70 anni di presenza francescana Trieste 1938-2008

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70 anni di presenza francescana Trieste 1938-2008
Parrocchia di San Francesco
FRATI MINORI CONVENTUALI
70 anni
di presenza francescana
Trieste 1938-2008
a cura di
Gianfranco Liut - Susanna Bologna - p. Lino Pellanda
Trieste 2008
© 2008
PARROCCHIA DI SAN FRANCESCO
Via Giulia, 72 - 34126 Trieste
Provincia Patavina Frati Minori Conventuali
Stampato ad uso interno
Presentazione
La nostra comunità religiosa e parrocchiale ha voluto fare memoria quest’anno di una significativa ricorrenza: i settant’anni (19382008) dal ritorno dei Frati Minori Conventuali a Trieste, dopo la
soppressione del 1783.
Domenica 20 aprile abbiamo reso grazie al Signore per la presenza
e il dono di tanti confratelli che hanno vissuto in questa comunità
un periodo della loro vita con grande spirito di servizio e nella testimonianza francescana.
Il volto e il nome di molti di loro sono ancora vivi in noi, grazie alla
nostra conoscenza diretta; per altri, il ricordo è più lontano nel tempo.
Per questo, abbiamo pensato di ricordarli tutti con una mostra fotografica dal titolo: “Da 70 anni FRA noi”.
Nel corso di una serata dedicata alla conoscenza storica della chiesa
e della presenza dei frati, sono intervenuti:
- Padre Luciano Bertazzo ofm conv. con la relazione: “Il conventoparrocchia San Francesco d’Assisi, 1938-2008: 70 anni di presenza
francescana”;
- Luigi Favotti, testimone della prima ora, con: “ Il racconto di un
parrocchiano”.
Per lasciare una traccia di questa storia abbiamo raccolto testi e fotografie in questo libretto, che vede la luce mentre sono in corso
grandi lavori di restauro e di ristrutturazione della bella chiesa.
Crediamo di fare cosa gradita, consegnare questo lavoro alla comunità parrocchiale e a tutti coloro che hanno a cuore la chiesa di San
Francesco e i suoi frati, con l’auspicio che restino sempre vive la memoria e la gratitudine al Signore per i doni che ha riversato sulla nostra comunità.
Fra Lino Pellanda
Guardiano e Parroco
Trieste, 22 settembre 2008
Solennità della Dedicazione della chiesa di San Francesco
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Cari Fratelli e Sorelle, il Signore vi dia pace!
È con questo saluto del Serafico Padre San Francesco che – insieme
a tutti i frati della Provincia Patavina – partecipo alla vostra gioia nel
far memoria grata al Signore per i 70 anni di presenza dei figli del
Poverello d’Assisi in mezzo a voi.
I frati della Provincia del Santo, quando – e siamo nel lontano
1907 – si sono resi autonomi dai confratelli della parte Dalmata,
hanno desiderato fare ritorno a Trieste per creare “un ponte” tra il
mondo cristiano latino e quello slavo. Ciò si è realizzato solo il 16
gennaio 1938 con l’erezione canonica del convento San Francesco.
I Religiosi che si sono succeduti hanno speso tutte le loro energie
spirituali e fisiche a servizio della Chiesa locale, ricevendo pubblico riconoscimento il 3 ottobre 1965 con l’erezione e l’affidamento della
Parrocchia San Francesco. I volti e la dedizione dei figli di San Francesco vi sono noti: li avete stimati per la loro fede e per la loro passione
apostolica, li avete aiutati e sostenuti nel momento della fatica e del sacrificio, siete stati disposti anche a perdonarli quando – per vari motivi
– non sono stati di esempio affidandoli alla misericordia del Signore.
Di tutto questo noi vi siamo grati e vi chiediamo di continuare a
voler loro bene nel Signore accompagnandoli con la preghiera.
Da parte nostra, invochiamo non solo la benedizione di san Francesco ma pure la presenza di sant’Antonio in mezzo a voi: insieme
alla Vergine Maria vi proteggano nel vostro cammino di credenti, vi
aiutino a vivere cristianamente in famiglia e nella società triestina, vi
sorreggano nel vostro desiderio di costruire ancora “comunità cristiana” credibile. Soprattutto, visto il luogo specifico in cui testimoniate la fede in Cristo, vi siano di sostegno nel vostro essere “ponte”
tra culture che – diverse nelle espressioni storiche – hanno come radice comune la fede nel Dio Unico, il Misericordioso e Fedele.
Con gratitudine e di vero cuore,
Fra Gianni Cappelletto
Superiore provinciale
Padova, 17 settembre 2008
Festa delle Stimmate di San Francesco
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Il convento - parrocchia
di San Francesco di Trieste:
1938-2008.
70 anni di presenza francescana
LUCIANO BERTAZZO OFMCONV
Premessa
Nella precarietà e confusione di tante situazioni che stiamo vivendo
(ma era diverso una volta?), avverto essere quasi necessità il desiderio
di fermare il tempo, o quanto meno di rielaborarlo, di catturarlo nella
memoria. Gioia e dolore, bellezza e tormento del fluire della storia!
E questo in occasione della ricorrenza dei 70 anni del ritorno dei
frati francescani conventuali nella città e nella Chiesa di Trieste.
So che altri, il dottor Luigi Favotti in modo particolare, svilupperanno soprattutto la parte più “quotidiana”, dei ricordi, come la cronaca
o la memoria personale ce li ha consegnati, grazie anche alla mostra fotografica allestita per questa occasione: mio desiderio è quello di tracciare alcune linee di questa storia, come gli archivi ce la raccontano.
Dicono molto gli archivi, ma non tutto dicono gli archivi, soprattutto quasi nulla dicono della complessità del cuore dell’uomo.
Prima del ritorno
Il 1938 segna la data del ritorno dei francescani conventuali a Trieste.
La fine della precedente presenza risaliva al 1783 con la soppressione da parte del governo asburgico di Giuseppe II. Con la successiva soppressione napoleonica tutti i conventi francescani sparirono
dalla zona istriana1.
Oltre al convento di Trieste, vengono chiusi i conventi di Albona, Capodistria,
Isola, Muggia, (Orsera), (Visinada), Parenzo, Pinguente, Pirano, Pola, Rovigno;
notizie su queste chiusure sono rintracciabili in A. SARTORI, Archivio Sartori. La
Provincia del Santo, II/2, Padova 1983, passim.
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Finiva una presenza che, secondo la tradizione, risaliva allo stesso
sant’Antonio: ipotesi non del tutto sicura nella facilità con cui si voleva “nobilitare” la storia di un insediamento ascrivendolo al passaggio di un personaggio famoso. Non improbabile tuttavia tenendo
conto della storia del non lontano insediamento di Gemona con tradizioni antoniane supportate dalla storia.
La tradizione fissa al 1229 la fondazione del primo insediamento
francescano, con il titolo di San Francesco a cui si aggiunse successivamente quello di Sant’Antonio, con la chiesa consacrata nel 1234
dal vescovo Givardo I.
Nel 1246 è già documentata la presenza della confraternita di San
Francesco che raccoglie membri delle famiglie più ragguardevoli della
città, segno dei legami forti che i francescani tessono nelle città in cui
si innestano, nucleo di quel Consiglio di Patrizi che reggeranno la
città, avendo il loro punto di riferimento nel convento fino all’anno
17872.
La chiesa venne ricostruita nel 1560 e successivamente modificata
nel 1774, mutando il titolo in Beata Vergine del Soccorso per la presenza della pala, collocata sopra l’altare maggiore ed eseguita a Graz
da Federico Emmerth, copia della tela di Pietro de Pomis che si trova
tutt’ora nella chiesa dei Frati Minori Conventuali di Graz3.
Nel piano della politica ecclesiastica giuseppinista, nel 1783 il convento veniva soppresso. Si chiudeva così una lunga presenza france-
2 P. KANDLER, Storia del Consiglio dei Patrizi, Trieste 1972. Per notizie storiche
sulla presenza francescana conventuale a Trieste, P. TOMASIN, Notizie storiche intorno
all’Ordine dei frati Minori Conventuali in S. Maria del Soccorso e nella Cella vecchia
di Trieste e in S. Maria di Grignano, “Archeografo Triestino”, n.s., XXI, 1896-1897,
pp. 109-184; XXII, 1898-1899, pp. 5-116; XXIII, 1899-1900, pp. 5-52; SARTORI, Archivio Sartori. La Provincia del Santo, II/2, pp. 1699-1709. Altre notizie
storiche divulgative sono presenti in un articolo a firma di mons. Francesco Schuller archivista della Curia vescovile pubblicate nel quotidiano locale “Il Piccolo” del
22 febbraio 1939 in occasione dell’apertura e benedizione della prima cappella di
san Francesco.
3 Fascicolo commemorativo La chiesa della Beata Vergine del Soccorso. Cenni storici,
architettonici e artistici sulla chiesa con riferimento all’antico quartiere dei Ss. Martiri a Trieste, edito a cura della parrocchia(Piazza Hortis 34124 Trieste) nel 1999
in occasione della conclusione dei restauri e dell’inizio del Grande Giubileo del
2000.
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scana a Trieste, che nel corso dei secoli aveva avuto il suo rigoglio e la
sua decadenza.
Rigoglio nel legame stretto con la città: nel convento aveva sede
una scuola dotata di una ricca biblioteca, unica scuola fino al 1620,
quando un’altra fu aperta dai gesuiti; importanti documenti per la
storia della città venivano conservati nel convento. Nel corso del XVII
secolo il legame tra frati e città si rafforzò grazie alla devozione a sant’Antonio proclamato nel 1666 compatrono della città di Trieste assieme ai Santi Martiri locali.
La devozione al Santo di Padova aumentò e i fedeli cominciarono a
chiamare la chiesa dei Minoriti Sant’Antonio invece di San Francesco.
Chiesa
della Beata Vergine
del Soccorso
Sant’Antonio
Vecchio.
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Nel frattempo sorse anche un’altra confraternita intitolata a Sant’Antonio Taumaturgo, la quale accettava fra i suoi membri sia patrizi che plebei. Per parecchio tempo le due confraternite convissero
pacificamente, ma nel 1766 si verificò una accesa disputa circa il diritto di precedenza nella processione del Santo e la confraternita di
Sant’Antonio Taumaturgo abbandonò la chiesa dei francescani con gli
stendardi e la statua e si stabilì temporaneamente presso la chiesa del
Rosario. Gli iscritti alla confraternita stabilirono poi di edificare una
propria chiesa, ciò che fecero, con il permesso del Vescovo Antonio
Ferdinando conte di Herbestein.
Sorse così la chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo nel Borgo Teresiano, e il popolo, per distinguere le due chiese, le denominò per semplicità Sant’Antonio Vecchio e Sant’Antonio Nuovo4.
Il declino iniziò sul finire del secolo XVII: nel 1695 per ordine imperiale il convento passava dalla Provincia religiosa di Dalmazia a
quella della Stiria. Nel 1783 veniva soppresso e adibito a cancelleria
vescovile; parzialmente abbattuto in una sua parte nel 1816 al fine di
creare uno spazio pubblico, definitivamente distrutto nel 1847 per il
prolungamento dell’attuale via Cavana. La biblioteca veniva dispersa;
la pala raffigurante san Francesco rifluiva in episcopio e successivamente collocata nella chiesa della Madonna del Soccorso; altre pale,
nella chiesa dei mechitaristi.
Calava così il silenzio su una storia secolare.
