MU6 - N. 08

Transcription

MU6 - N. 08
A S S O C I A Z I O N E
A M I C I
D E I
M U S E I
D ’ A B R U Z Z O
Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo c.p. 162, 67100 L’Aquila centro
Anno III/II Trimestre 2008 n°8
Tribunale dell’Aquila n°553 del Registro Giornali 18.03.2006
Periodico Trimestrale Gratuito
Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale - 7o% - Pescara
E D I T O R E
Editoriale
IMPRESA E CULTURA
L’opinione di
PIERLUIGI SACCO, RAFFAELLA MORSELLI,
VALENTINA CARPITELLA, GIANFRANCO IMPERATORI
Il personaggio
HEINZ WAIBL
L’artista
TU M’
Architettura
ERGenetica
I poster di MU6: GIULIO PAOLINI
F
I
D
A
M
IL PUNTO
di Rolando Alfonso
IMPRESA E CULTURA
In copertina:
Particolare dell'interno della bottaia con omaggio
alla presenza di Joseph Beuys nella cantina Zaccagnini, Bolognano
Nuove dinamiche all’interno di un sistema di mercato
Foto: Mario Di Paolo
2
Il punto
di Rolando Alfonso
Impresa e Cultura
3
L’opinione di
Pierluigi Sacco
4
L’opinione di
Raffaella Morselli
4
L’opinione di
Valentina Carpitella
5
L’opinione di
a cura di Angela Ciano
Gianfranco Imperatori
6
Articolando
8
Il personaggio
a cura di Jessika Romano
Heinz Waibl
9
Architettura
di Marco Morante e Maura Scarcella
Intervista Arch. Ettore De Lellis
10
Architettura
di Marco Morante e Maura Scarcella
ERGenetica
11
Cultura e Impresa
di Filippo Tronca
Marcello Zaccagnini. Coltivazione della Cultura
12
Cultura e Impresa
Il gruppo industriale Maccaferri
investe nelle fonti rinnovabili in Abruzzo
14
Cultura e Impresa
Borgo San Benedetto. Bioarchitettura come cultura del vivere
16
L’artista
TU M’
17
Museo e Territorio
di Jessika Romano
Facciamo un giro in Vespa?
19
Museo e Territorio
di Annunziata Taraschi
Zirì-Zirì. Il museo del maiale a Carpineto Sinello
21
Esperienze e Musei
di Germana Galli
Crescere è un’impresa
22
Infomu6
Mostre / attività / concorsi / libri / eventi / sotto la lente
MUSEI n.8
Progetto grafico
Periodico Trimestrale ideato da Germana Galli
Ad.Venture / Compagnia di comunicazione
impaginazione a cura di Franco Mancinelli
Con il contributo della Regione Abruzzo
Foto
Editore
Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo
Casella postale 162, 67100 L’Aquila centro
[email protected]
www.mu6abruzzo.it
www.mu6abruzzo.eu
Webmaster Claudia Valentini
Direttore Responsabile
Walter Capezzali
Coordinamento editoriale
Germana Galli
Redazione
Piero Casadei pag 7
Luciano D’Angelo pag 3
Mario Di Paolo copertina, pag 11
Marco Morante, Maura Scarcella pag 9
S. Scafoletti pag. 7
Giovanni Tavano, Archivio Carsa edizioni pag 9
Stampa
Poligrafica Mancini
Sambuceto / Chieti
Come si pone MU6, oggi, nei confronti del binomio impresa/cultura? Ad una
prima impressione sembrerebbe una sua pura presunzione risolvere, nel poco
spazio di cui dispone, il rapporto tra due termini che sino a non molto tempo fa
strutturavano un dualismo difficile da redimere.
Una coesistenza impossibile, strutturata da cammini differenti e distanziati da un
vuoto comunicativo incolmabile. Uno status granitico che privilegiava la superbia della cultura – intesa come alta - volta a relegare l’impresa nella suburra del
mercato e nel proteggere da ogni possibile contaminazione i propri templi –
musei, biblioteche e archivi – in cui accogliere i propri feticci come unico materiale da adorare.
Alla luce di questa premessa, non più sostenibile storicamente, e dal profondo
cambiamento che i due termini hanno affrontato negli ultimi decenni, possiamo
affermare che essa non è una presunzione infondata.
MU6, oggi, affronta con lo strumento che gli è proprio – la comunicazione – la lettura, più o meno esaustiva, della relazione nuova e sempre più integrata tra i due
termini. Un connubio imposto, se così possiamo dire, da una visione dell’economia contemporanea del tutto nuova, che ridisegna le modalità di interpretazione
della natura del materiale che li inficia.
Entrambi, oggi, depotenziandosi di caratteri ormai desueti convergono verso la
valorizzazione di quell’immateriale su cui si fonda la cultura e l’impresa contemporanea. Meglio e più esplicito, in una economia sempre più immateriale la cultura è il motore per produrre nuovo pensiero.
Da questo confronto sempre più accelerato sia l’impresa che la cultura ne escono totalmente rifondate.
Rifondazione strutturale che colloca il soggetto principale dell’impresa, il “cliente”, in una posizione di protagonista qualificato, non più gregaria e surrettizia al
suo agire economico.
L’investimento in cultura coadiuva l’impresa ad un posizionamento, all’interno
del mercato, forte e riconoscibile; a differenziarsi sul piano della concorrenza; a
qualificare e ad aumentare le relazioni con i clienti; a strutturare legami di fiducia sempre più solidi con il territorio e le comunità insite in esso; ad alimentare
nelle persone che vi lavorano l’orgoglio di appartenenza e quindi a stimolarne la
creatività.
Quindi, quello che si viene a creare è un legame forte tra target aziendale e
responsabilità sociale. Rapporto che tende a razionalizzare la comunicazione
d’impresa all’interno di un sistema di mercato votato per le sue dinamiche a
decostruire la massa sempre crescente degli strumenti commerciali.
La cultura, di conseguenza, viene a configurarsi come asset d’impresa in uno scenario economico dove a vincere sono le idee, ma anche come nuovo tessuto connettivo che mette in relazione i protagonisti che agiscono sul territorio.
E’per questo motivo che MU6 accoglie al suo interno l’apporto analitico del Prof.
Pier Luigi Sacco - uno dei massimi esperti delle nuove prospettive operative che
il territorio può offrire alle istituzioni - sull’evoluzione di un organismo progettuale e amministrativo sempre più attuale: il distretto territoriale avanzato.
Realtà che fonda la sua operatività sulle risorse e lo sviluppo che provengono sia
dai bacini culturali più tradizionali sia dalla creatività di quelle imprese che investono in cultura.
Distribuzione
Spedizione postale
© MU6 / 2008 stampato in Italia
Angela Ciano, Franco Dus, Marco Morante,
Antonella Muzi, Jessika Romano, Maura Scarcella,
Massimiliano Scuderi, Filippo Tronca.
Per questo numero hanno collaborato: Rolando Alfonso,
Pierluigi Sacco, Annunziata Taraschi.
MU2
D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A
L’OPINIONE DI
Pierluigi Sacco
Il distretto culturale evoluto:
una nuova stagione di sviluppo locale per l’Abruzzo?
Il tema dello sviluppo locale
legato alla valorizzazione dei
beni culturali e paesistici è da
molti anni al centro
dell’attenzione nel nostro paese,
anche se fino ad oggi ci sono
state più parole che fatti.
Si ama ricordare che l’Italia possiede
una straordinaria concentrazione di
beni culturali e architettonici di
altissimo pregio (spesso facendo
riferimento a improbabili statistiche
dell’UNESCO che attribuirebbero al
bel paese addirittura una abbondante
maggioranza assoluta dei beni
culturali mondiali), si ama osservare
che la bellezza del nostro paesaggio e
la nostra cultura del saper vivere
sarebbero ‘il nostro petrolio’ su cui
fondare addirittura l’intero modello di
sviluppo del sistema paese nei
prossimi decenni. Per quanto il
prefigurare prospettive di questo tipo
abbia un forte valore consolatorio e
ansiolitico, è bene ricordare che la
realtà è ben diversa. Le strutture
museali, per la loro stessa natura, non
sono centri di profitto ma centri di
costo. I moltiplicatori dell’indotto
turistico-commerciale delle attività
culturali possono essere significativi
ma difficilmente possono divenire il
settore portante di un modello di
sviluppo locale. Bisogna inoltre tenere
conto dell’impatto che una marcata
specializzazione turistico culturale
produce sugli asset intangibili di un
territorio, soprattutto di natura sociale
ed identitaria: se guardiamo alle
grandi città d’arte italiane,
constatiamo come il pur rilevante
indotto turistico culturale viene pagato
a caro prezzo dal punto di vista
dell’identità e della vivacità culturale,
della vivibilità dei luoghi dal punto di
vista dei residenti, del livello dei prezzi
e dei valori immobiliari: tutti fattori
che portano ad una progressiva
trasformazione di luoghi un tempo
vitali e fortemente animati da una vita
comunitaria in veri e propri ‘parchi a
tema’ al servizio di un turismo di
massa superficiale e dall’elevato
impatto ambientale.
Le precedenti considerazioni non
intendono naturalmente suggerire che
il turismo culturale sia qualcosa di
sbagliato, quanto piuttosto che è
sbagliato fare di esso il perno di un
modello di valorizzazione culturale,
evidenziandone magari anche una
articolazione distrettuale sul territorio
che ricalca, mutatis mutandis, quella
dei tradizionali distretti industriali
italiani, sorti sulla base di premesse
contestuali, con modalità evolutive ed
in settori ben diversi, e oggi in corso di
profonda e complessa evoluzione essi
stessi. In realtà, per apprezzare appieno
il notevole potenziale di sviluppo che
la cultura può avere oggi nei territori,
bisogna per così dire rovesciare il
nesso causale: pensare cioè che
l’attrattività turistico-culturale di un
luogo non sia la causa del suo sviluppo
ma piuttosto la conseguenza della sua
vitalità economica e culturale. Nello
scenario attuale, i modelli più riusciti
di sviluppo locale legato alla cultura
fanno leva su due dimensioni:
- il ruolo che la cultura ha nel
sollecitare un forte orientamento
innovativo, che si traduce in modelli
ed iniziative imprenditoriali
apparentemente slegate dall’ambito
culturale ma in realtà profondamente
connesse ad una cultura che agisce
da piattaforma sociale
dell’innovazione, aiutando la
popolazione locale ad acquisire
confidenza con le nuove idee, con i
processi di pensiero diversi da quelli
abituali, con l’investimento nella
creazione di competenze complesse;
- lo sviluppo del macro-settore delle
industrie culturali e creative, che
come mostrato dal rapporto
pubblicato dalla Comunità Europea a
fine 2006 rappresentano uno dei
settori più grandi, più dinamici e più
capaci di creare occupazione
dell’intero sistema economico
continentale. Industrie il cui sviluppo
richiede alti livelli di capitale umano,
facilità di accesso alle tecnologie,
confidenza con le lingue straniere e
anche una domanda (e quindi un
pubblico) quantitativamente e
qualitativamente elevata, come
accade soprattutto nei paesi
nordeuropei.
È su queste due dimensioni che si può
costruire un modello di sviluppo
distrettuale fondato sulla cultura, e
che è oggi noto come il modello del
distretto culturale evoluto, nel quale il
fondamento dell’aggregazione
distrettuale non è la specializzazione
locale nel settore turistico-culturale in
quanto tale, quanto piuttosto la
centralità che la cultura assume nello
sviluppo di una economia innovativa e
ad alto contenuto di conoscenza, la
quale a sua volta rende il territorio
culturalmente attrattivo anche in
chiave turistica, con riferimento però
ad un segmento di domanda di qualità
e a ridotto impatto ambientale.
In questo scenario, l’Abruzzo si trova a
dover operare scelte strategiche di
grande importanza e dalle notevoli
conseguenze per il futuro. Siamo, lo
dico da abruzzese profondamente
legato alle sue origini, una terra
pervasa dalla bellezza, e di questo si
stanno accorgendo anche gli investitori
stranieri che sempre più
massicciamente accorrono sul nostro
territorio per acquistare case e terreni e
per venirci a vivere anche soltanto per
una parte dell’anno. Ma l’ultima cosa
che vorrei è che questa bellezza si
trasformasse in cartolina e in colore
locale come già drammaticamente
avviene in tante altre parti d’Italia.
L’Abruzzo è anche una delle regioni
italiane con i più alti tassi di istruzione
superiore. È la regione che ha saputo
affrancarsi con intelligenza e
intraprendenza dalla trappola del
sottosviluppo che ancora attanaglia
tante regioni del meridione italiano. È
una regione tra le più vive e attente ai
nuovi fermenti culturali, come dimostra
anche il visionario e coraggioso
esperimento di questa bella rivista.
L’Abruzzo può diventare allora uno dei
laboratori ideali di elaborazione di una
visione avanzata dello sviluppo
culturale; ma per fare questo, è
importante mantenere quella tensione
verso il nuovo e il rischio che ha
portato questa regione ad essere ciò
che è oggi, e non ricadere pigramente
su formule troppo semplici e
consolatorie. Non c’è sviluppo senza
imprenditorialità, e la vera
imprenditorialità non è mettere in
piedi un’azienda, ma saper vedere e
cogliere opportunità che nessun altro
ha ancora saputo vedere e cogliere. Io
credo che l’Abruzzo può farcela, e spero
che altri vorranno raccogliere e portare
avanti questa affascinante sfida.
Pierluigi Sacco è Professore ordinario di
Economia della Cultura all’Università IUAV di
Venezia, di cui è Pro Rettore alla Comunicazione
e all’Editoria e direttore del Dipartimento delle
Arti e del Disegno Industriale. È direttore
scientifico di goodwill, studio di consulenza
strategica per il fundraising, la corporate
philanthropy e la progettazione del territorio
secondo il modello del distretto culturale evoluto.
A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) /
MU3
L’OPINIONE DI
Raffaella Morselli
Tadao Ando, Forth Worth (Texas) Museum of
contemporary art
Un pamphlet di Jean Clair Malaise dans
les musèes edito per i tipi di Flammarion
a Parigi circa un anno fa, esattamente
per la Pentecoste del 2007 -come ha
voluto fosse scritto l’autore- è fonte
per una riflessione generale sul senso
del museo oggi, sulle sue funzioni,
sulle sue forme e sui luoghi su cui
esso insiste, nonché sugli oggetti che
espone. Ampliando ancora la
problematica, il “sermone” di Jean
Clair si interroga, e a suo modo
risponde, sul senso stesso del museo,
in una società in cui esiste il culto
della cultura, ampliato dai media che
ne fanno ampio uso.
Il libretto è una risposta ad un
dibattito svoltosi sulle pagine di Le
Monde nel dicembre del 2006 tra
Francoise Cachin e Roland Recht
intitolato Le musèes nes sont pas à vendre
che vede messa sotto la lente
d’ingrandimento la scelta del governo
francese di creare il Louvre ad Abu
Dabi: il prestito di 300 opere in dieci
anni provenienti dal Louvre a dalla
Reunion des Musèes des France, in
cambio di 1 miliardo di euro in
trent’anni.
Si tratta di una deriva della politica
culturale francese, ma che ha altri
esempi illustri nel Guggenheim diffuso
(Venezia, Bilbao) e nelle filiazioni
dell’Ermitage di San Pietroburgo ad
Amsterdam, a Las Vegas e a Ferrara, o
è un modo per parlare di museo
diffuso, o meglio di museo universale?
Può essere modello replicabile o è il
monito per non forzare la mutazione
dei luoghi cui la cultura artistica era
destinata? E ancora, il museo diffuso e
universale perde la propria identità
moltiplicandosi in versioni ridotte e
ricomposte, alienando così la
gerarchia delle cose, o rafforza il
mercato della cultura e di conseguenza
la serialità delle opere d’arte?
L’ideale d’uguaglianza non può andare
di pari passo con l’ideale
dell’eccellenza e il museo rimane
comunque il luogo dell’elitarismo
artistico, nonostante la comunicazione
ne ampli gli orizzonti e le finalità, e il
merchandising riduca al multiplo gli
oggetti esposti. Certo si rischia di
scivolare in un’unica direzione, che è
la concezione univoca delle cose in
nome della loro funzione o del loro
senso primario, ma il dibattito su un
museo che non ha vincoli con il
territorio, e quindi con la sua storia,
rimane di primo piano nel panorama
della museologia internazionale.
Se questo snodo di problemi è
centrale nella politica culturale
europea, un altro fattore risulta
determinante nella dialettica
museologia versus museografia: il
museo quale contenitore
esteticamente e funzionalmente
eccellente sembra prevalere oggi, nei
territori in cui non si ha una tradizione
museografica antica e storicizzata,
sulle collezioni. E questo porta il
museo verso un’altra funzione, che è
quella di polo di attrazione culturale,
al cui interno si consumano riti della
tradizione civile, -incontri, meeting,
ristorazione, cinema, teatro- ma che
sembra fare molta ombra agli oggetti
stessi, che sono i protagonisti di
questa storia, attorno a cui, o per cui,
si è costruito il contenitore. Musei
strepitosi come il Museum of
contemporary arts di Tadao Ando a
Forth Worth (Texas) del 2002, che fa da
contraltare ad un altro faro
dell’architettura museale
internazionale, il Kimbell Art Museum
progettato nel 1972 da Louis Kahn,
sono esempi straordinari di questo
bipolarismo che, assieme ai dubbi di
Jean Clair, riporta il museo alla ribalta
delle discussioni critiche quale perno
della cultura nella nostra società.
Raffaella Morselli
Università di Teramo
Valentina Carpitella
ITINERARI D’ARTE CONTEMPORANEA
È possibile affermare che in Abruzzo ci
sia una concentrazione di strutture ed
eventi che operano nel campo dell’arte
contemporanea. Si tratta di strutture
dislocate su tutto il territorio regionale
sia pubbliche che private, che se
interconnesse potrebbero fare sistema.
Del resto il ruolo che l’arte
contemporanea può avere oggi
nell’incremento di qualità degli spazi
pubblici è testimoniato da più fronti.
Per fare due esempi tra possibili
itinerari d’arte parliamo brevemente di
casi che dimostrano come, con grande
impegno e con una regia pubblica forte
e attenta, sia possibile puntare sull’arte
contemporanea per migliorare il
sistema insediativo e per renderlo più
attraente.
