sicilia, ad emettere “biglietti di banco”; in cambio queste sei banche, riunite in consorzio, avrebbero concesso allo stato un prestito di un miliardo di lire, una enormità per l’epoca, a causa delle cattive condizioni del bilancio dello stato. Ma mentre le altre banche cessarono questa attività nel 1893, il Banco di Sicilia ebbe il privilegio insieme al Banco di Napoli di proseguirla ininterrottamente fino al 1926, affiancando l’istituto di emissione che continuò a gestire la tesoreria di stato, anche se la denominazione “Banca Nazionale” con la legge 449 del 1893 (che riordinò dopo le varie crisi finanzia- Banconota di 1 lira emessa dal Banco di Sicilia, nella sua funzione di istituto di emissione proseguita fino al 1926 rie di fine ‘800 la banca) fu modificata definitivamente in “Banca d’Italia”. Il massimo prestigio del Banco di Sicilia a fine ‘800 corrispose alla gestione del Direttore Generale Emanuele Notarbartolo, che era stato fra i seguaci di Garibaldi e che per circa tre anni era stato anche Sindaco di Palermo, uomo integerrimo che, fra le altre azioni intraprese per rendere più solida la banca e per aumentarne la funzionalità, riuscì ad avere affidata dallo stato la gestione finanziaria delle opere pubbliche e quella del credito agrario. Oltre a ciò la grande intuizione del Notarbartolo fu quella dell’apertura di una rete di agenzie (non di sedi come lo erano state le prime filiali), sì autonome, ma “controllate da una operazione superiore”, cioè appunto da sedi capozona. Oltre all’apertura di Roma, Milano e Reggio Calabria, la banca iniziò la sua espansione in centri di grande interesse commerciale (per lo zolfo, per l’agricoltura, per il commercio), come Caltagirone e Sciacca. Emanuele Notarbartolo, Direttore Generale del Banco di Sicilia dal 1876 al 1890, assassinato dalla mafia il 1° febbraio 1893 IL CLUB n. 109 – pag. 43 Il suo lavoro al Banco di Sicilia non fu però semplice, e non solo per le continue crisi finanziarie che attanagliavano l’Italia del tempo. Il consiglio generale della banca era composto infatti principalmente da politici, molti dei quali collegati ad apparati locali di potere o peggio collusi anche con la mafia. Per di più, durante il governo Depretis furono affiancati a Notarbartolo due personaggi a lui notoriamente ostili, tra cui il parlamentare Raffaele Palizzolo. Il deputato, come si sussurrava all’epoca in tutti gli ambienti, era colluso con la mafia locale e le sue speculazioni avventate avevano già creato non pochi screzi con il Notarbartolo. Nel 1882 Emanuele Notarbartolo fu addirittura oggetto di un sequestro, con la liberazione avvenuta solo a seguito del pagamento di un riscatto. Ma fu solo il prologo della sua triste fine: dopo la manifesta progressiva ostilità cui andò sempre più incontro nella sua azione, Notarbartolo fu infine costretto dopo 14 anni alle dimissioni dalla carica di Direttore Generale e addirittura a intentare una causa con lo stesso Banco di Sicilia che gli negava la dovuta pensione. Infine, il 1° febbraio 1893, mentre era sul treno che da Termini Imerese lo avrebbe condotto a Palermo, nei pressi di Trabia venne ucciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, legati alla mafia siciliana. Questo caso avrebbe acceso un importante dibattito sulla situazione della mafia in Sicilia e in Italia e, soprattutto, sulla collusione tra mafia e politica, ma inizialmente nessuno osò fare nomi. Solo nel 1899 la Camera dei Deputati au- torizzò il processo contro l’on. Palizzolo riconoscendolo mandante dell'assassinio; ma per quanto in primo grado il Palizzolo fosse stato giudicato colpevole e condannato, nel 1905 fu assolto in appello per insufficienza di prove. L’onorevole Nervo, quindi un politico, sostituì Notarbartolo nella carica prima di Commissario Governativo e poi nel 1890 di Direttore Generale (allorquando fu ricostituito il Consiglio Generale dell’Istituto che era stato sciolto con le dimissioni di Notarbartolo). Ma dopo poco tempo fu il Duca della Verdura a prendere il suo posto (era il 18 febbraio 1891). Crispi aveva nel frattempo istituito una commissione ispettiva che verificasse l’effettiva solvenza delle banche italiane, sempre attanagliate da continue crisi, in particolare le banche di emissione (come il Banco di Sicilia). E proprio il Banco di Sicilia vacillò davanti alla scoperta di speculazioni di borsa non coperte da preventiva autorizzazione del Consiglio, tanto che anche il Duca di Verdura fu costretto alle dimissioni. Ci volle la nuova legge bancaria del 1894 per portare un po’ di serenità nell’ambiente bancario italiano, e al Banco di Sicilia nello specifico, anche se le tristi vicende delle guerre d’Africa e del primo conflitto mondiale avrebbero nuovamente indebolito il quadro economico e finanziario della nazione e, ancor più, di tutto il meridione e della Sicilia. Il primo Novecento L’evoluzione dei principi normativi che regolavano il mercato finanziario e creditizio in Italia portò nel 1926 a riscrivere la legge bancaria del 1894, affidando alla sola Banca d’Italia il compito di istituto di emissione e di tesoreria dello Stato e autorizzando invece tutte le altre banche ad effettuare operazioni di deposito e di affidamento. Nel 1926, quindi, il Banco di Sicilia cessò insieme al Banco di Napoli la sua funzione di istituto di emissione, anche se fedi di credito e polizzini di cassa continuarono ad essere emessi insieme ai vaglia cambiari al posto degli assegni circolari consentiti a tutte le altre banche, con agevolazioni quindi sul deposito di fondi precostituito a garanzia dell’emissione e del denaro così circolante. Il palazzo che ha ospitato finora la Direzione Generale del Banco di Sicilia in Via Ruggero Settimo a Palermo Gli anni a cavallo delle due guerre furono anche segnati per il Banco di Sicilia da