compositi a matrice polimerica

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compositi a matrice polimerica
INTRODUZIONE
COMPOSITI PLASTICI
COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA
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POLIMERI:GENERALITA’
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COMPOSITI PARTICELLARI
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METODI DI FABBRICAZIONE PARTICELLARI
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CARBONATO DI CALCIO
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TALCO
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MICA
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CARICHE DI FORMA SFERICA
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SILICE
33
CARICHE METALLICHE
34
CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA
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PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE
DEI COMPOSITI PARTICELLARI
COMPOSITI CON FIBRE
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GENERALITA’
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FIBRE DI CARBONIO
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FIBRE ARAMMIDICHE
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FIBRE CERAMICHE
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FIBRE DI BORO
59
FIBRE DI VETRO
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COMPOSITI A FIBRE CORTE
PROPRIETA’ MECCANICHE
COMPOSITI FIBRE LUNGHE
MACROMECCANICA DELLA LAMINA
61
61
72
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1
MICROMECCANICA DELLA LAMINA
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CARICHI DI ROTTURA
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MACROMECCANICA DEL LAMINATO
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IDENTIFICAZIONE SUCCESSIONE
LAMINE NEL LAMINATO
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PROGETTAZIONE
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IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI
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TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE
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LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE
(HAND LAY-UP E SPRAY-UP)
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STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE
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AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING
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PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE)
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STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO
124
FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE
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APPLICAZIONI
CAMPO AEROSPAZIALE
128
128
TELAIO DI UNA VETTURA SPORTIVA
IN MATERIALE COMPOSITO
133
FRENI A DISCO
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VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO
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STRUTTURE A NIDO D'APE
155
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INTRODUZIONE
Con il termine “composito” in generale si intende un materiale ottenuto
combinando due o più componenti in modo che il prodotto finale abbia proprietà
diverse da quelle dei singoli costituenti. I compositi sono generalmente costituiti da
almeno due componenti, chiamati anche fasi, combinati in varie proporzioni e forme:
una delle fasi, la matrice, è in forma continua, e ha per lo più lo scopo di assicurare
una certa forma al pezzo nonché quello di proteggere e trasmettere in modo uniforme
il carico alla fase di rinforzo. L’altra, o le
altre fasi, è rappresentata da un
componente discontinuo: trattasi del rinforzo, carica o filler dir si voglia.
L’idea di base dei compositi è quella di ottimizzare, in termini di caratteristiche
meccaniche e leggerezza, le prestazioni dei materiali cosiddetti convenzionali.
Combinando, infatti, un materiale con una certa proprietà (p.e. un polimero), con un
altro di proprietà differenti (p.e. fibre di vetro), è possibile ottenere un materiale,
composto dai due, che ne esalti le caratteristiche migliori. I materiali compositi
risultano particolarmente interessanti in quanto offrono particolari combinazioni di
diverse proprietà che non possono essere contemporaneamente presenti nei materiali
tradizionali come le leghe metalliche, i ceramici ed i polimeri. Un materiale
composito è infatti un materiale multifase creato artificialmente e diverso da quelli
che si trovano in natura: in base al principio delle azioni combinate, l’ottimizzazione
di una proprietà viene ottenuta mediante l’attenta e studiata combinazione di due o
più materiali differenti a costo anche di peggiorarne alcune altre.
La figura
sottostante mostra il Principio delle Azioni combinate per la resistenza meccanica.
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Materiali compositi complessi sono largamente presenti in natura: nel legno delle
piante un polimero di natura fibrosa, la cellulosa è tenuta assieme da sostanze
cementanti, come la lignina; nelle ossa degli animali il tessuto connettivo contiene
particelle di idrossiapatite.
L’utilizzo dei compositi come materiali da costruzione ha origini antichissime: già
nell’antico Egitto era usanza preparare i mattoni partendo da una miscela di fango
rinforzato con paglia ed essiccato al sole!
La più importante caratteristica dei materiali compositi è che possono essere
progettati e preparati partendo da opportuni componenti in modo tale da ottenere le
proprietà finali desiderate. Quindi il concetto della progettazione è di fondamentale
importanza: a differenza di quanto avviene per altri materiali, nei quali la struttura
viene preparata dopo averne progettato la forma e calcolate le dimensioni, note le
proprietà del materiale costituente, nel caso di materiali compositi la struttura può
essere realizzata contemporaneamente al materiale che la costituisce, e il materiale
progettato e fabbricato con le proprietà desiderate in funzione delle proprietà che si
vogliono attribuire alla struttura. La progettabilità costituisce senz’altro la
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caratteristica più "stimolante" di un materiale composito, unico tipo di materiale che
può essere
prodotto nella forma definitiva e con le proprietà volute mentre viene
prodotto.
Esistono diversi tipi di materiali compositi, classificabili a seconda dei materiali
costituenti: in particolar modo in base al tipo di materiale di cui è costituita, la
matrice assegna il nome ai vari tipi di compositi; avremo così compositi organici,
metallici o ceramici a seconda che la matrice sia di materiale organico, metallico o
ceramico. Tale distinzione, ancor prima che per motivi costruttivi o meccanici, si
rende tanto più utile quanto più si risentono gli effetti della temperatura di esercizio.
La matrice, infatti, deve poter rimanere allo stato solido e non viscoso per poter
assicurare una certa tenuta tra le fibre di rinforzo. A tal proposito si può fare
riferimento al seguente schema:
Temperatura di esercizio max
MATRICE ORGANICA <250 °C
MATRICE METALLICA < 1000 °C
MATRICE CERAMICA > 1000 °C
I rinforzi, atti ad assorbire la maggior parte delle sollecitazioni meccaniche,
possono a loro volta essere di varia natura e forma:
o rinforzi fibrosi di diametro – 7-8 μm lunghezza qualche cm;
o rinforzi particellari di diametro di qualche μm e lunghezza fino a 30-40
mm;
o rinforzi whiskers di diametro - 10 μm lunghezza - 10-50 mm.
I rinforzi possono essere inoltre di diversa natura: metallica, vetrosa, ceramica,
organica ecc. Una classificazione sommaria è la seguente:
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COMPOSITI PLASTICI
I compositi plastici ricoprono una vasta gamma di accoppiamenti fibra-matrice.
Essi sono il materiale più noto per merito della vetro-resina, il primo tipo ad essere
prodotto, costituita da fibre di vetro inserite in una matrice termoindurente (come la
poliestere e la epossidica) o in una matrice termoplastica.
Le vetro-resine ricoprono una vasta gamma di applicazioni ma è doveroso dire che
finora il loro uso raramente ha comportato, nella sostituzione di elementi strutturali
meccanici, l'impiego di tecniche di progettazione sofisticate e tali da sfruttare al
meglio le possibilità offerte dal materiale. Oggi assistiamo, è vero, allo sviluppo delle
suddette tecniche progettuali ma non si può negare che il loro impulso è stato dato
dalla necessità di ben utilizzare i nuovi tipi di fibre artificiali disponibili a costi
interessanti. Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente
monocristalline (whiskers) raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza
a trazione che possono superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali.
Mentre l'uso dì whiskers (fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta
al momento notevoli difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai
superato la fase
di sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di
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applicazioni industriali. Tutte le fibre fin qui accennate con l'aggiunta di quelle metalliche di berillio e di acciaio rientrano nella famiglia dei materiali inorganici (tab. I).
Esistono anche le fibre organiche polimeriche di recente realizzazione la cui
buona resistenza al calore e all’ossidazione raggiunge i circa 300°C. Il materiale
poliammidico (Nomex) è già stato impiegato per fibre in alcune strutture
“honeycomb” cioè strutture a sandwich, a strati; oggi la ricerca tende a valorizzare
tali materiali.
Più in dettaglio, osservando e commentando lo schema, possiamo dire che la
matrice può essere costituita da:
o una materia plastica (termoplastici come il nylon e l'ABS o termoindurenti
come le resine epossidiche, le resine poliestere);
o un metallo (generalmente alluminio, o titanio e loro leghe, più raramente
magnesio o altri);
o un materiale ceramico, generalmente carburo di silicio o allumina.
All’interno della matrice è dispersa (in varie modalità) una fase discontinua
(generalmente fibrosa, ma a volte anche particellare), detta rinforzo o carica, ed ha in
genere il compito di assicurare rigidezza e resistenza meccanica, assumendo su di sé
la maggior parte del carico esterno applicato al materiale. A questo scopo
fondamentale è la cura dell'adesione interfacciale tra fibre e matrice. Le fibre più
usate sono la fibra di vetro, la fibra di carbonio e le fibre aramidiche, come il kevlar, e
il Nomex, anche se ne esistono numerose di altri tipi, tra cui anche ceramiche.
Nella grande maggioranza dei casi le matrici sono polimeriche perché
garantiscono bassa densità (e quindi leggerezza del materiale finale): hanno però il
difetto di calare drasticamente le performances al salire della temperatura. I campi di
interesse sono i più disparati: nella tabella seguente vengono
elencati esempi
corrispondenti a diversi settori industriali oggi maggiormente importanti.
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SETTORE
ESEMPI
INDUSTRIALE
AERONAUTICOAEROSPAZIALE
parti di ali e code, fusoliere, antenne, pale di
elicottero, carrelli di atterraggio, sedili, pavimenti,
pannelli interni, serbatoi, involucri esterni e coni
terminali di razzi e missili, tubi di lancio
AUTOMOBILISTICO
parti di carrozzeria, cabine per camion, spoilers,
quadri
comandi,
alloggiamenti
per
pannelli
luci,
porta-strumenti,
paraurti,
molle
per
sospensioni, organi di trasmissione, ingranaggi,
cuscinetti
NAVALE - MARINO
scafi, ponti, alberi, vele e relative stecche,
profili strutturali, sagole di salvataggio, boe
d'ancora, protezioni per motori, pannelli interni
CHIMICO
tubazioni, serbatoi, recipienti in pressione,
tramogge, valvole, pompe, ventole e giranti, grate
per pavimenti
EDILE
passerelle e ponti per traffico leggero, condotte
sotterranee,
recinzioni,
profilati
strutturali,
zoccolini corrimano, ringhiere, grondaie, profili per
finestre, elementi di rinforzo per il recupero
edilizio
ELETTRICO
basette
per
circuiti
stampati,
pannelli,
alloggiamenti, interruttori, isolatori, connettori,
condotte porta cavi, scale isolate, corde, tralicci,
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componenti per motori e trasformatori, utensili
isolati
AGRICOLO
strutture per silos e serre, palificazioni per
piantagioni, recintazioni, archetti per tunnels, scale,
botti per alimenti
SPORT
E
TEMPO
LIBERO
mazze da golf, racchette da tennis, elmetti
protettivi, sci, tavole da surf e snow-board, archi e
frecce, biciclette, canne da pesca, canoe, piscine,
componenti per caravans e roulotte
Nella presente trattazione ci soffermeremo a disquisire maggiormente circa i
materiali compositi a matrice polimerica facendo solo qualche cenno ai compositi a
matrice metallica e ceramica.
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COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA
Il primo composito a matrice polimerica risale al 1908 ed era formato da resine
fenoliche e fibre di cellulosa che, oltre all’azione rinforzante, avevano lo scopo di
ridurre lo sviluppo di prodotti gassosi in fase di stampaggio a caldo. Da allora i
materiali compositi hanno raggiunto lo status di commodity negli anni ’40 con le
fibre di vetro in poliesteri insaturi. La tabella seguente mostra una ordinata cronologia
dello sviluppo dei materiali compositi polimerici.
Anno
Materiale
1909
Compositi con matrice fenolo-formaldeide
1928
Compositi con matrice urea-formaldeide
1938
Compositi con matrice melamminica
1942
Compositi con fibra di vetroresina poliestere insatura
1946
Compositi a matrice epossidica
1946
Compositi nylon-vetro
1956
Compositi fenolica-asbesto
1964
Compositi con fibre di carbonio
1965
Compositi con fibre di boro
1969
Compositi ibridi carbonio-vetro
1972
Compositi con fibre arammidiche
1975
Compositi ibridi grafite-arammidiche
Tabella 1.1
Cronologia dello sviluppo dei materiali compositi polimerici
Molti materiali polimerici hanno la capacità di incorporare quantità anche rilevanti
di cariche sotto forma di polvere fine, generalmente di natura inorganica (per esempio
carbonato di calcio, talco sferette di vetro, silice, silicati, polveri metalliche, ossidi
metallici, grafite, nerofumo); in alcuni casi vengono usati anche materiali di natura
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organica ( per esempio cellulosa, farina di legno). I materiali che si ottengono in
questo modo vengono detti compositi particellari a matrice polimerica: ad essi con
un’opportuna formulazione possono impartirsi caratteristiche elettriche, termiche,
magnetiche, che non sono proprie del materiale base, oppure si possono modificare
sostanzialmente le sue proprietà.
Dal punto di vista meccanico non si può affermare che l’incorporazione di cariche
in polvere produca effetti sempre positivi: se il modulo elastico, la durezza e la
resistenza all’usura possono migliorare, viceversa il carico di rottura e la duttilità
peggiorano.
In questo settore l’esperienza ha mostrato che le caratteristiche fisiche e
meccaniche del composito dipendono, oltre che dalla proprietà dei singoli
componenti, dalle dimensioni, dalla forma e dal grado di dispersione delle particelle,
nonché dal grado dall’adesione tra queste e la matrice polimerica.
Alcune proprietà sono valutabili a priori con sufficiente precisione, (modulo
elastico), altre hanno andamenti imprevedibili perché sono influenzate anche dalle
tecniche di lavorazione. La deformazione a rottura , per esempio è molto sensibile ai
difetti che facilmente si introducono nel materiale in fase di lavorazione. Gli
aggregati costituiscono inoltre un elemento di discontinuità del materiale, che
determina il deterioramento di alcune importanti caratteristiche meccaniche, come la
resistenza all’impatto;in fase di lavorazione se ne deve prevenire dunque la
formazione.
Nei compositi fibrosi vengono impiegate fibre corte e discontinue, oppure fibre
lunghe e continue. A differenza di quanto accade nei compositi particellari, inoltre tali
fibre possono essere disposte secondo orientazioni casuali od orientate in direzioni
prestabilite (per esempio lungo la direzione del carico), in modo da ottenere manufatti
con proprietà diverse nelle diverse orientazioni spaziali. Nel caso di fibre le proprietà
sono determinate, oltre che dal tipo di fibra e di matrice, anche dalla lunghezza delle
fibre e dalla loro orientazione nel manufatto. In generale incominciamo a dire sin da
ora che le proprietà meccaniche dei compositi con fibre lunghe sono più elevate di
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quelle di compositi con fibre corte, anche se la differenza tende a diminuire
all’aumentare della lunghezza di queste ultime e del disallineamento di quelle lunghe
rispetto alla direzione del carico applicato.
Per determinate applicazioni è più conveniente ricorrere a compositi “ibridi”,
contenenti cioè fibre di due o più tipi, disposti all’interno di lamine diverse, alternate
secondo criteri di ottimizzazione delle proprietà progettate per la struttura
complessiva. E’ il caso di compositi ibridi con fibre di carbonio e fibre di kevlar.
Nella tabella che segue sono riportate le proprietà di alcune fibre utilizzate nei
compositi a fibre lunghe.
Fibra
Diametro
Densità
Carico di rottura
Modulo elastico
tipico
ρ
σb
E
(µm)
(g/cm2)
(MPa)
(GPa)
Vetro E
10
2,54
2400
70
Vetro S
10
2,50
2600
85
1,44
3600
62
1,45
3600
131
2,0
1900
380
690
Aramide
Kevlar 29
Kevlar 49
11,9
Carbonio
P-55
P-100
10
2,15
2200
T-300
7
1,76
3200
228
38
0,97
2600
120
Polietilene
Spectra 900
Tabella 1.3
Proprietà di alcune fibre utilizzate nei compositi a fibre lunghe
Occorre precisare che, anche da un punto di vista prettamente economico,
l’aggiunta di cariche siano esse fibre o particelle di vario tipo, non rappresenta
sempre un vantaggio. L’aggravio che ne può derivare in termini di maggiore
complessità dei cicli di lavorazione deve essere infatti compensato o da una riduzione
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del costo del composito o da un deciso miglioramento di una qualche caratteristica
che ne giustifichi il costo maggiore.
Segue adesso qualche piccolo cenno sui materiali polimerici costituenti le matrici.
POLIMERI: GENERALITA’
Segue qualche piccolo cenno sui materiali costituenti le matrici polimeriche.
Un polimero (dal greco molte parti) è una macromolecola, ovvero una molecola
dall'elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di piccole molecole (i
monomeri) uguali o diverse (copolimeri) unite a catena mediante la ripetizione dello
stesso tipo di legame. Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi
viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, col termine "polimeri"
si intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche,
gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon). Esempi di monomeri possono
essere il cloruro di vinile o l'etene: il primo dà origine al cloruro di polivinile,
altrimenti detto polivinilcloruro, PVC, il secondo al polietilene detto anche politene.
In generale possiamo distinguere:
•
polimeri termoplastici: sono un gruppo di materie plastiche che acquistano
malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l'azione del calore. In questa fase possono
essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad
essere rigide. Questo processo,teoricamente,può essere ripetuto più volte in base alle
qualità delle diverse materie plastiche;
•
polimeri termoindurenti: sono un gruppo di materie plastiche che, dopo una
fase iniziale di rammollimento dovute al riscaldamento, induriscono per effetto di
reticolazione tridimensionale. Nella fase di rammollimento per effetto combinato di
calore e pressione risultano formabili. Se questi materiali vengono riscaldati dopo
l'indurimento non ritornano più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi.
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Tra i primi il più comune fra tutte le materie plastiche è il polietilene detto anche
politene.
Il polietilene (o politene) è il più semplice dei polimeri sintetici ed è il più comune
fra le materie plastiche. Viene spesso indicato con la sigla "PE", così come ad
esempio si usa "PS" per il polistirene o "PVC" per il polivinilcloruro. Ha formula
chimica (-CH2-)n dove n può arrivare fino ad alcuni milioni. Le catene possono essere
di lunghezza variabile e più o meno ramificate. Il polietilene è una resina
termoplastica, si presenta come un solido trasparente (forma amorfa) o bianco (forma
cristallina) con ottime proprietà isolanti e di stabilità chimica, è un materiale molto
versatile ed una delle materie plastiche più economiche; gli usi più comuni sono
come isolante per cavi elettrici, film per l'agricoltura, borse e buste di plastica,
contenitori di vario tipo, tubazioni, strato interno di contenitori asettici per liquidi
alimentari ("brick") e molti altri. Il polietilene si sintetizza a partire dall’etene
secondo la reazione:
n CH2=CH2 → [-CH2-CH2-]n
La molecola dell’etene è caratterizzata dal doppio legame fra gli atomi di carbonio
che la rende particolarmente stabile.
Il cloruro di polivinile, noto anche come polivinilcloruro o con la corrispondente
sigla PVC, è il polimero del cloruro di vinile. È il polimero più importante della
serie di quelli ottenuti da monomeri vinilici ed è una delle materie plastiche di
maggior consumo al mondo. Puro, è un materiale rigido; deve la sua versatilità
applicativa alla possibilità di essere miscelato anche in proporzioni elevate a prodotti
plastificanti, quali ad esempio gli esteri dell'acido ftalico, che lo rendono flessibile e
modellabile. Il PVC si sintetizza a partire dal cloruro di vinile secondo la reazione:
CH2=CHCl --> ...-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl
Viene prevalentemente usato per: finestre, serramenti esterni, giocattoli, bottiglie,
contenitori, grondaie.
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Il poliuretano, ma sarebbe meglio dire i poliuretani, è una famiglia di polimeri in
cui la catena polimerica è costituita di legami uretanici. È largamente impiegato per
produrre schiume rigide e flessibili, elastomeri, guarnizioni ed entra come
componente anche nella produzione di alcuni tipi di vernici.
Il polipropilene (PP) è un composto plastico che può mostrare diversa tatticità. Il
prodotto più interessante dal punto di vista commerciale è quello isotattico, che è
caratterizzato da un elevato carico a rottura, una bassa densità, una buona resistenza
termica e all'abrasione. La densità è di 0,9 g/cm³ e il punto di fusione è di 165°C e
oltre. Le proprietà chimiche, determinate nella produzione, comprendono la
stereoregolarità, la massa molecolare e la distribuzione di massa molecolare.Il
prodotto atattico si presenta invece come un solido dall'aspetto gommoso di scarso
interesse commerciale (è stato usato solo come additivo). Il polipropilene ha
conosciuto un gran successo nell'industria della plastica: molti oggetti di uso comune,
dagli zerbini agli scolapasta per fare alcuni esempi, sono fatti di polipropilene. Di
seguito sono mostrate le catene polimeriche del tipo isotattico e del tipo sindiotattico
rispettivamente.
Il nylon è una famiglia di polimeri sintetici (poliammidi), il cui capostipite - il
nylon 6,6 - fu messo a punto il 28 febbraio 1935 da Wallace Carothers alla DuPont di
Wilmington, Delaware (USA). I nylon sono usati soprattutto come fibra tessile e per
produrre piccoli manufatti. Nylon 6,6: è il prodotto della polimerizzazione per
condensazione di esametilendiammina e acido adipico; è il nylon per antonomasia ed
è il più diffuso. Nylon 6: è il prodotto della polimerizzazione per condensazione del
caprolattame. Di seguito il nylon 6 e il nylon 6.6.
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Tra i materiali termoindurenti distinguiamo diversi tipi di resine. Con resina
artificiale (o resina sintetica) si intende in genere un materiale viscoso, di aspetto
simile alla resina vegetale, capace di indurirsi a freddo o a caldo. Si tratta in genere di
un'ampia classe di differenti e complessi polimeri, che si possono ottenere con una
grande varietà di metodi e materie prime.
Fra le resine sintetiche più comuni citiamo le resine fenoliche, le resine
epossidiche, le resine poliestere insature (UPR, Unsaturated Polyester Resin) e le
resine vinil-estere (VE).
Una resina sintetica non viene in genere commercializzata come tale, ma ne
vengono venduti i suoi precursori, nella forma di due componenti separati,
l'oligomero e l'agente reticolante, che vengono miscelati al momento dell'uso. La
miscelazione innesca la reazione di reticolazione che trasforma l'oligomero,
solitamente un liquido oleoso poco viscoso capace di adattarsi ai più piccoli dettagli
dello stampo, nel polimero solido, una materia plastica solitamente trasparente che
può venire successivamente lavorata, colorata e decorata.
Gli usi delle resine artificiali sono i più disparati. Vari tipi di resine artificiali sono
utilizzati come basi per adesivi; uno degli usi principali è per l’appunto quello nelle
matrici di materiali compositi. Impieghi includono materiali edilizi (pannelli,
condotte eccetera) oppure le resine a scambio ionico per la purificazione dell'acqua.
Anche in campo artistico si usano tali resine (in genere resine poliestere), ad esempio
nella produzione di figurine e statue in plastica come alternativa (più leggera e meno
tossica) al piombo metallico. Di seguito qualche particolare sui diversi tipi di resina.
o Resine fenoliche: Le caratteristiche dipendono dai materiali con cui sono
mescolate. Sono una famiglia di polimeri ottenuti per reazione tra fenolo e
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formaldeide; in funzione del rapporto tra i due reagenti si dividono a loro
volta in novolacche e resoli. Una di esse, la bachelite, è considerata la prima
materia plastica sintetica comparsa al mondo. Usi: settore casalingo, mobili
per televisori.
o Resine ureiche: dure e colorate. Hanno buone proprietà meccaniche e sono
facilmente lavorabili. Usi: spine, prese, elettrodomestici, interruttori.
o Resine melamminiche: buona resistenza alle alte temperature e all'umidità.
Usi: Laminati, settore casalingo, arredamenti, vernici.
o Resine epossidiche: eccellente adesività, resistenza al calore e chimica.
Inoltre possiedono buone proprietà meccaniche e sono ottimi isolanti
elettrici. Usi: vernici, rivestimenti, adesivi e materiali compositi.
o Resine poliesteri insature: Sono leggere, facilmente lavorabili e resistenti
agli agenti atmosferici. Usi: Piscine, coperture per tetti.
Si è già detto che nel caso di materiali compositi le resine maggiormente utilizzate
per matrici di materiali compositi sono le epossidiche, poliesteri insature, e le
vinilestere.
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COMPOSITI PARTICELLARI
Le resine sintetiche non sono in generale adoperate allo stato puro ma, durante la
lavorazione, vengono mescolate con quantità più o meno rilevanti di sostanze definite
filler, riempitivi o cariche.
Per ora diciamo che uno dei vantaggi dei compositi particellari a differenza di
quelli rinforzati con fibre, è quello di avere un comportamento costitutivo
generalmente isotropo. A tal proposito un aspetto molto importante, di cui finora non
abbiamo parlato, è quello facente riferimento alla anisotropia dei materiali compositi.
Infatti per la presenza di una fase continua (matrice ) ed una discontinua (rinforzo), i
materiali compositi presentano spiccata caratteristiche di anisotropia sia da un punto
di vista elastico che di resistenza meccanica. II grado di anisotropia potrà essere
maggiore o minore a seconda della orientazione assunta dalle fibre nella matrice; più
marcato nel caso di fibre disposte tutte parallelamente tra di loro, meno se orientate in
maniera diversa o addirittura casuale. Per ottenere le più diverse orientazioni, si
possono utilizzare dei veri e propri tessuti di fibre, oppure sovrapporre più lamine con
le fibre orientate in maniera differente: di questo si parlerà ampiamente a proposito
dei compositi fibrosi.
I vantaggi dei compositi particellari possono riassumersi in:
•
minori costi di produzione;
•
facilità dei processi di formatura anche di forme complesse;
•
comportamento costitutivo isotropo: comportamento che in presenza di sbalzi
di temperatura può risultare vantaggioso.
Dell’ultimo punto ne abbiamo già discusso. Dei primi due se ne parlerà più avanti:
diciamo ora in generale dei compositi particellari.
I filler vengono adoperati sia nei polimeri termoplastici, sia nelle resine
termoindurenti. A seconda dello scopo per cui vengono aggiunti si distinguono in
riempitivi, rinforzanti e diluenti.
I riempitivi sono materiali di basso costo e larga disponibilità, nella maggior parte
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dei casi sotto forma di polveri (non metalliche). Vengono aggiunti in quantità molto
rilevanti fino all’80% in volume. I rinforzanti sono invece materiali introdotti nel
polimeri con lo scopo principale di migliorare le caratteristiche meccaniche (modulo
elastico, carico di rottura, durezza superficiale, resistenza all’urto) e termiche
(stabilità dimensionale a caldo, resistenza al calore e alla fiamma). I diluenti sono
invece materiali aggiunti al polimero per rimpiazzare parzialmente additivi di
maggior costo (per esempio pigmenti) oppure per migliorare la lavorabilità del
composito.