Il primo esempio riguarda la landmark
art route, nell’IBA Emscher Park1 in
Germania. L’IBA Emscher Park
rappresenta un modello per la
rigenerazione territoriale degli ultimi
anni e nasce sulle rovine del distretto
minerario e siderurgico della Ruhr
attraverso una modalità d’azione
fortemente dominata dalla regia
pubblica. In particolare la crisi del
modello economico a causa
dell’obsolescenza degli impianti
siderurgici e della progressiva
dismissione degli impianti minerari
porta a ripensare le modalità di
sviluppo di un’importante e vasta
porzione di territorio. Sulla base di
alcuni obiettivi stabiliti in un
MU4
memorandum nel 1989 la regione
ripensa la propria condizione
economica e sociale a partire da una
nuova idea territoriale. Dal punto di
vista operativo, una società di
proprietà della regione North Rhine
Westphalia gestisce tutte le operazioni
rivolte allo sviluppo urbano sostenibile
attraverso la cooperazione con
autorità, industrie, gruppi sociali, gente
comune. L’intervento si sviluppa su
una spina dorsale che è il parco lungo
il fiume Emscher dal quale si
sviluppano sette costole, corridoi verdi,
che identificano la sequenza della
scena urbana della dispersione. Il
parco unisce diciassette città in
un’unica rete ecologica. Tra i vari
percorsi di fruizione del parco c’è
quello di una strada, la landmark art
route, concepita come un museo a
cielo aperto in cui gli artisti insieme a
paesaggisti e planners hanno lavorato
ad una scala che supera quella dei
tradizionali luoghi di esposizione
dell’arte contemporanea. Tra gli artisti
Christo e Jean Claude, Richard Serra.
Il secondo caso riguarda il museo
obbligatorio di Napoli. Museo
obbligatorio perché costituito dalle
fermate della metropolitana 1 e 6 e
dunque perché “i passeggeri devono
passare per forza davanti alle opere
degli artisti”. Il progetto nasce negli
anni ’90 per decongestionare la città e
per coniugare strutture funzionali e
seduzione estetica. Le stazioni
instaurano un rapporto forte col
paesaggio circostante divenendo le
nuove piazze. Gli architetti selezionati
per progettare le stazioni sono tutti di
grande fama, da Gae Aulenti all’Atelier
Mendini, e le opere ospitate nelle
diverse stazioni sono più di duecento.
Il progetto complessivo è del Comune
di Napoli, ed è coordinato da Achille
Bonito Oliva.
Entrambe le esperienze sono
caratterizzate da una forte regia
pubblica e da un tentativo di unire
architettura e arte per un progetto fatto
di vettori e nodi carichi di senso. Nel
primo caso il vettore è la route, la vera
protagonista del progetto, nel secondo
caso si tratta della linea metropolitana
di Napoli.
Ritornando all’Abruzzo, il tentativo è
quello di provare a immaginare le
strutture che operano nel campo
dell’arte contemporanea come nuclei
densi di senso,come i luoghi da
raccordare per fare dei centri per l’arte
contemporanea dei poli attrattori che
lavorino congiuntamente. Ragionando
nell’ottica dei casi esplorati
brevemente, affinché questi contenitori
contribuiscano ad una crescita
sostenibile della Regione, appare
opportuno rafforzare le reti di
connessione tra queste strutture. Il che
significa innanzitutto agire sulle reti
immateriali, attraverso la costruzione
di una regia pubblica che coordini o
promuova eventi. In secondo luogo
agire su quelle materiali, rafforzando
alcuni percorsi, legando alcune parti
del territorio a questo tipo di risorse.
Operare in tal senso renderebbe il
patrimonio attuale funzionale alle
politiche connesse anche alla
promozione di un turismo più
sostenibile.
1 Il riferimento per la ricostruzione del caso
studio è al libro: M. Ricci, 100 occhi,
Meltemi, Roma, 2001.
L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T
L’OPINIONE DI
Gianfranco Imperatori
A spulciare il suo curriculum si
resta impressionati. Gianfranco
Imperatori Segretario Generale
dell’Associazione Civita è una
vera e propria eminenza grigia
in fatto di economia della
cultura. A lui abbiamo rivolto
alcune domande per capire a
che punto siamo in Italia e in
Abruzzo su un settore su cui in
molti puntano...
Professore quando si parla di impresa e cultura
cosa si intende?
In termini così vaghi si possono
intendere due cose. Innanzitutto, molto
sinteticamente, si può intendere il
rapporto virtuoso che intercorre tra le
aziende e l’arte e la cultura in genere, e
che produce quei fenomeni di
mecenatismo che, ieri come oggi,
hanno determinato e determinano
effetti importanti per la salvaguardia e
la valorizzazione del nostro patrimonio,
favorendo visibilità e notorietà alle
imprese. Si tratta, tra l’altro, di un
rapporto sempre più affiatato e
consolidato, tanto che le aziende
italiane si stanno muovendo dai
classici interventi puntuali a supporto
di restauri, spettacoli, grandi eventi
culturali, ad iniziative a medio e lungo
termine, frutto di un’attenta attività
progettuale, svolta in house o affidata
esternamente ad operatori del settore.
Ma si può intendere anche la capacità
della cultura di farsi, a sua volta,
impresa, ogni volta che la poniamo al
centro di un’attività produttiva. Ci basti
pensare al turismo culturale e all’ITC.
Venti anni fa abbiamo cominciato a
capire che il vasto patrimonio culturale
di cui disponiamo poteva, e anzi,
doveva diventare un motore della
nostra economia, in un circolo virtuoso
che rende assolutamente
complementari tutela e valorizzazione,
dove garantire una significa
automaticamente rendere possibile
l’altra e viceversa.
Grazie all’atteggiamento illuminato di
molti amministratori pubblici, e
all’esperienza e all’impegno di strutture
come l’Associazione Civita, di cui sono
Segretario Generale, oggi si può
affermare coerentemente che la cultura
ha infinite occasioni di diventare
opportunità imprenditoriale: la
gestione dei servizi al pubblico nei
musei, l’organizzazione di mostre d’arte
1987. A Civita di Bagnoregio nasce l'idea di Civita.
1988. Il 15 novembre l'Associazione Progetto Civita
diventa operativa.
1990. Nasce il Consorzio Civita e parte il progetto di
recupero. Civita di Bagnoregio diventa il prototipo di
nuovi fermenti.
1991. Progetto Civita si trasforma in Associazione
Civita, organismo nazionale per la valorizzazione dei
beni culturali. Villa Giulia apre la sera a visite guidate e concerti per "Notturno Etrusco" primo esperimento di collaborazione pubblico/privato.
1993. Civita inaugura la nuova sede di piazza
Venezia. L'Associazione pubblica il primo Rapporto
Civita, L'immagine e la memoria. In collaborazione
con Enel, viene realizzato un infopoint a Civita di
Bagnoregio, che, in quei giorni, riceve un ospite di
e di grandi eventi culturali, le attività di
comunicazione e di fund-raising, sono
solo le forme più dirette del fare
impresa culturale.
Quanto fa impresa la cultura in Italia?
Le risponderò in cifre:
i PIL da industria culturale e da
turismo culturale incidono oggi per il
4,8% sul PIL totale (in cifre: 69milioni
di euro), con una previsione di
aumento fino ad una incidenza del
6,5% nei prossimi cinque anni;
gli occupati nel settore cultura in Italia
sono il 2,1% del totale degli occupati,
per un totale di 470mila persone.
Le declinazioni imprenditoriali della
cultura si sviluppano in numerosi
ambiti: turismo, nuove tecnologie,
editoria, chimica, enogastronomia, e
così via.
politiche culturali abruzzesi risiede nel
progetto per il distretto culturale
dell’Aquila che siamo in procinto di
definire con il sostegno della
Fondazione Cassa di Risparmio della
Provincia dell’Aquila: un segnale
significativo e concreto per la
valorizzazione economica e sociale di
un territorio che ha un altissimo
potenziale in patrimonio ambientale
oltre che culturale.
In fatto di impresa culturale Civita è un
esempio nel nostro paese…la vostra esperienza
cosa ha cambiato?
Come Le dicevo, venti anni fa abbiamo
partecipato ad una vera e propria
rivoluzione, quella che, per esigenze
prettamente sociali ed economiche,
avrebbe portato all’istituzione
dell’industria culturale. Oggi vivere il
Museo come luogo d’incontro, dove
mangiare, leggere, ascoltare musica,
comprare libri, è un fatto acquisito;
sembra naturale che questa o
quell’altra azienda, più o meno grande,
organizzi quell’evento, quel festival,
quella mostra; nessuno si scandalizza
(o quasi) se si accostano quadri e
monumenti a prodotti
enogastronomici tipici di alta qualità;
si grida al ritardo inaccettabile se i
musei italiani non sono
adeguatamente proiettati nel mondo
della Rete. Ecco, la nostra esperienza
ha contribuito a creare le condizioni
perché tutto questo, e tanto altro,
fosse possibile, e in parte a realizzarlo.
rispetto e l’inviolabilità, che gli è
dovuto per il loro grandissimo valore
morale e sociale.
In Abruzzo a che punto siamo?
Lo scorso maggio abbiamo organizzato
un importante convegno a L’Aquila
sulla valorizzazione del territorio
abruzzese tramite l’integrazione delle
offerte culturali in chiave di distretto.
Sono rimasto molto favorevolmente
colpito, e devo ammettere, anche un
po’ sorpreso per la grande e attenta
partecipazione all’incontro da parte dei
principali interlocutori pubblici e
privati che, in uno spirito di
collaborazione, possono creare le
condizioni necessarie per l’avvio di
un’industria culturale locale. E la prova
tangibile di un nuovo indirizzo nelle
Professore cultura e impresa già da un po’ di
anni vanno a “braccetto”, funziona la coppia?
I vantaggi sono evidenti per tutt’e due.
Da una parte, l’impresa acquisisce
visibilità e meriti sociali che,
soprattutto negli ultimi anni, sono
diventati essenziali nella redazione dei
Rapporti di Responsabilità delle
aziende. Dall’altra, la cultura individua
fonti di finanziamento ulteriori rispetto
a quelle pubbliche, che ne garantiscono
la tutela e la salvaguardia, in parte in
funzione di attività di valorizzazione, in
parte del godimento da parte delle
generazioni future.
L’importante è offrire le giuste garanzie
nelle due direzioni: per l’azienda, offrire
condizioni vantaggiose per gli
investimenti in cultura, individuando
validi strumenti fiscali; per il
patrimonio culturale, assicurarne il
La cultura cosa ha trasmesso all’impresa e
viceversa….
Ultimamente si va affermando l’idea
che l’impresa abbia un debito morale
nei confronti della cultura espressa dal
territorio circostante. Questa
affermazione trova solide basi nell’era
in cui il contenuto immateriale
contribuisce a posizionare i prodotti
sul mercato, oggi reso ancora più
competitivo per il fatto di essere
globale. La cultura, infatti, è l’unico
contenuto che riesca ad attribuire un
valore aggiunto al prodotto, quando la
tecnica ha ormai raggiunto lo stesso
livello di precisione dovunque. Tanto
questo è vero che il Ministero per i
Beni e le Attività Culturali ha istituito
una Commissione che sta tentando,
ora, una valutazione scientifica ed
economica degli impatti
dell’immateriale sui prodotti materiali.
D’altra parte, l’industria è, a sua volta,
una fabbrica di cultura: si pensi solo
all’importantissimo tesoro conservato
negli archivi e nei musei d’impresa,
testimoni della nostra storia e dei
nostri costumi, in alcuni casi vere e
proprie perle della nostra tradizione
culturale. Quando, poi, le imprese
sono guidate da grandi imprenditori,
quasi sempre uomini di cultura prima
che d’affari, il rapporto tra il territorio e
l’impresa diventa un circolo virtuoso i
cui effetti positivi si rintracciano tanto
nei risultati dell’azienda quanto nel
benessere locale in termini di qualità
della vita e di promozione e
valorizzazione della cultura.
a cura di Angela Ciano
eccezione: Carlo d'Inghilterra. Enel collabora anche al
progetto d'illuminazione dei Fori Imperiali: "Notturno
Imperiale" è un grande successo di pubblico.
1994. L'Associazione organizza il primo ciclo di
appuntamenti "Cultura & Impresa", presenta il
secondo Rapporto Civita, indagine sui centri storici
minori e sulla loro valorizzazione.
1995. La prima edizione di "Domenica ai Fori", via
dei Fori Imperiali viene chiusa al trafficoe animata per
grandi e piccoli.
1996-1997. Vede la luce il terzo Rapporto Civita, I
formati della memoria, sulle nuove tecnologie. Con la
Centrale Montemartini la prima esperienza nella
gestione dei servizi museali.
1998. Acea, Costa e Civita costituiscono Zètema.
1999. Nasce anche Civita Servizi e viene inaugurata
a Napoli la rassegna "Homo Faber. Esce il quarto
Rapporto Civita, Beni culturali, nuova occupazione e
riconversione territoriale. Civita con altre imprese
vince le gare per la gestione dei servizi aggiuntivi a
Brera e al Cenacolo Vinciano, Ostia Antica, Villa
Adriana, Sistema Museale Napoletano.
2000. Zètema si aggiudica la gestione dei servizi ai
Musei Capitolini, la più importante esperienza di global service nei musei italiani.
2001. Insieme al Consorzio, viene presentata la ricerca
sui Distretti culturali. Nasce Ducato Civita, un fondo
etico di investimento a favore del patrimonio artistico
italiano. Viene presentato il quinto Rapporto Civita,
Museo contro Museo, sull'applicazione della legge
Ronchey.
2002. Civita apre la prima sede locale a Milano.
2003. Il 26 marzo il Presidente Ciampi riceve Civita
al Quirinale.
2004. Vede la luce il sesto Rapporto Civita, Cultura in
gioco. Le nuove frontiere di musei, didattica e industria culturale nell'era dell'interattività..
2006. Alla vigilia delle elezioni del 9 aprile,
l'Associazione Civita, il Fai e il Wwf rivolgono un
esplicito appello al Presidente del Consiglio del futuro
governo italiano e ai futuri ministri per la salvaguardia del patrimonio artistico, culturale e ambientale del
nostro Paese. Si raggiunge quota 150 mostre organizzate.
2007. Il 16 febbraio il Presidente Giorgio Napolitano
riceve Civita presso il suo studio in Quirinale. Viene
pubblicato La formazione vale un patrimonio, settimo
Rapporto Civita.
…e qual è la situazione rispetto agli altri paesi
Europei?
Malgrado una innegabile vocazione
naturale, o forse proprio per la vastità e
l’importanza del nostro patrimonio
culturale, abbiamo un certo ritardo
rispetto al resto dell’Europa, fatta
eccezione per la Francia e per la
Spagna. Un dato può parlare per tutti:
la media europea degli occupati nel
settore cultura è di 2,4% sul totale
degli occupati, con un picco del 3,1%
nel Regno Unito, dove, già dai
primissimi anni Settanta la crisi di altri
settori produttivi ha prodotto una forte
tendenza allo sviluppo dell’impresa
culturale in una strategia di tipo
distrettuale. Fenomeno più recente ma
similare avviene nei Lander tedeschi,
dove gli impiegati della cultura sono il
2,8%.
T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U /
MU5
ARTICOLANDO
DEUTSCHE BANK E L’ARTE:
UNA CARD VINCENTE
X-Flag, Patrick Tuttofuoco
Deutsche Bank si è sempre impegnata a
favore dell’arte, collezionando con
regolarità opere di epoche diverse. Di
recente ha promosso anche in Italia
un’iniziativa che non ha precedenti. Si
tratta di Deutsche Bank Art Card, una card
globale che consente l’ingresso gratuito in
oltre 50 musei, gallerie d’arte e spazi
espositivi con cui la banca ha rapporti di
collaborazione. Nel nostro Paese ad
esempio, la Fondazione Mazzotta, la
Fondazione Prada e il Guggenheim di
Venezia. Le Art Card, in numero molto
limitato, vengono utilizzate all’interno
della banca nell’ambito delle relazioni con
clienti e partner. Abbiamo cercato di
capire meglio la filosofia di Deutsche
Bank a sostegno della cultura,
intervistando Rita Borgo, responsabile
della comunicazione della banca in Italia.
Quali sono le origini storiche dell’attenzione che
Deutsche Bank rivolge verso l’arte?
L’interesse di Deutsche Bank per l’arte
risale al 1870, ma è dalla fine degli anni
‘70 che nasce Deutsche Bank Art
Collection. Così le sedi Deutsche Bank di
New York e Ginevra furono arricchite con
le prime opere d’arte acquistate dalla
Banca: fu una scelta rivoluzionaria, che
introdusse una nuova concezione dello
spazio lavorativo. Dopo Singapore, San
Paolo, Mosca e San Pietroburgo,
l’inaugurazione della nuova sede di
Deutsche Bank alle Twin Towers di
Francoforte ha rafforzato la filosofia “Art at
work”. Cinque le principali sedi espositive
della Collezione: Francoforte, New York,
Tokyo, Londra e, da marzo 2007, Milano.
Oggi l’impegno nell’arte si è concretizzato
nella più vasta collezione corporate di arte
contemporanea al mondo, composta da
50.000 opere esposte in oltre 900 sedi.
Cosa rappresenta per Deutsche Bank investire nel
campo dell’arte?
L’impegno di Deutsche Bank per l’arte
contemporanea si è sviluppato, fin
dall’inizio, con un duplice obiettivo. Da un
lato supportare i giovani artisti e le
gallerie che promuovono i loro lavori. La
Banca infatti, nella creazione della sua
collezione, non ha voluto semplicemente
collezionare artisti già riconosciuti, ma
anche e soprattutto stare al passo con gli
sviluppi dell’arte contemporanea.
Dall’altro la collezione porta alla banca
capitale culturale, apre nuovi orizzonti ai
collaboratori, ai clienti e ai pubblici di
riferimento della banca.
L’arte ha uno straordinario potere comunicativo:
cosa vuol dire portare l’arte nei luoghi di lavoro?
La nostra collezione si fonda sul concetto
di “Art at work”, ovvero di l’arte che vive
nei luoghi di lavoro e che nasce con
l’intento di creare spazi di qualità, dove le
opere degli artisti siano sempre fruibili ai
collaboratori della banca. La filosofia della
banca è quella di stimolare l’attenzione e
l’interesse dei dipendenti verso l’arte
attraverso l’incontro quotidiano con le
opere esposte negli uffici. Personalmente
MU6
UN KILOMETRO
VESTITO DI ROSSO
Una delle tante, Lara Favaretto
posso raccontarle l’esperienza italiana.