una imperiosa apertura di filiali in tutta la Sicilia e in molte città della penisola e si pensò anche all’edificazione di una nuova sede centrale a Palermo. Infatti, dopo un breve periodo nel quale la sede del Banco di Sicilia era stata trasferita dal Palazzo delle Finanze di Corso Vittorio Emanuele a Palazzo Nasca in via Roma, durante il ventennio si sviluppò la necessità di edificare ex novo un palazzo che ospitasse molto più comodamente sia la Direzione Centrale che la sede operativa palermitana dell’Istituto. Il progetto della nuova costruzione fu affidato all’architetto Salvatore Caronia Roberti, allievo del Basile, che ideò una compatta volumetria in stile modernista, peraltro assai tipico del periodo, in linea con quella che egli stesso definì "la volumetria e la razionalità mediterranea". Nel 1933 si diede inizio ai lavori, affidati all’impresa Cardillo, e in tre anni fu realizzato il palazzo che ha il suo prospetto principale sulla Via Roma, nuovo asse viario della città dei primi anni del secolo, ma che ben si radicava all’allora centro economico e finanziario di Piazza Borsa (oggi Piazza Cassa di Risparmio), dove il Basile aveva realizzato la sede dell’allora direzione della Cassa siciliana. Fra i locali del palazzo, che si presenta massiccio e squadrato, con marmi grigi su tutto il prospetto (e che dalla fine degli IL CLUB n. 109 – pag. 44 anni ‘50 ospita solamente la Sede di Palermo del Banco di Sicilia), i più eleganti sono certamente il salone di cassa del piano terreno e la vecchia Sala del Consiglio, oggi adibita a sala delle riunioni della direzione, dove per tanti anni sono stati esposti alle pareti i ritratti dei Direttori Generali del Banco a partire dalla sua fondazione (adesso i dipinti si trovano presso la Fondazione Banco di Sicilia in Via Libertà). Il secondo Novecento Dopo gli anni della seconda guerra mondiale, il Banco di Sicilia iniziò una politica di consolidamento del proprio patrimonio immobiliare; fra gli altri immobili acquisì sulla Via Ruggero Settimo, cuore nevralgico del nuovo centro cittadino fra il Teatro Massimo e il Teatro Politeama, una vasta area edificabile venutasi a creare a seguito delle distruzioni belliche, e lì decise di costruirvi un nuovo edificio per trasferirvi gli uffici della Presidenza e della Direzione Generale. La nuova costruzione fu collegata alla sistemazione urbanistica del rione Villarosa e fu bandito dal Banco un «concorso pubblico per la compilazione del progetto relativo all’aspetto architettonico del Palazzo del Banco di Sicilia». I lavori, affidati alla Società Costruzioni Siciliane, si conclusero nel 1957. L’edificio, in marmo bianco, fu realizzato con ampi portici e con una teoria di finestre ritmate da semicolonne. Sull’ottagono di Piazza Re- galmici un bel fregio, sempre in marmo bianco, compare nella parte alta della costruzione sotto la scritta "Banco di Sicilia", mentre in basso i portici sono chiusi da un fregio geometrico in marmo rosa. Nel palazzo sono state ospitate sia la Presidenza che la Direzione Generale che la Sala del Consiglio, nonché alcuni degli uffici della Direzione Centrale. Altri uffici si trovano nell’adiacente nuova costruzione, conclusa e acquisita dal Banco nel successivo 1979, che prospetta sempre sulla Via Ruggero Settimo. In questo stesso periodo, mentre le aperture di filiali proseguono incessantemente, il Banco si dota di un Ufficio Studi e inizia a valorizzarsi e ad accreditarsi istituzionalmente anche nel ruolo di sponsor culturale. Molti furono proprio in quegli anni, per esempio, gli interventi in favore dell'archeologia siciliana da parte del Banco di Sicilia, il primo dei quali riguardante l’area archeologica di Selinunte. Vi è un aneddoto rac- contato, in un intervista di alcuni anni fa, dal prof. Vincenzo Tusa, a lungo illustre professore dell’Università di Palermo, da poco scomparso, per anni Sovrintendente del Capoluogo siciliano, che in un‘intervista di alcuni anni addietro sintetizzò così le ragioni di questa sensibilità: «Quando nel ‘63 ho cominciato ad occuparmi attivamente di Selinunte in qualità di Sovrintendente - sono appunto le parole di Vincenzo Tusa - gli scavatori clandestini infestavano la zona saccheggiandone in maniera irreparabile i reperti archeologici. Era questo forse il principale problema da risolvere, che mi spinse a conoscere meglio i "clandestini"... Erano analfabeti, senza possibilità di lavoro, non avevano neanche le barche per andare a pescare, e gli scavi rimanevano così la loro unica fonte di reddito. Cominciai ad avvicinarli... dovevo assolutamente risolvere il problema... Occorrevano adeguati finanziamenti, ma volevo al tempo stesso evitare le lungag- Una sala del Museo Ignazio Mormino, a Villa Zito in Via Libertà a Palermo, oggi sede della Fondazione Banco di Sicilia; il museo ospita, fra le altre collezioni, una preziosa raccolta di reperti archeologici il cui nucleo originario è quello degli scavi operati nell’area di Selinunte a metà del ‘900 con il contributo finanziario, fondamentale, del Banco IL CLUB n. 109 – pag. 45 gini burocratiche che avrebbero consentito ai tombaroli di lasciare ben poco dei tesori ancora nascosti nella necropoli. Pensai così di fare visita al dott. Carlo Bazan, allora Presidente del Banco di Sicilia... Bazan mi accolse con grande cortesia e accettò la mia richiesta d’aiuto... Tornai a Selinunte trionfante. Iniziarono così quattro anni di scavi, dal ‘63 al ‘67, finanziati dal Banco di Sicilia... Alla fine degli scavi, all’Istituto spettò un quarto del valore dei reperti trovati». Possiamo dire che il Banco di Sicilia promosse a quel tempo un’operazione di sponsorizzazione culturale in un’epoca in cui questi interventi erano considerati pionieristici. E questo è forse il grande merito dell’Istituto, che nella settecentesca Villa