Le lobby d`Italia a Bruxelles

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Le lobby d`Italia a Bruxelles
Le lobby d’Italia
a Bruxelles
RAPPORTO CIPI 1/2006
a cura di Paolo Raffone
Cosa e’ il CIPI?
Indice
Il rapporto in sintesi
Il Centro Italiano Prospettiva Internazionale è:
Un’associazione senza fini di lucro, indipendente e pluridisciplinare, nata nel 2005 a Bruxelles,
Belgio, su iniziativa di un gruppo di professionisti italiani per contribuire all’emergere di una
rete di italiani, per promuovere l’eccellenza e l’europeizzazione delle nuove classi dirigenti
nell’impresa, nell’amministrazione pubblica, nella politica e nella cultura.
Una rete attiva di persone, con lo scopo di favorire le relazioni, lo scambio di informazioni e la
selezione di interessi comuni, di stimolare la cooperazione strategica e il senso di appartenenza
e dell’identità italiana nel sistema internazionale.
Uno strumento di riflessione pubblica, per alimentare la discussione sulle questioni d’attualità,
dell’innovazione sociale ed economica e sui passaggi necessari per aggiornare le modalità della
presenza italiana in Europa e nel mondo.
Un’organizzazione per promuovere studi e approfondimenti per alimentare la produzione di idee
all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo.
Un luogo di formazione per l’aggregazione di professionalità e competenze complementari
attorno all’obiettivo della promozione competitiva di nuove classi dirigenti.
Un luogo d’incontro tra le diverse tradizioni culturali italiane per contribuire all’emergere di una
cultura adeguata al nuovo scenario mondiale dominato dalla rapidità ed esponenzialità dei
fenomeni, e attraversato da potenti correnti di innovazione guidate dalla conoscenza,
dall’interconnettività e dall’ipercompetitività.
Le pubblicazioni del CIPI hanno una diffusione destinata ad interlocutori selezionati. Il sito web
del CIPI pubblica molti lavori, ricerche ed archivi per la più ampia diffusione.
Come lavora il CIPI
Il CIPI svolge la propria attività di riflessione pubblica attraverso l’ideazione e l’organizzazione
di convegni, tavole rotonde e cicli di formazione. Parallelamente, il CIPI promuove e ospita al
proprio interno seminari di discussione incentrati su singole questioni, animati da personalità del
mondo della finanza, dell’impresa, della ricerca, della politica e delle istituzioni.
L’obiettivo è di far dialogare diversi settori e competenze chiamando a collaborare ai singoli
progetti esperti esterni individuati di volta in volta. Il CIPI promuove inoltre la realizzazione di
lavori di analisi su questioni di rilevanza politica e di sicurezza internazionale.
Il finanziamento del CIPI è assicurato dalle quote associative dei membri individuali o societari,
dai contratti di studio e di ricerca, dalle attività di formazione e di consulenza, e dalle attività
seminariali e di dibattito. Donazioni e sponsorizzazioni saranno valutate dal Consiglio
d’Amministrazione del CIPI.
Paolo Raffone
Le lobby d’Italia a Bruxelles
©2006 - Centro Italiano Prospettiva Internazionale – CIPI
16, rue des Morins
B – 1040 Bruxelles
www.cipi-network.org
[email protected]
Il CIPI è una organizzazione senza fini di lucro di diritto belga
registrata con il numero: 875.708.872
Finito di stampare nel mese di marzo 2006
presso All Printing Services a Bruxelles, Belgio
ISSN – 1782 - 7558
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3
Indice
Nota di presentazione
Nota metodologica
7
9
Il rapporto in sintesi
12
Introduzione
1.
Perché il lobbying a Bruxelles
16
2.
Alcuni dati sul lobbying europeo
25
Capitolo I
Il lobbying che serve in Europa
1.
Definizione di lobbying
34
2.
Demistificazione del lobbying
40
3.
Quando il lobbying diventa frode
48
4.
Pensare oltre le pubbliche relazioni
51
Capitolo II
La mappa delle lobby italiane a
Bruxelles
1.
Le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles
56
2.
Regioni e autonomie locali e funzionali
70
3.
Gli interessi dell’industria
117
4.
Le associazioni di settore
126
5.
I gruppi industriali
129
6.
I gruppi finanziari e assicurativi
133
7.
Le Università e la ricerca
135
8.
Gli studi legali e gli uffici di consulenza italiani
136
9.
Le associazioni della “società civile” italiana
138
10.
Le ONG italiane per la cooperazione allo sviluppo
140
11.
La stampa italiana
141
12.
Il funzionariato italiano nelle istituzioni europee
143
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4
13.
Parlamentari europei e assistenti parlamentari
148
14.
Repertorio analitico degli italiani impegnati in strutture
internazionali o straniere a Bruxelles
151
Capitolo III
Efficacia del lobbying
1.
Bilancio 2005: il lobbying italiano
154
2.
Percezione del lobbying italiano nelle istituzioni europee
166
3.
Quadro legislativo europeo e nazionale comparato
168
4.
Orizzonti europei del lobbying: modalità e success stories
171
Capitolo IV
Lobbying italiano al servizio dell’Italia
1.
Dare un’immagine positiva al lobbying italiano
180
2.
Influenzare Roma e l’Italia
182
3.
Influenzare gli influenti
187
4.
Allineare strategia, intelligence economica e lobbying
189
5.
Dare continuità e stabilità alla professione del lobbista
191
6.
Influenzare oltre Bruxelles
194
7.
Conseguenze dell’allargamento e del “no” alla Costituzione
sul lobbying italiano
195
Mercato interno europeo: deregolamentazione e nuova
regolamentazione
200
Una politica di formazione adeguata alle sfide della
professione di lobbista europeo
203
Un quadro più certo in Italia aiuterebbe le lobby italiane in Europa
207
8.
9.
10.
Capitolo V
La guida del lobbista europeo
Appendice
Le nuove sfide
210
1.
La nuova economia mondiale
224
2.
La nuova generazione di best practices a livello internazionale
228
3.
Un cambiamento di metodo: policy, practices, politics
231
4.
Strategia e lobbying: riorganizzare gli enti e le imprese
236
5.
Il mercato delle idee in Europa: reti senza idee e idee senza reti
242
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5
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Nota di presentazione
Dalla metà degli anni novanta ad oggi la
presenza italiana a Bruxelles ha subito importanti modifiche. Assistiamo ad una
crescita esponenziale delle rappresentanze italiane, istituzionali e non, pubbliche e
private, per la tutela degli interessi italiani presso le istituzioni europee. Per i soli
rapporti diplomatici tra lo Stato italiano e le istituzioni dell’Unione europea, la
Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UE ha visto il suo organico crescere
dai meno di 20 (1990) ai circa 80 (2005) funzionari tra diplomatici e distaccati.
Negli stessi anni assistiamo ad una
crescita altrettanto esponenziale del numero degli uffici di collegamento e delle
organizzazioni che si occupano di tutelare interessi di pertinenza, e quindi del
numero di italiani che operano a diverso titolo a Bruxelles. A questi si aggiungono
le nuove classi di funzionari comunitari italiani che dai primi anni novanta
riempiono ormai le diverse carriere europee, i deputati europei sempre più presenti
anche in virtù della legge nazionale che vieta loro il doppio incarico, e le loro
segreterie, gli operatori dei media, le associazioni, e le federazioni settoriali e
sociali.
Lo stesso fenomeno si registra per le
altre nazioni che interagiscono con l’Unione europea. Negli ultimi anni Bruxelles è
diventata un hub dove con i circa 30000 funzionari comunitari interagiscono più di
55.000 rappresentanti di interessi, oltre 1000 giornalisti ed inviati (ben più di quelli
presenti a Washington), più di 100 studi legali, oltre 150 società di consulenza, e
un numero crescente di think tank. Un luogo dove si parlano almeno 21 lingue ma
in cui la lingua preferita per i rapporti professionali è l’inglese (85%), seguita dal
francese (10%), e dal tedesco (2%). A Bruxelles non si tratta solo di rincorrere una
quota dei circa 100 miliardi di Euro che compongono il bilancio annuale delle
istituzioni comunitarie. Ancora più importante è la possibilitá di influenzare nella
formazione delle decisioni europee che poi si traducono in quasi l’80% delle
legislazioni approvate a livello nazionale, regionale e locale, con un’evidente
impatto sulla vita economica e sociale di ciascun Paese.
E’ in questo contesto che si colloca
questo primo Rapporto del CIPI sulle lobby italiane a Bruxelles. Lo scopo è di
fornire una fotografia, un documento organico e analitico della presenza italiana
nella capitale dell’Europa, e cio’ anche in relazione all’organizzazione dello stesso
Sistema Italia. Il rapporto vuole essere il primo di una serie annuale, per cercare di
capire le variazioni nel posizionamento che l’Italia occupa nel quadro della
competitività tra i diversi attori che agiscono in Europa. Uno strumento di
conoscenza, di valutazione e di analisi di un sistema in rapida mutazione. Un
sistema in cui le qualità e l’efficienza degli operatori devono essere adattate alle
sfide che li confrontano, e in cui tecniche professionali sempre più sofisticate ma
anche la capacità di elaborare e mettere in atto strategie ed alleanze sono tra le
chiavi del successo.
Il Rapporto presenta e sintetizza in
modo organico numerosi aspetti qualitativi e quantitativi che in buona misura sono
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disponibili e accessibili anche in rete. Un lavoro di aggregazione e analisi delle
informazioni, la cui fonte e gli autori sono i soli responsabili delle opinioni espresse.
A complemento delle informazioni presentate, il CIPI ha gestito una serie di
inchieste e di interviste che servono a integrare l’analisi proponendo il punto di
vista degli attori italiani che compongono il mondo delle lobby a Bruxelles.
Questo lavoro è stato coordinato da
Paolo Raffone, Segretario Generale del CIPI, che lo ha redatto con l’ampio
sostegno e i preziosi consigli dei membri della rete del CIPI e con la collaborazione
di Marta Cioni, di Stefania Contarino e di Stefano Pagliari.
Ringrazio le persone, gli enti e gli istituti
italiani e stranieri che hanno accettato di collaborare anche aprendo la loro
conoscenza per la realizzazione di questo Rapporto.
Un ringraziamento caloroso lo invio,
anche a titolo personale, alle istituzioni pubbliche e private che hanno voluto
dimostrare al CIPI il loro riconoscimento e apprezzamento.
Jacopo Avogadro di Casalvolone
Presidente
Centro Italiano Prospettiva Internazionale - CIPI
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Nota metodologica
L’Europa vive un momento delicato della sua storia. La competitività dell’Italia nel
mercato europeo allargato (UE25) è messa a dura prova. Negli ultimi anni
l’aumentata competizione tra gli Stati membri dell’Unione e tra i diversi attori
nazionali, pubblici e privati ha evidenziato i punti di forza e le debolezze italiane. Si
è installato il cosiddetto “paradigma del rumore”, ovvero una cacofonia dovuta
all’eccesso di informazioni e di azioni poco coordinate tra loro. Questo avviene in
un momento in cui l’Europa sta rimodulando strutture, programmi e fondi per
adattarsi al nuovo scenario interno e mondiale. L’Europa sta uscendo dalla fase di
“Europa poesia” per entrare in quella di “Europa prosa”. La ridefinizione della
reciproca competitività tra gli attori che interagiscono nel sistema europeo sta
avvenendo adesso. Essere impreparati significa essere marginalizzati.
Il Rapporto “Le Lobby d’Italia a Bruxelles”, il primo di questo genere, condotto da
un’organizzazione indipendente, s’inserisce in un progetto che il CIPI vorrebbe
ricorrente e pluriennale, con varie fasi di approfondimento e di livelli di analisi delle
informazioni. Questo permetterebbe un lavoro continuo durante ciascun anno con
ricerche e approfondimenti specifici e momenti di riflessione e di formazione, che si
rifletterebbero poi nell’edizione successiva del Rapporto.
Il Rapporto “Le Lobby d’Italia a Bruxelles” vuole essere un contributo
all’identificazione di tendenze e indicatori, in un quadro organico e analitico, e
comunque oggettivo, per stimolare la riflessione sulle misure da adottare per
rimodulare la presenza e l’azione italiana a Bruxelles, sia in termini strategici sia
operativi, e per contrastare e minimizzare l’impatto delle carenze italiane.
In questo primo Rapporto, il termine lobby, e di lobbying, è usato in modo
estensivo, includendo attività propriamente di lobbying professionale ma anche
quelle attività di rappresentanza di interessi pubblici e privati che interagiscono a
diversi livelli con il sistema comunitario e tra loro.
Lo studio si è rivelato di estrema complessità. Da un lato la presenza di elementi
specifici e puntuali è diluita e dispersa in una mole enorme di informazioni di
secondaria importanza, e talvolta risulta finanche assente, dall’altro lato i sistemi
che sono stati oggetto della ricerca sono essi stessi sistemi complessi.
Per l’analisi condotta nel presente Rapporto e nell’approccio ai sistemi complessi
sono state messe a punto metodologie di identificazione e approfondimento dei
sottosistemi, al fine di individuare le informazioni rilevanti per una conoscenza
organica.
Lo scopo della ricerca presentata nel Rapporto è di fornire un ordine di grandezza,
un repertorio analitico, e degli indicatori di tendenza che permettano di elaborare
comparazioni. É evidente che trattandosi del primo studio del genere, tutti i dati
presentati vanno considerati come indicatori di tendenza piuttosto che come valori
assoluti. Inoltre, essendo il primo tentativo di ricognizione e di analisi organica di
questa vasta e complessa materia, le omissioni sono assolutamente involontarie, e
potranno essere corrette nelle successive edizioni di questo Rapporto.
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La ricerca delle informazioni e dei dati si è svolta a campione. I campioni sono stati
selezionati in base a cinque criteri: percezione; rilevanza; presentazione; attività;
impatto. Per i campioni utilizzati sono state condotte delle interviste e richiesti
documenti o informazioni specifiche, tanto ai diretti interessati quanto negli
ambienti verso i quali è principalmente diretta la loro attività. Per tutti gli altri è stato
applicato un metodo di analisi basato sulle fonti aperte, e sull’analisi delle
informazioni disponibili e/o aggregate nei rapporti dei concorrenti e delle istituzioni
comunitarie. In particolare, molti dati primari sono stati tratti dall’opera
comunemente considerata di referenza a Bruxelles, The European Public Affairs
Directory, edizioni del 2003 e del 2006, e rielaborati e integrati dal CIPI.
In questa edizione, il CIPI ha scelto di non attribuire a persone o enti le valutazioni
e le dichiarazioni riprodotte nel Rapporto. Fanno eccezione i casi concordati con
l’autore delle dichiarazioni e/o valutazioni, o dei contributi specifici. Per quanto
possibile il CIPI cita sempre la fonte dei dati utilizzati. Questa scelta ha garantito
una maggiore libertà nello sviluppo dei contatti con gli interlocutori dei diversi enti
coinvolti nell’indagine conoscitiva che è alla base di questo Rapporto.
Si segnala che l’indagine conoscitiva che ha permesso di raccogliere i dati per la
redazione di questo Rapporto non ha fatto uso di questionari, che benchè
predisposti non hanno incontrato sufficentemente il favore dei contattati, ma ha
potuto svolgersi attraverso contatti diretti a campione. Nelle prossime edizioni di
questo Rapporto, il CIPI auspica lo sviluppo di nuove metodologie più inclusive dei
diversi attori italiani anche a tavoli di riflessione, settoriali e comuni.
Il CIPI ringrazia la dott.sa Stefania Profeti, ricercatrice presso il CIRES della
Facoltà “Cesare Alfieri” di Firenze, che ha autorizzato la riproduzione integrale del
suo saggio “Le Regioni italiane a Bruxelles. Il fenomeno degli uffici di
rappresentanza” (2004).
Il CIPI ringrazia le istituzioni e le persone che si sono rese disponibili ed hanno
collaborato per fornire informazioni ed utili consigli per la realizzazione di questo
Rapporto. Un particolare ringraziamento è rivolto ai funzionari dell’Ambasciata
d’Italia presso il Belgio, dell’ufficio di Bruxelles dell’Unioncamere nazionale, e
dell’ICE che hanno aiutato la riflessione e l’indirizzo per la realizzazione di questo
lavoro.
Il CIPI ribadisce che questo Rapporto non ha come vocazione di emettere
“pagelle” che possano suggerire promozioni o bocciature, né tantomeno ha
vocazione di parte politica.
Il Rapporto offre una fotografia organica e analitica, indicatori di tendenza, e
riferimenti comparativi e teorici.
Il CIPI ringrazia le persone o le organizzazioni che vorranno segnalare
eventuali omissioni o errori, o che vorranno fornire nuove informazioni che
saranno prese in considerazione nella prossima edizione del Rapporto.
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Organizzazioni prese in considerazione in questo Rapporto
1. Abi
2. Afi
3. Agriconsulting
4. Alitalia
5. Alub (sezione di
Bruxelles)
6. Ambasciata d’Italia
presso il Regno del
Belgio
7. Anacam
8. Ance
9. Anci-Ideali
10. Ass. Naz Banche
Popolari
11. Assonime
12. Assozucchero
13. Autostrade
14. Banca d’Italia
15. Banca di Roma
16. Banca Etica
17. Banca Intesa
18. Banca Popolare di
Novara
19. Banca Popolare di
Sondrio
20. Banco di Napoli
21. Banco di Sardegna
22. Barabino
23. BNL
24. Camera di
Commercio Italiana in
Belgio
25. Cia
26. Cir
27. CISAI
28. Clenad
29. Cna
30. CNR
31. Coldiretti
32. Comitato delle
Regioni (vari funzionari)
33. Commissione
Europea (vari funzionari
delle Direzioni Generali)
34. Confagricoltura
35. Confartigianato
36. Confcommercio
37. Confederazione
cooperative italiane
38. Confesercenti
39. Confindustria
40. Consolato d’Italia a
Bruxelles
41. CRUI
42. Diem
43. Dipartimento delle
Politiche Comunitarie
44. Dipartimento delle
Politiche Regionali (PORE)
45. Eco
46. Edizioni Holding
47. Enea
48. Enel
49. ENI
50. Epcas
51. Epro
52. Eurete
53. Eurocontact
54. EuroD
55. Europartners
56. Eurotec
57. Federazione
Internazionale della Stampa
58. Federlegno-Arredo
59. Federturismo
60. Ferrero Group
61. Ferrovie dello Stato
62. Fiat Delegazione UE
63. Fininvest
64. Finmeccanica
65. Fit
66. Generali Group
67. GII
68. Handicrafts
69. Idp
69. Istituto Centrale delle
Banche Popolari
70. Istituto Italiano di Cultura
a Bruxelles
71. Istituto per il Commercio
con l’Estero (ICE)
72. Lettera 22
73. Mcc
74. Mediaset
75. Medineurope
76. Ministero dell’ambiente e
del territorio
77. Monte PaschiBelgium
78. OLAF
79. Parlamento europeo
(vari funzionari e
parlamentari)
80. Pirelli Pneumatici
81. Presidenza del
Consiglio dei Ministri
82. Priming
83. Province autonome di
Bolzano e Trento
84. Rappresentanza d’Italia
presso l’Unione europea
85. Rappresentanza
Permanente presso il
Consiglio Atlantico
86. Regione Basilicata
87. Regione Calabria
88. RegioneCampania
89. Regione Emilia
Romagna
90. Regione Friuli Venezia
Giulia
91. Regione Liguria
92. Regione Lombardia
93. Regione Piemonte
94. Regione Puglia
95. Regione Sardegna
96. Regione Sicilia
97. Regione Toscana
98. Regione Valle d’Aosta
99. Regione Veneto
100. Regioni Centro Italia
101. San Paolo Imi
102. Sogei
103. Soges Group
104. Studio legale Abate
105. Studio legale
Chiomenti
106. Studio legale Dal
Ferro Cevese
107. Studio legale De Berti
Jacchia Franchini Forlani
108. Studio legale Erede,
Bonelli, Pappalardo
109. Studio legale Forte
110. Studio legale Grimaldi
111. Studio legale Roberti
112. Studio legale Van Bael
& Bellis
113. Surtout
114. Telecom Italia
115. Teseo
116. Unacoma
117. Unicredit
118. Unioncamere
119. UPI
Circa il 40% delle organizzazioni hanno contribuito anche mediante specifiche riunioni
di lavoro. Per tutte le altre è stato usato il metodo di analisi delle informazioni da fonti
aperte e di valutazione della percezione nell’ambiente in cui operano.
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Il Rapporto in sintesi
Questo Rapporto vuole fornire al lettore elementi sufficienti per inquadrare il
lobbying in modo corretto, per percepire la rilevanza delle attività di lobbying a
Bruxelles e per contribuire alla riflessione finalizzata a rimodulare, stimolare
l’efficienza e l’efficacia dell’azione italiana.
Il Rapporto permette di rispondere a numerose domande, tra cui:
In cosa consiste l’attività’ di lobbying?
E’ un’attività’ lecita che deve ostentare trasparenza d’azione ed un’etica
irreprensibile. A livello europeo rappresenta una tecnica che serve ad
influenzare i procedimenti decisionali che determinano le policy, le
norme, i regolamenti e la gestione del bilancio comunitario
E’ uno strumento che permette a individui, imprese e Stati di tutelare il
proprio self-interest
È un riconosciuto strumento democratico che contribuisce in modo
diretto e trasparente alla governance delle istituzioni pubbliche ma
anche private
E’ una pratica fondata su una conoscenza tecnico-giuridica approfondita
dei settori da rappresentare, dei contesti nei quali intervenire, delle
regole comportamentali proprie ad ogni sistema complesso
È uno strumento tecnico preventivo che si esercita nella durata, con
stabilita’ e determinazione strategica
Perché è importante il lobbying a Bruxelles?
Perché viviamo in un contesto caratterizzato da conoscenza,
interconnettività, ipercompetitività, in cui le pubbliche relazioni sono
ormai inadeguate per la tutela del self-interest
Perché’ il sistema dell’Unione europea è volontariamente aperto,
inclusivo e multi-livello per far partecipare democraticamente tutti i
rappresentanti dei 25 governi dei Paesi membri, dei circa 150 Paesi terzi
e i 2.621 uffici di rappresentanza di interessi, alla formazione delle
policy, norme e regolamentazioni comunitarie
Perché’, direttamente o attraverso la trasposizione legislativa nazionale,
il sistema dell’Unione europea incide sulla formazione dell’ 80% delle
legislazioni nazionali, regionali e locali dei Paesi membri
Perché il bilancio dell’Unione europea è di circa €824 miliardi di cui il
90% è destinato al cofinanziamento dei programmi e progetti comunitari
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Perché è un ambiente altamente competitivo dove ciascuno vuole far
valere il proprio self-interest: a Bruxelles nulla è dovuto!
Perché’ i diversi concorrenti spendono circa €90 milioni l’anno in azioni
di lobbying a Bruxelles
Perché Bruxelles-Washington-Pechino sono i tre pilastri strategici del
sistema economico e di sicurezza globale
Perché’ Bruxelles rappresenta la vera capitale delle lobby rispetto a
quelle nazionali, soprattutto a seguito dei NO al Trattato costituzionale
In che modo e’ distribuita la presenza italiana a Bruxelles? Chi
sono gli attori?
Si contano circa 119 uffici di collegamento e di rappresentanza con le
istituzioni europee
Sono presenti 2.638 funzionari della Commissione Europea, 78
parlamentari presso il Parlamento Europeo, 7 rappresentanze dello
Stato, 21 uffici regionali e provinciali, almeno 16 associazioni e
federazioni industriali e settoriali nazionali confederate, più di 13
associazioni di settore, più di 14 uffici dei gruppi industriali, più di 17
gruppi finanziari e assicurativi, oltre a studi legali, società di consulenza,
associazioni della “società civile”, università...
La presenza numerica italiana a Bruxelles è stimata a più di 6.500
persone, con un costo indicativo che, escludendo i 2600 funzionari
italiani presso le istituzioni comunitarie, supera i €450 milioni di euro
l’anno
La Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea e’ la
struttura di riferimento per la promozione e la penetrazione degli
interessi italiani nel sistema europeo
Gli uffici italiani di consulenza tecnico-progettuale sono circa 10, solo 2
sono specializzati in lobbying
Come viene percepito il lobbying italiano a Bruxelles?
Riflette la frammentazione e il particolarismo che esiste in Italia
Riflette una condizione strutturale sfavorevole
improvvisazione nella gestione degli affari europei
ed
un’eccessiva
Si caratterizza per una scarsa propensione a costruire alleanze a sostegno
dei propri interessi e di inserirle in una più ampia strategia
Assume un atteggiamento troppo informale e dipendente in prevalenza dal
credito personale invece che da quello del sistema-paese
E’ percepito come troppo politico e nazionale
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Le best practices italiane sono occasionali e non riescono ad imporsi come
benchmark nazionale da seguire
Risente di un deficit di formazione e di conoscenza sull’Europa
Come perfezionare il lobbying italiano a Bruxelles?
Concepire se stessi in modo relativo agli altri soggetti che agiscono a
Bruxelles e fare uso di un approccio multi-culturale
Stimolare fiducia, cooperazione e potere all’interno del sistema nazionale e
degli enti pubblici e privati, ma anche nelle relazioni con gli altri soggetti che
agiscono a Bruxelles
Promuovere un coordinamento operativo basato sull’adattamento e la
flessibilità delle capacità di risposta
Migliorare la conoscenza di altre lingue (principalmente inglese, ma anche
tedesco e francese) e delle tecniche di presentazione
Conoscere perfettamente il sistema e i dettagli dei meccanismi decisionali
dell’Unione europea
Definire bene le priorità e gli obiettivi di medio e lungo termine che
necessitano di stabilità strategica e determinazione, adottando il più’
possibile posizioni comuni e specifiche sulle varie questioni
Agire in modo “preventivo” in modo da far sentire sin dall’inizio il proprio
peso in tutte le fasi decisionali
Pensare l’Europa come una strategia per costruire alleanze capaci di
coinvolgere l’Italia negli euronuclei che sorgono
Auspicare una maggiore attenzione della stampa italiana sulle attività di
lobbying
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Introduzione
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Introduzione
1. Perchè il lobbying a Bruxelles?
“Se vogliamo “stare in Europa” non basta l’indignazione “patriottica” e la zelante
subordinazione di fronte agli embrioni di nuclei europei che sorgono ai nostri confini. Vediamo
se e come collegarci ad alcuni di essi, per piegarli almeno in parte ai nostri interessi.
Scopriremo allora di poter contare molto più di quanto abbiamo mai pensato”.
dall’editoriale di Limes 1/2006
Questo Rapporto sulle Lobby d’Italia a Bruxelles trova la sua origine nella
constatazione, apparentemente ovvia, che dalla metà degli anni novanta ad oggi il
tessuto di connessione tra gli Stati e il sistema dell’Unione europea si è modificato
profondamente, ampliando sensibilmente la rappresentatività della sovranità fino a
poco tempo prima garantita esclusivamente dagli Stati.
Vuole quindi essere un primo tentativo di tracciare una fotografia organica e
analitica, e per evidenti ragioni incompleta e perfettibile, delle rappresentanze
italiane e del lobbying italiano a Bruxelles.
Questo Rapporto sulle Lobby d’Italia a Bruxelles s’inserisce, come un contributo
italiano indipendente, nel dibattito in corso iniziato dalla Commissione europea con
l’Iniziativa Trasparenza1 e con l’imminente Libro Verde sul Lobbying presso le
istituzioni dell’Unione europea.
Alcuni dati stimano l’insieme del valore economico speso per fare lobbying
in Europa a circa 90 milioni di Euro all’anno2. Ma questa cifra impallidisce di
fronte ai circa 11 milioni di dollari spesi dalla sola Lockheed Martin Corporation per
fare lobbying a Washington, con un ritorno per la società in contratti del valore di
19 miliardi di dollari all’anno. Se la ratio americana fosse applicabile all’Europa si
tratterebbe di un rapporto tra euro investiti in lobbying ed euro ricevuti di almeno
1:1700, ovvero se la spesa stimata per le attività di lobbying europeo è di €90
milioni all’anno il ritorno sarebbe di più di 150 miliardi di euro all’anno. Se si
considerassero solo i ritorni in termini di contratti finanziati dal budget comunitario
(il budget annuale dell’Unione europea è di circa €123 miliardi all’anno) la ratio
americana risulterebbe non applicabile in Europa. Ma l’effetto economico del
lobbying in Europa, a differenza degli USA, non è solo nel valore dei
“contratti”, bensì risiede nell’impatto che le legislazioni europee hanno sul
PIL dei Paesi membri. In quest’ottica, probabilmente, la ratio del lobbying in
Europa potrebbe essere ben superiore a quella americana.
1
Si veda: http://europa.eu.int/comm/commission_barroso/kallas/transparency_en.htm
Vedere l’articolo del Vice Presidente della Commissione europea, Siim Kallas, apparso sul
Wall Street Journal Europe il 6 febbraio 2006.
2
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16
Introduzione
Questo calcolo porta alla conclusione che essendo il budget europeo3
complessivamente molto più piccolo di quello americano, ed essendo
soprattutto un budget molto vincolato nella sua destinazione, fare
lobbying a Bruxelles per partecipare alla “spartizione della cassa” dà
ormai risultati economici marginali sul PIL dei grandi Paesi membri.
Rispetto agli USA, in Europa il lobbying ha conseguenze economiche
molto più indirette: il vero valore aggiunto è nell’effetto sul
funzionamento di uno Stato e della sua economia del processo normativo
e regolamentare europeo.
La vera “pepita” non è nel budget delle istituzioni europee!
Il valore aggiunto del lobbying europeo, diversamente da quello americano, si
trova nella possibilita’ di influenzare quell’80% della normativa europea che ha un
impatto diretto o indiretto sullo sviluppo economico e sociale degli Stati membri.
Questo spiega, probabilmente, anche le diverse modalità con cui il lobbying
europeo si manifesta rispetto a quello americano.
Un esempio per tutti è dato dai fondi pubblici americani in aiuti alle imprese e dei
fondi pubblici per la ricerca che ammontano a ben più del doppio degli
stanziamenti europei per le stesse voci4. Peraltro, in considerazione delle riduzioni
del budget europeo proposte dal Consiglio per il periodo 2007-2013,
particolarmente per la ricerca, il lobbying europeo sarà efficace ed utile se riuscirà
a modificare le regole che permettono ai Paesi membri di far un uso più elastico e
strategico delle finanze nazionali a favore della crescita e della competitività.
Ma è proprio in questo tipo di lobbying, quello orientato all’effetto indiretto
sulla ricchezza nazionale, che l’Italia è più debole rispetto, ad esempio, ai
concorrenti inglesi e francesi, ma anche spagnoli.
Le istituzioni europee sono tra le entità (governative) più influenzate dalle lobby,
attraverso l’azione dei 2.600 gruppi di lobbisti attivi a Bruxelles e delle altre forme
di rappresentanza degli interessi (in totale circa 55.000 persone)5.
3
Circa 1% del PIL cumulato UE25, ovvero poco più di 120 miliardi di euro all’anno.
Queste considerazioni erano già note 10 anni fa. Si vedano i numerosi rapporti di Edith
Cresson in proposito.
5
Una suddivisione in percentuali dei 2.600 gruppi di lobbisti recensiti è tratta dal Logon Report
2002: Federazioni industriali (32%); Consulenti (20%); ONG europee per salute, diritti umani e
ambiente (11%); Associazioni nazionali, industriali e del lavoro (10%); Rappresentanze
regionali e locali (6%); Organizzazioni internazionali (5%); think tanks (1%); a cui si aggiungono
le Rappresentanze Permanenti degli Stati membri e circa 150 delegazioni diplomatiche dei
Paesi terzi. Per approfondimenti si veda: http://www.ceec-logon.net/reports/formular.htm
4
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17
Introduzione
Presenza internazionale a Bruxelles
a) Uffici di rappresentanza: Governi nazionali (>150 uffici);
Rappresentanze regionali (>200 uffici); Enti locali; Industrie; Enti;
Gruppi inter-istituzionali; Camere di commercio; Organizzazioni
internazionali;
b) Gruppi di pressione: ONG; Partiti politici; Associazioni di cittadini;
Federazioni industriali e settoriali;
c) Servizi professionali: Consulenti legali (>100 uffici); Intermediari
d’affari; Relazioni Pubbliche (>150 uffici); Assistenza tecnica.
A questi si aggiungono:
d) La comunità dell’informazione: >1000 Giornalisti accreditati (una
comunità più numerosa a Bruxelles che a Washington);
e) La comunità della riflessione: Think & Policy Tanks; Organizzatori di
dibattiti e conferenze;
f) I funzionari delle istituzioni europee: Consiglio, Commissione,
Parlamento, Corti europee, altre istituzioni (>30.000 persone).
Fonte: dati raccolti e elaborati dal CIPI
Perchè avviene tutto questo?
Si è accelerato il processo di transizione da un sistema statico, costituito dal potere
centrale degli Stati unitari, ad uno dinamico e multipolare, costituito dal potere
disaggregato degli Stati che si materializza in una fitta rete d’attori interagenti
orizzontalmente e verticalmente. Anche all’interno degli Stati la situazione è
profondamente mutata, nel senso di una maggiore frammentazione dei poteri. Si
pensi, ad esempio, ai nuovi poteri: dalle regioni agli enti locali, e ancor più
significativamente alle numerose Authority di settore che sono chiamate a dare
linee di indirizzo in mercati strategici, come le telecomunicazioni, l’energia, la
sicurezza alimentare, la concorrenza nel mercato, il risparmio, ecc... In Italia,
Roma è sempre meno il centro delle lobby che ormai agiscono sempre di più nei
palazzi del potere regionale e locale, e direttamente nella capitale d’Europa, a
Bruxelles.
La sfida che tocca da vicino tutti gli Stati dell’Unione europea.
Le relazioni europee, ma anche quelle internazionali, poggiano sempre di più su
un’intricata rete di contatti tra le istituzioni disaggregate degli Stati: la diplomazia
tradizionale è stata in buona misura soppiantata da legislatori, regolatori,
magistrati, operatori sociali, culturali, ed economici, agenti della sicurezza e della
difesa, imprenditori, e rappresentanti d’interessi, che interagiscono con le loro
controparti estere in modo autonomo dagli Stati.6
6
È interessante notare come molti studiosi siano ormai concordi nell’identificare i vari pezzi
della nuova infrastruttura, fondata sul principio della regolamentazione attraverso la
combinazione delle reti (“regulation by networks”). Alcuni esempi: in materia finanziaria ed
economica il G-7, G-8, G-20, il Comitato di Basilea, lo IOSCO, per citarne solo alcuni,
interagiscono con istituzioni tradizionali come il FMI o la Banca Mondiale; in materia di politiche
regionali, la UE, l’APEC, il Consiglio Nordico, l’OCSE, sono esempi di “networks di networks”,
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18
Introduzione
Tuttavia, è bene precisare che gli Stati non sono scomparsi, ma evolvono i
meccanismi di ri-aggregazione delle loro diverse istituzioni: una nuova sovranità,
forte e coesa all’interno, permette di avere un impatto globale, creando
convergenze e divergenze informate, e migliorando la portata, la natura e la qualità
della cooperazione internazionale.
L’Italia si colloca ad un livello molto avanzato del processo di disaggregazione
dello Stato unitario, al punto che la riforma dello Stato (dalla legge Bassanini in
poi) e la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione (e-government)
sono presi ad esempio da Paesi di antica tradizione unitaria come la Francia.
Tuttavia, l’Italia appare indebolita a causa della difficoltà di trovare un suo equilibrio
per riclassificare la sovranità dello Stato disaggregato, per creare dei meccanismi
di ri-aggregazione della nuova sovranità. Intanto, la sovranità frammentata dello
Stato italiano agisce, attraverso una proliferazione di lobby istituzionali e private, in
ordine sparso e apparentemente caotico.
La nostra indagine sulle lobby d’Italia a Bruxelles vuole essere un contributo
oggettivo, organico e analitico, per conoscere la nuova situazione, capirne le
implicazioni, le forze e le debolezze, e così cercare di avviare un dibattito sugli
aspetti qualitativi e quantitativi utili per migliorare le capacità italiane nel cogliere le
opportunità che si presentano.
Capire bene che cos’è l’Europa per saper agire in Europa!
Il processo decisionale europeo è complesso, ma è aperto e inclusivo.
Comprenderlo dal suo interno fa la differenza nella capacità d’influenzare la
formazione delle policies. Poiché interagiscono così tante voci diverse, talvolta
confliggenti, è necessario che ogni attore di questo sistema abbia una profonda
conoscenza delle tecniche e delle logiche che permettono al suo messaggio di
essere effettivamente recepito. Il modo in cui funziona il sistema europeo permette
di influenzarlo dall’esterno, con risultati spesso soddisfacenti. In ragione della
struttura reticolare e multi-livello del sistema europeo, la predominanza ricorrente
di uno stesso gruppo d’interessi o di pressione è impossibile!
Qualunque sia la metodologia che si sceglie per influenzare il processo decisionale
europeo, i fattori cruciali sono il timing e la qualità.
È essenziale capire il processo decisionale e legislativo per poter presentare i
punti chiave del messaggio che si vuole far recepire e sul quale si attende
un’azione.
Il processo decisionale europeo è piuttosto convulso e il tempo delle persone che
si contattano è prezioso. Per questa ragione, è essenziale saper preparare bene il
messaggio, in modo chiaro (to the point) e conciso (8-12 righe), e in diverse lingue
(la sensibilità linguistica dell’interlocutore è ancora molto importante!).
Inoltre, cercare di difendere un caso singolo è veramente difficile, se non
improbabile. Per avere efficacia è necessario collegare il proprio problema o
organizzazioni composte da networks di ministeri e parlamentari nazionali. Tra le più antiche,
vale la pena ricordare il Commonwealth britannico, che da sempre è un’organizzazione
reticolare che collega una miriade di networks nazionali in materia regolamentare,
giurisdizionale e legislativa.
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19
Introduzione
interesse a quello di altri, costruire una “cordata d’interessi”, e collettivamente
“massaggiare” le istituzioni europee, e la stampa residente.
Avvicinarsi alle istituzioni europee standosene comodamente seduti a casa
propria, o con visite lampo e occasionali, o facendo magari intervenire tal o talatra
personalità nazionale in visita a Bruxelles, è eminentemente perdente.
L’affidabilità e la legittimità di chi comunica i messaggi è imprescindibile. Queste
qualità si guadagnano con un’attività di medio e lungo periodo “sul campo”, con
continuità e pazienza.
Gli strumenti comunemente utilizzati nelle attività di lobbying europee sono:
a)
b)
c)
d)
Contatti formali e informali
Briefing papers, position papers, media management
Networking
Participazione ai working groups della Commissione
Preparare queste attività nel minimo dettaglio è di fondamentale importanza se si
vuole essere presi in considerazione dall’interlocutore. L’informazione di base è
contenuta in circa 40.000 documenti che ogni anno sono pubblicati sul Gazzetta
Ufficiale dell’Unione europea, ma anche da studi specifici che spesso sono fatti
con la partecipazione diretta delle parti interessate (Libri Verdi; Libri Bianchi).
In molti casi la preparazione di questi documenti non passa attraverso il processo
di revisione delle Rappresentanze Permanenti degli Stati membri. Infatti, i
COREPER, i comitati settoriali dei Rappresentanti Permanenti che preparano i
testi sottoposti all’approvazione del Consiglio molto spesso ricevono documenti
che sono già “pre-negoziati” dalle istituzioni comunitarie con le parti interessate.
Inoltre, negli ultimi anni l’importanza del Parlamento europeo nei procedimenti di
co-decisione, ma anche a livello finanziario e di budget, è enormemente cresciuta.
Il sistema europeo è eminentemente democratico, reticolare, e inclusivo.
Chiaramente, la capacità delle istituzioni centrali e disaggregate degli Stati, delle
imprese e delle persone è fondamentale per essere parte attiva dei processi
decisionali europei. Inoltre, in molti casi la partecipazione ai tavoli di consultazione
avviene per invito ad personam da parte delle istituzioni comunitarie.
Saper partecipare, avendo le capacità e i mezzi adeguati, è una delle chiavi per
avere successo nella competizione per influenzare il processo decisionale
europeo.
Non tutti i gruppi di lobbying che tentano di influenzare il processo
decisionale europeo hanno uguale successo.
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20
Introduzione
Molto dipende dalla capacità di avere i propri affari perfettamente organizzati at
home7. In altri casi, alcuni gruppi comprendono il processo europeo meglio di altri.
Tra i gruppi più organizzati nel lobbying europeo, sia con strutture interne, sia
perchè fanno ricorso a dei professionisti del settore, troviamo le società
multinazionali non solo europee8.
Generalmente, l’ufficio di rappresentanza di Bruxelles riceve precise istruzioni,
documenti tecnici di supporto, informazioni e contatti, dal quartier generale dove è
stata creata un’apposita unità di public affairs europea che risponde direttamente
al consiglio d’amministrazione della società. I rappresentanti di queste società
sono i più invitati alle riunioni d’esperti e degli intergruppi sia della Commissione
che del Parlamento europeo.
Affinchè gli uffici di rappresentanza siano utili, ad essi deve essere data la
possibilità di avere un canale bi-direzionale verso il quartier generale, una buona
qualità e formazione del personale, ma sopratutto devono essere dotati
dell’empowerment (le deleghe necessarie) per prendere le decisioni necessarie al
momento giusto. Il prezzo pagato dai soggetti che non prestano l’attenzione
necessaria alle attività europee è quello di restare tagliati fuori dai processi
decisionali e di subire passivamnente le decisioni prese con il contributo degli altri
concorrenti.
I governi locali (comuni e province) sono tra i più deboli nel partecipare alle attività
decisionali europee. Questo si deve sopratutto alla carenza di mezzi e di personale
adeguato. Infatti, tranne qualche eccezione, i governi locali sono rappresentati a
Bruxelles attraverso varie associazioni, che generalmente hanno un raggio
d’azione limitato.
Gli uffici a Bruxelles dei governi regionali sono ragionevolmente organizzati. Essi
sono funzionali ad ottenere fondi europei, e sono spesso invitati a partecipare in
modo semi-formale e formale alle riunioni dell’Unione europea. Il problema è che
molti di questi uffici hanno una carente organizzazione at home. L’ombra del
governo nazionale, con i politici eletti e la massiccia pubblicità mediatica centrata
sulle questioni nazionali, rende spesso difficile fissare le vere priorità, con obiettivi
chiari e la capacità di follow up che dovrebbe seguire. Spesso l’immagine di questi
uffici dipende molto dalla qualità delle persone residenti a Bruxelles e dalla loro
autonoma buona volontà.
I risultati degli uffici delle ONG sono molto diversi tra loro. Spesso incontrano limiti
simili a quelli dei governi locali. In alcuni casi, invece, alcune ONG si collegano al
mondo corporate e moltiplicano i loro risultati, con mezzi ed efficacia9. In altri casi,
le ONG possono celare dei veri e propri interessi nazionali (Animal Welfare, Regno
Unito; Union of European SMEs-Ueapme, Germania). La situazione delle ONG
italiane è molto specifica e diversa rispetto a quella appena descritta.
7
È noto che molti rappresentati istituzionali italiani, sia dello Stato centrale che delle istituzioni
disaggregate nazionali, non ricevono istruzioni chiare e sufficienti, e di frequente agiscono
senza il supporto tecnico-politico necessario per partecipare con profitto alle riunioni. La stessa
situazione si riscontra nelle rappresentanze economiche e sociali. L’improvvisazione qualche
volta funziona, ma non ci si può fare affidamento!
8
Nel 2003 sono state recensite più di 350 società multinazionali attive sulle questioni europee,
di cui 250 con uffici propri a Bruxelles.
9
Ad esempio, Greenpeace o Amnesty International.
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21
Introduzione
Da qualche anno, alcune università e ospedali universitari (Oxford, Regno Unito;
San Raffaele, Italia) hanno aperto uffici a Bruxelles con lo scopo di ottenere più
fondi per la ricerca e per strutturare al meglio la partecipazione ai bandi europei.
I gruppi d’interesse non europei sono numerosi e molto diversi tra loro. La
missione diplomatica degli Stati Uniti d’America e l’AmCham a Bruxelles (Camera
di Commercio Americana) operano sul modello delle multinazionali, e beneficiano
di linee di collegamento con esperti e ricercatori a Washington. Gli altri, avendo
pochi mezzi, cercano il sostegno delle rappresentanze diplomatiche per aver
accesso e ascolto nelle istituzioni europee.
Infine, Bruxelles ospita oltre 150 società commerciali specializzate in servizi di
pubbliche relazioni e di public affairs. Tra le Top-20, la grande maggioranza è
costituita dai network mondiali anglo-americani. In base alla rilevanza e al fatturato
seguono società dei Paesi nordici, spagnole, greche e una belga.
Il sistema dell’Unione europea è, nel mondo, il più avanzato sistema di
aggregazione di Stati, territori, interessi economici e individui, con una
governance reticolare.
E’ un sofisticato meccanismo reticolare multilivelli nel quale, per poter avere
successo, si devono avere due capacità di base:
a) Identificare e delimitare il proprio interesse;
b) Sviluppare una strategia inclusiva, attraendo gli interessi degli altri su una
stessa convergenza di obiettivi e fini.
Quasi sempre l’Italia gioca da sola!
Sono pochi i casi in cui l’azione italiana è stata fortemente coesa tra i suoi vari
rappresentanti e molto rari i casi in cui l’azione italiana è stata combinata in modo
strategico con quella di altri Paesi o interessi stranieri.
A titolo di esempio, presentiamo due casi in cui l’azione italiana ha avuto più o
meno successo, e questo proprio in ragione della più forte o più debole coesione
tra i suoi rappresentanti.
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Introduzione
La riforma della PAC nel 2005: ognuno per sè!
In occasione dei negoziati per la riforma della Politica Agricola Comune, in Italia è
emerso un mondo agricolo diviso, nel quale le tre principali organizzazioni italiane,
Cia, Confagricoltura e Coldiretti, hanno mostrato di vedere le cose in modo spesso
confliggente. Se infatti Confagricoltura ha criticato duramente la riforma della
politica agricola comunitaria, giudicandola pericolosa per l’agricoltura italiana,
Coldiretti l’ha difesa ed ha sollecitato una sua tempestiva applicazione. Il periodo
negoziale è stato anche caratterizzato da un’aspra polemica che ha coinvolto la
Cia ed il Ministro delle Politiche agricole Alemanno, accusato dalla prima di non
aver rispettato l'impegno preso durante il Tavolo Verde regionale della Calabria,
nel quale si era convenuto sul disaccoppiamento totale dell'Ocm olio per l'intero
territorio nazionale, poi confermato dalla Conferenza Stato-Regioni e dal Tavolo
agroalimentare. Nonostante l’accordo, il Ministro aveva infatti richiesto alla
Commissione europea una deroga al disaccoppiamento totale dell'Ocm olio,
limitata alla Regione Calabria, provocando una serie di proteste da parte delle
organizzazioni agricole e di petizioni nel mondo produttivo. Le organizzazioni
agricole italiane si sono inoltre trovate divise sull’ipotesi di cofinanziamento della
“PAC”. La Cia si è dichiarata contraria all'ipotesi di cofinanziare una quota della
spesa agricola a carico dei bilanci nazionali, che comporterebbe, a suo parere, una
nuova "precarietà della spesa agricola".
Inversamente, il presidente di Confagricoltura era stato fra i primi a suonare un
campanello d'allarme sui tagli alla spesa agricola prospettati nell'ultima bozza di
compromesso sulle prospettive finanziarie, sottolineando come negli ultimi 20 anni
il sostegno assicurato agli agricoltori europei sia diminuito in modo consistente.
Queste divisioni interne hanno considerevolmente ridotto la capacità di influenza
italiana in sede negoziale europea e si sono risolte in un compromesso tra
Ministero, regioni e organizzazioni agricole sul disaccoppiamento totale per tutti i
settori tranne i seminativi, e sulla gestione della riserva per gli incentivi alla qualità
a livello nazionale.
Fonte: elaborazione CIPI in base ad articoli della stampa italiana
L’accordo raggiunto sulla riforma del mercato dello zucchero (2005) rappresenta
un buon esempio di success story dell’attività di lobbying italiana esercitata a
Bruxelles: i risultati positivi ottenuti hanno dimostrato che una maggiore unità tra gli
attori italiani nel portare avanti i propri interessi rappresenta senz’altro un punto di
forza.
La lobby italiana dello zucchero
Al termine dei negoziati lo scorso novembre 2005, i Ministri UE dell'Agricoltura
hanno raggiunto un accordo sulla riforma del mercato dello zucchero, settore che
aveva resistito per 40 anni ad ogni riforma della Politica agricola comune: è stato
sancito un taglio dei prezzi di riferimento di tale prodotto del 36% in quattro anni (e
non più del 39% in due anni come previsto originariamente) e sono stati fissati
sostanziosi aiuti economici di accompagnamento e per la riconversione.
Tra i protagonisti schierati a favore della causa italiana, il Ministro alle Politiche
Agricole, Gianni Alemanno, è stato tra i più attivi nel patteggiare meccanismi
finanziari convenienti ad un Paese, come l'Italia, dalle basse rese nel settore della
bieticoltura (6,05 tonnellate per ettaro rispetto alle 10 del Belgio o alle 11,35 della
Francia). Alemanno ha stimato che in Italia su 19 impianti saccariferi ora esistenti,
6-7 stabilimenti, quasi tutti concentrati nella Pianura Padana, potranno continuare
la loro attività e con una maggior capacità produttiva.
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
23
Introduzione
La produzione di zucchero non scomparirà quindi dall'Italia, ma al contrario, alla
luce del nuovo scenario, circa il 50% dell'attuale produzione saccarifera italiana
dovrebbe riuscire a salvarsi e a rimanere competitiva. Il resto del comparto potrà
disporre di circa 700 milioni di euro in due anni per attuare processi di
ristrutturazione e aiutare gli agricoltori che dovranno cambiare tipo di coltura, in
modo da evitare perdite gravi nel settore occupazionale e permettere di trovare
un’altra destinazione per ogni posto di lavoro perso nel settore dello zucchero.
L'intesa raggiunta a Bruxelles è stata possibile grazie ad “un gioco di squadra” di
tutti gli attori coinvolti. Infatti, i risultati hanno soddisfatto vari esponenti del governo
italiano ma anche Coldiretti, Confagricoltura e Cia-Confederazione Italiana
Agricoltori che hanno sottolineato come, grazie a questo sforzo negoziale, siano
stati ottenuti risultati nettamente migliorativi rispetto alle proposte iniziali.
Fonte: elaborazione CIPI in base ad articoli della stampa italiana
La governance dell’Unione europea, sia orizzontale che verticale, ormai non
rassomiglia più “all’Europa poesia”, quella di orgine romantico-illumunista degli
anni ’50 ispirata ad un’innocente federazione di Stati-nazione attorno a qualche
obiettivo circoscritto (CECA), ma è sempre di più “un’Europa prosa”, fondata sullo
scontro/confronto di interessi – nazionali, regionali, locali, privati, individuali e della
moltitudine, ma trasversali e dai confini variabili in profondità e larghezza – che
compongono le policy che si traducono in legislazione per l’insieme dei 25 Stati
che la compongono.
Il sistema dell’Unione europea produce circa l’80% delle legislazioni nazionali,
regionali e locali di tutti gli Stati membri. E questo, nel quadro del nuovo sistema
multipolare e multilaterale globale. In pratica, il sistema dell’Unione europea di oggi
è strutturalmente più globale di tante altre federazioni di Stati, dal Brasile agli Stati
Uniti, dall’Argentina al Sud Africa, dalla Germania alla Federazione Russa.
Nel 1989, la fine dell’equilibrio bipolare è coincisa con l’avvio di una profonda
trasformazione economica e tecnologica. Le certezze tradizionali stanno cominciando
a vacillare, cambiando i nostri parametri di riferimento ed aprendo nuovi orizzonti
economici e politico-sociali.
Oggi è maturo pensare che siano inadeguate le certezze tradizionali del mondo
moderno. Non ci aiutano più i parametri culturali tradizionali. La svolta storica è
adesso, e i suoi effetti si vedranno nei decenni a venire!
Nella nuova situazione mondiale è enorme il costo degli errori intellettuali nella
gestione degli affari di Paesi, settori d’attività, o delle persone. Dobbiamo essere
capaci di prevenirli.
A 17 anni dal 1989, dobbiamo riuscire a ragionare secondo nuovi parametri,
comprendere le regole, e individuare i protagonisti del nuovo sistema mondiale che si
sta formando.
L’Europa non è un’isola, ma parte di questo processo mondiale.
Qualcosa può essere fatto!
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24
Introduzione
2. Alcuni dati sul lobbying europeo
10
Un lobbista di lungo corso definisce Bruxelles come “Eldorado dei lobbisti”.
Abituato per molti anni allo stile e alle regole del lobbying di Washington, Bruxelles
appare come un “deserto (di regole) molto affollato, più di quanto si possa
immaginare dall’esterno”. “Sembra che nulla si muova, invece tutto è possibile, e
ben oltre le questioni legislative e le regolamentazioni dell’Unione europea”. “A
Bruxelles si incontra quasi tutto il Mondo!”
Le lobby di Bruxelles
A Bruxelles operano circa 2.600 gruppi di interesse recensiti, e si
calcola che più di 15.000 persone facciano lobbying diretto sulle
istituzioni europee. Fra queste, sono state recensite 815 federazioni
europee e internazionali (con più di 5.000 membri appartenenti ad
associazioni nazionali), 200 uffici di rappresentanza di autorità
regionali e locali, più di 350 imprese direttamente rappresentate e
circa 150 uffici di consulenza e molti altri che si occupano di materie
comunitarie. Se a queste lobby si aggiungono anche le varie
rappresentanze degli Stati e quelle istituzionali, il numero delle
persone che agiscono influenzando il sistema comunitario sarebbe di
circa 55.000, con una ratio di quasi 2:1 rispetto ai circa 30.000
funzionari delle istituzioni comunitarie. L’insieme delle persone che
operano a diverso titolo, diretto e indiretto, nel sistema comunitario,
includendo i funzionari e i giornalisti accreditati (oltre 1.000), si
aggirerebbe a circa 150.000 persone.
Il lobbying europeo rispecchia molte caratteristiche dell’Europa: esteso
nella varietà di argomenti trattati, molteplice negli approcci e
influenzato da tradizioni e culture specifiche e diverse. Viene
esercitato sulle istituzioni europee che per scelta vogliono essere
aperte e comunicare con i gruppi di interesse e la società civile.
Perché questa presenza imponente?
A Bruxelles si decidono circa l’80% dei contenuti delle leggi nazionali e
locali, incluse le leggi finanziarie, con un evidente impatto sul PIL dei
Paesi membri e sullo sviluppo sociale ed economico, e si negoziano
gli stanziamenti del budget delle istituzioni comunitarie per l’attuazione
dei programmi e progetti europei, di cui circa il 6% è destinato alla
gestione amministrativa delle istituzioni, per un totale di circa 100
miliardi di euro all’anno, ovvero circa l’1% del PIL cumulato dei 25
Stati membri.
Dati elaborati dal CIPI sulla base dei dati disaggregati delle istituzioni europee
10
Si avverte il lettore che i dati presentati sono tratti da fonti istituzionali italiane e straniere, e
The European Public Affairs Dircetory 2006 e 2003. Necessariamente, un’indagine di questo
tipo è incompleta e i dati possono essere imprecisi. Tuttavia, essi costituiscono un indicatore
piuttosto vicino alla realtà.
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25
Introduzione
Spesso i lobbisti hanno difficoltà a farsi repertoriare nella categoria adatta
all’interno dell’opera di riferimento che è “The European Public Affairs Directory”.
Lo stesso problema si incontra con il repertorio elettronico CONECCS, creato su
iniziativa della Commissione europea e accessibile sul suo sito Internet EUROPA
dal 1999. Ne risulta che molti lobbisti italiani presenti a Bruxelles non vi sono
inclusi.
Ripartizione dei 2621 uffici internazionali
di rappresentanza con sede a Bruxelles nel 2006
Ass. Commerciali e
Professionali 31%
Rappr. Permanenti 1%
Stampa extra europea 2%
Think Tank 4%
Studi Legali 5%
Uffici di Consulenza 6%
Uffici della Stampa europea
13%
Missioni e Delegazioni
presso l'UE 6%
Uffici delle Regioni 8%
Gruppi d'Interesse 13%
Società e Imprese 11%
Ass. Commerciali e Professionali (815)
Gruppi d'Interesse (330)
Uffici delle Regioni (205)
Uffici di Consulenza (154)
Think tank e Uffici per la Formazione (104)
Rappresentanze Permanenti (25)
Uffici della stampa europea (341)
Società e Imprese (301)
Missioni e Delegazioni presso l'UE (158)
Studi Legali (130)
Uffici della Stampa extra europea (58)
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI
In linea di massima, tutte le federazioni professionali sono presenti a Bruxelles,
dalla federazione europea degli esperti contabili a quella dei rappresentanti degli
armatori, passando per la federazione dell’industria chimica e quella degli
architetti-paesaggisti.
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26
Introduzione
Classifica delle federazioni in base al numero di rappresentanze
1. Agricoltura
2. Industria chimica
3. Ambiente
4. Alimentare
5. Energia
6. Automobile
Settori principali dei gruppi di interesse della società civile
Ambiente
Salute e sicurezza
alimentare
Questioni sociali
Istruzione e formazione
Questa classifica si basa semplicemente su un calcolo matematico della presenza
nel “quartiere europeo”, ma non intende giudicare il successo in termini di lobbying
di nessuno di questi settori (Fonte: CCIP, 2005)
Queste classifiche evolvono in funzione di e di pari passo con gli sviluppi
comunitari. Ad ogni modo, la classifica della presenza dei gruppi di interesse
riflette meglio la situazione reale sul campo: i difensori dell’ambiente (Greenpeace
e WWF) diventano sempre più potenti dal punto di vista degli strumenti di cui
dispongono sul posto, al pari delle associazioni che rivendicano una maggiore
sicurezza alimentare e una maggiore informazione dei consumatori. Sono sempre
più numerosi i gruppi che patrocinano gli interessi delle categorie più svantaggiate
(portatori di handicap, minoranze etniche, rifugiati, ecc...). Questi gruppi di
interesse beneficiano della simpatia della stampa europea, che concede loro un
vantaggio considerevole in termini di copertura mediatica rispetto ai grandi gruppi.
Per quanto riguarda la nazionalità o la cultura, non c’è dubbio sul fatto che la
grande maggioranza di reti di influenza agisca in inglese. Fra i più attivi, troviamo
AmCham EU Committee, il comitato europeo della Camera di Commercio
Americana. Questo comitato rappresenta gli interessi di circa 150 membri,
principalmente imprese o gruppi legati al tessuto produttivo americano, ovvero
controllati da americani o da europei che rappresentano degli interessi americani.
Vi fanno parte 8 dei 12 primi gruppi industriali americani (classifica dell’inchiesta
annuale della rivista Fortune). Le posizioni adottate da AmCham, in ragione del
suo peso economico, sono sicuramente le più ascoltate e le più considerate dai
suoi interlocutori.
Dopo AmCham, il lobbying britannico e, successivamente, quello tedesco sono
considerati i più efficaci e i più presenti. Il lobbying francese, dopo un periodo di
stasi, sta recuperando terreno: ormai la Francia fa lobbying a Bruxelles e non
pretende più di farlo solo a partire da Parigi. Infine, non va sottovalutato il
crescente interesse cinese per gli affari europei.
La caratteristica comune a questi tipi di lobbying è quella di cercare di uscire dal
settore che li interessa direttamente per aggregare quanti più gruppi di interesse
possibile intorno alla loro causa, spesso sotto la maschera dell’interesse
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27
Introduzione
nazionale, ma anche grazie alle alleanze che sono riusciti a costruire nel corso
degli anni.
Ripartizione per nazionalità del numero degli Studi Legali
insediati a Bruxelles che svolgono attività presso
le istituzioni comunitarie
4
Belgio
2 1 11 1
Stati Uniti
4
30
5
Regno-Unito
Germania
5
Italia
Francia
8
Internazionali
Polonia
Spagna
Paesi-Bassi
9
Slovacchia
27
Svezia
Danimarca
22
Norvegia
Fonte : The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI
Se dalla ripartizione contenuta nella tabella riportata sopra non sorprende, per
ovvie ragioni, il numero di studi di avvocati belgi, lo stesso non si può dire per il
numero di studi legali anglofoni insediati a Bruxelles e aventi attività europee, dato
che da soli totalizzano 49 studi legali su un totale di 127. Sicuramente, la
predominanza e la continua espansione degli studi di avvocati anglofoni sono un
fenomeno ben conosciuto, ma rammarica constatare che la tendenza non accenni
a cambiare.
La presenza degli studi legali italiani a Bruxelles è incrementata negli ultimi anni e
si colloca in buona posizione anche rispetto a Francia e Germania. Inoltre, alcuni
studi di avvocati italiani hanno creato una specifica “cellula di relazioni con le
istituzioni comunitarie” che ha per vocazione quella d’informare i propri clienti sui
progetti comunitari e sulle decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee.
È evidente che si tratta di “soft lobbying”, ma è pur sempre un inizio.
Ripartizione degli uffici di rappresentanza di società, di associazioni
professionali e commerciali, di gruppi d’interesse, e di uffici di consulenza
italiani e stranieri insediati a Bruxelles11
11
Sono presi in considerazione solo gli uffici che rientrano nelle categorie rappresentative di
attività o interessi a valenza europea, cosi’ come sono strutturate nel “The European Public
Affairs Directory 2006”.
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28
Introduzione
Totale
uffici nel
2006
Totale
uffici nel
2003
Uffici
italiani
nel 2006
Uffici
italiani
nel 2003
Italiani in uffici
stranieri o
internazionali12
Società e
Imprese13
301
260
15
13
14
Associazioni
CommercialiProfessionali14
815
749
3
5
61
Gruppi di
Interesse15
330
317
2
1
36
Uffici di
Consulenza16
154
139
16
12
6
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 – 2003, e dati elaborati dal CIPI
Il numero di uffici di rappresentanza repertoriato non deve essere considerato
come esaustivo, ma come un indicatore di tendenza piuttosto vicino alla realtà.
È certo che il confronto della presenza italiana in taluni settori deve far pensare e
far reagire: le associazioni europee commerciali o professionali tedesche sono più
di 50 nel 2006 contro le 3 italiane17; la presenza italiana nei gruppi di interesse (2),
sia quantitativa che qualitativa, deve far riflettere; gli uffici di consulenza italiani
sono quantitativamente nella media (16), ma spesso sono strutture mononucleari o
con pochissimo personale, e soprattutto solo italiano.
Si deve notare che la definizione usata nella pubblicazione di referenza in materia
di European Public Affairs per quanto riguarda le associazioni, federazioni o uffici
nazionali distinti da quelli europei, induce ad un’esclusione della maggioranza delle
entità italiane presenti a Bruxelles. Benchè i dati sopra riportati possano sembrare
riduttivi della realtà italiana, il CIPI si è limitato a presentare quanto in realtà
pubblicato nell’opera considerata come benchmark europeo in materia. Tuttavia, il
CIPI ha condotto la sua ricerca indipendentemente e, come è possibile verificare
nei rilevanti capitoli successivi in quest’opera, tutte le organizzazioni italiane
repertoriate come presenti a Bruxelles sono state valutate e incluse in questo
Rapporto.
Potrebbe essere utile una riflessione sui motivi che portano la maggioranza delle
entità italiane a non essere repertoriate nel The European Public Affairs Directory
2006. Una prima considerazione riguarda il fatto che queste entità sono in
12
Sono stati repertoriati solo i gradi di dirigente superiore d’impresa, presidente, segretario
generale, direttore di associazioni e gruppi d’interesse, e i consulenti senior.
13
Sono repertoriate solo le grandi imprese e le multinazionali che hanno un direttore full-time di
public affairs europei.
14
Sono state repertoriate le organizzazioni europee che rappresentano specifici settori
industriali, commerciali o professionali.
15
Sono state repertoriate le organizzazioni europee senza scopo di lucro. Queste
rappresentano una grande varietà di interessi.
16
Sono stati repertoriati gli uffici di consulenza che hanno rilevanza con gli affari europei.
17
Si deve tener presente che le numerose associazioni di settore e federazioni industriali
italiane che pur hanno un ufficio a Bruxelles non sono prese in considerazione in questo
repertorio in quanto considerate come associazioni nazionali e non europee.
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29
Introduzione
prevalenza composte esclusivamente da membri associati italiani, e non sono
considerate come portatrici di un valore aggiunto europeo.
Ripartizione per Paese degli uffici
di Società ed Imprese a Bruxelles nel 2006
15
41
24
26
Regno Unito
Francia
Germania
Italia
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006
Ad ogni modo, non bisogna trarre conclusioni affrettate sulla base di questi dati,
proclamando un deficit italiano in termini di rappresentanza a Bruxelles.
È certo, peró, che mentre la presenza britannica e tedesca nelle associazioni
professionali e commerciali nazionali ed europee è immediatamente visibile, sia
numericamente, sia in termini di qualità del personale, sia la Francia che l’Italia
risentono di un certo ritardo. L’Italia è piuttosto ben rappresentata solo in qualche
settore specifico, particolarmente nei settori di attività delle PMI. Mentre nelle
associazioni che riguardano le attività dei grandi gruppi industriali l’Italia è poco
presente, negli ultimi anni si è registrata una maggiore presenza nel comparto
dell’industria dell’aeronautica e della difesa.18Gli altri settori risentono ancora di
logiche e culture troppo incentrate sul sistema nazionale, e questo va a scapito del
loro impegno nelle associazioni europee.
La rilevanza degli affari europei nella presentazione online dei vari uffici
di collegamento con le istituzioni europee
18
Si tenga presente che questo comparto è stato spinto all’internazionalizzazione già da vari
anni, e quindi la sensibilità dei dirigenti di queste imprese spiega la loro presenza nelle
associazioni europee di settore.
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30
Introduzione
Un indicatore di tendenza della rilevanza data all’attività europea da parte di questi
uffici di rappresentanza si trae dalla valutazione dell’informazione fornita sui siti
Web.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei
presenti nei siti degli uffici italiani (suddivisi per categoria)
35
30
25
20
15
10
5
li
ud
St
As
so
c
ia
zio
n
id
i le
to
is
et
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Lo
R,
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an
ie
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loc
ri
e
ali
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p
e
pi
fu
in
nz
du
ion
st
ri
ali
ali
0
Fonte: dati elaborati dal CIPI
Abbiamo voluto tracciare un grafico della presentazione delle questioni europee
per le 6 categorie come appare nei siti Internet delle entità considerate in questo
Rapporto19.
La metodologia usata per la valutazione dell’informazione online sugli affari
europei ha usato 8 criteri di riferimento sulla base dei quali è stato assegnato un
punteggio da 1 a 5, dal minore al maggiore livello di chiarezza offerto (1:
insufficiente; 2: scarso; 3: sufficiente; 4: buono; 5: ottimo).
19
Si noti che per la categoria “autonomie locali e funzionali” è stata presa in considerazione
solo Anci-Ideali, e per la categoria “comunicazione, PR, lobbying” è stata presa in
considerazione solo la società Barabino & Partners, e per la categoria “associazioni di settore”
sono state prese in considerazione solo 6 entità sulle 13 rappresentate.
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31
Introduzione
I criteri usati per la valutazione:
1)
Inquadramento dell’ufficio: Descrizione degli obiettivi generali e delle
finalita’, inquadramento funzionale del capo ufficio, relazione funzionale con
la sede centrale in Italia
2)
Organizzazione dell’ufficio: Lista dei collaboratori, funzioni operative,
politiche comunitarie seguite, qualità dei contatti proposti
3)
Presentazione delle attivita’: Attivita’ di lobbying, informazione ed
assistenza
4)
Descrizione degli eventi rilevanti per l’ufficio: Agenda aggiornata dei
principali eventi (incontri, conferenze) in programma, link di aggiornamento
sulle attivita’ promosse dall’UE
5)
Formazione applicata: Requisiti per effettuare stage formativi all’interno
dell’ufficio, link per stage alle Istituzioni europee
6)
Guida di riferimenti e link: Lista dei contatti di Istituzioni ed altri organismi
politici e di rappresentanza con sede a Bruxelles
7)
Ergonomia e lingue del sito: Facilità di accesso alle informazioni;
traduzione del sito in più lingue
8)
Ergonomia di accesso alle informazioni sull’Europa sul sito centrale in
Italia: Collocazione nel sito, rilevanza grafica del link
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32
Capitolo I
Il lobbying che
serve in Europa
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33
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
1. Definizione di lobbying
Le strategie d’influenza sono delle tecniche discrete, più o meno attenuate, che
servono a suffragare delle posizioni economiche, politiche o culturali e che
rientrano nel ventaglio di attività praticate da un Paese. Questo tipo di influenza si
esercita tradizionalmente per il tramite dell’autorità politica ed economica di uno
Stato, ma può anche scaturire dall’iniziativa propria di imprese o gruppi di
interesse che, attraverso la difesa dei loro interessi privati, individuali o collettivi,
possono allo stesso tempo servire quelli nazionali. Il lobbying è ormai diventato un
concetto alla moda, utilizzato sempre più frequentemente, ma non per questo
chiaramente definito. La nozione di lobbying rischia dunque di essere confusa e
assimilata alle attività dei gruppi di contestazione o a pratiche illecite, ai limiti della
corruzione. Il lobbying è, al contrario, un atto democratico e, come tale, va
incoraggiato.
Lungi dall’essere una scienza a parte, il lobbying presuppone un approccio
integrato, che coniughi delle buone capacità comunicative, una sensibilità umana
adatta alle istituzioni pubbliche e una perfetta comprensione dei vari processi
decisionali. La nozione di lobbying abbraccia dunque discipline diverse, quali
sociologia, politica, diritto, economia, e storia. Spesso è infatti necessario esulare
dal quadro storico-politico o giuridico per analizzare fenomeni di natura economica,
strategica o sociologica che presentano dimensioni lobbistiche in varie sfere della
convivenza collettiva.
Il lobbying non è affatto sinonimo di corruzione, connivenza o favoritismo, attività,
queste, formalmente condannate dalle istituzioni europee. Al contrario, la
Commissione europea incoraggia l’avvicinamento dei lobbisti, che reputa
indispensabili per lo sviluppo delle sue politiche. Si tratta, infatti, di un dialogo
mutualmente proficuo che giova sia alle istituzioni europee, sia agli interessi dei
gruppi esterni. Per questo motivo, i funzionari delle istituzioni europee caldeggiano
l’intensificarsi della cooperazione con i lobbisti e ne apprezzano notevolmente i
contributi20. Il lobbying è infatti funzionale e indispensabile al buon funzionamento
del sistema comunitario, in quanto permette alla Commissione di conoscere gli
interessi e le opinioni del mondo esterno e di effettuare scelte finali consapevoli.
Le attività di lobbying nel processo di decision making comunitario sono una realtà
legittima e spesso necessaria al fine di ottenere l’approvazione, la modifica, la
revoca o il rallentamento di un provvedimento legislativo suscettibile di avere un
impatto negativo sugli interessi rappresentati dai vari gruppi di pressione.
Le lobby sono associazioni che manifestano e tutelano degli interessi specifici e
che detengono un potere non espressamente chiarito. Non sono, in ogni caso,
oggetti di diritto, ma fanno parte di un sistema giuridico generale, giacché esse
costituiscono associazioni regolate da norme giuridiche statali. Questo le rende
A questo proposito si suggerisce la lettura del saggio “Il lobbying democratico come fattore di
sicurezza”, pubblicato dalla Rivista Gnosis 2/2005.
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34
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
diverse, se i sistemi giuridici ne sono attrezzati, dai gruppi di potere trasversali e
segreti che agiscono al di fuori delle regole condivise e codificate.
1.1 Alcune definizioni teoriche
Alcune autorevoli definizioni teoriche sono utili per capire a fondo il significato di
lobby e di lobbying21.
“La lobby come organizzazione di un gruppo portatore dell’interesse da
tutelare. Lobbista il personale, interno o esterno all’organizzazione, attraverso
cui si attua la rappresentanza. Lobbismo l’insieme di tecniche e attività che
consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati. Il lobbismo è
quindi la faccia politica dei gruppi di interesse, una volta che decidano di
perseguire finalità pubbliche, mutandosi da associazioni private in gruppi volti
all’azione politica (…)” (Luigi Graziano).
“Un gruppo coincide con ogni sezione della società con interessi propri che
agisca o tenti di agire”; “Non c’è gruppo senza interesse. Un interesse è
l’equivalente di un gruppo (…)” (Arthur Bentley).
“Gruppo di interesse è qualsiasi gruppo che sulla base di uno o più
atteggiamenti condivisi, presenta delle domande ad altri gruppi della società
(…)” (David Truman). L’identità del gruppo si fonda sulla condivisione di
atteggiamenti. I gruppi si mobilitano quindi movendo richieste ad altri gruppi,
ed entrando in questo modo in concorrenza per inflenzare le politiche
pubbliche.
“Un gruppo di interesse è un gruppo di individui che sono legati da comuni
preoccupazioni o interessi e che sono consapevoli di questo legame” (Almond
e Powell).
Da queste definizioni si puo’ trarre una definizione empirica
“Un gruppo di interesse può, dunque, essere definito come un insieme di
persone, organizzate su basi volontarie, che mobilita risorse per influenzare
decisioni e conseguenti politiche pubbliche” (M. Cotta).
Il lobbista può essere definito come una persona che agisce conformemente alle
istruzioni di una terza parte e che cerca di tutelare gli interessi di questa terza
parte presso le istituzioni europee, o che, a questo scopo, trasmette
costantemente informazioni o mantiene contatti regolari con gli eurodeputati e con
i funzionari delle altre istituzioni. Fare lobbying non significa limitarsi a deporre il
dossier giusto al momento opportuno e presso la persona adatta. Si tratta di una
tecnica molto più affinata, che necessita di un particolare know-how e dei contatti
giusti.
21
Per una sintesi della letteratura scientifica esistente sui “gruppi di interesse” si veda il
capitolo ad essi dedicato in: Cotta, Dellaporta, Morlino, Scienza Politica, Bologna, 2001
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35
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Nella pratica, occorre innanzitutto distinguere tra lobby-azione e lobby-soggetto: la
lobby-azione è qualsiasi attività indirizzata su soggetti decisionali, pubblici o privati,
per far recepire un determinato punto di vista o interesse; il lobby-soggetto è
qualsiasi attore (persona fisica o giuridica) che rappresenta sostanzialmente il
punto di vista o l’interesse di una terza parte.
Tipologia dei gruppi di interesse
I gruppi di interesse possono essere suddivisi in categorie differenti in base alle
loro strutture organizzative, modalitá d’azione, obiettivi e risorse.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa, i gruppi si possono suddividere in
quattro categorie22:
a) gruppi di interesse anomici23, cioè senza nessuna organizzazione,
spontanei di protesta e lamentela che crescono velocemente;
b) gruppi di interesse non-associativi24, basati su interessi derivanti da
identità condivise quali razza, religione, lingua, etnia;
c) gruppi di interesse istituzionali25, che si trovano all’interno di
organizzazioni, quali i corpi legislativi, le forze armate, le burocrazie
e le chiese;
d) gruppi associativi26, ovvero strutture specializzate nell’articolazione
degli interessi e che sono specificamente designate a rappresentare
gli obiettivi di un gruppo in particolare.
Osservando le modalitá d’azione, possiamo distinguere tra:
a) forme d’azione convenzionali (comunicazioni e contatti);
b) forme d’azione forti dirette all’opinione pubblica
manifestazioni, ecc...).
