De:Code - Glamazonia

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De:Code - Glamazonia
Maggio 2009
numero 2
Zombie
Holocaust
Alex Crippa: SOS Zombie
Andrea G. Ciccarelli: “Z” come Zombie
Diego Cajelli: Top 10 Zombie
Jeffrey Brown: Fumetto Zombie
Andrea Voglino: Bombie the Zombie
Plus: Storie dal Mondo Z,
Scrivere gli Zombie,
Sparring Partners, Arthur Suydam,
Mixtape, A Volte Ritornano,
“Non-Zombie”
2.0
De:Facto
Sommario
Sommario
Copertina di Francesco Biagini
De:Rive - Editoriale
De:Finizioni - Storie dal mondo “Zeta”
De:Facto - SOS Zombie: due chiacchiere con Alex Crippa
Mixtape
De:Coder - Arthur Suydam è il Male
De:Finizioni - Uno zombie in casa Disney
De:Finizioni - Alcune cose che ho imparato sugli zombie
Fumetto - Wolverine: Dying Time, di Jeffrey Brown
De:Facto - “Z” come Zombie: intervista ad Andrea G. Ciccarelli
De:Finizioni - Il “non-morto” che cammina
Guest List - Zombie Superstar! I miei cinque zombie preferiti (di D. Cajelli)
Sparring Partners
De:Finizioni - A volte ritornano
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 2
pag. 3
pag. 4
pag. 9
pag. 14
pag. 15
pag. 17
pag. 19
pag. 25
pag. 48
pag. 57
pag. 60
pag. 62
pag. 69
De:Rive
Editoriale
a cura della Redazione
Con una cover cadaverica e “superpop” firmata dal bravissimo abelardiano
Francesco Biagini, si apre il nuovo numero di De:Code 2.0, e fin dall’immagine
di copertina (giusto se non sapete leggere gli strilli) è chiaro quale sia il tema di
questo numero: gli zombie.
Qualcuno potrebbe pensare che di zombie negli ultimi anni si sia parlato abbastanza, forse troppo, e in tutte le salse. Ma noi di De:Code abbiamo voluto
dire la nostra e per questo motivo, dopo un’approfondita disamina della figura
dello zombie nella cultura moderna, abbiamo scomodato Alex Crippa, esperto di zombie e sceneggiatore (che in una rivista come questa non è mica un
particolare trascurabile) che, direttamente dal centro di accoglienza per morti
viventi che gestisce in prima persona, ci aiuta a capire meglio l’essenza stessa
di queste creature.
Dopo un excursus sull’invasione zombesca del comicdom americano scatenata dall’ houngan illustratore Arthur Suydam e un altro su Bombie, lo zombie
disneyano (!) creato dal maestro Carl Barks e ribattezzato “Gongoro” in Italia da
chi a quel tempo gli zombie ancora non li conosceva, diamo il benvenuto al
nuovo redattore di De:Code 2.0, Roberto Recchioni, già acclamato autore – tra
le altre cose – di John Doe, Dylan Dog, David Murphy 911 e Garrett, che mette
a disposizione del nostro pubblico l’esperienza maturata nella sua carriera di
scrittore con un ottimo e inedito tutorial su come scrivere una buona storia di
zombie.
Di conseguenza, è tempo di tuffarsi in un bootleg di lusso firmato Jeffrey Brown,
in esclusiva per l’Italia solo su De:Code. Gli ingredienti? Wolverine, Kitty Pryde e
una manciata di morti viventi...
A seguire, scopriamo insieme ad Andrea G. Ciccarelli i nuovi e vecchi progetti
della casa editrice saldaPress nel campo dei ritornanti a fumetti (e non solo)
e facciamo un salto nell’universo di Eric Powell per scoprire l’importanza che
hanno i non-morti nell’economia della serie The Goon.
È poi il turno di una nuova Guest List, ad opera stavolta dell’esperto di X-Factor
e sceneggiatore (ripetiamo, non un particolare trascurabile) Diego Cajelli, che
ci racconta quali sono i suoi cinque morti viventi preferiti.
“A volte ritornano” è il tema, invece, del lungo articolo di chiusura che affronta
la spinosa questione dei ritorni degli autori, spesso considerati morti o, alla
meno peggio, bolliti, sulle serie che hanno portato al successo. Veri e propri
zombie del fumetto, in sintesi.
Come contorno, niente carne umana ma le solite rubriche: il blob informe Mixtape, il sempre più imperdibile botta & risposta Sparring Partners e e i consigli
per gli acquisti di Supermarket, titolo qui più che mai adeguato (concedeteci
un po’ di humour nero).
Con la speranza di aver saziato il vostro appetito fumettistico e “zombistico”,
vi diamo appuntamento sul forum di Glamazonia per i commenti a questo
secondo numero (mi raccomando, non lesinate in complimenti e critiche alla
critica) e vi salutiamo per altri due mesi.
L’appuntamento è fissato per i primi di luglio, quindi, con un nuovo numero di
De:Code 2.0 dal tema che – ne siamo certi – saprà stupirvi ancora una volta.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 3
De:Code
2.0
rivista bimestrale in formato PDF
anno 1, numero 2, maggio 2009
Redazione
Nicola Peruzzi
Simone Satta
Antonio Solinas
Roberto Recchioni
Hanno Collaborato
Giovanni Agozzino (http://japanisanisland.blogspot.com/)
Francesco Biagini (http://www.abelardstudio.com/?p=autore&id=10)
Jeffrey
Brown
(http://www.margomitchell.com/thc/jb.htm)
Diego Cajelli (http://diegozilla.blogspot.
com/)
Andrea G. Ciccarelli (http://iosefossigaramond.blogspot.com/)
Alex Crippa (http://alexcrip.blogspot.
com/)
Andrea Voglino (http://avsl.blogspot.
com)
Links De:Code
sito ufficiale vecchia versione
http://www.de-code.net
homepage Glamazonia
http://www.glamazonia.it/
forum di Glamazonia
http://www.glamazonia.it/board/index.
php
forum dedicato su Glamazonia
http://www.glamazonia.it/board/de-code2-0-f-59.html
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Storie dal mondo “Zeta”
di Nicola Peuzzi
Camminare con uno zombie
Gli zombie non si stancano mai.
Lenti ma inesorabili, in barba alle
periodiche crisi dell’horror (cinematografico e non solo), i morti
che camminano continuano a procedere, apparentemente in controtendenza con qualsiasi crisi. Viene
da chiedersi quale sia la ragione di
tanto successo, quali siano le leve
che toccano nel pubblico questi
abomini, specchi distorti di noi
stessi (ma alla fine, siamo proprio
sicuri che si tratti di questo?), quali
le ragioni che, a differenza di altri
“mostruosi colleghi”, gli abbiano
fatto attraversare un intero secolo
di storia.
Ci si deve riferire storicamente al
voodoo1 di Haiti per parlare per
la prima volta di “zombie”. Secon-
do il celebre dizionario MerriamWebster2, infatti, la parola compare per la prima volta nel 1871
nella forma zonbi, appartenente
alla lingua creola della Louisiana
e di Haiti. Allo stesso modo, pare
essere equivalente in lingua kimbundu (africana del nord dell’angola), al termine nzúmbe, che sta
per spettro, fantasma.
Sta di fatto che i primi zombie
“propriamente detti” compaiono
all’inizio del secolo scorso proprio
ad Haiti, dove il bokor, ovvero lo
“stregone” della religione voodoo,
attraverso un rituale magico/religioso prende il controllo di una
persona che finisce in una sorta di
animazione sospesa e diventa a
tutti gli effetti un servo che segue,
come una marionetta, il volere del
proprio padrone alla lettera.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 4
Nei primi anni del secolo scorso, gli
avvistamenti di zombie di questo
genere (veri o romanzati che fossero) erano pari agli avvistamenti
di UFO negli anni ’50. Tanto che
il magazine The American Weekly
di William Randolph Hearst, noto
magnate della stampa statunitense, erano infarciti di racconti di
donne miracolosamente sfuggite
all’attacco di questi esseri sovrannaturali in qualche isola haitiana.
Uno di essi, intitolato I Walked with
a Zombie, scritto da Inez Wallace
nel 1943, fu ispirazione dell’omonimo film prodotto da Val Lewton
e diretto da Jacques Tourneur, uno
dei capostipiti del genere.3 Un altro articolo uscito nel 1948, invece,
The Lady in Search of Danger! offrirà
a Carl Barks lo spunto per creare il
personaggio di Bombie the Zombie,
in Italia Gongoro, una delle prime
apparizioni a fumetti di un morto
vivente (cosa ancora più inquietante se si pensa che questo è successo in un fumetto Disney).4
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
morte nel ciclo della vita da essere
in grado di festeggiarla, scherzandoci sopra e prendendosi gioco
dei propri zombie, per certi versi
innocui.
Non esistono, a onor del vero,
troppi film o fumetti che affrontino l’argomento, se non in modo
assolutamente marginale. Uno di
essi, mai pubblicato in Italia, è Día
de los Muertos (Day of the Dead)6,
opera del mai troppo lodato Sergio Aragonés. Spagnolo d’origine
e messicano d’adozione (si trasferisce in Messico durante la guerra
civile spagnola), Aragonés è parte della “usual gang of idiots” di
Mad dal 1963, ed è autore di perle
come Groo the Wanderer, Fanboy
e tantissime altre parodie degli
universi supereroistici Marvel e DC
Comics e non solo, purtroppo in
gran parte mai pubblicati in Italia.
Realizzato da Aragonés nel 1998
El Día de los Muertos
Altra tipologia di zombie è quella
messicana. Storicamente per altro
è forse la più antica di tutte, visto
che viene fatta risalire addirittura
agli Aztechi, ma oggettivamente
quando ci riferiamo al Día de los
Muertos – festeggiato in tutto l’occidente in modi per altro radicalmente differenti –, sono i “morti” e
non proprio gli zombie a farla da
padrone. Senza tornare troppo
indietro nel tempo – si parla solo
di qualche decina di anni fa – ogni
2 novembre l’Italia si raccoglieva
nei cimiteri per onorare i defunti.
La globalizzazione e una maggiore vicinanza con l’occidente più
consumista ha portato Halloween,
con tutte le maschere e i “trick or
threat” del caso.
Una cosa alla quale l’Europa – e
l’Italia nello specifico – non si è
probabilmente mai avvicinata se
non in alcune, realmente sporadiche occasioni, è per l’appunto
la tradizione messicana del Día
de los Muertos. Nei giorni intorno
alla prima settimana di novembre,
infatti, tutti i negozi del Messico e
località limitrofe (come i paesi ad
alta concentrazione messicana in
Texas o in California, ad esempio)
si riempiono di oggetti e lucky
charm a forma di scheletri, spesso
raffigurati e nelle attività più differenti. Ci sono scheletri danzanti,
scheletri musicisti, scheletri casalinghi e via discorrendo. In una
sorta di collettiva Danza Macabra,
quindi, vivi e morti trovano una
dimensione comune nella notte
tra il primo e il secondo giorno di
novembre: i cimiteri si animano di
vita e tutti i locali si spendono in
faticosi e colorati festeggiamenti in onore dei propri defunti, in
piena ottemperanza con quell’attitudine festaiola tutta latinoamericana nei confronti della vita, e
in questo caso particolare anche
della morte. E gli scheletri, vere e
proprie “anime della festa”, stanno
al gioco con altrettanta allegria
evidenziata dall’aspetto colorato
e giocoso delle maschere che indossano. Per citare Davide Castellazzi5, i messicani sono talmente
consapevoli della presenza della
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De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
quell’aspetto prima citato presente solo in questa particolare cultura: per messicani è lecito “scherzare coi santi”. Cosa che, vedremo di
seguito, è del tutto impensabile
per i vicini americani.
Zombie Apocalypse
durante una pausa dalla lavorazione di Groo, Día de los Muertos è un
riuscito one shot a sfondo horrorcomico che racconta di un’invasione zombie nel corso dei festeggiamenti del giorno dei morti in
una sperduta cittadina messicana.
Al di là della bontà della storia, la
cosa veramente interessante del
“When there’s no more room in
hell, the dead will walk the earth”.
Era questo lo storico slogan che
accompagnava la locandina americana di Dawn of the Dead7, storico film del 1978 di George Romero che per primo aprì la strada agli
zombie come li intendiamo noi
oggi. Se infatti è vero che l’originale è stato il precedente Night of the
Living Dead8, è solo con il secondo
titolo di questo enorme franchise
(che a tutt’oggi conta sei titoli ufficiali nella serie, numerosi remake
e altrettanti spin-off) che vengono stabilite le caratterstiche dello
zombie “americano”: animato unicamente dalla coazione a ripetere
i gesti che compiva in vita, decerebrato, affamato, lento ed inesorabile. In seguito, a queste caratteristiche se ne sono aggiunte
altre (drammatica la figura di Bub,
zombie “prodigio” di Day of the
Dead9 in grado di intuire la funzione degli utensili che aveva usato
in vita, epica la figura di Big Daddy,
leader della “resistenza zombie” in
Land of the Dead10, affascinanti gli
zombie rapidi del recente remake
di Zack Snyder), ma di fatto, il prototipo dello zombie statunitense
resta quello smaccatamente pop
di George A. Romero.
Questo genere di zombie è quello
che al giorno d’oggi riscuote più
successo sia a livello cinematografumetto è il fatto che Aragonés, fico (bastino gli esempi fatti sopra,
con la consueta dose di ironia, ma l’elenco sarebbe infinito) che a
narra la storia in prima persona e livello letterario (si pensi a World
catapulta il lettore all’interno della War Z di Max Brooks). A livello fufesta in modo assolutamente uni- mettistico il titolo che fa più testo,
co, riuscendo a ricreare i sapori e nella montagna enorme di produle gioiose atmosfere messicane in zione odierna in materia zombesalsa zombie. Il finale, senza voler sca, è The Walking Dead, creatura
rovinare nulla, è sintomatico di di Robert Kirkman e Tony Moore
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De:FINIZIONI
(che è stato quasi subito sostituito
dal meno dotato ma altrettanto
efficace Charlie Adlard alle matite).
La matrice di The Walking Dead,
vero e proprio titolo di culto negli
States (e ormai anche qui in Italia,
e per quanto resti ancora un titolo di nicchia, i dati indicano una
continua crescita di gradimento),
è assolutamente romeriana. La
storia è semplice e per niente originale. Un poliziotto del Kentucky,
Rick Grimes, si risveglia da un’operazione solo per rendersi conto di
essere uno dei pochi sopravvissuti sulla terra ad una non meglio
specificata apocalisse zombie. Da
lì, inizierà un lungo viaggio per la
salvezza in cui ferinità e umanità
finiscono fin troppo spesso per
intersecarsi e interscambiarsi, instillando nel lettore il dubbio su
chi sia per davvero il “morto che
cammina”.
Ma The Walking Dead non è certo
l’unico esempio di zombie a là Romero su carta. Si pensi ad esempio a Crossed, di Garth Ennis e
Jacen Burrows.11 La serie inserisce
il contagio tramite fluidi corporei come elemento scatenante la
“mutazione”, ma per quanto possa
cambiare l’ordine degli addendi, il
risultato è lo stesso. La paura delle malattie trasmissibili (sessualmente, per via aerobica, eccetera) crea i mostri, che si incarnano
nei cosiddetti Crossed ennisiani.
Non solo: si pensi a Blackgas12, a
Zombies! Feast13 o anche gli stessi Marvel Zombies14. Sono tutte
quante variazioni sul tema, segno
tangibile che la dirompente carica pop contenuta nella lezione e
nella metafora romeriana è l’unica
che è riuscita a superare le barriere culturali adattandosi perfettamente a qualsiasi medium grazie
all’elemento più importante che
la caratterizza: la sintesi. Si lavora
infatti quasi sempre per sottrazione: chi è che anima i morti? Da
dove vengono? Perché sono usciti dalle tombe? Mistero. I morti ci
APPROFONDIMENTO
sono e basta. E paradossalmente,
nel momento in cui i morti esistono, cessa di esistere l’umanità.
Dalla A alla Z
In definitiva, cos’è uno zombie? E
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come mai in oltre un secolo l’interesse intorno a queste creature si è
sempre mantenuto stabile, a differenza di altri “protagonisti” dell’horror?
