MU6 - N. 08
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A S S O C I A Z I O N E A M I C I D E I M U S E I D ’ A B R U Z Z O Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo c.p. 162, 67100 L’Aquila centro Anno III/II Trimestre 2008 n°8 Tribunale dell’Aquila n°553 del Registro Giornali 18.03.2006 Periodico Trimestrale Gratuito Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale - 7o% - Pescara E D I T O R E Editoriale IMPRESA E CULTURA L’opinione di PIERLUIGI SACCO, RAFFAELLA MORSELLI, VALENTINA CARPITELLA, GIANFRANCO IMPERATORI Il personaggio HEINZ WAIBL L’artista TU M’ Architettura ERGenetica I poster di MU6: GIULIO PAOLINI F I D A M IL PUNTO di Rolando Alfonso IMPRESA E CULTURA In copertina: Particolare dell'interno della bottaia con omaggio alla presenza di Joseph Beuys nella cantina Zaccagnini, Bolognano Nuove dinamiche all’interno di un sistema di mercato Foto: Mario Di Paolo 2 Il punto di Rolando Alfonso Impresa e Cultura 3 L’opinione di Pierluigi Sacco 4 L’opinione di Raffaella Morselli 4 L’opinione di Valentina Carpitella 5 L’opinione di a cura di Angela Ciano Gianfranco Imperatori 6 Articolando 8 Il personaggio a cura di Jessika Romano Heinz Waibl 9 Architettura di Marco Morante e Maura Scarcella Intervista Arch. Ettore De Lellis 10 Architettura di Marco Morante e Maura Scarcella ERGenetica 11 Cultura e Impresa di Filippo Tronca Marcello Zaccagnini. Coltivazione della Cultura 12 Cultura e Impresa Il gruppo industriale Maccaferri investe nelle fonti rinnovabili in Abruzzo 14 Cultura e Impresa Borgo San Benedetto. Bioarchitettura come cultura del vivere 16 L’artista TU M’ 17 Museo e Territorio di Jessika Romano Facciamo un giro in Vespa? 19 Museo e Territorio di Annunziata Taraschi Zirì-Zirì. Il museo del maiale a Carpineto Sinello 21 Esperienze e Musei di Germana Galli Crescere è un’impresa 22 Infomu6 Mostre / attività / concorsi / libri / eventi / sotto la lente MUSEI n.8 Progetto grafico Periodico Trimestrale ideato da Germana Galli Ad.Venture / Compagnia di comunicazione impaginazione a cura di Franco Mancinelli Con il contributo della Regione Abruzzo Foto Editore Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo Casella postale 162, 67100 L’Aquila centro [email protected] www.mu6abruzzo.it www.mu6abruzzo.eu Webmaster Claudia Valentini Direttore Responsabile Walter Capezzali Coordinamento editoriale Germana Galli Redazione Piero Casadei pag 7 Luciano D’Angelo pag 3 Mario Di Paolo copertina, pag 11 Marco Morante, Maura Scarcella pag 9 S. Scafoletti pag. 7 Giovanni Tavano, Archivio Carsa edizioni pag 9 Stampa Poligrafica Mancini Sambuceto / Chieti Come si pone MU6, oggi, nei confronti del binomio impresa/cultura? Ad una prima impressione sembrerebbe una sua pura presunzione risolvere, nel poco spazio di cui dispone, il rapporto tra due termini che sino a non molto tempo fa strutturavano un dualismo difficile da redimere. Una coesistenza impossibile, strutturata da cammini differenti e distanziati da un vuoto comunicativo incolmabile. Uno status granitico che privilegiava la superbia della cultura – intesa come alta - volta a relegare l’impresa nella suburra del mercato e nel proteggere da ogni possibile contaminazione i propri templi – musei, biblioteche e archivi – in cui accogliere i propri feticci come unico materiale da adorare. Alla luce di questa premessa, non più sostenibile storicamente, e dal profondo cambiamento che i due termini hanno affrontato negli ultimi decenni, possiamo affermare che essa non è una presunzione infondata. MU6, oggi, affronta con lo strumento che gli è proprio – la comunicazione – la lettura, più o meno esaustiva, della relazione nuova e sempre più integrata tra i due termini. Un connubio imposto, se così possiamo dire, da una visione dell’economia contemporanea del tutto nuova, che ridisegna le modalità di interpretazione della natura del materiale che li inficia. Entrambi, oggi, depotenziandosi di caratteri ormai desueti convergono verso la valorizzazione di quell’immateriale su cui si fonda la cultura e l’impresa contemporanea. Meglio e più esplicito, in una economia sempre più immateriale la cultura è il motore per produrre nuovo pensiero. Da questo confronto sempre più accelerato sia l’impresa che la cultura ne escono totalmente rifondate. Rifondazione strutturale che colloca il soggetto principale dell’impresa, il “cliente”, in una posizione di protagonista qualificato, non più gregaria e surrettizia al suo agire economico. L’investimento in cultura coadiuva l’impresa ad un posizionamento, all’interno del mercato, forte e riconoscibile; a differenziarsi sul piano della concorrenza; a qualificare e ad aumentare le relazioni con i clienti; a strutturare legami di fiducia sempre più solidi con il territorio e le comunità insite in esso; ad alimentare nelle persone che vi lavorano l’orgoglio di appartenenza e quindi a stimolarne la creatività. Quindi, quello che si viene a creare è un legame forte tra target aziendale e responsabilità sociale. Rapporto che tende a razionalizzare la comunicazione d’impresa all’interno di un sistema di mercato votato per le sue dinamiche a decostruire la massa sempre crescente degli strumenti commerciali. La cultura, di conseguenza, viene a configurarsi come asset d’impresa in uno scenario economico dove a vincere sono le idee, ma anche come nuovo tessuto connettivo che mette in relazione i protagonisti che agiscono sul territorio. E’per questo motivo che MU6 accoglie al suo interno l’apporto analitico del Prof. Pier Luigi Sacco - uno dei massimi esperti delle nuove prospettive operative che il territorio può offrire alle istituzioni - sull’evoluzione di un organismo progettuale e amministrativo sempre più attuale: il distretto territoriale avanzato. Realtà che fonda la sua operatività sulle risorse e lo sviluppo che provengono sia dai bacini culturali più tradizionali sia dalla creatività di quelle imprese che investono in cultura. Distribuzione Spedizione postale © MU6 / 2008 stampato in Italia Angela Ciano, Franco Dus, Marco Morante, Antonella Muzi, Jessika Romano, Maura Scarcella, Massimiliano Scuderi, Filippo Tronca. Per questo numero hanno collaborato: Rolando Alfonso, Pierluigi Sacco, Annunziata Taraschi. MU2 D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A L’OPINIONE DI Pierluigi Sacco Il distretto culturale evoluto: una nuova stagione di sviluppo locale per l’Abruzzo? Il tema dello sviluppo locale legato alla valorizzazione dei beni culturali e paesistici è da molti anni al centro dell’attenzione nel nostro paese, anche se fino ad oggi ci sono state più parole che fatti. Si ama ricordare che l’Italia possiede una straordinaria concentrazione di beni culturali e architettonici di altissimo pregio (spesso facendo riferimento a improbabili statistiche dell’UNESCO che attribuirebbero al bel paese addirittura una abbondante maggioranza assoluta dei beni culturali mondiali), si ama osservare che la bellezza del nostro paesaggio e la nostra cultura del saper vivere sarebbero ‘il nostro petrolio’ su cui fondare addirittura l’intero modello di sviluppo del sistema paese nei prossimi decenni. Per quanto il prefigurare prospettive di questo tipo abbia un forte valore consolatorio e ansiolitico, è bene ricordare che la realtà è ben diversa. Le strutture museali, per la loro stessa natura, non sono centri di profitto ma centri di costo. I moltiplicatori dell’indotto turistico-commerciale delle attività culturali possono essere significativi ma difficilmente possono divenire il settore portante di un modello di sviluppo locale. Bisogna inoltre tenere conto dell’impatto che una marcata specializzazione turistico culturale produce sugli asset intangibili di un territorio, soprattutto di natura sociale ed identitaria: se guardiamo alle grandi città d’arte italiane, constatiamo come il pur rilevante indotto turistico culturale viene pagato a caro prezzo dal punto di vista dell’identità e della vivacità culturale, della vivibilità dei luoghi dal punto di vista dei residenti, del livello dei prezzi e dei valori immobiliari: tutti fattori che portano ad una progressiva trasformazione di luoghi un tempo vitali e fortemente animati da una vita comunitaria in veri e propri ‘parchi a tema’ al servizio di un turismo di massa superficiale e dall’elevato impatto ambientale. Le precedenti considerazioni non intendono naturalmente suggerire che il turismo culturale sia qualcosa di sbagliato, quanto piuttosto che è sbagliato fare di esso il perno di un modello di valorizzazione culturale, evidenziandone magari anche una articolazione distrettuale sul territorio che ricalca, mutatis mutandis, quella dei tradizionali distretti industriali italiani, sorti sulla base di premesse contestuali, con modalità evolutive ed in settori ben diversi, e oggi in corso di profonda e complessa evoluzione essi stessi. In realtà, per apprezzare appieno il notevole potenziale di sviluppo che la cultura può avere oggi nei territori, bisogna per così dire rovesciare il nesso causale: pensare cioè che l’attrattività turistico-culturale di un luogo non sia la causa del suo sviluppo ma piuttosto la conseguenza della sua vitalità economica e culturale. Nello scenario attuale, i modelli più riusciti di sviluppo locale legato alla cultura fanno leva su due dimensioni: - il ruolo che la cultura ha nel sollecitare un forte orientamento innovativo, che si traduce in modelli ed iniziative imprenditoriali apparentemente slegate dall’ambito culturale ma in realtà profondamente connesse ad una cultura che agisce da piattaforma sociale dell’innovazione, aiutando la popolazione locale ad acquisire confidenza con le nuove idee, con i processi di pensiero diversi da quelli abituali, con l’investimento nella creazione di competenze complesse; - lo sviluppo del macro-settore delle industrie culturali e creative, che come mostrato dal rapporto pubblicato dalla Comunità Europea a fine 2006 rappresentano uno dei settori più grandi, più dinamici e più capaci di creare occupazione dell’intero sistema economico continentale. Industrie il cui sviluppo richiede alti livelli di capitale umano, facilità di accesso alle tecnologie, confidenza con le lingue straniere e anche una domanda (e quindi un pubblico) quantitativamente e qualitativamente elevata, come accade soprattutto nei paesi nordeuropei. È su queste due dimensioni che si può costruire un modello di sviluppo distrettuale fondato sulla cultura, e che è oggi noto come il modello del distretto culturale evoluto, nel quale il fondamento dell’aggregazione distrettuale non è la specializzazione locale nel settore turistico-culturale in quanto tale, quanto piuttosto la centralità che la cultura assume nello sviluppo di una economia innovativa e ad alto contenuto di conoscenza, la quale a sua volta rende il territorio culturalmente attrattivo anche in chiave turistica, con riferimento però ad un segmento di domanda di qualità e a ridotto impatto ambientale. In questo scenario, l’Abruzzo si trova a dover operare scelte strategiche di grande importanza e dalle notevoli conseguenze per il futuro. Siamo, lo dico da abruzzese profondamente legato alle sue origini, una terra pervasa dalla bellezza, e di questo si stanno accorgendo anche gli investitori stranieri che sempre più massicciamente accorrono sul nostro territorio per acquistare case e terreni e per venirci a vivere anche soltanto per una parte dell’anno. Ma l’ultima cosa che vorrei è che questa bellezza si trasformasse in cartolina e in colore locale come già drammaticamente avviene in tante altre parti d’Italia. L’Abruzzo è anche una delle regioni italiane con i più alti tassi di istruzione superiore. È la regione che ha saputo affrancarsi con intelligenza e intraprendenza dalla trappola del sottosviluppo che ancora attanaglia tante regioni del meridione italiano. È una regione tra le più vive e attente ai nuovi fermenti culturali, come dimostra anche il visionario e coraggioso esperimento di questa bella rivista. L’Abruzzo può diventare allora uno dei laboratori ideali di elaborazione di una visione avanzata dello sviluppo culturale; ma per fare questo, è importante mantenere quella tensione verso il nuovo e il rischio che ha portato questa regione ad essere ciò che è oggi, e non ricadere pigramente su formule troppo semplici e consolatorie. Non c’è sviluppo senza imprenditorialità, e la vera imprenditorialità non è mettere in piedi un’azienda, ma saper vedere e cogliere opportunità che nessun altro ha ancora saputo vedere e cogliere. Io credo che l’Abruzzo può farcela, e spero che altri vorranno raccogliere e portare avanti questa affascinante sfida. Pierluigi Sacco è Professore ordinario di Economia della Cultura all’Università IUAV di Venezia, di cui è Pro Rettore alla Comunicazione e all’Editoria e direttore del Dipartimento delle Arti e del Disegno Industriale. È direttore scientifico di goodwill, studio di consulenza strategica per il fundraising, la corporate philanthropy e la progettazione del territorio secondo il modello del distretto culturale evoluto. A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) / MU3 L’OPINIONE DI Raffaella Morselli Tadao Ando, Forth Worth (Texas) Museum of contemporary art Un pamphlet di Jean Clair Malaise dans les musèes edito per i tipi di Flammarion a Parigi circa un anno fa, esattamente per la Pentecoste del 2007 -come ha voluto fosse scritto l’autore- è fonte per una riflessione generale sul senso del museo oggi, sulle sue funzioni, sulle sue forme e sui luoghi su cui esso insiste, nonché sugli oggetti che espone. Ampliando ancora la problematica, il “sermone” di Jean Clair si interroga, e a suo modo risponde, sul senso stesso del museo, in una società in cui esiste il culto della cultura, ampliato dai media che ne fanno ampio uso. Il libretto è una risposta ad un dibattito svoltosi sulle pagine di Le Monde nel dicembre del 2006 tra Francoise Cachin e Roland Recht intitolato Le musèes nes sont pas à vendre che vede messa sotto la lente d’ingrandimento la scelta del governo francese di creare il Louvre ad Abu Dabi: il prestito di 300 opere in dieci anni provenienti dal Louvre a dalla Reunion des Musèes des France, in cambio di 1 miliardo di euro in trent’anni. Si tratta di una deriva della politica culturale francese, ma che ha altri esempi illustri nel Guggenheim diffuso (Venezia, Bilbao) e nelle filiazioni dell’Ermitage di San Pietroburgo ad Amsterdam, a Las Vegas e a Ferrara, o è un modo per parlare di museo diffuso, o meglio di museo universale? Può essere modello replicabile o è il monito per non forzare la mutazione dei luoghi cui la cultura artistica era destinata? E ancora, il museo diffuso e universale perde la propria identità moltiplicandosi in versioni ridotte e ricomposte, alienando così la gerarchia delle cose, o rafforza il mercato della cultura e di conseguenza la serialità delle opere d’arte? L’ideale d’uguaglianza non può andare di pari passo con l’ideale dell’eccellenza e il museo rimane comunque il luogo dell’elitarismo artistico, nonostante la comunicazione ne ampli gli orizzonti e le finalità, e il merchandising riduca al multiplo gli oggetti esposti. Certo si rischia di scivolare in un’unica direzione, che è la concezione univoca delle cose in nome della loro funzione o del loro senso primario, ma il dibattito su un museo che non ha vincoli con il territorio, e quindi con la sua storia, rimane di primo piano nel panorama della museologia internazionale. Se questo snodo di problemi è centrale nella politica culturale europea, un altro fattore risulta determinante nella dialettica museologia versus museografia: il museo quale contenitore esteticamente e funzionalmente eccellente sembra prevalere oggi, nei territori in cui non si ha una tradizione museografica antica e storicizzata, sulle collezioni. E questo porta il museo verso un’altra funzione, che è quella di polo di attrazione culturale, al cui interno si consumano riti della tradizione civile, -incontri, meeting, ristorazione, cinema, teatro- ma che sembra fare molta ombra agli oggetti stessi, che sono i protagonisti di questa storia, attorno a cui, o per cui, si è costruito il contenitore. Musei strepitosi come il Museum of contemporary arts di Tadao Ando a Forth Worth (Texas) del 2002, che fa da contraltare ad un altro faro dell’architettura museale internazionale, il Kimbell Art Museum progettato nel 1972 da Louis Kahn, sono esempi straordinari di questo bipolarismo che, assieme ai dubbi di Jean Clair, riporta il museo alla ribalta delle discussioni critiche quale perno della cultura nella nostra società. Raffaella Morselli Università di Teramo Valentina Carpitella ITINERARI D’ARTE CONTEMPORANEA È possibile affermare che in Abruzzo ci sia una concentrazione di strutture ed eventi che operano nel campo dell’arte contemporanea. Si tratta di strutture dislocate su tutto il territorio regionale sia pubbliche che private, che se interconnesse potrebbero fare sistema. Del resto il ruolo che l’arte contemporanea può avere oggi nell’incremento di qualità degli spazi pubblici è testimoniato da più fronti. Per fare due esempi tra possibili itinerari d’arte parliamo brevemente di casi che dimostrano come, con grande impegno e con una regia pubblica forte e attenta, sia possibile puntare sull’arte contemporanea per migliorare il sistema insediativo e per renderlo più attraente. Il primo esempio riguarda la landmark art route, nell’IBA Emscher Park1 in Germania. L’IBA Emscher Park rappresenta un modello per la