Bluecoat Chambers a Liverpool Residenze a Langerak

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Bluecoat Chambers a Liverpool Residenze a Langerak
ISSN 0394 - 1590
Aprile 2013
Anno XXVI
Rivista bimestrale
Contiene I.P.
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Bluecoat Chambers a Liverpool Residenze a Langerak, Hessenberg e
Grauwaart Complesso residenziale a Ypenburg Quartiere Lakerlopen a
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152
biq
costruire in laterizio
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152
sommario
news
6 a cura di Roberto Gamba
prodotti
8 a cura della redazione
Rivista
bimestrale
Anno xxvi
Aprile 2013
Di­ret­to­re re­spon­sa­bi­le/Editor - in - chief
Giu­sep­pe Nar­del­la
Di­rezione edi­to­ria­le/Editorial direction
Luigi Di Carlantonio – e-mail: [email protected] tel. +39 (0)644236926
Re­da­zio­ne/Editorial office
Livia Randaccio (responsabile)
e-mail: [email protected] - tel. +39 (0)2 39090354
Monica Iezzi - e-mail: [email protected]
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PANORAMA
10 a cura della redazione
Comitato di Redazione/Editorial Board
Adolfo F. L. Baratta, Lorenzo Bari, Veronica Dal Buono, Roberta Cristallo, Alfonsina Di
Fusco, Alberto Ferraresi, Roberto Gamba, Rosario Gulino, Igor Maglica, Chiara Testoni
in primo piano
12 Mario Botta
Bechtler Museum a Charlotte, Stati Uniti
Alberto Ferraresi
Comitato Scientifico/Scientific Advisory Board
Alfonso Acocella (Università di Ferrara), Andrea Campioli (Politecnico di Milano),
Jean Luc Chevalier (CSTB Parigi), Marco D’Orazio (Università Politecnica delle Marche,
Ancona), Manuel Garcìa Roig (ETSAM Madrid), Zheng Shilling (Tongji University
Shanghai), M. Chiara Torricelli (Università di Firenze)
editoriale
16 Questioni di fatto. L’architettura di biq stadsontwerp
Hans Ibelings
Comitato Direttivo/Managing Board
Luigi Di Carlantonio (Presidente), Guelnaz Atila, Vincenzo Briziarelli, Mario Cunial,
Fernando Cuogo, Roberto Danesi, Fabrizio Fantini, Michele Marconi
Direzione commerciale/Sales manager
Cesare Gnocchi - e-mail: [email protected]
progetti
18biq
Approccio realistico per una nuova tradizione
Igor Maglica
Coor­di­na­men­to stampa e pubblicità/Printing and advertising coordination
Fabrizio Lubner (responsabile)
Fabiola Galbiati - tel. +39 (0)2 39090206 - fax +39 (0)2 39090236
Progetto Grafico/Graphic design
Igor Maglica (Andil)
Ricostruzione del Bluecoat Chambers, Liverpool (GB), 2001-08
Igor Maglica
22 Due edifici residenziali a Langerak, settori 6 e 11, Utrechl (NL), 2004-09
Roberto Gamba
26 Complesso residenziale a Ypenburg settore 23, (NL), 2004-09
Adolfo F.L. Baratta
32 Edifici residenziali ad Hessenberg, Nijmegen (NL), 2005-10
Carmen Murua
36 Quartiere Lakerlopen a Eindhoven, (NL), 2006-10
Alberto Ferraresi
42 Complesso residenziale a Grauwaart, Utrecht, (NL), 2007-11
Chiara Testoni
46 Unità abitative a Transvaal, L’Aia (NL), 2006-13
Igor Maglica
Grafica, disegni e im­pa­gi­na­zio­ne/Graphics, drawings and layout
Grafica Quadrifoglio srl - Milano
Han­no col­la­bo­ra­to a que­sto fa­sci­co­lo/Con­tributors to this edition
Adolfo F. L. Baratta, Andrea Campioli, Marco D’Orazio,
Alfonsina Angela Di Fusco, Elisa Di Giuseppe, Alberto Ferraresi, Roberto Gamba,
Igor Maglica, Fermo Antonio Mombrini, Flavio Mosele, Chiara Testoni.
Ab­bo­na­men­ti/Subscriptions
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Alessandra Caltagirone, e-mail: [email protected]
Domenica Sanrocco, e-mail: [email protected]
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Vi­cen­za - Contrà S. Caterina, 29 - tel. +39 (0)44 4540233 - fax +39 (0)44 4540270
l’intervista
50 Colloquio con Hans van der Heijden dei biq
Igor Maglica
Stam­pa/Printing
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scrit­ti e le il­lu­stra­zio­ni in­via­ti al­la re­da­zio­ne non sa­ran­no re­sti­tui­ti, an­che se non pub­bli­ca­ti
e la Ca­sa edi­tri­ce non si as­su­me re­spon­sa­bi­li­tà nel ca­so di even­tua­li er­ro­ri con­te­nu­ti ne­gli
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ricerca
52 Ricognizione post-sisma in maggio 2012.
Gli edifici moderni in laterizio in Emilia
Alfonsina Angela Di Fusco, Flavio Mosele
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62 Isolanti naturali e laterizi a vista.
I laterizi come sistema di «moisture buffering»
Elisa Di Giuseppe, Marco D’Orazio
Re­gi­stra­zio­ne/Registration: n. 869 del 18/12/1987 - Tri­bu­na­le di Mi­la­no Iscri­tta al ROC Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 6419 (delibera
236/01/Cons. del 30/6/01 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).
66 Prestazioni acustiche di pareti divisorie tra unità abitative.
Dalle prove di laboratorio ai valori in opera
Fermo Antonio Mombrini
Divisione edilizia e costruzioni
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• Il commercio edile • www.clickthebrick.it
• Il nuovo cantiere
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città territorio
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dettagli
70 Laterizio senza tempo
Andrea Campioli
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recensioni
74 a cura di Roberto Gamba
Aderente a
Soluzioni Tecniche
per l’Architettura
e le Costruzioni
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5
cil 152
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Editoriale
Hans van der Heijden Architect
Hans Ibelings*
Lo studio biq, diretto da Rick Wessels e Hans van der Heijden, combina
marginalità e prominenza. A differenza di molti altri architetti e studi di
architettura in Olanda, biq non è un nome conosciuto da tutti.Tuttavia lo
studio è stato tra i pochissimi a essere invitato dal direttore David Chipperfield
a partecipare all’ultima Biennale di Architettura di Venezia. Questa inclusione a
Venezia non solo riflette il fatto che l’architettura di biq si inseriva nel tema scelto
da Chipperfield per la Biennale, ovvero Common Ground, ma sottolinea anche la
sua risonanza internazionale.
Van der Heijden possiede una voce distinta all’interno del dibattito architettonico
olandese, anche se il lavoro di biq è pubblicato solo incidentalmente. È alquanto
significativo il fatto che egli sia oggi editore della serie degli Annuari di architettura
in Olanda, in cui nessun progetto di biq è mai stato presentato. Ovviamente questo
dimostra che il lavoro di biq non rientra nella corrente principale dell’architettura
olandese però, e questo è un altro paradosso, l’architettura di biq è probabilmente
più olandese di quella di molti altri colleghi: costruisce secondo tecnologie e
materiali, secondo abitudini e convenzioni olandesi, tuttavia il risultato è in uguale
Questioni di fatto
L’architettura di biq stadsontwerp
Edifici residenziali ad Hessenberg Nijmegen,
Olanda, 2005-10.
misura familiare e straniero. In tal senso questa architettura riecheggia ciò che Gilles
Deleuze e Félix Guattari discutevano nel 1975 riguardo a Kafka, i cui scritti erano
da loro definiti come «letteratura minore»: «Une littérature mineure n’est pas celle
d’une langue mineure, plutôt celle qu’une minorité fait dans une langue majeure».
Nell’opinione di Deleuze e Guattari, per Kafka non vi era alternativa che scrivere
in tedesco, che a Praga era «une langue déterritorialisée, propre à d’étranges usages
mineurs». Qualcosa di simile si può applicare ai biq, che usano la lingua maggiore
della tradizione olandese di architettura in mattoni in un modo tale che il risultato
diventa una lingua minore, un’architettura che solo vagamente somiglia al proprio
background e alle proprie origini. Ciò che fa biq, e questo è probabilmente una
conseguenza non voluta del suo approccio progettuale, è di rivelare un aspetto
esotico di qualcosa di profondamente olandese.
In un contesto in cui tutto è progettato pretenziosamente, l’apparente normalità
e ordinarietà dell’architettura di Wessels e di van der Heijden si stagliano come
qualcosa di curiosamente non comune.
Questa ordinarietà allude a ciò che può essere visto come un elemento essenziale
della filosofia di biq: l’offrire un’architettura che resista a ogni aspetto della vita
quotidiana con un approccio realistico (di questioni di fatto).
Abbastanza spesso l’architettura si focalizza su uno spettro limitato tra il fare
bene e seguire la felicità.Van der Heijden una volta ha detto che lui desidera che
la propria architettura sia anche un contesto dignitoso di conforto e persino di
consolazione per gli inevitabili aspetti più tristi della vita di ogni famiglia, come le
morti e i funerali. Per permettere ciò, l’architettura di Wessels e van der Heijden
contiene una certa frugalità nella sua espressione, senza lo spietato ottimismo fuori
The work of biq does not fit in the mainstream of Dutch architecture but biq’s
architecture is probably more Dutch than that of many of its colleagues. It builds
upon Dutch construction technology and materials and Dutch customs and
conventions yet the outcome is in many respects equally familiar and foreign
16
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Progetto De Grienden, Puttershoek, Rotterdam,
Olanda, 2007.
luogo che atterrisce così spesso l’architettura, ed è privo della spavalderia della
bravata formale, che van der Heijden può forse anche apprezzare come tale, ma
che non è nel suo stile. In questo senso per lui vi è una fondamentale distinzione
tra questo tipo di forma astratta, che presuppone un’indipendenza dalla realtà, e la
forma ridotta, che è fermamente radicata nel contesto e nella storia. Secondo la
sua opinione, l’astrazione è una ricerca di un nuovo ordine, la riduzione è invece
una questione di distillazione della realtà.
La riduzione porta a concentrarsi sulla mera essenza di un edificio, disadorno
ma non banale. Il potere dell’architettura di biq sta in questa concentrazione e
nell’abilità di evocare con sensibilità un’atmosfera, un tema che gioca un ruolo
importante nell’architettura analoga dell’architetto svizzero Miroslav Šik, con
cui van der Heijden ha evidenti affinità, e con cui condivide un interesse nel
trovare un equilibrio tra familiarità e alienazione. Una differenza fondamentale
tra Šik e van der Heijden, tuttavia, è il fatto che per il primo la rappresentazione
architettonica nella forma di disegni evocativi è più o meno altrettanto
importante quanto lo sono gli edifici (di cui non ve ne sono molti). Per lui il
disegno e l’edificio hanno entrambi un’esistenza interrelata ma ciononostante
autonoma, mentre per van der Heijden il disegno è un mero mezzo per
convogliare le conoscenze necessarie alla costruzione di un edificio, e durante la
costruzione dell’edificio l’architettura diventa realtà, in quanto acquista esistenza
materiale. Per biq il significato dell’azione del costruire è da ricercare nel risultato,
nell’edificio in sé. Šik è solo uno dei punti di riferimento nel mondo di biq,
un mondo che trascende tempo e spazio e contiene sia figure storiche come
il maestro del Novecento Giovanni Muzio, che realizzò i suoi progetti più
importanti a Milano negli anni Trenta, sia contemporanei con visioni similari in
Gran Bretagna, Belgio, Germania e Svizzera, come Tony Fretton, Sergison Bates
e Paul Vermeulen, per nominarne solo alcuni. Ciò che questi architetti hanno in
comune è che non stanno cercando un’essenza dell’architettura universalmente
valida, ma piuttosto stanno tentando di approssimare l’essenza di ogni specifica
commissione, approcciandola in maniera induttiva.
Ciò si mette in relazione con quella distinzione fatta da David Hume nel
suo Ricerca sull’intelletto umano (1748) tra «Relazioni di idee» e «Questioni di
fatto». L’algebra appartiene alla prima categoria, scrive Hume: «Quel tre per
cinque è uguale alla metà di trenta, esprime una relazione tra questi numeri.
Proposizioni di questo tipo sono svelabili grazie a mere operazioni di pensiero,
senza la dipendenza da ciò che è esistente in qualunque parte dell’universo». Le
«Questioni di fatto» di Hume sono «non accertate nello stesso modo».
Chiaramente il lavoro di biq appartiene al mondo delle questioni di fatto, nella
piena consapevolezza che tutte le abitudini quotidiane dipendono dal trarre
conclusioni incerte da esperienze relativamente limitate (considerando per
esempio che il sole sorgerà domani così come ha fatto oggi e ieri). Per Wessels e
van der Heijden questo è vero anche per l’architettura.
