La Rassegna d`Ischia 3/2009
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La Rassegna d`Ischia 3/2009
Anno XXX N. 3 Maggio/Giugno 2009 Euro 2,00 Alla ricerca di tracce Pittori tedeschi a Sant’Angelo e a Forio Meristema Le isole del Golfo di Napoli (1700) Rassegna Libri Evoluzione e biodiversità - -- Rassegna Mostre Ferrante d’Avalos e Vittoria Colonna in “Les Dames galantes” di P. Brantôme Lacco Ameno - La struttura urbana e il paesaggio Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Anno XXX- N. 3 Maggio/Giugno 2009 - Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.2.1980 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione con n. 8661. Stampa Tipolito Epomeo - Forio Sommario 2 Colombia - Voci nascoste (Forio) 3 Lacco Ameno. La struttura urbana e il paesaggio 5 Meristema Expo internazionale di piante succulente rare 8 10 Il dibattito religioso tra evoluzionismo e creazionismo 13 Descrizione del seno cratero... (1700) L'isole di Ischia, Capri, Procida, Nisida 19 Dossier / Alla ricerca di tracce Pittori tedeschi a Sant'Angelo e a Forio Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi 42 Rassegna Mostre Vincenzo Gemito (Napoli) Alighiero Boetti (Napoli) 47 Rassegna Cinema Villa Amalia Water 50 Rassegna Libri Villa Arbusto e il suo parco Camorra e camorristi Lucio Battisti. Emozioni ischitane La camorra. Usi, costumi, riti...... Sogni e bisogni 56 Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna in "Les Dames galantes" di P. Brantôme 58 Ischia Global Film & Global Fest Ischia eventi 2009 Forio – Giardini Ravino (5-25 maggio 2009) Colombia – Voci nascoste Mostra fotografica di Francesco Zizola * La situazione umanitaria in Colombia rimane drammatica: tre milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case a causa del conflitto. Molti hanno trovato rifugio nei quartieri poveri ai margini delle grandi città, cercando l’anonimato tra le masse. La Colombia è il terzo paese su scala mondiale per un numero di sfollati interni subito dopo il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo. Il 75% degli sfollati è composto da donne e bambine. La Colombia è inoltre il quarto paese al mondo per numero di mine antiuomo disseminate sul suo territorio. Medici Senza Frontiere opera in Colombia dal 1985 per portare cure mediche di base alla popolazione nelle zone colpite dal conflitto o da epidemie e catastrofi naturali, e oggi lavora nei dipartimenti di Arauca, Buenaventura, Tolima, Narino, Caquetà, Cauca, Putumayo, Chocò, Ationquia, Sucre, Norte de Santander, Bolivar e Cordona. Nelle zone rurali MSF lavora soprattutto attraverso il sistema delle brigadas, équipe multidisciplinari composte da personale colombiano e internazionale che si recano direttamente nelle aree più remote dove la popolazione civile vive intrappolata nel conflitto. Le conseguenze sono devastanti: spostamenti forzati, violazioni dei diritti umani ma anche mancato accesso alle cure, traumi psicologici, interruzione nei servizi di base come acqua o elettricità. MSF cerca di garantire una presenza umanitaria in prossimità alle comunità più colpite dal conflitto armato. I servizi offerti da MSF sono totalmente gratuiti e comprendono cure mediche di base, appoggio psicologico, campagne di vaccinazione, programmi di salute sessuale e riproduttiva e di potabilizzazione delle acque. MSF lavora inoltre in alcune zone urbane dove si registrano le concentrazioni maggiori di popolazione desplazada (sfollata) o di persone in situazioni vulnerabili. In entrambi i casi si tratta di esclusi dal sistema di salute pubblica ai quali MSF intende così garantire un accesso alle cure. * La mostra è stata premiata con il Premio del World Press Photo nella categoria “People in the News” e nasce dalla volontà di Medici Senza Frontiere e del fotografo Francesco Zizola di testimoniare la situazione drammatica della popolazione colombiana. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie e disegni (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. conto corrente postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 25 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.it [email protected] Lacco Ameno La struttura urbana e il paesaggio * di Dario Vista La tesi che “voglio” sostenere è che una struttura urbana, senza una regia, o meglio senza la regia di un architetto sensibile è una occasione sprecata, una opportunità persa con tutta una serie di implicazioni ad essa collegate. “Voglio” invece che “vorrei”, per stigmatizzare la radice di una scelta, quella di studiare architettura per la presunzione di voler partecipare ad un processo di presa di coscienza che restituisca all’organizzazione ed all’aspetto dei luoghi e delle cose in essi contenute un ruolo vincolante per lo sviluppo della collettività. Nella tribù, l’architetto svolge un ruolo di servizio per la comunità… ne parla Renzo Piano nel suo Giornale di Bordo. Perché Lacco Ameno? Lacco Ameno rappresenta il primo insediamento greco dell’Isola d’Ischia e, probabilmente, della costa campana; l’origine di un processo di civilizzazione e, implicitamente, di urbanizzazione. In esso si disegna un percorso che vede degli avventurieri o dei colonizzatori, la sostanza non cambia, che si insediano per sfruttare le potenzialità di un luogo; selezionano il luogo dell’approdo in base alla propria cultura e a una specifica progettualità, ne alimentano lo sviluppo e ne raccolgono i frutti, L’abbandonano, quando “altro” diventa più appetibile, sancendone il declino. Il declino è inevitabile senza una progettualità. L’emergenza e la casualità legate a eventi straordinari potenziano ulteriormente il declino fino a quando un nuovo progetto, Le Terme e un Grande Magnifico Albergo, non aprono un nuovo spiraglio, poi ancora ombre ed una architettura-non architettura, fino al tentativo di riqualificare i luoghi partendo da Villa Arbusto. * Corso di Laurea in Architettura. Tesi di Dario Vista in Storia della città e del paesaggio, lettura morfologica. Relatore prof. arch. Leonardo Di Mauro, correlatore prof. arch. Carmine Piscopo. Le tavole illustrative sono esposte a Villa Arbusto. Genius loci – Spirito del luogo Concezione romana in cui ogni essere ha il suo “genius”, spirito guardiano che dà vita ai popoli e ai luoghi. Denota così che una cosa esiste o che essa vuole esistere (Louis Kahn). Il Genius loci è una realtà viva, è il fattore determinante di una cultura. Scopo dell’edificare “architettura” è quello di trasformare un sito in un luogo, cioè di scoprire i significati presenti nell’ambiente. Ma l’abitare è la complessità delle relazioni dello spazio umano: per capirlo si distingue in carattere-spazio. Queste due funzioni psicologiche dell’abitare diventano orientamento-identificazione: l’uomo deve orientarsi, conoscere dove è ed identificarsi con l’ambiente, cioè conoscere il luogo. Abitare presuppone identificarsi con l’ambiente: è la base del senso di appartenenza dell'uomo ad un luogo. Identità dell’uomo presuppone identità del luogo. Orientarsi-identificarsi sono aspetti di una relazione complessiva ed hanno un certo grado di indipendenza entro la totalità. Abitare significa: Stare in pace in un luogo protetto – Attraverso l’abitare l’uomo conosce ciò che gli diventa accessibile – Maniera in cui gli esseri sono sulla terra – Radunare il mondo in una costruzione concreta. L’uomo abita quando ha la capacità di concretizzare il mondo in edifici e cose. L’architettura ha come scopo aiutare l’uomo ad abitare. Questo significa concretizzare il Genius loci (momento essenziale dell’architettura è comprendere la “vocazione” del luogo; appartenere ad un luogo significa avere un punto di appoggio esistenziale, in senso concreto, quotidiano (Christian Norberg Schulz, Genius loci, Electa, Milano, 1979). «[…] Per quanto attualmente la città moderna non riconosca più il significato tradizionale della funzione di incontro, molti cominciano a rendersi conto che una città senza spazi ben definiti non offre alcun genere di promessa. […] L’identità umana presuppone l’identità del luogo ed è quindi fondamentale che lo spirito del luogo sia compreso e conservato. Lo spazio urbano visualizza un mondo sia generale che locale e aiuta perciò gli edifici dell’abitare pubblico e privato a radicarsi in un dato ambiente. Potremmo anche dire che esso predispone all’adempimento dell’abitare nelle istituzioni e nelle dimore». (Christian Norberg Schulz, Genius loci, Electa, Milano, 1979). La tesi è che il progetto urbano, con l’architettura dei luoghi, funga da incubatore per la collettività che lo vive. Influenzandone comportamenti, stili di vita, prospettive ed aspirazioni. Il lavoro, articolato da un’analisi storiografica e morfologica del territorio e da un’analisi dettagliata di progetti realizzati, si apre con un capitolo dedicato al concetto di luogo, alla costante ricerca di un difficile equilibrio tra riflessione teorica e pratica, tra tradizione e modernità. La tesi analizza il territorio a partire dalle sue origini, come primo insediamento databile alla prima metà dell'VIII secolo a.C., e riguarda una colonia di greci euboici che pose le radici sulle estreme propaggini del territorio di Lacco Ameno. La seconda parte del lavoro si articola in un’analisi degli elementi di formazione e trasformazione del territorio analizzando gli edifici di maggiore interesse La Rassegna d’Ischia 3/2009 3 Lacco Ameno è caratterizzato da uno scoglio chiamato “Fungo”, per la sua forma singolare, situato a breve distanza dalla riva. È un enorme masso di tufo verde alto dieci metri, precipitato dal Monte Epomeo. Scolpito dall’acqua e dal vento in quella particolarissima forma che ne ha fatto il simbolo del Comune e che si trova all’inizio del porticciolo della Marina di Lacco. storico e attrattivo. Essi lo sono per più di una ragione: in primo luogo sono edifici progettati per svolgere una funzione pubblica e, dunque, strettamente legati allo sviluppo della società ischitana; in secondo luogo le date di realizzazione, coprendo l’intero arco temporale durante il quale fiorì, si consolidò la popolazione indigena, esprimendone pienamente le tensioni morali ed estetiche; infine ciascuna di esse può considerarsi come un messaggio trasmesso dall’autore attraverso l’opera architettonica che egli stesso considera come mezzo storiografico. In questa evoluzione si evidenzia la ricerca di un nuovo linguaggio architettonico in cui memoria storica del passato, attenzione consapevole al presente e sguardo rivolto al futuro sono i cardini di una riflessione coraggiosa e leale volta a realizzare un’architettura “moderna ed identificabile ”. Le opere presentate sono analizzate in dettaglio, sia avvalendosi di indagini storiografiche attraverso la ricerca delle fonti documentali e bibliografiche, sia con sopralluoghi e visite in sito per ciascuna di esse e con l’acquisizione diretta dei rilievi fotografici e della cartografia storica. La terza e quarta tavola analizzano il territorio di Lacco Ameno, come sistema delle parti e le loro relazioni contestuali, evidenziando i caratteri morfologici della Marina di Lacco che si configura come una linea quasi continua di case a schiera dalla punta di Piazza S. Girardi a Piazza S. Restituta; fino ad analizzare uno dei rioni, Ortola-Genala, nello stato dei luoghi, nelle analisi delle altezze, delle coperture ed in una sintesi degli interventi, differenziando, invece, per ciascun rione i nuclei di primo impianto dai nuclei di comple4 La Rassegna d’Ischia 3/2009 tamento. Il lavoro di tesi si conclude con una lettura attenta dell’identità di Lacco Ameno, associata con l’immagine del Fungo, da sempre iconografia del territorio. I fotogrammi dimostrano come in questa terra si fossero custoditi, fino alla metà del secolo scorso, sia i numerosi contrassegni di quella natura vulcanica ereditata da fenomeni di tettonica profonda, sia la visione dell’aspetto insediativo, cresciuto in maniera discreta, proporzionata ai bisogni e dislocata in siti appropriati con ruoli specifici e distinti. Il tutto in perfetta sintonia con la visione che il filosofo irlandese George Berkeley aveva di Ischia e che enunciava nelle sue riflessioni nel 1717. Ilia Delizia scrive nel suo Ischia: l’identità negata: «Nella bellezza di una natura incontaminata, indenne dai malefici altrove indotti da un incipiente industrialesimo, Ischia incarna pienamente l’idea estetica del Berkeley, sulle cui trame si riammaglia la sua utopia sociale e filosofica, il sogno e il progetto di uno stato di comunità perfetta». Successivamente, lo sviluppo spesso incontrollato del territorio isolano, dovuto alla crescita naturale del luogo, accompagnata da un’incapacità di tutelare gli elementi identitari del comune, ha reso Lacco Ameno sempre meno icona nel panorama dell’iconografia classica: cartoline,immagini non sono più rappresentate dal Fungo ma dagli aspetti rilevanti della forma urbana, frutto dello sviluppo urbanistico a discapito del paesaggio, confondendolo fino a nasconderlo tra l’attività devastatrice dell’uomo. Dario Vista Meristema - Mostra / Convegno Expo internazionale di piante succulente rare Evoluzione e Biodiversità A Forio, dal 24 al 26 aprile 2009, si è svolta la seconda edizione di Meristema, una manifestazione articolata in una mostra-mercato di piante succulente rare e in convegni su aspetti culturali riguardanti la natura, nonché nel congresso annuale dell’ Associazione Internazionale “Cactus & Co.” Luogo d’incontro i Giardini Ravino, un parco nato dalla quarantennale collezione di piante succulente del capitano Giuseppe D’Ambra, per un evento volto a valorizzare il tema della biodiversità, argomento di grande attualità e di promettente sviluppo per il futuro, nonché soggetto consono all’ambientazione di un giardino botanico che, per definizione, si qualifica come “arca” della biodiversità. Alle piante in esposizione permanente presso i Giardini Ravino, si sono affiancate le rarità portate per l’occasione da vivaisti e collezionisti privati, Tra gli espositori, è stato presente Giuseppe Mecella, proprietario di una spettacolare collezione, nonché presidente dell’Associazione Amacactus. Come vivaisti: Bracchitta, Longo, Scarascia, Villani, Agrosi, Uhlig. Vincenti, tra i più qualificati del settore delle piante succulente; e Roberto Telli, uno dei pochissimi coltivatori di Tillandsie, piante epifite che allignano sugli alberi, in assenza di terreno e che sembrano vivere di sola aria. Al vivaio Oasi di Giovanni Longo e Giovanni Bracchitta (Giarratana, Sirausa) è stato assegnato il Premio Ravino per la pianta succulenta rara di maggiore interesse botanico, selezionata da una giuria di qualità composta da (Da sinistra) Andrea Caltabriga, Roberto Vincenti (vincitore del premio popolare), Anissa Becerra (giornalista di Gardenia), Marco Castagna, Giovanni Bracchitta (primo premio Ravino), Giovanni Longo (secondo premio Ravino), Flavio Agrosi (terzo premio Ravino), Giuseppe D'Ambra (proprietario Giardini Ravino) Anissia Becerra, giornalista di Gardenia, il più importante mensile italiano di giardinaggio, da Andrea Caltabriga, presidente dell’ABC Network, un’associazione particolarmente attenta alla salvaguardia della biodiversità e alla tutela delle specie minacciate, e da Marco Castagna, l’anima verde del Parco Idrotermale del Negombo, annoverato tra i Grandi Giardini d’Italia. Inoltre un Premio di Gradimento Popolare per la pianta più votata dal pubblico dei visitatori dei Giardini Ravino è stato conferito al vivaio Rosa del deserto di Roberto Vincent. In contemporanea alla mostra, si sono svolti i convegni, ispirati, quest’anno, al bicentenario della nascita del grande naturalista inglese Charles Darwin che, in un certo senso, può considerarsi lo scopritore della biodiversità in natura. Inoltre il 2009 è anche il 150° anniversario della pubblicazione dell’opera capitale di Darwin, L’origine delle specie, un libro che ha originato un incessante dibattito, non solo scientifico, ma anche religioso, filosofico, sociologico, politico. Dibattito cui Meristema ha cercato di dar voce con la collaborazione di eminenti studiosi. Ha introdotto i lavori la responsabile delle attività culturali dei Giardini Ravino, Elettra Carletti. Il primo dei convegni, intitolato Darwin e la scoperta della biodiversità, si è tenuto il pomeriggio di venerdì 25 aprile. La prof. Barbara Continenza, docente di Storia del pensiero scientifico presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università “Tor Vergata” di Roma, ha parlato de L’evoluzione biologica secondo Charles Darwin. Ha fatto seguito il prof. Pietro Greco, un ischitano direttore del Master in Comunicazione scientifica presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, il quale ha dato al suo intervento il suggestivo titolo di Crocifiggere Darwin?, alludendo a tutte le polemiche suscitate dal pensiero del grande naturalista inglese. - […] Nel 1919 il «New York Times» saluta in prima pagina il successo della relatività generale di Albert Einstein. Una teoria, scrive il giornale, che pochi comprendono ma che scalza Isaac Newton dalla vetta della fisica. La scienza acquisisce un ruolo privilegiato e sembra risolvere i problemi quotidiani della gente. E agli scienziati la società comincia a riservare una posizione privilegiata nel suo seno. Gli interessi culturali e persino economici intorno alla scienza diventano forti. Gli scienziati rivendicano piena libertà di ricerca e totale autonomia culturale: “the flight of reason”.Ma esplode il conflitto in modo virulento proprio La Rassegna d’Ischia 3/2009 5 intorno alla teoria darwiniana. Alcuni gruppi evangelici iniziano a sostenere che Darwin, come aveva predicato Charles Hodge, muove un attacco mortale alla «dottrina del Disegno» e al modello protestante. La teoria di Darwin, sostengono alcuni gruppi evangelici, non può essere una teoria scientifica, perché è in contrasto con la verità scientifica, rivelata dalle Scritture. La dottrina di Darwin è immorale. L’idea di evoluzione è stata vomitata da Satana per erodere le fondamenta morali della società e, in quanto figlia del diavolo, deve essere bandita dalle scuole. Crocifiggete Darwin Nascono movimenti organizzati per raggiungere questo obiettivo, come la «Anti-Evolution League» del fervente battista T. T. Martin. Il conflitto raggiunge l’apice nel 1925, quando John Thomas Scopes viene trascinato davanti al tribunale di Dayton, Tennessee, per aver insegnato in classe la teoria dell’evoluzione di Darwin. Austin Peay, governatore del piccolo stato americano, spiega orgoglioso che egli fa sua la sacrosanta protesta contro l’«irrazionale tendenza a esaltare la cosiddetta scienza e a negare la verità della Bibbia che si verifica in molte scuole». La verità è che una crisi di fiducia attraversa l’America degli anni ’20. Questa crisi assume anche connotati morali. Nel pieno di un’imponente industrializzazione e trasformazione della società, con il conseguente cambiamento di valori, in molti ambienti, soprattutto della Mid-America, si percepisce una crisi morale, cui bisogna opporsi. E così alcuni movimenti protestanti si fanno portavoce di un nuovo fondamentalismo, che ravvede ora nella scienza la causa o una delle importanti concause delle proprie incertezze e del disintegrarsi dei fondamenti morali dell’antica società. Al pensiero evoluzionista vengono attribuiti tutti i mali: dal militarismo tedesco al comunismo sovietico, dall’ateismo al femminismo. La nascita di questo fondamentalismo produce la teoria creazionista e il tentativo di contrapporre una interpretazione letterale della Bibbia alla teoria di Darwin. Il conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo esplode, dunque, con violenza inusitata. Ma non ha un vero vincitore. Nelle università americane, certo, il darwinismo resta l’unica teoria scientifica. I ricercatori sono (quasi) tutti darwiniani. O meglio, l’approccio naturalistico resta l’unico approccio ai 6 La Rassegna d’Ischia 3/2009 fatti biologi. Perché il darwinismo si afferma solo intorno agli anni ’30, come “teoria sintetica” o neodarwinismo (accordo tra genetica ed evoluzionismo). Ma nelle scuole americane, magari solo per quieto vivere, quasi sempre si decide di non insegnare né il creazionismo né l’evoluzionismo. È come se la società americana, fuori dalle università, avesse scelto di non scegliere. Di porre sul medesimo piano sia l’ipotesi creazionista che la teoria evoluzionista. Si tratta di un risultato che, certo, non premia la deriva fondamentalista dell’antico modello protestante. Ma che non premia neppure il modello secolare e laico della scienza. […] Il prof. Davide Tarizzo, ricercatore dell’Università di Salerno e profondo studioso di biopolitica, ha trattato infine di Come Darwin ha cambiato la filosofia. Nella giornata di sabato 25, i giardini, come luoghi custodi della biodiversità, e le piante, come esponenti della biodiversità stessa, sono ritornati a essere al centro dell’attenzione, con la conferenza del prof. architetto Filippo Lapadula, docente di Storia del paesaggio e del giardino presso l’Università “La Sapienza” di Roma, intitolata Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi: il giardino nel secolo delle scoperte scientifiche. Si è svolto successivamente il XIV Congresso della Cactus & Co., una delle più prestigiose associazioni internazionali di amanti e collezionisti di piante succulente. Hanno tenuto le loro relazioni gli studiosi: Laura Guglielmone, curatrice dell’Erbario dell’Orto botanico di Torino, che ha trattato dei Pelargoni succulenti e geofiti del Sudafrica; Massimo Meregalli, ricercatore presso il Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Torino, autore della relazione Alla ricerca di cactacee tra Argentina e Uruguay. Domenica 26 il tema della biodiversità è stato sviluppato sotto l’aspetto prevalentemente locale, attraverso gli interventi del prof. Paolo Guidetti, ricercatore presso l’Istituto Superiore Universitario di Formazione Interdisciplinare dell’Università del Salento, che ha parlato de Il Mediterraneo, punto caldo della biodiversità, e del prof. Giuseppe Sollino, minuzioso conoscitore della flora isolana, che ha illustrato l’Evoluzione degli ecosistemi dell’isola d’Ischia: dalla colata lavica alla pineta, dal vigneto al parco botanico. - L’Idroaromaterapia - Curarsi con l’acqua e con il profumo delle piante è senza dubbio la terapia più dolce e rassicurante che l’uomo possa immaginare. Ad Ischia non si viene solo per le cure termali: l’isola offre opportunità di rara bellezza tra verdi sentieri che si snodano tra vigneti e pinete dalle coste