Le lobby d`Italia a Bruxelles
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Le lobby d`Italia a Bruxelles
Le lobby d’Italia a Bruxelles RAPPORTO CIPI 1/2006 a cura di Paolo Raffone Cosa e’ il CIPI? Indice Il rapporto in sintesi Il Centro Italiano Prospettiva Internazionale è: Un’associazione senza fini di lucro, indipendente e pluridisciplinare, nata nel 2005 a Bruxelles, Belgio, su iniziativa di un gruppo di professionisti italiani per contribuire all’emergere di una rete di italiani, per promuovere l’eccellenza e l’europeizzazione delle nuove classi dirigenti nell’impresa, nell’amministrazione pubblica, nella politica e nella cultura. Una rete attiva di persone, con lo scopo di favorire le relazioni, lo scambio di informazioni e la selezione di interessi comuni, di stimolare la cooperazione strategica e il senso di appartenenza e dell’identità italiana nel sistema internazionale. Uno strumento di riflessione pubblica, per alimentare la discussione sulle questioni d’attualità, dell’innovazione sociale ed economica e sui passaggi necessari per aggiornare le modalità della presenza italiana in Europa e nel mondo. Un’organizzazione per promuovere studi e approfondimenti per alimentare la produzione di idee all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo. Un luogo di formazione per l’aggregazione di professionalità e competenze complementari attorno all’obiettivo della promozione competitiva di nuove classi dirigenti. Un luogo d’incontro tra le diverse tradizioni culturali italiane per contribuire all’emergere di una cultura adeguata al nuovo scenario mondiale dominato dalla rapidità ed esponenzialità dei fenomeni, e attraversato da potenti correnti di innovazione guidate dalla conoscenza, dall’interconnettività e dall’ipercompetitività. Le pubblicazioni del CIPI hanno una diffusione destinata ad interlocutori selezionati. Il sito web del CIPI pubblica molti lavori, ricerche ed archivi per la più ampia diffusione. Come lavora il CIPI Il CIPI svolge la propria attività di riflessione pubblica attraverso l’ideazione e l’organizzazione di convegni, tavole rotonde e cicli di formazione. Parallelamente, il CIPI promuove e ospita al proprio interno seminari di discussione incentrati su singole questioni, animati da personalità del mondo della finanza, dell’impresa, della ricerca, della politica e delle istituzioni. L’obiettivo è di far dialogare diversi settori e competenze chiamando a collaborare ai singoli progetti esperti esterni individuati di volta in volta. Il CIPI promuove inoltre la realizzazione di lavori di analisi su questioni di rilevanza politica e di sicurezza internazionale. Il finanziamento del CIPI è assicurato dalle quote associative dei membri individuali o societari, dai contratti di studio e di ricerca, dalle attività di formazione e di consulenza, e dalle attività seminariali e di dibattito. Donazioni e sponsorizzazioni saranno valutate dal Consiglio d’Amministrazione del CIPI. Paolo Raffone Le lobby d’Italia a Bruxelles ©2006 - Centro Italiano Prospettiva Internazionale – CIPI 16, rue des Morins B – 1040 Bruxelles www.cipi-network.org [email protected] Il CIPI è una organizzazione senza fini di lucro di diritto belga registrata con il numero: 875.708.872 Finito di stampare nel mese di marzo 2006 presso All Printing Services a Bruxelles, Belgio ISSN – 1782 - 7558 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 3 Indice Nota di presentazione Nota metodologica 7 9 Il rapporto in sintesi 12 Introduzione 1. Perché il lobbying a Bruxelles 16 2. Alcuni dati sul lobbying europeo 25 Capitolo I Il lobbying che serve in Europa 1. Definizione di lobbying 34 2. Demistificazione del lobbying 40 3. Quando il lobbying diventa frode 48 4. Pensare oltre le pubbliche relazioni 51 Capitolo II La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 1. Le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles 56 2. Regioni e autonomie locali e funzionali 70 3. Gli interessi dell’industria 117 4. Le associazioni di settore 126 5. I gruppi industriali 129 6. I gruppi finanziari e assicurativi 133 7. Le Università e la ricerca 135 8. Gli studi legali e gli uffici di consulenza italiani 136 9. Le associazioni della “società civile” italiana 138 10. Le ONG italiane per la cooperazione allo sviluppo 140 11. La stampa italiana 141 12. Il funzionariato italiano nelle istituzioni europee 143 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 4 13. Parlamentari europei e assistenti parlamentari 148 14. Repertorio analitico degli italiani impegnati in strutture internazionali o straniere a Bruxelles 151 Capitolo III Efficacia del lobbying 1. Bilancio 2005: il lobbying italiano 154 2. Percezione del lobbying italiano nelle istituzioni europee 166 3. Quadro legislativo europeo e nazionale comparato 168 4. Orizzonti europei del lobbying: modalità e success stories 171 Capitolo IV Lobbying italiano al servizio dell’Italia 1. Dare un’immagine positiva al lobbying italiano 180 2. Influenzare Roma e l’Italia 182 3. Influenzare gli influenti 187 4. Allineare strategia, intelligence economica e lobbying 189 5. Dare continuità e stabilità alla professione del lobbista 191 6. Influenzare oltre Bruxelles 194 7. Conseguenze dell’allargamento e del “no” alla Costituzione sul lobbying italiano 195 Mercato interno europeo: deregolamentazione e nuova regolamentazione 200 Una politica di formazione adeguata alle sfide della professione di lobbista europeo 203 Un quadro più certo in Italia aiuterebbe le lobby italiane in Europa 207 8. 9. 10. Capitolo V La guida del lobbista europeo Appendice Le nuove sfide 210 1. La nuova economia mondiale 224 2. La nuova generazione di best practices a livello internazionale 228 3. Un cambiamento di metodo: policy, practices, politics 231 4. Strategia e lobbying: riorganizzare gli enti e le imprese 236 5. Il mercato delle idee in Europa: reti senza idee e idee senza reti 242 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 5 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 6 Nota di presentazione Dalla metà degli anni novanta ad oggi la presenza italiana a Bruxelles ha subito importanti modifiche. Assistiamo ad una crescita esponenziale delle rappresentanze italiane, istituzionali e non, pubbliche e private, per la tutela degli interessi italiani presso le istituzioni europee. Per i soli rapporti diplomatici tra lo Stato italiano e le istituzioni dell’Unione europea, la Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UE ha visto il suo organico crescere dai meno di 20 (1990) ai circa 80 (2005) funzionari tra diplomatici e distaccati. Negli stessi anni assistiamo ad una crescita altrettanto esponenziale del numero degli uffici di collegamento e delle organizzazioni che si occupano di tutelare interessi di pertinenza, e quindi del numero di italiani che operano a diverso titolo a Bruxelles. A questi si aggiungono le nuove classi di funzionari comunitari italiani che dai primi anni novanta riempiono ormai le diverse carriere europee, i deputati europei sempre più presenti anche in virtù della legge nazionale che vieta loro il doppio incarico, e le loro segreterie, gli operatori dei media, le associazioni, e le federazioni settoriali e sociali. Lo stesso fenomeno si registra per le altre nazioni che interagiscono con l’Unione europea. Negli ultimi anni Bruxelles è diventata un hub dove con i circa 30000 funzionari comunitari interagiscono più di 55.000 rappresentanti di interessi, oltre 1000 giornalisti ed inviati (ben più di quelli presenti a Washington), più di 100 studi legali, oltre 150 società di consulenza, e un numero crescente di think tank. Un luogo dove si parlano almeno 21 lingue ma in cui la lingua preferita per i rapporti professionali è l’inglese (85%), seguita dal francese (10%), e dal tedesco (2%). A Bruxelles non si tratta solo di rincorrere una quota dei circa 100 miliardi di Euro che compongono il bilancio annuale delle istituzioni comunitarie. Ancora più importante è la possibilitá di influenzare nella formazione delle decisioni europee che poi si traducono in quasi l’80% delle legislazioni approvate a livello nazionale, regionale e locale, con un’evidente impatto sulla vita economica e sociale di ciascun Paese. E’ in questo contesto che si colloca questo primo Rapporto del CIPI sulle lobby italiane a Bruxelles. Lo scopo è di fornire una fotografia, un documento organico e analitico della presenza italiana nella capitale dell’Europa, e cio’ anche in relazione all’organizzazione dello stesso Sistema Italia. Il rapporto vuole essere il primo di una serie annuale, per cercare di capire le variazioni nel posizionamento che l’Italia occupa nel quadro della competitività tra i diversi attori che agiscono in Europa. Uno strumento di conoscenza, di valutazione e di analisi di un sistema in rapida mutazione. Un sistema in cui le qualità e l’efficienza degli operatori devono essere adattate alle sfide che li confrontano, e in cui tecniche professionali sempre più sofisticate ma anche la capacità di elaborare e mettere in atto strategie ed alleanze sono tra le chiavi del successo. Il Rapporto presenta e sintetizza in modo organico numerosi aspetti qualitativi e quantitativi che in buona misura sono Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 7 disponibili e accessibili anche in rete. Un lavoro di aggregazione e analisi delle informazioni, la cui fonte e gli autori sono i soli responsabili delle opinioni espresse. A complemento delle informazioni presentate, il CIPI ha gestito una serie di inchieste e di interviste che servono a integrare l’analisi proponendo il punto di vista degli attori italiani che compongono il mondo delle lobby a Bruxelles. Questo lavoro è stato coordinato da Paolo Raffone, Segretario Generale del CIPI, che lo ha redatto con l’ampio sostegno e i preziosi consigli dei membri della rete del CIPI e con la collaborazione di Marta Cioni, di Stefania Contarino e di Stefano Pagliari. Ringrazio le persone, gli enti e gli istituti italiani e stranieri che hanno accettato di collaborare anche aprendo la loro conoscenza per la realizzazione di questo Rapporto. Un ringraziamento caloroso lo invio, anche a titolo personale, alle istituzioni pubbliche e private che hanno voluto dimostrare al CIPI il loro riconoscimento e apprezzamento. Jacopo Avogadro di Casalvolone Presidente Centro Italiano Prospettiva Internazionale - CIPI Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 8 Nota metodologica L’Europa vive un momento delicato della sua storia. La competitività dell’Italia nel mercato europeo allargato (UE25) è messa a dura prova. Negli ultimi anni l’aumentata competizione tra gli Stati membri dell’Unione e tra i diversi attori nazionali, pubblici e privati ha evidenziato i punti di forza e le debolezze italiane. Si è installato il cosiddetto “paradigma del rumore”, ovvero una cacofonia dovuta all’eccesso di informazioni e di azioni poco coordinate tra loro. Questo avviene in un momento in cui l’Europa sta rimodulando strutture, programmi e fondi per adattarsi al nuovo scenario interno e mondiale. L’Europa sta uscendo dalla fase di “Europa poesia” per entrare in quella di “Europa prosa”. La ridefinizione della reciproca competitività tra gli attori che interagiscono nel sistema europeo sta avvenendo adesso. Essere impreparati significa essere marginalizzati. Il Rapporto “Le Lobby d’Italia a Bruxelles”, il primo di questo genere, condotto da un’organizzazione indipendente, s’inserisce in un progetto che il CIPI vorrebbe ricorrente e pluriennale, con varie fasi di approfondimento e di livelli di analisi delle informazioni. Questo permetterebbe un lavoro continuo durante ciascun anno con ricerche e approfondimenti specifici e momenti di riflessione e di formazione, che si rifletterebbero poi nell’edizione successiva del Rapporto. Il Rapporto “Le Lobby d’Italia a Bruxelles” vuole essere un contributo all’identificazione di tendenze e indicatori, in un quadro organico e analitico, e comunque oggettivo, per stimolare la riflessione sulle misure da adottare per rimodulare la presenza e l’azione italiana a Bruxelles, sia in termini strategici sia operativi, e per contrastare e minimizzare l’impatto delle carenze italiane. In questo primo Rapporto, il termine lobby, e di lobbying, è usato in modo estensivo, includendo attività propriamente di lobbying professionale ma anche quelle attività di rappresentanza di interessi pubblici e privati che interagiscono a diversi livelli con il sistema comunitario e tra loro. Lo studio si è rivelato di estrema complessità. Da un lato la presenza di elementi specifici e puntuali è diluita e dispersa in una mole enorme di informazioni di secondaria importanza, e talvolta risulta finanche assente, dall’altro lato i sistemi che sono stati oggetto della ricerca sono essi stessi sistemi complessi. Per l’analisi condotta nel presente Rapporto e nell’approccio ai sistemi complessi sono state messe a punto metodologie di identificazione e approfondimento dei sottosistemi, al fine di individuare le informazioni rilevanti per una conoscenza organica. Lo scopo della ricerca presentata nel Rapporto è di fornire un ordine di grandezza, un repertorio analitico, e degli indicatori di tendenza che permettano di elaborare comparazioni. É evidente che trattandosi del primo studio del genere, tutti i dati presentati vanno considerati come indicatori di tendenza piuttosto che come valori assoluti. Inoltre, essendo il primo tentativo di ricognizione e di analisi organica di questa vasta e complessa materia, le omissioni sono assolutamente involontarie, e potranno essere corrette nelle successive edizioni di questo Rapporto. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 9 La ricerca delle informazioni e dei dati si è svolta a campione. I campioni sono stati selezionati in base a cinque criteri: percezione; rilevanza; presentazione; attività; impatto. Per i campioni utilizzati sono state condotte delle interviste e richiesti documenti o informazioni specifiche, tanto ai diretti interessati quanto negli ambienti verso i quali è principalmente diretta la loro attività. Per tutti gli altri è stato applicato un metodo di analisi basato sulle fonti aperte, e sull’analisi delle informazioni disponibili e/o aggregate nei rapporti dei concorrenti e delle istituzioni comunitarie. In particolare, molti dati primari sono stati tratti dall’opera comunemente considerata di referenza a Bruxelles, The European Public Affairs Directory, edizioni del 2003 e del 2006, e rielaborati e integrati dal CIPI. In questa edizione, il CIPI ha scelto di non attribuire a persone o enti le valutazioni e le dichiarazioni riprodotte nel Rapporto. Fanno eccezione i casi concordati con l’autore delle dichiarazioni e/o valutazioni, o dei contributi specifici. Per quanto possibile il CIPI cita sempre la fonte dei dati utilizzati. Questa scelta ha garantito una maggiore libertà nello sviluppo dei contatti con gli interlocutori dei diversi enti coinvolti nell’indagine conoscitiva che è alla base di questo Rapporto. Si segnala che l’indagine conoscitiva che ha permesso di raccogliere i dati per la redazione di questo Rapporto non ha fatto uso di questionari, che benchè predisposti non hanno incontrato sufficentemente il favore dei contattati, ma ha potuto svolgersi attraverso contatti diretti a campione. Nelle prossime edizioni di questo Rapporto, il CIPI auspica lo sviluppo di nuove metodologie più inclusive dei diversi attori italiani anche a tavoli di riflessione, settoriali e comuni. Il CIPI ringrazia la dott.sa Stefania Profeti, ricercatrice presso il CIRES della Facoltà “Cesare Alfieri” di Firenze, che ha autorizzato la riproduzione integrale del suo saggio “Le Regioni italiane a Bruxelles. Il fenomeno degli uffici di rappresentanza” (2004). Il CIPI ringrazia le istituzioni e le persone che si sono rese disponibili ed hanno collaborato per fornire informazioni ed utili consigli per la realizzazione di questo Rapporto. Un particolare ringraziamento è rivolto ai funzionari dell’Ambasciata d’Italia presso il Belgio, dell’ufficio di Bruxelles dell’Unioncamere nazionale, e dell’ICE che hanno aiutato la riflessione e l’indirizzo per la realizzazione di questo lavoro. Il CIPI ribadisce che questo Rapporto non ha come vocazione di emettere “pagelle” che possano suggerire promozioni o bocciature, né tantomeno ha vocazione di parte politica. Il Rapporto offre una fotografia organica e analitica, indicatori di tendenza, e riferimenti comparativi e teorici. Il CIPI ringrazia le persone o le organizzazioni che vorranno segnalare eventuali omissioni o errori, o che vorranno fornire nuove informazioni che saranno prese in considerazione nella prossima edizione del Rapporto. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 10 Organizzazioni prese in considerazione in questo Rapporto 1. Abi 2. Afi 3. Agriconsulting 4. Alitalia 5. Alub (sezione di Bruxelles) 6. Ambasciata d’Italia presso il Regno del Belgio 7. Anacam 8. Ance 9. Anci-Ideali 10. Ass. Naz Banche Popolari 11. Assonime 12. Assozucchero 13. Autostrade 14. Banca d’Italia 15. Banca di Roma 16. Banca Etica 17. Banca Intesa 18. Banca Popolare di Novara 19. Banca Popolare di Sondrio 20. Banco di Napoli 21. Banco di Sardegna 22. Barabino 23. BNL 24. Camera di Commercio Italiana in Belgio 25. Cia 26. Cir 27. CISAI 28. Clenad 29. Cna 30. CNR 31. Coldiretti 32. Comitato delle Regioni (vari funzionari) 33. Commissione Europea (vari funzionari delle Direzioni Generali) 34. Confagricoltura 35. Confartigianato 36. Confcommercio 37. Confederazione cooperative italiane 38. Confesercenti 39. Confindustria 40. Consolato d’Italia a Bruxelles 41. CRUI 42. Diem 43. Dipartimento delle Politiche Comunitarie 44. Dipartimento delle Politiche Regionali (PORE) 45. Eco 46. Edizioni Holding 47. Enea 48. Enel 49. ENI 50. Epcas 51. Epro 52. Eurete 53. Eurocontact 54. EuroD 55. Europartners 56. Eurotec 57. Federazione Internazionale della Stampa 58. Federlegno-Arredo 59. Federturismo 60. Ferrero Group 61. Ferrovie dello Stato 62. Fiat Delegazione UE 63. Fininvest 64. Finmeccanica 65. Fit 66. Generali Group 67. GII 68. Handicrafts 69. Idp 69. Istituto Centrale delle Banche Popolari 70. Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles 71. Istituto per il Commercio con l’Estero (ICE) 72. Lettera 22 73. Mcc 74. Mediaset 75. Medineurope 76. Ministero dell’ambiente e del territorio 77. Monte PaschiBelgium 78. OLAF 79. Parlamento europeo (vari funzionari e parlamentari) 80. Pirelli Pneumatici 81. Presidenza del Consiglio dei Ministri 82. Priming 83. Province autonome di Bolzano e Trento 84. Rappresentanza d’Italia presso l’Unione europea 85. Rappresentanza Permanente presso il Consiglio Atlantico 86. Regione Basilicata 87. Regione Calabria 88. RegioneCampania 89. Regione Emilia Romagna 90. Regione Friuli Venezia Giulia 91. Regione Liguria 92. Regione Lombardia 93. Regione Piemonte 94. Regione Puglia 95. Regione Sardegna 96. Regione Sicilia 97. Regione Toscana 98. Regione Valle d’Aosta 99. Regione Veneto 100. Regioni Centro Italia 101. San Paolo Imi 102. Sogei 103. Soges Group 104. Studio legale Abate 105. Studio legale Chiomenti 106. Studio legale Dal Ferro Cevese 107. Studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani 108. Studio legale Erede, Bonelli, Pappalardo 109. Studio legale Forte 110. Studio legale Grimaldi 111. Studio legale Roberti 112. Studio legale Van Bael & Bellis 113. Surtout 114. Telecom Italia 115. Teseo 116. Unacoma 117. Unicredit 118. Unioncamere 119. UPI Circa il 40% delle organizzazioni hanno contribuito anche mediante specifiche riunioni di lavoro. Per tutte le altre è stato usato il metodo di analisi delle informazioni da fonti aperte e di valutazione della percezione nell’ambiente in cui operano. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 11 Il Rapporto in sintesi Questo Rapporto vuole fornire al lettore elementi sufficienti per inquadrare il lobbying in modo corretto, per percepire la rilevanza delle attività di lobbying a Bruxelles e per contribuire alla riflessione finalizzata a rimodulare, stimolare l’efficienza e l’efficacia dell’azione italiana. Il Rapporto permette di rispondere a numerose domande, tra cui: In cosa consiste l’attività’ di lobbying? E’ un’attività’ lecita che deve ostentare trasparenza d’azione ed un’etica irreprensibile. A livello europeo rappresenta una tecnica che serve ad influenzare i procedimenti decisionali che determinano le policy, le norme, i regolamenti e la gestione del bilancio comunitario E’ uno strumento che permette a individui, imprese e Stati di tutelare il proprio self-interest È un riconosciuto strumento democratico che contribuisce in modo diretto e trasparente alla governance delle istituzioni pubbliche ma anche private E’ una pratica fondata su una conoscenza tecnico-giuridica approfondita dei settori da rappresentare, dei contesti nei quali intervenire, delle regole comportamentali proprie ad ogni sistema complesso È uno strumento tecnico preventivo che si esercita nella durata, con stabilita’ e determinazione strategica Perché è importante il lobbying a Bruxelles? Perché viviamo in un contesto caratterizzato da conoscenza, interconnettività, ipercompetitività, in cui le pubbliche relazioni sono ormai inadeguate per la tutela del self-interest Perché’ il sistema dell’Unione europea è volontariamente aperto, inclusivo e multi-livello per far partecipare democraticamente tutti i rappresentanti dei 25 governi dei Paesi membri, dei circa 150 Paesi terzi e i 2.621 uffici di rappresentanza di interessi, alla formazione delle policy, norme e regolamentazioni comunitarie Perché’, direttamente o attraverso la trasposizione legislativa nazionale, il sistema dell’Unione europea incide sulla formazione dell’ 80% delle legislazioni nazionali, regionali e locali dei Paesi membri Perché il bilancio dell’Unione europea è di circa €824 miliardi di cui il 90% è destinato al cofinanziamento dei programmi e progetti comunitari Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 12 Perché è un ambiente altamente competitivo dove ciascuno vuole far valere il proprio self-interest: a Bruxelles nulla è dovuto! Perché’ i diversi concorrenti spendono circa €90 milioni l’anno in azioni di lobbying a Bruxelles Perché Bruxelles-Washington-Pechino sono i tre pilastri strategici del sistema economico e di sicurezza globale Perché’ Bruxelles rappresenta la vera capitale delle lobby rispetto a quelle nazionali, soprattutto a seguito dei NO al Trattato costituzionale In che modo e’ distribuita la presenza italiana a Bruxelles? Chi sono gli attori? Si contano circa 119 uffici di collegamento e di rappresentanza con le istituzioni europee Sono presenti 2.638 funzionari della Commissione Europea, 78 parlamentari presso il Parlamento Europeo, 7 rappresentanze dello Stato, 21 uffici regionali e provinciali, almeno 16 associazioni e federazioni industriali e settoriali nazionali confederate, più di 13 associazioni di settore, più di 14 uffici dei gruppi industriali, più di 17 gruppi finanziari e assicurativi, oltre a studi legali, società di consulenza, associazioni della “società civile”, università... La presenza numerica italiana a Bruxelles è stimata a più di 6.500 persone, con un costo indicativo che, escludendo i 2600 funzionari italiani presso le istituzioni comunitarie, supera i €450 milioni di euro l’anno La Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea e’ la struttura di riferimento per la promozione e la penetrazione degli interessi italiani nel sistema europeo Gli uffici italiani di consulenza tecnico-progettuale sono circa 10, solo 2 sono specializzati in lobbying Come viene percepito il lobbying italiano a Bruxelles? Riflette la frammentazione e il particolarismo che esiste in Italia Riflette una condizione strutturale sfavorevole improvvisazione nella gestione degli affari europei ed un’eccessiva Si caratterizza per una scarsa propensione a costruire alleanze a sostegno dei propri interessi e di inserirle in una più ampia strategia Assume un atteggiamento troppo informale e dipendente in prevalenza dal credito personale invece che da quello del sistema-paese E’ percepito come troppo politico e nazionale Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 13 Le best practices italiane sono occasionali e non riescono ad imporsi come benchmark nazionale da seguire Risente di un deficit di formazione e di conoscenza sull’Europa Come perfezionare il lobbying italiano a Bruxelles? Concepire se stessi in modo relativo agli altri soggetti che agiscono a Bruxelles e fare uso di un approccio multi-culturale Stimolare fiducia, cooperazione e potere all’interno del sistema nazionale e degli enti pubblici e privati, ma anche nelle relazioni con gli altri soggetti che agiscono a Bruxelles Promuovere un coordinamento operativo basato sull’adattamento e la flessibilità delle capacità di risposta Migliorare la conoscenza di altre lingue (principalmente inglese, ma anche tedesco e francese) e delle tecniche di presentazione Conoscere perfettamente il sistema e i dettagli dei meccanismi decisionali dell’Unione europea Definire bene le priorità e gli obiettivi di medio e lungo termine che necessitano di stabilità strategica e determinazione, adottando il più’ possibile posizioni comuni e specifiche sulle varie questioni Agire in modo “preventivo” in modo da far sentire sin dall’inizio il proprio peso in tutte le fasi decisionali Pensare l’Europa come una strategia per costruire alleanze capaci di coinvolgere l’Italia negli euronuclei che sorgono Auspicare una maggiore attenzione della stampa italiana sulle attività di lobbying Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 14 Introduzione Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 15 Introduzione 1. Perchè il lobbying a Bruxelles? “Se vogliamo “stare in Europa” non basta l’indignazione “patriottica” e la zelante subordinazione di fronte agli embrioni di nuclei europei che sorgono ai nostri confini. Vediamo se e come collegarci ad alcuni di essi, per piegarli almeno in parte ai nostri interessi. Scopriremo allora di poter contare molto più di quanto abbiamo mai pensato”. dall’editoriale di Limes 1/2006 Questo Rapporto sulle Lobby d’Italia a Bruxelles trova la sua origine nella constatazione, apparentemente ovvia, che dalla metà degli anni novanta ad oggi il tessuto di connessione tra gli Stati e il sistema dell’Unione europea si è modificato profondamente, ampliando sensibilmente la rappresentatività della sovranità fino a poco tempo prima garantita esclusivamente dagli Stati. Vuole quindi essere un primo tentativo di tracciare una fotografia organica e analitica, e per evidenti ragioni incompleta e perfettibile, delle rappresentanze italiane e del lobbying italiano a Bruxelles. Questo Rapporto sulle Lobby d’Italia a Bruxelles s’inserisce, come un contributo italiano indipendente, nel dibattito in corso iniziato dalla Commissione europea con l’Iniziativa Trasparenza1 e con l’imminente Libro Verde sul Lobbying presso le istituzioni dell’Unione europea. Alcuni dati stimano l’insieme del valore economico speso per fare lobbying in Europa a circa 90 milioni di Euro all’anno2. Ma questa cifra impallidisce di fronte ai circa 11 milioni di dollari spesi dalla sola Lockheed Martin Corporation per fare lobbying a Washington, con un ritorno per la società in contratti del valore di 19 miliardi di dollari all’anno. Se la ratio americana fosse applicabile all’Europa si tratterebbe di un rapporto tra euro investiti in lobbying ed euro ricevuti di almeno 1:1700, ovvero se la spesa stimata per le attività di lobbying europeo è di €90 milioni all’anno il ritorno sarebbe di più di 150 miliardi di euro all’anno. Se si considerassero solo i ritorni in termini di contratti finanziati dal budget comunitario (il budget annuale dell’Unione europea è di circa €123 miliardi all’anno) la ratio americana risulterebbe non applicabile in Europa. Ma l’effetto economico del lobbying in Europa, a differenza degli USA, non è solo nel valore dei “contratti”, bensì risiede nell’impatto che le legislazioni europee hanno sul PIL dei Paesi membri. In quest’ottica, probabilmente, la ratio del lobbying in Europa potrebbe essere ben superiore a quella americana. 1 Si veda: http://europa.eu.int/comm/commission_barroso/kallas/transparency_en.htm Vedere l’articolo del Vice Presidente della Commissione europea, Siim Kallas, apparso sul Wall Street Journal Europe il 6 febbraio 2006. 2 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 16 Introduzione Questo calcolo porta alla conclusione che essendo il budget europeo3 complessivamente molto più piccolo di quello americano, ed essendo soprattutto un budget molto vincolato nella sua destinazione, fare lobbying a Bruxelles per partecipare alla “spartizione della cassa” dà ormai risultati economici marginali sul PIL dei grandi Paesi membri. Rispetto agli USA, in Europa il lobbying ha conseguenze economiche molto più indirette: il vero valore aggiunto è nell’effetto sul funzionamento di uno Stato e della sua economia del processo normativo e regolamentare europeo. La vera “pepita” non è nel budget delle istituzioni europee! Il valore aggiunto del lobbying europeo, diversamente da quello americano, si trova nella possibilita’ di influenzare quell’80% della normativa europea che ha un impatto diretto o indiretto sullo sviluppo economico e sociale degli Stati membri. Questo spiega, probabilmente, anche le diverse modalità con cui il lobbying europeo si manifesta rispetto a quello americano. Un esempio per tutti è dato dai fondi pubblici americani in aiuti alle imprese e dei fondi pubblici per la ricerca che ammontano a ben più del doppio degli stanziamenti europei per le stesse voci4. Peraltro, in considerazione delle riduzioni del budget europeo proposte dal Consiglio per il periodo 2007-2013, particolarmente per la ricerca, il lobbying europeo sarà efficace ed utile se riuscirà a modificare le regole che permettono ai Paesi membri di far un uso più elastico e strategico delle finanze nazionali a favore della crescita e della competitività. Ma è proprio in questo tipo di lobbying, quello orientato all’effetto indiretto sulla ricchezza nazionale, che l’Italia è più debole rispetto, ad esempio, ai concorrenti inglesi e francesi, ma anche spagnoli. Le istituzioni europee sono tra le entità (governative) più influenzate dalle lobby, attraverso l’azione dei 2.600 gruppi di lobbisti attivi a Bruxelles e delle altre forme di rappresentanza degli interessi (in totale circa 55.000 persone)5. 3 Circa 1% del PIL cumulato UE25, ovvero poco più di 120 miliardi di euro all’anno. Queste considerazioni erano già note 10 anni fa. Si vedano i numerosi rapporti di Edith Cresson in proposito. 5 Una suddivisione in percentuali dei 2.600 gruppi di lobbisti recensiti è tratta dal Logon Report 2002: Federazioni industriali (32%); Consulenti (20%); ONG europee per salute, diritti umani e ambiente (11%); Associazioni nazionali, industriali e del lavoro (10%); Rappresentanze regionali e locali (6%); Organizzazioni internazionali (5%); think tanks (1%); a cui si aggiungono le Rappresentanze Permanenti degli Stati membri e circa 150 delegazioni diplomatiche dei Paesi terzi. Per approfondimenti si veda: http://www.ceec-logon.net/reports/formular.htm 4 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 17 Introduzione Presenza internazionale a Bruxelles a) Uffici di rappresentanza: Governi nazionali (>150 uffici); Rappresentanze regionali (>200 uffici); Enti locali; Industrie; Enti; Gruppi inter-istituzionali; Camere di commercio; Organizzazioni internazionali; b) Gruppi di pressione: ONG; Partiti politici; Associazioni di cittadini; Federazioni industriali e settoriali; c) Servizi professionali: Consulenti legali (>100 uffici); Intermediari d’affari; Relazioni Pubbliche (>150 uffici); Assistenza tecnica. A questi si aggiungono: d) La comunità dell’informazione: >1000 Giornalisti accreditati (una comunità più numerosa a Bruxelles che a Washington); e) La comunità della riflessione: Think & Policy Tanks; Organizzatori di dibattiti e conferenze; f) I funzionari delle istituzioni europee: Consiglio, Commissione, Parlamento, Corti europee, altre istituzioni (>30.000 persone). Fonte: dati raccolti e elaborati dal CIPI Perchè avviene tutto questo? Si è accelerato il processo di transizione da un sistema statico, costituito dal potere centrale degli Stati unitari, ad uno dinamico e multipolare, costituito dal potere disaggregato degli Stati che si materializza in una fitta rete d’attori interagenti orizzontalmente e verticalmente. Anche all’interno degli Stati la situazione è profondamente mutata, nel senso di una maggiore frammentazione dei poteri. Si pensi, ad esempio, ai nuovi poteri: dalle regioni agli enti locali, e ancor più significativamente alle numerose Authority di settore che sono chiamate a dare linee di indirizzo in mercati strategici, come le telecomunicazioni, l’energia, la sicurezza alimentare, la concorrenza nel mercato, il risparmio, ecc... In Italia, Roma è sempre meno il centro delle lobby che ormai agiscono sempre di più nei palazzi del potere regionale e locale, e direttamente nella capitale d’Europa, a Bruxelles. La sfida che tocca da vicino tutti gli Stati dell’Unione europea. Le relazioni europee, ma anche quelle internazionali, poggiano sempre di più su un’intricata rete di contatti tra le istituzioni disaggregate degli Stati: la diplomazia tradizionale è stata in buona misura soppiantata da legislatori, regolatori, magistrati, operatori sociali, culturali, ed economici, agenti della sicurezza e della difesa, imprenditori, e rappresentanti d’interessi, che interagiscono con le loro controparti estere in modo autonomo dagli Stati.6 6 È interessante notare come molti studiosi siano ormai concordi nell’identificare i vari pezzi della nuova infrastruttura, fondata sul principio della regolamentazione attraverso la combinazione delle reti (“regulation by networks”). Alcuni esempi: in materia finanziaria ed economica il G-7, G-8, G-20, il Comitato di Basilea, lo IOSCO, per citarne solo alcuni, interagiscono con istituzioni tradizionali come il FMI o la Banca Mondiale; in materia di politiche regionali, la UE, l’APEC, il Consiglio Nordico, l’OCSE, sono esempi di “networks di networks”, Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 18 Introduzione Tuttavia, è bene precisare che gli Stati non sono scomparsi, ma evolvono i meccanismi di ri-aggregazione delle loro diverse istituzioni: una nuova sovranità, forte e coesa all’interno, permette di avere un impatto globale, creando convergenze e divergenze informate, e migliorando la portata, la natura e la qualità della cooperazione internazionale. L’Italia si colloca ad un livello molto avanzato del processo di disaggregazione dello Stato unitario, al punto che la riforma dello Stato (dalla legge Bassanini in poi) e la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione (e-government) sono presi ad esempio da Paesi di antica tradizione unitaria come la Francia. Tuttavia, l’Italia appare indebolita a causa della difficoltà di trovare un suo equilibrio per riclassificare la sovranità dello Stato disaggregato, per creare dei meccanismi di ri-aggregazione della nuova sovranità. Intanto, la sovranità frammentata dello Stato italiano agisce, attraverso una proliferazione di lobby istituzionali e private, in ordine sparso e apparentemente caotico. La nostra indagine sulle lobby d’Italia a Bruxelles vuole essere un contributo oggettivo, organico e analitico, per conoscere la nuova situazione, capirne le implicazioni, le forze e le debolezze, e così cercare di avviare un dibattito sugli aspetti qualitativi e quantitativi utili per migliorare le capacità italiane nel cogliere le opportunità che si presentano. Capire bene che cos’è l’Europa per saper agire in Europa! Il processo decisionale europeo è complesso, ma è aperto e inclusivo. Comprenderlo dal suo interno fa la differenza nella capacità d’influenzare la formazione delle policies. Poiché interagiscono così tante voci diverse, talvolta confliggenti, è necessario che ogni attore di questo sistema abbia una profonda conoscenza delle tecniche e delle logiche che permettono al suo messaggio di essere effettivamente recepito. Il modo in cui funziona il sistema europeo permette di influenzarlo dall’esterno, con risultati spesso soddisfacenti. In ragione della struttura reticolare e multi-livello del sistema europeo, la predominanza ricorrente di uno stesso gruppo d’interessi o di pressione è impossibile! Qualunque sia la metodologia che si sceglie per influenzare il processo decisionale europeo, i fattori cruciali sono il timing e la qualità. È essenziale capire il processo decisionale e legislativo per poter presentare i punti chiave del messaggio che si vuole far recepire e sul quale si attende un’azione. Il processo decisionale europeo è piuttosto convulso e il tempo delle persone che si contattano è prezioso. Per questa ragione, è essenziale saper preparare bene il messaggio, in modo chiaro (to the point) e conciso (8-12 righe), e in diverse lingue (la sensibilità linguistica dell’interlocutore è ancora molto importante!). Inoltre, cercare di difendere un caso singolo è veramente difficile, se non improbabile. Per avere efficacia è necessario collegare il proprio problema o organizzazioni composte da networks di ministeri e parlamentari nazionali. Tra le più antiche, vale la pena ricordare il Commonwealth britannico, che da sempre è un’organizzazione reticolare che collega una miriade di networks nazionali in materia regolamentare, giurisdizionale e legislativa. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 19 Introduzione interesse a quello di altri, costruire una “cordata d’interessi”, e collettivamente “massaggiare” le istituzioni europee, e la stampa residente. Avvicinarsi alle istituzioni europee standosene comodamente seduti a casa propria, o con visite lampo e occasionali, o facendo magari intervenire tal o talatra personalità nazionale in visita a Bruxelles, è eminentemente perdente. L’affidabilità e la legittimità di chi comunica i messaggi è imprescindibile. Queste qualità si guadagnano con un’attività di medio e lungo periodo “sul campo”, con continuità e pazienza. Gli strumenti comunemente utilizzati nelle attività di lobbying europee sono: a) b) c) d) Contatti formali e informali Briefing papers, position papers, media management Networking Participazione ai working groups della Commissione Preparare queste attività nel minimo dettaglio è di fondamentale importanza se si vuole essere presi in considerazione dall’interlocutore. L’informazione di base è contenuta in circa 40.000 documenti che ogni anno sono pubblicati sul Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, ma anche da studi specifici che spesso sono fatti con la partecipazione diretta delle parti interessate (Libri Verdi; Libri Bianchi). In molti casi la preparazione di questi documenti non passa attraverso il processo di revisione delle Rappresentanze Permanenti degli Stati membri. Infatti, i COREPER, i comitati settoriali dei Rappresentanti Permanenti che preparano i testi sottoposti all’approvazione del Consiglio molto spesso ricevono documenti che sono già “pre-negoziati” dalle istituzioni comunitarie con le parti interessate. Inoltre, negli ultimi anni l’importanza del Parlamento europeo nei procedimenti di co-decisione, ma anche a livello finanziario e di budget, è enormemente cresciuta. Il sistema europeo è eminentemente democratico, reticolare, e inclusivo. Chiaramente, la capacità delle istituzioni centrali e disaggregate degli Stati, delle imprese e delle persone è fondamentale per essere parte attiva dei processi decisionali europei. Inoltre, in molti casi la partecipazione ai tavoli di consultazione avviene per invito ad personam da parte delle istituzioni comunitarie. Saper partecipare, avendo le capacità e i mezzi adeguati, è una delle chiavi per avere successo nella competizione per influenzare il processo decisionale europeo. Non tutti i gruppi di lobbying che tentano di influenzare il processo decisionale europeo hanno uguale successo. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 20 Introduzione Molto dipende dalla capacità di avere i propri affari perfettamente organizzati at home7. In altri casi, alcuni gruppi comprendono il processo europeo meglio di altri. Tra i gruppi più organizzati nel lobbying europeo, sia con strutture interne, sia perchè fanno ricorso a dei professionisti del settore, troviamo le società multinazionali non solo europee8. Generalmente, l’ufficio di rappresentanza di Bruxelles riceve precise istruzioni, documenti tecnici di supporto, informazioni e contatti, dal quartier generale dove è stata creata un’apposita unità di public affairs europea che risponde direttamente al consiglio d’amministrazione della società. I rappresentanti di queste società sono i più invitati alle riunioni d’esperti e degli intergruppi sia della Commissione che del Parlamento europeo. Affinchè gli uffici di rappresentanza siano utili, ad essi deve essere data la possibilità di avere un canale bi-direzionale verso il quartier generale, una buona qualità e formazione del personale, ma sopratutto devono essere dotati dell’empowerment (le deleghe necessarie) per prendere le decisioni necessarie al momento giusto. Il prezzo pagato dai soggetti che non prestano l’attenzione necessaria alle attività europee è quello di restare tagliati fuori dai processi decisionali e di subire passivamnente le decisioni prese con il contributo degli altri concorrenti. I governi locali (comuni e province) sono tra i più deboli nel partecipare alle attività decisionali europee. Questo si deve sopratutto alla carenza di mezzi e di personale adeguato. Infatti, tranne qualche eccezione, i governi locali sono rappresentati a Bruxelles attraverso varie associazioni, che generalmente hanno un raggio d’azione limitato. Gli uffici a Bruxelles dei governi regionali sono ragionevolmente organizzati. Essi sono funzionali ad ottenere fondi europei, e sono spesso invitati a partecipare in modo semi-formale e formale alle riunioni dell’Unione europea. Il problema è che molti di questi uffici hanno una carente organizzazione at home. L’ombra del governo nazionale, con i politici eletti e la massiccia pubblicità mediatica centrata sulle questioni nazionali, rende spesso difficile fissare le vere priorità, con obiettivi chiari e la capacità di follow up che dovrebbe seguire. Spesso l’immagine di questi uffici dipende molto dalla qualità delle persone residenti a Bruxelles e dalla loro autonoma buona volontà. I risultati degli uffici delle ONG sono molto diversi tra loro. Spesso incontrano limiti simili a quelli dei governi locali. In alcuni casi, invece, alcune ONG si collegano al mondo corporate e moltiplicano i loro risultati, con mezzi ed efficacia9. In altri casi, le ONG possono celare dei veri e propri interessi nazionali (Animal Welfare, Regno Unito; Union of European SMEs-Ueapme, Germania). La situazione delle ONG italiane è molto specifica e diversa rispetto a quella appena descritta. 7 È noto che molti rappresentati istituzionali italiani, sia dello Stato centrale che delle istituzioni disaggregate nazionali, non ricevono istruzioni chiare e sufficienti, e di frequente agiscono senza il supporto tecnico-politico necessario per partecipare con profitto alle riunioni. La stessa situazione si riscontra nelle rappresentanze economiche e sociali. L’improvvisazione qualche volta funziona, ma non ci si può fare affidamento! 8 Nel 2003 sono state recensite più di 350 società multinazionali attive sulle questioni europee, di cui 250 con uffici propri a Bruxelles. 9 Ad esempio, Greenpeace o Amnesty International. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 21 Introduzione Da qualche anno, alcune università e ospedali universitari (Oxford, Regno Unito; San Raffaele, Italia) hanno aperto uffici a Bruxelles con lo scopo di ottenere più fondi per la ricerca e per strutturare al meglio la partecipazione ai bandi europei. I gruppi d’interesse non europei sono numerosi e molto diversi tra loro. La missione diplomatica degli Stati Uniti d’America e l’AmCham a Bruxelles (Camera di Commercio Americana) operano sul modello delle multinazionali, e beneficiano di linee di collegamento con esperti e ricercatori a Washington. Gli altri, avendo pochi mezzi, cercano il sostegno delle rappresentanze diplomatiche per aver accesso e ascolto nelle istituzioni europee. Infine, Bruxelles ospita oltre 150 società commerciali specializzate in servizi di pubbliche relazioni e di public affairs. Tra le Top-20, la grande maggioranza è costituita dai network mondiali anglo-americani. In base alla rilevanza e al fatturato seguono società dei Paesi nordici, spagnole, greche e una belga. Il sistema dell’Unione europea è, nel mondo, il più avanzato sistema di aggregazione di Stati, territori, interessi economici e individui, con una governance reticolare. E’ un sofisticato meccanismo reticolare multilivelli nel quale, per poter avere successo, si devono avere due capacità di base: a) Identificare e delimitare il proprio interesse; b) Sviluppare una strategia inclusiva, attraendo gli interessi degli altri su una stessa convergenza di obiettivi e fini. Quasi sempre l’Italia gioca da sola! Sono pochi i casi in cui l’azione italiana è stata fortemente coesa tra i suoi vari rappresentanti e molto rari i casi in cui l’azione italiana è stata combinata in modo strategico con quella di altri Paesi o interessi stranieri. A titolo di esempio, presentiamo due casi in cui l’azione italiana ha avuto più o meno successo, e questo proprio in ragione della più forte o più debole coesione tra i suoi rappresentanti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 22 Introduzione La riforma della PAC nel 2005: ognuno per sè! In occasione dei negoziati per la riforma della Politica Agricola Comune, in Italia è emerso un mondo agricolo diviso, nel quale le tre principali organizzazioni italiane, Cia, Confagricoltura e Coldiretti, hanno mostrato di vedere le cose in modo spesso confliggente. Se infatti Confagricoltura ha criticato duramente la riforma della politica agricola comunitaria, giudicandola pericolosa per l’agricoltura italiana, Coldiretti l’ha difesa ed ha sollecitato una sua tempestiva applicazione. Il periodo negoziale è stato anche caratterizzato da un’aspra polemica che ha coinvolto la Cia ed il Ministro delle Politiche agricole Alemanno, accusato dalla prima di non aver rispettato l'impegno preso durante il Tavolo Verde regionale della Calabria, nel quale si era convenuto sul disaccoppiamento totale dell'Ocm olio per l'intero territorio nazionale, poi confermato dalla Conferenza Stato-Regioni e dal Tavolo agroalimentare. Nonostante l’accordo, il Ministro aveva infatti richiesto alla Commissione europea una deroga al disaccoppiamento totale dell'Ocm olio, limitata alla Regione Calabria, provocando una serie di proteste da parte delle organizzazioni agricole e di petizioni nel mondo produttivo. Le organizzazioni agricole italiane si sono inoltre trovate divise sull’ipotesi di cofinanziamento della “PAC”. La Cia si è dichiarata contraria all'ipotesi di cofinanziare una quota della spesa agricola a carico dei bilanci nazionali, che comporterebbe, a suo parere, una nuova "precarietà della spesa agricola". Inversamente, il presidente di Confagricoltura era stato fra i primi a suonare un campanello d'allarme sui tagli alla spesa agricola prospettati nell'ultima bozza di compromesso sulle prospettive finanziarie, sottolineando come negli ultimi 20 anni il sostegno assicurato agli agricoltori europei sia diminuito in modo consistente. Queste divisioni interne hanno considerevolmente ridotto la capacità di influenza italiana in sede negoziale europea e si sono risolte in un compromesso tra Ministero, regioni e organizzazioni agricole sul disaccoppiamento totale per tutti i settori tranne i seminativi, e sulla gestione della riserva per gli incentivi alla qualità a livello nazionale. Fonte: elaborazione CIPI in base ad articoli della stampa italiana L’accordo raggiunto sulla riforma del mercato dello zucchero (2005) rappresenta un buon esempio di success story dell’attività di lobbying italiana esercitata a Bruxelles: i risultati positivi ottenuti hanno dimostrato che una maggiore unità tra gli attori italiani nel portare avanti i propri interessi rappresenta senz’altro un punto di forza. La lobby italiana dello zucchero Al termine dei negoziati lo scorso novembre 2005, i Ministri UE dell'Agricoltura hanno raggiunto un accordo sulla riforma del mercato dello zucchero, settore che aveva resistito per 40 anni ad ogni riforma della Politica agricola comune: è stato sancito un taglio dei prezzi di riferimento di tale prodotto del 36% in quattro anni (e non più del 39% in due anni come previsto originariamente) e sono stati fissati sostanziosi aiuti economici di accompagnamento e per la riconversione. Tra i protagonisti schierati a favore della causa italiana, il Ministro alle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, è stato tra i più attivi nel patteggiare meccanismi finanziari convenienti ad un Paese, come l'Italia, dalle basse rese nel settore della bieticoltura (6,05 tonnellate per ettaro rispetto alle 10 del Belgio o alle 11,35 della Francia). Alemanno ha stimato che in Italia su 19 impianti saccariferi ora esistenti, 6-7 stabilimenti, quasi tutti concentrati nella Pianura Padana, potranno continuare la loro attività e con una maggior capacità produttiva. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 23 Introduzione La produzione di zucchero non scomparirà quindi dall'Italia, ma al contrario, alla luce del nuovo scenario, circa il 50% dell'attuale produzione saccarifera italiana dovrebbe riuscire a salvarsi e a rimanere competitiva. Il resto del comparto potrà disporre di circa 700 milioni di euro in due anni per attuare processi di ristrutturazione e aiutare gli agricoltori che dovranno cambiare tipo di coltura, in modo da evitare perdite gravi nel settore occupazionale e permettere di trovare un’altra destinazione per ogni posto di lavoro perso nel settore dello zucchero. L'intesa raggiunta a Bruxelles è stata possibile grazie ad “un gioco di squadra” di tutti gli attori coinvolti. Infatti, i risultati hanno soddisfatto vari esponenti del governo italiano ma anche Coldiretti, Confagricoltura e Cia-Confederazione Italiana Agricoltori che hanno sottolineato come, grazie a questo sforzo negoziale, siano stati ottenuti risultati nettamente migliorativi rispetto alle proposte iniziali. Fonte: elaborazione CIPI in base ad articoli della stampa italiana La governance dell’Unione europea, sia orizzontale che verticale, ormai non rassomiglia più “all’Europa poesia”, quella di orgine romantico-illumunista degli anni ’50 ispirata ad un’innocente federazione di Stati-nazione attorno a qualche obiettivo circoscritto (CECA), ma è sempre di più “un’Europa prosa”, fondata sullo scontro/confronto di interessi – nazionali, regionali, locali, privati, individuali e della moltitudine, ma trasversali e dai confini variabili in profondità e larghezza – che compongono le policy che si traducono in legislazione per l’insieme dei 25 Stati che la compongono. Il sistema dell’Unione europea produce circa l’80% delle legislazioni nazionali, regionali e locali di tutti gli Stati membri. E questo, nel quadro del nuovo sistema multipolare e multilaterale globale. In pratica, il sistema dell’Unione europea di oggi è strutturalmente più globale di tante altre federazioni di Stati, dal Brasile agli Stati Uniti, dall’Argentina al Sud Africa, dalla Germania alla Federazione Russa. Nel 1989, la fine dell’equilibrio bipolare è coincisa con l’avvio di una profonda trasformazione economica e tecnologica. Le certezze tradizionali stanno cominciando a vacillare, cambiando i nostri parametri di riferimento ed aprendo nuovi orizzonti economici e politico-sociali. Oggi è maturo pensare che siano inadeguate le certezze tradizionali del mondo moderno. Non ci aiutano più i parametri culturali tradizionali. La svolta storica è adesso, e i suoi effetti si vedranno nei decenni a venire! Nella nuova situazione mondiale è enorme il costo degli errori intellettuali nella gestione degli affari di Paesi, settori d’attività, o delle persone. Dobbiamo essere capaci di prevenirli. A 17 anni dal 1989, dobbiamo riuscire a ragionare secondo nuovi parametri, comprendere le regole, e individuare i protagonisti del nuovo sistema mondiale che si sta formando. L’Europa non è un’isola, ma parte di questo processo mondiale. Qualcosa può essere fatto! Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 24 Introduzione 2. Alcuni dati sul lobbying europeo 10 Un lobbista di lungo corso definisce Bruxelles come “Eldorado dei lobbisti”. Abituato per molti anni allo stile e alle regole del lobbying di Washington, Bruxelles appare come un “deserto (di regole) molto affollato, più di quanto si possa immaginare dall’esterno”. “Sembra che nulla si muova, invece tutto è possibile, e ben oltre le questioni legislative e le regolamentazioni dell’Unione europea”. “A Bruxelles si incontra quasi tutto il Mondo!” Le lobby di Bruxelles A Bruxelles operano circa 2.600 gruppi di interesse recensiti, e si calcola che più di 15.000 persone facciano lobbying diretto sulle istituzioni europee. Fra queste, sono state recensite 815 federazioni europee e internazionali (con più di 5.000 membri appartenenti ad associazioni nazionali), 200 uffici di rappresentanza di autorità regionali e locali, più di 350 imprese direttamente rappresentate e circa 150 uffici di consulenza e molti altri che si occupano di materie comunitarie. Se a queste lobby si aggiungono anche le varie rappresentanze degli Stati e quelle istituzionali, il numero delle persone che agiscono influenzando il sistema comunitario sarebbe di circa 55.000, con una ratio di quasi 2:1 rispetto ai circa 30.000 funzionari delle istituzioni comunitarie. L’insieme delle persone che operano a diverso titolo, diretto e indiretto, nel sistema comunitario, includendo i funzionari e i giornalisti accreditati (oltre 1.000), si aggirerebbe a circa 150.000 persone. Il lobbying europeo rispecchia molte caratteristiche dell’Europa: esteso nella varietà di argomenti trattati, molteplice negli approcci e influenzato da tradizioni e culture specifiche e diverse. Viene esercitato sulle istituzioni europee che per scelta vogliono essere aperte e comunicare con i gruppi di interesse e la società civile. Perché questa presenza imponente? A Bruxelles si decidono circa l’80% dei contenuti delle leggi nazionali e locali, incluse le leggi finanziarie, con un evidente impatto sul PIL dei Paesi membri e sullo sviluppo sociale ed economico, e si negoziano gli stanziamenti del budget delle istituzioni comunitarie per l’attuazione dei programmi e progetti europei, di cui circa il 6% è destinato alla gestione amministrativa delle istituzioni, per un totale di circa 100 miliardi di euro all’anno, ovvero circa l’1% del PIL cumulato dei 25 Stati membri. Dati elaborati dal CIPI sulla base dei dati disaggregati delle istituzioni europee 10 Si avverte il lettore che i dati presentati sono tratti da fonti istituzionali italiane e straniere, e The European Public Affairs Dircetory 2006 e 2003. Necessariamente, un’indagine di questo tipo è incompleta e i dati possono essere imprecisi. Tuttavia, essi costituiscono un indicatore piuttosto vicino alla realtà. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 25 Introduzione Spesso i lobbisti hanno difficoltà a farsi repertoriare nella categoria adatta all’interno dell’opera di riferimento che è “The European Public Affairs Directory”. Lo stesso problema si incontra con il repertorio elettronico CONECCS, creato su iniziativa della Commissione europea e accessibile sul suo sito Internet EUROPA dal 1999. Ne risulta che molti lobbisti italiani presenti a Bruxelles non vi sono inclusi. Ripartizione dei 2621 uffici internazionali di rappresentanza con sede a Bruxelles nel 2006 Ass. Commerciali e Professionali 31% Rappr. Permanenti 1% Stampa extra europea 2% Think Tank 4% Studi Legali 5% Uffici di Consulenza 6% Uffici della Stampa europea 13% Missioni e Delegazioni presso l'UE 6% Uffici delle Regioni 8% Gruppi d'Interesse 13% Società e Imprese 11% Ass. Commerciali e Professionali (815) Gruppi d'Interesse (330) Uffici delle Regioni (205) Uffici di Consulenza (154) Think tank e Uffici per la Formazione (104) Rappresentanze Permanenti (25) Uffici della stampa europea (341) Società e Imprese (301) Missioni e Delegazioni presso l'UE (158) Studi Legali (130) Uffici della Stampa extra europea (58) Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI In linea di massima, tutte le federazioni professionali sono presenti a Bruxelles, dalla federazione europea degli esperti contabili a quella dei rappresentanti degli armatori, passando per la federazione dell’industria chimica e quella degli architetti-paesaggisti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 26 Introduzione Classifica delle federazioni in base al numero di rappresentanze 1. Agricoltura 2. Industria chimica 3. Ambiente 4. Alimentare 5. Energia 6. Automobile Settori principali dei gruppi di interesse della società civile Ambiente Salute e sicurezza alimentare Questioni sociali Istruzione e formazione Questa classifica si basa semplicemente su un calcolo matematico della presenza nel “quartiere europeo”, ma non intende giudicare il successo in termini di lobbying di nessuno di questi settori (Fonte: CCIP, 2005) Queste classifiche evolvono in funzione di e di pari passo con gli sviluppi comunitari. Ad ogni modo, la classifica della presenza dei gruppi di interesse riflette meglio la situazione reale sul campo: i difensori dell’ambiente (Greenpeace e WWF) diventano sempre più potenti dal punto di vista degli strumenti di cui dispongono sul posto, al pari delle associazioni che rivendicano una maggiore sicurezza alimentare e una maggiore informazione dei consumatori. Sono sempre più numerosi i gruppi che patrocinano gli interessi delle categorie più svantaggiate (portatori di handicap, minoranze etniche, rifugiati, ecc...). Questi gruppi di interesse beneficiano della simpatia della stampa europea, che concede loro un vantaggio considerevole in termini di copertura mediatica rispetto ai grandi gruppi. Per quanto riguarda la nazionalità o la cultura, non c’è dubbio sul fatto che la grande maggioranza di reti di influenza agisca in inglese. Fra i più attivi, troviamo AmCham EU Committee, il comitato europeo della Camera di Commercio Americana. Questo comitato rappresenta gli interessi di circa 150 membri, principalmente imprese o gruppi legati al tessuto produttivo americano, ovvero controllati da americani o da europei che rappresentano degli interessi americani. Vi fanno parte 8 dei 12 primi gruppi industriali americani (classifica dell’inchiesta annuale della rivista Fortune). Le posizioni adottate da AmCham, in ragione del suo peso economico, sono sicuramente le più ascoltate e le più considerate dai suoi interlocutori. Dopo AmCham, il lobbying britannico e, successivamente, quello tedesco sono considerati i più efficaci e i più presenti. Il lobbying francese, dopo un periodo di stasi, sta recuperando terreno: ormai la Francia fa lobbying a Bruxelles e non pretende più di farlo solo a partire da Parigi. Infine, non va sottovalutato il crescente interesse cinese per gli affari europei. La caratteristica comune a questi tipi di lobbying è quella di cercare di uscire dal settore che li interessa direttamente per aggregare quanti più gruppi di interesse possibile intorno alla loro causa, spesso sotto la maschera dell’interesse Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 27 Introduzione nazionale, ma anche grazie alle alleanze che sono riusciti a costruire nel corso degli anni. Ripartizione per nazionalità del numero degli Studi Legali insediati a Bruxelles che svolgono attività presso le istituzioni comunitarie 4 Belgio 2 1 11 1 Stati Uniti 4 30 5 Regno-Unito Germania 5 Italia Francia 8 Internazionali Polonia Spagna Paesi-Bassi 9 Slovacchia 27 Svezia Danimarca 22 Norvegia Fonte : The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI Se dalla ripartizione contenuta nella tabella riportata sopra non sorprende, per ovvie ragioni, il numero di studi di avvocati belgi, lo stesso non si può dire per il numero di studi legali anglofoni insediati a Bruxelles e aventi attività europee, dato che da soli totalizzano 49 studi legali su un totale di 127. Sicuramente, la predominanza e la continua espansione degli studi di avvocati anglofoni sono un fenomeno ben conosciuto, ma rammarica constatare che la tendenza non accenni a cambiare. La presenza degli studi legali italiani a Bruxelles è incrementata negli ultimi anni e si colloca in buona posizione anche rispetto a Francia e Germania. Inoltre, alcuni studi di avvocati italiani hanno creato una specifica “cellula di relazioni con le istituzioni comunitarie” che ha per vocazione quella d’informare i propri clienti sui progetti comunitari e sulle decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. È evidente che si tratta di “soft lobbying”, ma è pur sempre un inizio. Ripartizione degli uffici di rappresentanza di società, di associazioni professionali e commerciali, di gruppi d’interesse, e di uffici di consulenza italiani e stranieri insediati a Bruxelles11 11 Sono presi in considerazione solo gli uffici che rientrano nelle categorie rappresentative di attività o interessi a valenza europea, cosi’ come sono strutturate nel “The European Public Affairs Directory 2006”. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 28 Introduzione Totale uffici nel 2006 Totale uffici nel 2003 Uffici italiani nel 2006 Uffici italiani nel 2003 Italiani in uffici stranieri o internazionali12 Società e Imprese13 301 260 15 13 14 Associazioni CommercialiProfessionali14 815 749 3 5 61 Gruppi di Interesse15 330 317 2 1 36 Uffici di Consulenza16 154 139 16 12 6 Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 – 2003, e dati elaborati dal CIPI Il numero di uffici di rappresentanza repertoriato non deve essere considerato come esaustivo, ma come un indicatore di tendenza piuttosto vicino alla realtà. È certo che il confronto della presenza italiana in taluni settori deve far pensare e far reagire: le associazioni europee commerciali o professionali tedesche sono più di 50 nel 2006 contro le 3 italiane17; la presenza italiana nei gruppi di interesse (2), sia quantitativa che qualitativa, deve far riflettere; gli uffici di consulenza italiani sono quantitativamente nella media (16), ma spesso sono strutture mononucleari o con pochissimo personale, e soprattutto solo italiano. Si deve notare che la definizione usata nella pubblicazione di referenza in materia di European Public Affairs per quanto riguarda le associazioni, federazioni o uffici nazionali distinti da quelli europei, induce ad un’esclusione della maggioranza delle entità italiane presenti a Bruxelles. Benchè i dati sopra riportati possano sembrare riduttivi della realtà italiana, il CIPI si è limitato a presentare quanto in realtà pubblicato nell’opera considerata come benchmark europeo in materia. Tuttavia, il CIPI ha condotto la sua ricerca indipendentemente e, come è possibile verificare nei rilevanti capitoli successivi in quest’opera, tutte le organizzazioni italiane repertoriate come presenti a Bruxelles sono state valutate e incluse in questo Rapporto. Potrebbe essere utile una riflessione sui motivi che portano la maggioranza delle entità italiane a non essere repertoriate nel The European Public Affairs Directory 2006. Una prima considerazione riguarda il fatto che queste entità sono in 12 Sono stati repertoriati solo i gradi di dirigente superiore d’impresa, presidente, segretario generale, direttore di associazioni e gruppi d’interesse, e i consulenti senior. 13 Sono repertoriate solo le grandi imprese e le multinazionali che hanno un direttore full-time di public affairs europei. 14 Sono state repertoriate le organizzazioni europee che rappresentano specifici settori industriali, commerciali o professionali. 15 Sono state repertoriate le organizzazioni europee senza scopo di lucro. Queste rappresentano una grande varietà di interessi. 16 Sono stati repertoriati gli uffici di consulenza che hanno rilevanza con gli affari europei. 17 Si deve tener presente che le numerose associazioni di settore e federazioni industriali italiane che pur hanno un ufficio a Bruxelles non sono prese in considerazione in questo repertorio in quanto considerate come associazioni nazionali e non europee. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 29 Introduzione prevalenza composte esclusivamente da membri associati italiani, e non sono considerate come portatrici di un valore aggiunto europeo. Ripartizione per Paese degli uffici di Società ed Imprese a Bruxelles nel 2006 15 41 24 26 Regno Unito Francia Germania Italia Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 Ad ogni modo, non bisogna trarre conclusioni affrettate sulla base di questi dati, proclamando un deficit italiano in termini di rappresentanza a Bruxelles. È certo, peró, che mentre la presenza britannica e tedesca nelle associazioni professionali e commerciali nazionali ed europee è immediatamente visibile, sia numericamente, sia in termini di qualità del personale, sia la Francia che l’Italia risentono di un certo ritardo. L’Italia è piuttosto ben rappresentata solo in qualche settore specifico, particolarmente nei settori di attività delle PMI. Mentre nelle associazioni che riguardano le attività dei grandi gruppi industriali l’Italia è poco presente, negli ultimi anni si è registrata una maggiore presenza nel comparto dell’industria dell’aeronautica e della difesa.18Gli altri settori risentono ancora di logiche e culture troppo incentrate sul sistema nazionale, e questo va a scapito del loro impegno nelle associazioni europee. La rilevanza degli affari europei nella presentazione online dei vari uffici di collegamento con le istituzioni europee 18 Si tenga presente che questo comparto è stato spinto all’internazionalizzazione già da vari anni, e quindi la sensibilità dei dirigenti di queste imprese spiega la loro presenza nelle associazioni europee di settore. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 30 Introduzione Un indicatore di tendenza della rilevanza data all’attività europea da parte di questi uffici di rappresentanza si trae dalla valutazione dell’informazione fornita sui siti Web. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei presenti nei siti degli uffici italiani (suddivisi per categoria) 35 30 25 20 15 10 5 li ud St As so c ia zio n id i le to is et bb Lo R, ,P ne ica zi o Co m un ga re g yi n ivi ur at as s ic z ia pi ru p G Au t on fi n om an ie G loc ri e ali ru p e pi fu in nz du ion st ri ali ali 0 Fonte: dati elaborati dal CIPI Abbiamo voluto tracciare un grafico della presentazione delle questioni europee per le 6 categorie come appare nei siti Internet delle entità considerate in questo Rapporto19. La metodologia usata per la valutazione dell’informazione online sugli affari europei ha usato 8 criteri di riferimento sulla base dei quali è stato assegnato un punteggio da 1 a 5, dal minore al maggiore livello di chiarezza offerto (1: insufficiente; 2: scarso; 3: sufficiente; 4: buono; 5: ottimo). 19 Si noti che per la categoria “autonomie locali e funzionali” è stata presa in considerazione solo Anci-Ideali, e per la categoria “comunicazione, PR, lobbying” è stata presa in considerazione solo la società Barabino & Partners, e per la categoria “associazioni di settore” sono state prese in considerazione solo 6 entità sulle 13 rappresentate. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 31 Introduzione I criteri usati per la valutazione: 1) Inquadramento dell’ufficio: Descrizione degli obiettivi generali e delle finalita’, inquadramento funzionale del capo ufficio, relazione funzionale con la sede centrale in Italia 2) Organizzazione dell’ufficio: Lista dei collaboratori, funzioni operative, politiche comunitarie seguite, qualità dei contatti proposti 3) Presentazione delle attivita’: Attivita’ di lobbying, informazione ed assistenza 4) Descrizione degli eventi rilevanti per l’ufficio: Agenda aggiornata dei principali eventi (incontri, conferenze) in programma, link di aggiornamento sulle attivita’ promosse dall’UE 5) Formazione applicata: Requisiti per effettuare stage formativi all’interno dell’ufficio, link per stage alle Istituzioni europee 6) Guida di riferimenti e link: Lista dei contatti di Istituzioni ed altri organismi politici e di rappresentanza con sede a Bruxelles 7) Ergonomia e lingue del sito: Facilità di accesso alle informazioni; traduzione del sito in più lingue 8) Ergonomia di accesso alle informazioni sull’Europa sul sito centrale in Italia: Collocazione nel sito, rilevanza grafica del link Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 32 Capitolo I Il lobbying che serve in Europa Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 33 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa 1. Definizione di lobbying Le strategie d’influenza sono delle tecniche discrete, più o meno attenuate, che servono a suffragare delle posizioni economiche, politiche o culturali e che rientrano nel ventaglio di attività praticate da un Paese. Questo tipo di influenza si esercita tradizionalmente per il tramite dell’autorità politica ed economica di uno Stato, ma può anche scaturire dall’iniziativa propria di imprese o gruppi di interesse che, attraverso la difesa dei loro interessi privati, individuali o collettivi, possono allo stesso tempo servire quelli nazionali. Il lobbying è ormai diventato un concetto alla moda, utilizzato sempre più frequentemente, ma non per questo chiaramente definito. La nozione di lobbying rischia dunque di essere confusa e assimilata alle attività dei gruppi di contestazione o a pratiche illecite, ai limiti della corruzione. Il lobbying è, al contrario, un atto democratico e, come tale, va incoraggiato. Lungi dall’essere una scienza a parte, il lobbying presuppone un approccio integrato, che coniughi delle buone capacità comunicative, una sensibilità umana adatta alle istituzioni pubbliche e una perfetta comprensione dei vari processi decisionali. La nozione di lobbying abbraccia dunque discipline diverse, quali sociologia, politica, diritto, economia, e storia. Spesso è infatti necessario esulare dal quadro storico-politico o giuridico per analizzare fenomeni di natura economica, strategica o sociologica che presentano dimensioni lobbistiche in varie sfere della convivenza collettiva. Il lobbying non è affatto sinonimo di corruzione, connivenza o favoritismo, attività, queste, formalmente condannate dalle istituzioni europee. Al contrario, la Commissione europea incoraggia l’avvicinamento dei lobbisti, che reputa indispensabili per lo sviluppo delle sue politiche. Si tratta, infatti, di un dialogo mutualmente proficuo che giova sia alle istituzioni europee, sia agli interessi dei gruppi esterni. Per questo motivo, i funzionari delle istituzioni europee caldeggiano l’intensificarsi della cooperazione con i lobbisti e ne apprezzano notevolmente i contributi20. Il lobbying è infatti funzionale e indispensabile al buon funzionamento del sistema comunitario, in quanto permette alla Commissione di conoscere gli interessi e le opinioni del mondo esterno e di effettuare scelte finali consapevoli. Le attività di lobbying nel processo di decision making comunitario sono una realtà legittima e spesso necessaria al fine di ottenere l’approvazione, la modifica, la revoca o il rallentamento di un provvedimento legislativo suscettibile di avere un impatto negativo sugli interessi rappresentati dai vari gruppi di pressione. Le lobby sono associazioni che manifestano e tutelano degli interessi specifici e che detengono un potere non espressamente chiarito. Non sono, in ogni caso, oggetti di diritto, ma fanno parte di un sistema giuridico generale, giacché esse costituiscono associazioni regolate da norme giuridiche statali. Questo le rende A questo proposito si suggerisce la lettura del saggio “Il lobbying democratico come fattore di sicurezza”, pubblicato dalla Rivista Gnosis 2/2005. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 34 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa diverse, se i sistemi giuridici ne sono attrezzati, dai gruppi di potere trasversali e segreti che agiscono al di fuori delle regole condivise e codificate. 1.1 Alcune definizioni teoriche Alcune autorevoli definizioni teoriche sono utili per capire a fondo il significato di lobby e di lobbying21. “La lobby come organizzazione di un gruppo portatore dell’interesse da tutelare. Lobbista il personale, interno o esterno all’organizzazione, attraverso cui si attua la rappresentanza. Lobbismo l’insieme di tecniche e attività che consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati. Il lobbismo è quindi la faccia politica dei gruppi di interesse, una volta che decidano di perseguire finalità pubbliche, mutandosi da associazioni private in gruppi volti all’azione politica (…)” (Luigi Graziano). “Un gruppo coincide con ogni sezione della società con interessi propri che agisca o tenti di agire”; “Non c’è gruppo senza interesse. Un interesse è l’equivalente di un gruppo (…)” (Arthur Bentley). “Gruppo di interesse è qualsiasi gruppo che sulla base di uno o più atteggiamenti condivisi, presenta delle domande ad altri gruppi della società (…)” (David Truman). L’identità del gruppo si fonda sulla condivisione di atteggiamenti. I gruppi si mobilitano quindi movendo richieste ad altri gruppi, ed entrando in questo modo in concorrenza per inflenzare le politiche pubbliche. “Un gruppo di interesse è un gruppo di individui che sono legati da comuni preoccupazioni o interessi e che sono consapevoli di questo legame” (Almond e Powell). Da queste definizioni si puo’ trarre una definizione empirica “Un gruppo di interesse può, dunque, essere definito come un insieme di persone, organizzate su basi volontarie, che mobilita risorse per influenzare decisioni e conseguenti politiche pubbliche” (M. Cotta). Il lobbista può essere definito come una persona che agisce conformemente alle istruzioni di una terza parte e che cerca di tutelare gli interessi di questa terza parte presso le istituzioni europee, o che, a questo scopo, trasmette costantemente informazioni o mantiene contatti regolari con gli eurodeputati e con i funzionari delle altre istituzioni. Fare lobbying non significa limitarsi a deporre il dossier giusto al momento opportuno e presso la persona adatta. Si tratta di una tecnica molto più affinata, che necessita di un particolare know-how e dei contatti giusti. 21 Per una sintesi della letteratura scientifica esistente sui “gruppi di interesse” si veda il capitolo ad essi dedicato in: Cotta, Dellaporta, Morlino, Scienza Politica, Bologna, 2001 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 35 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Nella pratica, occorre innanzitutto distinguere tra lobby-azione e lobby-soggetto: la lobby-azione è qualsiasi attività indirizzata su soggetti decisionali, pubblici o privati, per far recepire un determinato punto di vista o interesse; il lobby-soggetto è qualsiasi attore (persona fisica o giuridica) che rappresenta sostanzialmente il punto di vista o l’interesse di una terza parte. Tipologia dei gruppi di interesse I gruppi di interesse possono essere suddivisi in categorie differenti in base alle loro strutture organizzative, modalitá d’azione, obiettivi e risorse. Per quanto riguarda la struttura organizzativa, i gruppi si possono suddividere in quattro categorie22: a) gruppi di interesse anomici23, cioè senza nessuna organizzazione, spontanei di protesta e lamentela che crescono velocemente; b) gruppi di interesse non-associativi24, basati su interessi derivanti da identità condivise quali razza, religione, lingua, etnia; c) gruppi di interesse istituzionali25, che si trovano all’interno di organizzazioni, quali i corpi legislativi, le forze armate, le burocrazie e le chiese; d) gruppi associativi26, ovvero strutture specializzate nell’articolazione degli interessi e che sono specificamente designate a rappresentare gli obiettivi di un gruppo in particolare. Osservando le modalitá d’azione, possiamo distinguere tra: a) forme d’azione convenzionali (comunicazioni e contatti); b) forme d’azione forti dirette all’opinione pubblica manifestazioni, ecc...). 22 (scioperi, Questa tipologia è tratta dagli studi di Almond and Powell, presso la Gergetown University. Si veda: “A relatively simple and widely accepted taxonomy of political groups”, Almond and Powell (2000) 23 “Anomic interest groups [are] .... short-lived, spontaneous aggregations of people who [briefly discover that they] share a political concern .... [A] riot is the clearest example …. [T]he participants tend to share a common set of … grievances that they express through a … disorganized outpouring of emotion, energy, and violence.