Lo zombie è un simbolo. Può essere un simbolo religioso, a volte, può
De:FINIZIONI
essere il “cavallo del dio” che cavalca il “loa”, oppure il servo dello stregone malvagio. Così come può essere un simbolo apotropaico, atto
a scacciare il male e ad accettare
la presenza della fine di tutte le
cose al termine del percorso di vita.
Può essere un memento mori: è la
rappresentazione fisica e materiale della paura della morte, o della
malattia, della decomposizione e
della non-fine. È come l’iscrizione
poussiniana “Et in Arcadia ego” trovata dai contadini: da contemplare
e da temere al tempo stesso.
Può essere, infine, paura del conformismo e della massificazione
imperante: in tempi dominati dai
media, la cosa che più spaventa
è la massa imbecille che ingloba
e trasforma la comunità in uno di
loro.
Lo zombie è tabula rasa. È tutto ciò
che è altro da sé ma che allo stesso tempo, è un altro sé. È questa la
sua forza e la sua carica eversiva. Ed
è questa la caratteristica che lo fa
reggere nel tempo e che, per certi
versi, lo farà sopravvivere per sem-
APPROFONDIMENTO
pre. “I veri morti siamo noi”, dice in
tal senso George Romero in un’intervista.15 Lo zombie, ci sentiamo di
aggiungere in conclusione, è l’atavica e darwiniana paura dell’evoluzione e del cambiamento.
Note
1) Il voodoo è conosciuto anche come vodou, vaudou, vodoun oppure vodun, a seconda della regione in cui viene praticato.
Sono tutti derivati del termine africano
vodu, apparentemente proveniente dal
linguaggio Dahomey – area geografica
che oggi corrisponde al Benin, al Togo e
alla Nigeria – che significa “spirito”, “dio”.
Cfr. http://zombies.monstrous.com/voodoo_zombies.htm.
2)
Cfr. http://www.merriam-webster.
com/dictionary/zombie
3) Jacques Tourneur, Ho Camminato con
uno Zombie, t. or. I Walked with a Zombie,
RKO Radio Pictures, Inc., 1943. Per le fonti
d’ispirazione, cfr. http://www.whiskeyloosetongue.com/zombie.html.
4) Luca Boschi, Scarpe a bassa quota in
Iraq (con la partecipaz. straordinaria di
alcuni zombi), articolo del 16 dicembre
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2008 pubblicato sul blog Cartoonist globale
(http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2008/12/scarpe-in-iraq.html).
5) Davide Castellazzi, El Día de los Muertos, in Mister No Riedizione n. 20, Edizioni
IF, Milano 2008
6) Sergio Aragonés, Día de los Muertos
(Day of the Dead), Dark Horse Comics,
1998
7) George A. Romero, Zombi, t.or. Dawn
of the Dead, USA/Itaia 1978
8) George A. Romero, La Notte dei Morti
Viventi, t.or. Night of the Living Dead, USA
1968
9) George A. Romero, Il Giorno dei Morti,
t.or. Day of the Dead, USA 1985
10) George A. Romero, La Terra dei Morti
Viventi, t.or. Land of the Dead, USA 2005
11) Garth Ennis, Jacen Burrows Crossed,
Avatar Press, 2008-ongoing
12) Warren Ellis, Max Fiumara, Blackgas,
Avatar Press 2006-2008
13) Shane McCarthy, Chris Bolton, Zombies! Feast, IDW Publishing, 2007
14) Robert Kirkman, Sean Phillips, Marvel Zombies, Marvel Comics 2007 – NB: Si
cita in questa sede solo il primo volume
pubblicato, ma tra seguiti e spin-off, gli
Zombies si sono riprodotti davvero senza
controllo (come è normale che sia).
15) Cfr. http://saldapress.grupposaldatori.com/print.asp?print=130.
De:Facto
INTERVISTE
SOS Zombie: due chiacchiere con
Alex Crippa
di Nicola Peruzzi e Antonio Solinas
Ciao Alex, sei unanimemente
considerato un esperto in materia di Zombie. Vorresti parlarci di
questa tua attività, e delle altre
cose che svolgi in maniera collaterale a questa tua professione?
Ciao ragazzi. Sì, gestisco un centro
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 9
di prima accoglienza per zombie,
in attesa che ottengano un regolare documento d’identità. Nel frattempo li impegno in varie attività,
tutte a scopo riabilitativo: concima
la terra con te stesso, piscia il cane
senza mangiarlo, la serata vegetariana e piccoli lavori di bricolage.
A tempo perso scrivo fumetti per
la Francia e l’Italia. Al momento
ho all’attivo una dozzina di volumi francesi (le serie 100 Anime,
Nero, Le Missionnaire, le graphic
De:Facto
INTERVISTE
Semplicemente: succede.
E cosa diresti a chi espone la mistica (e sicuramente affascinante)
teoria del “quando all’inferno non
ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra”?
E’ appunto affascinante ma non
esauriente.
La storia del cinema e della letteratura ci offrono numerosissimi
esempi di zombie differenti: preferisci lo zombie lento ma inevitabile o quello – più recente e probabilmente in linea con lo spirito
dei nostri tempi – che corre con
la stessa velocità di una persona
normale?
novel COMEunCANE, Gangs, Dollar-Baby…), scrivo Dampyr e insegno sceneggiatura alla Scuola di
Fumetto di Milano. E sì…tra le attività degli zombie sto inserendo
scrittura creativa. Conosci il detto
“se cento scimmie scrivono su cento macchine da scrivere per tot
giorni…insomma alla fine ottengono Guerra e Pace”? Ecco. Io con
gli zombie.
C’è chi parla di un agente esterno
che proviene dal pianeta Venere;
chi giura che si tratti di un virus
creato in laboratorio (ovviamente sfuggito al controllo di una
non meglio specificata autorità);
chi sostiene dipenda da un’eterna
schiavitù dai bokor: potresti spiegarci qual è, una volta per tutte,
il motivo per cui i morti tornano
in vita?
Cominciamo dalla più classica
delle domande zombesche. Lo
zombie è uno schiavo senz’anima
o un morto che cammina?
La verità è una e una soltanto: non
si sa! Lo zio Romero nel ’68 azzardò l’ipotesi “influsso astrale” con la
storia della cometa fuori rotta…
Dieci anni dopo buttò là l’ipotesi apocalittica “quando all’inferno
non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra”…infine capì
che non c’era alcuna spiegazione.
Morto che cammina. Dai, credi ancora alla panzana “gli animali e gli
zombie non hanno un’anima”?
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 10
Lento, inesorabile e ripetitivo, non
v’è dubbio. Soprattutto ripetitivo: il
vero zombie romeriano infatti conserva un vago ricordo di com’era
la vita prima della morte, per cui
si limita a scimmiottare automaticamente all’infinito gesti che ha
sempre compiuto da vivo ma dei
quali ora gli sfugge il senso. Come
fare shopping, stare in gruppo e…
mangiare. La cosa buffa è che, a
differenza di noi vivi, gli zombie
non hanno un reale e assillante bi-
De:Facto
sogno di fare shopping, fare branco, abbuffarsi...
George Romero, uno dei più
grandi conoscitori di zombie di
sempre, nei suoi testi parla sempre di “morti” e (quasi) mai di
“zombie”.
Quale credi che sia la ragione
dietro a questa precisa scelta lessicale?
Tecnicamente uno “zombie” è un
INTERVISTE
tizio ucciso e resuscitato tramite
rito voodoo haitiano. Questo tizio
diventa così totalmente succube e
schiavo di chi ha praticato il rito su
di lui. È molto comodo, per esempio, per ottenere colf a bassissimo
costo (un polpaccio ogni tanto e
il salotto risplende come nuovo).
Questo prima del ’68. Perché dopo
La Notte dei Morti Viventi tutto ciò
è diventato così noiosamente demodé, spazzato via dallo zombie
moderno e sbarazzino di zio RoDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 11
mero che, sì, preferisce chiamare
i suoi modelli “morti” ma solo per
fare ancora più tendenza. L’unico
problema è che le loro passerelle
sono di una lentezza esasperante.
E poi perdono pezzi di corpo.
Qual è la miglior forma di difesa
quando si è circondati da zombie?
La miglior difesa è sempre l’attacco, nello specifico un colpo in te-
De:Facto
sta calibro 9. Ma anche un machete può andare. Sempre in testa.
Una mazza da baseball, anche, ma
devi essere abbastanza tonico. Diciamo che se non sei armato la miglior difesa è fingersi zombie... ma
è troppo da fighetta, io sono per
una virile ed eroica accettazione
del proprio destino: fatevi sbranare come i militari de Il Giorno degli
Zombi.
E tu, in caso di olocausto zombie,
quale arma preferiresti avere al
tuo fianco? Ci sono consigli che
vorresti dare ai nostri lettori, in
tal senso?
INTERVISTE
Ripeto: il cervello è il loro unico
punto debole. Potete bruciarli, farli a pezzi, insultarli... tutto inutile se
non distruggete il cervello. Io, personalmente, Beretta Parabellum
Cal. 9: leggera, veloce, affidabile.
Non troppo utile sulla lunga distanza, meglio un fucile a pompa
o un kalashnikov. Ma, detto per inciso, se mi trovassi a lunga distanza da una gang di zombie me la
darei a gambe. Altro che prender
la mira e vinca il migliore. Per tutti
i lettori: al di là dei gusti personali,
un buon kalashnikov è sempre la
scelta migliore, in quanto perfetta
via di mezzo tra maneggevolezza
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 12
e potenza di fuoco.
De:Facto
Quale luogo consigli di presidiare in caso di attacco? C’è uno
sterminato numero di esempi di
luoghi nella letteratura classica,
dal supermarket al pub, che si
presentano come supersicuri ma
che poi finiscono inevitabilmente per essere presidiati. Tu dove
ti rifugeresti, e perché?
Da Bloodbuster. Ho costruito
questo rifugio anti-zombie nel
lontano ’99 e si è rivelato sempre
molto utile. Sia contro gli zombie
che contro i clienti rompicoglioni.
Anche se, in realtà, da piccolo il
mio sogno nel cassetto era finire
asserragliato in un megamarket
con orde di zombie chiusi fuori. E
da teenager in un drive-in.
INTERVISTE
Se si verificasse un’apocalisse
zombie, quali sono le cinque-cose-cinque che chiunque dovrebbe evitare di fare?
1) Girare da solo per le strade.
2) Girare da solo per le strade disarmato.
3) Ragionare con uno zombie.
4) Fare stage diving sopra una massa di zombie.
5) Invitare a cena uno zombie
(sembra scontato, ma succede più
spesso di quanto crediate. Io che
ho un centro di prima accoglienza
per zombie lo so).
Visto il tuo coinvolgimento nel
settore fumettistico, chiudiamo
con una domanda per metterti
in difficoltà: secondo te chi sono
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 13
i veri zombies fra editori, autori e
pubblico? Non dire la critica perché non vale…
Ghhhhhhhhhh…
MIXTAPE
RUBRICA
Mixtape
a cura di Nicola Peruzzi
Mixtape è un “blob” di citazioni prese a caso e riformattate in modo assolutamente arbitrario, in maniera da de-tournarne irrimediabilmente il significato. A volte da questa
sorta di “divinazione da fondi del caffè” dell’era del cut-and-paste stile Google possono
venire fuori anche cose intelligenti, altre volte è solo un esercizio di flusso di coscienza
fine a sé stesso. Decidete voi. Gli autori non ne hanno colpa. E “dal blog di…” non vuole
dire “detto da…”, per essere chiari.
“Il ragionamento è di una semplicità disarmante:
io >> saldapress >> “Z” >> zombie >> blog
E lo schema è anche comodamente invertibile.
Miracoli dell’ipertesto…” (dal blog di Andrea G. Ciccarelli, 25/02/2009)
“E’ colpa dell’invasione di zombie del 2000. Mostri privi di intelletto
ma affamati di carne umana che hanno divorato i grandi maestri del
fumetto italiano. I sopravvissuti a quella strage hanno trovato un sacco
di nuovo prospettive editoriali e ecco spiegato il perché Battaglia, Pulp
Stories e Milano Criminale adesso li potete trovare anche il libreria,
pubblicati da Mondadori o da BD. Non sempre uno zombie viene per
nuocere.” (dal blog di Diego Cajelli, 17/09/2007)
“Per quello che ne posso sapere, sono l’ultimo fumettaro sulla terra.
Chiuso nel mio bunker e assediato da orde di nerd zombie che
vogliono divorare la mia collezione di albi Corno.
Fortuna che ho il mio portatile al fianco.
E’ carico e so come usarlo, quindi è meglio che stiate alla larga se non
volete trovarvi un congiuntivo dritto in mezzo agli occhi.” (dal blog di
Roberto Recchioni, 09/04/2008)
“La colpa di questa mancanza di contatti è mia che son orso bestia
sociopatico e in questo paese dimmerda sono una massa di zombie da
bar, e sono solo, non c’è nessuno con cui confrontarmi, l’unica salvezza
è il web, etc. Cazzate così.” (dal blog di Makkox, 27/12/2007)
“Cari amici immaginari,
dopo conigli giganti, statue kafkiane, creature deformi, Trabant, isole
dei morti ed ex-repubbliche socialiste, rieccomi in trincea.
Con qualche novità.” (dal blog di Alex Crippa, 31/08/2008)
“E nel farlo, penso alle definizioni che in questi anni mi sono state cucite
sopra come il vestito di un morto ambulante.
Il tuo tratto è troppo particolare e personale, e non va bene per il
mercato italiano, sei troppo americano, per gli americani sono europeo,
e per gli europei sono italiano.
Ma allora? punto di domanda...? resta solo l’interrogativo.” (dal blog di
Carmine di Giandomenico, 22/07/2008)
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 14
De:Coder
APPROFONDIMENTO
rie assolutamente da seguire che
ha fatto capire che con gli zombie
si possono fare anche dei bei fumetti (e che vendono pure).
Più per gioco che per calcolo è
nato così il progetto Marvel Zombies.
Marvel Zombies è sempre stato il
nomignolo con cui sono noti i Marvel fan più duri e puri, da questo
gioco di parole e dalla sensibilità
dimostrata da Kirkman nello scrivere storie di morti viventi è nata
la miniserie uscita nel 2003.
Sul piano dei contenuti, Marvel
Zombies è ben poca cosa, ma il
tocco nerd di Kirkman e il lavoro
dignitoso di Sean Phillips ne hanno fatto un piccolo caso editoriale, ragion per cui hanno iniziato a
sorgere epigoni da ogni dove, il
tutto per tenere fede alla regola
di seguire quello che fa la Marvel
perché se lo fa la Marvel vuol dire
che vende…– una regola a cui si è
attenuta la Marvel stessa, che ha
riesumato addirittura Simon Garth,
regalandogli una nuova vita (?)
Arthur Suydam è il Male
di Simone Satta
Sono anni, ormai, che gli zombie
sciamano come cavallette sugli
scaffali delle fumetterie americane riuscendo spesso, non pienamente soddisfatti, ad attraversare
l’Atlantico per avventarsi sui malcapitati e un po’ masochisti lettori
italiani.
È un’invasione.
Purtroppo non è un’invasione di
veri zombie, lenti e maleodoranti
cadaveri affamati di carne uma-
na, ma di asettiche versioni bidimensionali che da ormai troppo
tempo infestano le previews delle
uscite d’oltreoceano.
Non che negli States i fumetti sugli
zombie fossero finora sconosciuti,
ma la loro presenza sonnacchiosa rientrava assolutamente nella
norma, tutto finchè il brillante
Robert Kirkman non ha dato alle
stampe il suo The Walking Dead:
un fumetto intenso, reale, una seDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 15
De:Coder
APPROFONDIMENTO
poco.
Il simpatico pittore ha prodotto,
fra illustrazioni e copertine, più di
quaranta opere, guadagnandoci
sicuramente tanti bei soldi e fama
a non finire ma finendo per risultare stucchevole.
In sostanza, quando pensavamo
di esserci liberati di Greg Horn
(che un saggio una volta ha definito “un pacchiano areografatore
di serbatoi di Harley Davidson”),
ecco che Suydam si è subito fiondato a prenderne il posto.