Sta di fatto che l’architettura di biq è semplicemente questo: il trarre conclusioni
incerte ma auguratamente convincenti da esperienze inevitabilmente limitate.
(Traduzione di Lynda Scott)
*Hans Ibelings
critico d'architettura, fondatore di «A10» e «The Architecture Observer»
17
CIL 152
Igor Maglica*
biq
Approccio
realistico
per una
nuova
tradizione
Hans van der Heijden (1963), design
director, e Rick Wessels (1959),
managing director, fondano lo studio
di architettura biq nel 1994 a
Rotterdam. Le loro ormai numerose
opere costituiscono una delle realtà
architettoniche contemporanee più
interessanti dell’Olanda in quanto
portatrici di un pensiero teorico
originale, lontano da certe logiche
progettuali del momento, approntato
alla ricerca di una nuova tradizione
in architettura desunta dai reali
bisogni delle persone e dal contesto
urbano circostante. Qui di seguito
sono illustrati sette progetti realizzati
e un ottavo è illustrato nella rubrica
«Dettagli», accomunati dall’utilizzo
del mattone come principale
materiale costruttivo, dal tema quasi
esclusivamente di tipo abitativo, dalla
loro collocazione geografica e dalla
grande passione con la quale affrontano
il mestiere dell’architetto. Completano
l’apparato progettuale le fotografie
di Stefan Müller, una breve intervista
che ci introduce ancora di più nel
mondo dei biq e uno scritto acuto e
intelligente di Hans Ibelings. ¶
* phd, architetto e giornalista
Bluecoat Chambers nasce nel
1716 quando due cittadini filantropi, un capitano di mare
e un reverendo, decisero di offrire protezione e cura, insieme
all’istruzione, ai bambini rimasti orfani di Liverpool e dintorni. La costruzione, realizzata
in puro stile Queen Ann, viene
oggi considerata come una delle
più antiche della città ed è stata
vincolata dall’English Heritage
(ente pubblico del governo britannico che si occupa della protezione di edifici storici e monumenti) come Grade I Listed
Building. All’inizio del ‘900, la
scuola trasloca in una nuova sede
e il Bluecoat (il nome fa riferimento al colore delle uniformi
dei giovani ospiti del centro)
cambia la destinazione d’uso
originaria per convertirsi in uno
spazio cittadino dedicato all’arte
(Bluecoat Society of Arts), funzione
che lo contraddistinguerà fino ai
giorno nostri.
Causa pesanti danneggiamenti
subìti durante i bombardamenti
del 1941 – anche se dopo la
Seconda guerra mondiale fu
restaurato e, in seguito, un’altra
volta ancora – nel 2000 si decise di bandire un concorso per
la completa ricostruzione del
volume (restauro delle parti antiche e la costruzione di un’ala
mancante) in vista del 2008,
anno in cui la città fu dichiarata
la Capitale europea della cultura.
Il concorso fu vinto da un
gruppo di giovani architetti
olandesi chiamati biq che, due
anni dopo la costituzione dello
studio, avevano vinto nel 1996 la
4a edizione del concorso internazionale
Europan con il progetto per un’area di
RICOSTRUZIONE DEL BLUECOAT CHAMBERS, LIVERPOOL (GB), 2001-08
Progetti
Hans van der Heijden Architect
Planimetria orientata a nord.
Nella pagina a fianco:
Dettaglio del prospetto sud. Il fronte del nuovo corpo costruito.
Liverpool e pertanto avevano continuato a frequentare la città inglese. La
scelta di affidare un incarico così delicato ad architetti solo agli inizi della
loro carriera e con poca esperienza nel
campo d’edilizia non residenziale non
ha impedito a Rick Wessels e Hans van
der Heijden di realizzare un progetto
originale, né troppo timido, né «fuori
posto»: un’opera che trae lo spunto
dalla famosa preesistenza architettonica
per costruire un ampliamento moderno
senza complessi d’inferiorità verso l’illustre vicino e che in seguito ha ricevuto
numerosi premi e riconoscimenti. I biq,
con una certa sfacciataggine che a volte
contraddistingue i giovani, hanno preteso, e ottenuto, alcune importanti modifiche al programma progettuale, come
quella di poter aprire le finestre in molte
gallerie e di non realizzare la sala per le
conferenze da 200 posti ritenuta un po’
troppo «ufficiale» per un centro artistico
e tipologicamente ingombrante.
Il Bluecoat è impostato su una pianta ad
«H» orientata nord-sud, alla quale, nel
corso degli anni, è stato aggiunto un fabbricato di completamento sul lato sud
che, in realtà, reca un piccolo sbocco sulla
College Lane, permettendo così il passag-
The project Bluecoat Chambers tackles, besides the restoration of a three-quarter
of the ancient complex, the difficult question of the reconstruction of the East Wing.
The new body fits perfectly into the existing volume, neither too faint nor «out of place»,
establishing a sense of balance and continuity between the old and the new
18
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
19
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Vista dal cortile del fronte ovest della nuova ala est.
gio, attraverso i due cortili, fino all’entrata
più nobile a nord, sulla School Lane. Il
progetto, oltre al restauro filologico dei
tre quarti del complesso, affronta la difficile questione dell’ala est mancante (East
Wing). Il nuovo corpo s’incastra a perfezione nel volume esistente, costruito in
mattoni, rispettando le sue indicazioni riguardo agli allineamenti, all’orientamento
e alle dimensioni da adottare. Anch’esso
in mattoni – in omaggio anche alla città
di Liverpool, piena di edifici di pregio costruiti con questo materiale ricco di storia
– stabilisce un senso d’equilibrio e di continuità tra la nuova e la vecchia architettura. La contemporaneità della nuova ala
si manifesta soprattutto nel disegno delle
sue facciate più pubbliche.
La testata sud, che contiene una nuova
piccola entrata, con il suo profilo particolare che segue l’ingombro dei volumi posti dietro (il lucernario, il tetto a due falde),
è forata da tre grandi finestre a sbalzo, intelaiate in cornici di rame, e costituisce
un po’ l’immagine simbolo del nuovo
intervento. Invece, il fronte che dà sul
bello e intimo cortile interno sfoggia un
senso di solidità e robustezza diffuso dal
ritmo regolare dei «vuoti» delle finestre e
dei «pieni» delle parti in muratura; queste
porzioni, alte due piani, sono sormontate,
come fosse un grande architrave, da una
parte dell’edificio, più distante, ma più
Scheda tecnica
Committente:
Progetto architettonico:
the Bluecoat, Liverpool
biq, Rotterdam (Theo van de Beek, Marjolein van Eig,
Hans van der Heijden, Helen Webster, Rick Wessels)
Progetto esecutivo:
Austin-Smith:Lord, Manchester/Liverpool
Progetto strutturale:
Techniker, Londen
Progetto impianti:
Ernest Griffiths, Bromborough
Project manager:
B4, Manchester/Londen
Progetto conservazione beni archeologici: Donald Insall, Chester
Progetto del paesaggio:
Austin-Smith: Lord, Manchester/Liverpool
General contractor:
Kier North West, Liverpool (restauro, nuova costruzione);
Whittakers, Liverpool (interni)
Controllo costi:
Tweeds, Liverpool
Segnaletica:
Nonconform, Liverpool
Costi di costruzione:
circa 12.000.000 di euro, Iva esclusa
Progetto e realizzazione:
2001-08
Fotografie:
Stefan Müller
20
CIL 152
Particolare del fronte esterno dell’unione tra la superficie
muraria realizzata in mattoni e la copertura in rame.
Hans van der Heijden Architect
Dettaglio del fronte sud. In fondo, il volume della nuova ala.
alta, e coperta in rame. Nelle due facciate
lunghe i mattoni sono stati posati tutti di
«fascia» (con i lati lunghi) e non sfalsati,
mentre sul fronte sud essi sono tutti, non
sfalsati, disposti di «testa». Ciò conferisce
ai nuovi prospetti una qualità materica
maggiore, come se fossero stati rivestiti in
semplici piastrelle, e ne determina un’ottima caratterizzazione. ¶
Igor Maglica
phd, architetto e giornalista
Fronte sud sulla College Lane.
Vista dal cortile nord dell’edificio restaurato.
Fronte nord sulla School Lane.
21
CIL 152
DUE EDIFICI RESIDENZIALI A LANGERAK, SETTORI 6 E 11, UTRECHL (NL), 2004-09
Hans van der Heijden Architect
A ovest di Utrecht, l’antica città
che ospita la più importante sede
universitaria e di ricerca dei Paesi Bassi, in un grosso quartiere
in costruzione, il Leidsche Rijn,
pianificato per ospitare nel 2025
oltre 80.000 abitanti, si inserisce
questo intervento residenziale di
240 appartamenti.
Localizzato a sua volta nel Langerak, insediamento su cui, dal
1999, sono dislocati circa 2.000
alloggi popolari, il complesso
abitativo è costituito da due
blocchi a pianta rettangolare.
Ciascun corpo, conformato a
«C», ha un volume di collegamento di quattro piani; le testate
più alte di sette e nove piani e al
centro il cortile, da cui si accede
anche ai box seminterrati.
I due blocchi edilizi, situati nei
settori 6 e 11, perimetrano il
lato del quartiere che costeggia
la Langerakbaan, asse principale,
parallelo al canale omonimo;
quindi si allineano, nell’isolato,
all’edificio curvo, progettato in
precedenza da Frits van Dongen
di ArchitectenCie.
Il carattere urbano che la composizione esprime è sicuramente
significativo e contrasta, o per lo
meno si distingue dal contesto
suburbano. Infatti, al susseguirsi
in adiacenza di insediamenti edilizi di tipo estensivo, il complesso
appare di misurata imponenza e
uniformità, risultando in questo
modo un tentativo riqualificatorio di questa parte di città, o
almeno una sorta di critica alla
situazione di dissolvimento urbano che anche qui si manifesta,
come ai margini di tutte le metropoli moderne. In ogni blocco,
la forma architettonica si articola
L’insediamento costeggia l’asse della Langerakbaan, parallelo al canale omonimo.
nella continuità perimetrale della zoccolatura, corrispondente al livello seminterrato, e si interrompe solo in corrispondenza dei varchi di ingresso (due
sul lato lungo, verso la Langerakbaan,
uno su ogni testata, uno dal lato del cortile). Si articola inoltre nella continuità
di allineamento delle finestrature, intervallate dalle rientranze delle logge o,
verso il cortile, dalle balconate ballatoio.
In conseguenza di ciò, tutte le abitazioni
dispongono di ampi spazi all’aperto.
L’uniformità delle facciate è poi scandita
dai rivestimenti in muratura di laterizi
color sabbia, dalle fasce marcapiano e
dalle incorniciature in alluminio anodizzato bronzo dei serramenti, mentre
lo zoccolo e i portali d’ingresso risaltano per la finitura un po’ più scura dei
mattoni.
Il progetto è stato concepito inizialmente con schizzi eseguiti a mano libera, ma successivamente è stato precisamente sviluppato, secondo una concezione di ripetitività modulare (basata su
multipli di 7,50 m) che ha reso semplice
ed efficace la definizione della struttura
portante e delle proporzioni dei componenti. Tutte le abitazioni hanno un
The two blocks, which surround the side of the district along the Langerakbaan,
express urban character and are articulated by the continuity of the edge,
interrupted by the entry points, and by the alignment of the windows
22
CIL 152
mini-posto auto in un parcheggio seminterrato, ottenuto al livello di fondazione, appena sopra il livello delle acque
sotterranee e dotato di aperture che
garantiscono una ventilazione naturale.
All’interno, i rivestimenti a pavimento
e a parete delle parti comuni e degli ingressi sono in pietra, in modo da conferire agli ambienti una decorosa eleganza.
Nonostante ciò, i costi di costruzione
sono risultati alla fine bassi, con riferimento a un progetto qualitativamente
elevato come questo, risultando di circa
€ 650/m2 (Iva esclusa).
L’opera è stata nominata per i premi
Rietveld e Högerpreis Fritz 2011, oltre
a essere stata presentata in Brasile alla
Biennale di San Paolo. ¶
Roberto Gamba
architetto, libero professionista
Scheda tecnica
Località:
Committente:
Progetto architettonico:
Langerak, Utrecht
Mitros, Utrecht
biq, Rotterdam
(Theo van de Beek,
Marjolein van Eig,
Hans van der Heijden,
Mathieu Kastelijn, Paul Voorn,
Rick Wessels, Manora van Wijck)
Progetto strutturale:
Pieters Bouwtechniek, Delft
Gestione costi:
Bouwhaven, Utrecht
General contractor:
BAM, Utrecht
Progetto e realizzazione: 2004-09
Costo complessivo:
circa 22.000.000 euro,
iva esclusa
Fotografie:
Stefan Müller
Hans van der Heijden Architect
La testata di sette piani.