fino al Monte Epomeo (789 slm.) Oggi le conoscenze scientifiche permettono di definire in maniera rigorosa le potenzialità terapeutiche delle acque e delle piante dell’isola. Terapie dolci e complete, dove Acqua,Terra, Fuoco ed Aria si fondono in mosaico di benessere e vitalità. L’Idroterapia affonda le sue radici nella storia dell’isola d’Ischia. Le sue acque minerali sono da sempre sinonimo di salute e di bellezza. D’altra parte studi moderni del XXI secolo dell’Idrologia medica confermano e puntualizzano l’importanza delle cure idropiniche e termali in aree ecologicamente adeguate in cui i valori ambientali determinano spesso quel recupero psicosomatico adeguato ai ritmi vertiginosi della vita moderna. La ricchezza e le qualità botaniche della vegetazione di Ischia costituiscono di per sé una fonte di Benessere. Diverse piante della Macchia Mediterranea che qualificano la Natura dell’Isola Verde possiedono importanti virtù terapeutiche che possono essere esaltate dopo un bagno nelle acque termali, mediante l’assunzione delle sostanze liberate dalle piante aromatiche. Il Mirto, l’Alloro, il Lentisco, la Lavanda, il Corbezzolo offrono, infatti, se sfiorati e respirati, un contributo di salute, oltre che di naturale armonia. L’Aromaterapia è un metodo curativo che si avvale di oli altamente concentrati presenti nelle piante.Questi estratti aromatici chiamati essenze o oli essenziali sono,infatti,ricavati da piccole ghiandole situate nei petali,nelle foglie,negli steli,nella corteccia o addirittura nel elgno di numerose piante ed alberi. In natura il loro profumo si libera lentamente, mentre quando vengono schiacciate o riscaldate, è come se esplodessero, liberando tutta la loro potenziale fragranza. Francobollo emesso dalle Poste Italiane per ricordare Charles Darwin Nel pomeriggio, a chiusura della manifestazione, è ripresa la celebrazione di Darwin, con un convegno dal titolo Creazionismo e Darwinismo: un confronto socio-culturale e religioso, organizzato col contributo del M.E.I.C. (Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale), grazie alla Presidente della sezione locale, la Signora Rosanna Cervera Di Iorio. Il sociologo Massimiliano Ruzzeddu, esperto di epistemologia delle scienze sociali, docente di sociologia presso l’università “Suor Orsola Benicasa” di Salerno ha relazionato su La cultura della natura: creazionismo e darwinismo a confronto. L’architetto Pasquale De Toro, docente di Economia ed Estimo presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli, presente come simpatizzante del M.E.I.C. e studioso di teologia, soprattutto nei suoi aspetti connessi con la natura e l’ambiente, ha trattato de Il dibattito tra evoluzionismo e creazionismo. Ai convegni ha fatto da cornice una mostra di quadri del pittore foriano Mariolino Capuano: una delle sue opere è stata prescelta come manifesto per questa edizione di Meristema: la tela Prima della trasfigurazione, che declina in chiave darwinista del soggetto preferito di Mariolino, Pinocchio, che, come l’Adamo della Cappella Sistina, viene animato dall’alto dal dito di un Dio, qui presente però solo in effigie, e richiamato verso il basso dal dito di un quadrumane, raffigurato invece in modo iperrealistico. Mariolino Capuano Prima della trasfigurazione La Rassegna d’Ischia 3/2009 7 Il dibattito religioso tra evoluzionismo e creazionismo di Pasquale De Toro Libro della Genesi In principio Dio creò il cielo e la terra. Dio disse: “Sia la luce!” e la luce fu. Primo giorno. Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Secondo giorno. Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto”. E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, ciascuno secondo la sua specie”. Terzo giorno. Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte”. Quarto giorno. Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo” . Quinto giorno. Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche”. E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”. Sesto giorno. Il Corano Allah è il vostro Signore, Colui che il sei giorni ha creato i cieli e la terra e poi si è innalzato sul Trono. Ha coperto il giorno con la notte ed essi si susseguono instancabilmente. Il sole, la luna e le stelle sono sottomesse ai suoi comandi. Non è a Lui che appartengono la creazione e l’ordine? (Surah, 7:4). Non abbiamo fatto scendere il Corano su di te per renderti infelice, ma come monito per chi ha timore di Allah, sceso da parte di Colui che ha creato la terra e gli alti cieli. (7:2-4). Traemmo dall’acqua ogni essere vivente (21:4). Dal cielo fa scendere l’acqua, per mezzo della quale facciamo germinare diverse specie di piante (20:53). Ed Egli Colui che ha disteso la terra vi ha posto montagne e fiumi, e di ogni frutto ha stabilito, in essa, una coppia (13:3). In verità creammo l’uomo da un estratto di argilla. Poi ne facemmo una goccia di sperma posta in un sicuro ricettacolo, poi di questa goccia facemmo un’aderenza e dell’aderenza un embrione; dall’embrione creammo le ossa e rivestimmo le ossa di carne (23:12-14). L’origine delle specie, 1859 Jean-Babtiste Lamark (Filosofia zoologica, 1809) per primo rese alla scienza il grande servigio di richiamare l’attenzione sulla possibilità che qualunque cambiamento nel mondo organico, come pure nel mondo inorganico, fosse il risultato di una legge e non di un intervento miracoloso. Quanto alle cause del cambiamento, egli ritiene che consistano in parte nell’azione diretta della condizioni fisiche della vita, in parte nell’incrocio di forme preesistenti, ma soprattutto nell’uso e nel disuso, cioè negli effetti dell’abitudine. A quest’ultima causa egli sembra attribuire tutti i meravigliosi adattamenti che si osservano in natura: per esempio il lungo collo della giraffa, che le permette di brulicare sugli alberi. Ma egli crede anche nell’esistenza di una legge di sviluppo progressivo. Charles Darwin Autobiografia (1809-1882) Nel luglio 1837 cominciai il mio primo libro di appunti, e non tardai a rendermi conto che la selezione era la chiave con cui l’uomo era riuscito a ottenere razze utili di animali e piante. Ma per qualche tempo mi rimase incomprensibile come la selezione 8 La Rassegna d’Ischia 3/2009 si potesse applicare a organismi viventi in natura. Nell’ottobre 1838, date le mie lunghe osservazioni degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto. Fui subito colpito dall’idea che, in tali condizioni le variazioni vantaggiose tendessero ad essere conservate, e quelle sfavorevoli ad essere distrutte. In quel tempo non afferrai un problema molto importante. Non riesco a capire come abbia potuto non vederlo e non trovare la soluzione. Mi riferisco alla tendenza degli organismi discendenti da uno stesso ceppo a divergere nei loro caratteri, quando si modificano. La soluzione, secondo me, consiste nel fatto che la discendenza modificata delle forme dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che hanno caratteristiche molto diverse nell’economia della natura. Non appena mi convinsi, nel 1837 o ’38, che le specie erano mutabili, non potei fare a meno di credere che l’uomo dovesse essere regolato dalla stessa legge. Oggi dopo la scoperta della legge della selezione naturale cade il vecchio argomento di un disegno della natura secondo quanto scriveva Paley, argomento che nel passato mi era sembrato decisivo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l’azione della selezione naturale non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento. Lettere, 1879 e 1880 Il mio giudizio è spesso fluttuante, ma anche nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo, nel senso di negare l’esistenza di Dio. Mi pare che generalmente (e tanto più quanto più invecchio), ma non sempre, la migliore definizione del mio pensiero sarebbe: agnostico. Benché io sia un fervido sostenitore della libertà di opinione in ogni argomento mi sembra (a torto o a ragione) che attacchi diretti contro il cristianesimo e il teismo abbiano assai scarso effetto sul pubblico, e che la libertà di pensiero possa meglio promuoversi con quella illuminazione graduale dell’intelletto umano che consegue al progresso delle scienze. Perciò ho sempre evitato di scrivere sulla religione e mi sono limitato alla scienza. Leone XIII, 1885 Siccome non c’è alcuna verità naturale che diminuisca la credibilità delle dottrine rivelate e molte anzi se ne danno che l’accrescono; e potendo la scoperta di qualsiasi verità condurre a meglio conoscere e lodare il Signore, così la Chiesa accoglierà sempre con gioia e gradimento tutto ciò che venga nel momento adatto ad allargare i confini della scienza. (Enciclica Immortale Dei) Isaac Newton (1642-1727) Cosa c’è in luoghi quasi vuoti di materia, e come è possibile che sole e pianeti gravitino l’uno verso l’altro, senza materia densa tra di loro? Da cosa deriva il fatto che la natura non faccia niente invano; e da cosa trae origine dell’ordine e quella bellezza che vediamo nel mondo? A che scopo esistono le comete, e come si spiega che i pianeti si muovano tutti allo stesso modo in orbite concentriche, mentre le comete si muovono in tutte le maniere in orbite molto eccentriche; e cosa impedisce alla stelle fisse di cadere una sull’altra? Perché i corpi degli animali sono disegnati con un’architettura simmetrica? E chi ha progettato organi così complessi come l’occhio o l’orecchio? Un essere incorporeo, vivente, intelligente, onnipresente, che sta nello spazio infinito. Intelligent Design (1988-1998) La causalità è una nozione derivata, che può essere compresa soltanto in relazione al Design, che risulta essere il concetto fondamentale. Bisogna voltare le spalle alla lugubre coppia “caso e necessità”: l’osservazione scientifica del mondo rivela l’intervento di un Designer, di una mente superiore che lo ha progettato e creato. La straordinaria diversità e complessità degli esseri viventi non può essere il risultato di un meccanico processo di selezione. La maggior parte delle mutazioni che realizzano le grandi strutture delle vita richiedono una causa esterna e superiore al processo evolutivo. Creazionismo della Terra giovane Si tratta della posizione creazionista più radicale (Young Earth Creationism). I suoi sostenitori affermano che la Terra abbia circa 6.000 anni di età, come si ricava da una lettura letterale della Bibbia. Tali creazionisti rifiutano tutti i risultati della scienza che sono incompatibili con la presunta datazione biblica: oltre alla teoria dell’evoluzione, rigettano anche la datazione delle rocce e dei fossili, in base alla quale la Terra e le più antiche forme di vita risalgono a miliardi di anni fa. Creazionismo della Terra vecchia Si tratta di una posizione creazionista meno radicale (Old Earth Creationism). I suoi sostenitori accettano le scoperte della geologia. Rifiutano l’evoluzione affermando che tutte le specie viventi, incluso l’uomo, sono state create originariamente e direttamente da Dio. Pio XII, 1950, Humani generis Il magistero della Chiesa non vieta che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura. Giovanni Paolo II, 1985 Il concetto polivalente e considerato sotto il profilo filosofico di “evoluzione” si sta da tempo sviluppando sempre più nel senso di un ampio paradigma della conoscenza del presente. Pretende di integrare la fisica, la biologia, l’antropologia, l’etica e la sociologia in una logica di spiegazione scientifica generale. Per quanto riguarda l’aspetto puramente naturalistico … non creano ostacoli una fede rettamente compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell’evoluzione: l’evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una “creatio continua” - in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra. Giovanni Paolo II, 1986 Nei tempi moderni una difficoltà particolare contro la dottrina rivelata circa la creazione dell’uomo, quale essere composto di anima e corpo, è stata sollevata dalla teoria dell’evoluzione. Molti cultori delle scienze naturali che, con metodi loro propri, studiano il problema dell’inizio della vita umana sulla terra, sostengono - contro altri loro colleghi - l’esistenza non soltanto di un legame dell’uomo con l’insieme della natura, ma anche la derivazione delle specie animali superiori. Si può dunque dire che, dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo è creata direttamente da Dio. Giovanni Paolo II, 1996 Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate. Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria. Benedetto XVI, 2007 Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale. Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo? Evoluzione ed evoluzionismo L’evoluzione intesa come teoria scientifica, fondata su dati empirici, sembra abbastanza ben affermata, sebbene non è del tutto vero che ormai non ci sia niente da aggiungere o completare, soprattutto riguardo ai meccanismi che la regolano. Invece, non sembra ammissibile l’evoluzionismo come ideologia, che nega il finalismo, e sostiene che tutto è dovuto a caso e necessità, e sostiene il materialismo ateo. L’evoluzionismo (e quindi il darwinismo) non è sostenibile né come verità scientifica né come conseguenza necessaria della teoria scientifica dell’evoluzione. Creazione e creazionismo La creazione è una verità accessibile alla ragione, in particolare alla filosofia, ma anche una verità rivelata. Invece, il cosiddetto creazionismo è anch’esso, come l’evoluzionismo, un’ideologia, fondata spesso, peraltro, su una teologia sbagliata, cioè su un’interpretazione letterale di certi passaggi della Bibbia, la quale, secondo i suoi fautori, riguardo l’origine delle specie sosterrebbe il “fissismo”, cioè la creazione immediata di ogni singola specie da parte di Dio, e l’immutabilità di ciascuna specie nel trascorrere del tempo. Evoluzione e creazione di per sé possono essere compatibili; si può parlare infatti di una “creazione evolutiva”, mentre evoluzionismo e creazionismo sono necessariamente incompatibili. La Rassegna d’Ischia 3/2009 9 Dal paradiso perduto alla scoperta dei paradisi di Bruno Filippo Lapadula (1) La tradizione ebraico-cristiana concepisce l’universo e la natura - che riveste di vita la terra - come opere di un unico Dio create in funzione dell’uomo. Si tratta quindi di un patrimonio che era stato consegnato all’umanità perché lo dominasse. Una frase della Genesi aveva segnato da sola la definitiva superiorità del genere umano su tutti gli altri esseri viventi (1.26. Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, ...). Cosí erano state escluse non solo la subordinazione ma persino la parità dell’uomo rispetto alla natura. Senza limitazioni a questa nuova specie vennero dati grandi poteri (1.28. Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra). Gli uomini e le donne, secondi solo al Dio creatore, avrebbero dunque avuto sin dall’origine il dominio assoluto della terra ed il possesso di tutto ciò che vi si trovava. Ma vi era molto di più (2.19. Ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo... li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome (2). Spettando all’uomo il compito di attribuire il vero nome ad ogni essere vivente, ne avrebbe avuto anche la proprietà più totale. In quasi tutte le culture i nomi tendono a essere confusi con le cose. Conoscere un nome ed essere in grado di pronunciarlo a volontà significa avere potere su di esso, e quindi anche sulla cosa rappresentata. In certe culture, nomi speciali sono tenuti segreti: vengono usati solo i nomi pubblici, che non sono quelli «veri», di modo che nessuno può acquistare potere su quella persona. Perciò, portare gli animali all’uomo perché dia loro il nome, equivale a metterli sotto il potere dell’uomo e di tutto il genere umano (3). Di conseguenza è stata aperta al genere umano la strada, non solo alla conoscenza scientifica, ma anche alle forme più assolute e globali di selezione, controllo, trasformazione, manipolazione ed infine alla stessa possibilità di distruzione della natura. In altre culture ciò non è avvenuto – come in quelle orientali od in quelle così dette etniche – ma purtroppo la nostra è diventata quella dominante. 10 La Rassegna d’Ischia 3/2009 La tradizione greco-romana, dal canto suo, riteneva che l’universo fosse eterno, non fosse stato creato e preesistesse agli stessi dei e che ognuno di essi regolasse una parte della natura e dei suoi fenomeni. L’universo e le sue leggi erano però immodificabili e nemmeno gli dei immortali potevano opporsi ad esse. Agli uomini mortali era concesso di intervenire su alcune componenti della natura - quando ciò non si scontrava con il volere o l’invidia di qualche divinità – e di servirsene, perché questo era il loro fine. Le due concezioni – l’ebraico-cristiana, che ritiene la trasformazione della natura un dovere, e quella greco-romana, che la ritiene possibile anche se talvolta eroica ed inattuabile – avevano qualcosa in comune perché escludevano entrambe che i rapporti tra uomo e natura avessero fondamenti etici. Queste posizioni di contrapposizione con la natura, di dominio su essa e di assenza di eticità nelle azioni che la coinvolgono sono rimaste a lungo nei comportamenti e nell’immaginario collettivo del mondo occidentale tanto che ancora oggi, malgrado la diffusione delle conoscenze scientifiche e l’accresciuta sensibilità ambientale, si esprimono sia nelle decisioni politiche, sociali ed economiche che nelle azioni quotidiane. Basti pensare ai paesaggi delle monocolture coloniali, delle coltivazioni e degli allevamenti industriali, alla sperimentazione sugli animali ed agli effetti dell’incosciente dispersione di inquinanti nell’ambiente. Ma si manifestano persino nelle espressioni artistiche o letterarie e negli atteggiamenti di una parte della popolazione che, ad esempio, si trova a disagio in presenza di un animale od è infastidita dal contatto diretto con la vegetazione. Di qui l’utilità – prescindendo ovviamente dagli aspetti psicotici e psicopatici - di approfondire le origini di questo rapporto non ancora risolto. Sulle conseguenze di un’interpretazione – che, in sintesi, riconosce la superiorità dell’uomo sulla natura e gli attribuisce non solo il diritto ma il compito di modificare il mondo attraverso le sue azioni, ricavandone tutto quello che ritiene gli possa servire – ha scritto l’etologo inglese Desmond Morris (n. 1928): «Tempo fa fui criticato per aver detto che più che “angeli caduti” siamo “scimmie che si alzano in piedi”. E in questo continuo a credere appassionatamente. Accettare ciò significa che dobbiamo considerarci parte della natura, non sopra di essa. In passato si è spesso detto che le “bestie” sono a nostra disposizione e che la terra esiste per essere soggiogata e sfruttata. Solo adesso stiamo iniziando a capire la follia di tutto ciò, a renderci conto che, se non ci considereremo una semplice componente d’un limitato sistema di vita sulla Terra, invece che ritenercene i padroni, le future generazioni potranno ritrovarsi a cercare di sopravvivere in un pianeta inquinato e moribondo (4). Questo ragionamento è la logica prosecuzione delle teorie dello scienziato inglese Charles Robert Darwin (18091882) che, nel 1859, aveva individuato le premesse per l’ipotesi di una discendenza di tutti i primati, uomo compreso, da un antenato comune, gettando le basi di una coerente solidarietà almeno con il mondo animale. A distanza di centocinquanta anni si pone in maniera drammatica - oggi più che mai - il problema etico-culturale di ridefinire la presunta condizione di superiorità dell’uomo. Anche se, in tempi recenti, si è passati ad interpretazioni più consapevoli – ma non ancora universalmente accettate ed applicate - che hanno riconosciuto l’assoluta necessità di un rapporto etico con la natura. Segno di questo nuovo atteggiamento è il concetto di giardino planetario inventato dal paesaggista-filosofo francese Gilles Clément (n. 1943): Il Giardino planetario è una rappresentazione del pianeta come giardino. Il sentimento di finitezza ecologica fa apparire i limiti della biosfera come lo spazio concluso di ciò che è vivente (5). Quindi, in un futuro non troppo lontano, ad un genere umano, redento della sua follia, potrebbe essere nuovamente affidata la terra, come ai nostri progenitori era stato affidato il paradiso terrestre. Paradiso nella tradizione ebraico- cristiana e mussulmana I primi orti-giardini realizzati dalle popolazioni medio-orientali risalgono al III millennio a. C. Nella stessa regione geografica, furono elaborate le sacre scritture delle grandi religioni monoteiste (ebraica, mazdeista, cristiana e mussulmana) che, come è noto, fanno riferimento a dei giardini. Secondo la Bibbia il giardino per antonomasia era in Eden ad Oriente (di Israele). Quella regione era abitata in origine dai Sumeri - nella cui lingua la parola eden o edim vuol dire pianura - e che, allora come oggi, è irrigata dai grandi fiumi Tigri ed Eufrate. Tutto ciò non ha molta importanza per la nostra ricostruzione, serve solo a creare lo scenario di una terra assolata ma pianeggiante, ben irrigata e fertile. La caratterizzazione del paradiso - definita e descritta allora - è esattamente la stessa utilizzata per il giardino nei secoli successivi e sino ai giorni nostri. Come i primi giardini mesopotamici è formato soprattutto di alberi. Non conta solo l’utilità di questi alberi “buoni da mangiare", ma anche la loro bellezza perché “graditi alla vista”. A differenza del paesaggio naturale, nato spontaneamente dall’acqua e dalla terra, il paradiso è recintato. Questo giardino è stato piantato, con un’azione che richiama quella manuale degli agricoltori. Ha bisogno di essere coltivato e custodito da giardinieri (compiti affidati ad Adamo ed Eva). Deve essere anche innaffiato quindi, come in ogni giardino successivo, vi è la presenza dell’acqua. Vi nasce un grande fiume che poi si divide in quattro: Phison, Gehon, Tigri, Eufrate. Questa presenza e la quadripartizione si ritroveranno anche nei giardini della mitologia greca, dei re-sacerdoti persiani, degli arabi, degli indiani ed in tanti altri successivi. L’acqua è importante non solo perché è indispensabile alla vita delle piante e degli animali, ma anche perché svolge funzioni simboliche, estetiche e, insieme alla vegetazione, mitigatrici del clima. Nel recinto sono presenti alberi belli e buoni. Alle funzioni estetiche ed utilitaristiche si aggiungono gli aspetti simbolici, sottolineati dalla presenza dell’albero della vita e dell’albero della conoscenza. Al giardino sono attribuite queste due ulteriori funzioni: quella di rappresentare la vita - in contrasto con l’aridità del difficile mondo esterno - e la conoscenza. Infatti, osservare e coltivare le piante e raccoglierne i frutti - soprattutto quando se ne comprenderanno le virtù officinali – consente di penetrare i misteri della natura. Infine l’aspetto estetico e simbolico è ulteriormente rafforzato dalla presenza di altre sostanze: “oro”, “pietra ònice” (dovrebbe trattarsi dell’onice o della cornalina) e “bdellio” (probabilmente una resina odorosa). Cosí l’immagine del giardino si arricchisce. Insieme all’ombra degli alberi, alla bellezza dei fiori, alla dolcezza dei frutti ed alla frescura delle acque, vi sono anche materiali preziosi dai colori splendenti e profumi, che pervadono l’aria come nel giardino incantato di Gilgamesh o nel giardino dell’Eden descritto dal profeta Ezechiele. Quando poi gli esseri umani saranno scacciati dal paradiso, davanti alle sue porte verrà collocato un custode, come in molti altri giardini leggendari, la cui presenza ne rafforza l’aspetto di hortus conclusus (giardino chiuso). Adamo ed Eva furono costretti ad abbandonare la loro condizione di giardinieri per assumere quella di contadini. Partiti per sempre i giardinieri, il paradiso scomparve – come accade anche oggi ad ogni giardino - ma ne rimase la nostalgia (6) e ben presto cominciò ad essere ricordato, raccontato, descritto in prosa e poesia, dipinto e poi riprodotto innumerevoli volte a partire dall’Alto Medioevo. Vi erano infatti tutti gli elementi che avrebbero consentito, nei secoli successivi, l’attribuzione di forti significati simbolici ai giardini occidentali, ma qualcosa doveva ancora avvenire. Il concetto di paradiso, come luogo dell’eterna beatitudine, non esisteva ancora. Per la religione ebraica l’anima, lasciato il corpo, riposa dopo il giudizio nello Sheol (il soggiorno dei morti) che nulla ha in comune con il paradiso della Genesi. La mitologia classica aveva immaginato l’esistenza dei campi Elisi per chi in vita aveva esercitato le virtù. Ma, in realtà, la visione prevalente dell’aldilà per i greci ed i romani era triste e senza speranza, come si può leggere in Omero e Virgilio. Fu il profeta persiano Zarathuštra Spitama (630-553 a. C.) che per primo annunciò la presenza, dopo la morte, di un meraviglioso paradiso per i buoni e di un inferno per i cattivi. Mentre la religione cristiana aveva dato della vita dopo la morte una interpretazione solo spirituale fatta di pura contemplazione, l’Islam riprendendo proprio gli insegnamenti di Zarathuštra vedrà nel giardino l’immagine delle beatitudini del cielo, secondo la parola del profeta arabo Muḥammad (570-632). Il giardino diveniva un premio in terra, per i credenti nella nuova fede dell’Islam, ed un’anticipazione della ricompensa ultraterrena che permetteva loro di godere un luogo meraviglioso ricolmo di ogni bellezza, felicità e saggezza. Il firdaws (paradiso in terra) - derivato dal termine persiano pairi-daësa e poi dal greco παραδεισος - era usato, nel mondo arabo preislamico, per indicare una zolla di terra fertile. Con l’avvento della nuova religione divenne un ğannat al-ard (giardino della terra) quindi l’immagine La Rassegna d’Ischia 3/2009 11 e, nello stesso tempo, l’anteprima del ğannat ‘adn (giardino dell’Eden) o del djanna (giardino di Dio) nel cielo. La bellezza del giardino e la gioia, che da esso si può trarre, ne diventavano cosí la principale giustificazione che si caricava di significati morali e religiosi in quanto giusto riconoscimento per la persona virtuosa e saggia che a buon diritto lo possedeva. La nuova interpretazione del giardino come premio, verrà nei secoli successivi trasferita in Occidente. Non essendo più oggetto dei severi giudizi morali espressi dagli antichi greci e dai romani dell’età repubblicana che apprezzavamo solo gli orti – o di sfrenata ostentazione della ricchezza e dei piaceri – condannati dai padri della chiesa cristiana che temevano il paganesimo dell’Ellenismo e della Roma imperiale – il giardino poteva divenire il locus amoenus: il luogo ideale per la gioia delle persone giuste e sapienti, dove trionfavano la bellezza della natura e l’arte degli uomini. Paradiso medievale come luogo d’origine di tutta la flora del mondo Che i giardini fossero considerati importanti è confermato anche dalla predicazione di Zarathuštra che fondò il Mazdeismo, per secoli religione ufficiale dell’Impero Persiano. Nel Videvdat (Legge contro i demoni) - l’unica parte del testo sacro Avesta giunta a noi quasi integra – lo stesso dio Ahura Mazda aveva descritto al profeta l’Airyana Vaêjo (terra delle origini) dove aveva ordinato al mitico re Yma (28. Proprio là [realizza un castello e] raduna il seme di tutte [le] piante, che siano le più alte e più profumate di questa Terra (7). L’idea di un luogo dove fossero radunate tutte le piante della terra venne ripresa durante il Basso Medioevo. Dante Alighieri (1265-1321), incontrando nel paradiso terrestre donna Matelda, rimane colpito dai profumi e dai colori dei fiori. Infatti il poeta immagina che nel paradiso vi siano tutte le piante della terra, che vi nascono senza essere seminate, come continuazione dell’originaria forza creatrice. Dalla cima del monte, su cui è posto il giardino, il vento trasporta, come da un universale orto botanico, in ogni luogo i semi che, se il terreno che li riceve ed il clima sono adatti, germogliano. L’infinita molteplicità delle forme di vita vegetali ed animali, che popolano la terra, qui era solo immaginata e dovranno passare ancora quasi due secoli perché iniziasse l’epoca delle grandi scoperte geografiche e con esse la consapevolezza dei fenomeni che regolano e moltiplicano la vita. - descritto da Salomone nel Cantico dei Cantici. [...] Bruno Filippo Lapadula Architetto esperto in valutazione d’impatto ambientale, professore di Storia del Giardino e del Paesaggio presso l’Università di Roma 1. 2 Tutti i brani sono tratti da: La Bibbia di Gerusalemme, Ed. Dehoniane, Bologna, 1996. 3 I. Asimov, In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza, Mondadori Ed., Milano, 1981. Asimov, oltre ad essere scrittore e divulgatore scientifico, era uno scienziato di origine ebraica. 4 D. Morris, Il bastone da passeggio del gorilla cosí cammina l’evoluzione”, in “La Repubblica” del 5 ottobre 2005. Dello stesso autore si vedano: D. Morris, La scimmia nuda, Studio zoologico sull’animale uomo, Bompiani Ed., Milano, 1999. D. Morris, Noi e gli animali, Mondadori-De Agostini Ed., Milano, 2001. 5 G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet Ed., Macerata, 2005. 6 Si veda: F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del Paradiso. Il Giardino Medievale, Laterza Ed., Bari, 2002. 7 Zarathustra L’Avesta, Istituto Editoriale Italiano Ed., Milano, 1914. 1 Giardino come imitazione del paradiso I giardini medievali erano di tipo naturalistico - niente di più che un prato fiorito, circondato da un muro, con al centro una fonte e qualche albero da frutto - esattamente come quello descritto da Dante. L’eccezionalità e la bellezza di questi luoghi ed il loro carattere di premio li resero sempre più profani, anche se si rifacevano al modello sacro del paradiso terrestre od a quello metaforicamente sacro – ma in realtà profano e sensuale La pianta premiata Giardini Ravino . Eritrina in fiore 12 La Rassegna d’Ischia 3/2009 Domenico Antonio Parrino (1700) * L'isole di Capri, Ischia, Nisida, Procida Dell’isola d’Ischia, e suoi bagni § VII. Prima di giungere al Monte Miseno, donde comincia il seno cratero, terminando al Capo di Minerva, o Campanella, dirimpetto a Capri, vi sono due isole e perché par che servano di corteggio alla bellissima prospettiva di Napoli, ne compendiaremo qualche cosa per notizia de’ signori forastieri. Diversi nomi dunque ha dagli antichi havuto l’isola, che oggi d’Ischia si appella, ed i suoi accidenti han dato luogo a molte favole. Arime o Inarime da Virgilio vien detta, da Omero e Filostrato, forse da’ popoli arimi di Siria, o vero da un promontorio de’ Sarpedoni presso l’antro di Corcira. Fu detta Isola delle Scimie, non perché ve ne fussero giammai, ma per la favola de’ fratelli Cecropi trasformati in questi animali secondo Suida ed Ovidio; Plinio chiama Enaria dall’haver dato luogo all’armata di Enea, o pure da’ vasi di creta grandi, detti pithos, che vi si faceano; da’ greci detta Pitecusa, ch’è lo stesso nome preso dalle scimie. Stefano però dice esser non una, ma diverse l’Isole Pitecuse, le quali da Strabone con Ponzo e Ventotene, dette la bella Partenope, Palmarola ed altre, vengono dette Enotridi; che vi fusse sepellito Tifone narrano le favole, forse allegorizzando per la violenza de’ fuochi sotterranei e venti, che tifoni chiamano i greci: anzi dicono che questo Tifone si estenda sino alla Sicilia, e ciò per esser Tifeo, ch’è lo stesso Tifone, uno de’ Giganti che conbatté con Giove, dicono Virgilio e Lucano, che Silio Italico chiama Giapeto. Il Boccaccio, toltolo da Teodonzio, dice che fusse il detto Tifeo figlio della Terra e di Titano, antichissimi re di Cilicia; Esiodo narra che da’ suoi omeri uscivano cento capi di dragoni, che mandasse fiamma dagli occhi, ed ogni capo havesse la sua voce. Tutte le dette favole sono mitologiche, per dinotare gl’incendj di detta isola, de’ quali molti se ne numerano. Fu abitata prima da’ popoli eritrei, calcidici e cumani, cioè quelli che da Negroponte qua vennero, e che da qua passassero poi a Cuma edificandola e dandole il nome, e che si fussero arricchiti con la fertilità dell’isola, e per le vene dell’oro; ma poi per una sedizione nata fra loro la abbandonassero, scrive il citato più volte Strabone. Che da Gerone re di Sicilia occupata, discacciati i detti eritrei e i calcidesi, fusse abitata da’ siciliani, poi da questi per incendj e terremoti anche abbandonata, scrive il Fazello, ove haveano fabricato un castello detto Gironda, portandone sino ad oggi il nome una parte dell’isola. Il suo Monte Epomeo, o vero San Nicolò, che ardesse a tempo di L. Marzio e Sesto Giulio consoli, poi sotto Tito, Antonino e Diocleziano, si ritrovano memorie; si ritrova ancora che sotto Alberto I per due mesi bruciasse, e da Giulio Ossequente, che 89 anni avanti la venuta del Signore havesse eruttato fiamme. Il circuito di tutta l’isola è di miglia 18, misurandovi i lidi e i capi, senza di essi per dritto 15. I suoi promontori sono: Locio, Sciarillo, Aguglia, Cesaglioni, San Pancrazio, Cavalleria, Maronzio Sant’Angelo, Pedaso, Falconara, Scannello, Vecchio, Lo Schiavo, Imperadore, Santa Maria delle Grazje, Parata, o Pisciazza della Vecchia, Scrofa, San Pietro, Arena e Cornacchia, che si estendono sopra il mare. I suoi porti, benché piccioli seni non buoni per navi grandi ed armate, sono: Sant’Angelo, Pansa, Montano, gli Scogli, la Nave, ch’è uno scoglio, Cerruso altro scoglio, Famoso, Treglio, Scrofa e Gigante anche scoglio. Sorge nel mezo il monte detto Epomeo, ora di San Nicola, altissimo, sopra del quale è la chiesa del santo, incavata con piscine d’acque freddissime e stanze d’abitarvi; da sopra detto monte si vede tutta l’isola e l’isole circostanti di Procida, Capri, Vivara, Ventotene, Palmarola, Ponzo e l’altre; con tutti i lidi di Cuma, Seno di Napoli, Vesuvio, con una vista interminabile. Vicino al detto monte è il Monte Abuceto così detto, quasi Aviceto per l’abbondanza degli uccelli, dove scaturisce un fonte d’acqua fredda, chiara ed esquisita, e perché l’isola è scarsa d’acque dolci, e la detta scaricava a mare, con gran spesa per aquedotti è stata condotta al borgo detto Celsa, presso la città, per un gran tratto di paese. Sotto il Monte Sant’Angelo, che si stende in mare come penisola, si fa una gran pesca, particolarmente di ragoste, e vi sono anche coralli; sopra il monte detto della Guardia s’invigila, perché spesso vengono intorno all’isola i corsari per farvi preda. Fra i Monti Terzani e Capo di Monte vi è una valle, ove biancheggia il nitro, e vi è un fonte detto Nitroli, la di cui acqua matura e biancheggia in tre giorni il lino; detta valle è detta Oscura, con acque fredde e calde, poi la Valle degli Olmitelli, con il bagno di detto nome, e di Dojano. Dal Capo di Monte scaturisce un’acqua fresca e chiara, detta de’ Frassitelli. Vi sono altri monti detti Belvedere, Stabia, Maronzi, * Di Napoli il seno cratero esposto agli occhi et alla mente de’ curiosi, descrivendosi in questa seconda parte le ville, terre e città che giacciono all’intorno dell’uno e l’altro lato dell’amenissima riviera del suo golfo, o sia cratere, l’isole di Capri, di Procida, di Nisida e d’Ischia, coll’antichità curiosissime di Pozzuoli, epilogata da’ suoi autori impressi e manoscritti che ne hanno diffusamente trattato, opera et industria di DomenicoAntonio Parrino, natural cittadino napolitano. - Volume secondo. - In Napoli, l’anno del Giubileo MDCC nella nuova stampa del Parrino a Strada Toledo, all’insegna del Salvatore, con licenza de’ superiori e privilegio. La Rassegna d’Ischia 3/2009 13 Cavalleria, San Pancrazio, per una chiesa consecrata al santo, Sejano e Vico, ed altri. Sotto il Monte dell’Aguglia vi è un antro, o cava, entrandovi il mare, ove possono nascondersi navi ben grosse; nei Monti Falconara, Maronzi e della Guardia vi prendono falconi; appresso il Promontorio di Sciarillo vi è quello della Pisciazza, cioè orina della vecchia, per una linea minerale che discende dal monte sopra il casale di Campagnano. Delle sue diverse valli, oltre le dette Oscura e degli Olmitelli, ve n’è una che ritiene il nome dagli antichi fondatori, detta di Negroponte, dove si dice che abitassero i cumani, molto bella, amena e fruttifera, con acque fresche, e vi sono l’alumiere cavandosene da 1500 cantara l’anno; ed in questa la valle sono le ville di Monte Testa e Casa Cumana. Sotto il Promontorio della Cornacchia vi sono alcuni scogli dette le Formicole, corrottamente le Foranicole. Vi è poi la Valle e Monte de’ Liguori. In Casa Cumana sudetta, dicono che abitasse per lungo tempo la Sibilla, e di altri luoghi anderemo dicendo. Il nome d’Ischia, che al presente tiene, è dagli autori diversamente interpetrato: chi dice dalla fortezza, essendo l’isola molto forte, con rupi scoscese di pietra viva, e la città sopra uno scoglio situata; chi dall’ancora, per la sua forma; e chi dalla coscia, o nervo d’essa, che ikeon si dice in greco. Che fusse svelta dal continente scrive il Pontano con altri, conghietturandolo dalle caverne e rupi scoscese, seguendo altri autori prima di lui, come dicono che Procida anche da questa per un terremoto si dividesse, dimostrandolo il suo nome, che abscissa vuol dire; il medesimo Pontano scrive 60 anni avanti de’ suoi tempi haver buttato fuoco la detta isola, e non vi è dubbio che ci appajono vestigi d’incendio, particolarmente dalla parte del bosco di Fontana sino a Celsa, dove si dice le Cremate, per un miglio di lunghezza e due di larghezza, vedendosi il territorio, che era il più bello e fertile dell’isola, bruciato, asserendo il detto Pontano ed altri autori nel 1301, sotto Carlo II d’Angiò, essere uscito dalla terra un gran fuoco solfureo che consumò detto paese, bruciando per due mesi continui, divorando una villa che al fine s’inghiottì la terra. In un luogo, che oggi si dice Castiglione, ed appajono rovine di gran fabriche con piscine uguali a quelle di Cuma, e vi sono bagni e sudatorj, vogliono che fusse l’antica città edificata, o da’ cumani calcidici, o eritrei, o pure da Gerone, o da quello ristorata e cinta di mura, poi abbandonata per terremoti o altro; si ridussero gli abitanti alle ville di Trista, Casa Miccia o Nizzola, Lacco, ed altre. Sopra uno scoglio di viva selce di 7 stadi di giro sta la città e 14 La Rassegna d’Ischia 3/2009 castello, a cui si passa per un lungo ponte di fabrica da Celsa; s’entra per porte ferrate custodite da’ soldati paesani, havendo per la loro fedeltà ottenuto questo privilegio, e si sale per una cava. Alfonso d’Aragona la rese più forte con muraglie e guarnilla d’artiglieria; oggi è la città quasi tutta diruta, non abitandovi troppo i cittadini, e quando il mare è tempestoso, trapassando il ponte, non vi si può andare senza periglio d’esser sommerso. Prefetto o governatore perpetuo dell’isola è il marchese di Pescara d’Avalos, con giurisdizione civile e criminale, ottenutolo la casa per li suoi servigi ai regnanti, e sua fedeltà. Sono i cittadini esenti da’ pagamenti fiscali. I castelli dell’isola sono: Celsa, ch’è il borgo della città, nel lido dell’isola passato il ponte, Panza Fontana, divisa in due, Testaccio, Barano, Campagnano, Monopane, Piano, Lacco, Trista o Tresta, Casamiccia o Nizzola, e Forio detto ancora Forino; è quest’ultimo il più abitato dalla parte occidentale, guarnito di dodici torri, e mura con genti di valore. Vuole Jasolino che dicesi Fiorio perché fiorì al mancare degli altri per l’incendj; vi si è fatto ultimamente un picciol molo, dal quale si trasporta quantità di vino per Roma ed altrove. È l’isola abbondante di giardini e ville deliziose: vi era presso Celsa quella di Pontano, della quale ve ne sono le memorie ed il nome; vi è la villa detta Chiumano, cioè Cumana, amenissima e fertilissima; il giardino già dei signori Guevara, detto Ninfario; altro luogo detto il Giardiniello, ov’è il Bagno del Gradone; il Giglio, dove fassi ottimo vino; essendo per altro tutto il vino che produce gagliardo ma fumoso, bench’ei sia Greco, Coda di Cavallo, ed altri vini, che, traficati e navigati in Roma, Firenze, Genova, ed altrove, riescono esquisiti. Produce il terreno cardi e carcioffi in quantità, e buoni; abbonda di garofali, che per la terra arenosa nascono in moltitudine grande, ma tosto seccano; è abbondante infine di fichi, azzaruoli, pere moscarelle e di tutte le sorti, e d’ogni altro frutto desiderabile. Ricca è di cacciagione di lepri e conigli, starne ed altri uccelli, e vi erano i fagiani in gran parte distrutti, e vi si portava a deliziarsi alla caccia il Re d’Aragona. V’è un largo, detto la Sedia, dove fu una gran quercia e si dice il riposo del re; vicino una fontana intagliata nel sasso, e vicino il castello di Panza erano gli edificj per delizie del Re. C’habbia l’isola miniere d’oro lo scrive Strabone, e dicono essere a Campagnano, vicino la cappella di San Sebastiano, havendone fatto prova i signori veneziani, e se ne vedono ne’ bagni dell’oro, di cui dirassi, i segni. Le sue arene nere e tirate dalla calamita dimostrano le miniere di ferro, né altrove si ritrovano simili. Nel Monte della Guardia vi sono le miniere dell’alume, cavato ancora dalle pietre bruciate, da un genovese. In un luogo detto Crovoni vi è una miniera di pietre molari, e vi si dice la Molara. Per l’isola sono undici fonti d’acque fresche, e trentacinque di calde per bagni, cinque luoghi d’arene, diciannove sudatorj, ed il fango medicinale di Fornello. Vi è un lago d’un miglio, che nudriva folighe in gran quantità, a’ quali si dava la caccia ne’ tempi di San Martino, ma perché cagionava aria cattiva, introdottovi il mare, più folighe non vi regnano, o rarissime, allora che prima se ne uccidevano delle migliara, ed erano grasse, o per un’erba che vi mangiavano, o per l’acque che vi scaturivano salutifere e buone ad ingrassare. Nella cala detta di San Montano vi sono aperture della terra, donde esce un vento molto caldo. In un altro luogo, detta la Fichera, vicino al Monte Sant’Angelo, vi è un sudatorio e bagni, e vi si esalano vapori con tanto strepito, che inducono timore agli abitanti convicini. I paesani, perché forse di natura ignea, sono pronti alle risse ed allo spargimento di sangue, e benché per lo più siano poveri, ad ogni modo non mancano nobili famiglie, come sono: la Cossa, o Salva Cossa ch’è la medesima, della quale famiglia fu Pietro conte di Bellante, che resse l’isola per Federico, la Mellusia della Stella, Incerbera, Incorvera, Mansa, Navarra, Innarza Spagnuola, Torella, Capece, Lamberta, Palagana, Afflitta, Imfrisca, Rossa, Canuta, Amalfitana, Guarina, Martina, Pagana, Manozza, che contendea facendo sequela con la Cossa, una parte seguendo Alfonso, l’altra Renato, Malfia, Torre, Pappacoda, Papa, Calasirta, Barbara, Galatola, Mano, Manocchia ed altre, alcune delle quali sono oggi estinte. In quanto all’ecclesiastico è retta dal suo vescovo, ed ha comoda prebenda, benché fusse anticamente maggiore, e poi per l’incendj diminuita. Tra’ quali vescovi è stato: monsignor Innico d’Avalos de’ marchesi di Pescara e Vasto; don Francesco Tontoli de’ padri somaschi di Manfredonia; don Antonio del Vecchio, già canonico di Capua; don Girolamo Rocca de’ nobili di Catanzaro, famoso giureconsulto che ha dato alle stampe diversi trattati legali, col titolo Disputationum Juris Selectarum; don Michel’Angleo Cotignola, che fu già canonico della Cattedrale di Napoli, uomo d’integrità di costumi e di lettere, che rinunciata la mitra è passata in don Luca Trapani, vivente, che dignissimamente la regge. Nella città, o sia castello, è la Basilica Vescovale, con le chiese della Santissima Trinità; San Ni- colò; Santissima Annunziata; Santa Maria della Torre, edificata dalla famiglia della Torre, estinta, e dedicata a Santo Stefano; Santa Maria d’Ortodonico, detta così dal luogo dove è situata, ristorata da Costanza Canetta; ma sono maltrattate dal tempo. Nel borgo di Celsa vi è Santa Maria della Scala de’ padri agostiniani, i quali nell’anno 1601, facendo non so che fabrica, ritrovarono un vaso di creta ornato d’oro con l’imagine della Vergine Annunziata e gigli scolpiti, pieno di monete d’oro. Vi sono le chiese e conventi di San Francesco e di San Domenico, e monisteri di monache. Nel Lacco la chiesa di Santa Restituta de’ padri carmelitani dicono haver i corpi di due santissime vergini e martiri, santa Restituta ed Oliva, o Olivata; della prima altrimente dice il Martirologio, cioè che sotto Valeriano nell’Africa fu martirizzata e posta sopra una navicella di stoppa e pece piena, accioché fusse bruciata, fu portata miracolosamente nell’isola d’Ischia, ma che poi Costantino le fabricasse una basilica in Napoli, ove si stima trasferisse il corpo, leggendosi all’altare di detta chiesa attaccata all’Arcivescovato: “Corpus Sanctæ Restitutæ”. In quanto a sant’Oliva, di due sante con tal nome fa lo stesso Martirologio menzione, una di Palermo, l’altra di Anagni: della prima non si è ritrovato ancora il corpo, che dall’Africa, ove fu martirizzata sotto Genserico, fu trasportato nella sua patria, e sepellito in un campo, che si dice di Sant’Oliva; questa d’Ischia esser potrebbe qualche altra santa Oliva o Olivata. Hanno ancora le chiese qualche cosa di buono, avvegnaché in Casa Miccia nella parrocchia