Zito a Palermo, oggi sede della Fondazione Banco di Sicilia, ha realizzato un ricchissimo Museo, intitolato a Ignazio Mormino, a ricordo del Direttore Generale del Banco sotto i cui auspici aveva avuto origine nel 1954 la "Fondazione per l'incremento economico, culturale e turistico della Sicilia". Sulla politica di espansione del Banco di Sicilia nella seconda metà del ‘900 va aggiunta qualcosa: oltre a consolidare la propria posizione in Italia con l’apertura di nuove filiali in quasi tutte le regioni, il Banco si propose fra le prime banche italiane anche all’estero con l’apertura di filiali e uffici di rappresentanza in tutta Europa, in Asia e in America; la filiale di New York, fra tutte le altre, diverrà addirittura la più importante banca italiana negli Stati Uniti. Ma questa enorme espansione aveva forse i piedi di argilla e, anche per le continue sovrapposizioni fra la sfera economicogestionale e quella politica, il Banco di Sicilia, assai scoperto sul piano del capitale proprio e dei fondi rischi rispetto alla massa finanziaria circolante e dei prestiti erogati, entrò in crisi a fine anni ’80. La situazione lo accomunava a tutte le banche del Meridione, e in particolare a quelle pubbliche che scontavano una carenza di mezzi propri, segno anche di una economia meno solida delle regioni meridionali nonché di una gestione amministrativa squilibrata dal punto di vista aziendale: si trattava sempre di un’azienda pubblica, gestita con criteri che erano disallineati rispetto a quelli di altre banche private, organizzate come società per azioni, che avevano sempre gestito le loro attività con criteri meno clientelari e aprendo sportelli solo dove le piazze avrebbero garantito redditività (mentre il Banco di Sicilia, in quanto banca pubblica, operava in Sicilia in quasi tutti i Comuni, anche in quelli dove le filiali erano in perdita, al pari delle Poste). Fu così che il 21 agosto 1990, dopo un lungo iter legislativo, entrò in vigore una nuova legge bancaria che radeva al suolo alcuni postulati della legge precedente, la cosiddetta legge Amato-Carli: le nuove norme attuarono fra l’altro la trasformazione del Banco di Sicilia e cilia, alla quale fu girato il tesoro artistico della banca, fra cui le opere archeologiche che erano toccate al Banco con il finanziamento degli scavi di Selinunte. Nel giro di pochi anni però i mutamenti si susseguirono a ritmo incalzante. Dopo gli anni della massima espansione anche all’estero voluta dal Direttore Generale Ottavio Salamone, la banca entra seriamente in crisi per il peso esorbitante dei crediti in contenzioso e viene commissariata di fatto dalla Banca d’Italia a opera di Cesare Caletti. Nel 1997, dopo la positiva valutazione espressa dalla Banca d’Italia, il Banco di Si- L’evoluzione del marchio del Banco di Sicilia negli ultimi anni delle altre banche pubbliche in società per azioni sollecitando una ricapitalizzazione aziendale e scorporando in apposite Fondazioni tutte le attività non strettamente legate all’attività finanziaria e creditizia. Il 2 maggio 1991 la Regione Siciliana approvò quindi una legge per la ricapitalizzazione delle banche pubbliche siciliane. Il 21 dicembre venne firmato l'atto costitutivo del Banco di Sicilia SpA che dal 1° gennaio 1992 iniziò l'attività in Italia e all'estero nella nuova veste giuridica di società per azioni, lasciando le altre attività (culturali e filantropiche) alla “Fondazione” Banco di Si- cilia acquisisce attività e passività della Sicilcassa S.p.A. (altra banca ex pubblica dell’Isola), prepotentemente in crisi e ormai in liquidazione. Successivamente il Mediocredito Centrale, banca di sviluppo e investimento con sede a Roma, fa il suo ingresso nella compagine azionaria della nuova aggregazione creditizia. Fu forse questo il canto del cigno per il Banco di Sicilia, rinnovato managerialmente sotto la guida del compianto Gianfranco Imperatori che investì sul Banco tutte le sue forze per indirizzarlo secondo logiche di sviluppo commerciale e del territorio. IL CLUB n. 109 – pag. 46 Le ultime vicissitudini Dopo che il Banco entrò a far parte del gruppo Mediocredito Centrale, il processo di privatizzazione avviato dal Ministero del Tesoro toccò anche questa banca di sviluppo: il pacchetto azionario di MCC venne infatti a sua volta acquisito dalla Banca di Roma. Nel 2002, con la riorganizzazione del Gruppo BancaRoma, il Banco di Sicilia venne incorporato nella Banca di Roma e, contestualmente, le sue attività bancarie tradizionali (solo quelle) furono scorporate e conferite ad una nuova società, operativa dal 1° luglio 2002, che riassunse la denominazione Banco di Sicilia, partecipata al 100% da Capitalia, nuova denominazione della holding del gruppo bancario. Ma il nuovo Banco di Sicilia era in realtà monco di alcune parti, dato che fu subito privato dei suoi immobili, della tesoreria e della finanza; cioè della sua reale ricchezza. Nel giro di qualche mese vennero chiuse tutte le sue filiali estere e si avviò anche un piano di razionalizzazione degli sportelli di tutto il Gruppo per evitare sovrapposizioni territoriali. Ma la storia non è ancora finita. Nel 2007, a seguito del processo di fusione fra il Gruppo Unicredit e il Gruppo Capitalia, il Banco di Sicilia entrò a far parte di Unicredit Group. Anche qui, a seguito della riorganizzazione del nuovo Gruppo, il Banco di Sicilia venne incorporato in Unicredit; contestualmente le attività bancarie retail (per le famiglie e le piccole imprese) nella sola Sicilia delle tre banche (Banco di Sicilia, Unicredit e Banca di Roma) furono scorporate e conferite ad una nuova società che riassunse la denominazione Banco di Sicilia; mentre il Banco perse le attività bancarie legate alle grandi e medie aziende e alla gestione dei patrimoni privati, oltre che tutte le filiali che