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la Biblioteca di via Senato mensile, anno iv Milano n.6 – giugno 2012 UTOPIA Mercier e il mito del “buon selvaggio” di gianluca montinaro MALAPARTE Con Bartali un’amicizia a due ruote di laura mariani conti e matteo noja FONDO ANTICO Le esequie di Carlo V del Torrentino di annette popel pozzo FONDO MILANO G. Ripamonti, un cronista irascibile di beatrice porchera RARITÀ Il panettiere degli editori di valentina conti la Biblioteca di via Senato - Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO IV – N.6/32 – MILANO, GIUGNO 2012 Sommario 4 L’Utopia: prìncipi e princìpi IL MITO DEL BUON “SELVAGGIO” di Gianluca Montinaro 12 BvS: il Fondo Antico UN “TORRENTINO” IGNOTO PER LE ESEQUIE DI CARLO V di Annette Popel Pozzo 20 BvS: Archivio Malaparte MALAPARTE E BARTALI: AMICIZIA SU DUE RUOTE di Laura Mariani Conti e Matteo Noja 29 IN SEDICESIMO - Le rubriche ANTEPRIMA TEATRO DI VERDURA – CATALOGHI – SPIGOLATURE – RECENSIONI L’INTERVISTA D’AUTORE – ASTE – MOSTRE 46 BvS: il Fondo Milano GIUSEPPE RIPAMONTI: UN IRASCIBILE CRONISTA SEICENTESCO di Beatrice Porchera 51 BvS: rarità per bibliofili MONALDO LEOPARDI, IL RITRATTO DI UN UTOPICO GALANTUOMO di Arianna Calò 56 BvS: il libro ritrovato DIARIO DEL SECOLO DECIMONONO TRA CRONACA E ANEDDOTO di Paola Maria Farina 60 BvS: rarità per bibliofili ALBERTO CASIRAGHY: IL «PANETTIERE DEGLI EDITORI» di Valentina Conti 64 BvS: il Fondo Impresa MARCELLO DUDOVICH: L’ARTE APPLICATA ALLA PUBBLICITÀ di Giacomo Corvaglia 69 BvS: nuove schede RECENTI ACQUISIZIONI DELLA BIBLIOTECA DI VIA SENATO Consiglio di amministrazione della Fondazione Biblioteca di via Senato Marcello Dell’Utri (presidente) Giuliano Adreani, Carlo Carena, Fedele Confalonieri, Maurizio Costa, Ennio Doris, Fabio Pierotti Cei, Fulvio Pravadelli, Miranda Ratti, Carlo Tognoli Segretario Generale Angelo De Tomasi Collegio dei Revisori dei conti Achille Frattini (presidente) Gianfranco Polerani, Francesco Antonio Giampaolo Fondazione Biblioteca di via Senato Elena Bellini segreteria mostre Arianna Calò sala Campanella Valentina Conti studio bibliografico Sonia Corain segreteria teatro Giacomo Corvaglia sala consultazione Margherita Dell’Utri sala consultazione Paola Maria Farina studio bibliografico Claudio Ferri direttore Luciano Ghirelli servizi generali Laura Mariani Conti archivio Malaparte Matteo Noja responsabile dell’archivio e del fondo moderno Donatella Oggioni responsabile teatro e ufficio stampa Annette Popel Pozzo responsabile del fondo antico Beatrice Porchera sala consultazione Gaudio Saracino servizi generali Stampato in Italia © 2012 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati Direttore responsabile Matteo Noja Progetto grafico e impaginazione Elena Buffa Coordinamento pubblicità Margherita Savarese Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Direzione e redazione Via Senato, 14 – 20121 Milano Tel. 02 76215318 Fax 02 782387 [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Bollettino mensile della Biblioteca di via Senato Milano distribuito gratuitamente Referenze fotografiche Saporetti Immagini d’Arte Snc, Milano L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Immagine in copertina: Frontespizio dell’edizione L’esequie di Carlo Quinto Imperadore, L. Torrentino, Firenze 1559 Organizzazione Mostra del Libro Antico e del Salone del Libro Usato Ines Lattuada Margherita Savarese Ufficio Stampa Ex Libris Comunicazione Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Canzone di giugno Stormiscono le fronde nell’aria greve, e il sole ride alle prataiole ed alle biche bionde, E la canzone sale dal campo del lavoro e s’accompagna a un coro stridulo di cicale: e rende tutto d’oro il campo donde arriva la canzone giuliva nell’agreste lavoro. e sale il canto anelo dalle bocche lontane lodando in terra il pane ed il buon Padre in cielo. Ecco è piena la spica e la falce è nel pugno; e il buon sole di giugno rallegra la fatica. Marino Moretti Il ciuchino. Poesie per i ragazzi, Torino 1953 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 L’Utopia: prìncipi e princìpi IL MITO DEL BUON “SELVAGGIO” L’utopia settecentesca di Mercier, fra natura e individuo GIANLUCA MONTINARO D i Louis Sebastian Mercier (1740-1814) sono note soprattutto due opere: Tableau de Paris (1781-1788) e l’An 2440 (1770). Lavoro satirico-enciclopedico il primo, dedicato al mondo, ai modi e ai costumi della Parigi della fine del XVIII secolo (12 volumi, per oltre mille capitoli), raffinato romanzo utopico il secondo, nel quale si immagina la capitale francese nel lontano 2440, settecento anni più tardi. In mezzo, prima e dopo, una gran quantità di altri scritti: riflessioni filosofiche, commedie, pagine satiriche, articoli. Alcuni di essi, si conservano, in rare edizioni, nella Biblioteca di via Senato. L’Homme sauvage (Neuchâtel, Société Typographique, 1784, con in appendice un’opera giovanile, in sei atti, Les amours de Cherale) è uno di questi. Testo fra i meno noti di Mercier, ha una genesi interessante, nella quale si mescolano dati biografici ed esperienze intellettuali. Nato a Parigi, in una famiglia di estrazione borghe- A sinistra: La France et le Temps, antiporta incisa su rame del secondo volume L’an deux mille quatre cent quarante (1801-1802). Sopra: ritratto di LouisSébastien Mercier inciso da Benoît-Louis Henriquez su disegno di André Pujos, contenuto in L’an deux mille quatre cent quarante (1801-1802) se, Mercier apprende qualche rudimento di latino da un precettore e quindi, nel 1749, frequenta come allievo esterno il collegio delle Quatre-Nations. Negli anni successivi, anche grazie all’amicizia con Crébillon figlio, entra in contatto con l’effervescente ambiente teatrale parigino. Decide di intraprendere la carriera dello scrittore e inizia a produrre versi e saggi letterari. Nel frattempo, grazie all’espulsione dei Gesuiti dalla Francia, gli giunge la nomina a professore di retorica presso il collegio della Madeleine a Bordeaux (1763). In Aquitania rimane però poco: il clima troppo provinciale non è congeniale a Mercier che, rinunciando all’incarico, torna a Parigi. Si tuffa, con poco successo, nella scrittura: romanzi e traduzioni si susseguono senza sosta fino a che Mercier non acquista un po’ di notorietà grazie ad alcuni drammi (imitati in buona parte da opere di origine inglese e tedesca) che iniziano a girare per i teatri della provincia francese. Nel 1767 pubblica L’Homme sauvage. L’opera però passa sotto silenzio, fino alla successiva - e non casuale - ristampa del 1784. La pubblicazione anonima dei primi due volumi dei Tableau de Paris (1781) crea a Mercier numerosi problemi. Viene denunciato per diffamazione e, per evitare spiacevoli conseguenze giudiziarie, è costretto a lasciare la Francia e a rifugiarsi a 6 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Frontespizio dell’edizione di Louis-Sébastien Mercier, L’homme sauvage, Neuchâtel, Société typographique, 1784 Neuchatel. In Svizzera rimane fino al 1785, continuando a scrivere e a pubblicare senza sosta (e a questo periodo risale proprio la seconda edizione francese de L’Homme sauvage). Rientrato nella capitale francese, partecipa attivamente (dalle pagine di numerosi giornali) al dibattito intellettuale che porterà ai sanguinosi fatti del 1789. La Rivoluzione inizia a travolgere la monarchia. La mattina del 6 ottobre una folla di parigine affamate (sobillata dai rivoluzionari più estremisti) assalta la reggia di Versailles. Solo il sacrificio di alcune guardie svizzere, barbaramente trucidate, permette a Maria Antonietta di trovare scampo negli appartamenti del re. La famiglia reale e tutta la corte sono costretti a lasciare Versailles e a installarsi a Parigi, nel vecchio palazzo delle Tuileries. Mercier assiste a tutti questi fatti, ma senza comprenderne la gravida tragicità. Anzi, proprio in quei giorni di sangue inizia a pubblicare gli «Annali patriottici», che dirige fino al 1791. L’anno successivo, caduta la monarchia e imprigionato al Tempio Luigi XVI, Mercier è eletto alla Convenzione. Una volta all’interno dell’agone politico comprende velocemente il dramma che la Francia si stava apprestando a vivere. Prende posto fra i girondini, negli scranni dei moderati. Vota contro la condanna a morte del re, e a favore della sua detenzione. Agli appelli al sangue propugnati da Marat, Mercier risponde esprimendosi favorevolmente alla sua messa in stato di accusa. Interrompe Robespierre, che si stava paragonando a un antico romano, gridandogli: «Voi non siete Romano ma l’ignoranza fatta a persona». Queste posizioni molto critiche gli valgono presto, assieme ad altri 72 deputati moderati, il carcere. Rimane in galera per oltre un anno, fino alla caduta dell’Incorruttibile, scampando miracolosamente ai massacri del Terrore. Riprende quindi il suo posto in Parlamento e viene eletto nel Consiglio dei Cinquecento. Inizia una forte battaglia culturale di retroguardia. Si oppone alla tumulazione di Cartesio nel Pantheon perché, avendo teorizzato la libertà di pensiero, sarebbe stato all’origine delle correnti rivoluzionarie e contro-rivoluzionarie e quindi ‘mandante occulto’ del Terrore. Uguale posizione Mercier assume verso la memoria di Voltaire, che accusa di aver distrutto la morale. Di Bossuet dice che la sua Histoire universelle non è altro che un arido elenco cronologico, «senza vita né colore». Locke e Condillac sono da lui bollati come ‘idiologi’, Lavater e la sua fisiognomica bellamente ridicolizzati con la frase «conosci l’uomo dai piedi» e, al sistema eliocentrico di Copernico e Newton, Mercier oppone l’idea di una Terra rotonda e piatta, con il sole che orbita tutto attorno. Dalla battaglia contro i filosofi, rei di sognare l’istruzione delle masse, conserva solo Jean-Jacques Rousseau del quale Mercier, fra il 1788 e il 1793, aveva curato la pubblicazione delle opere, in 37 volumi. Neppure l’arte si salva in questo delirio iconoclasta. Raffaello, Correggio e Tiziano sono pittori pericolosi, rei di aver prodotto opere che hanno contribuito a minare i buoni costumi dei popoli. Terminata l’esperienza politica Mercier riprende in pieno la sua attività letteraria. Nel 1800 pubblica i sei vo- giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 7 Frontespizio dell’edizione L’an deux mille quatre cent quarante. Rêve s’il en fût jamais; suivi de L’homme de fer, songe (Parigi, Lepetit, an X [i.e. 1801-1802]) lumi del Nouveau Paris, seguito del Tableau de Paris. Nel frattempo, benché ammiri il genio di Napoleone, non apprezza l’instaurazione dell’Impero. Più volte si scontra verbalmente con il ministro della polizia che lo ammonisce a tenere a freno la sua penna mordace. All’ennesima minaccia del carcere pare che Mercier abbia ironicamente risposto: «non vivo che per vedere come finirà questa triste vicenda». E in effetti, prima di spirare, riesce ad assistere alla caduta del piccolo Corso, al rientro dei Borbone e al insediamento sul trono di Luigi XVIII, il fratello del re martire. Il mondo letterario di Mercier è tipicamente settecentesco, imbevuto di illuminismo. Mercier, scrittore borghese fin nell’animo, accorda la propria preferenza alla prosa, relegando la poesia a forma letteraria oramai desueta, solo patrimonio della classe nobiliare. E’ con la prosa che lo scrittore raggiunge il grande pubblico, è grazie al romanzo che può comunicare idee, raccogliere e ‘mettere in scena’ le istanze della borghesia, ed è grazie al mercato librario che lo scrittore può raggiungere la piena autonomia economica, svincolandosi da perniciosi rapporti di mecenatismo. Ma la libertà, legata a una penna mordace e a un carattere puntuto, si paga cara. Si sconta con il carcere, o con la fuga. Non è un caso se è proprio a Neuchatel che vede la luce la ristampa de L’Homme sauvage. In Svizzera era fuggito, vent’anni prima, colpito dalle ‘angherie’ della società parigina, anche l’amato Jean-Jacques Rousseau. In Svizzera, Mercier (probabilmente rispecchiandosi in Rousseau) trova un clima di maggiore apertura. Qui inizia a riflettere, come già prima aveva fatto Rousseau, sulla natura dell’uomo. Annosa questione: portato inevitabilmente a compiere il male, o spinto naturalmente al bene? La risposta dello scrittore parigino ricalca quella del filosofo ginevrino: è il progresso, ciò che si chiama “civilizzazione”, a corrompere l’individuo, instillandogli falsi valori e vani traguardi in nome dei quali si esercitano sopraffazione e violenza. L’utopia che Mercier narra nel suo L’Homme sauvage non è esente da richiami arcadici. Da quella visione, idillica e pastorale, che nel primo Settecento si era diffusa in tutte le corti europee. E al quale, in seguito, si erano aggiunti altre riflessioni, innescate dalle esplorazioni geografiche delle lontane isole dell’oceano Pacifico. Di quei luoghi esotici si narrava il clima favorevole, la pace continua che regnava fra quelle popolazioni e la serenità degli uomini, che nulla desideravano perché la natura provvedeva al loro sostentamento. Il mito del buon selvaggio, ovvero dell’uomo primordiale, felice perché incorrotto dal progresso, appariva all’uomo settecentesco così desiderabile proprio perché lontano nello spazio, posto in una dimensione altra, al di là di un mare tanto infinito quanto quello che divideva il Continente dall’isola di Utopia. Beato quell’uomo che «vive sotto le leggi semplici della natura, seguendo i propri istinti e le proprie idee, ascoltando la voce del proprio cuore, perché l’uomo è nato buono».1 In una sorta di sovrapposizione di immagini, Mercier, Rousseau e il “buon selvaggio” di- 8 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 9 Nella pagina accanto: Plonge-toi dans le Torrent, antiporta incisa su rame del terzo volume L’an deux mille quatre cent quarante (1801-1802). Sopra da sinistra: Introduction de L’homme sauvage (1784); tavola “J’ai sept cens ans” contenuta in L’an deux mille quatre cent quarante (1801-1802) ventano la stessa figura, traboccante di naturale sensibilità, anelante alla sincerità, desiderosa di verità. L’Homme sauvage si presenta come se fosse una storia vera. Nel proemio Mercier spiega come nel 1672 il cavaliere di Baltimore venne inviato, dalla corte inglese, in America. Era un uomo di cultura, valoroso e razionale. Nel nuovo mondo si dedicò allo studio dell’uomo, cercando di scoprire se, «sotto l’impero della natura, è buono oppure se porta originariamente nel suo cuore quel germe di crudeltà che a volte si sviluppa in maniera sì terribile». In America del sud si imbatté in Williams, un indio vissuto «lungamente in stato selvaggio». Lo rincon- trò, anni dopo, in Irlanda, legandosi a lui con amicizia profonda e vera. Gli chiese quindi di mettere per iscritto la sua storia, dall’infanzia nella tribù ai primi rapporti con i colonizzatori e quindi alla sua “nuova vita europea”. La vicenda, narrata da Williams in prima persona, prende l’avvio dal II capitolo. Il lettore, pagina dopo pagina, scopre che è nato presso la tribù dei Chebutois, che il suo vero nome è Zidzem e che è di nobili origini. Il mondo che racconta è riconducibile a un Perù idealizzato ed edenico, stravolto dalla conquista degli Spagnoli, «assetati d’oro e di sangue, con la croce in una mano e la spada nell’altra».2 La storia procede in modo 10 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Da sinistra: Antoine-François Callet (1741–1823), ritratto di Luigi XVI di Francia (1754-1793) in abito reale, olio su tela, Reggia di Versailles, Salone di Apollo; Jean-Baptiste Gautier Dagoty (1740-1786), ritratto di Maria-Antoinetta d’Austria, moglie di Luigi XVI, olio su tela, Reggia di Versailles abbastanza prevedibile ma Mercier pone attenzione alla godibilità del testo, che mai diventa pedante né cede a tentazioni moraleggianti. La lettura scorre veloce, mettendo anzi in luce le doti e il mestiere del narratore. Ciò che più preme a Mercier è mostrare come il mondo di Williams-Zidzem cambi in peggio, venendo in contatto sempre più stretto con la civiltà europea. E come siano solo le doti personali del protagonista, forgiatosi in un mondo primordiale e genuino, a permettergli di non “perdersi” nell’apocalisse della sua civiltà. Se nelle pagine appare un forte trasporto, quasi sentimentale, verso tutto ciò che rappresenta il “selvaggio”, appare anche una feroce condanna della religione cristiana e dei suoi missionari, falsi perché moralmente corrotti; colpevoli di distruggere la primordiale moralità natu- rale a favore di un dio repressivo e assente. Per lungo tempo l’opera di Mercier venne creduta una traduzione della novella Der Wildemann dell’autore tedesco Johann Gottlieb Pfeil. In realtà, benché Mercier si sia ispirato a Pfeil, L’Homme sauvage è a tutti gli effetti un romanzo originale che (quasi nemesi) più volte è stato indicato da critici e traduttori come fonte diretta dell’Atala (1801) di François-René de Chateaubriand. Con Chateaubriand e James Fenimore Cooper (L’ultimo dei Mohicani, 1826) si chiude il ciclo settecentesco e romantico del mito del “buon selvaggio”. L’espansione e l’affermazione degli imperi coloniali porterà a una reinterpretazione di questo mito, ma in chiave prettamente politica e antimperialista. L’utopia lascia spazio all’utopismo, tragico e sanguinario. Bibliografia: Louis Sebastien Mercier, L’Homme sauvage, Neuchâtel, NOTE 1 S. Mercier, L’Homme sauvage, Neuchâtel, Société Typo- Société Typographique, 1784. 8vo; pp. [4], 314, [2]. graphique, 1784, pp. 3-4. 2 Ib., p. 15. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 11 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 13 BvS: il Fondo Antico UN “TORRENTINO” IGNOTO PER LE ESEQUIE DI CARLO V La placchetta del 1559 sfuggita ai repertori ANNETTE POPEL POZZO A l numero 272, in un catalogo giunto poco tempo fa di un’asta da tenersi in Germania, trovammo annunciato il seguente titolo: “Esequie di Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di Bruscelles. Florentiae MDLVIIII”. Il volume veniva presentato in formato 4to di sole 4 carte, senza alcuna indicazione di autore o tipografo (la scheda del catalogo resta muta di ulteriori informazioni, non per nulla l’edizione è dichiarata bibliograficamente non reperibile), ma presenta il titolo posto entro una cornice manieristica che riporta lo stemma dei Medici in alto e una veduta di Firen- Nella pagina accanto: frontespizio dell’edizione L’esequie di Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di Bruscelles di Bernardetto Minerbetti, stampata nel 1559 a Firenze dallo stampatore ducale Lorenzo Torrentino. A destra, dall’alto: capolettera con scene di battaglia, usato dal “typographus regius” fiorentino; olio su tela raffigurante la “Pazienza Minerbetti”, dipinto da Giorgio Vasari, e ripreso da Francesco Salviati e Battista Franco ze in basso, secondo lo schema usato in numerose edizioni dal tipografo Lorenzo Torrentino – in realtà Laurens Leenaertsz van den Bleeck – originario di Gemert, nel Brabante settentrionale dei Paesi Bassi, invitato nel 1546 a Firenze dal duca Cosimo I de’ Medici. Un anno dopo, nel 1547, apriva la sua tipografia nel Garbo dietro la chiesa di S. Romolo, stampando con privilegio mediceo circa 250 edizioni, fino alla morte, avvenuta nel 1563.1 A sostegno dell’attribuzione vi sono anche il materiale tipografico e il capolettera figurato con scene di battaglie di mm 41x41 del volume, che rimandano inequivocabilmente alle edizioni del “typographus regius” fiorentino.2 La copia acquistata per il nostro Fondo Antico proviene verosimilmente da una miscellanea, come suggeriscono la semplicissima legatura moderna in cartonato e le brachette da rinforzo – un dettaglio in verità per nulla insolito per una placchetta di poche carte. Particolarmente interessante è che l’edizione non solo non sia citata nel Censimento nazionale delle edizione italiane del XVI secolo (EDIT 16 – ICCU), ma figuri addi- 14 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Sopra: illustrazione della “Nave della vittoria” contenuta nella Descrittione della pompa funerale fatta in Brussele alli XXIX di decembre MDLVIII per la felice, & immortal memoria di Carlo V imperatore (Milano, Moscheni, 1559) descritta anche da Minerbetti nell’edizione torrentiniana. A destra: la “Nave della vittoria” colorata a mano e contenuta nell’edizione sulla pompa funebre di Carlo V a Bruxelles (Anversa, Christophe Plantin, 1559) rittura mondialmente in una sola altra copia posseduta dalla Biblioteca Nazionale Centrale a Firenze. L’edizione pare esser completamente sfuggita ai repertori, soprattutto a quelli dedicati a Lorenzo Torrentino. Non è censita né negli Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino di Domenico Moreni (prima edizione nel 1811 e ristampata nel 1989), né nel recente studio Annali tipografici di Lorenzo Torrentino di Gabriella Leggeri (Dottorato di Ricerca, Firenze, 2004), che pure ha avuto il notevole merito di aggiungere 17 nuove edizioni e un caso di riemissione rispetto alle opere conosciute da Moreni. La placchetta – al di là della sua effettiva rarità – si rivela una stampa importante uscita dai torchi del tipo- grafo fiorentino, sia per il suo contenuto, sia per la relazione dell’Autore con i Medici e con Firenze. Dietro il “Servo obbligatissimo il Vescovo d’Arezzo” che firma il colophon di “Bruscelles li xxx. di Decembre MDLVIII” si nasconde infatti Bernardo, detto Bernardetto Minerbetti (cfr. DBI 74, pp. 590-593). Nato a Firenze nel 1507, Bernardo era dapprima al servizio dello zio Francesco Minerbetti, vescovo di Arezzo, che gli passava il vescovato nel 1537. Oltre al presente volume, si è a conoscenza solo di altri due suoi titoli: Le opere di Vergilio cioè la Buccolica, Georgica, et Eneida (Venezia, Onofrio Farri & fratelli, 1559), nei giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano quali volgeva in italiano in versi sciolti il nono libro dell’Eneide; e una Breve et utile somma cavata d’una parte de’ decreti del Sacrosanto oecumenico Concilio Tridentino (Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1565). Minerbetti era assai noto agli intellettuali dell’epoca e figura anche tra i fondatori dell’Accademia degli Umidi.3 Ebbe infatti rapporti con personaggi importanti del suo tempo quali Michelangelo, del quale fu grande ammiratore, e soprattutto Giorgio Vasari. Il carteggio di Giorgio Vasari riflette una ricca corrispondenza tra i due che copre quasi un quarto di secolo, dal 1550 fino al 1573, anno precedente la scomparsa di Vasari e di Minerbetti. Già in una lettera del 4 ottobre 1551 Minerbetti si rivolgeva a Vasari per aiutarlo a coinvolgere Michelangelo nella realizzazione di un quadro raffigurante la “Pazienza”, che era l’impresa della sua famiglia: “E poiché io son privo per mia mala fortuna di non poter aver di sua mano qualche