Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI RIAS Kammerchor Juraj

Transcription

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI RIAS Kammerchor Juraj
Orchestra Sinfonica
Nazionale della RAI
RIAS Kammerchor
Juraj Val uha direttore
Julia Kleiter soprano
James Rutherford baritono
Hans-Christoph Rademann maestro del coro
Mercoledì 31 ottobre 2012 - h 20.45 MUSICA | Concerto plus
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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
RIAS Kammerchor
Juraj Val uha direttore
Julia Kleiter soprano
James Rutherford baritono
Hans-Christoph Rademann maestro del coro
Johannes Brahms (1833-1897)
Ein deutsches Requiem op. 45
I Coro: «Selig sind, die da Leid tragen».
Ziemlich langsam und mit Ausdruck (Moderatamente lento e con espressione)
II Coro: «Denn alles Fleisch, es ist wie Gras»
Langsam marschmäßig (Marcia, moderatamente lento) Un poco sostenuto - Allegro non troppo
III Baritono e Coro: «Herr, lehre doch mich» «Herr, lehre doch mich». Andante moderato.
IV Coro: «Wie lieblich sind deine Wohnungen». Mäßig bewegt (Moderatamente mosso).
V Soprano: «Ihr habt nun Traurigkeit». Langsam (Lento)
VI Baritono e Coro: «Denn wir haben hie keine bleibende Statt». Andante - Vivace - Allegro
VII Coro: «Selig sind die Toten». Feierlich (Solenne)
La Direzione Centrale Cultura, Sport, Relazioni Internazionali e Comunitarie della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia
sostiene la presenza del RIAS Kammerchor nel concerto udinese.
Il concerto è realizzato con il sostegno della
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Johannes Brahms
Ein deutsches Requiem
Un Requiem tedesco
I
Selig sind, die da Leid tragen, denn sie sollen
getröstet werden. (Matth. 5, 4.)
I
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
(Matteo 5, 4.)
Die mit Tränen säen, werden mit Freuden ernten.
Sie gehen hin und weinen und tragen edlen Samen,
und kommen mit Freuden und bringen ihre Garben.
(Ps. 126, 5. 6.)
Coloro che seminano nelle lacrime mieteranno nella
gioia. Essi se ne vanno e piangono portando preziosa
semenza, ritornano nella gioia portando i loro covoni.
(Salmo 126, 5. 6.)
II
Denn alles Fleisch ist wie Gras und alle Herrlichkeit
des Menschen wie des Grases Blumen. Das Gras ist
verdorret und die Blume abgefallen. (l. Petri l, 24.)
II
Poiché la carne è come l’erba e ogni gloria umana
come i fiori del campo. Si secca l’erba e il fiore cade.
(Pietro l, 24.)
So seid nun geduldig, lieben Brüder, bis auf die
Zukunft des Herrn. Siehe, ein Ackermannwartet
auf die köstliche Frucht der Erde und ist geduldig
darüber, bis er empfahe den Morgenregen und
Abendregen. (Jacobi 5, 7.)
Così dunque, cari fratelli, siate pazienti fino alla venuta
del Signore. Osservate il contadino: egli attende il
frutto prezioso della terra, e con pazienza l’aspetta,
finché non abbia ricevuto le piogge dell’autunno e
della primavera. (Giacomo 5, 7.)
Aber des Herrn Wort bleibet in Ewigkeit. (1 Petri l, 25.)
Ma la parola di Dio vive in eterno. (Pietro l, 25.)
Die Erlöseten des Herrn werden wieder kommen,
und gen Zion kommen mit Jauchzen; ewige Freude
wird über ihrem Haupte sein; Freude und Wonne
werden sie ergreifen und Schmerz und Seufzen wird
weg müssen. (Jesaias 35, 10.)
I redenti dal Signore torneranno e verranno a Sion
giubilando; la gioia eterna sarà sopra il loro capo;
saranno pieni di gioia e di allegrezza, il dolore e la
tristezza dovranno abbandonarli.
(Isaia 35, 10.)
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III
Herr, lehre doch mich, daß ein Ende mit mir haben
muß, und mein Leben ein Ziel hat, und ich davon
muß.
Siehe, meine Tage sind einer Hand breit vor dir, und
mein Leben ist wie nichts vor dir.
Ach wie gar nichts sind alle Menschen, die doch so
sicher leben.
Sie gehen daher wie Schemen, und machen ihnen
viel vergebliche Unruhe; sie sammeln und wissen
nicht wer es kriegen wird. Nun Herr, wess soll ich
mich trösten? lch hoffe auf dich. (Ps. 39, 5. 6. 7. 8.)
III
Insegnami, Signore, che io devo avere una fine, che
la mia vita ha uno scopo ed io devo lasciarla. Vedi, i
miei giorni hanno l’estensione del palmo di una mano
al tuo cospetto, e la mia vita non conta nulla ai tuoi
occhi.
