De:Code - Glamazonia
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Maggio 2009 numero 2 Zombie Holocaust Alex Crippa: SOS Zombie Andrea G. Ciccarelli: “Z” come Zombie Diego Cajelli: Top 10 Zombie Jeffrey Brown: Fumetto Zombie Andrea Voglino: Bombie the Zombie Plus: Storie dal Mondo Z, Scrivere gli Zombie, Sparring Partners, Arthur Suydam, Mixtape, A Volte Ritornano, “Non-Zombie” 2.0 De:Facto Sommario Sommario Copertina di Francesco Biagini De:Rive - Editoriale De:Finizioni - Storie dal mondo “Zeta” De:Facto - SOS Zombie: due chiacchiere con Alex Crippa Mixtape De:Coder - Arthur Suydam è il Male De:Finizioni - Uno zombie in casa Disney De:Finizioni - Alcune cose che ho imparato sugli zombie Fumetto - Wolverine: Dying Time, di Jeffrey Brown De:Facto - “Z” come Zombie: intervista ad Andrea G. Ciccarelli De:Finizioni - Il “non-morto” che cammina Guest List - Zombie Superstar! I miei cinque zombie preferiti (di D. Cajelli) Sparring Partners De:Finizioni - A volte ritornano De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 2 pag. 3 pag. 4 pag. 9 pag. 14 pag. 15 pag. 17 pag. 19 pag. 25 pag. 48 pag. 57 pag. 60 pag. 62 pag. 69 De:Rive Editoriale a cura della Redazione Con una cover cadaverica e “superpop” firmata dal bravissimo abelardiano Francesco Biagini, si apre il nuovo numero di De:Code 2.0, e fin dall’immagine di copertina (giusto se non sapete leggere gli strilli) è chiaro quale sia il tema di questo numero: gli zombie. Qualcuno potrebbe pensare che di zombie negli ultimi anni si sia parlato abbastanza, forse troppo, e in tutte le salse. Ma noi di De:Code abbiamo voluto dire la nostra e per questo motivo, dopo un’approfondita disamina della figura dello zombie nella cultura moderna, abbiamo scomodato Alex Crippa, esperto di zombie e sceneggiatore (che in una rivista come questa non è mica un particolare trascurabile) che, direttamente dal centro di accoglienza per morti viventi che gestisce in prima persona, ci aiuta a capire meglio l’essenza stessa di queste creature. Dopo un excursus sull’invasione zombesca del comicdom americano scatenata dall’ houngan illustratore Arthur Suydam e un altro su Bombie, lo zombie disneyano (!) creato dal maestro Carl Barks e ribattezzato “Gongoro” in Italia da chi a quel tempo gli zombie ancora non li conosceva, diamo il benvenuto al nuovo redattore di De:Code 2.0, Roberto Recchioni, già acclamato autore – tra le altre cose – di John Doe, Dylan Dog, David Murphy 911 e Garrett, che mette a disposizione del nostro pubblico l’esperienza maturata nella sua carriera di scrittore con un ottimo e inedito tutorial su come scrivere una buona storia di zombie. Di conseguenza, è tempo di tuffarsi in un bootleg di lusso firmato Jeffrey Brown, in esclusiva per l’Italia solo su De:Code. Gli ingredienti? Wolverine, Kitty Pryde e una manciata di morti viventi... A seguire, scopriamo insieme ad Andrea G. Ciccarelli i nuovi e vecchi progetti della casa editrice saldaPress nel campo dei ritornanti a fumetti (e non solo) e facciamo un salto nell’universo di Eric Powell per scoprire l’importanza che hanno i non-morti nell’economia della serie The Goon. È poi il turno di una nuova Guest List, ad opera stavolta dell’esperto di X-Factor e sceneggiatore (ripetiamo, non un particolare trascurabile) Diego Cajelli, che ci racconta quali sono i suoi cinque morti viventi preferiti. “A volte ritornano” è il tema, invece, del lungo articolo di chiusura che affronta la spinosa questione dei ritorni degli autori, spesso considerati morti o, alla meno peggio, bolliti, sulle serie che hanno portato al successo. Veri e propri zombie del fumetto, in sintesi. Come contorno, niente carne umana ma le solite rubriche: il blob informe Mixtape, il sempre più imperdibile botta & risposta Sparring Partners e e i consigli per gli acquisti di Supermarket, titolo qui più che mai adeguato (concedeteci un po’ di humour nero). Con la speranza di aver saziato il vostro appetito fumettistico e “zombistico”, vi diamo appuntamento sul forum di Glamazonia per i commenti a questo secondo numero (mi raccomando, non lesinate in complimenti e critiche alla critica) e vi salutiamo per altri due mesi. L’appuntamento è fissato per i primi di luglio, quindi, con un nuovo numero di De:Code 2.0 dal tema che – ne siamo certi – saprà stupirvi ancora una volta. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 3 De:Code 2.0 rivista bimestrale in formato PDF anno 1, numero 2, maggio 2009 Redazione Nicola Peruzzi Simone Satta Antonio Solinas Roberto Recchioni Hanno Collaborato Giovanni Agozzino (http://japanisanisland.blogspot.com/) Francesco Biagini (http://www.abelardstudio.com/?p=autore&id=10) Jeffrey Brown (http://www.margomitchell.com/thc/jb.htm) Diego Cajelli (http://diegozilla.blogspot. com/) Andrea G. Ciccarelli (http://iosefossigaramond.blogspot.com/) Alex Crippa (http://alexcrip.blogspot. com/) Andrea Voglino (http://avsl.blogspot. com) Links De:Code sito ufficiale vecchia versione http://www.de-code.net homepage Glamazonia http://www.glamazonia.it/ forum di Glamazonia http://www.glamazonia.it/board/index. php forum dedicato su Glamazonia http://www.glamazonia.it/board/de-code2-0-f-59.html De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Storie dal mondo “Zeta” di Nicola Peuzzi Camminare con uno zombie Gli zombie non si stancano mai. Lenti ma inesorabili, in barba alle periodiche crisi dell’horror (cinematografico e non solo), i morti che camminano continuano a procedere, apparentemente in controtendenza con qualsiasi crisi. Viene da chiedersi quale sia la ragione di tanto successo, quali siano le leve che toccano nel pubblico questi abomini, specchi distorti di noi stessi (ma alla fine, siamo proprio sicuri che si tratti di questo?), quali le ragioni che, a differenza di altri “mostruosi colleghi”, gli abbiano fatto attraversare un intero secolo di storia. Ci si deve riferire storicamente al voodoo1 di Haiti per parlare per la prima volta di “zombie”. Secon- do il celebre dizionario MerriamWebster2, infatti, la parola compare per la prima volta nel 1871 nella forma zonbi, appartenente alla lingua creola della Louisiana e di Haiti. Allo stesso modo, pare essere equivalente in lingua kimbundu (africana del nord dell’angola), al termine nzúmbe, che sta per spettro, fantasma. Sta di fatto che i primi zombie “propriamente detti” compaiono all’inizio del secolo scorso proprio ad Haiti, dove il bokor, ovvero lo “stregone” della religione voodoo, attraverso un rituale magico/religioso prende il controllo di una persona che finisce in una sorta di animazione sospesa e diventa a tutti gli effetti un servo che segue, come una marionetta, il volere del proprio padrone alla lettera. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 4 Nei primi anni del secolo scorso, gli avvistamenti di zombie di questo genere (veri o romanzati che fossero) erano pari agli avvistamenti di UFO negli anni ’50. Tanto che il magazine The American Weekly di William Randolph Hearst, noto magnate della stampa statunitense, erano infarciti di racconti di donne miracolosamente sfuggite all’attacco di questi esseri sovrannaturali in qualche isola haitiana. Uno di essi, intitolato I Walked with a Zombie, scritto da Inez Wallace nel 1943, fu ispirazione dell’omonimo film prodotto da Val Lewton e diretto da Jacques Tourneur, uno dei capostipiti del genere.3 Un altro articolo uscito nel 1948, invece, The Lady in Search of Danger! offrirà a Carl Barks lo spunto per creare il personaggio di Bombie the Zombie, in Italia Gongoro, una delle prime apparizioni a fumetti di un morto vivente (cosa ancora più inquietante se si pensa che questo è successo in un fumetto Disney).4 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO morte nel ciclo della vita da essere in grado di festeggiarla, scherzandoci sopra e prendendosi gioco dei propri zombie, per certi versi innocui. Non esistono, a onor del vero, troppi film o fumetti che affrontino l’argomento, se non in modo assolutamente marginale. Uno di essi, mai pubblicato in Italia, è Día de los Muertos (Day of the Dead)6, opera del mai troppo lodato Sergio Aragonés. Spagnolo d’origine e messicano d’adozione (si trasferisce in Messico durante la guerra civile spagnola), Aragonés è parte della “usual gang of idiots” di Mad dal 1963, ed è autore di perle come Groo the Wanderer, Fanboy e tantissime altre parodie degli universi supereroistici Marvel e DC Comics e non solo, purtroppo in gran parte mai pubblicati in Italia. Realizzato da Aragonés nel 1998 El Día de los Muertos Altra tipologia di zombie è quella messicana. Storicamente per altro è forse la più antica di tutte, visto che viene fatta risalire addirittura agli Aztechi, ma oggettivamente quando ci riferiamo al Día de los Muertos – festeggiato in tutto l’occidente in modi per altro radicalmente differenti –, sono i “morti” e non proprio gli zombie a farla da padrone. Senza tornare troppo indietro nel tempo – si parla solo di qualche decina di anni fa – ogni 2 novembre l’Italia si raccoglieva nei cimiteri per onorare i defunti. La globalizzazione e una maggiore vicinanza con l’occidente più consumista ha portato Halloween, con tutte le maschere e i “trick or threat” del caso. Una cosa alla quale l’Europa – e l’Italia nello specifico – non si è probabilmente mai avvicinata se non in alcune, realmente sporadiche occasioni, è per l’appunto la tradizione messicana del Día de los Muertos. Nei giorni intorno alla prima settimana di novembre, infatti, tutti i negozi del Messico e località limitrofe (come i paesi ad alta concentrazione messicana in Texas o in California, ad esempio) si riempiono di oggetti e lucky charm a forma di scheletri, spesso raffigurati e nelle attività più differenti. Ci sono scheletri danzanti, scheletri musicisti, scheletri casalinghi e via discorrendo. In una sorta di collettiva Danza Macabra, quindi, vivi e morti trovano una dimensione comune nella notte tra il primo e il secondo giorno di novembre: i cimiteri si animano di vita e tutti i locali si spendono in faticosi e colorati festeggiamenti in onore dei propri defunti, in piena ottemperanza con quell’attitudine festaiola tutta latinoamericana nei confronti della vita, e in questo caso particolare anche della morte. E gli scheletri, vere e proprie “anime della festa”, stanno al gioco con altrettanta allegria evidenziata dall’aspetto colorato e giocoso delle maschere che indossano. Per citare Davide Castellazzi5, i messicani sono talmente consapevoli della presenza della De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 5 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO quell’aspetto prima citato presente solo in questa particolare cultura: per messicani è lecito “scherzare coi santi”. Cosa che, vedremo di seguito, è del tutto impensabile per i vicini americani. Zombie Apocalypse durante una pausa dalla lavorazione di Groo, Día de los Muertos è un riuscito one shot a sfondo horrorcomico che racconta di un’invasione zombie nel corso dei festeggiamenti del giorno dei morti in una sperduta cittadina messicana. Al di là della bontà della storia, la cosa veramente interessante del “When there’s no more room in hell, the dead will walk the earth”. Era questo lo storico slogan che accompagnava la locandina americana di Dawn of the Dead7, storico film del 1978 di George Romero che per primo aprì la strada agli zombie come li intendiamo noi oggi. Se infatti è vero che l’originale è stato il precedente Night of the Living Dead8, è solo con il secondo titolo di questo enorme franchise (che a tutt’oggi conta sei titoli ufficiali nella serie, numerosi remake e altrettanti spin-off) che vengono stabilite le caratterstiche dello zombie “americano”: animato unicamente dalla coazione a ripetere i gesti che compiva in vita, decerebrato, affamato, lento ed inesorabile. In seguito, a queste caratteristiche se ne sono aggiunte altre (drammatica la figura di Bub, zombie “prodigio” di Day of the Dead9 in grado di intuire la funzione degli utensili che aveva usato in vita, epica la figura di Big Daddy, leader della “resistenza zombie” in Land of the Dead10, affascinanti gli zombie rapidi del recente remake di Zack Snyder), ma di fatto, il prototipo dello zombie statunitense resta quello smaccatamente pop di George A. Romero. Questo genere di zombie è quello che al giorno d’oggi riscuote più successo sia a livello cinematografumetto è il fatto che Aragonés, fico (bastino gli esempi fatti sopra, con la consueta dose di ironia, ma l’elenco sarebbe infinito) che a narra la storia in prima persona e livello letterario (si pensi a World catapulta il lettore all’interno della War Z di Max Brooks). A livello fufesta in modo assolutamente uni- mettistico il titolo che fa più testo, co, riuscendo a ricreare i sapori e nella montagna enorme di produle gioiose atmosfere messicane in zione odierna in materia zombesalsa zombie. Il finale, senza voler sca, è The Walking Dead, creatura rovinare nulla, è sintomatico di di Robert Kirkman e Tony Moore De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 6 De:FINIZIONI (che è stato quasi subito sostituito dal meno dotato ma altrettanto efficace Charlie Adlard alle matite). La matrice di The Walking Dead, vero e proprio titolo di culto negli States (e ormai anche qui in Italia, e per quanto resti ancora un titolo di nicchia, i dati indicano una continua crescita di gradimento), è assolutamente romeriana. La storia è semplice e per niente originale. Un poliziotto del Kentucky, Rick Grimes, si risveglia da un’operazione solo per rendersi conto di essere uno dei pochi sopravvissuti sulla terra ad una non meglio specificata apocalisse zombie. Da lì, inizierà un lungo viaggio per la salvezza in cui ferinità e umanità finiscono fin troppo spesso per intersecarsi e interscambiarsi, instillando nel lettore il dubbio su chi sia per davvero il “morto che cammina”. Ma The Walking Dead non è certo l’unico esempio di zombie a là Romero su carta. Si pensi ad esempio a Crossed, di Garth Ennis e Jacen Burrows.11 La serie inserisce il contagio tramite fluidi corporei come elemento scatenante la “mutazione”, ma per quanto possa cambiare l’ordine degli addendi, il risultato è lo stesso. La paura delle malattie trasmissibili (sessualmente, per via aerobica, eccetera) crea i mostri, che si incarnano nei cosiddetti Crossed ennisiani. Non solo: si pensi a Blackgas12, a Zombies! Feast13 o anche gli stessi Marvel Zombies14. Sono tutte quante variazioni sul tema, segno tangibile che la dirompente carica pop contenuta nella lezione e nella metafora romeriana è l’unica che è riuscita a superare le barriere culturali adattandosi perfettamente a qualsiasi medium grazie all’elemento più importante che la caratterizza: la sintesi. Si lavora infatti quasi sempre per sottrazione: chi è che anima i morti? Da dove vengono? Perché sono usciti dalle tombe? Mistero. I morti ci APPROFONDIMENTO sono e basta. E paradossalmente, nel momento in cui i morti esistono, cessa di esistere l’umanità. Dalla A alla Z In definitiva, cos’è uno zombie? E De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 7 come mai in oltre un secolo l’interesse intorno a queste creature si è sempre mantenuto stabile, a differenza di altri “protagonisti” dell’horror? Lo zombie è un simbolo. Può essere un simbolo religioso, a volte, può De:FINIZIONI essere il “cavallo del dio” che cavalca il “loa”, oppure il servo dello stregone malvagio. Così come può essere un simbolo apotropaico, atto a scacciare il male e ad accettare la presenza della fine di tutte le cose al termine del percorso di vita. Può essere un memento mori: è la rappresentazione fisica e materiale della paura della morte, o della malattia, della decomposizione e della non-fine. È come l’iscrizione poussiniana “Et in Arcadia ego” trovata dai contadini: da contemplare e da temere al tempo stesso. Può essere, infine, paura del conformismo e della massificazione imperante: in tempi dominati dai media, la cosa che più spaventa è la massa imbecille che ingloba e trasforma la comunità in uno di loro. Lo zombie è tabula rasa. È tutto ciò che è altro da sé ma che allo stesso tempo, è un altro sé. È questa la sua forza e la sua carica eversiva. Ed è questa la caratteristica che lo fa reggere nel tempo e che, per certi versi, lo farà sopravvivere per sem- APPROFONDIMENTO pre. “I veri morti siamo noi”, dice in tal senso George Romero in un’intervista.15 Lo zombie, ci sentiamo di aggiungere in conclusione, è l’atavica e darwiniana paura dell’evoluzione e del cambiamento. Note 1) Il voodoo è conosciuto anche come vodou, vaudou, vodoun oppure vodun, a seconda della regione in cui viene praticato. Sono tutti derivati del termine africano vodu, apparentemente proveniente dal linguaggio Dahomey – area geografica che oggi corrisponde al Benin, al Togo e alla Nigeria – che significa “spirito”, “dio”. Cfr. http://zombies.monstrous.com/voodoo_zombies.htm. 2) Cfr. http://www.merriam-webster. com/dictionary/zombie 3) Jacques Tourneur, Ho Camminato con uno Zombie, t. or. I Walked with a Zombie, RKO Radio Pictures, Inc., 1943. Per le fonti d’ispirazione, cfr. http://www.whiskeyloosetongue.com/zombie.html. 4) Luca Boschi, Scarpe a bassa quota in Iraq (con la partecipaz. straordinaria di alcuni zombi), articolo del 16 dicembre De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 8 2008 pubblicato sul blog Cartoonist globale (http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2008/12/scarpe-in-iraq.html). 