dedicata alla Madalena evvi un quadro della santa del cavalier Farelli; nella congregazione di essa una Schiodazione del Signore dalla Croce di Andrea Vaccaro; nella congregazione di San Rocco una tela del Giordano; nel Rosario del Lacco un quadro della Vergine del detto titolo di buonissima mano, ed un’altra tela d’Agostino Beltrano; èvvi ancora una Vergine Assunta ed un Crocefisso molto belli, di legno coloriti, di Gaetano Patalano, stimabile scoltore in legno del detto paese (1). Si celebra festa e fiera di santa Restituta di maggio, e nel chiostro della sua chiesa 1) Questa fonte, già nota al prof. Agostino Di Lustro, gli suggerì una più ampia ricerca sui due scultori lacchesi e ne trovò molte opere soprattutto in Spagna e in varie località dell'Italia Meridionale. Le sue ricerche, prima riportate su La Rassegna d'Ischia, furono successivamente pubblicate nel volume: A. Di Lustro e G. Borrelli, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano tra Napoli e Cadice, Arte Tipografica, Napoli 1993. sono alcuni epitaffj di sepolcri di gentili, e se ne ritrovano con occasion di fabriche sotto terra. L’urna che serve per l’acqua benedetta era di quei tempi per conservarvisi le ceneri, come si legge dall’iscrizione. Da molte guerre è stata l’isola travagliata, oltre le sue intestine della famiglia Cossa e Manozza. Nell’anno 1135 la saccheggia rono i pisani; nel 1295 per ordine di Carlo Secondo d’Angiò andarono sotto la condotta del Re d’Aragona, genero di Carlo, 4000 soldati a distruggerla; nel 1328 Giovanni Caracciolo volle più tosto essere in una torre bruciato che rendersi; ribellatasi l’isola a Federico Secondo, Pietro Salva Cossa la liberò da’ napoletani, che con nove navi erano venuti ad assalirla, per aver voluto gl’isolani un ducato per botte di vino; nel 1301 per due mesi, come si è detto, bruciò l’isola, come scrivono molti col Colenuccio; Luigi d’Angiò nella festa di santa Restituta assaltò il borgo e, prendendo le genti, fu d’uopo per riaverli per metterli il porto. Alfonso, discacciando dalla città gli antichi abitatori, la fece colonia degli spagnuoli o catalani, facendoli casare con le vedove o zitelle, per renderseli amorevoli, fortificando il castello, e ne diede il governo a Lucrezia d’Alagni sua donna, havendole sostituito Giovanni Torella: ne nacque perciò, morto Alfonso e regnando Ferdinando, una terribile guerra, non volendo Giovanni restituirla. La resse ancora Francesco Scondito prima per la regina Giovanna. Presa Napoli da Carlo Ottavo, qui Ferdinando con le reliquie del suo esercito si ricoverò, e perché il castellano non volea riceverlo, il Re dicendo che volea parlarli da solo a solo, introdotto nella porta del Castello, con la maestà atterrendolo, l’uccise di propria mano, ed introdusse i suoi, impadronendosi del Castello, ove si trattenne finché fu richiamato al regno. Fatto governatore da Federico, il Marchese del Vasto la ritenne per lo detto re, ancorché quello gli scrivesse che si rendesse al Re di Francia. Tanta è stata la fede della casa d’Avalos. La sostenne con animo eroico Costanza, sorella del Marchese di Pescara e del Vasto, contro l’impeto dell’armata francese. Fu da Ariadeno Barbarossa corsaro, per dispetto del marchese detto assaltata, e saccheggiate le ville di Forio, Pansa e Varano, non bastando alla povera gente salvarsi sopra il Monte Aboceto, conducendone, i barbari, schiavi 4 mila huomini; come è spesso soggetta a scorrerie di turchi, mori ed il peggio de’ rinegati. Vanta l’isola sotto Roggiero alcuni della famiglia Cossa generali dell’armata marittima di 25 galere; come anche la fa miglia Maramaldo, Giudice ed Amalfitana. Ha prodotto buoni ingegni nelle lettere, ed ottimi soldati nell’armi; e fra i letterati non poca lode meritò Fabio Oronzio, che fece un poema toscano intitolato L’Europa. E non poco obligo ha l’isola a Giulio Jasolino, famoso chirurgo, che ravvivò i suoi antichi bagni, quasi tutti dispersi, descrivendone le virtù diffusamente, che sta sepellito in Santa Chiara di Napoli; ed altro tanto obligo deve a Francesco Lombardo, medico napolitano, che gli celebrò in versi, rendendosi famosa oggi la detta isola più per li detti bagni salutari, che per le favole antiche de’ Tifei, o per gli antichi abitanti eritrei, calcidici e cumani, e dominio di Gerone, e degli antichi vasi grandi di creta, de’ quali anche se ne ritrova qualcheduno e se ne mantiene la memoria in tante fornaci, che ne sanno per haver la comodità della creta; ma de' bagni scrissero Rainero, Solenandro, Antonio Baccio, il Savonarola, Giovanni Elisio, ed altri autori antichi e moderni oltre i sudetti. [...] Dell’isola di Procida § VIII. È quest’isola deliziosissima detta di Procida, come vogliono alcuni, perché vi fusse sepellita la Nudrice di Enea, ma Plinio dice essere stata divisa dall’Enaria, o Ischia, quasi abscissa, tanto più che dice Virgilio haver dato la nudrice d’Enea il nome a Gaeta, con la sua morte, ma sono poetiche invenzioni. Il nome npoucim greco par che venga dal dividere, onde esser per terremoto dalla detta Inarime, o Ischia, divisa, seguitando Strabone diremo come Sicilia dal Regno di Napoli, Cipro dalla Siria, Eubea dalla Boezia, e Licosa o Leucosia dal Promontorio delle Sirene. Il Sannazzaro poetizando disse che per lo moto di Tifeo gigante, che volea inalzarsi dal peso dei monti che tiene addosso, venendo perciò il terremoto si dividessero le due isole; Silio dice, che sotto Procida vi sia sepellito un altro gigante detto Mimante, ma sono poeti; come il Pontano che “bellissima Ninfa” l’appella, e descrive con figura vaghissima e capricciosa. Or lasciando queste favole da parte, è l’isola 7 miglia di circuito, lontana da Ischia due, e da Pozzuoli otto, e da terra ferma al Fumo da quattro o cinque; per lo più è tutta piana, e particolarmente nella cima, ove il cardinal detto d’Aragona seniore edificò un palazzo, nel cui cortile si può giocare a palla. Il suo Castello, o palazzo a guisa di castello, fu col disegno di Benvenuto Tortella architettato, e finito da Giovan Battista Cavagna. Vaghi giardini vi fecero i marchesi di Pescara e Vasto. Tiene un doppio lido, o porto, abitato uno verso occidente, detto il Cattolico, con ospizj, case, chiese e giardi- La Rassegna d’Ischia 3/2009 15 ni; l’altro verso l’oriente detto Corricella, abitazione di pescadori, ed in su la cima è il detto palazzo con altre abitazioni e Chiesa Cattedrale sotto giurisdizione ecclesiastica dell’arcivescovo di Napoli. Abbondante è l’isola di frutti, dolcissime uve e fichi ottate, che sono i primaticci a maturarvi, che si portano in Napoli; ha cardi, carcioffi e finocchi, grossi e gustosi a mangiare. Per la caccia vi abbondano lepri, e gran quantità di conigli selvaggi e d’uccelli, fra’ quali i fagiani e francolini, riserbati però a’ padroni; e vi si sono portati alla caccia anche i viceré. Non minore è la pesca, abbondante di tutte le sorti di pesci, ed in uno scoglio o isoletta che ha dirimpetto, detto Santo Martinello, vi si fa l’estate preda di quantità di tonni. Poco da lei divisa verso Ischia è l’isoletta o Scoglio di Vivara, prima solo ricetto di conigli, oggi resa fertile con la coltura. Le chiese di detta isola sono: quella di San Michel’Arcangelo, abbaziale prima del detto cardinal d’Aragona seniore, poi del cardinal Bellarmino; quella di Santa Margherita, che da un luogo dove era la caccia, per non disturbarla, fu trasferita tra le muraglie, e governata da’ padri domenicani, e dicono che hanno il corpo di santa Margherita, ma s’ingannano, essendo stata quella martirizzata in Antiochia secondo il Martirologio; quella di San Vincenzio Ferrerio, ove fanno celebrarvi i domenicani istessi, benché non vi stanziano. Nel mezzo dell’isola è la chiesa della Santissima Annunziata, che era già metropolitana, e vi era un monistero di donne, che per timore de’ turchi, che spesso vi facevano scorrerie, furono trasportate in Santa Patrizia, restando al luogo il nome di Monastile. Soleano le dette monache celebrare la festa della Vergine Assunta, e distribuire detto giorno noci e vino. Che fusse di Procida quel Giovanni che ordì la terribile congiura del Vespro Siciliano vogliono molti autori, fra’ quali il Petrarca; il Colennuccio dice che fusse medico di Manfredi re; il Fazello che fusse il signore di Procida. I salernitani additano un marmo che fusse loro cittadino, e della famiglia Procida. Qualunque sia la verità egli è famoso per haver tolto a Carlo d’Angiò un regno e datolo a Pietro d’Aragona, da cui hebbe, con molti feudi e titoli, l’onore di gran cancelliero di Valenza. Da questo passò il dominio dell’isola alla famiglia Cossa, che anni sono la permutò con Presenzano e Pietra Bairana, col consenso di Carlo V, passando il dominio alla casa d’Avalos. Giovanni sudetto di Procida hebbe un fratello di nome Landolfo, onde l’Ammirato lo fa di stirpe lombarda. Si ritrova nominato un Tomaso di Procida, padrone di Capri, Ischia e Procida. Prima del detto dominio degli Avalos hebbe un Matteo Cossa gran camerario, giustinziero e generale dell’armata di Carlo I, di cui ve n’è memoria in un marmo in Ischia; un Giovanni da cui nacque Baldassar Cossa pontefice, detto Innocenzo III, e molti altri eroi della detta famiglia, siniscalchi, marescialli e titolati: d’un altro Giovanni signore di Procida ve n’è un marmo nella Cattedrale d’Ischia, morto il 1390; un Michele che n’hebbe la giurisdizione dalla reina Giovanna II, che seguì la parte d’Alfonso contro ser Gianni Caracciolo; un Pietro, 16 La Rassegna d’Ischia 3/2009 figlio di Michele, che fu da Ferdinando liberato dall’assedio di Giovanni Torella, il quale per dispetto seguì poi le parti degli Angioini; un altro Michele; un altro Pietro; e l’ultimo Michele, in cui si fece la permutazione sudetta con i signori d’Avalos. Teatro di tragedie fu Procida nella morte d’Alfonso I, havendo il detto Torella, violando la fede, eccitato i militari tumulti. Qui dicono alcuni che si refuggiasse Ferdinando, fuggendo da Carlo VIII, e poi passasse ad Ischia. Saccheggiata fu l’isola dal corsaro Barbarossa, che havea depredato Sorrento; ed ogni giorno sono molti infelici pescadori fatti cattivi da’ corsari, particolarmente da’ rinegati, che vengono barbaramente ad oltraggiare la patria, uno de’ quali fu un infame detto Coperchiulo. Dirimpetto all’isola è il più vicino terreno del lido di Cuma, ov’è un luogo che si dice il Fumo, ma Nuovo, perché altro luogo detto il Fumo Vecchio è dirimpetto ad Ischia. Dell’isola di Nisida § IX. Quest’isola è situata dietro la punta di Posilipo verso Pozzuoli, e proprio dirimpetto al promontorio detto Coroglio. Vogliono alcuni che fusse anche unita al continente, e che vi fusse la grotta cavata da Lucullo, che poi caduta restò isola; altri che per mezzo d’un ponte si congiungesse con terra ferma. Però sin dal tempo di Cicerone isola è da lui chiamata, tanto più che lo stesso nome antico di Nisis, o Nesis dal greco, altro che isola non importa; e dice lo stesso Tullio, che fusse in potere di Lucullo, onde la grotta che questo vi fece e poi cadde; stimo che fusse presso l’altra isoletta detta Euplea, ora Gajola cioè Caveola, o per esser a forma di gabia, o per le cave che vi erano. Fa menzione d’Euplea come diporto Stazio, dicendo: “Inde Vagis omen foelix Euplea carinis”. Finsero ancora Lucano ed il detto Papinio Stazio che eruttasse aneliti pestiferi esalati da Tifone, lo stesso Gigante sepellito sotto l’Isola Enaria; e che buttasse fuoco e fumo, essendo parte di Posilipo, dice lo stesso Stazio; segni di luoghi che buttassero fuoco qui non si vedono tra i colli che egli dice, né acque calde; di aere cattivo per alcune selve che vi erano, o più tosto per l’acque morte che ha dirimpetto de’ Bagnuoli e di Campegna, potrebbe essere che fusse stata; ad ogni modo d’aria benigna par che oggi sia, o perché si tagliassero le dette selve, o perché ben coltivata. Ninfa favolosamente la chiamano il Pontano e Sannazzaro, di cui fusse innamorato Posilipo. D’un miglio e mezo è il suo circuito, con due porti: uno dalla parte di terra verso Campegna, l’altro verso mezo giorno detto Porto Pavone, perché a guisa della coda d’un pavone. Nel primo possono ricoverarsi galere e vascelli, ma pochi; nell’altro solo piccioli legni. Nel porto verso terra vi sono poche abitazioni con una chiesetta, forno ed osteria. Si sale all’isola per una porta, ove si legono in marmo questi versi: Navita siste ratem, temonem hic, velasque. Meta laborum hæc est, leta quies animo. Nella sommità v’è un castello che riguarda attorno il mare con qualche pezzetto d’artiglieria. Potrebbe essere che Niseo fusse detta da’ greci, giacché vicina a Megara, anche di nome greco. Fu già nobile abitazione de’ duchi d’Amalfi, indi passò per compra ad Alfonso Piccolomini, che vi celebrò solenni conviti con spese alla regale; da Piccolomini passò al Principe di Scilla, e da questi alla città di Napoli, poi al Principe di Conca, e di nuovo alla città. Vi è memoria che fusse assignata da Costantino il Grande alla chiesa di Santa Restituta, e da’ vescovi conceduta in censo, o con altro titolo, a molti secolari, per fine venduta a diversi; dalla famiglia Astuto è passata per dote alla Petrone, che la possiede. Fu la detta isola celebre per gli asparagi, come dicono Plinio e Stazio; avea caccia di fagiani, ora non ha altro che conigli; è fertile d’olive ed uve, essendo molto ben coltivata. L’isola, o scoglio, che tiene dirimpetto detto il Copino, o Chioppino, serve per purgatoro delle robbe e mercanzie che vengono da luoghi sospetti. Ha molte comode stanze per tal effetto, con epitaffio del viceré che lo fece per le merci e per le genti. È lo scoglio tutto voto, entrandovi il mare, di maniera che si può da un capo all’altro passare con filuca sottile. È poi la detta isoletta Euplea, o Gajola, e vogliono che vi fusse un Tempio di Venere Euplea, e vi si vedono infatti molti edificj antichi diruti. Tra lo stretto dove passa il mare vi è un antico tempio, o fussero terme, o altro, o il Tempio della Fortuna, o di Venere, che chiamano la Scuola di Virgilio, come se Marone fosse stato pedante. Altri segni del Tempio della Fortuna si ritrovano al Capo di Posilipo, ove sono le case del dottor Francesco Maria Mazza; vedendovisi case, edificj antichi, piscine, e fabriche d’opra reticulata e laterica, con basi e pezzi di colonne; vi si sono ritrovati busti, teste di statue, vasi e lapidi sepolcrali cavandosi; essendovi una picciola chiesa, che un tempo fu detta Santa Maria a Fortuna, per lo detto tempio, ora detta del Faro Abbaziale, oggi d’uno della detta casa Mazza. Il padrone del luogo non ha molto ritrovovvi un mezo busto del figlio di Pollione, e perché si dice che qui fusse la celebre peschiera di Vedio Pollione, egli imitandolo ve n’ha fatta una, benché picciola, adornata di mezi busti di marmi antichi, dove nudrisce pesci domestici. Sicché si può conjetturare che alla Gajola dove si dice Scuola di Virgilio fusse il Tempio di Venere Euplea, o Dori, e nel Capo di Posilipo, dove ritrovossi l’epitaffio che dicea: Vesorius Zeloius post assignationem Ædis Fortunæ signū Pantheon sua pecunia D. D. fusse il Tempio della Fortuna, uno vicino all’altro, che hanno dato doppio nome alla chiesa di Santa Maria a Fortuna e poi a Faro, ove si celebra una galante festa con concorso la prima domenica doppo Pasqua di Resurrezione, essendovi una divotissima e miracolosissima imagine della Vergine; e con questo termina il semicircolo di Miseno a Posilipo, di cui si disse nella prima parte di Napoli. ve ne resta, c’ha l’entrata molto oscura, ma in un lucido seno per la riflessione dell’acqua termina molto dilettevole. Nei lidi si vedono vestigj d’edificj antichi del fasto romano, ora divenuti scogli e ricetto di crustacei. Che vi regnassero Telone, figlio d’Ebalo e della ninfa. Sebetide, e Telabeo lo cava Servio da Virgilio, e che i popoli teleboi uscissero da Capri, che prima erano di Samo, come dice Silio; e Stazio dice che v’era il faro, o linterna, per far lume a’ naviganti. L’occuparono i greci, che s’impadronirono di tutte l’isole del Mar Tirreno. Fu detta Teleboia dal detto re, e Paphia, secondo Plinio, per detti greci che vi vennero. La dominarono i napolitani donde furono discacciati; ce la rese Augusto cambiandola con l’Enaria, cioè Ischia. Inutile chiamolla Dione; illustrata da Augusto la dicono Strabone e Svetonio, ove portatosi per ricovrar la salute, ne prese fortunato augurio, vedendo rinverdire un’elce secca; onde vi fece gran palaggi buttando a terra quello inalzato dalla nipote Giulia, ornandoli di statue, pitture, giardini, boschi e cose rare, e vi fece celebrare giuochi e comedie, facendo vestire i romani alla greca ed i greci alla romana, dal che nacquero le comedie togate e palliate, delle cose romane e greche, facendovi prefetto Masgaba a lui caro. Vi si portò poi Tiberio per farla scena delle sue lascivie, chiamandola a ragione perciò, il Petrarca, infame e infelice isola; vi venne quest’imperadore per allontanarsi dagli affari dell’imperio, lasciatane la cura a Liceo e Sejano, che ne disponea come signore, chiamando sé imperadore, e principe d’un’isola Tiberio, che poi fece punire, come si ha dalle Istorie; rilasciato Tiberio il freno alle sue sceleraggini in detta isola, attendendo alla crapula, all’ubriachezza ed alle libidini, ne ottenne in vece di Claudius Tiberius Nero, la versione Caldius Biberius Mero. De’ modi delle sue lascivie né penna pudica può scriverne né l’onestà lo permette; benché nelle monete da lui coniate si vedano l’infami Spintrie, oltre le Sellarie ed i libri d’Elefantide e Sibandici, ed altri, che per modestia si tacciono. Ridicolo è il fatto d’un pescadore, e lagrimevole assieme, poiché credendosi Tiberio che niuno potesse a lui andare senza passare per le guardie, stimando non esservi altra che una strada per salire al suo palazzo su la cima del monte, essendoli il pescadore comparso avanti con due grosse triglie, stupido l’Imperadore domandò per dove fusse avante di lui venuto, e risposto da quegli per una strada asprissima a lui solo nota, comandò allora Tiberio che i soldati gli havessero strufinato in faccia le triglie, e dicendo il pescadore “meno male che non portai lagoste!”, ordinò Tiberio che, prese due lagoste, con 100 quelle se li fusse stru-finato il volto. Fece divenire lo stesso tiranno l’isola una carnificina per la crudeltà, facendo precipitare, per l’altezza delle rupi, nel mare alcuni infelici, ed indi dalle genti della sua armata, se vi restava in essi qualche poco di spirito, gli facea uccidere con i remi. Cadde a’ suoi tempi la detta Torre del Faro per un terremoto. Andovvi nell’isola, chiamato da Tiberio, Caligola, ove prese la toga, e si levò la barba senza onore, com’era successo a’ fratelli. Vitellio ancora, tra’ fanciulli Dell’isola di Capri § XVII. Infame nido di Tiberio ed altri imperadori, per le sue delizie, fu già l’isola di Capri, che Caprania disse Sifilino, e Caprina Tolomeo, Capraja Giuliano in Augusto, e Senaria Marziano, e Telentea, se pure d’altre isole non parlano, come della Palude Caprea avanti Roma. Tacito “Capreas – dice – se Insula abdidit”, parlando di Tiberio, dove conta dodici ville e spelonche destinate alla sua libidine. Tito Livio disse le dette ville haver i nomi de’ dei. Strabone però due sole ville l’assegna. Delle spelonche una La Rassegna d’Ischia 3/2009 17 cinedi di Tiberio, visse un tempo in Capri. Lu-culla e Crispina, sorelle di Comodo, vi furono relegate. Alfonso, contendendo del Regno con Renato, prese il Castello che fu già delizia e nascondiglio di Tiberio, ed impadronitosi dell’isola, venendo una galera di Francia con denari per Renato, non sapendo che era pervenuto il luogo in mano d’Alfonso, fu presa dagli aragonesi, combattendo la fortuna per lo re d’Aragona, come dice Bartolomeo Facio, ed Enea Silvio. Vi sono in detta isola al presente la città di Capri, con una rocca per custodirla, ed Ana Capri casale, o castello, posto sopra la cima altissima d’un monte, in cui si sale per scaglioni intagliati nella pietra viva. Si dice Ana Capri dalla parola greca ’Aνώ, che sopra vuol dire. Verso tramontana ha diverse abitazione disperse, attendendo gli abitanti alla pesca ed alla nautica, ed a far galere servendo nell’Arsenale Regio di Napoli, onde perché sogliono lasciar le mogli sole, ottennero dal re che i relegati nell’isola la notte fusse-ro astratti a dimorar in Ana Capri; sono quei di Capri ed Ana Capri nemici, facendosi dispetti gli uni e gli altri, onde quei d’Ana Capri, domandando a Carlo V imperador la confirma de’ privilegj de’ re d’Aragona, si lagnarono de’ capritani che loro bruciavano i campi e le barche, e l’usurpassero la pesca dell’aguglie, onde chiesero che il governadore dimorasse tre giorni della settimana in Ana Capri ad amministrarvi giustizia. Sono liberi da gabelle e pagamenti fiscali, per privilegio possono andar armati per l’isola, sono stati fedelissimi agli Austriaci e vivono in gran povertà, essendo i poveri paesani e marinari spesso preda de’ turchi. Vantano la nobiltà negli Arcucci, venuti da Amalfi ad abitarvi, ed i Faraci. Eliseo Arcucci fu padrone di Capri, essendo generale dell’armata di Federico imperadore, Panzello Arcuccio signore di molte navi, e Giacomo signor di Capri, conte di Altamura e Minervino, gran camerario della regina Giovanna I, di cui si vede una moneta con l’armi degli Arcucci da una parte, e quelle della Regina dall’altra; onore anche concesso alle famiglie del Balzo, Zurli, Piscicelli, Caraccioli, Capeci e Davali, come maestri della zecca della nuova moneta. Della famiglia Farace si ritrovano molti cavalieri e prattici comandanti nella nautica, e vi sono anche nobili delle famiglie Strina, Poderici, Rossa, Mazzola ed altre, benché alcune estinte. Nello spirituale ha ella il suo vescovo, il quale per lo più cava la sua prebenda dalle caccie che vi si fanno, essendo abbondantissima particolarmente al passaggio delle quaglie, delle tortore e di tutti gli uccelli pellegrini. La sua maggior chiesa era dedicata a San Costanzo, un miglio e mezzo lontana dalla città di Capri, ove si venerava il corpo del detto santo loro protettore, che dicono quei di Massa preso di loro conservarsi. Trasferita la basilica nella città, fu consecrata a Santo Stefano protomartire, ch’è la parrocchia maggiore; vi sono poi le chiese di San Lorenzo, San Salvadore, San Anello, San Giovan Evangelista, San Severino, San Vincenzo, San Giovan Battista, Santa Maria della Scala de’ Raccomandati, Sant’Antonio, San Nicolò, Sant’Andrea di Porto. L’altra parrocchia ha il titolo di San Pietro; nella chiesa di Santa Sofia sogliono unirsi i relegati. Il monistero e casa da’ cartusiani consecrati a San Giacomo Minore, fratello di san Giovanni Evangelista, di cui tengono un braccio, fu edificato e donato da don Giacomo Arcuccio, fortificato con torri e fatto ad imitazione di quello di San Martino ne Monte di Sant’Erasmo di Napoli, ov’è la sepoltura del fondatore Giovanni Camerario, conte d’Altamura e Minervino; vi è la memoria ancora di Giovan Nicola Arcuccio, che morì in Roma, ove si era portato per divozione. Presso il lido, a canto del monistero di San Francesco, vi sono quattro fonti, uno de’ quali si dice Acqua del Mare, l’altro il Truglio, il terzo di Acqua Viva ed il quarto Marocella, ed ultimamente verso mezzo giorno è sgorgata una gran quatità d’acqua. In Ana Capri vi è la chiesa di Santa Maria Citalia, o a Cetrella, sopra del monte con un romitagio, ove ultimamente scavan dosi si ritrovorono e statue ed un pavimento di pietre rare commesse, molto stimabile; vi è Santa Maria parrocchia, la Santissima Annunziata, San Nicolò un tempo parroc chia, Santa Sofia, San Pietro e San Giovan de’ Romei. Arianna Huffington è la vincitrice della XXX edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo Arianna Huffington, fondatrice di “The Huffington Post”, considerato il sito di opinione più influente al mondo, è la vincitrice della XXX edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo. Il Premio Ischia per i “Diritti umani” è andato ad Armando Valladares, intellettuale cubano imprigionato per ventidue anni nelle carceri di Fidel Castro. Per il giornalismo italiano il Premio Ischia è stato vinto da Mario Calabresi, direttore de La Stampa. Lo ha stabilito la giuria internazionale del premio composta da Valentina Alazaraki, Lucia Annunziata, Paolo Bonaiuti, Emma Bonino, Emilio Carelli, Gaetano Coscia, Jean Daniel, Derrick de Kerkhove, Giovanni Di Lorenzo, Giovanni Floris, Timothy Garton Ash, Franzo Grande Stevens, David Grossman, Joaquin Navarro Vals, Gianni Riotta e Peter Stothard che si è riunita in videoconferenza mondiale presso la sede della Vodafone Italia a Roma La motivazione della giuria ha evidenziato come l’Huffington Post abbia ospitato i contributi di personalità appartenenti al mondo della politica, del giornalismo, dello spettacolo e dell’economia (basti pensare a Barack Obama, Hillary Clinton, Norman Mailer, John Cusack, ecc.) e sia diventato un modello di giornalismo alternativo. Nella scelta del vincitore del Premio Ischia per i diritti umani ha influito la decisione di Amnesty International che ha adottato Armando Valladares come “prisionero de conciencia”, promuovendo una campagna per la libertà sostenuta da intellettuali, politici e giornalisti di tutto il mondo. Un riconoscimento speciale è stato assegnato ad Augusto Minzolini. Tutti i vincitori hanno annunciato la loro partecipazione ai festeggiamenti in occasione della XXX edizione del Premio e la partecipazione ai convegni di approfondimento su “Informazione e diritti umani nel mondo” e su “Internet, blog quale futuro per la carta stampata? “ che si terranno ad Ischia dal 1 al 4 luglio. 