Planimetria.
23
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
24
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Le fasce marcapiano, lo zoccolo e i portali d’ingresso si distinguono per la finitura più scura dei mattoni.
Nella pagina a fianco: le finestrature continue sono intervallate dalle rientranze delle logge o, verso cortile, dalle balconate-ballatoio.
A destra la testa di nove piani, a sinistra quella di sette, al centro il corpo di quattro.
Profilo dalla Langerakbaan.
25
CIL 152
COMPLESSO RESIDENZIALE A YPENBURG SETTORE 23, (NL), 2004-09
Hans van der Heijden Architect
Gli stadsdelen, letteralmente
«parte di città», sono il più basso
livello amministrativo in Olanda
e sono guidati da un consiglio,
analogo a quello comunale, e da
un comitato, simile alla giunta
con sindaco e assessori. Den
Haag, che possiede un territorio
comunale così esteso da richiedere un frazionamento amministrativo, ha ben otto stadsdelen,
tra cui Ypenburg. Giampiero
Sanguigni spiega, in «Undutchable: l’architettura vista dagli studi
olandesi della nuova generazione» (Meltemi, Roma 2006),
come lo stadsdeel di Ypenburg
sia nato dal nulla in un’area tra
Den Haag e Rotterdam, esattamente dove un tempo si trovava
un campo di aviazione militare
di cui resta memoria grazie a due
grandi canali realizzati laddove si
trovavano le piste.
Il masterplan di Ypenburg (1994)
definisce un’area di espansione
per circa 11.000 unità abitative
articolandosi in due livelli: il
primo interessa il progetto della
rete infrastrutturale e degli spazi
pubblici, di cui si è occupato lo
studio Palmboom & van den
Bout; il secondo riguarda il progetto delle zone residenziali e
commerciali.
Lo studio di architettura biq ha
realizzato lungo uno dei canali
un complesso residenziale con
114 abitazioni. Lo spunto di
partenza del complesso è duplice: in primo luogo, realizzare
delle abitazioni personalizzate in
un contesto suburbano, settore
23 del Piano, e in secondo luogo,
sviluppare un’identità urbana
che caratterizzi la specifica località di Ypenburg. L’immagine del
complesso e dei singoli edifici si fonde
con il disegno degli assi stradali che lo
circondano, attraverso l’uso dei colori,
della forma e del materiale che si ripetono; ma, allo stesso tempo, è fortemente
caratterizzato dall’insolito doppio anello
concentrico di abitazioni, dal fronte
compatto, che genera una prima corte
da cui origina, a sua volta, una seconda
corte, grazie al raccordo degli edifici interni con un muro di cinta. Così facendo
la disponibilità di verde e spazi aperti attrezzati differenzia i due gruppi di edifici: le abitazioni del primo anello hanno
una corte aperta accessibile al pubblico,
in cui lo spazio urbano esterno penetra
consentendo a chiunque di condividere
un ambiente collettivo, con la possibilità
di sedersi, prendere il sole o incontrarsi
nel tempo libero per socializzare; la soluzione adottata prende le distanze dal possibile individualismo che, invece, caratterizza le abitazioni del secondo anello le
quali sono corredate da un giardino più
riservato. Avendo bandito l’automobile
da entrambe le corti è stato realizzato un
piano seminterrato per i garage dei residenti e i parcheggi dei visitatori.
Questa alternanza di edifici esterni e interni, a stecca e a schiera, spezza l’uniformità geometrica e crea visioni prospettiche fra i diversi blocchi.
Sul lato prospiciente il canale si trova
un grande edificio per appartamenti
con copertura piana mentre lungo i restanti tre lati sono collocate delle villette
a schiera con un acuto tetto a falde: il
corpo di fabbrica che si affaccia sul canale si relaziona più direttamente con la
scala urbana, ovvero con gli edifici che in
adiacenza costituiscono il fronte stradale
e con quelli che si trovano sull’opposta
sponda. Mentre la distribuzione degli
spazi interni rende giustizia alla scelta del
nome dello Studio, che sembra si ispira
all’azienda francese che produce oggetti
semplici e di uso quotidiano (penne, ra-
In Ypenburg, in one of the «stedsdelen» of Den Haag, the biq realized an
elementary residential solution but ironic, in which a dual concentric housing
ring generates a double court and all the breakage elements are collected by
the use of a compact front face brick
26
CIL 152
Il fronte ritmato del blocco per appartamenti che si affaccia sul canale.
soi e accendini), l’aspetto esteriore presenta una composizione articolata da
aperture di differenti dimensioni, grandi
tagli, timpani, abbaini, balconi loggiati e
pluviali. Il risultato è di un certo rigore,
seppure frammentato e discontinuo, con
un’omogeneità garantita dall’uso del
medesimo materiale, ovvero quel mattone faccia a vista che ha fatto la storia
dell’architettura dei Paesi Bassi. ¶
Adolfo F. L. Baratta
ricercatore, Università Roma Tre
Scheda tecnica
Progetto:
Localizzazione:
Committente:
Progetto architettonico:
Progetto paesaggio:
General contractor:
Costo complessivo:
Progetto e realizzazione:
Fotografie:
Complesso residenziale
Ypenburg, settore 23
Yperburg, Den Haag (NL)
AM Wonen, Rotterdam (NL)
Biq stadsontwerp
(Irene Edzes,
Hans van der Heijden,
Rogier Kant, Rick Wessels,
Manola van Wijck), Rotterdam
Mixst, Utrecht (NL)
Dura Vermeer, Leidschendam
circa 11.300.000 euro,
iva esclusa
2004-09
Stefan Müller
Hans van der Heijden Architect
La tessitura in laterizio viene cromaticamente esaltata dagli infissi bianchi e il portone d’ingresso verde.
27
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
La collocazione di un secondo nucleo abitativo nella prima corte genera interessanti visioni prospettiche fra i blocchi.
Planimetria dell'intervento.
28
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Prospetto sul fronte strada e sulla corte interna del grande blocco per appartamenti.
Vista A
Vista B
Prospetti verso la corte.
Vista C
29
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Sopra e nella pagina a fianco:
L’aspetto esteriore presenta una composizione articolata da aperture di differenti dimensioni, grandi tagli, timpani, abbaini, balconi loggiati e pluviali.
Prospetti verso l'esterno.
30
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
31
CIL 152
EDIFICI RESIDENZIALI AD HESSENBERG NIJMEGEN (NL), 2005-10
Hans van der Heijden Architect
Ad Hessenberg, una vasta area
situata nel centro storico di
Nijmegen, la città d’origine romana più antica dei Paesi Bassi,
lo studio biq è intervenuto in
quattro contesti urbani attraverso altrettante soluzioni progettuali mirate. Nei così detti
lotti II, III, VII e IX sono state
impiegate soluzioni tipologiche
differenti per i singoli edifici, che
sono occupati essenzialmente da
abitazioni residenziali e alcuni
spazi commerciali, secondo le
linee guida stabilite dal piano
urbanistico redatto da bOb van
Reeth/AWG.
Le architetture dei biq si adattano al «piano» in modo rigoroso ed esemplare con il fine di
dare origine a nuovi e originali
spazi urbani in una delicata ricerca di un complesso equilibrio
scaturito dall’identità del luogo e
dalla singolarità d’ogni volume.
Sebbene i quattro edifici si trovino sparsi nella disposizione
planimetrica riempiendo isolati
vuoti all’interno delle aree d’intervento, e ciascuno abbia piante
e altezze diverse, il risultato finale rimane di grande armonia,
grazie al lavoro svolto dai progettisti per ciò che concerne la
costruzione, i materiali, le proporzioni e i colori delle facciate.
L’immagine unitaria è trasmessa
principalmente dalla composizione dei singoli prospetti, basata
su principi architettonici essenziali, e dall’uso generalizzato dei
mattoni. I basamenti degli edifici, di colore antracite, hanno
altezze variabili a seconda delle
quote delle strade, mentre le
parti superiori, di colore crema
chiaro, propongono aperture
ritmate da lesene, con i sottili marcapiani di cemento bianco. L’edificio situato nel lotto II presenta una tipologia
a corte, con un cortile interno collettivo a forma di «U» in relazione con le
vecchie case del luogo; da qui, tramite
una distribuzione a ballatoio, si accede ai
nuovi appartamenti. L’affaccio sulla via
Lange Hezelstraat, una delle principali
strade commerciali cittadine, avviene
con un piccolo volume leggermente
staccato dal resto del fabbricato.
Il suo fronte riporta, come ricordo
dell’immagine urbana di Nijmegen,
grandi lettere dorate su lastre di pietra, un tempo appartenenti alla facciata
dell’antico giornale locale «De Gederlander», restituendo un certo carattere
monumentale all’intero edificio.
A sud del lotto II sono situati i blocchi
III e IX separati, soltanto, da una stretta
strada intermedia. Il volume dell’area
III, si sviluppa con una tipologia a torre
che ospita numerosi appartamenti di tagli differenti. Dopo il terzo piano posto
sopra il basamento, il corpo dell’edificio arretra per altri cinque piani sul lato
nord; l’ultimo piano è occupato da un
attico, di pianta ancora più ridotta, non
visibile dalla strada.
L’edificio del lotto IX, con una composizione basata su due appartamenti
per piano, offre molte similitudini nel
disegno dei suoi fronti, a eccezione di
quello disposto a est, di color antracite,
con le aperture regolari che assumono
sembianze di semplici tagli per segnalare l’ingresso a un grande parcheggio
sotterraneo.
Infine, il fabbricato del lotto VII, il più
piccolo dei quattro, è un’essenziale costruzione compatta, con una superficie
rettangolare e con un ruolo urbano
rilevante, che fa da cerniera tra due
piazze disposte a quote diverse. I prospetti, simili sui quattro lati, impiegano
gli stessi principi costruttivi e composi-
Four residential buildings and commercial spaces follow the guidelines of a
development plan in the center of Nijmegen in a perfect balance between the
identity of the place and the uniqueness of each volume
32
CIL 152
Pianta con la numerazione dei lotti, con evidenziati
i lotti II, III, VII e IX, oggetto dell'intervento
tivi degli altri edifici. A nord, sulla via
Hessenberg, un portico a doppia altezza
nobilita i tre piani superiori e nasconde
il collegamento con le due piazze laterali: quella a est, con un ampio scalone
di fronte a un vecchio orfanotrofio, e
quella a ovest, sollevata rispetto al livello
della via commerciale.
Il risultato finale dei quattro interventi
di Hessenberg è un insieme di opere,
nominato per il premio Mies van der
Rohe 2013, dove l’architettura si adatta
perfettamente alla struttura urbana e agli
spazi lasciati liberi dalla città senza rinunciare, al contempo, a segnalare la sua
presenza. ¶
Carmen Murua
architetto, libero professionista
Scheda tecnica
Committente:
Progetto architettonico:
Heijmans, Amersfoort
biq, Rotterdam
(Theo van de Beek,
Hans van der Heijden,
Rogier Kant, Wiepkjen Kingma,
Rick Wessels)
Progetto strutturale:
Goudstikker De Vries, Almere
Progetto impianti:
Visietech, Almkerk
Consulenza urbanistica: AWG, Antwerp / MTD, Den Bosch
Progetto del paesaggio: MTD, Den Bosch
General contractor:
Bouwcombinatie Heijmans
Hendriks, Nijmegen
Costi di costruzione:
circa 10.000.000 euro,
iva esclusa
Progetto e realizzazione: 2005-10
Fotografie:
Stefan Müller
Hans van der Heijden Architect
L’edificio del lotto II visto dalla via commerciale Lange Hezelstraat.
Pianta piano terra dell’edificio a corte del lotto II.
33
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Vista del fronte ovest dell’edificio a torre del lotto III.
Fronte sud dell’edificio del lotto IX.
Pianta del piano terra degli edifici realizzati nei lotti III e IX (da sinistra a destra).
34
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
L’edificio realizzato nel lotto VII, visto da nord-est, dalla via Hessenberg.
Pianta piano terra dell’edificio del lotto VII.
Vista verso le vecchie case della città dalla corte interna dell’edificio del lotto II.
35
CIL 152
QUARTIERE LAKERLOPEN A EINDHOVEN (NL), 2006-10
Hans van der Heijden Architect
Sia per la dimensione dell’intervento, sia per le caratteristiche
del progetto, il nuovo quartiere
Lakerlopen mostra forti connotati urbani, profondamente radicati nel passato di Eindhoven.
La storia di questa città è documentata almeno dal 1200 e le
sue origini rurali si riflettono nel
nome: a seconda delle versioni si
traduce in ultima fattoria o forno.