5) Davide Castellazzi, El Día de los Muertos, in Mister No Riedizione n. 20, Edizioni IF, Milano 2008 6) Sergio Aragonés, Día de los Muertos (Day of the Dead), Dark Horse Comics, 1998 7) George A. Romero, Zombi, t.or. Dawn of the Dead, USA/Itaia 1978 8) George A. Romero, La Notte dei Morti Viventi, t.or. Night of the Living Dead, USA 1968 9) George A. Romero, Il Giorno dei Morti, t.or. Day of the Dead, USA 1985 10) George A. Romero, La Terra dei Morti Viventi, t.or. Land of the Dead, USA 2005 11) Garth Ennis, Jacen Burrows Crossed, Avatar Press, 2008-ongoing 12) Warren Ellis, Max Fiumara, Blackgas, Avatar Press 2006-2008 13) Shane McCarthy, Chris Bolton, Zombies! Feast, IDW Publishing, 2007 14) Robert Kirkman, Sean Phillips, Marvel Zombies, Marvel Comics 2007 – NB: Si cita in questa sede solo il primo volume pubblicato, ma tra seguiti e spin-off, gli Zombies si sono riprodotti davvero senza controllo (come è normale che sia). 15) Cfr. http://saldapress.grupposaldatori.com/print.asp?print=130. De:Facto INTERVISTE SOS Zombie: due chiacchiere con Alex Crippa di Nicola Peruzzi e Antonio Solinas Ciao Alex, sei unanimemente considerato un esperto in materia di Zombie. Vorresti parlarci di questa tua attività, e delle altre cose che svolgi in maniera collaterale a questa tua professione? Ciao ragazzi. Sì, gestisco un centro De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 9 di prima accoglienza per zombie, in attesa che ottengano un regolare documento d’identità. Nel frattempo li impegno in varie attività, tutte a scopo riabilitativo: concima la terra con te stesso, piscia il cane senza mangiarlo, la serata vegetariana e piccoli lavori di bricolage. A tempo perso scrivo fumetti per la Francia e l’Italia. Al momento ho all’attivo una dozzina di volumi francesi (le serie 100 Anime, Nero, Le Missionnaire, le graphic De:Facto INTERVISTE Semplicemente: succede. E cosa diresti a chi espone la mistica (e sicuramente affascinante) teoria del “quando all’inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra”? E’ appunto affascinante ma non esauriente. La storia del cinema e della letteratura ci offrono numerosissimi esempi di zombie differenti: preferisci lo zombie lento ma inevitabile o quello – più recente e probabilmente in linea con lo spirito dei nostri tempi – che corre con la stessa velocità di una persona normale? novel COMEunCANE, Gangs, Dollar-Baby…), scrivo Dampyr e insegno sceneggiatura alla Scuola di Fumetto di Milano. E sì…tra le attività degli zombie sto inserendo scrittura creativa. Conosci il detto “se cento scimmie scrivono su cento macchine da scrivere per tot giorni…insomma alla fine ottengono Guerra e Pace”? Ecco. Io con gli zombie. C’è chi parla di un agente esterno che proviene dal pianeta Venere; chi giura che si tratti di un virus creato in laboratorio (ovviamente sfuggito al controllo di una non meglio specificata autorità); chi sostiene dipenda da un’eterna schiavitù dai bokor: potresti spiegarci qual è, una volta per tutte, il motivo per cui i morti tornano in vita? Cominciamo dalla più classica delle domande zombesche. Lo zombie è uno schiavo senz’anima o un morto che cammina? La verità è una e una soltanto: non si sa! Lo zio Romero nel ’68 azzardò l’ipotesi “influsso astrale” con la storia della cometa fuori rotta… Dieci anni dopo buttò là l’ipotesi apocalittica “quando all’inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra”…infine capì che non c’era alcuna spiegazione. Morto che cammina. Dai, credi ancora alla panzana “gli animali e gli zombie non hanno un’anima”? De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 10 Lento, inesorabile e ripetitivo, non v’è dubbio. Soprattutto ripetitivo: il vero zombie romeriano infatti conserva un vago ricordo di com’era la vita prima della morte, per cui si limita a scimmiottare automaticamente all’infinito gesti che ha sempre compiuto da vivo ma dei quali ora gli sfugge il senso. Come fare shopping, stare in gruppo e… mangiare. La cosa buffa è che, a differenza di noi vivi, gli zombie non hanno un reale e assillante bi- De:Facto sogno di fare shopping, fare branco, abbuffarsi... George Romero, uno dei più grandi conoscitori di zombie di sempre, nei suoi testi parla sempre di “morti” e (quasi) mai di “zombie”. Quale credi che sia la ragione dietro a questa precisa scelta lessicale? Tecnicamente uno “zombie” è un INTERVISTE tizio ucciso e resuscitato tramite rito voodoo haitiano. Questo tizio diventa così totalmente succube e schiavo di chi ha praticato il rito su di lui. È molto comodo, per esempio, per ottenere colf a bassissimo costo (un polpaccio ogni tanto e il salotto risplende come nuovo). Questo prima del ’68. Perché dopo La Notte dei Morti Viventi tutto ciò è diventato così noiosamente demodé, spazzato via dallo zombie moderno e sbarazzino di zio RoDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 11 mero che, sì, preferisce chiamare i suoi modelli “morti” ma solo per fare ancora più tendenza. L’unico problema è che le loro passerelle sono di una lentezza esasperante. E poi perdono pezzi di corpo. Qual è la miglior forma di difesa quando si è circondati da zombie? La miglior difesa è sempre l’attacco, nello specifico un colpo in te- De:Facto sta calibro 9. Ma anche un machete può andare. Sempre in testa. Una mazza da baseball, anche, ma devi essere abbastanza tonico. Diciamo che se non sei armato la miglior difesa è fingersi zombie... ma è troppo da fighetta, io sono per una virile ed eroica accettazione del proprio destino: fatevi sbranare come i militari de Il Giorno degli Zombi. E tu, in caso di olocausto zombie, quale arma preferiresti avere al tuo fianco? Ci sono consigli che vorresti dare ai nostri lettori, in tal senso? INTERVISTE Ripeto: il cervello è il loro unico punto debole. Potete bruciarli, farli a pezzi, insultarli... tutto inutile se non distruggete il cervello. Io, personalmente, Beretta Parabellum Cal. 9: leggera, veloce, affidabile. Non troppo utile sulla lunga distanza, meglio un fucile a pompa o un kalashnikov. Ma, detto per inciso, se mi trovassi a lunga distanza da una gang di zombie me la darei a gambe. Altro che prender la mira e vinca il migliore. Per tutti i lettori: al di là dei gusti personali, un buon kalashnikov è sempre la scelta migliore, in quanto perfetta via di mezzo tra maneggevolezza De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 12 e potenza di fuoco. De:Facto Quale luogo consigli di presidiare in caso di attacco? C’è uno sterminato numero di esempi di luoghi nella letteratura classica, dal supermarket al pub, che si presentano come supersicuri ma che poi finiscono inevitabilmente per essere presidiati. Tu dove ti rifugeresti, e perché? Da Bloodbuster. Ho costruito questo rifugio anti-zombie nel lontano ’99 e si è rivelato sempre molto utile. Sia contro gli zombie che contro i clienti rompicoglioni. Anche se, in realtà, da piccolo il mio sogno nel cassetto era finire asserragliato in un megamarket con orde di zombie chiusi fuori. E da teenager in un drive-in. INTERVISTE Se si verificasse un’apocalisse zombie, quali sono le cinque-cose-cinque che chiunque dovrebbe evitare di fare? 1) Girare da solo per le strade. 2) Girare da solo per le strade disarmato. 3) Ragionare con uno zombie. 4) Fare stage diving sopra una massa di zombie. 5) Invitare a cena uno zombie (sembra scontato, ma succede più spesso di quanto crediate. Io che ho un centro di prima accoglienza per zombie lo so). Visto il tuo coinvolgimento nel settore fumettistico, chiudiamo con una domanda per metterti in difficoltà: secondo te chi sono De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 13 i veri zombies fra editori, autori e pubblico? Non dire la critica perché non vale… Ghhhhhhhhhh… MIXTAPE RUBRICA Mixtape a cura di Nicola Peruzzi Mixtape è un “blob” di citazioni prese a caso e riformattate in modo assolutamente arbitrario, in maniera da de-tournarne irrimediabilmente il significato. A volte da questa sorta di “divinazione da fondi del caffè” dell’era del cut-and-paste stile Google possono venire fuori anche cose intelligenti, altre volte è solo un esercizio di flusso di coscienza fine a sé stesso. Decidete voi. Gli autori non ne hanno colpa. E “dal blog di…” non vuole dire “detto da…”, per essere chiari. “Il ragionamento è di una semplicità disarmante: io >> saldapress >> “Z” >> zombie >> blog E lo schema è anche comodamente invertibile. Miracoli dell’ipertesto…” (dal blog di Andrea G. Ciccarelli, 25/02/2009) “E’ colpa dell’invasione di zombie del 2000. Mostri privi di intelletto ma affamati di carne umana che hanno divorato i grandi maestri del fumetto italiano. I sopravvissuti a quella strage hanno trovato un sacco di nuovo prospettive editoriali e ecco spiegato il perché Battaglia, Pulp Stories e Milano Criminale adesso li potete trovare anche il libreria, pubblicati da Mondadori o da BD. Non sempre uno zombie viene per nuocere.” (dal blog di Diego Cajelli, 17/09/2007) “Per quello che ne posso sapere, sono l’ultimo fumettaro sulla terra. Chiuso nel mio bunker e assediato da orde di nerd zombie che vogliono divorare la mia collezione di albi Corno. Fortuna che ho il mio portatile al fianco. E’ carico e so come usarlo, quindi è meglio che stiate alla larga se non volete trovarvi un congiuntivo dritto in mezzo agli occhi.” (dal blog di Roberto Recchioni, 09/04/2008) “La colpa di questa mancanza di contatti è mia che son orso bestia sociopatico e in questo paese dimmerda sono una massa di zombie da bar, e sono solo, non c’è nessuno con cui confrontarmi, l’unica salvezza è il web, etc. Cazzate così.” (dal blog di Makkox, 27/12/2007) “Cari amici immaginari, dopo conigli giganti, statue kafkiane, creature deformi, Trabant, isole dei morti ed ex-repubbliche socialiste, rieccomi in trincea. Con qualche novità.” (dal blog di Alex Crippa, 31/08/2008) “E nel farlo, penso alle definizioni che in questi anni mi sono state cucite sopra come il vestito di un morto ambulante. Il tuo tratto è troppo particolare e personale, e non va bene per il mercato italiano, sei troppo americano, per gli americani sono europeo, e per gli europei sono italiano. Ma allora? punto di domanda...? resta solo l’interrogativo.” (dal blog di Carmine di Giandomenico, 22/07/2008) De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 14 De:Coder APPROFONDIMENTO rie assolutamente da seguire che ha fatto capire che con gli zombie si possono fare anche dei bei fumetti (e che vendono pure). Più per gioco che per calcolo è nato così il progetto Marvel Zombies. Marvel Zombies è sempre stato il nomignolo con cui sono noti i Marvel fan più duri e puri, da questo gioco di parole e dalla sensibilità dimostrata da Kirkman nello scrivere storie di morti viventi è nata la miniserie uscita nel 2003. Sul piano dei contenuti, Marvel Zombies è ben poca cosa, ma il tocco nerd di Kirkman e il lavoro dignitoso di Sean Phillips ne hanno fatto un piccolo caso editoriale, ragion per cui hanno iniziato a sorgere epigoni da ogni dove, il tutto per tenere fede alla regola di seguire quello che fa la Marvel perché se lo fa la Marvel vuol dire che vende – una regola a cui si è attenuta la Marvel stessa, che ha riesumato addirittura Simon Garth, regalandogli una nuova vita (?) Arthur Suydam è il Male di Simone Satta Sono anni, ormai, che gli zombie sciamano come cavallette sugli scaffali delle fumetterie americane riuscendo spesso, non pienamente soddisfatti, ad attraversare l’Atlantico per avventarsi sui malcapitati e un po’ masochisti lettori italiani. È un’invasione. Purtroppo non è un’invasione di veri zombie, lenti e maleodoranti cadaveri affamati di carne uma- na, ma di asettiche versioni bidimensionali che da ormai troppo tempo infestano le previews delle uscite d’oltreoceano. Non che negli States i fumetti sugli zombie fossero finora sconosciuti, ma la loro presenza sonnacchiosa rientrava assolutamente nella norma, tutto finchè il brillante Robert Kirkman non ha dato alle stampe il suo The Walking Dead: un fumetto intenso, reale, una seDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 15 De:Coder APPROFONDIMENTO poco. Il simpatico pittore ha prodotto, fra illustrazioni e copertine, più di quaranta opere, guadagnandoci sicuramente tanti bei soldi e fama a non finire ma finendo per risultare stucchevole. In sostanza, quando pensavamo di esserci liberati di Greg Horn (che un saggio una volta ha definito “un pacchiano areografatore di serbatoi di Harley Davidson”), ecco che Suydam si è subito fiondato a prenderne il posto. Se la zombiexploitation prosegue ancora oggi è principalmente a causa sua, di un suo perverso piano per arricchirsi disegnando l’unica cosa che sembra saper (o perlomeno voler) disegnare, titillando le corde più nerd degli appassionati. Ormai i marvel zombies (i fan, in questo caso) non aspettano altro che vedere quale sarà la prossima cover zombizzata del pittore, la Marvel incoraggia il giochino, ma, mai come in questo caso, non sarebbe finalmente il caso di lasciar riposare in pace i morti? all’interno della linea Max. Nel mezzo di questo valzer di cadaveri (che neanche all’obitorio...) ha iniziato ad affermarsi la stella di Arthur Suydam. Arthur Suydam è il male. Un illustre sconosciuto del mondo dei comics, con varie collaborazioni alle spalle principalmente su prestigiose riviste come Epic Illustrated e Heavy Metal (ma anche Penthouse Comix), si è messo a produrre rivisitazioni in salsa zombie di alcune storiche coperti- ne della Casa delle Idee per la miniserie di Kirkman e Phillips. Nel giro di pochi mesi Suydam, superata la soglia dei cinquant’anni, è diventato una vera è propria star, sfornando illustrazioni e copertine a tema (zombie, naturalmente) a getto continuo, un’attività che prosegue ancora oggi. Ora la sua produzione ha raggiunto il limite della sostenibilità. Per il lettore. Almeno per il lettore con un minimo di buon gusto. Il gioco, si sa, è bello quando dura De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 16 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Ma quando a dettare la linea è la creatività degli autori, e non l’ansia del Politicaly Correct, i miracoli possono accadere. Così, almeno, nelle strip Disney dei bei tempi che furono. Il Topolino inizio anni 30 di Floyd Gottfredson & C., per esempio, poteva contare su una batteria di cattivi soggetti da far rizzare i capelli in testa a qualunque ragazzino medio: ne sono un esempio il Macchia Nera degli esordi, ma anche il piombatore Giuseppe Tubi e il Pirata Orango, tutti character lombrosiani, cinici e spietati fino al midollo. E anche a Paperopoli, c’era poco da stare allegri: Carl Barks aveva disseminato nelle sue storie più belle tonnellate di rimandi al mito arcaico e moderno, e non era raro vedere Paperino e soci alle prese con serpenti marini, arpie, fantasmi o altri personaggi decisamente poco rassicuranti. Ma sembrava impossibile che sulle pagine di un albo Disney potesse fare la sua comparsa un morto vivente. Questo, almeno, fino all¹agosto del 1949, quandi Andrea Voglino do arrivò sugli scaffali il numero 238 di Donald Duck Four Color. La rentemente zuccherosi di un fu- storia sceneggiata e disegnata metto a base di “Funny Animals”. dall’Uomo dei Paperi si intitolava Voodoo Hoodo, molto liberamente traducibile con Magia Voodoo. E il protagonista assoluto della storia era un autentico Zombie, il leggendario e incomprensibile “Gongoro” delle prime traduzioni italiane. All’insaputa dei giovani lettori, Barks aveva realizzato questa seminale avventura ispirandosi a due racconti apparsi sul supplemento domenicale dei quotidiani del gruppo Hearst The American Weekly, di cui era un avido lettore: I Met a Zombie! (1942) e The Lady in Search of Danger! (1948). Gli ingredienti di queste due favole pulp sono grosso modo gli stessi del primo horror dedicato ai morti viventi, L’isola degli zombies (1932), ma anche della storia che il grande sceneggiatore e disegnatore fissa sulla carta. In primis, una robusta Uno zombie in casa Disney Difficile immaginarsi contaminazioni horror negli scenari appa- De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 17 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO ne più ottusa che terrificante. Ma le modifiche non basteranno a placare le ubbie censorie della Disney, che dopo la prima pubblicazione di Voodoo Hoodoo arriverà a sconsigliarne la ristampa in tutto il villaggio globale. Nonostante questo, l’implacabile Bombie tornerà a turbare il sonno dei fan di Paperino e Co. In varie occasioni. Ad esempio, in vari dipinti ad olio realizzati da un Barks insospettabilmente brividoso a cavallo fra il 1973 e il 1996. O ancora, nell’undicesimo capitolo della Saga di Paperon de Paperoni (1994), dove uno strepitoso Don Rosa offre ai lettori la cronaca del primo incontro fra Paperone e lo sciamano africano cui il mostro fa da braccio destro, il perfido stregone Matumbo. Un’opera irrinunciabile per ogni autentico aficionado del mondo Disney, insieme al numero 42 di La grande dinastia dei Paperi allegato nel 2008 al Corriere della Sera a € 7,90, dove Voodoo Hoodoo è riprodotta in tutto il suo splendore con un succoso corredo critico a cura di Luca Boschi e Alberto Becattini. Perché le buone storie non vogliono proprio saperne di morire. dose di esotismo. Poi, l’incontroscontro fra mondo moderno e mondo arcaico, e la figura di uno stregone apparentemente onnipotente. E per finire, l’iconografia del mostro, lacero e sottilmente inquietante quanto i “veri” morti viventi. Sguardo vacuo, andatura caracollante, pelle cascante, in Paperino e il feticcio Bombie lo zombie sbarca a Duckburg stringendo in pugno una bambola voodoo da consegnare a Zio Paperone per vendicare un torto commesso in gioventù dal Vecchio papero. Ma la somiglianza fra il futuro padrone di Paperopoli e il suo sfigatissimo nipote lo mette sulle tracce di quest’ultimo, innescando una horror comedy degna di una pellicola di John Landis. Ancor prima che i fedeli acquirenti degli albi Disney, l’effetto spiazzamento connaturato a questa piccola grande saga colpì i committenti di Barks, terrorizzati dal taglio insospettabilmente “Mature Readers” della faccenda. I direttori editoriali della Dell imposero al grande autore Disney numerose modifiche volte a ridimensionare l’aspetto grottesco di Bombie lo zombie, una su tutte la rinuncia ai classici occhi sbarrati e privi di iridi dei morti viventi, parzialmente coperti dalle palpebre a simulare un’espressioDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 18 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Alcune cose che ho imparato sugli zombie di Roberto Recchioni La cosa buona degli zombie (o verve per le sue creazioni... ma zombi, se vogliamo prendere per non per questo vanno trattati buona l’accezione italiana) è che alla leggera: queste fetide creastanno bene su tutto. Prendete ture hanno la cattiva abitudine una storia, una qualsiasi, mettete- di rivoltarsi contro chi li ha scaci dentro qualche cadavere ambu- tenati, trasformando la storia lante e vedrete come tutto acqui- in cui sono stati inseriti nel solista più sapore. Provate a immagi- to minestrone a base di assedi, nare che film epocale sarebbe sta- fughe e carneficine insensate. to Love Story se, dopo la morte del- Per evitare questa trappola (e alla bella Ali MacGraw, questa fosse tre che sono connaturali a questo tornata alla vita e avesse strappato genere di racconti), qui di seguito le budella a quell’insopportabile vi elencherò qualche trucco e ridi Ryan O’Neal. O se la bambina flessione che ho maturato scrivendi Reth e Rossella, dopo la tragica do più storie di zombie di quante caduta dal suo pony, si fosse rial- mi piace ricordare. Spero che poszata da terra e a avesse strappato sano esservi utili. a morsi i giganteschi seni di Mami! E quanto ci saremmo annoiati di 1 - Le storie di zombie sono stomeno se nei Promessi Sposi, al po- rie realistiche. sto della peste ci fosse stata una A differenza di molti altri sottobella infestazione di non-morti? generi horror, i racconti a base di Insomma, gli zombie sono una non-morti funzionano bene quanmano santa per qualsiasi sceneg- do la loro base è prettamente regiatore alla ricerca di un poco di alistica. Sì, ok... ci sono dei cadaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 19 veri che camminano per le strade della città ma, una volta accettato questo fatto, il pubblico tenderà a razionalizzare e ad affrontare la questione in termini strettamente pragmatici, concreti e comuni. Magia, esorcismi, alieni, armi fantascientifiche o eventi sovrannaturali sono elementi che rendono più difficile l’immedesimazione da parte del pubblico... un mucchio di cadaveri che camminano e che tornano a essere cadaveri quando qualcuno gli spappola il cervello, molto meno. Perché di fondo, gli zombie sono una folla senza cervello e le folle senza cervello sono molto più credibili e reali di quanto potranno mai essere lupi mannari, vampiri e mostri vari. Quindi, quando vi troverete a scrivere una storia a base di zombie, il mio consiglio è di cercare di tenerla su binari quanto più realistici possibili. 2 - Date un significato ai vostri zombie. Un non-morto non è mai un nonmorto e basta. in Zombi di Romero/Argento, i morti viventi erano un’allegoria del consumatore medio americano, in La Terra dei Morti Viventi assumono il ruolo dei popoli affamati dall’occidente opulento, De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO in 28 giorni dopo sono l’eco del terrore per le malattie pandemiche, in Ucciderò ANCORA Billy the Kid sono lo specchio delle masse oppresse... e via dicendo. Tra tutte le creature mostruose codificate tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, gli zombie sono oggi la maschera più attuale, versatile e incisiva a disposizione del genere horror, quella attraverso cui è più facile parlare di altro e mettere a nudo le tensioni, gli errori e gli orrori del nostro mondo reale. tutta una serie di situazioni, topoi narrativi, archetipi e stereotipi impressi a fuoco nella mente dei vostri potenziali lettori. Se non conoscerete questi elementi, rischierete di fare la figura del sempliciotto che crede di avere avuto un’idea geniale quando, quella stessa idea, è stata usata (e abusata) da altri mille autori. Che vi piaccia o meno, scrivere una storia di zombie richiederà ogni briciola di cinico distacco post-moderno che sarete capaci di raggranellare. 3 - Fate i compiti a casa. Per quanto la letteratura non sia esattamente ricca di opere dedicate ai non-morti, il “genere zombie” è stato largamente codificato dal cinema, dai videogiochi e dai fumetti. Questo significa che, nel momento in affronterete un racconto a base di non-morti, dovrete decidere se accettare o rifiutare 4 - Scegliete il vostro punto di vista. Se è vero che per scrivere una buona storia a base di zombie bisogna necessariamente conoscere a fondo tutte e altre opere con la stessa tematica, non è altrettanto vero che bisogna aderire allo stesso punto di vista di queste storie. Shaun of the Dead (perdonatemi De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 20 ma mi rifiuto di mettere il titolo con cui il film è stato distribuito in Italia) è un film realizzato da una coppia di autori che ha tenuto ben presente ogni altro film sui morti viventi realizzato in precedenza ma, allo stesso tempo, ha trovato un modo di guardare a una classica invasione di non-morti da un punto di vista personale e inedito, quello di una spassosissima commedia romantica. Simon Pegg e Edgar Wright hanno capito (per primi) che certe volte gli zombie possono essere solamente uno scenario su cui raccontare storie diverse, magari lontane dai classici meccanismi consolidati, riuscendo a fare qualcosa di nuovo e inedito, pur rimanendo nei confini di un genere ormai classico. La stessa operazione, ma in senso opposto, è stata fatta da Seth Grahame Smith che con il suo libro Pride and Prejudice and Zombie De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO gazioni dell’origine di una invasione zombie sono precise, più sono poco credibili e indeboliscono la storia. Inventarsi qualcosa di davvero originale è difficile e, qualsiasi sia il tipo di evento scatenante che avrete deciso di mettere in scena, vi prenderà un mucchio di tempo per spiegarlo nel dettaglio. Il mio consiglio è quello di rimanere sempre nel vago. In fondo, al vostro pubblico non interessa sapere perché ci sono gli zombie quanto piuttosto vedere come gli zombie influiranno sulla nostra società e come l’umanità deciderà di affrontarli. 6 - Conosci il nemico come conosci te stesso. Al di là del loro significato simbolico che varia da interpretazione a interpretazione, anche i tratti più pragmatici e terreni dei non-morti sono suscettibili di variazioni. Ci sono gli zombie classici (lenti, stupidi e goffi), quelli moderni (veloci, agili e rabbiosi), ci sono gli zombie dotati di una vaga consapevolezza, quelli che parlano, quelli che (addirittura) utilizzano strumen- (Orgoglio e Pregiudizio e Zombie), ha pensato bene di aggiungere una bella invasione di cadaveri decomposti e deambulanti al capolavoro romantico di Jane Austen, ottenendo un risultato esilarante e, allo stesso tempo, spaventoso. In sostanza, il consiglio è questo: se siete alle prese con una storia di zombie, pensate a come potreste raccontarla utilizzando un punto di vista differente da quelli cano- nici. Se invece state scrivendo una storia senza zombie... provate ad aggiungerli e vedete cose ne viene fuori! 5 - Da dove vengono? Quando vi cimenterete a scrivere una storia di zombie, vi troverete davanti a un dilemma inevitabile. Spiegare o non spiegare perché i morti sono tornati alla vita. Nella mia esperienza, più le spieDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 21 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO ti, armi o veicoli, ci sono zombie solitari o di gruppo, zombie vendicativi e anche qualche zombie innamorato. Prima di iniziare a sviluppare una storia a base di nonmorti, stabilite che genere di zombie volete utilizzare, quali sono le loro peculiarità, come si uccidono (di questo parleremo nel prossimo punto) e in che modo si comportano. E poi scrivete la storia attenendovi strettamente a quello che avete stabilito perché non c’è niente di più irritante di vedere uno zombie che corre mentre tutti i suoi “colleghi” deambulano inebetiti intorno a lui. 7 - Come li uccidiamo? Una volta stabilito il genere di zombie che volete utilizzare e il suo comportamento, dovrete anche stabilire con chiarezza la maniera in cui ucciderlo. Un colpo alla testa è la scelta più classica e funzionale ma non l’unica. Per esempio: cosa succede se uno dei vostri zombie viene fatto esplodere? E se gli danno fuoco? E se lo affamano? E se provano ad affogarlo? I racconti con gli zombie di solito mettono in scena come protagonisti degli uomini comuni, questo significa che spesso questi protagonisti tenderanno ad affrontare i non-morti con armi improprie. Inutile dire che questo aspetto vi permetterà di divertirvi un mucchio nel cercare di ideare le maniere più originali e bizzarre con cui i vostri eroi si libereranno dei morti viventi. Mazze da cricket, vecchi 33 giri, seghe a nastro, coni stradali, ramazze, racchette da tennis, forni a micro-onde, archi e frecce, molotov... non ponete limiti alla vostra fantasia e osate. 8 - I protagonisti. Gran parte dei personaggi coinvolti in storie con i morti viventi sono gente qualsiasi, sorpresa dall’invasione nelle situazioni più disparate. La ragione di questo deriva da vari fattori. Prima di tutto perché lo zombie classico è lento e stupido e non rappresenta una grossa minaccia per combattenti esperti come i soldati (a meno che, ovviamente, i soldati in questione non siano tronfi, spocchiosi e ancora più stupidi delle creature che stanno affrontando), in secondo luogo perché grossa parte della De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 22 fascinazione del genere zombie (come anche di tutte le altre opere di finzione legate a grandi disastri di massa) risiede nella domanda: tu cosa faresti se ti trovassi in una situazione del genere? L’immedesimazione tra pubblico e protagonisti della storia è uno degli elementi più forti e preminenti nelle storie di zombie: non sottovaluta telo perché potrebbe essere il vo- De:FINIZIONI stro migliore alleato. 