aveva nella penisola tranne tre, di “rappresentanza”, a Roma, Milano e Torino. L’ultimo atto è di qualche settimana fa: il 27 ottobre 2010 si è riunito per l’ultima volta il Consiglio di Amministrazione del Banco di Sicilia, presieduto dall’ultimo presidente Ivan Lo Bello; prima dell’estate la Capogruppo aveva avviato già l’iter per l’incorporazione definitiva del Banco di Sicilia SpA e delle altre banche italiane del gruppo; in tal modo Unicredit ha riassunto sotto il suo nome tutte le attività bancarie (corporate investment, retail e private) con il cosiddetto “bancone unico”. Scompaiono quindi dal 1° novembre 2010 sia il Banco di Sicilia SpA che Unicredit Banca di Roma SpA, Unicredit Corporate Banking e Unicredit Private Banking. Il marchio “Banco di Sicilia” rimarrà nell’Isola, forse solo per qualche altro anno ancora, ma solamente come “marchio commerciale”. Il magone c’è, inutile nasconderlo, soprattutto per tanti di noi che in questa banca abbiamo trascorso i migliori anni della nostra vita. «Il sentimento della nostalgia è del tutto legittimo» – afferma Salvatore Butera, a lungo capo del Servizio Studi del Banco e oggi Consigliere della Fondazione Banco di Sicilia – «ma il giudizio sulla fine di un’epoca deve essere solo storico e basato esclusivamente sui documenti. E quindi, se è il caso, deve anche essere spietato». «Il Banco è entrato in agonia irreversibile» – gli fa eco Gianni Puglisi, che della medesima Fondazione è Presidente – «in un periodo il cui il sistema economico siciliano era fuori da ogni controllo e ha perso la propria autonomia nel momento in cui si è spenta la sua capacità di essere volano dell’economia siciliana». Nella realtà, secondo un altro economista siciliano, il prof. Carlo Dominici, che fu anche Presidente della Fondazione Banco di Sicilia nonché Vice Presidente del Banco di Sicilia SpA, il Banco «ha perduto la sua identità già ai tempi dell’arrivo del Banco di Roma, quando fu svuotato del patrimonio e dei suoi migliori asset». E forse è proprio così ed è a un tempo un po’ meno recente dell’attuale che bisogna andare per decretare la sua reale fine. Insomma, fra giudizi contrastanti, mutamenti organizzativi anche profondi, esuberi di personale, fusioni e controfusioni, ci lasciamo alle spalle l’ultima rivoluzione, il bancone unico creato da Unicredit con tutte le banche italiane del Gruppo. Speriamo sia stata la soluzione migliore. Come dire: niente lacrimucce, è la globalizzazione, ragazzi... Maurizio Karra Alcuni degli uomini che hanno guidato il Banco di Sicilia negli ultimi anni: Ivan Lo Bello ne è stato l’ultimo presidente, Roberto Bertola l’ultimo Amministratore delegato, adesso alla guida del Network Famiglie e Piccole e Medie Imprese di Unicredit in Sicilia Salvatore La Francesca Beniamino Anselmi Cesare Caletti Ivan Lo Bello Gianfranco Imperatori Roberto Bertola IL CLUB n. 109 – pag. 47 Il mio camper Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto, dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi! «P er spiegare perché io e la mia famiglia viaggiamo in camper, piuttosto che andare in vacanza nei villaggi turistici o in tour organizzati, devo cominciare a raccontare di quando, dall’età di 9 anni, ho iniziato a fare “vacanza en pleinair” con la tenda, senza la presenza dei genitori». Così si presenta Giovanni Anello, socio del nostro Club dal 2006 dopo aver acquistato il proprio camper l’anno precedente. «Ho cominciato, infatti, a 9 anni – continua - facendo il lupetto in un gruppo di Boy Scout nella parrocchia di Santa Lucia, di fronte il carcere dell’Ucciardone di Palermo. Ricordo ancora perfettamente la prima notte in tenda nel lontano luglio del 1974, a Fonte Ramosa nel Bosco della Ficuzza, avvolto in un pesante sacco a pelo militare comprato da mio padre, il giorno prima di partire, in quello che in quei tempi era l’unico luogo dove si potevano comprare attrezzature da campeggio a poco prezzo: al mercatino dei Lattarini. Ero talmente emozionato che non chiusi occhio tutta la notte. Ma da quel giorno ho iniziato ad amare questo tipo di vacanza, a stretto contatto con la natura e con il territorio». E’ indubbio che per Giovanni Anello la scelta di viaggiare in camper sia stata, quindi, l’evoluzione naturale di quell’innamoramento iniziale, «un tipo di vacanza che non delega ad altri tutti gli aspetti organizzativi e che, soprattutto, è sempre aperto a nuovi ed imprevisti cambiamenti di itinerario, decisioni dettate dall’emozione che può far nascere un’immagine, un monumento o un panorama osservati pochi minuti prima in un depliant o in una cartolina esposte in una bancarella durante la vacanza», sottolinea. E’ ovvio che il passaggio dalla tenda al camper è stato graduale, con una primissima esperienza nel 1992 con il noleggio con tre amici a Roma di un vecchio Rimor Sloop 560 col quale girarono in lungo e in largo l’Austria. Quell’esperienza fece capire definitivamente al nostro Giovanni che l’acquisto di un camper sarebbe stata soltanto una questione di tempo. Nel 1996 il nostro Giovanni conosce Serena e dopo nemmeno due anni, a dicembre del 1998, si sposano. E nonostante Serena avesse avuto fino ad allora un concetto di vacanza diverso dal suo, quasi esclusivamente basato su itinerari turistici proposti dalle agenzie specializzate, la “vacanza en pleinair” li ha messo immediatamente d’accordo e così, «dopo alcune vacanze in tenda, ci ripromettemmo di provare alla prima occasione l’esperienza del viaggio in camper, che era una novità assoluta per mia moglie. Il nostro primo viaggio in camper è stato nell’estate del 1999, Serena era già in attesa della nostra prima figlia, Maria Chiara. Abbiamo affittato a Pisa un altro mezzo prima e tenuto in maniera quasi maniacale dal primo proprietario. Il passo immediatamente successivo è stato quello