18 La Rassegna d’Ischia 3/2009 Alla ricerca di tracce Pittori tedeschi a Forio e a Sant’Angelo di Hans Dieter Eheim Traduzione di Nicola Luongo Ernst Bursche - Carciofi / Artischocken Da tempo ero alla ricerca di un bel quadro di fiori. In un grigio pomeriggio invernale scoprii in una galleria di Hannover gli acquarelli di oleandri, carciofi e anemoni che subito mi affascinarono. Era la galleria di Christoph Kühl, la cui origine a Dresda risale agli anni Venti del Novecento. Un periodo in cui “La mostra d’arte Kühl “ diventò una significativa istituzione per gli espressionisti del “Brücke” (il Ponte), in seguito per gli artisti del Realismo e della Nuova Oggettività. Compiaciuto per il mio spontaneo entusiasmo, il gallerista Christoph Kühl mi aiutò a farmi conoscere personalmente il pittore. Lo potevo incontrare a Ischia durante i mesi estivi, molto probabilmente a Forio. Così, più di venticinque anni fa, iniziò una storia che si concluse nel 2006 con una visita al ristorante “La Conchiglia” di Sant’Angelo. Auf Spurensuche Deutsche Maler in Forio und Sant’ Angelo von Hans Dieter Eheim Seit langem hatte ich für mich ein schönes Blumenbild gesucht. An einem grauen Winternachmittag entdeckte ich in einer Galerie in Hannover Aquarelle von Oleander, Artischocken und Anemonen, die mich sofort verzauberten. Es war die Galerie von Christoph Kühl, deren Ursprung im Dresden der 1920er Jahre liegt. Einer Zeit, als dort die „Kunstausstellung Kühl“ zu einer bedeutenden Institution für die „Brücke“ – Expressionisten wurde, später dann für Vertreter des Realismus und der Neuen Sachlichkeit. Erfreut über meine spontane Begeisterung half mir der Galerist , den mir unbekannten Maler der Blumenbilder persönlich kennen zu lernen. Auf Ischia könne ich ihn während der Sommermonate bis weit in den Herbst antreffen, sehr wahrscheinlich in Forio. So begann vor mehr als fünfundzwanzig Jahren eine Geschichte, die 2006 mit einem Besuch des Ristorante La Conchiglia in Sant`Angelo zu Ende ging. La Rassegna d’Ischia 3/2009 19 K. Schneider - Il porto di Sant'Angelo (Hafen in Sant'Angelo) Sant'Angelo - Photo Karl Schneider E. Bargheer - Forio: Maria e il Bar Internazionale (Bar Internazionale mit Maria) G. Helmholz - Strade di Sant'Angelo (Strassen in S. Angelo) H. Purrmann - Il porto d'Ischia (Hafen in Porto d'Ischia) E. Bursche - Veduta di Forio (Blick auf Forio) 20 La Rassegna d’Ischia 3/2009 Ernst Bursche – Un pittore degli uomini e della natura Durante i preparativi del mio viaggio all’Isola Verde avevo letto su una guida d’Ischia notizie sul Bar Maria di Forio, già luogo d’incontro di pittori e di compositori, di scrittori e di registi, che gustavano il vino o il cappuccino sotto un pergolato. Maria Senese, la proprietaria, era la dominatrice assoluta di quel popolo di artisti. Mi recai là appena dopo il mio arrivo nell’autunno del 1982. Un tassista, a cui domandai di Ernst Bursche, così si chiamava il pittore che cercavo, mi indicò la strada con un sorriso: «Sì, Sì, Don Ernesto, naturalmente lo conosco». Lo si poteva incontrare ogni sera al ristorante “Epomeo”. Già il giorno dopo trovai Don Ernesto. Con la schiena curva sedeva davanti a una parete di una stanza che dava sul retro del locale. Vicino al Bar Maria, come se volesse anche allora rivivere la vicinanza dei tempi andati. Bianchi erano i suoi lunghi capelli intorno a una faccia intensamente abbronzata, bianca la camicia ampiamente aperta. Era in piacevole attesa del filetto ordinato. Accanto a lui sua moglie in una distinta posizione eretta. Quando gli spiegai chi ero, da dove venivo, perché lo cercavo e di essere contento di averlo finalmente trovato, rise con una gioia irrefrenabile. «Ma questa è una cosa incredibile». Ripeté diverse volte queste parole, sottolineandole con le sue forti mani. Avevo incontrato Ernst Bursche - un pittore del circolo culturale di Dresda intorno a Otto Dix, di cui fu allievo e anche amico per molti anni. Dipingeva quadri di uomini, di fiori, di montagne frastagliate e gravide di miti, di profondi burroni e di paesaggi costieri. E un nero uccello rapace, precipitato al suolo da un cielo blu pallido. Un uccello morente con le larghe ali aperte, nel mezzo del distretto di caccia di questo mondo. Ernst Bursche, che - come mi raccontò una buona amica - si recava alla Ernst Bursche Ein Maler von Menschen und Natur Zur Vorbereitung meiner Reise auf die „grüne Insel“ hatte ich in einem Ischiaführer über die Bar Maria in Forio gelesen, einem früheren Treffpunkt von bildenden Künstlern und Komponisten, Schriftstellern und Regisseuren, die unter einer Laube ihren Wein oder Cappuchino genossen. Maria Senese, die Besitzerin der Bar, war die unbeschränkte Herrscherin des Künstlervolks. Dorthin begab ich mich kurz nach meiner Ankunft im späten Sommer 1982. Ein Taxifahrer, den ich nach Ernst Bursche, so der Name des von mir Gesuchten,fragte, wies mir mit einem Lächeln den Weg: „Sì,sì, Don Ernesto, naturalmente lo conosco“. Jeden Abend sei er im Ristorante "Epomeo" anzutreffen. Schon am nächsten Tag fand ich „Don Ernesto.“.Mit gebeugtem Rücken saß er vor einer Wand in den hinteren Räumen des Lokals. Nahe der Bar Maria, so, als wollte er die Nähe zu alten Zeiten auch jetzt noch erleben. Weiß war sein langes Haar um ein tief gebräuntes Gesicht, weiß das weit geöffnete Hemd. Er war in freudiger Erwartung auf das bestellte filetto. Neben ihm seine Frau in vornehm-aufrechter Haltung. Als ich ihm erzählte, wer ich bin, woher ich komme, warum ich ihn zu finden suchte und froh sei, ihn schließlich gefunden zu haben, lachte er in unbändiger Freude. „Das ist ja ein dolles sua spiaggia di Forio con una borsa, con dentro sempre una bottiglia di vino. Talvolta portava anche dei carciofi, che collocava sulla sabbia e dipingeva. Un uomo che amava soprattutto le rose, i fiori arancioni di melagrana, i fiori di cactus, di agavi e di oleandri. Spesso i colori dei suoi acquarelli sembravano esplodere. Quelle che trascorremmo insieme furono per me ore preziose. Un giorno mi invitò nella sua casa di campagna tra i vigneti di Forio, in via Chiena. All’ombra della terrazza bevemmo vino delle pendici dell’Epomeo. Guardammo i suoi quadri nell’atelier inondato di luce: con vedute su Forio – uno dei suoi ultimi lavori - e sul massiccio dell’Epomeo, sulle pittoresche insenature e le selvagge formazioni rocciose. E nature morte con grappoli d’uva. In una serena atmosfera parlammo dei suoi anni a Ischia. Talvolta diventava serio, guardava Forio che lontana si stendeva sotto di noi, guardava l’antica cittadina fino a Punta Caruso. Ding.“ Ein ums andere Mal wiederholte er diese Worte, sie mit seinen kräftigen Händen unterstreichend. Ernst Bursche war ich begegnet – einem Maler aus dem Dresdner Künstlerkreis um Otto Dix, dessen Meisterschüler und auch langjähriger Freund er war. Er malte Menschen, und Blumen, mythenträchtige, zerklüftete Berge und tiefe Schluchten und Küstenlandschaften. Und einen schwarzen Raubvogel, der aus einem blassblauen Himmel zu Boden gestürzt war. Ein toter Vogel mit weit ausgebreiteten Flügeln, inmitten des Jagdgeschreis dieser Welt. Ernst Bursche, der – wie mir später eine gute Freundin erzählte - an seinen Sandstrand nahe Forio stets mit einer Tasche, immer darin eine Weinflasche, kam. Gelegentlich brachte er auch Artischocken mit, die er in den Sand setzte und malte. Ein Mensch, der Rosen über alles liebte. Die orangefarbenen Blüten von Granatäpfeln, die Blüten von Kakteen, von Agaven und Oleander. Oft schienen die Farben seiner Aquarelle zu explodieren. Es waren für mich kostbare Stunden, die wir miteinander verbrachten. Eines Tages lud er mich in sein Landhaus in den Weinbergen über Forio, in der via Chiena, ein. Im Schatten einer Terrasse tranken wir Wein von den Epomeo-Hängen. Wir betrachteten seine Bilder in dem lichtdurchfluteten Atelier: mit Blick auf Forio – eine seiner letzten Arbeiten - und das Massiv des Epomeo, auf malerische Buchten und wilde Felsformationen. Und Stilleben mit Weintrauben. La Rassegna d’Ischia 3/2009 21 Una serata con Ernst Bursche che volentieri avrei rivissuta. Ma, quando l’anno successivo percorsi in fretta via Roma e via Cardinale Lavitrano e infine arrivai davanti alla sua casa, le persiane verdi erano chiuse. Karl Schneider, che sapeva prendere la vita per il verso giusto, a Sant’Angelo In uno dei miei primi viaggi a Ischia scoprii, a Casa Garibaldi, la mia pensione a Sant’Angelo, un acquarello, la cui leggerezza e freschezza di colori mi impressionarono. Pochi giorni dopo, in un mattino di primavera, incontrai l’autore del quadro, Karl Schneider, nel suo atelier. Tutto in quell’ambiente ben costruito mi sembrò spartano: i pochi posti a sedere per gli ospiti, il lungo tavolo marrone scuro, accanto al quale lavorava. L’unico ornamento erano gli acquarelli e i disegni a penna alle pareti bianche: vedute della sua casa e del giardino, il piccolo porto di Sant’Angelo e la Torre, il villaggio nella tempesta, i paesaggi dell’isola, una veduta di Santa Maria del Monte a Forio e il pittoresco porto di pe- scatori di Procida - una delle mete preferite del pittore. Quadri, sui quali talvolta con la penna abbozzava delle strutture, cioè delle ordinate trame e un riferimento per colori chiari, suggestivi; il che lasciava intuire la sua professione di architetto. Quello che non dimenticherò mai: la sua laconicità, la sua indifferenza verso possibili acquirenti; quell’uomo alto, di bell’aspetto, sembrava del tutto disinteressato a ciò. Per noi fu l’inizio di una lunga amicizia. Abitava con la sua famiglia in una casa singolare su un pendio ripido presso le Terme Aphrodite-Apollon. Costruita su suo progetto, ispirato all’antico stile architettonico ischitano, con spessi, protettivi muri di tufo, con cupole, archi e soffitti a In heiterer Stimmung sprachen wir über seine Jahre auf Ischia. Zuweilen wurde er ernst, schaute auf das tief unten liegende Forio, über das alte Städtchen hinweg bis zur Punta Caruso. Gern hätte ich mehr solcher Abend mit Ernst Bursche verbracht. Aber als ich im folgenden Jahr erneut die via Cardinale Lavitrano und die via Roma hinaufeilte und schließlich vor seinem Haus stand, waren dessen grüne Fensterläden verschlossen. Karl Schneider Ein Lebenskünstler in Sant`Angelo Bei einer meiner ersten Reisen nach Ischia entdeckte ich in der Casa Garibaldi, meiner Pension in Sant’ Angelo, ein Aquarell, dessen Leichtigkeit und Frische der Farben mich beeindruckten. Wenige Tage später, an einem Frühlingsmorgen, traf ich Karl Schneider, der das Bild gemalt hatte, in seinem Atelier. Alles wirkte spartanisch auf mich in dem Raum: die spärlich aufgestellten Sitzgelegenheiten für Gäste; der lange schmale, dunkelbraune Tisch, an dem er arbeitete. Einziger Schmuck waren Aquarelle und Federzeichnungen an den weißen Wänden: Ansichten seines Hauses und Gartens, der kleine Hafen von Sant` Angelo und der Torre, das Dorf im Sturm, Landschaften der Insel, ein Blick auf Santa Maria del Monte hoch über Forio und den pittoresken Fischerhafen von Procida - eines der Lieblingsziele des Malers. Bilder, auf denen er gelegentlich mit der Feder Strukturen andeutete, gleichsam ordnendes Gefüge und Orientierung für fließende, 22 La Rassegna d’Ischia 3/2009 volta che suscitano un senso di sereno equilibrio. Con terrazze su molteplici piani, collegate da una scalinata elegantemente arcuata. Incontrai un uomo, il cui pensiero era permeato dalla filosofia e dalla mistica dell’Estremo Oriente. Un architetto e un artista, un esteta che amava le donne, il vino e il tango. Un uomo che si creò una vita piena di sensualità e distaccata vicinanza. Spesso abbiamo ascoltato musica sino a tarda notte, discusso di “Dio e il mondo”. Immersi nel silenzio davanti al mare. Ogni tanto abbiamo bevuto anche un po’ troppo del suo ottimo vino rosso. Un uomo a cui restai legato per molti anni, fino alla sua morte. Vedo davanti a me il suo carissimo quadro “Sant’Angelo nella tempesta”, drammatico nella sua composizione, dai cupi colori sgargianti. Con questo dipinto si era liberato definitivamente – tale fu la mia impressione – della sua vita precedente di architetto. stimmungsvolle Farben. Sie ließen seinen Beruf als Architekt erkennen. Was ich niemals vergessen werde: seine Wortkargheit, seinen Gleichmut gegenüber möglichen Kaufabsichten; daran gänzlich desinteressiert schien der große, gutaussehende Mann. Für uns war es der Beginn einer tiefen Freundschaft. Zusammen mit seiner Familie bewohnte er ein einzigartiges Haus an einem Steilhang über der Terme Aphrodite Apollon. Gebaut nach eigenen Entwürfen, orientiert am alten, ischitanischen Baustil. Mit dicken, schützenden Mauern aus Tuffstein, mit Kuppeln und Bögen und gewölbten Decken, die ein Gefühl spannungsvoller Ausgewogenheit entstehen lassen. Mit Terrassen auf mehreren Ebenen, miteinander verbunden durch eine elegant geschwungene Treppe. Ich traf einen Menschen, dessen Denken mit fernöstlicher Philosophie und Mystik verbunden war. Einen Architekten und Künstler, einen Ästheten, der die Frauen liebte, den Wein und den Tango. Einen Mann, der sich ein Leben voller Sinnlichkeit und distanzierter Nähe schuf. Oft bis tief in die Nacht haben wir Musik gehört, über „Gott und die Welt“ diskutiert. Gemeinsam auf das Meer hinaus geschwiegen. Gelegentlich auch ziemlich viel von seinem köstlichen Rotwein getrunken. Ein Mann, mit dem ich über viele Jahre, bis zu seinem Tod, verbunden blieb. Dessen mir liebstes Aquarell „Sant Angelo im Sturm“ ich vor mir sehe: dramatisch in seiner Komposition, düster glühend in seinen Farben. Mit ihm hatte er sich – so mein Eindruck – endgültig von seinem früheren Leben als Architekt befreit. La casa di una donna amante dell’arte Nel frattempo conobbi anche una donna che negli anni Cinquanta lasciò Monaco, per iniziare una nuova vita, del tutto diversa a Sant’Angelo, per amore di un uomo di mare del posto. Mise su una pensione, “Casa Sofia”, che ben presto diventò un centro per ospiti di tutti i Paesi: membri di antiche famiglie nobili europee, diplomatici e giramondo, ma soprattutto scultori e pittori, amici dal tempo in cui lei viveva a Monaco. Dopo i miei primi incontri con artisti come Ernst Bursche e Karl Schneider, questa donna, Dolly Barricelli, mi aprì le porte per nuove scoperte nella mia ricerca di tracce per scrivere un libro sui pittori tedeschi a Ischia. Nella sua pensione, in una posizione stupenda su un pendio scosceso sulla spiaggia dei Maronti, con un’ampia veduta sul mare fino alla costa amalfitana e a Capri, ammirai acquarelli, alcuni dei quali in tecnica mista, e disegni. Spesso ci incontravamo per lunghi colloqui nel salone. Una stanza luminosa, aperta, con larghe invitanti panche. Pavimenti con motivi gialli e blu su fondo bianco. Una stufa azzurro-chiara di maiolica in un angolo. Candelabri antichi su librerie italiane, un comò barocco e quadri. Guardando insieme quei lavori, venni a sapere la storia dei pittori che li avevano realizzati molti anni prima. Scoprii quadri come “Pesce volante” e “Giorgio il pescatore”, che tendeva la rete da rattoppare ad un dito del piede. Acquarelli e litografie di Forio, già luogo d’incontro di artisti. Acquarelli della piazza di Sant’Angelo, della Torre e di un “Veliero al chiaro di luna”. Il villaggio alla luce tenue della primavera e a quella tremolante di un giorno d’estate. Coste rocciose che si ergevano brulle e che bruscamente s’interrompevano. Disegni a penna con il porticciolo e una tipica scena di Das Haus einer kunstliebenden Frau In der Zeit lernte ich auch eine Frau kennen, die in den 1950er Jahren München verließ, um aus Liebe zu einem einheimischen Seemann in Sant’ Angelo ein neues, gänzlich anderes Leben zu beginnen. Sie baute eine Pension - die Casa Sofia – auf, bald ein Zentrum für Gäste aus vielen Ländern : für Angehörige alter europäischer Adelsfamilien, für Diplomaten und Weltenbummler, vor allem aber für befreundete Bildhauer und Maler aus ihrer Münchner Zeit. Nach meinen ersten Begegnungen mit Künstlern wie Ernst Bursche und Karl Schneider öffnete mir diese Frau, Dolly Barricelli, auf meiner Suche nach Bildern für ein Buch über deutsche Maler auf Ischia weitere Türen. In ihrer herrlich gelegenen Pension an einem Steilhang über dem Maronti-Strand, mit weiten Blicken über das Meer bis zur Amalfitanischen Küste und nach Capri, sah ich viele Aquarelle, manche in Mischtechnik, und Zeichnungen. Oft trafen wir uns zu langen Gesprächen im Salone. Ein lichter, offener Raum mit einladenden, breiten Sitzbänken. Bodenfließen mit gelben und blauen Mustern auf weißem Grund. Ein blauweißer Fayenceofen in einer Ecke. Alte Leuchter auf italienischen Bücherschränken, eine bayerische Barockkommode und Gemälde. Beim gemeinsamen Betrachten der Arbeiten erfuhr ich Geschichten über die Künstler, die sie vor vielen Jahren geschaffen hatten. Ich entdeckte Bilder wie „ Fliegender Fisch“ und „Giorgio,der Fischer“, der die Netze beim Flicken zwischen strada dei tempi passati. Dolly Barricelli mi fece notare un particolare nel cosiddetto atelier della sua pensione: un armadio di legno con una decorazione affascinante, nel frattempo un po’ sbiadita, che raffigurava Gennaro, l’asinaio, Zio Giovanni, il pescatore, il cacciatore Crescenzo e la contadina Esterina. Ornavano la pensione opere di artisti che una volta erano vissuti nel villaggio di pescatori: Eduard Bargheer, Helmut Rentschler, Albert Ferenz, Thomas Niederreuther, Hugo Kiessling, Hans-Peter Kirchpfenning, Otto Niesmann, Wernhera Sertüner e Gertrude Helmoltz. Alcuni di questi furono anche ospiti di Casa Sofia. Tutti avevano trovato e raffigurato nelle loro opere la ricchezza d’Ischia: natura e uomini. Tracce sui monti Tra i pittori ce ne fu uno, il già menzionato Ernst Bursche, che avevo conosciuto di persona anni prima. I einen gespaltenen Zeh spannte. Aquarelle und Farblithos von Forio, dem früheren Künstlerort. Aquarelle von Sant‘ Angelos Piazza, dem Torre und einem „Segelschiff im Mondschein“. Das Dorf im milden Licht des Frühlings und im flimmernden Licht eines Sommertages. Sich kahl auftürmende, schroff abbrechende nahe Felsenküsten. Federzeichnungen, die den kleinen Hafen und eine typische Straßenszene aus vergangenen Zeiten zeigen. Auf eine Besonderheit wies mich Dolly Barricelli in dem sogenannten Atelier ihrer Pension hin: einen eingebauten Holzschrank mit einer reizvollen, inzwischen etwas verblichenen Bemalung .Dargestellt waren Gennaro, der Eseltreiber; Onkel Giovanni, der Fischer; der Jäger Crescenzo und die Bäuerin Esterina. Werke von Künstlern schmückten die Pension, die einmal in dem Fischerdorf gelebt hatten: Eduard Bargheer und Helmut Rentschler, Albert Ferenz und Thomas Niederreuther, Hugo Kiessling, Hans-Peter Kirchpfenning und Otto Niesmann, Wernhera Sertürner und Gertrude Helmholtz. Einige von ihnen waren auch Gast in der Casa Sofia. Sie alle hatten den Reichtum von Ischia - Natur und Menschen - gefunden und in ihren Werken dargestellt. Spurensuche in den Bergen Unter den Malern war einer, der schon erwähnte Ernst Bursche, den ich vor Jahren persönlich kennengelernt hatte. Seine Aquarelle und Zeichnungen von Landschaften der Insel und ihrer Bewohner wollte ich dort entdecken, wo er einmal La Rassegna d’Ischia 3/2009 23 suoi acquarelli e disegni di paesaggi dell’isola e dei suoi abitanti volevo scoprirli là dove egli aveva vissuto. Gli abitanti del luogo, a cui avevo chiesto informazioni, mi indicarono Salvatore Mattera che era stato amico dell’artista e abitava a Succhivo. Lo era sempre andato a prendere con il suo microtaxi