Se la zombiexploitation prosegue ancora oggi è principalmente a causa sua, di un suo perverso
piano per arricchirsi disegnando
l’unica cosa che sembra saper (o
perlomeno voler) disegnare, titillando le corde più nerd degli appassionati.
Ormai i marvel zombies (i fan, in
questo caso) non aspettano altro
che vedere quale sarà la prossima
cover zombizzata del pittore, la
Marvel incoraggia il giochino, ma,
mai come in questo caso, non sarebbe finalmente il caso di lasciar
riposare in pace i morti?
all’interno della linea Max.
Nel mezzo di questo valzer di cadaveri (che neanche all’obitorio...)
ha iniziato ad affermarsi la stella di
Arthur Suydam.
Arthur Suydam è il male.
Un illustre sconosciuto del mondo dei comics, con varie collaborazioni alle spalle principalmente
su prestigiose riviste come Epic
Illustrated e Heavy Metal (ma anche Penthouse Comix), si è messo
a produrre rivisitazioni in salsa
zombie di alcune storiche coperti-
ne della Casa delle Idee per la miniserie di Kirkman e Phillips. Nel
giro di pochi mesi Suydam, superata la soglia dei cinquant’anni, è
diventato una vera è propria star,
sfornando illustrazioni e copertine a tema (zombie, naturalmente)
a getto continuo, un’attività che
prosegue ancora oggi.
Ora la sua produzione ha raggiunto il limite della sostenibilità. Per il
lettore. Almeno per il lettore con
un minimo di buon gusto.
Il gioco, si sa, è bello quando dura
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 16
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Ma quando a dettare la linea è la
creatività degli autori, e non l’ansia del Politicaly Correct, i miracoli
possono accadere. Così, almeno,
nelle strip Disney dei bei tempi
che furono. Il Topolino inizio anni
30 di Floyd Gottfredson & C., per
esempio, poteva contare su una
batteria di cattivi soggetti da far
rizzare i capelli in testa a qualunque ragazzino medio: ne sono
un esempio il Macchia Nera degli
esordi, ma anche il piombatore
Giuseppe Tubi e il Pirata Orango,
tutti character lombrosiani, cinici
e spietati fino al midollo. E anche a
Paperopoli, c’era poco da stare allegri: Carl Barks aveva disseminato
nelle sue storie più belle tonnellate di rimandi al mito arcaico e
moderno, e non era raro vedere
Paperino e soci alle prese con serpenti marini, arpie, fantasmi o altri
personaggi decisamente poco rassicuranti. Ma sembrava impossibile che sulle pagine di un albo Disney potesse fare la sua comparsa
un morto vivente. Questo, almeno,
fino all¹agosto del 1949, quandi Andrea Voglino
do arrivò sugli scaffali il numero
238 di Donald Duck Four Color. La
rentemente zuccherosi di un fu- storia sceneggiata e disegnata
metto a base di “Funny Animals”. dall’Uomo dei Paperi si intitolava
Voodoo Hoodo, molto liberamente traducibile con Magia Voodoo.
E il protagonista assoluto della
storia era un autentico Zombie, il
leggendario e incomprensibile
“Gongoro” delle prime traduzioni
italiane. All’insaputa dei giovani
lettori, Barks aveva realizzato questa seminale avventura ispirandosi
a due racconti apparsi sul supplemento domenicale dei quotidiani
del gruppo Hearst The American
Weekly, di cui era un avido lettore:
I Met a Zombie! (1942) e The Lady
in Search of Danger! (1948). Gli
ingredienti di queste due favole
pulp sono grosso modo gli stessi
del primo horror dedicato ai morti
viventi, L’isola degli zombies (1932),
ma anche della storia che il grande
sceneggiatore e disegnatore fissa
sulla carta. In primis, una robusta
Uno zombie in casa Disney
Difficile immaginarsi contaminazioni horror negli scenari appa-
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 17
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
ne più ottusa che terrificante. Ma
le modifiche non basteranno a
placare le ubbie censorie della Disney, che dopo la prima pubblicazione di Voodoo Hoodoo arriverà a
sconsigliarne la ristampa in tutto
il villaggio globale. Nonostante
questo, l’implacabile Bombie tornerà a turbare il sonno dei fan di
Paperino e Co. In varie occasioni.
Ad esempio, in vari dipinti ad olio
realizzati da un Barks insospettabilmente brividoso a cavallo fra il
1973 e il 1996. O ancora, nell’undicesimo capitolo della Saga di
Paperon de Paperoni (1994), dove
uno strepitoso Don Rosa offre ai
lettori la cronaca del primo incontro fra Paperone e lo sciamano africano cui il mostro fa da braccio destro, il perfido stregone Matumbo.
Un’opera irrinunciabile per ogni
autentico aficionado del mondo
Disney, insieme al numero 42 di La
grande dinastia dei Paperi allegato
nel 2008 al Corriere della Sera a €
7,90, dove Voodoo Hoodoo è riprodotta in tutto il suo splendore con
un succoso corredo critico a cura
di Luca Boschi e Alberto Becattini.
Perché le buone storie non vogliono proprio saperne di morire.
dose di esotismo. Poi, l’incontroscontro fra mondo moderno e
mondo arcaico, e la figura di uno
stregone apparentemente onnipotente. E per finire, l’iconografia
del mostro, lacero e sottilmente
inquietante quanto i “veri” morti
viventi. Sguardo vacuo, andatura
caracollante, pelle cascante, in Paperino e il feticcio Bombie lo zombie sbarca a Duckburg stringendo
in pugno una bambola voodoo
da consegnare a Zio Paperone per
vendicare un torto commesso in
gioventù dal Vecchio papero. Ma
la somiglianza fra il futuro padrone di Paperopoli e il suo sfigatissimo nipote lo mette sulle tracce
di quest’ultimo, innescando una
horror comedy degna di una pellicola di John Landis. Ancor prima
che i fedeli acquirenti degli albi Disney, l’effetto spiazzamento connaturato a questa piccola grande
saga colpì i committenti di Barks,
terrorizzati dal taglio insospettabilmente “Mature Readers” della
faccenda. I direttori editoriali della Dell imposero al grande autore
Disney numerose modifiche volte
a ridimensionare l’aspetto grottesco di Bombie lo zombie, una su
tutte la rinuncia ai classici occhi
sbarrati e privi di iridi dei morti viventi, parzialmente coperti dalle
palpebre a simulare un’espressioDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 18
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Alcune cose che ho imparato sugli
zombie
di Roberto Recchioni
La cosa buona degli zombie (o verve per le sue creazioni... ma
zombi, se vogliamo prendere per non per questo vanno trattati
buona l’accezione italiana) è che alla leggera: queste fetide creastanno bene su tutto. Prendete ture hanno la cattiva abitudine
una storia, una qualsiasi, mettete- di rivoltarsi contro chi li ha scaci dentro qualche cadavere ambu- tenati, trasformando la storia
lante e vedrete come tutto acqui- in cui sono stati inseriti nel solista più sapore. Provate a immagi- to minestrone a base di assedi,
nare che film epocale sarebbe sta- fughe e carneficine insensate.
to Love Story se, dopo la morte del- Per evitare questa trappola (e alla bella Ali MacGraw, questa fosse tre che sono connaturali a questo
tornata alla vita e avesse strappato genere di racconti), qui di seguito
le budella a quell’insopportabile vi elencherò qualche trucco e ridi Ryan O’Neal. O se la bambina flessione che ho maturato scrivendi Reth e Rossella, dopo la tragica do più storie di zombie di quante
caduta dal suo pony, si fosse rial- mi piace ricordare. Spero che poszata da terra e a avesse strappato sano esservi utili.
a morsi i giganteschi seni di Mami!
E quanto ci saremmo annoiati di 1 - Le storie di zombie sono stomeno se nei Promessi Sposi, al po- rie realistiche.
sto della peste ci fosse stata una A differenza di molti altri sottobella infestazione di non-morti?
generi horror, i racconti a base di
Insomma, gli zombie sono una non-morti funzionano bene quanmano santa per qualsiasi sceneg- do la loro base è prettamente regiatore alla ricerca di un poco di alistica. Sì, ok... ci sono dei cadaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 19
veri che camminano per le strade
della città ma, una volta accettato
questo fatto, il pubblico tenderà
a razionalizzare e ad affrontare la
questione in termini strettamente pragmatici, concreti e comuni.
Magia, esorcismi, alieni, armi fantascientifiche o eventi sovrannaturali sono elementi che rendono
più difficile l’immedesimazione da
parte del pubblico... un mucchio
di cadaveri che camminano e che
tornano a essere cadaveri quando
qualcuno gli spappola il cervello,
molto meno. Perché di fondo, gli
zombie sono una folla senza cervello e le folle senza cervello sono
molto più credibili e reali di quanto potranno mai essere lupi mannari, vampiri e mostri vari. Quindi,
quando vi troverete a scrivere una
storia a base di zombie, il mio consiglio è di cercare di tenerla su binari quanto più realistici possibili.
2 - Date un significato ai vostri
zombie.
Un non-morto non è mai un nonmorto e basta. in Zombi di Romero/Argento, i morti viventi erano
un’allegoria del consumatore medio americano, in La Terra dei Morti
Viventi assumono il ruolo dei popoli affamati dall’occidente opulento,
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
in 28 giorni dopo sono l’eco del terrore per le malattie pandemiche,
in Ucciderò ANCORA Billy the Kid
sono lo specchio delle masse oppresse... e via dicendo. Tra tutte le
creature mostruose codificate tra
il diciannovesimo e il ventesimo
secolo, gli zombie sono oggi la
maschera più attuale, versatile e
incisiva a disposizione del genere
horror, quella attraverso cui è più
facile parlare di altro e mettere a
nudo le tensioni, gli errori e gli orrori del nostro mondo reale.
tutta una serie di situazioni, topoi
narrativi, archetipi e stereotipi
impressi a fuoco nella mente dei
vostri potenziali lettori. Se non
conoscerete questi elementi, rischierete di fare la figura del sempliciotto che crede di avere avuto
un’idea geniale quando, quella
stessa idea, è stata usata (e abusata) da altri mille autori. Che vi piaccia o meno, scrivere una storia di
zombie richiederà ogni briciola di
cinico distacco post-moderno che
sarete capaci di raggranellare.
3 - Fate i compiti a casa.
Per quanto la letteratura non sia
esattamente ricca di opere dedicate ai non-morti, il “genere zombie” è stato largamente codificato
dal cinema, dai videogiochi e dai
fumetti. Questo significa che, nel
momento in affronterete un racconto a base di non-morti, dovrete decidere se accettare o rifiutare
4 - Scegliete il vostro punto di
vista.
Se è vero che per scrivere una
buona storia a base di zombie bisogna necessariamente conoscere
a fondo tutte e altre opere con la
stessa tematica, non è altrettanto
vero che bisogna aderire allo stesso punto di vista di queste storie.
Shaun of the Dead (perdonatemi
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 20
ma mi rifiuto di mettere il titolo
con cui il film è stato distribuito in
Italia) è un film realizzato da una
coppia di autori che ha tenuto ben
presente ogni altro film sui morti
viventi realizzato in precedenza
ma, allo stesso tempo, ha trovato
un modo di guardare a una classica invasione di non-morti da un
punto di vista personale e inedito,
quello di una spassosissima commedia romantica. Simon Pegg e
Edgar Wright hanno capito (per
primi) che certe volte gli zombie
possono essere solamente uno
scenario su cui raccontare storie
diverse, magari lontane dai classici meccanismi consolidati, riuscendo a fare qualcosa di nuovo e
inedito, pur rimanendo nei confini di un genere ormai classico. La
stessa operazione, ma in senso
opposto, è stata fatta da Seth Grahame Smith che con il suo libro
Pride and Prejudice and Zombie
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
gazioni dell’origine di una invasione zombie sono precise, più sono
poco credibili e indeboliscono la
storia. Inventarsi qualcosa di davvero originale è difficile e, qualsiasi sia il tipo di evento scatenante
che avrete deciso di mettere in
scena, vi prenderà un mucchio di
tempo per spiegarlo nel dettaglio.
Il mio consiglio è quello di rimanere sempre nel vago. In fondo,
al vostro pubblico non interessa
sapere perché ci sono gli zombie
quanto piuttosto vedere come gli
zombie influiranno sulla nostra società e come l’umanità deciderà di
affrontarli.
6 - Conosci il nemico come conosci te stesso.
Al di là del loro significato simbolico che varia da interpretazione a
interpretazione, anche i tratti più
pragmatici e terreni dei non-morti
sono suscettibili di variazioni. Ci
sono gli zombie classici (lenti, stupidi e goffi), quelli moderni (veloci,
agili e rabbiosi), ci sono gli zombie
dotati di una vaga consapevolezza, quelli che parlano, quelli che
(addirittura) utilizzano strumen-
(Orgoglio e Pregiudizio e Zombie),
ha pensato bene di aggiungere
una bella invasione di cadaveri decomposti e deambulanti al capolavoro romantico di Jane Austen,
ottenendo un risultato esilarante
e, allo stesso tempo, spaventoso.
In sostanza, il consiglio è questo:
se siete alle prese con una storia di
zombie, pensate a come potreste
raccontarla utilizzando un punto
di vista differente da quelli cano-
nici. Se invece state scrivendo una
storia senza zombie... provate ad
aggiungerli e vedete cose ne viene fuori!
5 - Da dove vengono?
Quando vi cimenterete a scrivere
una storia di zombie, vi troverete
davanti a un dilemma inevitabile. Spiegare o non spiegare perché i morti sono tornati alla vita.
Nella mia esperienza, più le spieDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 21
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
ti, armi o veicoli, ci sono zombie
solitari o di gruppo, zombie vendicativi e anche qualche zombie
innamorato. Prima di iniziare a sviluppare una storia a base di nonmorti, stabilite che genere di zombie volete utilizzare, quali sono le
loro peculiarità, come si uccidono
(di questo parleremo nel prossimo punto) e in che modo si comportano. E poi scrivete la storia
attenendovi strettamente a quello che avete stabilito perché non
c’è niente di più irritante di vedere uno zombie che corre mentre
tutti i suoi “colleghi” deambulano
inebetiti intorno a lui.
7 - Come li uccidiamo?
Una volta stabilito il genere di
zombie che volete utilizzare e il
suo comportamento, dovrete anche stabilire con chiarezza la maniera in cui ucciderlo. Un colpo
alla testa è la scelta più classica
e funzionale ma non l’unica. Per
esempio: cosa succede se uno dei
vostri zombie viene fatto esplodere? E se gli danno fuoco? E se lo
affamano? E se provano ad affogarlo?
I racconti con gli zombie di solito
mettono in scena come protagonisti degli uomini comuni, questo
significa che spesso questi protagonisti tenderanno ad affrontare
i non-morti con armi improprie.
Inutile dire che questo aspetto vi
permetterà di divertirvi un mucchio nel cercare di ideare le maniere più originali e bizzarre con
cui i vostri eroi si libereranno dei
morti viventi.
Mazze da cricket, vecchi 33 giri,
seghe a nastro, coni stradali, ramazze, racchette da tennis, forni a
micro-onde, archi e frecce, molotov... non ponete limiti alla vostra
fantasia e osate.
8 - I protagonisti.
Gran parte dei personaggi coinvolti in storie con i morti viventi
sono gente qualsiasi, sorpresa
dall’invasione nelle situazioni più
disparate. La ragione di questo deriva da vari fattori. Prima di tutto
perché lo zombie classico è lento
e stupido e non rappresenta una
grossa minaccia per combattenti
esperti come i soldati (a meno che,
ovviamente, i soldati in questione
non siano tronfi, spocchiosi e ancora più stupidi delle creature che
stanno affrontando), in secondo
luogo perché grossa parte della
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 22
fascinazione del genere zombie
(come anche di tutte le altre opere
di finzione legate a grandi disastri
di massa) risiede nella domanda:
tu cosa faresti se ti trovassi in una
situazione del genere? L’immedesimazione tra pubblico e protagonisti della storia è uno degli elementi più forti e preminenti nelle
storie di zombie: non sottovaluta
telo perché potrebbe essere il vo-
De:FINIZIONI
stro migliore alleato.