cosa, siami almeno concesso dalla bontà sua, che io possa godere in vita mia del suo infinito ingegno qualche cosa a mia 15 fantasia, e sia questa: che e’ vi dica, come si debba a iudizio suo dipinger la Pazienza, la quale, come a bocca vi dissi, è la mia impresa e da me fu presa in quei tempi che essendo giovanetto, al servizio di mio zio così strano e arabico, mi bisognava, oltre a mille bassi servizii che io exercitavo, comportare infinite ingiurie. Imperò conoscendomi povero e abandonato, mi resolvei, che la Pazienza mi dovesse condurre a questo grado, el quale merciè di Jesu tengo con molto contento”.4 E più avanti in una lettera composta poco dopo precisa “Aspetto con molto desiderio la Pazienza, formata dalle vostre benedette mani e ghiribizata insieme da quel grandissimo Vecchio che tutto ’l mondo e ammira e meritamente onora”.5 Alla fine è proprio lo stesso Vasari, consultatosi con Annibale Caro – visto che Michelangelo non dimostrava alcun interesse – a sviluppare un’inedita iconografia per la rappresentazione della “Pazienza” in un disegno di bozzetto, per il quale Minerbetti lo ringraziava il 28 novembre del 1551, scrivendogli che “dove ho trovata la mia Pazienza di giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 17 Nella pagina accanto: ritratto inciso raffigurante Filippo II, figlio di Carlo V, contenuto in Cremona fedelissima citta del 1585. A destra: ritratto inciso raffigurante Carlo V del Sacro Romano Impero, contenuto in Cremona fedelissima citta del 1585 vostra mano, così ben disegnata, che e’ si vede ben che veramente la patisce; e se io trovassi che me la pintassi così viva in una tela di tre braccia, io contenterei esso sì bene, come io ne resterei contentissimo”.6 Sempre dietro supplica del vescovo di Arezzo, Vasari realizzava alla fine il quadro a olio, oggi noto, appunto, come la “Pazienza Minerbetti”, conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze,7 descritto con precisione dal pittore sia nelle Ricordanze sia nell’autobiografia del 1568: “Una femmina ritta, di mezza età, ne tutta vestita, ne tutta spogliata, accio tenga fra la Ricchezza et la Povertà il mezzo, sia incatenata per il piè manco, per offender meno la parte più nobile, sendo in libertà sua il potere con le mani sciolte scatenarsi e partirsi a posta sua. Haviamo messo la catena à quel sasso; et lei cortese, con le braccia mostra segno di non voler partire, fin chel’ tempo non consuma con le gocciolo dell’acqua la pietra, dove ella è incatenata: la quale à goccia à goccia escie dalla eclissidera, oriuolo antico, che serviva à gl’oratori mentre oravano. Così ristrettasi nelle spalle, mirando fisamente quanto gli bisognava spettare che si consumi la durezza del sasso, tollera et spetta con quella speranza che amaramente soffron colore che stanno a disagio per finire il loro disegno con patientia. Il motto mi pare che stia molto bene et a proposito nel sasso: ‘Diuturna tollerantia’: Che volendo la Signoria Vostra servirsene per impresa, facci fare l’eclissidera sola che buchi la pietra, s’è per figura o rovescio di medaglia o altre fantasie, come la stà”.8 Minerbetti fu soprattutto anche molto vicino al sovrano toscano Cosimo I de’ Medici, per il quale eseguì numerose incariche diplomatiche: “Nel 1550 svolse la sua prima missione, inviato a Mantova con istruzione del 13 marzo per fare le condoglianze per la morte del duca Francesco III […] Nel 1551 fu al servizio di don Luigi di Toledo, fratello della duchessa di Firenze Eleonora. Nel 1552 fu inviato a Napoli per congratularsi con Pedro di Toledo, suocero di Cosimo, delle sue seconde nozze con Vittoria Spinelli”.9 Nel 1557 lo sappiamo in Inghilterra e nei Paesi Bassi (dove in quel periodo risiedeva Filippo II, figlio dell’imperatore Carlo V) per rappresentare i Medici come ambasciatore.10 Quando Carlo V muore nel 1558 (avendo già affidato, fin dal 1556, al fratello Ferdinando i domini austriaci e al figlio Filippo II i Paesi Bassi, i regni di Aragona, la Sicilia, la Castiglia e le colonie americane), Minerbetti venne incaricato da Cosimo I de’ Medici di rappresentare il sovrano allo splendido funerale allestito da Filippo II, che si tenne a Bruxelles nel dicembre dello stesso anno per commemorare la scomparsa dell’imperatore del Sacro Romano Impero. Gli ambasciatori presenti alla cerimonia spedirono vivide descrizioni dello spettacolo. Il nostro Minerbetti non si limitò a descrivere l’evento per una corrispondenza diplomatica, ma rese pubblica la sua relazione nella placchetta L’esequie di Carlo Quinto stampata da Torrentino. Il volume è particolarmente ricco di informazioni su 18 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 com’era il carro funebre, come si svolse la cerimonia e quali i sovrani presenti: “Et benche tutto quello ch’io ho descritto di sopra havesse mosso, non meno à compassione ch’à meraviglia i riguardanti, fu però poco appresso à quello che seguitò di poi, perche si vidde venir una Nave simil’all’antiche con la poppa ornata d’intagli, di pitture, & d’oro, rostrata, di ragionevole grandezza con le vele raccolte, […] & per tutta la Nave quadri dipinti con l’Arme de Regni, & stati di S.M. Questa caminando con belliss. artificio pareva esser tirata per mare da due Mostri Marini che li andavano avanti per prua, dove si vedeva una giovane donna vestita, & abbigliata gentilmente, che con un’Ancora c’haveva in mano di argento pareva che tutta lieta, volesse dar fondo & pigliar Porto avanti all’arbore maestro, & à piedi d’una ricchiss. sede pupale ch’era vota, sopra la pietra quadra ov’era scritto Christus in tutte le faccie, la Fede vestita d’un bianchiss. drappo con la Croce rossa in mano, & dietro à lei nella poppa, mostrando di guidar la Nave, col timone nella destra si vedeva la Carità piena d’ardore […] A questa tanto bella, & misteriosa Nave seguitavano come poste sopra due scogli nel mezo del mare, & tirate da due Tritoni, due grandissime colonne con la Corona Imp. sopra ciascuna”.11 La descrizione minuziosa si conclude con la cerimonia in chiesa: “Arrivata S.M. alla chiesa, trovò che la Nave, & le colonne erano fermate à piedi delle scale di quella, & tutti i cavalli posti per ordine alla parte destra, la chiesa era ordinata in questo modo” e più avanti “Il Catafalco posto fra la prima, & seconda colonna NOTE 1 Tra le opere più rinomate di Lorenzo Torrentino vanno ricordate le edizioni princepes de Le vite de piu eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri, descritte in lingua toscana, da Giorgio Vasari pittore aretino (1550), il Digestorum seu Pandectarum, cioè la codificazione del Diritto Romano raccolta da Giustiniano (1553), e La historia di Italia di Francesco Guicciardini (1561). 2 Descrizione fisica dell’edizione: [Bernardo Minerbetti, 1507-1574], L’esequie di Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di verso il clero, & poco piu basso della sedia del Re, posava sopra quattro colonne copte di velluto nero, la forma del quale fatta con molt’arte, con il numero grande de i lumi ch’ardevano era molto simile à una corona Imperiale […] sotto questo Catafalco ch’io dico, coperta d’un ricchissimo panno d’oro arricciato con una gran croce di raso cremesi rosso, era la cassa funebre in un piano di legnami alto due gradi con panni neri per terra, & all’intorno gran quantità di torcie ch’ardevano, d’avanti à questo Catafalco […] secondo che erano arrivati si viddero posti per dritto tutti gli stendardi, che tutti insieme per la loro varietà in mezo à tanti lumi facevano un veder bellissimo”.12 L’elaborata relazione di Minerbetti ancora nel 1559 si trova realizzata in un’edizione riccamente illustrata dal titolo: La magnifique et sumptueuse pompe funèbre faite aus obseques et funérailles du très grand et très victorieux empereur Charles cinquième célébrées en la ville de Bruxelles le 29 Jour du mois de Décembre 1558 par Philippes Roy catholique d’Espaigne, son fils, a cura di Christophe Plantin di Anversa, contenente 34 incisioni fatte dai fratelli Joannes e Lucas van Doetichum su disegno di Hieronymus Cock, e con versioni latina, francese, fiamminga, italiana e spagnola.13 Ritroviamo tra le in gran parte ripiegate tavole (da vendere “en rouleau” per formare un fregio continuo), raffiguranti l’apparato festivo e la processione cerimoniale precisamente quella “Nave della vittoria” (Victoriam Navem) e quella “Chappelle ar- Bruscelles. Florentiae, [Lorenzo Torrentino], 1559; in formato 4to di [4] carte; segnatura: A4; impronta: lili leco arhe ‘ogo (C) 1559 (R); titolo entro cornice manieristica figurata. 3 Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, gli dedica per esempio la commedia La gelosia. 4 Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del 4 ottobre 1551 di Bernardetto Minerbi in Firenze a Giorgio Vasari in Arezzo (http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato 21-05-2012) . 5 Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del 31 ottobre 1551 di Bernardetto Minerbi in Firenze a Giorgio Vasari in Roma (http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato 21-05-2012) . 6 Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del 28 novembre 1551 di Bernardetto Minerbi in Firenze a Giorgio Vasari in Roma (http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato 21-05-2012) . 7 L’opera ebbe grande successo: non soltanto fu ripresa da Francesco Salviati e Battista Franco, ma la soluzione iconografi- giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 19 un’eco immediata in Lombardia e a dente” delle quali avevamo letto Milano venne eretto un catafalco in nell’edizione torrentiniana di MiDuomo su disegno (1559) di Vinnerbetti. cenzo Seregni: la struttura ottagoTra le numerose altre edizioni nale era sormontata da una piramiuscite tra il 1558 e il 1559 in comde di candele e da un obelisco a sua memorazione della scomparsa delvolta coronato da una sfera (chiara l’imperatore, sia in forma di racallusione al coronamento dell’obeconto delle esequie o di orazioni lisco di San Pietro che secondo una (basti pensare che lo stesso Lorencredenza allora diffusa avrebbe cuzo Torrentino stampa nel 1558 stodito le ceneri di Giulio Cesare) e un’Oratio in sacris funeribus Caroli dall’aquila bicipite”.15 quinti Caesaris Augusti a cura dello L’impatto dell’edizione torstorico fiorentino Giovanni Battirentiniana di Minerbetti insieme sta Adriani, riproponendo l’edizioall’edizione illustrata plantiniana ne una seconda volta nel 1562), si del 1559 fu talmente forte, che serdeve segnalare il volume Descrittiovì probabilmente come modello ne della pompa funerale fatta in Brusper altri funerali come quello dello sele alli XXIX di decembre MDLVIII, stesso Michelangelo nel 1564 nella stampato dal tipografo bergamasco chiesa di San Lorenzo e quello di Francesco Moscheni a Milano.14 L’opera non si basa soltanto con Cosimo I nel 1574. La pompa funegrande probabilità sulla descrizioLa Chapelle Ardente, tavola contenuta bre di Carlo V prende la forma di ne di Minerbetti, come deriva dalla un topos da imitare. “I funerali di nell’edizione sulla pompa funebre di dedica – “senon che hora m’è venuStato dell’imperatore divennero Carlo V a Bruxelles (Anversa, to alle mani (scritta da un gentil’Christophe Plantin, 1559) così un modello imprescindibile huomo dalla Corte di sua R.M.) la per analoghe cerimonie principepompa funerale fatta in Brussele” – sche e poiché il catafalco eretto nelma è una delle poche illustrate. Contiene infatti una tala cattedrale di Bruxelles era sormontato da una piravola a doppia pagina, sempre raffigurante la “Nave delmide composta da tremila candele, il motivo acquistò la vittoria”. I funerali di Carlo V a Bruxelles “ebbero per qualche decennio una rinnovata popolarità”.16 ca fu scelta come impresa personale da Ercole II d’Este. 8 Giorgio Vasari, Le opere di Giorgio Vasari, Firenze, Passigli, 1832-1838, parte seconda, p. 1440. 9 Bernardo, detto Bernardetto Minerbetti, DBI 74, p. 591. Cfr. Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’”Italia spagnola” (1536-1648) – I: 1536-1586, Archivio di Stato di Firenze (http://www.archiviodistato.firenze.it/; controllato 21-05-2012). 10 Cfr. Istruzioni agli ambasciatori e inviati toscani in Spagna e nell’Italia spagnola (1536-1648), a cura di Alessandra Contini e Paola Volpini, vol. I, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2007. 11 Bernardetto Minerbetti, L’esequie di Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di Bruscelles, Firenze, Lorenzo Torrentino, 1559, carta A2 recto e verso. 12 Bernardetto Minerbetti, L’esequie di Carlo Quinto Imperadore, 1559, carta A4 recto. 13 L’edizione fu ristampata nel 1619 da Hondius insieme alla suite di Hogenberg raffigurante la ceremonia per l’incoronazione di Carlo V a Bologna. Francesco Moscheni (1547-1566) ebbe a Milano due botteghe in Piazza dei mercanti. Giovanni Antonio degli Antoni il vecchio acquistò nel 1561 il suo materiale tipografico e gli subentrò nell’affitto delle botteghe (cfr. EDIT 16). 15 Alessandro Nova, Dall’arca alle esequie. Aspetti della cultura a Cremona nel XVI secolo, in: I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Milano, Electa, 1985, p. 430. 16 Alessandro Nova, Dall’arca alle esequie, 1985, p. 424. 14 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 21 BvS: Archivio Malaparte MALAPARTE E BARTALI: AMICIZIA SU DUE RUOTE Una biografia ritrovata di Gino fa pensare alla mano di Curzio LAURA MARIANI CONTI E MATTEO NOJA «M i sono svegliato alle cinque, ho aperto la finestra, sono rimasto a lungo a contemplare i tetti di ardesia umidi di rugiada, macchiati qua e là di macchie nere, di macchie grige, di macchie verdi. Un vento leggero e fresco soffiava dal Bois de Boulogne…»1. Curzio Malaparte torna a Parigi nel giugno 1947. Vi è stato diverse volte prima, vi ha vissuto e lavorato per molto tempo. Nel 1918, quando ancora giovanissimo, vi giunge fisicamente e psicologicamente provato dalle esperienze devastanti della prima guerra mondiale. Nel 1931, quando vi conosce un successo eccezionale, quando Parigi tutta, l’intera Francia lo ama. E lui ricambia sinceramente, affascinato da quella che per lui è anche una donna – o tutte le donne –, una stupenda donna che ha la sua età. Ora torna a Parigi «dopo quattordici anni di esilio». Anche questa volta è provato: ha conosciuto il confino, l’ostracismo intellettuale di un regime, la guerra e la prigionia. E si sente in colpa: imbracciare di nuovo il fucile nel 1940 sul fronte occidentale, proprio contro gli amici francesi, non gli è piaciuto. Nella pagina precedente, Malaparte si allena sul tetto della sua casa di Capri; sopra, Gino Bartali vincitore del Tour del 1948 Desidera rivedere i molti amici: Pierre Bessand Massenet, Max Dorian, Jean Cassou, Jean Cocteau, Blaise Cendrars, François Mauriac. Ha desiderio di confrontarsi con loro, come prima, con intelligenza. È curioso di vedere come la grande capitale sia uscita materialmente e culturalmente dalle miserie dell’ultima guerra. Parigi infatti si è liberata dall’occupazione tedesca. Rispetto a prima della guerra, ora la città ha nuovi eroi, nuovi idoli, anche in letteratura e in filosofia. Ora, soprattutto c’è Sartre e il suo esistenzialismo a influenzarne il pensiero. Verso di lui Malaparte nutre istintivamente un profondo disprezzo. È colpevole ai suoi occhi di aver esercitato l’arte francese per eccellenza «di volgarizzare, di rendere piacevole, comprensibile, alla portata di tutti, di rendere salottieri, di mettere alla moda le teorie, i problemi, le idee degli altri popoli. Di ridurre in profumo il fango di certi pesci […] Sartre ha scritto, insomma, L’existentialisme pour les dames […]. Non è con questo ritorno ai vecchi sistemi che la Francia tornerà ad avere il primo posto nella cultura europea»2. E il nostro scrittore ricorda come, tra i primi, con la collaborazione di Moravia, all’esistenzialismo avesse dedicato un numero unico di “Prospettive” presentando per la prima volta in Italia le nuove idee filosofiche, attraverso gli scritti dei «migliori cultori di Jaspers e Heidegger». Per aggirare la censura 22 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Le prime pagine di alcuni capitoli delle Mémoires de Gino Bartali (a sinistra il primo, a destra l’ultimo), dall’Archivio BvS aveva intitolato il fascicolo (n. 34-36, 15 ottobre-15 dicembre 1942) Le ultime anime belle, riuscendo così a pubblicare testi di Kierkegaard e Heidegger (scelti e annotati da Emilio Oggioni), Galvano Della Volpe e Nicola Abbagnano. Sartre, poi, ha la colpa gravissima di aver corrotto la gioventù – gioventù che per Malaparte è sacra e va mantenuta integra –, introducendo il marxismo, l’omosessualità… Ma… questa è un’altra storia! Cosa c’entra invece Malaparte con Bartali? Cosa hanno in comune il campionissimo di Ponte a Ema e lo scrittore pratese, oltre a essere nati sulle sponde dell’Arno, «il fiume divino che trapassa il cuore di Firenze come una freccia scagliata al rallentatore»? Da pochi giorni la nostra Biblioteca ha acquisito una serie di documenti di Curzio Malaparte che arricchiscono il già ricco Archivio. Si tratta per la maggior parte di lettere indirizzategli da vari personaggi, di al- cuni suoi dattiloscritti e delle bozze di stampa del Don Camaléo, romanzo satirico su Mussolini («una satira nella tragedia e una tragedia nella satira») scritto nel 1928 e apparso a puntate su “La Chiosa”, supplemento del “Giornale di Genova” e poi, parzialmente, su “L’Italiano” di Longanesi. Queste bozze sono molto importanti perché, probabilmente composte subito dopo la stesura del testo per uscire con i tipi de La Voce, differiscono dall’edizione di Vallecchi del 1946. Accanto a questi scritti, indubbiamente malapartiani, una cinquantina di veline, scritte a macchina, raggruppate in undici capitoli ben distinti. Sembrano bozze per articoli, il titolo generale che si ripete a ogni primo foglio è Les Mémoires de Gino Bartali. Queste Mémoires sono scritte in francese; ogni capitolo è completo di titolo e sottotitolo; ognuno riporta in calce la firma: Gino Bartali. Nell’ultimo, inoltre, la parola “Fin”. Con loro, è stata conservata una serie di ritagli di giornali francesi su Fausto Coppi. Pare strano trovarli insieme alle carte di Malaparte, ma non più di tanto. Lo scrittore pratese in una serie di articoli sul Tour del 1949, usciti sulla rivista francese “Sport giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano Digest”, si occupa di biciclette e corse ciclistiche per raccontare agli sportivi d’oltralpe della finta rivalità tra Coppi e Bartali3. Lo fa con grande professionalità confessando che per lui la bici è una passione, un modo di vivere che appartiene materialmente e idealmente a un mondo antico che lui ama e che vede con tristezza scomparire gradualmente nel dopoguerra. È seriamente rammaricato quando scopre che non è un’invenzione italiana: lo viene a sapere tardi, a Leeds, in Inghilterra, ammirando la statua di un signore in redingote che regge con una mano il manubrio di una bicicletta. Come può non essere italiana, si domanda… «In Italia la bicicletta appartiene a pieno titolo al patrimonio artistico nazionale, esattamente come la Gioconda di Leonardo, la cupola di San Pietro o la Divina Commedia […] In Italia, se per caso dite che la bicicletta non è stata inventata da un italiano, intorno a voi gli sguardi si faranno cupi e sui volti calerà una maschera di tristezza». E poi aggiunge: «Guardate la forma del manubrio, ricurvo come le antenne di un insetto, e quelle due ruote che tanto ricordano il famoso cerchio tracciato con un solo tratto di carboncino, su una pietra, da un piccolo pecoraio di nome Giotto. (Era nato vicino a Firenze, Giotto, e dunque era un compatriota di Bartali). Che cosa significherebbe, la bicicletta, se fosse un geroglifico scolpito in un obelisco egizio? Esprimerebbe il movimento o il riposo? Il fuggire del tempo o l’eternità? Non mi stupirei se significasse l’amore». È talmente devoto alle due ruote che negli anni Cinquanta, Malaparte progetta addirittura l’attraversamento degli Stati Uniti coast-to-coast, da New York a Los Angeles, in sella a una bici da corsa, con tanto di sponsorizzazione della Coca Cola (pare abbia addirittura calcolato il fabbisogno personale della celebre bevanda: 2000 bottigliette ). Si allena severamente e con applicazione, sul tetto della casa di Capri, a volte accompagnato dai volteggi di una ballerina americana: sono famose le foto che lo ritraggono in questi “duri” momenti… Il proposito dello scrittore, con il suo tour oltreoceanico, era quello di protestare contro l’eccessiva motorizzazione nel mondo, negli USA in particolare. Sempre lungimirante e attento ai mutamenti storici e sociali, dopo aver previsto l’ascesa di Hitler nel suo La Technique du coup d’état, la crescita industriale dell’Estremo Oriente, ha anche previsto con largo anticipo l’inquinamento delle città per via delle auto! E sì che le auto gli piacciono, soprattutto quelle sportive, scoperte, veloci… Ma torniamo alla citazione dell’inizio. Vi è una sin- 23 L’inizio del dattiloscritto della prefazione del Journal d’un étranger à Paris, dall’Archivio BvS golare analogia del primo capitolo delle Mémoires del corridore con l’inizio del malapartiano Diario di uno straniero a Parigi. Difficile dire a prima vista se quelle pagine sono farina del sacco del nostro scrittore, però certi artifici retorici, le ripetizioni delle frasi e delle parole a incalzare il ragionamento, una indiscutibile padronanza nel descrivere Parigi con la città che si staglia imponente sullo sfondo del trionfo sportivo, tutto ciò fa pensare che il testo possa essere di Curzio, magari scritto a due voci, se non a quattro mani, con il grande corridore. Anche il carattere generale delle Mémoires di Bartali sembra aderire a quanto scrive Malaparte nell’Abbozzo di una prefazione del Diario: «Ogni “diario” è ritratto, cronaca, racconto, ricordo, storia. Note prese giorno per giorno non sono un diario: sono momenti scelti a caso nella corrente del tempo, nel fiume del giorno che passa. Un “diario” è un racconto: il racconto di una Tranche de vie 4 (definizione del romanzo di una celebre scuola), di un periodo, un anno, molti anni, della nostra vita. E come la vita segue la logica d’un racconto, ha un inizio, uno sviluppo, una conclusione (una vita è una serie di inizi, di sviluppi, di 24 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 conclusioni, all’interno del cerchio chiuso dell’inizio, dello sviluppo, della conclusione della vita, nel cerchio della vita)»5. Così, anche per il ciclista, le Mémoires raccontano come e perché è salito su una bicicletta, come è diventato un campione, come ha vinto il suo secondo Tour a distanza di dieci anni dal primo, come la guerra gli abbia cancellato gli anni migliori, la sua fede nella Provvidenza. Nessun trionfalismo, nessuna autocelebrazione, solo la consapevolezza del proprio valore e il rispetto per quello degli altri, fossero su due ruote oppure no. «L’alba è fresca…» inizia e poi, poco oltre, continua: «una cosa di cui sono sicuro: è Parigi! E Parigi profuma di buono quando si aprono le finestre di buon’ora. Guardo l’orologio. Sono le cinque. Sono le cinque sull’orologio di Gino Bartali, “garçon” di Toscana, che ha appena vinto il Tour de France…». Sembra di rileggere le parole dell’Arcitaliano quando narra del ritorno nella Ville Lumière e scrive: «Un odore di pane arrostito saliva dalla strada, e quell’odore fresco del selciato umido, quel sottile odore dell’aria di Parigi all’alba, quando la polvere si risveglia e svanisce…»6. Gli 11 capitoli delle Mémoires di Gino Bartali, hanno i seguenti titoli e sottotitoli: 1 – Un professore di Firenze mi ha garantito che avevo 15.000 chilometri nelle gambe. È per questo che, a 34 anni, ho voluto rivivere un sogno; 2 – Il primo visionario che ho conosciuto saliva al Paradiso in bicicletta. Le sue parole rivelarono la mia vocazione, ma non sono assolutamente più del suo parere; 3 – Il popolo italiano mi vuol far pagare la mia gloria, ma per esso farò un sacrificio di cui non si potrà dubitare. La benedizione del Papa mi è valsa degli insulti e mi han dato del traditore per il mio amore per le Fiandre; 4 – “Entro nove giorni, Gino Bartali morirà, avrà una meningite o sarà tubercoloso” dichiarò nel 1937 il professor Tognini. Ma dopo, mi ha detto che il mio organismo raggiungerà la quasi perfezione nel 1950; 5 – Nella mia cappella privata di Firenze, vestito da carmelitano, prego per l’anima di mio fratello morto tragicamente. Tutte le autorità ecclesiastiche si fermano da me, ma non sono austero: sono un terribile chiacchierone; 6 – La prima volta che ho visto il Papa, gli ho regalato una bicicletta da donna. Il cardinale Mella si è divertito con il campanello e il Santo Padre mi ha ringraziato. Ma è un missionario cinese che gira su quella bicicletta; 7 – Nessuno conosce il mio vero volto perché i miei tratti attuali sono stati ricostruiti dal chirurgo del maresciallo Balbo. “Gueule cassée” del ciclismo, sono anche Sartre a passeggio per Parigi e le copertine delle edizioni italiana e francese del Diario di uno straniero a Parigi giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano una vittima della guerra, perché la sua dichiarazione mi privò del titolo di campione del mondo; 8 – Il prestigioso Fausto Coppi, mio amico, “rivale e carnefice”, è stato all’origine della mia seconda carriera. Mio supremo orgoglio è quello di non lasciargli a nessun costo il ruolo di “uomo di ferro”; 9 – Non ho annientato nessuno in questo Tour de France, dove Bobet, eroico e presuntuoso, si è distrutto da solo. Il mio miglior ricordo sarà quello d’essere stato il “maestro” del piccolo Col de Porte. Un ben misero exploit! 