alla stazione di Napoli in primavera. Spesso si erano recati insieme sulle alture. Poco dopo ci incontrammo al Bar Ponte a Sant’Angelo. Salvatore Mattera sembrava felice di potermi raccontare del periodo con il suo amico. Una mattina d’estate di buon’ora Salvatore col suo microtaxi mi accompagnò in contrade e osterie solitarie. Mi voleva mostrare dei luoghi che gli ricordavano in maniera particolare Ernst Bursche. Durante il tragitto scoprii un prospetto dell’ultima mostra del suo amico nel 1966 al Torrione di Forio. Salvatore teneva ancora infilato dietro il manubrio il catalogo dal tempo sbiadito. Mi riferì che naturalmente possedeva quadri di Bursche, “meravigliosi quadri di fiori”, come mi disse con orgoglio. Avrei potuto ammirarli pochi giorni dopo nella sua casa a Succhivo. Nelle immediate vicinanze, tra i vigneti, avevo fatto visita regolarmente anni prima nel suo atelier a Jürgen Hardtke che, come altri pittori tedeschi, trascorreva i mesi estivi a Ischia; berlinese di nascita, amava i colori delle case dell’antico villaggio di contadini di Panza: il bianco e il blu, il rosa, il giallo e il rosso pompeiano: colori sbiaditi, bruciati. In molti acquarelli ha fissato tali colori. Davanti a un bicchiere di vino parlammo della sua pittura, dei lavori eseguiti. Discutemmo delle composizioni figurative e della simbolistica dei colori. Un colorito sensibilmente distaccato accanto a composizioni ricche di contrasti, improntate ad un espressivo effetto coloristico. Un artista di cui ammirai la costante ricerca di nuove forme di comtrasto con la natura, la spontaneità e la generosità. Ricordi che si ravvivarono in occasione della mia visita a Succhivo. gelebt und gearbeitet hatte. Einheimische danach befragt, wiesen mich auf Salvatore Mattera hin, der in Succhivo wohnte. Er sei ein enger Freund des Künstlers gewesen. Mit seinem Microtaxi habe er diesen im Frühling immer am Bahnhof in Neapel abgeholt. Oft seien sie gemeinsam in die Berge gefahren. Wenig später trafen wir uns in der Bar Ponte in Sant` Angelo. Salvatore Mattera schien glücklich, mir von der Zeit mit seinem Freund erzählen zu können. An einem frühen Sommermorgen fuhr Salvatore mit mir in seinem Microtaxi zu einsam gelegenen Dörfern und Osterias. Orte wollte er mir zeigen, die ihn in besonderer Weise an Ernst Bursche erinnerten. Während der Fahrt entdeckte ich einen Prospekt zur letzten Ausstellung seines Freundes 1986 im Torrione von Forio. Salvatore hatte den längst verblichenen Katalog noch immer hinter das Lenkrad geklemmt. Er ließ mich wissen, dass er naturalmente Bilder von Ernst Bursche besitze „wunderschöne Blumenbilder“, wie er mir voller Stolz sagte. Wenige Tage später konnte ich sie in seinem Haus in Succhivo bewundern. Ganz in der Nähe, in Weinbergen gelegen, hatte ich Jahre zuvor regelmäßig Jürgen Hardtke in seinem Atelier besucht, der wie andere deutsche Maler die Sommermonate auf Ischia verbrachte. Der gebürtige Berliner liebte die Farben der Häuser im alten Bauerndorf Panza: das Weiß und Blau, das Rosa, Gelb und Pompejirot – verblichene, ausgebrannte Farben. In vielen Aquarellen hat er sie festgehalten. Bei einem Glas Wein sprachen wir über seine Malergebnisse vom vergangenen 24 La Rassegna d’Ischia 3/2009 Il Bar Ponte fu anche il luogo di un altro incontro con un uomo che finì a notte fonda a Panza. Dopo una poco piacevole telefonata a Berlino da una cabina telefonica -in quel tempo ancora l’unica possibilità che il Comune offriva ai suoi ospitisentii il bisogno di bere una grappa. Cominciai a parlare con una persona del posto che già dopo pochi minuti mi rese partecipe delle sue numerose avventure con le turiste, in prevalenza con quelle dei Paesi nordici. Per imprimere al discorso una svolta, gli parlai di Ernst Bursche che aveva vissuto a lungo a Ischia e vi era stato felice. Con mia sorpresa, l’uomo di bassa statura, di bell’aspetto, reagì subito: lo aveva conosciuto bene, talvolta lo aveva visto in un vecchio casale lontano da Sant’Angelo. E lui era in possesso di molti quadri appesi alle pareti della sua casa a Panza. Nel frattempo bevemmo parecchie grappe. E tuttavia decidemmo di recarci a casa sua. La visione dei quadri non consentiva alcun rinvio. Dopo un viaggio spericolato raggiungemmo Tag und über begonnene Arbeiten. Wir diskutierten über Bildkompositionen und die Symbolik von Farben. Sensibel abgestuftes Kolorit neben kontrastreichen Kompositionen, die sich an expressiver Farbgebung orientierten. Ein Künstler, dessen ständige Suche nach neuen Formen der Auseinandersetzung mit der Natur, dessen Spontaneität und Großzügigkeit ich bewunderte. Erinnerungen, die bei meinem Besuch in Succhivo wieder lebendig wurden... Die Bar Ponte war auch das Lokal für eine weitere Begegnung mit einem Mann, die tief in der Nacht oberhalb von Panza endete. Nach einem wenig erfreulichen Ferngespräch mit Berlin von der Telefonzelle aus - in der Zeit noch die einzige Möglichkeit, welche die Gemeinde ihren Gästen bot, hatte ich das Bedürfnis nach einem Grappa. Dabei kam ich mit einem Einheimischen ins Gespräch, der mich schon nach wenigen Minuten an seinen offenbar reichen Erfahrungen mit weiblichen Gästen, vornehmlich aus nördlichen Ländern, teilhaben ließ. Um der Unterhaltung eine andere Wendung zu geben, erzählte ich ihm von Ernst Bursche, der lange auf der Insel gelebt hatte und hier glücklich war. Zu meiner Überraschung reagierte der kleine, gutaussehende Mann sofort: Er habe ihn gut gekannt, manchmal habe er ihn in einem alten Bauernhaus fern von Sant` Angelo gesehen. Und er sei im Besitz vieler Bilder, die in seinem Haus in den Bergen oberhalb von Panza hingen. Inzwischen hatten wir beide mehrere Grappa getrunken. Und doch beschlossen wir, noch am späten Abend dorthin zu fahren. Die Besichti- la nostra meta. Ancora oggi ho davanti agli occhi i colori e i paesaggi di quegli acquarelli. Purtroppo - per colpa della grappa - i ricordi si sono un po’ sbiaditi. Anche della casa non rammento molto. L’Hotel Conte alla Torre – Una casa per artisti Durante le mie prime visite a Sant’Angelo trascorrevo la prima sera alla Torre per ammirare da lì il tramonto del sole. Un giorno scoprii opere di Ernst Bursche nell’Hotel ai piedi della Torre. Una larga parete all’estremità della sala da pranzo mi si illuminò davanti. Guardai vedute del villaggio, di morbide colline, di bizzarre cime di monti, di profondi burroni. Ma furono soprattutto i disegni a carbone di abitanti del posto che mi affascinarono immediatamente. Lessi i loro nomi che il pittore aveva fissati con una scrittura amorevolmente accurata alla base dei suoi fogli. Volevo conoscere il proprietario di quei quadri di valore. Il cameriere, a cui lo avevo domandato, pronunciò ad alta voce un nome in direzione della camera contigua. Udii un tranquillo, melodioso “Sì”. E alcuni minuti dopo sentii dei passi lenti. Un uomo leggermente curvo mi venne incontro: Michele Zunta, il proprietario dell’albergo. Con un sorriso gentile, ma distaccato, mi domandò che cosa volessi. Quando si rese conto che il mio desiderio era di saperne di più su quei quadri appesi alla parete di fronte, i suoi occhi cominciarono a brillare. Con passi rapidi mi accompagnò ai dipinti ad olio, agli acquarelli e ai disegni. Gli occhi della mia “guida alla mostra” diventarono ancora più scuri e brillarono in maniera radiosa, quando iniziò a raccontare. Ernst Bursche era stato un uomo meraviglioso, amato da tutti. Per qualche anno aveva vissuto a Sant’Angelo. Come altri pittori, nell’Hotel Conte, ma prevalentemente sulla Torre in una specie di abitazione trogloditica gung duldete keinen Aufschub. Nach einer wilden Fahrt im Microtaxi erreichten wir unser Ziel. Noch heute habe ich die Farben und Landschaften der Aquarelle vor Augen. Leider – grappabedingt – etwas verschwommen. Auch an das Haus kann ich mich kaum mehr erinnern. Hotel Conte am Torre Ein zu Hause für Künstler Während meiner ersten Besuche von Sant´Angelo verbrachte ich die frühen Abende oft auf dem Torre, um von dort die Sonnenuntergänge zu erleben. Dabei entdeckte ich eines Tages Werke von Ernst Bursche im Hotel Conte am Fuß des Torre. Eine breite Wand am Ende des Speisesaals leuchtete mir entgegen. Ich blickte auf Ansichten des Dorfes, von sanften Hügeln, bizarren Berggipfeln und tiefen Schluchten. Aber vor allem waren es Kohlestiftzeichnungen von Einheimischen, die mich unmittelbar faszinierten. Ich las ihre Namen, die der Maler in liebevoll–sorgfältiger Schrift am unteren Ende seiner Blätter festgehalten hatte. Den Eigentümer dieser Kostbarkeiten wollte ich kennenlernen. Der von mir befragte Kellner rief einen Namen in die angrenzenden Räume. Ich vernahm ein ruhiges, wohlklingendes Sì. Und einige Minuten später hörte ich langsame Schritte. Ein leicht gebeugter Mann kam auf mich zu: Michele Zunta, der Hotelbesitzer. Mit einem freundlich-distanzierten Lächeln fragte er mich, was ich denn wolle. Als er meinen Wunsch del contadino Francesco Del Deo, chiamato Ciubirro. Di sera si sedeva quasi sempre all’angolo del Ridente e beveva il suo vino rosso. Di tutti aveva fatto il disegno o il ritratto: pescatori e mulattieri e vignaioli: la gente appunto di Sant’Angelo e dei borghi vicini. E, mentre lo faceva, rideva molto. Ma Michele mi fece vedere altri quadri che per me potevano essere interessanti. Innanzitutto un ritratto del pittore svizzero Ulrich Schmid eseguito da Ulrich Neujahr di Berlino. Ambedue erano ospiti abituali del Conte nei mesi estivi ed erano amici. Mi mostrò delle xilografie dell’antico villaggio di pescatori incise dal berlinese e - particolarmente espressiva - quella di Stalino, il famoso proprietario all’ingresso di Cavascura. Anche acquarelli in colori a tempera che riflettevano tutto lo splendore mediterraneo dell’isola. Mentre eravamo seduti davanti all’albergo, sorseggiando un cappuccino, mi raccontò del pittore russo vernahm, über die Bilder an der Wand gegenüber mehr zu erfahren, begannen seine Augen zu strahlen. Mit raschen Schritten begleitete er mich zu den Ölbildern, Aquarellen und Zeichnungen. Die Augen meines „ Ausstellungsführers“ wurden noch dunkler. Und sie leuchteten in warmem Schmelz, als er zu erzählen begann. Ernst Bursche sei ein wunderbarer Mensch gewesen, den alle liebten. Für einige Jahre habe er in Sant` Angelo gelebt. Wie andere Künstler im Hotel Conte, überwiegend aber in einer Art Höhlenwohnung auf dem Torre beim Bauern Francesco del Deo, genannt Ciubirro. Abends habe er fast immer am Ridente-Eck gesessen und seinen Rotwein getrunken. Alle habe er gezeichnet und gemalt: die Fischer und Maultierführer und Weinbauern; die Menschen eben von Sant’ Angelo und den umliegenden Dörfern. Dabei habe er viel gelacht. Dann führte er mich zu anderen Bildern, die für mich interessant sein könnten. Zunächst zu einem Porträt des Schweizer Malers Ulrich Schmid, das von Ulrich Neujahr aus Berlin stammte. Beide waren während der Sommermonate regelmäßige Gäste im Conte und miteinander befreundet. Er zeigte mir Holzschnitte des Berliners vom alten Fischerdorf und – besonders eindrucksvoll - von Stalino, dem berühmten Tavernenbesitzer am Eingang zur Cava Scura. Auch Aquarelle in Temperafarben, die alle mediterrane Heiterkeit der Insel versprühten. Während wir bei einem Cappuccino vor dem Hotel saßen, erzählte er mir von dem russischen Maler Arkady Kusmin. La Rassegna d’Ischia 3/2009 25 Arkady Kusmin. Nato a Mosca, lasciò per sempre la sua patria dopo lo scoppio della Rivoluzione. A Parigi trascorse anni assai formativi sul piano artistico, che si conclusero bruscamente con lo scoppio della seconda guerra mondiale. All’inizio degli anni Cinquana trovò a Sant’Angelo una nuova casa. Per due decenni abitò d’estate principalmente nella Conchiglia di Agnesina, poi dal capitano Valerio ai piedi della Torre. Di solito consumava la prima colazione nell’Hotel Conte. Insieme con sua moglie, la nota fotografa Regina Relang, sedeva sempre allo stesso angolo a destra dell’ingresso. Ogni mattina, insieme con il pane, il burro e la marmellata, metteva in un bicchiere anche tre uova sode. L’artista, all’apparenza piuttosto riservato, indossava sempre un foulard rosso e un berretto a larghe falde per proteggersi dal sole. Volli alla fine ancora sapere se lui, come altri, avesse dipinto prevalentemente nella piazza, sul mare, nei vicini dirupi o sulle colline circostanti. No, Kusmin aveva lavorato quasi sempre sulla grande terrazza del suo domicilio estivo. Lì erano state eseguite la maggior parte dei quadri. Purtroppo Michele non possedeva alcun originale, ma mi poté mostrare un piccolo catalogo, apparso alcun i anni dopo la morte di Kusmin nel 1974. Poche le raffigurazioni che vidi, ma la loro gioia di vivere tipica del Sud mi suscitò una forte impressione. Monti irradiati dal sole diventavano piramidi color arancio, le case blocchi di colori, il sole in Bar Ridente e ristorante Pescatore – Vita sulla piazza Dopo le mie visite in Casa Schneider, Casa Sofia e Hotel Conte, le mie tappe successive furono il bar Ridente e il ristorante Pescatore, due locali con una ricca storia. L’angolo del Ridente| Qui si sono seduti tutti: pittori e scultori, giornalisti e scrittori. Come Lothar Diez di Monaco, lo scultore col basco sulla piazza e con la paglietta sulla spiaggia. Pittori e altri artisti che avevano una corte come dei principi. Entrando nel bar mi guardava il leggendario pescatore, “Giovanni il grande pescatore", con un’espressione lievemente sardonica. Il donnaiolo, nella sua camicia di un blu sgargiante, le forti braccia conserte davanti al petto, i cui funerali molti anni fa “sarebbero stati degni di onorare un vescovo” - così una giornalista in un giornale della Germania meridionale. Il suo ritratto appeso alla parete sorvegliava fra i tavoli dei giocatori di carte. Quando chiesi a Peppino, il proprietario, il permesso di fotografare il dipinto, sul suo volto si manifestò Geboren in Moskau, verließ er nach Ausbruch der Revolution seine Heimat für immer. In Paris verbrachte er künstlerisch prägende Jahre, die mit dem Ausbruch des zweiten Weltkrieges jäh endeten. Anfang der 1950er Jahre fand er dann in Sant`Angelo eine neues zu Hause. Zwei Jahrzehnte lang wohnte er im Sommer zunächst bei Agnesina im Conchiglia, später dann beim Capitano Valerio direkt am Fuß des Torre. Zum Frühstück kam er gewöhnlich ins Conte. Gemeinsam mit seiner Frau, der bekannten Fotografin Regina Relang, saß er immer in derselben Ecke rechts neben dem Eingang. Zu einem Butterbrot mit Marmelade gehörte jeden Morgen auch ein Glas mit drei hartgekochten Eiern. Der eher verschlossen wirkende Künstler trug stets ein rotes Halstuch und zum Schutz gegen die Sonne einen breitkrempigen Hut. Ob er, wie andere, überwiegend auf der Piazza, am Meer, in den nahen Schluchten und auf den umliegenden Hügeln gemalt habe, wollte ich schließlich noch wissen. Nein, Kusmin habe fast immer auf der großen Terrasse seines sommerlichen Domizils gearbeitet. Dort seien die meisten Bilder entstanden. Leider besitze er selbst keine Originale. Aber er könne mir einen kleinen Katalog zeigen, der einige Jahre nach dem Tod von Kusmin 1974 erschienen sei. Wenige Abbildungen, die ich sah, doch ihre südliche Lebensfreude beeindruckte mich. Sonnenüberstrahlte Berge wurden zu orangefarbenen Pyramiden, die Häuser zu Farbblöcken, die Sonne in grünen oder lilafarbenen Himmeln. Und Stilleben mit Fischen, Vasen und Krügen. 26 La Rassegna d’Ischia 3/2009 cieli verdi o color lilla. E nature morte con pesci, vasi e brocche. Con molta gioia seguii il racconto di Michele Zunta. Alla fine l’uomo molto gentile mi sorprese con un libro degli ospiti riccamente decorato: storia dell’albergo, ma anche di Sant’Angelo come meta di artisti da lunghi anni. Quando, nel salutarci, mi diede la mano, percepii una netta sensazione: avevo incontrato un uomo che desideravo avere per amico. Voller Freude folgte ich der Erzählung von Michele Zunta. Zum Schluss überraschte mich der liebenswürdige Mann noch mit einem reich verzierten Gästebuch: Geschichte des Hotels, aber auch von Sant` Angelo als einem langjährigen Ziel für Künstler. Als er mir zum Abschied seine Hand gab, fühlte ich: Ich war einem Menschen begegnet, den ich zum Freund haben möchte. Bar Ridente und Ristorante Pescatore Leben auf der Piazza Nach meinen Besuchen in der Casa Schneider, der Casa Sofia und dem Hotel Conte waren meine nächsten Ziele die Bar Ridente und das Ristorante Pescatore, zwei Lokale mit reicher Geschichte. Die Ecke am Ridente! Hier haben sie alle gesessen: die Maler und Bildhauer, die Journalisten und Schriftsteller. Wie Lothar Dietz aus München, der Bildhauer mit der Baskenmütze auf der Piazza und mit dem Strohhut am Strand. Maler und andere Künstler, die Hof hielten wie Fürsten. Beim Betreten der Bar schaute mir der legendäre Fischer „Giovanni, il grande pescatore“ mit einem leicht verschmitzten Gesichtsausdruck entgegen. Der Frauenheld in leuchtend blauem Hemd, die kräftigen Arme vor der Brust verschränkt, dessen Begräbnis vor vielen Jahren „einem Bischof zur Ehre gereicht hätte“ – so eine Journalistin in einer süddeutschen Zeitung. Sein Porträt hing an der Wand zwischen den Tischen un lieve sorriso. Naturalmente lo potevo fare, meglio fuori al sole; le sedie davanti ai tavolini erano certamente un buon appoggio. Per compensare, per così dire, il mio sforzo fotografico per il grande pescatore, l’ultimo “senza motore”, Peppino mi invitò ad accompagnarlo alla sua abitazione privata situata sopra il bar. Mi voleva mostrare soprattutto un quadro che un ospite berlinese, un amico del pittore Werner Gilles, aveva dipinto molti decenni prima sulla piazza. Era Werner Schulz, cugino di una dottoressa di Berlino, la quale più di venticinque anni fa mi aveva raccomandato Sant’Angelo per le sue benefiche acque termali. Il bar Ridente di fronte al ristorante Pescatore. Qui Dolly Barricelli, come mi raccontò una volta, durante i suoi primi anni a Sant’Angelo aveva trascorso ore meravigliose. Alla luce delle candele e delle lampade a carburo dei pescatori di calamari e alla musica dei dischi del grammofono ballava il tango coi pescatori e i pittori fino notte inoltrata. Paolo, un figlio del proprietario del Pescatore, mi offrì subito il suo aiuto quando gli parlai della mia ricerca di quadri. Lui aveva un acquarello di Ernst Bursche. Amava Don Ernesto e collezionava i suoi quadri. Mentre serviva i clienti, osservai i dipinti alle pareti delle stanze alte e ben arredate. Quadri di Ernst Bursche e di altri pittori, ma anche foto di Werner Gilles, che sedeva su una scala fumando la pipa; e foto ingiallite dell’antico borgo di pescatori, della piazza di cinquant’anni prima e di persone mentre trasportavano botti di vino sulle loro navi, che in quel periodo arrivavano sino alla costa ligure. Poco dopo, i lavori di Ernst Bursche da me prescelti - Vedute del porto d’Ischia e del Castello Aragonese - furono staccati dalla parete e portati fuori. Mentre li fotografavo, essi brillavano nella luce meridiana autunnale nei toni blu, come li amo. Alla ricerca di un pittore del mitico Werner Gilles Nel frattempo, nella mia ricerca di artisti che avevano scoperto Sant’Angelo anni prima e che lasciarono con le loro opere testimonianze di un tempo passato, mi sono imbattuto spesso in situazioni sorprendenti. Ma ce ne fu uno in particolare, intorno alla cui vita e ai suoi quadri circolano molte storie: Werner Gilles, un pittore di temi mitologici, pieni di simbolismo e mistica. Uomini e natura dell’isola, soprattutto di Sant’Angelo con la Torre, non lo avevano mai lasciato in pace - così avevo letto su di lui. La mia ricerca dei suoi dipinti sfociò in un viaggio colmo di avventure e scoperte insospettate. Esso diventò un viaggio nel mondo enigmatico, appagante di questo artista. Da Dolly Barricelli, la mia sorprendente ospitante e amica, avevo sentito il der Kartenspieler. Als ich Peppino, den Besitzer, um Erlaubnis bat, das Gemälde fotografieren zu dürfen, zeigte sich in seinem Gesicht ein leichtes Lächeln. Natürlich könne ich dies tun, am Besten draußen in der Sonne, die Stühle vor den kleinen Tischen seien dafür sicher eine gute Stütze. Gleichsam als Lohn für mein fotografisches Bemühen um den großen Fischer, den letzten senza motore - mit einem Boot ohne Motor, lud er mich danach ein, ihn in seine über dem Cafe gelegene Privatwohnung zu begleiten. Er wolle mir noch ein Bild zeigen, welches ein Berliner Gast, ein Freund von Werner Gilles, vor langer Zeit auf der Piazza gemalt hatte. Es war Werner Schulz, der Vetter einer Berliner Ärztin, die mir vor mehr als fünfundzwanzig Jahren Sant’ Angelo wegen seiner heilbringenden Thermalbäder empfohlen hatte. Der Bar Ridente gegenüber das Ristorante Pescatore. Hier hatte Dolly Barricelli, wie sie mir einmal erzählte, während ihrer ersten Jahre in Sant`Angelo herrliche Stunden verbracht. Im Schein von Kerzen und Karbidlampen der Tintenfischer und nach der Musik von Grammofonplatten tanzte sie mit den Fischern und Malern Tango bis tief in die Nacht. Paolo, ein Sohn des Inhabers des Pescatore, bot mir sofort seine Hilfe an, als ich ihm von meiner Bildersuche, berichtete. Er habe Aquarelle von Ernst Bursche. Er liebe Don Ernesto, und er sammle seine Werke. Während Paolo noch Gäste bediente, betrachtete ich die Bilder an den Wänden der hohen, schön gestalteten Räume. Bilder von Ernst Bursche und anderen Malern, auch Aufnahmen von Werner Gilles, der Pfeife rauchend auf einer Treppe saß. Und vergilbte Fotos des alten Fischerdorfes, der Piazza vor fünfzig Jahren und der Einwohner beim Transport von Weinfässern auf ihre Schiffe, die in der Zeit bis zur ligurischen Küste fuhren. Wenig später waren die von mir ausgewählten Arbeiten von Ernst Bursche - Ansichten des Hafens von Porto und des Castello Aragonese in Ponte - von den Wänden abgehängt und nach draußen getragen. Während ich sie fotografierte, leuchteten sie in der herbstlichen Mittagssonne: in den Blautönen, wie ich sie liebe. Auf der Suche nach einem Maler des Mythischen - Werner Gilles Inzwischen war ich bei meiner Suche nach Künstlern, die vor vielen Jahren für sich Sant` Angelo entdeckt hatten und mit ihren Werken Zeugnisse einer vergangenen Zeit hinterließen, oft Überraschendem begegnet. Aber da war noch einer, um dessen Leben und Bilder sich viele Geschichten ranken: Werner Gilles. Ein Maler von mythologischen Themen, voller Symbolik und Mystik. Menschen und Natur der Insel, vor allem Sant‘ Angelo mit dem Torre, hätten ihn nie zur Ruhe kommen lassen - so hatte ich inzwischen über ihn gelesen. Meine Suche nach seinen Gemälden geriet zu einer Reise voller