rigenerazione territoriale degli ultimi anni e nasce sulle rovine del distretto minerario e siderurgico della Ruhr attraverso una modalità d’azione fortemente dominata dalla regia pubblica. In particolare la crisi del modello economico a causa dell’obsolescenza degli impianti siderurgici e della progressiva dismissione degli impianti minerari porta a ripensare le modalità di sviluppo di un’importante e vasta porzione di territorio. Sulla base di alcuni obiettivi stabiliti in un MU4 memorandum nel 1989 la regione ripensa la propria condizione economica e sociale a partire da una nuova idea territoriale. Dal punto di vista operativo, una società di proprietà della regione North Rhine Westphalia gestisce tutte le operazioni rivolte allo sviluppo urbano sostenibile attraverso la cooperazione con autorità, industrie, gruppi sociali, gente comune. L’intervento si sviluppa su una spina dorsale che è il parco lungo il fiume Emscher dal quale si sviluppano sette costole, corridoi verdi, che identificano la sequenza della scena urbana della dispersione. Il parco unisce diciassette città in un’unica rete ecologica. Tra i vari percorsi di fruizione del parco c’è quello di una strada, la landmark art route, concepita come un museo a cielo aperto in cui gli artisti insieme a paesaggisti e planners hanno lavorato ad una scala che supera quella dei tradizionali luoghi di esposizione dell’arte contemporanea. Tra gli artisti Christo e Jean Claude, Richard Serra. Il secondo caso riguarda il museo obbligatorio di Napoli. Museo obbligatorio perché costituito dalle fermate della metropolitana 1 e 6 e dunque perché “i passeggeri devono passare per forza davanti alle opere degli artisti”. Il progetto nasce negli anni ’90 per decongestionare la città e per coniugare strutture funzionali e seduzione estetica. Le stazioni instaurano un rapporto forte col paesaggio circostante divenendo le nuove piazze. Gli architetti selezionati per progettare le stazioni sono tutti di grande fama, da Gae Aulenti all’Atelier Mendini, e le opere ospitate nelle diverse stazioni sono più di duecento. Il progetto complessivo è del Comune di Napoli, ed è coordinato da Achille Bonito Oliva. Entrambe le esperienze sono caratterizzate da una forte regia pubblica e da un tentativo di unire architettura e arte per un progetto fatto di vettori e nodi carichi di senso. Nel primo caso il vettore è la route, la vera protagonista del progetto, nel secondo caso si tratta della linea metropolitana di Napoli. Ritornando all’Abruzzo, il tentativo è quello di provare a immaginare le strutture che operano nel campo dell’arte contemporanea come nuclei densi di senso,come i luoghi da raccordare per fare dei centri per l’arte contemporanea dei poli attrattori che lavorino congiuntamente. Ragionando nell’ottica dei casi esplorati brevemente, affinché questi contenitori contribuiscano ad una crescita sostenibile della Regione, appare opportuno rafforzare le reti di connessione tra queste strutture. Il che significa innanzitutto agire sulle reti immateriali, attraverso la costruzione di una regia pubblica che coordini o promuova eventi. In secondo luogo agire su quelle materiali, rafforzando alcuni percorsi, legando alcune parti del territorio a questo tipo di risorse. Operare in tal senso renderebbe il patrimonio attuale funzionale alle politiche connesse anche alla promozione di un turismo più sostenibile. 1 Il riferimento per la ricostruzione del caso studio è al libro: M. Ricci, 100 occhi, Meltemi, Roma, 2001. L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T L’OPINIONE DI Gianfranco Imperatori A spulciare il suo curriculum si resta impressionati. Gianfranco Imperatori Segretario Generale dell’Associazione Civita è una vera e propria eminenza grigia in fatto di economia della cultura. A lui abbiamo rivolto alcune domande per capire a che punto siamo in Italia e in Abruzzo su un settore su cui in molti puntano... Professore quando si parla di impresa e cultura cosa si intende? In termini così vaghi si possono intendere due cose. Innanzitutto, molto sinteticamente, si può intendere il rapporto virtuoso che intercorre tra le aziende e l’arte e la cultura in genere, e che produce quei fenomeni di mecenatismo che, ieri come oggi, hanno determinato e determinano effetti importanti per la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio, favorendo visibilità e notorietà alle imprese. Si tratta, tra l’altro, di un rapporto sempre più affiatato e consolidato, tanto che le aziende italiane si stanno muovendo dai classici interventi puntuali a supporto di restauri, spettacoli, grandi eventi culturali, ad iniziative a medio e lungo termine, frutto di un’attenta attività progettuale, svolta in house o affidata esternamente ad operatori del settore. Ma si può intendere anche la capacità della cultura di farsi, a sua volta, impresa, ogni volta che la poniamo al centro di un’attività produttiva. Ci basti pensare al turismo culturale e all’ITC. Venti anni fa abbiamo cominciato a capire che il vasto patrimonio culturale di cui disponiamo poteva, e anzi, doveva diventare un motore della nostra economia, in un circolo virtuoso che rende assolutamente complementari tutela e valorizzazione, dove garantire una significa automaticamente rendere possibile l’altra e viceversa. Grazie all’atteggiamento illuminato di molti amministratori pubblici, e all’esperienza e all’impegno di strutture come l’Associazione Civita, di cui sono Segretario Generale, oggi si può affermare coerentemente che la cultura ha infinite occasioni di diventare opportunità imprenditoriale: la gestione dei servizi al pubblico nei musei, l’organizzazione di mostre d’arte 1987. A Civita di Bagnoregio nasce l'idea di Civita. 1988. Il 15 novembre l'Associazione Progetto Civita diventa operativa. 1990. Nasce il Consorzio Civita e parte il progetto di recupero. Civita di Bagnoregio diventa il prototipo di nuovi fermenti. 1991. Progetto Civita si trasforma in Associazione Civita, organismo nazionale per la valorizzazione dei beni culturali. Villa Giulia apre la sera a visite guidate e concerti per "Notturno Etrusco" primo esperimento di collaborazione pubblico/privato. 1993. Civita inaugura la nuova sede di piazza Venezia. L'Associazione pubblica il primo Rapporto Civita, L'immagine e la memoria. In collaborazione con Enel, viene realizzato un infopoint a Civita di Bagnoregio, che, in quei giorni, riceve un ospite di e di grandi eventi culturali, le attività di comunicazione e di fund-raising, sono solo le forme più dirette del fare impresa culturale. Quanto fa impresa la cultura in Italia? Le risponderò in cifre: i PIL da industria culturale e da turismo culturale incidono oggi per il 4,8% sul PIL totale (in cifre: 69milioni di euro), con una previsione di aumento fino ad una incidenza del 6,5% nei prossimi cinque anni; gli occupati nel settore cultura in Italia sono il 2,1% del totale degli occupati, per un totale di 470mila persone. Le declinazioni imprenditoriali della cultura si sviluppano in numerosi ambiti: turismo, nuove tecnologie, editoria, chimica, enogastronomia, e così via. politiche culturali abruzzesi risiede nel progetto per il distretto culturale dell’Aquila che siamo in procinto di definire con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila: un segnale significativo e concreto per la valorizzazione economica e sociale di un territorio che ha un altissimo potenziale in patrimonio ambientale oltre che culturale. In fatto di impresa culturale Civita è un esempio nel nostro paese…la vostra esperienza cosa ha cambiato? Come Le dicevo, venti anni fa abbiamo partecipato ad una vera e propria rivoluzione, quella che, per esigenze prettamente sociali ed economiche, avrebbe portato all’istituzione dell’industria culturale. Oggi vivere il Museo come luogo d’incontro, dove mangiare, leggere, ascoltare musica, comprare libri, è un fatto acquisito; sembra naturale che questa o quell’altra azienda, più o meno grande, organizzi quell’evento, quel festival, quella mostra; nessuno si scandalizza (o quasi) se si accostano quadri e monumenti a prodotti enogastronomici tipici di alta qualità; si grida al ritardo inaccettabile se i musei italiani non sono adeguatamente proiettati nel mondo della Rete. Ecco, la nostra esperienza ha contribuito a creare le condizioni perché tutto questo, e tanto altro, fosse possibile, e in parte a realizzarlo. rispetto e l’inviolabilità, che gli è dovuto per il loro grandissimo valore morale e sociale. In Abruzzo a che punto siamo? Lo scorso maggio abbiamo organizzato un importante convegno a L’Aquila sulla valorizzazione del territorio abruzzese tramite l’integrazione delle offerte culturali in chiave di distretto. Sono rimasto molto favorevolmente colpito, e devo ammettere, anche un po’ sorpreso per la grande e attenta partecipazione all’incontro da parte dei principali interlocutori pubblici e privati che, in uno spirito di collaborazione, possono creare le condizioni necessarie per l’avvio di un’industria culturale locale. E la prova tangibile di un nuovo indirizzo nelle Professore cultura e impresa già da un po’ di anni vanno a “braccetto”, funziona la coppia? I vantaggi sono evidenti per tutt’e due. Da una parte, l’impresa acquisisce visibilità e meriti sociali che, soprattutto negli ultimi anni, sono diventati essenziali nella redazione dei Rapporti di Responsabilità delle aziende. Dall’altra, la cultura individua fonti di finanziamento ulteriori rispetto a quelle pubbliche, che ne garantiscono la tutela e la salvaguardia, in parte in funzione di attività di valorizzazione, in parte del godimento da parte delle generazioni future. L’importante è offrire le giuste garanzie nelle due direzioni: per l’azienda, offrire condizioni vantaggiose per gli investimenti in cultura, individuando validi strumenti fiscali; per il patrimonio culturale, assicurarne il La cultura cosa ha trasmesso all’impresa e viceversa…. Ultimamente si va affermando l’idea che l’impresa abbia un debito morale nei confronti della cultura espressa dal territorio circostante. Questa affermazione trova solide basi nell’era in cui il contenuto immateriale contribuisce a posizionare i prodotti sul mercato, oggi reso ancora più competitivo per il fatto di essere globale. La cultura, infatti, è l’unico contenuto che riesca ad attribuire un valore aggiunto al prodotto, quando la tecnica ha ormai raggiunto lo stesso livello di precisione dovunque. Tanto questo è vero che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha istituito una Commissione che sta tentando, ora, una valutazione scientifica ed economica degli impatti dell’immateriale sui prodotti materiali. D’altra parte, l’industria è, a sua volta, una fabbrica di cultura: si pensi solo all’importantissimo tesoro conservato negli archivi e nei musei d’impresa, testimoni della nostra storia e dei nostri costumi, in alcuni casi vere e proprie perle della nostra tradizione culturale. Quando, poi, le imprese sono guidate da grandi imprenditori, quasi sempre uomini di cultura prima che d’affari, il rapporto tra il territorio e l’impresa diventa un circolo virtuoso i cui effetti positivi si rintracciano tanto nei risultati dell’azienda quanto nel benessere locale in termini di qualità della vita e di promozione e valorizzazione della cultura. a cura di Angela Ciano eccezione: Carlo d'Inghilterra. Enel collabora anche al progetto d'illuminazione dei Fori Imperiali: "Notturno Imperiale" è un grande successo di pubblico. 1994. L'Associazione organizza il primo ciclo di appuntamenti "Cultura & Impresa", presenta il secondo Rapporto Civita, indagine sui centri storici minori e sulla loro valorizzazione. 1995. La prima edizione di "Domenica ai Fori", via dei Fori Imperiali viene chiusa al trafficoe animata per grandi e piccoli. 1996-1997. Vede la luce il terzo Rapporto Civita, I formati della memoria, sulle nuove tecnologie. Con la Centrale Montemartini la prima esperienza nella gestione dei servizi museali. 1998. Acea, Costa e Civita costituiscono Zètema. 1999. Nasce anche Civita Servizi e viene inaugurata a Napoli la rassegna "Homo Faber. Esce il quarto Rapporto Civita, Beni culturali, nuova occupazione e riconversione territoriale. Civita con altre imprese vince le gare per la gestione dei servizi aggiuntivi a Brera e al Cenacolo Vinciano, Ostia Antica, Villa Adriana, Sistema Museale Napoletano. 2000. Zètema si aggiudica la gestione dei servizi ai Musei Capitolini, la più importante esperienza di global service nei musei italiani. 2001. Insieme al Consorzio, viene presentata la ricerca sui Distretti culturali. Nasce Ducato Civita, un fondo etico di investimento a favore del patrimonio artistico italiano. Viene presentato il quinto Rapporto Civita, Museo contro Museo, sull'applicazione della legge Ronchey. 2002. Civita apre la prima sede locale a Milano. 2003. Il 26 marzo il Presidente Ciampi riceve Civita al Quirinale. 2004. Vede la luce il sesto Rapporto Civita, Cultura in gioco. Le nuove frontiere di musei, didattica e industria culturale nell'era dell'interattività.. 2006. Alla vigilia delle elezioni del 9 aprile, l'Associazione Civita, il Fai e il Wwf rivolgono un esplicito appello al Presidente del Consiglio del futuro governo italiano e ai futuri ministri per la salvaguardia del patrimonio artistico, culturale e ambientale del nostro Paese. Si raggiunge quota 150 mostre organizzate. 2007. Il 16 febbraio il Presidente Giorgio Napolitano riceve Civita presso il suo studio in Quirinale. Viene pubblicato La formazione vale un patrimonio, settimo Rapporto Civita. …e qual è la situazione rispetto agli altri paesi Europei? Malgrado una innegabile vocazione naturale, o forse proprio per la vastità e l’importanza del nostro patrimonio culturale, abbiamo un certo ritardo rispetto al resto dell’Europa, fatta eccezione per la Francia e per la Spagna. Un dato può parlare per tutti: la media europea degli occupati nel settore cultura è di 2,4% sul totale degli occupati, con un picco del 3,1% nel Regno Unito, dove, già dai primissimi anni Settanta la crisi di altri settori produttivi ha prodotto una forte tendenza allo sviluppo dell’impresa culturale in una strategia di tipo distrettuale. Fenomeno più recente ma similare avviene nei Lander tedeschi, dove gli impiegati della cultura sono il 2,8%. T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U / MU5 ARTICOLANDO DEUTSCHE BANK E L’ARTE: UNA CARD VINCENTE X-Flag, Patrick Tuttofuoco Deutsche Bank si è sempre impegnata a favore dell’arte, collezionando con regolarità opere di epoche diverse. Di recente ha promosso anche in Italia un’iniziativa che non ha precedenti. Si tratta di Deutsche Bank Art Card, una card globale che consente l’ingresso gratuito in oltre 50 musei, gallerie d’arte e spazi espositivi con cui la banca ha rapporti di collaborazione. Nel nostro Paese ad esempio, la Fondazione Mazzotta, la Fondazione Prada e il Guggenheim di Venezia. Le Art Card, in numero molto limitato, vengono utilizzate all’interno della banca nell’ambito delle relazioni con clienti e partner. Abbiamo cercato di capire meglio la filosofia di Deutsche Bank a sostegno della cultura, intervistando Rita Borgo, responsabile della comunicazione della banca in Italia. Quali sono le origini storiche dell’attenzione che Deutsche Bank rivolge verso l’arte? L’interesse di Deutsche Bank per l’arte risale al 1870, ma è dalla fine degli anni ‘70 che nasce Deutsche Bank Art Collection. Così le sedi Deutsche Bank di New York e Ginevra furono arricchite con le prime opere d’arte acquistate dalla Banca: fu una scelta rivoluzionaria, che introdusse una nuova concezione dello spazio lavorativo. Dopo Singapore, San Paolo, Mosca e San Pietroburgo, l’inaugurazione della nuova sede di Deutsche Bank alle Twin Towers di Francoforte ha rafforzato la filosofia “Art at work”. Cinque le principali sedi espositive della Collezione: Francoforte, New York, Tokyo, Londra e, da marzo 2007, Milano. Oggi l’impegno nell’arte si è concretizzato nella più vasta collezione corporate di arte contemporanea al mondo, composta da 50.000 opere esposte in oltre 900 sedi. Cosa rappresenta per Deutsche Bank investire nel campo dell’arte? L’impegno di Deutsche Bank per l’arte contemporanea si è sviluppato, fin dall’inizio, con un duplice obiettivo. Da un lato supportare i giovani artisti e le gallerie che promuovono i loro lavori. La Banca infatti, nella creazione della sua collezione, non ha voluto semplicemente collezionare artisti già riconosciuti, ma anche e soprattutto stare al passo con gli sviluppi dell’arte contemporanea. Dall’altro la collezione porta alla banca capitale culturale, apre nuovi orizzonti ai collaboratori, ai clienti e ai pubblici di riferimento della banca. L’arte ha uno straordinario potere comunicativo: cosa vuol dire portare l’arte nei luoghi di lavoro? La nostra collezione si fonda sul concetto di “Art at work”, ovvero di l’arte che vive nei luoghi di lavoro e che nasce con l’intento di creare spazi di qualità, dove le opere degli artisti siano sempre fruibili ai collaboratori della banca. La filosofia della banca è quella di stimolare l’attenzione e l’interesse dei dipendenti verso l’arte attraverso l’incontro quotidiano con le opere esposte negli uffici. Personalmente MU6 UN KILOMETRO VESTITO DI ROSSO Una delle tante, Lara Favaretto posso raccontarle l’esperienza italiana. Quando abbiamo cominciato i lavori per l’installazione della collezione a Milano Bicocca c’è stata molta curiosità da parte dei colleghi. Le reazioni