Quando abbiamo cominciato i lavori per
l’installazione della collezione a Milano
Bicocca c’è stata molta curiosità da parte
dei colleghi. Le reazioni di alcuni sono
state entusiaste, altri si sono mostrati più
scettici. L’arte contemporanea non è
sempre facile e immediata da
comprendere ma dall’inaugurazione ad
oggi, l’interesse verso la collezione è
aumentato notevolmente.
Quali sono le caratteristiche della sezione italiana
della Deutsche Bank Art Collection?
Il legame con l’Italia rappresenta il fil
rouge che unisce le opere della collezione
di Deutsche Bank a Milano: gli artisti sono
italiani o vivono nella Penisola, oppure le
loro opere sono state realizzate in Italia e
si riferiscono al contesto del nostro paese.
La collezione è composta da circa 300
opere di artisti contemporanei, cui se ne
sono aggiunte oltre 60 fra nuove
acquisizioni e 5 opere appositamente
commissionate. Sono presenti lavori su
carta, tele, fotografie, acquerelli, collages,
sculture e installazioni.
Quali artisti ne fanno parte?
Ne fanno parte alcuni dei più noti artisti
contemporanei italiani ma anche giovani
emergenti. Citarli tutti è difficile però per
la fotografia possiamo segnalare Armin
Linke, Gabriele Basilico, Alfredo Camisa,
Luigi Ghirri e Massimo Vitali. Tra i lavori
su carta le famose domande della coppia
di svizzeri Fischli e Weiss, i collages di
Nico Vascellari, l’attenta rivisitazione della
pietà michelangiolesca di Ketty La Rocca.
Cinque artisti hanno poi dato vita ad
altrettante installazioni che oggi “abitano”
la Direzione Generale della Banca a
Bicocca. La X-Flag di Patrick Tuttofuoco da
cui si irradiano luci bianche e rosse in
alternanza che “ridisegnano” letteralmente
la sala d’ingresso della banca, i coristi di
Lara Favaretto fotografati durante le prove
settimanali in pose casuali, il Mare nostrum
di Luca Vitone che accompagna in un
viaggio dentro al cuore della penisola e le
nove panchine “fluorescenti” di Alberto
Garutti. Ancora in fase di realizzazione è
invece il giardino – giungla di Roberta
Silva.
Con quali iniziative e modalità la collezione
italiana viene presentata al pubblico?
La collezione è stata inaugurata nel marzo
2007 mentre il 6 ottobre DB Collection
Italy è stata aperta per la prima volta al
grande pubblico in occasione di “Invito a
Palazzo” la manifestazione annuale
dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana).
Il pubblico esterno ha potuto visitare la
collezione. Con tour guidati e animazioni
per i bambini, più di 1000 visitatori, tra
cui tanti colleghi con le loro famiglie,
hanno aderito alla nostra iniziativa. Per
quest’anno abbiamo invece programmato
una serie di aperture mensili ogni ultimo
martedì del mese e stiamo valutando altri
progetti di valorizzazione.
Antonella Muzi
È possibile creare rapporti di
collaborazione tra imprese nel segno
dell’innovazione? Sembra di si, stando al
progetto avviato a Stezzano (Bergamo)
dove è nato il Parco Scientifico
Tecnologico Kilometro Rosso, una sorta
di campus multidisciplinare aperto,
destinato ad accogliere aziende diverse
col fine comune di costituire una rete di
assoluta eccellenza. Il Parco sorge su
un’area di circa 400.000 mq ed è stato
ideato da una firma di prestigio
dell’architettura internazionale: Jean
Nouvel. Suoi i progetti dell’Insitut du
Monde Arabe, della Cartier Foundation,
del Quai Branly Museum a Parigi, della
Galerie Lafayette a Berlino e più
recentemente dell’ampliamento del
museo Reina Sofia a Madrid.
Ma parliamo anzitutto di luoghi. Kilometro
Rosso sorge lungo il tracciato
dell’autostrada A4, direttrice che attraversa
un territorio dalla spiccata vocazione
produttiva, in un percorso caratterizzato da
una massiccia presenza del costruito. Qui
il paesaggio riunisce e affianca una
grandissima eterogeneità di immagini
metropolitane, stereotipi della temperie
postmoderna. In un mondo globalizzato
per il moltiplicarsi dei canali di
comunicazione, crollate le “grandi
narrazioni”, l’unità percettiva è disgregata:
ogni cosa appare frammentaria. Tutta
questa densità parcellizzata invade
intimamente lo sguardo degli
automobilisti che percorrono il tratto
autostradale compreso tra il fiume Adda e
Bergamo, dove sorge il Parco. Il progetto
architettonico per Kilometro Rosso ha
inteso considerare anzitutto gli aspetti
legati al tema della percezione visiva in
movimento. Negli anni ’60 Kevin Lynch
con l’impianto teorico “The view from the
Road” analizzava le potenzialità analitiche
dello sguardo dalla strada. Così la
complessità semiotica del segmento
autostradale è stata interpretata come
parte integrante dell’esperienza visiva
dell’automobilista. Jean Nouvel,
tradizionalmente attento al contesto
materiale e simbolico dei suoi progetti, ha
creato un lungo nastro rosso che corre
parallelo all’autostrada per un chilometro.
Si tratta di un setto lamellare metallico
dietro cui si dispongono ortogonalmente
gli edifici inseriti in un parco verde. Il
concetto di muro è investito di tutte le sue
potenzialità: un segno che diventa esso
stesso generatore della forma
architettonica e dello spazio costruito. Un
nastro simbolo di confine tra due luoghi,
l’autostrada e il parco scientifico, ma
anche di relazione tra il mondo della
macchina e quello dell’uomo, tra l’universo
dell’automatismo e quello del pensiero.
Anche il colore evoca metafore poetiche,
“il rosso… è il colore del legame… ed è il
colore del limite” spiega Jean Nouvel che,
a proposito del progetto, racconta di aver
voluto giocare con la filosofia, così tanto
postmoderna, dell’asfalto e della velocità.
Il Parco Scientifico Tecnologico Kilometro
Rosso, fortemente voluto dal patron di
Brembo, azienda leader mondiale nella
progettazione e produzione di sistemi
frenanti, ha accolto tra gli altri il Centro di
ricerca dell’azienda stessa e il nuovo
Centro di ricerca del Gruppo Italcementi.
Ha anche sottoscritto accordi con
l’Università degli Studi di Bergamo, oltre
ad avere al suo interno un Centro delle
professioni, struttura dedicata anche alla
consulenza aziendale e all’erogazione di
servizi di terziario avanzato. Dunque un
progetto complesso e ambizioso che mette
in atto un meccanismo di produzione e
trasmissione della cultura, attivando
sinergie tra realtà istituzionali diverse. Ma
Kilometro Rosso può e vuole essere anche
un sistema per la definizione dell’identità
di un luogo, di un Paese, e lo fa puntando
sull’intima unione di architettura e
innovazione.
Info
Parco Scientifico Tecnologico Kilometro
Rosso
Viale Europa 2, 24040 Stezzano (Bergamo)
www.kilometrorosso.com
Antonella Muzi
D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A
ARTICOLANDO
ESTETICA DELL’ORO NERO
LA RACCOLTA D’ARTE ESSO
INDESIT COMPANY: DIALOGHI
TRA PASSATO E PRESENTE
Gentile da Fabriano, Polittico dell’Intercessione
Il rapporto tra cultura e mondo
industriale è ricco di sfaccettature:
riunisce in sé i problemi legati alla
produzione, alla qualità, ai valori,
all’immagine. Molte le aziende che
investono accidentalmente nel mondo
dell’arte, poche quelle che lo fanno
perché credono in una autentica
responsabilità sociale. Il gruppo Indesit,
secondo produttore di elettrodomestici in
Europa fondato nel 1975, è impegnato
nel tentativo di coniugare successo
economico e progresso culturale e lo fa
investendo sia nel campo del design che
in quello dell’arte. Lo scorso anno
l’azienda marchigiana ha presentato sul
mercato la lavabiancheria Moon disegnata
da Giorgetto Giugiaro: un prodotto dalle
linee morbide e dai colori brillanti che
evocano simbolicamente le forme naturali
del cosmo. Prestigiosi i riconoscimenti
che, grazie a questo elettrodomestico, la
compagnia ha ottenuto, tra gli altri il
Grand Priz de l’Innovation a Parigi, il
Designer Award in Gran Bretagna. Ma
l’impegno di Indesit non si limita
all’innovazione tecnologica e al design.
Accanto all’attenzione riservata al
processo stesso di produzione, l’azienda è
riuscita a creare un dialogo possibile
con la cultura e la società. Numerosi
sono gli interventi in campo artistico,
tra i quali spicca il finanziamento del
progetto di restauro del Polittico
dell’Intercessione di Gentile da Fabriano.
Il maestro marchigiano seppe
incarnare, a cavallo tra il XIV e il XV
secolo, la tipica figura dell’artista
internazionale, capace di aderire
pianamente alle esigenze di quei ceti
che ambivano a essere rappresentati
da un linguaggio artistico che li
connotasse in senso aulico e
aristocratico. Il capolavoro di Gentile,
realizzato tra il 1420 e il 1423, è stato
conservato nella Chiesa di San Niccolò
Oltrarno a Firenze almeno dal XVII
secolo. Cattive condizioni ambientali e
interventi di restauro malamente
eseguiti ne compromisero l’integrità
fino alla fine dell’800 quando un
incendio lo danneggiò ulteriormente.
Rimasto per decenni nei depositi della
Soprintendenza a Palazzo Pitti, iniziò a
essere nuovamente oggetto di studi
storico-artistici e conservativi.
L’intervento di restauro che ha
ricevuto il sostegno di Indesit, è stato
il frutto di una collaborazione tra
l’Opificio delle Pietre Dure e una serie
di Istituti Scientifici nazionali e
internazionali. Questa sinergia ha
consentito di risolvere i problemi
legati ai brandiani concetti di
“aspetto” e “struttura” e di ampliare le
conoscenze su tecniche, materiali e
problemi iconologici propri dell’opera di
Gentile. Il polittico così restaurato è stato
esposto nel 2006 a Palazzo Medici e
successivamente è diventato protagonista
della mostra Gentile da Fabriano e l’altro
Rinascimento, tenutasi a Fabriano. Ma c’è
di più. Il sostegno di Indesit alla cultura
non si è fermato all’investimento
economico nel progetto di restauro.
L’azienda, nel rispetto della vocazione
educativa dell’arte, ha ospitato nella
propria sede il capolavoro di Gentile,
esponendolo al pubblico e progettando
iniziative divulgative e didattiche rivolte
ai dipendenti. Segnale quest’ultimo di
una sensibilità culturale che, in aggiunta
all’evidente ritorno di immagine per
l’azienda, testimonia la possibilità di una
integrazione tra industria, territorio e
società. Oltre alle iniziative promosse in
Italia, Indesit, che è presente nel mondo
con 17 stabilimenti, ha di recente
sponsorizzato il Festival del cinema di
Lódz e di Edimburgo e ha partecipato alla
mostra che il Guggenheim Museum di
New York ha dedicato a Zaha Hadid.
Antonella Muzi
fieristica, prettamente commerciale, con il
tessuto urbano, poi, va oltre il percorso di
Art first, per diventare Art Off, ovvero un
programma di eventi collaterali, mostre e
performance di artisti che ravvivano i
naturali contenitori dell’arte
contemporanea, dal Mambo a Villa delle
Rose, passando per la Cineteca, la
palazzina dell’Esprit Nouveau, l’Hospice
Seragnoli e lo spazio Visionnaire.
Tra le novità di questa edizione c’è stata la
notte bianca (A white night), sabato
26, che dalle 20 alle 24, ha movimentato il
centro storico con aperture straordinarie di
musei, gallerie e negozi, con concerti e un
originale buffet itinerante.
Certo non è sempre facile coinvolgere la
città, ma una volta innestato il
meccanismo il risultato non delude le
aspettative come per la quarta edizione del
Must “Artour-O” il Museo Shop
Temporaneo che si è svolto a Firenze nel
febbraio scorso trasformando il capoluogo
toscano in un centro propulsivo per le arti
visive. Un vero e proprio network artistico
garantisce alla città una stagione
all’insegna di eventi ed iniziative di grande
respiro. Il Museo-Shop Temporaneo
ripropone lo stretto connubio tra territorio
ed arte contemporanea, testimoniato dalla
partecipazione alla manifestazione di
numerose istituzioni pubbliche.
Victor Vasarely, Forme e contrasti cromatici - (Foto S.Scafoletti)
“Il caso della Esso Standard Italiana può
considerarsi un caso esemplare e,
certamente, fra i più positivi del rapporto
fra arte e industria”. Così scriveva Giuliano
Briganti nel 1967 riferendosi a uno degli
esempi più eccellenti di “mecenatismo
illuminato” industriale. Ha da pochissimo
chiuso i battenti una mostra nella sede
della Galleria Nazionale d’Arte Moderna
che ha portato alla conoscenza del grande
pubblico la raccolta d’arte costituita
dall’azienda tra il 1949 e il 1962. La Esso
in Italia ha una storia ultracentenaria:
fondata nel 1891 a Venezia con l’intento di
commercializzare petrolio per
illuminazione e riscaldamento, si
trasformò ben presto in una delle grandi
società petrolifere internazionali. Dal
1948, sulle macerie lasciate dalla guerra,
Esso accompagnò la rinascita del Paese e
lo fece anche attraverso la cultura e la
comunicazione. L’azienda iniziò per prima
a parlare di public relations e a creare un
ufficio stampa sul modello delle industrie
americane, dando così l’avvio a una
filosofia sensibile alle questioni politiche
e culturali della società. Nel 1949 nacque
“Esso Rivista”, inizialmente semplice
house-organ, poi aperta alla collaborazione
di scrittori e artisti chiamati a illustrare
copertine e inserti. Fu in quest’ottica che
nacque l’idea di promuovere un Premio di
Pittura dell’azienda, di volta in volta
calibrato sui temi specifici della
modernità, in un’Italia che cambiava
rapidamente. Crescente la partecipazione
degli artisti alle quattro edizioni del
concorso, svoltesi dal 1951 al 1962, che
premiarono tra gli altri Vespignani,
Gentilini, Afro, Birilli, Semeghini, Scialoja.
La raccolta d’arte Esso, che si era andata
così formando, fu ampliata ulteriormente
grazie al ruolo svolto da “Esso Rivista”,
organo di informazione qualificato sempre
più grazie a un rigore estetico che oltre
alla copertina investiva anche
l’impaginazione, i caratteri e la stampa.
L’azienda commissionò fino al 1983 lavori
a Munari, Alviani, Tornquist e a molti altri,
divenendo così l’emblema della capacità
imprenditoriale di partecipare
profondamente alla creazione dei valori
collettivi. La mostra appena conclusa ha
dato rilievo alle opere selezionate nel
corso delle quattro edizioni del Premio e a
quelle commissionate per la rivista,
unitamente a una scelta di lavori di
grafica. In un allestimento che alternava il
bianco e il nero degli ambienti industriali
alle preziosità di forme curve su pavimenti
e pareti specchianti, spiccavano le opere
di Vasarely, Vedova, Turcato, Parmeggiani.
Al centro dello spazio espositivo un
coloratissimo grattacielo di caselle
contenenti le copie della “Esso Rivista”,
oltre a un nucleo importante di dipinti
astratti di artisti italiani della generazione
a cavallo tra Forma Uno e Informale come
Santomaso, Dorazio, Perilli. Un omaggio
lieve e sofisticato all’operato di
un’azienda capace di costruire la propria
identità culturale unendo i caratteri del
committente e quelli del mecenate. Sono
ancora attualissime le riflessioni di Palma
Bucarelli che nel 1952 definiva “illuminati
ed accorti” gli industriali, paragonandoli
agli “antichi principi” perché come quelli
aiutavano gli artisti a “uscire dal chiuso
dell’arte pura”.
Antonella Muzi
NON SOLO FIERE
La Partecipazione di MU6 nel settore
editoria delle fiere d’arte, ha creato una
fitta rete di rapporti oltre che una sempre
più grande distribuzione sul territorio
nazionale del giornale.
Con Arte Fiera, Bologna è diventata
capitale dell’arte che ha contagiato la città
e animato la notte di colori e istallazioni.
Quello di quest’anno è stato il terzo
appuntamento di Art First, il percorso
inedito che apre le porte di musei, cortili e
palazzi per riempirli di arte. La
contaminazione della manifestazione
Lavabiancheria Moon, design: Giorgetto Giugiaro
A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) /
MU7
IL PERSONAGGIO
a cura di Jessika Romano
Nel segno di
Museo archeologico La Civitella di Chieti, 1998
Museo archeologico della ceramica e del territorio di
Montelupo fiorentino, 1988
“Negli anni Cinquanta c’era da Max Huber un giovane ragazzo alto
alto, magro magro, un po’ austriaco, che portava ancora i calzoni corti:
era allegro, curioso e disponibile. Le migliori qualità possibili per
affrontare la vita”.
Questo è l’affettuoso ritratto che
Achille Castiglioni dipinge del giovane
Heinz Waibl, uno degli interpreti della
rivoluzione grafica contemporanea
italiana e internazionale. Allievo del
famoso grafico svizzero Max Huber,
Waibl si forma nella Milano del secondo dopoguerra dove personalità e
stile di architetti e designer del calibro
dei fratelli Castiglioni, Bruno Munari,
Albe Steiner, per citarne alcuni, hanno
gettato le basi di quel fenomeno artistico e culturale conosciuto in tutto il
mondo come “Made in Italy”.
Il suo segno grafico è caratterizzato da
una matrice razionalista, derivata
dalla lezione del movimento storico
del Bauhaus, tuttavia sbrigliata dalla
sperimentazione internazionale nella
Unimark Corporation di Chicago e di
Johannesburg e dai contatti costanti
con i maggiori protagonisti della cultura visiva europea come Max Bill,
Massimo Vignelli, George Vantongerloo. La sua produzione manifesta una
grande attenzione all’evoluzione della
cultura figurativa e si lascia stimolare
dal fermento che attinge alle avanguardie pittoriche degli Stati Uniti,
della Russia e del Giappone.
Dal 1972 è stato titolare della cattedra
di Visual Design presso la Scuola
Politecnica di Design di Milano avendo maturato esperienza nell’insegnamento fin dal 1959 all’Umanitaria che
Waibl ricorda così “ Avevamo solo
carta, matita, pennello, colori, forbici,
un tavolo, uno sgabello e tanto entusiasmo. L’Umanitaria era una palestra
soprattutto per noi docenti…ci sentivamo dei pionieri in una società che
riconosceva la grafica come affare dei
tipografi o all’opposto dei pittori”.