Alcuni filler sono di uso generale e vanno bene in pratica per qualunque polimero;
altri invece trovano impiego per certe categorie di polimeri o sono addirittura
specifici per un dato materiale polimerico. Tra i filler di uso generale ricordiamo il
carbonato di calcio, oppure la bentonite entrambi usati in quasi tutti i termoplastici. Il
nerofumo, è invece il filler rinforzante più indicato per le gomme. Molte cariche
organiche, cometa farina di legno o i fiocchi di cotone, trovano il loro maggiore
impiego nelle resine termoindurenti. Tra i diluenti si trovano la silice e vari silicati di
calcio.
In generale si può affermare che con una opportuna formulazione, si possono
impartire caratteristiche elettriche, termiche, magnetiche, che non sono proprie del
materiale matriciale. La tabella seguente contiene una classificazione funzionale delle
cariche.
Utilizzo
Tipo di carica
Usi generali
Carbonato di calcio, silice, allumina, talco, mica,
ossido di zinco, solfato di bario
Ritardanti di fiamma
Allumina triidrata, triossido di arsenico, ossido
di antimonio, bicarbonato di ammonio
Conducibilità elettrica
Argento, rame, alluminio, grafite
Rigidità dielettrica
Allumina, silice, mica
Resistenza all’abrasione
Allumina, silice, carburo di silicio, metalli
Resistenza all’impatto
Gomme
Tabella 1.2
Classificazione funzionale delle cariche
20
Molto importante è l’interazione tra il polimero e la carica. Alcune volte, quando si
ha a che fare con polimeri non polari (per esempio polietilene, o altri polimeri
caratterizzati da scarse proprietà di adesione nei confronti delle cariche), tale
interazione è praticamente nulla e le particelle di filler si comportano come semplici
inclusioni nella matrice. In questi casi la carica indebolisce la matrice e agisce da
semplici diluente. In altri casi, grazie alla natura polare del polimero, (per esempio
PVC) e alle caratteristiche superficiali delle cariche, si possono stabilire forze anche
molto intense, e legami chimici veri e propri tra i due costituenti. In generale diciamo
che è essenziale che le cariche vengano “bagnate” dal polimero costituente la
matrice: questo è il motivo per cui per cui molte volte vengono trattate
superficialmente con silani, stereati, o altri additivi bagnanti/accoppianti, studiati per
il caso specifico.
Fattori molto importanti nell’interazione polimero-carica sono: le dimensioni delle
particelle, la forma delle medesime e la loro porosità. E’ stato trovato che, in linea
generale, a parità di frazione volumetrica, l’effetto rinforzante migliora con il
diminuire delle dimensioni delle particelle: per particelle di diametro sotto 0,2
micrometri il limite elastico e il carco di rottura crescono linearmente con il diminuire
delle dimensioni delle particelle.
Molta importanza può avere in certi casi anche la distribuzione delle dimensioni
delle
particelle,
specialmente
per
quanto
riguarda
l’efficienza
di
“impaccahettamento” della carica.
Per molte proprietà si osserva che aumentando la concentrazione in filler, si arriva
a duna valore della frazione volumetrica in corrispondenza del quale si ha
ottimizzazione della proprietà esaminata.
Una particolare attenzione è posta al potere abrasivo della carica per il
danneggiamento che la sua presenza nel composito potrebbe arrecare alle
apparecchiature di miscelazione, lavorazione e formatura.
Materiali a bassa durezza di Mohs, come il Talco, il Caolino, ed il carbonato di
calcio, cono meno dannosi rispetto a materiali più duri come la silice o i feldspati: a
21
tal proposito si dice che si preferisce il filler per cui il “grado” a cui corrisponde il
residuo più basso al setaccio a 325 mesh.
La reattività chimica del filler può incidere sulle qualità superficiali del manufatto
e sulla sua curabilità. Per esempio, cariche di carbonato di calcio (pH:9-10) rendono
la superficie del composito alcalina e facilmente deteriorabile anche in ambiente
debolmente acido. Dal punto di vista della resistenza chimiche invece la Barite è il
più insolubile dei filler inorganici solitamente impiegati.
Di notevole importanza è poi la morfologia delle particelle di filler: cioè la loro
forma e il modo di aggregazione. Si può dire che esistono nei filler tante morfologie
quanti sono i prodotti impiegati.
Alcune cariche hanno forma arrotondata, forma assunta durante la macinazione a
secco o a umido, per cui vengono smussati i loro spigoli. Altri filler sono invece sotto
forma di lamelle (metalli, mica e talco). Rara è la morfologia acculare, cioè a foglia
allungata, ad ago: questa si trova solo in certi tipi di minerali (Wollastonite e talco
della California).
METODI DI FABBRICAZIONE DEI PARTICELLARI
Per quanto concerne le masse da stampaggio a base di materiali termoplastici
caricati, vengono dapprima preparate miscelando la resina con le cariche e tutti gli
altri agenti ausiliari (stabilizzatori, scivolanti, lubrificanti, ecc.) e successivamente
granulate in determinate dimensioni. Per lo stampaggio a iniezione e per l’estrusione
vengono consigliati granulati compatti, ben scorrevoli, di dimensioni da 2 a 5 mm.
Per la granulazione “pre-miscele” di materie prime e agenti ausiliari vengono fuse ed
omogeneizzate mediante grossi estrusori a vite, estrusori planetari oppure miscelatori
a vite per i materiali di rinforzo. Le masse fuse vengono addotte, attraverso una testa
con filiera multipla, a granulatori sommersi che, immediatamente all’uscita, scaricano
in una corrente di acqua fredda granuli di forma diversa (da lenticolare a sferica)
oppure vengono fatte passare attraverso bagni di raffreddamento e quindi frantumate
22
mediante granulatori ottenendo granuli cilindrici o cubici.
Le figura seguenti mostrano un estrusore a vite, monovite
e bivite. Nel processo di estrusione, plastica in forma di
granuli o polvere (dry-blend) insieme alla carica vengono
alimentati in
un miscelatore riscaldato dove viti rotanti
omogeneizzano il tutto. La massa fusa viene poi spinta attraverso una filiera per dare
un prodotto finito o semi-finito.
Per la preparazione di masse da stampaggio a base di resine termoindurenti
contenenti filler si procede premiscelando
le cariche a freddo dopo eventuale
essiccazione con resina polverizzata ad un certo stadio di policondensazione, con
coloranti e scivolanti; si procede quindi a plastificazione e omogeneizzazione su
cilindri
riscaldati.
La
resina,
durante
questo
trattamento
procede
nella
policondensazione portandosi alla viscosità opportuna per le ulteriori lavorazioni. I
23
compound vengono successivamente raffreddati, frantumati, macinati e messi in
commercio come polveri da stampaggio. Vi sono chiaramente varianti e particolari
tecnici di compounding (composizione), legati allo stato fisico della resina (liquida o
solida) e alla natura del filler.
Segue adesso una carrellata sulle principali cariche utilizzati nei compositi
particellari.
CARBONATO DI CALCIO
Il carbonato di calcio (CC) è la carica maggiormente utilizzata nei composti
particellari essendo caratterizzata da:
o basso costo;
o assenza di tossicità (adatto quindi ad articoli destinati a venire in contatto con
alimenti);
o colore bianco;
o bassa durezza (circa 3 della scala Mohs, nessuna usura delle macchine);
o facilità di trattamento superficiale;
o carattere basico.
I tipi di maggior uso sono quelli macinati:prima della macinazione di eliminano le
impurezze quali gli ossidi di ferro e la silice. Si possono usare anche precipitati nel
caso di elevate purezze richieste.
Il trattamento superficiale viene effettuato prevalentemente mediante acido
stereatico o stereato di calcio. Nel caso di PVC rigido, il CC può essere usato fino a
tenori del 40% in peso, oppure a bassi livelli di concentrazione (fino al 5% con
dimensioni di 2-3μm), se si tratta semplicemente di modificare il comportamento
reologico della resina. Un esempio di CC in PVC rigido è quello utilizzato per le
tubazioni rigide: nella tabella seguente vengono riportate le caratteristiche principali.
24
PVC
100
100
100
100
0
10
20
30
Modulo elastico (GPa)
2,9
3,1
3,4
3,8
Resistenza a trazione (MPa)
56
53
48
37
0,65
0,93
1
0,98
73
74
74
75
CC
Resilienza IZOD
Temperatura di distorsione (°C)
Variazione di peso (14 gg. a 55 °C in H2SO4)
Variazione di peso in olio ( 30 gg. a 23 °C)
Tabella 2.1
-0,052
-0,061
-0,07
-0,09
0,03
0,11
0,09
0,08
Proprietà del PVC rigido per tubazioni
Nel caso di PVC plastificato (flessibile) si possono raggiungere anche tenori molto
elevati di CC, come 100 phr (parti di carica su 100 parti di polimero), con dimensioni
medie delle particelle da 3-15 μm. Le particelle più fini causano aumenti
considerevoli di viscosità. Applicazioni tipiche per questi compound sono manufatti
per isolamento elettrico, pavimentazione e tubi flessibili. Seguono due tabelle con le
caratteristiche riportate di compositi PVC plastificato per tubi flessibili e compositi a
base di resine poliestere insature.
CC
0 phr
36 phr
100 phr
PVC/DOP
100/40
100/43
100/43
Carico di rottura (MPa)
15
15
12
Modulo secante (Mpa) (100%)
12
12
9
Allungamento a rottura (%)
300
290
270
Perdita in peso per abrasione (mg) (Taber)
20
63
93
Durezza (Shore A)
96
95
95
Tabella 2.2
Proprietà di PVC plastificato per tubi flessibili
Nelle resine poliestere insature le applicazioni più importanti del CC si hanno
negli SMC (Sheet Molding Compound: composizioni per stampaggio da lastre) e
25
BMC (Bulk Molding Compound: composizioni per stampaggio in massa). Negli
SMC sono presenti anche fibre corte di vetro e modificatori di viscosità come MgO,
agente di ispessimento.
Il CC è usato anche nel polipropilene per masse da stampaggio fino a tenori di
circa 60 parti in peso. Il polietilene non viene generalmente caricato con CC a causa
della scarsa adesione reciproca.
Componenti
Parti in peso
Premix
BMC
SMC
Resina poliestere
100
100
100
CC (5 µm)
125
250
150
Ossido di magnesio
--
--
--
Fibra di vetro (6 mm)
60
90
--
Fibra di vetro (5 cm)
--
--
125
70-95
90-100
180-210
Modulo elastico (GPa)
9-12
13-15
12-14
Resilienza IZOD
5-7
4,5-6,5
13-24
Durezza Barcol
60-70
60-70
60-70
Resistenza a flessione (MPa)
Tabella 2.3
Proprietà di compositi a base di resine poliestere insature contenenti carbonato
di calcio
Parti in peso
Polipropilene
100
100
100
CC
43
54
68
Modulo elastico (GPa)
2,9
3
3,2
Resistenza a trazione (MPa)
30
30
25
Resistenza IZOD (senza intaglio)
13
13
10
Tabella 2.4
Proprietà di compositi a base di polipropilene con carbonato di calcio per
stampaggio a compressione
26
TALCO
Chimicamente il talco è un silicato idrato di magnesio: 3MgO 4SiO2 H 2 O . La sua
composizione può variare considerevolmente a seconda del luogo di estrazione. Il
talco trova larga applicazione industriale; come materiale di carica viene usato
nell'industria della carta, al fine di ottenere superfici lisce e bianche; come
lubrificante secco, nell'industria tessile, per appesantire e lubrificare filati e tessuti;
impastato con feldspato e argilla, formato e successivamente cotto a 1480°C, è usato
come materiale refrattario, particolarmente resistente agli sbalzi termici. Viene
adoperato inoltre in profumeria (ciprie e saponi); nella preparazione di
anticrittogamici; nella brillatura del riso; nell'industria delle sostanze coloranti; e in
quella dei pellami, degli esplosivi e dei prodotti farmaceutici.
La morfologia del talco può essere lamellare o aciculare, anche se quello usato
come filler a forma lamellare per le migliori caratteristiche meccaniche del composito
risultante. Ha un elevato rapporto di forma per cui è un importante rinforzane oltre
che diluente. I polimeri caricati con talco mostrano un aumento del modulo elastico
E, e della resistenza al creep, rispetto a quelli caricati con CC. A causa dell’elevato
rapporto di forma, è opportuno curare attentamente la fase di miscelazione. Per
questo si usano talchi trattati, anche per limitare gli effetti di infragilimento che il
talco
induce.
Viene
utilizzato
prevalentemente
nel
polipropilene:settore
automobilistico e degli elettrodomestici. Le prestazioni meccaniche del polipropilene
(PP) caricato con talco sono migliori di quelle del PP caricate con CC; tuttavia per
concentrazioni superiori al 40 % in peso di elevata finezza è opportuno usare
stabilizzanti. Infatti occorre prestare attenzione però alla stabilità ad alta temperatura:
in generale nel caso di cariche con elevata superficie specifica la resistenza alla
degradazione termica è bassa.
27
Non caricato
20% talco
40% talco
Modulo elastico (GPa)
1,6
2,7
4,2
Carico di snervamento (MPa)
38
39
37
0,58
0,47
0,42
62
72
88
Resilienza IZOD (ft-lb/in)
Temperatura di distorsione (°C)
Tabella 2.5
Proprietà del polipropilene caricato con talco
Polietilene
(medio peso molecolare)
Non
caricato
40%
talco
PVC rigido
Polistirolo
antiurto
Non
30%
Non
40%
caricato
talco
caricato talco
Modulo elastico (GPa)
1,1
3,3
3,5
7,2
2,3
5,7
Carico di snervamento (MPa)
52
61
56
54
33
37
Resilienza IZOD (ft-lb/in)
3,7
3,7
0,6
0,23
2,75
0,45
Tabella 2.6
Proprietà di alcuni polimeri caricati con talco
MICA
La mica è un silicato di alluminio e potassio.A temperatura ambiente ha un aspetto
lamellare, colore variabile grigio-giallognolo o nerastro luccicante, inodore. A causa
della sua struttura laminare presenta sfaldatura "a foglietti", lungo piani paralleli alle
lamine. Ti piamente le miche sono caratterizzate da due strati di tetraedri di Si 2 O5 e
da uno ottaedrico di ioni Al 3+ , Mg 2 + , e OH- (spessore degli starti circa 10μ). Questi tre
strati sono legati debolmente a strutture simili mediante cationi di K, Li, Na, Ca. Le
miche commercialmente più importanti sono la flogopite e la muscovite. Durante la
macinazione del materiale, si ha distacco tra gli strati, per cui si formano laminette
estremamente sottili di dimensioni 1μ e trasversalmente dai 4 ai 100 μ. In seguito
28
all’elevato rapporto di forma (tipo HAR: high aspect ratio) e alla facilità con cui le
laminette di mica si orientano le uno con le altre, possiamo ottenere compositi con
diverse caratteristiche cambiando le tecnologie di lavorazione o semplicemente lo
spessore dei manufatti: l’orientamento delle laminette nel fuso polimerico comporta
grosse variazioni di resistenza alla frattura in presenza di intagli superficiali di
profondità maggiore dello spessore della “pelle”. Gli incrementi del modulo elastico
E sono particolarmente rilevanti.
Materiale
Modulo elastico (GPa)
Resistenza a flessione(MPa)
Polietilene
31
120
Polipropilene
38
170
Nylon 66
45
185
Nylon 66 (particelle non orientate)
18
85
Copolimero stirene-acrilonitrile (SAN)
53
200
Tabella 2.7
Proprietà meccaniche di polimeri termoplastici contenenti il 50% di mica
L’introduzione
della
mica
produce
però
un
peggioramento
della
resilienza:l’infragilimento può essere evitato combinando alla mica, fibre di vetro.
Laddove le caratteristiche di resilienza non siano importanti può essere usata la mica
al posto delle fibre di vetro, molto meno costoso. Anche nel caso della mica è
essenziale che la matrice bagni e aderisca bene alle particelle del filler, per cui è
consigliabile un trattamento superficiale della carica con silani, e gli amminosilani.
20% vetro
50% mica
20% vetro
30% mica
Modulo elastico (GPa)
5,3
18
16
Carico di rottura (MPa)
107
95
124
Resilienza IZOD (ft-lb/in) con intaglio
0,9
1,4
0,9
Resilienza IZOD (ft-lb/in) senza intaglio
7,7
4,1
7,5
Tabella 2.8
Proprietà di compositi nylon 66/mica/fibra di vetro
29
La mica trova impiego anche nei polimeri termoindurenti, come le resine fenoliche,
per migliorarne il comportamento dielettrico. Una formulazione tipica è quella
costituita da 100 parti di novalacca e 150 parti di mica, che mostra notevoli
caratteristiche dielettriche alle elevate tensioni (per esempio negli spinterogeni del
motore a scoppio). Grazie alla caratteristica dei termoindurenti di bagnare molto bene
le cariche, si originano in tal caso compositi con elevate caratteristiche resistenziali
(eccetto che per la resilienza).
Modulo elastico
Resistenza
(GPa)
(GPa)
Resina poliestere
47
159
Resina epossidica
44
166
Resina fenolica
52
145
Resina fenolica (con mica a basso fattore di forma)
21
62
BMC (tipico)
13
100
Tabella 2.9
Proprietà di resine termoindurenti caricate con mica (50% in volume)
CARICHE DI FORMA SFERICA
Un tipo particolare di filler è costituito da particelle di forma sferica, caratterizzate
dal più basso rapporto superficie/volume. Anche se esistono cariche di forma sferica
di tipo diversissimo, il mercato è oggi dominato dalle sferette di vetro ( SiO2 72%,
CaO 8%, Na 2 O 14%), con dimensioni variabili
tra i 5 e i 700 μm, con o senza
trattamento superficiale. I vantaggi delle sferette di vetro sono:
o
la loro regolarità;
o
la bagnabilità da parte del polimero fuso;
o
a parità di concentrazione sono quelle che causano il minor aumento di
viscosità del composito;
o
si riducono le tensioni interne;
30
o
si facilita lo stampaggio di forme complesse.
Le caratteristiche meccaniche migliorano notevolmente se si usano le sferette di
vetro insieme a fibre di vetro corte.
Oltre a cariche di forma sferiche piene al loro interno, possiamo avere anche cave,
prodotte di diversi materiali (carbonio, vetro, ceramiche, polimeri) ma soprattutto di
vetro: esse hanno una densità di 0.3 g / cm 3 e dimensioni comprese tra 50 e 100 μ.
Vengono utilizzate sia in polimeri termoplastici che in polimeri termoindurenti per
ridurre il peso dei manufatti e la loro conducibilità termica; le sferette sono in grado
inoltre di resistere a pressioni elevatissime (10MPa). In alcuni casi anch’esse
vengono combinate con fibre di vetro per aumentare la leggerezza del manufatto.
Importanti applicazioni in cui sono essenziali leggerezza, coibenza termica e
stabilità termica sono rappresentate dagli schermi ablativi che proteggono i veicoli
spaziali nella fase di rientro nell’atmosfera, si ha in tal caso una matrice fenolica
epossidica, e dagli elementi di isolamento termico nei missili a combustibile solido.
Nel settore nautico vengono impiegate le sferette per alleggerire gli scafi e coperte in
vetroresina e nell’industria elettronica si usano formulazioni a base di resine
epossidiche e microsfere cave per produrre materiali con bassi valori della costante
dielettrica e del fattore di perdita.
Le sferette di carbonio, aventi una densità molto bassa ( 0.006-0.25 g / cm 3 )
presentano un costo molto elevato: questo è il motivo per cui vengono utilizzate in
specializzate produzioni come nei su citati schermi ablativi. Le particelle di carbonio
cave favoriscono la formazione di uno strato carbonizzato scarsamente conduttore e
di elevatissima resistenza termica.
Una importante applicazione delle sferette di vetro cave è quella delle schiume
sintattiche: esse si ottengono miscelando microsfere di vetro resina fenolica o altro
materiale con un resina fluida, in presenza di additivi e agenti di cura. Vengono molto
utilizzate nel settore marino per la costruzione di galleggianti di profondità: le
schiume polimeriche convenzionali hanno infatti scarsa resistenza compressione e
non possono essere usate a forti profondità. Le schiume sintattiche vengono
31
adoperate per la stesura di cavi sottomarini, nell’estrazione del petrolio da fondali
marini profondi e nei sommergibili di profondità. In generale rispetto alle
convenzionali schiume polimeriche, le schiume sintattiche presentano questi
vantaggi:
o miglior caratteristiche meccaniche;
o migliori
caratteristiche
meccaniche
specifiche
(resistenza/peso
specifico);
o miglior resistenza idrostatica;
o minor assorbimento di umidità;
o maggiore stabilità alle differenze di temperatura.
Inoltre è molto importante nel determinare le proprietà meccaniche di una schiuma
sintattica che le microsfere abbiano la distribuzione più omogenea possibile rispetto
alla forma, alle dimensioni e alla resistenza. Le microsfere conferiscono alla schiuma
sintattica un comportamento costitutivo macroscopico di un materiale isotropo e
omogeneo. La foto seguente riporta una scansione al microscopio elettronico. Di
seguito è riportata una tabella con le proprietà meccaniche.
Microsfere di carbonio
Microsfere di vetro
FTD 202 (10-100 µm)
Densità (g/cm3)
0,66
0,68
0,68
0,65
Modulo elastico a compressione (GPa)
2,1
2,1
1,9
1,8
Resistenza a compressione (MPa)
87
82
59
64
Carico massimo idrostatico (MPa)
136
128
108
95
Tabella 2.10
Proprietà meccaniche di schiume sintattiche epossidiche
32
SILICE
La silice è sostanzialmente costituita da biossido di silicio amorfo in forma
estremamente fine. Le applicazioni principali sono indicate nella tabella seguente.
Scopo
Settori
Rinforzo
Gomme (soprattutto siliconiche)
Tissotropia
Resine termoindurenti, plastisol vinilici
Aumento di viscosità
Vernici, inchiostri
Reologia
Cosmetici, prodotti farmaceutici
Opacizzazione
Vernici, polimeri vinilici
Filler
Polimeri
Abrasivi
Paste dentifricie
Tabella 2.11
Applicazioni tipiche dei vari tipi di silice
Il diametro medio delle particelle primarie è tipicamente di 0.01-0.1 μ con
superfici specifiche di 50-800 m 2 /g. Esse difficilmente sono presenti singolarmente
perché formano aggregati costituiti da molte decine di particelle primarie. Gli
aggregati possono a loro volta impaccarsi per formare agglomerati di dimensioni
maggiori. I tipi commerciali di silice sono classificati e noti come fumed, arc, gel,
precipitated, a seconda del metodo di preparazione. Nella tabella seguente vengono
specificate le proprietà.
Fumed
Arc
Gel
Precipitated
Area superficiale (m2/g)
50-400
150-200
300-1000
60-300
Densità apparente (g/t)
90-120
120-150
90-160
160-200
Dimensioni medie agglomerati (µm)
0,8
4-8
4-10
1,5-10
Gruppi –OH superficiali (nm-2)
2-4
2-3
4-8
8-10
Tabella 2.12
Proprietà tipiche dei vari tipi di silice sintetica
33
La silice è utilizzata come rinforzo nelle gomme siliconiche e costituisce, in
particolare il rinforzo più efficace per le gomme siliconiche HTV (high temperature
vulcanization: vulcanizzazione ad alta temperatura).
L’uso della silice si è affermato anche nella tecnologia del PVC, particolarmente
per la preparazione di paste a base di polivinilcloruro contenenti plastificanti per la
produzione di articolo semirigidi o flessibili (“organogel” o “organosol”). Nei
manufatti con PVC rigido l’aggiunta di silice migliora le proprietà dielettriche.
Aggiunta a molti materiali polimerici limita la tendenza dei manufatti ad aderire
tra loro (particolarmente importante nella produzione di film o fogli) e riduce la
facilità con cui i manufatti realizzati con alcuni polimeri, particolarmente le
poliolefine, scivolano se impilati. Essa conferisce ai manufatti una superficie liscia e
opaca che è apprezzata in molte applicazioni (industri automobilistica).
CARICHE METALLICHE
I solidi polimerici sono di solito materiale non conduttori dal punto di vista
elettrico; tuttavia in molte applicazioni si richiedono materiali con resistività elettrica
intermedia tra quella dei metalli e quella degli isolanti. L’uso di filler conduttori
consente di formulare compositi a matrice polimerica, con resistività variabile tra i
10 −3 e i 10 6 Ωcm. Applicazioni tipiche si hanno nell’industria elettronica per la
produzione di contenitori impermeabili alle radiazioni ad alta frequenza e in tutti quei
settori nei quali la presenza di cariche elettrostatiche , che danno facilmente origine a
scariche elettriche può risultare dannosa o addirittura pericolosa ( serbatoi per
combustibili).
I filler impiegati per questi scopi sono evidentemente materiali ad elevata
conducibilità elettrica e quindi usualmente metalli (alluminio, alluminio, nichel,
acciaio inox, argento). In alcuni casi si fa uso di fibre di vetro, grafite, nerofumo
rivestite di nichel o alluminio. La dipendenza della resistività di una materia plastica
caricata con un filler conduttore varia col contenuto del filler: si osserva che una
34
consistente diminuzione della resistività al di sopra di
un valore critico della
concentrazione in filler: tale valore dipende fortemente dalla forma delle particelle
della carica e dal grado di dispersione piuttosto che dalla natura stessa della carica.
Microfibrille e lamelle risultano più efficaci di quelle sferiche.
Sono oggi disponibili compound fenolici ed epossidici fortemente caricate con
alluminio. Dopo indurimento tali materiali possono essere lavorati con le stesse
tecniche di lavorazione dei metalli. I termoplastici modificati (acrilonitrile-butadienestirene ABS; acetaliche; nylon; polietilene PE; polipropilene, PP; ecc) vengono
lavorati invece con le tecniche convenzionali delle materie plastiche (estrusione,
iniezione).
Applicazioni di rilievo trovano gli adesivi conduttori, costituiti da soluzioni di
polimeri termoplastici (per esempio acetato di cellulosa) o da resineepossidiche,
fortemente caricati con polvere finissima di argento. La conducibilità elettrica è tale
da consentire la riparazione di circuiti integrati danneggiati. Oltre all’aumento di
conducibilità, le cariche metalliche aumenti di:
o modulo elastico;
o durezza;
o peso specifico;
o diminuzione del ritiro volumetrico (per resine termoindurenti);
o diminuzione del coefficiente di dilatazione termica;
o aumento della conducibilità termica.
Esistono cariche aumentano la conducibilità elettrica senza aumentare quella
termica viceversa. Per quest’ultima essenziale è la forma delle particelle.