di alcuni sono state entusiaste, altri si sono mostrati più scettici. L’arte contemporanea non è sempre facile e immediata da comprendere ma dall’inaugurazione ad oggi, l’interesse verso la collezione è aumentato notevolmente. Quali sono le caratteristiche della sezione italiana della Deutsche Bank Art Collection? Il legame con l’Italia rappresenta il fil rouge che unisce le opere della collezione di Deutsche Bank a Milano: gli artisti sono italiani o vivono nella Penisola, oppure le loro opere sono state realizzate in Italia e si riferiscono al contesto del nostro paese. La collezione è composta da circa 300 opere di artisti contemporanei, cui se ne sono aggiunte oltre 60 fra nuove acquisizioni e 5 opere appositamente commissionate. Sono presenti lavori su carta, tele, fotografie, acquerelli, collages, sculture e installazioni. Quali artisti ne fanno parte? Ne fanno parte alcuni dei più noti artisti contemporanei italiani ma anche giovani emergenti. Citarli tutti è difficile però per la fotografia possiamo segnalare Armin Linke, Gabriele Basilico, Alfredo Camisa, Luigi Ghirri e Massimo Vitali. Tra i lavori su carta le famose domande della coppia di svizzeri Fischli e Weiss, i collages di Nico Vascellari, l’attenta rivisitazione della pietà michelangiolesca di Ketty La Rocca. Cinque artisti hanno poi dato vita ad altrettante installazioni che oggi “abitano” la Direzione Generale della Banca a Bicocca. La X-Flag di Patrick Tuttofuoco da cui si irradiano luci bianche e rosse in alternanza che “ridisegnano” letteralmente la sala d’ingresso della banca, i coristi di Lara Favaretto fotografati durante le prove settimanali in pose casuali, il Mare nostrum di Luca Vitone che accompagna in un viaggio dentro al cuore della penisola e le nove panchine “fluorescenti” di Alberto Garutti. Ancora in fase di realizzazione è invece il giardino – giungla di Roberta Silva. Con quali iniziative e modalità la collezione italiana viene presentata al pubblico? La collezione è stata inaugurata nel marzo 2007 mentre il 6 ottobre DB Collection Italy è stata aperta per la prima volta al grande pubblico in occasione di “Invito a Palazzo” la manifestazione annuale dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana). Il pubblico esterno ha potuto visitare la collezione. Con tour guidati e animazioni per i bambini, più di 1000 visitatori, tra cui tanti colleghi con le loro famiglie, hanno aderito alla nostra iniziativa. Per quest’anno abbiamo invece programmato una serie di aperture mensili ogni ultimo martedì del mese e stiamo valutando altri progetti di valorizzazione. Antonella Muzi È possibile creare rapporti di collaborazione tra imprese nel segno dell’innovazione? Sembra di si, stando al progetto avviato a Stezzano (Bergamo) dove è nato il Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso, una sorta di campus multidisciplinare aperto, destinato ad accogliere aziende diverse col fine comune di costituire una rete di assoluta eccellenza. Il Parco sorge su un’area di circa 400.000 mq ed è stato ideato da una firma di prestigio dell’architettura internazionale: Jean Nouvel. Suoi i progetti dell’Insitut du Monde Arabe, della Cartier Foundation, del Quai Branly Museum a Parigi, della Galerie Lafayette a Berlino e più recentemente dell’ampliamento del museo Reina Sofia a Madrid. Ma parliamo anzitutto di luoghi. Kilometro Rosso sorge lungo il tracciato dell’autostrada A4, direttrice che attraversa un territorio dalla spiccata vocazione produttiva, in un percorso caratterizzato da una massiccia presenza del costruito. Qui il paesaggio riunisce e affianca una grandissima eterogeneità di immagini metropolitane, stereotipi della temperie postmoderna. In un mondo globalizzato per il moltiplicarsi dei canali di comunicazione, crollate le “grandi narrazioni”, l’unità percettiva è disgregata: ogni cosa appare frammentaria. Tutta questa densità parcellizzata invade intimamente lo sguardo degli automobilisti che percorrono il tratto autostradale compreso tra il fiume Adda e Bergamo, dove sorge il Parco. Il progetto architettonico per Kilometro Rosso ha inteso considerare anzitutto gli aspetti legati al tema della percezione visiva in movimento. Negli anni ’60 Kevin Lynch con l’impianto teorico “The view from the Road” analizzava le potenzialità analitiche dello sguardo dalla strada. Così la complessità semiotica del segmento autostradale è stata interpretata come parte integrante dell’esperienza visiva dell’automobilista. Jean Nouvel, tradizionalmente attento al contesto materiale e simbolico dei suoi progetti, ha creato un lungo nastro rosso che corre parallelo all’autostrada per un chilometro. Si tratta di un setto lamellare metallico dietro cui si dispongono ortogonalmente gli edifici inseriti in un parco verde. Il concetto di muro è investito di tutte le sue potenzialità: un segno che diventa esso stesso generatore della forma architettonica e dello spazio costruito. Un nastro simbolo di confine tra due luoghi, l’autostrada e il parco scientifico, ma anche di relazione tra il mondo della macchina e quello dell’uomo, tra l’universo dell’automatismo e quello del pensiero. Anche il colore evoca metafore poetiche, “il rosso… è il colore del legame… ed è il colore del limite” spiega Jean Nouvel che, a proposito del progetto, racconta di aver voluto giocare con la filosofia, così tanto postmoderna, dell’asfalto e della velocità. Il Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso, fortemente voluto dal patron di Brembo, azienda leader mondiale nella progettazione e produzione di sistemi frenanti, ha accolto tra gli altri il Centro di ricerca dell’azienda stessa e il nuovo Centro di ricerca del Gruppo Italcementi. Ha anche sottoscritto accordi con l’Università degli Studi di Bergamo, oltre ad avere al suo interno un Centro delle professioni, struttura dedicata anche alla consulenza aziendale e all’erogazione di servizi di terziario avanzato. Dunque un progetto complesso e ambizioso che mette in atto un meccanismo di produzione e trasmissione della cultura, attivando sinergie tra realtà istituzionali diverse. Ma Kilometro Rosso può e vuole essere anche un sistema per la definizione dell’identità di un luogo, di un Paese, e lo fa puntando sull’intima unione di architettura e innovazione. Info Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso Viale Europa 2, 24040 Stezzano (Bergamo) www.kilometrorosso.com Antonella Muzi D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A ARTICOLANDO ESTETICA DELL’ORO NERO LA RACCOLTA D’ARTE ESSO INDESIT COMPANY: DIALOGHI TRA PASSATO E PRESENTE Gentile da Fabriano, Polittico dell’Intercessione Il rapporto tra cultura e mondo industriale è ricco di sfaccettature: riunisce in sé i problemi legati alla produzione, alla qualità, ai valori, all’immagine. Molte le aziende che investono accidentalmente nel mondo dell’arte, poche quelle che lo fanno perché credono in una autentica responsabilità sociale. Il gruppo Indesit, secondo produttore di elettrodomestici in Europa fondato nel 1975, è impegnato nel tentativo di coniugare successo economico e progresso culturale e lo fa investendo sia nel campo del design che in quello dell’arte. Lo scorso anno l’azienda marchigiana ha presentato sul mercato la lavabiancheria Moon disegnata da Giorgetto Giugiaro: un prodotto dalle linee morbide e dai colori brillanti che evocano simbolicamente le forme naturali del cosmo. Prestigiosi i riconoscimenti che, grazie a questo elettrodomestico, la compagnia ha ottenuto, tra gli altri il Grand Priz de l’Innovation a Parigi, il Designer Award in Gran Bretagna. Ma l’impegno di Indesit non si limita all’innovazione tecnologica e al design. Accanto all’attenzione riservata al processo stesso di produzione, l’azienda è riuscita a creare un dialogo possibile con la cultura e la società. Numerosi sono gli interventi in campo artistico, tra i quali spicca il finanziamento del progetto di restauro del Polittico dell’Intercessione di Gentile da Fabriano. Il maestro marchigiano seppe incarnare, a cavallo tra il XIV e il XV secolo, la tipica figura dell’artista internazionale, capace di aderire pianamente alle esigenze di quei ceti che ambivano a essere rappresentati da un linguaggio artistico che li connotasse in senso aulico e aristocratico. Il capolavoro di Gentile, realizzato tra il 1420 e il 1423, è stato conservato nella Chiesa di San Niccolò Oltrarno a Firenze almeno dal XVII secolo. Cattive condizioni ambientali e interventi di restauro malamente eseguiti ne compromisero l’integrità fino alla fine dell’800 quando un incendio lo danneggiò ulteriormente. Rimasto per decenni nei depositi della Soprintendenza a Palazzo Pitti, iniziò a essere nuovamente oggetto di studi storico-artistici e conservativi. L’intervento di restauro che ha ricevuto il sostegno di Indesit, è stato il frutto di una collaborazione tra l’Opificio delle Pietre Dure e una serie di Istituti Scientifici nazionali e internazionali. Questa sinergia ha consentito di risolvere i problemi legati ai brandiani concetti di “aspetto” e “struttura” e di ampliare le conoscenze su tecniche, materiali e problemi iconologici propri dell’opera di Gentile. Il polittico così restaurato è stato esposto nel 2006 a Palazzo Medici e successivamente è diventato protagonista della mostra Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, tenutasi a Fabriano. Ma c’è di più. Il sostegno di Indesit alla cultura non si è fermato all’investimento economico nel progetto di restauro. L’azienda, nel rispetto della vocazione educativa dell’arte, ha ospitato nella propria sede il capolavoro di Gentile, esponendolo al pubblico e progettando iniziative divulgative e didattiche rivolte ai dipendenti. Segnale quest’ultimo di una sensibilità culturale che, in aggiunta all’evidente ritorno di immagine per l’azienda, testimonia la possibilità di una integrazione tra industria, territorio e società. Oltre alle iniziative promosse in Italia, Indesit, che è presente nel mondo con 17 stabilimenti, ha di recente sponsorizzato il Festival del cinema di Lódz e di Edimburgo e ha partecipato alla mostra che il Guggenheim Museum di New York ha dedicato a Zaha Hadid. Antonella Muzi fieristica, prettamente commerciale, con il tessuto urbano, poi, va oltre il percorso di Art first, per diventare Art Off, ovvero un programma di eventi collaterali, mostre e performance di artisti che ravvivano i naturali contenitori dell’arte contemporanea, dal Mambo a Villa delle Rose, passando per la Cineteca, la palazzina dell’Esprit Nouveau, l’Hospice Seragnoli e lo spazio Visionnaire. Tra le novità di questa edizione c’è stata la notte bianca (A white night), sabato 26, che dalle 20 alle 24, ha movimentato il centro storico con aperture straordinarie di musei, gallerie e negozi, con concerti e un originale buffet itinerante. Certo non è sempre facile coinvolgere la città, ma una volta innestato il meccanismo il risultato non delude le aspettative come per la quarta edizione del Must “Artour-O” il Museo Shop Temporaneo che si è svolto a Firenze nel febbraio scorso trasformando il capoluogo toscano in un centro propulsivo per le arti visive. Un vero e proprio network artistico garantisce alla città una stagione all’insegna di eventi ed iniziative di grande respiro. Il Museo-Shop Temporaneo ripropone lo stretto connubio tra territorio ed arte contemporanea, testimoniato dalla partecipazione alla manifestazione di numerose istituzioni pubbliche. Victor Vasarely, Forme e contrasti cromatici - (Foto S.Scafoletti) “Il caso della Esso Standard Italiana può considerarsi un caso esemplare e, certamente, fra i più positivi del rapporto fra arte e industria”. Così scriveva Giuliano Briganti nel 1967 riferendosi a uno degli esempi più eccellenti di “mecenatismo illuminato” industriale. Ha da pochissimo chiuso i battenti una mostra nella sede della Galleria Nazionale d’Arte Moderna che ha portato alla conoscenza del grande pubblico la raccolta d’arte costituita dall’azienda tra il 1949 e il 1962. La Esso in Italia ha una storia ultracentenaria: fondata nel 1891 a Venezia con l’intento di commercializzare petrolio per illuminazione e riscaldamento, si trasformò ben presto in una delle grandi società petrolifere internazionali. Dal 1948, sulle macerie lasciate dalla guerra, Esso accompagnò la rinascita del Paese e lo fece anche attraverso la cultura e la comunicazione. L’azienda iniziò per prima a parlare di public relations e a creare un ufficio stampa sul modello delle industrie americane, dando così l’avvio a una filosofia sensibile alle questioni politiche e culturali della società. Nel 1949 nacque “Esso Rivista”, inizialmente semplice house-organ, poi aperta alla collaborazione di scrittori e artisti chiamati a illustrare copertine e inserti. Fu in quest’ottica che nacque l’idea di promuovere un Premio di Pittura dell’azienda, di volta in volta calibrato sui temi specifici della modernità, in un’Italia che cambiava rapidamente. Crescente la partecipazione degli artisti alle quattro edizioni del concorso, svoltesi dal 1951 al 1962, che premiarono tra gli altri Vespignani, Gentilini, Afro, Birilli, Semeghini, Scialoja. La raccolta d’arte Esso, che si era andata così formando, fu ampliata ulteriormente grazie al ruolo svolto da “Esso Rivista”, organo di informazione qualificato sempre più grazie a un rigore estetico che oltre alla copertina investiva anche l’impaginazione, i caratteri e la stampa. L’azienda commissionò fino al 1983 lavori a Munari, Alviani, Tornquist e a molti altri, divenendo così l’emblema della capacità imprenditoriale di partecipare profondamente alla creazione dei valori collettivi. La mostra appena conclusa ha dato rilievo alle opere selezionate nel corso delle quattro edizioni del Premio e a quelle commissionate per la rivista, unitamente a una scelta di lavori di grafica. In un allestimento che alternava il bianco e il nero degli ambienti industriali alle preziosità di forme curve su pavimenti e pareti specchianti, spiccavano le opere di Vasarely, Vedova, Turcato, Parmeggiani. Al centro dello spazio espositivo un coloratissimo grattacielo di caselle contenenti le copie della “Esso Rivista”, oltre a un nucleo importante di dipinti astratti di artisti italiani della generazione a cavallo tra Forma Uno e Informale come Santomaso, Dorazio, Perilli. Un omaggio lieve e sofisticato all’operato di un’azienda capace di costruire la propria identità culturale unendo i caratteri del committente e quelli del mecenate. Sono ancora attualissime le riflessioni di Palma Bucarelli che nel 1952 definiva “illuminati ed accorti” gli industriali, paragonandoli agli “antichi principi” perché come quelli aiutavano gli artisti a “uscire dal chiuso dell’arte pura”. Antonella Muzi NON SOLO FIERE La Partecipazione di MU6 nel settore editoria delle fiere d’arte, ha creato una fitta rete di rapporti oltre che una sempre più grande distribuzione sul territorio nazionale del giornale. Con Arte Fiera, Bologna è diventata capitale dell’arte che ha contagiato la città e animato la notte di colori e istallazioni. Quello di quest’anno è stato il terzo appuntamento di Art First, il percorso inedito che apre le porte di musei, cortili e palazzi per riempirli di arte. La contaminazione della manifestazione Lavabiancheria Moon, design: Giorgetto Giugiaro A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) / MU7 IL PERSONAGGIO a cura di Jessika Romano Nel segno di Museo archeologico La Civitella di Chieti, 1998 Museo archeologico della ceramica e del territorio di Montelupo fiorentino, 1988 “Negli anni Cinquanta c’era da Max Huber un giovane ragazzo alto alto, magro magro, un po’ austriaco, che portava ancora i calzoni corti: era allegro, curioso e disponibile. Le migliori qualità possibili per affrontare la vita”. Questo è l’affettuoso ritratto che Achille Castiglioni dipinge del giovane Heinz Waibl, uno degli interpreti della rivoluzione grafica contemporanea italiana e internazionale. Allievo del famoso grafico svizzero Max Huber, Waibl si forma nella Milano del secondo dopoguerra dove personalità e stile di architetti e designer del calibro dei fratelli Castiglioni, Bruno Munari, Albe Steiner, per citarne alcuni, hanno gettato le basi di quel fenomeno artistico e culturale conosciuto in tutto il mondo come “Made in Italy”. Il suo segno grafico è caratterizzato da una matrice razionalista, derivata dalla lezione del movimento storico del Bauhaus, tuttavia sbrigliata dalla sperimentazione internazionale nella Unimark Corporation di Chicago e di Johannesburg e dai contatti costanti con i maggiori protagonisti della cultura visiva europea come Max Bill, Massimo Vignelli, George Vantongerloo. La sua produzione manifesta una grande attenzione all’evoluzione della cultura figurativa e si lascia stimolare dal fermento che attinge alle avanguardie pittoriche degli Stati Uniti, della Russia e del Giappone. Dal 1972 è stato titolare della cattedra di Visual Design presso la Scuola Politecnica di Design di Milano avendo maturato esperienza nell’insegnamento fin dal 1959 all’Umanitaria che Waibl ricorda così “ Avevamo solo carta, matita, pennello, colori, forbici, un tavolo, uno sgabello e tanto entusiasmo. L’Umanitaria era una palestra soprattutto per noi docenti…ci sentivamo dei pionieri in una società che riconosceva la grafica come affare dei tipografi o all’opposto dei pittori”. L’indiscutibile abilità didattica di Waibl ha contribuito a formare due generazioni di grafici italiani, svizzeri e tedeschi