22
(scioperi,
Questa tipologia è tratta dagli studi di Almond and Powell, presso la Gergetown University. Si
veda: “A relatively simple and widely accepted taxonomy of political groups”, Almond and
Powell (2000)
23
“Anomic interest groups [are] .... short-lived, spontaneous aggregations of people who [briefly
discover that they] share a political concern .... [A] riot is the clearest example …. [T]he
participants tend to share a common set of … grievances that they express through a …
disorganized outpouring of emotion, energy, and violence.… [It] emerges with … no planning
and then quickly stops”, è la definizione originale di Almond and Powell
24
“Nonassociational interest groups are fluid aggregates of individuals who [do not have] …a
permanent organizational entity but who [nevertheless, in fact] share some common [values
and temporarily become] … politically active on an issue. [Thus, a] loosely structured
organization [of such a group] might ... emerge to plan and coordinate … activities but [this
organization] will [still] be ... relatively informal and once the issue has lost its immediate
salience, [it] will disappear”, è la definizione originale di Almond and Powell
25
“The institutional interest group is an organization that [was initially] formed to achieve goals
other than affecting the political system but [it later also decided] to seek political objectives.
Most occupational … groups recognize that the decisions of the political system sometimes
have major impacts on their own [values]. Thus they have a … [strong motive] … to represent
the group’s [concerns] to the [state]. For example, the University of California”, è la definizione
originale di Almond and Powell
26
“The … associational interest group is [initially] organized specially to further the political
objectives of its members”, e.g. Green Peace, è la definizione originale di Almond and Powell
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36
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Gli obiettivi distinguono i gruppi in:
a) gruppi di difesa degli interessi oggettivi;
b) gruppi fondati sull’espressione di preferenze morali.
L’elemento che maggiormente determina l’azione dei gruppi sono le risorse:
a) risorse economiche-finanziarie (rilevanti nei gruppi imprenditoriali);
b) risorse numeriche (numero di iscritti è fondamentale in gruppi come i
sindacati, garantendo sia la mobilitazione che i finanziamenti);
c) risorse di influenza (posizione strategica, collocazione nel processo
produttivo);
d) risorse
conoscitive
(know-how,
conoscenze
tecniche
e
specialistiche);
e) risorse organizzative
f) risorse simboliche
1.2 L’esercizio del lobbying
Il lobbismo è un processo attraverso il quale i rappresentanti dei gruppi di interesse
agiscono (direct lobbying) da intermediari per portare a conoscenza del decisore
pubblico le richieste dei loro gruppi. Il lobbismo è prevalentemente indiretto ed
esercita la sua pressione in nome dell’interesse pubblico. In questo contesto,
vanno strutturati gli obiettivi dei gruppi, che si suddividono in gruppi di difesa di
interessi oggettivi, gruppi fondati sull’espressione di preferenze morali, gruppi di
interesse pubblico e gruppi di interesse speciale, che difendono un interesse
comune o interessi parziali, che avvantaggiano certi gruppi a danno di altri.
I lobbisti sono stati anche chiamati la “terza camera”, che in modo del tutto
particolare produce leggi, pilotando provvedimenti e condizionando il
comportamento dei politici, regolamenta situazioni o pressa su decisioni politiche,
cercando di ottenere la realizzazione degli scopi direttamente o indirettamente
previsti dal gruppo organizzativo.
L’azione del lobbista può essere:
a) sociale, cioè un tipo di lobbismo che fa ricorso alla diplomazia delle gentilezze,
dei favori, delle attenzioni verso un politico o un decisore;
b) di base, cioè il grass root lobbying, perché è lontano dalla politica e si configura
come forma principale del lobbismo indiretto.
Il lobbismo è una realtà forte, presente e in continua crescita, perché gli interessi
economici sono sempre più diffusi, vanno organizzandosi a livelli sempre più
inferiori e sono alla costante ricerca di essere tutelati. È opportuno precisare che
quando si parla di interessi, questi non sono necessariamente di carattere
economico, ma possono rappresentare anche bisogni, preferenze, attitudini o
valori. Questi centri d’interesse si organizzano in gruppi, con l’obiettivo di ottenere
decisioni politiche favorevoli nelle sedi formali e dagli attori politici. Quando il
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37
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
lobbying viene esercitato sulle sedi formali del potere diventa un vero e proprio
gruppo di pressione e quando lo si esercita sugli organi comunitari, si parla di
lobbying comunitario.
Un punto cardine nel sistema decisionale comunitario è il momento della decisione
del bilancio, poiché consente di destinare risorse da un settore industriale ad un
altro e ciò può equivalere a fare la fortuna, o la sfortuna, dei gruppi di interesse che
desiderano influenzare il potere decisionale. Si tratta di un fenomeno presente in
tutti i sistemi politici, e ancora di più in quello comunitario. Questo fenomeno è
molto visibile in quei settori che sembrano apparentemente meno permeabili alle
pressioni degli interessi, come per esempio i gruppi di lavoro scientifico che si
trovano nel sistema parlamentare o alla Commissione europea.
La rappresentanza politica e la democrazia parlamentare dovrebbero soddisfare
l’interesse generale. Questo principio è uno dei punti cardine di ogni sistema
pluralistico e democratico. I rappresentanti eletti al Parlamento europeo non
hanno, infatti, un vincolo di mandato, ma hanno un mandato libero, quindi non
vincolato a nessun interesse particolare, nemmeno a quello di coloro che li hanno
materialmente eletti.
Al Parlamento europeo è centrale affrontare il problema della legittimazione di tutti
i tipi di attività che tendono ad influenzare le scelte dei decisori politici, portando
l’attenzione sia sugli interessi particolari che su quelli generali. Se un gruppo cerca
di esercitare pressione sul potere politico, è segno che dispone di canali per
accedervi che gli consentono di ricorrere a sanzioni negative o positive per
influenzare certe decisioni. Tali risorse possono essere ovviamente di varia natura:
dall’entità numerica del gruppo che rappresenta certi interessi, fino al suo impatto
sull’opinione pubblica; dal tipo organizzativo dei decisori politici, fino
all’organizzazione delle sedi burocratiche o politiche cui competono le decisioni.
Giuste informazioni e conoscenze rappresentano un patrimonio prezioso per i
gruppi di pressione. L’aumento dei gruppi di pressione e l’intensificarsi della loro
attività costringe gli organi istituzionali europei ad orientarsi ad una
microlegislazione di tipo “clientelare”. Si tratta di un fenomeno di sicura e
quotidiana evoluzione che si traduce in un progressivo svuotamento dell’istituzione
parlamentare classica o di tipo illuministico. Infatti, la formazione di una decisione
coinvolge sempre più gruppi di interesse di cui non si rintraccia facilmente la base,
ma che determinano la partecipazione dei decision makers nella maturazione di
opinioni e nella produzione di leggi.
I passi essenziali nell’evoluzione organizzativa di un gruppo di interesse sono i
seguenti:
concerns
problems
trends
issues
laws
regulations
dormancy
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38
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Concern significa l’elaborazione iniziale dei bisogni di un gruppo. Il primo passo è
definire il potential issue del gruppo. Bisogna isolare le iniziative per un lavoro che
dovrebbe essere costruito nel prossimo futuro, individuarne gli attori, selezionare le
persone da influenzare, calcolare il tempo necessario per la conclusione del lavoro
desiderato e reperire le giuste informazioni che escludono che questo tipo di
progetto appartenga ad un altro gruppo di interesse.
Il secondo passo riguarda le problematiche legate alla realizzazione del progetto
(problems). Il gruppo di interesse deve selezionare i soggetti da influenzare per
effettuare il lavoro e identificare le tensioni che emergeranno durante l’analisi degli
scopi definitivi del progetto iniziale.
Il terzo passo è più integrativo (trends), giacché prevede un periodo di
concertazione con avvocati, consulenti esterni, persone che possono influenzare o
curare le pubbliche relazioni del gruppo di interesse, persone che lavoreranno
silenziosamente per influenzare positivamente altri gruppi, persone che potranno
sostenere positivamente i propri interessi o anche candidati di un partito per le
prossime elezioni, se si tratta ovviamente di un gruppo che si interessa alla vittoria
del proprio candidato politico.
Il quarto passo (issues) non è sempre esplicitamente presentato come facente
parte del percorso di un gruppo di interesse. Questo si spiega per il fatto che le
vere issues del gruppo di interesse si concentrano effettivamente sul settore
giuridico (laws) e sulla procedura da adottare (regulations) per arrivare ai risultati
finali.
L’ultimo passo dopo la procedura giuridica, se esiste, ovviamente, è il periodo di
dormancy, cioè il periodo in cui si lavora con discrezione per ottenere i risultati
desiderati. L’uso di atteggiamenti ostili o la denuncia pubblica sono sbagliati, e
spesso si manifestano per coprire sbagli del passato. “Dormancy is not death”,
sostiene la maggioranza dei gruppi di interesse, è solo un periodo di attesa,
spesso la più lunga, che può però diventare disastrosa per un gruppo di interesse.
L’ultimo passo è obiettivamente il più difficile, per il semplice motivo che non
conosciamo preliminarmente il risultato finale.
La classificazione piramidale che abbiamo descritto non è sempre seguita da tutti i
gruppi di lobbisti.
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39
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
2. Demistificazione del lobbying
Il lobbista è sicuramente un bravo comunicatore, ma, poiché agisce come
rappresentante di uno specifico interesse, deve essere anche un esperto della
materia.
Egli dovrebbe quindi conoscere tutte le materie dell’organizzazione che
rappresenta. Sempre di più, la professione del lobbista diventa una professione di
team, che secondo una strategia comunicazionale usa le competenze tecniche e
scientifiche interne o esterne all’entità che rappresenta.
Il terreno su cui si muove il lobbista non è quello della rappresentanza generica,
come quella costituzionalmente garantita in Italia ai membri delle Assemblee
Regionali, degli enti locali e del Parlamento. Nel caso del lobbismo europeo,
l’accentuazione della tecnicità della professione è altissima. Basti pensare, ad
esempio, alla tecnicità dei lavori delle commissioni del Parlamento europeo che, a
differenza del sistema nazionale, hanno e fanno poca politica e moltissima
elaborazione tecnica, regolamentare e di policy.
In maniera schematica, si potrebbe dire che un buon lobbista deve essere al
contempo un buon tecnico, un buon giurista, un buon economista, un esperto della
comunicazione e un buon conoscitore del macchinoso funzionamento degli organi
comunitari, senza tralasciare un minimo di competenze nelle strategie
imprenditoriali.
In modo più empirico, secondo i lobbisti italiani a Bruxelles intervistati dal CIPI, le
carte vincenti indispensabili ad un buon lobbista sono:
Buona conoscenza dei
meccanismi amministrativi
comunitari
Capacità d’ascolto
Perfetta comprensione dei
dossier
Rete di conoscenze
Se sei anni fa la professione del lobbista era prevalentemente esercitata da uomini
di una certa età, i lobbisti di oggi sono sempre più donne e giovani, e la loro
formazione si diversifica.
L’inchiesta del CIPI ha messo in evidenza la ripartizione per settore di formazione.
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40
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Genere di formazione dei lobbisti italiani a Bruxelles
5%
4%
6%
36%
7%
Diritto
Ingegneria
Scienze politiche
Business
Lingue
Giornalismo
20%
Lettere
22%
Fonte: dati elaborati dal CIPI
a. Un buon tecnico
Il lobbista deve innanzitutto conoscere e comprendere le preoccupazioni della sua
impresa ed avvicinarsi alle federazioni che possono utilmente farsi portavoce di
interessi comuni in un particolare settore d’attività.
È di primordiale importanza, dunque, conoscere gli interessi dell’impresa in
ognuna di queste aree. È ugualmente importante ricercare dei partner suscettibili
di avere gli stessi interessi in modo da incrementare la rappresentatività e la
fondatezza delle proprie azioni.
La ben nota vicenda del “Tocai Perduto”
Ricordiamo la causa Monimpex-Baroni Economo di 40 anni fa, che ha
sollevato il problema dell’appropriazione del marchio di vino friulano.
La battaglia è stata combattuta e persa dall’Italia, ed il marchio Tocai,
o meglio, Tokaj, è adesso di proprietà ungherese (il vino viene
prodotto nella regione di Tokaj, al confine tra Slovacchia e Ungheria).
La sentenza di riferimento è quella del 5 giugno 1959 (Corte d’Appello
di Trieste; quella definitiva della Corte di Cassazione -passata in
giudicato- è del 30 aprile 1962).
La “battaglia” intrapresa dall’Italia per “difendere” il proprio patrimonio
vinicolo resta di estrema attualità, citando a tal proposito il
Comunicato Stampa n. 42/05 del 12 maggio 2005 e che ha riportato
l’accento sul divieto di utilizzare la denominazione “tocai” per
determinati vini italiani, in virtu’ del precedente accordo tra la
Comunità Europea e la Repubblica d’Ungheria (1993).
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41
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Tali regole non vietano tuttavia che, di fronte all’indicazione
geografica ungherese “Tokaj”, la denominazione della varietà di vite
italiana “Tocai friulano” possa continuare ad essere utilizzata per la
designazione e la presentazione di determinati vini italiani (il “Tocai
friulano” o “Tocai italico” è una varietà di vite tradizionalmente
coltivata nella regione Friuli-Venezia Giulia e utilizzata
nell'elaborazione di vini bianchi commercializzati, in particolare, con
indicazioni geografiche come “Collio” o “Collio Goriziano”). Per l’Italia
resta il divieto di utilizzare nel proprio Paese la denominazione
“Tocai”, anche dopo il 31 marzo 2007, così come aveva proposto alla
Corte di giustizia che ha però respinto tale richiesta.
Fonte: elaborazione del CIPI in base ad articoli di stampa italiana
b. Un buon economista
Ancor prima di intraprendere una qualunque strategia d’influenza, è necessario
identificare gli interessi economici che spingono ad una simile azione.
c. Un buon giurista
Le decisioni del lobbista non sono per nulla arbitrarie. Il diritto è, infatti,
onnipresente nel processo di regolamentazione, poiché la Commissione deve
dotarsi di una base giuridica (l’articolo del Trattato che le conferisce un potere
regolamentativo in un determinato settore), e deve inoltre determinare l’impatto
che vuole attribuire ad ogni regolamentazione sulla legislazione nazionale.
Se il processo decisionale europeo vede coinvolte le tre istituzioni principali,
ovvero la Commissione, il Parlamento e il Consiglio, le attività di lobbying devono
focalizzarsi principalmente su Commissione e Parlamento, perché è necessario
intervenire il prima possibile nel processo decisionale.
Al livello della Commissione europea, il gruppo di interesse deve intervenire il
prima possibile, idealmente prima che la bozza di testo diventi una proposta
adottata dal Collegio dei Commissari.
d. Un conoscitore del funzionamento del Parlamento europeo
Da quando fu eletto per la prima volta a suffragio universale, nel 1979, il
Parlamento europeo non ha smesso di attirare l’attenzione dei gruppi europei e di
altri gruppi d’interesse.
Con il suo intervento, il Parlamento europeo può “insabbiare” o modificare una
serie di orientamenti o iniziative. Questa attività è favorita dalla presenza, fra i suoi
membri, di molti rappresentanti di gruppi di interesse, personalità legate ad
organizzazioni agricole, esponenti del mondo bancario o finanziario, dirigenti di
organizzazioni dei datori di lavoro o di organizzazioni dei lavoratori.
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Consapevole dell’importanza crescente del lobbying che si esercita al suo interno,
il Parlamento europeo ha adottato una proposta di risoluzione nella quale insiste
sulla necessità di stabilire delle norme deontologiche per i lobbisti e delle regole
sull’organizzazione del lavoro legislativo, in modo tale da garantire un esercizio
incensurabile della loro attività.
A questo scopo, è stato previsto di:
mettere a disposizione dei lobbisti dei locali nei quali possano incontrare
i loro interlocutori e lavorare serenamente,
rivedere l’attuale principio secondo cui solo le riunioni di talune
commissioni sono pubbliche,
favorire la circolazione dei documenti dell’istituzione fra tutte le persone
iscritte nel registro in modo assolutamente egalitario.
Il lobbista deve mettersi in contatto con il relatore che ha il compito di elaborare la
bozza di parere del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva o di
regolamento presentata dalla Commissione27. Il relatore viene designato fra i
deputati della commissione incaricata, principalmente, di esaminare il testo (altre
commissioni possono essere coinvolte per un parere).
Il lobbista deve ugualmente avvicinarsi al deputato coordinatore. Ogni gruppo
politico del Parlamento europeo ha un deputato detto “coordinatore” che ha come
funzione quella di informare sui lavori della commissione parlamentare di
appartenenza e di dare suggerimenti di voto al suo gruppo28.
27
Se la Commissione intende vincolare le autorità nazionali sia sulla sostanza, che sulla forma di
trasposizione della legislazione europea, adotta un regolamento. La direttiva europea lascia più
libertà agli Stati membri per quanto riguarda le modalità di recepimento nella regolamentazione
nazionale.
28
I deputati del Parlamento europeo si riuniscono in commissioni parlamentari, in gruppi politici (a
Bruxelles) e in sessioni plenarie (a Strasburgo e a Bruxelles).
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43
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Commissioni permanenti del Parlamento europeo
AFET
:: Affari esteri
DEVE
:: Sviluppo
INTA
:: Commercio internazionale
BUDG
:: Bilanci
CONT
:: Controllo dei bilanci
ECON
:: Problemi economici e monetari
EMPL
:: Occupazione e affari sociali
ENVI
:: Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare
ITRE
:: Industria, ricerca e energia
IMCO
:: Mercato interno e protezione dei consumatori
TRAN
:: Trasporti e turismo
REGI
:: Sviluppo regionale
AGRI
:: Agricoltura e sviluppo rurale
PECH
:: Pesca
CULT
:: Cultura e istruzione
JURI
:: Giuridica
LIBE
AFCO
:: Libertà civili, giustizia e affari interni
FEMM
PETI
:: Diritti della donna e uguaglianza di genere
DROI
SEDE
:: Diritti dell'uomo
FINP
:: Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata nel periodo 2007-2013
EQUI
:: Crollo finanziario della Equitable Life Assurance Society
TDIP
:: Presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto
e la detenzione illegale di persone
:: Affari costituzionali
:: Petizioni
:: Sicurezza e difesa
Fonte: Parlamento europeo
Dopo la Germania che ne conta 99, gli eurodeputati italiani sono, assieme a quelli
francesi e britannici, al secondo posto in quanto a rappresentatività in seno al
Parlamento europeo, con 78 membri.
Distribuzione dei Parlamentari europei italiani nei vari gruppi politici
24 nel PPE (Popolari europei)
14 nel PSE (Socialisti europei)
13 nell’ALDE (Alleanza dei liberali e democratici europei)
9 nell’UEN (Unione per l’Europa delle Nazioni)
7 nel SUE (Sinistra unitaria europea)
5 nel NI (gruppo dei Non iscritti)
4 nell’ID (Indipendenza e Democrazia)
2 nel gruppo dei Verdi
Fonte: Parlamento europeo
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44
Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Quando si pianifica un’azione di lobbying è necessario tenere ben presente la
composizione del Parlamento, delle sue commissioni e soprattutto la
“distribuzione” politica dei parlamentari italiani che si coinvolgono.
Il sistema dei gruppi politici al Parlamento europeo è molto particolare. Invece di
promuovere gli interessi nazionali, i deputati dei partiti politici provenienti dalle
varie parti dell’UE si riuniscono in raggruppamenti sovranazionali che
rappresentano interessi comuni. Per esempio, il maggior raggruppamento – quello
del Partito popolare europeo – Democratici europei, o PPE-DE – conta 264
deputati provenienti da tutti i 25 Stati membri dell'UE.
É noto, ad esempio, che nel recente dibattito della plenaria del Parlamento
europeo (febbraio 2006) sulla cosí detta “direttiva servizi”, l’influenza tedesca della
Grande Coalizione è stata determinante, portando ad un voto di convergenza il
PSE e il PPE. E questo a prescindere dalle posizioni che i partiti di appartenenza
dei singoli deputati avrebbero invece tenuto.
Un altro esempio si trova nel caso riportato qui di seguito. Le posizioni adottate dai
partiti politici italiani nel Parlamento italiano non corrispondevano, infatti, alle
stesse posizioni che i rappresentanti delle stesse forze politiche hanno tenuto nel
Parlamento europeo.
Direttiva sul cioccolato
Il sindacato dei produttori artigianali di cioccolato ha esercitato un lobbying attivo
sul Parlamento europeo, al fine di impedire l’approvazione di una direttiva che
autorizza la libera circolazione dei prodotti di cioccolata sotto la denominazione
“cioccolato” anche se contengono dei grassi aggiunti diversi dal burro di cacao.
Tale questione è stata oggetto di un dibattito all’interno del Senato italiano, che ha
visto pronunciarsi esponenti dei diversi gruppi politici. I Verdi, in particolare, si sono
mostrati favorevoli al mantenimento della norma della legge comunitaria del 2001
che introduceva la distinzione tra cioccolato “puro” e cioccolato “contenente
surrogati” con relativa indicazione nelle etichette, in quanto tale norma mira a
garantire una corretta informazione dei consumatori e tutela una produzione
artigianale nazionale di alta qualità. Aspetto ripreso anche dall’articolo 28 della
Legge 1 marzo 2002, n. 3929, che prevedeva, appunto, tale distinzione: “Garantire
che l'etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato, oltre ad assicurare la
trasparenza, rechi una distinta indicazione a seconda che il bene sia prodotto con
aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao o che sia prodotto utilizzando
esclusivamente burro di cacao; nel primo caso l'etichetta dovrà contenere la
dizione "cioccolato" mentre nel secondo caso potrà essere utilizzata la dizione
"cioccolato puro".
A fronte della proposta di abrogazione dell’articolo 28 le forze politiche di centrosinistra si sono mostrare quindi contrarie, facendo notare che anche l’Italia ha
finanziato e finanzia tuttora progetti di cooperazione per lo sviluppo agricolo
proprio in diversi Paesi in via di sviluppo, compresi quelli che sono attualmente i
produttori di cacao e che quindi c’è la necessità di intendersi su diversi aspetti e
precisamente su quelli concernenti le politiche della globalizzazione neoliberista e
29
Legge emanata in attuazione della direttiva 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di
cioccolato destinati all'alimentazione umana.
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
la qualità del prodotto. Sopprimendo tale articolo si rischia di ridurre la qualità
dell’informazione dei consumatori e anche di nuocere a un sistema artigianale che,
soprattutto in Italia, ha sempre avuto una vocazione legata all’alta qualità.
Il centro-destra ha invece assunto una posizione diversa, mostrandosi favorevole
alla soppressione dell’articolo 28, a loro avviso non contraria ma posta a tutela
delle produzioni di cioccolato di qualità in quanto la distinzione attualmente
adottata tra prodotti definiti “cioccolato” ma contenenti surrogati e prodotti definiti
“cioccolato puro” genera confusione tra i consumatori. La soluzione adottata con
l’articolo 28 si discostava infatti dalla direttiva europea, la quale prevede una
distinzione, prescrivendo una etichettatura obbligatoria con la dicitura “contiene
grassi vegetali oltre al burro di cacao”. Se tale dicitura compare accanto alla parola
“cioccolato”, il consumatore intende che si tratta di un prodotto di semplice
cioccolato, non pensa all’introduzione di un concetto nuovo quale quello di
cioccolato puro. Si ritene che le nostre industrie debbano essere messe in
condizione di non essere discriminate rispetto alle industrie degli altri Stati membri;
soprattutto, i nostri consumatori devono essere informati bene e in modo uniforme
rispetto al mercato e può essere trovato un modo per distinguere chiaramente tra i
diversi tipi di prodotto senza ricorrere alla soluzione arzigogolata trovata con
l’articolo 28, che rappresenta motivo di confusione.
Fonte: dati elaborati dal CIPI in base ad informazioni pubbliche
Questo episodio è esemplificativo delle conseguenze di un’azione di influenza, il
cui successo è spesso favorito dall’atteggiamento dei media, che devono essere
ugualmente sensibilizzati, ma suggerisce anche che il lobbying parlamentare deve
oltrepassare le frontiere nazionali.
I rapporti con le istituzioni europee possono essere facilitati dagli Esperti Nazionali
Distaccati (END), che sono funzionari nazionali inseriti nelle strutture comunitarie
per un periodo di media durata, a condizione, comunque, che la loro sia una
posizione strategica.
Si deve notare che spesso i funzionari italiani presso le istituzioni comunitarie si
rifiutano di cooperare con i rappresentanti delle istituzioni e delle imprese italiane.
Cooperare non significa violare “l’indipendenza dai governi nell’esercizio delle
proprie funzioni”, ma significa essere in grado di informare i connazionali
interessati sui processi decisionali in corso, sull’evoluzione del dibattito sulle
policies e sulla redazione dei documenti. Questo atteggiamento non si giustifica
anche alla luce delle attività di “informal or soft communication” che molti loro
omologhi di altre nazionalità fanno. È noto che, in certi casi, riunioni periodiche
settimanali sono organizzate da associazioni collegate alle istituzioni nazionali o a
gruppi d’interesse e in cui i funzionari sono cooptati. In realtà si effettua uno
scambio tra cooperazione del funzionario e sostegno al funzionario per il
raggiungimento dei suoi obiettivi.
Una perfetta comprensione del processo decisionale è essenziale per un lobbying
efficace: la durata del processo decisionale europeo non è sempre favorevole a un
lobbying d’urgenza.
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
e. Un buon comunicatore
Nell’avvicinarsi sia alla Commissione sia al Parlamento le strategie orali e scritte
devono essere combinate. Lo scritto è la base dell’esperienza. Al di là dell’analisi
pura e semplice, è importante evidenziare le conseguenze che deriverebbero
dall’applicazione di una proposta di testo comunitario e proporre soluzioni
alternative. L’orale permette di completare le informazioni date, d’insistere sui punti
cruciali e di persuadere i funzionari europei.
Il gruppo d’interesse, in uno spirito di trasparenza reciproca, deve rivelare
chiaramente l’identità delle persone, dell’ente o dell’impresa di cui tutela gli
interessi.
Le modalità di fare lobbying sono molteplici e rispondono ad aspettative diverse.
Un’impresa che voglia portare avanti un’azione puntuale opterà per i servizi di
un’agenzia di consulenza o di uno studio di avvocati, invece le grandi imprese o le
PMI rappresentate in seno a federazioni preferiranno creare una Rappresentanza
Permanente a Bruxelles.
Una simile rappresentanza impone dei costi (le spese operative di un ufficio a
Bruxelles con due persone ammontano globalmente ad un minimo di 300.000 euro
all’anno). È evidente che risulta più efficace federare interessi comuni in uno
stesso ufficio, aggregando più entità o imprese in una sorta di rete, invece di
lavorare come entità singole. Questo vale sicuramente per enti ed imprese di taglia
piccola e media. Invece, le grandi imprese, che devono sorvegliare una
molteplicità di materie, giustificano più facilmente i costi di un singolo ufficio di
rappresentanza.
Va da sé che un ufficio di rappresentanza di modeste dimensioni sarà
principalmente composto da generalisti, e che invece i grandi uffici hanno al loro
interno un gruppo di specialisti capaci di prestare maggior attenzione ai loro
rispettivi ambiti di interesse.
La sorveglianza sui processi legislativi può anche essere effettuata a partire dal
luogo d’origine (sede di residenza dell’impresa), dato che i siti comunitari sono
molto ricchi e precisi. In genere, le istituzioni comunitarie sono spesso più
trasparenti delle autorità nazionali.
L’informazione è, in effetti, alla base del lobbying. Il lobbista può agire in rete,
stringendo legami con altre rappresentanze sul posto.
Dei contatti personali permanenti, che spesso si trasformano in rapporti stabili con
i funzionari europei, permettono ai rappresentanti di essere fra i primi ad ottenere
le informazioni e a dispensare consigli sull’evoluzione delle politiche comunitarie. I
rapporti devono essere duraturi nel tempo.
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
3. Quando il lobbying diventa frode
Il lobbying non è formalmente contemplato dalla legislazione anti frode e anti
corruzione dell’Unione europea. Tuttavia, avendo il lobbying un’incidenza sui
processi decisionali dell’Unione europea esso costituisce “un’attività d’interesse”
per le strutture di controllo e di prevenzione, come l’Ufficio Europeo per la Lotta
Anti-Frode (OLAF).
Competenze dell’Ufficio Europeo per la Lotta Anti-Frode (OLAF)
Istituito nel 1999, l'OLAF è finalizzato a rafforzare la portata e l'efficacia della lotta
contro le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi comunitari. Per i
regolamenti di base dell'OLAF sono in corso modifiche, facenti seguito alle
raccomandazioni della Commissione e alla vicenda Eurostat.
Competenze
a) effettuare indagini amministrative esterne nel quadro della lotta contro la frode,
contro la corruzione e contro qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi
finanziari delle Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a
qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie;
b) effettuare indagini amministrative interne miranti a:
- lottare contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli
interessi finanziari delle Comunità;
- ricercare i fatti gravi, connessi con l'esercizio di attività professionali, che possano
costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità
perseguibile in sede disciplinare o penale o che possano costituire inadempimento
degli obblighi analoghi incombenti ai membri delle istituzioni, organi e organismi o
del loro personale cui non si applica lo statuto dei funzionari delle Comunità
europee;
- effettuare missioni d'indagine in altri settori su richiesta delle istituzioni e organi
comunitari;
- contribuire al rafforzamento della cooperazione con gli Stati membri nel campo
della lotta contro la frode;
- predisporre la strategia della lotta contro la frode (preparazione delle iniziative
legislative e regolamentari nei settori d'attività dell'Ufficio, compresi gli strumenti
previsti dal titolo VI del trattato di Amsterdam);
- effettuare qualsiasi altra attività operativa in materia di lotta antifrode (apprestare
le infrastrutture, raccogliere e utilizzare le informazioni, fornire assistenza tecnica);
- agire come interlocutore diretto delle autorità giudiziarie e delle autorità di polizia;
- rappresentare la Commissione nel settore della lotta antifrode.
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Per quanto riguarda le indagini interne, l'Ufficio ha accesso senza preavviso e
senza ritardo a qualsiasi informazione scritta in possesso delle istituzioni, degli
organi o degli organismi comunitari. Può anche chiedere informazioni orali a
qualsiasi persona interessata ed effettuare controlli in loco presso gli operatori
economici.
Qualora, nell'ambito di un'indagine interna, l'Ufficio individui la possibilità di un
coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario o
agente, l'istituzione, l'organismo o l'organo di appartenenza ne è informato, a
meno che quest'informazione non sia conciliabile con la necessità di mantenere il
segreto assoluto ai fini dell'indagine o di un'eventuale indagine nazionale.
Gli Stati membri, nonché le istituzioni, gli organismi e gli organi trasmettono
all'Ufficio, su sua richiesta o di propria iniziativa, ogni documento e informazione di
cui dispongono, relativi ad un'indagine in corso.
Tutte le informazioni comunicate all'Ufficio sono protette in modo adeguato.
Fonti giuridiche
Decisione 1999/352/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 28 aprile 1999,
che istituisce l'Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode [Gazzetta ufficiale L 136 del
31.05.1999].
Modalità di funzionamento
Regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25
maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la Lotta Antifrode (OLAF).
Regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo
alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF).
Accordo interistituzionale, del 25 maggio 1999, tra il Parlamento europeo, il
Consiglio dell'Unione europea e la Commissione delle Comunità europee relativo
alle indagini interne svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode.
Fonte: www.europa.eu.int
Data l’assenza di una normativa europea specifica applicabile al lobbying, è
difficile trattare la materia, se non in termini di etica e di deontologia delle
professioni. In ogni caso, è certo che qualsiasi attività di lobbying che si relazioni al
processo decisionale del sistema europeo potrebbe incorrere in azioni illegali o di
interferenza con gli adempimenti dei funzionari o degli agenti dell’Unione europea.
Nel caso di illegalità rilevate nel corso di attività di lobbying, la competenza
investigativa è dell’OLAF ma per il profilo giurisprudenziale interverrebero i tribunali
nazionali in base alla legislazione del luogo dove l’illecito è stato commesso,
oppure del Paese d’origine della società o persona incolpata.
A questo proposito, è bene segnalare che l’attuale sistema di controllo e lotta
contro le frodi, in effetti, si presta esso stesso ad azioni di destabilizzazione.
Questo perché l’intera legislazione che ha creato l’OLAF è stata una legislazione
d’emergenza (in coincidenza con gli scandali che hanno portato alle dimissioni
della Commissione Santer nel 1999), e necessariamente pecca di eccessi di
“garantismo”. Si pensi, ad esempio, all’effetto che potrebbe avere sulle istituzioni o
su certi attori europei l’iniziativa combinata di un individuo che denunci
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
informazioni su dei fatti che potrebbero essere rilevanti ai fini di un’inchiesta, e a
quella che lo stesso individuo potrebbe richiedere all’Ombudsman. Un caso che in
questo senso è emblematico è quello noto come “Blue Dragon Case”30 (2004), in
cui si intrecciano affari, corruzione, frode, diverse istituzioni degli Stati membri,
cittadini e istituzioni comunitarie, nonché tentativi di destabilizzare la stessa
OLAF31.
Se da un lato esistono lobby dichiarate e riconoscibili, e quindi in questo senso
partecipanti al gioco democratico europeo, ne esistono altre piuttosto occulte e
trasversali che fanno uso pervicace di “mercenari” nel sistema europeo, tanto
all’interno quanto attorno alle istituzioni europee. Mentre le prime esprimono in
modo trasparente, anche se “non sempre piacevole e corretto”32, un legittimo
diritto di far valere un interesse dichiarato, le seconde agiscono usando un sistema
di “cavalli di Troia” che mettono in crisi l’intero sistema europeo. Si tratta in pratica
di veri “mercenari” al servizio di certi interessi, molto spesso “personali”. Questi
“mercenari” si possono nascondere in qualsiasi settore, ufficio o attività
professionale, o livello istituzionale.
Una riflessione è stata avviata sul ruolo della stampa nelle attività di lobbying. A
questo proposito, l’OLAF ha promosso e organizzato una serie di attività di
informazione e di comunicazione come strumenti di prevenzione della frode, che
spesso, e a torto, è percepita come un “reato senza vittime”, e quindi meno
rilevante di altri. Invece, una maggiore trasparenza permetterebbe ai cittadini di
capire come e perché è speso il denaro pubblico, riducendo così la distanza tra
cittadini e istituzioni.
È evidente che per questa ragione è necessario stabilire delle regole che
permettano di discriminare tra il lobbying accettabile e quello da perseguire. In
questo senso si colloca l’iniziativa della Commissione per cercare una definizione
condivisa di lobbying e di lobby e per fissare delle regole autogenerate dagli stessi
attori, dei Codici di Condotta33.
È in corso in questi mesi un ampio dibattito sulle possibilità di regolamentare il
lobbying a livello europeo. Fino al momento della redazione di questo Rapporto,
non sembra che questo dibattito abbia interessato gli attori italiani del lobbying
istituzionale e privato, come testimonia l’assenza dei loro contributi alle
consultazioni lanciate dalla Commissione europea34.
30
http://europa.eu.int/comm/anti_fraud/press_room/pr/2004/13_en.html
Si veda ad esempio le interrogazioni parlamentari di Lorenzo Cesa (P2773/04 e P4024/05) che
cercano di attrarre l’attenzione proprio sui tentativi di destabilizzazione dell’OLAF.
32
Si pensi ai ben noti casi di lobbying sostenuti dalla società americana Philip Morris per
pubblicizzare e accreditare “posizioni scientifiche” favorevoli al proprio business.
33
Tra gli altri si vedano il sito di Euractiv http://www.euractiv.com/Article?tcmuri=tcm:29-15171716&type=News e quello dell’Unione europea www.europa.eu.int
34
Si veda il sito http://europa.eu.int/comm/commission_barroso/kallas/transparency_en.htm e si noti
l’assenza delle parti italiane a questo dibattito.
31
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
4. Pensare oltre le pubbliche relazioni
In un mondo relativamente piccolo e dove contavano valori culturali tradizionali, le
pubbliche relazioni erano efficientissime. Essere visibili in società ed avere molti
amici era la chiave del successo. Lo stesso si applica a qualsiasi gruppo
autoreferenziale, sia esso una società o un Paese.
Nel mondo di oggi, virtualmente infinito, in cui i valori culturali tradizionali contano
sempre meno, le pubbliche relazioni e le amicizie non servono più a molto. La
rivoluzione tecnologica che ci spinge verso un “mondo piatto” e la scomparsa dei
limes nei quali si era abituati ad agire, pone il problema centrale di adattare le
proprie capacità e modalità di comunicazione per essere ascoltati e ricordati come
interlocutori “utili”.
Queste osservazioni valgono tanto per gli individui che per le società e gli Stati.
Siamo ormai obbligati a:
1. Cercare di capire i cambiamenti in corso;
2. Immaginare un approccio metodologico per la gestione del self-interest
nella nuova situazione;
3. Integrare i cambiamenti e i nuovi parametri in molti settori politici ed
economici come una realtà.
Il nuovo sistema vive nella rapidità e nell’esponenzialità dei fenomeni che
generano enormi opportunità, ma anche insicurezza ed instabilità crescenti per
tutti i settori dell’attività umana.
Le caratteristiche del nuovo sistema sono: conoscenza - interconnettività ipercompetitività.
È evidente a tutti che in questo contesto le pubbliche relazioni sono ormai
inadeguate, e in molti casi deleterie.
Strategia, capacità di anticipazione e lobbying sono i nuovi strumenti che
permettono agli individui, alle società e agli Stati di tutelare il self-interest in un
mondo molto complesso. La comunicazione e le pubbliche relazioni non sono che
degli strumenti operativi.
Occorre riorganizzarsi, strutturalmente e culturalmente, per saper agire con
rapidità ed efficacia di fronte alle novità, e per gestire le discontinuità strutturali
(asincronismi) e le asimmetrie informative, che influenzano affidabilità, reputazione
e ricchezza di Paesi, aziende, o individui:
-
Non ragionare in base alle certezze tradizionali ma cambiare i riferimenti
culturali che usiamo nella nostra vita e attività;
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
-
Comprendere, con un certo anticipo, i cambiamenti nei sistemi
complessi;
-
Saper influenzare i processi decisionali che sottendono alle decisioni e
agli eventi, agendo sui connettori e sui punti critici del sistema.
Il successo di Paesi, aziende, e individui, non è frutto della casualità ma è correlato
alla capacità di saper usare e bilanciare i nuovi canali d’aggregazione e
d’interconnessione del mondo reticolare: fiducia – cooperazione - potere.
La Policy Analysis e la Strategia sono le metodologie che permettono a Paesi,
aziende, e individui di circoscrivere gli obiettivi da raggiungere, mobilitare ed usare
al meglio le risorse disponibili, ed ottenere risultati concreti. In altre parole, solo un
nuovo approccio alla realtà permette di influire sul corso degli eventi, sulle scelte di
policy che li determinano (lobbying), evitando di trovarsi nella scomoda, e
pericolosa, situazione di subirli impotenti e rassegnati.
Con il termine lobby o organizzazione lobbistica si intende oggi il gruppo
portatore di interessi da tutelare e non, come vuole l’accezione comune,
qualcosa di molto vicino ad interessi oscuri, con intenti di corruzione o di
cattiva gestione.
Il lobbying è la trasmissione di messaggi dal gruppo di pressione ai
decision maker, quindi è uno strumento articolato e complesso di
comunicazione.
Il lobbismo è l’insieme delle tecniche e attività che consentono la
rappresentanza politica degli interessi organizzati: il lobbying è in
generale la faccia politica di tali gruppi di interesse.
La finalità del lobbying è quella di influenzare, in modo chiaro e
trasparente, le decisioni delle autorità di governo tramite l’informazione
e la mobilitazione.
Mentre l’Italia e gli italiani restano prevalentemente ancorati alle logiche culturali
dell’emergenza e dell’amicizia per risolvere i problemi, con un rischioso
sconfinamento verso l’illecito, il mondo e l’Europa cambiano profondamente.
Venticinque anni fa prevalevano i settori dell’agricoltura e dello sviluppo, ma oggi
sono attuali appalti, concorrenza, e servizi. Chi più di 20 anni fa riusciva a fare la
sua cifra d’affari di lobbista con agricoltura e sviluppo, oggi si trova in difficoltà
rispetto al nuovo. L’Italia e gli italiani devono ormai farsene una ragione oppure
essere marginalizzati, dall’Europa e dal mondo che cambia. Le idee, lo stile e le
modalità non possono più essere quelle di allora!
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Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa
Riflessioni sul contesto geopolitico
L’avvenire di Paesi, aziende e persone si giocherà, e già si gioca, in un contesto di rapide mutazioni.
Per continuare ad avere un ruolo all’altezza della storia e delle ambizioni di ciascuno è imperativo
oggettivare il presente per accelerare la propria mutazione, coscienti dell’intensità crescente della
concorrenza nel mercato mondiale. Avere coscienza della propria situazione rispetto alle sfide poste
dai cambiamenti attuali è il primo passo per poi sviluppare la visione e le strategie di medio e lungo
periodo. In un momento in cui altre zone del mondo fanno prova di dinamismo e di crescita
economica impressionanti, l’attuale atonia economica e politica, e in modo più preoccupante della
crescita, nella zona Euro nel suo insieme, riflette i limiti di un modello socio-economico e culturale.
Dopo il 1989, tra tutti i grandi insiemi democratici mondiali, l’Europa degli eredi di Schuman e
Adenauer è la sola retroguardia, prigioniera dell’illusione e dell’ansia generate dalle sue certezze e
dalla tradizione. Questa situazione si spiega per lo stato d’emozione negativa caratterizzata dal
timore di pericoli imminenti nei confronti dei quali gli europei avvertono dolorosamente la propria
impotenza, mettendo in atto meccanismi di autodifesa che li spingono a ricercarne le cause nell’altro
da sé. L’Europa oscilla tra isolazionismo e multilateralismo, usando in modo ambivalente queste
pulsioni nei confronti di Paesi potenti o di quelli poveri.
La concezione geopolitica europea, eminentemente legata all’immagine di finis terrae,
dell’Occidente finito, è stata sconvolta dagli eventi del 1989. Da quel momento, l’Europa non è più
stata “il premio conteso” tra Occidente e URSS. Gli eventi del 2001 hanno contribuito a dissolvere il
concetto d’Occidente finito. Intanto, l’America emerge come il “Paese-mondo”. In altre parole, se
erano il primo tra i Paesi occidentali, “gli USA stanno diventando un sincretismo dell’intero pianeta
35
con un tropismo asiatico” . Il destino dell’Europa, le sue istituzioni e la sua sicurezza figurano
sempre meno nell’agenda delle priorità americane. Ciò ha sorpreso la tradizione europea,
mettendola di fronte ad una realtà fatta di frontiere aperte e flessibili, e di spazi indefiniti.
Non esistendo più un centro al quale si contrappone una realtà esterna, oggi le logiche e i
ragionamenti tradizionali della geopolitica non hanno più senso. I parametri del nuovo sistema
mondiale nascente implicano la necessità di un cambiamento profondo nel modo di immaginare se
stessi, Paesi, aziende, o persone. Assai rapidamente, si è passati da un sistema fondato sulle
relazioni con gli “altri da sé” ad un sistema che include tutti, iperconnessi su una sola piattaforma
reticolare comune. L’altro da sé svanisce. Gli eventi che una volta erano esterni e distanti dal nostro
“piccolo mondo”, sono oggi vicini a noi con un’influenza diretta ed immediata sulle nostre attività.
Questo cambiamento ha reso il mondo più piccolo, ma anche molto più rapido e complesso. Per
capire la complessità non sono più affidabili i parametri economicisti, naturalisti, o deterministi. Dai
primi anni novanta, scienze che studiano la complessità dei sistemi e le reti hanno aperto nuovi
orizzonti intellettuali e forniscono gli strumenti necessari per agire nella nuova situazione.
Il tentativo di alcuni leader di proiettare la propria potenza a partire da un centro che essi stessi
definiscono e localizzano è ormai inefficace e pericoloso. Ciò vale tanto per i Paesi che per le
aziende. Nella nuova situazione, la costruzione di un centro di potere, politico, economico, o militare,
costituisce un tallone d’Achille assai vulnerabile. Ciò a causa dell’instabilità propria dei sistemi
reticolari complessi, che possono improvvisamente e rapidamente invertire i flussi che avevano
giustificato una certa decisione. Dallo studio delle reti complesse si capisce che il potere, sia esso di
un Paese, di un’azienda, o di una persona, può perpetuarsi ed accrescersi solo se è esercitato
secondo logiche reticolari, senza isolarsi in un solo centro di controllo e senza escludere alcun altro
potere o alcun’altra forza produttiva. In pratica, solo il potere strutturato in modo reticolare può
competere con o combattere contro un’altra rete di potere. Inevitabilmente, questa nuova situazione
influisce direttamente sulla concezione e sulla capacità d’esercizio della sovranità e delle attività
economiche.
35
Si veda, di Alain Minc, Ce monde qui vient, Grasset, Paris, 2004.
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54
Capitolo II
La mappa delle lobby
italiane a Bruxelles
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55
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
1. Le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles
In questo capitolo dedicato alle rappresentanze d’Italia sono state prese in
considerazione le missioni diplomatiche e consolari che rappresentano il governo
italiano all’estero. Per ragioni di collegamento funzionale, sono state anche prese
in considerazione le rappresentanze istituzionali italiane, e le associazioni a
vocazione economica.
Le missioni diplomatiche e consolari curano e tutelano gli interessi dell’Italia nei
rispettivi settori, includendo l’insieme della pubblica amministrazione intesa come
sistema régalien. Esse tutelano e promuovono gli interessi della collettività
nazionale e dei cittadini italiani sul territorio di un altro Stato o nei confronti di un
soggetto internazionale in possesso di una certa sovranità riconosciuta. In Belgio,
la tipologia delle rappresentanze d’Italia rientra in almeno due categorie: le
relazioni inter-statuali e le relazioni internazionali.
In considerazione della specificità della capitale del Belgio, che è allo stesso tempo
capitale nazionale e capitale internazionale, sede dell’Unione europea e di
un’organizzazione internazionale, la NATO, è difficile mantenere una netta
separazione tra le tipologie di missione diplomatica, se non per motivi
eminentemente di specializzazione.
Dal punto di vista dei cittadini italiani in Belgio, che siano o meno collegati al
sistema dell’Unione europea o della NATO, l’Ambasciata d’Italia presso il Regno
del Belgio è il punto di riferimento nazionale, politico e amministrativo. Come parte
del complesso Ambasciata sono accreditati in Belgio il Consolato d’Italia a
Bruxelles e l’Istituto Italiano di Cultura. Il primo è l’espressione operativa
dell’amministrazione della collettività italiana36, il secondo è il promotore
dell’identità linguistica e culturale italiana in Belgio. D’altra parte, le due
Rappresentanze presso l’Unione europea e presso la NATO sono un’espressione
tecnico-politico-diplomatica del governo italiano, delle rappresentanze di
collegamento tra il governo italiano e le strutture sovranazionali o internazionali
presso le quali sono accreditate.
In più di un’occasione si dibatte, non solo in Italia, se il ruolo delle missioni
diplomatiche degli Stati membri dell’Unione europea, definite bilaterali, abbia
ancora un senso nel quadro del sistema europeo. Se una serie di motivi storici e
amministrativi, ma anche di prestigio nazionale, giustificano il mantenimento di
queste rappresentanze, alcuni Paesi hanno silenziosamente iniziato a rimodulare
le attività delle loro missioni diplomatiche bilaterali a Bruxelles, in Europa.
Certi Consolati e Istituti di Cultura - britannici, cinesi, francesi, polacchi, tedeschi,
per fare qualche esempio - per non dire poi di alcune Camere di Commercio, di cui
la più evidente è la AmCham degli Stati Uniti, hanno “sdoppiato” le proprie attività:
talune rivolte al ruolo tradizionale nei confronti del Paese ospite, altre rivolte alla
specificità internazionale della sede in cui si trovano. In quest’ambito l’Italia sta
cercando di dotarsi di un approccio più dinamico che rifletta la novità del mondo
36
Sottolineando ancora la specificità della realtà di Bruxelles, il Consolato d’Italia offre servizi ad una
comunità italiana che conta più di 60.000 persone.
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56
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
reticolare europeo e globale. Si pensi ad esempio ai protocolli d’intesa tra il
Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per le Attività Produttive per far
convergere l’azione italiana in materia economica e imprenditoriale su un’unica e
coesa strategia nazionale.
In termini numerici esiste un deficit italiano, nel senso che le missioni diplomatiche
degli altri Paesi sono più numerose e con migliori dotazioni finanziarie, ma esiste
anche un deficit di concezione, mezzi e risorse, e di formazione del personale che
viene inviato nelle rappresentanze a Bruxelles. Inoltre, un avvicendamento
piuttosto sostenuto tra i Rappresentanti Permanenti presso l’Unione europea
(2000-2003) ha nuociuto alla continuità delle strategie e del lavoro costruttivo in
una sede che invece richiede l’esatto contrario: Bruxelles richiede pazienza,
tenacia, stabilità e continuità nell’esercizio della rappresentanza degli interessi
nazionali e dell’azione nell’ambito delle istituzioni europee e comunitarie.
1.1 L’Ambasciata d’Italia presso il Regno del Belgio
Nel sistema delle rappresentanze d’Italia a Bruxelles, l’Ambasciata d’Italia ha
minore visibilità e risorse rispetto alle due Rappresentanze presso l’Unione
europea e la NATO. Nonostante questa condizione, si deve sottolineare come il
ruolo che l’Ambasciata d’Italia in Belgio è chiamata a svolgere sia atipico rispetto
alle altre ambasciate bilaterali nell’Unione europea. Questa atipicità deriva dalla
specificità della sede - Bruxelles, capitale d’Europa - nella quale oltre alle
tradizionali amminstrazioni funzionalmente collegate all’Ambasciata bilaterale,
risiedono circa 119 uffici italiani, dalle Regioni alle imprese, dai media alle unioni
camerali.
L’Ambasciata d’Italia ha competenze molto ampie e inclusive di una larga parte
degli interessi italiani rappresentati sul territorio del Belgio:
a) Strutture accreditate presso il Belgio come parte del complesso
Ambasciata:
a.
Consolato d’Italia a Bruxelles
b.
Istituto Italiano di Cultura
b) Strutture collegate funzionalmente all’Ambasciata d’Italia:
a.
Le rappresentanze istituzionali a Bruxelles
i. Banca d’Italia
ii. Ente Nazionale Italiano per il Turismo – ENIT
iii. Istituto per il Commercio con l’Estero – ICE
iv. Unioncamere
b.
Le associazioni a vocazione economica a Bruxelles
i. Camera di Commercio Belgo-Italiana
In particolare, il rappresentante della Banca d’Italia è accreditato presso
l’Ambasciata come l’Addetto finanziario dell’Italia in Belgio, ma svolge anche un
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
ruolo verso l’Unione europea. Anche il Direttore dell’ufficio dell’ICE a Bruxelles è
accreditato presso l’Ambasciata come l’Addetto alla promozione degli scambi
commerciali dell’Italia in Belgio, ma svolge anche un ruolo sempre crescente verso
l’Unione europea. In virtù di un protocollo d’intesa tra il Ministero degli Affari Esteri
e l’ENIT e l’ICE, il rapporto funzionale tra queste amministrazioni e l’Ambasciata
porta anche alla redazione di rapporti congiunti: rapporti di attività annuali in
materia di turismo, e rapporti di attività semestrali in materia di promozione
commerciale. Per quanto riguarda il sistema camerale italiano, l’Ambasciata d’Italia
ha poteri di vigilanza sulle Camere di Commercio e le Unioni camerali italiane in
Belgio. Infine, si può ricordare anche l’associazione Gruppo Iniziativa Italiana (GII)
che gode di un collegamento con l’Ambasciata d’Italia che ne ha la presidenza
onoraria.
Come si puo’ intuire, l’Ambasciata d’Italia in Belgio è un sistema articolato di
rappresentanza degli interessi italiani, specifico alla realtà di capitale d’Europa e di
sede internazionale, che va ben al di la di un’Ambasciata presso un singolo Paese.
In realtà, però, a seguito della continua contrazione delle risorse umane e
finanziarie, l’Ambasciata d’Italia non riesce ad esprimere tutto il suo potenziale.
D’altra parte, se si compara in termini sistemici cosa fanno gli altri Paesi europei, si
comprende che con quest’approccio l’Italia si priva, da sola, di una risorsa
fondamentale per creare sistema nella comunità italiana presente a Bruxelles, e
quindi in Europa.
Per avere un’idea della valenza europea delle attività del complesso Ambasciata
d’Italia in Belgio, portiamo qualche esempio:
a) Su iniziativa dell’Ambasciata d’Italia, durante la Presidenza italiana
dell’Unione nel 2003, le importanti attività culturali promosse dalla
fondazione belga Europalia hanno assunto un rilievo internazionale ed
europeo con un coinvolgimento massiccio delle Rappresentanze italiane;
b) In materia di lingua e sezioni italiane della Scuola Europea a Bruxelles,
l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto di Cultura sono impegnati a costruire una
forte lobby italiana a sostegno degli interessi linguistici, culturali e educativi
della comunità italiana residente;
c) L’Istituto di Cultura svolge un ruolo di rappresentanza della cultura e della
lingua italiana anche in sede europea e comunitaria, ad esempio attraverso
l’appartenenza a pieno titolo al CICEB (Consociatio Institutorum Culturalium
Europaeorum Inter Belgas) che riunisce in un’associazione 12 centri
culturali di Paesi europei;
d) Il Consolato d’Italia a Bruxelles svolge attività di servizi amministrativi per i
cittadini italiani, e quindi anche per il personale italiano impegnato nelle
istituzioni comunitarie e internazionali, e per gli italiani impegnati in attività
professionali presso aziende estere con sede a Bruxelles. Inoltre, il
Consolato svolge anche la funzione di Provveditorato agli Studi in Belgio,
dove hanno sede varie scuole internazionali frequentate da cittadini italiani.
e) Sulle questioni commerciali, l’Ambasciata d’Italia, in coordinamento con
l’ICE e la Rappresentanza d’Italia presso l’Unione europea, ha iniziato tavoli
di consultazione con le realtà economiche italiane rappresentate in Belgio;
f) La Camera di Commercio Belgo-Italiana organizza corsi di formazione in
materie europee ed offre attività di sostegno alle imprese italiane per
partecipare a bandi comunitari;
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
g) L’ICE a Bruxelles svolge attività di collegamento con le istituzioni
comunitarie per la tutela degli interessi commerciali italiani e fornisce vari
servizi in tal senso alle imprese italiane;
h) Unioncamere nazionale, che ha solo da qualche mese elevato il livello della
propria rappresentanza a Bruxelles nominandovi un direttore, svolge un
ruolo di networking, di assistenza tecnica alle Camere di Commercio
italiane, oltre che di informazione e di promozione del dibattito sulle materie
europee.
1.2 La Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione
europea
All’interno della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea
opera personale diplomatico, coadiuvato da personale appartenente ad altre
carriere delle amministrazioni centrali e decentrate dello Stato37. Poichè l’attività
svolta dalla Rappresentanza è sempre più direttamente dipendente dalla
conoscenza tecnica dei dossier da trattare, si è resa necessaria la presenza di vari
rappresentanti qualificati dell’amministrazione centrale e decentrata dello Stato per
trattare nel miglior modo i dossier di competenza. Inoltre, la rappresentanza cura e
tutela gli interessi su questioni europee anche di soggetti privati, associativi, e del
funzionariato internazionale.
L’esercizio delle responsabilità attribuite alla Rappresentanza Permanente d’Italia
presso l’Unione europea incide direttamente sulla formazione delle normative e
regolamentazioni che diventano applicabili in modo diretto, o mediato dal
recepimento, nel sistema giuridico e amministrativo italiano. Va notato, tuttavia,
che la Rappresentanza pur avendo poteri negoziali, per l’approvazione delle
decisioni comunitarie in sede di Consiglio richiede il necessario intervento di
rappresentanti governativi di rango ministeriale. Tuttavia, non va sottovalutata
l’importanza del lavoro preparatorio dei documenti che, una volta arrivati al
momento della decisione a livello ministeriale, non sono più facilmente modificabili.
Questa tipologia di rappresentanza diplomatica è “permanente” per indicare la
continuità e la contiguità del collegamento tra le amministrazioni centrali e
decentrate dello Stato con l’organizzazione intergovernativa (Unione europea)
presso la quale è accreditata. Si tratta di un collegamento operativo e settoriale
piuttosto che di un collegamento classico di legazione diplomatica.
La delicatezza del ruolo e della gestione delle istruzioni ricevute dal Governo, e
questo in particolare quando la Rappresentanza svolge il ruolo negoziale con altre
entità governative, richiede competenze quasi esclusivamente diplomatiche.
Tuttavia, nella complessa macchina europea si deve notare l’incidenza dei
funzionari e dei rappresentanti non diplomatici che partecipano ai diversi livelli di
produzione normativa e regolamentare nella formazione delle policy. In pratica, se
37
Nel 2006, dei 79 funzionari accreditati dalla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione
europea, circa 30 sono funzionari diplomatici.
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59
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
la funzione diplomatica era preponderante nel sistema europeo fino alla metà degli
anni ’80, dopo l’Atto Unico, e ancor di più dopo il Trattato di Maastricht (1992), la
funzione strettamente diplomatica si applica in modo prevalente agli interventi in
sede di Consiglio. Un’ampia parte dell’attività normativa europea è affidata ad altri
agenti che rappresentano gli interessi nazionali, privati e pubblici, alle lobby, e ai
membri del Parlamento europeo. L’espansione dei procedimenti normativi e
decisionali in co-decisione ha ulteriormente accresciuto la rilevanza di questi
agenti non diplomatici.
È evidente che in questo contesto le attività delle Rappresentanze Permanenti
sono sempre di più, e necessariamente, volte all’inclusione e al dialogo con tutte le
parti che a diverso titolo sono portatrici attive dell’interesse nazionale. In pratica, la
Rappresentanza Permanente diventa il pilastro strategico della promozione e della
penetrazione degli interessi nazionali nel sistema europeo. Il ruolo di
rappresentanza diplomatica classica è così rimodulato su quello di coordinamento
e di gestione dei sistemi nazionali d’influenza.
D’altra parte, il sito Web della Rappresentanza Permanente del Regno Unito
presso l’Unione europea è molto esplicito.
What does the UK Representation do?
“Our job is to represent the UK's interests in the EU. We are civil servants drawn from a
wide range of British Government Departments. We spend our time negotiating and
lobbying on behalf of the UK.
This means we work closely with the 24 other Member States, the European
Commission and the European Parliament. And we keep in touch with anyone who has
an interest in what happens here, or who is affected by the EU. This includes British
companies, their employees, the UK regions, British Parliamentarians, lobbyists,
consultants, academics and the media. We also help British business looking for
commercial opportunities.
I hope this site will make it easy for you to find out who does what in UKRep, and what
is going on in the EU. It also includes details of the Scottish Executive, Welsh
Assembly and Northern Ireland Executive offices in Brussels. We work closely with
them too”.
Fonte: http://www.ukrep.be/, febbraio 2006
Infine, è opportuno sottolineare che il ruolo e il mandato della Rappresentanza
d’Italia presso l’Unione europea si deve considerare nell’ambito della pubblica
amministrazione italiana specialmente e principalmente preposta alle relazioni
internazionali dello Stato. Pur avendo un’importanza determinante nell’attuazione
della politica estera dello Stato, la dimensione effettiva dei poteri della
Rappresentanza riflette l’equilibrio costituzionale tra gli organi dello Stato.
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60
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
1.3 La Rappresentanza Permanente italiana a confronto con
quelle europee
Una valutazione quantitativa del numero di funzionari repertoriati per le
Rappresentanze Permanenti dei Paesi paragonabili all’Italia per dimensioni puo’
essere un indicatore utile per capire l’indirizzo e le priorità nazionali negli affari
europei38.
Composizione di alcune Rappresentanze Permanenti presso l’Unone Europea
Totale
funzionari
nel 2005
Regno
Unito
109
Francia
100
Germania
96
Spagna
88
Italia
79
Polonia
75
Assegnazione settoriale più numerosa
Sviluppo, relazioni esterne, e commercio (41), Industria e
Mercato interno (16),
Affari sociali, ambientali e regionali (11)
Politiche interne (25),
Relazioni esterne (20),
PSC (15)
Affari politici (44),
Affari economici (16),
Affari Finanziari (15)
Industria, turismo e commercio (12),
Agricoltura, pesca, e alimentazione (9),
Economia e finanze (8)
Affari generali e Relazioni esterne (9),
Ecofin (8),
Giustizia e Affari Interni (8)
Relazioni esterne (8),
Giustizia e Affari interni (7),
Economia e Commercio (7)
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006
Ripartizione settoriale e totale dei funzionari
della Rappresentanza Permanente Italiana
Giustizia e Affari
Interni
8
Ecofin
8
Affari generali e
Relazioni esterne
9
25
Totale Funzionari
0
10
54
20
30
40
50
60
70
80
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006
38
Sono stati riportati i primi tre settori con maggiore allocazione di funzionari per ciascuna
Rappresentanza presa in esame.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Francia
Ripartizione settoriale e totale dei funzionari presso le Rappresentanze
permanenti di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna
Affari finanziari
15
Affari economici
16
44
Affari politici
75
Totale Funzionari
Germania
0
20
Affari finanziari
15
Affari economici
16
40
80
75
0
Regno Unito
60
100
44
Affari politici
Totale Funzionari
20
Affari sociali,
Ambiente, Regioni
21
40
60
80
100
11
Industria, Mercato
Interno
16
Sviluppo, Relazioni
Esterne,
Commercio
41
68
Totale Funzionari
0
Spagna
21
20
Economia e
Finanze
8
Agricoltura, Pesca,
Alimentazione
9
Industria, Turismo,
Commercio
12
41
40
60
29
Totale Funzionari
0
20
80
120
59
40
60
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62
100
80
100
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Sebbene gli indicatori riportati indichino che alcuni Paesi membri dell’Unione
europea (Regno Unito, Francia, Germania) concentrano tra il 60% e l’80% delle
loro risorse funzionariali a Bruxelles su tre settori, e che gli stessi tre Paesi
dispongono di un numero maggiore di funzionari rispetto all’Italia, non si devono
trarre conclusioni affrettate. Ad esempio, le categorie settoriali tedesche sono
molto ampie rispetto a quelle degli altri Paesi, ed è quindi logico che il numero di
funzionari per categoria sia maggiore nel caso tedesco rispetto all’Italia. Essendo
dati aggregati, questi indicatori non possono che servire a stimolare la riflessione
sull’indirizzo e sulle priorità che ciascun Paese vuole dare alla sua
Rappresentanza presso l’Unione europea.
Nel caso italiano si deve segnalare che, rispetto ai primi tre Paesi, l’Italia inquadra
ancora gli affari europei come parte integrante della politica estera. Solo agli inizi
del 2006 è stata approvata con un decreto del Presidente del Consiglio la
creazione di un organo interministeriale di coordinamento per l’insieme delle
attività italiane verso l’Unione europea (CIACE). Questa struttura porterebbe l’Italia
ad un livello organizzativo at home comparabile agli altri grandi Paesi europei.
Infatti i tre Paesi sopra citati dispongono di forti strutture di coordinamento a livello
del Primo Ministro o del Cancelliere, dotate di un mandato chiaro e di uno staff
conseguente. Ad esempio, in Francia esiste un organo oggi denominato SGAE39
con oltre 150 funzionari, che nelle sue forme precedenti esiste dal 1948.
Il CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei)
Il CIACE (Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei) è
previsto dalla Legge 4 febbraio 2005 n. 11, art. 240 e poi attuato con DPCM
del 9 gennaio 200641.
È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed ha il compito di
concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della
posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e
dell'Unione europea.
È convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o dal
Ministro per le politiche comunitarie, e prevede anche la partecipazione del
Ministro degli Affari Esteri, Ministro per gli Affari Regionali e degli altri Ministri
aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche
inseriti all'ordine del giorno.
Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato
tecnico permanente istituito presso il Dipartimento per le Politiche
Comunitarie, coordinato e presieduto dal Ministro per le Politiche Comunitarie
o da un suo delegato. Quando si trattano questioni che interessano anche le
regioni e le province autonome sono ammessi a partecipare alle riunioni il
Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia
autonoma da lui delegato.
Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri
39
http://www.sgae.gouv.fr/index.html
“Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. Pubblicata sulla GU n. 37 del 15-2-2005.
41
Registrato alla Corte dei conti il 24 gennaio 2006.
40
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Un altro indicatore per percepire nell’insieme le attività delle Rappresentanze
Pemanenti può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione delle
attività delle Rappresentanze attraverso i propri siti Internet.
Abbiamo voluto tracciare un grafico della presentazione delle questioni europee di
rilevanza per le Rappresentanze come appare nei loro siti Internet42.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei
nei siti Web delle Rappresentanze Permanenti
40
35
30
25
20
15
10
5
0
REGNO UNITO
ITALIA
SPAGNA
GERMANIA
Fonte: elaborazione CIPI, 24 febbraio 2006
42
I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle
attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente
trattato. Si veda pagina 32. Si noti che al momento della ricerca il sito della Rappresentanza di
Francia era off line
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
1.4 Due Rappresentanze ministeriali tecnico-progettuali
Durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea nel 2003, le
Rappresentanze d’Italia tradizionali, quelle che dipendono per mandato dal
Ministero degli Affari Esteri, sono state coadiuvate da alcuni uffici delle
ammistrazioni centrali dello Stato. In particolare, il Ministero dell’Ambiente e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Regionali (PORE).
Nello stesso periodo furono aperti anche altri uffici temporanei: Presidenza del
Consiglio – Dipartimento delle Politiche Comunitarie; Ministero del Welfare. Al
termine della Presidenza italiana questi ultimi uffici hanno cessato di esistere a
Bruxelles.
La Rappresentanza del Ministero dell’Ambiente nella sede dell’Unione europea
In base alla considerazione, tutt’altro che ovvia, che “Bruxelles non è una sede
internazionale ma riguarda direttamente le politiche nazionali, e che quindi i
dossier sono tecnici e dovrebbero essere gestiti direttamente dai Ministeri
competenti”43, durante la Presidenza italiana dell’Unione il Ministero dell’Ambiente
decise di aprire il proprio ufficio di collegamento e rappresentanza presso le
istituzioni europee a Bruxelles.
Il mandato dell’ufficio è di scouting e monitoraggio dei progetti dell’Unione europea
in materie attinenti le attività del Ministero dell’Ambiente e del Territorio. Gli
obiettivi sono:
a) Incidere sulle normative europee
b) Strutturare la partecipazione a progetti per ottenere fondi europei
Dal 2005 il Ministero ha concluso un accordo con l’ICE per inquadrare in modo
congiunto i propri uffici all’estero in quelli dell’ICE.
Ad oggi, l’ufficio è attrezzato per essere “competitivo e aggressivo” ed è composto
da una task force di 6 persone che include esperti del Ministero, dell’ICE e di
Studiare Sviluppo (società pubblica del Ministero del Tesoro).
Risultati dell’ufficio di Bruxelles del Ministero dell’Ambiente
2003-2004
- Capacità di gestione di almeno un dossier al giorno in materia normativa
- Riconoscimento del ruolo e del posizionamento del Ministero come interlocutore
di qualità dell’Unione europea
- Esempi di success stories:
o Normativa su Climate Change: la Commissione ha modificato il proprio
approccio adottando una posizione meno unilaterale (nel 2005)
o LIFE: l’Italia ha avuto il maggior numero di progetti finanziati
2005
- Esempi di success stories:
o Per la prima volta un Ministero italiano riceve finanziamenti europei in cofinanziamento per un valore di €4.5 milioni per 7 progetti di cooperazione
internazionale (Mediterraneo; Cina; Marocco; Balcani; Tunisia)
Fonte: Ministero dell’Ambiente
43
Dichiarazione di Corrado Clini, Direttore Generale, Ministero dell’Ambiente.
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65
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
La Rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella sede
dell’Unione europea – Progetto Opportunità delle Regioni in Europa (PORE)
Partendo da considerazioni analoghe a quelle del Ministero dell’Ambiente, l’ufficio
del PORE fu creato nel 2003 in base ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri che ne prevede il mantenimento fino al 2007. Si tratta di una “struttura
di missione” dotata di autonomia per il perseguimento di due obiettivi:
a) Informazione: monitoraggio legislativo europeo nelle materie rilevanti le
Regioni;
b) Formazione: per favorire la partecipazione delle Regioni italiane alla
produzione legislativa europea (nella fase ascendente, comitatologia).
La presenza delle Regioni italiane nelle strutture dette di comitatologia è ancora
scarsa, occasionale e poco costante. Questa situazione indebolisce l’azione
regionale e nazionale per incidere sulle legislazioni europee sin dall’inizio della loro
gestazione. Anche la preparazione tecnica delle persone inviate nei Comitati non
facilita l’incidenza dell’intervento italiano. Il PORE vuole incidere su questa
situazione, modificandola a favore dell’Italia.
L’analisi dei successi italiani in materia di fondi non strutturali è ancora troppo
occasionale e non sistematica. Il PORE vuole incidere anche su questa situazione,
modificandola a favore dell’Italia.
Per espletare queste funzioni il PORE ha stabilito contatti con tutte le rilevanti
entità italiane e delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, va precisato che il PORE non
svolge attività in materia di fondi strutturali o di coordinamento tra le Regioni
italiane.
Gli obiettivi dell’ufficio del PORE a Bruxelles possono riassumersi come segue:
a) Fondi tematici a bando: il PORE può accompagnare, consigliare e
sostenere la Regione se il progetto è di rilevanza nazionale;
b) Organizzare e sostenere la lobby istituzionale finalizzata al buon esito dei
progetti.
Nel complesso è possibile stimare a €15 milioni all’anno il valore dei progetti delle
Regioni italiane che anche con il sostegno dell’ufficio del PORE ricevono flussi
finanziari comunitari.
Nel 2004, il sostegno dato dall’uffico del PORE a Bruxelles al Progetto di Ricerca
sull’Idrogeno per Autotrazione, elaborato e presentato congiuntamente dalla
Regione Lombardia e dal Land dell’Assia (Francoforte) nell’ambito del VI
Programma quadro della ricerca, ha portato da solo ad un finanziamento di €18
milioni.
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66
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
1.5 La Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio
Atlantico
Tra le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles, quella presso il Consiglio Atlantico
gode di una “specialità” che deriva dalla particolare organizzazione presso la quale
è accreditata: un’organizzazione internazionale regionale.
Pur essendo l’attività presso il Consiglio Atlantico e la NATO esterna al sistema
dell’Unione europea, il rilievo di questa Rappresentanza ai fini del nostro Rapporto
è self-explanatory, specialmente se consideriamo il fatto che finora l’Europa ha
basato la propria sicurezza e difesa principalmente sulla NATO. Inoltre, benché
l’Europa stia consolidando una propria struttura per il procurement militare e di
sicurezza (Agenzia Europea della Difesa – EDA) e un contingente europeo di
“difesa rapida”, la NATO è ancora il più importante luogo di negoziato in materia.
La rilevanza di questa Rappresentanza per le lobby collegate al procurement in
materia militare e di sicurezza è evidente.
Inoltre, lobby politico-militari agiscono per influenzare i rapporti tra la NATO e
l’Europa: si pensi all’influenza francese o dei 10 nuovi Stati membri dell’Unione
europea, oppure ancora al ruolo assai particolare della Turchia che è membro
importante della NATO ma anche candidato all’adesione all’Unione europea.
È evidente che le modalità di fare lobbying presso la NATO seguono specifiche
regole diverse da quelle illustrate finora. Tuttavia, i principi di base illustrati in
questo Rapporto sono gli stessi.
1.6 Gli uffici del sistema camerale italiano a Bruxelles
La presenza del sistema camerale italiano a Bruxelles è importante nel quadro
delle rappresentanze istituzionali italiane, sia per la rilevanza dei suoi associati nel
tessuto economico e delle imprese italiane in Europa, sia per l’interazione che
esse possono generare con reti transnazionali quali Eurochambres, la rete
europea dei registri delle imprese, gli Euro Info Centers, e l’Iniziativa Centro
Europeo delle Camere di Commercio (INCE).
Nel 2006, il CIPI ha repertoriato la presenza di 5 Unioncamere regionali (Liguria,
Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto) e di 3 Camere di Commercio provinciali
(Napoli, Roma, Trieste).
La citata presenza di uffici delle Camere di Commercio italiane, che sono
rappresentanze di tipo istituzionale, non va confusa con la Camera di Commercio
Belgo-Italiana che è un’associazione di diritto belga senza fini di lucro.
Quest’ultima svolge un ruolo diverso dalle prime, concentrando le proprie attività
nella formazione e nel sostegno alle imprese italiane attive in Belgio e che
volontariamente si iscrivono alla Camera. Tuttavia, essa intrattiene rapporti di
cooperazione con le istituzioni italiane presenti a Bruxelles.
Sull’insieme del sistema camerale italiano in Belgio, l’Ambasciata d’Italia svolge un
ruolo di vigilanza.
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67
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
La sede di Unioncamere nazionale a Bruxelles svolge un importante ruolo di
coordinamento del mondo camerale italiano (riunioni periodiche ogni 15 giorni) per
favorire lo scambio di informazioni, e per definire linee di azione comuni nei
confronti delle istituzioni europee.
Inoltre, quest’ufficio ha un grande potenziale di sviluppo, che recentemente è stato
sottolineato con la nomina di un direttore di lunga esperienza, per promuovere un
sistema virtuoso dell’economia e dell’imprenditorialità italiana a Bruxelles, nelle
relazioni con le istituzioni europee.
Il rafforzamento e la riuscita dello sviluppo del sistema camerale
italiano in Europa non può che giovare alla creazione del “sistema
Italia” a Bruxelles, amplificando la voce delle varie associazioni che
lo animano.
Un indicatore per percepire nell’insieme le attività europee del sistema camerale
italiano (Unioncamere e Camere di Commercio) può essere fornito da un quadro
valutativo della presentazione che ciascuno dei suddetti uffici di rappresentanza fa
attraverso i propri siti Internet44.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei presenti
nei siti Internet delle rappresentanze camerali in Italia
18
16
14
12
10
8
6
4
2
U nioncam ere
V eneto
C am era
C om m ercio
T rieste
U nioncam ere
T oscana
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C om m ercio
R om a
U nioncam ere
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C am era
C om m ercio
N apoli
U nioncam ere
Lom bardia
U nioncam ere
Liguri
U nioncam ere
N azionale
0
Fonte: dati elaborati dal CIPI 2006
44
I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle
attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente
trattato. Si veda pagina 32.
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68
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
I siti delle Camere consultati
Unioncamere Nazionale
http://www.unioncamere.it/bruxelles/2pag.asp
Unioncamere Liguri
All’interno del sito: http://www.lig.camcom.it
Unioncamere Lombardia
All’interno del sito: http://www.unioncamerelombardia.it/
Camera di Commercio di
Napoli
http://www.na.camcom.it/portal/page?_pageid=96,103897&_dad=port
al&_schema=PORTAL
Unioncamere Piemonte
http://www.pie.camcom.it/Page/t15/view_html?idp=107
Camera di Commercio di
Roma
All’interno del sito: http://www.rm.camcom.it – accesso al sito
“Roma-Europa” sulle possibilita’ di accesso ai finanziamenti EU
Unioncamere Toscana
http://www.tos.camcom.it/Default.aspx?PageID=21
Camera di Commercio di
Trieste
All’interno del sito: http://www.ts.camcom.it – informazioni di carattere
generale sulle iniziative dell”UE
Unioncamere Veneto
http://www.ven.camcom.it/bruxelles.htm
Come operano alcune Camere di Commercio straniere
AmCham (Camera di Commercio Americana)
La sezione europea della camera di commercio americana è nata all’inizio del 2004,
separandosi dalla Amcham Belgio. Questa separazione riflette la crescente importanza che,
dopo l’allargamento, hanno acquisito le istituzioni europee per le 135 corporations
rappresentate dalla AmCham EU. Queste appartengono a svariati settori e fra di loro si
trovano 40 delle prime 100 corporations industriali incluse nella classifica Fortune 100.
