PORTICI 5/V da pag.29 - Città metropolitana di Bologna
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PORTICI 5/V da pag.29 - Città metropolitana di Bologna
S sommario ommario n COME ERAVAMO Detenuto Pascoli Giovanni Claudio Santini 2 n DAL CONSIGLIO All’indomani della tragedia in Usa All’esame dell’assemblea n ECONOMIA L’euro alle porte Liliana Fabbri 4 6 n SPECIALE DA STRANIERI A CITTADINI 8 Un piano per finanziare l’immigrazione 9 Olivio Romanini L’impegno dei Comuni 10 Liliana Fabbri L’esperienza del Villaggio Rouza 13 L. F. Gli interventi di Bologna 13 Nicodemo Mele Immigrati tra cronaca e storia 14 Fausto Anderlini Le Parole per dirlo 16 a cura di Dimitris Argiropoulos e Rita Paradisi Le regole per entrare e restare in Italia 26 Abdulkadir Mohamed Tahlil Non solo immigrato 29 D. A. e R. P. Portici racconta Incrociandosi per strada 31 Gabriella Ghermandi Scritti di tutti i colori Adriana Bernadotti Le altre culture in biblioteca A. B. L’informazione multietcnica a Bologna... A. B. ... E quella della stampa italiana Francesca Gallini Tre storie di quotidiana immigrazione a cura di Dimitris Argiropoulos Più clandestinità meno sicurezza F. B. Tutti insieme per sciogliere i nodi Nicodemo Mele Cooperare per lo sviluppo Pietro Pinto n ORIZZONTI D’ARTE n LA CITTÀ SENTIMENTALE Il cielo sotto Wenders Renzo Renzi n BOLOGNA IN LETTERE L’infelicità permanente Stefano Tassinari n IL POSTO DELLE FRAGOLE I nuovi cinici Nicola Muschitiello n TERRITORIO E AMBIENTE Agenda 21: lavori in corso Direttore: Roberto Olivieri Caporedattore: Sonia Trincanato Direzione e redazione: Provincia di Bologna, Via Zamboni, 13 tel. 051/218.340/355 fax 051/218.226 e.mail: [email protected] Iscrizione Tribunale di Bologna n. 6695 del 23/7/97 Chiuso in fotocomposizione il 25/10/2001 35 36 Gabriele Bollini n GRANDI INFRASTRUTTURE Interporto, un gioiello del sistema Bologna n NEWS 40 n RICOMINCIAMO A... 42 43 45 51 Francesco Baccilieri 37 37 38 a colloquio con Marzio Barbagli e Dario Melossi Un ponte tra Bologna e Ferrara Hidehiro Ikegami Bimestrale della Provincia di Bologna Anno V - n. 5 - ottobre 2001 33 52 Dove va la cucina bolognese Alessandro Molinari Pradelli n RICERCA In difesa della ragione Stefano Gruppuso n MOSTRE Spazio arte Lorenza Miretti 54 55 56 46 48 49 50 Computer graphic: Annalisa Degiovannini, Gabriella Napoli Segreteria di redazione: Rita Michelon, Grazietta Demaria Fotografie: Archivio Provincia, V. Cavazza, M. Cucci, , P. Gigli, L. Nadalini, P. Pulga, M. Sciacca Progetto grafico e Art: Guido Tucci Stampa: Tipografia Moderna Bologna Impaginazione: Piero Brighetti Tiratura: 13.000 copie In copertina Nanni Menetti, ÒMicroviolenza VIII - Il verde pu˜ essere bile, anche...Ó, 1999, tecnica mista. I materiali di Nanni Menetti, artista attivo fin dagli anni Ô60, sono i residui della scrittura e, ultimamente, i segni e le tracce della natura (il gelo). Vincitore del premio Marconi 2000 per la nuova scrittura, a nome Luciano Nanni insegna estetica allÕUniversitˆ di Bologna. Questo periodico • associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Portici • consultabile anche sul sito Internet www.provincia.bologna.it/portici/index.html - Tutti i numeri sono scaricabili interamente in formato per Acrobat Reader C O M E E R AVA M O DETENUTO PASCOLI GIOVANNI di CLAUDIO SANTINI Quando il poeta conobbe il carcere e il tribunale mentre era ancora studente a Bologna, e come la dura esperienza lo segnò anche nei confronti delle sue più intime convinzioni politiche A rrestato dai Carabinieri Reali per aver elevato grida sediziose e aver oltraggiato i militi con l’invettiva “Avanti, sgherri vigliacchi!”. Rinchiuso nel carcere di San Giovanni in Monte. Età: anni 24, professione: studente di filosofia e belle lettere. Cognome: Pascoli, nome: Giovanni. Il futuro Poeta - all’Università con una borsa di studio - s’impatta a Bologna con la galera e la giustizia e subisce un trauma che segnerà profondamente la sua vita già duramente provata per l’assassinio del padre Ruggero, la conseguente miseria e la serie a catena di gravi lutti che, in pochi anni, lo hanno privato anche della madre Caterina, della sorella maggiore Margherita, dei fratelli Gigino e Giacomo. Un’esperienza negativa che gli fa pensare addirittura al suicidio, come testimonia la poesia La voce. “Una notte dalle lunghe ore/ (nel carcere!), che all’improvviso/ dissi- Avresti molto dolore,/ tu, se non t’avessero ucciso,/ ora, o babbo!…e che agli uomini, la mia vita,volevo lasciargliela lì…”. È il 1879, l’anno della Duplice Alleanza fra Germania-Austria e Ungheria e della Guerra del salnitro in Pacifico. In America Thomas Edison annuncia la realizzazione della lampadina elettrica, pronta ad essere messa in commercio a basso costo. In Italia è appena cominciata l’ “età Umbertina” dal nome di Umberto I, succeduto al padre, Vittorio Emanuele II morto nel ‘78. Depretis si dimette e lascia il posto a Benedetto Cairoli. Bologna ha un governo locale guidato dai liberali trasformisti che- sindaco Gaetano Sacconi, dal ‘75 - ha aperto alle istanze associazionistiche della classe operaia. I circoli sociali-socialisti sono numerosi e prevalentemente “umanitari”, dopo la fallita rivoluzione anarchica del ’74 che ha mandato in carcere Andrea Costa. Il 6 luglio, è inaugurato il nuovo passeggio pubblico dedicato a Margherita, la Regina che, l’anno prima, ha visitato la città con l’Augusto Consorte ed ha affascinato il repubblicano Giosuè Carducci. È settembre e i giornali di fine estate parlano del caldo che persiste oltre i 30 gradi, degli incendi, del viaggiatore Pellegrino Matteucci in 2 visita a Bologna, del Congresso dei Veterinari, di Teresa Raquin di Zola fischiata all’Arena del Sole. La moda femminile annuncia per l’autunno “scialli piegati all’usanza delle nostre nonne”. Il 2, al Palazzo di Giustizia, s’inizia un altro processo agli Internazionalisti dopo quello del ’76 per l’ insurrezione in nome di Bakunin. Il 17 novembre del ’78, a Napoli, Giovanni Passanante, cuoco calabrese, si è precipitato verso il cocchio reale impugnando un coltello che ha cercato il petto del Sovrano ma ha trovato solo una coscia di Cairoli. Il gesto ha esaltato i libertari internazionalisti ai quali appartiene Giovanni Pascoli. Ad accostarlo a questo ambiente politico è stato l’animo esacerbato per la mancata giustizia dell’assassinio del padre assassinato. Poi l’indigenza economica che lo ha portato a cercare un piatto caldo nell’osteria del Foro Boario (oggi Piazza Trento e Trieste) dove un cameriere gli fa credito. È Teobaldo Pio Buggini, detto Gigione, ex garibaldino, internazionalista, intimo di Andrea Costa. Pascoli conosce così il capo del nascente socialismo e comincia a collaborare con lui a Il Martello. Si iscrive alla ricostituita sezione dell’Internazionale. Grida “Abbasso” al Ministro Ruggero Borghi in visita all’Università e si vede sospendere la borsa di studio che gli permette di vivere. Altra “ingiustizia” che contribuisce, dopo l’attentato di Napoli, a fargli recitare: “Del berretto di un cuoco faremo una bandiera”. Il 7 marzo ’79 l’attentatore è condannato a morte (pena commutata poi in lavori forzati a vita, per clemenza del Re) e ciò provoca manifestazioni internazionaliste e conseguenti retate di polizia. A Bologna finiscono “dentro” 18 persone che sono processate , appunto, dal 2 al 7 settembre. La sentenza infligge 11 condanne ed è accolta dalle proteste dei compagni degli imputati non tanto per la pesantezza delle sanzioni (massimo di 1 anno e 6 mesi, minimo di 5 mesi) quanto per la qualificazione del reato: “associazione di malfattori” cioè delinquenti comuni e non contestatori politici. L’aula è Una veduta del carcere di San Giovanni in Monte in cui fu rinchiuso il giovane Pascoli C O M E E R AVA M O sgomberata e i reclusi sono ricondotti al carcere passando dal portone secondario che dà sulla via Solferino. La protesta si trasferisce così davanti a San Giovanni in Monte. È attorno al mezzogiorno. Scrive La Stella d’Italia, nuovo Monitore di Bologna, «Domenica gli internazionalisti dopo la condanna erano ricondotti a San Giovanni in Monte. Quivi giunti una schiera di cittadini li attendeva; taluni gridavano Viva l’ Internazionale! Viva i malfattori moderni! Viva la rivoluzione sociale!» .E la Gazzetta dell’Emilia: « Ier l’altro quando si ricondussero a San Giovanni in Monte i condannati internazionalisti alcuni loro compagni si fermarono sotto le finestre a gridare Viva l’ Internazionale e Viva la rivoluzione sociale. Furono arrestati certi C.e P.» C. è lo studente di Ravenna, conte Ugo Corradini Ginanni, P. è Giovanni Pascoli come dice esplicitamente La Patria del 10 settembre: «L’egregio giovane sig. Pascoli, studente di filosofia e belle lettere all’Università di Bologna, fu arrestato a seguito della dimostrazione avvenuta alle carceri di San Giovanni in Monte a favore degli Internazionalisti testé processati. Conoscendo l’ingegno, il cuore e il carattere di questo veramente egregio giovane, facciamo voti gli sia presto resa la libertà». Sulle circostanze dell’arresto ci sono due versioni. Quella dei Carabinieri Reali che nel primo verbale sostengono di essere stati “fronteggiati” cioè contrastati con violenza. Quella di Pascoli che - pur ammettendo la partecipazione alla protesta - la limita alla sola presenza davanti al carcere e alle spiegazioni chieste ai militari che avevano bloccato Corradini Ginanni. Nulla di sedizioso e di rivoluzionario perché: «Non appartengo ad alcun partito politico - sostiene sostanzialmente nel primo interrogatorio - e le mie idee individuali mi conducono ad appartenere a quella parte dei socialisti che desiderano il miglioramento della società senza pervertimento dell’ordine». che gli inviano qualche soldo per integrare lo scarso rancio. Scrive a Severino Ferrari, futuro poeta e studioso di letteratura, nato a Alberino di Molinella, allievo prediletto di Carducci (“Allor che agosto cada, o Severino / e chiami l’acqua le rane canore / noi torneremo poeti a l’Alberino”) e gli chiede soprattutto libri: Storia e grammatica della lingua latina e una grammatica tedesca, e il Faust di Goethe. Riceve qualche visita dal fratello Raffaele, che, a Bologna è impiegato tecnico al Genio Civile. Le sorelle, Ida e Maria, sono in collegio a Sogliano e saranno avvertite solo più tardi da una zia. È depresso e piomba nella cupezza quando la Regia Corte d’Appello ne dispone il rinvio a giudizio in stato di detenzione nonostante l’accusa avesse proposto la libertà provvisoria avendo ravvisato l’oltraggio ma non la violenza. Medita il suicidio. Il 22 dicembre, un lunedì, viene chiamato, assieme a Ugo Corradini Ginanni davanti alla seconda sezione correzionale (oggi penale). Alla difesa siede Giuseppe Barbanti Brodano, già in luce nel processo Costa. Le deposizioni dei Carabinieri sono determinanti. A distanza di tempo, non sanno più bene collocare gli imputati nel gruppo Giovanni Pascoli dei dimostranti. Si contraddicono. in una foto-ritratto, una veduta dei giardini Forse li hanno sentiti e visti mentre pronunciavano le grida sediziose, forMargherita del secolo scorso e, sopra, un se li hanno individuati solo dopo che autoritratto del poeta qualcuno (- Chi? - È difficile dirlo) le del 1909 con il suo aveva pronunciate. cane Guli Per questi motivi: «visto l’art. 393 del vigente codice di procedura penale, il Tribunale dichiara non essersi fatto luogo a procedere contro Ginanni (In queste parole già cogliamo quell’ideologia Corradini Ugo e Pascoli Giovanni, pei capi più di cuore che di testa che, unita negli anni d’imputazione loro addebitati». successivi al nazionalismo, farà del Poeta un Lo stesso 22 dicembre Zvanì torna libero e risocialista particolare e un internazionalista prende la vita di studio che in due anni lo porterà alla laurea. L’esperienza l’ha confermato massimamente improprio). L’arresto, in flagranza, è confermato e per in alcune convinzioni ma mutato profondaZvanì comincia la traumatizzante esperienza di mente in altre. Anche in relazione alla sua futura collocazione politica. detenuto. La sua cella è nel vecchio monastero dei Cano- I Canti di Castelvecchio, pubblicati nel 1903, nici lateranensi che ospita reclusi politici, di- contengono, infatti, la poesia La voce: quella sertori, delinquenti comuni , oziosi, vagabondi, come abbiamo scritto - col riferimento alla cartruffatori, bari: tutti ammassati in carenza di cerazione bolognese. E una nota: «è un’allusione che mi riconduce a spazi. C’è un vecchio assassino, dal capo tutto bian- tempi che ora sembrano chiusi, ma che parevaco, quasi sempre accucciato per terra con la te- no voler condurre l’Italia alla condizione d’una sta fra le mani e l’aria assorta e un ladro che Russia, forse peggiore: d’una Russia non solo passeggia continuamente misurando a passi la senza giustizia, ma senza grandezza. Quanta cella. L’estate calda è stata seguita da un au- prigione per nulla…». Poi «In quei mesi d’un tunno freddo e Giovanni ha le mani continua- rigidissimo inverno ebbi occasione di meditare mente intirizzite. Compone mentalmente poe- su la giustizia. sie che non riesce a tenere a memoria. Non en- Dopo la qual meditazione mi trovai allora astra in gruppo con gli altri reclusi. Cerca invece solto e per sempre indignato. Ai cari compagni q di mantenere i contatti con i compagni liberi di quel tempo un saluto!». 3 DAL CONSIGLIO ALLÕINDOMANI DELLA TRAGEDIA IN USA Erano le 15 circa (ora italiana) del’11 settembre quando il primo Boeing 767 si è schiantato contro una delle Twin Towers. E poi il susseguirsi degli altri attacchi, alla seconda torre e al Pentagono…immagini forti, vissute in diretta dal Consiglio provinciale che era già stato convocato in seduta ordinaria. Una riunione durante la quale sono stati espressi, a caldo, i primi commenti, le impressioni e lo sgomento di fronte alla tragedia che ha colpito gli Stati Uniti. E dove è emersa, comunque, la necessità di indire una seduta straordinaria che si è svolta il 13 settembre in forma solenne. Per l’occasione sono stati convocati tutti i sindaci dei Comuni della Provincia, intervenuti numerosi con gli altri invitati: il prefetto di Bologna Sergio Iovino, il rettore dell’Università Pier Ugo Calzolari, il direttore della Johns Hopkins University Robert Evans, il vice sindaco di Bologna Giovanni Salizzoni e una delegazione di monaci tibetani. «Abbiamo voluto far sentire la nostra volontà unanime di condanna nei confronti di un fatto difficilmente descrivibile per la sua atrocità assoluta - ha detto aprendo la seduta il presidente del Consiglio Valerio Armaroli - una condanna che vogliamo sia netta, senza nessun appello per questo grave atto terroristico che ha colpito gli Stati Uniti d’America, ma che noi diciamo ha colpito l’intero mondo proprio per la minaccia che esso rappresenta, per i valori comuni quali la democrazia e la convivenza internazionale». E condanna unanime è stata con l’approvazione, da parte di tutti i gruppi consiliari, di un ordine del giorno contro «il vile e criminale atto di terrorismo perpetrato contro gli Stati Uniti d’America…un atto che, compiuto con il preciso intento di portare ad una radicalizzazione dei contrasti tra i popoli, rappresenta un attacco all’intera comunità internazionale e ai suoi valo- 4 ri di civiltà». Nel documento si esprime il più profondo e sentito cordoglio al Governo americano e al suo popolo, e si auspica una dura punizione per i responsabili dell’attentato, ma anche il proseguimento di quella faticosa opera «volta a garantire la convivenza pacifica fra i popoli e ad affermare i principi di pace, giustizia e tolleranza». Nell’ordine del giorno, infatti, si invitano il Governo e il Parlamento italiani e l’Unione Europea a «perseguire l’obiettivo di una politica estera improntata alla ricerca della pace e della convivenza tra i popoli del mondo e rifiutando l’ineluttabilità di un conflitto tra civiltà». Un’indicazione, quest’ultima, ripresa anche dal presidente della Provincia, Vittorio Prodi, che ha ammonito chi volesse innescare una spirale di violenza. «Siamo feriti da questa esperienza - ha detto - e chiediamo giustizia, ma non vendetta, perché bisogna cercare di sfuggire a questo gioco che vorrebbe una violenza che alimenta altra violenza: diventerebbe qualcosa di incontrollabile. Il vero conflitto sarà fra civiltà e barbarie, non fra civiltà diverse. Noi dobbiamo consentire ai popoli in via di sviluppo di prendere quello che vogliono dalla nostra civiltà, senza imporre nulla: così potremo contribuire a spegnere quei focolai d’odio e di ingiustizia che sono nel mondo e che possono anche avere fornito qualche motivazione per azioni di questa violenza». Richiamando le parole del Papa, il capogruppo del Gruppo Misto, Osvaldo Santi, ha detto «colpiamo i terroristi, ma lasciamo stare i popoli. È un momento di riflessione per tutti, per vedere se abbiamo commesso degli errori nel creare una società che è arrivata al punto di fare delle cose così inumane che credo non si siano mai verificate nella storia. Cerchiamo di analizzare ha proseguito - e, se è possibile, porre dei rimedi. Al contrario, se la risposta dovesse essere quella delle botte contro le botte, qualcosa non funzionerebbe». Sentimenti di cordoglio, di sdegno e di rabbia per quanto accaduto sono stati espressi dal capogruppo dei Verdi, Sandro Magnani. «La rabbia per questo fatto - ha detto - ci ha fortemente colpito come cittadini bolognesi, purtroppo già coinvolti in questo tipo di esperienze: vado indietro negli anni e penso al 2 agosto. Le stragi e le crudeltà accompagnano la storia dell’umanità. L’essere umano è capace di cose sublimi e di cose efferate e questo è un esempio di efferatezza portato all’estremo livello dalla tecnologia, ma che deve subire una condanna senza appello». La necessità di una riflessione sulle motivazioni che hanno portato delle persone a compiere tali atti è stata richiamata anche dal capogruppo dei Comunisti Italiani, Elpidoforos Nicolarakis. «Mentre noi viviamo in un clima di pace - ha detto - in vari punti del mondo ci sono tante contraddizioni e tante guerre, situazioni che possono spingere certi individui a compiere questi atti. Allora compito del mondo occidentale è di contribuire ad eliminare questi focolai, dando dignità ad ogni popolo, senza discriminarne nessuno». Evitare scontri tra civiltà: è stata la parola d’ordine di Rifondazione Comunista che ha spiegato uno dei motivi per cui ha sottoscritto l’ordine del giorno. «Il documento - ha detto il consigliere Nello Orivoli - in una parte che abbiamo specificatamente richiesto, parla di organismi internazionali preposti alla risoluzione del problema della pace nel mondo. Noi insistiamo su questo terreno, perché riteniamo l’ONU l’organismo principe, con un dettato che può essere simile a un dettato costituzionale, quindi con dei principi inviolabili». Atrocità, sgomento, condanna, pace: parole che, secondo il consigliere della Margherita Flavio Peccenini, assumono un grande peso e dividono il mondo in due. Da una parte chi, appunto, prova sgomento per l’atrocità commessa e la condanna fermamente. Dall’altra «c’è la barbarie che, ricordiamoci però, non è solo odio fanatico, è anche la vendetta e la guerra. La persecuzione, la guerra e la vendetta in questo momento sono da mettere dalla stessa parte della barbarie». Per il capogruppo di Alleanza Nazionale, Sergio Guidotti, la conseguenza dell’atto contro gli Stati Uniti deve essere «una battaglia della civiltà della vita contro quella della morte». Per vincere questa battaglia, secondo Guidotti, ci si può impegnare a tutti i livelli «individuando e colpendo le compli- DAL CONSIGLIO cità, quelle che tendono a creare i brodi di coltura del terrorismo: questo è un compito che noi possiamo darci, specialmente nel non tentare sociologiche giustificazioni al terrore quando esso si manifesta». Anche il capogruppo di Forza Italia, Mario Pedica, ha insistito sulla necessità di combattere e annientare il terrorismo. «Dovranno essere duramente puniti non solo i responsabili - ha detto - ma anche chi offre loro asilo e qualsiasi tipo di protezione. Da questo momento tutte le forze politiche, le nazioni, comprese quelle arabe, devono dire chiaramente da che parte vogliono stare. Chi adotta la strategia del terrore è nemico della pace, e la pace è il bene supremo che tutti abbiamo il dovere di salvaguardare». Il consigliere dei Democratici della Sinistra, Salvatore Caronna, ha invece ritenuto «indispensabile che la politica riacquisti il suo primato, perché solo la politica può affrontare le ragioni che stanno alla base dell’odio, della disperazione, del fanatismo, che portano persone a morire per uccidere. Occorre prosciugare quelle sacche di odio e offrire una speranza, una prospettiva a quei popoli che sono ai margini del mondo. Solo così, penso, potremo sperare in un futuro sicuro per noi e per quelli che verranno dopo di noi». Il Consiglio provinciale ha aderito alla proposta della Comunità europea di osservare tre minuti di silenzio nella giornata del 14 settembre alle ore 12. ALLÕESAME DELLÕASSEMBLEA «Nonostante l’incertezza del quadro finanziario nazionale, la Provincia non verrà meno agli impegni assunti di restituire il debito alla Cassa depositi e prestiti, anzi l’amministrazione restituirà con un anno di anticipo anche la rata del 2003». Lo ha assicurato il 25 settembre l’assessore provinciale al Bilancio, Paola Bottoni, illustrando in Consiglio le linee di indirizzo per il bilancio di previsione del prossimo anno. Indirizzi che prevedono anche una manovra fiscale di circa 7 miliardi che riguarderà le uniche due leve tributarie dell’Ente: l’addizionale Enel sui consumi industriali (si ipotizza un aumento di 1 o 2 lire per kilowatt/ora) e l’im- posta provinciale di trascrizione sulle auto nuove (con un aumento di 30 mila lire per iscrizione). L’assessore ha sottolineato come la Provincia abbia mantenuto l’impegno a non far ricorso alla leva fiscale per tre anni (dal ’99 al 2001) ed ha aggiunto che anche questa manovra annunciata potrebbe essere disinnescata se giungessero dal Governo garanzie, per il 2002, sulle maggiori entrate riguardanti i trasferimenti per le nuove funzioni (stimati intorno ai 23 miliardi di lire). La delibera contenente tali indirizzi è stata approvata con 19 voti a favore (Democratici di Sinistra, Verdi, Margherita, Gruppo Misto, Comunisti Italiani) e 7 contrari (Rifondazione Comunista, Forza Italia, Alleanza Nazionale). Ptcp: i nuovi poteri di palazzo Malvezzi Sempre il 25 settembre, il vicepresidente Tiberio Rabboni ha informato il Consiglio su quanto emerso dal convegno sul Piano territoriale di coordinamento provinciale che si è svolto nel luglio scorso. Rabboni ha sottolineato, inoltre, i nuovi poteri che il Ptcp (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) conferisce all’Ente per quanto riguarda gli interventi a carattere sovracomunale. Tra questi, la programmazione e la localizzazione dei nuovi poli funzionali (commerciali o abitativi) e la ricognizione di quelli esistenti (ad esempio fiera, aeroporto, ospedali). Nuove funzioni che, ha assicurato il vicepresidente, verranno esercitate ricercando l’intesa dei Comuni interessati. I contributi emersi dal convegno di luglio e le indicazioni del Manifesto saranno raccolti in un documento preliminare che sarà presentato alla Conferenza di pianificazione che si aprirà nel mese di novembre. La discussione di questi argomenti avverrà nelle prossime sedute consiliari. Nel corso della stessa seduta, con 22 voti a favore (Democratici di Sinistra, Verdi, Margherita, Gruppo Misto, Comunisti Italiani, Alleanza Nazionale) e due astensioni (Rifondazione Comunista e Forza Italia) è stato approvato il Piano degli interventi a favore dell’associazionismo per il 2001. Si tratta di un provvedimento che stanzia 160 milioni (80 della Provincia e 80 della Regione) a favore, appunto, delle associazioni (sono 153 quelle iscritte al- l’albo provinciale, per un totale di 86.196 iscritti). Il Piano prevede l’istituzione dello Sportello per lo sport, con cinque sedi nel territorio che forniranno informazioni alle associazioni sportive. Altre iniziative riguardano il “fund raising”, cioè il recupero di fondi per le associazioni, un corso sulla comunicazione al loro interno, un seminario sulla partecipazione a progetti europei e l’aggiornamento della banca dati sulle associazioni. I progetti del Patto Metropolitano Diversi sono i progetti messi in campo nell’ambito del Patto metropolitano per il lavoro e lo sviluppo, e riguardano gli alloggi in affitto a basso costo, il digitale e la logistica. Lo ha detto l’assessore alla Promozione economica del territorio, Nerio Bentivogli, quando ha aggiornato il Consiglio del 2 ottobre sull’attività svolta dal Patto metropolitano. Per quanto riguarda il tema degli alloggi c’è un accordo approvato dalla Conferenza metropolitana dei sindaci che impegna, appunto, i sindaci a mettere a disposizione aree a costo contenuto per la costruzione di alloggi a canone contenuto. È previsto il coinvolgimento di privati, poiché la comunione di energie pubbliche e private dovrebbe consentire di costruire, in tempi ragionevolmente rapidi, una significativa quantità di alloggi in affitto a basso costo. In cantiere anche la realizzazione dell’agenzia per l’affitto, un progetto per l’affiancamento al processo di immigrazione e un altro per la trasmissione di impresa. Per quanto riguarda il digitale, invece, è prevista la costituzione di un centro di informazione, documentazione e di monitoraggio permanente su tutte le azioni che si svolgono sul territorio nel campo del digitale e del multimediale, un’iniziativa realizzata dalla Provincia in collaborazione con Università e Camera di Commercio. Ancora, un progetto sui processi di formazione sul digitale e la ripresa del progetto del polo multimediale seppure, ha sottolineato Bentivogli, un po’ ridimensionato. Infine, l’assessore ha annunciato un piano di marketing per la logistica (già avviato), un osservatorio permanente (in fase di elaborazione), un convegno annuale e un forum permanente sullo q stesso tema. 5 ECONOMIA LÕEURO ALLE PORTE di LILIANA FABBRI Dal primo gennaio l’euro entrerà nelle tasche di circa 370 milioni di persone. L’economista Flavio Delbono, in una lezione tenuta al COMPA, ricorda le tappe del nuovo sistema monetario internazionale N on è mai successo che un numero così elevato di Paesi, volontariamente, rinunci alla propria sovranità monetaria: uno dei simboli, assieme alla bandiera e all’inno, dell’identità nazionale. Si tratta veramente di un episodio unico nella storia». Così l’economista Flavio Delbono, assessore regionale al bilancio, sintetizza la rivoluzione monetaria che fra breve porterà nelle tasche di 370 milioni di cittadini europei l’euro. La nuova moneta unica, ormai alle porte, era uno dei temi conduttori dell’ultima edizione del Com-P.A. (la fiera della comunicazione nella Pubblica Amministrazione svoltasi a settembre a Bologna), durante la quale Delbono ha tenuto una lezione su “L’euro: origini e prospettive”. A una platea di studenti prossimi alla maggiore età, ha spiegato i motivi che hanno portato alla moneta unica, “sintesi di un nuovo sistema monetario internazionale”. Ne è uscita una lezione di storia economica contemporanea, che qui sintetizziamo. Bombardati ormai quotidianamente da informazioni sui problemi pratici - dalla conversione ai decimali, alla riconoscibilità di monete e banconote - legati al passaggio dalla lira all’euro, siamo convinti che un po’ di ripasso delle ragioni più profonde che sono alla base di questa grande rivolu- 6 zione non farà male anche a chi non è più studente. Il primo sistema monetario internazionale nacque quasi un secolo e mezzo fa: era il 1870, e venne definito “Gold Standard” (sistema dell’oro). Esso prevedeva un regime di cambi fissi, con una “parità” fra un’oncia d’oro e un certo numero di lire, franchi, sterline, rubli, ecc. (il cambio, ovviamente, era fisso anche fra le diverse monete); prevedeva anche la “piena copertura” del denaro circolante, per cui la Banca Centrale di un Paese doveva avere nei propri forzieri l’equivalente in oro della moneta che emetteva. Questo sistema monetario funzionò per circa mezzo secolo, offrendo “certezza” agli operatori commerciali e agli investitori; entrò in crisi nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, e nel 1919 si cercò di reintrodurlo, ma senza successo, perché nel frattempo le condizioni erano cambiate. Durante la guerra, infatti, l’inflazione aveva operato in modo diverso nei vari Paesi, e le vecchie parità non erano più coerenti coi nuovi prezzi. Fra la prima e la seconda guerra mondiale, pertanto, regnò una sorta di “anarchia” in campo monetario internazionale. Al termine della seconda guerra mondiale, i Paesi vincitori si incontrarono per dar vita a un Evidenziati in blu i Paesi che dal 1° gennaio 2002 adotteranno l’euro. Fino al 1° marzo 2002 continueranno a circolare anche le monete nazionali nuovo sistema monetario internazionale e nacque il “Gold Exchange Standard” (sistema di cambio aureo). Rispetto al sistema precedente, ancorato solo all’oro, questo era imperniato sulla parità fra oro e dollaro statunitense. Gli Stati Uniti, cioè, si impegnarono a garantire la convertibilità fra dollaro e oro, a un tasso prefissato: 35 dollari per oncia. Gli altri Paesi che aderirono al sistema, fra cui l’Italia, si rapportavano al dollaro. Questo sistema, inoltre, non prevedeva più i tassi rigidamente fissi fra le monete, ma ammetteva una certa “fluttuabilità”: le monete potevano oscillare dell’1% (in più o in meno). Definito nel 1944, questo sistema entrò in vigore solo nel 1958, contribuendo allo sviluppo del commercio internazionale, all’incremento degli scambi, alla mobilità dei capitali. Fino al 1971, quando anch’esso entrò in crisi. La ragione è presto detta: all’inizio gli Stati Uniti avevano nelle proprie casse una grande quantità di oro (un valore doppio rispetto al volume di dollari in circolazione), ma la grande richiesta di dollari (in breve divennero infatti il mezzo di pagamento mondiale più diffuso) indusse gli Stati Uniti ad immetterne sempre più nel sistema, importando più di quanto esportavano. Di questo passo, alla fine degli anni ’60 il rap- ECONOMIA porto fra la quantità di oro e quella di dollari, in origine pari a 2, arrivò a 0,1: la Banca Centrale americana, cioè, era in grado di coprire solo il 10% del valore dei dollari in circolazione. Di fronte alla preoccupazione degli altri Paesi, il 15 agosto 1971 gli Stati Uniti abbandonarono il sistema: fu la fine del “Gold Exchange Standard”. È allora che comincia l’avventura monetaria europea. I Paesi che già collaboravano sul fronte economico (nell’ambito della Comunità economica europea e di altri organismi) pensarono fosse giunto il momento di cercare di fare un sistema monetario solo europeo, senza gli Stati Uniti. Cominciò così la sperimentazione del cosiddetto “serpente monetario europeo”, che in seguito portò all’attuale “sistema monetario europeo” (lo Sme, formalizzato nel 1979). Facendo tesoro dei precedenti fallimenti, il sistema non fu imperniato su un oggetto esterno (ad esempio l’oro), e neppure su una singola moneta. Venne allora inventato l’Ecu (European Currency Unit), precursore dell’euro. Era una sorta di cocktail di monete, le cui dosi dipendevano dal peso delle varie economie. L’Ecu non ha mai circolato, è stata solo una moneta virtuale, una unità di conto. Lo Sme non prevedeva un sistema di cambi rigido, ma flessibile: le monete potevano infatti oscillare in un corridoio del 2,5%, al di fuori del quale si procedeva a un riallineamento (con svalutazione o rivalutazione delle monete). Questo sistema funzionò molto bene durante tutti gli anni ’80, ma all’inizio degli anni ’90 anch’esso entrò in crisi: nel 1992, prima la lira italiana poi la sterlina inglese uscirono dal sistema, perché non erano più in grado di stare dentro al corridoio. La crisi dello Sme non è imputabile a difetti congeniti, quanto alla impossibilità di convivenza con la costruzione del mercato unico europeo, che prevedeva la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. E quando si permette ai capitali di circolare liberamente, questi si spostano dove la remunerazione è migliore: di volta in volta, quindi, ci sarà grande domanda di una moneta (il cui prezzo cresce) e grande offerta di un’altra (il cui prezzo scende). Finisce che il tasso precedente non è più corretto e, alla lunga, il sistema crolla. Come è successo per lo Sme. È a questo punto che si collocano gli accordi di Maastricht del 1992, nei quali si riconobbe che, per arrivare a un sistema monetario europeo cogente, bisognava eliminare alla radice il problema dei tassi di cambio, attraverso l’adozione di un’unica moneta. Un obiettivo molto ambizioso, ma nel ’92 non c’erano le condizioni per chiedere a 10-12 economie di rinunciare alla loro moneta e di adottarne una unica, perché i sistemi economici erano troppo diversi. A Maastricht si decise quindi di fissare alcuni parametri (debito pubblico, disavanzo pubblico, tassi d’inflazione, tassi d’interesse), al fine di armonizzare una situazione che si presentava troppo eterogenea fra i vari Paesi. Solo chi avesse centrato gli obiettivi su questi quattro parametri poteva entrare nella fase finale. Ciò è avvenuto il 1° maggio 1998, quando undici Paesi (ai quali qualche mese dopo si è aggiunta la Grecia) hanno deciso di adottare una moneta unica: l’euro appunto, che inizierà a circolare dal 1° gennaio del prossimo anno. «A questo punto - osserva Delbono - si prospettano due problemi. Da un lato il fatto che, se la politica monetaria europea è svolta dalla Banca Centrale Europea, le politiche fiscali e commerciali sono ancora in mano ai singoli governi nazionali; dall’altro, il nodo dell’unificazione politica dell’Europa. L’assenza di un autentico governo europeo (perché la Commissione Europea non può considerarsi tale) rappresenta uno dei principali ostacoli alla creazione di una maggiore integrazione per quanto riguarda la libera circolazione di merci, persone, servizi, capitali. Al momento circolano molto più rapidamente (anche troppo) i capitali, rispetto a merci, servizi e persone». q FORMAZIONE PROFESSIONALE L a Provincia di Bologna è da sempre attenta alle problematiche sociali ed attiva nella collaborazione con i Servizi Sociali del territorio per studiare risposte formative flessibili e personalizzate. Su sollecitazione del Quartiere San Donato ha accolto la proposta di inserire nella programmazione provinciale 2001/2002 i progetti di transizione fromazione al lavoro che storicamente sono stati realizzati dal Quartiere nell’ambito delle sue iniziative di prevenzione al disagio di alcune fasce della popolazione giovanile. In stretto raccordo con il quartiere San Donato e gli Enti di formazione Enaip e Ecipar sono state governate le azioni preliminari alla fase progettuale delle due iniziative affinché potessero conservare la loro idnetità, costruitasi attraverso anni l’esperienza, e nel contempo si inserissero nel contesto formativo con le sue regole e i suoi contenuti. Le due iniziative formative si caratterizzano come percorsi volti a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro di giovani e/o adulti attraverso metodologie attive che consentano di “imparare facendo”. A conclusione dell’azione formative il Quartiere San Donato finanzierà ed attiverà tirocini formativi retribuiti in azienda per dar modo ai giovani di completare la loro formazione, verificando e cosolidando le competenze acquisite. Enti coinvolti ENAIP ed ECIPAR Profili / Contenuti del progetto Riparatore di moto e cicli Riparatore auto Idrauico Aiuto-parrucchiere Ebanista restauratore Operatore elettrico Saldatore Destinatari 72 partecipanti di etˆ superiore ai 16 anni Ore di formazione 20.000 Importo finanziario per le attivitˆ formative a