10 – Nel 1940 mi hanno dato un fucile… che doveva portarmi in prigione e poi davanti al Tribunale di guerra. Le ragazze audaci passano il loro tempo con me. Ho sposato Adriana perché ha saputo nascondere il nostro amore per quattro anni; 11 – In corsa sulle strade di Romagna ho dovuto trattare con Guerra lo strano contratto della mia gloria 25 Sopra: ritagli di giornali francesi su Coppi; a sinistra, Malaparte in sella sua bici da corsa, dall’Archivio BvS di campione. Avevo 21 anni… Questo dialogo toccante e indimenticabile ispirerà formalmente la fine della mia carriera sportiva. Malaparte prova per Bartali un’amicizia fraterna per la toscanità che li accomuna e che caratterizza lo spirito polemico di entrambi. Il testo dei suoi articoli sul ciclismo comincia proprio da Bartali. Gino è per lui il corridore che meglio e più di tutti esalta le capacità umane, «campione di un mondo già scomparso, il sopravvissuto di una civiltà che la guerra ha ucciso». Coppi, al contrario, è una macchina che corre per vincere. L’anno delle Mémoires è il 1948, anno delle elezioni e dell’attentato a Togliatti. In questi scritti non si trova 26 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Malaparte a Parigi nel 1948 ritratto col bassotto Pucci dall’amico Doisneau, dall’Archivio BvS conferma della telefonata di De Gasperi che lo spinge a vincere il Tour per l’Italia tutta, soprattutto per sviare l’attenzione dal drammatico gesto di un giovane studente che aveva cercato di uccidere il segretario del Partito comunista. Gianni Mura, nella nota al testo di Malaparte su Coppi e Bartali, scrive: «Il 14 luglio 1948 lo studente Pallante attenta alla vita di Togliatti (che, a differenza di Gramsci, stimava Malaparte). Si teme un’insurrezione. Bartali non sa nulla. Il Tour riposa a Cannes. Gino è in spiaggia con la squadra. Dall’albergo gli vengono a dire che c’è una chiamata urgente dall’Italia. È Alcide De Gasperi, che gli spiega in fretta la situazione e gli chiede: “Gino, puoi vincere il Tour?”. “Sono indietro in classifica, ma la tappa di domani sì, la posso vincere, e poi si vedrà”»7. Le Mémoires riportano diversamente l’episodio. Nel sesto capitolo, Mala-Bartali (o chi ha veramente scritto questa autobiografia) racconta di come siano diffusi tra gli sportivi amuleti e superstizioni. Bartali dice di non averne mai portati. Anche se ammette di conservare un’autentica reliquia di Santa Teresa del Bambin Gesù in una medaglietta. Gli è stata regalata dalla sorella di Bernadette Soubirous, la pastorella di Lourdes, quando andò in pellegrinaggio al Carmelo di Lisieux nel 1937. La indossa sempre, anche quando dorme. L’aneddoto riconduce al tema della religione, della fede incrollabile del corridore che lo porta a dire che la classe di un campione è solo la divina volontà che si concretizza nella macchina umana in un perfetto equilibrio organico. Fede che lo porta più di una volta al cospetto del Santo Padre. La prima volta, mentre si reca nelle stanze ponitificie a visitare Pio XII, sente le gambe come «due fragili colonne di cristallo». Poi, dopo che il papa lo chiama «“figlio mio”, tutte le paure svaniscono per far posto a una pace angelica». Alla fine del racconto della visita al papa (durante la quale il corridore porta in dono una bicicletta al Santo Padre che a sua volta ne fa dono a un missionario cinese), Bartali ci parla di Un telegramma di De Gasperi mal interpretato. Da Lourdes dove è arrivato con il Tour scrive al papa, «come ho scritto ugualmente a De Gasperi». E continua: «A questo proposito, tengo a precisare che è falso che De Gasperi mi abbia inviato un telegramma di felicitazioni, diciamo così, perché le mie vittorie avevano contribuito a riportare la calma in Italia. Il popolo italiano era sovraeccitato per l’attentato di cui era stato giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 27 Bartali e Coppi: al Giro del 1952 e prima di una partenza di tappa al Tour vittima Togliatti; ma le mie vittorie non avevano distratto il popolo da questo fatto. Vorrei poter mostrare il messaggio che mi ha inviato De Gasperi quando ero a Cannes, cioè prima delle Alpi. Nel momento preciso della resurrezione di Louison Bobet durante la tappa Sanremo-Cannes, ero stato oggetto di una serie di scetticismi da parte di tutta la stampa sportiva italiana (di cui darò prova in un prossimo articolo)». «Sfortunatamente, non potrò mai rendere pubblico questo telegramma, perché mi fu sottratto da un giornalista disonesto che avevo ricevuto nella mia camera durante la giornata di riposo a Cannes». Poi, tornando a parlare della fede, dice: «La risposta del Santo Padre mi arrivò mentre ero a Mulhouse. Era un incoraggiamento, un autentico atto di fede nella mia vittoria finale tale che mi turbò. Mai avevo percepito così fortemente, durante una gara, il suo sostegno paterno. Da Parigi, gli inviai il seguente messaggio di riconoscenza: “I buoni auguri e la benedizione di Vostra Santità mi hanno guidato sulla strada della vittoria. Ringrazio Vostra Santità della paterna benevolenza e rinnovo il mio omaggio filiale”». Tra sport, fede e politica, il racconto della sua corsa continua: «… A Tolosa, per esempio, dopo i Pirenei ero molto inquieto per i 18 minuti di ritardo che avevo su Louison Bobet […] La sua resistenza in montagna mi aveva enormemente sorpreso. Per ben che avessi fatto l’Aubisque e il Tourmalet – poiché avevo fissato l’ora del mio riscatto sulle Alpi – avevo anche vinto a Lourdes e Tolosa. Ma Bobet aveva terminato con me. Era quindi anche bravo come scalatore e non solo nelle partenze o come passista, come credevo. – Ha 23 anni, mi han detto a Tolosa. E per la prima volta mi son sentito vecchio… coi miei venti minuti di ritardo». Sul Col de Turini, vicino a Cannes, poi fu peggio. Il distacco sul traguardo della cittadina della Costa Azzurra aumenta ancora: 21’ e 28”, al di là di ogni pessimistica previsione. Secondo la stampa italiana, Gino ha perso il Tour. La tappa successiva porta da Cannes a Briançon. Gino parte calmo verso i tre colli che animano il percorso: Allos, Vars e Izoard. «È sull’Izoard che ho voluto fare la mia corsa». Robic scatta da solo e accumula un minuto di vantaggio, Bartali scende «comme un fou» lo riprende presto, e lo supera quando ormai è «épuisé de froid»; in 28 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 volta appesa la bici al chiodo, non abpoche decine di chilometri lo stacca bia continuato a raccontarci altre di sei minuti. Nel frattempo anche il storie e altre avventure. Le loro pagigiovane Bobet continua a perdere ne, che sono animate da numerose minuti: per colmo di sfortuna, a testiconsiderazioni personali e da anedmonianza dello sforzo cui si sottopodoti vari, ci restituiscono l’immagine neva per cercare di non farsi staccare di un campione non solo dei pedali dal toscano, gli si rompe l’asse dei pema anche di umanità e bontà. L’imdali. All’arrivo, avrà mantenuto solo magine veritiera che di lui Malaparte un minuto o poco più di vantaggio. aveva e raccontava. All’indomani, il colle del GaliNel nostro ricordo, Bartali è bier, tra i più alti del Tour, vede attacrimasto purtroppo schiacciato dacare Bobet; Bartali rintuzza con calgli stereotipi tramandati da certa ma olimpica i suoi tentativi. Sul Col stampa che si ostinava a contrapde Porte, all’uscita di Grenoble, l’aBartali e Coppi si scambiano la porlo a Coppi e dalla televisione poteosi: Gino sfrutta il treno di un borraccia al Tour del 1952 che, soprattutto nella parte finale gruppo di corridori – tra cui Schotte, della sua vita, lo volle ridurre a simVan Dyck e l’italo-francese Fermo patica macchietta toscana. Camellini – supera un disfatto Bobet Questa autobiografia, vera o presunta che sia, ci e salendo stacca tutti. «Bobet, il mio giovane avversario, parla di un uomo d’altri tempi. Un uomo retto, si sarebcapitolò. Era fatale. Eroico e al tempo stesso presuntuoso, be detto allora, giusto e pio, innamorato della sua famiaveva rifiutato di fare il suo apprendistato in una corsa a glia e del suo lavoro, quello del ciclista, perché lo sport a tappe ». La corsa è stata durissima: di 140 corridori alla questi livelli è un lavoro, magari breve, ma sempre lavopartenza, in fondo ne arrivano solo 44. ro: per lui durò venti anni, e in quegli anni vinse tutto. A Losanna, il 18 luglio il campione italiano vince la Bartali fu sempre coerente con se stesso anche nei tappa e consolida il vantaggio in classifica nel giorno del momenti più drammatici della sua vita. Un uomo così suo 34 ° compleanno.Lo stesso giorno in cui, dieci anni non poteva che piacere a Malaparte che (al di là di facili prima, aveva vinto a Marsiglia. L’anno dopo arriverà sespeculazioni di chi, pur vicino a lui o da lui beneficiato, condo dietro all’amico Fausto Coppi. riuscì ad avvelenarne la memoria e a intorbidarne la fiSi dice che Bartali abbia salvato l’Italia da una guerra gura) fu sempre fedele al suo pensiero. civile: di certo la sua vittoria in Francia contribuì a calma“Uomo come me” avrebbe detto lo scrittore, che, re la gente e a trasformare in euforia la rabbia che covava se queste pagine ha dedicato al campione o con lui le ha negli animi. L’impresa di Bartali alla trentacinquesima concepite, nello sportivo vede l’Uomo che pur conoedizione della Grande Boucle rimane comunque nella scendo a volte la sconfitta, riesce sempre a risollevarsi storia del ciclismo mondiale. rimanendo se stesso, tanto da restare umile anche nel trionfo. Il racconto delle Mémoires è vivace, appassionante: Di questa leale coerenza sicuramente Malaparte le avesse scritte Bartali da solo, è un vero peccato che, una pagò pegno, durante la vita e anche dopo. NOTE 1 C. Malaparte, Diario di uno straniero a Parigi. Firenze, Vallecchi, 1966; p. 14. 2 C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 82. 3 C. Malaparte, Coppi e Bartali. Con una nota di Gianni Mura; Adelphi, Milano 2009; 56 p., 5,50. 4 Il termine tranche de vie venne usato per la prima volta in Francia da Hippolyte A. Taine riferendosi a Balzac e passò poi a definire la “poetica” del naturalismo. 5 C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 9. 6 C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 15. 7 C. Malaparte, Coppi…, op. cit.; p. 49. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 29 inSEDICESIMO S P I G O L AT U R E – C ATA L O G H I – L’ I N T E RV I S TA D ’ A U T O R E – RECENSIONI – MOSTRE – ASTE TORNANO I “LIBRI IN SCENA” AL TEATRO DI VERDURA Riapre il giardino milanese della Cultura di sonia corain ome ogni estate, riapre nel giardino di via Senato il Teatro di Verdura, per la consueta serie di Incontri, conferenze, presentazioni che hanno come protagonista un libro, che parli di arte, cultura, teatro, mantenendo fede al tema che da sempre è il sottotitolo della rassegna promossa dalla Fondazione Biblioteca di via Senato: Libri in scena. Si inizia, come d’abitudine, a metà giugno con i primi tre di cinque appuntamenti sul tema dell’Utopia, una delle tematiche più care alla Biblioteca di via Senato, che ne conserva una delle più vaste collezioni private d’Italia. Ognuno di questi appuntamenti prevede la lettura e il commento di un testo conservato presso la nostra Biblioteca, a cura di Gianluca Montinaro, con la presenza di importanti studiosi, giornalisti e critici, da Claudio Bonvecchio a Lorenzo Braccesi e Carlo Carena, da Alessandro Sallusti a Valerio Massimo Manfredi, Paolo Mieli, Stefano Zecchi. Tra giugno (13 – 18 – 20 giugno) e settembre (18 e 19 settembre) saranno trattati i seguenti testi di riferimento: G. Botero, Della ragion di stato libri dieci, con tre libri delle cause della grandezza, e magnificenza delle C INFORMAZIONI Tutti gli Incontri al Teatro di Verdura - Libri in scena 2012 sono a Ingresso libero SENZA PRENOTAZIONE fino ad esaurimento posti Per questioni di ordine pubblico si invitano gli spettatori a presentarsi in via Senato 14 non prima delle ore 20.30, orario di apertura del portone. L’accesso è consentito solo fino all’inizio degli Incontri In caso di pioggia gli Incontri saranno sospesi Per informazioni tel 02.76020794 www.bibliotecadiviasenato.it città di Giovanni Botero Benese. In Venetia, appresso i Gioliti. 1589; Alessandro Magno nel quale si tratta delle guerre che fece, e come conquistò tutto il mondo. In Verona & in Padova per Sebastiano Sardi. 1648; N. Machiavelli, Il principe de Nicolo Machiavelli, al magnifico Lorenzo di Piero de Medici, 1537; E. Roterodamus, De libero arbitrio Diatribe. Basileae apud Ioannem Frobenium, anno 1524. Mense septembri; B. Croce, Aesthetica in nuce, Milano, Vanni Scheiwiller, 1966 (ed. a tiratura limitata, n. 60/200). Altra prestigiosa collaborazione è con l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), che promuoverà tre incontri (4 – 10 e 11 luglio) a cura di Paolo Magri riguardo al tema della “Primavera araba”, gli interrogativi sugli sviluppi politici interni dei paesi coinvolti e la ridefinizione degli equilibri, visti i cambiamenti in corso nell’area. Il tema del diritto ricorrerà anche nell’appuntamento proposto da Sua Em.za il Cardinale Coccopalmerio, che illustrerà e commenterà il discorso di Papa Benedetto XVI al Parlamento Federale Tedesco. L’ultima grande diva del nostro tempo, la Signora del teatro italiano, Valentina Cortese, partendo dalla sua la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 © Marco Campoglioni 30 autobiografia, il 14 giugno racconterà Quanti sono i domani passati in un susseguirsi di ricordi, aneddoti, parole poetiche riguardo alla sua straordinaria vita di attrice tra cinema e teatro internazionale. Partiranno dai libri per estendere il discorso all’arte, al teatro, alla musica Enrico Beruschi che l’1 agosto proporrà con Alessandro Gnocchi un nuovo appuntamento sul genio comico di Giovannino Guareschi dopo il successo del Corrierino delle Famiglie della scorsa Stagione; Beruschi farà anche da precursore alle celebrazioni in onore di Giuseppe Verdi (mercoledì 25 luglio) con una serata “in-canto” con l’aiuto di giovani talenti della lirica italiana tra parole, digressioni e pensieri A Milano con Verdi. Davide Rondoni (lunedì 16 luglio) presenterà Nell’arte, vivendo, un viaggio tra poesia e prose sull’arte da Michelangelo ai contemporanei. Philippe Daverio, infine, illustrerà il suo Museo Immaginato (giovedì 6 settembre), che è il luogo dove le muse possono seguire l’ipotesi di un’idea. Il professor Daverio sarà presente anche il 3 luglio per una “chiacchierata” riguardo al teatro, tentando di rispondere alle domande: come l’Arte rappresenta il Teatro? E quanto Teatro c’è nella creazione dell’Arte? Perché le due muse non sono forse poi così distanti tra loro. Di arte parlerà anche la professoressa Alberta Gnugnoli (martedì 26 giugno) in una conferenza che prende spunto dalla mostra Americani a Firenze. Sargent e gli Impressionisti del Nuovo Mondo, allestita a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 15 luglio 2012. Un breve excursus sull’impressionismo americano, che prosegue e approfondisce il discorso sull’Impressionismo iniziato l’anno scorso con Gli impressionisti e la trasgressione dello sguardo. Tornano, poi, al Teatro di Verdura due attori-registi che, come ogni anno, propongono una serata che prende spunto dalla grande letteratura: Antonio Zanoletti presenterà le Novelle di Pirandello in un percorso che dalla Madre Terra si allontana fino alle atmosfere rarefatte e misteriche legate ai miti della Luna. Corrado d’Elia affronterà, invece, l’Odissea in quanto viaggio di noi stessi verso ciò che è “ritorno a casa”, cioè ritorno alla nostra essenza più profonda e al senso stesso del viaggiare. Incontri al Teatro di Verdura Libri in scena 2012: un’altra estate milanese all’insegna della Cultura. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano ET AB HIC ET AB HOC «Caro Malaparte…» Lettere a Battibecco tra le pieghe dei mali italiani di laura mariani conti e matteo noja Battibecco. Noto per Kaputt e La Pelle, Curzio Malaparte fu anche un arguto e tenace polemista. Sulle pagine del settimanale “Tempo” tenne per quattro anni, dal 1953 alla sua morte, nel 1957, una rubrica dal titolo Battibecco. Così cercava di prendere le parti di chi non aveva voce, di un’Italia diversa da quella che Carducci chiamava “la patria di lor signori”. «L’italia in cui credo – scriveva nella prefazione alla raccolta dei suoi interventi – […] è l’Italia degli uomini semplici, onesti, buoni, generosi, chiusi da secoli in quella “prigione gratis” della miseria e della delusione, delle leggi borboniche e degli arbitrii polizieschi, dei privilegi di classe e della corruzione amministrativa, che “lor signori” chiamano libertà italiana». Il successo fu enorme: moltissimi cittadini gli scrissero proponendogli il proprio caso. La mole della posta ricevuta fece sì che lo scrittore, grazie all’amico ministro Tambroni, facesse istituire presso il Ministero degli Interni un apposito ufficio per sbrigare le pratiche più urgenti. Citiamo dalle lettere conservate in Archivio, così come scritte. Agricoltura in ginocchio. […] Oso scriverle per renderla edotta della situazione creatasi in provincia di Foggia in conseguenza del raccolto deficitario di questi due anni. Sono un modesto agricoltore e sento tutto il dolore, direi anche la vergogna, di non poter far fronte ai miei impegni. Come me quasi tutti gli agricoltori di qui sono in difficoltà… Con il Credito Agrario d’esercizio non si risolve niente. Occorrono prestiti pluriennali a basso tasso d’interesse [Un agricoltore dauno suo ammiratore, 19.8.56]. Immigrazione. […] Un padre che abbia un attività propria, azienda, negozio, industria, ecc. cerca o fa il possibile da mettere a lavorare i propri figli, poi occorendo più manodopera, prende altri. Così dovrebbe fare un Governo, una provincia, un Comune, invece quà in Italia và tutto a rovescio. Quelli che hanno fatto qual’cosa di male oltre cortina, Giuliani, Dalmati ecc. scappano vengono a rifugiarsi in Italia, il quale trovano lavoro, impiego e casa bene allogiati, credo che fanno questo perché dicono bene dell’Italia, il quale noi italiani siamo costretti a dire male, molto male, avendo qui migliaia di disoccupati impiegati, maestri che non lavorano mai, mentre loro subito a posto… [Un lettore di Battibecco, senza luogo e senza data]. Assenteismo parlamentare. I giornali odierni hanno riferito dell’elogio rivolto dal Capo dello Stato ai deputati e ai senatori per il loro comportamento in genere, sempre e tutto dedicato al benessere della nazione. Mi dica la verità: l’elogio non le sembra leggermente inopportuno, proprio all’indomani della bella prova offerta dagli onorevoli del Parlamento in occasione della discussione del bilancio dei lavori pubblici, quando cioè dopo aver apposto la firma sul registo delle “presenze” (totale 177), si presentarono poi all’assemblea in numero notevomente ridotto (totale 4)? [Un suo vecchio ammiratore, Torino 13.7.56] 31 Il nemico pubblico n. 1. […] Come scrive lei ecco il nemico n. 1: Roma – lo Staato – lui può rubare noi no. Anche sul sangue delle sue vittime. In questo momento il capo dei ladri è Gaava [Criminale di guerra matricola 552985, Casarsa della Delizia (PN), senza data]. I ladri? Tutti in taxi. […] Io sono per la legge, un pericoloso individuo, e sa il perché? Perché pensano ch’io faccia dei furti sopra i tranvi, e per questo non ho un minuto di pace, non passa giorno che non vengo fermato, e mi è stato detto che debbo prendere, o il tassi o debbo camminare a piedi. Possibile che un individuo non può camminare per la città nativa? Gli faccio presente che ciò non accade solo a me, accade a tutti coloro che hanno avuto a che fare con la legge, cioè borseggiatori… [Mario C., Roma 25.7.56] Scritto di suo pugno. Il pugno che scrivi è pugno di agricoltore assiduo lettore […] mi scusi se mi avanzo a scriverci queste male scritte parole. (Lei