9 - Consapevolezza.
I vostri protagonisti sanno cosa
sono gli zombie? Hanno visto i
film di Romero, giocato a Resident
Evil o letto uno dei miei fumetti (o
quelli di qualche altro brillante autore)? Se sì, allora sapranno anche
come affrontare gli zombie. Se no,
dovranno scoprirlo nel corso della
storia, Non sottovalutate questo
aspetto perché il vostro pubblico è probabilmente un pubblico
consapevole che conosce a menadito le regole del genere e sarà
estremamente esigente per quello che riguarda il comportamento
dei vostri eroi.
APPROFONDIMENTO
bovinamente a queste convenzioni. Per esempio, gran parte delle
10 - Pensate fuori dagli schemi.
Come tutti i generi fortemente
codificati, i racconti a base di zombie si nutrono di luoghi comuni e
situazioni tipiche che si sono dimostrate fortemente funzionali e
di grande presa. Questo però non
significa che voi dobbiate aderire
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 23
storie di zombie sono ambientate
ai giorni nostri, in occidente... ma
questo non significa affatto che gli
zombie funzionino egregiamente
solo in quel contesto. Una buona
storia di zombie potrebbe essere
ambientata nel medioevo, durante la rivoluzione francese, oppure
(perché no?) nella preistoria. Allo
stesso modo, sarebbe interessante vedere come sistemi di governo
diversi da quello americano o europeo potrebbero rispondere diversamente alla minaccia dei nonmorti. Allo stesso modo, anche le
reazioni dei vostri protagonisti (e,
di conseguenza, le meccaniche
della storia) potrebbero cambiare.
Le storie di zombie finiscono quasi
sempre per diventare racconti di
sopravvivenza e assedio... ma cosa
succederebbe se invece si sviluppassero su binari inediti, magari
prendendo maggiormente in esame gli aspetti politici, religiosi o
legati all’informazione di tutta la
faccenda? In questo senso, il bel
cortometraggio di Joe Dante Homecoming, è uno splendido esem-
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
cattolo che vi capita tra le mani,
cercate di capire in che modo
funziona e perché. Una volta che
avrete a vostra disposizione tutti
i “pezzi” di un determinato genere,
potrete decidere di utilizzarli così
come sono, buttarli o ricomporli
in forme nuove. Non abbiate paura di sperimentare e, soprattutto,
divertitevi!
pio di come la figura del non-morto possa essere utilizzata per parlare di qualcosa di meno banale e
scontato del solito.
Per il momento, ci fermiamo qui.
Il consiglio finale è sempre il solito che rivolgo a tutti gli aspiranti
sceneggiatori: guardate a tutte le
forme di racconto con curiosità e
spirito critico. Smontate ogni gioDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 24
FUMETTO
Jeffrey Brown
Testi e Disegni: Jeffrey Brown
Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics.
Traduzione: Nicola Peruzzi, Lettering e adattamento: Antonio Solinas
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FUMETTO
Jeffrey Brown
dedicato ad art adams
Testi e Disegni: Jeffrey Brown
Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 26
FUMETTO
Jeffrey Brown
ciao logan
non essere così
MUSONE.
non LO
SONO.
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‘Giorno
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FUMETTO
Jeffrey Brown
devo andare al lavoro, dolcezza. Grazie per ieri notte...
e quella chi era?
Un’amica.
Tipico.
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no problem,
bambola.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 28
FUMETTO
Jeffrey Brown
sei forse gelosa?
urgh! certo che a
volte sei proprio
uno STRONZO!
ehi, calmati, killer!
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E adesso chi è
il MUSONE?
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 29
FUMETTO
Jeffrey Brown
bah, io le donne proprio non le capisco.
dio, ma perché gli uomini sono tutti porci?
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Gesu’! MA CHE
PROBLEMI HA?
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FUMETTO
Jeffrey Brown
e non e’ che debba portarsi a
casa quei MIgnottoni, solo perche’
non si becca malattie veneree...
chi e’ la’?
però sono cotta di lui.
dovrebbe saperlo, è talmente ovvio.
urnhhh
mh?
eeeyargghhhh!
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Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics.
voglio dire, non è che usciamo
insieme, non potremmo, è come un
fratello maggiore per me...
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 31
FUMETTO
Jeffrey Brown
eyagh!
intanto...
ayeeeeeee!
forse
dovrei
scusarmi
qualche volta bisogna
pure arrendersi,
credo...
Testi e Disegni: Jeffrey Brown
Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics.
devo cercare aiuto!
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evabbè.
FUMETTO
Jeffrey Brown
zombi!
kitty, mi spiace, ’kay?
kitty?
eeeyagghhh!
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dall’odore sembra che sia passata
di qua... c’è UNA puzza strana, pero’...
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 33
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ragazzi, sembra che moriate
dalla voglia di combattere...
ENH
urnhhh
CRISTO!
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in guardia,
bestia!
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può diventare intangibile.
sono sicuro che stia bene
rg
eya
hhh
ce ne sono
tantissimi...
sembra proprio che dovro’ gettarmi
nella mischia...
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spero che kitty stia bene...
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 35
urnnnh
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FESSO!
è strana...
la testa...
devo - urgh -
continuare a combattere
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merda!
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il vecchio fattore rigenerante
si sta rimettendo in moto...
IN FRETTA!
devo fare fuori
questi tizi...
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urnrarr
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pare proprio che questo
fosse l’ultimo...
KITTY!
stai bene, bimba?
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yeargh
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kitty! no!
yearghh
kitty?!!
rarrg
eeyarrrh
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yearrgghhhhh
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rearghhh
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mi dispiace, kitty.
mi dispiace tanto.
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il fattore rigenerante ha ancora problemi con
l’infezione zombi... devo chiamare gli altri xmen... dire loro... quello che è successo...
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devo bruciare i
corpi...
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dio ho fatto un’enorme cazzata
ma perché sono stato così coglione? l’ho ammazzata io...
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Ho fatto una cazzata
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kitty...
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kitty
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FUMETTO
Jeffrey Brown
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 47
De:Facto
INTERVISTE
“Z” come Zombie: intervista ad
Andrea G. Ciccarelli
di Nicola Peruzzi
Lento ma inesorabile come la
materia di cui tratta, The Walking
Dead prosegue il suo cammino
editoriale in Italia. Cominciamo
quindi con la domanda che più
spesso ti viene posta: quando
uscirà il prossimo volume di The
Walking Dead?
Cominciamo malissimo. Mi avevano detto che voi di – com’è che
si chiama la vostra rivista?– sì, voi
di De:Code eravate degli originali, persone toste che non badano
agli schemi e che evitano le idee
preconcette. Insomma, per usare
le parole di Guastardo, “gente di
un certo livello”. E invece mi vieni
fuori con questa domanda. E soprattutto la metti all’inizio dell’intervista.
Facciamo così: secondo me usciamo prima noi con il volume 5 di
The Walking Dead che voi con
De:Code. Scommettiamo?
Con saldaPress avete cominciato
ad interessarvi agli zombie quando il mercato italiano era ancora
per certi versi “vergine”. Oggi
pare che la zombie-mania stia dilagando in tutto il mondo, Italia
compresa (e dire che a livello di
ricezione siamo anche piuttosto
lenti). Come giudichi questo ritorno di interesse nei confronti
dell’argomento?
Slego la tua domanda dal mero
aspetto editoriale e ti rispondo
che l’interesse diffuso nei confronti degli zombie, per come la
vedo io, è legato a filo doppio con
il concetto di collettività.
Provo a spiegarmi. In questi mesi
sono nel mio “periodo Gaberiano”, il che significa che, uno dopo
l’altro, mi sto riascoltando in ordine cronologico tutti i lavori di
Giorgio Gaber dal 1970 al 2000.
È interessante seguire il percorso
artistico di Gaber e vedere come
descriva esattamente lo sgretolarsi dell’idea di collettività in ItaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 48
lia nello spazio di trent’anni: dalla
collettività si passa al singolo e, di
conseguenza, allo smarrimento
di molti dei parametri che nel dopoguerra hanno guidato la nostra
convivenza civile.
Gli zombie rappresentano in chiave fantastica il concetto di collettività. O meglio, sono una nuova
forma di collettività sociale i cui
membri, pur guidati da un desiderio individuale (la fame), si muovono verso di esso in modo collettivo facendo forza sull’inesauribilità
del loro numero.
Lo zombie, in passato, spaventava
perché vi si leggeva la massa senza coscienza dei regimi totalitari
del secolo scorso. Oggi il cinema,
la letteratura e i videogiochi hanno svelato come spaventosa questa capacità degli zombie di ottenere qualcosa agendo insieme e
di sbaragliare tutto ciò che si oppone all’idea di un cambiamento
che già solo la loro esistenza porta
avanti.
Ma paura e desiderio sono da sempre legati a filo doppio (e Freud ci
aveva aggiunto anche la pulsione
di morte). Così oggi, attraverso un
gioco di rimandi tutto postomoderno, la figura dello zombie non
spaventa più, anzi, pare accettata
a tutti i livelli. Probabilmente ci
affascina proprio perchè, avendo
De:Facto
INTERVISTE
Come avrai intuito, la figura dello
zombie nel panorama culturale
in cui viviamo è qualcosa che mi
interessa molto, anche se il mio
approccio alla materia è assolutamente da neofita. In ogni caso,
sotto l’egida di saldaPress, ho deciso di inaugurare uno spazio online proprio su tutto questo: zetacomezombie.blogspot.com.
Per chi vorrà, sarà un posto interessante in cui seguire le mie riflessioni sull’argomento.
Tra Marvel Zombies (reali e fittizi),
morti che camminano, adattamenti dei film di Romero, la roba
di Steve Niles per la IDW, e chi
più ne ha più ne metta, non giudichi un po’ eccessivo l’interesse
nei confronti degli zombie? E non
temi che possa fare la fine, in un
periodo relativamente breve, del
noir o del grim ‘n’ gritty in salsa
supereroistica?
Usi parole stravaganti, però sei
simpatico. Se ho capito bene la tua
domanda, dovrebbe essere più o
meno del tipo “non avete paura a
investire tempo e denaro su qualcosa che probabilmente è solo una
moda gonfiata a dismisura e, in
quanto tale, destinata a passare più
perso progressivamente l’idea di
collettività, riponiamo il nostro
desiderio di qualcosa che ci manca là dove vediamo che ancora è
presente. Fosse anche un gruppo
di cadaveri caracollanti pronti ad
azzannare chiunque.
Credo sia un principio molto simile
a quello per cui più ci allontaniamo dalle nostre radici storiche e
culturali, più subiamo il fascino di
culture tribali lontane che, a differenza della nostra, sono ancora
fortemente legate al proprio passato (o, più semplicemente, che
noi immaginiamo ancora tali).
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 49
De:Facto
INTERVISTE
velocemente di un segretario all’interno del PD?”.
Se la domanda era questa, posso solo risponderti che, zombie
o meno, le belle storie restano e
se ne fregano delle mode. E per
come la intendiamo noi, “Z”, la collana che abbiamo appena lanciato
dedicata la mondo degli zombie,
è appunto un contenitore di belle
storie.
Piaciuta la risposta istituzionale?
Detto questo, la scommessa di “Z”
è proprio quella di riuscire a dare
ai lettori una panoramica ampia
sull’argomento e di mostrare che
gli approcci al tema possono essere completamente differenti,
dall’horror sociale di Kirkman con
TWD a quello totalmente anarchico di Alan Grant & Simon Bisley
con The Dead. Ma siccome vedo
che su “Z” mi hai fatto una domanda più avanti, mi fermo qui.
Parliamo di The Walking Dead.
Amore, morte, sesso e violenza:
TWD sembra il ricettacolo degli istinti primari messi su carta.
Chi sono, secondo te, i morti che
camminano?
Lo dice Kirkman alla fine del quarto volume. I morti che camminano
siamo noi. E io sono d’accordo con
lui.
Kirkman, autore ormai perfettamente a suo agio nel mainstream, è riuscito con TWD a scavarsi
una nicchia, a metà tra fumetto
indie e il mainstream, creando un
prodotto assolutamente unico
nel suo genere. Quali ritieni che
siano le ragioni di questo successo di pubblico e di critica, che di
solito non vanno quasi mai d’accordo?
Prima di tutto il passo. Kirkman
con TWD si è scelto un ritmo di
narrazione tutto suo e non ha avuto paura di mantenerlo nel corso
di questi cinque anni di pubblicazione della serie.
Per certi versi, Kirkman è stato bravissimo a portare il racconto verso
una struttura simile a quella del
teatro greco. La storia affronta di
volta in volta un tema principale
(il senso di giustizia, la ricerca infinita della sicurezza, la costruzione
del leader e via dicendo) e intorno
a quello Kirkman fa muovere i suoi
personaggi sviluppando, man
mano, la tesi, l’antitesi e la sintesi
rispetto al tema trattato (anche io
sono del club delle parole stravaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 50
ganti).
E gli zombie? Be’, in questra struttura gli zombie finiscono per assumere il ruolo del coro greco, sottolineando con il loro intervento
quello che nel frattempo sta succedendo sulla scena principale.
Un aspetto che, secondo me, diventa evidentissimo già nel quarto volume: dentro la prigione va in
scena il dramma che porta a stabilire chi sono davvero i morti che
camminano. Gli zombie stanno
De:Facto
INTERVISTE
pur conservando (quasi) intatte
le caratteristiche del comic book.
In che misura pensi che questo
possa aver influenzato il buon
successo di TWD?
Sicuramente moltissimo, ma non
è tutto lì. Quell’aspetto di cui parli
tu si vede chiaramente in serie a
fumetti come Y – L’Ultimo Uomo
oppure Ex Machina: sono scritte
avendo esattamente in mente la
scansione narrativa tipica degli
show televisivi.
La miscela di TWD è differente e
ha come componente fondamentale la linearità del viaggio. Non è
un caso che, negli ultimi mesi Kirkman abbia fatto scelte radicali
all’interno della serie proprio per
rimettere in movimento i personaggi rispetto alla stanzialità che
avevano raggiunto con l’arrivo
alla prigione nel terzo volume (ma
questo, in Italia, lo leggeremo solo
l’anno prossimo).
Comunque sia, non per menartela,
ma anche l’inizio di 28 Giorni Dopo
riprende quello de Il Giorno dei
Trifidi del 1962. Me l’ha detto ieri
Giuseppe Zironi e io a Zironi credo
ciecamente.
Come lo vedresti, in questo periodo di sovraesposizione massiccia
di TV Show, un TWD live action?
fuori, dietro le recinzioni, e Kirman
li inquadra proprio mentre stanno
lì e semplicemente guardano. Ed è
come se, con il loro sguardo vuoto, commentassero quello che noi
invece vediamo succedere sulla
pagina.
Kirman tratteggia una nuova società in cui gli zombie sono molto
simili a quegli aspetti della natura
che accettiamo come presenti e
che sappiamo potrebbero ucciderci: una malattia, un fulmine,
un’inondazione o un aereo che
cade. Il pensiero in sè non ci spaventa più ma lo accettiamo come
generatore di paura solo perché
riguarda qualcosa che può accadere.
TWD parte da uno spunto niente affatto originale. Ricordo che
all’uscita, quando lessi il primo
numero, mi lasciò piuttosto freddino, dato che pareva l’imitazione di 28 Days Later. Tuttavia,
prende una direzione unica nel
suo genere, a mio avviso, perché si trasforma rapidamente in
quello che potremmo definire
“CB show”. È più vicino al TV Show
che al graphic novel, per capirci,
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Usi un sacco di termini inglesi strani, sai? Comunque, se intendi una
serie di telefilm di TWD, è un’idea
che vedrei benissimo. Anzi, mi
domando come mai non sia ancora in produzione. Però, ora che
ci penso, mi domandavo lo stesso
di Preacher e ci hanno messo “solo”
10 anni a decidere se farne una serie televisiva o una pellicola cinematografica.
Comunque vada, se si farà, spero
che venga rispettata il volere di
Kirkman: a colori, ma a tinte desaturate (tipo Band of Brothers, per
intenderci). Sono un fan delle tinte
desaturate.