trasformando lo studio MU8 Signo, fondato nel 1974 a Milano con Laura Micheletto, in un prodigioso vivaio di talenti. Se ricorda Max Huber, Waibl riassume l’esempio del maestro nella frase “Io non penso, faccio” che rivela un automatismo di azioni filtrato dalle capacità professionali ma soprattutto da una straordinaria consapevolezza culturale. Che tipo doveva essere quel Max che “a pranzo, al posto della frutta chiedeva sempre delle forti e alcoliche spremute d’uva”. Waibl ne parla divertito e rivela una storia di amicizia fatta di musica, di bevute e di risate ma anche nella genuinità del racconto si comprende la validità dei mezzi espressivi ereditati dalla scuola svizzera: chiarezza compositiva, equilibrio, sicurezza nelle scelte tipografiche. Ormai da tempo protagonista nel panorama della comunicazione visiva contemporanea, Heinz Waibl è un personaggio che ama le forme essenziali, rigorose e moderne insomma un distillato cristallino di originalità e metodo. L’incontro con l’Abruzzo avviene durante i lavori di allestimento del polo museale della Civitella di Chieti per il quale Heinz Waibl viene incaricato di realizzare il logo del museo e di seguire lo studio grafico dell’immagine coordinata. La nascita di un nuovo museo o meglio di un “museo nuovo”, come si può definire la Civitella, necessita di una progettazione complessa ma anche di un’identità definita, un segno riconoscibile e concreto. Waibl pensa ad un simbolo tridimensionale, un marchio scultura, dalla forma di cerchio irregolare perché la metà inferiore è piegata cinque volte. Una sintassi geometrica esemplare che racchiude insieme il concetto di spazio e di tempo. La forma ed il colo- Unione dei comuni della Tremezzina, 2004 Norditalia Assicurazioni, 1986 re, giallo oro, ricordano il sole, simbolo dell’intelligenza cosmica, energia positiva che si manifesta come luce nella sfera delle cose visibili e scandisce il lento divenire delle cose. Ma senza voler scomodare Platone ed il pensiero filosofico, il cerchio di Waibl è una forma dinamica che sfida la terza dimensione: un’immagine semplice e concreta che è pura espressione di armonia, di misura senza tempo. E qui, è proprio il caso di dire, si chiude il cerchio nel senso che si arriva a coniugare l’antico con il moderno, senza soluzione di continuità, in un sigillo cromatico dal giallo oro al rosso amaranto che riflette l’essenza mediterranea del territorio. I contenuti del museo sono espressi con un’ampia gamma di comunicazione affidata ad un carattere serio, morbido e molto duttile dal nome che sembra un‘esclamazione in tedesco maccheronico: Akzidenz Grotesk. Ricordo la presenza assidua e costante di Waibl, la precisione e la cura con cui verificava la posizione delle singole lettere, dei pieni e dei vuoti sottolineando l’importanza degli spazi tra un carattere e l’altro, tali da soddisfare le singole esigenze. Già perché le lettere non sono dei soldatini disciplinati che possiamo ordinare a nostro piacimento concedendo a ciascuna uno spazio fisso, si può dire piuttosto che ognuna di esse abbia una sua personalità, un fisico e quindi un peso diverso dall’altra che il grafico deve ponderare e gestire con criterio. Quando Waibl ne parla sembra quasi che le conosca una per una e ne sia intimamente affascinato, tanto da quelle alte e magre quanto dalle altre basse e panciute; nel suo lavoro si definisce un artigiano e più precisamente uno scultore forse perchè ha iniziato a lavorare quando si impaginava a mano ed i progetti avevano una consistenza fisica fin dal principio. A pensarci bene l’assonanza della grafica con la scultura ha radici profonde che risalgono alla nascita della scrittura. Lo confesso sono un’archeologa e il mio approccio alle materie è condizionato inesorabilmente dal voler a tutti i costi risalire all’origine delle cose che spesso è solo apparentemente lontana. Non si può negare che alla base dell’affermazione della cultura scritta, oltre all’aspirazione spirituale e poetica, ci sia stata un’esigenza pratica legata alle necessità politiche, amministrative e soprattutto commerciali. Così dai caratteri cuneiformi ai geroglifici i prodotti sono rappresentati con forme stilizzate che via via diventano sempre più ridotte perché proprio da allora scrivere vuol dire scrivere in fretta ma con grande attenzione alla disposizione degli elementi. È curioso che l’essere merce coincida fin da subito con l’essere vista e si giustifica chiaramente con le leggi del mercato: affinché la produzione possa trovare il suo necessario riflesso nel consumo è indispensabile la trasformazione del prodotto in immagine! L’esitazione tra figurazione e scrittura accompagna l’attività grafica da sempre ed è questa ambiguità la chiave di lettura del lavoro di Waibl che si esprime talvolta attraverso sequenze di geometrie astratte nelle quali non è difficile individuare costruzioni allusive o elementi di figuralità, ma sempre con il massimo rispetto del codice verbale dell’interprete, fondamentale perchè la comunicazione visiva non si carichi di confusione ed incertezza semantica. L’imperativo categorico nell’attività progettuale di Waibl è la coerenza e la semplificazione delle forme da cui scaturisce l’immediatezza del richiamo ed il potere di attrazione visiva. Incastra, allinea, sovrappone e scompone i caratteri con un ritmo compositivo contratto che ricerca gli accordi nella dialettica delle parti semplici. I tasti bianchi e neri, le note acute e ribelli, la cadenza sincopata è quella dell’inconfondibile suono del jazz. Il marchio di Waibl è fatto di grande professionalità, di uno stile sempre più raro che lascia il segno. L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T ARCHITETTURA di Marco Morante e Maura Scarcella INTERVISTA Architetto Ettore De Lellis Rivolgiamo alcune domande ad Ettore De Lellis, autore di due musei abruzzesi singolari nel rapporto e nell’interpretazione dei rispettivi contesti. Chieti e Celano, la collina fronte-mare e l’entroterra montano, la città e la piana dal Fucino. Condizioni e contesti molto differenti: perché due musei ipogei? Sicuramente la natura ipogea dei due musei non deriva da volontà mimetiche. È stato solo un modo di rapportarsi a luoghi particolarissimi: una sconfinata pianura verde che conserva inalterata la sua originaria natura lacustre; un terrazzamento ai margini del centro storico sul quale si proiettava, chiara e visibile, la stratificazione di duemila anni di trasformazioni urbane. In questo i due edifici rappresentano diverse declinazioni di uno stesso progetto. Nel caso di Celano l’edificio è frutto dell’“increspatura” della superficie del lago, a Chieti è la sintesi delle geometrie degli strati; in entrambi i casi è presente la metafora dello scavo archeologico, del gesto di incidere la terra. Frequentemente, nello stesso volgere di anni in cui si progettavano questi due musei, l’architettura evitava di produrre “oggetti”: era forse la sfiducia post-speculativa nelle potenzialità del progetto contemporaneo? Il mio modo di fare il mestiere di architetto è più vicino a quello di un artigiano; provo una certa difficoltà ad affrontare questioni teoriche. Posso dire che l’edilizia speculativa non ha mai avuto momenti di crisi, non c’è quindi un “post” ad essa; la sfiducia nel progetto contemporaneo è una condizione di lavoro permanente per molti architetti italiani. Penso che la scarsa produzione di oggetti in quel periodo fosse dovuta all’esordio dello strumento informatico (che ha richiesto lunghi tempi di gestazione e che ha portato oggi all’irrompere dell’architettura digitale) e alla scarsa attenzione del mercato al “valore” del progetto. Quando il sistema (pubblico e privato) della produzione edilizia ha scoperto che il progetto poteva portare valore aggiunto alle operazioni immobiliari, la “produzione di oggetti” ha visto l’esplosione che conosciamo oggi. Dall’afasia di quel periodo si è passati all’autoreferenzialità. L’anastilosi e le integrazioni urbane della Civitella: cosa le ha rese contemporaneamente possibili nell’Italia ingessata e “schiava“ della sua storia? Una serie fortunata e concomitante di eventi, la prima e la più importante delle quali è stata la presenza di Giovanni Scichilone alla direzione della Soprintendenza di Chieti. Sotto la sua guida, lo staff dei suoi più stretti collaboratori, Adele Campanelli, Claudio Finarelli, Vincenzo D’Ercole, hanno dato un contributo determinante, anzi si può affermare che le due realizzazioni sono frutto di un lavoro comune La duna e il percorso: è una sintesi corretta dell’architettura del Museo Nazionale della Preistoria d’Abruzzo, di Celano? È una sintesi perfetta. Quanto queste due opere hanno rispettivamente in comune con l’intervento sul Teatro di Sagunto di Giorgio Grassi e con l’opera di Ambasz? Non so se è il caso di fare confronti con i grandi nomi. Con il teatro di Sagunto esse non hanno nulla in comune, credo che Grassi, se le ritenesse degne di nota, manifesterebbe molte più critiche di quelle che ha mosso al museo di Moneo a Merida. La vegetazione e l’elemento naturale fanno parte del lessico di Ambasz; nei musei di Chieti e Celano essi sono esiti, non dico casuali, ma in ogni caso non determinanti. Dai Guggenheim di New York e Bilbao, potentissime icone urbane più che contenitori di opere d’arte, fino alla Tate Modern di Londra, luogo di incontro quotidiano di giovani, in che direzione sta andando l’architettura del museo? Il museo è e rimarrà, per sua stessa natura, il campo di sperimentazione privilegiato dell’architettura. Non so dire in che direzione sta andando l’architettura del museo; quella che mi convince di più appartiene al percorso seguito da Renzo Piano. Dunque la domanda d’obbligo: tra protagonismo e neutralità, qual è il museo ideale? È quello che coniuga le istanze del luogo, la qualità spaziale, la chiarezza dei percorsi e la modulazione della luce in una sintesi discreta. È troppo? Luce naturale e luce artificiale in uno spazio espositivo ipogeo: l’arte di illuminare l’arte. In che modo? Con la luce ho avuto un’esperienza negativa in entrambi i musei. Pur avendo dedicato molta attenzione alla luce naturale negli spazi espositivi, ho dovuto constatare, con un certo disappunto, che chi si occupava degli allestimenti si preoccupava subito di oscurare gli ambienti. Questo non per proteggere i materiali dai raggi ultravioletti, ma solo per creare condizioni di illuminamento ed effetti espositivi stabili e controllabili. Ho cercato di spiegare, senza molto successo, che gli oggetti esposti nella mutevolezza della luce naturale potevano risultare più interessanti e che comunque gli “effetti” potevano essere riservati alle ore serali, in quanto i musei, sempre più spesso, sono aperti anche di notte! T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U / MU9 ARCHITETTURA di Marco Morante e Maura Scarcella ERGenetica Nei secoli passati le architetture si sono formate secondo un evidente processo di “condensazione” del materiale più facilmente reperibile in loco: come balle di fieno in campi appena falciati, così case in pietra lungo alture e pendii sassosi, in laterizio sui colli e nelle vallate argillose… e così via. La standardizzazione, il benessere e più in generale i fenomeni connessi alla globalizzazione esplosi nel XX secolo hanno portato nei processi costruttivi ad una disseminazione, perlopiù indifferenziata, di materiali estranei ai contesti di applicazione. Si consiglia a tal riguardo di riascoltare l’opinione che Pierpaolo Pasolini esprimeva sull’argomento nel 1974, osservando l’abitato di Orte e le sue espansioni nel breve filmato “La forma della città” (www.teche.rai.it). Ciò, oltre a rendere territori diversi sempre più simili, ha di fatto scardinato molti dei punti fermi del “buon costruire” sedimentatisi nel tempo, mettendo sempre più a rischio la qualità del prodotto edilizio. All’arte dell’accostamento dei pochi materiali disponibili in situ che nel tempo si era andato affinando, è repentinamente succeduta dunque (in Italia, nella sua interezza, con il boom economico degli anni ’50) la moltiplicazione delle possibilità e l’azzeramento della tradizione costruttiva, rendendo ogni progetto “storia” a sé, Nel volgere di qualche decennio onduline ed eternit, cemento ed asfalto, alluminio anodizzato, antenne televisive e cavi elettrici hanno stravolto il nostro spazio di azione e percezione urbana e territoriale. Alla politica disperata quanto patetica di prescrizione circa l’utilizzo di materiali “simili” a quelli tradizionali, seppur magari provenienti dall’altra parte del mondo, occorre sostituire, a nostro avviso, la diffusione di consapevolezza e capacità nell’utilizzare con sapienza vecchi e nuovi materiali, nella convinzione che, fatte le dovute eccezioni, si tratta piuttosto di discernere tra cattiva e buona progettazione. I materiali che nuove tecniche di costruzione e nuove tecnologie applicate agli organismi edilizi impongono ai mercati ed ai processi costruttivi, fin dal dettaglio influenzano la forma dell’organismo edilizio giungendo ad investire la grande scala del paesaggio. Ciò comporta lo sviluppo di una capacità nel riconoscere e nominare una più ampia gamma di “materiali” e nel pensarli come parti generative di nuove possibili forme del bello. La dichiarazione di una tale necessità non risiede, come spesso l’architettura si è dovuta affannare ad argomentare a causa della sua profonda crisi epistemologica, nell’urgenza di legittimazione del proprio campo disciplinare, quanto invece nella ineluttabile terza rivoluzione industriale che stiamo già attraversando. I motivi per cui Jeremy Rifkin, tra i primi, ha registrato l’avvento di questa rivoluzione, le conseguenze che comporterà globalmente sulla disposizione degli inse- MU1 0 diamenti umani grazie alla tecnologia delle fuel cells all’idrogeno e le conseguenti preoccupazioni in termini di aumento esponenziale della pressione antropica sull’ambiente, che gli osservatori ecologicamente più attenti già intravedono, sono risvolti importanti della questione che non è possibile in questa sede approfondire. Lo stato di salute del pianeta collegato all’emissione di CO2 e la prevista scarsità di risorse energetiche sono comunque problematiche che coinvolgono a pieno titolo il campo delle costruzioni e di tutte le forme di trasformazione del territorio. La compatibilità ambientale dei materiali da costruzione e l’autosufficienza energetica degli edifici, come anche lo stato ed il riciclo di acque e rifiuti, la produzione agricola in proprio o nelle immediate vicinanze, la sostenibilità ed accessibilità dei sistemi di trasporto sono alcuni dei temi su cui confrontarsi per il buon controllo di edilizia, città e territori nel prossimo futuro. L’autosufficienza energetica (erg) ed il suo basso o nullo impatto ambientale è uno dei temi più vasti del problema e che più inciderà sulla forma dell’architettura (morfogenetica) e del paesaggio. Tale fenomeno di causa-effetto, che ibridando o anche solo anagrammando chiameremo “ergenetica”, ricoprirà con buona probabilità un ruolo centrale, rifondante e rivoluzionario per l’architettura. Di tale perturbazione storica va colta l’opportunità di miglioramento come anche di rappresentazione di una società nuova e globale, più dinamica e positiva, che sappia uscire dall’impasse in cui versa grazie ad un ritrovato dialogo con la natura e ad un più costruttivo rapporto con la tecnologia. Sentire il dovere di implementare ed integrare architettonicamente sistemi di autosufficienza energetica e compatibilità ambientale è un fatto di “cultura”, di qualità della vita e di convenienza economica… quindi di “impresa”. La copertura del parcheggio, dell’area di servizio e dell’autolavaggio, gli schermi frangi-sole della palazzina residenziale, lo spazio intercluso nella rotatoria, la falda della casa singola, le fasce di pertinenza e rispetto e le barriere fonoassorbenti (auto)stradali, lo stagno nella tenuta di campagna, l’involucro della nuova scuola, la serra della villetta unifamiliare, l’arredo urbano, le coperture dei capannoni produttivi, il bosco demaniale e molti altri elementi urbani e territoriali, a piccola o grande scala, possono tutti offrirsi per i più disparati sistemi attivi o passivi di efficienza e produzione energetica. Ai committenti - pubblici e privati - la convinzione ad investire, ai tecnici la capacità - non ancora diffusa - di ben progettare. laq_architettura D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A Z Z A CULTURA E IMPRESA COLTIVAZIONE DELLA CULTURA Un grande e goffo pulcino metallico osserva l’orizzonte, poco lontano guarda nella stessa direzione una fiera matrona di terra e cenere. Un uovo di universo pulsa in un nido di roccia bianchissima. Un pendolo ricorda la gravità che ci costringe alla terra. Un uomo e una donna pietrificati nell’attesa reggono una coppa che si riempie di cielo. Tutto intorno vigneti e ulivi si perdono negli orizzonti tondi delle colline, la dea madre Majella scende verso il mare e con il suo respiro rende fertili le terre. Ci troviamo, come è forse intuibile, nella sede di una dinamica multinazionale abruzzese, le cantine Zaccagnini di Bolognano. I vigneti di contrada Pozzo sono il regno del signor Marcello, uno con la schiena dritta, “tagliato al contrario”, garantisce lo scrittore Sergio Zavoli, che gli sta dedicando un libro. Un exoperaio, che un giorno decise di appendere il saldatore al chiodo per ricominciare dalle vigne del padre Ciccio. Trent’anni dopo, quella