Forma delle particelle
Resistività elettrica (Ωcm)
Conducibilità termica(BTU/hr ft°F/ft)
Polvere
>10-6
0,25
Lamine
0,1
1,05
Tabella 2.13
Proprietà di una resina fenolica caricata con particelle di alluminio di forma
diversa (Φ=0,4)
35
CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA
I tipi i compositi che abbiamo fino ad ora esaminati hanno lo svantaggio di non
essere riciclabili a causa dell’intimo mescolamento dei componenti il composito, che
li rende difficilmente separabili. Così l’uso di materiali di natura organica sembra
essere una possibile soluzione: si tratta prevalentemente di materiali cellulosici
contenuti spesso nella lignina. L’uso di queste particelle risale all’inizio del secolo:
nel 1907 il dottor Leo Baekland preparò delle polveri da stampaggio addizionando le
resine fenoliche di farina di legno.
Oggi alla farina di legno vengono preferite fibre di cellulosa di elevata purezza (
più del 99%). E’ da notare come l’impiego di queste cariche non porta a sostanziali
miglioramenti delle caratteristiche meccaniche dei manufatti e può favorirne la
degradazione sia fotochimica che biologica.
NEROFUMO
Il particolato carbonioso (in ambito tecnico anche indicato con il termine inglese
di soot) è una polvere nera (essenzialmente carbonio incombusto amorfo, più tracce
di altri composti) che si può ottenere come sottoprodotto della combustione
incompleta di una qualsiasi sostanza organica.
Lo si può vedere facilmente osservando ad esempio la sottile polvere nera che si
forma avvicinando una fiamma ad una superficie metallica fredda come quella di un
cucchiaino. Si può comunque trovare facilmente su tutte le superfici esposte a fumi di
combustione (ciminiere, condotti di scarico), in particolare in caso di combustione
"ricca" di carbonio o comunque povera di ossigeno. Più nel dettaglio, esso è un
agglomerato di particelle carboniose (dall'80% fino a circa il 96% di carbonio allo
stadio finale, con percentuali variabili a seconda del tipo di combustione) di circa 1
μm di diametro, prodotte durante la combustione quando la quantità di ossigeno è
insufficiente a bruciare completamente gli idrocarburi in CO2 e acqua (combustione
"ricca"), oppure quando la temperatura di fiamma è bassa. Sebbene abbia alcuni
36
utilizzi industriali, generalmente è un componente "indesiderato" dei processi con
fiamma, sia dal punto di vista tecnologico, sia da quello ambientale e relativo alla
salute umana, in quanto riconosciuto come forte agente inquinante oltre che come
"collettore" di diversi composti cancerogeni. Generalmente si conviene di definire
nerofumo il particolato carbonioso di diametro particellare ben definito, prodotto per
utilizzi industriali, mentre il nome "fuliggine" viene comunemente dato al particolato
ottenuto come sottoprodotto "incontrollato" della combustione.
Il diametro medio delle particelle varia tra i 10 e i 100 nm con superfici specifiche
che arrivano a 1000 g/cm 3 . Sebbene venga utilizzato largamente come rinforzo nelle
gomme il nerofumo non è propriamente una carica rinforzante. Esso conferisce una
elevata resistenza ai raggi ultravioletti: l’azione protettiva si manifesta già a
concentrazioni del 2-3%, è dovuta sia all’elevato potere assorbente della radiazione
sia alla capacità del filler di catturare superficialmente i radicali liberi, che
favoriscono le reazioni di scissione delle catene polimeriche. Da questo effetto trae
vantaggio l’industria dei cavi coassiali per trasmissione di segnali.
37
PROPRIETA’
MECCANICHE
E
TERMICHE
DEI
COMPOSITI
PARTICELLARI
Il modulo elastico E di un composito può aumentare o diminuire con la quantità di
carica presente a seconda che il rapporto tra il modulo della carica e quello del
polimero sia maggiore o minore di uno E c / E p <> 1 . Nel caso si usino cariche minerali
tale rapporto varia tra 20 a 100. Il modo più semplice di valutare il modulo elastico è
quello di considerare le due condizioni estreme di sforzo assunto uguale nei due
componenti (modello in serie, equazione 1) o di deformazione uguale (modello in
parallelo, equazione 2):
E c = (1 − Φ m )E m + Φ f E f
(1)
⎛1− Φ f Φ f ⎞
⎟
+
Ec = ⎜
⎜ E
⎟
E
m
f
⎝
⎠
(2)
dove abbiamo indicato con Φ f la frazione volumetrica della carica e con
E c , E f , E m i moduli elastici di composito, particella e matrice rispettivamente.
Queste relazioni sono state applicate anche ad altre proprietà come la conduttività
termica o i fattori di perdita.
Takayanagi ha proposto una relazione che in qualche modo combina le due
precedenti e utilizza due parametri, ϕ e ψ che devono essere determinati
sperimentalmente ( ϕψ = Φ f ):
⎛
ψ
1 −ψ
+
Ec = ⎜
⎜ (1 − ϕ )E + ϕE
Em
m
f
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
(3)
Per tenere conto delle dimensioni e della forma delle particelle si presenta una
delle più note equazioni, quella di Kerner:
38
Ec =
1 + ABΦ f
(4)
1 − α f BΦ f
Ef
E
B= m
Ef
con
Em
−1
e
+A
⎛ 1 − Φ max ⎞
⎟⎟Φ c
2
Φ
max
⎠
⎝
α f = 1 + ⎜⎜
dove A
= parametro che dipende dalla forma delle particelle
Φ max =
massima frazione di impiccamento della carica.
Forma delle particelle
Sfere di uguale dimensione
A
Φmax
1,5
0,74
1,5
0,64
1,5
0,6
(impaccamento massimo)
Sfere di uguale dimensione
(impaccamento random)
Sfere di uguale dimensione
(impaccamento sciolto)
Ellissoidi (impaccamento random)
1,58-2,08-2,8-4,93
0,68-0,6-0,53-0,42
con fattore di forma: 2-4-6-10
Tabella 2.15
Valori del coefficiente A e di Φmax nell’equazione di Kerner
Deformazione a rottura
A causa della rigidità delle particelle utilizzate la deformazione della matrice, più
duttile, risulta maggiore della deformazione macroscopica del materiale composito.
L’aggiunta di una carica comporta pertanto la diminuzione di duttilità. Usiamo la
formula di Chow per valutare l’allungamento a rottura di u n composito particellare:
39
ε rott
⎡
⎢
=⎢
⎢ 2a (E m − E f
⎢
f (Z )
⎣⎢
⎤
⎥
12γ
⎥
) ⎛⎜ Em − E f ⎞⎟ 2 ⎥⎥
⎜1 + E
⎟Φ f
m
⎝
⎠
⎦⎥
0,5
con:
π
f (Z ) =
(
)
1 2
sin ϑ 1 + Z 2 − 1 sin 2 ϑ dϑ
Z ∫0
dove: γ = energia interfacciale polimero-carica
Z = fattore di forma (rapporto tra le dimensioni longitudinale e trasversale
delle particelle di carica)
a = dimensione minore delle particelle.
Resistenza a trazione
Per quanto riguarda la resistenza a trazione, in generale, se si realizza una buona
adesione tra polimero e filler, il carico aumenta al decrescere della concentrazione
della carica. Una relazione tra il carico di rottura e la concentrazione del filler che
tiene conto anche della anisotropia di forma delle particelle, è la seguente:
σu =
12γE m
d
⎛ Em Φ f
⎜
+Φf
⎜E −E
m
⎝ f
⎞
⎟
⎟
⎠
Scorrimento viscoso sotto carico (creep)
Per quanto riguarda il comportamento al creep, questo varia a seconda che si
considerino piccole o grandi deformazioni. Nel primo caso la deformazione
diminuisce (rispetto a quella del polimero non caricato) a causa dell’aumentata
rigidità del materiale. Nel secondo caso, invece, la deformazione può aumentare se
l’interfaccia polimero-carica si danneggia con conseguente formazione di
microcavità.
40
Proprietà termiche
Le resine sintetiche sono caratterizzate da bassa conducibilità termica: questa,
tuttavia, può essere convenientemente aumentata con l’incorporazione di cariche
minerali. Per valutare l’effetto dei filler minerali sulla conducibilità termica K di un
materiale polimerico,si può far uso della relazione di Lewis e Nielsen:
1 + ABΦ f
K
=
K m 1 − BψΦ f
con:
Kf
K
B= m
Kf
Km
dove:
−1
+A
⎛ 1 − Φ max ⎞
⎟Φ f
2
⎟
Φ
max
⎝
⎠
e ψ = 1 + ⎜⎜
A = termine che dipende dalla forma delle particelle (vedi tabella, ove
per completezza sono riportati anche valori relativi ad altre geometrie di carica).
K m e K f = rispettivamente conduttività termica del polimero e della carica.
Forma delle particelle
Sfere
A
1,5
Particelle irregolari
3
Fibre casualmente orientate (l/d = 4)
2,08
Fibre casualmente orientate (l/d = 15)
8,38
Lamelle (l/d = 40)
Tabella 2.16
15-20
Valore del coefficiente A nell’equazione di Lewis-Nielsen
41
Il valore del parametro A può differire da quelli indicati soprattutto se la geometria
della carica viene modificata durante la lavorazione. Per prevedere la conduttività di
un composito particellare, può essere usata la relazione di Ziebland:
( )
( )
log K c = Φ f log K *f + (1 − Φ f )log(K m )
Dove K *f è un termine determinato sperimentalmente misurando la conduttività
termica del composito a composizione nota. Nel caso si usino particelle ad elevato
rapporto di forma, occorre tener conto del fatto che la conduttività termica è, al pari
del modulo elastico, una grandezza direzionale.
Materiale
Conduttività termica (W/m °K)
Rame
400
Alluminio
230
Vetro comune
0,9
Polietilene (alta densità)
0,63
Polietilene (bassa densità)
0,33
Nylon 6
0,31
Polistirolo
0,15
Polistirolo (schiuma)
0,05
Resina epossidica
0,23
Resina epossidica/20% alluminio (peso)
0,92
Resina epossidica/Al2O3 (11% vol.)
0,5
Resina epossidica/Al2O3 (30% vol.)
1,0
Resina poliestere
0,2
Tabella 2.17
Conduttività termica di alcuni materiali usati come filler, di alcuni polimeri e di
un composito particellare
42
Espansione termica
Mediante l’introduzione di cariche minerali è possibile ridurre i coefficienti di
espansione termica lineare e cubico λ , α di un polimero in modo da adeguarli a quelli
di altri materiali con i quali i compositi dovessero essere solidalmente collegati.
Coefficiente di espansione termica di volume (°K-1) x 105
Materiale
Silice amorfa
0,05
Vetro comune
1
Ferro
1,2
Alluminio
2,5
Rame
1,5
Polistirolo
8
Polipropilene
10
Polipropilene + fibra di vetro
4
Resina poliestere
10
Resina poliestere (SMC)
2,5
Resina poliestere (DMC)
2,3-2,4
Resina epossidica
5-10
Resina fenolica + 40% α-cellulosa
2,9
Tabella 2.18
Coefficiente di espansione termica di volume
Valori tipici del coefficiente di espansione cubico sono riportati nella tabella
sottostante. Per prevedere i valori di α sono state proposte diverse relazioni. Per gli
elastomeri vale la regola delle miscele:
α c = (1 − Φ f )α m + Φ f α f
Nella maggior parte dei casi, invece i valori reali risultano inferiori a quelli
previsti da questa legge. Relazioni che possono essere utilmente usate sono quelle di
Thomas e di Turner:
43
( )
( )
log α c = Φ f log α f + (1 − Φ f )log(α m )
αc =
α f Φ f β f + (1 − Φ c )α m β m
Φ f β f + (1 − Φ c )β m
Dove i termini β i si riferiscono ai moduli di volume ( pressione/variazione di
volume).
44
COMPOSITI CON FIBRE
GENERALITA’
Nel caso dei compositi fibro-rinforzati la fase dispersa è composta da fibre, che
hanno un alto rapporto lunghezza-diametro.
Questi particolari materiali sono realizzati con fibre e matrici a bassa densità, i
quali offrono eccellenti valori della resistenza e del modulo specifici. La matrice può
essere metallica, polimerica o ceramica. Nei primi due casi la fibra ha il compito
principale di rinforzare il materiale, specie nei polimeri; nell’ultimo caso, invece, le
fibre migliorano le proprietà meccaniche e hanno tuttavia l’effetto predominante di
incrementare la tenacità: i materiali ceramici, infatti, sono resistenti all’ossidazione
ed al deterioramento ad alta temperatura e pertanto, se non fosse per la loro eccessiva
fragilità, sarebbero senz’altro i candidati ideali per molte applicazioni ad elevate
temperare e carichi.
I materiali compositi più importanti per estensione di mercato sono quelli a
matrice polimerica, mentre i compositi a matrice metallica e ceramica sono limitati a
poche applicazioni di nicchia soprattutto a causa dell’elevato costo e della
complessità delle tecnologie di trasformazione.
Per quanto riguarda i materiali plastici usati come matrice si accenna a quelli
normalmente più usati: le resine termoindurenti (poliesteri ed epossidiche, fenoliche,
siliconiche, poliammidi). Sono tutte organiche tranne le resine siliconiche che vedono
la sostituzione del C col Si.
Volendo aumentare la rigidità delle resine (p. es. aggiungendo carbonato di sodio
o silicato di alluminio nelle poliesteri e polvere di quarzo, talco o mica nelle
epossidiche) si viene a diminuire la resistenza a flessione mentre la loro accresciuta
45
viscosità genera un difficile riempimento degli spazi tra le fibre.
Un ulteriore aspetto è ricoperto dai sistemi compositi ibridi, che inglobano in una
matrice di resina epossidica alcune coppie di fibre come vetro + boro, grafite+vetro,
vetro+berillio. Con questi compositi si tenta di creare un comportamento ottimale, ma
si ha sovente una non uniforme entrata sotto carico delle diverse fibre per via dei
diversi moduli elastici.
In base alla natura e al diametro, le fibre sono suddivise in tre gruppi principali:
whisker, fibre e fili, come già precedentemente accennato.
Il loro diametro varia da 5 a 15 micron, ma altre sono molto più spesse, come quelle
ottenute per deposito di vapori su fibre, come le fibre di boro e di carburo di silicio
(100-150 micron).
I whisker sono monocristalli molto sottili e presentano un elevatissimo rapporto
lunghezza-diametro. Grazie alle piccolissime dimensioni, essi sono in grado di
raggiungere un elevato grado di perfezione cristallina e sono virtualmente privi di
difetti, motivo per cui essi hanno resistenze meccaniche eccezionalmente elevate. I
whisker sono infatti i materiali più resistenti che si conoscano.
I materiali che sono classificati quali fibre possono essere sia policristallini che
amorfi e mostrano piccoli diametri; le fibre sono generalmente realizzate in materiale
polimerico o ceramico.
Il diametro della fibra è critico rispetto alla resistenza: come tutti i materiali
fragili, mostrano un incremento della resistenza al diminuire delle dimensioni
trasversali.
Le fibre in fiocco possono essere prodotte direttamente o attraverso il taglio di
filamenti continui.
Le fibre inorganiche, metalliche e non metalliche, sono più resistenti, più rigide,
hanno un più elevato punto di fusione, resistono meglio al calore rispetto alle fibre
tradizionali; sono inoltre del tutto ininfiammabili, per contro, eccetto le metalliche,
sono fragili. La loro importanza tessile è quindi finora molto limitata mentre è grande
l’impiego come rinforzo nei materiali compositi. Sono di norma eccellenti alle alte
46
temperature ed in ambiente corrosivo.
Le fibre più utilizzate per la realizzazione di compositi sono quelle di vetro, di
carbonio e arammidiche. Vengono utilizzate sia come fibre lunghe, sia come fibre
corte della lunghezza di alcuni millimetri. Altri tipi di fibra, sia organiche (alcune
fibre polimeriche, quali, ad esempio, le polietileniche) che inorganiche (metalliche e
ceramiche), hanno impieghi più limitati.
Le fibre al carbonio e le ceramiche sono prodotte a partire da fibre organiche,
precursori che vengono degradati termicamente. I precursori sono preparati con le
stesse tecnologie impiegate per preparare le fibre organiche convenzionali.
Per alcune fibre si ricorre al CVD ( chemical vapor deposition), con un substrato
di fibre alto-fondenti: SiC o B4C su boro, TiN, SiC su carbonio.
Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente
monocristalline (whiskers senza dislocazioni o con una sola dislocazione centrale)
raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza a trazione che possono
superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali. Mentre l'uso dì whiskers
(fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta al momento notevoli
difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai superato la fase di
sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di applicazioni industriali.
I fili sottili sono invece caratterizzati dall’avere maggiori diametri, in genere essi
sono realizzati in acciaio, molibdeno e tungsteno.
L’ottenimento di un significativo grado di rinforzo è possibile solo se il legame
interfacciale fibra-matrice è forte. Tuttavia, in condizioni di carico, tale legame si
annulla all’estremità delle fibre: la conseguenza di ciò è che in questi punti non vi è
alcun trasferimento di sforzo. Pertanto per ottenere un effettivo rafforzamento ed
irrigidimento della struttura è necessario che la fibra raggiunga almeno una certa
lunghezza critica, che dipende dall’accoppiamento fibra-matrice. Le fibre per le quali
la lunghezza è molto maggiore della lunghezza critica sono definite fibre continue,
mentre quelle più corte di essa vengono chiamate fibre discontinue o fibre corte. In
questo secondo caso la matrice si deforma intorno alle fibre in maniera tale che in
47
pratica non vi è nessun trasferimento di carico, né viene fornito alcun rinforzo da
parte della fibra. In tal caso il composito diventa sostanzialmente un particellare.
Anche la disposizione delle fibre risulta critica per le caratteristiche del
composito. Le proprietà meccaniche di un composito con fibre continue ed allineate
sono fortemente anisotrope. Il rinforzo e la conseguente resistenza raggiungono il
massimo valore nella direzione di allineamento ed il minimo nella direzione
trasversale. Infatti, lungo questa direzione l’effetto di rinforzo delle fibre è
praticamente nullo e normalmente si presentano delle fratture per valori di carichi di
trazione relativamente bassi. Per altre orientazioni del carico, la resistenza globale del
composito assume valori intermedi.
Quando su un piano sono presenti sforzi in più direzioni si realizzano spesso
strutture multistrato ottenute sovrapponendo lamine di compositi unidirezionali
secondo orientazioni differenti: queste strutture vengono chiamate compositi
laminari.
Nei compositi a fibre corte e discontinue le fibre possono essere sia allineate che
distribuite casualmente. Per quelli con fibre allineate è possibile ottenere resistenze e
rigidezze significative nella direzione longitudinale. Le proprietà dei compositi a
fibre corte casualmente orientate sono invece isotrope a scapito, tuttavia, di alcune
limitazioni sull’efficienza del rinforzo.
FIBRE DI CARBONIO
Le fibre di carbonio, scoperte nel 1878 da Edison e utilizzate per realizzare la
prima lampada ad incandescenza, sono state prodotte commercialmente solo dal 1960
secondo un procedimento messo a punto da William Watt per la Royal Aircraft in
UK, rappresentano il punto di separazione tra le fibre organiche e le fibre inorganiche
in quanto prodotte per modificazione di fibre organiche o da peci organiche.
Le fibre di carbonio possono essere prodotte per trattamento termico (pirolisi
48
controllata) di diversi precursori polimerici, materie prime contenenti carbonio, quali
il rayon, il poliacrilonitrile (PAN), le poliammidi aromatiche e le resine fenoliche,
ecc.. Recentemente sono state introdotte fibre di carbonio e di grafite ottenute da
materiali peciosi, residui della distillazione del petrolio o del catrame (PITCH).
Le fibre di carbonio hanno iniziato l’era dei materiali compositi per impiego
inizialmente militare o aeronautico ed in seguito anche per prodotti dell’industria
automobilistica e per il tempo libero.
La struttura rigida delle molecole ad anelli
ciclici a nastro o a scala a pioli, delle fibre di
carbonio sia da PAN che da peci ha suggerito
come
costruire
molecole
organiche
aromatiche per ottenere fibre ad elevate
prestazioni.
La terminologia fibre di carbonio si alterna, nella pratica comune, a quella di fibre
di grafite. In realtà il primo termine dovrebbe essere applicato a fibre trattate fino a
circa 2000 °C, riservando il termine “grafite” a quelle trattate ad almeno 2500 °C,
anche se la struttura di queste ultime non corrisponde alla tipica struttura cristallina
tridimensionale della grafite.
FIBRE DI CARBONIO DA PAN
Il precursore che in realtà ha iniziato l’era delle fibre di carbonio (1960), è la fibra
di poliacrilonitrile, PAN, caratterizzata da una composizione chimica adeguata, da un
particolare orientamento molecolare e da una certa morfologia; questo è il processo
che ricopre attualmente il maggior interesse industriale.
La composizione chimica è importante per moderare l’esotermicità della reazione
di ciclizzazione dei —CN (ossidazione in aria), 18kcal/mole, condotta a 220 - 260 °C
per alcune ore. La reazione di ciclizzazione porta ad un materiale ignifugo di colore
nero, PAN ossidato, ma con proprietà meccaniche modeste, che viene utilizzato per
49
abbigliamento protettivo, per ovatte ignifughe o in compositi carbonio-carbonio, per
freni ad elevate prestazioni (aerei, macchine da corsa e treni ad alta velocità).
Il processo successivo di carbonizzazione (400-1000 °C) è generalmente condotto
in atmosfera inerte o sotto vuoto e porta alla rimozione di atomi dalla struttura e allo
sviluppo della struttura grafitica. Da 400 a 1000°C si sviluppano HCN, NH3 e N2;
possono svilupparsi anche CO, CO2 e H2O in funzione della quantità di O2 che il
precursore ossidato ha legato durante il trattamento a 220-260 °C in aria.
Dopo il trattamento a 1000 °C la fibra contiene più del 90% di carbonio e circa il
5% di azoto.
Proprietà
Alta resistenza
Diametro (µm)
Alto modulo
Modulo ultraelevato
5,5-8,0
5,4-7,0
8,4
1,75-1,80
1,78-1,81
1,96
Contenuto di carbonio (%)
92-95
>99
>99
Resistenza a trazione (MPa)
3105-4555
2415-2555
1865
Modulo tensile (GPa)
228-262
359-393
517
Allungamento a rottura (%)
1,3-1,8
0,6-0,7
0,38
3
Densità (g/cm )
Tabella 3.1 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da PAN
È molto importante controllare la ritrazione della fibra durante la fase di
ciclizzazione a 220-260 °C, in quanto in questa fase viene determinato l’allineamento
dei segmenti molecolari lungo l’asse della fibra, orientamento da cui dipende il
modulo elastico finale.
L’orientamento molecolare impartito alla fibra acrilica originale influenza la tenacità
ed il modulo elastico della fibra finale. Un eccessivo orientamento è negativo perché
introduce difetti superficiali all’interno della fibra.
50
E’ interessante notare come, nel caso
di fibre prodotte da PAN, le proprietà
meccaniche siano influenzate dalla
temperatura di carbonizzazione: con
l’aumentare di detta temperatura il
modulo elastico cresce sempre mentre
la resistenza raggiunge un massimo a
circa 1500 °C.
Le reazioni che avvengono per la formazione della fibra di carbonio sono le
seguenti. Riscaldando il poliacrilonitrile, il calore fa ciclizzare i gruppi laterali ciano
delle unità ripetitive e si formano degli anelli.
Innalzando la temperatura di riscaldamento, gli atomi di carbonio perdono via i
loro idrogeni rendendo gli anelli aromatici.
51
Innalzando ancora la temperatura a circa 400-600 oC le catene adiacenti si uniscono
tra loro così:
52
Questo processo libera idrogeno gassoso e ci dà un polimero a nastro costituito da
anelli uniti tra loro. Si porta la temperatura da 600 fino a 1300 oC; facendo i nostri
nastri appena formati si uniranno tra loro per dare origine a nastri ancora più larghi
come questi:
Quando ciò accade si libera azoto gassoso. Come si vede il polimero che si ottiene
ha atomi di azoto lungo i bordi, e questi nuovi larghi nastri possono quindi ancora
fondersi per formare nastri ancora più larghi. Tanto più ciò avviene, tanto più viene
espulso azoto. Giunti alla fine, i nastri sono davvero molto larghi e gran parte
dell'azoto se ne è andata, lasciandoci dei nastri che sono per lo più puro carbonio
nella forma di grafite. Ecco perché questi polimeri si chiamano fibre di carbonio.
Si valuta che il 75% circa delle fibre di carbonio venga oggi utilizzato per
applicazioni nel settore aeronautico: infatti, le elevate prestazioni meccaniche,
ottenibili con compositi a fibre continue di carbonio, la loro provata affidabilità, il
loro peso ridotto (a parità di proprietà meccaniche) e i minori costi hanno
53
determinato, proprio in tale settore, specialmente negli ultimi anni, un loro crescente
uso.
FIBRE DI CARBONIO DA PECE
Il pitch, pece o residuo catramoso, è il residuo della distillazione del catrame o del
petrolio e consiste di migliaia di idrocarburi aromatici che formano un sistema multieutettico con temperature di rammollimento tra 50 e 300 °C di gran lunga inferiori
alle temperature di fusione dei componenti aromatici puri. Per trattamento termico tra
400 e 450 °C si forma una mesofase, ovvero cristalli liquidi aventi un ordine
molecolare intermedio tra quello dei cristalli e quello di un liquido. Per il gradiente di
scorrimento, durante l’estrusione dal fuso, si ottiene una fibra precursore di quella di
carbonio; le molecole della mesofase vengono orientate lungo l’asse della fibra.
Il processo di produzione di fibre di carbonio da mesofase della pece è così
riassunto: il precursore pece o catrame viene trattato termicamente sopra 350 °C per
essere convertito in mesofase contenente le due fasi isotropa ed anisotropa. Dopo
estrusione, a circa 380 °C, la fase isotropa viene resa infusibile per termofissaggio in
aria ad una temperatura al di sotto del punto di rammollimento a circa 300 °C. La
fibra viene infine carbonizzata a 1000 °C o trattata a temperature superiori a 2000 °C
per produrre fibre di grafite ad elevato modulo elastico.
Proprietà
Thornel P55S
Thornel P75S
Thornel P100
10
10
10
2,02
2,06
2,15
Contenuto di carbonio (%)
99
99
>99
Resistenza a trazione (MPa)
1895
2070
2240
Modulo tensile (GPa)
380
517
690
Allungamento a rottura (%)
0,5
0,4
0,3
Diametro (µm)
3
Densità (g/cm )
Tabella 3.2 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da catrame
54
I vantaggi principali di questo processo è che non è richiesta alcuna tensione dei
filamenti durante la fase di carbonizzazione e di grafitizzazione ed i tempi delle
singole fasi che sono molto più brevi del processo da PAN. Si può notare,
confrontando i dati caratteristici dei due tipi di fibre, che quelle ottenute da catrame
presentano un elevato modulo elastico a scapito della resistenza, superiore per le
fibre ottenute partendo dal poliacrilonitrile.