De:Facto
La progressione drammatica è
una delle caratteristiche fondamentali di TWD. I protagonisti
partono in media res, in una situazione che è difficile immaginare possa peggiorare e che
invece, seguendo alla lettera la
Legge di Murphy, diventa pian
piano impossibile. Non trovi che
un crescendo di eventi simili pos-
INTERVISTE
sa portare TWD a diventare quello che non è, ovvero un fumetto
“supereroistico” in cui si susseguono eventi sempre più inverosimili?
Per il discorso sul ritmo di narrazione che facevo prima, non mi
sembra proprio che la serie stia
andando nella direzione che dici
tu.
Kirkman è sempre attento a tenersi in equilibrio tra due aspetti che
farebbero collassare TWD se dosati male: non si piega mai a scandire
il racconto di ogni momento della
vita dei personaggi (come fanno
con l’acqua? E con la carta igienica? Come mai non si vede mai che
la vanno a cercare?) e non crea mai
passaggi narrativi che chiedano al
lettore di colmarli tramite la sospensione dell’incredulità.
Di più, non permette mai che l’approfondimento delle relazioni tra
i personaggi congeli la trama, ma
nemmeno fa fare un passo avanti
al plot prima di essersi assicurato
che quello che succederà possa
risuonare con ciò che abbiamo
scoperto fino a quel momento dei
personaggi.
Kirkman tiene sempre bene a fuoco due aspetti del suo racconto: da
una parte i personaggi, che certo
guidano la narrazione ma non la
esauriscono. E dall’altra quel tema
etico o morale di cui ti parlavo prima a proposito del parallelismo
con il teatro greco e che è il collante di tutte le vicende che i personaggi vivono. La serie cammina
proprio su queste due gambe.
Credo però che Kirkman stia rimandando il momento in cui dovrà affrontare l’ultimo tabù: far
morire o no Rick Grimes. Credo che
abbia paura di andare a scoprire se
la serie è più forte del personaggio
principale e se, come autore, è in
grado di tenere le redini di un romanzo corale come TWD ha tutte
le carte in regola per essere.
Ma, quando farà questa scelta
(e non credo che passerà ancora
molto tempo prima che la faccia),
sono sicuro che Kirkman ci spiazzerà di nuovo tutti.
The Walking Dead ha un forte
sottotesto politico-sociale, che
emerge soprattutto nel momento in cui i sopravvissuti creano la
loro microsocietà all’interno della
prigione, quando cominciano ad
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 52
De:Facto
INTERVISTE
imporsi delle regole, delle leggi e
via discorrendo. Ed è innegabile
che sia uno dei punti di forza del
fumetto. Ora, quanto pensi che
questo aspetto possa venire colto da un pubblico italiano quasi
completamente a digiuno di cultura americana? E in che misura
hai valutato questo aspetto nel
corso della pubblicazione?
Per il discorso gaberiano di cui sopra, purtroppo non riesco a immaginare dove possa ancora esistere
un pubblico italiano quasi completamente digiuno di cultura americana. Esiste davvero secondo te?
Quelle a cui fa riferimento Kirkman
sono ambientazioni e situazioni
che tutti noi avremo visto decine di
volte all’interno dei film americani
e, proprio per questo motivo, culturalmente ormai ci appartengono. Di conseguenza sono perfette
come sottofondo del ragionamento che di volta in volta Kirkman ci
propone di seguire.
L’aspetto che indichi tu è presente
nella serie e credo sia giusto che
il lettore attento lo scopra da sé.
Penso sia proprio questa scoperta
uno degli elementi che trascinano
il lettore all’interno della narrazione e che quindi noi, come editori,
non dobbiamo fare niente di particolare per presentarglielo.
Il nostro lavoro, se vuoi, è più ai
margini del racconto e dei suoi
temi, con le introduzioni e gli editoriali sulla figura dello zombie
nel panorama culturale odierno,
entrambi sempre affidati a firme
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di chiara competenza in materia.
Romero, in un intervista pubblicata in coda al vostro terzo volume
se non sbaglio, sostiene che gli
Zombie siano “il cambiamento”.
Ma che genere di cambiamento?
Pare che lui per primo, con le ulti-
De:Facto
me prove cinematografiche, abbia perso un po’ la bussola.
Stiamo pensando allo stesso Romero? Cioè a George? O tu intendi
John Romero, quello di Doom e
Quake che poi – sì, in effetti – con
Daikatana e le altre due o tre boiatine che ha fatto dopo, un po’ la
bussola sembra averla persa.
No, perché per me il buon vecchio
George finora non ne ha sbagliata
una e Diary of the Dead dimostra
che ha ancora ben chiaro quello
che vuole dire con i suoi zombie
che, in fondo, sono la prova provata che l’open source e il copyleft
sono attuabili a tutti i livelli.
Ti dirò di più: per come la vedo
io, pur con tutti i limiti dovuti ai
INTERVISTE
compromessi con le major che
ha dovuto accettare, Romero con
Land of the Dead ha centrato alcune idee interessanti. Ad esempio,
ritornando a quella riflessione
sull’idea di collettività che facevo
prima, gli zombie che riprendono
un minimo di coscienza e che, grazie a questa, organizzano il loro
attacco alla cittadella degli umani (che appunto, rappresentano
l’elemento anacronistico spazzato
via dalla forza del cambiamento)
è un’idea molto forte che credo
che sia stato Romero il primo a focalizzare in un modo così preciso.
E questo senza parlare della bellezza dell’idea degli zombie che
si incantano a guardare i fuochi
artificiali.
Anche secondo me “Land of the
Dead ha dei limiti evidentissimi,
ma il successivo Diary of the Dead
ha dimostrato chiaramente che il
problema non stava nel regista.
E credo che la nuova pellicola su
cui Romero è al lavoro parta già
col piede giusto fin dalla scelta del
titolo (di lavorazione?): …of the
Dead, ossia un titolo volutamente
laconico (comodamente traducibile in “Quel cazzo che volete dei
morti viventi”, come mi ha detto
l’altro giorno il grande Giuliano
Giunta), come a dire che quello
di Romero è il vero e unico brand
all’interno del genere. Cioè come
Star Wars per George Lucas ma
con molte meno menate.
The Walking Dead affronta tematiche della vita di tutti i giorni in
tempi di crisi. Avete considerato
che, sfruttando il gancio con l’attualità, potreste avere tra le mani
una potenziale bomba?
Tu dici? Ti racconto un aneddoto:
come sai, saldaPress è una casa
editrice piccola e il numero di volumi che riesce a pubblicare in un
anno con il passare del tempo è
cresciuto, ma è ancora abbastanza ridotto. Quindi, come immaginerai, ci sono decine di bei titoli
che ci capita di vedere in giro per
il mondo, su cataloghi o alle fiere,
ma che, alla fine, non ci è possibile
pubblicare. Bene, una di queste è
stata proprio The Walking Dead.
È il 2004 e l’Image, insieme ad altre
cose, mi manda da leggere TWD.
Ne leggo un paio di numeri e nel
giro di qualche pagina Kirkman mi
ha già tirato dentro la storia senza possibilità di uscirne più fuori.
Penso allora che sarebbe molto
bello avere TWD nel nostro catalogo ma, conti alla mano, in quel
momento non ci possiamo permettere di acquistare i diritti di un
libro che non riusciremmo a pubblicare prima di un anno e mezzo.
Così telefono a un editore mio
amico, uno che è in giro da parec-
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 54
De:Facto
chio tempo e che pubblicava i libri
a fumetti quando ancora “diverse
migliaia di venduto in prima battuta” significava una situazione di
piena normalità. Gli parlo di TWD.
Gli dico: “Secondo me è un titolo
molto bello, ma noi adesso non
ci riusciamo a pubblicarlo. Perché
non lo pubblichi tu?”. E lui mi risponde: “Ma a me che me ne frega
degli zombie?”.
Finita la telefonata, TWD mi resta
in testa. Ci dormo su un paio di
notti e poi decido che vale la pena
di rischiare.
C’è di bello in questa storia che,
conoscendo bene l’amico editore
di cui sopra, con il passare degli
INTERVISTE
anni non credo proprio che abbia
cambiato idea.
Non ho capito esattamente perché ti ho raccontato questa storia
né se ho risposto o meno alla tua
domanda, ma fa lo stesso.
Torniamo alla dilagante zombiemania. SaldaPress sta preparando
una gustosa novità in tal senso:
la Collana “Z”. Potresti introdurci
brevemente a questa collana, e
magari rivelarci anche qualche
idea che avete per il futuro (recupero di grandi classici, scoperta
e diffusione di misconosciuti fumetti zombeschi...)?
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 55
In verità l’unica idea che abbiamo
in mente, oltre a quella di pubblicare bei libri a fumetti pieni di
zombie, è quella di organizzare
una giornata dell’orgoglio zombie
qui a Reggio Emilia. Una di quelle con la manifestazione, la gente
truccata da zombie che caracolla
per le strade e tutta quella roba lì.
Non so perché, ma mi sembra una
cosa importante da fare.
Pensa che abbiamo già immaginato tutta la campagna di lancio.
Titolo: “Reggio Emilia, città degli
zombie”, che così ci agganciamo
anche alla critica sociale sul territorio. E come simbolo, la foto di
un tricolore tutto sporco e lacero.
De:Facto
INTERVISTE
Dead di Alan Grant e Simon Bisley
lo prende e lo proietta nell’empireo del politicamente scorretto da
cui Raise the Dead di Leah Moore e
John Reppion lo raccoglie e lo riconduce in territori vicini a quelli
tracciati da Romero.
Ma il bello è che, essendo “Z” la
prima e più grande collana italiana dedicata al tema degli zombie,
solo averla annunciata agli editori stranieri ci sta facendo arrivare
proposte da tutto il mondo che, in
pratica, potrebbero già oggi coprire il piano editoriale del 2010.
Mettiamo da parte un attimo The
Walking Dead, che si sa essere
uno dei migliori fumetti a tema
zombi attualmente in commercio. Tra i classici, i moderni e i
contemporanei, quali sono i tre
esempi di narrativa zombi migliore in assoluto?
Ovviamente, foto con colori desaturati.
Non so quando né come, ma vedrai che riusciremo ad organizzarla.
Per il resto, che dire? La collana “Z”
parte quest’anno sotto i migliori
auspici. Oltre a due nuovi volumi di
TWD abbiamo in cantiere 4 nuovi
titoli che permetteranno ai lettori
di ampliare il proprio orizzonte in
materia: Fragile di Stefano Raffaele che declina una storia d’amore
in chiave zombie, Gli zombie che
mangiarono il mondo di Jerry Frissen e Guy Davis che sposta il tema
dei non morti nei territori della
commedia, esattamente dove The
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 56
Uscendo dal fumetto, a me sono
piaciuti molto due libri di narrativa. World War Z di Max Brooks
e L’estate dei Morti Viventi di John
Ajvide Lindqvist.
E per l’affetto che nutro verso Mastro (o Mostro) Sclavi, non posso
non citare Dellamorte Dellamore
che, scusate il gioco di parole, vorrei davvero che tornasse a nuova
vita (editoriale).
Però rientro subito nei territori del
fumetto e scrivo tutto in maiuscolo che OGNI VERO AMANTE DEGLI
ZOMBIE NON DEVE PERDERSI PER
NESSUN MOTIVO THE ABANDONED
DI ROSS CAMPBELL, PUBBLICATO
IN ITALIA DAI BENEMERITI DELLA
PURPLE PRESS! Che lo sappiano Dario Morgante e i suoi che io questo
titolo glielo invidio molto.
E fra le cose peggiori dell’universo zombesco, invece, cosa ci metteresti?
Credo il parlamento italiano.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Il “non morto” che cammina
La serie a fumetti The Goon di Eric
Powell (pubblicata in America da
Dark Horse ed in Italia da Magic
Press) è senz’altro un’anomalia.
Infatti, sebbene un elemento importantissimo della storia siano
gli zombie (anche lo strillo di co-
più chiari, in The Walking Dead e
Zombie World, per citare due titoli
più o meno indie che viaggiano su
binari assolutamente divergenti
di Antonio Solinas
(ma anche nella maggior parte dei
titoli che hanno a che fare con i
pertina parla chiaro: “Even the Un- morti che camminano), la premesdead Fear the Goon!”), la serie non sa iniziale è quella della lotta per
è vincolata a uno sviluppo logico la sopravvivenza dei viventi nei
di certe premesse “zombesche”, confronti degli zombie. Una volta
che spessissimo sono codificate messi in scena gli zombie, questi
costrizioni su cui necessariamen- diventano una sorta di pestilenza
te basare gli intrecci. Per essere moderna (che si presta a diversi
livelli di lettura metaforica, per di
più) e il tema della lotta per la sopravvivenza della razza umana di
fronte alla lenta invasione diventa necessariamente basilare, anzi
prevalente.
In The Goon questo aspetto, invece, è fondamentalmente trascurabile: i “pelleossa” sono in pratica
“solo” una pericolosa gang di senza
cervello capeggiati dallo zombie
parlante Lazlo, braccio destro del
Prete Senza Nome, il cattivo della
serie.
In questo senso, si limitano a presidiare il territorio in Lonely Street,
sede della tana del Prete Senza
Nome, e non sono la forza inarrestabile che tenta di fare proseliti a
furia di morsi sul deltoide vista in
innumerevoli film.
Con questa scelta narrativa, legan-
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 57
De:FINIZIONI
do lo zombismo alla maledizione
orchestrata dal Prete Senza Nome
(che non esita a zombificare anche il proprio socio), Powell ha la
possibilità di sfruttare a proprio
vantaggio tutta una serie di espedienti narrativi che di solito non
sono necessariamente associabili
alla fenomenologia zombesca. Ad
esempio le gag umoristiche, che
sfruttano la “stupidità” (se si può
usare questo termine) dei morti
che camminano, riuscendo spesso molto bene.
Soprattutto, però, l’autore ha l’opportunità di instillare negli zombie
(primo in questo?) un sentimento.
Che è quello che ci guida normalmente in ogni passo importante
della nostra vita, ma che non è
normalmente associato (o associabile) alla lenta marcia dei “pelleossa” senza cervello: la paura.
I morti che camminano, infatti, temono l’Avvoltoio (Buzzard in originale), nemesi per antonomasia
se mai ce ne sia stata una.
L’Avvoltoio è uno dei personaggi
più straordinari (proprio in senso
etimologico) mai apparsi in storie
di zombie.
APPROFONDIMENTO
Eroe tragico, è il risultato di una
maledizione “andata male”. L’uomo dal nome dimenticato, un rispettato pistolero del Missouri, era
diventato sceriffo di una cittadina
del West, abitata da sempliciotti
e hillbilly che pensavano di non
avere nulla da temere, in quanto
si fidavano ciecamente dell’uomo
con la stella.
Questo fino all’arrivo in città del
Prete Senza Nome, che in meno di
due settimane riuscì (con diabolica abilità) a ingannare i cittadini
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 58
timorati di Dio, trasformandoli in
officiatori di riti satanici, col risultato di farne poi morire molti tramite una misteriosa pestilenza.
Successivamente, i morti risorsero
come zombie, a reclamare infine
tutti i cittadini del paesino tramite l’infezione zombesca. Unico sopravvissuto, distrutto dal rimorso,
rimase il pistolero, che, rinchiusosi
nell’ufficio dello sceriffo, si annullò
nell’alcol e nel dolore.
Tutto sarebbe finito lì se il Prete
Senza Nome non si fosse azzarda-
De:FINIZIONI
to a prendere in giro il pistolero,
sfidandolo a mandarlo via dalla
cittadina. Il pistolero, pazzo di rabbia, alcol e dolore, uscì dall’ufficio
avventandosi sul Prete per ucciderlo, e questi, andando nel panico si difese con una maledizione
che, scagliata su un essere vivente
(e non su un cadavere) lo trasformò nella patetica creatura nota
come l’Avvoltoio.
In questo senso, il giustiziere dagli occhi bianchi è veramente il
contraltare degli zombie, in tutto
e per tutto: a livello iconografico,
per iniziare, L’Avvoltoio è un vero e
proprio “pelleossa”, magro scheletrico, vestito di nero e vagamente
trasfigurato (nella maniera in cui
può esserlo Gollum, per dire).