dice che l’on. Fanfani ha vinto il Giro di Sicilia) Mà a mi parere mi sempra che ha perso il giro politico nazionale – Non ci sempra? Speriamo che a furia di fanfanate; non perdiamo il giro della democrazia politica. Che cosa dovessimo dire noi disoccupati… assistento a questa specie di (chiarificazione) al Partito di maggioranza, ma più che altro Democratico Cristiano. Adesso mi ravvedo, ah si… è il Popolo indegno di vivere in Regime di Democrazia Politica, è il Popolo che commette gli errori. Quanto bene che ci viene infece da parte dei Santoni. Credo che questo mio povero scritto, lei non l’abbia a malo il mio povero esprimermi. Se lo crede gradibile di ricevere tanti Distinti saluti di un’operaio [Lettera firmata, Chiusa Sclafani (PA) 27.6.55] 32 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 IL CATALOGO DEGLI ANTICHI Libri da leggere per comprare libri di annette popel pozzo OPULENZA CONDIVISA: L’ECONOMIA NEI LIBRI Il catalogo on-line, preparato per la mostra mercato del libro antico a Londra, si presenta come un curioso, ma interessante mix di titoli d’argomento economico-finanziario, inteso però in senso lato. Poco comune è la prima edizione di Luigi Arduino (1759-1833, professore di agraria e direttore del Giardino Reale di Agricoltura dell’Università di Padova, Ispettore delle piante tintorie) sull’Istruzione sull’olco di cafreria (Padova, Penada, 1811) contenente una tavola incisa e ripiegata (brossure originali, £ 325). La sua scoperta sull’estrazione dello zucchero dall’olco cafro (pianta dello zucchero di sorgo proveniente dall’Africa ma adattandosi bene al clima europeo) era fondamentale per l’epoca, considerando la dipendenza degli europei dall’America e pensando che si tratta di un dolcificante più economico rispetto allo zucchero di canna. Antonio Marsand – ricordato dai bibliofili soprattutto per I manoscritti italiani della Regia Biblioteca parigina (Parigi, 18351838) – prepara due anni dopo la princeps del 1811 una versione francese della dissertazione di Arduino (Mémoire sur le sucre d’olcus-cafer et sur l’origine, le progrès de l’état actuel de cette découverte de M. Arduino de Padoue, Parigi, 1813). Altra opera rara è la prima e unica edizione di Mauro Boni, Lettere sui primi Libri a Stampa di alcune Città e Terre dell’Italia superiore parte sinora sconosciuti parte nuovamente illustrati (Venezia, Carlo Palese, 1794; £ 1.250), nella quale l’Autore (1746-1817) si dedica ai primi monumenti tipografici dell’Italia del nord, prevalentemente di Genova, Pavia e Brescia. Particolarmente curiosa è anche la prima edizione italiana di Eustache Le Noble, Carta Topografica dell’Isola del Maritaggio di Monsieur Le Noble per la prima volta tradotta dal Francese in Italiano (Cosmopoli, 1765; £ 1.450). Il volume, arricchito da una tavola ripiegata raffigurante l’allegoria dell’isola del matrimonio e presentandosi come una classica guida, non nasconde lo scopo satirico sull’amore e sul matrimonio. Un metodo scientifico e sicuro per vincere all’estrazione del lotto presenta Fortunato Indovino con il suo Il vero mezzo per vincere all’estrazione de’ lotti O sia una nuova Lista Generale Contenente quasi tutte le voci delle cose Popolaresche appartenenti alle visioni e sogni, col loro Numero. Esposte per ordine Alfabetico. Opera di Fortunato Indovino, da esso estratta dai Vecchi Libretti dell’Anonimo Cabalista, e di Albumazar da Carpentieri. Accresciuta di 985 voci ed ora in questa ultima edizione se ne aggiungono altre, oltre delle 90 ... Edizione Nuovissima con li Numeri di tutte l’e trazioni passate sino a quella seguita li 5. Agosto 1809. e la nuova Tariffa in Lire Italiane a norma del Decreto per qualunque Gioco. V’è annesso il giuoco Romano, e i Numeri delle Contrade (Venezia, Silvestro Gnoato, 1809). L’Ermamfibio ossia l’uomo passeggiatore terrestre ed acquatico. Descrizione d’una macchina che potrà chiamarsi efidroforo dall’officio cui è destinata, di portar l’uomo sulle acque (Milano, Pirola, 1785; £ 1.200) di Agostino Gerli si basa su una curiosa invenzione che permetteva agli uomini di galleggiare sull’acqua e di spostarsi stando eretti. “L’attività dei fratelli Gerli proseguì con la costruzione nel 1785 di un’apparecchiatura ispirata a progetti di Leonardo da Vinci e denominata ‘ermamfibio’, atta a trasportare l’uomo per le acque, consentendogli, allo stesso tempo, di camminare per le strade. Con tale apparecchiatura, dopo un primo collaudo nel laghetto della villa reale di Monza, alla presenza dell’arciduca Ferdinando d’Austria, gli inventori passarono il fiume Po tra Pavia e Piacenza e il Danubio a Vienna.” (DBI 53, p. 435). Poco comune è anche la prima edizione Regolamento sulla Istituzione del Corpo dei Carabinieri Pontifici, legata insieme all’opera Sentimenti morali e brevi Istruzioni per un Carabiniere di Vincenzo Galassi. Entrambi volumi stampati a Roma da Poggioli nel 1816 (£ 1.250) riguardano il Corpo dei Carabinieri Pontifici, voluto dal cardinale Consalvi. La polizia papale doveva essere formata sulla base della gendarmerie napoleonica. La prima edizione del Saggio di macchine relative alla luce intermittente dei fari tanto a olio che a gas di Giovanni Aldini (Modena, 1825; £ 3.400) riflette l’insolito tentativo del fisico italiano e nipote di Luigi Galvani sull’elettricità e l’illuminazione. Susanne Schultz-Falster Catalogue Shared Wealth – Olympia Book Fair, Londra, 2012 22 Compton Terrace London N1 2UN (United Kingdom) http://www.schulzfalster.com/fairs/fair61.pdf giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano IL CATALOGO DEI MODERNI Libri da leggere per comprare libri di matteo noja DAL GIOCO AL MASSACRO ALLE AVANGUARDIE Libraire L’Arrondi - Thomas Rossignol Catalogue n. 2 Secondo catalogo per Thomas Rossignol della Librairie L’Arrondi. Come nel precedente ci offre una serie di libri d’artista con litografie e documenti originali. Ci colpisce tra questi volumi, la rara edizione di Jeu de massacre. 12 personages à la recherche d’une di Fred Deltor con prefazione di Henri Barbusse [Bruxelles, Éditions Socialistes, (1928); € 6.900]. Si tratta di una raccolta di 12 pochoirs a colori ritoccati in argento e oro, che presentano, dietro una copertina che raffigura un teatrino da fiera, una galleria di marionette che personificano i nemici del socialismo: il militarismo, la proprietà, la filantropia, la socialdemocrazia, la giustizia, la colonizzazione, il fascismo, la spiata, il parlamentarismo, lo spirito medio, la religione, lo sciovinismo. L’artista, il cui vero nome è Federico Antonio Carasso (Carignano, Torino, 1899Amsterdam 1969), usò per i lavori su carta lo pseudonimo di Deltor (da “del Torino”). Operaio a 13 anni nelle officine della Fiat, per sostenere il padre falegname, maturò, soprattutto prestando servizio come soldato durante la guerra di Libia nel 1917, idee anarco-comuniste e pacifiste. All’avvento del fascismo emigrò dapprima a Parigi, poi a Bruxelles, infine in Olanda. Legato alle avanguardie alla fine degli anni Venti, si affermò poi come scultore. L’esemplare è completo della prefazione di Henri Barbusse, il noto scrittore e attivista comunista francese (1873-1935) che definiva Deltor «il meccanico… che sa destreggiarsi con la sintesi e ha fatto della superrealtà». Libraire L’Arrondi - Thomas Rossignol 8 Avenue du Général Leclerc 78220 Viroflay France Tel. +33 (0) 1 83 59 06 43 www.librairie-larrondi.fr - email: [email protected] L’ALTROVE DELLA CONTROCULTURA Studio Bibliografico L’Arengario Controcultura in Italia Altro catalogo è quello dello Studio Bibliografico L’Arengario, Controcultura in Italia. Circa trecento volumi, foto, riviste e documenti disposti in ordine cronologico. Una cronologia di pensieri e parole che fa emergere «una storia con le sue ragioni, le aspirazioni, le conquiste, gli errori». Quello che ci turba della vicenda che per comodità siamo abituati a etichettare con “il sessantotto” (come nell’800 si etichettò ogni moto di ribellione con “il quarantotto”), è che non si è ancora conclusa. Siamo abituati a considerare “storia” ciò che è finito, sepolto da tempo, archiviato, non ciò che è ancora presente. Ma allora perché conservare questi documenti? Primo per capire quello che è successo e che succederà, e per trasmettere a chi verrà. 33 Poi per la rarità che deriva dal fatto che pochi di coloro che hanno letto questi fogli li hanno conservati. Molti se ne sono disfatti come si fa con gli abiti vecchi. Alla loro rarità ha contribuito molto anche la scarsa qualità della carta: «Ancora la carta stampata, che diffonde e conserva i pensieri: raramente di buona qualità, la carta, fragile e destinata a non durare come le parole di rabbia, d'amore e di rivolta che veicolava». E perché Controcultura in Italia? «La chiamiamo controcultura perché non ha le certezze, né i carismi estetici e morali della cultura, […] perché, nell'essere contro, la cultura comincia a cambiare in meglio la vita, e lo fa con la bellezza delle parole, dei colori, dei gesti liberati dalle convenienze…». Molti, forse tutti, i libri da citare: rimandiamo al catalogo che è disponibile sul sito della libreria. E mentre parliamo di questa, vogliamo segnalare il blog che i fratelli Tonini hanno creato: Touching Ideas Toccare le idee. Non dedicato solo ai libri ma anche ad avvenimenti, mostre, fotografie. Tra le mostre segnalate, una molto importante organizzata a Madrid dalla Fundación Juan March dal 30.3 al 1.7: La vanguardia aplicada (1890 1950). «Più di 700 opere fra disegni originali, bozzetti, fotomontaggi, libri, riviste, illustrano la storia della tipografia e del design grafico del ’900, storia che coincide perfettamente con l'evoluzione dell'avanguardia internazionale dal futurismo a dada, dal costruttivismo al bauhaus…». L'ARENGARIO Studio Bibliografico Dott. Paolo Tonini e Bruno Tonini V. Pratolungo 192 - 25064 Gussago (BS) Tel. 0039 030 252 2472 Fax 0039 030 252 2458 www.arengario.it - email: [email protected] http://touchingideas.blogspot.com 34 la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2012 35 look! Color your look! TTutti utti i dir diritti itti sono riservati riser vati ai rispettivi rispettivi proprietari. proprietari. maggio 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano Un mondo di divertimento. er timento. gruppopreziosi.it gruppopreziosi.it r reziosi.it 36 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 L’intervista d’autore IL FORZIERE DI UN PIRATA: ROMOLO ANSALDI E I SUOI SIMENON di luigi mascheroni ome, a volte, due persone che rimangono insieme per una vita, finiscono con l’assomigliarsi nei tratti fisici o nel carattere, così anche Romolo Ansaldi, dopo quasi 70 anni passati con Georges Simenon, del quale è probabilmente il più grande collezionista al mondo, e che legge e rilegge da quando era quattordicenne, oggi è molto simile, in tante cose, al suo alter ego. Ha la medesima corporatura, dicono l’identico passo, la stessa passione per la buona tavola, il “sano” vizio della pipa («le ho collezionate per anni, solo Dunhill però: per le mie ossessioni scelgo sempre il meglio»), la curiosità per la Parigi nascosta e l’insofferenza per quella turistica («Simenon preferiva i bassifondi e i quartieri defilati, gli stessi che frequento io quando mi capita di soggiornarci») e un debole per le belle donne («Ma lui ne ebbe centinaia, io una sola, la stessa, mia moglie: da 55 anni. Sono uno all’antica…»). Ed entrambi, a loro modo sempre in giro per il mondo. Simenon, scrittore tradotto ovunque, in tutte le lingue del pianeta o quasi, e Ansaldi, commercialista e consulente economico, richiesto da clienti di tutti i tipi, in ogni Paese: «Ho avuto l’occasione di pranzare con il presidente Mao, con Ronald Reagan quando era alla Casa Bianca, con Bokassa a Bangui… Sempre in giro». C di circa 27mila pagine. Più tutte quelle non ancora trovate fra quelle scritte sotto i vari pseudonimi («Quelli accertati sono 37…»). Tradotto in 55 lingue e pubblicato in 44 nazioni, Simenon ha superato i 700 milioni di copie vendute. Anche oggi che è in pensione, e a 84 anni fa avanti e indietro tra Lugano dove risiede, la Francia dove va a caccia di “memorie simenoniane” e Genova, dove ha i nipoti, una casa, e le radici: «Sono genovese di nascita, di cultura e di memoria. Il nome della mia famiglia compare per la prima volta negli archivi del comune di Genova nel 1360. Gli Ansaldi erano pirati, naturalmente…». Ci vuole la precisione di un commercialista, il carattere di un mediatore e lo spirito di un pirata per giocare a una caccia al tesoro che dura dagli anni Quaranta, che è certo che non avrà mai fine e che in palio invece di un forziere ha una biblioteca che contiene tutto ciò che ha prodotto la fantasia prolifica di Georges Simenon: 450 tra romanzi e scritti brevi, di cui 107 sulle inchieste del Commissario Maigret, più 117 romanzi “psicologici”, oltre tremila tra articoli e reportage, per un totale Come mai Simenon? «A 14 anni, nel 1942, mese di giugno, sto tornando da scuola dopo i risultati di fine anno. Alle bancarelle di piazza Bianchi, a Genova, vedo un libro intitolato Pietro il lettone, in un’edizione Mondadori degli anni Trenta, con in copertina una donna bionda con le gambe nude. Diventa subito il mio regalo per la promozione. Quell’estate la passo dai miei parenti in campagna, dove il parroco un giorno vede quello che sto leggendo. La mattina dopo non trovo più il mio Simenon. La zia lo aveva bruciato: il parroco le aveva detto che l’autore era all’Indice. Quel giorno mi sono detto: adesso voglio tutti i libri di Georges Simenon». giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 37 E ce l’ha fatta, praticamente. Cosa ha nella sua biblioteca? «Dei 418 volumi pubblicati da Georges Simenon, di cui 198 sotto pseudonimo e 220 con il suo vero nome, a partire proprio da Pietr-le-Letton, nel 1931, ce li ho tutti. E tutti in prima edizione francese, naturalmente. E ho tutte le prime edizioni italiane, e anche in molte altre lingue. Poi ho manoscritti, lettere autografe, fotografie originali, riviste e giornali, locandine e affiches dei film e sceneggiati ispirati ai libri di Simenon, che sono quasi 200, e infatti non ho più pareti libere in casa dove appenderle… e poi centinaia di saggi e biografie di Simenon. Dopo ho edizioni pirata, edizioni di pregio, le copie dei romanzi che venivano dati in lettura dai vari editori per decidere se pubblicarli o no… Ho parecchie cose, insomma». E cosa invece non ha? «Mi mancano soltanto alcuni libri della collana in cui le Editions Prima di Parigi tra il 1925 e il 1929 pubblicavano i romanzi “pornografici”, una qualifica che oggi fa ridere naturalmente. Comunque Simenon ne scrisse 18 con lo speudonimo Gom Gut, e io ne ho soltanto sei. Ma ormai sono introvabili, quelli che erano sul mercato li ho comprati, a circa 2mila euro l’uno… Titoli come Le otto orge borghesi, o Perversità frivole, o L’uomo dai dodici orgasmi… Tutta roba mai tradotta in italiano. Appena sento che c’è qualcosa in giro, prendo un aereo e parto». Come acquista? «Tutti i bouquinistes di Parigi mi conoscono: se hanno qualcosa, mi chiamano. È per questo che sono spesso in Francia. Invece in Belgio non c’è più nulla. Poi ci sono alcune librerie antiquarie… le aste… e eBay. E qui me la gioco con John Simenon, il figlio. Una volta eravamo amici, ora diciamo che siamo mezzi-nemici… Ci contendiamo i pezzi più rari». E quali sono i pezzi più rari che possiede? «Un’edizione del fotoromanzo letterario La folle d’Ittevile, che inaugurò un genere, ma fece fallire l’editore. Un “pacchetto” di 29 lettere, completamente inedite, che a John Simenon non interessavano, e poi se n’è pentito, in cui il padre per lo più si lamenta con gli editori che non lo pagano. Una copia del Testamento Donadieu, uscito da Gallimard nel ’37, regalata, con dedica, a Andrè Gide… La cosa curiosa è che ha ancora le pagine da tagliare mentre però qualche tempo dopo il destinatario scrisse a Simenon: “Ho letto Il testamento Donadieu, uno dei tuoi libri migliori…” E poi, per questioni sentimentali, considero molto preziose le varie versioni di Pietro il Lettone, che ho in trenta lingue diverse, anche in cinese». E il romanzo che ama di più di Simenon? «Tra i romanzi Germogliano sempre i noccioli e Le campane di Bicêtre. Tra le inchieste del Commissario Maigret invece L’affare Saint-Fiacre. E ovviamente Pietro il Lettone». 38 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI Ma i libri sono da fare o da leggere? Due libri sul mestiere di editore e lettore di matteo noja SEDUTI SUL BORDO ESTREMO DEL FUTURO uscita la nuova edizione dell’Almanacco Guanda, a cura di Ranieri Polese. Come titolo reca: Fare libri. Come cambia il mestiere dell’editore. Esce giusto ottant’anni dopo che Ugo Guandalini, col cognome abbreviato in Guanda, fondò la sua casa editrice. Correva infatti l’anno 1932, a Modena. Il giovane aspirante editore aveva appena pubblicato a proprie spese un opuscolo di poesie in 150 copie, Ballata delle streghe, e subito imparò che c’è più sugo a stamparli i libri che a scriverli (anche se continuò a cimentarsi con la letteratura). Per il suo programma culturale Guanda e la sua casa editrice non trovò consensi nel regime fascista. «Nella collezione Problemi d'oggi figurano opere di E. Buonaiuti, A. Tilgher, P. Martinetti, G. Renzi, G. A. Borgese, J. Maritain, ecc. Particolare attenzione ha sempre dedicato alla poesia con le collane La Fenice e La piccola Fenice. Si deve a Guanda la scoperta di alcuni lirici È italiani e la traduzione di molti poeti stranieri del Novecento (García Lorca, T. S. Eliot, W. H. Auden, E. Pound, D. Thomas, P. Neruda, ecc.)» (citiamo da Treccani.it, l’enciclopedia online). Questo Almanacco riporta 36 interventi di vari autori, suddivisi per specifiche competenze: lettori e filosofi, editori europei, editori italiani, studiosi del mondo del libro e della lettura, librai, bibliotecari, scrittori affermati, blogger, giovani scrittori. L’insieme degli interventi dibatte del futuro del libro nell’epoca degli e-books: soggetto ormai trito, ma che ancora non è stato ben definito o circoscritto. Le voci che si spiegano nelle pagine dell’Almanacco, infatti, sono discordi. Molte nostalgiche, alcune proiettate in un futuro ancora non delineato. Come dice nel suo intervento Ernesto Franco, della casa editrice Einaudi, «in mancanza di un discorso “geniale” e armonico che tenga insieme ogni dettaglio» si prova a «procedere per fondamenta e, inevitabilmente, per fughe in avanti. Simulazioni». Gli autori degli interventi partono da esperienze diverse, da settori che pur trattando il medesimo oggetto (in un impeto di efficientismo commerciale potremmo dire “la stessa merce”), il libro, sembra che da lungo tempo non si parlino neppure. Ne viene fuori un mosaico di impressioni che stenta a ritrovarsi in un’immagine univoca. Per quello che ci riguarda, come biblioteca, la sezione titolata Il futuro delle biblioteche, riporta due importanti interventi: un’intervista di Bruno Racine, presidente della Bibliothèque Nationale de France, e un saggio breve di Robert Darnton, docente universitario e direttore della Harvard University Library. Il primo conclude l’intervista rispondendo alla domanda se il libro di carta diventerà un prodotto vintage, e dice: «Non lo so, ma in ogni caso può realmente diventare un prodotto derivato dell’e-book e non viceversa, come avviene oggi»; il secondo titola con grande coraggio, infondendoci speranza, Con la biblioteca digitale rinasce l’illuminismo. Dalla lettura dell’Almanacco si ricava un’impressione abbastanza strana: sembra che intorno a noi succedano cose meravigliose o pericolosissime, comunque ignote, e ancora nessuno abbia un lessico e una grammatica per poterle comprendere e spiegare. E noi non siamo ancora capaci di lavorare sul bordo estremo della scoperta. “Almanacco Guanda. Fare libri. Come cambia il mestiere dell’editore”. A cura di Ranieri Polese. Milano, Guanda 2012; 248 p., € 28,00 UNA DIFESA APPASSIONATA DEL LIBRO E DELLA LETTURA ai prima d’ora mi ero chiesto quanti libri avessi, e del resto mai prima d’ora avevo avuto la tentazione di contarli». Chi ha qualche libro in casa lo sa, «M giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano è pericoloso mettersi a contarli. Si può cercare di calcolarne lo spessore medio e i centimetri occupati: difficilmente se ne viene a capo e ognuno ha un suo proprio metro (o centimetro) di giudizio. Segnaliamo con questa breve citazione un piccolo ma prezioso libro uscito recentemente. Si tratta di Libri da toccare, del giornalista spagnolo Jesús Marchamalo, edito da Ponte alle Grazie. Si rivolge a quanti, appunto, amano toccare i libri, amano sfogliarli ed esserne circondati. Amano desiderarli e possederli, perderli, prestarli e regalarli. E ci spiega con una ricca serie di aneddoti e citazioni cosa voglia dire amare i libri. E ci racconta quali siano i turbamenti di questo amore che come quello che lega due persone, diventa con il tempo indissolubile e anzi aumenta con le difficoltà, se è vero amore e non una posa o una infatuazione. Il primo turbamento è la quantità. Scopriamo che Leonardo Sciascia aveva accumulato diecimila libri, Cortázar quattromila, Hemingway a Cuba novemila. E, sempre a Cuba, il poeta Gastón Baquero li aveva in ogni dove, e li aveva stipati anche in bagno e nella vasca. Chi ha avuto la fortuna di fare il libraio antiquario, avrà almeno una volta nella vita visitato la casa di qualcuno che li aveva messi in casa in ogni locale, cucina compresa (nello scolapiatti), bagno compreso (se non nella vasca, nell’armadietto delle medicine, sopra lo sciacquone), negli armadi sotto i vestiti. L’accumulo delirante provoca poi un obnubilamento per cui difficilmente si riesce a localizzare le opere, tanto che Baquero quando gli chiedevano un libro, rispondeva dicendo di dare un’occhiata in giro. Secondo turbamento: come metterli. Cioè se sia meglio ordinarli in qualche modo oppure lasciare che vivano una loro vita. Se sia meglio ordinarli alfabeticamente o cronologicamete oppure lasciarli liberi di vagare per casa. «In ogni modo ordinare i libri è sempre un’impresa. Diciamo che bisognerebbe evitare di farlo, a meno che non si disponga di tanto tempo libero o non si venga pagati apposta. Come fece Caterina di Russia quando comprò la biblioteca di Diderot, a patto che lui stesso gliela mantenesse sempre in ordine». Quantità e ordine impongono severamente un altro turbamento: come disfarsi di alcuni libri. Hans Magnus Henzensberger ha imposto un numero preciso di “smaltimento”: cinquecento libri. Ma di quali ci si può disfare? E poi da quanti volumi dovrebbe essere composta una biblioteca ideale? Da 343 come suggeriva Perec? E questi dovevano essere libri o volumi? Perché un libro può constare di diversi volumi… «I libri si comprano anche solo per capriccio, in maniera contraddittoria e volubile. Certi argomenti ci attraggono in determinate epoche della nostra vita e poi li abbandoniamo, come abbandoniamo le certezze. Quasi fossero strati geologici di un sito archeologico, i libri permettono di portare alla luce i resti di tutti i 39 naufragi». Con ironia Jesús Marchamalo ci permette di scandagliare l’abisso dei nostri sentimenti verso i libri, verso le nostre biblioteche, capaci di riflettere inconsciamente la nostra vita, di ripeterne scaffale per scaffale ogni momento, testimoniando amori e pulsioni, inimicizie e odi, e anche i nostri più nascosti naufragi, quelli dell’animo, che nel migliore dei casi tendiamo a dimenticare o a far finta di dimenticare. Un libro, forse un manuale, per amanti quindi, che di amori e di passioni parla, sentimenti che possono cambiare nel tempo ma mai esaurirsi; e dei luoghi deputati ad assistere a tali incontri amorosi, appunto scaffali e biblioteche. Un amore travolgente e cieco, descritto minuziosamente in queste pagine, pervase anche dalla disarmante constatazione che i libri prolificano incessantemente a nostra insaputa, e debordando dalle loro riserve invadono con sorprendente velocità tutta la casa intorno, anche noi stessi. Quei libri che leggiamo e ricordiamo, oltre a quelli che tendiamo a cancellare dalla nostra vista e dalla nostra memoria: «Perché esiste di certo – da qualche parte deve esistere – un’immensa biblioteca immaginaria di libri dimenticati, non solo da me (che sarebbero già abbastanza), ma dall’intera umanità». E inoltre quelli che non leggeremo mai, perché, come sostiene l’autore citando un amico libraio, «ci sono libri da leggere e “libri in quanto libri”. La questione è tutta qui». Un libro da avere e da regalare a chi spartisce con noi l’amore folle, forse, ma inestinguibile versi questi oggetti fantastici che sono appunto i libri. Jesús Marchamalo, “Toccare i libri” Milano, Ponte alle Grazie; 61 p., € 8,00 LA TUA TV. SEMP PRE PIÙ GRANDE. 