L’AmCham non è un’organizzazione finanziata dal governo americano, ma fa affidamento sui
contributi ricevuti dai propri membri, e sui ricavi derivanti dalle proprie attività e pubblicazioni.
Le 14 commissioni di lavoro in cui è organizzata, pubblicano ogni anno 50 rapporti.
L’AmCham mantiene così una influenza notevole sul processo decisionale europeo.
British Chamber of Commerce
La Camera di Commercio Britannica in Belgio è autonoma e non riceve sussidi da organismi
statali, facendo invece affidamento sui contributi dei propri membri, sui proventi di eventi e
sulle sponsorizzazioni. È organizzata in 5 commissioni. Il suo lavoro negli ultimi anni è strato
caratterizzato da un’importante azione di sensibilizzazione e lobbying all’interno dell’Unione
europea sulle questioni della “Società dell’Informazione”. Molto importante è stato il lobbying
in materia di liberalizzazione dei servizi (in particolare finanziari), all’interno del mercato
europeo e nelle trattative all’interno del WTO.
Chambre Française de Commerce et d'Industrie de Belgique
Fa parte dell’UCCIFE (Unione delle Camere di Commercio e di Industria francesi all’Estero),
lavorando quindi in stretto contatto con le autorità francesi e in particolare con il Ministero del
Commercio Estero. Il suo obiettivo dichiarato è quindi quello di fornire una piattaforma per i
responsabili delle imprese, coordinando le loro azioni con le politiche del governo. Conta 200
membri, dai quali provengono i finanziamenti per le sue attività. Si deve notare che il sistema
estero francese che tutela gli interessi economici e industriali include anche due potenti
organizzazioni che operano in sintonia con la Camera di Commercio: postes d’expansion
économique; conseilleurs du commerce extérieur.
Fonte: dati elaborati dal CIPI in base alle informazioni dei siti Web rispettivi
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69
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
2. Regioni e autonomie locali e funzionali
2.1 Le regioni
Un primo indicatore per percepire nell’insieme le attività europee delle Regioni
d’Italia può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione di ciascuna
Regione d’Italia attraverso il proprio sito Internet.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web delle
rappresentenze delle regioni italiane presso l'Unione Europea
40
35
30
25
20
15
10
5
d 'A
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ic a
ta
0
Fonte: dati elaborati dal CIPI 2006
Abbiamo voluto tracciare una “mappa” della presentazione delle questioni europee
di rilevanza per la Regione come appare nei siti Internet delle Regioni o dei 18
uffici regionali con sede a Bruxelles, considerando che le due Province Autonome
di Trento e Bolzano hanno uffici distinti e che 5 regioni hanno un ufficio comune
“Centro Italia” (Abruzzo; Lazio; Molise; Toscana; Umbria) 45.
45
I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle
attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente
trattato. Si veda pagina 32.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
I siti regionali consultati
Calabria
All’interno del sito: http://www.regione.calabria.it/
Campania
All’interno del sito: http://www.regione.campania.it/ – pagina sull’Europa
con notizie ufficio Bruxelles
Regioni CentroItalia (Abruzzo,
Lazio, Marche,
Toscana,
Umbria)
http://www.regionicentroitalia.org
Emilia-Romagna
http://www.regione.emilia-romagna.it/web_gest/bruxelles/it/home.htm
Friuli Venezia
Giulia
All’interno del sito: http://www.regione.fvg.it – pagina sull’Europa
Liguria
http://www.casaliguria.org
Lombardia
All’interno del sito: http://www.regione.lombardia.it – pagina su
delegazione di Bruxelles
Molise
All’interno del sito: http://www.regione.molise.it/ – pagina sull’Europa
Piemonte
http://www.regione.piemonte.it/bruxelles/
Provincia
autonoma
Bolzano
All’interno del sito: http://www.provincia.bz.it – pagina sull’Europa
Provincia
autonoma Trento
All’interno del sito: http://www.giunta.provincia.tn.it – pagina
sull’Europa”
* http://www.europaregion.info/it/20.htm - informazioni generali ufficio
comune con Trento
* http://www.europaregion.info/it/20.htm - informazioni generali ufficio
comune con Bolzano
Puglia
http://www.regione.puglia.it/quiregione/addmod.php?op=bruxelles&lang
=IT&xfile=home
Sardegna
All’interno del sito: http://www.regione.sardegna.it/ – pagina sull’Europa
Sicilia
http://www.regione.sicilia.it/Presidenza/ufficiodibruxelles/
Valle d’Aosta
http://www.regione.vda.it/europa/
Veneto
http://www.regione.veneto.it/Organizzazione+Regionale/Sede+di+Bruxe
lles/
Per quanto riguarda le regioni italiane, tutte, tranne una, hanno un ufficio di
rappresentanza a Bruxelles46. Ciononostante, se un paragone quantitativo con i
loro omologhi europei è del tutto irrilevante, un confronto qualitativo sembra invece
molto pertinente.
46
La Regione Basilicata ha scelto di interrompere l’accordo che esisteva con Mondimpresa che le
garantiva la rappresentanza a Bruxelles. Invece, la Regione Basilicata presso la sua sede di
Potenza ha attivato lo “Sportello Europa” che è stato realizzato anche con i fondi europei.
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71
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Gli uffici dei Länder tedeschi hanno svolto un ruolo pionieristico in termini di
influenza strategica sulle politiche europee e sulle strutture istituzionali europee,
ispirandosi, da questo punto di vista, all’esempio e alla lunga tradizione delle
rappresentanze dei Länder a livello del governo federale.
Gli uffici di rappresentanza delle regioni dei paesi più federalizzati sono, in linea di
massima, più grandi e più efficacemente organizzati, soprattutto perché la loro
regione d’appartenenza li ha investiti di una missione ben precisa, sono più
integrati nella struttura governativa regionale e godono di una fonte di
finanziamento più ingente.
Alcune regioni, in particolar modo quelle tedesche, non esitano a fare attività di
promozione e sono utilizzate per aprire nuovi mercati e attirare investimenti, anche
non europei. L’ufficio di rappresentanza del Land della Saxe - Anhalt (regione
obiettivo 1) è riuscito a divenire un’autorità riconosciuta dalle istituzioni europee
per tutte le questioni riguardanti il trasferimento di tecnologie industriali e di
sviluppo, la strategia e la politica d'innovazione, insediando il suo ex membro del
Comitato delle regioni alla posizione di Presidente dell’Associazione delle regioni
europee di tecnologia industriale.
Così, oltre all’azione di lobbying in senso stretto, le rappresentanze regionali a
Bruxelles possono fare in modo di veicolare un’immagine positiva delle loro regioni
al fine di promuoverle.
Queste differenze, ancora una volta, sono da imputare ad una cultura diversa e ad
una centralizzazione “di facciata” della Rappresentanza Permanente d’Italia presso
l’Unione europea, a fronte di una pletora di rappresentanze disaggregate ed
eterogenee poco coinvolte nelle attività di rappresentanza dello Stato.
Tuttavia, l’efficacia delle rappresentanze delle regioni italiane a Bruxelles dipende
molto dalla struttura che hanno at home, e dalla rilevanza politica ed
amministrativa che viene data alle questioni europee. Fra tutte, solo a titolo di
esempio, una rappresentanza regionale che si distingue è quella della Regione
Toscana che è inserita nell’ufficio comune delle Regioni del Centro Italia (Abruzzo;
Lazio; Marche; Toscana; Umbria). L’ufficio è stato creato in base ad un accordo
politico tra le cinque Regioni (Patto d’Orvieto) conclusosi nella metà degli anni ’80,
e che ha dato vita ad una società belga partecipata dalle finanziarie regionali. La
società belga è proprietaria degli uffici e dal 1999 fornisce alle cinque Regioni
servizi comuni di informazione, gestione, personale e logistica.
L’ufficio di rappresentanza della Regione Toscana è l’unico diretto da un dirigente
superiore già dipendente dell’amministrazione della Regione (ufficio di
programmazione e sviluppo), e che conta più di quindici anni di esperienza a
Bruxelles anche in seno alle istituzioni comunitarie. Questa caratteristica rafforza
notevolmente l’azione dell’ufficio di rappresentanza a livello orizzontale con le altre
strutture dell’amministrazione regionale.
Alcuni dati chiave possono illustrare che l’impegno di qualità messo dalla Regione
Toscana nella sua rappresentanza a Bruxelles ne distingue i risultati.
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72
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Forte investimento del Presidente
della Regione Toscana a Bruxelles
Visite di rappresentanti dalla Toscana
a Bruxelles (2002-2005)
Giorni complessivi di attività a
Bruxelles di rappresentanti dalla
Toscana (2002-2005)
Reti ed organizzazioni di
coordinamento tra regioni ed enti
locali nelle quali la Regione Toscana
ha una posizione di primo piano (19)
Cooperazione internazionale della
Regione Toscana
Progetti di cooperazione
internazionale con la partecipazione
della Toscana (Regione; enti locali;
imprese; associazioni)
100 giorni all’anno
600 visite di personale dell’amministrazione
regionale
1.200 visite di rappresentanti di categorie
economiche, enti locali, associazioni e ONG
5.000 giorni
AMRIE (Alleanza delle regioni con interesse
marittimo)
ARE (Assemblea delle regioni d’Europa)
AREPO (Agricoltura di qualita’ DOP e IGP)
AREV (Associazione regioni europee viticole)
CCRE/AICCRE it (Consiglio dei Comuni e delle
Regioni d’Europa)
CPLRE (Congresso dei poteri locali e regionali
del Consiglio d’Europa)
CRPM (Conferenza delle regioni periferiche e
47
marittime)
EARLALL (Apprendimento lungo tutto l’arco della
vita)
EIRA (Regioni industriali europee)
ENCORE (Politiche ambientali)
ERIK (Innovazione e trasferimento tecnologico)
Euro*IDEES (Associazione europea di sostegno
allo sviluppo economico locale)
FESU (Forum europeo per la Sicurezza Urbana)
HPH (Ospedali che producono salute)
IQ-NET
(Coordinamento
obiettivo 2)
OGM FREE (Coesistenza tra agricoltura
tradizionale, transgenica e biologica)
REG LEG (Conferenza di Presidenti delle regioni
con potere legislativo)
RETIS (Politiche e interventi per l’inclusione
sociale)
RHN
(Rete
europea
mondiale della Sanita’)
Nel 2005: riunione a Bruxelles della Giunta
regionale della Toscana (13 assessori) con la
partecipazione di esperti e rappresentanti della
Commissione europea
In 68 Paesi nel mondo
regioni
europee
dell’Organizzazione
Fonte: Rapporto delle attività dell’ufficio di rappresentanza della Regione Toscana a Bruxelles
47
La Regione Toscana ha assicurato la Presidenza del CRPM dal 1996 al 2000, successivamente
per il biennio 2002-2004 ed il Presidente Claudio Martini ne è tutt’ora Presidente.
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73
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Dal punto di vista operativo, la Regione Toscana ha creato un sistema di
consultazioni informali per la valutazione dei progetti di leggi regionali che
prevedono aiuti suscettibili di dover essere valutati dalla DG Concorrenza della
Commissione europea. In coordinamento con la Rappresentanza Permanente
d’Italia presso l’Unione europea, questo sistema permette alla Regione di ridurre
drasticamente i tempi di consultazione che altrimenti sarebbero di quasi due anni,
e di presentare poi un testo finale già approvabile.
Dal punto di vista del lobbying, la Regione Toscana dispone di una rete di contatti
piuttosto capillari all’interno delle istituzioni comunitarie, e molto spesso con
interlocutori che non sono italiani.
Tra gli esempi di successo delle azioni di lobbying coordinata dall’ufficio di
rappresentanza della Regione Toscana a Bruxelles, si segnala la modifica
dell’impostazione della Commissione europea in materia di OGM. Questa azione
di lobbying della Regione Toscana risponde ad una precisa strategia della Regione
in materia di ambiente e qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Il successo
ottenuto ha permesso alla Regione di aumentare il proprio rating come Regione
“pulita” e di veder lievitare la quotazione di mercato dei prodotti agro-alimentari
regionali.
La rete europea OGM Free
OGM FREE
Obiettivo e campo
di attività
Coordinamento
Regioni aderenti
(in ordine di
adesione)
Coordinamento aperto tra regioni che condividono posizioni
comuni in materia di agricoltura transgenica
Valutazione delle politiche in materia di coesistenza tra
agricoltura tradizionale, transgenica e biologica, contributi e
confronti con la Commissione europea e il Parlamento
europeo, organizzazione di conferenze e gruppi di studio.
Regione Toscana - Oberosterreich
Aquitqine, Alta Austria, Limousin, Euskadi, Wales,
Salzburgerland, Schleswigholstein,
Thrace-Rodopi
e Drama, Kavala (Grecia), Marche, Highland Council,
Principato di Asturia, Bretagna, Emilia Romagna, Ile-deFrance, Carinzia, Lazio, Liguria, Midi-Pirenee, Provincia
autonoma di Bolzano, Sardegna, Astiria, Umbria
•
Su iniziativa della Regione Toscana e della Regione Oberosterreich
(Austria) e’ stata organizzata la conferenza costituiva della rete OGM,
tenutasi a Bruxelles il 4 novembre 2003 e che ha approvato un documento
importante come contributo per le Istituzioni comunitarie in materia di
coesistenza tra agricoltura tradizionale, transgenica e biologica. Tale
posizione è stata presentata dalla Regione Toscana nel corso dell’audizione
alla Commissione Agricoltura del PE impegnata nella preparazione del
parere dell’Assemblea, a dimostrazione della prima presa di posizione “forte”
da parte della Regione. Le regioni partecipanti erano 12.
•
Il 28-29 aprile 2004 una conferenza di aggiornamento si e’ tenuta a Linz ed
ha visto la partecipazione di altre tre regioni europee.
•
Una terza conferenza ha avuto luogo a Firenze il 4 febbraio 2005, nel corso
della quale e‘ stata firmata una Carta da parte delle regioni partecipanti
come “impegno” ad aprire un’effettiva coesistenza (con successivo grande
risalto dato dalla stampa). In questa occasione, l’Austria ha presentato una
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74
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
legge contraria agli OGM che la Corte di Giusitizia ha però definito
illegittimità in quanto violava le norme del mercato comune. Nell’aprile 2005,
nel corso di un incontro con la Commissione, è stata presentata questa carta
sottoscritta dalle regioni: da questo momento si può dire che la rete OGM
abbia effettivamente acquisito notorietà, registrando anche nuove adesioni
da parte di altre 13 entita’ regionali europee. Nel settembre dello stesso
anno e’ stato organizzato un workshop a Bruxelles: si è trattato di un
incontro prevalentemente “tecnico-organizzativo”, che ha visto la
partecipazione anche di funzionari della Commissione che si occupano di
OGM.
•
Nel corso della quarta conferenza, tenutasi a Rennes lo scorso novembre
2005, vi è stato un incontro diretto con i serivizi della Commissione allo
scopo di portare a termine la stesura di un documento “tecnico” di
regolamentazione della rete, in modo da non procedere soltanto con
dichiarazioni politiche.
•
La prossima conferenza si terrà a Vienna nell’aprile 2006 e si sta
attualmente lavorando per presentare documenti definitivi.
Fonte: Regione Toscana
Così tanti incontri, ravvicinati anche dal punto di vista temporale, provano come la
rete OGM FREE sia riconosciuta dalle istituzioni comunitarie, in particolare dalla
Commissione. La rete OGM FREE non ha ancora definito una sua forma giuridica,
ma questa si rende ormai necessaria data la partecipazione di un sempre maggior
numero di regioni.
Inoltre, come effetto indiretto, nell’ottobre 2005 è stato creato un gruppo gestito
dalla Regione Bretagna (nell’ambito del Commercio Internazionale), formato da
politici e tecnici, allo scopo di promuovere accordi con politici ed aziende del
Brasile in materia di produzione di sementi non OGM. Lo scopo è duplice: da un
lato favorire la cooperazione economica nel Paese sudamericano, dall’altro creare
un legame commerciale utile per entrambe le regioni. Vi sono stati aiuti anche
grazie all’intervento della Commissione.
Sempre a titolo di esempio, segnaliamo le attività dell’ufficio di rappresentanza
della Regione Veneto. Ci sembra opportuno rilevare che tra le Regioni italiane, il
Veneto è quella che più di altre è riuscita ad inserire personale distaccato presso le
istituzioni comunitarie. In particolare, l’inserimento nelle istituzioni europee degli
END provenienti dal Veneto è stato pianificato in senso strategico. Infatti, la loro
presenza nelle fasi di valutazione dei progetti si è dimostrata fondamentale per i
proponenti del Veneto (ad esempio, si pensi ai numerosi progetti dell’Università di
Padova). Altro esempio di successo della lobby veneta a Bruxelles, che è una
chiara best practice di “sistema-Regione”, è stato il finanziamento ricevuto dalle
istituzioni europee a favore delle Ville Venete.
Infine, ci sembra opportuno segnalare anche le attività degli uffici di Bruxelles della
Regione Liguria, che rappresentano in modo integrato la realtà regionale (con
particolare enfasi sugli interessi del Porto e dell’Università di Genova), e le attività
delle Regioni Emilia Romagna e Piemonte. Per quanto riguarda le attività europee
della Regione Lombardia, si può rilevare un significativo miglioramento che in
alcune aree settoriali è molto visibile, nella progettualità in materia di gestione di
reti idriche, politiche ambientali e riciclaggio dei rifiuti.
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75
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
2.2 I fondi europei
Un tema centrale per le Regioni italiane è legato alla riforma che nel 2006, in
seguito all’avvenuto allargamento dell’Unione europea, si renderà necessaria per
ridefinire i fondi strutturali. In quindici anni di storia dei fondi strutturali, solo nel
2002 l’Italia è riuscita a centrare per la prima volta gli obiettivi prefissati,
spendendo tutta la somma messa a disposizione dal piano d’azione 2000-2006.
Ad esempio, è noto che nel 2005 la Regione Puglia non è riuscita a spendere circa
€50 milioni, e per questo perderà il beneficio di questa quota di co-finanziamento ai
progetti infrastrutturali fino alla fine del programma in corso.
Tuttavia, dopo il 2006, i flussi che l’Unione europea destinerà ai fondi strutturali per
Paesi come l’Italia saranno fortemente ridotti per essere gradualmente indirizzati
allo sviluppo dei 10 nuovi Paesi membri. Nel nuovo contesto europeo, per l’Italia
sarà sempre più difficile giocare la carta, finora vincente, del Mezzogiorno. Il
Mezzogiorno d’Italia sarà messo in “competizione” con i molti “mezzogiorni” che
sono entrati nell’Unione europea48.
Un rapporto49 recentemente pubblicato dal Ministero per gli Affari Regionali illustra
in modo impietoso i molti e duraturi insuccessi e i pochi e recenti successi
dell’Italia in tema di partecipazione ai fondi non strutturali (1999-2002). In sintesi, il
rapporto evidenzia come nella nuova fase dell’Europa dopo il 2006, sarà
necessario potenziare le capacità progettuali competitive delle Regioni italiane e
abbattere i possibili ostacoli che compromettono talvolta il buon esito delle attività:
Cattiva o incompleta diffusione delle informazioni da parte dei livelli
superiori
Scarsa competenza tecnica e scarsa attenzione alla qualità dei
progetti, spesso causa/effetto di un approccio dilettantistico al
progetto in esame
Eccessiva onerosità di talune pratiche amministrative, in particolare
per le PMI e le amministrazioni meno strutturate
Impossibilità di alcuni attori a far fronte ad un eventuale insuccesso
dopo aver speso tempo e denaro nella delicata fase di preparazione
dell’offerta
In conclusione, il rapporto citato mette in evidenza come la partecipazione delle
Regioni italiane sia assai disomogenea e risenta, tra l’altro, della compresenza dei
fondi strutturali che hanno maggiormente attratto l’attenzione delle Regioni
destinatarie.
Alcuni dati più recenti (2002-2005), elaborati finora solo parzialmente, indicano che
l’Italia è in miglioramento: il coefficiente medio di finanziamento italiano sarebbe
dell’11% a fronte del 15% di partecipazione ai fondi comunitari. Il risultato del
48
Nel negoziato a livello di Consiglio per approvare le Prospettive finanziarie dell’Unione europea
2007-2013, sembrerebbe che il Mezzogiorno d’Italia sia stato inserito tra le aree che
beneficierebbero ancora dei fondi strutturali. Tuttavia, l’intera materia è soggetta a una nuova fase
negoziaziale tra Parlamento europeo e Consiglio, nei primi mesi del 2006.
49
“I fondi tematici dell’Unione europea. Un’opportunità per le Regioni italiane”, Progetto Opportunità
delle Regioni in Europa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2004-2005.
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76
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
coefficiente medio di finanziamento indica il grado di capacità delle strutture
italiane di ricerca e progettazione. Più si è forti rispetto ai Paesi concorrenti e
minore sarà il differenziale tra i due coefficienti.
Gli enti pubblici e privati italiani che intendono cogliere le opportunità offerte dai
fondi a gestione centralizzata (i fondi non strutturali) devono rendere ancora più
stretto il loro rapporto con la Commissione europea e le Agenzie per la gestione
dei programmi che dipendono dalla Commissione. La recente creazione in Italia, a
livello territoriale, delle Agenzie Nazionali per i Programmi Specifici ha
significativamente aiutato gli enti italiani durante l’intero iter progettuale per
accedere ai fondi europei.
Poiché il problema non è più se progettare, ma come progettare, ci sembra
opportuno richiamare qualche elemento chiave:
L’alto grado di competitività a cui sono esposti gli enti italiani richiede
un nuovo atteggiamento di interazione con l’amministrazione
comunitaria e un drastico miglioramento nella capacità di creare
partnership internazionali
É l’atteggiamento degli enti italiani che deve cambiare: l’accesso ai
fondi elargiti dalla Commissione non è un fatto facile e scontato
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
2.3 Regioni e autonomie locali e funzionali a confronto
nell’Assemblea politica degli enti locali e regionali in Europa
L’Assemblea politica degli enti locali e regionali in Europa è il Comitato delle
Regioni. Questo Comitato è un organo consultivo dell’Unione europea con poteri
nel processo di formazione legislativa, particolarmente nelle materie in
codecisione. Inoltre, il Comitato svolge un importante ruolo in tutte le materie
legislative sussidiarie tra l’Unione europea e gli enti locali e regionali in Europa. I
membri sono 317 rappresentanti degli enti locali e regionali d’Europa, divisi in 25
delegazioni nazionali che raggruppano i membri di uno stesso Stato, e 4 gruppi
politici, e 6 commissioni tematiche.
I membri del CdR
317 (344) membri e 317 (344
(344)) supplenti
Francia, Germania, Italia, Regno Unito ……………………..…… 24
Polonia, Spagna ..………………………………….………………… 21
Romania ………………………………………….…………………... 15
Austria, Belgio, Bulgaria
Bulgaria,, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo,
Repubblica ceca, Svezia, Ungheria ………………………..…...…. 12
Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania
Lituania,, Slovacchia ……………… 9
Estonia, Lettonia, Slovenia …………………….……..……………… 7
Cipro, Lussemburgo …………….……………………….……….…... 6
Malta …………………………………….………………………….….. 5
Fonte: Comitato delle Regioni, 2006
La rappresentanza italiana regolamentata, ovvero quella decisa per quote Paese,
è rispettata. Tuttavia, l’eterogeneità politica dei membri della delegazione italiana
ne indebolisce l’efficacia. Inoltre, se dal punto di vista legislativo l’Italia offre un
quadro di riferimento assolutamente innovativo ed avanzato – è l’unico Paese
d’Europa che con legge ha regolamentato il coordinamento degli enti decentrati –
sul piano pratico è molto debole. I dati sulla capacità d’inserimento nelle strutture
decisionali del CdR, particolarmente nelle Commissioni, sono self-explanatory.
Questa situazione duole in maggior modo se si pensa che gli organi di
coordinamento degli enti decentrati italiani rappresentano l’80% dei comuni d’Italia
(Anci-Ideali).
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Le commissioni
•
•
•
•
•
•
•
COTER - Politica di coesione territoriale
ECOS - Politica economica e sociale
DEVE - Sviluppo sostenibile
EDUC - Cultura e istruzione
CONST - Affari costituzionali
RELEX - Relazioni esterne
Commissione Affari Finanziari e
Amministrativi
Fonte: Comitato delle Regioni, 2006
Consultazione obbligatoria
nei seguenti settori:
• Coesione economica
e sociale
• Istruzione e gioventù
• Cultura
• Sanità pubblica
• Reti transeuropee
•
•
•
•
•
•
Trasporti
Occupazione
Affari sociali
Ambiente
Fondo sociale europeo
Formazione
professionale
Fonte: Comitato delle Regioni, 2006
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
L’elaborazione dei pareri
Commissione CdR
Nomina del relatore e
inizio dei lavori
Commissione
europea
Proposta
Relatore
Prosegue i
lavori
Commissione CdR
Presentazione della
prima stesura
Ufficio di
presidenza
Attribuzione
della proposta
a una
commissione
Sessione plenaria
Adozione del parere
Commissione CdR
Discussione ed
emendamenti
Fonte: Comitato delle Regioni, 2006
Come si evince dalle schede presentate sopra, il ruolo delle Commissioni è
importante, e ancor di più lo è la governance delle Commissioni. Nel febbraio
2006, un solo rappresentante italiano si trova nella Commissione COTER in qualità
di vice-presidente50, e nella Commissione Affari Finanziari e Amministrativi nessun
membro è italiano51. Si noti che la Presidenza del CdR sarà francese dal 2006 al
2008.
Nazionalità dei Presidenti al Comitato delle Regioni
Germania
Affari Fin e
Ammin.
Germania
Comitato delle
Regioni
Spagna
Relex
Belgio
COTER
Austria
CONST
Svezia
ECOS
Irlanda
EDUC
Francia
DEVE
Fonte: CdR website, febbraio 2006, e dati elaborati dal CIPI
50
51
È il rappresentante della Provicia autonoma di Bolzano (che si presenta inoltre come Sud-Tyrol).
Dati tratti dal sito del CdR nel febbraio 2006.
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80
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Per quanto riguarda le Regioni d’Italia in seno al CdR è stato possibile rilevare che
la presenza regionale italiana risente di un coordinamento troppo debole che le fa
apparire divise agli occhi dei temibili concorrenti di altri Paesi europei. Si deve
notare che più uno Stato è strutturato, anche in senso pienamente federale, più le
Regioni riescono ad avere un impatto sinergico su una strategia condivisa (è il
caso della Germania, e parzialmente della Spagna). Ancora una volta, è stato
evidenziato come il sistema Paese faccia la differenza, così come la capacità di
elaborare strategie di lungo periodo con una paziente e costante applicazione nel
tempo.
Tuttavia, qualche Regione italiana si distingue per attività anche presso il CdR. Di
particolare interesse è l’attività della Regione Toscana nella promozione di
alleanze e accordi inter-regionali in materia di “innovazione applicata alla gestione
pubblica della salute”, che sta portando a federare interessi di più Regioni europee
in materia di procurement, gestione, e informazione. Tra le altre, si distinguono per
efficienza la Regione Lombardia (nonostante il deficit sistemico sul territorio), e la
Regione Friuli Venezia Giulia che insieme alle province autonome di Trento e
Bolzano ha sviluppato importanti progetti inter-regionali in materia di trasporti e
cultura. Tuttavia, qualche dubbio sorge in materia di aspirazione ad una politica
estera autonoma, che questi enti locali vorrebero perseguire al di là del quadro
nazionale nel quale sono inseriti e dal quale traggono la loro autonomia.
Per quanto riguarda le Regioni degli altri Paesi membri, si distinguono i Länder
tedeschi. Anche nelle attività presso il CdR, la force de frappe tedesca è molto
sentita. L’azione tedesca supera le divisioni politiche regionali, facendo prevalere
l’interesse generale di tutti sul successo delle iniziative delle Regioni tedesche. Il
sistema paese e le strategie di lungo periodo fanno la differenza. Recentemente,
ad esempio, le Regioni tedesche stanno conducendo una battaglia per posizionare
la lingua tedesca come seconda lingua di lavoro dopo l’inglese.
In conclusione si possono indicare alcuni consigli utili per le Regioni italiane:
Evitare di esportare a Bruxelles la conflittualità interna italiana che è
senza una correlazione con le questioni europee;
Sviluppare scelte condivise all’interno per sintetizzare una strategia
stabile nel tempo: lo spoil system a livello regionale ha effetti negativi
sulla stabilità;
Calcolare bene, e in anticipo, sia i rischi che le opportunità di ogni scelta
strategica;
Evitare di “giocare” da soli: le alleanze transnazionali, ma anche quelle
all’interno della stessa nazione, sono essenziali per riuscire.
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81
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
2.4 Aspetti qualitativi e quantitativi della presenza regionale
italiana a Bruxelles
Le rappresentanze delle Regioni d’Europa a Bruxelles nel 2006 hanno ormai
superato i 200 uffici, con un’evidente progressione dai 20 uffici del 1990.
L’insediamento delle Regioni italiane iniziato nel 1984 (Emilia Romagna) si è
completato nel 200252. Nel 2006 sono presenti 18 uffici di rappresentanza delle
Regioni d’Italia a Bruxelles e 3 Province (Trento, Bolzano, Napoli53). La Basilicata
è l’unica Regione italiana che non ha più un ufficio di rappresentanza a Bruxelles,
ma ha scelto di potenziare il proprio servizio europeo istituendo lo “Sportello
Europa” a Potenza, il capoluogo regionale.
L’apertura di un ufficio a Bruxelles è stata sinonimo di essere in Europa. I motivi
ispiratori di una tale scelta rientrano in due categorie: a) perché era chiaro che
cosa si veniva a fare; b) per rappresentare la Regione in attesa di definire gli
obiettivi e le strategie. Tuttavia, tra tutti gli uffici di rappresentanza resta piuttosto
alta la confusione sulle istituzioni europee, i loro ruoli e poteri. Ad esempio,
convincersi che il Parlamento europeo è un organo tecnico-amministrativo
piuttosto che politico non è cosa comune. Inoltre, essere presenti a Bruxelles
significa confrontarsi con una complessità che si è accresciuta con l’espandersi
della multiculturalità. Il rigetto del Trattato costituzionale ha ulteriormente
accresciuto la confusione.
Per essere efficaci in Europa si devono conoscere in profondità le procedure, ma
anche i riti che le caratterizzano. Il tempo medio di “apprendistato” per conoscere
l’Europa è di almeno due anni. Ciò vale per i nuovi funzionari europei, ma anche
per i rappresentanti politici, diplomatici o funzionali che arrivano a Bruxelles.
I “valori” per una buona riuscita in Europa sono presenza stabile e
continuativa a tutti i livelli di rappresentanza, ed esperienza.
La presenza italiana nel sistema europeo è diffusa ma concentrata in prevalenza in
alcuni settori. Nei processi di produzione legislativa e regolamentare, ma anche
nella standardizzazione, la presenza italiana è debole perché irregolare,
scomposta, e molto spesso impreparata. Un errore di strategia, visto che questo
settore è quello che ha la maggiore incidenza diretta sul PIL delle Regioni e dello
Stato.
Infatti, ad esempio, in materia ambientale la direttiva sui nitrati adottata nei primi
anni ’90, oppure quella sulle emissioni di gas CO², hanno avuto effetti trasversali in
una serie di settori economici e produttivi, dall’agricoltura all’industria, ponendo
l’Italia in una costante necessità di essere in infrazione. E questa situazione non fa
che indebolire la capacità di lobbying e di negoziato in altre materie.
52
Benché a partire dagli anni ottanta abbia avuto inizio il fenomeno dell’apertura di uffici di
rappresentanza regionale a Bruxelles, bisogna osservare che nel 1995, quando già tutte le principali
regioni europee avevano una loro rappresentanza, l’Italia era l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione
europea a non consentire alle proprie regioni di avere uffici all’estero.
53
La Provincia di Napoli è rappresentata attraverso l’ufficio della Camera di Commercio provinciale
a Bruxelles.
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82
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
In Italia, è ancora debole il coordinamento orizzontale e verticale tra gli enti
locali, le Regioni e lo Stato, e tra questi e le categorie economiche e sociali.
Questa debolezza impedisce di sviluppare un approccio sinergico e
coerente, e di valutare l’impatto di medio e lungo termine delle strategie da
mettere in atto in sede europea54.
A livello comunitario, la partecipazione delle Regioni può avvenire all’interno
dei comitati e dei gruppi di esperti della Commissione, in seno al Consiglio
dell’Unione, ed ai suoi gruppi di lavoro e comitati55, all’interno dei Comitati
che appartengono alla pratica della cosiddetta comitatologia e, infine, in
seno al Comitato delle Regioni.
Per le Regioni italiane e i loro uffici di rappresentanza a Bruxelles, sono possibili
alcune considerazioni comuni:
La qualità delle leggi regionali che istituiscono uffici a Bruxelles è di
fondamentale importanza56. Le leggi regionali in questione sono assai
diverse tra loro. In generale, più la legge regionale rafforza l’indipendenza
della Regione nelle materie comunitarie, migliore è l’efficacia della loro
presenza in Europa57.
La rappresentanza è più efficiente se esiste un rapporto fiduciario del
rappresentante con il Presidente della Regione e con la Giunta, oltre che un
rapporto stabile ed inquadrato con l’amministrazione regionale.
La struttura organica dell’ufficio di rappresentanza è fondamentale per
partecipare pienamente ai processi decisionali multilivelli europei, ben oltre
lo stretto ambito degli affari regionali. La rappresentanza regionale può
essere capace di intervenire in modo trasversale su una molteplicità di
settori, territoriali, industriali, e sociali.
Sostenere i costi di rappresentanza, ad esempio dotandosi di una bella
sede, senza inserirvi sufficiente personale formato e specializzato non ha
alcun senso.
54
La partecipazione delle Regioni all’elaborazione della posizione che l’Italia esprime in seno alle
istituzioni ed agli organi comunitari avviene essenzialmente all’interno della Conferenza StatoRegioni, che è dotata di un’apposita sessione comunitaria.
55
A seguito della modifica al vecchio art. 146 TCE (81) introdotta con il Trattato di Maastricht, non è
più necessario che il rappresentante dello Stato membro in seno al Consiglio sia un membro del
Governo centrale. Secondo l’art. 203 del Trattato, infatti, “il Consiglio è formato da un
rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il Governo di
detto Stato membro”.
56
La legge italiana (l. 52 del 6/2/96, art. 58, comma 4) consente alle regioni di “istituire presso le
sedi delle istituzioni dell’Unione europea uffici di collegamento propri o comuni”. Occorre però
rilevare che con la succitata legge innegabilmente si fanno passi avanti apprezzabili, ma limitati.
Infatti, si razionalizza una prassi, ma non si assicura alle regioni un’autentica presenza istituzionale,
poiché il legislatore decide di non dare agli uffici di collegamento la qualifica di rappresentanza
presso la Comunità europea, col chiaro fine di limitarne l’attività a una funzione prevalentemente
informativa.
57
Gli uffici regionali a Bruxelles rappresentano sul piano politico-istituzionale e tecnico gli interessi
delle rispettive regioni. Tra i loro obiettivi specifici vi sono: la facilitazione della comprensione delle
procedure e dei meccanismi comunitari; la creazione di rapporti con altre regioni europee; il cogliere
le opportunità di finanziamento dei diversi programmi comunitari. Su un piano più generale, la
valorizzazione delle rispettive realtà regionali può inoltre consentire di esercitare una qualche
influenza sulle politiche europee e di intervenire - laddove vi siano le necessarie strutture,
competenze e professionalità - nella fase ascendente dei processi decisionali comunitari.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Il buon funzionamento di un ufficio regionale a Bruxelles dipende dalla
capacità della propria regione di definire una strategia chiara “sull’Europa” e
dall’abilità di rendere efficace il coordinamento sia in ambito regionale sia
con il Governo nazionale.
Appare necessario un maggiore collegamento e coordinamento tra gli uffici
attualmente presenti a Bruxelles, la cui efficacia è ostacolata anche
dall’incapacità di funzionare come sistema: ogni singola Regione, ogni
singolo ufficio che negozi da solo a Bruxelles è chiaramente in una
situazione di inferiorità. L’esperienza dei tanti uffici regionali dimostra che la
dimensione regionale è quella che meglio permette di rappresentare, con
una massa critica sufficiente, i diversi interessi del territorio e che consente
di creare sinergie di sistema, evitando così che i diversi attori dialoghino
con le istituzioni dell’UE in ordine sparso. Un modello efficace di
rappresentanza deve saper aggregare i diversi interessi, creando un
sistema competitivo forte che sappia armonizzare e coinvolgere i diversi
livelli di governo regionale, affinché siano capaci di dialogare, uniti e in
coro, con le istituzioni comunitarie. D’altra parte, l’azione unilaterale delle
singole regioni nuoce al complesso della posizione italiana nel negoziato, in
quanto rischia di portare alla rappresentazione di interessi contrastanti. Il
“coordinamento d’emergenza”58 ha provato la sua efficacia, ma ha fallito
sugli affari correnti.
La Commissione come interlocutore delle Regioni
La Commissione auspica un coinvolgimento delle autorità regionali sin dalla prima
fase di elaborazione delle politiche. Tale coinvolgimento andrebbe inserito nella
fase di preparazione delle proposte della Commissione. In tale fase, il potere
d’iniziativa di cui dispone questa istituzione nelle procedure normative le conferisce
un grande potere nel fermare, ma anche nell’orientare le proposte.
La Commissione è l’istituzione depositaria dell’interesse comunitario, all’interno del
quale s’inserisce anche la rappresentanza degli interessi settoriali e l’analisi dei
problemi tecnici. La Commissione si avvale di una rete di comitati, gruppi di lavoro
o gruppi di esperti, i cui membri possono provenire anche dalle amministrazioni
nazionali. È in tali gruppi che può essere inserita la rappresentanza dell’interesse
regionale.
Non può essere, infatti, tralasciato il fatto che la partecipazione a questi organi
costituisce, per gli esperti delle amministrazioni nazionali (END), una opportunità
per influenzare i lavori della Commissione. In quest’ambito, la presenza degli END
italiani, pur restando nettamente inferiore rispetto a molti altri Paesi, è migliorata
numericamente negli ultimi anni, ma è ancora assai carente sul piano del
posizionamento strategico e qualitativo in seno alle istituzioni comunitarie.
L’obiettivo della Commissione di favorire un dialogo più sistematico con i
rappresentanti delle autorità regionali e locali, potrebbe pertanto essere perseguito
mediante un coinvolgimento all’interno dei comitati e gruppi di lavoro o di esperti59.
58
Ad esempio, quando le Regioni del Centro Nord erano a rischio di esclusione dagli obiettivi dei
Fondi Strutturali, il loro coordinamento ha permesso di salvarne la posizione. Ad iniziativa di Veneto,
Emilia Romagna e Toscana si creò il così detto URC (Ufficio Regionale di Coordinamento) con una
presidenza a rotazione trimestrale in ordine alfabetico.
59
Nessun ostacolo giuridico dovrebbe d’altronde impedire alle Regioni italiane una tale
partecipazione, dopo l’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
La partecipazione al Consiglio
In forza dell’art. 203 del Trattato, il membro di un esecutivo regionale,
appositamente autorizzato da una disposizione normativa nazionale, puó
rappresentare lo Stato in seno al Consiglio.
Per quanto riguarda il modello italiano, l’art. 117 della Costituzione attribuisce allo
Stato la competenza esclusiva per i rapporti dello Stato con l’Unione europea. Allo
stesso tempo, però, menziona i rapporti delle Regioni con l’Unione europea tra le
materie di legislazione concorrente. Inoltre, il comma 5 dello stesso articolo
prevede che “le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie
di loro competenza, partecipino alle decisioni dirette alla formazione degli atti
comunitari.
La comitatologia
L’art. 202 del Trattato, prevede che il Consiglio “conferisca alla Commissione, negli
atti che esso adotta, le competenze di esecuzione delle norme che stabilisce”. Si
tratta di un vero e proprio obbligo che rafforza il peso politico della Commissione e
migliora il processo decisionale comunitario, permettendo inoltre al Consiglio di
liberarsi di alcune funzioni meramente esecutive. Questo conferimento di
competenze non è tuttavia privo di limiti, in quanto lo stesso articolo del Trattato
prevede che il Consiglio possa “sottoporre l’esercizio di tali competenze a
determinate modalità” e “riservarsi, in casi specifici, di esercitare direttamente
competenze di esecuzione”. Si tratta di una facoltà di auto-abilitazione del
Consiglio, che lo stesso deve motivare in maniera circostanziata e che secondo
alcuni autori dovrebbe essere esercitata eccezionalmente.
Mediante la pratica della comitatologia, consistente nel creare comitati composti da
rappresentanti degli Stati membri e presieduti dalla Commissione, il Consiglio
dispone tuttavia di notevoli mezzi di controllo sul potere esecutivo che esso stesso
conferisce alla Commissione.
La pratica della comitatologia mette in evidenza la stretta relazione esistente tra le
fasi di elaborazione e di applicazione del diritto comunitario, in quanto gli atti
adottati dalla Commissione sulla base dei poteri che le sono assegnati dal
Consiglio, tendono a curare nel dettaglio aspetti relativi alle materie oggetto del
conferimento di poteri. Essi hanno pertanto un impatto notevole
sull’amministrazione nazionale. La comitatologia consente un intervento nella fase
intermedia tra l’attività normativa di base delle istituzioni comunitarie e quella
dell’esecuzione da parte delle amministrazioni nazionali.
Il problema della rappresentanza in seno ai comitati interessa dunque direttamente
le Regioni, soprattutto dopo la revisione costituzionale e le competenze acquisite
in molte materie.
1994. L’art. 8, comma 5, lett. b., della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha peraltro abrogato il riferimento
ai rapporti con le Comunità europee nella riserva di competenze a favore dello Stato contenuta
nell’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
La partecipazione al Comitato delle Regioni
Anche il Comitato delle Regioni rappresenta un importante strumento di
partecipazione delle Regioni al processo decisionale comunitario. Le soluzioni
adottate dall’Italia per la designazione dei membri differiscono tuttavia da quelle di
altri Stati regionali o federali per non aver privilegiato il livello regionale rispetto a
quello degli enti locali.
Le modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri
assegnati all’Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali erano
contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre
1997, che prevedeva una ripartizione paritetica tra Regioni ed enti locali.
Osservando la ripartizione concreta fino al 2001, risulta che alcune delle Regioni a
statuto speciale, le uniche, allora, dotate di competenze esclusive, non sono state
rappresentate. A seguito dell’adozione del DPCM dell’11 gennaio 2002, che
abrogava il precedente DPCM del 17 dicembre 1997, è stata modificata la
ripartizione dei seggi riservati all’Italia (24) facendo aumentare il numero di
rappresentanti regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano che è
passato da 12 a 14, rispetto ai cinque ciascuno attribuiti alle province e ai comuni,
ma ciò non ha consentito evidentemente ad ogni regione e provincia autonoma di
avere un proprio rappresentante. Successivamente, ulteriori modifiche quanto alle
modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati
all'Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali sono state intodotte
dal DPCM del 12 gennaio 2006, che sostituisce il DPCM dell’11 gennaio 2002 e
decreta quanto segue:
DPCM 12 gennaio 2006
Art. 1. 1. Ai fini della proposta di cui all'art. 263, comma quarto, del Trattato che istituisce
la Comunità europea, i membri titolari del Comitato delle regioni sono così ripartiti tra le
autonomie regionali e locali:
a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 14;
b) province: 4;
c) comuni: 6.
1. I membri del Comitato delle regioni sono indicati per le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province autonome, quelli delle province e dei comuni rispettivamente dall'Unione
province d'Italia (UPI) e dall'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI).
2. Con le modalità di cui al comma 2 sono altresì indicati ventiquattro membri supplenti,
secondo la seguente ripartizione: a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 8;
b) province: 7; c) comuni: 9.
3. Possono essere designati quali membri titolari o supplenti del Comitato delle regioni i
presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, i presidenti delle
province, i sindaci ed i componenti dei rispettivi consigli e delle giunte.
4. È abrogato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'11 gennaio 2002,
recante: «Nuove modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri
assegnati all'Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali ed abrogazione
del precedente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 dicembre 1997».
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
La logica dei seggi, in questo caso, andrebbe affrontata in considerazione del
livello di governo, privilegiando quello regionale, soprattutto perché è l’unico dotato
di competenze legislative e risulta direttamente coinvolto nella trasposizione delle
direttive.
Con un totale di 24 membri, l’Italia dispone tra l’altro di un numero di posti in grado
di garantire la presenza, seppure esigua, di rappresentanti degli enti locali accanto
a quelli di tutte le Regioni e delle due Province autonome.
In conclusione, la Costituzione italiana vigente pone la necessità di riflettere sulle
modalità di partecipazione delle Regioni al processo decisionale comunitario. Sia
le procedure interne di formazione della posizione nazionale che le
rappresentanze in seno alle istituzioni ed organismi comunitari sono fortemente
condizionate dalla necessità di coerenza nell’azione europea dell’Italia. In Europa,
tutto ciò implica il bisogno di un maggiore coinvolgimento delle Regioni nella
formazione della posizione nazionale da esprimere a livello comunitario. Un tale
coinvolgimento, inoltre, andrebbe ad incidere positivamente sulla fase
discendente, di applicazione del diritto comunitario.
Ma tali obiettivi non possono essere raggiunti prescindendo da un forte
coordinamento interno che può essere ottenuto solo con la creazione di un
sistema che preveda con precisione le modalità di intervento delle Regioni nelle
diverse fasi di elaborazione degli atti comunitari, nonché dalla partecipazione delle
stesse ai vari comitati e gruppi di lavoro e di esperti, all’interno dei quali, però, i
rappresentanti regionali dovrebbero agire portando avanti una posizione nazionale
unitaria. Occorre, però, rilevare che la partecipazione ai negoziati deve
necessariamente portare con sé una certa flessibilità nella capacità di adattamento
della posizione nazionale. Tale fattore può essere ottenuto attraverso il
coordinamento tra le amministrazioni interessate, che consenta il formarsi di una
rete di informazioni e la facilitazione delle consultazioni tra gli attori coinvolti nel
processo decisionale, ove si renda necessario un adattamento della posizione
nazionale in corso di negoziato.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
2.5 Le regioni italiane a Bruxelles. Il fenomeno degli uffici di
rappresentanza 60
di Stefania Profeti
Premessa
Nel panorama attuale di studi sull’integrazione europea e sul policy-making
comunitario uno dei temi oggetto di maggiore interesse è sicuramente quello del
ruolo assunto dalle regioni nella realizzazione di tali processi. L’attenzione verso
questo fenomeno è tuttavia relativamente recente: fino a poco più di un decennio
fa, infatti, il dibattito sul futuro dell’Unione si concentrava sulla questione dei
rapporti di forza e degli equilibri di potere tra Stati membri e istituzioni
sovranazionali, traducendosi in letteratura nella contrapposizione tra il filone
intergovernativista e quello neofunzionalista. È solo dall’inizio degli anni ’90 che il
tema della partecipazione regionale ai processi decisionali europei comincia ad
assumere interesse di per sé; questo è principalmente dovuto alla maturazione, in
quegli anni, di una serie di eventi che, in maniera diretta o indiretta, sono destinati
ad incidere sull’assetto istituzionale dell’intero “apparato” comunitario: la creazione
di una vera e propria politica regionale europea, l’ampliamento consistente delle
risorse ad essa destinate, l’introduzione del principio della partnership, il
riconoscimento del ruolo delle regioni in seno al Trattato di Maastricht e la
conseguente istituzione, nel 1994, del Comitato delle Regioni, sono tutte novità
che stimolano studiosi e cultori della materia ad indagare quali nuove prospettive
si schiudano per i livelli di governo subnazionali.
La crescita dell’attenzione verso questo tema trova giustificazione anche
nell’evidenza empirica: fiorisce infatti in questo periodo quel fenomeno che in
letteratura è stato etichettato con il termine di “mobilitazione regionale”61. In misura
maggiore o minore, e con tempi e modalità diversi, numerose regioni di tutta
Europa hanno dato vita a strategie di attivazione al di fuori dei confini nazionali,
avviando una sorta di “attività paradiplomatica” (Keating, 1999) in ambito
comunitario. Tale attività, in parte già collaudata negli anni precedenti da alcune
realtà territoriali particolarmente intraprendenti62, si concretizza nella
partecipazione ad associazioni regionali a carattere transnazionale e nell’apertura
di propri uffici di rappresentanza a Bruxelles, e quindi nell’utilizzazione di canali
60
Relazione presentata al Convegno annuale della Società Italiana di Scienza Politica,
Università degli Studi di Trento, 14-16 settembre 2003. Autore: Stefania Profeti. Copyright del
CIRES, che ha concesso al CIPI l’autorizzazione alla riproduzione integrale di questo paper.
61
Tra i principali contributi: Hooghe, 1995; Hooghe, 1996; Marks et al. 1992; Hooghe e Keating,
1994
62
Come vedremo meglio in seguito, già dalla metà degli anni ’80 alcuni governi regionali e locali si
erano dotati di una propria postazione a Bruxelles. Tuttavia, fino al 1994-95, tale fenomeno
assumeva ancora dimensioni piuttosto ridotte.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
“extra-statali” al fine di costruire stabili contatti con le istituzioni comunitarie63,
specie con la Commissione64.
In questa sede ci concentreremo sull’esame del secondo dei canali sopra
menzionati, analizzando i tempi e le modalità con cui le regioni italiane hanno
provveduto a stabilire le proprie sedi a Bruxelles e cercando di individuare i perché
di tale scelta e i diversi modelli di rappresentanza che sembrano emergere. Non
disponendo attualmente di studi che contemplino in maniera sistematica ed
aggiornata questo argomento in relazione al caso italiano, le informazioni e i dati
che saranno utilizzati sono stati ottenuti in larga misura grazie ad interviste ai
responsabili degli uffici o al personale politico e amministrativo delle diverse
Regioni. Al fine di meglio collocare il caso Italia nel più ampio panorama europeo,
comunque, si ritiene opportuno operare una previa ricostruzione generale del
fenomeno, illustrando il suo sviluppo cronologico e proponendo una breve
rassegna delle interpretazioni maturate in letteratura nell’ultimo decennio.
Sviluppo del fenomeno e panorama attuale
La “prima pietra” a Bruxelles è stata posata nel 1984 dal Birmingham City Council,
che in tale anno ha aperto una propria sede di rappresentanza nella capitale
comunitaria65. È quindi alla metà degli anni ’80 che occorre risalire per individuare
il momento genetico del fenomeno in questione; tuttavia, fino alla metà degli anni
’90, la “corsa” verso Bruxelles ha conosciuto uno sviluppo piuttosto contenuto: dal
1984 all’inizio del decennio successivo l’esempio del Birmingham City Council è
stato seguito da altri governi locali britannici, da numerosi Länder tedeschi, da
poche Regioni francesi e dalle Comunità Autonome spagnole di Catalogna e Paesi
Baschi66. La vera esplosione del numero degli uffici si registra invece a partire dal
1994/95 (vedi tabella 1), in concomitanza con l’apertura delle nuove “finestre di
opportunità” a livello comunitario67. Proprio in questi anni, inoltre, anche alcune
prime Regioni e Province Autonome italiane, come l’Emilia Romagna (1994) e la
Toscana (1995), o come Trento e Bolzano (1995), si sono mosse verso Bruxelles,
in relativo ritardo rispetto alle realtà territoriali di altri paesi, ma in maniera del tutto
63
Alcuni contributi su questo tema distinguono tra strategie di mobilitazione individuale, che
includono l’apertura di un ufficio a Bruxelles, e strategie di azione collettiva, in cui rientra la
partecipazione a reti e associazioni di carattere transnazionale (Hooghe, 1995; Smets, 1998). La
distinzione operata è senz’altro valida a fini analitici, ma si ritiene in questa sede che la linea di
demarcazione tra i due “tipi” di attivazione non sia poi così netta: come vedremo nel corso del
capitolo, infatti, molto del lavoro svolto dalle sedi regionali a Bruxelles è infatti dedicato proprio alla
ricerca di partner per la costruzione di “solidarietà” che vadano al di là dei confini statali, nonché
all’ampliamento della rosa dei propri interlocutori; strategia di mobilitazione individuale e strategia di
azione collettiva risultano, quindi, “empiricamente” interconnesse.
64
Da sempre, infatti, la Commissione viene considerata come interlocutore privilegiato da parte dei
livelli di governo regionale, che la percepiscono come molto più “attenta” e avvicinabile rispetto ad
altre istituzioni europee, e più permeabile rispetto ai propri governi nazionali. La Commissione, dal
canto suo, ha cercato di incoraggiare questo tipo di visione, portando avanti una strategia parallela
di potenziamento delle regioni per ridimensionare il potere degli stati membri e, di conseguenza, del
Consiglio europeo (Tömmel, 1998).
65
Per un’analisi del caso britannico si rimanda a John, 1994
66
Queste ultime due regioni hanno aperto le loro sedi in forma non ufficiale, in quanto in aperto
contrasto con la legge spagnola che, analogamente a quella italiana, vietava alle comunità di aprire
uffici di rappresentanza a Bruxelles.
67
Si veda la premessa.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
pionieristica (e sfidando il divieto statale, come vedremo meglio in seguito) rispetto
al resto del panorama nazionale.
Attualmente, se si escludono le esperienze del Portogallo e del Lussemburgo, la
quasi totalità delle Regioni appartenenti a tutti gli stati membri ha istituito una
propria “antenna” a Bruxelles; addirittura numerose realtà territoriali dei paesi in
preadesione si sono già dotate di proprie strutture di raccordo diretto con le
istituzioni comunitarie68. Si potrebbe quindi, a prima vista, leggere il fenomeno
degli uffici di rappresentanza come la risultante di un processo lento e
incrementale di “diffusione” transregionale e transnazionale; è anche vero però che
un simile processo non ha prodotto risultati del tutto omogenei: se l’interesse ad
aprire proprie sedi nella capitale comunitaria è un tratto che accomuna la
maggioranza delle Regioni europee, ben maggiore è il numero dei punti di
discordanza che contraddistinguono le diverse realizzazioni di tale intento: gli uffici
infatti, oltre a differire in merito alla data di istituzione, variano anche in base alla
dimensione, alle risorse disponibili (umane e finanziarie), alle funzioni che
svolgono e agli interlocutori con i quali intrecciano rapporti. Ed è proprio sull’analisi
di tali differenze e sulle loro possibile spiegazione che si concentrano i principali
contributi maturati in letteratura.
Tab.1 Numero di uffici di rappresentanza dei governi regionali e locali a Bruxelles
Anno
Stato
1990
1995
1999
2000
2002
Austria
-
8
12
11
11
Danimarca
-
4
10
12
11
Finlandia
-
2
3
7
8
Francia
4
8
24
17
16
Germania
4
15
21
21
21
Grecia
-
-
1
2
2*
Irlanda
-
2
4
2
2
Italia
-
4
17
18
19
Paesi Bassi
1
1
5
7
9
Regno Unito
5
28
32
26
25
Spagna
4
13
17
18
19
Svezia
2
6
8
10
10
Belgio
-
-
-
3
3
Lussemburgo
-
-
-
-
-
Portogallo
-
-
-
-
-
Totale
20
91
154
155
158
*In realtà di questi due uffici solo uno rappresenta una singola area territoriale (l’Epiro), mentre l’altro è
espressione di tutte le collettività locali
Fonte: Dati fino al 2000: Regione Emilia Romagna, Quarto eurorapporto, pg.21
Dati 2002: Rapporto del Comitato delle Regioni, 04-06-2002
68
Rapporto del comitato delle Regioni “Associations/bureaux de réprésentation régionale et
communale a Bruxelles – Repertoire”, 04-06-2002
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90
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Gli uffici a Bruxelles: i come e i perché di un fenomeno in crescita
Gli studi che si occupano di investigare il fenomeno degli uffici di rappresentanza a
Bruxelles possono essere collocati al crocevia tra due filoni di ricerca: l’approccio
della multi-level governance (MLG) e gli studi sulle lobby nell’UE.
I contributi che possono essere ricondotti sotto l’etichetta della MLG sono
molteplici (tra questi, si ricordano i principali: Benz e Eberlein, 1998; Hooghe,
1996; Jachtenfuchs, 2001; Marks, 1997; Sbragia, 1992), tuttavia è possibile
“estrarne” l’idea centrale, e cioè che il frutto del processo di integrazione europea
non si concretizza e non si esaurisce tanto in un passaggio di potere tra stati e
istituzioni comunitarie, ma piuttosto nell’emergere di una nuova forma di policymaking caratterizzata dalla condivisione/suddivisione di competenze tra i diversi
livelli di governo (sovranazionale, nazionale e subnazionale) e dalla relativa
apertura del processo decisionale all’influenza di nuovi attori, pubblici (Regioni ed
Enti locali) e privati (soggetti economici, sociali e mondo dell’associazionismo). I
sostenitori della MLG riconoscono che gli stati membri, e di riflesso il Consiglio
europeo, continuano a giocare un ruolo determinante sulla scena europea, tanto
che ad oggi l’idea anche solo normativa di un’Europa delle Regioni rischia di
essere tutt’altro che realistica (Hooghe, 1996); tuttavia, il processo di integrazione
ha condotto ad un grado tale di interdipendenza tra governi (probabilmente ben al
di là delle intenzioni originarie dei suoi promotori69) da mettere in crisi da un lato il
tradizionale modello decisionale autoritativo fondato sul concetto di government70,
e dall’altro l’idea di livelli di governo nettamente separati in merito ai loro ambiti di
azione. Secondo questa visione, quindi, la Regione si configura come uno dei
livelli di governo che, insieme agli altri - e con notevoli differenze da caso a caso partecipa e contribuisce alla formulazione e alla messa in opera delle politiche
comunitarie; anziché di Europa delle Regioni, quindi, sarà più corretto parlare di
Europa “con” le Regioni (Hooghe, 1996) o, come altri provocatoriamente
suggeriscono, di Europa con “alcune” Regioni (Marks et al., 1996, pg.63; Le Galès,
1998, pg.267). Nell’ambito di questo approccio, quindi, l’apertura degli uffici a
Bruxelles è concepita come uno degli strumenti di partecipazione e di attivazione
messi in atto dai governi regionali al fine di inserirsi nella gamma di attori rilevanti
sulla scena comunitaria.
Gli studi sulle lobby nell’UE, invece, si concentrano sull’analisi dei gruppi di
interesse operanti a livello europeo e delle loro strategie di pressione sulle
istituzioni comunitarie. Sebbene le istituzioni comunitarie e soprattutto la
Commissione siano state oggetto di lobbismo sin dai loro inizi, è solo con la metà
degli anni ’80 che il fenomeno assume dimensioni considerevoli e comincia a
suscitare curiosità scientifica; a partire dall’AUE del 1986, infatti, l’ampliamento
della gamma degli interessi potenzialmente toccati dal policy-making europeo e
l’aumento delle competenze della Commissione – percepita dai gruppi come un
canale preferibile rispetto al Consiglio europeo, in quanto svincolata dagli esecutivi
nazionali e quindi più pronta ad ascoltare direttamente le loro istanze71 – hanno
avuto come effetto una “crescita esponenziale delle organizzazioni pubbliche e
69
Un’interessante riflessione in merito è stata maturata da Pierson e da lui tradotta nel concetto di
“unanticipated consequences” (Pierson, 1996)
70
In proposito, si veda Conzelmann, 1998, pg.5; Bobbio, 2002, pgg.11-12; Le Galès, 1998, pgg.239267
71
In proposito si veda Mazey e Richardson, 1993
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91
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
private rappresentate a Bruxelles” (Morata, 1998, p.353). La presenza diretta nella
capitale comunitaria è infatti una condizione molto importante per poter mantenere
contatti costanti e sistematici con i possibili canali d’accesso ai centri decisionali,
per acquisire visibilità e, quindi, per dar vita ad una efficace attività di pressione. In
tale ottica, l’apertura di uffici di collegamento da parte dei governi regionali può
essere letta anch’essa come espressione di una strategia di lobbying (Mc Aleavey
e Mitchell, 1994; Morata, 1998; Smets, 1998), stimolata dall’impatto crescente
della legislazione comunitaria sulle attività di loro competenza e dall’affermazione
di una vera e propria politica regionale europea. Il termine lobbying per “descrivere
le attività delle Regioni e il tipo di relazioni che esse hanno sviluppato con le
istituzioni comunitarie (…) è generalmente impiegato nel suo senso più ampio,
senza tener conto delle classiche distinzioni tra lobby, gruppo di pressione o
gruppo di interesse” (Smets, 1998, p.303); più semplicemente, tale etichetta è
stata adottata in quanto le forme di rappresentanza e di intermediazione adottate
dai governi territoriali nei confronti degli organismi comunitari hanno
progressivamente assunto tratti decisamente simili alle strategie e ai canali
utilizzati dagli altri interessi presenti a Bruxelles, ivi compresa l’apertura di una
propria sede vicino ai centri decisionali europei.
Indipendentemente dalla maggiore “vicinanza” ad uno o all’altro filone di ricerca, i
principali contributi che si concentrano sul fenomeno degli uffici regionali di
rappresentanza si articolano comunque su due versanti: quello descrittivo, che si
concentra sulla ricostruzione e sulla descrizione del panorama degli uffici esistenti
a Bruxelles, e quello esplicativo, che mira invece ad individuare le possibili cause
delle numerose differenze riscontrate sia a livello transnazionale che
infranazionale, nonché ad avanzare alcune ipotesi in merito alle reali motivazioni
che possono spingere i governi regionali a stabilire una propria sede nella capitale
comunitaria.
Il panorama degli uffici a Bruxelles: le varie facce dello stesso fenomeno
Come si è già accennato, il panorama degli uffici di rappresentanza a Bruxelles è
alquanto variegato. Una prima importante distinzione può essere operata in merito
al modello di rappresentanza prescelto: semplificando al massimo i termini del
problema, si possono individuare le rappresentanze regionali “istituzionali”, in cui
gli uffici a Bruxelles sono da considerare come vere e proprie sedi distaccate
dell'ente regionale e ne rientrano a pieno titolo nell’organigramma72, e le
rappresentanze regionali “non istituzionali”, nel caso in cui i governi regionali (o
subregionali) si appoggino alle sedi di rappresentanza di agenzie regionali o delle
camere di commercio grazie ad appositi accordi o convenzioni73.
All’interno di queste due grandi “famiglie”, si possono collocare vari tipi di ufficio: le
sedi possono infatti essere individuali (quando rappresentano una sola Regione) o
condivise tra più Regioni. Gli uffici individuali, a loro volta, possono essere
espressione dell’amministrazione regionale tout court oppure rappresentare l’intero
72
Solitamente tali sedi di rappresentanza sono istituite in seguito all’emanazione di una apposita
legge regionale (Badiello, 2000, p.98)
73
Come vedremo meglio nell’analisi dell’esperienza italiana, in alcuni casi le regioni hanno
cominciato la loro esperienza “paradiplomatica” istituendo raccordi non istituzionali per poi passare,
dopo qualche anno, all’apertura di veri e propri uffici regionali
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92
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
“sistema” regionale, ospitando sia gli organi di governo locale che le varie
espressioni degli interessi territoriali (camere di commercio, associazioni degli
industriali, sindacati, università, associazioni…); gli uffici condivisi, invece, variano
a seconda che le Regioni ospitate appartengano o meno allo stesso paese (in
quest’ultimo caso, essi prendono la denominazione di uffici regionali
transnazionali). In genere la forma dell’ufficio condiviso viene scelta per una
questione di ripartizione dei costi, ma può accadere anche che la coabitazione sia
scelta per l’esigenza di tutelare interessi e priorità politiche comuni. Qualunque sia
il tipo di ufficio, comunque, nella maggior parte dei casi questo dipende dalla
presidenza dell’esecutivo regionale.
Oltre alla “forma”, gli uffici variano anche in base alle proprie dimensioni, sia in
termini di modello organizzativo (e quindi di personale impiegato e di ripartizione
delle competenze) che di risorse disponibili; sotto questo aspetto il quadro globale
è talmente complesso da non consentire una precisa classificazione: Bruxelles
conosce infatti casi come la Catalogna o la maggior parte dei Länder tedeschi, le
cui sedi si configurano come vere e proprie mini-ambassades (Heichlinger, 1999,
p.12) e, all’estremo opposto, mini-uffici che impiegano una o due persone ospitate
in locali piuttosto ristretti (come la Regione greca dell’Epiro, o lo stesso Molise). Il
personale a disposizione dell’ufficio può essere reclutato appositamente tra
candidati “esterni” oppure tra funzionari regionali disponibili al distaccamento; non
di rado i funzionari prescelti sono supportati da personale di segreteria, consulenti
esterni e stagisti.
La questione della dimensione organizzativa dell’ufficio è strettamente legata alla
gamma delle funzioni che ad esso sono destinate. La più basilare delle funzioni,
che può essere assolta anche da un ufficio relativamente modesto, è
indubbiamente quella informativa: gli uffici fungono cioè da canale di trasmissione
tra le istituzioni comunitarie e la propria Regione, agendo come una “postazione di
sorveglianza preventiva”, da cui si seguono sistematicamente gli sviluppi della
legislazione comunitaria e delle opportunità ad essa collegate, e procedendo ad
una tempestiva comunicazione di tali informazioni (quotidianamente tramite
contatti diretti e periodicamente tramite l’invio telematico di bollettini e newsletter,
rivolti anche agli operatori economici presenti sul territorio). Oltre all’informazione,
gli uffici possono fornire altri “servizi” al governo e agli altri attori regionali, primo fra
tutti il supporto logistico per il personale in visita a Bruxelles: tale attività può
assumere varie “sfumature”, dalla semplice ospitalità nei locali alla preparazione
vera e propria degli incontri (con la creazione degli appositi contatti). Inoltre gli
uffici, soprattutto se prevedono nel loro modello organizzativo l’ausilio di consulenti
dotati di preparazione specialistica, possono svolgere un importante ruolo
facilitatore nell’elaborazione di progetti cofinanziati dal livello europeo e nella
relativa gestione dei contatti con i rappresentanti comunitari, in particolare durante
la fase di monitoraggio e valutazione. Altra gamma di attività svolte dalle sedi
regionali a Bruxelles è quella legata alla cosiddetta funzione di networking (o
network making), che consiste nell’intavolare numerose reti di rapporti sia con
rappresentanti delle istituzioni europee, sia con le altre Regioni presenti nella
capitale comunitaria. Il rapporto con queste ultime è diventato vitale soprattutto
nell’ultimo periodo, visto che adesso la partnership e la transnazionalità sono due
dei requisiti che maggiormente pagano in termini di approvazione dei progetti
comunitari. Gli uffici, in vari casi, hanno promosso anche iniziative di formazione
per personale regionale ed operatori economici, talvolta a carattere transnazionale.
Infine, e in maniera trasversale rispetto alle funzioni precedenti, gli uffici a
Bruxelles cercano di rappresentare in sede comunitaria gli interessi del proprio
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
territorio: tale funzione di rappresentanza può esplicitarsi in forme diverse, a
seconda che l’ufficio agisca da semplice portavoce delle richieste
dell’amministrazione regionale, degli enti locali e dei soggetti privati, da “apripista”
per i negoziati della componente tecnica e politica regionale con la Commissione,
o ancor più incisivamente tramite una vera e propria azione di lobbying presso le
istituzioni comunitarie: non di rado, infatti, i responsabili delle sedi a Bruxelles sono
incaricati di accompagnare e “facilitare” l’approvazione dei progetti regionali,
sfruttando la rete di contatti creatasi nel tempo con alcuni funzionari della
Commissione, con i membri delle Rappresentanze Permanenti presso il Consiglio
e, ultimamente, anche con gli europarlamentari eletti nel territorio di
appartenenza74. La cosiddetta funzione di rappresentanza si concretizza infine nel
presentare e rendere note alle istituzioni comunitarie (anche in questo caso,
principalmente alla Commissione) le strategie della Regione su particolari
questioni75: quest’ultimo compito risulta particolarmente significativo per quei
governi regionali che ambiscono ad influire sulla fase ascendente del decisionmaking comunitario, specie se le proposte avanzate presentano caratteri di
innovatività. Ovviamente, affinché un ufficio di Bruxelles sia investito di questa
funzione, occorre che l’amministrazione regionale abbia la “coscienza” e la volontà
politica necessarie per elaborare proprie strategie e per proporre un proprio
modello in sede europea.
Se la presenza a Bruxelles può quindi essere ormai considerata un dato comune
alla quasi totalità delle Regioni europee, la gamma di esperienze registrate
assume sfumature decisamente non omogenee; l’eterogeneità, inoltre, non
riguarda solo le sedi di Regioni appartenenti a stati differenti, ma in alcuni casi si
spinge fino al livello infranazionale (come nel caso italiano).
Il “perché” degli uffici a Bruxelles: alcune ipotesi
Vista la rilevanza e la crescita esponenziale – quasi “contagiosa” – del fenomeno,
gran parte della letteratura ha cominciato a interrogarsi, soprattutto a partire dalla
metà degli anni ’90, sulle motivazioni che possono spingere i governi subnazionali
a dotarsi di proprie “antenne” nella capitale comunitaria. La scelta di aprire un
ufficio di rappresentanza a Bruxelles, infatti, comporta notevoli sforzi in termini sia
organizzativi che finanziari; in più, la semplice creazione di tale strumento non è di
per sé garanzia di successo: la sua reale efficacia, secondo quanto riferiscono
molti operatori, può dispiegarsi solo nel lungo periodo, in seguito a continue
operazioni di “tessitura” di rapporti e di familiarizzazione con il milieu
communautaire. Pare legittimo, quindi, chiedersi quali siano i fattori in grado di
spiegare perché una Regione decida di operare tale scelta, piuttosto dispendiosa e
dagli esiti incerti. Inoltre, vista la varietà degli uffici, ci si può interrogare su quali
siano i fattori che possono in qualche modo consentire l’interpretazione delle
difformità riscontrate.
74
In seguito al Trattato di Amsterdam, infatti, il Parlamento europeo ha visto in qualche modo
rafforzata la propria posizione, grazie all’ampliamento delle materie in cui si applica la procedura di
codecisione.
75
Oltre che verbalmente, tali strategie possono essere presentate anche in forma di “position
paper”, così come riferiscono gli intervistati di alcune Regioni italiane.
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94
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
In linea generale, le risposte fornite dalla letteratura (Marks et al. 1996; Hooghe e
Keating, 1994, Smets 1998) si concentrano principalmente sulla risoluzione del
primo di questi due interrogativi, e possono essere ricondotte a due versanti,
quello delle risorse e quello delle variabili politico-istituzionali. A cavallo tra queste
due chiavi di lettura, che pur presentano al loro interno varie sfaccettature, sembra
qui opportuno inserire anche fattori di tipo più propriamente cognitivo, legati alle
caratteristiche e alle percezioni dei singoli attori, utili soprattutto per rendere conto
delle differenze registrate su scala infranazionale.
Le risorse
In relazione al versante delle risorse, l’ipotesi più diffusa – nonché la più intuitiva –
sostiene che più una Regione è “ricca”, maggiori saranno le probabilità che questa
decida di aprire una propria sede a Bruxelles (Resource-push hypothesis, Marks et
al. 1996); l’idea centrale è che, sia che disponga di un sistema di fiscalità
autonomo, sia che presenti un PIL elevato, una Regione potrà in primo luogo
sopportare più agevolmente i costi di un ufficio distaccato, e in secondo luogo
sentire maggiormente l’esigenza di “investire” in un canale che possa essere
sfruttato per salvaguardare la propria competitività in ambito comunitario. Sebbene
questa ipotesi, nella sua semplicità, sembri assai plausibile, essa è più adatta a
spiegare le differenze di dimensioni e “attrezzatura” dei vari uffici, piuttosto che la
decisione di istituirne uno: esistono infatti soluzioni che consentono di risparmiare
sui costi, come ad esempio la condivisione dell’ufficio da parte di più Regioni, o
l’appoggio presso sedi di rappresentanza di altre associazioni territoriali (come le
camere di commercio). In più, il semplice dato empirico sembra smentire questa
ipotesi: Regioni non certo “benestanti”, come ad esempio l’Epiro, o le Regioni del
Mezzogiorno d’Italia, sono presenti a Bruxelles a dispetto dell’esiguità delle risorse
di cui dispongono, sebbene si siano mosse con relativo ritardo rispetto ad altri
governi territoriali più “facoltosi”.
Le risorse finanziarie, oltre a costituire la “molla” per l’attivazione regionale,
possono svolgere anche una funzione di “calamita” (Resource-pull hypothesis,
Marks et al. 1996): soprattutto nell’ambito della politica regionale dell’UE e con
riferimento ai fondi strutturali, pare lecito supporre che una Regione si decida ad
istituire un canale di interlocuzione diretta con le istituzioni comunitarie al fine di
ottenere una fetta consistente di finanziamenti, o quantomeno di perderne il meno
possibile76. Anche in questo caso, sebbene l’ipotesi regga sul piano della logica,
l’osservazione empirica sembra sminuirne notevolmente la portata: le Regioni in
ritardo di sviluppo rientranti nell’obiettivo 1 (il più consistente tra gli obiettivi della
politica dei fondi strutturali) sono quelle che fin dall’inizio potevano aspirare a
ottenere la maggior parte delle risorse disponibili nell’ambito della politica di
coesione; a rigor di logica, quindi, ci dovremmo aspettare che proprio queste
Regioni si siano mosse prima delle altre verso Bruxelles. In realtà, tranne
sporadiche eccezioni, è accaduto proprio il contrario: le Regioni dell’obiettivo 1 si
76
In realtà, infatti, la maggior parte dei fondi strutturali è assegnata sulla base di precisi requisiti di
ammissibilità, per cui i margini per eventuali azioni di lobbying sono piuttosto ristretti e limitati alla
quota di finanziamento destinato ad iniziative e programmi comunitari. Piuttosto che al momento
della zonizzazione e della relativa distribuzione delle risorse, quindi, le possibilità dei governi
regionali di esercitare una qualche influenza sul processo di allocazione dei fondi si giocano nella
fase (ascendente) di definizione dei requisiti di ammissibilità e delle priorità della Commissione in
tema di sviluppo regionale.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
sono attivate più tardi e in maniera mediamente più “timida” rispetto a quelle
interessate dagli altri obiettivi, specie dall’obiettivo 2. Tale ritardo potrebbe essere
letto come il frutto di una scarsa attenzione rivolta all’ambito comunitario, e di una
conseguente, rallentata percezione delle opportunità (anche finanziarie) ad esso
collegate. Sulla scia di quest’ultima considerazione, sembra quindi necessario
arricchire le ipotesi legate al versante delle risorse con elementi che vadano al di là
del semplice dato finanziario.
In aggiunta alle risorse materiali, infatti, anche quelle di tipo socio-culturale
possono esercitare una qualche influenza: più precisamente, l’ipotesi avanzata è
che più una regione è caratterizzata da una cultura civica di tipo associativo,
maggiore sarà la probabilità che scelga di istituire una sede di rappresentanza dei
propri interessi territoriali a Bruxelles (Marks et al., 1996). La presenza di un fitto e
vivace tessuto di relazioni sociali ed economiche, caratterizzata dall’abitudine ad
instaurare reti di collaborazione e di scambio, può tradursi infatti, grazie ad una
sorta di spillover effect, in una maggiore consapevolezza, da parte del governo
regionale, dell’importanza di creare network che promuovano e sostengano gli
interessi del proprio territorio,
e quindi far percepire più chiaramente
all’amministrazione pubblica le opportunità legate alla presenza diretta sulla scena
europea. L’ipotesi, pur contribuendo ad arricchire le precedenti spiegazioni, lascia
però insoluti alcuni interrogativi: anche nel caso in cui una regione sia
caratterizzata da una cultura di tipo associativo, il governo territoriale ha
l’autonomia necessaria per decidere di muoversi sulla scena comunitaria? E ha
l’interesse politico a farlo? Per rispondere a tali quesiti è necessario introdurre
nelle nostre ipotesi altri possibili fattori esplicativi, a cominciare da quelli di natura
politico-istituzionale.