APPROFONDIMENTO
Per quanto riguarda il modus
operandi, la ripetitività assoluta
dell’essere zombie si rispecchia
nella furiosa coazione a ripetere
che costringe L’Avvoltoio a “vivere”
con una sola missione, quella di
uccidere gli zombie e vendicarsi
del Prete Senza Nome. In questo,
l’ossessionata determinazione de
L’Avvoltoio nel fare saltare il cervello dei morti che camminano diventa ripetitiva e meccanica proprio come la “fame” degli zombie,
visto che proprio le maledizioni
del Prete Senza Nome (e una geniale trovata di Powell) lo condannano a cibarsi della carne in putrefazione degli undead. L’Avvoltoio,
infatti, in maniera tanto disgustosa e disturbante quanto il miglior
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 59
horror zombesco, per sopravvivere deve cibarsi delle carni putrefatte degli zombie, e lo fa sempre
nella maniera più gore possibile,
anche nell’eccellente stilizzazione
artistica dei disegni di Powell.
La storia delle origini segrete de
L’Avvoltoio, quantomai triste, consente a Eric Powell di cambiare
con maestria registro (emotivo e
narrativo) in The Goon, e trasforma
quello che poteva essere definito
un misto fra B-movie anni ‘60, fumetti EC e parossismi a là KirbyMonty Pithon in qualcosa di più
stimolante e profondo.
Laddove, infatti, lo humor nero
della serie (affidato soprattutto
alla spalla comica Frankie) domina
solitamente la scena, esprimendosi in maniera spesso poco “politically correct (uno dei fattori chiave
del successo del fumetto), sono i
momenti d’atmosfera e le tragedie personali, gestite in maniera
eccellente, a fare venire fuori la
profondità dei personaggi e a dare
spessore a un fumetto che vive di
un lavoro di costruzione delle trame fortemente debitore della miglior tradizione Marvel anni ‘70.
E L’Avvoltoio, in tal senso, rappresenta uno dei personaggi meglio
riusciti della serie, una patetica
caricatura di essere vivente che,
nonostante il desiderio di morire,
non può che arrendersi alla fame
di carne zombie, toccandoci con
dolenti note di umanità apparentemente perduta ma pur sempre
presente.
GUEST LIST
Rubrica
Zombie Superstar!
I miei cinque morti viventi preferiti
di Diego Cajelli
Sono un romeriano di ferro. Ho
passato buona parte degli anni
ottanta guardando il film Zombi,
Dawn of the Dead, ma a noi zombie-dipendenti piace chiamarlo:
“quello del centro commerciale”.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 60
Alla fine, ho smagnetizzato la vhs
a furia di rivederla.
In quel film i personaggi sono tanti, tantissimi. Comparse-scomparse senza battute perché gli basta
ringhiare. C’è il piccolo Mike, il nipote di Tom Savini, il terrorizzante
Bambino Zombie o Lee Cummings,
lo Zombie Ciccione che rimbalza
nella fontana.
Ho visto una vagonata di film sui
morti viventi, ma dovendo stilare
GUEST LIST
una classifica assoluta, preferisco
concentrarmi unicamente sulla
mia radice estetico/narrativa, quella degli zombie diretti da George
Andrew Romero.
Quinto posto: Big Daddy. Il più intelligente zombie del pianeta, interpretato da Eugene Clark in Land
of the Dead. Fiero nella sua tenuta
da benzinaio, immune al fascino
dei fuochi artificiali. A metà tra un
leader per i diritti civili e un rappresentate del sindacato dei morti.
Una figura carismatica, per quanto
in avanzato stato di decomposizione.
Poi c’è il grandissimo Bub. Per il mio
amico Alex Crippa è lo zio-zombie
che non ha mai avuto, per me è
un patriota. Mi saluta militarmente nella sua giaccona di flanella a
scacchi. Un ruolo decisamente importante per Shermann Howard in
Day of Dead.
Vi avviso, nonostante i suoi problemi a maneggiare un telefono,
Bub è molto meno rincoglionito di
quanto vi faccia credere.
Impossibile non citare Lenny Lies,
che in Zombi è chiamato a recitare una parte fondamentale per il
genere e per la storia degli effetti
speciali. Interagisce con Tom Savini in persona. Lo conoscete tutti, è
Machete Zombie. Quello a cui lo zio
RUBRICA
Savini apre in due la testa, quando
la banda di predoni assalta il centro commerciale. Il trucco era così
complesso da dover essere messo
in atto dal suo stesso creatore, Savini, attore/regista/effettista, autentico mito del genere horror.
È il momento dei pezzi grossi. Secondo posto: lui, l’inimitabile Bill
Hinzmann. Cemetery Dead.
Ovvero, il primo zombie che si
vede in La Notte dei Morti Viventi
e nella cinematografia moderna a
base di zombie. È un tipo ostinato,
implacabile. Si cimenta per primo
con l’andatura caracollante, diventando l’apripista di riferimento per
una serie di morti viventi futuri.
Al vertice di questa classifica zombesca c’è il morto vivente che più
di ogni altro è entrato nell’immaginario collettivo. Michael Christopher Berhosky, è lui a vestire i
panni dello Zombie Hare Krishna
in Zombi. Con i suoi occhialetti
tondi e la sua tunica arancione è
diventato un vero divo, e per forza
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 61
di cose, trattandosi di zombie, è un
divo del muto.
SPARRING PARTNERS
RUBRICA
Zombie Artistici
di Antonio Solinas e Giovanni Agozzino
La premessa di Sparring Partners è semplicissima: gli autori si trovano su Skype, vanno a ruota libera su temi spesso strampalati e
infine salvano le trascrizioni della conversazione. Incredibilmente, con un minimo di editing (ridotto per altro all’osso, per non disturbare il flow della chat) ne vengono fuori discussioni interessanti (speriamo lo siano anche per voi).
In questo caso, i due “sparring partners” si sono inventati una improvvisata discussione sull’arte a partire da un commento a caso (fra
parentesi, l’innominato è Ausonia) su un blog e da presunte analogie con il modus operandi degli zombie (!). Questo è il risultato.
Antonio Solinas:
21:51:37
Pronto per "Sparringare"?
Giovanni Agozzino:
21:52:11
yes
Giovanni Agozzino:
21:52:14
o meglio
Giovanni Agozzino:
21:52:18
sono del tutto impreparato
Giovanni Agozzino:
21:52:20
come va, va
Antonio Solinas:
21:52:39
il bello e' proprio quello
Antonio Solinas:
21:52:43
allora
Antonio Solinas:
21:53:01
partiamo da una cosa che mi ero segnato perche' mi aveva colpito
Giovanni Agozzino:
21:53:16
spara
Antonio Solinas:
21:53:19
non nomino l'autore perche' non e' il punto della cosa
Antonio Solinas:
21:53:32
pero' su un blog avevo trovato questo
Antonio Solinas:
21:53:48
(tanto poi qualche gossipparo se lo gugola...)
Giovanni Agozzino:
21:53:57
vediamo
Giovanni Agozzino:
21:54:03
(io lo farei il nome dell'autore, ma dopo)
Antonio Solinas:
21:54:23
però se volete vi dico anche cos'è l'arte secondo me... per me l'arte è un TENTATIVO. e il prodotto di questo
tentativo non è l'opera d'arte. no. magari, sarebbe
bello.
rimane solo
unpag.
tentativo
De:Code
2.0,spesso
n.2, maggio
2009
62 e basta. di opera d'arte, se
hai culo, te ne esce fuori una nella vita. essere un artista non equivale ad essere un genio, ma a seguire un percorso
Antonio Solinas:
21:53:48
(tanto poi qualche gossipparo se lo gugola...)
Giovanni Agozzino:
vediamo
21:53:57
SPARRING PARTNERS
Giovanni Agozzino:
21:54:03
(io lo farei il nome dell'autore, ma dopo)
Antonio Solinas:
21:54:23
però se volete vi dico anche cos'è l'arte secondo me... per me l'arte è un TENTATIVO. e il prodotto di questo
tentativo non è l'opera d'arte. no. magari, sarebbe bello. spesso rimane solo un tentativo e basta. di opera d'arte, se
hai culo, te ne esce fuori una nella vita. essere un artista non equivale ad essere un genio, ma a seguire un percorso
alternativo.
Antonio Solinas:
21:55:02
al di la' del fatto che, per linee generali, potrei essere d'accordo
Giovanni Agozzino:
21:55:11
è una definizione abbastanza fumosa
Antonio Solinas:
21:55:23
(nonostante alcuni pericoli di totalitarismo insiti nella definizione)
Antonio Solinas:
21:55:41
mi ha immediatamente fatto pensare agli zombie
Giovanni Agozzino:
21:55:56
questa è bella, spiegamela
Antonio Solinas:
21:56:48
cioe', come dice anche Alex Crippa, gli zombie sono "animati" da una specie di coazione a ripetere
Antonio Solinas:
21:57:10
e quindi fanno branco e ti sbranano il cervello anche se non ne avrebbero bisogno
Antonio Solinas:
21:57:26
anche questo mi sembra un tentativo
Giovanni Agozzino:
21:57:41
uhm
Giovanni Agozzino:
21:58:29
fatico a seguirti: uno zombie esercita un'arte perché simula un comportamento? l'opera d'arte sarebbe un cervello
sbranato a dovere?
Antonio Solinas:
21:58:43
no, mi spiego meglio
Antonio Solinas:
21:59:30
se l'arte e' un tentativo (anzi TENTATIVO), allora gli zombies tentano (o TENTANO) di credersi vivi
Antonio Solinas:
21:59:59
per il discorso dell'opera d'arte (una nella vita)
Antonio Solinas:
22:00:19
poi, non hanno problemi. Sono gia' morti...
Giovanni Agozzino:
22:00:27
ahaha
Giovanni Agozzino:
22:00:48
in effetti, tendono a qualcosa che hanno già raggiunto (il culmine dell'esistenza umana)
Giovanni Agozzino:
22:01:13
(come dice daw in a come ignoranza 3, un essere umano completo è un essere umano morto)
Antonio Solinas:
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 63
22:01:20
RUBRICA
Antonio Solinas:
22:00:19
poi, non hanno problemi. Sono gia' morti...
Giovanni Agozzino:
ahaha
22:00:27
SPARRING PARTNERS
Giovanni Agozzino:
22:00:48
in effetti, tendono a qualcosa che hanno già raggiunto (il culmine dell'esistenza umana)
Giovanni Agozzino:
22:01:13
(come dice daw in a come ignoranza 3, un essere umano completo è un essere umano morto)
Antonio Solinas:
22:01:20
nella forma più pura
Antonio Solinas:
22:01:29
hahahha
Giovanni Agozzino:
22:01:39
eh, ma daw è un genio, in effetti.
Antonio Solinas:
22:01:48
effettivamente
Giovanni Agozzino:
22:02:09
però è una definizione troppo approssimativa
Giovanni Agozzino:
22:02:38
oppure, se vogliamo vederla da un altro punto di vista, la definizione è esatta, e gli "artisti" sono proprio poca cosa
Antonio Solinas:
22:02:55
e' un modo di vederlo
Giovanni Agozzino:
22:03:04
(e ora che ci penso, la maggior parte degli artisti che si autodefinisce tale, almeno nel nostro campo, non si discosta
molto da un atteggiamento zombesco)
Antonio Solinas:
22:03:37
alcuni ti mangiano anche il cervello, devo dire
Giovanni Agozzino:
22:03:48
fortuna che frequento poche fiere, allora!
Antonio Solinas:
22:03:54
hahahah
Giovanni Agozzino:
22:04:00
spostiamo la discussione a un livello metanarrativo
Giovanni Agozzino:
22:04:07
se uno zombie è un artista
Giovanni Agozzino:
22:04:08
un negromante cos'è?
Antonio Solinas:
22:04:31
vedi, il mio cruccio e' come differenziare lo sforzo artistico dallo sforzo di uno zombie
Antonio Solinas:
22:04:49
se no, qualunque sforzo diventa arte
Antonio Solinas:
22:05:10
anche uno sforzo inconscio (e non faccio la battuta del cagare)
Giovanni Agozzino:
22:05:22
troppo tardi
Giovanni Agozzino:
(ma ci ha già pensato manzoni, mi spiace)
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 64
22:05:28
RUBRICA
Antonio Solinas:
22:04:49
se no, qualunque sforzo diventa arte
Antonio Solinas:
22:05:10
anche uno sforzo inconscio (e non faccio la battuta del cagare)
SPARRING PARTNERS
Giovanni Agozzino:
22:05:22
troppo tardi
Giovanni Agozzino:
22:05:28
(ma ci ha già pensato manzoni, mi spiace)
Antonio Solinas:
22:05:52
si, ma li' l'intento era leggermente diverso
Antonio Solinas:
22:05:57
e piu' articolato
Giovanni Agozzino:
22:06:09
vedi, stavo per dire che l'arte presuppone cultura e un progetto ben definito alla base dello "sforzo"
Giovanni Agozzino:
22:06:36
in realtà non ne sono sicuro, evidentemente esisteranno e sono esistiti artisti istintivi e ignoranti
Giovanni Agozzino:
22:06:39
(o no?)
Antonio Solinas:
22:06:54
boh
Antonio Solinas:
22:06:57
si
Antonio Solinas:
22:07:14
pero' il discorso del progetto puo' restare
Antonio Solinas:
22:07:36
(anche se magari inconscio, anche se qui si entra in un altro terreno minato)
Giovanni Agozzino:
22:07:42
appunto
Giovanni Agozzino:
22:07:58
devo dire che questo genere di discorsi mi inquieta
Antonio Solinas:
22:08:09
in che senso?
Giovanni Agozzino:
22:08:59
credo che persone ben più preparate di me, te o dell'autore innominato abbiano dibattuto per secoli sul significato di
arte senza cavare un ragno da un buco
Antonio Solinas:
22:09:14
ma a noi interessa andare a tentoni
Antonio Solinas:
22:09:28
Sparring Partners sì che e' un tentativo
Giovanni Agozzino:
22:09:40
ma di certo non è arte
Antonio Solinas:
22:09:55
no, ma appunto per questo non dobbiamo definirlo
Giovanni Agozzino:
22:09:58
(stavo per dire che non lo è perché è "imperfetto". ma tutte le opere d'arte sono imperfette)
Antonio Solinas:
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 65
si, a parte quella tizia svedese che avevo conosciuto nel 1999 a Southampton
22:10:39
RUBRICA
ma di certo non è arte
Antonio Solinas:
22:09:55
no, ma appunto per questo non dobbiamo definirlo
Giovanni Agozzino:
SPARRING PARTNERS
22:09:58
(stavo per dire che non lo è perché è "imperfetto". ma tutte le opere d'arte sono imperfette)
Antonio Solinas:
22:10:39
si, a parte quella tizia svedese che avevo conosciuto nel 1999 a Southampton
Giovanni Agozzino:
22:11:22
ahaha
Giovanni Agozzino:
22:11:51
a proposito di opere d'arte viventi, sasha grey abbandona il porno per fare film con soderbergh
Giovanni Agozzino:
22:12:04
in questo caso che succede, un'opera d'arte si declassa ad artigianato?
Antonio Solinas:
22:12:13
si, ho letto sul blog di un redattore... hahahaha
Antonio Solinas:
22:12:21
boh
Antonio Solinas:
22:12:34
ma quale sarebbe il tragitto e il tentativo, in questo caso
Antonio Solinas:
22:13:00
o nel caso della precedente carriera (senza entrare troppo nel porno se no dicono che siamo maniaci)?
Giovanni Agozzino:
22:13:32
sono fidanzato, non posso più parlare di queste cose
Antonio
Antonio Solinas:
Solinas:
dillo
alla
mia
hahahahah bambina di un anno
22:13:46
22:13:38
Giovanni Agozzino:
22:15:06
a parte gli scherzi, sasha grey ha saputo (grazie alla particolarità dei ruoli "interpretati") rendere il porno non solo un
prodotto da masturbazione quanto qualcosa che oltre al suo ruolo originale potesse evocare anche disturbo e fascino
non erotico
Giovanni Agozzino:
22:15:11
(credo)
Giovanni Agozzino:
22:15:29
ha reso l'artigianato (porno) qualcosa di più interessante e colto (arte?)