Subito a ridosso del centro cittadino ritroviamo quartieri con
edifici chiusi sul perimetro e
aventi una estesa corte centrale,
caratterizzata dalla consistente
presenza di vegetazione già nelle
singole tipologie edilizie. In
molte di esse è tradizionalmente
presente una quota di spazi aperti
piantumati a uso privato. Le tipologie presenti si sono sedimentate nel tempo, ibridandosi
senza mai tradire i propri contenuti fondanti, anche quando
la vocazione prettamente rurale
ha lasciato spazio all’ingresso
dell’industria, in particolare
dal 1891 con i primi stabilimenti Philips e poi con l’arrivo
della casa automobilistica DAF.
Da alcuni decenni Eindhoven
ospita una prestigiosa Università tecnica, interprete del forte
spirito di sperimentazione e di
riformismo animante la città;
l’università forma un’aggiornata
compagine di progettisti, capaci
d’affiancare i giovani imprenditori nei primi passi della propria attività. Con riferimento
al proprio progetto urbanistico
per Eindhoven, su Arch’it Andrea Branzi, Ernesto Bartolini
e Lapo Lani sostengono che in
quel contesto l’ «imprenditorialità giovanile diffusa richiede la realizzazione di
intensi spazi relazionali, cioè di un mix
urbano dove si sovrappongano indifferentemente residenza, ricerca scientifica,
laboratori, commercio, tempo libero e
produzione agricola. A differenza dei
«vecchi zoning» industriali, la «neweconomy», come attitudine imprenditoriale di massa, non si attua nei campus
separati ma dentro a contesti d’informazioni culturali e critiche, come solo il
mercato urbano può offrire.» Sulla base
di questo assunto i biq rispondono con
un progetto articolato, quanto a tipologie edilizie, offrendo un mix di funzioni ed edifici nell’area complessa su
cui sono chiamati a lavorare. Quest’ultima è caratterizzata da una forma irregolare e non delinea un quartiere geometricamente definito, ma si articola
attraverso alcune ricuciture di isolati, in
«porte» all’accesso delle nuove lottizzazioni variamente estese e in ricostruzioni di fronti stradali. Nel rispetto del
vocabolario dell’architettura della città,
i progettisti scelgono la varietà delle tipologie edilizie reinterpretando le fattezze del costruito storico: residenze a
schiera, a patio, a ballatoio, si alternano
contaminandosi vicendevolmente. Rimangono le costanti del tetto a falde per
quasi tutte le tipologie proposte, e del
mattone faccia a vista. Mattone e tegole
si abbinano con il medesimo colore
arancio; evidenziano in questo modo i
nuovi corpi di fabbrica, distinguendoli
dalle preesistenze di colore più scuro,
principalmente rosso o marrone. Il laterizio, con contenute intromissioni di altri materiali, costituisce il vero comune
denominatore fra la nuova architettura
e la città consolidata. ¶
Alberto Ferraresi
architetto, libero professionista
The project reworks traditional building types, proposing a mix of both formal,
both in terms of uses. This is an effective strategy to meet the diverse geometric
characteristics of the area, both to accommodate the Eindhoven vocation
to research and innovation
36
CIL 152
Accomunate dal medesimo linguaggio di forme
e materiali, le tre tipologie abitative definiscono
un crocevia urbano all’interno dell’area d’intervento.
Nella pagina a fianco:
la planimetria generale mostra la complessità geometrica
dell’area, lasciandone intuire i contenuti compositivi.
Scheda tecnica
Committente:
Progetto architettonico:
Woonbedrijf, Trudo/DNC, Eindhoven
biq, Rotterdam (Hans van der Heijden,
Mathieu Kastelijn, André Kwakernaak,
Helen Webster, Rick Wessels)
Progetto strutturale:
Van de Laar, Eindhoven
Progetto impianti:
Nelissen, Eindhoven
Consulente urbanistica: MUST, Amsterdam
Progetto paesaggio:
Mixst, Utrecht
Controllo costi:
Ter Haar, Schiedam
General contractor:
Van Bree, Someren
Costi di costruzione:
circa 17.000.000 euro, iva esclusa
Progetto e realizzazione: 2006-10
Fotografie:
Stefan Müller
Hans van der Heijden Architect
37
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Due nuovi volumi verticali, come una porta, segnalano l’ingresso alla riqualificazione interna del quartiere.
La reinterpretazione delle tipologie tradizionali permette di individuare chiaramente la citazione del progetto; i colori degli impasti laterizi distinguono il nuovo dalle preesistenze.
38
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
I balconi e i piccoli giardini a terra non sono che due esempi della misura d’uomo a cui si orienta l’esteso progetto urbano.
Le residenze con ballatoio al piano primo.
Le dotazioni di verde, pubblico e privato, riconducono l’intervento alla misura d’uomo.
39
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
In alto:
Il dettaglio precisa i rapporti dimensionali fra i paramenti
in laterizio e le stratigrafie retrostanti.
A sinistra
La tessitura muraria, pur nell’unica testa di spessore,
simula la maggior profondità con elementi ortogonali
alla direzione del muro, posati come fossero diàtoni.
Nella pagina a fianco in alto:
Una delle soluzioni di testata permette d’apprezzare
l’articolazione tipologica e formale dell’intervento.
Nella pagina a fianco in basso:
La ripetitività della tipologia a schiera su strada è
stemperata dalle differenti altezze dei volumi; il ritmo
di quest’alternanza e i rapporti dimensionali fra aperture
e murature richiamano quelli delle adiacenze.
40
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
41
CIL 152
COMPLESSO RESIDENZIALE A GRAUWAART, (UTRECHT), (NL), 2007-11
Hans van der Heijden Architect
Il distretto Leidsche Rijn di
Utrecht (NL), rappresenta una
zona di forte espansione urbana.
A seguito dell’accordo di programma Vinex avviato nel 1988,
nell’area è previsto per il 2025
l’insediamento di circa 80.000
nuovi residenti.
Secondo il masterplan complessivo a opera di Franz Ziegler, il
cuore dell’intervento è costituito da un ampio parco pubblico
situato in posizione centrale,
con funzione di snodo tra la dimensione rurale dello spazio a
ovest e quella più marcatamente
urbana a est. Attorno alla zona
verde, è prevista la distribuzione
di isolati a elevata densità edilizia
– da progettare a cura di diversi
studi – articolati secondo la tipologia dei «blocchi a corte» e
caratterizzati da forte eterogeneità, nella volontà di evocare lo
spirito della Rotterdam del XIX
secolo.
In tale macroscopica operazione
urbanistica, attualmente sono
stati realizzati soltanto alcuni
interventi grazie all’iniziativa di
alcune cooperative di abitazione.
Tra questi, rientra il quartiere di
Grauwaart, situato a ovest del
comparto e connotato da due
monolitici complessi a «C», progettati l’uno dall’architetto Korth
Tielens e l’altro da biq. Entrambi
i blocchi sono distribuiti attorno
a una corte centrale, alberata, che
ospita i parcheggi.
L’intervento di Korth Tielens
riguarda le case a schiera a tre
piani prospicienti la zona verde
a ovest; quello di biq interessa il
complesso per appartamenti a 4
Vista del complesso da sud.
e 5 piani distribuiti nel corpo di fabbrica
principale, con affaccio sulla trafficata
arteria carrabile a est, e nelle due testate
laterali a nord e a sud, in contiguità con
le case a schiera.
Nonostante la dimensione monumentale e l’omogeneità dei materiali (laterizio beige nei paramenti esterni, alluminio anodizzato negli infissi, calcestruzzo
prefabbricato nei balconi), l’intervento
rivela una notevole varietà espressiva
grazie al gioco dei volumi, alla vivacità
degli alzati, al taglio differenziato degli
alloggi.
Il fronte a est è caratterizzato da un rigoroso blocco complanare: i varchi di
accesso alla distribuzione verticale e alla
corte interna tripartiscono l’impaginato
secondo una chiara logica compositiva;
il gioco di alternanza tra volumi a 4 e
5 piani e tra le tipologie delle bucature
determina una ritmica serrata ma vivace.
Le testate sud e nord sono caratterizzate da un maggiore dinamismo volumetrico grazie al vibrante contrasto tra
aggetti e rientranze.
La considerevole varietà nei tagli degli
alloggi garantisce un’elevata offerta abitativa in grado di soddisfare il più ampio
bacino d’utenza, a beneficio di una reale
mixité sociale.
The project is part of an impressive urban expansion and concerns the
construction of a residential complex structured according to a court
scheme. The buildings put up row houses, designed by Korth Tielens, and
apartments of various sizes, designed by biq. The work is not «out of scale»
thanks to the vivid rhythm of the volumes and of the openings,
the attention to detail, the materials and the urban furniture
42
CIL 152
Nonostante il carattere di unitarietà e
la dimensione «monumentale» (propria
della più consolidata tradizione edilizia
olandese), l’opera appare forte e vigorosa
ma allo stesso tempo non «fuori scala».
L’intervento si qualifica, infatti, per una
particolare cura dei dettagli, dagli elementi di arredo urbano, alla scelta della
vegetazione, allo studio delle visuali prospettiche che penetrano la cortina edilizia, alla qualità dei materiali.
Il risultato è un’opera concepita per durare e garantire una effettiva qualità abitativa, secondo un approccio culturale
rigoroso e ben poco incline alla retorica
e ai capricci delle mode. ¶
Chiara Testoni
architetto, dottoranda in Tecnologia dell’Architettura,
Università di Ferrara
Scheda tecnica
Localizzazione:
Leidsche Rijn (Utrecht, NL)
Committente:
Bo-Ex, Utrecht
Progetto architettonico: biq Rotterdam
(Theo van de Beek,
Hans van der Heijden,
Mathieu Kastelijn,
Paul Voorn, Helen Webster,
Rick Wessels);
Korth Tielens, Amsterdam
Progetto strutturale:
Konstruktieburo
Krabbendam-Boerkoel,
Soest
Progetto impianti:
VIAC, Houten
Consulenza urbanistica: Franz Ziegler, Rotterdam
Progetto del paesaggio: Mixst, Utrecht
General contractor:
Van Bekkum,
Hooglanderveen
Controllo costi:
Bouwhaven, Barendrecht
Progetto e realizzazione: 2007 – 2012
Costi di costruzione:
circa 15.500.000 euro,
iva esclusa
Fotografie:
Stefan Müller
Hans van der Heijden Architect
Vista del complesso da nord.
Pianta piano secondo.
Pianta piano terra.
43
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Dettaglio costruttivo.
44
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Vista del complesso da sud.
Scorcio verso la corte interna.
Dettaglio della facciata.
45
CIL 152
UNITÀ ABITATIVE A TRANSVAAL, L’AIA (NL), 2006-13
Hans van der Heijden Architect
Den Haag, terza città olandese
per grandezza e sede di oltre
centocinquanta prestigiosi enti
giuridici e diplomatici internazionali, del Governo dello Stato
e della residenza ufficiale della
Casa reale, è suddivisa in otto
stadsdelen (letteralmente «parti
di città»), ovvero, le ripartizioni
amministrative che raggruppano
i numerosi quartieri cittadini. Il
Den Haag Centrum, che fisicamente occupa il centro della
città, è formato, a sua volta, da
nove distretti, tra i quali anche
quello di Transvaal, popolato
da circa 20.000 abitanti, e il cui
nome sembra sia da associare
addirittura alla Seconda guerra
boera combattuta in Sudafrica.
Il distretto, caratterizzato da una
forte multietnicità (il 90% degli
abitanti), è stato per un lungo
periodo abitato dalla popolazione appartenente alle classi
sociali medie e meno abbienti,
anche se negli ultimi anni, grazie
all’opera di riqualificazione in
atto, assistiamo a un fenomeno
di gentrificazione sociale.
Il progetto dei biq denominato
Morgenzonlaan – in onore alla
principale strada carrabile sulla
quale sono affacciate le quattro «testate» che contraddistinguono l’intervento, e che, in
orizzontale, secondo l’orientamento est-ovest, delimita il lato
sud dell’area – si inserisce a perfezione nel programma generale
di ristrutturazione urbanistica e
sociale del distretto.
Dentro una grande area composta in maggioranza da case
unifamiliari a schiera, suddivisa
in quattro isolati di forma rettangolare, i biq propongono al-
cuni puntuali interventi di «ricucitura»
urbana che rispecchiano appieno la loro
politica progettuale: realizzare «normali»
alloggi di qualità per le persone di tutti i
giorni nel rispetto della tipologia, degli
aspetti formali e delle tradizioni costruttive del luogo.
All’interno dei quattro isolati gli interventi sono concentrati nelle estremità
meridionali, in cui si trovano ubicati
gruppi di alloggi che danno luogo a
unità abitative autonome, alte tre piani,
formate da 9, 8 e 7 case a schiera a seconda delle dimensioni dei singoli lotti.