I fattori politico-istituzionali
L’ipotesi più ricorrente tra quelle che fanno leva su fattori di tipo politicoistituzionale pone al centro della spiegazione il grado di autonomia di una Regione
rispetto al governo centrale (Hooghe e Keating, 1994): più precisamente, maggiori
sono le competenze regionali nell’ambito del sistema politico nazionale, maggiore
è la probabilità che la Regione decida di aprire un ufficio a Bruxelles, in primo
luogo perché più direttamente toccata dalle decisioni prese in ambito comunitario,
che possono sovrapporsi a quelle che esercita abitualmente, ed in secondo luogo
perché nella maggior parte dei casi essa risulta soggetta a minori vincoli statali
(Marks et al. 1996). L’elemento del national constraint è infatti spesso chiamato a
giustificare perché Regioni come i Länder tedeschi si siano mosse in anticipo e
con maggiore determinazione verso Bruxelles rispetto ai “colleghi” francesi o
italiani.
Tuttavia, tale spiegazione non riesce a rendere conto delle differenze registrate su
scala infranazionale: perché all’interno dello stesso Paese alcune Regioni si sono
attivate prima di altre, in alcuni casi addirittura sfidando la legislazione statale?
Cosa ha determinato la loro maggiore propensione a proiettarsi sulla scena
comunitaria? A tale proposito, Marks et al. propongono di introdurre l’ipotesi della
distinctiveness: maggiori cioè sono le frizioni tra governi regionali e governo
centrale - sia per differente colore politico, sia per aspirazioni di autonomia –
maggiore è la probabilità che i primi scelgano di cortocircuitare il filtro statale per
interloquire con le istituzioni comunitarie, e che decidano quindi di aprire un ufficio
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
di rappresentanza a Bruxelles. Tale spiegazione sembra trovare una forte
conferma nel caso spagnolo: come anticipato, Catalogna e Paesi Baschi,
tradizionalmente impegnati a promuovere il processo di devoluzione e di
autonomia nei confronti del governo centrale, sono stati tra i primi governi
subnazionali in tutta Europa ad istituire una propria sede a Bruxelles; lo stesso può
dirsi di Scozia, Galles e Irlanda del nord nei confronti del governo britannico.
Proprio gli esempi fin qui citati, inoltre, introducono un’altra possibile spiegazione
della varianza infranazionale, vale a dire l’esistenza o meno di un sistema di
regionalismo “asimmetrico”: quando “il territorio di uno stesso paese è suddiviso in
aree governate da istituzioni che hanno un diverso status e diversi poteri” (Bobbio,
2002, p.93), si può supporre che le Regioni dotate di maggiore autonomia e di
maggiori competenze abbiano intrapreso più prontamente la strada dell’attivazione
in ambito comunitario, sia per una questione di sovrapposizione di funzioni che per
tutti i motivi avanzati a proposito dell’ipotesi della distinctiveness. Un esempio di
regionalismo asimmetrico, oltre a quelli già elencati, è fornito proprio dal caso
italiano, caratterizzato dalla distinzione tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a
statuto speciale.
Fattori cognitivi e versante degli attori
Al di là della struttura delle opportunità costituita dal proprio assetto politicoistituzionale, la decisione di una Regione di attivarsi in ambito europeo può
dipendere anche da fattori di carattere cognitivo, specie con riferimento alla élite
politico-amministrativa che ne è alla guida: perché un governo regionale investa
nell’apertura di un ufficio a Bruxelles occorre infatti che vi siano attori al timone in
grado di percepire le opportunità connesse al contatto diretto con le istituzioni
comunitarie, e più in generale alla partecipazione al policy making di livello
sovranazionale. Proprio per questo si può supporre che la presenza di leader
politici o di dirigenti amministrativi particolarmente sensibili alle tematiche europee
possa aver facilitato l’attivazione della Regione fuori dai confini statali, sia come
occasione di emancipazione dal governo nazionale (specie in quegli stati in cui le
Regioni godono di status costituzionale e di potere legislativo), sia come finestra di
opportunità per la creazione di veri e propri “sistemi” territoriali dotati di una propria
specificità, in cui le istituzioni regionali possano diventare punto di riferimento dei
vari interessi e delle varie istanze. Come vedremo meglio esaminando il caso
italiano, il ricorso ai fattori cognitivi e al tipo di élite politico-amministrativa può
essere utile soprattutto per spiegare le differenze registrate su scala
infranazionale.
Gli uffici a Bruxelles delle Regioni italiane
Rispetto al resto del panorama europeo, le Regioni italiane si sono mosse in
relativo ritardo (vedi tabella 1); uno dei fattori responsabili di tale “apatia” va
senz’altro ricercato nel vincolo imposto dalla legislazione nazionale: fino al 1996,
infatti, non era consentito alle amministrazioni regionali e delle Province Autonome
di intrattenere rapporti diretti con le istituzioni comunitarie, in quanto le relazioni
con l’Unione europea erano assimilate ad attività di rango internazionale, e quindi
considerate di stretta competenza del Ministero degli Esteri. La situazione conosce
una svolta già nel 1994, con l’art.4 del d.P.R.del 31 marzo “con il quale il
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97
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
legislatore statale ha riconosciuto alle Regioni e alle Province Autonome di Trento
e Bolzano di poter intrattenere rapporti diretti con uffici, organismi e istituzioni
comunitarie, ivi compreso il Comitato delle Regioni dell’UE, senza gli adempimenti
previsti per lo svolgimento delle attività internazionali tout court, in relazione a
questioni che direttamente le riguardino” (Bocci, 2002, pp.32-33), prevedendo però
che tali rapporti potessero essere esercitati soltanto in collegamento con la
Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UE (Italrap); è solo con l’art.58 della
L.52/96, infatti, che la normativa nazionale consente alle Regioni e alle Province
autonome italiane di “istituire presso le sedi delle istituzioni dell’Unione europea
uffici di collegamento propri o comuni”77, e di intrattenere quindi rapporti non
necessariamente mediati con le autorità europee.
Tuttavia, se l’elemento del vincolo legislativo nazionale può costituire una ragione
convincente del ritardo su scala comunitaria, questo non basta a spiegare le
numerose differenze infra-nazionali che caratterizzano le varie sedi di
rappresentanza: come già richiamato, infatti, alcune Regioni si erano attivate già
prima della rimozione del national constraint, così come numerosi governi regionali
hanno atteso ancora qualche anno dopo la L.52/96 per istituire un proprio ufficio a
Bruxelles. L’eterogeneità che contraddistingue le varie esperienze non è
comunque confinata alla variabile tempo: in realtà le diverse sedi differiscono in
merito ad una pluralità di aspetti, che possono essere ricondotti alle categorie
evidenziate in letteratura e descritte in precedenza. In questa sezione ci
occuperemo di ricostruire un quadro il più possibile completo di tali aspetti, per poi
interrogarci sui perché delle diversità registrate.
L’attivazione
La prima Regione italiana a mettere radici a Bruxelles è stata l’Emilia Romagna,
nel 1994. In realtà, per scavalcare il divieto nazionale, la Regione adottò una sorta
di escamotage, non istituendo un vero e proprio ufficio “istituzionale”, ma
usufruendo piuttosto della sede di rappresentanza dell’ASTER, l’Agenzia per lo
Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna, presente a Bruxelles già dal 1985. La
stessa strategia è stata adottata dalla Toscana l’anno successivo, tramite la sede
della propria finanziaria (Fidi Toscana s.p.a.)78, dalle Province autonome di Trento
e Bolzano (sempre nel 1995), e da Piemonte, Lombardia e Veneto agli inizi del ’96,
presso le rispettive sedi regionali di Unioncamere. Anche il Lazio disponeva già dai
primi anni ‘90 di un proprio collegamento, l’Antenna Lazio, creata tramite il
Business Innovation Centre (BIC) al fine di supportare le imprese regionali nelle
loro attività in ambito europeo; pur non essendo un ufficio direttamente voluto dalla
Regione (Badiello, 1998, p.336), esso lavorava comunque in collaborazione con le
altre sedi regionali, e può quindi essere considerato alla stregua di un primo
strumento di collegamento.
77
L.52/96, art.58 comma 4. La stessa legge consente inoltre il distacco di quattro funzionari
regionali presso l’Italrap; tali funzionari vengono scelti nell’ambito della Conferenza dei Presidenti
delle Regioni.
78
Le esperienze della Toscana e dell’Emilia Romagna, proprio per il loro carattere pionieristico,
sono state oggetto di numerosi studi; tra questi, per ottenere informazioni più dettagliate, si
segnalano Bocci (2000), Badiello (2000), Smyrl (1997)
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98
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
In seguito alla L.52/96 (febbraio), e quindi una volta eliminato il vincolo normativo,
le prime Regioni ad attivarsi sono state la Basilicata79 e la Sardegna (1996), la
Liguria (1997), la Sicilia e la Valle d’Aosta (1998), l’Abruzzo, la Calabria, le Marche
e l’Umbria (1999). Negli ultimi due/tre anni si è assistito al completamento del
panorama nazionale nella capitale comunitaria: nel 2000 Molise e Puglia hanno
istituito la propria sede, seguite dal Friuli (2001) e, per ultima, dalla Campania
(maggio 2002) (vedi figura 1).
L’osservazione del tempismo dell’attivazione regionale ci fornisce fin da subito un
primo dato rilevante, e cioè la distinzione tra Regioni particolarmente attive, che
addirittura hanno anticipato
la
legislazione
nazionale in
materia, e
Regioni
più propriamente reattive80; tra queste ultime, inoltre, si può subito
notare come alcune abbiano manifestato un grado di inerzia decisamente
maggiore, attivandosi solamente negli ultimi due anni. Tale distinzione non offre
però indicazioni in merito alla natura degli uffici (istituzionali o meno), al modello di
rappresentanza scelto e alla gamma delle attività svolte, elementi indispensabili
per avere un quadro completo del panorama degli uffici presenti. In più, occorre
prendere in considerazione anche i cambiamenti che le diverse sedi hanno
conosciuto dal loro momento genetico fino ad oggi: come vedremo in seguito,
infatti, non necessariamente una pronta attivazione si è tradotta in una rapida
istituzionalizzazione della sede e in un suo elevato grado di consolidamento.
I “tipi” di ufficio
Le prime sedi di rappresentanza a Bruxelles, che come abbiamo appena ricordato
erano state aperte quasi clandestinamente e in aperto contrasto con la normativa
nazionale, non avevano ovviamente una forma “istituzionale”, nel senso che non
rientravano direttamente nell’organigramma dell’ente e non vi erano atti formali che
ne sancissero l’appartenenza agli apparati di governo regionale; in questi casi,
semplicemente, il personale politico e amministrativo delle Regioni utilizzava gli
uffici di proprie società o delle unioni camerali già presenti a Bruxelles come “teste
di ponte ufficiose” (Bocci, 2000) per ottenere informazioni di prima mano e come
supporto logistico per incontri o contatti nella capitale comunitaria. In seguito alla
L.52/96, non tutte queste Regioni hanno provveduto immediatamente a
“regolarizzare” la propria posizione tramite apposite leggi istitutive: primo tra tutti si
è mosso il Veneto (L.R.30/96), seguito dalla Lombardia (L.R.2/97) e dal Lazio;
Emilia, Toscana e le due Province autonome hanno atteso il 1998, mentre il
Piemonte ha “ufficializzato” la propria presenza solo nell’aprile del 2002. Nel
frattempo, sempre in seguito alla L.52/96, anche le altre Regioni che non avevano
scavalcato il divieto nazionale cominciavano a “darsi da fare”: la Sardegna è stata
la prima ad emanare una legge regionale in proposito il 15 febbraio 1996 - anche
se l’ufficio non vede concretamente la luce fino al 1999 - seguita da Liguria e
79
In realtà, secondo quanto riferito in alcune interviste, già nei primi anni ’90 la Basilicata aveva
stipulato una convenzione con la Camera di commercio di Potenza la quale, disponendo di una
sede di appoggio a Bruxelles, poteva fornire informazioni utili e fungere da raccordo con le istituzioni
comunitarie (Intervista a testimone privilegiato, 15 maggio 2003)
80
Goldsmith e Klausen (1997) operano una distinzione tra governi locali attivi e reattivi, indicando
con quest’ultimo termine quei governi che, pur avendo un atteggiamento positivo verso l’Europa,
non prendono iniziative ma si accodano a quelle già intraprese da altri, per esempio unendosi a reti
già esistenti. Nel nostro caso, pur riconoscendo la validità euristica della distinzione appena
menzionata, il termine reattivo è usato anche in contrapposizione con lo stile anticipatorio rispetto
alla legislazione nazionale adottato da alcune Regioni italiane.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Sicilia (1997) e da Abruzzo, Marche, Umbria e Valle d’Aosta81 (1998). Basilicata
(1996) e Calabria (1999) hanno preferito adottare un profilo non istituzionale,
stipulando convenzioni rispettivamente con Mondimpresa82 e con il BIC Calabria.
Molise, Puglia, Friuli e Campania, che come abbiamo visto hanno aperto i propri
uffici solo negli ultimi due anni, hanno scelto invece di inserire formalmente le sedi
nell’organigramma regionale.
Le sedi, comunque, non differiscono soltanto in merito al loro livello di
istituzionalizzazione: sia tra gli uffici non istituzionali che tra quelli “formalizzati” si
possono infatti individuare tipi di ufficio assai diversi; innanzitutto, occorre
distinguere tra uffici individuali (rappresentativi, cioè, di un’unica Regione) e uffici
condivisi tra più Regioni. Quest’ultima soluzione ha trovato in Italia due sole
realizzazioni: l’ufficio delle Province Autonome di Trento e Bolzano, aperto in
comune con la parte austriaca del Tirolo (ufficio transnazionale) e l’ufficio comune
delle Regioni del centro Italia (denominato, appunto, Centritalia), che assembla le
sedi di rappresentanza di Toscana, Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. A differenza
della sede trentina, che ha visto fin dalla sua genesi la collaborazione tra i tre enti
coinvolti, la nascita di Centritalia può essere letta come il risultato della
maturazione di esperienze già avviate da singole amministrazioni regionali:
Toscana e Lazio, infatti, erano già presenti a Bruxelles con propri uffici individuali;
è solo in seguito ad una serie di incontri e di accordi di natura prevalentemente
politica tra i vari Presidenti delle Regioni83, che nasce il progetto della “casa
comune”, vale a dire di un ufficio di riferimento comune caratterizzato dalla
condivisione di costi, strutture, personale di segreteria e attrezzature, dal
perseguimento di strategie concertate, ma anche dal mantenimento di ambiti
specifici di autonomia operativa, al fine di tutelare le esigenze specifiche dei diversi
territori regionali. In effetti, come sottolineano alcuni intervistati, i primi due anni di
vita di Centritalia hanno seguito questo orientamento, cercando di impostare linee
e programmi comuni al fine di formare una “massa critica” in grado di premere più
efficacemente sulle istituzioni comunitarie e di esercitare un ruolo più rilevante
nella cosiddetta fase ascendente delle politiche europee. Intorno alla fine del 2000
si è però assistito ad una sorta di rallentamento dell’esperienza, e di un
ridimensionamento delle aspettative iniziali. La fine dell’omogeneità politica che
caratterizzava le cinque Regioni, dovuta al cambiamento di maggioranza avvenuto
in Lazio e Abruzzo in occasione delle ultime elezioni regionali, sembra non essere
considerata dai personaggi interpellati come fattore rilevante nello spiegare il
recente impasse, sebbene gli stessi, curiosamente, non esitino poi ad imputare la
81
La Valle d’Aosta, pur istituendo un ufficio istituzionalizzato tramite apposita legge regionale, ha
scelto comunque di condividere la sede con la finanziaria regionale, la Finaosta, avvalendosi anche
dell’apporto dei suoi dipendenti.
82
Mondimpresa nasce nel 1986 come Agenzia del sistema italiano delle Camere di Commercio, con
lo scopo di promuovere i processi di internazionalizzazione del sistema produttivo, specie con
riferimento alle PMI. Nel corso degli anni ’90 diventa società consortile per azioni senza scopo di
lucro, ed acquisisce come soci Confindustria, Confcommercio, Confartigianato e Confagricoltura.
83
Il percorso che ha accompagnato la nascita di Centritalia è cominciato nell’estate del 1997, in
occasione della Convention di Orvieto, promossa dai Presidenti delle cinque Regioni in
collaborazione con il CNEL: durante questo incontro fu sottoscritto un primo protocollo di intesa che
avviò un processo di “programmazione cooperativa” tra i cinque governi. Tale indirizzo è stato
ulteriormente articolato nella Convention di Roma del luglio 1998, durante la quale sono stati
specificati gli ambiti di intervento comuni (ambiente montano e difesa idrogeologica, innovazione
tecnologica, reti telematiche, mercato del lavoro, formazione e innovazione nella pubblica
amministrazione) ed è stato sancito il proposito di aprire una casa comune nella capitale
comunitaria. Per maggiori informazioni si rimanda alla pagina web delle cinque regioni :
www.regionicentroitalia.org
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100
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
situazione attuale ad un mutamento di strategia da parte delle singole giunte e dei
loro presidenti84. Piuttosto ambigua risulta anche la posizione del Molise: al
momento dell’istituzione dell’ufficio, infatti, era in programma l’annessione alla
casa comune, mentre a due anni di distanza tale annessione è rimasta lettera
morta, traducendosi solamente nella comunanza della sede: l’ufficio del Molise è
infatti situato nello stesso stabile dove sono ospitate le cinque Regioni.
Al di là delle due esperienze di sedi condivise, tutte le altre Regioni hanno optato
per l’apertura e il mantenimento di uffici individuali, sebbene in forme relativamente
diverse da caso a caso: le sedi variano infatti in base al coinvolgimento delle realtà
istituzionali (Comuni e Province) e socioeconomiche presenti sul territorio,
coinvolgimento che può essere formalmente statuito tramite la stipula di apposite
convenzioni, assumere carattere “informale” oppure, come caso estremo, essere
del tutto trascurato. È soprattutto nell’ultimo periodo che questa distinzione si è
rafforzata: dal 2000, infatti, alcune Regioni hanno dato vita alla creazione di uffici,
denominati “case” (es. Casa Lombardia, Casa Liguria), che ospitano le varie
componenti del sistema istituzionale, socioeconomico e culturale della Regione, la
cui presenza è sancita tramite una convenzione; il caso della Lombardia risulta a
questo proposito interessante: l’apertura “fisica” della sede di Bruxelles al territorio
ha riguardato molteplici espressioni degli interessi e numerose università85, ma è
stata di fatto preclusa, almeno in questa prima fase, al sistema degli enti locali, in
quanto “ANCI e UPI non riescono a rappresentare interessi omogenei”86 visto il
differente colore politico che contraddistingue le diverse esperienze. Tale chiusura
non interessa invece la maggior parte della altre sedi: a titolo di esempio, si pensi
che la Regione Friuli, tra le ultime ad insediarsi nella capitale comunitaria, ha
stabilito quasi da subito un protocollo d’intesa con le sue quattro Province, tra le
quali due espressione di una maggioranza diversa da quella regionale, che
garantisce loro servizi e libero accesso ai locali che ospitano l’ufficio. Lo stesso ha
fatto la Liguria, includendo nel progetto di “Casa Liguria” anche l’Unione delle
Province liguri, per la maggior parte governate da giunte dell’Ulivo. Oltre a differire
in merito a questo aspetto, tutte le sedi variano in base al loro modello
organizzativo, e quindi al numero di personale addetto, alle sue qualifiche e
competenze e all’inquadramento nell’organigramma dell’ente regionale.
I modelli organizzativi
Rispetto agli uffici dei Länder tedeschi e delle Comunità autonome spagnole le
sedi delle Regioni italiane hanno sicuramente dimensioni più ridotte. Tuttavia, al di
là di questo dato, le differenze infranazionali sono tutt’altro che trascurabili, non
solo da un punto di vista numerico ma anche e soprattutto rispetto al tipo di
personale utilizzato. Riguardo al primo versante, il numero degli addetti varia da un
minimo di una sola persona (Molise) a un massimo di undici unità (Lombardia); in
mezzo a questi due estremi, si può notare come il modello più ricorrente sia quello
84
Il caso dell’ufficio della Regione Abruzzo risulta piuttosto problematico: da alcune interviste –
effettuate anche in altre Regioni – sembrava imminente l’uscita della Regione dalla compagine di
Centritalia, in vista della creazione di un ufficio indipendente; tuttavia tali “voci” non sono poi state
confermate dai diretti interessati.
85
Al progetto di Casa Lombardia hanno aderito Finlombarda S.p.a, Cestec S.p.a, Artivive S.r.l (che
riunisce Confartigianato, CNA e CASA), l’Università degli studi di Milano, l’Università degli studi di
Brescia, l’Università degli studi di Bergamo, l’Università degli studi Milano Bicocca, l’Università degli
studi di Pavia, l’Università Carlo Cattaneo LIUC e il Politecnico di Milano (Nicolai, 2000).
86
Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002
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101
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
che prevede un dirigente responsabile affiancato da uno o due funzionari,
eventualmente supportati da personale di segreteria (vedi tabella 2). Tra gli uffici
più “attrezzati”, oltre a quello lombardo, vanno sicuramente annoverati anche quelli
di Veneto, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. La rilevazione puramente numerica
del personale addetto risulta comunque limitativa ai fini dell’analisi: le dimensioni
dell’ufficio, infatti, tendono a crescere man mano che questo si consolida e amplia
la gamma delle proprie attività; come si può osservare, gli uffici che dispongono di
un numero piuttosto ampio di dipendenti sono quelli che ormai da diversi anni
operano nella capitale comunitaria, e che hanno progressivamente ampliato il
proprio organico87. Di converso, le Regioni che si sono mosse solo recentemente e
che devono ancora definire chiaramente la propria missione impegnano in questa
fase di “rodaggio” un numero limitato di persone.
Assai più interessante si rivela invece la ricognizione del tipo di personale adottato,
specificando se si tratta di personale di estrazione regionale o meno ed
esaminando il background dei vari responsabili. A questo proposito si possono
infatti individuare due strategie-limite che una Regione può scegliere di adottare:
da un lato, il distaccamento di funzionari o dirigenti regionali e l’attribuzione ad uno
di questi della responsabilità della sede; dall’altro lato, il ricorso a consulenti esterni
o comunque a personalità esterne all’apparato regionale dotate di comprovata
esperienza in ambito comunitario. Come si osserva nella tabella 2, varie Regioni
(Campania, Friuli, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto e le due
Province autonome) hanno scelto la prima strada, assegnando la responsabilità
della sede a dirigenti o funzionari che già si occupavano, in un modo o in un altro,
di tematiche comunitarie per conto della Regione ed affiancandoli con alcuni
dipendenti regionali distaccati a Bruxelles. Anche la Regione Piemonte sembra
seguire questa strategia nella predisposizione del suo “nuovo” ufficio istituzionale.
Diametralmente opposto, invece, il caso lombardo, in cui i criteri principe per la
selezione del personale sono stati “l’esperienza in ambito comunitario e la capacità
di gestire relazioni complesse all’interno dell’Unione”88: la Regione si è avvalsa di
un’agenzia per il lavoro di Bruxelles al fine di reclutare soggetti dotati di tali
requisiti, e degli undici dipendenti attuali solamente uno è un funzionario regionale.
Lo stesso modello è stato adottato da Liguria, Valle d’Aosta e, in parte, dalla
Calabria. La Liguria rappresenta un caso interessante, in quanto con il
cambiamento di maggioranza del 2000 si è assistito ad una vera e propria
rivoluzione nell’organico dell’ufficio, che è stato sostituito in toto: fino al 2000 la
responsabilità era assegnata ad una dirigente regionale e la direzione ad una
consulente esterna, affiancata da un funzionario regionale trasferito a Bruxelles;
dopo le elezioni il disegno organizzativo dell’ufficio è completamente mutato,
prevedendo
la
presenza
di
un
organico
completamente
esterno
89
all’amministrazione regionale . Parzialmente diversi risultano invece i casi della
Valle d’Aosta e della Calabria, in quanto le sedi delle due Regioni si appoggiano
rispettivamente alle strutture di Finaosta e del BIC Calabria, le quali hanno
chiaramente mantenuto il loro personale.
87
All’inizio della loro esperienza, per esempio, l’ufficio della Lombardia disponeva di quattro persone
(tra cui solo un dirigente) e quello toscano solo di tre, compresi gli addetti alla segreteria.
88
Intervista a dirigente della Regione Lombardia, luglio 2002
89
Secondo quanto dichiarato da uno dei soggetti intervistati, “i nostri due personaggi dell’ufficio (…)
hanno in effetti molto le caratteristiche dei lobbisti, possiamo tranquillamente dirlo, non tanto le
caratteristiche dei funzionari regionali”. Intervista a testimone privilegiato, Regione Liguria, febbraio
2003
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102
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Tra i due modelli “estremi”, troviamo poi diverse forme miste: Abruzzo e Puglia
hanno scelto di affidare la responsabilità dell’ufficio a dei consulenti esterni e di
affiancarli a un funzionario di estrazione regionale, mentre la Sicilia e il Lazio
hanno preferito operare la scelta inversa, assegnando la responsabilità e il
coordinamento della sede a personale di estrazione regionale e utilizzando esperti
esterni per le attività di supporto (Sicilia) o di direzione (Lazio). L’Emilia Romagna,
infine, si configura come un caso particolare: sebbene la responsabile dell’ufficio
non sia da considerare formalmente una dirigente regionale, essa è comunque alla
guida della sede fin dal momento della sua nascita, avendo ricoperto dal 1994 al
1997 la direzione dell’Aster90, e risulta quindi difficile definirla come “esterna”; veri
e propri consulenti esterni sono invece le tre persone che affiancano la suddetta
responsabile e i due funzionari regionali che la coadiuvano.
La scelta di un tipo di personale piuttosto che di un altro è strettamente collegata
con il tipo di missione che l’ente regionale intende assegnare al proprio ufficio di
Bruxelles; come vedremo meglio in seguito, infatti, entrambe le opzioni presentano
dei vantaggi e dei limiti: reclutare personalità già conosciute nel “salotto”91 delle
istituzioni comunitarie, magari già esperte nell’attività di lobbying e in possesso dei
giusti contatti può sicuramente pagare in termini di facilità di ottenere incontri
informali e informazioni “confidenziali”; lo scotto opposto, che invece viene evitato
distaccando personale di estrazione regionale, è che tali personaggi, solitamente
provenienti da esperienze in campo aziendale, faticano non poco “a riconoscere e
a convivere con i meccanismi di funzionamento di una pubblica
amministrazione”92, e risulta quindi più difficile elaborare una strategia congiunta,
coordinata e condivisa tra la Regione e la sua “appendice” comunitaria.
Il privilegiare l’uno o l’altro aspetto può probabilmente essere letto come il risultato
della strategia che la Regione intende perseguire in ambito europeo, delle attività
che di conseguenza sono affidate alle sedi distaccate e del modello di
rappresentanza che si ambisce a promuovere. Prima di passare all’analisi di
quest’ultimo punto e alla ricognizione delle funzioni assegnate ai vari uffici, occorre
comunque evidenziare uno dei pochi elementi in comune ai diversi modelli
organizzativi riscontrati: se osserviamo la collocazione degli uffici
nell’organigramma regionale, nella quasi generalità dei casi gli uffici si situano
nell’ambito della Presidenza della Giunta, tranne per il Molise, in cui l’ufficio
dipende dal Settore programmazione, e per la Provincia Autonoma di Trento, che
colloca la sede nell’ambito dell’Assessorato all’Europa. Secondo la maggioranza
degli intervistati, la decisione di collocare l’ufficio in tale ambito è in realtà una
scelta piuttosto obbligata, visto il carattere “quasi-diplomatico” delle sedi di
Bruxelles, e considerato che ad esse viene generalmente attribuito il compito di
stabilire contatti con le istituzioni comunitarie. Inoltre, come sottolineano altri, la
collocazione dell’ufficio nell’ambito della Presidenza o del Gabinetto consente di
sostenere più agevolmente quelle spese di rappresentanza che per altre direzioni
diventerebbero problematiche93; ciò non toglie che le diverse sedi, a prescindere
dalla loro collocazione, mantengano un rapporto di interlocuzione e di scambio con
90
Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna; vedi § 3.1
L’espressione è stata mutuata dalle parole della dirigente intervistata in Lombardia, vedi nota
precedente.
92
Ibidem
93
Intervista a testimone privilegiato, Regioni Friuli, luglio 2001
91
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
tutte le direzioni regionali toccate dalle tematiche comunitarie nello svolgimento
delle loro attività.
Attività degli uffici e loro “profilo”
A dispetto della relativa omogeneità delle formulazioni legislative che istituiscono i
vari uffici regionali, definiti genericamente “strutture di collegamento” o di
“rappresentanza”, la gamma di attività da essi realmente svolta varia sensibilmente
da caso a caso, sia in termini quantitativi che qualitativi (Smets, 1998, p.308). Se in
alcuni casi essi esercitano un nucleo minimo di funzioni prevalentemente di
carattere informativo e di supporto logistico, all’estremo opposto troviamo sedi che
portano avanti un’insieme coerente di azioni di vera e propria rappresentanza degli
interessi territoriali, unito alla presenza di una strategia precisa per influenzare la
formazione delle politiche comunitarie. Generalmente, gli uffici tendono ad
ampliare e ad “approfondire” l’insieme delle loro mansioni man mano che la loro
presenza a Bruxelles si consolida nel tempo: nei primi anni dalla loro creazione,
Tab.2 Personale degli uffici di rappresentanza delle Regioni e delle Province Autonome
italiane. Aspetti quantitativi e qualitativi (situazione al luglio 2003)
Regione
Background del responsabile
N. e tipo di personale
Abruzzo
3 (1 dirigente responsabile e 2 funz.
reg.li)
La responsabile è una consulente esterna
(Mondimpresa), ex direttrice dell’ufficio a Bruxelles
della Regione Liguria
Calabria
5 (4 dipendenti del BIC Calabria e 1
funz. reg.le)
Il responsabile è un dipendente del BIC
Campania
4 (1 dirigente responsabile, 2
funzionari reg.li e 1 segretaria)
Emilia
Friuli
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
6 (1 dirigente responsabile, 2
funzionarie regionali, 3 elementi di
supporto forniti da una società di
consulenza) + stagisti a rotazione
3 (1 funzionario coordinatore e 2
“consiglieri” – qualifica inferiore a
funzionario – regionali)
7 (1 dirigente responsabile, 1
dirigente, 4 funzionari e 1
segretaria)
3 (due senior e un intermedio) +
stagisti a rotazione
Il responsabile è un dirigente regionale che da ormai
cinque anni ricopre incarichi a livello europeo
(Commissione e Italrap)
La responsabile è esterna all’amministrazione
regionale, ma si occupa dell’ufficio fin dall’inizio
dell’esperienza. Dal 1994 al 1997 è stata infatti
direttrice dell’Aster.
Il responsabile è l’ex capo di gabinetto della giunta
regionale.
Il responsabile è un dirigente regionale (area Relazioni
con l’Unione europea), mentre la dirigente del servizio
è esterna.
Il responsabile è un consulente esterno, con
precedenti esperienze a Bruxelles
Il responsabile è un consulente esterno che può
11 (1 dirigente responsabile, 3
vantare 15 anni di esperienza di lavoro a Bruxelles,
dirigenti esterni, 7 funzionari di cui
come responsabile delle politiche comunitarie per
solo uno di estrazione regionale)
grosse aziende.
3 (1 dirigente responsabile, 1
Il responsabile è un dirigente regionale che ha sempre
funzionario regionale e 1 segretaria) ricoperto incarichi inerenti alle politiche comunitarie.
Era dipendente della Direzione generale della
1 funzionario regionale
programmazione
2 (1 dirigente responsabile
La responsabile è la dirigente del Settore Supporto al
regionale pendolare e 1
collaboratrice esterna) + 1
Coordinamento delle politiche comunitarie per
l'accesso ai fondi strutturali, nell’ambito della
consulente del presidente. A breve
Direzione della Presidenza
dovrebbero però essere distaccati
un paio di funzionari regionali.
Il responsabile è un consulente esterno, che è stato
2 (1 dirigente responsabile e 1
direttore generale della direzione informazione e
funzionaria regionale)
relazioni pubbliche del PE.
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104
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Sardegna
Sicilia
Toscana
Umbria
Valle d’Aosta
Veneto
Prov.
Bolzano e
Trento
4 (1 dirigente responsabile, 2
funzionari regionali e 1 dattilografa)
IL responsabile è un dirigente regionale (Servizio
Politiche dello Sviluppo,
Rapporti con lo Stato e le Regioni, Rapporti con
l'Unione europea e Rapporti Internazionali)
Il responsabile è un dirigente regionale che ricopre
numerosi incarichi a livello europeo (CRPM, altre
associazioni) e attualmente collabora al progetto
PORE del Ministero per gli affari regionali.
Il responsabile è un dirigente regionale che da molti
anni ricopre incarichi a livello europeo. Anche gli altri
5 (3 alti dirigenti regionali + 2
due dirigenti, comunque, condividono la responsabilità
segretarie) + stagisti a rotazione
della sede e possono vantare numerose esperienze in
ambito comunitario (CdR, Commissione…)
Il responsabile è un dirigente regionale, che si
2 (1 dirigente responsabile e 1
occupava del coordinamento degli uffici di Presidenza
funzionaria regionale)
della Giunta
3 (2 funzionari per la Regione, 1 per
Il responsabile (ma anche l’altro personale) è un
la Finaosta) + 1 stagista
consulente esterno.
11 (1 dirigente responsabile, 3
Il responsabile è un dirigente regionale (direzione
funzionari e 7 collaboratori tra junior
regionale per le relazioni internazionali)
e senior)
4 (1 dirigente per la prov. di
Bolzano, 1 per quella di Trento più
I responsabili sono dirigenti provinciali.
2 segretarie)
4 (1 dirigente responsabile, 1
funzionario regionale, 2 esperti
esterni)
essi si trovano infatti a fare i conti con una sorta di “rodaggio” della loro missione,
dovendo imparare a muoversi in un ambiente nuovo e a prendere familiarità con il
“linguaggio della Commissione”.
Durante questa fase, quindi, le attività di un ufficio si concentreranno
prevalentemente sulla creazione di contatti stabili con alcuni funzionari europei e
con i vari organismi comunitari, sul reperimento e la trasmissione di informazioni
“di prima mano” alle istituzioni regionali (e, eventualmente, agli enti locali e alle
forze socioeconomiche presenti sul territorio)94 e su una funzione indicata da molti
come di “statica rappresentanza” o di “rappresentanza diplomatica”, che si traduce
semplicemente nel presenziare alle riunioni del Comitato delle Regioni e del PE e
nel “far vedere che si è presenti in loco”.
In effetti tra gli uffici di più recente creazione sia la Puglia che il Molise, in questo
primo periodo, svolgono prevalentemente azioni di supporto e di informazione
rivolte al personale politico e amministrativo della Regione, e di ricerca di contatti
sia con l’Italrap che con le altre Regioni presenti a Bruxelles, rimandando le
ambizioni di influire sulla fase ascendente delle politiche comunitarie ad un futuro
piuttosto imprecisato. Anche il Friuli si attesta più o meno sullo stesso livello,
seppur distinguendosi per l’offerta di assistenza tecnica fornita al personale
regionale in caso di problemi durante l’iter dei progetti sottoposti all’attenzione
della Commissione. Il caso della Campania, l’ultima Regione italiana ad aver
istituito la propria sede, si discosta invece parzialmente dai precedenti in quanto
tra le attività menzionate dagli intervistati, oltre all’informazione e alla ricerca di
contatti, viene riportata l’ambizione di “sfidare il modello di amministrazione
pubblica (…) in modo che un domani l’idea e il funzionamento dell’ufficio di
94
Informazione che può riguardare sia l’evoluzione della normativa comunitaria in ambiti di interesse
regionale, sia la segnalazione di specifici bandi o programmi, anche in relazione ai fondi strutturali.
Molti degli intervistati sottolineano l’importanza di agire come una sorta di postazione di sorveglianza
preventiva, o di radar, in modo da far sì che l’informazione fornita dall’ufficio sia prevalentemente di
carattere anticipatorio, e assuma così un valore aggiunto rispetto alle comunicazioni ufficiali offerte
dalle istituzioni comunitarie.
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
105
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Bruxelles possano essere trapiantati anche a livello locale”95: un progetto nato da
una comunanza di intenti tra l’attuale Presidente della Regione e il responsabile
della sede, che fa percepire la volontà di utilizzare l’esperienza diretta nella
capitale comunitaria anche come occasione di apprendimento amministrativo,
confidando in una sorta di ricaduta positiva sulla capacità dell’ente e dell’intero
sistema regionale di affrontare le politiche europee e le opportunità ad esse
collegate (come nel caso dei fondi strutturali), capacità dimostratasi decisamente
scarsa fino ad un passato molto recente. Chiaramente tuttavia, essendosi la
Campania insediata solo nel maggio del 2002, le attività della sede sono ancora in
una fase embrionale e occorrerà attendere un suo maggiore radicamento per
vedere se questo disegno troverà un riscontro concreto nella pratica.
Man mano che gli uffici consolidano la loro presenza, anche i loro compiti
assumono tratti diversi: lo stesso passaggio di informazioni dalla sede alla “casa
madre”, ad esempio diventa più mirato, strategico, ed orientato a recepire gli
orientamenti della Commissione prima che vengano resi ufficiali, al fine di
formulare progetti che abbiano maggiore probabilità di successo. L’iter di tali
progetti comincia poi ad essere seguito passo passo dal personale che, oltre a
facilitare i contatti tra amministrazione di riferimento e funzionari della
Commissione (funzione di “apripista”), passa ad esercitare la cosiddetta funzione
di “accompagnamento”, sorvegliando l’avanzamento procedurale ed avvertendo i
responsabili
regionali
ogniqualvolta
si
presentino
degli
“intoppi”.
Contemporaneamente, una volta individuati i referenti nei diversi organismi
europei, l’operazione di “tessitura dei rapporti” si estende anche alle altre Regioni
presenti a Bruxelles, col duplice scopo di individuare possibili partner per
programmi comuni e di creare reti di solidarietà intorno a problematiche condivise
per influenzare congiuntamente il decision making comunitario in tali ambiti. Tutti
gli intervistati nelle Regioni che si sono insediate a Bruxelles da almeno tre anni
hanno infatti menzionato quest’ultima operazione tra i compiti principali dell’ufficio;
tra queste, mentre le Marche e l’Umbria hanno teso a privilegiare i rapporti e la
collaborazione con le altre Regioni del centro Italia (con le quali condividono
l’ufficio), la Sicilia e la Sardegna si sono orientate prevalentemente verso quelle
Regioni europee che come loro devono fare i conti con il problema dell’insularità.
La funzione di network making sembra riguardare invece in misura minore quelle
Regioni come la Valle d’Aosta e la Calabria che dividono la propria sede con
strutture di supporto alle realtà economiche territoriali (Finaosta e BIC Calabria): in
questi casi, infatti, assumono maggiore rilevanza le funzioni di assistenza tecnica e
progettuale e di promozione degli interessi regionali. Le attività promozionali e la
rappresentanza del territorio, che possono spaziare dalla semplice organizzazione
di fiere e manifestazioni mirate fino alla presentazione esplicita di precise istanze a
livello di organismi europei, rientrano comunque tra le priorità di tutte le sedi, così
come l’organizzazione di corsi di formazione rivolti agli operatori socioeconomici e
ai funzionari amministrativi.
Se consideriamo infine il “gruppo di testa” delle Regioni che da più tempo si sono
insediate a Bruxelles vediamo che, nella maggior parte dei casi, queste possono
ormai contare su degli uffici che hanno interiorizzato la propria missione e sono in
grado di spaziare efficacemente tra l’ampio ventaglio di funzioni finora illustrate;
addirittura, le sedi di Emilia Romagna e Toscana riferiscono di dedicare ormai
pochissime energie alle attività di semplice informazione, dato che all’interno degli
95
Intervista a testimone privilegiato, Regione Campania, maggio 2002
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
106
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
enti regionali sono stati sviluppati dei sistemi che non rendono necessario il ricorso
agli uffici di Bruxelles per il reperimento di notizie96. L’attenzione si concentra
piuttosto nel tessere e mantenere relazioni multilivello, nell’aiutare la Regione nello
stabilire i partenariati, nel favorirne la capacità progettuale e, trasversalmente a
queste attività, nel rappresentare gli interessi del territorio, anche tramite azioni di
lobbying. Il concetto di lobbying, ormai diffuso e diventato di uso comune per
coloro che operano a Bruxelles, è però concepito in maniera sostanzialmente
diversa da ufficio a ufficio; mentre per la Lombardia la lobbying è prevalentemente
orientata all’ambito dei fondi strutturali e si concretizza nello sfruttare i contatti
giusti per ottenere anticipazioni, agevolare progetti ed esercitare così una
maggiore “penetrazione finanziaria”97, coloro che lavorano nella sede della
Toscana riferiscono che la migliore lobbying si fa lavorando bene, risultando
affidabili ed acquisendo riconoscimento e visibilità presso le istituzioni comunitarie.
Ciò non esclude che si ricerchino contatti e informazioni di prima mano per quanto
attiene ai bandi e alla fattibilità dei progetti98, ma queste attività risultano comunque
complementari rispetto all’obiettivo prioritario, che è quello di affermare e
“posizionare” l’istituzione regionale in ambito europeo”99. Come conseguenza di
questa differente concezione e delle diverse priorità, il profilo dell’ufficio e le
caratteristiche di chi vi lavora variano sensibilmente: come abbiamo già avuto
modo di sottolineare, la Regione Lombardia (e principalmente il suo Presidente) ha
scelto di affidare la sede di Bruxelles a personale esterno alla Regione,
privilegiando il possesso di un fitto carnet di contatti rispetto all’esperienza diretta
nell’amministrazione regionale. Questo tipo di decisione è perfettamente in linea
con la missione che l’ufficio è chiamato a svolgere, e cioè “favorire la capacità
progettuale della Regione per accedere ai programmi e ai fondi” e, a tale scopo,
“stabilire un sistema di relazioni il più possibile esteso ed efficace”100 (profilo
“lobbista”) . Al contrario, la responsabilità dell’ufficio toscano è stata affidata a “tre
dirigenti di massimo livello, che insieme contano quasi ottanta anni di anzianità di
lavoro in Regione”101, dotati di rapporti consolidati e fiduciari con la componente
politica e amministrativa operante a Firenze, e quindi in grado di rappresentare con
coerenza le strategie del governo regionale. Il profilo dell’ufficio infatti, come è
riconosciuto sia dagli intervistati della sede toscana che da quelli di altre Regioni,
può essere definito come un profilo “politico”: non a caso, è forse l’unico ufficio al
96
Ad esempio, la Regione Emilia Romagna ha stipulato una convenzione con l’Agenzia di sviluppo
regionale Ervet Spa che prevede la realizzazione di una serie di attività a supporto dell’ente
regionale e anche dell’ufficio a Bruxelles; tra le altre cose Ervet cura infatti Europ@facile, un sito
internet sulle politiche e i finanziamenti dell’Unione europea al servizio dell’intero territorio regionale.
97
Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002
98
Parlando di queste attività, gli intervistati sottolineano che occorre essere coscienti dei risultati che
si possono concretamente ottenere. Come precisa uno di essi “noi stiamo parlando di piccolissimi
progetti da un punto di vista finanziario rispetto al grosso che è quello che invece gestisce la regione
con i Fondi strutturali, obiettivo 2 e 3 già a Firenze, per cui non è che noi stiamo parlando di
operazioni per fare affluire…..scherzando, l’altra sera, dicevamo che in qualche operazione talvolta
si rischia che gli spostamenti dei vari dirigenti per seguire una certa iniziativa, alla fine siano quasi
superiori…..perché è importante avere questi rapporti e far passare progetti qua a Bruxelles? E’
importante perché si tratta quasi sempre o di azioni sperimentali innovative, di azioni che poi mirano
ad essere disseminate a livello europeo, cioè si tratta di una punta di diamante, piccola nella
quantità ma significativa nella qualità. Ecco, è un po’ questo il motivo, perché poi uno magari dice:
tutta questa confusione per pochi euro di un progetto”.
99
Come tiene a precisare uno degli intervistati, “è un caso che la Regione Toscana sia la Regione
coordinatrice delle Regioni a potere legislativo in Europa? Oppure è frutto di un’operazione che non
si improvvisa, ma di un impegno costante di serietà, fatto di contenuti e di lavoro continuo? In
Europa nulla si improvvisa e niente è regalato…”
100
Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002
101
Intervista a testimone privilegiato, Regione Toscana, maggio 2002
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
quale “tante volte viene dato il mandato a negoziare” con i funzionari della
Commissione.
In linea generale, si può comunque concludere che per assumere un profilo ben
distinto e distinguibile è necessario che un ufficio abbia raggiunto un discreto
grado di consolidamento, elemento che non necessariamente coincide con la sua
“età anagrafica”: vi sono casi come la Sardegna, o il Lazio, che pur essendo tra le
prime Regioni ad attivarsi verso Bruxelles non sembrano disporre ancora di sedi
dotate di una chiara missione.
Gli interlocutori
La ricerca di contatti da parte del personale degli uffici a Bruxelles privilegia in
genere le DG della Commissione che si occupano delle questioni di interesse
regionale (es. DG regio, DG agri, DG impresa…), specie se in riferimento alle
questioni legate ai programmi cofinanziati dai fondi comunitari (fase discendente
della policy). Tuttavia non si può trascurare il “peso” di altre interazioni: le sedi,
nella generalità dei casi, hanno tra i loro scopi prioritari mantenere contatti costanti
con la Rappresentanza Permanente dell’Italia in seno al Consiglio (Italrap) e
creare reti di relazioni con le altre Regioni presenti a Bruxelles, al fine di incidere
più efficacemente nella fase “ascendente” del policy-making comunitario e di
reclutare partner con i quali mettere in piedi progetti a carattere transnazionale. Tra
gli uffici regionali italiani, inoltre, esiste una sorta di collegamento informale, con
una segreteria a turno trimestrale, che permette la realizzazione di iniziative
comuni e la messa a punto di eventuali strategie congiunte, anche tramite uno
scambio sistematico di informazioni.
Ultimamente, specie dopo l’estensione della procedura di codecisione operata con
il Trattato di Amsterdam, anche il Parlamento europeo è diventato un interlocutore
appetibile: i rapporti con questa istituzione vengono mantenuti soprattutto tramite
gli europarlamentari della propria Regione, o per lo meno eletti nella circoscrizione
a cui questa fa riferimento. Sebbene molti ammettano che è più facile dialogare
con rappresentanti che presentano un’affinità politica con il governo regionale, tutti
riconoscono che il criterio principale che guida le interazioni è piuttosto quello del
territorio, al fine di tutelarne e promuoverne gli interessi al di là dell’appartenenza
di specifiche maggioranze.
Infine, anche i rapporti con il Comitato delle Regioni sono piuttosto fitti, specie in
quei casi in cui il Presidente della Regione ricopre la carica di membro effettivo.
Non di rado, infatti, all’interno degli uffici di Bruxelles viene assegnato a qualcuno
del personale l’incarico specifico di assistere e “preparare” il Presidente in
occasione delle varie sedute, oltre a presenziare al suo posto nel caso egli non
possa parteciparvi.
Come per la gamma delle attività intraprese, anche il “pacchetto” di interlocutori a
disposizione delle varie sedi si amplia e si diversifica man mano che la loro
presenza a Bruxelles assume caratteri di continuità e radicamento. L’attenzione a
stabilire e mantenere contatti con specifici organismi e istituzioni è poi chiaramente
influenzata dalle possibilità di partecipazione per i governi regionali che
progressivamente si aprono a livello comunitario; come riferiscono quasi tutti gli
interpellati, infatti, il futuro degli uffici e il loro ulteriore sviluppo sono legati a filo
doppio con le prospettive di riforma istituzionale a livello nazionale ed europeo: il
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108
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
processo di revisione del titolo V della Costituzione italiana e il percorso della
Convenzione europea sono due fenomeni a cui, in misura maggiore o minore, tutti
gli uffici fanno riferimento, individuando in essi le possibili finestre di opportunità a
cui guardare per pensare e ripensare il proprio funzionamento.
Alla radice delle differenze: alcune possibili spiegazioni
Una volta scandagliato il vasto panorama degli uffici a Bruxelles delle Regioni
italiane, si può cercare di capire se vi siano dei fattori in grado di spiegare la
molteplicità delle differenze riscontrate sia in termini di tempismo nell’attivazione
che di consolidamento delle diverse sedi.
Partendo dal “testare” le principali ipotesi fornite dalla letteratura (vedi §2.2),
possiamo innanzitutto affermare che, nell’ambito delle variabili politico-istituzionali,
il fattore del national constraint ha senza dubbio ritardato l’attivazione generale
delle Regioni italiane rispetto al resto del panorama europeo; anche quei governi
regionali che si sono mossi in maniera pionieristica, infatti, risultano comunque
indietro di circa un decennio se paragonati alle esperienze registrate in altri paesi,
primo tra tutti la Germania. Tuttavia, è altrettanto evidente che su scala
infranazionale si registrano differenze significative in merito al “tempismo” dei
diversi governi regionali, che pure erano tutti sottoposti allo steso vincolo
normativo: innanzitutto, una prima distinzione deve essere operata tra quelli che
hanno anticipato la legislazione nazionale e quelli che vi hanno semplicemente
“reagito”; tra questi ultimi, inoltre, occorre evidenziare la particolare inerzia propria
di alcuni casi, che hanno provveduto ad istituire una propria sede solo negli ultimi
due anni. Occorre quindi prendere in considerazione altri fattori per capire cosa ha
spinto alcuni governi subnazionali ad attivarsi in tempi più rapidi.
La resource-push hypothesis, secondo cui una Regione “ricca” avrebbe più
strumenti per “mobilitarsi” e sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Europa,
sembra trovare nel panorama italiano solo una parziale conferma (vedi fig.2): se è
vero che molte delle Regioni del gruppo di avanguardia presentano un PIL102
decisamente elevato (Lombardia, Emilia, Veneto ed entrambe le Province
autonome), ci si può chiedere perché Toscana e Marche, che presentano livelli di
reddito quasi identici, abbiano invece tempi sostanzialmente diversi di attivazione.
Lo stesso può dirsi di Sardegna e Basilicata103, che pur rientrando tra le Regioni
più “povere”, hanno comunque cercato di creare un proprio collegamento non
appena la legislazione nazionale lo ha consentito.
102
In questa sede il PIL regionale è espresso in Parità di Potere d’Acquisto (PPA) rispetto alla media
comunitaria, intendendo quest’ultima equivalente a 100.
103
Si ricorda tuttavia che, ad oggi, la Basilicata ha interrotto la propria esperienza di collaborazione
con il Desk di Bruxelles
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109
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Confronto tra PIL regionale pro capite (espresso in SPA104) e tempismo
nell’istituzione di uffici
prima di L.52/96
1996/97
1998/99
2000/02
(6)
(4)
(6)
(4)
PPA pro capite*
117,4 a 136
98,6 a 117,4
79,8 a 98,6
61 a 79,8
(9)
(3)
(2)
(6)
* Dati 1995, tratti da Leonardi, 1998 (media UE = 100)
La stessa perplessità può essere estesa all’ipotesi speculare (resource pull
hypothesis), in base alla quale la politica regionale europea e i fondi strutturali
costituirebbero una “calamita” in grado di attrarre i vari governi regionali,
specialmente quelli potenzialmente beneficiari, nell’orbita comunitaria; se è vero
infatti che la politica di coesione, i fondi strutturali e i progetti ad essi correlati sono
spesso menzionati tra i campi di interesse prioritari di tutti gli uffici, è altrettanto
diffusa la consapevolezza che l’influenza che questi possono esercitare sulla
spartizione dei finanziamenti in ballo è limitata alle “peanuts”, e cioè ad un
ammontare di risorse decisamente limitato se paragonato alle quote stabilite in
base ai parametri delle zonizzazione. Più che per la possibilità di esercitare
pressioni dirette sulle istituzioni comunitarie al fine di procacciarsi più fondi, quindi,
la politica di coesione ha probabilmente incentivato l’attivazione diretta a Bruxelles
perché ha rappresentato per le Regioni una vera e propria finestra di opportunità: il
principio del partenariato, il frequente richiamo al principio di sussidiarietà e la
creazione di appositi programmi a vocazione interregionale e transnazionale (le
iniziative comunitarie e, in particolare, INTERREG) hanno lasciato intravedere ad
alcune Regioni la possibilità di emanciparsi dal filtro nazionale, stimolando così
l’apertura di canali di interlocuzione diretta a Bruxelles, anche al fine di vedere
meglio tutelati i propri interessi territoriali nell’ambito della normativa europea.
L’interrogativo da sciogliere riguarda allora il perché alcune Regioni prima di altre
sono riuscite a percepire questa opportunità e ad attivarsi in proposito. L’ipotesi
della distinctiveness, secondo cui maggiori sono le frizioni tra Regioni e governo
centrale, maggiori sono le probabilità che i primi cerchino di cortocircuitare il filtro
nazionale, se interpretata con un certo grado di elasticità può fornire una prima
risposta abbastanza soddisfacente; osservando le Regioni che si sono attivate in
anticipo rispetto alla legislazione statale, si può infatti notare come queste
condividano una comune ambizione ad emanciparsi e a distinguersi dal filtro
104
Come spiega Leonardi (1998), la Parità di potere d’acquisto (PPA) – o standard di potere
d’acquisto – “paragona i prezzi per lo stesso paniere di beni e servizi nei diversi stati membri”
(p.137), ed è quindi un indicatore delle differenze di reddito più adeguato rispetto al PIL pro capite.
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110
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
nazionale, sebbene tale ambizione sia da ricondurre a radici differenti: la Toscana
e l’Emilia Romagna, per esempio, sono due Regioni tradizionalmente “rosse”,
storicamente governate da maggioranze a netta dominanza PCI. Le loro élite
politico-amministrative, impegnate fin dagli anni ’70 a proporre un modello
innovativo di politica e politiche, hanno probabilmente individuato fin da subito
nell’ambito comunitario un’occasione di “riscatto” rispetto all’esclusione forzata
dalle compagini governative nazionali, impegnandosi entrambe, fin dalla loro
nascita, in associazioni regionali a carattere transnazionale105. Pare plausibile,
dunque, che queste due Regioni, già attente alla dimensione europea, si siano
dimostrate pronte a cogliere le opportunità di partecipazione non appena queste si
sono manifestate. Le Province Autonome di Trento e Bolzano, che rientrano
invece tra le istituzioni territoriali a statuto speciale dell’ordinamento costituzionale
italiano, presentano al loro interno una spiccata diversificazione culturale e
linguistica, e mostrano problematiche e caratteristiche che ne sanciscono lo status
di vera e propria “regione frontaliera”, assai poco assimilabile al resto del
panorama nazionale. L’apertura del loro ufficio in comune con la Regione austriaca
del Tirolo sembra rispecchiare appieno questa loro vocazione. Infine, Lombardia106
e Veneto (e, poco più tardi, il Piemonte) hanno probabilmente percepito lo scenario
comunitario, specie dopo l’entrata in vigore del mercato unico, come un’occasione
di emancipazione per i loro sistemi produttivi e di espansione della propria
competitività al di là dei confini nazionali, attivandosi, non a caso, tramite le sedi a
Bruxelles dei loro organismi camerali. L’ipotesi della distinctiveness nelle sue varie
sfumature, seppur insufficiente a spiegare in maniera convincente tutte le diversità,
ci offre però un primo, parziale suggerimento: se già un governo regionale era alla
ricerca di opportunità al di fuori del vincolo nazionale (fosse esso politico o
economico), le progressive aperture in ambito comunitario sono state subito colte
e fatte proprie.
Tuttavia, se è vero come riferiscono i vari intervistati che l’iniziativa di aprire una
propria sede è “sempre il risultato di una decisione politica” (Badiello, 1998, p.338)
da ricondurre al Presidente o comunque all’ambito della Presidenza (che nella
stragrande maggioranza dei casi detiene la titolarità dei rapporti con l’Unione
europea), il versante delle élite di governo e in particolar modo il fattore della
leadership politica diventano elementi imprescindibili ai fini della nostra analisi. La
presenza di una leadership sensibile alle tematiche europee e attenta a cogliere le
opportunità di partecipazione che si aprono sullo scenario comunitario è infatti un
elemento che accomuna gran parte delle Regioni del gruppo di testa: sia
Formigoni in Lombardia che Chiti in Toscana sono indicati da tutti gli intervistati
come due leader capaci di trattare le questioni europee con grande dimestichezza,
e che hanno fatto di queste tematiche dei veri e propri cardini della loro azione di
governo regionale, acquistando parallelamente una notevole visibilità anche sulla
scena nazionale e comunitaria107. Allo stesso modo, l’attivazione tempestiva
105
La Toscana, per esempio, è tra le Regioni fondatrici della Conferenza delle Regioni Periferiche e
Marittime (CRPM) nel 1972.
106
Anche la Lombardia, come la Toscana e l’Emilia, esprime una partecipazione particolarmente
attiva in associazioni regionali a carattere transnazionale come ad esempio “Quattro motori per
l’Europa”, attiva dal 1988.
107
In particolare Chiti, durante i suoi due mandati come Presidente della Regione Toscana, ha
ricoperto ruoli molto rilevanti sia a livello europeo, diventando vicepresidente del Comitato delle
Regioni e presidente della Crpm, sia nazionale, guidando la Conferenza dei Presidenti delle Regioni
durante il 1998. Tale eredità positiva è stata raccolta adesso dal Presidente Martini, che è stato a
sua volta nominato Presidente della Crpm e rappresenta il Comitato delle Regioni nella
Convenzione europea.
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111
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
dell’Emilia Romagna di una sede a Bruxelles va letta come frutto di una strategia
politica di proiezione fuori dai confini nazionali iniziata fin dal 1992, con l’intesa
siglata dell’allora Presidente Pier Luigi Bersani con Hans Eichel, Presidente della
Regione tedesca dell’Assia (Badiello, 2003), tradottasi nella condivisione dello
stabile che ospita i relativi uffici a partire dal 1994.
Il riferimento alla leadership può poi essere utile anche per comprendere la
diffusione del fenomeno al di là delle prime esperienze di avanguardia: se
consideriamo il caso dell’ufficio comune delle Regioni del Centro Italia, vediamo
infatti che questo progetto nasce soprattutto come frutto di un accordo politico tra
gli allora Presidenti delle Regioni e dall’elaborazione di una loro strategia
congiunta per “fare massa critica” nei confronti dell’Unione europea108.
L’elemento della percezione delle opportunità connesse allo spazio politico
europeo, e quindi il versante dei fattori cognitivi, risultano di particolare utilità
anche per spiegare il sostanziale ritardo che ha caratterizzato gran parte delle
Regioni meridionali, molte delle quali si sono dimostrate praticamente inerti fino
agli ultimi due anni: la forte dipendenza dall’intervento straordinario e l’“abitudine”
alle logiche ad esso soggiacenti (profondamente in contrasto con i dettami della
politica di coesione e con i più generali orientamenti di policy promossi a livello
europeo) hanno sicuramente ostacolato la percezione, da parte dei governi
regionali, delle occasioni legate ai fondi strutturali e, più in generale, alla
partecipazione al policy-making europeo. La pratica dei finanziamenti a pioggia,
l’assenza di meccanismi di controllo e il monopolio della funzione di gate-keeping
da parte dei partiti politici, tutti elementi protagonisti per circa quarant’anni nella
storia del Mezzogiorno, hanno contribuito ad ingabbiare le Regioni del sud in una
logica di dipendenza dal governo nazionale, logica ben lungi dall’essere sconfitta
anche in seguito alla fine dell’intervento straordinario (L.488/92) e alla crisi dei
partiti registrata nei primi anni ’90. È infatti solo in seguito ai mutamenti
nell’orientamento del governo nazionale, visibili soprattutto a partire dalla seconda
metà degli anni ‘90, che queste Regioni hanno cominciato a manifestare interesse
per la finestra di opportunità europea: in seguito ad una serie di incontri e seminari
promossi dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione (DPS) del
Ministero del Tesoro nel corso del 1998, riguardanti prevalentemente la questione
dei nuovi regolamenti dei fondi strutturali, sembra infatti aver preso il via un
processo graduale di presa di coscienza e di apprendimento che, se ancora stenta
a produrre risultati “mirabolanti” in termini di capacità amministrativa, si è
comunque tradotto in una crescita dell’attenzione rivolta verso Bruxelles. Tale
tendenza è stata ulteriormente rafforzata dal parallelo processo di riforma che nel
1999 introduce nelle Regioni italiane l’elezione diretta del Presidente della Giunta
(L.Cost.1/99): a seguito di questa legge, il capo della giunta non solo “rappresenta
la Regione”, ma “dirige la politica della Giunta e ne è responsabile” (art.1). Dal
momento che la gestione dei fondi strutturali – ormai tra le più importanti fonti di
finanziamento per le casse delle Regioni del Mezzogiorno – rientra senza dubbio
tra le principali (e più visibili, visto l’ammontare delle risorse in ballo) attività dei
governi regionali, ci si può aspettare che gran parte della credibilità e della
reputation dei presidenti in carica si giocherà proprio sulla capacità di affrontare
con successo questo settore di intervento. Inoltre, se è vero che durante gli anni
dell’intervento straordinario, gran parte del prestigio (e del consenso) delle élite
politiche locali e territoriali dipendeva dalla loro abilità nel tenere i rapporti con
108
Intervista a testimone privilegiato, Regione Abruzzo, novembre 2002
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112
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Roma (vale a dire con esponenti del governo centrale o del parlamento) e dalla
loro conseguente capacità di attrarre risorse sul territorio regionale, non dovrebbe
stupire che oggi, giacché la “cornucopia” si trova a Bruxelles, lo stesso tipo di
ragionamento si riproponga su scala europea109.
Per entrambi i motivi sopra menzionati, il fatto di spingere per la creazione di un
ufficio a Bruxelles può quindi rappresentare, per un Presidente di Regione che sia
in grado di cogliere questa opportunità, un ottimo “biglietto da visita” nei confronti
del proprio territorio: non a caso, sia Fitto (Puglia) che Bassolino (Campania), eletti
entrambi nel 2000 con la nuova legge elettorale, hanno immediatamente
predisposto l’apertura delle rispettive sedi regionali nella capitale comunitaria.
Se i fattori di tipo cognitivo e la qualità delle élite politiche alla guida dei governi
regionali rappresentano dei fattori chiave in relazione al momento “genetico”
dell’attivazione in ambito comunitario, ci si può chiedere quali siano invece i fattori
in grado di spiegare il maggiore o minore grado di consolidamento delle
esperienze avviate. Dal momento che la decisione di istituire una sede a Bruxelles
e il “progetto” ad essa correlato vanno concepiti come frutto di una decisione
politica, affinché un ufficio riesca a radicarsi e ad assumere una chiara “missione”
occorre che vi sia da un lato un buon coordinamento e una “comunanza di intenti”
tra livello politico e amministrativo, e dall’altro una certa continuità nelle linee
strategiche di governo regionale (Badiello, 1998, p.338); Toscana, Lombardia,
Emilia e Veneto, che ad oggi sono le Regioni che dispongono delle sedi a
Bruxelles più visibili e “rodate”, presentano tutte quest’ultima caratteristica: tutte e
quattro le Regioni, infatti, non hanno conosciuto cambiamenti nella maggioranza
nelle ultime due legislature, e sebbene i loro uffici distaccati abbiano subito delle
modifiche dal momento della loro istituzione, queste sono comunque state
apportate rispettando ed arricchendo il “progetto originario”. Al contrario, in casi
come la Liguria e l’Abruzzo, che nel 2000 hanno sperimentato un radicale
cambiamento di maggioranza politica, gli uffici già esistenti e le loro funzioni sono
stati quasi completamente azzerati e ripensati, anche tramite la sostituzione quasi
integrale del personale addetto. L’importanza del fattore della continuità di governo
per il consolidamento delle sedi di rappresentanza è ancora più evidente se si
tiene conto che queste ultime, lungi dal costituire un segmento isolato dell’attività
di governo regionale, rientrano a tutti gli effetti nella più ampia gamma di azioni che
l’amministrazione regionale porta avanti nell’ambito delle proprie politiche di
sviluppo (e nella conseguente creazione di reti di governance) e delle proprie
strategie in tema di relazioni interistituzionali.
Conclusioni
In conclusione, sebbene il panorama degli uffici delle Regioni italiane a Bruxelles
presenti a tutt’oggi significative sfaccettature, sembra di poter affermare che la
corsa verso la capitale comunitaria sia ormai un tratto che accomuna tutti i governi
territoriali: fatta eccezione per il caso della Basilicata, che “recentemente ha
interrotto la collaborazione con Mondimpresa, ma che comunque mantiene
rapporti sistematici con le istituzioni comunitarie tramite le proprie strutture
interne”110, il resto delle Regioni dispone ormai di una propria sede; al di là delle
109
Non a caso, in molte Regioni le campagne elettorali per le elezioni regionali del 2000 “si sono
incentrate in larga misura sulla rilevanza delle risorse che per il periodo 2000-06 si sarebbero
riversate sul territorio.” (Graziano, 2002, p.236)
110
Intervista a testimone privilegiato, Regione Basilicata, luglio 2003
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113
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
esperienze ormai consolidate, si è infatti assistito negli ultimi due o tre anni ad un
vero e proprio processo di “diffusione”, che ha condotto anche le amministrazioni
regionali tradizionalmente più recalcitranti ad impegnarsi, in maniera più o meno
organizzata, sulla scena europea.
La crescita dell’attenzione verso il dialogo diretto con le istituzioni comunitarie e il
parallelo aumento del numero degli uffici sono stati probabilmente favoriti dalla
congiuntura di dinamiche in corso sia a livello europeo che nazionale: in primo
luogo, come abbiamo già avuto modo di constatare, la politica di coesione
dell’Unione e le varie riforme dei fondi strutturali hanno progressivamente
introdotto principi e modalità di azione decisamente contrastanti sia con la policy
legacy in tema di sviluppo regionale propria dell’esperienza italiana dal secondo
dopoguerra fino ai primi anni ’90 sia, più in generale, con l’intero assetto dei
rapporti centro-periferia: i governi regionali, in base agli orientamenti promossi
dalla Commissione, non si limitano infatti ad implementare provvedimenti emanati
dal centro, ma diventano attori chiave nei processi decisionali di programmazione
territoriale, oltre a ricevere una sorta di “investitura” per quanto riguarda la titolarità
ad interloquire con Bruxelles. L’elevato grado di misfit (Green Cowles et al., 2001)
tra le disposizioni comunitarie e la prassi invalsa a livello nazionale ha comportato
notevoli ritardi nella risposta italiana a questa sfida, sia da parte del governo
centrale, arroccato nella difesa di una visione “diplomatica” dei rapporti con
l’Unione, sia da parte di molti governi territoriali, ancora impreparati a cimentarsi
con una gamma di attività in gran parte del tutto nuova. A partire dalla seconda
metà degli anni ’90, tuttavia, la situazione ha conosciuto una prima, parziale svolta:
i frequenti richiami della Commissione europea dovuti ai pessimi risultati riportati
nell’attuazione dei programmi della fase 1989-93 hanno cominciato ad innescare
alcuni timidi tentativi di riorganizzazione111, e parallelamente si è assistito alla
formazione di una vera e propria advocacy coalition112 a sostegno di un’attenzione
maggiore verso l’Europa e orientata a coinvolgere maggiormente i livelli di governo
subnazionale nei negoziati e nella programmazione degli interventi cofinanziati dai
fondi strutturali; con l’istituzione del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS)
in seno al Ministero del Tesoro, è stato avviato un vero e proprio percorso di
“sensibilizzazione” delle Regioni italiane, specie di quelle del Mezzogiorno, con la
promozione di seminari e scambi di esperienze, con l’offerta di assistenza in sede
di messa in opera degli interventi e, infine, tramite un maggior coinvolgimento
diretto dei governi regionali nel corso dei negoziati per la definizione dei nuovi
regolamenti per il 2000-06. In seguito a questa serie di operazioni, se ancora non
si può affermare che vi sia stato un reale miglioramento delle capacità delle
diverse amministrazioni regionali nell’affrontare e gestire efficacemente le politiche
comunitarie di sviluppo territoriale, si è comunque diffusa la percezione che
sempre più queste ultime rientrano nella gamma di attività in base alle quali viene
giudicato l’operato di chi governa il territorio113.
Questo lento processo di apprendimento si incrocia, come già menzionato, con
l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Giunta: l’investitura diretta
del Presidente, se da un lato ne accresce la legittimità nelle diverse sedi
111
Proprio al 1995 risale infatti l’istituzione della Cabina di regia nazionale e delle corrispondenti
strutture regionali
112
Tale advocacy coalition non comprendeva solo esponenti di spicco del governo nazionale (Prodi,
Ciampi) ma anche esperti (primo tra tutti Fabrizio Barca) ed alcuni Presidenti di Regione.
113
Intervista a testimone privilegiato, Regione Toscana, novembre 2002
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114
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
decisionali (anche nazionali114) e ne sancisce il ruolo centrale nei confronti del
territorio, dall’altro ne aumenta la responsabilità per l’operato dell’amministrazione
regionale: il successo riportato nella gestione degli interventi strutturali e la visibilità
ottenuta in ambito europeo, che rientrano ormai tra i criteri in base ai quali è
valutata l’attività di governo, entrano a far parte così degli obiettivi prioritari dei
leader politici, che grazie a questi possono in un certo senso “reinventare” il
proprio ruolo (Morlino, 2002) e gettare le basi per una loro nuova legittimità nei
confronti dell’elettorato e del territorio (ivi comprese le varie articolazioni degli
interessi presenti); una legittimità, questa, che non si fonda più solamente
sull’identificazione partitica (afflitta da un costante processo di erosione) ma anche
e soprattutto sulla componente efficiente della rappresentanza (Pizzorno, 1983).
Nel quadro di questa congiuntura, la creazione di un ufficio a Bruxelles da parte di
un governo regionale può essere letto sia come un passo per migliorare il proprio
rendimento nelle tematiche di rilevanza comunitaria, sia come un’operazione ad
alto contenuto “simbolico”, e cioè come un atto necessario per conquistare visibilità
e credibilità agli occhi delle istituzioni europee e del proprio substrato territoriale.
Anche le sedi più giovani non esitano a riconoscere che per il momento
“l’importante è esserci”, aspettando i risultati delle riforme in corso a livello
nazionale e sovranazionale prima di definire meglio la loro missione. Gli sviluppi
paralleli del progetto di riforma del Titolo V della Costituzione e dei lavori della
Convenzione europea, infatti, sono menzionati da molti degli intervistati tra le
questioni da seguire con maggiore attenzione per orientarsi ed aiutare i governi
regionali ad affrontare i cambiamenti che saranno richiesti, compresa una
eventuale presenza più consapevole e incisiva vicina al cuore delle decisioni
europee. Il panorama degli uffici a Bruxelles, attualmente così mutevole e
variegato, è destinato quindi probabilmente ad assumere nuove sfumature in un
futuro molto prossimo.
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istituzioni del federalismo, n.1, pp.29-47
114
Come sottolineano Salvatore Vassallo e Gianfranco Baldini (2000), “l’elezione diretta dei
Presidenti delle quindici Regioni a statuto ordinario (…) ha certamente attribuito ai Presidenti di
regione un rilevante ruolo politico nazionale. Questo da un lato consente loro di essere interlocutori
autorevoli del governo centrale nella definizione delle principali scelte che influiscono sull’autonomia
regionale, dall’altro li spinge a intervenire molto più che in passato nelle controversie interne ai loro
partiti.” (p.533)
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
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116
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
3. Gli interessi dell’industria
Le industrie europee che non hanno scelto di rappresentare i propri interessi
attraverso un ufficio dedicato alle relazioni europee a Bruxelles sono spesso
membri di associazioni europee di settore industriale, commerciale o
professionale.
Queste associazioni industriali svolgono un ruolo di tutela degli interessi degli
associati attraverso tre attività principali:
a) Monitoraggio legislativo
b) Lobbying normativo e regolamentare
c) Promozione degli interessi del comparto
In molti casi, la partecipazione a livello dirigenziale in queste federazioni o
associazioni europee è il risultato di “rapporti di forza” tra le associazioni e
federazioni nazionali che cercano di imporre i loro candidati alla guida di queste
strutture a Bruxelles. In quest’ambito, la presenza italiana (61) è concentrata in
alcuni settori principali e qualche “nicchia”.
Le rappresentanze dei gruppi industriali italiani con
uffici a Bruxelles
ALITALIA
AUTOSTRADE
EDIZIONI HOLDING
ENEA
ENEL
ENI
FERRERO
FERROVIE
FIAT
FININVEST
FINMECCANICA
MEDIASET
PIRELLI
TELECOM ITALIA
Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Lista delle associazioni di settore straniere o internazionali dove figurano italiani
European Union of Semolina Manufacturers
AGRI
Federation of European Rice Millers
AGRI
European Coffee Federation
AGRI
European Association for Animal Production
AGRI
Association des Amidonnier et Feculliers
AGRI
International Confederation of Manufacturing of Furnishing Fabrics
CHEM
Federation of European Producers of Abrasives
CHEM
Federation of European Explosive Manifacturers
CHEM
European Petroleum Industry Association
CHEM
European Cement Association
CHEM
Euro Chlor Federation
CHEM
Confederation of National Associations of Tanners and Dressers
CHEM
Association of European Candle Manufacturers
CHEM
Association of European Manufacturers of Sporting Ammunition
CHEM
European Telecommunication Services Association
COMM
European Competitive Telecommunication Association
COMM
European Gas Research Group
ENER
Bureau of International Recycling
ENV
Federation of European Securities Exchange
European Committee for the Valve Industry
FIN
FIN
Euro Banking Association
Confederation of International Trading Houses
FIN
FIN
International Electrotechnical Commission
International Conferedartion of Paper and Board Converters
IND
IND
European Organisation for Packaging and Environment
European Glass and Fibre Producers Association
IND
IND
European Federation of Woodworking Machinery Manufacturers
European Federation of Materials Handling and Storgae Equipment
IND
IND
European Electronic Component Manufacturers
European Confederation of Junior Enterprises
IND
IND
European Confederation of Associations of Insulated Wires and Cables
European Committee for Materials & Products for Foundries
IND
IND
European Association of Pump Manufacturers
Committee of European Cotton and Allied Textile Industry
IND
IND
Comité Européen des Constructeurs d'Instruments de pesage
Association of European Bycicle Industries
IND
IND
World Jewellery Confederation
LUX
Federation of European Dental Laboratory Owners
MED
European Union of Private Hospitals
MED
European Federation of Catholic Medical Association
MED
EUCOMED
European Vending Association
MED
SALE
Eurogif
International Ergonomics Association
SALE
SERV
European Lawyers Union
SERV
European Internet Foundation
SERV
European Federation of Managerial Staff
SERV
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118
5
9
2
1
1
4
14
1
4
2
6
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Conference of Notaries of the EU
Association Européenne pour la Protection des Œuvres et Services Cryptés
SERV
SERV
Eurochambres
TRADE
Business Council Europe-Africa-Mediterranean
TRADE
Euroteam (Trasporti)
TRANS
European Trasmission Systems Operators
TRANS
European Sea Ports Organisation
European Association for Civil Aviation Equipment
TRANS
TRANS
European Intermodal Association
TRANS
European Council for Motor Trades and Repairs
European Committee of Associations of Manufacturers of Gears and
Transmission Parts
TRANS
European Business Aviation Association
European Association of Tolled Motorways
TRANS
TRANS
European Community Study Association
Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI
2
9
TRANS
EDU
1
I settori che mostrano una presenza italiana significativa sono: Industria (14),
Trasporti (9), e Chimica (9). Tuttavia, si registra una presenza importante anche in
settori di “nicchia”, come i servizi medici e i servizi notarili. La presenza italiana nel
settore della gioielleria sta a dimostrare quanto sia importante per le imprese
italiane del settore difendere i propri interessi a Bruxelles e in altre sedi
internazionali. Non è un caso infatti che l’associazione di settore della gioielleria
sia la “World Jewellery Association”, un’associazione con sede principale in Italia e
uffici in varie parti del mondo, Bruxelles inclusa.