L’indiscutibile abilità didattica di
Waibl ha contribuito a formare due
generazioni di grafici italiani, svizzeri e
tedeschi trasformando lo studio
MU8
Signo, fondato nel 1974 a Milano con
Laura Micheletto, in un prodigioso
vivaio di talenti.
Se ricorda Max Huber, Waibl riassume
l’esempio del maestro nella frase “Io
non penso, faccio” che rivela un automatismo di azioni filtrato dalle capacità professionali ma soprattutto da una
straordinaria consapevolezza culturale. Che tipo doveva essere quel Max
che “a pranzo, al posto della frutta
chiedeva sempre delle forti e alcoliche
spremute d’uva”. Waibl ne parla divertito e rivela una storia di amicizia fatta
di musica, di bevute e di risate ma
anche nella genuinità del racconto si
comprende la validità dei mezzi
espressivi ereditati dalla scuola svizzera: chiarezza compositiva, equilibrio,
sicurezza nelle scelte tipografiche.
Ormai da tempo protagonista nel
panorama della comunicazione visiva
contemporanea, Heinz Waibl è un personaggio che ama le forme essenziali,
rigorose e moderne insomma un
distillato cristallino di originalità e
metodo.
L’incontro con l’Abruzzo avviene
durante i lavori di allestimento del
polo museale della Civitella di Chieti
per il quale Heinz Waibl viene incaricato di realizzare il logo del museo e
di seguire lo studio grafico dell’immagine coordinata.
La nascita di un nuovo museo o
meglio di un “museo nuovo”, come si
può definire la Civitella, necessita di
una progettazione complessa ma
anche di un’identità definita, un
segno riconoscibile e concreto. Waibl
pensa ad un simbolo tridimensionale,
un marchio scultura, dalla forma di
cerchio irregolare perché la metà inferiore è piegata cinque volte.
Una sintassi geometrica esemplare
che racchiude insieme il concetto di
spazio e di tempo. La forma ed il colo-
Unione dei comuni della Tremezzina, 2004
Norditalia Assicurazioni, 1986
re, giallo oro, ricordano il sole, simbolo dell’intelligenza cosmica, energia
positiva che si manifesta come luce
nella sfera delle cose visibili e scandisce il lento divenire delle cose. Ma
senza voler scomodare Platone ed il
pensiero filosofico, il cerchio di Waibl
è una forma dinamica che sfida la
terza dimensione: un’immagine semplice e concreta che è pura espressione di armonia, di misura senza tempo.
E qui, è proprio il caso di dire, si chiude il cerchio nel senso che si arriva a
coniugare l’antico con il moderno,
senza soluzione di continuità, in un
sigillo cromatico dal giallo oro al
rosso amaranto che riflette l’essenza
mediterranea del territorio.
I contenuti del museo sono espressi
con un’ampia gamma di comunicazione affidata ad un carattere serio, morbido e molto duttile dal nome che
sembra un‘esclamazione in tedesco
maccheronico: Akzidenz Grotesk. Ricordo la presenza assidua e costante di
Waibl, la precisione e la cura con cui
verificava la posizione delle singole
lettere, dei pieni e dei vuoti sottolineando l’importanza degli spazi tra un
carattere e l’altro, tali da soddisfare le
singole esigenze. Già perché le lettere
non sono dei soldatini disciplinati che
possiamo ordinare a nostro piacimento concedendo a ciascuna uno spazio
fisso, si può dire piuttosto che ognuna
di esse abbia una sua personalità, un
fisico e quindi un peso diverso dall’altra che il grafico deve ponderare e
gestire con criterio. Quando Waibl ne
parla sembra quasi che le conosca
una per una e ne sia intimamente affascinato, tanto da quelle alte e magre
quanto dalle altre basse e panciute;
nel suo lavoro si definisce un artigiano e più precisamente uno scultore
forse perchè ha iniziato a lavorare
quando si impaginava a mano ed i
progetti avevano una consistenza fisica fin dal principio.
A pensarci bene l’assonanza della grafica con la scultura ha radici profonde
che risalgono alla nascita della scrittura. Lo confesso sono un’archeologa
e il mio approccio alle materie è condizionato inesorabilmente dal voler a
tutti i costi risalire all’origine delle
cose che spesso è solo apparentemente lontana.
Non si può negare che alla base dell’affermazione della cultura scritta,
oltre all’aspirazione spirituale e poetica, ci sia stata un’esigenza pratica
legata alle necessità politiche, amministrative e soprattutto commerciali.
Così dai caratteri cuneiformi ai geroglifici i prodotti sono rappresentati
con forme stilizzate che via via diventano sempre più ridotte perché proprio da allora scrivere vuol dire scrivere in fretta ma con grande attenzione
alla disposizione degli elementi. È
curioso che l’essere merce coincida fin
da subito con l’essere vista e si giustifica chiaramente con le leggi del mercato: affinché la produzione possa trovare il suo necessario riflesso nel consumo è indispensabile la trasformazione del prodotto in immagine!
L’esitazione tra figurazione e scrittura
accompagna l’attività grafica da sempre ed è questa ambiguità la chiave di
lettura del lavoro di Waibl che si esprime talvolta attraverso sequenze di
geometrie astratte nelle quali non è
difficile individuare costruzioni allusive o elementi di figuralità, ma sempre
con il massimo rispetto del codice
verbale dell’interprete, fondamentale
perchè la comunicazione visiva non si
carichi di confusione ed incertezza
semantica. L’imperativo categorico
nell’attività progettuale di Waibl è la
coerenza e la semplificazione delle
forme
da
cui
scaturisce
l’immediatezza del richiamo ed il
potere di attrazione visiva. Incastra,
allinea, sovrappone e scompone i
caratteri con un ritmo compositivo
contratto che ricerca gli accordi nella
dialettica delle parti semplici. I tasti
bianchi e neri, le note acute e ribelli,
la cadenza sincopata è quella dell’inconfondibile suono del jazz.
Il marchio di Waibl è fatto di grande
professionalità, di uno stile sempre
più raro che lascia il segno.
L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T
ARCHITETTURA
di Marco Morante e Maura Scarcella
INTERVISTA
Architetto
Ettore De Lellis
Rivolgiamo alcune domande ad Ettore De Lellis, autore di due musei
abruzzesi singolari nel rapporto e nell’interpretazione dei rispettivi contesti.
Chieti e Celano, la collina fronte-mare e l’entroterra montano, la città e la piana dal Fucino.
Condizioni e contesti molto differenti: perché due musei ipogei?
Sicuramente la natura ipogea dei due musei non deriva da volontà mimetiche.
È stato solo un modo di rapportarsi a luoghi particolarissimi: una sconfinata
pianura verde che conserva inalterata la sua originaria natura lacustre; un
terrazzamento ai margini del centro storico sul quale si proiettava, chiara e visibile,
la stratificazione di duemila anni di trasformazioni urbane.
In questo i due edifici rappresentano diverse declinazioni di uno stesso progetto.
Nel caso di Celano l’edificio è frutto dell’“increspatura” della superficie del lago, a
Chieti è la sintesi delle geometrie degli strati; in entrambi i casi è presente la
metafora dello scavo archeologico, del gesto di incidere la terra.
Frequentemente, nello stesso volgere di anni in cui si progettavano questi due musei, l’architettura
evitava di produrre “oggetti”: era forse la sfiducia post-speculativa nelle potenzialità del progetto
contemporaneo?
Il mio modo di fare il mestiere di architetto è più vicino a quello di un artigiano;
provo una certa difficoltà ad affrontare questioni teoriche.
Posso dire che l’edilizia speculativa non ha mai avuto momenti di crisi, non c’è
quindi un “post” ad essa; la sfiducia nel progetto contemporaneo è una condizione
di lavoro permanente per molti architetti italiani.
Penso che la scarsa produzione di oggetti in quel periodo fosse dovuta all’esordio
dello strumento informatico (che ha richiesto lunghi tempi di gestazione e che ha
portato oggi all’irrompere dell’architettura digitale) e alla scarsa attenzione del
mercato al “valore” del progetto.
Quando il sistema (pubblico e privato) della produzione edilizia ha scoperto che il
progetto poteva portare valore aggiunto alle operazioni immobiliari, la “produzione
di oggetti” ha visto l’esplosione che conosciamo oggi.
Dall’afasia di quel periodo si è passati all’autoreferenzialità.
L’anastilosi e le integrazioni urbane della Civitella: cosa le ha rese contemporaneamente possibili
nell’Italia ingessata e “schiava“ della sua storia?
Una serie fortunata e concomitante di eventi, la prima e la più importante delle quali
è stata la presenza di Giovanni Scichilone alla direzione della Soprintendenza di
Chieti. Sotto la sua guida, lo staff dei suoi più stretti collaboratori, Adele Campanelli,
Claudio Finarelli, Vincenzo D’Ercole, hanno dato un contributo determinante, anzi si
può affermare che le due realizzazioni sono frutto di un lavoro comune
La duna e il percorso: è una sintesi corretta dell’architettura del Museo Nazionale della Preistoria
d’Abruzzo, di Celano?
È una sintesi perfetta.
Quanto queste due opere hanno rispettivamente in comune con l’intervento sul Teatro di Sagunto
di Giorgio Grassi e con l’opera di Ambasz?
Non so se è il caso di fare confronti con i grandi nomi. Con il teatro di Sagunto esse
non hanno nulla in comune, credo che Grassi, se le ritenesse degne di nota,
manifesterebbe molte più critiche di quelle che ha mosso al museo di Moneo a
Merida. La vegetazione e l’elemento naturale fanno parte del lessico di Ambasz; nei
musei di Chieti e Celano essi sono esiti, non dico casuali, ma in ogni caso non
determinanti.
Dai Guggenheim di New York e Bilbao, potentissime icone urbane più che contenitori di opere
d’arte, fino alla Tate Modern di Londra, luogo di incontro quotidiano di giovani, in che direzione
sta andando l’architettura del museo?
Il museo è e rimarrà, per sua stessa natura, il campo di sperimentazione privilegiato
dell’architettura. Non so dire in che direzione sta andando l’architettura del museo;
quella che mi convince di più appartiene al percorso seguito da Renzo Piano.
Dunque la domanda d’obbligo: tra protagonismo e neutralità, qual è il museo ideale?
È quello che coniuga le istanze del luogo, la qualità spaziale, la chiarezza dei
percorsi e la modulazione della luce in una sintesi discreta.
È troppo?
Luce naturale e luce artificiale in uno spazio espositivo ipogeo: l’arte di illuminare l’arte. In che modo?
Con la luce ho avuto un’esperienza negativa in entrambi i musei.
Pur avendo dedicato molta attenzione alla luce naturale negli spazi espositivi, ho
dovuto constatare, con un certo disappunto, che chi si occupava degli allestimenti
si preoccupava subito di oscurare gli ambienti.
Questo non per proteggere i materiali dai raggi ultravioletti, ma solo per creare
condizioni di illuminamento ed effetti espositivi stabili e controllabili.
Ho cercato di spiegare, senza molto successo, che gli oggetti esposti nella
mutevolezza della luce naturale potevano risultare più interessanti e che comunque
gli “effetti” potevano essere riservati alle ore serali, in quanto i musei, sempre più
spesso, sono aperti anche di notte!
T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U /
MU9
ARCHITETTURA
di Marco Morante e Maura Scarcella
ERGenetica
Nei secoli passati le architetture si sono formate secondo un evidente processo
di “condensazione” del materiale più facilmente reperibile in loco: come balle di
fieno in campi appena falciati, così case in pietra lungo alture e pendii sassosi,
in laterizio sui colli e nelle vallate argillose… e così via.
La standardizzazione, il benessere e più in generale i fenomeni connessi alla globalizzazione esplosi nel XX secolo hanno portato nei processi costruttivi ad una
disseminazione, perlopiù indifferenziata, di materiali estranei ai contesti di
applicazione. Si consiglia a tal riguardo di riascoltare l’opinione che Pierpaolo
Pasolini esprimeva sull’argomento nel 1974, osservando l’abitato di Orte e le sue
espansioni nel breve filmato “La forma della città” (www.teche.rai.it).
Ciò, oltre a rendere territori diversi sempre più simili, ha di fatto scardinato
molti dei punti fermi del “buon costruire” sedimentatisi nel tempo, mettendo
sempre più a rischio la qualità del prodotto edilizio. All’arte dell’accostamento
dei pochi materiali disponibili in situ che nel tempo si era andato affinando, è
repentinamente succeduta dunque (in Italia, nella sua interezza, con il boom
economico degli anni ’50) la moltiplicazione delle possibilità e l’azzeramento
della tradizione costruttiva, rendendo ogni progetto “storia” a sé,
Nel volgere di qualche decennio onduline ed eternit, cemento ed asfalto, alluminio anodizzato, antenne televisive e cavi elettrici hanno stravolto il nostro
spazio di azione e percezione urbana e territoriale.
Alla politica disperata quanto patetica di prescrizione circa l’utilizzo di materiali “simili” a quelli tradizionali, seppur magari provenienti dall’altra parte del
mondo, occorre sostituire, a nostro avviso, la diffusione di consapevolezza e
capacità nell’utilizzare con sapienza vecchi e nuovi materiali, nella convinzione
che, fatte le dovute eccezioni, si tratta piuttosto di discernere tra cattiva e buona
progettazione.
I materiali che nuove tecniche di costruzione e nuove tecnologie applicate agli
organismi edilizi impongono ai mercati ed ai processi costruttivi, fin dal dettaglio influenzano la forma dell’organismo edilizio giungendo ad investire la grande scala del paesaggio.
Ciò comporta lo sviluppo di una capacità nel riconoscere e nominare una più
ampia gamma di “materiali” e nel pensarli come parti generative di nuove possibili forme del bello.
La dichiarazione di una tale necessità non risiede, come spesso l’architettura si
è dovuta affannare ad argomentare a causa della sua profonda crisi epistemologica, nell’urgenza di legittimazione del proprio campo disciplinare, quanto invece nella ineluttabile terza rivoluzione industriale che stiamo già attraversando. I
motivi per cui Jeremy Rifkin, tra i primi, ha registrato l’avvento di questa rivoluzione, le conseguenze che comporterà globalmente sulla disposizione degli inse-
MU1 0
diamenti umani grazie alla tecnologia delle fuel cells all’idrogeno e le conseguenti preoccupazioni in termini di aumento esponenziale della pressione antropica
sull’ambiente, che gli osservatori ecologicamente più attenti già intravedono,
sono risvolti importanti della questione che non è possibile in questa sede
approfondire.
Lo stato di salute del pianeta collegato all’emissione di CO2 e la prevista scarsità di risorse energetiche sono comunque problematiche che coinvolgono a
pieno titolo il campo delle costruzioni e di tutte le forme di trasformazione del
territorio.
La compatibilità ambientale dei materiali da costruzione e l’autosufficienza
energetica degli edifici, come anche lo stato ed il riciclo di acque e rifiuti, la produzione agricola in proprio o nelle immediate vicinanze, la sostenibilità ed
accessibilità dei sistemi di trasporto sono alcuni dei temi su cui confrontarsi per
il buon controllo di edilizia, città e territori nel prossimo futuro.
L’autosufficienza energetica (erg) ed il suo basso o nullo impatto ambientale è
uno dei temi più vasti del problema e che più inciderà sulla forma dell’architettura (morfogenetica) e del paesaggio.
Tale fenomeno di causa-effetto, che ibridando o anche solo anagrammando chiameremo “ergenetica”, ricoprirà con buona probabilità un ruolo centrale, rifondante e rivoluzionario per l’architettura.
Di tale perturbazione storica va colta l’opportunità di miglioramento come
anche di rappresentazione di una società nuova e globale, più dinamica e positiva, che sappia uscire dall’impasse in cui versa grazie ad un ritrovato dialogo
con la natura e ad un più costruttivo rapporto con la tecnologia.
Sentire il dovere di implementare ed integrare architettonicamente sistemi di
autosufficienza energetica e compatibilità ambientale è un fatto di “cultura”, di
qualità della vita e di convenienza economica… quindi di “impresa”.
La copertura del parcheggio, dell’area di servizio e dell’autolavaggio, gli schermi
frangi-sole della palazzina residenziale, lo spazio intercluso nella rotatoria, la
falda della casa singola, le fasce di pertinenza e rispetto e le barriere fonoassorbenti (auto)stradali, lo stagno nella tenuta di campagna, l’involucro della nuova
scuola, la serra della villetta unifamiliare, l’arredo urbano, le coperture dei
capannoni produttivi, il bosco demaniale e molti altri elementi urbani e territoriali, a piccola o grande scala, possono tutti offrirsi per i più disparati sistemi
attivi o passivi di efficienza e produzione energetica.
Ai committenti - pubblici e privati - la convinzione ad investire, ai tecnici la capacità - non ancora diffusa - di ben progettare.
laq_architettura
D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A Z Z A
CULTURA E IMPRESA
COLTIVAZIONE DELLA CULTURA
Un grande e goffo pulcino metallico
osserva l’orizzonte, poco lontano guarda nella stessa direzione una fiera
matrona di terra e cenere. Un uovo di
universo pulsa in un nido di roccia bianchissima. Un pendolo ricorda la gravità
che ci costringe alla terra. Un uomo e
una donna pietrificati nell’attesa reggono una coppa che si riempie di cielo.
Tutto intorno vigneti e ulivi si perdono
negli orizzonti tondi delle colline, la dea
madre Majella scende verso il mare e
con il suo respiro rende fertili le terre.
Ci troviamo, come è forse intuibile,
nella sede di una dinamica multinazionale abruzzese, le cantine Zaccagnini di
Bolognano. I vigneti di contrada Pozzo
sono il regno del signor Marcello, uno
con la schiena dritta, “tagliato al contrario”, garantisce lo scrittore Sergio Zavoli, che gli sta dedicando un libro. Un exoperaio, che un giorno decise di appendere il saldatore al chiodo per ricominciare dalle vigne del padre Ciccio.
Trent’anni dopo, quella che fu
un’attività a conduzione familiare,
esporta 500mila bottiglie in trentasei
paesi e dà lavoro a settanta persone
senza contare l’indotto. I suoi vini, grazie anche al talento dell’enologo
Concezio Marulli, mietono premi e consensi.