55
FIBRE ARAMMIDICHE
Le fibre arammidiche, il cui sviluppo è iniziato negli anni ’50 ad opera di
ricercatori della Du Pont, vengono ottenute da poliammidi aromatiche.
La reazione tra 1,4-fenilendiammina (para-fenilendiammina) con il cloruro di
tereftaloile da vita alla catena polimerica nota con il nome di Kevlar.
Tra le fibre arammidiche, il Kevlar è quella attualmente più diffusa, prodotta in
quattro diverse tipologie (Kevlar, Kevlar 29, 49, e 149), ma già da alcuni anni altre
fibre della stessa famiglia vengono prodotte e commercializzate (Tab. 3.3). Il kevlar
29 viene impiegato nella fabbricazione di cavi, cordami, tessuti per vele e indumenti
protettivi balistici, mentre il 49 è utilizzato come fibra di rinforzo nei laminati
plastici. Il kevlar, dal caratteristico colore giallo-oro, offre ottime doti di leggerezza il suo peso specifico è quasi la metà di quello del vetro - e una elevata resistenza a
trazione unita a un contenuto allungamento a rottura.
Polimero
Poli-m-fenilene isoftalammide
Polibenzammide
Poli-p-fenilene tereftalammide
Politereftaloil-p-amminobenzidrazina
Poliammidobenziimidazolo
Tabella 3.3
Nome fibra
Produttore
Nomex
du Pont
Conex
Teijin
PRD 49
du Pont
Kevlar
du Pont
Twaron
AKzo
X-500
Monsanto
FVM
Russia
Nomi, produttori e composizione delle fibre arammidiche
56
Il processo di produzione di tali fibre è piuttosto complesso, prevedendo nel caso
del Kevlar: estrusione in acqua di una pasta contenente il 20% di polimero in acido
solforico (che presenta comportamento liquido-cristallino), neutralizzazione della
fibra mediante NaOH, trattamenti termici e stiro.
Una caratteristica tipica del Kevlar è la modalità di frattura, che avviene per
sfibratura (splitting) in microfibrille, quando viene sottoposta a trazione, e con la
formazione di zone di schiacciamento (buckling) e di attorcigliamento (kinking),
quando è sottoposta a compressione. La cattiva resistenza agli sforzi di compressione
è il motivo per cui il suo uso per la realizzazione di compositi è sconsigliato nel caso
di strutture soggette a carichi di compressione o, per carichi di flessione, nelle zone
nelle zone delle strutture soggette a compressione. La tipologia di frattura del Kevlar,
con la formazione di fibrille, consente invece la dissipazione di elevate energie di
frattura, impartendo al composito elevata resistenza all’impatto.
Nel corso degli anni, questo tipo di fibra sintetica ha ricevuto miglioramenti
notevoli in termini di resistenza meccanica. Fin dall'inizio essa si dimostrò
promettente, con una resistenza rispetto all'acciaio, beninteso a parità di massa (non
certo di spessore, perché la densità è molto più bassa), di oltre 2 volte. Questo era un
risultato notevole, e ben presto comparvero materiali leggeri per la protezione dei
soldati in Vietnam, sia individuale che per i velivoli.
Con il tempo si è arrivati a prodotti ancora più resistenti, che offrono un rapporto
di almeno 5:1 sull'acciaio. Ovviamente, questo riguarda la resistenza meccanica, ma
non quella al logorio né tanto meno quella al calore: non esistono ingranaggi in
kevlar, o parti di motore in tal materiale. Queste fibre presentano costi inferiori
rispetto a quelle di carbonio.
Vantaggi:
o massa volumica molto bassa;
o buona resistenza a rottura;
o ottima resistenza all’impatto.
57
Svantaggi:
o fortemente danneggiabili dall’umidità;
o rapido calo delle proprietà meccaniche all’aumentare della temperatura
d’esercizio;
o resistenza a compressione molto più bassa, (circa un quarto) di quella a
trazione.
Alcune precisazioni sulla fibra Nomex. E’ stata commercializzata a metà degli anni
sessanta. È disponibile in diverse forme: fiocco, filati, strutture laminari e cartoni. In
tutte queste varianti presenta una resistenza stupefacente al calore e alla fiamma ed
eccellenti caratteristiche di isolamento elettrico. Questa combinazione di proprietà la
rende adatta a una vasta gamma di applicazioni. Sotto forma di fibra (fiocco e filati)
viene impiegata principalmente per indumenti protettivi e come feltro o tessuto per la
filtrazione di gas caldi; sotto forma di carta o cartone viene utilizzata per isolamento
elettrico e come struttura a nido d'ape, a basso peso, per materiali compositi. Una
piccola curiosità: i piloti automobilistici indossano tute in Nomex III (materiale
composito contenente Kevlar) per le sue proprietà ignifughe. Sui circuiti di Formula
1, Niki Lauda e Gerhard Berger, tra i piloti più famosi, sono sopravvissuti agli
incendi delle loro monoposto grazie alle tute in Nomex.
FIBRE CERAMICHE
Le fibre ceramiche sono impiegate soprattutto come fibre refrattarie per impieghi
che superano i 1000 °C e sono caratterizzate da una struttura policristallina piuttosto
che amorfa. Le fibre ceramiche refrattarie sono utilizzate soprattutto per l’isolamento
termico ad alte temperature e per la realizzazione di compositi speciali. Si tratta di
fibre aventi proprietà assolutamente eccezionali, di gran lunga superiori a quelle
dell’acciaio e delle altre fibre normalmente usate; purtroppo il metodo stesso di
fabbricazione pone dei problemi di costo, per cui questo tipo di fibra presenta un
58
costo elevatissimo il che la rende disponibile ancora in piccoli quantitativi per
applicazioni speciali, come l’aerospaziale.
FIBRE DI BORO
Le fibre Boron si ottengono mediante un procedimento che prevede la deposizione
di microgranuli di boro su una sottile fibra di tungsteno che fa da supporto per la
deposizione, quindi anche la fibra può essere considerata un materiale composito. Tra
le fibre di rinforzo, il boro è inoltre l'unico ad avere eccezionale resistenza non solo a
trazione, ma anche a compressione e flessione, unitamente ad alto modulo e bassa
densità. Le caratteristiche fisico-meccaniche del BORON sono:
- densità 2,58 (g/cm3);
- tenacità 13,6 (cN/dtex);
- allungamento a rottura 0,8 (%);
- temperatura di fusione 2.000 (°C).
Oltre alle sopraindicate eccezionali resistenze a trazione e a temperatura, la fibra
di boro presenta buona resistenza agli acidi e agli alcali, ottima resistenza ai solventi
organici,
ai
raggi
ultravioletti
ed
ai
microrganismi.
Si tratta di una fibra molto particolare, ottenuta con tecnologie sofisticate che
comportano una produzione molto complessa: il suo costo è di conseguenza alto.
D’altro canto il Boron trova applicazione quasi esclusivamente in nicchie ristrette
come quella dei compositi in grado di resistere a temperature elevatissime.
FIBRE DI VETRO
Certamente quando si parla di fibre di vetro non si può fare a meno di ricordare
l’uso più diffuso e praticato e cioè la “vetroresina”. Materiale composito formato da
fibra di vetro e resina plastica, in genere a base di poliestere, vinilestere o epossidica.
Le fibre si ottengono con un processo abbastanza rapido ed economico: il vetro fuso
59
ad alta temperatura viene stirato a elevata velocità attraverso una filiera e
bruscamente raffreddato. Le fibre cosi’ ottenute, dette bavelle, hanno un diametro
compreso tra i 5 e i 15 micron e vengono immediatamente riunite in un filato
continuo. Quest'ultimo subisce poi una serie di trattamenti speciali di finitura che
serviranno a proteggerlo durante la manipolazione futura e a facilitarne
l'impregnazione in fase di laminazione. A seconda della purezza si possono ottenere
diversi tipi di vetro; tra quelli più usati i vetri E, R e S; il primo è caratterizzato da
buona resistenza e modesto modulo elastico. Migliori caratteristiche meccaniche
hanno invece i tipi R e S, sviluppati nei primi anni '50 in seguito a richieste specifiche
di numerose industrie.
A partire dagli anni sessanta la vetroresina ha avuto molte applicazioni per la
costruzione di oggetti esposti agli agenti atmosferici, in particolare imbarcazioni,
grazie soprattutto alle doti di estrema leggerezza e di resistenza alla corrosione in
ambienti basici come l'acqua marina.
Era il primo materiale plastico composito, stampabile a freddo, senza pressione e
che, adeguatamente rinforzato, migliorare notevolmente le caratteristiche di
resistenza meccanica. Per simili motivi ha avuto molte applicazioni nell'edilizia sia
industriale, sia civile, in particolare in seguito agli studi sugli effetti della respirazione
delle polveri dell'Eternit, un materiale precedentemente sfruttato ampiamente nelle
coperture industriali. In campo industriale essa è anche utilizzata per la realizzazione
di serbatoi atmosferici per liquidi. Grazie ad un'altra proprietà, quale la scarsa
conducibilità elettrica, la vetroresina è spesso usata per la costruzione di coperture di
apparecchiature elettrotecniche. Presenta le seguenti caratteristiche
o Resistenza a flessione: superiore a qualsiasi altro prodotto utilizzato per la
costruzione di carrozzerie in genere;
o Resistenza all’urto: grazie alla elevata flessibilità assorbe notevolmente gli urti
riducendone gli effetti negativi sulla struttura e riducendo altresì i rischi per gli
occupanti dell’abitacolo;
60
o Resistenza tecnica: una carrozzeria in vetroresina possiede un’ottima
climatizzazione. In climi freddi la struttura ha una bassissima dispersione di
calore interno. In climi caldi protegge dalle radiazioni solari.
61
COMPOSITI CON FIBRE CORTE
PROPRIETA’ MECCANICHE
Gli effetti dell’orientamento sono molto importanti nella valutazione delle
caratteristiche meccaniche del materiale composito.
Nella figura sottostante, vengono rappresentate fibre lunghe fibre corte disposte in
modo casuale e fibre corte parallele e allineate tra loro. L’anisotropia è originata
dall’orientazione indotta sulle particelle di rinforzo, la cui forma è prevalentemente
allungata, dalle tecniche di formatura dei manufatti. Un caso estremo si ha nei
materiali con fibre lunghe disposte parallelamente (prima figura a sinistra), il cui
modulo elastico in direzione parallela a quelle delle fibre è molto maggiore che in
direzione trasversale.
Mentre nel caso di compositi a fibra lunghe è relativamente facile valutare le
proprietà elastiche del composito in funzione dell’orientamento delle fibre, nel caso
di compositi a fibre corte la cosa è un po’ più complessa. Nella figura sottostante è
rappresentato l’andamento delle linee di forza di un composito contenente una fibra
di lunghezza l e di diametro d, a riposo e in trazione.
62
Consideriamo dapprima il caso in cui tutte le fibre sono allineate tra di loro. Una
sollecitazione applicata al materiale viene trasmessa a ogni singola fibra mediante
sforzi di taglio all’interfaccia fibra-matrice; si determina in questo modo una
sollecitazione tensile sulla fibra stessa. Partendo da queste considerazioni, e
assumendo un comportamento elastico lineare della matrice e della fibra, Cox ha
sviluppato un modello secondo il quale lo sforzo tensile medio σ f , sulla fibra di
lunghezza l è dato dalla relazione seguente:
⎡
⎛ l ⎞⎤
⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥
⎝ ⎠⎥
= E f ε f ⎢1 −
⎛ l ⎞⎥
⎢
⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥
⎣
⎦
_
σ
f
⎡
⎛ l ⎞⎤
⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥
⎝ ⎠ ⎥ prende il nome di fattore di efficienza della lunghezza.
Il termine ⎢1 −
⎛ l ⎞⎥
⎢
⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥
⎣
⎦
Se assumiamo un impaccamento esagonale delle fibre, ς vale:
ς2 =
16Gm
⎛ 2π
E f d f ln⎜
⎜ 3Φ
f
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
Dove: d f = diametro delle fibre
Gm = modulo di taglio della matrice.
63
In particolar modo ς è proporzionale al rapporto di forma tra la lunghezza della
fibra e il suo diametro. Si tratta di un parametro critico nella trasmissione degli
sforzi: per un migliore trasferimento del carico il rapporto di forma deve essere il
maggiore possibile, quindi l maggiore il più possibile di d.
La sollecitazione media in un composito si assume pari a:
σ = Φ f σ f + (1 − Φ f )σ m
−
−
Da cui il modulo elastico del composito:
⎡
⎛ l ⎞⎤
⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥
⎝ ⎠ ⎥ + (1 − Φ )E
E c = Φ f E f ε m ⎢1 −
f
m
⎛ l ⎞⎥
⎢
(
)
ς
cosh
⎜
⎟
⎢
⎝ 2 ⎠ ⎥⎦
⎣
Il modulo elastico del composito è
così
ricondotto
a
quello
dei
componenti, alla quantità di fibra e ai
suoi parametri geometrici. Poiché il
diametro delle fibre è costante in
pratica, l’unica variabile geometrica è
la lunghezza. La figura mostra la
dipendenza del modulo elastico dalla
lunghezza delle fibre nel caso di
polipropilene contenente fibra di vetro.
E’ importante far notare che buoni valori di rigidezza si ottengono anche con fibre
corte, a volte anche molto corte, con il vantaggio di poter utilizzare per questi
materiali li tradizionali tecnologie di formatura (estrusione e iniezione).
Più complesso è determinare il modulo elastico in direzione ortogonale, E90 . Una
64
valutazione può essere effettuata utilizzando la relazione seguente:
σ f 1− Φ f
1
=
+
E90 E f
Em
Poiché spesso la fibra è molto più rigida della matrice:
E90 ≅
Em
1− Φ f
Che è un valore non molto più elevato di quello della matrice. In pratica è difficile
che si verifichi la condizione di perfetto parallelismo delle fibre; molto spesso anzi si
producono durante lo stampaggio variazioni molto estese di orientazione.
In questo caso il calcolo diventa molto più difficile sia perché l’efficienza di
ciascuna fibra varia al variare dell’orientazione della fibra rispetto alla direzione del
carico applicato, sia perché è necessario conoscere la reale distribuzione delle fibre in
seno al materiale.
⎡
⎛ l ⎞⎤
⎢ tanh(ς )⎜ 2 ⎟ ⎥
⎝ ⎠ ⎥ un termine η noto come
Possiamo introdurre nell’espressione ⎢1 −
⎛ l ⎞⎥
⎢
⎢ cosh (ς )⎜⎝ 2 ⎟⎠ ⎥
⎣
⎦
fattore di orientamento di Krenchel, parametro adimensionale che varia da 0 ad 1
quando tutte le fibre sono parallele. Se si trascurano deformazioni trasversali il fattore
di orientamento di Krenchel, può essere ricavato da un calcolo statistico
sull’orientazione delle fibre:
η = ∑ a n cos 4 Φ n
n
dove a n è la frazione di fibre orientate ad un angolo Φ n rispetto la direzione di
orientazione del carico. Nel caso limite in cui le fibre sono orientate casualmente su
di un piano si ottiene η = 0,375, se invece sono orientate casualmente in tre direzioni
η = 0,2. Per esempio pin un composito laminare rinforzato con fibre più lunghe dello
spessore della lamina ci si aspetta che le fibre siano disposte prevalentemente in due
dimensioni η =0,375; il valore di η può deviare da quello previsto dal calcolo
statistico a causa di fibre sporgenti dal piano o piegate.
Quando si analizzano le proprietà meccaniche di un composito rinforzato con fibre
65
corte, un altro parametro fondamentale (oltre alla quantità, alla lunghezza,
all’orientamento delle fibre) per ottenere l’effetto di rinforzo è l’adesione fibramatrice. In un composito sottoposto a trazione gli sforzi di taglio interfacciali τ i ,
sono massimi alle estremità delle fibre.
Aumentando la deformazione, le estremità sono i punti in cui l’interfaccia cede
per prima; quando τ i raggiunge il valore della frizione inizia il “debonding”, lo
sfilamento delle fibre dalla matrice. Nella regione di debonding ( δ ), misurata dal
centro della fibra, le fibre semplicemente scivolano dalla matrice.
E’ definita lunghezza critica della fibra l c , come quella lunghezza al disotto della
quale la regione di debonding si estende lungo tutta la fibra prima che il composito
ceda. In questo caso le fibre non raggiungono il carico di rottura ma scivolano fuori
dalla matrice e non si rompono. Riprenderemo il discorso più avanti.
Per quanto riguarda la resistenza a rottura, una semplice stima può farsi secondo
la legge delle miscele:
(
)
σ b = Φ f σ fb + 1 − Φ f σ m'
Dove σ fb = resistenza delle fibre;
σ m' = sforzo applicato alla matrice al momento della rottura.
Questa relazione in effetti sovrastima per vari motivi l’effetto della resistenza reale
dei compositi. Una causa importante di cedimento è data dalla distribuzione non
uniforme degli sforzi lungo le fibre ed è possibile utilizzare l’analisi di Cox già vista.
Il carico medio massimo sostenibile da una fibra risulta cosi inferiore a quello
massimo; la relazione che lega i due carichi è la seguente:
−
σ
f max
⎛ l ⎞
= ⎜1 − c ⎟σ fb
⎝ 2l ⎠
dove l c (l > l c ) = lunghezza critica della fibra data da:
lc =
σ fb d
2τ i
Dove: d = diametro della fibra;
τ i = sforzo di taglio sostenibile dall’interfaccia.
66
Nel caso in cui la lunghezza delle fibre sia maggiore di quella critica la rottura del
materiale comporta la rottura delle fibre a causa dello sforzo tensile ad esse applicato;
la sollecitazione di rottura del materiale è pertanto:
σb =
τ il
d
Φ f + (1 − Φ f )σ m'
Se invece le fibre sono molto corte, l c < l , la sollecitazione tensile sulla fibra sarà
più bassa e pari a 2τ i / d ; la sollecitazione a rottura del materiale è allora:
⎛
σ b = σ fb Φ f ⎜1 −
⎝
Come si osserva dall’espressione l c =
lc ⎞
⎟ + (1 − Φ f )σ m'
2l ⎠
σ fb d
, il valore della lunghezza critica
2τ i
diminuisce all’aumentare della frizione interfacciale, perciò è inversamente
proporzionale all’adesione fibra-matrice: maggiore è l’interfaccia fibra-matrice più
corte possono essere le fibre per avere un rinforzo efficiente.
Ovviamente nel caso in cui nel materiale ci sia una distribuzione di lunghezze
delle fibre con un a certa frazione di lunghezza inferiore a quella critica, sarà
necessario fare una media pesata tra le equazioni precedenti.
Visto che tutte le lavorazioni dei compositi a fibra corta comportano una riduzione
della lunghezza delle fibre è fondamentale avere elevati valori di τ i perchè risultino
bassi i valori di l c , in modo che anche dopo la formatura del manufatto, una frazione
consistente del rinforzo conservi una lunghezza maggiore di quella critica. I valori
tipici della lunghezza critica per varie coppie fibra/matrice polimerica sono
dell’ordine dei 100-300μm.
Nel caso di perfetto allineamento delle fibre l’efficienza del rinforzo ha un
andamento del tutto simile a quello già visto per il modulo elastico. Si può assicurare
che già fibre 10 volte più lunghe di l c sarebbero in grado di assicurare rinforzi
prossimi a quelli delle fibre lunghe.
Nella realtà i carichi massimi sostenibili sono inferiori a quelli previsti dalle
equazioni precedenti principalmente a causa di due fattori:
67
o orientazione casuale delle fibre;
o effetto delle terminazioni delle fibre stesse.
Quest’ultimo effetto è particolarmente deleterio e determina, a causa della
concentrazione dello sforzo, il cedimento prematuro della matrice. Inoltre, la
vicinanza relativa delle fibre (un fattore non considerato nella derivazione di tutte le
relazioni proposte) impone sforzi supplementari alla matrice. Questo effetto da solo
può bastare a ridurre meno del 50% la resistenza di un composito a fibre corte con
l >> l c rispetto a uno a fibre lunghe.
La resistenza massima diminuisce se il materiale viene sollecitato in una direzione
che forma un angolo Θ non nullo nella direzione di allineamento delle fibre
(assumendo che le fibre siano in effetti tutte allineate).
E’ stato proposto che a seconda del valore dell’angolo, la resistenza del materiale
sia data dalle relazioni seguenti:
σ b = σ bo sen 2 Θ
68
σ b = 2τ i cos ec 2 Θ
σ b = σ fb cos ec 2 Θ
Rispettivamente per piccoli, intermedi e prossimi alla normalità valori dell’angolo.
La figura seguente mostra che anche un lieve disorientamento delle fibre causa una
grave perdita della resistenza del materiale.
La resistenza a frattura, soprattutto in condizioni d’urto, è fondamentale per
estendere il comportamento dei materiali compositi. In particolare, si richiede che il
materile sia in grado di assorbire grandi quantità di energia senza che questo comporti
un danneggiamento catastrofico (materiali impact tolerant). A tal fine è necessario
inserire nel materiale meccanismi energeticamente dissipativi e che limitino gli effetti
connessi con le concentrazione di sforzo causato dalle fibre stesse. Oltre ad
69
incrementare la tenacità della matrice è possibile intervenire sulla resistenza
dell’interfaccia fibra/matrice indebolendola. Questo accorgimento è in contrasto con
quanto visto in precedenza, per cui possiamo affermare che le resistenze in condizioni
impulsive e in condizioni statiche sono proprietà contrapposte. Il frapporre sul
cammino di un difetto un’interfaccia debole è un efficace mezzo per smussare l’apice
del difetto diminuendone cosi’ la pericolosità (meccanismo di Cook-Gordon).
Un altro efficace meccanismo di assorbimento di energia si determina favorendo
lo sfilamento delle fibre dalla matrice (meccanismo di pull-out, espulsione) in modo
da trasformare parte dell’energia di impatto in lavoro di estrazione. E’ evidente che se
la lunghezza delle fibre è maggiore di quella critica le fibre si romperanno piuttosto
che sfilarsi: anche in questo le condizioni per ottimizzare resistenze statiche e
dinamiche divergono.
E’ stato valutato che il lavoro di estrazione W, delle fibre con l < l c è pari a:
W = Φ f τ i l 2 / 12d f
mentre quello delle fibre lunghe l > l c è pari a:
W = Φ f τ i l c / 12d f l f
3
Riportando in un grafico le due precedenti espressioni si nota che il massimo
lavoro dissipato si ha quando la lunghezza delle fibre è uguale a quella critica:
Se quindi per aumentare σ b oppure
E, risulta necessario usare fibre per cui
l ≅ 10l per aumentare la resistenza alla
frattura occorre che l ≅ l c . Si possono
cercare compromessi tra resistenza a
trazione e resistenza alla frattura
utilizzando contemporaneamente fibre
di lunghezza diversa che soddisfino le
condizioni viste.
70
A parità di quantità e di lunghezza della carica fibrosa la resistenza all’impatto, nel
caso di fibre orientate, dipenderà dalla direzione di applicazione del carico,
similmente quanto avviene per il modulo elastico.
71
COMPOSITI CON FIBRE LUNGHE
I materiali compositi hanno peculiarità che li distinguono in modo netto dai
tradizionali materiali dell'ingegneria strutturale. Mentre alcune caratteristiche infatti
possono essere viste come variazioni del comportamento rispetto ai materiali
convenzionali, altre sono completamente nuove e richiedono pertanto nuovi modelli
analitici di descrizione del comportamento strutturale e appropriate procedure di
analisi sperimentale.
Un aspetto importante da mettere in evidenza, soprattutto con compositi a fibre
lunghe, è la possibilità di realizzare, con fibre disposte nelle opportune direzioni,
materiali con proprietà fortemente anisotrope, ma tale anisotropia può anche essere
progettata in funzione delle direzioni e dei valori delle sollecitazioni esterne
applicate, fino a giungere, con un’opportuna orientazione delle fibre o sequenza di
laminazione, a materiali con proprietà approssimativamente isotrope. La figura
seguente e la tabella 3.6 riportano, a titolo d’esempio, i moduli elastici, al variare
dell’orientazione delle fibre, in una lamina, e le costanti elastiche di tre diversi
laminati con diverse sequenze di laminazione.
72
Laminato*
Ex = Ey (GPa)
νxy
Gxy (GPa)
0/90
92,46
0,038
4,5
[±45]s
16,4
0,829
44,5
[0/90/+45/-45/90/0]s
75,64
0,213
17,9
Tabella 3.6
Proprietà elastiche dei laminati
L’aggiunta di fibre lunghe in genere migliora le proprietà meccaniche di un
materiale composito. L’incremento di proprietà meccaniche dipende essenzialmente
dalle proprietà delle fibre e della matrice, dalla loro frazione volumetrica, dalla
geometria della struttura, dalle modalità di sollecitazione e dall’orientazione di
applicazione del carico. In funzione dell’orientazione del carico e del tipo di proprietà
meccanica considerata anche il tipo d’interfaccia e la qualità dell’adesione che si
realizza tra fibra e matrice possono essere di importanza rilevante.
Nel caso di compositi con particelle o fibre corte gli sforzi applicati al composito
vengono trasmessi all’elemento di carica esclusivamente attraverso la matrice. Se la
fibra è continua, una parte più o meno grande di tali sforzi può risultare direttamente
applicata alla fibra, in funzione della direzione di applicazione del carico rispetto a
quella di orientazione della fibra.
La progettazione delle proprietà meccaniche di una struttura in materiale
composito passa attraverso la determinazione delle proprietà di una lamina.
Nel caso più semplice di una lamina con fibre unidirezionali e carico applicato alla
struttura nella direzione delle fibre, fibre e matrice sopportano il carico applicato
secondo aliquote che dipendono dal rapporto tra i moduli elastici di fibra e matrice e
dalla frazione volumetrica delle fibre. La modellazione delle proprietà elastiche del
composito, in questo caso, è semplice; considerando che fibre e matrice subiscono
sotto l’applicazione del carico uguale deformazione, il modulo elastico del composito
Ec può essere valutato attraverso la “regola delle miscele” che media i moduli elastici
dei due componenti, Ef ed Em, attraverso le rispettive frazioni volumetriche:
73
Dai dati riportati nella seguente tabella si evince come, utilizzando fibre continue
e disponendole tutte nella stessa direzione, è possibile ottenere materiali che nella
direzione delle fibre presentano proprietà elastiche e resistenza anche di molto
superiori a quelle di materiali tradizionalmente considerati forti (Eacciaio = 200 GPa).