Gli antefatti del ritorno
Il 17 novembre 1938 i frati ritornano nuovamente Trieste.
Un ritorno maturato progressivamente nel desiderio di essere presenti in una città importante, porta e frontiera tra mondo latino e
mondo slavo, città proiettata sul mare, rilevante epicentro commerciale.
Fin dal 1911, quando Trieste era ancora il porto dell’Impero asburgico, all’indomani della ricostituzione della Provincia Veneta di San-
L’epigrafe latina, posta sulla facciata sopra la porta centrale della chiesa, ricorda
che nel 1774 la chiesa venne riconsacrata e dedicata alla Beata Vergine del Soccorso,
a San Francesco e Sant’Antonio.
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t’Antonio, staccatasi dalla Provincia Dalmata di San Girolamo, erano
stati fatti dei progetti per essere presenti in città5.
Documenti presenti nell’archivio del convento di Trieste, indicati
in una memoria del 1965, intitolata “Ventisette anni dopo” ed elaborata dall’archivista p. Serafino Guarise6, segnalano contatti avvenuti negli anni tra il 1919 e il 1922 tra il vescovo di Trieste mons.
Luigi Fogar e p. Alfonso Orlini, allora guardiano a Pirano con l’ipotesi di un ritorno a Trieste dei frati.
La storia dell’effettivo rientro ha un primo documento nella lettera del 6 dicembre 1937 di mons. Carlo Mecchia vicario generale
della diocesi, indirizzata a p. Orlini chiedendo che sia il provinciale a
venire a Trieste “per vagliare il progetto e intenderci”7.
Il 13 dicembre 1937 p. Vittore Chialina si reca a Trieste, lasciandoci un memoriale della sua visita e delle sue considerazioni. Lo riportiamo integralmente, dato che ci offre oltre le sue considerazioni
il quadro della situazione esistente, letta con la chiaroveggenza che lo
distingueva.
“Promemoria della mia andata a Trieste
il 13 dicembre 1937 – XVI”:
Nel mese di novembre mons. Mecchia vicario generale di TS, passando per Padova parlando con p. Orlini ci invitava a fondare una
casa a Trieste, come già hanno fatto i Carmelitani e i Serviti, “indicando che sarebbe buona la zona che va da via Kandler sino al colle
sovrastante”; il p. Orlini gli rispose che ne avrebbe parlato con il provinciale, che invitava p. Orlini a scrivere al vicario generale.
Roma, Archivio Curia Generale OFM Conv., Atti del definitorio generale 1
(1910-1930), seduta 39, 29 aprile 1911 (presente p. Antonio Bolognini provinciale
della Provincia Patavina di Sant’Antonio): si approva che si aprano trattative per
costituire un convento a Trieste, però sulla base degli ultimi decreti della S. Sede
che non si facciano debiti, e senza pregiudizio per la Provincia di Dalmazia di
aprire anch’essa a Trieste un convento, qualora volesse.
6 Nell’Archivio della Curia Provinciale di Padova (= ACP), busta Trieste 19371960, esiste un fascicolo preparato da p. Serafino Guarise, fondato sui documenti
d’archivio, intitolato “Ventisette anni dopo”, in data 20 agosto 1965, con una cronistoria dei fatti più importanti dell’insediamento francescano di Trieste.
7 ACP, busta Trieste 1937-1960, fasc 1937.
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Questi dopo averne parlato con l’amministratore apostolico di
Trieste l’arcivescovo di Gorizia Carlo Margotti, lo invitava per il 13
e 14 dicembre.
Partito con il treno 5,53 per Trieste in compagnia del p. Ignazio
Diaz (che doveva andare dal console spagnolo dei Nazionali di
Franco) e andar in curia per parlar con mons. Mecchia. Egli mi
espose il suo piano già esposto al p. Orlini, e disse che mons. Margotti ci riceverebbe volentieri a Trieste dove c’è bisogno di sacerdoti
per l’assistenza delle anime e per la scuola di catechismo nelle scuole.
Avevano chiesto a mons. Margotti l’entrata a Trieste i Padri dei Sacri
Cuori che a Roma hanno la chiesa di Cristo Re (nuova chiesa stile novecento che io ho visitato nella mia ultima visita alla alma Urbe).
Mons. Margotti rispose loro affermativamente, ma essi avrebbero dovuto pensare a trovarsi la casa e a fabbricare la chiesa. Dopo questa
risposta quei padri non si fecero più vivi. La zona assegnata a loro
sarebbe quella che oggi viene proposta a noi: zona molto più buona
di quella assegnata ai padri Carmelitani che è verso il faro della Vittoria distante perciò dalla città, e quella assegnata ai padri Serviti pure
come di suburbio dalla parte opposta a quella dei Carmelitani.
Mons. Mecchia mi ha avvertito che qualche anno fa, prima ancora
che fosse fatta la nuova piazza Venezian Giacomo, i padri Francescani
di Via Rossetti in quella località, dove oggi si apre la piazza Venezian,
avevano intenzione di aprire un locale per adibirlo a chiesa succursale
di via Rossetti; ma i Padri gesuiti di via del Ronco si opposero perché
con quella nuova chiesa sarebbero state intralciate le loro attività. Ora
però a detta anche di mons. Margotti, detti padri non potrebbero opporsi a causa l’ampiamento della città e perché spetta al vescovo provvedere all’assistenza spirituale dei fedeli nel miglior modo possibile.
Dopo questo colloquio andai a visitare la zona indicatami. È una
vasta zona di 7 o 8 mila anime priva di chiesa essendo la chiesa dei
padri Gesuiti in via del Ronco quindi molto più in giù e la chiesa
parrocchiale di Guardiella intitolata a San Giovanni fin dove arriva
il tram che dalla stazione centrale, passando per via Giulia va a Guardiella, molto più in su in zona non indicata nella carta topografica recente di Trieste.
Scoglietto è una zona che dal colle abitato guarda a via Giulia ed
ha un tram o filovia che arriva al termine dell’abitato della via che
prosegue per Opicina e Fiume; la zona è piena di case private e case
popolari. Dal posto arrivante della fermata di detto tram volgendosi
a destra cioè a mezzogiorno, si vede di rimpetto la zona del Boschetto,
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colle tutto erborato, cui sovrasta dalla parte verso ponente cioè verso
il mare una linea di case appartenenti alla zona di San Luigi. Tra il
colle Scoglietto e il colle Boschetto si estende a conca una valle percorsa da via Giulia che termina a un rialzo dove comincia la via R.
Sanzio (?) che va sino a San Giovanni di Guardiella dove termina il
tram che dalla stazione centrale va a piazza Goldoni percorre un breve
tratto di via Carducci tutta la via Cesare Battisti e la via Giulia. La
zona di via Giulia che da via Kandler a piazza Venezian prosegue sino
al termine di detta via, è fiancheggiata da bei palazzi moderni e case
vecchie. Dal lato sinistro per via Margherita e via dei Cunicoli si trova
la vecchia rimessa dei tram; tra via Margherita e via Giulia ad angolo
sorge un vasto fabbricato e magazzino dei tram; attigui a detto fabbricato sorgono due baracconi con aggiunte di altre baracche a uso
magazzino della ditta Trasporto Cimadori e C.
Sopra detti magazzini a fianco del colle è un vasto scoperto coltivato a orti appartenente, con la villa, alle Nobili Dimesse. Più avanti
salendo per la via Giulia a destra sorgono gli edifici della fabbrica di
Birra Dreher con una colossale ciminiera.
È una zona buona, dove si potrà trovare un nido forse la vecchia
rimessa dei tram; una migliore sarebbe il fabbricato degli uffici del
tram accanto alla Ditta Cimadori e i locali di detta ditta Trasporti.
Questi a parer mio sarebbero i meglio adatti luoghi per la nuova
chiesa e convento.
Ritornando nel pomeriggio verso le 17 in curia da mons. Mecchia,
ho trovato il p. Stanislao Bertolo8 che mi aspettava, venuto a Trieste
con un altro treno della mattina. Ho esposto a mons. Mecchia le impressioni della mia ispezione su la zona; dove oltre alla villa delle Dimesse, ho veduto anche la casa diretta dalle suore e una scuola materna.
Avendo noi cura d’anime a Venezia, a Padova e a Milano, potremo
avere la cura d’anime anche a Trieste. E starà bene, secondo quanto
ci suggerisce mons. Mecchia, far notare all’arcivescovo questa nostra
preparazione e la nostra buona intenzione di accettare anche la cura
d’anime.
Ci avverte che gli affitti a Trieste cessano col 25 marzo: quindi sarà
bene sin d’ora mettere gli occhi su qualche casa per aver un piede a
terra a Trieste. Mons. Mecchia ci ha promesso di interessarsi se la
vecchia rimessa del tram è disponibile e se è disponibile qualche casa
in quella zona.
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P. Stanislao Bertolo era presente nella sua veste di definitore provinciale
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La mattina seguente siamo andati io e il p. Stanislao a ispezionare
meglio la zona e tutti e due siamo rimati soddisfatti dell’ubicazione e
abbiamo constatato che il miglior posto sarebbe per noi quello che ha
angolo tra via Margherita e via Giulia o i locali della Ditta Cimadori.
Oggi 15 dicembre alle ore 10,30 raduno il mio piccolo definitorio,
espongo il progetto di aprire una casa a Trieste, metto in vista quanto
ho veduto e quanto ho inteso da mons. Mecchia e si approva a unanimità il progetto9. Oggi stesso scrivo a S. Ecc.za mons. Margotti per
il suo consenso scritto richiesto dal canone del Codice di Diritto Canonico e scrivo al Rev.mo p. Ministro generale chiedendo la facoltà di
aprire una casa a Trieste. Fr. Vittore M. Chialina ministro provinciale.
NB. Non è possibile trattare per la restituzione del nostro sant’Antonio vecchio perché questa è una chiesa centrale che i preti non
cederebbero date le poche chiese a Trieste che sono in mano ai preti.10
In pochi giorni tutto è pronto. Il 15 dicembre 1937 p. Chialina
scrive all’amministratore apostolico mons. Carlo Margotti “… Dopo
aver trovato un piccolo nido in quella zona, metterei tutto nelle mani
della Provvidenza la quale non ci ha mai mancato di assistenza sia nel
mantenere i padri e i confratelli e i numerosi studenti sia nel costruire
chiese, conventi, patronati parrocchiali, nelle diverse città dove svolgiamo il nostro lavoro sotto la protezione di san Francesco e di Sant’Antonio …”; il 22 dicembre 1937 riceve il consenso unanime del
definitorio generale che approva l’apertura di una nuova casa; il 31 dicembre 1937 ottiene l’assenso del vescovo Carlo Margotti che mette
le mani avanti premurandosi di avvertire che “l’Ordinario è impossibilitato a qualsiasi aiuto materiale … si potrà aprire una cappella provvisoria che dovrebbe essere il centro pastorale che con il tempo
potrebbe venir sistemato in regolare parrocchia …”; il 12 gennaio la
Congregazione dei Religiosi autorizza il ministro generale all’erezione
del convento, canonicamente eretto il 16 gennaio; l’11 maggio il definitorio provinciale approva la trattativa del provinciale con il chiaro
Il definitorio aveva deciso di avviare la pratica “perché la casa possa venire aperta
quanto prima. Riguardo alla parrocchia essa dovrà essere concessa pleno iure et in
perpetuum”, cf, ACP, Atti del definitorio 22 luglio 1936 – 8 gennaio 1939, alla data
15 dicembre 1937.