carico della Provincia Importo finanziario per le attivitˆ formative a carico del Quartiere Attestato rilasciato L. 313.125.000 L. 30.000.000 Dichiarazione di competenze 7 DA STRANIERI A CITTADINI Il flusso che porta uomini e donne da altre regioni del mondo nel nostro Paese è visto ormai non solo come un fatto necessario ed ineliminabile, ma anche positivo. Studi recenti hanno evidenziato che si sta esaurendo il carattere di eccezionalità delle immigrazioni tipiche degli anni ’90 (ricordiamo l’emergenza dovuta alla guerra nei Balcani). Augurandoci che altri conflitti con le loro tragiche conseguenze, non spingano più masse di profughi verso i Paesi più sviluppati dell’Europa, possiamo anche in Italia cominciare a guardare al fenomeno dell’immigrazione con un approccio diverso. Sta crescendo una nuova generazione di cittadini figli di stranieri; ciò delinea uno scenario diverso, con molti problemi 8 cui dare risposta. La casa anzittutto, e un lavoro regolare, ma anche politiche che favoriscano il rispetto di tutti e il riconoscimento dell’ identità culturale a discapito del pregiudizio e dell’intolleranza. In queste pagine abbiamo cercato, attraverso dati, confronti, pareri di esperti dei fenomeni migratori, ma anche attraverso le dirette testimonianze degli immigrati, di tratteggiare uno spaccato di questo complesso mondo e di illustrare progetti e interventi in atto, anche alla luce del nuovo piano territoriale sull’immigrazione messo a punto dall’amministrazione, sulla base delle linee d’indirizzo recentemente approvate dal Consiglio provinciale DA STRANIERI A C I T TA D I N I Un piano per finanziare lÕimmigrazione di OLIVIO ROMANINI Maggiore informazione e orientamento, sostegno alle donne, più integrazione nel lavoro e nella vita di tutti i giorni sono i punti salienti del piano sull’immigrazione provinciale N el mese di settembre la Giunta provinciale di Bologna ha definitivamente approvato il piano per l’immigrazione del 2001, che complessivamente stanzia più di un miliardo e 800 milioni per i progetti che i comuni del territorio hanno presentato a sostegno dei circa 32 mila cittadini immigrati residenti in provincia di Bologna. Viene utilizzato il contributo finanziario del fondo nazionale per l’immigrazione, ma i Comuni sono obbligati a finanziare il 35% del costo dei progetti. «Questo è un buon piano - dice l’assessore provinciale alla sanità e ai servizi sociali Donata Lenzi - perché rappresenta l’esito di un percorso locale e perché è più omogeneo rispetto a quello dell’anno scorso». Lenzi spiega che, ad esempio, è prevista l’istituzione di sportelli ad hoc per l’informazione e l’orientamento ai servizi per immigrati, così come l’introduzione di servizi per gli immigrati in sportelli informativi già esistenti sul territorio, due soluzioni diverse che andranno costantemente monitorate per capire in poco tempo qual è l’impostazione più corretta. Una delle priorità fondamentali che la Provincia ha indicato, è rappresentata dai progetti su e per le donne immigrate: «Sul tema delle donne - spiega Lenzi - c’è stato un grande accordo a livello territoriale che ci ha permesso di rendere disponibili azioni concre- te, ma anche qui dovremo costantemente monitorare la situazione. In altre parole, noi possiamo anche individuare servizi per le donne immigrate, ma bisogna poi concretamente vedere se le fanno uscire di casa». Un altro capitolo fondamentale, è quello dell’insegnamento della lingua italiana, una sfida che per Lenzi si presenta difficile, perché gli immigrati della provincia di Bologna provengono almeno da 70-80 paesi diversi. Il piano affronta anche il tema delicatissimo della partecipazione politica dei cittadini immigrati. «Il distretto di San Lazzaro e Pianoro - spiega l’assessore - sembra essere orientato sul modello di una consulta rappresentativa dei cittadini immigrati, mentre la Provincia sembra essere orientata a favorire una rappresentanza, cioè l’elezione nei Consigli comunali e nel Consiglio provinciale. Penso tuttavia, che la soluzione ideale sarebbe quella di avere una serie di consulte nel territorio e poi un coordinatore che sieda sui banchi del Consiglio provinciale. Non possiamo negare agli immigrati la rappresentanza politica, ma il punto vero è che dovremo anche chiamarli a condividere delle scelte». È prevista anche la possibilità di realizzare un’autoscuola speciale per i cittadini immigrati. «L’idea dell’autoscuola - continua Lenzi - è venuta all’assessore alla mobilità Pamela Meier che ha rilevato che da un lato negli incidenti stradali aumentava sempre più il numero di cittadini immigrati e dall’altro i datori di lavoro della nostra provincia assumono spesso lavoratori immigrati solo se hanno la patente. L’idea è quella di una scuola ad hoc, con la possibilità ad esempio di avere un traduttore per chi ha problemi con la lingua e con la possibilità di praticare sconti significativi sui costi del corso. Questo progetto sarà interamente finanziato dalla Provincia di Bologna». Recentemente le esternazioni dell’arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, sulla problematicità di un rapporto con l’Islam e con la cultura islamica, sull’onda emotiva degli attacchi terroristici che hanno colpito l’America, hanno riacceso sotto le due torri un acceso dibattito sui temi dell’integrazione e dei rapporti con le popolazioni immigrate. «Noi crediamo - dice Lenzi - che in questo momento occorra essere tutti più laici e chiedere laicità agli altri, pur nel riconoscimento delle varie opzioni religiose. Siamo perplessi, come qualcuno vorrebbe, sulla possibilità di scegliere quali immigrati accogliere in base alla loro professione di fede, ci sembra molto difficile. Per quanto riguarda il nostro rapporto con l’Islam, sulle questioni delle donne e delle politiche familiari, il confronto è molto difficile e q non c’è bisogno che ce lo dica Biffi». 9 DA STRANIERI A C I T TA D I N I LÕIMPEGNO DEI COMUNI di LILIANA FABBRI Il Piano territoriale 2001 vede la partecipazione di tutti i Comuni, delle Aziende Usl, di enti, associazioni italiane e straniere, secondo le linee e le priorità indicate da Palazzo Malvezzi E rano soprattutto uomini, che arrivavano in Italia per cercare lavoro, e si ritenevano fortunati quando trovavano un letto in un centro di prima accoglienza. Poi qualcuno ha cominciato a cercare un alloggio indipendente, da dividere con la moglie e i figli. È cambiata così la geografia dell’immigrazione nel territorio provinciale, ora sono per lo più famiglie che vivono in zone rurali o piccole frazioni poco o nulla collegate ai centri dove si concentrano i principali servizi, in una situazione di quasi isolamento. E se gli uomini, attraverso il lavoro, hanno rapporti con la società emergenza. A tale scopo in seguito ad una decisione presa della Conferenza Metropolitana dei Sindaci l’anno scorso, il Piano Territoriale sull’immigrazione è stato organizzato per distretti (Bologna, Budrio, Casalecchio di Reno, Imola, Porretta Terme, San Giorgio di Piano, San Giovanni in Persiceto, San Lazzaro di Savena). Ciascun distretto ha individuato un Comune capofila che coordina l’attività dell’intero territorio con un proprio budget, per un totale di circa 1 miliardo e 800 milioni complessivi. Saranno inoltre finanziati con fondi regionali (circa 58 milioni), ma su criteri disposti dalla azioni sul territorio. Per il primo degli obiettivi, è stato costituito lo scorso anno un Gruppo di lavoro interassessorile, a supporto del coordinamento e monitoraggio delle azioni dai vari settori dell’Ente, che è attualmente impegnato nell’elaborazione di un progetto organico e trasversale a favore dell’integrazione dei cittadini stranieri. (Cfr. Progetto Trasversale sull’Immigrazione della Provincia). Nella elaborazione dei progetti, i Comuni hanno lavorato in stretta collaborazione con le realtà pubbliche e del privato sociale attive sul territorio ed interessate al tema dell’immigraUn campo estivo a Imola organizzato dall’associazione “Trame di Terra” che accoglie durante l’estate i figli degli immigrati locale, le donne rischiano di essere sempre più emarginate. Oggi che la “questione immigrati” non è più solo un fatto di prima accoglienza, anche i Comuni della provincia si stanno organizzando per fare in modo che i cittadini extracomunitari possano integrarsi nel tessuto locale, mettendo in campo progetti che spaziano negli ambiti più diversi: dall’insegnamento della lingua italiana all’integrazione femminile, dagli sportelli informativi alla mediazione culturale, dalla formazione all’accoglienza abitativa di 10 Provincia, anche 16 progetti presentati da Associazioni di cittadini stranieri o “miste”, orientati all’organizzazione di corsi di lingua italiana per extracomunitari e alla valorizzazione delle culture di origine degli immigrati, per favorire la socializzazione e l’incontro fra persone di culture diverse. Per la realizzazione del Piano Territoriale Immigrazione per l’anno 2000, l’Amministrazione provinciale ha inaugurato un approccio di intervento che mira a privilegiare l’integrazione, sia delle politiche d’indirizzo, sia degli DA STRANIERI Cingalesi (Bangladesh) durante le elezioni dei rappresentanti della comunità zione (Aziende Usl, associazioni di immigrati, scuole, enti formativi, ecc). Tutti i progetti, infine, rispondono ai criteri-guida fissati dalla Provincia. I progetti Il progetto presentato dal Distretto imolese prevede la continuazione di alcune attività già avviate e l’avvio di due nuove esperienze: uno “sportello casa” per immigrati e un servizio di accoglienza abitativa per donne e bambini stranieri in difficoltà. In entrambi i casi si tratta di iniziative che vanno a colmare alcune carenze presenti nel territorio. Lo sportello, che opererà presso gli uffici accoglienza ai cittadini immigrati di Imola e Castel S. Pietro Terme, raccoglierà le richieste abitative degli immigrati e, attraverso contatti con agenzie immobiliari, imprenditori, istituzioni, cercherà di trovare soluzioni abitative idonee; al piano superiore del locale Centro interculturale è stato inoltre attrezzato un piccolo appartamento, dove verrà sperimentato un servizio di accoglienza diurna e notturna per donne immigrate con problemi economici e/o abitativi, sole o con figli (l’appartamento può ospitare due donne e un bambino, che grazie alla vicinanza col Centro interculturale potranno usufruire anche di altri servizi). Per quanto riguarda la continuazione di progetti avviati da tempo, invece, in prima fila c’è il già citato Centro interculturale, gestito da donne italiane e straniere, che si propone come “luogo amico e aperto”. Qui vengono svolte, in collaborazione con l’associazione “Trame di terra”, attività di mediazione culturale per donne, famiglie e coppie miste, corsi di lingua per A C I T TA D I N I donne immigrate e bambini in età scolare, attività culturali. Già attivi anche un Servizio di assistenza e consulenza legale (in collaborazione con l’associazione Centro di informazione sociale) e un Centro servizi per cittadini extracomunitari (in collaborazione con le cooperative sociali “Il solco” e “Mappamondo”), che offre consulenza nella compilazione di moduli e nell’espletamento di procedure, fa intermediazione presso Enti pubblici e privati, ecc. Grande attenzione alle donne anche nei progetti della Distretto di Casalecchio e della Comunità montana Valle del Samoggia. Si tratta dunque di un’area molto vasta e dalle caratteristiche ambientali e umane molto varie, che vede la popolazione immigrata, assieme a quella locale a più basso reddito, concentrarsi prevalentemente nei Comuni montani (Castello di Serravalle e Savigno), più scomodi da raggiungere ma dove gli affitti sono meno cari. In questo contesto l‘attività dei Comuni si rivolge non solo alla popolazione straniera, ma anche a quella nativa, attraverso servizi di consulenza legale, formazione e orientamento al lavoro, mediazione linguistica e culturale. Agli immigrati sono specificamente destinati i corsi di alfabetizzazione per adulti, ma a tutta la popolazione sono rivolte le attività informative sull’accesso ai servizi sanitari e scolastici, i laboratori di sartoria, i corsi di formazione per baby sitter e assistenza agli anziani, le iniziative di educazione alla differenza. Il Distretto di Budrio, che comprende anche i Comuni di Medicina, Molinella e Castenaso, ha scelto di sviluppare l’esperienza degli sportelli “Odos”, aperti un tutti quattro i Comuni ad aprile di quest’anno (con in fondi del precedente Piano per l’immigrazione). Gli sportelli, gestiti dal Cefal in convenzione con le Amministrazioni comunali, sono a disposizione dei cittadini immigrati per fornire informazioni o orientamento ai servizi (studio della lingua italiana, formazione e ricerca lavoro, diritti e doveri dei cittadini, servizi sanitari, iniziative culturali e ricreative). Gli operatori e i mediatori degli sportelli “Odos” svolgono opera di mediazione linguistica e culturale e sono a disposizione sia dei cittadini stranieri sia delle Istituzioni: ad essi possono rivolgersi infatti anche gli insegnanti che hanno difficoltà a comunicare con le famiglie degli alunni immigrati, gli operatori sanitari e sociali. Si occupano anche di organizzare feste, eventi, iniziative pubbliche, volte a comunicare all’esterno la ricchezza e le peculiarità delle culture degli stranieri che sono tra noi. Puntano sugli sportelli informativi, già avviati coi fondi del precedente Piano, anche i dodici Comuni che fanno capo al Distretto di S. Giorgio di Piano: Argelato, Baricella, Bentivoglio, Castel Maggiore, Castello d’Argile, Galliera, Granarolo, Malalbergo (capofila), Minerbio, Pieve di Cento, S. Giorgio di Piano, S. Pietro in Casale. Una esperienza molto positiva, che ha permesso di instaurare rapporti fruttuosi con gli utenti, riscuotendo un’accoglienza favorevole anche da parte dei servizi. Il progetto – realizzato col supporto del Cefal e della cooperativa Il Mappamondo – intende promuovere e incentivare la conoscenza e l’accesso ai servizi da parte dei cittadini stranieri, con una particolare attenzione alle donne: soggetti “deboli”, che spesso vivono situazioni di segregazione o sfruttamento. Gli sportelli sono quattro e hanno sede a S. Pietro in Casale, Castel Maggiore, Pieve di Cento e Granarolo. Si avvalgono di un operatore e due mediatori linguistico-culturali (uno di lingua araba, l’altro di lingua urdu); vengono organizzati anche incontri tematici, utili per favorire la comprensione dei diritti-doveri nei principali ambiti di interesse e la relazione coi servizi del territorio. Il progetto di punta del Distretto di Pianoro (che riunisce anche i Comuni di Ozzano dell’Emilia, San Lazzaro di Savena, Loiano, Monghidoro, Monterenzio) è la “Consulta degli immigrati”, attraverso la quale si vuole favorire l’incontro e il dialogo fra le persone di diverse culture presenti sul territorio, nonché incrementare fra gli immigrati la consapevolezza e la sensibilità alla gestione della cosa pubblica. L’idea di base è dotare ogni Comune di una propria Consulta, con il compito di evidenziare esigenze particolari e di formulare proposte al Consiglio comunale; è previsto anche un momento di rappresentanza a livello distrettuale. Nel primo anno verrà monitorata la presenza degli immigrati sul territorio, per creare una banca dati; in seguito si potrà arrivare a delle vere e proprie elezioni. È prevista inoltre la realizzazione di una Biblioteca multiculturale, che raccolga materiale cartaceo e on line, e di un Centro servizi e mediazione interculturale, al fine di garantire pari opportunità di accesso ai servizi alle fasce più svantaggiate per motivi linguistici e culturali. Assieme ai Comuni di Anzola Emilia, Calderara, Casalecchio di Reno e Zola Predosa, San Lazzaro ha messo in cantiere anche un progetto contro la tratta delle donne e la prostituzione, che oltre a monitorare il fenomeno vedrà la nascita di gruppi di strada per contattare le donne coinvolte. Sarà un intervento fra il sociale e la sicurezza, che coinvolgerà i servizi sociali, la polizia municipale e le associazioni che operano nel settore. Le donne straniere sono le principali destinatarie anche del progetto ideato dal Distretto di San Giovanni in Persiceto (di cui fanno parte anche i Comuni di Crevalcore, Sala Bolognese, Sant’Agata Bolognese e l’Azienda Usl Bologna Nord). Nel territorio interessato risiedono 424 donne straniere maggiorenni, che verranno 11 DA STRANIERI contattate personalmente, al fine di conoscerle e individuarne aspettative, esigenze, problemi, cercando di dare una risposta concreta alle loro istanze e di renderle il più possibile autonome nei confronti dei mariti. Verranno anche organizzati corsi di lingua italiana e di formazione, e si lavorerà in modo particolare sull’informazione (ad esempio realizzando opuscoli multilingue e ricorrendo all’aiuto di mediatori culturali), per favorire l’accesso ai servizi del territorio. Accoglienza, integrazione linguistica e integrazione nel sistema sanitario locale sono i punti cardine degli interventi progettati dal Distretto di Porretta Terme. Si tratta di un’area molto vasta, composta da undici Comuni: Monzuno, Camugnano, Castel d’Aiano, Castel di Casio, Castiglione dei Pepoli, Gaggio Montano, Granaglione, Grizzana Morandi, Marzabotto, Porretta Terme, Vergato. Già sperimentati in primavera, i corsi di lingua italiana sono stati seguiti da 70 adulti; l’iniziativa punta ad aiutare donne e uomini extracomunitari a svolgere le principali funzioni familiari: dal fare la spesa al leggere le comunicazioni scolastiche, dal comprendere le prescrizioni mediche al rapportarsi con gli uffici pubblici. Sul fronte dell’accoglienza, invece, verrà rinnovata la convenzione con il Centro A. Zolli (gestito dalla Parrocchia S. Maria Maddalena e di proprietà del Comune di Porretta Terme), ove ospitare nuclei familiari in situazione di emergenza abitativa. Del tutto nuovo, invece, il progetto di “mappatura” dei biso- A C I T TA D I N I Una manifestazione di cittadini extracomunitari per le strade di Bologna gni degli immigrati rispetto ai servizi socio-sanitari e scolastici; al termine dell’indagine sul campo verrà realizzato un opuscolo, scritto in varie lingue, volto a fornire un orientamento di L’OSSERVATORIO PROVINCIALE DELLE IMMIGRAZIONI attivo dal gennaio 2000 con sede c/o gli Uffici del Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna (Via del Borgo di San Pietro, 90/G) lÕOsservatorio Provinciale delle Immigrazioni, servizio realizzato in collaborazione con il Comune di Bologna (Servizio Immigrati Profughi e Nomadi) e grazie ai finanziamenti di cui al D. Lgs 286/98 - Piani Territoriali Immigrazione. Il progetto nasce dallÕesperienza del vecchio Osservatorio Comunale delle Immigrazioni, e si propone di: ■ Fornire gli enti locali di uno strumento di orientamento e sostegno alla programmazione ed al monitoraggio degli interventi in tema di immigrazione anche nellÕottica di dare organicitˆ alla pluralitˆ delle azioni é 12 attivate sul territorio; ■ Disporre di informazioni quantitative e qualitative costantemente aggiornate sulla presenza della popolazione immigrata e la loro integrazione nel territorio provinciale, base sull’accesso ai servizi per immigrati. L’iniziativa prevede anche lo svolgimento di una “Giornata di Fiera dell’Immigrazione”, che coinvolga cittadini italiani ed extracomunitari; verranno allestiti stand informativi sui servizi socio-sanitari e scolastici, punti ristoro con cucina etnica, uno spazio gioco dove confrontare q culture diverse, ecc. sia in termini demografici che di insediamento e di percorsi di mobilitˆ sociale; ■ Rilevare e capire come sul territorio viene applicata la legislazione riguardante lÕimmigrazione; ■ Mantenere un punto di consultazione e di documentazione in grado di fornire e diffondere informazioni sul fenomeno migratorio tramite una lettura corretta delle fonti statistiche e la diffusione di buone pratiche sullÕintegrazione anche analizzando le esperienze realizzate nei servizi territoriali locali. LÕOsservatorio • aperto al pubblico per consultazione testi e documentazione nei giorni di luned“ e gioved“ dalle 15 alle 18; il luned“ • attivo anche il servizio di consulenza e orientamento. Per appuntamenti telefonare a: Maria Adriana Bernardotti 051 218992 Milena Michielli 051 218991 e-mail: [email protected] [email protected] DA STRANIERI A C I T TA D I N I LÕesperienza del Villaggio Rouza Chiuso anche a Casalecchio come a Bazzano e Budrio il centro di accoglienza per i profughi della ex Jugoslavia S i parla tanto di integrazione dei cittadini extracomunitari, di politiche sociali e abitative in grado di avviare un percorso verso una società multietnica. Tante parole, buone intenzioni, che in genere si scontrano però con una realtà quotidiana molto diversa. Non sempre però. A volte, qualcuno “ce la fa”. È il caso delle dodici famiglie di profughi serbi, da diversi anni ospitate nel Villaggio Rouza a Casalecchio, che un po’ alla volta sono riuscite a trovare una sistemazione abitativa nel territorio comunale: dalle baracche prefabbricate a una casa vera, per una vita “normale”, fianco a fianco con chi li ha accolti dopo la fuga dalla ex Jugoslavia. E così, all’inizio di settembre il Villaggio Rouza è stato smantellato: le baracche sono state smontate e stoccate nel magazzino comunale (pronte ad essere riutilizzate per eventuali interventi di emergenza), le ruspe hanno bonificato l’intera area, che - dopo essere stata liberata da tubi, impianti, fili elettrici - è stata riconsegnata alla proprietà, con due anni di anticipo rispetto agli accordi iniziali. «Questa esperienza – afferma il sindaco di Casalecchio, Luigi Castagna – dimostra che l’integrazione è possibile, a patto che ci siano la volontà politica e la disponibilità economica per dar vita a interventi sociali, educativi, culturali». La storia del Villaggio Rouza inizia nel 1997, ma le famiglie di profughi serbi erano arrivate a Casalecchio all’inizio del 1994, dopo diversi mesi passati accampate lungo il fiume Reno a Bologna. All’inizio vennero alloggiate presso una ex fabbrica, ove furono attrezzate una cucina e una lavanderia. La gestione del centro – caso più unico che raro – fu affidata agli stessi ospiti. L’11 maggio del 1997 venne inaugurato il Villaggio Rouza, su un terreno messo a disposizione dalla proprietà, in comodato gratuito, per sei anni. Era un “villaggio di transizione” verso una sistemazione definitiva, che per qualcuno giunse molto presto. «Quel villaggio - osserva Castagna - rispondeva all’esigenza di dare una sistemazione più dignitosa a persone che vivevano una situazione di vera emergenza, ed è servito a strutturare gradualmente la loro presenza sul territorio. Un po’ alla volta, infatti, le famiglie hanno cominciato ad avere una vita indipendente, prima assumendosi delle responsabilità (ad esempio attraverso il pagamento delle utenze) poi acquisendo l’autonomia economico-finanziaria necessaria all’inserimento nel tessuto della città. Adesso che il percorso si è concluso manteniamo una specie di monitoraggio sociale, e posso dire che l’inserimento è stato accolto positivamente. Ma il progetto che sta alla base del Villaggio Rouza aveva significato in quella particolare situazione, che vedeva riunite una sessantina di persone tutte di etnia rom. Non sarebbe però adatto ad affrontare situazioni di ordinaria immigrazione: le situazioni che, in genere, ci troviamo di fronte hanno caratteristiche diverse, con la presenza di immigrati provenienti da Paesi e culture diverse. Quasi mai abbiamo a che fare con gruppi di persone che fanno parte di un’unica comunità, come è avvenuto in questo caso». L. F. GLI INTERVENTI DI BOLOGNA di NICODEMO MELE C ase, lavoro e dignità. È in queste tre direzioni che l’Amministrazione comunale di Bologna (uno degli attori al tavolo del Consiglio territoriale per l’immigrazione della Prefettura) è impegnata nell’affrontare le tematiche legate agli immigrati. «Non è un’azione rivolta all’accoglienza impossibile - afferma Franco Pannuti, assessore ai Servizi sociali - bensì all’integrazione vera. Per questo abbiamo chiuso centri di accoglienza dalle situazioni difficili come quelli dei Prati di Caprara, di Santa Caterina di Quarto e di via Rivani e stiamo elaborando iniziative più rispondenti alle necessità degli immigrati». Per rispondere alle esigenze dei 16 mila e 200 stranieri residenti a Bologna, il Comune ha istituito un servizio apposito che ha la sede in pieno centro storico, in via Drapperie 6, nel cosiddetto “Quadrilatero”. Da qui partono gli interventi, rivolti in massima parte all’accoglienza, che ammontano a circa 9 miliardi di cui 4,5 per le spese di funzionamento dei servizi e altri 4 per ristrutturazioni e acquisizionidei Centri di prima accoglienza e alloggi sociali. “Un primo progetto - rivela Raul Collina, responsabile del Servizio immigrazione - è rivolto a circa 500 persone singole (scapoli e padri di famiglia venu- ti da soli in Italia) che, oltre che nelle strutture già esistenti, saranno sistemati nei nuovi centri di accoglienza che stiamo realizzando in via Bassa dei Sassi e al Lazzaretto. Un secondo progetto riguarda la sistemazione dei lavoratori con famiglia che a Bologna sono sempre di più. Dal momento che questi stentano a trovare una risposta sul mercato a causa dell’elevato costo degli affitti delle case, il Comune è già intervenuto con la sistemazione di 127 famiglie in strutture di proprietà comunale. Per le altre si sta pensando alla realizzazione di alloggi da affittare a canone concordato. Le soluzioni in gioco sono tante e una di queste prevede anche una partecipazione tra industriali e Comune. Infine, c’è il problema dei profughi della ex Jugoslavia e del Kosovo, che oggi si trovano a vivere situazioni quasi simili a quelle degli immigrati stranieri. Esauriti i contributi messi dallo Stato per la loro accoglienza, ora i circa 500 profughi presenti sul nostro territorio sono tutti a carico del Comune. Il programma dell’Amministrazione è quello di arrivare nel giro di cinque anni (entro il 2005-2006) alla chiusura dei campi di Pianazze e Trebbo e all’inserimento delle famiglie in normali abitazioni”. 13 DA STRANIERI A C I T TA D I N I Immigrati tra cronaca e storia di FAUSTO ANDERLINI* L 14 a rilevanza dell’immigrazione straniera, soprattutto di quella dai paesi poveri, è ormai un dato acquisito e fortemente distribuito nella realtà provinciale bolognese. Il fenomeno è esploso negli anni ’90: gli stranieri residenti, infatti, erano circa 10.000 all’inizio del decennio, oggi risultano oltre 32.000. I molteplici aspetti che si correlano al fenomeno sono da diversi anni nell’occhio analitico dell’ “Osservatorio delle immigrazioni”. Preme qui, in particolare, richiamarne due: la forte distribuzione territoriale degli immigrati (talché, a paragone delle altre aree metropolitane, Bologna è quella dove più forte è la compartecipazione all’accoglienza dei comuni suburbani) e l’incidenza strutturale dell’immigrazione in numerosi segmenti del mercato locale del lavo- le sub-regionale, solo limitatamente arricchita da una componente d’estrazione meridionale, dunque sociologicamente assai compatta, il periodo attuale evidenzia una forte e crescente eterogeneità etnico-culturale della forza-lavoro. In alcuni comparti (si pensi all’edilizia, ma anche alla meccanica) gli immigrati sono ormai ben più del 10 % degli occupati. Il sistema industriale e manifatturiero è sempre più dipendente, nel suo funzionamento, dal contributo dell’immigrazione. La situazione del mercato dei servizi è assai diversa. La più gran parte degli immigrati occupati nel settore ricettivo, ma soprattutto nei servizi domestici (dove la forza-lavoro immigrata supera ormai la metà degli occupati), risiede a Bologna città ed è composta in larga misura da donne provenienti dall’estremo oriente (principalmente Filippine, ma anche Sri Lanka), dal corno d’Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia) e dal ro. Soprattutto su quest’ultimo aspetto è necessario richiamare alcune evidenze. L’impatto occupazionale degli immigrati è infatti distinguibile in quattro grandi sottosistemi etnicosociali: l’industria, i servizi (soprattutto domestici), il lavoro autonomo, le attività informali a carattere illegale. Gli immigrati occupati nell’industria risiedono prevalentemente fuori città e sono costituiti in larga misura di maschi provenienti dal nord Africa (soprattutto Marocco e Tunisia) ma anche dai Balcani (Albania e Jugoslavia) e dal Pakistan. Questa “nuova classe operaia”, a marcata prevalenza islamica, quanto ad appartenenza culturale-religiosa, ha ormai intaccato in profondità la composizione etnico-sociale della classe operaia. Se gli anni del grande take-off regionale dell’industrializzazione diffusa sono stati caratterizzati da una classe operaia in larga parte d’estrazione rura- Sopra, vita quotidiana in un centro di prima accoglienza e a fianco, dove prima c’era un magazzino ora c'è una moschea Sudamerica (Perù e Brasile). I lavoratori domestici sono, in prevalenza, di religione cristiana e sostituiscono, in una società arricchita e bisognosa di un quantum crescente di “lavoro servile”, le tradizionali “donne alla pari” che la buona borghesia bolognese usava prelevare, sino a non molto tempo orsono, dalle pie famiglie contadine della montagna. Anche il lavoro autonomo ha carattere prevalentemente urbano e propri gruppi etnici di riferimento. Si tratta soprattutto di cinesi impegnati in attività manifatturiere tradizionali o nei servizi di ristorazione. Più recentemente hanno acceduto al lavoro in proprio anche altri gruppi etnici: emblematico il caso dei pakistani nelle rivendite di frutta e verdura. In questi casi gli immigrati surrogano la fuga degli autoctoni da attività ritenute troppo faticose e scarsamente profittevoli e si avvantaggiano della capacità di sfruttare in forma assai più stringente, nell’economia a base “familiare”, i legami di solidarietà parentali o etnico comunitari. Contrariamente a molti pregiudizi, il settore illegale di attività DA STRANIERI A C I T TA D I N I Anche nella nostra città razze e costumi si mescolano in un caleidoscopio colorato non è affatto comunicante con i tre precedenti sottosistemi. Non esistono correlazioni fra gruppi etnici come tali e criminalità. Il fenomeno vede soprattutto interessati individui privi di permesso di soggiorno ed inseriti, normalmente, nei “landbridge” criminali (dediti principalmente allo spaccio di droga, al furto ed alla prostituzione) che collegano l’Italia ad alcuni paesi limitrofi (Albania, Tunisia, Algeria, ex Jugoslavia). Come l’imprenditoria industriale ha trovato la sua classe operaia incrementale, i ceti abbienti i loro menial servant domestici, l’impresa familiare tradizionale i suoi surrogati etnici, così l’impresa criminale dell’epoca globale ha trovato la sua manovalanza inter-etnica. A prescindere da quest’ultimo aspetto (come è giusto fare, relegando il problema all’ambito suo proprio, cioè delle politiche di sicurezza ed intelligence anti-crimine), per quanto l’impatto demografico dell’immigrazione sia ancora contenuto (entro poco più del 3 % della popolazione provinciale), la sua incidenza sul tessuto economico è così avanzata da apparire revocabile solo alla luce di drammatiche crisi recessive. L’integrazione economica, dunque, è un dato acquisito. Ad essere gravemente arretrata è invece l’integrazione sociale e politica. Una società libera e democratica non può conservarsi tale se finisce per istituzionalizzare questo divario, derogando dal principio universalistico dei diritti d’uguaglianza e introiettando forme di segregazione politico-sociali a base etnico-castale. Sorprendentemente, tuttavia, è proprio sugli aspetti sociali e civili che latita (quando non s’industria a produrre danni come la rinnovata legislazione immigratoria) l’azione dei poteri pubblici. Il dibattito sull’integrazione viene di norma confinato in modo pleonastico agli aspetti economici (ad esempio con il falso problema della flessibilità, quando dalle imprese viene, semmai, la richiesta di una più forte strutturazione dei rapporti lavorativi), oppure, con conseguenze ancora più gravi e depistanti, agli aspetti culturali. L’idea pervicacemente sostenuta dal cardinale Biffi che la strada dell’integrazione sociale sia inibita da incompatibilità di carattere religioso imputabili all’islamismo, nasconde un fondo dove vive un semplicismo politico. Di un disarmante semplicismo è infatti l’idea di potere regolare i flussi immigratori non tanto in base a criteri quantitativi, ma qualitativi, quasi che il mercato migratorio sia riducibile ad una sorta di supermarket dove i prodotti (cioè gli uomini) vengono acquistati sulla base del marchio religioso (l’islamico, no, il cristiano sì, soprattutto se cattolico, l’induista, l’animista, il confuciano, il buddista, il giudeo o l’ateo, forse…, comunque meglio alla fine, se proprio non se ne può fare a meno…). La praticabilità di questa ipotesi è quantomeno analoga all’eventualità di poter sradicare l’Italia dal Mediterraneo e di spostarla al centro dell’America latina, così da non poter essere raggiungibile dalle vituperate popolazioni del Magrebh. Di desolante ignoranza storica è poi il pregiudizio religioso. Nella storia europea la secolarizzazione, cioè la restituzione della religiosità ai domini extrapolitici (cioè privati o della società civile) è stato un processo lungo e sofferto che si è compiuto solo sviluppando la cittadinanza nella completezza dei suoi attributi: civili, politici e sociali. Solo difettando questi requisiti il fattore religioso ha conservato una forza scardinante e conflittuale, anche all’interno della stessa cristianità, come dimostra in modo quasi manualistico il caso irlandese. Togliete a un uomo i diritti di cittadinanza, ed egli, inesorabilmente, farà della religiosità (o di qualsiasi altro simbolo serva allo scopo) la fortezza impenetrabile della sua identità. Traducendo: mettete in condizione la nuova classe operaia di appartenenza islamica (che peraltro paga regolarmente le tasse) in condizione di non veder riconosciuti taluni fondamentali diritti sociali (come la casa, la sanità, il ricongiungimento familiare, l’accesso all’istruzione per i figli ecc.) e politici (come il diritto di voto, quantomeno amministrativo), guardatela a vista, circondatela di sospetto e rinserratela in un ghetto culturale. Prima o poi, questa nuova classe operaia, troverà inutile anche iscriversi a un sindacato, prenderà corpo uno smisurato bisogno di autoconsiderazione e farà della sua diversità culturale, cioè di tutto quanto è negletto dalla società dominante, come il credo religioso, una violenta e aggressiva bandiera identitaria. Si ribellerà non tanto come classe sfruttata, ma come nazione offesa, contro un’altra nazione coloniale e sopraffattrice. No taxation without representation. Il motto vale davvero per tutti. Il fondamentalismo è contagioso e alberga come un cuore di tenebra nella cecità degli uomini, prima ancora che nel fondo delle religioni. q *Sociologo, responsabile del settore studi e programmazione della Provincia di Bologna 15 DA STRANIERI A C I T TA D I N I LE PAROLE PER DIRLO a cura di DIMITRIS ARGIROPOULOS E RITA PARADISI Appunti per penetrare con più consapevolezza nel difficile, complesso e assai diversificato mondo dell’immigrazione A come abitazione La questione abitativa è uno dei temi più delicati e difficili: la casa è la prima necessità dell’immigrato e il primo luogo che risponde a questa esigenza è anche quello che lascia l’imprinting, quello su cui si struttura il primo impatto con il nuovo paese che così racconta se stesso…. L’emergenza casa in Italia è un problema che riguarda tutti i cittadini, ma che colpisce in modo particolare e specifico gli immigrati. Quello che più colpisce è l’oggettiva discriminazione di cui gli stranieri sono