I tre volumi realizzati, pur nella loro diversità morfologica, costituiscono interessanti esempi d’architettura con forti
caratteristiche d’unità tipologica e progettuale.
Caso a parte costituisce, invece, l’isolato
più a est, che si trova in una posizione
planimetrica particolare, quasi prospiciente alla Kaapstraat, la strada di scorrimento urbano veloce che da sud lo
incrocia creando uno snodo del trafficopiazza triangolare. La soluzione compositiva e architettonica proposta dai biq
si focalizza sull’angolo d’incontro delle
bisettrici viarie enfatizzando l’eccezionalità del sito attraverso la costruzione di
un volume con un’altezza maggiore (5
piani), una soluzione tipologica (appartamenti, invece di alloggi unifamiliari) e
una forma esteriore (i due fronti stradali
sono caratterizzati dalla presenza di lunghi balconi) diverse dal resto dell’intervento. All’edificio ad angolo sono uniti,
a ovest e a nord, dei gruppi di case a
schiera, costituite rispettivamente da 5
e 15 unità.
Completa l’opera di Morgenzonlaan
una lunga «striscia», parallela alla strada
centrale d’attraversamento nord-sud,
composta da ben 34 unità a schiera, che,
per rompere la quasi inevitabile uniformità del disegno, è stata suddivisa,
solo formalmente, in parti con altezze
In Transvaal, Den Haag, some architectural projects recompose
the existent blocks urban design through design works
of row houses blocks and an original corner building
46
CIL 152
e profondità lievemente differenti ed è
caratterizzata da una leggera variazione
dei prospetti.
Il fronte standard affacciato su strada,
alto tre piani, presenta un’impostazione classica simmetrica – a parte, ovviamente, l’episodio di una sola porta
d’entrata – suddiviso in due porzioni
contrassegnate da aperture vetrate tripartite; conclude la composizione un
elemento finale (il top), una funzionale
apertura d’emergenza per l’acqua e la
neve convertita dai progettisti in un elemento decorativo.
Il disegno dei prospetti è contraddistinto
dall’utilizzo di mattoni in laterizio di diversi colori e posati con modalità differenti; queste parti autonome, colorate e
con un disegno geometrico reso più rigoroso dalla sovrapposizione ortogonale
delle fughe dei mattoni stessi, contribuiscono a rendere l’immagine complessiva dei singoli fronti molto più «ricca»
ed elaborata. Le 86 unità abitative (78
case a schiera e 8 appartamenti) sono
attualmente in fase di ultimazione e si
prevede che i primi alloggi siano pronti
nelle prossime settimane. ¶
Igor Maglica
phd, architetto e giornalista
Schizzo di studio.
Hans van der Heijden Architect
Vista da sud-est dell’edificio d’angolo. Render.
Planivolumetrico dell’intervento, orientato a nord.
47
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Fronte sulla Morgenzonlaan dell’edificio d’angolo. Render.
Tavola con i diversi fronti stradali. In alto, vista d’insieme sulla via Morgenzonlaan.
48
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Modello a grandezza naturale realizzato in cantiere di una porzione di facciata tipo.
Campioni di diversi colori di mattoni utilizzati.
Scheda tecnica
Committente:
Progetto architettonico:
Progetto strutturale:
Progetto impianti:
General contractor:
Costi di costruzione:
Progetto e realizzazione:
Fotografie:
ERA Contour, Zoetermeer
biq, Rotterdam
(Theo van de Beek, Marcel Berghout, Sacha Buck,
Carl Greveling, Hans van der Heijden, Rogier Kant,
Francesca Poli, Helen Webster, Rick Wessels)
Brekelmans, Maastricht
LBP, Nieuwegein
ERA Contour, Zoetermeer
circa 9.000.000
euro, iva esclusa
2006-13
Stefan Müller
49
Render di una porzione del fronte tipo affacciato su strada.
CIL 152
L'intervista
Hans van der Heijden Architect
Igor Maglica*
Colloquio con
Hans van der Heijden
dello studio biq
Hans van der Heijden e Rick Wessels conducono dal 1994 lo studio di
architettura biq. Qui di seguito, van der Heijden risponde ad alcune brevi
domande che tendono a illustrare in maggior misura la «filosofia» progettuale
del gruppo olandese.
Anche adesso che la vostra opera è parte integrante della storia dell’architettura olandese, e pure se vi accostate a una certa tradizione architettonica
nazionale, non siete molto pubblicati «in casa», come, invece, succede ad
alcuni architetti «alla moda». Come vivete questa contraddizione? Essa costituisce una motivazione in più per il vostro futuro lavoro?
usino intenzionalmente forme architettoniche «riduttive» (non astratte e/o
C’è un aneddoto su J.J.P. Oud, il quale, proprio come H.P. Berlage,
parlava e scriveva fluentemente in tedesco. Cento anni fa i Paesi
Bassi si concentravano molto sulla cultura architettonica dell’Europa centrale. Gli architetti olandesi guardavano verso Oriente.
Amavano costruire solide strutture in mattone, pietra e cemento.
Eppure, intorno alla Seconda Guerra mondiale, Oud comprese che
l’inglese stava divenendo il linguaggio dell’architettura moderna e
incominciò a impararlo attraverso la lettura di romanzi polizieschi.
La sua padronanza dell’inglese segnò una svolta. Dopo quel momento, le fantasie di «sugarmodernismo» olandese si allontanarono
dall’influenza centro-europea. Gli architetti olandesi, ora, rivolgono
lo sguardo verso Occidente, meravigliati dal mondo inglese, dalle
illimitate possibilità delle strutture in acciaio e dal peso leggero del
loro rivestimento.Tuttavia, l’industria edile olandese non è cambiata
così drasticamente ed è rimasta attaccata al modus operandi del
costruire solidi edifici in pietra. Senza voler essere evangelico: ciò
chiaramente non può essere negato da quegli architetti olandesi che
amano costruire edifici durevoli nel tempo.
assenti da caratteri ornamentali) estratte dalla realtà urbana circostante. Le
Molti interventi illustrati nelle pagine precedenti sono stati realizzati in si-
opere da voi progettate riflettono appieno il vostro pensiero architettonico
tuazioni urbane fortemente caratterizzanti. Questo costituisce un incentivo
polarizzato principalmente sul quotidiano, invece che nella ricerca dello
in più per cercare nuove soluzioni tipologiche, basta rispettare i perimetri
spettacolare a tutti i costi?
del blocco urbano?
La forma «riduttiva» è un modo per raggiungere un senso di generalità. Quando si tolgono le decorazioni di una casa, il progetto
sta più nell’impressione di chi poi l’osserva che nelle intenzioni o
nell’abilità artistica del suo creatore. La realizzazione, poi, si spera, si
avvicina a un’idea condivisa della casa. Speriamo che questo tipo di
case si adatti facilmente alle esigenze di chi le abita e sia più capace di
assimilarne i gusti. Gli edifici dovrebbero essere concepiti per affrontare anche tragedie e melanconia. Quando progettiamo un alloggio
lo immaginiamo come un luogo di gioia e piaceri, ma anche di
sofferenza e dolore. Una casa è il luogo dove le persone nascono e
muoiono; fa anche da scenario ai funerali.
Le soluzioni tipologiche non nascono mai come un evento a sé
stante. La gamma di un blocco urbano può essere espressa in molti
modi diversi. Questioni banali, come la necessità sempre maggiore
di parcheggiare le automobili nel tessuto urbano, provocano la sua
innovazione. Il blocco formato da un insieme di alloggi, giardini e
parcheggi va oltre soluzioni già note. Ci piace compararle con i superblocchi londinesi del diciannovesimo secolo. Le scuderie dell’epoca erano il risultato del benessere raggiunto dalla nuova classe
borghese e ospitavano le stalle per i loro cavalli e i servitori. In molti
dei nostri progetti, il cortile interno del blocco è utilizzato come
parcheggio e posteggio delle biciclette. Dal momento che l’ingresso
sul retro della casa è usato con più frequenza di quello sul davanti,
è cambiata la concezione pubblica di fronte e retro. La tendenza è
quella di far divenire sempre più formale quello anteriore.
Si può affermare che la vostra architettura privilegi volutamente il quotidiano e l’ordinario, quello che potremmo chiamare come una «storia minore» costituita dalla vita d’ogni giorno delle persone, realizzando progetti
non spettacolari, ma attenti al contesto e alle esigenze reali della gente?
Chi siamo noi per poterci definire in grado di comprendere le esigenze reali delle persone? L’ossessione di gran parte dell’architettura
d’oggigiorno è affermare la propria importanza nel più definitivo
e indiscutibile dei modi. Ovviamente, di conseguenza, le idee non
possono più essere di poco rilievo. Rick e io non esaltiamo l’ordinario e certamente non lo interpretiamo, né cerchiamo di farlo col
fine di elaborare un giudizio personale su azioni o pensieri della
gente comune. Non siamo Herman Hertzberger. Siamo interessati a
tutto quello che condividiamo. Crediamo fermamente nel concetto
di generalità in architettura, nella quale s’incrociano le espressioni
della cultura popolare con quella più aulica. Non ci limitiamo alla
riproposizione di nessuna delle due.
Questo si manifesta nell’immagine esterna dei vostri progetti che sembra
«We are interested in the things that we share. We strongly
believe in the notion of generality in architecture in which the
manifestations of low and high culture meet. We don’t restrict
ourselves to a revamp of either of the two»
50
Crede nella funzione sociale dell’architettura e che, quindi, essa possa
avere un effetto sulla società in cui viviamo? Qual è la funzione principale
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
dell’architetto: captare e interpretare le esigenze provenienti dalla società,
cercare di «educare» le persone proponendo nuovi modi di abitare, o altro?
Sì e no. No, nel senso che l’architettura è una tecnica che dovrebbe
avere la possibilità di venire studiata, insegnata e celebrata in maniera
autonoma. E no, perché l’architettura intesa come veicolo di messaggi a carattere politico afferma tutto e niente. È un mezzo troppo
astratto per la retorica. Ma sì, nel senso che non vi è bisogno di dire
che la professione esiste solo grazie alle richieste fatte agli architetti.
A parer mio, gli architetti non possono mai essere abbastanza precisi
nelle negoziazioni sui loro progetti e distribuire lo spazio in cui fare
la differenza. Se esiste un qualcosa di progressivo nel lavoro degli
architetti, sarà inevitabilmente ispirato da decisioni razionali, dalla
ricerca di fatti e da un congruo dibattito e dipenderà di gran lunga
meno dalle buone intenzione del solo creatore, o peggio ancora, da
politiche di simboli. Gli architetti dovrebbero porsi dei limiti. Essi
possono, infatti, assumersi la responsabilità di solo una piccola parte
dell’intervento effettivo.
Qual è la situazione in cui si trova un giovane architetto che sta iniziando la
professione in Olanda? Qui in Italia abbiamo l’impressione che, per molti
versi, nonostante la crisi economica presente in numerosi paesi europei, da
voi ci siano grandi opportunità per poter costruire.
Sono pochi i paesi in cui le difficoltà e gli ostacoli per gli architetti
sono così limitati come in Olanda. È d’uso comune che le imprese
edili si assumano la responsabilità per la buona riuscita tecnica della
realizzazione. Queste ultime costituiscono ormai i veri esperti per
ciò che concerne gli aspetti tecnici della costruzione. Paradossalmente, questa pratica ha reso il mercato olandese più accessibile per
i giovani architetti e, non dimentichiamocene, anche per architetti
stranieri come Alvaro Siza, Hans Kollhoff e i fratelli Krier. L’esperienza degli architetti non è così fondamentale quando sono gli
imprenditori ad averla. L’altro fattore è che l’architettura e la progettazione sono il punto forte del programma politico del governo
olandese. Sebbene l’unione tra gli architetti non può essere vista
da nessuna parte, questa «industria culturale» (come comunemente
viene chiamata) è attivamente promossa all’estero dai diversi ministeri. E vi è anche un generoso sistema di borse di studio di supporto
alla ricerca non accademica, alle pubblicazioni o ai dibattiti.Anche in
questo caso, sono agevolati gli studi di architettura più piccoli e giovani.Tuttavia, è evidente che questa pratica ha impedito all’Olanda
di sviluppare una cultura architettonica che vada oltre l’immagine e
la coltivazione di storie e personalità. Gli architetti olandesi si sono
abituati molto bene a saltare oltre gli ostacoli che i capitani dell’«industria culturale» pongono al loro passaggio. I miei sentimenti
sono contrastanti riguardo a questa situazione!
Che rapporto avete con i clienti, credo, quasi tutti olandesi? Secondo la tua
esperienza, sanno quale architettura progettate e qual è la vostro posizione
riguardo all’architettura attuale? Inoltre, cercano, come tanti altri clienti, di
darvi «suggerimenti»? E, alla fine, appaiono soddisfatti, o semplicemente
preoccupati dalla realizzazione del profitto?