… [It] emerges with … no planning and then quickly stops”, è la definizione originale di Almond and Powell 24 “Nonassociational interest groups are fluid aggregates of individuals who [do not have] …a permanent organizational entity but who [nevertheless, in fact] share some common [values and temporarily become] … politically active on an issue. [Thus, a] loosely structured organization [of such a group] might ... emerge to plan and coordinate … activities but [this organization] will [still] be ... relatively informal and once the issue has lost its immediate salience, [it] will disappear”, è la definizione originale di Almond and Powell 25 “The institutional interest group is an organization that [was initially] formed to achieve goals other than affecting the political system but [it later also decided] to seek political objectives. Most occupational … groups recognize that the decisions of the political system sometimes have major impacts on their own [values]. Thus they have a … [strong motive] … to represent the group’s [concerns] to the [state]. For example, the University of California”, è la definizione originale di Almond and Powell 26 “The … associational interest group is [initially] organized specially to further the political objectives of its members”, e.g. Green Peace, è la definizione originale di Almond and Powell Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 36 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Gli obiettivi distinguono i gruppi in: a) gruppi di difesa degli interessi oggettivi; b) gruppi fondati sull’espressione di preferenze morali. L’elemento che maggiormente determina l’azione dei gruppi sono le risorse: a) risorse economiche-finanziarie (rilevanti nei gruppi imprenditoriali); b) risorse numeriche (numero di iscritti è fondamentale in gruppi come i sindacati, garantendo sia la mobilitazione che i finanziamenti); c) risorse di influenza (posizione strategica, collocazione nel processo produttivo); d) risorse conoscitive (know-how, conoscenze tecniche e specialistiche); e) risorse organizzative f) risorse simboliche 1.2 L’esercizio del lobbying Il lobbismo è un processo attraverso il quale i rappresentanti dei gruppi di interesse agiscono (direct lobbying) da intermediari per portare a conoscenza del decisore pubblico le richieste dei loro gruppi. Il lobbismo è prevalentemente indiretto ed esercita la sua pressione in nome dell’interesse pubblico. In questo contesto, vanno strutturati gli obiettivi dei gruppi, che si suddividono in gruppi di difesa di interessi oggettivi, gruppi fondati sull’espressione di preferenze morali, gruppi di interesse pubblico e gruppi di interesse speciale, che difendono un interesse comune o interessi parziali, che avvantaggiano certi gruppi a danno di altri. I lobbisti sono stati anche chiamati la “terza camera”, che in modo del tutto particolare produce leggi, pilotando provvedimenti e condizionando il comportamento dei politici, regolamenta situazioni o pressa su decisioni politiche, cercando di ottenere la realizzazione degli scopi direttamente o indirettamente previsti dal gruppo organizzativo. L’azione del lobbista può essere: a) sociale, cioè un tipo di lobbismo che fa ricorso alla diplomazia delle gentilezze, dei favori, delle attenzioni verso un politico o un decisore; b) di base, cioè il grass root lobbying, perché è lontano dalla politica e si configura come forma principale del lobbismo indiretto. Il lobbismo è una realtà forte, presente e in continua crescita, perché gli interessi economici sono sempre più diffusi, vanno organizzandosi a livelli sempre più inferiori e sono alla costante ricerca di essere tutelati. È opportuno precisare che quando si parla di interessi, questi non sono necessariamente di carattere economico, ma possono rappresentare anche bisogni, preferenze, attitudini o valori. Questi centri d’interesse si organizzano in gruppi, con l’obiettivo di ottenere decisioni politiche favorevoli nelle sedi formali e dagli attori politici. Quando il Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 37 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa lobbying viene esercitato sulle sedi formali del potere diventa un vero e proprio gruppo di pressione e quando lo si esercita sugli organi comunitari, si parla di lobbying comunitario. Un punto cardine nel sistema decisionale comunitario è il momento della decisione del bilancio, poiché consente di destinare risorse da un settore industriale ad un altro e ciò può equivalere a fare la fortuna, o la sfortuna, dei gruppi di interesse che desiderano influenzare il potere decisionale. Si tratta di un fenomeno presente in tutti i sistemi politici, e ancora di più in quello comunitario. Questo fenomeno è molto visibile in quei settori che sembrano apparentemente meno permeabili alle pressioni degli interessi, come per esempio i gruppi di lavoro scientifico che si trovano nel sistema parlamentare o alla Commissione europea. La rappresentanza politica e la democrazia parlamentare dovrebbero soddisfare l’interesse generale. Questo principio è uno dei punti cardine di ogni sistema pluralistico e democratico. I rappresentanti eletti al Parlamento europeo non hanno, infatti, un vincolo di mandato, ma hanno un mandato libero, quindi non vincolato a nessun interesse particolare, nemmeno a quello di coloro che li hanno materialmente eletti. Al Parlamento europeo è centrale affrontare il problema della legittimazione di tutti i tipi di attività che tendono ad influenzare le scelte dei decisori politici, portando l’attenzione sia sugli interessi particolari che su quelli generali. Se un gruppo cerca di esercitare pressione sul potere politico, è segno che dispone di canali per accedervi che gli consentono di ricorrere a sanzioni negative o positive per influenzare certe decisioni. Tali risorse possono essere ovviamente di varia natura: dall’entità numerica del gruppo che rappresenta certi interessi, fino al suo impatto sull’opinione pubblica; dal tipo organizzativo dei decisori politici, fino all’organizzazione delle sedi burocratiche o politiche cui competono le decisioni. Giuste informazioni e conoscenze rappresentano un patrimonio prezioso per i gruppi di pressione. L’aumento dei gruppi di pressione e l’intensificarsi della loro attività costringe gli organi istituzionali europei ad orientarsi ad una microlegislazione di tipo “clientelare”. Si tratta di un fenomeno di sicura e quotidiana evoluzione che si traduce in un progressivo svuotamento dell’istituzione parlamentare classica o di tipo illuministico. Infatti, la formazione di una decisione coinvolge sempre più gruppi di interesse di cui non si rintraccia facilmente la base, ma che determinano la partecipazione dei decision makers nella maturazione di opinioni e nella produzione di leggi. I passi essenziali nell’evoluzione organizzativa di un gruppo di interesse sono i seguenti: concerns problems trends issues laws regulations dormancy Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 38 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Concern significa l’elaborazione iniziale dei bisogni di un gruppo. Il primo passo è definire il potential issue del gruppo. Bisogna isolare le iniziative per un lavoro che dovrebbe essere costruito nel prossimo futuro, individuarne gli attori, selezionare le persone da influenzare, calcolare il tempo necessario per la conclusione del lavoro desiderato e reperire le giuste informazioni che escludono che questo tipo di progetto appartenga ad un altro gruppo di interesse. Il secondo passo riguarda le problematiche legate alla realizzazione del progetto (problems). Il gruppo di interesse deve selezionare i soggetti da influenzare per effettuare il lavoro e identificare le tensioni che emergeranno durante l’analisi degli scopi definitivi del progetto iniziale. Il terzo passo è più integrativo (trends), giacché prevede un periodo di concertazione con avvocati, consulenti esterni, persone che possono influenzare o curare le pubbliche relazioni del gruppo di interesse, persone che lavoreranno silenziosamente per influenzare positivamente altri gruppi, persone che potranno sostenere positivamente i propri interessi o anche candidati di un partito per le prossime elezioni, se si tratta ovviamente di un gruppo che si interessa alla vittoria del proprio candidato politico. Il quarto passo (issues) non è sempre esplicitamente presentato come facente parte del percorso di un gruppo di interesse. Questo si spiega per il fatto che le vere issues del gruppo di interesse si concentrano effettivamente sul settore giuridico (laws) e sulla procedura da adottare (regulations) per arrivare ai risultati finali. L’ultimo passo dopo la procedura giuridica, se esiste, ovviamente, è il periodo di dormancy, cioè il periodo in cui si lavora con discrezione per ottenere i risultati desiderati. L’uso di atteggiamenti ostili o la denuncia pubblica sono sbagliati, e spesso si manifestano per coprire sbagli del passato. “Dormancy is not death”, sostiene la maggioranza dei gruppi di interesse, è solo un periodo di attesa, spesso la più lunga, che può però diventare disastrosa per un gruppo di interesse. L’ultimo passo è obiettivamente il più difficile, per il semplice motivo che non conosciamo preliminarmente il risultato finale. La classificazione piramidale che abbiamo descritto non è sempre seguita da tutti i gruppi di lobbisti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 39 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa 2. Demistificazione del lobbying Il lobbista è sicuramente un bravo comunicatore, ma, poiché agisce come rappresentante di uno specifico interesse, deve essere anche un esperto della materia. Egli dovrebbe quindi conoscere tutte le materie dell’organizzazione che rappresenta. Sempre di più, la professione del lobbista diventa una professione di team, che secondo una strategia comunicazionale usa le competenze tecniche e scientifiche interne o esterne all’entità che rappresenta. Il terreno su cui si muove il lobbista non è quello della rappresentanza generica, come quella costituzionalmente garantita in Italia ai membri delle Assemblee Regionali, degli enti locali e del Parlamento. Nel caso del lobbismo europeo, l’accentuazione della tecnicità della professione è altissima. Basti pensare, ad esempio, alla tecnicità dei lavori delle commissioni del Parlamento europeo che, a differenza del sistema nazionale, hanno e fanno poca politica e moltissima elaborazione tecnica, regolamentare e di policy. In maniera schematica, si potrebbe dire che un buon lobbista deve essere al contempo un buon tecnico, un buon giurista, un buon economista, un esperto della comunicazione e un buon conoscitore del macchinoso funzionamento degli organi comunitari, senza tralasciare un minimo di competenze nelle strategie imprenditoriali. In modo più empirico, secondo i lobbisti italiani a Bruxelles intervistati dal CIPI, le carte vincenti indispensabili ad un buon lobbista sono: Buona conoscenza dei meccanismi amministrativi comunitari Capacità d’ascolto Perfetta comprensione dei dossier Rete di conoscenze Se sei anni fa la professione del lobbista era prevalentemente esercitata da uomini di una certa età, i lobbisti di oggi sono sempre più donne e giovani, e la loro formazione si diversifica. L’inchiesta del CIPI ha messo in evidenza la ripartizione per settore di formazione. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 40 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Genere di formazione dei lobbisti italiani a Bruxelles 5% 4% 6% 36% 7% Diritto Ingegneria Scienze politiche Business Lingue Giornalismo 20% Lettere 22% Fonte: dati elaborati dal CIPI a. Un buon tecnico Il lobbista deve innanzitutto conoscere e comprendere le preoccupazioni della sua impresa ed avvicinarsi alle federazioni che possono utilmente farsi portavoce di interessi comuni in un particolare settore d’attività. È di primordiale importanza, dunque, conoscere gli interessi dell’impresa in ognuna di queste aree. È ugualmente importante ricercare dei partner suscettibili di avere gli stessi interessi in modo da incrementare la rappresentatività e la fondatezza delle proprie azioni. La ben nota vicenda del “Tocai Perduto” Ricordiamo la causa Monimpex-Baroni Economo di 40 anni fa, che ha sollevato il problema dell’appropriazione del marchio di vino friulano. La battaglia è stata combattuta e persa dall’Italia, ed il marchio Tocai, o meglio, Tokaj, è adesso di proprietà ungherese (il vino viene prodotto nella regione di Tokaj, al confine tra Slovacchia e Ungheria). La sentenza di riferimento è quella del 5 giugno 1959 (Corte d’Appello di Trieste; quella definitiva della Corte di Cassazione -passata in giudicato- è del 30 aprile 1962). La “battaglia” intrapresa dall’Italia per “difendere” il proprio patrimonio vinicolo resta di estrema attualità, citando a tal proposito il Comunicato Stampa n. 42/05 del 12 maggio 2005 e che ha riportato l’accento sul divieto di utilizzare la denominazione “tocai” per determinati vini italiani, in virtu’ del precedente accordo tra la Comunità Europea e la Repubblica d’Ungheria (1993). Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 41 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Tali regole non vietano tuttavia che, di fronte all’indicazione geografica ungherese “Tokaj”, la denominazione della varietà di vite italiana “Tocai friulano” possa continuare ad essere utilizzata per la designazione e la presentazione di determinati vini italiani (il “Tocai friulano” o “Tocai italico” è una varietà di vite tradizionalmente coltivata nella regione Friuli-Venezia Giulia e utilizzata nell'elaborazione di vini bianchi commercializzati, in particolare, con indicazioni geografiche come “Collio” o “Collio Goriziano”). Per l’Italia resta il divieto di utilizzare nel proprio Paese la denominazione “Tocai”, anche dopo il 31 marzo 2007, così come aveva proposto alla Corte di giustizia che ha però respinto tale richiesta. Fonte: elaborazione del CIPI in base ad articoli di stampa italiana b. Un buon economista Ancor prima di intraprendere una qualunque strategia d’influenza, è necessario identificare gli interessi economici che spingono ad una simile azione. c. Un buon giurista Le decisioni del lobbista non sono per nulla arbitrarie. Il diritto è, infatti, onnipresente nel processo di regolamentazione, poiché la Commissione deve dotarsi di una base giuridica (l’articolo del Trattato che le conferisce un potere regolamentativo in un determinato settore), e deve inoltre determinare l’impatto che vuole attribuire ad ogni regolamentazione sulla legislazione nazionale. Se il processo decisionale europeo vede coinvolte le tre istituzioni principali, ovvero la Commissione, il Parlamento e il Consiglio, le attività di lobbying devono focalizzarsi principalmente su Commissione e Parlamento, perché è necessario intervenire il prima possibile nel processo decisionale. Al livello della Commissione europea, il gruppo di interesse deve intervenire il prima possibile, idealmente prima che la bozza di testo diventi una proposta adottata dal Collegio dei Commissari. d. Un conoscitore del funzionamento del Parlamento europeo Da quando fu eletto per la prima volta a suffragio universale, nel 1979, il Parlamento europeo non ha smesso di attirare l’attenzione dei gruppi europei e di altri gruppi d’interesse. Con il suo intervento, il Parlamento europeo può “insabbiare” o modificare una serie di orientamenti o iniziative. Questa attività è favorita dalla presenza, fra i suoi membri, di molti rappresentanti di gruppi di interesse, personalità legate ad organizzazioni agricole, esponenti del mondo bancario o finanziario, dirigenti di organizzazioni dei datori di lavoro o di organizzazioni dei lavoratori. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 42 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Consapevole dell’importanza crescente del lobbying che si esercita al suo interno, il Parlamento europeo ha adottato una proposta di risoluzione nella quale insiste sulla necessità di stabilire delle norme deontologiche per i lobbisti e delle regole sull’organizzazione del lavoro legislativo, in modo tale da garantire un esercizio incensurabile della loro attività. A questo scopo, è stato previsto di: mettere a disposizione dei lobbisti dei locali nei quali possano incontrare i loro interlocutori e lavorare serenamente, rivedere l’attuale principio secondo cui solo le riunioni di talune commissioni sono pubbliche, favorire la circolazione dei documenti dell’istituzione fra tutte le persone iscritte nel registro in modo assolutamente egalitario. Il lobbista deve mettersi in contatto con il relatore che ha il compito di elaborare la bozza di parere del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva o di regolamento presentata dalla Commissione27. Il relatore viene designato fra i deputati della commissione incaricata, principalmente, di esaminare il testo (altre commissioni possono essere coinvolte per un parere). Il lobbista deve ugualmente avvicinarsi al deputato coordinatore. Ogni gruppo politico del Parlamento europeo ha un deputato detto “coordinatore” che ha come funzione quella di informare sui lavori della commissione parlamentare di appartenenza e di dare suggerimenti di voto al suo gruppo28. 27 Se la Commissione intende vincolare le autorità nazionali sia sulla sostanza, che sulla forma di trasposizione della legislazione europea, adotta un regolamento. La direttiva europea lascia più libertà agli Stati membri per quanto riguarda le modalità di recepimento nella regolamentazione nazionale. 28 I deputati del Parlamento europeo si riuniscono in commissioni parlamentari, in gruppi politici (a Bruxelles) e in sessioni plenarie (a Strasburgo e a Bruxelles). Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 43 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Commissioni permanenti del Parlamento europeo AFET :: Affari esteri DEVE :: Sviluppo INTA :: Commercio internazionale BUDG :: Bilanci CONT :: Controllo dei bilanci ECON :: Problemi economici e monetari EMPL :: Occupazione e affari sociali ENVI :: Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare ITRE :: Industria, ricerca e energia IMCO :: Mercato interno e protezione dei consumatori TRAN :: Trasporti e turismo REGI :: Sviluppo regionale AGRI :: Agricoltura e sviluppo rurale PECH :: Pesca CULT :: Cultura e istruzione JURI :: Giuridica LIBE AFCO :: Libertà civili, giustizia e affari interni FEMM PETI :: Diritti della donna e uguaglianza di genere DROI SEDE :: Diritti dell'uomo FINP :: Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata nel periodo 2007-2013 EQUI :: Crollo finanziario della Equitable Life Assurance Society TDIP :: Presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di persone :: Affari costituzionali :: Petizioni :: Sicurezza e difesa Fonte: Parlamento europeo Dopo la Germania che ne conta 99, gli eurodeputati italiani sono, assieme a quelli francesi e britannici, al secondo posto in quanto a rappresentatività in seno al Parlamento europeo, con 78 membri. Distribuzione dei Parlamentari europei italiani nei vari gruppi politici 24 nel PPE (Popolari europei) 14 nel PSE (Socialisti europei) 13 nell’ALDE (Alleanza dei liberali e democratici europei) 9 nell’UEN (Unione per l’Europa delle Nazioni) 7 nel SUE (Sinistra unitaria europea) 5 nel NI (gruppo dei Non iscritti) 4 nell’ID (Indipendenza e Democrazia) 2 nel gruppo dei Verdi Fonte: Parlamento europeo Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 44 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Quando si pianifica un’azione di lobbying è necessario tenere ben presente la composizione del Parlamento, delle sue commissioni e soprattutto la “distribuzione” politica dei parlamentari italiani che si coinvolgono. Il sistema dei gruppi politici al Parlamento europeo è molto particolare. Invece di promuovere gli interessi nazionali, i deputati dei partiti politici provenienti dalle varie parti dell’UE si riuniscono in raggruppamenti sovranazionali che rappresentano interessi comuni. Per esempio, il maggior raggruppamento – quello del Partito popolare europeo – Democratici europei, o PPE-DE – conta 264 deputati provenienti da tutti i 25 Stati membri dell'UE. É noto, ad esempio, che nel recente dibattito della plenaria del Parlamento europeo (febbraio 2006) sulla cosí detta “direttiva servizi”, l’influenza tedesca della Grande Coalizione è stata determinante, portando ad un voto di convergenza il PSE e il PPE. E questo a prescindere dalle posizioni che i partiti di appartenenza dei singoli deputati avrebbero invece tenuto. Un altro esempio si trova nel caso riportato qui di seguito. Le posizioni adottate dai partiti politici italiani nel Parlamento italiano non corrispondevano, infatti, alle stesse posizioni che i rappresentanti delle stesse forze politiche hanno tenuto nel Parlamento europeo. Direttiva sul cioccolato Il sindacato dei produttori artigianali di cioccolato ha esercitato un lobbying attivo sul Parlamento europeo, al fine di impedire l’approvazione di una direttiva che autorizza la libera circolazione dei prodotti di cioccolata sotto la denominazione “cioccolato” anche se contengono dei grassi aggiunti diversi dal burro di cacao. Tale questione è stata oggetto di un dibattito all’interno del Senato italiano, che ha visto pronunciarsi esponenti dei diversi gruppi politici. I Verdi, in particolare, si sono mostrati favorevoli al mantenimento della norma della legge comunitaria del 2001 che introduceva la distinzione tra cioccolato “puro” e cioccolato “contenente surrogati” con relativa indicazione nelle etichette, in quanto tale norma mira a garantire una corretta informazione dei consumatori e tutela una produzione artigianale nazionale di alta qualità. Aspetto ripreso anche dall’articolo 28 della Legge 1 marzo 2002, n. 3929, che prevedeva, appunto, tale distinzione: “Garantire che l'etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato, oltre ad assicurare la trasparenza, rechi una distinta indicazione a seconda che il bene sia prodotto con aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao o che sia prodotto utilizzando esclusivamente burro di cacao; nel primo caso l'etichetta dovrà contenere la dizione "cioccolato" mentre nel secondo caso potrà essere utilizzata la dizione "cioccolato puro". A fronte della proposta di abrogazione dell’articolo 28 le forze politiche di centrosinistra si sono mostrare quindi contrarie, facendo notare che anche l’Italia ha finanziato e finanzia tuttora progetti di cooperazione per lo sviluppo agricolo proprio in diversi Paesi in via di sviluppo, compresi quelli che sono attualmente i produttori di cacao e che quindi c’è la necessità di intendersi su diversi aspetti e precisamente su quelli concernenti le politiche della globalizzazione neoliberista e 29 Legge emanata in attuazione della direttiva 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all'alimentazione umana. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 45 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa la qualità del prodotto. Sopprimendo tale articolo si rischia di ridurre la qualità dell’informazione dei consumatori e anche di nuocere a un sistema artigianale che, soprattutto in Italia, ha sempre avuto una vocazione legata all’alta qualità. Il centro-destra ha invece assunto una posizione diversa, mostrandosi favorevole alla soppressione dell’articolo 28, a loro avviso non contraria ma posta a tutela delle produzioni di cioccolato di qualità in quanto la distinzione attualmente adottata tra prodotti definiti “cioccolato” ma contenenti surrogati e prodotti definiti “cioccolato puro” genera confusione tra i consumatori. La soluzione adottata con l’articolo 28 si discostava infatti dalla direttiva europea, la quale prevede una distinzione, prescrivendo una etichettatura obbligatoria con la dicitura “contiene grassi vegetali oltre al burro di cacao”. Se tale dicitura compare accanto alla parola “cioccolato”, il consumatore intende che si tratta di un prodotto di semplice cioccolato, non pensa all’introduzione di un concetto nuovo quale quello di cioccolato puro. Si ritene che le nostre industrie debbano essere messe in condizione di non essere discriminate rispetto alle industrie degli altri Stati membri; soprattutto, i nostri consumatori devono essere informati bene e in modo uniforme rispetto al mercato e può essere trovato un modo per distinguere chiaramente tra i diversi tipi di prodotto senza ricorrere alla soluzione arzigogolata trovata con l’articolo 28, che rappresenta motivo di confusione. Fonte: dati elaborati dal CIPI in base ad informazioni pubbliche Questo episodio è esemplificativo delle conseguenze di un’azione di influenza, il cui successo è spesso favorito dall’atteggiamento dei media, che devono essere ugualmente sensibilizzati, ma suggerisce anche che il lobbying parlamentare deve oltrepassare le frontiere nazionali. I rapporti con le istituzioni europee possono essere facilitati dagli Esperti Nazionali Distaccati (END), che sono funzionari nazionali inseriti nelle strutture comunitarie per un periodo di media durata, a condizione, comunque, che la loro sia una posizione strategica. Si deve notare che spesso i funzionari italiani presso le istituzioni comunitarie si rifiutano di cooperare con i rappresentanti delle istituzioni e delle imprese italiane. Cooperare non significa violare “l’indipendenza dai governi nell’esercizio delle proprie funzioni”, ma significa essere in grado di informare i connazionali interessati sui processi decisionali in corso, sull’evoluzione del dibattito sulle policies e sulla redazione dei documenti. Questo atteggiamento non si giustifica anche alla luce delle attività di “informal or soft communication” che molti loro omologhi di altre nazionalità fanno. È noto che, in certi casi, riunioni periodiche settimanali sono organizzate da associazioni collegate alle istituzioni nazionali o a gruppi d’interesse e in cui i funzionari sono cooptati. In realtà si effettua uno scambio tra cooperazione del funzionario e sostegno al funzionario per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Una perfetta comprensione del processo decisionale è essenziale per un lobbying efficace: la durata del processo decisionale europeo non è sempre favorevole a un lobbying d’urgenza. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 46 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa e. Un buon comunicatore Nell’avvicinarsi sia alla Commissione sia al Parlamento le strategie orali e scritte devono essere combinate. Lo scritto è la base dell’esperienza. Al di là dell’analisi pura e semplice, è importante evidenziare le conseguenze che deriverebbero dall’applicazione di una proposta di testo comunitario e proporre soluzioni alternative. L’orale permette di completare le informazioni date, d’insistere sui punti cruciali e di persuadere i funzionari europei. Il gruppo d’interesse, in uno spirito di trasparenza reciproca, deve rivelare chiaramente l’identità delle persone, dell’ente o dell’impresa di cui tutela gli interessi. Le modalità di fare lobbying sono molteplici e rispondono ad aspettative diverse. Un’impresa che voglia portare avanti un’azione puntuale opterà per i servizi di un’agenzia di consulenza o di uno studio di avvocati, invece le grandi imprese o le PMI rappresentate in seno a federazioni preferiranno creare una Rappresentanza Permanente a Bruxelles. Una simile rappresentanza impone dei costi (le spese operative di un ufficio a Bruxelles con due persone ammontano globalmente ad un minimo di 300.000 euro all’anno). È evidente che risulta più efficace federare interessi comuni in uno stesso ufficio, aggregando più entità o imprese in una sorta di rete, invece di lavorare come entità singole. Questo vale sicuramente per enti ed imprese di taglia piccola e media. Invece, le grandi imprese, che devono sorvegliare una molteplicità di materie, giustificano più facilmente i costi di un singolo ufficio di rappresentanza. Va da sé che un ufficio di rappresentanza di modeste dimensioni sarà principalmente composto da generalisti, e che invece i grandi uffici hanno al loro interno un gruppo di specialisti capaci di prestare maggior attenzione ai loro rispettivi ambiti di interesse. La sorveglianza sui processi legislativi può anche essere effettuata a partire dal luogo d’origine (sede di residenza dell’impresa), dato che i siti comunitari sono molto ricchi e precisi. In genere, le istituzioni comunitarie sono spesso più trasparenti delle autorità nazionali. L’informazione è, in effetti, alla base del lobbying. Il lobbista può agire in rete, stringendo legami con altre rappresentanze sul posto. Dei contatti personali permanenti, che spesso si trasformano in rapporti stabili con i funzionari europei, permettono ai rappresentanti di essere fra i primi ad ottenere le informazioni e a dispensare consigli sull’evoluzione delle politiche comunitarie. I rapporti devono essere duraturi nel tempo. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 47 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa 3. Quando il lobbying diventa frode Il lobbying non è formalmente contemplato dalla legislazione anti frode e anti corruzione dell’Unione europea. Tuttavia, avendo il lobbying un’incidenza sui processi decisionali dell’Unione europea esso costituisce “un’attività d’interesse” per le strutture di controllo e di prevenzione, come l’Ufficio Europeo per la Lotta Anti-Frode (OLAF). Competenze dell’Ufficio Europeo per la Lotta Anti-Frode (OLAF) Istituito nel 1999, l'OLAF è finalizzato a rafforzare la portata e l'efficacia della lotta contro le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi comunitari. Per i regolamenti di base dell'OLAF sono in corso modifiche, facenti seguito alle raccomandazioni della Commissione e alla vicenda Eurostat. Competenze a) effettuare indagini amministrative esterne nel quadro della lotta contro la frode, contro la corruzione e contro qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie; b) effettuare indagini amministrative interne miranti a: - lottare contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità; - ricercare i fatti gravi, connessi con l'esercizio di attività professionali, che possano costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità perseguibile in sede disciplinare o penale o che possano costituire inadempimento degli obblighi analoghi incombenti ai membri delle istituzioni, organi e organismi o del loro personale cui non si applica lo statuto dei funzionari delle Comunità europee; - effettuare missioni d'indagine in altri settori su richiesta delle istituzioni e organi comunitari; - contribuire al rafforzamento della cooperazione con gli Stati membri nel campo della lotta contro la frode; - predisporre la strategia della lotta contro la frode (preparazione delle iniziative legislative e regolamentari nei settori d'attività dell'Ufficio, compresi gli strumenti previsti dal titolo VI del trattato di Amsterdam); - effettuare qualsiasi altra attività operativa in materia di lotta antifrode (apprestare le infrastrutture, raccogliere e utilizzare le informazioni, fornire assistenza tecnica); - agire come interlocutore diretto delle autorità giudiziarie e delle autorità di polizia; - rappresentare la Commissione nel settore della lotta antifrode. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 48 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Per quanto riguarda le indagini interne, l'Ufficio ha accesso senza preavviso e senza ritardo a qualsiasi informazione scritta in possesso delle istituzioni, degli organi o degli organismi comunitari. Può anche chiedere informazioni orali a qualsiasi persona interessata ed effettuare controlli in loco presso gli operatori economici. Qualora, nell'ambito di un'indagine interna, l'Ufficio individui la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario o agente, l'istituzione, l'organismo o l'organo di appartenenza ne è informato, a meno che quest'informazione non sia conciliabile con la necessità di mantenere il segreto assoluto ai fini dell'indagine o di un'eventuale indagine nazionale. Gli Stati membri, nonché le istituzioni, gli organismi e gli organi trasmettono all'Ufficio, su sua richiesta o di propria iniziativa, ogni documento e informazione di cui dispongono, relativi ad un'indagine in corso. Tutte le informazioni comunicate all'Ufficio sono protette in modo adeguato. Fonti giuridiche Decisione 1999/352/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 28 aprile 1999, che istituisce l'Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode [Gazzetta ufficiale L 136 del 31.05.1999]. Modalità di funzionamento Regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la Lotta Antifrode (OLAF). Regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF). Accordo interistituzionale, del 25 maggio 1999, tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione delle Comunità europee relativo alle indagini interne svolte dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode. Fonte: www.europa.eu.int Data l’assenza di una normativa europea specifica applicabile al lobbying, è difficile trattare la materia, se non in termini di etica e di deontologia delle professioni. In ogni caso, è certo che qualsiasi attività di lobbying che si relazioni al processo decisionale del sistema europeo potrebbe incorrere in azioni illegali o di interferenza con gli adempimenti dei funzionari o degli agenti dell’Unione europea. Nel caso di illegalità rilevate nel corso di attività di lobbying, la competenza investigativa è dell’OLAF ma per il profilo giurisprudenziale interverrebero i tribunali nazionali in base alla legislazione del luogo dove l’illecito è stato commesso, oppure del Paese d’origine della società o persona incolpata. A questo proposito, è bene segnalare che l’attuale sistema di controllo e lotta contro le frodi, in effetti, si presta esso stesso ad azioni di destabilizzazione. Questo perché l’intera legislazione che ha creato l’OLAF è stata una legislazione d’emergenza (in coincidenza con gli scandali che hanno portato alle dimissioni della Commissione Santer nel 1999), e necessariamente pecca di eccessi di “garantismo”. Si pensi, ad esempio, all’effetto che potrebbe avere sulle istituzioni o su certi attori europei l’iniziativa combinata di un individuo che denunci Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 49 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa informazioni su dei fatti che potrebbero essere rilevanti ai fini di un’inchiesta, e a quella che lo stesso individuo potrebbe richiedere all’Ombudsman. Un caso che in questo senso è emblematico è quello noto come “Blue Dragon Case”30 (2004), in cui si intrecciano affari, corruzione, frode, diverse istituzioni degli Stati membri, cittadini e istituzioni comunitarie, nonché tentativi di destabilizzare la stessa OLAF31. Se da un lato esistono lobby dichiarate e riconoscibili, e quindi in questo senso partecipanti al gioco democratico europeo, ne esistono altre piuttosto occulte e trasversali che fanno uso pervicace di “mercenari” nel sistema europeo, tanto all’interno quanto attorno alle istituzioni europee. Mentre le prime esprimono in modo trasparente, anche se “non sempre piacevole e corretto”32, un legittimo diritto di far valere un interesse dichiarato, le seconde agiscono usando un sistema di “cavalli di Troia” che mettono in crisi l’intero sistema europeo. Si tratta in pratica di veri “mercenari” al servizio di certi interessi, molto spesso “personali”. Questi “mercenari” si possono nascondere in qualsiasi settore, ufficio o attività professionale, o livello istituzionale. Una riflessione è stata avviata sul ruolo della stampa nelle attività di lobbying. A questo proposito, l’OLAF ha promosso e organizzato una serie di attività di informazione e di comunicazione come strumenti di prevenzione della frode, che spesso, e a torto, è percepita come un “reato senza vittime”, e quindi meno rilevante di altri. Invece, una maggiore trasparenza permetterebbe ai cittadini di capire come e perché è speso il denaro pubblico, riducendo così la distanza tra cittadini e istituzioni. È evidente che per questa ragione è necessario stabilire delle regole che permettano di discriminare tra il lobbying accettabile e quello da perseguire. In questo senso si colloca l’iniziativa della Commissione per cercare una definizione condivisa di lobbying e di lobby e per fissare delle regole autogenerate dagli stessi attori, dei Codici di Condotta33. È in corso in questi mesi un ampio dibattito sulle possibilità di regolamentare il lobbying a livello europeo. Fino al momento della redazione di questo Rapporto, non sembra che questo dibattito abbia interessato gli attori italiani del lobbying istituzionale e privato, come testimonia l’assenza dei loro contributi alle consultazioni lanciate dalla Commissione europea34. 30 http://europa.eu.int/comm/anti_fraud/press_room/pr/2004/13_en.html Si veda ad esempio le interrogazioni parlamentari di Lorenzo Cesa (P2773/04 e P4024/05) che cercano di attrarre l’attenzione proprio sui tentativi di destabilizzazione dell’OLAF. 32 Si pensi ai ben noti casi di lobbying sostenuti dalla società americana Philip Morris per pubblicizzare e accreditare “posizioni scientifiche” favorevoli al proprio business. 33 Tra gli altri si vedano il sito di Euractiv http://www.euractiv.com/Article?tcmuri=tcm:29-15171716&type=News e quello dell’Unione europea www.europa.eu.int 34 Si veda il sito http://europa.eu.int/comm/commission_barroso/kallas/transparency_en.htm e si noti l’assenza delle parti italiane a questo dibattito. 31 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 50 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa 4. Pensare oltre le pubbliche relazioni In un mondo relativamente piccolo e dove contavano valori culturali tradizionali, le pubbliche relazioni erano efficientissime. Essere visibili in società ed avere molti amici era la chiave del successo. Lo stesso si applica a qualsiasi gruppo autoreferenziale, sia esso una società o un Paese. Nel mondo di oggi, virtualmente infinito, in cui i valori culturali tradizionali contano sempre meno, le pubbliche relazioni e le amicizie non servono più a molto. La rivoluzione tecnologica che ci spinge verso un “mondo piatto” e la scomparsa dei limes nei quali si era abituati ad agire, pone il problema centrale di adattare le proprie capacità e modalità di comunicazione per essere ascoltati e ricordati come interlocutori “utili”. Queste osservazioni valgono tanto per gli individui che per le società e gli Stati. Siamo ormai obbligati a: 1. Cercare di capire i cambiamenti in corso; 2. Immaginare un approccio metodologico per la gestione del self-interest nella nuova situazione; 3. Integrare i cambiamenti e i nuovi parametri in molti settori politici ed economici come una realtà. Il nuovo sistema vive nella rapidità e nell’esponenzialità dei fenomeni che generano enormi opportunità, ma anche insicurezza ed instabilità crescenti per tutti i settori dell’attività umana. Le caratteristiche del nuovo sistema sono: conoscenza - interconnettività ipercompetitività. È evidente a tutti che in questo contesto le pubbliche relazioni sono ormai inadeguate, e in molti casi deleterie. Strategia, capacità di anticipazione e lobbying sono i nuovi strumenti che permettono agli individui, alle società e agli Stati di tutelare il self-interest in un mondo molto complesso. La comunicazione e le pubbliche relazioni non sono che degli strumenti operativi. Occorre riorganizzarsi, strutturalmente e culturalmente, per saper agire con rapidità ed efficacia di fronte alle novità, e per gestire le discontinuità strutturali (asincronismi) e le asimmetrie informative, che influenzano affidabilità, reputazione e ricchezza di Paesi, aziende, o individui: - Non ragionare in base alle certezze tradizionali ma cambiare i riferimenti culturali che usiamo nella nostra vita e attività; Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 51 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa - Comprendere, con un certo anticipo, i cambiamenti nei sistemi complessi; - Saper influenzare i processi decisionali che sottendono alle decisioni e agli eventi, agendo sui connettori e sui punti critici del sistema. Il successo di Paesi, aziende, e individui, non è frutto della casualità ma è correlato alla capacità di saper usare e bilanciare i nuovi canali d’aggregazione e d’interconnessione del mondo reticolare: fiducia – cooperazione - potere. La Policy Analysis e la Strategia sono le metodologie che permettono a Paesi, aziende, e individui di circoscrivere gli obiettivi da raggiungere, mobilitare ed usare al meglio le risorse disponibili, ed ottenere risultati concreti. In altre parole, solo un nuovo approccio alla realtà permette di influire sul corso degli eventi, sulle scelte di policy che li determinano (lobbying), evitando di trovarsi nella scomoda, e pericolosa, situazione di subirli impotenti e rassegnati. Con il termine lobby o organizzazione lobbistica si intende oggi il gruppo portatore di interessi da tutelare e non, come vuole l’accezione comune, qualcosa di molto vicino ad interessi oscuri, con intenti di corruzione o di cattiva gestione. Il lobbying è la trasmissione di messaggi dal gruppo di pressione ai decision maker, quindi è uno strumento articolato e complesso di comunicazione. Il lobbismo è l’insieme delle tecniche e attività che consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati: il lobbying è in generale la faccia politica di tali gruppi di interesse. La finalità del lobbying è quella di influenzare, in modo chiaro e trasparente, le decisioni delle autorità di governo tramite l’informazione e la mobilitazione. Mentre l’Italia e gli italiani restano prevalentemente ancorati alle logiche culturali dell’emergenza e dell’amicizia per risolvere i problemi, con un rischioso sconfinamento verso l’illecito, il mondo e l’Europa cambiano profondamente. Venticinque anni fa prevalevano i settori dell’agricoltura e dello sviluppo, ma oggi sono attuali appalti, concorrenza, e servizi. Chi più di 20 anni fa riusciva a fare la sua cifra d’affari di lobbista con agricoltura e sviluppo, oggi si trova in difficoltà rispetto al nuovo. L’Italia e gli italiani devono ormai farsene una ragione oppure essere marginalizzati, dall’Europa e dal mondo che cambia. Le idee, lo stile e le modalità non possono più essere quelle di allora! Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 52 Capitolo I – Il lobbying che serve in Europa Riflessioni sul contesto geopolitico L’avvenire di Paesi, aziende e persone si giocherà, e già si gioca, in un contesto di rapide mutazioni. Per continuare ad avere un ruolo all’altezza della storia e delle ambizioni di ciascuno è imperativo oggettivare il presente per accelerare la propria mutazione, coscienti dell’intensità crescente della concorrenza nel mercato mondiale. Avere coscienza della propria situazione rispetto alle sfide poste dai cambiamenti attuali è il primo passo per poi sviluppare la visione e le strategie di medio e lungo periodo. In un momento in cui altre zone del mondo fanno prova di dinamismo e di crescita economica impressionanti, l’attuale atonia economica e politica, e in modo più preoccupante della crescita, nella zona Euro nel suo insieme, riflette i limiti di un modello socio-economico e culturale. Dopo il 1989, tra tutti i grandi insiemi democratici mondiali, l’Europa degli eredi di Schuman e Adenauer è la sola retroguardia, prigioniera dell’illusione e dell’ansia generate dalle sue certezze e dalla tradizione. Questa situazione si spiega per lo stato d’emozione negativa caratterizzata dal timore di pericoli imminenti nei confronti dei quali gli europei avvertono dolorosamente la propria impotenza, mettendo in atto meccanismi di autodifesa che li spingono a ricercarne le cause nell’altro da sé. L’Europa oscilla tra isolazionismo e multilateralismo, usando in modo ambivalente queste pulsioni nei confronti di Paesi potenti o di quelli poveri. La concezione geopolitica europea, eminentemente legata all’immagine di finis terrae, dell’Occidente finito, è stata sconvolta dagli eventi del 1989. Da quel momento, l’Europa non è più stata “il premio conteso” tra Occidente e URSS. Gli eventi del 2001 hanno contribuito a dissolvere il concetto d’Occidente finito. Intanto, l’America emerge come il “Paese-mondo”. In altre parole, se erano il primo tra i Paesi occidentali, “gli USA stanno diventando un sincretismo dell’intero pianeta 35 con un tropismo asiatico” . Il destino dell’Europa, le sue istituzioni e la sua sicurezza figurano sempre meno nell’agenda delle priorità americane. Ciò ha sorpreso la tradizione europea, mettendola di fronte ad una realtà fatta di frontiere aperte e flessibili, e di spazi indefiniti. Non esistendo più un centro al quale si contrappone una realtà esterna, oggi le logiche e i ragionamenti tradizionali della geopolitica non hanno più senso. I parametri del nuovo sistema mondiale nascente implicano la necessità di un cambiamento profondo nel modo di immaginare se stessi, Paesi, aziende, o persone. Assai rapidamente, si è passati da un sistema fondato sulle relazioni con gli “altri da sé” ad un sistema che include tutti, iperconnessi su una sola piattaforma reticolare comune. L’altro da sé svanisce. Gli eventi che una volta erano esterni e distanti dal nostro “piccolo mondo”, sono oggi vicini a noi con un’influenza diretta ed immediata sulle nostre attività. Questo cambiamento ha reso il mondo più piccolo, ma anche molto più rapido e complesso. Per capire la complessità non sono più affidabili i parametri economicisti, naturalisti, o deterministi. Dai primi anni novanta, scienze che studiano la complessità dei sistemi e le reti hanno aperto nuovi orizzonti intellettuali e forniscono gli strumenti necessari per agire nella nuova situazione. Il tentativo di alcuni leader di proiettare la propria potenza a partire da un centro che essi stessi definiscono e localizzano è ormai inefficace e pericoloso. Ciò vale tanto per i Paesi che per le aziende. Nella nuova situazione, la costruzione di un centro di potere, politico, economico, o militare, costituisce un tallone d’Achille assai vulnerabile. Ciò a causa dell’instabilità propria dei sistemi reticolari complessi, che possono improvvisamente e rapidamente invertire i flussi che avevano giustificato una certa decisione. Dallo studio delle reti complesse si capisce che il potere, sia esso di un Paese, di un’azienda, o di una persona, può perpetuarsi ed accrescersi solo se è esercitato secondo logiche reticolari, senza isolarsi in un solo centro di controllo e senza escludere alcun altro potere o alcun’altra forza produttiva. In pratica, solo il potere strutturato in modo reticolare può competere con o combattere contro un’altra rete di potere. Inevitabilmente, questa nuova situazione influisce direttamente sulla concezione e sulla capacità d’esercizio della sovranità e delle attività economiche. 35 Si veda, di Alain Minc, Ce monde qui vient, Grasset, Paris, 2004. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 53 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 54 Capitolo II La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 55 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 1. Le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles In questo capitolo dedicato alle rappresentanze d’Italia sono state prese in considerazione le missioni diplomatiche e consolari che rappresentano il governo italiano all’estero. Per ragioni di collegamento funzionale, sono state anche prese in considerazione le rappresentanze istituzionali italiane, e le associazioni a vocazione economica. Le missioni diplomatiche e consolari curano e tutelano gli interessi dell’Italia nei rispettivi settori, includendo l’insieme della pubblica amministrazione intesa come sistema régalien. Esse tutelano e promuovono gli interessi della collettività nazionale e dei cittadini italiani sul territorio di un altro Stato o nei confronti di un soggetto internazionale in possesso di una certa sovranità riconosciuta. In Belgio, la tipologia delle rappresentanze d’Italia rientra in almeno due categorie: le relazioni inter-statuali e le relazioni internazionali. In considerazione della specificità della capitale del Belgio, che è allo stesso tempo capitale nazionale e capitale internazionale, sede dell’Unione europea e di un’organizzazione internazionale, la NATO, è difficile mantenere una netta separazione tra le tipologie di missione diplomatica, se non per motivi eminentemente di specializzazione. Dal punto di vista dei cittadini italiani in Belgio, che siano o meno collegati al sistema dell’Unione europea o della NATO, l’Ambasciata d’Italia presso il Regno del Belgio è il punto di riferimento nazionale, politico e amministrativo. Come parte del complesso Ambasciata sono accreditati in Belgio il Consolato d’Italia a Bruxelles e l’Istituto Italiano di Cultura. Il primo è l’espressione operativa dell’amministrazione della collettività italiana36, il secondo è il promotore dell’identità linguistica e culturale italiana in Belgio. D’altra parte, le due Rappresentanze presso l’Unione europea e presso la NATO sono un’espressione tecnico-politico-diplomatica del governo italiano, delle rappresentanze di collegamento tra il governo italiano e le strutture sovranazionali o internazionali presso le quali sono accreditate. In più di un’occasione si dibatte, non solo in Italia, se il ruolo delle missioni diplomatiche degli Stati membri dell’Unione europea, definite bilaterali, abbia ancora un senso nel quadro del sistema europeo. Se una serie di motivi storici e amministrativi, ma anche di prestigio nazionale, giustificano il mantenimento di queste rappresentanze, alcuni Paesi hanno silenziosamente iniziato a rimodulare le attività delle loro missioni diplomatiche bilaterali a Bruxelles, in Europa. Certi Consolati e Istituti di Cultura - britannici, cinesi, francesi, polacchi, tedeschi, per fare qualche esempio - per non dire poi di alcune Camere di Commercio, di cui la più evidente è la AmCham degli Stati Uniti, hanno “sdoppiato” le proprie attività: talune rivolte al ruolo tradizionale nei confronti del Paese ospite, altre rivolte alla specificità internazionale della sede in cui si trovano. In quest’ambito l’Italia sta cercando di dotarsi di un approccio più dinamico che rifletta la novità del mondo 36 Sottolineando ancora la specificità della realtà di Bruxelles, il Consolato d’Italia offre servizi ad una comunità italiana che conta più di 60.000 persone. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 56 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles reticolare europeo e globale. Si pensi ad esempio ai protocolli d’intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per le Attività Produttive per far convergere l’azione italiana in materia economica e imprenditoriale su un’unica e coesa strategia nazionale. In termini numerici esiste un deficit italiano, nel senso che le missioni diplomatiche degli altri Paesi sono più numerose e con migliori dotazioni finanziarie, ma esiste anche un deficit di concezione, mezzi e risorse, e di formazione del personale che viene inviato nelle rappresentanze a Bruxelles. Inoltre, un avvicendamento piuttosto sostenuto tra i Rappresentanti Permanenti presso l’Unione europea (2000-2003) ha nuociuto alla continuità delle strategie e del lavoro costruttivo in una sede che invece richiede l’esatto contrario: Bruxelles richiede pazienza, tenacia, stabilità e continuità nell’esercizio della rappresentanza degli interessi nazionali e dell’azione nell’ambito delle istituzioni europee e comunitarie. 1.1 L’Ambasciata d’Italia presso il Regno del Belgio Nel sistema delle rappresentanze d’Italia a Bruxelles, l’Ambasciata d’Italia ha minore visibilità e risorse rispetto alle due Rappresentanze presso l’Unione europea e la NATO. Nonostante questa condizione, si deve sottolineare come il ruolo che l’Ambasciata d’Italia in Belgio è chiamata a svolgere sia atipico rispetto alle altre ambasciate bilaterali nell’Unione europea. Questa atipicità deriva dalla specificità della sede - Bruxelles, capitale d’Europa - nella quale oltre alle tradizionali amminstrazioni funzionalmente collegate all’Ambasciata bilaterale, risiedono circa 119 uffici italiani, dalle Regioni alle imprese, dai media alle unioni camerali. L’Ambasciata d’Italia ha competenze molto ampie e inclusive di una larga parte degli interessi italiani rappresentati sul territorio del Belgio: a) Strutture accreditate presso il Belgio come parte del complesso Ambasciata: a. Consolato d’Italia a Bruxelles b. Istituto Italiano di Cultura b) Strutture collegate funzionalmente all’Ambasciata d’Italia: a. Le rappresentanze istituzionali a Bruxelles i. Banca d’Italia ii. Ente Nazionale Italiano per il Turismo – ENIT iii. Istituto per il Commercio con l’Estero – ICE iv. Unioncamere b. Le associazioni a vocazione economica a Bruxelles i. Camera di Commercio Belgo-Italiana In particolare, il rappresentante della Banca d’Italia è accreditato presso l’Ambasciata come l’Addetto finanziario dell’Italia in Belgio, ma svolge anche un Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 57 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles ruolo verso l’Unione europea. Anche il Direttore dell’ufficio dell’ICE a Bruxelles è accreditato presso l’Ambasciata come l’Addetto alla promozione degli scambi commerciali dell’Italia in Belgio, ma svolge anche un ruolo sempre crescente verso l’Unione europea. In virtù di un protocollo d’intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e l’ENIT e l’ICE, il rapporto funzionale tra queste amministrazioni e l’Ambasciata porta anche alla redazione di rapporti congiunti: rapporti di attività annuali in materia di turismo, e rapporti di attività semestrali in materia di promozione commerciale. Per quanto riguarda il sistema camerale italiano, l’Ambasciata d’Italia ha poteri di vigilanza sulle Camere di Commercio e le Unioni camerali italiane in Belgio. Infine, si può ricordare anche l’associazione Gruppo Iniziativa Italiana (GII) che gode di un collegamento con l’Ambasciata d’Italia che ne ha la presidenza onoraria. Come si puo’ intuire, l’Ambasciata d’Italia in Belgio è un sistema articolato di rappresentanza degli interessi italiani, specifico alla realtà di capitale d’Europa e di sede internazionale, che va ben al di la di un’Ambasciata presso un singolo Paese. In realtà, però, a seguito della continua contrazione delle risorse umane e finanziarie, l’Ambasciata d’Italia non riesce ad esprimere tutto il suo potenziale. D’altra parte, se si compara in termini sistemici cosa fanno gli altri Paesi europei, si comprende che con quest’approccio l’Italia si priva, da sola, di una risorsa fondamentale per creare sistema nella comunità italiana presente a Bruxelles, e quindi in Europa. Per avere un’idea della valenza europea delle attività del complesso Ambasciata d’Italia in Belgio, portiamo qualche esempio: a) Su iniziativa dell’Ambasciata d’Italia, durante la Presidenza italiana dell’Unione nel 2003, le importanti attività culturali promosse dalla fondazione belga Europalia hanno assunto un rilievo internazionale ed europeo con un coinvolgimento massiccio delle Rappresentanze italiane; b) In materia di lingua e sezioni italiane della Scuola Europea a Bruxelles, l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto di Cultura sono impegnati a costruire una forte lobby italiana a sostegno degli interessi linguistici, culturali e educativi della comunità italiana residente; c) L’Istituto di Cultura svolge un ruolo di rappresentanza della cultura e della lingua italiana anche in sede europea e comunitaria, ad esempio attraverso l’appartenenza a pieno titolo al CICEB (Consociatio Institutorum Culturalium Europaeorum Inter Belgas) che riunisce in un’associazione 12 centri culturali di Paesi europei; d) Il Consolato d’Italia a Bruxelles svolge attività di servizi amministrativi per i cittadini italiani, e quindi anche per il personale italiano impegnato nelle istituzioni comunitarie e internazionali, e per gli italiani impegnati in attività professionali presso aziende estere con sede a Bruxelles. Inoltre, il Consolato svolge anche la funzione di Provveditorato agli Studi in Belgio, dove hanno sede varie scuole internazionali frequentate da cittadini italiani. e) Sulle questioni commerciali, l’Ambasciata d’Italia, in coordinamento con l’ICE e la Rappresentanza d’Italia presso l’Unione europea, ha iniziato tavoli di consultazione con le realtà economiche italiane rappresentate in Belgio; f) La Camera di Commercio Belgo-Italiana organizza corsi di formazione in materie europee ed offre attività di sostegno alle imprese italiane per partecipare a bandi comunitari; Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 58 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles g) L’ICE a Bruxelles svolge attività di collegamento con le istituzioni comunitarie per la tutela degli interessi commerciali italiani e fornisce vari servizi in tal senso alle imprese italiane; h) Unioncamere nazionale, che ha solo da qualche mese elevato il livello della propria rappresentanza a Bruxelles nominandovi un direttore, svolge un ruolo di networking, di assistenza tecnica alle Camere di Commercio italiane, oltre che di informazione e di promozione del dibattito sulle materie europee. 1.2 La Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea All’interno della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea opera personale diplomatico, coadiuvato da personale appartenente ad altre carriere delle amministrazioni centrali e decentrate dello Stato37. Poichè l’attività svolta dalla Rappresentanza è sempre più direttamente dipendente dalla conoscenza tecnica dei dossier da trattare, si è resa necessaria la presenza di vari rappresentanti qualificati dell’amministrazione centrale e decentrata dello Stato per trattare nel miglior modo i dossier di competenza. Inoltre, la rappresentanza cura e tutela gli interessi su questioni europee anche di soggetti privati, associativi, e del funzionariato internazionale. L’esercizio delle responsabilità attribuite alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea incide direttamente sulla formazione delle normative e regolamentazioni che diventano applicabili in modo diretto, o mediato dal recepimento, nel sistema giuridico e amministrativo italiano. Va notato, tuttavia, che la Rappresentanza pur avendo poteri negoziali, per l’approvazione delle decisioni comunitarie in sede di Consiglio richiede il necessario intervento di rappresentanti governativi di rango ministeriale. Tuttavia, non va sottovalutata l’importanza del lavoro preparatorio dei documenti che, una volta arrivati al momento della decisione a livello ministeriale, non sono più facilmente modificabili. Questa tipologia di rappresentanza diplomatica è “permanente” per indicare la continuità e la contiguità del collegamento tra le amministrazioni centrali e decentrate dello Stato con l’organizzazione intergovernativa (Unione europea) presso la quale è accreditata. Si tratta di un collegamento operativo e settoriale piuttosto che di un collegamento classico di legazione diplomatica. La delicatezza del ruolo e della gestione delle istruzioni ricevute dal Governo, e questo in particolare quando la Rappresentanza svolge il ruolo negoziale con altre entità governative, richiede competenze quasi esclusivamente diplomatiche. Tuttavia, nella complessa macchina europea si deve notare l’incidenza dei funzionari e dei rappresentanti non diplomatici che partecipano ai diversi livelli di produzione normativa e regolamentare nella formazione delle policy. In pratica, se 37 Nel 2006, dei 79 funzionari accreditati dalla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, circa 30 sono funzionari diplomatici. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 59 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles la funzione diplomatica era preponderante nel sistema europeo fino alla metà degli anni ’80, dopo l’Atto Unico, e ancor di più dopo il Trattato di Maastricht (1992), la funzione strettamente diplomatica si applica in modo prevalente agli interventi in sede di Consiglio. Un’ampia parte dell’attività normativa europea è affidata ad altri agenti che rappresentano gli interessi nazionali, privati e pubblici, alle lobby, e ai membri del Parlamento europeo. L’espansione dei procedimenti normativi e decisionali in co-decisione ha ulteriormente accresciuto la rilevanza di questi agenti non diplomatici. È evidente che in questo contesto le attività delle Rappresentanze Permanenti sono sempre di più, e necessariamente, volte all’inclusione e al dialogo con tutte le parti che a diverso titolo sono portatrici attive dell’interesse nazionale. In pratica, la Rappresentanza Permanente diventa il pilastro strategico della promozione e della penetrazione degli interessi nazionali nel sistema europeo. Il ruolo di rappresentanza diplomatica classica è così rimodulato su quello di coordinamento e di gestione dei sistemi nazionali d’influenza. D’altra parte, il sito Web della Rappresentanza Permanente del Regno Unito presso l’Unione europea è molto esplicito. What does the UK Representation do? “Our job is to represent the UK's interests in the EU. We are civil servants drawn from a wide range of British Government Departments. We spend our time negotiating and lobbying on behalf of the UK. This means we work closely with the 24 other Member States, the European Commission and the European Parliament. And we keep in touch with anyone who has an interest in what happens here, or who is affected by the EU. This includes British companies, their employees, the UK regions, British Parliamentarians, lobbyists, consultants, academics and the media. We also help British business looking for commercial opportunities. I hope this site will make it easy for you to find out who does what in UKRep, and what is going on in the EU. It also includes details of the Scottish Executive, Welsh Assembly and Northern Ireland Executive offices in Brussels. We work closely with them too”. Fonte: http://www.ukrep.be/, febbraio 2006 Infine, è opportuno sottolineare che il ruolo e il mandato della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione europea si deve considerare nell’ambito della pubblica amministrazione italiana specialmente e principalmente preposta alle relazioni internazionali dello Stato. Pur avendo un’importanza determinante nell’attuazione della politica estera dello Stato, la dimensione effettiva dei poteri della Rappresentanza riflette l’equilibrio costituzionale tra gli organi dello Stato. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 60 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 1.3 La Rappresentanza Permanente italiana a confronto con quelle europee Una valutazione quantitativa del numero di funzionari repertoriati per le Rappresentanze Permanenti dei Paesi paragonabili all’Italia per dimensioni puo’ essere un indicatore utile per capire l’indirizzo e le priorità nazionali negli affari europei38. Composizione di alcune Rappresentanze Permanenti presso l’Unone Europea Totale funzionari nel 2005 Regno Unito 109 Francia 100 Germania 96 Spagna 88 Italia 79 Polonia 75 Assegnazione settoriale più numerosa Sviluppo, relazioni esterne, e commercio (41), Industria e Mercato interno (16), Affari sociali, ambientali e regionali (11) Politiche interne (25), Relazioni esterne (20), PSC (15) Affari politici (44), Affari economici (16), Affari Finanziari (15) Industria, turismo e commercio (12), Agricoltura, pesca, e alimentazione (9), Economia e finanze (8) Affari generali e Relazioni esterne (9), Ecofin (8), Giustizia e Affari Interni (8) Relazioni esterne (8), Giustizia e Affari interni (7), Economia e Commercio (7) Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 Ripartizione settoriale e totale dei funzionari della Rappresentanza Permanente Italiana Giustizia e Affari Interni 8 Ecofin 8 Affari generali e Relazioni esterne 9 25 Totale Funzionari 0 10 54 20 30 40 50 60 70 80 Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 38 Sono stati riportati i primi tre settori con maggiore allocazione di funzionari per ciascuna Rappresentanza presa in esame. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 61 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Francia Ripartizione settoriale e totale dei funzionari presso le Rappresentanze permanenti di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna Affari finanziari 15 Affari economici 16 44 Affari politici 75 Totale Funzionari Germania 0 20 Affari finanziari 15 Affari economici 16 40 80 75 0 Regno Unito 60 100 44 Affari politici Totale Funzionari 20 Affari sociali, Ambiente, Regioni 21 40 60 80 100 11 Industria, Mercato Interno 16 Sviluppo, Relazioni Esterne, Commercio 41 68 Totale Funzionari 0 Spagna 21 20 Economia e Finanze 8 Agricoltura, Pesca, Alimentazione 9 Industria, Turismo, Commercio 12 41 40 60 29 Totale Funzionari 0 20 80 120 59 40 60 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 62 100 80 100 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Sebbene gli indicatori riportati indichino che alcuni Paesi membri dell’Unione europea (Regno Unito, Francia, Germania) concentrano tra il 60% e l’80% delle loro risorse funzionariali a Bruxelles su tre settori, e che gli stessi tre Paesi dispongono di un numero maggiore di funzionari rispetto all’Italia, non si devono trarre conclusioni affrettate. Ad esempio, le categorie settoriali tedesche sono molto ampie rispetto a quelle degli altri Paesi, ed è quindi logico che il numero di funzionari per categoria sia maggiore nel caso tedesco rispetto all’Italia. Essendo dati aggregati, questi indicatori non possono che servire a stimolare la riflessione sull’indirizzo e sulle priorità che ciascun Paese vuole dare alla sua Rappresentanza presso l’Unione europea. Nel caso italiano si deve segnalare che, rispetto ai primi tre Paesi, l’Italia inquadra ancora gli affari europei come parte integrante della politica estera. Solo agli inizi del 2006 è stata approvata con un decreto del Presidente del Consiglio la creazione di un organo interministeriale di coordinamento per l’insieme delle attività italiane verso l’Unione europea (CIACE). Questa struttura porterebbe l’Italia ad un livello organizzativo at home comparabile agli altri grandi Paesi europei. Infatti i tre Paesi sopra citati dispongono di forti strutture di coordinamento a livello del Primo Ministro o del Cancelliere, dotate di un mandato chiaro e di uno staff conseguente. Ad esempio, in Francia esiste un organo oggi denominato SGAE39 con oltre 150 funzionari, che nelle sue forme precedenti esiste dal 1948. Il CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei) Il CIACE (Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei) è previsto dalla Legge 4 febbraio 2005 n. 11, art. 240 e poi attuato con DPCM del 9 gennaio 200641. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed ha il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell'Unione europea. È convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o dal Ministro per le politiche comunitarie, e prevede anche la partecipazione del Ministro degli Affari Esteri, Ministro per gli Affari Regionali e degli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche inseriti all'ordine del giorno. Per la preparazione delle proprie riunioni, il CIACE si avvale di un comitato tecnico permanente istituito presso il Dipartimento per le Politiche Comunitarie, coordinato e presieduto dal Ministro per le Politiche Comunitarie o da un suo delegato. Quando si trattano questioni che interessano anche le regioni e le province autonome sono ammessi a partecipare alle riunioni il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o un presidente di regione o di provincia autonoma da lui delegato. Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri 39 http://www.sgae.gouv.fr/index.html “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. Pubblicata sulla GU n. 37 del 15-2-2005. 41 Registrato alla Corte dei conti il 24 gennaio 2006. 40 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 63 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Un altro indicatore per percepire nell’insieme le attività delle Rappresentanze Pemanenti può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione delle attività delle Rappresentanze attraverso i propri siti Internet. Abbiamo voluto tracciare un grafico della presentazione delle questioni europee di rilevanza per le Rappresentanze come appare nei loro siti Internet42. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web delle Rappresentanze Permanenti 40 35 30 25 20 15 10 5 0 REGNO UNITO ITALIA SPAGNA GERMANIA Fonte: elaborazione CIPI, 24 febbraio 2006 42 I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente trattato. Si veda pagina 32. Si noti che al momento della ricerca il sito della Rappresentanza di Francia era off line Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 64 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 1.4 Due Rappresentanze ministeriali tecnico-progettuali Durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea nel 2003, le Rappresentanze d’Italia tradizionali, quelle che dipendono per mandato dal Ministero degli Affari Esteri, sono state coadiuvate da alcuni uffici delle ammistrazioni centrali dello Stato. In particolare, il Ministero dell’Ambiente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Regionali (PORE). Nello stesso periodo furono aperti anche altri uffici temporanei: Presidenza del Consiglio – Dipartimento delle Politiche Comunitarie; Ministero del Welfare. Al termine della Presidenza italiana questi ultimi uffici hanno cessato di esistere a Bruxelles. La Rappresentanza del Ministero dell’Ambiente nella sede dell’Unione europea In base alla considerazione, tutt’altro che ovvia, che “Bruxelles non è una sede internazionale ma riguarda direttamente le politiche nazionali, e che quindi i dossier sono tecnici e dovrebbero essere gestiti direttamente dai Ministeri competenti”43, durante la Presidenza italiana dell’Unione il Ministero dell’Ambiente decise di aprire il proprio ufficio di collegamento e rappresentanza presso le istituzioni europee a Bruxelles. Il mandato dell’ufficio è di scouting e monitoraggio dei progetti dell’Unione europea in materie attinenti le attività del Ministero dell’Ambiente e del Territorio. Gli obiettivi sono: a) Incidere sulle normative europee b) Strutturare la partecipazione a progetti per ottenere fondi europei Dal 2005 il Ministero ha concluso un accordo con l’ICE per inquadrare in modo congiunto i propri uffici all’estero in quelli dell’ICE. Ad oggi, l’ufficio è attrezzato per essere “competitivo e aggressivo” ed è composto da una task force di 6 persone che include esperti del Ministero, dell’ICE e di Studiare Sviluppo (società pubblica del Ministero del Tesoro). Risultati dell’ufficio di Bruxelles del Ministero dell’Ambiente 2003-2004 - Capacità di gestione di almeno un dossier al giorno in materia normativa - Riconoscimento del ruolo e del posizionamento del Ministero come interlocutore di qualità dell’Unione europea - Esempi di success stories: o Normativa su Climate Change: la Commissione ha modificato il proprio approccio adottando una posizione meno unilaterale (nel 2005) o LIFE: l’Italia ha avuto il maggior numero di progetti finanziati 2005 - Esempi di success stories: o Per la prima volta un Ministero italiano riceve finanziamenti europei in cofinanziamento per un valore di €4.5 milioni per 7 progetti di cooperazione internazionale (Mediterraneo; Cina; Marocco; Balcani; Tunisia) Fonte: Ministero dell’Ambiente 43 Dichiarazione di Corrado Clini, Direttore Generale, Ministero dell’Ambiente. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 65 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles La Rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella sede dell’Unione europea – Progetto Opportunità delle Regioni in Europa (PORE) Partendo da considerazioni analoghe a quelle del Ministero dell’Ambiente, l’ufficio del PORE fu creato nel 2003 in base ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che ne prevede il mantenimento fino al 2007. Si tratta di una “struttura di missione” dotata di autonomia per il perseguimento di due obiettivi: a) Informazione: monitoraggio legislativo europeo nelle materie rilevanti le Regioni; b) Formazione: per favorire la partecipazione delle Regioni italiane alla produzione legislativa europea (nella fase ascendente, comitatologia). La presenza delle Regioni italiane nelle strutture dette di comitatologia è ancora scarsa, occasionale e poco costante. Questa situazione indebolisce l’azione regionale e nazionale per incidere sulle legislazioni europee sin dall’inizio della loro gestazione. Anche la preparazione tecnica delle persone inviate nei Comitati non facilita l’incidenza dell’intervento italiano. Il PORE vuole incidere su questa situazione, modificandola a favore dell’Italia. L’analisi dei successi italiani in materia di fondi non strutturali è ancora troppo occasionale e non sistematica. Il PORE vuole incidere anche su questa situazione, modificandola a favore dell’Italia. Per espletare queste funzioni il PORE ha stabilito contatti con tutte le rilevanti entità italiane e delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, va precisato che il PORE non svolge attività in materia di fondi strutturali o di coordinamento tra le Regioni italiane. Gli obiettivi dell’ufficio del PORE a Bruxelles possono riassumersi come segue: a) Fondi tematici a bando: il PORE può accompagnare, consigliare e sostenere la Regione se il progetto è di rilevanza nazionale; b) Organizzare e sostenere la lobby istituzionale finalizzata al buon esito dei progetti. Nel complesso è possibile stimare a €15 milioni all’anno il valore dei progetti delle Regioni italiane che anche con il sostegno dell’ufficio del PORE ricevono flussi finanziari comunitari. Nel 2004, il sostegno dato dall’uffico del PORE a Bruxelles al Progetto di Ricerca sull’Idrogeno per Autotrazione, elaborato e presentato congiuntamente dalla Regione Lombardia e dal Land dell’Assia (Francoforte) nell’ambito del VI Programma quadro della ricerca, ha portato da solo ad un finanziamento di €18 milioni. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 66 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 1.5 La Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico Tra le Rappresentanze d’Italia a Bruxelles, quella presso il Consiglio Atlantico gode di una “specialità” che deriva dalla particolare organizzazione presso la quale è accreditata: un’organizzazione internazionale regionale. Pur essendo l’attività presso il Consiglio Atlantico e la NATO esterna al sistema dell’Unione europea, il rilievo di questa Rappresentanza ai fini del nostro Rapporto è self-explanatory, specialmente se consideriamo il fatto che finora l’Europa ha basato la propria sicurezza e difesa principalmente sulla NATO. Inoltre, benché l’Europa stia consolidando una propria struttura per il procurement militare e di sicurezza (Agenzia Europea della Difesa – EDA) e un contingente europeo di “difesa rapida”, la NATO è ancora il più importante luogo di negoziato in materia. La rilevanza di questa Rappresentanza per le lobby collegate al procurement in materia militare e di sicurezza è evidente. Inoltre, lobby politico-militari agiscono per influenzare i rapporti tra la NATO e l’Europa: si pensi all’influenza francese o dei 10 nuovi Stati membri dell’Unione europea, oppure ancora al ruolo assai particolare della Turchia che è membro importante della NATO ma anche candidato all’adesione all’Unione europea. È evidente che le modalità di fare lobbying presso la NATO seguono specifiche regole diverse da quelle illustrate finora. Tuttavia, i principi di base illustrati in questo Rapporto sono gli stessi. 1.6 Gli uffici del sistema camerale italiano a Bruxelles La presenza del sistema camerale italiano a Bruxelles è importante nel quadro delle rappresentanze istituzionali italiane, sia per la rilevanza dei suoi associati nel tessuto economico e delle imprese italiane in Europa, sia per l’interazione che esse possono generare con reti transnazionali quali Eurochambres, la rete europea dei registri delle imprese, gli Euro Info Centers, e l’Iniziativa Centro Europeo delle Camere di Commercio (INCE). Nel 2006, il CIPI ha repertoriato la presenza di 5 Unioncamere regionali (Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto) e di 3 Camere di Commercio provinciali (Napoli, Roma, Trieste). La citata presenza di uffici delle Camere di Commercio italiane, che sono rappresentanze di tipo istituzionale, non va confusa con la Camera di Commercio Belgo-Italiana che è un’associazione di diritto belga senza fini di lucro. Quest’ultima svolge un ruolo diverso dalle prime, concentrando le proprie attività nella formazione e nel sostegno alle imprese italiane attive in Belgio e che volontariamente si iscrivono alla Camera. Tuttavia, essa intrattiene rapporti di cooperazione con le istituzioni italiane presenti a Bruxelles. Sull’insieme del sistema camerale italiano in Belgio, l’Ambasciata d’Italia svolge un ruolo di vigilanza. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 67 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles La sede di Unioncamere nazionale a Bruxelles svolge un importante ruolo di coordinamento del mondo camerale italiano (riunioni periodiche ogni 15 giorni) per favorire lo scambio di informazioni, e per definire linee di azione comuni nei confronti delle istituzioni europee. Inoltre, quest’ufficio ha un grande potenziale di sviluppo, che recentemente è stato sottolineato con la nomina di un direttore di lunga esperienza, per promuovere un sistema virtuoso dell’economia e dell’imprenditorialità italiana a Bruxelles, nelle relazioni con le istituzioni europee. Il rafforzamento e la riuscita dello sviluppo del sistema camerale italiano in Europa non può che giovare alla creazione del “sistema Italia” a Bruxelles, amplificando la voce delle varie associazioni che lo animano. Un indicatore per percepire nell’insieme le attività europee del sistema camerale italiano (Unioncamere e Camere di Commercio) può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione che ciascuno dei suddetti uffici di rappresentanza fa attraverso i propri siti Internet44. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei presenti nei siti Internet delle rappresentanze camerali in Italia 18 16 14 12 10 8 6 4 2 U nioncam ere V eneto C am era C om m ercio T rieste U nioncam ere T oscana C am era C om m ercio R om a U nioncam ere P iem onte C am era C om m ercio N apoli U nioncam ere Lom bardia U nioncam ere Liguri U nioncam ere N azionale 0 Fonte: dati elaborati dal CIPI 2006 44 I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente trattato. Si veda pagina 32. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 68 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles I siti delle Camere consultati Unioncamere Nazionale http://www.unioncamere.it/bruxelles/2pag.asp Unioncamere Liguri All’interno del sito: http://www.lig.camcom.it Unioncamere Lombardia All’interno del sito: http://www.unioncamerelombardia.it/ Camera di Commercio di Napoli http://www.na.camcom.it/portal/page?