Le azioni delle federazioni industriali francesi
La FICIME (Federazione delle Imprese Industriali e Commerciali Internazionali della
Meccanica e dell’Elettronica), che discende da un’unione creata nel 1909, raggruppa
l’insieme degli attori economici che si occupano dell’importazione nel mercato francese
di prodotti meccanici ed elettronici.
Essa esercita un lobbying attivo sottoponendo all’attenzione dei poteri pubblici le sue
proposte durante i processi di elaborazione dei testi legislativi o regolamentativi,
partecipando ai negoziati sull’interpretazione o l’applicazione della regolamentazione e
mantenendo un dialogo costante con le istituzioni europee ed internazionali. Le sue
strategie di influenza vengono esercitate a vari livelli.
A livello nazionale, essa partecipa attivamente ai gruppi di lavoro del Consiglio
commerciale di Francia. A livello comunitario, i suoi target di predilezione sono
Eurocommerce e EICTA, une federazione settoriale europea che raggruppa imprese
come Thomson Multimedia e Alcatel.
In questo modo, essa privilegia le attività di lobbying che si situano quanto più possibile
all’inizio dei processi decisionali ad una strategia di rete e ad un approccio politico o
tecnico. Alla luce di questi esempi, si capisce che il mancato riconoscimento della
Francia come “lobbista” attivo è essenzialmente imputabile alla scarsa pubblicità delle
sue azioni.
Le federazioni nazionali divulgano raramente le loro strategie politiche europee
attraverso i propri siti Internet. Ma esistono comunque delle eccezioni a questa regola.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Come continuatrici dell’azione delle federazioni, è opportuno citare le Camere di
Commercio e dell’Industria francese, in particolar modo la CCIP di Parigi-Ile-de-France
che dispone di una delegazione a Bruxelles.
La missione di quest’ultima è:
- rappresentare i suoi membri e far valere gli interessi delle imprese dell’Ile-de-France a
livello europeo,
- verificare l’efficacia delle azioni che i suoi membri intraprendono nei confronti delle
istituzioni europee, grazie a dei contatti regolari con queste ultime,
- informare la CCIP Ile-de-France sull’attualità europea che ha un interesse per le
imprese che patrocina,
- aiutare la CCIP Ile-de-France a trarre il massimo vantaggio dagli appalti e dai
programmi comunitari.
Fonte: Rapporto CCIP, 2002
La rappresentanza di Confindustria e le rappresentanze delle Federazioni
industriali confederate
La rappresentanza di Confindustria a Bruxelles rappresenta larga parte delle
imprese italiane e delle Federazioni industriali. Tuttavia, talune federazioni hanno
scelto di essere rappresentate a Bruxelles tramite propri uffici e rappresentanti.
Ufficio di Confindustria e delle Federazioni Industriali italiane
confederate con uffici a Bruxelles
CONFINDUSTRIA
AFI
ANCE
ANIE
ASSICA
ASSOLATTE
AIOP
FEDERACCIAI
FEDERALIMENTARE
FEDERCHIMICA
FEDERCOMIN
FEDERLEGNO-ARREDO
UNACOMA
Fonte: Confindustria 2006
La rappresentanza di Confindustria a Bruxelles agisce secondo quattro modalità:
a) Diretta, in base alle priorità annualmente individuate
b) Indiretta, attraverso la partecipazione all’UNICE
c) Coordinata, con consultazioni regolari con le altre rappresentanze
economiche e industriali italiane e straniere, e con le Rappresentanze
d’Italia
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
d) Di ritorno, attraverso la promozione dei “valori” europei in Italia
In considerazione dell’esteso e dettagliato programma di priorità (37) di
Confindustria per il 2006, è evidente che molte delle materie siano trattate secondo
una combinazione delle modalità esposte sopra. È importante notare come un così
imponente programma di priorità annuali sia indicativo della consapevolezza di
Confindustria di quanto sia rilevante l’attività legislativa, la normazione e la
regolamentazione che si decide a Bruxelles sulle opportunità di sviluppo
economiche e industriali italiane.
Priorità e obiettivi di Confindustria per il 2006
PRIORITÀ
OBIETTIVI
Attuazione del programma
italiano di riforma “strategia
di Lisbona”
- Sostenere l’attuazione delle liberalizzazioni
Prospettive finanziarie 20072013
- Difendere gli investimenti in infrastrutture (reti trans-europee)
Fondi strutturali 2007-2013
- Vigilare per l’attuazione delle misure in materia di sicurezza e
promozione della legalità
Infrastrutture: rete TEN
- Difendere le dotazioni finanziarie della rubrica reti TEN nelle
prospettive finanziarie 2007-2013
- Vigilare alla realizzazione di progetti in materia di ricerca e
infrastrutture
- Vigilare sull’impegno italiano pluriennale per la realizzazione
delle opere trans-europee
VII PQ per la Ricerca e
l’Innovazione
Comunicazione sulla politica
industriale dell’UE e suo
follow-up
PQ per la Competitività e
l’Innovazione 2007-2013
- Sostenere interventi presso il Parlamento europeo e il Consiglio
per:
-
Finanziamento delle Piattaforme Tecnologiche
-
Fondi dedicati alla ricerca da parte delle PMI
-
Coinvolgimento dell’industria italiana nel European
Research Council
- Sostenere il rapporto forte che esiste tra il territorio e l’industria
- Contribuire all’elaborazione del parere del Parlamento
- Elaborare programmi di lavoro annuali diretti all’attuazione
concreta del programma
Seguire i lavori di prima lettura al Consiglio e al Parlamento
Direttiva
“Bolkenstein”
(liberalizzazione dei servizi)
- Sostenere la proposta della Commissione salvaguardandone
l’impianto generale e in particolare il principio del paese
d’origine e la liberalizzazione delle professioni regolamentate
- Apportare modifiche sulle disposizioni in materia di distacco dei
lavoratori
Libro Bianco sui servizi di
interesse generale
- Reagire con posizioni ed azioni specifiche alle iniziative prese
dalla Commissione in materia di liberalizzazione dei servizi di
interesse generale
Riforma degli aiuti di Stato
2005-2009
- Difendere le forme di ricerca e d’innovazione di processo
prevalenti nei settori “maturi” dell’industria
- Consentire una semplificazione per autorità ed imprese nel
campo degli aiuti esentati da notifica
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Tassazione delle società
- Seguire i lavori della CCCTB115 allo scopo di sopprimere alcuni
ostacoli fiscali presenti sul mercato interno
Proposta di revisione della
Direttiva Orario di lavoro
2003/88 CE
- Assicurare una maggiore flessibilita’
organizzazione dell’orario di lavoro
Direttiva sulla portabilità dei
diritti
a
pensione
complementare
- Sostenere gli obiettivi della proposta al fine di facilitare la
mobilità transfrontaliera all’interno dell’UE
Direttiva relativa alle misure
penali
finalizzate
ad
assicurare il rispetto dei diritti
di proprietà intellettuale
- Contribuire alla definizione della posizione UNICE116
Regolamento REACH
- Appoggiare la posizione del Parlamento e del Consiglio che
prevede una valutazione del rischio indipendentemente dalle
quantità di sostanze chimiche prodotte
Revisione della
quadro sui rifiuti
Direttiva
- Svolgere un’azione coordinata di sensibilizzazione presso le
istituzioni europee nell’ambito del gruppo UNICE sui rifiuti
Revisione della Direttiva
quadro sulla qualità dell’ariaambiente (96/62/EC) e della
Direttiva relativa ai limiti
nazionali di emissione di
alcuni inquinanti atmosferici
- Svolgere un’azione coordinata di sensibilizzazione presso le
istituzioni europee allo scopo di elaborare una strategia di
azione comune a tutta l’industria europea in ambito UNICE
Libro Verde sull’iniziativa
europea
per
l’efficacia
energetica
- Prendere posizioni che sintetizzino le principali richiese del
settore industriale volte al miglioramento del mercato interno
dell’energia in ambito UNICE
Piano
d’azione
biomasse
- Appoggiare l’adozione delle energie rinnovabili
sulle
nella
gestione
ed
- Contrastare le modifiche avanzate dalla Commissione e dal
Parlamento contrarie al rilancio della competitività
- Accertarsi che non vi siano rischi di limitare lo sviluppo delle
pensioni complementari in Europa
- Valutare il potenziale di sviluppo sul territorio italiano delle
biomasse in ambito UNICE
Direttiva sulle indicazioni
nutrizionali
dei
prodotti
alimentari
- Seguire il follow-up del dossier insieme alle Federazioni del
settore alimentare
Piano d’azione sulla Better
Regulation
- Seguire il follow-up delle iniziative intraprese in collaborazione
con l’UNICE
Revisione di metà percorso
del Libro Bianco sulla politica
dei trasporti
- Sostenere le realizzazione di opere in tempi più brevi per
consentire alle imprese europee di usufruire di una rete di
trasporti efficiente e sicura
Revisione di metà percorso
sull’implementazione
della
Direttiva sui Biocarburanti
- Seguire il follow-up del dossier in base alle nuove strategie
proposte dalla Commissione
Proposta di Direttiva per
emendare la Direttiva del
Consiglio 91/414/CEE sulla
commercializzazione
dei
prodotti per la protezione
delle piante
- Seguire l’iter legislativo in collaborazione con Federchimica e con
l’apposito gruppo UNICE
115
Common Consolidated Corporate Tax Base (“base imponibile consolidata comune”).
Nell’ambito di tale direttiva, Confindustria ha contribuito alla designazione di un italiano come
relatore al Parlamento europeo, in modo da seguire più da vicino il relativo dossier.
116
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Strategia tematica sul suolo
e relativa direttiva
- Seguire l’iter legislativo sia individualmente che nell’ambito dei
gruppi UNICE
Modifica
della
Direttiva
2003/89/CE per includere il
trasporto
aereo
nel
meccanismo per lo scambio
di quote di emissioni dei gas
a
effetto
serra
nella
Comunità
- Seguire gli sviluppi della proposta per evitare che un’eventuale
inclusione del settore del trasporto aereo possa avere effetti
negativi su settori energivori
Libro Verde per una politica
energetica
sicura,
competitiva e sostenibile per
l’Europa
Seguire iniziative rilevanti quali:
-
piano d’azione sull’efficienza energetica
-
comunicazione sulle tecnologie per il carbone pulito
-
comunicazione sulle prospettive future per i biocarburanti
-
avanzare proposte per il Libro Verde sull’adattamento al
cambiamento climatico
Indagine sul funzionamento
del
mercato
interno
dell’energia elettrica e del
gas naturale
- Partecipare, assieme all’UNICE, alla stesura di un documento di
posizione che sintetizzi le principali richieste del settore
industriale volte al miglioramento del mercato interno
dell’energia
Modifica delle direttive-ricorsi
sugli appalti pubblici
- Seguire il follow-up del dossier in base alle nuove strategie
proposte dalla Commissione
Piano d’azione UE sulle
migrazioni
per
motivi
economici
- Collaborazione col gruppo di lavoro UNICE per elaborare una
posizione comune sul piano d’azione
Comunicazione
sulla
responsabilità sociale delle
imprese
- Supportare l’UNICE in una costante attività di lobbying tesa ad
evitare ogni tentativo di istituire un quadro di riferimento
europeo per la responsabilità sociale o di imporre l’elaborazione
di rapporti annuali sulla RSI
Riforma del codice doganale
europeo
- Seguire il dibattito e le proposte di revisione, grazie anche alla
collaborazione di un appostito gruppo di lavoro costituito da
esperti di Confindustria, delle associazioni e dell’Agenzia delle
Dogane
Marchio di origine
- Seguire l’iter legislativo in collaborazione col Governo al fine di
favorire la sua azione politica nel creare il consenso politico
sulla proposte di regolamento avanzata
WTO – Agenda di Doha
- Stabilire una sorta di “registro” delle principali barriere non
tariffarie che ostacolano gli scambi internazionali e di cui deve
essere disposto l’abbattimento
- Sostenere il rilancio delle relazioni bilaterali, attraverso cui l’UE
possa negoziare più efficacemente i necessari vincoli di
salvaguardia del mercato interno
Rapporti UE – Cina (MESIPR)
- Difendere gli interessi dell’economia UE contro la pratica del
dumping cinese
Strumenti
di
difesa
commerciale
(inchiesta
antidumping calzature)
- Sostenere l’adozione degli appositi strumenti comunitari da parte
delle imprese, associazioni e governi europei a sostegno della
competitività dell’industria europea
Contraffazione
Frattini)
-
(pacchetto
Sostenere la posizione del Commissario Frattini volta
all’armonizzazione dei sistemi penali in vigore negli Stati
membri
Fonte: Confindustria, “Priorità di Confindustria per il 2006”, 26 gennaio 2006
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
123
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Il merito di questo programma è certamente quello di avere e di presentare idee
chiare e ben strutturate. Ma anche Confindustria incontra una difficoltà tutta
italiana: l’instabilità politica e delle classi dirigenti. Quindi questo programma,
peraltro coraggioso, dipenderà per la sua riuscita dalla capacità di Confindustria a
federare forze convergenti sul piano nazionale e, di riflesso, nel sistema europeo.
Ad esempio, già nella sessione di febbraio 2006 del Parlamento europeo, il PPE,
del quale la componente governativa italiana è consistente, non ha votato a favore
del “principio del Paese d’origine” nell’ambito del voto sulla direttiva sui servizi,
sostenuto da Confindustria.
Libertà di prestazione di servizi e principio del paese d’origine
A seguito di un complicato voto per appello nominale su quasi ogni singolo
paragrafo dell'emendamento frutto del compromesso tra popolari e socialisti, il
Parlamento ha confermato la cancellazione del principio del paese d'origine.
La nuova formulazione prevede che gli Stati membri debbano «rispettare il diritto
dei prestatori di servizi» di operare in uno Stato membro diverso da quello «in cui
hanno sede», e debbano assicurare il libero accesso a un'attività di servizio e il
libero esercizio dell'attività di servizio sul proprio territorio. Inoltre, gli Stati membri
non devono ostacolare la prestazione di servizi sul loro territorio imponendo
requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati. La discriminazione, in
particolare, non deve essere fondata sulla cittadinanza o sulla sede sociale. I
requisiti, poi, sono ritenuti giustificati solamente per motivi di pubblica sicurezza,
protezione dell'ambiente e della salute.
Fonte: Parlamento europeo 21 febbraio 2006
Un’attività di un certo interesse intrapresa da Confindustria è quella tesa a far
uscire le imprese italiane dalla “sindrome nazionale”, promuovendo incontri tra
imprenditori italiani e Commissari di altri Paesi membri dell’Unione europea.
Dal punto di vista del coordinamento, abbiamo registrato uno sforzo maggiore per
cercare di creare tavoli di “convergenza “ tra rappresentanti italiani attorno alla
principale confederazione di interessi economici e industriali. Tuttavia, la loro
eterogeneità rende difficile l’esercizio. Inoltre, si registra un insufficiente
collegamento strategico e operativo tra le attività della Rappresentanza
Permanente d’Italia e le rappresentanze delle associazioni, confederazioni e
federazioni industriali italiane.
Infine, richiamiamo l’attenzione sul debole contributo che le industrie e le istituzioni
italiane danno per accrescere e migliorare il numero e la qualità degli Esperti
Nazionali Distaccati (END) presso le istituzioni comunitarie. Gli industriali italiani
lamentano una carenza legislativa che permetta alle imprese di distaccare
personale senza sostenerne interamente i costi. Ma questa posizione è poco
strategica se si considera quanto certi END posizionati nei posti giusti possono
fare per l’Italia, e quindi anche per le imprese.
Dal punto di vista delle federazioni industriali confederate con propri uffici di
rappresentanza a Bruxelles, si ritiene che mentre Confindustria funge da “cappello
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
124
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
politico trasversale” le Federazioni tutelano direttamente gli specifici interessi
settoriali dei propri associati. Alcune di queste rappresentanze hanno ormai 10
anni di esperienza a Bruxelles.
Sebbene queste rappresentanze agiscano su questioni specifiche e puntuali, è
stato notato che il coordinamento con il resto delle rappresentanze italiane, dalle
Regioni alla Rappresentanza Permanente d’Italia, sembra assai debole. Questo
stato di cose rischia di far percepire l’Italia in ordine sparso, nonostante le buone
intenzioni.
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125
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
4. Le associazioni di settore
Le associazioni di settore sono organizzazioni che hanno come scopo quello di
presentare “con una faccia unica” un settore di attività altrimenti composito e,
spesso, eterogeneo. Oltre ad una funzione informativa verso l’esterno e nei
confronti dei propri associati, queste organizzazioni fungono da moltiplicatori dello
sforzo di una singola azienda. Infine, è frequente che le associazioni di settore
possano avere un ruolo specifico di pressione su tematiche generali, meglio di
quanto potrebbe fare una singola azienda. Le associazioni di settore esistono tanto
a livello nazionale quanto a livello transnazionale (associazioni europee di settore).
Questo paragrafo prende in considerazione solo le prime, che hanno un ufficio di
rappresentanza a Bruxelles.
Nel 2006, il CIPI ha repertoriato le seguenti associazioni italiane di settore con un
ufficio a Bruxelles:
Associazione
Settore
ANACAM
http://www.anacam.it/index.asp
ASSONIME
http://www1.assonime.it/
ASSOZUCCHERO
http://www.federalimentare.it/docassozucchero.html
CIA
http://www.cia.it/cia/
CNA
http://www.cna.it/
COLDIRETTI
http://www.coldiretti.it/
CONFAGRICOLTURA
http://www.confagricoltura.it/
CONFARTIGIANATO
http://www.confartigianato.it/
CONFCOMMERCIO
http://www.confcommercio.it/home/
CONFCOOPERATIVE
http://www.confcooperative.it/default.aspx
CONFESERCENTI
http://www.confesercenti.it/
FIT
http://www.tabaccai.it/
Imprese
di
costruzione
manutenzione di ascensori
di
Società di capitali
Industrie produttrici
dell’alcol, e del lievito
di
zucchero,
Imprese agricole
Artigianato e PMI
Imprese agricole
Imprese agricole
Imprese e imprenditori artigiani
Imprese commerciali, del turismo e dei
servizi
Movimento
sociali
cooperativo
e
imprese
Imprese commerciali, del turismo e dei
servizi
Rivenditori di generi di monopolio
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
126
e
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Le rappresentanze delle associazioni italiane di
settore con uffici a Bruxelles
ANACAM
ASSONIME
ASSOZUCCHERO
CIA
CNA
COLDIRETTI
CONFAGRICOLTURA
CONFARTIGIANATO
CONFCOMMERCIO
CONF COOP ITALIANE
CONFESERCENTI
FIT
HANDICRAFTS
Fonte: dati elaborati dal CIPI
Abbiamo voluto tracciare una “mappa” della presentazione delle questioni europee
di rilevanza per queste associazioni di settore come appare nei loro siti Internet117.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei
nei siti Web delle associazioni italiane di settore118
25
20
15
10
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0
Fonte: dati elaborati dal CIPI
117
I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle
attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente
trattato. Si veda pagina 33.
118
Si noti che il sito di Assonime è in costruzione per la parte dedicata all’Europa.
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127
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Sebbene questo settore meriti un approfondimento specifico, crediamo opportuno
segnalare due considerazioni basate sull’analisi della percezione che ha nelle
istituzioni comunitarie di queste organizzazioni si:
Carenza di coordinamento tra le organizzazioni rappresentative dello
stesso settore: interessi spesso particolaristici confliggono con quelli
generali dell’insieme della categoria che si trova iper-rappresentata da
più di un’organizzazione
Anacam emerge come l’organizzazione che più ha saputo sfruttare
l’interazione con le altre organizzazioni europee dello stesso settore
Tuttavia, in alcuni casi le organizzazioni italiane riescono a trovare un comune
denominatore e ad agire in modo coeso anche con le amministrazioni centrali dello
Stato. Qui di seguito proponiamo una success story italiana esemplificativa
dell’importanza del coordinamento.
Lobby italiana sullo zucchero
L’accordo raggiunto sulla riforma del mercato dello zucchero (2005) rappresenta un
buon esempio di success story dell’attivita’ di lobbying italiana esercitata a Bruxelles: i
risultati positivi ottenuti hanno dimostrato che una maggiore unità tra gli attori italiani
nel portare avanti i propri interessi rappresenta senz’altro un punto di forza.
Al termine dei negoziati lo scorso novembre 2005, i Ministri UE dell'Agricoltura hanno
raggiunto un accordo sulla riforma del mercato dello zucchero, settore che aveva
resistito per 40 anni ad ogni riforma della Politica Agricola Comune: e’ stato sancito un
taglio dei prezzi di riferimento di tale prodotto del 36% in quattro anni (e non più del
39% in due anni come previsto originariamente) e sono stati fissati sostanziosi aiuti
economici di accompagnamento e per la riconversione.
Tra i protagonisti schierati a favore della causa italiana il Ministro alle Politiche
Agricole, Gianni Alemanno, è stato tra i più attivi nel patteggiare meccanismi finanziari
convenienti ad un Paese, come l'Italia, dalle basse rese nel settore della bieticoltura
(6,05 tonnellate per ettaro rispetto alle 10 del Belgio o alle 11,35 della Francia).
Alemanno ha stimato che in Italia su 19 impianti saccariferi ora esistenti, 6-7
stabilimenti, quasi tutti concentrati nella Pianura Padana, potranno continuare la loro
attività e con una maggior capacità produttiva.
La produzione di zucchero non scomparirà quindi dall'Italia, ma, al contrario, alla luce
del nuovo scenario, circa il 50% dell'attuale produzione saccarifera italiana dovrebbe
riuscire a salvarsi e a rimanere competitiva. Il resto del comparto potrà disporre di circa
700 milioni di euro in due anni per attuare processi di ristrutturazione e aiutare gli
agricoltori che dovranno cambiare tipo di coltura, in modo da evitare perdite gravi nel
settore occupazionale e permettere di trovare un’altra destinazione per ogni posto di
lavoro perso nel settore dello zucchero.
L'intesa raggiunta a Bruxelles è stata possibile grazie ad “un gioco di squadra” di tutti
gli attori coinvolti. Infatti, i risultati hanno soddisfatto vari esponenti del governo italiano
ma anche Coldiretti, Confagricoltura e Cia-Confederazione Italiana Agricoltori che
hanno sottolineato come, grazie a questo sforzo negoziale, siano stati ottenuti risultati
nettamente migliorativi rispetto alle proposte iniziali.
Fonte: dati elaborati dal CIPI in base ad articoli della stampa italiana
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128
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
5. I gruppi industriali
Alcune considerazioni sono comuni a quasi tutte le rappresentanze di gruppi
industriali italiani a Bruxelles:
a) Il NO francese al progetto di Trattato per la Costituzione europea ha reso
ancor più importante Bruxelles come sede reale di negoziato rispetto alle
capitali nazionali
b) La spinta globale sui settori industriali sposta l’attenzione dai singoli Paesi a
Bruxelles
c) Il benchmark di riferimento resta ancora il sistema regolamentativo degli
Stati Uniti d’America
d) Il miglior modo per influenzare le istituzioni comunitarie è adottare una
modalitá di comunicazione adatta al contesto di Bruxelles-Europa
(European Communication Policy) – sapendo presentare e comunicare in
più lingue
e) La distrazione della stampa italiana dai dibattiti sulle policy europee
penalizza le imprese italiane
f) L’esigua presenza e l’assegnazione poco strategica degli END italiani nelle
strutture comunitarie non aiuta le imprese italiane
g) La presenza delle imprese italiane sui temi di policy è inesistente sulla
stampa internazionale, la quale ha maggiore effetto sulle azioni di lobbying
h) La presenza nella comitatologia è buona, ma non sempre è buona la
qualità dei partecipanti
i)
Poche imprese producono e disseminano informazioni con contenuti
strategici
j)
Poche imprese riescono ad organizzare la loro presenza a Bruxelles
guardando oltre il proprio settore, inserendosi in un contesto più ampio e
articolato
k) La maggior parte degli interlocutori ultili all’industria italiana nel sistema
dell’Unione europea non sono italiani
l)
La creazione di networks con le “nuove industrie” è ancora carente
Queste considerazioni si possono estendere alla maggior parte delle
rappresentanze industriali europee, con varie eccezioni, ma non si applicano
affatto alle multinazionali presenti a Bruxelles, particolarmente a quelle
anglosassoni e americane.
È indicativo che solo una impresa italiana (Telecom Italia) sia membro del Brussels
Round Table, il più importante network di incontro e dialogo tra imprese europee e
mondiali a Bruxelles.
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129
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Esempio di success story per l’Italia nel campo delle telecomunicazioni
Seguendo i recenti sviluppi dell’apertura del mercato delle telecomunicazioni europeo,
in base al rapporto119 presentato a Bruxelles lo scorso 20 febbraio dalla Commissaria
Ue per la Societa’ dell’Informazione e i Media, Vivianne Reding, notiamo che l’Italia ha
conosciuto notevoli sviluppi.
A trainare la crescita del settore Tlc nel 2005 e’ stato principalmente lo sviluppo della
banda larga e delle comunicazioni mobili, uscendo a testa alta dal confronto con gli altri
Paesi europei.
Alcuni dati: a partire dall’ottobre 2004 il settore della banda larga ha mostrato il suo
livello di competitivita’ grazie ad una crescita di piu’ del 50% delle connessioni (quasi
interamente Dsl), dovuta ad una forte concorrenza tra gli operatori che ha portato ad
una significativa riduzione dei prezzi. L’Italia e’ inoltre il secondo Paese col tasso piu’
alto di numeri mobili portati, il doppo della media Ue: nell’ottobre 2005 il Paese ha
registrato il principale tasso di penetrazione in Europa (111%), con un totale di 65
milioni di abbonati (+10% rispetto all’ottobre 2004), a dimostrazione dell’elevato livello
di crescita conosciuto nel settore della telefonia mobile.
Altro dato positivo per l’Italia si registra sulle tariffe previste per i cellulari, che risultano
di quasi il 3% al di sotto della media europea.
La situazione del mercato delle telecomunicazioni e’ tale che, la stessa Commissaria,
ha sottolineato come il caso italiano possa rappresentare un buon esempio per
l’evoluzione di mercato anche per altri settori, quali quello dell’energia e dei trasporti.
« Sono assolutamente soddisfatta dell’evoluzione del mercato italiano. – ha dichiarato
la Reding – E’ un’evoluzione che va verso la concorrenza, verso una maggiore scelta e
verso tariffe piu’ basse »120.
Fonte: articoli di stampa ed elaborazione del CIPI
Un altro esempio di successo tra le rappresentanze industriali italiane è quello
delle Ferrovie dello Stato che è percepito nelle istituzioni comunitarie tra i più attivi.
Infatti, quest’ufficio è particolarmente ben integrato nella federazione europea del
settore (CER), di cui ha avuto la presidenza ed attualmente mantiene la vicepresidenza, ma ha anche promosso attività di sostegno ai progetti per le reti
transfrontaliere coagulando interessi di numerosi deputati europei appartenenti a
più di 6 Paesi. Le Ferrovie dello Stato sono in prima linea anche in materia
regolamentare, promuovendo e sostenendo attività normative in materia di
reciprocità delle regolamentazioni nazionali relative alla liberalizzazione dei servizi
ferroviari. Infine, l’ufficio delle Ferrovie dello Stato a Bruxelles ha promosso e
coordina il gruppo informale “Brussels Group” che riunisce periodicamente i
rappresentanti a Bruxelles delle società nazionali di servizi ferroviari.
Almeno 5 delle 15 rappresentanze di imprese italiane a Bruxelles esistono da più
di 10 anni. Tuttavia, è opportuno ricordare che nel corso degli anni ’90 lo
smantellamento dell’intervento pubblico nell’economia ha, probabilmente
involontariamente, favorito la dispersione di un capitale di relazioni, sia nel mondo
italiano sia in quello brussellese, che era rappresentato, ad esempio, dagli uffici
119
Si tratta dell’11° Rapporto d’Implementazione sulle Comunicazioni elettroniche – Electronic
Communications Regulation and Market 2005.
120
Fonti prese dai comunicati stampa ANSA, Cim/Pn/Adnkronos e Apcom del 20 Febbraio
2006.
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130
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
dell’IRI e della STET a Bruxelles. Le nuove rappresentanze industriali che sono
sorte dopo questo periodo ancora non hanno trovato un loro equilibrio attorno ad
un polo aggregante degli interessi industriali italiani a Bruxelles.
Le rappresentanze dei gruppi industriali italiani con
uffici a Bruxelles
ALITALIA
AUTOSTRADE
EDIZIONI HOLDING
ENEA
ENEL
ENI
FERRERO
FERROVIE
FIAT
FININVEST
FINMECCANICA
MEDIASET
PIRELLI
TELECOM ITALIA
Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI
Tutte le rappresentanze industriali italiane agiscono da sole, per via di un carente
coordinamento che non esiste se non ad un livello personale ed informale. Troppo
è affidato alla “buona volontà” del rappresentante.
La creazione di un “consiglio permanente dei rappresentanti delle
imprese italiane” a Bruxelles potrebbe essere un’iniziativa utile per
presentare il comparto industriale italiano in modo più coeso121
I problemi strutturali dell’Italia sono chiaramente riflessi anche nelle
rappresentanze industriali. In pratica, le rappresentanze delle imprese agiscono in
base al personal trust di cui è dotato il rappresentante, ma il sistema Paese è
assente e non segue.
C’è poca determinazione nel mantenere le posizioni assunte. Infatti, non è
infrequente che dopo aver avanzato richieste, le imprese trovino più facile un
rapido compromesso per “portare un risultato a casa”. Ma in questo modo la
percezione che traspare è di debolezza e non di forza.
121
A questo proposito va ricordato che solo l’ufficio di Confindustria a Bruxelles si adopera per una
maggiore strutturazione della presenza delle imprese italiane nei confronti delle istituzioni
comunitarie
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131
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Infine, con gradazioni diverse tra le varie imprese esiste un problema generale di
relazione strutturale e di rapporto di fiducia tra l’ufficio di rappresentanza a
Bruxelles e le strutture operative e decisionali dell’impresa in Italia.
L’azione delle imprese francesi
Sarebbe erroneo credere che in Francia esistano soltanto due imprese che si distinguono
dalle altre per una maggiore aggressività nella difesa delle loro posizioni e per una spiccata
tendenza a creare alleanze: Dassault e la Poste. Altri esempi non mancano.
Le grandi imprese francesi non hanno nulla da invidiare ai loro omologhi europei. Michelin
vanta la rappresentanza di più vecchia data a Bruxelles, poiché vi è presente sin dal 1976,
allorché le Banche popolari si sono insediate nel 1978. Il 63% delle grandi imprese francesi
hanno un ufficio o un rappresentante permanente a Bruxelles, che costituiscono per molti
un’interfaccia della direzione delle relazioni con l’estero dell’impresa.
Ad esempio, PSA gode di un’ampia capacità d’azione: dispone di una delegazione
permanente a Bruxelles costituita da due collaboratori e da un ufficio di gestione delle
relazioni con l’estero con sede a Parigi, e di una decina di dirigenti dotati di competenze
specifiche che si occupano di settori ben precisi della legislazione comunitaria
(competitività, tematiche sociali, argomenti scientifici e tecnici, aiuti statali…)
La reputazione dell’impresa permette al presidente del gruppo di intrattenere rapporti diretti
con la Commissione europea. Inoltre, in quattro anni, PSA è stata protagonista di ben tre
audizioni dinanzi al Parlamento europeo in circostanze delicate e ha svolto un ruolo di peso
in relazione alla direttiva auto-oil e a quella relativa al trattamento dei veicoli fuori uso.
Questo non significa che esista una dimensione minima al di sotto della quale le imprese
non possono accedere alle istanze comunitarie. Le PMI possono ugualmente svolgere un
ruolo attivo, ma essenzialmente attraverso le organizzazioni professionali e i consulenti.
Grazie alla sua originale idea di associarsi ad una ONG (WWF) per sostenere i propri
interessi e gestire efficacemente ogni tipo di contestazione, Lafarge fornisce un altro
esempio di lobbying.
Fonte: Rapporto della CCIP, 2002
Imprese francesi che esercitano il loro lobbying da…
Parigi
Accor
Alcatel
Axa*
BNP Paribas
LVMH
Suez
Bruxelles
Air liquide
AGF (Allianz)
Aventis
Bouygues
Cap Gemini
Danone
Dassault
Dexia
EADS
France Telecom
Lagardère
Michelin
Orange
Peugeot
Renault
Saint-Gobain
Sanofi-Synth.
Schneider
Sodexho
TotalFina Elf
Thales
TMM
Vivendi
Vivendi-Environnement
TF1
Bruxelles attraverso
federazioni o
consulenti
Alstom
Carrefour
Casino
Crédit Lyonnais
Lafarge
L’Oréal
PPR
SG
STMicro
*Axa è ugualmente rappresentata a Bruxelles attraverso la FFSA.
Fonte: La Lettre de l’Expansion, 4 marzo 2002
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
6. I gruppi finanziari e assicurativi
I gruppi finanziari e assicurativi italiani sono rappresentati in modo massiccio a
Bruxelles. Dei 17 uffici, solo 7 sono repertoriati tra quelli con una specifica funzione
di affari europei122. Gli altri uffici sembrano svolgere in prevalenza attività di
retailing e di banca corporate.
Gruppi finanziari e assicurativi italiani
con uffici a Bruxelles
ABI
BANCA ETICA
BANCAINTESA
BANCA POP DI NOVARA
BANCO DI NAPOLI
CIR
IST CENTR BANCHE POPOLARI
MONTE PASCHI
UNICREDIT
ASS NAZ BANCHE POPOLARI
BANCA DI ROMA
BNL
BANCA POP DI SONDRIO
BANCO DI SARDEGNA
GENERALI GROUP
MCC
SAN PAOLO IMI
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI
Le attività europee degli uffici presi in considerazione dipendono molto dal
mandato e dalla sensibilità della dirigenza delle aziende da cui dipendono.
Certamente anche le qualità del capo dell’ufficio di Bruxelles fanno la differenza:
visione a 360°, conoscenza giuridica approfondita, conoscenza del business,
comportamento istituzionale. Nella maggioranza degli uffici repertoriati, siamo in
presenza di grandi qualità manageriali nel settore d’esercizio, ma solo in pochi casi
sono state riscontrate capacità e competenze negli affari europei.
Negli affari europei il benchmark del settore è BancaIntesa. Tuttavia, in taluni altri
casi, è credibile che una maggiore esposizione della dirigenza degli istituti alle
questioni europee potrebbe facilitare il ruolo di lobbying dei rappresentanti a
Bruxelles. Nel retailing, il benchmarck del settore è Monte Paschi Belgium. Si deve
comunque notare che Monte Paschi Belgium ha investito significativamente nel
122
In The European Public Affairs Directory, 2006, figurano: Banca di Roma, Banca Intesa, Banca
Monte Paschi Belgio, Banca Nazionale del Lavoro, San Paolo Imi, Unicredito Italiano. Spicca nel
repertorio l’assenza dell’ABI e dell’Associazione Nazionale delle Banche Popolari.
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133
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
settore delle pubbliche relazioni e dell’immagine, con l’apertura dell’ufficio e della
bella sala conferenze a due passi dalla sede delle istituzioni europee. Questa
scelta è evidentemente sinergica con la strategia retailing del gruppo. Non è
possibile, tuttavia, pensare che le stesse risorse del retailing possano anche
essere quelle del lobbying. Le competenze e i mestieri sono assai diversi, benché
complementari.
Bruxelles è un luogo composito, non paragonabile a Londra o Parigi, ma solo a
Washington, in cui la selezione si produce su due livelli: a) chi ci viene; b) chi ci
resta.
Così come avviene in altri settori d’attività, per avere successo negli affari europei
e nel lobbying il percorso (noto) ha una durata di almeno 2 anni:
a) partecipare a tutte le consultazioni della Commissione
b) usare compiutamente la lingua d’uso (inglese; francese; tedesco)
c) essere visibili nelle associazioni “che contano” a Bruxelles
d) avere la tenacia di fare un lobbying tecnico, evitando contatti informali con
le istituzioni
e) lanciare una campagna di pubbliche relazioni
f) sviluppare contatti con le istituzioni europee
Benché il settore dei gruppi finanziari e assicurativi italiani abbia bisogno di un
approfondimento, un indicatore per percepire nell’insieme le attività europee di
questi gruppi può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione che
ciascuno di essi fa attraverso i propri siti Internet. Abbiamo voluto tracciare una
“mappa” della presentazione delle questioni europee di rilevanza per i gruppi così
come appare nel sito Internet del gruppo o dei 17 uffici con sede a Bruxelles123.
Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web
dei gruppi finanziari e assicurativi italiani con uffici a Bruxelles
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
Monte
Paschi
Unicredit
Generali
Group
Banco di
Napoli/San
Paolo IMI
BNL
Banca
Intesa
Banca di
Roma
Banca Etica
Ass. Naz.
Banche
Pop.
0
Fonte: dati elaborati dal CIPI
123
I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle
attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente
trattato. Si veda pagina 32
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134
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
7. Le Università e la ricerca
Due uffici, recentemente integratisi in un unico spazio comune, rappresentano il
settore della ricerca e delle Università italiane. Il CNR (aperto nel 1993) e la CRUI.
Qualche Università italiana (San Raffaele, Mario Negri) ha delle antenne proprie a
Bruxelles, mentre qualche altra ha creato delle convenzioni con gli uffici delle
Regioni o delle Unioncamere regionali per ricevere direttamente informazioni sulle
opportunità che offre l’Europa nei loro settori di ricerca.
L’ufficio del CNR, che in passato aveva principalmente una funzione di raccolta e
distribuzione delle informazioni europee per le università e gli istituti di ricerca
italiani, oggi svolge le seguenti attività:
a) Assistenza a più di 400 progetti di ricerca attivi e finanziati dall’Unione
europea
b) Antenna di intelligence sull’elaborazione dei programmi di ricerca
dell’Unione europea
c) Coordinamento con gli altri uffici omologhi a Bruxelles per forgiare un
approccio comune europeo sulle questioni della ricerca
Recentemente, l’intero comparto della ricerca italiana e delle università ha vissuto
una profonda riforma e ristrutturazione, tesa ad un maggiore collegamento tra la
ricerca e l’industria. Tuttavia, sebbene l’esito della transizione in corso si potrà
valutare tra qualche anno, si deve notare che il CNR non è un’agenzia nazionale di
finanziamento della ricerca, ma è un organismo attivo nella ricerca.
Nel 2006, l’Italia avrà la presidenza di Eureka. Questo risultato è stato raggiunto
grazie ad un forte lobbying a sostegno della candidatura italiana. Tra i motivi che
hanno ispirato questa scelta:
a) Accrescere la visibilità della ricerca italiana in Europa
b) Rafforzare il processo di trasformazione del CNR
c) Concorrere direttamente alla strutturazione dell’Europa della ricerca e alla
destinazione di maggiori fondi
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
8. Gli studi legali e gli uffici di consulenza
italiani
La presenza degli studi legali italiani a Bruxelles è diventata piuttosto stabile negli
ultimi anni. Invece, il numero degli studi legali internazionali, e particolarmente
anglosassoni, continua a crescere in tutti gli Stati europei e a Bruxelles, in modo
simmetrico all’espansione del mercato mondiale e del commercio.
Ripartizione per nazionalità del numero degli Studi Legali insediati a
Bruxelles che svolgono attività presso le istituzioni comunitarie
30
Belgio
Danimarca
1
5
Francia
9
Germania
5
Internazionali
8
Italia
1
Norvegia
2
Paesi-Bassi
4
Polonia
22
Regno-Unito
1
Slovacchia
4
Spagna
27
Stati Uniti
1
Svezia
0
5
10
15
20
25
30
35
Fonte : The European Public Affairs Directory,2006, e dati elaborati dal CIPI
Per capire queste tendenze si devono considerare alcuni fattori.
Dal 2004, tutte le Authority di settore a livello nazionale hanno visto crescere la
loro importanza, sia in termini di competenze, sia in termini quantitativi basati sulla
“rilevanza non europea” delle operazioni da regolamentare. In pratica, la soglia
oltre la quale una questione diventa di rilevanza europea è ormai ben più alta
rispetto agli anni ’80-’90. È quindi chiaro che, particolarmente per il mercato
italiano, prevalentemente caratterizzato da imprese di medie e piccole dimensioni,
risulta più interessante interagire, e/o influenzare, le Authority nazionali invece che
il regolatore europeo a Bruxelles.
Invece, il numero di avvocati italiani che operano in strutture legali straniere o
internazionali è in crescita. La ragione risiede nel fatto che le M&A sono
prevalentemente indotte dal mercato internazionale, ed hanno bisogno di esperti
giuristi nazionali. Inoltre, esiste un atteggiamento tutto italiano che privilegia gli
interventi di emergenza rispetto a quelli basati sulla programmazione strategica e
la prevenzione. Anche le procedure di anti-dumping e anti-subsidy sono attivate
dai clienti italiani come ultimo rimedio protezionistico, mai con anticipazione e
lungimiranza.
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136
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Le imprese italiane sembrano capire poco la necessità di fare alleanze
internazionali per creare massa e forza d’urto sufficienti per influire sui casi di
competenza a livello comunitario a Bruxelles. Ad esempio, in materia ambientale
(negoziato e applicazione delle regole di Kyoto) o di prodotti chimici (negoziato per
la direttiva REACH), mentre tutti i grandi Paesi erano già mobilitati con tre anni
d’anticipo sulle decisioni, il settore chimico italiano era virtualmente assente. È
evidente che con questo tipo di gestione non resta che occuparsi delle procedure
d’infrazione.
In generale, le professioni legali a Bruxelles lamentano la scarsa propensione delle
imprese europee ad impegnarsi nella difesa preventiva, e sulla durata delle loro
posizioni. C’è la diffusa sensazione che le imprese europee vedano il loro
ambiente economico come immutabile, anche se confrontate con l’evidenza dei
fatti.
Le imprese italiane rappresentate a Bruxelles, con qualche eccezione (Poste
italiane, Telecom Italia, Banca Intesa), fanno scarso uso di consulenza legale per
gestire le loro azioni di influenza sulle strutture comunitarie. È l’atteggiamento
contrario alla pratica comune in quasi tutti gli altri Paesi.
Persiste anche un certo timore nel fare ricorso a studi legali stranieri o
internazionali che operano negli stessi settori per una molteplicità di clienti di
diversi Paesi. Alcune imprese italiane vi vedono un eventuale pericolo di
“contaminazione” delle informazioni riservate che necessariamente devono essere
svelate e discusse. Per questa ragione, la scelta prioritaria è di rivolgersi ad
avvocati italiani che vengono percepiti dalle imprese come più vicini ai loro
interessi.
Per quanto riguarda gli studi di consulenza italiani a Bruxelles, esistono due
categorie:
a) Consulenza tecnica (progetti e programmi europei; public funding)
b) Comunicazione, Pubbliche Relazioni, e Lobbying
Mentre la presenza degli studi di consulenza tecnica, è più consistente (il CIPI ne
ha repertoriati 10 nel 2006), la presenza nel settore del lobbying è molto scarsa (il
CIPI ne ha repertoriati 2 nel 2006). Quanto alla comunicazione e alle pubbliche
relazioni, quasi tutti gli studi di consulenza italiani dichiarano queste attività. Una
sola società italiana di consulenza è invece dedicata alla realizzazione di eventi.
Nel settore della consulenza tecnica le società italiane di consulenza sono ben
strutturate e riescono a creare alleanze internazionali per la partecipazione ai
programmi comunitari. In questa categoria si distinguono sia per il numero di
progetti a cui partecipano, sia per il fatturato e il numero di alleanze internazionali
Agriconsulting e Soges Group.
È invece il settore del lobbying, nel quale non iscriviamo le attività di
comunicazione e di pubbliche relazioni, che presenta la maggiore debolezza. Le
due società repertoriate soffrono entrambe della poca propensione delle imprese e
degli enti italiani a vedere il lobbying come strumento strategico necessario per
incidere sui processi legislativi europei.
Questa situazione fa emergere il ritardo italiano nell’approccio al lobbying
nel suo complesso, e a livello europeo in particolare.
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137
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
9. Le associazioni della “società civile”
italiana
Anche nel caso delle associazioni della “società civile” italiana sarebbe necessario
un approfondimento specifico. Tuttavia, per le finalità di questo Rapporto crediamo
utile rappresentare in breve la loro presenza a Bruxelles.
Le più antiche associazioni della società civile a Bruxelles sono le numerose ed
attive associazioni regionali, patronali, e settoriali (oltre 80) che hanno svolto, e
ancora svolgono, un importante ruolo di aggregazione sociale e culturale.
Esistevano anche dei centri culturali, come ad esempio il Leonardo da Vinci, che
svolgevano una funzione aggregativa sia per gli italiani che per altre nazionalità
immigrate in Belgio. In origine, queste associazioni, insieme a quelle del mondo
cattolico (ACLI e Foyer Catholique) costituivano il più grande e capillare network
non politico degli italiani a Bruxelles (e in Belgio). Si può ricordare come questi
movimenti fossero riusciti a creare già nel 1948 l’unico giornale italiano in Belgio,
“Sole d’Italia”, che ha poi chiuso nel 1994. Dal punto di vista radiofonico, la RTBF
trasmetteva programmi in lingua italiana. Ad oggi, esistono due piccole radio locali
che in alcune ore trasmettono informazioni in italiano (Radio SI, Radio Alma).
Esistevano anche altre associazioni, a carattere politico o rappresentative di partiti
politici, e la selezione del personale comunitario, almeno fino agli anni ’80, è stata
determinata sulla base della selezione politica e partitica. Tutti i partiti politici
erano, e sono, rappresentati a Bruxelles, dove è ancora possibile trovare le
“sezioni” con i vecchi nomi e piene di gente. Se la politica attiva in Italia
disinteressa gli italiani, ciò non avviene a Bruxelles.
Altro punto storico di aggregazione degli italiani, ma anche degli stranieri, erano le
sedi del movimento federalista europeo, che si crearono sulla scia del gruppo di
Altiero Spinelli, noto come il “Crocodrile”. Ancora oggi, il JEF (Giovani Federalisti
Europei) e il MEF (Movimento Europeo Federalista) aggregano un buon numero di
persone italiane e non solo, e sono proporzionalmente più forti che in Italia.
La mutazione di questo panorama si è prodotta negli anni ’90.
L’esigenza dell’anti-politica portò alla creazione di gruppi, anche molto estesi, che
aggregavano anche non italiani, che poi nel 1994 si ritrovarono attivi nei primi
Comitati Prodi. Mentre questi comitati si politicizzavano, e perdevano aderenti, fu
creata l’associazione Palombella. Quest’associazione aveva come obiettivo quello
di unire gli italiani che provavano sdegno verso l’ascesa politica di Silvio
Berlusconi, e riusciva a coinvolgere le più diverse tendenze politiche e sociali. Nel
tempo, quest’associazione si è sindacalizzata e ha preso un indirizzo politico più
definito.
Esistono anche altre associazioni italiane più recenti. Tra le varie, si richiama
l’attenzione sul VAI (Volontarie Assistenza Italiani), una associazione volontaria di
donne italiane, sulla sezione belga della Croce Rossa Italiana, che presta
assistenza agli italiani bisognosi di gravi interventi medici e di trapianto, sull’ALUB,
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
la sezione di Bruxelles dell’associazione dei bocconiani, sulla Lettera 22,
un’associazione di funzionari italiani delle istituzioni europee.
Tutto questo fiorire di associazioni italiane a Bruxelles risponde ad una necessità,
un bisogno umano di incontrarsi e parlare la propria lingua, ma anche all’esigenza
di trovare una risposta al problema di come fare sistema tra italiani.
Nell’insieme, si stima che almeno 800 italiani siano attivi nelle associazioni di
nuova generazione citate, ovvero circa il 15% degli italiani che sono a Bruxelles in
relazione all’Unione Europea. Va tuttavia segnalato che il numero di italiani
immigrati in Belgio facenti parte di associazioni storiche e tradizionali è di gran
lunga più grande.
Negli ultimi 10-15 anni, si è registrato un cambiamento di atteggiamento dei nuovi
italiani che arrivano a Bruxelles. Uno stereotipo comune è quello dell’anti-italianità,
e un certo senso di snobismo nei confronti dei compatriotti che sono in Belgio da
lunga data. È certo, però, che le divisioni tra gruppi regionali italiani si sono
perpetuate in Belgio e non hanno favorito il rafforzarsi della coesione tra gli italiani
che vi risiedono.
Per qualche considerazione comparativa, è possibile indicare che i gruppi spagnoli
sono meglio organizzati in termini associativi e di coesione sociale a Bruxelles e in
Belgio, ma certamente nessun gruppo nazionale è cosi’ forte e compatto come
quelli inglesi e americani. Questi gruppi nazionali, così come quelli dei paesi
nordici e francesi, non avendo avuto emigrazione in Belgio, sono costituiti da
persone arrivate in Belgio con l’espandersi delle attività comunitarie.
Sembra che ciascun gruppo nazionale organizzato in forme associative abbia
voglia di stare da solo. L’interscambio avviene su qualche aspetto ludico, ma
tendenzialmente la gente vuole “stare tra di noi” senza gli stranieri linguistici o
culturali.
Infine si può ricordare che nelle associazioni sindacali del Belgio sono molto
numerosi gli italiani iscritti e militanti. Anche la CGIL italiana ha aperto una sua
antenna a Bruxelles.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
10. Le ONG italiane per la cooperazione allo
sviluppo
Le importanti modifiche del sistema di finanziamento europeo per la cooperazione
allo sviluppo verso i Paesi terzi prevedono, come è noto, tre tappe importanti che
meritano di essere analizzate:
1. La delega delle funzioni di esecuzione ad agenzie create ad hoc destinate
a modificare l’architettura amministrativa della Commissione Europea
(Europe Aid dovrebbe essere una di esse);
2. La “deconcentrazione”, che ha già portato alla gestione dei programmi
bilaterali e regionali presso le Delegazioni della Commissione europea nei
Paesi terzi;
3. L’affidamento della esecuzione di alcuni programmi della Commissione
Europea ad agenzie nazionali situate negli Stati membri.
L’Italia è oggi sostanzialmente penalizzata nell’utilizzo dei fondi della
cooperazione comunitaria:
1. Manca, a livello governativo, una chiara strategia di rafforzamento della
nostra presenza nelle Delegazioni dell’Unione europea presso i Paesi
terzi, destinate a diventare il vero motore operativo dei programmi di
cooperazione in futuro;
2. L’azione di alcuni Paesi dell’Unione europea nei Paesi terzi è
particolarmente agguerrita ed attenta, consentendo loro di approfittare
maggiormente delle opportunità a livello locale;
3. La presenza italiana ai vertici operativi di EuropAid rimane non
sufficentemente rappresentativa rispetto agli altri grandi Stati membri;
4. L’assenza di un’Agenzia nazionale per la cooperazione ci vede, ad oggi,
quasi completamente assenti dal dibattito ma, soprattutto, dalla fase
propositiva che altre Agenzie nazionali (Germania, Regno Unito, Olanda,
Lussemburgo in particolare) stanno portando avanti per la gestione dei
programmi della Commissione Europea verso i Paesi terzi. Ci si riferisce
in particolare a quanto contenuto nell’art. 54 del Regolamento finanziario
1605/2002, che prevede che la Commissione possa, in determinate
condizioni, affidare funzioni d'esecuzione del bilancio ad organismi
nazionali pubblici o a entità di diritto privato.
È evidente che in assenza di una chiara strategia politica per il prossimo futuro, il
contributo italiano alla cooperazione della Commissione Europea verso i Paesi
terzi è destinato ad indebolirsi ulteriormente.
Questa situazione spiega perché la presenza di uffici di rappresentanza di ONG
italiane per la cooperazione allo sviluppo sia esigua (3 piccole antenne). Le ONG
italiane hanno scelto di essere rappresentate attraverso le federazioni e
associazioni europee del settore, anche perchè solo attraverso alleanze
internazionali possono sperare di essere inserite nei programmi di cooperazione
finanziati dall’Unione europea. Evidentemente, però, questa situazione non
conferisce alle ONG italiane una posizione di leadership in questa materia.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
11. La stampa italiana
L’analisi della presenza della stampa italiana a Bruxelles meriterebbe, per la sua
complessità e specificità, un lavoro a sè stante. Tuttavia, nel quadro del nostro
Rapporto sembra opportuno dare qualche informazione che permetta almeno di
inquadrarne la presenza.
Ripartizione per nazionalità dei media nazionali
e delle Agenzie Europee con uffici a Bruxelles
Agenzie EU
36
Svezia
9
Spagna
30
Slovenia
4
R. Slovacca
Regno Unito
3
23
Portogallo
9
Polonia
6
Paesi Bassi
12
Malta
Lussemburgo
1
4
Lituania
2
Lettonia
3
13
Italia
Irlanda
4
Ungheria
Grecia
11
7
Germania
33
Francia
19
Finlandia
8
1
Estonia
Danimarca
10
Rep. Ceca
5
Cipro
1
Belgio
41
Austria
7
0
5
10
15
20
25
30
35
Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006
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40
45
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Nella tabella riportata sono repertoriati i media che hanno un ufficio a Bruxelles e
che coprono gli affari europei. Si noti che tra le Agenzie europee, la sola di origine
italiana, e la più antica, è Agence Europe124. La maggioranza delle altre Agenzie
europee sono di orgine anglosassone, e si sono installate a Bruxelles negli ultimi
10-15 anni.
La comunità dei giornalisti italiani repertoriati come residenti stabilmente a
Bruxelles (50) è probabilmente tra le più grandi dopo quella dei giornalisti tedeschi
(150) e francesi (100).
Il gruppo cosiddetto storico di giornalisti italiani (circa 10) arrivò a Bruxelles circa
35 anni fa, quando parlare d’Europa era un “vezzo” piuttosto che una necessità. A
quel tempo, il giornalismo italiano era rappresentato da 4 testate (Rai, Ansa,
Corriere della Sera, La Stampa), alle quali si aggiunse negli anni ’70 La
Repubblica.
Da allora la comunità di giornalisti italiani è cresciuta, e si è rinnovata, soprattutto
negli ultimi 5 anni, durante la Commissione di Romano Prodi e il semestre di
Presidenza italiano del 2003. Tuttavia, in termini di media italiani rappresentati, il
raffronto tra l’Italia (13) e altri grandi Paesi membri mostra una scarsa presenza dei
media italiani. In particolare, è visibile l’assenza dei media facenti capo al gruppo
Mediaset/Fininvest.
Quanto al coinvolgimento del giornalismo italiano in relazione alle lobby che
agiscono in Europa, è noto che il “provincialismo” della politica italiana pone la
stampa italiana in una seconda o terza linea rispetto ai colleghi delle testate
inglesi, tedesche e francesi. Non è un caso infatti che le principali azioni di
lobbying si svolgano attraverso testate come Financial Times oppure Les Echo o
Handelsblatt. Il dibattito sulle policy che si sviluppano a Bruxelles è molto presente
sui media citati e costituisce un elemento importante per le attività di lobbying. Se
la rilevanza di queste testate è preponderante presso i decision-maker di
Commissione e Consiglio, gli Europarlamentari fanno ancora riferimento sulle
testate giornalistiche nazionali, che conservano quindi una modesta capacità di
influenza.
Infine, la lingua usata maggioritariamente tra i media, le istituzioni comunitarie e le
reti lobbistiche a Bruxelles è prevalentemente l’inglese. Anche i documenti europei
sono pubblicati prevalentemente in inglese o francese. Questo problema linguistico
certo influisce non poco sulle attività dei media italiani a Bruxelles.
Da ultimo, vale la pena ricordare che l giornalisti italiani, come quelli di altri Paesi,
sono rappresentati dall’associazione della stampa estera in Belgio (API), di cui è
stato presidente un giornalista italiano negli ultimi 4 anni.
124
Creata circa 40 anni fa da Emanuele Gazzo, giornalista e amico di Altiero Spinelli, che sull’idea
federalista costruì un business informativo che è stato fino a pochi anni fa la principale referenza
europea.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
12. Il funzionariato italiano nelle istituzioni
europee
La presenza italiana nella Commissione europea
- L’Italia conta 14 membri (di cui 1 capo di gabinetto e 1 capo di gabinetto
aggiunto) nei gabinetti della nuova Commissione, meno dei suoi omologhi
francesi (22), britannici (20), tedeschi (18), portoghesi (16)125. Allo stesso modo,
le vengono attribuiti soltanto 10 portafogli diversi, contro i 19 portafogli francesi e
i 17 del Regno Unito. La debolezza della rappresentanza italiana è imputabile
dunque alla sua scarsa presenza in seno alla nuova Commissione, in particolar
modo a livello dei capi di gabinetto, che svolgono un ruolo strategico in seno
all’esecutivo comunitario, preparando le riunioni del Collegio dei Commissari:
solo un italiano occupa questa posizione, rispetto ai cinque capi di gabinetto per
la Germania e tre per il Regno Unito.
- Le istituzioni europee accolgono 975 esperti nazionali distaccati (END),
considerando tutti gli Stati membri, di cui 77 italiani nel 2005. L’Italia è dunque
poco rappresentata da questo punto di vista rispetto ad altri Paesi europei come
la Francia, la Germania e il Regno Unito, che totalizzano rispettivamente 138,
125 e 105 END nelle istituzioni europee.
- In termini di numero di funzionari presenti nella Commissione europea, l’Italia è
ben rappresentata. Su 22.389 funzionari europei, 2.604 sono italiani (contro
4.967 belgi, 2.481 francesi e 2038 tedeschi). È interessante notare come pur
registrando un aumento sia in termini di funzionari A che di funzionari B, il
numero complessivo di funzionari italiani presso la Commissione sia diminuito,
passando da 2.805 nel 2002 a 2.604 nel 2006 (11.6% del totale). Questo calo è
dovuto ad una contrazione del numero di funzionari C, passato, nello stesso
arco di tempo da 1.291 a 735.
- Non tutte le Rappresentanze Permanenti dei paesi dell’UE organizzano riunioni
regolari e briefings di lavoro con i funzionari nazionali, come fa la
Rappresentanza inglese. Da notare, d’altronde, che particolarmente i funzionari
italiani si comportano spesso come apolidi.
Fonte: Commissione europea 2006 e dati elaborati dal CIPI
Dagli anni ’90, in poi il funzionariato italiano presso le istituzioni europee ha iniziato
una mutazione. Il processo è dovuto ad un maggior interesse dei giovani agli affari
europei e all’accesso reso possibile dalle nuove pratiche concorsuali. Il
funzionariato italiano di nuova generazione è mediamente più preparato, anche
linguisticamente, e più aggressivo in termini di carriera rispetto alle generazioni
precedenti. Il numero di funzionari di grado A è in costante crescita (anche se ai
gradi più bassi della carriera), mentre il tradizionale serbatoio di posti italiani, nei
gradi B, C e D, si sta asciugando. Inoltre, è considerevolmente aumentato il
numero delle donne italiane entrate in carriera. Il più alto tasso di presenza
femminile nel grado A è francese (11,9%), il più basso è inglese (5,2%), mentre
125
Sono presi in considerazione solo i funzionari di grado A.
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143
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
l’Italia con il 10,4% è in linea con Francia, Germania e Spagna. È bene notare
come in totale la presenza femminile nel grado A per UE25 sia circa il 50% in
meno di quella maschile: di 3666 unità contro le 7256 maschili.
Inoltre, va notato che nella struttura del funzionariato italiano presso le istituzioni
europee esiste un “buco” generazionale di circa 10 anni. Questo “buco”
corrisponde allo scarso afflusso nelle carriere europee nel corso degli anni ’80. Ciò
si traduce in uno sfasamento generazionale che rende difficile coprire i gradi di
management medio-alti e alti (Direttore e Direttore Generale). Questa situazione
tenderà ad aggravarsi nei prossimi anni, in coincidenza con l’avvio alla pensione
dei gradi italiani più alti adesso. Alcune proiezioni suggeriscono che, all’interno
della Commissione, nei prossimi 5-8 anni l’Italia potrebbe non essere in grado di
coprire un numero di posti apicali pari ai circa 6 di oggi. Per cercare di limitare
l’effetto di questa demografia funzionariale, sarebbe necessario attivare subito
delle strategie di sostegno dei pochi funzionari italiani che in questi anni
potrebbero accedere al livello di Direttore per poi essere pronti a presentarsi alle
selezioni per i posti di Direttore Generale.
Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2002
Regno
Germania
Italia
Grado
Belgio
Spagna
Francia
Unito
957
Grado A
835
920
744
1143
792
557
Grado B
1284
334
378
438
246
1291
Grado C
2728
671
578
730
500
2805
Totale
4847
1925
1700
2311
1538
Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI
Totale
EU25
7541
4312
8854
20707
Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2006
Regno
Germania
Italia
Grado
Belgio
Spagna
Francia
Unito
1168
Grado A
1167
1287
1007
1383
917
551
Grado B
1389
336
399
470
240
735
Grado C
2226
410
345
589
289
2604
Totale
4967
2038
1782
2481
1453
Fonte: Commissione europea 2006
Totale
(EU25)
10942
4611
6320
22389
Distribuzione funzionale del management italiano presso la
Commissione europea
Direttori Generali, 4
Direttori Generali
aggiunti, 2
Direttori, 11
Capi Unita', 77
Totale 94
Fonte: Commissione europea febbraio 2006
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144
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Distribuzione del management italiano presso la
Commissione Europea
6
DG Interpretazione
1
Direzione generale informatica
2
DG Bilancio
7
DG Personale e Amministrazione
2
DG Allargamento
1
DG Sviluppo
1
1
DG Commercio
1
1
6
DG Relazioni esterne
3
DG Giustizia, liberta' e sicurezza
1
DG Salute e tutela dei consumatori
1
2
DG Istruzione e cultura
1
DG Fiscalita' e unione doganale
3
DG Politica regionale
1
DG Mercato interno e servizi
2
1
DG Pesca e affari marittimi
2
1
4
DG Societa' dell'informazione e media
1
7
DG Ricerca
1
DG Ambiente
2
1
DG Energia e trasporti
6
DG Agricoltura e sviluppo rurale
6
DG Occupazione, affari sociali e pari
opportunita'
3
DG Concorrenza
3
DG Imprese e industria
3
DG Affari economici e finanziari
2
DG Stampa e comunicazione
2
1
1
1
1
1
BEPA
0
Capi Unita'
1
1
Direttori
2
3
4
5
Direttori Generali aggiunti
6
7
8
Direttori Generali
Fonte: Commissione europea, febbraio 2006, e dati elaborati dal CIPI
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9
10
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Funzioni espletate in seno alla Commissione europea
Commissario
Direttore Generale (funzionario A15-16)
Direttore (funzionario A14)
Capo Unità (funzionario A11-13)
Funzionario A11 (minimo 12 anni d’esperienza)
Funzionario A6 -10 (minimo 2 anni d’esperienza)
Funzionario A5 (senza esperienza)
Personale con contratto (sempre meno numeroso)
Agenti temporanei (quasi assimilati ai funzionari europei, contratto da 3 a 5
anni)
Ausiliari (massimo 1 anno per i livelli A e B, 2 anni per il livello C)
Ad interim (durata di sei mesi)
Si noti lo status particolare degli Esperti Nazionali Distaccati (END) che
continuano ad essere funzionari presso la loro amministrazione nazionale.
Fonte : Commissione europea
Alcune considerazioni generali sono comuni a tutti i gradi funzionariali italiani nelle
istituzioni europee:
Non esiste un’efficiente struttura di monitoraggio, supporto e sostegno
dei funzionari italiani nelle istituzioni comunitarie. Questa carenza può
essere imputata all’incertezza politica che limita le capacità d’intervento
anche da parte della Rappresentanza Permanente
Mancano degli incentivi nazionali verso i funzionari comunitari per
incitarli ad una maggiore collaborazione tra di loro e con i rappresentanti
nazionali
Per fare carriera, il funzionario italiano non può che spendere la propria
credibilità personale, non disponendo della credibilità del sistema paese
da spendere in concorrenza con quella degli altri
La carriera europea è diventata altamente concorrenziale. Non basta più
un eventuale rafforzamento della cooperazione nella rete funzionariale
italiana: qualità, lingue, e alleanze transnazionali sono imprescindibili
Per tutti i posti del sistema comunitario conta molto la preparazione,
l’esperienza e la capacità di presentazione del candidato, piuttosto che
l’eventuale intervento da un posto apicale italiano
Un Commissario rende un servizio utile anche al suo Paese se è capace
di strutturare un gabinetto che sappia tenere sotto controllo il suo
settore, ma soprattutto che sappia interferire nei dossier degli altri
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Infine, qualche considerazione può essere svolta in merito alle forme
associazionistiche italiane in seno alle istituzioni comunitarie.
La prima segnalazione riguarda il CLENAD, che è l’associazione che raggruppa
tutti gli esperti nazionali distaccati (END) e che dispone di una specifica sezione
italiana. Il CLENAD fornisce servizi di orientamento e di formazione per i nuovi
END che arrivano nelle istituzioni comunitarie.
La seconda segnalazione va fatta in merito a due associazioni, Lettera 22 e Alubsezione di Bruxelles. Entrambe raggruppano circa 60 funzionari che hanno
studiato presso l’Universtà Bocconi di Milano. Si tratta di reti informali di
collegamento.
È doveroso sottolineare che in questo Rapporto i funzionari delle istituzioni
comunitarie sono presi in considerazione come espressione allargata della
presenza italiana. In nessun caso questo Rapporto vuole suggerire che i funzionari
delle istituzioni siano o debbano essere soggetti attivi di azioni di lobbying.
Infatti, tutti i funzionari comunitari, in tutti gradi e funzioni, sono tenuti al rispetto
degli obblighi statutari di imparzialità e indipendenza, astenendosi da qualsiasi
azione arbitraria o condizionata da alcuna influenza esterna di qualsiasi tipo,
comprese le influenze politiche, o gli interessi personali. Inoltre, il funzionario non
deve mai essere ispirato a interesse personale, familiare o nazionale, né
dipendere da pressioni politiche.
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Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
13. Parlamentari
parlamentari
europei
e
assistenti
Nelle istituzioni europee, il lobbying ha concentrato la sua attenzione sulla
Commissione, considerata come l’organo più rilevante su cui agire. Il Parlamento
Europeo, invece, era considerato come “l’istituzione debole” all’interno del
processo decisionale europeo. Dopo il Trattato di Maastricht, questa situazione è
però mutata sensibilmente, in particolare grazie all’introduzione della procedura di
“codecisione”, che ha dato al Parlamento un potere di veto su una larga parte della
legislazione europea.
Nel processo di decision-making europeo, il Parlamento europeo svolge oggi un
ruolo peculiare, distinto da quelli di Commissione e Consiglio. Di conseguenza
anche le modalità con cui i Iobbisti devono avvicinarsi al Parlamento europeo sono
differenti. Infatti, il Parlamento europeo mantiene una duplice valenza,
internazionale e sopranazionale, che richiede da un lato di agire in una prospettiva
europea, e dall’altro di tenere in conto gli effetti nazionali delle decisioni. Inoltre, si
tratta di un’assemblea che benchè eletta direttamente su base nazionale, non
rispecchia l’organizzazione dei partiti politici nazionali ma è organizzata in gruppi
politici transnazionali. Infine, nel processo legislativo europeo, il Parlamento
europeo agisce ad uno stadio avanzato del processo decisionale, in cui la
Commissione ha già elaborato una proposta legislativa dettagliata. Per queste
ragioni, il lobbisti che entrano in relazione con il Parlamento europeo non solo
devono sper fornire valutazioni e suggerimenti tecnici sui dossier, ma anche
valutazioni politiche generali sia trasnazionali che nazionali.
Influenzare i processi decisionali del Parlamento eruopeo è un lavoro non facile. Si
tratta di un approccio molto asimmetrico sia dal punto di vista funzionale che
sostanziale. Mantenendo sempre ben presente la doppia valenza dell’assemblea
europea, internazionale e sopranazionale, i punti di accesso sono molteplici e
qualitativamente diversi tra loro: sessione plenaria; commissioni; gruppi politici;
intergruppi; audizioni; singoli parlamentari; assistenti parlamentari; esperti;
funzionari parlamentari e amministratori. La gestione di queste relazioni deve
essere basata su una conoscenza approfondita delle procedure e delle persone
coinvolte. Sicuramente, l’azione di lobbying non deve trascurare gli assistenti
parlamentari e i collaboratori, a cui va riservata un’attenzione pari a quella dei
Parlamentari.
Il sistema parlamentare europeo ha subito nel corso delle ultime due legislature
una trasformazione profonda: in coincidenza con un espansione dei poteri del
Parlamento europeo è migliorata anche la qualità del personale parlamentare,
deputati e assistenti parlamentari.
Un dato che è visibile ancor prima delle statistiche è che l’età media dei deputati si
è abbassata. Ma dietro questo dato empirico si nasconde un’altra più importante
novità: un numero crescente di parlamentari non viene dai ranghi dei partiti politici
nazionali, ma è scelto a Bruxelles dalle fila dei funzionari comunitari, degli
assistenti parlamentari e dei giornalisti specializzati in affari europei. Tuttavia, non
mancano anche i lobbisti.
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148
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Questo fenomeno è particolarmente verificabile nei gruppi nazionali dei Paesi
nordici, ma anche inglesi, tedeschi e francesi. Inoltre, in molti casi, le stesse
candidature sono il frutto di lobby che agiscono nell’arena nazionale per inviare
uno specifico candidato con la speranza che possa occupare un posto chiave nella
commissione di riferimento.
Nel caso italiano, la legge elettorale vigente impedisce ogni possibile azione di
lobbying per sostenere un candidato. Inoltre, a causa del sistema elettorale che
prevede un sistema di preferenze su delle circoscrizioni elettorali molto grandi,
invece di un sistema a liste bloccate, come avviene in molti altri Paesi, i partiti
politici candidano persone “famose” che siano in grado di raccogliere il massimo di
voti. Tutto questo va chiaramente a scapito della selezione dei candidati e quindi
della qualità della rappresentanza al Parlamento europeo.
Inoltre, sebbene la legge sulle incompatibilità abbia ridotto sensibilmente
l’assenteismo, essa non ha però ridotto l’effetto “elezioni nazionali”. Secondo stime
del CIPI, il turnover italiano al Parlamento europeo in occasione delle elezioni
nazionali 2006 si annuncia il più alto in assoluto:
Turnover dei parlamentari europei in occasione
delle elezioni politiche nazionali 2005-2006
Elezioni politiche 2006 ITALIA
>10%
Elezioni politiche 2005 POLONIA
>5%
Elezioni politiche 2005 GERMANIA
<5%
Fonte: Cipi in base ad indicazioni dei gruppi politici
Nel caso italiano, questo turnover 2006 è più marcato nei ranghi dei partiti italiani
del centro-sinistra, ma si produce anche tra quelli di centro-destra. Allo stesso
tempo, tra i deputati tedeschi siede un veterano presente nel Parlamento Europeo
sin da 1979. Tuttavia, si deve registrare un miglioramento qualitativo dei
parlamentari europei eletti dall’Italia, ma si tratta di un miglioramento che in termini
relativi agli altri gruppi nazionali si vanifica velocemente.
Un altro elemento importante che caratterizza il caso italiano presso il Parlamento
europeo è la scarsità di coordinatori dei gruppi politici in ciascuna delle
commissioni parlamentari.
È evidente che questa situazione penalizza l’Italia, e le sue lobby, riducendo
sensibilmente il margine di manovra durante le procedure parlamentari. La ragione
di questa carenza risiede sia nell’insufficienza linguistica di molti parlamentari
italiani (condizione necessaria per essere coordinatore è di conoscere bene
almeno due lingue, oltre alla propria), ma anche nel fatto che la procedura di
assegnazione dei posti di coordinatore inizia quando i deputati italiani non sono
neppure ancora arrivati a Bruxelles.
Sembra che in Italia non ci sia la consapevolezza dei cambiamenti da fare (con
una certa urgenza):
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149
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
Modificare la legge elettorale per le elezioni europee, inserendo il
sistema delle liste bloccate e circoscrizioni più piccole
Costituire una classe politica stabile per gli affari europei e che sia
basata a Bruxelles
Mettere le basi per un inizio di sistema-paese “industriale”
Un altro aspetto non secondario è costituito dal ruolo degli assistenti parlamentari.
In molti Paesi, gli assistenti parlamentari sono dei veri e propri professionisti, e a
volte dei lobbisti, che fanno da collegamento tra il deputato e le strutture nazionali
di analisi delle informazioni, di ricerca e di prospettiva. Questo caso è molto visibile
nel contesto anglosassone, ma è praticamente assente in quello italiano.
Certamente, al fine di ottenere dei servizi adeguati, gli assistenti parlamentari
devono essere pienamente remunerati.
Inoltre, gli assistenti parlamentari sono spesso l’architrave del sistema lobbistico
nazionale a Bruxelles. Infatti, in alcuni casi (Regno Unito, Danimarca, Polonia,
Paesi nordici, Spagna), gli assistenti fanno parte di un network attivo collegato alla
Rappresentanza Permanente che li convoca per briefings e debriefings regolari,
offrendo in cambio sostegno concreto al loro lavoro e alle loro aspirazioni di
carriera. Inoltre, si può segnalare che nel caso inglese e danese esiste un network
molto attivo tra le attività parlamentari europee e quelle dei rispettivi parlamenti
nazionali.
Infine, la percezione che dal Parlamento europeo si ha delle lobby italiane segnala
un buon lavoro in materia di trasporti, ed ottimo in materia di interessi industriali.
Invece, la Rappresentanza Permanente si nota in prevalenza durante alcune
sedute della plenaria, ma sembra interagire poco, anche a livello di circolazione
delle informazioni sulle riunioni del Consiglio, con i parlamentari e i gruppi politici
italiani.
Alcuni esempi di lobbying italiano recenti su tre direttive:
- Eurovignette (Commissione Trasporti)
Un lavoro ben impostato dalla lobby capeggiata dalla società Autostrade, ma poi
vanificato perché il sistema paese non ha seguito. Inoltre, sono sorte divergenze
di posizione tra il Governo e la Rappresentanza Permanente.
- Porti (Commissione Trasporti)
Ministero italiano competente, praticamente assente nel processo. Ottima la
lobby delle entità territoriali e delle società di servizi interessate ai porti.
- Poste (Commissione Servizi)
Ministero italiano competente, praticamente assente nel processo. Ottima la
lobby dell’Ente Poste, che grazie al lavoro di assistenza di uno studio legale
anglosassone è diventata capofila dell’intero processo.
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150
Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles
14. Repertorio analitico degli italiani impegnati
in strutture internazionali o straniere a
Bruxelles
La presenza di personale italiano in posizioni dirigenziali all’interno di strutture
e organizzazioni straniere o internazionali, é composta da 43 unità testimonia il
fatto che i lobbisti italiani sono piuttosto apprezzati a Bruxelles.
Di particolare rilevanza sono i 18 italiani in posizioni apicali nelle corporations e
nelle multinazionali presenti nella capitale Belga.
Presenza di dirigenti italiani in organizzazioni straniere o
internazionali a Bruxelles
11
6
Associazioni Europee
Professionali e Commerciali
Corporations multinazionali
45
43
Società internazionali di servizi
Gruppi di interesse
Think Tanks e Formazione
Organizzazioni internazionali
11
18
Fonte: The European Public Affairs Directory 2006 e dati elaborati dal CIPI
La carenza di punti d’aggregazione italiani e la scarsa promozione dell’identità
italiana a Bruxelles spinge queste persone a gravitare attorno a organizzazioni
come AmCham, oppure attorno ad associazioni e ai think tank anglosassoni.