ancora vittime quando cercano un alloggio sul mercato privato: spesso si sentono rispondere “no” per via del colore della loro pelle, dei loro vestiti, dei loro capelli. E questo raccontano anche gli operatori dei servizi sociali: spesso, quando cercano casa per cittadini stranieri, si sentono dire di no appena chi è dall’altra parte scopre che si tratta di immigrati, anche se l’operatore è lì proprio per fornire tutte le garanzie possibili da parte dell’Ente Pubblico (pagamento affitto in caso di non solvenza da parte dell’inquilino, restituzione dell’alloggio nei 16 tempi previsti, ecc.), anche se la persona per la quale si cerca casa ha un lavoro e una famiglia…. Questo è un fatto che si commenta da sé, in tutta la sua drammaticità. Ma le difficoltà dei nuovi cittadini non si fermano qui, perché anche l’accesso agli alloggi pubblici o ai contributi per l’affitto concessi dai Comuni non è di facile accesso a causa della scarsa conoscenza della lingua e della burocrazia italiana, che rende un po’più complicato capire quando ci sono i bandi, come e dove si fa la domanda, recuperare tutti i documenti utili… ecc. E ancora: le difficoltà economiche, non riguardano tutti ma molti immigrati, che hanno spesso famiglie più numerose e redditi più bassi, che hanno il pensiero dei familiari rimasti in patria che si aspettano il loro aiuto…. Con i fondi resi disponibili dalla Legge 39/90, cosiddetta legge Martelli, diversi comuni bolognesi hanno realizzato, all’epoca, strutture di prima accoglienza (CPA) che ancora permangono sul territorio. Alla fine dell’anno 2000 i CPA nei comuni della provincia erano 25, per un totale di 402 posti letto. Nel capoluogo, alla stessa data, c’erano 5 strutture che accoglieva- no 325 ospiti ed una struttura per donne sole o con bambini con una capienza di 21 posti letto. L’esperienza dei CPA è marcata quasi sempre da un grande limite individuato nel momento della loro gestione, che non favorisce l’uscita dei residenti verso soluzioni abitative più stabili nel tessuto urbano. Anche il sistema di prima accoglienza che nasce, con l’applicazione nella provincia di Bologna della L. 390/92, per il sostegno umanitario ai profughi della ex-Jugoslavia, ha avuto per alcuni comuni, compreso il capoluogo, gli stessi limiti. Comunque a tutt’oggi, sul territorio, non esiste un sistema di CPA in grado di ricevere nuovi arrivati impostando ed avviando i percorsi di integrazione. La legge 40/98, prevede (art.38) la realizzazione oltre che dei CPA, anche di alloggi sociali che caratterizzano la seconda accoglienza e che sono “finalizzati ad offrire una sistemazione alloggiativa dignitosa a pagamento, secondo quote calmierate, nell’attesa del reperimento di un alloggio ordinario in via definitiva”: alloggi, quindi, che rappresentano un passaggio intermedio tra la prima accoglienza e la definitiva integrazione in condizioni di vera autono- DA STRANIERI mia economica ed abitativa. Nel territorio provinciale di Bologna sono presenti circa 151 alloggi, di cui 139 nel solo comune di Bologna che – in quanto destinati a singoli nuclei familiari regolarmente paganti- possono essere ricompresi in questa tipologia. Il problema è che – almeno per quanto riguarda parte di quelle ubicate nel Comune di Bologna – si tratta di case isolate rispetto al contesto urbano e sociale, creando così condizioni di chiusura e ghettizzazione, rendendo più difficile, anziché facilitare, il percorso di integrazione. In virtù dei bandi emanati dalla Regione nell’anno 2000, saranno disponibili nel prossimo futuro altre 11 abitazioni di questo tipo nel territorio provinciale. Nell’edilizia residenziale pubblica, circa il 20% delle assegnazioni di alloggi negli ultimi anni, hanno riguardato nuclei di immigrati, in particolare famiglie numerose. Di pari dimensione è stata la percentuale di contributi assegnati a nuclei familiari stranieri tramite il fondo sociale per l’affitto dell’anno 2000. La Provincia di Bologna, attenta alla questione abitativa con riguardo a tutti i cittadini residenti, è stato il primo ente locale che ha chiuso su tutto il proprio territorio gli accordi decentrati tra Associazioni di Inquilini e Proprietari, per l’affitto. L’Ufficio Affari generali della Provincia di Bologna, sta inoltre elaborando un protocollo d’intesa tra Provincia, Comuni e parti sociali per reperire risorse economiche da utilizzare per la costruzione di case per l’affitto, e ha realizzato un progetto per la costruzione, con il contributo della Fondazione Carisbo, entro il 2004, di 23 edifici per un totale di 192 alloggi, prevedendo inoltre la ristrutturazione di 2 edifici già esistenti nei comuni di Minerbio e Zola Predosa. Gli alloggi saranno destinati all’affitto con canone contenuto per famiglie con A C I T TA D I N I basso reddito. Quest’ultimo progetto è stato realizzato anche grazie alla collaborazione dello IACP, della Regione Emilia Romagna e dei 17 Comuni del territorio provinciale (Bologna, Casalecchio di Reno, Minerbio, Marzabotto, Medicina, Pianoro, San Pietro in Casale, Anzola dell’Emilia, Bentivoglio, Budrio, Castello d’Argile, Castenaso, Crespellano, Imola, San Giovanni in Persiceto, Zola Predosa, San Lazzaro) che hanno stipulato con la Provincia e la Fondazione Cariplo, apposita convenzione. B come bambini L’immigrazione oggi non è più, come per il più recente passato, caratterizzata dalla presenza di singoli lavoratori adulti. Negli anni, la presenza della famiglia, arrivata o ricongiunta o costituita nella nuova patria, è sempre più significativa. Così come la presenza di bambini bolognesi figli di genitori stranieri. Bambini arrivati o nati qui. L’insieme dei cittadini stranieri residenti nella provincia di Bologna, dall’ultima rilevazione (32.630), è costituito per il 22,4% da minori (7.302) e questa percentuale si avvicina al 30% nei comuni della montagna e della pianura bolognese. I minori stranieri costituiscono il 6,2% dei ragazzi sotto i 18 anni e sono in misura maggiore bambini in età tra gli 0 e i 6 anni. Nel corso del 2000 sono nati 717 bambini da genitori stranieri, che rappresentano più del 9% delle nascite nella provincia. Nella città di Bologna sono circa il 10% i bambini in età compresa tra 0 e 2 anni, l’8,4% nella fascia di età tra i 3 e i 5 anni, il 7% nell’età della scuola elementare. Nell’anno scolastico 2000-2001, i bambini che hanno frequentato i nidi del capoluogo sono stati 218, che rappresentano oltre il Nella pagina precedente, festa del Capodanno curdo al T.P.O. di Bologna. Sopra una manifestazione in Piazza Maggiore per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla drammatica mancanza di case 10% del totale dell’utenza, e altri 525 hanno frequentato la scuola materna nello stesso periodo. Le informazioni raccolte dal Provveditorato agli Studi per l’insieme della provincia, rivelano una presenza sempre più consistente anche nella scuola dell’obbligo: 1.890 ragazzi stranieri hanno frequentato le elementari e 1.100 le medie, cifre che rappresentano circa il 6% del totale degli allievi. La loro presenza inizia ad essere visibile anche nelle scuole superiori, frequentate nel 2000-2001 da 554 allievi stranieri, pari al 2,1% del totale degli studenti. L’inserimento dei bambini figli di immigrati nelle scuole richiede una particolare attenzione sia per il loro apprendimento, sia perché è necessario che, anche con la scuola, si formi un’identità al plurale che nasce dall’incontro fra la nostra e le altre culture. Con l’istituzione del “Centro servizi” di consulenza e di supporto operativo agli interventi di qualificazione scolastica rivolti agli alunni stranieri, il Servizio Scuola dell’Amministrazione Provinciale fornisce risorse tecniche finalizzate alla programmazione territoriale degli interventi che favoriscono l’integrazione scolastica, nel quadro della L.R.10/99 recentemente sostituita dalla L.R.26/01 sul diritto allo studio. Le azioni, realizzate in stretta collaborazione con il CD/LEI (Centro di Documentazione e Laboratorio di Educazione Interculturale), sono rivolte al sostegno alla progettazione, alla consulenza pedagogica agli operatori coinvolti nei progetti, all’attivazione di interventi di mediazione culturale su richiesta, alla formazione per gli operatori scolastici, alla documentazione dei progetti realizzati. C come centri di permanenza temporanea Sono le strutture previste dalla legge, per il trattenimento dei cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio ed in attesa di espulsione. La privazione della loro libertà personale è prevista per un tempo massimo di 30 giorni, il tempo necessario per l’identificazione della persona, requisito indispensabile per poter attuare il riaccompagnamento alla frontiera. E’ una delle misure previste dalla legge sull’immigrazione che ha fatto maggiormente discutere, perché secondo la legislazione italiana l’immigrazione clandestina è una infrazione amministrativa e non un reato penale e la Costituzione vieta la detenzione per le infrazioni amministrative. Il legislatore ha in questo caso “aggirato” l’ostacolo denominando queste strutture come Centri di permanenza. In realtà, queste strutture sono costruite e gestite con le stesse norme e modalità utilizzate per la costruzione e la gestione delle carceri, e sono carceri a tutti gli effetti dove le persone 17 DA STRANIERI A C I T TA D I N I sono “trattenute” contro la propria volontà. Alcuni centri già attivi sul territorio nazionale sono tristemente noti come veri e propri “lager”, in cui si vive in condizioni estreme, si pensi ad esempio al Vulpitta di Trapani, dove sono morte 6 persone nel rogo del dicembre 1999. I costi per la loro realizzazione sono fino a dieci volte superiori ai finanziamenti che lo Stato eroga per le attività di sostegno all’integrazione degli immigrati e sono costi pagati da tutti i cittadini. Recenti proposte di modifica della Legge sull’Immigrazione prevedono oltre all’introduzione del reato di immigrazione clandestina come reato penale, anche di portare a 60 giorni i tempi del trattenimento e, inoltre, di estendere il provvedimento anche ai richiedenti asilo le cui domande “si presumono manifestamente infondate”. ha resistito, incontra l’intervento pubblico e con esso deve misurarsi. I centri di prima accoglienza diventano i centri perversi e distorti dell’eterna accoglienza dai quali non si esce mai. I processi di “integrazione” e i loro tempi non hanno fine, gli esami per l’integrazione li superi solo se riesci a omologarti, a diventare “normale”, “uguale”. Gli interventi si eternizzano sempre a partire da logiche istituzionali “neutre” e “obiettive”. False informazioni, corrispondenti alla propria percezione e non basate sul sapere ascoltato, notizie di ogni genere attribuite alla natura non corretta e non correggibile del richiedente l’aiuto istituzionale, permettono di giustificare l’insuccesso degli interventi e la messa in opera di altri interventi per correggere questi insuccessi. Nasce e si rafforza il bisogno di sicurezza che ovviamente guarda qualsiasi cosa meno che la sicurezza dello zingaro, dell’immigrato, dell’altro. La “securitizzazione” degli interventi è il meccanismo ultimo dell’esclusione. Si giustificano così i controlli di massa che colpiscono le comunità e non i responsabili di possibili reati, la mancanza di proposte per il lavoro e la discriminazione dei redditi informali, si giustifica tutto ciò che può impedire la Il Centro di prima accoglienza di via Guelfa mobilità sociale. D come discriminazione «Ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica» (questa la definizione dell’art. 43 del Testo Unico sull’immigrazione n. 286/98). Anche in Italia è stato necessario definire per legge la discriminazione, malgrado ciò non esiste ancora una politica attiva contro la discriminazione etnica e manca un dispositivo di azioni pratiche per rendere effettiva la raccolta di denunce e l’applicazione di pene o misure correttive. F come formazione professionale E come esclusione Sgomberi ed espulsioni, sistemi di accoglienza che non promuovono mobilità sociale, l’applicazione o meno delle leggi, la mancanza di dialogo e mediazione sociale, la presunzione autoreferenziale delle istituzioni, i rapporti istituzionali impostati quasi esclusivamente a partire dall’assistenzialismo, la settorializzazione e il mancato coordinamento degli interventi pubblici, tutti questi fattori rafforzano i meccanismi istituzionali di clandestinizzazione e attivano i meccanismi permanenti dell’esclusione e dell’emergenza istituzionale, funzionale solo a se stessa. L’espulsione è la strategia primaria dell’esclusione. Sgomberi, fogli di via, provvedimenti amministrativi di allontanamento, provvedi- 18 menti di ordine pubblico, rimpatri forzati, mancata presa in carico, non applicazione delle leggi, impedimenti burocratici e non alla concessione dei permessi di soggiorno. Metodi questi largamente praticati per non accorciare le distanze con “l’altro”, per giustificare le proprie ragioni, per non permettere considerazione, dignità e presa in carico. Metodi questi che consentono, con la forza e gli atti amministrativi di allontanare e/o di scoraggiare gli immigrati, i profughi e le minoranze a permanere sul territorio. Quando non si può fare altrimenti si interviene, quando emerge l’emergenza, quando non si può attuare l’espulsione, allora si interviene. Chi è stato accolto, chi ha superato le barriere del sistema, chi non è stato espulso, chi La formazione professionale è una fase importante del percorso di inserimento lavorativo, soprattutto per i cittadini stranieri che hanno notevoli difficoltà a farsi riconoscere in Italia i titoli di studio acquisiti all’estero e che spesso si trovano a svolgere mansioni con qualifiche molto basse pur essendo invece professionisti qualificati. Per l’anno 2001 (con sviluppo anche nel 2002), il Servizio Formazione Professionale della Provincia di Bologna finanzia 26 progetti per un totale di 18.568 ore rivolte a 900 utenti, per un ammontare complessivo di L. 2.282387.000. I corsi che si svolgono su gran parte del territorio provinciale si caratterizzano come attività di ■ alfabetizzazione linguistica, informatica e di orientamento per favorire l’accesso ai servizi e l’inserimento nel mercato del lavoro ■ formazione specifica per l’acquisizione di competenze professionali in ambito meccani- DA STRANIERI co e dei servizi (quest’ultimo nei settori della ristorazione, turistico-alberghiera, commercio, cura e assistenza degli anziani) ■ formazione e specializzazione nell’ambito della mediazione culturale. Le attività di formazione possono prevedere per i partecipanti un’indennità oraria di L.6.000. Inoltre tutte le iniziative previste dal sistema formativo sono aperte agli immigrati/e purché sussistano le condizioni minime di parità (conoscenza basica della lingua italiana e, se richiesto, titolo di studio equipollente) Come per tutti i giovani di 15 e 16 anni di età, anche per i minori stranieri, vige l’obbligo formativo. I giovani stranieri, la cui presenza nell’ampia gamma di corsi programmati in questo ambito è significativa, sono aiutati con lezioni di italiano, per garantire il successo del percorso formativo. Infine, per fornire strumenti e risorse agli operatori che lavorano con utenza straniera sono state finanziate 2 iniziative volte alla conoscenza della lingua e della cultura araba (totale finanziamento di L. 24.800.000, per un totale di 130 ore ,per 24 partecipanti) G come giocamondo L’incontro con l’altro, con il diverso, ci pone di fronte a noi stessi e perciò può spaventare, ma non può che essere fonte di reciproco arricchimento, se si è capaci di superare paure e reciproche diffidenze. Per questo è importante capirsi e per capirsi è necessario conoscersi e comunicare. Cominciando, perché no, dai bambini e dai loro giochi: il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna ha stipulato una convenzione con la Società ETNOS per la realizzazione del Progetto Giocamondo. Il progetto prevede la produzione di una serie televisiva (15 trasmissioni di 4 minuti ciascuna) per la conoscenza e la divulgazione dei giochi giocati dai bambini di quindici paesi del mondo. I filmati prodotti saranno proposti anche alle scuole come supporto di specifici percorsi didattici. E’ un modo questo di “globalizzare” i giochi, mettendo in comune culture, stili di vita, tradizioni, storie di minori e di adulti. Sul tema della comunicazione, il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna ha collaborato anche alla realizzazione della trasmissione radiofonica “Italia per tutti”, notiziario in sei lingue per la diffusione di informazioni sui servizi, le istituzioni e le leggi italiane (prossimamente sulla lunghezza di Radio Tau e altre radio cittadine). A C I T TA D I N I Corsi di alfabetizzazione per adulti. Imparare la nostra lingua è il primo passo verso l’integrazione, un passo ancora più difficile per le donne, tradizionalmente relegate in casa I come intercultura E’ la scommessa del futuro: una società veramente interculturale, dove – come ricordano le Linee di Indirizzo del Consiglio Provinciale per l’attuazione del III programma di attività in favore degli immigrati- “le differenze comunicano, si mescolano e quindi cambiano, si rispettano e si valorizzano reciprocamente”. Le Linee del Consiglio considerano l’interculturalità come il principio guida cui riferirsi per l’impostazione dell’operatività futura e lo contrappongono a quello della Multiculturalità “dove esistere separatamente in un patto di non mescolanza, per evitare scontri ed aggressività che però riaffiorano alla prima “emergenza” trasformando il territorio in enclave dove i localismi e i singoli interessi si esaltano e soprattutto evitano sistematicamente la comunicazione reciproca, esasperando le proprie differenze”. La strutturazione dell’intercultura come pratica attiva della convivenza multietnica, deve basarsi sulla logica della democrazia che esiste se, e solo se, esistono differenze. Deve basarsi sull’accoglienza e la mobilità sociale dei nuovi cittadini, sulla solidarietà, la pace, i diritti umani e di cittadinanza. L come lavoro Curare l’accoglienza dando una diversa attenzione e centralità anche a partire dall’inserimento lavorativo della popolazione immigrata, abbassa inevitabilmente i costi sociali derivanti dalla condizione di povertà, emarginazione e mancata mobilità sociale. La necessità di abbinare il fabbisogno lavorativo al fabbisogno familiare e al fabbisogno formativo, dove formazione e lavoro includono adulti e minori, uomini e donne, superando quella dimensione univoca che considerava come unico soggetto dell’inserimento lavorativo il maschio adulto e per di più singolo. Questa è una dimensione superata dai fatti perché l’immigrazione che caratterizza il nostro territorio è ormai un’immigrazione di famiglie, anche allargate, dove la presenza femminile è sempre più significativa e deve dunque trovare maggior attenzione istituzionale e sociale. Da questa constatazione emerge anche la necessità di reimpostare i Servizi socio-sanitari ed educativi strutturando al loro interno forme e modi di mediazione socio-culturale e superando la logica dei servizi differenziati e assistenzialistici. L’equazione immigrato uguale lavoratore nel mercato bolognese è un’equazione forte, che va però re-impostata dando dignità di persona e di cittadino all’immigrato. Nel corso dell’anno 2000 – secondo i dati dell’Ufficio Provinciale del Lavoro - 8.563 cittadini non comunitari sono stati avviati al lavoro, per un totale di 11.966 avviamenti (circa 2000 persone hanno esperimentato più di un avviamento nel corso dell’anno). Del totale degli avviamenti, 8.303 hanno riguardato lavoratori uomini e 3.663 donne straniere: questi numeri rappresentano il 14% dell’insieme degli inserimenti lavorativi di uomini e il 6,8% di donne nella provincia, una quota molto importante confrontata con l’incidenza dei residenti stranieri (3,5%). Soltanto una minoranza relativa di questi avviamenti riguarda contratti a tempo indeterminato (30%), riflettendo per altro una tendenza presente per l’insieme degli inserimenti lavorativi: i contratti più ricorrenti sono quelli a tempo determinato (5.565 pari al 46.5%). Il numero maggiore di inserimenti al lavoro hanno riguardato cittadi- 19 DA STRANIERI ni marocchini (24%), cui seguono albanesi, tunisini, pakistani, bengalesi, cinesi, jugoslavi e filippini. Gli archivi dell’Inps provinciale forniscono interessanti dati sui settori di attività della forza lavoro immigrata. Nel settore domestico, più della metà dei contribuenti sono immigrati. Per il resto delle categorie di lavoro subordinato, almeno sei immigrati ogni dieci sono occupati in attività di tipo industriale ed è particolarmente significativo il contributo di questi lavoratori nelle ditte artigiane. I principali rami di attività sono, in ordine decrescente, la metallurgia e meccanica di precisione, l’edilizia, gli alberghi o pubblici esercizi, i trasporti, l’industria chimica, della pelle e simili, il commercio e le industrie del legno. Una recente ricerca su dati Infocamera ha rilevato inoltre la presenza di 3.356 titolari di impresa nati all’estero registrati alla Camera di Commercio di Bologna (il 3,5% degli imprenditori della provincia). La nazionalità dei titolari mostra in testa i cinesi (392), seguiti dai marocchini (338) e dai tedeschi (212, forse molti figli di italiani emigrati). Sul fronte del lavoro, tre sono i progetti qualificanti l’attività della Amministrazione provinciale: 1) curato dall’assessorato Agricoltura, per favorire l’inserimento di immigrati extracomunitari nelle attività stagionali dell’agricoltura (annata agraria 2001/2002). Il Progetto di propone di creare le condizioni per: qualificare le esigenze dell’offerta e delle opportunità di lavoro stagionale in agricoltura; agevolare il regolare reperimento di manodopera extracomunitaria avventizia idonea a soddisfare i fabbisogni stagionali nelle zone e per le attività interessate; raccordare l’inserimento lavorativo con sistemi di accoglienza adeguati ed in particolare con soluzioni abitative temporanee in prossimità dei luoghi di lavoro. 2) promosso dal Servizio Lavoro si propone di facilitare i percorsi di integrazione lavorativa dei cittadini stranieri, prevedendo l’inserimento di mediatori socio-culturali nei Centri per l’impiego del territorio. Il progetto è attualmente allo studio di fattibilità da parte del Servizio Lavoro e rientra nelle azioni di sistema a sostegno delle attività dei Centri per l’Impiego attivi nel territorio provinciale; 3) promosso dal Servizio Artigianato, Commercio e Industria, prevede un intervento per favorire l’occupazione di emigrati e immigrati attraverso un contributo, a fondo perduto, per imprese commerciali e turistiche costituite da tali soggetti e in particolare: - accogliere e istruire le domande; - determinare le spese ammissibili a contributo; - predisporre l’elenco delle imprese ammissibili da inoltrare alla Regione; - concedere ed erogare il contributo. 20 A C I T TA D I N I Nel 2001 sono pervenute 19 demande e ammesse 16. M come mediazione interculturale Relazionarsi, informare, capirsi, orientarsi, valorizzare le differenze anche per evitare conflitti culturali permanenti, nutriti da razzismi e discriminazioni sistematiche e intenzionali, che possono coinvolgere sia la società civile che le istituzioni. Per evitare o attenuare lo scontro, è necessaria la mediazione, intesa come capacità di costruire relazioni interculturali ed interetniche. Il mediatore interculturale è soprattutto un esperto di comunicazione e di codici culturali differenti che sa riconoscere, interpretare e trasmettere. Tra i 60 Comuni della provincia, 41 utilizzano mediatori nei servizi territoriali, oppure nella realizzazione di azioni ed interventi rivolti ai cittadini stranieri. Due sono le questioni prioritarie che occorrerà affrontare nel breve periodo: la formazione di questi operatori-mediatori e il loro stabile inserimento. La figura professionale del mediatore culturale nei servizi costituisce sicuramente un’originalità delle politiche dell’accoglienza Sopra e a fianco, immigrati al lavoro. La manodopera straniera subentra nelle mansioni ormai quasi del tutto abbandonate dagli italiani, soprattutto nell’industria pesante, nell’edilizia e nel lavoro agricolo stagionale. Nella pagina accanto, una festa Tamil (Sri-Lanka) nella sede del Quartiere Navile lativa si è trattato di donne (183, pari al 58%), tuttavia questa predominanza è molto meno rilevante di quanto si registra a livello nazionale (circa 70%). Il tasso di naturalizzazione in Italia (0,8) e nella nostra provincia (1,1%) è molto al di sotto N come naturalizzazione della media europea (3%). E’ il percorso che consente all’immigrato di L’acquisizione della cittadinanza richiama anottenere la cittadinanza del nuovo paese. che la questione della rappresentanza e della Almeno un milione di immigrati soggiorna re- partecipazione dei cittadini stranieri alla gegolarmente in Italia, e spesso chi immigra in stione della cosa pubblica. un paese desidera vivere in modo stabile e re- La legislazione italiana è, in proposito, assai regolare nella sua nuova patria. strittiva e non prevede nemmeno il diritto dei Nel corso dell’anno 2000, 314 cittadini resi- cittadini stranieri al voto amministrativo. denti in comuni bolognesi hanno acquisito la C’è la possibilità di includere nei consigli cocittadinanza italiana. Per una maggioranza re- munali la figura del consigliere aggiunto, cittaitaliane e può rappresentare, con il tempo, un valido strumento di supporto alla trasformazione della cultura dei servizi e della società. DA STRANIERI dino straniero che deve essere “sentito” sulle questioni inerenti l’immigrazione, ma non ha diritto di voto e, in sostanza, scarse possibilità di essere realmente incisivo sulle scelte. In alcune città italiane sono state portate avanti esperienze di Consulte degli immigrati su base elettiva, mentre a Bologna sono stati pensati alcuni progetti in questa direzione ma nessuno di essi ha poi avuto seguito effettivo, mentre c’è il problema oggettivo, che riguarda soprattutto le istituzioni, di non avere referenti certi che siano rappresentativi degli immigrati residenti nel territorio. Anche per supplire a questa carenza, oltre che con l’intento prioritario di operare per l’integrazione e l’interculturalità, il Consiglio Provinciale ha impegnato l’Amministrazione ad avviare, nell’ambito del Progetto Trasversale sull’Immigrazione, lo studio di diverse esperienze e delle relative procedure per consentire la creazione di una rappresentanza su base provinciale della popolazione immigrata. O come omologazione L’omologazione è un rischio possibile dell’integrazione, o meglio di un modo distorto di intendere l’integrazione, che si realizza quando chiediamo agli immigrati di essere come noi, quando inseriamo a scuola i loro bambini e neghiamo la loro provenienza da un’altra realtà geografica, sociale, e culturale. In realtà le possibilità e difficoltà dell’integrazione non dipendono tanto dalla provenienza geografica delle persone, dal loro modo di vivere o pensare, dalla loro religione, bensì sono una diretta conseguenza del tipo di accoglienza, delle condizioni materiali e immateriali che le persone trovano nel nuovo paese. A C I T TA D I N I P come programmazione dei flussi E’ ormai una realtà consolidata e accettata da tutti, il fatto che il sistema economico italiano necessita di una dose consistente di lavoratori stranieri, a causa della riduzione graduale della popolazione attiva e della tendenza dei giovani italiani a non rivolgersi più ai lavori c.d. usuranti. Senza l’apporto dei lavoratori immigrati andrebbero in crisi diversi settori dell’economia nazionale e con loro il bilancio del welfare. Partendo da queste premesse, il legislatore del 98 ha delineato una politica per l’immigrazione che si manifesta nell’adozione, da parte del Governo, di documenti programmatici, di lungo e breve periodo, sull’immigrazione. Infatti, ai sensi dell’art. 3, comma 1°, del T.U., «il Presidente del Consiglio dei Ministri predispone ogni tre anni il documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato..». Questo documento individua i criteri generali per la determinazione dei flussi di ingresso in Italia, flussi che sono quantificati annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le quote stabiliscono, tenendo conto degli ingressi già effettuati o programmati, di ricongiungimento familiare o di protezione temporanea, quanti lavoratori stranieri, anche stagionali, possono entrare in Italia. Nel 2000 e nel 2001 le quote hanno stabilito, rispettivamente, 63.000 e 83.000 ingressi. I flussi riguardano essenzialmente l’autorizzazione al lavoro (art. 22, T.U.) di cittadini stranieri residenti all’estero, richiesti nominativamente da datori di lavoro operanti in Italia, e la prestazione di garanzia (o lo sponsor, art. 23, T.U.) fatta a favore di stranieri che richiedono di entrare in Italia per cercare lavoro. Lo sponsor è una delle novità della Turco-Napolitano e consiste nel garantire per un anno allo straniero vitto e alloggio, copertura sanitaria e spese di rimpatrio. Se entro un anno dall’ingresso lo straniero trova un lavoro gli viene rilasciato il relativo permesso di soggiorno, altrimenti esce dall’Italia. La quota di sponsorizzazioni previste per il 2001 (quindicimila) si è esaurita in poche ore, tante sono state le domande di sponsorizzazioni in favore di lavoratori stranieri. Le più recenti proposte di modifica alla L. 40/98, prevedono l’abolizione della figura dello sponsor e di questo possibile meccanismo di ingresso. Secondo le proposte il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro potrà avvenire solo dopo la stipula di un “contratto di soggiorno” incontro della volontà del datore di lavoro e del lavoratore e certificato all’estero dall’autorità consolare italiana. Sulla base di questo contratto viene concesso un permesso di soggiorno di durata variabile: 9 mesi al massimo per lavoro stagionale, un anno per contratti a tempo determinato, due anni per contratti a tempo indeterminato: anche chi ha quest’ultimo tipo di contratto dovrà ogni due anni rinnovare il permesso. In caso di perdita del lavoro, è concesso un tempo massimo di 6 mesi per trovare un altro lavoro, dopo di che scade il permesso di soggiorno. In precedenza, il permesso seguiva la sua naturale scadenza, anche in caso di perdita del contratto di lavoro. Queste proposte avranno inevitabilmente come risultato quello di indurre un maggior numero di lavoratori stranieri a percorrere vie di immigrazione illegali: ciascuno di loro osserverà infatti come, piuttosto che aspettare nel proprio paese una chiamata che non arriverà mai, convenga tentare la sorte, nella speranza di incontrare la fiducia di un datore di lavoro e di guadagnare, a valle della stipula di un contratto e di un temporaneo ritorno in patria, un reingresso legale in Italia. Perché è vero: chi assumerebbe mai una colf, o una baby sitter o una badante per assistere i propri familiari senza prima “guardarsi in faccia”? Senza prima conoscersi? Q come quanti sono? Gli stranieri residenti nella provincia di Bologna al 1° gennaio 2001 sono 32.630, pari al 3,5% della popolazione totale. Di questi 17.332 sono maschi e 15.298 femmine; i minori invece sono 7.302, pari al 6,2% del totale dei minori. Degli stranieri residenti nella provincia di Bologna, poco meno della metà abita nella città capoluogo (16.190), il restante nei comuni del territorio provinciale (16.440). Dei 60 comuni 21 DA STRANIERI bolognesi, 21 hanno più di 300 residenti stranieri. I più popolati, oltre a Bologna, sono Imola, Casalecchio di Reno, San Lazzaro di Savena e San Giovanni in Persiceto, tutti con più di 500 residenti stranieri. Se consideriamo invece l’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione, questa è molto significativa nei comuni montani e in alcuni comuni dell’imolese e della pianura; è al contrario relativamente bassa nei comuni dell’hinterland bolognese. I gruppi nazionali più consistenti in provincia sono, in ordine decrescente: Marocco (7.638 residenti), l’Albania (2.316), Filippine (2.314), Tunisia (2.152), Cina Popolare (1.772), Pakistan (1.419), Jugoslavia (1.342), Bangladesh (888), Sri Lanka (759) e Romania (753). Diversa però la composizione nazionale del capoluogo e gli altri comuni: più “cosmopolita” la città, molto più concentrata nella provenienza nordafricana e dall’est europeo i comuni della provincia. R come richiedenti asilo e rifugiati I richiedenti asilo sono persone che abbiano subito persecuzioni o temano, sulla base di fondati motivi, di subire una persecuzione individuale a causa della loro razza, della loro religione, della loro nazionalità, della loro appartenenza a un certo gruppo sociale o delle loro opinioni politiche. Essi possono richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Restano attualmente esclusi da tale definizione coloro che, pur non essendo individualmente perseguitati, siano fuggiti dal proprio Paese in seguito al verificarsi di situazioni di violazione 22 A C I T TA D I N I delle libertà democratiche (v. sfollati sottoposti a protezione temporanea). I rifugiati sono coloro che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in seguito all’accoglimento della loro domanda da parte dello Stato italiano. Per richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato è necessario presentare una domanda motivata con l’indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese e, nei limiti del possibile, documentata. Al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo, che lo autorizza alla permanenza sul territorio nazionale per un mese e può essere prorogato fino a quando non verrà accertata la competenza dell’Italia all’esame della domanda di riconoscimento. Accertata la responsabilità dello Stato italiano, al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo, valido tre mesi e rinnovabile fino alla definizione del procedimento con la decisione della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il permesso di soggiorno temporaneo (Convenzione di Dublino 15.6.1990) e il permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo, danno diritto - ai richiedenti privi di mezzi di sussistenza o di ospitalità in Italia - di ottenere l’assistenza economica degli enti locali e il contributo di prima assistenza a carico della Direzione Generale dei Servizi Civili. Tale contributo consiste nella erogazione di una somma di £.34.000 pro-capite al giorno, per un periodo massimo di 45 giorni. Va detto che al richiedente asilo non è concessa la possibilità di lavorare, fino a quando non sarà concluso l’iter della sua domanda (i tempi reali sono pari anche ad un anno e più). Cessata l’erogazione del contributo, queste persone si trovano quindi in condizioni di estremo disagio, costrette a lavorare in nero oppure a dipendere esclusivamente dalle azioni di sostegno del volontariato. Se la Commissione centrale accoglie la domanda di riconoscimento, il richiedente ottiene un permesso di soggiorno per asilo valido due anni e uno speciale documento di viaggio valido per l’estero tranne che per il Paese di appartenenza. La disciplina del permesso di soggiorno per asilo è analoga a quella degli altri permessi di soggiorno; tuttavia, data la specialità della condizione in cui si trova il rifugiato, il permesso di soggiorno non può essergli di norma revocato e deve essere prorogato alla scadenza, salvi i casi di cessazione dello status e di espulsione. Le statistiche disponibili sul fenomeno dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia dimostrano la sua limitatezza. I rifugiati in Italia al settembre 2000 sono 22.900; le richieste di asilo DA STRANIERI A C I T TA D I N I Sopra, giovani immigrate per le strade di Bologna, a fianco, tipica bancarella di “cineserie” nel grande mercato della Montagnola. Nella pagina accanto, immigrati chiedono la regolarizzazione del permesso di soggiorno previsto dalla legge Martelli, Sotto, la preghiera collettiva della fine del Ramadan per il 2000 sono pari a 18.000 unità, circa la metà di quelle presentate nel 1999 (34.300). Non sono disponibili dati a livello locale. S come salute Il Piano Sanitario Nazionale 1998–2000 individua la popolazione migrante tra i soggetti cui indirizzare prioritariamente gli interventi di tutela della salute. Le nuove norme sull’immigrazione hanno sancito “la piena parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata dal Servizio Sanitario Nazionale ed alla sua validità temporale”. Restano tuttavia esclusi da una specifica tutela sanitaria gli immigrati irregolari, che presentano peraltro i maggiori rischi sanitari, a causa del combinarsi di irregolarità giuridica e di disagio sociale. Oltre agli interventi urgenti e d’emergenza, in aggiunta a quanto previsto dalla L.40/98 (tutela gravidanza, maternità e minori, vaccinazioni, profilassi internazionale, malattie infettive), è necessario sviluppare programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. A questo scopo è necessario attivare, a livello locale, tutti gli attori coinvolti nella gestione dell’assistenza agli stranieri immigrati: Enti locali, forze sociali, associazioni di volontariato che nel corso degli anni hanno maturato un’esperienza specifica sui problemi dell’immigrazione, per avviare progetti comuni di intervento volti a favorire l’uscita dall’emarginazione e a tutelare la salute come diritto dell’individuo ed interesse della collettività. Per il rispetto delle culture d’origine e per favorire l’integrazione si dovrà favorire la formazione e la sensibilizzazione degli operatori sanitari, prevedendo interventi di mediazione socioculturale finalizzati all’eliminazione di barriere sociolinguistiche che limitano l’accesso ai servizi ed il concreto esercizio del diritto alla salute (2). Il profilo sanitario dell’immigrato è rappresentato da un patrimonio di salute sostanzialmente integro, sia per la giovane età, sia per l’autoselezione che precede la migrazione pionieristica, cui si associa un buon livello di istruzione (effetto migrante sano). Su questo patrimonio si innestano però - patologie da degrado, - patologie della povertà (scabbia, TBC, pediculosi, ecc.), - patologie da importazione (malaria, m. di Lyme, amebiasi, ecc.), - patologie a lunga incubazione (lebbra, ecc.), - false patologie da incomprensione (problematiche comunicative e culturali). Per la popolazione italiana, il rischio infettivo per trasferimento di agenti infettanti da paesi ad alta endemia è ridotto o controllabile; specifici problemi originati nel paese di partenza possono invece aggravarsi, soprattutto nelle persone di recente immigrazione (fasi di trasferimento con mezzi di fortuna, condizioni disagiate di accoglienza e primo inserimento, alimentazione, clima e condizioni lavorative). Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri i pazienti con cittadinanza straniera da paesi in via di sviluppo dimessi nel 1998 sono 15.902 e rappresentano l’1,84% del totale regionale. Anche includendo i soggetti non residenti, si evidenzia che il tasso di ospedalizzazione dei soggetti immigrati nella nostra regione (113 per 100.000 abitanti residenti) è molto inferiore a quello della popolazione italiana residente (162 per 100.000 abitanti residenti). Gli accessi di cittadini stranieri al Pronto Soccorso rappresentano il 3-3,5% del totale; solo l’8,3% dei casi è seguito da ricovero. Lo scarso utilizzo dei servizi ambulatoriali in ambito ostetrico-ginecologico si spiega sia con l’ampia offerta di servizi pubblici, sempre consentita anche agli irregolari, sia con la scarsa propensione della popolazione femminile di alcune etnie a utilizzare servizi in cui lavorano operatori di sesso maschile. Alcune esperienze dimostrano una spesa farmaceutica media annuale di circa £ 12.000 per paziente assistito (contro le £ 50.000 dei residenti). In ambito regionale esistono numerosi servizi a carattere socio-sanitario, come i consultori pediatrici e familiari; centri per la salute delle donne straniere; servizi di informazione, assistenza e segretariato sociale; centri di prima accoglienza (CPA); associazioni di volontariato (anche di specifiche etnie); consulte, mediatori culturali in forma singola o associata, gestiti con modalità diverse da istituzioni pubbliche, mancano tuttavia uno specifico momento di programmazione complessivo degli interventi, 23 DA STRANIERI C I T TA D I N I percorsi assistenziali semplificati e chiari, e manca soprattutto una rete strutturata fra i diversi attori pubblici, privati e del volontariato. Molte realtà locali sono portatrici di esperienze progettuali innovatrici, gli attori coinvolti sono principalmente le aziende sanitarie, gli enti locali, il volontariato (incluse le associazioni di migranti di specifiche etnie), e i sindacati, che hanno attivato programmi integrati attraverso protocolli d’intesa e convenzioni.(3) Il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna ha collaborato alla definizione degli obiettivi di salute per il II Piano Sanitario Regionale 1999-2001, partecipando alle attività del gruppo di lavoro “esclusione sociale” e col- l’incontro/scontro con altre soggettività ed altre culture - vivono, cercando di soddisfare i propri bisogni e si progettano cercando futuro, ma anche rielaborando il passato, tentando di non inchiodarsi e appesantirsi sul presente. Non tutti ce la fanno, ma molti sì. Affiancarli nei loro tempi rafforzandoli e incrociandoli con i nostri, permette a noi di lasciarci trasportare dall’ottimismo, e a loro di continuare a vivere. Ciò, “… implica il riconoscimento delle storie, la ricerca di un tempo comune - che molte volte incontra la difficoltà di tempi diversi, di sensibilità al tempo molto diversa- implica la ricostruzione dei depositi per l’accumulo, domanda di lavoratori nell’industria (magrebini, pakistani, senegalesi, ecc) seguono il classico modello di una prima tappa di immigrazione di uomini soli che in un secondo momento avviano la riunificazione delle famiglie nel paese di accoglienza. Altri collettivi migratori (cinesi, rom ex jugoslavi, albanesi) tendono all’emigrazione di gruppi familiari che sono però numericamente ridotti e non sempre completi rispetto alla composizione della famiglia nel paese di origine. Esiste anche, e assume caratteristiche sempre più strutturali, l’immigrazione al femminile verso l’Italia e Bologna (filippine, capoverdiane, peruviane, ucraine ed est europee), che risponde al bisogno emergente di lavoratrici per attività domestiche e di cura; anche in questo caso, si tenta successivamente il ricongiungimento di mariti e figli. Tra il 1992 e l’anno 2000 le donne straniere residenti nella provincia sono passate dal 36% al 47% del totale della popolazione immigrata. La presenza femminile è più rilevante nella città di Bologna (48%) e nel suo hinterland. Tuttavia, il suo incremento relativo è stato molto più incisivo nei comuni della provincia e principalmente nella montagna e nella pianura dove si registrano i più significativi processi di riunificazione familiare, soprattutto per via di una maggiore disponibilità di alloggi. Le recenti proposte di modifica alla legge sull’immigrazione restringono le possibilità di chiedere il ricongiungimento familiare che si propone di concedere solo per i figli ed il coniuge e per i genitori se in patria non c’è un altro figlio. laborando in particolare alla stesura del documento relativo alla salute delle popolazioni sinte e rom. la riorganizzazione di un sistema di distribuzione (4)”. V come vita o come valori T come tempo Il tempo è la dimensione naturale in cui l’uomo vive ed agisce. Non fa parte del modo d’essere di un soggetto isolato o solo, ma è la relazione stessa del soggetto con gli altri. Questa relazione incrocia le dimensioni, quella soggettiva e quella collettiva, quella del presente e quella storica, e condiziona il tempo futuro o inchiodandolo sul presente o aprendolo sulle prospettive. Gli immigrati, uomini e donne, bambini e adulti, universi culturali uguali e differenti nella moltitudine della società nostra e loro -nostra- vivono nel proprio tempo soggettivo, collettivo e culturale, nonostante le difficoltà e le fatiche, istituzionali e sociali, nonostante le discriminazioni, il razzismo, la non accoglienza, la condizione eternizzante dello straniero. In questo tempo - che pure è influenzato dal- 24 A U come uomini e donne Immigrare da soli, uomini o donne adulti, è l’elemento caratterizzante il fenomeno migratorio anche nel bolognese. Il panorama della presenza di immigrati cambia nel corso degli anni perché si rafforza della presenza dei familiari, resa possibile dall’attuazione delle norme sui ricongiungimenti familiari. Fenomeno questo di processi differenziati anche a seconda dei gruppi nazionali, dei settori produttivi o delle nicchie di lavoro nelle quali sono in maggioranza inquadrati gli o le immigrati/e , nonché dei progetti migratori (se ci sono) dei singoli soggetti. Quello dell’immigrazione familiare è comunque un fenomeno non lineare e che presenta una certa complessità, la quale va considerata per superare l’idea dell’immigrato come singolo lavoratore e come “forza lavoro”. Diversi gruppi nazionali molto rappresentati nella nostra provincia, occupati e attirati dalla Vita, esistenza, r/esistenza. Considerare la complessità dell’immigrazione cercando futuro, per riflettere insieme sulle chiusure/aperture e sulla soddisfazione/continuità del progetto migratorio, per strutturare accoglienze che non cristallizzano l’altro ma che portino a nuove forme di convivenza, è la scommessa di adesso. Occorre recuperare la solidarietà, sia come valore che nell’azione sociale, occorre concepire l’integrazione come reciprocità, come riconoscimento/valorizzazione della differenza individuale e della differenza etnico-culturale, come ricerca di possibili equilibri, basati sull’incontro/scontro, che possano permettere la convivenza interculturale. Un individuo può essere una persona, intendendo come persona i ruoli e le maschere della sua quotidianità. Un individuo può essere caratterizzato dalle differenze proprie del genere o dell’etnicità, della cultura o dell’età, ma non c’è contraddizione in questa identità al plurale. Si tratta non solo di accettare la fondamentale DA STRANIERI interdipendenza della gente e delle culture, ma di pensare con chiarezza a nuove relazioni tra individui e istituzioni. In questa prospettiva, la difficoltà può anche essere positiva, perché può consentire -proprio perché l’operazione progettuale è più difficiledi rapportarsi non alla mia forza ma alla mia debolezza, e quindi di fare spazio a quella forza dell’altro che sembrava non esistere, perché appariva tutta consumata dalla debolezza.”(5) Ciò implica sforzi comuni per cercare le possibilità e le prospettive. Implica conversazione. Con/vers(o)/azione. R/esistenza. Z come zingari Non esistono rilevazioni precise del fenomeno zingari, perché mai sono state organicamente censite le presenze reali, anche di fronte alle esigenze derivanti dall’applicazione delle leggi 40/98 sull’immigrazione e 390/92 sulla profuganza dalla ex-Jugoslavia, nonché delle leggi regionali a tutela delle minoranze Sinte e Rom. I censimenti effettuati dalle diverse regioni, non sempre hanno considerato il fenomeno nella sua complessità e usano spesso strumenti impropri (forze dell’ordine in luogo di indagini sociali). Le stime disponibili indicano una presenza di 110.000 zingari presenti sul territorio nazionale (0,7% sul totale della popolazione) al dicembre 1999, dei quali 70.000 sono cittadini italiani e 40.000 cittadini stranieri. Non esistono stime sulla presenza degli irregolari, tuttavia A C I T TA D I N I la fisionomia familiare dei gruppi balcanici e i continui flussi migratori fanno supporre che questi numeri siano destinati quanto meno a duplicarsi. Non sono disponibili dati relativi alla distinzione fra zingari nomadi e sedentari, nonché alla suddivisione per sesso e per fasce di età della popolazione zingara registrata sul territorio nazionale. L’indagine sulla popolazione zingara curata dalla regione Emilia Romagna (6), al novembre 1998 rileva la presenza nelle aree sosta di 1.851 zingari, dei quali 588 nell’area metropolitana di Bologna. E’ utile evidenziare che questa rilevazione non è stata condotta su tutta la popolazione zingara presente sul territorio regionale. In particolare, per quanto riguarda l’area metropolitana di Bologna, si può osservare che: ■ non sono stati rilevati tutti gli zingari Rom residenti nei centri di prima accoglienza per profughi della ex-Jugoslavia attivati ai sensi della L. 390/92, la cui presenza è pari a 384 persone nel febbraio ‘98 (rilevazione a cura del Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna); ■ non sono stati rilevati tutti gli zingari che vivono in aree di loro proprietà; ■ non sono rilevati tutti gli zingari che vivono in aree abusive con o senza permesso di soggiorno, che si possono stimare, solo a Bologna, intorno alle 180 persone. In riferimento alla situazione abitativa, tutte le aree sosta pubbliche disciplinate dalla legge regionale n. 47/’88 sono costituite da roulotte di proprietà degli zingari. Le aree sono dotate di servizi ad uso comune, spesso in misura ridotta rispetto alle esigenze. Lo stesso vale per le aree dei Rom jugoslavi regolarizzati ai sensi della legge sull’immigrazione. L’equazione zingaro uguale nomade è radicata nelle politiche sociali della regione, e non considera il fatto che i Sinti emiliani sono stanziali da ormai tre decenni, mentre i Rom Jugoslavi non hanno mai praticato il nomadismo. Quello degli zingari è un mondo riconosciuto solo attraverso stereotipi e pregiudizi o meglio è un mondo sconosciuto, circondato dal silenzio. Il non sapere, l’ignorare, ingrandito e amplificato dai mass media che distorcono l’immaginario collettivo per rafforzare il silenzio, è proprio anche dell’istituzione, della poli- tica. Questa popolazione, per sopravvivere, deve affrontare, in tempi brevi e rapidi, cambiamenti che possano portarla verso nuovi equilibi di sopravvivenza, in un incontro/scontro con il resto della popolazione e con le sue forme rappresentative ed istituzionali. L’integrazione deve invece essere intesa nella sua complessità, come riconoscimento delle differenze individuali e delle differenze etnicoculturali, come ricerca di possibili equilibri, basati sull’incontro/scontro, che possano permettere la convivenza fra popoli zingari e gagè. Ciò a partire dall’accettazione/riconoscimento del valore dell’alterità, rifiutando e contrastando quel principio dell’omologazione che si impone ancora come determinante e che ha delineato “l’altro” dell’Occidente contemporaneo: chi non può consumare perché zingaro, povero, immigrato o profugo, come chi non raggiunge determinati livelli di produttività, ed è escluso dalla società dei soggetti di diritto. La sua diversità, la sua incapacità di omologarsi, lo rende ancora inaccettabile. E così, “... deve adattare più volte il suo comportamento alle difficoltà che incontra e spesso aggirare ostacoli altrimenti insuperabili ... affronta ogni ostacolo nel momento in cui vi si imbatte, tenta diverse vie per attraversarlo o aggirarlo, senza preoccuparsi troppo degli ostacoli futuri. ... Se lo consideriamo una figura geometrica il percorso della formica è irregolare, complesso e difficilmente descrivibile. Ma la sua è in realtà una complessità che si trova sulla superficie della spiaggia, non nella formica.”(7). q Note 1) In un paese che ha un tasso di disoccupazione costante del 11-12%, e che il lavoro sommerso è un fenomeno difficile sradicare, si richiede, a corredo della domanda di cittadinanza, la certificazione dei redditi prodotti e dichiarati nel triennio precedente all’anno di presentazione della domanda. Non si prendono in considerazione i periodi di iscrizioni nelle liste di collocamento, di frequenza di corsi di formazione professionali o di studi, di attività di volontariato. In alcuni casi addirittura si pretende non solo di aver prodotto un reddito e aver pagato le relative tasse, ma di aver prodotto una determinata quantità di reddito. 2) Liberamente tratto da: Regione Emilia Romagna, Piano sanitario regionale 1999-2001, disponibile sul sito Internet http://www.regione.emilia-romagna.it/fr_sanita.htm 3) Ibidem, Esclusione sociale, dossier n. 57, http://www.regione.emilia-romagna.it/cds 4) Andrea Canevaro, La relazione di aiuto, Carocci, Roma, 1999 5) Ibidem 6) Regione Emilia Romagna, Rapporto sulla popolazione nomade presente nella Regione Emilia Romagna Indagine riferitaal novembre ‘98 7) Herbert Simon, Le scienze dell’artificiale 25 DA STRANIERI A C I T TA D I N I LE REGOLE PER ENTRARE E RESTARE IN ITALIA di ABDULKADIR MOHAMED TAHLIL Quadro delle principali normative che riguardano lo stato di immigrati; le condizioni necessarie per entrare in Italia e quelle causa di espulsione S in dall’inizio dell’ultimo ventennio del novecento le nazioni ricche dell’Europa occidentale hanno conosciuto flussi migratori sempre più crescenti, provenienti dai paesi dell’Europa orientale, Africa, Asia e dell’America latina. Per controllare questi flussi, le nazioni occidentali cominciarono a regolare l’ingresso e il soggiorno degli immigrati che intendevano entrare o erano già presenti nei loro territori. In Italia, la regolamentazione dell’immigrazione fu un fenomeno considerato non prioritario dal legislatore. In effetti, è con la legge del 30 dicembre 1986, n. 943(1) che per la prima volta avviene un interessamento legislativo in materia. Prima di quella data era la normativa sulla Pubblica Sicurezza, risalente al lontano 1931, che disciplinava il soggiorno, l’impiego e l’espulsione degli stranieri in Italia(2). Una serie di decreti e circolari ministeriali o prefettizi ne colmavano le lacune. La legge n. 943/1986, oltre ad offrire agli operatori pubblici e privati un minimo d’orientamento legislativo, introdusse essenzialmente due novità: il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare per gli stranieri legalmente soggiornanti (art. 2, comma1°); l’eguaglianza di diritti tra i lavoratori italiani e quelli stranieri. I limitati e circoscritti campi d’intervento della legge n. 943/86 e la sua incapacità a disciplinare la complessa realtà dell’immigrazione, portarono all’emanazione del decreto legge n. 416 del 30/12/1989(3), convertito con la Legge. 39/1990, conosciuto come legge Martelli. Il tentativo fu quello di dare una disciplina completa dello statuto dello straniero che comprende le categorie dello straniero in genere, dell’immigrato, del rifugiato e dell’apolide. Regolarizzò la posizione degli irregolari (art. 9), previde una serie di politiche statali e locali per l’integrazione dei lavoratori stranieri (art. 11, comma 3°), dispose l’espulsione degli extracomunitari irregolarmente presenti nel territorio dello Stato o che avessero riportato condanne penali per determinati reati (art. 7). Introdusse 26 l’attuale disciplina sui rifugiati e sulle richieste d’asilo (art. 1), abrogando le limitazioni geografiche e le riserve che l’Italia aveva posto alla Convenzione di Ginevra(4). Tuttavia, la legge Martelli non mise la parola fine sulla questione dell’immigrazione e la sua regolamentazione per una serie di motivi. Innanzi tutto, il fenomeno dell’immigrazione irregolare o clandestina non si arrestò con la sanatoria del 1989(5). Proprio agli inizi degli anni ’90, in conseguenza di diverse crisi internazionali (la guerra del Golfo, la dissoluzione dell’URSS, il crollo del vecchio regime albanese, la guerra in ex Jugoslavia)(6), l’Italia visse le più vaste ondate migratorie della sua storia. E per un paese di emigranti, simili eventi crearono inquietudini e angoscia. Inoltre, il permesso di soggiorno è un documento che permette al cittadino extracomunitario di poter soggiornare in Italia per un tempo determinato. Orbene, almeno un milione di immigrati soggiorna regolarmente in Italia, e di solito chi immigra in un paese compie una scelta di vita: desidera vivere in modo stabile e regolare nella sua nuova patria. Il permesso di soggiorno è il passaggio necessario per l’iter d’avvicinamento alla nuova condizione di vita, ma dopo un ragionevole lasso di tempo occorre uscire dallo status di membership temporaneo e di acquisire l’effettivo membership della società in cui si vive. Nella generalità dei paesi dell’Unione Europea, questo passaggio avviene con la naturalizzazione che si consegue, in media, dopo 5-6 anni di residenza regolare. In Italia la naturalizzazione è un percorso tortuoso e incerto: occorrono minimo 10 anni di residenza e il possesso di faticosi requisiti accessori(7), lasciando poi alla discrezionalità amministrativa la valutazione di merito della richiesta di concessione della cittadinanza. Per affrontare queste problematiche, per superare la legislazione d’emergenza e per dotarsi di una legge in linea con le altre legislazioni europee, negli ultimi anni si è consolidata, sia nella società civile sia nelle forze politiche, la consapevolezza che l’immigrazione vada governa- ta in un’ottica di linearità e di certezza del diritto. La conseguenza di questa consapevolezza è stata l’approvazione della legge organica del 06/03/1998 n. 40, nota come la legge Turco-Napolitano. Le disposizioni della legge n. 40/98 e alcune altre disposizioni della vecchia legislazione sull’immigrazione, sono state raccolte nel “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” adottato con il Decreto Legislativo 25/07/1998, n. 286. Il T.U. e il regolamento d’attuazione, DPR 394/99, della legge n.40/98, costituiscono le fonti per eccellenza del “Diritto dell’immigrazione”. La Disciplina del Testo Unico, rispetto alle legislazioni precedenti, si caratterizza per incisività del controllo e della lotta all’immigrazione clandestina; per la programmazione dei flussi; per il riconoscimento alla stabilità del soggiorno e per le politiche dell’integrazione sociale. Note (1) L. n.943/1986, Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari e contro le immigrazioni clandestine. (2) Regio Decreto n.773 del 18/06/1931, Testo Unico delle Leggi della Pubblica Sicurezza, Titolo V “Norme sugli Stranieri”. (3) Norme urgente in materia di Asilo Politico, di Ingresso e Soggiorno dei Cittadini Extracomunitari e di Regolarizzazione dei Cittadini Extracomunitari ed Apolidi già presenti nel Territorio dello Stato. (4) All’atto della sottoscrizione della Convenzione di Ginevra l’Italia si riservò di accordare lo status di rifugiato e di asilo politico solo a coloro che provenivano da determinate aree geografiche, essenzialmente i paesi del blocco sovietico. I rifugiati dalla Romania o dall’Ungheria venivano accolti, mentre quelli che fuggivano da dittatori di tipo Pinochet erano sistematicamente respinti. (5) Solo coloro che erano presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989 potevano chiedere la regolarizzazione (art. 9, comma 1°). Ciò indusse molti stranieri entrare in Italia prima di quella data, e chi non ce la fece si trovò di nuovo clandestino in attesa di ulteriori sanatorie. (6) L’arrivo dei profughi provenienti dai paesi in- DA STRANIERI A C I T TA D I N I Immigrati di varie nazionalità manifestano per le strade di Bologna chiedendo migliori condizioni di vita. Sotto, lunghe file per il permesso di soggiorno cendiati dalle guerre civili, Jugoslavia, Albania, Somalia, determinò la necessità di regolamentare la loro posizioni in Italia. Molti di loro erano candidati naturali allo status di rifugiati, ma l’Italia preferì trattarli umanamente concedendoli permessi di soggiorno speciali per “motivi umanitari” . (7) In un paese che ha un tasso di disoccupazione costante dell’11-12%, e che il lavoro sommerso è un fenomeno difficile da sradicare, si richiede, a corredo della domanda di cittadinanza, la certificazione dei redditi prodotti e dichiarati nel triennio precedente all’anno di presentazione della domanda. Non si prendono in considerazione i periodi di iscrizionenelle liste di collocamento, di frequenza di corsi di formazione professionali o di studi, di attività di volontariato. In alcuni casi addirittura si pretende non solo la dimostrazione di aver prodotto un reddito e aver pagato le relative tasse, ma di aver prodotto una determinata quantità di reddito. Il controllo e la repressione dell’immigrazione clandestina Il respingimento. Il controllo e la lotta all’immigrazione clandestina incominciano dalla polizia di frontiera la quale respinge “gli stranie- ri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti per l’ingresso nel territorio dello Stato”. Il restringimento con l’accompagnamento alla frontiera è previsto anche per lo straniero che, eludendo i controlli di frontiera, è fermato all’ingresso o subito dopo. I vettori marittimi, aerei o terrestri che conducono nel territorio dello Stato stranieri senza validi titoli d’ingresso, sono tenuti a prenderli immediatamente a carico e a ricondurli negli Stati di provenienza o di origine. Disposizioni penali contro il traffico illegale delle persone. Sono previste sanzioni penali contro coloro che compiono “attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato”, (la pena è la reclusione fino a tre anni e la multa fino a trenta milioni). Se l’attività di favoreggiamento all’immigrazione clandestina è commessa in forma associata e a fine di lucro, “la pena è della reclusione da quattro a dodici anni e della multa di lire trenta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso”. È prevista la reclusione fino a quindici anni per l’importazione di persone da reclutare alla prostituzione ovvero l’importazione di minori da impiegare in attività illecite. L’espulsione amministrativa. L’art. 13 del t.u. disciplina i casi e le modalità cui lo straniero presente nel territorio dello Stato può essere espulso. Innanzi tutto, i provvedimenti d’espulsione sono adottati o dal Ministro dell’interno o dal Prefetto. L’espulsione immediata, con l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, può essere disposta, in presenza di motivi d’ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, dal Ministro dell’interno nei confronti dello straniero sia residente o non residente. Si procede, altresì, all’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, nei casi in cui: sia abitualmente e notoriamente dedito a traffici illeciti; sia privo di un valido documento attestante la sua identità e nazionalità. Negli altri casi, l’espulsione è fatta mediante l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni con l’obbligo di presentarsi all’ufficio di polizia di frontiera. Contro il decreto d’espulsione può essere presentato ”unicamente ricorso al tribunale civile”, entro cinque giorni (trenta giorni nel caso d’espulsione immediata) dalla comunicazione del decreto. Si tratta di una forma di tutela giuridica caratterizzata dalla brevità dei termini, che non consente una vera e propria preparazione difensiva. I centri di permanenza temporanea. Una delle novità più incisive della legge Turco-Napolitano, i c.p.t. sono stati concepiti per trattenere, fino all’espulsione effettiva, gli stranieri nei cui confronti l’espulsione immediata ovvero il respingimento alla frontiera non è possibile per motivi di soccorso allo straniero, d’accertamenti supplementari in ordine alla sua identità, d’acquisizione di documenti di viaggio, d’indisponibilità di mezzo di trasporto. Il questore, in presenza di queste esigenze, “dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno”. Il questore trasmette copia degli atti, entro quarantotto ore, al tribunale civile. Qualora il tribunale convalidi il provvedimento del questore, lo straniero è trattenuto nel c.p.t. per un periodo non superiore di venti giorni, prorogabili per un massimo di ulteriori dieci giorni. Contro i decreti di convalida e di proroga del “trattenimento” è previsto la possibilità di proporre ricorso in 27 DA STRANIERI cassazione che, tuttavia, non sospende l’esecuzione della misura. La carta di soggiorno e le politiche per l’integrazione La carta di soggiorno sicuramente costituisce lo strumento più innovativo nel riconoscimento alla stabilità e alla regolarità del soggiorno. A C I T TA D I N I n. 40/98). Sul versante dell’integrazione, la disciplina del testo unico detta disposizioni programmatiche agli enti locali che sono chiamate a favorire la promozione dei diritti e dei doveri dei cittadini extracomunitari, dell’interculturalità, di iniziative di prevenzione della discriminazione razziale o della xenofobia, di organizzazione di corsi di formazione “ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale” destinati agli operatori degli organi e uffici pubblici e degli enti priva- Nelle strade dei quartieri più degradati la “casa”è spesso una macchina La carta di soggiorno, a differenza del permesso di soggiorno, non è una concessione amministrativa, ma è un diritto soggettivo riconosciuto allo straniero in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge: soggiorno quinquennale in Italia, reddito sufficiente, mancanza di condanne penali per determinati reati. La carta di soggiorno, e in genere il permesso di soggiorno per lavoro, conferiscono al cittadino extracomunitario tutti i diritti facenti capo al cittadino italiano, eccetto quelli politici in senso stretto, o perlomeno tutti i diritti riconosciuti al cittadino comunitario. A sostegno di quest’affermazione, si possono citare alcune disposizioni della disciplina sull’immigrazione: l’art. 2, comma 2°, T.U. “Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano..”. Il terzo comma dello stesso articolo dispone “La Repubblica italiana…garantisce a tutti i lavoratori stranieri soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”. La piena titolarità di diritti è ulteriormente confermata dall’eliminazione dell’ostacolo della reciprocità per i titolari della carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo, per l’esercizio di un’impresa individuale (art, 1, comma 2°, DPR 394/99, regolamento di attuazione della legge 28 ti che hanno rapporti abituali con stranieri o che esercitano competenze rilevanti in materia di immigrazione (art. 42, t.u.). Sono istituiti a livello nazionale vari organismi di consulenza: l’organismo nazionale di coordinamento presso il CNEL, che ha il compito di individuare ”le iniziative idonee alla rimozione degli ostacoli che impediscono l’effettivo esercizio dei diritti e dei doveri dello straniero”; la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha il compito di acquisire le osservazioni degli enti e delle associazioni maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli immigrati; la Commissione per le politiche di integrazione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per gli affari sociali, avente il compito di “predisporre per il Governo il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli immigrati, di formulare proposte di interventi di adeguamento di tali politiche..”