9 - Consapevolezza. I vostri protagonisti sanno cosa sono gli zombie? Hanno visto i film di Romero, giocato a Resident Evil o letto uno dei miei fumetti (o quelli di qualche altro brillante autore)? Se sì, allora sapranno anche come affrontare gli zombie. Se no, dovranno scoprirlo nel corso della storia, Non sottovalutate questo aspetto perché il vostro pubblico è probabilmente un pubblico consapevole che conosce a menadito le regole del genere e sarà estremamente esigente per quello che riguarda il comportamento dei vostri eroi. APPROFONDIMENTO bovinamente a queste convenzioni. Per esempio, gran parte delle 10 - Pensate fuori dagli schemi. Come tutti i generi fortemente codificati, i racconti a base di zombie si nutrono di luoghi comuni e situazioni tipiche che si sono dimostrate fortemente funzionali e di grande presa. Questo però non significa che voi dobbiate aderire De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 23 storie di zombie sono ambientate ai giorni nostri, in occidente... ma questo non significa affatto che gli zombie funzionino egregiamente solo in quel contesto. Una buona storia di zombie potrebbe essere ambientata nel medioevo, durante la rivoluzione francese, oppure (perché no?) nella preistoria. Allo stesso modo, sarebbe interessante vedere come sistemi di governo diversi da quello americano o europeo potrebbero rispondere diversamente alla minaccia dei nonmorti. Allo stesso modo, anche le reazioni dei vostri protagonisti (e, di conseguenza, le meccaniche della storia) potrebbero cambiare. Le storie di zombie finiscono quasi sempre per diventare racconti di sopravvivenza e assedio... ma cosa succederebbe se invece si sviluppassero su binari inediti, magari prendendo maggiormente in esame gli aspetti politici, religiosi o legati all’informazione di tutta la faccenda? In questo senso, il bel cortometraggio di Joe Dante Homecoming, è uno splendido esem- De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO cattolo che vi capita tra le mani, cercate di capire in che modo funziona e perché. Una volta che avrete a vostra disposizione tutti i “pezzi” di un determinato genere, potrete decidere di utilizzarli così come sono, buttarli o ricomporli in forme nuove. Non abbiate paura di sperimentare e, soprattutto, divertitevi! pio di come la figura del non-morto possa essere utilizzata per parlare di qualcosa di meno banale e scontato del solito. Per il momento, ci fermiamo qui. Il consiglio finale è sempre il solito che rivolgo a tutti gli aspiranti sceneggiatori: guardate a tutte le forme di racconto con curiosità e spirito critico. Smontate ogni gioDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 24 FUMETTO Jeffrey Brown Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. Traduzione: Nicola Peruzzi, Lettering e adattamento: Antonio Solinas De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 25 FUMETTO Jeffrey Brown dedicato ad art adams Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 26 FUMETTO Jeffrey Brown ciao logan non essere così MUSONE. non LO SONO. Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. ‘Giorno De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 27 FUMETTO Jeffrey Brown devo andare al lavoro, dolcezza. Grazie per ieri notte... e quella chi era? Un’amica. Tipico. Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. no problem, bambola. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 28 FUMETTO Jeffrey Brown sei forse gelosa? urgh! certo che a volte sei proprio uno STRONZO! ehi, calmati, killer! Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. E adesso chi è il MUSONE? De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 29 FUMETTO Jeffrey Brown bah, io le donne proprio non le capisco. dio, ma perché gli uomini sono tutti porci? Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. Gesu’! MA CHE PROBLEMI HA? De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 30 FUMETTO Jeffrey Brown e non e’ che debba portarsi a casa quei MIgnottoni, solo perche’ non si becca malattie veneree... chi e’ la’? però sono cotta di lui. dovrebbe saperlo, è talmente ovvio. urnhhh mh? eeeyargghhhh! Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. voglio dire, non è che usciamo insieme, non potremmo, è come un fratello maggiore per me... De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 31 FUMETTO Jeffrey Brown eyagh! intanto... ayeeeeeee! forse dovrei scusarmi qualche volta bisogna pure arrendersi, credo... Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. devo cercare aiuto! De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 32 evabbè. FUMETTO Jeffrey Brown zombi! kitty, mi spiace, ’kay? kitty? eeeyagghhh! Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. dall’odore sembra che sia passata di qua... c’è UNA puzza strana, pero’... De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 33 FUMETTO Jeffrey Brown ragazzi, sembra che moriate dalla voglia di combattere... ENH urnhhh CRISTO! Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. in guardia, bestia! De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 34 FUMETTO Jeffrey Brown può diventare intangibile. sono sicuro che stia bene rg eya hhh ce ne sono tantissimi... sembra proprio che dovro’ gettarmi nella mischia... Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. spero che kitty stia bene... De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 35 urnnnh Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. FUMETTO Jeffrey Brown De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 36 FUMETTO Jeffrey Brown FESSO! è strana... la testa... devo - urgh - continuare a combattere Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. merda! De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 37 FUMETTO Jeffrey Brown il vecchio fattore rigenerante si sta rimettendo in moto... IN FRETTA! devo fare fuori questi tizi... Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. urnrarr De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 38 FUMETTO Jeffrey Brown pare proprio che questo fosse l’ultimo... KITTY! stai bene, bimba? Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. yeargh De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 39 FUMETTO Jeffrey Brown kitty! no! yearghh kitty?!! rarrg eeyarrrh Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. yearrgghhhhh De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 40 Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. FUMETTO Jeffrey Brown rearghhh De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 41 FUMETTO Jeffrey Brown mi dispiace, kitty. mi dispiace tanto. Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 42 FUMETTO Jeffrey Brown il fattore rigenerante ha ancora problemi con l’infezione zombi... devo chiamare gli altri xmen... dire loro... quello che è successo... Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. devo bruciare i corpi... De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 43 FUMETTO Jeffrey Brown dio ho fatto un’enorme cazzata ma perché sono stato così coglione? l’ho ammazzata io... Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. Ho fatto una cazzata De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 44 Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. FUMETTO Jeffrey Brown kitty... De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 45 kitty Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. FUMETTO Jeffrey Brown De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 46 Testi e Disegni: Jeffrey Brown Wolverine e Kitty Pride © Marvel Comics. FUMETTO Jeffrey Brown De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 47 De:Facto INTERVISTE “Z” come Zombie: intervista ad Andrea G. Ciccarelli di Nicola Peruzzi Lento ma inesorabile come la materia di cui tratta, The Walking Dead prosegue il suo cammino editoriale in Italia. Cominciamo quindi con la domanda che più spesso ti viene posta: quando uscirà il prossimo volume di The Walking Dead? Cominciamo malissimo. Mi avevano detto che voi di – com’è che si chiama la vostra rivista?– sì, voi di De:Code eravate degli originali, persone toste che non badano agli schemi e che evitano le idee preconcette. Insomma, per usare le parole di Guastardo, “gente di un certo livello”. E invece mi vieni fuori con questa domanda. E soprattutto la metti all’inizio dell’intervista. Facciamo così: secondo me usciamo prima noi con il volume 5 di The Walking Dead che voi con De:Code. Scommettiamo? Con saldaPress avete cominciato ad interessarvi agli zombie quando il mercato italiano era ancora per certi versi “vergine”. Oggi pare che la zombie-mania stia dilagando in tutto il mondo, Italia compresa (e dire che a livello di ricezione siamo anche piuttosto lenti). Come giudichi questo ritorno di interesse nei confronti dell’argomento? Slego la tua domanda dal mero aspetto editoriale e ti rispondo che l’interesse diffuso nei confronti degli zombie, per come la vedo io, è legato a filo doppio con il concetto di collettività. Provo a spiegarmi. In questi mesi sono nel mio “periodo Gaberiano”, il che significa che, uno dopo l’altro, mi sto riascoltando in ordine cronologico tutti i lavori di Giorgio Gaber dal 1970 al 2000. È interessante seguire il percorso artistico di Gaber e vedere come descriva esattamente lo sgretolarsi dell’idea di collettività in ItaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 48 lia nello spazio di trent’anni: dalla collettività si passa al singolo e, di conseguenza, allo smarrimento di molti dei parametri che nel dopoguerra hanno guidato la nostra convivenza civile. Gli zombie rappresentano in chiave fantastica il concetto di collettività. O meglio, sono una nuova forma di collettività sociale i cui membri, pur guidati da un desiderio individuale (la fame), si muovono verso di esso in modo collettivo facendo forza sull’inesauribilità del loro numero. Lo zombie, in passato, spaventava perché vi si leggeva la massa senza coscienza dei regimi totalitari del secolo scorso. Oggi il cinema, la letteratura e i videogiochi hanno svelato come spaventosa questa capacità degli zombie di ottenere qualcosa agendo insieme e di sbaragliare tutto ciò che si oppone all’idea di un cambiamento che già solo la loro esistenza porta avanti. Ma paura e desiderio sono da sempre legati a filo doppio (e Freud ci aveva aggiunto anche la pulsione di morte). Così oggi, attraverso un gioco di rimandi tutto postomoderno, la figura dello zombie non spaventa più, anzi, pare accettata a tutti i livelli. Probabilmente ci affascina proprio perchè, avendo De:Facto INTERVISTE Come avrai intuito, la figura dello zombie nel panorama culturale in cui viviamo è qualcosa che mi interessa molto, anche se il mio approccio alla materia è assolutamente da neofita. In ogni caso, sotto l’egida di saldaPress, ho deciso di inaugurare uno spazio online proprio su tutto questo: zetacomezombie.blogspot.com. Per chi vorrà, sarà un posto interessante in cui seguire le mie riflessioni sull’argomento. Tra Marvel Zombies (reali e fittizi), morti che camminano, adattamenti dei film di Romero, la roba di Steve Niles per la IDW, e chi più ne ha più ne metta, non giudichi un po’ eccessivo l’interesse nei confronti degli zombie? E non temi che possa fare la fine, in un periodo relativamente breve, del noir o del grim ‘n’ gritty in salsa supereroistica? Usi parole stravaganti, però sei simpatico. Se ho capito bene la tua domanda, dovrebbe essere più o meno del tipo “non avete paura a investire tempo e denaro su qualcosa che probabilmente è solo una moda gonfiata a dismisura e, in quanto tale, destinata a passare più perso progressivamente l’idea di collettività, riponiamo il nostro desiderio di qualcosa che ci manca là dove vediamo che ancora è presente. Fosse anche un gruppo di cadaveri caracollanti pronti ad azzannare chiunque. Credo sia un principio molto simile a quello per cui più ci allontaniamo dalle nostre radici storiche e culturali, più subiamo il fascino di culture tribali lontane che, a differenza della nostra, sono ancora fortemente legate al proprio passato (o, più semplicemente, che noi immaginiamo ancora tali). De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 49 De:Facto INTERVISTE velocemente di un segretario all’interno del PD?”. Se la domanda era questa, posso solo risponderti che, zombie o meno, le belle storie restano e se ne fregano delle mode. E per come la intendiamo noi, “Z”, la collana che abbiamo appena lanciato dedicata la mondo degli zombie, è appunto un contenitore di belle storie. Piaciuta la risposta istituzionale? Detto questo, la scommessa di “Z” è proprio quella di riuscire a dare ai lettori una panoramica ampia sull’argomento e di mostrare che gli approcci al tema possono essere completamente differenti, dall’horror sociale di Kirkman con TWD a quello totalmente anarchico di Alan Grant & Simon Bisley con The Dead. Ma siccome vedo che su “Z” mi hai fatto una domanda più avanti, mi fermo qui. Parliamo di The Walking Dead. Amore, morte, sesso e violenza: TWD sembra il ricettacolo degli istinti primari messi su carta. Chi sono, secondo te, i morti che camminano? Lo dice Kirkman alla fine del quarto volume. I morti che camminano siamo noi. E io sono d’accordo con lui. Kirkman, autore ormai perfettamente a suo agio nel mainstream, è riuscito con TWD a scavarsi una nicchia, a metà tra fumetto indie e il mainstream, creando un prodotto assolutamente unico nel suo genere. Quali ritieni che siano le ragioni di questo successo di pubblico e di critica, che di solito non vanno quasi mai d’accordo? Prima di tutto il passo. Kirkman con TWD si è scelto un ritmo di narrazione tutto suo e non ha avuto paura di mantenerlo nel corso di questi cinque anni di pubblicazione della serie. Per certi versi, Kirkman è stato bravissimo a portare il racconto verso una struttura simile a quella del teatro greco. La storia affronta di volta in volta un tema principale (il senso di giustizia, la ricerca infinita della sicurezza, la costruzione del leader e via dicendo) e intorno a quello Kirkman fa muovere i suoi personaggi sviluppando, man mano, la tesi, l’antitesi e la sintesi rispetto al tema trattato (anche io sono del club delle parole stravaDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 50 ganti). E gli zombie? Be’, in questra struttura gli zombie finiscono per assumere il ruolo del coro greco, sottolineando con il loro intervento quello che nel frattempo sta succedendo sulla scena principale. Un aspetto che, secondo me, diventa evidentissimo già nel quarto volume: dentro la prigione va in scena il dramma che porta a stabilire chi sono davvero i morti che camminano. Gli zombie stanno De:Facto INTERVISTE pur conservando (quasi) intatte le caratteristiche del comic book. In che misura pensi che questo possa aver influenzato il buon successo di TWD? Sicuramente moltissimo, ma non è tutto lì. Quell’aspetto di cui parli tu si vede chiaramente in serie a fumetti come Y – L’Ultimo Uomo oppure Ex Machina: sono scritte avendo esattamente in mente la scansione narrativa tipica degli show televisivi. La miscela di TWD è differente e ha come componente fondamentale la linearità del viaggio. Non è un caso che, negli ultimi mesi Kirkman abbia fatto scelte radicali all’interno della serie proprio per rimettere