Rivista MUSEO_ANDERSEN_ALLESTIMENTI_E_RICERCHE (1)
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MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE NDERSE ISSN 2282-2615 N. 1 - 2013 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE a cura di Matilde Amaturo introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Hendrik e Olivia: due vite una passione MATILDE AMATURO A partire dal 2009 il museo Andersen ha dedicato gli allestimenti estivi alla valorizzazione del materiale conservato nei depositi attraverso la ricerca di documenti che potessero testimoniare quel legame stretto e indissolubile che congiunge i due principali personaggi del luogo: Hendrik ed Olivia, l'artista e la cognata divenuta precocemente vedova. [fig. 1] Fig.1: Hendrik e Olivia allo scrittoio, 1915, stampa fotografica d’epoca, Archivio Andersen Non è solo la stretta parentela che li terrà uniti negli intenti artistici, ma un’intensa condivisione di obiettivi e di realizzazioni in un’epoca di trasformazioni, il primo Novecento, è quindi l’unicità di intenti che li rende complici di esperienze di vita e di cultura, come il progetto del World Centre of Communication e la World Conscience Society. 5 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Sulla base delle testimonianze tratte dalla documentazione archivistica esistente nel museo, si è voluto ricostruire un'atmosfera che rendesse vive e sensibili quasi palpabili le vicende che a Roma a partire dal 1898 coinvolsero il nucleo degli Andersen. Da queste idee ed emozioni imbevute nel tessuto dell'edificio è nata l'idea di rendere tangibile al pubblico un patrimonio di opere appartenenti agli Andersen e ai loro amici. Sono quindi scaturiti diversi progetti espositivi il cui filo conduttore è stato sempre il Diario di Olivia Cushing descritto per immagini: Paesaggi e figure d'Italia (2009), Storia di un'anima (2010), La Fontana della Vita (2012) 1. Grazie alle ricerche archivistiche si è giunti quindi a proporre un tessuto narrativo che rendesse evidente le vicende testimoniate nella casa museo attraverso le sculture, i dipinti, i disegni, le numerosissime foto artistiche e di famiglia. A questo scopo poi nel 2011 al museo Andersen è stato inaugurata una postazione multimediale dalle finalità educative che raccoglie in file digitali oltre tremila opere del patrimonio iconografico, dipinti, sculture, disegni foto e cartoline conservate tra sale espositive depositi e cassettiere. Il progetto si avvale di sottotitoli per non udenti e di una postazione per non vedenti con una sintetica descrizione in braille. Al piano terra una scultura in bronzo, il busto ritratto di Andreas, rende disponibile l'esperienza tattile. Tutta la postazione touch-screen si incentra sull'idea di un libro parlante che trae spunto dal Diario di Olivia Cushing, conservato presso la casa museo, e narra le vicende della vita della giovane cognata Fig.2: Postazione multimediale al Museo Andersen di Hendrik Christian Andersen, morta a Roma nel 1917 a trentasei anni. [fig. 2-5] 6 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Fig.3: Postazione multimediale al Museo Andersen Fig.4: Postazione multimediale al Museo Andersen Fig.5 Postazione multimediale al Museo Andersen 7 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il progetto si snoda seguendo la voce narrante di Olivia che partendo dalle sue origini bostoniane si svela come una giovane desiderosa di emanciparsi, di rendersi indipendente dalla vita agiata e conservatrice della ricca famiglia d'origine. Così l'amore per l'arte e la letteratura si intreccia con gli scopi benefici indirizzati a una povera famiglia di immigrati norvegesi sbarcati a Newport (Rhode Island). [fig. 6] Fig.6: La residenza della famiglia Cushing a Newport, cartolina d’epoca, Archivio Andersen Si presentano quindi tutti i personaggi della famiglia Andersen, la mamma Helene, artefice e ispiratrice di tutta la scalata sociale, il fratello maggiore Andreas pittore, lo scultore Hendrik, il fratello minore Arthur musicista, la sorella adottiva e modella Lucia, il fratello più amato da Olivia, Howard. Fig.7: Famiglia Andersen, stampa fotografica Con lo scopo di ripercor- d’epoca, Archivio Andersen 8 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE rere attraverso una ricchissima documentazione tutte le tappe di una storia appassionante di intrecci affettivi [fig. 7]. Le predominanti femminili, la mamma Helene, Olivia, infine la sorella adottiva e modella Lucia Lice, segnano tutti i momenti salienti: l'emigrazione negli Stati Uniti , gli studi accademici, la predilezione per l'arte, il grand tour in Europa, il trasferimento a Roma, il progetto del World Centre of Communication [figg. 8-9] Fig.8: Hendrik ed Olivia, 1910 ca, stampa fotografica d'epoca, Archivio Andersen Fig.9: Helene, Olivia e Hendrik sulla terrazza della abitazione a piazza del Popolo, 1909, stampa fotografica d'epoca, Archivio Andersen 9 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il punto di vista di Olivia è la costante che permette di comprendere a pieno l'atmosfera altrimenti inafferrabile di un villino costruito negli anni venti del Novecento grazie alla sua eredità e destinato a pubblico museo per volontà di Hendrik nel 1940, tenuto in vita come pensione fino al 1978 anno in cui muore la sorella usufruttuaria Lucia [fig. 10—11]. Fig.11: Hendrik e Lucia nell'atelier di via P. S. Mancini, 1930 ca, stampa fotografica d'epoca, Archivio Andersen Fig.10: Hendrik e Lucia nell'atelier di via di Ripetta, stampa fotografica d'epoca, Archivio Andersen Oggi grazie agli strumenti tecnologici il pubblico si immerge in una aura ambientale che riproduce, attraverso suoni e immagini graficamente accattivanti, un'epoca che a volte sfugge nei sui confini temporali a favore o a causa delle dimensioni predominanti delle magniloquenti statue in gesso, simboli del World Centre of Communication, conservate ed esposte. A suggello di queste sequenze multimediali e museografiche, come cammei incastonati in una storia avvincente e lontana, si è pensato infine di raccogliere temi cari, affascinanti, simboli del ricco percorso artistico dei protagonisti attraverso una serie di Quaderni che raccolgano il materiale relativo agli 10 introduzione MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE allestimenti temporanei e permanenti, alle ricerche che possano fornire spunti e approfondimenti, fondamentali riferimenti bibliografici e archivistici. NOTE AL TESTO 1 Cfr. www.museoandersen.it: archivio mostre. Paesaggi e impressioni d’ Italia. Dipinti di Hendrik C. Andersen dal 1904 al 1940. (luglio- novembre 2009);Storia di un’anima. Immagini e memorie dal Diario di Olivia Cushing (1871-1917) (giugnoottobre 2010); La Fontana della vita: immagini e simboli (giugno- settembre 2012) 2 La realizzazione del progetto e la postazione sono stati realizzati da Spazio Visivo 3 Indicazioni bibliografiche principali: Museo H. C. Andersen, a cura di E. di Majo, Milano 2008; F. Fabiani, Hendrik Andersen, Gangemi 2008; A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011. Immagini di documentazione digitalizzata per conto della Gnam da Spazio Visivo nel 2011 11 allestimenti allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE “E la cosa più difficile diventa facile”. Esperienze educative per le scuole al Museo H. C. Andersen MARTINA DE LUCA FABIOLA DI FABIO Secondo il modello ecologico dello sviluppo di Urie Bronfenbrenner1, la scuola non è un luogo di formazione indipendente da tutti gli altri ambienti di vita dell’individuo ma, al contrario, è in stretta connessione proprio con tutto ciò che è al di fuori di essa. La scuola, cioè, è un microsistema autonomo, con caratteristiche uniche e tuttavia fortemente legato agli altri microsistemi che l’alunno vive quotidianamente (la famiglia in primis), nonché al macrosistema, base di tutte le interconnessioni, nel quale è inserita. Per tale motivo l’apertura della scuola al territorio è elemento imprescindibile del percorso formativo del bambino/ragazzo e si offre quale preziosa risorsa di conoscenza di realtà diverse rispetto a quelle vissute nell’ambito strettamente scolastico e familiare. Quale posto, dunque, per l’apprendimento al museo?2 Il museo, che si configura quale preziosa tessera di questo variegato mosaico, offre un luogo di apprendimento non formale, dove lo studente può fare esperienza diretta e attiva dei molteplici contenuti offerti dalle opere esposte. Le svariate tipologie di museo oggi disponibili permettono, infatti, di spaziare nei campi del sapere più vari, dall’arte alla storia, dalla letteratura alle scienze, dalla musica al cinema e via dicendo, creando un legame significativo con le discipline più specificamente curricolari. 15 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Da qui discende (ma ne è anche il punto di partenza) l’idea di una didattica che non sia solo trasmissione di contenuti preconfezionati, in uno scambio unidirezionale cha va dal docente all’alunno, ma un campo aperto di scoperte, approfondimenti e pensieri creativi e personali: una didattica attiva e progressiva, per dirla con il celebre pedagogista americano John Dewey3. E da Dewey arriviamo alle teorie dell’apprendimento più recenti, passando per un lungo cammino caratterizzato dalla consapevolezza sempre crescente di dover mettere il discente al centro del processo di insegnamento, fino al paradosso che l’apprendimento precede l’insegnamento4. A partire da questo approccio metodologico e considerata la specificità del Museo Andersen - una casa museo nata come luogo di abitazione e di lavoro dello scultore norvegese – è stato realizzato, dal 2009 al 2012, un programma di attività educative rivolto a scuole di differenti ordini e gradi, con l’obiettivo di stimolare forme di apprendimento attivo, attraverso un percorso di costruzione delle conoscenze che coinvolge anche la sfera emotiva. Utilizzando gli strumenti della normativa vigente, è stato possibile dare corso a progetti realizzati in partenariato con le istituzioni scolastiche5, con l’indubbio vantaggio di rendere più efficace l’attività al museo, in quanto contestualizzata e radicata nel percorso curriculare della classe. Per questo, ad esempio, ogni ciclo di attività ha previsto interventi degli operatori sia al museo sia a scuola. La scelta di organizzare ogni volta dei piccoli eventi finali ha, inoltre, offerto la possibilità agli studenti di condividere la loro esperienza con i compagni di scuola, gli amici e le famiglie e godere di una propria “visibilità” all’interno del museo. Ai bambini della scuola primaria è stato proposto di lavorare su temi come lo spazio del museo, la scultura, l’architettura e l’urbanistica. La scoperta della casa di Andersen e del suo lavoro è stato il pretesto per riflettere e approfondire le conoscenze intorno al concetto di spazio (nelle sue diverse decli- 16 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE nazioni: dallo spazio privato della propria casa fino allo spazio pubblico della città) e alle specificità del linguaggio scultoreo e la sua evoluzione nel tempo. In tutti i casi le esperienze proposte hanno cercato di legarsi con quanto quotidianamente i maestri proponevano nel loro lavoro in classe. Un ulteriore punto di forza del progetto è stato la scelta dell’équipe: i laboratori sono stati concepiti nell’ambito di una più vasta collaborazione con l’Università “La Sapienza”6 di Roma e hanno visto impegnato lo staff della Soprintendenza7, cui è stato affiancato ogni anno un diverso team di tirocinanti, provenienti da esperienze formative differenti (corsi di laurea storico artistici, pedagogici e Accademia di Belle Arti)8, nonché - nel caso dei laboratori dedicati alla scultura - si sono aggiunti alcuni artisti9, diversi per linguaggi e generazione, ma tutti pienamente coinvolti sin dalla fase progettuale del lavoro. L’esito è stata la trasformazione di un momento formativo in un processo di lavoro multidisciplinare, dove è stato possibile condividere i saperi e le esperienze propri della didattica museale, disciplina “di frontiera” dove confluiscono conoscenze e competenze afferenti a diversi ambiti disciplinari. Un’impostazione in parte simile è stata proposta per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, per i quali, però, accanto a percorsi brevi, è stato possibile, nell’ambito dell’Alternanza scuola – lavoro10, avviare percorsi di più ampio respiro. Diversi gli obiettivi, alcuni propri del programma dell’Alternanza, come l’acquisizione di competenze spendibili nel mondo del lavoro o l’orientamento al proseguo degli stu- 17 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE di, altri più legati allo specifico del museo, tra cui imparare ad apprendere con modalità peculiari dell’apprendimento al museo o il superamento delle barriere che di norma ostacolano l’apprezzamento dei musei da parte dei giovani. L’aver chiesto agli studenti di ideare, progettare, realizzare e sperimentare strumenti e attività di mediazione del Museo Andersen per i visitatori più giovani, li ha spinti a creare un proprio percorso di studio e di restituzione dei contenuti del museo, di cui hanno appreso i complessi meccanismi di funzionamento, partecipando appieno ad alcune delle questioni cruciali relative all’identità delle istituzioni culturali e del loro ruolo nella società attuale. Non va dimenticato, infatti, che uno degli obiettivi della didattica museale è maturare la consapevolezza del ruolo e del valore del patrimonio culturale per la comunità e rendersi conto della necessità della sua tutela e conservazione. Anche per i ragazzi, al pari dei loro colleghi più giovani, è stato previsto un evento finale di presentazione dei lavori realizzati, che ha costituito un momento molto importante di condivisione e di apertura al territorio. Attività educative per la scuola primaria I laboratori dedicati agli alunni di scuola primaria sono stati concepiti con l’obiettivo di creare un legame significativo tra scuola e museo, secondo la già citata prospettiva ecologica. Dunque il punto di partenza è stato scegliere temi inerenti il museo, declinati in attività che potessero essere svolte sia a scuola sia al museo. I temi sono stati adattati all’età dei bambini e hanno coperto l’intero ciclo della scuola primaria. Per i piccoli alunni della prima e seconda classe, i laboratori dal titolo “La mia casa è un museo” si sono concentrati sul tema del museo come luogo di abitazione e atélier dell’artista, secondo una prospettiva più consona alla mente dei bambini all’inizio dell’età scolare, quando c’è ancora biso- 18 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE gno di ancorare fortemente l’apprendimento alle proprie esperienze quotidiane. Per tale motivo il primo incontro svolto a scuola è stato finalizzato alla conoscenza dello spazio-casa, attraverso giochi e attività che hanno permesso ai bambini di riconoscere, definire e classificare i vari ambienti che costituiscono una casa. Dal generale si è poi passati al particolare e i bambini sono stati sollecitati e descrivere l’ambiente di casa per loro più intimo: la propria cameretta. Una volta al Museo, poi, accolti da un operatore che vestiva i panni di Andersen, i bambini hanno esplorato tutti gli ambienti di casa Andersen, studiandone la disposizione degli spazi e il loro uso. L’ultima fase ha riguardato la riproduzione di un dettaglio della propria cameretta, con una breve descrizione che ne ha costituito la didascalia: i disegni sono stati, così, esposti nelle sale del primo piano del Museo, creando un dialogo significativo ed emozionante tra spazi abitati ed opere del passato e spazi vissuti e testimonianze del presente. Il laboratorio “La Scultura: dare forma allo spazio” è stato pensato per gli alunni di terza e quarta classe e si è caratterizzato per il coinvolgimento degli artisti, a ognuno dei quali è stata affidata una classe che hanno seguito per l’intero percorso. L’obiettivo è stato fornire ai bambini una conoscenza approfondita del linguaggio scultoreo, partendo da una riflessione generale sulla differenza tra i concetti di spazio bidimensionale (come un dipinto) e tridimensionale (come lo spazio intorno a sé, a partire dal proprio corpo e per finire al- 19 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE la scultura). L’idea della funzione comunicativa dello spazio è stata esplorata anche attraverso brevi drammatizzazioni. Nell’incontro al museo i bambini hanno familiarizzato prima con gli spazi di casa Andersen e poi con quelli di lavoro dello scultore, osservandone accuratamente le opere, di cui hanno scoperto materiali e tecniche. Infine si sino cimentati direttamente nei panni dello scultore, avvalendosi di svariati materiali (pongo, panetti di sapone, legno, cartone, cartoncino…) che hanno scolpito, modellato e assemblato secondo i due principali modi “per via di levare” e “per via di porre”. L’ultimo incontro, avvenuto di nuovo in classe, ha permesso ai bambini di lavorare a stretto contatto con un artista contemporaneo, che ha mostrato loro il proprio lavoro e le tecniche utilizzate, sollecitando poi i bambini a realizzare delle opere ispirate a quanto visto. Tutti i lavori realizzati nel corso del laboratorio sono stati esposti al museo, dove i bambini hanno partecipato all’allestimento, guidati dagli operatori e dagli artisti, sia a scuola, dove hanno presentato direttamente la loro esperienza agli alunni e agli insegnanti delle altre classi. 20 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Per i bambini di classe quinta e i ragazzi delle prime due classi della scuola secondaria di primo grado, è stato proposto il laboratorio “Città reali, Città immaginarie”, con l’obiettivo di stimolare la riflessione circa le problematiche della città contemporanea. Anche in questo caso si è mantenuta la struttura tripartita degli incontri. Il primo incontro, che ha avuto luogo in classe, ha avviato i bambini alla scoperta della città, partendo dalla via della propria casa e m a nte ne ndo come punto di riferimento il centro di Roma e la posizione del Museo Andersen all’interno di esso. Il focus si è poi allargato ai problemi che viviamo quotidianamente nella nostra città e, attraverso giochi e teatralizzazioni, i bambini hanno approfondito temi quali l’inquinamento, i rifiuti, il traffico, il parcheggio e l’importanza delle aree verdi e del riciclo. Al Museo Andersen i bambini hanno sperimentato l’evoluzione storica di Roma (dall’antichità ad oggi), prima osservando diverse rappresentazioni cartografiche della città, che hanno illustrato i cambiamenti avvenuti sul territorio in seguito alla sua espansione, e poi assistendo al racconto di personaggi celebri che hanno segnato in modo significativo il volto di Roma (ad es. l’imperatore Adriano o il sindaco Ernesto Nathan). Infine gli operatori hanno introdotto il progetto utopico di Andersen circa la Città mondiale della comunicazione, mostrando ai bambini i materiali conservati nel Museo. 21 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Tale discorso è stato poi ripreso nel corso dell’ultimo incontro in classe, dove i bambini, indossando i panni dell’architetto e dell’urbanista, hanno lavorato in gruppo alla progettazione di una propria città ideale. Anche in questo caso i laboratori sono stati seguiti da un evento finale, realizzato sia a scuola sia al Museo. L’Alternanza scuola - lavoro Questa breve carrellata di attività si conclude con i progetti realizzati con i ragazzi degli ultimi anni della scuola secondaria di secondo grado, come previsto dalla normativa che disciplina l’Alternanza scuola – lavoro12. La scelta di questo specifico strumento normativo è stata dettata proprio dalla prospettiva teorica sottesa al lavoro dei Servizi Educativi del Museo, per i quali, come più volte ribadito, è stato assolutamente prioritario considerare lo studente al centro del progetto formativo offerto. L’Alternanza, infatti, sottolinea in modo ancora più forte l’importanza dell’“uscita” dei ragazzi dalla scuola per aprirsi al territorio e, in particolar modo, alle realtà lavorative possibili al termine del percorso di studi. In questo modo i giovani hanno l’opportunità di mettere in campo le proprie competenze, di sperimentare attivamente i saperi appresi e di vedere “concretamente” finalizzato il proprio studio. I progetti realizzati al Museo Andersen durante gli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011, in convenzione con l’Istituto d’Arte di Anagni, hanno previsto la progettazione e realizzazione, rispettivamente, di una serie di arredi per la didattica museale, tra cui tre tipologie diverse di un tavolo pieghevole per bambini (IsAndersen), e di un teatro di burattini sulla vita di Andersen (TeatrAndersen). I ragazzi sono stati impegnati per una media di 70-90 ore nell’arco dell’anno scolastico e hanno svolto svariate attività, sia teoriche sia pratiche, articolate in tre fasi. La prima fase, definita “teorica”, è stata una fase di preparazione e orientamento, effettuata prevalentemente a Roma e al Museo Andersen, dove i ragazzi hanno approfondito la cono- 22 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE scenza del Museo e delle sue collezioni. Inoltre hanno svolto incontri su argomenti concernenti le professionalità del museo, la didattica museale e le modalità di stesura di un progetto e si sono recati presso accademie ed istituti superiori (come l’Accademia di Moda e Costume, l’Istituto Quasar, l’ISIA), in cui hanno potuto avere un’idea concreta dei percorsi post-diploma disponibili sul territorio. La seconda fase, cosiddetta “pratica”, ha visto i ragazzi impegnati direttamente nella messa in opera dei progetti e si è svolta nei laboratori della scuola, sotto la supervisione dei docenti: i ragazzi hanno lavorato in gruppo, secondo le diverse specializzazioni del proprio indirizzo di studio (es. architettura, tessitura). La terza e ultima fase ha riguardato la “restituzione” di quanto prodotto. I ragazzi hanno seguito personalmente l’ideazione e la r e a l i z z a z i o n e dell’“evento finale”, che ha avuto luogo presso l’ex auditorium di Anagni e ha visto coinvolte alcune classi della scuola primaria, nonché gli altri alunni e i docenti dell’Istituto d’Arte. Per l’occasione i ragazzi del progetto IsAndersen hanno esposto i loro prototipi per bambini, mentre i compagni del progetto TeatrAndersen hanno messo in scena uno spettacolo sulla famiglia Andersen con i burattini realizzati nel corso dell’anno13. 23 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Questa fase è stata molto importante per i ragazzi che hanno partecipato alle attività dell’Alternanza, poiché per loro ha voluto dire acquisire consapevolezza dell’impegno preso e del lavoro svolto, vedendo concretamente in atto il frutto del proprio studio. E nelle parole di una studentessa che ha partecipato al progetto TeatrAndersen, ritroviamo molti dei pensieri che ci hanno accompagnato nel ripercorrere il cammino delle esperienze educative del Museo Andersen: “L'alternanza è per me un processo di crescita che ti permette di mettere in pratica le tue competenze in un ambiente diverso e più maturo di quello scolastico che è quello del lavoro. Parteciparvi è stato per me importante perché non solo mi ha permesso di autovalutarmi, ma mi ha anche insegnato a condividere pensieri e opinioni con gli altri e a lavorare in gruppo, questo era un mio limite perché io ero abituata a lavorare da sola e ho dovuto imparare a rispettare e ad ascoltare anche le idee degli altri. In più l'alternanza da la possibilità a ragazzi meno fortunati di uscire da una certa quotidianità, facendo visitare loro città e musei che non avrebbero visto in altro modo. Penso che partecipare a questi progetti sia fondamentale, perché avere un'opportunità di crescita e maturazione a costo zero non è una cosa da sottovalutare” (Marta, 20 anni)14. NOTE AL TESTO 1 U. Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna 2002. Su questi argomenti Cfr M. De Luca, Un esempio di trasposizione didattica: la didattica museale, in P. Lucisano, A. Salerni, Didattica e conoscenza. Appunti per apprendisti educatori, Carocci, Roma 2013, pp. 221-239. 3 J. Dewey, Esperienza e educazione, La nuova Italia, Firenze 1993. Sul rapporto tra apprendimento ed esperienza v. anche H. Gardner, Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Feltrinelli, Milano 2011. 4 P. Lucisano, Costruire esperienze educative, in P. Lucisano, A. Salerni, op. cit. 5 Ci si riferisce, in particolare, all’Accordo di programma quadro MIBAC - MPI, 20 marzo 1998 che, con l’autonomia scolastica (DPR n. 275, 25 febbraio 1999), riconosce la possibilità di stipulare accordi tra le singole istituzioni scolastiche e musei/ soprintendenze per realizzare congiuntamente progetti educativi. Ulteriore possibilità 2 24 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE è fornita dall’Alternanza scuola-lavoro, introdotta in Italia con l’art. 4, Legge delega n. 53/03. Successivamente, con il D.lg. n. 77 del 15 aprile 2005, viene disciplinata quale metodologia didattica del Sistema dell'Istruzione per consentire agli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età di realizzare gli studi del secondo ciclo anche alternando periodi di studio e di lavoro. La finalità prevista è quella di motivarli e orientarli e far acquisire loro competenze spendibili nel mondo del lavoro. 6 Per il Corso di laurea in Scienze della formazione e dell’Educazione, Facoltà di Filosofia, presieduto da Pietro Lucisano, ha collaborato Paolo Marabotto. 7 Oltre a chi scrive, hanno collaborato con i Servizi Educativi del Museo Andersen Susanne Meurer e Paola Guarnera, cui si deve la redazione del dossier per i docenti relativo al Museo e alla sua collezione, dal quale è possibile trarre informazioni e suggerimenti per la realizzazione di percorsi didattici. 8 I tirocinanti che hanno seguito i laboratori sono: Chiara Bolasco, Chiara Ferrara Luisa Gioia, Alessandro Musella, Cecilia Rumi, Francesca Canessa, Silvia Pietropaoli e Noemi Rossi. 9 Gli artisti che hanno condotto i laboratori sono: Edoardo De Robert, Bruna Esposito, Paola Equizi, Lucamaleonte e Vincenzo Rulli. 10 V. nota 5. 11 L’ambiente della mediazione didattica è il museo e i processi di apprendimento e di insegnamento si svolgono in rapporto con gli oggetti e le esposizioni; l’apprendimento al museo è differente dall’apprendimento nelle aule scolastiche perché mette in campo abilità e competenze che vanno al di là dell’ascolto e della memorizzazione. Gli obiettivi della didattica museale sono la costruzione di conoscenze e competenze attraverso la lettura degli oggetti. Qualunque sia la sua natura, l’oggetto museale è una fonte di informazioni ricca di potenzialità comunicative. Leggere i beni culturali vuol dire osservarli, descriverli, metterli in relazione per produrre le informazioni che devono essere integrate al fine di formare la conoscenza. Fornire gli strumenti per leggere gli oggetti museali è uno degli obiettivi fondamentali della didattica museale; l’importante è che alla fine dell’esperienza al museo, il discente abbia sviluppato strutture di pensiero, visivo, estetico, storico attraverso l’esercizio di lettura delle esposizioni. Cfr. M. De Luca op.cit. 12 V. nota 5. Per un panorama approfondito sull’Alternanza scuola – lavoro, nonché sui progetti realizzati presso il Museo Andersen, v. A. Musella, Il partenariato scuolamuseo: l’alternanza scuola-lavoro. L’esperienza della Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, tesi di laurea, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, dicembre 2012. 13 Il progetto IsAndersen si è svolto nel corso di due anni scolastici (2009/2010 e 2010/2011), per questo l’evento finale ha coinciso con la chiusura del progetto TeatrAndersen, condotto nell’a.s. 2010/2011. 14 A. Musella, op. cit., p. 49. 25 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il Museo Andersen tra antico e contemporaneo BENEDETTA MARCELLI La storia istituzionale del museo Hendrik Christian Andersen di Roma è relativamente recente; la struttura è stata inaugurata solo nel dicembre del 1999, in seguito ai lavori di restauro e ristrutturazione voluti dal Ministero dei Beni Culturali. Le vicende storiche e artistiche della palazzina in uno stile tra il Neo-Rinascimentale e Liberty risalgono invece agli inizi degli anni Venti. La struttura architettonica è stata progettata dallo stesso Andersen il quale, trasferitosi a Roma già dal 1897, decise di costruirsi un edificio che fosse studio e abitazione e che, alla sua morte, sarebbe stato donato in eredità allo Stato italiano. Nonostante la morte dell'artista sia giunta nel 1940, soltanto nel 1978, in seguito alla scomparsa di sua sorella adottiva Lucia - usufruttuaria del lascito - ebbero inizio le vicende pubbliche dell’immobile. Ma ciò che importa oggi è che la costruzione di via Mancini sia diventata quello che lo scultore norvegese aveva sempre pensato e voluto, una casa museo, un luogo vissuto dall'artista stesso e dal suo circolo culturale del tempo, nel quale i posteri avrebbero potuto ammirare le opere e i progetti che ebbero poca fortuna nel periodo della loro realizzazione. Fin dai primi anni di apertura al pubblico, il museo Andersen non ha voluto essere solo un “contenitore” finalizzato alla semplice esposizione delle opere dello scultore norvegese, ma si è caratterizzato per l'arricchimento annuale di allestimenti temporanei. Tali esposizioni hanno spesso cercato di mettere in dialogo l’arte classica dell’artista – che era pur vissuto in epoca avanguardista - con quella contemporanea di artisti nazionali ed internazionali. Hendrik Christian Andersen era nato in Norvegia, ma da piccolissimo, insieme alla famiglia, si era trasferito in America, 26 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE dove aveva passato la maggior parte dell'adolescenza. Gli studi lo avevano poi portato a compiere un viaggio di formazione in Europa e, una volta terminato il percorso scolastico, aveva deciso di stabilirsi definitivamente in Italia. Una personalità cosmopolita, che pur avendo radici ben salde, apprende dalle culture e dai luoghi con cui viene a contatto durante il corso della sua vita. Seppur cercasse una rassicurante stabilità, Andersen era un instancabile viaggiatore, con una base fissa, ma sempre in movimento. Roma è la città che sceglie per sé e la sua famiglia, l'Italia la nazione a cui decide di lasciare tutta la sua eredità. Un flusso continuo di correnti intellettuali che si incontrano nel paese che era culla della cultura. Un’interessante combinazione che ben rispecchia non solo la personalità dello scultore, ma anche la volontà di fare di questo museo un luogo di confronto tra arti e nazionalità diverse. Dal 1999 ad oggi il museo ha ospitato mostre di pittori contemporanei italiani e stranieri (“LINO MANNOCCI. Let there be smoke” e “ROBERT DE NIRO, SR” entrambe del 2005); mostre di fotografia, nell’ambito e non dei vari Festival Internazionali (“CECILE BEATON. The Dandy Photographer” nel 2002, “Fotografia contemporanea Israeliana” nel 2005); video istallazioni (“Rassegna d’arte MAXXI Installazioni” nel 2007, in cui venivano presentate 5 opere dalla collezione del MAXXI, Tony Oursler, Bill Viola, Michelangelo Pistoletto, Sandinson e Maurizio Mochetti). Ne citerò di seguito alcune che mi sembrano essere più rispondenti e significative per il senso di questo saggio. L’intento di conferire una particolare attenzione nei riguardi degli artisti stranieri e dei loro ateliers in Italia - e specificatamente a Roma - fra Otto e Novecento, si realizza con la mostra del 2008 dedicata allo scultore olandese Pier Pander (Drachten 1864 – Roma 1919), personaggio dalle vicende storiche e artistiche molto simili a quelle di Hendrik. 27 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Pander, dopo il periodo di formazione alla Scuola d’Arte e Mestieri di Amsterdam e l’esperienza all’Ecole des BeauxArts di Parigi, vince nel 1885 il primo premio per il pensionato romano bandito dal governo olandese con la scultura Ninfa nell’acqua opera che, nel modellato e nelle proporzioni, si identifica, fin dagli inizi della sua poetica, nel solco del classicismo purista. Giunto a Roma - dove si trasferisce a partire dal 1890 – risiede in via Nomentana, in una casa-atelier, che diventa frequente e accogliente luogo d’incontro per la colonia di artisti, scrittori e viaggiatori olandesi. La presenza delle sue sculture, soprattutto bassorilievi, ad alcune esposizioni romane degli Amatori e Cultori di belle Arti, fra fine Otto e primi Novecento, gli garantisce una certa notorietà negli ambienti artistici della città di adozione – anche se è stata soprattutto l’Olanda ad offrire all’artista prestigiose occasioni di lavoro -. Il progetto di Pander di una sorta di “Tempio dell’Arte”, costituito da cinque monumentali nudi simbolici maschili e femminili – Alba, Emozione, Pensiero, Coraggio, Forza - accomuna straordinariamente lo scultore alle utopiche visioni di Hendrik C. Andersen. Per quanto riguarda invece le esposizioni temporanee e contemporanee di artisti che hanno creato ex-novo delle opere, relazionandosi e diaFig. 1 logando con la produzione di Andersen e con la casa-museo stessa, credo che sia degno di nota l’allestimento di Yinka Shonibare, nel dicembre del 2001, dal titolo “Be-muse”. [fig. 1] 28 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il museo Andersen ha accolto nelle sue sale le opere di un artista che, come Hendrik, ha più nazionalità e si sente parte di più culture. Un uomo diviso e allo stesso tempo arricchito da formazioni intellettuali differenti. Un viaggiatore che si ferma a Roma e ne rimane colpito, che crea, stimolato dal luogo, pur mantenendo viva la propria impostazione. Nella sua prima personale italiana l’artista anglo-nigeriano Yinka Shonibare, oltre a presentare alcuni dei suoi lavori fotografici, realizza due opere ispirate da una visita al museo Andersen stesso: Le tre grazie, che riprende le mosse di una foto di archivio di Helene, Olivia e Lucia Andersen, e H. C. Andersen & Henry James, opera che prende spunto dall’amicizia realmente intercorsa tra lo scultore e lo scrittore e dal prolifico rapporto epistolare che i due intrattenevano. Del 2006 è invece la mostra “OLTRECONFINE. Persistence and Abnormal” con le opere di Claudio Gobbi e Daniela D’Avino, in arte Chiba. [fig. 2] Frutto di una collaborazione tra l’Università La Sapienza e la DARC – Direzione Generale Fig.2 29 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE per l’architettura e l’arte contemporanea - l’allestimento presenta il lavoro solo apparentemente minimale del fotografo Claudio Gobbi e le creazioni fantasiose di Chiba. I lavori dei giovani artisti suggeriscono una riflessione sulla fruibilità dello spazio e sul confine che esso rappresenta, e pongono l’accento su una dimensione percettiva. In particolare mi interessava parlare delle opere di Chiba, che forse più di quelle di Shonibare, riescono a far capire il concetto di opera realizzata per questo particolare spazio espositivo. L'intento dell'artista contemporaneo al museo Andersen è di nuovo quello di ispirazione, confronto e dialogo con la produzione dello scultore di origine norvegese. Le tre creazioni di questa mostra sono infatti un omaggio ai giganti creati da Andersen e mai usciti dal suo studio. Bizzarri personaggi-giocattolo, che prendono il nome di Hendrik, Alice e Hieronymus, sono sculture di polistirolo e lattice che invadono lo spazio e invitano allo sconfinamento. Così come i momunentali gessi di Andersen affollano le sale dello studio e dell'atelier, così i giganteschi pupazzi di Chiba occupano le stranze troppo piccole del piano superiore. Una grandiosità fisica, e di progetto, che visivamente appare racchiusa in uno scrigno dal quale non riesce ad uscire. Nell’ambito della IV Giornata del Contemporaneo del 2008 si colloca invece l’installazione dell’artista rumeno Geo Florenti “Interno UNO”. Anche questa opera è nata per prendere vita specificamente all’interno del museo Andersen. Luce ed energia trovano un incontro concettuale nel momento in cui l’una e l’altra sono alla base del dibattito per la sopravvivenza. L’installazione che l’artista ha voluto sperimentare ha qui dunque la funzione di illuminare, nel buio assoluto, alcune sculture di Hendrik, nonché di rendere, allo stesso tempo, l’atelier luminoso e fruibile. L'illuminazione dell'artista rumeno, generata attraverso un sistema di autocreazione di energia, evidenzia, nell’oscurità dello spazio, volti, corpi e movimenti dei colossi dello scultore norvegese che solo così sembrano poter esistere e mostrarsi. 30 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Ultima, in ordine di tempo, la mostra di Luigi Ontani 'AnderSennoSogno' (terminata il 24 febbraio del 2013). Un altro artista che, pur essendo italiano, ma viaggiando molto all'estero, trae ispirazione dal viaggio e dalla grandiosità delle sculture di Andersen per creare delle opere capaci di confrontarsi e integrarsi con quelle di Hendrik. Ontani compie un percorso all'interno del proprio immaginario attraversando le suggestioni stimolate dalla collezione del museo. Le sue maschere musicali di Bali diventano parti dei grandi gessi disposti nello studio e in un tutt'uno di tempi e spazi, sembrano muoversi al ritmo della colonna sonora di sottofondo. [fig. 3] Fig.3 Un breve excursus per dimostrare come un museo come questo sia capace di offrire molte ed interessanti occasioni di comunicazione culturale contemporanea, offrendosi esso stesso come materia da plasmare per nuove operazioni artistiche. 31 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE L’arte va in scena… SUSANNE MEURER Interrogato sul segreto del successo dei suoi film, un famoso produttore hollywoodiano disse che ci vogliono tre cose per fare un grande film: “Location, location, location!” E, a quanto pare, alcuni dei suoi colleghi hanno trovato una location giusta nella casa-museo H. C. Andersen. Il villino liberty, l’atmosfera particolare fra le statue bianchissime a grandezza sovrannaturale ma anche gli ampi spazi e la facile accessibilità hanno fatto crescere l’interesse per il museo Andersen, come testimoniano le pellicole per cinema, TV e pubblicità che sono state girate da noi. Questi “set” hanno spesso offerto l’occasione per incontri speciali con registi, scenografi e fotografi che hanno saputo apprezzare e rispettare le particolari atmosfere del museo. Cosa fa scegliere una location? I “cinematografari” romani sono sempre alla ricerca di posti nuovi e particolari che possano dare al film quel qualcosa in più che solo la location perfetta ti può dare. Gli ambienti, la luce, la facilità di posizionare le macchine da presa all’interno e la possibilità di invadere gli spazi con macchinari ed una troupe di 30 persone sono un altro aspetto importante… A volte però la location, invece di essere trasformata dagli scenografi in ambienti fantasiosi, deve essere semplicemente quella che è – nel nostro caso, un museo. E così, quando nel 2002 il regista Antonello Grimaldi (Caos calmo, L’età dell’oro) ha cercato un museo dove girare il suo giallo “Gli insoliti ignoti”, Gli insoliti ignoti, regia Antonello Grimaldi, i tre protagonisti nel museo la scenografa Eugenia di Napoli ha avuto un colpo di fortuna a trovare l’Andersen. 32 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il film, interpretato da Valerio Mastandrea, Carlotta Natoli e Marco Giallini, racconta di un "insolito" gruppo di ladruncoli dilettanti a cui finalmente si presenta l'opportunità di realizzare un colpo che potrebbe cambiare la loro vita: rubare una preziosissima tela custodita in un museo. La storia è molto vagamente ispirata al capolavoro di Mario Monicelli I soliti ignoti, o meglio, al tentativo di descrivere quel mondo di poveri, ma non troppo, che si barcamenano sul filo fra legalità e piccoli furti. I nostri ladri sono: Cosimo Spadoni (Valerio Mastandrea), un elettricista con una leggera propensione a delinquere; il suo amico Ruggero (Marco Giallini), a cui viene affidata la parte strategica del grosso colpo da eseguire; Marisa Spadoni (Carlotta Natoli), la moglie di Cosimo, che il caso vuole essere proprio la vigilante del museo dov'è custodito il raro dipinto. I personaggi simpatici ma un po’ sgangherati vorrebbero dare una Gli insoliti ignoti, regia Antonello Grimaldi, svolta ad una vita fin i tre protagonisti nel museo troppo normale rubando un'opera d'arte e invece ne scopriranno la bellezza, rimanendone affascinati e quasi commossi. Le statue di Andersen questa volta sono diventate spettatori di una commedia dai risvolti inaspettati che si tinge di giallo ma in cui alla fine, grazie all’arte, prevale il lato umano. 33 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Non solo cinema però: l’ambiente particolare dello studio dello scultore norvegese all’interno del quale sono conservate le sue statue in gesso ha attirato molti artisti dell’immagine. Al museo Andersen è passato anche il gettonatissimo fotografo peruviano Mario Testino, fotografo per riviste di moda da Vogue a Vanity Fair e per le campagne di Gucci, Dolce & Gabbana, Versace e Burberry, acclamato ritrattista con al suo attivo mostre personali alla National Portrait Gallery di Londra e al museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Nel 2007 realizzò un servizio fotografico per Vogue America con la modella e attrice Sienna Miller nel nostro museo. Il risultato di questo set è una serie di immagini folgoranti in cui la bellezza palpitante della modella, viva, luminosa, si staglia contro un turbinio di membra in gesso bianchissime, “bigger than life”. Con il suo vaporoso abito bianco la modella sembra quasi una Cenerentola sul punto di fuggire... Una delle foto di questo servizio fu scelta per pubblicizzare la grande mostra Todo o Nada di Mario Testino a Roma nel 2011. La foto è visibile a: www.fondazionememmo.it/fondazione_memmo/ Mario_Testino.html Il museo Andersen, chiamato anche Villa Helene, ha incantato diversi scenografi grazie al suo aspetto liberty, gli ampi saloni ed i dettagli in stucco creati dallo scultore Hendrik C. Andersen in persona. Gli spazi che non hanno subito trasformazioni violente ma che sono stati mantenuti con cura nel loro aspetto originale permettono di ricreare atmosfere d’altri tempi. A volte poi, l’incanto si ripete. Questo è stato il caso della scenografa Beatrice Scarpato che si è trovata per la prima volta davanti al museo Andersen nel 1997, quando per il film Viola di Donatella Maiorca cercava un edificio di inizio secolo che avesse dei lavori in corso sulla facciata - e il museo Andersen giusto in quel periodo fu in ristrutturazione. Dopo questo primo “assaggio”, la scenografa fu conquistata anche dagli interni, belli, fermi nel tempo, dai vetri colorati 34 allestimenti MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE dai toni accesi, dalle grandi porte finestre e dai toni tenui delle pareti. Per via della ristrutturazione gli interni furono girati negli ex studi De Paolis di Via Tiburtina ma alcuni dettagli dei saloni hanno trovato spazio nella ricostruzione degli ambienti in studio, con soddisfazione della scenografa. Diversi anni dopo, la sala restaurata del Museo Andersen le era sembrata il luogo ideale per ospitare un altro set, questa volta per una scena della serie televisiva Tutti pazzi per amore III (regia di Laura Muscardin). Nella finzione si è trattato dell’installazione dell’artista Jean Claude Lewinsky che espone se stesso dormiente sotto una teca di vetro costruita appositamente per la realizzazione della scena. Il museo Andersen ospita ogni anno diverse mostre di giovani artisti italiani e stranieri – evidentemente, in questo caso realtà e finzione sono venute a confondersi! Tutti pazzi per amore III, regia Laura Muscardin, rendering della teca di vetro Il museo Andersen è mutevole, sa cambiare aspetto in base alla luce, agli ospiti che hanno saputo interpretare gli spazi con creatività e fantasia, siano essi artisti, scenografi o direttori della fotografia. Per vocazione è un luogo dedicato agli incontri fra artisti e fra questi, l’incontro con la settima arte ci sembra davvero speciale… Ringraziamo la Publispei, Beatrice Scarpato e John Allan della Higher & Higher per la gentile collaborazione. 35 ricerche ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE La Villa Helene di Hendrik Christian Andersen: aspetti urbanistici e architettonici MARIA SOLE CARDULLI Fra le pieghe del piano regolatore di Roma del 1909, con le varianti degli anni Venti, e la storia della dirompente espansione postunitaria della capitale si colloca la vicenda edilizia di Villa Helene, la casa– atelier di Hendrik Christian Andersen, costruita fra il 1922 e il 1924. Nel contesto del quartiere fuori Porta del Popolo, allora di recente espansione, si innesta un gusto architettonico d’oltreoceano. Da un lato il caso di Villa Helene rappresenta quasi un esempio paradigmatico della evoluzione della normativa edilizia Fig.1 in quegli anni, dall’altro risponde a istanze estetiche che solo parzialmente si inquadrano nelle tendenze eclettiche della Roma fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, trovando particolari riferimenti nel panorama architettonico americano. La casa di Andersen entra così in risonanza con la vicenda biografica e artistica dello scultore. La profonda consonanza formale – risultato sia della contingenza storica e biografica che del gusto dell’artista – fra l’opera di Andersen e l’edificio in cui essa è ospitata amplifica così quei caratteri di unitarietà e completezza che costituiscono oggi una delle principali specificità del Museo Hendrik Christian Andersen [fig.1]. 41 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE La vicenda della costruzione di Villa Helene è nota. Al rifiuto del primo progetto presentato alla Commissione edilizia comunale dall’impresa dell’ingegner Francesco Settimi nel dicembre 1922 fanno seguito prima l’approvazione con riserva del secondo progetto del maggio 1923 (la Commissione “è del parere che si approvino le piante e si respingano i prospetti affinché siano semplificati e ripresentati entro un mese, sopprimendo i quattro riquadri al pian terreno e facendo proseguire il pilastro dei piani superiori anche al piano sottostante”) e poi l’approvazione definitiva nel luglio del 1923. Nel dicembre del 1924 viene infine concessa l’abitabilità allo stabile (la documentazione, conservata presso l’Archivio Storico Capitolino, Verbali Ispettorato Edilizio Sanitario, è parzialmente edita in Liguori 1999; di Majo 2008). Il progetto del maggio 1923 è denominato “Costruzione di una palazzina con annesso studio di scultura in zona di ampliamento destinata a villini”. Tale titolazione rispecchia l’acceso dibattito urbanistico degli anni in cui fu costruita la casa–atelier di Andersen, nonché le deviazioni in cui erano incorsi gli intenti originari del piano regolatore del 1909. Appena una settimana dopo la breccia di Porta Pia veniva istituita per Regio Decreto una Commissione di architetti e ingegneri “per l’ingrandimento e l’abbellimento” di Roma. Se il Governo unitario non mancò di prendere immediatamente atto dell’importanza nazionale dei complessi problemi urbanistici della città, la situazione con la quale ci si confrontava era delle più complesse. Roma, divenuta capitale d’Italia, doveva dotarsi di adeguate sedi istituzionali, mentre, nell’arco del trentennio successivo al 1870, vedeva raddoppiata la propria popolazione, in particolare a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, in concomitanza con la cosiddetta «febbre edilizia», per poi conoscere una forte crisi economica fra il 1888 e il 1901. Superata la congiuntura sfavorevole si riaprivano i cantieri e gli indici demografici avrebbero quindi registrato un progressivo incremento fino alla Grande Guerra e all’epidemia di febbre spagnola del 1918 (Castagnoli 1958; Quaroni 1969; Bartolini 2002). 