Fibra
EL (GPa)
ET (GPa)
GLT (GPa)
νxy
σbL (MPa)
σbT (MPa)
Vetro E
45
12
4,4
0,25
1000
34
Kevlar 49
76
5,5
2,1
0,34
1380
28
Carbonio T-300
132
10,3
6,5
0,25
1240
45
Boron
274
15
52
0,25
1310
34
Al 2024-73
72,3
72,3
27,6
0,31
462
455
Acciaio 4130
207
207
82,7
0,25
655
655
Metallo
Tabella 3.7
Proprietà meccaniche di compositi unidirezionali con Φf = 0,60 e i due metalli di
riferimento
La maggior parte dei materiali tradizionali possono essere descritti come materiali
omogenei (con proprietà uniformi, non funzione della posizione), ed isotropi (con
proprietà costanti in ogni direzione e in ogni punto, non funzione dell'orientazione).
I materiali compositi sono invece spesso non omogenei (eterogenei) e non isotropi
(anisotropi). Un solido eterogeneo ha proprietà non uniformi attraverso il corpo; le
proprietà dipendono dal punto in cui si valutano. Un solido anisotropo ha le proprietà
che sono differenti, in un punto del solido, in tutte le direzioni; non ci sono piani di
simmetria
delle
proprietà
del
materiale
ma
le
proprietà
sono funzione
dell'orientazione secondo cui si valutano. I materiali compositi sono generalmente
materiali ortotropi. Un solido ortotropo è un materiale con proprietà che sono
differenti in tre direzioni mutuamente perpendicolari tra loro; hanno quindi tre piani
mutuamente perpendicolari di simmetria delle proprietà del materiale.
A causa della natura eterogenea e del comportamento anisotropo dei materiali
74
compositi, il loro studio può essere intrapreso attraverso due punti di vista: la
micromeccanica e la macromeccanica. La micromeccanica è lo studio del
comportamento del materiale composito attraverso le interazioni dei suoi componenti
(matrice e rinforzo) esaminati in scala macroscopica e porta alla valutazione di come
tali componenti possano essere scelti, proporzionati e disposti per ottenere particolari
caratteristiche meccaniche (fig. seguente). Questo tipo di analisi può essere applicato
alla progettazione del materiale sotto forma perciò di una sola lamina isolata, ovvero
di un singolo strato o elemento di materiale composito in cui tutte le fibre sono
MATRICE
LAMINA
FIBRE
La micromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito attraverso
l'interazione della matrice e del rinforzo.
parallele tra loro. Una lamina può essere considerata come materiale ortotropo.
Nelle applicazioni industriali i compositi si trovano generalmente sotto forma di
laminati; il comportamento dei laminati può essere valutato come composizione del
comportamento macroscopico delle lamine e quindi, in scala più ampia, come
omogeneo e caratterizzato da proprietà meccaniche apparenti, globali, attraverso
considerazioni a livello di macromeccanica dei compositi (fig. sotto).
LAMINE
LAMINATO
75
La macromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito considerato come
costituito da più lamine omogenee ortotrope caratterizzate da proprietà meccaniche globali
apparenti.
MACROMECCANICA DELLA LAMINA
La lamina è il mattone fondamentale con cui sono costruiti i laminati. La
conoscenza quindi del comportamento meccanico della lamina è fondamentale per
prevedere e capire il comportamento dell'intera struttura in composito.
Il comportamento macromeccanico di una lamina viene analizzato considerando
solo le proprietà meccaniche globali apparenti del materiale supposto omogeneo ma
non isotropo, prescindendo dalle interazioni tra i componenti.
La legge Hooke per un materiale anisotropo omogeneo è data da:
σi = Cij εj
dove i termini
i,j = 1,..., 6
(3.1)
i sono espressi in forma semplificata per esprimere:
σ1 = σ11
σ4 = τ23
σ2 = σ22
σ5 = τ31
σ3 = σ33
σ3 = τ33
dove:
∂u
ε1 =
∂x
γ12 =
∂u
∂v
+
∂y
∂x
;
∂v
ε12=
∂y
;
γ31 =
;
∂w
ε3=
∂z
∂w
+ ;
∂x
γ23=
∂v
∂u
+
∂z
∂y
76
La matrice di rigidezza Cij
è di 36 elementi ma si può dimostrare che è
simmetrica, pertanto Cij = Cji ; le costanti di rigidezza indipendenti diventano
pertanto 21.
Se il materiale è ortotropo le costanti di rigidezza non nulle diventano 9:
⎧ σσ12 ⎫
⎪ σ3 ⎪
⎨τ23⎬
⎪τ31⎪
⎩τ12⎭
=
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
C11 C12 C13 0
0
0
0
C12 C22 C23 0
0
0
0
C13 C23 C33 0
0
0
0
0 C44 0
0 C55 0
0
0
0
0
0 C66
0
0
0
⎪
⎪
⎪
⎪
⎪
⎧ εε12 ⎫
⎪ ε3 ⎪
⎨γ23 ⎬
⎪ γ31 ⎪
⎩ γ12 ⎭
Una singola lamina, si può ritenere che abbia uno spessore trascurabile rispetto
alle altre dimensioni e pertanto si può pensare ad uno stato piano di tensione in cui si
pone:
σ33 = 0 ,
τ23 = 0 ,
τ31 = 0
e quindi si ha:
⎧ σ1 ⎫
⎨ σ2 ⎬
⎩τ12⎭
=
⎪ Q11
⎪Q12
⎪ 0
Q12 0 ⎪
0 ⎪
Q22
0 Q66⎪
⎧ ε1 ⎫
⎨ ε1 ⎬
⎩γ12⎭
dove i termini Qij sono le costanti di rigidezza ridotte e possono essere espresse
attraverso le costanti ingegneristiche:
E11
Q11 =
1 - ν12ν21
ν12 E22
ν21 E11
Q12 =
=
1 - ν12 ν21
1 - ν12 ν21
77
Q22 =
E22
1 - ν12 ν21
Q66 = G12
dove le direzioni 1 e 2 sono quelle principali di ortotropia del materiale.
In tabella sono riportate le proprietà elastiche tipiche di alcuni materiali compositi.
___________________________________________________________
A
B
C
D
_____________________________________________________________
GRAFITE /VETRO E/BORO/GRAFITE/
PROPRIETA'
EPOXY EPOXY EPOXYALLUMINIO
_____________________________________________________________
E1 (GPa)
137.5
42.7
206.8
124.1
E2 (GPa)
14.5
11.7
14.5
24.8
0.21
0.27
0.21
0.3
G12 (GPa)
5.9
4.1
5.5
22.1
Q11 (GPa)
138.6
43.6
211.7
126.2
Q12 (GPa)
3.1
3.2
3.0
7.6
Q22(GPa)
14.5
11.9
14.5
25.3
Q66 (GPa)
5.9
4.1
5.5
22.1
ν12
___________________________________________________________
Proprietà elastiche di alcuni compositi
Dalle relazioni, si vede subito che:
E11
ν12
=
E22
ν21
Per avere l'espressione dello stato di tensione riferito invece ad un sistema di
78
riferimento qualunque sul piano x, y, orientato dell'angolo θ rispetto a x (fig.
seguente), si opera la rotazione degli assi
1
X
θ
Y
2
Sistemi di riferimento sulla lamina.
⎧ σx ⎫
⎨ σy ⎬
⎩τxy⎭
=
⎪ M2
⎪ N2
⎪MN
N2 -2MN ⎪
M2 2MN ⎪
-MN M2-N2⎪
⎧ σ1 ⎫
⎨ σ2 ⎬
⎩τ12⎭
dove M = cos θ e N = sin θ, che in forma compatta può essere scritta come:
{σx;y;xy} = |T|-1 {σ1,2,12}
dove con l'apice -1 si indica la matrice inversa.
79
|T|-1 =
⎪ M2
⎪ N2
⎪MN
N2 -2MN ⎪
M2 2MN ⎪
-MN M2-N2⎪
Si può dimostrare anche che:
⎧ εεxy ⎫
⎨γxy⎬
⎩2⎭
= |T|-1
⎧ εε12 ⎫
⎨γ12⎬
⎩2⎭
e definendo
|R| =
⎪1
⎪0
⎪0
0 0⎪
1 0⎪
0 2⎪
dove
⎧ ε1 ⎫
⎨ ε2 ⎬
⎩γ12⎭
⎧ εx ⎫
⎨ εy ⎬
⎩γxy⎭
= |R|
⎧ εε12 ⎫
⎨γ12⎬
⎩2⎭
= |R|
⎧ εεxy ⎫
⎨γxy⎬
⎩2⎭
ricordando che:
⎧ σ1 ⎫
⎨ σ2 ⎬
⎩τ12⎭
=
⎧ ε1 ⎫
|Q| ⎨ ε2 ⎬
⎩γ12⎭
Si può ottenere:
80
⎧ σx ⎫
⎨ σy ⎬
⎩τxy⎭
= |T|-1
⎧ σ1 ⎫
⎨ σ2 ⎬
⎩τ12⎭
= |T|-1 |Q| |R| |T| |R|-1
⎧ εx ⎫
⎨ εy ⎬
⎩γxy⎭
Si può dimostrare che
|R| |T| |R|-1 = |T|T
dove l'apice T indica la trasposta della matrice, e ponendo
_
|Q | = |T|-1 |Q| |T|T
si ha:
⎧ σx ⎫
⎨ σy ⎬
⎩τxy⎭
_
= |Q |
⎧ εx ⎫
⎨ εy ⎬
⎩γxy⎭
=
⎪Q_11
⎪Q_
⎪ _ 12
⎪Q16
_
Q12
_
Q22
_
Q26
_
Q16
_
Q26
_
Q66
⎪ ⎧ εx ⎫
⎪ ⎨ εy ⎬
⎪ ⎩γxy⎭
⎪
_
che rappresenta l'equazione costitutiva della lamina e dove: i termini Q ij formano
la matrice di rigidezza della lamina riferita ad un sistema di riferimento x-y, tale che
la direzione x forma un angolo θ con la direzione 1.
_
Q 11 = Q11 cos4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q22 sin4 θ
_
Q 12 = (Q11 + Q22 - 4 Q66) sin2θ cos2θ + Q12 (sin4 θ + cos4 θ)
81
_
Q 22 = Q11 sin4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q22 cos4 θ
_
Q 16 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin θ cos3 θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin3 θ cos θ
_
Q 26 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin3 θ cos θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin θ cos3 θ
_
Q 66 = (Q11 + Q22 - 2Q12 - 2Q66) sin2 θ cos2 θ + Q66 (sin4 θ + cos4 θ)
In tabella sono riportati i valori dei termini della matrice di rigidezza riferita a
sistemi di riferimento orientati secondo alcuni angoli rispetto alle direzioni principali
di ortotropia, per il materiale "A" di tab. 3.I.
_____________________________________________________________
θ
_
Q 11
_
Q 12
_
Q 16
_
Q 22
_
Q 26
_
Q 66
(GPa)
(GPa)
(GPa)
(GPa)
(GPa)
(GPa)
_____________________________________________________________
0°
138.5
3.1
0
14.6
0
5.9
45°
45.7
33.9
30.1
45.7
30.1
36.7
90°
14.6
3.1
0
138.5
0
5.9
_____________________________________________________________
Matrice di rigidezza riferita a sistemi di riferimento orientati secondo alcuni
angolirispetto alle direzioni principali di ortotropia. (materiale A di tab.3.I)
Per conoscere completamente il comportamento strutturale di una lamina ortotropa,
supposto sempre che svolga la sua funzione in condizioni di stato piano di tensioni, è
necessaria la conoscenza di quattro parametri elastici (E1, E2, G12, ν12) e tre limiti a
rottura (R1, R2, R12,).
Per la valutazione di tali parametri è stata messa a punto una procedura basata su
prove di trazione su provini prelevati, da una piastra unidirezionale, in tre direzioni:
82
paralleli alla direzione delle fibre, perpendicolari alla direzione delle fibre e in una
direzione intermedia (generalmente a 45°) come riportato nella figura seguente.
La geometria dei provini, stabilita dalla normativa ASTM D 3039, è riportata
nella figura a pagina seguente. Lo spessore, non definito dalla normative, non deve
essere inferiore a 1.5 mm per evitare di avere provini poco maneggevoli.
0°
45°
90°
228.7
152.4
38.1
25.4
83
Alle estremità dei provini debbono essere incollate piastre che consentano una
uniforme distribuzione dei carichi tra afferraggi e provini. Tali piastre possono essere
realizzate in alluminio o in composito.
Per il rilievo delle deformazioni nel corso della prova, i provini debbono essere
strumentati con estensimetri elettrici. E' buona norma scegliere estensimetri con le
dimensioni delle griglie sensibili massime compatibilmente con le dimensioni del
provino per poter ottenere misure globali che non risentano dell'eterogeneità del
materiale della prova. Gli estensimetri dovranno comunque essere applicati su
entrambe le facce del provino per poter valutare la componente dovuta alla trazione,
depurandola della eventuale componente flessionale dovuta ad un non perfetto
allineamento del provino durante la prova di carico, che in ogni caso dovrà essere
contenuta entro definiti limiti (ASTM D 3039).
Sui provini tagliati nella direzione delle fibre 1, devono essere rilevate le
deformazioni sia nella direzione longitudinale che in quella trasversale ε1 e ε12). Si
potranno quindi ottenere:
Ε1 =
σ1
ε1
ν12 = -
,
ε12
ε1
Conducendo la prova fino alla rottura dei provini si ottiene il valore del carico di
rottura:
R1 = σ1 max
Sui provini tagliati nella direzione perpendicolare alla direzione della fibre "2",
devono essere rilevate le deformazioni nella direzione longitudinale (ε2). Viene
valutato:
E2=
σ2
ε2
84
e limite a rottura
R2 = σ2max
Sui provini tagliati nella direzione a 45° rispetto a quella delle fibre vengono
misurate le deformazioni nella direzione longitudinale ε(45°) e trasversale ε*(45°)
necessarie per il calcolo del modulo tangenziale G12 (ASTM D 3518); infatti
G12 =
dove
τ12 =
τ12
γ12
P
2ab
con P carico sul provino e ab area della sezione del provino e
γ12 = ε(45°) -ε*(45°)
Risultati analoghi si possono ottenere dalla
G12 =
1
⎛ 4
⎜E
⎝ (45°)
-
2ν12⎞
1
1
+
E1
E2
E1 ⎟⎠
Portando a rottura il provino e ricordando che:
τ12 = σx sin θ cos θ =
1
σ
2 (45°)
si può ottenere il valore del taglio massimo:
R12 =
1
R
2 (45°)
85
MICROMECCANICA DELLA LAMINA
Oltre a poter essere determinate sperimentalmente, le proprietà di una lamina
possono essere definite in modo analitico in base alle proprietà dei materiali
costituenti. E' possibile quindi "prevedere" il comportamento strutturale di una lamina
attraverso procedure di micromeccanica.
L'obiettivo dell'approccio micromeccanico è la valutazione dei moduli elastici e
dei carichi di rottura del composito attraverso la conoscenza dei moduli elastici e dei
carichi di rottura delle fibre e della matrice che lo costituiscono.
I termini della matrice di rigidezza del composito sono:
Cij = Cij (Ef; νf; Vf; Em; νm, Vm)
dove
Ef = Modulo di Young delle fibre
νf = Coefficiente di Poisson delle fibre
νm = Coefficiente di Poisson della matrice
con analoghe definizioni si descrivono i coefficienti relativi alla matrice.
Analogamente per i carichi di rottura valgono considerazioni simili:
Xi = Xi (Xif, Vf, Xim, Vm)
dove
Xi = R1, R2, R12
carichi di rottura del composito
Xif = R1f, R2f, R12f
carichi di rottura delle fibre
e analoghe definizioni per le caratteristiche della matrice.
Negli sviluppi successivi della trattazione micromeccanica dei compositi
86
vengono fatte alcune ipotesi. In particolare la lamina viene considerata
macroscopicamente omogenea, a comportamento lineare elastico e inizialmente
scarica. Le fibre sono omogenee, a comportamento lineare elastico, isotrope, spaziate
regolarmente e perfettamente allineate. La matrice è omogenea, a comportamento
lineare elastico e isotropa. Si suppone inoltre che non esistano vuoti nel composito.
Si consideri un elemento fondamentale di volume della lamina come in figura
seguente. Il composito è sottoposto a deformazione ε1 nella direzione delle fibre. La
fibra sarà sollecitata con una tensione
σf = Ef ε1
mentre la matrice sarà soggetta ad una tensione
σm = Em ε1.
2
σ1
σ1
1
fibra
matrice
L
ΔL
Volume elementare di lamina caricato secondo 1.
La sezione A del composito è soggetta ad una tensione globale σ1 tale che:
87
P = σ1 A = σf Af + σm Am
ma
σ1= E1 ε1
si ha quindi
E1 =
Af
Am
σ1
= Ef
+ Em
= Ef Vf + Em Vm
A
A
εi
Questa formulazione del modulo di Young attraverso la micromeccanica è nota
come regola delle misture e rappresenta una variazione lineare del modulo di Young
E1, dal valore Em al valore Ef quando Vf passa da 0 a 1. (fig. seguente).
Il modulo di Young nella direzione 2 si può valutare considerando lo stesso
elemento fondamentale di volume della lamina, caricato con una sollecitazione σ2.
E f
E1
E m
0
V
1
f
Andamento del modulo di Young al variare della percentuale in volume delle fibre.
88
2
σ2
1
W
fibra
matrice
σ2
Volume elementare di lamina caricato secondo 2.
La deformazione nella direzione 2 cui è soggetta la matrice vale:
εm =
σ2
Em
mentre le fibre sono soggette ad una deformazione
ε f=
σ2
Ef
la dimensione trasversale su cui agisce la εf è approssimativamente VfW mentre
la εm agisce su una porzione VmW. La deformazione trasversale totale vale:
ε2W = VfWεf + VmWεm
ovvero:
ε 2 = V f ε f + V mε m
89
e sostituendo
ε2 = V f
σ2
Ef
+ Vm
σ2
Em
ma
σ2 = E2 ε2 = E2(Vf
σ2
Ef
+ Vm
σ2
)
Em
e infine, il valore del modulo di Young nella direzione 2 vale:
E2 =
σ2
Vf Em + Vm Ef
σ2
Ef Em
=
E f Em
Vf Em + VmEf
Con considerazioni simili si possono ricavare i valori dei coefficienti di Poisson e
del modulo tangenziale:
ν12 = Vf νf + Vm νm
;
G12 =
G m Gf
Vf Gm + Vm Gf
I CARICHI DI ROTTURA
Nel caso più generale, un composito unidirezionale si deforma all'aumentare del
carico secondo quattro fasi, in funzione delle relative fragilità e duttilità di fibre e
matrice.
a) fibre e matrice si deformano elasticamente;
b) le fibre si deformano ancora elasticamente ma la matrice comincia a deformarsi
plasticamente;
c) fibre e matrice si deformano plasticamente;
d) si verifica la rottura delle fibre, seguita dal cedimento di tutto il composito.
Naturalmente, nel caso di comportamento fragile delle fibre, la fase c) non si
90
verifica. Se è la matrice ad essere fragile non avvengono la fase b) e la c). In caso di
fibre e matrice fragili, il cedimento del composito si raggiunge quando le fibre
raggiungono un allungamento pari al loro allungamento a rottura. In tal caso il carico
di rottura del composito è dato da:
Rc = Rf Vf + R(f)m (1-Vf)
Ovviamente lo scopo delle fibre nel composito è quello di incrementarne le proprietà
meccaniche rispetto a quelle della matrice e quindi:
Rc > Rm
Esiste comunque un limite minimo alla percentuale in volume di fibre nel composito
per ottenere un miglioramento nelle proprietà:
RfVf + R(f)m (1-Vf) > Rm
da cui
Rm - R(f)m
Rf - R(f)m
Vf >
σ
σf
FIBRA
MAX
MATRICE
σ
m MAX
( σm ) ε
fMAX
εf
MAX
εm
ε
MAX
Andamento schematico delle curve tensione deformazione per fibra e matrice.
91
MACROMECCANICA DEL LAMINATO
Un laminato è costituito da due o più lamine tra loro perfettamente aderenti che
agiscono come un unico elemento strutturale. Le direzioni principali delle lamine
sono orientate in modo da ottenere un elemento strutturale in grado di svolgere
definite funzioni strutturali in definite direzioni. Le rigidezze di una data
configurazione del materiale composito sono valutabili attraverso procedure che
tengono conto del numero, del tipo, dell'orientazione e della mutua posizione delle
lamine che costituiscono il laminato.
1
2
3
4
z2
h
zk
k
z0
z1
z n-1
zn
n
Posizione delle lamine in un laminato.
Ai fini della valutazione del comportamento strutturale del laminato, è essenziale
poterlo considerare come se fosse omogeneo e con caratteristiche globali equivalenti.
Per poter effettuare questo passaggio sono necessarie alcune ipotesi
semplificative che vanno sotto il nome di Classica Teoria della Laminazione (CLT).
E' necessario supporre il materiale come costituito da lamine perfettamente aderenti
tra loro con spessore di incollaggio nullo; le lamine inoltre mantengono il loro
comportamento lineare elastico sia isolate che inserite nel laminato.
92
Simili ipotesi comportano che, in un laminato sottile, un'asse perpendicolare al
piano medio del laminato, qualora quest'ultimo venga deformato, rimane rettilineo e
perpendicolare allo stesso piano medio e lo spessore del laminato rimane costante
(fig. 3.18); ciò equivale a porre nulle le deformazioni angolari nei piani
perpendicolari al piano medio e la deformazione nella direzione perpendicolare al
piano stesso. Si può notare che questa serie di ipotesi è analoga a quella di Kirchhoff
per le piastre e di Kirchhoff-Love per i gusci e pertanto la trattazione del laminato nel
suo complesso può essere riferita in parte a quella delle piastre e gusci che soddisfano
le suddette ipotesi.
X
Nx
Nxy
Nyx
Y
Ny
Mx
X
Myx
My
Mxy
Y
Forze e momenti su un laminato.
In un laminato si individuano un sistema di riferimento del laminato stesso e i
sistemi di riferimento delle singole lamine. Tali sistemi vengono generalmente riferiti
alle direzioni principali di ortotropia delle rispettive lamine, definite coincidenti con
le direzioni delle fibre, e le loro normali nel piano delle lamine stesse . Con le ipotesi
della CLT si considerano i carichi specifici e i momenti specifici (per unità di
larghezza agenti sul laminato) come gli integrali delle tensioni e dei momenti delle
93
tensioni agenti sulle lamine, valutati sullo spessore totale h delle laminato.
h/2
Ni =
⌠ σi dz
⌡
-h/2
(i = x;y;xy)
h/2
Mi =
⌠
⌡ σi z dz
-h/2
Si può dimostrare che:
⎧⎪ ε°x ⎫⎪
⎪B11
°
⎨ ε y ⎬ + ⎪B12
⎪
⎪⎩γ°xy⎪⎭
⎪B16
⎧⎪ Nx ⎫⎪
⎨ Ny ⎬
⎪⎩Nxy⎪⎭
⎪A11
= ⎪A12
⎪
⎪A16
A12 A16⎪
A22 A26⎪
⎪
A26 A66⎪
⎧⎪ Mx ⎫⎪
⎨ My ⎬
⎪⎩Mxy⎪⎭
⎪B11
= ⎪B12
⎪
⎪B16
B12 B16⎪
B22 B26⎪
⎪
B26 B66⎪
dove
ε°x, ε°y, γ°xy, kx, ky, kxy,
⎧⎪ ε°x ⎫⎪
⎪D11
⎨ ε°y ⎬ + ⎪D12
⎪
⎪⎩γ°xy⎪⎭
⎪D16
B12 B16⎪
B22 B26⎪
⎪
B26 B66⎪
D12 D16⎪
D22 D26⎪
⎪
D26 D66⎪
⎧⎪ kx ⎫⎪
⎨ ky ⎬
⎪⎩kxy⎪⎭
⎧⎪ kx ⎫⎪
⎨ ky ⎬
⎪⎩kxy⎪⎭
sono le deformazioni e le curvature del piano medio del
laminato. La sottomatrice |A| è la matrice di rigidezza per sollecitazioni di trazione
nel laminato, la sottomatrice |D| è quella di rigidezza flessionale e la sottomatrice
|B|è la matrice di rigidezza di accoppiamento e tiene conto sia delle caratteristiche di
trazione che di quelle di flessione del laminato.
I termini di tali matrici si possono ricavare da
n
Aij =
∑
_
(Qij)k (zk-zk-1)
k=1
n
Bij =
1
2
∑
k=1
n
Dij =
1
3
_
(Qij)k (zk2-zk-12)
∑
_
(Qij)k (zk3-zk-13)
k=1
Nella tabella sottostante sono riportati i valori dei termini della matrice di
94
rigidezza di alcuni laminati costituiti dal materiale "A" della tabella precedente.
______________________________________________________________________________________
TERMINE
[0/+45/-45]s
[0/45/-45/45/-45/0]
[0/45/45]s
______________________________________________________________________________________
A11 (MN/m)
58.4
58.4
18.0
18.0
58.4
A12 (MN/m)
18.0
A22 (MN/m)
26.9
26.9
26.9
A66 (MN/m)
20.1
20.1
20.1
A16 (MN/m)
0
0
15.7
A26 (MN/m)
0
0
15.7
B11 (kN)
0
0
0
B12 (kN)
0
0
0
B22 (kN)
0
0
0
B66 (kN)
0
0
0
B16 (kN)
0
1
0
B26 (kN)
0
1
0
D11 (Nm)
4.1
4.1
4.1
D12 (Nm)
0.4
0.4
0.4
D22 (Nm)
0.9
0.9
0.9
D66 (Nm)
0.6
0.6
0.6
D16 (Nm)
0.3
0
0.3
D26 (Nm)
0.3
0
0.3
______________________________________________________________________________________
Matrici di rigidezza di alcuni laminati realizzati con il materiale A.
In forma compatta si può scrivere:
⎧N⎫
⎨. .⎬
⎩M⎭
⎪A
= ⎪. .
⎪B
: B⎪
.... . .⎪
: D⎪
⎪⎧ ε° ⎪⎫
⎨. .⎬
⎪⎩ k ⎪⎭
che rappresenta una pseudo-equazione costitutiva del laminato.
Per poter conoscere le proprietà elastiche del laminato nella sua globalità è
necessario esprimere la pseudo-equazione costitutiva del laminato in forma inversa:
95
ε°
⎧⎪ ε°xy ⎫⎪
°
⎨γkxyx ⎬
⎪⎩ kky ⎪⎭
xy
⎡
⎢
=
⎢
⎣
H11
H12
H13
H14
H15
H16
H12
H22
H23
H24
H25
H26
H13
H23
H33
H34
H35
H36
H14
H24
H34
H44
H45
H46
H15
H25
H35
H45
H55
H56
H16
H26
H36
H46
H56
H66
⎤
⎥
⎥
⎦
⎧⎪
⎨
⎪⎩
Nx
Ny
Nxy
Mx
My
Mxy
⎫⎪
⎬
⎪⎭
le proprietà elastiche effettive possono essere espresse quindi in termini delle
cedevolezze Hij e dello spessore del laminato h.