in movimento i personaggi rispetto alla stanzialità che avevano raggiunto con l’arrivo alla prigione nel terzo volume (ma questo, in Italia, lo leggeremo solo l’anno prossimo). Comunque sia, non per menartela, ma anche l’inizio di 28 Giorni Dopo riprende quello de Il Giorno dei Trifidi del 1962. Me l’ha detto ieri Giuseppe Zironi e io a Zironi credo ciecamente. Come lo vedresti, in questo periodo di sovraesposizione massiccia di TV Show, un TWD live action? fuori, dietro le recinzioni, e Kirman li inquadra proprio mentre stanno lì e semplicemente guardano. Ed è come se, con il loro sguardo vuoto, commentassero quello che noi invece vediamo succedere sulla pagina. Kirman tratteggia una nuova società in cui gli zombie sono molto simili a quegli aspetti della natura che accettiamo come presenti e che sappiamo potrebbero ucciderci: una malattia, un fulmine, un’inondazione o un aereo che cade. Il pensiero in sè non ci spaventa più ma lo accettiamo come generatore di paura solo perché riguarda qualcosa che può accadere. TWD parte da uno spunto niente affatto originale. Ricordo che all’uscita, quando lessi il primo numero, mi lasciò piuttosto freddino, dato che pareva l’imitazione di 28 Days Later. Tuttavia, prende una direzione unica nel suo genere, a mio avviso, perché si trasforma rapidamente in quello che potremmo definire “CB show”. È più vicino al TV Show che al graphic novel, per capirci, De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 51 Usi un sacco di termini inglesi strani, sai? Comunque, se intendi una serie di telefilm di TWD, è un’idea che vedrei benissimo. Anzi, mi domando come mai non sia ancora in produzione. Però, ora che ci penso, mi domandavo lo stesso di Preacher e ci hanno messo “solo” 10 anni a decidere se farne una serie televisiva o una pellicola cinematografica. Comunque vada, se si farà, spero che venga rispettata il volere di Kirkman: a colori, ma a tinte desaturate (tipo Band of Brothers, per intenderci). Sono un fan delle tinte desaturate. De:Facto La progressione drammatica è una delle caratteristiche fondamentali di TWD. I protagonisti partono in media res, in una situazione che è difficile immaginare possa peggiorare e che invece, seguendo alla lettera la Legge di Murphy, diventa pian piano impossibile. Non trovi che un crescendo di eventi simili pos- INTERVISTE sa portare TWD a diventare quello che non è, ovvero un fumetto “supereroistico” in cui si susseguono eventi sempre più inverosimili? Per il discorso sul ritmo di narrazione che facevo prima, non mi sembra proprio che la serie stia andando nella direzione che dici tu. Kirkman è sempre attento a tenersi in equilibrio tra due aspetti che farebbero collassare TWD se dosati male: non si piega mai a scandire il racconto di ogni momento della vita dei personaggi (come fanno con l’acqua? E con la carta igienica? Come mai non si vede mai che la vanno a cercare?) e non crea mai passaggi narrativi che chiedano al lettore di colmarli tramite la sospensione dell’incredulità. Di più, non permette mai che l’approfondimento delle relazioni tra i personaggi congeli la trama, ma nemmeno fa fare un passo avanti al plot prima di essersi assicurato che quello che succederà possa risuonare con ciò che abbiamo scoperto fino a quel momento dei personaggi. Kirkman tiene sempre bene a fuoco due aspetti del suo racconto: da una parte i personaggi, che certo guidano la narrazione ma non la esauriscono. E dall’altra quel tema etico o morale di cui ti parlavo prima a proposito del parallelismo con il teatro greco e che è il collante di tutte le vicende che i personaggi vivono. La serie cammina proprio su queste due gambe. Credo però che Kirkman stia rimandando il momento in cui dovrà affrontare l’ultimo tabù: far morire o no Rick Grimes. Credo che abbia paura di andare a scoprire se la serie è più forte del personaggio principale e se, come autore, è in grado di tenere le redini di un romanzo corale come TWD ha tutte le carte in regola per essere. Ma, quando farà questa scelta (e non credo che passerà ancora molto tempo prima che la faccia), sono sicuro che Kirkman ci spiazzerà di nuovo tutti. The Walking Dead ha un forte sottotesto politico-sociale, che emerge soprattutto nel momento in cui i sopravvissuti creano la loro microsocietà all’interno della prigione, quando cominciano ad De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 52 De:Facto INTERVISTE imporsi delle regole, delle leggi e via discorrendo. Ed è innegabile che sia uno dei punti di forza del fumetto. Ora, quanto pensi che questo aspetto possa venire colto da un pubblico italiano quasi completamente a digiuno di cultura americana? E in che misura hai valutato questo aspetto nel corso della pubblicazione? Per il discorso gaberiano di cui sopra, purtroppo non riesco a immaginare dove possa ancora esistere un pubblico italiano quasi completamente digiuno di cultura americana. Esiste davvero secondo te? Quelle a cui fa riferimento Kirkman sono ambientazioni e situazioni che tutti noi avremo visto decine di volte all’interno dei film americani e, proprio per questo motivo, culturalmente ormai ci appartengono. Di conseguenza sono perfette come sottofondo del ragionamento che di volta in volta Kirkman ci propone di seguire. L’aspetto che indichi tu è presente nella serie e credo sia giusto che il lettore attento lo scopra da sé. Penso sia proprio questa scoperta uno degli elementi che trascinano il lettore all’interno della narrazione e che quindi noi, come editori, non dobbiamo fare niente di particolare per presentarglielo. Il nostro lavoro, se vuoi, è più ai margini del racconto e dei suoi temi, con le introduzioni e gli editoriali sulla figura dello zombie nel panorama culturale odierno, entrambi sempre affidati a firme De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 53 di chiara competenza in materia. Romero, in un intervista pubblicata in coda al vostro terzo volume se non sbaglio, sostiene che gli Zombie siano “il cambiamento”. Ma che genere di cambiamento? Pare che lui per primo, con le ulti- De:Facto me prove cinematografiche, abbia perso un po’ la bussola. Stiamo pensando allo stesso Romero? Cioè a George? O tu intendi John Romero, quello di Doom e Quake che poi – sì, in effetti – con Daikatana e le altre due o tre boiatine che ha fatto dopo, un po’ la bussola sembra averla persa. No, perché per me il buon vecchio George finora non ne ha sbagliata una e Diary of the Dead dimostra che ha ancora ben chiaro quello che vuole dire con i suoi zombie che, in fondo, sono la prova provata che l’open source e il copyleft sono attuabili a tutti i livelli. Ti dirò di più: per come la vedo io, pur con tutti i limiti dovuti ai INTERVISTE compromessi con le major che ha dovuto accettare, Romero con Land of the Dead ha centrato alcune idee interessanti. Ad esempio, ritornando a quella riflessione sull’idea di collettività che facevo prima, gli zombie che riprendono un minimo di coscienza e che, grazie a questa, organizzano il loro attacco alla cittadella degli umani (che appunto, rappresentano l’elemento anacronistico spazzato via dalla forza del cambiamento) è un’idea molto forte che credo che sia stato Romero il primo a focalizzare in un modo così preciso. E questo senza parlare della bellezza dell’idea degli zombie che si incantano a guardare i fuochi artificiali. Anche secondo me “Land of the Dead ha dei limiti evidentissimi, ma il successivo Diary of the Dead ha dimostrato chiaramente che il problema non stava nel regista. E credo che la nuova pellicola su cui Romero è al lavoro parta già col piede giusto fin dalla scelta del titolo (di lavorazione?): …of the Dead, ossia un titolo volutamente laconico (comodamente traducibile in “Quel cazzo che volete dei morti viventi”, come mi ha detto l’altro giorno il grande Giuliano Giunta), come a dire che quello di Romero è il vero e unico brand all’interno del genere. Cioè come Star Wars per George Lucas ma con molte meno menate. The Walking Dead affronta tematiche della vita di tutti i giorni in tempi di crisi. Avete considerato che, sfruttando il gancio con l’attualità, potreste avere tra le mani una potenziale bomba? Tu dici? Ti racconto un aneddoto: come sai, saldaPress è una casa editrice piccola e il numero di volumi che riesce a pubblicare in un anno con il passare del tempo è cresciuto, ma è ancora abbastanza ridotto. Quindi, come immaginerai, ci sono decine di bei titoli che ci capita di vedere in giro per il mondo, su cataloghi o alle fiere, ma che, alla fine, non ci è possibile pubblicare. Bene, una di queste è stata proprio The Walking Dead. È il 2004 e l’Image, insieme ad altre cose, mi manda da leggere TWD. Ne leggo un paio di numeri e nel giro di qualche pagina Kirkman mi ha già tirato dentro la storia senza possibilità di uscirne più fuori. Penso allora che sarebbe molto bello avere TWD nel nostro catalogo ma, conti alla mano, in quel momento non ci possiamo permettere di acquistare i diritti di un libro che non riusciremmo a pubblicare prima di un anno e mezzo. Così telefono a un editore mio amico, uno che è in giro da parec- De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 54 De:Facto chio tempo e che pubblicava i libri a fumetti quando ancora “diverse migliaia di venduto in prima battuta” significava una situazione di piena normalità. Gli parlo di TWD. Gli dico: “Secondo me è un titolo molto bello, ma noi adesso non ci riusciamo a pubblicarlo. Perché non lo pubblichi tu?”. E lui mi risponde: “Ma a me che me ne frega degli zombie?”. Finita la telefonata, TWD mi resta in testa. Ci dormo su un paio di notti e poi decido che vale la pena di rischiare. C’è di bello in questa storia che, conoscendo bene l’amico editore di cui sopra, con il passare degli INTERVISTE anni non credo proprio che abbia cambiato idea. Non ho capito esattamente perché ti ho raccontato questa storia né se ho risposto o meno alla tua domanda, ma fa lo stesso. Torniamo alla dilagante zombiemania. SaldaPress sta preparando una gustosa novità in tal senso: la Collana “Z”. Potresti introdurci brevemente a questa collana, e magari rivelarci anche qualche idea che avete per il futuro (recupero di grandi classici, scoperta e diffusione di misconosciuti fumetti zombeschi...)? De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 55 In verità l’unica idea che abbiamo in mente, oltre a quella di pubblicare bei libri a fumetti pieni di zombie, è quella di organizzare una giornata dell’orgoglio zombie qui a Reggio Emilia. Una di quelle con la manifestazione, la gente truccata da zombie che caracolla per le strade e tutta quella roba lì. Non so perché, ma mi sembra una cosa importante da fare. Pensa che abbiamo già immaginato tutta la campagna di lancio. Titolo: “Reggio Emilia, città degli zombie”, che così ci agganciamo anche alla critica sociale sul territorio. E come simbolo, la foto di un tricolore tutto sporco e lacero. De:Facto INTERVISTE Dead di Alan Grant e Simon Bisley lo prende e lo proietta nell’empireo del politicamente scorretto da cui Raise the Dead di Leah Moore e John Reppion lo raccoglie e lo riconduce in territori vicini a quelli tracciati da Romero. Ma il bello è che, essendo “Z” la prima e più grande collana italiana dedicata al tema degli zombie, solo averla annunciata agli editori stranieri ci sta facendo arrivare proposte da tutto il mondo che, in pratica, potrebbero già oggi coprire il piano editoriale del 2010. Mettiamo da parte un attimo The Walking Dead, che si sa essere uno dei migliori fumetti a tema zombi attualmente in commercio. Tra i classici, i moderni e i contemporanei, quali sono i tre esempi di narrativa zombi migliore in assoluto? Ovviamente, foto con colori desaturati. Non so quando né come, ma vedrai che riusciremo ad organizzarla. Per il resto, che dire? La collana “Z” parte quest’anno sotto i migliori auspici. Oltre a due nuovi volumi di TWD abbiamo in cantiere 4 nuovi titoli che permetteranno ai lettori di ampliare il proprio orizzonte in materia: Fragile di Stefano Raffaele che declina una storia d’amore in chiave zombie, Gli zombie che mangiarono il mondo di Jerry Frissen e Guy Davis che sposta il tema dei non morti nei territori della commedia, esattamente dove The De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 56 Uscendo dal fumetto, a me sono piaciuti molto due libri di narrativa. World War Z di Max Brooks e L’estate dei Morti Viventi di John Ajvide Lindqvist. E per l’affetto che nutro verso Mastro (o Mostro) Sclavi, non posso non citare Dellamorte Dellamore che, scusate il gioco di parole, vorrei davvero che tornasse a nuova vita (editoriale). Però rientro subito nei territori del fumetto e scrivo tutto in maiuscolo che OGNI VERO AMANTE DEGLI ZOMBIE NON DEVE PERDERSI PER NESSUN MOTIVO THE ABANDONED DI ROSS CAMPBELL, PUBBLICATO IN ITALIA DAI BENEMERITI DELLA PURPLE PRESS! Che lo sappiano Dario Morgante e i suoi che io questo titolo glielo invidio molto. E fra le cose peggiori dell’universo zombesco, invece, cosa ci metteresti? Credo il parlamento italiano. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Il “non morto” che cammina La serie a fumetti The Goon di Eric Powell (pubblicata in America da Dark Horse ed in Italia da Magic Press) è senz’altro un’anomalia. Infatti, sebbene un elemento importantissimo della storia siano gli zombie (anche lo strillo di co- più chiari, in The Walking Dead e Zombie World, per citare due titoli più o meno indie che viaggiano su binari assolutamente divergenti di Antonio Solinas (ma anche nella maggior parte dei titoli che hanno a che fare con i pertina parla chiaro: “Even the Un- morti che camminano), la premesdead Fear the Goon!”), la serie non sa iniziale è quella della lotta per è vincolata a uno sviluppo logico la sopravvivenza dei viventi nei di certe premesse “zombesche”, confronti degli zombie. Una volta che spessissimo sono codificate messi in scena gli zombie, questi costrizioni su cui necessariamen- diventano una sorta di pestilenza te basare gli intrecci. Per essere moderna (che si presta a diversi livelli di lettura metaforica, per di più) e il tema della lotta per la sopravvivenza della razza umana di fronte alla lenta invasione diventa necessariamente basilare, anzi prevalente. In The Goon questo aspetto, invece, è fondamentalmente trascurabile: i “pelleossa” sono in pratica “solo” una pericolosa gang di senza cervello capeggiati dallo zombie parlante Lazlo, braccio destro del Prete Senza Nome, il cattivo della serie. In questo senso, si limitano a presidiare il territorio in Lonely Street, sede della tana del Prete Senza Nome, e non sono la forza inarrestabile che tenta di fare proseliti a furia di morsi sul deltoide vista in innumerevoli film. Con questa scelta narrativa, legan- De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 57 De:FINIZIONI do lo zombismo alla maledizione orchestrata dal Prete Senza Nome (che non esita a zombificare anche il proprio socio), Powell ha la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio tutta una serie di espedienti narrativi che di solito non sono necessariamente associabili alla fenomenologia zombesca. Ad esempio le gag umoristiche, che sfruttano la “stupidità” (se si può usare questo termine) dei morti che camminano, riuscendo spesso molto bene. Soprattutto, però, l’autore ha l’opportunità di instillare negli zombie (primo in questo?) un sentimento. Che è quello che ci guida normalmente in ogni passo importante della nostra vita, ma che non è normalmente associato (o associabile) alla lenta marcia dei “pelleossa” senza cervello: la paura. I morti che camminano, infatti, temono l’Avvoltoio (Buzzard in originale), nemesi per antonomasia se mai ce ne sia stata una. L’Avvoltoio è uno dei personaggi più straordinari (proprio in senso etimologico) mai apparsi in storie di zombie. APPROFONDIMENTO Eroe tragico, è il risultato di una maledizione “andata male”. L’uomo dal nome dimenticato, un rispettato pistolero del Missouri, era diventato sceriffo di una cittadina del West, abitata da sempliciotti e hillbilly che pensavano di non avere nulla da temere, in quanto si fidavano ciecamente dell’uomo con la stella. Questo fino all’arrivo in città del Prete Senza Nome, che in meno di due settimane riuscì (con diabolica abilità) a ingannare i cittadini De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 58 timorati di Dio, trasformandoli in officiatori di riti satanici, col risultato di farne poi morire molti tramite una misteriosa pestilenza. Successivamente, i morti risorsero come zombie, a reclamare infine tutti i cittadini del paesino tramite l’infezione zombesca. Unico sopravvissuto, distrutto dal rimorso, rimase il pistolero, che, rinchiusosi nell’ufficio dello sceriffo, si annullò nell’alcol e nel dolore. Tutto sarebbe finito lì se il Prete Senza Nome non si fosse azzarda- De:FINIZIONI to a prendere in giro il pistolero, sfidandolo a mandarlo via dalla cittadina. Il pistolero, pazzo di rabbia, alcol e dolore, uscì dall’ufficio avventandosi sul Prete per ucciderlo, e questi, andando nel panico si difese con una maledizione che, scagliata su un essere vivente (e non su un cadavere) lo trasformò nella patetica creatura nota come l’Avvoltoio. In questo senso, il giustiziere dagli occhi bianchi è veramente il contraltare degli zombie, in tutto e per tutto: a livello iconografico, per iniziare, L’Avvoltoio è un vero e proprio “pelleossa”, magro scheletrico, vestito di nero e vagamente trasfigurato (nella maniera in cui può esserlo Gollum, per dire). APPROFONDIMENTO Per quanto riguarda il modus operandi, la ripetitività assoluta dell’essere zombie si rispecchia nella furiosa coazione a ripetere che costringe L’Avvoltoio a “vivere” con una sola missione, quella di uccidere gli zombie e vendicarsi del Prete Senza Nome. In questo, l’ossessionata determinazione de L’Avvoltoio nel fare saltare il cervello dei morti che camminano diventa ripetitiva e meccanica proprio come la “fame” degli zombie, visto che proprio le maledizioni del Prete Senza Nome (e una geniale trovata di Powell) lo condannano a cibarsi della carne in putrefazione degli undead. L’Avvoltoio, infatti, in maniera tanto disgustosa e disturbante quanto il miglior De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 59 horror zombesco, per sopravvivere deve cibarsi delle carni putrefatte degli zombie, e lo fa sempre nella maniera più gore possibile, anche nell’eccellente stilizzazione artistica dei disegni di Powell. La storia delle origini segrete de L’Avvoltoio, quantomai triste, consente a Eric Powell di cambiare con maestria registro (emotivo e narrativo) in The Goon, e trasforma quello che poteva essere definito un misto fra B-movie anni ‘60, fumetti EC e parossismi a là KirbyMonty Pithon in qualcosa di più stimolante e profondo. Laddove, infatti, lo humor nero della serie (affidato soprattutto alla spalla comica Frankie) domina solitamente la scena, esprimendosi in maniera spesso poco “politically correct (uno dei fattori chiave del successo del fumetto), sono i momenti d’atmosfera e le tragedie personali, gestite in maniera eccellente, a fare venire fuori la profondità dei personaggi e a dare spessore a un fumetto che vive di un lavoro di costruzione delle trame fortemente debitore della miglior tradizione Marvel anni ‘70. E L’Avvoltoio, in tal senso, rappresenta uno dei personaggi meglio riusciti della serie, una patetica caricatura di essere vivente che, nonostante il desiderio di morire, non può che arrendersi alla fame di carne zombie, toccandoci con dolenti note di umanità apparentemente perduta ma pur sempre presente. GUEST LIST Rubrica Zombie Superstar! I miei cinque morti viventi preferiti di Diego Cajelli Sono un romeriano di ferro. Ho passato buona parte degli anni ottanta guardando il film Zombi, Dawn of the Dead, ma a noi zombie-dipendenti piace chiamarlo: “quello del centro commerciale”. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 60 Alla fine, ho smagnetizzato la vhs a furia di rivederla. In quel film i personaggi sono tanti, tantissimi. Comparse-scomparse senza battute perché gli basta ringhiare. C’è il piccolo Mike, il nipote di Tom Savini, il terrorizzante Bambino Zombie o Lee Cummings, lo Zombie Ciccione che rimbalza nella fontana. Ho visto una vagonata di film sui morti viventi, ma dovendo stilare GUEST LIST una classifica assoluta, preferisco concentrarmi unicamente sulla mia radice estetico/narrativa, quella degli zombie diretti da George Andrew Romero. Quinto posto: Big Daddy. Il più intelligente zombie del pianeta, interpretato da Eugene Clark in Land of the Dead. Fiero nella sua tenuta da benzinaio, immune al fascino dei fuochi artificiali. A metà tra un leader per i diritti civili e un rappresentate del sindacato dei morti. Una figura carismatica, per quanto in avanzato stato di decomposizione. Poi c’è il grandissimo Bub. Per il mio amico Alex Crippa è lo zio-zombie che non ha mai avuto, per me è un patriota. Mi saluta militarmente nella sua giaccona di flanella a scacchi. Un ruolo decisamente importante per Shermann Howard in Day of Dead. Vi avviso, nonostante i suoi problemi a maneggiare un telefono, Bub è molto meno rincoglionito di quanto vi faccia credere. Impossibile non citare Lenny Lies, che in Zombi è chiamato a recitare una parte fondamentale per il genere e per la storia degli effetti speciali. Interagisce con Tom Savini in persona. Lo conoscete tutti, è Machete Zombie. Quello a cui lo zio RUBRICA Savini apre in due la testa, quando la banda di predoni assalta il centro commerciale. Il trucco era così complesso da dover essere messo in atto dal suo stesso creatore, Savini, attore/regista/effettista, autentico mito del genere horror. È il momento dei pezzi grossi. Secondo posto: lui, l’inimitabile Bill Hinzmann. Cemetery Dead. Ovvero, il primo zombie che si vede in La Notte dei Morti Viventi e nella cinematografia moderna a base di zombie. È un tipo ostinato, implacabile. Si cimenta per primo con l’andatura caracollante, diventando l’apripista di riferimento per una serie di morti viventi futuri. Al vertice di questa classifica zombesca c’è il morto vivente che più di ogni altro è entrato nell’immaginario collettivo. Michael Christopher Berhosky, è lui a vestire i panni dello Zombie Hare Krishna in Zombi. Con i suoi occhialetti tondi e la sua tunica arancione è diventato un vero divo, e per forza De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 61 di cose, trattandosi di zombie, è un divo del muto. SPARRING PARTNERS RUBRICA Zombie Artistici di Antonio Solinas e Giovanni Agozzino La premessa di Sparring Partners è semplicissima: gli autori si trovano su Skype, vanno a ruota libera su temi spesso strampalati e infine salvano le trascrizioni della conversazione. Incredibilmente, con un minimo di editing (ridotto per altro all’osso, per non disturbare il flow della chat) ne vengono fuori discussioni interessanti (speriamo lo siano anche per voi). In questo caso, i due “sparring partners” si sono inventati una improvvisata discussione sull’arte a partire da un commento a caso (fra parentesi, l’innominato è Ausonia) su un blog e da presunte analogie con il modus operandi degli zombie (!). Questo è il risultato. Antonio Solinas: 21:51:37 Pronto per "Sparringare"? Giovanni Agozzino: 21:52:11 yes Giovanni Agozzino: 21:52:14 o meglio Giovanni Agozzino: 21:52:18 sono del tutto impreparato Giovanni Agozzino: 21:52:20 come va, va Antonio Solinas: 21:52:39 il bello e' proprio quello Antonio Solinas: 21:52:43 allora Antonio Solinas: 21:53:01 partiamo da una cosa che mi ero segnato perche' mi aveva colpito Giovanni Agozzino: 21:53:16 spara Antonio Solinas: 21:53:19 non nomino l'autore perche' non e' il punto della cosa Antonio Solinas: 21:53:32 pero' su un blog avevo trovato questo Antonio Solinas: 21:53:48 (tanto poi qualche gossipparo se lo gugola...) Giovanni Agozzino: 21:53:57 vediamo Giovanni Agozzino: 21:54:03 (io lo farei il nome dell'autore, ma dopo) Antonio Solinas: 21:54:23 però se volete vi dico anche cos'è l'arte secondo me... per me l'arte è un TENTATIVO. e il prodotto di questo tentativo non è l'opera d'arte. no. magari, sarebbe bello. rimane solo unpag. tentativo De:Code 2.0,spesso n.2, maggio 2009 62 e basta. di opera d'arte, se hai culo, te ne esce fuori una nella vita. essere un artista non equivale ad essere un genio, ma a seguire un percorso Antonio Solinas: 21:53:48 (tanto poi qualche gossipparo se lo gugola...) Giovanni Agozzino: vediamo 21:53:57 SPARRING PARTNERS Giovanni Agozzino: 21:54:03 (io lo farei il nome dell'autore, ma dopo) Antonio Solinas: 21:54:23 però se volete vi dico anche cos'è l'arte secondo me... per me l'arte è un TENTATIVO. e il prodotto di questo tentativo non è l'opera d'arte. no. magari, sarebbe bello. spesso rimane solo un tentativo e basta. di opera d'arte, se hai culo, te ne esce fuori una nella vita. essere un artista non equivale ad essere un genio, ma a seguire un percorso alternativo. Antonio Solinas: 21:55:02 al di la' del fatto che, per linee generali, potrei essere d'accordo Giovanni Agozzino: 21:55:11 è una definizione abbastanza fumosa Antonio Solinas: 21:55:23 (nonostante alcuni pericoli di totalitarismo insiti nella definizione) Antonio Solinas: 21:55:41 mi ha immediatamente fatto pensare agli zombie Giovanni Agozzino: 21:55:56 questa è bella, spiegamela Antonio Solinas: 21:56:48 cioe', come dice anche Alex Crippa, gli zombie sono "animati" da una specie di coazione a ripetere Antonio Solinas: 21:57:10 e quindi fanno branco e ti sbranano il cervello anche se non ne avrebbero bisogno Antonio Solinas: 21:57:26 anche questo mi sembra un tentativo Giovanni Agozzino: 21:57:41 uhm Giovanni Agozzino: 21:58:29 fatico a seguirti: uno zombie esercita un'arte perché simula un comportamento? l'opera d'arte sarebbe un cervello sbranato a dovere? Antonio Solinas: 21:58:43 no, mi spiego meglio Antonio Solinas: 21:59:30 se l'arte e' un tentativo (anzi TENTATIVO), allora gli zombies tentano (o TENTANO) di credersi vivi Antonio Solinas: 21:59:59 per il discorso dell'opera d'arte (una nella vita) Antonio Solinas: 22:00:19 poi, non hanno problemi. Sono gia' morti... Giovanni Agozzino: 22:00:27 ahaha Giovanni Agozzino: 22:00:48 in effetti, tendono a qualcosa che hanno già raggiunto (il culmine dell'esistenza umana) Giovanni Agozzino: 22:01:13 (come dice daw in a come ignoranza 3, un essere umano completo è un essere umano morto) Antonio Solinas: De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 63 22:01:20 RUBRICA Antonio Solinas: 22:00:19 poi, non hanno problemi. Sono gia' morti... Giovanni Agozzino: ahaha 22:00:27 SPARRING PARTNERS Giovanni Agozzino: 22:00:48 in effetti, tendono a qualcosa che hanno già raggiunto (il culmine dell'esistenza umana) Giovanni Agozzino: 22:01:13 (come dice daw in a come ignoranza 3, un essere umano completo è un essere umano morto) Antonio Solinas: 22:01:20 nella forma più pura Antonio Solinas: 22:01:29 hahahha Giovanni Agozzino: 22:01:39 eh, ma daw è un genio, in effetti. Antonio Solinas: 22:01:48 effettivamente Giovanni Agozzino: 22:02:09 però è una definizione troppo approssimativa Giovanni Agozzino: 22:02:38 oppure, se vogliamo vederla da un altro punto di vista, la definizione è esatta, e gli "artisti" sono proprio poca cosa Antonio Solinas: 22:02:55 e' un modo di vederlo Giovanni Agozzino: 22:03:04 (e ora che ci penso, la maggior parte degli artisti che si autodefinisce tale, almeno nel nostro campo, non si discosta molto da un atteggiamento zombesco) Antonio Solinas: 22:03:37 alcuni ti mangiano anche il cervello, devo dire Giovanni Agozzino: 22:03:48 fortuna che frequento poche fiere, allora! Antonio Solinas: 22:03:54 hahahah Giovanni Agozzino: 22:04:00 spostiamo la discussione a un livello metanarrativo Giovanni Agozzino: 22:04:07 se uno zombie è un artista Giovanni Agozzino: 22:04:08 un negromante cos'è? Antonio Solinas: 22:04:31 vedi, il mio cruccio e' come differenziare lo sforzo artistico dallo sforzo di uno zombie Antonio Solinas: 22:04:49 se no, qualunque sforzo diventa arte Antonio Solinas: 22:05:10 anche uno sforzo inconscio (e non faccio la battuta del cagare) Giovanni Agozzino: 22:05:22 troppo tardi Giovanni Agozzino: (ma ci ha già pensato manzoni, mi spiace) De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 64 22:05:28 RUBRICA Antonio Solinas: 22:04:49 se no, qualunque sforzo diventa arte Antonio Solinas: 22:05:10 anche uno sforzo inconscio (e non faccio la battuta del cagare) SPARRING PARTNERS Giovanni Agozzino: 22:05:22 troppo tardi Giovanni Agozzino: 22:05:28 (ma ci ha già pensato manzoni, mi spiace) Antonio Solinas: 22:05:52 si, ma li' l'intento era leggermente diverso Antonio Solinas: 22:05:57 e piu' articolato Giovanni Agozzino: 22:06:09 vedi, stavo per dire che l'arte presuppone cultura e un progetto ben definito alla base dello "sforzo" Giovanni Agozzino: 22:06:36 in realtà non ne sono sicuro, evidentemente esisteranno e sono esistiti artisti istintivi e ignoranti Giovanni Agozzino: 22:06:39 (o no?) Antonio Solinas: 22:06:54 boh Antonio Solinas: 22:06:57 si Antonio Solinas: 22:07:14 pero' il discorso del progetto puo' restare Antonio Solinas: 22:07:36 (anche se magari inconscio, anche se qui si entra in un altro terreno minato) Giovanni Agozzino: 22:07:42 appunto Giovanni Agozzino: 22:07:58 devo dire che questo genere di discorsi mi inquieta Antonio Solinas: 22:08:09 in che senso? Giovanni Agozzino: 22:08:59 credo che persone ben più preparate di me, te o dell'autore innominato abbiano dibattuto per secoli sul significato di arte senza cavare un ragno da un buco Antonio Solinas: 22:09:14 ma a noi interessa andare a tentoni Antonio Solinas: 22:09:28 Sparring Partners sì che e' un tentativo Giovanni Agozzino: 22:09:40 ma di certo non è arte Antonio Solinas: 22:09:55 no, ma appunto per questo non dobbiamo definirlo Giovanni Agozzino: 22:09:58 (stavo per dire che non lo è perché è "imperfetto". ma tutte le opere d'arte sono imperfette) Antonio Solinas: De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 65 si, a parte quella tizia svedese che avevo conosciuto nel 1999 a Southampton 22:10:39 RUBRICA ma di certo non è arte Antonio Solinas: 22:09:55 no, ma appunto per questo non dobbiamo definirlo Giovanni Agozzino: SPARRING PARTNERS 22:09:58 (stavo per dire che non lo è perché è "imperfetto". ma tutte le opere d'arte sono imperfette) Antonio Solinas: 22:10:39 si, a parte quella tizia svedese che avevo conosciuto nel 1999 a Southampton Giovanni Agozzino: 22:11:22 ahaha Giovanni Agozzino: 22:11:51 a proposito di opere d'arte viventi, sasha grey abbandona il porno per fare film con soderbergh Giovanni Agozzino: 22:12:04 in questo caso che succede, un'opera d'arte si declassa ad artigianato? Antonio Solinas: 22:12:13 si, ho letto sul blog di un redattore... hahahaha Antonio Solinas: 22:12:21 boh Antonio Solinas: 22:12:34 ma quale sarebbe il tragitto e il tentativo, in questo caso Antonio Solinas: 22:13:00 o nel caso della precedente carriera (senza entrare troppo nel porno se no dicono che siamo maniaci)? Giovanni Agozzino: 22:13:32 sono fidanzato, non posso più parlare di queste cose Antonio Antonio Solinas: Solinas: dillo alla mia hahahahah bambina di un anno 22:13:46 22:13:38 Giovanni Agozzino: 22:15:06 a parte gli scherzi, sasha grey ha saputo (grazie alla particolarità dei ruoli "interpretati") rendere il porno non solo un prodotto da masturbazione quanto qualcosa che oltre al suo ruolo originale potesse evocare anche disturbo e fascino non erotico Giovanni Agozzino: 22:15:11 (credo) Giovanni Agozzino: 22:15:29 ha reso l'artigianato (porno) qualcosa di più interessante e colto (arte?) Antonio Solinas: 22:15:57 boh, su questo non ho veramente una opinione. Sarò uno zombie? Antonio Solinas: 22:16:26 Ma poi qui si entra nell'ennesimo ginepraio Giovanni Agozzino: 22:16:29 piuttosto, perché noi due finiamo sempre a parlare di porno? Antonio Solinas: 22:16:34 non lo so: hai iniziato tu, stavolta... Antonio Solinas: 22:17:15 mi e' venuta in mente la punchline di una canzone rap: "gettin' more brain than zombies" Antonio Solinas: 22:17:26 dove brain sta per fellatio Antonio Solinas: tutta colpa tua, Giova'! 