10 ACP, busta Trieste 1937-1960, fasc. 1937.
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obiettivo che fosse costituita una realtà parrocchiale11; il 18 maggio
1938 p. Chialina firma l’atto di acquisto del terreno dai proprietari
Fogolin e Polacco12. In pochi mesi tutto è pronto per la successiva
fase dell’insediamento nella zona Scoglietto.
ACP, Atti del definitorio 22 luglio 1936 – 8 gennaio 1939, alla data. Citiamo la
delibera del definitorio, dove è chiara l’ipotesi di un inserimento di tipo parrocchiale: “Ottenuta l’approvazione dell’Autorità ecclesiastica di Trieste per l’apertura
di una nostra casa in quella città dove ci verrà affidata la cura d’anime del quartiere “Scoglietto” vennero fatte delle ricerche per l’acquisto in comoda posizione
d’un’area sufficiente alla costruzione del convento e della chiesa con annessi locali
necessari alle associazioni parrocchiali. Al giorno d’oggi vi è un’offerta riguardante
le baracche delle Piccole Ferrovie site in via Giulia. Una delle due baracche (lunghezza m. 40 larghezza m. 16) in solida muratura potrebbe venire facilmente trasformata in chiesa. La casa vicina potrebbe diventare convento. Tutta l’area
raggiunge un po’ meno di 3000 metri quadrati. In questi ultimi giorni è pervenuta
altra offerta molto più vantaggiosa della prima. Si tratta d’un’area di circa 10.000
m2 con una villa in buone condizioni che potrà servire subito da convento. E’ sempre sulla via Giulia un po’ più avanti delle baracche delle Piccole Ferrovie. Mentre
per le prime baracche il prezzo saliva a circa 270.000 lire per la nuova area, più che
tre volte maggiore, la domanda si aggira sulle 600.000 lire. Nel primo caso il piano
regolartore ci avrebbe portato via un bel tratto di area nell’ultimo o non sarà toccata o per tratto insignificante. La nuova posizione poi è molto migliore essendo
in alto sulla strada mentre la prima era sotto il livello di essa. Il definitorio approva
la trattativa per la seconda area”.
12 ACP. busta Trieste 1937-1960, fasc. 1937. Per il pagamento il p. Chialina, il 7
aprile 1938, si era rivolto a una “Nobile Signorina” non nominata, “legata a me per
tante vicende e riconoscenza per aver io assistito a tante disgrazie in famiglia
quando ero parroco ai Frari”. Gli chiedeva il prestito di Lit 500.000,00 rimborsabili con il 5% di interesse, cioè Lit 25.000,00 annue. Nella lettera specifica che:
“la cosa resterebbe secreta qualora Ella richiedesse il silenzio assoluto; NB. Ha risposto che le è impossibile per ora avendo assunto tanti impegni”.
Possiamo seguire i passaggi dei primi tempi in un promemoria dello stesso p. Chialina: “il giorno 21 novembre 1938 sono andato a Trieste in compagnia di p. Antonio Vivoda. Abbiamo trovato fra Federico [Marchiori] e fra Pietro De Rossi in
lavoro per l’assestamento della casa in via dello Scoglio 2/a già Villa Fogolin. Era
presente anche p. Lino Biasi guardiano del convento di Pirano col quale sono
uscito. Alla sera arriva da Venezia p. Vigilio Fedrizzi e con lui andiamo dall’avvocato Pietro Segon Carmine a cui consegno Lit 5500,00 per i mobili lasciati dalla
famiglia Fogolin. Mi ha assicurato di aver parlato con l’affittuale della officina meccanica che è disposto di andarsene subito appena avrà trovato un altro posto: sarà
necessario versargli la somma necessaria per il trasporto del materiale esistente nell’officina.. Le piccole suore domandano una messa, ma non posso fare nessuna
promessa prima di una sistemazione del nuovo convento …” , Ivi, fasc. 1938.
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Per offrire un quadro possibilmente chiaro e sintetico, nell’incrociarsi di storia e cronaca, dividiamo la successiva evoluzione dell’insediamento in due segmenti.
Dal primo insediamento
alla costruzione della chiesa e convento
Un problema ricorrente nella storia della presenza triestina è quello
relativo alla chiesa e al convento. La documentazione conservata nell’archivio della curia provinciale sembra riguardare sostanzialmente
questo aspetto, che sappiamo essere stato importante nella gestione
della vita quotidiana, senza tuttavia esaurirla in modo esclusivo.
Il 17 novembre 1938 arrivarono i primi frati, inizialmente ospitati
dai frati Cappuccini di Montuzza: due fratelli, fra Federico Marchiori
e fra Pietro De Rossi, accompagnati da p. Vittore Chialina. Pochi
giorni dopo, il 26 novembre, il primo guardiano designato p. Vigilio
Fedrizzi, subito dimissionario, sostituito il 29 novembre da p. Ambrogio Mosconi, proveniente dalla parrocchia di Milano, che sarà il
pioniere della storia francescana triestina fino al 1952.
P. Fulgenzio
Campello,
p. Ambrogio Mosconi
e p. Egidio Eccher
davanti alla
prima cappellina
di San Francesco
in via dello Scoglio
(1939).
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Nel gennaio 1939 si lavora per sistemare quella che era la rimessa
della carrozza (e stalla) in via dello Scoglio al fine di ricavare una piccola cappella: il 19 febbraio il vescovo Antonio Santin può benedire
il piccolo oratorio intitolato a San Francesco, e il giorno successivo,
per la prima volta, rintocca la campana di 90 kg donata dal guardiano
di Vicenza p. Benedetto Peroni.
A pochi mesi di distanza si avvia il progetto per la costruzione di
una cappella più capiente in via Giulia. Il 10 ottobre 1939 si inizia la
costruzione del muraglione di sostegno retrostante l’abside della erigenda chiesa; i lavori veri e propri vengono avviati l’11 febbraio 1941,
con la posa della prima pietra nel mese di marzo; il 6 agosto viene
trasferita la campana precedentemente nell’oratorio di via Scoglio e il
4 ottobre 1941 il vescovo Santin può benedire la nuova cappella nel
giorno del santo patrono. L’ambiente, tutt’ora esistente, sarà successivamente utilizzato come sala di incontri con il nome di “Franciscanum”.
Lo scavo per la erigenda chiesa
ed il muraglione di sostegno (1939).
Cerchiato, a destra, è visibile la ex villa Fogolin,
prima abitazione dei frati.
Costruzione della cappella
di San Francesco (1941).
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Interno
della cappella
di San Francesco.
Fondamenta
dell’abside
della nuova chiesa
di San Francesco
(1942).
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Non fu impresa facile arrivare alla costruzione della chiesa come la
possiamo vedere oggi per le difficoltà tecniche nello sbancamento
della costa retrostante per fare spazio alla chiesa con l’asportazione di
17.000 mc di materiale e i difficili tempi di guerra. Avviati nel 1941,
i lavori vengono sospesi nel novembre 1942 per la morte dell’impresario padovano Antonio Bergamo. Nel febbraio 1943 i lavori riprendono a rilento affidati all’impresa edile Primo Costantin di Fossalta
di Piave, con ulteriore interruzione nel dicembre 1944, quando tutta
la manodopera disponibile viene requisita dall’organizzazione paramilitare tedesca Todt, e uno spezzone di bomba causa notevoli danni
nelle strutture realizzate fino ad allora.
La chiesa
al momento
della interruzione
dei lavori (1944).
Ripresa dei lavori
(1945).
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Inizio
delle celebrazioni
eucaristiche (1948).
Il progetto viene ripreso nell’ottobre 1945, portando a compimento la struttura come è visibile oggi. Il 26 maggio 1948 è completata la pavimentazione, anche se già dal mese di aprile vengono
celebrate le messe della comunità.
Possiamo parlare di una fase ulteriore di intervento negli anni ’50
e ‘70, quando si dovette mettere mano a vari interventi correttivi, legati anche alla povertà dei materiali impiegati nella costruzione, al
fine di sanare le pareti, rafforzare le fondazioni, chiudere le finestre
delle cappelle laterali per i problemi collegati al fenomeno meteorologico della bora, abbellire ulteriormente la chiesa con il solenne altare maggiore dove furono collocate copie delle statue donatelliane
(Crocefisso, san Francesco e sant’Antonio) della basilica del Santo,
opera dello scultore padovano Paolo Boldrin.
Era il 22 settembre 1963 quando mons. Antonio Santin procedeva
alla consacrazione della chiesa, nel 25° anniversario dell’arrivo dei
frati. La struttura ebbe ulteriori interventi di abbellimento, necessari
e vitali in una realtà viva qual è la chiesa di una comunità cristiana.
20
Altare con crocifisso
e statue dei SS. Francesco
ed Antonio (1952).
Il vescovo
mons. Antonio Santin
consacra la chiesa
di San Francesco
(22 settembre 1963).
21
Negli anni ’70 venivano tolti gli intonaci delle pareti, valorizzando la
bellezza essenziale della nuda pietra; pur non accogliendo la proposta
fatta dal p. Giovanni Lerario, affermato pittore francescano conventuale, di decorare le cappelle laterali con un suo progetto pittorico,
ormai non più rispondente ai nuovo gusti pittorici emersi dopo il
concilio Vaticano II13, lo si incaricava di disegnare gli artistici lampadari circolari; il coro veniva arricchito degli stalli lignei offerti dalla
chiesa di Sant’Antonio Nuovo.
Il progetto della chiesa era stato commesso all’architetto Arnaldo
Foschini, docente di architettura all’Università di Roma, in amicizia
con p. Alfonso Orlini che lo aveva ripetutamente coinvolto in vari
progetti architettonici avviati dall’Ordine14.
In una corrispondenza avviata nel dicembre 1939 tra l’architetto e
p. Orlini si gettavano le basi del progetto: una chiesa con tetto a capriate, secondo le Costituzioni narbonensi, come citava e voleva Foschini rifacendosi alla tradizione medievale dell’Ordine francescano,
trovava invece il netto rifiuto per problemi pratici15.
Sul finire del mese, p. Orlini è in grado di trasmettere al podestà
di Trieste avv. Luigi Ruzzier, il progetto del Foschini “che non ha bisogno di essere presentato agli italiani e tanto meno a Voi, degnissimo e coltissimo Sig. Podestà: si è deciso di non costruire la cripta per
ACP, busta Trieste 1960-1988: un atto capitolare della comunità del 10 giugno
1972 accoglieva la proposta fatta dal p. Lerario di decorare le cappelle laterali per un
importo di Lit. 100.000 ognuna, proponendo che iniziasse subito con la decorazione
della cappella di San Francesco così da poterla inaugurare il 4 ottobre. A frenare tanto
entusiasmo – nonostante il finanziamento fosse già assicurato - fu il definitorio provinciale che chiese di esaminare i bozzetti e coinvolgere la Commissione di arte sacra
della diocesi. Di fronte a pareri discordanti, il definitorio chiese una ulteriore consulenza ad una commissione composta dai frati Francesco Tamburo, Vergilio Gamboso,
dall’architetto Adriano Galderisi e dal pittore Pietro Mancini. Le risposte negative
che fornirono, portarono alla definitiva chiusura del progetto.
14 Ulteriori dettagliate notizie sono reperibili in R. VITTORINI, Chiesa di San Francesco d’Assisi, in Trieste 1918-1954 Guida all’architettura, a cura di p. Nicoloso – F. Rovello, Trieste [s.d.], pp. 243-247. Ringrazio l’arch. Enrico Torlo per la segnalazione.