Ah, tutti gli uomini sono come il nulla, e tuttavia
vivono così tranquillamente.
Essi spariscono come un’ombra e s’agitano così
vanamente; essi accumulano e non sanno chi
raccoglierà. Dimmi, Signore: chi potrà consolarmi? lo
spero in te. (Salmo 39, 5. 6. 7. 8.)
Der Gerechten Seelen sind in Gottes Hand und keine
Qual rühret sie an.
(Weish. Sal. 3, l.)
Le anime dei giusti sono in mano del Signore al
riparo da ogni sofferenza.
(Sapienza 3, 1.)
IV
Wie lieblich sind deine Wohnungen, Herr Zebaoth!
Meine Seele verlanget und sehnet sich nach den
Vorhöfen des Herrn; mein Leib und Seele freuen sich
in dem lebendigen Gott. Wohl denen, die in deinem
Hause wohnen, die loben dich immerdar.
(Ps. 84, 2. 3. 5.)
IV
Come sono confortevoli le tue dimore, Signore
Sabaoth! La mia anima si strugge dal desiderio di
raggiungere i vestiboli del Signore; la mia carne ed il
mio spirito gioiscono nel Dio vivente. Felici coloro che
abitano nella tua casa e ti lodano senza posa.
(Salmo 84, 2. 3. 5.)
V
lhr habt nun Traurigkeit; aber ich will euch wieder
sehen und euer Herz soll sich freuen und Freude soll
niemand von euch nehmen. (Ev. Joh. 16, 22.)
V
Voi siete ora nella tristezza; ma io vi vedrò di nuovo,
ne gioirà il vostro cuore e nessuno vi potrà togliere la
vostra gioia. (Giovanni 16, 22.)
Sehet mich an: lch habe eine kleine Zeit Mühe und
Arbeit gehabt und habe großen Trost funden.
(Sirach 51, 35.)
Vedete, per un po’ di tempo ho sopportato pena e
fatica, ma ne ho ricavato grande consolazione.
(Vangeli apocrifi 51, 35.)
lch will euch trösten, wie einen seine Mutter tröstet.
(Jes. 66, 13.)
Io vi consolerò come una madre consola suo figlio.
(Isaia 66, 13.)
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VI
Denn wir haben hie keine bleibende Statt, sondern
die zukünftige suchen wir.
(Ebr. 13, 14.)
VI
Infatti noi non abbiamo qui una dimora permanente,
ma cerchiamo la nostra dimora futura.
(Ebrei 13, 14.)
Siehe, ich sage euch ein Geheimnis:
Wir werden nicht alle entschlafen, wir werden aber
alle verwandelt werden; und dasselbige plötzlich,
in einem Augenblick, zu der Zeit der letzten Posaune.
Denn es wird die Posaune schellen, und die Toten
werden auferstehen unverweslich, und wir werden
verwandelt werden.
Dann wird erfüllet werden das Wort, das geschrieben
steht: Der Tod ist verschlungen in den Sieg. Tod, wo
ist dein Stachel? Hölle, wo ist dein Sieg?
(l. Korinther 15,51-55.)
Ecco che a voi svelo un mistero:
noi non ci addormenteremo tutti, ma tutti saremo
trasformati; e in un istante, in un batter d’occhio,
quando suonerà l’ultima tromba.
Squillerà, infatti la tromba, e i morti risorgeranno
incorruttibili e noi saremo trasformati.
Herr, du bist würdig zu nehmen Preis und Ehre un
d Kraft, denn du hast alle Dinge geschaffen, und
durch deinen Willen haben sie das Wesen und sind
geschaffen. (Off. Joh. 4, 11.)
Tu sei degno, Signore, di ricevere gloria, onore e
potenza, poiché hai fatto tutte le cose, e per mezzo
della tua volontà esse esistono e sono state create.
(Apocalisse 4, 11.)
VII
Selig sind die Toten, die in dem Herrn sterben, von
nun an. Ja der Geist spricht, daß sie ruhen von ihrer
Arbeit; denn ihre Werke folgen Ihnen nach.
(Off. Joh. 14, 13.)
VII
Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore, Sì,
dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche,
poiché le loro opere li accompagneranno.
(Apocalisse 14, 13.)
Allora si compirà la parola che è scritta:
la morte è stata assorbita nella vittoria. Morte, dov’è
il tuo pungiglione? Inferno, dov’è la tua vittoria?
(Corinti 15, 51-55.)
Traduzione di Olimpio Cescatti
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La partitura del Requiem tedesco fu il frutto d’una
lunga gestazione, che risale a più d’un decennio
prima del pubblico esordio, avvenuto a Lipsia il 18
febbraio 1869. Al 1860 datano le parziali stesure
delle due prime sezioni, ma sappiamo dell’intenzione
brahmsiana di comporre una cantata funebre
fin dal periodo 1857-59 (in parte confluita nel
Begräbnisgesang op. 13). La primissima origine
pare tuttavia risalire ancor più addietro: agli anni del
lavoro al primo Concerto per pianoforte e orchestra
op. 15, un cui tempo, Lento funebre, venne cassato
e trasformato nel secondo brano del Requiem.