_pageid=96,103897&_dad=port al&_schema=PORTAL Unioncamere Piemonte http://www.pie.camcom.it/Page/t15/view_html?idp=107 Camera di Commercio di Roma All’interno del sito: http://www.rm.camcom.it – accesso al sito “Roma-Europa” sulle possibilita’ di accesso ai finanziamenti EU Unioncamere Toscana http://www.tos.camcom.it/Default.aspx?PageID=21 Camera di Commercio di Trieste All’interno del sito: http://www.ts.camcom.it – informazioni di carattere generale sulle iniziative dell”UE Unioncamere Veneto http://www.ven.camcom.it/bruxelles.htm Come operano alcune Camere di Commercio straniere AmCham (Camera di Commercio Americana) La sezione europea della camera di commercio americana è nata all’inizio del 2004, separandosi dalla Amcham Belgio. Questa separazione riflette la crescente importanza che, dopo l’allargamento, hanno acquisito le istituzioni europee per le 135 corporations rappresentate dalla AmCham EU. Queste appartengono a svariati settori e fra di loro si trovano 40 delle prime 100 corporations industriali incluse nella classifica Fortune 100. L’AmCham non è un’organizzazione finanziata dal governo americano, ma fa affidamento sui contributi ricevuti dai propri membri, e sui ricavi derivanti dalle proprie attività e pubblicazioni. Le 14 commissioni di lavoro in cui è organizzata, pubblicano ogni anno 50 rapporti. L’AmCham mantiene così una influenza notevole sul processo decisionale europeo. British Chamber of Commerce La Camera di Commercio Britannica in Belgio è autonoma e non riceve sussidi da organismi statali, facendo invece affidamento sui contributi dei propri membri, sui proventi di eventi e sulle sponsorizzazioni. È organizzata in 5 commissioni. Il suo lavoro negli ultimi anni è strato caratterizzato da un’importante azione di sensibilizzazione e lobbying all’interno dell’Unione europea sulle questioni della “Società dell’Informazione”. Molto importante è stato il lobbying in materia di liberalizzazione dei servizi (in particolare finanziari), all’interno del mercato europeo e nelle trattative all’interno del WTO. Chambre Française de Commerce et d'Industrie de Belgique Fa parte dell’UCCIFE (Unione delle Camere di Commercio e di Industria francesi all’Estero), lavorando quindi in stretto contatto con le autorità francesi e in particolare con il Ministero del Commercio Estero. Il suo obiettivo dichiarato è quindi quello di fornire una piattaforma per i responsabili delle imprese, coordinando le loro azioni con le politiche del governo. Conta 200 membri, dai quali provengono i finanziamenti per le sue attività. Si deve notare che il sistema estero francese che tutela gli interessi economici e industriali include anche due potenti organizzazioni che operano in sintonia con la Camera di Commercio: postes d’expansion économique; conseilleurs du commerce extérieur. Fonte: dati elaborati dal CIPI in base alle informazioni dei siti Web rispettivi Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 69 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 2. Regioni e autonomie locali e funzionali 2.1 Le regioni Un primo indicatore per percepire nell’insieme le attività europee delle Regioni d’Italia può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione di ciascuna Regione d’Italia attraverso il proprio sito Internet. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web delle rappresentenze delle regioni italiane presso l'Unione Europea 40 35 30 25 20 15 10 5 d 'A os ta Ve ne to ia cil l le Va na eg Si a rd Sa to Pu g li Tr lza .A ov Pr ov Pr ut. Bo ut. .A en iV iu l Fr en no on te e em lis Pi ia a rd Mo ia mb Lo u li a L ig ur ia - ez -R ilia Em Gi ag om o -I tal na ia ia an mp ntr Ce lab ri a Ca Ca Ba si l ic a ta 0 Fonte: dati elaborati dal CIPI 2006 Abbiamo voluto tracciare una “mappa” della presentazione delle questioni europee di rilevanza per la Regione come appare nei siti Internet delle Regioni o dei 18 uffici regionali con sede a Bruxelles, considerando che le due Province Autonome di Trento e Bolzano hanno uffici distinti e che 5 regioni hanno un ufficio comune “Centro Italia” (Abruzzo; Lazio; Molise; Toscana; Umbria) 45. 45 I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente trattato. Si veda pagina 32. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 70 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles I siti regionali consultati Calabria All’interno del sito: http://www.regione.calabria.it/ Campania All’interno del sito: http://www.regione.campania.it/ – pagina sull’Europa con notizie ufficio Bruxelles Regioni CentroItalia (Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana, Umbria) http://www.regionicentroitalia.org Emilia-Romagna http://www.regione.emilia-romagna.it/web_gest/bruxelles/it/home.htm Friuli Venezia Giulia All’interno del sito: http://www.regione.fvg.it – pagina sull’Europa Liguria http://www.casaliguria.org Lombardia All’interno del sito: http://www.regione.lombardia.it – pagina su delegazione di Bruxelles Molise All’interno del sito: http://www.regione.molise.it/ – pagina sull’Europa Piemonte http://www.regione.piemonte.it/bruxelles/ Provincia autonoma Bolzano All’interno del sito: http://www.provincia.bz.it – pagina sull’Europa Provincia autonoma Trento All’interno del sito: http://www.giunta.provincia.tn.it – pagina sull’Europa” * http://www.europaregion.info/it/20.htm - informazioni generali ufficio comune con Trento * http://www.europaregion.info/it/20.htm - informazioni generali ufficio comune con Bolzano Puglia http://www.regione.puglia.it/quiregione/addmod.php?op=bruxelles&lang =IT&xfile=home Sardegna All’interno del sito: http://www.regione.sardegna.it/ – pagina sull’Europa Sicilia http://www.regione.sicilia.it/Presidenza/ufficiodibruxelles/ Valle d’Aosta http://www.regione.vda.it/europa/ Veneto http://www.regione.veneto.it/Organizzazione+Regionale/Sede+di+Bruxe lles/ Per quanto riguarda le regioni italiane, tutte, tranne una, hanno un ufficio di rappresentanza a Bruxelles46. Ciononostante, se un paragone quantitativo con i loro omologhi europei è del tutto irrilevante, un confronto qualitativo sembra invece molto pertinente. 46 La Regione Basilicata ha scelto di interrompere l’accordo che esisteva con Mondimpresa che le garantiva la rappresentanza a Bruxelles. Invece, la Regione Basilicata presso la sua sede di Potenza ha attivato lo “Sportello Europa” che è stato realizzato anche con i fondi europei. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 71 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Gli uffici dei Länder tedeschi hanno svolto un ruolo pionieristico in termini di influenza strategica sulle politiche europee e sulle strutture istituzionali europee, ispirandosi, da questo punto di vista, all’esempio e alla lunga tradizione delle rappresentanze dei Länder a livello del governo federale. Gli uffici di rappresentanza delle regioni dei paesi più federalizzati sono, in linea di massima, più grandi e più efficacemente organizzati, soprattutto perché la loro regione d’appartenenza li ha investiti di una missione ben precisa, sono più integrati nella struttura governativa regionale e godono di una fonte di finanziamento più ingente. Alcune regioni, in particolar modo quelle tedesche, non esitano a fare attività di promozione e sono utilizzate per aprire nuovi mercati e attirare investimenti, anche non europei. L’ufficio di rappresentanza del Land della Saxe - Anhalt (regione obiettivo 1) è riuscito a divenire un’autorità riconosciuta dalle istituzioni europee per tutte le questioni riguardanti il trasferimento di tecnologie industriali e di sviluppo, la strategia e la politica d'innovazione, insediando il suo ex membro del Comitato delle regioni alla posizione di Presidente dell’Associazione delle regioni europee di tecnologia industriale. Così, oltre all’azione di lobbying in senso stretto, le rappresentanze regionali a Bruxelles possono fare in modo di veicolare un’immagine positiva delle loro regioni al fine di promuoverle. Queste differenze, ancora una volta, sono da imputare ad una cultura diversa e ad una centralizzazione “di facciata” della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, a fronte di una pletora di rappresentanze disaggregate ed eterogenee poco coinvolte nelle attività di rappresentanza dello Stato. Tuttavia, l’efficacia delle rappresentanze delle regioni italiane a Bruxelles dipende molto dalla struttura che hanno at home, e dalla rilevanza politica ed amministrativa che viene data alle questioni europee. Fra tutte, solo a titolo di esempio, una rappresentanza regionale che si distingue è quella della Regione Toscana che è inserita nell’ufficio comune delle Regioni del Centro Italia (Abruzzo; Lazio; Marche; Toscana; Umbria). L’ufficio è stato creato in base ad un accordo politico tra le cinque Regioni (Patto d’Orvieto) conclusosi nella metà degli anni ’80, e che ha dato vita ad una società belga partecipata dalle finanziarie regionali. La società belga è proprietaria degli uffici e dal 1999 fornisce alle cinque Regioni servizi comuni di informazione, gestione, personale e logistica. L’ufficio di rappresentanza della Regione Toscana è l’unico diretto da un dirigente superiore già dipendente dell’amministrazione della Regione (ufficio di programmazione e sviluppo), e che conta più di quindici anni di esperienza a Bruxelles anche in seno alle istituzioni comunitarie. Questa caratteristica rafforza notevolmente l’azione dell’ufficio di rappresentanza a livello orizzontale con le altre strutture dell’amministrazione regionale. Alcuni dati chiave possono illustrare che l’impegno di qualità messo dalla Regione Toscana nella sua rappresentanza a Bruxelles ne distingue i risultati. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 72 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Forte investimento del Presidente della Regione Toscana a Bruxelles Visite di rappresentanti dalla Toscana a Bruxelles (2002-2005) Giorni complessivi di attività a Bruxelles di rappresentanti dalla Toscana (2002-2005) Reti ed organizzazioni di coordinamento tra regioni ed enti locali nelle quali la Regione Toscana ha una posizione di primo piano (19) Cooperazione internazionale della Regione Toscana Progetti di cooperazione internazionale con la partecipazione della Toscana (Regione; enti locali; imprese; associazioni) 100 giorni all’anno 600 visite di personale dell’amministrazione regionale 1.200 visite di rappresentanti di categorie economiche, enti locali, associazioni e ONG 5.000 giorni AMRIE (Alleanza delle regioni con interesse marittimo) ARE (Assemblea delle regioni d’Europa) AREPO (Agricoltura di qualita’ DOP e IGP) AREV (Associazione regioni europee viticole) CCRE/AICCRE it (Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa) CPLRE (Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa) CRPM (Conferenza delle regioni periferiche e 47 marittime) EARLALL (Apprendimento lungo tutto l’arco della vita) EIRA (Regioni industriali europee) ENCORE (Politiche ambientali) ERIK (Innovazione e trasferimento tecnologico) Euro*IDEES (Associazione europea di sostegno allo sviluppo economico locale) FESU (Forum europeo per la Sicurezza Urbana) HPH (Ospedali che producono salute) IQ-NET (Coordinamento obiettivo 2) OGM FREE (Coesistenza tra agricoltura tradizionale, transgenica e biologica) REG LEG (Conferenza di Presidenti delle regioni con potere legislativo) RETIS (Politiche e interventi per l’inclusione sociale) RHN (Rete europea mondiale della Sanita’) Nel 2005: riunione a Bruxelles della Giunta regionale della Toscana (13 assessori) con la partecipazione di esperti e rappresentanti della Commissione europea In 68 Paesi nel mondo regioni europee dell’Organizzazione Fonte: Rapporto delle attività dell’ufficio di rappresentanza della Regione Toscana a Bruxelles 47 La Regione Toscana ha assicurato la Presidenza del CRPM dal 1996 al 2000, successivamente per il biennio 2002-2004 ed il Presidente Claudio Martini ne è tutt’ora Presidente. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 73 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Dal punto di vista operativo, la Regione Toscana ha creato un sistema di consultazioni informali per la valutazione dei progetti di leggi regionali che prevedono aiuti suscettibili di dover essere valutati dalla DG Concorrenza della Commissione europea. In coordinamento con la Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione europea, questo sistema permette alla Regione di ridurre drasticamente i tempi di consultazione che altrimenti sarebbero di quasi due anni, e di presentare poi un testo finale già approvabile. Dal punto di vista del lobbying, la Regione Toscana dispone di una rete di contatti piuttosto capillari all’interno delle istituzioni comunitarie, e molto spesso con interlocutori che non sono italiani. Tra gli esempi di successo delle azioni di lobbying coordinata dall’ufficio di rappresentanza della Regione Toscana a Bruxelles, si segnala la modifica dell’impostazione della Commissione europea in materia di OGM. Questa azione di lobbying della Regione Toscana risponde ad una precisa strategia della Regione in materia di ambiente e qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Il successo ottenuto ha permesso alla Regione di aumentare il proprio rating come Regione “pulita” e di veder lievitare la quotazione di mercato dei prodotti agro-alimentari regionali. La rete europea OGM Free OGM FREE Obiettivo e campo di attività Coordinamento Regioni aderenti (in ordine di adesione) Coordinamento aperto tra regioni che condividono posizioni comuni in materia di agricoltura transgenica Valutazione delle politiche in materia di coesistenza tra agricoltura tradizionale, transgenica e biologica, contributi e confronti con la Commissione europea e il Parlamento europeo, organizzazione di conferenze e gruppi di studio. Regione Toscana - Oberosterreich Aquitqine, Alta Austria, Limousin, Euskadi, Wales, Salzburgerland, Schleswigholstein, Thrace-Rodopi e Drama, Kavala (Grecia), Marche, Highland Council, Principato di Asturia, Bretagna, Emilia Romagna, Ile-deFrance, Carinzia, Lazio, Liguria, Midi-Pirenee, Provincia autonoma di Bolzano, Sardegna, Astiria, Umbria • Su iniziativa della Regione Toscana e della Regione Oberosterreich (Austria) e’ stata organizzata la conferenza costituiva della rete OGM, tenutasi a Bruxelles il 4 novembre 2003 e che ha approvato un documento importante come contributo per le Istituzioni comunitarie in materia di coesistenza tra agricoltura tradizionale, transgenica e biologica. Tale posizione è stata presentata dalla Regione Toscana nel corso dell’audizione alla Commissione Agricoltura del PE impegnata nella preparazione del parere dell’Assemblea, a dimostrazione della prima presa di posizione “forte” da parte della Regione. Le regioni partecipanti erano 12. • Il 28-29 aprile 2004 una conferenza di aggiornamento si e’ tenuta a Linz ed ha visto la partecipazione di altre tre regioni europee. • Una terza conferenza ha avuto luogo a Firenze il 4 febbraio 2005, nel corso della quale e‘ stata firmata una Carta da parte delle regioni partecipanti come “impegno” ad aprire un’effettiva coesistenza (con successivo grande risalto dato dalla stampa). In questa occasione, l’Austria ha presentato una Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 74 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles legge contraria agli OGM che la Corte di Giusitizia ha però definito illegittimità in quanto violava le norme del mercato comune. Nell’aprile 2005, nel corso di un incontro con la Commissione, è stata presentata questa carta sottoscritta dalle regioni: da questo momento si può dire che la rete OGM abbia effettivamente acquisito notorietà, registrando anche nuove adesioni da parte di altre 13 entita’ regionali europee. Nel settembre dello stesso anno e’ stato organizzato un workshop a Bruxelles: si è trattato di un incontro prevalentemente “tecnico-organizzativo”, che ha visto la partecipazione anche di funzionari della Commissione che si occupano di OGM. • Nel corso della quarta conferenza, tenutasi a Rennes lo scorso novembre 2005, vi è stato un incontro diretto con i serivizi della Commissione allo scopo di portare a termine la stesura di un documento “tecnico” di regolamentazione della rete, in modo da non procedere soltanto con dichiarazioni politiche. • La prossima conferenza si terrà a Vienna nell’aprile 2006 e si sta attualmente lavorando per presentare documenti definitivi. Fonte: Regione Toscana Così tanti incontri, ravvicinati anche dal punto di vista temporale, provano come la rete OGM FREE sia riconosciuta dalle istituzioni comunitarie, in particolare dalla Commissione. La rete OGM FREE non ha ancora definito una sua forma giuridica, ma questa si rende ormai necessaria data la partecipazione di un sempre maggior numero di regioni. Inoltre, come effetto indiretto, nell’ottobre 2005 è stato creato un gruppo gestito dalla Regione Bretagna (nell’ambito del Commercio Internazionale), formato da politici e tecnici, allo scopo di promuovere accordi con politici ed aziende del Brasile in materia di produzione di sementi non OGM. Lo scopo è duplice: da un lato favorire la cooperazione economica nel Paese sudamericano, dall’altro creare un legame commerciale utile per entrambe le regioni. Vi sono stati aiuti anche grazie all’intervento della Commissione. Sempre a titolo di esempio, segnaliamo le attività dell’ufficio di rappresentanza della Regione Veneto. Ci sembra opportuno rilevare che tra le Regioni italiane, il Veneto è quella che più di altre è riuscita ad inserire personale distaccato presso le istituzioni comunitarie. In particolare, l’inserimento nelle istituzioni europee degli END provenienti dal Veneto è stato pianificato in senso strategico. Infatti, la loro presenza nelle fasi di valutazione dei progetti si è dimostrata fondamentale per i proponenti del Veneto (ad esempio, si pensi ai numerosi progetti dell’Università di Padova). Altro esempio di successo della lobby veneta a Bruxelles, che è una chiara best practice di “sistema-Regione”, è stato il finanziamento ricevuto dalle istituzioni europee a favore delle Ville Venete. Infine, ci sembra opportuno segnalare anche le attività degli uffici di Bruxelles della Regione Liguria, che rappresentano in modo integrato la realtà regionale (con particolare enfasi sugli interessi del Porto e dell’Università di Genova), e le attività delle Regioni Emilia Romagna e Piemonte. Per quanto riguarda le attività europee della Regione Lombardia, si può rilevare un significativo miglioramento che in alcune aree settoriali è molto visibile, nella progettualità in materia di gestione di reti idriche, politiche ambientali e riciclaggio dei rifiuti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 75 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 2.2 I fondi europei Un tema centrale per le Regioni italiane è legato alla riforma che nel 2006, in seguito all’avvenuto allargamento dell’Unione europea, si renderà necessaria per ridefinire i fondi strutturali. In quindici anni di storia dei fondi strutturali, solo nel 2002 l’Italia è riuscita a centrare per la prima volta gli obiettivi prefissati, spendendo tutta la somma messa a disposizione dal piano d’azione 2000-2006. Ad esempio, è noto che nel 2005 la Regione Puglia non è riuscita a spendere circa €50 milioni, e per questo perderà il beneficio di questa quota di co-finanziamento ai progetti infrastrutturali fino alla fine del programma in corso. Tuttavia, dopo il 2006, i flussi che l’Unione europea destinerà ai fondi strutturali per Paesi come l’Italia saranno fortemente ridotti per essere gradualmente indirizzati allo sviluppo dei 10 nuovi Paesi membri. Nel nuovo contesto europeo, per l’Italia sarà sempre più difficile giocare la carta, finora vincente, del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno d’Italia sarà messo in “competizione” con i molti “mezzogiorni” che sono entrati nell’Unione europea48. Un rapporto49 recentemente pubblicato dal Ministero per gli Affari Regionali illustra in modo impietoso i molti e duraturi insuccessi e i pochi e recenti successi dell’Italia in tema di partecipazione ai fondi non strutturali (1999-2002). In sintesi, il rapporto evidenzia come nella nuova fase dell’Europa dopo il 2006, sarà necessario potenziare le capacità progettuali competitive delle Regioni italiane e abbattere i possibili ostacoli che compromettono talvolta il buon esito delle attività: Cattiva o incompleta diffusione delle informazioni da parte dei livelli superiori Scarsa competenza tecnica e scarsa attenzione alla qualità dei progetti, spesso causa/effetto di un approccio dilettantistico al progetto in esame Eccessiva onerosità di talune pratiche amministrative, in particolare per le PMI e le amministrazioni meno strutturate Impossibilità di alcuni attori a far fronte ad un eventuale insuccesso dopo aver speso tempo e denaro nella delicata fase di preparazione dell’offerta In conclusione, il rapporto citato mette in evidenza come la partecipazione delle Regioni italiane sia assai disomogenea e risenta, tra l’altro, della compresenza dei fondi strutturali che hanno maggiormente attratto l’attenzione delle Regioni destinatarie. Alcuni dati più recenti (2002-2005), elaborati finora solo parzialmente, indicano che l’Italia è in miglioramento: il coefficiente medio di finanziamento italiano sarebbe dell’11% a fronte del 15% di partecipazione ai fondi comunitari. Il risultato del 48 Nel negoziato a livello di Consiglio per approvare le Prospettive finanziarie dell’Unione europea 2007-2013, sembrerebbe che il Mezzogiorno d’Italia sia stato inserito tra le aree che beneficierebbero ancora dei fondi strutturali. Tuttavia, l’intera materia è soggetta a una nuova fase negoziaziale tra Parlamento europeo e Consiglio, nei primi mesi del 2006. 49 “I fondi tematici dell’Unione europea. Un’opportunità per le Regioni italiane”, Progetto Opportunità delle Regioni in Europa, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2004-2005. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 76 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles coefficiente medio di finanziamento indica il grado di capacità delle strutture italiane di ricerca e progettazione. Più si è forti rispetto ai Paesi concorrenti e minore sarà il differenziale tra i due coefficienti. Gli enti pubblici e privati italiani che intendono cogliere le opportunità offerte dai fondi a gestione centralizzata (i fondi non strutturali) devono rendere ancora più stretto il loro rapporto con la Commissione europea e le Agenzie per la gestione dei programmi che dipendono dalla Commissione. La recente creazione in Italia, a livello territoriale, delle Agenzie Nazionali per i Programmi Specifici ha significativamente aiutato gli enti italiani durante l’intero iter progettuale per accedere ai fondi europei. Poiché il problema non è più se progettare, ma come progettare, ci sembra opportuno richiamare qualche elemento chiave: L’alto grado di competitività a cui sono esposti gli enti italiani richiede un nuovo atteggiamento di interazione con l’amministrazione comunitaria e un drastico miglioramento nella capacità di creare partnership internazionali É l’atteggiamento degli enti italiani che deve cambiare: l’accesso ai fondi elargiti dalla Commissione non è un fatto facile e scontato Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 77 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 2.3 Regioni e autonomie locali e funzionali a confronto nell’Assemblea politica degli enti locali e regionali in Europa L’Assemblea politica degli enti locali e regionali in Europa è il Comitato delle Regioni. Questo Comitato è un organo consultivo dell’Unione europea con poteri nel processo di formazione legislativa, particolarmente nelle materie in codecisione. Inoltre, il Comitato svolge un importante ruolo in tutte le materie legislative sussidiarie tra l’Unione europea e gli enti locali e regionali in Europa. I membri sono 317 rappresentanti degli enti locali e regionali d’Europa, divisi in 25 delegazioni nazionali che raggruppano i membri di uno stesso Stato, e 4 gruppi politici, e 6 commissioni tematiche. I membri del CdR 317 (344) membri e 317 (344 (344)) supplenti Francia, Germania, Italia, Regno Unito ……………………..…… 24 Polonia, Spagna ..………………………………….………………… 21 Romania ………………………………………….…………………... 15 Austria, Belgio, Bulgaria Bulgaria,, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Svezia, Ungheria ………………………..…...…. 12 Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania Lituania,, Slovacchia ……………… 9 Estonia, Lettonia, Slovenia …………………….……..……………… 7 Cipro, Lussemburgo …………….……………………….……….…... 6 Malta …………………………………….………………………….….. 5 Fonte: Comitato delle Regioni, 2006 La rappresentanza italiana regolamentata, ovvero quella decisa per quote Paese, è rispettata. Tuttavia, l’eterogeneità politica dei membri della delegazione italiana ne indebolisce l’efficacia. Inoltre, se dal punto di vista legislativo l’Italia offre un quadro di riferimento assolutamente innovativo ed avanzato – è l’unico Paese d’Europa che con legge ha regolamentato il coordinamento degli enti decentrati – sul piano pratico è molto debole. I dati sulla capacità d’inserimento nelle strutture decisionali del CdR, particolarmente nelle Commissioni, sono self-explanatory. Questa situazione duole in maggior modo se si pensa che gli organi di coordinamento degli enti decentrati italiani rappresentano l’80% dei comuni d’Italia (Anci-Ideali). Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 78 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Le commissioni • • • • • • • COTER - Politica di coesione territoriale ECOS - Politica economica e sociale DEVE - Sviluppo sostenibile EDUC - Cultura e istruzione CONST - Affari costituzionali RELEX - Relazioni esterne Commissione Affari Finanziari e Amministrativi Fonte: Comitato delle Regioni, 2006 Consultazione obbligatoria nei seguenti settori: • Coesione economica e sociale • Istruzione e gioventù • Cultura • Sanità pubblica • Reti transeuropee • • • • • • Trasporti Occupazione Affari sociali Ambiente Fondo sociale europeo Formazione professionale Fonte: Comitato delle Regioni, 2006 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 79 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles L’elaborazione dei pareri Commissione CdR Nomina del relatore e inizio dei lavori Commissione europea Proposta Relatore Prosegue i lavori Commissione CdR Presentazione della prima stesura Ufficio di presidenza Attribuzione della proposta a una commissione Sessione plenaria Adozione del parere Commissione CdR Discussione ed emendamenti Fonte: Comitato delle Regioni, 2006 Come si evince dalle schede presentate sopra, il ruolo delle Commissioni è importante, e ancor di più lo è la governance delle Commissioni. Nel febbraio 2006, un solo rappresentante italiano si trova nella Commissione COTER in qualità di vice-presidente50, e nella Commissione Affari Finanziari e Amministrativi nessun membro è italiano51. Si noti che la Presidenza del CdR sarà francese dal 2006 al 2008. Nazionalità dei Presidenti al Comitato delle Regioni Germania Affari Fin e Ammin. Germania Comitato delle Regioni Spagna Relex Belgio COTER Austria CONST Svezia ECOS Irlanda EDUC Francia DEVE Fonte: CdR website, febbraio 2006, e dati elaborati dal CIPI 50 51 È il rappresentante della Provicia autonoma di Bolzano (che si presenta inoltre come Sud-Tyrol). Dati tratti dal sito del CdR nel febbraio 2006. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 80 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Per quanto riguarda le Regioni d’Italia in seno al CdR è stato possibile rilevare che la presenza regionale italiana risente di un coordinamento troppo debole che le fa apparire divise agli occhi dei temibili concorrenti di altri Paesi europei. Si deve notare che più uno Stato è strutturato, anche in senso pienamente federale, più le Regioni riescono ad avere un impatto sinergico su una strategia condivisa (è il caso della Germania, e parzialmente della Spagna). Ancora una volta, è stato evidenziato come il sistema Paese faccia la differenza, così come la capacità di elaborare strategie di lungo periodo con una paziente e costante applicazione nel tempo. Tuttavia, qualche Regione italiana si distingue per attività anche presso il CdR. Di particolare interesse è l’attività della Regione Toscana nella promozione di alleanze e accordi inter-regionali in materia di “innovazione applicata alla gestione pubblica della salute”, che sta portando a federare interessi di più Regioni europee in materia di procurement, gestione, e informazione. Tra le altre, si distinguono per efficienza la Regione Lombardia (nonostante il deficit sistemico sul territorio), e la Regione Friuli Venezia Giulia che insieme alle province autonome di Trento e Bolzano ha sviluppato importanti progetti inter-regionali in materia di trasporti e cultura. Tuttavia, qualche dubbio sorge in materia di aspirazione ad una politica estera autonoma, che questi enti locali vorrebero perseguire al di là del quadro nazionale nel quale sono inseriti e dal quale traggono la loro autonomia. Per quanto riguarda le Regioni degli altri Paesi membri, si distinguono i Länder tedeschi. Anche nelle attività presso il CdR, la force de frappe tedesca è molto sentita. L’azione tedesca supera le divisioni politiche regionali, facendo prevalere l’interesse generale di tutti sul successo delle iniziative delle Regioni tedesche. Il sistema paese e le strategie di lungo periodo fanno la differenza. Recentemente, ad esempio, le Regioni tedesche stanno conducendo una battaglia per posizionare la lingua tedesca come seconda lingua di lavoro dopo l’inglese. In conclusione si possono indicare alcuni consigli utili per le Regioni italiane: Evitare di esportare a Bruxelles la conflittualità interna italiana che è senza una correlazione con le questioni europee; Sviluppare scelte condivise all’interno per sintetizzare una strategia stabile nel tempo: lo spoil system a livello regionale ha effetti negativi sulla stabilità; Calcolare bene, e in anticipo, sia i rischi che le opportunità di ogni scelta strategica; Evitare di “giocare” da soli: le alleanze transnazionali, ma anche quelle all’interno della stessa nazione, sono essenziali per riuscire. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 81 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 2.4 Aspetti qualitativi e quantitativi della presenza regionale italiana a Bruxelles Le rappresentanze delle Regioni d’Europa a Bruxelles nel 2006 hanno ormai superato i 200 uffici, con un’evidente progressione dai 20 uffici del 1990. L’insediamento delle Regioni italiane iniziato nel 1984 (Emilia Romagna) si è completato nel 200252. Nel 2006 sono presenti 18 uffici di rappresentanza delle Regioni d’Italia a Bruxelles e 3 Province (Trento, Bolzano, Napoli53). La Basilicata è l’unica Regione italiana che non ha più un ufficio di rappresentanza a Bruxelles, ma ha scelto di potenziare il proprio servizio europeo istituendo lo “Sportello Europa” a Potenza, il capoluogo regionale. L’apertura di un ufficio a Bruxelles è stata sinonimo di essere in Europa. I motivi ispiratori di una tale scelta rientrano in due categorie: a) perché era chiaro che cosa si veniva a fare; b) per rappresentare la Regione in attesa di definire gli obiettivi e le strategie. Tuttavia, tra tutti gli uffici di rappresentanza resta piuttosto alta la confusione sulle istituzioni europee, i loro ruoli e poteri. Ad esempio, convincersi che il Parlamento europeo è un organo tecnico-amministrativo piuttosto che politico non è cosa comune. Inoltre, essere presenti a Bruxelles significa confrontarsi con una complessità che si è accresciuta con l’espandersi della multiculturalità. Il rigetto del Trattato costituzionale ha ulteriormente accresciuto la confusione. Per essere efficaci in Europa si devono conoscere in profondità le procedure, ma anche i riti che le caratterizzano. Il tempo medio di “apprendistato” per conoscere l’Europa è di almeno due anni. Ciò vale per i nuovi funzionari europei, ma anche per i rappresentanti politici, diplomatici o funzionali che arrivano a Bruxelles. I “valori” per una buona riuscita in Europa sono presenza stabile e continuativa a tutti i livelli di rappresentanza, ed esperienza. La presenza italiana nel sistema europeo è diffusa ma concentrata in prevalenza in alcuni settori. Nei processi di produzione legislativa e regolamentare, ma anche nella standardizzazione, la presenza italiana è debole perché irregolare, scomposta, e molto spesso impreparata. Un errore di strategia, visto che questo settore è quello che ha la maggiore incidenza diretta sul PIL delle Regioni e dello Stato. Infatti, ad esempio, in materia ambientale la direttiva sui nitrati adottata nei primi anni ’90, oppure quella sulle emissioni di gas CO², hanno avuto effetti trasversali in una serie di settori economici e produttivi, dall’agricoltura all’industria, ponendo l’Italia in una costante necessità di essere in infrazione. E questa situazione non fa che indebolire la capacità di lobbying e di negoziato in altre materie. 52 Benché a partire dagli anni ottanta abbia avuto inizio il fenomeno dell’apertura di uffici di rappresentanza regionale a Bruxelles, bisogna osservare che nel 1995, quando già tutte le principali regioni europee avevano una loro rappresentanza, l’Italia era l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione europea a non consentire alle proprie regioni di avere uffici all’estero. 53 La Provincia di Napoli è rappresentata attraverso l’ufficio della Camera di Commercio provinciale a Bruxelles. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 82 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles In Italia, è ancora debole il coordinamento orizzontale e verticale tra gli enti locali, le Regioni e lo Stato, e tra questi e le categorie economiche e sociali. Questa debolezza impedisce di sviluppare un approccio sinergico e coerente, e di valutare l’impatto di medio e lungo termine delle strategie da mettere in atto in sede europea54. A livello comunitario, la partecipazione delle Regioni può avvenire all’interno dei comitati e dei gruppi di esperti della Commissione, in seno al Consiglio dell’Unione, ed ai suoi gruppi di lavoro e comitati55, all’interno dei Comitati che appartengono alla pratica della cosiddetta comitatologia e, infine, in seno al Comitato delle Regioni. Per le Regioni italiane e i loro uffici di rappresentanza a Bruxelles, sono possibili alcune considerazioni comuni: La qualità delle leggi regionali che istituiscono uffici a Bruxelles è di fondamentale importanza56. Le leggi regionali in questione sono assai diverse tra loro. In generale, più la legge regionale rafforza l’indipendenza della Regione nelle materie comunitarie, migliore è l’efficacia della loro presenza in Europa57. La rappresentanza è più efficiente se esiste un rapporto fiduciario del rappresentante con il Presidente della Regione e con la Giunta, oltre che un rapporto stabile ed inquadrato con l’amministrazione regionale. La struttura organica dell’ufficio di rappresentanza è fondamentale per partecipare pienamente ai processi decisionali multilivelli europei, ben oltre lo stretto ambito degli affari regionali. La rappresentanza regionale può essere capace di intervenire in modo trasversale su una molteplicità di settori, territoriali, industriali, e sociali. Sostenere i costi di rappresentanza, ad esempio dotandosi di una bella sede, senza inserirvi sufficiente personale formato e specializzato non ha alcun senso. 54 La partecipazione delle Regioni all’elaborazione della posizione che l’Italia esprime in seno alle istituzioni ed agli organi comunitari avviene essenzialmente all’interno della Conferenza StatoRegioni, che è dotata di un’apposita sessione comunitaria. 55 A seguito della modifica al vecchio art. 146 TCE (81) introdotta con il Trattato di Maastricht, non è più necessario che il rappresentante dello Stato membro in seno al Consiglio sia un membro del Governo centrale. Secondo l’art. 203 del Trattato, infatti, “il Consiglio è formato da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il Governo di detto Stato membro”. 56 La legge italiana (l. 52 del 6/2/96, art. 58, comma 4) consente alle regioni di “istituire presso le sedi delle istituzioni dell’Unione europea uffici di collegamento propri o comuni”. Occorre però rilevare che con la succitata legge innegabilmente si fanno passi avanti apprezzabili, ma limitati. Infatti, si razionalizza una prassi, ma non si assicura alle regioni un’autentica presenza istituzionale, poiché il legislatore decide di non dare agli uffici di collegamento la qualifica di rappresentanza presso la Comunità europea, col chiaro fine di limitarne l’attività a una funzione prevalentemente informativa. 57 Gli uffici regionali a Bruxelles rappresentano sul piano politico-istituzionale e tecnico gli interessi delle rispettive regioni. Tra i loro obiettivi specifici vi sono: la facilitazione della comprensione delle procedure e dei meccanismi comunitari; la creazione di rapporti con altre regioni europee; il cogliere le opportunità di finanziamento dei diversi programmi comunitari. Su un piano più generale, la valorizzazione delle rispettive realtà regionali può inoltre consentire di esercitare una qualche influenza sulle politiche europee e di intervenire - laddove vi siano le necessarie strutture, competenze e professionalità - nella fase ascendente dei processi decisionali comunitari. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 83 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Il buon funzionamento di un ufficio regionale a Bruxelles dipende dalla capacità della propria regione di definire una strategia chiara “sull’Europa” e dall’abilità di rendere efficace il coordinamento sia in ambito regionale sia con il Governo nazionale. Appare necessario un maggiore collegamento e coordinamento tra gli uffici attualmente presenti a Bruxelles, la cui efficacia è ostacolata anche dall’incapacità di funzionare come sistema: ogni singola Regione, ogni singolo ufficio che negozi da solo a Bruxelles è chiaramente in una situazione di inferiorità. L’esperienza dei tanti uffici regionali dimostra che la dimensione regionale è quella che meglio permette di rappresentare, con una massa critica sufficiente, i diversi interessi del territorio e che consente di creare sinergie di sistema, evitando così che i diversi attori dialoghino con le istituzioni dell’UE in ordine sparso. Un modello efficace di rappresentanza deve saper aggregare i diversi interessi, creando un sistema competitivo forte che sappia armonizzare e coinvolgere i diversi livelli di governo regionale, affinché siano capaci di dialogare, uniti e in coro, con le istituzioni comunitarie. D’altra parte, l’azione unilaterale delle singole regioni nuoce al complesso della posizione italiana nel negoziato, in quanto rischia di portare alla rappresentazione di interessi contrastanti. Il “coordinamento d’emergenza”58 ha provato la sua efficacia, ma ha fallito sugli affari correnti. La Commissione come interlocutore delle Regioni La Commissione auspica un coinvolgimento delle autorità regionali sin dalla prima fase di elaborazione delle politiche. Tale coinvolgimento andrebbe inserito nella fase di preparazione delle proposte della Commissione. In tale fase, il potere d’iniziativa di cui dispone questa istituzione nelle procedure normative le conferisce un grande potere nel fermare, ma anche nell’orientare le proposte. La Commissione è l’istituzione depositaria dell’interesse comunitario, all’interno del quale s’inserisce anche la rappresentanza degli interessi settoriali e l’analisi dei problemi tecnici. La Commissione si avvale di una rete di comitati, gruppi di lavoro o gruppi di esperti, i cui membri possono provenire anche dalle amministrazioni nazionali. È in tali gruppi che può essere inserita la rappresentanza dell’interesse regionale. Non può essere, infatti, tralasciato il fatto che la partecipazione a questi organi costituisce, per gli esperti delle amministrazioni nazionali (END), una opportunità per influenzare i lavori della Commissione. In quest’ambito, la presenza degli END italiani, pur restando nettamente inferiore rispetto a molti altri Paesi, è migliorata numericamente negli ultimi anni, ma è ancora assai carente sul piano del posizionamento strategico e qualitativo in seno alle istituzioni comunitarie. L’obiettivo della Commissione di favorire un dialogo più sistematico con i rappresentanti delle autorità regionali e locali, potrebbe pertanto essere perseguito mediante un coinvolgimento all’interno dei comitati e gruppi di lavoro o di esperti59. 58 Ad esempio, quando le Regioni del Centro Nord erano a rischio di esclusione dagli obiettivi dei Fondi Strutturali, il loro coordinamento ha permesso di salvarne la posizione. Ad iniziativa di Veneto, Emilia Romagna e Toscana si creò il così detto URC (Ufficio Regionale di Coordinamento) con una presidenza a rotazione trimestrale in ordine alfabetico. 59 Nessun ostacolo giuridico dovrebbe d’altronde impedire alle Regioni italiane una tale partecipazione, dopo l’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 84 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles La partecipazione al Consiglio In forza dell’art. 203 del Trattato, il membro di un esecutivo regionale, appositamente autorizzato da una disposizione normativa nazionale, puó rappresentare lo Stato in seno al Consiglio. Per quanto riguarda il modello italiano, l’art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la competenza esclusiva per i rapporti dello Stato con l’Unione europea. Allo stesso tempo, però, menziona i rapporti delle Regioni con l’Unione europea tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, il comma 5 dello stesso articolo prevede che “le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipino alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari. La comitatologia L’art. 202 del Trattato, prevede che il Consiglio “conferisca alla Commissione, negli atti che esso adotta, le competenze di esecuzione delle norme che stabilisce”. Si tratta di un vero e proprio obbligo che rafforza il peso politico della Commissione e migliora il processo decisionale comunitario, permettendo inoltre al Consiglio di liberarsi di alcune funzioni meramente esecutive. Questo conferimento di competenze non è tuttavia privo di limiti, in quanto lo stesso articolo del Trattato prevede che il Consiglio possa “sottoporre l’esercizio di tali competenze a determinate modalità” e “riservarsi, in casi specifici, di esercitare direttamente competenze di esecuzione”. Si tratta di una facoltà di auto-abilitazione del Consiglio, che lo stesso deve motivare in maniera circostanziata e che secondo alcuni autori dovrebbe essere esercitata eccezionalmente. Mediante la pratica della comitatologia, consistente nel creare comitati composti da rappresentanti degli Stati membri e presieduti dalla Commissione, il Consiglio dispone tuttavia di notevoli mezzi di controllo sul potere esecutivo che esso stesso conferisce alla Commissione. La pratica della comitatologia mette in evidenza la stretta relazione esistente tra le fasi di elaborazione e di applicazione del diritto comunitario, in quanto gli atti adottati dalla Commissione sulla base dei poteri che le sono assegnati dal Consiglio, tendono a curare nel dettaglio aspetti relativi alle materie oggetto del conferimento di poteri. Essi hanno pertanto un impatto notevole sull’amministrazione nazionale. La comitatologia consente un intervento nella fase intermedia tra l’attività normativa di base delle istituzioni comunitarie e quella dell’esecuzione da parte delle amministrazioni nazionali. Il problema della rappresentanza in seno ai comitati interessa dunque direttamente le Regioni, soprattutto dopo la revisione costituzionale e le competenze acquisite in molte materie. 1994. L’art. 8, comma 5, lett. b., della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha peraltro abrogato il riferimento ai rapporti con le Comunità europee nella riserva di competenze a favore dello Stato contenuta nell’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 85 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles La partecipazione al Comitato delle Regioni Anche il Comitato delle Regioni rappresenta un importante strumento di partecipazione delle Regioni al processo decisionale comunitario. Le soluzioni adottate dall’Italia per la designazione dei membri differiscono tuttavia da quelle di altri Stati regionali o federali per non aver privilegiato il livello regionale rispetto a quello degli enti locali. Le modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all’Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali erano contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 1997, che prevedeva una ripartizione paritetica tra Regioni ed enti locali. Osservando la ripartizione concreta fino al 2001, risulta che alcune delle Regioni a statuto speciale, le uniche, allora, dotate di competenze esclusive, non sono state rappresentate. A seguito dell’adozione del DPCM dell’11 gennaio 2002, che abrogava il precedente DPCM del 17 dicembre 1997, è stata modificata la ripartizione dei seggi riservati all’Italia (24) facendo aumentare il numero di rappresentanti regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano che è passato da 12 a 14, rispetto ai cinque ciascuno attribuiti alle province e ai comuni, ma ciò non ha consentito evidentemente ad ogni regione e provincia autonoma di avere un proprio rappresentante. Successivamente, ulteriori modifiche quanto alle modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all'Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali sono state intodotte dal DPCM del 12 gennaio 2006, che sostituisce il DPCM dell’11 gennaio 2002 e decreta quanto segue: DPCM 12 gennaio 2006 Art. 1. 1. Ai fini della proposta di cui all'art. 263, comma quarto, del Trattato che istituisce la Comunità europea, i membri titolari del Comitato delle regioni sono così ripartiti tra le autonomie regionali e locali: a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 14; b) province: 4; c) comuni: 6. 1. I membri del Comitato delle regioni sono indicati per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, quelli delle province e dei comuni rispettivamente dall'Unione province d'Italia (UPI) e dall'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). 2. Con le modalità di cui al comma 2 sono altresì indicati ventiquattro membri supplenti, secondo la seguente ripartizione: a) regioni e province autonome di Trento e Bolzano: 8; b) province: 7; c) comuni: 9. 3. Possono essere designati quali membri titolari o supplenti del Comitato delle regioni i presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci ed i componenti dei rispettivi consigli e delle giunte. 4. È abrogato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'11 gennaio 2002, recante: «Nuove modalità per la determinazione della ripartizione del numero dei membri assegnati all'Italia tra i rappresentanti delle collettività regionali e locali ed abrogazione del precedente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 dicembre 1997». Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 86 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles La logica dei seggi, in questo caso, andrebbe affrontata in considerazione del livello di governo, privilegiando quello regionale, soprattutto perché è l’unico dotato di competenze legislative e risulta direttamente coinvolto nella trasposizione delle direttive. Con un totale di 24 membri, l’Italia dispone tra l’altro di un numero di posti in grado di garantire la presenza, seppure esigua, di rappresentanti degli enti locali accanto a quelli di tutte le Regioni e delle due Province autonome. In conclusione, la Costituzione italiana vigente pone la necessità di riflettere sulle modalità di partecipazione delle Regioni al processo decisionale comunitario. Sia le procedure interne di formazione della posizione nazionale che le rappresentanze in seno alle istituzioni ed organismi comunitari sono fortemente condizionate dalla necessità di coerenza nell’azione europea dell’Italia. In Europa, tutto ciò implica il bisogno di un maggiore coinvolgimento delle Regioni nella formazione della posizione nazionale da esprimere a livello comunitario. Un tale coinvolgimento, inoltre, andrebbe ad incidere positivamente sulla fase discendente, di applicazione del diritto comunitario. Ma tali obiettivi non possono essere raggiunti prescindendo da un forte coordinamento interno che può essere ottenuto solo con la creazione di un sistema che preveda con precisione le modalità di intervento delle Regioni nelle diverse fasi di elaborazione degli atti comunitari, nonché dalla partecipazione delle stesse ai vari comitati e gruppi di lavoro e di esperti, all’interno dei quali, però, i rappresentanti regionali dovrebbero agire portando avanti una posizione nazionale unitaria. Occorre, però, rilevare che la partecipazione ai negoziati deve necessariamente portare con sé una certa flessibilità nella capacità di adattamento della posizione nazionale. Tale fattore può essere ottenuto attraverso il coordinamento tra le amministrazioni interessate, che consenta il formarsi di una rete di informazioni e la facilitazione delle consultazioni tra gli attori coinvolti nel processo decisionale, ove si renda necessario un adattamento della posizione nazionale in corso di negoziato. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 87 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 2.5 Le regioni italiane a Bruxelles. Il fenomeno degli uffici di rappresentanza 60 di Stefania Profeti Premessa Nel panorama attuale di studi sull’integrazione europea e sul policy-making comunitario uno dei temi oggetto di maggiore interesse è sicuramente quello del ruolo assunto dalle regioni nella realizzazione di tali processi. L’attenzione verso questo fenomeno è tuttavia relativamente recente: fino a poco più di un decennio fa, infatti, il dibattito sul futuro dell’Unione si concentrava sulla questione dei rapporti di forza e degli equilibri di potere tra Stati membri e istituzioni sovranazionali, traducendosi in letteratura nella contrapposizione tra il filone intergovernativista e quello neofunzionalista. È solo dall’inizio degli anni ’90 che il tema della partecipazione regionale ai processi decisionali europei comincia ad assumere interesse di per sé; questo è principalmente dovuto alla maturazione, in quegli anni, di una serie di eventi che, in maniera diretta o indiretta, sono destinati ad incidere sull’assetto istituzionale dell’intero “apparato” comunitario: la creazione di una vera e propria politica regionale europea, l’ampliamento consistente delle risorse ad essa destinate, l’introduzione del principio della partnership, il riconoscimento del ruolo delle regioni in seno al Trattato di Maastricht e la conseguente istituzione, nel 1994, del Comitato delle Regioni, sono tutte novità che stimolano studiosi e cultori della materia ad indagare quali nuove prospettive si schiudano per i livelli di governo subnazionali. La crescita dell’attenzione verso questo tema trova giustificazione anche nell’evidenza empirica: fiorisce infatti in questo periodo quel fenomeno che in letteratura è stato etichettato con il termine di “mobilitazione regionale”61. In misura maggiore o minore, e con tempi e modalità diversi, numerose regioni di tutta Europa hanno dato vita a strategie di attivazione al di fuori dei confini nazionali, avviando una sorta di “attività paradiplomatica” (Keating, 1999) in ambito comunitario. Tale attività, in parte già collaudata negli anni precedenti da alcune realtà territoriali particolarmente intraprendenti62, si concretizza nella partecipazione ad associazioni regionali a carattere transnazionale e nell’apertura di propri uffici di rappresentanza a Bruxelles, e quindi nell’utilizzazione di canali 60 Relazione presentata al Convegno annuale della Società Italiana di Scienza Politica, Università degli Studi di Trento, 14-16 settembre 2003. Autore: Stefania Profeti. Copyright del CIRES, che ha concesso al CIPI l’autorizzazione alla riproduzione integrale di questo paper. 61 Tra i principali contributi: Hooghe, 1995; Hooghe, 1996; Marks et al. 1992; Hooghe e Keating, 1994 62 Come vedremo meglio in seguito, già dalla metà degli anni ’80 alcuni governi regionali e locali si erano dotati di una propria postazione a Bruxelles. Tuttavia, fino al 1994-95, tale fenomeno assumeva ancora dimensioni piuttosto ridotte. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 88 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles “extra-statali” al fine di costruire stabili contatti con le istituzioni comunitarie63, specie con la Commissione64. In questa sede ci concentreremo sull’esame del secondo dei canali sopra menzionati, analizzando i tempi e le modalità con cui le regioni italiane hanno provveduto a stabilire le proprie sedi a Bruxelles e cercando di individuare i perché di tale scelta e i diversi modelli di rappresentanza che sembrano emergere. Non disponendo attualmente di studi che contemplino in maniera sistematica ed aggiornata questo argomento in relazione al caso italiano, le informazioni e i dati che saranno utilizzati sono stati ottenuti in larga misura grazie ad interviste ai responsabili degli uffici o al personale politico e amministrativo delle diverse Regioni. Al fine di meglio collocare il caso Italia nel più ampio panorama europeo, comunque, si ritiene opportuno operare una previa ricostruzione generale del fenomeno, illustrando il suo sviluppo cronologico e proponendo una breve rassegna delle interpretazioni maturate in letteratura nell’ultimo decennio. Sviluppo del fenomeno e panorama attuale La “prima pietra” a Bruxelles è stata posata nel 1984 dal Birmingham City Council, che in tale anno ha aperto una propria sede di rappresentanza nella capitale comunitaria65. È quindi alla metà degli anni ’80 che occorre risalire per individuare il momento genetico del fenomeno in questione; tuttavia, fino alla metà degli anni ’90, la “corsa” verso Bruxelles ha conosciuto uno sviluppo piuttosto contenuto: dal 1984 all’inizio del decennio successivo l’esempio del Birmingham City Council è stato seguito da altri governi locali britannici, da numerosi Länder tedeschi, da poche Regioni francesi e dalle Comunità Autonome spagnole di Catalogna e Paesi Baschi66. La vera esplosione del numero degli uffici si registra invece a partire dal 1994/95 (vedi tabella 1), in concomitanza con l’apertura delle nuove “finestre di opportunità” a livello comunitario67. Proprio in questi anni, inoltre, anche alcune prime Regioni e Province Autonome italiane, come l’Emilia Romagna (1994) e la Toscana (1995), o come Trento e Bolzano (1995), si sono mosse verso Bruxelles, in relativo ritardo rispetto alle realtà territoriali di altri paesi, ma in maniera del tutto 63 Alcuni contributi su questo tema distinguono tra strategie di mobilitazione individuale, che includono l’apertura di un ufficio a Bruxelles, e strategie di azione collettiva, in cui rientra la partecipazione a reti e associazioni di carattere transnazionale (Hooghe, 1995; Smets, 1998). La distinzione operata è senz’altro valida a fini analitici, ma si ritiene in questa sede che la linea di demarcazione tra i due “tipi” di attivazione non sia poi così netta: come vedremo nel corso del capitolo, infatti, molto del lavoro svolto dalle sedi regionali a Bruxelles è infatti dedicato proprio alla ricerca di partner per la costruzione di “solidarietà” che vadano al di là dei confini statali, nonché all’ampliamento della rosa dei propri interlocutori; strategia di mobilitazione individuale e strategia di azione collettiva risultano, quindi, “empiricamente” interconnesse. 64 Da sempre, infatti, la Commissione viene considerata come interlocutore privilegiato da parte dei livelli di governo regionale, che la percepiscono come molto più “attenta” e avvicinabile rispetto ad altre istituzioni europee, e più permeabile rispetto ai propri governi nazionali. La Commissione, dal canto suo, ha cercato di incoraggiare questo tipo di visione, portando avanti una strategia parallela di potenziamento delle regioni per ridimensionare il potere degli stati membri e, di conseguenza, del Consiglio europeo (Tömmel, 1998). 65 Per un’analisi del caso britannico si rimanda a John, 1994 66 Queste ultime due regioni hanno aperto le loro sedi in forma non ufficiale, in quanto in aperto contrasto con la legge spagnola che, analogamente a quella italiana, vietava alle comunità di aprire uffici di rappresentanza a Bruxelles. 67 Si veda la premessa. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 89 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles pionieristica (e sfidando il divieto statale, come vedremo meglio in seguito) rispetto al resto del panorama nazionale. Attualmente, se si escludono le esperienze del Portogallo e del Lussemburgo, la quasi totalità delle Regioni appartenenti a tutti gli stati membri ha istituito una propria “antenna” a Bruxelles; addirittura numerose realtà territoriali dei paesi in preadesione si sono già dotate di proprie strutture di raccordo diretto con le istituzioni comunitarie68. Si potrebbe quindi, a prima vista, leggere il fenomeno degli uffici di rappresentanza come la risultante di un processo lento e incrementale di “diffusione” transregionale e transnazionale; è anche vero però che un simile processo non ha prodotto risultati del tutto omogenei: se l’interesse ad aprire proprie sedi nella capitale comunitaria è un tratto che accomuna la maggioranza delle Regioni europee, ben maggiore è il numero dei punti di discordanza che contraddistinguono le diverse realizzazioni di tale intento: gli uffici infatti, oltre a differire in merito alla data di istituzione, variano anche in base alla dimensione, alle risorse disponibili (umane e finanziarie), alle funzioni che svolgono e agli interlocutori con i quali intrecciano rapporti. Ed è proprio sull’analisi di tali differenze e sulle loro possibile spiegazione che si concentrano i principali contributi maturati in letteratura. Tab.1 Numero di uffici di rappresentanza dei governi regionali e locali a Bruxelles Anno Stato 1990 1995 1999 2000 2002 Austria - 8 12 11 11 Danimarca - 4 10 12 11 Finlandia - 2 3 7 8 Francia 4 8 24 17 16 Germania 4 15 21 21 21 Grecia - - 1 2 2* Irlanda - 2 4 2 2 Italia - 4 17 18 19 Paesi Bassi 1 1 5 7 9 Regno Unito 5 28 32 26 25 Spagna 4 13 17 18 19 Svezia 2 6 8 10 10 Belgio - - - 3 3 Lussemburgo - - - - - Portogallo - - - - - Totale 20 91 154 155 158 *In realtà di questi due uffici solo uno rappresenta una singola area territoriale (l’Epiro), mentre l’altro è espressione di tutte le collettività locali Fonte: Dati fino al 2000: Regione Emilia Romagna, Quarto eurorapporto, pg.21 Dati 2002: Rapporto del Comitato delle Regioni, 04-06-2002 68 Rapporto del comitato delle Regioni “Associations/bureaux de réprésentation régionale et communale a Bruxelles – Repertoire”, 04-06-2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 90 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Gli uffici a Bruxelles: i come e i perché di un fenomeno in crescita Gli studi che si occupano di investigare il fenomeno degli uffici di rappresentanza a Bruxelles possono essere collocati al crocevia tra due filoni di ricerca: l’approccio della multi-level governance (MLG) e gli studi sulle lobby nell’UE. I contributi che possono essere ricondotti sotto l’etichetta della MLG sono molteplici (tra questi, si ricordano i principali: Benz e Eberlein, 1998; Hooghe, 1996; Jachtenfuchs, 2001; Marks, 1997; Sbragia, 1992), tuttavia è possibile “estrarne” l’idea centrale, e cioè che il frutto del processo di integrazione europea non si concretizza e non si esaurisce tanto in un passaggio di potere tra stati e istituzioni comunitarie, ma piuttosto nell’emergere di una nuova forma di policymaking caratterizzata dalla condivisione/suddivisione di competenze tra i diversi livelli di governo (sovranazionale, nazionale e subnazionale) e dalla relativa apertura del processo decisionale all’influenza di nuovi attori, pubblici (Regioni ed Enti locali) e privati (soggetti economici, sociali e mondo dell’associazionismo). I sostenitori della MLG riconoscono che gli stati membri, e di riflesso il Consiglio europeo, continuano a giocare un ruolo determinante sulla scena europea, tanto che ad oggi l’idea anche solo normativa di un’Europa delle Regioni rischia di essere tutt’altro che realistica (Hooghe, 1996); tuttavia, il processo di integrazione ha condotto ad un grado tale di interdipendenza tra governi (probabilmente ben al di là delle intenzioni originarie dei suoi promotori69) da mettere in crisi da un lato il tradizionale modello decisionale autoritativo fondato sul concetto di government70, e dall’altro l’idea di livelli di governo nettamente separati in merito ai loro ambiti di azione. Secondo questa visione, quindi, la Regione si configura come uno dei livelli di governo che, insieme agli altri - e con notevoli differenze da caso a caso partecipa e contribuisce alla formulazione e alla messa in opera delle politiche comunitarie; anziché di Europa delle Regioni, quindi, sarà più corretto parlare di Europa “con” le Regioni (Hooghe, 1996) o, come altri provocatoriamente suggeriscono, di Europa con “alcune” Regioni (Marks et al., 1996, pg.63; Le Galès, 1998, pg.267). Nell’ambito di questo approccio, quindi, l’apertura degli uffici a Bruxelles è concepita come uno degli strumenti di partecipazione e di attivazione messi in atto dai governi regionali al fine di inserirsi nella gamma di attori rilevanti sulla scena comunitaria. Gli studi sulle lobby nell’UE, invece, si concentrano sull’analisi dei gruppi di interesse operanti a livello europeo e delle loro strategie di pressione sulle istituzioni comunitarie. Sebbene le istituzioni comunitarie e soprattutto la Commissione siano state oggetto di lobbismo sin dai loro inizi, è solo con la metà degli anni ’80 che il fenomeno assume dimensioni considerevoli e comincia a suscitare curiosità scientifica; a partire dall’AUE del 1986, infatti, l’ampliamento della gamma degli interessi potenzialmente toccati dal policy-making europeo e l’aumento delle competenze della Commissione – percepita dai gruppi come un canale preferibile rispetto al Consiglio europeo, in quanto svincolata dagli esecutivi nazionali e quindi più pronta ad ascoltare direttamente le loro istanze71 – hanno avuto come effetto una “crescita esponenziale delle organizzazioni pubbliche e 69 Un’interessante riflessione in merito è stata maturata da Pierson e da lui tradotta nel concetto di “unanticipated consequences” (Pierson, 1996) 70 In proposito, si veda Conzelmann, 1998, pg.5; Bobbio, 2002, pgg.11-12; Le Galès, 1998, pgg.239267 71 In proposito si veda Mazey e Richardson, 1993 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 91 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles private rappresentate a Bruxelles” (Morata, 1998, p.353). La presenza diretta nella capitale comunitaria è infatti una condizione molto importante per poter mantenere contatti costanti e sistematici con i possibili canali d’accesso ai centri decisionali, per acquisire visibilità e, quindi, per dar vita ad una efficace attività di pressione. In tale ottica, l’apertura di uffici di collegamento da parte dei governi regionali può essere letta anch’essa come espressione di una strategia di lobbying (Mc Aleavey e Mitchell, 1994; Morata, 1998; Smets, 1998), stimolata dall’impatto crescente della legislazione comunitaria sulle attività di loro competenza e dall’affermazione di una vera e propria politica regionale europea. Il termine lobbying per “descrivere le attività delle Regioni e il tipo di relazioni che esse hanno sviluppato con le istituzioni comunitarie (…) è generalmente impiegato nel suo senso più ampio, senza tener conto delle classiche distinzioni tra lobby, gruppo di pressione o gruppo di interesse” (Smets, 1998, p.303); più semplicemente, tale etichetta è stata adottata in quanto le forme di rappresentanza e di intermediazione adottate dai governi territoriali nei confronti degli organismi comunitari hanno progressivamente assunto tratti decisamente simili alle strategie e ai canali utilizzati dagli altri interessi presenti a Bruxelles, ivi compresa l’apertura di una propria sede vicino ai centri decisionali europei. Indipendentemente dalla maggiore “vicinanza” ad uno o all’altro filone di ricerca, i principali contributi che si concentrano sul fenomeno degli uffici regionali di rappresentanza si articolano comunque su due versanti: quello descrittivo, che si concentra sulla ricostruzione e sulla descrizione del panorama degli uffici esistenti a Bruxelles, e quello esplicativo, che mira invece ad individuare le possibili cause delle numerose differenze riscontrate sia a livello transnazionale che infranazionale, nonché ad avanzare alcune ipotesi in merito alle reali motivazioni che possono spingere i governi regionali a stabilire una propria sede nella capitale comunitaria. Il panorama degli uffici a Bruxelles: le varie facce dello stesso fenomeno Come si è già accennato, il panorama degli uffici di rappresentanza a Bruxelles è alquanto variegato. Una prima importante distinzione può essere operata in merito al modello di rappresentanza prescelto: semplificando al massimo i termini del problema, si possono individuare le rappresentanze regionali “istituzionali”, in cui gli uffici a Bruxelles sono da considerare come vere e proprie sedi distaccate dell'ente regionale e ne rientrano a pieno titolo nell’organigramma72, e le rappresentanze regionali “non istituzionali”, nel caso in cui i governi regionali (o subregionali) si appoggino alle sedi di rappresentanza di agenzie regionali o delle camere di commercio grazie ad appositi accordi o convenzioni73. All’interno di queste due grandi “famiglie”, si possono collocare vari tipi di ufficio: le sedi possono infatti essere individuali (quando rappresentano una sola Regione) o condivise tra più Regioni. Gli uffici individuali, a loro volta, possono essere espressione dell’amministrazione regionale tout court oppure rappresentare l’intero 72 Solitamente tali sedi di rappresentanza sono istituite in seguito all’emanazione di una apposita legge regionale (Badiello, 2000, p.98) 73 Come vedremo meglio nell’analisi dell’esperienza italiana, in alcuni casi le regioni hanno cominciato la loro esperienza “paradiplomatica” istituendo raccordi non istituzionali per poi passare, dopo qualche anno, all’apertura di veri e propri uffici regionali Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 92 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles “sistema” regionale, ospitando sia gli organi di governo locale che le varie espressioni degli interessi territoriali (camere di commercio, associazioni degli industriali, sindacati, università, associazioni…); gli uffici condivisi, invece, variano a seconda che le Regioni ospitate appartengano o meno allo stesso paese (in quest’ultimo caso, essi prendono la denominazione di uffici regionali transnazionali). In genere la forma dell’ufficio condiviso viene scelta per una questione di ripartizione dei costi, ma può accadere anche che la coabitazione sia scelta per l’esigenza di tutelare interessi e priorità politiche comuni. Qualunque sia il tipo di ufficio, comunque, nella maggior parte dei casi questo dipende dalla presidenza dell’esecutivo regionale. Oltre alla “forma”, gli uffici variano anche in base alle proprie dimensioni, sia in termini di modello organizzativo (e quindi di personale impiegato e di ripartizione delle competenze) che di risorse disponibili; sotto questo aspetto il quadro globale è talmente complesso da non consentire una precisa classificazione: Bruxelles conosce infatti casi come la Catalogna o la maggior parte dei Länder tedeschi, le cui sedi si configurano come vere e proprie mini-ambassades (Heichlinger, 1999, p.12) e, all’estremo opposto, mini-uffici che impiegano una o due persone ospitate in locali piuttosto ristretti (come la Regione greca dell’Epiro, o lo stesso Molise). Il personale a disposizione dell’ufficio può essere reclutato appositamente tra candidati “esterni” oppure tra funzionari regionali disponibili al distaccamento; non di rado i funzionari prescelti sono supportati da personale di segreteria, consulenti esterni e stagisti. La questione della dimensione organizzativa dell’ufficio è strettamente legata alla gamma delle funzioni che ad esso sono destinate. La più basilare delle funzioni, che può essere assolta anche da un ufficio relativamente modesto, è indubbiamente quella informativa: gli uffici fungono cioè da canale di trasmissione tra le istituzioni comunitarie e la propria Regione, agendo come una “postazione di sorveglianza preventiva”, da cui si seguono sistematicamente gli sviluppi della legislazione comunitaria e delle opportunità ad essa collegate, e procedendo ad una tempestiva comunicazione di tali informazioni (quotidianamente tramite contatti diretti e periodicamente tramite l’invio telematico di bollettini e newsletter, rivolti anche agli operatori economici presenti sul territorio). Oltre all’informazione, gli uffici possono fornire altri “servizi” al governo e agli altri attori regionali, primo fra tutti il supporto logistico per il personale in visita a Bruxelles: tale attività può assumere varie “sfumature”, dalla semplice ospitalità nei locali alla preparazione vera e propria degli incontri (con la creazione degli appositi contatti). Inoltre gli uffici, soprattutto se prevedono nel loro modello organizzativo l’ausilio di consulenti dotati di preparazione specialistica, possono svolgere un importante ruolo facilitatore nell’elaborazione di progetti cofinanziati dal livello europeo e nella relativa gestione dei contatti con i rappresentanti comunitari, in particolare durante la fase di monitoraggio e valutazione. Altra gamma di attività svolte dalle sedi regionali a Bruxelles è quella legata alla cosiddetta funzione di networking (o network making), che consiste nell’intavolare numerose reti di rapporti sia con rappresentanti delle istituzioni europee, sia con le altre Regioni presenti nella capitale comunitaria. Il rapporto con queste ultime è diventato vitale soprattutto nell’ultimo periodo, visto che adesso la partnership e la transnazionalità sono due dei requisiti che maggiormente pagano in termini di approvazione dei progetti comunitari. Gli uffici, in vari casi, hanno promosso anche iniziative di formazione per personale regionale ed operatori economici, talvolta a carattere transnazionale. Infine, e in maniera trasversale rispetto alle funzioni precedenti, gli uffici a Bruxelles cercano di rappresentare in sede comunitaria gli interessi del proprio Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 93 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles territorio: tale funzione di rappresentanza può esplicitarsi in forme diverse, a seconda che l’ufficio agisca da semplice portavoce delle richieste dell’amministrazione regionale, degli enti locali e dei soggetti privati, da “apripista” per i negoziati della componente tecnica e politica regionale con la Commissione, o ancor più incisivamente tramite una vera e propria azione di lobbying presso le istituzioni comunitarie: non di rado, infatti, i responsabili delle sedi a Bruxelles sono incaricati di accompagnare e “facilitare” l’approvazione dei progetti regionali, sfruttando la rete di contatti creatasi nel tempo con alcuni funzionari della Commissione, con i membri delle Rappresentanze Permanenti presso il Consiglio e, ultimamente, anche con gli europarlamentari eletti nel territorio di appartenenza74. La cosiddetta funzione di rappresentanza si concretizza infine nel presentare e rendere note alle istituzioni comunitarie (anche in questo caso, principalmente alla Commissione) le strategie della Regione su particolari questioni75: quest’ultimo compito risulta particolarmente significativo per quei governi regionali che ambiscono ad influire sulla fase ascendente del decisionmaking comunitario, specie se le proposte avanzate presentano caratteri di innovatività. Ovviamente, affinché un ufficio di Bruxelles sia investito di questa funzione, occorre che l’amministrazione regionale abbia la “coscienza” e la volontà politica necessarie per elaborare proprie strategie e per proporre un proprio modello in sede europea. Se la presenza a Bruxelles può quindi essere ormai considerata un dato comune alla quasi totalità delle Regioni europee, la gamma di esperienze registrate assume sfumature decisamente non omogenee; l’eterogeneità, inoltre, non riguarda solo le sedi di Regioni appartenenti a stati differenti, ma in alcuni casi si spinge fino al livello infranazionale (come nel caso italiano). Il “perché” degli uffici a Bruxelles: alcune ipotesi Vista la rilevanza e la crescita esponenziale – quasi “contagiosa” – del fenomeno, gran parte della letteratura ha cominciato a interrogarsi, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’90, sulle motivazioni che possono spingere i governi subnazionali a dotarsi di proprie “antenne” nella capitale comunitaria. La scelta di aprire un ufficio di rappresentanza a Bruxelles, infatti, comporta notevoli sforzi in termini sia organizzativi che finanziari; in più, la semplice creazione di tale strumento non è di per sé garanzia di successo: la sua reale efficacia, secondo quanto riferiscono molti operatori, può dispiegarsi solo nel lungo periodo, in seguito a continue operazioni di “tessitura” di rapporti e di familiarizzazione con il milieu communautaire. Pare legittimo, quindi, chiedersi quali siano i fattori in grado di spiegare perché una Regione decida di operare tale scelta, piuttosto dispendiosa e dagli esiti incerti. Inoltre, vista la varietà degli uffici, ci si può interrogare su quali siano i fattori che possono in qualche modo consentire l’interpretazione delle difformità riscontrate. 74 In seguito al Trattato di Amsterdam, infatti, il Parlamento europeo ha visto in qualche modo rafforzata la propria posizione, grazie all’ampliamento delle materie in cui si applica la procedura di codecisione. 75 Oltre che verbalmente, tali strategie possono essere presentate anche in forma di “position paper”, così come riferiscono gli intervistati di alcune Regioni italiane. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 94 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles In linea generale, le risposte fornite dalla letteratura (Marks et al. 1996; Hooghe e Keating, 1994, Smets 1998) si concentrano principalmente sulla risoluzione del primo di questi due interrogativi, e possono essere ricondotte a due versanti, quello delle risorse e quello delle variabili politico-istituzionali. A cavallo tra queste due chiavi di lettura, che pur presentano al loro interno varie sfaccettature, sembra qui opportuno inserire anche fattori di tipo più propriamente cognitivo, legati alle caratteristiche e alle percezioni dei singoli attori, utili soprattutto per rendere conto delle differenze registrate su scala infranazionale. Le risorse In relazione al versante delle risorse, l’ipotesi più diffusa – nonché la più intuitiva – sostiene che più una Regione è “ricca”, maggiori saranno le probabilità che questa decida di aprire una propria sede a Bruxelles (Resource-push hypothesis, Marks et al. 1996); l’idea centrale è che, sia che disponga di un sistema di fiscalità autonomo, sia che presenti un PIL elevato, una Regione potrà in primo luogo sopportare più agevolmente i costi di un ufficio distaccato, e in secondo luogo sentire maggiormente l’esigenza di “investire” in un canale che possa essere sfruttato per salvaguardare la propria competitività in ambito comunitario. Sebbene questa ipotesi, nella sua semplicità, sembri assai plausibile, essa è più adatta a spiegare le differenze di dimensioni e “attrezzatura” dei vari uffici, piuttosto che la decisione di istituirne uno: esistono infatti soluzioni che consentono di risparmiare sui costi, come ad esempio la condivisione dell’ufficio da parte di più Regioni, o l’appoggio presso sedi di rappresentanza di altre associazioni territoriali (come le camere di commercio). In più, il semplice dato empirico sembra smentire questa ipotesi: Regioni non certo “benestanti”, come ad esempio l’Epiro, o le Regioni del Mezzogiorno d’Italia, sono presenti a Bruxelles a dispetto dell’esiguità delle risorse di cui dispongono, sebbene si siano mosse con relativo ritardo rispetto ad altri governi territoriali più “facoltosi”. Le risorse finanziarie, oltre a costituire la “molla” per l’attivazione regionale, possono svolgere anche una funzione di “calamita” (Resource-pull hypothesis, Marks et al. 1996): soprattutto nell’ambito della politica regionale dell’UE e con riferimento ai fondi strutturali, pare lecito supporre che una Regione si decida ad istituire un canale di interlocuzione diretta con le istituzioni comunitarie al fine di ottenere una fetta consistente di finanziamenti, o quantomeno di perderne il meno possibile76. Anche in questo caso, sebbene l’ipotesi regga sul piano della logica, l’osservazione empirica sembra sminuirne notevolmente la portata: le Regioni in ritardo di sviluppo rientranti nell’obiettivo 1 (il più consistente tra gli obiettivi della politica dei fondi strutturali) sono quelle che fin dall’inizio potevano aspirare a ottenere la maggior parte delle risorse disponibili nell’ambito della politica di coesione; a rigor di logica, quindi, ci dovremmo aspettare che proprio queste Regioni si siano mosse prima delle altre verso Bruxelles. In realtà, tranne sporadiche eccezioni, è accaduto proprio il contrario: le Regioni dell’obiettivo 1 si 76 In realtà, infatti, la maggior parte dei fondi strutturali è assegnata sulla base di precisi requisiti di ammissibilità, per cui i margini per eventuali azioni di lobbying sono piuttosto ristretti e limitati alla quota di finanziamento destinato ad iniziative e programmi comunitari. Piuttosto che al momento della zonizzazione e della relativa distribuzione delle risorse, quindi, le possibilità dei governi regionali di esercitare una qualche influenza sul processo di allocazione dei fondi si giocano nella fase (ascendente) di definizione dei requisiti di ammissibilità e delle priorità della Commissione in tema di sviluppo regionale. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 95 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles sono attivate più tardi e in maniera mediamente più “timida” rispetto a quelle interessate dagli altri obiettivi, specie dall’obiettivo 2. Tale ritardo potrebbe essere letto come il frutto di una scarsa attenzione rivolta all’ambito comunitario, e di una conseguente, rallentata percezione delle opportunità (anche finanziarie) ad esso collegate. Sulla scia di quest’ultima considerazione, sembra quindi necessario arricchire le ipotesi legate al versante delle risorse con elementi che vadano al di là del semplice dato finanziario. In aggiunta alle risorse materiali, infatti, anche quelle di tipo socio-culturale possono esercitare una qualche influenza: più precisamente, l’ipotesi avanzata è che più una regione è caratterizzata da una cultura civica di tipo associativo, maggiore sarà la probabilità che scelga di istituire una sede di rappresentanza dei propri interessi territoriali a Bruxelles (Marks et al., 1996). La presenza di un fitto e vivace tessuto di relazioni sociali ed economiche, caratterizzata dall’abitudine ad instaurare reti di collaborazione e di scambio, può tradursi infatti, grazie ad una sorta di spillover effect, in una maggiore consapevolezza, da parte del governo regionale, dell’importanza di creare network che promuovano e sostengano gli interessi del proprio territorio, e quindi far percepire più chiaramente all’amministrazione pubblica le opportunità legate alla presenza diretta sulla scena europea. L’ipotesi, pur contribuendo ad arricchire le precedenti spiegazioni, lascia però insoluti alcuni interrogativi: anche nel caso in cui una regione sia caratterizzata da una cultura di tipo associativo, il governo territoriale ha l’autonomia necessaria per decidere di muoversi sulla scena comunitaria? E ha l’interesse politico a farlo? Per rispondere a tali quesiti è necessario introdurre nelle nostre ipotesi altri possibili fattori esplicativi, a cominciare da quelli di natura politico-istituzionale. I fattori politico-istituzionali L’ipotesi più ricorrente tra quelle che fanno leva su fattori di tipo politicoistituzionale pone al centro della spiegazione il grado di autonomia di una Regione rispetto al governo centrale (Hooghe e Keating, 1994): più precisamente, maggiori sono le competenze regionali nell’ambito del sistema politico nazionale, maggiore è la probabilità che la Regione decida di aprire un ufficio a Bruxelles, in primo luogo perché più direttamente toccata dalle decisioni prese in ambito comunitario, che possono sovrapporsi a quelle che esercita abitualmente, ed in secondo luogo perché nella maggior parte dei casi essa risulta soggetta a minori vincoli statali (Marks et al. 1996). L’elemento del national constraint è infatti spesso chiamato a giustificare perché Regioni come i Länder tedeschi si siano mosse in anticipo e con maggiore determinazione verso Bruxelles rispetto ai “colleghi” francesi o italiani. Tuttavia, tale spiegazione non riesce a rendere conto delle differenze registrate su scala infranazionale: perché all’interno dello stesso Paese alcune Regioni si sono attivate prima di altre, in alcuni casi addirittura sfidando la legislazione statale? Cosa ha determinato la loro maggiore propensione a proiettarsi sulla scena comunitaria? A tale proposito, Marks et al. propongono di introdurre l’ipotesi della distinctiveness: maggiori cioè sono le frizioni tra governi regionali e governo centrale - sia per differente colore politico, sia per aspirazioni di autonomia – maggiore è la probabilità che i primi scelgano di cortocircuitare il filtro statale per interloquire con le istituzioni comunitarie, e che decidano quindi di aprire un ufficio Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 96 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles di rappresentanza a Bruxelles. Tale spiegazione sembra trovare una forte conferma nel caso spagnolo: come anticipato, Catalogna e Paesi Baschi, tradizionalmente impegnati a promuovere il processo di devoluzione e di autonomia nei confronti del governo centrale, sono stati tra i primi governi subnazionali in tutta Europa ad istituire una propria sede a Bruxelles; lo stesso può dirsi di Scozia, Galles e Irlanda del nord nei confronti del governo britannico. Proprio gli esempi fin qui citati, inoltre, introducono un’altra possibile spiegazione della varianza infranazionale, vale a dire l’esistenza o meno di un sistema di regionalismo “asimmetrico”: quando “il territorio di uno stesso paese è suddiviso in aree governate da istituzioni che hanno un diverso status e diversi poteri” (Bobbio, 2002, p.93), si può supporre che le Regioni dotate di maggiore autonomia e di maggiori competenze abbiano intrapreso più prontamente la strada dell’attivazione in ambito comunitario, sia per una questione di sovrapposizione di funzioni che per tutti i motivi avanzati a proposito dell’ipotesi della distinctiveness. Un esempio di regionalismo asimmetrico, oltre a quelli già elencati, è fornito proprio dal caso italiano, caratterizzato dalla distinzione tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale. Fattori cognitivi e versante degli attori Al di là della struttura delle opportunità costituita dal proprio assetto politicoistituzionale, la decisione di una Regione di attivarsi in ambito europeo può dipendere anche da fattori di carattere cognitivo, specie con riferimento alla élite politico-amministrativa che ne è alla guida: perché un governo regionale investa nell’apertura di un ufficio a Bruxelles occorre infatti che vi siano attori al timone in grado di percepire le opportunità connesse al contatto diretto con le istituzioni comunitarie, e più in generale alla partecipazione al policy making di livello sovranazionale. Proprio per questo si può supporre che la presenza di leader politici o di dirigenti amministrativi particolarmente sensibili alle tematiche europee possa aver facilitato l’attivazione della Regione fuori dai confini statali, sia come occasione di emancipazione dal governo nazionale (specie in quegli stati in cui le Regioni godono di status costituzionale e di potere legislativo), sia come finestra di opportunità per la creazione di veri e propri “sistemi” territoriali dotati di una propria specificità, in cui le istituzioni regionali possano diventare punto di riferimento dei vari interessi e delle varie istanze. Come vedremo meglio esaminando il caso italiano, il ricorso ai fattori cognitivi e al tipo di élite politico-amministrativa può essere utile soprattutto per spiegare le differenze registrate su scala infranazionale. Gli uffici a Bruxelles delle Regioni italiane Rispetto al resto del panorama europeo, le Regioni italiane si sono mosse in relativo ritardo (vedi tabella 1); uno dei fattori responsabili di tale “apatia” va senz’altro ricercato nel vincolo imposto dalla legislazione nazionale: fino al 1996, infatti, non era consentito alle amministrazioni regionali e delle Province Autonome di intrattenere rapporti diretti con le istituzioni comunitarie, in quanto le relazioni con l’Unione europea erano assimilate ad attività di rango internazionale, e quindi considerate di stretta competenza del Ministero degli Esteri. La situazione conosce una svolta già nel 1994, con l’art.4 del d.P.R.del 31 marzo “con il quale il Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 97 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles legislatore statale ha riconosciuto alle Regioni e alle Province Autonome di Trento e Bolzano di poter intrattenere rapporti diretti con uffici, organismi e istituzioni comunitarie, ivi compreso il Comitato delle Regioni dell’UE, senza gli adempimenti previsti per lo svolgimento delle attività internazionali tout court, in relazione a questioni che direttamente le riguardino” (Bocci, 2002, pp.32-33), prevedendo però che tali rapporti potessero essere esercitati soltanto in collegamento con la Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UE (Italrap); è solo con l’art.58 della L.52/96, infatti, che la normativa nazionale consente alle Regioni e alle Province autonome italiane di “istituire presso le sedi delle istituzioni dell’Unione europea uffici di collegamento propri o comuni”77, e di intrattenere quindi rapporti non necessariamente mediati con le autorità europee. Tuttavia, se l’elemento del vincolo legislativo nazionale può costituire una ragione convincente del ritardo su scala comunitaria, questo non basta a spiegare le numerose differenze infra-nazionali che caratterizzano le varie sedi di rappresentanza: come già richiamato, infatti, alcune Regioni si erano attivate già prima della rimozione del national constraint, così come numerosi governi regionali hanno atteso ancora qualche anno dopo la L.52/96 per istituire un proprio ufficio a Bruxelles. L’eterogeneità che contraddistingue le varie esperienze non è comunque confinata alla variabile tempo: in realtà le diverse sedi differiscono in merito ad una pluralità di aspetti, che possono essere ricondotti alle categorie evidenziate in letteratura e descritte in precedenza. In questa sezione ci occuperemo di ricostruire un quadro il più possibile completo di tali aspetti, per poi interrogarci sui perché delle diversità registrate. L’attivazione La prima Regione italiana a mettere radici a Bruxelles è stata l’Emilia Romagna, nel 1994. In realtà, per scavalcare il divieto nazionale, la Regione adottò una sorta di escamotage, non istituendo un vero e proprio ufficio “istituzionale”, ma usufruendo piuttosto della sede di rappresentanza dell’ASTER, l’Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna, presente a Bruxelles già dal 1985. La stessa strategia è stata adottata dalla Toscana l’anno successivo, tramite la sede della propria finanziaria (Fidi Toscana s.p.a.)78, dalle Province autonome di Trento e Bolzano (sempre nel 1995), e da Piemonte, Lombardia e Veneto agli inizi del ’96, presso le rispettive sedi regionali di Unioncamere. Anche il Lazio disponeva già dai primi anni ‘90 di un proprio collegamento, l’Antenna Lazio, creata tramite il Business Innovation Centre (BIC) al fine di supportare le imprese regionali nelle loro attività in ambito europeo; pur non essendo un ufficio direttamente voluto dalla Regione (Badiello, 1998, p.336), esso lavorava comunque in collaborazione con le altre sedi regionali, e può quindi essere considerato alla stregua di un primo strumento di collegamento. 77 L.52/96, art.58 comma 4. La stessa legge consente inoltre il distacco di quattro funzionari regionali presso l’Italrap; tali funzionari vengono scelti nell’ambito della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. 78 Le esperienze della Toscana e dell’Emilia Romagna, proprio per il loro carattere pionieristico, sono state oggetto di numerosi studi; tra questi, per ottenere informazioni più dettagliate, si segnalano Bocci (2000), Badiello (2000), Smyrl (1997) Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 98 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles In seguito alla L.52/96 (febbraio), e quindi una volta eliminato il vincolo normativo, le prime Regioni ad attivarsi sono state la Basilicata79 e la Sardegna (1996), la Liguria (1997), la Sicilia e la Valle d’Aosta (1998), l’Abruzzo, la Calabria, le Marche e l’Umbria (1999). Negli ultimi due/tre anni si è assistito al completamento del panorama nazionale nella capitale comunitaria: nel 2000 Molise e Puglia hanno istituito la propria sede, seguite dal Friuli (2001) e, per ultima, dalla Campania (maggio 2002) (vedi figura 1). L’osservazione del tempismo dell’attivazione regionale ci fornisce fin da subito un primo dato rilevante, e cioè la distinzione tra Regioni particolarmente attive, che addirittura hanno anticipato la legislazione nazionale in materia, e Regioni più propriamente reattive80; tra queste ultime, inoltre, si può subito notare come alcune abbiano manifestato un grado di inerzia decisamente maggiore, attivandosi solamente negli ultimi due anni. Tale distinzione non offre però indicazioni in merito alla natura degli uffici (istituzionali o meno), al modello di rappresentanza scelto e alla gamma delle attività svolte, elementi indispensabili per avere un quadro completo del panorama degli uffici presenti. In più, occorre prendere in considerazione anche i cambiamenti che le diverse sedi hanno conosciuto dal loro momento genetico fino ad oggi: come vedremo in seguito, infatti, non necessariamente una pronta attivazione si è tradotta in una rapida istituzionalizzazione della sede e in un suo elevato grado di consolidamento. I “tipi” di ufficio Le prime sedi di rappresentanza a Bruxelles, che come abbiamo appena ricordato erano state aperte quasi clandestinamente e in aperto contrasto con la normativa nazionale, non avevano ovviamente una forma “istituzionale”, nel senso che non rientravano direttamente nell’organigramma dell’ente e non vi erano atti formali che ne sancissero l’appartenenza agli apparati di governo regionale; in questi casi, semplicemente, il personale politico e amministrativo delle Regioni utilizzava gli uffici di proprie società o delle unioni camerali già presenti a Bruxelles come “teste di ponte ufficiose” (Bocci, 2000) per ottenere informazioni di prima mano e come supporto logistico per incontri o contatti nella capitale comunitaria. In seguito alla L.52/96, non tutte queste Regioni hanno provveduto immediatamente a “regolarizzare” la propria posizione tramite apposite leggi istitutive: primo tra tutti si è mosso il Veneto (L.R.30/96), seguito dalla Lombardia (L.R.2/97) e dal Lazio; Emilia, Toscana e le due Province autonome hanno atteso il 1998, mentre il Piemonte ha “ufficializzato” la propria presenza solo nell’aprile del 2002. Nel frattempo, sempre in seguito alla L.52/96, anche le altre Regioni che non avevano scavalcato il divieto nazionale cominciavano a “darsi da fare”: la Sardegna è stata la prima ad emanare una legge regionale in proposito il 15 febbraio 1996 - anche se l’ufficio non vede concretamente la luce fino al 1999 - seguita da Liguria e 79 In realtà, secondo quanto riferito in alcune interviste, già nei primi anni ’90 la Basilicata aveva stipulato una convenzione con la Camera di commercio di Potenza la quale, disponendo di una sede di appoggio a Bruxelles, poteva fornire informazioni utili e fungere da raccordo con le istituzioni comunitarie (Intervista a testimone privilegiato, 15 maggio 2003) 80 Goldsmith e Klausen (1997) operano una distinzione tra governi locali attivi e reattivi, indicando con quest’ultimo termine quei governi che, pur avendo un atteggiamento positivo verso l’Europa, non prendono iniziative ma si accodano a quelle già intraprese da altri, per esempio unendosi a reti già esistenti. Nel nostro caso, pur riconoscendo la validità euristica della distinzione appena menzionata, il termine reattivo è usato anche in contrapposizione con lo stile anticipatorio rispetto alla legislazione nazionale adottato da alcune Regioni italiane. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 99 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Sicilia (1997) e da Abruzzo, Marche, Umbria e Valle d’Aosta81 (1998). Basilicata (1996) e Calabria (1999) hanno preferito adottare un profilo non istituzionale, stipulando convenzioni rispettivamente con Mondimpresa82 e con il BIC Calabria. Molise, Puglia, Friuli e Campania, che come abbiamo visto hanno aperto i propri uffici solo negli ultimi due anni, hanno scelto invece di inserire formalmente le sedi nell’organigramma regionale. Le sedi, comunque, non differiscono soltanto in merito al loro livello di istituzionalizzazione: sia tra gli uffici non istituzionali che tra quelli “formalizzati” si possono infatti individuare tipi di ufficio assai diversi; innanzitutto, occorre distinguere tra uffici individuali (rappresentativi, cioè, di un’unica Regione) e uffici condivisi tra più Regioni. Quest’ultima soluzione ha trovato in Italia due sole realizzazioni: l’ufficio delle Province Autonome di Trento e Bolzano, aperto in comune con la parte austriaca del Tirolo (ufficio transnazionale) e l’ufficio comune delle Regioni del centro Italia (denominato, appunto, Centritalia), che assembla le sedi di rappresentanza di Toscana, Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. A differenza della sede trentina, che ha visto fin dalla sua genesi la collaborazione tra i tre enti coinvolti, la nascita di Centritalia può essere letta come il risultato della maturazione di esperienze già avviate da singole amministrazioni regionali: Toscana e Lazio, infatti, erano già presenti a Bruxelles con propri uffici individuali; è solo in seguito ad una serie di incontri e di accordi di natura prevalentemente politica tra i vari Presidenti delle Regioni83, che nasce il progetto della “casa comune”, vale a dire di un ufficio di riferimento comune caratterizzato dalla condivisione di costi, strutture, personale di segreteria e attrezzature, dal perseguimento di strategie concertate, ma anche dal mantenimento di ambiti specifici di autonomia operativa, al fine di tutelare le esigenze specifiche dei diversi territori regionali. In effetti, come sottolineano alcuni intervistati, i primi due anni di vita di Centritalia hanno seguito questo orientamento, cercando di impostare linee e programmi comuni al fine di formare una “massa critica” in grado di premere più efficacemente sulle istituzioni comunitarie e di esercitare un ruolo più rilevante nella cosiddetta fase ascendente delle politiche europee. Intorno alla fine del 2000 si è però assistito ad una sorta di rallentamento dell’esperienza, e di un ridimensionamento delle aspettative iniziali. La fine dell’omogeneità politica che caratterizzava le cinque Regioni, dovuta al cambiamento di maggioranza avvenuto in Lazio e Abruzzo in occasione delle ultime elezioni regionali, sembra non essere considerata dai personaggi interpellati come fattore rilevante nello spiegare il recente impasse, sebbene gli stessi, curiosamente, non esitino poi ad imputare la 81 La Valle d’Aosta, pur istituendo un ufficio istituzionalizzato tramite apposita legge regionale, ha scelto comunque di condividere la sede con la finanziaria regionale, la Finaosta, avvalendosi anche dell’apporto dei suoi dipendenti. 82 Mondimpresa nasce nel 1986 come Agenzia del sistema italiano delle Camere di Commercio, con lo scopo di promuovere i processi di internazionalizzazione del sistema produttivo, specie con riferimento alle PMI. Nel corso degli anni ’90 diventa società consortile per azioni senza scopo di lucro, ed acquisisce come soci Confindustria, Confcommercio, Confartigianato e Confagricoltura. 83 Il percorso che ha accompagnato la nascita di Centritalia è cominciato nell’estate del 1997, in occasione della Convention di Orvieto, promossa dai Presidenti delle cinque Regioni in collaborazione con il CNEL: durante questo incontro fu sottoscritto un primo protocollo di intesa che avviò un processo di “programmazione cooperativa” tra i cinque governi. Tale indirizzo è stato ulteriormente articolato nella Convention di Roma del luglio 1998, durante la quale sono stati specificati gli ambiti di intervento comuni (ambiente montano e difesa idrogeologica, innovazione tecnologica, reti telematiche, mercato del lavoro, formazione e innovazione nella pubblica amministrazione) ed è stato sancito il proposito di aprire una casa comune nella capitale comunitaria. Per maggiori informazioni si rimanda alla pagina web delle cinque regioni : www.regionicentroitalia.org Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 100 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles situazione attuale ad un mutamento di strategia da parte delle singole giunte e dei loro presidenti84. Piuttosto ambigua risulta anche la posizione del Molise: al momento dell’istituzione dell’ufficio, infatti, era in programma l’annessione alla casa comune, mentre a due anni di distanza tale annessione è rimasta lettera morta, traducendosi solamente nella comunanza della sede: l’ufficio del Molise è infatti situato nello stesso stabile dove sono ospitate le cinque Regioni. Al di là delle due esperienze di sedi condivise, tutte le altre Regioni hanno optato per l’apertura e il mantenimento di uffici individuali, sebbene in forme relativamente diverse da caso a caso: le sedi variano infatti in base al coinvolgimento delle realtà istituzionali (Comuni e Province) e socioeconomiche presenti sul territorio, coinvolgimento che può essere formalmente statuito tramite la stipula di apposite convenzioni, assumere carattere “informale” oppure, come caso estremo, essere del tutto trascurato. È soprattutto nell’ultimo periodo che questa distinzione si è rafforzata: dal 2000, infatti, alcune Regioni hanno dato vita alla creazione di uffici, denominati “case” (es. Casa Lombardia, Casa Liguria), che ospitano le varie componenti del sistema istituzionale, socioeconomico e culturale della Regione, la cui presenza è sancita tramite una convenzione; il caso della Lombardia risulta a questo proposito interessante: l’apertura “fisica” della sede di Bruxelles al territorio ha riguardato molteplici espressioni degli interessi e numerose università85, ma è stata di fatto preclusa, almeno in questa prima fase, al sistema degli enti locali, in quanto “ANCI e UPI non riescono a rappresentare interessi omogenei”86 visto il differente colore politico che contraddistingue le diverse esperienze. Tale chiusura non interessa invece la maggior parte della altre sedi: a titolo di esempio, si pensi che la Regione Friuli, tra le ultime ad insediarsi nella capitale comunitaria, ha stabilito quasi da subito un protocollo d’intesa con le sue quattro Province, tra le quali due espressione di una maggioranza diversa da quella regionale, che garantisce loro servizi e libero accesso ai locali che ospitano l’ufficio. Lo stesso ha fatto la Liguria, includendo nel progetto di “Casa Liguria” anche l’Unione delle Province liguri, per la maggior parte governate da giunte dell’Ulivo. Oltre a differire in merito a questo aspetto, tutte le sedi variano in base al loro modello organizzativo, e quindi al numero di personale addetto, alle sue qualifiche e competenze e all’inquadramento nell’organigramma dell’ente regionale. I modelli organizzativi Rispetto agli uffici dei Länder tedeschi e delle Comunità autonome spagnole le sedi delle Regioni italiane hanno sicuramente dimensioni più ridotte. Tuttavia, al di là di questo dato, le differenze infranazionali sono tutt’altro che trascurabili, non solo da un punto di vista numerico ma anche e soprattutto rispetto al tipo di personale utilizzato. Riguardo al primo versante, il numero degli addetti varia da un minimo di una sola persona (Molise) a un massimo di undici unità (Lombardia); in mezzo a questi due estremi, si può notare come il modello più ricorrente sia quello 84 Il caso dell’ufficio della Regione Abruzzo risulta piuttosto problematico: da alcune interviste – effettuate anche in altre Regioni – sembrava imminente l’uscita della Regione dalla compagine di Centritalia, in vista della creazione di un ufficio indipendente; tuttavia tali “voci” non sono poi state confermate dai diretti interessati. 85 Al progetto di Casa Lombardia hanno aderito Finlombarda S.p.a, Cestec S.p.a, Artivive S.r.l (che riunisce Confartigianato, CNA e CASA), l’Università degli studi di Milano, l’Università degli studi di Brescia, l’Università degli studi di Bergamo, l’Università degli studi Milano Bicocca, l’Università degli studi di Pavia, l’Università Carlo Cattaneo LIUC e il Politecnico di Milano (Nicolai, 2000). 86 Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 101 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles che prevede un dirigente responsabile affiancato da uno o due funzionari, eventualmente supportati da personale di segreteria (vedi tabella 2). Tra gli uffici più “attrezzati”, oltre a quello lombardo, vanno sicuramente annoverati anche quelli di Veneto, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. La rilevazione puramente numerica del personale addetto risulta comunque limitativa ai fini dell’analisi: le dimensioni dell’ufficio, infatti, tendono a crescere man mano che questo si consolida e amplia la gamma delle proprie attività; come si può osservare, gli uffici che dispongono di un numero piuttosto ampio di dipendenti sono quelli che ormai da diversi anni operano nella capitale comunitaria, e che hanno progressivamente ampliato il proprio organico87. Di converso, le Regioni che si sono mosse solo recentemente e che devono ancora definire chiaramente la propria missione impegnano in questa fase di “rodaggio” un numero limitato di persone. Assai più interessante si rivela invece la ricognizione del tipo di personale adottato, specificando se si tratta di personale di estrazione regionale o meno ed esaminando il background dei vari responsabili. A questo proposito si possono infatti individuare due strategie-limite che una Regione può scegliere di adottare: da un lato, il distaccamento di funzionari o dirigenti regionali e l’attribuzione ad uno di questi della responsabilità della sede; dall’altro lato, il ricorso a consulenti esterni o comunque a personalità esterne all’apparato regionale dotate di comprovata esperienza in ambito comunitario. Come si osserva nella tabella 2, varie Regioni (Campania, Friuli, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto e le due Province autonome) hanno scelto la prima strada, assegnando la responsabilità della sede a dirigenti o funzionari che già si occupavano, in un modo o in un altro, di tematiche comunitarie per conto della Regione ed affiancandoli con alcuni dipendenti regionali distaccati a Bruxelles. Anche la Regione Piemonte sembra seguire questa strategia nella predisposizione del suo “nuovo” ufficio istituzionale. Diametralmente opposto, invece, il caso lombardo, in cui i criteri principe per la selezione del personale sono stati “l’esperienza in ambito comunitario e la capacità di gestire relazioni complesse all’interno dell’Unione”88: la Regione si è avvalsa di un’agenzia per il lavoro di Bruxelles al fine di reclutare soggetti dotati di tali requisiti, e degli undici dipendenti attuali solamente uno è un funzionario regionale. Lo stesso modello è stato adottato da Liguria, Valle d’Aosta e, in parte, dalla Calabria. La Liguria rappresenta un caso interessante, in quanto con il cambiamento di maggioranza del 2000 si è assistito ad una vera e propria rivoluzione nell’organico dell’ufficio, che è stato sostituito in toto: fino al 2000 la responsabilità era assegnata ad una dirigente regionale e la direzione ad una consulente esterna, affiancata da un funzionario regionale trasferito a Bruxelles; dopo le elezioni il disegno organizzativo dell’ufficio è completamente mutato, prevedendo la presenza di un organico completamente esterno 89 all’amministrazione regionale . Parzialmente diversi risultano invece i casi della Valle d’Aosta e della Calabria, in quanto le sedi delle due Regioni si appoggiano rispettivamente alle strutture di Finaosta e del BIC Calabria, le quali hanno chiaramente mantenuto il loro personale. 87 All’inizio della loro esperienza, per esempio, l’ufficio della Lombardia disponeva di quattro persone (tra cui solo un dirigente) e quello toscano solo di tre, compresi gli addetti alla segreteria. 88 Intervista a dirigente della Regione Lombardia, luglio 2002 89 Secondo quanto dichiarato da uno dei soggetti intervistati, “i nostri due personaggi dell’ufficio (…) hanno in effetti molto le caratteristiche dei lobbisti, possiamo tranquillamente dirlo, non tanto le caratteristiche dei funzionari regionali”. Intervista a testimone privilegiato, Regione Liguria, febbraio 2003 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 102 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Tra i due modelli “estremi”, troviamo poi diverse forme miste: Abruzzo e Puglia hanno scelto di affidare la responsabilità dell’ufficio a dei consulenti esterni e di affiancarli a un funzionario di estrazione regionale, mentre la Sicilia e il Lazio hanno preferito operare la scelta inversa, assegnando la responsabilità e il coordinamento della sede a personale di estrazione regionale e utilizzando esperti esterni per le attività di supporto (Sicilia) o di direzione (Lazio). L’Emilia Romagna, infine, si configura come un caso particolare: sebbene la responsabile dell’ufficio non sia da considerare formalmente una dirigente regionale, essa è comunque alla guida della sede fin dal momento della sua nascita, avendo ricoperto dal 1994 al 1997 la direzione dell’Aster90, e risulta quindi difficile definirla come “esterna”; veri e propri consulenti esterni sono invece le tre persone che affiancano la suddetta responsabile e i due funzionari regionali che la coadiuvano. La scelta di un tipo di personale piuttosto che di un altro è strettamente collegata con il tipo di missione che l’ente regionale intende assegnare al proprio ufficio di Bruxelles; come vedremo meglio in seguito, infatti, entrambe le opzioni presentano dei vantaggi e dei limiti: reclutare personalità già conosciute nel “salotto”91 delle istituzioni comunitarie, magari già esperte nell’attività di lobbying e in possesso dei giusti contatti può sicuramente pagare in termini di facilità di ottenere incontri informali e informazioni “confidenziali”; lo scotto opposto, che invece viene evitato distaccando personale di estrazione regionale, è che tali personaggi, solitamente provenienti da esperienze in campo aziendale, faticano non poco “a riconoscere e a convivere con i meccanismi di funzionamento di una pubblica amministrazione”92, e risulta quindi più difficile elaborare una strategia congiunta, coordinata e condivisa tra la Regione e la sua “appendice” comunitaria. Il privilegiare l’uno o l’altro aspetto può probabilmente essere letto come il risultato della strategia che la Regione intende perseguire in ambito europeo, delle attività che di conseguenza sono affidate alle sedi distaccate e del modello di rappresentanza che si ambisce a promuovere. Prima di passare all’analisi di quest’ultimo punto e alla ricognizione delle funzioni assegnate ai vari uffici, occorre comunque evidenziare uno dei pochi elementi in comune ai diversi modelli organizzativi riscontrati: se osserviamo la collocazione degli uffici nell’organigramma regionale, nella quasi generalità dei casi gli uffici si situano nell’ambito della Presidenza della Giunta, tranne per il Molise, in cui l’ufficio dipende dal Settore programmazione, e per la Provincia Autonoma di Trento, che colloca la sede nell’ambito dell’Assessorato all’Europa. Secondo la maggioranza degli intervistati, la decisione di collocare l’ufficio in tale ambito è in realtà una scelta piuttosto obbligata, visto il carattere “quasi-diplomatico” delle sedi di Bruxelles, e considerato che ad esse viene generalmente attribuito il compito di stabilire contatti con le istituzioni comunitarie. Inoltre, come sottolineano altri, la collocazione dell’ufficio nell’ambito della Presidenza o del Gabinetto consente di sostenere più agevolmente quelle spese di rappresentanza che per altre direzioni diventerebbero problematiche93; ciò non toglie che le diverse sedi, a prescindere dalla loro collocazione, mantengano un rapporto di interlocuzione e di scambio con 90 Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna; vedi § 3.1 L’espressione è stata mutuata dalle parole della dirigente intervistata in Lombardia, vedi nota precedente. 92 Ibidem 93 Intervista a testimone privilegiato, Regioni Friuli, luglio 2001 91 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 103 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles tutte le direzioni regionali toccate dalle tematiche comunitarie nello svolgimento delle loro attività. Attività degli uffici e loro “profilo” A dispetto della relativa omogeneità delle formulazioni legislative che istituiscono i vari uffici regionali, definiti genericamente “strutture di collegamento” o di “rappresentanza”, la gamma di attività da essi realmente svolta varia sensibilmente da caso a caso, sia in termini quantitativi che qualitativi (Smets, 1998, p.308). Se in alcuni casi essi esercitano un nucleo minimo di funzioni prevalentemente di carattere informativo e di supporto logistico, all’estremo opposto troviamo sedi che portano avanti un’insieme coerente di azioni di vera e propria rappresentanza degli interessi territoriali, unito alla presenza di una strategia precisa per influenzare la formazione delle politiche comunitarie. Generalmente, gli uffici tendono ad ampliare e ad “approfondire” l’insieme delle loro mansioni man mano che la loro presenza a Bruxelles si consolida nel tempo: nei primi anni dalla loro creazione, Tab.2 Personale degli uffici di rappresentanza delle Regioni e delle Province Autonome italiane. Aspetti quantitativi e qualitativi (situazione al luglio 2003) Regione Background del responsabile N. e tipo di personale Abruzzo 3 (1 dirigente responsabile e 2 funz. reg.li) La responsabile è una consulente esterna (Mondimpresa), ex direttrice dell’ufficio a Bruxelles della Regione Liguria Calabria 5 (4 dipendenti del BIC Calabria e 1 funz. reg.le) Il responsabile è un dipendente del BIC Campania 4 (1 dirigente responsabile, 2 funzionari reg.li e 1 segretaria) Emilia Friuli Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia 6 (1 dirigente responsabile, 2 funzionarie regionali, 3 elementi di supporto forniti da una società di consulenza) + stagisti a rotazione 3 (1 funzionario coordinatore e 2 “consiglieri” – qualifica inferiore a funzionario – regionali) 7 (1 dirigente responsabile, 1 dirigente, 4 funzionari e 1 segretaria) 3 (due senior e un intermedio) + stagisti a rotazione Il responsabile è un dirigente regionale che da ormai cinque anni ricopre incarichi a livello europeo (Commissione e Italrap) La responsabile è esterna all’amministrazione regionale, ma si occupa dell’ufficio fin dall’inizio dell’esperienza. Dal 1994 al 1997 è stata infatti direttrice dell’Aster. Il responsabile è l’ex capo di gabinetto della giunta regionale. Il responsabile è un dirigente regionale (area Relazioni con l’Unione europea), mentre la dirigente del servizio è esterna. Il responsabile è un consulente esterno, con precedenti esperienze a Bruxelles Il responsabile è un consulente esterno che può 11 (1 dirigente responsabile, 3 vantare 15 anni di esperienza di lavoro a Bruxelles, dirigenti esterni, 7 funzionari di cui come responsabile delle politiche comunitarie per solo uno di estrazione regionale) grosse aziende. 3 (1 dirigente responsabile, 1 Il responsabile è un dirigente regionale che ha sempre funzionario regionale e 1 segretaria) ricoperto incarichi inerenti alle politiche comunitarie. Era dipendente della Direzione generale della 1 funzionario regionale programmazione 2 (1 dirigente responsabile La responsabile è la dirigente del Settore Supporto al regionale pendolare e 1 collaboratrice esterna) + 1 Coordinamento delle politiche comunitarie per l'accesso ai fondi strutturali, nell’ambito della consulente del presidente. A breve Direzione della Presidenza dovrebbero però essere distaccati un paio di funzionari regionali. Il responsabile è un consulente esterno, che è stato 2 (1 dirigente responsabile e 1 direttore generale della direzione informazione e funzionaria regionale) relazioni pubbliche del PE. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 104 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Sardegna Sicilia Toscana Umbria Valle d’Aosta Veneto Prov. Bolzano e Trento 4 (1 dirigente responsabile, 2 funzionari regionali e 1 dattilografa) IL responsabile è un dirigente regionale (Servizio Politiche dello Sviluppo, Rapporti con lo Stato e le Regioni, Rapporti con l'Unione europea e Rapporti Internazionali) Il responsabile è un dirigente regionale che ricopre numerosi incarichi a livello europeo (CRPM, altre associazioni) e attualmente collabora al progetto PORE del Ministero per gli affari regionali. Il responsabile è un dirigente regionale che da molti anni ricopre incarichi a livello europeo. Anche gli altri 5 (3 alti dirigenti regionali + 2 due dirigenti, comunque, condividono la responsabilità segretarie) + stagisti a rotazione della sede e possono vantare numerose esperienze in ambito comunitario (CdR, Commissione…) Il responsabile è un dirigente regionale, che si 2 (1 dirigente responsabile e 1 occupava del coordinamento degli uffici di Presidenza funzionaria regionale) della Giunta 3 (2 funzionari per la Regione, 1 per Il responsabile (ma anche l’altro personale) è un la Finaosta) + 1 stagista consulente esterno. 11 (1 dirigente responsabile, 3 Il responsabile è un dirigente regionale (direzione funzionari e 7 collaboratori tra junior regionale per le relazioni internazionali) e senior) 4 (1 dirigente per la prov. di Bolzano, 1 per quella di Trento più I responsabili sono dirigenti provinciali. 2 segretarie) 4 (1 dirigente responsabile, 1 funzionario regionale, 2 esperti esterni) essi si trovano infatti a fare i conti con una sorta di “rodaggio” della loro missione, dovendo imparare a muoversi in un ambiente nuovo e a prendere familiarità con il “linguaggio della Commissione”. Durante questa fase, quindi, le attività di un ufficio si concentreranno prevalentemente sulla creazione di contatti stabili con alcuni funzionari europei e con i vari organismi comunitari, sul reperimento e la trasmissione di informazioni “di prima mano” alle istituzioni regionali (e, eventualmente, agli enti locali e alle forze socioeconomiche presenti sul territorio)94 e su una funzione indicata da molti come di “statica rappresentanza” o di “rappresentanza diplomatica”, che si traduce semplicemente nel presenziare alle riunioni del Comitato delle Regioni e del PE e nel “far vedere che si è presenti in loco”. In effetti tra gli uffici di più recente creazione sia la Puglia che il Molise, in questo primo periodo, svolgono prevalentemente azioni di supporto e di informazione rivolte al personale politico e amministrativo della Regione, e di ricerca di contatti sia con l’Italrap che con le altre Regioni presenti a Bruxelles, rimandando le ambizioni di influire sulla fase ascendente delle politiche comunitarie ad un futuro piuttosto imprecisato. Anche il Friuli si attesta più o meno sullo stesso livello, seppur distinguendosi per l’offerta di assistenza tecnica fornita al personale regionale in caso di problemi durante l’iter dei progetti sottoposti all’attenzione della Commissione. Il caso della Campania, l’ultima Regione italiana ad aver istituito la propria sede, si discosta invece parzialmente dai precedenti in quanto tra le attività menzionate dagli intervistati, oltre all’informazione e alla ricerca di contatti, viene riportata l’ambizione di “sfidare il modello di amministrazione pubblica (…) in modo che un domani l’idea e il funzionamento dell’ufficio di 94 Informazione che può riguardare sia l’evoluzione della normativa comunitaria in ambiti di interesse regionale, sia la segnalazione di specifici bandi o programmi, anche in relazione ai fondi strutturali. Molti degli intervistati sottolineano l’importanza di agire come una sorta di postazione di sorveglianza preventiva, o di radar, in modo da far sì che l’informazione fornita dall’ufficio sia prevalentemente di carattere anticipatorio, e assuma così un valore aggiunto rispetto alle comunicazioni ufficiali offerte dalle istituzioni comunitarie. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 105 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Bruxelles possano essere trapiantati anche a livello locale”95: un progetto nato da una comunanza di intenti tra l’attuale Presidente della Regione e il responsabile della sede, che fa percepire la volontà di utilizzare l’esperienza diretta nella capitale comunitaria anche come occasione di apprendimento amministrativo, confidando in una sorta di ricaduta positiva sulla capacità dell’ente e dell’intero sistema regionale di affrontare le politiche europee e le opportunità ad esse collegate (come nel caso dei fondi strutturali), capacità dimostratasi decisamente scarsa fino ad un passato molto recente. Chiaramente tuttavia, essendosi la Campania insediata solo nel maggio del 2002, le attività della sede sono ancora in una fase embrionale e occorrerà attendere un suo maggiore radicamento per vedere se questo disegno troverà un riscontro concreto nella pratica. Man mano che gli uffici consolidano la loro presenza, anche i loro compiti assumono tratti diversi: lo stesso passaggio di informazioni dalla sede alla “casa madre”, ad esempio diventa più mirato, strategico, ed orientato a recepire gli orientamenti della Commissione prima che vengano resi ufficiali, al fine di formulare progetti che abbiano maggiore probabilità di successo. L’iter di tali progetti comincia poi ad essere seguito passo passo dal personale che, oltre a facilitare i contatti tra amministrazione di riferimento e funzionari della Commissione (funzione di “apripista”), passa ad esercitare la cosiddetta funzione di “accompagnamento”, sorvegliando l’avanzamento procedurale ed avvertendo i responsabili regionali ogniqualvolta si presentino degli “intoppi”. Contemporaneamente, una volta individuati i referenti nei diversi organismi europei, l’operazione di “tessitura dei rapporti” si estende anche alle altre Regioni presenti a Bruxelles, col duplice scopo di individuare possibili partner per programmi comuni e di creare reti di solidarietà intorno a problematiche condivise per influenzare congiuntamente il decision making comunitario in tali ambiti. Tutti gli intervistati nelle Regioni che si sono insediate a Bruxelles da almeno tre anni hanno infatti menzionato quest’ultima operazione tra i compiti principali dell’ufficio; tra queste, mentre le Marche e l’Umbria hanno teso a privilegiare i rapporti e la collaborazione con le altre Regioni del centro Italia (con le quali condividono l’ufficio), la Sicilia e la Sardegna si sono orientate prevalentemente verso quelle Regioni europee che come loro devono fare i conti con il problema dell’insularità. La funzione di network making sembra riguardare invece in misura minore quelle Regioni come la Valle d’Aosta e la Calabria che dividono la propria sede con strutture di supporto alle realtà economiche territoriali (Finaosta e BIC Calabria): in questi casi, infatti, assumono maggiore rilevanza le funzioni di assistenza tecnica e progettuale e di promozione degli interessi regionali. Le attività promozionali e la rappresentanza del territorio, che possono spaziare dalla semplice organizzazione di fiere e manifestazioni mirate fino alla presentazione esplicita di precise istanze a livello di organismi europei, rientrano comunque tra le priorità di tutte le sedi, così come l’organizzazione di corsi di formazione rivolti agli operatori socioeconomici e ai funzionari amministrativi. Se consideriamo infine il “gruppo di testa” delle Regioni che da più tempo si sono insediate a Bruxelles vediamo che, nella maggior parte dei casi, queste possono ormai contare su degli uffici che hanno interiorizzato la propria missione e sono in grado di spaziare efficacemente tra l’ampio ventaglio di funzioni finora illustrate; addirittura, le sedi di Emilia Romagna e Toscana riferiscono di dedicare ormai pochissime energie alle attività di semplice informazione, dato che all’interno degli 95 Intervista a testimone privilegiato, Regione Campania, maggio 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 106 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles enti regionali sono stati sviluppati dei sistemi che non rendono necessario il ricorso agli uffici di Bruxelles per il reperimento di notizie96. L’attenzione si concentra piuttosto nel tessere e mantenere relazioni multilivello, nell’aiutare la Regione nello stabilire i partenariati, nel favorirne la capacità progettuale e, trasversalmente a queste attività, nel rappresentare gli interessi del territorio, anche tramite azioni di lobbying. Il concetto di lobbying, ormai diffuso e diventato di uso comune per coloro che operano a Bruxelles, è però concepito in maniera sostanzialmente diversa da ufficio a ufficio; mentre per la Lombardia la lobbying è prevalentemente orientata all’ambito dei fondi strutturali e si concretizza nello sfruttare i contatti giusti per ottenere anticipazioni, agevolare progetti ed esercitare così una maggiore “penetrazione finanziaria”97, coloro che lavorano nella sede della Toscana riferiscono che la migliore lobbying si fa lavorando bene, risultando affidabili ed acquisendo riconoscimento e visibilità presso le istituzioni comunitarie. Ciò non esclude che si ricerchino contatti e informazioni di prima mano per quanto attiene ai bandi e alla fattibilità dei progetti98, ma queste attività risultano comunque complementari rispetto all’obiettivo prioritario, che è quello di affermare e “posizionare” l’istituzione regionale in ambito europeo”99. Come conseguenza di questa differente concezione e delle diverse priorità, il profilo dell’ufficio e le caratteristiche di chi vi lavora variano sensibilmente: come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la Regione Lombardia (e principalmente il suo Presidente) ha scelto di affidare la sede di Bruxelles a personale esterno alla Regione, privilegiando il possesso di un fitto carnet di contatti rispetto all’esperienza diretta nell’amministrazione regionale. Questo tipo di decisione è perfettamente in linea con la missione che l’ufficio è chiamato a svolgere, e cioè “favorire la capacità progettuale della Regione per accedere ai programmi e ai fondi” e, a tale scopo, “stabilire un sistema di relazioni il più possibile esteso ed efficace”100 (profilo “lobbista”) . Al contrario, la responsabilità dell’ufficio toscano è stata affidata a “tre dirigenti di massimo livello, che insieme contano quasi ottanta anni di anzianità di lavoro in Regione”101, dotati di rapporti consolidati e fiduciari con la componente politica e amministrativa operante a Firenze, e quindi in grado di rappresentare con coerenza le strategie del governo regionale. Il profilo dell’ufficio infatti, come è riconosciuto sia dagli intervistati della sede toscana che da quelli di altre Regioni, può essere definito come un profilo “politico”: non a caso, è forse l’unico ufficio al 96 Ad esempio, la Regione Emilia Romagna ha stipulato una convenzione con l’Agenzia di sviluppo regionale Ervet Spa che prevede la realizzazione di una serie di attività a supporto dell’ente regionale e anche dell’ufficio a Bruxelles; tra le altre cose Ervet cura infatti Europ@facile, un sito internet sulle politiche e i finanziamenti dell’Unione europea al servizio dell’intero territorio regionale. 97 Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002 98 Parlando di queste attività, gli intervistati sottolineano che occorre essere coscienti dei risultati che si possono concretamente ottenere. Come precisa uno di essi “noi stiamo parlando di piccolissimi progetti da un punto di vista finanziario rispetto al grosso che è quello che invece gestisce la regione con i Fondi strutturali, obiettivo 2 e 3 già a Firenze, per cui non è che noi stiamo parlando di operazioni per fare affluire…..scherzando, l’altra sera, dicevamo che in qualche operazione talvolta si rischia che gli spostamenti dei vari dirigenti per seguire una certa iniziativa, alla fine siano quasi superiori…..perché è importante avere questi rapporti e far passare progetti qua a Bruxelles? E’ importante perché si tratta quasi sempre o di azioni sperimentali innovative, di azioni che poi mirano ad essere disseminate a livello europeo, cioè si tratta di una punta di diamante, piccola nella quantità ma significativa nella qualità. Ecco, è un po’ questo il motivo, perché poi uno magari dice: tutta questa confusione per pochi euro di un progetto”. 99 Come tiene a precisare uno degli intervistati, “è un caso che la Regione Toscana sia la Regione coordinatrice delle Regioni a potere legislativo in Europa? Oppure è frutto di un’operazione che non si improvvisa, ma di un impegno costante di serietà, fatto di contenuti e di lavoro continuo? In Europa nulla si improvvisa e niente è regalato…” 100 Intervista a testimone privilegiato, Regione Lombardia, luglio 2002 101 Intervista a testimone privilegiato, Regione Toscana, maggio 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 107 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles quale “tante volte viene dato il mandato a negoziare” con i funzionari della Commissione. In linea generale, si può comunque concludere che per assumere un profilo ben distinto e distinguibile è necessario che un ufficio abbia raggiunto un discreto grado di consolidamento, elemento che non necessariamente coincide con la sua “età anagrafica”: vi sono casi come la Sardegna, o il Lazio, che pur essendo tra le prime Regioni ad attivarsi verso Bruxelles non sembrano disporre ancora di sedi dotate di una chiara missione. Gli interlocutori La ricerca di contatti da parte del personale degli uffici a Bruxelles privilegia in genere le DG della Commissione che si occupano delle questioni di interesse regionale (es. DG regio, DG agri, DG impresa…), specie se in riferimento alle questioni legate ai programmi cofinanziati dai fondi comunitari (fase discendente della policy). Tuttavia non si può trascurare il “peso” di altre interazioni: le sedi, nella generalità dei casi, hanno tra i loro scopi prioritari mantenere contatti costanti con la Rappresentanza Permanente dell’Italia in seno al Consiglio (Italrap) e creare reti di relazioni con le altre Regioni presenti a Bruxelles, al fine di incidere più efficacemente nella fase “ascendente” del policy-making comunitario e di reclutare partner con i quali mettere in piedi progetti a carattere transnazionale. Tra gli uffici regionali italiani, inoltre, esiste una sorta di collegamento informale, con una segreteria a turno trimestrale, che permette la realizzazione di iniziative comuni e la messa a punto di eventuali strategie congiunte, anche tramite uno scambio sistematico di informazioni. Ultimamente, specie dopo l’estensione della procedura di codecisione operata con il Trattato di Amsterdam, anche il Parlamento europeo è diventato un interlocutore appetibile: i rapporti con questa istituzione vengono mantenuti soprattutto tramite gli europarlamentari della propria Regione, o per lo meno eletti nella circoscrizione a cui questa fa riferimento. Sebbene molti ammettano che è più facile dialogare con rappresentanti che presentano un’affinità politica con il governo regionale, tutti riconoscono che il criterio principale che guida le interazioni è piuttosto quello del territorio, al fine di tutelarne e promuoverne gli interessi al di là dell’appartenenza di specifiche maggioranze. Infine, anche i rapporti con il Comitato delle Regioni sono piuttosto fitti, specie in quei casi in cui il Presidente della Regione ricopre la carica di membro effettivo. Non di rado, infatti, all’interno degli uffici di Bruxelles viene assegnato a qualcuno del personale l’incarico specifico di assistere e “preparare” il Presidente in occasione delle varie sedute, oltre a presenziare al suo posto nel caso egli non possa parteciparvi. Come per la gamma delle attività intraprese, anche il “pacchetto” di interlocutori a disposizione delle varie sedi si amplia e si diversifica man mano che la loro presenza a Bruxelles assume caratteri di continuità e radicamento. L’attenzione a stabilire e mantenere contatti con specifici organismi e istituzioni è poi chiaramente influenzata dalle possibilità di partecipazione per i governi regionali che progressivamente si aprono a livello comunitario; come riferiscono quasi tutti gli interpellati, infatti, il futuro degli uffici e il loro ulteriore sviluppo sono legati a filo doppio con le prospettive di riforma istituzionale a livello nazionale ed europeo: il Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 108 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles processo di revisione del titolo V della Costituzione italiana e il percorso della Convenzione europea sono due fenomeni a cui, in misura maggiore o minore, tutti gli uffici fanno riferimento, individuando in essi le possibili finestre di opportunità a cui guardare per pensare e ripensare il proprio funzionamento. Alla radice delle differenze: alcune possibili spiegazioni Una volta scandagliato il vasto panorama degli uffici a Bruxelles delle Regioni italiane, si può cercare di capire se vi siano dei fattori in grado di spiegare la molteplicità delle differenze riscontrate sia in termini di tempismo nell’attivazione che di consolidamento delle diverse sedi. Partendo dal “testare” le principali ipotesi fornite dalla letteratura (vedi §2.2), possiamo innanzitutto affermare che, nell’ambito delle variabili politico-istituzionali, il fattore del national constraint ha senza dubbio ritardato l’attivazione generale delle Regioni italiane rispetto al resto del panorama europeo; anche quei governi regionali che si sono mossi in maniera pionieristica, infatti, risultano comunque indietro di circa un decennio se paragonati alle esperienze registrate in altri paesi, primo tra tutti la Germania. Tuttavia, è altrettanto evidente che su scala infranazionale si registrano differenze significative in merito al “tempismo” dei diversi governi regionali, che pure erano tutti sottoposti allo steso vincolo normativo: innanzitutto, una prima distinzione deve essere operata tra quelli che hanno anticipato la legislazione nazionale e quelli che vi hanno semplicemente “reagito”; tra questi ultimi, inoltre, occorre evidenziare la particolare inerzia propria di alcuni casi, che hanno provveduto ad istituire una propria sede solo negli ultimi due anni. Occorre quindi prendere in considerazione altri fattori per capire cosa ha spinto alcuni governi subnazionali ad attivarsi in tempi più rapidi. La resource-push hypothesis, secondo cui una Regione “ricca” avrebbe più strumenti per “mobilitarsi” e sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Europa, sembra trovare nel panorama italiano solo una parziale conferma (vedi fig.2): se è vero che molte delle Regioni del gruppo di avanguardia presentano un PIL102 decisamente elevato (Lombardia, Emilia, Veneto ed entrambe le Province autonome), ci si può chiedere perché Toscana e Marche, che presentano livelli di reddito quasi identici, abbiano invece tempi sostanzialmente diversi di attivazione. Lo stesso può dirsi di Sardegna e Basilicata103, che pur rientrando tra le Regioni più “povere”, hanno comunque cercato di creare un proprio collegamento non appena la legislazione nazionale lo ha consentito. 102 In questa sede il PIL regionale è espresso in Parità di Potere d’Acquisto (PPA) rispetto alla media comunitaria, intendendo quest’ultima equivalente a 100. 103 Si ricorda tuttavia che, ad oggi, la Basilicata ha interrotto la propria esperienza di collaborazione con il Desk di Bruxelles Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 109 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Confronto tra PIL regionale pro capite (espresso in SPA104) e tempismo nell’istituzione di uffici prima di L.52/96 1996/97 1998/99 2000/02 (6) (4) (6) (4) PPA pro capite* 117,4 a 136 98,6 a 117,4 79,8 a 98,6 61 a 79,8 (9) (3) (2) (6) * Dati 1995, tratti da Leonardi, 1998 (media UE = 100) La stessa perplessità può essere estesa all’ipotesi speculare (resource pull hypothesis), in base alla quale la politica regionale europea e i fondi strutturali costituirebbero una “calamita” in grado di attrarre i vari governi regionali, specialmente quelli potenzialmente beneficiari, nell’orbita comunitaria; se è vero infatti che la politica di coesione, i fondi strutturali e i progetti ad essi correlati sono spesso menzionati tra i campi di interesse prioritari di tutti gli uffici, è altrettanto diffusa la consapevolezza che l’influenza che questi possono esercitare sulla spartizione dei finanziamenti in ballo è limitata alle “peanuts”, e cioè ad un ammontare di risorse decisamente limitato se paragonato alle quote stabilite in base ai parametri delle zonizzazione. Più che per la possibilità di esercitare pressioni dirette sulle istituzioni comunitarie al fine di procacciarsi più fondi, quindi, la politica di coesione ha probabilmente incentivato l’attivazione diretta a Bruxelles perché ha rappresentato per le Regioni una vera e propria finestra di opportunità: il principio del partenariato, il frequente richiamo al principio di sussidiarietà e la creazione di appositi programmi a vocazione interregionale e transnazionale (le iniziative comunitarie e, in particolare, INTERREG) hanno lasciato intravedere ad alcune Regioni la possibilità di emanciparsi dal filtro nazionale, stimolando così l’apertura di canali di interlocuzione diretta a Bruxelles, anche al fine di vedere meglio tutelati i propri interessi territoriali nell’ambito della normativa europea. L’interrogativo da sciogliere riguarda allora il perché alcune Regioni prima di altre sono riuscite a percepire questa opportunità e ad attivarsi in proposito. L’ipotesi della distinctiveness, secondo cui maggiori sono le frizioni tra Regioni e governo centrale, maggiori sono le probabilità che i primi cerchino di cortocircuitare il filtro nazionale, se interpretata con un certo grado di elasticità può fornire una prima risposta abbastanza soddisfacente; osservando le Regioni che si sono attivate in anticipo rispetto alla legislazione statale, si può infatti notare come queste condividano una comune ambizione ad emanciparsi e a distinguersi dal filtro 104 Come spiega Leonardi (1998), la Parità di potere d’acquisto (PPA) – o standard di potere d’acquisto – “paragona i prezzi per lo stesso paniere di beni e servizi nei diversi stati membri” (p.137), ed è quindi un indicatore delle differenze di reddito più adeguato rispetto al PIL pro capite. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 110 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles nazionale, sebbene tale ambizione sia da ricondurre a radici differenti: la Toscana e l’Emilia Romagna, per esempio, sono due Regioni tradizionalmente “rosse”, storicamente governate da maggioranze a netta dominanza PCI. Le loro élite politico-amministrative, impegnate fin dagli anni ’70 a proporre un modello innovativo di politica e politiche, hanno probabilmente individuato fin da subito nell’ambito comunitario un’occasione di “riscatto” rispetto all’esclusione forzata dalle compagini governative nazionali, impegnandosi entrambe, fin dalla loro nascita, in associazioni regionali a carattere transnazionale105. Pare plausibile, dunque, che queste due Regioni, già attente alla dimensione europea, si siano dimostrate pronte a cogliere le opportunità di partecipazione non appena queste si sono manifestate. Le Province Autonome di Trento e Bolzano, che rientrano invece tra le istituzioni territoriali a statuto speciale dell’ordinamento costituzionale italiano, presentano al loro interno una spiccata diversificazione culturale e linguistica, e mostrano problematiche e caratteristiche che ne sanciscono lo status di vera e propria “regione frontaliera”, assai poco assimilabile al resto del panorama nazionale. L’apertura del loro ufficio in comune con la Regione austriaca del Tirolo sembra rispecchiare appieno questa loro vocazione. Infine, Lombardia106 e Veneto (e, poco più tardi, il Piemonte) hanno probabilmente percepito lo scenario comunitario, specie dopo l’entrata in vigore del mercato unico, come un’occasione di emancipazione per i loro sistemi produttivi e di espansione della propria competitività al di là dei confini nazionali, attivandosi, non a caso, tramite le sedi a Bruxelles dei loro organismi camerali. L’ipotesi della distinctiveness nelle sue varie sfumature, seppur insufficiente a spiegare in maniera convincente tutte le diversità, ci offre però un primo, parziale suggerimento: se già un governo regionale era alla ricerca di opportunità al di fuori del vincolo nazionale (fosse esso politico o economico), le progressive aperture in ambito comunitario sono state subito colte e fatte proprie. Tuttavia, se è vero come riferiscono i vari intervistati che l’iniziativa di aprire una propria sede è “sempre il risultato di una decisione politica” (Badiello, 1998, p.338) da ricondurre al Presidente o comunque all’ambito della Presidenza (che nella stragrande maggioranza dei casi detiene la titolarità dei rapporti con l’Unione europea), il versante delle élite di governo e in particolar modo il fattore della leadership politica diventano elementi imprescindibili ai fini della nostra analisi. La presenza di una leadership sensibile alle tematiche europee e attenta a cogliere le opportunità di partecipazione che si aprono sullo scenario comunitario è infatti un elemento che accomuna gran parte delle Regioni del gruppo di testa: sia Formigoni in Lombardia che Chiti in Toscana sono indicati da tutti gli intervistati come due leader capaci di trattare le questioni europee con grande dimestichezza, e che hanno fatto di queste tematiche dei veri e propri cardini della loro azione di governo regionale, acquistando parallelamente una notevole visibilità anche sulla scena nazionale e comunitaria107. Allo stesso modo, l’attivazione tempestiva 105 La Toscana, per esempio, è tra le Regioni fondatrici della Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime (CRPM) nel 1972. 106 Anche la Lombardia, come la Toscana e l’Emilia, esprime una partecipazione particolarmente attiva in associazioni regionali a carattere transnazionale come ad esempio “Quattro motori per l’Europa”, attiva dal 1988. 107 In particolare Chiti, durante i suoi due mandati come Presidente della Regione Toscana, ha ricoperto ruoli molto rilevanti sia a livello europeo, diventando vicepresidente del Comitato delle Regioni e presidente della Crpm, sia nazionale, guidando la Conferenza dei Presidenti delle Regioni durante il 1998. Tale eredità positiva è stata raccolta adesso dal Presidente Martini, che è stato a sua volta nominato Presidente della Crpm e rappresenta il Comitato delle Regioni nella Convenzione europea. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 111 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles dell’Emilia Romagna di una sede a Bruxelles va letta come frutto di una strategia politica di proiezione fuori dai confini nazionali iniziata fin dal 1992, con l’intesa siglata dell’allora Presidente Pier Luigi Bersani con Hans Eichel, Presidente della Regione tedesca dell’Assia (Badiello, 2003), tradottasi nella condivisione dello stabile che ospita i relativi uffici a partire dal 1994. Il riferimento alla leadership può poi essere utile anche per comprendere la diffusione del fenomeno al di là delle prime esperienze di avanguardia: se consideriamo il caso dell’ufficio comune delle Regioni del Centro Italia, vediamo infatti che questo progetto nasce soprattutto come frutto di un accordo politico tra gli allora Presidenti delle Regioni e dall’elaborazione di una loro strategia congiunta per “fare massa critica” nei confronti dell’Unione europea108. L’elemento della percezione delle opportunità connesse allo spazio politico europeo, e quindi il versante dei fattori cognitivi, risultano di particolare utilità anche per spiegare il sostanziale ritardo che ha caratterizzato gran parte delle Regioni meridionali, molte delle quali si sono dimostrate praticamente inerti fino agli ultimi due anni: la forte dipendenza dall’intervento straordinario e l’“abitudine” alle logiche ad esso soggiacenti (profondamente in contrasto con i dettami della politica di coesione e con i più generali orientamenti di policy promossi a livello europeo) hanno sicuramente ostacolato la percezione, da parte dei governi regionali, delle occasioni legate ai fondi strutturali e, più in generale, alla partecipazione al policy-making europeo. La pratica dei finanziamenti a pioggia, l’assenza di meccanismi di controllo e il monopolio della funzione di gate-keeping da parte dei partiti politici, tutti elementi protagonisti per circa quarant’anni nella storia del Mezzogiorno, hanno contribuito ad ingabbiare le Regioni del sud in una logica di dipendenza dal governo nazionale, logica ben lungi dall’essere sconfitta anche in seguito alla fine dell’intervento straordinario (L.488/92) e alla crisi dei partiti registrata nei primi anni ’90. È infatti solo in seguito ai mutamenti nell’orientamento del governo nazionale, visibili soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, che queste Regioni hanno cominciato a manifestare interesse per la finestra di opportunità europea: in seguito ad una serie di incontri e seminari promossi dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione (DPS) del Ministero del Tesoro nel corso del 1998, riguardanti prevalentemente la questione dei nuovi regolamenti dei fondi strutturali, sembra infatti aver preso il via un processo graduale di presa di coscienza e di apprendimento che, se ancora stenta a produrre risultati “mirabolanti” in termini di capacità amministrativa, si è comunque tradotto in una crescita dell’attenzione rivolta verso Bruxelles. Tale tendenza è stata ulteriormente rafforzata dal parallelo processo di riforma che nel 1999 introduce nelle Regioni italiane l’elezione diretta del Presidente della Giunta (L.Cost.1/99): a seguito di questa legge, il capo della giunta non solo “rappresenta la Regione”, ma “dirige la politica della Giunta e ne è responsabile” (art.1). Dal momento che la gestione dei fondi strutturali – ormai tra le più importanti fonti di finanziamento per le casse delle Regioni del Mezzogiorno – rientra senza dubbio tra le principali (e più visibili, visto l’ammontare delle risorse in ballo) attività dei governi regionali, ci si può aspettare che gran parte della credibilità e della reputation dei presidenti in carica si giocherà proprio sulla capacità di affrontare con successo questo settore di intervento. Inoltre, se è vero che durante gli anni dell’intervento straordinario, gran parte del prestigio (e del consenso) delle élite politiche locali e territoriali dipendeva dalla loro abilità nel tenere i rapporti con 108 Intervista a testimone privilegiato, Regione Abruzzo, novembre 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 112 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Roma (vale a dire con esponenti del governo centrale o del parlamento) e dalla loro conseguente capacità di attrarre risorse sul territorio regionale, non dovrebbe stupire che oggi, giacché la “cornucopia” si trova a Bruxelles, lo stesso tipo di ragionamento si riproponga su scala europea109. Per entrambi i motivi sopra menzionati, il fatto di spingere per la creazione di un ufficio a Bruxelles può quindi rappresentare, per un Presidente di Regione che sia in grado di cogliere questa opportunità, un ottimo “biglietto da visita” nei confronti del proprio territorio: non a caso, sia Fitto (Puglia) che Bassolino (Campania), eletti entrambi nel 2000 con la nuova legge elettorale, hanno immediatamente predisposto l’apertura delle rispettive sedi regionali nella capitale comunitaria. Se i fattori di tipo cognitivo e la qualità delle élite politiche alla guida dei governi regionali rappresentano dei fattori chiave in relazione al momento “genetico” dell’attivazione in ambito comunitario, ci si può chiedere quali siano invece i fattori in grado di spiegare il maggiore o minore grado di consolidamento delle esperienze avviate. Dal momento che la decisione di istituire una sede a Bruxelles e il “progetto” ad essa correlato vanno concepiti come frutto di una decisione politica, affinché un ufficio riesca a radicarsi e ad assumere una chiara “missione” occorre che vi sia da un lato un buon coordinamento e una “comunanza di intenti” tra livello politico e amministrativo, e dall’altro una certa continuità nelle linee strategiche di governo regionale (Badiello, 1998, p.338); Toscana, Lombardia, Emilia e Veneto, che ad oggi sono le Regioni che dispongono delle sedi a Bruxelles più visibili e “rodate”, presentano tutte quest’ultima caratteristica: tutte e quattro le Regioni, infatti, non hanno conosciuto cambiamenti nella maggioranza nelle ultime due legislature, e sebbene i loro uffici distaccati abbiano subito delle modifiche dal momento della loro istituzione, queste sono comunque state apportate rispettando ed arricchendo il “progetto originario”. Al contrario, in casi come la Liguria e l’Abruzzo, che nel 2000 hanno sperimentato un radicale cambiamento di maggioranza politica, gli uffici già esistenti e le loro funzioni sono stati quasi completamente azzerati e ripensati, anche tramite la sostituzione quasi integrale del personale addetto. L’importanza del fattore della continuità di governo per il consolidamento delle sedi di rappresentanza è ancora più evidente se si tiene conto che queste ultime, lungi dal costituire un segmento isolato dell’attività di governo regionale, rientrano a tutti gli effetti nella più ampia gamma di azioni che l’amministrazione regionale porta avanti nell’ambito delle proprie politiche di sviluppo (e nella conseguente creazione di reti di governance) e delle proprie strategie in tema di relazioni interistituzionali. Conclusioni In conclusione, sebbene il panorama degli uffici delle Regioni italiane a Bruxelles presenti a tutt’oggi significative sfaccettature, sembra di poter affermare che la corsa verso la capitale comunitaria sia ormai un tratto che accomuna tutti i governi territoriali: fatta eccezione per il caso della Basilicata, che “recentemente ha interrotto la collaborazione con Mondimpresa, ma che comunque mantiene rapporti sistematici con le istituzioni comunitarie tramite le proprie strutture interne”110, il resto delle Regioni dispone ormai di una propria sede; al di là delle 109 Non a caso, in molte Regioni le campagne elettorali per le elezioni regionali del 2000 “si sono incentrate in larga misura sulla rilevanza delle risorse che per il periodo 2000-06 si sarebbero riversate sul territorio.” (Graziano, 2002, p.236) 110 Intervista a testimone privilegiato, Regione Basilicata, luglio 2003 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 113 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles esperienze ormai consolidate, si è infatti assistito negli ultimi due o tre anni ad un vero e proprio processo di “diffusione”, che ha condotto anche le amministrazioni regionali tradizionalmente più recalcitranti ad impegnarsi, in maniera più o meno organizzata, sulla scena europea. La crescita dell’attenzione verso il dialogo diretto con le istituzioni comunitarie e il parallelo aumento del numero degli uffici sono stati probabilmente favoriti dalla congiuntura di dinamiche in corso sia a livello europeo che nazionale: in primo luogo, come abbiamo già avuto modo di constatare, la politica di coesione dell’Unione e le varie riforme dei fondi strutturali hanno progressivamente introdotto principi e modalità di azione decisamente contrastanti sia con la policy legacy in tema di sviluppo regionale propria dell’esperienza italiana dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ’90 sia, più in generale, con l’intero assetto dei rapporti centro-periferia: i governi regionali, in base agli orientamenti promossi dalla Commissione, non si limitano infatti ad implementare provvedimenti emanati dal centro, ma diventano attori chiave nei processi decisionali di programmazione territoriale, oltre a ricevere una sorta di “investitura” per quanto riguarda la titolarità ad interloquire con Bruxelles. L’elevato grado di misfit (Green Cowles et al., 2001) tra le disposizioni comunitarie e la prassi invalsa a livello nazionale ha comportato notevoli ritardi nella risposta italiana a questa sfida, sia da parte del governo centrale, arroccato nella difesa di una visione “diplomatica” dei rapporti con l’Unione, sia da parte di molti governi territoriali, ancora impreparati a cimentarsi con una gamma di attività in gran parte del tutto nuova. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, tuttavia, la situazione ha conosciuto una prima, parziale svolta: i frequenti richiami della Commissione europea dovuti ai pessimi risultati riportati nell’attuazione dei programmi della fase 1989-93 hanno cominciato ad innescare alcuni timidi tentativi di riorganizzazione111, e parallelamente si è assistito alla formazione di una vera e propria advocacy coalition112 a sostegno di un’attenzione maggiore verso l’Europa e orientata a coinvolgere maggiormente i livelli di governo subnazionale nei negoziati e nella programmazione degli interventi cofinanziati dai fondi strutturali; con l’istituzione del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS) in seno al Ministero del Tesoro, è stato avviato un vero e proprio percorso di “sensibilizzazione” delle Regioni italiane, specie di quelle del Mezzogiorno, con la promozione di seminari e scambi di esperienze, con l’offerta di assistenza in sede di messa in opera degli interventi e, infine, tramite un maggior coinvolgimento diretto dei governi regionali nel corso dei negoziati per la definizione dei nuovi regolamenti per il 2000-06. In seguito a questa serie di operazioni, se ancora non si può affermare che vi sia stato un reale miglioramento delle capacità delle diverse amministrazioni regionali nell’affrontare e gestire efficacemente le politiche comunitarie di sviluppo territoriale, si è comunque diffusa la percezione che sempre più queste ultime rientrano nella gamma di attività in base alle quali viene giudicato l’operato di chi governa il territorio113. Questo lento processo di apprendimento si incrocia, come già menzionato, con l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Giunta: l’investitura diretta del Presidente, se da un lato ne accresce la legittimità nelle diverse sedi 111 Proprio al 1995 risale infatti l’istituzione della Cabina di regia nazionale e delle corrispondenti strutture regionali 112 Tale advocacy coalition non comprendeva solo esponenti di spicco del governo nazionale (Prodi, Ciampi) ma anche esperti (primo tra tutti Fabrizio Barca) ed alcuni Presidenti di Regione. 113 Intervista a testimone privilegiato, Regione Toscana, novembre 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 114 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles decisionali (anche nazionali114) e ne sancisce il ruolo centrale nei confronti del territorio, dall’altro ne aumenta la responsabilità per l’operato dell’amministrazione regionale: il successo riportato nella gestione degli interventi strutturali e la visibilità ottenuta in ambito europeo, che rientrano ormai tra i criteri in base ai quali è valutata l’attività di governo, entrano a far parte così degli obiettivi prioritari dei leader politici, che grazie a questi possono in un certo senso “reinventare” il proprio ruolo (Morlino, 2002) e gettare le basi per una loro nuova legittimità nei confronti dell’elettorato e del territorio (ivi comprese le varie articolazioni degli interessi presenti); una legittimità, questa, che non si fonda più solamente sull’identificazione partitica (afflitta da un costante processo di erosione) ma anche e soprattutto sulla componente efficiente della rappresentanza (Pizzorno, 1983). Nel quadro di questa congiuntura, la creazione di un ufficio a Bruxelles da parte di un governo regionale può essere letto sia come un passo per migliorare il proprio rendimento nelle tematiche di rilevanza comunitaria, sia come un’operazione ad alto contenuto “simbolico”, e cioè come un atto necessario per conquistare visibilità e credibilità agli occhi delle istituzioni europee e del proprio substrato territoriale. Anche le sedi più giovani non esitano a riconoscere che per il momento “l’importante è esserci”, aspettando i risultati delle riforme in corso a livello nazionale e sovranazionale prima di definire meglio la loro missione. Gli sviluppi paralleli del progetto di riforma del Titolo V della Costituzione e dei lavori della Convenzione europea, infatti, sono menzionati da molti degli intervistati tra le questioni da seguire con maggiore attenzione per orientarsi ed aiutare i governi regionali ad affrontare i cambiamenti che saranno richiesti, compresa una eventuale presenza più consapevole e incisiva vicina al cuore delle decisioni europee. Il panorama degli uffici a Bruxelles, attualmente così mutevole e variegato, è destinato quindi probabilmente ad assumere nuove sfumature in un futuro molto prossimo. Riferimenti bibliografici Badiello, L. (1998) “Regional offices in Brussels: lobbying from the inside” in Clayes, P.H., Gobin, C., Smets, I. e Winand, P. (a cura di) Lobbysme, pluralisme et intégration européenne, Bruxelles, Presses interuniversitaires européennes Badiello, L. (2000) “Ruolo e funzionamento degli uffici regionali a Bruxelles”, in Le istituzioni del federalismo, n.1, pp.89-119 Badiello, L. 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Questo da un lato consente loro di essere interlocutori autorevoli del governo centrale nella definizione delle principali scelte che influiscono sull’autonomia regionale, dall’altro li spinge a intervenire molto più che in passato nelle controversie interne ai loro partiti.” (p.533) Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 115 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Clayes, P.H., Gobin, C., Smets, I. e Winand, P. (a cura di) (1998) Lobbysme, pluralisme et intégration européenne, Bruxelles, Presses interuniversitaires européennes Conzelmann, T. (1998) “Europeanization of Regional Development Policies? Linking the Multilevel Governance with theories of policy learning and policy change”, EIOP vol.2 n.4, ( http://eiop.or.at/eiop/texte/1998-004a.htm ) Goldsmith, M. e Klausen, K. (a cura di) (1997) European Integration and Local Government, Cheltenham, Edward Elgar Graziano, P. 