15 ACP. busta Trieste, fasc. 1939: alla lettera del 22 dicembre 1939 del Foschini, Orlini risponde il 26 successivo: le chiese come stabilito da san Bonaventura nelle Costituzioni narbonensi erano dovute alla pressione degli Zelanti “noi siamo preoccupati
da ragioni pratiche: a Trieste vi è la ragione del vento e del freddo”, non si doveva imitare il modello di Pola con il tetto a capriate gelide d’inverno e forni d’estate.
13
22
Progetto della chiesa
di San Francesco
dell’arch. A. Foschini
(esterno).
Progetto della chiesa
di San Francesco
dell’arch. A. Foschini
(interno).
23
ragioni finanziarie e per evitare l’uso di materiali in contrasto con
l’attuale movimento per l’autarchia della Nazione […] con un soffitto diverso con l’esclusione di materiali autarchici, ma più atto a
mantenere la temperatura dell’ambiente evitando con la maggior sicurezza gli eccessi del freddo e del caldo”16. Una vera sintesi ideologica, architettonica e pratica, dunque!
Con la chiesa, casa di Dio, si pensò anche alla costruzione del convento, casa dei frati! Dall’iniziale abitazione acquistata dalla famiglia Fogolin in via dello Scoglio, si era passati ad una abitazione collocata nella
parte retrostante la chiesa che venne dichiarata inagibile dal Comune di
Trieste nel 1956 e demolita nel 1962. Si dovette procedere ad un nuovo
progetto. Tra 1957 e 1958 il capitolo conventuale e il definitorio della
Provincia approvano lavori di ampliamento e trasferimento del convento nella zona attigua alla chiesa, ottenendo una abitazione conventuale dignitosa e spazi ad uso della comunità cristiana17.
La costruzione dell’attuale convento venne decisa nel 1962, secondo un progetto elaborato dall’architetto padovano Danilo Negri:
P. Vito Pellegrini
legge la pergamena
per la posa
della prima pietra
del convento,
presente
il padre provinciale
p.Giustino Carpin.
16
17
24
Ivi.
Cf. le note di p. Guarise”Ventisette anni dopo” e ACP, busta Trieste 1937-1960.
Posa della prima pietra
(17 aprile 1963).
il 17 aprile 1963 con la posa della prima pietra si dava avvio al nuovo
edificio benedetto il 4 ottobre 1964, “arioso, dai locali asciutti e ottimamente illuminati, funzionali. Assai adatti allo studio e al raccoglimento religioso”, come si esprimeva p. Serafino Guarise nella sua
memoria a ventisette anni dal ritorno dei frati18, lasciando aperto un
sogno: “A via dello Scoglio e a via Giulia la Provvidenza ha arriso agli
umili e fiduciosi. Dal 1938 al 1965 molto si è riusciti a realizzare,
quanto a edifici e a tentativi di bene. Anche l’oratorio avrà il suo avvenire. E poiché san Francesco sorge a poche centinaia di metri dall’Università, sarebbe forse un fuori luogo il mettere in programma, tra
l’altro, una serena “Casa-pensione” per studenti? Organizzazioni
d’ispirazione cristiana e famiglie parrocchiali senza numero e nome
non avrebbero di che benedire a una simile impresa”.
Nella memoria del p. Guarise, fondata sull’archivio conventuale, risulta che il
Comune avrebbe voluto un ulteriore sbancamento del terreno, evitato dal praefectus fabricae e guardiano p. Vito Pellegrini, a condizione che il nuovo convento fisse
collegato con la precedente costruzione, come in effetti risulta essere.
18
25
Comunità francescana e comunità parrocchiale
C’è una legittima domanda a cui dare risposta: il divario cronologico tra la presenza della comunità risalente al 1938 e la costituzione
della parrocchia nel 1965.
Fin dall’inizio del loro insediamento i frati sono attivi nella cura pastorale della zona loro affidata, compresa nel territorio della parrocchia di San Giovanni Decollato. P. Egidio Eccher prestava il suo
servizio in qualità di cooperatore, successivamente sostituito da un
prete francese profugo a Trieste. I frati si erano allora impegnati come
penitenzieri nella chiesa di Sant’Antonio Nuovo19.
Una lettera di p. Mosconi al Provinciale Chialina ci offre il quadro
della situazione nel primo periodo del loro inserimento: “Noi stiamo
tutti bene. Il parroco ci ha affidata una parte della parrocchia per la
benedizione delle case. Però non avrei mai pensato di trovare un livello così basso di religione e di immoralità. Quale differenza tra questa e la popolazione di Milano. Domenica scorsa abbiamo avuto la
prima comunione dei bambini e bambine. La cappella è frequentatissima ed anche il sagrato è occupato dai fedeli. Le offerte sono
poche. Si è iniziata la questua e qualcosa frutta”20.
A tessere le fila del rapporto con la città fu soprattutto p. Ambrogio Mosconi con il suo equilibrio e la solidità delle sue radici trentine.
Nel 1945, nella drammatica situazione della guerra, è il vescovo a
chiedere un frate di San Francesco come padre spirituale del seminario di Capodistria, dopo la deposizione di don Marcello Labor da
parte delle SS tedesche, che non poté essere accolta per le difficoltà esistenti21; è lui che si offre assieme al vescovo Santin e ad altri dieci sacerdoti come volontario - in seguito all’appello lanciato dal vescovo
– in sostituzione di lavoratori ammalati e logorati nei cantieri di Ta-
19 ACP, busta Trieste 1937-1960, fasc. 1940: il 20 dicembre 1940 il parroco mons.
Greco, dato il ritirarsi dei frati Minori dall’impegno di confessori, chiedeva che
venissero sostituiti dai nostri frati con una retribuzione mensile. Successive lettere
al provinciale lamentano la scarsa fedeltà nel mantenere l’impegno.
20 ACP, busta Trieste 1937-1960, fasc. 1 10 febbraio 1938-5 gennaio 1939, lettera
senza data.
21 ACP, busta Trieste 1937-1960, fasc. 1945.
26
iano e della Ciceria, obbligati dai tedeschi22; è a p. Mosconi ancora
che si rivolge il ministro provinciale p. Andrea Eccher nel 1944, alla
ricerca delle tracce di p. Placido Cortese23.
Fin dal 1939 il provinciale accennava al vescovo Antonio Santin,
entrato in sede nel 1938, circa la possibilità di erigere il territorio affidato ai frati come parrocchia, facendo riferimento all’assenso avuto
dall’amministratore apostolico mons. Margotti nell’aprire una “cappella provvisoria che dovrebbe essere il centro pastorale che con il
tempo potrebbe venir sistemato in regolare parrocchia …”24. La richiesta non venne accolta dal vescovo Santin: “Ora desidero notare
che precedenti accordi impegnativi da parte di questa Curia non ve
ne sono e che quella chiesa sia o non sia domani chiesa parrocchiale,
dipenderà dalla decisione che verrà presa a suo tempo nella regolarizzazione definitiva della parrocchie urbane”25.
L’ipotesi iniziò a concretizzarsi a partire dal 1956 per concludersi
nel 196526.
Il 4 dicembre 1956 il vescovo Santin, dato il numero crescente di
abitanti, vedeva la necessità di costituire una nuova realtà parrocchiale
ricavandola prevalentemente dal territorio della parrocchia di San
Giovanni Decollato e in parte dalla parrocchia della Beata Vergine
delle Grazie. Proponeva, scrivendo al ministro provinciale p. Giorgio
Cf. Antonio Santin 1943-1945. Scritti-discorsi-appunti-lettere, presentate, raccolte e commentate da G. Botteri, Udine 1963, p. 61. Ringrazio mons. Eugenio
Ravignani per la segnalazione.
23 ACP, busta Trieste. Fasc. 1943-1944: in risposta ad un biglietto di p. Eccher,
Mosconi risponde: “… per la questione del p. Placido sarebbe bene che interponesse l’autorità di S.E. p. Radossi che ha molto ascendente, Sabato prossimo al suo
ritorno lo avviserò io a nome di V. Paternità. Da quanto ho potuto capire è in cattive acque …”.
24 ACP, busta Trieste, fasc. 1937. Lettera di mons. Margotti del 31 dicembre 1937,
prot. 883.
25 ACP, busta Trieste1937-1960, fasc. 1939, lettera di mons. Santin del 20 dicembre 1939; il provinciale rispondeva il 4 gennaio 1940, “ a noi pareva pacifica l’erezione in parrocchia … e questa è stata la ragione per cui diedi il consenso per la
nomina di un nostro padre a cooperatore della vicina parrocchia di San Giovanni”.
26 ACP, busta Trieste 1961-1988: fasc. con il “Carteggio tra la curia vescovile e la
curia provinciale per la cessione della parrocchia ai nostri frati. Convenzione”.
22
27
Montico, l’assunzione dell’impegno parrocchiale e chiedeva che il
parroco proposto dai frati avesse una buona esperienza pastorale.
La fretta dimostrata precedentemente ebbe, tuttavia, una risposta
attendista allorché il provinciale comunicava la decisione del definitorio di declinare momentaneamente la proposta. Questa era stata
esaminata nella riunione del definitorio provinciale del 21 dicembre,
decidendo di sentire il parere della comunità che si espresse negativamente in merito alla proposta27. Il parere negativo della comunità
veniva fatto proprio dal definitorio, data “l’attuale impossibilità e per
mancanza di locali per tutto ciò che è necessario per il buon funzionamento di una parrocchia e per deficienza di personale adatto per
svolgere adeguatamente l’attività parrocchiale avendo noi impegnati
altrove molti Religiosi”28. Al vescovo non restava che attendere tempi
migliori: sul finire del 1960 ripresenta la proposta, sulla base della
convenzione del 1956. Questa venne ripresa e rifinita nel corso del
1961, ma con una decisione ulteriormente rinviata data la imminente
scadenza del capitolo provinciale29.
Il gioco dei rimandi troverà finalmente una soluzione conclusiva
con il provincialato di p. Vitale Bommarco: nel settembre 1964 riprende i contatti presentando al vescovo la convinta decisione del definitorio provinciale a procedere nella ratifica che avverrà il 21 aprile
196530, con la presentazione, nel luglio successivo, del primo parroco
27 ACP, Atti del definitorio 20 febbraio 1955 – 27 novembre 1957, alla data 21 dicembre.
28 ACP, Atti del definitorio 20 febbraio 1955 – 27 novembre 1957, alla data 6 febbraio 1957; ACP, busta Trieste 1961-1988: la lettera di p. Montico è datata 9 febbraio; in effetti la Provincia religiosa aveva assunto impegni in Calabria con la
POA-Pontifica Opera Assistenza, aveva aperto nuovi conventi in Francia e in America Latina.
29 ACP, busta Trieste 1961-1988: fasc. “Carteggio tra la curia vescovile e la curia
provinciale per la cessione della parrocchia ai nostri frati. Convenzione”: la convenzione venne studiata da p. Samuele Doimi che propone la formula “ad nutum
Sanctae Sedis” e che fosse di proprietà della Provincia. La proposta continuò a trovare la resistenza del guardiano p. Vito Pellegrini per la mancanza di spazi per la
parrocchia; nella lettera del 22 giugno 1961 il p. Montico sospende la trattativa in
attesa del capitolo provinciale.
30 ACP, Atti del definitorio 1 ottobre 1960 – 31 dicembre 1964, alla data 2 ottobre
1964.