Abenteuer und unerwarteter Entdeckungen. Sie wurde zu einer Reise in die rätselhafte, beglückende Welt dieses Künstlers. Von Dolly Baricelli, meiner beeindruckenden Gastgeberin und Freundin, hatte ich zum ersten Mal seinen Namen gehört. Mit leiser Stimme und ernsten Augen hatte sie mir bei einem La Rassegna d’Ischia 3/2009 27 suo nome per la prima volta. A bassa voce e occhi seri mi parlò, in occasione di una mia visita nell’inverno 1997-98, del suo primo incontro con lui mezzo secolo prima. Con il pittore che spesso sedeva all’ “angolo di pietra” del Ridente beveva il suo vino e rivolgeva lo sguardo alla Torre. I ricordi di Dolly mi affascinavano. E di nuovo mi misi alla ricerca delle tracce. Parecchie persone del posto mi avevano nominato delle famiglie, che erano orgogliose della loro amicizia con l’artista e nelle cui case aveva vissuto nel corso di molti anni. La Villa Serena e i suoi proprietari venivano menzionati di continuo. Anche un certo Sergio, che certamente conoscevo, poiché s’incontra sempre sul posto, soprattutto sulla piazza. Qualche anno dopo, durante un nuovo soggiorno sul tardo inverno, mi riuscì finalmente di parlare con un componente della famiglia Serena, il figlio più grande. L’uomo stava su una scala, piegato su un muro, per ripararlo dai danni dell’inverno e delle ultime tempeste. La sua risposta fu deludente: no, la sua famiglia non possedeva alcun quadro di Werner Gilles. Li aveva già da tempo dati via o venduti. Non sapeva dove fossero andati a finire. E l’uomo continuò a mettere a posto il muro. Profondamente deluso dalla sua risposta ero in procinto di rassegnarmi. Ma il pensiero non mi lasciava in pace: una ricerca delle tracce senza aver trovato i quadri di quel pittore che in essi catturò Sant’Angelo come forse nessun altro? Raccontai a Michele Zunta delle mie ricerche fino allora vane. Dopo qualche indugio mi nominò Sergio, il proprietario del bar “La Brezza”, attaccato alla Torre. Un angolo sul mare, che è sempre impetuoso e naturale. Aveva sentito che Sergio possedeva alcuni originali del famoso pittore e che anche lui voleva finalmente vedere. Così ambedue ci mettemmo alla ricerca dell’uomo. Più volte ci fermammo davanti all’ingresso socchiuso del suo bar. Ma una sera la cosa si realizzò. Da un edificio illuminato Besuch im Winter 1997/98 von ihrer ersten Begegnung mit ihm in den 1950er Jahren erzählt. Mit dem Mann, der oft im „steinernen Winkel“ des Ridente saß, seinen Wein trank und auf den Torre blickte. Dollys Erinnerungen faszinierten mich. Und von Neuem begab ich mich auf Spurensuche. Mehrere Einheimische hatten mir Familien genannt, die stolz auf ihre Freundschaft mit dem Künstler waren, und in deren Häusern er im Laufe der vielen Jahre gelebt hatte. Die Villa Serena und ihre Besitzer wurden immer wieder erwähnt. Auch ein gewisser Sergio, den ich doch sicher kennen würde, da er ständig irgendwo im Dorf, vor allem auf der Piazza, anzutreffen sei. Einige Zeit danach, während eines neuerlichen Aufenthalts im späten Winter, gelang es mir schließlich, mit dem ältesten Sohn der Familie der Villa Serena zu sprechen. Der Mann stand auf einer Leiter, über eine Mauer gebeugt, um Schäden von den letzten, ungewöhnlich heftigen Stürmen auszubessern. Seine Antwort war ernüchternd: Nein, seine Familie habe keine Bilder von Werner Gilles. Alle habe sie bereits vor langer Zeit weggegeben oder verkauft. Er wisse auch nicht, wo im Ort welche zu finden seien. Dann fuhr der Mann fort, an der Mauer zu reparieren. Tief enttäuscht von seiner Antwort war ich dabei, zu resignieren. Doch der Gedanke ließ mich nicht zur Ruhe kommen. Eine Spurensuche, ohne Werke jenes Malers gefunden zu haben, der Sant’ Angelo in ihnen einfing, wie kaum ein anderer? Ich erzählte Michele Zunta von meinen bisher vergeblichen 28 La Rassegna d’Ischia 3/2009 fiocamente risuonò, dopo aver gridato più volte il suo nome, dapprima con un certo indugio, poi in maniera più forte, un “sì”. Qualche minuto dopo apparve finalmente Sergio, che aspettava con molta impazienza. Con un sorriso leggermente imbarazzato ci condusse nel suo domicilio serale. Invece di soffermarci prima al bar per una bibita, ci accompagnò subito per una ripida scala di legno sopra nelle sue “stanze private”, come ci tenne a dire. Alla fine potemmo spiegargli la nostra richiesta. E quell’uomo nel suo pullover giallo brillante e calzoni lunghi, blu scuri, che appariva all’inizio mezzo addormentato, all’improvviso sembrò sveglissimo. Sì, aveva quei quadri, anche nella sua casa al villaggio, di fronte alla pizzeria Pasquale. Naturalmente ce li avrebbe mostrati. In una delle successive sere sarebbe stato possibile. Ma ciò doveva avvenire prima del tramonto del sole, in modo che potessimo vedere i loro colori alla luce naturale. Bemühungen. Nach einigem Zögern nannte er den Namen von Sergio, dem Inhaber der Bar La Brezza, dicht am Torre gelegen. Einem Winkel am Meer, der noch immer wild und ursprünglich ist. Er habe gehört, dieser besitze einige Originale des berühmten Malers, auch er wolle sie endlich sehen. So begaben wir uns gemeinsam auf die Suche nach dem Mann. Mehrmals standen wir vor dem verschlossenen Eingang zu seiner Bar. Doch an einem Abend ereignete es sich: Aus einem der Räume des matt erleuchteten Gebäudes ertönte nach mehrfachem Rufen seines Namens zunächst zögerlich, dann kräftiger ein Si. Einige Minuten später tauchte endlich Sergio auf, der voller Ungeduld erwartete. Mit leicht verlegenem Lächeln führte er uns in seine abendliche Bleibe. Statt zunächst für ein Getränk an der Theke zu verweilen, bat er uns sofort über eine steile Holztreppe nach oben - in seine „privaten Räume“, wie er bemerkte. Endlich konnten wir ihm unser Anliegen erklären. Und plötzlich wurde der zunächst etwas verschlafen wirkende Mann in leuchtend-gelbem Pullover und langer, dunkelblauer Hose hellwach. Ja, er habe solche Bilder; auch in seinem Haus im Dorf, der Pizzeria Pasquale gegenüber. Natürlich werde er sie uns zeigen. An einem der nächsten Abende wäre es möglich. Aber es müsse noch vor Sonnenuntergang sein, damit wir ihre Farben bei natürlichem Licht sehen könnten. Hocherfreut verließen Michele Zunta und ich La Brezza. Soddisfattissimi, Michele Zunta ed io lasciammo “La Brezza”. Con impazienza crescente e in gioiosa attesa salimmo tre giorni dopo di nuovo le scale di legno nel bar. Sergio, con un sorriso molto eloquente, dispose su un tavolo velocemente liberato i suoi tesori. Una natura morta floreale di Kusmin, il pittore russo, in colori scuri, armonici. E poi quadri di Werner Gilles: li mostrò sul tavolo, che gli ultimi raggi del sole al tramonto sfiorava; dopo una composizione coloristica astrale, un acquarello di Sant’Angelo in una prospettiva insolita, abbastanza alterata e veduta sulla torre. Vista e dipinta durante uno dei voli di fantasia del pittore: questa era la supposizione di Sergio. Questi, durante la sua presentazione, era gioiosamente eccitato, continuava a guardarmi con i suoi occhi scuri. Ma sembrava sempre più irritato dal mio riserbo nel guardare i quadri. E quando ci accomiatammo in silenzio, sulla sua faccia non c’era più gioia né sorriso. Sulla strada per l’argine che conduce alla piazza, al mio amato angolo del “Ridente”, mi ricordai dei racconti di gente del luogo riguardanti le numerose falsificazioni dei quadri di Werner Gilles. E d’un tratto mi resi conto: la mia ricerca del misterioso artista si protrarrà ancora a lungo. La Villa Serena d’inverno, il bar La Brezza in primavera: tempi di speranza, di delusione. Era infine autunno, quando Dolly Barricelli aprì un’altra porta della mia perplessità. Dovevo recarmi in Casa Giuseppina e parlare con la proprietaria. La signora Iacono era da decenni un’appassionata collezionista di lavori di artisti che avevano vissuto una volta a Sant’Angelo. Si vociferava ogni tanto di un “cassone con un tesoro” che lei apriva soltanto dopo lunghe sollecitazioni e solo per amici del tutto particolari e fidati. In esso si trovavano anche opere di Werner Gilles, di ciò lei era sicurissima. Lo stesso giorno ancora, all’imbrunire, ero alla reception di Casa Celestino e domandai della signora. Con un misto di sorriso di routine Mit wachsender Ungeduld und voller Vorfreude kletterten wir drei Tage später erneut die Holztreppe in der Bar nach oben. Sergio breitete auf einem rasch frei geräumten Tisch mit vielsagendem Lächeln seine Schätze aus. Ein Stilleben mit Blumen von Kusmin, dem russischen Maler, in dunklen, harmonischen Farben. Und dann Bilder von Werner Gilles. Er zeigte sie auf dem Tisch, den letzte Strahlen der untergehenden Sonne streiften: nach einer abstrakten Farbkomposition ein Aquarell von Sant‘ Angelo in ungewöhnlicher, seltsam verzerrter Perspektive und Sicht auf die Erde. Während eines Fantasiefluges gesehen und gemalt – so die Vermutung von Sergio. Dieser war während seiner Präsentation zunächst freudig erregt, blickte mich immer wieder mit seinen dunklen Augen an. Doch zunehmend schien er irritiert von meiner Zurückhaltung beim Betrachten der Bilder. Und als wir uns schweigend verabschiedeten, war keine Freude, kein Lächeln mehr in seinem Gesicht. Auf dem Weg über den Damm zurück zur Piazza, zu meiner geliebten Ecke am Ridente, erinnerte ich mich an Erzählungen von Einheimischen über zahlreiche Fälschungen der Werke von Werner Gilles. Und mit einem Mal fühlte ich: Meine Suche nach den künstlerischen Spuren des geheimnisvollen Malers würde vielleicht noch lange weitergehen. Die Villa Sirena im Winter, die Bar La Brezza im Frühling: Zeiten der Hoffnung, der Enttäuschung. Es wurde schließlich Herbst, als Dolly Barricelli mir in meiner Ratlosigkeit e una leggera diffidenza, mi venne incontro una donna giovane, dai capelli neri. Insomma cosa volevo, la signora non c’era, stava nella sua casa a Succhivo. Io le spiegai che cercavo quadri di Werner Gilles. Degli amici mi avevano detto che la signora ne possedeva alcuni. Perciò ero lì, pieno di speranze, lei poteva aiutarmi. Furono necessari ulteriori e ripetuti chiarimenti, finché la donna alla fine ammise: sì, lì c’erano quei quadri e lei stessa ne possedeva i più belli della collezione. La sua confessione mi sbalordì, nel contempo la mia speranza crebbe. E nei miei occhi dovette apparire immediatamente un’espressione di grande nostalgia giacché la donna all’improvviso, senza perdere un’altra parola, si diresse in fretta sopra per ritornare un minuto dopo con un quadro sotto il braccio. Lo appoggiò alla spalliera di una poltrona nel foyer. Alla vista del quadro mi mancò il respiro. Sant’Angelo, La Torre, i monti, il mare: soluzione della percezione dell’artista, del vissuto in nuove forme e colori. In una eine weitere Tür öffnete. Ich solle doch zur Casa Celestino gehen und mit der Besitzerin sprechen. Signora Iacono sei seit Jahrzehnten eine passionierte Sammlerin der Arbeiten von Künstlern, die früher in Sant’ Angelo gelebt hätten. Von einer „Schatztruhe“ werde gelegentlich gemunkelt, die sie nur nach langem Bitten und nur für ganz besondere Freunde und Vertraute öffnen würde. In ihr befänden sich auch Gemälde von Werner Gilles, da sei sie sich ganz sicher. Noch am selben Tag stand ich gegen Abend an der Rezeption der Casa Celestino und fragte nach der Signora. Mit einer Mischung aus routinemäßigem Lächeln und leichtem Misstrauen kam mir eine junge, schwarzhaarige Frau entgegen. Die Signora sei nicht da, sie sei in ihrem Haus in Succhivo, was ich denn wolle Ich erklärte ihr, dass ich auf der Suche nach Bildern von Werner Gilles sei. Freunde hätten mir gesagt, in der Casa Celestino werde ich einige finden. Deshalb sei ich hier, voller Hoffnung, sie könne mir weiterhelfen. Wiederholte Erklärungen waren vonnöten, bis die Frau endlich zu erkennen gab: Ja, hier gebe es solche Bilder, und sie selbst sei die Eigentümerin des schönsten der Sammlung. Ihr Geständnis verblüffte mich, zugleich wuchs meine Hoffnung. Und in meinen Augen muss ein Ausdruck von großer Sehnsucht entstanden sein, denn die Frau eilte plötzlich - ohne ein weiteres Worte zu verlieren - nach oben, um Minuten später mit einem Bild unter dem Arm wiederzukehren. Sie stellte es an die Rückenlehne eines Sessels im Foyer. Und bei seinem Anblick stockte mir der Atem. Sant‘ Angelo, der Torre, La Rassegna d’Ischia 3/2009 29 E. Bursche - S. Angelo - Vista della Torre (Blick auf den Torre) K. Schneider - Rampa di scale a Casa Schneider (Treppenaufgang zur Casa Schneider) W. Sertürner - Maronti A. Ferenz - Barca a vela sotto la luna (Segelschifft im Mondschein) H. P. Kirchpfenning - Giorgio, il pescatore (der Fischer) 30 La Rassegna d’Ischia 3/2009 W. Gilles - Oriente I (das Morgenland I) nuova raffigurazione - la sua propria, inconfondibile interpretazione. Condensazione di tutto ciò che io amo, che sogno quando l’inverno a Berlino non vuole finire. Con soddisfazione la giovane donna, Carla, figlia di Celestino, si accorse della mia gioiosa reazione. Con orgoglio richiamò la mia attenzione sulla firma di Werner Gilles. E per dissipare ogni altro possibile dubbio sull’autenticità dell’acquarello, mi mostrò anche il retro dell’opera: in colori sbiaditi, in contorni provvisori il tema era abbozzato. Secondo la spiegazione della proprietaria, ciò era stato tipico per il pittore allora povero - una prova convincente, ulteriore del fatto che nessun altro aveva potuto dipingere quel quadro. Dopo aver fotografato il quadro, al tramonto lasciai Casa Celestino. Ero sicuro: finalmente avevo raggiunto la meta della mia lunga ricerca. Qualche giorno dopo conobbi la signora in persona: la scopritrice originaria, l’acquirente che conservava testimonianze di quegli anni d’oro per i pittori. Mi salutò con grande cortesia e signorile riservatezza. Ben pettinata ed elegante, l’ex insegnante elementare mi parlò dei suoi incontri con i pittori di quel tempo straordinario. Oltre a Eduard Bargheer e a Franz Markgraf, le drammatiche raffigurazioni del mare e del cielo dominavano l’ambiente accanto alla reception: era sempre Werner Gilles, il pittore del mitico, di cui lei, come Dolly Barricelli, continuava a parlare con un lieve sorriso e gli occhi seri. L’anziana signora mi aveva definitivamente persuaso a realizzare il mio desiderio di conoscere più a fondo questo artista affascinante. Per occuparmi ancora più intensamente della vita e dell’opera di Werner Gilles, dopo il mio ritorno a Berlino, mi incontrai con un amico esperto di arte. Con mia gioia mi dischiuse nuove fonti. Confermò anche le informazioni e i racconti della gente di Sant’Angelo. Mi fece notare l’ampia diffusione di quadri falsi di die Berge, das Meer: Auflösung des vom Künstler Wahrgenommenen, Erlebten in neue Formen und Farben, zu einer neuen Gestaltung – seiner ganz eigenen, unverwechselbaren Interpretation. Verdichtung all dessen, was ich liebe, wovon ich träume, wenn der Winter in Berlin nicht enden will. Mit Genugtuung vernahm die junge Frau, Signora Iaconos Tochter Carla, meine freudige Reaktion. Stolz verwies sie auf die Signatur von Werner Gilles. Und um mögliche letzte Zweifel an der Echtheit der Arbeit zu beseitigen, zeigte sie mir dann noch deren Rückseite: In matten Farben und flüchtigen Umrissen war das Thema skizziert. Nach der Erläuterung der Eigentümerin – dies sei typisch für den damals armen Maler gewesen – ein überzeugender, weiterer Beweis dafür, dass kein anderer als er selbst dies Werk gemalt haben konnte. Nachdem ich es noch fotografiert hatte, verließ ich bei Sonnenuntergang die Casa Celestino. Ich war mir sicher: Endlich hatte ich mein Ziel erreicht. Einige Tage später lernte ich dann noch die Signora selbst kennen, die ursprüngliche Entdeckerin, Käuferin und Bewahrerin von Zeugnissen jener goldenen Jahre. Sie begrüßte mich mit großer Höflichkeit und vornehmer Zurückhaltung. Sorgsam frisiert und elegant gekleidet, erzählte mir die ehemalige Volksschullehrerin von ihren Begegnungen mit den Malern jener außergewöhnlichen Zeit. Neben Eduard Bargheer und Franz Markgraf, dessen dramatische Darstellungen von Meer und Himmel einen Raum neben der Rezeption beherrschten, war es immer wieder Werner Gilles, der Maler des Mythischen, auf den sie – wie Dolly Barricelli - mit leisem Lächeln Gilles, che quasi nessuno era in grado di accertare. Anche i problemi giuridici riguardanti i diritti d’autore di una pubblicazione non dovevano essere sottovalutati; poteva trattarsi di molto denaro. Le osservazioni dell’amico suscitarono in me molti dubbi. Essi si annidarono nelle mie speranze. La mia ricerca di quadri in Casa Celestino, in apparenza conclusasi con un esito così felice, all’improvviso mi apparve in una nuova luce, piuttosto cupa. Oltre a verificare una probabile falsificazione, occorreva evidentemente anche essere in possesso di cognizioni giuridiche. Perciò, dovevo innanzitutto consultare gli eredi di Werner Gilles, così almeno mi disse un rinomato grafico di Berlino a cui avevo chiesto informazioni in merito. Così doveva incominciare un altro capitolo della mia ricerca dei dipinti del pittore, della mitologia della Torre, di Sant’Angelo, dei pescatori e dei dirupi all’interno dell’isola. Dopo aver formato l’attuale numero telefonico di un erede di Gilles, mi und ernsten Augen zu sprechen kam. Die alte Dame hatte meinen Wunsch verstärkt, diesem faszinierenden Künstler in seinen Werken näher zu kommen. Um mich noch intensiver mit dem Schaffen von Werner Gilles zu beschäftigen, traf ich mich nach meiner Rückkehr in Berlin mit einem kunsterfahrenen Freund. Zu meiner Freude erschloß er mir neue Quellen. Doch er bestätigte auch die Andeutungen und Erzählungen von Einheimischen in Sant’ Angelo. Er wies mich auf die weite Verbreitung gefälschter Bilder von Gilles hin, die kaum jemand wirklich nachweisen könne. Auch juristische Probleme beim Urheberrecht einer Veröffentlichung seien nicht zu übersehen, um sehr viel Geld könne es dabei gehen. Die Hinweise des Freundes ließen in mir neuerliche Zweifel entstehen. Sie nisteten sich in meine Hoffnungen ein. Meine Suche in der Casa Celestino, vermeintlich so glücklich beendet, erschien plötzlich in einem neuen, eher düsteren Licht. Neben der Prüfung einer möglichen Fälschung waren offensichtlich auch juristische Kenntnisse vonnöten. Daher müsse ich – so ein von mir ebenfalls zu Rate gezogener renommierter Berliner Grafiker - nun vor allem den Erben von Werner Gilles konsultieren. Damit sollte ein weiteres Kapitel in meiner Suche nach Gemälden des Malers der Mythologie des Torre, von Sant‘ Angelo, von Fischern und Schluchten im Inselinneren beginnen. Nach Erlangen der aktuellen Telefonnummer des Gilles - Erben klang mir eine distanzierte Stimme entgegen. Ja, er sei Dr. Kleinheisterkamp, was ich denn von ihm wolle. Ich La Rassegna d’Ischia 3/2009 31 rispose una voce distaccata. Sì, era il dottor Kleinheisterkamp, insomma che cosa volevo da lui. Gli spiegai la mia richiesta. Infine mi riuscì di superare il suo evidente scetticismo. Mi chiese se non volessi andare semplicemente a Krefeld per un colloquio personale, così si poteva vedere quanto fosse possibile fare. Quanto avevo sperato in quella proposta! Anche la sua richiesta di spedire una copia del quadro di Gilles in possesso di Casa Celestino, con mio sollievo, non causò una nuova distanza tra noi. Qualche giorno dopo, il dottor Kleinheisterkamp si fece sentire di nuovo. Aveva i suoi dubbi che si trattasse di un originale. Anche un gallerista di Düsseldorf da lui consultato condivideva il suo scetticismo. Io so molto bene in quale grande misura a Napoli e nel circondario vengono falsificate le opere d’arte. Il risultato del colloquio difficile, ma anche molto aperto, fu il desiderio comune di un incontro personale entro breve tempo. Per vivere ancora una volta il caldo e la luce del Sud nell’anno che volgeva al termine, anche per fare ancora qualche nuotata nel mare, andai di nuovo a Ischia per un paio di giorni. Appena dopo il mio arrivo, ebbi l’occasione di vedere un film su Werner Gilles. Dal berlinese KlausDieter Fröhlich, come me ospite di Ischia da lunghi anni. Lo aveva scoperto qualche tempo prima a Berlino e messo a disposizione degli “Amici di Sant’Angelo”. Così conobbe anche Maria, una figlia dei proprietari della mia pensione e membro lei stessa dell’associazione. Era un pomeriggio di autunno. La luce sulla terrazza della mia pensione e sul mare era diffusa, senza veri colori. Ma nel salone della famiglia, il luogo della prima del film, cominciò a un tratto a risplendere un altro mondo. Il video del dott. Carl Lampe “Il pittore di Orfeo, Werner Gilles” mostrava in immagini e sequenze tranquille e nel contempo drammatiche un artista silenzioso, sensibile, immerso nel suo mondo. Per tutta la vita un giramondo, che trovò a Ischia, a Sant’Angelo, la sua “casa”. Ischia, schilderte ihm mein Anliegen. Schließlich gelang es mir, seine offenkundige Skepsis zu überwinden. Ob ich nicht einfach mal nach Krefeld kommen wolle, zu einem persönlichen Gespräch, dann könnten wir weiter sehen. Wie sehr hatte ich auf diesen Vorschlag gehofft. Auch seine Bitte um Zusendung einer Aufnahme des von mir erwähnten Gilles-Bildes im Besitz der Casa Celestino schuf zu meiner Erleichterung keine neuerliche Distanz. Einige Tage später ließ Dr. Kleinheisterkamp wieder von sich hören. Er habe seine Zweifel, ob es sich dabei um ein Original handele. Auch ein von ihm konsultierter Galerist in Düsseldorf teile seine Zweifel. Mir sei doch sicher bekannt, in welchem Maße in Neapel und Umgebung gefälscht werde. Das Ergebnis des schwierigen, dabei aber auch sehr offenen Gesprächs war der gemeinsam bekräftigte Wunsch nach einem baldigen persönlichen Treffen. Um in dem zu Ende gehenden Jahr noch einmal südliche Wärme und Licht zu erleben und im Meer zu schwimmen, reiste ich für ein Paar Tage erneut nach Ischia. Kurz nach meiner Ankunft hatte ich Gelegenheit, ein Video über Werner Gilles zu sehen. Von dem Berliner Klaus-Dieter Fröhlich, wie ich langjähriger Gast auf Ischia, hatte ich von dem Film erfahren. Er hatte ihn einige Zeit vorher in Berlin entdeckt und den „Amici di Sant`Angelo“ eine Kopie zur Verfügung gestellt. So kam er auch zu Maria, einer Tochter meiner Pensionsfamilie und selbst Mitglied des Freundeskreises. Es war ein Nachmittag im Herbst. Das Licht über der Terras32 La Rassegna d’Ischia 3/2009 tale fu il suo puntuale commento, era per lui la “quintessenza della bellezza assoluta”. Nella natura, nelle bizzarre formazioni rocciose, nei profondi nascosti dirupi e nelle strade solitarie, negli uomini semplici, nei pescatori, trovò i suoi temi. In loro s’incontrarono poesia, musica e sogno. Nei quadri – non raffigurazioni