Marcello è poi un vignaiolo sensibile
all’arte: la tenuta, come accennato, è
scandita dalle opere di David Bade,
Franco Summa, Pietro Cascella, Dino
Collelongo, del figlio Simone Zaccagnini. Dentro alle cantine e all’edificio a
forma di ala di gabbiano, che si apre al
paesaggio attraverso un grande occhio
azzurro, segrete corrispondenze sono
evocate dall’altare consacrato a Dionisio di Mauro Berrettini, dalla colomba
di Pietro Cascella, il cui calco viaggiò
nello spazio a bordo del Voyager, dai
sudari di bottiglie ibernate di Gino
Sabatini Odoardi e da molto altro, che
lasciamo alla curiosità del lettore.
Intenso è anche l’attivismo culturale
dell’azienda, come testimoniano le
manifestazioni Uvarte, il premio Pigro,
dedicato all’amico cantante Ivan Graziani, il premio Prisco, Arte in cantina e il
Tralcetto dell’amicizia, conferito ogni
anno a personalità di vario talento.
Una passione nasce da un seme che
qualcuno ha gettato. Correva l’anno
1984, era un piovoso tredici maggio:
nella sua cantina Marcello, insieme a
ospiti arrivati da tutto il mondo, ascoltava uno strano sciamano dal capello
di feltro e dallo sguardo triste, Joseph
Beuys. A Bolognano l’artista tedesco
visse gli ultimi anni della sua vita e
strinse un intenso sodalizio spirituale
con la baronessa Lucrezia De Domizio,
che organizzò lo storico incontro ed
ora è un’instancabile vivificatrice del
suo messaggio.
Le parole semplici di Beuys disegnarono quel pomeriggio un’utopia lontana
eppure vicina come la terra su cui poggiamo i piedi: “noi piantiamo gli alberi e
gli alberi piantano noi”; “possiamo
ancora decidere di allineare la nostra
intelligenza con la natura”; “ciò che ci
salva, e che non possiamo azzerare, è la
memoria, perché saremmo incapaci di
udire, vedere e pensare”; “l’arte è scienza della libertà, è il nostro vero capitale”; “qui a Bolognano possiamo creare
un paradiso piantando 7000 alberi
diversi”. Questi pensieri fluttuano ancora tra le botti di rovere di Marcello. Il
procedimento magico del mettere in
contatto, praticato da Beuys, trova
accoliti in aristoteli rubizzi e psicopompi ciarlieri che, nelle sempre più rare
cantinicole, riflettono sui segreti della
vita, e la loro dialettica quasi mai trova
la sintesi in pensieri di guerra, ma in un
bonario bicchiere della staffa.
“Io non sono un artista - dice Marcello non so fare nemmeno uno scarabocchio, però l’arte ha segnato la mia vita e
il mio successo imprenditoriale”. Ne
sono prova le etichette dei vini, firmate
da grandi artisti, ultima quella di
Mimmo Paladino per le bottiglie del
San Clemente. Marcello è però particolarmente fiero della prima storica bottiglia del Montepulciano Cerasuolo: un
tralcetto di vite legato al collo da uno
spago di rafia e poi un’etichetta semplice semplice vergata dalla bella calligrafia del suo amico preside Franco Di
Medio. Oggi è considerata un’opera
d’arte con il vino dentro, e pensare che
quando Marcello la mostrò orgoglioso
ad esperti grafici e al suo amico Bruno
Vespa, si sentì rispondere che era kitsch
e inopportunamente rustica.
DIFESA DELLA NATURA: una scritta
cubitale ci accoglie a Bolognano, un
borgo che è un labirinto di sorprese. Nei
pressi di una luminosa casa azzurra, non
puoi sapere se una carriola di legno sbilenca è un’opera d’arte o è stata poggiata lì da un contadino. Difesa della natura: il pensiero torna ai vicini boschi divorati dal fuoco, alle discariche abusive e
alle ottuse colate di cemento che soffocano e avvelenano la terra; ad un benessere misurato da un Pil che cresce se si
vendono più psicofarmaci e se si spreca
carburante fermi al semaforo. Il discorso
cade sul Centro oli di Ortona, sul petrolio che poco più a sud minaccia il vino,
l’oro nero d’Abruzzo. Marcello non ha
dubbi: “Attività industriali che compromettono la qualità ambientale del territorio non sarebbero compatibili con le
mie vigne…emigrerei giorno dopo. In
Sud Africa, forse”. Il pulcino buontempone di Bade osserva preoccupato cosa
si muove giù a valle. Una pecora di plastica dorata pascola ignara sul prato.
Parole che germogliano, dicevamo. Le
cantine Zaccagnini stanno perseguendo
l’obiettivo dell’impatto ambientale
zero: l’uso di prodotti chimici è ridotto
al minimo, le acque di lavaggio sono
depurate e riutilizzate per l’irrigazione,
si fa raccolta differenziata e ci si prende
cura anche di tutta la filiera del riciclo.
Per bilanciare le emissioni di C02 del
processo di fermentazione, è stato è
piantato un bosco di querce, con tanto
di ruscello che lo attraversa e di profumato sottobosco di mirtilli, per chiudere il cerchio di un habitat naturale.
Marcello indica poi un edificio in
costruzione a ridosso del vigneto. “È un
mio sogno che prende forma”, ci spiega.
Un magazzino, sul cui tetto una circonferenza di legno intersecherà un giardino pensile rettangolare. La rotonda
sulla vigna sarà un luogo d’incontro e
creatività, perché per il signor Marcello,
come per il poeta Omar Khayam, “chi fa
il vino crea amicizia”.
Gli avvenimenti globali, pensò Joseph
Beuys in un pomeriggio di primavera,
sono legati alla mitologia individuale.
Filippo Tronca
B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) /
MU11
IL GRUPPO INDUSTRIALE
MACCAFERRI INVESTE NELLE FONTI
RINNOVABILI IN ABRUZZO.
PREVISTI INVESTIMENTI COMPLESSIVI PER OLTRE 350 MILIONI DI EURO
CON UN’OCCUPAZIONE DIRETTA DI CIRCA 150 ADDETTI E INDIRETTA
PER OLTRE 300 ADDETTI
A Ortona arriva l’energia pulita:
274.000 Kwh di produzione su 3800
mq di superficie, un risparmio di
oltre 100 tonnellate di CO2 l’anno e
1,2 milioni di euro di investimento.
Sono questi i numeri del nuovo
impianto fotovoltaico progettato
dalla Società Enerray e realizzato
sulla copertura dello stabilimento
della Samp di Ortona.
Lo stabilimento e l’impianto sono stati inaugurati mercoledì 27 febbraio. All’evento hanno partecipato il
Governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del
Turco, Gaetano Maccaferri Presidente del Gruppo Maccaferri, Antonio Maccaferri Presidente Samp Raimondo
Cinti, Presidente Enerray e numerose autorità, sindacati e imprendori locali, tra i quali il Sindaco di Ortona
Nicola Fratino il Presidente della Confindustria
Abruzzo, Riccardo Marrollo e il Presidente di
Confindustria di Chieti, Silvio Di Lorenzo. La conferenza di presentazione è stata chiusa con un intervento
del Governatore che ha affermato “In Abruzzo abbiamo
la fortuna di avere le componenti per produrre biomasse e quindi tutta l’energia di cui necessitiamo: sole,
vento e boschi… e avere un’azienda come questa che si
candida a essere protagonista di questa mediazione tra
mercato e territorio è circostanza di grande rilievo”. In
chiusura il taglio del nastro è stato affidato
all’Assessore alle Attività Produttive della Regione
Abruzzo, Valentina Bianchi.
MU1 2
L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T
CULTURA E IMPRESA
L’impianto fotovoltaico abruzzese rientra tra i grandi
investimenti che il Gruppo Industriale Maccaferri, del
quale sia Enerray che Samp fanno parte, sta implementando nello sviluppo di un sistema energetico sostenibile a tutela del territorio e dell’ambiente.
Attraverso le sue società operative, infatti, il Gruppo
gestisce già due centrali elettriche a cogenerazione
(Celano e Jesi), coordina il piano di riconversione degli
stabilimenti saccariferi in centrali per la produzione di
energia da biomasse e promuove nuove attività legate
all’utilizzo di fonti rinnovabili e al settore della produzione di biocarburi.
L’impianto fotovoltaico di Ortona sorge sui 3.800 mq di
superficie del tetto del nuovo stabilimento di Samp, una
nuova area di produzione che si somma alla superficie
di 6000 mq già esistente.
Un impegno importante per il Gruppo che si traduce in
un investimento complessivo per la realizzazione dello
stabilimento pari a 2,7 milioni di euro, più 1,2 milioni
di euro per la realizzazione del sistema fotovoltaico
installato sul tetto dell’edificio.
Kwh ed evitare così l’emissione in atmosfera di oltre
100 tonnellate di CO2 l’anno.
La progettazione del sistema fotovoltaico è stata realizzata da Enerray, una delle società operative di Seci
Energia, subholding del Gruppo Maccaferri, nel rispetto delle esigenze ambientali e di risparmio energetico.
Il Gruppo Maccaferri nell’intento di rafforzare e sviluppare il settore della produzione dell’energia elettrica da
fonti rinnovabili in Abruzzo, in coordinamento con la
Regione e con il contributo di tutta la filiera istituzionale ha predisposto altri interventi industriali che prevedono investimenti complessivi per oltre 350 milioni
di euro per le attività in essere; l’occupazione diretta
per circa 150 addetti e indiretta per oltre 300 addetti.
Un impianto che ha ricevuto la certificazione ambientale ISO 14001 sin dal 2001 e che è stato realizzato in
conformità al decreto legislativo n. 192 del 19 agosto
2005, emesso in attuazione della direttiva comunitaria
2002/91/CE concernente il rendimento energetico nell’edilizia.
Samp potrà contare, quindi su un sistema fotovoltaico
che permetterà un risparmio energetico notevole:
l’impianto è, infatti, in grado di soddisfare in un anno
l’equivalente del consumo di energia elettrica di 100
famiglie con una produzione annua di circa 274.000
T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U /
MU13
BIOARCHITETTURA
COME CULTURA DEL VIVERE
Borgo San Benedetto nel comune di Rosciano rappresenta l’applicazione
pratica delle più avveniristiche idee progettuali nel campo della
bioarchitettura abitativa. Un progetto ideato da una società emiliana
ma fortemente voluto dal suo presidente, l’abruzzese Lorenzo Scipione,
a cui abbiamo posto alcune domande.
Borgo San Benedetto è il primo esempio di bioarchitettura abitativa in Abruzzo?
Certamente la sensibilità sui temi della sostenibilità
ambientale e della bioarchitettura è cresciuta notevolmente negli ultimi tempi e questo si è positivamente riversato
sulle nuove iniziative immobiliari ed abitative anche in
Abruzzo.
A vario titolo, sia negli ambienti accademici che delle libere professioni, sia in ambito della pubblica amministrazione che in quello dell’associazionismo culturale, è stato
fatto un gran lavoro per riportare al centro delle discussioni la possibilità di cultura abitativa rispettosa dell’ambiente ma al tempo stesso accattivante per l’uomo.
Va registrato tuttavia, anche in Abruzzo, come il dibattito
sulla bioarchitettura venga fuori in sordina dalle sale dei
convegni e delle tavole rotonde e ha mantenuto per la stragrande maggioranza delle persone quel livello aulico di
discussione e quella distanza che da un’immagine della
bioarchitettura come bella da pensare e desiderare ma
impossibile da raggiungere, se non a costi decisamente
proibitivi. Quello che sovente viene sviluppato è l’adozione
di principi e aspetti di questo settore o di bioedilizia molto
particolari, se non marginali, senza tenere nel giusto conto
un progetto che possa essere ambientalmente sostenibile
nel suo complesso.
Borgo San Benedetto è certamente uno dei primi interventi di bioarchitettura tra i più completi in Abruzzo.
La pubblica amministrazione in generale, dai livelli comunali a quelli più elevati, sta decisamente facendo la sua
parte e questo è un dato molto confortante.
MU1 4
Il progetto quali criteri costruttivi segue e quindi
attua?
Come si diceva poco fa, il progetto di Borgo San
Benedetto ha potuto contare sulla lungimiranza e sulla
sensibilità ambientale della amministrazione comunale
di Rosciano.
La individuazione del territorio e del sito in cui sviluppare il Borgo è stato il primo punto progettuale: verifica ed
assenza di elementi inquinanti di tipo elettromagnetico,
acustico ed ambientale. Anche mediante valutazioni di
Feng-Shui, ci siamo resi conto dell’alto valore naturale del
sito per intervento edilizio finalizzato alle residenzialità.
Passando poi alla progettazione urbanistica, è stato dato
ampio risalto alla allocazione degli spazi comuni che permettessero la più elevata vivibilità di tali spazi. È così che
il team di progetto ha deciso di collocare nella zona centrale del Borgo una vasta area a verde pubblico, disaccoppiandola dalla viabilità automobilistica che invece è
posta nella parte circostante dell’abitato, per consentirne
una reale usufruibilità, per favorire la socialità tra i residenti, ottimizzando gli elementi di sicurezza intrinseca
del Borgo.
Allo stesso modo, proprio per aumentare al massimo il
livello di vivibilità e, ad esempio, per incrementare il più
possibile il diritto al sole per tutte le unità abitative, si è
ritenuto di non utilizzare tutta la volumetria edificatoria
a disposizione, distribuendola quindi su una superficie
molto ampia.
Il discorso energetico assume una importanza rilevante
in qualunque applicazione di bioarchitettura. In Borgo
D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A Z Z A
CULTURA E IMPRESA
San Benedetto abbiamo investito molte energie progettuali, quasi per gioco di parole, nel risparmio energetico
e nella efficienza produttiva.
Da un lato ci siamo concentrati nella progettazione
costruttiva onde ottenere abitazioni in classe A per ottenere elevatissimi risparmi energetici intrinseci nei mesi
invernali e abitazioni con elevato ritardo termico per
avere una elevata protezione dal caldo estivo, unitamente al comfort abitativo mediante il controllo della qualità e dell’umidità dell’aria.
Dall’altro abbiamo previsto una produzione energetica
centralizzata mediante un trigeneratore che fornisce
all’intero Borgo energia termica, energia frigorifera,
energia elettrica, mediante reti di teleriscaldamento, di
teleraffrescamento ed elettrica. La tecnologia cogenerativa e l’utilizzo esclusivo di fonte energetica rinnovabile
da biomassa portano il nostro progetto energetico a livelli molto elevati di sostenibilità ambientale.
Non meno importante è la scelta effettuata dal gruppo
di progetto di Borgo San Benedetto di utilizzare materiali naturali e locali, sia per le urbanizzazioni sia le abitazioni private. Allo stesso modo la valorizzazione e la
riproposizione delle essenze vegetali, degli arbusti e del
verde autoctono risultano elementi imprescindibili,
anche per la corretta frescura da apportare agli edifici e
all’intero Borgo.
L’implementazione di impianti per il recupero delle
acque piovane per usi compatibili e per il controllo dell’acqua potabile finalizzato alla riduzione del consumo,
la minimizzazione dell’inquinamento acustico interno
mediante tecnologie costruttive in legno-cemento, la
minimizzazione dell’inquinamento elettromagnetico
all’interno delle abitazioni sono altri elementi progettuali interessanti per un opera che pone l’uomo al centro
della sua visione.
In Borgo San Benedetto si è cercato di fare di tutto per
proporre soluzioni sostenibili per l’ambiente e compatibili con l’uomo. Che poi altro non è che la bioarchitettura.
Alla base dell’idea progettuale, ci sembra di capire,
c’è il benessere per l’uomo nel pieno rispetto dell’ambiente …
Ancor prima del benessere per l’uomo, alla base dell’idea
progettuale abbiamo posto l’uomo, la sua antropologia,
quello che desidera, quello di cui ha bisogno. Lo abbiamo fatto seguendo la nostra centenaria esperienza nel
settore delle costruzioni residenziali, lo abbiamo fatto
intervistando e cercando di comprendere cosa sta più a
cuore nelle persone e nelle famiglie, lo abbiamo fatto
cercando di rispondere il più onestamente possibile alla
semplice provocazione: se fossimo noi ad abitare a Borgo
San Benedetto, cosa vorremmo trovare?
Per noi e per le nostre famiglie vorremmo abitare in un
luogo sano, bello, sicuro, comodo, economico, immersi
nel verde, in un ambiente non contaminato, con servizi
sportivi, commerciali a disposizione, godere della
migliore tecnologia informatica, vicino alle città e al
posto di lavoro con collegamenti stradali ottimi.
Vorremmo tutto questo per noi.
Con Borgo San Benedetto pensiamo di confondere i
nostri clienti con noi stessi e quindi di offrire loro quello
che desiderano.
Condizione indispensabile perché ciò avvenga è il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente. Senza rispetto non ci
può essere benessere per l’uomo perché sarebbe tutto
molto parziale e provvisorio. Ma affinché ciò accada c’è
necessità di proporre un progetto che tenga nel conto la
totalità dei fattori umani, costruttivi ed ambientali.
Insomma bisogna impegnarsi a fondo.
In che modo questo progetto s’inserisce nell’ambiente
circostante…come diventa cioè “del suo” ambiente e
“non sul suo” ambiente parafrasando Frank Lloyd
Wright ?
Prima di qualsiasi intervento bisogna aprire gli occhi e
osservare la realtà e l’ambiente circostante. Abbiamo
individuato il sito di Borgo San Benedetto per la dolcezza della collina di quella zona d’Abruzzo, molto vicina
alle grandi città e al mare e allo stesso tempo ad un tiro
di schioppo dalla montagna. Una zona espressione di
gente semplice, sincera ed operosa, a partire dalla tradizione benedettina millenaria che la individuò come
un’oasi per la coltivazione di ampi uliveti. Di qui la frazione di “Villa Oliveti” nel comune di Rosciano.
Nella progettazione architettonica di Borgo San
Benedetto gli aggettivi che abbiamo cercato di declinare
sono proprio quelli della dolcezza, della semplicità e
della sincerità. L’utilizzo ad esempio di colori tenui e
coordinati con gli insediamenti esistenti oppure la riproposizione estetica di scale esterne come avviene nella tradizione costruttiva locale, l’utilizzo della pietra della
Majella o del mattoncino a listello sono solo alcuni esempi che vogliono proprio dimostrare l’appartenenza del
Borgo all’ambiente circostante e non l’imposizione di un
proprio schema progettuale.