I nostri clienti olandesi sono soddisfatti degli edifici una volta terminati ma, alle volte, hanno difficoltà a immaginare il volume quando
è ancora in fase di progettazione. «Il film è meglio del libro», una
51
volta ci disse uno di loro. Ciò può essere dovuto ai materiali «forti»
che amiamo usare. I mattoni che utilizziamo, per esempio, sono terribilmente complicati da rendere nelle rappresentazioni al computer. Avevamo una relazione più profonda con i clienti del Bluecoat
arts centre di Liverpool. Bryan Biggs era un visual artist, Charlotte
Myrhum un architetto d’esperienza. Normalità, realismo e generalità non sono concetti alieni al mondo dell’arte dopo AndyWarhol e
Sol LeWitt. Quando ci proponemmo per il lavoro, fummo i soli tra
i settanta partecipanti a proporre la continuazione del monumento
esistente in mattone nella nuova ala e aspirarando ad un’armonia e
coesione generale piuttosto che a una giustapposizione di stili differenti. Mostrammo delle fotografie del Convento di Sant’Angelo
a Milano (nella foto) progettato da Giovanni Muzio e nessuno fu
in grado di stabilire a che epoca risalisse. Bryan e Charlotte ci sollecitarono a dare rilievo nella nostra architettura a quest’aspetto senza
tempo. Bryan fu il nostro primo e ultimo cliente a dire: «Tu mi hai
perso. Non ho idea di cosa stai parlando. Ma se pensi che sia importante come dici, allora fallo e non cercare nessuna via di mezzo».
Il fatto che usiate il mattone così tanto deriva dalla situazione oggettiva
in quanto progettate principalmente in Olanda paese noto per la sua ricca
tradizione di esempi d’architettura in laterizio? O, anche, da altre considerazioni che riguardano le molte qualità costruttive di questo materiale?
Il mattone è un materiale meraviglioso che si deteriora lentamente.
La muratura in mattoni del nostro social housing in Lakerlopen
non esprime un’abilità artistica. Non ci sono ornamenti e nessuna
adesione d’unitarietà tra le parti. Non possiamo più farlo in altri
esempi di housing. Al massimo ci si potrà avvicinare. I giunti orizzontali delle pareti di Lakerlopen sono incavati e rientranti di 8 mm,
mentre quelle verticali non sono riempiti. Come risultato, abbiamo
ricavato delle forti linee d’ombra orizzontali che possiedono una
«somiglianza» con la tradizionale costruzione in mattoni che poteva
essere precedentemente trovata sul luogo. I mattoni color arancione,
per nulla schiarito, offrono una composizione oltremodo apprezzabile. Siamo convinti che le possibilità tecniche ed estetiche che
questo materiale è in grado di offrire non siano per nulla esaurite.¶
(Traduzione di Ander Maglica)
*Igor Maglica
phd, architetto e giornalista
CIL 152
Dettagli
Hans van der Heijden Architect
Andrea Campioli *
Laterizio senza tempo
Il progetto di biq per il quartiere De Grienden, alla periferia di Puttershoek, propone una
ricca articolazione di edifici residenziali caratterizzata da una raffinata reinterpretazione
dei tipi e delle tecniche della tradizione olandese
I
l progetto sviluppato da biq nel quartiere De Grienden
alla periferia della piccola cittadina di Puttershoek, situata
nelle immediate vicinanze di Rotterdam, è costituito da un
complesso sistema insediativo costituito da 170 alloggi e un
centro medico, realizzati nel corso di undici anni. La quarta fase,
completata nel 2007, prevede una serie di volumi organizzati
intorno a una piazza centrale e ad alcune corti allungate, che
formano l’asse del nuovo insediamento. Questo asse è completamente libero dal traffico veicolare e stabilisce una connessione
con il limitrofo parco urbano, al cui confine sono situate quattro
ville urbane, parte integrante del progetto.
I corpi di fabbrica che si affacciano su tale asse presentano
differenti tipologie. Ma sia che si tratti di case isolate, a schiera
oppure di ville bifamiliari, gli edifici si sviluppano sempre su
tre livelli: un piano terra e due livelli superiori, contenuti in un
tetto a due falde simmetriche.
La peculiare articolazione degli spazi collocati al secondo livello caratterizza l’intero progetto: seguendo ritmi che cambiano nelle diverse tipologie, essi sono in parte contenuti nella
falda e in parte la intersecano, determinando, localmente, una
doppia altezza del fronte. Il profilo è poi sottolineato da elementi in calcestruzzo a vista che corrono, orizzontalmente e
verticalmente, senza soluzione di continuità, lungo il prospetto
in laterizio dell’intero corpo di fabbrica. Ne risultano fronti
continui con diverse altezze, delimitati da linee spezzate che
sembrano ritagliare il piano inclinato della falda di copertura.
Dal punto di vista costruttivo, molteplici sono gli aspetti interessanti del progetto: i solai sono realizzati con lastre prefabbricate e getto di completamento in opera; le chiusure sono
costituite da una muratura interna in blocchi, da un’intercapedine isolata e da una muratura esterna in mattoni faccia a
vista; il tetto a falde è composto da pannelli in legno intelaiati
e isolati rivestiti da un manto di copertura in tegole. Le cornici
che profilano le murature esterne sono costituite da elementi
prefabbricati in calcestruzzo armato a vista, ancorati con staffe
metalliche ai solai. Occorre sottolineare come il contrasto tra
queste ultime e la muratura in laterizio costituisca una ripresa
The biq project for the De Grienden neighborhood, at the
outskirts of Puttershoek, offers a rich articulation of residential
buildings characterized by a refined reinterpretation of the
types and techniques of the Dutch tradition
70
del tema tettonico presente in tutte le fasi di realizzazione
dell’articolato progetto insediativo. Ed è proprio questo tema
che ha richiesto una particolare attenzione nello sviluppo del
dettaglio costruttivo laddove la muratura e il manto in tegole
vengono interrotte dalla cornice cementizia.
Se per certi versi le scelte tipologiche e formali del progetto
possono essere ricondotte ai caratteri dell’architettura rurale
olandese, occorre altresì sottolineare come esso presenti una sua
assoluta originalità nell’organizzazione volumetrica e nel peculiare rapporto tra il fronte dell’edificio e le falde della copertura.
Anche dal punto di vista costruttivo, il legame con la tradizione olandese appare con evidenza, soprattutto nell’impiego
del laterizio faccia a vista per la realizzazione delle murature
esterne. Ma non mancano elementi di chiara innovazione, che
dimostrano una particolare attenzione dei progettisti nei confronti delle potenzialità delle più aggiornate soluzioni costruttive di matrice industriale. Gli edifici sono infatti connotati
da un elevato livello di ibridazione tecnologica che si palesa
nell’uso promiscuo di prefabbricazione e costruzione in cantiere, nell’accostamento di soluzioni massive (per le chiusure)
a soluzioni leggere (per la copertura) e nell’aperta dialettica tra
materiali tradizionali e materiali della modernità. D’altra parte,
in un’intervista rilasciata a Hans Ibelings, Hans van der Heijden,
uno dei fondatori di Biq, affermava che: «due cose sono oggi
necessarie. Gli architetti dovrebbero ritornare a occuparsi della
costruzione, familiarizzare nuovamente con gli appalti, con
l’organizzazione del processo, con le specifiche tecniche. L’altra
cosa è che dovrebbero prestare maggior attenzione alla «piccola
storia». Non al mondo dei grandi ideali, delle grandi idee e
dell’avanguardia, ma al «qui» e «ora»; al problema di riqualificare
un determinato edificio o di rinnovare un certa periferia con
un’attenzione specifica per il luogo e senza spettacolarizzazioni. Entrambi questi aspetti, la conoscenza della costruzione
e la piccola storia, sono al contempo ideologici e pragmatici».
Si comprende allora come il progetto «De Grienden» possa essere considerato rappresentativo dell’intera ricerca architettonica
di biq, una ricerca radicata nella profonda conoscenza del costruire e al contempo protesa alla rielaborazione delle invarianti
tipologiche e materiche della cultura del luogo, al fine di situare
il progetto in un presente senza tempo...¶
* Andrea Campioli
professore ordinario, Politecnico di Milano
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Biq,
progetto
De
Grienden,
Puttershoek,
Rotterdam,
Olanda,
2007
Dettaglio 1
Sezioni verticale, orizzontale e prospetto
dell’ingresso collocato sulle testate degli
edifici.
Descrizione
L’apertura della porta di ingresso, ricavata
sulle testate dei corpi di fabbrica, è sottolineata da una cornice prefabbricata in calcestruzzo armato a vista aggettante rispetto al filo
della facciata. Il tamponamento è costituito
da una muratura interna in blocchi e da una
muratura esterna in mattoni faccia vista con
un’intercapedine isolata. La muratura presenta una tessitura a cortina.
Legenda
1. muratura in mattoni faccia a vista
2. isolante
3. cornice prefabbricata in c.a.
4. muratura interna in blocchi
5. pannello di chiusura in legno
6. staffa di fissaggio della cornice in c.a.
7. porta
8. cordolo in c.a.
9. soglia in pietra
10. isolante a cellule chiuse
11. solaio in calcestruzzo alleggerito
Planivolumetrico complessivo e scorcio dell’intervento.
Prospetto della testata tipica dei corpi di fabbrica.
71
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Biq,
progetto
De
Grienden,
Puttershoek,
Dettaglio 2
Sezione verticale e prospetto in corrispondenza della porta di ingresso collocata sul
fronte lungitudinale e sezione verticale del
colmo del tetto.
Descrizione
Il secondo e il terzo livello dell’edificio sono
contenuti all’interno di un tetto a due falde
simmetriche. La struttura del tetto è costituita
da una pannellatura in legno intelaiata e isolata ed è protetta da un manto in tegole. La
gronda del tetto è in calcestruzzo armato ed è
parte integrante della cornice che si sviluppa
lungo l’intero fronte dell’edificio. La muratura
in mattoni, al di sopra del vano porta, è sostenuta da un profilo ad «L» di acciaio.
Legenda
1. manto di copertura in tegole
2. struttura della copertura in pannelli di
legno
3. gronda prefabbricata in c.a.
4. architrave ad «L» in acciaio a sostegno
della muratura in mattoni
5. pannello di chiusura in legno
6. solaio parzialmente prefabbricato
7. porta
8. muratura in mattoni faccia a vista
9. solaio in calcestruzzo alleggerito
10. isolante a cellule chiuse
11. soglia in pietra
12. Pavimentazione in calcestruzzo
Sezione trasversale e vista di una testata.
72
CIL 152
Rotterdam,
Olanda,
2007
Hans van der Heijden Architect
Biq,
progetto
De
Grienden,
Puttershoek,
Rotterdam,
Olanda,
2007
Dettaglio 3
Sezione verticale e prospetto in corrispondenza del volume a due piani con le porte
finestre.
Descrizione
L’articolazione volumetrica dell’edificio è sottolineata da una cornice realizzata con elementi prefabbricati in c.a. che si sviluppa
senza soluzione di continuità collegando le
linee di gronda collocate ad altezze differenti.
Ognuna delle porzioni a doppia altezza presenta due porte-finestre al primo piano e due
finestre al piano terra. In corrispondenza del
telaio superiore dei serramenti è alloggiato
un dispositivo per la ventilazione degli
ambienti interni.
Legenda
1. elemento orizzontale prefabbricato in
c.a.
2. isolante
3. solaio parzialmente prefabbricato
4. elemento verticale prefabbricato in c.a
5. porta finestra in legno
6. muratura in mattoni faccia a vista
7. parapetto metallico
8. pannello di chiusura in legno
9. dispositivo per la ventilazione
10. architrave ad «L» in acciaio a sostegno
della muratura in mattoni
Vista e dettaglio del fronte longitudinale.
I disegni sono stati elaborati da Davide Mondini sulla
base della documentazione cortesemente messa a
disposizione dai progettisti.
73
CIL 152
Sul contestualismo
architettonico
Operare nella
città moderna
Ristrutturazione
di una città giardino
Sconfinamento tra
architettura e arte
Il libro, insieme manuale e «manifesto» teorico, si inserisce nel dibattito
su conservazione e modernizzazione
delle aree urbanizzate.
Lo studio, che ha avuto come referenti scientifici David Dunster e
Wim Platvoet, ammettendo la non
esistenza di norme e ricette da utilizzare allo scopo, ribadisce la necessità
di legare analisi della città esistente
e progettazione e di individuare le
regole che la sottendono.
Soprattutto nei Paesi Bassi, la tendenza è stata quella di demolire la
città post-bellica, di ricostruirla
secondo la moda contemporanea,
senza motivare minimamente questo metodo operativo.
L’autore, direttore dello studio biq di
Rotterdam, volendo comunque individuare aspetti metodologici per la
progettazione, propone realizzazioni esemplificative di quattro famosi
architetti europei.