Un altro dato assolutamente interessante è quello degli 11 italiani coinvolti nelle
strutture dei think tank stranieri a Bruxelles. In molti casi, si tratta di italiani
illustri o di personalità, e questo non può che gratificare l’Italia. Sarebbe, però,
opportuno chiedersi perché nessuna di queste persone si sia investita nello
sviluppare gruppi italiani di riflessione a Bruxelles.
Anche in questo caso, la materia richiede un’analisi più profonda. Nell’attesa, il
CIPI mantiene una banca dati nominativa che permetterà di seguire
l’evoluzione di questa presenza italiana a Bruxelles.
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Capitolo III
Efficacia del lobbying
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153
Capitolo III – Efficacia del lobbying
1. Bilancio 2005: il lobbying italiano
1.1 Una maggiore sensibilità al lobbying e agli affari europei
A partire dal 2002, la sensibilizzazione degli italiani al lobbying è cresciuta, come
dimostra il sempre maggior interesse che la stampa dedica all’argomento e il fiorire
di corsi di formazione in materia. Pur restando indietro rispetto ad altri Paesi
europei, l’Italia dispensa oggi circa 6 formazioni universitarie specialistiche sulle
istituzioni europee e sul lobbying126 e ha sviluppato un portale italiano di lobbying e
public affairs127. L’accezione prevalentemente negativa del termine lobbying,
inteso come gruppo di pressione, o gruppo di potere occulto che influenza le
decisioni politiche tramite pressione economica, sta lentamente sfumando. Dal
2002 ad oggi, un certo numero di articoli sulla stampa nazionale (nel 2005 circa 30
articoli) ha iniziato a presentare le esperienze di lobbying degli altri Paesi,
mostrando una nuova faccia del fenomeno (ben pochi rispetto ai circa 260 articoli
della Camera di Commercio e dell’Industria di Parigi recensiti, solo nella prima
metà del 2005, dalla banca dati Tosca). Si assiste ad un pullulare di Master in
materie europee sia in Italia, che presso entità italiane a Bruxelles (nel 2005 sono
stati recensiti 21 Master)128. Tuttavia, mentre una ricerca sul sito della Camera dei
Deputati dimostra che, nell’ultima legislatura, nessuna indagine conoscitiva o
informativa è stata condotta in materia di lobbying, in Francia, da alcuni anni,
l’Assemblée Nationale si occupa periodicamente di lobbying francese in Francia e
in Europa.
126
- Istituto europeo di design che affronta la materia della comunicazione verso le istituzioni
(http://www.ied.it).
- La cattedra Jean Monnet presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. La cattedra si
intitola Integrating Europe in a Changing World e beneficia di un cofinanziamento della
Commissione Europea, DG Educazione e Cultura
(http://web.uniroma2.it/modules.php?name=Content&navpath=UEU&section_parent=642).
- La facoltà di Scienze Politiche di Padova che ha istituito il corso di laurea specialistica in
Politiche dell’Unione europea.
(http://www.unipd.it/offerta_didattica/corsi/197.htm).
- L’Università di Trieste con il Master universitario di I livello in “Metodologie per le Politiche
Comunitarie” (Methods in European Policy Making)
(http://www.interuniv.isig.it/cartella/calls/Bando%20EURODEF.doc).
- Lumsa con il Master in Public Affairs, Lobbying e Relazioni Istituzionali - M.P.A.
(http://www.masterin.it/post-laurea/Lumsa16-master-in-public-affairs-lobbying-e-relazioniistituzionali-m-p-a-.htm).
- Running con un corso post-experience di lobbying.
(http://www.runningonline.it/formazione/iniz_realizzate/intro_corsi_2001.htm)
127
Si tratta del sito web: http://www.lobbyingitalia.info
128
Fonte: Commissione europea
http://www.europa.eu.int/comm/dg10/university/3cycle/programmes_en.html
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154
Capitolo III – Efficacia del lobbying
La Francia e il lobbying
In Francia, numerosi rapporti, successivi a quello della CCIP (Chambre de Commerce et
d’Industrie de Paris del 2002) hanno permesso di informare i cittadini sulla pratica del lobbying.
Sono esempi significativi il Rapporto di Informazione del deputato Jacques Floch (maggio 2004)
sulla presenza e sull’influenza della Francia nelle istituzioni europee, così come gli studi di enti
privati, come quello effettuato recentemente dalla società di consulenza Burson Marsteller (“The
definitive guide to lobbying in the European Institutions”, primavera 2005) realizzato presso le
istituzioni europee. I siti Internet dedicati al lobbying sono ugualmente numerosi, sull’esempio di
Eulobby.net gestito da alcuni lobbisti europei ed americani o di lobbying-europe.com. Dei
concorsi vengono anche organizzati nelle università, per premiare i migliori montaggi virtuali di
dossier.
Nel suo primo rapporto su “Rinforzare il lobbying delle imprese francesi di Bruxelles”, la CCIP
aveva consigliato vivamente di diffondere l’insegnamento a tutti i livelli di formazione, sia che si
tratti di scuole di commercio, di scuole di formazione degli albi degli avvocati e di scuole di
ingegneri. Essa operava ugualmente per dare una formazione più generale sul lobbying, ed
inculcare così una coscienza europea in tutti i settori d’attività dell’impresa. Sembrerebbe che tali
proposizioni abbiano trovato eco.
La CCIP stessa ha organizzato dei seminari e delle formazioni sul lobbying per le imprese. Essa
ha ugualmente realizzato una guida pratica censendo i siti principali in materia europea ed
indicando qualche consiglio-chiave che converrebbe tenere a mente. Essa anima, inoltre, alcune
pagine Internet inserendovi le sue stesse azioni di lobbying in uno spirito di trasparenza al fine di
invitare le imprese e le federazioni a sostenere tali approcci.
È allo stesso modo interessante esaminare il numero di formazioni universitarie rilasciate in
Francia sull’Unione europea, dal momento che queste costituiscono la base necessaria per
sviluppare ogni tipo di azione professionale di lobbying. Nel censimento fatto dalla Commissione
europea sui terzi cicli europei dedicati all’Unione europea, pare che la Francia sia molto ben
posizionata a confronto con i suoi principali partner. Essa resta, tuttavia, nettamente al di sotto
del Regno Unito. Anche se questo censimento può non essere esaustivo, mostra in ogni caso la
capacità delle università britanniche a farsi conoscere dalle istituzioni europee.
Le scuole di commercio stesse formano i loro studenti al lobbying. HEC ha trasformato il
programma del CPA (Centre de Perfectionnement des Affaires) in MBA COA del Gruppo HEC.
Non si tratta di un semplice cambiamento di nome. È prima di tutto un’attualizzazione del
contenuto e delle tematiche proposte ai partecipanti, e l’Europa è uno di questi temi nuovamente
introdotti nel programma. È dunque in questa prospettiva che l’insieme dei partecipanti della
promozione 2003 (oltre 250 persone) si è recato a Bruxelles per quattro giorni ed ha esaminato
la questione “Governance economica e politica dell’Unione europea”.
HEC ha ugualmente creato dei seminari di tre giorni su “Europe at work” (“Europa al lavoro”) che
si rivolgono ad un pubblico di decisori: dirigenti di imprese, politici eletti o responsabili di
associazioni. Il lobbying coinvolge anche altre formazioni relative alla Comunicazione (CESA
Communication) o ancora il Master specializzato nella gestione dello sviluppo sostenibile. Nel
quadro stesso di HEC, Noëlle LENOIR, ex-Ministro delegato per gli affari europei, ha creato
all’inizio del 2005 l’“Istituto sull’Europa” orientato verso le imprese, in particolare alimentando i
lavori sull’allargamento. Questo istituto si colloca accanto ai think tanks nazionali come
NotreEurope (fondata da Jacques DELORS) oppure la Fondazione Robert Schuman.
ESCP-EAP ha ugualmente sviluppato dei corsi sul lobbying nelle sue formazioni.
Nel 2004, 206 studenti di ESCP-EAP (108 a metà 2005), di cui 25 indiani e circa 40 americani,
hanno seguito un seminario di formazione organizzato dalla Delegazione delle Camere di
Commercio Paris-Ile-de-France. Allo stesso modo, la scuola Négocia, Centro di formazione
internazionale per la vendita e la trattative commerciale, ed Advancia, hanno fatto seguire ai loro
studenti dei seminari simili.
L’ESSEC, che moltiplica i corsi sul lobbying, intende creare una Cattedra sul lobbying.
Fonte: CCIP 2005
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155
Capitolo III – Efficacia del lobbying
1.2. Un posizionamento che migliora nelle strutture di lobbying,
ma meno nelle istituzioni europee
a. Posizionamento nelle istituzioni europee
È interessante vedere l’evoluzione del numero di italiani che esercitano la loro
attività professionale in seno anche alle istituzioni europee. Non si tratta di
considerare un lobbying di tipo italo-italiano, ma di vedere in quale misura gli
italiani “prendono possesso” delle istituzioni europee.
L’Italia in Europa
129
L’Italia conta 14 membri (di cui 1 capo di gabinetto e 1 capo di gabinetto
aggiunto) nei gabinetti della nuova Commissione, meno dei suoi omologhi
francesi (22), britannici (20), tedeschi (18), portoghesi (16)129. Allo stesso
modo, le vengono attribuiti soltanto 10 portafogli diversi, contro i 19 portafogli
francesi e i 17 del Regno Unito. La debolezza della rappresentanza italiana è
imputabile dunque alla sua scarsa presenza in seno alla nuova Commissione.
In particolar modo va sottolineata la presenza di un solo capo di gabinetto
(contro i 5 della Germania e i 3 del Regno Unito), visto il ruolo strategico svolto
da questi in seno all’esecutivo comunitario, preparando le riunioni del Collegio
dei Commissari.
Le istituzioni europee accolgono 975 esperti nazionali distaccati (END),
considerando tutti gli Stati membri, di cui 77 italiani nel 2005. L’Italia è dunque
esiguamente rappresentata da questo punto di vista rispetto ad altri paesi
europei come la Francia, la Germania e il Regno Unito, che totalizzano
rispettivamente 138, 125 e 105 END nelle istituzioni europee.
In termini di numero di funzionari presenti nella Commissione europea, l’Italia
è ben rappresentata. Su 22.389 funzionari europei, 2.604 sono italiani (contro
4.967 belgi, 2.481 francesi e 2038 tedeschi). È interessante notare come pur
registrando un aumento sia in termini di funzionari A che di funzionari B, il
numero complessivo di funzionari italiani presso la Commissione sia diminuito,
passando da 2.805 nel 2002 a 2.604 nel 2006 (11,6% del totale). Questo calo
è dovuto ad una contrazione del numero di funzionari C, passato, nello stesso
arco di tempo, da 1.291 a 735.
I deputati italiani sono maggiormente presenti nell’emiciclo di Bruxelles. Il
tasso di presenza dei deputati italiani sarebbe del 92%. Numerosi deputati
europei italiani mantengono la loro sede in modo regolare, contrariamente
all’immagine che ne hanno generalmente i cittadini.
Nel nuovo mandato, i deputati italiani appaiono meno dispersi rispetto al
precedente. Così, 2 deputati italiani su 3 appartengono ormai ad uno dei
gruppi politici più influenti. La rappresentanza italiana in seno alle commissioni
economiche e legislative è più importante che in passato. L’Italia conta 3
presidenze di commissione sulle 25 esistenti, al pari dei suoi partener tedeschi
(3), spagnoli (3), ma meno bene dei francesi (5).
Sono stati presi in considerazione i soli funzionari di grado A.
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156
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Il nuovo sito del Parlamento europeo fornisce informazioni sul lavoro
parlamentare effettuato da ciascun deputato in termini di Relazioni, interventi
in sessioni plenarie e quesiti posti. Ciò dovrebbe incitare ad accrescere la loro
partecipazione attiva. Gli assistenti parlamentari, come si ricorderà, devono
essere un bersaglio privilegiato.
Se ci si può compiacere di queste evoluzioni, alcuni miglioramenti possono
ancora essere fatti. Ad esempio, i parlamentari italiani non hanno organizzato
in seno al Parlamento dei “clubs di imprese”, come hanno fatto invece i loro
omologhi inglesi. Allo stesso modo, i deputati italiani non si lasciano
coinvolgere nel Kangourou group che si riunisce su delle tematiche trasversali.
I deputati italiani sono ugualmente quasi assenti dagli inter-gruppi parlamentari
che si costituiscono per discutere di argomenti particolari, al di fuori del quadro
decisionale, e che fanno partecipare la società civile.
Fonte: Parlamento Europeo, dati elaborati dal CIPI
Commissioni parlamentari con presidenza italiana
DEVE, Sviluppo
MORGANTINI, Luisa
TRAN, Trasporti e turismo
COSTA, Paolo
JURI, Giuridica
GARGANI, Giuseppe
Gruppo confederale della
Sinistra unitaria
europea/Sinistra verde nordica
Gruppo dell'Alleanza dei
Democratici e dei Liberali per
l'Europa
Gruppo del Partito popolare
europeo (Democratici-cristiani)
e dei Democratici europei
Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI
Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2002
Italia
Grado
Belgio
Germania Spagna
Francia
Regno
Unito
957
Grado A
835
920
744
1143
792
557
Grado B
1284
334
378
438
246
1291
Grado C
2728
671
578
730
500
2805
Totale
4847
1925
1700
2311
1538
Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI
Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2006
Italia
Grado
Belgio
Germania Spagna Francia
Regno
Unito
1168
Grado A
1167
1287
1007
1383
917
551
Grado B
1389
336
399
470
240
735
Grado C
2226
410
345
589
289
2604
Totale
4967
2038
1782
2481
1453
Fonte: Commissione europea 2006
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157
Totale
EU25
7541
4312
8854
20707
Totale
(EU25)
10942
4611
6320
22389
Capitolo III – Efficacia del lobbying
b. Posizionamento nelle strutture di lobbying a Bruxelles
Pur senza essere incitati o sostenuti da strutture istituzionali, gli italiani si sono
collocati all’interno di posti-chiave nelle strutture di rappresentanza d’interessi non
italiani in Europa. A Bruxelles, nel 2005, il CIPI ha recensito130quanto segue: nelle
“associazioni europee professionali e commerciali, imprese e servizi” sono stati
recensiti più di 90 italiani; nei “gruppi d’interesse” più di 20 italiani; nei “think tank e
nella formazione” sono stati recensiti più di 15 italiani; nelle “associazioni sindacali”
sono stati recensiti più di 7 italiani; nelle “organizzazioni internazionali” sono stati
recensiti più di 8 italiani.
Solo per citarne alcuni: Mario Monti, Presidente del think tank Bruegel, centrato su
alcuni argomenti economici, creato per iniziativa franco-tedesca nel 2005;
Ferdinando Beccalli Falco, Presidente di GE International; Arnaldo Abbruzzini,
Segeretario Generale di Eurochambres; Antonio Missiroli, Direttore della Policy del
EPC; Massimo Gargano, Vice Presidente di Toyota Europe; e ancora
l’Ambasciatore Sergio Vento, Senior Business Advisor per l’Europa di McDermott
Will & Emery; Claudio Murri, Direttore Esecutivo Government Affairs della EDS;
oppure Eduardo Pisani, Senior Director della Policy and Government Affairs
Europe della Bristol-Meyers Squibb.
Inoltre, a Bruxelles, l’Italia conta:
7 rappresentanze dello Stato (più di 350 unità di personale inclusi funzionari e
addetti italiani o locali),
4 rappresentanze istituzionali (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e
addetti italiani o locali),
21 rappresentanze regionali e provinciali (più di 250 unità di personale inclusi
funzionari e addetti italiani o locali),
più di 10 rappresentanze delle autonomie locali e funzionali (più di 60 unità di
personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali),
almeno 16 associazioni e federazioni industriali e settoriali (più di 80 unità di
personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali),
più di 13 uffici delle associazioni di settore (più di 60 unità di personale inclusi
funzionari e addetti italiani o locali),
più di 14 uffici dei gruppi industriali (più di 90 unità di personale inclusi
funzionari e addetti italiani o locali),
più di 17 uffici dei gruppi finanziari e assicurativi (più di 130 unità di personale
inclusi funzionari e addetti italiani o locali),
più di 2 uffici dell’Università e della ricerca (più di 10 unità di personale inclusi
funzionari e addetti italiani o locali),
più di 8 studi legali italiani (più di 30 unità di personale inclusi funzionari e
addetti italiani o locali),
130
I dati presentati non pretendono di essere esaustivi, ma sono solo una prima recensione basata
sui dati disponibili.
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158
Capitolo III – Efficacia del lobbying
10 studi di consulenza tecnica (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e
addetti italiani o locali),
più di 8 studi di consulenza in comunicazione, pubbliche relazioni, e lobbying
(più di 30 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali),
un numero incerto di associazioni italiane della “società civile”,
2 associazioni a vocazione economica (più di 10 unità di personale inclusi
funzionari e addetti italiani o locali),
un numero incerto di ONG per la cooperazione allo sviluppo,
la stampa italiana residente (60 giornalisti italiani residenti a Bruxelles),
più di 3200 funzionari italiani nelle istituzioni europee,
77 esperti nazionali distaccati (END a Bruxelles e Lussemburgo),
78 parlamentari presso il Parlamento europeo,
circa 90 assistenti parlamentari presso il Parlamento europeo
In totale, l’Italia impegnata negli affari europei conta a Bruxelles più di 6.500
persone, tra funzionari nazionali ed europei, rappresentanti di interessi,
professionisti, e parlamentari. Un numero certamente molto elevato. Tuttavia,
non sarebbe corretto iscrivere questo numero tra i “lobbisti” italiani. Ma se per
lobbista intendiamo una persona che rappresenta interessi o che dovrebbe essere
sensibile a certi interessi (nazionali), allora il numero è corretto!
Il problema è che questa imponente massa di italiani impegnati a rappresentare
l’Italia nelle sue diverse categorie professionali non è gestita da una regia o da un
coordinamento efficace, e tantomeno è coesa. Un enorme sforzo umano (ed
economico) che molto spesso impallidisce di fronte a presenze molto più modeste,
ma più efficienti ed efficaci.
Infatti, la più grande lobby sulla “piazza di Bruxelles” resta la Camera di
Commercio Americana (AmCham) che rappresenta la più grande organizzazione
patronale al mondo, coi suoi 193,5 milioni di dollari versati tra il 1998 e il 2004 a
circa 250 lobbisti, alcuni dei quali lavorano prima di tutto al Congresso o
nell’Amministrazione, in linea con 24 società specializzate. Gli Stati Uniti
sviluppano un lobbying molto importante: le loro imprese si impongono sui comitati
europei, su parti di strutture e federazioni. Essi operano spesso in accordo con la
Corea e il Giappone (quest’ultimo esercitando un controllo efficace nel quadro dei
comitati settoriali ed un lobbying meno aggressivo di quello americano). Il lobbying
tedesco resta ugualmente molto efficace.
Tuttavia, i lobbisti, federazioni o confederazioni stentano ancora a registrarsi sulla
banca dati CONECCS della Commissione europea. Infatti, si contano 728
organizzazioni registrate nel 2005 su CONECCS, contro 4.428 persone accreditate
presso il Parlamento europeo. Il fatto che CONECCS registri soltanto le
organizzazioni, mentre è possibile farsi accreditare individualmente dal Parlamento
europeo, non spiega tutto, poiché il numero di individui per organizzazione è molto
ridotto. Oltre ad essere uno strumento per farsi conoscere, questa banca dati è
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159
Capitolo III – Efficacia del lobbying
una risorsa utilizzata da strutture che ricercano partner su progetti già esistenti o
che, più semplicemente, intendono costruire la loro rete a partire da questi dati.
Inoltre, tale base è ugualmente utilizzata dalla Commissione europea per inviare
delle mails collettive come consultazioni. Solamente 232 organizzazioni
professionali sono registrate nel CONECCS contro 223 ONG.
Le Lobby di Francia a Bruxelles
Nel 2002, la CCIP incitava i francesi a collocarsi all’interno di posti-chiave nelle
federazioni europee. Sembra che tale posizionamento sia evoluto in modo
favorevole. I francesi si trovano infatti a capo di strutture di lobbying a
Bruxelles. È così per l’Unione delle Industrie della Comunità europea (UNICE),
di cui Ernest-Antoine Seillière è divenuto capo nel giugno 2005.
Il presidente della Camera di Commercio e d’Industria di Parigi è stato eletto
Presidente di Eurochambres, il 28 settembre 2005.
Un altro francese, Michel Pébereau, è stato eletto a capo della Federazione
bancaria europea.
Etienne Davignon (vice-Presidente di Suez-Tractebel), di nazionalità belga, ma
francofono, è allo stesso modo divenuto Presidente del think tank “Friends of
Europe”, succedendo ad un giornalista del Financial Times.
I francesi hanno ugualmente creato un nuovo think tank europeo, EUR-IFRI. Si
tratta di un’antenna dell’IFRI (Institut Français des Relations Internationales)
composta da un’équipe europea, fondata su partenariati, che cerca di
esercitare un’influenza tanto a livello nazionale che europeo.
Questo think tank si è da poco collocato accanto ai due principali think tanks
europei, che sono il CEPS (Centre for European Policy Studies) e il EPC
(European Policy Centre), di chiara ispirazione anglosassone.
Jean Pisani-Ferry, già presidente delegato del Consiglio d’Analisi Economica
(CAE), ha allo stesso modo creato su di un’iniziativa franco-tedesca, nel 2005,
un altro think tank, chiamato Bruegel, centrato su alcuni argomenti economici.
La Rappresentanza Permanente francese ha sviluppato numerosi contatti con
i think tanks europei. Essa ha così creato un punto di contatto “Think tanks” al
fine di facilitare l’intervento di partecipanti francesi, l’organizzazione di eventi
congiunti e la diffusione delle produzioni di think tanks verso le autorità
francesi.
Tuttavia, secondo Notre Europe, oltre al think tank creato da Jacques Delors e
che ha raggiunto Pascal Lamy, esistono soltanto sette organizzazioni francesi
che possono essere considerate come dei think tanks con un interesse
spiccato verso le questioni strategiche europee, di cui cinque specialiste
dell’Europa.
Infine, una ventina di studi legali francesi sono presenti a Bruxelles. Un
centinaio di avvocati francesi esercitano la professione in tali studi o in studi
stranieri. La delegazione degli albi degli avvocati di Francia è una struttura
dinamica di lobbying che conta nove persone incaricate di sensibilizzare gli
avvocati al diritto comunitario e di difendere i loro interessi.
Fonte: CCIP, 2005 (rapporto « Le lobbying des entreprises françaises à Bruxelles : quels
progrès depuis 2002 ? » )
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160
Capitolo III – Efficacia del lobbying
c. Una pratica di lobbying che si costruisce nel tempo
Si assiste ad una presa di coscienza da parte delle imprese e degli enti italiani.
Tuttavia, con qualche eccezione significativa (ad esempio: Ferrero, Ferrovie dello
Stato e Telecom Italia, per le imprese e, per gli enti regionali, l’ufficio di
coordinamento delle Regioni del Centro Italia e quello delle Province di Trento e
Bolzano), l’insieme della pratica del lobbying italiano è ancora carente e
insufficiente se comparato agli altri grandi Paesi dell’Unione europea.
La Commissione concepisce questi interlocutori come “informatori” utili, se capaci
di integrare con la loro perizia il lavoro portato avanti dai funzionari europei. In
pratica, le istituzioni comunitarie vedono nei soggetti esterni un elemento di stimolo
e di “consultazione informata” per costruire o affinare i dossier e le politiche
comunitarie. Viceversa, la Commissione diventa un’utile fonte di informazione per
gli interlocutori esterni, che possono monitorare con anticipo l’evoluzione e la
preparazione dei dossier.
In questo quadro, il ruolo dei Parlamentari europei e degli assistenti parlamentari,
proprio in quanto “rappresentanti” italiani all’interno del sistema comunitario, è
quello di attori-chiave all’interno del processo decisionale.
Nel caso dei Paesi nordici, della Gran Bretagna, ma anche di Francia, Germania e
Spagna, diversi studi tendono a provare la crescita numerica delle équipe di
specialisti che “aiutano” e affiancano i Parlamentari europei e gli assistenti nel
processo di influenza delle decisioni comunitarie.
La pratica del Lobbying alla francese
Il periodo 2002-2005 è stato marcato da qualche successo francese in materia di
lobbying. Si citerà, notoriamente, l’esempio del progetto di direttiva REACH, ma anche
i dossier sui servizi o ancora la strategia di Lisbona, in cui ritroviamo una chiara
espressione degli interessi francesi. Riguardo all’esempio REACH, il coordinamento
inter-professionale ed inter-governativo è stato particolarmente efficace.
Progetto di direttiva REACH
La Commissione, che aveva stimato attorno ai 30.000 il numero di prodotti chimici non
sufficientemente testati sul mercato europeo, il 29 ottobre 2002 ha deciso di
predisporre un progetto di direttiva detto REACH e riguardante la registrazione e la
valutazione dei prodotti chimici. Lo scopo era quello di riavvicinare l’opinione pubblica
al settore dell’industria chimica. Il progetto seguiva un rapporto più garbato del
Parlamento europeo ed un Libro Bianco del 2001.
Tale progetto proponeva una suddivisione dei tempi dei test da realizzare. L’industria
chimica aveva allora mostrato la sua preoccupazione a causa dei costi e dei terms of
reference che erano necessari. Secondo l’industria, la prima proposta della
Commissione avrebbe prodotto 100 milioni di relazioni. La Commissione ha dunque
deciso di lanciare una consultazione su Internet nel corso di nove seminari, a partire
da settembre. Essa ha ricevuto circa 6.200 commenti. Il 42 % delle risposte
provenivano dall’industria, il 25 % da soggetti privati, il 26 % da associazioni in lotta
contro i test sugli animali, il 3 % da ONG (che hanno fatto appello ad alcune petizioni)
e l’1 % da autorità pubbliche.
La Francia ha reagito tardivamente, così come la Germania, ossia nel mese di agosto,
mentre la consultazione era attiva da settembre. Alla fine, in seguito all’iniziativa del
Cancelliere Schröder, è stata inviata alla Commissione europea una lettera recante la
firma del Cancelliere tedesco e quella di Jacques Chirac. Questa sottolineava che la
direttiva REACH rischiava di frenare la competitività europea.
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Capitolo III – Efficacia del lobbying
Una riunione ha avuto luogo l’8 luglio 2003 a Parigi tra l’industria chimica e la
Commissione europea.
Le ONG erano anche del parere che la direttiva REACH non avesse nulla di
ecologista, dal momento che molti documenti dovevano ancora essere prodotti. Alcune
grandi imprese ed individui hanno anche incontrato la Commissione europea. La
direttiva REACH prevedeva la pubblicazione su Internet dei test realizzati, cosa che
metteva in causa la protezione dei dati concernenti l’uso di sostanze pericolose.
L’Unione delle Industrie Chimiche (UIC), in Francia, ha fatto appello ad un gabinetto
americano, Mercer, che ha realizzato uno studio (per 300.000 euro), al fine di valutare
il costo della direttiva REACH. Tutte le industrie chimiche hanno partecipato al costo
della realizzazione dello studio ed anche i poteri pubblici vi si sono associati.
L’UIC ha allora organizzato numerose conferenze stampa (a marzo e aprile 2003), ed
ha risposto alla consultazione della Commissione in inglese sul sito della Commissione
stessa. Essa ha inoltre redatto un opuscolo con cinque proposte faro, tra cui la
creazione di un’agenzia centrale europea dei prodotti chimici, allo scopo di migliorare
la protezione della salute umana e dell’ambiente, pur mantenendo un elevato livello di
competitività e di innovazione in questo settore.
La Commissione è stata così indotta a “rivedere la sua proposta”.
Tratto da una giornata organizzata il 4 febbraio 2004 dalla CCIP e dalla Delegazione delle
Camere di Commercio e dell’Industria d’Ile-de-France a Bruxelles su “Il lobbying visto dalle
istituzioni europee”.
1.3. Una professionalità incontestata dei lobbisti Italiani a
Bruxelles
Tutti concordano nel riconoscere che la professionalità dei giovani italiani che
lavorano a tempo pieno a Bruxelles è assolutamente soddisfacente e promettente
per il futuro.
Essi sono ormai una generazione nata professionalmente a Bruxelles che ha
sviluppato un know-how equivalente a quello dei loro omologhi stranieri. Bisogna
dire che la selezione per i posti di lobbisti juniors a Bruxelles è particolarmente
severa. Le candidature presentate per un posto si contano spesso a centinaia. Ciò
si spiega con il numero di stagiaires presenti nelle istituzioni europee (1.200
stagiaires ogni anno su due sessioni) i quali aspirano a rimanere a Bruxelles, e con
le numerose formazioni specializzate sull’Unione europea, capaci di suscitare un
notevole interesse. I giovani che lavorano a Bruxelles hanno spesso iter formativi
simili: periodi di formazione all’estero o al Collegio di Bruges, stages nelle
istituzioni europee o nelle strutture di rappresentanza di interessi. In questo modo,
maturano esperienze di lavoro in équipe e sono realmente sensibili alle questioni
europee e alla pratica del lobbying. Parlano inoltre più lingue, condizione
indispensabile per poter essere assunti. Diventano operativi più rapidamente
rispetto ai giovani che non hanno mai avuto esperienze di lavoro a Bruxelles, che
non hanno un’esperienza di stage sul campo e che dovranno formarsi alla pratica
del lobbying sul loro posto di lavoro.
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162
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Questi giovani lobbisti italiani, sensibili alle tematiche europee, esercitano la loro
attività nel rispetto dei decisori europei, evitando soprattutto il lobbying aggressivo,
come dimostra l’esperienza in materia di brevettabilità dei software. I deputati
europei hanno ricevuto centinaia di mails da parte di persone interessate ai
software e da parte di internauti abituali. Alcuni cittadini hanno anche espresso
direttamente il loro punto di vista contattando individualmente degli assistenti
parlamentari.
È importante, pertanto, costituire delle équipe multiculturali a Bruxelles.
1.4. Persistono difficoltà nel “lavoro in rete” tra italiani
Alcune entità italiane, ben consapevoli dell’importanza di essere presenti a
Bruxelles, utilizzano in modo efficace le reti che vi si trovano e collaborano l’una
con l’altra in modo molto efficace. Trasmettono le informazioni e comunicano
largamente tra di loro. Particolarmente attive sono nello sviluppo di networking
anche extra-italiano: Telecom Italia, Confindustria, Istituto Italiano di Cultura,
Regione Toscana, CNR, e Unioncamere.
La maggior parte delle entità italiane, però, agisce in prevalenza nell’ambito di reti
informali italo-italiane, nelle quali non si sviluppano sufficienti sinergie.
Nella galassia italiana di entità presenti a Bruxelles (almeno 119 uffici) è ancora
debole l’uso di reti formali.
Sarebbe certamente benefico se emergessero, magari attorno a delle associazioni
o delle istituzioni italiane, dei gruppi di lavoro stabili che garantissero stabilità di
approccio, scambio di informazioni, approfondimenti, sviluppo di strategie e
sinergie. Ad esempio, e ad imitazione di quanto americani, francesi, tedeschi e
inglesi già fanno a Bruxelles, si potrebbero immaginare:
Club delle Grandi Imprese italiane
La sezione europea dei delegati dell’ICE e delle Camere di Commercio
nella UE25
Una struttura di riflessione e analisi italiana sulle questioni europee
Dei forum settoriali animati dalle federazioni internazionali che possono
raggruppare alcune ONG ed imprese
Club degli Ambasciatori italiani a Bruxelles
e ancora altre....
Nella sezione europea dei delegati ICE e delle Camere di Commercio negli EU25
potrebbero riunirsi anche i lobbisti italiani che lavorano a Bruxelles, organizzando
gruppi di lavoro tematici che vedano possibilmente coinvolta anche la
Rappresentanza Permanente. Inoltre questa iniziativa potrebbe aprirsi anche
all’esterno (come verso la Rappresentanza Permanente del Regno Unito) in modo
da creare reti utili oltre l’ambiente italiano.
La Rappresentanza Permanente britannica guarda ancora più lontano, dal
momento che le riunioni hanno una periodicità fissa (ogni giovedì) e che gli incontri
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163
Capitolo III – Efficacia del lobbying
organizzati con le imprese sono informali e permettono concretamente di
organizzare un lobbying.
La Confindustria e le Regioni italiane potrebbero organizzare ugualmente degli
incontri informali, anche nei giorni festivi, per sviluppare delle reti italiane. Le
società di consulenza potrebbero creare gruppi di lobbisti che riuniscano l’insieme
dei lobbisti che si trovano a Bruxelles e che lavorano per grandi imprese, regioni,
think tanks e gabinetti, al fine di creare una nuova rete italiana. Strutture analoghe
e legate a quelle di Bruxelles andrebbero create anche in Italia.
Il lobbying in rete è efficace per l’impresa. Potrebbe trattarsi di un processo
settoriale (che è spesso la prima tappa verso l’individuazione di un lobbying) o
trasversale. Così, il riesame del quadro regolamentare delle comunicazioni
elettroniche, nel 2006, è destinato a suscitare una mobilitazione sia settoriale, che
individuale. Al di là del settore delle telecomunicazioni, l’espressione degli attori
interessati investirà il settore audiovisivo, ma interesserà anche – oltre agli
operatori – i fornitori e le imprese di contenuti e di servizi in linea, i quali dovranno
essere tutti confrontati con nuovi modelli economici o regolamentari.
1.5. Lingua (inglese) e scarsa capacità di presentazione
riducono l’impatto dei lobbisti italiani
Gli italiani hanno ancora difficoltà in rapporto alla lingua per la pratica del lobbying.
Se si analizza il tasso di risposte italiane alle consultazioni della Commissione
europea (quello che si potrebbe chiamare “lobbying primario”) a confronto con gli
altri Stati membri dell’Unione, si nota come questo vari sensibilmente a seconda
che il questionario sia reso disponibile in lingua italiana oppure no. La maggior
parte delle consultazioni sono in inglese131: l’allargamento ha rinforzato il livello
di anglicizzazione.
Quando l’indagine è disponibile nella loro lingua, gli italiani rispondono
maggiormente e soprattutto si collocano in testa al numero di risposte ricevute.
Invece, la mancata traduzione in italiano si riflette in risultati di poco inferiori, meno
in termine di percentuale che in termine di posizionamento in rapporto agli altri
Paesi. Questo si è verificato in occasione della consultazione sul progetto di
direttiva REACH, che ha pertanto dissuaso la società civile italiana dall’esprimere
la sua opinione. La Germania figura fra i tre paesi con il più alto tasso di
partecipazione, a prescindere dalla lingua utilizzata per la consultazione.
Tutto ciò è confermato dall’analisi dei risultati dei due questionari consecutivi.
Nessuna indagine era disponibile in lingua italiana. La prima indagine,
contrariamente alla seconda, era disponibile in lingua francese, cosa che ha
portato ad un numero di risposte francesi superiore a quelle registrate al momento
della seconda consultazione. È sorprendente che la Commissione europea non
adotti una certa coerenza nella scelta delle sue traduzioni. Ci si stupirà che la
Commissione non traduca sistematicamente tutte le sue consultazioni nelle tre
lingue di lavoro (inglese, francese e tedesco). Sarebbe opportuno che la
131
Si veda l’elenco delle consultazioni della Commissione sullq pagina web:
http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm
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164
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Commissione pubblicasse almeno una sintesi di tali consultazioni almeno nelle tre
lingue. La predominanza dell’inglese nelle consultazioni è certamente legata al
fatto che i consulenti mandatari, per realizzarle, siano essi stessi inglesi.
Gli italiani non moltiplicano le loro risposte nel corso delle consultazioni europee.
Così, un’impresa risponderà una volta soltanto attraverso la sua federazione,
mentre un’impresa inglese o tedesca non esiterà a rispondere più volte a proprio
nome ed attraverso altri canali. Secondo uno studio realizzato dal gabinetto
Burson Marsteller132 presso le istituzioni europee, l’85 % delle persone interrogate,
scelte dalle Rappresentanze Permanenti nazionali, dalla Commissione e dal
Parlamento europeo, preferiscono interagire in inglese, e non nella propria lingua
nazionale (l’italiano rappresenta meno del 4 % delle risposte). Le imprese e gli enti
italiani continuano ad esercitare la loro influenza su deputati o Commissari europei
d’origine italiana, in parte anche per ragioni linguistiche.
1.6. Solo i grandi (enti ed imprese) riescono bene nel lobbying
Se la maggior parte delle imprese sono consapevoli dell’importanza della
regolamentazione europea per le loro attività, il lobbying resta ad appannaggio
delle grandi imprese che creano la loro propria rete. Questa situazione non
accenna a cambiare, dal momento che le PMI non possiedono né i mezzi
finanziari, né le risorse umane per praticare individualmente il lobbying. Ad ogni
modo, esse hanno bisogno d’essere ben informate e rappresentate.
La partecipazione ai think tanks bruxellesi è particolarmente onerosa per alcune
PMI, nonostante le tariffe preferenziali che vengono talvolta accordate loro.
132
Gabinetto Burson Marsteller, “The definitive guide to lobbying the European institutions”,
primavera 2005.
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Capitolo III – Efficacia del lobbying
2. Percezione del lobbying italiano nelle
istituzioni europee
133
FRAMMENTAZIONE E PARTICOLARISMO
Il lobbismo italiano a Bruxelles è plurale, come è plurale l’espressione
interna al Paese. Per ragioni storiche e culturali, ma anche a causa del
processo avanzato di disaggregazione dello Stato italiano, l’espressione del
lobbismo italiano a Bruxelles riflette la frammentazione e il particolarismo
degli interessi italiani.
L’interesse collettivo dell’Italia si è affievolito al punto che il lobbismo
italiano a Bruxelles rappresenta casi, situazioni, bisogni, aspettative, e
richieste sempre più disaggregati, talvolta confliggenti, e particolaristici.
DEBOLE E IMPREPARATO
Il processo di annullamento delle élites nazionali e di potere iniziato 15 anni
fa ha favorito un’autentica rivoluzione che ha fatto emergere una pletora di
piccoli poteri assai poco forti. Il lobbismo italiano a Bruxelles è una
rappresentazione di questa realtà nazionale, affetta da nanismo
protagonistico.
Il rarissimo ricorso ai servizi di consulenti professionisti del lobbying
europeo suggerisce una grande autostima delle organizzazioni e dei
rappresentanti italiani presenti a Bruxelles. D’altra parte, pur con qualche
eccezione, il lobbismo italiano è percepito come impreparato, generico, e
talvolta inopportuno rispetto al contesto e ai tempi del sistema nel quale
agisce.
L’efficacia del lobbismo italiano è inficiata dalla poca tenacia, da carenze di
metodo, dalla scarsa preparazione tecnica, e da limiti linguistici e culturali.
Anche in questo caso, evidentemente, esistono alcune eccezioni.
È molto raro incontrare lobbisti italiani che agiscono secondo una strategia
concordata anche con altri soggetti non italiani che condividono gli stessi
interessi. Questa carenza indebolisce gli italiani nella concorrenza con gli
stranieri, particolarmente anglosassoni e tedeschi.
È molto frequente che il lobbista italiano esprima un bisogno piuttosto che
un interesse inquadrato in una strategia. In questi casi l’efficacia della sua
azione è spesso vanificata da altre azioni concorrenti, espresse in modo più
chiaro.
133
Il profilo del lobbismo italiano che segue è il frutto di conversazioni con vari funzionari delle
istituzioni europee, italiani e stranieri. Tuttavia le opinioni espresse impegnano solo l’autore del
Rapporto.
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166
Capitolo III – Efficacia del lobbying
TROPPO INFORMALI
Il modo in cui si esprime il lobbismo italiano a Bruxelles è spesso fuorviante
se correlato all’effettiva realtà rappresentata (rappresentatività, ricchezza,
quota di mercato). Si pone quindi un problema di efficienza tra i mezzi
utilizzati, la realtà da rappresentare, e i risultati che si ottengono.
Gli interventi italo-italiani risultano sempre meno efficaci nei processi
comunitari che sono diventati sempre più largamente multiculturali.
Tuttavia, anche quando l’intervento attraverso i canali italiani, politici e
meno funzionariali sarebbe possibile, è l’impreparazione tecnica e la poca
conoscenza dei dossier che inficia l’azione di lobbying italiana.
Mantenere delle buone relazioni (public relations), anche se cordiali e
costanti, è un elemento insufficiente per incidere sul processo decisionale. I
contenuti e la capacità di comunicazione adattata al contesto sono invece
essenziali.
“Ognuno per sé, nessuno per tutti”
Il lobbista italiano spende la sua credibilità personale, ma non riesce a
spendere quella del sistema Italia che, nella maggioranza dei casi, non lo
segue o sostiene. Questa situazione riduce sensibilmente l’efficacia e le
opportunità operative del lobbista.
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167
Capitolo III – Efficacia del lobbying
3. Quadro legislativo europeo e nazionale
comparato
STATO
LEGISLAZIONE
PRATICA
Austria
Nessuna legislazione o registro.
L'Art. 40(1) del Regolamento del
Consiglio Nazionale e l'art. 33(1)
del Reg. del Consiglio Federale.
Nessuna legislazione o registro. Il
Regolamento Parlamentare della
Regione Vallonia, prevede la
possibilità per le Commissioni di
organizzare incontri con soggetti
esterni al Parlamento. I lobbisti che
desiderino essere presenti a questi
incontri devono comunicarlo e dare
dimostrazione, per iscritto, di un
interesse diretto nella questione.
Nessuna legislazione o registro.
Le Commissioni parlamentari sono
libere di invitare i rappresentanti dei
gruppi di interesse.
Belgio
Danimarca
Parlamento UE
Commissione UE
Finlandia
L'art. 9(2) del Regolamento prevede
un registro mantenuto dal Collegio
dei Questori e disponibile al
pubblico via Internet.
Nessuna legislazione o registro.
Nessuna legislazione o registro.
Francia
- Assemblea
Nazionale
Nessuna legislazione o registro.
Vanno presi in considerazione i
seguenti articoli del Regolamento:
art. 26(1); 23; 79.
Francia
- Senato
Il Senato non presenta registri o
elenchi di singoli rappresentanti o di
gruppi di pressione.
Germania
- Bundestag
L'Allegato 2 del Regolamento
prevede che un pubblico registro
venga redatto annualmente.
È attualmente in corso, nell'ambiente
del lobbying, un dibattito relativo
all'emanazione di un Codice di
Condotta e all'istituzione di un
Registro, entrambi volontari, da
adottare sotto la supervisione di
un'autorità indipendente, sulla base di
quello già esistente per le società di
PR.
Il Folketing danese invece, riconosce
de facto i gruppi di interesse, che
possono essere ricevuti ed ascoltati
dalle commissioni parlamentari in
base a determinate prassi assodate. I
nomi dei partecipanti alle audizioni
sono inseriti in pubblici registri.
I pass di accesso sono rilasciati dal
Collegio dei Questori alle persone che
intendono fornire informazioni ai
deputati. Esiste un Codice di condotta
per lobbisti e assistenti parlamentari.
Le Commissioni parlamentari sono
libere di invitare i rappresentanti dei
gruppi di interesse.
Esiste
un'unica
regola,
conformemente alle direttive generali
emesse dal Bureau dell'Assemblée
National, relative alla circolazione
delle
persone
all'interno
dell'Assemblea: coloro in possesso di
carte speciali, emesse personalmente
dal Presidente o dai Questori,
possono accedere al Salon de la
Paix.
Gruppi
di
professionisti
o
organizzazioni
che
desiderino
ottenere l'accesso al Sénat debbono
avanzare la loro richiesta alla
Presidenza del Sénat. Della richiesta
si occuperà il Segretariato Generale
della Presidenza che, oltre ad
autorizzare l'accesso al Palais (sede
del Sénat), può anche autorizzare
l'accesso ai corridoi della Salle des
Séances (la Camera stessa), qualora
il gruppo in questione sia considerato
importante e rappresentativo.
Le Commissioni parlamentari sono
libere di invitare i rappresentanti dei
gruppi di interesse non in elenco.
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Capitolo III – Efficacia del lobbying
Germania
- Bundesrat
Il Regolamento del Bundesrat non
prevede norme relative all'attività
lobbistica.
Grecia
Nessuna legislazione o registro.
Irlanda
Nessuna legislazione o registro.
Italia
Lussemburgo
Nessuna legislazione o registro. A
livello locale esistono la
LR Toscana 5/2002 e la LR Molise
24/2004.
Nessuna legislazione o registro.
Norvegia
Nessuna legislazione o registro.
Olanda
Nessuna legislazione o registro.
Portogallo
Sono regolate le hearings conoscitive
delle Commissioni, i cui resoconti, ai
fini
di
una
sempre
maggior
trasparenza,
vengono
pubblicate
regolarmente in versione riassuntiva.
L'Ethics in Public Office Act del 1995,
indirizzato ai membri delle due
Camere e ai funzionari pubblici, li
obbliga alla massima trasparenza,
tramite l’annotazione in un registro
della loro situazione patrimoniale,
inclusi i compensi per le attività di
lobbying. Simili previsioni sono
incluse nella Part 15 del Local
Government Act del 2001.
Le Commissioni parlamentari sono
libere di invitare i rappresentanti dei
gruppi di interesse.
La Divisione per le Relazioni
Pubbliche della Tweede Kamer
concede ad agenti dei gruppi di
pressione, a lobbisti e rappresentanti
di altre organizzazioni un pass
speciale valido unicamente per il
giorno in cui esso viene emesso. In
casi eccezionali, questo pass può
avere una validità massima sino a
due anni.
Nessuna legislazione o registro.
Despatch No. 1/93, 22 marzo 1993,
11 Serie, n. 22.
Regno Unito
- House of
Commons
Nessuna legislazione o registro.
Regno Unito
- House of Lords
Scozia
Nessuna legislazione o registro.
Spagna
Nessuna legislazione o registro.
Svezia
Nessuna legislazione o registro.
I parlamentari devono registrare i
clienti e le consulenze per le quali
hanno interesse personale e per cui
ricevono una remunerazione a
seguito
della
propria
attività
istituzionale.
Dal 2002 esiste un registro ad
iscrizione volontaria.
L'attività dei lobbisti ha suscitato
interesse in Svezia, in particolare
negli ultimi dieci anni, durante i quali il
Riksdag ha rigettato ben tre tentativi
di regolamentazione, proposti però da
singoli parlamentari a titolo personale.
Testo e schede tratte dal sito www.lobbyingItalia.info; testo a cura di Emanuele Calvario
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Capitolo III – Efficacia del lobbying
3.1 Italia: una legge per l'attività di lobbying?
Esame dei progetti di legge in materia di “Attività di relazione istituzionale”
Martedì 31 maggio 2005, la Commissione ha iniziato l'esame del provvedimento. Erano
presenti il sottosegretario di Stato alle riforme istituzionali e alla devoluzione, Aldo
Brancher, e il sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano.
Nitto Francesco PALMA (FI), relatore, ha illustrato le tre proposte di legge all'esame della
Commissione, volte a disciplinare l'attività di relazione istituzionale svolta da soggetti
individuali o collettivi nei confronti delle assemblee rappresentative o di altri organi o
soggetti titolari di pubbliche funzioni.
Palma si è soffermato su taluni profili problematici che, a suo avviso, richiederebbero un
opportuno approfondimento da parte della Commissione.
In primo luogo, la possibilità, prevista dalla legge n.1567 Pisicchio e n.3485 Daniele Galli,
di svolgere la predetta attività di relazione istituzionale anche nei confronti di funzionari
della pubblica amministrazione rileva, a tale proposito, che la giurisprudenza ha
riconosciuto che dallo svolgimento di attività di sollecitazione svolte nei confronti dei
pubblici funzionari, il cosiddetto “traffico delle influenze”, possono determinarsi condotte di
rilevanza penale.
In secondo luogo, le tre proposte di legge sarebbero carenti laddove nulla dispongono in
ordine all'ipotesi che i soggetti deputati allo svolgimento delle attività di relazione
istituzionale contribuiscano al finanziamento dei partiti politici o di singoli parlamentari. Il
riferimento da parte di tutte e tre le proposte di legge al perseguimento di “interessi leciti”
nello svolgimento delle attività di relazione istituzionale non sarebbe di per sé sufficiente ad
escludere l'astratta possibilità di porre in essere condotte penalmente rilevanti, atteso che
anche in caso di compimento di un atto conforme ai doveri di ufficio l'ordinamento prevede
la configurabilità del reato di corruzione per atto proprio.
Da informazioni ricavate da LobbyingItalia.info, risulta poi che il relatore stia considerando
l'eventualità che tale disposizione confligga con della giurisprudenza penale e
amministrativa, con particolare riferimento all'attività di lobbying nei confronti della PA.
Il ddl Colucci, infatti, limita l'attività di relazione istituzionale alle attività svolte nei confronti
dei componenti delle Assemblee legislative, mentre i due altri progetti di legge fanno
esplicito riferimento all'attività di lobbying presso la PA. Il ddl Pisicchio per attività di
relazione istituzionale intende ogni attività svolta da persone, associazioni, enti e società
attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra
iniziativa o comunicazione orale e scritta, anche per via elettronica, e tesa a perseguire
interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri e dei funzionari del Parlamento, del
Governo, dei dirigenti di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, dei
funzionari dei ruoli direttivi, del personale inquadrato nelle posizioni C2 e C3 del comparto
Ministeri e posizioni corrispondenti degli altri comparti della pubblica amministrazione, e di
membri delle assemblee elettive regionali, provinciali e comunali.
Il ddl Galli fa invece riferimento a "... c) dirigenti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo
30 marzo 2001, n.165, e successive modifiche; d) personale con trattamento superiore
delle amministrazioni militari, personale inquadrato nelle qualifiche superiori delle
pubbliche amministrazioni, anche militare, o comunque formalmente assegnato a mansioni
proprie delle medesime qualifiche".
Il 18 ottobre 2005, a seguito della presentazione di una serie di emendamenti da parte dei
deputati DS Leoni e Bielli, e di una richiesta specifica da parte dell'on. Leoni, il ddl è stato
rinviato di nuovo al Comitato Ristretto (che già una volta aveva deciso di non riunirsi).
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Capitolo III – Efficacia del lobbying
4. Orizzonti europei del lobbying: modalità e
success stories
L’approccio al lobbying da parte dei diversi Paesi europei dipende molto dalla
tradizione culturale e dall’esperienza nazionale in materia134. È evidente che i
Paesi anglosassoni hanno un vantaggio in tal senso. Tuttavia, anche per Paesi a
tradizione “illuministica” le cose stanno cambiando, come è il caso per la Francia e
la Spagna, e in minor misura per l’Italia. Il caso della Germania è specifico ad una
realtà culturale, linguistica e strutturale molto forte e che ha saputo ritornare sulla
scena internazionale dai primi anni ’90.
Gli esempi che seguono vogliono essere degli indicatori di tendenza e cercano di
descrivere le diverse modalità attraverso le quali si manifestano le azioni di
lobbying a Bruxelles.
4.1 Gli esempi britannici
Per le organizzazioni britanniche presenti a Bruxelles fare lobbying è parte
integrante delle loro attività. Questa attività è riconosciuta al punto che deputati,
diplomatici ed esperti non esitano ad incontrarsi, ascoltare e sostenere
pubblicamente le azioni dei lobbisti in nome dell’interesse nazionale.
In particolare, l’organizzazione britannica del lobbying si basa su un approccio
sistemico e integrato, con una “regia” che fa capo all’interesse nazionale che si
esprime attraverso i Rappresentanti di Sua Maestà:
a) Presenza “nazionale” capillare a tutti livelli del sistema europeo,
privilegiando le aree di maggior interesse strategico nazionale
(Commissari, gabinetti, segreterie, funzionari, esperti nazionali, delegati
presso i vari comitati, deputati e assistenti parlamentari, commissioni,
centri di studio e di analisi, stampa, ecc...);
b) Accompagnamento e formazione di tutto il personale coinvolto negli affari
europei (organizzato dalla Rappresentanza, dalle Camere di Commercio, e
dalle associazioni);
c) Circolazione delle informazioni tra tutti i livelli della “rete” britannica
applicata agli affari europei;
d) Qualità e cura delle informazioni, dei briefings e delle note che si fanno
circolare a sostegno di un’azione di lobbying.
Questo approccio permette ai vari agenti della rete britannica che operano negli
affari europei di “spendere” oltre alle carte personali, che certamente sono
necessarie, soprattutto quelle del sistema a cui appartengono. Anche per questa
134
Per un inquadramento dottrinale si consiglia la lettura del saggio “Le lobbying européen:
bénéfices et préjudices du fonctionnalisme dans l’optique communautaire”, di Marie-Laure BasilienGainche, Revue du Droit Public, n. 3/2004
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171
Capitolo III – Efficacia del lobbying
ragione la partecipazione dei britannici a sostegno delle azioni di lobbying che
riguardano un interesse nazionale si manifesta al di là dell’appartenenza a questa
o a quella area politica o amministrazione.
Infine, va notato che l’approccio britannico al lobbying è stabile, costante e di lunga
durata. Questo si traduce nella capacità di influire sui processi sin dai loro albori, e
in alcuni casi di provocarli. In pratica, è raro che l’azione britannica si risolva in
un’attività di opposizione o di veto.
Il “manzo” britannico
I produttori di manzo britannici hanno ottenuto il sostegno della
Rappresentanza britannica presso l’Unione europea nel riconoscimento
della qualità del loro prodotto ed hanno anche ottenuto, attraverso la
Rappresentanza Permanente, il sostegno di 87 euro-deputati britannici. Si
tratta di tendenze politiche miste, che hanno protestato ad una sola voce
attraverso un’azione comune in seno al Parlamento europeo a Strasburgo
nel giugno 2000. In contemporanea, la Camera di Commercio britannica
di Bruxelles organizzava una cena volta ad esaltare le qualità del manzo
britannico.
Fonte: stampa britannica e elaborazione CIPI
4.2 Gli esempi francesi
I francesi hanno a lungo tempo goduto di una prossimità geografica e funzionale
con l’Europa (di cui l’effetto Delors è stato significativo). Questa situazione aveva
generato l’atteggiamento che pretendeva di gestire Bruxelles dal proprio ufficio a
Parigi. Dal 2002 in poi la Francia ha iniziato una profonda riforma del proprio modo
di pensare l’Europa. Il numero di francesi che si stabiliscono a Bruxelles per motivi
professionali è in crescita costante. Tra i precursori di questa tendenza si può
citare, a titolo di esempio, lo studio di consulenza in intelligence économique ESL
& Network, mentre tra le società in lobbying recentemente insediatesi si può citare
Athenora. Anche la presenza e permanenza a Bruxelles dei parlamentari europei
francesi è in crescita.
L’organizzazione del lobbying francese riposa essenzialmente sulle strutture di
rappresentanza dello Stato e sulle strutture istituzionali rappresentative degli
interessi francesi a Bruxelles. L’attività di coordinamento, collegamento,
accompagnamento e formazione della Rappresentanza Permanente francese è
molto visibile.
Dal punto di vista operativo, il modello di lobbying francese include elementi di
quello inglese e tedesco. Tuttavia, sebbene la qualità delle persone e la presenza
in posti strategici siano le linee principali dell’azione francese, l’insieme del
lobbying francese a Bruxelles è più debole di quello inglese, paragonabile a quello
tedesco, e visibilmente più forte di quello italiano.
Secondo gli ultimi rapporti sul lobbying francese a Bruxelles, la Francia sembra
iniziare a reagire per colmare il gap con la concorrenza inglese, tedesca, e
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172
Capitolo III – Efficacia del lobbying
finanche dei nuovi Paesi membri. La presenza francese nelle istituzioni europee,
pur mantenendo un’alta qualità, risente di alcuni anni di “sonno” nella strategia del
personale comunitario e presenta alcuni deficit di presenza.
Il declino della lingua francese nelle istituzioni europee è un dato che ha prodotto
preoccupazione in Francia, provocando la reazione delle istituzioni centrali e delle
amministrazioni dello Stato. Nuova formazione, multilinguismo, multiculturalità,
maggiore aggressività e determinazione sono tra le nuove linee guida che
s’insegnano alle nuove generazioni che vogliono occuparsi di affari europei.
Tuttavia, la Francia sconta ancora il prezzo di un sistema troppo franco-francese e
incentrato sul ruolo predominante de l’Etat e de l’Administration a scapito
dell’iniziativa individuale. Il ritardo francese può essere facilmente verificato
soprattutto nei settori industriali più fortemente dipendenti dal mercato pubblico,
mentre le altre imprese hanno già da qualche tempo iniziato a reagire. Nel
complesso, pero’, la Francia vive con insoddisfazione e preoccupazione la propria
relazione con l’Europa.
Sono essenzialmente due i problemi dominanti cui devono far fronte i lobbisti
francesi:
a) La percezione del pubblico francese, secondo cui “tutte le decisioni sono
comunque prese a Parigi”,
b) La ritrosia dei media a valorizzare le azioni degli eurodeputati francesi.
La PAC: un successo tutto francese
La PAC (Politica Agricola Comune) rappresenta tradizionalmente uno degli
interessi più importanti francesi presso l’Unione europea.
Negli ultimi anni, questa è stata da più parti accusata di essere un fardello
insostenibile per il bilancio dell’Unione, richidendone di conseguenza un
ridimensionamento.
Nel 2002, si è giunti quindi a un accordo sulla riforma della PAC che prevede
una modifica del sistema con cui vengono erogati i sussidi. Inoltre le
prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 prevedono che i finanziamenti
destinati scendano dal 46,4% al 36,5%.
L’azione di lobbying francese è riuscita a fare in modo che queste riforme non
mettessero in discussione i sostanziali vantaggi che la politica porta agli
agricoltori francesi. Infatti, nonostante il peso relativo della PAC sul bilancio sia
destinato a diminuire nei prossimi anni, l’aumento delle dimensioni del budget
farà in modo che le risorse assegnate non siano ridotte, ma incrementate. Allo
stesso modo, l’accordo del 2003 assicura che la prossima revisione dei fondi
ad essa destinati non entri in vigore prima del 2014, garantendo così per un
altro decennio un fondamentale supporto economico per l’agricoltura europea,
in particolare francese.
Fonte: elaborazione del CIPI in base ad articoli di stampa francese
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173
Capitolo III – Efficacia del lobbying
4.3 Gli esempi italiani
Molte organizzazioni e strutture di lobbying italiano a Bruxelles risentono di un
atteggiamento nazionale che percepisce Bruxelles come fosse una “questione
estera”, e quindi in qualche modo separata, fisicamente e mentalmente, dall’Italia.
Atteggiamento confermato dall’inserimento delle questioni europee nella politica
estera nazionale e negli insegnamenti dei dipartimenti di diritto internazionale o di
relazioni internazionali, e per gli enti e le imprese spesso inserite nella direzione
“esteri” o “internazionale”. La conseguenza pratica è che si sviluppa una
perversione nella relazione tra Roma - rappresentanze-a-Bruxelles - Europa, in cui
le rappresentanze a Bruxelles dipendono dall’autorizzazione di Roma che a sua
volta pretenderebbe di controllare Bruxelles-Europa. Ne risulta uno strabismo
romano sull’Europa e un handicap italiano a Bruxelles.
Un’altra specificità del sistema italiano di lobbying è che con una certa frequenza,
dopo il 1992, il rapporto fiduciario tra i Commissari italiani e la politica di governo
italiana non è stato sempre convergente. Questa considerazione vale anche
quando i Commissari sono espressione delle parti politiche al governo del Paese.
Una simile considerazione, a causa della distribuzione nei diversi gruppi politici
europei, vale anche per i parlamentari europei. L’impressione che se ne trae è che
Bruxelles estranea chi ci viene dalla realtà politica e sociale del Paese.
In generale, l’azione di lobbying italiana si manifesta verso la fine dei processi
decisionali, con attività di opposizione, mentre è molto debole nel processo iniziale
delle procedure che portano all’adozione di normative o decisioni europee.
Il modello italiano di lobbying europeo si può sintetizzare come segue:
a) Reazione all’emergenza, basata sulle conoscenze personali, in prevalenza
italo-italiane
b) Debole sistema strategico che si appoggia su di una fragile struttura
reticolare nazionale e internazionale
c) Pubbliche relazioni che sconfinano facilmente nel favoritismo
d) Azione in ordine sparso e piuttosto caotica
e) Circolazione dell’informazione molto scarsa
Alcune eccezioni esistono e smentiscono la rappresentazione tendenziale appena
fatta. Una ricerca del CIPI ha identificato un caso del 2005 che dimostra la
capacità italiana nel lobbying a Bruxelles: coesione, determinazione, chiarezza e
tenacia a tutti i livelli decisionali.
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174
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Il credito d’imposta alla carta stampata in lingua italiana
Il credito d’imposta per l’acquisto della carta stampata per i giornali in lingua
italiana era considerato dalla Commissione Europea un “aiuto difficile”. Si
tratta di aiuti diretti dello Stato per sostenere le cooperative giornalistiche.
Secondo la legge 250 del 1990, infatti, ogni anno vengono concessi quasi
100 milioni di euro a sostegno dell’editoria cooperativa e di idee, che
coprono i bisogni di decine di testate (dal Manifesto al Foglio, dal Secolo
d’Italia a Liberazione, da Avvenire a Carta a Rassegna, ecc...). La
Commissione europea riteneva questi aiuti incompatibili con il Trattato.
Probabilmente grazie all’interesse evidentemente trasversale di questi aiuti,
il sistema Italia ha attuato un massiccio lobbying a Bruxelles, coordinato
dalla Presidenza del Consiglio e dalla Rappresentanza Permanente d’Italia,
che ha portato ad una decisione favorevole della Commissione europea, nel
2005.
Fonte: ricerca del CIPI e documenti della Commissione europea 2005
4.4 Gli esempi spagnoli
Gli spagnoli sono i primi “latini” a mostrarsi molto attivi nel settore del lobbying, pur
avendo cominciato più tardi di altri (1986) ad occuparsi degli affari comunitari.
Ciò che colpisce nel caso spagnolo è la rapidità della loro mobilitazione ed il loro
forte spirito di solidarietà. Si tratta di una comunità molto unita che, nonostante la
sua tardiva presenza a Bruxelles, è determinata a fare della Spagna una grande
potenza economica. L’ultimo semestre di Presidenza spagnola dell’Unione
europea è coinciso con un rafforzamento della presenza dei lobbisti spagnoli, che
poi sono rimasti attivi a Bruxelles.
A livello della politica locale, regionale e nazionale, gli spagnoli che crescono a
Bruxelles beneficiano del sostegno della stampa, che considera importante ciò che
accade nella capitale d’Europa ed incoraggia gli eletti o gli attori economici a
mostrarsi attivi nelle istanze comunitarie.
In generale, il lobbying spagnolo agisce usando tutto il peso politico esercitabile
dalla capitale attraverso gli esponenti di governo che sono ben collegati ai loro
colleghi spagnoli in seno alle istituzioni europee (Parlamento, Consiglio e
Commissione). La Spagna non esita a far intervenire i propri rappresentanti politici
nelle istituzioni su qualsiasi dossier, anche al di fuori del loro specifico mandato.
Anche quando le posizioni politiche del governo di Madrid e quelle dei
rappresentanti politici nelle istituzioni europee non coincidono, l’interesse
nazionale e l’immagine della Spagna in Europa prevalgono con forza sulle divisioni
di opinioni.
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175
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Aiuti di stato spagnoli
La Spagna violerebbe le norme del Trattato in materia di aiuti di
Stato concedendo “sconti fiscali importanti” alle imprese
spagnole che acquisiscono più del 51% di altre imprese
all’interno del mercato unico. Questa situazione è pregressa
all’adesione ma si perpetua fino ai nostri giorni. L’intervento
spagnolo a difesa dello “sconto fiscale” è stato difeso a tutti i
livelli dell’amministrazione e della stampa spagnole, anche
mettendo in campo interventi diretti dei Commissari spagnoli a
tutela dell’interesse nazionale spagnolo.
Fonte: stampa spagnola e elaborazione CIPI
4.5. Gli esempi tedeschi
L’approccio tedesco al lobbying europeo si fonda su un’attenta preparazione
organizzativa e qualitativa at home. Il sistema tedesco è piuttosto complesso e
relativamente più lento di altri, ma riesce a raggiungere risultati eccellenti grazie al
“peso” che le posizioni tedesche assumono in sede europea. Il “peso” è il risultato
di un processo di condivisione e dialogo tra tutte le parti, appoggiato su una
grande capacità analitica e su una riconosciuta qualità delle persone che
rappresentano gli interessi tedeschi in sede europea. Dal punto di vista
quantitativo il lobbying tedesco è in fase espansiva, ma già copre con forza i settori
industriali e quelli regionali e locali delle policy europee.
Il sistema organizzativo tedesco prevede che le parti economiche interessate
partecipino e sostengano le autorità pubbliche nell’elaborazione delle policy
nazionali per poi presentarle in sede europea. Questo modello misto pubblicoprivato comporta una sorta di sponsorizzazione privata dell’attività pubblica. Il caso
degli uffici di rappresentanza dei Länder è emblematico.
Il lobbying pubblico/privato tedesco
L’industria automobilistica tedesca è riuscita, grazie ai deputati
tedeschi e all’utilizzo delle loro alleanze in seno al Parlamento
europeo, a far nominare come relatore della Commissione
Industria un deputato favorevole alla sua causa, così da
suffragare la proposta che la interessava.
Le rappresentanze dei Länder presso l’Unione europea sono
riconosciute dal settore privato tedesco come delle vetrine
economiche all’estero. Al momento dell’organizzazione degli
eventi all’interno dei loro uffici di Bruxelles, le delegazioni
beneficiano automaticamente del sostegno degli attori
economici della regione: le birrerie, l’industria automobilistica, le
università, le banche. Ogni qual volta questi “sponsors” hanno
bisogno di influenzare una decisione a Bruxelles, possono
contare sull’appoggio dei contatti politici ed economici sviluppati
dalle delegazioni.
Fonte: stampa tedesca e elaborazione CIPI
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176
Capitolo III – Efficacia del lobbying
Prospettive finanziarie 2007-2013 e lobbying
La discussione del bilancio dell’Unione europea per gli anni 2007-2013 si è rivelata
particolarmente complessa, essendo questo il primo bilancio negoziato dopo
l’allargamento. L’ingresso di 10 nuovi membri, i quali contano per il 30% della popolazione
ma solo il 5 % del PIL europeo, ha reso necessario trovare risorse ingenti per allargare a
questi nuovi membri i benefici derivanti dai fondi strutturali. La proposta della Commissione
per affrontare questo puó essere riassunta nell’equazione “più Europa = più risorse”, in
quanto era volta ad aumentare sostanzialmente i contributi nazionali, in modo da coprire i
costi dell’allargamento senza compromettere eccessivamente le politiche di coesione e la
PAC.
In sede di Consiglio, questo approccio è stato in seguito rigettato nettamente da Regno
Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Svezia e Austria che hanno chiesto di non
innalzare troppo il budget al di sopra della soglia dell’1% del Reddito Nazionale Lordo,
puntando invece a reperire i fondi necessari ridimensionando i finanziamenti destinati ad
alcune politiche. Il tortuoso negoziato, sviluppatosi sotto la presidenza lussemburghese e
britannica, si è quindi dipanato attorno allo scontro tra i diversi interessi nazionali e attorno
alla definizione delle voci destinate ad essere ridimensionate all’interno del bilancio.
L’accordo raggiunto ha visto il bilancio per gli anni 2007-2013 fissato al 1,045% del
Reddito Nazionale Lordo. La cifra si colloca esattamente a meta’ tra la proposta avanzata
dalla presidenza britannica (1,03%) e quella dalla presidenza lussemburghese (1,06%).
Questo risultato, ben lontano dall’1,14% proposto dalla Commissione (Prodi), è stato reso
possibile attraverso riduzioni dei finanziamenti a svariate voci. I fondi per la Politica di
Coesione sono stati il primo terreno disponibile su cui far sacrifici, diminuendo così i
finanziamenti di 30 miliardi di euro. Allo stesso tempo i programmi per la “crescita e
l’occupazione”, e quelli per “cittadinanza, sicurezza e giustizia” sono stati più che
dimezzati. In evidente contraddizione con gli obiettivi della “Strategia di Lisbona”, i fondi
per la “competitività e crescita” sono passati da 121,7 a 72 miliardi di euro, mentre i
programmi sulla ricerca sono passati da 68 a 48 miliardi di euro. In ultimo, la forbice non
ha risparmiato quei fondi che non toccavano direttamente specifici interessi nazionali,
come quelli destinati alle “azioni esterne”, “politica di vicinato”, “sviluppo e cooperazione”.
L’accordo è stato raggiunto in extremis il 15-16 dicembre 2005.
Nonostante vari paesi abbiano alla fine del negoziato viste soddisfatte richieste particolari
(come il fondo per la competitività reclamato dalla Spagna), l’accordo rappresenta un
successo negoziale di Francia, Gran Bretagna e Germania, cioé i Paesi capaci piu’ di
altri di salvaguardare i propri interessi. Allo stesso tempo non è mancato l’appoggio da
parte dei nuovi membri, i quali hanno accettato una riduzione dei fondi attribuiti a loro
beneficio, assicurandosi pero’ la certezza di poter usufruire di risorse notevoli, se
comparate al loro PIL.
La coincidenza con il semestre di presidenza britannica ha fatto della Gran Bretagna la
protagonista di questo processo. Durante la presentazione del Programma della
Presidenza britannica dell’UE dinanzi al Parlamento europeo il 23 giugno 2005, il premier
Tony Blair ha chiesto di ridurre il peso della politica agricola comune e della politica di
coesione, giustificando questa scelta con la necessita’ di rendere disponibili risorse
sufficienti per realizzare la strategia di Lisbona.
La posizione contrattuale inglese e il suo ascendente sugli altri membri sono stati però
indeboliti dalla volontà di difendere lo “sconto” ai contributi britannici ottenuto a suo tempo
da Margareth Thatcher. L’accordo finale non tocca quindi sostanzialmente gli
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177
Capitolo III – Efficacia del lobbying
interessi britannici poiché, sebbene lo sconto verrà ridotto, questo non è messo in
discussione e la riduzione è comunque minore di quella prospettata nella precedente
bozza lussemburghese. Nonostante lo stato di grazia dell’economia britannica in confronto
a quelle continentali, lo sconto permette al paese di non diventare il secondo contribuente
netto dell’Unione dopo la Germania. La Gran Bretagna ha inoltre ottenuto anche
l’assicurazione che nel 2008-9 si procederà a una revisione complessiva di tutte le spese e
risorse, PAC compresa.
Se la Gran Bretagna vede in parte ridotto il proprio rimborso, la Francia con questo
accordo non peggiora la propria posizione. Infatti, oltre ad aver contrastato sul piano
ideologico la visione britannica, sul piano degli interessi è riuscita a conservare
sostanzialmente immutata la PAC, baluardo della lobby agricola francese. Infatti,
nonostante il quadro delle prospettive finanziarie preveda che questa passi dal 46,4% del
2006 al 36,5% nel 2013, in valori assoluti i finanziamenti passeranno da 56 mld a 57,8 mld
in seguito all’allargamento dell’Unione europea.
La difesa della PAC da parte dei francesi e’ stata facilitata dal favore che questa politica
gode presso i nuovi paesi membri. Inoltre la revisione attuata nel 2003, e accettata anche
da Londra, ha riformato il sistema dei sussidi e ridimensionato in peso sul bilancio, ma allo
stesso tempo ha blindato l’accordo fino al 2013. Questo ha permesso al ministro degli
Esteri francese Douste-Blazy di poter dichiarare: “la Francia ha avuto la meglio perché la
PAC non sara’ cambiata prima del 2014”.
Al pari di altri paesi, l’Italia ha cercato innanzitutto di non incrementare
eccessivamente il proprio contributo finanziario, considerando lo - 0,34% del PIL come
il saldo negativo oltre cui non era più possibile accettare un accordo. Questo obiettivo è
stato raggiunto, in quanto non si è scesi fino alla soglia del –0,37% ipotizzata dalla
precedente bozza lussemburghese. Nonostante questo, il saldo finale ha registrato una
perdita di 4,5 miliardi di euro135, dovuti in larga parte all’uscita di numerose regioni
dall’Obiettivo 2. La perdita è stata solo in parte mitigata dalla riconferma di Campania,
Puglia, Calabria e Sicilia come regioni consegnate nell’obiettivo 1, dal quale sono invece
uscite per il cosiddetto “effetto statistico” Sardegna e Basilicata.
L’azione diplomatica italiana è stata in particolar modo intralciata dal persistente
dualismo economico Nord-Sud che pone il Paese al contempo tra i principali
contribuenti al bilancio comunitario ma anche tra i principali beneficiari dei fondi
strutturali e di coesione136. Questa situazione ha contribuito a creare difficoltà nella
ricerca e nella costruzione di alleanze con altri Stati membri, che difficilmente si
trovavano in condizioni simili all’Italia. Probabilmente, un’azione congiunta di
lobbying in sedi diverse dal Consiglio Europeo da parte di attori istituzionali e non
solo, avrebbe potuto produrre altre soluzioni.
135
Si veda l’intervento dell’europarlamentare Gianni Pittella:
http://www.giannipittella.org/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1696&m
ode=thread&order=0&thold=0
136
Per una più precisa trattazione di questo punto, si veda in Limes 1/2006 le pagg. 191-204.
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Capitolo IV
Lobbying italiano al
servizio dell’Italia
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Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
1. Dare un’immagine positiva del Lobbying
italiano
La strategia di influenza poggia su dei criteri di credibilità:
Il qualunquismo (basta avere un po’ di buona volontà e qualche “amico”) e il
velleitarismo (denunciare gli errori per ottenere un successo personale
dimenticando l’interesse collettivo) sono attitudini che sicuramente
danneggiano la credibilità del lobbista di qualsiasi nazionalità e in qualsiasi
contesto.
Si deve evitare di cadere nella “sindrome dell’isolamento” (lobbying
ideologico o moralista, che non cerca compromessi e che crede solo in se
stesso) oppure nella “sindrome dell’amico influente” (lobbying basato solo
su relazioni privilegiate).
Il vero lobbista “non compra mai” una decisione dai suoi interlocutori, e
questo perché dimostrerebbe di non essere capace di far valere le proprie
ragioni, oltre a commettere dei reati. I regali di favore, gli inviti lussuosi o
VIP, devono essere sostituiti con le capacità di sviluppare uno scambio di
idee e di informazioni in tempi condensati e contingentati.
Nella società attuale, i rapporti sono regolati dalle tradizioni, dal fair play, e la legge
non basta più da sola. In questo contesto, sebbene le tradizioni culturali siano
importanti per adattare il proprio discorso a quello dei propri interlocutori, si deve
capire che le regole da rispettare sono basate su standards condivisi e su
benchmarks. Questo vuol dire che basare la propria azione solo sulle proprie
tradizioni culturali risulta in un errore che può portare alla perdita di credibilità di un
lobbista su un’intera rete di contatti.
Se è necessario prendere coscienza delle lacune italiane nell’esercizio del
lobbying, è doveroso non trasmettere un’immagine troppo negativa della pratica
del lobbying italiano. Al contrario, conviene saper esaltare gli sforzi compiuti. È
importante sviluppare spiegazioni più chiare riguardo al ruolo delle istituzioni
europee. I successi del lobbying italiano devono essere messi in evidenza in modo
sufficiente attraverso la stampa e non devono essere dimenticati troppo in fretta.
Gli italiani che iniziano ad assimilare le pratiche anglosassoni devono ormai avere
come ambizione quella di “superare il maestro”, sviluppando pratiche che siano
loro proprie culturalmente, ma continuando ad appoggiarsi su delle équipe
multiculturali.
Le imprese devono poter sviluppare dei “riflessi” sul lobbying, organizzando dei
seminari di sensibilizzazione come quadro generale. Questi meritano di essere
strutturati in modo da far aumentare le richieste di sostegno presso le strutture
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180
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
stabilite a Bruxelles (rappresentanze, federazioni) per una migliore sinergia delle
azioni.
Le strutture italiane di rappresentanza a Bruxelles hanno un ruolo
essenziale come “osservatori” e formatori.
Formazione di base per il personale inviato in sedi dove l’attività
dominante è il lobbying.