che fu un’attività a conduzione familiare, esporta 500mila bottiglie in trentasei paesi e dà lavoro a settanta persone senza contare l’indotto. I suoi vini, grazie anche al talento dell’enologo Concezio Marulli, mietono premi e consensi. Marcello è poi un vignaiolo sensibile all’arte: la tenuta, come accennato, è scandita dalle opere di David Bade, Franco Summa, Pietro Cascella, Dino Collelongo, del figlio Simone Zaccagnini. Dentro alle cantine e all’edificio a forma di ala di gabbiano, che si apre al paesaggio attraverso un grande occhio azzurro, segrete corrispondenze sono evocate dall’altare consacrato a Dionisio di Mauro Berrettini, dalla colomba di Pietro Cascella, il cui calco viaggiò nello spazio a bordo del Voyager, dai sudari di bottiglie ibernate di Gino Sabatini Odoardi e da molto altro, che lasciamo alla curiosità del lettore. Intenso è anche l’attivismo culturale dell’azienda, come testimoniano le manifestazioni Uvarte, il premio Pigro, dedicato all’amico cantante Ivan Graziani, il premio Prisco, Arte in cantina e il Tralcetto dell’amicizia, conferito ogni anno a personalità di vario talento. Una passione nasce da un seme che qualcuno ha gettato. Correva l’anno 1984, era un piovoso tredici maggio: nella sua cantina Marcello, insieme a ospiti arrivati da tutto il mondo, ascoltava uno strano sciamano dal capello di feltro e dallo sguardo triste, Joseph Beuys. A Bolognano l’artista tedesco visse gli ultimi anni della sua vita e strinse un intenso sodalizio spirituale con la baronessa Lucrezia De Domizio, che organizzò lo storico incontro ed ora è un’instancabile vivificatrice del suo messaggio. Le parole semplici di Beuys disegnarono quel pomeriggio un’utopia lontana eppure vicina come la terra su cui poggiamo i piedi: “noi piantiamo gli alberi e gli alberi piantano noi”; “possiamo ancora decidere di allineare la nostra intelligenza con la natura”; “ciò che ci salva, e che non possiamo azzerare, è la memoria, perché saremmo incapaci di udire, vedere e pensare”; “l’arte è scienza della libertà, è il nostro vero capitale”; “qui a Bolognano possiamo creare un paradiso piantando 7000 alberi diversi”. Questi pensieri fluttuano ancora tra le botti di rovere di Marcello. Il procedimento magico del mettere in contatto, praticato da Beuys, trova accoliti in aristoteli rubizzi e psicopompi ciarlieri che, nelle sempre più rare cantinicole, riflettono sui segreti della vita, e la loro dialettica quasi mai trova la sintesi in pensieri di guerra, ma in un bonario bicchiere della staffa. “Io non sono un artista - dice Marcello non so fare nemmeno uno scarabocchio, però l’arte ha segnato la mia vita e il mio successo imprenditoriale”. Ne sono prova le etichette dei vini, firmate da grandi artisti, ultima quella di Mimmo Paladino per le bottiglie del San Clemente. Marcello è però particolarmente fiero della prima storica bottiglia del Montepulciano Cerasuolo: un tralcetto di vite legato al collo da uno spago di rafia e poi un’etichetta semplice semplice vergata dalla bella calligrafia del suo amico preside Franco Di Medio. Oggi è considerata un’opera d’arte con il vino dentro, e pensare che quando Marcello la mostrò orgoglioso ad esperti grafici e al suo amico Bruno Vespa, si sentì rispondere che era kitsch e inopportunamente rustica. DIFESA DELLA NATURA: una scritta cubitale ci accoglie a Bolognano, un borgo che è un labirinto di sorprese. Nei pressi di una luminosa casa azzurra, non puoi sapere se una carriola di legno sbilenca è un’opera d’arte o è stata poggiata lì da un contadino. Difesa della natura: il pensiero torna ai vicini boschi divorati dal fuoco, alle discariche abusive e alle ottuse colate di cemento che soffocano e avvelenano la terra; ad un benessere misurato da un Pil che cresce se si vendono più psicofarmaci e se si spreca carburante fermi al semaforo. Il discorso cade sul Centro oli di Ortona, sul petrolio che poco più a sud minaccia il vino, l’oro nero d’Abruzzo. Marcello non ha dubbi: “Attività industriali che compromettono la qualità ambientale del territorio non sarebbero compatibili con le mie vigne…emigrerei giorno dopo. In Sud Africa, forse”. Il pulcino buontempone di Bade osserva preoccupato cosa si muove giù a valle. Una pecora di plastica dorata pascola ignara sul prato. Parole che germogliano, dicevamo. Le cantine Zaccagnini stanno perseguendo l’obiettivo dell’impatto ambientale zero: l’uso di prodotti chimici è ridotto al minimo, le acque di lavaggio sono depurate e riutilizzate per l’irrigazione, si fa raccolta differenziata e ci si prende cura anche di tutta la filiera del riciclo. Per bilanciare le emissioni di C02 del processo di fermentazione, è stato è piantato un bosco di querce, con tanto di ruscello che lo attraversa e di profumato sottobosco di mirtilli, per chiudere il cerchio di un habitat naturale. Marcello indica poi un edificio in costruzione a ridosso del vigneto. “È un mio sogno che prende forma”, ci spiega. Un magazzino, sul cui tetto una circonferenza di legno intersecherà un giardino pensile rettangolare. La rotonda sulla vigna sarà un luogo d’incontro e creatività, perché per il signor Marcello, come per il poeta Omar Khayam, “chi fa il vino crea amicizia”. Gli avvenimenti globali, pensò Joseph Beuys in un pomeriggio di primavera, sono legati alla mitologia individuale. Filippo Tronca B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) / MU11 IL GRUPPO INDUSTRIALE MACCAFERRI INVESTE NELLE FONTI RINNOVABILI IN ABRUZZO. PREVISTI INVESTIMENTI COMPLESSIVI PER OLTRE 350 MILIONI DI EURO CON UN’OCCUPAZIONE DIRETTA DI CIRCA 150 ADDETTI E INDIRETTA PER OLTRE 300 ADDETTI A Ortona arriva l’energia pulita: 274.000 Kwh di produzione su 3800 mq di superficie, un risparmio di oltre 100 tonnellate di CO2 l’anno e 1,2 milioni di euro di investimento. Sono questi i numeri del nuovo impianto fotovoltaico progettato dalla Società Enerray e realizzato sulla copertura dello stabilimento della Samp di Ortona. Lo stabilimento e l’impianto sono stati inaugurati mercoledì 27 febbraio. All’evento hanno partecipato il Governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, Gaetano Maccaferri Presidente del Gruppo Maccaferri, Antonio Maccaferri Presidente Samp Raimondo Cinti, Presidente Enerray e numerose autorità, sindacati e imprendori locali, tra i quali il Sindaco di Ortona Nicola Fratino il Presidente della Confindustria Abruzzo, Riccardo Marrollo e il Presidente di Confindustria di Chieti, Silvio Di Lorenzo. La conferenza di presentazione è stata chiusa con un intervento del Governatore che ha affermato “In Abruzzo abbiamo la fortuna di avere le componenti per produrre biomasse e quindi tutta l’energia di cui necessitiamo: sole, vento e boschi… e avere un’azienda come questa che si candida a essere protagonista di questa mediazione tra mercato e territorio è circostanza di grande rilievo”. In chiusura il taglio del nastro è stato affidato all’Assessore alle Attività Produttive della Regione Abruzzo, Valentina Bianchi. MU1 2 L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T CULTURA E IMPRESA L’impianto fotovoltaico abruzzese rientra tra i grandi investimenti che il Gruppo Industriale Maccaferri, del quale sia Enerray che Samp fanno parte, sta implementando nello sviluppo di un sistema energetico sostenibile a tutela del territorio e dell’ambiente. Attraverso le sue società operative, infatti, il Gruppo gestisce già due centrali elettriche a cogenerazione (Celano e Jesi), coordina il piano di riconversione degli stabilimenti saccariferi in centrali per la produzione di energia da biomasse e promuove nuove attività legate all’utilizzo di fonti rinnovabili e al settore della produzione di biocarburi. L’impianto fotovoltaico di Ortona sorge sui 3.800 mq di superficie del tetto del nuovo stabilimento di Samp, una nuova area di produzione che si somma alla superficie di 6000 mq già esistente. Un impegno importante per il Gruppo che si traduce in un investimento complessivo per la realizzazione dello stabilimento pari a 2,7 milioni di euro, più 1,2 milioni di euro per la realizzazione del sistema fotovoltaico installato sul tetto dell’edificio. Kwh ed evitare così l’emissione in atmosfera di oltre 100 tonnellate di CO2 l’anno. La progettazione del sistema fotovoltaico è stata realizzata da Enerray, una delle società operative di Seci Energia, subholding del Gruppo Maccaferri, nel rispetto delle esigenze ambientali e di risparmio energetico. Il Gruppo Maccaferri nell’intento di rafforzare e sviluppare il settore della produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili in Abruzzo, in coordinamento con la Regione e con il contributo di tutta la filiera istituzionale ha predisposto altri interventi industriali che prevedono investimenti complessivi per oltre 350 milioni di euro per le attività in essere; l’occupazione diretta per circa 150 addetti e indiretta per oltre 300 addetti. Un impianto che ha ricevuto la certificazione ambientale ISO 14001 sin dal 2001 e che è stato realizzato in conformità al decreto legislativo n. 192 del 19 agosto 2005, emesso in attuazione della direttiva comunitaria 2002/91/CE concernente il rendimento energetico nell’edilizia. Samp potrà contare, quindi su un sistema fotovoltaico che permetterà un risparmio energetico notevole: l’impianto è, infatti, in grado di soddisfare in un anno l’equivalente del consumo di energia elettrica di 100 famiglie con una produzione annua di circa 274.000 T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U / MU13 BIOARCHITETTURA COME CULTURA DEL VIVERE Borgo San Benedetto nel comune di Rosciano rappresenta l’applicazione pratica delle più avveniristiche idee progettuali nel campo della bioarchitettura abitativa. Un progetto ideato da una società emiliana ma fortemente voluto dal suo presidente, l’abruzzese Lorenzo Scipione, a cui abbiamo posto alcune domande. Borgo San Benedetto è il primo esempio di bioarchitettura abitativa in Abruzzo? Certamente la sensibilità sui temi della sostenibilità ambientale e della bioarchitettura è cresciuta notevolmente negli ultimi tempi e questo si è positivamente riversato sulle nuove iniziative immobiliari ed abitative anche in Abruzzo. A vario titolo, sia negli ambienti accademici che delle libere professioni, sia in ambito della pubblica amministrazione che in quello dell’associazionismo culturale, è stato fatto un gran lavoro per riportare al centro delle discussioni la possibilità di cultura abitativa rispettosa dell’ambiente ma al tempo stesso accattivante per l’uomo. Va registrato tuttavia, anche in Abruzzo, come il dibattito sulla bioarchitettura venga fuori in sordina dalle sale dei convegni e delle tavole rotonde e ha mantenuto per la stragrande maggioranza delle persone quel livello aulico di discussione e quella distanza che da un’immagine della bioarchitettura come bella da pensare e desiderare ma impossibile da raggiungere, se non a costi decisamente proibitivi. Quello che sovente viene sviluppato è l’adozione di principi e aspetti di questo settore o di bioedilizia molto particolari, se non marginali, senza tenere nel giusto conto un progetto che possa essere ambientalmente sostenibile nel suo complesso. Borgo San Benedetto è certamente uno dei primi interventi di bioarchitettura tra i più completi in Abruzzo. La pubblica amministrazione in generale, dai livelli comunali a quelli più elevati, sta decisamente facendo la sua parte e questo è un dato molto confortante. MU1 4 Il progetto quali criteri costruttivi segue e quindi attua? Come si diceva poco fa, il progetto di Borgo San Benedetto ha potuto contare sulla lungimiranza e sulla sensibilità ambientale della amministrazione comunale di Rosciano. La individuazione del territorio e del sito in cui sviluppare il Borgo è stato il primo punto progettuale: verifica ed assenza di elementi inquinanti di tipo elettromagnetico, acustico ed ambientale. Anche mediante valutazioni di Feng-Shui, ci siamo resi conto dell’alto valore naturale del sito per intervento edilizio finalizzato alle residenzialità. Passando poi alla progettazione urbanistica, è stato dato ampio risalto alla allocazione degli spazi comuni che permettessero la più elevata vivibilità di tali spazi. È così che il team di progetto ha deciso di collocare nella zona centrale del Borgo una vasta area a verde pubblico, disaccoppiandola dalla viabilità automobilistica che invece è posta nella parte circostante dell’abitato, per consentirne una reale usufruibilità, per favorire la socialità tra i residenti, ottimizzando gli elementi di sicurezza intrinseca del Borgo. Allo stesso modo, proprio per aumentare al massimo il livello di vivibilità e, ad esempio, per incrementare il più possibile il diritto al sole per tutte le unità abitative, si è ritenuto di non utilizzare tutta la volumetria edificatoria a disposizione, distribuendola quindi su una superficie molto ampia. Il discorso energetico assume una importanza rilevante in qualunque applicazione di bioarchitettura. In Borgo D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A ( P I A Z Z A CULTURA E IMPRESA San Benedetto abbiamo investito molte energie progettuali, quasi per gioco di parole, nel risparmio energetico e nella efficienza produttiva. Da un lato ci siamo concentrati nella progettazione costruttiva onde ottenere abitazioni in classe A per ottenere elevatissimi risparmi energetici intrinseci nei mesi invernali e abitazioni con elevato ritardo termico per avere una elevata protezione dal caldo estivo, unitamente al comfort abitativo mediante il controllo della qualità e dell’umidità dell’aria. Dall’altro abbiamo previsto una produzione energetica centralizzata mediante un trigeneratore che fornisce all’intero Borgo energia termica, energia frigorifera, energia elettrica, mediante reti di teleriscaldamento, di teleraffrescamento ed elettrica. La tecnologia cogenerativa e l’utilizzo esclusivo di fonte energetica rinnovabile da biomassa portano il nostro progetto energetico a livelli molto elevati di sostenibilità ambientale. Non meno importante è la scelta effettuata dal gruppo di progetto di Borgo San Benedetto di utilizzare materiali naturali e locali, sia per le urbanizzazioni sia le abitazioni private. Allo stesso modo la valorizzazione e la riproposizione delle essenze vegetali, degli arbusti e del verde autoctono risultano elementi imprescindibili, anche per la corretta frescura da apportare agli edifici e all’intero Borgo. L’implementazione di impianti per il recupero delle acque piovane per usi compatibili e per il controllo dell’acqua potabile finalizzato alla riduzione del consumo, la minimizzazione dell’inquinamento acustico interno mediante tecnologie costruttive in legno-cemento, la minimizzazione dell’inquinamento elettromagnetico all’interno delle abitazioni sono altri elementi progettuali interessanti per un opera che pone l’uomo al centro della sua visione. In Borgo San Benedetto si è cercato di fare di tutto per proporre soluzioni sostenibili per l’ambiente e compatibili con l’uomo. Che poi altro non è che la bioarchitettura. Alla base dell’idea progettuale, ci sembra di capire, c’è il benessere per l’uomo nel pieno rispetto dell’ambiente … Ancor prima del benessere per l’uomo, alla base dell’idea progettuale abbiamo posto l’uomo, la sua antropologia, quello che desidera, quello di cui ha bisogno. Lo abbiamo fatto seguendo la nostra centenaria esperienza nel settore delle costruzioni residenziali, lo abbiamo fatto intervistando e cercando di comprendere cosa sta più a cuore nelle persone e nelle famiglie, lo abbiamo fatto cercando di rispondere il più onestamente possibile alla semplice provocazione: se fossimo noi ad abitare a Borgo San Benedetto, cosa vorremmo trovare? Per noi e per le nostre famiglie vorremmo abitare in un luogo sano, bello, sicuro, comodo, economico, immersi nel verde, in un ambiente non contaminato, con servizi sportivi, commerciali a disposizione, godere della migliore tecnologia informatica, vicino alle città e al posto di lavoro con collegamenti stradali ottimi. Vorremmo tutto questo per noi. Con Borgo San Benedetto pensiamo di confondere i nostri clienti con noi stessi e quindi di offrire loro quello che desiderano. Condizione indispensabile perché ciò avvenga è il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente. Senza rispetto non ci può essere benessere per l’uomo perché sarebbe tutto molto parziale e provvisorio. Ma affinché ciò accada c’è necessità di proporre un progetto che tenga nel conto la totalità dei fattori umani, costruttivi ed ambientali. Insomma bisogna impegnarsi a fondo. In che modo questo progetto s’inserisce nell’ambiente circostante…come diventa cioè “del suo” ambiente e “non sul suo” ambiente parafrasando Frank Lloyd Wright ? Prima di qualsiasi intervento bisogna aprire gli occhi e osservare la realtà e l’ambiente circostante. Abbiamo individuato il sito di Borgo San Benedetto per la dolcezza della collina di quella zona d’Abruzzo, molto vicina alle grandi città e al mare e allo stesso tempo ad un tiro di schioppo dalla montagna. Una zona espressione di gente semplice, sincera ed operosa, a partire dalla tradizione benedettina millenaria che la individuò come un’oasi per la coltivazione di ampi uliveti. Di qui la frazione di “Villa Oliveti” nel comune di Rosciano. Nella progettazione architettonica di Borgo San Benedetto gli aggettivi che abbiamo cercato di declinare sono proprio quelli della dolcezza, della semplicità e della sincerità. L’utilizzo ad esempio di colori