Il vostro slogan è Costruire a misura d’uomo, seguire
questo principio può significare anche fare qualche
rinuncia alla tutela e al rispetto ambientale?
Non vi è alcuna necessità di fare rinunce alla tutela e al
rispetto ambientale. Se non si tutela l’ambiente, non si
può costruire a misura d’uomo.
Possiamo dire che, sotto un’altra angolatura, Borgo San
Benedetto è il risultato di un approccio progettuale focalizzato sulla triade “tradizione-innovazione-bellezza”.
L’innovazione costruttiva e tecnologica inserita nella tradizione che ci consegna il frutto positivo del lavoro dei
nostri predecessori, con la coda dell’occhio alla Bellezza
che poi è la cosa che più ci affascina ed attrae, non inducono ad alcuna rinuncia in nessun ambito, ma solamente ad andare avanti e a migliorare quello che abbiamo
fatto fino ad oggi.
Sul fronte della bioarchitettura si è detto e scritto
molto, ma poco almeno in Italia si è fatto. Il vostro
progetto potrebbe rappresentare un’applicazione
all’avanguardia di tanta teoria?
È molto verosimile affermare che il progetto Borgo San
Benedetto rappresenti l’avanguardia per l’ampiezza
delle soluzioni di bioarchitettura. La proposta di valore
infatti cerca di tenere in considerazione tutti gli aspetti
costruttivi e realizzativi per ottenere un prodotto finito
completo e convincente.
La bioarchitettura potrebbe significare un ritorno al
passato?
Non è pensabile che la bioarchitettura possa significare
un ritorno al passato. È vero forse il contrario: è un paradigma progettuale-costruttivo che, basandosi sulla tradizione, stimola il miglioramento e l’innovazione. Che,
in altre parole, significa guardare al futuro.
info:
Borgo San Benedetto, c/o Villa Oliveti,
Viale Littorio 1, Rosciano (PE)
www.bsbenedetto.it - numero verde 800-901111
B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) /
MU15
L’ARTISTA
On-Day, 2007, Video+Audio, 7’19”, Courtesy: Warehouse Contemporary Art
Color N°07, 2006, 30 x 40 cm, Lambda Print on Di-Bond, Courtesy: Warehouse Contemporary Art
TU M’
Conosciuti più all’estero che in casa, il misterioso duo Tu M’
inaugura il centro per l’arte contemporanea Warehouse di
Teramo con la loro prima personale italiana.
Partiamo subito dal primo dei misteri, il
nome. Cosa significa?
Molto semplicemente, il nome viene
dall’ultima opera pittorica di Marcel
Duchamp dal titolo enigmatico TU
M’. Dove l’apostrofo lascia presagire
l’inserimento di un qualsivoglia
vocabolo, lasciando aperta ogni
possibilità di senso. In TU M’
Duchamp fà opera di autocitazionismo, una sorta di
campionamento ante-litteram, dei
suoi precedenti lavori messi su
un’unica tela. Un po’ come nel nostro
lavoro.
Quale è stato il vostro percorso artistico, e
direi di amicizia, che vi ha portato a formare
MU1 6
un gruppo e ad occuparvi d’arte?
Giorno dopo giorno siamo sempre
più sorpresi dal fatto che è il tempo a
suggerirci le cose senza il bisogno di
spiegarsi prima. È sorprendente
vedere come il nostro lavoro nasca
attraverso due vite parallele che il
tempo porta a concretizzare in suoni
ed immagini. Non si tratta di un
procedimento astratto, ma è la
natura stessa, ed il suo tempo
interiore a trainare le nostre
sensazioni in immagini e sonorità, in
un processo assolutamente
emozionale. È l’emozionalità che ci
porta avanti, nient’altro.
Molti artisti, come Ettore Spalletti a
Cappelle sul Tavo, rimangono legati alla
propria terra. Quanto è importante per voi il
legame con il territorio?
Il legame con il territorio è
importante nella misura in cui è il
territorio a suggerirci qualcosa. È un
vedere attraverso il territorio, un
cercare un’altro territorio nel
territorio. Una corruzione visiva del
territorio, il re-immaginare il
territorio in un sogno lucido. Tutto
questo potrebbe essere un legame o
solo un’illusione. La logica del
territorio è solo un dubbio, più che
vederlo lo sentiamo.
La vostra ricerca è in parte legata alla
restituzione digitale della luce naturale. Che
tipo di luce c’è in Abruzzo e quale nelle
vostre opere?
Ci poniamo davanti alla luce come
una forma di trasmissione e di
svelamenti possibili. La luce è un
termometro emotivo che non crea un
linguaggio, ma una sensibilità
segreta dello sguardo, che si rifrange
in un luogo possibile e che crea
memoria. In realtà nel nostro lavoro
la luce non la si vede ma la si ricorda.
Come procedete nell’associare suono ad
immagini?
Da tempo la nostra massima
soddisfazione sta nel ricreare quello
che di più irrivelabile c’è nell’essenza
del quotidiano, che sia suono, che
sia figurazione sono facce della
stessa medaglia. Quando
concepiamo un suono è come se lo
stessimo vedendo, ci piace pensare
ad una forza immaginifica del suono
e di conseguenza ad una immagine
fortemente sonica. Nei nostri video
avviene proprio questo, il suono
reagisce nel colore, respirando, ed il
respiro si trasforma in movimento.
L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T
MUSEO E TERRITORIO
L’idea di una “vettura” a due ruote
Corradino D’Ascanio e, in alto: 1951-1952, Pontedera, PD4 sul campo di volo degli stabilimenti Piaggio
FACCIAMO UN GIRO IN VESPA?
Andiamo a Popoli nota per le sue gole, che nella storia le hanno riservato
un’importanza strategica quale punto di passaggio obbligato per chi volesse
raggiungere la costa. La posizione centrale rispetto alle valli del Pescara, dell’Aterno
e del Sagittario gli è valso il titolo di ”Chiave dei Tre Abruzzi” in quanto il
possessore delle “Gole di Tremonti” poteva, a suo piacimento o secondo la sua
forza, bloccare o sbloccare le uniche due arterie viarie che mettevano in
comunicazione l’Adriatico col Tirreno attraverso le tre province abruzzesi. Popoli
offre anche un turismo termale accolto nelle moderne strutture dello stabilimento
recentemente restaurato, e numerose riserve naturali come quella delle Sorgenti
del Pescara e quella di Monte Rotondo. L’antico borgo dominato dai ruderi del
castello medievale è il luogo di origine dell’ingegner Corradino D’Ascanio, pioniere
dell’aeronautica e papà della Vespa. Dopo la laurea di Ingegneria presso il
Politecnico di Torino nel 1914, colleziona esperienze e brevetti anche durante il
periodo bellico come ufficiale del Battaglione Aviatori a Torino. In questo periodo
installa la prima radio trasmittente su un velivolo italiano, viene poi invitato in
Francia per la scelta di un motore d’aviazione da riprodursi in Italia. Dalla metà
degli anni ’20 si dedica allo studio di un apparecchio capace di sollevarsi
verticalmente, in grado di superare tutti i problemi degli esemplari che lo avevano
preceduto. Per realizzare il suo sogno trova un finanziatore in Pietro Trojani, barone
illuminato, con il quale fonda nel 1925 una Società a cui l’Aeronautica Militare
commissiona un elicottero. Segue l’esperienza di progettazione su velivoli militari
in America, e nel 1934 entra nella Piaggio, la grande fabbrica aeronautica che
costruiva i motori d’aereo detentori di record d’altezza ed i famosi quadrimotori da
bombardamento. Armamenti con brevetti che avevano portato l’impresa italiana al
primo posto, tuttavia nello stabilimento di Pontedera, la produzione era cessata
prima della fine del secondo conflitto mondiale in quanto le truppe tedesche, in
ritirata, avevano trasportato macchinari, attrezzature e centro studi a Biella
distruggendo quello che era rimasto della fabbrica e degli impianti in Toscana. Nel
1945, conclusa la guerra, Enrico Piaggio, si trova di fronte alla pesante eredità di un
grande complesso industriale da ricostruire. In quel contesto, non certo felice per
l’economia nazionale, l’imprenditore ligure sente la responsabilità sociale di
restituire vigore alla rinascita di una piccola città con un’intuizione geniale che
avrebbe cambiato il futuro di molte generazioni. Avvenuta la liberazione del nord, i
tecnici e gli ingegneri di primo ordine della Società, fra questi l’ing. Corradino
D’Ascanio, progettista dell’elica a passo variabile, fu subito incaricato dal dott.
Piaggio, d’iniziare lo studio quindi il progetto di un veicolo a due ruote, che
corrispondesse alle esigenze dell’epoca. In un paese che mancava delle strade la
disorganizzazione delle linee ferroviarie, l’enorme carenza di mezzi di trasporto e
tutti gli altri mezzi di locomozione, il bisogno di riallacciare comunicazioni e quindi
riprendere i contatti per la ripresa del lavoro, del commercio, dello scambio,
mettevano in condizioni un gran numero di persone di poter disporre di un veicolo
che fosse di pratico impiego e avesse un costo limitato di esercizio e di consumo.
D’Ascanio come progettista e buon conoscitore d’aerei intendeva la moto nella sua
rappresentazione sportiva velocistica e non aveva mai approfondito la questione dal
punto di vista di progettazione e costruzione. Aveva comunque osservato la
motocicletta con i difetti che l’avevano tenuta lontana dalle esigenze di massa.
Quindi, staccato da un approccio tradizionale, considera il problema da una diversa
angolazione e seguendo criteri personali arriva a concepire un mezzo nuovo, adatto
ad una persona che non era mai andata in motocicletta. Una memoria di D’Ascanio
ricorda che spesso viaggiando in auto aveva visto i motociclisti fermi ai margini
della strada alle prese con camere d’aria bucate. Ecco quindi la possibilità di poter
dotare il nuovo mezzo di una ruota di scorta come l’automobile, così da non
costituire problemi. Allo stesso modo pensa ad un accesso agevole, che abbia una
razionale e confortevole posizione di seduta, comoda “per le donne e per i preti”
come dice lui stesso. Insomma la filosofia della Vespa è un concentrato di buon
senso, praticità, economicità e genialità che ha portato alla creazione di un mezzo
agile con la percezione di quello che doveva diventare in futuro il traffico della città.
Tutto questo a cavallo tra il 1945 ed il 1946 con le difficoltà di costruzione ed il
problema di entrare in produzione in quel periodo con un progetto completamente
inedito. Così nell’aprile 1946 dopo il sì al prototipo da parte del dott. Enrico
Piaggio, che aveva compreso con estrema lungimiranza le doti della vettura, la
prima Vespa esce dagli stabilimenti di Pontedera che ritornano quindi a produrre.
Il Museo “Corradino D’Ascanio di Popoli è un luogo che racconta una grande storia.
Inaugurato nel 2002, nei suoi spazi espositivi sono visibili i risultati della genialità
di Corradino D’Ascanio, le sue doti di eccellenza nella creatività, nella competenza
tecnologica, nell’esaltazione della capacità imprenditoriale.
Jessika Romano
info
MUSEO CORRADINO D’ASCANIO
c/o Biblioteca e Mediateca Comunale - Salita A. Di Cocco, 10 - 65026 Popoli (Pe)
orari: dal lunedì al venerdì 10.00-13.00 / 15.30-19.00
Tel. 085 9870511 - [email protected]
Che bel nome, ha la Vespa! Come sia nato, esattamente non si sa. Dice la storia che in fase
di progettazione quello che sarebbe diventato il più famoso scooter del mondo fu chiamato
Paperino. Ma vuole la leggenda aziendale che quando Enrico Piaggio vide il modello definitivo, che Corradino D’Ascanio gli mostrò dopo averne effettuato le modifiche desiderate
dal padrone esclamò: “Bello, sembra una vespa”. E Vespa fu. Certo, mai nome fu più adatto ad un oggetto. La vespa,.infatti,è un insetto simpatico: individualista, indipendente,
amante della natura, anche se pericoloso e improduttivo (visto che non fa il miele).
Omar Calabrese da Vespa 60 anni di comunicazione - Editrice Compositori, Bologna 2006
UNA DOMENICA AL VOLO
Museo con il nuovo allestimento aperto per i lettori di MU6 il 25/05/08 ore 16 per visita guidata
T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U /
MU17
Sulcanese
Dalla luce della materia alla materia della luce
saggio critico:
Gabriele Simongini
Teramo, Banca di Teramo BCC, Sala Carino Gambacorta
10 aprile - 10 maggio 2008
ore 10 - 13 / 16 - 19 chiuso domenica e lunedì
Roma, Museo Venanzo Crocetti
26 maggio - 25 giugno 2008
ore 11 - 18 / chiuso martedì e mercoledì
Enti promotori: Fondazione Venanzo Crocetti | Banca di Teramo
Patrocinio: Regione Abruzzo / Presidenza | Comune di Teramo
BCC
MUSEO E TERRITORIO
ZIRÌ - ZIRÌ
IL MUSEO DEL MAIALE A CARPINETO SINELLO
Il protagonista dell’economia rurale abruzzese ha dovuto aspettare a lungo prima che qualcuno gli riconoscesse ufficialmente il
ruolo di primo piano che gli spetta.
Nasce finalmente a Carpineto Sinello il museo del maiale, animale che fin dal neolitico ha garantito la sopravvivenza del genere umano, sacrificandosi annualmente in una sorta di spartizione rituale. Strano destino il suo che, pur conservando
nel nome la testimonianza dell’antica sacralità (maiale deriverebbe da Maya, dea
romana annunciatrice della primavera), continua ad essere usato come termine di
paragone per indicare persone sudice e immonde. La complessità evocativa e
l’ambiguità che lo caratterizzano, interessano diversi ambiti di studio, dall’universo mitico alla scienza antica, dal rapporto tra cultura e natura al sapere tradizionale; quest’ultimo aspetto è privilegiato dal museo di Carpineto Sinello, paese in
cui gli uomini sono professionisti della lavorazione di carne suina tanto che la
‘ventricina’ dei suoi produttori è considerata da noti gastronomi una assoluta specialità. Riscattato da secoli di banalizzazione e dissacrazione della sua immagine,
il maiale diventa il principe di un percorso culturale che si dipana nelle antiche
sale del palazzo baronale del paese. Alcuni ambienti in particolare ricordano i fondaci delle case contadine, per i prodotti che scendono dal soffitto e l’esposizione
di antichi reperti che occorrevano per la mattanza. Se è vero, come scrive George
Orwell, che la più grande sciagura per il maiale fu quella di imbattersi nell’uomo,
è anche vero che la grande fortuna dell’uomo è stata quella di imbattersi nel maiale, del quale, è risaputo, non si butta via niente. Questo concetto deve appartenere all’umanità da migliaia di anni e possiamo applicarlo agli uomini preistorici,
che ne utilizzavano le mandibole come falcetti per cereali, e agli allevatori a noi
più vicini, che ne recuperavano le setole per costruire pennelli e le ossa triturate
per preparare il sapone.
Risorsa inesauribile, la sua uccisione ancora oggi costituisce un momento di grande festa attorno alla quale si svolgono azioni rituali legate al primitivo senso di
precarietà umana che trovava nelle carne di maiale (conservabile per molto tempo
senza i moderni congelatori!) un punto di sicurezza per la propria sussistenza.
Un’usanza molto interessante legata a questo rito impedisce la partecipazione alla
mattanza della padrona di casa. Questo arcaico divieto, diversamente interpretato dagli antropologi, riflette comunque lo stato d’animo della donna che aveva
stabilito un rapporto affettivo col maiale, la cui sensibilità quasi umana, confermata dai più recenti studi, non le era certo sfuggita. Impossibile dunque assistere
alla crudele uccisione di quell’essere inoffensivo, morbido e rosa, dagli occhietti
cerulei e il codino a cavatappi, che per un anno intero era accorso senza riserve al
dolce richiamo dialettale: zirì -zirì!
Annunziata Taraschi, etnografa
info
MUSEO DEL MAIALE
www.museodelmaiale.com
Carpineto Sinello, provincia di Chieti
Per informazioni telefonare in municipio: 0872.869135
Inaugurazione: 2 febbraio 2008
Responsabile: Andrea Zoppis
Apertura: dal lunedì alla domenica 9.00-12.00, il sabato anche il pomeriggio 15.00-18.00
Ingresso gratuito (compresi assaggi di specialità suine)
Iniziative: Collaborazione con l’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara per il coinvolgimento
attivo di studenti interessati all’argomento.
D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A
MU19
I MUSEI AMICI DI
LIBRO D’ARABESCHI
disegni ritrovati di un collezionista del ‘600
PALAZZO FONTANA DI TREVI
Roma, via Poli, 54
1 aprile – 15 giugno
ingresso gratuito
www.grafica.arti.beniculturali.it
MUSEO
Palazzo Sanguinetti
Strada Maggiore, 34 - 40125 Bologna
tel. +39 051 2757711
fax +39 051 2757728
[email protected]
ORARI MUSEO
da martedì a giovedì ore 10.00 - 13.30
da venerdì a domenica ore 10.00 - 17.00
BIBLIOTECA
Piazza Rossini, 2 - 40126 Bologna
tel. e fax +39 051 221117
[email protected]
ORARI BIBLIOTECA
dal lunedì al venerdì: ore 9.00 - 13.00
mercoledì: ore 9.00 - 13.00 e 14.00 - 17.00
ESPERIENZE E MUSEI
a cura di Germana Galli
CRESCERE È UN’IMPRESA
Il Museo delle Genti d’Abruzzo che tu, Ermanno De Pompeis, dirigi, è certamente molto
conosciuto, ma penso che, a oltre vent’anni dalla sua nascita, sia anche giusto fare un riepilogo
della strada compiuta.
In realtà di strada ne è stata fatta parecchia da quel lontano maggio 1973 quando le
due associazioni di volontariato cittadino, Archeoclub ed Associazione per lo Studio
delle Tradizioni Popolari Abruzzesi, inaugurarono il primo nucleo del Museo delle
Tradizioni Popolari Abruzzesi e la Mostra Archeologica Didattica allestite nei fondaci
di Casa d’Annunzio con i materiali raccolti in anni di ricerca e recupero sul territorio.
Nel 1982 le collezioni, ulteriormente incrementate, vengono donate al Comune di
Pescara per costituire un’unica istituzione espositiva presso i locali delle Caserme
Borboniche, sottratte al crollo e ad un progetto di sventramento del residuo quartiere
antico di Pescara e recuperate per costituire il Museo delle Genti d’Abruzzo.