di associarsi al nostro Club, incoraggiato dai alcuni colleghi e amici che già ne erano soci. Qual è il giudizio su questo mezzo? «Avevo già conosciuto le qualità costruttive di questa marca, in occasione di uno dei noleggi presso l’Holiday Camper di Misilmeri. È davvero costruito con materiali resistenti, e con tre bambini piccoli a bordo è stato facile constatarlo di persona. Durante la marcia, non si sentono cigolii nelle giunture e nel mobilio, lo Da sinistra Serena, Francesco, Giovanni, Gabriele e Maria Chiara Anello davanti al loro Challenger della Rimor insieme a una coppia di amici, per fare un bellissimo giro della Toscana e dell’Umbria. Dopo quell’esperienza assolutamente positiva, ci siamo convinti che la vita in camper faceva per noi e che, quindi, prima o poi avremmo fatto il grande passo: acquistarne uno tutto nostro». Ma quel passo non è stato immediato: dopo la nascita del secondo bambino, Gabriele, la famiglia Anello ormai composta da 4 persone, affitta nell’estate del 2001 un camper a Roma, e con quello effettua un bellissimo tour del centro Italia. Dopo la nascita del terzo figlio, Francesco, e altri tre noleggi di camper tra il 2003 e il 2004, finalmente nel 2005 l’acquisto dell’attuale mezzo: un Challenger 172 di seconda mano, 7 posti letto, già dotato di tutti gli optional, immatricolato appena un anno IL CLUB n. 109 – pag. 48 spazio interno è più che sufficiente per una famiglia con tre bambini. L’unico neo che gli trovo, non potendo rinunciare ad una delle due cuccette laterali, è la limitata capacità di stivaggio esterno. Un altro mezzo con la doppia cuccetta posteriore invece che laterale e con doppio portello di accesso avrebbe risolto questo problema, ma l’occasione che ci era capitata non poteva essere rifiutata. Altro piccolo difetto è la dimensione del bagnetto, forse troppo piccolo rispetto ad altri modelli, ma dopo tutto si tratta di ben poca cosa rispetto alla qualità di tutto il resto». Purtroppo, si rammarica Giovanni, la sua partecipazione alle gite associative non è mai stata assidua, dapprima perché i bambini erano ancora troppo piccoli e non ci consentivano di seguire il ritmo delle gite, delle visite guidate e delle cene luculliane che il Club da sempre organizza mensilmente. Adesso che i figli sono più grandi, il motivo è dettato dai ritmi di lavoro che, a causa dei numerosi impegni sopraggiunti con l’avvento di Unicredit, lo costringono a stare fuori Palermo quasi ogni settimana e che, quindi, non gli lasciano molto spazio per uscire con una certa assiduità durante il sabato e domenica. Da molti anni Giovanni Anello è infatti analista funzionale nell’ambito dei Canali Telematici presso il Centro elettronico della banca. «A partire dalla convergenza di Capitalia in Unicredit, sono stato chiamato a fare molte trasferte, prima presso i poli di Roma e Verona e poi, da un paio di anni a questa parte, anche a Monaco e a Vienna, per partecipare ai progetti di migrazione della banca tedesca HVB e di Bank Austria». Ma è anche il lavoro della moglie Serena che a volte costringe la famiglia Anello a limitare le uscite settimanali. Da qualche anno, infatti, la moglie, che è giornalista, è la corrispondente per la Sicilia dell’agenzia di stampa “Redattore Sociale”, specializzata nel reperire sul territorio nazionale attraverso corrispondenti locali notizie che riguardano problematiche di natura sociale e politica che poi diffonde attraverso un portale web a tutti gli organi di stampa nazionali. Oltre a questo lavoro, Serena è da una decina d’anni direttore responsabile del settimanale di ispirazione cristiana “CNTN - Cieli Nuovi e Terra Nuova”, che fa riferimento alla fervente comunità parrocchiale di piazza Magione e all’intuizione di uno dei “preti di frontiera” più intraprendenti di Palermo, padre Giacomo Ribaudo. «E così – aggiunge lei - molto spesso sono gli impegni di lavoro che Carta d’identità Socio: Giovanni Anello (anni 45) Residenza: Palermo Occupazione: Dipendente di UGIS, analista funzionale nell’ambito dei Canali Telematici (sede di lavoro: Palermo, Vienna e Monaco di Baviera) Altre persone che compongono l’equipaggio: la moglie Serena e i tre figli Maria Chiara, Gabriele e Francesco Caratteristiche del camper Veicolo: Challenger Mageo 172 Anno di acquisto: 2005 Anno di prima immatricolazione: 2004 Tipologia: mansardato Meccanica: Ford Transit 2.5 Misure: lunghezza: m. 7,10, larghezza: m. 2,30, altezza: m. 3,15 Posti omologati: n. 6 Posti letto: n. 7: 1 matrimoniale in mansarda, 2 singoli a castello in coda, 1 matrimoniale ottenibile dalla trasformazione della dinette centrale e 1 singolo centrale ottenibile dalla trasformazione della mini-dinette accanto Serbatoi acque chiare: l. 250 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: Thetford a cassetta Riscaldamento e boiler: Combi Truma a gas con ventilazione Frigorifero: trivalente l. 90 Cucina: piano cottura 3 fuochi + forno Optional montati: tendalino, pannello solare, antifurto, generatore 220v, inverter, retrocamera, televisione Valutazione del mezzo da parte del socio Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa) Impianto freni Tenuta di strada Spazio utilizzabile nella cellula abitativa Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...) Qualità del mobilio ed eleganza arredi Cuscineria e tappezzeria Comodità dei letti Comodità dei divani e dei posti a tavola Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante) Servizio WC/doccia Cucina/piano cottura/frigo ci dettano il calendario delle uscite settimanali in camper». Anche se, ne siamo certi, oltre a questi motivi pro- I nostri soci all’interno del loro camper IL CLUB n. 109 – pag. 49 Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Abbastanza soddisfatto Molto soddisfatto fessionali, ci sono anche gli impegni legati al “mestiere” di genitori e alle attività dei figli, in particolare dei due più grandi che, seguendo le orme paterne, hanno iniziato l’esperienza dello scoutismo e della vita all’aria aperta, e che quindi tutti i sabato e domenica partecipano alle riunioni di Branco (per i più piccoli, i lupetti) e di Reparto (per gli adolescenti, ossia gli esploratori e le guide). «Tengo però a dire una cosa – conclude Giovanni - che i miei figli stanno imparando ad apprezzare le attività del Club; anche nella bella gita di fine ottobre a Militello Val di Catania, Grammichele e Palazzolo Acreide tutti e tre si sono divertiti moltissimo, merito anche della presenza di altri loro coetanei, tanto che, arrivati a casa, ci hanno subito chiesto: “quando facciamo un’altra gita con il Club?”». Maurizio Karra Musica in camper Due proposte internazionali per allietare le nostre gite invernali I l freddo e le sempre più poche ore di piena luce incombono sulle nostre giornate invernali, permettendoci spesso solo di sognare il tempo libero da godere all’aria aperta con il nostro amico camper. E allora, mentre sogniamo le vacanze (ahimé decisamente lontane!), progettando magari il viaggio della prossima estate, non ci rimane che goderci qualche uscita nel fine settimana e le note di una bella canzone con cui farci cullare a piene mani. Fra le novità del mercato discografico, la prima proposta riguarda una giovane cantautrice, pianista e attrice americana, Nora Jones, dalle notevoli doti vocali ed interpretative che spaziano dal jazz al blues, dal pop all’hip hop al country. L’artista ha ottenuto un notevole successo già dall’album di esordio del 2002, “Come away with me”, vendendo circa 20 milioni di copie; e dopo questo strabiliante successo mondiale ha vinto molti premi internazionali, tra cui 5 Grammy Awards in una sola serata. Ha poi bissato i consensi dei fan con l’uscita di altri tre album che l’hanno resa una delle cantautrici più popolari dell’odierno panorama musicale, con la conseguente vendita di 40 milioni di album in tutto il mondo. In questi giorni Nora Jones replica i suoi successi con l’uscita del suo nuovo album “… Featuring”. Si tratta di una collezione di 18 brani che spaziano tra i migliori duetti che la cantante ha eseguito nel corso della sua carriera con numerosi artisti, alcuni dei quali sono degli autentici mostri sacri, come Ray Charles, Willie Nelson e Dolly Parton, per proseguire con Outkast, Herbie Hancock e Bryan Adams. A questo proposito l’artista racconta: «E’ così eccitante, divertente e lusinghiero cantare con qualcuno che ammiro, collaborare con un altro artista ti porta fuori dalle tue certezze, non sai mai cosa aspettarti. Per molti degli artisti presenti in questo album ho sempre avuto, fin da piccola, una venerazione, molti sono più giovani di me e altri miei coetanei; anche se tutti questi artisti sono così differenti tra loro è solo mettendo insieme questi brani che si trova il giusto senso». Ed effettivamente ascoltando questi pezzi, alcuni dei quali non sono mai stati editati sul mercato discografico, si passa attraverso generi, atmosfere ed emozioni diverse di grande spessore, in grado di arricchire l’anima fino all’ultima nota. Dall’altro capo del mondo arriva la seconda proposta musicale del momento, e precisamente dal martoriato medio oriente; è infatti israeliana la cantante Noa, nata a Tel Aviv da una famiglia di ebrei yemeniti, cresciuta a New York fino all’età di 17 anni quando, in preda ad una crisi di identità, decise di tornare in patria a prestare servizio militare rispolverando in un certo senso le sue origini ...multietniche. Da quel momento, dopo un prevedibile momento di confusione in cui non riusciva nemmeno a parlare ebraico con le sue coetanee, iniziò la sua nuova vita di madre e moglie di un pediatra israeliano e la sua carriera di cantante, profondamente impegnata nell’utilizzo della musica come strumento di riavvicinamento fra i popoli in conflitto, con particolare riguardo alla tragica questione mediorientale. Forse per questa ragione è stata scelta da Roberto Benigni per cantare il pezzo principale della colonna sonora del film “La vita è bella”. Le sue canzoni sono fortemente influenzate dall’ambiente israeliano, con le sue numerose contraddizioni, i suoi dolori e le sue speranze e l’artista per il suo im- IL CLUB n. 109 – pag. 50 pegno sociale è stata nominata Ambasciatrice della FAO. Nel corso della sua carriera ventennale la cantante ha duettato con numerosi artisti, tra concerti e manifestazioni di beneficenza. Ma la sua collaborazione più eclatante è stata con l’attricecantante palestinese Mira Awad; queste due stelle del firmamento mediorientale, come due facce della stessa medaglia, si sono impegnate in una campagna sociale e musicale che ha lo scopo di sensibilizzare il pubblico sul sanguinoso e devastante conflitto in palestina. E poco tempo fa è uscito l’album “There must be another way”, cioè “Ci deve essere un’altra strada”, in cui i 12 brani presenti sono un inno alla pace che ha la caratteristica di essere cantato in tre lingue diverse, l’ebraico, l’arabo e l’inglese, per giungere a più cuori contemporaneamente. Il brano che dà il titolo all’album è un pezzo divenuto celebre per essere stato presentato al concorso annuale di Eurovision per rappresentare lo stato israeliano, innescando numerose polemiche sia da parte ebraica che araba. Ma il messaggio di pace e di speranza trasmesso da questo album è molto chiaro: ci deve pur essere un’altra strada per giungere alla convivenza pacifica di due popoli così diversi e, come spesso accade, la musica è una strada privilegiata per unire anime, popoli e culture così lontane tra loro. Non siete d’accordo? Mimma Ferrante Riflessioni Cucina in camper Come giustificare la propria esistenza Gnocchetti al pesto di