28
Mons. Antonio Santin
ed il padre
provinciale
p. Vitale Bonmarco
in occasione
della costituzione
della Parrocchia
(3 dicembre 1965).
P. Fortunato Zorzini,
primo parrocco.
nella persona di p. Fortunato Zorzini31. Scrivendo a lui nell’ottobre
del 1965, ringraziandolo per l’organizzazione della festa che istituiva
la nuova parrocchia, si esprimeva positivamente, raccogliendo il lungo
lavoro precedentemente svolto dai frati: “ho avuto l’impressione che
si trattasse non della nascita ma del battesimo di una parrocchia
adulta”32.
31 ACP. Busta Trieste 1961-1988: il 14 luglio 1965 p. Bommarco presenta il p.
Zorzini come parroco; il 29 luglio il vescovo dà l’assenso. Nel lasciare il suo incarico nel 1967, sostituito da p. Olindo Baldassa, il vescovo gli esprime il ringraziamento “per la sua generosa e buona opera svolta a Trieste. I parrocchiani serberanno
cara memoria per il bene ricevuto”. Lettera del vescovo Santin datata 1 settembre
1967.
32 Lettera del p. Bommarco a p. Zorzini, in “Bollettino della Provincia di Sant’Antonio” 1965, pp. 530-531.
29
Alcune considerazioni conclusive
Ritornare a Trieste nel 1938 significava ricollocarsi in una città
dove la presenza dei francescani conventuali aveva avuto una lunga
tradizione. Se questo può essere un motivo ideale e storico, concretamente era un ulteriore allargamento della Provincia religiosa di Sant’Antonio in una zona, attualmente di confine, ma allora passaggio
con la terra istriana, dove esistevano altri tre conventi – Pirano, Pola,
Cherso – affidati alla Provincia dopo la prima guerra mondiale.
Era un inserirsi in una città “provata”, dopo la rigogliosa stagione
asburgica, bisognosa di una identità anche dal punto di vista ecclesiale
e in aiuto pastorale ad una chiesa povera di clero, come ricordava il
memoriale di p. Chialina a seguito del contatto con il vicario generale della diocesi mons. Mecchia.
Una presenza che fu soprattutto di aiuto e collaborazione con il
clero locale, assillata, per molti anni, dal problema della costruzione
di una grande chiesa in una situazione morfologica non facile e successivamente dalla costruzione di uno spazio abitativo che, stando alle
cronache e alla documentazione esistente, sembra aver occupato non
poche energie e anche tensioni. Segno di queste è anche la accentuata
mobilità di frati (una ottantina) passati per il convento triestino in
questi settant’anni. È uno dei motivi del ritardo dell’assunzione del titolo parrocchiale, inizialmente desiderato, successivamente procrastinato, attuato ventotto anni dopo.
Non lo abbiamo approfondito, ma dal contesto della documentazione si coglie un ambiente sociale ed ecclesiale composito, percorso
da molte diversità non facilmente assimilabili e che costituisce, ieri e
oggi, la peculiarità di questa città e di questa Chiesa.
Una storia non tanto di muri e costruzioni, ma soprattutto di persone vive e concrete; una storia matura nei suoi settantanni per ricordare e celebrare: una sosta nel tempo per continuare a scrivere
questa storia … ad maiorem Dei gloriam!
Trieste 18 aprile 2008
30
Il racconto di un parrocchiano
LUIGI FAVOTTI
Sono il decano della Parrocchia di San Francesco d’Assisi di Trieste. Non sono ancora il più anziano, (ci sono parrocchiani vivi nati
prima di me) ma sono quello che può forse vantare una più lunga appartenenza a questa comunità. Per questo l’attuale parroco, p. Lino mi
ha dato l’incarico di mettere per iscritto i miei ricordi personali in
merito. Non so se sono la persona più adatta per farlo, ma cercare di
accontentare p. Lino per me è un onore e lo faccio volentieri, non
nascondendo i miei limiti.
Dove sono i frati?
“Preparati, è ora di andare a Messa!” Mancavano pochi minuti alle
9 e bisognava darsi una mossa, solo che non sapevo dove andare. Da
pochi giorni eravamo venuti ad abitare in via Verga, 13 (allora si chiamava Guardiella S. Cilino inf. 393); in precedenza risiedevamo in via
del Lazzaretto Vecchio n.3 e di domenica pur avendo solo 6 anni
(quella volta, nel 1939 anche i ragazzini giravano soli per la città) andavo solo o con i fratelli alla messa delle 9 nella chiesa di Sant’Antonio Vecchio. Adesso la messa parrocchiale è alle 10, ma a quel tempo
vigeva il digiuno eucaristico dalla mezzanotte e le messe per i fanciulli
erano celebrate piuttosto presto.
Interno
della cappellina
di San Francesco
di via dello Scoglio
(1939).
“Va’ giù per via Giulia: mi hanno detto che c’è una chiesa dei frati,
anzi dei fratini, da queste parti. Vedi di trovarla fuori” era la breve indicazione di mia madre. E giù fino a via Kandler, su per via Bonomo,
niente da fare, né chiesa né fratini. Tornai a casa con il precetto festivo
trascurato. Col tempo imparammo a salire la via dello Scoglio, a trovare sulla sinistra un grande portale di legno e ad entrare nella cappellina con una grande pala di san Francesco sopra l’altare. E simpatici
frati che ti facevano sentire in famiglia: p. Ambrogio Mosconi sorridente, spicciativo e sempre in movimento e p. Fulgenzio Campello accogliente, calmo, con cui era possibile iniziare un dialogo. Una
capatina nell’attiguo convento e si incappava in un certo fra Pasquale
affaccendato in cucina e ti accorgevi che ad un certo punto era meglio filare fuori nel cortile.
La prima Comunione
Due anni dopo, nel 1941, la prima confessione con p. Florindo
Tozzo e la Prima Comunione. Un incontro reale indimenticabile con
Gesù, anche se non saprei davvero con quali parole esprimerlo in que-
Bambini della
prima comunione
con p. Ambrogio
Mosconi
e p. Fulgenzio
Campello (1941).
32
sto momento e, soprattutto, una grande gratitudine per quei frati che
me lo avevano fatto conoscere. Ricordo, dopo tante lezioni di catechismo, il momento solenne dell’esame da parte del p. Guardiano, o
p. Superiore (come si diceva quella volta). “In che momento avviene
il cambiamento da pane a Corpo e Sangue di Gesù?” Me la cavai e
fui ammesso ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Una settimana
dopo ricevetti dal vescovo mons. Antonio Santin la Cresima, nella
chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo, padrino mio fratello Mario. Ho
ancora la foto sulle scale di casa, con una medaglia e una fascia sulla
spalla destra. A proposito di foto, quando guardo la foto della prima
comunione e vedo seduti accanto a p. Fulgenzio Campello i due compagni più discoli, da una parte Tullio Scherliani e dall’altra Walter
Poldi, non posso non pensare che pochi mesi dopo Walter morì per
una improvvisa grave malattia. Gran folla al funerale: era il primo
morto che vedevo. E non vi dico quanto piangemmo tutti assieme!
Chierichetto
E, naturalmente, ho fatto una carriera di servizio all’altare come
chierichetto, o nònzolo, come si diceva quella volta. Quali erano le
difficoltà? La prima, il peso del messale con tutto il leggio dal cornu epistulae a quello evangelii e poi “…ad Deum qui laetificat juventutem
meam” e “Quia tu es Deus, fortitudo mea: quare me repulisti, et quare
tristis incedo, dum affligit me inimicus?” “Spera in Deo, quoniam
adhuc confitebor illi: salutare vultus mei, et Deus meus”. La traduzione l’ho fatta poi alle medie, dove allora si studiava anche il latino.
Con le ampolline, poi, bastava distinguere l’acqua dal vino e con il
campanello c’era sempre da discutere con il compagno di servizio.
Si apre il cantiere
Un giorno gran confusione in via Giulia, in fondo alla via dello
Scoglio: enormi macchinari in funzione a scavare la collina, con andirivieni di camion carichi di terra e pietrame e frati impegnati con
carteggi distesi sul tavolo insieme ad architetti, ingegneri e impresario. Erano iniziati i lavori per la costruzione del grande muraglione per
33
La chiesa
in costruzione
(1942).
sostenere il terreno e delimitare lo spazio per la grande chiesa di
San Francesco e per l’annessa cappella. Naturalmente, per noi ragazzini curiosi, era proibito oltrepassare ciò che restava del vecchio muro
affacciato sulla via Giulia. Durante i primi lavori si verificò, nelle ore
notturne, una grossa frana nel tratto scavato e non ancora bloccato dal
muraglione. Grande spavento, ma nessun danno alle persone. I ponteggi erano tutti in legno, fissati con grossi infissi di ferro battuti a
colpi di martello: non c’erano allora i ponteggi metallici attuali, ma
non mi risulta che in tutti quegli anni per la costruzione della grande
chiesa ci sia stato un solo incidente agli operai.
Esplorazioni segrete
Non mancavano per noi ragazzi ampi spazi per giocare e anche
per indiscrete esplorazioni. C’era l’ampio cortile antistante la cappella, il cavedio dietro il convento e poi, su per le ripide scale, un’ampia distesa con i collegamenti più svariati. Attraverso una porticina si
accedeva alla soffitta della cappellina, entrando in quello che un
tempo era stato il deposito di fieno per i cavalli della sottostante stalla.
Più in alto c’era l’orto dei frati con frutta stagionale da rapinare (ci
siamo presi anche belle paternali!) e c’era soprattutto la villa misteriosa, quella che in un tempo successivo sarebbe diventata il convento
provvisorio dei frati e che infine venne demolita per fare il posto al
nuovo convento. La porta della villa in quegli anni era sbarrata, ma
c’erano finestre sbrecciate attraverso le quali entrare furtivamente ed
accendere la nostra fantasia con scenari fiabeschi, salvo scappare precipitosamente all’arrivo di qualcuno.
34
La nuova cappella
Come per incanto, nel settembre del 1941, ci ritrovammo abbattuto l’ultimo tratto di mura in via Giulia ed ecco la Cappella già edificata e quasi pronta all’uso, con operai intenti alla bella pavimentazione.
Era giunto il momento di trasportare l’altare della vecchia cappella di
via dello Scoglio nel nuovo edificio di culto. Gran suono delle campane a disco la sera del 4 ottobre del 1941 per l’apertura solenne della
nuova Cappella. In processione (eravamo circa 200 tra chierichetti
bambini e bambine) giù per via dello Scoglio incontro al vescovo mons.
Antonio Santin, accolto dal p. Provinciale, dal parroco di San Giovanni
assieme ad altri sacerdoti per la solenne benedizione. A noi pareva di
essere in una cattedrale, con una sacrestia vera e propria con gli armadi
per i paramenti e l’armadietto con gli appendini per le nostre vesti (le
cotte le portavamo a casa a inamidare e stirare dalle nostre mamme). Ri-
Ingresso
alla cappella
di San Francesco
(Franciscanum)
4 ottobre 1941).
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cordo che sopra la sacrestia c’era un piano superiore a cui si accedeva
con una ripida scala a pioli, adibito a deposito di statue, sottratte alla
pubblica venerazione, che ti guardavano con occhi sconcertati. Dietro
l’altare c’era ampio spazio, dove si poteva bisbigliare e origliare in attesa
di passare al momento giusto nel presbiterio con il turibolo e la navicella o, dopo il Sanctus, con le torce accese. Da una porta laterale del
presbiterio si poteva uscire nel vasto cantiere della chiesa grande, e bisognava stare attenti a non scivolare nella grande voragine che era stata
scavata come fondamenta per un campanile, rimasto poi solo nei cartolai dei disegni degli architetti Nordio e Foschini.