Coloro che sono già basati a Bruxelles hanno un ruolo pedagogico
permanente.
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181
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
2. Influenzare Roma e l’Italia
2.1 Influenzare gli eletti a livello locale e nazionale
L’Italia, che nel 2004 registrava un punteggio mediocre tra i 15 paesi dell’Unione
quanto alla trasposizione delle direttive, ha aggravato la sua situazione nel 2005,
diventando il peggior paese. Anche il numero delle procedure di violazione è
cresciuto rispetto al 2004, mantenendo l’Italia all’ultimo gradino della classifica.
Trasposizione delle direttive per paese
- deficit di trasposizione in %
Italia
4,1
Lussemburgo
4
Repubblica Ceca
3,6
Portogallo
3,4
Belgio
2,4
Francia
2,4
Polonia
1,7
Paesi-Bassi
1,6
Germania
1,4
Spagna
1,4
Regno-Unito
1,4
Danimarca
0,8
Fonte: “Internal Market – Scoreboard”,
Commissione Europea, luglio 2005, n. 15
Per l’Italia è tempo di reagire, soprattutto se confrontata direttamente con i nuovi
Stati membri, che hanno ottenuto risultati molto buoni. Malta, la Spagna, la
Repubblica Slovacca, la Svezia e il Regno Unito riportano anche delle buone
performances. Tali difetti di trasposizione non sono privi di conseguenze per le
imprese, che devono adattare i loro prodotti per venderli in più di uno Stato
membro, raddoppiare il numero di collaudi dei loro prodotti se vogliono vendere su
un mercato che investe un maggior numero di Stati membri, ecc... I fornitori di
servizi si scontrano anche con delle regolamentazioni nazionali o locali costose e
spesso contradditorie.
La debole trasposizione delle direttive nel diritto nazionale può influenzare la
credibilità dei lobbisisti, che rappresentano gli interessi degli Stati “recalcitranti”.
Ciò incide sulla loro credibilità quando richiedono una nuova direttiva oppure
quando auspicano delle modifiche dal punto di vista del contenuto. Per aiutare a
risolvere il problema potrebbero essere stabiliti più legami tra la Rappresentanza
Permanente e il Parlamento italiano.
La Commissione europea ha da poco (agosto 2005) adottato un maggior numero
di procedure contro gli Stati membri che non traspongono, nel diritto nazionale, le
misure che riguardano il mercato interno. Tredici Paesi sono coinvolti: il Belgio, la
Repubblica ceca, l’Estonia, la Grecia, l’Italia, la Lettonia, il Lussemburgo, i Paesi
Bassi, il Portogallo, la Slovacchia, la Spagna, la Svezia e il Regno Unito.
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182
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
I Paesi sono invitati ad adattare le loro legislazioni nazionali ai diversi ambiti,
costituiti dalla sorveglianza complementare dei conglomerati finanziari, il
risanamento e la liquidazione degli istituti di credito, le regole contabili,
l’assicurazione sulla vita, i servizi postali e i servizi ad accesso condizionale.
L’Italia continua a legiferare per trasporre il diritto comunitario nel diritto interno,
mentre sarebbe sufficiente una procedura minimalista sulla quale riflettere.
Sembrerebbe che l’attività di lobbying non sia ancora pienamente compresa dalle
autorità amministrative nazionali. Alcuni deputati europei riconoscono di avere
difficoltà a farsi capire dai deputati nazionali, e non tanto per le problematiche
europee o per i successi o insuccessi in materia di lobbying. Per correggere
questa situazione, si potrebbe pensare di nominare un consigliere europeo per
ogni gabinetto ministeriale, come sta pensando di fare la Francia137. Inoltre, i
deputati e i funzionari europei di origine italiana dovrebbero fare regolarmente il
punto sulla rappresentazione degli interessi italiani a livello delle istituzioni
comunitarie. Alcune sinergie meritano di essere rafforzate tra gli interessi tecnici e
quelli politici:
Le imprese non devono esitare ad influenzare le autorità nazionali, al
fine di evitare di commettere errori di trasposizione che possano
mettere in discussione la credibilità dei lobbisti sui progetti di ulteriori
testi.
I deputati italiani al Parlamento europeo potrebbero partecipare
attivamente a degli inter-gruppi parlamentari. Il coordinamento delle
attività dei funzionari europei d’origine italiana potrebbe essere
rafforzato in modo utile, anche in un contesto più informale.
Infine, è interessante notare come il Ministro italiano in carica per gli affari europei
sia un Ministro senza portafoglio. Tuttavia, qualcosa è stato fatto per migliorare la
situazione strutturale italiana rispetto all’Europa.
2.2 Influenzare gli amministratori nazionali e locali
Gli Esperti Nazionali Distaccati (END) continuano ad essere remunerati dal loro
organismo d’origine. Da notare che il termine “distaccato”, utilizzato dalla
Commissione europea, non corrisponde necessariamente alla nozione utilizzata
dalla funzione pubblica italiana, bensì a quella inglese. Si tratta piuttosto di mettere
“a disposizione” o “fuori ruolo temporaneo”. Il salario degli END continua ad essere
versato dall’amministrazione d’origine, mentre dall’istituzione europea ricevono
un’indennità giornaliera. Tutte le strutture italiane assimilate alla funzione pubblica,
principalmente le Camere di Commercio, non hanno la possibilità di nominare degli
END. Di conseguenza, l’Italia non è ben collocata in termini di END presso le
istituzioni europee, sia in termini quantitativi che qualitativi, trascurando
l’importanza che questi elementi hanno nell’attività di lobbying.
137
Conferenza Athenora Consulting, “ Les Français à Bruxelles : un lobbying professionnel à visage
découvert ? “, Parlamento europeo, 31 maggio 2005.
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183
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
END per nazionalità al 1 luglio 2002
Bruxelles
Ispra*
Lussemburgo
Totale
Austria
36
3
39
Belgio
31
4
35
Bulgaria
Canada
2
2
Svizzera
2
3
5
Cipro
1
1
Repubblica Ceca
2
2
Germania
131
14
145
Danimarca
21
21
Estonia
Spagna
51
7
58
Finlandia
25
5
30
Francia
137
13
150
Regno Unito
115
7
122
Grecia
18
4
22
Ungheria
3
3
Irlanda
22
4
26
India
Islanda
2
2
4
Italia
66
5
71
Lituania
Lettonia
Malta
Paesi-Bassi
41
3
44
Norvegia
21
7
28
Polonia
1
1
Portogallo
27
2
29
Romania
3
1
4
Svezia
39
5
44
Slovenia
1
1
Slovacchia
3
3
Senegal
Stati-Uniti
1
1
Yugoslavia
1
1
Totale
803
1
88
892
* per agenzie della Commissione europea
Fonte: informazioni elaborate a partire dai dati ricevuti dalla Commissione europea
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184
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
END per nazionalità al 1 luglio 2005
Bruxelles
Dublino*
Ispra*
Lussemburgo
34
2
3
28
7
4
Austria
Belgio
Bulgaria
Canada
Svizzera
3
Cipro
1
Repubblica Ceca
11
6
2
Germania
114
3
8
Danimarca
22
1
Estonia
4
4
2
Spagna
38
5
Finlandia
19
1
1
Francia
127
11
Regno Unito
101
4
Grecia
18
1
Ungheria
24
5
2
Irlanda
15
1
India
1
Islanda
2
2
Italia
69
2
6
Lituania
7
3
5
Lettonia
2
2
3
Malta
1
1
Paesi-Bassi
60
3
Norvegia
33
6
Polonia
22
4
3
Portogallo
26
2
Romania
11
4
4
Svezia
31
4
Slovenia
3
Slovacchia
10
3
4
Senegal
1
Stati-Uniti
2
1
Yugoslavia
Totale
840
1
43
91
*per agenzie della Commissione europea
Fonte: informazioni elaborate a partire dai dati ricevuti dalla Commissione europea
Totale
39
35
4
3
1
19
125
23
10
43
21
138
105
19
31
16
1
4
77
15
7
2
63
39
29
28
19
35
3
17
1
3
975
Le Camere di Commercio dovrebbero poter presentare degli END
alle istituzioni europee
L’amministrazione ed il settore privato devono definire insieme i
posti-chiave per gli END
Poche amministrazioni regionali e locali presentano END
Spicca l’esigua presenza di END provenienti dall’industria italiana
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185
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
2.3. Influenzare le sedi degli enti e delle imprese
La strategia d’influenza verso “la base” è essenziale. Se la presa di coscienza
dell’importanza del lobbying presso le istituzioni europee è crescente, e se la
maggior parte delle imprese importanti hanno sviluppato la loro propria struttura a
Bruxelles, oppure si integrano nelle federazioni europee, la debolezza generale del
lobbying italiano perdura.
Bruxelles è un luogo decisionale che non si muove da solo per le grandi
imprese.
Per alcune imprese con ambizione mondiale o internazionale, l’Europa non appare
un limite pertinente. Il loro mercato è globale, non unicamente europeo. Le
strutture esecutive delle grandi imprese sottovalutano tuttavia il fatto che è a livello
dell’Unione europea che si segnalano nuove aperture di mercato e che si decide la
politica di difesa degli interessi per il commercio estero. Di conseguenza, il ruolo di
negoziatore dell’Unione europea deve essere tenuto bene a mente dalle imprese.
Così, l’Unione europea ha presentato nel corso del 2005 una posizione offensiva
al tavolo negoziale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che va
ben oltre l’offerta americana, per i servizi d’imposta (telecomunicazioni), poiché si
tratta di aprire ai fornitori esterni gli stessi vantaggi di quelli concessi in seno al
mercato interno europeo.
Le imprese devono definire i loro obiettivi: in caso di impatto strategico
sull’attività del loro settore, esse devono essere totalmente mobilitate.
Sugli altri soggetti, è loro compito definire se posizionarsi in termini di
reattività o di proattività.
È fondamentale non lasciare il proprio destino nelle mani dei concorrenti. D’altro
canto, essere nominati a Bruxelles rimane ancora privilegio di coloro che sono a
fine carriera. Se la persona inviata a Bruxelles deve essere sufficientemente
autonoma in rapporto alla sua gerarchia, è importante che essa sia familiarizzata
con la realtà di Bruxelles.
È imprescindibile formare i dirigenti al lobbying allo scopo di inculcare
una coscienza europea in tutti i settori d’attività dell’impresa.
Ad oggi, le questioni europee non investono ancora tutta la struttura dell’impresa.
Queste restano l’appannaggio di qualche direzione. Un certo numero di
responsabili all’interno delle imprese si stupisce ancora della facilità con la quale si
possono incontrare funzionari europei e far valere le proprie idee. Alcuni
“consulenti” individuali si fanno retribuire in maniera abusiva semplicemente per
mettere in contatto un’impresa con un parlamentare o un funzionario europeo,
senza pertanto definire una vera strategia di lobbying. È dunque semplice
chiamare, ad esempio, la Commissione europea per conoscere chi si occupa di un
dossier. Ciascun funzionario ha l’obbligo di informare la persona che lo interpella.
Oltre tutto, il ruolo delle strutture rappresentative europee potrebbero essere
accresciuti da sinergie più importanti. È essenziale che le necessità e le domande
degli uni e degli altri si incontrino e si manifestino attraverso dei programmi di
lavoro, dal momento che, al di là del lobbying propriamente detto, le strutture
rappresentative hanno un ruolo essenziale di controllo.
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186
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
3. Influenzare gli influenti
I media sono strumenti importanti d’informazione che possono diventare alleati
fondamentali dei lobbisti. In Italia, la cultura prevalente dei media non sempre si
relaziona bene con i bisogni delle imprese e dell’economia. In generale, i media
riterrebbero di farsi “manipolare” se veicolassero le idee provenienti dai lobbisti. In
linea di massima, la situazione dei media italiani rispetto al lobbying è ancora
timorosa rispetto a quanto avviene in altri paesi.
Nel mondo anglosassone, il numero di interventi dei gruppi d’interesse e delle
associazioni nei due giornali di riferimento della comunità finanziaria, Financial
Times e Wall Street Journal , è aumentato in modo considerevole nel corso degli
anni ’90. Questo rivela una certa sensibilità nei confronti del lobbying. Non è un
caso se il Financial Times continua ad essere il quotidiano privilegiato dei lobbisti,
nonché dei funzionari europei.
In Francia138, le imprese, i gruppi d’interesse e le associazioni si sono nettamente
riavvicinate negli ultimi anni. Per le imprese, tale fenomeno è motivato da una
strategia di riduzione dell’esposizione al rischio e di valorizzazione dell’immagine,
dalla volontà di rafforzare la perizia in materia sociale ed ambientale, ed infine
dalla volontà di rafforzare la capacità di monitoraggio sociale. Quanto ai gruppi
d’interesse e alle associazioni, essi ricercano un’estensione del loro campo
d’azione, la diversificazione delle strategie d’influenza e delle fonti di
finanziamento, l’ampliamento delle fonti d’accesso all’informazione ed un ricambio
per la diffusione dei loro messaggi. La maggior parte delle grandi imprese
controllano i gruppi d’interesse e qualche associazione, altre si legano a forme di
partenariato come BP e la ED negli Stati Uniti, mentre sono più rare le azioni
puntuali comuni di lobbying. Ogni tipo di raffronto con i gruppi d’interesse e le
associazioni può essere utile, per familiarizzarsi, ad esempio, con i loro metodi di
fare lobbying.
Dal momento che tali raffronti con i gruppi d’interesse e le associazioni non
costituiscono un rischio, è possibile anche agire più indirettamente attraverso la
mediazione di piattaforme di incontri e di discussione.
A Bruxelles sono presenti diverse strutture all’interno delle quali imprese, gruppi
d’interesse e associazioni si scambiano idee e possono anche collaborare. È, ad
esempio, il caso del Corporate Social Responsability (CSR) Europe che funge da
piattaforma tra imprese, gruppi d’interesse e associazioni sul tema della
responsabilità sociale. Il GREEN 8 (che diventa il GREEN 9), il quale raccoglie le
maggiori organizzazioni ambientali d’Europa, comprende allo stesso modo
imprese, gruppi d’interesse e associazioni che si occupano di tematiche
ambientali, ed è pure finanziato dalla Commissione europea.
L’Italia non dispone di legami privilegiati con gruppi d’interesse o associazioni, con
l’eccezione dell’associazionismo cattolico (ACLI). Invece, per l’Italia potrebbe
essere proficuo stringere rapporti con alcuni di questi gruppi.
138
IFRI ed Institut de l’entreprise, “Les relations ONG-entreprises : bilan et perspectives », aprile
2005
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187
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Le imprese devono essere invitate a collaborare con i gruppi
d’interesse, le associazioni e i media (principalmente
anglosassoni), allo scopo di ottimizzare le loro esperienze in
materia di lobbying.
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188
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
4. Allineare strategia, intelligence economica
e lobbying
“Se la conoscenza e la comprensione al servizio dell’azione costituiscono il principio dell’intelligence
economica, e se la preoccupazione della sicurezza, nonché l’obiettivo di competitività, si trovano
ciascuno ad una estremità del filo dell’intelligence economica, è l’influenza, come presa di posizione
intellettuale e metodo d’azione, a guidare il nostro comportamento al di là delle nostre stesse
frontiere”. (Bernard Carayon139)
L’intelligence economica è un concetto che emerge in ritardo e lentamente in Italia
e che investe la politica di sicurezza economica. Quest’attività è stata
tradizionalmente gestita in modo esclusivo dal potere politico e finanziario (si pensi
al potere di intelligence economica che la Mediobanca di Cuccia ha esercitato per
circa mezzo secolo). L’arrivo delle banche d’affari anglosassoni e lo sviluppo
recente di gruppi nazionali di merchant banking ha attratto anche qualche società
di intelligence economica straniera in Italia. L’intelligence economica è anche
praticata da strutture pubbliche straniere in Italia dedicate allo sviluppo delle
relazioni commerciali e degli investimenti (tra le più attive a Milano si trovano le
strutture del commerce exterieure della Francia e la AmCham americana).
L’intelligence economica ed il lobbying sono concetti dominati dalla cultura
anglosassone. Al primo impatto, le loro definizioni appaiono sfocate e sono oggetto
di sospetto. D’altro canto, coloro che praticano l’intelligence economica hanno un
desiderio di farsi riconoscere al pari di quelli che fanno lobbying ed è per questo
che, sul modello di questi ultimi, i primi cercano oggi di organizzare la loro
professione. Le pratiche d’intelligence economica e di lobbying differiscono, ma è
comunque importante stabilire dei legami tra di loro.
L’intelligence economica permette di cogliere le evoluzioni future per le quali
un’attività di lobbying può essere presa in considerazione. Inoltre, certe tecniche
proprie all’intelligence economica, come il knowledge management (l’arte di far
circolare l’informazione tra le persone e di renderla attiva), possono essere utili al
lobbying.
La strategia permette di scegliere e circoscrivere gli obiettivi da raggiungere, e di
usare al meglio le risorse disponibili per ottenere i risultati desiderati. Tenendo
presente che la strategia è un processo dinamico che si basa sui continui inputs
della intelligence economica e del lobbying, tre fasi sono comuni all’insieme del
processo:
a. La valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment) serve per:
mettere una determinata situazione in prospettiva con parametri
diversi; identificare, valutare, ed avvalorare gli obiettivi; sviluppare
soluzioni ai problemi e alle questioni; sviluppare un piano d’azione
condiviso.
139
Deputato francese, e incaricato del Primo Ministro De Villepin di preaparare un nuovo Rapporto sull’intelligence
economica francese, ottobre 2005.
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189
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
b. L’organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting)
permette di: predisporre gli elementi della struttura operativa e di
sostegno; identificare e selezionare le risorse necessarie;
sistematizzare le possibili opzioni operative.
c. La realizzazione della strategia (implementation) include: formazione
delle persone e sviluppo delle capacità; accompagnamento,
attraverso la formulazione continua di raccomandazioni e consigli;
sviluppo e realizzazione della strategia scelta; fornitura continua di
feedback, osservazioni, idee, informazioni di fondo, ed opinioni;
provocazione o stimolo di idee o di cambiamenti.
Intelligence economica, strategia e lobbying sono gli strumenti necessari per avere
un approccio operativo efficace ed efficiente, ma la nuova situazione mondiale
richiede anche lo sviluppo della conoscenza. Ciò significa, dal lato delle attività
produttive e dei servizi, la necessità di investire continuamente nella ricerca e
nell’innovazione, mentre dal lato dei Paesi e delle persone, la necessità di investire
continuamente nella formazione e nello sviluppo delle capacità.
È necessario creare dei cicli di formazione per le imprese proprio
su queste tematiche.
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190
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
5. Dare continuità e stabilità alla professione
del lobbista
Contemporaneamente all’aumento del numero di lobbisti e all’affinamento della
loro pratica, si fanno strada dei tentativi per regolamentare la professione. La
Società dei Professionisti degli Affari Europei (SEAP) si oppone alla registrazione
obbligatoria dei lobbisti a Bruxelles, contrariamente a ciò che rivendicava il
Corporate Europe Observatory, in una lettera aperta al Presidente della
Commissione Europea Barroso il 25 ottobre 2004. Secondo la SEAP,
l’autoregolamentazione è il modo migliore per promuovere i comportamenti etici. Il
rischio di farsi una “cattiva reputazione” basterebbe a regolare le attività dei
lobbisti.
Malgrado quest’eco, che è rappresentativa della professione, Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione europea, ha lanciato un’iniziativa europea
(European Transparency Initiative) nel marzo 2005, con l’intento di accrescere la
trasparenza dei lavori della Commissione e di sollecitare un comportamento
altrettanto trasparente da parte dei lobbisti, dei gruppi d’interesse e delle
associazioni che ricevono spesso fondi dalla Commissione e che dovrebbero,
dunque, giustificarne l’utilizzo.
Un “Libro Bianco” sul tema deve essere presentato al Collegio dei Commissari, e
dovrebbe essere preceduto da una larga consultazione presso i professionisti.
L’attivismo della Commissione europea sembra fare eco a ciò che già esiste negli
Stati Uniti e in Canada:
Negli USA, il Lobbying Disclosure Act (1995) prevede un certo numero di
obblighi. I gabinetti di lobbying devono farsi registrare per ciascun cliente,
se la remunerazione è superiore ai 6.000 dollari per un periodo di sei mesi.
Ogni organizzazione che faccia appello ai lobbisti deve produrre una
dichiarazione, se l’attività di lobbying eccede 24.500 dollari per un periodo
di sei mesi. Allo stesso modo, i lobbisti hanno l’obbligo di stilare un rapporto
due volte l’anno (inizio gennaio ed inizio luglio), spiegando le attività
esercitate. Le società di lobbying devono anche redigere un rapporto per
ciascun cliente.
Il 29 novembre 2002, il Canada ha adottato una legge sulla trasparenza e
sull’etica in materia di lobbying. Tra le varie disposizioni, la legge, che ha
per oggetto l’inquadramento delle attività di lobbying, prevede la creazione
di un registro pubblico dei lobbisti ed istituisce un posto di commissario al
lobbying. L’autorità pubblica preposta alla registrazione dei lobbisti agisce
in forza della “legge sulla registrazione dei lobbisti”, secondo la quale i
soggetti privati devono registrarsi (pena un’ammenda dai 500 ai 25.000
dollari) e divulgare certe informazioni, se agiscono o fanno pressione sul
governo federale. L’amministrazione registra i lobbisti remunerati e gestisce
un registro pubblico. In più, vengono prese in considerazione le infrazioni al
Codice Deontologico dei lobbisti. L’amministrazione offre servizi di
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191
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
consulenza ai futuri lobbisti, informa i funzionari federali e il pubblico sulle
attività di lobbying. Tale amministrazione è autorizzata a pubblicare
bollettini di aggiornamento, mentre il lobbista deve inviare rapporti annuali
al Parlamento. Questa legislazione non è stata gradita dai lobbisti e dagli
avvocati canadesi, secondo i quali bisognava innanzi tutto garantire
“l'integrità del sistema pubblico, piuttosto che quella dei lobbisti”.
La volontà di regolamentare il lobbying a Bruxelles rischia di gettare un’ombra di
sospetto sulla professione, che sembrerebbe quasi legittimata negli ultimi anni.
Sarebbe rischioso, infatti, cercare di regolamentare il lobbying attraverso un
quadro legislativo formale, che potrebbe rivelarsi meno efficace dei codici di
condotta e di buona pratica che potrebbero derivare dall’autoregolamentazione.
D’altronde, ogni regolamentazione in materia porrebbe delle difficoltà reali quanto
al modo di definire le attività di lobbying. Si tratterebbe di un lobbying esercitato da
Bruxelles oppure dagli Stati membri? Come potrebbe essere determinata la soglia
minima di budget richiesta per identificare un’attività di lobbying? Come potrebbero
delle strutture nazionali, quali le federazioni nazionali o le Camere di Commercio,
definire le somme da destinare alla pratica del lobbying europeo a confronto con
quelle del lobbying nazionale?
Tutte le definizioni e le soglie non potranno che essere arbitrarie!
Ad esempio, l’ONG ecologista “Friends of the Earth” (“Gli amici della Terra”)
auspica che tutte le organizzazioni che dispongono di un budget minimo di 20.000
euro per le loro attività di lobbying abbiano l’obbligo di iscrivere i propri membri in
un futuro registro, ma non giustifica la scelta di questa somma.
Poiché i lobbisti contribuiscono in modo incisivo all’elaborazione della soft law,
sarebbe più opportuno, al contrario, incitarli a “professionalizzare” la loro attività e
ad organizzarsi. Ciò sarebbe molto più utile di ogni sistema di registrazione
obbligatoria e sanzionabile, che non fornirebbe nessuna garanzia di probità e di
know-how.
Alcuni uffici dei più importanti gabinetti americani di lobbying a Bruxelles hanno
stilato, nel gennaio 2005, un nuovo codice di condotta per il tramite del European
Public Affairs Consultancies Association (EPACA), di cui fanno parte. L’EPACA
prevede delle misure disciplinari rigide contro i membri che non rispettano il codice
di condotta imposto dalla Commissione europea.
Nel febbraio 2005, la SEAP ha pubblicato una nuova versione del suo codice di
condotta, al termine di un anno di discussioni. Tale codice ha incontrato dei
detrattori, dal momento che le ONG non sono contemplate dal testo, che è
applicabile esclusivamente ai rappresentanti dell’industria e delle federazioni
commerciali, così come alle società di lobbying, su base semplicemente volontaria.
Le sanzioni sono limitate, e vanno dal monito verbale, all’esclusione dalla SEAP.
Non è prevista alcuna sanzione civile o penale. Ancora una volta, codici simili
hanno il vantaggio di indirizzare lo spirito e la pratica verso un approccio
deontologico. La riflessione e l’introspezione sulla “professione” sono molto più utili
di testi statici che avrebbero come unico scopo quello di rassicurare.
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192
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Nel 2002, la CCIP aveva caldeggiato l’attuazione di una vera e propria politica
deontologica. La sua proposta di adattare il Codice deontologico degli avvocati ai
lobbisti è stata presa in considerazione: il codice deontologico del Consiglio degli
avvocati della Comunità europea è stato rivisto il 6 e 7 dicembre 2002. La
revisione ha implicato dei cambiamenti per quanto concerne le regole relative alla
pubblicità personale.
Il caso dell’organizzazione della professione d’avvocato dovrebbe servire da
esempio.
Inoltre, per quanto riguarda i codici deontologici, la proposta presentata dalla CCIP
nel 2002 dovrebbe essere reiterata.
Poiché alcuni lobbisti sono pervenuti a difendere degli interessi estranei all’Unione
europea, in uno spirito di difesa dell’Unione stessa, i codici deontologici
dovrebbero sollecitare la diffusione di questi dati.
La banca dati CONECCS della Commissione europea e il repertorio
delle persone accreditate presso il Parlamento europeo
dovrebbero indicare l’avvenuta sottoscrizione di un codice
deontologico.
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193
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
6. Influenzare oltre Bruxelles
“tutto non si svolge a Roma...
…tutto si svolge a Bruxelles”
Molte imprese ignorano ancora il ruolo e l’importanza delle organizzazioni
internazionali, come l’OCSE, le istituzioni finanziarie internazionali (Banca
mondiale, FMI, BEI) e l’OMC. Se tutte le imprese si dichiarano coinvolte e
minacciate dai fenomeni di delocalizzazione e di globalizzazione, esse non sono
ancora in grado di seguire ciò che accade più specificamente all’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC). Dato il ruolo dei paesi emergenti, come la Cina e
l’India, è sempre più importante agire presso tale organizzazione influenzando, in
particolar modo, la Commissione, che è l’interlocutore dell’Unione europea in
quest’ambito.
Poche imprese si interessano ai negoziati sui servizi, cosa che non facilita il
compito della Commissione europea, la quale ha difficoltà ad elaborare la sua
strategia. La posta in gioco nelle prossime liberalizzazioni è dunque vitale per le
imprese, soprattutto se non è prevista nessuna garanzia di reciprocità da parte dei
loro partner per un determinato settore di attività. Poche imprese assistono ai
debriefings delle Rappresentanze Permanenti a Bruxelles, sulle tematiche OMC.
Influenzare l’OMC implica un’azione a livello della Commissione, negoziatrice
unica per i suoi Stati membri, ma anche a livello delle Rappresentanze Permanenti
presso questa organizzazione internazionale, allo scopo di formare coalizioni più
vaste possibili.
Le federazioni devono sensibilizzare le imprese al ruolo normativo
delle organizzazioni ed associazioni internazionali di imprese,
incitandole a far valere i loro interessi.
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Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
7. Conseguenze dell’allargamento e del “no”
alla Costituzione sul lobbying italiano
L’allargamento ha profondamente modificato il funzionamento delle istituzioni
europee e tale fenomeno sembra amplificato dai risultati dei referendum sulla
Costituzione europea.
L’azione dei 25 diventa difficile, poiché gli Stati membri sono sempre più diversi e i
loro interessi non sempre sono simili.
Le istituzioni europee sembrano adattarsi alla situazione in modo non omogeneo.
La situazione attuale e il posizionamento delle istituzioni
europee sono particolarmente favorevoli ai lobbisti.
Mai le istituzioni europee si sono avvicinate al modello americano, in cui politica e
società civile lavorano di pari passo.
7.1 Un’apertura sempre maggiore verso la società civile da
parte dell’organo “amministrativo”
La Commissione europea sembra cercare l’energia necessaria per la “macchina
comunitaria” al di fuori del cerchio puramente amministrativo e politico.
La Commissione consultava già le parti interessate mediante diversi strumenti,
come i Libri Verdi e Bianchi, le comunicazioni, i comitati consultivi, i panels di
imprese e le consultazioni ad hoc.
Il Libro Bianco sulla governance europea (COM 2001 428), adottato notoriamente
in risposta alle sfide poste dall’allargamento, ha modificato in modo significativo il
funzionamento della Commissione europea.
La Commissione ricorre sempre più spesso a consultazioni
esterne.
Se nel 2002 la Commissione ha realizzato 9 consultazioni esterne, se ne
contavano 16 nel 2004 e 9 durante la prima metà del 2005140. Queste
consultazioni sono aperte a tutti, senza che vi siano condizioni di rappresentatività
o di nazionalità. In tal modo, nel corso della consultazione sul diritto di voto
transfrontaliero degli azionisti, alcune federazioni americane hanno avuto la
possibilità di esprimersi. Si noterà che, su questo stesso argomento, la
Commissione ha aperto due consultazioni successive141. La sola selezione fatta
attraverso queste consultazioni è quella della lingua, in quanto la gran parte delle
consultazioni hanno luogo in inglese.
140
141
http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm
http://europa.eu.int/comm/internal_market/company/shareholders/index_en.htm
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195
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Le consultazioni pubbliche e la creazione di gruppi di lavoro non sono tutte della
stessa qualità, né della stessa portata. Capita spesso, infatti, che le consultazioni
non siano prese in considerazione dalla Commissione europea nella fase di
redazione delle proposte finali, relativamente lontane dalle posizioni manifestate
nel corso della consultazione. La Commissione si è tuttavia impegnata a far sì che
“le esposizioni dei motivi che accompagnano le proposte legislative della
Commissione, o le comunicazioni pubblicate da quest’ultima al termine di un
processo di consultazione, forniscano i risultati di tali consultazioni allo stesso
modo delle spiegazioni riguardo al modo in cui esse sono portate avanti e in cui i
risultati sono presi in considerazione all’interno della proposta” 142.
La decisione che istituisce i comitati consultivi conferisce alla Commissione la
facoltà di consultarli, senza che le sia imposto nessun obbligo a riguardo. Al
contrario, nel quadro del dialogo sociale europeo, il Trattato di Amsterdam ha
messo in atto procedure di consultazione sistematica ed obbligatoria di partner
sociali su ogni tipo di azione comunitaria rilevante dal punto di vista della politica
sociale.
La Commissione gestisce allo stesso modo centinaia di organi di consultazione ad
hoc in numerosi campi d’azione.
Certamente, si tratta per questa di accrescere la trasparenza delle sue attività.
Essa risponde, in questo, ad un’aspettativa della società civile. Ma il processo è
destinato a crescere ancora. La European Transparency Initiative messa in atto da
Siim Kallas, Vice-presidente della Commissione europea, nel marzo 2005 con lo
scopo di accrescere la trasparenza dei lavori della Commissione ne è un
esempio143. L’eco seguita ai referendum francese ed olandese in maggio e giugno
2005 va sicuramente a rinforzare questa volontà, così come il “No” irlandese al
trattato di Nizza aveva influenzato lo spirito del Libro Bianco sulla governance
europea. Anche se i dibattiti del 2005 sono stati di buona qualità, contrariamente a
quelli del 2001, è possibile che la Commissione europea abbia ancora bisogno di
legittimarsi presso la società civile, nonostante sia compito delle politiche nazionali
assumersi le proprie responsabilità.
La Commissione non esita a lasciare l’iniziativa al Parlamento europeo, come è
avvenuto con la direttiva sui servizi144.
Da notare, d’altronde, che la Commissione europea ha creato dei gruppi consultivi
di alto livello per aiutarla a definire degli orientamenti strategici riguardo alle
politiche da portare avanti. Questi gruppi, nominati dal Collegio dei Commissari,
riuniscono personalità rappresentative degli Stati membri e provenienti dal mondo
accademico, degli affari o dei gabinetti di consulenti. La Commissione ha attivato
un gruppo di esperti e di ricercatori per coadiuvare i Commissari a formulare
142
Comunicazione della Commissione "Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo.
Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della
Commissione”, 11 dicembre 2002, pp.5-6.
143
La medesima iniziativa sollecita una simile trasparenza da parte dei lobbisti e delle ONG, i quali
dovrebbero giustificare l’utilizzo dei fondi che la Commissione eroga spesso a loro beneficio.
144
COM (2004)2 finale, proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
servizi nel mercato interno.
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196
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
raccomandazioni politiche da prendere in seno all’Unione europea. Questi si
aggiungono al Gruppo dei consiglieri politici145 creato nel 1992 da Jacques Delors.
Il progetto di Costituzione europea prevede il principio di “democrazia
partecipativa”, in base al quale le istituzioni europee devono dialogare con le
associazioni rappresentative e, più in generale, con la società civile. Ne scaturiva,
in particolare, l’instaurazione del diritto di iniziativa cittadina in materia legislativa,
che permetterebbe ad almeno un milione di cittadini dell’Unione (presi da un
numero minimo di Stati membri fissato da un testo europeo) di invitare la
Commissione a presentare una proposta legislativa rientrante nel quadro delle sue
attribuzioni ed avente come scopo la realizzazione di un obiettivo costituzionale
(allo stesso titolo del Parlamento e del Consiglio dei ministri). Questo è giusto al di
là del semplice diritto di petizione – previsto nel Trattato dell’Unione europea e
rivisto dal Trattato di Amsterdam – che designa il diritto di ogni cittadino
dell’Unione, e di tutte le persone fisiche o morali residenti o aventi un posto fisso in
uno Stato membro, di presentare al Parlamento europeo una domanda o una
lamentela su di una tematica rilevante tra i settori d’attività della Comunità o che la
riguarda direttamente (articoli 21 e 194, ex-articoli 8D e 138D del trattato CE).
La Commissione europea permette dunque largamente alla società civile di
immischiarsi nel suo potere di impulso e, allo stesso tempo, anche nel suo potere
esecutivo, dal momento che essa intende migliorare la qualità della legislazione
offrendo la possibilità alle imprese di esprimere difficoltà o problemi supplementari
che possono provocare le direttive o i regolamenti sulla base del piano d’azione
lanciato nel 2002146. Se si tratta fondamentalmente di coinvolgere gli Stati membri,
la Commissione coinvolge anche le imprese: una consultazione è stata lanciata in
tal senso dalla Direzione del Mercato interno della Commissione.
Al di là della procedura legislativa, la Commissione continua ad intrattenere strette
relazioni con la società civile attraverso dialoghi come il Civil Society Dialogue
attuato dalla Direzione Generale del Commercio, che ha lo scopo di informare
professionisti sull’evoluzione della politica commerciale dell’Unione. La
Commissione europea ha comunque deciso, da poco, di aprire un dialogo civile tra
l’Unione europea e i Paesi candidati. L'obiettivo è di instaurare e rinforzare i legami
tra la società civile degli Stati membri e dei Paesi candidati per rispondere alle
preoccupazioni esistenti, migliorare la comprensione reciproca e estendere il
dibattito sull’allargamento alla società intera.
La Commissione fa solitamente riferimento agli EIC (Euro Info Centres) per
ottenere informazioni che riguardano le imprese. L’iniziativa “Interactive Policy
Making” (IPM), svolta in partenariato con gli EIC, risiede contemporaneamente su
un meccanismo di ritorno dell’informazione sul mercato unico europeo e su un
meccanismo di consultazione delle reazioni suscitate da nuove misure. Il principio
di utilizzare Internet per raccogliere ed analizzare le reazioni dei mercati entra in
gioco in una fase successiva del processo decisionale dell’Unione europea. Tale
meccanismo permetterà di valutare l’impatto (o l’assenza di impatto) delle politiche
dell’Unione e di lanciare delle consultazioni aperte a nuove iniziative. Lo scopo è
quello di aiutare la Commissione, in quanto amministrazione pubblica moderna, a
fornire risposte più rapide e precise alle domande poste dalle imprese, cosa che
145
146
Dalla fine del 2005, il Direttore Generale di questo gruppo, il BEPA, è italiano.
COM(2002) 278 finale/2.
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197
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
porterà all’elaborazione di politiche all’interno dell’Unione in modo più diversificato
ed efficace.
7.2 Un indebolimento degli organi politici
Il Consiglio dell’Unione è stato indebolito dai “NO” pronunciati nel corso dei
referendum sul progetto di Costituzione europea, come è avvenuto nelle altre
istituzioni; non bisogna dimenticare che le ultime elezioni parlamentari europee
hanno registrato il più basso tasso di partecipazione; e che la discussione sul
budget ha cristallizzato le tensioni. Anche se l’Unione europea ha sempre avuto
difficoltà che è poi riuscita a risolvere con delle vittorie (come è stato il caso del
fallimento della CED (Comunitá Europea di Difesa) nel 1954, trasfomata in seguito
in CEE), è innegabile che il Consiglio dell’Unione conosca attualmente una crisi
ben più grande.
L’Unione europea sembra temporaneamente funzionare più grazie a dichiarazioni
che ad azioni.
Allo stesso tempo si assiste ad una certa “COREPERizzazione” con una
moltiplicazione dei Comitati dei Rappresentanti permanenti specializzati sempre
più in soggetti esistenti. “L’alchimia” delle persone è ancora più importante
all’interno dei 25 Paesi. Il Consiglio europeo stesso si è indebolito. Esso ha affidato
la preparazione delle sue conclusioni al COREPER. Alcuni Stati membri
dell’Unione si riuniscono, d’altronde, in piccoli gruppi, nel quadro di G5, cosa che
non porta ad un rafforzamento di legittimità del Consiglio europeo.
7.3 Un rafforzamento degli organi “democratici”
Il progetto di Costituzione europea, che è stato momentaneamente accantonato,
prevede un rafforzamento sensibile dei poteri del Parlamento europeo. La
procedura di co-decisione, che lo mette allo stesso livello del Consiglio dei ministri
in qualità di organo legislativo, diventa la “procedura legislativa ordinaria”147.
Non bisogna dimenticare che il Parlamento europeo ha la facoltà di presentare
delle relazioni di sua iniziativa, un’attività, questa, che è caldamente sollecitata dai
lobbisti. Oltre ai relatori di fondo e per parere, è importante non sottovalutare i
coordinatori e I capi relatori dei gruppi politici.
I poteri di co-decisione del Parlamento europeo verranno corroborati dalla
procedura di comitologia. In principio, era infatti previsto che l’esecuzione delle
legislazioni europee rientrasse nelle competenze della Commissione. Le
esecuzioni che si rivelano necessarie a livello europeo non sono lasciate agli Stati
membri. Il Trattato prevede che il Consiglio possa, in casi specifici ed eccezionali,
147
Come conseguenza dell’allargamento, il numero di deputati europei e di lingue ufficiali è
aumentato considerevolmente. Questo ha portato all’aggiunta di 10 nuove cabine di interpretazione,
riducendo così il numero di posti disponibili al pubblico. L’assistenza alle commissioni parlamentari è
necessaria se si vogliono identificare i deputati reattivi su una determinata tematica.
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
198
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
riservarsi l’esercizio diretto del potere esecutivo. Questa eccezione, tuttavia, non
era compatibile con il fatto che la funzione legislativa fosse espletata da due
istituzioni, il Parlamento europeo ed il Consiglio, negli ambiti regolati dalla
procedura di co-decisione prevista dall’articolo 251 del Trattato, dal momento che il
Consiglio sarebbe allo stesso tempo l’organo delegante e l’organo che esercita la
competenza delegata. La revisione attuale vuole mettere i due organi legislativi su
un piano di uguaglianza nell’esercizio del controllo, almeno negli ambiti regolati dal
principio di co-decisione, chiarificando l’esercizio delle responsabilità esecutive148.
Il Libro Bianco sulla governance europea prevedeva che il Comitato Economico e
Sociale Europeo (CESE) svolgesse un ruolo più proattivo, preparando, ad
esempio, delle relazioni investigative.
Nel corso degli ultimi anni, il CESE ha cercato di accrescere sensibilmente il suo
ruolo in seno all’Unione europea. Ha infatti cominciato ad organizzare delle serate
a tema, ogni giovedì, in concertazione con la società civile. Nel 1994, ha istituito un
osservatorio del mercato unico su richiesta del Parlamento europeo. Ad ogni
modo, dinanzi alla proliferazione dei punti di accesso riservati alla società civile per
dialogare con le istituzioni, il CESE non è fra gli organi privilegiati, in ragione anche
del suo carattere consultivo e non decisionale. Molti dei suoi membri, che ricevono
il loro mandato dalla società civile, diventano veri e propri professionisti legati in
modo quasi permanente al Comitato. Dovrebbero invece sforzarsi di rimanere
vicini ai loro mandatari per conoscerne gli interessi e tutelarli nel miglior modo
possibile. Il progetto costituzionale evoca la nozione di democrazia partecipativa,
ma non identifica il CESE come organo che possa assumere questa missione.
148
COM (2002) 719 finale
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
199
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
8. Mercato interno europeo:
deregolamentazione e nuova regolamentazione
Poco più di una dozzina d’anni sono passati dalla decisione di creare un forte e
coeso mercato interno europeo. La Commissione europea ha stimato che,
nonostante i ritardi nella messa in atto del mercato interno, in dieci anni il PIL
europeo è del 1,8% più alto di quanto sarebbe stato altrimenti149. Il mercato interno
permette la crescita delle collettività e delle imprese che hanno la forza competitiva
relativa per fare leva sulla propria specialità. Questa crescita diventa una tendenza
che si auto-riproduce. I benefici del mercato interno sono fruibili da chi è più
capace ad usarne le risorse, in altre parole da chi è capace di creare economie di
scala riducendo costi e prezzi.
Dal 2001, gli effetti positivi del mercato interno si stanno riducendo. La congiuntura
economica mondiale ha la sua influenza. Ma la causa principale è costituita dagli
ostacoli che i governi nazionali e locali frappongono alla trasposizione delle
legislazioni europee e alla messa in atto delle misure che essi stessi hanno
approvato dal 1992 in poi. L’impatto negativo delle politics e delle practices
nazionali lo pagano le imprese e le persone, che rispettivamente perdono
opportunità di mercato, potere d’acquisto e, in molti casi, lavoro.
Un indicatore del grado di realizzazione del mercato interno è dato dalla
convergenza dei prezzi al consumo: nell’Unione europea esiste una variazione dei
prezzi fino al 80% per alcuni settori come i trasporti e i beni di consumo per le
famiglie. Il mercato interno americano non presenta queste divergenze! Inoltre,
l’attrattività dell’Unione europea per gli investimenti stranieri è molto bassa:
continua ad uscire dall’Unione più denaro di quanto ne entri!
Le politics e le practices di certi Stati membri, particolarmente in ritardo nella
trasposizione delle norme europee, stanno arrecando un danno grave alla
competitività dell’insieme dell’Unione europea. Questi Stati sostenevano la propria
competitività attraverso politiche monetarie e di dumping dei prezzi. Oggi che
queste pratiche sono rese impossibili dal rigore monetario imposto dall’adozione
dell’Euro, questi Stati ricorrono a politiche protezioniste non dichiarate, ma
realizzate attraverso il ritardo nella trasposizione delle norme europee. Dal 2005, la
Commissione europea stila la classifica degli Stati membri in relazione al grado
d’attuazione delle normative europee. Questa classifica viene resa pubblica ed è
oggetto di discussione nel Consiglio europeo che adotterà le misure necessarie nei
confronti degli Stati più reticenti150.
149
Si veda il documento : SEC(2002) 1417, ‘The internal market — 10 years without frontiers’.
Ancora non è chiaro se le misure che il Consiglio europeo deciderà di adottare contro gli Stati più
reticenti saranno commisurate al danno economico stimato nei confronti degli altri Paesi membri.
150
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200
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Trasposizione delle direttive per paese
- deficit di trasposizione in %
Italia
4,1
Lussemburgo
4
Repubblica Ceca
3,6
Portogallo
3,4
Belgio
2,4
Francia
2,4
Polonia
1,7
Paesi-Bassi
1,6
Germania
1,4
Spagna
1,4
Regno-Unito
1,4
Danimarca
0,8
Fonte: “Internal Market – Scoreboard”,
Commissione Europea, luglio 2005, n. 15
Si capisce che il Consiglio europeo farà uso dei benchmarks e delle network
norms proprie di ogni sistema reticolare, e che la continuazione di practices
nazionali incompatibili con il sistema si tradurrà in dolorosi trade offs per gli Stati
che ne sono responsabili. Il rischio è che gli Stati più reticenti possano subire
l’applicazione di clusterings del mercato come sanzione alla propria inadeguatezza
o inefficienza. Per questa ragione, le istituzioni disaggregate degli Stati membri, le
imprese, e le persone hanno interesse a partecipare attivamente al cambiamento
delle practices e delle politics nazionali che li riguardano.
Il 70% dell’attività economica europea è costituita da servizi: indipendentemente
da dove e da chi produce un bene, il valore aggiunto risiede nella conoscenza che
trasforma quel bene in un servizio. Ma proprio il mercato interno dei servizi è
assolutamente in ritardo in tutta l’Unione europea: solo il 20% dello scambio
commerciale intracomunitario è costituito da servizi, ed è inferiore a dieci anni
prima! Il risultato è che i prezzi dei servizi sono troppo alti e la loro produttività è
mediocre.
Questa situazione dipende dalle barriere, in alcuni casi oligopolistiche, imposte da
certi Stati membri ai servizi che potrebbero essere offerti da società di altri Paesi.
La necessità dell’equilibrio, pur necessario, tra competitività e dumping sociale non
potrà più essere tollerata.
Le date nelle quali alcuni settori saranno liberalizzati sono già note: servizi postali
(2006); gas e elettricità (2007); trasporto ferroviario (2008). Il trasporto aereo
potrebbe slittare ancora di qualche anno. Un altro settore che vedrà la
liberalizzazione è quello dei servizi finanziari (banche e assicurazioni). L’apertura
di servizi cross-border dovrebbe andare a vantaggio della qualità e dell’efficienza
dei servizi, con evidente guadagno dei consumatori e delle PMI che avranno un
accesso più competitivo al credito finanziario. La liberalizzazione del settore dei
servizi finanziari sarà accompagnata da un’integrazione delle borse e dei servizi ad
esse collegati, come le transazioni mobiliari. Infine, la liberalizzazione dei servizi
finanziari porterà conseguenze positive anche per il mercato immobiliare che
dipende da servizi di credito solo locali o nazionali, e troppo onerosi.
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
201
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
I processi di formazione delle policies per la liberalizzazione dei servizi sopra citati
sono in stato molto avanzato, anche se, com’è il caso del progetto di direttiva sulla
liberalizzazione dei servizi, alcune modifiche possono ancora essere apportate dal
Parlamento europeo, che ha un certo potere di co-decisione su questi testi. Una
volta approvata la legislazione europea, seguono due fasi: a) la trasposizione in
legge nazionale; b) l’attuazione delle norme. Mentre la possibilità di ritardare sine
die la trasposizione delle leggi europee sarà sempre più ristretta, la fase
d’attuazione offre delle possibilità importanti. In quasi tutti i casi di liberalizzazione,
l’Unione europea costituisce delle Agenzie che hanno il compito di creare le norme
tecniche d’applicazione, i cosiddetti standard, e di controllarne il rispetto da parte
degli Stati membri. Riuscire a far prevalere uno standard, o bloccarne un altro, può
avere un effetto significativo per il self-interest di uno Stato, di un’impresa o di
gruppi di persone. Anche in questo processo, vale la capacità di saper partecipare
con logiche e qualità adatte.
Nei prossimi anni, nuovi settori di servizi, in particolare i servizi sociali, potrebbero
fare oggetto di progetti di direttive di liberalizzazione. Si pensi all’effetto
rivoluzionario che avrebbe la liberalizzazione, cioè la messa in concorrenza, dei
servizi sanitari o pensionistici dei vari Stati membri, lasciando quindi al cittadino
europeo la libertà di scegliere tra un sistema e un altro, non necessariamente tra il
sistema pubblico nazionale e quello privato nazionale. In materia di salute, la
decisione relativa all’introduzione di un documento europeo comprovante la
copertura finanziaria per usufruire dei servizi sanitari in qualsiasi Stato membro va
in questa direzione. In pratica, è come se la tassa sulla salute diventi il ticket del
cittadino per usufruire dei servizi sanitari nel luogo che diventasse più opportuno.
Il mercato dell’istruzione e della formazione è ancora vincolato alla sovranità
nazionale con alcune possibilità di riconoscimento dei diplomi basate sulla
reciprocità, in altre parole, attraverso trattati interstatali bilaterali. Con l’introduzione
dei titoli di studio europei, già in fase di discussione, sarà possibile mettere in
concorrenza, lasciando libero il cittadino di scegliere, le diverse offerte di
formazione e d’istruzione, dalla scuola di base alle università. Ciò porterebbe ad
una classifica trasparente dell’efficienza dei sistemi di formazione e d’istruzione su
scala europea, come avviene già all’interno di qualche Stato membro.
In conclusione, il processo di liberalizzazione non è, come qualcuno pretende, il
passaggio dall’ordine sociale all’anarchia del mercato. Liberalizzare significa
deregolamentare, in altre parole, togliere delle regole restrittive, per creare una
nuova regolamentazione che stabilisca i modi di funzionamento e d’accesso di un
determinato servizio. In questo processo di deregolamentazione e di nuova
regolamentazione è imperativo partecipare sin dall’inizio e in tutte le sue fasi.
Promuovere il self-interest compete, quindi, alle istituzioni disaggregate degli Stati,
alle imprese, e alle persone. Per non subire impotenti i cambiamenti che ci piovono
addosso, è fondamentale sviluppare la capacità di partecipare al processo di
formazione delle nuove policies, ma anche di impegnarsi affinché le politics e le
practices nazionali e locali non diventino delle costose quanto inadeguate barriere
contro il cambiamento.
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202
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
9. Una politica di formazione adeguata alle
sfide della professione del lobbista
Sensibilizzare tutti i tipi di formazione (istituti commerciali,
formazione per ingegneri, MBA, avvocati…) alle attività di lobbying.
Una vera e propria cultura del lobbying potrà esistere in Italia solo attraverso una
maggiore sensibilizzazione delle future classi dirigenti. Al momento attuale, questo
tipo di formazione è considerata altamente specialistica ed è prevista solo da
alcuni corsi di diritto comunitario. I pochi corsi esistenti sono, fra l’altro, strutturati in
modo eccessivamente teorico e semplicemente corredati da una visita presso le
istituzioni europee (non sempre!). Sarebbe invece utile cercare di estendere
questo tipo di formazione il più possibile all’interno degli istituti commerciali, ma
anche delle scuole di ingegneria, MBA e presso gli avvocati.
Le scuole che si occupano di formare i futuri avvocati dovrebbero sensibilizzare
maggiormente i loro studenti al lobbying bruxellese, che si discosta dalla
concezione tradizionale dell’attività d’avvocato.
La formazione in materia di lobbying dovrebbe anche essere dispensata da
consulenti, che potrebbero attingere dalla loro esperienza professionale. Ma non
bisogna farsi illusioni : è sul campo che si diventa lobbisti efficaci. Tuttavia, dei
corsi di comunicazione più numerosi ed intensivi, a prescindere dal percorso
universitario, permetterebbero di iniziare ad una simile pratica che merita di essere
“categorizzata”.
Formare i dirigenti al lobbying per instillare una coscienza
europea a tutti i livelli di attività imprenditoriale.
In seno all’impresa, i datori di lavoro e i responsabili del servizio devono fare prova
di una responsabilità europea. È importante far attecchire nei dirigenti la pratica del
lobbying attraverso dei programmi di formazione continua su misura, in modo da
restituire prestigio alla figura del lobbista.
Incoraggiare l’apprendimento delle lingue.
Anche se può sembrare evidente, è importante rammentare che la conoscenza di
più lingue è funzionale alle attività di lobbying.
Favorire lo spirito di teamwork nel sistema educativo italiano.
In linea generale, gli italiani sono poco sensibilizzati durante la loro formazione
iniziale al lavoro di squadra, che rappresenta invece un elemento di vitale
importanza per il lobbying.
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203
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Se si sopperisse a queste lacune, ne beneficerebbero tutte le attività
imprenditoriali.
Fare in modo che tutti i lobbisti italiani vengano inclusi in un
repertorio comune in modo da accrescerne la visibilità.
Gli italiani, in generale, non si preoccupano di far includere il loro nome nella giusta
categoria all’interno dell’opera di riferimento : “The European Public Affairs
Directory” o all’interno del repertorio elettronico CONECCS, creato su proposta
della Commissione europea e accessibile dal sito Internet EUROPA151.
Esortare i lobbisti a moltiplicare le sinergie all’interno del settore.
Si potrà parlare a giusto titolo di lobbying italiano solo quando I lobbisti
impareranno a interagire fra di loro creando sinergie e a ricercare partner
impegnati nella difesa di interessi comuni, in modo da accrescere il peso e
l’impatto della loro azione. Per questo motivo, bisogna trascendere la dimensione
nazionale ed allargare i propri orizzonti. Il sistema reticolare italiano infatti rischia di
disperdersi in un contesto europeo152.
Favorire la stabilità della professione del lobbista cercando di
ricoprire la propria posizione per una durata minima di cinque
anni.
La capacità a fare lobbying in modo efficace dipende anche dalla disponibilità di un
buon repertorio di indirizzi e da una conoscenza approfondita del contesto nel
quale si opera. L’acquisizione di queste due carte vincenti richiede un periodo
minimo di cinque anni. In genere, la qualità delle azioni di lobbying migliora con
l’aumentare degli anni di esperienza nel settore. Le imprese anglo-sassoni hanno
preso atto di questa strategia molto prima degli italiani. È importante favorire la
stabilità e continuità della professione.
Sollecitare gli esperti nazionali distaccati (END) in posizione
strategica a intrattenere contatti regolari con gli industriali.
I rapporti con le istituzioni europee possono essere favoriti dagli END – funzionari
nazionali in carica a Bruxelles a medio termine. È comunque essenziale che la
loro sia una posizione strategica e che la loro esperienza possa essere utilmente
sfruttata dalle autorità nazionali.
È dunque imperativo cercare di posizionare strategicamente i propri esperti
nazionali distaccati, ma soprattutto incoraggiarli ad avere contatti regolari e intensi
con gli industriali. È necessario migliorare il modo in cui l’amministrazione italiana
gestisce le carriere, cercando di incoraggiare i “migliori” ad espatriarsi a Bruxelles
e di valorizzare in seno all’amministrazione italiana l’esperienza così acquisita.
151
http://www.europa.eu.int./comm/civil_society/coneccs/index_en.htm. Questo repertorio è stato
creato a seguito di una Comunicazione su “Un dialogo aperto e strutturato fra la Commissione ed i
gruppi di interesse ” del 2 dicembre 1992 (JOCE C63 del 5 marzo 1993).
152
Secondo un responsabile di Logos Public Affairs.
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204
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Evitare l’eccessiva moltiplicazione dei livelli di attività
lobbistica e privilegiare i contatti regolari con le istituzioni
europee per il tramite delle federazioni.
Le PMI dovrebbero agire attraverso le loro federazioni, evitando una
moltiplicazione all’infinito dei vari livelli di rappresentanza, che sarebbe deleteria
per l’azione di lobbying.
Sollecitare gli italiani ad occupare posizioni chiave all’interno
delle federazioni europee.
A differenza dei tedeschi, gli italiani sono scarsamente presenti nelle federazioni
europee. Assicurarsi una presenza in seno a queste strutture è determinante per il
futuro. Solo in questo modo gli italiani potranno far valere I loro interessi. A titolo di
esempio, possiamo citare l’UNICE, la confederazione europea dei datori di lavoro,
all’interno della quale gli italiani sono sottorappresentati.
Creare il Circolo dei Rappresentanti Italiani a Bruxelles.
Il Circolo dei Rappresentanti Italiani a Bruxelles svolgerebbe un ruolo di primo
piano in stretta consultazione con la Rappresentanza Permanente e il CIACE153.
Come si coordina la Francia
L’istituzione di un comitato interministeriale
sull’Europa, il 20 luglio 2005, dovrebbe essere
“di buon senso”, dal momento che si tratta
principalmente di assicurare un seguito politico
dei negoziati sui testi europei. I ministri
dovrebbero così riferire periodicamente sullo
stato d’avanzamento nei diversi ambiti
europei, sulle modalità di accordo e sulle
posizioni dei partner europei. Il Ministero degli
Affari Esteri procede attualmente ad uno
studio sull’implicazione dei partner sociali nella
definizione delle posizioni francesi a Bruxelles.
Fonte: Rapporto CCIP, 2005
153
Vedi scheda a pagina 63
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205
Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
Principali Istituti che dispensano corsi di lobbying e public affairs.
Classificazione per paese.
Belgio
Francia
Germania
EIS Training Centre
HEC, Centre de
perfectionnement
des affaires (CPA)
University of
Tübingen
European Institute
for Public Affairs and
Lobbying
HEC, CESA
Communication
Deutschen
Institut für
Public Affairs
Berlin
Europese
Hogeschool Brussel
ESCP-EAP
Institut Supérieur du
Management Public
et Politique
(ISMAPP)
Italia
Istituto
europeo di
design
Università
degli studi di
Roma Tor
Vergata
La facoltà di
Scienze
Politiche di
Padova
Regno Unito
Brunel
University
European
Centre for
Public Affairs
(ECPA)
Parli-Training
London School
of EconomicsESSEC
European
Institute
Lumsa
Queen’s
(Libera
University
Katholieke
Universita’
Belfast- School
Universiteit Leuven
Maria Ss.
of Politics and
Assunta International
Roma)
Studies
University
College DublinUnited Business
Running
Dublin
Institutes (UBI)
European
Institute
University of
Université Libre de
Leeds-School
Bruxelles (ULB)for Politics and
Institute for
International
European Studies
Studies
University of
ManchesterGraduate
School of Social
Sciences and
Law
Fonte: EULobby.net, http://www.eulobby.net/eng/desktopdefault.aspx?tabid=420, dati elaborati dal
CIPI
L’Università
di Trieste
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Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia
10. Un quadro più certo in Italia aiuterebbe le
lobby italiane in Europa
Perchè l’Italia riesca ad esprimere il suo peso nel gioco degli interessi europei (di
questo ormai si tratta a Bruxelles), c’è impellente bisogno di allineare i “pezzi”
d’Italia su un’unica strategia di medio e lungo termine. Il tempo stringe, e
aspettare ancora potrebbe essere fatale per un Paese che ha ancora delle
chances.
La responsabilità di compiere quest’allineamento compete a tutte le leadership del
Paese, pubbliche e private, ma soprattutto alla classe dirigente politica e di
governo. Si tratta dell’interesse nazionale per il futuro dell’Italia, di cui in modo bipartisan tutti devono essere ritenuti responsabili del risultato. Il tempo delle
divisioni tra italiani non è il tempo di Bruxelles, dove i Paesi che sanno allineare le
proprie risorse stanno già procedendo a ridisegnare la mappa europea.
Se da un lato l’Italia è strutturalmente più preparata di altri per l’interconnessione
multilivelli sul sistema reticolare europeo, dall’altra si presenta “nuda” sul piano
strategico. Poichè comincia ad essere chiaro a tutti che essere a Bruxelles,
esportando le divisioni e i litigi nazionali, serve soltanto a perdere, è arrivato il
momento di riuscire a creare una sola “centrale di governo delle relazioni con
l’Europa”. Una per tutti gli attori italiani, anche per il Ministero degli Affari Esteri, gli
altri Ministeri o per la Presidenza del Consiglio. La nascita del CIACE all’inizio del
2006, sebbene tarda, fa ben sperare che da questa struttura si riparta per dotare il
Paese di quella forza di coesione strategica senza la quale la marginalizzazione è
già aumentata
Dal punto di vista macro-strutturale il cammino sembra essere stato intrapreso, ma
è tuttavia necessario riordinare le cose nella divisione dei compiti e
nell’attribuzione dei poteri. Durante la ricerca che ha condotto a questo Rapporto
sono emerse sovrapposizioni e quintuplicazioni di mandati tra strutture pubbliche
che alla fine giustificano la loro rilevanza entrando in concorrenza tra loro (davanti
a tutti, a Bruxelles). E questo stato di cose vale tanto per gli affari dell’economia e
dell’impresa quanto per la gestione degli affari regionali e degli enti locali e
funzionali. La disaggregazione dello Stato centrale è una leva di forza, ma
così com’è gestita porta all’indebolimento generale e al caos.
C’è la necessità di inquadrare e responsabilizzare gli operatori degli affari europei,
non solo attraverso opportuni corsi di formazione e training, ma anche con delle
previsioni legislative adeguate. Lasciare all’improvvisazione questo settore, oltre a
mantenere una certa dose di opacità sulla professione del lobbista, ne indebolisce
la dignità professionale. Esiste una confusione di fondo tra attività che ormai
hanno professionalità distinte – comunicazione, relazioni esterne, relazioni
istituzionali, pubbliche relazioni, lobbying – creando incertezza sugli obiettivi da
raggiungere e sui servizi che sono offerti. Queste realtà professionali non sono
meno delicate di quelle di avvocato, medico, o revisore dei conti. Errori e malintesi
in queste attività, oltre all’improvvisazione, sono ormai fatali e difficilmente
correggibili.
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CAPITOLO V
La guida del lobbista
europeo
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
La guida del lobbista europeo
Una strategia senza tattica è il cammino più lungo verso la vittoria.
Una tattica senza strategia è solo rumore che precede la sconfitta”
(Sun Tse)
Per le imprese, gli enti, le nazioni e gli individui è di primordiale importanza tutelare
e promuovere i propri interessi strategici. Alcuni, già sensibilizzati alla tecnica del
lobbying, cominciano a riflettere sull’applicazione di tali pratiche. Altri, con più
esperienza in questo settore, sono già presenti a Bruxelles. Tutti devono
conoscere le regole di base del “lobbista efficace” e sapersi orientare fra i vari siti
Internet, che possono agire sia come sprone alla loro azione, sia come fonte di
informazioni.
Per questo motivo, il CIPI propone una breve guida mnemotecnica sul lobbying,
che non ha la pretesa di essere un’ennesima opera sull’argomento, ma vuole
piuttosto illustrare le pratiche elementari da adottare in materia e i riflessi da
acquisire. La presente guida non vuole essere esaustiva dal punto di vista dei siti
Internet dedicati al lobbying.
Il CIPI si propone in questa sede di attirare l’attenzione sulle logiche che regolano
le azioni di lobbying a Bruxelles. È opportuno sottolineare che tali attività di
lobbying non devono prescindere da azioni parallele o preliminari intraprese su
scala nazionale o internazionale. Il CIPI auspica così di promuovere alcuni
elementi del “lobbying all’italiana”, fondati su innovazione e strategie d’alleanza.
Reperire le proprie carte vincenti sin dall’inizio
L’uso della parola inglese “lobbying” non agevola la comprensione di questa
pratica. Alcuni preferiscono parlare di strategie di influenza, di “affari pubblici
europei” o di “comunicazione istituzionale”. A prescindere dalla definizione
semantica, è essenziale capire che si tratta di un atto democratico, nella misura in
cui il “lobbista” partecipa alla politica generale. Le tecniche di lobbying non si
improvvisano e necessitano di specifiche qualità preliminari, oltre ad un lavoro e ad
un investimento personale considerevoli e continuati nel tempo.
Una rappresentanza a Bruxelles costa circa 310.000 Euro all’anno. È
dunque nell’interesse dei soggetti più deboli e delle PMI sviluppare
forme di aggregazione.
È importante avere una perfetta comprensione del processo decisionale
comunitario. Questo richiede esperienza e credibilità.
Un buon lobbista è allo stesso tempo: un buon giurista, un buon tecnico,
un buon comunicatore.
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Le carte vincenti preliminari
DEMISTIFICARE IL LOBBYING E CAPIRE CHE SI TRATTA DI
UNO STRUMENTO DEMOCRATICO
COMPRENDERE IL MACCHINOSO FUNZIONAMENTO DELLE
ISTITUZIONI COMUNITARIE
AVERE UNA CULTURA GIURIDICA
AVERE UNA BUONA PADRONANZA DELLA LINGUA
INGLESE
AVERE UN REPERTORIO DI INDIRIZZI
RENDERE STABILE E CONTINUA LA PROFESSIONE, E
DEFINIRE UNA STRATEGIA A LUNGO TERMINE
CALCOLARE VANTAGGI E COSTI DI UNA
RAPPRESENTANZA A BRUXELLES
1. Informarsi sul lobbying e su come migliorarlo
Quello del lobbying è un settore vivo che ha bisogno di adattarsi alla domanda. La
pratica italiana, da questo punto di vista, può essere considerevolmente migliorata.
La capacità a far evolvere la propria posizione è sicuramente una prova di efficacia
particolarmente indicativa per la professione del lobbista.
Bibliografia essenziale
Rapport DERIEUX, “Renforcer le lobbying des entreprises françaises à
Bruxelles”, CCIP, 5 septembre 2002
http://www.etudes.ccip.fr/archrap/rap02/der0209.htm
“A guide to effective lobbying of the European commission”, BURSON
MARSTELLER, 2003
http://www.bmbrussels.be/files/file_62.pdf
“Lobbying in the European Union: current rules and practices”, Parlamento
europeo, aprile 2003
http://europa.eu.int/comm/secretariat_general/sgc/lobbies/docs/Workingdocparl.
pdf
Rapport FLOCH, “La présence et l’influence de la France dans les
institutions européennes”, Assemblée nationale, 2004
http://www.assemblee-nat.fr/12/europe/rap-info/i1594.asp“Le lobbying à l’heure
de l’Europe et de la mondialisation”,
Accomex,
janvier
février
2004,
n°
55http://www.coe.ccip.fr/02/accomex/pdf/a55.pdf
Caratteri e incidenza del lobbismo a Bruxelles, di Gloria Pirzio Ammassari, 2000
http://www.lobbyingitalia.info/documenti/
Attività di lobbismo e sua influenza nel decision making comunitario, di Dimitris
Liakopoulos, 2001 http://www.lobbyingitalia.info/documenti/
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211
Capitolo V – La guida del lobbista europeo
2. Rispettare l’inquadramento legislativo
Le reputazioni si fanno e si disfanno rapidamente a Bruxelles. La competizione è
così aspra che è necessario preservare una buona immagine di se stessi, essere
trasparenti (tramite un sito Internet, ad esempio) ed ostentare un’etica
irreprensibile.
La Commissione ha adottato giorno 11/12/2002 la comunicazione “Principi
generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera
della Commissione”, COM (2002)704:
http://europa.eu.int/eur lex/it/com/cnc/2002/com2002_0704it01.pdf
Esiste inoltre un sito Internet dedicato alla governance della Commissione
europea:
http://europa.eu.int/comm/governance/index_en.htm
RISPETTARE L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LOBBYING
OSTENTARE UN’ETICA IRREPRENSIBILE ATTRAVERSO LA TRASPARENZA
SUGLI INTERESSI TUTELATI E L’OGGETTIVITÀ. LA TRASPARENZA È, IN UN
CERTO QUAL MODO, SINONIMO DI ONESTÀ.
3. Vigilare sulle decisioni europee
Non è necessario essere presenti a Bruxelles per vigilare sulle decisioni europee,
anche se la partecipazione alle commissioni parlamentari pubbliche, alle
conferenze e ai think tank sul posto e soprattutto il “passaparola”, particolarmente
efficace a Bruxelles, sono risorse preziose da non trascurare. Il coinvolgimento di
ex stagiaires presso le istituzioni europee (1.200 studenti ogni anno) si inserisce
perfettamente in questa strategia154. Molte federazioni e rappresentanze non
esitano ad inviare delle newsletter ai loro membri. Alcune di queste ritengono che
sia pressoché inutile impegnarsi in attività di lobbying se le informazioni sono già
rese note, anche se non è sempre facile appurarlo. Infine, è importante verificare
costantemente l’agenda, ad ogni semestre, per ogni presidenza dell’Unione di
turno.
154
Si veda ad esempio l’ Associazione degli ex stagiaires dell’Unione europea, ADEK):
http://www.adek-international.org.
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Siti pubblici sull’Europa
La Direzione generale stampa e comunicazione della Commea
http://www.europa.eu.int/comm/dgs/press_communication/index_it.htm
Le Newsletter delle varie Direzioni generali (DG)
Ad esempio, quella della DG Commercio:
http://trade-info.cec.eu.int/eutn/RegistIndex.php
Le relazioni della DG Ricerca del Parlamento europeo
http://www.europarl.eu.int/studies/default_it.htm
La Rappresentanza della Commissione europea in Italia
http://europa.eu.int/italia/
La FEDER http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l60015.htm
Il FSE
http://europa.eu.int/comm/employment_social/esf2000/index_en.html
Fonti sull’Europa http://www.infoeuropa.it
Euro Info Centres http://www.euroinfocentre.it
Siti privati
I portali delle informazioni quotidiane sull’Europa:
Euractiv: http://www.euractiv.com
Diritto.it (rubrica Europa): http://www.diritto.it/materiali/europa
Tiscali.europa: http://europa.tiscali.it
Siti della stampa
Il Financial Times: http://news.ft.com/home/europe
Agence Europe: http://www.agenceurope.com
European Voice: http://www.european-voice.com
4. Anticipare i processi legislativi comunitari
I processi legislativi europei sono farraginosi e complessi. Il lobbista deve sempre
cercare di intervenire il prima possibile su questi. Se un’impresa si trova in difficoltà
in seguito all’adozione di una legislazione comunitaria, l’unica strategia di lobbying
attuabile a quel punto è quella detta di “crisi”. Questa pratica deve essere evitata
nella misura del possibile, attraverso un’analisi preventiva dettagliata delle
conseguenze potenziali di ogni progetto legislativo. Se una determinata
regolamentazione rischia d’avere ripercussioni negative sull’impresa, è opportuno
agire a monte per orientarla nel miglior modo possibile. Il lobbista dovrà dunque
concepire un dossier analitico serio e pertinente e farlo valere a tutti gli stadi della
procedura. Bisogna agire al momento opportuno ad ogni stadio del processo
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213
Capitolo V – La guida del lobbista europeo
legislativo. Per esempio, è inutile cercare di sensibilizzare gli eurodeputati, se il
parere di una commissione parlamentare è già stato espresso. L’instaurazione di
un rapporto di fiducia duraturo con lo staff delle istituzioni europee può aiutare ad
evitare simili ostacoli.
È importante ricordare che:
È relativamente facile ottenere un incontro con la Commissione
europea.
La procedura legislativa comunitaria è sufficientemente complessa da
permettere una formazione approfondita in materia!
Il processo legislativo comunitario richiede un intervento secondo fasi predefinite.
Per avere successo è necessario conoscere molto bene tutte le fasi e soprattutto
avere chiara la mappatura dei soggetti coinvolti in ogni fase. Il metodo più sicuro è
di essere inseriti già nella fase iniziale (vedere Stadio 1) dello schema riprodotto
qui di seguito.
Consigli Utili da seguire ai vari stadi della procedura
Stadio 1
AGIRE ALL’INIZIO DEL PROCESSO,
prima che il dossier arrivi nelle mani dei
Commissari
PREVEDERE UN SUPPORTO SCRITTO
con analisi approfondite incentrate su
alcuni punti chiave
ILLUSTRARE CHIARAMENTE LE PROPOSTE PRINCIPALI
NON LIMITARSI A FAR CIRCOLARE LA PROPRIA DOCUMENTAZIONE
PRIVILEGIARE I CONTATTI UMANI CHE DURANO NEL TEMPO
PRIVILEGIARE UNA STRATEGIA OFFENSIVA AD UNA DIFENSIVA
INTERVENIRE A TUTTI I LIVELLI GERARCHICI
Stadio 2 : proposte per pareri
Stadio 3
CAPIRE CHE ALLO STADIO DEL PARLAMENTO EUROPEO, È LA TECNICITÀ DEL DOSSIER CHE
CONTA, NON LA POLITICA
Stadio 4
AGIRE SUL COPEPER (Comitato dei Rappresentanti Permanenti)
E a tutti gli stadi
PROGRAMMARE LA PROPRIA AZIONE tenendo conto dei tempi della procedura
CONTEMPLARE DIVERSE STRATEGIE in funzione dei possibili voti istituzionali
IL LOBBYING DI CRISI, UNA ECCEZIONE.
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Lista dei siti da consultare ai vari stadi della procedura
Stadio 1
Siti sulle consultazioni della Commissione europea
http://europa.eu.int/comm/secretariat_general/consultations/index_en.htm
http://europa.eu.int/yourvoice/index_it.htm
Stadio 2
Siti concernenti i vari stadi della procedura
Prelex: http://europa.eu.int/prelex/apcnet.cfm?CL=it
Eur-lex : http://europa.eu.int/eur-lex/it/search/search_lip.html
Stadio 3
Siti delle commissioni parlamentari
http://www.europarl.eu.int/meetdocs_all/committees/committeeslist.htm
Siti delle sessioni plenarie
http://www.europarl.eu.int/activities/expert.do?redirection&language=IT
Siti dell’osservatorio legislativo (OEIL)
http://www.europarl.eu.int/oeil/index.jsp?form=null&language=en
Stadio 4
Sito del Consiglio
http://ue.eu.int/docCenter.asp?lang=it&cmsid=245
Stadio 5
Sito della conciliazione
http://www.europarl.eu.int/code/about/default_en.htm#
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Stadi del processo di formazione della legislazione europea
Fonte: documenti delle istituzioni europee e dati elaborati dal CIPI
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
5. Selezionare i propri interlocutori
Non è necessario essere presenti a Bruxelles per fare lobbying. In questo caso, si
parla di “lobbying di vigilanza”. Una pratica più attiva, invece, come quella di
“anticipazione”, necessita di incontri più frequenti con il personale delle istituzioni
europee e con gli altri partner ugualmente presenti a Bruxelles. La selezione del
proprio target istituzionale e la presenza sul posto implicano una serie di notevoli
vantaggi. Le istituzioni europee ricercano l’esperienza di professionisti e tecnici
nelle varie discipline. Le decisioni sono, infatti, tanto più interessanti quanto più
riescono a coinvolgere la “società civile”. Inversamente, potrebbe rivelarsi
improduttivo per un’impresa ridurre il numero di persone che, al suo interno, si
occupano di lobbying. È invece utile mettere in comune le informazioni e
centralizzare l’azione.
Le azioni intraprese a livello nazionale ed internazionale possono suffragare le
pratiche di lobbying a livello europeo. A volte, è perfino utile evitare di passare dal
livello nazionale a quello europeo e poi internazionale, e agire in senso opposto,
creando una dinamica inversa a “effetto boomerang”. Formando coalizioni a livello
internazionale è, infatti, possibile alimentare e corroborare la propria posizione e la
propria capacità argomentativa su scala europea e nazionale.
Target principali155:
Instituzioni europee
ONG
Sindacati
Associazioni di professionisti
Media
Thinks tank
Esperti: avvocati, consulenti
INTERAGIRE CON LE ISTITUZIONI EUROPEE AI VARI LIVELLI
NON PRENDERE DI MIRA I COMMISSARI, MA LAVORARE A MONTE CON I FUNZIONARI
INCARICATI DEL DOSSIER
AVVICINARSI ALLA COMMISSIONE DI STUDIO E AL DEPUTATO-RELATORE, MA ANCHE ALLA
COMMISSIONE NOMINATA PER IL PARERE E AGLI “SHADOW RELATORI” DESIGNATI DAI
GRUPPI POLITICI DEL PARLAMENTO EUROPEO
SENSIBILIZZARE
UN
DEPUTATO
INFORMANDOLO
DELLE
RIPERCUSSIONI
DI
UN
DETEREMINATO PROGETTO SULLE IMPRESE LOCALI, E INTERVENIRE NELLA SUA LINGUA
MADRE
LAVORARE CON GLI ASSISTENTI PARLAMENTARI
155
Tutte le informazioni che seguono sono a titolo puramente indicativo e non pretendono di essere
esaustive.