L’associazione al tragico universo espressivo
dell’op. 15 permette d’ipotizzare che il Deutsches
Requiem ne condivida la probabile motivazione:
la morte di Robert Schumann, sopraggiunta nel
1856. Solo nove anni più tardi, tuttavia, affiorano i
primi riferimenti espliciti, in forma epistolare (Brahms
riferisce a Clara Wieck Schumann di «una specie di
Requiem Tedesco»); ed è probabile che, sempre nel
’65, la morte dell’amatissima madre abbia segnato
la svolta decisiva, se è vero che l’anno seguente fu
risolutivo: dal gennaio 1866 il compositore si ritirò a
Karlsruhe col preciso scopo di portare a termine la
composizione. In diverse tappe il lavoro procedette
speditissimo: a fine estate, nella prima versione
in sei movimenti, l’opera era pressoché ultimata. Il
forte senso autocritico di Brahms richiese comunque
un periodo di ritocchi, passati anche attraverso due
esecuzioni. Importante fu soprattutto la seconda
performance - curata da Karl Rheinthaler - la quale
ebbe luogo a Brema il 10 aprile 1868. Questa
esecuzione venne gratificata da un’accoglienza
trionfale, al punto da segnare la svolta nodale per
la definitiva inclusione di Brahms entro il pantheon
dei grandissimi.
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Una significativa curiosità dell’esecuzione bremense
è che Rheinthaler inserì l’aria del Messiah di Händel
«I know that my redeemer liveth» proprio al posto
che sarebbe poi stato occupato dall’ulteriore brano,
allora ancora mancante, «Ihr habt nur Traurigkeit», per
soprano e coro, inserito nel maggio ’68: brano che il
musicologo Claude Rostand definisce «concepito nel
carattere nobile ed espressivo di un grande arioso
di Gluck o di Händel». L’inserimento di questo pezzo è significativo non solo perché la versione in sei
tempi mancava proprio d’una voce solista femminile,
ma anche perché l’assimilazione a Händel costituì la
prima testimonianza d’una fortuna critica che proprio
in Händel (e - più in generale - nel modello della
musica barocca, ovviamente Bach incluso) riconosce, nel bene e nel male, un ascendente decisivo del
Deutsches Requiem.
Sì: nel bene e nel male. Perché il giudizio più celebre
che ancora oggi alligna su questo capolavoro è quello
- del tutto privo di equilibrio - formulato da Richard
Wagner, che lo definì una «mascherata concertistica
[…] con la parrucca dell’Hallelujah di Händel». Lo
sforzo di oggettività, beninteso, non è una virtù che
si possa pretendere dagli artisti, i quali sono troppo
coinvolti dalle proprie inclinazioni ed idiosincrasie per
poter formulare giudizi oggettivi, od anche solo equilibrati. È tuttavia giusto sorridere del fatto che la storia
avrebbe reso giustizia a Brahms finendo per rovesciare su Wagner stesso la sua tagliente e malevola ironia:
non troppi anni dopo il Deutsches Requiem sarebbe
stato difatti egli stesso, con i Meistersinger, a trovare
ampi motivi d’ispirazione nella musica barocca; per
sopraggiunta ci sarebbe poi da chiedersi quanto il
capolavoro brahmsiano abbia influito su certi cori del
Parsifal, ad esempio con le protratte smaterializzazioni
verso l’acuto chiamate, nel brano conclusivo, a defi-
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nire la beatitudine di coloro che muoiono nel nome di
Dio. Cionondimeno è da sottolineare che, a patto di
depurarlo dalla polemica ostilità che lo caratterizza, il
giudizio wagneriano va tenuto in considerazione perché non privo di fondamento: pur screditando l’arte
brahmsiana (questo l’aspetto inaccettabile) esso aveva saputo coglierne una caratteristica determinante,
nella concezione saldamente afferrata alle profondità
dell’humus storico-musicale. Almeno prima del Novecento, Brahms fu con ogni probabilità il compositore
più storicista mai apparso sulla scena internazionale;
per lui guardare al grande repertorio del passato era
una precondizione naturale: necessaria a “prender le
misure”, ad indirizzare la propria creatività verso nuovi
esiti dei quali il retaggio antico costituisce il solido,
imprescindibile fondamento. Guardare, scrivendo
musica sacra, a Händel e a Bach era per lui tanto
ovvio quanto tener presente Beethoven componendo una sinfonia od un quartetto; ma basterebbe
paragonare il Requiem tedesco ai due grandi lavori
sinfonico-corali di Mendelssohn (Elias e Paulus) per
comprendere quanto più metabolizzato, interiorizzato
appaia in Brahms l’ascendente della musica barocca:
gli stili tradizionali del corale, del contrappunto libero e
del contrappunto obbligato tanto quanto l’eloquenza
affettiva del canto solistico ne costituiscono l’ovvia
base, ma sono usati a fini che mai e poi mai potrebbero esser scambiati per baroccheggianti remakes.