zucchine E se quel giorno la sveglia non avesse suonato? Tanti eventi non sarebbero accaduti o non li avrei vissuti. Forse sarebbe stato meglio, non sarebbe accaduto ciò che poi avrebbe condizionato i miei comportamenti, il mio modo di vivere. O forse no. Perché se subito viene da pensare che avrei potuto non vivere quei momenti indesiderabili, contemporaneamente però non avrei vissuto nemmeno tutto il bello, il positivo che sarebbe scaturito da quelle situazioni. Perché la vita è fatta di eventi, occasioni, causa-effetto, coincidenze, azioni e razioni di momenti belli e brutti, apparentemente non legati tra loro ma che invece hanno il senso di esistere, in quanto strettamente in relazione consequenziale. Varrebbe davvero la pena, potendo, cancellare quel brutto momento, fare in modo che non fosse mai accaduto, pensando di eliminare la causa del malessere, sapendo pure che si perderebbe anche tutto ciò che di bello è accaduto in conseguenza a quello accadimento negativo? Forse la risposta viene da sé. Ingredienti: 400 gr. di gnocchetti, 2 zucchine genovesi, 2 cucchiai di pinoli, un pugno di foglie di basilico, ½ bicchiere di olio d'oliva, parmigiano, sale. Ogni essere umano è unico, irripetibile, ogni vita è il risultato di un impasto magico tra positivo e negativo che alle volte subiamo inermi, ma che altre volte possiamo manovrare: aumentare il volere, diminuire il piacere, rinunciare alle novità, accontentarsi del certo, accettare il rischio, affrontare l’incognito… La vita è bella perché viene costruita istante dopo istante, nessuno sa cosa succederà tra un secondo, tra un giorno, tra un mese o un anno. E’ soltanto l’esperienza, la conoscenza di sé che aiuta a scegliere i comportamenti che presumiamo ci possano fare raggiungere gli obiettivi che giustifichino la nostra esistenza. I percorsi sono spesso tortuosi e non sempre gli accadimenti piacevoli e desiderabili. E’ come un romanzo che cresce, si sviluppa e diventa sempre tanto più interessante, quanto più il suo autore è in grado di creare un’alternanza di situazioni piacevoli ed anche meno piacevoli, che si intersecano tra loro. L’osservare i singoli eventi, avulsi dal contesto di un’esistenza, mi porterebbe a IL CLUB n. 109 – pag. 51 Preparazione: tagliare a rondelle le zucchine e lasciarle sbollentare. Scolarle appena cotte e frullarle insieme ai pinoli, al basilico e all'olio d'oliva, salando il tutto. Cuocere la pasta e, appena cotta, amalgamarla al condimento, aggiungendo il parmigiano grattugiato (il pesto si può preparare anche prima e si può congelare). Involtini di tacchino Ingredienti: 4 fette di tacchino, 4 fette di prosciutto cotto, 4 fette di caciocavallo (tagliato sottile), sale, 2 uova, olio d’oliva, pangrattato. Preparazione: porre le fette di tacchino su un ripiano, ricoprendole con una di prosciutto ed una di caciocavallo. Rotolarle e chiuderle con uno stecchino. Passare gli involtini nel battuto d’uova e poi nel pangrattato e friggerle in olio caldo. Enza Messina desiderare di scegliere quali lasciare e quali preferire non fossero mai accaduti, dimenticarli. Si creerebbero dei vuoti nel mosaico tracciato finora. Forse sarebbe gratificante, ma le tessere restanti non avrebbero più relazione, in quel contesto. Il bilancio in fondo è positivo: i segni + sono maggiori dei segni – e in fondo, riflettendo bene, sono contento che quella sveglia, quel giorno, abbia suonato. Luigi Fiscella Internet che passione La “realtà aumentata F orse qualcuno si ricorderà ancora di Tom Cruise, investigatore “precriminologo” in Minority Report, che armeggia con le dita su un video virtuale alla ricerca di file, letteralmente spostati con le mani. Oppure ancora la splendida mappa virtuale tridimensionale di Pandora, il mondo alieno del film Avatar. Si tratta di due esempi, ormai concreti, di “realtà aumentata” e cioè di quella sovrapposizione di informazioni sensoriali reali e virtuali che compongono una “mixed reality”. Da non confondere con la realtà virtuale, il cui ambito è costituito esclusivamente da oggetti virtuali e quindi generati artificialmente, la realtà aumentata riguarda essenzialmente la amplificazione sensoriale di tutto ciò che ci circonda e che vediamo, tocchiamo e sentiamo (sia col gusto che con l’udito), ottenuta grazie all’utilizzo di strumenti informatici, capaci di aggiungere ulteriori elementi di stimolazione sensoria. Un’applicazione della realtà aumentata (o AR, dall’inglese “augmented reality”) molti di noi possono facilmente sperimentarla: un comunissimo smartphone, infatti, con l’ausilio di appropriati programmi e delle periferiche di cui è disposto, quali il GPS o la bussola, può rivelarsi particolarmente utile nell’aiutarci a individuare gli esercizi commerciali o i monumenti che stanno intorno a noi, semplicemente puntandoli con la videocamera del dispositivo. In questo caso l’esatto posizionamento del cellulare, de- Un touchscreen, esempio ormai concreto di “realtà aumentata” terminato dai satelliti collegati al GPS, fa sì che sull’immagine presente nello schermo vengano evidenziate le informazioni relative alla storia di un antico palazzo cittadino o, più semplicemente, il numero di telefono del parcheggio taxi a noi più vicino. O ancora, dettagli sulle opere esposte nei musei o il menu del ristorante della strada adiacente. Link utili http://augmentedworld.it/ http://it.wikipedia.org/wiki/Realtà_aumentata http://be-part-of-it.unicredit.eu/it/tour/digital/ http://www.unicef.it/web/malnutrizione/index.html http://ge.ecomagination.com/smartgrid/#/augmented_reality http://www.joinpad.net/ http://www.tissy.it/category/nuove-tecnologie/realta-aumentatanuove-tecnologie/ IL CLUB n. 109 – pag. 52 Se poi la simulazione si potesse anche spingere oltre, magari restituendoci anche per esempio in anteprima la consistenza tattile