Modulo di Young longitudinale:
Ex = (hH11)-1
Modulo di Young trasversale:
Ey = (hH22)-1
Coefficiente di Poisson longitudinale:
H12
νxy = H11
Modulo di taglio:
Gxy = (hH33)-1
Le proprietà elastiche per sollecitazioni di flessione; si possono ottenere
considerando la pseudo-equazione costitutiva del laminato nel caso che solo i
momenti Mi siano presenti:
96
⎧⎪ Mx ⎫⎪
⎨ My ⎬
⎩⎪Mxy⎭⎪
⎡D11 D12 D16 ⎤
= ⎢D12 D22 D26 ⎥
⎢
⎥
⎣D16 D26 D66 ⎦
⎧⎪ kx ⎫⎪
⎨ ky ⎬
⎩⎪kxy⎭⎪
si possono ottenere le curvature:
⎧⎪ kx ⎫⎪
⎨ ky ⎬
⎩⎪kxy⎭⎪
⎡H44 H45 H46⎤
= ⎢H45 H55 H56⎥
⎢
⎥
⎣H46 H56 H66⎦
⎧⎪ Mx ⎫⎪
⎨ My ⎬
⎩⎪Mxy⎭⎪
Nella direzione x, se il laminato è soggetto al solo momento specifico Mx, si ha:
M
kx = H44 . Mx = H44 .
b
con
M = Mx . b
momento applicato
dove b è la larghezza della trave o piastra.
La rigidezza flessionale del materiale vale:
EJ =
M
Mb
=
kx
H44 M
=
b
H44
e quindi il modulo flessionale
b
E(f)x =
J H44
=
J* =
h3
12
1
J* H44
dove
e analogamente
97
E(f)y =
1
*
J H55
G(f)xy =
,
IDENTIFICAZIONE
LAMINATO
1
*
J H66
,
H45
ν(f)xy= H44
DELLA SUCCESSIONE
DELLE
LAMINE
NEL
Per permettere una univoca interpretazione delle configurazioni dei laminati,
viene usualmente fatto riferimento al codice di descrizione dell'orientazione delle
lamine definito presso il US. Air Force Materials Laboratory. Esso si basa su alcune
regole fondamentali (fig. 4.1):
a) ogni lamina è definita da un numero che rappresenta l'angolo in gradi che che la
direzione delle sue fibre forma con l'asse X del laminato;
b) lamine adiacenti, con diversa orientazione, sono separate da una barra trasversale
"/";
c) le lamine sono elencate in sequenza a partire da una faccia del laminato e il tutto è
posto tra parentesi quadra;
d) lamine adiacenti orientate dello stesso angolo sono indicate con un numero come
pedice;
e) un pedice T indica che viene descritto tutto il laminato.
Quando lamine adiacenti sono orientate con lo stesso angolo ma di segno opposto,
si fa ricorso ai segni + e -. Ogni segno + o - rappresenta una lamina e sostituisce il
pedice numerico che è usato solo se le direzioni sono identiche.
I laminati simmetrici con un numero pari di lamine sono descritti partendo da una
faccia e fermandosi al piano di simmetria. Un pedice S indica che è stato descritto
solo metà del laminato.
I laminati simmetrici con un numero dispari di lamine sono descritti come i
precedenti solo che la lamina centrale, indicata per ultima, è soprasegnata per
98
indicare che giace sul piano di simmetria del laminato.
Sequenze ripetute di lamine sono comprese in parentesi tonde e ad esse si
applicano le stesse regole delle lamine singole.
Più in generale si ha:
-
laminato unidirezionale: laminato nel quale le fibre hanno la stessa
orientazione in tutte le lamine;
-
laminato angle-ply: laminato in cui le lamine hanno alternativamente
orientazione: + ө /- ө /+ ө /-ө;
-
laminato simmetrico: laminato nel quale per ogni lamina di
orientazione + ө esiste una stessa lamina con la stessa orientazione
disposta simmetricamente rispetto al piano di simmetria del laminato;
-
laminato bilanciato: laminato nel quale per ogni lamina con fibre
orientate a + ө esiste un’altra lamina con fibre orientate a - ө, dovunque
disposta nel laminato;
-
laminato
quasi-isotropo:
laminato
che
possiede
proprietà
approssimativamente uguali in tutte le direzioni nel piano, ottenuto
dalla sovrapposizione di lamine che differiscono, nell’orientazione, per
un valore di ө costante. Si considera quasi isotropo un laminato
costituito da almeno tre lamine con direzioni delle fibre sfalsate di 60°.
99
Codice di descrizione dell'orientazione delle lamine definito presso il US. Air Force Materials
Laboratory
100
Per poter evitare inoltre che, sotto l’azione di sforzi normali o di flessione, la
struttura laminata subisca deformazioni non volute nello spazio, vengono realizzati
laminati simmetrici e bilanciati.
Un laminato simmetrico e bilanciato è un laminato che presenta lamine, con la
stessa orientazione, poste al di sotto e al di sopra del piano mediano, e nel quale oqni
lamina con fibre orientate secondo un angolo ө è bilanciato dalla presenza di una
lamina con fibre orientate con un angolo -ө. Ulteriori considerazioni, tese a
semplificare lo stato di deformazione sul laminato,
e che portano anche a una
semplificazione dei procedimenti di calcolo delle proprietà elastiche, suggeriscono
poi che le lamine con orientazione opposta siano poste a una distanza quanto più
possibile uguale rispetto al piano mediano.
La condizione di bilanciamento risulta verificata se al laminato si aggiungono
altre due lamine, con orientazione -45°, ottenendo un laminato il cui codice è:
[0/90/±45]s. Anche se l’aggiunta di fibre lunghe ad una matrice polimerica porta a
modificazioni di tutte le sue proprietà (meccaniche, termiche, elettriche..), in genere,
tranne casi particolari, l’obbiettivo della fabbricazione del composito è quello di
ottenere strutture con certe definite proprietà meccaniche, e pertanto è a queste che la
progettazione viene rivolta, anche se la previsione o la determinazione di altre
proprietà possono essere comunque importanti per una più completa definizione del
comportamento del materiale sia in opera che durante la fase di processo.
PROGETTAZIONE
Una prima progettazione delle caratteristiche elastiche e di resistenza di un
laminato simmetrico e bilanciato può essere ottenuta facendo ricorso ad opportuni
grafici del tipo di quelli riportati nelle figure sottostanti: la prima fa riferimento al
modulo elastico di laminati simmetrici e bilanciati, costituiti da resina epossidica e
fibre di carbonio, la seconda alla resistenza tensile di laminati simmetrici e bilanciati,
costituiti da resina epossidica e fibre di carbonio. La procedura completa di calcolo
101
che a partire dalle proprietà delle fibre, dalle proprietà della matrice e dalla rispettiva
frazione volumetrica, consente di passare dalle proprietà della lamina a quella del
laminato è nota come teoria della laminazione, prima esposta.
Nelle applicazioni strutturali con i materiali metallici i criteri di progetto sono
sufficientemente standardizzati, il comportamento dei materiali è schematizzabile
secondo modelli
semplici, nel caso elastico, e sono note le loro caratteristiche
meccaniche.
102
Per i materiali compositi tali metodologie di approccio risultano inadeguate e
possono portare ad errori di valutazione. Con materiali che possono essere progettati
secondo le esigenze, per i quali il concetto di spessore è generalmente sostituito da
quelli di percentuali di rinforzo e di matrice, di numero di strati del laminato e di
orientazione delle fibre, può risultare necessario ripercorrere dalle origini le strade
della progettazione sia da un punto di vista del calcolo, sia da quello della definizione
e della geometria delle strutture.
La prima fase della progettazione di una struttura in materiale composito, ma
anche per ogni tipo di progettazione, è la definizione dei requisiti del manufatto:
questa fase comprende la valutazione delle proprietà fisiche, meccaniche e chimiche
che il manufatto da progettare deve possedere, tenendo conto di tutti i fattori
ambientali e non che possono intervenire quali il grado di sollecitazione, la
temperatura di esercizio, l'aggressività dell'ambiente, ecc.
Segue l'impostazione iniziale del progetto nel corso della quale si stabiliscono i
primi dati sulla forma geometrica del manufatto. E' opportuno ricordare, a questo
proposito, il vantaggio fondamentale dei plastici rinforzati, la possibilità cioè di
svincolarsi dall'impostazione della progettazione riferita a materiali convenzionali,
come ad esempio l'acciaio, e quindi di realizzare forme particolari, strutture resistenti
per forma, incorporare durante la stessa fase di realizzazione costole, profilati e altre
anime di irrigidimento ottenendo, caso per caso, le prestazioni richieste. In questa
fase si possono seguire due vie: l'analisi delle sollecitazioni o il progetto empirico
usando normative già esistenti a seconda dell'importanza del manufatto e della
familiarità del progettista con i plastici rinforzati.
L'analisi delle sollecitazioni si avvale delle relazioni tra tensione e deformazione
nelle formulazioni valide per materiali a comportamento anisotropo e tende a
verificare se le scelte di progetto, sulla base delle sollecitazioni ammissibili, risultino
verificate.
Nel corso di tale fase viene effettuata la scelta dei materiali tenendo conto dei
principi fondamentali che governano l'impiego dei plastici rinforzati. Si ha infatti che
103
le caratteristiche meccaniche dipendono dall'effetto combinato del contenuto e
dell'orientamento del rinforzo di fibre nel prodotto finito. Le caratteristiche chimiche,
elettriche e termiche nei plastici rinforzati risultano in modo più rilevante, dal tipo e
dalla formulazione della resina che ne costituisce la matrice. Le caratteristiche finali
del manufatto dal punto di vista delle prestazioni e del costo, dipendono dal metodo
di lavorazione e dai materiali impiegati.
Il comportamento del materiale può essere controllato con le tecnologie: possono
essere infatti ottenute alcune proprietà come la rigidezza locale, il carico di rottura, la
tenacità e altre proprietà strutturali e non, controllando il tipo delle fibre, il tipo di
matrice e le percentuali in volume tra matrice e rinforzo nel materiale costituente il
componente strutturale. Successivamente, la meccanica dei materiali compositi
costituisce una teoria strutturata che consente di risalire dalle caratteristiche delle
matrici e dei rinforzi e dalla conoscenza della successione degli strati del laminato
alla risposta strutturale del componente.
Nota la risposta strutturale, è possibile, in funzione delle tecnologie di
realizzazione e delle prestazioni richieste, definire la forma della struttura, intendendo
in modo del tutto generale per forma la geometria, gli eventuali inserti di altri
materiali, etc. Dalla forma e dalla risposta strutturale è possibile ritornare al materiale
per una sua iterativa progettazione su misura innescando così un approccio circolare
di ottimizzazione dell'intero progetto da livello microscopico a quello macroscopico e
viceversa. A ciascuna di queste fasi corrispondono modelli analitici. A livello di
micromeccanica, la teoria delle miscele permette di valutare le caratteristiche
meccaniche delle lamine, note le caratteristiche meccaniche dei singoli componenti; a
livello di macromeccanica la Classica Teoria della Laminazione fornisce gli strumenti
per valutare il comportamento strutturale del materiale (laminato) mentre la
meccanica dei continui ortotropi permette, ad esempio attraverso l'uso di codici di
calcolo, di valutare la risposta globale della struttura.
Noti i carichi cui il laminato è soggetto in ogni sezione, il progetto può essere
schematizzato in due fasi, la prima comprendente la scelta e la caratterizzazione delle
104
lamine, la definizione del loro numero e della loro angolazione rispetto a una
direzione nel laminato, la seconda incentrata sulla determinazione della sequenza di
stratificazione. Il problema dell'ottimizzazione, nel caso di progettazione a rottura per
esempio, si riduce nella sostanza nella ricerca del minimo della sommatoria
t
∑ si
i=1
sotto le condizioni
t
∑
si c(qi) > C
i=1
dove C è funzione dello stato di carico cui è soggetto il laminato nella sezione in
considerazione e del coefficiente di sicurezza, c( i) dipende dalle caratteristiche
meccaniche delle lamine orientate dell'angolo
i rispetto alla direzione x del
laminato, si è il numero di tali lamine e i è il numero delle diverse orientazioni delle
lamine. Deve essere inoltre determinata, secondo appropriati criteri, la sequenza di
laminazione.
In termini generali, una metodologia di progetto dovrebbe poter determinare il
numero e l'orientazione delle lamine di un laminato soggetto a carichi noti.
Il problema così posto risulta particolarmente complesso da risolvere perché, non
conoscendo a priori la struttura del laminato, e quindi le matrici |A|,|B|,|D|, non è
possibile risolvere le equazioni costitutive del laminato e, in conseguenza, conoscere
lo stato di deformazione e di tensione del laminato stesso.
Soluzioni al problema del progetto sono però ottenibili ipotizzando successioni di
strati, verificandole e ottimizzandole con approssimazioni successive. Nella pratica
può essere preferibile ricercare, con l'ausilio di un programma di calcolo, tutte le
105
possibili soluzioni che prevedano numeri minimi di strati, non risolvendo quindi il
problema di minimo, ma usufruendo di un processo iterativo per la definizione della
stratificazione e verificare che il laminato abbia caratteristiche tali da soddisfare le
condizioni di progetto.
Invertendo la pseudo-equazione costitutiva del laminato si ha:
⎧ e° ⎫
⎨. .⎬
⎩k⎭
=
⎪ A'
⎪. .
⎪ B'
: B' ⎪
.... . .⎪
: D' ⎪
⎧⎪ N ⎫⎪
⎨. .⎬
⎪⎩ M ⎪⎭
Questo sistema di equazioni permette, note le caratteristiche elastiche del laminato e
le condizioni di carico cui è soggetto, di valutare lo stato di deformazione del piano
medio del laminato.
Avendo ipotizzato con la CLT un andamento lineare delle deformazioni attraverso
lo spessore, mediante le
⎧ ex ⎫
⎨ ey ⎬
⎩gxy⎭
⎧⎪ ex° ⎫⎪
= ⎨ ey° ⎬
⎪⎩gxy°⎪⎭
⎧ kx ⎫
+ z ⎨ ky ⎬
⎩kxy⎭
può essere valutato lo stato di deformazione nel laminato ad una distanza z dal piano
medio.
0
ε
Andamento secondo la CLT dello stato di deformazione all'interno del laminato.
106
Noto lo stato di deformazione in una lamina e note le caratteristiche elastiche della
stessa, è possibile valutare il suo stato di tensione risolvendo il sistema di equazioni:
⎧ sx ⎫
⎨ sy ⎬
⎩txy⎭
_
= |Q |
⎧ ex ⎫
⎨ ey ⎬
⎩gxy⎭
0
σ
Andamento dello stato di tensione all'interno del laminato.
La verifica della resistenza del laminato può essere eseguita in modo cautelativo
verificando la resistenza di ciascuna lamina, di cui ora è noto lo stato di tensione, con
una delle ipotesi di rottura applicabili a lamine in composito.
La formulazione del criterio di Tsai-Hill si presta bene per queste esigenze:
s12
R12
s1 s 2
R12
s22
+
R22
+
t1 2
R122
≤1
Note quindi le tensioni medie in ogni lamina nelle sue direzioni principali, è
possibile calcolare un "fattore di utilizzazione della lamina" (FUL) che ne indica il
grado di sfruttamento e che se raggiunge l'unità individua la condizione di collasso
della lamina e quindi la non idoneità della scelta del laminato.
Tale fattore ha la seguente espressione:
107
FUL =
s1med2
R12
s1meds2med
R12
s2med2
+
+
R22
t1med2
R122
dove l'indice med indica il valore medio della funzione che agisce sulla lamina.
Qualora il laminato non soddisfacesse le condizioni di resistenza sarebbe
necessario ipotizzare una successione degli strati differente e ripetere il ciclo fino alla
individuazione di uno o più laminati che soddisfino le condizioni di resistenza tra cui
effettuare la scelta.
La procedura descritta appare piuttosto laboriosa, ma impostata sul calcolatore
permette di attuare la verifica e quindi di valutare le proprietà del laminato in breve
tempo e soprattutto può offrire più soluzioni che soddisfino le condizioni di resistenza
in modo da permettere al progettista una scelta del laminato che meglio risponde alle
esigenze funzionali e di sicurezza della struttura.
0
1
FUL
Andamento del FUL all'interno del laminato.
108
CARATTERISTICHE
DELLE LAMINE E
CARICHI DI PROGETTO
CRITERO PER LA
SEQUENZA DI LAMINAZIONE
SCEGLI LA
SUCCESSIONE DEGLI STRATI
VALUTA LO STATO DI
DEFORMAZIONE DEL
PIANO MEDIO
VALUTA LO STATO DI
DEFORMAZIONE
DELLE SINGOLE LAMINE
VALUTA LO STATO DI
TENSIONE
DELLE SINGOLE LAMINE
VALUTA LE TENSIONI NELLE
DIREZIONI PRINCIPALI
DELLE SINGOLE LAMINE
CALCOLA IL
FUL
DI TUTTE LE LAMINE
1
?
FUL>1
? FUL=1 ?
FUL<1
?
SI
?
SUCCESSIONI STRATI E
CARATTERISTICHE LAMINATO
SONO
? POSSIBILI ?
? ALTRE ?
SOLUZIONI
?
Possibile diagramma di flusso dell'algoritmo della progettazione con i compositi.
109
IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI
Il fenomeno della rottura nei compositi è da ritenersi piuttosto complesso e risulta
dall'interazione di più tipologie di rottura. Considerando una lamina unidirezionale,
caricata secondo una direzione θ rispetto alla direzione delle fibre, si possono
distinguere angoli di carico per i quali sono più evidenti alcuni tipi di rottura rispetto
ad altri. Per direzioni di carico prossime a quella longitudinale rispetto alle fibre (0° ÷
5°circa), la rottura della lamina avviene prevalentemente per il cedimento delle fibre;
per angoli di carico tra i 5° e i 20° ÷ 25° il fenomeno rottura della lamina è pilotata
dal cedimento per taglio intralaminare; dai 20° ÷ 25° ai 45°, il fenomeno che provoca
il cedimento della lamina è una combinazione tra il taglio intralaminare e la rottura
della matrice, mentre dai 45° ai 90° la rottura è decisamente pilotata dal cedimento
della matrice.
DIREZIONE
DELLE FIBRE
θ
a
DIREZIONE
DI CARICO
Rmax
θ ANGOLO
DI CARICO
b
d
c
θ
Tipologie di rottura per diverse orientazioni dei carichi rispetto alla direzione delle fibre.
In un laminato, composto da più lamine, tutte queste tipologie di rottura
interagiscono tra loro e, a posteriori, una volta verificata la rottura del laminato,
110
risulta molto difficile poter individuare il fenomeno primario del cedimento. Solo
seguendo l'evoluzione del cedimento con tecniche di monitoraggio come quella
dell'emissione acustica, è possibile stabilire la successione dei diversi tipi di
cedimento.
Una tipologia di rottura particolarmente pericolosa è la delaminazione ovvero lo
scollamento di lamine costituenti il laminato. Questo è un modo di rottura
particolarmente gravoso principalmente perché avviene anche a carichi bassi rispetto
a quelli previsti di rottura del laminato. La delaminazione è un effetto di bordo: si
innesca perciò in corrispondenza di bordi liberi o fori ed è dovuta a condizioni di
stato di tensione triassiale che si verificano in corrispondenza dei bordi, per una
distanza dal bordo pari allo spessore del laminato.
In questa zona, è stato rilevato sia sperimentalmente che attraverso il calcolo
basato su metodi numerici, raggiungono valori elevati le tensioni di taglio
interlaminare. Le variazioni di sequenza di laminazione, inoltre, provocano la
generazione di una σz di bordo. Alcuni autori hanno ipotizzato una distribuzione della
σz mostrata nella figura sottostante.
Z
Logicamente, nella zona dove è
bordo
libero
dalla figura come la σz tenda a
Y
interfacce
diventare nulla dove la CLT ritorna
σz
a essere applicabile, mentre tende
all'infinito in corrispondenza del
bordo libero; la σz è naturalmente
Z
COMPRESSIONE
perde la validità la CLT. Si vede
z
TENSIONE
presente questo effetto di bordo
autoequilibrata.
Andamento della σz nella prossimità del bordo libero.
Può essere definito danno, una variazione microstrutturale del materiale che
induce deterioramento nel comportamento strutturale del componente. Il danno nei
111
compositi può verificarsi sia sulle fibre che nella matrice.
Il più comune danno delle fibre è l'interruzione della loro continuità: poiché è
impossibile ottenere lamine costituite da fibre senza alcuna interruzione si assume
che già all'inizio della vita del composito siano presenti interruzioni delle fibre
disposte statisticamente in modo distribuito. Nel corso poi della vita del componente,
altre fibre si possono rompere a causa di sovratensioni molto localizzate dovute
principalmente a differenze tra il tensionamento iniziale di fibre continue.
interruzione casuale
delle fibre
"taglio" nelle fibre
interruzione delle fibre
e mancanza di resina corrispondente
interruzione nelle fibre
più mancanza di resina
più delaminazione intralaminare
Danno dovuto a interruzione delle fibre nella lamina.
112
La non costanza del tensionamento provoca anche una mancanza di allineamento
delle fibre; una volta sottoposte a carico, le fibre tendono a riallinearsi inducendo stati
di tensione di compressione e di trazione sulla matrice che possono provocare, oltre
naturalmente a una diminuzione locale delle proprietà della lamina, la rottura della
fibre stesse e il distacco tra fibra e matrice.
Danno dovuto al non allineamento delle fibre nella lamina.
Le fibre possono essere inoltre distribuite in modo non uniforme nel volume del
composito provocando, una volta sottoposte a carico, sollecitazioni di taglio
intralaminare. Nella matrice si possono invece trovare porosità dovute sia alla
presenza di bolle d'aria rimaste nel corso della stratificazione, sia ai gas che si
sviluppano nel corso della polimerizzazione della resina. Si trovano anche fratture
nella resina dovute sia ai carichi, sia a tensioni residue indotte dal ritiro della resina
nel corso della polimerizzazione, sia da tensioni di origine termica. Per gli stessi
motivi si possono generare anche delaminazioni. Una stratificazione non accurata può
provocare inoltre anche scarsa adesione tra le fibre e la matrice.
113
Danno dovuto alla distribuzione non uniforme delle fibre nella lamina.
Danno dovuto alla porosità della matrice e alle bolle.
Una descrizione schematizzata dello sviluppo del danno in un laminato in
composito è mostrata nella figura seguente dove quattro fasi di danno tra loro
distinguibili sono riportate in ordine di apparizione.
114
Nella prima fase si rompe la matrice lungo le fibre negli strati le cui fibre sono
orientate in direzioni diverse da quella del carico.
cedimento del laminato
DANNO
la matrice comincia
a rompersi
delaminazione
CDS
inizia il distacco locali zzato
delle fibre dalla matrice
inizia la
rottura delle fibre
100
0
PERCENTUALE DI VITA DEL LAMINATO
Fasi di sviluppo del danno in un laminato composito.
Questo meccanismo è chiamato frattura primaria della matrice ed è evidenziato
da una serie di fratture parallele, sugli strati inclinati rispetto alla direzione del carico,
profonde per tutta la larghezza del provino. Il numero delle fessure aumenta
monotonicamente con il carico e tende a raggiungere un livello di saturazione che
risulta essere una caratteristica del laminato e prende il nome di Stato Caratteristico di
Danno (CDS). Il suo raggiungimento indica la fine della fase di frattura primaria.
Successivamente si verificano fratture trasversali a quelle primarie. Queste
fratture secondarie provocano l'inizio della frattura intralaminare, inizialmente in
zone limitate e distribuite nei piani intralaminari, in seguito in modo più diffuso. Lo
sviluppo successivo del danno è invece fortemente localizzato, ha una crescita
115
instabile e coinvolge la rottura delle fibre disposte nella direzione del carico e sfocia
nel collasso del laminato.
Sia per la fase del danno pre-CDS che per la post-CDS, sono stati messi a punto
modelli di descrizione che, facendo riferimento a osservazioni sul laminato,
permettono di valutare l'evoluzione del danno e la vita residua del laminato stesso.
Di questi tipi di danno si deve tenere conto sia nella scelta delle tecnologie che
nella imposizione di opportuni coefficienti di sicurezza.
116
TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE
La progettazione dei composito va fatta affrontando parallelamente il problema
della fabbricazione. Fondamentale per una buona tecnica di fabbricazione è riuscire
ad assicurare una certa ripetibilitá ai processi e costanza nelle proprietà del
manufatto.
Nella maggioranza dei casi di applicazioni strutturali si ha a che fare con sistemi di
carichi non unidirezionali e ciò costringe ad utilizzare fibre posizionate in più
direzioni. Questo si può ottenere:
o con una disposizione casuale delle fibre;
o mediante sovrapposizione di strati, a fibre allineate fra loro i quali sono
sovrapposti con i relativi assi con orientazioni diverse;
o le fibre possono essere usate sotto forma di tessuti in cui esse sono già
posizionate con orientazioni prestabilite.
Il secondo dei sistemi descritti è quello che permette di ottenere le migliori
proprietà meccaniche.
Una classificazione
dei sistemi usualmente adoperati per la fabbricazione di
strutture in materiale composito plastico prevede:
o lavorazione a mano-laminazione (hand lay-up e spray-up);
o stampaggio in sacco a vuoto o a pressione (vacuum pressure bag
molding);
o avvolgimento (filament winding);
o produzione continua-pultrusione (continuous production);
o stampaggio per trasferimento.
Molti dei metodi indicati permettono di ottenere fibre orientate, non orientate o
semi-orientate. La differenza dipende dal tipo di fibre adoperate, e dallo stato di
fornitura; ciò sarà meglio chiarito esaminando brevemente i vari sistemi.
117
LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE (HAND LAY-UP E SPRAY-UP)
Anche se oggi esistono diversi metodi di produzione che fanno uso di macchine o
impianti automatizzati, la maggior parte delle strutture in materiale composito
adoperate nei settoti di maggior interesse industriale utilizza metodi di produzione
manuali.
Nel metodo di lavorazione proposta la struttura viene realizzata attraverso un
processo di laminazione (sovrapposizione manuale secondo orientazioni prestabilite)
di strati successivi di tessuti di fibra, sotto forma di mat, pre-impregnati o meno,
tessuti oppure lamine. La struttura laminata, supportata da uno stampo corrispondente
alla forma che si vuole riprodurre viene poi inglobata in un sacco, nel quale viene
effettuato il vuoto, ed infine posta in autoclave.