42 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 ANDANDO PER MOSTRE Da Novate a Berlino, con uno sguardo verso Oriente, scrivendo e cancellando di luca pietro nicoletti UNO SCRITTORE CHE DISEGNA: PASOLINI A NOVATE asa Testori a Novate rende omaggio, fino al 1 luglio, a Pier Paolo Pasolini. Nella casa in cui lo scrittore e drammaturgo lombardo ha passato buona parte della sua esistenza, viene proposta una piccola mostra sull’intellettuale friulano che mette in luce i numerosi punti di contatto con l’illustre padrone di casa. A fare da legante è l’inedita occasione di poter apprezzare una ampia selezione di disegni di Pasolini, a partire dai primi cimenti intorno al 1942, debitori della lezione di De Pisis e dipinti direttamente con le dita o con il rovescio del pennello, fino ai suoi ultimi anni. Sono disegni affettuosi, come si percepisce da una nota dei Quaderni rossi¸ in cui lo scrittore parla di un ritratto fatto ad Angelo Dus: «Poi disegnai Angelo, che se ne stava rattrappito a capotavola, con gli occhi bassi (mi accorsi C PASOLINI A CASA TESTORI NOVATE, CASA TESTORI, 20 APRILE-1 LUGLIO 2012 http://www.associazionetestori.it/ solo allora che le sue pupille erano azzurro chiaro!). Angelo è identico a sua madre. Dei quattro o cinque disegni che gli feci a pastello […] gliene feci scegliere uno, sotto il quale, regalandoglielo, scrissi questa straordinaria dedica: “Al piccolo Giotto il suo Cimabue”. Arrossisco nel ricordarlo» (13 ottobre 1947). Sono disegni preziosi, gelosamente custoditi al Gabinetto Viesseux di Firenze, fatti su materiali insoliti come le pellicole di cellophane o, più avanti, eseguiti a matita, colla e petali di rosa. Fra questi estremi, nelle otto sale della mostra sono evocati i temi nodali dell’esperienza intellettuale e militante di Pasolini e che lo accomunano a Testori, a partire dalla collaborazione con il “Corriere della Sera” diretto da Piero Ottone (dal 1973 per Pasolini), all’essere identificati entrambi fra i “nipotini dell’Ingegnere” da Alberto Arbasino nel 1960, in quanto, riconoscendosi nella lezione di Gadda, condividono, secondo la definizione di Contini, la medesima “ricchissima esperienza plurilinguistica”. Passando fra le predilezioni e gli amori di Pasolini, da Ninetto Davoli a Laura Betti, fino a Maria Callas -tutti fatti oggetto di numerosi e affettuosi disegni- percorre Sopra: Pier Paolo Pasolini, Autoritratto A sinistra: Pier Paolo Pasolini, Roberto Longhi, 1975, pastello o sanguigna sottotraccia tutta la mostra la presenza di Roberto Longhi, che fu un punto di riferimento imprescindibile sia per Testori, dal 1951 della mostra di Caravaggio, sia per Pasolini, che conservò un ricordo quasi epico delle lezioni bolognesi sui Fatti di Masolino e Masaccio dell’anno accademico 1941-1942. Al maestro, nel 1974-1975, Pasolini dedica una serie di sedici grandi ritratti a partire da un ritratto fotografico dello studioso: con un segno danzante, attraverso la ripetizione del profilo Pasolini si appropria del soggetto, in una esecuzione seriale che, come mostrano le foto scattate allora da Dino Pedriali, sembrano quasi una vera e propria performance. EMILIO ISGRÒ E LE SCULTURE ISLAMICHE el 2010, in occasione di Istanbul capitale della cultura europea di quell’anno, Emilio Isgrò aveva realizzato i quattordici Codici ottomani ora presentati, fino al 27 luglio, dalla Fondazione Marconi di Milano nella mostra Var ve yok, che in turco significa “c’è e non c’è”. Un titolo che rispecchia efficacemente, a pensarci bene, lo spirito del lavoro dell’artista italiano, nato in provincia di Messina nel 1937. Sin dagli anni Sessanta, infatti, la sua ricerca verbovisiva sulla cancellatura ha N giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano rinnovato il linguaggio artistico italiano, giocando sulla soglia fra costruzione e distruzione, quasi un intervento censorio che approda sui lidi della suggestione poetica e non dimentica, nella sua operazione concettuale, l’impegno civile. Il suo primo libro cancellato è del 1964, e da allora Isgrò ha continuato a cancellare sistematicamente, a mano, interi libri con tratto nero largo e regolare (solo negli anni Ottanta comparirà il segno bianco), lasciando solo qualche parola che, apparendo in un lago di righe nere, Sopra: Emilio Isgrò, Var ve yok, 2010 appariva carica di un nuovo senso espressivo: la parola si rivela con un’essenza primaria inedita, spiega più cose di quante non ne dica. Da allora, poi, la cancellatura non ha risparmiato spartiti musicali, enciclopedie e qualsiasi oggetto veicolasse dei codici di scrittura. Nel caso dei codici ottomani, poi, il discorso si arricchisce di un ulteriore senso metaforico quando tocca la storia del paese turco in opere come Il sorriso di Atat ürk: anche il noto statista padre della Turchia moderna, in fondo, era stato un “cancellatore”, tanto da indurre Isgrò a scrivere: «Anche un gesto controverso come la cancellazione integrale innesca di fatto un processo dialettico, e per ciò stesso vitale, tra l’essere e il non essere delle cose, tra la morte e la vita delle parole, e persino la lingua ottomana, un tempo annichilita, viene in qualche modo preservata e protetta dallo strato di colore che la occulta e la copre, fino a riemergere provvisoriamente non con il peso nostalgico di una tradizione per fortuna dissolta, bensì con il monito disarmante di Pasolini: ‘Solo la rivoluzione salva il passato’. Come dire che per salvaguardare il mondo (non soltanto l’Europa e i paesi che le stanno intorno come la Turchia o la Russia) è a volte necessario scuoterne le fondamenta». LE OCHE DI PIETROGRANDE VANNO A BERLINO ino al 14 luglio, presso la galleria Kuhn & partner di Berlino si può apprezzare la mostra personale curata da Gemma Clerici del pittore veneziano, ma formatosi e vivente a Milano, Lorenzo Pietrogrande. In titolo, Licht un Gegenlicht (Luce e controluce), riassume i motivi portanti della mostra e degli esiti ultimi del lavoro dell’artista e la sua attenzione, in anni recenti più accentuata che in passato, per i fenomeni luminosi. Il suo è un percorso che prende le mosse, negli anni Ottanta, all’insegna dell’espressionismo tedesco dei Nuovi Selvaggi, per poi orientarsi verso una traduzione pittorica del quotidiano. In virtù dei suoi natali lagunari, spesso la critica ha insistito nel riconoscere una ascendenza del suo lavoro dalla grande tradizione della decorazione murale veneziana. In effetti, da quel modello Lorenzo ha acquisito un modo di dipingere ampio e compendiario, incline alla sprezzatura pittorica. Ma il segno largo, che restituisce un frammento di realtà e del quotidiano in pochi segni, si compiace di esibire la propria specificità di medium pittorico, e fa leva proprio su questo accentuato lato espressivo per farne sostanza narrativa del dipinto. Al tempo stesso dall’inizio degli anni Novanta comincia a fare i conti con l’ampliamento di iconografie offerto da un altro medium, la fotografia, che suggerisce possibilità di soluzioni compositive prima inimmaginabili. In F 43 questo modo, ecco che l’occhio scrutatore del pittore riduce sempre più il raggio del suo campo visivo, arrivando a tagliare le teste fuori dai margini del dipinto. In questo modo l’attenzione si focalizza sulla massa dei corpi, esclude qualsiasi possibilità di dialogo con il fruitore, a cui viene negato lo sguardo. Si ha l’impressione di essere investiti da queste forme, di essere andati troppo vicini al dipinto, fino a perdere la visione d’insieme. Gli impermeabili sono i veri protagonisti di questa fase della ricerca: oggetti che evocano “per sineddoche” la figura, una porzione vale per la presenza di un tutto completo. La pittura si fa sempre meno descrittiva: la liquidità delle velature mira a sottolineare il valore pittorico puro, e le superfici vibrano di una instabilità che potrebbe far pensare al “mosso” in fotografia. Ma quello che rimane costante, fino alla sperimentazione sul controluce delle tele più recenti, è l’impressione di trovarsi di fronte a un’istantanea “scattata” con grafite e pennello, come se Pietrogrande aggiungesse, poco alla volta, le pagine di un grande diario figurato: ma un diario intimo, fatto di memorie dell’occhio e di impressioni luminose. Sotto: Lorenzo Pietrogrande, Galleria, acrilico su tela, 2012 44 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO Una piccola retrospettiva di maggio e giugno con un prezzo record per un fumetto di annette popel pozzo IMPORTANT PRINTED BOOKS AND AMERICANA FROM THE ALBERT H. SMALL COLLECTION Asta del 18 maggio New York www.christies.com La vendita di 150 libri appartenuti al filantropo americano Albert H. Small ha confermato che i bibliofili generalmente avveduti e selettivi sono disposti a comprare libri importanti e rari a prezzi elevati. La vendita di sole 10 edizioni ha raggiunto circa due terzi del risultato complessivo di $2.963.000. Una copia di John James Audubons The Viviparous Quadrupeds of North America (New York, 1845) è stata aggiudicata per $362.500 sulla basa di una stima di $200.000-300.000, mentre un buon esemplare delle Comedies, Histories, and Tragedies di William Shakespeare (Londra, 1664; nota come terza edizione collettiva) cambia proprietario per $374.500. Il libro antico e di pregio d’argomento Americana è dunque straordinariamente solido con risultati fuori norma. PRINTS AND ILLUSTRATED BOOKS Asta del 1 giugno Parigi www.artcurial.com In asta numerosi libri d’artista: il volume Le parquet se soulève (Zurigo?, 1973) del poeta e drammaturgo francese Jean Tardieu contenente sei litografie originali di Max Ernst (con triplice suite di tavole; esemplare II/XIII firmato dall’artista) viene aggiudicato per €9.803, triplicando il suo valore sulla base di partenza di €2.500-3.500. Il volume Calligrammes di Guillaume Apollinaire (Parigi, Christophe Czwiklitzer, 1967) contenente dieci acqueforti di Ossip Zadkine, proveniente dalla raccolta dell’editore (esemplare 11/13 con suite su un totale di 75) viene aggiudicato per €3.896 su una base di stima di soltanto €1.000-1.500. L’UNIVERS DU CRÉATEUR DE TINTIN Asta del 2 giugno Parigi www.artcurial.com I fumetti godono soprattutto in Francia un successo strepitoso e continuo: Un disegno originale a colori, pensato per la copertina dell’album Tintin in America di Hergé del 1932 è stato battuto al prezzo record di €1.338.509. Esistono soltanto cinque disegni a colori, tre dei quali sono conservati presso il Musée Hergé. Il precedente collezionista aveva acquistato la copertina nel 2008 per €764.218, il che significa che in soltanto quattro anni il valore si è raddoppiato. UN’IMPORTANTE COLLEZIONE DI LIBRI E STAMPE Asta del 6 e 7 giugno, Roma www.bloomsburyauctions.eu La sede romana della Bloomsbury Auctions propone quasi 1.100 lotti provenienti dalla biblioteca del barone siciliano Alberto Pucci di Benisichi. “Si tratta della vendita più corposa mai fatta dalla Bloomsbury Italia, una miniera di opere suddivise in lotti singoli e cartoni tali da soddisfare tutti i gusti dei collezionisti. Si spazia da volumi rari siciliani, a incunaboli e cinquecentine scientifiche, illustrati di varie epoche, belle legature” (catalogo della casa d’asta). Nell’asta degli “Autografi, manoscritti e fotografie” troviamo inoltre un vasto insieme di documenti originali relativi ai moti studenteschi del Sessantotto (lotto 349, stima € 4.000-6.000). LIVRES ANCIENS ET MODERNES Asta dell’8 giugno Parigi www.alde.fr Un’asta mista contenente più di 400 lotti, tra l’altro anche con libri d’argomento Italica. Partendo con una stima moderata di €5.000-6.000 si presenta La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso nella celebrata edizione di Giambattista Albrizzi (Venezia, 1745) recante le tavole su disegno di Giambattista Piazzetta. Il volume è inoltre completo della lista dei sottoscrittori. In asta c’è anche una prima edizione, seconda tiratura de Les Chants de Maldoror de Lautréamont (Parigi e Bruxelles, Rozez, 1874). La raccolta stampata originalmente nel 1869 fu ritirata dal mercato dall’autore stesso e ripubblicata soltanto dopo la sua morte nel 1870. Si conoscono soltanto sei esemplari della rarissima prima tiratura (stima €3.000-4.000). giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 45 46 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 47 BvS: il Fondo Milano Giuseppe Ripamonti: un irascibile cronista seicentesco La storia della città ambrosiana tra cariche, arresti e censure BEATRICE PORCHERA G iuseppe Ripamonti, il maggiore dei cronisti milanesi del Seicento, a cui la città ambrosiana ha dedicato una delle sue più lunghe vie, nacque il 17 agosto 1577 nella frazione Nava di Tegnone (dal 1860 Ravellino, oggi nel comune di Colle Brianza), da Bertolino e Lucrezia, piccoli proprietari terrieri. Formatosi sotto la guida dello zio Battista Ripamonti, parroco di Barzanò, a diciotto anni entrò nel Seminario della Canonica di Milano, dove, a causa della scarsità dei mezzi economici, restò un solo anno. Dedicatosi allo studio della logica presso le scuole di Brera, acquisì un’ottima conoscenza del latino, del greco e dell’ebraico, come testimoniato da Filippo Argelati nella sua Bibliotheca scriptorum Mediolanensium: «Linguas Latinam, Graecam, et Hebraicam adeo calluit, ut eis quoties opus esset, quasi naturali idiomate uteretur».1 Dopo aver svolto diversi incarichi tra Milano, Monza e Novara, nel 1602 ricevette da Federico Borromeo il compito di insegnare grammatica ed eloquenza sacra nel Seminario di Porta Orientale, in cui restò per quattro anni. Ordinato sacerdote nel 1605, nel 1609, in occa- Nella pagina accanto: frontespizio figurato del vol. III dell’Historia patria, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Cristoforo Störer. Sopra: ritratto dell’autore contenuto nel vol. III dell’Historia patria, inciso in rame da Gio. Paolo Bianchi su disegno di Cristoforo Störer sione della fondazione della Biblioteca Ambrosiana, entrò a far parte del Collegio dei Dottori con l’incarico di storiografo. La prima decade della sua Historia Ecclesiae Mediolanensis uscì nel 1617 “ex Collegii Ambrosiani Typographia”. Tale pubblicazione suscitò numerose polemiche e accuse, anche presso il Tribunale dell’Inquisizione: «per avere inserito nella Historia la vicenda di un prete Fortunato corredandola di false lettere di Gregorio Magno; di non aver taciuto episodi vergognosi della vita di Sant’Agostino; di avere trascurato i propri doveri di sacerdote; e perfino di negare l’immortalità dell’anima».2 Molto probabilmente la causa di tanta ostilità va ricercata nel mancato apprezzamento, da parte dei superiori e dei colleghi, delle allusioni presenti nell’opera. Il prezzo da pagare fu piuttosto alto: nell’agosto del 1618 Ripamonti venne arrestato e incarcerato nel palazzo arcivescovile, privato di ogni libro, eccezion fatta per il breviario. La severa sentenza del Tribunale fu emessa il 16 agosto 1622 e prevedeva: il sottoporre l’opera alla consueta censura ecclesiastica; cinque anni di carcere, tre dei quali da scontare presso la curia, gli altri due in un luogo pio; il divieto di conti- 48 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Da sinistra: ritratto di Filippo II contenuto nel volume Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante, inciso in rame da Cesare Bassano, per il quale «erubuit pictor nomen praeferre Philippi»; frontespizio figurato del vol. I dell’Historia patria, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Ottavio Salvioni nuare l’Historia Ecclesiae Mediolanensis fintanto che la prima parte non fosse stata corretta; l’obbligo di ottenere l’admittitur dell’Inquisitore per la pubblicazione di altri testi, di digiunare tutti i venerdì per un anno e di recitare il rosario ogni settimana. La pena venne alleggerita grazie all’intervento di Federico Borromeo, che mutò il carcere in un semplice confino in vescovado e ripristinò lo storico nelle sue funzioni di dottore dell’Ambrosiana. Inoltre, Filippo IV di Spagna lo nominò canonico di Santa Maria della Scala, posizione importante dato che si trattava della parrocchia di Corte. La sopraggiunta tranquillità gli permise di continuare la stesura della Storia della Chiesa milanese: nel 1625 uscì Historiarum Ecclesiae Mediolanensis pars altera, mentre nel 1628 fu data alle stampe Historiarum Ecclesiae Mediolanensis pars III: De origine et pontificatu D. Caroli libri VIII.3 Nel 1630 la peste colpì Milano. Ripamonti, pur prodigandosi, secondo alcune testimonianze, per aiutare i malati, riuscì a sfuggire al contagio e, dopo essere stato insignito, nel 1635, della nomina di “cronista patrio” da parte dei Decurioni, ricevette da questi l’incarico di redigere un’opera sulla grande pestilenza, da lui vissuta in prima persona.4 Il De peste quae fuit anno MDCXXX libri V desunti ex annalibus urbis quos LX Decurionum autoritate scribebat fu stampato a Milano da Malatesta nel 1641 – edizione conservata presso la nostra Biblioteca –.5 L’opera, introdotta da un bel frontespizio figurato inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Ottavio Salvioni, venne dall’autore dedicata al Vicario e ai Sessanta Decurioni del Consiglio Generale di Milano: «per giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 49 Da sinistra: frontespizio figurato del volume Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Cristoforo Störer; frontespizio figurato del De peste, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Ottavio Salvioni la mia opera, modesta e pervasa dalla morte, chiesi questo grande onore, che uscisse sotto l’alto patrocinio del Consiglio Generale e fosse a voi dedicata, come era del resto giusto e doveroso. Un’impresa nata presso di voi – infatti – a voi sarebbe dovuta tornare, poiché davvero foste voi, in quel tristissimo tempo, i padri della patria e di questa città […]».6 Il lavoro comparve strutturato in cinque libri, il terzo dei quali incentrato sulla figura di Federico Borromeo, protettore di Ripamonti e autore a sua volta di un breve opuscolo intitolato De pestilentia, redatto nell’agosto del 1630, prima della completa estinzione del contagio.7 Alessandro Manzoni, che annoverò il De peste tra le fonti storiche da lui consultate per la stesura dei Promessi sposi, scrisse che la relazione di Ripamonti superava tutte le altre riguardanti lo stesso argomento «per la quantità e per la scelta de’ fatti, e ancor più per il modo d’osservarli» (cap. XXXI dei Promessi sposi).8 L’opera, redatta nella lingua che «sola rerum memoriam facere sempiternam potest»9, venne tradotta per la prima volta in italiano da Francesco Cusani, che nel 1841 pub- blicò a Milano presso Pirotta La peste di Milano del 1630 libri cinque cavati dagli annali della città e scritti per ordine dei LX Decurioni dal canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese, un esemplare della quale è conservato presso la BvS.10 A proposito del lavoro Cusani scrisse: «È libro importantissimo per autenticità, si perché l’autore fu testimonio oculare di gran parte degli avvenimenti, come perché ebbe a sua disposizione gli archivi pubblici pei documenti necessari. Il racconto è maestoso, energico, pittoresco; la lingua forbita, elegante, ché il Ripamonti cono- 50 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Il 1641 fu anche l’anno della pubblicazione dei Iosephi Ripamonti Canonici Scalensis chronistae urbis Mediolani Historiae patriae libri X, usciti sempre nella città meneghina dai torchi di Giovanni Battista e Giulio Cesare Malatesta.12 Si tratta del primo dei volumi, scritti su incarico del Consiglio Generale, volti a illustrare la storia di Milano proseguendo quella di Tristano Calco che, partendo dalle origini, si interrompeva al 1313.13 Tale tomo, la cui narrazione giungeva fino al 1558, fu l’unico pubblicato durante la vita dell’autore, che, ammalatosi di idropisia, morì a Rovagnate il 14 agosto 1643. Il secondo volume dell’Historia, dedicato al marchese Carlo Gallarati e datato 1643, fu curato da Stefano Sclatter. Esso ripercorreva le vicende intercorse tra il 1559, anno che segnò l’inizio della dominazione spagnola a Milano e nel Ducato, e il 1584, rimanendo così in gran parte legato all’episcopato di san Carlo Borromeo. Seguì il terzo volume, sempre a cura di Sclatter, contenente la vita del cardinale Federico Borromeo; dedicatari del lavoro furono il prefetto Giorgio Borro e i Decurioni. Nel 1648 uscì il quarto e ultimo volume L’intera opera in edizione originale trova posto nel Fondo di Milano della Biblioteca di via Senato, accanto agli altri lavori fin qui citati, concedendo così il giusto lustro all’intemperante cronista del «più fatale e miserando periodo della storia milanese»14 che fu Giuseppe Ripamonti. NOTE 1 F. ARGELATI, Philippi Argelati Bononiensis Bibliotheca scriptorum Mediolanensium […], vol. II, t. I, Milano, Tipografia Palatina di Milano, 1745, coll. 1230-1232; edizione originale conservata presso la BvS. 2 G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630. De peste quae fuit anno MDCXXX libri V, a cura di Cesare Repossi, Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. XCII (Mediolanensia). 