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
PROPORRE AI DEPUTATI, SE NECESSARIO, DELLE VISITE TECNICHE NELLE IMPRESE PER
ILLUSTRARE CONCRETAMENTE LE CONSEGUENZE DEL DOSSIER
La Commissione europea
http://europa.eu.int/comm/index_it.htm
The Electronic Directory of the European Institutions
http://europa.eu.int/idea/it/index.htm
http://europa.eu.int/comm/staffdir/plsql/gsys_tel.display_search?pLang=FR
Il Parlamento europeo
http://www.europarl.eu.int/news/public/default_it.htm
Il Consiglio
http://ue.eu.int/showPage.ASP?lang=it
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE)
http://www.esc.eu.int/index_en.asp
Il Comitato delle Regioni (CdR)
http://www.cor.eu.int/it/index.htm
La Rappresentanza Permanente d’Italia
http://www.italiaue.it
FARSI DELLE ALLEANZE IN SENO AD ORGANI INFORMALI
Le organizzazioni professionali
UNICE
http://www.unice.org/Content/Default.asp
Eurocommerce
http://www.eurocommerce.be/language.jsp
Eurochambres
http://www.eurochambres.be
Le reti
Il Circolo dei delegati permanenti (Francia)
http://www.cdpf-asso.net
American Chamber of Commerce (USA)
http://www.eucommittee.be
Euroclub Brüssel (Germania)
http://www.euroclub-bruessel.de
I think tank
Centre for European Policy Studies
http://www.ceps.be/Default.php
Centre for Applied Policy Research
http://www.cap-lmu.de/english/index.php
European Policy Centre
http://www.theepc.net L’EPC funziona tramite adesione organizza numerose conferenze ed incontri
European Policy Forum
http://www.epfltd.org
Fondation Robert Schuman
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
http://www.robert-schuman.org/gb/index.htm
Notre Europe
http://www.notre-europe.asso.fr
European Centre for Public Affairs
http://www.ecpab.com
Le ONG
Oxfam
http://www.oxfam.org
Solidar
http://www.solidar.org
WIDE
http://www.eurosur.org/wide
I sindacati
La confederazione europea dei sindacati
http://www.etuc.org
NON TRASCURARE I QUOTIDIANI PIÚ LETTI DAI DECISORI EUROPEI
Financial Times
http://news.ft.com/home/europe
Agence europe
http://www.agenceurope.com/IT/GobalFrameset.html
European Voice
http://www.european-voice.com
CIRCONDARSI DI ESPERTI, IN CASO DI BISOGNO
Gli avvocati
Annuario cartaceo, vedere le pubblicazioni di Wilmer Cutler Pickering Hale and
Dorr
http://www.wilmerhale.com/offices/offices
I consulenti ed altri esperti
Consultare le liste elettroniche, tra cui
http://www.lobbyingeurope.com/mod.php?mod=weblink&op=view_category&cid=6&start_num=
0
Gruppi d’interesse accreditati pesso il Parlamento europeo
http://www2.europarl.eu.int/lobby/lobby.jsp?lng=fr
STRINGERE ALLEANZE SETTORIALI SU SCALA EUROPEA
Agricoltura
Confederazione generale delle cooperative agricole dell’Unione europea
http://www.copa.be/it/index.asp
Confederazione europea dei produttori di alcolici
http://www.europeanspirits.org/fr_index.htm
DG agricoltura
http://europa.eu.int/pol/agr/index_fr.htm
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Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Third World Network
http://www.twnside.org.sg
Servizi
European Services Forum
http://www.esf.be/000/index.html
Tessile
Euratex
http://www.euratex.org/
6. Valorizzare la propria immagine di lobbista
FARSI CONOSCERE
La banca dati “Consultazioni, la Commissione europea e la Società civile”
(CONECCS) contiene un repertorio delle organizzazioni della società civile senza
scopo lucrativo, costituite a livello comunitario, su base volontaria.
http://europa.eu.int/comm/civil_society/coneccs/index_en.htm
Il Parlamento europeo è l’unica istituzione che prevede un sistema di
accreditamento.
http://www2.europarl.eu.int/lobby/lobby.jsp ?lng=fr
POTENZIARE LE PROPRIE CAPACITÀ COMUNICATIVE
Il lobbista deve farsi conoscere e deve cercare di perennizzare la sua professione.
7. Sviluppare un lobbying di tipo italiano - alcuni esempi Il lobbying, così come viene praticato dagli italiani, è stato a lungo oggetto di
critiche, perché reputato troppo politico e italo-italiano. È arrivato il momento di
rivitalizzare l’immagine italiana e di sviluppare una specificità, un know-how,
partendo dalle qualità italiane riconosciute oggettivamente.
La potenza non è necessariamente sinonimo di efficacia. L’aggregazione invece
incrementa le possibilità di riuscita. Un adeguato follow-up è indispensabile. È
importante non abbassare la guardia dopo aver messo in atto le attività di lobbying
in senso stretto, per evitare che altri disfacciano quello che si è costruito.
L’influenza si merita e si guadagna con il tempo.
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220
Capitolo V – La guida del lobbista europeo
Innovare
ESSERE CREATIVI, FLESSIBILI E INNOVATIVI,
vedere “Il manifesto dei consumatori per i loro deputati europei”,
BEUC, maggio 2004:
http://212.3.246.143/Content/Default.asp?PageID=322
COMPRENDERE IL “PROCESSO”, IL CONCETTO OPERATIVO DI INTERESSE GENERALE,
vedere l’azione dell’Unione delle industrie chimiche (UIC) sulla proposta di
regolamento REACH:
http://www.uic.fr/fr/5_actualite/actu2.htm#mercer3
SFUTTARE LE RETI, FORMARE DELLE COALIZIONI E MOSTRARE FLESSIBILITÀ NELLA
PRATICA PER ADEGUARSI ALL’EVOLUZIONE DEL DOSSIER,
vedere l’articolo di Ambroise Auge, “Il lobbying come strategia di rafforzamento
della protezione industriale”, Accomex, gennaio - febbraio 2004,
http://www.coe.ccip.fr/02/accomex/pdf/a55.pdf
SUPERARE IL MODELLO ITALO-ITALIANO, ANDANDO OLTRE LE RETI NAZIONALI
European Practitionners and Public Affairs (EPPA)
http://www.eppa.com
Società degli esperti in affari europei (SEAP, Society of European Affairs
Professionals)
http://www.seap.nu
INTEGRARE LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE,
vedere “Guida per capire l’OMC e Ie sue ripercussioni ad uso delle imprese ”
http://www.etudes.ccip.fr/omc/pdf/bon_usage_OMC.pdf
AVVICINARSI ALLE ONG PER METTERE IN PRIMO PIANO L’INTERESSE GENERALE
"ONG - Entreprises : la nouvelle dynamique", CCE International, n° 154, giugnoluglio 2004
http://www.cnccef.org/kiosque/ccf_z_ki_01.htm
"Quand ONG ET PDG osent", settembre 2004, Edizioni Eyrolles
http://www.eyrolles.com
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006
221
Capitolo V – La guida del lobbista europeo
“I 12 segreti decisivi per un lobbying efficace”
secondo Burson-Marsteller156
1)
Essere parte del processo di elaborazione: è necessario raggiungere i decisionmaker quando una tematica appare per la prima volta, così come instaurare dei processi
per identificare quali tematiche emergeranno in futuro che potrebbero richiedere l’intervento
dei decision-maker.
2)
Elaborare una strategia al passo coi tempi: alcune battaglie nell’Unione europea
non si possono vincere frontalmente. Identificate la direzione del cambiamento, e quando
necessario adattatevi al cambiamento, e influenzate la sua direzione piuttosto che cercare
di fermarlo.
3)
Pensare in modo politico: identificate il nucleo dell’argomento politico, i valori e gli
interessi in gioco, e le potenziali basi per raccogliere il consenso.
4)
A Bruxelles è importante dare un carattere “Europeo” al proprio messaggio, e
spesso anche metterlo nel contesto politico: difendere interessi puramente nazionali a
Bruxelles è difficile, se non addirittura contro-produttivo – sebbene un’argomentazione
nazionale potrebbe essere appropriata con alcuni Parlamentari europei o con una
rappresentanza permanente.
5)
Riconoscere e utilizzare le comunicazioni imperfette che sono endemiche tra e
all’interno delle istituzioni europee.
6)
Essere trasparenti: l’ortodossia politica odierna richiede che tutti gli interessi
abbiano il diritto di essere ascoltati. Per questo non dovete temere di essere totalmente
aperti su chi rappresentate, o sorpresi quando anche altri sono ascoltati. Le istituzioni
europee sono più trasparenti della maggior parte delle amministrazioni nazionali.
7)
Alleati, partner e coalizioni: ricercate alleati e costruite coalizioni ogni volta che è
possibile. Coalizioni specifiche, costruite ad hoc attorno a tematiche temporanee, possono
essere influenti tanto quanto alleanze di lungo corso.
8)
Rendersi conto che “sembrare oggettivi” da solo costituisce un messaggio di
lobbying inefficace: supportatelo con riferimenti a scelte politiche e sociali che i decisionmaker devono necessariamente compiere.
9)
Comprendere il legame tra policy, procedimento e strategia: a Bruxelles le
istituzioni e i procedimenti fanno la differenza. Comprendete la relazione tra il procedimento
e il risultato della policy. Il tempismo dell’intervento è sempre cruciale, così come lo è il
rivolgersi alle persone giuste nel modo giusto e con note e presentazioni appropriati ai
diversi interlocutori (ufficiali o politici).
10) Rivolgersi ad avvocati di Bruxelles: andate oltre il lobbying a intermittenza. La
velocità e la costanza del processo decisionale europeo, e i compromessi necessari,
rendono impossibile influenzare le decisioni europee per chi agisce da lontano. Bisogna
essere sul campo.
11) Riconoscere e rispettare le diversità di cultura, lingua e mentalità presenti in
Europa, e quando possibile usarle a proprio vantaggio.
12)
Siate creativi: chi forgia il compromesso, spesso vince a Bruxelles.
Fonte: “The definitive guide to lobbying the European institutions – Spring 2005” di BursonMarsteller
156
Burson-Marsteller è uno delle principali società di consulenza in strategia di comunicazione
e livello mondiale.
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222
Appendice
Le nuove sfide
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223
Appendice
1. La nuova economia mondiale
Negli ultimi 15 anni, il mondo ha vissuto due fenomeni:
a) Si è passati da 1 miliardo a circa 6 miliardi di persone che vivono in Paesi che
hanno adottato una politica economica orientata sulle esigenze del mercato;
b) Si è avviata una rivoluzione tecnologica fondata sulle telecomunicazioni e le
tecnologie informatiche a costi contenuti.
La novità consiste nella convergenza di questi due fenomeni. Questa convergenza
ha generato la nuova economia mondiale.
La nuova economia mondiale non è ristretta a quella che era l’economia high tech.
Si tratta di un cambiamento profondo e irrevocabile di mentalità che va ben al di là
del semplice utilizzo di strumenti informatici. La nuova economia mondiale
differisce significativamente dalla “vecchia economia”, perché la conoscenza è il
fattore principale di crescita. La conoscenza ha sostituito gli input tradizionali di
produttività, quali erano il lavoro e le risorse naturali. Due caratteristiche
contraddistinguono la nuova economia mondiale: rapidità ed esponenzialità.
Il vecchio ciclo economico ricorrente, legato a consumi e produzione, si basava sui
limiti intrinseci dell’offerta. Nella nuova economia mondiale si può dire che il ciclo
non esista più, o che sia molto ristretto, e quindi che i limiti intrinseci dell’offerta
diventino ininfluenti. Ciò è possibile grazie alla spinta tecnologica continua, che
rende flessibile la forza lavoro, il mercato e il capitale. La rapidità corrisponde,
quindi, alla spinta continua verso l’alto della curva di velocità dell’economia
mondiale. Ciò offre opportunità senza precedenti a Paesi, settori d’attività e
persone che solo qualche anno prima si trovavano escluse dal ciclo della vecchia
economia.
A causa della struttura reticolare del mondo, l’effetto esponenziale di qualsiasi
evento, anche piccolo, non necessita dimostrazione. In pratica, si tratta di una
sorta d’effetto di leva o di un moltiplicatore della forza impiegata. Questo fenomeno
può avere tanto effetti molto positivi, quanto catastrofici. Due esempi: Nokia non
sarebbe passata in pochi anni dalla produzione di carta igienica a primo produttore
mondiale di cellulari (35% del mercato mondiale); allo stesso tempo il fallimento,
nel 1998, del hedge fund Long Term Capital Management e le sue pesanti
conseguenze economiche e sociali non sarebbero state possibili. Tra le spinte
esponenziali che influiscono sulla nuova economia mondiale, non vanno
sottovalutate quelle esogene: la crescita demografica; il deterioramento
dell’ambiente naturale. Ad ogni anno perso nella gestione di questi fattori,
corrisponde un numero esponenziale di anni di problemi!
Rispetto alle caratteristiche della nuova economia mondiale, le istituzioni, locali,
nazionali o internazionali, sembrano vivere in un’epoca diversa, con il fattore
tempo ancora molto dilatato. Il differenziale tra le spinte che sostengono la nuova
economia mondiale e il modus operandi delle istituzioni non può che accrescersi.
Ciò comporta delle evidenti asimmetrie e degli asincronismi tra la policy delle
Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006
224
Appendice
istituzioni e le nuove necessità dell’economia e delle persone. Le istituzioni
dovrebbero tener conto delle caratteristiche della nuova economia mondiale:
rapidità, sistema reticolare, abbattimento dei confini e delle barriere, creazione di
conoscenza e apprendimento continuo, affidabilità come requisito per
l’ipercompetitività.
Essendo profondamente cambiata la situazione mondiale, i Paesi, i settori d’attività
e le persone devono riorganizzarsi sulla base dei nuovi parametri, e devono
adattare le policy e gli approcci a questa novità. Pensare in modo nuovo e fare
tutto in modo diverso è la sola strada per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e di
progresso nel futuro157.
Sebbene si sia all’inizio di un processo che si annuncia di lunga durata, è già
possibile identificare alcuni assunti, elementi e regole che caratterizzano la
nascente nuova economia mondiale.
a) Assunti:
I. Lo Stato è diventato più un istituto di regolamentazione
che un attore dell’economia in senso tradizionale.
Infatti, le strutture economiche pubbliche sono state
aperte alla libera concorrenza;
II. Piuttosto che de-regolamentazione, si sta verificando
una nuova regolamentazione che coinvolge insiemi di
regioni nel nuovo sistema mondiale;
III. La rivoluzione tecnologica continua: sta cambiando
completamente e in modo irrevocabile il modo in cui si
opera in campo economico, nella società e in ogni altro
luogo;
IV. La crisi finanziaria asiatica (1997-98), la bolla Internet
(2000), gli attentati del 2001 non hanno potuto
cambiare la rivoluzione economica in corso;
b) Elementi:
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
I processi produttivi sono più veloci e più snelli;
Le alleanze e le catene lunghe di partnership crescono
esponenzialmente, sostituendosi agli M&A;
Più servizi e la possibilità di fornirli a grande distanza;
Rinnovamento ex novo di settori d’attività, anche se già affermati;
I prezzi relativi decrescono: il valore sta nell’innovazione e nella
conoscenza, non più soltanto nei volumi;
Nuove idee di prodotti e servizi: i prodotti si stanno sempre più
trasformando in servizi;
I Paesi, i settori d’attività e le persone che non si integrano in
catene lunghe di partnership e che non innovano sono a rischio;
157
Sullo sviluppo della nuova economia mondiale si vedano, tra gli altri, di J.F. Rischard, Conto alla
rovescia, Sperling & Kupfer, Milano, 2003, e di Matthew Clarke, e-development – development and
the new economy, UNU-WIDER, 2003.
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225
Appendice
VIII.
La competizione si svolge sempre meno sui prezzi, ma dipende
dalla capacità di essere legittimati sul mercato; la legittimazione è
correlata alla capacità di interagire nel mondo reticolare, facendo
uso di fiducia, cooperazione e potere, ma è anche importante che
la nuova regolamentazione riconosca l’esclusività della
conoscenza158 contenuta nei servizi e prodotti proposti;
c) Regole:
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
Mettere gli altri a parte delle proprie conoscenze;
Incorporare e scorporare attività varie, tendendo a concentrare le
risorse disponibili sul core business e fare tutto il resto attraverso
partnership e catene lunghe159;
Mantenere relazioni con e influire sulle istituzioni pubbliche,
perché il loro ritardo non si traduca in ostacoli allo sviluppo
economico e industriale;
Anticipare l’impatto dei fenomeni esogeni160, in termini di
sicurezza e stabilità del sistema nel quale si opera;
Rinnovare ex novo le strategie per lo sviluppo e la stabilità, anche
per attori già affermati;
Pensare in modo diverso sulla base dei nuovi parametri del
sistema mondiale reticolare e multipolare;
Costruire la propria affidabilità per vivere nell’ipercompetitività;
Identificare le catene lunghe di partnership nelle quali integrarsi;
Usare mezzi appropriati per guadagnare una riconoscibile
legittimità sul mercato.
La nuova economia mondiale non risolve gli effetti paretiani della distribuzione
della ricchezza161, ma allo stesso tempo non li aggrava più di prima.
Contrariamente a quanto generalmente s’immagina, o si vuol far credere, non
esiste alcuna “mano invisibile” che governi il sistema economico mondiale162. La
nuova economia mondiale offre, proprio per la sua intrinseca struttura reticolare,
più concrete ed ampie opportunità ad un larghissimo numero di persone, aziende e
Paesi. Mai tale quantità d’opportunità, e di godimento della libertà, è esistita nella
storia umana ed economica.
Solo un approccio oggettivo, e quindi non ideologico, idealista o utopista, permette
di cogliere le opportunità usando in modo efficiente le risorse disponibili per gestire
il self-interest. Le proprietà del mondo reticolare, che superano il concetto
158
Il riconoscimento e la tutela dell’esclusività della conoscenza è un problema fondamentale nella
nuova economia mondiale. In gioco sono principi tradizionali, quali la tutela della proprietà
intellettuale e il complicato sistema dei brevetti.
159
Si tratta di “disintegrare l’integrazione verticale” che aveva caratterizzato il management
industriale degli anni ottanta e novanta, ma anche buona parte dell’allucinazione della new economy
high tech.
160
Esogeni sono quei fenomeni che non sono immediatamente controllabili da un’azione umana. Si
pensi ai fattori culturali, demografici, ambientali, ecc...
161
Nella Teoria sulla distrubuzione della ricchezza, Vilfredo Pareto identificò una legge nota come
80/20, che implica un’identica concentrazione della ricchezza, o del potere, indipendentemente dal
livello di sviluppo o posizione geografica di un Paese.
162
Il riferimento alla “mano invisibile” è preso in prestito dalle teorie sul mercato di Adam Smith.
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226
Appendice
d’interdipendenza, offrono l’opportunità concreta di valorizzare la responsabilità di
tutti gli attori economici creando un circolo virtuoso tra istituzioni, aziende e
persone. Questa tendenza è dimostrata dalla recente crescita della responsabilità
sociale nella gestione degli affari economici163.
Acquisire la capacità di partecipare allo sviluppo del nuovo sistema, anticipandone
gli asincronismi e, soprattutto, organizzandosi per ridurre l’impatto delle asimmetrie
informative, è il solo modo concreto di beneficiare delle opportunità offerte dalla
nuova economia mondiale.
Nella nuova economia mondiale, l’intervento pubblico per supplire all’incapacità di
agire responsabilmente a difesa del self-interest, oppure lo sviluppo di una nuova
regolamentazione di tipo etico, rischiano di distorcere il funzionamento del sistema,
rinforzando vecchie logiche che nel medio termine non possono che essere
perdenti. D’altra parte, la tendenza, ormai irreversibile nel mondo reticolare e nella
nuova economia mondiale, è verso una governance fondata sull’estensione del
processo bottom-up. In questa nuova situazione, l’aspirazione individuale e
collettiva deve essere verso la ricerca dell’equilibrio dinamico, piuttosto che verso
l’applicazione di concetti statici e regolamentati, com’è l’equità sociale ed
economica164.
In pratica, la nuova economia mondiale non richiede l’adesione incondizionata
dell’individuo ad un meccanismo di tecniche positiviste ed empiriste, che credono
nella supremazia della ragione e nell’esistenza della verità assoluta, ma richiede di
agire secondo il self-interest con una dose sufficiente d’eticità e di relativismo
realista. Non sono l’individuo o le collettività a forgiare un mondo di convenienza,
attraverso l’imposizione d’idee, principi e regole più o meno ben ispirate. Invece,
l’individuo o le collettività devono riconoscere l’esistenza della realtà tale quale
essa esiste, accettando il limite che essa impone alle pur molto accresciute
capacità e tecniche umane.
L’esercizio del self-interest, specchiato nella realtà, dopo l’eclissi dell’appartenenza
alla nazione o alla classe, rappresenta la risposta etica per sostenere la libertà e lo
sviluppo di Paesi, aziende ed individui.
163
Si veda, ad esempio, in Corporate Social Responsibility Monitor 2003, i dati relativi al numero di
consumatori o investitori finanziari responsabili. In Europa si è passati dal 36% del 1999, al 62% nel
2001 di consumatori responsabili. In USA, tra i possessori di azioni, che sono il 61% della
popolazione, ¼ dichiara di aver comprato o venduto sulla base della performance sociale
dell’impresa, per un valore stimato nel 1999 a 2000 miliardi di dollari.
164
Sul complesso problema della compatibilità dello sviluppo economico con l’equità sociale e la
sostenibilità ambientale, si raccomanda la lettura di Leonardo Becchetti e Luigi Paganetto, Finanza
etica – Commercio equo e solidale, Donzelli, Roma, 2003.
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Appendice
2. La nuova generazione di best practices a
livello internazionale
a) La sovranità disaggregata degli Stati trova la sua legittimità, interna ed
esterna, in base ai benchmarks e alle network norms che ne determinano
l’accettazione o il rigetto. In pratica, la governance della sovranità è stabilita in
base a standard dinamici: da una lato, attraverso i benchmarks, la comparazione
con le pratiche migliori, e dall’altro attraverso le network norms, l’autoregolazione
propria delle reti165.
b) Nuove alleanze si fondano sulle coalizioni d’interessi condivisi, come ad
esempio: sicurezza, stabilità, sviluppo. Le caratteristiche tradizionali dei nuovi
alleati sono irrilevanti, mentre ciò che conta è la condivisione dei rischi per
raggiungere obiettivi di comune interesse in una situazione specifica e delimitata.
c) Solo i soggetti, o le alleanze di soggetti, di misura relativamente grande,
possono influire sul processo decisionale mondiale e regionale (ad esempio,
europeo).
d) Le strutture corporative, le organizzazioni non governative, i gruppi
d’interesse economico, le strutture governative e quelle elette dal popolo, hanno
pari legittimità nell’elaborazione della policy a livello locale, nazionale, e
internazionale166.
e) La struttura del mondo reticolare, rilassata, informale, e non gerarchica,
funziona secondo l’applicazione bilanciata di fiducia, cooperazione, e potere, nelle
relazioni e nelle interconnessioni tra gli elementi che la compongono. Fiducia,
cooperazione e potere hanno l’effetto di aggregare gli elementi formando dei nuovi
insiemi. Per questa ragione, servono regole globali, orizzontali e verticali, che non
richiedono la centralizzazione del potere167:
- Massima inclusione di tutti i soggetti rilevanti in un determinato processo
decisionale (global deliberative equality);
- Legittimità delle diversità (legitimate difference) nel rispetto dei principi
fondamentali comuni;
165
Questi principi si sono sviluppati negli ultimi 20 anni nel settore del diritto commerciale
internazionale. Deviare dagli standard accettati e riconosciuti genera dei costi molto elevati che
hanno una funzione preventiva maggiore delle sanzioni di tipo tradizionale. Dal punto di vista del
diritto pubblico internazionale, organizzazioni come l’Unione europea o la Comunità delle
Democrazie, operano una selezione dei potenziali membri attraverso l’applicazione di standard, che
non sono altro che dei benchmark e delle network norms autogeneratesi.
166
Non si vuole dire che il ruolo dei governi non esista più, ma che esso si è trasformato agendo in
una rete di relazioni orizzontali che include legittimamente attori non statali. Si pensi al modo in cui
si formano le policies in organizzazioni come l’Unione europea, l’OMC, il NAFTA, o la ICC.
167
In altre parole le ipotesi di governo mondiale di tipo sovranazionale sono ormai desuete e
inapplicabili. Le regole citate sono tratte da Anne-Marie Slaughter, op. cit., pagg. 216-259. È
interessante notare come molti dei principi elencati siano già in uso sia all’interno del modello
dell’Unione europea, si pensi ad esempio alla relazione tra la Corte Europea di Giustizia e le corti
nazionali, sia nelle relazioni tra UE e US, si pensi ad esempio agli accordi del 1991 in materia di
concorrenza e di anti-trust.
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228
Appendice
- Azioni positive di cortesia (positive comity), consultazioni e concreta
assistenza sostituiscono le azioni unilaterali e quelle deferenti168;
- Dialogo come fonte creativa dell’innovazione e moderatore prudenziale
(checks and balances);
- I processi decisionali devono essere bottom-up, in altre parole la
governance mondiale deve restare locale (subsidiarity).
f) La governance del mondo reticolare si genera dalla sua stessa struttura,
superando e sostituendo il concetto transnazionale d’interdipendenza169: gli attori
del mondo reticolare hanno una doppia responsabilità, sia nei confronti delle loro
constituencies locali e nazionali, sia nei confronti della comunità mondiale.
g) La nuova sovranità (disaggregata) di uno Stato può esistere ed esprimersi
solo attraverso la partecipazione di un governo al sistema internazionale: ciò
implica che gli elementi che compongono uno Stato, sia le istituzioni locali o
nazionali sia la società civile, devono riorganizzarsi per espandere e moltiplicare la
loro capacità di partecipazione orizzontale (fiducia e cooperazione) e verticale
(potere) nella rete governativa mondiale che genera le policies pubbliche.
h)
I governi devono diventare arbitri del sistema nel suo complesso,
assumendo essi stessi la responsabilità democratica delle scelte specifiche
effettuate: in altre parole, nella nuova situazione di reti mondiali di governo, le
scelte autarchiche non hanno più ragion d’essere. È necessario, invece, agire con
un mix di fiducia, cooperazione e potere, in correlazione con gli altri governi
cercando di influenzare il sistema nel suo complesso.
i) L’approccio idealista ed utopista ha influenzato il corso della storia per due
secoli, a partire dal roussovianismo politico e dal giacobinismo rivoluzionario
francese. Esso raggiunse il suo apogeo nella lotta per le idee universali che nel
secolo XX ha prodotto catastrofi umane, politiche ed economiche senza
precedenti. Il declino del pensiero universalistico, sia politico sia economico ha
permesso l’emergere di un approccio culturale anti-utopistico, realista, che implica
l’accettazione della realtà tale qual è. In questo nuovo quadro di riferimento, il
principio di self-interest170, sia individuale sia collettivo, è progressivamente
adottato da tutte le sfere dell’agire umano e, cosa più importante, da tutte le
culture. L’espandersi globale del self-interest è stato possibile dopo il crollo
dell’Unione Sovietica e simultaneamente alla diffusione planetaria delle reti171.
l) La formazione di una policy avviene attraverso l’armonizzazione del proprio
self-interest (politico, economico, o individuale) con quello degli altri. Ciò implica il
rovesciamento del modo di pensare tradizionale che fondava le decisioni
sull’esercizio indipendente ed esclusivo della sovranità, permettendone
l’applicazione coercitiva interna e la proiezione fuori dei limes. Il nuovo modo di
168
Le azioni deferenti erano tipiche del sistema bipolare, in cui gli Stati erano aggregati in modo
verticale in base al potere di una o l’altra superpotenza.
169
Il concetto d’interdipendenza nacque negli anni sessanta e settanta. Esso portò alla creazione di
strutture create da Stati sovrani e unitari per gestire la cooperazione tra di essi, principalmente in
materia macroeconomica.
170
La definizione del self-interest che adottiamo è: il saper prendere misure per trarre vantaggio
dalle opportunità (taking advantage from opportunities). È importante segnalare che il concetto di
self-interest qui utilizzato non si traduce in individualismo egoista e non raggiunge gli estremi
dell’egoismo razionale.
171
Anche la Cina comunista, dopo la tragedia di Piazza Tienamen nel 1989, ha permesso il selfinterest come motore di sviluppo economico individuale e collettivo: nel 2001 il presidente cinese
Jang Zemin ha deciso di permettere agli imprenditori capitalisti di iscriversi al partito comunista.
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Appendice
pensare supera i limiti etno-spaziali della sovranità: esso implica la necessità di
definire in modo certo e preciso il proprio interesse, locale e/o nazionale,
inserendolo saldamente nell’ambiente reticolare mondiale. In questa nuova
situazione, affermare una policy significa saper gestire una fitta rete di relazioni, in
altre parole saper gestire i modelli organizzativi in base ai quali l’insieme funziona
come funziona.
m) Prima della rivoluzione tecnologica degli anni novanta, il sistema planetario
era un “piccolo mondo” basato sulla certezza della perennità degli Stati-nazione
che generavano poche reti d’interconnessione esclusivamente tra le elites. Ciò
permetteva la prevedibilità più facile delle mosse degli altri. La rivoluzione
tecnologica ha propagato Internet, la rete globale delle reti. Con ciò le reti
d’interconnessione si sono moltiplicate, massificate e intricate. Le reti e i loro
modelli sono l’attualità del mondo contemporaneo, e probabilmente lo saranno per
un certo tempo futuro. Le reti hanno cambiato il modo di pensare e di agire: ieri il
valore risiedeva nelle persone, oggi nelle connessioni tra le persone. Sono questi
cambiamenti strutturali profondi del sistema che generano gli asincronismi, in altre
parole delle transizioni di fase improvvise. Gli asincronismi sono l’effetto della
propagazione disordinata dei punti critici. Il concetto alla base del punto critico è
che cambiamenti di minima entità abbiano spesso conseguenze di notevole
portata. I punti critici si diffondono assai facilmente, per contagio ed ondate, tra i
connettori nelle strutture reticolari. Ciò può spiegare come mai mutamenti
apparentemente insignificanti trasformino improvvisamente comunità, settori
d’attività, e nazioni.
n) La propagazione delle idee (nuove) era, fino ad un passato recente,
privilegio di una piccola elite. La trasmissione della tradizione (idee vecchie) era di
massa, ma limitata in confini etno-spaziali identificabili. Per queste ragioni, le
necessità informative degli individui erano relativamente ristrette. L’espansione
delle reti degli anni ’80-’90 ha, per così dire, democraticizzato le idee, rendendole
sempre piu’ accessibili e permettendo a tutti di propagarle. L’effetto economico di
questa trasformazione è stato devastante per molte media companies. Per questa
ragione, il valore non risiede piu’ nella rete di trasmissione o nelle idee, ma nella
capacità di creare desideri ed idee contagiosi, da trasmettere da una mente
all’altra. Tutto ciò, ma anche propagando l’ideavirus172, genera degli squilibri
qualitativi tra i ricettori e i connettori delle idee, creando delle asimmetrie
informative all’interno della rete. Questa pratica, inizialmente sviluppatasi nel
marketing commerciale, si è estesa al mondo sociale, finanziario, e alla politica173.
A ben vedere l’attuale guerra al terrorismo si gioca anche sulle asimmetrie
informative di una parte e un’altra. La conseguenza è che l’informazione
asimmetrica174 è oggi il principale fattore che influisce sulla fortuna e lo sviluppo di
comunità, settori d’attività e nazioni.
172
Si veda di Seth Godin, Propagare l’ideavirus, Alchera Words Editore, Milano, 2001.
Si pensi al contagio terrificante degli annunci e delle immagini sui rapimenti e le esecuzioni.
Oppure, inversamente, alla mancanza di contagio che hanno avuto le “prove” sulle armi di
distruzione di massa e quindi la guerra per la sicurezza mondiale. Mentre, il contagio è riuscito per
ideevirus quali la pace, il dialogo, e la cooperazione.
174
L’analisi dell’impatto dell’informazione asimmetrica in economia e finanza è valso il Premio Nobel
2001 a Joseph Stiglitz, Geroge Akerlof, e Michael Spence.
173
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Appendice
3. Un cambiamento di metodo: policy,
practices, politics
I sistemi – locale – nazionale – mondiale - si sviluppano su tre dimensioni
caratterizzanti e interdipendenti: policies, practices, politics.
L’uso di questi tre termini inglesi è dettato dalla sinteticità della
lingua anglosassone che esprime concetti che altrimenti
richiederebbero delle circonlocuzioni. Cerchiamo d’intenderci
sul significato originale di queste tre parole:
a) Policies. Non va confusa con “politica”. S’intende, invece,
una catena di argomentazioni che razionalizza le scelte e la
direzione delle azioni adottate da un governo, da
un’organizzazione, o da un individuo;
b) Practices. S’intende, l’esercizio consuetudinario e ripetuto
con cui si compiono certe operazioni o si determinano i
comportamenti;
c) Politics. Non va confusa con l’accezione italiana di “politica”,
che è la teoria e la pratica di gestione dello Stato e di
direzione della vita pubblica. S’intende, invece, l’esercizio
consuetudinario o professionale della gestione delle
relazioni sociali, attraverso l’uso dell’autorità o del potere,
oppure con la costruzione di una comunicazione linguistica
finalizzata a fare accettare una certa policy all’opinione
pubblica.
Non è possibile spiegare i cambiamenti delle policies senza conoscere le politics
che devono generarle e legittimarle, e le practices che esistono o che dovrebbero
cambiare.
Allo stesso modo non è possibile spiegare i cambiamenti nelle practices senza
conoscere le policies che le precedono e le facilitano, e le politics che le generano
e le comunicano.
I cambiamenti nelle politics si capiscono conoscendo i cambiamenti nelle policies e
nelle practices che si sviluppano sempre più spesso indipendentemente dalle
prime.
Inoltre, le policies senza le politics potrebbero far pensare all’esistenza di una
razionalità pura basata su calcoli d’interesse, oscurando altre ragioni che
sottendono le scelte, come gli intrinseci fattori culturali.
E ancora, le practices senza le policies e le politics potrebbero far pensare a scelte
determinate solo da esigenze economiche o dagli interessi di taluni soggetti.
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Appendice
Per concludere, le politics senza le policies e le practices potrebbero far pensare
all’esistenza di un’intelligenza oggettiva che riconosca e legalizzi solo le esigenze
degli attori economici175.
Le tre dimensioni servono a comprendere pienamente il funzionamento dei sistemi
sociali complessi. Le tre dimensioni sono interdipendenti. Ciascuna dimensione
necessita un’analisi separata, ma è solo la loro interazione che permette di
apprezzare le caratteristiche dell’insieme.
Non esiste un codice unico di policies, practices, e politics, che sia applicabile, o
applicato, universalmente. Nella realtà, sia il processo di globalizzazione sia quello
d’europeizzazione176 funzionano sulla base di mix delle tre dimensioni, assai
diversi tra loro. Questo spiega l’assoluta rilevanza dei sistemi locali e/o nazionali
nei due processi. Si tratta, quindi, di un adjustement continuo, eventualmente di
una tendenza verso una direzione comune, e non già di una mera applicazione di
regole o ricette prestabilite altrove.
Empiricamente è possibile verificare tutto ciò misurando l’impatto dei processi
d’europeizzazione e globalizzazione sugli indicatori economici e sociali: ad
esempio, sugli indicatori della povertà o della disoccupazione nei diversi sistemi di
welfare177. Si scopre che nello stesso periodo di tempo, l’applicazione differente
del mix di policies, practices e politics porta a dei risultati molto diversi, non
convergenti, in ciascun sistema di welfare. Ciò conferma l’inesistenza di un
modello unico di società, quello che i francesi chiamano la pensée unique, ma che
nel nuovo sistema globale regna invece la diversità e la libertà. È facile intuire che
non ha ragion d’essere la contestazione dei processi d’europeizzazione e di
globalizzazione sulla base della pretesa perdita di sovranità, autonomia o controllo,
reclamata da taluni.
Le differenze nei risultati dell’applicazione di policies, practices, e politics si
spiegano in base alla capacità di ciascun sistema di identificare e gestire il selfinterest, le proprie priorità, e quindi di operare i necessari trade-offs che
caratterizzano l’attuale modo di formazione delle policies, a livello locale,
nazionale, e mondiale. In pratica, i Paesi che hanno compreso ed integrato la
novità del mondo reticolare hanno più opportunità d’altri nell’influire sulla
formazione delle policies che li riguardano. Tuttavia, è bene ripetere che nella
formazione delle policies è fondamentale che tutti gli attori - istituzioni, settori
d’attività, e persone - contribuiscano attivamente e responsabilmente a quel
processo bottom-up tipico del mondo successo di un’azienda è intrinsecamente
dipendente dalla sua capacità di interagire orizzontalmente e verticalmente nella
formazione delle policies che la riguardano. reticolare. E’ chiaro, quindi, che anche
il successo di un’azienda è intrinsecamente dipendente dalla sua capacità di
interagire orizzontalmente e verticalmente nella formazione delle policies che la
riguardano.
175
Usando queste tre dimensioni nell’analisi di tre Paesi, – Inghilterra – Francia - Germania, si
raccomanda la lettura di Vivien A. Schmidt, The futures of European capitalism, Oxford University
Press, 2002.
176
S’intende sia il processo di comunitarizzazione sia quello di integrazione.
177
A questo proposito, per approfondire lo studio di dati è possibile consultare le statistiche
dell’Eurostat o dell’OCSE.
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Appendice
Le practices sono molto più legate alla tradizione storica e culturale di quanto
s’immagini. In effetti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante alcune
modifiche dei sistemi rispettivi di capitalismo, sono rimaste forti le identità
tradizionali nelle tre tipologie di capitalismo: market capitalism; state capitalism;
managed capitalism. Tre esempi europei di questa realtà sono, rispettivamente:
Regno Unito; Francia; Germania178. La ragione della resistenza della tipicità dei
sistemi va ricercata nelle politics.
Le politics, sono quei metodi che fanno accettare una certa scelta all’opinione
pubblica. Le politics sono un elemento centrale del cambiamento non traumatico,
del cambiamento condiviso. È noto che ogni proposta di riforma, in altre parole di
cambiamento graduale e condiviso, si scontra con interessi acquisiti, ostacoli
istituzionali, e paraocchi culturali. Il cambiamento sfida non solo i piccoli interessi
personali o di larga parte della popolazione, ma sopratutto sfida i valori e la
concezione dell’identità nazionale.
Sia che si tratti di sistemi ancora centralizzati o invece di sistemi decentralizzati, o
federali, vincere le elezioni è solo il primo passo. Paventare la vulnerabilità
economica, o esaltare la capacità politico-istituzionale, non basta. La
comunicazione è l’elemento generante e legittimante, vincente, per qualsiasi
politics. Ciò include qualsiasi cosa gli attori delle politics dicono tra di loro e
all’opinione pubblica, il loro bagaglio di policies e di valori, che interagisce con
l’opinione pubblica nella costruzione e comunicazione di una policy.
Il linguaggio delle politics deve simultaneamente essere convincente negli aspetti
cognitivi e coordinativi. Per la funzione cognitiva è necessario dimostrare la logica
e la necessità di un programma di policy, la capacità normativa che ne consegue,
valorizzando le proposte attraverso un appello ai valori nazionali. Per la funzione
coordinativa è necessario adottare un linguaggio accessibile che presenti la
struttura della costruzione delle policies. Il resto è fatto attraverso il processo di
persuasione dell’opinione pubblica, con operazioni di comunicazione della propria
determinazione in presentazioni pubbliche179.
Nel processo di adjustment economico è necessario convincere l’opinione pubblica
che i cambiamenti proposti sono non solo necessari ma anche appropriati. Questo
perché i cambiamenti economici toccano in profondità la struttura dei valori e
dell’identità nazionale. La difficoltà sta nel separare il linguaggio delle politics dalla
capacità di ri-concettualizzare gli interessi nelle policies, invece che solo rifletterne
i punti chiave nelle politics. In pratica, la difficoltà risiede nella ricerca dell’equilibrio
tra gli aspetti cognitivi e coordinativi delle politics che determinano l’accetabilità
delle policies in un determinato momento e situazione. Un esempio è costituito
dalla divergenza tra le policies adottate dai governi in sede europea e le politics
che essi presentano ai loro elettori, a livello nazionale o locale180.
178
Si veda, di Vivien A. Schmidt, op. cit. Pagg. 107-147.
In quasi tutti i Paesi, con l’eccezione degli estremisti, tutti gli attori delle politics adottano queste
regole di comportamento. Ciò spiega il successo dei talk-shows, che sono i focus group degli attori
delle politics, i nuovi connettori delle scelte di policy. D’altra parte, il destino di una presidenza della
più grande democrazia occidentale, gli USA, si gioca anche in un faccia-a-faccia televisivo, qualche
settimana prima delle elezioni!
180
Si rimanda al capitolo VI, L’Europa verso il 2013, in cui si dimostra come le policies per la
strategia di Lisbona si scontrano con le politics e practices nazionali e locali che ne impediscono
l’applicazione.
179
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Appendice
In materia di policies economiche è molto difficile persuadere allo stesso tempo
l’opinione pubblica e i soggetti economici interessati. Ciò spiega il ritardo nel
cambiamento di molti Paesi. Il fattore culturale gioca a vantaggio dei Paesi
anglosassoni rispetto ai Paesi continentali d’Europa che, avendo preservato una
struttura sociale ed economica dipendente dalle certezze dello Stato, hanno più
difficoltà a far accettare il cambiamento all’opinione pubblica ed agli attori
economici, e quindi alle persone. Quanto ai Paesi di nuovo sviluppo, ad esempio
India e Cina, non avendo una tradizione riconosciuta come valida dall’opinione
pubblica, è molto più facile aderire al cambiamento, anche attraverso tappe veloci.
Il processo d’internazionalizzazione dei mercati finanziari e del commercio è una
realtà consolidata nelle tre dimensioni analizzate. Questa realtà sta promuovendo
cambiamenti importanti nella struttura delle relazioni d’affari: il business guadagna
autonomia in funzione della sua taglia, allarga i suoi orizzonti a livello
internazionale, e il capitale è sempre più dipendente dai mercati finanziari invece
che dalle banche o dallo Stato. Il rapporto business-governo si è ulteriormente
allentato, anche in ragione del processo di liberalizzazione e privatizzazione dei
settori economici precedentemente controllati dagli Stati. Ciò ha cambiato il
rapporto di forza tra i governi e il business: il lavoro si è indebolito perchè ha perso
la tradizionale protezione da parte dello Stato, mentre il business ha guadagnato
forza contrattuale nei confronti del lavoro e dei governi. Infine, questi tre soggetti,
business-lavoro-governi, negoziano tra loro con una più pronunciata tendenza al
mercato e alla decentralizzazione.
Dal punto di vista delle policies, il rapporto business-lavoro-governo è
tendenzialmente orizzontale, basato sulla cooperazione e la fiducia invece che
sullo scontro tra interessi. Dal punto di vista delle practices e delle politics, invece,
il sistema economico rimane ancorato alle specificità nazionali, secondo le tre
tipologie già ricordate in precedenza. Questa divergenza porta alcune
conseguenze che, nel sistema europeo, si evidenziano nel progressivo sviluppo di
differenze settoriali e regionali, di una certa rilevanza.
Lo sviluppo di queste differenze settoriali e regionali è funzione diretta
dell’approfondimento181 del mercato unico europeo e della crescente coesione
monetaria iniziata con l’adozione dell’Euro. In pratica, poichè il business è molto
sensibile all’influenza dei fattori nazionali182, che sono le practices e le politics, la
distribuzione geografica dei settori d’attività dipenderà dal grado di competitività
internazionale offerto da un sistema economico in quel settore d’attività.
La conseguenza è che le aziende dominanti sceglieranno di stabilirsi nei territori
che offrono il maggior vantaggio competitivo per un determinato settore d’attività.
Infine, non è una coincidenza che le macro policies dell’Unione europea in materia
di industria e ricerca sostengano sempre di più la creazione di poli d’eccellenza da
distribuire nei territori degli Stati membri183. È chiaro che le practices e le politics
nazionali e locali hanno un’influenza determinante sulla scelta appropriata e sulla
181
Nella terminologia comunitaria “approfondimento” indica le strategie e le misure legislative
necessarie ad espandere la portata, orizzontale e verticale, del progetto di Unione europea.
182
Tra i fattori nazionali che influenzano in modo determinante il business, ne ricordiamo almeno tre:
la qualità dell’ambiente relazionale; mercato e qualità del lavoro; opportunità finanziarie e fiscali.
183
Ci riferiamo al processo detto di “Lisbona”. Si veda in proposito la Comunicazione della
Commissione dell’Unione europea su “Science and technology, the key to Europe’s future Guidelines for future European Union policy to support research”, del Giugno 2004, COMM
(2004)353.
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Appendice
sostenibilità di un determinato settore d’attività per la creazione di un polo
d’eccellenza.
In conclusione, è evidente che si determina la crisi di un sistema se le idee
(politics) non riescono a spiegare le policies, che non riescono a facilitare il
funzionamento delle practices (lavoro).
Inversamente, dipendendo dalla vulnerabilità economica, dalla capacità
istituzionale politica, e dall’eredità culturale che determina le preferenze nelle
policies, si crea sviluppo se le nuove idee (politics) generano e legittimano le
nuove policies, che facilitano le nuove practices (lavoro)184.
184
Per un’analisi teorica più approfondita di questo tema e per una rappresentazione grafica di
questo processo si veda di Vivien A. Schmidt, op. cit., pagg. 303-310.
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Appendice
4. Strategia e lobbying: riorganizzare gli enti
e le imprese
Un cambiamento pregnante ed irreversibile del mondo si è prodotto negli ultimi 15
anni, attorno a due forze convergenti:
a) Il costituirsi del mondo reticolare e multipolare;
b) L’espansione della nuova economia mondiale.
In sintesi, la nuova situazione determinata dall’agire di queste due forze significa
che:
Paesi, aziende, e individui sono chiamati ad assorbire nel proprio
immaginario la nuova struttura, le proprietà, e le nuove regole del mondo
reticolare e multipolare.
Il nuovo sistema mondiale vive nella rapidità e nell’esponenzialità dei
fenomeni che generano enormi opportunità, ma anche insicurezza ed
instabilità crescenti per tutti i settori d’attività umana.
Le caratteristiche del nuovo sistema mondiale sono: conoscenza interconnettività - ipercompetitività.
Nuove conoscenze sono necessarie per soddisfare le proprie ambizioni,
competere, e raggiungere obiettivi concreti. Tutti devono adottare
prospettive intellettuali diverse, prendendo a prestito concetti di scienze
nuove che studiano le strutture organizzative e le correlazioni tra realtà
apparentemente diverse e distanti tra loro.
Il successo di Paesi, aziende, e individui, non è frutto della casualità ma è
correlato alla capacità di saper usare e bilanciare i nuovi canali
d’aggregazione e d’interconnessione del mondo reticolare: fiducia –
cooperazione - potere.
Occorre riorganizzarsi, strutturalmente e culturalmente, per saper
rispondere con rapidità ed efficacia alle novità, e per gestire le discontinuità
strutturali (asincronismi) e le asimmetrie informative che influenzano
improvvisamente affidabilità, reputazione e ricchezza di Paesi, aziende, o
individui.
In questo contesto è necessario operare dei cambiamenti strutturali che
permettano a Paesi, aziende, e individui di saper prendere le misure adeguate per
trarre vantaggio dalle opportunità.
Per cambiare e riorganizzarsi in modo informato è necessario conoscere sistemi e
modelli complessi, e i processi decisionali capaci di generare scelte ed
orientamenti, generali o particolari. Nelle pagine che seguono descriviamo il
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236
Appendice
processo metodologico utile per Paesi, settori d’attività, e persone che intendano
andare oltre le coincidenze tra i fenomeni nel mondo contemporaneo.
Il primo passo, è definire, circoscrivere e gestire il proprio self-interest. Questo
capitolo descrive una metodologia per la gestione del self-interest185.
La metodologia per la gestione del self-interest permette di raggiungere tre
obiettivi:
Non ragionare in base alle certezze tradizionali ma cambiare i riferimenti
culturali che usiamo nella nostra vita e attività;
Comprendere, con un certo anticipo, i cambiamenti nei sistemi complessi;
Saper influenzare i processi decisionali che sottendono alle decisioni e agli
eventi, agendo sui connettori e sui punti critici del sistema.
L’applicazione di questa metodologia permette di accrescere le proprie
opportunità, la propria fortuna, e di essere soggetti attivi degli sviluppi invece che
di subirne le conseguenze improvvise e, talvolta, terrificanti. I soggetti attivi sono
quelli che:
a) Acquisiscono e sviluppano in modo continuo la conoscenza necessaria,
essendo ben interconnessi sulla piattaforma reticolare e multipolare
mondiale;
b) Interagiscono nel nuovo sistema mondiale, secondo i nuovi parametri e le
nuove regole;
c) Influiscono sulle scelte, quindi sullo sviluppo degli eventi, e colgono le
opportunità che si presentano nel nuovo sistema mondiale.
Gli strumenti utilizzati nell’applicazione di questa metodologia sono due:
A. Policy Analysis
a. Dimensione oggettiva (information analysis)
b. Dimensione relazionale (intelligence analysis)
c. Dimensione di prospettiva (strategic analysis)
B. Strategia
a. Valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment)
b. Organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting)
c. Realizzazione della strategia (implementation)
B. La Policy Analysis facilita la comprensione di un sistema nella sua
dimensione oggettiva, relazionale, e di prospettiva. In pratica è l’analisi,
statica e dinamica, della catena di argomentazioni che razionalizzano le
scelte e la direzione delle azioni adottate da un governo, da
un’organizzazione, o da un individuo. Inoltre, essa cerca di conoscere, nel
compiersi, l’insieme e le interazioni tra le tre dimensioni caratterizzanti di un
185
Sulla rilevanza del self-interest nel mondo contemporaneo rimandiamo a quanto scritto nella
Sezione II,3 del Capitolo II.
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237
Appendice
sistema: policies, politics, e practices. L’analisi è svolta nell’ambito dei nuovi
parametri di riferimento del mondo reticolare e multipolare: rapidità ed
esponenzialità. Infine, essa permette di inquadrare una situazione, nel
presente e nel suo plausibile divenire, secondo i canali d’aggregazione del
nuovo sistema mondiale: fiducia, cooperazione, e potere. È facile intuire
che questo processo crea un evidente vantaggio che la tradizionale
raccolta d’informazioni (information gathering) non offre. Il processo logico
che porta a compiere una Policy Analysis è composto da almeno tre
indagini principali:
a. La dimensione oggettiva (information analysis) fornisce una visione
imparziale dei processi decisionali e di policy making.
Indipendentemente dalla qualità e dall’oggetto del policy making, la
dimensione oggettiva include: le procedure regolamentari e
legislative, e la mappatura delle diversità e delle opportunità che ne
derivano; il riconoscimento dell’ambiente186 nel quale si opera, così
come del mercato e della concorrenza; le rilevanti questioni
economiche, finanziarie e i fattori culturali; il potere, i suoi rapporti, e
le sue proprietà; l’identificazione degli influenti.
b. La dimensione relazionale (intelligence analysis) fornisce una
visione di fondo delle caratteristiche degli influenti nei processi
decisionali e di policy making, così come degli individui che
interagiscono in una determinata rete di relazioni. Essa permette di
evidenziare i connettori e i punti critici di una determinata rete.
c. La dimensione di prospettiva (strategic analysis) contestualizza ed
evidenzia i fattori che influenzano le scelte di policy, gli influenti
nuovi ed emergenti, ed identifica le tendenze e i cambiamenti
plausibili nelle policy.
Tuttavia, per ottenere dei risultati concreti, la Policy Analysis da sola non è
sufficiente: è necessario intervenire su una determinata situazione con una serie di
misure altamente selettive, rivolte con sapienza a pochi individui precisi, e agendo
sui connettori e sui punti critici del sistema.
C. La Strategia permette di scegliere e circoscrivere gli obiettivi da
raggiungere, e di usare al meglio le risorse disponibili per ottenere i risultati
desiderati. Tenendo presente che la Strategia è un processo dinamico che
si basa sui continui inputs della Policy Analysis, tre fasi sono comuni
all’insieme del processo:
a. La valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment) serve per:
mettere una determinata situazione in prospettiva con parametri
diversi; identificare, valutare, ed avvalorare gli obiettivi; sviluppare
soluzioni ai problemi e alle questioni; sviluppare un piano d’azione
condiviso.
b. L’organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting)
permette di: predisporre gli elementi della struttura operativa e di
186
L’ambiente è quell’insieme di fattori esogeni che influiscono sullo spazio e sulle relazioni
nell’ambito delle quali si deve operare.
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238
Appendice
sostegno; identificare e selezionare le
sistematizzare le possibili opzioni operative.
risorse
necessarie;
c. La realizzazione della strategia (implementation) include: formazione
delle persone e sviluppo delle capacità; accompagnamento,
attraverso la formulazione continua di raccomandazioni e consigli;
sviluppo e realizzazione della strategia scelta; fornire, in continuo,
feedback, osservazioni, idee, informazioni di fondo, ed opinioni;
provocare o stimolare le idee o il cambiamento.
Policy Analysis e Strategia sono gli strumenti necessari per avere un approccio
operativo efficace ed efficiente, ma la nuova situazione mondiale richiede anche lo
sviluppo della conoscenza. Ciò significa, da un lato, per le attività produttive e i
servizi, il continuo investimento nella ricerca e nell’innovazione, e dall’altro, per i
Paesi e le persone, il continuo investimento nella formazione e nello sviluppo delle
capacità. È solo attraverso la conoscenza che si può vivere la complessità del
mondo contemporaneo.
Se è certo che la ricerca e l’innovazione permettono da sole, ad un’azienda, un
Paese, o una persona, di mantenere alto il grado di competitività, è anche certo
che la conoscenza ha valore (economico) se essa è condivisa. Quindi, siamo in un
processo circolare continuo di ricerca-innovazione-condivisione. La ricercainnovazione spinge verso l’alto la curva della competitività, la condivisione della
conoscenza permette di sfruttare le enormi opportunità del mondo reticolare e
della nuova economia mondiale187. Infine, è certo anche che restare fermi, sulle
glorie del passato, oppure in atteggiamento difensivo (proponendo barriere) per
perpetuare i risultati del presente, è fatale, in assai poco tempo.
La formazione e lo sviluppo delle capacità delle persone sono elementi essenziali
per spingere verso l’alto la curva di valore del capitale sociale. D’altra parte,
sappiamo che più alto è il valore del capitale sociale e più efficiente e competitivo è
un sistema, sia esso un Paese o un’azienda.
Queste considerazioni sul mondo dell’ipercompetitività valgono anche per le
singole persone che, per restare nel mondo produttivo, sono chiamate a vivere una
costante sfida d’aggiornamento della propria conoscenza e delle capacità.
Esiste dunque una correlazione tra la capacità di gestione del self-interest e lo
sviluppo della conoscenza. Per questa ragione, è utile indicare alcune regole per lo
sviluppo della conoscenza:
a) Avere la curiosità di capire che cosa succede al di fuori del proprio settore
d’attività, territorio o cultura;
187
Si pensi, ad esempio, al valore di ritorno che hanno i prodotti derivati dal know-how occidentale in
settori come la moda o il design. Dopo una lunga battaglia contro le contraffazioni, peraltro
inefficiente e costosa, queste industrie hanno capito che le contraffazioni incrementano la quota di
mercato totale generando una sempre nuova domanda, anche in realtà socioeconomiche nuove e
lontane, e più povere. In altri termini, la delocalizzazione risolve il problema dei costi di produzione e
della competitività nell’immediato, ma se non è accompagnata da investimenti in ricerca ed
innovazione rischia di diventare un boomerang per chi la fa.
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Appendice
b) Percepire in anticipo le tendenze locali, nazionali e globali, e le loro
interazioni, in materia economica, di policy, di stabilità e di sviluppo;
c) Comprendere ed avere consapevolezza dei fenomeni e delle situazioni,
locali, nazionali, e globali;
d) Identificare e riempire i vuoti logici e qualitativi della conoscenza per evitare
che essi devino dal raggiungimento dei risultati desiderati;
e) Eliminare, quando possibile, le cause della distorsione della percezione o
delle idee;
f) Tendere ad essere in controllo delle situazioni e dei loro sviluppi attraverso
una formazione continua basata sulla conoscenza;
g) Migliorare le capacità di leadership attraverso la costruzione di percezioni
positive che innalzano il proprio profilo.
Sebbene ogni situazione sia specifica, sappiamo che la sua evoluzione può essere
compresa facendo uso di logiche e metodi operativi più efficaci, piegando al nostro
servizio saperi nuovi e complessi perché ci forniscano le capacità d’analisi e le
strategie necessarie per riuscire con successo nel nuovo sistema mondiale.
S’intuisce che per prendere delle decisioni informate e adatte alla complessità del
nostro mondo, è ormai imprescindibile l’integrazione di nuove competenze ai
saperi settoriali e/o tradizionali. Ciò vale per Paesi, aziende, e individui. Acquisire
la capacità di cercare da soli queste nuove competenze è molto difficile ed
economicamente poco efficiente. Come già avviene nel mondo anglosassone,
nuovi consiglieri e formatori affiancano le persone e le strutture che sono chiamate
a prendere delle decisioni che riguardano il destino di Paesi, aziende, o persone.
Queste nuove figure professionali, i così detti spin-doctors, sono iperconnessi con i
nodi della rete mondiale da cui sanno ottenere la conoscenza e le informazioni che
sanno usare per gestire in modo efficiente il self-interest.
Proposte per sensibilizzare le imprese: il ruolo delle federazioni
riorganizzazione delle imprese.
e la
1. Promuovere lo spirito di lobbying in seno alle federazioni italiane.
Le federazioni italiane che devono svolgere un vero e proprio ruolo di lobbying sia
a livello nazionale che comunitario, hanno il compito di informare i loro asociati al
fine di familiarizzarli alle pratiche di lobbying e di incoraggiarli a far valere con più
forza e frequenza le loro posizioni. Una buona proporzione dei loro siti internet
dovrebbe essere dedicata all’approccio del lobbista, alle loro azioni in questa
prospettiva e all’all’incoraggiamento delle imprese a ricorrere ai loro servizi se
necessario.
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240
Appendice
Bisognerebbe rafforzare la concertazione con e fra le imprese che appartengono
a federazioni nazionali, in modo da definire delle visioni italiane comuni da mettere
poi in prospettiva con quelle dei partner concorrenti.
2. Affrontare le tematiche europee in modo trasversale in seno all’impresa.
Questo approccio deve essere ugualmente adottato all’interno dell’impresa,
privilegiando un’analisi delle tematiche europee di tipo “ orizzontale ”.
Il reperimento delle informazioni sulle questioni europee e l’attuazione di una
strategia non devono semplicemente orientare la direzione dell’impresa, ma
devono anche rappresentare un riflesso, a prescindere dai servizi offerti
dall’impresa e dal suo settore d’attività. Una volta sensibilizzati alle politiche
europee, i professionisti dell’impresa devono, successivamente, avvicinarsi alla
loro rappresentanza bruxellese e lavorare in sinergia con quest’ultima, perchè
conoscere l’impresa di cui si tutelano gli interessi è primordiale per il lobbista.
3.
Sollecitare le imprese ad inviare dei dirigenti presso le istituzioni
comunitarie.
Le imprese ed associazioni professionali dovrebbero sfruttare la possibilità che
viene concessa loro di inviare alcuni dei loro responsabili direttamente presso le
istituzioni europee. Gli italiani non sfruttano sufficientemente questa possibilità, a
differenza dei britannici.
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241
Appendice
5. Il mercato delle idee in Europa: reti senza
idee e idee senza reti
“Nel 1988 si celebrano sia le antiche origini dello Studium, sia i cento anni
dall'ottavo centenario, evento grandioso che riunì a Bologna tutte le università
del mondo per onorare la madre delle università. Il motto Petrus ubique pater
legum Bononia mater fu un’enciclica universitaria e universale. Accademie,
università e sovrani inviarono messaggi, si pubblicarono libri, e la festa di
Bologna divenne una festa internazionale degli studi”188.
L’Europa madre delle idee a livello planetario: un’aristocrazia intellettuale paneuropea, spesso una teo-intellettualità, circolava liberamente tra i Paesi europei, e
s’irradiava fuori da essi. Così è stato per moltissimi secoli, fino almeno alla
seconda metà del secolo XX. La circolazione delle idee è aumentata
esponenzialmente, anche in modo più libero e democratico. Il polo europeo
d’attrazione e di produzione del pensiero su scala planetaria s’è oscurato, ed oggi
è in rapido declino.
Questa situazione non è il risultato d’un improvviso calo del quoziente
d’intelligenza degli europei, ma è la conseguenza del ritardo che gli europei - le
istituzioni nazionali, le imprese, e le persone - hanno nel capire il nuovo che
avanza fuori dai loro confini. Dagli anni ottanta, la conoscenza è parte integrante di
una rete più vasta, anche grazie a Internet. La circolazione continua delle persone
da posti universitari ad incarichi istituzionali e ai think tanks, e da un Paese
all’altro, ha indebolito la correlazione tra la conoscenza e la sovranità. La larga
maggioranza delle istituzioni europee dedicate alla ricerca e alla riflessione
restano, purtroppo, legate a vincoli intellettuali, ma anche, e forse sopratutto,
finanziari e procedurali locali e nazionali. Quindi, mentre si assiste alla
disagreggazione delle istituzioni dello Stato-nazione, e alla conseguente riaggregazione di queste istituzioni attorno alla nascente democrazia reticolare del
potere e dell’economia, la ricerca intellettuale europea resta ancora aggregata
secondo i vecchi schemi e le logiche degli Stati nazionali.
Si sente risuonare la retorica della “nazionalità” della ricerca - francese, tedesca,
inglese, italiana - ma solo in poche occasioni, e generalmente per denunciarne
l’inadeguatezza, si sente parlare di ricerca europea. L’origine nazionale della
ricerca è il suo limite! Diversamente da quanto avviene all’interno degli Stati Uniti,
e tra gli altri Paesi del mondo e gli Stati Uniti, sono veramente pochi i ricercatori
europei che si stabiliscono in Paesi e strutture europee diverse da quelle d’origine.
Il drenaggio maggiore di scienziati e ricercatori europei continua inarrestabile verso
gli Stati Uniti. È paradossale che nel tempo delle reti e della libera circolazione
delle idee, e delle persone, in Europa i ricercatori restino così stanziali e
culturalmente localizzati! Sembra quasi che gli Stati europei, avendo perso il
primato della potenza che sosteneva l’esercizio della sovranità, cerchino di usare il
sapere “nazionale”, burocratizzandolo, come surrogato di quella potenza perduta.
Nonostante i recenti sforzi delle istituzioni europee per promuovere la creazione e
188
Dal sito storico dell’Università di Bologna, Italia.
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242
Appendice
lo sviluppo di centri europei d’eccellenza, ancorché stabiliti in tal o talaltro Stato
membro, il mercato intra-europeo delle idee resta assai debole189. Ne consegue
che le singole intellettualità “nazionali” si rapportano in primo luogo con quelle degli
Stati Uniti, e solo successivamente con il resto del pensiero europeo190. Il
pensiero, la ricerca, la riflessione sono stati per secoli il motore dell’innovazione in
Europa, ma nelle condizioni attuali non si produce altro che il canto del cigno, un
vassallaggio intellettuale assai improprio.
Proprio in rapporto con gli Stati Uniti, ma anche con l’Asia, si capisce il declino
europeo e i rischi che ne conseguono a livello sociale ed economico: a livello
mondiale, sono americane il 74% delle prime 300 società di alta tecnologia, e il
46% delle prime 300 società americane sono quelle che più spendono in ricerca e
sviluppo, finanziando università, istituti di ricerca e think tanks. Il primato
americano non potrà che consolidarsi senza un’inversione radicale di tendenza da
parte degli europei, Stati, imprese, e individui.
L’impatto del fenomeno demografico aggraverà il divario tra l’Europa e il resto del
mondo. L’invecchiamento della popolazione europea porta ad un aumento di
spesa in pensioni e sanità, tra il 4% e 8% del PIL nel periodo 2020-2050. La
dipendenza sociale dalla rendita delle pensioni nel 2050 sarà da un minimo di 36%
della popolazione danese ad un massimo del 61% di quella italiana. La
Commissione europea ha calcolato che l’impatto negativo di questo fenomeno
sulla capacità di spesa del budget pubblico dei 25 Paesi membri inizierà a partire
dal 2010191! Infine, nel 2003 la produttività media del lavoro per ogni ora lavorata è
di appena 1.4% in Europa (EU-15) mentre è di 2.2% in USA192.
Per queste ragioni, l’Agenda di Lisbona (2000-2010) è il migliore strumento a
disposizione degli Stati membri per invertire la tendenza nel settore della ricerca,
della produttività e competitività dei Paesi europei. La creazione, nel 2005, del
Consiglio Europeo della Ricerca, dovrebbe stimolare la coesione delle iniziative e il
consolidamento della spesa dei singoli Paesi attorno all’interesse comune ormai
ineludibile. Se quest’opportunità offerta dalla strategia di Lisbona non sarà colta
con determinazione dagli Stati, dalle imprese, e dagli individui europei, il futuro non
potrà che essere d’eclissi di una delle aree più fervide di sapere del mondo. Il
declino nella produzione della conoscenza, insieme con l’evolversi della situazione
demografica e socio-economica, avrà effetti drammatici sulla tenuta dei sistemi
nazionali di welfare e di coesione sociale dell’intero continente europeo.
Oltre alla ricerca fondamentale e universitaria, la conoscenza si produce anche
attraverso l’attività di gruppi indipendenti: i think tanks. Questi laboratori di
189
L’Agenda di Lisbona (2000) chiedeva agli Stati membri di prendere misure “ urgenti ” per
raggiungere un livello di spesa in R&D di almeno il 3% del PIL. Solo due Paesi su 25 hanno
raggiunto il target (Polonia e Finlandia). In entrambi i casi più del 2% del PIL messo a disposizione
per R&D proviene da fondi privati!! Quanto all’Italia, si trova agli ultimi posti della classifica europea
con circa il 0.7% del PIL speso in R&D.
190
A questo proposito è sufficiente sfogliare un qualsiasi lavoro di ricerca europeo, in scienze sociali
o applicate, per scoprire che il rapporto delle citazioni scientifiche è di 1 a 7 a favore di studi
anglosassoni, e in lingua inglese! Fino a trent’anni fa, la maggioranza delle citazioni erano francesi,
tedesche e italiane.
191
Dati tratti dal rapporto Facing the challenge, rapporto Kok, Commissione europea, novembre
2004, disponibile su: http://europa.eu.int/comm/lisbon_strategy/index_en.html
192
Si noti che nel 1966 la produttività media europea (EU-6) era del 5.5% contro il 3% degli USA.
L’invesrione di tendenza europea/americana si è prodotta nel 1996.
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243
Appendice
creazione del pensiero sono molto attivi nei Paesi anglosassoni, dove hanno
anche un impatto considerevole sulla formazione delle policies pubbliche e private.
Una delle ragioni del successo di queste organizzazioni del sapere nei Paesi
anglosassoni è la relativa autonomia con la quale s’è evoluto il mondo
universitario, la sua indipendenza dai finanziamenti pubblici, e la sua capacità a
lavorare in modo meno autoreferenziale e più aperto, includendo attori del settore
privato e delle amministrazioni. Ciò ha portato allo sviluppo di vaste reti di persone
che circolano da una posizione all’altra e, in modo indicativo, ad una forte
propensione dei privati ad investire capitali nella ricerca applicata193. In pratica, nei
Paesi anglosassoni le università, le amministrazioni, le imprese, i think tanks,
l’informazione e la politica, non sono mondi separati ma integrati e iperconnessi su
una sola piattaforma della conoscenza. Questo spiega anche i risultati e le
tendenze socio-economiche diverse tra questi Paesi, ma anche di quelli asiatici, e
la “vecchia Europa”.
La struttura delle istituzioni e la tradizione politica dei Paesi dell’Europa
continentale, così come le legislazioni fiscali inadatte a stimolare l’investimento
privato nelle organizzazioni che producono la conoscenza e il dibattito delle idee,
non aiutano lo sviluppo dei think tanks e della ricerca applicata. Esistono policies
europee che vanno nella buona direzione, ma poi, ancora una volta, le politics e le
practices nazionali e locali ne limitano gravemente l’effettività. Per ottenere dei
risultati utili in questo campo è necessario un cambiamento radicale delle practices
d’interi Paesi. Pensare che questo compito spetti all’Unione europea significa
ragionare ancora secondo i parametri del mondo moderno pre-reticolare: ormai il
processo non è più top-down, ma è bottom-up! In ciascun Paese, la responsabilità
del cambiamento risiede nelle imprese e nelle persone che devono sforzarsi di
cambiare le proprie practices, influendo sulle politics perchè queste si allinieino alle
policies europee. Difendere lo statu quo, invero favorire le practices esistenti con il
pretesto di difendere i benefici sociali, non potrà che portare all’oscuramento
d’interi Paesi.
D’altra parte, nell’economia della conoscenza che caratterizza il mondo
contemporaneo, le idee hanno valore se circolano e diventano accessibili agli altri.
Lo sviluppo e la qualità dei think tanks, e delle università, in un dato Paese,
costituisce un benchmack importante che determinerà, in modo crescente,
l’inclusione o l’esclusione nelle reti planetarie del sapere, della ricerca e
dell’innovazione. Non disporre di organizzazioni in grado di innovare nel pensiero e
di rappresentarlo in modo accessibile e utilizzabile, significa non essere in grado di
partecipare compiutamente a quella vasta rete orizzontale che, a livello europeo,
ma anche planetario, genera le policies. Usando il benchmark dei think tanks che
hanno una propensione o una specializzazione sugli affari europei, si può tracciare
una mappa che dimostra, tra l’altro, il grado d’iperconnessione della conoscenza di
un Paese nel sistema europeo, e quindi capire l’influenza che un Paese riesce ad
esercitare nel processo di produzione delle policies.
193
Su questo tema si veda l’eccellente ricerca, L’Europe et ses think tanks: un potentiel inaccompli,
Etudes et Recherches N°35, Novembre 2004, condotta dall’associazione francese presieduta da
http://www.notreJacques
Delors,
Notre
Europe,
e
pubblicata
su:
europe.asso.fr/article.php3?id_article=537 .
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244
Appendice
Think Tank in Europa
Stati membri
Think
Tanks
Germania
Regno Unito
Austria
UE/Bruxelles
Grecia
Francia
Spagna
Italia
Finlandia
Polonia
Lettonia
Rep. Ceca
Svezia
Slovacchia
Ungheria
Paesi Bassi
Estonia
Lituania
Cipro
Irlanda
Belgio
Portogallo
Slovenia
Danimarca
Lussemburgo
Malta
23
16
11
10
8
7
7
7
6
6
5
5
5
5
5
4
4
4
3
2
2
2
1
1
na
na
Think Tanks
Specializzati
sull’Europa
4
7
3
7
3
5
0
0
0
0
1
1
1
0
0
1
1
0
1
1
0
0
0
0
Na
Na
Totale
Ricercatori
Personale
Totale
1065
175
271
100
77
82
55
115
72
173
55
37
74
27
90
57
23
48
15
42
19
18
17
78
na
na
1925
366
348
175
143
145
155
160
141
236
105
97
183
49
140
97
61
69
68
93
34
26
23
118
Na
Na
Dati tratti dalla ricerca L’Europe et ses think tanks: un potentiel inaccompli, Notre
Europe, Parigi, Novembre 2004.
Da questa tabella appare chiaro che l’Europa dei think tanks offre un panorama
frammentato che rende difficile il loro finanziamento. Questi centri, con l’eccezione
inglese e parzialmente tedesca, vivono ancora maggioritariamente di sovvenzioni
pubbliche. Tuttavia, i Paesi che sono andati oltre la retorica europeista, pro o
contro, hanno investito nella creazione di think tanks che permettono di stimolare
le istituzioni nazionali ed europee sulle idee che li interessano, ma anche di
formare il personale nazionale che deve agire tecnicamente nelle reti europee che
generano le policies. Tra i grandi Paesi fondatori, risalta l’Italia che nonostante la
retorica arcieurpeista non ha un think tank specializzato sulle questioni europee!
Negli ultimi anni si è sviluppato il fenomeno delle reti tra i think tanks europei.
Questo sviluppo si deve in buona parte al V e VI Programma Quadro per la
Ricerca (2002-2006), che ha promosso la creazione delle “reti d’eccellenza”.
Tuttavia, in molti casi la pretesa “internazionalizzazione” dei think tanks è stata
indotta dalla necessità di essere inseriti in una rete per ricevere più facilmente dei
finanziamenti europei per i programmi di ricerca. Inoltre, solo alcuni think tanks
americani e inglesi hanno ramificazioni importanti, e a volte delle vere e proprie
filiali, fuori dal Paese d’origine. Importante è, invece, l’influenza delle grandi
fondazioni tedesche che sostengono finanziaramente vari nuovi think tanks nei
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245
Appendice
Paesi dell’Europa orientale. In ogni caso, l’aggregazione in reti di think tanks194
avviene secondo due criteri: a) la similitudine d’intenti (politici), che rafforza
l’attivismo dei singoli in una rete collettiva ma non stimola il dibattito tra idee
diverse; b) il semplice raggruppamento, che serve prevalentemente per usufruire
delle sovvenzioni europee.
Inoltre, è utile ricordare che le istituzioni europee sono impegnate, sin dalla loro
fondazione, a finanziare reti d’informazione sull’Europa, sia attraverso le proprie
rappresentanze in ogni Stato membro, sia con sovvenzioni “a pioggia” per una
miriade di piccole organizzazioni nazionali, tra cui: Info Centres, Info Points, e
Maisons de l’Europe. Sebbene negli utlimi anni la Commissione europea stia
tentando di razionalizzare le reti d’informazione, applicando in modo più
determinato il principio di sussidiarietà che sposta la responsabilità finanziaria e
informativa verso gli Stati membri, resta un approccio all’informazione di tipo
centralista (reach out). Ciò fa apparire l’informazione piuttosto come una
propaganda, con il conseguente indebolimento dell’impatto europeista sulle
practices e le politics nazionali.
È possibile tracciare alcune linee conclusive e formulare un suggerimento:
a) Le strutture che producono la conoscenza hanno bisogno di più reti
attraverso le quali promuovere e scambiare le idee, creando dei veri
network cooperativi tematici e permanenti;
b) Le istituzioni europee, che dispongono delle reti d’informazione, hanno
bisogno d’idee nuove che ne stimolino le attività.
Chi è capace di proporle, potrà farsi ascoltare e influenzare le policies comunitarie.
Un approccio innovativo potrebbe essere di trasformare la rete informativa delle
istituzioni europee nella piattaforma (gratuita) su cui i think tanks possano essere
iperconnessi, generando così uno scambio virtuoso e continuo delle idee, e tra i
think tanks e le istituzioni europee. Così nascerebbe una “comunità europea delle
idee” che, mettendo in competizione le idee migliori, sarebbe trasparente,
inclusiva, democratica e autoregolata dalle network norms. Questo “tintinnio di
cervelli” stimolerebbe anche un vasto blog europeo che avvicinerebbe i cittadini
alle questioni comuni che li interessano. Last but not least, la capacità dei think
tanks di dimostrare l’impatto delle idee proposte non potrà che stimolare l’interesse
dei finanziatori affinchè continui il processo di formazione di nuove idee e
d’innovazione delle policies.
194
Per approfondire questo tema, si veda la ricerca , L’Europe et ses think tanks: un potentiel
inaccompli, op.cit.
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