Il 16 giugno del 1991 si inaugurano le prime otto sale espositive. Nato come un
museo tradizionale, mosso dall’urgenza di conservare oggetti appartenenti ad un
mondo agropastorale dalle radici millenarie, ma in via di rapida estinzione, e basato
essenzialmente su un’impianto museografico descrittivo centrato sui reperti, la nuova
esposizione illustra in chiave antropologica i caratteri essenziali dell’identità
abruzzese. Dal confronto fra la raccolta archeologica e quella etnografica emergono
sorprendenti caratteri di persistenza culturale come risposta adattiva ad un ambiente
prevalentemente montano. Di conseguenza, i materiali archeologici ed etnografici
vengono organizzati in un ‘percorso unitario’ che consenta di cogliere i caratteri
peculiari delle genti d’Abruzzo, mentre gli oggetti vengono presentati non come
documenti dei rispettivi contesti di provenienza ma come elementi di un ‘discorso’
unitario fondato, appunto, sulle perduranza di pratiche economiche, ideologiche,
religiose, artistiche, comportamentali, tramandatesi nei millenni pressoché
immutate.
Dunque, un ‘originalissimo ‘museo-discorso’ in cui emerge chiaramente la tesi
scientifica del suo fondatore, Claudio ‘Leno’ de Pompeis, e del gruppo ristretto di
professionisti che lo hanno affiancato; teoria presentata e documentata attraverso lo
strumento espositivo ed un consistente apparato didascalico su più livelli di lettura.
Quali sono le istituzioni che vi hanno maggiormente sostenuto non solo economicamente?
Sicuramente il Comune di Pescara ha avuto un ruolo determinante nell’affiancare e
sostenere le due associazioni di volontariato che hanno promosso ed inizialmente
costituito il Museo, trasformandolo in un’istituzione di primo piano nel panorama dei
musei etnoantropologici non solo regionali.
Tuttavia, questa collaborazione fra pubblico e privato, che era stata alla base del
lungo lavoro di creazione del museo, entrò in crisi una volta inaugurata nella sua
prima parte la struttura ed entrata, questa, nell’orbita dell’ordinaria gestione
burocratica dell’ente.
Determinante fu nel 1998 il contributo della Fondazione Pietro Barberini, a cui si
aggiunse poi quello dell’Associazione per le Scienze Mediche Leonardo Petruzzi che,
insieme, parteciparono alla costituzione della Fondazione Genti d’Abruzzo, per
raccogliere e rilanciare l’eredità storica del Museo, portandone a compimento
allestimenti, progetti e finalità. Questo strumento giuridico gestionale, a carattere
privatistico ma di interesse pubblico, permise la piena autonomia funzionale dalla
Pubblica Amministrazione, ma anche un controllo ed un potere di indirizzo da parte
di quest’ultima mediante la partecipazione maggioritaria dei consiglieri nominati nel
CdA, insieme ad una rappresentanza qualificata di privati fondatori.
Nel 2003, dopo trent’anni di impegno, viene completato l’allestimento del Museo con
l’apertura di ulteriori sette sale espositive e con l’edificazione della nuova ala
dell’edificio destinata ai servizi aggiuntivi.
So che avete attivato nuovi servizi al pubblico rendendo la vostra istituzione culturale un’impresa in
tutti i sensi.
Si, da ormai 10 anni è attivo il Centro Didattico del Museo che, avvalendosi di
personale qualificato e di esperienza, con 4 aule ed una sala multimediale, organizza
visite tematiche, corsi e laboratori non solo per le scuole ma anche per le famiglie nei
mesi estivi e le domeniche. Da quest’anno, poi, è possibile festeggiare il proprio
compleanno al museo, con percorsi-gioco o di esplorazione nelle sale espositive e
attività ludico-formative nei laboratori attraverso la manipolazione e la
partecipazione diretta alla costruzione di oggetti legati alle tematiche museali. Il
successo di quest’iniziativa è andato, sinceramente, oltre le nostre aspettative ed ha
portato numerosi bambini ad esplorare ed a vivere il museo in maniera creativa e
divertente.
Ma è dal 2003 che il Museo è in costante crescita di utenti per l’apertura di nuovi spazi
e servizi, resi disponibili grazie al mecenatismo di alcuni imprenditori privati come
Pietro Barberini, che ha voluto lasciare alla Fondazione del Museo i soldi necessari
alla realizzazione di un Caffè Letterario, dove vengono ospitate gratuitamente
presentazioni di libri e letture pubbliche, incontri culturali e riunioni di associazioni,
piccoli concerti ed altre attività. Così come la famiglia Petruzzi ha voluto ricordare la
figura di Lorenzo, medico fondatore della casa di Cura Villa Serena, dedicando alla
sua memoria la realizzazione di un magnifico auditorium da 140 posti, che ospita
convegni, conferenze e concerti. Queste opere, insieme ai grandi saloni per mostre ed
eventi che il Comune di Pescara ha potuto nel frattempo completare, rappresentano
un nuovo polo di attrazione per le molte rilevanti iniziative socio-culturali della città.
Oggi il Museo, situato nel cuore della città vecchia ma lontano dal centro
commerciale e dalla parte più viva di Pescara, ha riconquistato una centralità ed una
visibilità che prima non aveva, moltiplicando le occasioni per una visita alle sue sale
e diventando il luogo di incontro e di socialità preferito da quanti operano con
impegno per la crescita del territorio.
Per facilitare questa nuova funzione “allargata” di museo, quale moderno centro
culturale e di servizi polivalente, abbiamo dovuto costituire una Società di Capitali, la
Genti d’Abruzzo S.r.l., che affianca la Fondazione occupandosi di tutte le attività di
servizio a carattere commerciale. Fra queste anche il rinnovato negozio del museo
che, oltre a pubblicazioni e gadget, ha da poco attivato anche la vendita di prodotti
tipici del territorio, insieme ad una selezione di prodotti dell’artigianato tradizionale,
puntando ad offrire ai visitatori una vetrina di alcune delle caratteristiche attrattive
della nostra regione.
Voi siete ubicati nel cuore vecchio della città di Pescara dove la presenza del mare si fa lontana.
In che misura, nel museo delle genti, è espressa la duplice natura, montana e marina, dell’Abruzzo
Per rispondere con Silone: ”Il destino degli uomini nella regione che da circa otto
secoli viene chiamata Abruzzo è stato deciso principalmente dalle montagne.”
Un territorio per il 75% montano, secondo la stessa filosofia costituiva del museo,
non può non aver condizionato il destino delle nostre comunità, caratterizzandone
comportamenti, forme economiche e sociali anche oltre ogni pratica utilità. La stessa
natura della costa, priva di grandi insenature naturali, oltre i semplici approdi, non ha
favorito lo sviluppo di una significativa cultura marinara e commerciale propria, anche
se un piccola flottiglia peschereccia ha caratterizzato alcuni tratti di costa, con delle
comunità ben distinte da quelle agropastorali che varrebbe la pena indagare.
Tuttavia la scelta di ubicare il museo a Pescara, località marinara e fluviale, non è
stata casuale od occasionale. Pescara “porta Aprutii et sera regni” ha una posizione
geografica strategica. Un visitatore che provenga da fuori, attraverso il porto,
l’aeroporto, gli incroci ferroviari e autostradali, può facilmente penetrare nel cuore
della regione attraverso la valle del Pescara. Per questo il museo, oltre che fornire una
chiave di lettura per comprendere le matrici e le specificità delle nostre popolazioni
abruzzesi, offre al visitatore continui rimandi al territorio, con appositi cartelli che
delineano itinerari tematici verso musei e località. Ai cartelli si aggiungono 6
postazioni con altrettanti programmi multimediali interattivi che, approfondendo i
vari temi del museo, illustrano anche le località dove si trovano castelli, aree
archeologiche, musei, abbazie, o centri di produzione dell’artigianato. A questi
strumenti si associa la recente Galleria del Territorio, con grandi e suggestive
immagini della nostra regione lungo il corridoio di accesso del museo.
( P I A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E ,
MU21
MUSEONUOVOLETTEREINBREVECONVEGNO
MOSTRE
LIBRI
ATTIVITÀ
ATTIVITÀ
UN MONDO A COLORI
TEATE, IL DISEGNO DI
UNA CITTÀ
LE GITE DEGLI AMICI
DEI MUSEI
La Fondazione Carichieti ha sostenuto un complesso e
articolato progetto di rilevamento sviluppato sul centro
storico della città di Chieti realizzato dal Dip. Di Storia
dell’Architettura, Restauro e Rappresentazione della
facoltà di Architettura, Il Dip. Di Scienze dell’Antichità
della facoltà di Lettere dell’Università d’Annunzio di
Chieti-Pescara, in collaborazione con la Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Abruzzo.
Il programma di rilievo integrato, coordinato dal Prof.
Carlo Mezzetti, ha affrontato tre aspetti fondamentali a
partire dagli archivi cartografici, fotografici e graficobibliografici, al rilievo tridimensionale dell’intera città e la
morfologia delle emergenze archeologiche e architettoniche.
L’obiettivo primario della ricerca è stato la restituzione
digitale spazio volumetrica dell’impianto urbano che consente una lettura puntuale degli isolati, dei percorsi, delle
piazze, dell’articolazione dei volumi storici in relazione al
proprio contesto. D’altronde “la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee del palmo di una mano,
scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre …
ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature,
intagli, virgole”.
Era un gruppo ben assortito quello che si è composto a
Sulmona il 10 febbraio, appuntamento annunciato nel
numero scorso di MU6.
La prima meta è stata un poco faticosa da raggiungere:
l’eremo di Celestino del monte Morrone . La grotta, profonda e pacifica trasmette una suggestione spirituale.
Sulle pendici della montagna, nelle immediate vicinanze del sentiero che scende dall’eremo, abbiamo fatto
sosta, il tempo lo permetteva, sui terrazzi del santuario
di Ercole Curino.
Portici, scalinate monumentali, decorazione pittorica
parietale, mosaico di tradizione ellenistica testimoniano,
ancora, l’evoluzione sociale e culturale di Sulmona. Il
panorama straordinario, stava sfumando alle ultime
colorate luci del tramonto.
Fortunatamente il museo di Storia Naturale ha sede nel
centro di Sulmona a Palazzo Sardi e la recente ristrutturazione ci ha concesso un gradito tepore e conforto.
Eravamo attesi dal responsabile scientifico, Catia Di
Nisio e da una magnifica cioccolata calda sorseggiata
nella sala audiovisivi adatta anche a convegni.
È seguita la visita guidata dove si è scoperto quanto
poco sappiamo del mondo che ci circonda: tutti gli insetti godono di poca considerazione per cui forse ci sentiamo giustificati a non conoscerli, tanto più i minerali che
non si muovono e non sono sensibili sono ancor meno
conosciuti salvo quelli che brillano all’anulare! !!
Abbiamo scherzato sulla nostra ignoranza invidiando
un poco la competenza e l’entusiasmo che la dottoressa
Di Nisio dimostrava nell’esposizione.
Un museo moderno, molto ben organizzato, ideale per
la didattica.
Un ringraziamento alla curatrice e alla Comunità
Montana che lo gestisce.
XIII CONGRESSO
INTERNAZIONALE
AMICI DEI MUSEI
GINO MAROTTA IN MOSTRA
Trasparente / Apparente è il titolo di una mostra che a
Roma ha reso omaggio al percorso artistico del maestro
molisano Gino Marotta. La sua ricerca prende l’avvio nel
1957 quando, contemporaneamente a Alberto Burri,
inizia a interrogarsi sulle questioni dell’Informale e sulle
possibilità della materia, adoperando stagno e piombo su
tutti. Dopo un’incursione nell’universo industriale utilizzando acciaio, alluminio e ottone, Marotta, che è stato
direttore dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, approda al linguaggio ancora oggi caratteristico della sua ricerca. A metà degli anni ’60 vengono esposte a Milano le sue
sculture in metacrilato: alberi, fiori,animali coloratissimi
e favolosi in una sorta di grande paesaggio artificiale. Al
principio degli anni ’80 Marotta, come molti altri,
riprende il pennello salvo tornare poi, nel corso della metà
del decennio successivo, al metacrilato. Dopo la pittura a
olio insomma, Marotta torna a riflettere sull’idea di fondo
del suo fare arte: il rapporto tra il mondo tecnologico-artificiale e la conservazione della natura. Appartengono a
questa fase lavori che non sono più sculture ma vere e proprie pitture, nelle quali si sovrappongono sagome ritagliate, fatte per una visione frontale. Il percorso di Giano
Marotta si è nutrito anche di esperienze significative nel
campo del design e dell’architettura: suo il soffitto del
Palazzo RAI di viale Mazzini o la vetrata del Centro
Congressi di Bergamo. La mostra, articolata nelle tre sedi
della galleria La Nuvola, ha testimoniato dunque, la
complessità di un cammino artistico lungo e ricchissimo,
portato avanti da Marotta con la coerenza di chi sa ancora provare, e far provare, stupore e meraviglia. L’evento è
stato anche l’occasione per presentare una preziosa monografia sull’artista realizzata da Maurizio Calvesi, curatore dell’esposizione.
info: L’intero corpus grafico è pubblicato nell’Atlante
“Teate, il disegno di una città” a cura di Carlo Mezzetti,
Kappa editore, presentato il 04 Aprile presso il Teatro
Marrucino di Chieti. - [email protected]
MOSTRE
Antonella Muzi
catalogo:
Maurizio Calvesi, Gino Marotta Trasparente –
Apparente, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008
www.gallerialanuvola.it
GERUSALEMME
XIII congresso Internazionale dell’Associazione
Amici dei Musei
Gerusalemme 21-26 settembre 2008
Il Museo d’Israele, noto come il Museo del Libro dove
sono esposti i rotoli del Mar morto, ospiterà il XIII congresso Internazionale dell’Associazione Amici dei Musei.
Una sede molto speciale che attrae pellegrini e visitatori
da tempi remoti per discutere sull’identità, sul ruolo e le
prospettive dei musei nel terzo millennio dopo Cristo.
L’idea del Museo è cambiata: da luogo aristocratico e
riservato a punto di incontro e di opportunità formative
destinate a tutti. Il Museo è diventato simpatico, si
mostra socievole e comunicativo e vanta un considerevole numero di Amici che lo sostengono, gli fanno visita
come ad uno di famiglia. Solo che sempre più spesso
sembra di correre al capezzale di un amico malato che ha
bisogno di cure e le necessità sono emergenze.
Parliamone, si può fare molto per il luogo che è da sempre un privilegiato veicolo di progresso umano e spirituale, depositario di quella bellezza “che salverà il
mondo”.
Info: Mabat Platinum Ltd.
27 Lishansky St. Rishon Zion, 75703, Israel
e-mail: [email protected]
MOSTRE
MOSTRE
MOSTRE
CLAUDIO ABATE
Valter Battiloro, N, acquaforte, bulino
SGUARDI SULLA
CITTÀ/MIRADAS
SOBRE LA CIUDAD
Foto Buby Durini
Difesa della Natura, Joseph Beuys, 13 maggio 1984
Courtesy Archivio storico De Domizio Durini
BUBY DURINI FOR
JOSEPH BEUYS
PADOVA
Nell’ambito della manifestazione Padova Aprile Fotografia – passaggi/paesaggi 2, la mostra, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Spettacolo, presenta le
immagini scaturite da una simbiosi di intenti tra il fotografo e Joseph Beuys artista tra i più significativi ed
emblematici del ‘900.
Buby Durini è il compagno di viaggio che per circa 15
anni – dal 1971 al giorno della scomparsa del Maestro,
23 gennaio 1986 – attraverso l’obiettivo fotografico in
diversi paesi del mondo, dall’Abruzzo alla famosa antologica del Guggenehim di New York, da Venezia a Kassel,
da Dusseldorf a Roma, dalle Seychelles a Tokio, da
Londra a Napoli ha vissuto un rapporto esistenziale
unico e costante, tra rappresentazione e cognizione, tra
senso umano e ipotesi scientifica.
È dall’immane archivio fotografico di Buby Durini che
Joseph Beuys crea la regale opera Guggenheim Museo
(1979) e come per la famosa opera Arena, sceglie e firma
100 diverse fotografie per ricordare al mondo il suo iter
storico dell’intera Operazione Difesa della Natura.
Padova, Musei Civici agli Eremitani
A cura di Lucrezia De Domizio Durini e Enrico Gusella
Con il contributo Regione Veneto
22 marzo – 4 maggio 2008
Castello Cinquecentesco
Museo Nazionale D’Abruzzo, L’Aquila
Dal 21 al 28 Gennaio 2008 il Castello Cinquecentesco
ha ospitato la mostra calcografica: Sguardi sulla città.
A curare il catalogo e l’esposizione Valter Battiloro, titolare e responsabile della Scuola di Grafica e Docente di
Grafica e Tecniche dell’Incisione dell’Accademia di Belle
Arti di L’Aquila. La mostra è stata patrocinata
dall’Istituto Nazionale per la Grafica e dal Ministero
dell’Università e della Ricerca.
L’inaugurazione ha avuto il prezioso contributo del
Conservatorio “Alfredo Casella”.
L’evento espositivo è stato il momento culminante di un
progetto nato in seno al programma Socrates-Erasmus
(tramite il quale, nel corso dell’a.a. 2006-2007, si è stabilito un gemellaggio didattico culturale tra l’Accademia
del capoluogo abruzzese e la Facultad de Bellas Artes de
San Carlos dell’Università Politecnica di Valencia,
Spagna). L’iniziativa è nata dal desiderio di ampliare
l’offerta formativa rivolta agli allievi per mezzo dello scambio interculturale ed interdisciplinare, nonché di documentare l’identità Artistico-Accademica nel segno di una
pratica creativa, quella dell’incisione. Una proposta che
offre un’affascinante “sguardo” sulle identità specifiche
ma anche sulle condivisioni e i relativi allargamenti di
senso invitando ad una riflessione sull’attuale facilità di
connessione e di interrelazione tra i “luoghi”.
La mostra italiana raccoglie realizzazioni grafiche di
docenti e di un gruppo selezionato di allievi per un totale
di 51 stampe, eseguite nelle più svariate tecniche. Il catalogo bilingue riporta interventi da parte delle istituzioni
coinvolte nonché il testo critico della prof.ssa Lucia
Masina, docente di Storia dell’Arte e della grafica.