42 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il 10 febbraio 1909 veniva approvato, a ridosso della scadenza di quello precedente, che risaliva al 1883, il nuovo piano regolatore redatto da Edmondo Sanjust di Teulada, allora capo del genio civile di Milano, su incarico del sindaco Ernesto Nathan (Insolera 1993). Per la prima volta l’Amministrazione capitolina si dotava di uno strumento urbanistico che configurava un disegno complessivo della città, accentuando la funzione direzionale del centro storico e collocando i quartieri residenziali lungo le direttrici di espansione già impostate, secondo un disegno radiale. Fra le zone di espansione si individuava proprio il quartiere Flaminio, fuori dalla Porta del Popolo, fra l’ansa del Tevere e la via Flaminia, dove sorse la casa-atelier di H. C. Andersen: dopo una prima vocazione industriale, con l’esposizione del 1911 il quartiere assumeva quel carattere di polo culturale che avrebbe mantenuto fino ad oggi (Casciato 2002; Marino 2003; Vittorini 2004). Il piano del 1909 introduceva inoltre il principio dell’azzonamento, cioè la suddivisione degli edifici di abitazione in diverse categorie, ognuna delle quali rispondente a determinati parametri, allo scopo di limitare la densità abitativa. In particolare il piano prevedeva che venissero costruiti nelle zone di espansione tre tipi di abitazioni, denominati “fabbricati”, “villini” e “giardini”, le cui caratteristiche erano specificate nel regolamento generale edilizio e nel regolamento speciale edilizio del 1912. I fabbricati potevano essere alti fino a 24 m; per i villini, che dovevano essere circondati da ogni lato da giardinetti, erano previsti solo due piani oltre il piano terra; i giardini, infine, potevano essere edificati con stabili di lusso per non più di 1/20 della loro superficie. Dall’azzonamento dipendevano il numero e la densità degli abitanti, sui quali si basavano le dimensioni dei quartieri, i servizi, le sezioni stradali, il numero delle piazze, “l’efficienza tecnica insomma dei singoli quartieri. Occorreva e bastava far rispettare il vincolo dei villini e dei giardini” scrive Italo Insolera (Insolera 1993). “Fu proprio questo, invece, che non si rispettò”. Appena approvato, infatti, il concetto stesso di 43 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE villino è sotto attacco: i proprietari dei terreni fabbricabili destinati a villini si sentono defraudati della possibilità di sfruttamento economico che un edificio più alto avrebbe loro garantito, in ciò supportati per altro dal quadro normativo italiano. Comincia così quella che lo stesso Insolera definisce “operazione palazzina” che vede la graduale sostituzione, lotto per lotto, dei villini a un’altra, più intensiva, tipologia edilizia. Le “palazzine”, infatti, potevano arrivare a 19 metri con quattro piani oltre all’attico, mentre il giardino circostante era di meno di 6 metri di profondità e scompariva verso la strada. Alla luce di tale normativa edilizia si inquadra dunque il caso di Villa Helene “una palazzina con annesso studio di scultura in zona di ampliamento destinata a villini”, come recita il citato progetto del maggio 1923. La casa di Hendrik Christian Andersen, in rispondenza a tale quadro normativo, si presenta perciò come una palazzina con un piano terra costituito dallo studio e dall’atelier di Andersen, sormontato dal piano nobile terrazzato e da un altro piano di abitazione. Il complesso fu poi sopraelevato nel 1935 dallo stesso Andersen di un ulteriore piano dotato di terrazze agli angoli. Per quanto riguarda la definizione storico-artistica dell’aspetto decorativo di villa Helene occorre invece allargare l’orizzonte oltre il panorama romano e italiano. Francesco Settimi, alla cui impresa Andersen si era rivolto per il progetto della sua casa-atelier, è stato autore di diversi interventi di restauro nella Roma post-unitaria, come quello di palazzo Fiano in via del Corso, di palazzo Sciarra, dell’ampliamento di palazzo Vidoni in corso Vittorio Emanuele (1886), ma anche di vari cantieri edilizi, come l’albergo Eden in via Pinciana, un edificio in via dello Statuto (1889), una casa in Prati fra via Orazio e via Boezio. Paolo Portoghesi, nella sua ancora fondamentale monografia sull’eclettismo romano, lo elenca in una serie di architetti, fra i quali Francesco Azzurri, Antonio Cipolla, Pietro Carnevale, Gaetano Koch, Pio Piacentini, Giulio Podesti, Ettore Bernich, Carlo Busiri-Vici, Giulio De Angelis, “di formazione culturale omo- 44 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE genea, di gusti in linea di massima convergenti, cosciente della propria missione e fedele a una tradizione professionale di probità e di impegno”, compagine alla quale “va attribuita quasi per intero la responsabilità del nuovo volto assunto dalla città, il merito di aver definito lo spazio di alcune strade con un tessuto omogeneo dominato da una misura comune”, ma anche “la responsabilità di essersi affidati pigramente alle certezze dell’accademia” (Portoghesi 1968). Bugnato al piano terra, cornici marcapiano, mostre timpanate o meno, cornicioni mensolati e altri elementi tratti da un linguaggio neorinascimentale inteso come repertorio di citazioni conferiscono all’edilizia della Roma post-unitaria e pre-fascista un volto che doveva rispondere ad esigenze di decoro borghese. Villa Helene non appare del tutto estranea a questo linguaggio, tuttavia già Antonio Nezi, in un articolo dedicato all’artista sulla rivista “Emporium” nel 1927, riconosceva che quando Andersen lascia “la stecca e lo scalpello per la squadra e la sesta […] tornano ancora una volta gli schemi di un classicismo indimenticato, comune alle opere di carattere monumentale d’oltre oceano”. Sulla progettazione dell’aspetto decorativo dell’edificio, più che l’impronta eclettica – in senso romano – di Francesco Settimi, dovettero pesare l’estro di Andersen e la sua formazione americana [fig. 2]. La decorazione minuta della palazzina, sia negli interni che nei Fig. 2 45 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE prospetti esterni, quel lessico fatto di puttini, sfingi, cantaros da cui sbocciano fantasiose grottesche, che dialoga con un apparato scultoreo dal significato ora simbolico (si vedano le figure femminili recanti i simboli delle arti su via P. S. Mancini), ora allusivo al mondo degli affetti di Andersen (le teste di Olivia Cushing, di Andreas Andersen e dello stesso Hendrik su via G. Pisanelli), uniti all’uso del mosaico (l’iscrizione “Helene”, dedicatoria della palazzina alla madre di Andersen sul portone d’ingresso e quella “World Conscience” sopra la porta d’accesso al primo piano) e dei quadri riportati a carattere simbolista del salone del piano nobile (raffiguranti il carro dell’Aurora e una processione funebre verso un’isola dei morti di böckliniana memoria), la stessa policromia della palazzina, condividono il linguaggio neorinascimentale della coeva architettura romana, ma parlano con una inflessione straniera. Il giovane Andersen, trasferitosi con la famiglia negli Stati Uniti, trovò a Newport e a Boston la protezione di facoltose famiglie americane (Howe, La Farge, Cushing, Vanderbilt, Whitney, Gardner) delle quali frequentò le ricche dimore. “La casa museo a Boston di Isabella Stewart Gardner [fig. 3] costruita fra il 1900 e il 1903, e le altre case Fig. 3 abitate dalla Gardner 46 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE in Beacon Street, ancora a Boston, o a Green Hill, se non costituirono per Andersen un precedente diretto da cui derivare spunti progettuali, poterono comunque fungere da concreto riferimento per l’ispirazione dell’artista” (Liguori 1999). È in particolare nell’ambito del cosiddetto “American Renaissance” che vanno ricercati i riferimenti formali, ma anche ideologici, della casa-atelier di H. C. Andersen. Si tratta di un movimento culturale e artistico statunitense collocato cronologicamente nel cinquantennio fra gli ultimi trent’anni dell’Ottocento e i primi venti del Novecento. Dalla convinzione che la democrazia americana fosse l’erede di quella greca e dell’Umanesimo rinascimentale derivava l’esaltazione del modello americano, che in senso artistico si traduceva in una forma di neoclassicismo con connotazioni eclettiche (Wilson 1979; Kidder Smith 1996). “Typically combining splendor with refined beauty, American Renaissance works often reflect the era’s zest for national power and personal wealth […] these works celebrate the value of art as an accompaniment to elite status, a genteel life style, and physical comfort” (Lee Morgan 2007). Non stupisce che Hendrik Christian Andersen nel costruire la sua dimora nonché atelier, dunque la sua interfaccia sul mondo esterno, guardasse proprio all’architettura dell’autoaffermazione – nazionale e personale – che aveva conosciuto in gioventù. Il riferimento apparirà tanto più pregnante qualora si prendano in considerazione le consonanze formali fra la sua produzione e quella degli scultori e pittori dell’American Renaissance quali Herbert Adams, Edwin Blashfield, Thomas Wilmer Dewing, Daniel Chester French, Henry Siddons Mowbray, Augustus SaintGaudens, Abbott Thayer, Elihu Vedder, che elaborarono un linguaggio dove istanze simboliste si fondono con un gusto neorinascimentale. 47 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE BIBLIOGRAFIA A. Nezi, Artisti contemporanei: Hendrik Christian Andersen, in «Emporium», LXVI (1927), f. 395, pp. 267-279; F. Castagnoli, Topografia e urbanistica di Roma («Storia di Roma», 22), Bologna 1958; P. Portoghesi, L’eclettismo a Roma, 1870-1922 («Architettura italiana contemporanea», 147), Roma 1968; L. Quaroni, Immagine di Roma («Grandi opere»), Bari 1969; R. G. Wilson, The American Renaissance: 1876-1917, New York 1979; I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, 1870-1970 («Piccola biblioteca Einaudi», 25), Torino 1993 [I edizione Torino 1962]; I. E. Kidder Smith, Sourcebook of American architecture, New York 1996; Restauro e rifunzionalizzazione del Museo Andersen. Progetto preliminare, a cura di A. M. Liguori, 13/09/1999; F. Bartolini, Condizioni di vita e identità sociali: nascita di una metropoli, in Roma capitale, a cura di V. Vidotto, Milano 2002, pp. 3-36; M. Casciato, Lo sviluppo urbano e il disegno della città, in Roma capitale, a cura di V. Vidotto, Milano 2002, pp. 125-172; E. di Majo, Il Museo Hendrik Christian Andersen. “La Creazione di un Centro Mondiale di Comunicazione”, in Architettura e Giubileo a Roma e nel Lazio. Gli interventi di restauro a Roma nel Piano per il Grande Giubileo del 2000, 2 voll., a cura di C. Capitani, S. Rezzi («Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il grande Giubileo del 2000», 3), Napoli 2002: I, pp. 569-570; F. Fabiani, Hendrik Christian Andersen: la vita, l’arte il sogno. La vicenda di un artista singolare, Roma 2003; A. Marino, Roma: la partecipazione della Banca d’Italia alla costruzione di una capitale, in L’architettura nelle città italiane del XX secolo 48 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE dagli anni Venti agli anni Ottanta, a cura di V. Franchetti Pardo («Di fronte e attraverso», 632), Milano 2003, pp. 132-143; Dalle armi alle arti. Trasformazioni e nuove funzioni urbane nel quartiere Flaminio, a cura di A. Vittorini («Documentare il contemporaneo»), Roma 2004; ricerche A. Lee Morgan, s. v. American Renaissance, in A. Lee Morgan, The Oxford dictionary of American art and artists, Oxford 2007, p. 13; Museo H. C. Andersen, a cura di E. di Majo, Milano 2008. 49 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Il Centro Mondiale di Comunicazione nel contesto della modernità VALENTINA FILAMINGO ''(…) Essere moderni vuol dire trovarsi in un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo; e che, al contempo, minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo1'' (Marshall Berman) ''In considerazione del desiderio frequentemente espresso di amicizia e cooperazione tra le nazioni, e la depressione economica di cui il mondo sta soffrendo, il momento presente sembra appropriato per presentare di nuovo al pubblico uno schema per fondare una Città Internazionale e Centro Mondiale di Comunicazione, in altre parole una città che appartiene a tutte le nazioni, in cui tutti possano incontrarsi su un terreno neutrale 2''. H. C. Andersen elaborò l’International Center of Communication in un periodo della modernità che alcuni sociologi3 considerano come il più caratterizzato da profondi cambiamenti a livello economico, politico e sociale. Il progetto recepì infatti quelle trasformazioni che, a partire dalla seconda rivoluzione industriale fino ai primi anni del XX secolo, stavano subendo alcune dimensioni chiave dell’era moderna. In primo luogo la compressione delle categorie ‘spazio’ e ‘tempo’. Categorie indistinte nell’era premoderna4, per cui il ‘quando’ coincideva con il ‘dove’ e corrispondeva a ricorrenze naturali regolari, il tempo e lo spazio divennero due entità separate nel XVIII secolo con la diffusione dell’orologio meccanico: il tempo divenne ‘vuoto’ perché disgiunto dallo spazio e quantificabile, fino a diventare istantaneo. 50 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Anche lo ‘spazio’ e il ‘luogo’ subirono la medesima separazione5. Le dimensioni spaziali della vita sociale, che nel contesto premoderno erano dominate da attività in presenza e geograficamente situate perché lo spazio coincideva con il luogo, divennero più ampie grazie ai nuovi mezzi di trasporto. Lo sviluppo della rete ferroviaria avviato dalla macchina a vapore e dalla locomotiva di R. Stephenson (1825), la prima automobile di G. Daimler e C.F. Benz (1885) nel secolo dell’elettricità e l’ aeroplano dei fratelli Wright (1903) significarono forme di elevata mobilità e di conseguenza la trasformazione del rapporto con l’altro, che non era più il familiare o il vicino ma l’estraneo6. Le interazioni faccia a faccia vennero sostituite da contatti impersonali7 e da relazioni tra persone assenti localmente distanti8. Vennero dunque meno i vincoli delle consuetudini e delle pratiche sociali in loco che, dall’altra parte, i nuovi mezzi di comunicazione riuscirono in parte a ristabilire perché permisero di superare le distanze spaziali: l’invenzione del telefono di A. Meucci (1871) perfezionato pochi anni dopo in America da A.G. Bell, gli esperimenti di telegrafia senza fili di G. Marconi (1896), gli inizi della comunicazione via radio culminati nel 1913 L’invenzione del telefono sulla prima pagina dello con l’invio dalla 'Scientific American' 6 ottobre 1877 Tour Eiffel del primo segnale radio in tutto il mondo. 51 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Un tale evento dimostrò come lo spazio potesse essere annientato nella simultaneità di un istante del tempo pubblico universale9. H. C. Andersen risolse la questione spazio-temporale progettando per il Centro Mondiale di Comunicazione una torre di 320 metri di altezza, più alta della Tour Eiffel, che avrebbe dovuto ricevere e trasmettere tramite la telegrafia senza fili ''rapide e affidabili comunicazioni (…) essenziali a tutti i popoli e nazioni10'': la Torre del Progresso quale simbolo dell’Epoca dell’Unificazione11. Prospetto della Torre del Progresso, 1908 (tempera, china e acquerello su carta applicata su tela) Cartolina d’epoca rappresentante la Tour Eiffel e Champ de Mars (materiale d’archivio Andersen) “Cablò” inoltre il Centro con un sistema di grandi linee ferroviarie sotterranee che avrebbero assicurato il collegamento tra gli edifici e l’ingresso centrale dal natatorium. Consapevole di come ''le invenzioni moderne e la scienza hanno unificato il mondo12'' progettò un Centro Scientifico per unire “tutti i settori delle scienze teoretiche e applicate13’’ e consentire così di accelerare ‘’(…) il processo di una conoscenza generale alla quale le migliori intelligenze di ogni na- 52 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE zione stanno rapidamente e fermamente dedicandosi a beneficio dell’umanità, facilitando, in tal modo, lo sviluppo di quegli elementi della vita pratica degli uomini che inducono le nazioni a una reciproca collaborazione14’’. La crescente industrializzazione significò poi l’allargamento del mercato15: le industrie produttrici di nuove materie prime (esempio acciaio o alluminio), di beni di consumo e servizi si trovarono per la prima volta a dover soddisfare una domanda che assumeva dimensioni di massa per effetto dell’integrazione spaziale. Ciò determinò un aumento della produzione e la necessità di rendere più efficienti ed economici i processi produttivi, come dimostrato da F.W. Taylor16 nel 1911 con i Principi di organizzazione scientifica del lavoro e da Henry Ford17 nel 1913 con l’introduzione della prima catena di montaggio nelle officine automobilistiche Ford di Detroit. Di contro, l’espansione capitalistica significò inasprimento del sistema di classe teorizzato da K. Marx che vedeva contrapposti la proprietà privata del capitale al lavoro salariato degli operai subordinati all’automatismo delle macchine e alienati18 da un lavoro ripetitivo e spersonalizzato. Il Centro Mondiale di Comunicazione avrebbe, secondo Andersen, sanato le lotte tra i capitalisti e classe operaia che stavano dilaniavano i paesi del mondo. Attraverso la regolamentazione della produzione e lo studio dei ''(…) metodi per migliorare la condizione delle classi lavorative e salvaguardare i loro interessi19'' il Centro avrebbe apportato vantaggi tanto agli operai quanto ai capitalisti. Gli operai, sosteneva Andersen, possedevano un grande potere. Potevano costruire o distruggere la pace nel mondo, impedire o ampliare la comunicazione, incidere sulla fame nel mondo, producendo o impedendo raccolti. L’intera costruzione del futuro era affidata ai lavoratori. Per questo, bisognava assicurare agli operai condizioni di vita dignitose e occorreva offrire loro i mezzi sufficienti per vivere decorosamente e per tutelarne la salute 53 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE e l’igiene, in modo che essi potessero lavorare in serenità e in pace. Tuttavia anche i capitalisti nelle dispute con il lavoratore avevano delle ragioni. Pertanto, anch’essi avevano necessità di essere protetti, anche se si trovavano in una posizione di superiorità e privilegio che li rendeva più sicuri e forniva loro i mezzi per rendere schiavi i loro dipendenti. Il Centro avrebbe quindi assolto alla funzione di comporre i conflitti tra capitale e lavoro20. L’integrazione spaziale, l’industrializzazione su larga scala, l’aumento della produzione e l’ampliamento dei mercati aprirono così la strada a un’ultima dimensione chiave della modernità nel passaggio dal XIX al XX secolo: l’internazionalismo. Andersen ne fu consapevole: ''Il nazionalismo sta lasciando il posto all’internazionalismo. L’ideale verso cui ci stiamo muovendo è la cooperazione internazionale. Le nazioni sono lontane dall’essere autosufficienti, e devono guardare oltre i confini dei loro stati se vogliono raccogliere i pieni vantaggi della civilizzazione. (…) E’ ovvio che tutte le forme di cooperazione hanno bisogno di un centro che sia in contatto con ogni parte dell’organizzazione affinché il tutto possa lavorare armoniosamente e effettivamente verso il suo scopo. (…) Il più efficace e forse il solo ad assicurare la cooperazione internazionale in tutte le branche dell’attività umana è la fondazione di una città internazionale (…) Una tale città sarebbe di incalcolabile beneficio nel promuovere uno spirito di amicizia e apprezzamento reciproco tra le varie razze della terra. Ognuna di loro è in grado di dare il proprio unico contributo agli sforzi umani, e lo scambio necessario di pensieri e esperienze (…)21''. Secondo Andersen il Centro Internazionale di Comunicazione sarebbe stata la giusta via alla cooperazione mondiale e all’amicizia tra i popoli, piccoli o grandi, perché avrebbe loro permesso di incontrarsi con le medesime opportunità. Dalla 54 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Veduta a volo d'uccello del “Centro Internazionale Mondiale”, 1908-13 (matita, china, acquerello, tempera su carta applicata su tela) loro relazione sarebbe scaturita ''(…) una comprensione reciproca essenziale per il progresso, e nuovo impeto sarà dato alle varie industrie e alle arti, alla produzione e al commercio, ora così ampiamente separati dalla concorrenza dei mercati e dalla diversità degli interessi economici. Un tale centro, attraverso l’attestazione dei più alti raggiungimenti umani e attraverso l’offerta della loro conoscenza al mondo intero, può stimolare la tendenza ad instaurare relazioni armoniche tra le nazioni, e in tal modo rendere possibile l’approssimarsi di una pace duratura22''. Per così dire uno spazio-luogo dove recuperare i rapporti interpersonali. Contro l’internazionalismo e il pacifismo non mancò la diffusione di correnti conservatrici che, in nome del mantenimento dell’ordine sociale esistente, esaltavano le identità locali e difendevano i valori nazionali. Tentando di stabilire una gerarchia tra razze superiori e inferiori e ricorrendo anche alla violenza militare questo particolarismo portò all’inasprimento dei rapporti tra gli stati e allo scoppio della prima guerra mondiale. Tale evento dimostrò come il Centro Mondiale di Comunicazione sarebbe rimasto solo un progetto utopico del suo ideatore. 55 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE NOTE AL TESTO Marshall Berman in David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993, pag. 23. 2 Traduzione del testo di H. C. Andersen dall’opuscolo intitolato World-Conscience. An International Society for the Creation of a World Peace by the establishment of a World Center City of Communication, Sansaini, Roma. 3 Cfr. David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993. Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità : fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1994. Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma, 1999. 4 Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità : fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 28. 5 Ibidem pag.29. 6 Cfr. la lettura critica di Ferdinand Toennies (Gemeinschaft und Gesellschaft, 1887) che contrappose la ‘Comunità’ dell’epoca pre-industriale, caratterizzata da rapporti di reciprocità e sentimento di appartenenza, alla ‘Società’ della moderna epoca industriale dove i legami affettivi degenerano in relazioni artificiose e basate sullo scambio. 7 Cfr. Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma, 1999, pag. 69. 8 Cfr. Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità : fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 29. 9 Cfr. David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993, pag. 327. 10 H. C. Andersen in A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 104. 11 Ibidem pag. 233. 12 Traduzione del testo di H. C. Andersen dall’opuscolo intitolato World-Conscience. An International Society for the Creation of a World Peace by the establishment of a World Center City of Communication, Sansaini, Roma. 13 H. C. Andersen in A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 89. 14 Ivi. 15 Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Profili storici dal 1900 a oggi, Editori Laterza, Roma, 1998, pag. 14. 16 Studiando il lavoro in fabbrica, Taylor cercò di stabilire delle pratiche e dei tempi standard di lavoro, affinché gli operai potessero compiere le operazioni nel minor tempo possibile eliminando gli sprechi del tempo e le pause ingiustificate. 17 La catena di montaggio consentiva di ridurre i tempi di lavoro frammentando il processo produttivo in una serie di piccole operazioni, ciascuna affidata a un singolo operaio. 18 Secondo Marx, l’alienazione è una caratteristica del lavoro nella società industriale moderna. L'alienazione riguarda l'operaio e il prodotto del suo lavoro, che gli è estraneo e appartiene al capitalista. 