3 La biografia di san Carlo composta da Ripamonti non ebbe fortuna. Cfr. C. MARCORA, La storiografia dal 1584 al 1789, in San Carlo e il suo tempo, Atti del Convegno Internazionale nel IV centenario della morte (Milano, 21-26 maggio 1984), vol. I, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1986, pp. 60-63. 4 Dopo il 1637 il governatore Diego Felipe de Guzman marchese di Leganes lo nominò “storiografo regio”. 5 Cfr. Argelati, II, I, 1230; Binda, 1435: «Storia assai pregiata a giudizio dei migliori critici e bibliografi»; Hoepli, 877; Lozzi, I, 2677: «assai pregiata istoria»; Predari, p. 182. 6 Traduzione tratta dalla già citata edizione G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630, Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. 9; ottimo lavoro conservato nel Fondo di Milano della BvS. 7 Cfr. F. BORROMEO, La peste di Milano, a cura di A. Torno, Milano, Rusconi, 19873. 8 Cfr. anche Appendice storica su la Colonna Infame (1823-1824), in A. MANZONI, Storia della Colonna Infame, premessa di G. Vigorelli, a cura di C. Riccardi, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2002, p. 279 (Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni, 12). 9 G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630, Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. 2. 10 Cfr. Binda, 1436; Hoepli, 878; Predari, p. 183. G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630 libri cinque cavati dagli annali della città e scritti per ordine dei LX Decurioni dal canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese volgarizzati per la prima volta dall’originale latino da Francesco Cusani, Milano, Pirotta, 1841, pp. XXVI-XXVII, XXX. 12 Binda, 1084: «Tra le più importanti opere di storia milanese»; Hoepli, 876; Predari, p. 182. 13 I libri XI e XII della storia di Calco, riguardanti gli anni 1313-1323, vennero pubblicati solo nel 1644 e non erano quindi noti a Ripamonti. L’editio princeps dei primi venti libri, datata 1828, è conservata presso la BvS. 14 G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630 […], Milano, Pirotta, 1841, p. XXX. Nella BvS si trova anche l’opera G. RIPAMONTI, Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall’originale latino dal c. T. Dandolo, Milano, Antonio Arzione, 1856. sceva e maneggiava il latino da maestro. Lo stile però si risente del falso gusto del tempo; quindi periodi intralciati, antitesi, arzigogoli, turgidezza di pensieri e d’immagini. I quali difetti rendono assai difficile ad intendersi, anche per valenti latinisti, codesto libro. […] Il desiderio di far conoscere a’ miei concittadini questa storia della peste che rimaneva necessariamente ignota al più de’ lettori, m’indusse a tradurla».11 dell’Historia, relativo al periodo 1613-1641, i cui primi tre libri, incentrati sulla guerra per la successione di Mantova, erano seguiti dal necrologio dell’autore scritto da Gerolamo Legnano e da vari opuscoli di Ripamonti, pubblicati a cura di Orazio Landi. La serie degli scritti storici dello storiografo milanese fu in seguito completata dal tomo intitolato Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante libri VII, curato da Sclatter. 11 giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 51 BvS: rarità per bibliofili Monaldo Leopardi, il ritratto di un utopico galantuomo La verità tutta o niente su un controverso reazionario ARIANNA CALÒ «M ultiforme e versatile io chiamai l’ingegno di Leopardi, e non ritiro le mie parole. Scrisse un po’ di tutto; di economia e di politica, di filosofia e di critica, di storia e di archeologia, di giurisprudenza, di morale e di religione; scrisse perfino di matematiche, e siccome non c’è un buon Italiano che si rispetti, il quale non creda di essere nato poeta o buono a fare almeno una tragedia od una commedia, volle essere eziandio tragico e commediografo».1 Quando si parla di Leopardi, il correlativo immediato è il genio di Giacomo; eppure questo ritratto stringato e persino ironico è del padre, il conte Monaldo. Uomo singolare, dotato di un «cuore ottimo e grande quanto una piazza»2 e di un’intelligenza non meno vasta, “letteratissimo” secondo Pietro Giordani, Leopardi padre ha dovuto subire in vita le conseguenze della popolarità del figlio e in morte il giudizio storico della critica, d’accordo nel tramandarlo conservatore a oltranza, reazionario, bigotto, gretto, quando non persino volgare. Nacque a Recanati nel 1776 Ritratto di Monaldo Leopardi dall’originale ad olio conservato presso la casa-museo di Recanati da una nobile famiglia guelfa, da sempre sotto la stima e la protezione dei pontefici. Posto sotto l’ala gesuitica dell’educazione più austera e tradizionale, il conte, in polemica con il proprio precettore, decise di formarsi culturalmente da sé, dedicandosi alla formazione di una biblioteca personale3 arricchita nel tempo con consigli mirati, ma anche con acquisti fortuiti e inte- grazioni provenienti dalle raccolte di quegli ordini religiosi soppressi per volere napoleonico. La passione per i libri era un dono dall’infanzia, quando gli acquisti erano alla rinfusa e «bello è che io comprava libri francesi, senza ancora intenderli, ma stava nella mia testa che avrei col tempo appreso tutto lo scibile, e sarei diventato poco meno un grand’uomo. Poco male; chi prende la mira un po’ alta, coglie meglio nel segno».4 Una raccolta di quindicimila volumi, forse disorganica e disordinata, ma pur sempre il teatro della formazione di Giacomo e degli altri figli, un riparo dall’ambiente angusto e provinciale della piccola cittadina marchigiana. Un punto fermo nella formazione del carattere del conte era la rivendicata nobiltà di cui iniziò a dare segno manifesto dai diciotto anni, vestendosi sempre di nero, con calzoni corti e la cravatta bianca, e portando al fianco la spada, abitudine che lo portò a definirsi «l’ultimo spadifero d’Italia».5 Tra un matrimonio annullato e un altro condotto con Adelaide Antici, nell’indifferenza per il pas- 52 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Sopra: La santa casa di Loreto, ultima opera di Monaldo Leopardi pubblicata in Svizzera dall’editore Veladini. Nella pagina accanto, da sinistra: frontespizio della celebre edizione dei Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831, pubblicate senza alcuna indicazione editoriale e con il nome dell’autore celato sotto le cifre 1150; Vita di Niccolò Bonafede, vescovo di Chiusi, ritratto storico di un personaggio ritenuto portatore di quegli alti valori morali di cui Monaldo era strenue difensore saggio del generale Bonaparte sotto la finestra di palazzo («giudicando non doversi a quel tristo l’onore che un galantuomo si alzasse per vederlo»),6 dalla tranquilla vita provinciale si ritrovò suo malgrado coinvolto nella politica attiva, e nominato governatore di Recanati a seguito a una sommossa anti-francese; durò poco, e al rientro delle truppe d’oltralpe, fu condannato a morte: solo l’intercessione dell’amico marchese Carlo Antici gli risparmiò il plotone d’esecuzione. L’infelice esperienza gli valse l’abbandono della vita pubblica; scrisse nel frattempo delle tragedie, alcune commedie e delle poesie, delle quali, con il piglio ironico che sempre coltivava, in età matura confessò che «certamente era meglio dormire che scriver[le]».7 Poi, per quasi un ventennio, più nulla: le ristrettezze economiche e la cura dei figli lo assorbirono. Riprese nel 1828, quando nel frattempo il figlio Giacomo cresceva di statura, di fama e di prestigio tra i letterati, con il Memoriale di frate Giovanni Niccolò da Camerino francescano, scritto nell’anno 1371. Proprio Giacomo nel 1826 aveva pubblicato l’abilissimo falso trecente- giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano sco del Martirio dei SS. Padri del Monte Sinai, ingannando persino i più esperti in materia; Monaldo scrive allora al figlio informandolo che tra i vari manoscritti della biblioteca c’è un antico documento anch’esso trecentesco sulla leggenda di San Girio francese: Giacomo, sentendosi coinvolto con l’orgoglio dello specialista, lo studia, propone un’attribuzione e annuncia ulteriori indagini. Di certo non avrebbe immaginato che si trattava di uno scherzo del padre, anche lui cimentatosi con un falso volgarizzamento «per pigliarsi un po’ di gusto col purismo; ma io credo che lo facesse an- che per far vedere che sapeva pur lui tentare qualcosa come il figlio».8 Ancora sotto l’incoraggiamento del primogenito dà alle stampe nel 1832 La vita di Niccolò Bonafede, uomo medievale scelto perché giusto, indomito, nemico di ogni abuso, generoso e magnanimo, portatore dei più alti valori nobili e presentato con grande nostalgia. Il vero ingresso nel più ampio mondo delle lettere avvenne solo con la stampa dei Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831, il cui sottotitolo recitava a mo’ di pro- 53 gramma La verità tutta o niente. Nessun luogo di stampa, né indicazione di tipografo (si rivolse ad Annesio Nobili, il fidato editore di Pesaro) e persino il nome celato sotto le cifre 1150, che necessitavano di essere tradotte in numeri romani per avere MCL (Monaldo conte Leopardi). L’opera ebbe improvviso e inaspettato successo; fiorirono le edizioni e le ristampe (la Biblioteca ne possiede ben quattro esemplari, tra prime edizioni ed emissioni successive con varianti tipografiche)9 e grande eco si ebbe oltre i confini nazionali. Il contenuto è noto: tra il 54 plauso dei conservatori, Monaldo afferma con piena franchezza e convinzione che il popolo merita eterna sfiducia, che l’anelito verso il progresso cela in realtà sconvolgimenti tragici e che occorra accettare, come premessa all’ordine, l’autorità, in ultima istanza quella divina. Nel 1831 Monaldo faceva parte del Comitato provvisorio governativo nato in seguito ai moti scoppiati nell’Italia centrale e, con la definitiva sconfitta dei liberali, i Dialoghetti rappresentavano la presa di posizione definitiva sotto l’ala pontificia. Di seguito scrisse, quasi a ideale completamento, una «mitraglia di altri piccoli scritti»:10 La Predica recitata al popolo da don Muso Duro, Una parola ai sudditi del papa sulle riforme del governo, il Testamento di Don Pietro di Braganza ex Imperatore del Brasile e Il catechismo filosofico, edizioni anch’esse di notevole fortuna. Certo sorprendeva la pur consueta schiettezza di Monaldo nel rivolgersi ai lettori «come si parla ad un branco di malfattori, vi sbatterò sul muso le verità della fede, e se poi non vorrete credermi e convertirvi, farete quello che vi pare»,11 ma ancora una volta egli vuole sottolineare l’appoggio al potere dello Stato Pontificio e insistere con fermezza sulle convinzioni già elaborate nei Dialoghetti: «che la società non può sussistere senza un capo il quale la regoli e la governi, e perciò l’uomo nasce con il debito della sottomissione […]; che allora la sovranità è più giovevole all’ordine sociale quando risiede tutta intiera nella persona di un solo monarca; che la ribellione del popolo è sempre contraria al comando di Dio, ed è la maggiore di tutte le ca- la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Esemplare completo della brossura originale per l’edizione de La città della filosofia, stampata dell’amico editore Annesio Nobili nel 1833 lamità che possono affliggere un popolo; […] è quindi necessario moderare il troppo avanzamento della civiltà; che ognuno deve amare la sua patria […] senza correre dietro ai vaneggiamenti della indipendenza nazionale suscitata dalla sedicente filosofia».12 Questi i passi che gli sono valsi l’etichetta di passatista e reazionario; eppure le sue idee così espresse rivelano «l’utopia del galantuomo»13 convinto della possibilità di una società ideale in cui soprattutto i governanti siano guidati da alti sentimenti morali e cristiani. In questo «baldanzoso candore»14 gioca un ruolo determinante la sua formazione, l’orgoglio di una elevata tradizione di vita e di costumi che lo sconquasso delle rivolte minaccerebbe di travolgere insieme a quelle istituzioni e a quei principi basilari della società che per lui si identificano con un ordine naturale voluto da Dio. Allo stesso modo, la sfiducia in ogni progresso è la sfiducia nelle possibilità dell’uomo, immutabile nella sua natura. Il conte Monaldo contempla il mondo distaccandosene; e dalla sua prospettiva si può sorridere e ironizzare di chi annuncia immutabili cambiamenti. Un passo dalla sua Autobiografia ritorna appropriato: «Ho fatta alcuna ricerca in me stesso per conoscere quale fosse il deliquio della mia ragione, e non avendolo trovato, mi è venuta la tentazione di credere che la mia mente fosse superiore a molte, non già in elevazione ma in quadratura».15 La quadratura di cui Monaldo parla è «l’equilibrio e il buon senso, che è il pilastro su cui egli fonda il proprio orgoglio e intorno a cui ruota il suo culto per la ragione e la verità, con l’impegno di operare ragionevolmente fino “agli estremi”; un impegno sorretto anche da un’aristocratica dignità e da una coscienza di galantuomo che non permettevano tentennamenti».16 Indipendente e fiero, Monaldo fu sempre coerente e risoluto nel far sentire la propria voce, non risparmiando critiche e osservazioni neppure a quel governo pontificio che pure aveva legittimato, anche a rischio di una paradossale emarginazione. E così avvenne. Proprio la curia romana intervenne per la chiusura del caustico giornale, «La voce della ragione», dalle cui colonne Monaldo discuteva a suo modo di religione e morale, e intervenne con fermezza censurando il giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 55 pamphlet La giustizia nei contratti e l’usura, in risposta a un saggio dell’abate Marco Mastrofini che a giudizio del conte violava le pure dottrine della Chiesa, e soprattutto quando il conte si schierò nella disputa Cesarini-Torlonia de legitima vel illegittima filiazione, che a Roma creava più di qualche mormorio nei buoni salotti. Le duchesse Geltrude e Anna Sforza Cesarini tentavano l’estromissione dalla linea ereditaria di Lorenzo, figlio illegittimo di Geltrude ma riconosciuto dalla Sacra Rota, a favore di Giulio Torlonia, figlio di Anna. Monaldo, invitato alla scrittura dall’avvocato Niccola Manari, si pronunciò esprimendo forti riserve sulla imminente sentenza del Tribunale ecclesiastico che, legittimando un adulterio, avrebbe costituito, a suo ragionato parere, un precedente pericolosamente innovatore. L’opuscolo, Una causa celebre nella età presente e nelle età future,17 recentemente acquisito dalla Biblioteca, venne pubblicato anonimo. Ma che proprio il conte recanatese ne fosse l’autore era cosa ovunque risaputa, e proprio a lui si rivolsero le gerarchie curiali quando lo costrinsero a ritrattare le sue parole per una forse troppo impavida affermazione contenuta in un’aggiunta all’edizione. Amareggiato dalla chiusura umana e ideologica di quelle autorità pontificie che pure aveva sempre difeso, Monaldo decise di dare libero sfogo alla propria verve critica pubblicando in Svizzera presso l’editore Veladini. Oltre a Le illusioni della pubblica carità, oltre confine comparve La santa casa di Loreto. Discussioni istoriche e critiche del 1841, ultima opera animosamente condotta per rendere omaggio alla verità storica e dimostrare, attraverso lunghi e ragionati studi, che il trasferimento della casa sui colli lauretani non accadde sul finire del Trecento, come pure molti studiosi asserivano, ma molti anni dopo.18 Alla fine di una lunga malattia che gli permetteva a fatica di scrivere, Monaldo morì il 30 aprile 1847, in tempo per non assistere con sofferenza ai moti dell’anno successivo che sconvolsero l’Europa. Chissà cosa ne avrebbe scritto. NOTE 1 MONALDO LEOPARDI, Autobiografia, con Appendice di Alessandro Avoli, Roma, Befani, 1883, p. 325. 2 Ibi, p. 31. 3 Si confronti a questo proposito: ANDREA CAMPANA, Catalogo della Biblioteca Leopardi in Recanati, Firenze, Olschki, 2011, recentemente acquisito dalla Biblioteca di via Senato. 4 Citato in ALFREDO PANZINI, Casa Leopardi, Firenze, Le Monnier, 1948, p. 160. 5 M. LEOPARDI, cit. p. 75. 6 Ibi, p. 36. 7 ALVARO VALENTINI in Autobiografia, a cura di Anna Leopardi, Transeuropa, 2003, p. VII. 8 M. LEOPARDI, Autobiografia, p. 339. 9 Possedute anche le Aggiunte alla prima, seconda, e terza edizione dei Dialoghetti e le Aggiunte alla sesta edizione, entrambe per Nobili, 1832. DBI 64, p. 656. M. LEOPARDI, Prediche recitate al popolo liberale da Don Muso Duro curato del paese della verità e nella contrada della poca pazienza, [s.l.], [s.n.], 1832. 12 M. LEOPARDI, Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori proposto dai redattori della Voce della Ragione, Pesaro, Nobili, 1832. 13 CARLO GRABHER, in Autobiografia e Dialoghetti, Bologna, Cappelli, 1972, p. 11. 14 A. VALENTINI, p. VIII. 15 M. LEOPARDI , Autobiografia, p. 7. 16 C. GRABHER, cit. p. 10. 17 L’opuscolo divenne protagonista di un gustoso botta e risposta a distanza che coinvolse il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli: anch’egli infatti si occupò a più riprese della celebre causa, ma con intenti opposti: con i sonetti romaneschi Li du’ senatori e La causa Scesarini, colse l’occasione per farsi interprete della voce popolare, condannando il cinismo di cui stavano dando prova nei tribunali le duchesse Cesarini. 18 Completano il gruppo delle edizioni di Monaldo Leopardi presenti nel Fondo Antico della Biblioteca i seguenti titoli: Catechismo sulle rivoluzioni, Modena, Per gli eredi Soliani tipografi reali, 1832; Otto giorni dedicati ai liberali illusi, del 1833; le Considerazioni sulla storia d'Italia continuata da quella del Guicciardini di Carlo Botta nelle tre edizioni di Livorno, Migliaresi, 1836; Venezia, Antonio Rosa,1834 (rarissima) e Nobili, 1834; Pensieri del tempo, Fossombrone, Rossi e Lana, 1836; Le parole di un credente come le scrisse l'abate F. de La Mennais quando era un credente, Modena, Vincenzi, 1836; la Lettera al signor preposto Antonio Riccardi di Bergamo in replica alla sua critica polemica sopra Le discussioni lauretane, Lugano, Veladini, 1841 e l’Apologia della corrispondenza di Monteverde contro il giornale La Voce della Ragione […] del 1835. 10 11 56 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 BvS: il libro ritrovato Diario del secolo decimonono tra cronaca e aneddoto Alfredo Comandini e la cronologia come “aritmetica della storia” PAOLA MARIA FARINA T ra i volumi ordinatamente disposti in fila sugli scaffali della nostra biblioteca, in attesa di essere consultati da qualche studioso o semplicemente curioso di storia dell’Ottocento, spiccano i cinque tomi piuttosto poderosi dell’opera intitolata L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata compilata da Alfredo Comandini (Faenza, 4 dicembre 1853 – Milano, 9 luglio 1923) e stampata a Milano da Antonio Vallardi tra il 1900 e il 1942. Antonio Alfredo Comandini (questo il nome completo dell’autore dell’impegnativa impresa storiografica) fu, oltre che storico, politico e giornalista apprezzato, appartenente a «quella generazione di uomini che sui valori degli anni eroici della creazione dello stato italiano […] plasmarono la loro formazione ideale e il loro agire politicamente e civilmente impegnato».1 Infatti, l’intera famiglia Comandini era attiva nella causa nazionale tanto che, quando il nostro nacque, il padre Federico si trovava in carcere, dopo essere stato arrestato come complice di una fallita rivolta.2 Alfredo Comandini trascorse un’infanzia abbastanza serena tra Faenza, Fabriano e soprattutto Ce- Ritratto di Alfredo Comandini contenuto nelle pagine introduttive al volume IV (dedicato agli anni dal 1861 al 1870) de L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata sena, dove visse fino al 1874, quando si trasferì a Roma per frequentare la facoltà di Giurisprudenza; furono questi gli anni in cui l’autore si legò ad ambienti e personalità della cultura laica, come Pasquale Stanislao Mancini (1817 – 1888) e Terenzio Mamiani (1799 – 1855), e abbracciò posizioni radicali che in seguito avrebbero lasciato il posto a idee più moderate.3 Tra l’altro, lo studioso conquistò proprio nel periodo universitario una certa notorietà in virtù della fondazione del Comitato che promuoveva l’erezione in città di un monumento a Giordano Bruno, iniziativa che venne lanciata nel 1876 ed ebbe risonanza internazionale. Conseguita la laurea nel 1879, non esercitò mai l’avvocatura, preferendogli l’attività di giornalista, avviata con la collaborazione al periodico cesenatese di sinistra “Satana”; l’esordio vero e proprio avvenne in Veneto, dove fu direttore de “Il Paese” (dal 1879 al 1880), gazzetta liberal-progressista della provincia di Vicenza, e, in seguito, a Verona, de “L’Alto Adige” (dal 1880 al 1883). La carriera di giornalista di Comandini conobbe la sua stagione più brillante a Milano, con la direzione, dapprima, del quotidiano “La Lombardia” (dal 1883 al 1891), che divenne in breve una delle testate più seguite e autorevoli, e, successivamente, dal luglio 1891 al novembre 1892, del “Corriere della Sera”.4 La collaborazione con il periodico di Eugenio Torelli-Viollier continuò anche negli anni 1893 e 1894, ma non più giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano nel ruolo di direttore politico-letterario; impegnato, infatti, in Parlamento nel gruppo di Sidney Sonnino a seguito dell’elezione come deputato per il Collegio di Cesena, Comandini rimase al “Corriere” come corrispondente da Roma.5 Dopo il tentativo fallito di lanciare una nuova rivista, “Il Corriere del Mattino”, e un’ultima esperienza di giornalista politico per “La Sera” (tra il 1895 e il 1896), l’autore decise di rivolgere ogni suo sforzo a un’impresa di carattere storicocompilativo che proprio in quegli anni aveva ideato.6 «Negli studi storici e risorgimentali, nelle ricerche minute d’archivio Alfredo Comandini trovò una nuova ragione di vita e ad essi si dedicò completamente mettendo a frutto la ricca biblioteca e la infinita ed eterogenea documentazione che già da tempo andava raccogliendo».7 L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata è una sterminata cronologia dei fatti dell’Ottocento avvenuti nella Penisola, raccontati secondo una scansione quotidiana; ideata originariamente in tre volumi e stampata da Vallardi in dispense a partire dal dicembre 1899, l’opera andò via via dilatandosi per l’accumularsi del materiale reperito dallo studioso e per l’amplissima documentazione iconografica selezionata, a tal punto