Decisivo è già solo il livello timbrico, dominato da
quella particolare brunitura del suono che costituisce
un inconfondibile marchio sinfonico brahmsiano.
Personalizzazione è parola-chiave; significativo, del resto, è lo stesso titolo che, oltre a segnalare l’impronta
culturale nazionalista con l’aggettivo, esprime con i
restanti due termini (Un Requiem, non semplicemente
Requiem) la tipica ritrosa modestia di Brahms, ovvero
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la sua volontà di proporre una riflessione sulla morte di
taglio non più che soggettivo. Tutt’altro che scontato è,
difatti, che domini la partitura una pacatezza pensosa,
ispirata a ben altro principio che a quello, barocco,
della varietà, ma anche lontana dalla drammatizzazione caratterizzante tutti i Requiem più celebri e cronologicamente prossimi a Brahms (da Mozart a Verdi, da
Cherubini a Berlioz), anticipando semmai la morbida
espressività di quello di Fauré. Quella di Brahms è
una sorta di riflessione condotta da un trentacinquenne - la stessa età in cui Mozart aveva affrontato il
suo Requiem! - sull’enigma della vita, cui la morte
sembra sottrarre qualsivoglia senso. Quest’angolatura soggettiva si manifesta fin nel testo, che, pur non
essendo stato creato ad hoc è (anche qui un’affinità
col Messiah) il frutto d’un assemblaggio di citazioni,
approntato dallo stesso compositore selezionando vari
passi dalla Bibbia tedesca di Martin Lutero.
La risposta del nostro trentacinquenne è leggibile
come un invito all’accettazione della morte; non certo
esente da drammaticità ma in ultima istanza serena,
a tratti addirittura estatica (questo il caso soprattutto dei due tempi estremi, caratterizzati dalla parola
d’esordio, «Selig», evocante beatitudine per gli afflitti e per i morti). Non che la partitura vada esente
da immagini drammatiche: emblematica è già solo
l’introduzione orchestrale al primo brano, dove l’infittirsi del contrappunto progressivamente genera
una notevole tensione dissonante, immediatamente
controbilanciata, però, da una netta - ed altrettanto
simbolica - risoluzione consonante. Già il primo pezzo
rende facilmente osservabile la grande attenzione di
Brahms al senso delle parole: attenzione che comporta parallele soluzioni espressive di fronte ai significati
negativi di dolore, sofferenza, pianto, morte. Ma il tutto
appare - per converso - fortemente integrato in una
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pacatezza e fluidità del procedere delle idee sonore,
in una complessiva morbidezza se non addirittura soavità delle melodie; in uno stile espressivo, insomma,
che restituisce il senso di un dramma non in atto ma
tutt’al più rievocato, di un dolore sì profondo, ma ricomposto, acquietato.
Appare in quest’ottica significativo che i pezzi i quali
danno maggior enfasi alla dimensione drammatica
(il secondo, terzo e sesto) siano ricondotti al senso
d’una conclusiva pacificazione attraverso l’impiego,
nelle rispettive sezioni finali, della scrittura più formalizzata e razionale, quella della fuga: forma che già in
Bach fungeva da antidoto all’emotività, per sua natura lasciando ben poco spazio alla libertà inventiva
dei compositori, e, proprio per questo, associata alle
immagini dell’ordine e della regnante armonia divina.
Non casualmente il brano più intensamente drammatico della serie è anche il più antico; come accennato,
il macabro e solenne «Denn alles Fleisch» - accompagnato dai lugubri rintocchi del timpano - risale all’epoca del primo grande trauma vissuto da Brahms: la
morte di Schumann. Ancorché in ¾, il brano è evidentemente rapportabile al tipo della marcia funebre,
la cui ripetizione, però, ne squarcia il carattere trattenuto: nell’ingigantirsi delle sonorità e nel procrastinarsi
della risoluzione armonica, la visione severa ma composta della morte deflagra in incubo; la ripetitività ritmica diventa metafora dell’inarrestabile incedere della
grande mietitrice, di fronte alla quale gli esseri viventi
cadono come tenui fili d’erba («alles Fleisch […] ist
wie Gras»). La potentissima visione apocalittica, però,
non solo viene successivamente placata («Das Gras
ist verdorret» etc.), ma anche intercalata da un dolce
canto corale che celebra l’agognata attesa della venuta di Dio con la metafora del paziente contadino
che accetta il naturale alternarsi delle stagioni. Inoltre,
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come detto, l’intero brano è concluso da una fuga appaiata ad un testo che parla di gioia eterna e felicità,
di distacco dalla tristezza e dal pianto. Analogamente,
nel sesto pezzo, l’inquietudine che permea il brano
fin dall’inizio lascia l’ultima parola alla fuga (su «Herr,
du bist würdig»): il contrappunto obbligato si unisce
all’asserzione di una verità sovrumana e sovratemporale, affermante l’esistenza d’un ordine universale
che travalica l’angosciante finitezza della dimensione
umana perché unico in grado di sconfiggere la morte
(«Tod, wo ist dein Stachel! | Hölle, wo ist dein Sieg!»).