19 Traduzione del testo di H. C. Andersen dall’opuscolo intitolato World-Conscience. An International Society for the Creation of a World Peace by the establishment of a World Center City of Communication, Sansaini, Roma. 20 A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 118. 56 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Traduzione del testo di H. C. Andersen dall’opuscolo intitolato World-Conscience. An International Society for the Creation of a World Peace by the establishment of a World Center City of Communication, Sansaini, Roma. 22 H. C. Andersen in A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 61. 21 BIBLIOGRAFIA H. C. Andersen, World-Conscience. An International Society for the Creation of a World Peace by the establishment of a World Center City of Communication, Sansaini, Roma. A. Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano, 2011. Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Profili storici dal 1900 a oggi, Editori Laterza, Roma, 1998. Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità: fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1994. David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993. Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma, 1999. 57 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Henry James e i suoi amici MARIA GIUSEPPINA DI MONTE William Wetmore Story, Henry James ed Hendrik Andersen: tre generazioni, tre personalità e tre vicende artistiche che entrano in un intenso e produttivo rapporto, un rapporto che al di là delle pur pronunciate differenze soggettive, dovute ai retaggi culturali, alle aspirazioni individuali e ai rispettivi talenti, li condusse a condividere esperienze, progetti e idee alla cui origine sta lo scenario affascinante e straordinario di Roma. Roma è la città nella quale tutti tre hanno soggiornato e vissuto per un certo periodo e che ha esercitato un fascino indiscutibile e un richiamo sentimentale incessante. Ciò è avvenuto non solo sul piano dell’immaginario artistico ma anche nella trama dei rapporti interpersonali che in questa città hanno concretamente preso forma e si sono alimentati, in virtù del particolare contesto e della suggestiva atmosfera che fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del nuovo secolo si respirava nella città eterna. Roma funge da catalizzatore offrendosi quale luogo prediletto per innescare la dinamica sottesa al vedere, a quel piacere dell’osservazione scrupolosa e analitica che costituisce la dote essenziale e maggiormente coltivata dagli eroi ed eroine jamesiani. È su questo aspetto, indubbiamente cruciale, che intendiamo soffermarci per sottolineare come gli incontri e gli scambi, avvenuti in quel momento e in quel luogo, siano stati per tutti e tre questi artisti così significativi al punto di orientare le scelte e i futuri sviluppi della loro produzione. William Wetmore Story, scrittore, scultore e poeta era nato nel Massachusetts nel 1819 da una famiglia di illustri uomini di legge sia da parte paterna che materna. Dopo aver iniziato la carriera di giurista seguendo le orme del genitore sentì il richiamo profondo dell’arte e cominciò a dedicarsi all’attività di scultore. Alla morte del padre gli venne quindi commissionato il monumento funebre che doveva decorarne la tomba. 58 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Story decise allora di recarsi a Roma in cerca della giusta ispirazione. Quello con la città fu un colpo di fulmine: Story ne rimase soggiogato e conquistato come traspare dalle sue parole: “Ero tormentato (…) dal sogno dell’arte e dell’Italia e ogni notte fantasticavo di essere a lavoro nel mio studio romano. Alla fine realizzai che il mio cuore era passato dall’amore per la legge a quello per l’arte e mi risolsi a tornare a Roma”.1 Tornato in America nel 1850 si stabilirà in seguito definitivamente a Roma costituendo il famoso circolo che, dopo diversi spostamenti, troverà in Palazzo Barberini la sua sede stabile. Per Story Roma rappresenta un luogo ideale, una tappa obbligata per ogni artista che si rispetti a causa dell’eredità classica di cui è depositaria e di cui è permeata la sua atmosfera e la sua storia secolare. Roma è insomma davvero l’ombelico del mondo, l’alfa e l’omega degli antichi filosofi, ma anche e soprattutto un’immagine viva e densa di suggestioni, sensazioni, visioni che costituiscono l’humus di cui ogni artista ha bisogno per far nascere la propria opera. Questo aspetto sta al centro del condiviso desiderio di abbandonare il proprio paese e la dimensione provinciale e angusta, dalla quale si sentivano oppressi gli intellettuali americani, alla ricerca di stimoli e di “materiali” adatti alla realizzazione delle opere d’arte: letterarie o figurative. Fu James [fig. 1] a dire che “Il fiore dell’arte sboccia solo dove il suolo è profondo, abbisogna molta storia per produrre un po’ di letteratura, occorre un Fig. 1 59 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE complesso macchinario sociale per mettere in moto lo scrittore” 2. Questo indispensabile substrato è ciò che gli americani trovano a Roma e ciò che farà da sfondo ad uno dei romanzi più fortunati di Henry James, il piccolo capolavoro di Daisy Miller. La sfortunata e affascinante protagonista, che ha dato il nome al racconto, vive una breve ma intensa love-story che si consuma sullo sfondo della città eterna, città tentacolare che attraendola nel suo gioco seduttivo e inquietante la porterà ad una fine tragica e ineluttabile. La malaria, la malattia mortale, è infatti il temibile antagonista in quanto rappresenta un male oscuro e letale, sintesi di tutti i mali possibili: le ragazze, che, come Daisy, escono di sera e frequentano personaggi discutibili sono destinate a perdersi e a capitolare. Roma incarna quindi, come Giano bifronte, la virtù, in quanto crogiolo dell’arte e della cultura, e al tempo stesso il vizio dovuto alla fiacchezza morale e alla eccesiva libertà di costumi che la caratterizzano. In James il fascino della tradizione europea non è vissuto in termini a-problematici e sotto il segno della totale adesione: tutto al contrario; il rapporto fra James l’Europa e l’America si sostanzia in una continua e drammatica tensione che diventa più estesamente la tensione fra bene e male, perfettamente testimoniata nella incalzante e fitta maglia degli eventi descritti nel racconto. “A differenza della Svizzera, Roma non può ispirare l’autocontrollo alle ragazze americane colla sola forza del paesaggio, delle tradizioni protestanti e dell’ austera società” è quanto afferma Italo Calvino nella nota introduttiva a Daisy Miller3, nella quale riconosce l’ambivalente condizione di desiderio e paura che tanta parte hanno nell’opera dello scrittore americano, sospesa fra le ragioni dell’arte e la naturale ed insopprimibile sua ritrosia. James costituisce in qualche modo il nodo fra Story e Andersen, artisti ovviamente assai meno dotati, ai quali egli riserva affetto e comprensione non meno che disapprovazione e rimproveri. 60 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Fu proprio James a scrivere la ricca e completa biografia di Wetmore Story, subito dopo la scomparsa dell’amico, biografia che costituisce non solo una documentazione precisa dell’attività dello scultore americano ma anche uno spaccato di vita vissuta e una cronaca lucida e penetrante della nostra società e dei nostri costumi. Come non ha mancato di mettere in evidenza Giuseppe Prezzolini, in Come gli americani scoprirono Roma 4, James fu inizialmente mosso più da dovere d’amicizia che non da vero interesse: come sembra plausibile supporre data la mediocrità di Story, certamente più meritevole per essere stato un mecenate e un uomo dotato di gusto ed eleganza che non un grande artista. La ritrosia dovette verosimilmente scaturire dal fatto che era incontestabilmente arduo scrivere una biografia di un autore così irrilevante, la cui opera non deve aver per nulla attratto James, appassionato d’arte e acuto osservatore. Non meno severo appare il giudizio dello scrittore nei confronti di Hendrik Andersen, quando quest’ultimo gli inviò alcune foto della grande scultura che ritraeva Lincoln. Il Lincoln di Andersen [fig. 2]. non aveva affatto persuaso James e non corrispondeva per nulla a quell’immagine austera ed insieme nobile e risoluta che gli americani avevano del loro presidente. Quella di AnderFig. 2 sen è al contrario una 61 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE scultura fredda, troppo levigata e in sostanza inespressiva, a leggere fra le righe della lunga lettera che James scrisse al giovane artista dopo aver ricevuto il rotolino di foto. “Un Lincoln seduto - dice James- già mi sconvolge un poco – per noi tutti era lì in piedi, molto alto ed eretto, anche se mi rendo perfettamente conto che quella è stata una condizione che hai forse dovuto, assolutamente, accettare (… ) Non ne sento la lunghezza delle membra dinoccolate, gamba, tibia ecc. – né la massa del gran corpo sotto i vestiti – specialmente la presenza di spalle, braccia grandi e mani grandi.”5 Questo atteggiamento, affettuoso ma intransigente nei confronti del più giovane scultore è dovuto al fatto che James guardava veramente con l’occhio del critico d’arte e come affermò lui stesso: “L’interesse per l’arte, per il “quadro”, “la mia inclinazione a restare a bocca aperta davanti alle illustrazioni e alle mostre”, lo spinsero a provare lui stesso a comporre per scene (…) “aspiravo a questa forma di illustrazione a scapito di qualsiasi altra (…) il quadro, il disegno rappresentativo mi affascinavano in maniera forte e diretta e mi avrebbero affascinato per tutta la vita”.6 L’educazione dell’occhio, l’attenzione al “vedere” è un elemento assolutamente distintivo che impronta di sé le opere narrative dello scrittore nelle quali il richiamo all’arte è un tratto caratteristico, esito di una lunga e appassionata frequentazione di musei e gallerie, nei quali James si recava durante i suoi lunghi viaggi e le ripetute permanenze in vari paesi d’Europa. Non bisogna dimenticare che protagonisti dei suoi romanzi e racconti sono spesse volte artisti dotati di quella sensibilità estetica e di quell’acutezza di osservazione che rappresenta la loro principale e indubbia qualità. Non si possono dimenticare le pagine di apertura del suo più celebre e riuscito romanzo Ritratto di signora, nel quale James fa sfoggio di tutta la sua capacità descrittiva dando letteralmente vita ad un quadro: un grande affresco che ci permette di cogliere, nella sua essenza, la società americana del tempo, quella progenie di uomini, donne e adolescenti sinceramente fiduciosi che solo un contatto con la più stratificata e vecchia 62 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE cultura europea avrebbe permesso loro di emanciparsi e progredire. Questa cultura del vedere, che simboleggia in modo tipico la società europea, diventerà oggetto d’ammirazione da parte di Henry James che definirà il suo lavoro di scrittore con una metafora che allude proprio alla visione. “Io ero tutt’occhi, il mondo decisamente tutto immagini, ciò provvedeva al bisogno del panoramico”.7 Fu proprio sulla scorta della sua attitudine “estetizzante” che James verrà rapito dalla bellezza e giovinezza di Andersen, incontrato durante il soggiorno romano della fine degli anni ’90. Quest’ultimo, che gli era stato presentato da comuni amici, aveva suscitato un potente fascino sul maturo scrittore che, visitatone lo studio, non esitò ad acquistare il busto del giovane conte Alberto Bevilacqua Lazise [fig. 3]. James rimase stupito e aff ascinato dall’elegante scultura che porterà con sé quando tornerà in Inghilterra stabilendosi nella Lamb House, a Rye, nel sud del paese. Da qui James scrive ad Hendrik Andersen la sua prima lettera datata 19 luglio 1899, lodando il “bellissimo busto”. Lo scrittore, come confessa nella letFig. 3 tera citata, lo metterà sul caminetto della sala da pranzo, da cui – aggiunge – “domina la stanza (…) e dove, inoltre, mentre sto seduto a pranzare, lo avrò costantemente davanti a me quale amato compagno e amico”.8 La simpatia che James nutrì verso il più giovane artista non gli impedì tuttavia di riconoscerne i limiti, come ha messo in chiaro Rosella Mamoli Zorzi nell’introduzione al 63 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE carteggio, per cui James non “gli nascose il senso di orrore che le enormi statue che questi creava suscitavano in lui”. Furono proprio l’etica puritana e la profonda sensibilità estetica che permisero a James di diventare un mediatore fra la cultura europea e quella americana, delle quali percepì in profondità e con somma lucidità i problemi estetici e letterari, anticipando il gusto e l’evoluzione della narrativa che con lui può dirsi essere entrata nell’età moderna.10 La sua pervicace azione di rinnovamento della struttura del romanzo trova non solo paradigmatica esemplificazione nella produzione letteraria ma anche in quella teorico-critica, in particolare in The Art of Fiction, la cui importanza sta – come sottolinea Sergio Perosa – “nell’enfasi con cui viene rivendicata la natura artistica della narrativa. Non era idea pacificamente accettata, vedendosi fino a quel periodo nel romanzo soprattutto una forma di intrattenimento.” 11 Con James il genere del romanzo si complica elevandosi a genere per eccellenza dello spirito contemporaneo, una forma attraverso la quale non solo lui ma una gran schiera di narratori successivi hanno potuto dare vita alle più sottili indagini psicologiche. Indagini che James riuscì ad intessere grazie a quella capacità di osservazione analitica della realtà europea. Una realtà perfettamente incarnata nell’immagine di Roma e dell’Italia, che egli amò appassionatamente e per la quale ebbe sempre parole lusinghiere e di ammirazione. Per lui come per i suoi meno fortunati compagni di viaggio, Story e Andersen, il nostro paese rappresentava la bellezza, l’arte e la tradizione e “tutto ciò che rende la vita dolce e splendida.”12 NOTE AL TESTO 1 “I was haunted, (…) by dreams of art and Italy, and every night I fancied I was again in Rome at work in my study. At last I found my heart had gone over from the Law to Art, and I determined to go back to Rome” cit. in H. James, William Wetmore Story and his Friends, Houghton, Mifflin and co., Boston 1903, p. 30 2 Henry James cit. in: S. Perosa Teorie americane del romanzo 1800-1900 da Poe a Melville da Cooper a James, un’antologia e uno studio critico dei grandi precursori del modernismo, Bompiani, Milano 1986, p. 32 64 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Si confronti Italo Calvino, “Nota introduttiva” al romanzo di Henry James, Daisy Miller, Einaudi, Torino 1971, pp. V-VIII 4 G. Prezzolini, Come gli americani scoprirono Roma, Boni, Bologna 1971, p. 288 5 H. James, Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen 1899-1915, a cura di R. Mamoli Zorzi, Marsilio, Venezia 2000, p. 73 6 M. Vanon Alliata, Il giardino delle delizie. L’immaginario visivo di Henry James, Neri Pozza Editore, Vicenza 1997, p. 14 7 H. James, Un bambino e gli altri, (trad. it.) a cura di S. Perosa, Neri Pozza Editore, Vicenza 1993, p. 23 8 H. James, Amato ragazzo, op. cit., pp. 38-39 9 ivi, p. 10 10C. Gorcelli, Henry James e l’Italia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1968, p. 11 11S. Perosa, Teorie americane del romanzo, op. cit., p. 33 12 “All that makes life splendid and sweet”, H. James “At Isella” in: The Complete Tales of Henry James, Ed. L. Edel, Rupert Hart-Davis, London 1962-64, vol. III, p. 15 ricerche 3 65 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Case museo: oggetti e spazi pervasi dallo spirito del tempo PAOLA AGNESE CIRIGLIANO “(…) il nostro scultore vi introduce in un gran salone seguito da un secondo: sacrario, museo e bottega insieme ove l’artista lavora indefesso, quasi misticamente raccolto come un sacerdote della bellezza, tra una folla di statue monumentali (…)”. Con queste parole il critico Antonio Nezi descrive la casa museo di Hendrik Christian Andersen in via Pasquale Stanislao Mancini a Roma, luogo in cui l’artista ha abitato a partire dal 1924 e fino alla sua morte nel 1940, quando egli stesso la donò allo Stato italiano insieme a tutto quanto vi era contenuto, con il nobile fine di costituire un museo di se stesso. La casa occupa un palazzo di tre piani realizzato in due fasi costruttive: la prima conclusa nel 1925 cui si fa risalire un palazzo di soli due piani, e la seconda cui invece appartiene la sopraelevazione postuma dell’ultimo piano. All’interno una spina centrale, destinata ad ingresso e corpi scala, divide il piano in due grandi sale adibite ad atelier e a galleria. Al piano superiore vige una ortodossa sistemazione degli ambienti, con tre file di stanze che si sviluppano longitudinalmente rispetto alla facciata lunga dell’edificio e che culminano nel grande salone centrale. Un impianto di grande valore dal punto di vista storico artistico, poiché prova sicura di una realtà rimasta indenne nel tempo sia nelle sue linee architettoniche che nelle opere che custodisce al suo interno. Attestazione altrettanto valida, poi, perché realizzata su progetto dello stesso Andersen, che ne racchiude dunque tutto il gusto personale di grande sensibilità artistica, emanando, al contempo, il gusto generale dell’epoca, lo spirito del tempo, di cui si fa irrinunciabile portavoce. 66 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Dal Rinascimento in poi si è messo in moto un processo di affermazione dell’individualità dell’artista, processo che ha trovato culmine nel corso del XIX e XX secolo nell’esaltazione della sua dimora, non solo come luogo attrezzato di lavoro e di elaborazione, bensì come rappresentante di una chiara manifestazione di una cultura dell’apparire intesa positivamente, come espressione di creatività. La casa stessa insomma viene considerata opera d’arte che riflette un gusto e una cultura e agevola la comprensione di quel microcosmo in cui l’artista vive ed opera. In questa luce si leggano i versi che seguono: “che cosa rimarrà di mio per caso, in queste stanze, o per dispetto? Chi sa, forse un panchetto, di quando ero bambino. O un’eco incomprensibile, un fruscio”. Con queste parole Marino Moretti si interrogava nella poesia Dopo a proposito della casa che lo aveva visto diventare uomo e scrittore e che aveva assistito alla nascita delle sue prime opere e delle ultime. L’evidente angosciosa perplessità di queste brevi righe nasce dalla consapevolezza che, giunti alla fine, ogni oggetto, ogni angolo, protagonisti di una vita e di una carriera intere, siano destinati anch’essi a perire. E l’angoscia non deriva certo da un materiale attaccamento alle cose personali, quanto piuttosto dalla consapevolezza che ogni spazio vissuto sia intriso nell’intimo di quella che, con parole rubate a Walter Benjamin, si potrebbe osare definire aura. Per tutelare l’aura nasce la necessità delle case museo, estrema e alta forma di conservazione. Si vuole intendere con aura il prezioso valore di testimonianza di una cosa e si vuole tutelare l’aura conservandone l’unicità che, per dirla ancora con Benjamin, ha fondamento nel rito ove l’ opera ha avuto il suo primo valore d’uso, in altre parole: il contesto. Avrebbero infatti altrettanto senso gli arredi, le carte d’archivio, le fotografie e i libri appartenuti ad Andersen se fossero esposti altrove? Nel suo splendido saggio Dalle Sacre Reliquie all’Arte Moderna, Krizysztof Pomian definisce il museo “uno dei mezzi che ogni generazione utilizza per fare un sacrificio alle generazioni che le succederanno”, intendendo per sacrifi- 67 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE cio l’atto di trasportare nel museo opere appartenute a contesti diversi, nate e create per contesti diversi. Ecco come invece la casa museo riesce a risolvere questa eterna disputa museografica e, sottraendosi al sacrificio, si presenta essa stessa in qualità di contesto primario, luogo di creazione e, insieme, ospite delle opere create. Case museo come quella di Hendrik C. Andersen, intatte, libere da artifici posticci, altro non sono che prolungamenti della personalità degli artisti che le hanno abitate. È la vita intima dell’artista che il visitatore incontra attraverso un oggetto che, proprio perché esposto in quel luogo e non altrove, conserva la facoltà miracolosa di svelare segreti, di parlare. Ecco dunque che comincia a delinearsi il principale carattere, forse addirittura l’essenza, delle istituzioni case museo: sintesi eloquenti di passato presente e futuro, siti prediletti dall’empatia perché in grado di raccontare contemporaneamente la Storia cui appartengono e le tante piccole grandi storie cui hanno assistito e che oggi affiorano da ogni oggetto, stanza, persino da ogni spazio vuoto, parlando il lessico delle abitudini, dei rituali e delle piccole manie di chi li ha vissuti. In qualità di tale rappresentante, la casa museo (di artisti, scrittori, filosofi, prosatori eccetera) rientra tra le più alte forme di conservazione del patrimonio, tanto più che il territorio italiano risulta disseminato di esempi del genere, formando un atlante comune di stanze, case, paesaggi, ovvero di luoghi ritenuti templi e teatri della memoria in grado di esprimere valori collettivi da tutti condivisi, a voler indicare tanto una attenzione statale particolare, quanto un riconoscimento notevole di pubblico. Volendo citare solo alcuni degli esempi, perché troppo davvero sarebbe elencarli tutti: il museo Andersen e il museo Mario Praz a Roma, le case di Michelangelo a Firenze e di Leonardo a Vinci, sempre in Toscana la casa di Dino Campana, a Ferrara quella di Ariosto, a Nuoro di Grazia Deledda e così per ogni regione d’Italia, tanto che numerose sono le raccolte pubblicate sull’argomento, a costituire vere e proprie guide turistiche dedicate. 