che, dopo i primi due volumi (usciti nel 1901 e nel 1907), «fu necessario ripartire i cinquant’anni ancora da trattare in altri tre volumi che videro la luce rispettivamente nel 1917, 1929 e 1942».8 Alla morte di Comandini la cronologia era giunta solo all’89° fascicolo del quarto volume (giugno 1864) e all’originario compilatore subentrò Antonio Monti 57 Dall’alto: un esempio delle molte illustrazioni di moda contenute nell’opera di Comandini (volume I, pp. 1228-1229); frontespizio del volume II de L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata. In antiporta è presentato il piano originario dell’opera, che prevedeva solamente tre volumi (volume I: 1801-1825; volume II: 1826-1849; volume III: 1850-1900). Successivamente, alla luce dell’abbondanza del materiale reperito, il progetto editoriale fu rivisto e il numero dei tomi fu portato a cinque, con una diversa suddivisione cronologica 58 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 A sinistra: tra le illustrazioni che compaiono con maggior frequenza nel testo vi sono ritratti di personaggi illustri, monete, medaglie e copie di documenti del tempo, per ciascuno dei quali l’autore indica la collezione di provenienza. Sotto da sinistra: la Galleria Vittorio Emanuele II in Milano inaugurata il 15 settembre 1867; una vignetta satirica contenuta nel volume III rappresentante Cavour in qualità di ministro delle Finanze. Nella pagina accanto: illustrazioni che accompagnano l’inizio della sezione dedicata al 1876 (volume V): un’immagine del calendario di quell’anno e una riproduzione del “Giuoco del Tesoro delle Famiglie” (1885 – 1953), storico e direttore per oltre un ventennio del Museo del Risorgimento di Milano, il quale si impegnò a portare a termine il lavoro, finendo, però, con l’abbassarne livello e qualità dell’informazione.9 La precisa cronologia che si snoda nei volumi permise all’autore di esporre in maniera ordinata e puntuale un’enorme quantità di informazioni, raccolte attingendo a manuali, testi, periodici, fonti e altri documenti coevi raffrontati tra loro in modo da emendarne gli errori e verificare eventuali incongruenze. Il metodo di lavoro seguito appare estremamente rigoroso ed è emblematico, a questo proposito, quanto lo studioso dichiara nelle pagine introduttive al volume III, laddove afferma che «la cronologia è l’aritmetica della storia»,10 aggiungendo di aver lavorato mirando «preferibilmente a mettere a posto – quanto più possibile – le date».11 Attento non solo ai fatti storici più rilevanti, ma anche agli eventi di minor spicco e a quelle «minuzie che troppi disdegnano come futilità immeritevoli di fermare l’attenzione di scrittori ‘alati e geniali’»,12 lo storico fu in grado di realizzare un autentico diario del secolo XIX, zeppo di preziose informazioni che altrimenti sarebbero andate irrimediabilmente perdute. Servendosi della vivacità stilistica e narrativa che gli derivava dal suo lavoro di cronista, del metodo rigoroso e analitico dello storico e della curiosità del bibliofilo, si dimostrò colto divulgatore, costruendo un’opera che sapientemente riesce a informare e insieme dilettare, accostando gli eventi destinati a segnare la storia alla cronaca e alla nota di costume. Nel testo si possono leggere notizie relative a cerimonie uf- giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 59 ficiali, feste cittadine, rappresentazioni teatrali, manifestazioni artistiche, registrazioni di nascite e morti, vicende climatiche, fenomeni e catastrofi naturali, tutte in gran parte accompagnate da illustrazioni. «L’Italia nei cento anni non è un’opera di semplice compilazione storica, anche se questa enciclopedia biografico-storica racconta attraverso le immagini le vicende di ogni stato italiano in ciascun giorno, è facile accorgersi che le notizie sono scelte da uno spirito acuto, personalissimo, che sa essere obiettivo senza rinunciare ad una critica: ma essa si evince dall’ordinamento dei fatti, sempre accompagnati da incisioni e illustrazioni rispondenti al testo e ricavate da documenti dell’epoca».13 La seconda caratteristica sostanziale dell’edizione è proprio la ricchezza dell’apparato iconografico, tratto da materiali rigorosamente coevi ai fatti, ma comunemente ritenuti di scarso interesse storico: fogli volanti, calendari, monete, figurini di moda, costumi militari, bandiere, stendardi, gazzette, periodici, strenne, inviti a feste, bigliettini intestati, ritratti, fotografie e opuscoli di varia natura.14 Alfredo Comandini con il suo diario storico-aneddotico ha dato testimonianza preziosa delle vicende italiane nel secolo dell’unificazione, fatto al quale l’autore guarda come il momento cruciale dell’Ottocento, dimostrando, così, un’autentica fedeltà agli ideali della storia civile del Paese. Testo di grande successo al momento della pubblicazione, è ancora oggi effemeride storica che si lascia sfogliare con piacere e che riserva a chi la scovi tra gli scaffali della biblioteca non poche sorprese. NOTE 1 DANIELA SAVOIA, Dalla parte di Alfredo Comandini. Note per una biografia, in GIUSEPPINA BENASSATI – DANIELA SAVOIA (a cura di), L’Italia nei cento anni. Libri e stampe della biblioteca di Alfredo Comandini, Bologna, Grafis Edizioni, 1998, p. 1. 2 Ibidem. 3 Ibi, p. 2. 4 GIUSEPPE MONSAGRATI, Comandini, Alfredo (Antonio), in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982, p. 516. 5 Proprio in quegli anni Comandini fu inviato in Sicilia per realizzare un reportage sui disordini scoppiati nell’isola. Continuò soltanto, in virtù del suo sodalizio con Emilio Treves, a curare una rubrica settimanale per “L’Illustrazione italiana”. 7 D. SAVOIA, Dalla parte di Alfredo Comandini, p. 5. La biblioteca costituita da Alfredo Comandini e dai suoi successori è stata donata al Comune di Cesena negli anni ’70; il fondo, conservato presso la biblioteca Malatestiana, comprende oltre 15000 volumi e quasi altrettanti opuscoli, 692 monete, 966 medaglie, 479 manoscritti, oltre a disegni, fotografie, cartoline illustrate, dipinti e sculture (fonte: http://www.malatestiana.it/page.asp?IDProdotto=81; controllato il 23/05/2012). 8 G. MONSAGRATI, Comandini, Alfredo (Antonio),p. 517. Ibidem. ALFREDO COMANDINI, L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata. 1850-1860, Milano, Antonio Vallardi, 1907-1918, p. X. 11 Ibi, p. XI. 12 ALFREDO COMANDINI – ANTONIO MONTI, L’Italia nei cento anni del secolo XIX (18011900) giorno per giorno illustrata. 18711900, Milano, Antonio Vallardi, 1930-1942, p. XI. 13 DANIELA SAVOIA, Tesori di carte, in G. BENASSATI – D. SAVOIA (a cura di), L’Italia nei cento anni, p. 17. 14 G. BENASSATI – D. SAVOIA (a cura di), L’Italia nei cento anni, p. 163. 6 9 10 60 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 BvS: rarità per bibliofili Alberto Casiraghy: «il panettiere degli editori» La “casa” editrice Pulcinoelefante compie 30 anni VALENTINA CONTI «C hi pianta sogni vive in eterno», «L’altruismo è un’occasione stupenda per essere felici», «La vita è un capolavoro senza limiti di tempo», «Scrivo aforismi perché cerco!», «Scrivo aforismi perché amo gli abissi di poche parole».1 Non c’è modo migliore per presentare Alberto Casiraghi (o meglio Casiraghy come ama firmarsi per distinguersi dai suoi omonimi) se non citando i suoi aforismi. È un uomo che vive di poesia, nella sua casa a Osnago, in Brianza, dove accoglie chiunque abbia voglia di “giocare” con lui, le parole e i colori per realizzare i suoi libretti. Dal 1982, infatti, è editore delle pubblicazioni Pulcinoelefante, piccole plaquette di 4 pagine, realizzate con pregiata carta tedesca a mano Hahnemühle. In copertina sono sempre stampati il titolo e il nome dell’autore, più in basso quello dell’artista, sulla prima pagina si trova un breve testo (una frase, una citazione, un aforisma o una poesia) e sul recto successivo un’opera ispirata dalla frase, che può essere realizzata in qualunque genere e materiale. Il formato è generalmente 13,5 x 20 cm e sull’ultimo foglio nel colophon sono riportati i dettagli dell’edizione e Incisione di Adriano Porazzi colorata a mano in Incidit, Osnago, Pulcinoelefante, 1999 la data. Il testo è realizzato con caratteri mobili Bodoni, Garamond e Times (i tipi in piombo sono un dono dello stampatore Giorgio Lucini), che Casiraghy imprime personalmente utilizzando l’Audax Nebiolo, una macchina tipografica, che troneggia nel salotto della casa, rappresentandone il cuore. L’editore l’acquistò a prezzo di liquidazione nel 1985 quando fu chiusa la tipografia Same di Milano, dove aveva lavorato come tipografo stampando alcuni tra i quotidiani più importanti dell’epoca come “Il Giornale”, “la Notte”, il “Corriere d’Informazione” e “l’Avanti!”. La storia della Pulcinoelefante cominciò in un «pomeriggio ventoso» del 1982 durante un incontro di Casiraghy con il pittore Carlo Carnà: stamparono il primo libricino, Una lirica di Carnà, con un torchio manuale e come marca editoriale fu scelto un disegno ideato dall’editore brianzolo quando era ancora ragazzino per illustrare il racconto L’errore del pulcino tratto da Il libro degli errori di Gianni Rodari. Il primo anno fu realizzato solo quel libretto, ma oggi la Pulcinoelefante annovera 8600 pubblicazioni, tutte conservate presso l’archivio della “casa” editrice, ovvero la camera da letto dell’abitazione di Osnago. In un totale clima egualitario, la possibilità di stampare è offerta a tutti, sia a grandi scrittori come Gillo Dorfles, sia al bambino che passa e fa una battuta (ad esempio un libretto è stato realizzato con la frase di una bambina di cinque anni: «Quando non so cosa fare rido»). A prescindere da chi sia l’autore i libretti venduti da Casiraghy hanno un costo fisso di 10 euro, un prezzo accessibile a tutti perché l’editore crede nell’idea che giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 61 Frontespizio, testo di Alda Merini e illustrazione di Antonietta Viganoni in Una poesia, Osnago, Pulcinoelefante, 2001 «la bellezza deve essere un bene collettivo». Nonostante ciò, accade di trovare alcuni libricini, che passando di mano in mano, sono venduti ad un prezzo di oltre 100 euro. È possibile perché le tirature sono limitate, generalmente tra le 25 e le 33 copie, fattore che rende più preziose le pubblicazioni, e perché metà restano di proprietà dell’editore, metà vengono lasciate all’autore. Per Casiraghy la conditio sine qua non del suo lavoro è la libertà, agli autori e agli illustratori è totalmente lecito esprimersi come preferiscono, chi entra nella sua casa può usare ciò che preferisce perché ricorda l’editore: «non bisogna essere gelosi delle proprie cose, ma essere generosi e metterle a disposizione di chi le vuole usare» (fatta eccezione per l’Audax, ma solo perché è un macchinario delicato e bisogna saperlo maneggiare). Tra gli esempi più bizzarri in campo di sperimentazione artistica basti ricordare le Crocifritture mistiche di Jacob De Chirico, un artista nordico che realizzò dei crocefissi impanati accompagnandoli a un pensiero di Gianmarco Chiavari. Spiega Casiraghy: «nel mio lavoro c’è sempre la giocosità, ma legata alla professionalità di fondo, altrimenti diventa naïf. È come improvvisare jazz, bisogna aver studiato bene uno strumento per saperlo suonare improvvisando». Il riferimento alla musica non è casuale perché l’editore dopo l’esperienza alla Same fu anche violinista e liutaio oltre che scenografo, pittore e sculture. Poliedrico nelle attività svolte, ma anche nel rapportarsi con la gente, Casiraghy riconosce che incontrando molte persone diverse, bisogna avere la capacità di trasformarsi, come un camaleonte, e adattarsi ogni volta al proprio interlocutore, in particolare «gli scrittori famosi non sono mai dei bravi ragazzi, ma bisogna sapersi adattare a tutti e soprattutto farlo con gioia». Con questo atteggiamento l’editore ha vissuto molti incontri importanti, tra tutti va ricordato quello con la poetessa Alda Merini, amica inseparabile, che oggi ricorda con nostalgia: «Era grande come Mozart. Una donna strepitosa con tante sfaccettature, era unica, nessuno le somiglia». La scrittrice, che definiva la casa di Osnago «il grande manicomio privato di Alberto» compose per l’amico editore il Manifesto del pulcinirismo: «il disegno per Casiraghy è un mito / e la linea la logica della sua distruzione. / Il colore è il vero ambiente per Alberto, / vale a dire che il trauma della luce / opera in lui fantasiosi ricordi. / Scrive come un bambino, / portandosi dietro pesi che a volte / sembrano pesanti, ma tutti all’insegna / di un’allegria sconsiderata che fa il cuore / di tutti i grandi artisti. / …e come dice la sua insegna: è un pulcino che ha salvato le parole di grandi elefanti. / Alda Merini 13 maggio 1999» e realizzò anche Breve storia del Pulcinoelefante che contiene questa poesia: «Notte tempo / il vecchio portò suo figlio / sul monte dell’elefante, / ma lo salvò il pulcino / perché dovevano nascere 62 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 Frontespizio, testo di Franco Loi e acquarello di Franco Spazzi, El ref, Osnago, Pulcinoelefante, 1998 i librini di Alberto». La collaborazione tra i due diede vita a più di 1500 libretti, tutti realizzati con illustratori differenti, tra cui l’editore stesso. Dopo la morte della scrittrice, Casiraghy ha consegnato alle figlie di lei gli scritti ancora non pubblicati, ma durante il nostro incontro ha voluto regalarci qualche aforisma inedito della poetessa: «La mia parola vive in uno spazio segreto»; «Ciò che un editore sa dei suoi poeti sono le virgole»; «Come Picasso ha avuto i suoi rosa e i suoi blu io sto attraversando il mio periodo nero»; «La fama si conquista con la solitudine»; «Quando non riesco a parlare vado a prendere la legna nel bosco e accendo le mie speranze» quest’ultimo delicatissimo pensiero la Merini lo dettò mentre era in ospedale. Un altro incontro importante per Casiraghy fu quello con Vanni Scheiwiller che lo definì «Il panettiere degli editori: l’unico che stampi in giornata»2 e giocando con il nome della casa editrice disse: «al suo nome sono legate numerose tirature, piccole come pulcini e degne della memoria degli elefanti»3. Casiraghy lo ricorda come un uomo difficile con cui bisognava misurare le parole, ma di grande talento e capace di dare grandi consigli; diventarono grandissimi amici, e l’editore favorì la collaborazione tra la Pulcinoelefan- te e scrittori famosi come Ginsberg, Corso e Ferlinghetti.4 Il brianzolo rappresentava l’editore ideale per Scheiwiller, perché con la sua velocità di esecuzione e le stampe limitate a poche copie si avvicinava al concetto di tiratura perfetta: -1. Ogni Pulcinoelefante ha un’illustrazione diversa da tutte le altre e circa un migliaio delle piccole opere realizzate da svariati artisti sono state intagliate nel legno di bosso dal maestro artigiano Adriano Porazzi, grande incisore e ultimo praticante della xilografia commerciale in Italia. «Adriano Porazzi era un incisore straordinario e un uomo di grande NOTE 1 ALBERTO CASIRAGHY, Quando. Novantanove aforismi quieti e inquieti, Ro Ferrarese, Book editore, 2011; ALBERTO CASIRAGHY, Gli occhi non sanno tacere. Aforismi per vivere meglio, Novara, Interlinea, 2011. 2 VANNI SCHEIWILLER, Edizioni Pulcinoelefante, catalogo generale 1982-2004, Libri Scheiwiller, Milano, 2005, p. 1. 3 SEBASTIANO VASSALLI, Pulcinoelefante, i piccoli libri diventano grandi in «La Stampa», Edizioni La Stampa S.P.A., Torino, 3 giugno 2007. 4 ALBERTO CASIRAGHY, Gli occhi non sanno tacere, Novara, Interlinea, 2010, pag. 7. 5 ALBERTO CASIRAGHY, Adriano Porazzi Xilo- grafie – Opere incise per le Edizioni Pulcinoelefante 1994-1996, a cura di Simone Bandirali, Edizioni Pulcinoelefante, Milano, 1996, p. 9. Cfr. Tesi di laurea di CLAUDIA TAVELLA, Stamperie private in Italia fra tradizione e modernità, Politecnico di Milano, facoltà del design, corso di laurea in design della comunicazione, a.a. 2009/2010, relatore prof. James Clough. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano sensibilità. Nei nostri brevi incontri non parlavamo mai di immagini incise, ma del senso della vita e del tempo che passa. Amava definirsi un “dinosauro che vede dall’alto”»5. Tra gli esemplari della Pulcinoelefante conservati presso la Biblioteca di via Senato è possibile ammirare alcune opere di Adriano Porazzi, ad esempio in Incidit sono impresse 8 incisioni create dal maestro e colorate a mano, realizzate a Osnago nell’agosto 1999 in edizione limitata a 33 copie, oppure in Un pensiero è stampato un breve testo di Franco Sciardelli accompagnato da un disegno di Alberto Casiraghy inciso da Adriano Porazzi e colorato a mano, in edizione limitata a sole 19 copie. È dall’inizio degli anni Novanta che i Pulcinoelefante hanno cominciato ad acquistare la fama di cui godono ora, ovvero dall’incontro di Casiraghy con la rassegna annuale dei piccoli editori Parole nel tempo organizzato al castello di Belgioioso, in provincia di Pavia. Da allora sempre più persone, famose e non, hanno varcato la porta della casa di Osnago per stampare nuovi libretti, e proprio come cita un altro aforisma della Merini: «La casa della poesia non avrà mai porte». La notorietà dei Pulcinoelefante ha superato anche i confini italiani, come conferma Casiraghy: «Questi libricini, soprattutto grazie alle mostre, mi hanno fatto andare in tutto il mondo: a New York, nell’Indiana, a Tokyo, Ravenna e la prossima esposizione sarà a Ferrara a partire da settembre 2012». «Tutto quello che faccio è per amore della poesia» questo ripete Alberto Casiraghy a ogni intervista, «sono un privilegiato che ha potuto fare del suo hobby un lavoro. Colla- 63 Frontespizio, testo di Franco Sciardelli, illustrazione disegnata da Casiraghy e incisa da Adriano Porazzi, in Un pensiero, Osnago, Pulcinoelefante, 2000 boro sempre con persone simpatiche, perché vado dove hanno voglia e piacere di incontrarmi. Ma in fondo faccio solo libricini.» Alberto Casiraghy è un uomo umilissimo, che racchiude in sè un mondo meraviglioso che si percepisce attraverso i suoi libretti. Bruno Munari riuscì a descriverlo in un suo aforisma: «Un bravo stampatore per fare buona impressione deve avere un ottimo carattere». Mentre parliamo tra tutti i libricini Casiraghy ne sceglie uno realizzato da Melyndra, pseudonimo di una giovane ragazza che spesso collabora con l’editore, il quale ci confida di vedere in lei una sua possibile erede. Da 30 anni la Pulcinoelefante regala l’occasione di trascorrere del tempo nella casa di Osnago, un privilegio concesso a tutti, un’opportunità di vivere per un giorno in un mondo fatto di poesia e libertà. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 65 BvS: il Fondo Impresa Marcello Dudovich: l’arte applicata alla pubblicità Il grande maestro della cartellonistica pubblicitaria GIACOMO CORVAGLIA S ono trascorsi cinquant’anni dalla morte di Marcello Dudovich. «Illustratore e cartellonista di successo, … spesso d’avanguardia ma mai di rottura, innovatore a ragion veduta, rispettoso della tradizione figurativa seppur consapevole delle enormi potenzialità del manifesto moderno, per la sua lunghissima e fortunata attività, costituisce uno dei riferimenti del cartellone pubblicitario in Italia.» dal Dizionario biografico degli italiani. Marcello Dudovich nasce a Trieste il 21 marzo del 1878. Suo nonno era un pescatore di Traù, in Dalmazia e suo padre Antonio un impiegato delle Assicurazioni Generali di Trieste. L’infanzia e l’adolescenza di Dudovich sono quelle di un ragazzo svogliato e indisciplinato ma molto curioso e portato per il disegno. Frequenta le scuole Reali ottenendo buoni voti solo nel disegno. Come ricorderà lo stesso Dudovich: «Ho incominciato a disegnare ragazzino, sui quaderni, sui muri, sui margini dei giornali; una volta persino su un lenzuolo steso ad asciugare e poi sono andato avanti a forza di bocciature». E ancora: «Impiegavo le ore delle lezioni scolastiche a riempire di figure e di figurine ogni foglio bianco che mi trovassi fra le mani». Sopra: Marcello Dudovich. Bozzetti e manifesti per La Rinascente. Nella pagina accanto: copertina illustrata da Dudovich del depliant pubblicitario del 1932 Quattro crociere estive in Mediterraneo “Conte Verde” luglio – agosto 1932 – X Dopo aver frequentato le scuole Reali, ancora adolescente, viene introdotto da suo cugino Guido Grimani nel Circolo Artistico Triestino ed entra in diretto contatto con le maggiori personalità che animano l’ambiente culturale della città. Eugenio Scomparini è il presidente del Circolo ed è il maestro di molti degli artisti che qui si riuniscono. Tra gli allievi di Scomparini emerge Arturo Rietti e proprio da lui che Marcello Dudovich trae i primi insegnamenti improntati ad un realismo di stampo monacense. Ed infatti sarà proprio il viaggio a Monaco di Baviera, avvenuto probabilmente attorno al 1896 a caratterizzare sensibilmente l’opera di Dudovich negli anni seguenti. Il giovane artista frequenta le lezioni di nudo all’Accademia della città tedesca e si interessa anche di arte decorativa che sarà alla base della sua opera di cartellonista pubblicitario. Attorno al 1898 si trasferisce a Milano, il luogo più adatto allo sviluppo dell’istruzione professionale, dell’arte applicata all’industria e della moderna pubblicità. Lì viene assunto alle Officine Ricordi come litografo, dal cartellonista Leopoldo Metlicovitz, suo conterraneo, che avverte l’eccezionale talento del giovane e gli affida, oltre al lavoro di cromista, quello di pittore incaricandolo di eseguire dei bozzetti. Fino al 1889 la Ricordi era stata un’im- 66 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 riviste tra cui “Italia Ride”. Nel 1900 è premiato all’Esposizione Universale di Parigi con la medaglia d’oro, negli anni successivi collabora alle illustrazioni di “Novissima” e dal 1906 a “Il Giornalino della Domenica” di Firenze. Tra gli altri periodici con cui collabora vanno ricordati “Varietas”, “Ars et Labor”, “Secolo XX” e le copertine a colori de “La Lettura” e “Rapiditas”. Dopo una breve parentesi genovese, nel 1905 è nuovamente a Milano presso le Officine Grafiche Ricordi dove continua la produzione di manifesti, tra i quali restano famosi quelli per i magazzini Mele di Napoli (1907-1914) e per Borsalino. Nel Fondo dell’impresa italiana dall’unità ad oggi della nostra Biblioteca è conservato un bellissimo volume pubblicato nel 1988 da Arnaldo Mondadori editore e da De Luca edizioni d’arte I manifesti Mele. Immagini aristocratiche della “belle époque” per un pubblico di Grandi Magazzini. Il catalogo della mostra tenutasi a Napoli e curato da Mariantonietta Picone Petrusallustra, ripercorre l’evoluzione dei cartelloni pubblicitari proprio nel periodo di maggior splendore che va dalla fine dell’Ottocento sino allo scoppio della Grande Guerra. presa editoriale per la pubblicazione di partiture di opere liriche ma, proprio dalle esigenze pubblicitarie di questa attività, ne derivò la stampa di “avvisi d’opera figurati”, così venivano chiamati in quel periodo i manifesti pubblicitari. Nacquero così le Officine Grafiche Ricordi, specia- lizzate appunto nella stampa del cartellone litografico e fucine per i giovani artisti italiani. Nel 1899 il litografo Edmondo Chappuis lo invita a Bologna dove inizia a produrre cartelloni pubblicitari e, in seguito, copertine, illustrazioni e schizzi per varie Nel 1911 va a Monaco di Baviera per sostituire Reznicek come disegnatore nella redazione di “Simplicissimus”. Nella città bavarese resta sino al 1914 quando, a causa dell’inizio della prima guerra mondiale è costretto a tornare in Italia a Torino, ottenendo l’esonero dal servizio di leva, in realtà non per sua volontà, ma per l’accusa di essere filo tedesco. Tale sospetto giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano derivava dal fatto di essere stato per anni collaboratore del “Simplicissimus” di Monaco. Come affermato dallo stesso artista: «Io, figlio di garibaldino, non potei partire. Una lettera era giunta alle autorità in cui mi si accusava di germanofilia…». Nonostante ciò nel 1917 viene chiamato dall’ufficio speciale del Ministero della Marina a firmare la copertina di un catalogo, edito da Alfieri & Lacroix, Sommergibili. Il “Monge” - l’“H. 3” - l’“U. C. 12” - I Nostri. L’opuscolo di 64 pagine illustra con il testo del comandante Guido Milanesi e 60 illustrazioni, tra foto e disegni, i sommergibili prodotti durante la guerra in Italia. Quindi tra il 1917 e il 1919 lavora a Torino per varie aziende tra cui la Fiat, l’Alfa Romeo, la Pirelli, le Assicurazioni Generali e produce anche molti cartelloni per il cinema. Tra il 1920 e il 1929 realizza i manifesti per “La Rinascente” di Milano, stampati dalle Officine d’Arti Grafi- 67 Sopra: serie di 3 cartoline postali disegnate da Dudovich: Libro domestico di risparmio della banca agricola italiana; La Rinascente, Piazza Colonna, Roma; Aurum Liquor. A sinistra: Marcello Dudovich. Bozzetti e manifesti per La Rinascente. Nella pagina accanto: copertina illustrata da Dudovich del catalogo Sommergibili. Il “Monge” - l’“H. 3” l’“U. C. 12” - I Nostri che Gabriele Chiattone, e nel 1922 diventa direttore artistico dell’I.G.A.P. ossia l’impresa Generale di Affissioni e Pubblicità. Nel 1996 per volontà del Gruppo Rinascente viene pubblicato da Fabbri editori Marcello Dudovich. Bozzetti e manifesti per La Rinascente. Il volu- me, curato da Roberto Curci ripercorre, attraverso una carrellata di manifesti, tutta la prolifica collaborazione tra Dudovich e La Rinascente. Inoltre la biblioteca possiede tre cartoline postali a colori illustrate dall’artista. La prima La Rinascente, Piazza Colonna, Roma ritrae l’e- 68 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 glio – 2 agosto. Una grande Crociera, dal Tirreno al Bosforo e all’Adriatico – Quattordici giorni su sei mari, toccando nove dei porti più famosi del Mediterraneo. Un viaggio indimenticabile per chi avrà la fortuna di parteciparvi.” “3) Crociera Adriatica. 