Mappa e definisce il campo del contestualismo architettonico, fissando
come punti di riferimento: la storia
e le sue tendenze recenti; il dibattito conseguente al tema del rinnovamento; quei progetti che hanno condiviso l’atteggiamento di non falsificazione delle identità e che hanno
proposto un’indagine empirica della
realtà, facendo riferimento agli insegnamenti del nostro Aldo Rossi.
Ogni progetto viene sviluppato sia
alla scala architettonica che a quella urbana, con riferimento al rinnovamento di manufatti storici a un
insieme di isolati, mescolando nuove costruzioni, restauro e progetto
del paesaggio, abitazioni.
Il libro, edito in olandese e in inglese, è stato concepito dallo studio
biq in relazione alle tematiche della pratica del costruire.
Si compone di due saggi, di uno
scritto intervista di Ellis Woodman
(redattrice della rivista inglese BD –
Building Design e critico di architettura per The Telegraph) e della
presentazione di cinque progetti di
rigenerazione della città, documentati dalle fotografie di Stefan Müller.
Considera gli aspetti e i problemi
della riqualificazione urbana, argomenti che hanno un ruolo centrale
nell’attività di biq, comprendendo
interpretazione dei fenomeni sociali, cooperazione, finanziamento e
tecnologia costruttiva.
Hans van der Heijden e Rick
Wessels, principali componenti
dello studio biq, considerano l’habitat umano, che è campo di lavoro dell’architetto e frutto del suo
impegno progettuale, non un idillio
incontaminato.
L’efficacia del progetto è il prodotto di tradizioni e di convenzioni
sociali, di sogni, di desideri; è fulcro di funzioni per i suoi abitanti,
ma è anche espressione della limitatezza delle possibilità costruttive.
L’obiettivo è stabilire in che modo
operare nella città moderna, esaminando gli effetti prodotti dai
cinque progetti esemplari, presi in
esame, riguardo ai temi della nuova costruzione, della ristrutturazione, dell’espansione urbana, della
riqualificazione, della monumentalità pubblica e della produzione
di massa per la residenza.
Il libro descrive gli aspetti architettonici, socio economici e abitativi
dell’intervento di ristrutturazione di
241 case a schiera, effettuato dallo studio biq, nella «città giardino»
di Kethel, a Schiedam, Comune di
oltre 75.000 abitanti, a ridosso della tangenziale di Rotterdam.
In 7 capitoli fa la storia del quartiere, conosciuto con il nome di
Tuindorp e realizzato da Zwiers
e Groosman negli anni ‘50, come
gran parte del patrimonio di edilizia sociale, utilizzando componenti
prefabbricati.
Ne descrive le strade strette senza marciapiedi, gli aspetti della
ristrutturazione, catalogando le
diverse tipologie abitative.
Degli autori, van der Heijden è
direttore dello studio biq; la Klomp
è tecnologa, ricercatrice presso l’Università di Delft.
Il progetto, finalista nel 2006 al
The World Habitet Award, promosso dalle Nazioni Unite, è stato
esposto a Berlino nel 2004, come
esempio per il rinnovamento dei
quartieri tedeschi del dopoguerra.
Sono stati adottati materiali e colori che fanno riferimento a quelli del
progetto originale, lasciando inalterati i caratteri informali e intimi
degli spazi interni ed esterni delle
abitazioni.
Le facciate sono state integralmente rivestite con pannelli di colore
giallo sabbia, per migliorare le
prestazioni termiche degli edifici;
i nuovi telai dei serramenti sono
stati inquadrati da pesanti cornici
in legno colorato.
È questo il catalogo della mostra,
parte del programma «Olandiamo
in Toscana», promosso dall’Ambasciata dei Paesi Bassi a Roma,
organizzata alla fine dello scorso
anno dal Centro Pecci di Prato e
da Image. Documenta le riflessioni di architetti e artisti su cambiamenti avvenuti nel contesto sociale,
economico e demografico e come
l’attuale momento globale abbia
mutato in Olanda temi e soggetti
affrontati dai creativi.
Gli autori, 6 artisti e 5 architetti
(Atelier Van Lieshout, Boundary
Unlimited, DUS architects, Haas
& Hahn, Nicoline Van Harskamp,
Anne Holtrop / Bas Princen,
Wouter Klein Velderman, Krijn de
Koning, NIO Architects, ONIX),
organizzano un percorso che prende spunto da quanto li circonda,
da una produzione che si rispecchia
nei cambiamenti in atto nel Paese;
li fa propri e li restituisce sotto forma di installazioni, video, sculture
e interventi urbani.
Mostra e libro raccontano lo sconfinamento tra ricerca architettonica
e artistica, riflettendo sulla capacità
di tracciare un orizzonte di produzione inedito e originale, come reazione alla crisi internazionale. I saggi introduttivi sono di Giampiero
Sanguigni e di Hans Ibelings; il primo (ricercatore presso il Dipsa della
Facoltà di architettura di Roma Tre)
è il curatore dell’iniziativa, insieme
a Marco Brizzi; l’altro, editore del
volume, definisce grande denominatore comune di tutti questi nuovi
studi il design sociale.
Tuindorp Kethel Schiedam –
Noddy, Noddier, Noddiest
Hans van der Heijden, Barbara Klomp
Thoth (Bussum), 2004
pp. 108, € 24,90
Triggering reality:
new conditions for art and
architecture in the Netherlands
Giampiero Sanguigni, con il
contributo di Hans Ibelings
The Architecture Observer
(Amsterdam), 2012
pp. 120, €18,00
a cura di Roberto Gamba
Recensioni
Hans van der Heijden Architect
Architecture in de kapotte stad
(Architecture in the fractured city)
Hans van der Heijden
Thoth (Bussum), 2008
pp. 216, € 29,90
Habitat Biq Bouwt De Stad
Biq Builds The City
Hans van der Heijden, Rick Wessels,
Ellis Woodman
NAI010 Publishers (Rotterdam), 2013
pp. 144, € 29,50
74
CIL 152
Hans van der Heijden Architect
Rivoluzione
architettonica
Punti di vista
disciplinari
Protagonismo
architettonico
L’autore di questo libro, critico
olandese e direttore della rivista
A10, ha scelto di iniziare questa rassegna dal 1890, ritenendo tale data
punto di partenza della transizione
verso un’epoca, segnata dalla rivoluzione industriale, sociale e architettonica, dallo sviluppo demografico delle città e dal divenire l’Europa, da culmine del potere, semplice
polo geopolitico del globo.
Infatti pur se economia e formazione sociale della moderna Europa
hanno avuto luogo in precedenza,
solo la fine del XIX secolo ha visto
l’architettura acquisire la portata e
il significato che l’hanno caratterizzata successivamente.
Il libro non si limita alla sola parte
occidentale dell’Europa, ma ne analizza anche la parte centrale e orientale, basandosi sul presupposto che
molto di ciò che qui è considerato
architettura, è costituito da spazi,
edifici pubblici e abitazioni collettive, destinati non più (ed esclusivamente) al servizio della Chiesa e
di una classe privilegiata, ma frutto di disegno e progetto di pubblico dominio.
Questo cambiamento, direttamente correlato alla sua crescita civile e
burocratica, ha visto l’aumento del
numero di professionisti architetti
e l’inizio della loro istituzionalizzazione e formazione.
Il libro si compone di quattro capitoli tematici, sul rapporto tra architettura, città, stato e società, e di
altri quattro, ordinati in ordine cronologico (Until 1914; 1917–1939;
1945–1989; After 1989).
Il volume contiene ricerche, relative
alle tematiche di «Abitare il futuro,
giornate internazionali di studio»,
organizzate nel 2010 dall’Università Federico II di Napoli.
L’autrice (Ordinario di Composizione)
le ha elaborate in diverse occasioni,
secondo un punto di vista sulla disciplina specifica, basato sull’osservare
la città e il territorio, attraverso l’utilizzo della cartografia storica.
Nell’introduzione, Valeria Pezza
considera la condizione di «catastrofe annunciata» che riguarda il
presente della società, del mestiere
e delle città, pur se con il libro si
pone l’obiettivo di proporre l’ottimismo della modernità e della
scientificità della materia architettonica. La prima delle tre parti
del libro, «Voci per un lessico della costruzione urbana», commenta
ed esemplifica, come una piccola
enciclopedia, termini fondati sulla condivisione di un linguaggio
comune, «razionalmente costruito»: la città moderna, la fabbrica,
la piazza, strumenti e obiettivi della
progettazione.
Segue «Note d’apprendistato», in
cui saggi, legati all’insegnamento,
a progetti didattici e studenteschi,
a teorie metodologiche, si rapportano alla storia e alla tradizione.
L’ultima parte, «Esercizi di ammirazione», raccoglie scritti di autori dell’architettura contemporanea (Grassi, Renna, Monestiroli,
Cantafora, Bisogni), insieme a
saggi riassuntivi dei concetti sopra
espressi, a cura di Camillo Orfeo e
di Renato Capozzi.
È il catalogo che ha accompagnato
il Padiglione Italia, allestito alla 13a
Mostra di Architettura della Biennale
di Venezia, a cura di Luca Zevi.
L’esposizione riguardava le nostre
risorse ambientali, produttive e umane, in un percorso che comprendeva
due poli: il primo basato sulla lezione di Adriano Olivetti; il secondo
sulla prospettiva di una green economy, da quella ispirata, che possa
divenire «sistema paese», capace di
far fronte alle sfide del futuro.
I numerosi saggi introduttivi del
libro descrivono le quattro stagioni
dell’architettura italiana: celebrano
l’opera di Olivetti, che si affidò ai
migliori progettisti della scena italiana per dare impulso al territorio ove la sua industria si insediava; citano l’«assalto al territorio»
(definito «città diffusa»), che nel
dopoguerra è stato manifestazione di una imprenditorialità individualistica; sottolineano la «terza stagione», incubatrice di quelle ottime «architetture del made in
Italy», chiamate a rappresentare il
sub-universo di migliaia di imprese, che si impongono sui mercati
internazionali; analizzano la «quarta stagione», che, nell’attuale congiuntura storica, tenta di rilanciare
appunto il protagonismo di un’innovativa progettualità architettonica di respiro internazionale.
Le opere selezionate sono raggruppate in «architetture della fabbrica», «direzionale diffuso», «nel
paesaggio agricolo», «recupero e
riconversione produttiva» e «densificazioni».
Il Premio, alla sua 3a edizione, è stato
promosso dalla Consulta Lombarda
Ordini Architetti PPC.
Intende valorizzare giovani talenti (nati dopo il 1970), distinguibili
per la ricerca di integrazione tra progetto, contenuti innovativi e dialogo
con il territorio.
In ogni gruppo partecipante, almeno
uno dei componenti doveva essere
iscritto a un Ordine della Regione.
Una prima fase ha visto una preselezione a livello provinciale; nella seconda, la Giuria, composta
da Manuel Aires Mateus, Emilio
Caravatti, Luca Molinari, Paola
Pierotti, Umberto Riva, ha proclamato vincitori, per la categoria
«Nuove Costruzioni»: il progetto
di riqualificazione di piazza Unità
d’Italia a Tirano (SO), di Daniele
Vanotti e Marco Ghilotti; per
«Ristrutturazioni»: il recupero dell’edificio in via Zenale 3, a Milano, di
Filippo Taidelli; per «Interni», ex
aequo: il «Social Noise» a Milano,
di Alberto Pottenghi, Mariana
Fernandes Sendas, Mattia Alfieri,
Martina Baratta e la «Biblioteca
dell’arte», al MAXXI di Roma, di
Ghigos Ideas; per «Spazi Pubblici
e Paesaggio»: la riqualificazione di
piazza Garibaldi a Zogno (BG), di
Marianna Paola Vanoni.
In questo catalogo, a cura della redazione di AL (Bollettino degli architetti lombardi), con testi introduttivi di Paolo Ventura (presidente della
Consulta) e di Daniela Volpi (coordinatrice dell’iniziativa) sono illustrati anche i 4 progetti segnalati per la
menzione e gli altri 41 selezionati.
Scritti per l’architettura della città
Valeria Pezza
Franco Angeli (Milano), 2012
pp. 336, € 29,50
Le quattro stagioni – Architetture
del made in Italy: da Adriano
Olivetti alla green economy
Autori vari
Electa Milano, 2012
pp. 352, € 29,00
Rassegna lombarda di architettura
under 40 – Nuove proposte di
architettura» – III edizione
Irina Casali, Martina Landsberger,
Igor Maglica, Daniela Villa (a cura di)
Gruppo24ore (Milano), 2012
pp. 112, € 19,00
European architecture since 1890
Hans Ibelings
SUN architecture (Amsterdam), 2011
pp. 240, € 17,25
75
CIL 152
Giovani progettisti
a confronto
Hans van der Heijden Architect
Matters of Fact
The architecture of biq stadsontwerp
Hans Ibelings
The office of biq, led by Rick Wessels and Hans van der Heijden, combines marginality with
prominence. Unlike many other architects and architectural offices, biq is not a household name in
the Netherlands. Yet, the office was one of the very few Dutch architects invited by director David
Chipperfield to participate in last year's Venice Architecture Biennial. This inclusion in Venice not
only reflects that the architecture of biq fitted in Chipperfield's overarching theme of the Biennial,
Common Ground, but also underlines its international resonance.