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Queste associazioni industriali svolgono un ruolo di tutela degli interessi degli associati attraverso tre attività principali: a) Monitoraggio legislativo b) Lobbying normativo e regolamentare c) Promozione degli interessi del comparto In molti casi, la partecipazione a livello dirigenziale in queste federazioni o associazioni europee è il risultato di “rapporti di forza” tra le associazioni e federazioni nazionali che cercano di imporre i loro candidati alla guida di queste strutture a Bruxelles. In quest’ambito, la presenza italiana (61) è concentrata in alcuni settori principali e qualche “nicchia”. Le rappresentanze dei gruppi industriali italiani con uffici a Bruxelles ALITALIA AUTOSTRADE EDIZIONI HOLDING ENEA ENEL ENI FERRERO FERROVIE FIAT FININVEST FINMECCANICA MEDIASET PIRELLI TELECOM ITALIA Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 117 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Lista delle associazioni di settore straniere o internazionali dove figurano italiani European Union of Semolina Manufacturers AGRI Federation of European Rice Millers AGRI European Coffee Federation AGRI European Association for Animal Production AGRI Association des Amidonnier et Feculliers AGRI International Confederation of Manufacturing of Furnishing Fabrics CHEM Federation of European Producers of Abrasives CHEM Federation of European Explosive Manifacturers CHEM European Petroleum Industry Association CHEM European Cement Association CHEM Euro Chlor Federation CHEM Confederation of National Associations of Tanners and Dressers CHEM Association of European Candle Manufacturers CHEM Association of European Manufacturers of Sporting Ammunition CHEM European Telecommunication Services Association COMM European Competitive Telecommunication Association COMM European Gas Research Group ENER Bureau of International Recycling ENV Federation of European Securities Exchange European Committee for the Valve Industry FIN FIN Euro Banking Association Confederation of International Trading Houses FIN FIN International Electrotechnical Commission International Conferedartion of Paper and Board Converters IND IND European Organisation for Packaging and Environment European Glass and Fibre Producers Association IND IND European Federation of Woodworking Machinery Manufacturers European Federation of Materials Handling and Storgae Equipment IND IND European Electronic Component Manufacturers European Confederation of Junior Enterprises IND IND European Confederation of Associations of Insulated Wires and Cables European Committee for Materials & Products for Foundries IND IND European Association of Pump Manufacturers Committee of European Cotton and Allied Textile Industry IND IND Comité Européen des Constructeurs d'Instruments de pesage Association of European Bycicle Industries IND IND World Jewellery Confederation LUX Federation of European Dental Laboratory Owners MED European Union of Private Hospitals MED European Federation of Catholic Medical Association MED EUCOMED European Vending Association MED SALE Eurogif International Ergonomics Association SALE SERV European Lawyers Union SERV European Internet Foundation SERV European Federation of Managerial Staff SERV Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 118 5 9 2 1 1 4 14 1 4 2 6 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Conference of Notaries of the EU Association Européenne pour la Protection des Œuvres et Services Cryptés SERV SERV Eurochambres TRADE Business Council Europe-Africa-Mediterranean TRADE Euroteam (Trasporti) TRANS European Trasmission Systems Operators TRANS European Sea Ports Organisation European Association for Civil Aviation Equipment TRANS TRANS European Intermodal Association TRANS European Council for Motor Trades and Repairs European Committee of Associations of Manufacturers of Gears and Transmission Parts TRANS European Business Aviation Association European Association of Tolled Motorways TRANS TRANS European Community Study Association Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI 2 9 TRANS EDU 1 I settori che mostrano una presenza italiana significativa sono: Industria (14), Trasporti (9), e Chimica (9). Tuttavia, si registra una presenza importante anche in settori di “nicchia”, come i servizi medici e i servizi notarili. La presenza italiana nel settore della gioielleria sta a dimostrare quanto sia importante per le imprese italiane del settore difendere i propri interessi a Bruxelles e in altre sedi internazionali. Non è un caso infatti che l’associazione di settore della gioielleria sia la “World Jewellery Association”, un’associazione con sede principale in Italia e uffici in varie parti del mondo, Bruxelles inclusa. Le azioni delle federazioni industriali francesi La FICIME (Federazione delle Imprese Industriali e Commerciali Internazionali della Meccanica e dell’Elettronica), che discende da un’unione creata nel 1909, raggruppa l’insieme degli attori economici che si occupano dell’importazione nel mercato francese di prodotti meccanici ed elettronici. Essa esercita un lobbying attivo sottoponendo all’attenzione dei poteri pubblici le sue proposte durante i processi di elaborazione dei testi legislativi o regolamentativi, partecipando ai negoziati sull’interpretazione o l’applicazione della regolamentazione e mantenendo un dialogo costante con le istituzioni europee ed internazionali. Le sue strategie di influenza vengono esercitate a vari livelli. A livello nazionale, essa partecipa attivamente ai gruppi di lavoro del Consiglio commerciale di Francia. A livello comunitario, i suoi target di predilezione sono Eurocommerce e EICTA, une federazione settoriale europea che raggruppa imprese come Thomson Multimedia e Alcatel. In questo modo, essa privilegia le attività di lobbying che si situano quanto più possibile all’inizio dei processi decisionali ad una strategia di rete e ad un approccio politico o tecnico. Alla luce di questi esempi, si capisce che il mancato riconoscimento della Francia come “lobbista” attivo è essenzialmente imputabile alla scarsa pubblicità delle sue azioni. Le federazioni nazionali divulgano raramente le loro strategie politiche europee attraverso i propri siti Internet. Ma esistono comunque delle eccezioni a questa regola. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 119 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Come continuatrici dell’azione delle federazioni, è opportuno citare le Camere di Commercio e dell’Industria francese, in particolar modo la CCIP di Parigi-Ile-de-France che dispone di una delegazione a Bruxelles. La missione di quest’ultima è: - rappresentare i suoi membri e far valere gli interessi delle imprese dell’Ile-de-France a livello europeo, - verificare l’efficacia delle azioni che i suoi membri intraprendono nei confronti delle istituzioni europee, grazie a dei contatti regolari con queste ultime, - informare la CCIP Ile-de-France sull’attualità europea che ha un interesse per le imprese che patrocina, - aiutare la CCIP Ile-de-France a trarre il massimo vantaggio dagli appalti e dai programmi comunitari. Fonte: Rapporto CCIP, 2002 La rappresentanza di Confindustria e le rappresentanze delle Federazioni industriali confederate La rappresentanza di Confindustria a Bruxelles rappresenta larga parte delle imprese italiane e delle Federazioni industriali. Tuttavia, talune federazioni hanno scelto di essere rappresentate a Bruxelles tramite propri uffici e rappresentanti. Ufficio di Confindustria e delle Federazioni Industriali italiane confederate con uffici a Bruxelles CONFINDUSTRIA AFI ANCE ANIE ASSICA ASSOLATTE AIOP FEDERACCIAI FEDERALIMENTARE FEDERCHIMICA FEDERCOMIN FEDERLEGNO-ARREDO UNACOMA Fonte: Confindustria 2006 La rappresentanza di Confindustria a Bruxelles agisce secondo quattro modalità: a) Diretta, in base alle priorità annualmente individuate b) Indiretta, attraverso la partecipazione all’UNICE c) Coordinata, con consultazioni regolari con le altre rappresentanze economiche e industriali italiane e straniere, e con le Rappresentanze d’Italia Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 120 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles d) Di ritorno, attraverso la promozione dei “valori” europei in Italia In considerazione dell’esteso e dettagliato programma di priorità (37) di Confindustria per il 2006, è evidente che molte delle materie siano trattate secondo una combinazione delle modalità esposte sopra. È importante notare come un così imponente programma di priorità annuali sia indicativo della consapevolezza di Confindustria di quanto sia rilevante l’attività legislativa, la normazione e la regolamentazione che si decide a Bruxelles sulle opportunità di sviluppo economiche e industriali italiane. Priorità e obiettivi di Confindustria per il 2006 PRIORITÀ OBIETTIVI Attuazione del programma italiano di riforma “strategia di Lisbona” - Sostenere l’attuazione delle liberalizzazioni Prospettive finanziarie 20072013 - Difendere gli investimenti in infrastrutture (reti trans-europee) Fondi strutturali 2007-2013 - Vigilare per l’attuazione delle misure in materia di sicurezza e promozione della legalità Infrastrutture: rete TEN - Difendere le dotazioni finanziarie della rubrica reti TEN nelle prospettive finanziarie 2007-2013 - Vigilare alla realizzazione di progetti in materia di ricerca e infrastrutture - Vigilare sull’impegno italiano pluriennale per la realizzazione delle opere trans-europee VII PQ per la Ricerca e l’Innovazione Comunicazione sulla politica industriale dell’UE e suo follow-up PQ per la Competitività e l’Innovazione 2007-2013 - Sostenere interventi presso il Parlamento europeo e il Consiglio per: - Finanziamento delle Piattaforme Tecnologiche - Fondi dedicati alla ricerca da parte delle PMI - Coinvolgimento dell’industria italiana nel European Research Council - Sostenere il rapporto forte che esiste tra il territorio e l’industria - Contribuire all’elaborazione del parere del Parlamento - Elaborare programmi di lavoro annuali diretti all’attuazione concreta del programma Seguire i lavori di prima lettura al Consiglio e al Parlamento Direttiva “Bolkenstein” (liberalizzazione dei servizi) - Sostenere la proposta della Commissione salvaguardandone l’impianto generale e in particolare il principio del paese d’origine e la liberalizzazione delle professioni regolamentate - Apportare modifiche sulle disposizioni in materia di distacco dei lavoratori Libro Bianco sui servizi di interesse generale - Reagire con posizioni ed azioni specifiche alle iniziative prese dalla Commissione in materia di liberalizzazione dei servizi di interesse generale Riforma degli aiuti di Stato 2005-2009 - Difendere le forme di ricerca e d’innovazione di processo prevalenti nei settori “maturi” dell’industria - Consentire una semplificazione per autorità ed imprese nel campo degli aiuti esentati da notifica Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 121 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Tassazione delle società - Seguire i lavori della CCCTB115 allo scopo di sopprimere alcuni ostacoli fiscali presenti sul mercato interno Proposta di revisione della Direttiva Orario di lavoro 2003/88 CE - Assicurare una maggiore flessibilita’ organizzazione dell’orario di lavoro Direttiva sulla portabilità dei diritti a pensione complementare - Sostenere gli obiettivi della proposta al fine di facilitare la mobilità transfrontaliera all’interno dell’UE Direttiva relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale - Contribuire alla definizione della posizione UNICE116 Regolamento REACH - Appoggiare la posizione del Parlamento e del Consiglio che prevede una valutazione del rischio indipendentemente dalle quantità di sostanze chimiche prodotte Revisione della quadro sui rifiuti Direttiva - Svolgere un’azione coordinata di sensibilizzazione presso le istituzioni europee nell’ambito del gruppo UNICE sui rifiuti Revisione della Direttiva quadro sulla qualità dell’ariaambiente (96/62/EC) e della Direttiva relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici - Svolgere un’azione coordinata di sensibilizzazione presso le istituzioni europee allo scopo di elaborare una strategia di azione comune a tutta l’industria europea in ambito UNICE Libro Verde sull’iniziativa europea per l’efficacia energetica - Prendere posizioni che sintetizzino le principali richiese del settore industriale volte al miglioramento del mercato interno dell’energia in ambito UNICE Piano d’azione biomasse - Appoggiare l’adozione delle energie rinnovabili sulle nella gestione ed - Contrastare le modifiche avanzate dalla Commissione e dal Parlamento contrarie al rilancio della competitività - Accertarsi che non vi siano rischi di limitare lo sviluppo delle pensioni complementari in Europa - Valutare il potenziale di sviluppo sul territorio italiano delle biomasse in ambito UNICE Direttiva sulle indicazioni nutrizionali dei prodotti alimentari - Seguire il follow-up del dossier insieme alle Federazioni del settore alimentare Piano d’azione sulla Better Regulation - Seguire il follow-up delle iniziative intraprese in collaborazione con l’UNICE Revisione di metà percorso del Libro Bianco sulla politica dei trasporti - Sostenere le realizzazione di opere in tempi più brevi per consentire alle imprese europee di usufruire di una rete di trasporti efficiente e sicura Revisione di metà percorso sull’implementazione della Direttiva sui Biocarburanti - Seguire il follow-up del dossier in base alle nuove strategie proposte dalla Commissione Proposta di Direttiva per emendare la Direttiva del Consiglio 91/414/CEE sulla commercializzazione dei prodotti per la protezione delle piante - Seguire l’iter legislativo in collaborazione con Federchimica e con l’apposito gruppo UNICE 115 Common Consolidated Corporate Tax Base (“base imponibile consolidata comune”). Nell’ambito di tale direttiva, Confindustria ha contribuito alla designazione di un italiano come relatore al Parlamento europeo, in modo da seguire più da vicino il relativo dossier. 116 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 122 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Strategia tematica sul suolo e relativa direttiva - Seguire l’iter legislativo sia individualmente che nell’ambito dei gruppi UNICE Modifica della Direttiva 2003/89/CE per includere il trasporto aereo nel meccanismo per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - Seguire gli sviluppi della proposta per evitare che un’eventuale inclusione del settore del trasporto aereo possa avere effetti negativi su settori energivori Libro Verde per una politica energetica sicura, competitiva e sostenibile per l’Europa Seguire iniziative rilevanti quali: - piano d’azione sull’efficienza energetica - comunicazione sulle tecnologie per il carbone pulito - comunicazione sulle prospettive future per i biocarburanti - avanzare proposte per il Libro Verde sull’adattamento al cambiamento climatico Indagine sul funzionamento del mercato interno dell’energia elettrica e del gas naturale - Partecipare, assieme all’UNICE, alla stesura di un documento di posizione che sintetizzi le principali richieste del settore industriale volte al miglioramento del mercato interno dell’energia Modifica delle direttive-ricorsi sugli appalti pubblici - Seguire il follow-up del dossier in base alle nuove strategie proposte dalla Commissione Piano d’azione UE sulle migrazioni per motivi economici - Collaborazione col gruppo di lavoro UNICE per elaborare una posizione comune sul piano d’azione Comunicazione sulla responsabilità sociale delle imprese - Supportare l’UNICE in una costante attività di lobbying tesa ad evitare ogni tentativo di istituire un quadro di riferimento europeo per la responsabilità sociale o di imporre l’elaborazione di rapporti annuali sulla RSI Riforma del codice doganale europeo - Seguire il dibattito e le proposte di revisione, grazie anche alla collaborazione di un appostito gruppo di lavoro costituito da esperti di Confindustria, delle associazioni e dell’Agenzia delle Dogane Marchio di origine - Seguire l’iter legislativo in collaborazione col Governo al fine di favorire la sua azione politica nel creare il consenso politico sulla proposte di regolamento avanzata WTO – Agenda di Doha - Stabilire una sorta di “registro” delle principali barriere non tariffarie che ostacolano gli scambi internazionali e di cui deve essere disposto l’abbattimento - Sostenere il rilancio delle relazioni bilaterali, attraverso cui l’UE possa negoziare più efficacemente i necessari vincoli di salvaguardia del mercato interno Rapporti UE – Cina (MESIPR) - Difendere gli interessi dell’economia UE contro la pratica del dumping cinese Strumenti di difesa commerciale (inchiesta antidumping calzature) - Sostenere l’adozione degli appositi strumenti comunitari da parte delle imprese, associazioni e governi europei a sostegno della competitività dell’industria europea Contraffazione Frattini) - (pacchetto Sostenere la posizione del Commissario Frattini volta all’armonizzazione dei sistemi penali in vigore negli Stati membri Fonte: Confindustria, “Priorità di Confindustria per il 2006”, 26 gennaio 2006 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 123 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Il merito di questo programma è certamente quello di avere e di presentare idee chiare e ben strutturate. Ma anche Confindustria incontra una difficoltà tutta italiana: l’instabilità politica e delle classi dirigenti. Quindi questo programma, peraltro coraggioso, dipenderà per la sua riuscita dalla capacità di Confindustria a federare forze convergenti sul piano nazionale e, di riflesso, nel sistema europeo. Ad esempio, già nella sessione di febbraio 2006 del Parlamento europeo, il PPE, del quale la componente governativa italiana è consistente, non ha votato a favore del “principio del Paese d’origine” nell’ambito del voto sulla direttiva sui servizi, sostenuto da Confindustria. Libertà di prestazione di servizi e principio del paese d’origine A seguito di un complicato voto per appello nominale su quasi ogni singolo paragrafo dell'emendamento frutto del compromesso tra popolari e socialisti, il Parlamento ha confermato la cancellazione del principio del paese d'origine. La nuova formulazione prevede che gli Stati membri debbano «rispettare il diritto dei prestatori di servizi» di operare in uno Stato membro diverso da quello «in cui hanno sede», e debbano assicurare il libero accesso a un'attività di servizio e il libero esercizio dell'attività di servizio sul proprio territorio. Inoltre, gli Stati membri non devono ostacolare la prestazione di servizi sul loro territorio imponendo requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati. La discriminazione, in particolare, non deve essere fondata sulla cittadinanza o sulla sede sociale. I requisiti, poi, sono ritenuti giustificati solamente per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e della salute. Fonte: Parlamento europeo 21 febbraio 2006 Un’attività di un certo interesse intrapresa da Confindustria è quella tesa a far uscire le imprese italiane dalla “sindrome nazionale”, promuovendo incontri tra imprenditori italiani e Commissari di altri Paesi membri dell’Unione europea. Dal punto di vista del coordinamento, abbiamo registrato uno sforzo maggiore per cercare di creare tavoli di “convergenza “ tra rappresentanti italiani attorno alla principale confederazione di interessi economici e industriali. Tuttavia, la loro eterogeneità rende difficile l’esercizio. Inoltre, si registra un insufficiente collegamento strategico e operativo tra le attività della Rappresentanza Permanente d’Italia e le rappresentanze delle associazioni, confederazioni e federazioni industriali italiane. Infine, richiamiamo l’attenzione sul debole contributo che le industrie e le istituzioni italiane danno per accrescere e migliorare il numero e la qualità degli Esperti Nazionali Distaccati (END) presso le istituzioni comunitarie. Gli industriali italiani lamentano una carenza legislativa che permetta alle imprese di distaccare personale senza sostenerne interamente i costi. Ma questa posizione è poco strategica se si considera quanto certi END posizionati nei posti giusti possono fare per l’Italia, e quindi anche per le imprese. Dal punto di vista delle federazioni industriali confederate con propri uffici di rappresentanza a Bruxelles, si ritiene che mentre Confindustria funge da “cappello Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 124 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles politico trasversale” le Federazioni tutelano direttamente gli specifici interessi settoriali dei propri associati. Alcune di queste rappresentanze hanno ormai 10 anni di esperienza a Bruxelles. Sebbene queste rappresentanze agiscano su questioni specifiche e puntuali, è stato notato che il coordinamento con il resto delle rappresentanze italiane, dalle Regioni alla Rappresentanza Permanente d’Italia, sembra assai debole. Questo stato di cose rischia di far percepire l’Italia in ordine sparso, nonostante le buone intenzioni. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 125 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 4. Le associazioni di settore Le associazioni di settore sono organizzazioni che hanno come scopo quello di presentare “con una faccia unica” un settore di attività altrimenti composito e, spesso, eterogeneo. Oltre ad una funzione informativa verso l’esterno e nei confronti dei propri associati, queste organizzazioni fungono da moltiplicatori dello sforzo di una singola azienda. Infine, è frequente che le associazioni di settore possano avere un ruolo specifico di pressione su tematiche generali, meglio di quanto potrebbe fare una singola azienda. Le associazioni di settore esistono tanto a livello nazionale quanto a livello transnazionale (associazioni europee di settore). Questo paragrafo prende in considerazione solo le prime, che hanno un ufficio di rappresentanza a Bruxelles. Nel 2006, il CIPI ha repertoriato le seguenti associazioni italiane di settore con un ufficio a Bruxelles: Associazione Settore ANACAM http://www.anacam.it/index.asp ASSONIME http://www1.assonime.it/ ASSOZUCCHERO http://www.federalimentare.it/docassozucchero.html CIA http://www.cia.it/cia/ CNA http://www.cna.it/ COLDIRETTI http://www.coldiretti.it/ CONFAGRICOLTURA http://www.confagricoltura.it/ CONFARTIGIANATO http://www.confartigianato.it/ CONFCOMMERCIO http://www.confcommercio.it/home/ CONFCOOPERATIVE http://www.confcooperative.it/default.aspx CONFESERCENTI http://www.confesercenti.it/ FIT http://www.tabaccai.it/ Imprese di costruzione manutenzione di ascensori di Società di capitali Industrie produttrici dell’alcol, e del lievito di zucchero, Imprese agricole Artigianato e PMI Imprese agricole Imprese agricole Imprese e imprenditori artigiani Imprese commerciali, del turismo e dei servizi Movimento sociali cooperativo e imprese Imprese commerciali, del turismo e dei servizi Rivenditori di generi di monopolio Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 126 e Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Le rappresentanze delle associazioni italiane di settore con uffici a Bruxelles ANACAM ASSONIME ASSOZUCCHERO CIA CNA COLDIRETTI CONFAGRICOLTURA CONFARTIGIANATO CONFCOMMERCIO CONF COOP ITALIANE CONFESERCENTI FIT HANDICRAFTS Fonte: dati elaborati dal CIPI Abbiamo voluto tracciare una “mappa” della presentazione delle questioni europee di rilevanza per queste associazioni di settore come appare nei loro siti Internet117. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web delle associazioni italiane di settore118 25 20 15 10 5 t Fi a Cn a Ci er zu cc h ac o am As so co m nf Co An er ci m ol ric ag nf Co nf Co o tu ra ti e es er ce n ra tiv pe co o nf Co Co nf ar t ig Co ia ld na ire to t ti 0 Fonte: dati elaborati dal CIPI 117 I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente trattato. Si veda pagina 33. 118 Si noti che il sito di Assonime è in costruzione per la parte dedicata all’Europa. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 127 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Sebbene questo settore meriti un approfondimento specifico, crediamo opportuno segnalare due considerazioni basate sull’analisi della percezione che ha nelle istituzioni comunitarie di queste organizzazioni si: Carenza di coordinamento tra le organizzazioni rappresentative dello stesso settore: interessi spesso particolaristici confliggono con quelli generali dell’insieme della categoria che si trova iper-rappresentata da più di un’organizzazione Anacam emerge come l’organizzazione che più ha saputo sfruttare l’interazione con le altre organizzazioni europee dello stesso settore Tuttavia, in alcuni casi le organizzazioni italiane riescono a trovare un comune denominatore e ad agire in modo coeso anche con le amministrazioni centrali dello Stato. Qui di seguito proponiamo una success story italiana esemplificativa dell’importanza del coordinamento. Lobby italiana sullo zucchero L’accordo raggiunto sulla riforma del mercato dello zucchero (2005) rappresenta un buon esempio di success story dell’attivita’ di lobbying italiana esercitata a Bruxelles: i risultati positivi ottenuti hanno dimostrato che una maggiore unità tra gli attori italiani nel portare avanti i propri interessi rappresenta senz’altro un punto di forza. Al termine dei negoziati lo scorso novembre 2005, i Ministri UE dell'Agricoltura hanno raggiunto un accordo sulla riforma del mercato dello zucchero, settore che aveva resistito per 40 anni ad ogni riforma della Politica Agricola Comune: e’ stato sancito un taglio dei prezzi di riferimento di tale prodotto del 36% in quattro anni (e non più del 39% in due anni come previsto originariamente) e sono stati fissati sostanziosi aiuti economici di accompagnamento e per la riconversione. Tra i protagonisti schierati a favore della causa italiana il Ministro alle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, è stato tra i più attivi nel patteggiare meccanismi finanziari convenienti ad un Paese, come l'Italia, dalle basse rese nel settore della bieticoltura (6,05 tonnellate per ettaro rispetto alle 10 del Belgio o alle 11,35 della Francia). Alemanno ha stimato che in Italia su 19 impianti saccariferi ora esistenti, 6-7 stabilimenti, quasi tutti concentrati nella Pianura Padana, potranno continuare la loro attività e con una maggior capacità produttiva. La produzione di zucchero non scomparirà quindi dall'Italia, ma, al contrario, alla luce del nuovo scenario, circa il 50% dell'attuale produzione saccarifera italiana dovrebbe riuscire a salvarsi e a rimanere competitiva. Il resto del comparto potrà disporre di circa 700 milioni di euro in due anni per attuare processi di ristrutturazione e aiutare gli agricoltori che dovranno cambiare tipo di coltura, in modo da evitare perdite gravi nel settore occupazionale e permettere di trovare un’altra destinazione per ogni posto di lavoro perso nel settore dello zucchero. L'intesa raggiunta a Bruxelles è stata possibile grazie ad “un gioco di squadra” di tutti gli attori coinvolti. Infatti, i risultati hanno soddisfatto vari esponenti del governo italiano ma anche Coldiretti, Confagricoltura e Cia-Confederazione Italiana Agricoltori che hanno sottolineato come, grazie a questo sforzo negoziale, siano stati ottenuti risultati nettamente migliorativi rispetto alle proposte iniziali. Fonte: dati elaborati dal CIPI in base ad articoli della stampa italiana Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 128 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 5. I gruppi industriali Alcune considerazioni sono comuni a quasi tutte le rappresentanze di gruppi industriali italiani a Bruxelles: a) Il NO francese al progetto di Trattato per la Costituzione europea ha reso ancor più importante Bruxelles come sede reale di negoziato rispetto alle capitali nazionali b) La spinta globale sui settori industriali sposta l’attenzione dai singoli Paesi a Bruxelles c) Il benchmark di riferimento resta ancora il sistema regolamentativo degli Stati Uniti d’America d) Il miglior modo per influenzare le istituzioni comunitarie è adottare una modalitá di comunicazione adatta al contesto di Bruxelles-Europa (European Communication Policy) – sapendo presentare e comunicare in più lingue e) La distrazione della stampa italiana dai dibattiti sulle policy europee penalizza le imprese italiane f) L’esigua presenza e l’assegnazione poco strategica degli END italiani nelle strutture comunitarie non aiuta le imprese italiane g) La presenza delle imprese italiane sui temi di policy è inesistente sulla stampa internazionale, la quale ha maggiore effetto sulle azioni di lobbying h) La presenza nella comitatologia è buona, ma non sempre è buona la qualità dei partecipanti i) Poche imprese producono e disseminano informazioni con contenuti strategici j) Poche imprese riescono ad organizzare la loro presenza a Bruxelles guardando oltre il proprio settore, inserendosi in un contesto più ampio e articolato k) La maggior parte degli interlocutori ultili all’industria italiana nel sistema dell’Unione europea non sono italiani l) La creazione di networks con le “nuove industrie” è ancora carente Queste considerazioni si possono estendere alla maggior parte delle rappresentanze industriali europee, con varie eccezioni, ma non si applicano affatto alle multinazionali presenti a Bruxelles, particolarmente a quelle anglosassoni e americane. È indicativo che solo una impresa italiana (Telecom Italia) sia membro del Brussels Round Table, il più importante network di incontro e dialogo tra imprese europee e mondiali a Bruxelles. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 129 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Esempio di success story per l’Italia nel campo delle telecomunicazioni Seguendo i recenti sviluppi dell’apertura del mercato delle telecomunicazioni europeo, in base al rapporto119 presentato a Bruxelles lo scorso 20 febbraio dalla Commissaria Ue per la Societa’ dell’Informazione e i Media, Vivianne Reding, notiamo che l’Italia ha conosciuto notevoli sviluppi. A trainare la crescita del settore Tlc nel 2005 e’ stato principalmente lo sviluppo della banda larga e delle comunicazioni mobili, uscendo a testa alta dal confronto con gli altri Paesi europei. Alcuni dati: a partire dall’ottobre 2004 il settore della banda larga ha mostrato il suo livello di competitivita’ grazie ad una crescita di piu’ del 50% delle connessioni (quasi interamente Dsl), dovuta ad una forte concorrenza tra gli operatori che ha portato ad una significativa riduzione dei prezzi. L’Italia e’ inoltre il secondo Paese col tasso piu’ alto di numeri mobili portati, il doppo della media Ue: nell’ottobre 2005 il Paese ha registrato il principale tasso di penetrazione in Europa (111%), con un totale di 65 milioni di abbonati (+10% rispetto all’ottobre 2004), a dimostrazione dell’elevato livello di crescita conosciuto nel settore della telefonia mobile. Altro dato positivo per l’Italia si registra sulle tariffe previste per i cellulari, che risultano di quasi il 3% al di sotto della media europea. La situazione del mercato delle telecomunicazioni e’ tale che, la stessa Commissaria, ha sottolineato come il caso italiano possa rappresentare un buon esempio per l’evoluzione di mercato anche per altri settori, quali quello dell’energia e dei trasporti. « Sono assolutamente soddisfatta dell’evoluzione del mercato italiano. – ha dichiarato la Reding – E’ un’evoluzione che va verso la concorrenza, verso una maggiore scelta e verso tariffe piu’ basse »120. Fonte: articoli di stampa ed elaborazione del CIPI Un altro esempio di successo tra le rappresentanze industriali italiane è quello delle Ferrovie dello Stato che è percepito nelle istituzioni comunitarie tra i più attivi. Infatti, quest’ufficio è particolarmente ben integrato nella federazione europea del settore (CER), di cui ha avuto la presidenza ed attualmente mantiene la vicepresidenza, ma ha anche promosso attività di sostegno ai progetti per le reti transfrontaliere coagulando interessi di numerosi deputati europei appartenenti a più di 6 Paesi. Le Ferrovie dello Stato sono in prima linea anche in materia regolamentare, promuovendo e sostenendo attività normative in materia di reciprocità delle regolamentazioni nazionali relative alla liberalizzazione dei servizi ferroviari. Infine, l’ufficio delle Ferrovie dello Stato a Bruxelles ha promosso e coordina il gruppo informale “Brussels Group” che riunisce periodicamente i rappresentanti a Bruxelles delle società nazionali di servizi ferroviari. Almeno 5 delle 15 rappresentanze di imprese italiane a Bruxelles esistono da più di 10 anni. Tuttavia, è opportuno ricordare che nel corso degli anni ’90 lo smantellamento dell’intervento pubblico nell’economia ha, probabilmente involontariamente, favorito la dispersione di un capitale di relazioni, sia nel mondo italiano sia in quello brussellese, che era rappresentato, ad esempio, dagli uffici 119 Si tratta dell’11° Rapporto d’Implementazione sulle Comunicazioni elettroniche – Electronic Communications Regulation and Market 2005. 120 Fonti prese dai comunicati stampa ANSA, Cim/Pn/Adnkronos e Apcom del 20 Febbraio 2006. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 130 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles dell’IRI e della STET a Bruxelles. Le nuove rappresentanze industriali che sono sorte dopo questo periodo ancora non hanno trovato un loro equilibrio attorno ad un polo aggregante degli interessi industriali italiani a Bruxelles. Le rappresentanze dei gruppi industriali italiani con uffici a Bruxelles ALITALIA AUTOSTRADE EDIZIONI HOLDING ENEA ENEL ENI FERRERO FERROVIE FIAT FININVEST FINMECCANICA MEDIASET PIRELLI TELECOM ITALIA Fonte: The European Public Affairs Directory 2006, e dati elaborati dal CIPI Tutte le rappresentanze industriali italiane agiscono da sole, per via di un carente coordinamento che non esiste se non ad un livello personale ed informale. Troppo è affidato alla “buona volontà” del rappresentante. La creazione di un “consiglio permanente dei rappresentanti delle imprese italiane” a Bruxelles potrebbe essere un’iniziativa utile per presentare il comparto industriale italiano in modo più coeso121 I problemi strutturali dell’Italia sono chiaramente riflessi anche nelle rappresentanze industriali. In pratica, le rappresentanze delle imprese agiscono in base al personal trust di cui è dotato il rappresentante, ma il sistema Paese è assente e non segue. C’è poca determinazione nel mantenere le posizioni assunte. Infatti, non è infrequente che dopo aver avanzato richieste, le imprese trovino più facile un rapido compromesso per “portare un risultato a casa”. Ma in questo modo la percezione che traspare è di debolezza e non di forza. 121 A questo proposito va ricordato che solo l’ufficio di Confindustria a Bruxelles si adopera per una maggiore strutturazione della presenza delle imprese italiane nei confronti delle istituzioni comunitarie Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 131 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Infine, con gradazioni diverse tra le varie imprese esiste un problema generale di relazione strutturale e di rapporto di fiducia tra l’ufficio di rappresentanza a Bruxelles e le strutture operative e decisionali dell’impresa in Italia. L’azione delle imprese francesi Sarebbe erroneo credere che in Francia esistano soltanto due imprese che si distinguono dalle altre per una maggiore aggressività nella difesa delle loro posizioni e per una spiccata tendenza a creare alleanze: Dassault e la Poste. Altri esempi non mancano. Le grandi imprese francesi non hanno nulla da invidiare ai loro omologhi europei. Michelin vanta la rappresentanza di più vecchia data a Bruxelles, poiché vi è presente sin dal 1976, allorché le Banche popolari si sono insediate nel 1978. Il 63% delle grandi imprese francesi hanno un ufficio o un rappresentante permanente a Bruxelles, che costituiscono per molti un’interfaccia della direzione delle relazioni con l’estero dell’impresa. Ad esempio, PSA gode di un’ampia capacità d’azione: dispone di una delegazione permanente a Bruxelles costituita da due collaboratori e da un ufficio di gestione delle relazioni con l’estero con sede a Parigi, e di una decina di dirigenti dotati di competenze specifiche che si occupano di settori ben precisi della legislazione comunitaria (competitività, tematiche sociali, argomenti scientifici e tecnici, aiuti statali…) La reputazione dell’impresa permette al presidente del gruppo di intrattenere rapporti diretti con la Commissione europea. Inoltre, in quattro anni, PSA è stata protagonista di ben tre audizioni dinanzi al Parlamento europeo in circostanze delicate e ha svolto un ruolo di peso in relazione alla direttiva auto-oil e a quella relativa al trattamento dei veicoli fuori uso. Questo non significa che esista una dimensione minima al di sotto della quale le imprese non possono accedere alle istanze comunitarie. Le PMI possono ugualmente svolgere un ruolo attivo, ma essenzialmente attraverso le organizzazioni professionali e i consulenti. Grazie alla sua originale idea di associarsi ad una ONG (WWF) per sostenere i propri interessi e gestire efficacemente ogni tipo di contestazione, Lafarge fornisce un altro esempio di lobbying. Fonte: Rapporto della CCIP, 2002 Imprese francesi che esercitano il loro lobbying da… Parigi Accor Alcatel Axa* BNP Paribas LVMH Suez Bruxelles Air liquide AGF (Allianz) Aventis Bouygues Cap Gemini Danone Dassault Dexia EADS France Telecom Lagardère Michelin Orange Peugeot Renault Saint-Gobain Sanofi-Synth. Schneider Sodexho TotalFina Elf Thales TMM Vivendi Vivendi-Environnement TF1 Bruxelles attraverso federazioni o consulenti Alstom Carrefour Casino Crédit Lyonnais Lafarge L’Oréal PPR SG STMicro *Axa è ugualmente rappresentata a Bruxelles attraverso la FFSA. Fonte: La Lettre de l’Expansion, 4 marzo 2002 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 132 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 6. I gruppi finanziari e assicurativi I gruppi finanziari e assicurativi italiani sono rappresentati in modo massiccio a Bruxelles. Dei 17 uffici, solo 7 sono repertoriati tra quelli con una specifica funzione di affari europei122. Gli altri uffici sembrano svolgere in prevalenza attività di retailing e di banca corporate. Gruppi finanziari e assicurativi italiani con uffici a Bruxelles ABI BANCA ETICA BANCAINTESA BANCA POP DI NOVARA BANCO DI NAPOLI CIR IST CENTR BANCHE POPOLARI MONTE PASCHI UNICREDIT ASS NAZ BANCHE POPOLARI BANCA DI ROMA BNL BANCA POP DI SONDRIO BANCO DI SARDEGNA GENERALI GROUP MCC SAN PAOLO IMI Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006, e dati elaborati dal CIPI Le attività europee degli uffici presi in considerazione dipendono molto dal mandato e dalla sensibilità della dirigenza delle aziende da cui dipendono. Certamente anche le qualità del capo dell’ufficio di Bruxelles fanno la differenza: visione a 360°, conoscenza giuridica approfondita, conoscenza del business, comportamento istituzionale. Nella maggioranza degli uffici repertoriati, siamo in presenza di grandi qualità manageriali nel settore d’esercizio, ma solo in pochi casi sono state riscontrate capacità e competenze negli affari europei. Negli affari europei il benchmark del settore è BancaIntesa. Tuttavia, in taluni altri casi, è credibile che una maggiore esposizione della dirigenza degli istituti alle questioni europee potrebbe facilitare il ruolo di lobbying dei rappresentanti a Bruxelles. Nel retailing, il benchmarck del settore è Monte Paschi Belgium. Si deve comunque notare che Monte Paschi Belgium ha investito significativamente nel 122 In The European Public Affairs Directory, 2006, figurano: Banca di Roma, Banca Intesa, Banca Monte Paschi Belgio, Banca Nazionale del Lavoro, San Paolo Imi, Unicredito Italiano. Spicca nel repertorio l’assenza dell’ABI e dell’Associazione Nazionale delle Banche Popolari. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 133 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles settore delle pubbliche relazioni e dell’immagine, con l’apertura dell’ufficio e della bella sala conferenze a due passi dalla sede delle istituzioni europee. Questa scelta è evidentemente sinergica con la strategia retailing del gruppo. Non è possibile, tuttavia, pensare che le stesse risorse del retailing possano anche essere quelle del lobbying. Le competenze e i mestieri sono assai diversi, benché complementari. Bruxelles è un luogo composito, non paragonabile a Londra o Parigi, ma solo a Washington, in cui la selezione si produce su due livelli: a) chi ci viene; b) chi ci resta. Così come avviene in altri settori d’attività, per avere successo negli affari europei e nel lobbying il percorso (noto) ha una durata di almeno 2 anni: a) partecipare a tutte le consultazioni della Commissione b) usare compiutamente la lingua d’uso (inglese; francese; tedesco) c) essere visibili nelle associazioni “che contano” a Bruxelles d) avere la tenacia di fare un lobbying tecnico, evitando contatti informali con le istituzioni e) lanciare una campagna di pubbliche relazioni f) sviluppare contatti con le istituzioni europee Benché il settore dei gruppi finanziari e assicurativi italiani abbia bisogno di un approfondimento, un indicatore per percepire nell’insieme le attività europee di questi gruppi può essere fornito da un quadro valutativo della presentazione che ciascuno di essi fa attraverso i propri siti Internet. Abbiamo voluto tracciare una “mappa” della presentazione delle questioni europee di rilevanza per i gruppi così come appare nel sito Internet del gruppo o dei 17 uffici con sede a Bruxelles123. Valutazione qualitativa delle informazioni sugli affari europei nei siti Web dei gruppi finanziari e assicurativi italiani con uffici a Bruxelles 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 Monte Paschi Unicredit Generali Group Banco di Napoli/San Paolo IMI BNL Banca Intesa Banca di Roma Banca Etica Ass. Naz. Banche Pop. 0 Fonte: dati elaborati dal CIPI 123 I criteri e la metodologia sono stati ripresi da quelli adottati nelle precedenti valutazioni delle attività europee nei siti web degli enti considerati, adattandoli leggermente per il diverso ente trattato. Si veda pagina 32 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 134 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 7. Le Università e la ricerca Due uffici, recentemente integratisi in un unico spazio comune, rappresentano il settore della ricerca e delle Università italiane. Il CNR (aperto nel 1993) e la CRUI. Qualche Università italiana (San Raffaele, Mario Negri) ha delle antenne proprie a Bruxelles, mentre qualche altra ha creato delle convenzioni con gli uffici delle Regioni o delle Unioncamere regionali per ricevere direttamente informazioni sulle opportunità che offre l’Europa nei loro settori di ricerca. L’ufficio del CNR, che in passato aveva principalmente una funzione di raccolta e distribuzione delle informazioni europee per le università e gli istituti di ricerca italiani, oggi svolge le seguenti attività: a) Assistenza a più di 400 progetti di ricerca attivi e finanziati dall’Unione europea b) Antenna di intelligence sull’elaborazione dei programmi di ricerca dell’Unione europea c) Coordinamento con gli altri uffici omologhi a Bruxelles per forgiare un approccio comune europeo sulle questioni della ricerca Recentemente, l’intero comparto della ricerca italiana e delle università ha vissuto una profonda riforma e ristrutturazione, tesa ad un maggiore collegamento tra la ricerca e l’industria. Tuttavia, sebbene l’esito della transizione in corso si potrà valutare tra qualche anno, si deve notare che il CNR non è un’agenzia nazionale di finanziamento della ricerca, ma è un organismo attivo nella ricerca. Nel 2006, l’Italia avrà la presidenza di Eureka. Questo risultato è stato raggiunto grazie ad un forte lobbying a sostegno della candidatura italiana. Tra i motivi che hanno ispirato questa scelta: a) Accrescere la visibilità della ricerca italiana in Europa b) Rafforzare il processo di trasformazione del CNR c) Concorrere direttamente alla strutturazione dell’Europa della ricerca e alla destinazione di maggiori fondi Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 135 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 8. Gli studi legali e gli uffici di consulenza italiani La presenza degli studi legali italiani a Bruxelles è diventata piuttosto stabile negli ultimi anni. Invece, il numero degli studi legali internazionali, e particolarmente anglosassoni, continua a crescere in tutti gli Stati europei e a Bruxelles, in modo simmetrico all’espansione del mercato mondiale e del commercio. Ripartizione per nazionalità del numero degli Studi Legali insediati a Bruxelles che svolgono attività presso le istituzioni comunitarie 30 Belgio Danimarca 1 5 Francia 9 Germania 5 Internazionali 8 Italia 1 Norvegia 2 Paesi-Bassi 4 Polonia 22 Regno-Unito 1 Slovacchia 4 Spagna 27 Stati Uniti 1 Svezia 0 5 10 15 20 25 30 35 Fonte : The European Public Affairs Directory,2006, e dati elaborati dal CIPI Per capire queste tendenze si devono considerare alcuni fattori. Dal 2004, tutte le Authority di settore a livello nazionale hanno visto crescere la loro importanza, sia in termini di competenze, sia in termini quantitativi basati sulla “rilevanza non europea” delle operazioni da regolamentare. In pratica, la soglia oltre la quale una questione diventa di rilevanza europea è ormai ben più alta rispetto agli anni ’80-’90. È quindi chiaro che, particolarmente per il mercato italiano, prevalentemente caratterizzato da imprese di medie e piccole dimensioni, risulta più interessante interagire, e/o influenzare, le Authority nazionali invece che il regolatore europeo a Bruxelles. Invece, il numero di avvocati italiani che operano in strutture legali straniere o internazionali è in crescita. La ragione risiede nel fatto che le M&A sono prevalentemente indotte dal mercato internazionale, ed hanno bisogno di esperti giuristi nazionali. Inoltre, esiste un atteggiamento tutto italiano che privilegia gli interventi di emergenza rispetto a quelli basati sulla programmazione strategica e la prevenzione. Anche le procedure di anti-dumping e anti-subsidy sono attivate dai clienti italiani come ultimo rimedio protezionistico, mai con anticipazione e lungimiranza. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 136 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Le imprese italiane sembrano capire poco la necessità di fare alleanze internazionali per creare massa e forza d’urto sufficienti per influire sui casi di competenza a livello comunitario a Bruxelles. Ad esempio, in materia ambientale (negoziato e applicazione delle regole di Kyoto) o di prodotti chimici (negoziato per la direttiva REACH), mentre tutti i grandi Paesi erano già mobilitati con tre anni d’anticipo sulle decisioni, il settore chimico italiano era virtualmente assente. È evidente che con questo tipo di gestione non resta che occuparsi delle procedure d’infrazione. In generale, le professioni legali a Bruxelles lamentano la scarsa propensione delle imprese europee ad impegnarsi nella difesa preventiva, e sulla durata delle loro posizioni. C’è la diffusa sensazione che le imprese europee vedano il loro ambiente economico come immutabile, anche se confrontate con l’evidenza dei fatti. Le imprese italiane rappresentate a Bruxelles, con qualche eccezione (Poste italiane, Telecom Italia, Banca Intesa), fanno scarso uso di consulenza legale per gestire le loro azioni di influenza sulle strutture comunitarie. È l’atteggiamento contrario alla pratica comune in quasi tutti gli altri Paesi. Persiste anche un certo timore nel fare ricorso a studi legali stranieri o internazionali che operano negli stessi settori per una molteplicità di clienti di diversi Paesi. Alcune imprese italiane vi vedono un eventuale pericolo di “contaminazione” delle informazioni riservate che necessariamente devono essere svelate e discusse. Per questa ragione, la scelta prioritaria è di rivolgersi ad avvocati italiani che vengono percepiti dalle imprese come più vicini ai loro interessi. Per quanto riguarda gli studi di consulenza italiani a Bruxelles, esistono due categorie: a) Consulenza tecnica (progetti e programmi europei; public funding) b) Comunicazione, Pubbliche Relazioni, e Lobbying Mentre la presenza degli studi di consulenza tecnica, è più consistente (il CIPI ne ha repertoriati 10 nel 2006), la presenza nel settore del lobbying è molto scarsa (il CIPI ne ha repertoriati 2 nel 2006). Quanto alla comunicazione e alle pubbliche relazioni, quasi tutti gli studi di consulenza italiani dichiarano queste attività. Una sola società italiana di consulenza è invece dedicata alla realizzazione di eventi. Nel settore della consulenza tecnica le società italiane di consulenza sono ben strutturate e riescono a creare alleanze internazionali per la partecipazione ai programmi comunitari. In questa categoria si distinguono sia per il numero di progetti a cui partecipano, sia per il fatturato e il numero di alleanze internazionali Agriconsulting e Soges Group. È invece il settore del lobbying, nel quale non iscriviamo le attività di comunicazione e di pubbliche relazioni, che presenta la maggiore debolezza. Le due società repertoriate soffrono entrambe della poca propensione delle imprese e degli enti italiani a vedere il lobbying come strumento strategico necessario per incidere sui processi legislativi europei. Questa situazione fa emergere il ritardo italiano nell’approccio al lobbying nel suo complesso, e a livello europeo in particolare. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 137 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 9. Le associazioni della “società civile” italiana Anche nel caso delle associazioni della “società civile” italiana sarebbe necessario un approfondimento specifico. Tuttavia, per le finalità di questo Rapporto crediamo utile rappresentare in breve la loro presenza a Bruxelles. Le più antiche associazioni della società civile a Bruxelles sono le numerose ed attive associazioni regionali, patronali, e settoriali (oltre 80) che hanno svolto, e ancora svolgono, un importante ruolo di aggregazione sociale e culturale. Esistevano anche dei centri culturali, come ad esempio il Leonardo da Vinci, che svolgevano una funzione aggregativa sia per gli italiani che per altre nazionalità immigrate in Belgio. In origine, queste associazioni, insieme a quelle del mondo cattolico (ACLI e Foyer Catholique) costituivano il più grande e capillare network non politico degli italiani a Bruxelles (e in Belgio). Si può ricordare come questi movimenti fossero riusciti a creare già nel 1948 l’unico giornale italiano in Belgio, “Sole d’Italia”, che ha poi chiuso nel 1994. Dal punto di vista radiofonico, la RTBF trasmetteva programmi in lingua italiana. Ad oggi, esistono due piccole radio locali che in alcune ore trasmettono informazioni in italiano (Radio SI, Radio Alma). Esistevano anche altre associazioni, a carattere politico o rappresentative di partiti politici, e la selezione del personale comunitario, almeno fino agli anni ’80, è stata determinata sulla base della selezione politica e partitica. Tutti i partiti politici erano, e sono, rappresentati a Bruxelles, dove è ancora possibile trovare le “sezioni” con i vecchi nomi e piene di gente. Se la politica attiva in Italia disinteressa gli italiani, ciò non avviene a Bruxelles. Altro punto storico di aggregazione degli italiani, ma anche degli stranieri, erano le sedi del movimento federalista europeo, che si crearono sulla scia del gruppo di Altiero Spinelli, noto come il “Crocodrile”. Ancora oggi, il JEF (Giovani Federalisti Europei) e il MEF (Movimento Europeo Federalista) aggregano un buon numero di persone italiane e non solo, e sono proporzionalmente più forti che in Italia. La mutazione di questo panorama si è prodotta negli anni ’90. L’esigenza dell’anti-politica portò alla creazione di gruppi, anche molto estesi, che aggregavano anche non italiani, che poi nel 1994 si ritrovarono attivi nei primi Comitati Prodi. Mentre questi comitati si politicizzavano, e perdevano aderenti, fu creata l’associazione Palombella. Quest’associazione aveva come obiettivo quello di unire gli italiani che provavano sdegno verso l’ascesa politica di Silvio Berlusconi, e riusciva a coinvolgere le più diverse tendenze politiche e sociali. Nel tempo, quest’associazione si è sindacalizzata e ha preso un indirizzo politico più definito. Esistono anche altre associazioni italiane più recenti. Tra le varie, si richiama l’attenzione sul VAI (Volontarie Assistenza Italiani), una associazione volontaria di donne italiane, sulla sezione belga della Croce Rossa Italiana, che presta assistenza agli italiani bisognosi di gravi interventi medici e di trapianto, sull’ALUB, Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 138 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles la sezione di Bruxelles dell’associazione dei bocconiani, sulla Lettera 22, un’associazione di funzionari italiani delle istituzioni europee. Tutto questo fiorire di associazioni italiane a Bruxelles risponde ad una necessità, un bisogno umano di incontrarsi e parlare la propria lingua, ma anche all’esigenza di trovare una risposta al problema di come fare sistema tra italiani. Nell’insieme, si stima che almeno 800 italiani siano attivi nelle associazioni di nuova generazione citate, ovvero circa il 15% degli italiani che sono a Bruxelles in relazione all’Unione Europea. Va tuttavia segnalato che il numero di italiani immigrati in Belgio facenti parte di associazioni storiche e tradizionali è di gran lunga più grande. Negli ultimi 10-15 anni, si è registrato un cambiamento di atteggiamento dei nuovi italiani che arrivano a Bruxelles. Uno stereotipo comune è quello dell’anti-italianità, e un certo senso di snobismo nei confronti dei compatriotti che sono in Belgio da lunga data. È certo, però, che le divisioni tra gruppi regionali italiani si sono perpetuate in Belgio e non hanno favorito il rafforzarsi della coesione tra gli italiani che vi risiedono. Per qualche considerazione comparativa, è possibile indicare che i gruppi spagnoli sono meglio organizzati in termini associativi e di coesione sociale a Bruxelles e in Belgio, ma certamente nessun gruppo nazionale è cosi’ forte e compatto come quelli inglesi e americani. Questi gruppi nazionali, così come quelli dei paesi nordici e francesi, non avendo avuto emigrazione in Belgio, sono costituiti da persone arrivate in Belgio con l’espandersi delle attività comunitarie. Sembra che ciascun gruppo nazionale organizzato in forme associative abbia voglia di stare da solo. L’interscambio avviene su qualche aspetto ludico, ma tendenzialmente la gente vuole “stare tra di noi” senza gli stranieri linguistici o culturali. Infine si può ricordare che nelle associazioni sindacali del Belgio sono molto numerosi gli italiani iscritti e militanti. Anche la CGIL italiana ha aperto una sua antenna a Bruxelles. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 139 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 10. Le ONG italiane per la cooperazione allo sviluppo Le importanti modifiche del sistema di finanziamento europeo per la cooperazione allo sviluppo verso i Paesi terzi prevedono, come è noto, tre tappe importanti che meritano di essere analizzate: 1. La delega delle funzioni di esecuzione ad agenzie create ad hoc destinate a modificare l’architettura amministrativa della Commissione Europea (Europe Aid dovrebbe essere una di esse); 2. La “deconcentrazione”, che ha già portato alla gestione dei programmi bilaterali e regionali presso le Delegazioni della Commissione europea nei Paesi terzi; 3. L’affidamento della esecuzione di alcuni programmi della Commissione Europea ad agenzie nazionali situate negli Stati membri. L’Italia è oggi sostanzialmente penalizzata nell’utilizzo dei fondi della cooperazione comunitaria: 1. Manca, a livello governativo, una chiara strategia di rafforzamento della nostra presenza nelle Delegazioni dell’Unione europea presso i Paesi terzi, destinate a diventare il vero motore operativo dei programmi di cooperazione in futuro; 2. L’azione di alcuni Paesi dell’Unione europea nei Paesi terzi è particolarmente agguerrita ed attenta, consentendo loro di approfittare maggiormente delle opportunità a livello locale; 3. La presenza italiana ai vertici operativi di EuropAid rimane non sufficentemente rappresentativa rispetto agli altri grandi Stati membri; 4. L’assenza di un’Agenzia nazionale per la cooperazione ci vede, ad oggi, quasi completamente assenti dal dibattito ma, soprattutto, dalla fase propositiva che altre Agenzie nazionali (Germania, Regno Unito, Olanda, Lussemburgo in particolare) stanno portando avanti per la gestione dei programmi della Commissione Europea verso i Paesi terzi. Ci si riferisce in particolare a quanto contenuto nell’art. 54 del Regolamento finanziario 1605/2002, che prevede che la Commissione possa, in determinate condizioni, affidare funzioni d'esecuzione del bilancio ad organismi nazionali pubblici o a entità di diritto privato. È evidente che in assenza di una chiara strategia politica per il prossimo futuro, il contributo italiano alla cooperazione della Commissione Europea verso i Paesi terzi è destinato ad indebolirsi ulteriormente. Questa situazione spiega perché la presenza di uffici di rappresentanza di ONG italiane per la cooperazione allo sviluppo sia esigua (3 piccole antenne). Le ONG italiane hanno scelto di essere rappresentate attraverso le federazioni e associazioni europee del settore, anche perchè solo attraverso alleanze internazionali possono sperare di essere inserite nei programmi di cooperazione finanziati dall’Unione europea. Evidentemente, però, questa situazione non conferisce alle ONG italiane una posizione di leadership in questa materia. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 140 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 11. La stampa italiana L’analisi della presenza della stampa italiana a Bruxelles meriterebbe, per la sua complessità e specificità, un lavoro a sè stante. Tuttavia, nel quadro del nostro Rapporto sembra opportuno dare qualche informazione che permetta almeno di inquadrarne la presenza. Ripartizione per nazionalità dei media nazionali e delle Agenzie Europee con uffici a Bruxelles Agenzie EU 36 Svezia 9 Spagna 30 Slovenia 4 R. Slovacca Regno Unito 3 23 Portogallo 9 Polonia 6 Paesi Bassi 12 Malta Lussemburgo 1 4 Lituania 2 Lettonia 3 13 Italia Irlanda 4 Ungheria Grecia 11 7 Germania 33 Francia 19 Finlandia 8 1 Estonia Danimarca 10 Rep. Ceca 5 Cipro 1 Belgio 41 Austria 7 0 5 10 15 20 25 30 35 Fonte: The European Public Affairs Directory, 2006 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 141 40 45 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Nella tabella riportata sono repertoriati i media che hanno un ufficio a Bruxelles e che coprono gli affari europei. Si noti che tra le Agenzie europee, la sola di origine italiana, e la più antica, è Agence Europe124. La maggioranza delle altre Agenzie europee sono di orgine anglosassone, e si sono installate a Bruxelles negli ultimi 10-15 anni. La comunità dei giornalisti italiani repertoriati come residenti stabilmente a Bruxelles (50) è probabilmente tra le più grandi dopo quella dei giornalisti tedeschi (150) e francesi (100). Il gruppo cosiddetto storico di giornalisti italiani (circa 10) arrivò a Bruxelles circa 35 anni fa, quando parlare d’Europa era un “vezzo” piuttosto che una necessità. A quel tempo, il giornalismo italiano era rappresentato da 4 testate (Rai, Ansa, Corriere della Sera, La Stampa), alle quali si aggiunse negli anni ’70 La Repubblica. Da allora la comunità di giornalisti italiani è cresciuta, e si è rinnovata, soprattutto negli ultimi 5 anni, durante la Commissione di Romano Prodi e il semestre di Presidenza italiano del 2003. Tuttavia, in termini di media italiani rappresentati, il raffronto tra l’Italia (13) e altri grandi Paesi membri mostra una scarsa presenza dei media italiani. In particolare, è visibile l’assenza dei media facenti capo al gruppo Mediaset/Fininvest. Quanto al coinvolgimento del giornalismo italiano in relazione alle lobby che agiscono in Europa, è noto che il “provincialismo” della politica italiana pone la stampa italiana in una seconda o terza linea rispetto ai colleghi delle testate inglesi, tedesche e francesi. Non è un caso infatti che le principali azioni di lobbying si svolgano attraverso testate come Financial Times oppure Les Echo o Handelsblatt. Il dibattito sulle policy che si sviluppano a Bruxelles è molto presente sui media citati e costituisce un elemento importante per le attività di lobbying. Se la rilevanza di queste testate è preponderante presso i decision-maker di Commissione e Consiglio, gli Europarlamentari fanno ancora riferimento sulle testate giornalistiche nazionali, che conservano quindi una modesta capacità di influenza. Infine, la lingua usata maggioritariamente tra i media, le istituzioni comunitarie e le reti lobbistiche a Bruxelles è prevalentemente l’inglese. Anche i documenti europei sono pubblicati prevalentemente in inglese o francese. Questo problema linguistico certo influisce non poco sulle attività dei media italiani a Bruxelles. Da ultimo, vale la pena ricordare che l giornalisti italiani, come quelli di altri Paesi, sono rappresentati dall’associazione della stampa estera in Belgio (API), di cui è stato presidente un giornalista italiano negli ultimi 4 anni. 124 Creata circa 40 anni fa da Emanuele Gazzo, giornalista e amico di Altiero Spinelli, che sull’idea federalista costruì un business informativo che è stato fino a pochi anni fa la principale referenza europea. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 142 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 12. Il funzionariato italiano nelle istituzioni europee La presenza italiana nella Commissione europea - L’Italia conta 14 membri (di cui 1 capo di gabinetto e 1 capo di gabinetto aggiunto) nei gabinetti della nuova Commissione, meno dei suoi omologhi francesi (22), britannici (20), tedeschi (18), portoghesi (16)125. Allo stesso modo, le vengono attribuiti soltanto 10 portafogli diversi, contro i 19 portafogli francesi e i 17 del Regno Unito. La debolezza della rappresentanza italiana è imputabile dunque alla sua scarsa presenza in seno alla nuova Commissione, in particolar modo a livello dei capi di gabinetto, che svolgono un ruolo strategico in seno all’esecutivo comunitario, preparando le riunioni del Collegio dei Commissari: solo un italiano occupa questa posizione, rispetto ai cinque capi di gabinetto per la Germania e tre per il Regno Unito. - Le istituzioni europee accolgono 975 esperti nazionali distaccati (END), considerando tutti gli Stati membri, di cui 77 italiani nel 2005. L’Italia è dunque poco rappresentata da questo punto di vista rispetto ad altri Paesi europei come la Francia, la Germania e il Regno Unito, che totalizzano rispettivamente 138, 125 e 105 END nelle istituzioni europee. - In termini di numero di funzionari presenti nella Commissione europea, l’Italia è ben rappresentata. Su 22.389 funzionari europei, 2.604 sono italiani (contro 4.967 belgi, 2.481 francesi e 2038 tedeschi). È interessante notare come pur registrando un aumento sia in termini di funzionari A che di funzionari B, il numero complessivo di funzionari italiani presso la Commissione sia diminuito, passando da 2.805 nel 2002 a 2.604 nel 2006 (11.6% del totale). Questo calo è dovuto ad una contrazione del numero di funzionari C, passato, nello stesso arco di tempo da 1.291 a 735. - Non tutte le Rappresentanze Permanenti dei paesi dell’UE organizzano riunioni regolari e briefings di lavoro con i funzionari nazionali, come fa la Rappresentanza inglese. Da notare, d’altronde, che particolarmente i funzionari italiani si comportano spesso come apolidi. Fonte: Commissione europea 2006 e dati elaborati dal CIPI Dagli anni ’90, in poi il funzionariato italiano presso le istituzioni europee ha iniziato una mutazione. Il processo è dovuto ad un maggior interesse dei giovani agli affari europei e all’accesso reso possibile dalle nuove pratiche concorsuali. Il funzionariato italiano di nuova generazione è mediamente più preparato, anche linguisticamente, e più aggressivo in termini di carriera rispetto alle generazioni precedenti. Il numero di funzionari di grado A è in costante crescita (anche se ai gradi più bassi della carriera), mentre il tradizionale serbatoio di posti italiani, nei gradi B, C e D, si sta asciugando. Inoltre, è considerevolmente aumentato il numero delle donne italiane entrate in carriera. Il più alto tasso di presenza femminile nel grado A è francese (11,9%), il più basso è inglese (5,2%), mentre 125 Sono presi in considerazione solo i funzionari di grado A. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 143 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles l’Italia con il 10,4% è in linea con Francia, Germania e Spagna. È bene notare come in totale la presenza femminile nel grado A per UE25 sia circa il 50% in meno di quella maschile: di 3666 unità contro le 7256 maschili. Inoltre, va notato che nella struttura del funzionariato italiano presso le istituzioni europee esiste un “buco” generazionale di circa 10 anni. Questo “buco” corrisponde allo scarso afflusso nelle carriere europee nel corso degli anni ’80. Ciò si traduce in uno sfasamento generazionale che rende difficile coprire i gradi di management medio-alti e alti (Direttore e Direttore Generale). Questa situazione tenderà ad aggravarsi nei prossimi anni, in coincidenza con l’avvio alla pensione dei gradi italiani più alti adesso. Alcune proiezioni suggeriscono che, all’interno della Commissione, nei prossimi 5-8 anni l’Italia potrebbe non essere in grado di coprire un numero di posti apicali pari ai circa 6 di oggi. Per cercare di limitare l’effetto di questa demografia funzionariale, sarebbe necessario attivare subito delle strategie di sostegno dei pochi funzionari italiani che in questi anni potrebbero accedere al livello di Direttore per poi essere pronti a presentarsi alle selezioni per i posti di Direttore Generale. Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2002 Regno Germania Italia Grado Belgio Spagna Francia Unito 957 Grado A 835 920 744 1143 792 557 Grado B 1284 334 378 438 246 1291 Grado C 2728 671 578 730 500 2805 Totale 4847 1925 1700 2311 1538 Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI Totale EU25 7541 4312 8854 20707 Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2006 Regno Germania Italia Grado Belgio Spagna Francia Unito 1168 Grado A 1167 1287 1007 1383 917 551 Grado B 1389 336 399 470 240 735 Grado C 2226 410 345 589 289 2604 Totale 4967 2038 1782 2481 1453 Fonte: Commissione europea 2006 Totale (EU25) 10942 4611 6320 22389 Distribuzione funzionale del management italiano presso la Commissione europea Direttori Generali, 4 Direttori Generali aggiunti, 2 Direttori, 11 Capi Unita', 77 Totale 94 Fonte: Commissione europea febbraio 2006 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 144 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Distribuzione del management italiano presso la Commissione Europea 6 DG Interpretazione 1 Direzione generale informatica 2 DG Bilancio 7 DG Personale e Amministrazione 2 DG Allargamento 1 DG Sviluppo 1 1 DG Commercio 1 1 6 DG Relazioni esterne 3 DG Giustizia, liberta' e sicurezza 1 DG Salute e tutela dei consumatori 1 2 DG Istruzione e cultura 1 DG Fiscalita' e unione doganale 3 DG Politica regionale 1 DG Mercato interno e servizi 2 1 DG Pesca e affari marittimi 2 1 4 DG Societa' dell'informazione e media 1 7 DG Ricerca 1 DG Ambiente 2 1 DG Energia e trasporti 6 DG Agricoltura e sviluppo rurale 6 DG Occupazione, affari sociali e pari opportunita' 3 DG Concorrenza 3 DG Imprese e industria 3 DG Affari economici e finanziari 2 DG Stampa e comunicazione 2 1 1 1 1 1 BEPA 0 Capi Unita' 1 1 Direttori 2 3 4 5 Direttori Generali aggiunti 6 7 8 Direttori Generali Fonte: Commissione europea, febbraio 2006, e dati elaborati dal CIPI Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 145 9 10 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Funzioni espletate in seno alla Commissione europea Commissario Direttore Generale (funzionario A15-16) Direttore (funzionario A14) Capo Unità (funzionario A11-13) Funzionario A11 (minimo 12 anni d’esperienza) Funzionario A6 -10 (minimo 2 anni d’esperienza) Funzionario A5 (senza esperienza) Personale con contratto (sempre meno numeroso) Agenti temporanei (quasi assimilati ai funzionari europei, contratto da 3 a 5 anni) Ausiliari (massimo 1 anno per i livelli A e B, 2 anni per il livello C) Ad interim (durata di sei mesi) Si noti lo status particolare degli Esperti Nazionali Distaccati (END) che continuano ad essere funzionari presso la loro amministrazione nazionale. Fonte : Commissione europea Alcune considerazioni generali sono comuni a tutti i gradi funzionariali italiani nelle istituzioni europee: Non esiste un’efficiente struttura di monitoraggio, supporto e sostegno dei funzionari italiani nelle istituzioni comunitarie. Questa carenza può essere imputata all’incertezza politica che limita le capacità d’intervento anche da parte della Rappresentanza Permanente Mancano degli incentivi nazionali verso i funzionari comunitari per incitarli ad una maggiore collaborazione tra di loro e con i rappresentanti nazionali Per fare carriera, il funzionario italiano non può che spendere la propria credibilità personale, non disponendo della credibilità del sistema paese da spendere in concorrenza con quella degli altri La carriera europea è diventata altamente concorrenziale. Non basta più un eventuale rafforzamento della cooperazione nella rete funzionariale italiana: qualità, lingue, e alleanze transnazionali sono imprescindibili Per tutti i posti del sistema comunitario conta molto la preparazione, l’esperienza e la capacità di presentazione del candidato, piuttosto che l’eventuale intervento da un posto apicale italiano Un Commissario rende un servizio utile anche al suo Paese se è capace di strutturare un gabinetto che sappia tenere sotto controllo il suo settore, ma soprattutto che sappia interferire nei dossier degli altri Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 146 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Infine, qualche considerazione può essere svolta in merito alle forme associazionistiche italiane in seno alle istituzioni comunitarie. La prima segnalazione riguarda il CLENAD, che è l’associazione che raggruppa tutti gli esperti nazionali distaccati (END) e che dispone di una specifica sezione italiana. Il CLENAD fornisce servizi di orientamento e di formazione per i nuovi END che arrivano nelle istituzioni comunitarie. La seconda segnalazione va fatta in merito a due associazioni, Lettera 22 e Alubsezione di Bruxelles. Entrambe raggruppano circa 60 funzionari che hanno studiato presso l’Universtà Bocconi di Milano. Si tratta di reti informali di collegamento. È doveroso sottolineare che in questo Rapporto i funzionari delle istituzioni comunitarie sono presi in considerazione come espressione allargata della presenza italiana. In nessun caso questo Rapporto vuole suggerire che i funzionari delle istituzioni siano o debbano essere soggetti attivi di azioni di lobbying. Infatti, tutti i funzionari comunitari, in tutti gradi e funzioni, sono tenuti al rispetto degli obblighi statutari di imparzialità e indipendenza, astenendosi da qualsiasi azione arbitraria o condizionata da alcuna influenza esterna di qualsiasi tipo, comprese le influenze politiche, o gli interessi personali. Inoltre, il funzionario non deve mai essere ispirato a interesse personale, familiare o nazionale, né dipendere da pressioni politiche. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 147 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 13. Parlamentari parlamentari europei e assistenti Nelle istituzioni europee, il lobbying ha concentrato la sua attenzione sulla Commissione, considerata come l’organo più rilevante su cui agire. Il Parlamento Europeo, invece, era considerato come “l’istituzione debole” all’interno del processo decisionale europeo. Dopo il Trattato di Maastricht, questa situazione è però mutata sensibilmente, in particolare grazie all’introduzione della procedura di “codecisione”, che ha dato al Parlamento un potere di veto su una larga parte della legislazione europea. Nel processo di decision-making europeo, il Parlamento europeo svolge oggi un ruolo peculiare, distinto da quelli di Commissione e Consiglio. Di conseguenza anche le modalità con cui i Iobbisti devono avvicinarsi al Parlamento europeo sono differenti. Infatti, il Parlamento europeo mantiene una duplice valenza, internazionale e sopranazionale, che richiede da un lato di agire in una prospettiva europea, e dall’altro di tenere in conto gli effetti nazionali delle decisioni. Inoltre, si tratta di un’assemblea che benchè eletta direttamente su base nazionale, non rispecchia l’organizzazione dei partiti politici nazionali ma è organizzata in gruppi politici transnazionali. Infine, nel processo legislativo europeo, il Parlamento europeo agisce ad uno stadio avanzato del processo decisionale, in cui la Commissione ha già elaborato una proposta legislativa dettagliata. Per queste ragioni, il lobbisti che entrano in relazione con il Parlamento europeo non solo devono sper fornire valutazioni e suggerimenti tecnici sui dossier, ma anche valutazioni politiche generali sia trasnazionali che nazionali. Influenzare i processi decisionali del Parlamento eruopeo è un lavoro non facile. Si tratta di un approccio molto asimmetrico sia dal punto di vista funzionale che sostanziale. Mantenendo sempre ben presente la doppia valenza dell’assemblea europea, internazionale e sopranazionale, i punti di accesso sono molteplici e qualitativamente diversi tra loro: sessione plenaria; commissioni; gruppi politici; intergruppi; audizioni; singoli parlamentari; assistenti parlamentari; esperti; funzionari parlamentari e amministratori. La gestione di queste relazioni deve essere basata su una conoscenza approfondita delle procedure e delle persone coinvolte. Sicuramente, l’azione di lobbying non deve trascurare gli assistenti parlamentari e i collaboratori, a cui va riservata un’attenzione pari a quella dei Parlamentari. Il sistema parlamentare europeo ha subito nel corso delle ultime due legislature una trasformazione profonda: in coincidenza con un espansione dei poteri del Parlamento europeo è migliorata anche la qualità del personale parlamentare, deputati e assistenti parlamentari. Un dato che è visibile ancor prima delle statistiche è che l’età media dei deputati si è abbassata. Ma dietro questo dato empirico si nasconde un’altra più importante novità: un numero crescente di parlamentari non viene dai ranghi dei partiti politici nazionali, ma è scelto a Bruxelles dalle fila dei funzionari comunitari, degli assistenti parlamentari e dei giornalisti specializzati in affari europei. Tuttavia, non mancano anche i lobbisti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 148 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Questo fenomeno è particolarmente verificabile nei gruppi nazionali dei Paesi nordici, ma anche inglesi, tedeschi e francesi. Inoltre, in molti casi, le stesse candidature sono il frutto di lobby che agiscono nell’arena nazionale per inviare uno specifico candidato con la speranza che possa occupare un posto chiave nella commissione di riferimento. Nel caso italiano, la legge elettorale vigente impedisce ogni possibile azione di lobbying per sostenere un candidato. Inoltre, a causa del sistema elettorale che prevede un sistema di preferenze su delle circoscrizioni elettorali molto grandi, invece di un sistema a liste bloccate, come avviene in molti altri Paesi, i partiti politici candidano persone “famose” che siano in grado di raccogliere il massimo di voti. Tutto questo va chiaramente a scapito della selezione dei candidati e quindi della qualità della rappresentanza al Parlamento europeo. Inoltre, sebbene la legge sulle incompatibilità abbia ridotto sensibilmente l’assenteismo, essa non ha però ridotto l’effetto “elezioni nazionali”. Secondo stime del CIPI, il turnover italiano al Parlamento europeo in occasione delle elezioni nazionali 2006 si annuncia il più alto in assoluto: Turnover dei parlamentari europei in occasione delle elezioni politiche nazionali 2005-2006 Elezioni politiche 2006 ITALIA >10% Elezioni politiche 2005 POLONIA >5% Elezioni politiche 2005 GERMANIA <5% Fonte: Cipi in base ad indicazioni dei gruppi politici Nel caso italiano, questo turnover 2006 è più marcato nei ranghi dei partiti italiani del centro-sinistra, ma si produce anche tra quelli di centro-destra. Allo stesso tempo, tra i deputati tedeschi siede un veterano presente nel Parlamento Europeo sin da 1979. Tuttavia, si deve registrare un miglioramento qualitativo dei parlamentari europei eletti dall’Italia, ma si tratta di un miglioramento che in termini relativi agli altri gruppi nazionali si vanifica velocemente. Un altro elemento importante che caratterizza il caso italiano presso il Parlamento europeo è la scarsità di coordinatori dei gruppi politici in ciascuna delle commissioni parlamentari. È evidente che questa situazione penalizza l’Italia, e le sue lobby, riducendo sensibilmente il margine di manovra durante le procedure parlamentari. La ragione di questa carenza risiede sia nell’insufficienza linguistica di molti parlamentari italiani (condizione necessaria per essere coordinatore è di conoscere bene almeno due lingue, oltre alla propria), ma anche nel fatto che la procedura di assegnazione dei posti di coordinatore inizia quando i deputati italiani non sono neppure ancora arrivati a Bruxelles. Sembra che in Italia non ci sia la consapevolezza dei cambiamenti da fare (con una certa urgenza): Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 149 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles Modificare la legge elettorale per le elezioni europee, inserendo il sistema delle liste bloccate e circoscrizioni più piccole Costituire una classe politica stabile per gli affari europei e che sia basata a Bruxelles Mettere le basi per un inizio di sistema-paese “industriale” Un altro aspetto non secondario è costituito dal ruolo degli assistenti parlamentari. In molti Paesi, gli assistenti parlamentari sono dei veri e propri professionisti, e a volte dei lobbisti, che fanno da collegamento tra il deputato e le strutture nazionali di analisi delle informazioni, di ricerca e di prospettiva. Questo caso è molto visibile nel contesto anglosassone, ma è praticamente assente in quello italiano. Certamente, al fine di ottenere dei servizi adeguati, gli assistenti parlamentari devono essere pienamente remunerati. Inoltre, gli assistenti parlamentari sono spesso l’architrave del sistema lobbistico nazionale a Bruxelles. Infatti, in alcuni casi (Regno Unito, Danimarca, Polonia, Paesi nordici, Spagna), gli assistenti fanno parte di un network attivo collegato alla Rappresentanza Permanente che li convoca per briefings e debriefings regolari, offrendo in cambio sostegno concreto al loro lavoro e alle loro aspirazioni di carriera. Inoltre, si può segnalare che nel caso inglese e danese esiste un network molto attivo tra le attività parlamentari europee e quelle dei rispettivi parlamenti nazionali. Infine, la percezione che dal Parlamento europeo si ha delle lobby italiane segnala un buon lavoro in materia di trasporti, ed ottimo in materia di interessi industriali. Invece, la Rappresentanza Permanente si nota in prevalenza durante alcune sedute della plenaria, ma sembra interagire poco, anche a livello di circolazione delle informazioni sulle riunioni del Consiglio, con i parlamentari e i gruppi politici italiani. Alcuni esempi di lobbying italiano recenti su tre direttive: - Eurovignette (Commissione Trasporti) Un lavoro ben impostato dalla lobby capeggiata dalla società Autostrade, ma poi vanificato perché il sistema paese non ha seguito. Inoltre, sono sorte divergenze di posizione tra il Governo e la Rappresentanza Permanente. - Porti (Commissione Trasporti) Ministero italiano competente, praticamente assente nel processo. Ottima la lobby delle entità territoriali e delle società di servizi interessate ai porti. - Poste (Commissione Servizi) Ministero italiano competente, praticamente assente nel processo. Ottima la lobby dell’Ente Poste, che grazie al lavoro di assistenza di uno studio legale anglosassone è diventata capofila dell’intero processo. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 150 Capitolo II – La mappa delle lobby italiane a Bruxelles 14. Repertorio analitico degli italiani impegnati in strutture internazionali o straniere a Bruxelles La presenza di personale italiano in posizioni dirigenziali all’interno di strutture e organizzazioni straniere o internazionali, é composta da 43 unità testimonia il fatto che i lobbisti italiani sono piuttosto apprezzati a Bruxelles. Di particolare rilevanza sono i 18 italiani in posizioni apicali nelle corporations e nelle multinazionali presenti nella capitale Belga. Presenza di dirigenti italiani in organizzazioni straniere o internazionali a Bruxelles 11 6 Associazioni Europee Professionali e Commerciali Corporations multinazionali 45 43 Società internazionali di servizi Gruppi di interesse Think Tanks e Formazione Organizzazioni internazionali 11 18 Fonte: The European Public Affairs Directory 2006 e dati elaborati dal CIPI La carenza di punti d’aggregazione italiani e la scarsa promozione dell’identità italiana a Bruxelles spinge queste persone a gravitare attorno a organizzazioni come AmCham, oppure attorno ad associazioni e ai think tank anglosassoni. Un altro dato assolutamente interessante è quello degli 11 italiani coinvolti nelle strutture dei think tank stranieri a Bruxelles. In molti casi, si tratta di italiani illustri o di personalità, e questo non può che gratificare l’Italia. Sarebbe, però, opportuno chiedersi perché nessuna di queste persone si sia investita nello sviluppare gruppi italiani di riflessione a Bruxelles. Anche in questo caso, la materia richiede un’analisi più profonda. Nell’attesa, il CIPI mantiene una banca dati nominativa che permetterà di seguire l’evoluzione di questa presenza italiana a Bruxelles. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 151 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 152 Capitolo III Efficacia del lobbying Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 153 Capitolo III – Efficacia del lobbying 1. Bilancio 2005: il lobbying italiano 1.1 Una maggiore sensibilità al lobbying e agli affari europei A partire dal 2002, la sensibilizzazione degli italiani al lobbying è cresciuta, come dimostra il sempre maggior interesse che la stampa dedica all’argomento e il fiorire di corsi di formazione in materia. Pur restando indietro rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia dispensa oggi circa 6 formazioni universitarie specialistiche sulle istituzioni europee e sul lobbying126 e ha sviluppato un portale italiano di lobbying e public affairs127. L’accezione prevalentemente negativa del termine lobbying, inteso come gruppo di pressione, o gruppo di potere occulto che influenza le decisioni politiche tramite pressione economica, sta lentamente sfumando. Dal 2002 ad oggi, un certo numero di articoli sulla stampa nazionale (nel 2005 circa 30 articoli) ha iniziato a presentare le esperienze di lobbying degli altri Paesi, mostrando una nuova faccia del fenomeno (ben pochi rispetto ai circa 260 articoli della Camera di Commercio e dell’Industria di Parigi recensiti, solo nella prima metà del 2005, dalla banca dati Tosca). Si assiste ad un pullulare di Master in materie europee sia in Italia, che presso entità italiane a Bruxelles (nel 2005 sono stati recensiti 21 Master)128. Tuttavia, mentre una ricerca sul sito della Camera dei Deputati dimostra che, nell’ultima legislatura, nessuna indagine conoscitiva o informativa è stata condotta in materia di lobbying, in Francia, da alcuni anni, l’Assemblée Nationale si occupa periodicamente di lobbying francese in Francia e in Europa. 126 - Istituto europeo di design che affronta la materia della comunicazione verso le istituzioni (http://www.ied.it). - La cattedra Jean Monnet presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. La cattedra si intitola Integrating Europe in a Changing World e beneficia di un cofinanziamento della Commissione Europea, DG Educazione e Cultura (http://web.uniroma2.it/modules.php?name=Content&navpath=UEU§ion_parent=642). - La facoltà di Scienze Politiche di Padova che ha istituito il corso di laurea specialistica in Politiche dell’Unione europea. (http://www.unipd.it/offerta_didattica/corsi/197.htm). - L’Università di Trieste con il Master universitario di I livello in “Metodologie per le Politiche Comunitarie” (Methods in European Policy Making) (http://www.interuniv.isig.it/cartella/calls/Bando%20EURODEF.doc). - Lumsa con il Master in Public Affairs, Lobbying e Relazioni Istituzionali - M.P.A. (http://www.masterin.it/post-laurea/Lumsa16-master-in-public-affairs-lobbying-e-relazioniistituzionali-m-p-a-.htm). - Running con un corso post-experience di lobbying. (http://www.runningonline.it/formazione/iniz_realizzate/intro_corsi_2001.htm) 127 Si tratta del sito web: http://www.lobbyingitalia.info 128 Fonte: Commissione europea http://www.europa.eu.int/comm/dg10/university/3cycle/programmes_en.html Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 154 Capitolo III – Efficacia del lobbying La Francia e il lobbying In Francia, numerosi rapporti, successivi a quello della CCIP (Chambre de Commerce et d’Industrie de Paris del 2002) hanno permesso di informare i cittadini sulla pratica del lobbying. Sono esempi significativi il Rapporto di Informazione del deputato Jacques Floch (maggio 2004) sulla presenza e sull’influenza della Francia nelle istituzioni europee, così come gli studi di enti privati, come quello effettuato recentemente dalla società di consulenza Burson Marsteller (“The definitive guide to lobbying in the European Institutions”, primavera 2005) realizzato presso le istituzioni europee. I siti Internet dedicati al lobbying sono ugualmente numerosi, sull’esempio di Eulobby.net gestito da alcuni lobbisti europei ed americani o di lobbying-europe.com. Dei concorsi vengono anche organizzati nelle università, per premiare i migliori montaggi virtuali di dossier. Nel suo primo rapporto su “Rinforzare il lobbying delle imprese francesi di Bruxelles”, la CCIP aveva consigliato vivamente di diffondere l’insegnamento a tutti i livelli di formazione, sia che si tratti di scuole di commercio, di scuole di formazione degli albi degli avvocati e di scuole di ingegneri. Essa operava ugualmente per dare una formazione più generale sul lobbying, ed inculcare così una coscienza europea in tutti i settori d’attività dell’impresa. Sembrerebbe che tali proposizioni abbiano trovato eco. La CCIP stessa ha organizzato dei seminari e delle formazioni sul lobbying per le imprese. Essa ha ugualmente realizzato una guida pratica censendo i siti principali in materia europea ed indicando qualche consiglio-chiave che converrebbe tenere a mente. Essa anima, inoltre, alcune pagine Internet inserendovi le sue stesse azioni di lobbying in uno spirito di trasparenza al fine di invitare le imprese e le federazioni a sostenere tali approcci. È allo stesso modo interessante esaminare il numero di formazioni universitarie rilasciate in Francia sull’Unione europea, dal momento che queste costituiscono la base necessaria per sviluppare ogni tipo di azione professionale di lobbying. Nel censimento fatto dalla Commissione europea sui terzi cicli europei dedicati all’Unione europea, pare che la Francia sia molto ben posizionata a confronto con i suoi principali partner. Essa resta, tuttavia, nettamente al di sotto del Regno Unito. Anche se questo censimento può non essere esaustivo, mostra in ogni caso la capacità delle università britanniche a farsi conoscere dalle istituzioni europee. Le scuole di commercio stesse formano i loro studenti al lobbying. HEC ha trasformato il programma del CPA (Centre de Perfectionnement des Affaires) in MBA COA del Gruppo HEC. Non si tratta di un semplice cambiamento di nome. È prima di tutto un’attualizzazione del contenuto e delle tematiche proposte ai partecipanti, e l’Europa è uno di questi temi nuovamente introdotti nel programma. È dunque in questa prospettiva che l’insieme dei partecipanti della promozione 2003 (oltre 250 persone) si è recato a Bruxelles per quattro giorni ed ha esaminato la questione “Governance economica e politica dell’Unione europea”. HEC ha ugualmente creato dei seminari di tre giorni su “Europe at work” (“Europa al lavoro”) che si rivolgono ad un pubblico di decisori: dirigenti di imprese, politici eletti o responsabili di associazioni. Il lobbying coinvolge anche altre formazioni relative alla Comunicazione (CESA Communication) o ancora il Master specializzato nella gestione dello sviluppo sostenibile. Nel quadro stesso di HEC, Noëlle LENOIR, ex-Ministro delegato per gli affari europei, ha creato all’inizio del 2005 l’“Istituto sull’Europa” orientato verso le imprese, in particolare alimentando i lavori sull’allargamento. Questo istituto si colloca accanto ai think tanks nazionali come NotreEurope (fondata da Jacques DELORS) oppure la Fondazione Robert Schuman. ESCP-EAP ha ugualmente sviluppato dei corsi sul lobbying nelle sue formazioni. Nel 2004, 206 studenti di ESCP-EAP (108 a metà 2005), di cui 25 indiani e circa 40 americani, hanno seguito un seminario di formazione organizzato dalla Delegazione delle Camere di Commercio Paris-Ile-de-France. Allo stesso modo, la scuola Négocia, Centro di formazione internazionale per la vendita e la trattative commerciale, ed Advancia, hanno fatto seguire ai loro studenti dei seminari simili. L’ESSEC, che moltiplica i corsi sul lobbying, intende creare una Cattedra sul lobbying. Fonte: CCIP 2005 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 155 Capitolo III – Efficacia del lobbying 1.2. Un posizionamento che migliora nelle strutture di lobbying, ma meno nelle istituzioni europee a. Posizionamento nelle istituzioni europee È interessante vedere l’evoluzione del numero di italiani che esercitano la loro attività professionale in seno anche alle istituzioni europee. Non si tratta di considerare un lobbying di tipo italo-italiano, ma di vedere in quale misura gli italiani “prendono possesso” delle istituzioni europee. L’Italia in Europa 129 L’Italia conta 14 membri (di cui 1 capo di gabinetto e 1 capo di gabinetto aggiunto) nei gabinetti della nuova Commissione, meno dei suoi omologhi francesi (22), britannici (20), tedeschi (18), portoghesi (16)129. Allo stesso modo, le vengono attribuiti soltanto 10 portafogli diversi, contro i 19 portafogli francesi e i 17 del Regno Unito. La debolezza della rappresentanza italiana è imputabile dunque alla sua scarsa presenza in seno alla nuova Commissione. In particolar modo va sottolineata la presenza di un solo capo di gabinetto (contro i 5 della Germania e i 3 del Regno Unito), visto il ruolo strategico svolto da questi in seno all’esecutivo comunitario, preparando le riunioni del Collegio dei Commissari. Le istituzioni europee accolgono 975 esperti nazionali distaccati (END), considerando tutti gli Stati membri, di cui 77 italiani nel 2005. L’Italia è dunque esiguamente rappresentata da questo punto di vista rispetto ad altri paesi europei come la Francia, la Germania e il Regno Unito, che totalizzano rispettivamente 138, 125 e 105 END nelle istituzioni europee. In termini di numero di funzionari presenti nella Commissione europea, l’Italia è ben rappresentata. Su 22.389 funzionari europei, 2.604 sono italiani (contro 4.967 belgi, 2.481 francesi e 2038 tedeschi). È interessante notare come pur registrando un aumento sia in termini di funzionari A che di funzionari B, il numero complessivo di funzionari italiani presso la Commissione sia diminuito, passando da 2.805 nel 2002 a 2.604 nel 2006 (11,6% del totale). Questo calo è dovuto ad una contrazione del numero di funzionari C, passato, nello stesso arco di tempo, da 1.291 a 735. I deputati italiani sono maggiormente presenti nell’emiciclo di Bruxelles. Il tasso di presenza dei deputati italiani sarebbe del 92%. Numerosi deputati europei italiani mantengono la loro sede in modo regolare, contrariamente all’immagine che ne hanno generalmente i cittadini. Nel nuovo mandato, i deputati italiani appaiono meno dispersi rispetto al precedente. Così, 2 deputati italiani su 3 appartengono ormai ad uno dei gruppi politici più influenti. La rappresentanza italiana in seno alle commissioni economiche e legislative è più importante che in passato. L’Italia conta 3 presidenze di commissione sulle 25 esistenti, al pari dei suoi partener tedeschi (3), spagnoli (3), ma meno bene dei francesi (5). Sono stati presi in considerazione i soli funzionari di grado A. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 156 Capitolo III – Efficacia del lobbying Il nuovo sito del Parlamento europeo fornisce informazioni sul lavoro parlamentare effettuato da ciascun deputato in termini di Relazioni, interventi in sessioni plenarie e quesiti posti. Ciò dovrebbe incitare ad accrescere la loro partecipazione attiva. Gli assistenti parlamentari, come si ricorderà, devono essere un bersaglio privilegiato. Se ci si può compiacere di queste evoluzioni, alcuni miglioramenti possono ancora essere fatti. Ad esempio, i parlamentari italiani non hanno organizzato in seno al Parlamento dei “clubs di imprese”, come hanno fatto invece i loro omologhi inglesi. Allo stesso modo, i deputati italiani non si lasciano coinvolgere nel Kangourou group che si riunisce su delle tematiche trasversali. I deputati italiani sono ugualmente quasi assenti dagli inter-gruppi parlamentari che si costituiscono per discutere di argomenti particolari, al di fuori del quadro decisionale, e che fanno partecipare la società civile. Fonte: Parlamento Europeo, dati elaborati dal CIPI Commissioni parlamentari con presidenza italiana DEVE, Sviluppo MORGANTINI, Luisa TRAN, Trasporti e turismo COSTA, Paolo JURI, Giuridica GARGANI, Giuseppe Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2002 Italia Grado Belgio Germania Spagna Francia Regno Unito 957 Grado A 835 920 744 1143 792 557 Grado B 1284 334 378 438 246 1291 Grado C 2728 671 578 730 500 2805 Totale 4847 1925 1700 2311 1538 Fonte: CCIP 2005 e dati elaborati dal CIPI Ripartizione del numero di funzionari per nazionalità e per grado nel 2006 Italia Grado Belgio Germania Spagna Francia Regno Unito 1168 Grado A 1167 1287 1007 1383 917 551 Grado B 1389 336 399 470 240 735 Grado C 2226 410 345 589 289 2604 Totale 4967 2038 1782 2481 1453 Fonte: Commissione europea 2006 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 157 Totale EU25 7541 4312 8854 20707 Totale (EU25) 10942 4611 6320 22389 Capitolo III – Efficacia del lobbying b. Posizionamento nelle strutture di lobbying a Bruxelles Pur senza essere incitati o sostenuti da strutture istituzionali, gli italiani si sono collocati all’interno di posti-chiave nelle strutture di rappresentanza d’interessi non italiani in Europa. A Bruxelles, nel 2005, il CIPI ha recensito130quanto segue: nelle “associazioni europee professionali e commerciali, imprese e servizi” sono stati recensiti più di 90 italiani; nei “gruppi d’interesse” più di 20 italiani; nei “think tank e nella formazione” sono stati recensiti più di 15 italiani; nelle “associazioni sindacali” sono stati recensiti più di 7 italiani; nelle “organizzazioni internazionali” sono stati recensiti più di 8 italiani. Solo per citarne alcuni: Mario Monti, Presidente del think tank Bruegel, centrato su alcuni argomenti economici, creato per iniziativa franco-tedesca nel 2005; Ferdinando Beccalli Falco, Presidente di GE International; Arnaldo Abbruzzini, Segeretario Generale di Eurochambres; Antonio Missiroli, Direttore della Policy del EPC; Massimo Gargano, Vice Presidente di Toyota Europe; e ancora l’Ambasciatore Sergio Vento, Senior Business Advisor per l’Europa di McDermott Will & Emery; Claudio Murri, Direttore Esecutivo Government Affairs della EDS; oppure Eduardo Pisani, Senior Director della Policy and Government Affairs Europe della Bristol-Meyers Squibb. Inoltre, a Bruxelles, l’Italia conta: 7 rappresentanze dello Stato (più di 350 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), 4 rappresentanze istituzionali (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), 21 rappresentanze regionali e provinciali (più di 250 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 10 rappresentanze delle autonomie locali e funzionali (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), almeno 16 associazioni e federazioni industriali e settoriali (più di 80 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 13 uffici delle associazioni di settore (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 14 uffici dei gruppi industriali (più di 90 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 17 uffici dei gruppi finanziari e assicurativi (più di 130 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 2 uffici dell’Università e della ricerca (più di 10 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 8 studi legali italiani (più di 30 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), 130 I dati presentati non pretendono di essere esaustivi, ma sono solo una prima recensione basata sui dati disponibili. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 158 Capitolo III – Efficacia del lobbying 10 studi di consulenza tecnica (più di 60 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), più di 8 studi di consulenza in comunicazione, pubbliche relazioni, e lobbying (più di 30 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), un numero incerto di associazioni italiane della “società civile”, 2 associazioni a vocazione economica (più di 10 unità di personale inclusi funzionari e addetti italiani o locali), un numero incerto di ONG per la cooperazione allo sviluppo, la stampa italiana residente (60 giornalisti italiani residenti a Bruxelles), più di 3200 funzionari italiani nelle istituzioni europee, 77 esperti nazionali distaccati (END a Bruxelles e Lussemburgo), 78 parlamentari presso il Parlamento europeo, circa 90 assistenti parlamentari presso il Parlamento europeo In totale, l’Italia impegnata negli affari europei conta a Bruxelles più di 6.500 persone, tra funzionari nazionali ed europei, rappresentanti di interessi, professionisti, e parlamentari. Un numero certamente molto elevato. Tuttavia, non sarebbe corretto iscrivere questo numero tra i “lobbisti” italiani. Ma se per lobbista intendiamo una persona che rappresenta interessi o che dovrebbe essere sensibile a certi interessi (nazionali), allora il numero è corretto! Il problema è che questa imponente massa di italiani impegnati a rappresentare l’Italia nelle sue diverse categorie professionali non è gestita da una regia o da un coordinamento efficace, e tantomeno è coesa. Un enorme sforzo umano (ed economico) che molto spesso impallidisce di fronte a presenze molto più modeste, ma più efficienti ed efficaci. Infatti, la più grande lobby sulla “piazza di Bruxelles” resta la Camera di Commercio Americana (AmCham) che rappresenta la più grande organizzazione patronale al mondo, coi suoi 193,5 milioni di dollari versati tra il 1998 e il 2004 a circa 250 lobbisti, alcuni dei quali lavorano prima di tutto al Congresso o nell’Amministrazione, in linea con 24 società specializzate. Gli Stati Uniti sviluppano un lobbying molto importante: le loro imprese si impongono sui comitati europei, su parti di strutture e federazioni. Essi operano spesso in accordo con la Corea e il Giappone (quest’ultimo esercitando un controllo efficace nel quadro dei comitati settoriali ed un lobbying meno aggressivo di quello americano). Il lobbying tedesco resta ugualmente molto efficace. Tuttavia, i lobbisti, federazioni o confederazioni stentano ancora a registrarsi sulla banca dati CONECCS della Commissione europea. Infatti, si contano 728 organizzazioni registrate nel 2005 su CONECCS, contro 4.428 persone accreditate presso il Parlamento europeo. Il fatto che CONECCS registri soltanto le organizzazioni, mentre è possibile farsi accreditare individualmente dal Parlamento europeo, non spiega tutto, poiché il numero di individui per organizzazione è molto ridotto. Oltre ad essere uno strumento per farsi conoscere, questa banca dati è Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 159 Capitolo III – Efficacia del lobbying una risorsa utilizzata da strutture che ricercano partner su progetti già esistenti o che, più semplicemente, intendono costruire la loro rete a partire da questi dati. Inoltre, tale base è ugualmente utilizzata dalla Commissione europea per inviare delle mails collettive come consultazioni. Solamente 232 organizzazioni professionali sono registrate nel CONECCS contro 223 ONG. Le Lobby di Francia a Bruxelles Nel 2002, la CCIP incitava i francesi a collocarsi all’interno di posti-chiave nelle federazioni europee. Sembra che tale posizionamento sia evoluto in modo favorevole. I francesi si trovano infatti a capo di strutture di lobbying a Bruxelles. È così per l’Unione delle Industrie della Comunità europea (UNICE), di cui Ernest-Antoine Seillière è divenuto capo nel giugno 2005. Il presidente della Camera di Commercio e d’Industria di Parigi è stato eletto Presidente di Eurochambres, il 28 settembre 2005. Un altro francese, Michel Pébereau, è stato eletto a capo della Federazione bancaria europea. Etienne Davignon (vice-Presidente di Suez-Tractebel), di nazionalità belga, ma francofono, è allo stesso modo divenuto Presidente del think tank “Friends of Europe”, succedendo ad un giornalista del Financial Times. I francesi hanno ugualmente creato un nuovo think tank europeo, EUR-IFRI. Si tratta di un’antenna dell’IFRI (Institut Français des Relations Internationales) composta da un’équipe europea, fondata su partenariati, che cerca di esercitare un’influenza tanto a livello nazionale che europeo. Questo think tank si è da poco collocato accanto ai due principali think tanks europei, che sono il CEPS (Centre for European Policy Studies) e il EPC (European Policy Centre), di chiara ispirazione anglosassone. Jean Pisani-Ferry, già presidente delegato del Consiglio d’Analisi Economica (CAE), ha allo stesso modo creato su di un’iniziativa franco-tedesca, nel 2005, un altro think tank, chiamato Bruegel, centrato su alcuni argomenti economici. La Rappresentanza Permanente francese ha sviluppato numerosi contatti con i think tanks europei. Essa ha così creato un punto di contatto “Think tanks” al fine di facilitare l’intervento di partecipanti francesi, l’organizzazione di eventi congiunti e la diffusione delle produzioni di think tanks verso le autorità francesi. Tuttavia, secondo Notre Europe, oltre al think tank creato da Jacques Delors e che ha raggiunto Pascal Lamy, esistono soltanto sette organizzazioni francesi che possono essere considerate come dei think tanks con un interesse spiccato verso le questioni strategiche europee, di cui cinque specialiste dell’Europa. Infine, una ventina di studi legali francesi sono presenti a Bruxelles. Un centinaio di avvocati francesi esercitano la professione in tali studi o in studi stranieri. La delegazione degli albi degli avvocati di Francia è una struttura dinamica di lobbying che conta nove persone incaricate di sensibilizzare gli avvocati al diritto comunitario e di difendere i loro interessi. Fonte: CCIP, 2005 (rapporto « Le lobbying des entreprises françaises à Bruxelles : quels progrès depuis 2002 ? » ) Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 160 Capitolo III – Efficacia del lobbying c. Una pratica di lobbying che si costruisce nel tempo Si assiste ad una presa di coscienza da parte delle imprese e degli enti italiani. Tuttavia, con qualche eccezione significativa (ad esempio: Ferrero, Ferrovie dello Stato e Telecom Italia, per le imprese e, per gli enti regionali, l’ufficio di coordinamento delle Regioni del Centro Italia e quello delle Province di Trento e Bolzano), l’insieme della pratica del lobbying italiano è ancora carente e insufficiente se comparato agli altri grandi Paesi dell’Unione europea. La Commissione concepisce questi interlocutori come “informatori” utili, se capaci di integrare con la loro perizia il lavoro portato avanti dai funzionari europei. In pratica, le istituzioni comunitarie vedono nei soggetti esterni un elemento di stimolo e di “consultazione informata” per costruire o affinare i dossier e le politiche comunitarie. Viceversa, la Commissione diventa un’utile fonte di informazione per gli interlocutori esterni, che possono monitorare con anticipo l’evoluzione e la preparazione dei dossier. In questo quadro, il ruolo dei Parlamentari europei e degli assistenti parlamentari, proprio in quanto “rappresentanti” italiani all’interno del sistema comunitario, è quello di attori-chiave all’interno del processo decisionale. Nel caso dei Paesi nordici, della Gran Bretagna, ma anche di Francia, Germania e Spagna, diversi studi tendono a provare la crescita numerica delle équipe di specialisti che “aiutano” e affiancano i Parlamentari europei e gli assistenti nel processo di influenza delle decisioni comunitarie. La pratica del Lobbying alla francese Il periodo 2002-2005 è stato marcato da qualche successo francese in materia di lobbying. Si citerà, notoriamente, l’esempio del progetto di direttiva REACH, ma anche i dossier sui servizi o ancora la strategia di Lisbona, in cui ritroviamo una chiara espressione degli interessi francesi. Riguardo all’esempio REACH, il coordinamento inter-professionale ed inter-governativo è stato particolarmente efficace. Progetto di direttiva REACH La Commissione, che aveva stimato attorno ai 30.000 il numero di prodotti chimici non sufficientemente testati sul mercato europeo, il 29 ottobre 2002 ha deciso di predisporre un progetto di direttiva detto REACH e riguardante la registrazione e la valutazione dei prodotti chimici. Lo scopo era quello di riavvicinare l’opinione pubblica al settore dell’industria chimica. Il progetto seguiva un rapporto più garbato del Parlamento europeo ed un Libro Bianco del 2001. Tale progetto proponeva una suddivisione dei tempi dei test da realizzare. L’industria chimica aveva allora mostrato la sua preoccupazione a causa dei costi e dei terms of reference che erano necessari. Secondo l’industria, la prima proposta della Commissione avrebbe prodotto 100 milioni di relazioni. La Commissione ha dunque deciso di lanciare una consultazione su Internet nel corso di nove seminari, a partire da settembre. Essa ha ricevuto circa 6.200 commenti. Il 42 % delle risposte provenivano dall’industria, il 25 % da soggetti privati, il 26 % da associazioni in lotta contro i test sugli animali, il 3 % da ONG (che hanno fatto appello ad alcune petizioni) e l’1 % da autorità pubbliche. La Francia ha reagito tardivamente, così come la Germania, ossia nel mese di agosto, mentre la consultazione era attiva da settembre. Alla fine, in seguito all’iniziativa del Cancelliere Schröder, è stata inviata alla Commissione europea una lettera recante la firma del Cancelliere tedesco e quella di Jacques Chirac. Questa sottolineava che la direttiva REACH rischiava di frenare la competitività europea. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 161 Capitolo III – Efficacia del lobbying Una riunione ha avuto luogo l’8 luglio 2003 a Parigi tra l’industria chimica e la Commissione europea. Le ONG erano anche del parere che la direttiva REACH non avesse nulla di ecologista, dal momento che molti documenti dovevano ancora essere prodotti. Alcune grandi imprese ed individui hanno anche incontrato la Commissione europea. La direttiva REACH prevedeva la pubblicazione su Internet dei test realizzati, cosa che metteva in causa la protezione dei dati concernenti l’uso di sostanze pericolose. L’Unione delle Industrie Chimiche (UIC), in Francia, ha fatto appello ad un gabinetto americano, Mercer, che ha realizzato uno studio (per 300.000 euro), al fine di valutare il costo della direttiva REACH. Tutte le industrie chimiche hanno partecipato al costo della realizzazione dello studio ed anche i poteri pubblici vi si sono associati. L’UIC ha allora organizzato numerose conferenze stampa (a marzo e aprile 2003), ed ha risposto alla consultazione della Commissione in inglese sul sito della Commissione stessa. Essa ha inoltre redatto un opuscolo con cinque proposte faro, tra cui la creazione di un’agenzia centrale europea dei prodotti chimici, allo scopo di migliorare la protezione della salute umana e dell’ambiente, pur mantenendo un elevato livello di competitività e di innovazione in questo settore. La Commissione è stata così indotta a “rivedere la sua proposta”. Tratto da una giornata organizzata il 4 febbraio 2004 dalla CCIP e dalla Delegazione delle Camere di Commercio e dell’Industria d’Ile-de-France a Bruxelles su “Il lobbying visto dalle istituzioni europee”. 1.3. Una professionalità incontestata dei lobbisti Italiani a Bruxelles Tutti concordano nel riconoscere che la professionalità dei giovani italiani che lavorano a tempo pieno a Bruxelles è assolutamente soddisfacente e promettente per il futuro. Essi sono ormai una generazione nata professionalmente a Bruxelles che ha sviluppato un know-how equivalente a quello dei loro omologhi stranieri. Bisogna dire che la selezione per i posti di lobbisti juniors a Bruxelles è particolarmente severa. Le candidature presentate per un posto si contano spesso a centinaia. Ciò si spiega con il numero di stagiaires presenti nelle istituzioni europee (1.200 stagiaires ogni anno su due sessioni) i quali aspirano a rimanere a Bruxelles, e con le numerose formazioni specializzate sull’Unione europea, capaci di suscitare un notevole interesse. I giovani che lavorano a Bruxelles hanno spesso iter formativi simili: periodi di formazione all’estero o al Collegio di Bruges, stages nelle istituzioni europee o nelle strutture di rappresentanza di interessi. In questo modo, maturano esperienze di lavoro in équipe e sono realmente sensibili alle questioni europee e alla pratica del lobbying. Parlano inoltre più lingue, condizione indispensabile per poter essere assunti. Diventano operativi più rapidamente rispetto ai giovani che non hanno mai avuto esperienze di lavoro a Bruxelles, che non hanno un’esperienza di stage sul campo e che dovranno formarsi alla pratica del lobbying sul loro posto di lavoro. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 162 Capitolo III – Efficacia del lobbying Questi giovani lobbisti italiani, sensibili alle tematiche europee, esercitano la loro attività nel rispetto dei decisori europei, evitando soprattutto il lobbying aggressivo, come dimostra l’esperienza in materia di brevettabilità dei software. I deputati europei hanno ricevuto centinaia di mails da parte di persone interessate ai software e da parte di internauti abituali. Alcuni cittadini hanno anche espresso direttamente il loro punto di vista contattando individualmente degli assistenti parlamentari. È importante, pertanto, costituire delle équipe multiculturali a Bruxelles. 1.4. Persistono difficoltà nel “lavoro in rete” tra italiani Alcune entità italiane, ben consapevoli dell’importanza di essere presenti a Bruxelles, utilizzano in modo efficace le reti che vi si trovano e collaborano l’una con l’altra in modo molto efficace. Trasmettono le informazioni e comunicano largamente tra di loro. Particolarmente attive sono nello sviluppo di networking anche extra-italiano: Telecom Italia, Confindustria, Istituto Italiano di Cultura, Regione Toscana, CNR, e Unioncamere. La maggior parte delle entità italiane, però, agisce in prevalenza nell’ambito di reti informali italo-italiane, nelle quali non si sviluppano sufficienti sinergie. Nella galassia italiana di entità presenti a Bruxelles (almeno 119 uffici) è ancora debole l’uso di reti formali. Sarebbe certamente benefico se emergessero, magari attorno a delle associazioni o delle istituzioni italiane, dei gruppi di lavoro stabili che garantissero stabilità di approccio, scambio di informazioni, approfondimenti, sviluppo di strategie e sinergie. Ad esempio, e ad imitazione di quanto americani, francesi, tedeschi e inglesi già fanno a Bruxelles, si potrebbero immaginare: Club delle Grandi Imprese italiane La sezione europea dei delegati dell’ICE e delle Camere di Commercio nella UE25 Una struttura di riflessione e analisi italiana sulle questioni europee Dei forum settoriali animati dalle federazioni internazionali che possono raggruppare alcune ONG ed imprese Club degli Ambasciatori italiani a Bruxelles e ancora altre.... Nella sezione europea dei delegati ICE e delle Camere di Commercio negli EU25 potrebbero riunirsi anche i lobbisti italiani che lavorano a Bruxelles, organizzando gruppi di lavoro tematici che vedano possibilmente coinvolta anche la Rappresentanza Permanente. Inoltre questa iniziativa potrebbe aprirsi anche all’esterno (come verso la Rappresentanza Permanente del Regno Unito) in modo da creare reti utili oltre l’ambiente italiano. La Rappresentanza Permanente britannica guarda ancora più lontano, dal momento che le riunioni hanno una periodicità fissa (ogni giovedì) e che gli incontri Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 163 Capitolo III – Efficacia del lobbying organizzati con le imprese sono informali e permettono concretamente di organizzare un lobbying. La Confindustria e le Regioni italiane potrebbero organizzare ugualmente degli incontri informali, anche nei giorni festivi, per sviluppare delle reti italiane. Le società di consulenza potrebbero creare gruppi di lobbisti che riuniscano l’insieme dei lobbisti che si trovano a Bruxelles e che lavorano per grandi imprese, regioni, think tanks e gabinetti, al fine di creare una nuova rete italiana. Strutture analoghe e legate a quelle di Bruxelles andrebbero create anche in Italia. Il lobbying in rete è efficace per l’impresa. Potrebbe trattarsi di un processo settoriale (che è spesso la prima tappa verso l’individuazione di un lobbying) o trasversale. Così, il riesame del quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche, nel 2006, è destinato a suscitare una mobilitazione sia settoriale, che individuale. Al di là del settore delle telecomunicazioni, l’espressione degli attori interessati investirà il settore audiovisivo, ma interesserà anche – oltre agli operatori – i fornitori e le imprese di contenuti e di servizi in linea, i quali dovranno essere tutti confrontati con nuovi modelli economici o regolamentari. 1.5. Lingua (inglese) e scarsa capacità di presentazione riducono l’impatto dei lobbisti italiani Gli italiani hanno ancora difficoltà in rapporto alla lingua per la pratica del lobbying. Se si analizza il tasso di risposte italiane alle consultazioni della Commissione europea (quello che si potrebbe chiamare “lobbying primario”) a confronto con gli altri Stati membri dell’Unione, si nota come questo vari sensibilmente a seconda che il questionario sia reso disponibile in lingua italiana oppure no. La maggior parte delle consultazioni sono in inglese131: l’allargamento ha rinforzato il livello di anglicizzazione. Quando l’indagine è disponibile nella loro lingua, gli italiani rispondono maggiormente e soprattutto si collocano in testa al numero di risposte ricevute. Invece, la mancata traduzione in italiano si riflette in risultati di poco inferiori, meno in termine di percentuale che in termine di posizionamento in rapporto agli altri Paesi. Questo si è verificato in occasione della consultazione sul progetto di direttiva REACH, che ha pertanto dissuaso la società civile italiana dall’esprimere la sua opinione. La Germania figura fra i tre paesi con il più alto tasso di partecipazione, a prescindere dalla lingua utilizzata per la consultazione. Tutto ciò è confermato dall’analisi dei risultati dei due questionari consecutivi. Nessuna indagine era disponibile in lingua italiana. La prima indagine, contrariamente alla seconda, era disponibile in lingua francese, cosa che ha portato ad un numero di risposte francesi superiore a quelle registrate al momento della seconda consultazione. È sorprendente che la Commissione europea non adotti una certa coerenza nella scelta delle sue traduzioni. Ci si stupirà che la Commissione non traduca sistematicamente tutte le sue consultazioni nelle tre lingue di lavoro (inglese, francese e tedesco). Sarebbe opportuno che la 131 Si veda l’elenco delle consultazioni della Commissione sullq pagina web: http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 164 Capitolo III – Efficacia del lobbying Commissione pubblicasse almeno una sintesi di tali consultazioni almeno nelle tre lingue. La predominanza dell’inglese nelle consultazioni è certamente legata al fatto che i consulenti mandatari, per realizzarle, siano essi stessi inglesi. Gli italiani non moltiplicano le loro risposte nel corso delle consultazioni europee. Così, un’impresa risponderà una volta soltanto attraverso la sua federazione, mentre un’impresa inglese o tedesca non esiterà a rispondere più volte a proprio nome ed attraverso altri canali. Secondo uno studio realizzato dal gabinetto Burson Marsteller132 presso le istituzioni europee, l’85 % delle persone interrogate, scelte dalle Rappresentanze Permanenti nazionali, dalla Commissione e dal Parlamento europeo, preferiscono interagire in inglese, e non nella propria lingua nazionale (l’italiano rappresenta meno del 4 % delle risposte). Le imprese e gli enti italiani continuano ad esercitare la loro influenza su deputati o Commissari europei d’origine italiana, in parte anche per ragioni linguistiche. 1.6. Solo i grandi (enti ed imprese) riescono bene nel lobbying Se la maggior parte delle imprese sono consapevoli dell’importanza della regolamentazione europea per le loro attività, il lobbying resta ad appannaggio delle grandi imprese che creano la loro propria rete. Questa situazione non accenna a cambiare, dal momento che le PMI non possiedono né i mezzi finanziari, né le risorse umane per praticare individualmente il lobbying. Ad ogni modo, esse hanno bisogno d’essere ben informate e rappresentate. La partecipazione ai think tanks bruxellesi è particolarmente onerosa per alcune PMI, nonostante le tariffe preferenziali che vengono talvolta accordate loro. 132 Gabinetto Burson Marsteller, “The definitive guide to lobbying the European institutions”, primavera 2005. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 165 Capitolo III – Efficacia del lobbying 2. Percezione del lobbying italiano nelle istituzioni europee 133 FRAMMENTAZIONE E PARTICOLARISMO Il lobbismo italiano a Bruxelles è plurale, come è plurale l’espressione interna al Paese. Per ragioni storiche e culturali, ma anche a causa del processo avanzato di disaggregazione dello Stato italiano, l’espressione del lobbismo italiano a Bruxelles riflette la frammentazione e il particolarismo degli interessi italiani. L’interesse collettivo dell’Italia si è affievolito al punto che il lobbismo italiano a Bruxelles rappresenta casi, situazioni, bisogni, aspettative, e richieste sempre più disaggregati, talvolta confliggenti, e particolaristici. DEBOLE E IMPREPARATO Il processo di annullamento delle élites nazionali e di potere iniziato 15 anni fa ha favorito un’autentica rivoluzione che ha fatto emergere una pletora di piccoli poteri assai poco forti. Il lobbismo italiano a Bruxelles è una rappresentazione di questa realtà nazionale, affetta da nanismo protagonistico. Il rarissimo ricorso ai servizi di consulenti professionisti del lobbying europeo suggerisce una grande autostima delle organizzazioni e dei rappresentanti italiani presenti a Bruxelles. D’altra parte, pur con qualche eccezione, il lobbismo italiano è percepito come impreparato, generico, e talvolta inopportuno rispetto al contesto e ai tempi del sistema nel quale agisce. L’efficacia del lobbismo italiano è inficiata dalla poca tenacia, da carenze di metodo, dalla scarsa preparazione tecnica, e da limiti linguistici e culturali. Anche in questo caso, evidentemente, esistono alcune eccezioni. È molto raro incontrare lobbisti italiani che agiscono secondo una strategia concordata anche con altri soggetti non italiani che condividono gli stessi interessi. Questa carenza indebolisce gli italiani nella concorrenza con gli stranieri, particolarmente anglosassoni e tedeschi. È molto frequente che il lobbista italiano esprima un bisogno piuttosto che un interesse inquadrato in una strategia. In questi casi l’efficacia della sua azione è spesso vanificata da altre azioni concorrenti, espresse in modo più chiaro. 133 Il profilo del lobbismo italiano che segue è il frutto di conversazioni con vari funzionari delle istituzioni europee, italiani e stranieri. Tuttavia le opinioni espresse impegnano solo l’autore del Rapporto. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 166 Capitolo III – Efficacia del lobbying TROPPO INFORMALI Il modo in cui si esprime il lobbismo italiano a Bruxelles è spesso fuorviante se correlato all’effettiva realtà rappresentata (rappresentatività, ricchezza, quota di mercato). Si pone quindi un problema di efficienza tra i mezzi utilizzati, la realtà da rappresentare, e i risultati che si ottengono. Gli interventi italo-italiani risultano sempre meno efficaci nei processi comunitari che sono diventati sempre più largamente multiculturali. Tuttavia, anche quando l’intervento attraverso i canali italiani, politici e meno funzionariali sarebbe possibile, è l’impreparazione tecnica e la poca conoscenza dei dossier che inficia l’azione di lobbying italiana. Mantenere delle buone relazioni (public relations), anche se cordiali e costanti, è un elemento insufficiente per incidere sul processo decisionale. I contenuti e la capacità di comunicazione adattata al contesto sono invece essenziali. “Ognuno per sé, nessuno per tutti” Il lobbista italiano spende la sua credibilità personale, ma non riesce a spendere quella del sistema Italia che, nella maggioranza dei casi, non lo segue o sostiene. Questa situazione riduce sensibilmente l’efficacia e le opportunità operative del lobbista. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 167 Capitolo III – Efficacia del lobbying 3. Quadro legislativo europeo e nazionale comparato STATO LEGISLAZIONE PRATICA Austria Nessuna legislazione o registro. L'Art. 40(1) del Regolamento del Consiglio Nazionale e l'art. 33(1) del Reg. del Consiglio Federale. Nessuna legislazione o registro. Il Regolamento Parlamentare della Regione Vallonia, prevede la possibilità per le Commissioni di organizzare incontri con soggetti esterni al Parlamento. I lobbisti che desiderino essere presenti a questi incontri devono comunicarlo e dare dimostrazione, per iscritto, di un interesse diretto nella questione. Nessuna legislazione o registro. Le Commissioni parlamentari sono libere di invitare i rappresentanti dei gruppi di interesse. Belgio Danimarca Parlamento UE Commissione UE Finlandia L'art. 9(2) del Regolamento prevede un registro mantenuto dal Collegio dei Questori e disponibile al pubblico via Internet. Nessuna legislazione o registro. Nessuna legislazione o registro. Francia - Assemblea Nazionale Nessuna legislazione o registro. Vanno presi in considerazione i seguenti articoli del Regolamento: art. 26(1); 23; 79. Francia - Senato Il Senato non presenta registri o elenchi di singoli rappresentanti o di gruppi di pressione. Germania - Bundestag L'Allegato 2 del Regolamento prevede che un pubblico registro venga redatto annualmente. È attualmente in corso, nell'ambiente del lobbying, un dibattito relativo all'emanazione di un Codice di Condotta e all'istituzione di un Registro, entrambi volontari, da adottare sotto la supervisione di un'autorità indipendente, sulla base di quello già esistente per le società di PR. Il Folketing danese invece, riconosce de facto i gruppi di interesse, che possono essere ricevuti ed ascoltati dalle commissioni parlamentari in base a determinate prassi assodate. I nomi dei partecipanti alle audizioni sono inseriti in pubblici registri. I pass di accesso sono rilasciati dal Collegio dei Questori alle persone che intendono fornire informazioni ai deputati. Esiste un Codice di condotta per lobbisti e assistenti parlamentari. Le Commissioni parlamentari sono libere di invitare i rappresentanti dei gruppi di interesse. Esiste un'unica regola, conformemente alle direttive generali emesse dal Bureau dell'Assemblée National, relative alla circolazione delle persone all'interno dell'Assemblea: coloro in possesso di carte speciali, emesse personalmente dal Presidente o dai Questori, possono accedere al Salon de la Paix. Gruppi di professionisti o organizzazioni che desiderino ottenere l'accesso al Sénat debbono avanzare la loro richiesta alla Presidenza del Sénat. Della richiesta si occuperà il Segretariato Generale della Presidenza che, oltre ad autorizzare l'accesso al Palais (sede del Sénat), può anche autorizzare l'accesso ai corridoi della Salle des Séances (la Camera stessa), qualora il gruppo in questione sia considerato importante e rappresentativo. Le Commissioni parlamentari sono libere di invitare i rappresentanti dei gruppi di interesse non in elenco. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 168 Capitolo III – Efficacia del lobbying Germania - Bundesrat Il Regolamento del Bundesrat non prevede norme relative all'attività lobbistica. Grecia Nessuna legislazione o registro. Irlanda Nessuna legislazione o registro. Italia Lussemburgo Nessuna legislazione o registro. A livello locale esistono la LR Toscana 5/2002 e la LR Molise 24/2004. Nessuna legislazione o registro. Norvegia Nessuna legislazione o registro. Olanda Nessuna legislazione o registro. Portogallo Sono regolate le hearings conoscitive delle Commissioni, i cui resoconti, ai fini di una sempre maggior trasparenza, vengono pubblicate regolarmente in versione riassuntiva. L'Ethics in Public Office Act del 1995, indirizzato ai membri delle due Camere e ai funzionari pubblici, li obbliga alla massima trasparenza, tramite l’annotazione in un registro della loro situazione patrimoniale, inclusi i compensi per le attività di lobbying. Simili previsioni sono incluse nella Part 15 del Local Government Act del 2001. Le Commissioni parlamentari sono libere di invitare i rappresentanti dei gruppi di interesse. La Divisione per le Relazioni Pubbliche della Tweede Kamer concede ad agenti dei gruppi di pressione, a lobbisti e rappresentanti di altre organizzazioni un pass speciale valido unicamente per il giorno in cui esso viene emesso. In casi eccezionali, questo pass può avere una validità massima sino a due anni. Nessuna legislazione o registro. Despatch No. 1/93, 22 marzo 1993, 11 Serie, n. 22. Regno Unito - House of Commons Nessuna legislazione o registro. Regno Unito - House of Lords Scozia Nessuna legislazione o registro. Spagna Nessuna legislazione o registro. Svezia Nessuna legislazione o registro. I parlamentari devono registrare i clienti e le consulenze per le quali hanno interesse personale e per cui ricevono una remunerazione a seguito della propria attività istituzionale. Dal 2002 esiste un registro ad iscrizione volontaria. L'attività dei lobbisti ha suscitato interesse in Svezia, in particolare negli ultimi dieci anni, durante i quali il Riksdag ha rigettato ben tre tentativi di regolamentazione, proposti però da singoli parlamentari a titolo personale. Testo e schede tratte dal sito www.lobbyingItalia.info; testo a cura di Emanuele Calvario Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 169 Capitolo III – Efficacia del lobbying 3.1 Italia: una legge per l'attività di lobbying? Esame dei progetti di legge in materia di “Attività di relazione istituzionale” Martedì 31 maggio 2005, la Commissione ha iniziato l'esame del provvedimento. Erano presenti il sottosegretario di Stato alle riforme istituzionali e alla devoluzione, Aldo Brancher, e il sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano. Nitto Francesco PALMA (FI), relatore, ha illustrato le tre proposte di legge all'esame della Commissione, volte a disciplinare l'attività di relazione istituzionale svolta da soggetti individuali o collettivi nei confronti delle assemblee rappresentative o di altri organi o soggetti titolari di pubbliche funzioni. Palma si è soffermato su taluni profili problematici che, a suo avviso, richiederebbero un opportuno approfondimento da parte della Commissione. In primo luogo, la possibilità, prevista dalla legge n.1567 Pisicchio e n.3485 Daniele Galli, di svolgere la predetta attività di relazione istituzionale anche nei confronti di funzionari della pubblica amministrazione rileva, a tale proposito, che la giurisprudenza ha riconosciuto che dallo svolgimento di attività di sollecitazione svolte nei confronti dei pubblici funzionari, il cosiddetto “traffico delle influenze”, possono determinarsi condotte di rilevanza penale. In secondo luogo, le tre proposte di legge sarebbero carenti laddove nulla dispongono in ordine all'ipotesi che i soggetti deputati allo svolgimento delle attività di relazione istituzionale contribuiscano al finanziamento dei partiti politici o di singoli parlamentari. Il riferimento da parte di tutte e tre le proposte di legge al perseguimento di “interessi leciti” nello svolgimento delle attività di relazione istituzionale non sarebbe di per sé sufficiente ad escludere l'astratta possibilità di porre in essere condotte penalmente rilevanti, atteso che anche in caso di compimento di un atto conforme ai doveri di ufficio l'ordinamento prevede la configurabilità del reato di corruzione per atto proprio. Da informazioni ricavate da LobbyingItalia.info, risulta poi che il relatore stia considerando l'eventualità che tale disposizione confligga con della giurisprudenza penale e amministrativa, con particolare riferimento all'attività di lobbying nei confronti della PA. Il ddl Colucci, infatti, limita l'attività di relazione istituzionale alle attività svolte nei confronti dei componenti delle Assemblee legislative, mentre i due altri progetti di legge fanno esplicito riferimento all'attività di lobbying presso la PA. Il ddl Pisicchio per attività di relazione istituzionale intende ogni attività svolta da persone, associazioni, enti e società attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, anche per via elettronica, e tesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri e dei funzionari del Parlamento, del Governo, dei dirigenti di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, dei funzionari dei ruoli direttivi, del personale inquadrato nelle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri e posizioni corrispondenti degli altri comparti della pubblica amministrazione, e di membri delle assemblee elettive regionali, provinciali e comunali. Il ddl Galli fa invece riferimento a "... c) dirigenti di cui all’articolo 15 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modifiche; d) personale con trattamento superiore delle amministrazioni militari, personale inquadrato nelle qualifiche superiori delle pubbliche amministrazioni, anche militare, o comunque formalmente assegnato a mansioni proprie delle medesime qualifiche". Il 18 ottobre 2005, a seguito della presentazione di una serie di emendamenti da parte dei deputati DS Leoni e Bielli, e di una richiesta specifica da parte dell'on. Leoni, il ddl è stato rinviato di nuovo al Comitato Ristretto (che già una volta aveva deciso di non riunirsi). Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 170 Capitolo III – Efficacia del lobbying 4. Orizzonti europei del lobbying: modalità e success stories L’approccio al lobbying da parte dei diversi Paesi europei dipende molto dalla tradizione culturale e dall’esperienza nazionale in materia134. È evidente che i Paesi anglosassoni hanno un vantaggio in tal senso. Tuttavia, anche per Paesi a tradizione “illuministica” le cose stanno cambiando, come è il caso per la Francia e la Spagna, e in minor misura per l’Italia. Il caso della Germania è specifico ad una realtà culturale, linguistica e strutturale molto forte e che ha saputo ritornare sulla scena internazionale dai primi anni ’90. Gli esempi che seguono vogliono essere degli indicatori di tendenza e cercano di descrivere le diverse modalità attraverso le quali si manifestano le azioni di lobbying a Bruxelles. 4.1 Gli esempi britannici Per le organizzazioni britanniche presenti a Bruxelles fare lobbying è parte integrante delle loro attività. Questa attività è riconosciuta al punto che deputati, diplomatici ed esperti non esitano ad incontrarsi, ascoltare e sostenere pubblicamente le azioni dei lobbisti in nome dell’interesse nazionale. In particolare, l’organizzazione britannica del lobbying si basa su un approccio sistemico e integrato, con una “regia” che fa capo all’interesse nazionale che si esprime attraverso i Rappresentanti di Sua Maestà: a) Presenza “nazionale” capillare a tutti livelli del sistema europeo, privilegiando le aree di maggior interesse strategico nazionale (Commissari, gabinetti, segreterie, funzionari, esperti nazionali, delegati presso i vari comitati, deputati e assistenti parlamentari, commissioni, centri di studio e di analisi, stampa, ecc...); b) Accompagnamento e formazione di tutto il personale coinvolto negli affari europei (organizzato dalla Rappresentanza, dalle Camere di Commercio, e dalle associazioni); c) Circolazione delle informazioni tra tutti i livelli della “rete” britannica applicata agli affari europei; d) Qualità e cura delle informazioni, dei briefings e delle note che si fanno circolare a sostegno di un’azione di lobbying. Questo approccio permette ai vari agenti della rete britannica che operano negli affari europei di “spendere” oltre alle carte personali, che certamente sono necessarie, soprattutto quelle del sistema a cui appartengono. Anche per questa 134 Per un inquadramento dottrinale si consiglia la lettura del saggio “Le lobbying européen: bénéfices et préjudices du fonctionnalisme dans l’optique communautaire”, di Marie-Laure BasilienGainche, Revue du Droit Public, n. 3/2004 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 171 Capitolo III – Efficacia del lobbying ragione la partecipazione dei britannici a sostegno delle azioni di lobbying che riguardano un interesse nazionale si manifesta al di là dell’appartenenza a questa o a quella area politica o amministrazione. Infine, va notato che l’approccio britannico al lobbying è stabile, costante e di lunga durata. Questo si traduce nella capacità di influire sui processi sin dai loro albori, e in alcuni casi di provocarli. In pratica, è raro che l’azione britannica si risolva in un’attività di opposizione o di veto. Il “manzo” britannico I produttori di manzo britannici hanno ottenuto il sostegno della Rappresentanza britannica presso l’Unione europea nel riconoscimento della qualità del loro prodotto ed hanno anche ottenuto, attraverso la Rappresentanza Permanente, il sostegno di 87 euro-deputati britannici. Si tratta di tendenze politiche miste, che hanno protestato ad una sola voce attraverso un’azione comune in seno al Parlamento europeo a Strasburgo nel giugno 2000. In contemporanea, la Camera di Commercio britannica di Bruxelles organizzava una cena volta ad esaltare le qualità del manzo britannico. Fonte: stampa britannica e elaborazione CIPI 4.2 Gli esempi francesi I francesi hanno a lungo tempo goduto di una prossimità geografica e funzionale con l’Europa (di cui l’effetto Delors è stato significativo). Questa situazione aveva generato l’atteggiamento che pretendeva di gestire Bruxelles dal proprio ufficio a Parigi. Dal 2002 in poi la Francia ha iniziato una profonda riforma del proprio modo di pensare l’Europa. Il numero di francesi che si stabiliscono a Bruxelles per motivi professionali è in crescita costante. Tra i precursori di questa tendenza si può citare, a titolo di esempio, lo studio di consulenza in intelligence économique ESL & Network, mentre tra le società in lobbying recentemente insediatesi si può citare Athenora. Anche la presenza e permanenza a Bruxelles dei parlamentari europei francesi è in crescita. L’organizzazione del lobbying francese riposa essenzialmente sulle strutture di rappresentanza dello Stato e sulle strutture istituzionali rappresentative degli interessi francesi a Bruxelles. L’attività di coordinamento, collegamento, accompagnamento e formazione della Rappresentanza Permanente francese è molto visibile. Dal punto di vista operativo, il modello di lobbying francese include elementi di quello inglese e tedesco. Tuttavia, sebbene la qualità delle persone e la presenza in posti strategici siano le linee principali dell’azione francese, l’insieme del lobbying francese a Bruxelles è più debole di quello inglese, paragonabile a quello tedesco, e visibilmente più forte di quello italiano. Secondo gli ultimi rapporti sul lobbying francese a Bruxelles, la Francia sembra iniziare a reagire per colmare il gap con la concorrenza inglese, tedesca, e Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 172 Capitolo III – Efficacia del lobbying finanche dei nuovi Paesi membri. La presenza francese nelle istituzioni europee, pur mantenendo un’alta qualità, risente di alcuni anni di “sonno” nella strategia del personale comunitario e presenta alcuni deficit di presenza. Il declino della lingua francese nelle istituzioni europee è un dato che ha prodotto preoccupazione in Francia, provocando la reazione delle istituzioni centrali e delle amministrazioni dello Stato. Nuova formazione, multilinguismo, multiculturalità, maggiore aggressività e determinazione sono tra le nuove linee guida che s’insegnano alle nuove generazioni che vogliono occuparsi di affari europei. Tuttavia, la Francia sconta ancora il prezzo di un sistema troppo franco-francese e incentrato sul ruolo predominante de l’Etat e de l’Administration a scapito dell’iniziativa individuale. Il ritardo francese può essere facilmente verificato soprattutto nei settori industriali più fortemente dipendenti dal mercato pubblico, mentre le altre imprese hanno già da qualche tempo iniziato a reagire. Nel complesso, pero’, la Francia vive con insoddisfazione e preoccupazione la propria relazione con l’Europa. Sono essenzialmente due i problemi dominanti cui devono far fronte i lobbisti francesi: a) La percezione del pubblico francese, secondo cui “tutte le decisioni sono comunque prese a Parigi”, b) La ritrosia dei media a valorizzare le azioni degli eurodeputati francesi. La PAC: un successo tutto francese La PAC (Politica Agricola Comune) rappresenta tradizionalmente uno degli interessi più importanti francesi presso l’Unione europea. Negli ultimi anni, questa è stata da più parti accusata di essere un fardello insostenibile per il bilancio dell’Unione, richidendone di conseguenza un ridimensionamento. Nel 2002, si è giunti quindi a un accordo sulla riforma della PAC che prevede una modifica del sistema con cui vengono erogati i sussidi. Inoltre le prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 prevedono che i finanziamenti destinati scendano dal 46,4% al 36,5%. L’azione di lobbying francese è riuscita a fare in modo che queste riforme non mettessero in discussione i sostanziali vantaggi che la politica porta agli agricoltori francesi. Infatti, nonostante il peso relativo della PAC sul bilancio sia destinato a diminuire nei prossimi anni, l’aumento delle dimensioni del budget farà in modo che le risorse assegnate non siano ridotte, ma incrementate. Allo stesso modo, l’accordo del 2003 assicura che la prossima revisione dei fondi ad essa destinati non entri in vigore prima del 2014, garantendo così per un altro decennio un fondamentale supporto economico per l’agricoltura europea, in particolare francese. Fonte: elaborazione del CIPI in base ad articoli di stampa francese Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 173 Capitolo III – Efficacia del lobbying 4.3 Gli esempi italiani Molte organizzazioni e strutture di lobbying italiano a Bruxelles risentono di un atteggiamento nazionale che percepisce Bruxelles come fosse una “questione estera”, e quindi in qualche modo separata, fisicamente e mentalmente, dall’Italia. Atteggiamento confermato dall’inserimento delle questioni europee nella politica estera nazionale e negli insegnamenti dei dipartimenti di diritto internazionale o di relazioni internazionali, e per gli enti e le imprese spesso inserite nella direzione “esteri” o “internazionale”. La conseguenza pratica è che si sviluppa una perversione nella relazione tra Roma - rappresentanze-a-Bruxelles - Europa, in cui le rappresentanze a Bruxelles dipendono dall’autorizzazione di Roma che a sua volta pretenderebbe di controllare Bruxelles-Europa. Ne risulta uno strabismo romano sull’Europa e un handicap italiano a Bruxelles. Un’altra specificità del sistema italiano di lobbying è che con una certa frequenza, dopo il 1992, il rapporto fiduciario tra i Commissari italiani e la politica di governo italiana non è stato sempre convergente. Questa considerazione vale anche quando i Commissari sono espressione delle parti politiche al governo del Paese. Una simile considerazione, a causa della distribuzione nei diversi gruppi politici europei, vale anche per i parlamentari europei. L’impressione che se ne trae è che Bruxelles estranea chi ci viene dalla realtà politica e sociale del Paese. In generale, l’azione di lobbying italiana si manifesta verso la fine dei processi decisionali, con attività di opposizione, mentre è molto debole nel processo iniziale delle procedure che portano all’adozione di normative o decisioni europee. Il modello italiano di lobbying europeo si può sintetizzare come segue: a) Reazione all’emergenza, basata sulle conoscenze personali, in prevalenza italo-italiane b) Debole sistema strategico che si appoggia su di una fragile struttura reticolare nazionale e internazionale c) Pubbliche relazioni che sconfinano facilmente nel favoritismo d) Azione in ordine sparso e piuttosto caotica e) Circolazione dell’informazione molto scarsa Alcune eccezioni esistono e smentiscono la rappresentazione tendenziale appena fatta. Una ricerca del CIPI ha identificato un caso del 2005 che dimostra la capacità italiana nel lobbying a Bruxelles: coesione, determinazione, chiarezza e tenacia a tutti i livelli decisionali. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 174 Capitolo III – Efficacia del lobbying Il credito d’imposta alla carta stampata in lingua italiana Il credito d’imposta per l’acquisto della carta stampata per i giornali in lingua italiana era considerato dalla Commissione Europea un “aiuto difficile”. Si tratta di aiuti diretti dello Stato per sostenere le cooperative giornalistiche. Secondo la legge 250 del 1990, infatti, ogni anno vengono concessi quasi 100 milioni di euro a sostegno dell’editoria cooperativa e di idee, che coprono i bisogni di decine di testate (dal Manifesto al Foglio, dal Secolo d’Italia a Liberazione, da Avvenire a Carta a Rassegna, ecc...). La Commissione europea riteneva questi aiuti incompatibili con il Trattato. Probabilmente grazie all’interesse evidentemente trasversale di questi aiuti, il sistema Italia ha attuato un massiccio lobbying a Bruxelles, coordinato dalla Presidenza del Consiglio e dalla Rappresentanza Permanente d’Italia, che ha portato ad una decisione favorevole della Commissione europea, nel 2005. Fonte: ricerca del CIPI e documenti della Commissione europea 2005 4.4 Gli esempi spagnoli Gli spagnoli sono i primi “latini” a mostrarsi molto attivi nel settore del lobbying, pur avendo cominciato più tardi di altri (1986) ad occuparsi degli affari comunitari. Ciò che colpisce nel caso spagnolo è la rapidità della loro mobilitazione ed il loro forte spirito di solidarietà. Si tratta di una comunità molto unita che, nonostante la sua tardiva presenza a Bruxelles, è determinata a fare della Spagna una grande potenza economica. L’ultimo semestre di Presidenza spagnola dell’Unione europea è coinciso con un rafforzamento della presenza dei lobbisti spagnoli, che poi sono rimasti attivi a Bruxelles. A livello della politica locale, regionale e nazionale, gli spagnoli che crescono a Bruxelles beneficiano del sostegno della stampa, che considera importante ciò che accade nella capitale d’Europa ed incoraggia gli eletti o gli attori economici a mostrarsi attivi nelle istanze comunitarie. In generale, il lobbying spagnolo agisce usando tutto il peso politico esercitabile dalla capitale attraverso gli esponenti di governo che sono ben collegati ai loro colleghi spagnoli in seno alle istituzioni europee (Parlamento, Consiglio e Commissione). La Spagna non esita a far intervenire i propri rappresentanti politici nelle istituzioni su qualsiasi dossier, anche al di fuori del loro specifico mandato. Anche quando le posizioni politiche del governo di Madrid e quelle dei rappresentanti politici nelle istituzioni europee non coincidono, l’interesse nazionale e l’immagine della Spagna in Europa prevalgono con forza sulle divisioni di opinioni. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 175 Capitolo III – Efficacia del lobbying Aiuti di stato spagnoli La Spagna violerebbe le norme del Trattato in materia di aiuti di Stato concedendo “sconti fiscali importanti” alle imprese spagnole che acquisiscono più del 51% di altre imprese all’interno del mercato unico. Questa situazione è pregressa all’adesione ma si perpetua fino ai nostri giorni. L’intervento spagnolo a difesa dello “sconto fiscale” è stato difeso a tutti i livelli dell’amministrazione e della stampa spagnole, anche mettendo in campo interventi diretti dei Commissari spagnoli a tutela dell’interesse nazionale spagnolo. Fonte: stampa spagnola e elaborazione CIPI 4.5. Gli esempi tedeschi L’approccio tedesco al lobbying europeo si fonda su un’attenta preparazione organizzativa e qualitativa at home. Il sistema tedesco è piuttosto complesso e relativamente più lento di altri, ma riesce a raggiungere risultati eccellenti grazie al “peso” che le posizioni tedesche assumono in sede europea. Il “peso” è il risultato di un processo di condivisione e dialogo tra tutte le parti, appoggiato su una grande capacità analitica e su una riconosciuta qualità delle persone che rappresentano gli interessi tedeschi in sede europea. Dal punto di vista quantitativo il lobbying tedesco è in fase espansiva, ma già copre con forza i settori industriali e quelli regionali e locali delle policy europee. Il sistema organizzativo tedesco prevede che le parti economiche interessate partecipino e sostengano le autorità pubbliche nell’elaborazione delle policy nazionali per poi presentarle in sede europea. Questo modello misto pubblicoprivato comporta una sorta di sponsorizzazione privata dell’attività pubblica. Il caso degli uffici di rappresentanza dei Länder è emblematico. Il lobbying pubblico/privato tedesco L’industria automobilistica tedesca è riuscita, grazie ai deputati tedeschi e all’utilizzo delle loro alleanze in seno al Parlamento europeo, a far nominare come relatore della Commissione Industria un deputato favorevole alla sua causa, così da suffragare la proposta che la interessava. Le rappresentanze dei Länder presso l’Unione europea sono riconosciute dal settore privato tedesco come delle vetrine economiche all’estero. Al momento dell’organizzazione degli eventi all’interno dei loro uffici di Bruxelles, le delegazioni beneficiano automaticamente del sostegno degli attori economici della regione: le birrerie, l’industria automobilistica, le università, le banche. Ogni qual volta questi “sponsors” hanno bisogno di influenzare una decisione a Bruxelles, possono contare sull’appoggio dei contatti politici ed economici sviluppati dalle delegazioni. Fonte: stampa tedesca e elaborazione CIPI Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 176 Capitolo III – Efficacia del lobbying Prospettive finanziarie 2007-2013 e lobbying La discussione del bilancio dell’Unione europea per gli anni 2007-2013 si è rivelata particolarmente complessa, essendo questo il primo bilancio negoziato dopo l’allargamento. L’ingresso di 10 nuovi membri, i quali contano per il 30% della popolazione ma solo il 5 % del PIL europeo, ha reso necessario trovare risorse ingenti per allargare a questi nuovi membri i benefici derivanti dai fondi strutturali. La proposta della Commissione per affrontare questo puó essere riassunta nell’equazione “più Europa = più risorse”, in quanto era volta ad aumentare sostanzialmente i contributi nazionali, in modo da coprire i costi dell’allargamento senza compromettere eccessivamente le politiche di coesione e la PAC. In sede di Consiglio, questo approccio è stato in seguito rigettato nettamente da Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Svezia e Austria che hanno chiesto di non innalzare troppo il budget al di sopra della soglia dell’1% del Reddito Nazionale Lordo, puntando invece a reperire i fondi necessari ridimensionando i finanziamenti destinati ad alcune politiche. Il tortuoso negoziato, sviluppatosi sotto la presidenza lussemburghese e britannica, si è quindi dipanato attorno allo scontro tra i diversi interessi nazionali e attorno alla definizione delle voci destinate ad essere ridimensionate all’interno del bilancio. L’accordo raggiunto ha visto il bilancio per gli anni 2007-2013 fissato al 1,045% del Reddito Nazionale Lordo. La cifra si colloca esattamente a meta’ tra la proposta avanzata dalla presidenza britannica (1,03%) e quella dalla presidenza lussemburghese (1,06%). Questo risultato, ben lontano dall’1,14% proposto dalla Commissione (Prodi), è stato reso possibile attraverso riduzioni dei finanziamenti a svariate voci. I fondi per la Politica di Coesione sono stati il primo terreno disponibile su cui far sacrifici, diminuendo così i finanziamenti di 30 miliardi di euro. Allo stesso tempo i programmi per la “crescita e l’occupazione”, e quelli per “cittadinanza, sicurezza e giustizia” sono stati più che dimezzati. In evidente contraddizione con gli obiettivi della “Strategia di Lisbona”, i fondi per la “competitività e crescita” sono passati da 121,7 a 72 miliardi di euro, mentre i programmi sulla ricerca sono passati da 68 a 48 miliardi di euro. In ultimo, la forbice non ha risparmiato quei fondi che non toccavano direttamente specifici interessi nazionali, come quelli destinati alle “azioni esterne”, “politica di vicinato”, “sviluppo e cooperazione”. L’accordo è stato raggiunto in extremis il 15-16 dicembre 2005. Nonostante vari paesi abbiano alla fine del negoziato viste soddisfatte richieste particolari (come il fondo per la competitività reclamato dalla Spagna), l’accordo rappresenta un successo negoziale di Francia, Gran Bretagna e Germania, cioé i Paesi capaci piu’ di altri di salvaguardare i propri interessi. Allo stesso tempo non è mancato l’appoggio da parte dei nuovi membri, i quali hanno accettato una riduzione dei fondi attribuiti a loro beneficio, assicurandosi pero’ la certezza di poter usufruire di risorse notevoli, se comparate al loro PIL. La coincidenza con il semestre di presidenza britannica ha fatto della Gran Bretagna la protagonista di questo processo. Durante la presentazione del Programma della Presidenza britannica dell’UE dinanzi al Parlamento europeo il 23 giugno 2005, il premier Tony Blair ha chiesto di ridurre il peso della politica agricola comune e della politica di coesione, giustificando questa scelta con la necessita’ di rendere disponibili risorse sufficienti per realizzare la strategia di Lisbona. La posizione contrattuale inglese e il suo ascendente sugli altri membri sono stati però indeboliti dalla volontà di difendere lo “sconto” ai contributi britannici ottenuto a suo tempo da Margareth Thatcher. L’accordo finale non tocca quindi sostanzialmente gli Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 177 Capitolo III – Efficacia del lobbying interessi britannici poiché, sebbene lo sconto verrà ridotto, questo non è messo in discussione e la riduzione è comunque minore di quella prospettata nella precedente bozza lussemburghese. Nonostante lo stato di grazia dell’economia britannica in confronto a quelle continentali, lo sconto permette al paese di non diventare il secondo contribuente netto dell’Unione dopo la Germania. La Gran Bretagna ha inoltre ottenuto anche l’assicurazione che nel 2008-9 si procederà a una revisione complessiva di tutte le spese e risorse, PAC compresa. Se la Gran Bretagna vede in parte ridotto il proprio rimborso, la Francia con questo accordo non peggiora la propria posizione. Infatti, oltre ad aver contrastato sul piano ideologico la visione britannica, sul piano degli interessi è riuscita a conservare sostanzialmente immutata la PAC, baluardo della lobby agricola francese. Infatti, nonostante il quadro delle prospettive finanziarie preveda che questa passi dal 46,4% del 2006 al 36,5% nel 2013, in valori assoluti i finanziamenti passeranno da 56 mld a 57,8 mld in seguito all’allargamento dell’Unione europea. La difesa della PAC da parte dei francesi e’ stata facilitata dal favore che questa politica gode presso i nuovi paesi membri. Inoltre la revisione attuata nel 2003, e accettata anche da Londra, ha riformato il sistema dei sussidi e ridimensionato in peso sul bilancio, ma allo stesso tempo ha blindato l’accordo fino al 2013. Questo ha permesso al ministro degli Esteri francese Douste-Blazy di poter dichiarare: “la Francia ha avuto la meglio perché la PAC non sara’ cambiata prima del 2014”. Al pari di altri paesi, l’Italia ha cercato innanzitutto di non incrementare eccessivamente il proprio contributo finanziario, considerando lo - 0,34% del PIL come il saldo negativo oltre cui non era più possibile accettare un accordo. Questo obiettivo è stato raggiunto, in quanto non si è scesi fino alla soglia del –0,37% ipotizzata dalla precedente bozza lussemburghese. Nonostante questo, il saldo finale ha registrato una perdita di 4,5 miliardi di euro135, dovuti in larga parte all’uscita di numerose regioni dall’Obiettivo 2. La perdita è stata solo in parte mitigata dalla riconferma di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia come regioni consegnate nell’obiettivo 1, dal quale sono invece uscite per il cosiddetto “effetto statistico” Sardegna e Basilicata. L’azione diplomatica italiana è stata in particolar modo intralciata dal persistente dualismo economico Nord-Sud che pone il Paese al contempo tra i principali contribuenti al bilancio comunitario ma anche tra i principali beneficiari dei fondi strutturali e di coesione136. Questa situazione ha contribuito a creare difficoltà nella ricerca e nella costruzione di alleanze con altri Stati membri, che difficilmente si trovavano in condizioni simili all’Italia. Probabilmente, un’azione congiunta di lobbying in sedi diverse dal Consiglio Europeo da parte di attori istituzionali e non solo, avrebbe potuto produrre altre soluzioni. 135 Si veda l’intervento dell’europarlamentare Gianni Pittella: http://www.giannipittella.org/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1696&m ode=thread&order=0&thold=0 136 Per una più precisa trattazione di questo punto, si veda in Limes 1/2006 le pagg. 191-204. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 178 Capitolo IV Lobbying italiano al servizio dell’Italia Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 179 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 1. Dare un’immagine positiva del Lobbying italiano La strategia di influenza poggia su dei criteri di credibilità: Il qualunquismo (basta avere un po’ di buona volontà e qualche “amico”) e il velleitarismo (denunciare gli errori per ottenere un successo personale dimenticando l’interesse collettivo) sono attitudini che sicuramente danneggiano la credibilità del lobbista di qualsiasi nazionalità e in qualsiasi contesto. Si deve evitare di cadere nella “sindrome dell’isolamento” (lobbying ideologico o moralista, che non cerca compromessi e che crede solo in se stesso) oppure nella “sindrome dell’amico influente” (lobbying basato solo su relazioni privilegiate). Il vero lobbista “non compra mai” una decisione dai suoi interlocutori, e questo perché dimostrerebbe di non essere capace di far valere le proprie ragioni, oltre a commettere dei reati. I regali di favore, gli inviti lussuosi o VIP, devono essere sostituiti con le capacità di sviluppare uno scambio di idee e di informazioni in tempi condensati e contingentati. Nella società attuale, i rapporti sono regolati dalle tradizioni, dal fair play, e la legge non basta più da sola. In questo contesto, sebbene le tradizioni culturali siano importanti per adattare il proprio discorso a quello dei propri interlocutori, si deve capire che le regole da rispettare sono basate su standards condivisi e su benchmarks. Questo vuol dire che basare la propria azione solo sulle proprie tradizioni culturali risulta in un errore che può portare alla perdita di credibilità di un lobbista su un’intera rete di contatti. Se è necessario prendere coscienza delle lacune italiane nell’esercizio del lobbying, è doveroso non trasmettere un’immagine troppo negativa della pratica del lobbying italiano. Al contrario, conviene saper esaltare gli sforzi compiuti. È importante sviluppare spiegazioni più chiare riguardo al ruolo delle istituzioni europee. I successi del lobbying italiano devono essere messi in evidenza in modo sufficiente attraverso la stampa e non devono essere dimenticati troppo in fretta. Gli italiani che iniziano ad assimilare le pratiche anglosassoni devono ormai avere come ambizione quella di “superare il maestro”, sviluppando pratiche che siano loro proprie culturalmente, ma continuando ad appoggiarsi su delle équipe multiculturali. Le imprese devono poter sviluppare dei “riflessi” sul lobbying, organizzando dei seminari di sensibilizzazione come quadro generale. Questi meritano di essere strutturati in modo da far aumentare le richieste di sostegno presso le strutture Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 180 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia stabilite a Bruxelles (rappresentanze, federazioni) per una migliore sinergia delle azioni. Le strutture italiane di rappresentanza a Bruxelles hanno un ruolo essenziale come “osservatori” e formatori. Formazione di base per il personale inviato in sedi dove l’attività dominante è il lobbying. Coloro che sono già basati a Bruxelles hanno un ruolo pedagogico permanente. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 181 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 2. Influenzare Roma e l’Italia 2.1 Influenzare gli eletti a livello locale e nazionale L’Italia, che nel 2004 registrava un punteggio mediocre tra i 15 paesi dell’Unione quanto alla trasposizione delle direttive, ha aggravato la sua situazione nel 2005, diventando il peggior paese. Anche il numero delle procedure di violazione è cresciuto rispetto al 2004, mantenendo l’Italia all’ultimo gradino della classifica. Trasposizione delle direttive per paese - deficit di trasposizione in % Italia 4,1 Lussemburgo 4 Repubblica Ceca 3,6 Portogallo 3,4 Belgio 2,4 Francia 2,4 Polonia 1,7 Paesi-Bassi 1,6 Germania 1,4 Spagna 1,4 Regno-Unito 1,4 Danimarca 0,8 Fonte: “Internal Market – Scoreboard”, Commissione Europea, luglio 2005, n. 15 Per l’Italia è tempo di reagire, soprattutto se confrontata direttamente con i nuovi Stati membri, che hanno ottenuto risultati molto buoni. Malta, la Spagna, la Repubblica Slovacca, la Svezia e il Regno Unito riportano anche delle buone performances. Tali difetti di trasposizione non sono privi di conseguenze per le imprese, che devono adattare i loro prodotti per venderli in più di uno Stato membro, raddoppiare il numero di collaudi dei loro prodotti se vogliono vendere su un mercato che investe un maggior numero di Stati membri, ecc... I fornitori di servizi si scontrano anche con delle regolamentazioni nazionali o locali costose e spesso contradditorie. La debole trasposizione delle direttive nel diritto nazionale può influenzare la credibilità dei lobbisisti, che rappresentano gli interessi degli Stati “recalcitranti”. Ciò incide sulla loro credibilità quando richiedono una nuova direttiva oppure quando auspicano delle modifiche dal punto di vista del contenuto. Per aiutare a risolvere il problema potrebbero essere stabiliti più legami tra la Rappresentanza Permanente e il Parlamento italiano. La Commissione europea ha da poco (agosto 2005) adottato un maggior numero di procedure contro gli Stati membri che non traspongono, nel diritto nazionale, le misure che riguardano il mercato interno. Tredici Paesi sono coinvolti: il Belgio, la Repubblica ceca, l’Estonia, la Grecia, l’Italia, la Lettonia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Slovacchia, la Spagna, la Svezia e il Regno Unito. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 182 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia I Paesi sono invitati ad adattare le loro legislazioni nazionali ai diversi ambiti, costituiti dalla sorveglianza complementare dei conglomerati finanziari, il risanamento e la liquidazione degli istituti di credito, le regole contabili, l’assicurazione sulla vita, i servizi postali e i servizi ad accesso condizionale. L’Italia continua a legiferare per trasporre il diritto comunitario nel diritto interno, mentre sarebbe sufficiente una procedura minimalista sulla quale riflettere. Sembrerebbe che l’attività di lobbying non sia ancora pienamente compresa dalle autorità amministrative nazionali. Alcuni deputati europei riconoscono di avere difficoltà a farsi capire dai deputati nazionali, e non tanto per le problematiche europee o per i successi o insuccessi in materia di lobbying. Per correggere questa situazione, si potrebbe pensare di nominare un consigliere europeo per ogni gabinetto ministeriale, come sta pensando di fare la Francia137. Inoltre, i deputati e i funzionari europei di origine italiana dovrebbero fare regolarmente il punto sulla rappresentazione degli interessi italiani a livello delle istituzioni comunitarie. Alcune sinergie meritano di essere rafforzate tra gli interessi tecnici e quelli politici: Le imprese non devono esitare ad influenzare le autorità nazionali, al fine di evitare di commettere errori di trasposizione che possano mettere in discussione la credibilità dei lobbisti sui progetti di ulteriori testi. I deputati italiani al Parlamento europeo potrebbero partecipare attivamente a degli inter-gruppi parlamentari. Il coordinamento delle attività dei funzionari europei d’origine italiana potrebbe essere rafforzato in modo utile, anche in un contesto più informale. Infine, è interessante notare come il Ministro italiano in carica per gli affari europei sia un Ministro senza portafoglio. Tuttavia, qualcosa è stato fatto per migliorare la situazione strutturale italiana rispetto all’Europa. 2.2 Influenzare gli amministratori nazionali e locali Gli Esperti Nazionali Distaccati (END) continuano ad essere remunerati dal loro organismo d’origine. Da notare che il termine “distaccato”, utilizzato dalla Commissione europea, non corrisponde necessariamente alla nozione utilizzata dalla funzione pubblica italiana, bensì a quella inglese. Si tratta piuttosto di mettere “a disposizione” o “fuori ruolo temporaneo”. Il salario degli END continua ad essere versato dall’amministrazione d’origine, mentre dall’istituzione europea ricevono un’indennità giornaliera. Tutte le strutture italiane assimilate alla funzione pubblica, principalmente le Camere di Commercio, non hanno la possibilità di nominare degli END. Di conseguenza, l’Italia non è ben collocata in termini di END presso le istituzioni europee, sia in termini quantitativi che qualitativi, trascurando l’importanza che questi elementi hanno nell’attività di lobbying. 137 Conferenza Athenora Consulting, “ Les Français à Bruxelles : un lobbying professionnel à visage découvert ? “, Parlamento europeo, 31 maggio 2005. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 183 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia END per nazionalità al 1 luglio 2002 Bruxelles Ispra* Lussemburgo Totale Austria 36 3 39 Belgio 31 4 35 Bulgaria Canada 2 2 Svizzera 2 3 5 Cipro 1 1 Repubblica Ceca 2 2 Germania 131 14 145 Danimarca 21 21 Estonia Spagna 51 7 58 Finlandia 25 5 30 Francia 137 13 150 Regno Unito 115 7 122 Grecia 18 4 22 Ungheria 3 3 Irlanda 22 4 26 India Islanda 2 2 4 Italia 66 5 71 Lituania Lettonia Malta Paesi-Bassi 41 3 44 Norvegia 21 7 28 Polonia 1 1 Portogallo 27 2 29 Romania 3 1 4 Svezia 39 5 44 Slovenia 1 1 Slovacchia 3 3 Senegal Stati-Uniti 1 1 Yugoslavia 1 1 Totale 803 1 88 892 * per agenzie della Commissione europea Fonte: informazioni elaborate a partire dai dati ricevuti dalla Commissione europea Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 184 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia END per nazionalità al 1 luglio 2005 Bruxelles Dublino* Ispra* Lussemburgo 34 2 3 28 7 4 Austria Belgio Bulgaria Canada Svizzera 3 Cipro 1 Repubblica Ceca 11 6 2 Germania 114 3 8 Danimarca 22 1 Estonia 4 4 2 Spagna 38 5 Finlandia 19 1 1 Francia 127 11 Regno Unito 101 4 Grecia 18 1 Ungheria 24 5 2 Irlanda 15 1 India 1 Islanda 2 2 Italia 69 2 6 Lituania 7 3 5 Lettonia 2 2 3 Malta 1 1 Paesi-Bassi 60 3 Norvegia 33 6 Polonia 22 4 3 Portogallo 26 2 Romania 11 4 4 Svezia 31 4 Slovenia 3 Slovacchia 10 3 4 Senegal 1 Stati-Uniti 2 1 Yugoslavia Totale 840 1 43 91 *per agenzie della Commissione europea Fonte: informazioni elaborate a partire dai dati ricevuti dalla Commissione europea Totale 39 35 4 3 1 19 125 23 10 43 21 138 105 19 31 16 1 4 77 15 7 2 63 39 29 28 19 35 3 17 1 3 975 Le Camere di Commercio dovrebbero poter presentare degli END alle istituzioni europee L’amministrazione ed il settore privato devono definire insieme i posti-chiave per gli END Poche amministrazioni regionali e locali presentano END Spicca l’esigua presenza di END provenienti dall’industria italiana Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 185 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 2.3. Influenzare le sedi degli enti e delle imprese La strategia d’influenza verso “la base” è essenziale. Se la presa di coscienza dell’importanza del lobbying presso le istituzioni europee è crescente, e se la maggior parte delle imprese importanti hanno sviluppato la loro propria struttura a Bruxelles, oppure si integrano nelle federazioni europee, la debolezza generale del lobbying italiano perdura. Bruxelles è un luogo decisionale che non si muove da solo per le grandi imprese. Per alcune imprese con ambizione mondiale o internazionale, l’Europa non appare un limite pertinente. Il loro mercato è globale, non unicamente europeo. Le strutture esecutive delle grandi imprese sottovalutano tuttavia il fatto che è a livello dell’Unione europea che si segnalano nuove aperture di mercato e che si decide la politica di difesa degli interessi per il commercio estero. Di conseguenza, il ruolo di negoziatore dell’Unione europea deve essere tenuto bene a mente dalle imprese. Così, l’Unione europea ha presentato nel corso del 2005 una posizione offensiva al tavolo negoziale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che va ben oltre l’offerta americana, per i servizi d’imposta (telecomunicazioni), poiché si tratta di aprire ai fornitori esterni gli stessi vantaggi di quelli concessi in seno al mercato interno europeo. Le imprese devono definire i loro obiettivi: in caso di impatto strategico sull’attività del loro settore, esse devono essere totalmente mobilitate. Sugli altri soggetti, è loro compito definire se posizionarsi in termini di reattività o di proattività. È fondamentale non lasciare il proprio destino nelle mani dei concorrenti. D’altro canto, essere nominati a Bruxelles rimane ancora privilegio di coloro che sono a fine carriera. Se la persona inviata a Bruxelles deve essere sufficientemente autonoma in rapporto alla sua gerarchia, è importante che essa sia familiarizzata con la realtà di Bruxelles. È imprescindibile formare i dirigenti al lobbying allo scopo di inculcare una coscienza europea in tutti i settori d’attività dell’impresa. Ad oggi, le questioni europee non investono ancora tutta la struttura dell’impresa. Queste restano l’appannaggio di qualche direzione. Un certo numero di responsabili all’interno delle imprese si stupisce ancora della facilità con la quale si possono incontrare funzionari europei e far valere le proprie idee. Alcuni “consulenti” individuali si fanno retribuire in maniera abusiva semplicemente per mettere in contatto un’impresa con un parlamentare o un funzionario europeo, senza pertanto definire una vera strategia di lobbying. È dunque semplice chiamare, ad esempio, la Commissione europea per conoscere chi si occupa di un dossier. Ciascun funzionario ha l’obbligo di informare la persona che lo interpella. Oltre tutto, il ruolo delle strutture rappresentative europee potrebbero essere accresciuti da sinergie più importanti. È essenziale che le necessità e le domande degli uni e degli altri si incontrino e si manifestino attraverso dei programmi di lavoro, dal momento che, al di là del lobbying propriamente detto, le strutture rappresentative hanno un ruolo essenziale di controllo. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 186 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 3. Influenzare gli influenti I media sono strumenti importanti d’informazione che possono diventare alleati fondamentali dei lobbisti. In Italia, la cultura prevalente dei media non sempre si relaziona bene con i bisogni delle imprese e dell’economia. In generale, i media riterrebbero di farsi “manipolare” se veicolassero le idee provenienti dai lobbisti. In linea di massima, la situazione dei media italiani rispetto al lobbying è ancora timorosa rispetto a quanto avviene in altri paesi. Nel mondo anglosassone, il numero di interventi dei gruppi d’interesse e delle associazioni nei due giornali di riferimento della comunità finanziaria, Financial Times e Wall Street Journal , è aumentato in modo considerevole nel corso degli anni ’90. Questo rivela una certa sensibilità nei confronti del lobbying. Non è un caso se il Financial Times continua ad essere il quotidiano privilegiato dei lobbisti, nonché dei funzionari europei. In Francia138, le imprese, i gruppi d’interesse e le associazioni si sono nettamente riavvicinate negli ultimi anni. Per le imprese, tale fenomeno è motivato da una strategia di riduzione dell’esposizione al rischio e di valorizzazione dell’immagine, dalla volontà di rafforzare la perizia in materia sociale ed ambientale, ed infine dalla volontà di rafforzare la capacità di monitoraggio sociale. Quanto ai gruppi d’interesse e alle associazioni, essi ricercano un’estensione del loro campo d’azione, la diversificazione delle strategie d’influenza e delle fonti di finanziamento, l’ampliamento delle fonti d’accesso all’informazione ed un ricambio per la diffusione dei loro messaggi. La maggior parte delle grandi imprese controllano i gruppi d’interesse e qualche associazione, altre si legano a forme di partenariato come BP e la ED negli Stati Uniti, mentre sono più rare le azioni puntuali comuni di lobbying. Ogni tipo di raffronto con i gruppi d’interesse e le associazioni può essere utile, per familiarizzarsi, ad esempio, con i loro metodi di fare lobbying. Dal momento che tali raffronti con i gruppi d’interesse e le associazioni non costituiscono un rischio, è possibile anche agire più indirettamente attraverso la mediazione di piattaforme di incontri e di discussione. A Bruxelles sono presenti diverse strutture all’interno delle quali imprese, gruppi d’interesse e associazioni si scambiano idee e possono anche collaborare. È, ad esempio, il caso del Corporate Social Responsability (CSR) Europe che funge da piattaforma tra imprese, gruppi d’interesse e associazioni sul tema della responsabilità sociale. Il GREEN 8 (che diventa il GREEN 9), il quale raccoglie le maggiori organizzazioni ambientali d’Europa, comprende allo stesso modo imprese, gruppi d’interesse e associazioni che si occupano di tematiche ambientali, ed è pure finanziato dalla Commissione europea. L’Italia non dispone di legami privilegiati con gruppi d’interesse o associazioni, con l’eccezione dell’associazionismo cattolico (ACLI). Invece, per l’Italia potrebbe essere proficuo stringere rapporti con alcuni di questi gruppi. 138 IFRI ed Institut de l’entreprise, “Les relations ONG-entreprises : bilan et perspectives », aprile 2005 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 187 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Le imprese devono essere invitate a collaborare con i gruppi d’interesse, le associazioni e i media (principalmente anglosassoni), allo scopo di ottimizzare le loro esperienze in materia di lobbying. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 188 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 4. Allineare strategia, intelligence economica e lobbying “Se la conoscenza e la comprensione al servizio dell’azione costituiscono il principio dell’intelligence economica, e se la preoccupazione della sicurezza, nonché l’obiettivo di competitività, si trovano ciascuno ad una estremità del filo dell’intelligence economica, è l’influenza, come presa di posizione intellettuale e metodo d’azione, a guidare il nostro comportamento al di là delle nostre stesse frontiere”. (Bernard Carayon139) L’intelligence economica è un concetto che emerge in ritardo e lentamente in Italia e che investe la politica di sicurezza economica. Quest’attività è stata tradizionalmente gestita in modo esclusivo dal potere politico e finanziario (si pensi al potere di intelligence economica che la Mediobanca di Cuccia ha esercitato per circa mezzo secolo). L’arrivo delle banche d’affari anglosassoni e lo sviluppo recente di gruppi nazionali di merchant banking ha attratto anche qualche società di intelligence economica straniera in Italia. L’intelligence economica è anche praticata da strutture pubbliche straniere in Italia dedicate allo sviluppo delle relazioni commerciali e degli investimenti (tra le più attive a Milano si trovano le strutture del commerce exterieure della Francia e la AmCham americana). L’intelligence economica ed il lobbying sono concetti dominati dalla cultura anglosassone. Al primo impatto, le loro definizioni appaiono sfocate e sono oggetto di sospetto. D’altro canto, coloro che praticano l’intelligence economica hanno un desiderio di farsi riconoscere al pari di quelli che fanno lobbying ed è per questo che, sul modello di questi ultimi, i primi cercano oggi di organizzare la loro professione. Le pratiche d’intelligence economica e di lobbying differiscono, ma è comunque importante stabilire dei legami tra di loro. L’intelligence economica permette di cogliere le evoluzioni future per le quali un’attività di lobbying può essere presa in considerazione. Inoltre, certe tecniche proprie all’intelligence economica, come il knowledge management (l’arte di far circolare l’informazione tra le persone e di renderla attiva), possono essere utili al lobbying. La strategia permette di scegliere e circoscrivere gli obiettivi da raggiungere, e di usare al meglio le risorse disponibili per ottenere i risultati desiderati. Tenendo presente che la strategia è un processo dinamico che si basa sui continui inputs della intelligence economica e del lobbying, tre fasi sono comuni all’insieme del processo: a. La valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment) serve per: mettere una determinata situazione in prospettiva con parametri diversi; identificare, valutare, ed avvalorare gli obiettivi; sviluppare soluzioni ai problemi e alle questioni; sviluppare un piano d’azione condiviso. 139 Deputato francese, e incaricato del Primo Ministro De Villepin di preaparare un nuovo Rapporto sull’intelligence economica francese, ottobre 2005. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 189 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia b. L’organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting) permette di: predisporre gli elementi della struttura operativa e di sostegno; identificare e selezionare le risorse necessarie; sistematizzare le possibili opzioni operative. c. La realizzazione della strategia (implementation) include: formazione delle persone e sviluppo delle capacità; accompagnamento, attraverso la formulazione continua di raccomandazioni e consigli; sviluppo e realizzazione della strategia scelta; fornitura continua di feedback, osservazioni, idee, informazioni di fondo, ed opinioni; provocazione o stimolo di idee o di cambiamenti. Intelligence economica, strategia e lobbying sono gli strumenti necessari per avere un approccio operativo efficace ed efficiente, ma la nuova situazione mondiale richiede anche lo sviluppo della conoscenza. Ciò significa, dal lato delle attività produttive e dei servizi, la necessità di investire continuamente nella ricerca e nell’innovazione, mentre dal lato dei Paesi e delle persone, la necessità di investire continuamente nella formazione e nello sviluppo delle capacità. È necessario creare dei cicli di formazione per le imprese proprio su queste tematiche. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 190 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 5. Dare continuità e stabilità alla professione del lobbista Contemporaneamente all’aumento del numero di lobbisti e all’affinamento della loro pratica, si fanno strada dei tentativi per regolamentare la professione. La Società dei Professionisti degli Affari Europei (SEAP) si oppone alla registrazione obbligatoria dei lobbisti a Bruxelles, contrariamente a ciò che rivendicava il Corporate Europe Observatory, in una lettera aperta al Presidente della Commissione Europea Barroso il 25 ottobre 2004. Secondo la SEAP, l’autoregolamentazione è il modo migliore per promuovere i comportamenti etici. Il rischio di farsi una “cattiva reputazione” basterebbe a regolare le attività dei lobbisti. Malgrado quest’eco, che è rappresentativa della professione, Siim Kallas, Vicepresidente della Commissione europea, ha lanciato un’iniziativa europea (European Transparency Initiative) nel marzo 2005, con l’intento di accrescere la trasparenza dei lavori della Commissione e di sollecitare un comportamento altrettanto trasparente da parte dei lobbisti, dei gruppi d’interesse e delle associazioni che ricevono spesso fondi dalla Commissione e che dovrebbero, dunque, giustificarne l’utilizzo. Un “Libro Bianco” sul tema deve essere presentato al Collegio dei Commissari, e dovrebbe essere preceduto da una larga consultazione presso i professionisti. L’attivismo della Commissione europea sembra fare eco a ciò che già esiste negli Stati Uniti e in Canada: Negli USA, il Lobbying Disclosure Act (1995) prevede un certo numero di obblighi. I gabinetti di lobbying devono farsi registrare per ciascun cliente, se la remunerazione è superiore ai 6.000 dollari per un periodo di sei mesi. Ogni organizzazione che faccia appello ai lobbisti deve produrre una dichiarazione, se l’attività di lobbying eccede 24.500 dollari per un periodo di sei mesi. Allo stesso modo, i lobbisti hanno l’obbligo di stilare un rapporto due volte l’anno (inizio gennaio ed inizio luglio), spiegando le attività esercitate. Le società di lobbying devono anche redigere un rapporto per ciascun cliente. Il 29 novembre 2002, il Canada ha adottato una legge sulla trasparenza e sull’etica in materia di lobbying. Tra le varie disposizioni, la legge, che ha per oggetto l’inquadramento delle attività di lobbying, prevede la creazione di un registro pubblico dei lobbisti ed istituisce un posto di commissario al lobbying. L’autorità pubblica preposta alla registrazione dei lobbisti agisce in forza della “legge sulla registrazione dei lobbisti”, secondo la quale i soggetti privati devono registrarsi (pena un’ammenda dai 500 ai 25.000 dollari) e divulgare certe informazioni, se agiscono o fanno pressione sul governo federale. L’amministrazione registra i lobbisti remunerati e gestisce un registro pubblico. In più, vengono prese in considerazione le infrazioni al Codice Deontologico dei lobbisti. L’amministrazione offre servizi di Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 191 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia consulenza ai futuri lobbisti, informa i funzionari federali e il pubblico sulle attività di lobbying. Tale amministrazione è autorizzata a pubblicare bollettini di aggiornamento, mentre il lobbista deve inviare rapporti annuali al Parlamento. Questa legislazione non è stata gradita dai lobbisti e dagli avvocati canadesi, secondo i quali bisognava innanzi tutto garantire “l'integrità del sistema pubblico, piuttosto che quella dei lobbisti”. La volontà di regolamentare il lobbying a Bruxelles rischia di gettare un’ombra di sospetto sulla professione, che sembrerebbe quasi legittimata negli ultimi anni. Sarebbe rischioso, infatti, cercare di regolamentare il lobbying attraverso un quadro legislativo formale, che potrebbe rivelarsi meno efficace dei codici di condotta e di buona pratica che potrebbero derivare dall’autoregolamentazione. D’altronde, ogni regolamentazione in materia porrebbe delle difficoltà reali quanto al modo di definire le attività di lobbying. Si tratterebbe di un lobbying esercitato da Bruxelles oppure dagli Stati membri? Come potrebbe essere determinata la soglia minima di budget richiesta per identificare un’attività di lobbying? Come potrebbero delle strutture nazionali, quali le federazioni nazionali o le Camere di Commercio, definire le somme da destinare alla pratica del lobbying europeo a confronto con quelle del lobbying nazionale? Tutte le definizioni e le soglie non potranno che essere arbitrarie! Ad esempio, l’ONG ecologista “Friends of the Earth” (“Gli amici della Terra”) auspica che tutte le organizzazioni che dispongono di un budget minimo di 20.000 euro per le loro attività di lobbying abbiano l’obbligo di iscrivere i propri membri in un futuro registro, ma non giustifica la scelta di questa somma. Poiché i lobbisti contribuiscono in modo incisivo all’elaborazione della soft law, sarebbe più opportuno, al contrario, incitarli a “professionalizzare” la loro attività e ad organizzarsi. Ciò sarebbe molto più utile di ogni sistema di registrazione obbligatoria e sanzionabile, che non fornirebbe nessuna garanzia di probità e di know-how. Alcuni uffici dei più importanti gabinetti americani di lobbying a Bruxelles hanno stilato, nel gennaio 2005, un nuovo codice di condotta per il tramite del European Public Affairs Consultancies Association (EPACA), di cui fanno parte. L’EPACA prevede delle misure disciplinari rigide contro i membri che non rispettano il codice di condotta imposto dalla Commissione europea. Nel febbraio 2005, la SEAP ha pubblicato una nuova versione del suo codice di condotta, al termine di un anno di discussioni. Tale codice ha incontrato dei detrattori, dal momento che le ONG non sono contemplate dal testo, che è applicabile esclusivamente ai rappresentanti dell’industria e delle federazioni commerciali, così come alle società di lobbying, su base semplicemente volontaria. Le sanzioni sono limitate, e vanno dal monito verbale, all’esclusione dalla SEAP. Non è prevista alcuna sanzione civile o penale. Ancora una volta, codici simili hanno il vantaggio di indirizzare lo spirito e la pratica verso un approccio deontologico. La riflessione e l’introspezione sulla “professione” sono molto più utili di testi statici che avrebbero come unico scopo quello di rassicurare. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 192 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Nel 2002, la CCIP aveva caldeggiato l’attuazione di una vera e propria politica deontologica. La sua proposta di adattare il Codice deontologico degli avvocati ai lobbisti è stata presa in considerazione: il codice deontologico del Consiglio degli avvocati della Comunità europea è stato rivisto il 6 e 7 dicembre 2002. La revisione ha implicato dei cambiamenti per quanto concerne le regole relative alla pubblicità personale. Il caso dell’organizzazione della professione d’avvocato dovrebbe servire da esempio. Inoltre, per quanto riguarda i codici deontologici, la proposta presentata dalla CCIP nel 2002 dovrebbe essere reiterata. Poiché alcuni lobbisti sono pervenuti a difendere degli interessi estranei all’Unione europea, in uno spirito di difesa dell’Unione stessa, i codici deontologici dovrebbero sollecitare la diffusione di questi dati. La banca dati CONECCS della Commissione europea e il repertorio delle persone accreditate presso il Parlamento europeo dovrebbero indicare l’avvenuta sottoscrizione di un codice deontologico. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 193 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 6. Influenzare oltre Bruxelles “tutto non si svolge a Roma... …tutto si svolge a Bruxelles” Molte imprese ignorano ancora il ruolo e l’importanza delle organizzazioni internazionali, come l’OCSE, le istituzioni finanziarie internazionali (Banca mondiale, FMI, BEI) e l’OMC. Se tutte le imprese si dichiarano coinvolte e minacciate dai fenomeni di delocalizzazione e di globalizzazione, esse non sono ancora in grado di seguire ciò che accade più specificamente all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Dato il ruolo dei paesi emergenti, come la Cina e l’India, è sempre più importante agire presso tale organizzazione influenzando, in particolar modo, la Commissione, che è l’interlocutore dell’Unione europea in quest’ambito. Poche imprese si interessano ai negoziati sui servizi, cosa che non facilita il compito della Commissione europea, la quale ha difficoltà ad elaborare la sua strategia. La posta in gioco nelle prossime liberalizzazioni è dunque vitale per le imprese, soprattutto se non è prevista nessuna garanzia di reciprocità da parte dei loro partner per un determinato settore di attività. Poche imprese assistono ai debriefings delle Rappresentanze Permanenti a Bruxelles, sulle tematiche OMC. Influenzare l’OMC implica un’azione a livello della Commissione, negoziatrice unica per i suoi Stati membri, ma anche a livello delle Rappresentanze Permanenti presso questa organizzazione internazionale, allo scopo di formare coalizioni più vaste possibili. Le federazioni devono sensibilizzare le imprese al ruolo normativo delle organizzazioni ed associazioni internazionali di imprese, incitandole a far valere i loro interessi. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 194 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 7. Conseguenze dell’allargamento e del “no” alla Costituzione sul lobbying italiano L’allargamento ha profondamente modificato il funzionamento delle istituzioni europee e tale fenomeno sembra amplificato dai risultati dei referendum sulla Costituzione europea. L’azione dei 25 diventa difficile, poiché gli Stati membri sono sempre più diversi e i loro interessi non sempre sono simili. Le istituzioni europee sembrano adattarsi alla situazione in modo non omogeneo. La situazione attuale e il posizionamento delle istituzioni europee sono particolarmente favorevoli ai lobbisti. Mai le istituzioni europee si sono avvicinate al modello americano, in cui politica e società civile lavorano di pari passo. 7.1 Un’apertura sempre maggiore verso la società civile da parte dell’organo “amministrativo” La Commissione europea sembra cercare l’energia necessaria per la “macchina comunitaria” al di fuori del cerchio puramente amministrativo e politico. La Commissione consultava già le parti interessate mediante diversi strumenti, come i Libri Verdi e Bianchi, le comunicazioni, i comitati consultivi, i panels di imprese e le consultazioni ad hoc. Il Libro Bianco sulla governance europea (COM 2001 428), adottato notoriamente in risposta alle sfide poste dall’allargamento, ha modificato in modo significativo il funzionamento della Commissione europea. La Commissione ricorre sempre più spesso a consultazioni esterne. Se nel 2002 la Commissione ha realizzato 9 consultazioni esterne, se ne contavano 16 nel 2004 e 9 durante la prima metà del 2005140. Queste consultazioni sono aperte a tutti, senza che vi siano condizioni di rappresentatività o di nazionalità. In tal modo, nel corso della consultazione sul diritto di voto transfrontaliero degli azionisti, alcune federazioni americane hanno avuto la possibilità di esprimersi. Si noterà che, su questo stesso argomento, la Commissione ha aperto due consultazioni successive141. La sola selezione fatta attraverso queste consultazioni è quella della lingua, in quanto la gran parte delle consultazioni hanno luogo in inglese. 140 141 http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm http://europa.eu.int/comm/internal_market/company/shareholders/index_en.htm Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 195 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Le consultazioni pubbliche e la creazione di gruppi di lavoro non sono tutte della stessa qualità, né della stessa portata. Capita spesso, infatti, che le consultazioni non siano prese in considerazione dalla Commissione europea nella fase di redazione delle proposte finali, relativamente lontane dalle posizioni manifestate nel corso della consultazione. La Commissione si è tuttavia impegnata a far sì che “le esposizioni dei motivi che accompagnano le proposte legislative della Commissione, o le comunicazioni pubblicate da quest’ultima al termine di un processo di consultazione, forniscano i risultati di tali consultazioni allo stesso modo delle spiegazioni riguardo al modo in cui esse sono portate avanti e in cui i risultati sono presi in considerazione all’interno della proposta” 142. La decisione che istituisce i comitati consultivi conferisce alla Commissione la facoltà di consultarli, senza che le sia imposto nessun obbligo a riguardo. Al contrario, nel quadro del dialogo sociale europeo, il Trattato di Amsterdam ha messo in atto procedure di consultazione sistematica ed obbligatoria di partner sociali su ogni tipo di azione comunitaria rilevante dal punto di vista della politica sociale. La Commissione gestisce allo stesso modo centinaia di organi di consultazione ad hoc in numerosi campi d’azione. Certamente, si tratta per questa di accrescere la trasparenza delle sue attività. Essa risponde, in questo, ad un’aspettativa della società civile. Ma il processo è destinato a crescere ancora. La European Transparency Initiative messa in atto da Siim Kallas, Vice-presidente della Commissione europea, nel marzo 2005 con lo scopo di accrescere la trasparenza dei lavori della Commissione ne è un esempio143. L’eco seguita ai referendum francese ed olandese in maggio e giugno 2005 va sicuramente a rinforzare questa volontà, così come il “No” irlandese al trattato di Nizza aveva influenzato lo spirito del Libro Bianco sulla governance europea. Anche se i dibattiti del 2005 sono stati di buona qualità, contrariamente a quelli del 2001, è possibile che la Commissione europea abbia ancora bisogno di legittimarsi presso la società civile, nonostante sia compito delle politiche nazionali assumersi le proprie responsabilità. La Commissione non esita a lasciare l’iniziativa al Parlamento europeo, come è avvenuto con la direttiva sui servizi144. Da notare, d’altronde, che la Commissione europea ha creato dei gruppi consultivi di alto livello per aiutarla a definire degli orientamenti strategici riguardo alle politiche da portare avanti. Questi gruppi, nominati dal Collegio dei Commissari, riuniscono personalità rappresentative degli Stati membri e provenienti dal mondo accademico, degli affari o dei gabinetti di consulenti. La Commissione ha attivato un gruppo di esperti e di ricercatori per coadiuvare i Commissari a formulare 142 Comunicazione della Commissione "Verso una cultura di maggiore consultazione e dialogo. Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della Commissione”, 11 dicembre 2002, pp.5-6. 143 La medesima iniziativa sollecita una simile trasparenza da parte dei lobbisti e delle ONG, i quali dovrebbero giustificare l’utilizzo dei fondi che la Commissione eroga spesso a loro beneficio. 144 COM (2004)2 finale, proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 196 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia raccomandazioni politiche da prendere in seno all’Unione europea. Questi si aggiungono al Gruppo dei consiglieri politici145 creato nel 1992 da Jacques Delors. Il progetto di Costituzione europea prevede il principio di “democrazia partecipativa”, in base al quale le istituzioni europee devono dialogare con le associazioni rappresentative e, più in generale, con la società civile. Ne scaturiva, in particolare, l’instaurazione del diritto di iniziativa cittadina in materia legislativa, che permetterebbe ad almeno un milione di cittadini dell’Unione (presi da un numero minimo di Stati membri fissato da un testo europeo) di invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa rientrante nel quadro delle sue attribuzioni ed avente come scopo la realizzazione di un obiettivo costituzionale (allo stesso titolo del Parlamento e del Consiglio dei ministri). Questo è giusto al di là del semplice diritto di petizione – previsto nel Trattato dell’Unione europea e rivisto dal Trattato di Amsterdam – che designa il diritto di ogni cittadino dell’Unione, e di tutte le persone fisiche o morali residenti o aventi un posto fisso in uno Stato membro, di presentare al Parlamento europeo una domanda o una lamentela su di una tematica rilevante tra i settori d’attività della Comunità o che la riguarda direttamente (articoli 21 e 194, ex-articoli 8D e 138D del trattato CE). La Commissione europea permette dunque largamente alla società civile di immischiarsi nel suo potere di impulso e, allo stesso tempo, anche nel suo potere esecutivo, dal momento che essa intende migliorare la qualità della legislazione offrendo la possibilità alle imprese di esprimere difficoltà o problemi supplementari che possono provocare le direttive o i regolamenti sulla base del piano d’azione lanciato nel 2002146. Se si tratta fondamentalmente di coinvolgere gli Stati membri, la Commissione coinvolge anche le imprese: una consultazione è stata lanciata in tal senso dalla Direzione del Mercato interno della Commissione. Al di là della procedura legislativa, la Commissione continua ad intrattenere strette relazioni con la società civile attraverso dialoghi come il Civil Society Dialogue attuato dalla Direzione Generale del Commercio, che ha lo scopo di informare professionisti sull’evoluzione della politica commerciale dell’Unione. La Commissione europea ha comunque deciso, da poco, di aprire un dialogo civile tra l’Unione europea e i Paesi candidati. L'obiettivo è di instaurare e rinforzare i legami tra la società civile degli Stati membri e dei Paesi candidati per rispondere alle preoccupazioni esistenti, migliorare la comprensione reciproca e estendere il dibattito sull’allargamento alla società intera. La Commissione fa solitamente riferimento agli EIC (Euro Info Centres) per ottenere informazioni che riguardano le imprese. L’iniziativa “Interactive Policy Making” (IPM), svolta in partenariato con gli EIC, risiede contemporaneamente su un meccanismo di ritorno dell’informazione sul mercato unico europeo e su un meccanismo di consultazione delle reazioni suscitate da nuove misure. Il principio di utilizzare Internet per raccogliere ed analizzare le reazioni dei mercati entra in gioco in una fase successiva del processo decisionale dell’Unione europea. Tale meccanismo permetterà di valutare l’impatto (o l’assenza di impatto) delle politiche dell’Unione e di lanciare delle consultazioni aperte a nuove iniziative. Lo scopo è quello di aiutare la Commissione, in quanto amministrazione pubblica moderna, a fornire risposte più rapide e precise alle domande poste dalle imprese, cosa che 145 146 Dalla fine del 2005, il Direttore Generale di questo gruppo, il BEPA, è italiano. COM(2002) 278 finale/2. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 197 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia porterà all’elaborazione di politiche all’interno dell’Unione in modo più diversificato ed efficace. 7.2 Un indebolimento degli organi politici Il Consiglio dell’Unione è stato indebolito dai “NO” pronunciati nel corso dei referendum sul progetto di Costituzione europea, come è avvenuto nelle altre istituzioni; non bisogna dimenticare che le ultime elezioni parlamentari europee hanno registrato il più basso tasso di partecipazione; e che la discussione sul budget ha cristallizzato le tensioni. Anche se l’Unione europea ha sempre avuto difficoltà che è poi riuscita a risolvere con delle vittorie (come è stato il caso del fallimento della CED (Comunitá Europea di Difesa) nel 1954, trasfomata in seguito in CEE), è innegabile che il Consiglio dell’Unione conosca attualmente una crisi ben più grande. L’Unione europea sembra temporaneamente funzionare più grazie a dichiarazioni che ad azioni. Allo stesso tempo si assiste ad una certa “COREPERizzazione” con una moltiplicazione dei Comitati dei Rappresentanti permanenti specializzati sempre più in soggetti esistenti. “L’alchimia” delle persone è ancora più importante all’interno dei 25 Paesi. Il Consiglio europeo stesso si è indebolito. Esso ha affidato la preparazione delle sue conclusioni al COREPER. Alcuni Stati membri dell’Unione si riuniscono, d’altronde, in piccoli gruppi, nel quadro di G5, cosa che non porta ad un rafforzamento di legittimità del Consiglio europeo. 7.3 Un rafforzamento degli organi “democratici” Il progetto di Costituzione europea, che è stato momentaneamente accantonato, prevede un rafforzamento sensibile dei poteri del Parlamento europeo. La procedura di co-decisione, che lo mette allo stesso livello del Consiglio dei ministri in qualità di organo legislativo, diventa la “procedura legislativa ordinaria”147. Non bisogna dimenticare che il Parlamento europeo ha la facoltà di presentare delle relazioni di sua iniziativa, un’attività, questa, che è caldamente sollecitata dai lobbisti. Oltre ai relatori di fondo e per parere, è importante non sottovalutare i coordinatori e I capi relatori dei gruppi politici. I poteri di co-decisione del Parlamento europeo verranno corroborati dalla procedura di comitologia. In principio, era infatti previsto che l’esecuzione delle legislazioni europee rientrasse nelle competenze della Commissione. Le esecuzioni che si rivelano necessarie a livello europeo non sono lasciate agli Stati membri. Il Trattato prevede che il Consiglio possa, in casi specifici ed eccezionali, 147 Come conseguenza dell’allargamento, il numero di deputati europei e di lingue ufficiali è aumentato considerevolmente. Questo ha portato all’aggiunta di 10 nuove cabine di interpretazione, riducendo così il numero di posti disponibili al pubblico. L’assistenza alle commissioni parlamentari è necessaria se si vogliono identificare i deputati reattivi su una determinata tematica. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 198 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia riservarsi l’esercizio diretto del potere esecutivo. Questa eccezione, tuttavia, non era compatibile con il fatto che la funzione legislativa fosse espletata da due istituzioni, il Parlamento europeo ed il Consiglio, negli ambiti regolati dalla procedura di co-decisione prevista dall’articolo 251 del Trattato, dal momento che il Consiglio sarebbe allo stesso tempo l’organo delegante e l’organo che esercita la competenza delegata. La revisione attuale vuole mettere i due organi legislativi su un piano di uguaglianza nell’esercizio del controllo, almeno negli ambiti regolati dal principio di co-decisione, chiarificando l’esercizio delle responsabilità esecutive148. Il Libro Bianco sulla governance europea prevedeva che il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) svolgesse un ruolo più proattivo, preparando, ad esempio, delle relazioni investigative. Nel corso degli ultimi anni, il CESE ha cercato di accrescere sensibilmente il suo ruolo in seno all’Unione europea. Ha infatti cominciato ad organizzare delle serate a tema, ogni giovedì, in concertazione con la società civile. Nel 1994, ha istituito un osservatorio del mercato unico su richiesta del Parlamento europeo. Ad ogni modo, dinanzi alla proliferazione dei punti di accesso riservati alla società civile per dialogare con le istituzioni, il CESE non è fra gli organi privilegiati, in ragione anche del suo carattere consultivo e non decisionale. Molti dei suoi membri, che ricevono il loro mandato dalla società civile, diventano veri e propri professionisti legati in modo quasi permanente al Comitato. Dovrebbero invece sforzarsi di rimanere vicini ai loro mandatari per conoscerne gli interessi e tutelarli nel miglior modo possibile. Il progetto costituzionale evoca la nozione di democrazia partecipativa, ma non identifica il CESE come organo che possa assumere questa missione. 148 COM (2002) 719 finale Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 199 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 8. Mercato interno europeo: deregolamentazione e nuova regolamentazione Poco più di una dozzina d’anni sono passati dalla decisione di creare un forte e coeso mercato interno europeo. La Commissione europea ha stimato che, nonostante i ritardi nella messa in atto del mercato interno, in dieci anni il PIL europeo è del 1,8% più alto di quanto sarebbe stato altrimenti149. Il mercato interno permette la crescita delle collettività e delle imprese che hanno la forza competitiva relativa per fare leva sulla propria specialità. Questa crescita diventa una tendenza che si auto-riproduce. I benefici del mercato interno sono fruibili da chi è più capace ad usarne le risorse, in altre parole da chi è capace di creare economie di scala riducendo costi e prezzi. Dal 2001, gli effetti positivi del mercato interno si stanno riducendo. La congiuntura economica mondiale ha la sua influenza. Ma la causa principale è costituita dagli ostacoli che i governi nazionali e locali frappongono alla trasposizione delle legislazioni europee e alla messa in atto delle misure che essi stessi hanno approvato dal 1992 in poi. L’impatto negativo delle politics e delle practices nazionali lo pagano le imprese e le persone, che rispettivamente perdono opportunità di mercato, potere d’acquisto e, in molti casi, lavoro. Un indicatore del grado di realizzazione del mercato interno è dato dalla convergenza dei prezzi al consumo: nell’Unione europea esiste una variazione dei prezzi fino al 80% per alcuni settori come i trasporti e i beni di consumo per le famiglie. Il mercato interno americano non presenta queste divergenze! Inoltre, l’attrattività dell’Unione europea per gli investimenti stranieri è molto bassa: continua ad uscire dall’Unione più denaro di quanto ne entri! Le politics e le practices di certi Stati membri, particolarmente in ritardo nella trasposizione delle norme europee, stanno arrecando un danno grave alla competitività dell’insieme dell’Unione europea. Questi Stati sostenevano la propria competitività attraverso politiche monetarie e di dumping dei prezzi. Oggi che queste pratiche sono rese impossibili dal rigore monetario imposto dall’adozione dell’Euro, questi Stati ricorrono a politiche protezioniste non dichiarate, ma realizzate attraverso il ritardo nella trasposizione delle norme europee. Dal 2005, la Commissione europea stila la classifica degli Stati membri in relazione al grado d’attuazione delle normative europee. Questa classifica viene resa pubblica ed è oggetto di discussione nel Consiglio europeo che adotterà le misure necessarie nei confronti degli Stati più reticenti150. 149 Si veda il documento : SEC(2002) 1417, ‘The internal market — 10 years without frontiers’. Ancora non è chiaro se le misure che il Consiglio europeo deciderà di adottare contro gli Stati più reticenti saranno commisurate al danno economico stimato nei confronti degli altri Paesi membri. 150 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 200 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Trasposizione delle direttive per paese - deficit di trasposizione in % Italia 4,1 Lussemburgo 4 Repubblica Ceca 3,6 Portogallo 3,4 Belgio 2,4 Francia 2,4 Polonia 1,7 Paesi-Bassi 1,6 Germania 1,4 Spagna 1,4 Regno-Unito 1,4 Danimarca 0,8 Fonte: “Internal Market – Scoreboard”, Commissione Europea, luglio 2005, n. 15 Si capisce che il Consiglio europeo farà uso dei benchmarks e delle network norms proprie di ogni sistema reticolare, e che la continuazione di practices nazionali incompatibili con il sistema si tradurrà in dolorosi trade offs per gli Stati che ne sono responsabili. Il rischio è che gli Stati più reticenti possano subire l’applicazione di clusterings del mercato come sanzione alla propria inadeguatezza o inefficienza. Per questa ragione, le istituzioni disaggregate degli Stati membri, le imprese, e le persone hanno interesse a partecipare attivamente al cambiamento delle practices e delle politics nazionali che li riguardano. Il 70% dell’attività economica europea è costituita da servizi: indipendentemente da dove e da chi produce un bene, il valore aggiunto risiede nella conoscenza che trasforma quel bene in un servizio. Ma proprio il mercato interno dei servizi è assolutamente in ritardo in tutta l’Unione europea: solo il 20% dello scambio commerciale intracomunitario è costituito da servizi, ed è inferiore a dieci anni prima! Il risultato è che i prezzi dei servizi sono troppo alti e la loro produttività è mediocre. Questa situazione dipende dalle barriere, in alcuni casi oligopolistiche, imposte da certi Stati membri ai servizi che potrebbero essere offerti da società di altri Paesi. La necessità dell’equilibrio, pur necessario, tra competitività e dumping sociale non potrà più essere tollerata. Le date nelle quali alcuni settori saranno liberalizzati sono già note: servizi postali (2006); gas e elettricità (2007); trasporto ferroviario (2008). Il trasporto aereo potrebbe slittare ancora di qualche anno. Un altro settore che vedrà la liberalizzazione è quello dei servizi finanziari (banche e assicurazioni). L’apertura di servizi cross-border dovrebbe andare a vantaggio della qualità e dell’efficienza dei servizi, con evidente guadagno dei consumatori e delle PMI che avranno un accesso più competitivo al credito finanziario. La liberalizzazione del settore dei servizi finanziari sarà accompagnata da un’integrazione delle borse e dei servizi ad esse collegati, come le transazioni mobiliari. Infine, la liberalizzazione dei servizi finanziari porterà conseguenze positive anche per il mercato immobiliare che dipende da servizi di credito solo locali o nazionali, e troppo onerosi. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 201 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia I processi di formazione delle policies per la liberalizzazione dei servizi sopra citati sono in stato molto avanzato, anche se, com’è il caso del progetto di direttiva sulla liberalizzazione dei servizi, alcune modifiche possono ancora essere apportate dal Parlamento europeo, che ha un certo potere di co-decisione su questi testi. Una volta approvata la legislazione europea, seguono due fasi: a) la trasposizione in legge nazionale; b) l’attuazione delle norme. Mentre la possibilità di ritardare sine die la trasposizione delle leggi europee sarà sempre più ristretta, la fase d’attuazione offre delle possibilità importanti. In quasi tutti i casi di liberalizzazione, l’Unione europea costituisce delle Agenzie che hanno il compito di creare le norme tecniche d’applicazione, i cosiddetti standard, e di controllarne il rispetto da parte degli Stati membri. Riuscire a far prevalere uno standard, o bloccarne un altro, può avere un effetto significativo per il self-interest di uno Stato, di un’impresa o di gruppi di persone. Anche in questo processo, vale la capacità di saper partecipare con logiche e qualità adatte. Nei prossimi anni, nuovi settori di servizi, in particolare i servizi sociali, potrebbero fare oggetto di progetti di direttive di liberalizzazione. Si pensi all’effetto rivoluzionario che avrebbe la liberalizzazione, cioè la messa in concorrenza, dei servizi sanitari o pensionistici dei vari Stati membri, lasciando quindi al cittadino europeo la libertà di scegliere tra un sistema e un altro, non necessariamente tra il sistema pubblico nazionale e quello privato nazionale. In materia di salute, la decisione relativa all’introduzione di un documento europeo comprovante la copertura finanziaria per usufruire dei servizi sanitari in qualsiasi Stato membro va in questa direzione. In pratica, è come se la tassa sulla salute diventi il ticket del cittadino per usufruire dei servizi sanitari nel luogo che diventasse più opportuno. Il mercato dell’istruzione e della formazione è ancora vincolato alla sovranità nazionale con alcune possibilità di riconoscimento dei diplomi basate sulla reciprocità, in altre parole, attraverso trattati interstatali bilaterali. Con l’introduzione dei titoli di studio europei, già in fase di discussione, sarà possibile mettere in concorrenza, lasciando libero il cittadino di scegliere, le diverse offerte di formazione e d’istruzione, dalla scuola di base alle università. Ciò porterebbe ad una classifica trasparente dell’efficienza dei sistemi di formazione e d’istruzione su scala europea, come avviene già all’interno di qualche Stato membro. In conclusione, il processo di liberalizzazione non è, come qualcuno pretende, il passaggio dall’ordine sociale all’anarchia del mercato. Liberalizzare significa deregolamentare, in altre parole, togliere delle regole restrittive, per creare una nuova regolamentazione che stabilisca i modi di funzionamento e d’accesso di un determinato servizio. In questo processo di deregolamentazione e di nuova regolamentazione è imperativo partecipare sin dall’inizio e in tutte le sue fasi. Promuovere il self-interest compete, quindi, alle istituzioni disaggregate degli Stati, alle imprese, e alle persone. Per non subire impotenti i cambiamenti che ci piovono addosso, è fondamentale sviluppare la capacità di partecipare al processo di formazione delle nuove policies, ma anche di impegnarsi affinché le politics e le practices nazionali e locali non diventino delle costose quanto inadeguate barriere contro il cambiamento. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 202 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 9. Una politica di formazione adeguata alle sfide della professione del lobbista Sensibilizzare tutti i tipi di formazione (istituti commerciali, formazione per ingegneri, MBA, avvocati…) alle attività di lobbying. Una vera e propria cultura del lobbying potrà esistere in Italia solo attraverso una maggiore sensibilizzazione delle future classi dirigenti. Al momento attuale, questo tipo di formazione è considerata altamente specialistica ed è prevista solo da alcuni corsi di diritto comunitario. I pochi corsi esistenti sono, fra l’altro, strutturati in modo eccessivamente teorico e semplicemente corredati da una visita presso le istituzioni europee (non sempre!). Sarebbe invece utile cercare di estendere questo tipo di formazione il più possibile all’interno degli istituti commerciali, ma anche delle scuole di ingegneria, MBA e presso gli avvocati. Le scuole che si occupano di formare i futuri avvocati dovrebbero sensibilizzare maggiormente i loro studenti al lobbying bruxellese, che si discosta dalla concezione tradizionale dell’attività d’avvocato. La formazione in materia di lobbying dovrebbe anche essere dispensata da consulenti, che potrebbero attingere dalla loro esperienza professionale. Ma non bisogna farsi illusioni : è sul campo che si diventa lobbisti efficaci. Tuttavia, dei corsi di comunicazione più numerosi ed intensivi, a prescindere dal percorso universitario, permetterebbero di iniziare ad una simile pratica che merita di essere “categorizzata”. Formare i dirigenti al lobbying per instillare una coscienza europea a tutti i livelli di attività imprenditoriale. In seno all’impresa, i datori di lavoro e i responsabili del servizio devono fare prova di una responsabilità europea. È importante far attecchire nei dirigenti la pratica del lobbying attraverso dei programmi di formazione continua su misura, in modo da restituire prestigio alla figura del lobbista. Incoraggiare l’apprendimento delle lingue. Anche se può sembrare evidente, è importante rammentare che la conoscenza di più lingue è funzionale alle attività di lobbying. Favorire lo spirito di teamwork nel sistema educativo italiano. In linea generale, gli italiani sono poco sensibilizzati durante la loro formazione iniziale al lavoro di squadra, che rappresenta invece un elemento di vitale importanza per il lobbying. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 203 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Se si sopperisse a queste lacune, ne beneficerebbero tutte le attività imprenditoriali. Fare in modo che tutti i lobbisti italiani vengano inclusi in un repertorio comune in modo da accrescerne la visibilità. Gli italiani, in generale, non si preoccupano di far includere il loro nome nella giusta categoria all’interno dell’opera di riferimento : “The European Public Affairs Directory” o all’interno del repertorio elettronico CONECCS, creato su proposta della Commissione europea e accessibile dal sito Internet EUROPA151. Esortare i lobbisti a moltiplicare le sinergie all’interno del settore. Si potrà parlare a giusto titolo di lobbying italiano solo quando I lobbisti impareranno a interagire fra di loro creando sinergie e a ricercare partner impegnati nella difesa di interessi comuni, in modo da accrescere il peso e l’impatto della loro azione. Per questo motivo, bisogna trascendere la dimensione nazionale ed allargare i propri orizzonti. Il sistema reticolare italiano infatti rischia di disperdersi in un contesto europeo152. Favorire la stabilità della professione del lobbista cercando di ricoprire la propria posizione per una durata minima di cinque anni. La capacità a fare lobbying in modo efficace dipende anche dalla disponibilità di un buon repertorio di indirizzi e da una conoscenza approfondita del contesto nel quale si opera. L’acquisizione di queste due carte vincenti richiede un periodo minimo di cinque anni. In genere, la qualità delle azioni di lobbying migliora con l’aumentare degli anni di esperienza nel settore. Le imprese anglo-sassoni hanno preso atto di questa strategia molto prima degli italiani. È importante favorire la stabilità e continuità della professione. Sollecitare gli esperti nazionali distaccati (END) in posizione strategica a intrattenere contatti regolari con gli industriali. I rapporti con le istituzioni europee possono essere favoriti dagli END – funzionari nazionali in carica a Bruxelles a medio termine. È comunque essenziale che la loro sia una posizione strategica e che la loro esperienza possa essere utilmente sfruttata dalle autorità nazionali. È dunque imperativo cercare di posizionare strategicamente i propri esperti nazionali distaccati, ma soprattutto incoraggiarli ad avere contatti regolari e intensi con gli industriali. È necessario migliorare il modo in cui l’amministrazione italiana gestisce le carriere, cercando di incoraggiare i “migliori” ad espatriarsi a Bruxelles e di valorizzare in seno all’amministrazione italiana l’esperienza così acquisita. 151 http://www.europa.eu.int./comm/civil_society/coneccs/index_en.htm. Questo repertorio è stato creato a seguito di una Comunicazione su “Un dialogo aperto e strutturato fra la Commissione ed i gruppi di interesse ” del 2 dicembre 1992 (JOCE C63 del 5 marzo 1993). 152 Secondo un responsabile di Logos Public Affairs. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 204 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Evitare l’eccessiva moltiplicazione dei livelli di attività lobbistica e privilegiare i contatti regolari con le istituzioni europee per il tramite delle federazioni. Le PMI dovrebbero agire attraverso le loro federazioni, evitando una moltiplicazione all’infinito dei vari livelli di rappresentanza, che sarebbe deleteria per l’azione di lobbying. Sollecitare gli italiani ad occupare posizioni chiave all’interno delle federazioni europee. A differenza dei tedeschi, gli italiani sono scarsamente presenti nelle federazioni europee. Assicurarsi una presenza in seno a queste strutture è determinante per il futuro. Solo in questo modo gli italiani potranno far valere I loro interessi. A titolo di esempio, possiamo citare l’UNICE, la confederazione europea dei datori di lavoro, all’interno della quale gli italiani sono sottorappresentati. Creare il Circolo dei Rappresentanti Italiani a Bruxelles. Il Circolo dei Rappresentanti Italiani a Bruxelles svolgerebbe un ruolo di primo piano in stretta consultazione con la Rappresentanza Permanente e il CIACE153. Come si coordina la Francia L’istituzione di un comitato interministeriale sull’Europa, il 20 luglio 2005, dovrebbe essere “di buon senso”, dal momento che si tratta principalmente di assicurare un seguito politico dei negoziati sui testi europei. I ministri dovrebbero così riferire periodicamente sullo stato d’avanzamento nei diversi ambiti europei, sulle modalità di accordo e sulle posizioni dei partner europei. Il Ministero degli Affari Esteri procede attualmente ad uno studio sull’implicazione dei partner sociali nella definizione delle posizioni francesi a Bruxelles. Fonte: Rapporto CCIP, 2005 153 Vedi scheda a pagina 63 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 205 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia Principali Istituti che dispensano corsi di lobbying e public affairs. Classificazione per paese. Belgio Francia Germania EIS Training Centre HEC, Centre de perfectionnement des affaires (CPA) University of Tübingen European Institute for Public Affairs and Lobbying HEC, CESA Communication Deutschen Institut für Public Affairs Berlin Europese Hogeschool Brussel ESCP-EAP Institut Supérieur du Management Public et Politique (ISMAPP) Italia Istituto europeo di design Università degli studi di Roma Tor Vergata La facoltà di Scienze Politiche di Padova Regno Unito Brunel University European Centre for Public Affairs (ECPA) Parli-Training London School of EconomicsESSEC European Institute Lumsa Queen’s (Libera University Katholieke Universita’ Belfast- School Universiteit Leuven Maria Ss. of Politics and Assunta International Roma) Studies University College DublinUnited Business Running Dublin Institutes (UBI) European Institute University of Université Libre de Leeds-School Bruxelles (ULB)for Politics and Institute for International European Studies Studies University of ManchesterGraduate School of Social Sciences and Law Fonte: EULobby.net, http://www.eulobby.net/eng/desktopdefault.aspx?tabid=420, dati elaborati dal CIPI L’Università di Trieste Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 206 Capitolo IV – Lobbying italiano al servizio dell’Italia 10. Un quadro più certo in Italia aiuterebbe le lobby italiane in Europa Perchè l’Italia riesca ad esprimere il suo peso nel gioco degli interessi europei (di questo ormai si tratta a Bruxelles), c’è impellente bisogno di allineare i “pezzi” d’Italia su un’unica strategia di medio e lungo termine. Il tempo stringe, e aspettare ancora potrebbe essere fatale per un Paese che ha ancora delle chances. La responsabilità di compiere quest’allineamento compete a tutte le leadership del Paese, pubbliche e private, ma soprattutto alla classe dirigente politica e di governo. Si tratta dell’interesse nazionale per il futuro dell’Italia, di cui in modo bipartisan tutti devono essere ritenuti responsabili del risultato. Il tempo delle divisioni tra italiani non è il tempo di Bruxelles, dove i Paesi che sanno allineare le proprie risorse stanno già procedendo a ridisegnare la mappa europea. Se da un lato l’Italia è strutturalmente più preparata di altri per l’interconnessione multilivelli sul sistema reticolare europeo, dall’altra si presenta “nuda” sul piano strategico. Poichè comincia ad essere chiaro a tutti che essere a Bruxelles, esportando le divisioni e i litigi nazionali, serve soltanto a perdere, è arrivato il momento di riuscire a creare una sola “centrale di governo delle relazioni con l’Europa”. Una per tutti gli attori italiani, anche per il Ministero degli Affari Esteri, gli altri Ministeri o per la Presidenza del Consiglio. La nascita del CIACE all’inizio del 2006, sebbene tarda, fa ben sperare che da questa struttura si riparta per dotare il Paese di quella forza di coesione strategica senza la quale la marginalizzazione è già aumentata Dal punto di vista macro-strutturale il cammino sembra essere stato intrapreso, ma è tuttavia necessario riordinare le cose nella divisione dei compiti e nell’attribuzione dei poteri. Durante la ricerca che ha condotto a questo Rapporto sono emerse sovrapposizioni e quintuplicazioni di mandati tra strutture pubbliche che alla fine giustificano la loro rilevanza entrando in concorrenza tra loro (davanti a tutti, a Bruxelles). E questo stato di cose vale tanto per gli affari dell’economia e dell’impresa quanto per la gestione degli affari regionali e degli enti locali e funzionali. La disaggregazione dello Stato centrale è una leva di forza, ma così com’è gestita porta all’indebolimento generale e al caos. C’è la necessità di inquadrare e responsabilizzare gli operatori degli affari europei, non solo attraverso opportuni corsi di formazione e training, ma anche con delle previsioni legislative adeguate. Lasciare all’improvvisazione questo settore, oltre a mantenere una certa dose di opacità sulla professione del lobbista, ne indebolisce la dignità professionale. Esiste una confusione di fondo tra attività che ormai hanno professionalità distinte – comunicazione, relazioni esterne, relazioni istituzionali, pubbliche relazioni, lobbying – creando incertezza sugli obiettivi da raggiungere e sui servizi che sono offerti. Queste realtà professionali non sono meno delicate di quelle di avvocato, medico, o revisore dei conti. Errori e malintesi in queste attività, oltre all’improvvisazione, sono ormai fatali e difficilmente correggibili. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 207 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 208 CAPITOLO V La guida del lobbista europeo Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 209 Capitolo V – La guida del lobbista europeo La guida del lobbista europeo Una strategia senza tattica è il cammino più lungo verso la vittoria. Una tattica senza strategia è solo rumore che precede la sconfitta” (Sun Tse) Per le imprese, gli enti, le nazioni e gli individui è di primordiale importanza tutelare e promuovere i propri interessi strategici. Alcuni, già sensibilizzati alla tecnica del lobbying, cominciano a riflettere sull’applicazione di tali pratiche. Altri, con più esperienza in questo settore, sono già presenti a Bruxelles. Tutti devono conoscere le regole di base del “lobbista efficace” e sapersi orientare fra i vari siti Internet, che possono agire sia come sprone alla loro azione, sia come fonte di informazioni. Per questo motivo, il CIPI propone una breve guida mnemotecnica sul lobbying, che non ha la pretesa di essere un’ennesima opera sull’argomento, ma vuole piuttosto illustrare le pratiche elementari da adottare in materia e i riflessi da acquisire. La presente guida non vuole essere esaustiva dal punto di vista dei siti Internet dedicati al lobbying. Il CIPI si propone in questa sede di attirare l’attenzione sulle logiche che regolano le azioni di lobbying a Bruxelles. È opportuno sottolineare che tali attività di lobbying non devono prescindere da azioni parallele o preliminari intraprese su scala nazionale o internazionale. Il CIPI auspica così di promuovere alcuni elementi del “lobbying all’italiana”, fondati su innovazione e strategie d’alleanza. Reperire le proprie carte vincenti sin dall’inizio L’uso della parola inglese “lobbying” non agevola la comprensione di questa pratica. Alcuni preferiscono parlare di strategie di influenza, di “affari pubblici europei” o di “comunicazione istituzionale”. A prescindere dalla definizione semantica, è essenziale capire che si tratta di un atto democratico, nella misura in cui il “lobbista” partecipa alla politica generale. Le tecniche di lobbying non si improvvisano e necessitano di specifiche qualità preliminari, oltre ad un lavoro e ad un investimento personale considerevoli e continuati nel tempo. Una rappresentanza a Bruxelles costa circa 310.000 Euro all’anno. È dunque nell’interesse dei soggetti più deboli e delle PMI sviluppare forme di aggregazione. È importante avere una perfetta comprensione del processo decisionale comunitario. Questo richiede esperienza e credibilità. Un buon lobbista è allo stesso tempo: un buon giurista, un buon tecnico, un buon comunicatore. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 210 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Le carte vincenti preliminari DEMISTIFICARE IL LOBBYING E CAPIRE CHE SI TRATTA DI UNO STRUMENTO DEMOCRATICO COMPRENDERE IL MACCHINOSO FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE AVERE UNA CULTURA GIURIDICA AVERE UNA BUONA PADRONANZA DELLA LINGUA INGLESE AVERE UN REPERTORIO DI INDIRIZZI RENDERE STABILE E CONTINUA LA PROFESSIONE, E DEFINIRE UNA STRATEGIA A LUNGO TERMINE CALCOLARE VANTAGGI E COSTI DI UNA RAPPRESENTANZA A BRUXELLES 1. Informarsi sul lobbying e su come migliorarlo Quello del lobbying è un settore vivo che ha bisogno di adattarsi alla domanda. La pratica italiana, da questo punto di vista, può essere considerevolmente migliorata. La capacità a far evolvere la propria posizione è sicuramente una prova di efficacia particolarmente indicativa per la professione del lobbista. Bibliografia essenziale Rapport DERIEUX, “Renforcer le lobbying des entreprises françaises à Bruxelles”, CCIP, 5 septembre 2002 http://www.etudes.ccip.fr/archrap/rap02/der0209.htm “A guide to effective lobbying of the European commission”, BURSON MARSTELLER, 2003 http://www.bmbrussels.be/files/file_62.pdf “Lobbying in the European Union: current rules and practices”, Parlamento europeo, aprile 2003 http://europa.eu.int/comm/secretariat_general/sgc/lobbies/docs/Workingdocparl. pdf Rapport FLOCH, “La présence et l’influence de la France dans les institutions européennes”, Assemblée nationale, 2004 http://www.assemblee-nat.fr/12/europe/rap-info/i1594.asp“Le lobbying à l’heure de l’Europe et de la mondialisation”, Accomex, janvier février 2004, n° 55http://www.coe.ccip.fr/02/accomex/pdf/a55.pdf Caratteri e incidenza del lobbismo a Bruxelles, di Gloria Pirzio Ammassari, 2000 http://www.lobbyingitalia.info/documenti/ Attività di lobbismo e sua influenza nel decision making comunitario, di Dimitris Liakopoulos, 2001 http://www.lobbyingitalia.info/documenti/ Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 211 Capitolo V – La guida del lobbista europeo 2. Rispettare l’inquadramento legislativo Le reputazioni si fanno e si disfanno rapidamente a Bruxelles. La competizione è così aspra che è necessario preservare una buona immagine di se stessi, essere trasparenti (tramite un sito Internet, ad esempio) ed ostentare un’etica irreprensibile. La Commissione ha adottato giorno 11/12/2002 la comunicazione “Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti interessate ad opera della Commissione”, COM (2002)704: http://europa.eu.int/eur lex/it/com/cnc/2002/com2002_0704it01.pdf Esiste inoltre un sito Internet dedicato alla governance della Commissione europea: http://europa.eu.int/comm/governance/index_en.htm RISPETTARE L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL LOBBYING OSTENTARE UN’ETICA IRREPRENSIBILE ATTRAVERSO LA TRASPARENZA SUGLI INTERESSI TUTELATI E L’OGGETTIVITÀ. LA TRASPARENZA È, IN UN CERTO QUAL MODO, SINONIMO DI ONESTÀ. 3. Vigilare sulle decisioni europee Non è necessario essere presenti a Bruxelles per vigilare sulle decisioni europee, anche se la partecipazione alle commissioni parlamentari pubbliche, alle conferenze e ai think tank sul posto e soprattutto il “passaparola”, particolarmente efficace a Bruxelles, sono risorse preziose da non trascurare. Il coinvolgimento di ex stagiaires presso le istituzioni europee (1.200 studenti ogni anno) si inserisce perfettamente in questa strategia154. Molte federazioni e rappresentanze non esitano ad inviare delle newsletter ai loro membri. Alcune di queste ritengono che sia pressoché inutile impegnarsi in attività di lobbying se le informazioni sono già rese note, anche se non è sempre facile appurarlo. Infine, è importante verificare costantemente l’agenda, ad ogni semestre, per ogni presidenza dell’Unione di turno. 154 Si veda ad esempio l’ Associazione degli ex stagiaires dell’Unione europea, ADEK): http://www.adek-international.org. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 212 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Siti pubblici sull’Europa La Direzione generale stampa e comunicazione della Commea http://www.europa.eu.int/comm/dgs/press_communication/index_it.htm Le Newsletter delle varie Direzioni generali (DG) Ad esempio, quella della DG Commercio: http://trade-info.cec.eu.int/eutn/RegistIndex.php Le relazioni della DG Ricerca del Parlamento europeo http://www.europarl.eu.int/studies/default_it.htm La Rappresentanza della Commissione europea in Italia http://europa.eu.int/italia/ La FEDER http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l60015.htm Il FSE http://europa.eu.int/comm/employment_social/esf2000/index_en.html Fonti sull’Europa http://www.infoeuropa.it Euro Info Centres http://www.euroinfocentre.it Siti privati I portali delle informazioni quotidiane sull’Europa: Euractiv: http://www.euractiv.com Diritto.it (rubrica Europa): http://www.diritto.it/materiali/europa Tiscali.europa: http://europa.tiscali.it Siti della stampa Il Financial Times: http://news.ft.com/home/europe Agence Europe: http://www.agenceurope.com European Voice: http://www.european-voice.com 4. Anticipare i processi legislativi comunitari I processi legislativi europei sono farraginosi e complessi. Il lobbista deve sempre cercare di intervenire il prima possibile su questi. Se un’impresa si trova in difficoltà in seguito all’adozione di una legislazione comunitaria, l’unica strategia di lobbying attuabile a quel punto è quella detta di “crisi”. Questa pratica deve essere evitata nella misura del possibile, attraverso un’analisi preventiva dettagliata delle conseguenze potenziali di ogni progetto legislativo. Se una determinata regolamentazione rischia d’avere ripercussioni negative sull’impresa, è opportuno agire a monte per orientarla nel miglior modo possibile. Il lobbista dovrà dunque concepire un dossier analitico serio e pertinente e farlo valere a tutti gli stadi della procedura. Bisogna agire al momento opportuno ad ogni stadio del processo Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 213 Capitolo V – La guida del lobbista europeo legislativo. Per esempio, è inutile cercare di sensibilizzare gli eurodeputati, se il parere di una commissione parlamentare è già stato espresso. L’instaurazione di un rapporto di fiducia duraturo con lo staff delle istituzioni europee può aiutare ad evitare simili ostacoli. È importante ricordare che: È relativamente facile ottenere un incontro con la Commissione europea. La procedura legislativa comunitaria è sufficientemente complessa da permettere una formazione approfondita in materia! Il processo legislativo comunitario richiede un intervento secondo fasi predefinite. Per avere successo è necessario conoscere molto bene tutte le fasi e soprattutto avere chiara la mappatura dei soggetti coinvolti in ogni fase. Il metodo più sicuro è di essere inseriti già nella fase iniziale (vedere Stadio 1) dello schema riprodotto qui di seguito. Consigli Utili da seguire ai vari stadi della procedura Stadio 1 AGIRE ALL’INIZIO DEL PROCESSO, prima che il dossier arrivi nelle mani dei Commissari PREVEDERE UN SUPPORTO SCRITTO con analisi approfondite incentrate su alcuni punti chiave ILLUSTRARE CHIARAMENTE LE PROPOSTE PRINCIPALI NON LIMITARSI A FAR CIRCOLARE LA PROPRIA DOCUMENTAZIONE PRIVILEGIARE I CONTATTI UMANI CHE DURANO NEL TEMPO PRIVILEGIARE UNA STRATEGIA OFFENSIVA AD UNA DIFENSIVA INTERVENIRE A TUTTI I LIVELLI GERARCHICI Stadio 2 : proposte per pareri Stadio 3 CAPIRE CHE ALLO STADIO DEL PARLAMENTO EUROPEO, È LA TECNICITÀ DEL DOSSIER CHE CONTA, NON LA POLITICA Stadio 4 AGIRE SUL COPEPER (Comitato dei Rappresentanti Permanenti) E a tutti gli stadi PROGRAMMARE LA PROPRIA AZIONE tenendo conto dei tempi della procedura CONTEMPLARE DIVERSE STRATEGIE in funzione dei possibili voti istituzionali IL LOBBYING DI CRISI, UNA ECCEZIONE. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 214 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Lista dei siti da consultare ai vari stadi della procedura Stadio 1 Siti sulle consultazioni della Commissione europea http://europa.eu.int/comm/secretariat_general/consultations/index_en.htm http://europa.eu.int/yourvoice/index_it.htm Stadio 2 Siti concernenti i vari stadi della procedura Prelex: http://europa.eu.int/prelex/apcnet.cfm?CL=it Eur-lex : http://europa.eu.int/eur-lex/it/search/search_lip.html Stadio 3 Siti delle commissioni parlamentari http://www.europarl.eu.int/meetdocs_all/committees/committeeslist.htm Siti delle sessioni plenarie http://www.europarl.eu.int/activities/expert.do?redirection&language=IT Siti dell’osservatorio legislativo (OEIL) http://www.europarl.eu.int/oeil/index.jsp?form=null&language=en Stadio 4 Sito del Consiglio http://ue.eu.int/docCenter.asp?lang=it&cmsid=245 Stadio 5 Sito della conciliazione http://www.europarl.eu.int/code/about/default_en.htm# Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 215 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Stadi del processo di formazione della legislazione europea Fonte: documenti delle istituzioni europee e dati elaborati dal CIPI Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 216 Capitolo V – La guida del lobbista europeo 5. Selezionare i propri interlocutori Non è necessario essere presenti a Bruxelles per fare lobbying. In questo caso, si parla di “lobbying di vigilanza”. Una pratica più attiva, invece, come quella di “anticipazione”, necessita di incontri più frequenti con il personale delle istituzioni europee e con gli altri partner ugualmente presenti a Bruxelles. La selezione del proprio target istituzionale e la presenza sul posto implicano una serie di notevoli vantaggi. Le istituzioni europee ricercano l’esperienza di professionisti e tecnici nelle varie discipline. Le decisioni sono, infatti, tanto più interessanti quanto più riescono a coinvolgere la “società civile”. Inversamente, potrebbe rivelarsi improduttivo per un’impresa ridurre il numero di persone che, al suo interno, si occupano di lobbying. È invece utile mettere in comune le informazioni e centralizzare l’azione. Le azioni intraprese a livello nazionale ed internazionale possono suffragare le pratiche di lobbying a livello europeo. A volte, è perfino utile evitare di passare dal livello nazionale a quello europeo e poi internazionale, e agire in senso opposto, creando una dinamica inversa a “effetto boomerang”. Formando coalizioni a livello internazionale è, infatti, possibile alimentare e corroborare la propria posizione e la propria capacità argomentativa su scala europea e nazionale. Target principali155: Instituzioni europee ONG Sindacati Associazioni di professionisti Media Thinks tank Esperti: avvocati, consulenti INTERAGIRE CON LE ISTITUZIONI EUROPEE AI VARI LIVELLI NON PRENDERE DI MIRA I COMMISSARI, MA LAVORARE A MONTE CON I FUNZIONARI INCARICATI DEL DOSSIER AVVICINARSI ALLA COMMISSIONE DI STUDIO E AL DEPUTATO-RELATORE, MA ANCHE ALLA COMMISSIONE NOMINATA PER IL PARERE E AGLI “SHADOW RELATORI” DESIGNATI DAI GRUPPI POLITICI DEL PARLAMENTO EUROPEO SENSIBILIZZARE UN DEPUTATO INFORMANDOLO DELLE RIPERCUSSIONI DI UN DETEREMINATO PROGETTO SULLE IMPRESE LOCALI, E INTERVENIRE NELLA SUA LINGUA MADRE LAVORARE CON GLI ASSISTENTI PARLAMENTARI 155 Tutte le informazioni che seguono sono a titolo puramente indicativo e non pretendono di essere esaustive. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 217 Capitolo V – La guida del lobbista europeo PROPORRE AI DEPUTATI, SE NECESSARIO, DELLE VISITE TECNICHE NELLE IMPRESE PER ILLUSTRARE CONCRETAMENTE LE CONSEGUENZE DEL DOSSIER La Commissione europea http://europa.eu.int/comm/index_it.htm The Electronic Directory of the European Institutions http://europa.eu.int/idea/it/index.htm http://europa.eu.int/comm/staffdir/plsql/gsys_tel.display_search?pLang=FR Il Parlamento europeo http://www.europarl.eu.int/news/public/default_it.htm Il Consiglio http://ue.eu.int/showPage.ASP?lang=it Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) http://www.esc.eu.int/index_en.asp Il Comitato delle Regioni (CdR) http://www.cor.eu.int/it/index.htm La Rappresentanza Permanente d’Italia http://www.italiaue.it FARSI DELLE ALLEANZE IN SENO AD ORGANI INFORMALI Le organizzazioni professionali UNICE http://www.unice.org/Content/Default.asp Eurocommerce http://www.eurocommerce.be/language.jsp Eurochambres http://www.eurochambres.be Le reti Il Circolo dei delegati permanenti (Francia) http://www.cdpf-asso.net American Chamber of Commerce (USA) http://www.eucommittee.be Euroclub Brüssel (Germania) http://www.euroclub-bruessel.de I think tank Centre for European Policy Studies http://www.ceps.be/Default.php Centre for Applied Policy Research http://www.cap-lmu.de/english/index.php European Policy Centre http://www.theepc.net L’EPC funziona tramite adesione organizza numerose conferenze ed incontri European Policy Forum http://www.epfltd.org Fondation Robert Schuman Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 218 Capitolo V – La guida del lobbista europeo http://www.robert-schuman.org/gb/index.htm Notre Europe http://www.notre-europe.asso.fr European Centre for Public Affairs http://www.ecpab.com Le ONG Oxfam http://www.oxfam.org Solidar http://www.solidar.org WIDE http://www.eurosur.org/wide I sindacati La confederazione europea dei sindacati http://www.etuc.org NON TRASCURARE I QUOTIDIANI PIÚ LETTI DAI DECISORI EUROPEI Financial Times http://news.ft.com/home/europe Agence europe http://www.agenceurope.com/IT/GobalFrameset.html European Voice http://www.european-voice.com CIRCONDARSI DI ESPERTI, IN CASO DI BISOGNO Gli avvocati Annuario cartaceo, vedere le pubblicazioni di Wilmer Cutler Pickering Hale and Dorr http://www.wilmerhale.com/offices/offices I consulenti ed altri esperti Consultare le liste elettroniche, tra cui http://www.lobbyingeurope.com/mod.php?mod=weblink&op=view_category&cid=6&start_num= 0 Gruppi d’interesse accreditati pesso il Parlamento europeo http://www2.europarl.eu.int/lobby/lobby.jsp?lng=fr STRINGERE ALLEANZE SETTORIALI SU SCALA EUROPEA Agricoltura Confederazione generale delle cooperative agricole dell’Unione europea http://www.copa.be/it/index.asp Confederazione europea dei produttori di alcolici http://www.europeanspirits.org/fr_index.htm DG agricoltura http://europa.eu.int/pol/agr/index_fr.htm Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 219 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Third World Network http://www.twnside.org.sg Servizi European Services Forum http://www.esf.be/000/index.html Tessile Euratex http://www.euratex.org/ 6. Valorizzare la propria immagine di lobbista FARSI CONOSCERE La banca dati “Consultazioni, la Commissione europea e la Società civile” (CONECCS) contiene un repertorio delle organizzazioni della società civile senza scopo lucrativo, costituite a livello comunitario, su base volontaria. http://europa.eu.int/comm/civil_society/coneccs/index_en.htm Il Parlamento europeo è l’unica istituzione che prevede un sistema di accreditamento. http://www2.europarl.eu.int/lobby/lobby.jsp ?lng=fr POTENZIARE LE PROPRIE CAPACITÀ COMUNICATIVE Il lobbista deve farsi conoscere e deve cercare di perennizzare la sua professione. 7. Sviluppare un lobbying di tipo italiano - alcuni esempi Il lobbying, così come viene praticato dagli italiani, è stato a lungo oggetto di critiche, perché reputato troppo politico e italo-italiano. È arrivato il momento di rivitalizzare l’immagine italiana e di sviluppare una specificità, un know-how, partendo dalle qualità italiane riconosciute oggettivamente. La potenza non è necessariamente sinonimo di efficacia. L’aggregazione invece incrementa le possibilità di riuscita. Un adeguato follow-up è indispensabile. È importante non abbassare la guardia dopo aver messo in atto le attività di lobbying in senso stretto, per evitare che altri disfacciano quello che si è costruito. L’influenza si merita e si guadagna con il tempo. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 220 Capitolo V – La guida del lobbista europeo Innovare ESSERE CREATIVI, FLESSIBILI E INNOVATIVI, vedere “Il manifesto dei consumatori per i loro deputati europei”, BEUC, maggio 2004: http://212.3.246.143/Content/Default.asp?PageID=322 COMPRENDERE IL “PROCESSO”, IL CONCETTO OPERATIVO DI INTERESSE GENERALE, vedere l’azione dell’Unione delle industrie chimiche (UIC) sulla proposta di regolamento REACH: http://www.uic.fr/fr/5_actualite/actu2.htm#mercer3 SFUTTARE LE RETI, FORMARE DELLE COALIZIONI E MOSTRARE FLESSIBILITÀ NELLA PRATICA PER ADEGUARSI ALL’EVOLUZIONE DEL DOSSIER, vedere l’articolo di Ambroise Auge, “Il lobbying come strategia di rafforzamento della protezione industriale”, Accomex, gennaio - febbraio 2004, http://www.coe.ccip.fr/02/accomex/pdf/a55.pdf SUPERARE IL MODELLO ITALO-ITALIANO, ANDANDO OLTRE LE RETI NAZIONALI European Practitionners and Public Affairs (EPPA) http://www.eppa.com Società degli esperti in affari europei (SEAP, Society of European Affairs Professionals) http://www.seap.nu INTEGRARE LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE, vedere “Guida per capire l’OMC e Ie sue ripercussioni ad uso delle imprese ” http://www.etudes.ccip.fr/omc/pdf/bon_usage_OMC.pdf AVVICINARSI ALLE ONG PER METTERE IN PRIMO PIANO L’INTERESSE GENERALE "ONG - Entreprises : la nouvelle dynamique", CCE International, n° 154, giugnoluglio 2004 http://www.cnccef.org/kiosque/ccf_z_ki_01.htm "Quand ONG ET PDG osent", settembre 2004, Edizioni Eyrolles http://www.eyrolles.com Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 221 Capitolo V – La guida del lobbista europeo “I 12 segreti decisivi per un lobbying efficace” secondo Burson-Marsteller156 1) Essere parte del processo di elaborazione: è necessario raggiungere i decisionmaker quando una tematica appare per la prima volta, così come instaurare dei processi per identificare quali tematiche emergeranno in futuro che potrebbero richiedere l’intervento dei decision-maker. 2) Elaborare una strategia al passo coi tempi: alcune battaglie nell’Unione europea non si possono vincere frontalmente. Identificate la direzione del cambiamento, e quando necessario adattatevi al cambiamento, e influenzate la sua direzione piuttosto che cercare di fermarlo. 3) Pensare in modo politico: identificate il nucleo dell’argomento politico, i valori e gli interessi in gioco, e le potenziali basi per raccogliere il consenso. 4) A Bruxelles è importante dare un carattere “Europeo” al proprio messaggio, e spesso anche metterlo nel contesto politico: difendere interessi puramente nazionali a Bruxelles è difficile, se non addirittura contro-produttivo – sebbene un’argomentazione nazionale potrebbe essere appropriata con alcuni Parlamentari europei o con una rappresentanza permanente. 5) Riconoscere e utilizzare le comunicazioni imperfette che sono endemiche tra e all’interno delle istituzioni europee. 6) Essere trasparenti: l’ortodossia politica odierna richiede che tutti gli interessi abbiano il diritto di essere ascoltati. Per questo non dovete temere di essere totalmente aperti su chi rappresentate, o sorpresi quando anche altri sono ascoltati. Le istituzioni europee sono più trasparenti della maggior parte delle amministrazioni nazionali. 7) Alleati, partner e coalizioni: ricercate alleati e costruite coalizioni ogni volta che è possibile. Coalizioni specifiche, costruite ad hoc attorno a tematiche temporanee, possono essere influenti tanto quanto alleanze di lungo corso. 8) Rendersi conto che “sembrare oggettivi” da solo costituisce un messaggio di lobbying inefficace: supportatelo con riferimenti a scelte politiche e sociali che i decisionmaker devono necessariamente compiere. 9) Comprendere il legame tra policy, procedimento e strategia: a Bruxelles le istituzioni e i procedimenti fanno la differenza. Comprendete la relazione tra il procedimento e il risultato della policy. Il tempismo dell’intervento è sempre cruciale, così come lo è il rivolgersi alle persone giuste nel modo giusto e con note e presentazioni appropriati ai diversi interlocutori (ufficiali o politici). 10) Rivolgersi ad avvocati di Bruxelles: andate oltre il lobbying a intermittenza. La velocità e la costanza del processo decisionale europeo, e i compromessi necessari, rendono impossibile influenzare le decisioni europee per chi agisce da lontano. Bisogna essere sul campo. 11) Riconoscere e rispettare le diversità di cultura, lingua e mentalità presenti in Europa, e quando possibile usarle a proprio vantaggio. 12) Siate creativi: chi forgia il compromesso, spesso vince a Bruxelles. Fonte: “The definitive guide to lobbying the European institutions – Spring 2005” di BursonMarsteller 156 Burson-Marsteller è uno delle principali società di consulenza in strategia di comunicazione e livello mondiale. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 222 Appendice Le nuove sfide Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 223 Appendice 1. La nuova economia mondiale Negli ultimi 15 anni, il mondo ha vissuto due fenomeni: a) Si è passati da 1 miliardo a circa 6 miliardi di persone che vivono in Paesi che hanno adottato una politica economica orientata sulle esigenze del mercato; b) Si è avviata una rivoluzione tecnologica fondata sulle telecomunicazioni e le tecnologie informatiche a costi contenuti. La novità consiste nella convergenza di questi due fenomeni. Questa convergenza ha generato la nuova economia mondiale. La nuova economia mondiale non è ristretta a quella che era l’economia high tech. Si tratta di un cambiamento profondo e irrevocabile di mentalità che va ben al di là del semplice utilizzo di strumenti informatici. La nuova economia mondiale differisce significativamente dalla “vecchia economia”, perché la conoscenza è il fattore principale di crescita. La conoscenza ha sostituito gli input tradizionali di produttività, quali erano il lavoro e le risorse naturali. Due caratteristiche contraddistinguono la nuova economia mondiale: rapidità ed esponenzialità. Il vecchio ciclo economico ricorrente, legato a consumi e produzione, si basava sui limiti intrinseci dell’offerta. Nella nuova economia mondiale si può dire che il ciclo non esista più, o che sia molto ristretto, e quindi che i limiti intrinseci dell’offerta diventino ininfluenti. Ciò è possibile grazie alla spinta tecnologica continua, che rende flessibile la forza lavoro, il mercato e il capitale. La rapidità corrisponde, quindi, alla spinta continua verso l’alto della curva di velocità dell’economia mondiale. Ciò offre opportunità senza precedenti a Paesi, settori d’attività e persone che solo qualche anno prima si trovavano escluse dal ciclo della vecchia economia. A causa della struttura reticolare del mondo, l’effetto esponenziale di qualsiasi evento, anche piccolo, non necessita dimostrazione. In pratica, si tratta di una sorta d’effetto di leva o di un moltiplicatore della forza impiegata. Questo fenomeno può avere tanto effetti molto positivi, quanto catastrofici. Due esempi: Nokia non sarebbe passata in pochi anni dalla produzione di carta igienica a primo produttore mondiale di cellulari (35% del mercato mondiale); allo stesso tempo il fallimento, nel 1998, del hedge fund Long Term Capital Management e le sue pesanti conseguenze economiche e sociali non sarebbero state possibili. Tra le spinte esponenziali che influiscono sulla nuova economia mondiale, non vanno sottovalutate quelle esogene: la crescita demografica; il deterioramento dell’ambiente naturale. Ad ogni anno perso nella gestione di questi fattori, corrisponde un numero esponenziale di anni di problemi! Rispetto alle caratteristiche della nuova economia mondiale, le istituzioni, locali, nazionali o internazionali, sembrano vivere in un’epoca diversa, con il fattore tempo ancora molto dilatato. Il differenziale tra le spinte che sostengono la nuova economia mondiale e il modus operandi delle istituzioni non può che accrescersi. Ciò comporta delle evidenti asimmetrie e degli asincronismi tra la policy delle Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI 2006 224 Appendice istituzioni e le nuove necessità dell’economia e delle persone. Le istituzioni dovrebbero tener conto delle caratteristiche della nuova economia mondiale: rapidità, sistema reticolare, abbattimento dei confini e delle barriere, creazione di conoscenza e apprendimento continuo, affidabilità come requisito per l’ipercompetitività. Essendo profondamente cambiata la situazione mondiale, i Paesi, i settori d’attività e le persone devono riorganizzarsi sulla base dei nuovi parametri, e devono adattare le policy e gli approcci a questa novità. Pensare in modo nuovo e fare tutto in modo diverso è la sola strada per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e di progresso nel futuro157. Sebbene si sia all’inizio di un processo che si annuncia di lunga durata, è già possibile identificare alcuni assunti, elementi e regole che caratterizzano la nascente nuova economia mondiale. a) Assunti: I. Lo Stato è diventato più un istituto di regolamentazione che un attore dell’economia in senso tradizionale. Infatti, le strutture economiche pubbliche sono state aperte alla libera concorrenza; II. Piuttosto che de-regolamentazione, si sta verificando una nuova regolamentazione che coinvolge insiemi di regioni nel nuovo sistema mondiale; III. La rivoluzione tecnologica continua: sta cambiando completamente e in modo irrevocabile il modo in cui si opera in campo economico, nella società e in ogni altro luogo; IV. La crisi finanziaria asiatica (1997-98), la bolla Internet (2000), gli attentati del 2001 non hanno potuto cambiare la rivoluzione economica in corso; b) Elementi: I. II. III. IV. V. VI. VII. I processi produttivi sono più veloci e più snelli; Le alleanze e le catene lunghe di partnership crescono esponenzialmente, sostituendosi agli M&A; Più servizi e la possibilità di fornirli a grande distanza; Rinnovamento ex novo di settori d’attività, anche se già affermati; I prezzi relativi decrescono: il valore sta nell’innovazione e nella conoscenza, non più soltanto nei volumi; Nuove idee di prodotti e servizi: i prodotti si stanno sempre più trasformando in servizi; I Paesi, i settori d’attività e le persone che non si integrano in catene lunghe di partnership e che non innovano sono a rischio; 157 Sullo sviluppo della nuova economia mondiale si vedano, tra gli altri, di J.F. Rischard, Conto alla rovescia, Sperling & Kupfer, Milano, 2003, e di Matthew Clarke, e-development – development and the new economy, UNU-WIDER, 2003. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 225 Appendice VIII. La competizione si svolge sempre meno sui prezzi, ma dipende dalla capacità di essere legittimati sul mercato; la legittimazione è correlata alla capacità di interagire nel mondo reticolare, facendo uso di fiducia, cooperazione e potere, ma è anche importante che la nuova regolamentazione riconosca l’esclusività della conoscenza158 contenuta nei servizi e prodotti proposti; c) Regole: I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. Mettere gli altri a parte delle proprie conoscenze; Incorporare e scorporare attività varie, tendendo a concentrare le risorse disponibili sul core business e fare tutto il resto attraverso partnership e catene lunghe159; Mantenere relazioni con e influire sulle istituzioni pubbliche, perché il loro ritardo non si traduca in ostacoli allo sviluppo economico e industriale; Anticipare l’impatto dei fenomeni esogeni160, in termini di sicurezza e stabilità del sistema nel quale si opera; Rinnovare ex novo le strategie per lo sviluppo e la stabilità, anche per attori già affermati; Pensare in modo diverso sulla base dei nuovi parametri del sistema mondiale reticolare e multipolare; Costruire la propria affidabilità per vivere nell’ipercompetitività; Identificare le catene lunghe di partnership nelle quali integrarsi; Usare mezzi appropriati per guadagnare una riconoscibile legittimità sul mercato. La nuova economia mondiale non risolve gli effetti paretiani della distribuzione della ricchezza161, ma allo stesso tempo non li aggrava più di prima. Contrariamente a quanto generalmente s’immagina, o si vuol far credere, non esiste alcuna “mano invisibile” che governi il sistema economico mondiale162. La nuova economia mondiale offre, proprio per la sua intrinseca struttura reticolare, più concrete ed ampie opportunità ad un larghissimo numero di persone, aziende e Paesi. Mai tale quantità d’opportunità, e di godimento della libertà, è esistita nella storia umana ed economica. Solo un approccio oggettivo, e quindi non ideologico, idealista o utopista, permette di cogliere le opportunità usando in modo efficiente le risorse disponibili per gestire il self-interest. Le proprietà del mondo reticolare, che superano il concetto 158 Il riconoscimento e la tutela dell’esclusività della conoscenza è un problema fondamentale nella nuova economia mondiale. In gioco sono principi tradizionali, quali la tutela della proprietà intellettuale e il complicato sistema dei brevetti. 159 Si tratta di “disintegrare l’integrazione verticale” che aveva caratterizzato il management industriale degli anni ottanta e novanta, ma anche buona parte dell’allucinazione della new economy high tech. 160 Esogeni sono quei fenomeni che non sono immediatamente controllabili da un’azione umana. Si pensi ai fattori culturali, demografici, ambientali, ecc... 161 Nella Teoria sulla distrubuzione della ricchezza, Vilfredo Pareto identificò una legge nota come 80/20, che implica un’identica concentrazione della ricchezza, o del potere, indipendentemente dal livello di sviluppo o posizione geografica di un Paese. 162 Il riferimento alla “mano invisibile” è preso in prestito dalle teorie sul mercato di Adam Smith. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 226 Appendice d’interdipendenza, offrono l’opportunità concreta di valorizzare la responsabilità di tutti gli attori economici creando un circolo virtuoso tra istituzioni, aziende e persone. Questa tendenza è dimostrata dalla recente crescita della responsabilità sociale nella gestione degli affari economici163. Acquisire la capacità di partecipare allo sviluppo del nuovo sistema, anticipandone gli asincronismi e, soprattutto, organizzandosi per ridurre l’impatto delle asimmetrie informative, è il solo modo concreto di beneficiare delle opportunità offerte dalla nuova economia mondiale. Nella nuova economia mondiale, l’intervento pubblico per supplire all’incapacità di agire responsabilmente a difesa del self-interest, oppure lo sviluppo di una nuova regolamentazione di tipo etico, rischiano di distorcere il funzionamento del sistema, rinforzando vecchie logiche che nel medio termine non possono che essere perdenti. D’altra parte, la tendenza, ormai irreversibile nel mondo reticolare e nella nuova economia mondiale, è verso una governance fondata sull’estensione del processo bottom-up. In questa nuova situazione, l’aspirazione individuale e collettiva deve essere verso la ricerca dell’equilibrio dinamico, piuttosto che verso l’applicazione di concetti statici e regolamentati, com’è l’equità sociale ed economica164. In pratica, la nuova economia mondiale non richiede l’adesione incondizionata dell’individuo ad un meccanismo di tecniche positiviste ed empiriste, che credono nella supremazia della ragione e nell’esistenza della verità assoluta, ma richiede di agire secondo il self-interest con una dose sufficiente d’eticità e di relativismo realista. Non sono l’individuo o le collettività a forgiare un mondo di convenienza, attraverso l’imposizione d’idee, principi e regole più o meno ben ispirate. Invece, l’individuo o le collettività devono riconoscere l’esistenza della realtà tale quale essa esiste, accettando il limite che essa impone alle pur molto accresciute capacità e tecniche umane. L’esercizio del self-interest, specchiato nella realtà, dopo l’eclissi dell’appartenenza alla nazione o alla classe, rappresenta la risposta etica per sostenere la libertà e lo sviluppo di Paesi, aziende ed individui. 163 Si veda, ad esempio, in Corporate Social Responsibility Monitor 2003, i dati relativi al numero di consumatori o investitori finanziari responsabili. In Europa si è passati dal 36% del 1999, al 62% nel 2001 di consumatori responsabili. In USA, tra i possessori di azioni, che sono il 61% della popolazione, ¼ dichiara di aver comprato o venduto sulla base della performance sociale dell’impresa, per un valore stimato nel 1999 a 2000 miliardi di dollari. 164 Sul complesso problema della compatibilità dello sviluppo economico con l’equità sociale e la sostenibilità ambientale, si raccomanda la lettura di Leonardo Becchetti e Luigi Paganetto, Finanza etica – Commercio equo e solidale, Donzelli, Roma, 2003. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 227 Appendice 2. La nuova generazione di best practices a livello internazionale a) La sovranità disaggregata degli Stati trova la sua legittimità, interna ed esterna, in base ai benchmarks e alle network norms che ne determinano l’accettazione o il rigetto. In pratica, la governance della sovranità è stabilita in base a standard dinamici: da una lato, attraverso i benchmarks, la comparazione con le pratiche migliori, e dall’altro attraverso le network norms, l’autoregolazione propria delle reti165. b) Nuove alleanze si fondano sulle coalizioni d’interessi condivisi, come ad esempio: sicurezza, stabilità, sviluppo. Le caratteristiche tradizionali dei nuovi alleati sono irrilevanti, mentre ciò che conta è la condivisione dei rischi per raggiungere obiettivi di comune interesse in una situazione specifica e delimitata. c) Solo i soggetti, o le alleanze di soggetti, di misura relativamente grande, possono influire sul processo decisionale mondiale e regionale (ad esempio, europeo). d) Le strutture corporative, le organizzazioni non governative, i gruppi d’interesse economico, le strutture governative e quelle elette dal popolo, hanno pari legittimità nell’elaborazione della policy a livello locale, nazionale, e internazionale166. e) La struttura del mondo reticolare, rilassata, informale, e non gerarchica, funziona secondo l’applicazione bilanciata di fiducia, cooperazione, e potere, nelle relazioni e nelle interconnessioni tra gli elementi che la compongono. Fiducia, cooperazione e potere hanno l’effetto di aggregare gli elementi formando dei nuovi insiemi. Per questa ragione, servono regole globali, orizzontali e verticali, che non richiedono la centralizzazione del potere167: - Massima inclusione di tutti i soggetti rilevanti in un determinato processo decisionale (global deliberative equality); - Legittimità delle diversità (legitimate difference) nel rispetto dei principi fondamentali comuni; 165 Questi principi si sono sviluppati negli ultimi 20 anni nel settore del diritto commerciale internazionale. Deviare dagli standard accettati e riconosciuti genera dei costi molto elevati che hanno una funzione preventiva maggiore delle sanzioni di tipo tradizionale. Dal punto di vista del diritto pubblico internazionale, organizzazioni come l’Unione europea o la Comunità delle Democrazie, operano una selezione dei potenziali membri attraverso l’applicazione di standard, che non sono altro che dei benchmark e delle network norms autogeneratesi. 166 Non si vuole dire che il ruolo dei governi non esista più, ma che esso si è trasformato agendo in una rete di relazioni orizzontali che include legittimamente attori non statali. Si pensi al modo in cui si formano le policies in organizzazioni come l’Unione europea, l’OMC, il NAFTA, o la ICC. 167 In altre parole le ipotesi di governo mondiale di tipo sovranazionale sono ormai desuete e inapplicabili. Le regole citate sono tratte da Anne-Marie Slaughter, op. cit., pagg. 216-259. È interessante notare come molti dei principi elencati siano già in uso sia all’interno del modello dell’Unione europea, si pensi ad esempio alla relazione tra la Corte Europea di Giustizia e le corti nazionali, sia nelle relazioni tra UE e US, si pensi ad esempio agli accordi del 1991 in materia di concorrenza e di anti-trust. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 228 Appendice - Azioni positive di cortesia (positive comity), consultazioni e concreta assistenza sostituiscono le azioni unilaterali e quelle deferenti168; - Dialogo come fonte creativa dell’innovazione e moderatore prudenziale (checks and balances); - I processi decisionali devono essere bottom-up, in altre parole la governance mondiale deve restare locale (subsidiarity). f) La governance del mondo reticolare si genera dalla sua stessa struttura, superando e sostituendo il concetto transnazionale d’interdipendenza169: gli attori del mondo reticolare hanno una doppia responsabilità, sia nei confronti delle loro constituencies locali e nazionali, sia nei confronti della comunità mondiale. g) La nuova sovranità (disaggregata) di uno Stato può esistere ed esprimersi solo attraverso la partecipazione di un governo al sistema internazionale: ciò implica che gli elementi che compongono uno Stato, sia le istituzioni locali o nazionali sia la società civile, devono riorganizzarsi per espandere e moltiplicare la loro capacità di partecipazione orizzontale (fiducia e cooperazione) e verticale (potere) nella rete governativa mondiale che genera le policies pubbliche. h) I governi devono diventare arbitri del sistema nel suo complesso, assumendo essi stessi la responsabilità democratica delle scelte specifiche effettuate: in altre parole, nella nuova situazione di reti mondiali di governo, le scelte autarchiche non hanno più ragion d’essere. È necessario, invece, agire con un mix di fiducia, cooperazione e potere, in correlazione con gli altri governi cercando di influenzare il sistema nel suo complesso. i) L’approccio idealista ed utopista ha influenzato il corso della storia per due secoli, a partire dal roussovianismo politico e dal giacobinismo rivoluzionario francese. Esso raggiunse il suo apogeo nella lotta per le idee universali che nel secolo XX ha prodotto catastrofi umane, politiche ed economiche senza precedenti. Il declino del pensiero universalistico, sia politico sia economico ha permesso l’emergere di un approccio culturale anti-utopistico, realista, che implica l’accettazione della realtà tale qual è. In questo nuovo quadro di riferimento, il principio di self-interest170, sia individuale sia collettivo, è progressivamente adottato da tutte le sfere dell’agire umano e, cosa più importante, da tutte le culture. L’espandersi globale del self-interest è stato possibile dopo il crollo dell’Unione Sovietica e simultaneamente alla diffusione planetaria delle reti171. l) La formazione di una policy avviene attraverso l’armonizzazione del proprio self-interest (politico, economico, o individuale) con quello degli altri. Ciò implica il rovesciamento del modo di pensare tradizionale che fondava le decisioni sull’esercizio indipendente ed esclusivo della sovranità, permettendone l’applicazione coercitiva interna e la proiezione fuori dei limes. Il nuovo modo di 168 Le azioni deferenti erano tipiche del sistema bipolare, in cui gli Stati erano aggregati in modo verticale in base al potere di una o l’altra superpotenza. 169 Il concetto d’interdipendenza nacque negli anni sessanta e settanta. Esso portò alla creazione di strutture create da Stati sovrani e unitari per gestire la cooperazione tra di essi, principalmente in materia macroeconomica. 170 La definizione del self-interest che adottiamo è: il saper prendere misure per trarre vantaggio dalle opportunità (taking advantage from opportunities). È importante segnalare che il concetto di self-interest qui utilizzato non si traduce in individualismo egoista e non raggiunge gli estremi dell’egoismo razionale. 171 Anche la Cina comunista, dopo la tragedia di Piazza Tienamen nel 1989, ha permesso il selfinterest come motore di sviluppo economico individuale e collettivo: nel 2001 il presidente cinese Jang Zemin ha deciso di permettere agli imprenditori capitalisti di iscriversi al partito comunista. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 229 Appendice pensare supera i limiti etno-spaziali della sovranità: esso implica la necessità di definire in modo certo e preciso il proprio interesse, locale e/o nazionale, inserendolo saldamente nell’ambiente reticolare mondiale. In questa nuova situazione, affermare una policy significa saper gestire una fitta rete di relazioni, in altre parole saper gestire i modelli organizzativi in base ai quali l’insieme funziona come funziona. m) Prima della rivoluzione tecnologica degli anni novanta, il sistema planetario era un “piccolo mondo” basato sulla certezza della perennità degli Stati-nazione che generavano poche reti d’interconnessione esclusivamente tra le elites. Ciò permetteva la prevedibilità più facile delle mosse degli altri. La rivoluzione tecnologica ha propagato Internet, la rete globale delle reti. Con ciò le reti d’interconnessione si sono moltiplicate, massificate e intricate. Le reti e i loro modelli sono l’attualità del mondo contemporaneo, e probabilmente lo saranno per un certo tempo futuro. Le reti hanno cambiato il modo di pensare e di agire: ieri il valore risiedeva nelle persone, oggi nelle connessioni tra le persone. Sono questi cambiamenti strutturali profondi del sistema che generano gli asincronismi, in altre parole delle transizioni di fase improvvise. Gli asincronismi sono l’effetto della propagazione disordinata dei punti critici. Il concetto alla base del punto critico è che cambiamenti di minima entità abbiano spesso conseguenze di notevole portata. I punti critici si diffondono assai facilmente, per contagio ed ondate, tra i connettori nelle strutture reticolari. Ciò può spiegare come mai mutamenti apparentemente insignificanti trasformino improvvisamente comunità, settori d’attività, e nazioni. n) La propagazione delle idee (nuove) era, fino ad un passato recente, privilegio di una piccola elite. La trasmissione della tradizione (idee vecchie) era di massa, ma limitata in confini etno-spaziali identificabili. Per queste ragioni, le necessità informative degli individui erano relativamente ristrette. L’espansione delle reti degli anni ’80-’90 ha, per così dire, democraticizzato le idee, rendendole sempre piu’ accessibili e permettendo a tutti di propagarle. L’effetto economico di questa trasformazione è stato devastante per molte media companies. Per questa ragione, il valore non risiede piu’ nella rete di trasmissione o nelle idee, ma nella capacità di creare desideri ed idee contagiosi, da trasmettere da una mente all’altra. Tutto ciò, ma anche propagando l’ideavirus172, genera degli squilibri qualitativi tra i ricettori e i connettori delle idee, creando delle asimmetrie informative all’interno della rete. Questa pratica, inizialmente sviluppatasi nel marketing commerciale, si è estesa al mondo sociale, finanziario, e alla politica173. A ben vedere l’attuale guerra al terrorismo si gioca anche sulle asimmetrie informative di una parte e un’altra. La conseguenza è che l’informazione asimmetrica174 è oggi il principale fattore che influisce sulla fortuna e lo sviluppo di comunità, settori d’attività e nazioni. 172 Si veda di Seth Godin, Propagare l’ideavirus, Alchera Words Editore, Milano, 2001. Si pensi al contagio terrificante degli annunci e delle immagini sui rapimenti e le esecuzioni. Oppure, inversamente, alla mancanza di contagio che hanno avuto le “prove” sulle armi di distruzione di massa e quindi la guerra per la sicurezza mondiale. Mentre, il contagio è riuscito per ideevirus quali la pace, il dialogo, e la cooperazione. 174 L’analisi dell’impatto dell’informazione asimmetrica in economia e finanza è valso il Premio Nobel 2001 a Joseph Stiglitz, Geroge Akerlof, e Michael Spence. 173 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 230 Appendice 3. Un cambiamento di metodo: policy, practices, politics I sistemi – locale – nazionale – mondiale - si sviluppano su tre dimensioni caratterizzanti e interdipendenti: policies, practices, politics. L’uso di questi tre termini inglesi è dettato dalla sinteticità della lingua anglosassone che esprime concetti che altrimenti richiederebbero delle circonlocuzioni. Cerchiamo d’intenderci sul significato originale di queste tre parole: a) Policies. Non va confusa con “politica”. S’intende, invece, una catena di argomentazioni che razionalizza le scelte e la direzione delle azioni adottate da un governo, da un’organizzazione, o da un individuo; b) Practices. S’intende, l’esercizio consuetudinario e ripetuto con cui si compiono certe operazioni o si determinano i comportamenti; c) Politics. Non va confusa con l’accezione italiana di “politica”, che è la teoria e la pratica di gestione dello Stato e di direzione della vita pubblica. S’intende, invece, l’esercizio consuetudinario o professionale della gestione delle relazioni sociali, attraverso l’uso dell’autorità o del potere, oppure con la costruzione di una comunicazione linguistica finalizzata a fare accettare una certa policy all’opinione pubblica. Non è possibile spiegare i cambiamenti delle policies senza conoscere le politics che devono generarle e legittimarle, e le practices che esistono o che dovrebbero cambiare. Allo stesso modo non è possibile spiegare i cambiamenti nelle practices senza conoscere le policies che le precedono e le facilitano, e le politics che le generano e le comunicano. I cambiamenti nelle politics si capiscono conoscendo i cambiamenti nelle policies e nelle practices che si sviluppano sempre più spesso indipendentemente dalle prime. Inoltre, le policies senza le politics potrebbero far pensare all’esistenza di una razionalità pura basata su calcoli d’interesse, oscurando altre ragioni che sottendono le scelte, come gli intrinseci fattori culturali. E ancora, le practices senza le policies e le politics potrebbero far pensare a scelte determinate solo da esigenze economiche o dagli interessi di taluni soggetti. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 231 Appendice Per concludere, le politics senza le policies e le practices potrebbero far pensare all’esistenza di un’intelligenza oggettiva che riconosca e legalizzi solo le esigenze degli attori economici175. Le tre dimensioni servono a comprendere pienamente il funzionamento dei sistemi sociali complessi. Le tre dimensioni sono interdipendenti. Ciascuna dimensione necessita un’analisi separata, ma è solo la loro interazione che permette di apprezzare le caratteristiche dell’insieme. Non esiste un codice unico di policies, practices, e politics, che sia applicabile, o applicato, universalmente. Nella realtà, sia il processo di globalizzazione sia quello d’europeizzazione176 funzionano sulla base di mix delle tre dimensioni, assai diversi tra loro. Questo spiega l’assoluta rilevanza dei sistemi locali e/o nazionali nei due processi. Si tratta, quindi, di un adjustement continuo, eventualmente di una tendenza verso una direzione comune, e non già di una mera applicazione di regole o ricette prestabilite altrove. Empiricamente è possibile verificare tutto ciò misurando l’impatto dei processi d’europeizzazione e globalizzazione sugli indicatori economici e sociali: ad esempio, sugli indicatori della povertà o della disoccupazione nei diversi sistemi di welfare177. Si scopre che nello stesso periodo di tempo, l’applicazione differente del mix di policies, practices e politics porta a dei risultati molto diversi, non convergenti, in ciascun sistema di welfare. Ciò conferma l’inesistenza di un modello unico di società, quello che i francesi chiamano la pensée unique, ma che nel nuovo sistema globale regna invece la diversità e la libertà. È facile intuire che non ha ragion d’essere la contestazione dei processi d’europeizzazione e di globalizzazione sulla base della pretesa perdita di sovranità, autonomia o controllo, reclamata da taluni. Le differenze nei risultati dell’applicazione di policies, practices, e politics si spiegano in base alla capacità di ciascun sistema di identificare e gestire il selfinterest, le proprie priorità, e quindi di operare i necessari trade-offs che caratterizzano l’attuale modo di formazione delle policies, a livello locale, nazionale, e mondiale. In pratica, i Paesi che hanno compreso ed integrato la novità del mondo reticolare hanno più opportunità d’altri nell’influire sulla formazione delle policies che li riguardano. Tuttavia, è bene ripetere che nella formazione delle policies è fondamentale che tutti gli attori - istituzioni, settori d’attività, e persone - contribuiscano attivamente e responsabilmente a quel processo bottom-up tipico del mondo successo di un’azienda è intrinsecamente dipendente dalla sua capacità di interagire orizzontalmente e verticalmente nella formazione delle policies che la riguardano. reticolare. E’ chiaro, quindi, che anche il successo di un’azienda è intrinsecamente dipendente dalla sua capacità di interagire orizzontalmente e verticalmente nella formazione delle policies che la riguardano. 175 Usando queste tre dimensioni nell’analisi di tre Paesi, – Inghilterra – Francia - Germania, si raccomanda la lettura di Vivien A. Schmidt, The futures of European capitalism, Oxford University Press, 2002. 176 S’intende sia il processo di comunitarizzazione sia quello di integrazione. 177 A questo proposito, per approfondire lo studio di dati è possibile consultare le statistiche dell’Eurostat o dell’OCSE. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 232 Appendice Le practices sono molto più legate alla tradizione storica e culturale di quanto s’immagini. In effetti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante alcune modifiche dei sistemi rispettivi di capitalismo, sono rimaste forti le identità tradizionali nelle tre tipologie di capitalismo: market capitalism; state capitalism; managed capitalism. Tre esempi europei di questa realtà sono, rispettivamente: Regno Unito; Francia; Germania178. La ragione della resistenza della tipicità dei sistemi va ricercata nelle politics. Le politics, sono quei metodi che fanno accettare una certa scelta all’opinione pubblica. Le politics sono un elemento centrale del cambiamento non traumatico, del cambiamento condiviso. È noto che ogni proposta di riforma, in altre parole di cambiamento graduale e condiviso, si scontra con interessi acquisiti, ostacoli istituzionali, e paraocchi culturali. Il cambiamento sfida non solo i piccoli interessi personali o di larga parte della popolazione, ma sopratutto sfida i valori e la concezione dell’identità nazionale. Sia che si tratti di sistemi ancora centralizzati o invece di sistemi decentralizzati, o federali, vincere le elezioni è solo il primo passo. Paventare la vulnerabilità economica, o esaltare la capacità politico-istituzionale, non basta. La comunicazione è l’elemento generante e legittimante, vincente, per qualsiasi politics. Ciò include qualsiasi cosa gli attori delle politics dicono tra di loro e all’opinione pubblica, il loro bagaglio di policies e di valori, che interagisce con l’opinione pubblica nella costruzione e comunicazione di una policy. Il linguaggio delle politics deve simultaneamente essere convincente negli aspetti cognitivi e coordinativi. Per la funzione cognitiva è necessario dimostrare la logica e la necessità di un programma di policy, la capacità normativa che ne consegue, valorizzando le proposte attraverso un appello ai valori nazionali. Per la funzione coordinativa è necessario adottare un linguaggio accessibile che presenti la struttura della costruzione delle policies. Il resto è fatto attraverso il processo di persuasione dell’opinione pubblica, con operazioni di comunicazione della propria determinazione in presentazioni pubbliche179. Nel processo di adjustment economico è necessario convincere l’opinione pubblica che i cambiamenti proposti sono non solo necessari ma anche appropriati. Questo perché i cambiamenti economici toccano in profondità la struttura dei valori e dell’identità nazionale. La difficoltà sta nel separare il linguaggio delle politics dalla capacità di ri-concettualizzare gli interessi nelle policies, invece che solo rifletterne i punti chiave nelle politics. In pratica, la difficoltà risiede nella ricerca dell’equilibrio tra gli aspetti cognitivi e coordinativi delle politics che determinano l’accetabilità delle policies in un determinato momento e situazione. Un esempio è costituito dalla divergenza tra le policies adottate dai governi in sede europea e le politics che essi presentano ai loro elettori, a livello nazionale o locale180. 178 Si veda, di Vivien A. Schmidt, op. cit. Pagg. 107-147. In quasi tutti i Paesi, con l’eccezione degli estremisti, tutti gli attori delle politics adottano queste regole di comportamento. Ciò spiega il successo dei talk-shows, che sono i focus group degli attori delle politics, i nuovi connettori delle scelte di policy. D’altra parte, il destino di una presidenza della più grande democrazia occidentale, gli USA, si gioca anche in un faccia-a-faccia televisivo, qualche settimana prima delle elezioni! 180 Si rimanda al capitolo VI, L’Europa verso il 2013, in cui si dimostra come le policies per la strategia di Lisbona si scontrano con le politics e practices nazionali e locali che ne impediscono l’applicazione. 179 Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 233 Appendice In materia di policies economiche è molto difficile persuadere allo stesso tempo l’opinione pubblica e i soggetti economici interessati. Ciò spiega il ritardo nel cambiamento di molti Paesi. Il fattore culturale gioca a vantaggio dei Paesi anglosassoni rispetto ai Paesi continentali d’Europa che, avendo preservato una struttura sociale ed economica dipendente dalle certezze dello Stato, hanno più difficoltà a far accettare il cambiamento all’opinione pubblica ed agli attori economici, e quindi alle persone. Quanto ai Paesi di nuovo sviluppo, ad esempio India e Cina, non avendo una tradizione riconosciuta come valida dall’opinione pubblica, è molto più facile aderire al cambiamento, anche attraverso tappe veloci. Il processo d’internazionalizzazione dei mercati finanziari e del commercio è una realtà consolidata nelle tre dimensioni analizzate. Questa realtà sta promuovendo cambiamenti importanti nella struttura delle relazioni d’affari: il business guadagna autonomia in funzione della sua taglia, allarga i suoi orizzonti a livello internazionale, e il capitale è sempre più dipendente dai mercati finanziari invece che dalle banche o dallo Stato. Il rapporto business-governo si è ulteriormente allentato, anche in ragione del processo di liberalizzazione e privatizzazione dei settori economici precedentemente controllati dagli Stati. Ciò ha cambiato il rapporto di forza tra i governi e il business: il lavoro si è indebolito perchè ha perso la tradizionale protezione da parte dello Stato, mentre il business ha guadagnato forza contrattuale nei confronti del lavoro e dei governi. Infine, questi tre soggetti, business-lavoro-governi, negoziano tra loro con una più pronunciata tendenza al mercato e alla decentralizzazione. Dal punto di vista delle policies, il rapporto business-lavoro-governo è tendenzialmente orizzontale, basato sulla cooperazione e la fiducia invece che sullo scontro tra interessi. Dal punto di vista delle practices e delle politics, invece, il sistema economico rimane ancorato alle specificità nazionali, secondo le tre tipologie già ricordate in precedenza. Questa divergenza porta alcune conseguenze che, nel sistema europeo, si evidenziano nel progressivo sviluppo di differenze settoriali e regionali, di una certa rilevanza. Lo sviluppo di queste differenze settoriali e regionali è funzione diretta dell’approfondimento181 del mercato unico europeo e della crescente coesione monetaria iniziata con l’adozione dell’Euro. In pratica, poichè il business è molto sensibile all’influenza dei fattori nazionali182, che sono le practices e le politics, la distribuzione geografica dei settori d’attività dipenderà dal grado di competitività internazionale offerto da un sistema economico in quel settore d’attività. La conseguenza è che le aziende dominanti sceglieranno di stabilirsi nei territori che offrono il maggior vantaggio competitivo per un determinato settore d’attività. Infine, non è una coincidenza che le macro policies dell’Unione europea in materia di industria e ricerca sostengano sempre di più la creazione di poli d’eccellenza da distribuire nei territori degli Stati membri183. È chiaro che le practices e le politics nazionali e locali hanno un’influenza determinante sulla scelta appropriata e sulla 181 Nella terminologia comunitaria “approfondimento” indica le strategie e le misure legislative necessarie ad espandere la portata, orizzontale e verticale, del progetto di Unione europea. 182 Tra i fattori nazionali che influenzano in modo determinante il business, ne ricordiamo almeno tre: la qualità dell’ambiente relazionale; mercato e qualità del lavoro; opportunità finanziarie e fiscali. 183 Ci riferiamo al processo detto di “Lisbona”. Si veda in proposito la Comunicazione della Commissione dell’Unione europea su “Science and technology, the key to Europe’s future Guidelines for future European Union policy to support research”, del Giugno 2004, COMM (2004)353. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 234 Appendice sostenibilità di un determinato settore d’attività per la creazione di un polo d’eccellenza. In conclusione, è evidente che si determina la crisi di un sistema se le idee (politics) non riescono a spiegare le policies, che non riescono a facilitare il funzionamento delle practices (lavoro). Inversamente, dipendendo dalla vulnerabilità economica, dalla capacità istituzionale politica, e dall’eredità culturale che determina le preferenze nelle policies, si crea sviluppo se le nuove idee (politics) generano e legittimano le nuove policies, che facilitano le nuove practices (lavoro)184. 184 Per un’analisi teorica più approfondita di questo tema e per una rappresentazione grafica di questo processo si veda di Vivien A. Schmidt, op. cit., pagg. 303-310. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 235 Appendice 4. Strategia e lobbying: riorganizzare gli enti e le imprese Un cambiamento pregnante ed irreversibile del mondo si è prodotto negli ultimi 15 anni, attorno a due forze convergenti: a) Il costituirsi del mondo reticolare e multipolare; b) L’espansione della nuova economia mondiale. In sintesi, la nuova situazione determinata dall’agire di queste due forze significa che: Paesi, aziende, e individui sono chiamati ad assorbire nel proprio immaginario la nuova struttura, le proprietà, e le nuove regole del mondo reticolare e multipolare. Il nuovo sistema mondiale vive nella rapidità e nell’esponenzialità dei fenomeni che generano enormi opportunità, ma anche insicurezza ed instabilità crescenti per tutti i settori d’attività umana. Le caratteristiche del nuovo sistema mondiale sono: conoscenza interconnettività - ipercompetitività. Nuove conoscenze sono necessarie per soddisfare le proprie ambizioni, competere, e raggiungere obiettivi concreti. Tutti devono adottare prospettive intellettuali diverse, prendendo a prestito concetti di scienze nuove che studiano le strutture organizzative e le correlazioni tra realtà apparentemente diverse e distanti tra loro. Il successo di Paesi, aziende, e individui, non è frutto della casualità ma è correlato alla capacità di saper usare e bilanciare i nuovi canali d’aggregazione e d’interconnessione del mondo reticolare: fiducia – cooperazione - potere. Occorre riorganizzarsi, strutturalmente e culturalmente, per saper rispondere con rapidità ed efficacia alle novità, e per gestire le discontinuità strutturali (asincronismi) e le asimmetrie informative che influenzano improvvisamente affidabilità, reputazione e ricchezza di Paesi, aziende, o individui. In questo contesto è necessario operare dei cambiamenti strutturali che permettano a Paesi, aziende, e individui di saper prendere le misure adeguate per trarre vantaggio dalle opportunità. Per cambiare e riorganizzarsi in modo informato è necessario conoscere sistemi e modelli complessi, e i processi decisionali capaci di generare scelte ed orientamenti, generali o particolari. Nelle pagine che seguono descriviamo il Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 236 Appendice processo metodologico utile per Paesi, settori d’attività, e persone che intendano andare oltre le coincidenze tra i fenomeni nel mondo contemporaneo. Il primo passo, è definire, circoscrivere e gestire il proprio self-interest. Questo capitolo descrive una metodologia per la gestione del self-interest185. La metodologia per la gestione del self-interest permette di raggiungere tre obiettivi: Non ragionare in base alle certezze tradizionali ma cambiare i riferimenti culturali che usiamo nella nostra vita e attività; Comprendere, con un certo anticipo, i cambiamenti nei sistemi complessi; Saper influenzare i processi decisionali che sottendono alle decisioni e agli eventi, agendo sui connettori e sui punti critici del sistema. L’applicazione di questa metodologia permette di accrescere le proprie opportunità, la propria fortuna, e di essere soggetti attivi degli sviluppi invece che di subirne le conseguenze improvvise e, talvolta, terrificanti. I soggetti attivi sono quelli che: a) Acquisiscono e sviluppano in modo continuo la conoscenza necessaria, essendo ben interconnessi sulla piattaforma reticolare e multipolare mondiale; b) Interagiscono nel nuovo sistema mondiale, secondo i nuovi parametri e le nuove regole; c) Influiscono sulle scelte, quindi sullo sviluppo degli eventi, e colgono le opportunità che si presentano nel nuovo sistema mondiale. Gli strumenti utilizzati nell’applicazione di questa metodologia sono due: A. Policy Analysis a. Dimensione oggettiva (information analysis) b. Dimensione relazionale (intelligence analysis) c. Dimensione di prospettiva (strategic analysis) B. Strategia a. Valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment) b. Organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting) c. Realizzazione della strategia (implementation) B. La Policy Analysis facilita la comprensione di un sistema nella sua dimensione oggettiva, relazionale, e di prospettiva. In pratica è l’analisi, statica e dinamica, della catena di argomentazioni che razionalizzano le scelte e la direzione delle azioni adottate da un governo, da un’organizzazione, o da un individuo. Inoltre, essa cerca di conoscere, nel compiersi, l’insieme e le interazioni tra le tre dimensioni caratterizzanti di un 185 Sulla rilevanza del self-interest nel mondo contemporaneo rimandiamo a quanto scritto nella Sezione II,3 del Capitolo II. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 237 Appendice sistema: policies, politics, e practices. L’analisi è svolta nell’ambito dei nuovi parametri di riferimento del mondo reticolare e multipolare: rapidità ed esponenzialità. Infine, essa permette di inquadrare una situazione, nel presente e nel suo plausibile divenire, secondo i canali d’aggregazione del nuovo sistema mondiale: fiducia, cooperazione, e potere. È facile intuire che questo processo crea un evidente vantaggio che la tradizionale raccolta d’informazioni (information gathering) non offre. Il processo logico che porta a compiere una Policy Analysis è composto da almeno tre indagini principali: a. La dimensione oggettiva (information analysis) fornisce una visione imparziale dei processi decisionali e di policy making. Indipendentemente dalla qualità e dall’oggetto del policy making, la dimensione oggettiva include: le procedure regolamentari e legislative, e la mappatura delle diversità e delle opportunità che ne derivano; il riconoscimento dell’ambiente186 nel quale si opera, così come del mercato e della concorrenza; le rilevanti questioni economiche, finanziarie e i fattori culturali; il potere, i suoi rapporti, e le sue proprietà; l’identificazione degli influenti. b. La dimensione relazionale (intelligence analysis) fornisce una visione di fondo delle caratteristiche degli influenti nei processi decisionali e di policy making, così come degli individui che interagiscono in una determinata rete di relazioni. Essa permette di evidenziare i connettori e i punti critici di una determinata rete. c. La dimensione di prospettiva (strategic analysis) contestualizza ed evidenzia i fattori che influenzano le scelte di policy, gli influenti nuovi ed emergenti, ed identifica le tendenze e i cambiamenti plausibili nelle policy. Tuttavia, per ottenere dei risultati concreti, la Policy Analysis da sola non è sufficiente: è necessario intervenire su una determinata situazione con una serie di misure altamente selettive, rivolte con sapienza a pochi individui precisi, e agendo sui connettori e sui punti critici del sistema. C. La Strategia permette di scegliere e circoscrivere gli obiettivi da raggiungere, e di usare al meglio le risorse disponibili per ottenere i risultati desiderati. Tenendo presente che la Strategia è un processo dinamico che si basa sui continui inputs della Policy Analysis, tre fasi sono comuni all’insieme del processo: a. La valutazione degli obiettivi (strategic fit assessment) serve per: mettere una determinata situazione in prospettiva con parametri diversi; identificare, valutare, ed avvalorare gli obiettivi; sviluppare soluzioni ai problemi e alle questioni; sviluppare un piano d’azione condiviso. b. L’organizzazione degli strumenti e delle misure (actions setting) permette di: predisporre gli elementi della struttura operativa e di 186 L’ambiente è quell’insieme di fattori esogeni che influiscono sullo spazio e sulle relazioni nell’ambito delle quali si deve operare. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 238 Appendice sostegno; identificare e selezionare le sistematizzare le possibili opzioni operative. risorse necessarie; c. La realizzazione della strategia (implementation) include: formazione delle persone e sviluppo delle capacità; accompagnamento, attraverso la formulazione continua di raccomandazioni e consigli; sviluppo e realizzazione della strategia scelta; fornire, in continuo, feedback, osservazioni, idee, informazioni di fondo, ed opinioni; provocare o stimolare le idee o il cambiamento. Policy Analysis e Strategia sono gli strumenti necessari per avere un approccio operativo efficace ed efficiente, ma la nuova situazione mondiale richiede anche lo sviluppo della conoscenza. Ciò significa, da un lato, per le attività produttive e i servizi, il continuo investimento nella ricerca e nell’innovazione, e dall’altro, per i Paesi e le persone, il continuo investimento nella formazione e nello sviluppo delle capacità. È solo attraverso la conoscenza che si può vivere la complessità del mondo contemporaneo. Se è certo che la ricerca e l’innovazione permettono da sole, ad un’azienda, un Paese, o una persona, di mantenere alto il grado di competitività, è anche certo che la conoscenza ha valore (economico) se essa è condivisa. Quindi, siamo in un processo circolare continuo di ricerca-innovazione-condivisione. La ricercainnovazione spinge verso l’alto la curva della competitività, la condivisione della conoscenza permette di sfruttare le enormi opportunità del mondo reticolare e della nuova economia mondiale187. Infine, è certo anche che restare fermi, sulle glorie del passato, oppure in atteggiamento difensivo (proponendo barriere) per perpetuare i risultati del presente, è fatale, in assai poco tempo. La formazione e lo sviluppo delle capacità delle persone sono elementi essenziali per spingere verso l’alto la curva di valore del capitale sociale. D’altra parte, sappiamo che più alto è il valore del capitale sociale e più efficiente e competitivo è un sistema, sia esso un Paese o un’azienda. Queste considerazioni sul mondo dell’ipercompetitività valgono anche per le singole persone che, per restare nel mondo produttivo, sono chiamate a vivere una costante sfida d’aggiornamento della propria conoscenza e delle capacità. Esiste dunque una correlazione tra la capacità di gestione del self-interest e lo sviluppo della conoscenza. Per questa ragione, è utile indicare alcune regole per lo sviluppo della conoscenza: a) Avere la curiosità di capire che cosa succede al di fuori del proprio settore d’attività, territorio o cultura; 187 Si pensi, ad esempio, al valore di ritorno che hanno i prodotti derivati dal know-how occidentale in settori come la moda o il design. Dopo una lunga battaglia contro le contraffazioni, peraltro inefficiente e costosa, queste industrie hanno capito che le contraffazioni incrementano la quota di mercato totale generando una sempre nuova domanda, anche in realtà socioeconomiche nuove e lontane, e più povere. In altri termini, la delocalizzazione risolve il problema dei costi di produzione e della competitività nell’immediato, ma se non è accompagnata da investimenti in ricerca ed innovazione rischia di diventare un boomerang per chi la fa. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 239 Appendice b) Percepire in anticipo le tendenze locali, nazionali e globali, e le loro interazioni, in materia economica, di policy, di stabilità e di sviluppo; c) Comprendere ed avere consapevolezza dei fenomeni e delle situazioni, locali, nazionali, e globali; d) Identificare e riempire i vuoti logici e qualitativi della conoscenza per evitare che essi devino dal raggiungimento dei risultati desiderati; e) Eliminare, quando possibile, le cause della distorsione della percezione o delle idee; f) Tendere ad essere in controllo delle situazioni e dei loro sviluppi attraverso una formazione continua basata sulla conoscenza; g) Migliorare le capacità di leadership attraverso la costruzione di percezioni positive che innalzano il proprio profilo. Sebbene ogni situazione sia specifica, sappiamo che la sua evoluzione può essere compresa facendo uso di logiche e metodi operativi più efficaci, piegando al nostro servizio saperi nuovi e complessi perché ci forniscano le capacità d’analisi e le strategie necessarie per riuscire con successo nel nuovo sistema mondiale. S’intuisce che per prendere delle decisioni informate e adatte alla complessità del nostro mondo, è ormai imprescindibile l’integrazione di nuove competenze ai saperi settoriali e/o tradizionali. Ciò vale per Paesi, aziende, e individui. Acquisire la capacità di cercare da soli queste nuove competenze è molto difficile ed economicamente poco efficiente. Come già avviene nel mondo anglosassone, nuovi consiglieri e formatori affiancano le persone e le strutture che sono chiamate a prendere delle decisioni che riguardano il destino di Paesi, aziende, o persone. Queste nuove figure professionali, i così detti spin-doctors, sono iperconnessi con i nodi della rete mondiale da cui sanno ottenere la conoscenza e le informazioni che sanno usare per gestire in modo efficiente il self-interest. Proposte per sensibilizzare le imprese: il ruolo delle federazioni riorganizzazione delle imprese. e la 1. Promuovere lo spirito di lobbying in seno alle federazioni italiane. Le federazioni italiane che devono svolgere un vero e proprio ruolo di lobbying sia a livello nazionale che comunitario, hanno il compito di informare i loro asociati al fine di familiarizzarli alle pratiche di lobbying e di incoraggiarli a far valere con più forza e frequenza le loro posizioni. Una buona proporzione dei loro siti internet dovrebbe essere dedicata all’approccio del lobbista, alle loro azioni in questa prospettiva e all’all’incoraggiamento delle imprese a ricorrere ai loro servizi se necessario. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 240 Appendice Bisognerebbe rafforzare la concertazione con e fra le imprese che appartengono a federazioni nazionali, in modo da definire delle visioni italiane comuni da mettere poi in prospettiva con quelle dei partner concorrenti. 2. Affrontare le tematiche europee in modo trasversale in seno all’impresa. Questo approccio deve essere ugualmente adottato all’interno dell’impresa, privilegiando un’analisi delle tematiche europee di tipo “ orizzontale ”. Il reperimento delle informazioni sulle questioni europee e l’attuazione di una strategia non devono semplicemente orientare la direzione dell’impresa, ma devono anche rappresentare un riflesso, a prescindere dai servizi offerti dall’impresa e dal suo settore d’attività. Una volta sensibilizzati alle politiche europee, i professionisti dell’impresa devono, successivamente, avvicinarsi alla loro rappresentanza bruxellese e lavorare in sinergia con quest’ultima, perchè conoscere l’impresa di cui si tutelano gli interessi è primordiale per il lobbista. 3. Sollecitare le imprese ad inviare dei dirigenti presso le istituzioni comunitarie. Le imprese ed associazioni professionali dovrebbero sfruttare la possibilità che viene concessa loro di inviare alcuni dei loro responsabili direttamente presso le istituzioni europee. Gli italiani non sfruttano sufficientemente questa possibilità, a differenza dei britannici. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 241 Appendice 5. Il mercato delle idee in Europa: reti senza idee e idee senza reti “Nel 1988 si celebrano sia le antiche origini dello Studium, sia i cento anni dall'ottavo centenario, evento grandioso che riunì a Bologna tutte le università del mondo per onorare la madre delle università. Il motto Petrus ubique pater legum Bononia mater fu un’enciclica universitaria e universale. Accademie, università e sovrani inviarono messaggi, si pubblicarono libri, e la festa di Bologna divenne una festa internazionale degli studi”188. L’Europa madre delle idee a livello planetario: un’aristocrazia intellettuale paneuropea, spesso una teo-intellettualità, circolava liberamente tra i Paesi europei, e s’irradiava fuori da essi. Così è stato per moltissimi secoli, fino almeno alla seconda metà del secolo XX. La circolazione delle idee è aumentata esponenzialmente, anche in modo più libero e democratico. Il polo europeo d’attrazione e di produzione del pensiero su scala planetaria s’è oscurato, ed oggi è in rapido declino. Questa situazione non è il risultato d’un improvviso calo del quoziente d’intelligenza degli europei, ma è la conseguenza del ritardo che gli europei - le istituzioni nazionali, le imprese, e le persone - hanno nel capire il nuovo che avanza fuori dai loro confini. Dagli anni ottanta, la conoscenza è parte integrante di una rete più vasta, anche grazie a Internet. La circolazione continua delle persone da posti universitari ad incarichi istituzionali e ai think tanks, e da un Paese all’altro, ha indebolito la correlazione tra la conoscenza e la sovranità. La larga maggioranza delle istituzioni europee dedicate alla ricerca e alla riflessione restano, purtroppo, legate a vincoli intellettuali, ma anche, e forse sopratutto, finanziari e procedurali locali e nazionali. Quindi, mentre si assiste alla disagreggazione delle istituzioni dello Stato-nazione, e alla conseguente riaggregazione di queste istituzioni attorno alla nascente democrazia reticolare del potere e dell’economia, la ricerca intellettuale europea resta ancora aggregata secondo i vecchi schemi e le logiche degli Stati nazionali. Si sente risuonare la retorica della “nazionalità” della ricerca - francese, tedesca, inglese, italiana - ma solo in poche occasioni, e generalmente per denunciarne l’inadeguatezza, si sente parlare di ricerca europea. L’origine nazionale della ricerca è il suo limite! Diversamente da quanto avviene all’interno degli Stati Uniti, e tra gli altri Paesi del mondo e gli Stati Uniti, sono veramente pochi i ricercatori europei che si stabiliscono in Paesi e strutture europee diverse da quelle d’origine. Il drenaggio maggiore di scienziati e ricercatori europei continua inarrestabile verso gli Stati Uniti. È paradossale che nel tempo delle reti e della libera circolazione delle idee, e delle persone, in Europa i ricercatori restino così stanziali e culturalmente localizzati! Sembra quasi che gli Stati europei, avendo perso il primato della potenza che sosteneva l’esercizio della sovranità, cerchino di usare il sapere “nazionale”, burocratizzandolo, come surrogato di quella potenza perduta. Nonostante i recenti sforzi delle istituzioni europee per promuovere la creazione e 188 Dal sito storico dell’Università di Bologna, Italia. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 242 Appendice lo sviluppo di centri europei d’eccellenza, ancorché stabiliti in tal o talaltro Stato membro, il mercato intra-europeo delle idee resta assai debole189. Ne consegue che le singole intellettualità “nazionali” si rapportano in primo luogo con quelle degli Stati Uniti, e solo successivamente con il resto del pensiero europeo190. Il pensiero, la ricerca, la riflessione sono stati per secoli il motore dell’innovazione in Europa, ma nelle condizioni attuali non si produce altro che il canto del cigno, un vassallaggio intellettuale assai improprio. Proprio in rapporto con gli Stati Uniti, ma anche con l’Asia, si capisce il declino europeo e i rischi che ne conseguono a livello sociale ed economico: a livello mondiale, sono americane il 74% delle prime 300 società di alta tecnologia, e il 46% delle prime 300 società americane sono quelle che più spendono in ricerca e sviluppo, finanziando università, istituti di ricerca e think tanks. Il primato americano non potrà che consolidarsi senza un’inversione radicale di tendenza da parte degli europei, Stati, imprese, e individui. L’impatto del fenomeno demografico aggraverà il divario tra l’Europa e il resto del mondo. L’invecchiamento della popolazione europea porta ad un aumento di spesa in pensioni e sanità, tra il 4% e 8% del PIL nel periodo 2020-2050. La dipendenza sociale dalla rendita delle pensioni nel 2050 sarà da un minimo di 36% della popolazione danese ad un massimo del 61% di quella italiana. La Commissione europea ha calcolato che l’impatto negativo di questo fenomeno sulla capacità di spesa del budget pubblico dei 25 Paesi membri inizierà a partire dal 2010191! Infine, nel 2003 la produttività media del lavoro per ogni ora lavorata è di appena 1.4% in Europa (EU-15) mentre è di 2.2% in USA192. Per queste ragioni, l’Agenda di Lisbona (2000-2010) è il migliore strumento a disposizione degli Stati membri per invertire la tendenza nel settore della ricerca, della produttività e competitività dei Paesi europei. La creazione, nel 2005, del Consiglio Europeo della Ricerca, dovrebbe stimolare la coesione delle iniziative e il consolidamento della spesa dei singoli Paesi attorno all’interesse comune ormai ineludibile. Se quest’opportunità offerta dalla strategia di Lisbona non sarà colta con determinazione dagli Stati, dalle imprese, e dagli individui europei, il futuro non potrà che essere d’eclissi di una delle aree più fervide di sapere del mondo. Il declino nella produzione della conoscenza, insieme con l’evolversi della situazione demografica e socio-economica, avrà effetti drammatici sulla tenuta dei sistemi nazionali di welfare e di coesione sociale dell’intero continente europeo. Oltre alla ricerca fondamentale e universitaria, la conoscenza si produce anche attraverso l’attività di gruppi indipendenti: i think tanks. Questi laboratori di 189 L’Agenda di Lisbona (2000) chiedeva agli Stati membri di prendere misure “ urgenti ” per raggiungere un livello di spesa in R&D di almeno il 3% del PIL. Solo due Paesi su 25 hanno raggiunto il target (Polonia e Finlandia). In entrambi i casi più del 2% del PIL messo a disposizione per R&D proviene da fondi privati!! Quanto all’Italia, si trova agli ultimi posti della classifica europea con circa il 0.7% del PIL speso in R&D. 190 A questo proposito è sufficiente sfogliare un qualsiasi lavoro di ricerca europeo, in scienze sociali o applicate, per scoprire che il rapporto delle citazioni scientifiche è di 1 a 7 a favore di studi anglosassoni, e in lingua inglese! Fino a trent’anni fa, la maggioranza delle citazioni erano francesi, tedesche e italiane. 191 Dati tratti dal rapporto Facing the challenge, rapporto Kok, Commissione europea, novembre 2004, disponibile su: http://europa.eu.int/comm/lisbon_strategy/index_en.html 192 Si noti che nel 1966 la produttività media europea (EU-6) era del 5.5% contro il 3% degli USA. L’invesrione di tendenza europea/americana si è prodotta nel 1996. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 243 Appendice creazione del pensiero sono molto attivi nei Paesi anglosassoni, dove hanno anche un impatto considerevole sulla formazione delle policies pubbliche e private. Una delle ragioni del successo di queste organizzazioni del sapere nei Paesi anglosassoni è la relativa autonomia con la quale s’è evoluto il mondo universitario, la sua indipendenza dai finanziamenti pubblici, e la sua capacità a lavorare in modo meno autoreferenziale e più aperto, includendo attori del settore privato e delle amministrazioni. Ciò ha portato allo sviluppo di vaste reti di persone che circolano da una posizione all’altra e, in modo indicativo, ad una forte propensione dei privati ad investire capitali nella ricerca applicata193. In pratica, nei Paesi anglosassoni le università, le amministrazioni, le imprese, i think tanks, l’informazione e la politica, non sono mondi separati ma integrati e iperconnessi su una sola piattaforma della conoscenza. Questo spiega anche i risultati e le tendenze socio-economiche diverse tra questi Paesi, ma anche di quelli asiatici, e la “vecchia Europa”. La struttura delle istituzioni e la tradizione politica dei Paesi dell’Europa continentale, così come le legislazioni fiscali inadatte a stimolare l’investimento privato nelle organizzazioni che producono la conoscenza e il dibattito delle idee, non aiutano lo sviluppo dei think tanks e della ricerca applicata. Esistono policies europee che vanno nella buona direzione, ma poi, ancora una volta, le politics e le practices nazionali e locali ne limitano gravemente l’effettività. Per ottenere dei risultati utili in questo campo è necessario un cambiamento radicale delle practices d’interi Paesi. Pensare che questo compito spetti all’Unione europea significa ragionare ancora secondo i parametri del mondo moderno pre-reticolare: ormai il processo non è più top-down, ma è bottom-up! In ciascun Paese, la responsabilità del cambiamento risiede nelle imprese e nelle persone che devono sforzarsi di cambiare le proprie practices, influendo sulle politics perchè queste si allinieino alle policies europee. Difendere lo statu quo, invero favorire le practices esistenti con il pretesto di difendere i benefici sociali, non potrà che portare all’oscuramento d’interi Paesi. D’altra parte, nell’economia della conoscenza che caratterizza il mondo contemporaneo, le idee hanno valore se circolano e diventano accessibili agli altri. Lo sviluppo e la qualità dei think tanks, e delle università, in un dato Paese, costituisce un benchmack importante che determinerà, in modo crescente, l’inclusione o l’esclusione nelle reti planetarie del sapere, della ricerca e dell’innovazione. Non disporre di organizzazioni in grado di innovare nel pensiero e di rappresentarlo in modo accessibile e utilizzabile, significa non essere in grado di partecipare compiutamente a quella vasta rete orizzontale che, a livello europeo, ma anche planetario, genera le policies. Usando il benchmark dei think tanks che hanno una propensione o una specializzazione sugli affari europei, si può tracciare una mappa che dimostra, tra l’altro, il grado d’iperconnessione della conoscenza di un Paese nel sistema europeo, e quindi capire l’influenza che un Paese riesce ad esercitare nel processo di produzione delle policies. 193 Su questo tema si veda l’eccellente ricerca, L’Europe et ses think tanks: un potentiel inaccompli, Etudes et Recherches N°35, Novembre 2004, condotta dall’associazione francese presieduta da http://www.notreJacques Delors, Notre Europe, e pubblicata su: europe.asso.fr/article.php3?id_article=537 . Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 244 Appendice Think Tank in Europa Stati membri Think Tanks Germania Regno Unito Austria UE/Bruxelles Grecia Francia Spagna Italia Finlandia Polonia Lettonia Rep. Ceca Svezia Slovacchia Ungheria Paesi Bassi Estonia Lituania Cipro Irlanda Belgio Portogallo Slovenia Danimarca Lussemburgo Malta 23 16 11 10 8 7 7 7 6 6 5 5 5 5 5 4 4 4 3 2 2 2 1 1 na na Think Tanks Specializzati sull’Europa 4 7 3 7 3 5 0 0 0 0 1 1 1 0 0 1 1 0 1 1 0 0 0 0 Na Na Totale Ricercatori Personale Totale 1065 175 271 100 77 82 55 115 72 173 55 37 74 27 90 57 23 48 15 42 19 18 17 78 na na 1925 366 348 175 143 145 155 160 141 236 105 97 183 49 140 97 61 69 68 93 34 26 23 118 Na Na Dati tratti dalla ricerca L’Europe et ses think tanks: un potentiel inaccompli, Notre Europe, Parigi, Novembre 2004. Da questa tabella appare chiaro che l’Europa dei think tanks offre un panorama frammentato che rende difficile il loro finanziamento. Questi centri, con l’eccezione inglese e parzialmente tedesca, vivono ancora maggioritariamente di sovvenzioni pubbliche. Tuttavia, i Paesi che sono andati oltre la retorica europeista, pro o contro, hanno investito nella creazione di think tanks che permettono di stimolare le istituzioni nazionali ed europee sulle idee che li interessano, ma anche di formare il personale nazionale che deve agire tecnicamente nelle reti europee che generano le policies. Tra i grandi Paesi fondatori, risalta l’Italia che nonostante la retorica arcieurpeista non ha un think tank specializzato sulle questioni europee! Negli ultimi anni si è sviluppato il fenomeno delle reti tra i think tanks europei. Questo sviluppo si deve in buona parte al V e VI Programma Quadro per la Ricerca (2002-2006), che ha promosso la creazione delle “reti d’eccellenza”. Tuttavia, in molti casi la pretesa “internazionalizzazione” dei think tanks è stata indotta dalla necessità di essere inseriti in una rete per ricevere più facilmente dei finanziamenti europei per i programmi di ricerca. Inoltre, solo alcuni think tanks americani e inglesi hanno ramificazioni importanti, e a volte delle vere e proprie filiali, fuori dal Paese d’origine. Importante è, invece, l’influenza delle grandi fondazioni tedesche che sostengono finanziaramente vari nuovi think tanks nei Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 245 Appendice Paesi dell’Europa orientale. In ogni caso, l’aggregazione in reti di think tanks194 avviene secondo due criteri: a) la similitudine d’intenti (politici), che rafforza l’attivismo dei singoli in una rete collettiva ma non stimola il dibattito tra idee diverse; b) il semplice raggruppamento, che serve prevalentemente per usufruire delle sovvenzioni europee. Inoltre, è utile ricordare che le istituzioni europee sono impegnate, sin dalla loro fondazione, a finanziare reti d’informazione sull’Europa, sia attraverso le proprie rappresentanze in ogni Stato membro, sia con sovvenzioni “a pioggia” per una miriade di piccole organizzazioni nazionali, tra cui: Info Centres, Info Points, e Maisons de l’Europe. Sebbene negli utlimi anni la Commissione europea stia tentando di razionalizzare le reti d’informazione, applicando in modo più determinato il principio di sussidiarietà che sposta la responsabilità finanziaria e informativa verso gli Stati membri, resta un approccio all’informazione di tipo centralista (reach out). Ciò fa apparire l’informazione piuttosto come una propaganda, con il conseguente indebolimento dell’impatto europeista sulle practices e le politics nazionali. È possibile tracciare alcune linee conclusive e formulare un suggerimento: a) Le strutture che producono la conoscenza hanno bisogno di più reti attraverso le quali promuovere e scambiare le idee, creando dei veri network cooperativi tematici e permanenti; b) Le istituzioni europee, che dispongono delle reti d’informazione, hanno bisogno d’idee nuove che ne stimolino le attività. Chi è capace di proporle, potrà farsi ascoltare e influenzare le policies comunitarie. Un approccio innovativo potrebbe essere di trasformare la rete informativa delle istituzioni europee nella piattaforma (gratuita) su cui i think tanks possano essere iperconnessi, generando così uno scambio virtuoso e continuo delle idee, e tra i think tanks e le istituzioni europee. Così nascerebbe una “comunità europea delle idee” che, mettendo in competizione le idee migliori, sarebbe trasparente, inclusiva, democratica e autoregolata dalle network norms. Questo “tintinnio di cervelli” stimolerebbe anche un vasto blog europeo che avvicinerebbe i cittadini alle questioni comuni che li interessano. Last but not least, la capacità dei think tanks di dimostrare l’impatto delle idee proposte non potrà che stimolare l’interesse dei finanziatori affinchè continui il processo di formazione di nuove idee e d’innovazione delle policies. 194 Per approfondire questo tema, si veda la ricerca , L’Europe et ses think tanks: un potentiel inaccompli, op.cit. Le lobby d’Italia a Bruxelles – Copyright CIPI © 2006 246
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