4 agosto – 9 agosto. Una breve, deliziosa Crociera, tra le spiagge più eleganti dell’Amarissimo – Cinque giorni di sole, d’azzurro lungo coste incantevoli.” “4) Periplo Italico. 14 agosto – 22 agosto. Una Crociera Classica, su tutti i mari che bagnano la Penisola – L’ intera visione delle coste d’ Italia in un viaggio fantastico di nove giorni – Un viaggio che ogni italiano dovrebbe fare”. I manifesti Mele. Immagini aristocratiche della “belle époque” per un pubblico di Grandi Magazzini. sterno dell’edificio a Roma con davanti tre passanti, una donna e due uomini. La seconda Aurum Liquor pubblicizza il liquore prodotto dalle Distillerie dell’Aurum di Pineta di Pescara. La terza cartolina pubblicizza il Libro domestico di risparmio della Banca Agricola Italiana. Dalla fine degli anni ‘20 Dudovich accoglie alcuni dettami dello stile del Novecento prediligendo le forme semplici con un accennato chiaroscuro, pur senza abbandona- re la sua tradizionale eleganza. Come si può notare nell’ illustrazione della copertina del depliant pubblicitario del 1932 Quattro crociere estive in Mediterraneo “Conte Verde” luglio – agosto 1932 – X. Il foglio di grande formato ripiegato più volte pubblicizza gli itinerari delle 4 crociere: “1) Crociera Tirrena. 11 luglio – 16 luglio. Sei giorni in mare, sul più azzurro dei mari, sotto il più brillante dei cieli… sostando dinanzi alle spiaggie più incantevoli e più frequentate da San Remo a Capri!” “2) Crociera il Levante. 19 lu- Tra il 1937 e il 1936 Marcello Dudovich si reca in Libia, chiamato da Italo Balbo, per un lungo soggiorno e vi ritornerà nel 1951 ospite di suo nipote. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale sono anni difficili e spesso drammatici con la perdita della moglie Elisa Bucchi nel 1945. Negli anni cinquanta la pubblicità diviene una “scienza esatta”, basata su preliminari indagini di mercato che condizionano profondamente l’estro dell’artista e la figura romantica del cartellonista finisce di esistere. Questo si può vedere nel catalogo della mostra tenuta nel 1996 a Marina di Pietrasanta Da Dudovich a Testa. L’illustrazione pubblicitaria della Martini & Rossi. Marcello Dudovich muore a Milano il 31 marzo del 1962 a ottantaquattro anni. In occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte le poste italiane lo celebrano con un annullo postale. giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano 69 BvS: nuove schede Recenti acquisizioni della Biblioteca di via Senato Novità per bibliofili arricchiscono i fondi antico e moderno Arianna Calò, Valentina Conti, Giacomo Corvaglia, Margherita Dell’Utri, Paola Maria Farina, Annette Popel Pozzo e Beatrice Porchera Accurata Utopiae Tabula Das ist Der neu-entdeckten Schalck-Welt, oder des so offt benannten, und doch nie erkannten Schlarraffenlandes […] anmuthig und nutzlich vorgestelt durch Authorem Anonymum. Officina Hommaniana [i.e. Norimberga, Johann Baptist Homann, 1716]. Carta di 520x615 mm, con colorazione coeva a mano, dall’Atlas Novum Terrarum, raffigurante il paese di Cuccagna, ricordato come mitico luogo d’abbondanza, di delizie, di felicità e di libertà. La fittizia carta geografica di chiara impronta favolosa e utopica fu pubblicata per la prima volta in Johann Andreas Schneblins Erklärung der Wunderseltzamen Land-Charten Utopiæ (1694). Il ricco uso letterario del paese di Cuccagna (Vocabolario Treccani: “dal lat. mediev. Cocania ‘paese dell’abbondanza’, nome prob. foggiato con una voce germ. indicante dolciumi (cfr. ted. Kuchen ‘dolce, torta’) e la terminazione ania di nomi di regione”) spazia da La nave dei folli di Sebastian Brant del 1494 attraverso il paese di Bengodi descritto da Boccaccio fino alle citazioni moderne di Collodi “Credi di essere nel Paese della Cuccagna?” nel Pinocchio o di Alessandro Manzoni “Che sia il paese di cuccagna questo?” nei Promessi sposi. Tooley, Geographical Oddities 87. (A.P.P.) Alighieri, Dante (1265-1321). La Commedia di Dante Alighieri fiorentino. Nuovamente riveduta nel testo e dichiarata da Brunone Bianchi. Firenze, Le Monnier, 1857. Quinta edizione, a cura di Brunone Bianchi (1803-1869), in molti luoghi ritoccata e contenente il Rimario con paginazione autonoma. Sulla formazione del curatore Bianchi è noto che “si impiegò come correttore di bozze nella stamperia Campiagi e passò poi in quella del Borghi. Ben presto, per i suoi interessi letterari, il B. entrò in contatto con l’ambiente culturale fiorentino di tendenza liberale moderata e ne subì l’influsso, in particolare del Lambruschini e del Capponi; alle idee di quest’ultimo egli si rifece in seguito nel dettare i criteri per la quinta edizione del Vocabolario della Crusca. La sua attività letteraria, ostacolata dalle strettezze economiche, si avviò a risultati concreti con la pubblicazione (1844) delle Aggiunte alle Note di Paolo Costa alla Divina Commedia, che, a partire dalla quinta edizione (Firenze 1857), divennero un commento tutto suo e nel 1868 arrivarono alla settima edizione” (DBI 10, p. 72). Fiske I, p. 26. Mambelli 296. Sull’editore vedi P. GALEATI, Di due tipografi editori, Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e Figlio, 1895. (M.D.U.) Azeglio, Massimo d’ (17981866). La sacra di san Michele disegnata e descritta dal Cav. Massimo D’azeglio. Venaria (TO), Graf art, 2010. Edizione anastatica curata dall’Associazione Amici della Sacra di san Michele in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Quest’opera, realizzata in 500 esemplari, intende ricordare e onorare Massimo d’Azeglio raccontando le 70 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 vicende personali che lo hanno condotto a stringere amicizia con Alessandro Manzoni e hanno permesso l’incontro tra Antonio Rosmini e il re. Carlo Alberto, affidando la Sacra ormai in rovina e in completo abbandono all’Istituto di Carità, designò il nuovo destino dell’antico monastero. L’edizione originale (San Michele disegnata e descritta dal cav. Massimo D’Azeglio, Torino, Tipografia Chirio e Mina, 1829) è un’opera rarissima, censita solo in quattro biblioteche in Italia, e fu la prima pubblicazione in Piemonte con illustrazioni in litografia (cfr. L. OZZOLA, La litografia italiana, Roma, Alfieri & Lacroix, 1923). Nei primi decenni dell’Ottocento le rovine della Sacra attrassero, in pieno clima romantico, l’attenzione artistica e letteraria di alcuni e poi quella turistica di molti. D’Azeglio seppe interpretare il fascino di queste rovine e della leggenda di Bell’Alda: “S’ignora in qual parte e da chi nascesse una donzella di mirabili forme detta Alda la bella: essa pure col padre riparava nelle sacre mura a sfuggir dal pericolo che le sovrastava per sua meravigliosa bellezza”. (V.C.) Calcagni Abrami, Artemisia; Chimirri, Lucia (a cura di). Per sommi libri: gli artisti delle avanguardie e il libro. Firenze, Centro Di, 2001. Catalogo della mostra che si è tenuta a Firenze nel 2001 in occasione della III Settimana per la cultura; il volumetto, dall’aspetto grafico particolarmente accurato, testimonia l’attenzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Biblioteca Nazionale Centrale fiorentina per il libro d’arte contemporaneo. Nell’opera sono presenti nu- merose riproduzioni fotografiche dei testi esposti: 83 delle oltre 4300 edizioni in tiratura limitata, illustrate da grandi artisti delle avanguardie novecentesche (come Picasso, Matisse, Mirò, Carrà e Warhol) appartenenti alla collezione Bertini. (P.M.F.) Cicero, Marcus Tullius (106 a.C.-43 a.C.). Marci Tullii Ciceronis Orpheus sive de Adolescente studioso, ad Marcum filium Athenas. Firenze, Tipografia Arcivescovile, 1831. Edizione limitata, curata da Etienne Audin de Rians, contenente la riproduzione facsimilare dell’edizione stampata a Venezia da Giovanni Battista Ciotti nel 1594. Nell’Avvertimento ai lettori Audin scrive: “Non si tratta qui di una scoperta di manoscritto palimpsesto, né di un’opera inedita; ma solo di riprodurre l’edizione originale d’un rarissimo opuscolo portante il nome di Cicerone, e che non fu mai riunito all’altre di lui opere. Essendone la presente pressoché il fac-simile, tanto per i caratteri e gli ornamenti, quanto per il sesto, inutile ne riescirebbe la descrizione, avendola noi persino imitata anche nella distribuzione delle linee parola per parola, ed in modo tale, che gli Amatori della Bibliografia Aldina possano ammettere la copia nelle loro collezioni, in mancanza dell’originale” (c. *2 recto e verso). Gli esemplari di tale edizione, il cui testo fu considerato di dubbia attribuzione dal curatore stesso, furono impressi su differenti tipi di carta. Il nostro esemplare appartiene al gruppo dei 6 stampati su carta verde. Al verso della carta di guardia anteriore nota manoscritta in inchio- stro di S.L.G.E. Audin: “Uno de’ 6 esemp.ri impressi su questa carta”. (B.P.) Corna, Andrea (1867-1942). Profili di illustri piacentini. Piacenza, Unione Tipografica Piacentina, 1914. L’edizione, con prefazione a cura di Angelo Maria Zecca, raccoglie le biografie di ventidue famosi uomini piacentini, “anche personaggi non del tutto laudabili” (p. VIII), vissuti tra il X e il XIX secolo. Tra i più importanti figurano Guglielmo da Saliceto, Alberto Scoto, Giulio Alberoni, Bonaventura Gazzola, Gaspare Landi, Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioia e Pietro Giordani. Ciascun profilo biografico è preceduto da un ritratto del personaggio di cui si raccontano vita e opere e concorre, nell’intento dell’Autore, alla realizzazione di un’opera che, conservando un “carattere popolare e di divulgazione”, possa essere “un libro di storia vera che resisterà” (p. XI). (P.M.F.) Giraldi, Giovanni Battista (1504-1573). Orbecche tragedia di M. Giovanbattista Giraldi Cinthio da Ferrara. Venezia, eredi di Aldo Manuzio il vecchio, 1543. Prima edizione recante il ritratto inciso dell’Autore entro medaglione sul verso del frontespizio, da non confondere con la contraffazione fatta sempre nel 1543, con la stessa segnatura, ma 63, [1] carte. “La prima, e più famosa tragedia del G., l’Orbecche, venne scritta in due mesi e rappresentata per ben tre volte nel 1541 a Ferrara, di fronte alla corte estense, che ne aveva finanziato gli allestimenti. In seguito venne giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano messa più volte in scena, nel 1543, probabilmente, a Parma; nello stesso 1543 fu pubblicata per la prima volta (Venezia, in casa de’ figliuoli d’Aldo) e altre edizioni seguirono nel corso del XVI secolo. All’interno del panorama del teatro tragico italiano del Cinquecento, l’Orbecche rappresenta il superamento dei tentativi di elaborare una nuova tragedia di stampo classicista intrapresi in passato da G. G. Trissino, con la Sofonisba, e dai tragici fiorentini, in nome di una istanza di rappresentazione più diretta della realtà delle passioni umane. A questo fine, il G., oltre a rappresentare quello che è stato definito l’“orrido”, mettendo in scena, come nell’Orbecche, perfino il suicidio della protagonista, si giovò, per questa come per le tragedie successive, di alcune innovazioni strutturali, tra le quali la non pedissequa osservanza delle regole aristoteliche e la divisione in cinque atti, ognuno con il suo prologo. Il successo dell’Orbecche indusse il G. a comporre nuove tragedie: in poco tempo, tra la fine del 1541 e il 1543, scrisse e vennero messe in scena la Didone, la Cleopatra e l’Altile, con le quali si precisano i caratteri della nuova tragedia che egli voleva realizzare” (DBI 56, p. 443). (A.P.P.) Manenti Monzino, Emanuela. All’insegna della sirena: storia ed evoluzione di una famiglia di liutai milanesi dal 1750 ai nostri giorni. Milano, A. Monzino & Figli, 2007. Il volume ripercorre, attraverso immagini e testo, duecentocinquant’anni di storia della famosa fabbrica di strumenti musicali e corde armoniche di Milano. (G.C.) Marigliani, Clemente; Biguz- zi, Giancarlo. La collezione sacra della bottega di Antonio Lafréry (Christi Dei Optimi). Anzio, Edizioni tipografia Marina, 2010. Raccolta di 116 riproduzioni di stampe appartenenti alla collezione sacra della bottega di Antoine Lafréry (1512-1577). L’artista francese impiantò la sua attività a Roma presso Piazza Navona e organizzò la sue stampe per soggetto dividendole in tre gruppi: lo Speculum Romanae Magnificentiae, le tavole di geografia sulla maggior parte del mondo e la raccolta a tema sacro Christi Dei Optimi Maximi Virginisque Matris Dei et complurium sanctorum. Molte delle stampe della raccolta appartengono a quest’ultimo gruppo di immagini che furono realizzate per esaudire le richieste dei devoti e dei pellegrini che giungevano a Roma soprattutto negli anni giubilari. Le 116 immagini sono distribuite cronologicamente lungo l’arco di 25 anni, dal 1557 al 1582, ovvero durante e subito dopo il Concilio di Trento (1545-1563), e, proprio in ossequio ai decreti conciliari che ammonivano la lascivia nelle immagini ecclesiastiche, molte delle nudità delle stampe furono censurate con interventi a inchiostro, presumibilmente realizzati da un solo autore. Questa raccolta rappresenta un contributo importante per lo studio dell’arte incisoria degli ultimi decenni del Cinquecento annoverando stampe eseguite dagli incisori più rinomati di quel periodo. L’elenco non è completo ma offre una buona documentazione circa i soggetti sacri incisi nel periodo post tridentino, oltre a suggerire quale fosse la produzione sacra di Lafréry. (V.C.) Marini, Egle (1901-1983). 71 Tout près de Marino. Dix eauxfortes originales de Marino Marini. Parigi, Société Internationale d’Art XXe Siècle, 1971. Il testo di Egle Marini, sorella di Marino, si accompagna, in quest’album a tiratura limitata a 153 esemplari, a 10 acqueforti dell’artista. Una di esse è interamente a colori su fondo rosa; sette hanno interventi di acquatinta a colori. Stampate su carta vélin d’Arches di grande formato (570x393 mm), risalgono al periodo migliore dell’opera grafica dell’artista: vi compaiono figure maschili e femminili, cavalli, cavalieri, giocolieri e acrobati. Firma in lapis di Marini alla limitazione. Esemplare n. 82. Guastalla p. 255. San Lazzaro n. 63. (A.C.) Martorana, Carmelo. Notizie storiche dei Saraceni siciliani ridotte in quattro libri da Carmelo Martorana. Palermo, Pedone e Muratori, 1832-1833. Volume che raccoglie i soli due libri pubblicati dei quattro annunciati nel titolo. L’Autore, storico, nacque a Palermo alla fine del Settecento e morì intorno al 1870. Compì studi di giurisprudenza e divenne, a giudizio di Mira, integerrimo magistrato. Tra i suoi scritti, oltre alla presente edizione, si citano diverse opere di carattere economico; lo si ricorda in particolare per la Lettera sugli Annali di Agostino Inveges in rapporto alla storia saracenica del 1853 e la Risposta a Nicolò Buscemi sopra i documenti della Storia ecclesiastica di Sicilia nell’epoca saracenica, uscita a puntate nel “Giornale di scienze lettere ed arti per la Sicilia”. Copia appartenuta a Girolamo di Marzo-Ferro. Mira II, p. 45: “Si pubblicaro- 72 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012 no i primi due libri. Nel primo descrisse l’Autore i fatti politici, e nel secondo le cose civili e religiose; il terzo doveva comprendere l’economia ed il commercio, e l’ultimo la cultura letteraria de’ Musulmani in Sicilia, ma nella rivoluzione del 1848 gli furono rubati i manoscritti e tutti i libri della sua copiosa biblioteca, per cui è da deplorare la perdita di questa pregiata continuazione”. (A.C.) Monteforte, Franco. Un secolo di vita del Credito valtellinese 1908-2008. Sondrio, Credito 100 valtellinese, 2008. Il volume fa parte della “Collana celebrativa della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese”. Il giubilare, stampato in occasione del centesimo anniversario, attraverso la prefazione di Giovanni De Censi, il testo di Franco Monteforte e numerose illustrazioni, ripercorre i cento anni di storia della Banca. (G.C.) Moreau de Saint-Méry, Louis Èlie (1750-1819). De la danse. Par le conseiller d’état Moreau de Saint-Méry, administrateur général des états de Parme, Plaisance et Guastalla, membre de plusieurs sociétés savantes et littéraires. Parma, Giambattista Bodoni, 1803. Ristampa, con qualche piccola aggiunta, dell’edizione del 1801 dell’operetta antischiavista dedicata dall’Autore, amministratore di Parma, Piacenza e Guastalla, «aux Créoles», agli schiavi neri della Martinica e dei Caraibi, alle loro danze e alle loro tradizioni. Brooks, n. 896. De Lama II, p. 155. (B.P.) Paletta, Giuseppe (a cura di). La memoria del commercio: negozi storici e imprenditori commerciali a Milano. Soveria Mannelli, Milano, Rubbettino, Camera di commercio, 2005. Il volume, edito nella collana “La Memoria dell’impresa”, attraverso il testo di Giuseppe Paletta e con la presentazione di Carlo Sangalli e Maria Antonia Rossini Pigozzi, celebra la vita dei negozi che hanno fatto la storia commerciale di Milano. (G.C.) Platone (428/427 a.C.348/347 a.C.). La Republica di Platone, tradotta dalla lingua greca nella thoscana dall’eccellente phisico messer Pamphilo Fiorimbene da Fossembrone. Con gli argomenti per ciascun libro, & con la tavola di tutte le cose piu notabili, che in quelli si contengono. Venezia, Gabriele Giolito de Ferrari, & fratelli, 1554. Prima traduzione dal greco in volgare a cura di Panfilo Fiorimbene (fl. ca. 1550-1553). Le scarse informazioni sul traduttore indicano che fu professore di medicina e filosofia e che nel 1550 pubblicò una Collectanea de febribus e nel 1553 un Discorso, nel quale si tratta della gotta, & con efficacissime ragioni si dimostra, che li gottosi deltutto si possono risanare. (A.P.P.) Praz, Mario (1896-1982). Storia della letteratura inglese. (Firenze), G. C. Sansoni, 1967. Nona edizione dell’opera del poliedrico critico e collezionista romano. Grande appassionato di letteratura inglese, ebbe modo di approfondirne la storia durante il suo soggiorno londinese (19231934), venendo tra l’altro diretta- mente a contatto con i principali esponenti del mondo letterario d’oltremanica. Considerata ancora oggi un ottimo strumento per avere una visione d’insieme della letteratura inglese che tenga conto anche dell’evoluzione del gusto nei secoli, l’edizione in oggetto contiene un ricco apparato iconografico costituito da cinquanta tavole in b/n fuori testo per lo più con ritratti di poeti e scrittori celebri. (P.M.F.) Quadrio Curzio, Alberto (a cura di). Credito valtellinese: 100 anni per lo sviluppo economico e sociale. Roma-Bari, Laterza, 2008. Edito in occasione dei cento anni del Credito Valtellinese nella collana “Storia delle banche in Italia”, il volume ripercorre, attraverso immagini, grafici e documenti, i cento anni di storia della Banca. (G.C.) Stoppelli, Pasquale. Dante e la paternità del fiore. Roma, Salerno editrice, 2011. Il volume è pubblicato nel contesto della ricerca per la nuova edizione commentata delle opere di Dante realizzata con il sostegno dell’Istituto Bandìco di Napoli – Fondazione Banco di Sicilia. L’Autore vuole dissociare Dante dal testo del Fiore, opera anonima trecentesca a cui studi filologici hanno attribuito molti padri: Brunetto Latini, Rustico Filippi, Cecco Angiolieri, Folgore da San Giminiano, Antonio Pucci e Dante. Stoppelli analizza tutta la bibliografia critica dal 1881 a oggi per riconsiderare l’effettiva paternità di alcune rime oggi unanimemente riconosciute all’autore della Commedia. (V.C.) la Biblioteca di via Senato 2 Milano Questo “bollettino” mensile è distribuito gratuitamente presso la sede della Biblioteca in via Senato 14 a Milano. 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