Hans van der Heijden, one of biq's principals, has a distinctive voice in the Dutch architectural
debate, yet biq's work is only incidentally published. Quite tellingly, Van der Heijden is now editor of
the long running series of yearbooks of Architecture in the Netherlands, in which no project of biq
was ever included. Obviously this shows that the work of biq does not fit in the mainstream of
Dutch architecture but, and this is another paradox, biq's architecture is probably more Dutch than
that of many of its colleagues. It builds upon Dutch construction technology and materials and
Dutch customs and conventions yet the outcome is in many respects equally familiar and foreign. In
this sense this architecture echoes what Gilles Deleuze and Félix Guattari contended about Kafka in
1975, whose writings they characterized as a 'littérature mineure': 'Une littérature mineure n'est pas
celle d'une langue mineure, plutôt celle qu'une minorité fait dans une langue majeure.' For Kafka,
Deleuze and Guattari believed, there was no other choice than to write in German, which was in
Prague 'une langue déterritorialisée, propre à d'étranges usages mineurs'.
Something similar applies to biq, which uses the major language of Dutch brick building tradition in
such a way that the result becomes a minor language, an architecture that only vaguely resembles
its background and origin. What biq does, and this is probably an unintended byproduct of its
design approach, is revealing an exotic aspect of something very Dutch. In a context where
everything is pretentiously designed, the apparent normality and ordinariness of the architecture of
Wessels and Van der Heijden stands out as something curiously uncommon.
This ordinariness is hinting at what could be seen as an essential element of biq's architecture, to
provide for an architecture that withstands every aspect of daily life in a matter-of-fact-like way.
Quite often architecture focuses on a limited spectrum of doing good and pursuing happiness. Van
der Heijden once said that he wants his architecture also to be a dignified context of comfort and
even consolation for the unavoidable sadder parts of any family's life, such as deaths and funerals.
To enable this, the architecture of Wessels and Van der Heijden has a certain frugality in its
expression, without the misplaced ruthless optimism that terrorizes architecture so often, and
devoid of the swagger of formal bravado, which Van der Heijden may appreciate as such but isn't
his style. In this sense, for him there is a fundamental distinction between this kind of abstract form,
that presupposes an independency from reality, and the reduced form that is firmly rooted in
context and history. According to him, abstraction is a search for a new order, reduction is about a
distillation of reality.
Hans van der Heijden Architect
Reduction leads to a concentration on the bare essence of a building, unadorned but not plain. The
power of biq's architecture lies in this concentration and the ability to carefully evoke an
atmosphere, a theme that plays an important role in the analogue architecture of the Swiss
architect Miroslav Šik. Šik is an architect with whom Van der Heijden has a clear affinity, and with
whom he shares an interest in finding a balance between familiarity and alienation. A fundamental
difference between Šik and Van der Heijden however is that for Šik the architectural representation
in the form of evocative drawings is almost equally important as buildings (of which there are not
many). Both a drawing and a building have a interrelated yet autonomous existence, while for Van
der Heijden, the drawing is merely a tool for conveying the knowledge necessary to make a
building, and in the making the building architecture becomes reality, as it gains a material
existence. For biq, the significance of the act of building, is to be found in the outcome, the building
itself.
Šik is only one point of reference in the world of of biq that transcends time and place and contains
historic figures such as Novecento master Giovanni Muzio, who realized his most important
projects in Milan in the 1930s, and contemporary, like-minded people in the UK, Belgium, Germany
and Switzerland, such as Tony Fretton, Sergison Bates and Paul Vermeulen to name just a few.
What these architects have in common is that they are not searching for a universally valid essence
of architecture, but instead are trying to approximate the essence of each particular assignment, by
approaching it in an inductive way.
This relates to the distinction made by David Hume in his An Enquiry Concerning Human
Understanding (1748) between 'Relations of Ideas' and 'Matters of Fact'. Algebra belongs to the
first category, as Hume wrote: 'That three times five is equal to the half of thirty, expresses a
relation between these numbers. Propositions of this kind are discoverable by the mere operation of
thought, without dependence on what is anywhere existent in the universe.' Hume's Matters of Fact
are 'not ascertained in the same manner'. Clearly, the work of biq belongs to the world of Matters
of Fact, in the full awareness that all everyday habits depend on drawing uncertain conclusions
from relatively limited experiences (assuming for instance that the sun will rise tomorrow just as it
did today and yesterday). For Wessels and Van der Heijden this holds true for architecture as well.
As a matter of fact, biq's architecture is just that: the drawing of uncertain but hopefully convincing
conclusions from unavoidably limited experiences.
Hans van der Heijden Architect
Interview with Hans van der Heijden of biq
Igor Maglica
IM: It can be said that your architecture deliberately privileges the everyday and ordinary, what we
might call the “small history” made of the people’s daily life, letting us see not spectacular projects,
but projects attentive to the “normal” context and the real needs of the people?
HvdH: Who are we to say we know what the real needs of people are? The obsession of so much
current architecture is to prove its relevance in the most ultimate and definitive terms possible.
Obviously, ideas can never be small anymore. Rick and I don’t glorify the ordinary and we most
certainly don’t try and interpret the ordinary in order to arrive at a personal statement on whatever
normal people do or like. We are no Herman Hertzberger. We are interested in the things that we
share. We strongly believe in the notion of generality in architecture in which the manifestations of
low and high culture meet. We don’t restrict ourselves to a revamp of either of the two.
IM: This is in some way manifested in the imagery of your projects which seem deliberate in the use
of reductive forms (not abstract and / or lacking ornaments) drawn from the urban reality that
surrounds us. Can we say that your architecture focuses on the everyday instead of the
spectacular?
HvdH: The reduced form is a way to arrive at a sense of generality. When you take away the
embellishments of a house, the design is more about what the observer makes of it than about the
intentions and the artistry of the maker. The imagery hopefully gets closer to a shared idea of the
house. We hope that such houses are tolerant to the appropriation by their inhabitants and more
capable to absorb the taste of people. Buildings should cope with tragedies and with melancholy.
When we design a house we imagine it as the setting for joy and pleasure, but also of grief and
pain. A house is the place where people are born and where people die. Houses are also the
backdrop for funerals.
IM: Although your work is evidently part of Dutch architecture history and is inspired by its tradition,
you are not as much published in the Netherlands as other architects that we can define as more
stylish. How do you experience this contradiction? Are you thinking that “Nemo propheta in patria”
and that, sooner or later, your merits will be appreciated?
HvdH: There is this anecdote about J.J.P. Oud. Like H.P. Berlage, he was a fluent German speaker
and writer. 100 years ago the Netherlands had a strong focus on Central European architectonic
culture. Dutch architects look eastwards. They liked to build solid structures in brick, stone and
concrete. But around WW2 Oud understood that English was becoming the language of modern
architecture and he started learning English by reading detective novels. Oud’s mastering of the
English language marked a turning point. After that, the phantasies of Dutch sugarmodernism
moved away from the Central European discourse. Dutch architects are now looking westwards,
amazed by the spectacles of the Anglosaxon world, to the unlimited possibilities of the steel frame
and their light weight cladding and lining. Yet, Dutch construction industry has changed far less
fiercely and has stuck to the modus operandi of doing solid stone buildings. This reality is
Hans van der Heijden Architect
refractory. Without wanting to be evangelical: the laws of the construction industry can’t be denied
by those Dutch architects who like to construct durable edifices.
IM: Many interventions presented here are strongly characterized as urban blocks. How do you face
the problem of intervening in specific contexts? Does that become an incentive to invent new
typological solutions; do you try to respect the limitations of the perimeter of the block; how does
this work?
HvdH: The typological experiment never happens as an event per sé. The urban type of the
perimeter block is expressed in many, many different ways. Trivial facts, such as the increased
need to store cars in within the block, are by now triggering its innovation. The compiled block with
a mix of dwellings, gardens and car parking goes beyond known arrangements. We like to compare
this to the nineteenth century London superblocks. The mews in these blocks were the result of the
wealth of a new bourgeoisie and accommodated their horses and stables and servants. In many of
our projects, the inner court of the block is used for car parking and bicycle storage. Because the
rear door of the house is used more frequently than the front, the public status of fronts and backs
has changed. The tendency is that the front of the house becomes more and more formal.
IM: Do you believe in a social function of architecture and that it may have an effect on the society
in which we live?
HvdH: Yes and no. No, in the sense that architecture is a technique which should have the chance
to be studied, educated and celebrated autonomously. And no, because architecture as a vehicle
for political messages proves everything and nothing. It is too abstract a medium for rhetoric. But
yes, in the sense that it goes without saying that the profession exists only because of the tasks
that are given to architects. In my mind, architects can’t be precise enough in the negotiations on
their designs and allocate the space where they can make a difference. If there is any progressive
substance in the work of architects, it will unavoidably be informed by rational decisions, by fact
finding and by a reasonable debate and will depend far less on the good intentions of the creator
alone, or even worse, by symbol politics. Architects should limit themselves. They can only take on
responsibility for a very small part of the actual intervention.
IM: What is the situation in the Netherlands for a young architect who is starting his career? From
taly we get the impression that in spite of the current economic crisis this is still favorable to other
European countries and that there are still opportunities to build.
HvdH: There are few countries where the tasks and liabilities of architects are as restricted as in the
Netherlands. As a rule contractors take over the responsibility for the technical performance of the
buildings. Contractors have become the real experts of buildings. Paradoxically, that practice has
made the Dutch market easily accessible for young architects and, let’s not forget that, foreign
architects such as Alvaro Siza, Hans Kollhoff and the Krier brothers. The experience of architects is
a limited asset when the contractors know better. The other factor is that architecture and design
are spearheads of Dutch governmental politics. Whilst the architects’ union is nowhere to be seen,
this ‘cultural industry’ (as it is called in current Newspeak) is actively promoted abroad by the
diverse ministries. And there is a generous grant system to support non-academic research,
publication and debate. Again, this works in favor of younger and smaller offices. Yet, it is
Hans van der Heijden Architect
immediately clear that this very practice has prevented the Netherlands from establishing an
architectonic culture that goes beyond the image and the cultivation of stories and personalities.
Dutch architects have become well adjusted to jumping through the hoops that the captains of
‘cultural industry’ hold up for them. I have mixed feelings about this situation!
IM: What is your relationship with your clients who presumably are predominantly Dutch? Are they
aware of your attitude towards contemporary architecture?
HvdH: Our Dutch housing clients are pleased with the finished buildings, but they sometimes have
difficulties in imagining the building when it is still a design. ‘The film is better than the book,’ one
of them once stated. That might have to do with the strong character of the materials that we like to
use. The bricks that we apply are terribly difficult to represent in computer renderings. We had a
more profound relation with the clients of the Bluecoat arts centre in Liverpool. Bryan Biggs was a
visual artist, Charlotte Myhrum an architect by training. Normality, realism and generality are no
alien concepts in the art world after Andy Warholl and Sol LeWitt. When we pitched for the job, we
were the only architect out of 70 applicants who suggested to continue the brick architecture of the
existing monument in the new wing and to aim at one coherent whole instead of a juxtaposition of
styles. We showed pictures of the Convento di Sant’Angelo in Milano, designed by Giovanni Muzio
and nobody could guess from which era this building originated. Bryan and Charlotte urged us to
pronounce this timeless aspect in our architecture. Bryan was the first and last client ever to say to
me: ‘You have lost me. I don’t know what you are talking about. But if you think it is as important as
you say, then do it and don’t compromise.’
IM: The fact that the brick you use so much in your work results from the situation that you operate
mostly in the Netherlands, a country known for a very rich variety of brick architecture examples.
Are there considerations that have to do with the construction and the quality of this material?
HvdH: Brick is a beautiful material that weathers nicely. The brickwork of our social housing in
Lakerlopen doesn’t articulate craftsmanship. There are no ornaments and there is no special
bonding. We can’t do that anymore in housing. At best we can look for the analogy. The horizontal
joints of the Lakerlopen walls are raked and recessed by 8 mm, the vertical joints are not filled. As a
result, we got strong horizontal shadow lines that possess a similarity with the traditional brickwork
that could be found on the site previously. The deeply saturated orange bricks provide a powerful
texture to the houses. We are convinced that the technical and aesthetic possibilities of the material
are not exhausted.