tenui e coordinati con gli insediamenti esistenti oppure la riproposizione estetica di scale esterne come avviene nella tradizione costruttiva locale, l’utilizzo della pietra della Majella o del mattoncino a listello sono solo alcuni esempi che vogliono proprio dimostrare l’appartenenza del Borgo all’ambiente circostante e non l’imposizione di un proprio schema progettuale. Il vostro slogan è Costruire a misura d’uomo, seguire questo principio può significare anche fare qualche rinuncia alla tutela e al rispetto ambientale? Non vi è alcuna necessità di fare rinunce alla tutela e al rispetto ambientale. Se non si tutela l’ambiente, non si può costruire a misura d’uomo. Possiamo dire che, sotto un’altra angolatura, Borgo San Benedetto è il risultato di un approccio progettuale focalizzato sulla triade “tradizione-innovazione-bellezza”. L’innovazione costruttiva e tecnologica inserita nella tradizione che ci consegna il frutto positivo del lavoro dei nostri predecessori, con la coda dell’occhio alla Bellezza che poi è la cosa che più ci affascina ed attrae, non inducono ad alcuna rinuncia in nessun ambito, ma solamente ad andare avanti e a migliorare quello che abbiamo fatto fino ad oggi. Sul fronte della bioarchitettura si è detto e scritto molto, ma poco almeno in Italia si è fatto. Il vostro progetto potrebbe rappresentare un’applicazione all’avanguardia di tanta teoria? È molto verosimile affermare che il progetto Borgo San Benedetto rappresenti l’avanguardia per l’ampiezza delle soluzioni di bioarchitettura. La proposta di valore infatti cerca di tenere in considerazione tutti gli aspetti costruttivi e realizzativi per ottenere un prodotto finito completo e convincente. La bioarchitettura potrebbe significare un ritorno al passato? Non è pensabile che la bioarchitettura possa significare un ritorno al passato. È vero forse il contrario: è un paradigma progettuale-costruttivo che, basandosi sulla tradizione, stimola il miglioramento e l’innovazione. Che, in altre parole, significa guardare al futuro. info: Borgo San Benedetto, c/o Villa Oliveti, Viale Littorio 1, Rosciano (PE) www.bsbenedetto.it - numero verde 800-901111 B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , 1 7 ) / MU15 L’ARTISTA On-Day, 2007, Video+Audio, 7’19”, Courtesy: Warehouse Contemporary Art Color N°07, 2006, 30 x 40 cm, Lambda Print on Di-Bond, Courtesy: Warehouse Contemporary Art TU M’ Conosciuti più all’estero che in casa, il misterioso duo Tu M’ inaugura il centro per l’arte contemporanea Warehouse di Teramo con la loro prima personale italiana. Partiamo subito dal primo dei misteri, il nome. Cosa significa? Molto semplicemente, il nome viene dall’ultima opera pittorica di Marcel Duchamp dal titolo enigmatico TU M’. Dove l’apostrofo lascia presagire l’inserimento di un qualsivoglia vocabolo, lasciando aperta ogni possibilità di senso. In TU M’ Duchamp fà opera di autocitazionismo, una sorta di campionamento ante-litteram, dei suoi precedenti lavori messi su un’unica tela. Un po’ come nel nostro lavoro. Quale è stato il vostro percorso artistico, e direi di amicizia, che vi ha portato a formare MU1 6 un gruppo e ad occuparvi d’arte? Giorno dopo giorno siamo sempre più sorpresi dal fatto che è il tempo a suggerirci le cose senza il bisogno di spiegarsi prima. È sorprendente vedere come il nostro lavoro nasca attraverso due vite parallele che il tempo porta a concretizzare in suoni ed immagini. Non si tratta di un procedimento astratto, ma è la natura stessa, ed il suo tempo interiore a trainare le nostre sensazioni in immagini e sonorità, in un processo assolutamente emozionale. È l’emozionalità che ci porta avanti, nient’altro. Molti artisti, come Ettore Spalletti a Cappelle sul Tavo, rimangono legati alla propria terra. Quanto è importante per voi il legame con il territorio? Il legame con il territorio è importante nella misura in cui è il territorio a suggerirci qualcosa. È un vedere attraverso il territorio, un cercare un’altro territorio nel territorio. Una corruzione visiva del territorio, il re-immaginare il territorio in un sogno lucido. Tutto questo potrebbe essere un legame o solo un’illusione. La logica del territorio è solo un dubbio, più che vederlo lo sentiamo. La vostra ricerca è in parte legata alla restituzione digitale della luce naturale. Che tipo di luce c’è in Abruzzo e quale nelle vostre opere? Ci poniamo davanti alla luce come una forma di trasmissione e di svelamenti possibili. La luce è un termometro emotivo che non crea un linguaggio, ma una sensibilità segreta dello sguardo, che si rifrange in un luogo possibile e che crea memoria. In realtà nel nostro lavoro la luce non la si vede ma la si ricorda. Come procedete nell’associare suono ad immagini? Da tempo la nostra massima soddisfazione sta nel ricreare quello che di più irrivelabile c’è nell’essenza del quotidiano, che sia suono, che sia figurazione sono facce della stessa medaglia. Quando concepiamo un suono è come se lo stessimo vedendo, ci piace pensare ad una forza immaginifica del suono e di conseguenza ad una immagine fortemente sonica. Nei nostri video avviene proprio questo, il suono reagisce nel colore, respirando, ed il respiro si trasforma in movimento. L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I A T MUSEO E TERRITORIO L’idea di una “vettura” a due ruote Corradino D’Ascanio e, in alto: 1951-1952, Pontedera, PD4 sul campo di volo degli stabilimenti Piaggio FACCIAMO UN GIRO IN VESPA? Andiamo a Popoli nota per le sue gole, che nella storia le hanno riservato un’importanza strategica quale punto di passaggio obbligato per chi volesse raggiungere la costa. La posizione centrale rispetto alle valli del Pescara, dell’Aterno e del Sagittario gli è valso il titolo di ”Chiave dei Tre Abruzzi” in quanto il possessore delle “Gole di Tremonti” poteva, a suo piacimento o secondo la sua forza, bloccare o sbloccare le uniche due arterie viarie che mettevano in comunicazione l’Adriatico col Tirreno attraverso le tre province abruzzesi. Popoli offre anche un turismo termale accolto nelle moderne strutture dello stabilimento recentemente restaurato, e numerose riserve naturali come quella delle Sorgenti del Pescara e quella di Monte Rotondo. L’antico borgo dominato dai ruderi del castello medievale è il luogo di origine dell’ingegner Corradino D’Ascanio, pioniere dell’aeronautica e papà della Vespa. Dopo la laurea di Ingegneria presso il Politecnico di Torino nel 1914, colleziona esperienze e brevetti anche durante il periodo bellico come ufficiale del Battaglione Aviatori a Torino. In questo periodo installa la prima radio trasmittente su un velivolo italiano, viene poi invitato in Francia per la scelta di un motore d’aviazione da riprodursi in Italia. Dalla metà degli anni ’20 si dedica allo studio di un apparecchio capace di sollevarsi verticalmente, in grado di superare tutti i problemi degli esemplari che lo avevano preceduto. Per realizzare il suo sogno trova un finanziatore in Pietro Trojani, barone illuminato, con il quale fonda nel 1925 una Società a cui l’Aeronautica Militare commissiona un elicottero. Segue l’esperienza di progettazione su velivoli militari in America, e nel 1934 entra nella Piaggio, la grande fabbrica aeronautica che costruiva i motori d’aereo detentori di record d’altezza ed i famosi quadrimotori da bombardamento. Armamenti con brevetti che avevano portato l’impresa italiana al primo posto, tuttavia nello stabilimento di Pontedera, la produzione era cessata prima della fine del secondo conflitto mondiale in quanto le truppe tedesche, in ritirata, avevano trasportato macchinari, attrezzature e centro studi a Biella distruggendo quello che era rimasto della fabbrica e degli impianti in Toscana. Nel 1945, conclusa la guerra, Enrico Piaggio, si trova di fronte alla pesante eredità di un grande complesso industriale da ricostruire. In quel contesto, non certo felice per l’economia nazionale, l’imprenditore ligure sente la responsabilità sociale di restituire vigore alla rinascita di una piccola città con un’intuizione geniale che avrebbe cambiato il futuro di molte generazioni. Avvenuta la liberazione del nord, i tecnici e gli ingegneri di primo ordine della Società, fra questi l’ing. Corradino D’Ascanio, progettista dell’elica a passo variabile, fu subito incaricato dal dott. Piaggio, d’iniziare lo studio quindi il progetto di un veicolo a due ruote, che corrispondesse alle esigenze dell’epoca. In un paese che mancava delle strade la disorganizzazione delle linee ferroviarie, l’enorme carenza di mezzi di trasporto e tutti gli altri mezzi di locomozione, il bisogno di riallacciare comunicazioni e quindi riprendere i contatti per la ripresa del lavoro, del commercio, dello scambio, mettevano in condizioni un gran numero di persone di poter disporre di un veicolo che fosse di pratico impiego e avesse un costo limitato di esercizio e di consumo. D’Ascanio come progettista e buon conoscitore d’aerei intendeva la moto nella sua rappresentazione sportiva velocistica e non aveva mai approfondito la questione dal punto di vista di progettazione e costruzione. Aveva comunque osservato la motocicletta con i difetti che l’avevano tenuta lontana dalle esigenze di massa. Quindi, staccato da un approccio tradizionale, considera il problema da una diversa angolazione e seguendo criteri personali arriva a concepire un mezzo nuovo, adatto ad una persona che non era mai andata in motocicletta. Una memoria di D’Ascanio ricorda che spesso viaggiando in auto aveva visto i motociclisti fermi ai margini della strada alle prese con camere d’aria bucate. Ecco quindi la possibilità di poter dotare il nuovo mezzo di una ruota di scorta come l’automobile, così da non costituire problemi. Allo stesso modo pensa ad un accesso agevole, che abbia una razionale e confortevole posizione di seduta, comoda “per le donne e per i preti” come dice lui stesso. Insomma la filosofia della Vespa è un concentrato di buon senso, praticità, economicità e genialità che ha portato alla creazione di un mezzo agile con la percezione di quello che doveva diventare in futuro il traffico della città. Tutto questo a cavallo tra il 1945 ed il 1946 con le difficoltà di costruzione ed il problema di entrare in produzione in quel periodo con un progetto completamente inedito. Così nell’aprile 1946 dopo il sì al prototipo da parte del dott. Enrico Piaggio, che aveva compreso con estrema lungimiranza le doti della vettura, la prima Vespa esce dagli stabilimenti di Pontedera che ritornano quindi a produrre. Il Museo “Corradino D’Ascanio di Popoli è un luogo che racconta una grande storia. Inaugurato nel 2002, nei suoi spazi espositivi sono visibili i risultati della genialità di Corradino D’Ascanio, le sue doti di eccellenza nella creatività, nella competenza tecnologica, nell’esaltazione della capacità imprenditoriale. Jessika Romano info MUSEO CORRADINO D’ASCANIO c/o Biblioteca e Mediateca Comunale - Salita A. Di Cocco, 10 - 65026 Popoli (Pe) orari: dal lunedì al venerdì 10.00-13.00 / 15.30-19.00 Tel. 085 9870511 - [email protected] Che bel nome, ha la Vespa! Come sia nato, esattamente non si sa. Dice la storia che in fase di progettazione quello che sarebbe diventato il più famoso scooter del mondo fu chiamato Paperino. Ma vuole la leggenda aziendale che quando Enrico Piaggio vide il modello definitivo, che Corradino D’Ascanio gli mostrò dopo averne effettuato le modifiche desiderate dal padrone esclamò: “Bello, sembra una vespa”. E Vespa fu. Certo, mai nome fu più adatto ad un oggetto. La vespa,.infatti,è un insetto simpatico: individualista, indipendente, amante della natura, anche se pericoloso e improduttivo (visto che non fa il miele). Omar Calabrese da Vespa 60 anni di comunicazione - Editrice Compositori, Bologna 2006 UNA DOMENICA AL VOLO Museo con il nuovo allestimento aperto per i lettori di MU6 il 25/05/08 ore 16 per visita guidata T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U / MU17 Sulcanese Dalla luce della materia alla materia della luce saggio critico: Gabriele Simongini Teramo, Banca di Teramo BCC, Sala Carino Gambacorta 10 aprile - 10 maggio 2008 ore 10 - 13 / 16 - 19 chiuso domenica e lunedì Roma, Museo Venanzo Crocetti 26 maggio - 25 giugno 2008 ore 11 - 18 / chiuso martedì e mercoledì Enti promotori: Fondazione Venanzo Crocetti | Banca di Teramo Patrocinio: Regione Abruzzo / Presidenza | Comune di Teramo BCC MUSEO E TERRITORIO ZIRÌ - ZIRÌ IL MUSEO DEL MAIALE A CARPINETO SINELLO Il protagonista dell’economia rurale abruzzese ha dovuto aspettare a lungo prima che qualcuno gli riconoscesse ufficialmente il ruolo di primo piano che gli spetta. Nasce finalmente a Carpineto Sinello il museo del maiale, animale che fin dal neolitico ha garantito la sopravvivenza del genere umano, sacrificandosi annualmente in una sorta di spartizione rituale. Strano destino il suo che, pur conservando nel nome la testimonianza dell’antica sacralità (maiale deriverebbe da Maya, dea romana annunciatrice della primavera), continua ad essere usato come termine di paragone per indicare persone sudice e immonde. La complessità evocativa e l’ambiguità che lo caratterizzano, interessano diversi ambiti di studio, dall’universo mitico alla scienza antica, dal rapporto tra cultura e natura al sapere tradizionale; quest’ultimo aspetto è privilegiato dal museo di Carpineto Sinello, paese in cui gli uomini sono professionisti della lavorazione di carne suina tanto che la ‘ventricina’ dei suoi produttori è considerata da noti gastronomi una assoluta specialità. Riscattato da secoli di banalizzazione e dissacrazione della sua immagine, il maiale diventa il principe di un percorso culturale che si dipana nelle antiche sale del palazzo baronale del paese. Alcuni ambienti in particolare ricordano i fondaci delle case contadine, per i prodotti che scendono dal soffitto e l’esposizione di antichi reperti che occorrevano per la mattanza. Se è vero, come scrive George Orwell, che la più grande sciagura per il maiale fu quella di imbattersi nell’uomo, è anche vero che la grande fortuna dell’uomo è stata quella di imbattersi nel maiale, del quale, è risaputo, non si butta via niente. Questo concetto deve appartenere all’umanità da migliaia di anni e possiamo applicarlo agli uomini preistorici, che ne utilizzavano le mandibole come falcetti per cereali, e agli allevatori a noi più vicini, che ne recuperavano le setole per costruire pennelli e le ossa triturate per preparare il sapone. Risorsa inesauribile, la sua uccisione ancora oggi costituisce un momento di grande festa attorno alla quale si svolgono azioni rituali legate al primitivo senso di precarietà umana che trovava nelle carne di maiale (conservabile per molto tempo senza i moderni congelatori!) un punto di sicurezza per la propria sussistenza. Un’usanza molto interessante legata a questo rito impedisce la partecipazione alla mattanza della padrona di casa. Questo arcaico divieto, diversamente interpretato dagli antropologi, riflette comunque lo stato d’animo della donna che aveva stabilito un rapporto affettivo col maiale, la cui sensibilità quasi umana, confermata dai più recenti studi, non le era certo sfuggita. Impossibile dunque assistere alla crudele uccisione di quell’essere inoffensivo, morbido e rosa, dagli occhietti cerulei e il codino a cavatappi, che per un anno intero era accorso senza riserve al dolce richiamo dialettale: zirì -zirì! Annunziata Taraschi, etnografa info MUSEO DEL MAIALE www.museodelmaiale.com Carpineto Sinello, provincia di Chieti Per informazioni telefonare in municipio: 0872.869135 Inaugurazione: 2 febbraio 2008 Responsabile: Andrea Zoppis Apertura: dal lunedì alla domenica 9.00-12.00, il sabato anche il pomeriggio 15.00-18.00 Ingresso gratuito (compresi assaggi di specialità suine) Iniziative: Collaborazione con l’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara per il coinvolgimento attivo di studenti interessati all’argomento. D O V E T R O VA R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / C H I E T I , L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 ) / N U O VA L I B R E R I A MU19 I MUSEI AMICI DI LIBRO D’ARABESCHI disegni ritrovati di un collezionista del ‘600 PALAZZO FONTANA DI TREVI Roma, via Poli, 54 1 aprile – 15 giugno ingresso gratuito www.grafica.arti.beniculturali.it MUSEO Palazzo Sanguinetti Strada Maggiore, 34 - 40125 Bologna tel. +39 051 2757711 fax +39 051 2757728 [email protected] ORARI MUSEO da martedì a giovedì ore 10.00 - 13.30 da venerdì a domenica ore 10.00 - 17.00 BIBLIOTECA Piazza Rossini, 2 - 40126 Bologna tel. e fax +39 051 221117 [email protected] ORARI BIBLIOTECA dal lunedì al venerdì: ore 9.00 - 13.00 mercoledì: ore 9.00 - 13.00 e 14.00 - 17.00 ESPERIENZE E MUSEI a cura di Germana Galli CRESCERE È UN’IMPRESA Il Museo delle Genti d’Abruzzo che tu, Ermanno De Pompeis, dirigi, è certamente molto conosciuto, ma penso che, a oltre vent’anni dalla sua nascita, sia anche giusto fare un riepilogo della strada compiuta. In realtà di strada ne è stata fatta parecchia da quel lontano maggio 1973 quando le due associazioni di volontariato cittadino, Archeoclub ed Associazione per lo Studio delle Tradizioni Popolari Abruzzesi, inaugurarono il primo nucleo del Museo delle Tradizioni Popolari Abruzzesi e la Mostra Archeologica Didattica allestite nei fondaci di Casa d’Annunzio con i materiali raccolti in anni di ricerca e recupero sul territorio. Nel 1982 le collezioni, ulteriormente incrementate, vengono donate al Comune