68 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Ormai dagli ultimi decenni si assiste ad una estensione della valorizzazione museografica che, andando oltre la salvaguardia delle opere singole, si spinge a comprendere contesti ampi, le aree del vissuto e dell’abitato umano, attuando il fondamentale passaggio dalla casa al museo. A tal fine è nata in seno all’ICOM una organizzazione specifica il cui compito essenziale è di valorizzare case e dimore: la DEMHIST (dal francese demeures historiques). Il Comitato Istituzionale delle Dimore Storiche ha sede a Parigi ed è nato durante la conferenza ICOM di Genova del 1997 intitolata Living History. Historic House Museums, durante la quale si pone per la prima volta l’accento sulla necessità di dedicarsi nello specifico a questa particolare categoria di musei. Negli atti del convegno pubblicati a seguito della conferenza vengono individuate ben otto categorie di case museo: regge e palazzi; musei monografici di uomini illustri; case create dagli artisti; case dedicate ad uno stile o ad un’epoca; case di collezionisti; contenitori di raccolte storiche; case di famiglia e, infine, case con una precisa individuazione socio-culturale. Il museo Hendrik C. Andersen rientra evidentemente nella terza categoria, quella dedicata alle dimore allestite dagli artisti (che possono, com’è ovvio, essere pittori, scultori, architetti, poeti), sia con fine auto promozionale, sia come strumento del proprio lavoro, raccogliendovi oggetti e decori usati nel corso dell’attività creativa. Alla luce di ciò si può cogliere nella volontà di Andersen un principio ispiratore che lo accomuna ai suoi contemporanei e forse anticipa il boom novecentesco delle case museo. Principio ispiratore che sprigiona dalle celebri parole scritte da Gabriele D’Annunzio a Cécile Sorel a proposito della residenza di Gardone Riviera: “Ho costruito questa casa come si costruisce una tomba. Nulla scomparirà di me. Sarà un luogo di pellegrinaggio per l’avvenire”. In questa frase mi sembra riassunto il tema della casa intesa come monumento dove si conservano e si sacralizzano le memorie di una vita, dove è dato riposo all’aura e al contempo dove le è garantita la giu- 69 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE sta manifestazione, dove il kunstwollen è da respirare e comprendere senza tradimenti. BIBLIOGRAFIA W. Banjamin, L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 2000 G. Coletto, Case di scrittori, guida alle case museo, centri studio, associazioni amici di scrittori d’Italia, Padova 2009 A. De Poli, M. Piccinelli, N. Poggi, Dalla casa atelier al museo: la valorizzazione museografica dei luoghi dell’artista e del collezionista, Milano 2006 E. Di Maio (a cura di), Museo Hendrik Christian Andersen, Electa 2008 E. Huttinger, Case d’artista. Dal Rinascimento a oggi, Milano 1992 G. Kannès (a cura di), Case museo ed allestimenti d’epoca: interventi di recupero museografico a confronto: atti del convegno di studi, Saluzzo, Biblioteca civica, 13 e 14 Settembre 1996, Torino 2003 R. Pavoni, Case museo in Italia: nuovi percorsi di cultura: poesia, storia, arte, architettura, musica, artigianato, gusti, tradizioni, Roma 2009 K. Pomian, Dalle sacre reliquie all’arte moderna. Venezia, Chicago dal XIII al XX secolo, Milano 2004 O. Selvafolta, A. Ranzi, Case museo tra storia e progetto: esempi sul lago di Como, Como 2007 70 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Travestirsi da se stessi. Mimesi, dandismo e crossdressing nell’autorappresentazione di Hendrik Christian Andersen PAOLO CASTELLI Quando Hendrik Christian Andersen giunge a Roma nel 1896 ha ventiquattro anni. È uno dei molti giovani artisti della seconda generazione dei Roman Yankee, i cittadini americani a Roma come “esuli volontari”: artisti, scrittori, diplomatici, ricchi espatriati, talvolta nati su suolo italiano. È un’affollata enclave quella anglo-americana della Roma a cavallo dei due secoli ma pur tuttavia un’enclave: una comunità i cui membri si conoscono e frequentano, hanno abitudini affini e un’affine affezione per la Città Eterna. Una comunità in cui l’arrivo di ogni nuovo componente non passa inosservato e in cui l’assidua, reciproca frequentazione si traduce in un continuo stare su un palcoscenico. L’avvento di Hendrik, giovane e biondissimo scultore di origini norvegesi, pur se naturalizzato americano, dai modi raffinati coltivati nell’alveo della buona società bostoniana e dal carattere fiero e sprezzante non lascia indifferente l’ecosistema di salotti, nascenti accademie e studi di artisti in cui si alimentava il culto del bello e il mito libertario della nostalgia per l’antico. Se è vero che già nella precedente generazione degli artisti americani a Roma il pittore James De Veaux era noto come “il grazioso americano”, non è difficile immaginare che lo stesso Andersen possa essersi conquistato un appellativo simile. Nel perseguimento della notorietà e nella competizione tra gli artisti d’oltreoceano per ottenere commissioni da parte dei ricchi connazionali espatriati giocava un ruolo considerevole, oltre al talento, anche la capacità di stare in società e di risultare piacevoli, ma anche di bella presenza, nei salotti mondani. Il “grazioso americano” De Vaux moriva trentunenne nel 1844, dopo un solo anno di permanenza a Roma, cingendo la sua memoria di quell’aura di sfortunata eccezionalità che facilmente si tendeva ad elargire ai giovani e promettenti artisti 71 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE stranieri rimasti attratti - fatalmente - dal fascino della giovane e insieme antica capitale. Andersen avrebbe vissuto a lungo e sarebbe rimasto a Roma per oltre quarant’anni. Apparentemente alieno a questi giochi di apparenze, disinteressato a qualunque forma di affermazione economica e sociale, dichiarava a chi gli preconizzava futura fama: “Lo eviterò il più possibile, diventare famosi vuol dire solo lunghe cene e grossi sigari” (25 luglio 1911)*. È interessato solo al lavoro, per il quale la sua dedizione è totale, e quando, negli anni dieci, insieme alla influente cognata Olivia Cushing, frequenterà assiduamente i personaggi più in vista, non solo della comunità anglo-americana, ma dell’ambiente politico e gentilizio romano, lo farà principalmente per ottenere finanziamenti e sostegni alla causa della sua città ideale, il Centro Mondiale di Comunicazione. Tuttavia Hendrik è, involontariamente o intenzionalmente, un’attrazione nel contesto della comunità anglo-americana, che lo ha incoraggiato a venire a Roma e che lo accoglie con simpatia. Egli “appare bello e solare nei chiari colori nordici, alto, sicuro di sé, franco nei modi […]. E tali specialissime doti, unite al fuoco dell’arte che emana dalla sua stessa persona, soggiogano verosimilmente più d’uno nel sofisticato ambiente artistico e culturale nel quale viene a trovarsi” (Di Majo 2005, p. 115). Ronald Sutherland Gower, nobile e parlamentare inglese, oltre che scrittore e scultore, vuole adottarlo e farne il suo erede; Mabel Norman, ereditiera e pittrice americana, nutre una passione nei suoi confronti; la cognata Olivia Cushing, dopo la morte del marito, resterà al suo fianco fino alla fine dei suoi giorni; Henry James intreccia con lui un’appassionata corrispondenza epistolare. Hendrik è quantomeno consapevole del suo fascino e nei ritratti fotografici dei primi anni romani ostenta un atteggiamento dandy, tanto nell’eleganza del vestire quanto nelle espressioni. Il ritratto a olio che il fratello Andreas gli fa intorno al 1900 conferma questo dato: la posa sicura, con le mani ai fianchi, le gambe accavallate, la cravatta vaporosa, il volto 72 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE di tre quarti dallo sguardo penetrante e dal ciuffo indocile mostrano un insieme di naturalezza e di misura, di veemenza e di compostezza capaci di colpire l’osservatore. Ma la sua è soprattutto un’eleganza innata, che proviene dalla finezza dei lineamenti e del fisico, dalla nobiltà di spirito e di modi. Diverso è il caso del ritratto che Hendrik fa di se stesso nel 1898, il cosiddetto Autoritratto “alla nazarena”, realizzato a carboncino e matita su carta, in cui l’artista trasfigura volontariamente la propria immagine (capelli e barba così lunghi non li portò mai). Colpisce la solennità della posa e l’espressione drammatica che promana dallo sguardo. È un autoritratto che ha un valore programmatico. La foggia dell’abito e l’acconciatura potrebbero Hendrik C. Andersen, rimandare all’imitazione di Autoritratto “alla nazarena”, 1898, modelli rinascimentali ma inv. 454 più suggestivo è leggere nella mise en scène anderseniana una voluta identificazione con la poetica e con le pratiche dei Nazareni, la confraternita di artisti di area germanica insediatasi a Roma a inizio Ottocento, circa un secolo prima di Andersen. Promotori di un’arte svincolata dalle accademie, entusiasti ammiratori dell’arte dei Primitivi italiani e del primo Rinascimento, i Nazareni, così chiamati per il loro aspetto (si lasciavano crescere barba e capelli, indossavano sandali e lunghe tuniche), praticavano uno stile di vita comunitario e ascetico, convinti della necessità di identificare l’esistenza con la pratica artistica. Anch’essi stranieri a Roma, dunque, legati da vincoli di amicizia e di solidarietà artistica e gravi- 73 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE tanti su un’area circoscritta della città avente per fulcro il convento di Sant’Isidoro al Pincio, Trinità dei Monti, Piazza del Popolo e il Caffè Greco (allora Caffè Tedesco), che coincide più o meno con la topografia della Roma anglo-americana di fine secolo (e, almeno in parte, ancora d’oggi). Come altre comunità di artisti prima di loro (ad esempio i seicenteschi Bentvueghels) e dopo di loro (la comunità degli artisti anglofoni di fine Ottocento), i Nazareni hanno bisogno di creare un’identità collettiva che li distingua e li identifichi e la connotazione dell’abbigliamento non è secondaria in questo senso. Anche i Bentvueghels, ossia gli artisti, per lo più fiamminghi e olandesi, aderenti alla seicentesca Schildersbent che, a Roma, sosteneva la produzione di una pittura “di genere” lontana dall’accademismo, sono noti per i loro travestimenti nel corso dei riti di iniziazione previsti per i nuovi adepti, durante i quali inscenavano parodici riti dionisiaci abbigliati con toghe e corone d’alloro di cui restano diverse testimonianze pittoriche. In effetti, la comunità degli artisti anglo-americani a Roma a fine Ottocento sembra orfana di un’identità di costume, di una maschera così caratterizzata e ben riconoscibile. Quando Hendrik si abbiglia, prima ancora di ritrarsi, “alla nazarena” sembra denunciare questa mancanza di una “divisa d’artista” propria della sua epoca e della sua comunità, perciò rincorre l’intento, ancora vivo e sentito dai romantici, di ricreare un’epoca e finisce per imitarne l’imitazione. Sente forte il bisogno di sottolineare un’appartenenza di gruppo che è insieme un’alterità: appartenenza a una comunità “altra” rispetto al luogo dove è insediata. Anche Hendrik ha fatto di Roma la propria patria di elezione, il luogo sulla terra dove poter realizzare il suo sogno artistico. La nuova Roma postunitaria, sentita da Henry James come un “paradiso perduto” in via di irrimediabile compromissione, è comunque ancora il teatro dove molti artisti e scrittori inscenano il loro dramma identitario, dove inseguono la patria delle arti e cercano l’ispirazione quotidiana della bellezza. “Il nuovo che cerca continuità nel passato, ma nello stesso tempo si traveste, si 74 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE trucca per apparire ora come allora in uno scambio tra culto per le testimonianze della storia e voglia di rinnovamento” (Amaturo 2012, p. 8). Mettendo a confronto le due citate immagini di Hendrik, quella del ritratto eseguito dal fratello e quella dell’Autoritratto “alla nazarena”, potremmo sostenere che un travestimento identitario più attuale Andersen lo trovi in quel dandismo e in quella posa da esteta che era anche adottata da diversi artisti del suo tempo. Basta scorrere la galleria dei ritratti grafici eseguiti da Hendrik, tra la fine del secolo e il primo decennio del Novecento, ai diversi conoscenti e frequentatori del suo studio, artisti, scrittori, politici e personalità di spicco della cultura, per notare come comune denominatore una sofisticata eleganza delle pose, una ieraticità e una stilizzazione dell’espressione, prima ancora che della forma, che arrivano a trascendere il dettaglio analitico della pur sempre appuntita matita di Hendrik. Si avverte in questi disegni una forma di bidimensionalità e teatralità dei personaggi, come in una galleria di figurine. I personaggi sono in posa. Quasi travestiti da se stessi. Non è però infrequente, scorrendo gli archivi fotografici del Museo Hendrik Christian Andersen, che i personaggi si travestano effettivamente, si mascherino da qualcun altro. Tralasciando i casi dei diversi ritratti femminili (grafici e fotografici) in cui le donne indossano il kimono, rivelatori più che altro del gusto del tempo per la moda giapponese, soffermiamoci invece su una fotografia scattata a Norcia nell’estate del 1903 che ritrae Hendrik in abiti insoliti. Ricevendo la fotografia allegata a una lettera spedita dall’artista nel settembre dello stesso anno, Henry James risponderà (22 settembre 1903): “…un vivo ringraziamento per la fotografia del Bandito barbuto [bearded Bandit]; molto affascinante malgrado l’aspetto selvaggio” (James 2000, p.113). Il mascheramento di Hendrik viene così definito da James come quello di un “bandito barbuto”. In questo caso il travestimento dell’artista 75 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE non sembra avere scopi di immedesimazione storica con un passato fantasticato quanto piuttosto con un altrove mitizzato: vestirsi di panni popolari, lasciare la barba incolta, abbandonare il socievole sorriso per una smorfia significa liberarsi delle formalità e delle consuetudini per identificarsi con un personaggio plebeo, come Henry James sottilmente intuisce: un fuorilegge, al di fuori delle regole sociali. Negli album di famiglia, del resto, non è infrequente imbattersi in fotografie di popolani della campagna romana e di un’Italia ancora rurale: pastori e contadini in abito tradizionale il cui aspetto doveva suscitare un misto di fascinazione e inquietudine nei Roman Yankee, facili a trasfigurarli in epiche icone del brigantaggio. Significativamente, nei giorni della permanenza a Norcia insieme a Hendrik, Olivia, a sua volta immortalata in un simile travestimento insieme a Hendrik e al di lui fratello Howard, appunta sul suo diario: “Tutto ciò che desidero è la vita in se stessa… non voglio maschere e coperture, vestiti, scarpe ben fatte e guanti… voglio la realtà in tutta la sua bellezza” (26 agosto 1903). Hendrik Andersen come “Bandito barbuto”, 1903, Archivio fotografico del Museo H. C. Andersen Ritratto fotografico di Hendrik Andersen, 1900 ca., Archivio fotografico del Museo H. C. Andersen 76 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Ancora più curiosa è la fotografia che ritrae, alcuni anni dopo, Hendrik insieme alla madre Helene e a Olivia, bardati con paramenti sacri, in una immagine appartenente a una serie di scatti probabilmente effettuati sulla terrazza della casa di Piazza del Popolo. Anche in questo caso si può leggere una sorta di identificazione parodistica con l’Italia e le sue tradizioni ma il gusto carnascialesco dell’inversione dei ruoli ha qualcosa di inquietante nella messa in scena di un’effettiva cerimonia religiosa. Hendrik Andersen, Helene Monsen e Olivia Cushing vestiti con paramenti sacri, 1907-1917 ca., Archivio fotografico del Museo H. C. Andersen La gratuità dei travestimenti appena visti, la loro natura di divertissement e la loro estraneità a qualunque esigenza pratica li distingue dai casi in cui il mascheramento a casa Andersen era funzionale ad esigenze artistiche: paludare i modelli all’antica o far loro indossare abiti esotici poteva servire all’artista per ritrarli in costume. A partire dalla metà dell’Ottocento, come evidenziato dalla mostra Arte in Italia dopo la Fotografia 1850 – 2000 (Galleria nazionale d’arte moderna, 2011), il ricorso alla fotografia in questo senso era propedeutico alla realizzazione dell’opera e si andava diffon- 77 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE dendo fino a “un’esaltazione massima quanto emblematica di quel connubio pittura fotografia che, nato già da tempo, si infittisce proprio a cavallo fra Ottocento e Novecento” (Miraglia 2011, p. 20), forse in parallelo con la diffusione, a partire dal 1888, della fotocamera Kodak di George Eastman, la prima macchina fotografica destinata a essere usata da non professionisti e posseduta anche dagli Andersen. In questi casi lo sfondo veniva sovente allestito per creare un’ambientazione coerente con la scena che si voleva allestire, come accadeva nei tableaux vivants di Giuseppe Primoli che spopolavano a Roma proprio in quegli anni ed erano uno dei passatempi preferiti dell’alta società non solo romana ma anche americana e inglese. La produzione scultorea di Hendrik Andersen è però concentrata sul nudo: paradossalmente, a dispetto della relativa frequenza dei mascheramenti adottati nella vita privata e testimoniati dalle fotografie, nelle sculture di Andersen il travestimento e persino l’abbigliamento è sostanzialmente assente. Questa nudità delle sue opere avrebbe creato non pochi problemi all’artista nel piazzarle nella puritana America: esemplare è il caso del grande bronzo Vita Eterna (1912) che Hendrik avrebbe voluto collocare sulla tomba del fratello nel cimitero di Cambridge (Massachussets) e che viene rifiutato, come riporta Olivia nel suo diario: “Il presidente del cimitero di Mount Auburn ha scritto che non è possibile collocare figure nude e che la vista di figure nude in un clima così freddo darebbe un brivido” (8 gennaio 1909). Mentre Henry James, che sprona sempre Andersen a non precludersi il mercato americano, dove potrebbe lanciarlo, lo invita ad abbandonare la sua idealistica “Megalomania” (sic, James 2000, p. 229), lasciando i grandi nudi per tornare a dedicarsi ai busti-ritratto: “…vedo meno che mai, carissimo Hendrik, dove ti farà approdare, nella prospettiva di una qualche possibilità americana, questa colossale moltiplicazione di signori e signore divinamente nudi e intimamente uniti, che esibiscono pance e sederi e ogni loro privato affare alla luce del giorno” (James 2000, p. 159). Questo attrito con la pruderie puritana è una delle ragioni 78 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE che spingono Andersen e altri a rimanere in Europa ed è un elemento da tenere in considerazione nel rapporto dell’artista con la nudità e con il travestimento. In diverse occasioni Hendrik scatta foto di nudo alla modella Lucia e agli altri modelli che posano per le sue sculture. Tra questi c’è Giulio Mazzoni, giocatore di pallone da sferisterio che, in occasione di una visita allo studio di Hendrik per contemplare l’opera Il giocatore di pallone (1910-1911) che l’artista ha modellato solo in parte sulle sue fattezze, è convinto che sia un esatto ritratto di se stesso e il suo vanitoso commento viene ironicamente stigmatizzato nel diario di Olivia: “Mi voglio far fotografare così, ha detto guardando le spalle e lo stomaco piatto dell’atleta, e anche nella posa del David [di Michelangelo, n.d.r.]. Vedrà che adesso ho la pancia così, non sono più grasso” (22 gennaio 1911). Non si può evitare un moto di sorpresa leggendo queste parole e ricordando l’appena trascorsa mostra di Luigi Ontani al Museo Andersen (AnderSennoSogno. Luigi Ontani, 2012-2013), dove una delle opere collocate più in evidenza era la serie fotografica DAvide iPrigioni (1970) in cui l’artista si cala proprio nei “panni” della nudità michelangiolesca del David e degli schiavi per la tomba di Giulio II. È solo uno degli infiniti cortocircuiti, intenzionali o accidentali, creati con la collezione del museo e con la figura di Andersen da Ontani, un artista che da sempre gioca con il proprio corpo attraverso il travestimento, il mascheramento e la nudità. Rimandi e collegamenti impliciti o espliciti a questi temi ricorrono in diverse occasioni nelle esposizioni ospitate dal museo negli ultimi anni: dal fascino per l’abbigliamento dandy di Yinka Shonibare (Yinka Shonibare. Be-Muse, 2001) al trasformismo camaleontico di Liu Bolin (A Secret Tour. Liu Bolin, 2012) gli autori contemporanei hanno giocato con questa dimensione mimetica e teatrale che si avverte nell’arte di Andersen e persino nella casa-atelier da lui progettata, dove i ritratti degli Andersen sono dissimulati tra la decorazione architettonica e 79 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE mescolati alle opere esposte e dove vita e arte sembrano davvero aver trovato una fusione intima e misteriosa. Olivia Cushing travestita da uomo, 1905?, Archivio fotografico del Museo H. C. Andersen Hendrik Andersen travestito da donna, 1905?, Archivio fotografico del Museo H. C. Andersen “In tutte le culture gli abiti rappresentano lo spazio deputato per un complesso circuito di forme di identità, un involucro che cerca di rendere visibile un sistema di desideri e di aspirazioni, sensoriali e spirituali” (Perrella 2001, p. 14). In queste parole di Cristiana Perrella introduttive alla mostra di Shonibare si intravede una spiegazione di quella tendenza al mascheramento che per Andersen - e per la cognata Olivia rappresenta una forma di liberazione, parallela e affine alla decisione di “esiliarsi” dagli Stati Uniti per risiedere in un altrove agognato e idealizzato. Un altrove, tuttavia, con il quale non ci si fonde ma si resta personaggi, per essere persone solo nell’intimità. Un’intimità di famigliari e di rari ed elettissi- 80 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE mi amici con i quali è possibile realizzare quella intensa fusione spirituale a cui in particolare Olivia aspira e in cui diventa possibile anche scambiarsi i ruoli: in un altro album di foto troviamo Hendrik e Olivia travestiti l’uno dall’altra, lui da donna e lei da uomo. È in realtà una simpatica comitiva en travesti, che comprende anche maman Helene, Lucia e due amici, forse immortalati nella campagna di Saltino, dove gli Andersen sono soliti villeggiare a partire dal 1908, ma la pregnanza delle pose di Hendrik e Olivia, inquadrati anche individualmente, ha qualcosa che trascende la semplice mascherata. Siamo ancora lontani (anche se non troppo) dai consapevoli travestimenti intesi come performance artistica di Marcel Duchamp - che si farà ritrarre per la prima volta in abiti femminili nel 1921 come Rrose Sélavy - camuffamenti che apriranno la strada alla tradizione contemporanea del travestitismo in arte con successivi rappresentanti notissimi come Urs Lüthi, Cindy Sherman e gli stessi Luigi Ontani e Yinka Shonibare. Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, noti episodi di crossdressing già avevano fatto la loro comparsa e, senza scomodare George Sand, si potrebbe citare la fotografa americana Frances Benjamin Johnston (1864 - 1952), i cui provocatori autoritratti in abiti da uomo o in pose maschili a fine secolo erano una sfida lanciata alle convenzioni sociali e alle restri- Frances Benjamin Johnston, Autoritratto zioni imposte al costume in abito da uomo con baffi finti, 1890 cirfemminile dal puritanesimo ca, Library of Congress Prints and Photographs Division statunitense dell’epoca. 81 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Resta comunque lecito individuare in queste immagini e in queste pose di Hendrik e dei personaggi che lo hanno circondato un fascino prolifico e suggestivo che non passa inosservato agli occhi degli artisti che vi espongono e dei visitatori del Museo Andersen. BIBLIOGRAFIA M. Amaturo, “Il museo Andersen e la mimesi” in Liu Bolin. A Secret Tour, a cura di R. Gavarro, 2012 E. Di Majo, “Hendrik Andersen e Olivia Cushing. Nascita di un’utopia a Roma, all’alba del nuovo secolo” in Incantati da Roma. La comunità anglo-americana a Roma (1890-1914) e la fondazione della KeatsShelley House, a cura di C. Huemer, Roma 2005 H. James, Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen 1899-1915, a cura di R. Mamoli Zorzi, Venezia 2000 M. Miraglia, “Mimesi e modernismo. Dalla metà dell’Ottocento all’esperienza pittorica e fotografica di Giulio Aristide Sartorio”, in Arte in Italia dopo la fotografia. 1850-2000, a cura di M. A. Fusco e M. V. Marini Clarelli, Milano 2011 C. Perrella, “Be-Muse. Tra mimesi e alterità”, in Yinka Shonibare. BeMuse, a cura di E. Di Majo e C. Perrella, Roma 2001 *Le citazioni dal diario di Olivia Cushing sono tratte dal Fondo Olivia Cushing dell’Archivio Andersen, Museo H. C. Andersen. 