Emblematico dell’espressività interiorizzata che contraddistingue la partitura del Requiem tedesco è che
Brahms rinunci alle occasioni di resa pittorica delle
immagini testuali. Intrigante è, in particolare, l’episodio corrispondente alle parole che, sempre nel sesto
brano, fanno riferimento alle trombe del giudizio («…
zu der Zeit der letzten Posaune. | Denn es wird die
Posaune schallen» etc.). A confronto con i varî «Tuba
mirum» dei Requiem sette-ottocenteschi - ma anche
col «The trumpet shall sound» del Messiah, significativo perché impiega il medesimo passo biblico - nel
Deutsches Requiem le trombe appaiono occultate,
frammiste al tutti orchestral-corale. La prospettiva
perseguita è quella di una musica assai più volta a
“parlare” all’interiorità dell’ascoltatore che a risolversi
nell’evocazione di specifiche immagini oggettive; in
ciò memore, in fondo, più della vocazione intima caratterizzante la Matthäuspassion che dell’estroversa
“teatralità” del Messiah.
Il Requiem tedesco appare in definitiva più attento
alla vita che alla morte. Non è, come il Requiem in
latino, una Missa pro defunctis ma una Missa pro
viventibus: votata alla causa della consolazione di
chi rimane, piuttosto che a sottolineare con terrifiche
immagini la condizione della “vita dopo la vita” (si
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pensi non solo ai già evocati «Tuba mirum», ma anche ai vari «Confutatis», «Dies irae», «Lacrimosa» dei
ricordati altrui Requiem). In questo senso il Requiem
di Brahms è tedesco per ragioni ben più profonde
della già di per sé significativa opzione linguistica che
ne contraddistingue il testo. Isaiah Berlin ha magistralmente spiegato che, pur essendo un movimento
culturale laico, il Romanticismo tedesco ha le sue
remote origini nella cultura religiosa; e precisamente
nel movimento riformato diffuso fra Sei e Settecento
nei paesi di lingua tedesca detto “Pietismo”. Chi si
occupa di storia della musica non può non ricordare
che, grazie alla propria concezione antidogmatica e
sentimentale del rapporto col divino, ai suoi tempi il
Pietismo incontrò nella musica (arte degli affetti) un
veicolo d’elezione, al punto da assumere un ruolo
fondamentale in vertici assoluti della storia musicale
come le Cantate e le Passioni bachiane. Se consideriamo che la dottrina pietista sottolineava ed
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esaltava i sentimenti di gioia, dolcezza e beatitudine
che l’individuo sperimenta nel mistico contatto con
la divinità, persino grazie alla morte (vista come esito auspicabile per la vita in quanto viatico all’eterna
comunione con Dio), ci risulterà chiaro il nesso con
quanto il Deutsches Requiem “dice” non solo nei testi
ma anche nell’espressività musicale; e comprenderemo quanto, con questo suo capolavoro, Johannes
Brahms risulti implicato in una dialettica culturale che
di gran lunga eccede (ed allo stesso tempo coinvolge per intero) quella più strettamente artistica.
I robustissimi fili che connettono, nella storia della
tecnica compositiva musicale, Bach e lo stile barocco
allo “storicista” Brahms sono insomma gli stessi che
legano due remoti momenti storico-culturali, offrendo un solido riscontro al concetto di cultura se non
persino di mentalità tedesca.
Testi di Gianni Ruffin
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Juraj Val uha, nato nel 1976 a Bratislava, ha studiato composizione, direzione e cimbalom nella città
natale e poi ancora direzione a San Pietroburgo, con
Ilya Musin, e a Parigi, con Janos Fürst. Dal 2003 al
2005 è stato Direttore assistente presso l’Orchestra
e l’Opéra National di Montpellier, debuttando con
l’Orchestre National de France.