La guerra
Con il 1942 si incominciano a sentire i rumori della guerra, si sentono ululare sinistramente le sirene degli allarmi aerei. Una delle sirene è collocata proprio sul tetto della prima casa di via dello Scoglio
sopra il cantiere e il segnale è vicino e lacerante. Sempre più buie diventano le strade di notte con l’oscuramento che ci obbliga, quando
non c’è la luna, a girare con la pila per non inciampare nelle buche.
La S. Messa della notte di Natale viene anticipata prima alle 19.30
e poi alle 17.30. Nei negozi di alimentari lavorano le forbici a ritagliare i bollini delle tessere annonarie, dalle tavole spariscono le banane, le arance e i limoni e dai pasti scompaiono le porzioni
abbondanti. Anche i lavori per il tempio di San Francesco subiscono
interruzioni: muore l’impresario sig. Bergamo e i lavori vengono momentaneamente sospesi, riprenderanno nel febbraio del 1943, ma a
scartamento ridotto perché molti muratori hanno trovato lavoro altrove e manca la mano d’opera. Nella ex cappella di via dello Scoglio
viene allestita una sala cinematografica con films di Ridolini e di Stanlio e Ollio e vengono preparati spettacoli teatrali fino a quando, nel
marzo del 1943, nella nostra ex chiesina (ed ex teatrino) due operai
dell’Impresa Puricelli di Como si danno da fare per adattarla a dormitorio per gli operai che stanno scavando la galleria-rifugio dalle incursioni aeree nella Scala al Monticello, di fronte alla Birreria Dreher.
A proposito di allarmi aerei, ricordo che mentre era in corso la celebrazione di una S. Messa, al cui servizio ero impiegato in qualità di
chierichetto, suonò l’allarme. Al momento tutto continuò regolarmente
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fino a quando non incominciò il rombo più o meno cupo degli aerei
che sorvolavano la città. Il sacerdote, allora, abbandonò tutto e corse
immediatamente a rifugiarsi sotto il muro maestro della chiesa in corrispondenza dell’uscita verso l’esterno. Nella mia incoscienza di ragazzino la cosa quasi mi divertì e, prima di ritornare a sedermi tranquillo
su di un banco della prima fila della cappella, cercavo di fissarmi nella
mente il punto in cui la celebrazione era stata interrotta, in modo da
testimoniare, in caso di catastrofe, se c’era stata o no la consacrazione.
Comincia il giro dei frati
Ricordo quanto rimasi male il giorno in cui mi accorsi che erano
spariti dalla comunità p. Fulgenzio Campello e p. Florindo Tozzo (era
il mio confessore): probabilmente nessuno mi aveva avvisato del loro
trasferimento ad altra comunità, ma devo dire che da un momento all’altro il non vedermeli più davanti nelle funzioni in chiesa e in giro per
il convento mi causò dentro una strana sensazione, una specie di capogiro, un vuoto sgradevole. Poi, col tempo, mi abituai al giro di frati
e non provai più quella iniziale inquietudine, tanto più che mi restava
sempre p. Ambrogio Mosconi, a cui potevo raccontare le mie peripezie. Arrivarono p. Silvestro Fassina, dinamico, pieno di iniziative, so-
Prime comunioni
con p. Mosconi,
p. Fassina
e p. Danielli (1942).
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Gruppo di paggetti
con fra Raimondo
Pison.
lerte lavoratore dell’orto dietro la casa e attento ai furti delle albicocche da uno splendido albero dietro il cortile, p. Luigi Danielli, alto solenne autorevole, pieno di saggezza e di sorriso, fra Romeo Musaragno,
di origini nobili, fra Raimondo Pison, attivo con la Milizia dell’Immacolata (ci faceva indossare le divise dei paggetti e ci comunicò la
notizia della morte di p. Massimiliano Kolbe) e infine, solenne, p. Ottilio Marazzato, con il suo cappello da “uomo” (gli altri frati portavano il cappello con la tesa tonda liscia, e p. Ambrogio aveva la tesa
nera villosa) e il soprabito nero attillato al posto della mantellina francescana degli altri: era il professore, il docente universitario di materie
giuridiche, importante, prestigioso, considerato esperto in cose religiose e civili; i nostri rapporti non erano facili e si limitavano ad un sorriso compiacente da parte sua e un saluto riverente da parte mia.
Appena vent’anni dopo, da laureato e specializzato medico-chirugo,
ebbi la ventura di condurre una conversazione prolungata con lui.
1943
Col passare dei mesi di guerra, nel 1943 le vicende si complicarono con la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre. Le famiglie del rione e i frati prestarono aiuto ai soldati italiani sbandati per
38
sostituire le divise militari con abiti civili ed evitare loro il coinvolgimento con le truppe tedesche occupanti. Un soldato venne addirittura nascosto per un certo tempo in convento. Brutte notizie dai sette
frati della comunità di Pirano, imprigionati dalle SS per un mese
prima di venire messi in libertà. Durante la prigionia furono assistiti
nel vitto e vestiario dalla comunità di Trieste la quale, in certi giorni,
si privò anche del proprio pane per loro.
1944
Il 10 giugno 1944 si verificò il primo bombardamento della nostra
città con 350 morti e 3000 sinistrati. Venne colpita in pieno e distrutta
la chiesa dei frati minori di via Rossetti con quattro religiosi morti
sotto le macerie, abbattuto un palazzo di via Battisti e gravi danni in via
Settefontane e nel rione di San Giacomo. Ricordo quella chiesa con i
cadaveri distesi lungo le navate. I nostri padri si prestarono per l’assistenza a feriti e moribondi. Nella nostro rione ancora nessun danno.
Altri bombardamenti si susseguirono il 26 giugno e il 10 settembre del 1944 con crolli anche nell’abitato di Longera . Altri fatti tragici a Opicina e in città per attentati partigiani e rappresaglie tedesche.
Come non ricordare i cadaveri appesi alle finestre di via Ghega!
Il 12 dicembre 1944 interruzione dei lavori della chiesa giunti a
buon punto perché tutti gli operai sono chiamati a lavorare alla Todt.
Ricordo, di quell’epoca, le frequenti visite di mons. Raffaele Radossi, vescovo di Pola e Parenzo.
Io ero abituato a vedere il nostro vescovo solenne in cattedrale, con
mitria, pastorale e suono d’organo durante i pontificali; trovarmi invece accanto un vescovo con cui potevo avere la stessa familiarità e
confidenza che avevo con gli altri frati era per me una sensazione
nuova: un vescovo con cui anche un ragazzo come me poteva tranquillamente parlare a tu per tu, anche se mi rendevo conto di quanto
grande era il suo coraggio nella sua diocesi di Pola in momenti assai
difficili e quanto grande fosse la sua saggezza.
La notte del 4 aprile 1945 si udì un gran tonfo sordo improvviso:
Era uno spezzone del Pippo (aereo misterioso e minaccioso che sorvolava a bassa quota senza allarme scaricando ordigni esplosivi) sganciato nel bel mezzo della chiesa in costruzione che causò un grosso
danno alle armature in legno, valutato in seguito 80.000 lire.
39
L’epilogo
E infine, l’ultimo giorno di aprile e i primi giorni di maggio del
1945 il fronte arrivò anche nella nostra città. Cannoneggiamento
giorno e notte, tutti chiusi in casa, impauriti e storditi dagli scoppi che
si susseguivano giorno e notte. Arrivarono i primi partigiani con la
stella rossa, sia quelli dell’esercito in divisa che quelli sbrindellati in
borghese con bandoliere di bombe a mano. In Birreria posto di blocco
e di arruolamento. Segnalarono un “morto” in via Bonomo, il p. Guardiano accorse e lo trovò ancora vivo per l’estrema unzione. Arrivarono anche i neozelandesi e gli americani. Spari anche contro il convento, il p. Guardiano andò incontro a un “capo” e gli spiegò che non
c’erano clandestini in casa.
I 40 giorni
Ad un certo punto gli spari cessano, tanti aerei sorvolano la città,
ma non fanno più paura. La vita riprende, la gente viene ad attingere
acqua dal pozzo del convento, nelle panetterie appaiono pagnotte d’un
bianco abbagliante, si formano lunghissime file davanti alla birreria
Dreher per un fiasco di birra sfusa. Gioia per la guerra finita? E invece
si ripiomba nella desolazione dei 40 giorni di occupazione militare dei
titini. Tutto inizia con la sparatoria e i cinque morti di via Imbriani e
l’angoscia delle sparizioni e degli infoibamenti. A due a due i dimostranti filoiugoslavi uomini e donne girano per la città inneggiando a
Tito, appaiono gride bilingui sui muri, ci si rende conto della crudeltà
delle sparizioni. Anche un nostro conoscente che si trovava col figlio in
un negozio di via Giulia, viene prelevato e per anni la moglie ha svolto
le più dolorose ricerche per averne notizie.Trascorsi i 40 giorni, il miracolo: le truppe iugoslave si allontanano da Trieste e da tutta la zona
A e inizia l’occupazione angloamericana e il Governo Militare Alleato.
Si costituisce la Polizia Civile distinta dalle guardie municipali, per la
città girano le jeep della Polizia Militare e le camionette dell’Emergency.
La vita riprende
Finita la guerra c’è movimento di frati. Passano per il convento
tutti i nostri religiosi costretti a fuggire dalla Slovenia (non dalla Croa40
zia); parte per Padova p. Silvestro Fassina, arriva p. Vito Pellegrini,
fra Federico Milanese e, da Venezia, fra Stanislao Masetto che prende
subito il suo incarico di cuoco. Viene riattata la misteriosa villa dietro la chiesa, oggetto delle nostre esplorazioni, e dopo alcuni lavori
viene affittata all’Università di Trieste.
Nella primavera del 1946 ha luogo una nuova destinazione di questo edificio, dal momento che il vecchio convento di via dello Scoglio
diviene sempre più scomodo sia per la vetustà degli ambienti che per
la distanza dalla chiesa di via Giulia. Il 28 aprile 1946, la comunità,
vi si trasferisce, dopo un costoso restauro e una sistemazione realizzata
con molto buon gusto. Come ricordo personale rivedo la mia prima
confidenza con un apparecchio telefonico collocato sulla parete accanto alla porta d’entrata: di soppiatto facevo telefonate a…mio padre
che lavorava al Lloyd Triestino.
Ricordo in quell’epoca i discorsi riservati tra i frati (trapelati ovviamente anche al nostro livello) sulle ricerche che si facevano di p. Placido Cortese, dopo il suo passaggio tra gli aguzzini delle SS e forse della
Risiera e l’impegno, per ogni sacerdote, di celebrare due Sante Messe
per un sollecito ritorno o in suffragio dell’anima sua se fosse morto.
Grande accoglienza, nel mese di giugno, all’architetto Foschini per
gli ultimi ritocchi alla nuova grande chiesa.
Nell’ottobre nuovi cambiamenti: parte p. Vito Pellegrini, arriva p.
Romano Barison e fra Antonio Fioranti e nel mese di dicembre ha
luogo l’istituzione del processo informativo sulle virtù e fama di santità del servo di Dio p. Massimiliano Kolbe.
La “misteriosa” villa
per alcuni anni
abitazione dei frati,
che sarà demolita
nel 1963
per far posto
al nuovo convento.