L’intento espresso dall’intero progetto è fare dell’occasione
una possibilità di ritorno, dichiarando una presenza forte
-fatta di competenza, di ricerca e passione artistica- nella
fitta rete di realtà globali.
Rimaniamo in attesa di una nuova proposta.
Barbara Esposito
MU2 2
PESCARA
ORME DI DONNA
SCANNO VISTA
DA HILDE LOTZ BAUER
Per prima ha fatto conoscere Scanno fuori dall’Abruzzo.
Prima ancora di Henri Cartier Bresson, Giacomelli e
Gianni Berengo Gardin. È Hilde Lotz Bauer a fotografare negli anni trenta del novecento uno dei borghi
più caratteristici e belli d’Italia. Alla Bauer, Scanno
dedica una prima assoluta dal titolo “Orme di
donna” una mostra di fotografie inedite di rilevante
interesse storico, certamente destinata a lasciare un
segno indelebile. L’iniziativa è voluta dall’Amministrazione Comunale di Scanno “La scoperta di questa
Artista tedesca - spiega il Sindaco Angelo Cetrone, è
stata una rivelazione. È lei che negli anni Trenta del
secolo scorso ha portato Scanno e l’Abruzzo fuori dai
confini nazionali attraverso le sue foto.”
Orme di donna, attraverso le immagini della Bauer è
un omaggio a Scanno, ma anche ad una storia che
parla di donne che per secoli hanno governato la famiglia ed il territorio. Donne forti e coraggiose sempre
ritratte nei loro costumi tradizionali. Non semplici
immagini di scannesi ma donne dalla identità e dalla
personalità ben riconoscibili.
Un evento che è ancora omaggio al talento artistico di
Hilde Lotz Bauer, ma anche recupero di un passato che si
arricchisce di nuovi significati attraverso i suoi scatti che
restituiscono alla memoria volti, sguardi, emozioni, usi e
costumi, folclore e tradizioni del fiero popolo scannese.
info: “Orme di Donna”
Dal 13 marzo all’11 maggio 2008
Scanno – Auditorium della Anime Sante
Ingresso libero
tel. 0864/74545 - Comune di Scanno [email protected]
Tel 0862/410126
One Group – [email protected]
Claudio Abate nasce a Roma nel 1943, città dove attualmente risiede ed alla quale è profondamente legato. Negli
anni 60 inizia a lavorare per “Sipario” e diventa il testimone del teatro di avanguardia di Carmelo Bene. La collaborazione con gli artisti avviene naturalmente e Claudio
Abate diventa il “testimone oculare” del fermento artistico
della metà degli anni 60 fino a tutta l’avanguardia del
periodo successivo.
Partecipa attivamente al clima di quegli anni e le sue
fotografie diventano emblema del periodo: riesce a
cogliere in un’unica immagine complessa opere
ambientali che difficilmente potrebbero essere ricondotte
ad un unico punto di vista.
Negli anni 80 Abate per la prima volta si confronta con
il colore; risale al 1986 una serie di scatti sulle opere di
Joseph Beuys, conservate al Landesmuseum di
Darmstadt, con un allestimento pensato e curato da
Beuys nei minimi dettagli.
Negli anni la collaborazione con gli artisti non è certo
diminuita e trasferito il suo studio nel quartiere romano
di San Lorenzo inizia un sodalizio con quella che negli
Ottanta è stata definita la “Nuova scuola romana”.
Le sue fotografie sono diventate oggetto di numerose
mostre nazionali ed internazionali: ricordiamo la personale nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia
(1993), la retrospettiva (autunno 2001) all’Accademia di Francia presso Villa Medici di Roma, la mostra
al Museo Di Belgrado (2002), le fotografie esposte al
MACRO di Roma (2002), la Biennale di Fotografia a
Mosca (2004), l’esposizione alla Maison de la Photographie(2006), la personale al Museo d’arte moderna e
contemporanea di Trento e Rovereto (2007).
Per la mostra a Vistamare è stata presentata una selezione di 40 fotografie, che testimoniano alcuni momenti
della sua carriera, partendo da storiche immagini in
bianco e nero, fino ad arrivare agli ultimi lavori a colori
info: Claudio Abate - 23 febbraio / 10 maggio 2008
Vistamare associazione culturale
Largo dei Frentani 13 - Pescara
Tel +39 085 694570 - martedì-sabato 16.30/19.30
www.vistamare.com - [email protected]
1 7 ) / L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I
OMOSTREATTIVITÀLIBRIANNIVERSARIOCO
CONCORSI
ATTIVITÀ
LIBRI
LIBRI
MICRO SPAZI - MACRO
LUOGHI
PROGRAMMA
INIZIATIVE CULTURALI
I SEMESTRE 2008
COMUNE DI PESCARA
TRATTURI
E TRANSUMANZA
ARTE E CULTURA
HISTORIA DEL REGNO
DI NAPOLI
L’Associazione Musicale Deltensemble ([email protected]) ha presentato a L’Aquila il volume dedicato alla transumanza organizzando un affollato
appuntamento nell’auditorium della Guardia di
Finanza.
L’opera raccoglie il frutto del lavoro di ricerca di studiosi, molti dell’Università degli Studi di L’Aquila e
l’apporto di artisti che hanno collaborato per dare visibilità prismatica alla cultura dell’antica consuetudine
della transumanza.
Se da una parte il volume spiega il significato storico,
economico e culturale della civiltà pastorale abruzzese,
il CD “Adagio Transumante” che lo accompagna, si
propone di mantenerlo vivo e rinnovato nell’arte attraverso la poesia, la musica e il canto.
Il poeta Elio Peretti è l’autore dell’intenso poemetto
dedicato “ai pastori di ieri, ai transumanti di oggi che
non hanno la speranza della risalita a maggio”, le
musiche originali di musicisti aquilani interpretate dal
gruppo cameristico del Deltensemble.
Il progetto è stato sostenuto dal Ministero delle politiche
“Historia del Regno di Napoli”
copia anastatica dell’opera
di Angelo di Costanzo
Concorso per la progettazione di un sistema di
spazi pubblici e relazionali nel Centro Storico
di Teramo
Il Comune di Teramo, Assessorato all’Architettura
della Città, con la collaborazione dell’Istituto Tetraktis
di Teramo e dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori,
Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Teramo,
bandisce un concorso che ha per oggetto la riqualificazione e la ri-significazione degli spazi pubblici e relazionali del Centro Storico del capoluogo. L’intento è di
innestare un processo di ridisegno nevralgico ai fini di
una più generale azione d’organizzazione sistemica
delle risorse della comunità locale e del patrimonio storico, culturale ed ambientale della città, il tutto finalizzato alla determinazione di un’offerta innovativa di
fruizione della città sotto l’aspetto civico, culturale,
ambientale, turistico ed economico.
Il concorso è anche una opportunità per riflettere sulle
realtà dei luoghi, sulle esigenze ed i cambiamenti della
città, e sulle nuove abitudini urbane dei tempi correnti; è l’occasione per individuare, a partire dal centro
storico, i caratteri qualificanti di una nuova idea complessiva degli spazi aperti e per delineare linee strategiche a più vasta azione che possano contribuire alla
riqualificazione urbana della città tutta.
Il Responsabile del Procedimento per lo svolgimento
del Concorso di progettazione è l’Arch. Stefano
Mariotti, Dirigente del IV° Settore Pianificazione
Urbana e Territoriale del Comune di Teramo, con
recapito presso il:
IV° Settore, Piazza Martiri della Libertà, 64100
Teramo, Centralino telefonico 0861 3241, Tel.0861
324549, Fax 0861 240389 - www.comune.teramo.it
La segreteria organizzativa del Concorso, è affidata
all’Istituto di Cultura Urbana Tetraktis di Teramo.
ANNIVERSARI
70 ANNI DALLA
MORTE DI GABRIELE
D’ANNUNZIO
Il primo marzo scorso ricorrevano i settanta anni dalla
morte del vate.
Numerose sono le iniziative che il Centro Nazionale di
Studi Dannunziani ha in serbo nel corso dell’anno per
ricordare d’Annunzio ma la prima in ordine temporale
è stata la presentazione al Mediamuseum di Pescara del
libro di Giordano Bruno Guerri “d’Annunzio.L’amante
guerriero” edito da Mondatori.
“Amante guerriero nella seduzione come in letteratura e
in politica, d’Annunzio fu un uomo che seppe imporre i
propri sogni agli altri uomini. Egli rivoluzionò la figura dell’intellettuale facendo della sua vita un’opera
d’arte, ricca di chiaroscuri mai scontati e influenzò più
generazioni nel gusto e nella visione del mondo”, hanno
detto gli organizzatori dell’evento, “L’Italia del secondo
dopoguerra ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi di
lui, alternando l’indifferenza alla condanna, totale e
preventiva. Una storiografia semplificata ha visto e vede
in lui l’inventore di riti e parole d’ordine sui quali si
sarebbe fondato il regime fascista. Ma in realtà a Fiume
d’Annunzio fu ben di più: l’inventore di una modernità
che andava oltre la destra e la sinistra, anticipando le
costiruzioni più avanzate dei nostri giorni”.
Ed in questo suo libro, Guerri racconta un personaggio
restituito al suo pensiero ed alla sua arte oltre che al suo
tempo. E racconta nel dettaglio anche l’amante instancabile di tantissime donne.
La presentazione dell’opera di G.B.Guerri è stata preceduta dalla proiezione di un brevissimo documentario
sulla personalità di d’Annunzio realizzato da Enzo
Biagi e tratto dal programma “Cara Italia”.
29 marzo - 4 maggio: Sandro Visca. Opere dal
1962 ad oggi
Mostra a cura dell’Associazione Culturale “Il trifoglio”
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
30 marzo - 6 aprile: Guerra e pace. Dicotomia del
sentimento
Contenitore culturale multidisciplinare: Pittura, scultura, fotografia, videoarte e musica a confronto
Museo delle Genti d’Abruzzo
31 marzo: Le matrici litografiche di Basilio
Cascella
Esposizione della collezione restaurata dall’Istituto
Nazionale per la Grafica
Museo Civico “Basilio Cascella”
4 aprile: Collezione Giuseppe Di Prinzio
Esposizione permanente delle opere dell’artista
Cerimonia di inaugurazione con la partecipazione di
Massimo Cacciari
Ex Bagno Borbonico
22-25 aprile: R (e) sistenze 2008
Mostra, concerto, dibattiti e incontri con le scuole
Ex Aurum
29-30 aprile: Filosofia del giornalismo
Dibattiti pubblici con esponenti del giornalismo nazionale
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
29 aprile: La voce dei silenzi
Orazione civile per Antonio Russo cronista
delle vite negate
Compagnia di Prosa del Teatro Marrucino
Regia di Sabatino Ciocca
Teatro Michetti ore 21.00
aprile: Inaugurazione Sezione Animali Marini
Protetti del Museo delle Meraviglie Marine
Lungofiume Paolucci (presso Mercato Ittico)
aprile: L’agonista. D’Annunzio e lo sport
Convegno-dibattito. Presentazione del volume di
Luciano Russi - Ed. E.S.A.
Celebrazioni dannunziane nel settantesimo della morte
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
1-8 maggio: Il Sessantotto sui muri di Parigi
Mostra documentaria sul Maggio Francese
Museo delle Genti d’Abruzzo
5 maggio: I Migranti
Terrateatro - Rete Abruzzese per lo Spettacolo
Sala De Cecco
10 maggio: Ergakaiemerai. Le opere e i giorni
Teatro del Lanciavicchio - Rete Abruzzese per lo Spettacolo
Sala De Cecco
12 maggio - 2 giugno: Collezione Tomasetig
Esposizione di ex libris a carattere musicale del primo ‘900
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
15 e 29 maggio - 12 e 19 giugno: I salotti musicali
del Museo Cascella
Guida all’ascolto dal vivo della musica da camera
Museo Civico “Basilio Cascella”
17 maggio: Videonotte al Museo Cascella
Proiezioni di videoarte in occasione della Notte dei Musei
Museo Civico “Basilio Cascella”
21-22 maggio: Coppelia
Balletto in due atti su musica di Leo Delibes
Rete Abruzzese per lo Spettacolo
Teatro Massimo
maggio: Progetto LAB4COM
Laboratorio per la comunicazione
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
1-7 giugno: La città e i sensi
Mostra d’arte contemporanea a cura di Valeria
Solarino
Ex COFA
8 giugno - 6 luglio: GAP - Giovani Artisti
Pescaresi
Mostra d’arte in collaborazione con il G.A.I. - Circuito
Giovani Artisti Italiani
Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna”
13 giugno: Il barbiere di Siviglia
Opera lirica di Gioacchino Rossini
Rete Abruzzese per lo Spettacolo
Teatro D’Annunzio ore 21.00
28 giugno - 20 luglio: The honesty of struggle to
record and present life in a work of art
Mostra dell’artista Richard Harris
Ex Aurum
APPUNTAMENTI
L’AQUILA
Fa parte della Collana “Tesori Tipografici Aquilani” a
cura di Walter Capezzali, fiore all’occhiello dell’attività
in favore della cultura della Fondazione Cassa di
Risparmio della Provincia dell’Aquila. Si tratta della
riproduzione anastatica dell’opera di Angelo di
Costanzo, storico e studioso del XVI secolo, dal titolo
“Historia del regno di Napoli” stampata a L’Aquila nel
1581 – 1582 dal tipografo, famoso in tutta la penisola, Gioseppe Cacchio. Un volume prezioso che farà la
gioia di studiosi e appassionati. La Historia del Regno
di Napoli, infatti, è ritenuta ancora oggi la più importante del periodo perché è stata fondamentale strumento di conoscenza per molti secoli; se ne conoscono, infatti, numerose ristampe di cui l’ultima risale alla fine dell’ottocento. Oggi questo tesoro tipografico torna a rivivere grazie all’iniziativa della Fondazione Carispaq e
ad un’antologia di scritti critici che accompagna il
volume. Saggi a cura dello stesso Walter Capezzali,
Raffaele Colapietra , Paola Farenga, ma anche del filosofo Benedetto Croce. Scritti che vanno dalla biografia
dell’autore Angelo di Costanzo alla figura stessa del Di
Costanzo e della cultura napoletana del tempo.
Insomma un tesoro si, ma anche un utilissimo strumento di conoscenza che fa seguito al primo volume
della Collana, quello dedicato alla “Geometria” di
Ieronimo Pico Fonticulano ristampato nel 2001. “ Ci
auguriamo – spiega Roberto Marotta Presidente della
Fondazione Carispaq – che, come per la Geometria del
Fonticulano, anche per la Historia del Di Costanzo
l’iniziativa della Fondazione Carispaq risulti gradita e
che, in prosieguo di tempo, sia possibile offrire ulteriori
tesori tipografici dei tempi passati, i cui originali, presenti in pochi esemplari nei fondi antichi delle biblioteche, meritano di essere conosciuti non solo nei contenuti ma anche nelle forme grafiche di un’editoria dei primi
secoli della stampa”. Quei secoli che al uomo dell’era di
internet e dell’editoria elettronica conservano tutto il
fascino del mito.
FALÒ DI PRIMAVERA A
PIETRANICO
2 MAGGIO 2008
Si rinnova ogni anno dal 1613, la singolarissima e storica processione che si tiene a Pietranico all’imbrunire
del 2 maggio in onore della Madonna della Croce. In
questa occasione, la statua della Madonna, la cui devozione è legata ad una apparizione, viene condotta in
processione lungo le vecchie mura perimetrali ed il centro storico del paese tra le fiamme imponenti e crepitanti che s’innalzano al cielo da mastodontici falò di ginestre, preparati devotamente da ciascun nucleo familiare
dinanzi alle proprie abitazioni.
Nell’assistere all’evento, gli antropologi interpellati a
riguardo hanno asserito concordemente che, rinnovando uno degli aspetti più diffusi delle feste di maggio dedicate in tutta la penisola alla Vergine, quei fuochi sarebbero chiaramente connessi agli antichi riti di primaverili celebrativi della fecondità della terra. Gli anziani di
Pietranico asseriscono invece che, stando a quanto riferitogli dai loro stessi avi, tramite “ gli favure” i falò del
2 maggio sono una manifestazione di gratitudine alla
Madonna della Croce per aver salvato secoli or sono il
paese da un’incursione di briganti che s’apprestavano
ad assalirlo. Pur apparendo attendibili entrambe le
interpretazioni, va citato un indicativo manoscritto
redatto dal Barone Annibale Corvi di Sulmona, noto
cronista delle faccende inerenti al Governo Spagnolo e
trascritto nel settembre 1892 dall’Ispettore dei
Monumenti del Circondario di Sulmona A.De Nino,
nel quale si legge che: quattrocento banditi assoldati a
L’Aquila dalla Corte Spagnola per andare alla guerra
di Messina, dopo aver disertato si diedero alla macchia
e cominciarono a fare ricatti ed a mettere a sacco e fuoco
vari paesi, tra i quali il 18 marzo 1675 rimase vittima
Pietranico e che gli stessi continuarono ad assalire e
depredare quel borgo pure nei periodi successivi.
Lasciando, ad ognuno, la facoltà di scelta, ai pietranichesi resta il compito di continuare la tradizione e di salvaguardare l’Oratorio di Santa Maria della Croce, vero
gioiello d’arte e incantevole luogo sacro.
MOSTRE
SANDRO VISCA
MUSEO VITTORIA COLONNA
PESCARA
Dal 29 marzo al 4 maggio
Nato a L’Aquila nel 1944, l’artista risiede a Pescara
dal 1968 quando fu chiamato dal professor Giuseppe
Misticoni ad insegnare nel liceo artistico.
In questa mostra personale, l’artista ripercorre oltre
quarant’anni di attività esponendo le opere in lamiera
degli esordi, la serie avviata nel 1964 delle
“Crocifissioni” realizzate con stracci, carte, iuta, nylon,
vernici e ferri saldati; i collages, personale versione della
pop art; le sculture di pezza 1969/70; le sculture di terracotta; i “grandi asparagi” in legno, bronzo e pelle; i
“teatrini” e gli arazzi tra cui quello “in itinere” realizzato nel 2000.
L’esposizione, realizzata con il contributo della Regione
Abruzzo, della Provincia e del Comune, è curata personalmente dall’artista.
I A T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U
MU23

Similar documents

di - Il Giornale dell`Arte

di - Il Giornale dell`Arte È una città che per 2.400 anni ha continuato a «costruirsi addosso» con un piglio anarchico tipico delle città di porto, generando scenari straordinari arricchiti dalla posizione della città, infil...

More information