Tra il 2006 e il 2010 ha debuttato al Teatro Comunale di Bologna con La Bohème, iniziato la
collaborazione con l’Orchestra Sinfonica Nazionale
della Rai a Torino, e diretto orchestre quali Berliner
Philharmoniker alla Philharmonie di Berlino, Münchner
Philharmoniker, Orchestra del Concertgebouw di
Amsterdam, Philharmonia di Londra, Orchestre
de Paris, Filarmonica di Rotterdam e di Oslo, Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, Orchestra della
Radio Svedese e Staatskapelle di Dresda, WDR
Sinfonie Orchester di Colonia, Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Orchestra del Maggio
Musicale Fiorentino, Boston Symphony, Pittsburgh
Symphony, Cincinnati Symphony, Los Angeles
Philharmonic, National Symphony Washington,
Houston Symphony, Pittsburgh Symphony. Con
l’Orchestra del Teatro La Fenice ha partecipato alla prima stagione di Abu Dhabi Classics ed
è salito sul podio della Staatsoper di Monaco
per Nozze di Figaro, Elisir d’amore e Butterfly,
a Berlino e Stoccarda per Butterfly e Turandot.
All’inizio della stagione 2012/2013 debutterà con
la New York Philharmonic, la Filarmonica della Scala
e la San Francisco Symphony. È Direttore principale
dell’OSN Rai dal novembre 2009.
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Julia Kleiter, nata a Limburg, ha studiato con
William Workmann ad Amburgo e con Klesie KellyMoog a Colonia e ha debuttato nel 2004 come
Pamina all’Opéra-Bastille di Parigi. Nello stesso ruolo ha cantato nei teatri d’opera di Madrid, Zurigo,
al Festival di Edimburgo, a New York, a Monaco e
quest’anno al Festival di Salisburgo, collaborando
con Nikolaus Harnoncourt, Marc Minkowski, Claudio
Abbado, Adam Fischer.
È stata invitata a Ferrara, Baden.Baden e Modena
nel ruolo di Papagena con Claudio Abbado; a Verona
Dresda e Parigi come Susanna nelle Nozze di Figaro;
a Venezia e a Salisburgo come Celia in Lucio Silla
con Tomas Netopil; a Firenze come Amore in Orfeo
e Euridice con Riccardo Muti.
Claudio Abbado l’ha voluta nel ruolo di Marzelline nel
Fidelio a Ferrara, Baden-Baden e Madrid.
Nel 2012 ha debuttato al Lyric Opera Theater di
Chicago nel Rinaldo di Händel ed è ritornata a Parigi con Philippe Jordan come Zdenka in Arabella di
Strauss. Il suo repertorio comprende anche pagine
cameristiche, sinfonico vocali e oratori che interpreta
con direttori come Nikolaus Harnoncourt, Ivor Bolton, René Jacobs, Christoph Poppen, Daniel Harding,
Marek Janowski. I suoi prossimi impegni prevedono
l’Italienisches Liederbuch di Wolf a Friburgo e Basilea, una cantata di Bach e la Messa in la bemolle di
Schubert con Claudio Abbado, l’Elias alla Scala di
Milano con Harding e nuove produzioni del Flauto
magico a Parigi e dell’Idomeneo a New York.
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James Rutherford, nato a Norwich, ha studiato
Teologia alla Durham University prima di intraprendere gli studi artistici al Royal College of Music e al
National Opera Studio. Dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti, James Rutherford nel 2000 è
stato nominato BBC New Generation Artist e nel
2006 ha vinto il Seattle Opera International Wagner
Competition.
È stato invitato da prestigiosi teatri quali Welsh National
Opera, English National Opera, Scottish Opera, Royal
Opera, Opéra de Paris, Deutsche Staatsoper di Berlino, Opera di Colonia, Lyric Opera di Chicago e Opera
di San Francisco, Graz.
In ambito concertistico Rutherford si esibisce regolarmente nei maggiori festival britannici e con prestigiose orchestre sinfoniche, Berliner Philharmoniker,
Bayerisches Rundfunk, Filarmonica di Stoccolma,
Orchestra della Radio di Colonia, collaborando con
direttori come Leonard Slatkin, Colin Davis, Charles
Mackerras, Roger Norrington, Christopher Hogwood,
Simon Rattle, Thomas Hengelbrock. Recentemente
ha cantato nel ruolo di Le Roi nel Cid di Massenet
a Valencia, con Domingo, e in Rienzi a Madrid
con Mehta, nel ruolo di Hans Sachs al Festival di
Bayreuth.
Ulteriori impegni concertistici di James Rutherford includono Nixon in China di John Adams ai BBC Proms
e al Festival di Berlino, Der Fliegende Holländer
con l’Orchestra di Birmingham e Andris Nelson;
interpretazioni recenti sono anche Jochanaan in
Salome a Vienna, Hans Sachs ad Amburgo, Vienna
e Budapest, Mandryka in Arabella ad Amsterdam e
Amburgo, Kurwenal a Washington e Falstaff a Graz.
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Il RIAS Kammerchor è stato fondato a Berlino il
15 ottobre 1948 dalla RIAS (Radio in the American
Sector). Attualmente è un ensemble della Rundfunk
Orchester und Chöre Gmbh, di competenza della Repubblica Federale di Germania, della città di Berlino e
della Radio di Berlino-Brandeburgo.