Antonio Solinas:
22:15:57
boh, su questo non ho veramente una opinione. Sarò uno zombie?
Antonio Solinas:
22:16:26
Ma poi qui si entra nell'ennesimo ginepraio
Giovanni Agozzino:
22:16:29
piuttosto, perché noi due finiamo sempre a parlare di porno?
Antonio Solinas:
22:16:34
non lo so: hai iniziato tu, stavolta...
Antonio Solinas:
22:17:15
mi e' venuta in mente la punchline di una canzone rap: "gettin' more brain than zombies"
Antonio Solinas:
22:17:26
dove brain sta per fellatio
Antonio Solinas:
tutta colpa tua, Giova'!
22:17:34
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 66
RUBRICA
Antonio Solinas:
22:16:34
non lo so: hai iniziato tu, stavolta...
Antonio Solinas:
22:17:15
mi e' venuta in mente la punchline di una canzone rap: "gettin' more brain than zombies"
SPARRING PARTNERS
Antonio Solinas:
22:17:26
dove brain sta per fellatio
Antonio Solinas:
22:17:34
tutta colpa tua, Giova'!
Giovanni Agozzino:
22:17:40
ahaha
Giovanni Agozzino:
22:18:01
e io che mi ero preparato con un po' di libri e fumetti sugli zombie qui sulla scrivania
Antonio Solinas:
22:18:11
cosa?
Giovanni Agozzino:
22:18:25
l'alba dei morti viventi
Giovanni Agozzino:
22:18:30
the walking dead
Antonio Solinas:
22:18:38
un classico, due classici
Antonio Solinas:
22:19:12
ma mi aveva colpito il discorso metanarrativo del negromante.
Antonio Solinas:
22:19:33
puoi elaborare?
Giovanni Agozzino:
22:20:07
ci posso provare
Antonio Solinas:
22:20:28
si, perche' non ci avevo capito una mazza
Giovanni Agozzino:
22:21:15
beh, il paradosso sta nello zombie che esercita arte ma è, a sua volta prodotto dell'arte di qualcun altro
Antonio Solinas:
22:21:40
fino a che non si dimostra che gli zombie esistono veramente
Antonio Solinas:
22:22:05
(certi sondaggi di gradimento farebbero pensare di si)
Giovanni Agozzino:
22:22:09
ahahah
Antonio Solinas:
22:22:33
in effetti, ampliando il paradosso
Antonio Solinas:
22:22:53
lo zombie esercita arte nell'essere il grado zero dell'esercizio dell'arte
Giovanni Agozzino:
22:23:21
il grado zero?
Antonio Solinas:
22:23:42
svolge solo delle funzioni primarie
Antonio Solinas:
e qui quello messo in difficolta' sarebbe Scott
McCloud2.0, n.2, maggio 2009 pag. 67
De:Code
22:23:46
RUBRICA
Antonio Solinas:
22:22:53
lo zombie esercita arte nell'essere il grado zero dell'esercizio dell'arte
Giovanni Agozzino:
22:23:21
il grado zero?
SPARRING PARTNERS
Antonio Solinas:
22:23:42
svolge solo delle funzioni primarie
Antonio Solinas:
RUBRICA
22:23:46
e qui quello messo in difficolta' sarebbe Scott McCloud
Giovanni Agozzino:
22:24:05
ricapitolami l'arte secondo mccloud
Antonio Solinas:
22:24:09
che diceva che arte e' tutto cio' che non attiene ai bisogni primari dell'uomo
Antonio Solinas:
22:24:14
(se non sbaglio)
Giovanni Agozzino:
22:24:30
eh, io ho la memoria di uno zombie
Antonio Solinas:
22:24:35
hahahaha
Antonio Solinas:
22:24:53
un morto per definizione puo' svolgere solo atti non attinenti ai bisogni primari di un vivo
Giovanni Agozzino:
22:24:55
abbiamo sconfessato mccloud, mi piace
Antonio Solinas:
22:25:17
si, e per di piu' partendo da premesse da perfetti cazzoni
SuperMarket
Takada, 3x3 occhi, (1987), Star Comics, 256 pagg, € 3,10.
Howard - Dead@17 (2008), Edizioni
BD, 308 pagg., € 19,50.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 68
Manfredi, Biglia, Talami - Magico Vento
121, Bonelli (2008), 130 pagg., € 3,50.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
A volte ritornano
di Simone Satta
Ci sono autori che lasciano il segno in particolare testata, spesso una
sulle serie che toccano, scrittori senza troppe pretese, dove i dikche plasmano con la loro penna (o, tat del marketing sono sovente
meno romanticamente ma più re- inversamente proporzionali alla
alisticamente, con il loro word pro- libertà creativa e decisionale, e lì
cessor) i protagonisti e il mondo mettono radici rimanendovi per
che li circonda marchiandoli con anni, una cosa, purtroppo, ormai
la loro impronta indelebile, incon- sempre più rara nella più recente
fondibile.
stagione dei comics USA.
Sono quegli autori che tengono in- Questo non vuol dire che qualuncollati i lettori a volte per anni gra- que autore transiti su una testata
zie alle loro storie o che, poiché c’è riesca a generare quella sorta di
sempre un’altra faccia della meda- “magia” solo piantando le tende, o
glia, li allontanano, non lasciando che basti solo una lunga permamai indifferenti, e che fanno scelte nenza o delle storie coraggiose e
coraggiose e a volte impopolari.
controverse perché si crei quello
È una situazione questa che spes- speciale connubio fra scrittore e
so accade nel fumetto americano serie che porta a quel qualcosa
mainstream, dove gli sceneggia- di indescrivibile: questi autori ritori sono abituati a saltare di se- scrivono del tutto i personaggi
rie in serie trovando solo a volte senza snaturarli, a prescindere da
la loro dimensione ideale in una quanto tempo durino le loro run,
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 69
se poco meno di due anni, come
il primo storico ciclo di Frank Miller su Daredevil1, o più di 16, come
quello irripetibile di Chris Claremont su Uncanny X-Men2.
E quando una serie mostra segni di
stanchezza è a questi grandi autori
del passato, più o meno recente a
seconda dei casi, che i lettori guardano speranzosi, sperando in un
loro ritorno per ridare nuova linfa
a quei personaggi e a quelle situazioni che ai fan duri e puri sembrano sempre più lontane dall’anima
che ad essi appartiene.
Purtroppo la storia insegna che i
ritorni possono anche essere niente più che deleteri, in un senso (per
la serie) e nell’altro (per l’autore).
Con questa premessa non si vuole
iniziare una cronistoria dei ritorni
più o meno riusciti che hanno costellato i decenni passati e presenti
del comicdom americano, ma una
disamina su come spesso è difficile, quando non impossibile, per
questi autori ristabilire quel contatto inimitabile che sempre più
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
coppia con il disegnatore Bill Sienkiewicz, Miller approfondisce il
rapporto di Kingpin – che sotto
la sua gestione è diventato la nemesi per eccellenza del diavolo
rosso – con la folle moglie Vanessa, mostrandone il lato più umano.
Di nuovo con un ancor più sperimentale Sienkiewicz dà alla luce
Elektra Assassin7, una controversa
miniserie (poi esclusa dalla continuity ufficiale) con protagonista la
bella ninja; e ancora la successiva
Elektra Lives Again8 (anch’essa fuori continuity), di cui realizza testi e
disegni, con il prezioso contributo
della moglie Lynn Varley ai colori,
dove il fulcro dell’intera, onirica
vicenda ruota intorno a un disorientato Matt Murdock che cerca di venire a patti con la perdita
dell’amata Elektra.
L’ultimo tassello del rapporto fra
Devil e Miller è datato 1993, quan-
si affievolisce, a partire dal giorno
del loro primo abbandono, più o
meno forzato.
È un dato di fatto, ad esempio,
che questi ritorni sembrano avere
generalmente più probabilità di
funzionare quando si riducono ad
eventi episodici, a progetti speciali che servano ad esplorare aspetti
che nelle passate run non erano
stati toccati o approfonditi.
È questo il caso dei lavori di Frank
Miller su Daredevil, testata da lui
totalmente rifondata in un inedita ottica hard boiled nei numeri
a cavallo fra il 168 e il 191 (dopo
una precedente parentesi di circa un anno nelle vesti principalmente di disegnatore e in parte di
co-soggettista per i testi di Roger
McKenzie3).
Al suo abbandono Miller lascia
Devil nelle mani, tra gli altri, di
un insolitamente spaesato Dennis O’Neil, per poi far ritorno4 per
una breve ma decisiva run con il
capolavoro in sette parti Rinascita5, illustrato magistralmente da
un giovane e ispiratissimo David
Mazzucchelli, già regular penciler
della serie, che lascia in maniera
inequivocabile (se ancora ce ne
fosse il bisogno) il segno definitivo
del cartoonist di Olney sul mondo
del diavolo rosso.
In questa storia Miller decostruisce letteralmente il personaggio
dalla base, togliendogli tutto, radendo al suolo materialmente
e metaforicamente quanto era
stato costruito nei decenni precedenti dagli autori prima di lui, ma
lo fa senza barare, senza colpi di
spugna o improbabili retcon, un
meccanismo oggi sempre più di
moda, e regala ai fan di Devil e del
fumetto tutto una delle storie più
belle e appassionate mai scritte.
Il lavoro di Miller non termina però
con Rinascita: il futuro autore di
Sin City torna ad occuparsi del personaggio e dei suoi comprimari,
prima fra tutti la sua creatura più
affascinante, Elektra, in diverse altre occasioni, arricchendo la saga
del diavolo rosso di elementi preziosi non solo per la sua personale
interpretazione del personaggio
ma anche per i suoi successori.
In Daredevil: Amore e Guerra6, in
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 70
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
tima epopea: l’alfa e l’omega hard
boiled di Miller ridefinisce l’uomo
pipistrello per il presente ed il futuro a venire e pone le basi mai
più discusse del Batman moderno.
Il nuovo millennio lo vede ritornare al personaggio (dopo un
piccolo quanto trascurabile divertissment del 1994, il crossover
Spawn/Batman13, di cui cura solo
i testi) prima con un controverso
seguito de Il Ritorno del Cavaliere
Oscuro, Il Cavaliere Oscuro Colpisce
Ancora14, che non riesce neanche
per un attimo a sostenere il peso
dell’opera originale perdendosi in
un egocentrico sproloquio narrativo e grafico (ulteriormente mortificato da una Lynn Varley totalmente involuta nel passaggio dal
pennello alla colorazione digitale)
che si schianta su quanto di buono
fatto nella storia precedente e soprattutto sull’architettura poetica
stessa dell’universo DC, regalando
ai posteri il classico, cinematografico luogo comune che un sequel
non riesca ad essere altro che la
pallida ombra (in questo caso distorta) del capolavoro che lo ha
generato.
Nel 2005 chiude il cerchio del per-
do lo scrittore si unisce alla coppia
formata da John Romita Jr alle
matite e Al Williamson agli inchiostri9 per narrare la storia definitiva
sulle origini del personaggio e che
chiude idealmente il circolo narrativo iniziato con Daredevil v1 #168.
L’altra faccia del lavoro di Miller
sono i suoi trascorsi sul personaggio di Batman, rilanciato nel
1986 con il breve ciclo Anno Uno10,
dove prosegue il sodalizio, iniziato con Rinascita, con un sempre
più sintetico e magistrale David
Mazzucchelli e soprattutto dove
viene ridefinito il personaggio ab
origine dopo gli stravolgimenti di
Crisi sulle Terre Infinite11, e con la
miniserie Il Ritorno del Cavaliere
Oscuro12, di cui cura testi e disegni,
con l’apporto di Klaus Janson alle
chine, che di Batman racconta l’ulDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 71
De:FINIZIONI
corso ideale iniziato nel 1986: il
suo All-Star Batman & Robin15 è un
vero e proprio ritorno alle origini,
il tentativo di ricreare l’uomo pipistrello per le nuove generazioni,
libero da pesanti vincoli di continuity (sulla scia di quanto già fatto
dalla Marvel con la linea Ultimate;
della linea All-Star fanno parte AllStar Superman, di Grant Morrison
e Frank Quitely, e tre progetti annunciati ma ancora in lavorazione:
All-Star Wonder Woman, di Adam
Hughes, All-Star Batgirl, di Geoff
Jonhs e J.G. Jones e All-Star Green
Lantern, per il quale non sono stati
ancora resi noti i nomi degli autori coinvolti) e con l’apporto di un
top artist come Jim Lee.
Il risultato è una serie reazionaria
e superficiale, lontana anni luce
dall’operazione pressoché analoga compiuta con successo da Miller poco meno di vent’anni prima:
un Batman senz’anima, perfettamente in linea, bisogna ricordarlo,
con gli ultimi lavori del cartoonist.
Il più grande flop relativo ai ritorni
di fiamma, non tanto per i risultati
(non) raggiunti quanto per l’attesa che lo ha accompagnato, è sicuramente, invece, quello di Chris
Claremont sugli amati X-Men.
Lo scrittore britannico prende le
redini di X-Men16 nel 1975, con
il numero 94, con i protagonisti
appena rilanciati e reinventati da
Len Wein17, e vi rimane sedici anni,
creando quasi da solo l’intero sottobosco mutante della Marvel e
dando vita, oltre al più lungo ciclo di un unico autore sulla stessa
testata, a uno dei più grandi successi editoriali del comicdom americano che, tra alti e bassi, perdura
ancora oggi.
All’inizio della sua gestione, Claremont prende tra le sue mani
un manipolo di personaggi praticamente senza storia e nessun
particolare vincolo editoriale e
questo gli permette di lavorare
con calma su di loro e sulla serie (e
spesso sulle serie e miniserie collaterali), plasmando mese dopo
APPROFONDIMENTO
mese, anno dopo anno, alcuni dei
character più affascinanti e tridimensionali mai visti in un fumetto,
primo fra tutti Wolverine (con l’apporto essenziale, all’inizio, del canadese John Byrne, che firma con
lui, in veste di disegnatore e spesso di co-soggettista, quello che è
ancora oggi riconosciuto come
il miglior X-ciclo di tutti i tempi:
Uncanny X-Men 108-143, che coincide con la scalata della serie in
cima alle classifiche di vendita) e
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 72
alcune storie indimenticabili come
La Saga di Fenice Nera, Giorni di un
Futuro Passato, VitaMorte, Dio Ama,
l’Uomo Uccide .
Con lo scrittore inglese il brutto
anatroccolo della Marvel si trasforma in cigno e soprattutto genera un introito importante per la
casa editrice, che inizia negli anni
a sfruttare il marchio in maniera
fin troppo massiccia, lanciando
sul mercato sempre più serie e miniserie con protagonisti i mutanti
De:FINIZIONI
dalle uova d’oro fino alla sovraesposizione, ben rappresentata da
un sempre più ubiquo Wolverine.
Ed è proprio l’importanza commerciale assunta dalle sue creature che determina l’abbandono
di Claremont nel 1991, quando
le meccaniche editoriali iniziano a
limitare sempre più pesantemente la sua libertà nelle scelte narrative da adottare nelle serie da lui
gestite: nel momento di maggior
successo della serie, quello rappresentato dal connubio con il
disegnatore Jim Lee18, lo scrittore
decide di mollare.
Dopo un lungo e apprezzato –
anche se per alcuni controverso
– ciclo, opera principalmente dello sceneggiatore Scott Lobdell e
dell’eminenza grigia rappresentata dall’editor Bob Harras, gli XMen sembrano non trovare più un
autore che sappia gestirli al meglio e che sia disposto a fermarsi
sulla serie per un lavoro dal lungo
respiro come quello realizzato da
X-Chris negli anni precedenti.
È così che nel 2000 viene proposto
a Claremont di tornare a scrivere
le serie degli uomini X nell’ambito
di un progetto di rilancio del sot-
APPROFONDIMENTO
tobosco mutante chiamato Revolution19.