82 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Olivia Cushing e l’Oriente: arte, cultura, spiritualità CARMELA RINALDI Olivia con kimono “Ho messo il libro sulla vecchia scrivania cinese che nostro nonno ha portato dalla Cina e che è sempre lì, da quando ho memoria, nel piccolo soggiorno affacciato sul mare”(Diari, 5 settembre 1914). L’interesse di Olivia Cushing per l’Oriente matura sin da bambina sull’esperienza del nonno paterno John Perkins Cushing che a soli sedici anni partì per la Cina per lavorare con suo zio, il colonnello Thomas Handasyd Perkins, leader della comunità mercantile di Boston. John fu così abile nella gestione degli affari da entrare in società, favorendo poi la fusione con Russell & Co., una delle più importanti ditte di mercanti di Canton. A quarant’anni tornò a Boston con un’immensa fortuna, oltre ad innumerevoli oggetti cinesi e servitori orientali: “John Perkins Cushing ha lasciato una grande prosperità, ritornato a Boston milionario, con valigie 83 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE piene di bellissimi oggetti cinesi, alcuni dei quali ancora decorano le nostre camere a Roma” (Diari, 13 settembre 1916). Olivia vive in prima persona il fascino per l’esotico e fin da giovanissima colleziona oggetti orientali, acquistandoli nei suoi frequenti viaggi in giro per il mondo: “Ho trascorso la maggior parte della mattina a fare shopping e a passeggiare per le strade. Ho comprato parecchie cose indiane che sono molto più economiche quì che in altri posti”(Diari, 3 settembre 1887 Montreal). Collezionare oggetti esotici diventa una sorta di passatempo per Olivia che, tuttavia, non si mostra mai legata alle ricchezze materiali : “Mi chiedo cosa farei se dovessi perdere tutto. Immagino che la prenderei sempre con molta filosofia soprattutto se si tratta solo di oggetti di uso quotidiano, e che mi divertirei con le cose come Charles Lamb nel saggio "Old China"1 con le “tazze cinesi” o qualcosa del genere” (Diari, 19 maggio 1892). Il soggiorno parigino fa inevitabilmente nascere in lei un’attrazione per l’arte giapponese, alimentata inoltre da letture di autori come Louis Gonse ed Edmond de Goncourt. Il primo, direttore della Gazzette des Beaux-Arts, nel 1883 aveva organizzato presso la Galleria George Petit una retrospettiva di arte giapponese e pubblicato nello stesso anno L’art japonais, in due tomi, avvelendosi dell’aiuto di Wakai Kenzaburo e Hayashi Tamasa, due mercanti giapponesi attivi a Parigi: “Ho letto L’Arte giapponese di Gonse che mi interessa profondamente” (Diari, 27 novembre 1892). Edmond de Goncourt, particolarmente ricordato per i suoi scritti su Utamaro e Hokusai, fu uno dei maggiori promotori del giapponismo. Nella piccola biblioteca dell’Andersen è conservata la sua opera in due volumi, La maison d’un artiste pubblicata nel 1881, dove l'autore descrive in dettaglio la sua casa di Auteuil e le sue collezioni di oggetti d'arte e libri, un’opera ibrida, a metà strada tra un manuale di interior design, un catalogo per collezionisti, un libro sull'arte francese del XVIII secolo e una panoramica delle meraviglie d'Oriente. 84 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE È probablimente a Parigi che Olivia acquista gli acquerelli, presenti nella collezione del Museo Andersen, di Hiroshigega e di Toyokuni, il grande maestro di ukiyo-e2, conosciuto in particolare per le sue stampe di kabuki3: “Alcuni giorni prima avevo comprato un incantevole Toyokuni, bei gruppi e colori opachi e morbidi […] la grazia del contorno, il movimento, che morbidezza! E’ sorprendente!” (Diari, 27 novembre 1892). Hiroshigega,Seki (dalla serie TOKAIDO GOJUSAN_TSUGI conosciuta anche come KYOKA TOKAIDO),1840 ca, acquerello formato attuale ritagliato,mm 154x208 Hiroshigega,Okawe Seki (dalla serie TOKAIDO GOJUSAN_TSUGI conosciuta anche come KYOKA TOKAIDO), 1840 ca, acquerello A Parigi inoltre, insieme ai fratelli Howard e Louisa, frequenta la casa di James Abbott McNeill Whistler, uno dei primi artisti a subire il fascino del Giappone, il quale inizialmente si limita ad inserire nei suoi dipinti oggetti orientali e modelle con costumi esotici, per poi acquisire lo stile tipico della pittura giapponese, caratterizzato da un cromatismo bidimensionale e dalla preziosità della linea di contorno. La famosa Peacock Room, la Stanza del Pavone (1876-77), decorata a Londra nel palazzo Leyland come cornice ad un suo quadro La Princesse du Pays de la Porcelaine, poi ricostruita nella 85 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Freer Gallery di Washington, anticipa le posizioni artistiche dell'Art Nouveau per il raffinato decorativismo. Lo stile decorativo di stampo orientale sembra caratterizzare anche la sua casa di Parigi che la stessa Olivia ha modo di ammirare: “Howard oggi pomeriggio ha preso me e Louisa per andare dai Whistler. Sono stata contenta di andare e mi sono divertita molto. Whistler stesso è stato una sorpresa, mi aspettavo di trovarlo molto più alto e dallo sguardo serio chissà perché! - del resto dopo aver letto la sua “Dolce Arte”, ci si dovrebbe piuttosto aspettare un volto "petillante d'esprit" e di divertimento, che effettivamente è quello che ho trovato […] Poi la signora Whistler mi ha chiesto se volevo vedere la sala da pranzo, e così siamo andate nella stanza accanto, dove Whistler stava mostrando a Howard due piccoli e incantevoli pastelli. La sala da pranzo è tutta dipinta di blu e bianco, ha un bel pavone blu ma un po’ più scuro del salotto e ha delle nicchie disposte su due lati…..” (Diari, 30 aprile 1893). L’influenza delle stampe giapponesi per Howard Cushing, Andreas Andersen e John Brigg Potter si traduce nell’introduzione all’interno delle loro opere di soggetti in costume orientale, accessori e arredi più che in virtuosismi stlistici. Ne sono testimonianza alcuni dei loro lavori: Mrs Ethel Cushing (1912 ) di Howard, il taccuino di Potter con figure e ambientazioni orientali, Paesaggio di California con monti sotto la neve di Andreas Andersen, in cui la montagna rimanda al Fuji innevato, simbolo del Giappone, ricorrente nelle stampe di Hokusai e Hiroshige. Howard Cushing, Mrs. Ethel Cushing-1912 86 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE J.B.Potter, Taccuino illustrato,1892-93 .J.B.Potter, Taccuino illustrato,1892-93 A.M.Andersen, Paesaggio di California con monti sotto la neve, 1890-1900 ca 87 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Nel Ritratto di Olivia Cushing Andersen di Andreas (1900 ca.) la giovane donna tiene in mano un uchiwa, ventaglio rigido nato in Cina e poi introdotto nella corte giapponese, diventando uno degli oggetti più amati da dame e nobili, solitamente dipinto con motivi floreali e naturalistici. A.M.Andersen, Ritratto di Olivia Cushing Andersen, 88 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Un probabile riferimento alle stampe degli artisti dell’ukiyo-e che raffigurano i fiori come specchio dei sentimenti e delle passioni umane è invece rintracciabile nei fiori di ciliegio e nei glicini del taccuino di Olivia. Olivia Cushing, Taccuino con fiori,1890-1900 ca Olivia Cushing, Taccuino con fiori,1890-1900 ca Anche Hendrik, che risiede a Parigi tra il 1894 e il 1895, viene affascinato dalla moda giapponese: l’abito a kimono è presente in alcuni suoi ritratti femminili come Ritratto di fanciulla con lunghi capelli neri e Ritratto di signora con kimono del 1898 ca. H.C.Andersen, Ritratto di fanciulla con lunghi capelli neri, 1898 ca H. C. Andersen, Ritratto di signora con kimono,1898 ca 89 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE A Roma Olivia e Hendrik continuano ad intrattenere rapporti con personalità giapponesi del mondo dell’arte. Nel 1912 ricevono la visita di Naoki Kano, professore all’Università Imperiale di Kyoto, conosciuto a Parigi alla Festa dei Crisantemi, e del suo amico Seiichi Taki, figlio di un famoso artista4, docente di Storia dell’arte presso l'Università Imperiale di Tokyo e Kyoto, critico d'arte e direttore della rivista Kokka5: “Strano, mi ricordo di essere stata affascinata da questa rivista, quando vivevamo a Liverpool e a Parigi, e ora il direttore viene a casa nostra quì a Roma. Sono uomini molto piacevoli entrambi” (Diari, 6 febbraio 1913). Copertina della rivista Kokka La passione di Olivia per la rivista Kokka è testimoniata dalla presenza nella collezione Andersen di diverse copie della stessa e anche dalla conoscenza del suo leader storico, Okakura Kakuzō, il quale svolse un ruolo centrale insieme ad Ernest Fenollosa nel preservare e catalogare i tesori artistici del periodo Meiji. Fu amico e consigliere della collezionista d'arte Isabella Stewart Gardner e nel 1904 iniziò a lavorare al 90 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE museo di Boston, diventando più tardi curatore delle collezioni giapponesi e cinesi. A.M.Andersen,Mrs. Gardner nel suo giardino, 1898 ca Nonostante il rapporto professionale e di amicizia di Olivia e dei fratelli Andersen con Isabella Stewart Gardner6, non abbiamo testimonianza di un rapporto diretto anche con Kakuzō. Sicuramente Olivia conosce i suoi scritti, in particolare The Awakening of Japan (1905), testo conservato nella biblioteca della casa-museo, in cui l’autore, rivolgendosi agli occidentali, con grande vivacità espressiva e intenso patriottismo, li invita a rifuggire l’identificazione del Giappone come ‘pericolo giallo’, sottolinenando l’importanza della sua storia, della sua religione e della sua arte. La presenza tra le letture di Olivia di questo e di altri testi come “Oriental religion. China” di Samuel Johnson dimostrano 91 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE come la sua passione vada al di là della moda dell’epoca. L’interesse di Olivia, nel corso del tempo, abbraccia la cultura orientale nel suo complesso, il suo sguardo si volge ad un Oriente inteso quale luogo ideale dell’attività contemplativa e della massima ricchezza spirituale: “Prego per una crescente intelligenza, un’intelligenza capace di riconoscere i punti di riconciliazione nell’opposizione del mondo […] Penso all’Oriente, l’India, il Giappone, la Cina, alla moltitudine di persone, alla loro civiltà, al loro modo di vivere così diverso dal nostro, alle loro religioni. Ho la sensazione che in Oriente ci sia qualcosa di rinviato, che un giorno si fonderà con noi, per donarci una comprensione più profonda del significato di Dio” (Diari, 9 maggio 1911). Le sue riflessioni sono rivolte sovente al confronto tra l’Oriente spirituale e l’Occidente materialista, ma è convinta che nelle diverse religioni, arti, civiltà e modi di vivere ci sia uno spirito comune e che ogni creazione umana non sia che un riflesso dello spirito di Dio: “Cinese, giapponese, indiano, europeo, americano, africano, lo stesso spirito è in tutti…”(Diari, 11 maggio 1912). Da queste considerazioni nasce il suo desiderio di unione e di armonia universale, alla base del pensiero orientale, in cui la collettività assume un’importanza maggiore rispetto al singolo e in cui è implicito il dovere di agire per il bene della comunità prima che per l'interesse personale. Saranno questi stessi pensieri, pienamente condivisi da Hendrik, che porteranno entrambi a coltivare per tutta la vita il sogno di una Città Mondiale, patrimonio comune di tutte le nazioni del mondo, fecondo laboratorio di idee nel campo delle scienze, delle arti, delle religioni e del diritto, un centro in cui tutti gli uomini avrebbero avuto la possibilità di riunirsi per confrontarsi e scambiarsi idee e da cui l’umanità intera avrebbe tratto giovamento: “Our dream of a city for all nations, dedicated to the creative spirit of God in man, was hope and prayer in life. Here the dreamers sleep”7. 92 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE NOTE AL TESTO 1 Nel saggio autobiografico ‘Old China’ (1823) di Charles Lamb, la nostalgia per le vecchie tazze di porcellana (la ‘vecchia Cina’) non è altro che il desiderio di tornare ad un momento meno prospero in cui la capacità di vedere le cose veramente importanti era molto più acuta. 2 L’ukiyo-e, "immagine del mondo fluttuante", è un genere di stampa artistica giapponese su blocchi di legno, fiorita nel periodo Edo, tra il XVII e il XX secolo. Il successo di questa produzione artistica fu dovuto soprattutto alla borghesia che richiedeva opere rappresentative della società contemporanea. L’attenzione dei pittori si spostò quindi dalle grandi cerimonie ai divertimenti dei singoli cittadini. 3 Uno dei principali divertimenti del periodo Edo fu il teatro kabuki. La leggenda narra che il kabuki ebbe origine dalle danze di una sacerdotessa del tempio di Izumo, Okuni (1586), che si esibì assieme ad altre donne nel letto del fiume Kano a Kyoto. A quel tempo una proibizione buddista impediva alle donne di mostrarsi in qualunque forma di spettacolo, quindi la danza di Okuni e delle sua compagne destò una tale curiosità e interesse da produrre un nuovo genere teatrale. Il termine kabuki implicava forse il verbo kabuku che indicava eccentricità, ma venne scritto usando gli ideogrammi del verbo kabusu che significava cantare e danzare; oggi la parola viene scritta con tre ideogrammi, ka (musica), bu (danza), ki (recitazione). (Cfr. Alida Alabiso, Lineamenti di storia dell’arte giapponese, Roma 2001) 4 Si tratta di Katei Taki (1830-1901), pittore di kacho-ga ( immagini di uccelli e fiori) che studiò sotto Araki Kankai e partecipò all’Esposizione mondiale di Vienna del 1873. 5 Kokka è una rivista mensile illustrata, uscita la prima volta nell’ottobre del 1889. Ogni numero detiene il suo fascino come opera d'arte, per la sua particolare copertina e le pregevoli illustrazioni, oltre ad un certo numero di articoli, soprattutto di studiosi giapponesi, sull’arte, la storia e l’architettura orientale, con un forte accento sull’arte buddista. 6 Isabella Stewart Gardner fu una delle protettrici di Andreas, e finanziò in parte il viaggio in Europa dei due fratelli Andersen. Nel dipinto di Andreas Mrs. Gardner nel suo giardino (1898 ca.), la donna appare ritratta verosimilmente nel giardino della sua casa di Green Hill a Brookline. 7 Iscrizione sulla tomba della famiglia Andersen al Cimitero Acattolico di Roma 93 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE "Favole, animali, personaggi e vignette: l’illustrazione per l’infanzia nella cerchia degli amici di Hendrik e Andreas Andersen". VERONICA PIOMBAROLO I. Un taccuino anonimo di favole illustrate e ipotesi attributive. Nell’archivio del Museo Christian Hendrik Andersen sono conservati diversi taccuini di disegni: si tratta per lo più di quaderni di studio, che presentano schizzi e appunti, di diversi autori: tra di essi riconosciamo gli autografi di Hendrik e Andreas Andersen, di Olivia e Howard Cushing, ma compaiono anche materiali di altri personaggi, amici della famiglia Andersen1. Tra questi materiali, spicca un delizioso taccuino di favole illustrate, il cui autore, invece, rimane anonimo2. Il taccuino, denominato “Taccuino di favole di La Fontaine” è di piccolo formato e ha forma quadrangolare. Al suo interno troviamo 29 favole di La Fontaine, trascritte in francese: si tratta di favole che raccontano esclusivamente storie di animali3. I racconti sono brevissimi (una pagina, due al massimo). Per ognuno di essi è disegnata un’illustrazione a colori (a penna e acquerello). Laddove il testo arriva a due pagine, l’autore arricchisce il racconto con un ulteriore disegno a penna, in bianco e nero. Lo stile delle illustrazioni, omogeneo in tutte le tavole, si presenta con un tratto fresco e veloce, dal sapore prevalentemente vignetTaccuino n. Inv. 796, illustrazione per la favola Le corbeau et tistico. le renard 94 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Taccuino n. Inv. 796, illustrazione per la favola Le renard, le loup & le cheval Taccuino n. Inv. 796, illustrazione per la favola L’ane & le chien Chi potrebbe essere l’autore di queste illustrazioni? Il taccuino non è autografo, tuttavia nell’archivio del museo Andersen il confronto con altri materiali ci permette di formulare alcune ipotesi. Esiste un altro taccuino le cui pagine, riempite di vignette, ricordano moltissimo quello stile fresco e veloce che caratteriz- 95 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE za le illustrazioni delle favole di La Fontaine4. All’interno di questo secondo quaderno si susseguono, senza soluzione di continuità, varie vignette disegnate a penna e matita, talvolta colorate ad acquerello. I temi e le situazioni che troviamo rappresentati, si dividono grossomodo in due tipologie: schizzi di scene di vita quotidiana e di svago (tolette di signore, scene di colazioni in famiglia, giochi di bimbi, studi di animali comuni, passeggiate, uomini e donne in diversi atteggiamenti e occupazioni, pittori o pittrici al lavoro, concerti, fantini a cavallo, giocatori di polo, ragazzi sullo slittino, etc.), e scenette di gusto più squisitamente favolistico (animali esotici, una scena con l’arrivo di Cristoforo Colombo alla nuova terra, odalische, paggi, folletti, re e regine, streghe sulla scopa, indigeni neri intorno al fuoco, personaggi mitologici, scenette di duellanti, sfilate di stendardi e tamburi in costume medievale, scenette con costumi orientali, etc). Anche qui, i pochi testi presenti sono tutti scritti in francese. Taccuino N. Inv. 797, vignetta, Cristophe Colomb 96 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Sulla pagina iniziale del taccuino invece, c’è un unico paesaggio acquarellato: in alto a destra compaiono le iniziali O. D. C. tracciate ad acquerello, in rosso; in basso invece ci sono una sigla e una data: J. O. B. 1892-1893. Taccuino N. Inv. 797, frontespizio Le prime iniziali si riferiscono senz’altro a Olivia Cushing, moglie di Andreas Andersen, la quale non fu l’esecutrice della raccolta di disegni ma, probabilmente, ne divenne la proprietaria. Le sigle in basso, invece, si possono attribuire a John Briggs Potter: infatti la sigla è da confrontare sicuramente con la firma relativa ad un altro disegno presente nella collezione grafica del Museo Andersen. Si tratta de Il castello di Viareggio, un paesaggio a matita, china e acquerello su carta pesante, di mano di John Briggs Potter, sul quale compare, in basso a destra, la scritta: Jb. Viareggio 18935. 97 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE II. Un gruppo di artisti e di amici a Parigi tra il 1892 e il 1893. John Briggs Potter (1864-1849), fu uno dei più stretti amici di Andreas Andersen (1869-1902) e di sua moglie Olivia Cushing. L’amicizia con i fratelli Andersen nacque in Europa nel 1891, e crebbe durante gli anni in cui, sia Potter che Andreas, frequentarono i corsi all’Accademie Julien di Parigi. Qui, grazie all’aiuto di Olivia, li avrebbe raggiunti in seguito anche Hendrik, per completare anche lui la sua formazione artistica. E’ verosimile pensare che il forte legame tra John e Andreas, non nacque solo grazie ad una serie di consonanze elettive: John fu, dal 1888 al 1890 studente alla Boston’s Museum School, mentre Andreas, residente a Newport, si trasferì a Boston dal 1889, per frequentare i corsi della Cowles Art School di Darmouth street. Entrambi poterono partire per l’Europa grazie ad una borsa di studio: questo ci dice, di entrambi, che non erano ricchi di famiglia, ma che dovettero contare sull’impegno personale e sulla fatica. Questo aspetto sociale li predisponeva, verosimilmente, ad un’affinità umana, prima ancora che elettiva, fatta forse di tacita comprensione reciproca. A Parigi, frequentarono la stessa Accademie Julien, e fecero subito amicizia. Ma Parigi all’epoca, come Roma e Firenze, per gli artisti americani di tutte le estrazioni sociali era un’occasione unica, con tante opportunità da non lasciarsi scappare. Queste città furono letteralmente prese d’assalto da quei ‘nuovi ricchi’ americani, per i quali la ricchezza corrispondeva al prestigio sociale. Questi nuovi ricchi, mondani e dinamici, giravano l’Europa in lungo e in largo, poiché l’arte rappresentava una specie di passatempo nobile e poteva soddisfare il bisogno di affrancarsi dall’enorme divario culturale con l’Europa. Henry James, lo scrittore che descrisse questo ‘tipo americano’ nei suoi romanzi, fu egli stesso rappresentante di questa elite: insieme a Oscar Wilde, a Whistler e Sargent, rappresenta una figura di intellettuale ricco, internazio- 98 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE nale e alla moda6. Riuscire a frequentare questi ambienti intellettuali avrebbe rappresentato, per i nostri due amici, un’occasione per agganciare un mondo che, fino ad allora, avevano visto solo da lontano. Per Andreas e John, elemento di raccordo con questo bel mondo fu Howard Cushing: con lui Andreas divideva lo studio di Rue de l’Université, e sappiamo che i tre studenti facevano vita comune, lavorando insieme ogni giorno7. A differenza dei suoi colleghi, i quali rimasero in Europa grazie alle borse di studio (tanto che quando partirono insieme ad Hendrik per l’Italia furono costretti a rinunciare a visitare Roma perché i soldi finirono prima), Howard era molto ricco: rampollo di una delle famiglie più facoltose di Boston, amico di Henry James, non ebbe difficoltà ad introdurre i due amici più poveri nella cerchia elitaria di artisti in voga quali Whistler e Sargent. Anche la sorella di Howard, Olivia (futura moglie di Andreas), entrò a far parte di questo circolo di amici proprio in quegli anni. Quando raggiunge il fratello a Parigi è giovanissima: ha 19 anni e ancora non ha fatto il suo debutto in società. Ma non ha smania di farlo. Schiva e idiosincratica, Olivia preferisce tenersi lontana dai salotti aristocratici e alla moda che frequenta invece sua sorella Louisa, e ama invece incontrare gli amici artisti di suo fratello, nel suo studio di Rue de L’Université. Nel suo diario personale Olivia descrive le uscite degli amici, le sedute di lavoro allo studio e all’aperto, esprime giudizi e valutazioni estetiche sui disegni di alcuni suoi colleghi. La sintonia che si crea attraverso queste frequentazioni è tale, che Olivia sceglie di passare con questi nuovi amici anche momenti intimi della sua vita come le feste natalizie. Leggiamo nel diario: (18 dicembre, 1892) abbiamo iniziato i preparativi per un albero di natale che H. e Andersen stanno mettendo a studio. Bobby e John Potter saranno gli unici invitati.8 Ancora, la vigilia di Natale: 99 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE (24 dicembre 1892) Siamo appena tornati dal Christmas tree che è stato un vero successo. Era così strano vedere tutti riuniti. Abbiamo lasciato le nostre cose nella stanza di Andersen, così accogliente con un buon fuoco che brucia il cuore. Howard e Andersen si erano chiusi nello studio, silenziosi, e solo quando avrebbero aperto la porta avremmo visto gli oggetti luminosi e splendenti sull'albero. Potter non tardò a venire e quando le candele furono accese, abbiamo ammirato un bellissimo albero. Siamo rimasti a lungo seduti, sul divano o sulle sedie mentre H. e A. distribuivano i regali... Ogni cosa è venuta da "Babbo Natale"... Era così divertente vedere A. che si dava schiaffi sul ginocchio davanti ogni cosa nuova, lo stupore di Potter e le facce di tutti. A poco a poco abbiamo dovuto mettere fuori le candele ed è rimasta solo una lanterna giapponese appesa sopra il divano a dare una misteriosa luce morbida, creando una sensazione di irrealtà sopra ogni cosa. Mi è dispiaciuto quando è arrivato il momento di andare. Proprio mentre alcuni di noi se ne stavano andando è arrivato Mr Whistler, veniva con una grande gabbia contenente uno scoiattolino volante che Mr Whistler ha chiesto a Howard di tenere per lui fino a Capodanno9. Sappiamo che Olivia restò a Parigi anche per gran parte del 1893, continuando a frequentare quegli stessi amici. Questo istinto, che non era il capriccio di una fanciulla in cerca di passatempi originali, ma corrispondeva ad una natura che la portava a legarsi a spiriti affini, nei quali trovare stimoli più intensi per appagare quella fame intellettuale e quei bisogni umani di giovane donna anticonformista, indipendente e volitiva, la spinse a legarsi sempre più ad Andreas Andersen. La loro amicizia, anche lontano dagli echi bohemién, al ritorno alla vita di Boston, avrebbe continuato ad essere un punto fermo, tanto da trasformarsi in amore, e i due si sarebbero sposati nel 1902. Chissà quali risultati artistici Andreas avrebbe potuto ottenere se una morte prematura non lo avesse portato via all’età di 33 anni, dopo solo un mese di matrimo- 100 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE nio. L’amico Potter, rientrando negli Stati Uniti, avrebbe invece abbandonato la pittura per diventare Curatore della Sezione Dipinti del Museum of Fine Art di Boston, ma anche lui, come l’amico Andreas, sposando Ellen Sturgis Hooper, avrebbe legato la sua esistenza ad una delle più antiche famiglie di Beacon Hill and Back Bay. III. Conclusioni sul Taccuino di Favole di La Fontaine. Queste pagine di diario e, si spera, la nostra ricostruzione sono utili a tratteggiare un ambiente famigliare e intimo, nel quale si creò, nel tempo, un humus ricco, un vero e proprio laboratorio di idee, che ognuno di questi artisti avrebbe potuto utilizzare in seguito, per lo sviluppo delle proprie opere pubbliche, se la vita non li avesse distolti, in un modo o nell’altro dal farlo. E’ in questo clima che possiamo ricondurre la creazione dei taccuini che stiamo esaminando i quali, quindi, non vanno intesi come opere finite: sia quello di favole che ammicca alla produzione di testi illustrati per l’infanzia, che gli altri materiali dal carattere più umoristico e vignettistico, pur presentandosi ai nostri occhi ben strutturati per una evidente padronanza del linguaggio dell’illustrazione, non nacquero per essere un vero prodotto editoriale da stampare e poi distribuire, non erano intesi come lavoro professionista. Nacquero piuttosto come gioco sociale tra amici colti, un divertissement fatto di battute, ironia. Un gioco sociale nutrito comunque da una sperimentazione, da ideali artistici, i quali, sebbene in maniera laterale, lasciano intravvedere le speranze di questa generazione. Quello che intendo dire si evidenzierà maggiormente se confrontiamo la produzione di Potter con alcuni esempi più famosi. Faremo solo pochissimi nomi: Aubrey Beardsley (18721898), che nel 1893 disegnava le illustrazioni per la Salomè di Oscar Wilde, e Arthur Rackham (1867-1939), il quale, noto 101 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE soprattutto per le illustrazioni di Peter Pan nei giardini di Kensington di James Barrie e per quelle de Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol, pubblicava il suo primo libro già nel 1893. Si tratta di illustratori di fama internazionale, che fecero dell’illustrazione una vera professione, e che ebbero carriere alla moda. Ma basterebbe citare la vicenda di un altro pittore americano, Elihu Vedder per capire veramente come i nostri taccuini furono solo dei giochi divertenti per chi li eseguiva. La storia di Vedder (1836-1923) poeta, pittore simbolista, e illustratore di libri, che si stabilisce a Roma nel 1869, senza avere dalla sua parte rendite economiche che gli facessero da salvagente, è piuttosto significativa. Vedder poteva contare solamente sulla vendita delle sue opere per mantenere la giovane moglie che lo aveva seguito in Italia e che gli diede quattro figli. Vedder a Roma frequentava la casa del banchiere americano James Hooker, al quale spesso chiese aiuto in forma di prestito di denaro per sopravvivere. La casa del banchiere però era anche un punto di riferimento fondamentale per tutti quei ricchi americani che si trasferivano a Roma per trascorrere l’inverno e sui quali Vedder contava molto come risorsa economica in qualità di committenti. Erano proprio le opere che essi avrebbero richiesto e pagato a fornirgli il vero sostentamento economico! Infatti non gli fu concesso nessun anticipo nel 1894 quando gli editori Houghton gli commissionarono le illustrazioni per la Rubaiyat of Omar Khayyam, nella versione tradotta da Edward FitzGerald. Queste illustrazioni sono l'opera principale per la quale Vedder oggi è ricordato e influenzarono grandemente le arti grafiche sia in America che in Italia, basti pensare all’influenza che ebbero sugli illustratori di D’Annunzio10. Ma Vedder e Rackham e Beardsley, al contrario del nostro Potter, lavorarono sempre e solo dietro compenso, da illustratori professionisti. 