Da sinistra:
p. Fassina,
fra Antonio Fioranti,
fra Federico
Milanese,
p. Nazario Marcato
mons. Santin,
p. Mosconi,
don Degrassi,
mons. Del Fabbro,
p. Romano Barison
(1946).
Il 21 giugno del 1947 tutta la città è scossa per la brutale aggressione al nostro vescovo mons. Antonio Santin a Capodistria, la nostra
parrocchia partecipa a tutte le manifestazioni di solidarietà nei confronti del nostro pastore diocesano.
Si apre la nuova chiesa
Nel febbraio del 1948 hanno inizio i lavori della pavimentazione
della chiesa grande: tutti adocchiano e sorgono grandi discussioni,
come sempre, sul tipo di pavimento e naturalmente i pareri sono discordi. Gran lavoro di levigatura da parte della ditta Ferruccio An-
Prime celebrazioni
nella chiesa
di San Francesco
(aprile 1948).
Prime comunioni nella chiesa
di San Francesco (maggio 1948).
dreani e finalmente, il 1° aprile, su decisione solenne del p. Guardiano Ambrogio Mosconi, la chiesa viene aperta ai fedeli con la celebrazione della prima messa domenicale. Grande afflusso di gente da
tutta la città e Prima Comunione, nel mese di maggio, di 120 bambini del rione e, nel mese di settembre, un solenne concerto vocalestrumentale diretto dal Maestro Ugo Casilister.
Cominciano, nei mesi estivi, i grandi pellegrinaggi a Padova, Castelmonte, Loreto, Cascia e Assisi. Gli esploratori fanno un campeggio ad Auronzo. p. Giovanni Zanini organizza il cinema all’aperto:
un successo di pubblico nelle belle serate, proveniente da tutta la città.
Ciò non toglie che nei mesi autunnali e invernali la grande chiesa sia
decisamente fredda e le numerose bocche dell’impianto del riscaldamento non solo non entrano in funzione, ma vengono addirittura
chiuse per evitare fastidiosi giri d’aria gelida.
Nel 1950 si possono registrare due avvenimenti importanti, il passaggio rionale della Madonna Pellegrina e la collocazione dello splendido altare maggiore in marmo e alabastro illuminato dall’interno che
riscuote l’ammirazione generale. Si procede anche al rivestimento in
marmo degli stipiti delle porte.
Nel 1952 vengono benedette le statue di san Francesco, sant’Antonio e il Crocifisso dell’altare maggiore, opere dello scultore padovano prof. Paolo Boldrin.
43
Addio p. Ambrogio Mosconi!
Succede l’avvenimento che tutti temevano, ma che prima o poi doveva capitare: p. Ambrogio Mosconi, che ha guidato in modo competente e saggio la comunità religiosa dal 1938, nei tempi più difficili
dell’insediamento e nei momenti più tragici della guerra, è destinato
ad altro convento, a Treviso. Tutti abbiamo avvertito un vuoto, un
grande vuoto: non veder più in giro la sua faccia, i suoi occhi, la sicurezza delle decisioni, la sua autorità condita di tanta attenzione e
tanta benevolenza. Ancora adesso, se ci penso, mi rintrona qualcosa
in fondo all’anima. Sono andato a trovarlo varie volte a San Pietro di
Barbozza, lui anziano e dimagrito con il naso affilato, io cresciuto,
laureato medico, padre di famiglia…davanti a lui mi son sempre sentito come un ragazzino. Col passare del tempo ho imparato a dare
del tu a tutti i frati, ma lui è sempre rimasto per me “p. Ambrogio,
el padre superior del convento” a cui ho sempre dato del “lei” riconoscendo la sua autorevolezza. Caro p. Ambrogio: quanto abbiamo
discusso sull’etica dell’adolescenza e come trattenere alla sequela di
Gesù i ragazzi che dopo la cresima disertano la chiesa!
P. Ambrogio Mosconi
(p. Guardiano
1938 - 1952).
44
Dopo un breve periodo di p. Luigi Danielli, arriva come p. Guardiano il p. Cesare Bronca: lo ricordavo come tremendo insegnante di
francese alla scuola media inferiore del collegio di Camposampiero,
invece me lo ritrovo come amichevole e impegnato superiore del
convento. Nel vicino convento di Pirano prende sempre più piede un
atteggiamento di ostilità verso i religiosi italiani: p. Anselmo Sartori
dopo esser stato invitato a lasciare la zona B si périta di ritornare in
quel convento il 20 ottobre del 1953 e viene subito arrestato, condannato e trattenuto in carcere fino al 26 marzo e il 3 aprile del 1954
viene formalmente espulso.
Nel novembre del 1955 si procede alla posa in opera dei sei altari
laterali in marmo, si crea un piano rialzato per l’altare maggiore e
vengono acquistati 40 banchi nuovi con la targhetta del donatore.
Gran movimento di frati, p. Bronca va a Montevideo, p. Guzzinati a
Padova; come p. Guardiano, arriva p. Aureliano Strappazzon, sostituito nel 1957 da p. Adriano Fondriest.
Cosa capita ad un parrocchiano!
Due funerali nella chiesa di San Francesco, entrambi partiti dalla
mia casa di via Verga: il primo, nel novembre del 1957, per il mio
papà, vittima dell’asiatica e il secondo, nell’aprile del 1958, per mia
madre, morta a soli 50 anni, rapita da un male incurabile. Mi ritrovo
solo, con mio fratello don Mario, in una casa divenuta improvvisamente troppo grande. P. Ermenegildo Baggio contribuisce in modo
P. Ermenegildo
Baggio col coro
della chiesa (1958).
provvidenziale alle scelte fondamentali della mia vita, perché mi esonera dalla direzione del coro che guidavo dal 1950 e mi sconsiglia
anche di partecipare come cantore e così, abbastanza infastidito, abbandono la chiesa dei frati e passo la notte di Natale con mio fratello
sacerdote presso la cappella della Casa Famiglia “Mater Dei”, dove
incontro Gianna, il regalo più grande che Dio mi ha fatto.
Movimento in convento e fuori
Nel 1958, nuovo cambiamento in convento, p. Adriano Fondriest
viene sostituito da p. Vito Pellegrini e cambia anche il Papa: a Pio XII
succede Papa Giovanni XXIII, con il quale avrà inizio l’epoca storica
del Concilio Vaticano II.
Nel 1959 finalmente viene installato un ascensore, per evitare la
sgambettata di 81 scalini dal convento alla chiesa e nel 1961 viene acceso finalmente il riscaldamento sia nella chiesa che nel Franciscanum.
Dall’America Latina arriva a Trieste p. Stanislao Sgarbossa.
Nel 1963 si procede alla demolizione della villa che costituiva il
vecchio convento. Il 17 aprile, posa della prima pietra del nuovo convento da parte del p. Provinciale con l’inserimento di una pergamena
scritta in latino, redatta da p. Ilario Moratti. Il 22 settembre ha luogo
la solenne consacrazione della chiesa (ricorre il 25° della presenza dei
frati a Trieste) da parte dell’arcivescovo mons. Antonio Santin. Nell’estate del 1964 c’è l’avvicendamento dei Superiori: p. Fortunato
Zorzini proveniente dal Santo prende il posto di p. Vito Pellegrini
come p. Guardiano e arriva p. Serafino Guarise. Una inquadratura
storica: muore Papa Giovanni XXIII e viene eletto Papa Montini con
il nome di Paolo VI.
Concilio Vaticano II
In Franciscanum si svolgono esercitazioni in preparazione alla S.
Messa in italiano. Il 4 marzo 1965 per la prima volta p. Stanislao celebra su un altare rivolto al popolo. Si celebra la S. Messa vespertina
e non c’è più, alla sera, la benedizione eucaristica. Riduzione del digiuno eucaristico per i cibi solidi ad un’ora prima della Santa Comu46
nione. Iniziano le concelebrazioni e alle letture domenicali cominciano ad avvicendarsi i lettori laici. La messa vespertina del sabato è
valida per il precetto domenicale, dapprima solo per chi non può essere presente la domenica e poi piano piano diventa una prassi comune per chi lo desidera. Sempre più sfumato il compito dei
chierichetti, non si sposta più il messale, non si risponde più in latino,
anzi, è abolito il salmo iniziale, si traduce in italiano anche il Kyrie
eleison, per il lavabo il sacerdote fa da sé, quando addirittura lo dimentica, niente più confiteor prima della comunione dei fedeli, abolite le messe solenni con i tre celebranti in fila indiana da una parte
all’altra dell’altare, cessa anche la funzione del diacono che reggeva
(non ho mai capito perché) la patena fra le mani avvolto nel velo, il
manipolo viene lasciato negli armadi delle sacrestie, non c’è più la lettura finale dell’inizio del Vangelo di Giovanni, vengono rimosse le tre
tabelle dall’altare e saltano anche le tre Ave Maria in ginocchio, con
la preghiera a san Michele contro il Maligno che si aggira come un
leone ruggente.
Parrocchia
Dopo 25 anni di presenza nel rione della comunità dei PP. Conventuali veniva quasi spontaneo pensare alla costituzione di una parrocchia, anche per soddisfare le sempre più frequenti richieste di
Battesimi e Matrimoni. La cosa era nell’aria da molti anni e a dire il
vero, c’erano state anche delle esitazioni reciproche tra la comunità e
la curia vescovile, ma ora i tempi erano maturi, anche perché in tutta
la diocesi si era instaurato un movimento di fioritura delle chiese e
delle parrocchie nelle varie parti della città e della provincia. Si giunge
alla firma presso la Curia diocesana della convenzione per la nuova
parrocchia (Mons. Santin, don Tarcisio Bosso, p. Provinciale, p. Segretario della Provincia e p. Guardiano.) Nel frattempo si completa
l’allestimento dell’ufficio parrocchiale collegato con un nuovo moderno centralino telefonico.
Il 3 dicembre 1965 si celebra solennemente la costituzione ed erezione della Parrocchia di San Francesco con una gran festa, preceduta
da novena e allestimento di una mostra della parrocchia con pesca di
beneficenza pro organo.
47
Solenne celebrazione
per la costituzione
ed erezione
della Parrocchia
di San Francesco
(3 dicembre 1965).
Per l’occasione è presente il p. Provinciale, p. Vitale Bommarco,
che celebra la S. Messa delle ore 11. La lettura del decreto fondazionale ha luogo alle ore 19, prima della S. Messa prelatizia dell’ arcivescovo mons. Antonio Santin. Tra le autorità religiose e civili sono
presenti il vicario generale mons. Fornasaro, il primicerio mons. Salvatori, il decano mons. Carrà, il canonico mons. Mizzan, il parroco
di San Giovanni don Giovanni Albanese, vari parroci della città e rappresentanti di ordini religiosi, il sindaco Franzil, il presidente della
Provincia Savona e il procuratore della Repubblica dott. Nardi. Dopo
il canto del “Veni Creator” il cancelliere vescovile don Tarcisio Bosso
legge il decreto di fondazione della nuova parrocchia che viene staccata dalla matrice San Giovanni. Segue l’omelia dell’arcivescovo, il
Cantico delle creature e l’indirizzo di saluto del p. Provinciale.
P. Fortunato Zorzini è nominato primo vicario economo della parrocchia, p. Stanislao Sgarbossa e p. Salvatore Stagni rispettivamente
1° e 2° cooperatore. Viene allestito un fonte battesimale con ampia
vasca, tuttora usata come pila dell’acqua santa. D’estate viene riaperto
il cinema “Scoglietto”. Il 2 dicembre muore fra Giocondo Rossitti,
che viene sepolto a Ronchi, nella tomba di famiglia.