22:17:34 De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 66 RUBRICA Antonio Solinas: 22:16:34 non lo so: hai iniziato tu, stavolta... Antonio Solinas: 22:17:15 mi e' venuta in mente la punchline di una canzone rap: "gettin' more brain than zombies" SPARRING PARTNERS Antonio Solinas: 22:17:26 dove brain sta per fellatio Antonio Solinas: 22:17:34 tutta colpa tua, Giova'! Giovanni Agozzino: 22:17:40 ahaha Giovanni Agozzino: 22:18:01 e io che mi ero preparato con un po' di libri e fumetti sugli zombie qui sulla scrivania Antonio Solinas: 22:18:11 cosa? Giovanni Agozzino: 22:18:25 l'alba dei morti viventi Giovanni Agozzino: 22:18:30 the walking dead Antonio Solinas: 22:18:38 un classico, due classici Antonio Solinas: 22:19:12 ma mi aveva colpito il discorso metanarrativo del negromante. Antonio Solinas: 22:19:33 puoi elaborare? Giovanni Agozzino: 22:20:07 ci posso provare Antonio Solinas: 22:20:28 si, perche' non ci avevo capito una mazza Giovanni Agozzino: 22:21:15 beh, il paradosso sta nello zombie che esercita arte ma è, a sua volta prodotto dell'arte di qualcun altro Antonio Solinas: 22:21:40 fino a che non si dimostra che gli zombie esistono veramente Antonio Solinas: 22:22:05 (certi sondaggi di gradimento farebbero pensare di si) Giovanni Agozzino: 22:22:09 ahahah Antonio Solinas: 22:22:33 in effetti, ampliando il paradosso Antonio Solinas: 22:22:53 lo zombie esercita arte nell'essere il grado zero dell'esercizio dell'arte Giovanni Agozzino: 22:23:21 il grado zero? Antonio Solinas: 22:23:42 svolge solo delle funzioni primarie Antonio Solinas: e qui quello messo in difficolta' sarebbe Scott McCloud2.0, n.2, maggio 2009 pag. 67 De:Code 22:23:46 RUBRICA Antonio Solinas: 22:22:53 lo zombie esercita arte nell'essere il grado zero dell'esercizio dell'arte Giovanni Agozzino: 22:23:21 il grado zero? SPARRING PARTNERS Antonio Solinas: 22:23:42 svolge solo delle funzioni primarie Antonio Solinas: RUBRICA 22:23:46 e qui quello messo in difficolta' sarebbe Scott McCloud Giovanni Agozzino: 22:24:05 ricapitolami l'arte secondo mccloud Antonio Solinas: 22:24:09 che diceva che arte e' tutto cio' che non attiene ai bisogni primari dell'uomo Antonio Solinas: 22:24:14 (se non sbaglio) Giovanni Agozzino: 22:24:30 eh, io ho la memoria di uno zombie Antonio Solinas: 22:24:35 hahahaha Antonio Solinas: 22:24:53 un morto per definizione puo' svolgere solo atti non attinenti ai bisogni primari di un vivo Giovanni Agozzino: 22:24:55 abbiamo sconfessato mccloud, mi piace Antonio Solinas: 22:25:17 si, e per di piu' partendo da premesse da perfetti cazzoni SuperMarket Takada, 3x3 occhi, (1987), Star Comics, 256 pagg, € 3,10. Howard - Dead@17 (2008), Edizioni BD, 308 pagg., € 19,50. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 68 Manfredi, Biglia, Talami - Magico Vento 121, Bonelli (2008), 130 pagg., € 3,50. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO A volte ritornano di Simone Satta Ci sono autori che lasciano il segno in particolare testata, spesso una sulle serie che toccano, scrittori senza troppe pretese, dove i dikche plasmano con la loro penna (o, tat del marketing sono sovente meno romanticamente ma più re- inversamente proporzionali alla alisticamente, con il loro word pro- libertà creativa e decisionale, e lì cessor) i protagonisti e il mondo mettono radici rimanendovi per che li circonda marchiandoli con anni, una cosa, purtroppo, ormai la loro impronta indelebile, incon- sempre più rara nella più recente fondibile. stagione dei comics USA. Sono quegli autori che tengono in- Questo non vuol dire che qualuncollati i lettori a volte per anni gra- que autore transiti su una testata zie alle loro storie o che, poiché c’è riesca a generare quella sorta di sempre un’altra faccia della meda- “magia” solo piantando le tende, o glia, li allontanano, non lasciando che basti solo una lunga permamai indifferenti, e che fanno scelte nenza o delle storie coraggiose e coraggiose e a volte impopolari. controverse perché si crei quello È una situazione questa che spes- speciale connubio fra scrittore e so accade nel fumetto americano serie che porta a quel qualcosa mainstream, dove gli sceneggia- di indescrivibile: questi autori ritori sono abituati a saltare di se- scrivono del tutto i personaggi rie in serie trovando solo a volte senza snaturarli, a prescindere da la loro dimensione ideale in una quanto tempo durino le loro run, De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 69 se poco meno di due anni, come il primo storico ciclo di Frank Miller su Daredevil1, o più di 16, come quello irripetibile di Chris Claremont su Uncanny X-Men2. E quando una serie mostra segni di stanchezza è a questi grandi autori del passato, più o meno recente a seconda dei casi, che i lettori guardano speranzosi, sperando in un loro ritorno per ridare nuova linfa a quei personaggi e a quelle situazioni che ai fan duri e puri sembrano sempre più lontane dall’anima che ad essi appartiene. Purtroppo la storia insegna che i ritorni possono anche essere niente più che deleteri, in un senso (per la serie) e nell’altro (per l’autore). Con questa premessa non si vuole iniziare una cronistoria dei ritorni più o meno riusciti che hanno costellato i decenni passati e presenti del comicdom americano, ma una disamina su come spesso è difficile, quando non impossibile, per questi autori ristabilire quel contatto inimitabile che sempre più De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO coppia con il disegnatore Bill Sienkiewicz, Miller approfondisce il rapporto di Kingpin – che sotto la sua gestione è diventato la nemesi per eccellenza del diavolo rosso – con la folle moglie Vanessa, mostrandone il lato più umano. Di nuovo con un ancor più sperimentale Sienkiewicz dà alla luce Elektra Assassin7, una controversa miniserie (poi esclusa dalla continuity ufficiale) con protagonista la bella ninja; e ancora la successiva Elektra Lives Again8 (anch’essa fuori continuity), di cui realizza testi e disegni, con il prezioso contributo della moglie Lynn Varley ai colori, dove il fulcro dell’intera, onirica vicenda ruota intorno a un disorientato Matt Murdock che cerca di venire a patti con la perdita dell’amata Elektra. L’ultimo tassello del rapporto fra Devil e Miller è datato 1993, quan- si affievolisce, a partire dal giorno del loro primo abbandono, più o meno forzato. È un dato di fatto, ad esempio, che questi ritorni sembrano avere generalmente più probabilità di funzionare quando si riducono ad eventi episodici, a progetti speciali che servano ad esplorare aspetti che nelle passate run non erano stati toccati o approfonditi. È questo il caso dei lavori di Frank Miller su Daredevil, testata da lui totalmente rifondata in un inedita ottica hard boiled nei numeri a cavallo fra il 168 e il 191 (dopo una precedente parentesi di circa un anno nelle vesti principalmente di disegnatore e in parte di co-soggettista per i testi di Roger McKenzie3). Al suo abbandono Miller lascia Devil nelle mani, tra gli altri, di un insolitamente spaesato Dennis O’Neil, per poi far ritorno4 per una breve ma decisiva run con il capolavoro in sette parti Rinascita5, illustrato magistralmente da un giovane e ispiratissimo David Mazzucchelli, già regular penciler della serie, che lascia in maniera inequivocabile (se ancora ce ne fosse il bisogno) il segno definitivo del cartoonist di Olney sul mondo del diavolo rosso. In questa storia Miller decostruisce letteralmente il personaggio dalla base, togliendogli tutto, radendo al suolo materialmente e metaforicamente quanto era stato costruito nei decenni precedenti dagli autori prima di lui, ma lo fa senza barare, senza colpi di spugna o improbabili retcon, un meccanismo oggi sempre più di moda, e regala ai fan di Devil e del fumetto tutto una delle storie più belle e appassionate mai scritte. Il lavoro di Miller non termina però con Rinascita: il futuro autore di Sin City torna ad occuparsi del personaggio e dei suoi comprimari, prima fra tutti la sua creatura più affascinante, Elektra, in diverse altre occasioni, arricchendo la saga del diavolo rosso di elementi preziosi non solo per la sua personale interpretazione del personaggio ma anche per i suoi successori. In Daredevil: Amore e Guerra6, in De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 70 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO tima epopea: l’alfa e l’omega hard boiled di Miller ridefinisce l’uomo pipistrello per il presente ed il futuro a venire e pone le basi mai più discusse del Batman moderno. Il nuovo millennio lo vede ritornare al personaggio (dopo un piccolo quanto trascurabile divertissment del 1994, il crossover Spawn/Batman13, di cui cura solo i testi) prima con un controverso seguito de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro, Il Cavaliere Oscuro Colpisce Ancora14, che non riesce neanche per un attimo a sostenere il peso dell’opera originale perdendosi in un egocentrico sproloquio narrativo e grafico (ulteriormente mortificato da una Lynn Varley totalmente involuta nel passaggio dal pennello alla colorazione digitale) che si schianta su quanto di buono fatto nella storia precedente e soprattutto sull’architettura poetica stessa dell’universo DC, regalando ai posteri il classico, cinematografico luogo comune che un sequel non riesca ad essere altro che la pallida ombra (in questo caso distorta) del capolavoro che lo ha generato. Nel 2005 chiude il cerchio del per- do lo scrittore si unisce alla coppia formata da John Romita Jr alle matite e Al Williamson agli inchiostri9 per narrare la storia definitiva sulle origini del personaggio e che chiude idealmente il circolo narrativo iniziato con Daredevil v1 #168. L’altra faccia del lavoro di Miller sono i suoi trascorsi sul personaggio di Batman, rilanciato nel 1986 con il breve ciclo Anno Uno10, dove prosegue il sodalizio, iniziato con Rinascita, con un sempre più sintetico e magistrale David Mazzucchelli e soprattutto dove viene ridefinito il personaggio ab origine dopo gli stravolgimenti di Crisi sulle Terre Infinite11, e con la miniserie Il Ritorno del Cavaliere Oscuro12, di cui cura testi e disegni, con l’apporto di Klaus Janson alle chine, che di Batman racconta l’ulDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 71 De:FINIZIONI corso ideale iniziato nel 1986: il suo All-Star Batman & Robin15 è un vero e proprio ritorno alle origini, il tentativo di ricreare l’uomo pipistrello per le nuove generazioni, libero da pesanti vincoli di continuity (sulla scia di quanto già fatto dalla Marvel con la linea Ultimate; della linea All-Star fanno parte AllStar Superman, di Grant Morrison e Frank Quitely, e tre progetti annunciati ma ancora in lavorazione: All-Star Wonder Woman, di Adam Hughes, All-Star Batgirl, di Geoff Jonhs e J.G. Jones e All-Star Green Lantern, per il quale non sono stati ancora resi noti i nomi degli autori coinvolti) e con l’apporto di un top artist come Jim Lee. Il risultato è una serie reazionaria e superficiale, lontana anni luce dall’operazione pressoché analoga compiuta con successo da Miller poco meno di vent’anni prima: un Batman senz’anima, perfettamente in linea, bisogna ricordarlo, con gli ultimi lavori del cartoonist. Il più grande flop relativo ai ritorni di fiamma, non tanto per i risultati (non) raggiunti quanto per l’attesa che lo ha accompagnato, è sicuramente, invece, quello di Chris Claremont sugli amati X-Men. Lo scrittore britannico prende le redini di X-Men16 nel 1975, con il numero 94, con i protagonisti appena rilanciati e reinventati da Len Wein17, e vi rimane sedici anni, creando quasi da solo l’intero sottobosco mutante della Marvel e dando vita, oltre al più lungo ciclo di un unico autore sulla stessa testata, a uno dei più grandi successi editoriali del comicdom americano che, tra alti e bassi, perdura ancora oggi. All’inizio della sua gestione, Claremont prende tra le sue mani un manipolo di personaggi praticamente senza storia e nessun particolare vincolo editoriale e questo gli permette di lavorare con calma su di loro e sulla serie (e spesso sulle serie e miniserie collaterali), plasmando mese dopo APPROFONDIMENTO mese, anno dopo anno, alcuni dei character più affascinanti e tridimensionali mai visti in un fumetto, primo fra tutti Wolverine (con l’apporto essenziale, all’inizio, del canadese John Byrne, che firma con lui, in veste di disegnatore e spesso di co-soggettista, quello che è ancora oggi riconosciuto come il miglior X-ciclo di tutti i tempi: Uncanny X-Men 108-143, che coincide con la scalata della serie in cima alle classifiche di vendita) e De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 72 alcune storie indimenticabili come La Saga di Fenice Nera, Giorni di un Futuro Passato, VitaMorte, Dio Ama, l’Uomo Uccide . Con lo scrittore inglese il brutto anatroccolo della Marvel si trasforma in cigno e soprattutto genera un introito importante per la casa editrice, che inizia negli anni a sfruttare il marchio in maniera fin troppo massiccia, lanciando sul mercato sempre più serie e miniserie con protagonisti i mutanti De:FINIZIONI dalle uova d’oro fino alla sovraesposizione, ben rappresentata da un sempre più ubiquo Wolverine. Ed è proprio l’importanza commerciale assunta dalle sue creature che determina l’abbandono di Claremont nel 1991, quando le meccaniche editoriali iniziano a limitare sempre più pesantemente la sua libertà nelle scelte narrative da adottare nelle serie da lui gestite: nel momento di maggior successo della serie, quello rappresentato dal connubio con il disegnatore Jim Lee18, lo scrittore decide di mollare. Dopo un lungo e apprezzato – anche se per alcuni controverso – ciclo, opera principalmente