. I Consigli territoriali per l’immigrazione sono istituiti a livello provinciale e raggruppano i competenti organi periferici dello Stato, la Regione, gli enti locali, le associazioni operanti nell’ambito dell’assistenza e dell’integrazione degli immigrati, le organizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, “con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale” (art. 3, comma 6°, T.U.). La disciplina nel contesto europeo La Commissione UE ha recentemente presentato una proposta di direttiva sulle “Condizioni di entrata e di soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi con l’obiettivo di un posto di lavoro salariato o dell’esercizio di un’attività economica indipendente” che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di un permesso di soggiorno comunitario che potrebbe consentire agli stranieri regolarmente soggiornanti in uno Stato membro di poter lavorare e soggiornare in qualsiasi altro Stato membro. Spetterà agli Stati membri decidere sul numero di immigrati da accogliere nel proprio territorio, limitandosi la proposta legale a rispondere dall’esigenza dell’economia comunitaria, che vede imbrigliata, allo stato attuale delle cose, una parte non trascurabile delle sue forze produttive. Se questa direttiva sarà approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo sarà un ulteriore passo nel processo di integrazione europea. Nella stragrande maggioranza degli Stati EU è garantito la parità dei diritti tra i cittadini e gli stranieri legalmente soggiornanti. Nella maggior parte dei casi, eccetto Germania e Grecia, è previsto, dopo un certo periodo, il soggiorno a tempo indeterminato. Il periodo di residenza necessario per l’acquisto della cittadinanza è più breve, ad esclusione della Germania, nei paesi del nord, più lungo nel sud (Portogallo, Italia, Grecia). In alcuni Stati è riconosciuto il voto amministrativo agli stranieri regolarmente soggiornanti (Portogallo, Spagna, Olanda, Svezia, Inghilterra e Danimarca). Conclusione Il 14/09/2001 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che intende introdurre emendamenti e modifiche al testo unico sull’immigrazione. Si prevede la limitazione dei ricongiungimenti familiari: saranno ammessi solo il coniuge, i figli minori e i genitori, solo in mancanza di altri figli. L’istituto dello “sponsor” sarà completamente eliminato. Chi viene espulso dall’Italia e vi rientra clandestinamente rischia l’arresto da sei a dodici mesi, che vengono commutati in una nuova espulsione. Nel caso di un terzo ingresso scatta il carcere da uno a quattro anni. Il periodo di soggiorno utile al conseguimento della carta di soggiorno sarà elevato da cinque a sei anni. Il disegno di legge, è attualmente è al vaglio della Conferenza Stato-Regione. q DA STRANIERI A C I T TA D I N I Non solo immigrato I lavoratori stranieri, le loro famiglie, sono cittadini che pagano le tasse, usufruiscono dei servizi socio-sanitari, intraprendono attività autonome, diventano proprietari, vanno all’università, ecc… Eppure a queste persone manca il “diritto di cittadinanza”, cioè quel diritto di vedere M ICHAEL HUNDEYIN BOLADE presidente del Forum Metropolitano delle Associazioni di cittadini non comunitari di Bologna e Provincia - delle ragioni del Forum Metropolitano e di politica per l’Immigrazione. Il Forum metropolitano è un’associazione autonoma fondata nel ’97 sulla base del trattato di Strasburgo del ’92, che è stato ratificato dall’Italia nel ’94. Il Comune di Bologna si era posto allora l’obiettivo di creare il Forum per arrivare poi all’elezione del Consigliere Aggiunto in Consiglio comunale, ci sono stati mesi e mesi di discussione fra gli immigrati e il Servizio per l’immigrazione del Comune e nel ’97 siamo arrivati all’istituzione del Forum. Attualmente ne fanno parte 44 associazioni, ma viviamo un periodo di grande difficoltà perché siamo tutti volontari e ci autofinanziamo. Il Forum metropolitano si è attivato soprattutto nel sociale: abbiamo messo su una squadra di calcio il Forum calcio e partecipiamo ai tornei con la Uisp, facciamo ogni anno il Forum in festa, abbiamo partecipato ad un Progetto Europeo con il Cospe per la formazione dei poliziotti in una società multietnica, abbiamo partecipato con la Uisp al “Fare Info”, una iniziativa contro il razzismo negli stadi, ai Mondiali antirazzismo sempre organizzati dalla Uisp, nel ’97 abbiamo avviato un giornale “Forum News” che però è stato chiuso per problemi finanziari, adesso ci stiamo riprovando con “Il Tamburo” un giornale online che dovrebbe iniziare a funzionare dal mese prossimo, perché sono arrivati i finanziamenti regionali della L. 286/98 (quelli dell’anno scorso…), inizieremo così anche un’attività di consulenza legale per gli immigrati, gratis, nella nostra sede. Il Forum partecipa anche alle attività del Consiglio Territoriale Immigrazione … In questi giorni ci sentiamo se possibile ancora più “sotto tiro” e alle dichiarazioni del cardinale Biffi che parla di immigrati “integrabili e le proprie istanze rappresentate in modo continuativo ed organico. Certo le persone straniere appartengono a tante etnie con diverse visioni del mondo, differenze anche consistenti esistono inoltre tra le varie ondate migratorie. È un variegato universo in continuo movimento (gruppi religiosi, associazioni multinazionali, club culturali, coordinamento di immigrati più politicizzati, gruppi informali) che si parla, a volte si contrappone, si confronta con le istituzioni e che con esse ha bisogno di interagire. Su questi problemi abbiamo incontrato i rappresentanti dei due Forum degli immigrati a Bologna culturalmente compatibili” rispondiamo che la chiesa deve dare solidarietà, aiutare i poveri e bisognosi, la politica non è della chiesa… gli italiani sono abituati a subire e non dire niente. Il più grande limite che imputiamo alla legislazione passata è stato quello del non aver approvato l’articolo sul diritto di voto, almeno amministrativo, per gli immigrati; anche la questione della rappresentanza politica non è stata applicata quasi da nessuno. Invece ce n’è bisogno, così come c’è bisogno della cittadinanza: i bambini nati qua devono aspettare fino ai 18 anni e poi chissà quale sarà il futuro… Sul problema della rappresentanza politica che ci divide anche da altre associazioni pensiamo che la Consulta serva poco: siamo sempre noi, che parliamo fra di noi, come in un ghetto, invece noi facciamo parte della realtà del paese e tutte le questioni che ci riguardano riguardano anche gli italiani e vanno condivise da tutti. Ci ha chiamati il Vicesindaco Salizzoni, perché vogliono fare la Carta della convivenza, delle regole per gli immigrati, ma io dico che la Carta serve per gli italiani, noi finora ci siamo arrangiati ad integrarci nella società italiana, ci sono regole precise, culture esistenti, noi finora ci siamo adattati, ora loro si devono adattare a noi e devono essere accoglienti per chi arriva e sta cercando di vivere e dare un contributo alla società italiana… bisogna fare la Carta per gli Italiani. migrazione, sui centri di accoglienza. Noi cerchiamo una partecipazione attiva sui grandi temi di interesse civile e lavoriamo per l’istituzione di una Consulta, su base elettiva per tutti gli stranieri che abbiano almeno un anno di residenza sul territorio bolognese, che ci rappresenti realmente sul piano politico più che su quello culturale, compito che può essere svolto anche dalle associazioni. Fanno parte del Forum 22 associazioni: arabe (marocchine, tunisine, egiziane), senegalesi, albanesi, cinesi, filippine, pakistane, bosniache, croate, rumene. Tante persone diverse che fanno lavori diversi; ci sono anche tanti diplomati e laureati che però fanno tutt’altro della loro qualifica, ma in genere quello che fanno i primi è di esempio per chi viene dopo. Consideriamo il fattore della rappresentanza politica come il più importante. Un vero strumento democratico in grado di funzionare autonomamente con una propria sede. Non siamo affatto d’accordo sulla proposta del Consigliere Aggiunto, una persona in rappresentanza di tutti gli stranieri che non ha alcun diritto di voto e che può essere facilmente strumentalizzato. Bisogna cominciare a trattare gli immigrati come soggetti anche politici, persone che per molto tempo, forse per sempre, faranno parte della comunità. Bisogna iniziare a fare le cose con gli immigrati e non solo per gli immigrati. Non abbiamo neppure diritto al voto amministrativo come in altri paesi europei. Ma il nostro impegno continua per essere cittadini a tutti gli effetti. Quando hanno approvato la Legge 40 hanno tolto l’art. 39 che prevedeva il diritto di voto, almeno amministrativo, per gli immigrati… questo è un treno importante che abbiamo perso, ma gli immigrati devono essere considerati cittadini e non sempre chiedergli “di dove sei”… Sono 20 anni che vivo qua, ho la cittadinanza italiana… e mi sento sempre chiedere “di dove sei”… ma io sono di Bologna! D. A. e R. P. HASSAM FATHY - rappresentante del Forum Autonomo delle Associazioni di immigrati di Bologna e Provincia. Ci siamo scissi dal Forum metropolitano alla fine del ‘99 per una serie di considerazioni, prima fra tutte quella di una necessità molto sentita fra gli immigrati di esprimere pubblicamente il nostro punto di vista sulle principali questioni della vita cittadina e soprattutto sulle problematiche che direttamente ci interessano come le politiche comunali e nazionali sull’im- 29 PH. ANTONIO FIORENTE P O RT I C I R A C C O N TA 30 PH. VANES CAVAZZA PH. GABRIELLA GHERMANDI P O RT I C I R A C C O N TA Incrociandosi per strada di GABRIELLA GHERMANDI Q uesto che sto per raccontarvi è un fatto realmente accaduto, uno di quei fatti che appartiene al detto: “Quando la realtà supera ogni immaginazione”. Affrontavo le ultime rampe della scalinata del portico di San Luca quando Mariella, ansimante, mi disse : “Ci fermiamo un attimo?”. Mi sedetti su uno dei muretti posti tra gli archi ed attendendo il normalizzarsi del suo respiro mi guardai attorno. Un tempo San Luca, il portico, il santuario erano luoghi a me estranei. Piuttosto che luoghi erano un’immagine mentale e visiva, qualcosa che stava lì, abbarbicata su un colle di Bologna a protezione della città. Era stato Abba che aveva operato il cambiamento. Il “mio” Abba, il mio dolce vecchio eremita. Era arrivato a Bologna in una serata afosa di fine luglio, come solo lui poteva fare, senza preavviso. Quel vecchio alto, pieno di rosari al collo, con la tunica gialla, i capelli come lunghi trucioli di legno e i piedi nudi aveva suscitato subito grande curiosità all’aeroporto Marconi. La gente gli si avvicinava come le api al miele. Tutti mi chiedevano..., domande inarrestabili... Le mie risposte si perdevano nei loro occhi sgranati; “è un eremita, copto, Etiope” “certo, i copti sono cristiani, un cristianesimo assai antico” “vive in una baracca in uno dei cimiteri di Addis Abeba, è un esorcista, guarisce anche la gente”. 31 PH. VANES CAVAZZA PH. GABRIELLA GHERMANDI P O RT I C I R A C C O N TA 32 Lui intanto sorrideva a tutti, felice di tanta attenzione. Venire in Italia era il suo sogno, per potersi inginocchiare davanti alla tomba di San Pietro e San Paolo, almeno una volta, prima di morire. Poi la sua mano sulla spalla mi aveva richiamato all’ordine. “È ora di andare a casa” aveva detto. “Il mio paese, Balagna” come lo chiamava lui, gli era subito piaciuto, iniziando da quello strano gabinetto “che si lava da solo”. Guardava tutto con ammirazione e beveva coca cola e gassosa come un vero Angelo monello. Molti ci fermavano per strada e lui, nel suo Italiano stentato diceva “io cinco anno ascaro governo Galla-Sidamo”. Povero Abba, lui orgoglioso di un esercito italiano in Etiopia, un esercito che, in questo paese, vogliono dimenticare. Chi per sconfitta e chi per vergona. Il nostro pellegrinaggio per chiese era iniziato il giorno successivo al suo arrivo. Istintivamente, come prima chiesa, l’avevo portato a San Luca e se ne era innamorato. Dopo nessuna aveva retto il confronto. Neppure a Roma, San Pietro, il suo sogno. C’era solo la chiesa di Cuddus Lucas. Il giorno prima della partenza ci era voluto tornare. All’uscita mi aveva comunicato soddisfatto “Alla Madonna ho detto tutto! Tutto ciò di cui hai bisogno. Non ti preoccupare, lei mi ascolta sempre!”. Poi la partenza, l’aeroporto, le mie lacrime ... la tristezza nel pensare al vuoto che avrebbe lasciato nel mio cuore e nel cuore di questa città la partenza di quell’Angelo inatteso. Poi il portico mi era diventato familiare, conoscevo ogni curva ed ogni gradino e soprattutto il viso e le abitudini dei suoi abitanti, coloro che a San Luca, per passeggiare o per allenarsi, ci vanno tutti i giorni. Tra questi c’era un anziano signore alto, con i capelli candidi, il labbro inferiore leggermente pendulo e la testa costantemente bassa, a controllarsi il passo. “Va, stasera lo saluto” pensai, “Buonasera” dico mentre passa. Lui si avvicina “ Lei è eritrea o etiope?” e io che credevo non mi avesse mai notato “etiope” rispondo. Vedo il suo labbro irrigidirsi, ergersi fiero e infine distendersi in un sorriso, poi usando una complicatissima forma di cortesia mi dice in Amarico “Come sta?” attonita scendo dal muretto sul quale ero ancora seduta “Come scusi?”, lui ripete, ancora più sorridente. Davanti al mio viso pietrificato per la sorpresa lui si presenta “Piacere Carlo Catalano, sono stato nove anni nel suo paese, ufficiale dell’esercito italiano, cinque anni nel Governo Galla-Sidamo” “Oddio! Come Abba” dice Mariella.... Io sono ancora bloccata dalla sorpresa. Lui mi prende sottobraccio e si avvia verso la discesa. Parla, parla,...mi racconta della sua vita “Che nostalgia che ho del suo paese, brava gente gli Etiopi e le donne...Ah! Voi donne...” e sorride malizioso. E parla...ancora. “Facevo il traduttore, amarico-italiano, scritto e parlato. Lei sa scrivere in Amarico” “No, quando sono partita ero troppo piccola per imparare” “allora le insegno io e lei, in cambio, mi consolerà con la sua presenza della nostagia che nutro per la sua terra. Chiaramente da gentiluomo. Può considerarmi un padre, se vuole anche un nonno, va! Del resto, rispetto a lei, ne ho l’età, cosa ne dice?” annuisco leggermente con la testa “Ah! Ho anche un libro sul quale potrebbe esercitarsi a leggere, il quarto vangelo, è uno dei pochi ricordi materiali di quei tempi!”. Conto e riconto sulle dita della mano “Il quarto vangelo..., ma è il vangelo di San Luca”...., guardo Mariella, lei mi sorride “non ti pare che tornino tutti i conti?” mi dice. Ma che strana magia è questa! Forse aveva ragione Abba...una chiesa speciale.... DA STRANIERI A C I T TA D I N I SCRITTI DI TUTTI I COLORI di ADRIANA BERNADOTTI C’è ancora scarso interesse fra gli italianisti per il nuovo fenomeno della letteratura degli immigrati. L’esperienza più significativa è dell’associazione Eks&Tra di Mantova che ha anche istituito un premio giunto alla settima edizione. Abbiamo raccolto i pareri di alcuni vincitori che risiedono nella nostra città I mmigrati che scrivono nella lingua del Dante? Niente da stupirsi perché la letteratura di autori immigrati in lingua italiana è ormai una realtà consolidata nel nostro paese. Nonostante questo gli autori riescono a fatica ad accedere alle case editrici e la materia stessa raggiunge difficilmente status accademico o visibilità come manifestazione culturale fuori dagli stretti circuiti sensibili ai problemi sociali della vita degli immigrati. La situazione italiana è sicuramente paradossale, come spiega Armando Gnisci - professore del Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università La Sapienza - ideatore di Basili (www.disp.let.uniroma1.it), prima banca dati sulla letteratura dell’immigrazione in Italia, e della rivista on line Kúmá. «Mentre negli USA si è andata formando addirittura una piccola legione di specialisti sull’argomento, in Italia ai letterati e agli italianisti il fenomeno interessa pochissimo. E così, ogni anno uno o due giovani studiosi nord-americani, e qualche euro- peo, chiedono di venire a studiare a Roma la letteratura dei migranti, sotto la mia guida», dice il professore. L’italiano «è per molti autori la lingua dell’ospitalità», sostiene la scrittrice Roberta Sangiorgi, promotrice del concorso letterario per immigrati Eks&Tra che è arrivato oramai alla settima edizione. «Nel bando si parla di scritti in italiano o in lingua originale, ma il 90% degli autori sceglie l’italiano anche perché spesso la lingua di alfabetizzazione non è la propria ma quella del colonialismo. Per qualcuno l’italiano è la lingua dei sentimenti: un algerino mi raccontava che scrive in italiano perché in arabo non trova le parole per i sentimenti». L’arabo però è la lingua nella quale sono state scritte per la prima volta canzoni e poesie d’amore! Quanta lacerazione c’è dietro ogni esperienza d’emigrazione… Il concorso Eks&Tra è promosso dall’associazione interculturale omonima e dal Centro di Educazione Interculturale della Provincia di Mantova e ha il patrocinio dei ministeri della Pubblica Istruzione, delle Pari Opportunità, dei Beni e delle attività culturali e della Commissione nazionale italiana dell’Unesco. L’insieme di racconti e poesie è stato raccolto in un archivio di 1.400 opere con sede a Rimini (via Bassi, 26 – tel. 0541/392951). «Lungo questi anni, continua la Sangiorgi, gli argomenti sono passati dalla denuncia, dalla rivendicazione in prima persona, ad un’analisi dell’impatto con la società italiana, all’intreccio tra noi e loro. Più che l’autobiografia, che il proprio vissuto, prevale la “trasposizione” - ad esempio un siriano che si immedesima in un marocchino che sta a dimostrare l’esperienza universale dell’immigrazione». Chi è però l’immigrato che si mette a scrivere? «Sono spesso persone con una o due lauree, che hanno avuto esperienze di scrittura nei loro paesi e che passata una prima fase di “sonno” della scrittura, che è servita per prendere dimestichezza con l’italiano, riprendono a scri- 33 DA STRANIERI vere. Un’altra questione significativa è quella degli stranieri in carcere, della quale abbiamo diverse testimonianze: qui la scrittura appare come percorso di autoanalisi, di purificazione, quasi di redenzione. Uno degli autori mi ha spiegato che i suoi personaggi nascono dagli incubi notturni in carcere, sono le immagini delle sue vittime...» Tre dei vincitori del concorso Eks&Tra risiedono a Bologna: Jadelin Mabiala Gangbo, Gabriella Ghermandi (della quale si pubblica un racconto in questo stesso numero di Portici) e Miguel Angel García. Jadelin che è nato nel Congo Brazzaville e ha ormai pubblicato due romanzi in Italia. Il primo, con Portofranco, intitolato “Verso una notte bakonga”, il secondo, uscito pochi mesi fa con Feltrinelli, “Rometta e Giulieo”: un romanzo di linguaggio “stralunato” secondo la stessa presentazione del suo editore. Jadelin fa il lavapiatti in un ristorante, dicono che giri molto per la città e che non sia facile rintracciarlo… Abbiamo trovato invece gli altri due vincitori e li abbiamo intervistato per voi: Miguel Angel García, vincitore dell’ultima edizione del concorso letterario per immigrati Eks&Tra, è autore dei racconti riuniti nel volume di prossima pubblicazione intitolato Immigrazioni. García è argentino, vive da anni a Medicina ed è stato tra i primi protagonisti dei dif- 34 A C I T TA D I N I ficili tentativi di organizzazione del movimento degli immigrati. È da tempo che Miguel ha deciso di “ritirarsi”, non ascoltando i richiami di alcuni leaders più giovani che rimpiangono la perdita della sua creatività ottimista e del suo consiglio lucido in ogni circostanza. Miguel però è un instancabile e adesso ha scelto la scrittura per dar voce ai sogni e agli incubi di tanti immigrati e immigrate con i quali ha condiviso pezzi di strada a Bologna. I suoi racconti e i suoi personaggi partono ora da una frazione di San Giovanni in Persiceto, ora da una fabbrica di Calderara o da un’osteria di Bologna, per tessere un intreccio che, dalla piccola e spesso meschina società provinciale, finisce sempre per abbracciare il mondo. Miguel, hai vinto un concorso letterario che aveva per tema l’umore (“Eppur si ride: il senso dell’umorismo fra culture”, 7a edizione concorso Exs&Tra). Quale sono i contenuti e i motivi ricorrenti nei tuoi racconti? Ognuno dei miei racconti è una storia sentita dire, o un episodio di cui è stato testimone uno dei sudamericani che fa parte di un piccolo gruppo che si ritrova in un’osteria di Bologna per sgranare il tempo raccontandosi a vicenda. Perché sudamericani? Perché abbiamo un piede nei due mondi, perché credo che siamo i traghettatori perfetti…Fin qui l’unità tecnica dei miei racconti. Il mio tema, invece, che si è delineato con l’andare dei racconti, è sempre quello della mondializzazione. E quando dico mondializzazione parlo della Scienza e della Tecnica, che credo siano l’unica vera mondializzazione, in senso positivo, non nella prospettiva degli antiglobal. Scienza e tecnica sono l’oggetto per antonomasia della mondializzazione: il suo soggetto invece, l’unico possibile, è l’immigrato. Ma cosa significa essere un intellettuale straniero in Italia, quanto e come è difficile? Io non sono un intellettuale straniero, figurarsi! In Italia uno straniero che sia tale, che possa parlare alla società italiana ricoprendo quel ruolo, può essere soprattutto un inglese, in qualche caso un francese, sicuramente un tedesco o un nordamericano… forse anche uno spagnolo. Gli intellettuali del Terzo Mondo possono essere soltanto una “testimonianza”, hanno un ruolo di dimostrazione, di esibizione del loro paese di origine. L’intellettuale immigrato fa dell’altro per campare, non è che fa l’intellettuale! Io sono soltanto un ingegnoso che impiega i suoi ingegni per lavorare il meno possibile… In questa pagina un ristoro al mercato di Lasho (Mynamar) e, sopra, donne mauritane nell’oasi di Cinguetti. Nella pagina precedente una donna rabari in una delle zone più colpite dalla siccità in India Gabriella Ghermandi è nata e cresciuta in una famiglia mista: la madre è etiope e il padre italiano. La famiglia si è trasferita quando lei era ancora bambina, qui ha fatto la scuola ed è stata la sua professoressa di italiano che l’ha stimolata a scrivere. Con i suoi racconti ha vinto il primo premio della 5a edizione del concorso Exs&Tra e il 3° premio dell’ultima. Gabriella è bilingue e tutta la sua vita è segnata dalla doppia appartenenza, dalla ricerca di identità che costituisce la materia della sua creazione artistica. Da tantissimi anni lavora per l’Amministrazione Provinciale: fa l’usciere nel palazzo di via Malvasia. Sono tanti anni che scrivi... Non ti sarebbe piaciuto fare un altro lavoro? Io non ho potuto fare l’università perché la mia famiglia non aveva soldi. Inoltre quello che a me interessava non lo trovavo nelle facoltà…Il problema è questo: io sono un’immigrata e ho avuto tanti problemi, perché così è l’immigrazione, capisci?. Ero troppo giovane per valutare, ero confusa e non sapevo chi ero, quello che volevo. A quel tempo era difficile studiare e lavorare, non c’erano ancora lavori part-time. Non sapevo cosa fare… Io comunque sono soddisfatta, non ho preoccupazioni. A me le cose sono andate bene, niente è stato difficile: la prima volta che ho partecipato a un concorso l’ho vinto. Sto bene così. Sarà che sono africana!… sono molto lenta. Io mi sento tra due mondi. I miei temi sono l’Africa e l’immigrazione perché entrambi sono i miei conflitti interiori e da lì nasce la mia creatività, dall’aver vissuto certe cose, certe esperienze… Credo che il problema in Italia sia che i giovani hanno tutta la strada spianata, sono intrappolati nel consumismo, non c’è la possi- DA STRANIERI bilità di elaborare le cose fondamentali della vita. Questo, in definitiva, si riflette anche nella produzione culturale che è priva di valori: salvo qualche ricerca sperimentale nel teatro o nella musica, tutto è piatto, tutto è uguale, manca autenticità. Purtroppo a volte si accoglie l’intellettuale extracomunitario perché è di moda, tuttavia - di- A C I T TA D I N I co questo senza presunzioni - credo che noi siamo gli unici in grado di portare qualcosa di veramente innovativo. Perché abbiamo un occhio esterno rispetto al paese, perché possiamo veder in modo più oggettivo la cultura italiana rispetto a chi conosce solo questa, a chi non si è mai spostato. Nei miei racconti parlo spesso delle tradizioni, delle usanze africane. In Italia Al confine tra Laos e Vietnam. In queste zone tormentate da lunghe guerre per molti anni sono sorti numerosi campi per i profughi. Con la pace le popolazioni sono in parte tornate ai loro villaggi Le altre culture in biblioteca L e biblioteche della provincia hanno costituito in questi anni un importante supporto per iniziative di tipo interculturale, spesso in collaborazione con la scuola. L’apertura verso le altre culture, tuttavia, non trova facile riscontro nell’offerta di volumi e periodici nelle lingue non europee. L’insufficienza dei finanziamenti e il largo arco di comunità straniere presenti nel territorio, costringe a privilegiare l’acquisto di materiali nelle cosiddette “lingue franche”, che sono spesso le lingue dei colonizzatori. Manca inoltre il personale specializzato, capace di catalogare un volume in cinese o in urdu… Nonostante queste concrete difficoltà, molte cose si stanno movendo. Ad iniziare dagli spazi per ragazzi, dove esistono ormai esperienze consolidate grazie al tempestivo impegno delle istituzioni nella sfida aperta dall’accoglienza nella scuola. Nel 1991 una convenzione tra il Provveditorato agli Studi, l’Università degli Studi, il Comune e la Provincia di Bologna ha dato vita al CD/LEI (Centro documentazione Laboratorio di Educazione Interculturale), che gestisce un centro di documentazione con testi e videocassette sull’intercultura, sulla didattica, sulle religioni e sulla letteratura infantile e multiculturale aperto alla consultazione e al prestito di insegnanti e allievi. Il CD/LEI e il Provveditorato, grazie a un finanziamento europeo del programma Socrate, hanno portato avanti negli anni scorsi un’originale progetto di biblioteca multiculturale itinerante denominato “Apriti Sesamo”. L’avvicinamento e la permanenza nelle scuole di una biblioteca “esemplare” - costruita a partire da un ventaglio di testi c’è bisogno di recuperare i valori: questo può essere il contributo dell’intellettuale extracomunitario, il suo dovere sociale. Recuperare un’identità, anche per l’Italia. Ma non a partire dalle chiusure!. Recuperare l’identità vuol dire: io sono questo, tu chi sei? Non vuol dire cacciare i diversi… q organizzati in sezioni articolate in base ad un criterio geografico -, le opportunità create per momenti di animazione e di lettura, sono sicuramente serviti per sensibilizzare ragazzi e insegnanti verso le tradizioni e i prodotti culturali di altri popoli. (Sede: Via Libia 53 - Bologna, tel. 051/4293408-9.) Non molti lo sanno, ma esiste anche nella città di Bologna una ricchissima collezione di libri per bambini in circa venti diverse lingue. L’associazione Bambarán, interessata alla dialettica interculturale delle famiglie miste, gestisce diverse attività tra cui uno spazio giochi interculturale e una biblioteca con fiabe e racconti delle altre culture aperta a tutti i bambini. (Sede: Via Santo Stefano, 13. Orario biblioteca: lunedì mattina). La rete di biblioteche comunali, capillarmente distribuite nel territorio, ha cominciato anche a dare risposte. Nel 1999 la biblioteca di San Lazzaro ha inaugurato una sezione multiculturale all’interno dello spazio ragazzi, con testi in albanese, arabo, curdo e altre lingue. La biblioteca comunale di Imola, nello spazio per ragazzi “Casa Piani”, offre una raccolta di circa 50 volumi in lingua russa e sta costruendo una sezione in arabo. Molte sono state le iniziative promosse dalla biblioteca in questi anni: la mostra di libri “Bambini nel mondo”, una mostra bibliografica sulle cinque grandi religioni, un’altra sugli indiani d’America così come attività di animazione e teatrali per stimolare la lettura e l’interesse per le altre culture. Altre piccole raccolte sono disponibili presso la biblioteca comunale di Casalecchio di Reno, le biblioteche “Malpighi” del quartiere Saragozza e “Natalia Ginzburg” del quartiere Savena. Anche la biblioteca cittadina Sala Borsa offrirà, alla sua apertura, una sezione multicultuale per i ragazzi. Per l’immigrato peruviano che vuole seguire le elezioni politiche del suo paese, o per il cinese che vuole leggere un romanzo del suo autore preferito, le cose non sono ancora facili a Bologna. Poche le opportunità di soddisfare il bisogno informativo e culturale degli adulti, tuttavia alcune iniziative stanno decollando. Il Centro interculturale “Massimo Zonarelli”, attivo da tre anni nel Quartiere San Donato e coordinato da un pool di più di 50 associazioni italiane e straniere, ha una mediateca multiculturale nella quale sono accessibili alcuni periodici pubblicati nei paesi di origine (il settimanale Al Wasat in arabo, il mensile Jeune Afrique in francese) così come diverse pubblicazioni degli immigrati in Italia (si veda Periodici e altre pubblicazioni degli immigrati a Bologna). L’archivio della mediateca comprende anche testi di narrativa in arabo, persiano, cinese, cingalese, inglese, francese e spagnolo, oltre a CD e video in lingua originale e sottotitolati. È disponibile anche l’accesso gratuito a Internet per i soci. Sede: Via Sacco, 14 - Bologna. Martedì e giovedì dalle 17 alle 20; sabato dalle 10 alle 13. Con l’apertura della Sala Borsa, sarà possibile la lettura dei principali quotidiani stranieri in versione cartacea. La biblioteca ha tra i suoi 35 DA STRANIERI progetti futuri la costruzione di una sezione di testi in lingua araba e cinese. Un altro progetto di prossimo avvio è quello della biblioteca di San Lazzaro, progetto che fa parte degli interventi finanziati dal Piano provinciale con i fondi della legge sull’immigrazione 286/2000. La biblioteca costruirà una sezione di testi nelle principali lingue della popolazione immigrata del territorio (inglese, francese, arabo, albanese) e verrà aperto un sito internet con link alle maggiori testate internazionali e uno o più forum di discussione. La mancanza di finanziamenti impedisce l’abbonamento a periodici e quotidiani, ma molte delle principali testate del Terzo Mondo sono arrivate a Internet. Il computer è uno strumento potente per avvicinare l’utenza immigrata alle biblioteche della provincia e sono diverse quelle che ormai offrono questa possibilità. La biblioteca del comune di Casalecchio di Reno ha attivato una postazione Internet nel settore dei quotidiani, con link ai giornali e alle agenzie di stampa del mondo. A. B A C I T TA D I N I sciamo diversi immigrati, residenti a Bologna, che nei loro paesi erano giornalisti di professione. Qualcuno, per non perdere l’abitudine, riesce ancora a “tenersi in allenamento”, come il lavoratore immigrato residente nel centro di accoglienza Arcoveggio di Bologna che fa anche il corrispondente per un giornale del Marocco. Malgrado le difficoltà, diverse comunità immigrate diffondono con regolarità informazioni nella propria lingua, spesso con il supporto di Ong e associazioni italiane. Segnaliamo, in primo luogo, le pubblicazioni periodiche più consolidate delle quali abbiamo reperito notizia e che circolano attualmente a Bologna, anche se in nessun caso sono realizzate nella nostra provincia: ■ Zhong Yi Bao: periodico bilingue cinese-italiano, realizzato a Firenze con il supporto del COSPE. ■ Il Tempo Europa-Cina: periodico in cinese realizzato a Roma. ■Bota Shquiptare: quindicennale in albanese realizzato a Roma. I periodici precedenti si possono consultare presso la mediateca del Centro Zonarelli (Quartiere San Donato). LÕinformazione multietnica a Bologna... N on è facile per un’associazione o un gruppo di immigrati – tra il proprio lavoro e la mancanza di fondi - sostenere uno sforzo continuativo qual è l’edizione di una pubblicazione periodica. Quello che sicuramente non manca è il capitale umano: cono- 36 Sopra, interno di una casa nel centro storico di Mosca. Una scuola elementare, per ragazzi di strada ,organizzata dall’associazione “Save the children” a Ulan Bator in Mongolia. Nuovi e drammatici problemi hanno investito le popolazioni dei paesi dell’ex Unione Sovietica durante questa fase di grandi mutamenti economici e politici. Forse il più drammatico è proprio quello dei bambini abbandonati Per quanto riguarda invece pubblicazioni realizzate nel territorio bolognese, si possono indicare: ■ La rivista Il Sofà – periodico sull’immigrazione, nata con il sostegno del CIDES e dell’associazione “Progetto Marocco” con l’obiettivo di dare avvio a un dialogo per la pacifica convivenza tra comunità straniera e comunità di accoglienza Lo scorso mese di febbraio è stato diffuso il primo numero in 5.000 copie: è in preparazione un secondo numero e la rivista si può consultare on line all’indirizzo www.ilsofa.org. ■ Il Tamburo è un settimanale on-line, al momento in corso di sperimentazione, sostenuto dal Forum Metropolitano delle Associazioni di Cittadini Stranieri di Bologna e Provincia in collaborazione con il quartiere San Donato. Il progetto prevede informazioni sul mondo dell’immigrazione ed è realizzato da un gruppo di immigrati esperti nel settore, con versione in lingua italiana e francese. Si può consultare all’indirizzo: www.iltamburo.it ■ Esperança è una pubblicazione periodica realizzata dall’Associazione Angolana di residenti in Italia, con sede a Ozzano dell’Emilia. ■ The Banglar mukh è il nome della pubblicazione periodica realizzata da un gruppo di bengalesi di Bologna nella propria lingua. Riunisce molte pagine di informazioni di attualità sul Bangladesh, notizie per i membri della comunità, aggiornamenti sulle leggi italiane in materia. Il periodico finora è stato prodotto in forma artigianale ma, con il supporto del Centro per i Diritti della CGIL, si cercherà presto l’iscrizione regolare della testata. L’esperienza bolognese sicuramente più significativa di produzione editoriale in collaborazione con autori immigrati è quella realizzata dalla casa editrice Pendragon, con la sua collana L’Arca. Questo originale progetto patrocinato prima dal Comune di Bologna, poi dalla Coop Adriatica - ha portato alla pubblicazione tra gli anni 1998 e 2000 di 18 volumi che condensano la storia, le tradizioni, la cultura dei principali paesi di provenienza degli immigrati presenti nella nostra provincia. Ispirata allo slogan “l’intolleranza nasce dall’ignoranza”, la collana si rivolge principalmente ai giovani e al mondo della scuola e la sua originalità risiede nel fatto che ogni paese è raccontato da qualcuno che è emigrato e oggi vive tra noi: uno che conosce i due mondi e cerca con la sua opera un’azione di mediazione interculturale. Titoli della collana: Il mondo arabo, Filippine, Algeria, Pakistan, Albania, Somalia, Il Sud-Est Asiatico, Senegal, Kurdistan, Perù, Camerun, Indonesia, Africa Subsahariana, Iran, Marocco, Tunisia, Nigeria, Cina. A. B. DA STRANIERI A C I T TA D I N I ...E quella della stampa italiana di FRANCESCA GALLINI In che modo il mondo dei media racconta realtà pericolosamente esposte al giudizio e pregiudizio dello sguardo occidentale. I dati raccolti in un seminario organizzato dell’organismo non governativo G.V.C. in collaborazione con la Scuola di giornalismo e il Centro Amilcare Cabral C ome vengono trattate le tematiche dell’immigrazione, della povertà e dell’esclusione sociale, dei problemi del Sud del mondo dalla stampa italiana? Questo è il quesito di fondo che i partecipanti al corso di giornalismo “NordSudEstOvest – la fabbrica della dis/informazione” si sono posti durante la lettura critica degli articoli dei quotidiani. Sono stati analizzati 757 articoli sul tema immigrazione de “La Stampa”, “La Repubblica”, “Il Resto del Carlino”, “Il Sole 24-ore” e “La Nuova Ferrara” nel periodo che va dal gennaio 2000 all’agosto 2001. Questi i temi più scandagliati: l’aumento demografico della popolazione immigrata, la clandestinità, gli spazi abitativi carenti, lo sfruttamento della prostituzione extracomunitaria, i fatti di cronaca nera (scippi, aggressioni, rapine, spaccio), il dibattito sulla legge e le misure da adottare per il controllo dei flussi migratori, l’occupazione e il lavoro. Tali voci rientrano in tre aree d’indagine: 1) l’area “devianza – disagio” che comprende i fatti di cronaca nera, le notizie inerenti lo sfruttamento della prostituzione e la clandestinità; con il 56,2% della totalità degli articoli raccolti; 2) l’area “integrazione”, ossia i fatti, le iniziative, i progetti che attestano l’inserimento lavorativo e sociale degli immigrati o la volontà di accoglierli, con il 23,8 % degli articoli; 3) l’area “razzismo” – discriminazione – sfruttamento”, con i casi di sfruttamento della manodopera extracomunitaria, le reazioni e le azioni dettate dall’intolleranza, ha compreso il 20% degli articoli. Il tema più toccato e “spettacolarizzato” è stato quello dell’immigrazione clandestina, ossia dei numerosi sbarchi dei profughi sulle coste italiane, della questione dei centri di accoglienza temporanea previsti dalla legge Turco – Napolitano. A questo tema sono stati dedicati i 231 articoli Bambini della scuola della baraccopoli di Korogocho organizzata con l’aiuto di padre Alex Zanotelli, a Nairobi in Kenia che spesso hanno riempito intere pagine delle cronache nazionali. Un vero e proprio allarme sociale è stato lanciato attraverso titoli “sparati” e a volte ingigantiti fin quasi a far sparire il contenuto degli articoli, attraverso racconti drammatici e foto ad effetto. “Clandestini, la nuova invasione” (Il Resto del Carlino, 3/8/00), “Immigrati, un assedio all’Europa” (Il Sole 24ore, 5/2/01), “Arriva un esercito di extracomunitari” (Il Resto del Carlino, 8/2/00), “L’odissea degli espulsi” (La Stampa, 3/1/00): questi alcuni dei titoli che hanno contribuito a drammatizzare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e ad accrescere nel lettore la percezione di un grave pericolo sociale. Si è parlato molto delle organizzazioni criminali internazionali, le mafie turca, italiana e albanese, padrone del traffico di esseri umani, degli “scafisti” senza scrupoli, senza regole che trasportano gli immigrati da una parte all’altra del Mediterraneo in condizioni disumane. Nell’odissea dei disperati è compresa anche “l’odissea di quelle ragazze” (Il Resto del Carlino, 6/8/00), ragazze nigeriane, albanesi, ucraine, le prostitute extracomunitarie, le “nuove schiave”. I clandestini sono uomini, donne e bambini che viaggiano ammassati sugli scafi, chiusi nelle stive di motonavi arrugginite, lasciate andare alla deriva a qualche chilometro dalla costa italiana. Tra le righe degli articoli l’Adriatico appare come un ponte attraverso cui può passare il male. I clandestini, definiti in base alle loro diverse nazionalità – curdi, cinesi, albanesi, marocchini – sono vittime, “senza nome e senza documenti” (Il Resto del Carlino, 11/3/00), e restano oggetto della notizia. Essi rientrano in un’unica categoria omogenea, perdendo la propria individualità, le proprie peculiarità e differenze. Colpiscono inoltre le foto, più volte proposte sulle pagine dei quotidiani, degli arrivi dei profughi. Davanti ai nostri occhi uomini, donne e bambini ammassati in fila uno dietro l’altro, i loro sguardi smarriti, stanche e disperati. Non si riesce però a vedere dove finiscano queste file di clandestini, immagine di una popolazione lacera che sta per entrare nel nostro paese. E questo forse ci fa pensare, solamente all’emergenza, a una richiesta di aiuto che ci costerà molto. Sulle pagine delle cronache nazionali compaiono spesso piccole mappe in cui viene tracciata una specie di “linea Maginot”, è la via dell’immigrazione clandestina diretta dai racket criminali. Nella stampa esaminata si parla anche di “battaglie in mare” (La Stampa, 25/7/00) tra i militari delle “Fiamme Gialle” e gli scafisti, o de “l’offensiva delle forze dell’ordine nell’Adriatico” (Il Resto del Carlino, 17/9/00). I nuovi sbarchi di immigrati continuano a connotarsi come eventi eccezionali, fuori dalla norma, come emergenze sociali. Ricordiamo che, nell’ultimo dossier Caritas sull’immigrazione (Immigrati regolari e non), che fa riferimento all’anno 2000 con le anticipazioni del 2001, i dati confermano che l’Italia è un paese di immigrazione stabile. «Il fenomeno immigrazione – si legge nel dossier – nei paesi industrializzati è strettamente congiunto con quello della globalizzazione e si presenta come un segno di modernità, non certo un caso anomalo». Cosa fa notizia nell’area “integrazione”? Oltre la metà dei pezzi qui compresi parlano dell’inserimento lavorativo degli immigrati “regolari” e della richiesta pressante di manodopera da parte di settori produttivi. In un’Italia sempre più multietnica sembra che l’integrazione sia un fenomeno in sintonia con le esigenze del sistema economico, più che dialogo tra “culture diverse” necessario per coesistere e arricchirsi q reciprocamente. 