Il 21 marzo del 1967 viene celebrato il 25° di sacerdozio di p. Stanislao Sgarbossa e di p. Serafino Guarise, trasferiti nei mesi estivi il
primo a Vicenza e il secondo a Pedavena, mentre p. Fortunato Zor48
Da sinistra:
p. Davide Bressan,
p. Olindo Baldassa,
Arch. Agatangelos,
mons. E. Ravignani,
p. Raimondo
Marchioro (1968).
zini va a Narbonne, in Francia. Arrivano p. Raimondo Marchioro e,
come guardiano e parroco, p. Olindo Baldassa. P. Anselmo, da parte
sua, produce quattro ettolitri di buon vino tipo malvasia.
Alla fine dell’anno viene praticata una riapertura della porta che
dal vestibolo della sacrestia immette direttamente in presbiterio e dalla
chiesa di Sant’Antonio Nuovo viene trasportato nella nostra chiesa
un imponente coro composto da dodici stalli.
Conclusione
Mi sono accorto, compilando queste memorie, di essere quasi impercettibilmente passato dalla storia alla cronaca e di veder fluire
quelli che sono i ricordi della mia infanzia e giovinezza nella comune
memoria dei parrocchiani attuali. Confesso tra l’altro che la mia impegnativa professione ospedaliera con turni diurni e notturni, la vita
familiare (attualmente cinque figli e nove nipoti) e la partecipazione
ad attività diocesane non mi hanno certo allontanato né dalla fede né
da quella che viene definita pratica religiosa, però mi hanno forse distolto da quella domestica e confidenziale quotidiana confidenza con
i frati che avevo nei decenni trascorsi . Rimane sempre completa la
mia disponibilità ad una collaborazione concreta. E quanto ho scritto
fin qui, modestamente, lo vorrebbe dimostrare.
49
Frati di “Famiglia” a Trieste
1938 – 2008*
P.
VIGILIO FEDRIZZI
fra Federico Marchiori
fra Pietro De Rossi
p. Guardiano 1938
P.
p. Guardiano 1938 – 1952
AMBROGIO MOSCONI
p. Fulgenzio Campello
p. Egidio Eccher
fra Samuele Povolato
fra Romeo Musaragno
fra Giocondo Rossitti
fra Mariano Baron
p. Florindo Tozzo
fra Pasquale Dante
fra Raimondo Pison
p. Silvestro Fassina
p. Ottilio Marazzato
p. Luigi Danielli
p. Leone Zoppi
p. Alfonso Guzzinati
p. Vito Pellegrini
fra Federico Milanese
p. Romano Barison
p. Giovanni Zanini
fra Stanislao Masetto
p. Nazario Marcato
fra Antonio Fioranti
p. Agostino Flaim
p. Roberto Salvalaggio
p. Albino Odorizi
* Nel compilare l’elenco dei frati si è tenuto conto delle “obbedienze”, la lettera del
ministro provinciale con la quale un frate viene collocato in una comunità (= famiglia).
51
P.
LUIGI DANIELLI
fra Giovanni Pasqualetti
p. Adriano Fondriest
p. Guardiano luglio – dicembre 1952
P.
p. Guardiano 1953
CESARE BRONCA
p. Ermenegildo Baggio
fra Giuseppe Lenzi
p. Salvatore Stagni
p. Amedeo Sanvidotto
fra Stanislao Masetto
fra Carlo Palmisano
p. Ottilio Marazzato
p. Agostino Flaim
P.
AURELIANO STRAPPAZZON p. Guardiano 1955
p. Livio Chudoba
p. Gabriele Barzi
p. Ermenegildo Baggio
p. Luigi De Concini
fra Damiano Cazzaro
P.
ADRIANO FONDRIEST
p. Giovanni Martini
p. Teofano Benetazzo
p. Guardiano 1957
P.
p. Guardiano 1958
VITO PELLEGRINI
fra Antonio Fioranti
p. Ermenegildo Baggio
p. Agostino Flaim
fra Damiano Cazzaro
p. Corrado Toffoletti
p. Luigi De Concini
fra Giocondo Rossitti
p. Stanislao Sgarbossa
p. Anselmo Sartori
p. Gabriele Barzi
p. Teofano Benetazzo
52
P.
FORTUNATO ZORZINI
p. Serafino Guarise
fra Erminio Crescenzio
p. Salvatore Stagni
p. Guardiano 1964 e Parroco 1965
P.
p. Guardiano 1967 – 1973
e Parroco 1967 – 1976
OLINDO BALDASSA
p. Raimondo Marchioro
p. Gianfrancesco Longhin
fra Pompilio Scroccaro
p. Pietro Ruffato
p. Tarcisio Lupieri
fra Pierino Simoncello
p. Salvatore Stagni
P.
RAIMONDO MARCHIORO
fra Alfeo Valentini
p. Luigi De Concini
p. Guardiano 1973
P. INNOCENZO
BORDIN
p. Egidio Maule
p. Angelo Menegolli
p. Camillo Varotto
p. Giovanni Pavanetto
p. Aldo Frigo
p. Guardiano e Parroco 1976
P. GERMANO BUSO
p. Giambattista Bontempi
p. Guardiano e Parroco 1985
P. LORENZO GOTTARDELLO
fra Armando Berton
p. Adolfo Della Torre
p. Ruggero Lotto
p. Enzo Piovesan
p. Guardiano e Parroco 1988
P. ENZO POIANA
p. Bruno Garbo
p. Guardiano e Parroco 1997
53
p. Bruno Pesenti
p. Gianluigi Poirè
p. Antonio Pecar
Mons. p. Antonio Vitale Bommarco
p. Nicola Gottardo
fra Renato Zanello
P.
LINO PELLANDA
fra Martin Baciu
54
p. Guardiano e Parroco 2005
Tavole fotografiche
Disegno
della chiesa B.V.
del Soccorso
(Sant’Antonio
vecchio)
dopo la demolizione
del convento
(1847 c.a).
Scavo dell’area
della chiesa
e fondamenta
della cappella
di San Francesco
(1941).
57
Interno della chiesa
di San Francesco
intonacata (1949).
Bambini e bambine
della prima
comunione
con paggetti
e “angioletti”
(1950).
58
Cioccolata dopo
la prima comunione
In Franciscanum
(1950).
P. Albino Odorizzi
e i chierichetti
(1950).
59
Prime comunioni
con p. Cesare Bronca (1953).
P. Aureliano Strappazzon (1956).
60
I bambini
di prima comunione
scendono
da via dello Scoglio
con p. Adriano
Fondriest (1959).
Il nuovo convento
e l’abside
della chiesa (1964).
61
Da sinistra: p. Raimondo Marchioro, fra Erminio Crescenzio,
p. Ottilio Marazzato, p. Olindo Baldassa, Mons. A. Santin,
p. Gabriele Barzi, p. Salvatore Stagni (1968).
62
Da sinistra:
p. Leonardo Frasson,
p. Sergio Zanchin,
p. Samuele Doimi,
p. Basilio Heiser
(Ministro Generale),
mons. Antonio Santin,
p. Olindo, p. Barzi,
p. Piero Ruffato,
p. Marazzato,
p. Tarcisio Lupieri
(1970).
Rimozione
degli intonaci
della chiesa (1972).
63
Interno della chiesa
dopo la rimozione dell’intonaco (1972).
64
P. Olindo
con i bambini
della prima
comunione (1973).
P. Olindo
con il gruppo
dei chierichetti
(1973).
65
P. Innocenzo Bordin
con mons. Lorenzo Bellomi.
66
Prime comunioni
con p. Innocenzo
(1983).
Mons. Bellomi,
p. Luigi De Concini,
p. Giovanni
Pavanetto
e p. Innocenzo
in visita alla Scuola
Suvich (1984).
67
P. Germano Buso (1986).
Prime comunioni con p. Lorenzo Gottardello (1989).
Pellegrinaggio ad Assisi con p. Lorenzo (1990).
68
69
Festa del 25° della Parrocchia.
Da sinistra: p. Luigi, fra Armando Berton,
p. Tarcisio, p. Lorenzo, mons. Bellomi,
p. Olindo, p. Zorzini, p. Giambattista Bontempi (1990).
70
Ingresso
del nuovo parroco
p. Enzo Poiana
e saluto
di p. Lorenzo,
con mons. Ravignani
(1997).
Celebrazione
eucaristica: p. Enzo,
mons. Ravignani,
p. Lorenzo (1997).
71
Prime comunioni
con p. Enzo
e mons. Bonmarco
(2002).
Celebrazione del 70°
delle Suore Dimesse
(2004).
72
50° di professione religiosa
di fra Armando con p. Enzo (2004).
73
60° di sacerdozio
di p. Luigi
con la Fraternitas
(2004).
Ingresso
del nuovo parroco,
p. Lino Pellanda
(2005).
74
Prime comunioni
con p. Lino (2006).
P. Lino con i bambini
che disegnano
in chiesa
il loro incontro
con sant’Antonio
(2007).
75
Sopra: gita a Sappada (2007).
Sotto: visita a Rovereto con p. Lino (2007).
A destra: l’accoglienza delle reliquie di sant’Antonio nella chiesa della B.V. del Soccorso:
fra Renato Zanello, p. Bruno Pesenti, p. Lino, p. Martin Baciu (2007).
70° anniversario del ritorno dei frati Minori Conventuali a Trieste. Da sinistra: p. Luigi,
p. Mirko, p. Lino, p. Bruno, mons. Gianpaolo Muggia, p. Enzo Piovesan,
mons. G. Agostino Gardin, p. Enzo, p. Luciano Bertazzo, p. Giovanni Pavanetto, p. Olindo,
fra Armando, p. Martin, p. Bruno Garbo (20 aprile 2008).
76
77
Indice
Presentazione................................................................................................................................................3
Il convento - parrocchia di San Francesco di Trieste: 1938-2008.
70 anni di presenza francescana
Premessa .....................................................................................................................................................7
Prima del ritorno ..............................................................................................................................7
Gli antefatti del ritorno ..........................................................................................................10
Alcune considerazioni conclusive ................................................................................30
Il racconto di un parrocchiano
Dove sono i frati? ..........................................................................................................................31
La prima Comunione ..............................................................................................................32
Chierichetto ........................................................................................................................................33
Si apre il cantiere ...........................................................................................................................33
Esplorazioni segrete ....................................................................................................................34
La nuova cappella .........................................................................................................................35
La guerra.................................................................................................................................................36
Comincia il giro dei frati .......................................................................................................38
1943 ............................................................................................................................................................39
1944 ............................................................................................................................................................39
L’epilogo..................................................................................................................................................40
I 40 giorni .............................................................................................................................................40
La vita riprende ...............................................................................................................................40
Si apre la nuova chiesa .............................................................................................................42
Addio p. Ambrogio Mosconi! .........................................................................................44
Cosa capita ad un parrocchiano! ..................................................................................45
Movimento in convento e fuori ....................................................................................46
Concilio Vaticano II ..................................................................................................................46
Parrocchia ..............................................................................................................................................47
Conclusione ........................................................................................................................................49
Frati di “Famiglia” a Trieste, 1938-2008 .................................................................51
Tavole fotografiche.............................................................................................................................55
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Finito di stampare novembre 2008
Villaggio Grafica - Noventa Padovana (PD)