Le registrazioni effettuate per l’emittente radiofonica
hanno caratterizzato l’attività del Coro nei suoi primi venticinque anni sotto la guida di Karl Ristenpart,
Herbert Froitzheim e Günther Arndt. In seguito si è
incrementata l’importanza dei concerti con il pubblico e delle esibizioni come coro ospite. Questa nuova
attitudine ha ricevuto una grande spinta grazie a Uwe
Gronostay (1972-1986), nominato Direttore Onorario del Coro nel 2007, che si è occupato della fase
organizzativa di un gran numero di concerti. Marcus
Creed (1987-2001), suo successore, ha lavorato sulla
versatilità del Coro alimentando il contrasto stilistico fra
repertorio di musica antica e quello contemporaneo.
Sotto la sua direzione la fama internazionale del Coro
è cresciuta ulteriormente, così come gli inviti di istituzioni concertistiche prestigiose. Con la direzione di
Hans-Christoph Rademann, Direttore Principale dal
2007, il Coro è stato protagonista di una ulteriore evoluzione stilistica basata su una tradizione consolidata.
Questa fase ha dato vita a strette collaborazioni con
orchestre quali la Concerto Köln, la Barockorchester
di Friburgo, l’Akademie für Alte Musik, l’Orchestre des
Champs-Élysées. A partire dal 1995 si è istituito un
rapporto preferenziale con l’etichetta discografica francese Harmonia mundi; nel dicembre del 2010 la rivista
Gramophone ha inserito il RIAS Kammerchor fra i dieci
migliori cori del mondo. Il RIAS Kammerchor ha interpretato in prima esecuzione numerose pagine moderne
e contemporanee che sono entrate stabilmente nel suo
repertorio, contribuendo fortemente alla loro diffusione
e affermazione nelle sale da concerto.
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L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
è nata nel 1994. I primi concerti furono diretti da
Georges Prêtre e Giuseppe Sinopoli.
Nel corso della sua storia, Eliahu Inbal e Rafael
Frühbeck de Burgos si sono avvicendati come direttori principali mentre, Jeffrey Tate e Gianandrea
Noseda, sono stati i direttori ospiti principali. Dal novembre 2009 lo slovacco Juraj Val uha è il nuovo
Direttore principale. Altre presenze significative sul
podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
sono state quelle di Carlo Maria Giulini, Wolfgang
Sawallisch, Mstislav Rostropovi , Myung-Whun
Chung, Riccardo Chailly, Lorin Maazel, Zubin Mehta,
Yuri Ahronovitch, Marek Janowski, Dmitrij Kitaenko,
Aleksandr Lazarev, Valery Gergiev, Gerd Albrecht,
Yutaka Sado, Mikko Franck, James Conlon e
Roberto Abbado.
L’Orchestra tiene a Torino regolari stagioni, affiancandovi spesso cicli primaverili o speciali e dal febbraio
2004 produce a Torino il ciclo Rai NuovaMusica:
una rassegna dedicata alla produzione contemporanea che presenta in concerti sinfonici e da camera
prime esecuzioni assolute, molte delle quali di opere
composte su commissione, o per l’Italia.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai suona
anche molto spesso in concerti sinfonici e da camera nelle principali città e nei festival più importanti
d’Italia. Frequenti le sue presenze a MITO SettembreMusica, alla Biennale di Venezia e alle Settimane
Musicali Internazionali di Stresa. Numerosi e prestigiosi anche gli impegni all’estero: fra questi le
tournée in Giappone, Germania, Inghilterra, Irlanda,
Francia, Spagna, Canarie, Sud America, Svizzera, Austria, Grecia, e l’invito a suonare il 26 agosto 2006
nel concerto conclusivo del festival di Salisburgo.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai ha inoltre
preso parte a eventi particolarmente significativi,
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come la Conferenza Intergovernativa dell’Unione
Europea svoltasi a Torino, i concerti per la Festa
della Repubblica, Capodanno 2000 nella piazza del
Quirinale, i Concerti di Natale ad Assisi nella Basilica
Superiore di San Francesco.
Il 4 e 5 settembre del 2010 l’Orchestra è stata
protagonista del film-opera Rigoletto, trasmesso
in diretta su Rai1 e in mondovisione da Mantova,
con la direzione di Zubin Mehta e la regia di Marco
Bellocchio. Il 3 e 4 giugno del 2012 è stata la volta
di Cenerentola, una favola in diretta con le musiche di Rossini, e la direzione di Gianluigi Gelmetti.
Allo stesso modo era stata protagonista nel 2000
dell’evento televisivo Traviata à Paris, sempre con la
direzione di Zubin Mehta. Questa produzione della
Rai ha conseguito nel 2001 l’Emmy Award per il
miglior spettacolo musicale dell’anno e il Prix Italia
come miglior programma televisivo nella categoria
dello spettacolo.