37 DA STRANIERI A C I T TA D I N I TRE STORIE DI QUOTIDIANA IMMIGRAZIONE Abram: “La mia prima casa in una nazione libera è stato l’ex-carcere di Imola” 48 anni, impiegato presso un Centro di Formazione Professionale, rifugiato politico dal Cile di origine italo-araba, sposato con una donna di origine nippo-ispanica, cittadini italiani dopo vent’anni di rifugio politico. Sono arrivato a Roma nell’ottobre del ‘74, esiliato dal governo cileno. Dopo un paio di settimane ho dovuto abbandonare questa città perché non era adatta a risolvere i problemi di una persona rifugiata politica, l’unico lavoro che si trovava era quello di lavare i piatti. Ho parlato con altri compagni cileni e abbiamo studiato un po’ la storia e la situazione economica dell’Italia, ci siamo divisi in due gruppetti. Uno che si è avviato verso Milano che era una zona industriale e un altro che si è avviato in Emilia. In particolare io sono arrivato a Imola perché era un posto tranquillo e anche per le autorità era più facile controllare la gente. Lì ho cominciato a lavorare quasi subito, facevo il muratore ed era un lavoro in regola fin da subito. Sono tornato a Roma presentando tutti i documenti occorrenti per la richiesta del ricongiungimento familiare, però avevo un altro “piccolo” problema: non avevo dove abitare e mi mancava la residenza. La mia prima abitazione in un paese democratico è stata nel vecchio carcere di Imola. Lì avevo la residenza, in via Pambera 112. Era un carcere abbandonato e a Imola non si trovava nessun posto da affittare. Il carcere abbandonato è stato il mio centro di prima accoglienza. Come rifugiati eravamo sotto la tutela delle Nazioni Unite, avrei potuto essere mandato al campo rifugiati di Napoli o stare in albergo, dove potevo vivere per lunghi periodi con la protezione anche economica delle Nazioni Unite. Però non era quello che volevo, io volevo stare insieme alla mia famiglia. Lavoro e residenza erano condizioni indispen- 38 sabili per riunificare la famiglia. Io ho visto una quantità enorme di compagni dividersi dalle proprie famiglie e non volevo che succedesse a me. Molti matrimoni all’epoca si sono disciolti. Non è stato difficile adattarsi. Comunque era dura perché non c’erano delle regole. La legge sui rifugiati non era chiara e la sua applicazione dipendeva dalle interpretazioni dei funzionari locali. In alcune province eravamo trattati in una maniera, in altre in un modo completamente diverso. Per esempio quando mia moglie è arrivata in Italia era studentessa universitaria in Cile e voleva continuare gli studi, ma tutti ci dicevano che non poteva iscriversi e non poteva neanche lavorare perché era qui solo per motivi di ricongiungimento familiare. Ma le informazioni che ci passavano i vari funzionari erano contraddittorie e imprecise. Tutte le direttive che accompagnavano la normativa sui rifugiati davano l’indicazione di sveltire le pratiche amministrative, ma era un’indicazione generica perché non si sapeva quali erano le pratiche. Tutto dipendeva dai funzionari che spesso non erano molto “ospitali”. Ci sono stati anche miei amici cileni che hanno fatto il servizio militare qui in Italia per equivoci amministrativi. E poi non gli hanno riconosciuto nemmeno la cittadinanza italiana. Dal punto di vista amministrativo l’Italia era un caos. Ogni tanto ci riunivamo anche con cileni che stavano in altre province per scambiarci informazioni su come funzionava il nostro inserimento amministrativo e sociale nelle varie province italiane. A Perugia per esempio c’erano cileni rifugiati che lavoravano anche presso l’amministrazione pubblica, mentre in altre città era vietato lavorare. Mia moglie è arrivata dopo quattro mesi dal mio arrivo in Italia. Voleva fare qualche attività, e sono riuscito a risolvere il problema della sua iscrizione all’università dopo mesi di tentativi. Quando si è trattato di cercare lavoro per lei mi rispondevano che non poteva perchè ero io l’esiliato e non lei che era qui solo per il ricongiungimento. Questa situazione l’hanno vissuta anche altri i quali ovviamente si sono avviati verso il lavoro nero. Anche mia moglie ha lavorato in nero per un certo periodo facendo le pulizie e aspettando di ottenere il libretto di lavoro. Anche all’epoca si trovava facilmente il lavoro nero. Molti all’inizio hanno avuto anche problemi di riconoscimento dei titoli di studio. Alcune amministrazioni riconoscevano tutti i diritti degli italiani e altre pochi o nessuno. Eravamo disorientati per la mancanza di informazioni chiare. Le stesse difficoltà c’erano anche per il rinnovo del permesso di soggiorno. I requisiti per rinnovarlo erano ambigui, talvolta anche estenuanti. Ogni anno si penava per mettere insieme tutto quello che occorreva per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Abbiamo perso giornate per questo… Non esisteva allora, come non esiste adesso, una legge organica sull’asilo politico. Jora: “Non ho una soluzione nella maggior parte dei casi” Albanese, 25 anni, in Italia dal ‘97 per motivi di studio, dal ‘99 lavora come mediatrice culturale per l’Associazione Mediatori Interculturali Socio Sanitari (Amiss) Sono venuta a Bologna direttamente dall’Albania con l’obiettivo di iscrivermi alla facoltà di psicologia. Per simpatie mie personali ho scelto Bologna. Ho avuto anch’io il problema della casa, non mi affittavano un appartamento perché ero straniera, però non lo dicevano direttamente, non avevano neppure il coraggio delle loro opinioni. In quel periodo ho conosciuto anche gente del sindacato e operatori dei servizi per stranieri, così ho saputo che c’era un corso della comunità europea gestito dall’ISI per formare mediatori interculturali in ambito sociosanitario. Mi ricordo che andai a fare il concorso pur essendo poco interessata perché non capivo bene di cosa si trattasse. Ho fatto il corso... eravamo tutte donne e tutte straniere, con tutti i proble- DA STRANIERI mi che si hanno quando si incontrano diverse culture, diverse persone... il clima poi è migliorato fino a diventare ottimo. Mentre facevamo il corso ci era venuta l’idea di lavorare insieme e verso la fine del corso abbiamo deciso di costituirci in associazione. Ho scelto di non lavorare molto per potere anche studiare. Ritengo comunque questa esperienza utile anche per il mio futuro. Quello del mediatore non è ancora un ruolo chiaro, professionalmente non è riconosciuto e non si capisce quali sono i criteri di base né quale tipo di lavoro si può fare. Nel senso che per molti servizi il mediatore può essere o uno che ha 5 lauree o l’addetto alle pulizie che lo chiamano quando hanno bisogno perché deve fare il traduttore. Perciò l’inizio è stato confuso e molto ingenuo, abbiamo formato questa associazione; ma presto abbiamo dovuto occuparci di bilanci, di contratti, di firme, il lavoro cominciava a diventare già meno bello, più complicato, comunque una cosa più... Avevamo cominciato con una prima convenzione, era un numero verde dove davamo informazioni in lingua straniera per tutto quello che riguarda la sanità … Uno dei primi problemi che abbiamo notato era che gli uffici anagrafe e le Aziende USL non accettavano le autocertificazioni da parte di stranieri. Ma la legge diceva che l’autocertificazione era valida per tutti. Poi un’altra difficoltà che abbiamo affrontato era quella degli studenti che per fare l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale dovevano avere il nuovo Permesso di Soggiorno, però per averlo … era il solito gatto che si mangia la coda perché la Questura non ti rilascia il permesso di soggiorno se tu non hai un’assicurazione e l’assicurazione non ti veniva rilasciata se l’USL non sapeva che tu eri regolarmente in Italia… Un’altra delle cose che abbiamo presto capito è che la gente preferisce il contatto fisico, il fatto di vedere di fronte una persona, di poterci parlare a lungo. Diciamo che ci richiedevano un front office e non lo sportello telefonico … con un contatto più umano insomma. Con la gente, con gli immigrati e le immigrate mi sono trovata abbastanza bene, ma mi sono sentita spesso impotente di fronte ai problemi che loro pongono. Non ho una soluzione nella maggior parte dei casi. I problemi sono vari e spesso collegati a difficili condizioni sociali che non hanno niente a che fare con la sanità, tipo vivono in case troppo umide oppure dormono in macchina. Oppure, la depressione, ad esempio, è legata al fatto di non poter avere un lavoro, di fare lavori non attinenti alla propria formazione, di non avere i soldi per l’affitto... A C I T TA D I N I Penso che il razzismo, che può essere anche alimentato, sia frutto spesso di ignoranza, ma credo anche che i mass-media italiani abbiano gonfiato molto gli aspetti che riguardano gli immigrati. Questi sono stati e sono il cavallo di battaglia della cronaca nera. Per cui bisognerebbe cominciare a cambiare direzione se si vuole creare una società più integrata, bisogna conoscere la storia dei popoli e le ragioni dell’immigrazione. Dobbiamo fare in modo di conoscerci. TANJA: “la mia vita è dietro di me…” Ucraina, 45 anni, laureata in chimica agraria all’Università di Kiev, ha lavorato come direttrice di laboratorio a Leopoli fino al 1997. Ha perso il lavoro perché l’azienda statale (kolkos) dove lavorava è stata rilevata da una privata che ha licenziato 250 dipendenti. Dal 1999 è in Italia, dove lavora come domestica. In Ucraina ha lasciato il marito e due figlie che dipendono dai suoi guadagni. Ho scelto l’Italia per immigrare... non so perché, forse per le canzoni italiane conosciute in tutto il mondo e mai vietate nel nostro paese, forse per il cinema, l’architettura, la moda italiana che mi piaceva tanto e poi perché ... italiani “molto buoni”... mi sono innamorata di questa terra, non così per i soldi... ma per altre cose, per i sentimenti. Sono arrivata direttamente a Napoli dall’Ucraina, ho pagato, oltre alle spese di viaggio, 700 dollari all’Ufficio del Turismo per avere il visto e 300 dollari alla persona italiana che mi ha trovato lavoro a Napoli… dopo un anno sono venuta a Bologna, presso un’altra famiglia.… per me c’è una bella differenza: i napoletani sono aperti, allegri, come si dice sono più... persone … i bolognesi li trovo freddi, educati, gentili, però è tremendo: ti tengono a distanza. Il mio sogno è di poter fare la chimica agraria qua in Italia, perché questo è il mio lavoro, poi penso che potrei scoprire tante cose nuove e che anch’io posso trasmettere le mie conoscenze… mi piacerebbe tantissimo. Quando ho tempo libero, vado sempre dal fioraio e gli chiedo l’occorrente per curare il giardino della famiglia presso la quale lavoro, la cosa mi diverte anche perché loro non capiscono come mai io, una domestica, ho tutte queste conoscenze scientifiche sui terreni e i medicinali per le piante, tutte le volte mi guardano stupiti… All’Ufficio di collocamento mi hanno iscritta come manovale semplice, risulto perfino analfabeta… perché -mi hanno detto- i miei titoli di studio non erano tradotti né equiparati e quindi non valgono, neanche la scuola elementare mi hanno riconosciuto... Voglio rimanere in Italia almeno ancora per 5 anni... non lo so, aspetto di avere una piccola pensione che mi spetta in Ucraina, perché quando divento vecchia che faccio? Ma è molto difficile vivere senza famiglia... è difficile vivere lontano, la mia vita è dietro di me... Dal ’97 sono tornata solo una volta a casa…non ho visto mia famiglia per 2 anni, 2 mesi, 10 giorni... è stata una cosa tremenda a casa… Quando sono potuta tornare ero così felice…felicissima, non avevo vissuto mai una felicità così, neanche quando sono nate le mie bambine, quando mi sono sposata, neanche quando mi sono innamorata tanto. Adesso che ho il permesso di soggiorno sono più tranquilla perché so che posso tornare, anche solo 2 o 3 giorni. Questo pensiero mi calma. Prima non dormivo, avevo paura, paura che succedesse qualcosa alla mia famiglia e io non potevo tornare perché rischiavo di non poter più rientrare in Italia per lavorare e la mia famiglia, là, ha bisogno dei miei soldi per vivere. Se un domani avessi la possibilità di lavorare qua in Italia come agronoma forse preferirei restare in Italia, con la mia famiglia ma non so … mio marito… adesso… non so se vorrebbe venire qui con me perché adesso i rapporti…diciamo… si sono un po’ persi. Quando c’è una famiglia deve stare insieme, è brutto quando vicino a una donna non c’è il marito o quando il marito è da solo là… Io capisco che lui non possa stare da solo per molto tempo, anche a casa deve avere… una mano di donna, sì… e anche fisicamente… tante nostre famiglie adesso stanno crollando…. …anche uomo è debole…lo so capisco…ma anch’io…donna senza nessuq no…non posso vivere. 39 DA STRANIERI A C I T TA D I N I PIô CLANDESTINITË MENO SICUREZZA di F. B. È indiscutibile che l’immigrazione, soprattutto se irregolare, può contribuire ad incrementare l’illegalità. Ma le cause profonde sono da ricercarsi nelle trasformazioni socio-economiche che sono alla radice dei processi migratori stessi e del loro governo. Il parere di due studiosi del fenomeno, Dario Melossi e Marzio Barbagli S tanno cambiando o meno, secondo Voi, le regole della convivenza con gli immigrati provenienti da altre culture? Marzio Barbagli - I dati di cui siamo in possesso, tenendo presente anche quelli comparati, mostrano una specificità tutta italiana riguardo al tema della paura nei confronti degli immigrati. Ben l’ottanta per cento dei nostri connazionali, infatti, si dichiara favorevole a concedere il pieno godimento dei diritti politici agli immigrati, dimostrando in questo di essere più avanti rispetto alla classe dirigente del Paese. Per quanto riguarda l’impatto della criminalità, viceversa, appaiono un po’ più preoccupati rispetto al resto dell’Europa. Non temono tanto, in altre parole, la colonizzazione culturale o la perdita del posto di lavoro a vantaggio di gente venuta da fuori, ma piuttosto hanno paura del contributo rilevante che gli immigrati, nel corso degli ultimi anni, hanno dato ad alcune forme di criminalità. Magari in talune occasioni non mancano le esagerazioni, ma i dati dicono che si tratta di un sentimento diffuso e, a mio parere, anche comprensibile, che è più sviluppato nei grandi centri urbani del Nord Italia, Bologna compresa, e risulta del tutto trasversale per quanto concerne le opinioni politiche dei cittadini. Nonostante questo, la tesi secondo la quale gli italiani provino diffidenza e timore nei confronti del diverso è del tutto priva di fondamento. Ormai nel nostro Paese prevale una forma di assuefazione riguardo alla presenza degli “altri”, figlia di una mentalità sufficientemente aperta e priva di pregiudizi legati alle diverse abitudini. Direi che di vera e propria intolleranza non ne vedo, mentre di ostilità sì, talvolta anche forte, però sempre legata a questioni di criminalità. Dario Melossi - L’Istat ci dice che nel corso di due generazioni, cioè nel 2050, con gli attuali trends demografici la popolazione italiana si ri- 40 durrebbe da circa 57 a circa 45 milioni di abitanti, per cui, se pensassimo che l’attuale situazione economica dovesse perdurare (con una sostanziale piena occupazione al Centro-Nord) e ci servissimo dell’immigrazione semplicemente per sostituire posti di lavoro, il numero degli immigrati in Italia potrebbe salire dall’attuale 3% massimo (contando anche una quota di irregolari) sino al 15-20%. Oggi in California, ad esempio, i nati all’estero sono il 25% della popolazione e nella città di New York quasi la metà. Riguardo alla capacità della nostra società di accogliere l’estraneo, direi che dipende da noi, collettivamente, poiché non esiste alcun limite “esterno” alla nostra cultura e all’azione politica, economica e sociale. Dipende innanzitutto da processi culturali intesi in senso lato, in quanto non abbiamo ancora capito che siamo, intendendo l’Italia come regione dell’Europa, una società di immigrazione. Prima lo capiremo, meglio sarà per tutti. Essere una società d’immigrazione significa ren- MARZIO BARBAGLI docente di sociologia all’Università di Bologna Autore tra l’altro di “Immigrazione e criminalità in Italia” Bologna, 1988, “Il Mulino” DARIO MELOSSI docente di criminologia all’Università di Bologna, autore tra l’altro di “Multiculturalismo e sicurezza in Emilia-Romagna” su “Quaderni di cittàsicure” anno n. 15 Regione Emilia-Romagna dersi conto che bisogna apprestare, insieme agli altri Paesi europei e probabilmente creando strutture comuni, politiche d’immigrazione, a cominciare dalla struttura consolare italiana all’estero per finire all’accoglienza interna, passando per la predisposizione di tutte le politiche necessarie. Gli immigrati hanno spesso un posto rilevante nella cronaca per fatti legati alla delinquenza comune, alla prostituzione, all’abusivismo, al punto che è sempre più facile associare l’idea di insicurezza a quella di immigrazione. A Vostro parere quali sono i nodi prioritari da affrontare per tentare di risolvere il problema? Marzio Barbagli - I problemi da risolvere in materia di immigrazione sono molti. In sintesi direi che occorre, come sottolineavo prima, organizzare i flussi in modo tale da penalizzare i clandestini e gli irregolari. Tutto ciò è difficile da realizzare, ma non impossibile, come dimostra l’esperienza di altri Paesi che hanno storicamente iniziato prima di noi ad occuparsi di questi temi. La seconda questione inerisce alla necessità di fare tutti gli sforzi possibili per integrare al meglio gli immigrati nelle nostre realtà. Quelli che arrivano, che sono regolari e che vengono per lavorare, vanno aiutati nel percorso per la concessione dei diritti politici e nella ricerca di un’abitazione dignitosa nella quale vivere. Bisogna impostare una seria politica della casa, che adesso non esiste, facendo in modo che siano contemperate le esigenze di tutti, senza dimenticare i sacrosanti diritti dei cittadini italiani. Un terzo aspetto basilare è costituito dall’obbligo che gli immigrati devono avere di imparare bene l’italiano, un altro versante sul quale siamo comprensibilmente indietro rispetto ad altre nazioni. Personalmente sono ottimista, penso che col DA STRANIERI tempo riusciremo a risolvere gran parte di questi problemi. Degli immigrati abbiamo bisogno, sono una preziosa risorsa per la nostra economia. L’importante è realizzare un sistema complessivo equilibrato, che riduca al minimo i rischi di conflittualità. Dario Melossi - Da una nostra ricerca, ristretta all’Emilia-Romagna, ma credo con elementi simili a quelli di gran parte del territorio nazionale, è emerso che il fenomeno criminalità degli immigrati è legato fondamentalmente all’immigrazione clandestina e irregolare. Questa, a sua volta, è legata a due diverse dimensioni: da un lato alla capacità di attrattiva economica di una certa regione o città. C’è per così dire un “alone” di immigrazione irregolare che accompagna quella regolare o più spesso in Italia, “regolarizzata”. Aspettando di essere regolarizzati, costoro sono in larga parte costretti ad avvicinarsi ad impieghi che siano nel mercato nero o addirittura nella dimensione illegale o criminale. A questo punto si aggiunge la seconda dimensione: vi sono città, in genere medio-grandi ma non solo (nella nostra regione ci riferiamo a Bologna, Modena e Rimini) che sono centri dei due maggiori mercati illegali, quello della droga e quello del sesso di strada a pagamento. Questi sono anche i centri della criminalità immigrata e molti altri tipi di reati, ad esempio le lesioni, la resistenza a pubblico ufficiale, le rapine, ecc., avvengono per il tentativo di gestire questi mercati o sottrarsi al controllo delle forze dell’ordine, oppure per sopperire ai periodi di “magra” nei mercati stessi. Gli immigrati occupano questi ruoli alla base della piramide criminale esattamente per lo stesso motivi per cui troviamo quelli regolari intenti ai lavori più pesanti, sporchi e rischiosi, proprio quelle attività che gli italiani non vogliono più fare. Semplificando, e tenendo presente che esistono delle eccezioni, si può dire pertanto che la differenza tra un “impiego” di tipo criminale o non sta nella condizione di irregolarità, soprattutto dal punto di vista dell’ingresso all’interno delle attività criminali. Le conseguenze di tutto ciò, relativamente al controllo della criminalità immigrata e non sono di due tipi: primo, bisogna combattere l’irregolarità, il che secondo taluni può avvenire inasprendo le pressioni di tipo penale, ma su questo mi permetto di essere scettico, e secondo altri invece rendendo possibile un vero e proprio percorso d’ingresso regolare in Italia, alla ricerca di un altrettanto regolare lavoro, che sia il più semplice e diretto possibile. In secondo luogo bisogna rendersi conto che in realtà non è vero che noi non vogliamo immigrati irregolari e criminali in Italia, anzi li vogliamo talmente tanto che compriamo i loro servizi, mi riferisco all’acquisto di droga e sesso, i cui consumatori sono in grandissima parte italiani. Chi afferma il contrario, se volesse A C I T TA D I N I essere coerente, dovrebbe per prima cosa affrontare il problema di questi due enormi mercati illegali, agendo sul versante dell’aumento della repressione, come è stato fatto negli Stati Uniti, oppure regolando in qualche modo questi mercati, ad esempio con la depenalizzazione e la zonizzazione di certe attività, così da sottrarli gradualmente al controllo della criminalità. Come potranno influire i recenti tragici avvenimenti negli Stati Uniti e nel resto del mondo sulla nostra percezione del fenomeno immigrazione, soprattutto per quanto riguarda le comunità islamiche? Marzio Barbagli - Se fosse avvenuto in Italia un attentato così terribile come quello di New York e ne fosse stata accertata la matrice fondamentalista, credo che il sentimento di fondo sarebbe di sicuro cambiato. Allo stato attuale delle cose, invece, non vedo nella società italiana timori di minacce culturali e religiose provenienti dal mondo islamico. Ai nostri connazionali, nella grande maggioranza dei casi, non interessa molto giudicare le abitudini di queste persone. I motivi di preoccupazione non derivano dalla diversità dei valori, anche perché gli immigrati col tempo tendono ad assumere i costumi del luogo dove vivono. E’ vero che in genere gli islamici sono meno secolarizzati rispetto a noi, ma in un Paese democratico la libertà religiosa deve essere comunque sempre garantita a tutti. L’importante è che siano qui per guadagnarsi da vivere con un lavoro onesto che permetta loro di poter sperare in un futuro migliore e che accettino le norme previste dal nostro codice penale. Se poi hanno tre mogli, praticano con rigore il Ramadan e pregano cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca, questo non è affar nostro. Dario Melossi - A questo riguardo credo sia necessario essere molto chiari: se si vogliono evitare “lacrime e sangue”, come ha giustamente evocato il Cardinal Biffi nelle sue ultime dichiarazioni, bisogna andare esattamente nella direzione opposta a quella da lui indicata con la sua reiterata richiesta di discriminare ai danni dei non cristiani, addirittura dei non cattolici. La posizione di Biffi non solo è palesemente anticostituzionale, ma è anche foriera di sventura proprio sul tema della convivenza civile, dell’integrazione e, in particolare, della lotta alla criminalità. I criminologi, infatti, ci dicono che le generazioni immigrate più a rischio sono proprio quelle che vengono dopo la prima. Si tratta di generazioni che sono a metà tra il mondo antico e quello nuovo e rispetto alle quali è assolutamente fondamentale che non si crei la mentalità della minoranza ghettizzata, che non si metta in moto quel meccanismo del risentimento che è poi alla base di tanti lutti e di tanto dolore. Aggiungere quindi difficoltà culturali che vengano da posizioni preconcette al già comunque difficile processo di insediamento, può diventare un debito che pagheremo tutti in futuro, immigrati e non, e in particolare i nostri figli e i nostri nipoti. Le posizioni attuali, quindi, che solo etimologicamente si possono definire reazionarie, rischiano di condurre le nostre città ad un futuro grigio. Per quanto riguarda la questione degli islamici, il fatto che vi possa essere un legame tra la immigrazione musulmana e terrorismo è una faccenda che attiene alle indagini di polizia. Ma avvicinare, come è stato fatto da alcune parti, le organizzazioni terroriste alla criminalità comune immigrata mi sembra alquanto azzardato e improbabile. Sarebbe come dire, che so, che negli anni ‘70-80 potevamo arrestare i brigatisti controllando meglio gli scippatori. Semmai, credo sia più facile ipotizzare l’opposto: da un lato, cioè, che chi possiede una profonda fede religiosa e politica farà di tutto per non giocarsi le sue carte in modo stupido; dall’altro, invece, che spesso chi lascia un Paese lo fa anche perché si sente alienato dalle sue tradizioni storiche, soprattutto da quelle di stampo religioso, culturale e politico. L’immigrato comune proveniente dai Paesi musulmani viene in Occidente anche perché attratto dai nostri valori, e da questo punto di vista i criminologi hanno spesso osservato che la criminalità comune contro la proprietà rappresenta, anche se in modo paradossale, un segno di integrazione piuttosto che il suo contrario. Mi sembra, in altre parole, che rispetto alla minaccia del terrorismo la comunità musulmana immigrata dovrebbe essere considerata, con le ovvie precauzioni, più un’alleata che una preq senza ostile. 41 DA STRANIERI A C I T TA D I N I TUTTI INSIEME PER SCIOGLIERE I NODI di NICODEMO MELE Inserimento lavorativo e accoglienza. Questi i temi di maggior rilievo emersi più volte al tavolo del Consiglio territoriale per l’immigrazione D all’estate del 2000 i rappresentanti delle istituzioni pubbliche (il Prefetto, i presidenti della Provincia e della Camera di commercio, i sindaci del comune capoluogo e dei comuni interessati dal fenomeno), i sindacati, delle associazioni degli stranieri e di quelle impegnate nel soccorso e assistenza agli immigrati, delle associazioni di categoria delle imprese hanno un tavolo al quale confrontarsi per trovare soluzioni ai problemi legali dell’immigrazione. Il Consiglio è, in pratica, un organo permanente che si riunisce periodicamente e che, per affrontare le questioni più spinose, si è dotato di due gruppi di lavoro che hanno il compito di analisi e formulazione di proposte su temi come quelli della casa e del lavoro. Nel marzo scorso il gruppo di lavoro sulla casa ha sfornato un documento sull’accoglienza degli immigrati stranieri a Bologna e provincia. È in via di elaborazione quello sull’inserimento lavorativo. Nel frattempo il Consiglio, tramite la Prefettura, è intervenuto per risolvere i problemi delle situazioni più critiche manifestatesi nei centri di accoglienza. Nei prossimi mesi potrebbe già ospitare anche lo Sportello unico per l’immigrazione, come prevede il nuovo disegno di legge del Governo sugli immigrati «Perché no? - risponde il Capo di Gabinetto Matteo Piantedosi - anche se in un certo qual modo questa funzione la svolgiamo già oggi. Certo, la creazione di uno sportello unico sarebbe più rispondente alle nuove attribuzioni della Prefettura, cioè di collegamento tra tutti gli organismi periferici dello Stato. Allo Sportello unico gli immigrati potrebbero ricevere risposte sui permessi di soggiorno come sulle opportunità di lavoro, sulla casa come sui servizi di assistenza». In ottobre il Consiglio è tornato a riunirsi per cominciare a delineare gli obiettivi del 2002. Ecco di seguito le idee più salienti, esposte dalle forze sociali ed economiche presenti al tavolo della Prefettura. 42 I lavoratori delle piantagioni di ananas in Kenia e, nella pagina accanto, lavoro artigianale in Indonesia «Per la dimensione medio-piccola delle imprese di questo settore - afferma Giancarlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio si sta verificando da alcuni anni una crisi di ricambio generazionale, sicché succede che molti lavoratori extracomunitari rilevino l’impresa in cui sono entrati e portino avanti l’attività del proprio datore di lavoro». Rimanendo nell’ambito dell’impresa, si scopre anche la notevole presenza di imprenditori extracomunitari in un settore tipico del tessuto economico bolognese: l’artigianato. Solo la Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato) oggi ne associa 800 e di questi ben 530 danno lavoro a mille e 600 persone. Nel settore pelletteria e alimentazione (170, perlopiù cinesi), edilizia (100), metalmeccanica (85), impiantistica (60), parrucchieri e estetiste (40), trasporto merci (50)e officine grafiche (30). E sul fronte della manodopera straniera? Dopo la fase iniziale in cui si assumeva personale quasi sempre con mansioni generiche, le aziende oggi esprimono sempre più interesse per la manodopera specializzata e pongono con insistenza il problema della qualificazione del per- sonale. «Purtroppo il tema dell’immigrazione continua ad essere affrontato solo in termini di emergenza - afferma Loretta Ghelfi, segretario provinciale della Cna - ma la mancanza di manodopera qualificata sta minando la competitività e lo sviluppo delle aziende che in molti casi sono costrette a rinunciare alle commesse». E Giuliano Gotti, segretario generale dell’Associazione industriali di Bologna, aggiunge: «Se l’obiettivo è quello di qualificare il tessuto produttivo del territorio, allora ci sembra indispensabile un’azione coordinata di tutti gli attori in campo (istituzioni, sindacati e associazioni di categoria). Per ora posso dire che è il microcosmo delle imprese (cioè l’imprenditore, i sindacati e gli stessi dipendenti) che si fanno carico delle emergenze (la casa, il lavoro e l’integrazione sociale) che tutti conosciamo». Ma allora che risposta dare alla carenza di manodopera specializzata? «La Cna al tavolo del Patto per il lavoro ha presentato una serie di progetti che riguardano l’istituzione di un centro per l’affiancamento nella creazione di imprese per stranieri, la formazione di extracomunitari nei paesi di origine, la DA STRANIERI realizzazione di una partnership tra i servizi per l’impiego e le associazioni degli imprenditori per fare incontrare le domande e le offerte di lavoro». Dello stesso tenore le proposte dell’Api (Associazione piccole e medie imprese) di Bologna che puntano anche alla formazione di base dei lavoratori e delle loro famiglie, alla formazione tecnica degli occupati, alla creazione di manuali sulla conoscenza delle diverse culture e di prontuari tecnici stilati in diverse lingue. «Ma la formazione si può fare anche nei paesi di origine degli immigrati - afferma Francesco Montanari, presidente del Collegio Costruttori di Bologna - e a questo proposito con il Collegio costruttori di Parma siamo impegnati in un progetto, finanziato dal Fondo sociale europeo, per l’inserimento di 100 immigrati l’anno dalla Repubblica Moldava». Una proposta condivisa anche dalla Cisl. «Anche perché - afferma Franco Balestrazzi, responsabile del centro stranieri Cisl - gli immigrati che arrivano in Italia sono tanto impegnati a lavorare per mantenere la famiglia nei paesi di origine, che hanno poco tempo per seguire i corsi organizzati dai centri di formazione professionale bolognesi». Accoglienza. Rimane ancora il problema più spinoso, com’è stato sottolineato più volte al tavolo della Prefettura. «Manca un orientamento su come procedere - afferma Franco Balestrazzi, della Cisl - e le varie proposte stentano a decollare. Intanto gli immigrati arrivano a frotte, ma non si sa come sistemarli». E Loretta Ghelfi della Cna aggiunge: «Purtroppo, le diverse proposte presentate da tanto tempo nel merito trovano uno scarso coordinamento istituzionale e non si traducono in scelte concrete. Per questo la Cna torna a porre due richieste urgenti: agevolazioni per gli imprenditori che investono nella casa ai lavoratori e creazione di agenzie di affitto». Da tempo il Collegio costruttori propone la co- A C I T TA D I N I struzione di case per gli immigrati su aree pubbliche. Una soluzione esclusa recentemente dalla Provincia nelle linee di indirizzo del nuovo Ptcp (Piano territoriale comprensoriale provinciale) e anche dall’Api, in quanto ci sarebbe il rischio di creare quartieri ghetto. A sua volta, l’Api ha più volte manifestato l’interesse di molte aziende associate a comprare alloggi da dare in affitto ai dipendenti stranieri a costi sostenibili e a costruirne di nuovi su aree messe a disposizione dalle amministrazioni locali a costi contenuti. Secondo il Sunia (il sindacato unitario degli inquilini) gli immigrati che riescono a trovare casa, spesso si sistemano in alloggi che sono in pessime condizioni e che vengono affittati a costi elevatissimi. «D’altro canto - afferma Mauro Colombarini, segretario provinciale del Sunia - la risposta al problema casa non può venire solo dagli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ma anche da iniziative che coinvolgano i privati. Una soluzione potrebbe essere quella adottata a Reggio Emilia, dove il Comune ha creato una struttura di intermediazione per l’affitto di appartamenti privati agli stranieri e di garanzia verso i proprietari». Per la Cgil il mercato dell’affitto si affronta con piattaforme unitarie. «Mettendo in campo - sostiene Stefano Maruca, segretario provinciale del settore lavoro e immigrazione - sia finanziamenti pubblici che privati, capaci di superare la logica dei centri di prima accoglienza». Attualmente su 12 mila e 220 alloggi gestiti a Bologna città dall’Acer (Azienda casa Emilia Romagna), la neonata azienda di gestione degli alloggi pubblici sorta sulle ceneri del glorioso ex Iacp, ben 683 (il 5,6 per cento) è occupato da famiglie provenienti da paesi stranieri. Mentre nei comuni della provincia ne occupano 296 (il 5,8 per cento) sui 5134 gestiti. «L’Acer - afferma il presidente Marco Giardini - ha sposato la linea dell’integrazione dei nuclei familiari. Una cosa è certa: la risposta al problema della casa per gli immigrati non può venire solo da noi o solo dai privati. A questo devono concorrere tutti, in primo luogo le istituzioni con adeguate politiche abitative. Per parte nostra oggi siamo impegnati a dare risposte ad una domanda che ha due facce: da un lato quella dei ceti più deboli, costituiti da nuclei familiari a reddito basso (soprattutto anziani) o mono reddito come quelle degli immigrati; dall’altro la domanda di famiglie che non vogliono assistenza, ma che hanno difficoltà a trovare risposte sul mercato a causa dell’elevato costo degli affitti. Nel primo caso Acer risponde con 750 nuove assegnazioni l’anno (di cui il 20 per cento agli immigrati), anche se il patrimonio di edilizia residenziale pubblica risulta insufficiente. Nel secondo caso, invece, con interventi di nuove costruzioni o di recupero di edifici e aree dismesse con cui realizzare alloggi da affittare a canone moderato e compatibile. Un intervento di questo genere sono i 79 alloggi che saranno consegnati a gennaio 2002 vicino alla ex stazione Veneta e che abbiamo realizzato in collaborazione con la Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna. In programma ci sono altri 450 alloggi di questo tipo, tra Bologna e provincia, e 200 da realizzare sempre in collaborazione con la Fondazione della Cassa di q Risparmio». Cooperare per lo sviluppo di PIETRO PINTO