Il suo lavoro si scontra ancora una
volta, in quest’occasione da subito,
con le logiche editoriali rappresentate, in questo caso, dal consueto
maxi-crossover estivo20 e soprattutto dall’epocale lancio del film
di Bryan Singer21, che esige degli
X-Men il più possibile accessibili ai
neofiti e quanto mai aderenti alle
loro controparti in celluloide.
A Claremont viene proposto dopo
poco tempo di restare su una sola
delle due serie mutanti, lavorando
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 73
così in tandem col nuovo scrittore Grant Morrison, o di gestire un
gruppo di X-Men escluso dai piani dello scozzese e operante al di
fuori della scuola di Xavier.
Claremont sceglie la seconda
opzione e nasce così X-Treme XMen22.
Per quanto a momenti sembri tornare ai fasti del passato, lo scrittore
non sembra più completamente a
suo agio con gli uomini X: troppi
avvenimenti occorsi ai personaggi nel periodo della sua assenza,
troppe le scelte discutibili e trop-
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
mai come prima il Claremont dei
tempi d’oro, ma la nuova situazione del mercato americano, impaziente e non più abituato alle trame a lungo respiro, e le contingenti condizioni di salute sembrano
mettere definitivamente la parola
fine al rapporto fra X-Chris e gli XMen… che invece continua, anche
se marginalmente, su opere come
la nuova New Excalibur26 o EXiles27 e
soprattutto con due opere appartenenti al futuro più o meno prossimo: una miniserie annunciata da
tempo dedicata alle sue X-Girls e
disegnata dal nostro Milo Manara e la nuovissima X-Men Forever,
dove Claremont riprende il lavoro
interrotto nel 1991 continuando a
narrare le avventure degli uomini
X come sarebbero dovute essere
se non avesse lasciato la serie: una
serie fuori continuity che sembra
un vero e proprio regalo all’autore
e ai suoi fan duri e puri.
Un altro esperto di ritorni e di trame che lasciano il segno è Peter
David: da Hulk ad Aquaman, passando per X-Factor, PAD è stato
uno degli scrittori più importanti
degli anni ’90, con il suo caratteristico stile di scrittura, fatto di
po forte la consapevolezza di non
essere e di non poter più essere il
deus ex machina dei mutanti Marvel, soprattutto con l’ingombrante
presenza di Morrison come vicino
di casa.
Nel 2004, con l’abbandono di
Morrison, la Marvel lancia ReLoad23, un nuovo, ennesimo rilancio/
rimpasto delle serie mutanti: XTreme X-Men chiude con il numero
46 e i suoi personaggi confluiscono sulle due testate storiche, con
Claremont che riprende il timone
dell’ammiraglia Uncanny X-Men24.
Il nuovo ciclo dura fino al 2006,
quando l’autore abbandona per
l’ultima volta i suoi pupilli25 a causa di problemi di salute appena
prima di essere comunque sostituito da Ed Brubaker, lasciando a
Tony Bedard il compito di concludere le trame irrisolte della sua ultima gestione.
Nell’ultima corsa dello scrittore
britannico sugli X-Men si rivede
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 74
De:FINIZIONI
dialoghi sferzanti e di una buona
dose di umorismo, e soprattutto
con la sua capacità di rinnovare
personaggi apparentemente senza speranza, di cui il Golia verde è
solo l’esempio più famoso e riconoscibile.
David inizia la sua carriera nel
mondo del fumetto nei primi anni
’80, ma solo in qualità di addetto
alle vendite. Solo nel 1985, grazie alla lungimiranza dell’editor
delle testate ragnesche Jim Owsley (pseudonimo di Christopher
Priest), viene pubblicata la sua prima storia: la ragnesca La Morte di
Jean DeWolff28.
APPROFONDIMENTO
La storia è un piccolo gioiello del
genere noir applicato ai supereroi
ma non gli vale una totale riconferma a causa delle pressioni fatte
su Owsley dall’allora editor-in-chief
della Marvel, Jim Shooter, preoccupato dell’eventuale conflitto di
interessi con la posizione di David
nel settore amministrativo.
La carriera di David sembra così
destinata a concludersi sul nascere
se non fosse per Bob Harras, allora editor di The Incredible Hulk, che
nel 1987 gli propone di prendere
le redini della serie del gigante di
smeraldo, allora in caduta libera
sul piano delle vendite e che nesDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 75
suno sembra voler in alcun modo
scrivere29.
PAD accetta e subito si dedica anima e corpo alla serie, ridefinendo
il personaggio con storie intense e scelte coraggiose sul piano
narrativo ed editoriale, dando
vita ad una delle migliori testate
del comicdom americano, arrivando addirittura ad adattare il
suo stile e il personaggio stesso ai
vari disegnatori alternatisi, o meglio, esplosi sulla serie: grottesco
con Todd McFarlane30, eroico con
Dale Keown31, brillante con Gary
Frank32, oscuro con Liam Sharp33,
sperimentale con Adam Kubert34.
Durante il suo ciclo, durato 11
anni, David realizza un affresco
in continua evoluzione, come il
suo protagonista, creando alcuni
capolavori del genere supereroistico come La psicanalisi di Hulk35,
dove una seduta psicoterapeutica
con Doc Samson identifica un disturbo della personalità come la
reale origine della nascita di Hulk
e (temporaneamente) lo risolve;
o come All’ombra dell’AIDS36, dove
Hulk si trova di fronte a un nemico
che non può sconfiggere con i pugni: l’AIDS, che sta uccidendo uno
dei suoi vecchi sidekick; o ancora
come Futuro Imperfetto37, dove
Hulk viene scaraventato in un futuro distopico per sconfiggere il
più grande dittatore di tutti i tempi: sé stesso.
Malgrado tutto il lavoro svolto,
così come Claremont prima di lui,
David lascia The Incredible Hulk nel
1998 a causa delle pressioni di una
dirigenza sempre più invadente
per quanto riguarda le sue scelte
narrative. 38
Dopo un breve interregno di Joe
Casey è il turno del fallimentare
rilancio ad opera di John Byrne
(in cui la testata cambia addirittura nome da The Incredibile Hulk
al più semplice Hulk), una specie
di back to the origins che fa praticamente piazza pulita del grande
lavoro svolto negli anni dall’autore (qualcosa di molto simile alla
De:FINIZIONI
stessa operazione compiuta dal
cartoonist canadese nello stesso
periodo sulle testate dell’Uomo
Ragno) ma che non riscuote il successo sperato.
Dopo appena un anno Byrne abbandona la serie, che dopo pochi
numeri viene presa in consegna
prima dal britannico Paul Jenkins
e poi soprattutto da Bruce Jones
che, senza tradire l’operato di David, lancia il protagonista in un’avventura completamente nuova,
tra cospirazioni e atmosfere tetre,
riuscendo con la sua personale
poetica a scrivere uno dei migliori
cicli del Golia verde.
Quando Jones lascia improvvisamente Hulk per firmare un contratto in esclusiva con la rivale DC
Comics, è proprio a David che viene proposto di tornare: lo scrittore
accetta, inizialmente per soli cinque numeri39, ma poi si trattiene
sulla serie fino alla fine del mega–
crossover “House of M”40, quando
decide di lasciare la testata per il
bene della sua carriera41.
Purtroppo nella sua breve, seconda run, David si attiene allo sciagurato modus operandi adottato
APPROFONDIMENTO
da Byrne nei confronti del suo
lavoro, riducendo praticamente
a un sogno l’intero ciclo di Jones
e cancellando, di fatto, uno dei
pochi cicli di Hulk degni di essere
letti al di fuori della sua storica run,
perdendo inoltre l’occasione per
riprendere saldamente in mano
una serie e un personaggio a cui
si è chiaramente disaffezionato.
L’abilità di David nel creare serie
di successo e ottime storie con
personaggi apparentemente privi
di spessore si intravede anche nel
resto delle sue opere come Supergirl e Aquaman per la DC Comics
o Captain Marvel e soprattutto XFactor per la Casa delle Idee.
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 76
David prende in mano X-Factor42
nel 1991, dopo che il consueto
crossover estivo mutante43 ha completamente ridefinito lo scenario
delle X-serie e dei suoi protagonisti: lo scrittore prende sotto la sua
ala gli scarti degli altri X-writer, i
personaggi più inutili e complicati
della famiglia mutante, e assembla
un team nuovo di zecca, operante
sotto l’egida del governo federale.
La natura a tratti ridicola, a tratti
problematica dei protagonisti (fra
cui l’Uomo Multiplo e il forzuto …
Forzuto) permette a David di dare
sfogo a tutta la sua verve creativa e
al suo proverbiale umorismo, senza però mai mancare di profondità,
De:FINIZIONI
dando vita ad un vero e proprio
gioiello narrativo, evidenziato dalle ottime prove dei disegnatori
Larry Stroman44 e Joe Quesada45,
con evidenti richiami alla cultura
pop del momento e fortemente
anticipatore di opere più celebrate apparse in seguito, come X-Statix di Peter Milligan e Mike Allred.
Il suo intero ciclo tocca il punto
più alto nella storia X-aminations46,
dove ancora una volta, come già
accaduto su Huk, è protagonista
Doc Samson con le sue sedute di
psicoterapia dedicate, in questo
caso, ai vari membri del team.
Dopo l’abbandono di David la serie
va lentamente allo sbando venendo prima sostituita nel 1998, nei
piani della dirigenza solo temporaneamente, da Mutant X47, ma non
venendo poi ripresa alla chiusura
di quest’ultima, tre anni dopo.
Nel 2004, dopo una miniserie omonima varata nel 2002 ma completamente estranea per protagonisti
ed atmosfere alla serie originaria,
Peter David torna ad occuparsi
dei “suoi” mutanti con la miniserie
MadroX48, dove narra le peripezie
di un rinnovato Uomo Multiplo
nelle vesti di detective privato;
una bella storia che instilla la nostalgia nei suoi fan e forse nello
stesso scrittore, che decide così di
dare un seguito a MadroX lanciando una nuova serie di X-Factor49
APPROFONDIMENTO
che mescola sapientemente le atmosfere e i protagonisti della serie
del 1991 con quelli della miniserie
in solitaria dell’Uomo Multiplo.
Il risultato è una serie leggermente
più dark di quella originaria e sicuramente non altrettanto innovativa ma che a tratti mostra il miglior
David, come ai vecchi tempi: una
ricca introspezione dei personaggi e la consueta ironia, marchio di
fabbrica dello scrittore.
Questi tre scrittori e le storie dei
loro ritorni sono solo i casi più
eclatanti di una tendenza che ha
fatto altre vittime illustri fra autori
e personaggi, con ritorni di successo come quelli del duo Giffen/
De Matteis su vari progetti speciali
dedicati al loro più grande successo, la Justice League nelle sue varie
incarnazioni, o quello di John Byrne sulla “sua” She-Hulk, a fallimenti
come la seconda run di Scott Lodbell sugli uomini-X, a ritorni passati praticamente inosservati come
quello di Gerry Conway o dello
stesso David sull’Uomo Ragno.
Spesso, allora, più un autore è stato importante per una serie, per
un personaggio, più gli è difficile
tornare indietro, ricostruire un rapporto sulle macerie di quanto fatto da altri: è come tornare insieme
a una donna (o a un uomo) dopo
averla lasciata per essere stati traditi: non sempre si può ristabilire
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 77
la fiducia, il rapporti che esisteva
nel passato.
Non sempre conviene quindi sperare nel ritorno dei propri beniamini sui personaggi che si amano,
anche nei momenti narrativamente più bui, perché in fondo le grandi storie a fumetti sono davvero
come le grandi storie d’amore: irripetibili, anche se ci sono sempre,
come abbiamo visto, per fortuna,
le dovute eccezioni a confermare
la regola.
De:FINIZIONI
Note
1) Daredevil v1 #168-191 (gennaio
1981-febbraio 1983).
2) Uncanny X-Men v1 #94-279
(agosto 1975-settembre 1991).
3) Daredevil v1 #158-161, 163-167
(maggio 1979-novembre 1980).
4) Un brevissimo ritorno Miller lo
fa già su Daredevil v1 #219, con la
storia “Terre Nere”, per i disegni di
John Buscema.
5) Daredevil v1 #227-233 (febbraioagosto 1986). Miller firma in
coppia con Dennis O’Neil anche
Daredevil v1 #226 (gennaio 1986).
6) Marvel Graphic Novel #24
(1986).
7) Elektra Assassin #1-8 (agosto
1986-marzo 1987).
8) Elektra Lives Again (1990).
9) I due si erano già messi in luce
su Daredevil v1 #250-257, 259263, 265-276, 278-282 (gennaio
1988-luglio 1990), tutti su testi di
Ann Nocenti.
10) Batman #404-407 (marzogiugno 1987).
11) Crisis on Infinite Earths #1-12
(aprile 1985-marzo 1986).
12) The Dark Knight Returns #1-4
(febbraio-giugno 1986).
13) Spawn/Batman (1994).
14) Batman: The Dark Knight Strikes
Again #1-3 (novembre 2001-luglio
2002).
APPROFONDIMENTO
2007-febbraio 2008)
28) Spectacular Spider-Man #107110 (ottobre 1985-gennaio 1986)
29) The Incredible Hulk v2 #331
(maggio 1987)
30) The Incredible Hulk v2 #331334, 336-345 (maggio 1987-luglio
1988).
31) The Incredible Hulk v2 #367,
369-377, 379, 381-388, 390-393,
395-398
(marzo 1990-ottobre
1992).
32) The Incredible Hulk v2 #403411, 413-418, 420-423, 425 (marzo
1993-gennaio 1995).
33) The Incredible Hulk v2 #425-432
(gennaio-agosto 1995).
34) The Incredible Hulk v2 #454, -1,
455-456, 458-460, 462-464, 466467 (giugno 1997-agosto 1998).
15) All-Star Batman & Robin the 35) The Incredible Hulk v2 #377
Boy Wonder #1-9 (settembre (gennaio 1991).
2005-attualmente in corso).
36) The Incredible Hulk v2 #420
16) La testata cambia nome (agosto 1994).
in Uncanny X-Men a partire 37) Hulk: Future Imperfect #1-2
dal numero 114, mantenendo (dicembre 1992-gennaio 1993),
invariata la numerazione.
disegni di George Perez.
17) Su Giant-Size X-Men #1 (maggio 38) The Incredible Hulk v2 #467
1975), per i disegni di Dave (agosto 1998)
Cockrum.
39) The Incredible Hulk v3 #7718) Uncanny X-Men #248, 256- 81 (marzo 2005-luglio 2005),
258, 267-277, 279 (settembre “Tempest Fugit”.
1989-agosto 1991); X-Men v2 #1-3 40) The Incredible Hulk v3 #87
(ottobre-dicembre 1991)
(dicembre 2005).
19) Revolution coincise con l’uscita 41) Peter David (18 luglio 2005).
del numero 100 di X-Men v2 “My leaving Hulk”. The Incredible
(maggio 200) e coinvolse tutte le Hulk Message Board (28 agosto
testate mutanti: Cable #79, Gambit 2005).
#16, Generation X #63, Wolverine 42) X-Factor v1 #70.
#150, X-Force #102, X-Man #63, 43) The Muir Island Saga (1991).
Uncanny X-Men #381, la miniserie 44) X-Factor v1 #71-75, 77, 80-81
Magneto: Dark Seduction e X-Men (ottobre 1991-agosto 1992).
v2 #100.
45) X-Factor v1 #87-90 (febbraio
20) Maximum Security (2000).
1993-maggio 1993).
21) X-Men (2000).
46) X-Factor v1 #87 (febbraio
22) X-Treme X-Men #1 (luglio 1993).
2001).
47) Pregevole serie scritta da
23) X-Men ReLoad (maggio 2004).
Howard Mackie con protagonista
24) Uncanny X-Men #444 (luglio Alex Summers, Havok, il leader
2004)
di X-Factor, scaraventato su un
25) Uncanny X-Men #471 (maggio mondo parallelo.
2006)
48) MadroX #1-5 (settembre
26) New Excalibur #1-24 (gennaio 2004-gennaio 2005).
2006-dicembre 2007)
49) X-Factor v3 #1 (gennaio 2006).
27) EXiles v1 #90-100 (marzo
De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 78
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