dello sceneggiatore Scott Lobdell e dell’eminenza grigia rappresentata dall’editor Bob Harras, gli XMen sembrano non trovare più un autore che sappia gestirli al meglio e che sia disposto a fermarsi sulla serie per un lavoro dal lungo respiro come quello realizzato da X-Chris negli anni precedenti. È così che nel 2000 viene proposto a Claremont di tornare a scrivere le serie degli uomini X nell’ambito di un progetto di rilancio del sot- APPROFONDIMENTO tobosco mutante chiamato Revolution19. Il suo lavoro si scontra ancora una volta, in quest’occasione da subito, con le logiche editoriali rappresentate, in questo caso, dal consueto maxi-crossover estivo20 e soprattutto dall’epocale lancio del film di Bryan Singer21, che esige degli X-Men il più possibile accessibili ai neofiti e quanto mai aderenti alle loro controparti in celluloide. A Claremont viene proposto dopo poco tempo di restare su una sola delle due serie mutanti, lavorando De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 73 così in tandem col nuovo scrittore Grant Morrison, o di gestire un gruppo di X-Men escluso dai piani dello scozzese e operante al di fuori della scuola di Xavier. Claremont sceglie la seconda opzione e nasce così X-Treme XMen22. Per quanto a momenti sembri tornare ai fasti del passato, lo scrittore non sembra più completamente a suo agio con gli uomini X: troppi avvenimenti occorsi ai personaggi nel periodo della sua assenza, troppe le scelte discutibili e trop- De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO mai come prima il Claremont dei tempi d’oro, ma la nuova situazione del mercato americano, impaziente e non più abituato alle trame a lungo respiro, e le contingenti condizioni di salute sembrano mettere definitivamente la parola fine al rapporto fra X-Chris e gli XMen… che invece continua, anche se marginalmente, su opere come la nuova New Excalibur26 o EXiles27 e soprattutto con due opere appartenenti al futuro più o meno prossimo: una miniserie annunciata da tempo dedicata alle sue X-Girls e disegnata dal nostro Milo Manara e la nuovissima X-Men Forever, dove Claremont riprende il lavoro interrotto nel 1991 continuando a narrare le avventure degli uomini X come sarebbero dovute essere se non avesse lasciato la serie: una serie fuori continuity che sembra un vero e proprio regalo all’autore e ai suoi fan duri e puri. Un altro esperto di ritorni e di trame che lasciano il segno è Peter David: da Hulk ad Aquaman, passando per X-Factor, PAD è stato uno degli scrittori più importanti degli anni ’90, con il suo caratteristico stile di scrittura, fatto di po forte la consapevolezza di non essere e di non poter più essere il deus ex machina dei mutanti Marvel, soprattutto con l’ingombrante presenza di Morrison come vicino di casa. Nel 2004, con l’abbandono di Morrison, la Marvel lancia ReLoad23, un nuovo, ennesimo rilancio/ rimpasto delle serie mutanti: XTreme X-Men chiude con il numero 46 e i suoi personaggi confluiscono sulle due testate storiche, con Claremont che riprende il timone dell’ammiraglia Uncanny X-Men24. Il nuovo ciclo dura fino al 2006, quando l’autore abbandona per l’ultima volta i suoi pupilli25 a causa di problemi di salute appena prima di essere comunque sostituito da Ed Brubaker, lasciando a Tony Bedard il compito di concludere le trame irrisolte della sua ultima gestione. Nell’ultima corsa dello scrittore britannico sugli X-Men si rivede De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 74 De:FINIZIONI dialoghi sferzanti e di una buona dose di umorismo, e soprattutto con la sua capacità di rinnovare personaggi apparentemente senza speranza, di cui il Golia verde è solo l’esempio più famoso e riconoscibile. David inizia la sua carriera nel mondo del fumetto nei primi anni ’80, ma solo in qualità di addetto alle vendite. Solo nel 1985, grazie alla lungimiranza dell’editor delle testate ragnesche Jim Owsley (pseudonimo di Christopher Priest), viene pubblicata la sua prima storia: la ragnesca La Morte di Jean DeWolff28. APPROFONDIMENTO La storia è un piccolo gioiello del genere noir applicato ai supereroi ma non gli vale una totale riconferma a causa delle pressioni fatte su Owsley dall’allora editor-in-chief della Marvel, Jim Shooter, preoccupato dell’eventuale conflitto di interessi con la posizione di David nel settore amministrativo. La carriera di David sembra così destinata a concludersi sul nascere se non fosse per Bob Harras, allora editor di The Incredible Hulk, che nel 1987 gli propone di prendere le redini della serie del gigante di smeraldo, allora in caduta libera sul piano delle vendite e che nesDe:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 75 suno sembra voler in alcun modo scrivere29. PAD accetta e subito si dedica anima e corpo alla serie, ridefinendo il personaggio con storie intense e scelte coraggiose sul piano narrativo ed editoriale, dando vita ad una delle migliori testate del comicdom americano, arrivando addirittura ad adattare il suo stile e il personaggio stesso ai vari disegnatori alternatisi, o meglio, esplosi sulla serie: grottesco con Todd McFarlane30, eroico con Dale Keown31, brillante con Gary Frank32, oscuro con Liam Sharp33, sperimentale con Adam Kubert34. Durante il suo ciclo, durato 11 anni, David realizza un affresco in continua evoluzione, come il suo protagonista, creando alcuni capolavori del genere supereroistico come La psicanalisi di Hulk35, dove una seduta psicoterapeutica con Doc Samson identifica un disturbo della personalità come la reale origine della nascita di Hulk e (temporaneamente) lo risolve; o come All’ombra dell’AIDS36, dove Hulk si trova di fronte a un nemico che non può sconfiggere con i pugni: l’AIDS, che sta uccidendo uno dei suoi vecchi sidekick; o ancora come Futuro Imperfetto37, dove Hulk viene scaraventato in un futuro distopico per sconfiggere il più grande dittatore di tutti i tempi: sé stesso. Malgrado tutto il lavoro svolto, così come Claremont prima di lui, David lascia The Incredible Hulk nel 1998 a causa delle pressioni di una dirigenza sempre più invadente per quanto riguarda le sue scelte narrative. 38 Dopo un breve interregno di Joe Casey è il turno del fallimentare rilancio ad opera di John Byrne (in cui la testata cambia addirittura nome da The Incredibile Hulk al più semplice Hulk), una specie di back to the origins che fa praticamente piazza pulita del grande lavoro svolto negli anni dall’autore (qualcosa di molto simile alla De:FINIZIONI stessa operazione compiuta dal cartoonist canadese nello stesso periodo sulle testate dell’Uomo Ragno) ma che non riscuote il successo sperato. Dopo appena un anno Byrne abbandona la serie, che dopo pochi numeri viene presa in consegna prima dal britannico Paul Jenkins e poi soprattutto da Bruce Jones che, senza tradire l’operato di David, lancia il protagonista in un’avventura completamente nuova, tra cospirazioni e atmosfere tetre, riuscendo con la sua personale poetica a scrivere uno dei migliori cicli del Golia verde. Quando Jones lascia improvvisamente Hulk per firmare un contratto in esclusiva con la rivale DC Comics, è proprio a David che viene proposto di tornare: lo scrittore accetta, inizialmente per soli cinque numeri39, ma poi si trattiene sulla serie fino alla fine del mega– crossover “House of M”40, quando decide di lasciare la testata per il bene della sua carriera41. Purtroppo nella sua breve, seconda run, David si attiene allo sciagurato modus operandi adottato APPROFONDIMENTO da Byrne nei confronti del suo lavoro, riducendo praticamente a un sogno l’intero ciclo di Jones e cancellando, di fatto, uno dei pochi cicli di Hulk degni di essere letti al di fuori della sua storica run, perdendo inoltre l’occasione per riprendere saldamente in mano una serie e un personaggio a cui si è chiaramente disaffezionato. L’abilità di David nel creare serie di successo e ottime storie con personaggi apparentemente privi di spessore si intravede anche nel resto delle sue opere come Supergirl e Aquaman per la DC Comics o Captain Marvel e soprattutto XFactor per la Casa delle Idee. De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 76 David prende in mano X-Factor42 nel 1991, dopo che il consueto crossover estivo mutante43 ha completamente ridefinito lo scenario delle X-serie e dei suoi protagonisti: lo scrittore prende sotto la sua ala gli scarti degli altri X-writer, i personaggi più inutili e complicati della famiglia mutante, e assembla un team nuovo di zecca, operante sotto l’egida del governo federale. La natura a tratti ridicola, a tratti problematica dei protagonisti (fra cui l’Uomo Multiplo e il forzuto … Forzuto) permette a David di dare sfogo a tutta la sua verve creativa e al suo proverbiale umorismo, senza però mai mancare di profondità, De:FINIZIONI dando vita ad un vero e proprio gioiello narrativo, evidenziato dalle ottime prove dei disegnatori Larry Stroman44 e Joe Quesada45, con evidenti richiami alla cultura pop del momento e fortemente anticipatore di opere più celebrate apparse in seguito, come X-Statix di Peter Milligan e Mike Allred. Il suo intero ciclo tocca il punto più alto nella storia X-aminations46, dove ancora una volta, come già accaduto su Huk, è protagonista Doc Samson con le sue sedute di psicoterapia dedicate, in questo caso, ai vari membri del team. Dopo l’abbandono di David la serie va lentamente allo sbando venendo prima sostituita nel 1998, nei piani della dirigenza solo temporaneamente, da Mutant X47, ma non venendo poi ripresa alla chiusura di quest’ultima, tre anni dopo. Nel 2004, dopo una miniserie omonima varata nel 2002 ma completamente estranea per protagonisti ed atmosfere alla serie originaria, Peter David torna ad occuparsi dei “suoi” mutanti con la miniserie MadroX48, dove narra le peripezie di un rinnovato Uomo Multiplo nelle vesti di detective privato; una bella storia che instilla la nostalgia nei suoi fan e forse nello stesso scrittore, che decide così di dare un seguito a MadroX lanciando una nuova serie di X-Factor49 APPROFONDIMENTO che mescola sapientemente le atmosfere e i protagonisti della serie del 1991 con quelli della miniserie in solitaria dell’Uomo Multiplo. Il risultato è una serie leggermente più dark di quella originaria e sicuramente non altrettanto innovativa ma che a tratti mostra il miglior David, come ai vecchi tempi: una ricca introspezione dei personaggi e la consueta ironia, marchio di fabbrica dello scrittore. Questi tre scrittori e le storie dei loro ritorni sono solo i casi più eclatanti di una tendenza che ha fatto altre vittime illustri fra autori e personaggi, con ritorni di successo come quelli del duo Giffen/ De Matteis su vari progetti speciali dedicati al loro più grande successo, la Justice League nelle sue varie incarnazioni, o quello di John Byrne sulla “sua” She-Hulk, a fallimenti come la seconda run di Scott Lodbell sugli uomini-X, a ritorni passati praticamente inosservati come quello di Gerry Conway o dello stesso David sull’Uomo Ragno. Spesso, allora, più un autore è stato importante per una serie, per un personaggio, più gli è difficile tornare indietro, ricostruire un rapporto sulle macerie di quanto fatto da altri: è come tornare insieme a una donna (o a un uomo) dopo averla lasciata per essere stati traditi: non sempre si può ristabilire De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 77 la fiducia, il rapporti che esisteva nel passato. Non sempre conviene quindi sperare nel ritorno dei propri beniamini sui personaggi che si amano, anche nei momenti narrativamente più bui, perché in fondo le grandi storie a fumetti sono davvero come le grandi storie d’amore: irripetibili, anche se ci sono sempre, come abbiamo visto, per fortuna, le dovute eccezioni a confermare la regola. De:FINIZIONI Note 1) Daredevil v1 #168-191 (gennaio 1981-febbraio 1983). 2) Uncanny X-Men v1 #94-279 (agosto 1975-settembre 1991). 3) Daredevil v1 #158-161, 163-167 (maggio 1979-novembre 1980). 4) Un brevissimo ritorno Miller lo fa già su Daredevil v1 #219, con la storia “Terre Nere”, per i disegni di John Buscema. 5) Daredevil v1 #227-233 (febbraioagosto 1986). Miller firma in coppia con Dennis O’Neil anche Daredevil v1 #226 (gennaio 1986). 6) Marvel Graphic Novel #24 (1986). 7) Elektra Assassin #1-8 (agosto 1986-marzo 1987). 8) Elektra Lives Again (1990). 9) I due si erano già messi in luce su Daredevil v1 #250-257, 259263, 265-276, 278-282 (gennaio 1988-luglio 1990), tutti su testi di Ann Nocenti. 10) Batman #404-407 (marzogiugno 1987). 11) Crisis on Infinite Earths #1-12 (aprile 1985-marzo 1986). 12) The Dark Knight Returns #1-4 (febbraio-giugno 1986). 13) Spawn/Batman (1994). 14) Batman: The Dark Knight Strikes Again #1-3 (novembre 2001-luglio 2002). APPROFONDIMENTO 2007-febbraio 2008) 28) Spectacular Spider-Man #107110 (ottobre 1985-gennaio 1986) 29) The Incredible Hulk v2 #331 (maggio 1987) 30) The Incredible Hulk v2 #331334, 336-345 (maggio 1987-luglio 1988). 31) The Incredible Hulk v2 #367, 369-377, 379, 381-388, 390-393, 395-398 (marzo 1990-ottobre 1992). 32) The Incredible Hulk v2 #403411, 413-418, 420-423, 425 (marzo 1993-gennaio 1995). 33) The Incredible Hulk v2 #425-432 (gennaio-agosto 1995). 34) The Incredible Hulk v2 #454, -1, 455-456, 458-460, 462-464, 466467 (giugno 1997-agosto 1998). 15) All-Star Batman & Robin the 35) The Incredible Hulk v2 #377 Boy Wonder #1-9 (settembre (gennaio 1991). 2005-attualmente in corso). 36) The Incredible Hulk v2 #420 16) La testata cambia nome (agosto 1994). in Uncanny X-Men a partire 37) Hulk: Future Imperfect #1-2 dal numero 114, mantenendo (dicembre 1992-gennaio 1993), invariata la numerazione. disegni di George Perez. 17) Su Giant-Size X-Men #1 (maggio 38) The Incredible Hulk v2 #467 1975), per i disegni di Dave (agosto 1998) Cockrum. 39) The Incredible Hulk v3 #7718) Uncanny X-Men #248, 256- 81 (marzo 2005-luglio 2005), 258, 267-277, 279 (settembre “Tempest Fugit”. 1989-agosto 1991); X-Men v2 #1-3 40) The Incredible Hulk v3 #87 (ottobre-dicembre 1991) (dicembre 2005). 19) Revolution coincise con l’uscita 41) Peter David (18 luglio 2005). del numero 100 di X-Men v2 “My leaving Hulk”. The Incredible (maggio 200) e coinvolse tutte le Hulk Message Board (28 agosto testate mutanti: Cable #79, Gambit 2005). #16, Generation X #63, Wolverine 42) X-Factor v1 #70. #150, X-Force #102, X-Man #63, 43) The Muir Island Saga (1991). Uncanny X-Men #381, la miniserie 44) X-Factor v1 #71-75, 77, 80-81 Magneto: Dark Seduction e X-Men (ottobre 1991-agosto 1992). v2 #100. 45) X-Factor v1 #87-90 (febbraio 20) Maximum Security (2000). 1993-maggio 1993). 21) X-Men (2000). 46) X-Factor v1 #87 (febbraio 22) X-Treme X-Men #1 (luglio 1993). 2001). 47) Pregevole serie scritta da 23) X-Men ReLoad (maggio 2004). Howard Mackie con protagonista 24) Uncanny X-Men #444 (luglio Alex Summers, Havok, il leader 2004) di X-Factor, scaraventato su un 25) Uncanny X-Men #471 (maggio mondo parallelo. 2006) 48) MadroX #1-5 (settembre 26) New Excalibur #1-24 (gennaio 2004-gennaio 2005). 2006-dicembre 2007) 49) X-Factor v3 #1 (gennaio 2006). 27) EXiles v1 #90-100 (marzo De:Code 2.0, n.2, maggio 2009 pag. 78 http://www.de-code.net http://www.glamazonia.it/ http://www.glamazonia.it/board/index.php http://www.glamazonia.it/board/de-code-2-0-f-59.html