Il ruolo del volontariato e degli organismi non governativi nell’attività di governo dei flussi migratori Q uando nel corso degli anni ’80 si attivano i primi significativi flussi immigratori, gli Enti Locali vengono colti di sorpresa e prevale la convinzione che non si tratti di migrazioni strutturali bensì di fenomeni transitori. Si continua a ritenere che la disoccupazione esistente non permetta l’inserimento di manodopera straniera nel mercato del lavoro. Di conseguenza, non si ritiene necessario attivare interventi strutturati e stabili e al massimo si cerca di tamponare qualche situazione d’emergenza in attesa che il tutto passi…. Solo negli anni ’90, dopo la legge Martelli, che sancisce la definitiva consapevolezza del Governo che l’Italia è divenuto un paese d’immigrazione, gli Enti Locali iniziano ad attivarsi in modo significativo per la prima accoglienza. Un ruolo determinante nell’accoglienza dei nuovi cittadini viene giocato anche dai sindacati, dalle associazioni e dal volontariato che attivano i primi concreti interventi di accoglienza, anticipando gli Enti Locali. Ad esempio si può ricordare come l’Ufficio stranieri del Comune di Bologna, uno dei primi in Italia, nel 43 DA STRANIERI 1987 nasce non solo per spinta del sindacato ma con il diretto coinvolgimento di suoi operatori. Un segmento particolare dell’associazionismo è rappresentato dalle O.N.G. (Organismi non governativi) di Cooperazione allo Sviluppo. Queste associazioni si caratterizzano innanzitutto per le attività nei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”. Proprio per questa peculiarità in diversi casi gli Enti Locali cercano di coinvolgerle: la considerazione che spinge in questa direzione è che avendo lavorato in molti dei paesi di origine dei flussi immigratori che interessano l’Italia le O.N.G. conoscono la cultura dei nuovi cittadini. In linea di massima le O.N.G. vengono chiamate nei casi in cui si vogliono attivare interventi di tipo culturale o comunque di “seconda accoglienza”. Le O.N.G. si sono sempre prestate a questi interventi anche se in modo non continuativo, visto che l’utilizzo prioritario dei propri operatori è all’estero. In linea di massima il punto di contatto principale tra le O.N.G. e le associazioni che si occupano in modo strutturale di immigrazione è il mondo della scuola, dove spesso gli operatori delle O.N.G. vengono chiamati per attività di educazione allo sviluppo (attività tese a far conoscere ai cittadini italiani i paesi in via di sviluppo PVS). Nelle stesse realtà poi si muovono gli operatori dell’associazionismo immigrato ed italiano, sia per attività di tutela degli allievi di etnia minoritaria sia per attività tese a far conoscere nelle scuole le culture di cui sono portatori i nuovi cittadini. In questi ultimi anni gli Enti Locali cercano di coinvolgere le organizzazioni O.N.G. anche per le loro specifiche competenze sulla cooperazione; partendo dal presupposto che esse hanno conoscenze di alcuni contesti territoriali ed hanno le competenze per attivare interventi in loco, spesso si cerca di coinvolgerle nell’implementazione di progetti che hanno l’obiettivo di attivare processi di reinserimento di immigrati nei paesi di origine. Tra le O.N.G. c’è però una certa resistenza ad accettare progetti di questo tipo in quanto molti ritengono che la priorità oggi debba essere quella di utilizzare le poche risorse a disposizione per l’immigrazione per garantire un dignitoso inserimento degli immigrati in Italia e non per fare rientrare “a casa” pochissimi fortunati individui. Si deve poi aggiungere che, a parte la considerazione che il rientro deve essere volontario, questi interventi non raggiungono l’obiettivo prefissato di diminuire la pressione migratoria verso l’Italia, perché rapidamente i posti lasciati liberi dai beneficiari di questi progetti vengono occupati da loro connazionali. Diversa è la filosofia dei progetti proposti dalle O.N.G. che cercano di attivare percorsi di 44 A C I T TA D I N I cooperazione decentrata, valorizzando le comunità immigrate come strumento di collegamento con i paesi di origine. A questo riguardo è però utile ricordare come nei regolamenti relativi ai progetti di cooperazione finanziati dal Ministero degli Affari Esteri vi sia una sconcertante prescrizione, che rende molto difficile il coinvolgimento di immigrati in progetti di cooperazione. I cooperanti devono infatti essere di nazionalità italiana (o europea). Mentre gli “extracomunitari” possono essere coinvolti solo come “personale in loco” e quindi con differenze retributive notevoli! Le O.N.G. non sono però solo stimolate dagli Enti Locali, spesso incalzano questi ultimi per attivare interventi che vadano oltre la prima accoglienza nel senso della promozione dei diritti e nella sensibilizzazione sui temi dell’antirazzismo. Per quanto riguarda Bologna, è una delle realtà in cui le O.N.G. si sono più attivamente impegnate sui temi dell’immigrazione. Si può ad esempio ricordare come recentemente il CESTAS abbia curato una ricerca, finanziata dalla R.E. R., il cui fine era capire come azioni di cooperazione decentrata promosse a livello locale e regionale possano costruire e generare modelli di sviluppo che interagiscono con i flussi migratori, con particolare attenzione ai casi di Marocco e Tunisia. Altro intervento da ricordare è quello del CEFA che ha contribuito alla nascita dell’associazione “Progetto Marocco” che da un lato lavora sul coinvolgimento delle comunità di immigrati in progetti di cooperazione, e dall’altro promuove interventi per l’integrazione degli immigrati. Interessanti sono anche le attività del GVC, rivolte in particolare al mondo della scuola. Rilevante appare il progetto “Diritti umani e migrazioni involontarie” che cerca di fornire informazioni e conoscenze su questo specifico spezzone di immigrazione, che comprende rifugiati politici e richiedenti asilo, troppo spesso dimenticato. Come abbiamo già ricordato, pur in presenza di interventi qualificati, le O.N.G. utilizzano la maggior parte degli operatori in attività nei PVS. Un’ eccezione interessante è rappresentata dal COSPE, una delle poche O.N.G. ad aver attivato uno specifico dipartimento strutturato che interviene in modo sistematico sui temi inerenti l’immigrazione. Dipartimento che impiega circa la metà del personale del COSPE in attività sulle immigrazioni. Il COSPE da sempre ha caratterizzato la sua at- tività con interventi non di emergenza ma miranti all’integrazione, attraverso la promozione di interventi sperimentali politicamente emblematici. Tra gli interventi attuati anche in provincia di Bologna ricordiamo: - Un progetto NOW con un corso per l’avvio di piccole imprese da parte di donne immigrate. - Il Progetto CROCUS che offre un sistema integrato di servizi informativi ed educativi erogati via satellitare per allievi d’origine minoritaria, per facilitarne l’accesso al mondo della scuola e della formazione. Il servizio comprende: ■ una sezione che eroga, a distanza, moduli didattici interattivi per la diffusione dell’interculturalità nelle scuole e in altri centri culturali o associativi e per il rafforzamento del bilinguismo fra gli allievi di famiglie migranti o profughi, rifugiati o richiedenti asilo, con programmazioni flessibili, concordate con i docenti delle classi frequentate e seguite a distanza da tutors bilingue; ■ un chiosco informativo plurilingue a distanza che offre un sostegno alle attività delle segreterie, mettendo a disposizione di scuole e famiglie interpreti a distanza e modulistica interattiva bilingue. Il progetto transnazionale europeo PAVEMENT che ha l’obiettivo di aprire la via in Europa per l’art. 13 del trattato di Amsterdam, con le seguenti attività: ■ creazione di “gruppi di contatto” tra cittadini di origine etnica minoritaria e operatori di Polizia Municipale e di Stato per analizzare problemi di discriminazione operata sulla base dell’appartenenza etnica e della fede religiosa; ■ raccolta di dati e informazioni sulla struttura delle Polizie Municipali e di Stato e sui rischi di discriminazione da questa indotti; ■ visite di studio presso i partner europei per conoscere le diverse esperienze dell’agire di polizia in questo settore; Il progetto MMC Europe 2000 (Multicultural Multimedia Channel Europe 2000) che ha attivato la prima radio multiculturale e multilingue on line in Italia, MMC Europe 2000 che propone ai migranti e agli autoctoni interessati, notiziari, interviste e reportage multiculturali e multilingue (http://www.mmc2000.net/) Infine, ricordiamo il progetto MIRROR promosso da AIAS Bologna, COSPE e 5 associazioni europee, che mira a valutare la validità dello strumento della “media education” per ragazzi svantaggiati e discriminati per vari motivi. In altre parole, educare all’utilizzo degli strumenti di comunicazione (video, radio, Internet), adolescenti che nel loro percorso di crescita hanno un ostacolo in più da superare. q O RIZZONTI D ’A RTE Un ponte tra Bologna e Ferrara di HIDEHIRO IKEGAMI É Francesco Cossa, che visse nella nostra città dal 1470 al 1478. Ci ha consegnato uno stile pittorico raffinato, testimone di importanti influssi culturali che abbracciano l’intera Europa N È naturalmente impossibile che uno stile “provinciale” si formi in maniera indipendente. Ciò è ancor più evidente per le città situate in snodi economici, sociali, culturali: è il caso di Bologna. In questa rubrica abbiamo già preso in considerazione l’importante arrivo in città dei maestri pisani, l’intervento decisivo di toscani e umbri, i venti che soffiavano da Rimini... Tra tutte queste influenze è interessantissimo osservare quelle provenienti da Ferrara, una città geograficamente molto vicina a Bologna, ma sufficientemente lontana politicamente e culturalmente e, inoltre, stilisticamente diversa. Consideriamo ora l’importante ruolo giocato da un grande maestro ferrarese: Francesco del Cossa. Nacque nel 1436 a Ferrara e fu uno degli artisti che ebbero la fortuna di vivere durante la fioritura del Rinascimento ferrarese, guidata dalla famiglia estense. Borso d’Este nominò Cosmè Tura, che è praticamente il “fondatore” della scuola ferrarese, primo artista della sua corte; Tura aveva studiato Mantegna e Piero della Francesca, legati da vincoli d’amicizia con il signore di Ferrara; sappiamo anche che Piero si trovava alla corte di Ferrara intorno al 1449. E come tutti gli altri artisti ferraresi, anche Cossa all’inizio seguì Cosmè Tura, suo fratello in stile. L’influenza è evidente nell’iper-decorativismo, nei colori dignitosi e nelle superfici un po’metalliche. Si nota anche in Cossa la tendenza a uno stile scultoreo, derivato dal Mantegna per il tramite di Tura. L’apice artistico raggiunto da Francesco a Ferrara è la decorazione della Sala dei Mesi nel magnifico Palazzo Schifanoia. Quando Cossa cominciò a svolgere la sue attività a Bologna, la città era proprio nel felice, ma breve, periodo del dominio della famiglia Bentivoglio. Qui vediamo la sua “Pala dei Mercanti” conservata alla Pinacoteca di Bologna. Sul trono siede la Madonna con Gesù bambino. A destra, c’è san Giovanni, che sta leggendo il suo Vangelo sulle ginocchia. A sinistra, c’è San Petronio, che tiene in mano la sua città e guarda verso l’alto con aria molto severa, decisa e solenne. Dietro a San Petronio si vede una persona in preghiera, di dimensioni più piccole rispetto alle altre figure, che altri non è che il committente di quest’opera, Alberto de’Cattanei. In basso, sul bordo di pietra alla base del trono, si leggono queste informazioni, grazie alle quali possiamo fortunatamente venire a sapere la data di esecuzione dell’opera: [...] Fecerunt. 1474. Fraciscus Cossa Ferrariensis. Anche a causa delle tecniche pittoriche di questo periodo, i colori purtroppo risultano molto scuri, ma ciò nonostante possiamo apprezzare l’eccellenza dell’opera. Sui braccioli del trono ci sono due alti trofei di metallo, arricchiti con frutta, che ricordano candelabri di bronzo. Nel disegno dei trofei, che sembrano quasi fatti di materia viva, è giusto ricordarci del rapporto con un altro artista importante: Niccolò dell’Arca, molto vicino a Cossa alla corte dei Bentivoglio. In effetti, i due tondi di fiori sopra il trono assomigliano a quelli che si trovano in cima alla famosa tomba di san Domenico a Bologna. Sul trono si vede un rosario di corallo rosso con cristalli, presente anche nelle pale di Mantegna. Possiamo ammirare l’eccellente Sopra, “Pala dei Mercanti” del 1474 conservata nella Pinacoteca di Bologna. A fianco, “Annunciazione” del 1471 ca. alla Gemäldegalerie di Dresda tecnica di Cossa nel disegno dei cristalli che ritroveremo nel Lorenzo Costa della “Madonna dei Bentivoglio” nella chiesa di San Giacomo Maggiore. Queste opere ci mostrano il lato super-miniaturistico della tradizione ferrarese. Ciò che è notevole in questa tela è la perfetta, dignitosa composizione con rigide simmetrie che ritroviamo ancora più chiaramente nella “Annunciazione” di Cossa a Dresda: qui, con due diversi tipi di spazi, separati dalla colonna centrale, il pittore ottiene, con una simmetria austera, un equilibro perfetto. Però non possiamo trascurare l’espressione “umana” dei volti dei personaggi, soprattutto della Madonna. Ci sorprendono il suo morbido sorriso, il tenero sguardo e l’aria tranquilla, pensierosa e con un po’ di ennui. C’è un netto progresso rispetto al suo stile del periodo ferrarese, ancora radicato nella tradizione cavalleresco-medievale. Qui possiamo vedere che i rapporti tra Bologna e Ferrara non erano sempre a senso unico e che gli artisti stessi erano influenzati dallo stile del luogo in cui si trovavano. Purtroppo le opere più importanti di Francesco del Cossa a Bologna, nella cappella Garganelli o nel vecchio palazzo Bentivoglio, sono perdute. Però con la “Pala dei Mercanti” del 1474 possiamo sufficientemente attestare il ruolo importante che Francesco del Cossa ha avuto nella formazione dello stile bolognese. Dopo di lui, Ercole de’ Roberti prenderà il suo posto, sviluppando ancora più la mescolanza di stili tipici delle due città. 45 L A C I T T À S E N T I M E N TA L E IL CIELO SOTTO WENDERS di RENZO RENZI Un improvviso malanno ha impedito a Renzo Renzi di scrivere per noi il consueto pezzo sulla Città Sentimentale. Per non mancare del tutto l’appuntamento, che sappiamo sempre atteso dai lettori, riportiamo brani di un suo articolo pubblicato da “2000 Incontri” nel numero 1/2 del 1988, in cui emergono sempre forti e ricchi di suggestioni i legami dell’autore con Bologna. E naturalmente gli rivolgiamo il più sincero augurio per un rapido ritorno al suo lavoro B ologna, dicembre. Stamattina al “Lumière”, tra molti giovani, ho visto “Il cielo sopra Berlino”, l’ultimo film di Wim Wenders. Nel pomeriggio sono andato al cinema d’essai “Roma”, dove il film veniva proiettato, per gli studenti del Dams, alla presenza del regista e della protagonista femminile. Sono riuscito a superare i cordoni della polizia che, nella strada, bloccavano l’entrata ad una folla di altri giovani, a causa della sala già stipata. Quindi ho assistito, assieme al mio amico Lucio Dalla, al lungo dibattito condotto da Guido Fink, tra gli studenti, Wenders in bretelle e la dolce Solveig. Cadendo in una condizione metafisica, non mi sono riconosciuto in quasi nessuna delle domande poste dagli studenti al regista tedesco. Ma chi era l’angelo? Per conto mio, non posso certo dire che cosa i giovani vedano nei film di Wenders e perché ne abbiano fatto un oggetto di culto. Certamente li traviserei. Infatti, appartengo ad un’altra generazione, purtroppo. Posso riferire, invece alcune delle cose che ho man mano pensato disordinatamente, vedendo quest’ultimo film, al solo scopo di rendere testimonianza. […] Scesi in terra i due angeli si trovano a leggere nei volti delle persone, per strada, in metropolitana, una serie - del tutto affascinante, bisogna aggiungere - di microstorie segnate dall’angoscia. Di fronte a questa letteratura minimalista (nell’edizione originale i racconti sono fatti, neorealisticamente, in uno stretto dialetto berlinese) vengono in mente i soggetti di Zavattini, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano”, “Umberto D.”, altrettante microstorie dilatate in un film. Oppure quando, essendo noi andati 46 nel Delta padano assieme a Rossellini per preparare un film che poi non si fece, “Italia mia”, Zavattini cercava costantemente spunti minimi. A Goro, per esempio, sulla riva del Po: «Perché non raccontiamo la storia di un bambino e di un granchio?» Ma Wenders, seguendo altri pensieri, aggiungerà che ormai, oltre la barriera creata dal “muro”, ciascuno degli abitanti di Berlino si è chiuso in un suo piccolo stato e che esistono altrettanti stati quanti sono gli abitanti di Berlino. Il regno dell’uomo solo. Quindi, angeli e “comuni mortali” hanno quest’altro carattere in comune, che però questa volta li divide. […] Le rovine di Berlino, prodotte dai bombardamenti alleati dell’ultima guerra, appaiono nel film di Wenders o tramite vecchi documentari oppure oggi, come ampi spiazzi non ancora riutilizzati. Queste rovine si vedevano bene, ancora in piedi, come si ricorderà, nel film “Germania anno zero” di Rossellini. Il film, senza saperlo ma come una straordinaria premonizione, attraverso la storia del piccolo Edmund raccontava, tutta intera, quella che sarebbe stata la storia di Fassbinder, arte e vita. Ma Wenders, prima è fuggito da quel passato, cercando altre terre, altri paesaggi, incessantemente “on the road”. Ora è tornato in patria, mentre il passato del nazismo e della guerra è diventato un vuoto da riempire con ricordi weimariani; oppure un argomento per film americani; oppure ancora col suggerimento di una nuova reincarnazione. Io fui a Berlino, invece, durante la guerra, nei primi mesi del 1944. In carri piombati, dopo un lungo viaggio notturno per destinazione ignota, giungendo dai “lager” polacchi, all’alba ci fermarono in una stazione che portava la scritta “Tempelhof”, l’aeroporto di Berlino. Dunque siamo a Berlino, si pensò. Quindi il nostro treno sfilò per un’ora intera tra le macerie di una Berlino nebbiosa e deserta. Vedemmo solo macerie. Nella Sprea, un battello navigava lentamente, come in un film francese d’anteguerra, la nostra cultura di allora. “Il porto delle nebbie” di Carnè, per esempio; fotografia di Henri Alekan. Alekan, “circus Alekan”: il fotografo anche di quest’ultimo film di Wenders. Ma guarda un po’! Dai vagoni piombati scendemmo nel “lager” di Sandbostel, tra Brema e Amburgo. Nello zaino portavo la “Storia della filosofia” di Wilhelm Windelband (2 voll., Edizioni Sandron, 1937), che lessi tutta, fino al capitolo conclusivo. […] Il fatto è che nel “lager” di Sandbostel era anche il “tenente” Enzo Paci, un maestro (mio, di sicuro) il quale, nelle ore forzate dell’ozio e L A C I T T À S E N T I M E N TA L E In questa e nella pagina precedente foto di scena del regista Wim Wenders del film “Il cielo sopra Berlino” della fame, fece, per chi l’ascoltò, una serie di lezioni sull’esistenzialismo. Allievo di Nicola Abbagnano, Paci anticipava in tal modo, per noi, quella che in Italia del dopoguerra, sarebbe diventata la moda dell’esistenzialismo; descrivendolo come il tentativo di recuperare alla filosofia un buio mondo romantico, espresso, fin qui, soltanto nella letteratura. […] Il privilegio che, nel “lager” avemmo nell’ascoltare le lezioni di Paci, mentre soldati tedeschi col colpo in canna ci tenevano prigionieri, fu allargato al fatto di conoscere, tramite i discorsi del nostro maestro, una serie di testi di letteratura - il buio mondo da recuperare filosoficamente - che il fascismo ci aveva in gran parte occultato: Kafka, Proust, Gide, Joyce e, appunto altri tedeschi, Rilke, Hölderlin, Novalis, Thomas Mann. Così, mi capitò tra le mani, tra l’altro, un’edizione francese del “Tonio Kröger” di Mann che, da allora, di Mann è rimasto il mio romanzo prediletto. Naturalmente - accade nei fatti d’amore - potrei citare, senza commento, una serie di passi del “Tonio Kröger” che, secondo me, rinviano direttamente a “Il cielo sopra Berlino” come fossero un nutrimento diventato persino “natura” di quest’ultimo Wenders. […] Il “Tonio Kröger” fu scritto nel 1903. Wenders ha girato il suo film dopo due guerre mondiali perdute dal suo paese e dopo il nazismo. […] Wenders dapprima cade nel trabocchetto di un troppo facilmente atteso incontro tra l’angelo Daniel (Bruno Ganz) e Marion (Solveig Dommartin), “macchina desiderante” dapprima mossa dalla “manque”, la mancanza, come ella stessa dice. Perché “l’amore è l’uscita dall’infinita possibilità dei casi e delle scelte, per una scelta univoca” (a costo, sartraniamente, delle “mani sporche”?, ci chiederemo noi). Quindi, dopo avere superato questo primo ostacolo, forse troppo autobiografico (Sainte-Beu- ve, salvami tu!), prendendo il coraggio a due mani, Wenders si getta in una perorazione che, anche a giudicare dalla musica di fondo, continua altre citazioni di Chaplin (“Il circo”, “Luci della ribalta”) per raggiungere il finale di “The great dictator”: un appello alla rifondazione della società, che ha la sfortuna di trovare nel doppiaggio italiano (in realtà, Wenders lo ha detto, voleva citare il Pascal del “vous êtes embarqué”) questa terrificante dizione: “Siamo tutti nella stessa barca!”. Allora, sarà stata pure giusta la domanda oltranzista di un giovane che, alzandosi verso la fine del dibattito, chiese: «Vorrei sapere da Wenders perché ci ha tenuti qui oltre due ore di film, allo scopo di dirci infine che siamo tutti nella stessa barca!». Ma furono gli effetti, evidentemente ingiusti, di chi aveva mostrato, forse per debolezza di pensiero, di cadere infine, alla resa dei conti, nell’oratoria. Tornando nel “lager” (solo con la memoria), ricordo che Paci cercava di individuare almeno due filoni della cultura tedesca: un primo che da Goethe giungeva fino a Mann; un secondo che da Wagner e Nietsche giungeva fino a Hitler. Naturalmente, oggi, lo sguardo si è complicato perché riesce più difficile pensare Wagner e Nietsche come semplici precursori di Hitler. È certo, in ogni caso, che Wenders, tornando in patria e impugnando un gran tema della cultura europea, tedesca in particolare, ha forse mostrato di volersi appoggiare ad una linea di civiltà profondamente rispettabile del suo paese, così avviando un primo smantellamento del paralizzante senso di colpa prodotto dall’esperienza “popolare” nazista. In realtà, Wenders non ci dà sufficienti notizie del mondo in bianco e nero degli angeli: e perciò siamo autorizzati a completarle con quest’altro passo del “Tonio Kröger”: «Non pensate a Cesare Borgia, o a non so quale ebbra filosofia che va innalzandolo sugli scudi! Per me, questo Cesare Borgia è men che nulla, non ci tengo minimamente; e mai e poi mai potrò concepire che lo straordinario, il demoniaco vengano onorati come ideali». Eravamo nel 1903. Wenders, alle spalle, si ritrova ora il “demoniaco” realizzato e intende liberarsene, cancellandolo. Ma, dice il vecchio, «la pace non si presta al racconto. Manca un epos di pace». Eppure l’angelo ha affermato che vuole entrare nel mondo, nella storia; vuole tornare alla vicenda, dopo la grande frantumazione individualistica (e le microstorie). Perciò (continuo a citare parole perché il film di Wenders è soprattutto un film di parole, illustrate), «bisogna finirla con il caso. Il tempo siamo noi. Bisogna decidere. Dobbiamo essere tutti noi a decidere. Adesso o mai più». […] q 47 B OLOGNA IN L ETTERE LÕinfelicitˆ permanente di STEFANO TASSINARI M a non c’è sesso senza amore” – cantava molti anni fa un romantico Antonello Venditti, il quale, a giudicare dal comportamento dei personaggi che popolano il secondo romanzo della scrittrice bolognese Grazia Verasani (“Fuck me mon amour”, edizioni Fernandel, pagg. 125, lire 20.000) è rimasto decisamente inascoltato. Per loro, infatti, i due momenti sembrano essere non solo difficilmente conciliabili, ma addirittura contrapposti, quasi a voler sottolineare una presunta coincidenza tra amore e infelicità (o normalità) da un lato, sesso ed euforia (dovuta all’ormai scontata sensazione di trasgredire) dall’altro. In realtà, la generazione dei trentenni messa in scena - con indubbia capacità - da Grazia Verasani è caratterizzata da un’infelicità permanente, che nemmeno la continua ricerca dell’estremo potrà mai scalfire, se non per qualche istante casualmente rubato alla dubbia consapevolezza del proprio disagio. Il romanzo gira intorno alla micro-quotidianità di Gabri, giovane scrittrice in cerca di idee per la stesura di un nuovo testo, dopo che il primo, marcatamente autobiografico e dedicato al proprio ambiente, le aveva provocato diverse rotture personali. E così, tra interviste minimali a prostitute, tossicodipendenti e mancate uxoricide e delusioni sentimentali della protagonista, si sviluppa una storia fatta non tanto di un tradizionale intreccio narrativo, ma di frammenti di vita messi in relazione tra loro dalla comune appartenenza generazionale. Una scelta, questa, particolarmente azzeccata, in quanto si adatta nel migliore dei modi al tipo di frantumazione esistenziale che la Verasani ha inteso raccontarci. E l’affresco che ne deriva spesso graffiato dai metaforici chiodi autolesionistici dei personaggi – è quanto meno sconfortante, data la pochezza messa in campo dai “tardogiovani” (la definizione è dell’autrice) che s’aggi- 48 rano per una Bologna fradicia di aperitivi e cocktails bevuti a comando, più per “stonarsi” che non per socializzare con qualcuno. La solitudine interiore, frutto anche di una sorta di separatezza dalla vita reale, sembra essere il vero nodo da sciogliere per questi trentenni annoiati e insicuri, continuamente in cerca di emozioni forti, proprio perché non sono in grado di vivere quelle di tutti i giorni. Non a caso l’obiettivo di Grazia Verasani si sposta dalle case e dai caffè ai club privati , al cui interno quelle singole solitudini confluiscono in degradanti giochi voyeristici, promiscuità sessuali e tradimenti, senza che questo scalfisca minimamente l’apparente equilibrio dei personaggi, esattamente come per Gabri è del tutto normale, anche se un po’faticoso, passare i pomeriggi al Magic a doppiare film pornografici (salvo poi, nella propria vita sessuale, non riuscire ad emettere nemmeno un sospiro…). L’importante, evidentemente, è inseguire a tutti i costi l’esagerazione, pur sapendo che, alla fine della corsa, si rischia l’autodistruzione, o almeno di non avere più niente da cercare (persino l’amicizia, in tal senso, si rivela inadeguata anche a trasformarsi in un semplice rifugio, visto che, tra equivoci e tempi dispari, finisce con l’aggravare le tensioni anziché diminuirle). In questo romanzo, dunque, Grazia Verasani – autrice, tra l’altro, anche del CD “Nata mai” e vincitrice del Premio Recanati 1995 per la canzone Un’istantanea di Grazia Verasani e la copertina del suo ultimo libro d’autore – ci racconta efficacemente un mondo senza sbocchi, ma sceglie di farlo – ed è un grande merito – sostituendo il cinismo con l’ironia, il che rende molto piacevole la lettura di un testo comunque duro nei suoi intendimenti di fondo. Novità A parte l’uscita dell’ottimo romanzo di Marcello Fois “Dura madre” (edizioni Einaudi), già anticipata da “Portici” un paio di numeri fa, nel mese di settembre sono apparsi in libreria due stimolanti testi di scrittori bolognesi, a cui, in queste settimane, si aggiungeranno, tra gli altri, i nuovi romanzi di Stefano Benni e Danila Comastri Montanari. Il primo è stato scritto dal cantante dei Massimo Volume, Emidio Clementi, e s’intitola “La notte del Pratello” (Fazi editore, pagg. 160, lire 22.000). Ambientata nella strada alternativa di Bologna per eccellenza, la storia che ci propone Clementi ruota attorno all’io narrante Mimì e al suo amico Leo, impegnati tutto il giorno a svuotare cantine e solai della città agli ordini di un personaggio sgradevole e diffidente. Tra vicende credibili (ma non necessariamente veritiere) ed altre reali (come lo sgombero delle case occupate da parte della polizia), il romanzo ci restituisce, con molta freschezza, lo spaccato di un’altra Bologna, ben più vivace di quella dominante. “Fantasmi di pianura” (edizioni Diabasis, pagg. 127, lire 22.000) è, invece, il titolo del romanzo di Maurizio Garuti, il quale, finora, si era occupato soprattutto di teatro (vincendo i Premi Riccione e IDI per la migliore commedia italiana dell’anno) e di comicità. Questa volta, invece, ci conduce all’interno di un’atmosfera drammatica, nella quale prevalgono le tensioni psicologiche di un grande gruppo famigliare, interamente riunito, dopo tanto tempo, nella casa del protagonista, un affermato professionista bolognese sposato con una donna di trent’anni più giovane di lui. Romanzo di contrasti e analisi di costume, è costruito con un buon ritmo e con un linguaggio molto sorvegliato. IL POSTO DELLE FRAGOLE I NUOVI CINICI di NICOLA MUSCHITIELLO N on si tratta del fenomeno, abbastanza recente e normale, dei cani che portano a spasso i loro padroni e, quando hanno fatto i loro bisogni, spesso non li obbligano a raccogliere il loro escremento, visto che in genere hanno più giudizio dei loro padroni e che i padroni veri sono loro, almeno fino a quando non vengono abbandonati sull’autostrada. Succede in qualsiasi città umana. Ma c’è un altro fenomeno, antichissimo, che si sta diffondendo. Anzi, è sorprendente la sua diffusione. Parlo dei giovani che vivono randagi, e sono tanti, e se ne vanno in giro con il loro cane. Con i loro cani, anzi. I cani sono tenuti con una catena o una corda. Qualche volta sono sciolti. In certe ore, la sera specialmente, si radunano insieme, giovani e cani. I primi sono buttati per terra, qualcuno mendica per tutti, i secondi ruzzano insieme, qualcuno sogna un osso. Feci umane e canine, le seconde più democraticamente numerose, in virtù della maggioranza ottenuta, imbrattano i portici. Renzo Renzi, come ha spiritosamente raccontato in questa rivista, è caduto rovinosamente su una cacca. Lui dice di cane. Gli crediamo sulla parola. Ora, mi pongo questa domanda: come mai tanti giovani, all’improvviso, in questo punto del tempo, decidono di vivere stracciati e simili ai cani, e poi scelgono questi come compagni? È forse perché i cani permettono loro di non essere completamente soli, né necessariamente aggregati? Il loro rifiuto è ormai tale, che accettano solo i loro simili nella loro condizione di vita, e i cani che sono ancora di più i loro simili? È amore vero e animale? È un modello, il cane? L’elemento nuovo sembra essere il cane; l’emarginato in società col cane. Perché in realtà questi giovani randagi, che nella dura costrizione della vita, e della vita di oggi, hanno scelto la dura libertà d’una condizione semplice e animale, fatta di avversione e disprezzo, dolcemente testimoniati, sono i “cinici” dei nostri giorni. Sapete che i filosofi cinici, nella Grecia antica, erano così per la somiglianza ai cani. Alcuni erano mordaci. Erano insomma ”canini”. Diogene, Cratete… I quali, più che filosofi importanti, sono importanti perché hanno dato origine a una corrente culturale che ha attraversato tutta la storia umana, ed è giunta fino a noi. Questa corrente, di segno eterodosso, comporta uno scioglimento dalle regole date, un’infrazione consueta, un avvicinamento allo stato di natura nella società. In questa corrente si sono bagnati (per modo di dire…) i millenaristi, i viandanti romantici, gli hippies. È la corrente “naturalistica” della storia; in contrapposizione alla corrente “culturalistica”. Sono concetti che mutuo da un libro, Hommes domestiques et hommes sauvages, pubblicato nel 1974 da uno studioso francese, Serge Moscovici. Il quale scrive: «Se presso i greci ci fosse stata la televisione, avrebbe fatto vedere delle figure inquietanti e familiari: i cinici. Mendichi, la bisaccia in spalla, il mantello corto, scalzi, capelli lunghi, irsuti e disinvolti, dormivano all’aperto d’inverno come d’estate, avidi e sobri, mangiavano quel che trovavano oppure stringevano la cinghia. Sradicati ed erranti…». E coglie anche un tratto che possiamo verificare: «Quando ci si nutre e ci si veste con semplicità come i selvaggi, in realtà come i poveri, gli schiavi e gli stranieri (la popolazione dei non-cittadini, dei cittadini a metà), quando si ha per abitazione una botte o si afferma, come Cratete tebano: ‘Io non ho una città, ma il mondo intero per viverci la vita’, allora si proclama la propria fratellanza con l’animale, col barbaro…». In questo riguardo, da una delle bellissime Vite immaginarie dello scrittore Marcel Schwob tolgo alcuni tratti relativi appunto al filosofo Cratete: «Parlava raramente agli dei, e non se n’inquietava: gl’importava poco che ce ne fossero o no, e ben sapeva che non avrebbero potuto fargli niente. Del resto, li rimproverava di aver reso infelici gli uomini apposta, girandogli il viso verso il cielo, e privandoli della facoltà che la maggior parte degli animali ha, di camminare a quattro zampe. Giacché gli dei hanno deciso che bisogna mangiare per vivere, pensava Cratete, essi dovevano girare il viso degli uomini verso la terra, dove crescono le radici: nessuno saprebbe pascersi d’aria, o di stelle… L’idea di una qualunque conoscenza gli pareva assurda. Non studiava che le relazioni del suo corpo con ciò che gli era necessario, cercando di ridurle per quanto si può. Diogene mordeva come i cani, ma Cratete viveva come i cani». A questo punto, mi sembra evidente che la condizione dei nuovi cinici, per quanto inconsapevoli e ignari siano, e pur nella testimonianza rinnovata di una secolare attitudine, sia vagamente correlata con la zoofilia, l’anticonsumismo, l’antieconomicismo, l’antiglobalizzazione, dei nostri giorni, un po’ meno con l’ecologia… Ma in fondo, se il movimento cinico fu una specie di umanesimo selvaggio e disperato, e se Diogene vedeva gli uomini come escrementi, con sguardo cinico, e affettava con suo lanternino in pieno giorno di dire: “Cerco l’uomo”, temo che il nuovo cinico si limiterebbe a dire, guardandosi in giro: “Cerco il q cane”. 