Nel caso di preimpregnato (foglio sottile, flessibile e appiccicoso costituito da
fibre impregnate di matrice) il processo prevede le seguenti fasi:
o taglio del rotolo di fibre preimpregnate;
o sagomatura su stampo;
o rimozione del film distaccante;
o impilamento: la laminazione viene eseguita in stampo aperto di lega leggera
o di materiale composito;
o confezionamento di un “sacco” a tenuta (vedi figura);
118
o consolidamento
in
autoclave
(mediante ciclo termico):
ƒ compattazione;
ƒ reticolazione della resina;
ƒ consolidamento;
o estrazione e finitura.
Una variante molto usata è la tecnica di spray-up che consiste nello spruzzare
contemporaneamente resina e fibre corte tagliate da una apposita taglierina.
Aria compressa spruzza il miscuglio sullo stampo in genere rotante per uniformare
la deposizione. Questa tecnica è usata per la formatura delle pre-forme, cioè
semilavorati del pezzo finale, che vengono poi posti tra stampo e controstampo ed il
pezzo finale viene formato per pressatura a caldo (hot matched die molding).
STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE
Per ottenere una più elevata percentuale di fibre nel laminato, è necessario
migliorare la compattazione dello stesso in fase di realizzazione. Uno dei modi di
compattare il laminato è quello di sottoporre il sistema all’azione del vuoto. Con tale
sistema si pressa il composito prima della polimerizzazione (cure) per eliminare la
porosità.
119
La resina viene introdotta non con azione manuale o a spruzzo ma per azione del
vuoto o della pressione in autoclave.
II metodo si presta per mat, tessuti e laminati (cioè lamine orientate), tutti nella
forma di pre-preg (pre-impregnati) preferenzialmente. È fra i sistemi più interessanti
per la produzione di forme particolari in laminati, cioè dalle alte caratteristiche
meccaniche. La tecnologia di fabbricazione per vacuum bag è ovviamente più costosa
delle tecnologie analizzate in precedenza, per cui viene impiegata per la realizzazione
di laminati di buone caratteristiche.
AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING
Le tecniche basate sull'avvolgimento sono fra le più interessanti ma sono limitate
a forme particolari dei solidi da formare.
Il principio è semplice e permette di avere fibre continue e disposizioni secondo
laminati.
L'uso di roving o di nastri pre-impregnati o asciutti assicura di avere le fibre
continue, e giocando su angolo di avvolgimento e larghezza del nastro è possibile
avere lamine sovrapposte con l’angolazione voluta, cioè dei veri e propri laminati.
Il filament-winding è un tipo di lavorazione interamente automatizzata. Consiste
120
nell'avvolgimento di filamenti continui di materiale di rinforzo su un corpo,
generalmente rotante su un asse, detto mandrino; la forma del mandrino determina la
geometria del pezzo da realizzare. Le fibre sciolte, avvolte in una o più bobine poste
su una rastrelliera, passano attraverso un bagno di resina prima di giungere sul
mandrino, dove, guidate dal braccio di deposizione della macchina avvolgitrice,
vengono posizionate secondo ben precise angolazioni.
Al posto delle fibre sciolte si possono anche usare fili o nastri preimpregnati.
Durante l'avvolgimento le fibre sono tenute tese da opportuni dispositivi meccanici
od elettromeccanici (tensionatori). Al termine dell'avvolgimento lo stratificato viene
sottoposto ad un ciclo di cura in forno.
Se necessario la cura può avvenire in autoclave, ove il composito viene
adeguatamente compattato sotto pressione.
Se il pezzo è aperto il mandrino viene ricoperto da un agente distaccante che serve
ad agevolarne l'estrazione dopo il taglio delle estremità. Se il pezzo è chiuso
l’avvolgimento viene effettuato intorno a forme cave in polistirolo o altro materiale a
perdere che può essere tolto mediante fusione o sciolto con dei solventi.
Per i serbatoi di gas o di liquidi in pressione il mandrino è costituito da una sottile
camicia metallica o in materiale plastico (liner) che viene lasciata a far parte
integrante del serbatoio per evitare eventuali perdite di fluido a causa della
permeabilità del composito.
Un parametro fondamentale è l'angolo d'avvolgimento, definito in ogni punto
come l'angolo compreso tra la direzione delle fibre e la tangente al meridiano del
mandrino. L'angolo d'avvolgimento può variare praticamente tra 0° e 90° a seconda
delle proprietà meccaniche richieste al pezzo. Si parla allora, in modo abbastanza
ovvio, di avvolgimento polare, elicoidale o circonferenziale.
Nell'avvolgimento polare il mandrino e l'occhiello di deposizione possiedono
entrambi moto rotatorio, in modo tale che l'avvolgimento delle fibre avvenga
praticamente secondo i meridiani della struttura.
121
Così facendo le fibre non si sovrappongono
durante l’avvolgimento e si può coprire l'intero
mandrino
con
una
singola
lamina
opportunamente orientata rispetto all'asse.
Volendo realizzare laminati con angolazioni
maggiori usando questo metodo è necessario
utilizzare nastri di larghezza opportuna.
Nell'avvolgimento elicoidale il mandrino ha un moto rotatorio, mentre il braccio
di deposizione ha un moto traslatorio alternato. Combinando opportunamente questi
due movimenti si può far seguire alle fibre le traiettorie d'avvolgimento desiderate
ottenendo, tuttavia, non una struttura a lamine, ma una sorta di tessuto a fibre.
Nell'avvolgimento circonferenziale mentre il mandrino ruota il braccio di
deposizione compie una traslazione longitudinale che ad ogni giro del mandrino è
pari alla larghezza del nastro. In questo modo si ottengono delle lamine non
intrecciate che servono a dare resistenza nella sola direzione circonferenziale.
Spesso per poter soddisfare ai requisiti strutturali il composito viene realizzato
sovrapponendo più avvolgimenti polari, circonferenziali ed elicoidali differenti.
È importante notare che il filament winding non è adattabile a sole figure
cilindriche, ma anche ad altri solidi. Può per es. adattarsi alla fabbricazione di più
pezzi, che tenuti insieme formino una struttura cilindrica o quasi.
122
PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE)
La pulstrusione è un processo altamente automatizzato e continuo. Da una
calandra porta roving é tirato il rinforzo che viene fatto passare all'interno di una
vasca contenente la resina, il tutto è indirizzato verso un sistema di preformatura che
ha lo scopo di eliminare la resina in eccesso, l’aria intrappolata e abbozzare la forma
finale del profilato. Ultima stazione del processo é una filiera che ha il duplice scopo
di conferire al profilato la
forma definitiva e se riscaldata
di
effettuare
la
polimerizzazione.
Fondamentale
é
poter
controllare il calore presente
all'interno dello stampo per
evitare fratture termiche o
perdite di proprietà meccaniche del pezzo. All'uscita dello stampo vi è un sistema di
presa e trascinamento che provvederà a tirare il profilata fino alla stazione di
tranciatura. Il trascinamento deve avvenire a velocità controllata, per favorire una
adeguata cura della resina; l'impianto deve essere dotato di opportuna potenza per far
fronte all'ulteriore resistenza al trascinamento dovuta alla dilatazione termica
all'interno dello stampo.
Si è già accennato al fatto che uno dei grossi vantaggi di questo processo e
l'automazione che consente di realizzare un elevato numero di pezzi a velocità
altrettanto elevata, tanto che il costo ora-macchina incide pochissimo sul costo del
prodotto.
Si presta bene per le produzione di semilavorati profilati a sezione costante con
fibre principalmente monodirezionali.
123
STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO
Si predispongono le fibre “secche” all’interno di uno stampo avente la forma del
pezzo da realizzare, si effettua quindi un’infiltrazione di resina termoindurente
liquida a bassa velocità. La resina deve aver riempito completamente lo stampo prima
che si inneschi la reazione di reticolazione.
La preforma può essere costituita da strati di fibre pressati e consolidati con un
opportuno "legante" chimico (a), o da tessuti tridimensionali (b) o bidimensionali (c).
È necessario che la preforma abbia una certa resistenza meccanica perché le fibre non
debbono spostarsi durante l’infiltrazione di resina; la trama non deve tuttavia essere
troppo "stretta" per consentire alla resina di permeare agevolmente attraverso il letto di
fibre.
a
b
c
Fasi del processo:
o Pulitura dello stampo (soffiatura,solventi,raschiatura);
o Applicazione del distaccante (cere sintetiche,opacità);
o Applicazione
del
gel-coat
(rivestimento
protettivo
in
resine
termoindurenti,maggiore resistenza);
o Posizionamento del rinforzo (sovrapposizione di strati di fibra, preforma:
preassemblato);
o Chiusura e bloccaggio dello stampo;
o Iniezione della resina;
124
o Apertura dello stampo ed estrazione del pezzo (dopo il tempo di
polimerizzazione, fori di estrazione);
o Operazioni di rifinitura.
Vantaggi:
o buon controllo sulla disposizione delle fibre;
o elevate frazioni in volume di rinforzo;
o buona finitura superficiale;
o possibilità d’automazione del processo;
o buona tutela dell’ambiente di lavoro grazie all’utilizzo di uno stampo
chiuso.
Svantaggi:
o limiti sulle dimensioni massime dei manufatti;
o stampi relativamente costosi.
125
FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE
Uno degli aspetti cruciali della tecnologia dei compositi a fibre corte è costituito
dalla scelta di opportune tecniche di produzione.
Normalmente vengono impiegati estrusori monovite o bivite, ulteriori processi
tecnologici sono l’iniezione e la spruzzatura in stampo aperto.
Nel procedimento di estrusione si inizia miscelando fibra e polimero in polvere; la
miscela viene poi avviata, tramite tramoggia, alla camera dell’estrusore monolite. Nei
procedimenti più evoluti si alimenta l’estrusore bivite in due punti diversi, dapprima
col polimero e più avanti con la fibra continua. In tal modo quest’ultima viene rotta,
portata a misura dalle viti in rotazione ed incorporata nel polimero già fuso con la
massima dispersione possibile.
Come intuibile, un aumento della velocità di rotazione delle viti comporta una
diminuzione della lunghezza delle fibre (vedi tab 4.1).
Velocità di rotazione
(min-1)
Lunghezza media ponderale
(mm)
Perdita di resistenza
(%)
20
1,1
12
40
0,85
16
100
0,65
22
Tabella 4.1
Effetto della velocità di rotazione della vite sulla lunghezza delle fibre
Ad un aumento di temperatura corrisponde invece, a causa della diminuita
viscosità del polimero, un aumento della lunghezza delle fibre.
Nella produzione di manufatti, quando si ricorre alla tecnica dell’iniezione,
occorre considerare attentamente le difficoltà dovute all’orientazione delle fibre.
Anche in casi molto semplici, come ad esempio lo stampaggio di provini per
prove di trazione, il manufatto non ha struttura omogenea. La presenza di una parete
lungo la quale il polimero fuso scorre favorisce l’allineamento delle fibre
126
parallelamente alla parete stessa; al contrario nella parte centrale del fluido le fibre
tendono a disporsi perpendicolarmente alla direzione del flusso. Tuttavia
l’orientazione dipende anche dalla forma delle fibre, dalla temperatura e dalla
velocità del fluido.
In figura la spruzzatura in stampo
aperto:
preparazione di un foglio
(semilavorato)
contenente
fibre
discontinue.
127
APPLICAZIONI
APPLICAZIONI AL CAMPO AEREO SPAZIALE
Un settore nel quale vengono massimamente utilizzati i materiali compositi è,
come si è più volte detto, quello aeronautico. Si capisce infatti come la leggerezza
dei materiali e la loro resistenza siano indispensabili per un buon progetto di un
veivolo.
Quando la Boeing stava finalizzando il progetto del 747, che per la prima volta
volò nei primi mesi del 1969, discussioni si sollevarono in Europa intorno al progetto
ed alla costruzione di un aereo i linea europeo a larga capacità ed a breve/medio
range.
Dopo vari tentativi Francia e Germania Occidentale decisero di procedere alla
realizzazione dell’aereo noto come European Airbus. Nel dicembre del 1970 l’Airbus
Industrie, in Francia, finanziò lo sviluppo, la manifattura ed il marketing dell’A300:
per la prima volta si cominciarono ad utilizzare materiali compositi nelle strutture
secondarie come pannelli, spoiler e freni, poi, dal 1985 per la realizzazione seriale di
strutture primarie. Fu realizzato in seguito infatti l’A310 con piani stabilizzatori fatti
di plastica rinforzata a fibra di carbonio (CFRP).
Durante la costruzione dell’A300 si dovette tener conto del fatto che il costo del
carburante andava aumentando. Quindi risultò di primaria importanza la questione
legata alla possibilità di ridurre il peso del velivolo per poter ridurre i costi operativi
dello stesso. Il peso diventò un parametro vitale nell’economia operativa
del
velivolo.
Sempre restando nell’ottica della riduzione dei costi, particolare attenzione doveva
essere rivolta alle problematiche legate alla minimizzazione dei costi di produzione
ed alla riduzione di quelli di manutenzione per la loro incidenza sui costi operativi del
velivolo.
128
Gli ostacoli che si ponevano sulla strada dello sviluppo, del progetto e
dell’impiego dei materiali nelle strutture aeronautiche erano legati alle seguenti
questioni:
o I livelli di sicurezza e di attendibilità, offerti dall’utilizzo dei materiali
classici, non dovevani essere compromessi, utilizzando materiali compositi;
o L’accettazione dell’uso dei materiali compositi da parte delle autorità
certificanti non era facile da superare;
o La manifattura dei componenti in un composito doveva essere tale da
assicurare all’Airbus Industrie ed alle autorità certificanti che gli standard di
qualità potessero essere mantenuti;
o L’accettazione delle nuove tecnologie da parte delle compagnie di linea.
Il primo aereo della serie, l’A300, ebbe varie fabbricazioni fatte a “sandwich”,
realizzati con compositi a fibra di vetro e con Nomex: per sandwich si intende una
struttura costituita da due pelli di materiale fibro-rinforzato separate da un’apposita
anima (core). In un primo momento le fabbricazioni erano tutte strutture secondarie
come ad esempio i pavimenti: in questo caso a parte il risparmio del peso c’è da
considerare che i pavimenti in metallo sono sempre predisposti alla corrosione,
causata dal rovesciamento di ogni tipo di fluido.
Facciamo adesso riferimento all’A310 ed evidenziamo alcuni particolari costruiti
in materiale composito.
Spoiler
Collocati sull’ala più esternamente sono essenziali a bassa velocità durante il
decollo e le fasi di atterraggio. La struttura a sandwich è costituita da lamine di fibre
di carbonio in matrice plastica. La parte centrale è costituita da una costruzione a nido
d’ape in Nomex, un materiale che appartiene alla famiglia del Kevlar ed è utilizzato,
tra l’altro, per le sue proprietà ignifughe.
129
Freni aerodinamici interni
È necessario che la struttura sia molto leggera e allo stesso tempo molto rigida tale
da sopportare la sperimentata deformazione torsionale e flessionale. I rivestimenti e
le centine sono costituite da compositi a fibre unidirezionali in carbonio, variando sia
il numero degli strati che il loro orientamento. Intorno all’attaccamento dell’attuatore
sono allocati fino a 26 strati, mentre il numero varia fino a 8 intorno al bordo
d’uscita, che è protetta da una sezione in titanio, che sopporta alti carichi flessionali;
nella figura sottostante è riportato lo schema di un freno aerodinamico.
130
Carenatura della gamba e sportelli del dispositivo di atterraggio.
Entrambi i componenti sono costituiti con sandwich con rivestimenti epossidici
rinforzati a fibra in carbonio e con nuclei stabilizzanti a nido d’ape di kevlar. Il
progetto di queste parti richiede elevata rigidezza largamente soddisfatta dai
rivestimenti in fibra di carbonio. Il progetto di questi componenti raggiunge
l’obiettivo di ottenere una struttura ad alto rendimento con un livello di tensione
medio di approssimativamente il 17% del suo carico ultimo ed un risparmio di 19 Kg,
circa il 30%. Le ore necessarie per la produzione, adottando questa soluzione, sono
state ridotte del 37% rispetto al recedente progetto in metallo.
Carenature ala/fusoliera
Originariamente manifatturata come unità a sandwich a fibra in vetro, la
carenatura tra l’ala e la fusoliera è cambiata in una struttura a sandwich
Kevlar/Nomex, per ottener un ulteriore guadagno in termini di efficienza. La
carenatura provvede ad un sigillo aerodinamico tra la radice dell’ala e la fusoliera e
deve, pertanto, essere abbastanza forte per resistere alle forze aerodinamiche che su
di essa insistono, ma sufficientemente flessibile per poter seguire la flessione dell’ala.
Si ottiene, attraverso la sostituzione in fibre di Keclar/Nomex , un risparmio di 13 Kg.
Timone
I pannelli laterali del timone sono fatti con una combinazione di prepreg
epossidici a fibra in carbonio e vetro, legati ad un nucleo in Nomex. In questo modo
si ottengono riduzioni di peso e di costo oltre che una diminuzione del numero dei
componenti. In particolar modo il peso è ridotto del 20% rispetto al peso del timone
in metello. La figura sottostante riporta una schema del timone.
Anche i flap sono realizzati in materiale composito. La figura sottostante ne
mostra la struttura
131
132
PROGETTAZIONE
PIANALE AUTOMOBILISTICO
IN
MATERIALE
COMPOSITO AD OPERA DEL CENTRO RICERCHE FIAT
Nell’ambito del progetto “Concept Sportiva Evoluta” il Centro Ricerche Fiat ha
progettato e realizzato un telaio multimateriale ad elevato rapporto efficienza/peso.
Le principali caratteristiche del veicolo sono sintetizzate di seguito:
- motore longitudinale 3200 cc V6
- potenza 400 CV a 6500 rpm
- coppia max 500 Nm a 2500 rpm
- accelerazione 0-100 Km/h 4s
- velocità max 250 Km/h
- peso/potenza 3.54 Kg/Cv
Trattandosi di un veicolo sportivo ad elevate prestazioni, la scelta dei materiali
impiegati per la costruzione del telaio è stata guidata dall’esigenza di minimizzare il
rapporto peso potenza. A seguito delle analisi condotte dai progettisti, dagli esperti di
analisi strutturale e di processo è stato pertanto deciso di realizzare la parte centrale
del telaio, preposta ad assicurare la rigidezza del veicolo, in materiale composito con
fibre di carbonio. Le zone anteriori e posteriori, preposte ad assorbire mediante la
loro deformazioni gli urti sono state invece costruite di materiale metallico: alluminio
e titanio. La figura sottostante mostra un’immagine CAD del telaio con indicati, in
base ai colori, i differenti materiali impiegati.
133
Si è deciso di realizzare la parte centrale del telaio utilizzando le due tecnologie di
maggiore diffusione nel campo dei materiali compositi strutturali: la laminazione
manuale con ciclo di cura in autoclave ed il processo di Resin Transfer Molding.
A tal fine la struttura centrale del telaio è stata separata in due componenti: un
pavimento ed un parafiamma uniti tra loro tramite una doppia fila di bulloni, (vedi
fig, sotto).
Il pavimento è stato realizzato con la tecnologia della laminazione manuale. Per
incrementare le caratteristiche strutturali del componente, senza penalizzare il peso, si
è fatto ricorso ad una struttura di tipo sandwich. Questa soluzione prevede di inserire
tra due opposti fogli di fibra di carbonio una struttura reticolare che incrementa la
rigidezza a flessione del pannello. Si noti inoltre che ciascun foglio è a sua volta
costituito da più strati di tessuto preimpregnato di fibra di carbonio sovrapposti l’uno
sull’altro ed orientati in maniera opportuna. Per ottimizzare la rigidezza torsionale e
per assorbire i carichi di urto trasferiti dai puntoni, il tunnel è stato realizzato a
sezione chiusa.
La tecnologia della laminazione manuale si presta ad essere utilizzata per produrre
lotti minimi:una o due vetture al giorno od esemplari unici. Il processo si
contraddistingue infatti per i bassi costi di investimento avendo per contro tempi ciclo
molto elevati e la necessità di disporre di manodopera altamente specializzata. La fig
134
sottostante riporta il componente finito.
Come ricordato sopra, per esplorare le potenzialità del processo applicato ad un
componente di forma complessa, la parte centrale anteriore del telaio denominata
parafiamma è stata realizzata in RTM con fibre rinforzate in carbonio misto vetro. Il
componente viene ottenuto iniettando la matrice di resina all’interno di uno stampo
su cui sono preventivamente disposte le fibre secche di carbonio preformate e cucite
tra loro.
Il processo avviene a temperatura e a
pressione controllata. Per incrementare le
caratteristiche strutturali del componente
sono stati introdotti degli inserti di rinforzo in
Nomex. La figura mostra un particolare del
pezzo finito assemblato con il pavimento.
Le analisi economiche svolte in parallelo alle attività di progettazione, hanno
dimostrato la convenienza di questa tecnologia qualora le esigenze di produzione
richiedano la costruzione di almeno 5/10 vetture al giorno. Rispetto alla laminazione
mauale è necessario tenere in conto dei maggiori vincoli legati ad esigenze di
processo. In particolare bisogna impostare delle forme che, oltre a garantire la
funzionalità del componente, agevolino il riempimento delle fibre a seguito
135
dell’iniezione della resina. Le varie fasi dello sviluppo progetto, che vanno dalla
impostazione architetturale del telaio, ai calcoli di dimensionamento del carbonio alla
realizzazione del modello CAD, sono sintetizzate nella figura sottostante.
L’attività sul telaio ha quindi posto le basi per la costituzione di un team
interfunzionale in grado di governare lo sviluppo prodotto di componenti in materiale
composito dall’idea alla realizzazione.
136
FRENI A DISCO
Attualmente i compositi realizzati appositamente per essere applicati ai dischi
freno sono identificabili in: compositi a matrice metallica (MMC, metal matrix
compisites), compositi a matrice ceramica (C/C-SiC), ed i compositi carbon-carbon
(C/C).
I Carbon-Carbon, come è facile intuire, sono costituiti da fibre di carbonio ad alto
modulo, annegate in una matrice epossidica (carbonio).
I compositi a matrice
metallica sperimentati nella realizzazione di dischi freno (MMC) sono essenzialmente
basati sull’utilizzo di alluminio rinforzato con fibre di carburo di silicio. I compositi a
matrice ceramica (C/C-SiC), invece, sono materiali realizzati mediante infiltrazione
di silicio fuso in una percentuale finale di almeno il 20% della massa totale del
composito, in una preforma porosa di fibre di carbonio precedentemente realizzata e
avente già all’incirca la forma finale del disco.
PROPRIETÀ GENERALI
I compositi C/C furono introdotti
per la prima volta negli anni settanta
sui veicoli aeronautici militari, e nel
decennio successivo si assistette ad un
trasferimento tecnologico anche agli
aeromobili civili ed al mondo delle
competizioni automobilistiche.
Il carbon-carbon è in grado di garantire parametri estremamente vantaggiosi in
funzione degli scopi che si vogliono raggiungere in un impianto frenante di alta
gamma:
o bassa densità, e quindi la possibilità di avere componenti molto leggeri,
importante nel settore automobilistico soprattutto per garantire alte doti di
tenuta di strada e di handling dei veicolo;
137
o basso
coefficiente
di
espansione
termica,
alto calore specifico e alta
conducibilità termica, e quindi la capacità di lavorare a temperature molto
elevate e di smaltire velocemente alte quantità di calore;
o alto coefficiente d’attrito alle alte temperature, per cui la possibilità di
raggiungere alte potenze in fase di frenata, riducendo anche le dimensioni del
braccio della forza, e quindi il diametro del disco.
Per tali motivi risulta evidente perchè, in questo campo specifico di applicazione,
il carbon/carbon sia il materiale più prestante disponibile sul mercato: attualmente
vengono infatti installati su aerei e vetture da Formula 1.
Microstruttura
Dal punto di vista microstrutturale, un composito carbon-carbon è costituito da
fibre di carbonio disposte in maniera ordinata tra di loro e inglobate in una matrice
ancora in carbonio. Il composito viene proprio per questo motivo chiamato
carbon/carbon, in quanto sia la matrice che il rinforzo dato dalle fibre è costituito da
solo Carbonio.
In genere il materiale si ottiene per
accrescimento,
depositando
uno
sull’altro vari strati di fibra intrecciata;
l’intreccio può essere di vario tipo
anche se generalmente si presenta
come una maglia: da ciò si comprende
perché tale materiale sia così compatto
e strutturalmente ordinato.
In figura si nota la fibratura a maglie di un composito C/C.
Le fibre di carbonio utilizzate per i dischi freno hanno lunghezza variabile ma in
genere pari a circa 8mm e presentano un altissimo modulo elastico per sforzi diretti
come il loro asse (circa 5000 Gpa), hanno però un modulo elastico molto ridotto per
sforzi non paralleli all’asse (circa 35 Gpa).
138
ASPETTI PRODUTTIVI E TECNOLOGICI
Il composito carbon-carbon risulta molto oneroso da produrre sia in termini
economici, sia in termini di tempo, in quanto prevede l’unione successiva di singoli
strati di fibre che vengono poi unite fino a realizzare le dimensioni volute, e cioè, nel
nostro caso, lo spessore finale del disco, cosa che in genere viene realizzata mediante
una serie di trattamenti quali impregnamenti e pirolisi. Per ottenere il composito vero
e proprio occorre realizzare la matrice in carbonio attorno alle fibre e ciò è possibile
per mezzo della tecnica del chemical vapor deposition, o mediante l’applicazione di
speciali resine.
La chemical vapor deposition (CVP) è un particolare processo produttivo che
inizia con una preforma realizzata proprio mediante la sovrapposizione degli strati di
fibre di carbonio, che già presenta la forma finale del disco. Questa viene riscaldata in
una fornace pressurizzata con gas organico, come il metano, l’acetilene, o il benzene,
in modo tale che per via delle alte temperature (circa 1200°C) e pressioni alle quali il
materiale è sottoposto, il gas si decomponga e si depositi andando a formare una sorta
di pellicola attorno alle fibre di carbonio. Mano a mano che il gas si deposita, lo
strato si accresce e va a costipare tutte le porosità presenti tra le fibre, per cui alla fine
si ottiene una matrice uniforme che ingloba le fibre precedentemente realizzate. Tale
processo risulta essere molto lungo, per cui, unitamente alle alte temperature
richieste, si può ben capire perchè materiali compositi del tipo C/C risultino essere
molto costosi: si pensi per esempio che la realizzazione di una matrice dello spessore
di solo 1 cm richiede tempi di permanenza in temperatura di almeno otto ore.
Il secondo metodo per la realizzazione del composito C/C prevede invece
l’utilizzo di una resina (per esempio, epossidica o fenolica) che viene posta sotto
pressione nella preforma di fibre di carbonio. Successivamente, il tutto subisce un
trattamento di pirolisi ad alta temperatura che permette, tramite la combustione in
atmosfera inerte, di eliminare componenti molecolari quali idrogeno, ossigeno e
azoto, in modo tale che alla fine del processo si abbiano solo lunghe catene di
139
carbonio. In questo modo si riesce a realizzare una matrice stabile dove sono
annegate le fibre di rinforzo.