Tutti i concerti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai sono trasmessi su Radio3. Molti sono registrati
e mandati in onda su Rai3.
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Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Violini Primi
*Alessandro Milani (di spalla), °Giuseppe Lercara,
°Marco Lamberti, Antonio Bassi, Claudio Cavalli,
Patricia Greer, Valerio Iaccio, Elfrida Kani, Kazimierz
Kwiecien, Martina Mazzon, Fulvia Petruzzelli, Rossella
Rossi, Ilie Stefan, Lynn Westerberg
Violini Secondi
*Paolo Giolo, Valentina Busso, Enrichetta Martellono,
Maria Dolores Cattaneo, Carmine Evangelista, Jeffrey
Fabisiak, Rodolfo Girelli, Alessandro Mancuso,
Antonello Molteni, Vincenzo Prota, Francesco Sanna,
Laura Vignato
Viole
*Ula Ulijona, Geri Brown, Matilde Scarponi, Antonina
Antonova, Massimo De Franceschi, Rossana Dindo,
Federico Maria Fabbris, Alberto Giolo, Margherita
Sarchini, Luciano Scaglia
Oboi
*Francesco Pomarico, Sandro Mastrangeli
Clarinetti
*Enrico Maria Baroni, Graziano Mancini
Fagotti
*Elvio Di Martino, Mauro Monguzzi
Controfagotto
Bruno Giudice
Corni
*Corrado Saglietti, Marco Panella,
Emilio Mencoboni, Bruno Tornato
Trombe
*Roberto Rossi, Daniele Greco D’Alceo
Tromboni
*Enzo Turriziani, Antonello Mazzucco
Violoncelli
*Massimo Macrì, Wolfango Frezzato, Giuseppe
Ghisalberti, Ermanno Franco, Giacomo Berutti,
Stefano Blanc, Michelangiolo Mafucci, Fabio Storino
Trombone Basso
Gianfranco Marchesi
Contrabbassi
*Cesare Maghenzani, Gabriele Carpani, Silvio
Albesiano, Giorgio Curtoni, Luigi Defonte, Virgilio Sarro
Timpani
*Stefano Cantarelli
Flauti
*Marco Jorino, Luigi Arciuli.
Ottavino
Fiorella Andriani
Tuba
Daryl Smith
Arpe
*Margherita Bassani, Elena Zuccotti
Organo
*Luca Benedicti
* prime parti ° concertini
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RIAS Kammerchor
Soprani
Claudia Buhrmann, Iris-Anna Deckert,
Claudia Ehmann, Aurélie Franck, Masako
Goda, Stephanie Hanf, Cosima Henseler,
Claudia Immer, Enny Kim, Mi-Young Kim,
Anette Lösch, Sabine Nürmberger, Andrea
Oberparleiter, Stephanie Petitlaurent,
Christina Roterberg, Inès Villanueva, Dagmar
Wietschorke, Almut Wilker.
Contralti
Simone Alex, Ulrike Bartsch, Anne Bierwirth,
Andrea Effmert, Karola Hausburg, Waltraud
Heinrich, Barbara Höfling, Karin Neubauer,
Diana Rehbock, Anja Schumacher, Claudia
Türpe, Marie-Luise Wilke.
Tenori
Volker Arndt, Joachim Buhrmann, Wolfgang
Ebling, Jörg Genslein, Stuart Kinsella, Achim
Kleinlein, Johannes Klügling, Christian Mücke,
Volker Nietzke, Michael Pflamm, Kai Roterberg,
Masashi Tsuji.
Bassi
Kai-Uwe Fahnert, Janusz Gregorowicz, Roland
Hartmann, Fabian Hemmelmann, Frank Höher,
Ingolf Horenburg, Werner Matusch, Paul Mayr,
Serge Novique, Rudolf Preckwinkel, Andrew
Redmond, Johannes Schendel, Klaus Thiem,
Jonathan De La Paz Zaens.
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Mercoledì 14 novembre - h 20.45 MUSICA
FVG Mitteleuropa Orchestra
Philipp von Steinaecker direttore
Vivica Genaux mezzosoprano
Britten Variazioni su un tema di Frank Bridge op.10
Britten Folksongs
De Falla - Berio 7 canciones populares españolas
Berio Folksongs
Britten Variazioni e fuga su un tema di Henry Purcell op.34
produzione: Teatro Nuovo Giovanni da Udine
in collaborazione con Fondazione Bon
Fondazione
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Via Trento, 4 - 33100 Udine - I
Tel. 0432 248411 - Fax 0432 248452
[email protected] - www.teatroudine.it
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Biglietteria
Tel. 0432 248418
[email protected]
© studio novajra - Werner Kmetitsch (Julia Kleiter), Sussie Ahlburg (James Rutherford), Matthias Heyde (RIAS Kammerchor)
PROSSIMO APPUNTAMENTO
STAGIONE MUSICA E DANZA
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