di Pescara per costituire un’unica istituzione espositiva presso i locali delle Caserme Borboniche, sottratte al crollo e ad un progetto di sventramento del residuo quartiere antico di Pescara e recuperate per costituire il Museo delle Genti d’Abruzzo. Il 16 giugno del 1991 si inaugurano le prime otto sale espositive. Nato come un museo tradizionale, mosso dall’urgenza di conservare oggetti appartenenti ad un mondo agropastorale dalle radici millenarie, ma in via di rapida estinzione, e basato essenzialmente su un’impianto museografico descrittivo centrato sui reperti, la nuova esposizione illustra in chiave antropologica i caratteri essenziali dell’identità abruzzese. Dal confronto fra la raccolta archeologica e quella etnografica emergono sorprendenti caratteri di persistenza culturale come risposta adattiva ad un ambiente prevalentemente montano. Di conseguenza, i materiali archeologici ed etnografici vengono organizzati in un ‘percorso unitario’ che consenta di cogliere i caratteri peculiari delle genti d’Abruzzo, mentre gli oggetti vengono presentati non come documenti dei rispettivi contesti di provenienza ma come elementi di un ‘discorso’ unitario fondato, appunto, sulle perduranza di pratiche economiche, ideologiche, religiose, artistiche, comportamentali, tramandatesi nei millenni pressoché immutate. Dunque, un ‘originalissimo ‘museo-discorso’ in cui emerge chiaramente la tesi scientifica del suo fondatore, Claudio ‘Leno’ de Pompeis, e del gruppo ristretto di professionisti che lo hanno affiancato; teoria presentata e documentata attraverso lo strumento espositivo ed un consistente apparato didascalico su più livelli di lettura. Quali sono le istituzioni che vi hanno maggiormente sostenuto non solo economicamente? Sicuramente il Comune di Pescara ha avuto un ruolo determinante nell’affiancare e sostenere le due associazioni di volontariato che hanno promosso ed inizialmente costituito il Museo, trasformandolo in un’istituzione di primo piano nel panorama dei musei etnoantropologici non solo regionali. Tuttavia, questa collaborazione fra pubblico e privato, che era stata alla base del lungo lavoro di creazione del museo, entrò in crisi una volta inaugurata nella sua prima parte la struttura ed entrata, questa, nell’orbita dell’ordinaria gestione burocratica dell’ente. Determinante fu nel 1998 il contributo della Fondazione Pietro Barberini, a cui si aggiunse poi quello dell’Associazione per le Scienze Mediche Leonardo Petruzzi che, insieme, parteciparono alla costituzione della Fondazione Genti d’Abruzzo, per raccogliere e rilanciare l’eredità storica del Museo, portandone a compimento allestimenti, progetti e finalità. Questo strumento giuridico gestionale, a carattere privatistico ma di interesse pubblico, permise la piena autonomia funzionale dalla Pubblica Amministrazione, ma anche un controllo ed un potere di indirizzo da parte di quest’ultima mediante la partecipazione maggioritaria dei consiglieri nominati nel CdA, insieme ad una rappresentanza qualificata di privati fondatori. Nel 2003, dopo trent’anni di impegno, viene completato l’allestimento del Museo con l’apertura di ulteriori sette sale espositive e con l’edificazione della nuova ala dell’edificio destinata ai servizi aggiuntivi. So che avete attivato nuovi servizi al pubblico rendendo la vostra istituzione culturale un’impresa in tutti i sensi. Si, da ormai 10 anni è attivo il Centro Didattico del Museo che, avvalendosi di personale qualificato e di esperienza, con 4 aule ed una sala multimediale, organizza visite tematiche, corsi e laboratori non solo per le scuole ma anche per le famiglie nei mesi estivi e le domeniche. Da quest’anno, poi, è possibile festeggiare il proprio compleanno al museo, con percorsi-gioco o di esplorazione nelle sale espositive e attività ludico-formative nei laboratori attraverso la manipolazione e la partecipazione diretta alla costruzione di oggetti legati alle tematiche museali. Il successo di quest’iniziativa è andato, sinceramente, oltre le nostre aspettative ed ha portato numerosi bambini ad esplorare ed a vivere il museo in maniera creativa e divertente. Ma è dal 2003 che il Museo è in costante crescita di utenti per l’apertura di nuovi spazi e servizi, resi disponibili grazie al mecenatismo di alcuni imprenditori privati come Pietro Barberini, che ha voluto lasciare alla Fondazione del Museo i soldi necessari alla realizzazione di un Caffè Letterario, dove vengono ospitate gratuitamente presentazioni di libri e letture pubbliche, incontri culturali e riunioni di associazioni, piccoli concerti ed altre attività. Così come la famiglia Petruzzi ha voluto ricordare la figura di Lorenzo, medico fondatore della casa di Cura Villa Serena, dedicando alla sua memoria la realizzazione di un magnifico auditorium da 140 posti, che ospita convegni, conferenze e concerti. Queste opere, insieme ai grandi saloni per mostre ed eventi che il Comune di Pescara ha potuto nel frattempo completare, rappresentano un nuovo polo di attrazione per le molte rilevanti iniziative socio-culturali della città. Oggi il Museo, situato nel cuore della città vecchia ma lontano dal centro commerciale e dalla parte più viva di Pescara, ha riconquistato una centralità ed una visibilità che prima non aveva, moltiplicando le occasioni per una visita alle sue sale e diventando il luogo di incontro e di socialità preferito da quanti operano con impegno per la crescita del territorio. Per facilitare questa nuova funzione “allargata” di museo, quale moderno centro culturale e di servizi polivalente, abbiamo dovuto costituire una Società di Capitali, la Genti d’Abruzzo S.r.l., che affianca la Fondazione occupandosi di tutte le attività di servizio a carattere commerciale. Fra queste anche il rinnovato negozio del museo che, oltre a pubblicazioni e gadget, ha da poco attivato anche la vendita di prodotti tipici del territorio, insieme ad una selezione di prodotti dell’artigianato tradizionale, puntando ad offrire ai visitatori una vetrina di alcune delle caratteristiche attrattive della nostra regione. Voi siete ubicati nel cuore vecchio della città di Pescara dove la presenza del mare si fa lontana. In che misura, nel museo delle genti, è espressa la duplice natura, montana e marina, dell’Abruzzo Per rispondere con Silone: ”Il destino degli uomini nella regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo è stato deciso principalmente dalle montagne.” Un territorio per il 75% montano, secondo la stessa filosofia costituiva del museo, non può non aver condizionato il destino delle nostre comunità, caratterizzandone comportamenti, forme economiche e sociali anche oltre ogni pratica utilità. La stessa natura della costa, priva di grandi insenature naturali, oltre i semplici approdi, non ha favorito lo sviluppo di una significativa cultura marinara e commerciale propria, anche se un piccola flottiglia peschereccia ha caratterizzato alcuni tratti di costa, con delle comunità ben distinte da quelle agropastorali che varrebbe la pena indagare. Tuttavia la scelta di ubicare il museo a Pescara, località marinara e fluviale, non è stata casuale od occasionale. Pescara “porta Aprutii et sera regni” ha una posizione geografica strategica. Un visitatore che provenga da fuori, attraverso il porto, l’aeroporto, gli incroci ferroviari e autostradali, può facilmente penetrare nel cuore della regione attraverso la valle del Pescara. Per questo il museo, oltre che fornire una chiave di lettura per comprendere le matrici e le specificità delle nostre popolazioni abruzzesi, offre al visitatore continui rimandi al territorio, con appositi cartelli che delineano itinerari tematici verso musei e località. Ai cartelli si aggiungono 6 postazioni con altrettanti programmi multimediali interattivi che, approfondendo i vari temi del museo, illustrano anche le località dove si trovano castelli, aree archeologiche, musei, abbazie, o centri di produzione dell’artigianato. A questi strumenti si associa la recente Galleria del Territorio, con grandi e suggestive immagini della nostra regione lungo il corridoio di accesso del museo. ( P I A Z Z A B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / L ' A Q U I L A , C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A A N D R E A B A F I L E , MU21 MUSEONUOVOLETTEREINBREVECONVEGNO MOSTRE LIBRI ATTIVITÀ ATTIVITÀ UN MONDO A COLORI TEATE, IL DISEGNO DI UNA CITTÀ LE GITE DEGLI AMICI DEI MUSEI La Fondazione Carichieti ha sostenuto un complesso e articolato progetto di rilevamento sviluppato sul centro storico della città di Chieti realizzato dal Dip. Di Storia dell’Architettura, Restauro e Rappresentazione della facoltà di Architettura, Il Dip. Di Scienze dell’Antichità della facoltà di Lettere dell’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo. Il programma di rilievo integrato, coordinato dal Prof. Carlo Mezzetti, ha affrontato tre aspetti fondamentali a partire dagli archivi cartografici, fotografici e graficobibliografici, al rilievo tridimensionale dell’intera città e la morfologia delle emergenze archeologiche e architettoniche. L’obiettivo primario della ricerca è stato la restituzione digitale spazio volumetrica dell’impianto urbano che consente una lettura puntuale degli isolati, dei percorsi, delle piazze, dell’articolazione dei volumi storici in relazione al proprio contesto. D’altronde “la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee del palmo di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre … ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, virgole”. Era un gruppo ben assortito quello che si è composto a Sulmona il 10 febbraio, appuntamento annunciato nel numero scorso di MU6. La prima meta è stata un poco faticosa da raggiungere: l’eremo di Celestino del monte Morrone . La grotta, profonda e pacifica trasmette una suggestione spirituale. Sulle pendici della montagna, nelle immediate vicinanze del sentiero che scende dall’eremo, abbiamo fatto sosta, il tempo lo permetteva, sui terrazzi del santuario di Ercole Curino. Portici, scalinate monumentali, decorazione pittorica parietale, mosaico di tradizione ellenistica testimoniano, ancora, l’evoluzione sociale e culturale di Sulmona. Il panorama straordinario, stava sfumando alle ultime colorate luci del tramonto. Fortunatamente il museo di Storia Naturale ha sede nel centro di Sulmona a Palazzo Sardi e la recente ristrutturazione ci ha concesso un gradito tepore e conforto. Eravamo attesi dal responsabile scientifico, Catia Di Nisio e da una magnifica cioccolata calda sorseggiata nella sala audiovisivi adatta anche a convegni. È seguita la visita guidata dove si è scoperto quanto poco sappiamo del mondo che ci circonda: tutti gli insetti godono di poca considerazione per cui forse ci sentiamo giustificati a non conoscerli, tanto più i minerali che non si muovono e non sono sensibili sono ancor meno conosciuti salvo quelli che brillano all’anulare! !! Abbiamo scherzato sulla nostra ignoranza invidiando un poco la competenza e l’entusiasmo che la dottoressa Di Nisio dimostrava nell’esposizione. Un museo moderno, molto ben organizzato, ideale per la didattica. Un ringraziamento alla curatrice e alla Comunità Montana che lo gestisce. XIII CONGRESSO INTERNAZIONALE AMICI DEI MUSEI GINO MAROTTA IN MOSTRA Trasparente / Apparente è il titolo di una mostra che a Roma ha reso omaggio al percorso artistico del maestro molisano Gino Marotta. La sua ricerca prende l’avvio nel 1957 quando, contemporaneamente a Alberto Burri, inizia a interrogarsi sulle questioni dell’Informale e sulle possibilità della materia, adoperando stagno e piombo su tutti. Dopo un’incursione nell’universo industriale utilizzando acciaio, alluminio e ottone, Marotta, che è stato direttore dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, approda al linguaggio ancora oggi caratteristico della sua ricerca. A metà degli anni ’60 vengono esposte a Milano le sue sculture in metacrilato: alberi, fiori,animali coloratissimi e favolosi in una sorta di grande paesaggio artificiale. Al principio degli anni ’80 Marotta, come molti altri, riprende il pennello salvo tornare poi, nel corso della metà del decennio successivo, al metacrilato. Dopo la pittura a olio insomma, Marotta torna a riflettere sull’idea di fondo del suo fare arte: il rapporto tra il mondo tecnologico-artificiale e la conservazione della natura. Appartengono a questa fase lavori che non sono più sculture ma vere e proprie pitture, nelle quali si sovrappongono sagome ritagliate, fatte per una visione frontale. Il percorso di Giano Marotta si è nutrito anche di esperienze significative nel campo del design e dell’architettura: suo il soffitto del Palazzo RAI di viale Mazzini o la vetrata del Centro Congressi di Bergamo. La mostra, articolata nelle tre sedi della galleria La Nuvola, ha testimoniato dunque, la complessità di un cammino artistico lungo e ricchissimo, portato avanti da Marotta con la coerenza di chi sa ancora provare, e far provare, stupore e meraviglia. L’evento è stato anche l’occasione per presentare una preziosa monografia sull’artista realizzata da Maurizio Calvesi, curatore dell’esposizione. info: L’intero corpus grafico è pubblicato nell’Atlante “Teate, il disegno di una città” a cura di Carlo Mezzetti, Kappa editore, presentato il 04 Aprile presso il Teatro Marrucino di Chieti. - [email protected] MOSTRE Antonella Muzi catalogo: Maurizio Calvesi, Gino Marotta Trasparente – Apparente, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008 www.gallerialanuvola.it GERUSALEMME XIII congresso Internazionale dell’Associazione Amici dei Musei Gerusalemme 21-26 settembre 2008 Il Museo d’Israele, noto come il Museo del Libro dove sono esposti i rotoli del Mar morto, ospiterà il XIII congresso Internazionale dell’Associazione Amici dei Musei. Una sede molto speciale che attrae pellegrini e visitatori da tempi remoti per discutere sull’identità, sul ruolo e le prospettive dei musei nel terzo millennio dopo Cristo. L’idea del Museo è cambiata: da luogo aristocratico e riservato a punto di incontro e di opportunità formative destinate a tutti. Il Museo è diventato simpatico, si mostra socievole e comunicativo e vanta un considerevole numero di Amici che lo sostengono, gli fanno visita come ad uno di famiglia. Solo che sempre più spesso sembra di correre al capezzale di un amico malato che ha bisogno di cure e le necessità sono emergenze. Parliamone, si può fare molto per il luogo che è da sempre un privilegiato veicolo di progresso umano e spirituale, depositario di quella bellezza “che salverà il mondo”. Info: Mabat Platinum Ltd. 27 Lishansky St. Rishon Zion, 75703, Israel e-mail: [email protected] MOSTRE MOSTRE MOSTRE CLAUDIO ABATE Valter Battiloro, N, acquaforte, bulino SGUARDI SULLA CITTÀ/MIRADAS SOBRE LA CIUDAD Foto Buby Durini Difesa della Natura, Joseph Beuys, 13 maggio 1984 Courtesy Archivio storico De Domizio Durini BUBY DURINI FOR JOSEPH BEUYS PADOVA Nell’ambito della manifestazione Padova Aprile Fotografia – passaggi/paesaggi 2, la mostra, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Spettacolo, presenta le immagini scaturite da una simbiosi di intenti tra il fotografo e Joseph Beuys artista tra i più significativi ed emblematici del ‘900. Buby Durini è il compagno di viaggio che per circa 15 anni – dal 1971 al giorno della scomparsa del Maestro, 23 gennaio 1986 – attraverso l’obiettivo fotografico in diversi paesi del mondo, dall’Abruzzo alla famosa antologica del Guggenehim di New York, da Venezia a Kassel, da Dusseldorf a Roma, dalle Seychelles a Tokio, da Londra a Napoli ha vissuto un rapporto esistenziale unico e costante, tra rappresentazione e cognizione, tra senso umano e ipotesi scientifica. È dall’immane archivio fotografico di Buby Durini che Joseph Beuys crea la regale opera Guggenheim Museo (1979) e come per la famosa opera Arena, sceglie e firma 100 diverse fotografie per ricordare al mondo il suo iter storico dell’intera Operazione Difesa della Natura. Padova, Musei Civici agli Eremitani A cura di Lucrezia De Domizio Durini e Enrico Gusella Con il contributo Regione Veneto 22 marzo – 4 maggio 2008 Castello Cinquecentesco Museo Nazionale D’Abruzzo, L’Aquila Dal 21 al 28 Gennaio 2008 il Castello Cinquecentesco ha ospitato la mostra calcografica: Sguardi sulla città. A curare il catalogo e l’esposizione Valter Battiloro, titolare e responsabile della Scuola di Grafica e Docente di Grafica e Tecniche dell’Incisione dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. La mostra è stata patrocinata dall’Istituto Nazionale per la Grafica e dal Ministero dell’Università e della Ricerca. L’inaugurazione ha avuto il prezioso contributo del Conservatorio “Alfredo Casella”. L’evento espositivo è stato il momento culminante di un progetto nato in seno al programma Socrates-Erasmus (tramite il quale, nel corso dell’a.a. 2006-2007, si è stabilito un gemellaggio didattico culturale tra l’Accademia del capoluogo abruzzese e la Facultad de Bellas Artes de San Carlos dell’Università Politecnica di Valencia, Spagna). L’iniziativa è nata dal desiderio di ampliare l’offerta formativa rivolta agli allievi per mezzo dello scambio interculturale ed interdisciplinare, nonché di documentare l’identità Artistico-Accademica nel segno di una pratica creativa, quella dell’incisione. Una proposta che offre un’affascinante “sguardo” sulle identità specifiche ma anche sulle condivisioni e i relativi allargamenti di senso invitando ad una riflessione