102 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE NOTE AL TESTO 1 Nell’archivio del Museo Christian Hendrik Andersen, questi materiali sono stati regolarmente catalogati, e si possono trovare facilmente le notizie ad essi relative. 2 Si tratta del taccuino denominato “Taccuino di favole di La Fontaine”, n. Inv. 796/149. La scheda tecnica, all’interno dell’Archivio Andersen, è a cura della Dott.ssa Chiara Maraghini Garrone, redatta nel l’ottobre 1993. 3 Ecco la lista completa dei titoli: 1) Les deux mulets; 2) Le corbeau et le renard; 3) Le soleil et les grenouilles; 4) La lionne et l’ourse; 5) L’oiseau blessé; 6) Le cerf se voyant dans l’eau; 7) Le bat & l’huitre; 8) La grenouille qui veut se faire aussi groose que le boeuf; 9) Le loup, la chevre & le chevreau; 10) La grenouille & le rat; 11)Le geai pare des plumes de pain; 12) Le renard & le raisin; 13) Le renard, le loup & le cheval; 14) Le loup & la cigogne; 15) Le renard & le bouc; 16) Le leon & le rat; 17) Le rat de ville & le rat de champs; 18) Le pot de fer & le pot de terre; 19) Les deux coqs; 20) Le chien qui lache sa proie pour l’ombre; 21) Le heron; 22) Le renard & la cigogne; 23) Le chene & le roseau; 24) Le loup devenu berger; 25) L’ane & le chien; 26) L’ecrevisse & sa fille; 27) L’arraignee & l’hirondelle; 28) Le serpent & la lime; 29) Les oreilles du lievre. 4 Taccuino n. Inv. 797/1-49, vedi la scheda tecnica a cura della Dott.ssa Chiara Maraghini Garrone, redatta nel settembre 1993. 5 N. Inv. 635 (826), vedi scheda tecnica a cura della Dott.ssa Chiara Maraghini Garrone, marzo 1993, Archivio Andersen. Assimilabile a questi materiali, è da segnalare anche un gruppo di fogli di vignette umoristiche, che si raccolgono intorno ad un frontespizio con il seguente titolo: “La Peinture Le dessin et Les Artistes”, si tratta del taccuino N. Inv. 809/1-5, vedi scheda tecnica a cura della Dott.ssa Chiara Maraghini Garrone, maggio 1993, Archivio Andersen. Il carattere umoristico di queste vignette, lo stile veloce, la tecnica, la mano dell’artista sembrano davvero gli stessi riscontrati nel Taccuino siglato J. O. B, che ci è servito per attribuire Il Taccuino di favole a John Potter. 6 Vedi F. Bardazzi e C. Sisi (a cura di), Americani a Firenze. Sargent e gli impressionisti del Nuovo Mondo, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 3 marzo – 15 luglio 2012), Firenze, 2012; e vedi anche Incantati da Roma. La comunità anglo americana a Roma (1890-1914) e la fondazione della Keats-Shelley House, catalogo della mostra (Roma, American Academy, Keats-Shelley Memorial House, Museo Hendrik Christian Andersen, 16 febbraio-16 aprile 2005), pp. 73-77. 7 Vedi F. Fabiani, 1.2 La formazione artistica tra l’America e l’Europa, in Hendrik Christian Andersen. La vita l’arte il sogno, Roma, 2003. Cfr. Olivia Cushing, Diaries, vol. IV, 1892 (nell’archivio Andersen esiste una versione dattiloscritta dei diari che Olivia scrisse dal 1882 al 1917, anno della sua morte). 8 Olivia Cushing, Diaries, vol. IV, 1892. 9 Olivia Cushing, Diaries, op. cit. (la traduzione dall’inglese è della scrivente). 10 Vedi R. Soria, Gli artisti americani al Cimitero di Testaccio, in Cristina Huemer, (a cura di) Incantati da Roma. La comunità anglo americana a Roma (1890-1914) e la fondazione della Keats-Shelley House, (op. cit.), pp. 73-77. 103 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Hendrik Christian Andersen e Le Corbusier. Percorsi paralleli. LUCA RIJTANO LAURA CAMPANELLI Uno scultore americano-norvegese, sconosciuto ai più e sicuramente ai margini della storia dell'arte mondiale, vissuto gran parte della sua vita a Roma e la cui magniloquente opera è racchiusa pressocché nella sua totalità nello straordinario scrigno di villa Helene, subito fuori Porta del Popolo. Uno dei più importanti architetti del Novecento, «tra le figure più influenti della storia dell'Architettura, [...] maestro del Movimento Moderno, [...] uno dei padri dell'urbanistica contemporanea, [...] geniale pensatore della realtà del suo tempo»1. Hendrik Christian Andersen e Charles-Edouard Jeanneret, in arte Le Corbusier, a prima vista sembrano non avere niente in comune. Eppure le loro vicende biografiche e professionali presentano significativi punti di contatto. Entrambi figli di quell'internazionalismo positivista e di quella fede nel progresso, nella scienza e nella tecnica che conobbero la loro apoteosi nelle Esposizioni Universali, li unisce, soprattutto, la straordinaria perseveranza nel promuovere ad oltranza le proprie idee, o, meglio, "la" propria idea, il progetto di una vita, destinato, nelle loro menti non immuni da una megalomania comune a molti artisti, ad avere effetti salvifici di palingenesi per l'intera umanità. The World Centre of Communication2 - il progetto di Città Mondiale di Andersen ed Hébrard3 del 1913, dove riunire i migliori artisti e scienziati del pianeta in nome della cooperazione e del progresso delle nazioni e dell'umanità— e la Ville Radieuse4 - il modello urbano che, a partire dalla Città contemporanea per 3 milioni di abitanti del 1922, Le Corbu- 104 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE sier, in successivi sviluppi, porterà avanti per tutta la vita vengono entrambi proposti per decenni ai più svariati interlocutori, propagandati costantemente attraverso pubblicazioni e conferenze in giro per il mondo, localizzati geograficamente in tutti i continenti. E.M. Hébrard, Un Centro Internazionale. Planimetria generale, 1913. Museo Hendrik Christian Andersen Le Corbusier, La Ville Radieuse. Zonizzazione, 1935. Non è questo il luogo né per un’analisi dei due progetti, nei loro pregi e nei loro forse più numerosi difetti, né per un improbabile confronto, sulla cui fattibilità pesa come un macigno prima di tutto la fortuna critica impietosamente opposta che la storia ha loro riservato. Ciò che interessa qui raccontare è come, in un momento cruciale della storia europea, i destini di Andersen e Le Corbusier - e dei loro progetti - si siano incrociati con quelli di due personaggi fuori dell'ordi- 105 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE nario, altrettanto diversi tra loro: Paul Otlet e Benito Mussolini. Il progetto del Centro Mondiale ha origine dall'idea di Andersen di realizzare una fontana monumentale - la Fontana della Vita - che esprima simbolicamente ideali di amore, fratellanza e progresso. Sull'onda del visionario ed entusiasmante scambio di idee e passioni con la cognata Olivia Cushing, ricchissima ereditiera americana che sarà una figura centrale, nonché la munifica finanziatrice, dell'intera impresa, il progetto cresce a dismisura fino a diventare una vera e propria Capitale Mondiale; un'utopia che, grazie al pragmatismo di Ernest Hébrard, capace di dare una forma architettonica concreta alla visione di Andersen, e all'indubbia capacità di lobbying dei due cognati, riesce ad avere, in alcuni momenti della sua vicenda, le potenzialità di diventare realizzabile5, soprattutto in seguito all'incontro, nel 1911, con Paul Otlet e Henri La Fontaine. Socialisti, pacifisti e internazionalisti belgi, Otlet e La Fontaine sono i promotori e segretari dell'Unione delle Associazioni Internazionali (1910), e sostenitori (in particolare il giurista La Fontaine, premio Nobel per la Pace nel 1913) dell'istituzione della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja e, più tardi, della Società delle Nazioni. Padri della Classificazione Decimale Universale e, di conseguenza, della moderna Bibliografia, fondano nel 1895 l'Istituto Bibliografico Internazionale e il Museo Ritratto di Paul Otlet. Mundaneum, Mons (Belgio) Mondiale (Mundaneum). Oggi, Paul Otlet viene celebrato anche come un pioniere dell'informatica, dell'ipertesto ed un assai precoce ma lucidissimo anticipatore di Internet6. 106 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Paul Otlet. Species Mundaneum, Forme e tipi di Mundaneum da collegare in una rete. Mundaneum, Mons (Belgio) Otlet si entusiasma immediatamente al progetto di Città Mondiale e propone, già nel 1912, un anno prima della pubblicazione ufficiale del progetto di Andersen-Hébrard, un'area a Tervueren, nei pressi di Bruxelles, per l'edificazione della città e la realizzazione immediata di un primo edificio per ospitare la sede dell'Unione delle Associazioni Internazionali. Nonostante Andersen rifiuti la proposta, preferendo presentare prima universalmente il progetto svincolandolo da una collocazione geografica7, da questo momento e per oltre un decennio, Otlet diventa l'interlocutore privilegiato e il sostenitore più convinto dell'impresa, riuscendo più volte a creare concrete possibilità di realizzazione, tentando di legare il progetto della Città Mondiale all'organizzazione delle Esposizioni Universali, facendone una sorta di sede permanente, e, dopo l'ecatombe della Grande Guerra, all'istituzione della Società delle Nazioni. 107 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE H.Ch. Andersen, E.M. Hébrard, La Città Mondiale a Tervueren, 1913. H.Ch. Andersen, E.M. Hébrard, La Città Mondiale sul Mediterraneo, nei dintorni di Roma, 1913 108 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Parallelamente ed autonomamente Andersen, anche attraverso la fondazione della World Conscience Society8, continua l'opera di propaganda facendo la spola tra le due sponde dell'Atlantico, ricevendo sostegno da intellettuali, giornalisti e attivisti di tutti i continenti, venendo ricevuto con grande interesse, nel 1913, dai Re del Belgio e d'Italia; senza ottenere, però, risultati concreti. La fine del rapporto tra Otlet e Andersen avviene quando quest'ultimo, constatato il fallimento, o per lo meno l'impasse, del tentativo di fare del World Centre il quartier generale della Società delle Nazioni e, probabilmente, condizionato anche dalla mancata adesione degli Stati Uniti all'organismo, chiede ed ottiene udienza, nel gennaio 1926, a Benito Mussolini9. Il Duce sta completando in quei mesi la svolta autoritaria che avrebbe trasformato l'Italia in un regime dittatoriale; non è ancora il fondatore di città nuove che lo avrebbe portato con l'epopea della bonifica integrale al massimo livello di consenso popolare; sicuramente ha bisogno in quel frangente di costruirsi un ruolo internazionale di interlocutore affidabile e forte; fatto sta che si rivela entusiasta della proposta di Andersen, offrendo in dono alle nazioni una vasta zona appena bonificata a Maccarese, immediatamente a Nord della foce del Tevere, una delle possibili localizzazioni proposte da Andersen nella pubblicazione fondativa della World Conscience Society del 191310. Nella corrispondenza immediatamente successiva tra Andersen e Otlet, il belga insiste nel rapporto con la Società delle Nazioni e nella localizzazione del piano a Ginevra, sua sede permanente dal 1920; i rapporti tra i due si incrinano irrimediabilmente. Perduto l'appoggio di Otlet e delle Associazioni Internazionali, la ricerca del sostegno di Mussolini da parte di Andersen si rivelerà nell'immediato soltanto uno spot propagandistico per il regime fascista. 109 La Città Mondiale. Veduta del centro monumentale con indicazione dei principali edifici. Da G.Gresleri, D.Matteoni, La Città Mondiale. ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Nel 1927, si svolge a Ginevra il concorso internazionale di architettura per il Palazzo della Società delle Nazioni. Considerato un evento epocale nella storia dell'architettura del Novecento11, vede per la prima volta il confronto sul più importante palcoscenico internazionale tra il Movimento Moderno e l'Accademia Beaux-Arts. Le Corbusier vi partecipa con un celebre progetto, e la sua sconfitta ad opera della proposta accademica poi realizzata, contribuirà non poco a costruire il suo mito. Presumibilmente è in questa occasione che l'architetto svizzero entra in contatto con Paul Otlet. L'anno successivo Otlet commissiona a Le Corbusier il piano per il Mundaneum. L'architetto lo descrive come «un centro mondiale-scientifico, documentario ed educativo, al servizio delle Associazioni internazionali, che si propone di creare a Ginevra, per completare le istituzioni della più grande Società delle Nazioni e per commemorare, nel 1930, dieci anni di sforzi verso la pace e la collaborazione internazionali»12. È esattamente la visione che Otlet ha sempre avuto della Città Mondiale, che fino a questo momento, per oltre tre lustri, ha avuto le forme attribuitele dai raffinati disegni Beaux Arts di Hébrard e dei suoi collaboratori , e che ci spinge a presupporre un'assai probabile primogenitura di Otlet sulla genesi del Centro Scientifico del World Centre, con i centri congressi, la Corte Internazionale di Giustizia, la Biblioteca Universale, la Torre del Progresso e della Comunicazione. Per Le Corbusier, come teorizzato già da vari anni13, la lezione della Classicità è quella delle forme pure e archetipiche, del «gioco sapiente e magnifico dei volumi sotto la luce»14. Quindi, per la fondazione di una città, l'architetto ritorna alle origini della Storia, individuando un recinto sacro, un rettangolo con un tracciato regolatore costruito sulla sezione aurea, un'Acropoli o Campidoglio15 ideale dove si alzano isolati i volumi dei vari edifici: la sede delle Associazioni Internazionali, l'università, la biblioteca, gli spazi quasi fieristici per le esposizioni e, in posizione baricentrica, la piramide gradonata a 112 Le Corbusier, Mundaneum. Veduta assonometrica generale, 1928 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE spirale del Museo Mondiale. Sorprendentemente, però, qualcosa sopravvive del piano Andersen-Hébrard; Otlet ha sicuramente mostrato il World Centre a Le Corbusier, tanto da condizionarne il progetto. Pur all'interno di un impianto assai differente nelle scelte fondamentali (ad esempio nella localizzazione delle stazioni portuale e ferroviaria, qui posizionate più razionalmente sulle rive del lago, accanto alla preesistente sede dell'Ufficio Internazionale del Lavoro), rimane una memoria dell'asse monumentale: dalla piazza sul lago, attraverso la "città alberghiera-residenziale", prima di entrare nella "città della conoscenza", tale asse incontra il grande stadio, posizionato in modo identico al piano di AndersenHébrard16, ad interrompere la lunga prospettiva, prosegue poi con l'auditorium dell'università, ripreso fedelmente dal concorso del Palazzo delle Nazioni, concludendosi con il parallelepipedo un po' modesto della biblioteca. Le Corbusier sottrae, però, all'asse l'edificio principale, con uno scarto laterale che libera la nuova Torre di Babele al centro del recinto sacro, facendone un segno monumentale ad una scala paesaggistica. Dal Museo Mondiale, impostato su un percorso che dalla cima della piramide, raggiungibile tramite ascensori, scende lungo le rampe elicoidali (esattamente come il Guggenheim di Frank Lloyd Wright a New York, 1943-59), parte la ricerca progettuale di Le Corbusier sull'edificio museale, che attraverso il prototipo del Museo a crescita illi- Le Corbusier, Museo Mondiale. Pianta, sezione, mitata (1930-31) arriva prospetti, 1929 114 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE ai tre musei realizzati nel dopoguerra, ad Ahmedabad, Chandighar e Tokio. Le Corbusier, Città Mondiale. Prospettiva per diorama, 1929. Archivio della Fondazione Le Corbusier, n.24530 La proposta di Otlet-Le Corbusier è destinata all'insuccesso. Il Palazzo delle Nazioni, dopo un iter assai controverso17, verrà costruito secondo un progetto redatto dal gruppo multinazionale di vincitori ex-aequo del concorso, mutuando alcuni spunti planimetrici della proposta di Le Corbusier. Otlet tenterà ancora, invano, almeno fino al 1935, di realizzare il suo sogno, tra Ginevra e il Belgio18. La Società delle Nazioni verrà affossata, manifestando tutta la sua impotenza, dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dopo aver già subito un duro colpo da Mussolini, con l'invasione dell'Etiopia, e la sostanziale inefficacia delle sanzioni comminate all'Italia. Nuove prospettive sembrano aprirsi sia per Andersen sia per Le Corbusier qualche anno più tardi, nel biennio 1934-35, legate entrambe alla Roma fascista e a Mussolini. «Sua Eccellenza il Capo del Governo», informa una nota ufficiale in data 15 gennaio 1934, «si è compiaciuto di dare il 115 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE proprio assenso perché abbia luogo in Italia il progettato corso di conferenze sulle nuove forme dell'Architettura moderna» ad opera del «noto architetto francese Le Corbusier»19. L'evento, che avrà luogo a giugno, accuratamente preparato dalla "quinta colonna" di architetti italiani più vicini al maestro svizzero, si inserisce nello scontro più o meno aperto nell'architettura italiana del tempo, su quale debba essere lo Stile dell'architettura fascista; scontro nel quale i giovani razionalisti hanno, forse più che in ogni altro paese, ancora molte carte da giocare. La speranza di Le Corbusier è ottenere l'incarico per il piano regolatore di Pontinia, la terza città nuova dell'Agro, dopo Littoria e la celebrata Sabaudia. Prepara alcuni schizzi, ha uno scambio di cordiali lettere con il Ministro della Cultura Giuseppe Bottai, invia al Duce il primo volume della sua Oeuvre Complète con dedica referente, rimane a Roma in attesa di un'udienza con Mussolini. Pier Maria Bardi, colui che tra i suoi sponsor ha più entrature, gli comunica il 20 giugno che l'incontro potrà avvenire tra il 27 e il 29. Ma Le Corbusier riparte, ritenendo che i giorni di attesa siano stati troppi per il suo orgoglio e la sua pazienza. Quando, nel 1935, Roma ottiene l'organizzazione dell'Esposizione Universale prevista per il 1941-42, anche Andersen vede aprirsi nuove possibilità, nella speranza di legare il World Centre all'operazione. Prepara per Mussolini una nuova tavola20, una planimetria in cui la Città Mondiale, nell'area di Maccarese promessa dal Duce nove anni prima, è messa in relazione con Roma e il quartiere espositivo. Il nuovo tentativo è coerente con la decisa svolta determinata nell'urbanistica romana dalla localizzazione dell'E.42, che dà concretezza alla retorica di Roma al mare portata avanti da anni dal regime e che porterà all'elaborazione di un nuovo Piano regolatore21, mai approvato, in cui la città prende la forma di una cometa, con la coda che si allunga verso il Tirreno. 116 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE H.Ch. Andersen, Un Centro Mondiale della Comunicazione. Piano generale, 1935. La Città Mondiale, nell'area di Maccarese, in relazione alla città di Roma e all'E.42. Museo Hendrik Christian Andersen Ormai, però, Andersen è fuori dai giochi. Ben più agguerriti sono i protagonisti che si affrontano sul campo di battaglia delle Tre Fontane. Mussolini non gli concede udienza. Andersen ottiene, soltanto, la promessa di poter esporre il progetto durante l'Esposizione22. Muore nel 1940, due anni prima di un evento che non avrà mai luogo. Nel dopoguerra, invece, Le Corbusier ha la possibilità di realizzare ciò su cui ha lavorato tutta la vita: l'Unitè d'habita- 117 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE tion a Marsiglia23, la città e il Campidoglio di Chandighar. I suoi allievi brasiliani costruiscono la nuova capitale, Brasilia. Memore delle sue esperienze con Otlet, farà parte24 del gruppo di progettazione della sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York. Tutto ciò avrà, però, più il sapore dell'omaggio al vecchio Maestro, che di una reale affermazione delle sue idee. L'intuizione che si rivelerà invece straordinariamente anticipatrice e, alla lunga, vincente, sarà quella di Paul Otlet, scomparso, immaginiamo nello sconforto, nel 1944, nel momento più cruento della guerra. In una conferenza alla Maison du Livre di Bruxelles, nel 1908, intitolata La funzione e le trasformazioni del libro, affermava: «Ciò che cambierà radicalmente il libro sarà il principio della trasmissione a distanza, senza limiti di spazio e direzione: onde che possano trasportare immagini e suoni indiscriminatamente. [...] si avrà allora una rete universale che permetterà la disseminazione della conoscenza senza confini»25. Il World Centre of Communication, la "Fontana del Perenne Fluire della Conoscenza"26 immaginata da Andersen, sarà immateriale, sarà una Grande Rete Mondiale, un World Wide Web. NOTE AL TESTO Così viene presentato Le Corbusier su wikipedia. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/ Le_Corbusier 2 Cfr. oltre ai due volumi originali con cui viene presentato il progetto - H.C. Andersen, E.M.Hébrard, Creation of a World Centre of Communication, I vol., Paris 1913 e H.C. Andersen, O. Cushing Andersen, Creation of a World Centre of Communication, Legal Argument, Economic Advantage, II vol., Roma 1918 - G. Gresleri, D. Matteoni, La città mondiale. Andersen, Hébrard, Otlet, le Corbusier, Marsilio, Venezia 1982 e, tra le pubblicazioni più recenti, F.Fabiani, Hendrik Christian Andersen, la vita, l'arte, il sogno. La vicenda di un artista singolare, Gangemi ed., Roma 2003, p. 55-79 e A.Ciotta, La cultura della comunicazione nel piano del Centro Mondiale di Hendrik Ch. Andersen e di Ernest M. Hébrard, Franco Angeli, Milano 2011. 3 Ernest Michel Hébrard (1875-1933), architetto e urbanista francese, vincitore del Prix de Rome nel 1904, conosce Andersen l'anno successivo durante il soggiorno come pensionnaire a Villa Medici. Dopo l'esperienza della Città Mondiale, sarà autore di numerosi piani regolatori in Grecia ed Indocina. 1 118 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Sterminata, ovviamente, è la bibliografia sulle teorie urbanistiche di Le Corbusier. Citiamo, tra i testi originali di Le Corbusier, almeno Vers une Architecture, Paris 1923, trad.it. Verso una architettura, Longanesi, Milano 1973, La Ville Radieuse, Boulogne-sur-Seine 1935, La Charte d'Athènes, Boulogne-sur-Seine 1938, trad. it. La Carta di Atene, Edizioni di Comunità, Milano 1960, Manière de penser l'urbanisme, Boulogne-sur-Seine 1946, trad. it. Maniera di pensare l'urbanistica, Laterza, Bari 1965. 5 A proposito di come il progetto della Città Mondiale fosse perfettamente inserito nella temperie socio-culturale dell'epoca cfr. il paragrafo L'utopia realizzabile, in F.Fabiani, op.cit., p.55-60. 6Cfr.http://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Otlet; http://en.wikipedia.org/wiki/ Mundaneum; il sito ufficiale del Mundaneum www.mundaneum.org; Ch.Van den Heuvel, Architectures of Global Knowledge: the Mundaneum and the World Wide Web, in «Volume» n.15, Aprile 2008, p.48-53. 7 Hendrik e Olivia preferivano, probabilmente, una diversa localizzazione, più simbolica e affascinante, come i dintorni di Roma, o, soprattutto, la patria americana, dove di certo non mancavano né la visionarietà né i capitali necessari all'iniziativa. 8 Andersen fonda la Società per una Coscienza Mondiale nel novembre 1912, come strumento di propaganda e raccolta fondi per la realizzazione del Centro Mondiale. Otterrà numerose adesioni in tutto il mondo, anche attraverso la pubblicazione di opuscoli e pamphlet. Propone senza risultati al Comune di Roma, nel 1913, la costruzione di un World Conscience Building nell'area del padiglione americano all'Esposizione del 1911 a Valle Giulia. Andersen cercherà spesso come interlocutore il sindaco di Roma Ernesto Nathan e, probabilmente, quella sorta di "Primavera Romana" messa in moto dall'assoluta novità della giunta Nathan, tuttora ricordata come una delle migliori amministrazioni mai avute dalla Capitale, può aver avuto una certa influenza anche sull'elaborazione teorica del World Centre, almeno nel ruolo di" incubatrice di idee innovative" 9 Oltre ai testi citati alla nota 2, cfr. M.Zatterin, Quando Mussolini sponsorizzava la Città della Pace, in «La Stampa» del 19.07.2011 10 Cfr. H.C. Andersen, World Conscience. An International Society for the Creation of a World Centre, Roma 1913, p.38. Nel volume, a titolo esemplificativo, vengono proposte, presentando apposite mappe con inserita la planimetria generale della Città, le localizzazioni di Tervueren nei dintorni di Bruxelles, del Lago di Neuchatel vicino Berna, dell'Aia, di Parigi, della Costa Azzurra tra Cannes e Saint Tropez, di Santo Stefano nei dintorni di Costantinopoli, di Lakewood nel New Jersey (USA) e, appunto, di Roma-Maccarese. 11 Cfr. ad esempio le pagine dedicate da Bruno Zevi in Storia dell'Architettura Moderna, Einaudi, Torino 1950, p.162-164, nonché l'ampio risalto dato all'epoca al concorso su «Architettura e Arti Decorative» con la recensione del direttore Marcello Piacentini in Problemi reali più che razionalismo preconcetto (fasc. III, novembre 1928) 12 Cr. Le Corbusier & Pierre Jeanneret, Oeuvre Complète de 1910-1929,Girsberger, Zurich 1948, p.190 e F.Tentori, Vita e opere di Le Corbusier, p.70-71. Sul progetto corbusieriano del Mundaneum e sui rapporti con Otlet cfr. G. Gresleri, D. Matteoni, op.cit. 13 Cfr. la sua opera manifesto del '23, Vers une Architecture, e i tanti testi sulla lezione di Roma, sulla Grecia e il Partenone, pubblicati sulla rivista L'Esprit Nouveau. 14 Cfr. Verso una architettura, p.16 15 Capitol si chiamerà poi anche il centro civico, culturale e politico di Chandighar 16 Anche qui, lo stadio appare posizionato in modo un po' incongruo, obbligando al suo aggiramento chi volesse dirigersi al centro venendo dal lago. Lo stadio del World 4 119 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE ricerche Centre era stato l'elemento più criticato, nelle sue forme e nel suo posizionamento che impediva alla città la visuale e il contatto diretto con il mare. Cfr. A. Ciotta, op.cit., p.168-169, 207-212 17 C'è un momento, tra il '28 e il '29, in seguito allo spostamento del sito per il Palazzo nell'area del parco dell'Ariana dove Otlet e Le Corbusier stanno progettando il Mundaneum, in cui sembra ritornare in gioco la proposta dell'architetto svizzero. Le Corbusier tenterà di utilizzare come "strumento di pressione" proprio il lavoro che sta svolgendo con Otlet. Cfr. G. Gresleri, D. Matteoni, op.cit. 18 Viene riproposta, nel 1932, la localizzazione di Tervueren per un nuovo progetto, dell'architetto Victor Bourgeois. Le Corbusier, invece, già nel 1930 considera l'esperienza ormai chiusa, presentando al CIAM di Bruxelles le tavole della Ville Radieuse. Cfr. G. Gresleri, D. Matteoni, op.cit., p.82-84, 128-129 19 Cfr. la lettera originale esposta alla recente mostra L'Italia di Le Corbusier, MaXXI 18.10.2012 - 17.02.2013, a cura di Marida Talamona. Cfr. anche N. Ajello, Le Corbusier. Viaggio in Italia, in «La Repubblica» del 9.12.2007 20 La tavola è attualmente esposta nella grande sala al piano terra di Villa Helene, insieme ai disegni di Hébrard di oltre vent'anni prima. 21 Cfr. sulle vicende del cosiddetto "piano-ombra" del 1942, A.Bruschi, La variante generale del 1942 al Piano Regolatore di Roma, in PICCIONI L. (a cura di), Roma in guerra. 1940-1943, “Roma moderna e contemporanea”, anno XI, n.3, sett.-dic. 2003, pp.619-625 22 Tale possibilità era stata negata ad Andersen all'Esposizione Universale di San Francisco del 1915. Cfr, F.Fabiani, op. cit., p.65 23 Costruirà in seguito altre 4 Unitè a Nantes, Berlino, Briey e Firminy. 24 Poi, per una serie di dissapori, ne uscirà, pur se la sede dell'ONU presenta una chiara impronta corbusieriana 25 Cfr. Ch.Van den Heuvel, op.cit., p.48 26 Una fontana "alimentata dai risultati compiuti da tutti gli uomini nell'arte, nella scienza, nella religione, nel commercio, nell'industria e nel diritto". Cfr. H.C. Andersen, E.M.Hébrard, op.cit., p.14 120 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Racconti di vita nelle carte dell'Archivio Andersen CLAUDIA PALMA Per chi frequenta e ama gli Archivi trovarsi a contatto con le carte degli Andersen rappresenta un assoluto piacere. In una strada di Roma che affaccia al suo sbocco sul fiume Tevere c'è un delizioso villino in stile liberty che conserva preziose testimonianze di una intera famiglia. Tutto in quella casa parla di una vita dedicata all'arte, alla realizzazione di un sogno, quello di un grande e nuovo "Centro mondiale di comunicazione" . Grandiose statue all'entrata di Villa Helene accolgono, imbarazzano e confondono il visitatore che difficilmente riesce a contestualizzarle se non accede al mondo immaginato da Andersen nella sua utopia. E salendo la bella e oscura scala, al primo mezzanino, dietro una porta che già al suo apparire sembra celare un raro tesoro, si apre la s tanz a , da lle b uf f e finestrelle che ricordano quelle delle mansarde parigine, e che raccoglie appunto le carte di Hendrik Andersen, di sua cognata Olivia e della sorella adottiva Lucia. Nella piccola saletta, collocati su scaffali in legno, l'archivio accoglie documentazione variegata. Molteplici ad esempio 121 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE sono le copie del testo che Andersen pubblicò nel 1913, intitolate, nelle due diverse versioni presenti in francese e in inglese, "Un centre mondial" e "A world centre", enormi libroni con coperta in tela verde o pelle rossa, frutto del lavoro e dell'ideale di una vita. E poi numerose copie della "Creation", il libro che Hendrik volle pubblicare, dopo l'improvvisa morte dell'amata cognata Olivia, sua mentore con i drammi letterari da lei scritti. Sono poi conservate scatole di diverse misure dall'affascinante targhetta della "Societé Lumière" che racchiudono lastre fotografiche. Ancora, troviamo fascicoli e cataloghi che documentano l'attività espositiva che il museo Andersen ha svolto dal dicembre 1999, anno della sua apertura, ad oggi. Infine un'altra sezione riguarda le schede di catalogo che illustrano tutte le opere, sculture e dipinti, del Museo. Ma naturalmente la parte più affascinante, quella la cui lettura catapulta ed immerge nel sogno totalizzante dell’esistenza di Hendrik, di Olivia che delle sue opere fu 122 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE musa ispiratrice, e di Lucia, fedele e devota governante di tutta una vita e per questo elevata poi al ruolo di sorella adottiva, è quella dell’archivio della corrispondenza e dei documenti personali di questi tre personaggi. E’ questo il cuore dell’archivio: la ricca documentazione cartacea custodita da Lucia Andersen che ci giunse conservata in grandi scatole, ma sostanzialmente già organizzata dallo stesso artista che aveva custodito le carte da lui prodotte in modo ordinato e metodico. Quando si cominciò a sistemare questo archivio, un primo intervento venne curato da un funzionario archivista della Regione Lazio coadiuvato dall’allora direttore del Museo, Elena di Majo. Successivamente venne svolta una specifica tesi, coordinata ancora da un funzionario archivistico questa volta del MIBAC, proprio su tali materiali, che comportò una schedatura delle carte generando l’attuale stato di conservazione del Fondo, sempre nel rispetto delle originali indicazioni dell’artista. Attualmente i faldoni che costituiscono il Fondo riferito a Hendrik Christian Andersen sono quarantasette; si riconoscono tre serie: Corrispondenza, Centro mondiale di comunicazione, Varie. Nella prima, all’interno di un generale ordine cronologico, i fascicoli (Unità archivistiche) si susseguono tra quelli riguardanti la storia della famiglia Andersen, attraverso le lettere dei due fratelli artisti Andreas e Hendrik con i loro familiari, e quelli, i più cospicui, semplicemente ordinati per anno, comprendenti il periodo tra il 1895 e il 1935. Ulteriori Unità archivistiche sono ordinate per corrispondenti, laddove il volume di lettere è tale da far ritenere la corrispondenza non occasionale, ma 123 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE frutto di un rapporto epistolare abituale. Fra questi spicca il nutrito carteggio con Henry James: settantasette lettere inviate dal famoso scrittore all’amico “romano” tra il 1899 e il 1915, di cui sono presenti solo le trascrizioni dattiloscritte. Gli originali, venduti per motivi economici dopo la morte di Hendrik da Lucia, sono attualmente conservati presso la Clifton Waller Barrett Library of American Literature dell’università della Virginia a Charlottesville. Tale carteggio è l’unico che finora risulta interamente tradotto, commentato e pubblicato per iniziativa del Museo Andersen nel volume “Henry James. Amato ragazzo” a cura di Rosella Mamoli Zorzi, con una postfazione di Elena di Majo. Tutti i carteggi sono per lo più scritti in lingua inglese, talvolta in italiano, occasionalmente in francese e tedesco. La seconda serie riguarda, come chiaramente espresso dal suo titolo, tutta la documentazione generata per la realizzazione del progetto per un Centro mondiale di comunicazione. Sono presenti quattordici Unità Archivistiche nominate per soggetto: troviamo quindi fascicoli che conservano atti preparatori, inviti, pubblicazioni della conferenza tenutasi alla Sorbona "La citè Future", schede di adesione alla "World Conscience Society", scritti sulla Lega delle Nazioni, eccetera. All’interno di questa serie è presente una sottoserie interamente dedicata alla Rassegna stampa ordinata cronologicamente. Nell’ultima serie è conservato materiale eterogeneo: si trova dalla minuta del discorso di Andersen trasmesso per radio agli Stati Uniti d'America nell'aprile del 1935 alla 124 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE sceneggiatura di un film il cui titolo è "Quattro americani a Roma", dagli scritti sulle esposizioni universali alle disposizioni testamentarie, da articoli di giornale a materiali divulgativi di vario genere. Il secondo Fondo presente in Archivio è quello formato dalle carte di Olivia Cushing, nata da una ricca famiglia bostoniana di origine inglese. L’incontro con il fratello di Hendrik, Andreas, anch’egli pittore, fu fondamentale per le affinità artistiche ed esistenziali che la giovane, raffinata e colta donna dai segnati interessi letterari, riscontrò in lui e che la portarono a sposarlo insieme ad i suoi ideali. Fu per questo che, dopo la morte del marito, avvenuta solamente ad un mese dalle nozze, Olivia, facendo propria la famiglia di Andreas e trasferendosi con loro a Roma, sostenne il sogno utopico di Hendrik moralmente ed economicamente. Infatti, tutti i suoi scritti conservati nei dieci faldoni dell’Archivio del Museo, insieme alla cospicua corrispondenza di carattere familiare, rispecchiano il suo impegno dedito, il suo credo appassionato, l’energia spirituale profusa nel suo lavoro in sinergia con quello del cognato. Sono presenti più di duemila carte sui suoi scritti di carattere biblico, revisionate ed introdotte da Lucille Gulliver, cara amica di Olivia, che dopo la sua morte li predispose per una futura pubblicazione. A ciò si aggiungono circa duemilaquattrocento pagine di lavori, drammi, commedie; circa ottocento carte di annotazioni, pensieri e poesie; due biografie di Andreas e di Hendrik; diversi quaderni e blocchi di appunti, tutto vergato in lingua inglese. Completano i suoi scritti gli otto faldoni dei suoi Diari, di cui il Museo conserva una copia incompleta. Olivia cominciò a redigerli dal 1882 e, seppur con qualche 125 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE interruzione sino al 1902, li terminò nel dicembre 1917, bruscamente interrotti una settimana prima della sua morte. Sono ordinati in sessantatre fascicoli composti di dattiloscritti su fogli di carta velina. Gli originali manoscritti, in forma più completa, sono conservati presso la Manuscript Division della Library of Congress di Washington. Anche in questo caso l’amica Lucille Gulliver cercò, senza riuscirci, di farne una pubblicazione. E’ questa la lettura che più di ogni altro degli scritti, pur cospicui, presenti nell’Archivio ci illustra la vita della famiglia Andersen, proiettandoci nelle storie, negli ideali, nelle utopie che la pervasero e che ne costituirono l’essenza. Ultimo dei Fondi conservati è quello prodotto da Lucia Andersen. Originaria della Ciociaria, la giovane “Nanna” arriva a diciotto anni nella casa dell’artista e vi rimarrà per sempre, dapprima ricoprendo il ruolo della modella, poi quello di governante, infine, con l’adozione, quello di figlia e sorella. Sopravvissuta alla morte di tutti i componenti della famiglia, Lucia produrrà un fondo archivistico che sostanzialmente sarà testimonianza della sua attività di amministratrice delle proprietà rimastegli. Il Fondo è costituito di tre serie: la prima, denominata Corrispondenza, conserva tutti i carteggi prodotti da Lucia strettamente ordinati per corrispondente. La seconda serie, Amministrazione proprietà, conserva blocchetti di ricevute di affitto, documentazione relativa ai lavori di manutenzione del villino e alle varie spese da lei sostenute per la sua ristrutturazione, atti riguardanti stipendi, liquidazioni, contratti di assunzione del portierato di Villa Helene. 126 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Conclude questo Fondo una serie denominata Varie che conserva materiali di carattere privato e familiare quali i documenti comprovanti l'adozione di Lucia da parte della famiglia Andersen, la manutenzione della tomba di famiglia al cimitero del Testaccio, ricevute e depliants degli hotel nei quali la sorella di Andersen soggiornò per villeggiatura, quietanze di pagamenti di tasse e contributi vari. Tutta la documentazione risulta scritta in lingua italiana e inglese. Quando Andersen morì lasciò ogni suo avere allo Stato italiano specificando che la villa e tutto ciò che conteneva divenisse Museo pubblico. La scelta di non disperdere i diversi patrimoni di opere di pittura e scultura, di arredamenti, di strumenti di lavoro, nonché di libri, fotografie, corrispondenza e scritti lascia intatto il fascino primigenio e peculiare di questa casa-Museo, di cui l’Archivio rappresenta la voce narrante. BIBLIOGRAFIA Henry James, Amato ragazzo. Lettere a Hendrik C. Andersen 1899 – 1915, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, postfazione di Elena di Majo, Letteratura universale Marsilio, Venezia, 2000 Ynka Shonibare. Be-Muse, a cura di Elena di Majo e Cristiana Perrella, Umberto Allemandi & co., Torino, 2001 Francesca Fabiani, Hendrik Christian Andersen, la vita, l’arte, il sogno. La vicenda di un artista singolare, Gangemi, Roma, 2003 Incantati da Roma, la comunità anglo-americana a Roma (1890 – 1914) e la fondazione della Keats-Shelley House, Palombi editore, Roma, 2005 Foto di Enzo Riggio 127 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE La biblioteca di Olivia e Hendrik: “i buoni libri” GIULIA TALAMO ricerche “I buoni libri sono la migliore educazione che si possa acquisire senza spendere”, scriveva Andreas Andersen al fratello Hendrik da Boston intorno al 1890. I buoni libri sviluppano conoscenza della vita, capacità di operare scelte in piena autonomia di pensiero, attenzione ad una società che evolve rapidamente, libertà dagli stereotipi borghesi, cioè le linee guida della cultura e della personalità di Olivia Cushing. Il Museo Andersen conserva una biblioteca di circa 300 libri, prevalentemente in inglese, dei quali era già stato redatto un elenco. Per una corretta descrizione bibliografica, occorreva verificare l’esattezza e la completezza dei dati raccolti confrontandoli con le fonti: sono andata incontro ai “buoni libri” con la mentalità del catalogatore, con lo scopo di effettuare una “veloce ricognizione del materiale” per la schedatura, ma sono rimasta affascinata dalla varietà di interessi e di provocazioni culturali offerti dagli autori presenti nella collezione. 128 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE La biblioteca di casa Andersen apre una finestra su un panorama stupefacente: al centro degli interessi l’umanità, soggetto di tutte le discipline connesse con le problematiche sociali come l’economia, il welfare, i diritti dei lavoratori, dei minori e delle donne, la pedagogia, il suffragio universale, il pacifismo, l’analisi dei codici e delle convenzioni morali in tema di famiglia e matrimonio, dagli orientamenti verso il socialismo utopistico alla concezione pratica dell’etica di Emerson. Colpiscono gli scritti sull’abolizionismo e l’attenzione a figure e personalità femminili speciali, che hanno contribuito, ciascuna nel proprio ambito peculiare, allo sviluppo tanto delle discipline giuridiche, sociali e pedagogiche quanto dei diversi mezzi di comunicazione. Dall’adesione all’evoluzionismo (rappresentato dai lavori di Darwin, Wallace e Fiske) sembra generarsi una tensione continua verso l’apertura, la ricerca, i progressi sociali e culturali; il lettore trae stimoli al coinvolgimento nell’impegno personale, alla consapevolezza del proprio ruolo nella società, come testimoniano la filosofia dell’educazione alla responsabilità teorizzata da vari autori, o la statistica applicata agli studi sociali e all’evoluzione elaborata da Pearson. C’è evoluzione anche nel modo in cui lo spirito di Dio agisce sugli uomini, come dimostra l’ampio spazio dedicato alle tematiche religiose, dal Cristianesimo (con la presenza di movimenti cristiano-sociali e fenomeni quali la Unity Church e il Social Gospel) ai maestri del Buddhismo e dell’Induismo con le loro implicazioni mistiche ed esoteriche, fino agli scritti dei fondatori della Theosophical Society, con il concetto di un’unica verità divina che si rivela nella diversità delle religioni. Molti i libri storici sull’indipendenza americana e sulle personalità che hanno contribuito a costruirla, ma sono presenti anche problematiche come l’immigrazione e le minoranza perseguitate, le posizioni antimilitariste e il pacifismo estremo, con opere che fanno conoscere la voce di molti premi Nobel per la pace. 129 ricerche MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE Le parole chiave “evoluzione, educazione”, ma soprattutto “conoscenza libera, senza confini o definizioni”, sono evidenziate dalla grande varietà dei temi e delle posizioni che la biblioteca di casa Andersen rappresenta: ci sono l’approccio didattico all’arte così come le teorie sull’estetismo puro; troviamo i grandi romanzi sociali del realismo accanto a quelli che prediligono la psicologia del personaggio e la sua umanità; il teatro sociale di Ibsen, Shaw e Sheldon e la concezione di una regia e scenografia non tradizionali di Craig; non mancano i Classici greci, latini e della letteratura antica europea e sono presenti la mitologia classica e quella nordica; la grande epopea delle esplorazioni, dalle realtà dell’Africa alle imprese di Nobile e Shackleton. Tra i volumi si muovono in consonanza eroi ed antieroi, figure nuove ed antiche, idee ed esperienze di vita! BIBLIOGRAFIA Francesca Fabiani, Hendrik Christian Andersen; la vita, l’arte, il sogno. La vicenda di un artista singolare, Roma, Gangemi, 2003. 130 MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE introduzione 5 M. AMATURO Hendrik e Olivia: due vite una passione allestimenti 15 M. DE LUCA F. DI FABIO 26 B. MARCELLI 32 SUSANNE MEURER “E la cosa più difficile diventa facile”. Esperienze educative per le scuole al Museo H. C. Andersen Il Museo Andersen tra antico e contemporaneo L’arte va in scena… indice ricerche 41 M. S. CARDULLI 50 V. FILAMINGO 58 M. G. DI MONTE 66 P. A. CIRIGLIANO 71 P. CASTELLI La Villa Helene di Hendrik Christian Andersen: aspetti urbanistici e architettonici Il Centro Mondiale di Comunicazione nel contesto della modernità Henry James e i suoi amici Case museo: oggetti e spazi pervasi dallo spirito del tempo Travestirsi da se stessi. Mimesi, dandismo e crossdressing nell’autorappresentazione di Hendrik Christian Andersen MUSEO H. C. ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE 83 C. RINALDI 94 V. PIOMBAROLO Olivia Cushing e l’Oriente: arte, cultura, spiritualità "Favole, animali, personaggi e vignette: l’illustrazione per l’infanzia nella cerchia degli amici di Hendrik e Andreas Andersen". L. RIJTANO L. CAMPANELLI 121 C. PALMA 128 G. TALAMO La biblioteca di Olivia e Hendrik: “i buoni libri” indice 104 Hendrik Christian Andersen e Le Corbusier. Percorsi paralleli. Racconti di vita nelle carte dell'Archivio Andersen MUSEO ANDERSEN: ALLESTIMENTI E RICERCHE SOPRINTENDENTE MARIA VITTORIA MARINI CLARELLI DIRETTRICE MATILDE AMATURO PROGETTO GRAFICO ALESSANDRO MARIA LIGUORI FABIANA VEROLINI FOTO ENZO RIGGIO SILVIO SCAFOLETTI SPAZIO VISIVO
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