I dischi freno carbon-carbon vengono quindi realizzati per strati successivi di fibre
di carbonio orientate in modo differente, per ottenere una struttura laminare robusta e
resistente nei confronti di possibili rotture fragili; in effetti, se osserviamo un disco
realizzato con questo materiale, possiamo notare che la parte laterale mostra ancora i
vari strati sovrapposti ed uniti permanentemente tra di loro per poter realizzare il
prodotto finito.
Un problema produttivo dovuto alla microstruttura e non risolvibile è dato dal
fatto che il processo di pirolisi ad alta temperatura apporta notevoli stress termici al
materiale, ed in particolare alla matrice in carbonio.
Questo porta alla formazione, come è
comprensibile, di tensioni interne, che
vengono assorbite dalla matrice di
carbonio, e che risultano altamente
nocive, in quanto possono provocare
la formazione di microfratture e
microcricche interne.
Il pericolo è quindi quello d’avere un materiale danneggiato le cui prestazioni
meccaniche e termodinamiche non risultano all’altezza delle aspettative nella
successiva messa in esercizio, e per tali motivi risulta fondamentale tener sotto
controllo i parametri e le modalità di trattamento termico.
La figura mostra microcricche in una struttura C/C dopo pirolisi a 880°C: cricche
nella matrice (a) e distacco tra matrice e fibre (b).
CARATTERISTICHE FINALI DEL MATERIALE
Piccole variazioni della microstruttura generale del composito portano
all’ottenimento di un materiale con caratteristiche macroscopiche diverse, sia in
termini meccanici che in termini termodinamici, per cui il controllo microscopico
140
risulta essere fondamentale per ottenere le caratteristiche volute. Nello specifico,
l’orientazione delle fibre induce nel materiale delle direzioni privilegiate di resistenza
meccanica e di conducibilità termica come più volte scritto in precedenza. Per questi
motivi, nei dischi C/C, gli strati sono formati singolarmente e poi sovrapposti in
maniera multidirezionale: si riesce così a conferire al disco maggiore resistenza alla
trazione in tutte le direzioni, e non in direzioni privilegiate.
La matrice in carbonio grazie alla
quale vengono agglomerati i diversi
strati
fornisce
invece
un
elevato
coefficiente di conduzione trasversale,
e quindi massimizza le caratteristiche
di dispersione del calore, rendendo il
più possibile omogenea la distribuzione
dello stesso all’interno del disco.
A confermare le elevate caratteristiche termodinamiche e di dispersione del calore
di questo materiale, si può osservare che dischi C/C vengono spesso prodotti
addirittura senza un sistema di canalizzazioni interne per favorire la ventilazione. In
genere sono infatti presenti fori radiali sulla parte cilindrica del componente non
tanto con lo scopo di raffreddare il materiale, ma piuttosto per alleggerire
ulteriormente il disco.
Per quel che riguarda le proprietà di frizione bisogna sottolineare l’importanza
dell’accoppiamento rotore-pastiglia: la pastiglia deve essere costituita da un materiale
appositamente scelto. Infatti il carbonio, se accoppiato ad un metallo, è un materiale
lubrificante, ed inoltre sarebbe responsabile di rilevanti fenomeni diffusivi: per questi
motivi le comuni pastiglie non possono essere impiegate.
Dopo una sperimentazione su diversi accoppiamenti si è rilevato un
comportamento ottimale di pastiglie costituite da un materiale affine, sostanzialmente
in carbonio. D’altro canto affinità chimica e durezze confrontabili inducono tassi di
usura del disco vicini a quelli della pastiglia, e quindi molto elevati rispetto ad
141
accoppiamenti con materiali diversi.
Le caratteristiche tribologiche a basse temperature sono piuttosto deludenti e
aumentano sensibilmente all’aumentare della temperatura, quando il coefficiente di
attrito raggiunge valori di 0.55-0.6, non raggiunti da altri materiali a regime.
Durante i decenni scorsi, nel tentativo di utilizzare dischi di tipo C/C sui veicoli
stradali di alta gamma, si sono ottenuti solamente risultati deludenti: il coefficiente
d’attrito offerto dal sistema disco-pastiglia alle temperature usuali d’esercizio su
strada, ed in particolare nella prima fase di utilizzo, risulta nettamente inferiore
rispetto a quello ottenuto alle temperature tipiche di un impiego sportivo, e non
permette quindi di raggiungere le prestazioni di frenata volute. Per un ottimale
utilizzo questo materiale richiede il raggiungimento ed il mantenimento di
temperature elevate, cosa impensabile da ottenere su vetture il cui impiego non è
riservato a competizioni sportive. Inoltre, la particolare fragilità del materiale,
unitamente alle sue particolari caratteristiche, richiede controlli continui e quindi un
monitoraggio periodico del sistema, che risulta essere un altro punto a sfavore
riguardo alla possibilità di trasferire questa tecnologia sulle vetture di serie.
Esiste inoltre un limite di natura puramente tecnologica ed economica: la
realizzazione di un disco carbon-carbon, infatti, risulta lunga e dispendiosa, e richiede
quindi un’ingente quantità di risorse economiche e produttive, cosa ancora una volta
impensabile per una produzione di serie, anche se di altissima gamma.
MATERIALI COMPOSITI A MATRICE CERAMICA (C/C-SIC)
A partire da tali bisogni ha avuto inizio la ricerca e lo sviluppo dei materiali carboceramici, con l’obiettivo di trasferire, almeno in parte, le alte prestazioni offerte dai
dischi carbon-carbon, pur avendo la garanzia di un prodotto effettivamente
utilizzabile e commerciabile sia dal punto di vista della funzionalità, sia dal punto di
vista economico.
Il materiale carbo-ceramico risulta essere un composito realizzato mediante una
matrice in materiale ceramico rinforzato con fibre di carbonio. I materiali ceramici
142
avanzati mostrano particolari proprietà che li rendono estremamente utili in
applicazioni tribologiche anche ad elevate temperature, quali l’elevata durezza, la
resistenza in compressione, la refrattarietà, l’inerzia chimica, la bassa densità.
Risultano però essere materiali molto fragili, e quindi per poter essere utilizzati per
applicazioni strutturali, quale può essere quella di un disco freno, devono
necessariamente essere resi più tenaci per mezzo di fibre.
Attualmente, il mercato vede come
materiale carbo-ceramico per dischi
freno più diffuso il composito C/C-SiC,
studiato
dapprima
da
Porsche,
e
sviluppato successivamente da varie
altre
aziende
specializzate
come
Brembo, che ne produce attualmente
circa 15000 pezzi all’anno.
Da notare, comunque, che tale prodotto non risulta essere l’unico: infatti varie
altre combinazioni nella percentuale di materiale o e nei diversi processi produttivi
sono in fase di studio per la realizzazione di un prodotto sempre più avanzato, ma
anche sempre più spendibile sul mercato, e la stessa ricerca degli ultimi decenni
realizzata in modo autonomo da varie aziende ed istituti ha portato a materiali la cui
idea di base è la stessa, ma dove modifiche nella composizione chimica, nel processo
produttivo, o nei parametri utilizzati per la produzione stessa, hanno reso possibile la
nascita di una famiglia di materiali con caratteristiche finali anche piuttosto differenti.
MICROSTRUTTURA
La microstruttura di questi materiali presenta una matrice ceramica costituita
principalmente di carburo di silicio e in quantità minore di silicio, contenente
come fase dispersa una gran quantità di fibra di carbonio. La lunghezza delle fibre è
di circa 8 mm. Riguardo la disposizione, invece, nulla può essere detto a priori in
143
quanto il materiale può presentare diverse soluzioni: disordinata oppure ordinata
secondo diverse modalità.
Il risultato è un prodotto
carbo-ceramico del tipo
C/C-SiC
in
cui
le
caratteristiche di rigidezza
e durezza sono date dalla
fase
ceramica
(SiC),
mentre le fibre di carbonio
permettono di contrastare
la
fragilità
tipica
dei
materiali ceramici.
Fin dall’inizio della ricerca su questi compositi si è lavorato sulla microstruttura
per massimizzare le potenzialità del materiale. Le prime sperimentazioni su
applicazioni frenanti, considerata la derivazione diretta dei C/C-SiC dai CarbonCarbon, presentavano una orientazione delle fibre parallela alla superficie di frizione,
con risultati molto affini agli stessi C/C, ma con una riduzione dell’usura. Purtroppo
però, questa prima generazione di C/C-SiC non era ancora industrializzabile, avendo
costi di produzione vicini ai C/C e caratteristiche tribologiche non abbastanza stabili
in quanto, essendo il coefficiente d’attrito dipendente dalla temperatura, e lavorando
il disco a temperature superficiali molto elevate, non si riusciva ad ottenere la
costanza e la continuità volute nelle prestazioni. Per ovviare a questo, si
individuarono tre possibili strade per ottenere l’incremento della conduttività termica
trasversale, in modo da smaltire il più velocemente possibile il calore presente:
o uso di fibre di carbonio più raffinate, aventi maggiore conducibilità termica;
o incremento dell’angolo tra le fibre e la superficie d’attrito;
o incremento del contenuto di materiale ceramico (SiC) per aumentare la
compattezza del materiale e quindi ridurre le porosità presenti.
144
Da un punto di vista economico, l’incremento di Silicio e Carburo di silicio risulta
la soluzione migliore. Poiché sussiste una forte dipendenza fra il rischio di cedimento
fragile e la porosità, tale soluzione ha un effetto positivo sulle caratteristiche di
resistenza alla frattura fragile del materiale. Tuttavia una seconda conseguenza è
3
rappresentata da una densità leggermente maggiore (circa 2kg/dm ), che comunque
risulta essere nettamente più contenuta rispetto, per esempio, ai classici dischi in
ghisa grigia. Bisogna sempre tener presente che il risultato a cui si vuole arrivare con
questo tipo di materiali deve essere un buon compromesso tra caratteristiche
meccaniche e termiche.
Una prova della stabilizzazione del coefficiente d’attrito dovuta all’incremento del
coefficiente di conducibilità trasversale, mediante tali soluzioni, è visibile dallo studio
dell’andamento del coefficiente d’attrito in funzione della velocità relativa tra disco e
pastiglia (e quindi, in funzione anche della potenza in gioco e della temperatura delle
superfici) mediante test tribologici che hanno riportato i seguenti risultati:
Type I – standard C/C-SiC;
Type II – C/C-SiC con fibre di carbonio
a conducibilità termica migliorata
Type III – C/C-SiC con rilevante
contenuto di fibre in direzione assiale
Type IV – C/C-SiC con alto contenuto di SiC
145
In base ai risultati rappresentati in figura si può quindi osservare come si sia
riusciti a migliorare la stabilità del coefficiente d’attrito agendo sulla microstruttura
del materiale ed in particolare sulle sue caratteristiche termodinamiche.
Per migliorare la capacità di smaltimento del calore, è possibile ricavare una serie
di condotti interni al disco che permettono di aumentare il flusso d’aria e quindi la
possibilità di raffreddare in tempi rapidi la superficie d’attrito, per evitare
surriscaldamenti del disco stesso, oltre che la possibilità che il calore prodotto si
trasferisca all’intero impianto con notevoli problemi in termini di sicurezza. La
presenza di tale sistema di aerazione permette di ridurre la temperatura della
superficie d’attrito di circa 300° C rispetto ai classici dischi pieni.
Attualmente vengono prodotti dischi carbo-ceramici che presentano variazioni
notevoli nella disposizione delle fibre. Un esempio è rappresentano dai dischi CCM e
CMC: i primi sono prodotti da Brembo, mentre i secondi da Daimler-Mercedes. Il
materiale è sostanzialmente lo stesso, a differenza della disposizione delle fibre di
carbonio. Nei prodotti CCM, infatti, le fibre risultano essere corte (inferiori agli 8
mm di lunghezza) e casualmente orientate nella matrice; nei CMC, invece, le fibre
sono di lunghezza maggiore, orientate in maniera circolare e parallele alla pista di
strisciamento. Questa ultima soluzione permette di ottenere un materiale con
conducibilità termica maggiore, e ciò si riflette nella minor necessità di avere una
ventilazione interna del disco: proprio per questo motivo i CCM sono dischi ventilati
con una geometria piuttosto complessa, mentre i CMC sono costituiti su un corpo
pieno che presenta piccoli fori radiali. A parte lievi differenze, comunque, il processo
produttivo rimane pressoché simile in entrambe le soluzioni: basti pensare che spesso
entrambi i componenti vengono realizzati sulla stessa linea produttiva.
USURA E RIVESTIMENTI
Questo tipo di impianti frenanti lavora sviluppando elevate temperature
superficiali tra rotore e statore, il che comporta l’uso di particolari materiali anche per
le pastiglie che siano in grado di mantenere le caratteristiche desiderate anche in
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condizioni di lavoro estreme. Infatti il materiale con il quale sono prodotte le pastiglie
è sostanzialmente lo stesso di quello utilizzato per i dischi; questo implica che disco e
3
pastiglia si usurino all’incirca alla stessa velocità (170 mm /MJ), peraltro troppo
elevata per permettere la realizzazione dei dischi per veicoli stradali. Per evitare
questo fatto, si effettua un rivestimento del solo disco con uno strato duro.
Per realizzare ciò sono stati studiati due metodi: la deposizione chimica a vapore
CVD di Carburo di Silicio puro per uno spessore di 0,1 – 0,2 mm, in grado di
3
abbassare del 90% il tasso di usura (fino a un valore di 17 mm /MJ), ma anche di
incrementare ulteriormente il costo finale del componente; oppure l’aggiunta in
superficie di Silicio e Carbonio che, reagendo tra di loro, producono Carburo di
silicio e formano uno strato dello spessore compreso fra 0,2 e 2 mm in grado di
aderire in maniera molto forte al substrato. Questa seconda soluzione comporta
naturalmente una rifinitura con utensili al diamante per via della maggiore durezza
superficiale, ma in generale risulta economicamente vantaggiosa rispetto al
trattamento CVD, e permette ugualmente di ottenere tassi di riduzione dell’usura
3
nell’ordine dell’85% (fino a 21 mm /MJ).
MATERIALI COMPOSITI A MATRICE METALLICA (MMC)
Gli MMC sono materiali che rientrano nella categoria dei compositi, pertanto sono
stati presi in considerazione, anche se il progetto di un loro utilizzo in una produzione
seriale di dischi freno risulta essere stato accantonato dopo una prima fase di
sperimentazione, dove non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative.
I Metal Matrix Composites sono quindi materiali costituiti da una matrice
metallica e da una fase dispersa che può essere in forma di particolato, di fibre
continue o discontinue, oppure di whiskers. La tecnologia di questi materiali
sembrava essere vantaggiosa perché consente di impiegare sostanze con
caratteristiche tribologiche o termiche rilevanti se confrontate, ad esempio, alla ghisa,
che presentano tuttavia scarse proprietà meccaniche: esistono infatti metalli e leghe
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con proprietà specifiche migliori di quelle dell’acciaio, che però in genere sono
teneri, per cui usati come rotore di un freno avrebbero un’usura abrasiva troppo
elevata. Un materiale composito a matrice metallica, invece, possiede sia resistenza
che rigidezza, grazie all’effetto rinforzante svolto dalla fase dispersa, oltre ad una
densità contenuta.
Come applicazione industriale di massa, dall’ottobre 1991 Ford e Toyota provarono
ad installare dischi freno in Al-Si con il 20% di SiC. In seguito altre case
automobilistiche, tra cui Volkswagen e Lotus, testarono questo materiale.
I materiali MMC hanno però un forte
vincolo applicativo sulle temperature di
utilizzo, le quali risultano inferiori a quelle
dei materiali ferrosi. Per questo motivo
l’applicazione migliore sembrava essere
quella su veicoli motociclistici, in quanto è
richiesta leggerezza e il disco lavora in un
ambiente con forte scambio convettivo.
Le ditte Honda, Suzuki e Ducati hanno sperimentato questi freni nel campionato
mondiale di motociclismo.
IL MATERIALE E LA SUA MICROSTRUTTURA
I metalli usati per le matrici di MMC attualmente presente sul mercato sono
molteplici (ad esempio, ferro, rame, alluminio, nickel, titanio) ma per i dispositivi
frenanti quello che si è imposto sugli altri è l’alluminio, che presenta le seguenti
caratteristiche:
3
o bassa densità (2,7 g/cm );
o alta conducibilità termica (204 W/mK);
o buone caratteristiche tribologiche;
o alto grado di isotropia;
o buona colabilità;
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o basso costo (costa meno rispetto gli altri metalli impiegati come matrice).
Presenta, putroppo, anche i seguenti svantaggi:
o basso Modulo di Elasticità (70 Gpa);
o bassa resistenza meccanica (60 Mpa);
o bassa temperatura di fusione (627 °C).
Come già detto la fase dispersa ha l’obiettivo di incrementare le proprietà
meccaniche, che aumentano in maniera direttamente proporzionale al contenuto di
fibra. La tecnologia dei materiali compositi ha dunque permesso di ovviare ai
problemi relativi alle proprietà meccaniche.
Nulla si può fare invece per quel che riguarda la bassa temperatura di fusione, se
non limitare le temperature di impiego del materiale al di sotto dei 400 °C, cosa che
naturalmente preclude molti campi di applicazione.
La microstruttura del materiale presenta, per i suddetti motivi, una matrice
metallica di alluminio e una fase dispersa costituita da carbonio, o da carburo di
silicio. In figura è riportata la micrografia di un MMC con matrice in Al e fase
dispersa costituita da Si (grigio chiaro) e Si-C (grigio scuro) sviluppato durante gli
studi condotti da Ford all’inizio degli anni Novanta.
E’ importante notare che, contrariamente a
quanto avviene per i CMC, la fase dispersa
aumenta le proprietà meccaniche del
materiale, mentre è la matrice a conferire
tenacità. Per ottenere una buona resistenza
del composito è essenziale ottenere anche
un buon legame tra fibra e matrice, che
eventualmente
può
essere
rinforzato
rivestendo le fibre (con boro ad esempio).
Questa operazione, oltre ad aumentare il legame interfacciale, impedisce eventuali
reazioni tra fibra e matrice quando il materiale viene portato in temperatura.
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VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO
Le imbarcazioni di vetroresina sono costruite impiegando stampi che danno la
forma allo scafo, alla coperta e alle altre parti strutturali che successivamente
dovranno essere assemblate per incollaggio.
Le dimensioni delle imbarcazioni in vetroresina possono variare da pochi metri ad
alcune decine di metri. Le imbarcazioni più grandi costruite in Italia sono quelle
militari che non arrivano a cinquanta metri.
In figura si riporta lo schema del ciclo produttivo, le cui operazioni sono descritte
successivamente.
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I MATERIALI
I materiali impiegati sono di tipo diverso:
o Stampi
o Tessuti in fibra di vetro e fibre di vetro non tessute
o Tessuti in fibra di carbonio o in fibra di altro tipo
o Resine poliestere
o Resine fenoliche o di altro tipo
o Alcool polivinilico
o Solventi
o Gel-coat
o Cere
o Colle
o Vernici
o Legname, semilavorati e manufatti in legno
o Materiali metallici, semilavorati e manufatti in metallo
o Materiali , apparecchiature elettriche e elettroniche
o Materiali e impianti da istallare
o Dotazione per la navigazione
Il materiale in arrivo è scaricato dai mezzi di trasporto, controllato e stoccato in
magazzino. Nel magazzino generale sono custoditi anche utensili, oli e altre
attrezzature necessarie per l’impiego delle macchine utensili impiegate nelle officine.
Gli spostamenti dei materiali sono i seguenti:
o Gru su rotaie gommate
o Carrelli elevatori a forche
o Furgoni su gomma
COSTRUZIONE DELLO SCAFO E DELLA COPERTA
Lo scafo e la coperta sono prodotti su stampo come già detto. Gli stampi devono
essere preparati stendendo alcool polivinilico e cera sulla loro superficie per facilitare
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il distacco del manufatto quando l’operazione di formatura è completata. La
successiva operazione è la stesura di gel-coat su tutto lo stampo in modo che la
superficie esposta abbia un grado di finitura superiore a quello ottenibile con la
resina.
Si inizia quindi la stesura dei teli tessuti in fibra di vetro che si impregnano con
resina poliestere multistrato e stirolo. L’operazione consiste nell’alternare la stesura
di un telo e l’impregnazione con resina. La resina può essere somministrata con rulli
orientati a mano o con macchine impegnatrici.
Durante tali operazioni inizia la polimerizzazione dello stirolo con conseguente
indurimento del manufatto che si sta formando. La stesura del telo e la successiva
impregnazione sono ripetute un numero di volte tanto maggiore quanto più alto è lo
spessore che si vuole dare al manufatto.
Per la costruzione di scafi di piccole dimensioni e di non grandi qualità la
formatura si realizza proiettando una sospensione di fibre e resina sullo stampo
preparato come già detto. Con tale tecnica le fibre impregnabili sono di lunghezza
contenuta ed il manufatto ottenuto a parità di spessore avrà una rigidità ed una
resistenza minori di quello fabbricato con l’uso dei teli tessuti impregnati di resina
mediante rulli.
FINITURA
Il manufatto formato può essere distaccato dallo stampo dopo alcune ore affinché
il processo di polimerizzazione sia completato e la rigidità abbia raggiunto il valore
desiderato.
Lo scafo e la coperta devono essere rifiniti con operazioni di taglio, di molatura e
di sagomatura sulle parti che devono essere assemblate con altri componenti per
incollaggio.
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INCOLLAGGIO
Lo scafo è unito alla tuga (o coperta) per incollaggio; con medesimo sistema sono
assemblati anche altri pezzi minori come il quadro di comando, la torretta, o altre
strutture costruite separatamente.
L’operazione di incollaggio è predisposta preparando le superfici con la finitura
(già vista) ed una preliminare pulizia sia meccanica che con solventi. Le colle sono
stese manualmente ed i pezzi accoppiati con l’ausilio di gru e carro ponti.
COSTRUZIONE DEGLI INTERNI
La costruzione degli interni e la coibentazione antirumore sono operazioni
eseguite con l’imbarcazione a terra sullo scalo. Il caricamento del materiale è
effettuato con l’aiuto di gru o di carroponti.
Gli interni sono realizzati prevalentemente in legno, per limitare il peso e perché è
un materiale isolante; possono tuttavia essere impiegati altri materiali capaci di
conservare le proprie caratteristiche in ambiente marino.
ALLESTIMENTO
L’allestimento di una nave con gli impianti meccanici, igienici, frigoriferi nonché
con il sistema di propulsione è eseguito con l’imbarcazione a terra sullo scalo.
Il caricamento dei componenti degli impianti è effettuato con l’ausilio di gru e di
carroponti.
VERNICIATURA
Le superfici rifinite con gel-coat non hanno bisogno di ulteriore protezione o
finitura con vernici; soltanto la parte sommersa deve essere protetta con pittura
antivegetativa. Gli interni, le parti in legno o altre parti metalliche devono essere
protette con vernici resistenti all’ambiente marino.
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TAGLIO
In alcune fasi della costruzione è stato citato l’impiego di teli di vetroresina per la
formazione delle strutture dell’imbarcazione e di pannelli di poliuretano (o materiale
equivalente) per la coibentazione degli ambienti. Sia gli uni che gli altri spesso
devono essere tagliati per essere adattati alla forma dello stampo o della parete.
Occorre quindi un attrezzatura specifica per il taglio, che sarà eseguito in un reparto
dedicato.
Il telo o il panello è portato su un tavolo dove, seguendo una sagoma-modello, è
tagliato a mano o con una macchina a tagliare. Gli sfridi sono raccolti ed eliminati
come rifiuti.
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STRUTTURE A NIDO D'APE
II nido d'ape è costituito essenzialmente da fogli sottili, opportunamente sagomati
e collegati in modo da fornire una struttura formata da tante cellette non dissimile dal
favo delle api (da cui il nome). Per la loro manifattura le tecniche più in uso sono
due: la tecnica dell'espansione e quella del corrugamento.
II metodo dell'espansione è usato
sia per materiali metallici che non
metallici.
Consiste
nel
porre
dell'adesivo lungo delle strisce dei
fogli, ammassarli e curare il blocco,
così ottenuto, sotto pressione e ad
elevata temperatura.
Se si usano fogli in lega di alluminio, prima di apporvi l'adesivo, si procederà ad una
pulitura e ad un trattamento anticorrosione. Dopo la cura il blocco è rimosso dalla
pressa ed è pronto per l’espansione. Per materiali non metallici il discorso é del tutto
analogo e, al contrario dell'alluminio, non ci sarà bisogno di alcun trattamento.
II metodo del corrugamento è usato per materiali di spessore più elevato e
destinati per lo più alle alte temperature di esercizio. Si fa passare il foglio attraverso
dei rulli al fine di sagomarli nella maniera voluta; applicato l'adesivo nei nodi, si
sovrappongono le strisce così trattate in modo da ottenere un blocco dello spessore
desiderato.
Per le temperature di esercizio più elevate, e per core in metallo, al posto
dell'adesivo si può ricorrere alla brasatura o alla saldature per resistenza.
In linea di principio il nido d'ape può essere costruito a partire da fogli di qualsiasi
materiale. In pratica si fa ricorso, per i materiali metallici: all'alluminio, all'acciaio
inossidabile, al titanio, a leghe a base di nichel; mentre per i non metallici si fa
ricorso al Nomex e a tutta una serie di compositi plastici. In campo aeronautico sono
molto richieste le leghe di alluminio trattate e i compositi epossidici con rinforzi in
Kevlar per via del basso coefficiente di dilatazione termica.
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Generalmente con il nido d’ape si realizzano i così detti pannelli sandwich. Un
tipico pannello sandwich è costituito da due sottili laminati (pelli) in materiale
resistente (lamiere di alluminio o composito) separate dall’anima a bassa densità
(nido d'ape) con spessore da 0.25 mm a 13 mm; sono collegate tramite saldature o
adesivi di vario genere.
funzione di allontanare dal piano neutro le pelli,
migliorando le proprietà elastiche flessionali del
laminato; in questo modo è possibile ottenere un
manufatto dal peso contenuto. Gli elementi dei
sandwich, presi singolarmente, non presentano grandi
proprietà meccaniche: sono flessibili e poco resistenti;
ma una volta assemblati danno vita ad una struttura
L'anima
ha
la
molte rigida, forte e al tempo stesso leggera.
Si vuole infine ricordare che gli utilizzi
dei pannelli sandwich non sono limitati al
solo campo strutturale; le loro proprietà
isolanti e la caratteristica di assorbire
energia fanno di essi dei prodotti adatti alle
più svariate applicazioni. Ad esempio,
trovano impiego nel settore ferroviario:
- Cabine dei veicoli ferroviari;
- Componenti interni come sedili,
pennellature.
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