49 TERRITORIO E AMBIENTE Agenda 21: lavori in corso di GABRIELE BOLLINI L o scorso gennaio, la Provincia di Bologna ha avviato il proprio processo di “Agenda 21“ Locale mirante a definire attraverso la costituzione di un Forum civico, un piano di azione locale per lo sviluppo sostenibile del territorio bolognese, condiviso quindi dai vari attori della comunità locale, coerentemente all’adesione alla Campagna europea “Città Sostenibili”. Nel periodo compreso tra il 7 marzo e l’8 giugno si sono svolti 11 workshop tematici. All’attività del forum hanno aderito formalmente circa 150 tra rappresentanti (stakeholders) di enti pubblici ed associazioni ambientali, sociali ed economiche, enti, associazioni di categoria, ecc.. Di questi, hanno partecipato al lavoro un centinaio, che si sono incontrati settimanalmente suddivisi in tre gruppi di lavoro, Ambiente, Economia e Società. I vari incontri hanno costituito per i partecipanti un’opportunità di confronto e di scambio di informazioni, sulla base di dati tecnici aggiornati, per giungere ad analisi condivise di problemi, cause ed effetti della situazione attuale, individuando priorità di intervento, possibili azioni, target e attori da coinvolgere. I dati emersi dal lavoro hanno portato alla definizione di 82 obiettivi prioritari di sostenibilità per lo sviluppo del territorio provinciale di Bologna e di circa 300 possibili azioni collegate. Un gruppo trasversale del Forum (selezionati fra quelli con maggiori presenze) ha poi votato i 10 obiettivi prioritari per ambito tematico sulla base del grado d’innovazione, di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e di rilevanza locale (vedi tabelle allegata). Il risultato di questa prima fase del processo costituisce il Piano di Azione ed Indirizzo del Forum di Agenda 21 della Provincia di Bologna. Per la presentazione ufficiale sono stati preparati il “Quaderno di documentazione”, che ha raccolto tutti i materiali distribuiti e prodotti durante i workshop tematici, ed il “Piano d’Azione” contenente il documento finale, scaricabili entrambi al sito di Agenda 21: www.provincia.bologna.it/ag21. Il piano è stato presentato in Consiglio provinciale per una sua illustrazione. I lavori del fo- 50 rum da qui a dicembre prevedono l’elaborazione dei Piani Operativi e l’attivazione delle Partnership tra settori, enti locali e soggetti coinvolti, che si assumeranno la responsabilità della sua effettiva attuazione. Da parte della Provincia nel corso del prossimi mesi di qui alla fine dell’anno si provvederà all’elaborazione del Piano Operativo dell’Ente che dovrà individuare quanto è di propria competenza (fra gli obiet- tivi e le azioni contenute nel Piano d’Azione) e i necessari collegamenti con il Piano Esecutivo di Gestione (PEG). Parallelamente spetterà ai Progetti e Piani Settoriali della Provincia, primo fra tutti il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale in corso di elaborazione, di assumere al proprio interno gli obiettivi di sostenibilità e le relative azioni individuate dal Piano q d’Azione Locale di Agenda 21. I 30 OBIETTIVI PRIORITARI: Industria/attivitˆ economiche ¥ Creare figure professionali necessarie allÕeconomia locale ¥ Promuovere tecnologie e processi Òpi• pulitiÓ allÕinterno delle imprese ¥ Valorizzare lÕofferta turistica nel territorio Agricoltura ¥ Valorizzare prodotti locali con criteri ambientali ¥ Aumentare la formazione per la qualificazione professionale ¥ Incrementare lÕinformazione lungo tutta la filiera Servizi ¥ Potenziare lÕeconomia con attivitˆ produttive ambientalmente compatibili ¥ Valorizzare ed integrare la rete dei trasporti New economy ¥ Innescare un circolo virtuoso tra consumatori, P.A. e imprese ¥ Avvicinare le banche allÕeconomia sostenibile Acque e difesa del suolo ¥ Favorire la cultura della salvaguardia e del risparmio delle risorse ¥ Riqualificare lÕambiente montano Risorse, emissioni e rifiuti ¥ Ridurre lÕinquinamento dovuto al traffico veicolare ¥ Ridurre la quantitˆ di rifiuti non riciclabili ¥ Minimizzare lÕuso di risorse non rinnovabili Aree protette e biodiversitˆ ¥ Pianificare il recupero verdi e diminuirne il degrado (lungo periodo) ¥ Creare una rete ecologica, rinaturalizzare le zone fluviali ¥ Promuovere la cultura sulla biodiversitˆ e sullo sviluppo sostenibile Energia e cambiamenti climatici ¥ Sperimentare strumenti per ridurre i consumi energetici tra diversi settori ¥ Sviluppare tecnologie ÒpuliteÓ con minor consumo energertico Sicurezza ¥ Ridurre lÕisolamento delle fasce pi• deboli ¥ Ridurre quantitˆ ed entitˆ degli incidenti stradali Salute ¥ Diminuire la concentrazione di agenti chimici e fisici nellÕambiente ¥ Diminuire lÕinquinamento da traffico ¥ Riqualificazione urbana Patrimonio culturale ¥ Fornire motivazioni forti allÕavvicinamento al patrimonio culturale ¥ Progetto ÒBologna museo a cielo apertoÓ ¥ Stimolare lo sviluppo di una cultura che parta dai cittadini Òdal bassoÓ Coesione sociale ¥ Responsabilizzare la societˆ civile sulle soluzioni alle fratture sociali ¥ Diffondere una cultura della solidarietˆ e della tolleranza GRANDI INFRASTRUTTURE Un gioiello del sistema Bologna di FRANCESCO BACCILIERI È l’Interporto, che ha da poco compiuto trent’anni I l gigante sorge nel pieno della nostra pianura, tra i comuni di Bentivoglio e S. Giorgio di Piano, lungo l’asse viario Bologna-Padova-Venezia. Ha compiuto da poco trent’anni di vita, durante i quali ha cambiato il proprio nome e si è ingrandito sino a diventare il più importante del suo genere in Europa. I bolognesi, giustamente, gli riconoscono un merito storico, quello di avere contribuito a decongestionare le strade cittadine dall’inquinamento e dal rumore causati dal transito dei tir. Il tentativo di liberare il centro storico e i viali di circonvallazione dalla presenza ingombrante e fastidiosa dei mezzi pesanti fu infatti l’obiettivo prioritario che, il 22 giugno del 1971, i soci fondatori – Comune, Provincia, Camera di Commercio e le associazioni degli autotrasportatori – misero in capo al neonato Autoporto Bologna S.p.A. I risultati non si fecero attendere, a tal punto che ben presto ci si rese conto che esisteva lo spazio per fare della struttura un nodo vitale della logistica e dell’intermodalità. Stiamo parlando, lo avrete già capito, dell’Interporto, un colosso arrivato attualmente a smistare, in entrata e in uscita, circa 3 milioni e mezzo di tonnellate di merci all’anno, quasi la metà delle quali movimentate per via ferroviaria. Una vera e propria cittadella, insomma, interamente cablata, con una superficie complessiva di oltre 2 milioni di metri quadrati, dotata di un terminal ferroviario; un centro doganale dove si trovano anche una delegazione della Camera di Commercio, uno sportello bancario ed un ufficio postale; 12 ribalte gomma/gomma; 4 ribalte ferro/gomma; magazzini generali e per la logistica; una stazione di servizio per il rifornimento ed il lavaggio degli autocarri; un’area di servizio che dispone, tra l’altro, di un ristorante e un bar. L’Interporto occupa stabilmente circa 1500 addetti ed al suo interno sono attive 75 imprese operanti nei comparti della logistica e del facchinaggio, dell’autotrasporto, della spedizione aerea, internazionale e doganale. Oltre 4000 sono gli automezzi che ogni giorno vi transitano in entrata e in uscita, mentre gli impianti ferroviari coprono una superficie di circa 358 mila metri quadrati e sono in grado di movimentare 16 treni bloccati al giorno, in arrivo e in partenza, su base annua. Sino ad oggi la società che gestisce l’infrastruttura ha effettuato investimenti che superano i 334 miliardi di lire, che si stima saliranno a 400 con il completamento delle opere ferroviarie e dei lavori previsti dal primo piano particolareggiato. Tornando ad analizzare il tema del traffico su rotaia, che, a detta di tutti, rappresenta l’unica soluzione per attenuare il sempre più pesante impatto ambientale della viabilità su gomma, i volumi fatti registrare dall’Interporto sono in costante aumento e, quel che più conta, presentano ancora degli interessanti margini di miglioramento. Ad oggi sono attestati sul milione e 400 mila tonnellate di merci, una quantità che in ogni caso corrisponde al carico di circa 55 mila camion, che, senza l’Interporto, si sarebbero senz’altro riversati sull’asfalto, con tutte le conseguenze negative che tutti noi ben conosciamo. Alla luce di questi numeri, non si può non rilevare come quella di cui ci stiamo occupando sia una realtà di cui andare fieri, un vero e proprio fiore all’occhiello del cosiddetto ‘sistema Bologna’, un’infrastruttura in costante sviluppo, in grado di contribuire concretamente a rendere sempre più attrattivo il complesso del nostro territorio: «Abbiamo già avviato – sottolinea Giuseppe Petruzzelli, dal 1995 presidente dell’Interporto – i lavori per la realizzazione di nuovi 20 mila metri quadrati di magazzini, ormai tutti affittati, per un investimento di una ventina di miliardi di lire. Dal punto di vista strutturale, immobiliare, siamo già entrati nella fase del secondo piano particolareggiato, che prevede anche un’ulteriore espansione dei servizi alle imprese, soprattutto sotto il profilo della qualità. In quest’ottica, ad esempio, siamo intervenuti per migliorare il versante della sicurezza, completando le recinzioni e dotando di telecamere tutti gli accessi. Anche per il prossimo futuro – prosegue Petruzzelli – continueremo sulla strada tracciata in questi anni, che è stata quella di riuscire a fornire agli operatori un valore aggiunto fatto, tra le altre cose, di servizi telematici ed informatici di assoluta avanguardia, di capannoni costruiti secondo criteri tecnici innovativi, di una serie di utili supporti per gli utenti, quali gli sportelli bancari e postale. Il fatto poi di essere il primo interporto interamente cablato d’Europa e di ospita- re al nostro interno così tante aziende, ci rende senz’altro un polo attrattivo molto interessante per la nascita di nuove attività imprenditoriali». Lo stato di salute certamente buono che emerge dal quadro dell’Interporto che siamo venuti dipingendo, non deve però fare pensare che manchino gli aspetti operativi bisognosi di un impulso decisivo, anche grazie al contributo di altri attori: «In tema di viabilità – riprende Petruzzelli – desideriamo impegnarci per risolvere i problemi causati dall’aumento indiscriminato dei camioncini e dei furgoni adibiti al trasporto merci. Essi hanno ormai letteralmente invaso la città e occorre studiare al più presto delle soluzioni al riguardo, così come è neces- sario sbloccare, con l’aiuto determinante della Provincia, l’ormai annosa questione della bretella di Funo, un’opera che sgraverebbe la zona del Centergross e dell’Interporto da un traffico sempre più insostenibile. Come società, inoltre, abbiamo il dovere di contribuire a realizzare una vera e propria rete logistica, che ancora manca in Italia e di cui le stesse aziende industriali sentono il bisogno urgente. Per fare ciò, bisogna puntare non solo sull’intermodalità gomma-ferro, ma anche su quella mare-terra. Per quanto concerne infine il rapporto con le altre infrastrutture bolognesi, dovremo lavorare sempre più in sinergia e valorizzare al meglio le grandi potenzialità che possediamo, con l’obiettivo di migliorare il nostro sistema industriale e di attrarre preziosi capitali provenienti dall’estero. Noi – conclude Petruzzelli – offriamo la nostra esperienza e la capacità di trasportate e di gestire le merci in maniera innoq vativa». 51 NEWS Riorganizzazione del trasporto pubblico Nei giorni scorsi la Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Bologna, i Comuni di Bologna e Imola hanno sottoscritto un importante accordo di programma sul trasporto pubblico, in vista della liberalizzazione prevista per il 2004, quando i servizi di trasporto saranno affidati tramite gare pubbliche. L’accordo disciplina, tra l’altro, i servizi minimi di bacino per gli anni 2001-2003 e indica gli investimenti per la riorganizzazione della mobilità e la qualificazione dell’accesso ai servizi di interesse pubblico. In particolare, verranno destinati 420 miliardi (circa 140 ogni anno) ai servizi auto – filo tranviari, anche se i chilometri di trasporto pubblico diminuiranno, ma saranno distribuiti in modo da non penalizzare nessuno. I chilometri in meno, tra l’altro, saranno recuperati con un aumento di servizi nel bazzanese. Sono, invece 61 i miliardi destinati agli investimenti strutturali per migliorare la mobilità: tra i progetti previsti c’è il collegamento tramviario tra San Lazzaro e la nuova fermata ferroviaria Caselle. Nell’ambito dell’accordo, la Provincia e i Comuni di Bologna e Imola si sono impegnati per la realizzazione di un’agenzia per la mobilità entro il 2002. L’agenzia avrà il compito di bandire le gare per l’affidamento dei servizi. Articolo 19: un nuovo strumento a disposizione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza Nel mese di ottobre è uscito quale supplemento, il n. 0 del nuovo bollettino a supporto del- l’attività dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (R.S.L.). Costituisce uno strumento informatico agile e semplice per la circolazione di idee, opinioni e confronti nell’ambito della complessa materia della sicurezza negli ambienti di lavoro. “Articolo 19”, bollettino di proprietà dell’Amministrazione provinciale di Bologna, vede la partecipazione ed il coinvolgimento dei vari soggetti aderentiail SIRS, il Servizio Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza che, nato agli inizi del 1998, è attualmente costituito dalla Provincia di Bologna, dai quattro Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL della Provincia di Bologna e dalle OO.SS. CGIL, CISL e UIL provinciali. Questo nuovo strumento d’informazione ha cadenza bimestrale e viene divulgato a tutti gli operatori istituzionali che si occupano di prevenzione, in quanto si giunge ad un miglioramento delle condizioni di sicurezza negli ambienti di lavoro attraverso il coinvolgimento, l’interessamento e l’attenzione di tutti i soggetti attori nel campo della sicurezza. All’interno del bollettino gli spazi verranno dedicati allo sviluppo di temi di particolare interesse, alle esperienze realizzate dagli RSL di singole aziende o comparti ed infine una pagina verrà messa a disposizione dei lettori (RLS, ma non solo) per commenti, critiche, proposte, domande su tutte le problematiche sia tecniche che organizzative con cui il rappresentante dei lavoratori si confronta quotidianamente. Sono graditi suggerimenti e contributi che saranno fondamentali per il proseguo di questa nuova esperienza. Riportiamo quindi di seguito i recapiti telefonici e di posta elettronica dove potete contattarci per qualsiasi informazione: SIRS: Daniela Patelli, tel. 051.6079936, e-mail: [email protected]; Leonildo Morisi, tel. 051.6079934, e-mail: [email protected] Provincia di Bologna: Anna Maria Zacchi, tel. 051.218492, e-mail: annamaria.zacchi@ provincia.bologna.it 52 Il ciclo delle acque La salvaguardia e la valorizzazione delle risorse idriche rappresenta uno degli obiettivi strategici dell’assessorato provinciale all’Agricoltura. L’azione dell’Assessorato tende a garantire agli agricoltori le necessarie quantità d’acqua per le colture di pregio durante tutto l’anno utilizzando le risorse idriche superficiali e riducendo i prelievi dalle falde sotterranee. In questo contesto acquista particolare rilievo il progetto approvato dal Comune di Anzola dell’Emilia per convogliare le acque reflue del depuratore comunale in una rete di canali per l’irrigazione agricola, con una portata di 100 litri al secondo. Il progetto prevede la realizzazione di una condotta di circa 1.500 metri e di un impianto di sollevamento per convogliare la portata scaricata dall’impianto comunale di depurazione nel territorio compreso fra i torrenti Ghironda e Martignone completamente sprovvisto, durante la stagione irrigua, di risorse idriche. Il progetto, messo a punto in accordo con le associazioni agricole e il consorzio di bonifica Reno Palata, comporterà una spesa di 480 milioni di lire, interessa una superficie di 1.100 ettari e 270 aziende. Patti dÕamicizia con il popolo saharawi Nel territorio provinciale bolognese ferve l’attività a favore del popolo saharawi che, fuggito dal proprio Paese occupato militarmente dal Marocco, ormai da 25 anni vive in campi profughi. Due patti di gemellaggio sono stati infatti sottoscritti l’1 ottobre nella cornice della sala Rossa di palazzo Malvezzi. Uno, fra la Provincia di Bologna e la Provincia di Smara, l’altro, fra i Comuni di S. Agata Bolognese e di Echderìa. Il 9 ottobre scorso, invece, il Comune di Medicina ha siglato un patto di amicizia con il Comune di Tifariti durante una seduta speciale del Consiglio. NEWS La Provincia, nel cui territorio sono stati ospitati 10 dei 40 bambini Saharawi accolti in Emilia-Romagna, è giunta a questi accordi dopo un lungo cammino. A febbraio 2000, in occasione dell’anniversario dell’indipendenza del popolo Saharawi, una delegazione istituzionale visitò la tendopoli di Tindouf, nel deserto algerino; il 10 aprile, sentita la relazione dei partecipanti, il Consiglio provinciale si pronunciò a favore di un’azione di solidarietà ed aiuto materiale verso questo popolo; nei mesi successivi la giunta provinciale si è attivata per giungere all’accordo formale di gemellaggio. Albanella minore: gli interventi della Provincia per salvaguardare il rapace protetto La Provincia di Bologna è impegnata da alcuni anni nella salvaguardia dell’Albanella minore (Circus pygargus), un rapace di medie dimensioni (circa 110 cm di apertura alare) presente in tutta Italia con circa 300 coppie. L’Albanella, considerata una specie “particolarmente protetta”, dal 1999 è monitorata dal Corpo di Polizia Provinciale nella fascia collinare bolognese dove 15-20 coppie, nidificando negli arbusteti spontanei, non risentono dell’incidenza della mecISITA UIDATA RATUITA AL canizzazione agricola (fra le USEO ORANDI maggiori cause della riduzione della specie), e in un’area della bassa A partire dall’11 ottobre tutti i giovedì, alle 16,30, viepianura bolognese, dove invece nine organizzata una visita guidata gratuita alle sale del dificano una decina di coppie nei Museo Morandi. Non sono ammessi gruppi di oltre 10 campi di frumento. Negli ultimi tre persone ed è indispensabile prenotare al numero 051 anni hanno preso l’involo oltre tren– 203332. Il prezzo del biglietto d’ingresso è di 8.000 ta giovani rapaci, a seguito di interlire; per i dipendenti della Provincia che presenteranventi volti ad impedire la distruziono il badge il prezzo scende a 6.000 lire. ne delle uova o l’uccisione dei pulcini al momento della mietitura. V M G M G VITTORIO PRODI PRESIDENTE DEL COMITATO PROMOTORE DELLA FONDAZIONE PER LA SCUOLA DI PACE DI MONTE SOLE La proposta del presidente della Regione Vasco Errani di designare il presidente della Provincia Vittorio Prodi alla guida del Comitato promotore della Fondazione per la Scuola di pace di Monte Sole è stata accolta all’unanimità dai componenti del comitato stesso. A Prodi sono stati affidati i compiti di “traghettare” il Comitato verso la costituzione della Fondazione, di riprendere e rafforzare l’attività della Scuola, di perfezionarne lo Statuto, di implementare le risorse e di costituire, infine, in tempi brevi un gruppo tecnico necessario per avviare l’attività vera e propria della Fondazione. Nel corso dell’incontro si è anche approntato un calendario delle future iniziative, che vedranno tra l’altro la riconferma dei “Campi a 4 voci”, gruppi di convivenza e studio fra giovani palestinesi, israeliani, italiani e tedeschi. Inaugurato nuovo istituto tecnico Cordoglio per Massimo Gorni É stata inaugurata a San Giovanni in Persiceto la nuova sede dell’istituto tecnico e scientifico “Einaudi-Galilei”. Il polo scolastico - ampliato dalla nuova costruzione che permette di unificare anche il liceo scientifico - ospita ora tutte le classi dei quattro indirizzi di studio dell’Istituto: liceo scientifico, tecnico industriale, geometri e ragionieri. La nuova ala (che è costata 5 miliardi di lire e va ad aggiungersi al fabbricato funzionante dal gennaio 1995, costato 9 miliardi di lire) rappresenta solo l’ultimo dei molti interventi di edilizia scolastica che la Provincia di Bologna sta effettuando dopo che, con la Legge 23 del 1996, ha assunto la titolarità di tutte le scuole superiori pubbliche del territorio. Lo sforzo economico (11,4 miliardi solo nel 2001) e organizzativo che l’Amministrazione sta compiendo sull’edilizia scolastica è volto a riequilibrare e migliorare la qualità dell’offerta edilizia complessiva del territorio, nonché a rispettare il termine ultimo del 2004 per la messa a norma di tutte le scuole. Agli interventi già finanziati si aggiungono le nuove opere: in cantiere ci sono tra l’altro la costruzione dell’Istituto tecnico industriale statale (Itis) di Porretta Terme (costo previsto, 7 miliardi) e la realizzazione di un’unica sede del polo scolastico di Molinella (costo previsto, 5,5 miliardi) per unificare le sezioni staccate di tre istituti tecnici e professionali (Itc e Ipc di Budrio e Ispia del “Fioravanti” di Bologna). Si sono svolti il 9 ottobre scorso, a Sermide in provincia di Mantova dove risiedeva, i funerali dell’ingegnere Massimo Gorni, funzionario del settore Lavori pubblici della Provincia, responsabile per la manutenzione dei fabbricati scolastici, deceduto per le conseguenze del gravissimo incidente del 3 ottobre mentre verificava le condizioni del tetto della palestra del Polo scolastico “Giordano Bruno” di Budrio. La notizia della morte di Gorni ha profondamente colpito gli amministratori e tutto il personale dell’Ente che lo conoscevano, ne apprezzavano la serietà e la competenza professionale. «È una tragedia che ci lascia attoniti» aveva detto il presidente della Provincia Vittorio Prodi stringendosi a nome di tutta la Giunta attorno ai familiari. L’ingegner Gorni era nato il 13 giugno del 1965 a Sermide, in provincia di Mantova ed era sposato. Laureato in ingegneria civile, era stato assunto in Provincia nel giugno del ’94 con la qualifica di funzionario del Settore pianificazione territoriale; nel ’98 era diventato funzionario dei Lavori pubblici e come direttore dei lavori avrebbe seguito l’opera di ristrutturazione della palestra di Budrio. Anche la redazione di “Portici” si unisce al dolore della famiglia, esprimendo il più profondo q cordoglio per la scomparsa del collega. 53 R ICOMINCIAMO A ... Dove va la cucina bolognese? di ALESSANDRO MOLINARI PRADELLI S e riuscirò a non farmi prendere dalla rabbia e dalla passione, allora avrò appagato la mia città proprio come vorrei, soprattutto per quei giorni felici, quando certi angoli profumano davvero per il brodo che si concentra, per certi bollori di carni lesse ed insaccati, per certi ragù, friggioni, arrosti, contorni, formaggi e torte o biscotti. Il grande risveglio delle cucine multietniche ha portato, incredibilmente, al ritorno ben visto della tradizione, più o meno ingentilita ed arricchita, pur sempre l’espressione più vicina al vero nostrano. Possibile che la fama di Bologna, goduta fuori dalle mura, corrisponda sempre meno alla qualità; senza parlare dei prezzi spropositati, a volte meritevoli perfino di contestazione. Ci fosse una stampa più attenta e competente, meno di parte, si potrebbero impostare davvero laboratori del gusto, ma non solo rivolti ai soli consumatori: visto che le nuove generazioni di cuochi ne sanno più di mozzarella e rucola. Perché meravigliarsi e lamentarsi dei giovani se i vecchi cuochi, poveri, fanno finta di non sapere, di non riconoscere scempi e volgarità riportate sui libri e sulle pubblicazio- 54 ni ufficiali, che dovrebbero prima di tutto garantire la verità e non la convenienza e l’affare. Allora, poveri ristoratori, si sarebbero mossi volentieri in mia compagnia per cancellare le nefandezze della Confraternita del tortellino (si chiamerebbe Dotta Confraternita, ma non me la sento di definirla dotta, anzi, avrei buona ragione per chiederne la cancellazione, meglio ancora la chiusura), quando il ripieno dei tortellini viene raccontato (raccomandato) come dal testo depositato presso la camera del Commercio cittadina. Purtroppo debbo ripetermi (lo faro’ fino a stancarmi), perché da serio bolognese ci tengo a difendere la storia vera, la tradizione. Come se non bastasse, possibile che nessuno si fosse accorto della discutibile pubblicazione La cultura del cibo, piatti e menu’ per Bologna 2000; dove mancano ricette di dolci, ad esempio; dove si citano prodotti che nulla hanno da spartire con Bologna, vedi: l’olio di Brisighella, l’aceto balsamico tradizionale di Modena, il culatello di Zibello, il prosciutto crudo di Parma e il formaggio di fossa di Solignano al Rubicone. Ultima perla, la ricetta del vero tortellino di Bologna (pag. 31 della pubblicazione), dove non è prevista la pasta. Bando alle castronerie (che fanno male a tutti, se è vero che queste pubblicazioni sono rivolte soprattutto ai turisti; anche stranieri, provo ad immaginare) e torniamo alla tradizione, semplice, già descritta (non solo da me) e raccontata con dovizia di particolari. Basterebbe cercarli. Se sono preoccupato, imbestialito dall’ignorante prosopopea di certa ristorazione, immaginarsi cosa pensare a proposito dell’innovazione, che ha deciso di proporre di tutto e di più, ma non soltanto con piatti dei territori limitrofi, comodo, ma da altri stati, da altri continenti; basti saggiare il fritto, per noi, uguale oro, non nocciola o marrone come in Piemonte o in Liguria, ad esempio. Panare e friggere non vuol dire bruciare, ma bensì racchiudere in uno scrigno elegante e leggero (poca panatura) la carne, la crema, la verdura, la frutta ed avvolgerla in un involucro odoroso e croccante, di strutto più che di olio. Macché, ormai la pastella più usata dalle nostre parti è ripresa dall’Asia, così il tegame (padella, se preferite), così i sapori. Per questo facile del consumo sentito dire, del recuperato, del recuperato dal viaggio, della supponenza di essere bravi come gli altri, ecco le nostre cucine si trasformano in palestre, dove provare esercizi nuovi, dove mescolare culture, dove lasciare al caso, senza garantire la tipicità. Il turista viene a Bologna per assaggiare la famosa cucina locale (veramente anche i residenti), e dove la trova più? Quando il ristorante non ha il bollito di carni tra i secondi piatti, come potrà servire i tortellini nel brodo di carne vero? Quella carne l’ha buttata, invece di servirla anche insieme al friggione, in polpette, in crocchette, in tortino, in… Dove s’è nascosto il carrello dei bolliti? Dove va la cucina bolognese? É difficile dirlo, visto la discontinuità delle proposte, la facilità con cui aprono o chiudono locali, con cui si cambiano i cuochi. Cos’è rimasto della tradizione? Poco, molto poco; forse il sentito dire, a volte perfino il raccontato male; eppure buone notizie serpeggiano in locali dove operano ristoratori giovani, perché la nonna, la mamma, la suocera collaborano volentieri. Da vecchi bolognesi come siamo, guai se ci mancasse fiducia e ottimismo; puliamo la scena dalle improvvisazioni scellerate, ritorniamo a guardare all’ospitalità, caso mai fatta anche solo di qualche fetta di polpettone, con l’uovo sodo al centro, ricoperta di profumatissima maionese. R ICERCA In difesa della ragione di STEFANO GRUPPUSO Anche una sezione emiliano-romagnola del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) per investigare sui fenomeni ai confini della realtà C hiaroveggenza, precognizione, sedute spiritiche, telepatia e altri fenomeni del mistero e dell’occulto sono, da oltre dieci anni, sotto l’occhio scientifico del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale. L’associazione, il cui fondatore è Piero Angela, ha come membri onorari figure scientifiche del calibro dei Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, nonché, quali garanti, altre famose personalità della scienza e della cultura, tra cui l’astrofisica Margherita Hack, il farmacologo Silvio Garattini e il pedagogista Aldo Visalberghi. Da circa quattro anni il CICAP ha istituito una propria sezione in Emilia Romagna. Ne è vicepresidente Davide Guidetti, docente di matematica all’Università di Bologna. «C’è stato, in concomitanza con il passaggio del secolo, anzi del millennio, un momento di forte crescita di interesse per tutti i fenomeni medianici e di precognizione - afferma il professore - la gente aveva il desiderio di anticipare il futuro. L’oroscopo, in pratica, ha catturato grandissima attenzione ed è stato il tema più seguito sui mezzi di comunicazione. Constatato che il cambiamento del calendario, pur così carico di simboli, nulla di particolare aveva prodotto e che anche il famo- so ‘baco del millennio’, peraltro più tecnologico che paranormale, non aveva causato quella catastrofe informatica più volte annunciata, il picco di interesse è rientrato. Pur tuttavia il mondo dell’occulto rimane un’area molto vasta, un luogo in cui molta gente si rifugia spontaneamente o è spinta ad entrare da abili ingannatori. È certo che intervengono meccanismi psicologici profondi». La realtà descritta dalla scienza lascia poco spazio alla fantasia. E a molte persone ciò non piace affatto. Sono molto più attratte dal mistero e da quel mondo dove irrazionalità, seduzione e illusioni si mescolano. A tutto questo può anche aver contribuito una cattiva immagine della scienza spesso presentata dai mass media nelle due polarità estreme: o come fonte del male, dalla scienza abbiamo armi sempre più pericolose e inquinamento in crescita, o come strumento di un bene mai raggiunto, come quando, ad esempio, la scienza annuncia vittorie su malattie, come il cancro, che invece continuano a rimanere molto diffuse. E qui si apre un altro importante aspetto del problema che è la corretta comunicazione scientifica, spesso messa da parte per fare posto allo scoop, molto vantaggioso sul pia- no commerciale, ma deleterio sul piano educativo. Ma come opera il comitato? Quale il suo rapporto con il paranormale? «Noi cerchiamo - continua il vicepresidente - di indagare direttamente su base scientifica i vari fenomeni incontrando di persona chi afferma di avere poteri straordinari. Circa due anni fa, ad esempio, ricevemmo una lettera da una signora di Reggio Emilia che diceva di possedere, fin da bambina, dei poteri paranormali, tanto che nell’infanzia aveva avuto dei problemi relazionali perché era un po’trattata come una specie di strega. In pensione dopo una vita come infermiera, svolgeva l’attività di pranoterapeuta. Il potere principale che dichiarava di possedere non era però quello legato alla pranoterapia, ma consisteva nella capacità di evocare e parlare con i defunti in qualche modo legati a chi la interpellava oppure di riconoscere il proprietario degli oggetti semplicemente toccandoli. Concordammo con la signora lo svolgersi della sperimentazione che eseguimmo in una sede prestigiosa: il Mauriziano di Reggio Emilia, la vecchia casa di Ludovico Ariosto. Prelevai dieci oggetti, otto di questi erano chiavi, da altrettante persone e sottoposi a prova la signora. L’esito fu disastroso: non azzeccò neppure una risposta esatta. Il commento sconsolato della donna fu: eppure a casa mi veniva». Per fare più chiarezza sui fenomeni normali, ma che non trovano una facile spiegazione, e su quelli paranormali, il CICAP organizza un importante convegno nazionale che teniamo al Teatro Ariosto di Reggio Emilia dedicato alle Medicine Alternative. Si svolgerà dal 9 all’11 novembre e vi parteciperanno medici, psicologi, fisici,chimici e tanti altri studiosi. Vi sarà anche una serata speciale dal titolo ‘ Misteri…risolti’ presentata da Piero Angela, nel corso della quale verranno assegnati i premi giornalistici ‘In difesa della ragione’. 55 MOSTRE Spazio arte F ino al 15 novembre, presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna è allestita la mostra antologica curata da Pier Giovanni Castagnoli, intitolata con un’eloquente semplicità: Sergio Romiti. Un’occasione per riflettere sul percorso creativo dell’artista bolognese scomparso poco più di un anno fa e che era già stato ospitato negli spazi della galleria bolognese nel 1976. Si tratta di un centinaio di opere dal tracciato rigoroso d’ascendenza morandiana, ma di una vitalità, un colore ed uno spessore materico tutto personale. Segni ‘affidati’ alla carta, poi cancellati sì da lasciarne solo tracce che l’occhio dello spettatore deve seguire e ricomporre; sprazzi di colore dalla forte gestualità o stesure cromatiche di più ampia estensione e distensione si alterano e testimonianza di una personalità dell’arte drammaticamente concisa e mnemonicamente selettiva e non per questo, anzi proprio grazie a questo, non transitoria. A ciò si aggiunga, con le parole del curatore: «Accade così che degli oggetti quotidiani costituiscano, nella pittura di Romiti, altrettante scene entro le quali il fantasma si manifesta: non il fantasma che intacca per l’intelletto la certezza corporea delle cose e rivela la loro superficie metafisica, bensì quello che, disponendo della memoria dell’inconscio, è fondamento di ogni sua archeologia e che, fondendo e deformando in tracce gli atti e le cose rimanda soltanto a visioni parziali e lacunose». Il Miracolo dei quaranta annegati e La resurrezione di Napoleone Orsini. Questi i titoli delle due grandi tele secentesche della chiesa di San Domenico a Bologna eseguite da Giovanni Andrea Donducci detto Mastelletta per decorare le pareti laterali dell’edificio cittadino con le raffigurazioni dei miracoli compiuti dal santo. Oggi, i due dipinti sono stati ricollocati nella loro sede originaria dopo un restauro conservativo finanziate dal Ministero dell’Interno. In realtà le opere erano già state felicemente restaurate da Arturo Raffaldini dopo la seconda guerra mondiale, ma il tempo trascorso aveva richiesto un’ulteriore pulizia e consolidamento che hanno permesso anche il riemergere di figure - dipinte in una prima stesura dall’artista che le aveva, poi, parzialmente ricoperte e lasciate come sfondo scuro - rese ormai pressoché indistinguibili dai segni del tempo. 56 Da ricordare, poi, un’iniziativa che sembra proseguire idealmente la tradizione settecentesca dei viaggi in Italia compiuti da stranieri in cerca di suggestioni artistiche che il patrimonio, soprattutto romano, del nostro paese, poteva stimolare. Si tratta dell’esposizione dell’artista francese Annie Favier La luce e la memoria organizzata su iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Bologna. Protagonista delle tele è il portico di Bologna, quel lungo, lunghissimo percorso che da secoli connota l’architettura bolognese, cittadina e provinciale, e che da sempre colpisce l’attenzione degli stranieri, mentre spesso i bolognesi lo dimenticano. Da Bologna a Castel San Pietro Terme per un’iniziativa dal titolo Mostre a castello: l’artista al lavoro, una serie di quattro mostre curate da Bruno D’Amore ed incentrate “sulla figura dell’artista al lavoro nel proprio atelier”. Pirro Cuniberti, Elio Marchegiani, Concetto Pozzati dal 17 novembre al dicembre p.v. e Giovanni Mundula, i protagonisti di un viaggio che è prima di tutto un confronto con il loro stesso fare arte. Poi, dopo il gesto, il risultato. Un risultato artistico che, al di là delle diverse poetiche, peculiari di ogni protagonista, sia capace di sfidare transitorietà ed oblio del tempo nella coerenza di una ricerca personale che dura da anni ma anche nella peculiarità comunicativa di ogni singolo linguaggio espressivo. Queste le ragioni ed il senso delle mostre a castello, nelle parole del curatore che suggellano tutti i cataloghi degli esposti: «Scelgo artisti concentrati sul proprio operare, che davvero lavorano creando, che mai danno l’impressione di risul- In senso orario: la tela recentemente restaurata “La Resurrezione di Napoleone Orsini” di Giovanni Andrea Donducci detto Mastelletta. Di Tonino Gottarelli “Voglia di dipingere una rosa” e di Sergio Romiti “Composizione, 1963” tati evanescenti sorti per caso o sull’onda di mode; scelgo artisti che invece dettano le mode, in grado di indicare i riferimenti semiologici e semantici del proprio operare, che sanno spiegare a chiunque la logica per quanto endogena del proprio fare; il fare, dunque, come entità propulsiva e vitale, come essenza stessa della produzione dell’oggetto dell’arte, come indicazione metodologica e didattica». A San Giorgio in Poggiale, infine, per ricordare la mostra di Tonino Gottarelli Varie, antiche immagini, curata da Marilena Pasquali che firma anche il testo nel catalogo che rimane a testimoniare l’evento. Le parole, quelle di Marilena Pasquali, per disegnare un percorso di lettura attraverso le immagini riprodotte dell’artista, le sue figure, i suoi colori, ma anche le sue scritture, perché: «Tonino Gottarelli è un artista complesso che accompagna la parola all’immagine come specchiando l’una nell’altra», egli «non è solo un uomo di pensiero che dipinge e scrive, alternando i due linguaggi secondo logica e sensibilità, perché a volte ama anche usare il segno grafico, la figura stessa della parola nel contesto della pittura come parte integrante non secondaria dell’immagine». Lorenza Miretti Studi per l’ambiente LUCA PICCININI I l bozzetto fa parte di una serie realizzata dagli studenti delle classi III A e III B della sezione “operatore grafico pubblicitario” degli Istituti Aldini Valeriani e Sirani, in occasione delle ricerche per la creazione di un logo per l’Associazione Emilia-Romagna - Costa Rica e di un manifesto sull’educazione ambientale