della panna del dolce e l’odore del caffé che ci aspettano a fine pasto, l’esperienza sensoriale a distanza potrebbe senz’altro definirsi completa! Inutile dire che questa tecnologia è nata per scopi militari (pensate infatti ad un missile teleguidato, capace di superare tutti gli ostacoli fisici) e per finalità mediche (interventi chirurgici a distanza) ma, com’è spesso accaduto, è stata poi utilizzata in campo civile e in ultimo specialmente su internet, dove è sempre più sovente utilizzata in campo pubblicitario per creare una sia pur minima interazione con il sito che si sta visitando. Uno smartphone, capace di “aggiungere” alla realtà che ci circonda altre utili informazioni Un esempio di tale utilizzo è reperibile nel sito UniCredit dedicato alla Champions League dove, stampando un marker (cioè un’immagine guida che verrà letta dalla webcam e interpretata da un programma applicativo) e accedendo ad una specifica pagina, chiunque può fotografarsi con una virtuale Coppa dei Campioni sul palmo della mano. Con lo stesso sistema nel sito dell’Unicef si potrà effettuare un piccolo tour in un villaggio africano e, nel sito della General Electric, si potrà “dare fiato” ad una centrale eolica! Sempre con l’utilizzo di markers, per esempio, e sempre naturalmente con la nostra webcam e la connessione a internet, si po- trebbe provare a collocare nella propria casa la versione virtuale dei mobili che piacciono, prima del loro acquisto. Stessa cosa per gli abiti o per il taglio dei capelli o il trucco. Oppure ancora, grazie al nostro cellulare, puntando un orizzonte marino, sapere quali relitti stanno nel fondo del mare che tanto stiamo ammirando. Con la realtà aumentata è possibile anche provare in anteprima un paio di occhiali Per concludere, credo sia inutile dire che computer sempre più potenti e sempre maggiore velocità della rete non possono che affinare e potenziare questa tecnologia che, in un futuro forse non troppo lontano, potrebbe magari permetterci di viaggiare in modo attivo, oltre che sensorialmente efficace; dappertutto, anche tra i pianeti del nostro sistema solare! Giangiacomo Sideli La “Coppa dei Campioni” digitale del sito UniCredit IL CLUB n. 109 – pag. 53 News, notizie in breve Una guida per conoscere i luoghi dell’unità d’Italia Il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino, capitale del regno, proclamò Vittorio Emanuele II re d'Italia "per grazia di Dio e volontà della Nazione". Fu l'atto di nascita della Nazione, a compimento di un lungo e controverso percorso cominciato dalla cinque giornate di Milano, proseguito con la spedizione dei Mille di Garibaldi e le grandi battaglie del Risorgimento e conclusosi con i plebisciti di annessione di altre regioni, l'assedio di Gaeta e la breccia di Porta Pia che aprirà le porte di Roma capitale. Per celebrare l’unità d’Italia a 150 anni dalla sua realizzazione, è stata pubblicata anche una guida che vuole condurre gli italiani sui luoghi in cui si sono compiuti i loro destini, alla conoscenza degli eventi storici e politici e dei personaggi che li hanno determinati: la Torino di Vittorio Emanuele II e di Cavour, le Regge dei Savoia, le battaglie di Solferino e Custoza, la Firenze che fu per breve tempo capitale, la Roma finalmente conquistata e la Napoli dei Borbone; e ancora nei musei e Sacrari, e altri luoghi particolari ed importanti o solo curiosi. Il titolo del volume è “L'Unità d'Italia - Guida ai luoghi del Risorgimento da raggiungere in camper”; l’autore è Mario Bussoni, il costo è 19 euro. Pedaggi sulle autostrade siciliane? C'è un nuovo balzello all'orizzonte per il turismo siciliano: il pagamento dei pedaggi autostradali che da qualche tempo è una delle proposte in discussione a Roma per sanare i bilanci dell’Anas potrebbe infatti avere ripercussioni anche sull'economia dell'isola, forse già a partire dal 1° maggio 2011. L'elenco delle tratte che dovrebbero essere trasformate "a pagamento" comprende la Siracusa-Catania, la CataniaPalermo, la Palermo-Mazara. E si parla già di tariffe: il criterio generale fisserebbe un introito di 7.50 euro ogni cento chilometri. Spostarsi da Catania a Palermo verrebbe quindi a costare circa 15 euro a tratta per l’auto, qualcosa in più per un camper, mentre siracusani e catanesi dovrebbero sborsare circa 3 euro e 50 centesimi per ogni collegamento. Un costo che andrebbe a ripercuotersi anche sulle tasse dei turisti costretti, tra l'altro, a fare i conti con l'assenza di collegamenti alternativi. Intanto, l'Anas si prepara ad indire la gara, prevista a fine novembre, per appaltare l'installazione dei sistemi elettronici di telerilevamento. Dalla riscossione IL CLUB n. 109 – pag. 54 dei ticket autostradali l'Anas dovrebbe così recuperare i fondi necessari al mantenimento della rete viaria non potendo più contare nei trasferimenti statali. L’Italia al 7° posto fra i Paesi da visitare Il miglior posto dove andare in vacanza è la regione del Sinai in Egitto, mentre le isole Shetland in Scozia sono rimaste l'unico posto inesplorato del Regno Unito, dove è ancora possibile vedere facilmente animali come le balene e godere di splendidi paesaggi. E l'Italia? E' al settimo posto tra i Paesi da visitare. I consigli sono contenuti nell'ultima edizione della guida Lonely Planet sui luoghi migliori da visitare in tutto il mondo, 'Best in Travel 2011', appena pubblicata dalla casa editrice, specializzata in guide turistiche, che mette al primo posto dei paesi imperdibili l'Albania, "l'ultima delle frontiere" secondo gli esperti, seguita dal Brasile e Capo Verde. Tra le regioni, invece, il Sinai si posiziona in cima alla classifica seguita dall'Istria in Croazia, mentre le città 'indimenticabili' sono, in ordine di classifica, New York, Tangeri in Marocco e Tel Aviv in Israele. IL CLUB n. 109 – pag. 55