sull’attuale facilità di connessione e di interrelazione tra i “luoghi”. La mostra italiana raccoglie realizzazioni grafiche di docenti e di un gruppo selezionato di allievi per un totale di 51 stampe, eseguite nelle più svariate tecniche. Il catalogo bilingue riporta interventi da parte delle istituzioni coinvolte nonché il testo critico della prof.ssa Lucia Masina, docente di Storia dell’Arte e della grafica. L’intento espresso dall’intero progetto è fare dell’occasione una possibilità di ritorno, dichiarando una presenza forte -fatta di competenza, di ricerca e passione artistica- nella fitta rete di realtà globali. Rimaniamo in attesa di una nuova proposta. Barbara Esposito MU2 2 PESCARA ORME DI DONNA SCANNO VISTA DA HILDE LOTZ BAUER Per prima ha fatto conoscere Scanno fuori dall’Abruzzo. Prima ancora di Henri Cartier Bresson, Giacomelli e Gianni Berengo Gardin. È Hilde Lotz Bauer a fotografare negli anni trenta del novecento uno dei borghi più caratteristici e belli d’Italia. Alla Bauer, Scanno dedica una prima assoluta dal titolo “Orme di donna” una mostra di fotografie inedite di rilevante interesse storico, certamente destinata a lasciare un segno indelebile. L’iniziativa è voluta dall’Amministrazione Comunale di Scanno “La scoperta di questa Artista tedesca - spiega il Sindaco Angelo Cetrone, è stata una rivelazione. È lei che negli anni Trenta del secolo scorso ha portato Scanno e l’Abruzzo fuori dai confini nazionali attraverso le sue foto.” Orme di donna, attraverso le immagini della Bauer è un omaggio a Scanno, ma anche ad una storia che parla di donne che per secoli hanno governato la famiglia ed il territorio. Donne forti e coraggiose sempre ritratte nei loro costumi tradizionali. Non semplici immagini di scannesi ma donne dalla identità e dalla personalità ben riconoscibili. Un evento che è ancora omaggio al talento artistico di Hilde Lotz Bauer, ma anche recupero di un passato che si arricchisce di nuovi significati attraverso i suoi scatti che restituiscono alla memoria volti, sguardi, emozioni, usi e costumi, folclore e tradizioni del fiero popolo scannese. info: “Orme di Donna” Dal 13 marzo all’11 maggio 2008 Scanno – Auditorium della Anime Sante Ingresso libero tel. 0864/74545 - Comune di Scanno [email protected] Tel 0862/410126 One Group – [email protected] Claudio Abate nasce a Roma nel 1943, città dove attualmente risiede ed alla quale è profondamente legato. Negli anni 60 inizia a lavorare per “Sipario” e diventa il testimone del teatro di avanguardia di Carmelo Bene. La collaborazione con gli artisti avviene naturalmente e Claudio Abate diventa il “testimone oculare” del fermento artistico della metà degli anni 60 fino a tutta l’avanguardia del periodo successivo. Partecipa attivamente al clima di quegli anni e le sue fotografie diventano emblema del periodo: riesce a cogliere in un’unica immagine complessa opere ambientali che difficilmente potrebbero essere ricondotte ad un unico punto di vista. Negli anni 80 Abate per la prima volta si confronta con il colore; risale al 1986 una serie di scatti sulle opere di Joseph Beuys, conservate al Landesmuseum di Darmstadt, con un allestimento pensato e curato da Beuys nei minimi dettagli. Negli anni la collaborazione con gli artisti non è certo diminuita e trasferito il suo studio nel quartiere romano di San Lorenzo inizia un sodalizio con quella che negli Ottanta è stata definita la “Nuova scuola romana”. Le sue fotografie sono diventate oggetto di numerose mostre nazionali ed internazionali: ricordiamo la personale nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia (1993), la retrospettiva (autunno 2001) all’Accademia di Francia presso Villa Medici di Roma, la mostra al Museo Di Belgrado (2002), le fotografie esposte al MACRO di Roma (2002), la Biennale di Fotografia a Mosca (2004), l’esposizione alla Maison de la Photographie(2006), la personale al Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (2007). Per la mostra a Vistamare è stata presentata una selezione di 40 fotografie, che testimoniano alcuni momenti della sua carriera, partendo da storiche immagini in bianco e nero, fino ad arrivare agli ultimi lavori a colori info: Claudio Abate - 23 febbraio / 10 maggio 2008 Vistamare associazione culturale Largo dei Frentani 13 - Pescara Tel +39 085 694570 - martedì-sabato 16.30/19.30 www.vistamare.com - [email protected] 1 7 ) / L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / P E S C A R A , B O O K & W I N E ( N U O V O T R I B U N A L E ) / L I B E R N A U TA ( V I OMOSTREATTIVITÀLIBRIANNIVERSARIOCO CONCORSI ATTIVITÀ LIBRI LIBRI MICRO SPAZI - MACRO LUOGHI PROGRAMMA INIZIATIVE CULTURALI I SEMESTRE 2008 COMUNE DI PESCARA TRATTURI E TRANSUMANZA ARTE E CULTURA HISTORIA DEL REGNO DI NAPOLI L’Associazione Musicale Deltensemble ([email protected]) ha presentato a L’Aquila il volume dedicato alla transumanza organizzando un affollato appuntamento nell’auditorium della Guardia di Finanza. L’opera raccoglie il frutto del lavoro di ricerca di studiosi, molti dell’Università degli Studi di L’Aquila e l’apporto di artisti che hanno collaborato per dare visibilità prismatica alla cultura dell’antica consuetudine della transumanza. Se da una parte il volume spiega il significato storico, economico e culturale della civiltà pastorale abruzzese, il CD “Adagio Transumante” che lo accompagna, si propone di mantenerlo vivo e rinnovato nell’arte attraverso la poesia, la musica e il canto. Il poeta Elio Peretti è l’autore dell’intenso poemetto dedicato “ai pastori di ieri, ai transumanti di oggi che non hanno la speranza della risalita a maggio”, le musiche originali di musicisti aquilani interpretate dal gruppo cameristico del Deltensemble. Il progetto è stato sostenuto dal Ministero delle politiche “Historia del Regno di Napoli” copia anastatica dell’opera di Angelo di Costanzo Concorso per la progettazione di un sistema di spazi pubblici e relazionali nel Centro Storico di Teramo Il Comune di Teramo, Assessorato all’Architettura della Città, con la collaborazione dell’Istituto Tetraktis di Teramo e dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Teramo, bandisce un concorso che ha per oggetto la riqualificazione e la ri-significazione degli spazi pubblici e relazionali del Centro Storico del capoluogo. L’intento è di innestare un processo di ridisegno nevralgico ai fini di una più generale azione d’organizzazione sistemica delle risorse della comunità locale e del patrimonio storico, culturale ed ambientale della città, il tutto finalizzato alla determinazione di un’offerta innovativa di fruizione della città sotto l’aspetto civico, culturale, ambientale, turistico ed economico. Il concorso è anche una opportunità per riflettere sulle realtà dei luoghi, sulle esigenze ed i cambiamenti della città, e sulle nuove abitudini urbane dei tempi correnti; è l’occasione per individuare, a partire dal centro storico, i caratteri qualificanti di una nuova idea complessiva degli spazi aperti e per delineare linee strategiche a più vasta azione che possano contribuire alla riqualificazione urbana della città tutta. Il Responsabile del Procedimento per lo svolgimento del Concorso di progettazione è l’Arch. Stefano Mariotti, Dirigente del IV° Settore Pianificazione Urbana e Territoriale del Comune di Teramo, con recapito presso il: IV° Settore, Piazza Martiri della Libertà, 64100 Teramo, Centralino telefonico 0861 3241, Tel.0861 324549, Fax 0861 240389 - www.comune.teramo.it La segreteria organizzativa del Concorso, è affidata all’Istituto di Cultura Urbana Tetraktis di Teramo. ANNIVERSARI 70 ANNI DALLA MORTE DI GABRIELE D’ANNUNZIO Il primo marzo scorso ricorrevano i settanta anni dalla morte del vate. Numerose sono le iniziative che il Centro Nazionale di Studi Dannunziani ha in serbo nel corso dell’anno per ricordare d’Annunzio ma la prima in ordine temporale è stata la presentazione al Mediamuseum di Pescara del libro di Giordano Bruno Guerri “d’Annunzio.L’amante guerriero” edito da Mondatori. “Amante guerriero nella seduzione come in letteratura e in politica, d’Annunzio fu un uomo che seppe imporre i propri sogni agli altri uomini. Egli rivoluzionò la figura dell’intellettuale facendo della sua vita un’opera d’arte, ricca di chiaroscuri mai scontati e influenzò più generazioni nel gusto e nella visione del mondo”, hanno detto gli organizzatori dell’evento, “L’Italia del secondo dopoguerra ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi di lui, alternando l’indifferenza alla condanna, totale e preventiva. Una storiografia semplificata ha visto e vede in lui l’inventore di riti e parole d’ordine sui quali si sarebbe fondato il regime fascista. Ma in realtà a Fiume d’Annunzio fu ben di più: l’inventore di una modernità che andava oltre la destra e la sinistra, anticipando le costiruzioni più avanzate dei nostri giorni”. Ed in questo suo libro, Guerri racconta un personaggio restituito al suo pensiero ed alla sua arte oltre che al suo tempo. E racconta nel dettaglio anche l’amante instancabile di tantissime donne. La presentazione dell’opera di G.B.Guerri è stata preceduta dalla proiezione di un brevissimo documentario sulla personalità di d’Annunzio realizzato da Enzo Biagi e tratto dal programma “Cara Italia”. 29 marzo - 4 maggio: Sandro Visca. Opere dal 1962 ad oggi Mostra a cura dell’Associazione Culturale “Il trifoglio” Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 30 marzo - 6 aprile: Guerra e pace. Dicotomia del sentimento Contenitore culturale multidisciplinare: Pittura, scultura, fotografia, videoarte e musica a confronto Museo delle Genti d’Abruzzo 31 marzo: Le matrici litografiche di Basilio Cascella Esposizione della collezione restaurata dall’Istituto Nazionale per la Grafica Museo Civico “Basilio Cascella” 4 aprile: Collezione Giuseppe Di Prinzio Esposizione permanente delle opere dell’artista Cerimonia di inaugurazione con la partecipazione di Massimo Cacciari Ex Bagno Borbonico 22-25 aprile: R (e) sistenze 2008 Mostra, concerto, dibattiti e incontri con le scuole Ex Aurum 29-30 aprile: Filosofia del giornalismo Dibattiti pubblici con esponenti del giornalismo nazionale Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 29 aprile: La voce dei silenzi Orazione civile per Antonio Russo cronista delle vite negate Compagnia di Prosa del Teatro Marrucino Regia di Sabatino Ciocca Teatro Michetti ore 21.00 aprile: Inaugurazione Sezione Animali Marini Protetti del Museo delle Meraviglie Marine Lungofiume Paolucci (presso Mercato Ittico) aprile: L’agonista. D’Annunzio e lo sport Convegno-dibattito. Presentazione del volume di Luciano Russi - Ed. E.S.A. Celebrazioni dannunziane nel settantesimo della morte Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 1-8 maggio: Il Sessantotto sui muri di Parigi Mostra documentaria sul Maggio Francese Museo delle Genti d’Abruzzo 5 maggio: I Migranti Terrateatro - Rete Abruzzese per lo Spettacolo Sala De Cecco 10 maggio: Ergakaiemerai. Le opere e i giorni Teatro del Lanciavicchio - Rete Abruzzese per lo Spettacolo Sala De Cecco 12 maggio - 2 giugno: Collezione Tomasetig Esposizione di ex libris a carattere musicale del primo ‘900 Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 15 e 29 maggio - 12 e 19 giugno: I salotti musicali del Museo Cascella Guida all’ascolto dal vivo della musica da camera Museo Civico “Basilio Cascella” 17 maggio: Videonotte al Museo Cascella Proiezioni di videoarte in occasione della Notte dei Musei Museo Civico “Basilio Cascella” 21-22 maggio: Coppelia Balletto in due atti su musica di Leo Delibes Rete Abruzzese per lo Spettacolo Teatro Massimo maggio: Progetto LAB4COM Laboratorio per la comunicazione Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 1-7 giugno: La città e i sensi Mostra d’arte contemporanea a cura di Valeria Solarino Ex COFA 8 giugno - 6 luglio: GAP - Giovani Artisti Pescaresi Mostra d’arte in collaborazione con il G.A.I. - Circuito Giovani Artisti Italiani Museo d’Arte Moderna “Vittoria Colonna” 13 giugno: Il barbiere di Siviglia Opera lirica di Gioacchino Rossini Rete Abruzzese per lo Spettacolo Teatro D’Annunzio ore 21.00 28 giugno - 20 luglio: The honesty of struggle to record and present life in a work of art Mostra dell’artista Richard Harris Ex Aurum APPUNTAMENTI L’AQUILA Fa parte della Collana “Tesori Tipografici Aquilani” a cura di Walter Capezzali, fiore all’occhiello dell’attività in favore della cultura della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila. Si tratta della riproduzione anastatica dell’opera di Angelo di Costanzo, storico e studioso del XVI secolo, dal titolo “Historia del regno di Napoli” stampata a L’Aquila nel 1581 – 1582 dal tipografo, famoso in tutta la penisola, Gioseppe Cacchio. Un volume prezioso che farà la gioia di studiosi e appassionati. La Historia del Regno di Napoli, infatti, è ritenuta ancora oggi la più importante del periodo perché è stata fondamentale strumento di conoscenza per molti secoli; se ne conoscono, infatti, numerose ristampe di cui l’ultima risale alla fine dell’ottocento. Oggi questo tesoro tipografico torna a rivivere grazie all’iniziativa della Fondazione Carispaq e ad un’antologia di scritti critici che accompagna il volume. Saggi a cura dello stesso Walter Capezzali, Raffaele Colapietra , Paola Farenga, ma anche del filosofo Benedetto Croce. Scritti che vanno dalla biografia dell’autore Angelo di Costanzo alla figura stessa del Di Costanzo e della cultura napoletana del tempo. Insomma un tesoro si, ma anche un utilissimo strumento di conoscenza che fa seguito al primo volume della Collana, quello dedicato alla “Geometria” di Ieronimo Pico Fonticulano ristampato nel 2001. “ Ci auguriamo – spiega Roberto Marotta Presidente della Fondazione Carispaq – che, come per la Geometria del Fonticulano, anche per la Historia del Di Costanzo l’iniziativa della Fondazione Carispaq risulti gradita e che, in prosieguo di tempo, sia possibile offrire ulteriori tesori tipografici dei tempi passati, i cui originali, presenti in pochi esemplari nei fondi antichi delle biblioteche, meritano di essere conosciuti non solo nei contenuti ma anche nelle forme grafiche di un’editoria dei primi secoli della stampa”. Quei secoli che al uomo dell’era di internet e dell’editoria elettronica conservano tutto il fascino del mito. FALÒ DI PRIMAVERA A PIETRANICO 2 MAGGIO 2008 Si rinnova ogni anno dal 1613, la singolarissima e storica processione che si tiene a Pietranico all’imbrunire del 2 maggio in onore della Madonna della Croce. In questa occasione, la statua della Madonna, la cui devozione è legata ad una apparizione, viene condotta in processione lungo le vecchie mura perimetrali ed il centro storico del paese tra le fiamme imponenti e crepitanti che s’innalzano al cielo da mastodontici falò di ginestre, preparati devotamente da ciascun nucleo familiare dinanzi alle proprie abitazioni. Nell’assistere all’evento, gli antropologi interpellati a riguardo hanno asserito concordemente che, rinnovando uno degli aspetti più diffusi delle feste di maggio dedicate in tutta la penisola alla Vergine, quei fuochi sarebbero chiaramente connessi agli antichi riti di primaverili celebrativi della fecondità della terra. Gli anziani di Pietranico asseriscono invece che, stando a quanto riferitogli dai loro stessi avi, tramite “ gli favure” i falò del 2 maggio sono una manifestazione di gratitudine alla Madonna della Croce per aver salvato secoli or sono il paese da un’incursione di briganti che s’apprestavano ad assalirlo. Pur apparendo attendibili entrambe le interpretazioni, va citato un indicativo manoscritto redatto dal Barone Annibale Corvi di Sulmona, noto cronista delle faccende inerenti al Governo Spagnolo e trascritto nel settembre 1892 dall’Ispettore dei Monumenti del Circondario di Sulmona A.De Nino, nel quale si legge che: quattrocento banditi assoldati a L’Aquila dalla Corte Spagnola per andare alla guerra di Messina, dopo aver disertato si diedero alla macchia e cominciarono a fare ricatti ed a mettere a sacco e fuoco vari paesi, tra i quali il 18 marzo 1675 rimase vittima Pietranico e che gli stessi continuarono ad assalire e depredare quel borgo pure nei periodi successivi. Lasciando, ad ognuno, la facoltà di scelta, ai pietranichesi resta il compito di continuare la tradizione e di salvaguardare l’Oratorio di Santa Maria della Croce, vero gioiello d’arte e incantevole luogo sacro. MOSTRE SANDRO VISCA MUSEO VITTORIA COLONNA PESCARA Dal 29 marzo al 4 maggio Nato a L’Aquila nel 1944, l’artista risiede a Pescara dal 1968 quando fu chiamato dal professor Giuseppe Misticoni ad insegnare nel liceo artistico. In questa mostra personale, l’artista ripercorre oltre quarant’anni di attività esponendo le opere in lamiera degli esordi, la serie avviata nel 1964 delle “Crocifissioni” realizzate con stracci, carte, iuta, nylon, vernici e ferri saldati; i collages, personale versione della pop art; le sculture di pezza 1969/70; le sculture di terracotta; i “grandi asparagi” in legno, bronzo e pelle; i “teatrini” e gli arazzi tra cui quello “in itinere” realizzato nel 2000. L’esposizione, realizzata con il contributo della Regione Abruzzo, della Provincia e del Comune, è curata personalmente dall’artista. I A T E R A M O , 2 7 ) / B O L O G N A . L I B R E R I A P I C K W I C K , G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - W W W. C ATA L O G O P I C K W I C K . I T / W W W. M U 6 A B R U Z Z O . E U MU23
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