ma simboli – che egli rappresentò con “l’occhio esterno e interno”: “Poesia nell’interpretazione della natura”. Werner Gilles, il pittore moderno di Orfeo! In una rappresentazione del famoso ciclo di Orfeo c’è il lamento di una donna per il cantore morto, mentre un uccello dei morti spalanca le sue ali. Con un suonatore di flauto, la cui melodia io finanche credetti di sentire veramente. Una scena che mi commosse in maniera particolare che Gilles mi mostrò al momento di lasciare il suo atelier a Sant’Angelo: un uomo chiaramente malato, che con passi stanchi attraversava la piazza. Il film, sebbene in bianco e nero, brillava nei colori di una vita che si riempiva durante i mesi estivi nel se meiner Pension und dem Meer war diffus, ohne wirkliche Farben. Aber im Salone der Familie, dem Ort der Vorführung, begann mit einem Mal eine andere Welt zu erstrahlen. Das Video von Dr. Carl Lampe „Der Maler des Orpheus - Werner Gilles“ zeigte in ruhigen, zugleich dramatischen Bildern und Sequenzen einen stillen, empfindsamen, in seine Welt versunkenen Künstler. Zeitlebens ein Wanderer, der in Ischia, in Sant`Angelo sein „zu Hause“ fand. Ischia, so der einfühlsame Kommentar, war für ihn „Inbegriff vollendeter Schönheit“. In der Natur – den bizarren Felsformationen, den verborgenen tiefen Schluchten und einsamen Stränden – und bei den einfachen Menschen, den Fischern, fand er seine Themen. In ihnen begegneten sich „Poesie, Musik und Traum“. In Bildern – keinen Abbildern sondern Sinnbildern - ,die er „mit dem äußeren und inneren Auge“ gestaltete: „Dichtungen über die Natur“. Werner Gilles, der moderne Maler des Orpheus! Auf einer Darstellung aus dem berühmten Orpheus –Zyklus die Klage einer Frau um den toten Sänger, während ein Totenvogel seine Schwingen ausbreitete. Mit einem Flötenspieler, dessen Klagemelodie ich förmlich zu hören glaubte. Mich besonders bewegend eine Szene, die Gilles beim Verlassen seines Ateliers in Sant`Angelo zeigte: einen offensichtlich kranken Mann, der mit langsamen, müden Schritten die Piazza überquerte. Der Film, obwohl in Schwarz-weiß, leuchtete in den Farben eines Lebens, das sich während der Sommermonate in dem piccolo borgo di pescatori e poi alla fine si svuotava. Con la suggestiva forza delle immagini, la lingua che le commentava, la musica diventò la ricchezza di una vita che si concluse in profonda solitudine. La conoscenza diretta di questo film rafforzò di più il mio desiderio di conoscere il più presto possibile il dottor Kleinheisterkamp. Un pomeriggio piovoso, un paio di settimane dopo, nell’autunno del 2003, in una città della regione della Ruhr, ero finalmente pervenuto nel mondo dei quadri di Werner Gilles. In un elegante quartiere di Krefeld, alle porte di un’imponente villa in un parco, incontrai l’erede del pittorepoeta. Vestito con sobria eleganza, il dottor Kleinheisterkamp mi accolse con squisita cortesia. Le successive due ore furono ricche di sorprese. Di fronte a una parete con quadri di suo zio, il mio ospite mi aveva offerto un posto “per il tè con un pasticcino”. Dopo alcuni convenevoli di cortesia, eravamo entrati subito in un mondo gremito di forme, figure e messaggi spesso enigmatici. Con colori che ardevano di luce e nel contempo sprigionavano solitudine. Il mio interlocutore, tale fu la mia impressione, diventò sempre più il nipote che ammirava ancora suo zio. Mi raccontò tante storie - talvolta interrotte da lunghi silenzi -. Io intanto osservavo affascinato i dipinti alle pareti. Già nel momento in cui entrai nella stanza, una particolarità aveva attratto la mia attenzione: “Pescatori con rete”, uno che gettava la rete con ampi movimenti, l’altro che remava chino sulla barca. C’era un acquarello di un “burrone rosso” e un “Ischia paesaggio” dalla cui forza misteriosa riuscii a distaccarmi a stento. Dopo un’altra tazza di tè il dottor Kleinheisterkamp mi accompagnò alle stanze del piano inferiore della sua casa. Mi mostrò caterve di studi di nudi e disegni di corpi di gente del Suditalia, di pescatori e contadini sulla costa amalfitana. Essi mi fecero pensare a famosi modelli, ad Albrecht kleinen Fischerdorf erfüllte und schließlich erschöpfte. Durch die suggestive Kraft der Bilder, die kommentierende Sprache, die Musik wurde der Reichtum eines Lebens fühlbar, das in tiefer Einsamkeit endete. Das Erlebnis dieses Filmes verstärkte noch meinen Wunsch, Dr. Kleinheisterkamp möglichst bald kennen zu lernen. Ein paar Wochen später, an einem regnerischen Nachmittag im Herbst 2003, war ich in einer Stadt im Ruhrgebiet endlich in der Welt von Werner Gilles ganz angekommen. In einem vornehmen Viertel Krefelds, an der Tür einer in einem kleinen Park gelegenen Villa, traf ich den Erben des Malerpoeten. Dezent-elegant gekleidet, mit ausgesuchter Höflichkeit empfing mich Dr. Kleinheisterkamp. Die nachfolgenden Stunden waren reich und voller Überraschungen. Einer Wand mit Bildern gegenüber hatte mir mein Gastgeber einen Platz „zum Tee mit kleinem Gebäck“ angeboten. Nach ein paar Höflichkeitsfloskeln waren wir rasch in einer Welt voller rätselhafter Formen und Gestalten und Botschaften angelangt. Mit Farben, die vor Leben glühten und gleichzeitig Einsamkeit ausstrahlten. Mein Gesprächspartner wurde, so mein Eindruck, zunehmend zu dem Neffen, der seinen Onkel noch immer bewunderte. So viele Geschichten wusste er zu erzählen – manchmal unterbrochen von längerem Schweigen. Dabei betrachtete ich fasziniert die Gemälde an den Wänden. Schon beim Betreten der Räume war mir eines aufgefallen: „Fischer mit Netzen“; der eine mit weiten Bewegungen das Netz auswerfend, der andere beim Rudern über das Boot gebeugt. Nun war es ein Dürer e a Leonardo da Vinci. Schizzi magistrali nascosti negli armadi. Verso la fine della mia visita il dottor Kleinheisterkamp mi mostrò quel film su Werner Gilles che mi aveva tanto colpito qualche settimana prima in una proiezione nella mia pensione a Sant’Angelo. Orgoglioso e compiaciuto, visibilmente emozionato, mi pregò di vedere il quadro insieme a lui. L’uomo che, col cappotto già indosso, mi faceva dimenticare sempre più la sua professione giuridica, mi accordò un onore particolare. Mi accompagnò nella stanza da letto della sua casa: mi voleva mostrare alcuni “quadri del tutto personali" di suo zio. Colpito da tanta fiducia, lasciai la casa e la città. Ora ne ero certo: la mia odissea era finalmente finita. Non avevo trovato nella Sant’Angelo inondata di luce le opere di Werner Gilles che aver compreso, forse come nessun altro, l’anima arcaica, complessa dell’antico borgo di pescatori. Ciò accadde in una triste città Aquarell von einer „Roten Schlucht“ und ein Ölbild „ Ischia – Landschaft“, deren geheimnisvoller Kraft ich mich kaum entziehen konnte. Nach einer weiteren Tasse Tee bat mich Dr. Kleinheisterkamp in die unteren Räume seines Hauses. Er zeigte mir Stapel von Aktstudien und Körperzeichnungen der Menschen in Süditalien, von Fischern und Bauern an der Amalfitanischen Küste. Sie ließen mich an berühmte Vorbilder, an Albrecht Dürer und Leonardo da Vinci, denken. Meisterliche Skizzen, die in Schränken verborgen waren. Gegen Ende meines Besuchs führte mir Dr. Kleinheisterkamp jenen Film über Werner Gilles vor, der mich ein paar Wochen zuvor im Salone meiner Pension in Sant’ Angelo so sehr berührt hatte. Voller Stolz und sichtlich bewegt, bat er mich, ihn mit ihm gemeinsam anzusehen. Schon im Mantel, ließ mir der Mann, der mich seine juristische Profession immer mehr vergessen machte, dann noch eine besondere Ehre zuteil werden. Er bat mich in das Schlafzimmer des Hauses: Er wolle mir noch einige „ ganz persönliche Bilder“ seines Onkels zeigen. Gerührt von so viel Vertrauen verließ ich das Haus und die Stadt. Ich war mir gewiss: Nun war meine Odyssee endlich beendet. Nicht im sonnenerfüllten Sant‘ Angelo hatte ich die Werke von Werner Gilles gefunden, der vielleicht wie kein anderer die archaische, vielschichtige Seele des alten Fischerdorfes begriffen hatte. Es war in einer tristen Industriestadt im Ruhrgebiet. Und auf dem Weg zum Bahnhof sah ich sie noch immer vor mir: ihr geheimnisvolles Leuchten, ihre La Rassegna d’Ischia 3/2009 33 industriale della regione della Ruhr. E sulla strada per la stazione la vedevo sempre davanti a me: la sua luce misteriosa, i suoi messaggi che portano in altri mondi. Vivi ricordi: Hotel Miramare e Hotel La Palma Dopo un lungo e grigio inverno a Berlino, il maggio successivo tornai sull’isola. Incoraggiato dalla mia visita al dottor Kleinheisterkamp, mi misi di nuovo alla ricerca di altri pittori tedeschi. Come seppi in seguito, tra essi ce n’erano alcuni – come Rudolph Levy, Hans Purrmann, Werner Gilles, Pfeiffer-Watenpfuhl, Eduard Bargheer ed Hermann Poll – che già prima della seconda guerra mondiale cercavano quella vita, quella luce che fissavano su tela e carta. e cortili interni. Sguardi nei locali, in Il rinomato Hotel Miramare di cui si ritrae la storia della Casa. Con Sant’Angelo, dal 1930 alloggio di acquarelli di Gertrude Heimholtz, molti ospiti illustri, fu la mia meta Karl Schneider e altri artisti. E di successiva. Spesso, durante una continuo quei ripetuti sguardi verso traversata con una barca-tassì dal l’esterno! Sul porticciolo, sulla Torporticciolo verso la spiaggia dei re, sull’estremità della spiaggia dei Maronti, avevo osservato lo straor- Maronti e la costa amalfitana. Ampi dinario impianto. Accompagnato da sguardi sul mare abbagliante fino a un giovane della reception, iniziò Capri. un’altra immaginifica esperienza. La mia ricerca di tracce a Sant’AnAnche lì c’erano da vedere dovunque gelo sarebbe stata impensabile senza tracce di pittori che avevano vissuto una visita all’Hotel La Palma, ricco a Sant’Angelo alcuni decenni prima. di tradizioni, nel cosiddetto quartiere Un giro per lunghi corridoi e scale arabo. Carlo Di Iorio, il proprietario, che collegano diversi piani, terrazze sembrò lieto di potermi aiutare nella Botschaften, die in andere Welten führen. Bewahren von Erinnerungen Hotel Miramare und Hotel La Palma Nach einem langen und grauen Winter in Berlin kehrte ich im darauffolgendenMai nach Ischia zurück. Ermutigt durch meinen Besuch bei Dr. Kleinheisterkamp, begab ich mich erneut auf die Suche nach Zeugnissen von weiteren deutschen Malern. Wie ich später erfahren sollte, waren unter ihnen manche - so Rudolf Levy, Hans Purrmann, Werner Gilles, Peiffer-Watenpfuhl, Eduard Bargheer und Herrmann Poll –, die schon vor dem zweiten Weltkrieg jenes Leben, jenes Licht suchten, das sie auf Leinwand und Papier festhielten. Das renommierte Hotel Miramare in Sant` Angelo, seit 1930 Herberge vieler illustrer Gäste, war mein nächstes Ziel. Oft hatte ich bei einer Überfahrt mit dem Taxiboot vom kleinen Hafen zum Marontistrand auf die beeindruckende Anlage geschaut. Begleitet von einem jungen Mann an der Rezeption, begann ein weiteres bilderreiches Erlebnis. Denn auch hier waren überall „Spuren“ von bildenden Künstlern zu sehen, die vor Jahrzehnten in dem Ort gelebt hatten. Eine Wanderung über lange Gänge und Treppen, die unterschiedliche Ebenen, Terrassen und Innenhöfe verbinden. Blicke in Räume, in denen sich die Geschichte des Hauses abbildet. Mit Aquarellen von Gertrude Helmholtz, Karl Schneider 34 La Rassegna d’Ischia 3/2009 ricerca. Con grande cortesia mi condusse attraverso le stanze disposte intorno al suo ufficio. Con quadri del pittore ischitano Mazzella - Brücke (Ponti) scintillanti di blu verso gli acquarelli di Gertrude Helmholtz. Anni prima avevo visto per la prima volta i suoi quadri a Casa Sofia, ma mi ero imbattuto occasionalmente in essi anche in altre case. E sempre mi chiedevo i motivi di quei colori che spesso sembravano sbiaditi. Era quella la maniera di dipingere di Gertrude Helmhotz? Era l’utilizzazione di colori particolarmente sensibili alla luce o l’effetto dannoso della luce stessa nel corso del tempo? Era forse la qualità probabilmente scadente della carta usata o l’approccio frettoloso e approssimativo agli acquarelli nella fase di montaggio delle cornici e al momento di appenderli alle pareti? Le spiegazioni pazienti e competenti del proprietario dell’albergo mi fecero dimenticare presto la mia domanda. C’era un quadro alla parete tra il suo ufficio e la sala da pranzo che egli osservava da tempo. “Questo und anderen Malern. Und immer von Neuem diese Blicke nach draußen! Zum kleinen Hafen, zum Torre, zum Ende des Marontistrandes und zur Amalfitanischen Küste. Weite Blicke über das gleißende Meer bis nach Capri. Meine Spurensuche in Sant` Angelo wäre undenkbar gewesen ohne einen Besuch des traditionsreichen Hotels La Palma im sogenannten arabischen Viertel. Carlo di Iorio, der Besitzer, schien erfreut, mir bei meinem Anliegen helfen zu können. Mit großer Liebenswürdigkeit führte er mich durch die um sein Büro gelegenen Räume. Mit Bildern des ischitanischen Malers Mazzella – blau-schimmernde Brücke zu den Aquarellen von Gertrude Helmholtz. Vor Jahren hatte ich in der Casa Sofia ihre Arbeiten zum ersten Mal gesehen, war ihnen gelegentlich auch in anderen Häusern des Dorfes begegnet. Dabei fragte ich mich immer wieder nach den Gründen für die oft verblasst scheinenden Farben. War es die Malweise von Gertrude Helmholtz? Waren es die Verwendung besonders lichtempfindlicher Farben und die schädliche Einwirkung des Lichts über lange Zeit? War es die möglicherweise mindere Qualität des verwendeten Papiers oder der allzu sorglose Umgang mit den Aquarellen beim Aufhängen an oft feuchten Wänden? Die geduldig-sachkundigen Erläuterungen des Hotelbesitzers ließen mich meine Fragen rasch vergessen. Es war ein Bild an der Wand zwischen seinem Büro und den Speiseräumen, das er lange betrachtete. „Dies Bild lieben wir besonders“, sagte er mit leichtem Lächeln. Nie zuvor hatte quadro noi lo amiamo particolarmente” mi disse con un lieve sorriso. Mai prima, in occasione di una mia visita, un proprietario d’albergo si era espresso in maniera così sommessa e convincente. Io mi trovavo davanti a un acquarello, del quale all’inizio non riuscivo a riconoscere il soggetto. Ma poi individuai il cielo, il mare, le colline circostanti, le vecchie case del villaggio in blu brillante chiaro e ocra e verde delicato. Vidi la luce tremolante di una giornata estiva, vidi il fondersi insieme di cielo, case, terra e mare. Come già era avvenuto per le mie visite in Casa Sofia, nell’Hotel Conte, nel bar Ridente e nel ristorante Il Pescatore, anche quell’ora trascorsa presso La Palma mi indusse a pensare che mi immergevo con la mente in un tempo ritenuto da tempo concluso. Era uno sguardo in un ambiente che collegava tra loro atrio e sala da pranzo. La storia del villaggio adornava le sue pareti. Fotografie storiche dell’antico villaggio di pescatori appena riconoscibile. La piazza, come una volta, con Werner Gilles accanto al capitano all’ingresso del Pescatore. Fotografie di altra gente del posto, soprattutto mulattieri, le cui facce si sono incise nei ricordi dei miei primi soggiorni. Scoprii anche foto della famosa fotografa Regina Relang: ritratti di una manniquin famosa in quel tempo sulla spiaggia dei Maronti. E foto di case, in cui una volta avevano vissuto pittori come Gilles, Bargheer, Bursche, Kusmin, Neujhar. Ritornai ancora agli acquarelli di Gertrude Heimholtz che mi avevano affascinato quella mattina. Come mi raccontò Carlo Di Iorio, per molti anni l’Hotel La Palma era stato per lei come una casa paterna. Così una foto mostra l’amica fidata in una cena insieme con tutta la famiglia. Parole giudiziose del proprietario dell’albergo, mentre mi allontanavo dalla sua Casa: "Quello era stato un tempo felice, con maggior senso per ciò che realmente è importante, essenziale. Non questa irrequieta, continua caccia al nuovo che non può donare pace". Uscendo nel sole autunnale, mi domandavo: “Dove continua a battere il vecchio cuore di Sant’Angelo? Sulla piazza, davanti a “Il Ridente”- l’amato luogo d’incontro di pittori di quel tempo o piuttosto qui, nel cosiddetto quartiere arabo? Con i suoi angoli silenziosi, incantati, nei quali la notte l’antico villaggio dei pescatori sembra che continui a vivere… A Forio Bar Maria, Ristorante Epomeo e la casa di Bargheer Le mie visite di case private, bar, ristoranti, pensioni e alberghi a Sant’Angelo resero più forte il mio desiderio di scoprire altri quadri forse presenti in altri luoghi dell’isola. Perciò Forio fu la mia meta successiva. Durante i primi viaggi a Ischia nella metà degli anni Ottanta, le mie escursioni per l’isola mi avevano portato spesso a questo antico paese di artisti. Sempre ad un cappuccino davanti al Bar Maria, all’ombra delle acacie vicino alla pittoresca fontana coperta di sich bei meinen Besuchen ein Eigentümer von Kunstwerken so leise, zugleich so offen und überzeugend geäußert. Ich stand vor dem Aquarell, auf dem ich zunächst kaum etwas erkennen konnte. Doch dann sah ich den Himmel, das Meer, die umliegenden Hügel, die alten Häuser des Dorfes in hell -strahlendem Blau und Ocker und sanftem Grün. Ich sah das flimmernde Licht eines Sommertages, sah das Verschmelzen von Himmel und Häusern und Erde und Meer. Wie schon meine Besuche in der Casa Sofia, im Hotel Conte, der Bar Ridente und dem Ristorante Pescatore, glich auch diese Stunde im La Palma einer Wanderung zurück in eine längst verloren geglaubte Zeit. Es war der Blick in einen Raum, der Eingangshalle und Speisesaal miteinander verband. Seine Wände schmückte die Geschichte von Sant`Angelo. Historische Fotografien vom alten, kaum mehr sichtbaren Fischerdorf. Die Piazza, wie sie einmal war, mit Werner Gilles neben dem Capitano am Eingang zum Pescatore. Fotografien von weiteren Einheimischen, vor allem den Mulatieri, deren Gesichter sich mir seit den ersten Aufenthalten in meine Erinnerung eingegraben haben. Auch Aufnahmen der Fotografin Regina Relang entdeckte ich: Porträts von zu jener Zeit berühmten Mannequins am Marontistrand. Und Aufnahmen von Häusern, in denen einmal Maler gelebt hatten wie Gilles, Bargheer, Bursche, Kusmin und Neujahr. Noch einmal kehrte ich zu den Aquarellen von Gertrude Helmholtz zurück, die mich an dem Morgen verzaubert hatten. Wie mir der Hotelbesitzer erzählte, war über viele Jahre La Palma für sie eine Heimat gewesen. So zeigte eine Fotografie die Freundin und Vertraute der Familie beim gemeinsamen Abendessen. Nachdenkliche Worte von Carlo di Iorio zum Abschied: „Es war eine glückliche Zeit, mit mehr Sinn für das Wichtige, Wesentliche. Nicht diese ruhelose Jagd hinter beständig Neuem, die keinen Frieden schenken kann“. Während ich durch die engen Gassen schlenderte, fragte ich mich: Wo schlägt noch immer das alte Herz von Sant’Angelo? Auf der Piazza, vor dem Pescatore, im Ridente-Eck - dem geliebten Treffpunkt der Maler jener Zeit? Oder doch eher hier, im sogenannten arabischen Viertel? Mit seinen stillen, verwunschenen Winkeln, in denen in der Nacht das frühere Fischerdorf noch immer zu leben scheint… In Forio - Bar Maria, Ristorante Epomeo und das Haus von Bargheer Meine Besuche von Privathäusern, Bars, Restaurants, Pensionen und Hotels in Sant’ Angelo ließen meinen Wunsch immer stärker werden, vielleicht auch Bilder an anderen Orten der Insel zu entdecken. Daher war Forio mein nächstes Ziel. Während meiner ersten Reisen nach Ischia Mitte der 1980er Jahre hatten mich meine Ausflügen über die Insel immer La Rassegna d’Ischia 3/2009 35 muschio. Occasionalmente anche a una cena nel vicino Ristorante Epomeo. Mete particolari alle quali devo il mio primo incontro con il pittore Ernst Bursche - nel contempo inizio della mia lunga ricerca di tracce -. Un violento temporale e una pioggia a dirotto mi avevano accompagnato nel mio viaggio in bus verso Forio. Entrando nel bar, mi accolse un insolito silenzio. C’era appena qualche cliente. Subito notai i cambiamenti rispetto al recente passato, evidente espressione del desiderio del nuovo proprietario di ricollegarsi al significato artistico del locale. Così all’entrata c’era una tabella coi nomi altisonanti degli ospiti del tempo in cui il Bar Maria era il cuore artistico di Forio. Luogo d’incontro di una bohème, il cui spirito libero, il cui senso della vita e la creatività li accumunava per un limitato, meraviglioso periodo. Foto mostravano Maria, la leggendaria locandiera, con Wystan Hugh Auden e altri visitatori di quegli anni. Ritratti mai visti prima del pittore ischitano Bolivar mi affascinarono. Un artista che, come Luigi De Angelis, Mario Mazzella e Luigi Coppa, aveva trovato una forma espressiva inconfondibile. Mi faceva piacere saperne di più su di lui. Quadri di Hans Purrmann, che durante il suo soggiorno sull’isola aveva abitato prevalentemente a Ischia Porto, conferivano al bar una luce particolare. I quadri mi fecero pensare a un piccolo libro che mi aveva regalato Dolly Barricelli anni prima, un testo che amavo molto. Edito nel 1963 col titolo “Estate a Ischia”, mostra delle riproduzioni di opere del pittore: il porto e le case sul porto, paesaggi e coste di Lacco Ameno, “Alberi di ulivo con muro” e una “Casa rossa con palma”. Dipinti che raccontano la bellezza mediterranea dell’isola. E quei colori! Il giallo luminoso, il rosso profondo, il blu puro e il verde tremolante. Quella sera al Bar Maria mi riuscì difficile staccarmi dalla vista delle opere originali di Purrmann. wieder zu diesem alten Künstlerstädtchen geführt. Stets auf einen Cappuccino vor der Bar Maria, im Schatten der Akazien am malerischen, moosüberwachsenen Brunnen. Gelegentlich auch zu einem Abendessen im nahegelegenen Ristorante Epomeo. Besondere Ziele, denen ich meine erste Begegnung mit dem Maler Ernst Bursche verdanke – zugleich Beginn meiner langen Spurensuche. Schwere Gewitter und strömender Regen hatten mich auf meiner Busfahrt nach Forio begleitet. Beim Betreten der Bar Maria, auch „Bar Internationale“ genannt, empfing mich eine ungewohnte Stille. Kaum mehr Gäste. Doch sofort bemerkte ich Veränderungen gegenüber früher - offensichtlicher Ausdruck für den Wunsch des Besitzers, an die künstlerische Bedeutung des Lokals zu erinnern. So entdeckte ich am Eingang eine Tafel mit klangvollen Namen von Gästen aus der Zeit, als die Bar Maria künstlerisches Herz von Forio war. Treffpunkt einer Boheme, deren offener Geist, deren Lebensgefühl und Kreativität sie für eine wundervolle, bemessene Zeit zusammenfinden ließen. Fotos zeigten Maria, die legendäre Wirtin, mit Wysten Hugh Auden und anderen berühmten Besuchern jener Jahre. Nie zuvor gesehene Portraits des ischitanischen Malers Bolivar faszinierten mich. Ein Künstler, der – wie Luigi de Angelis, Mario Mazzella und Luigi Coppa – eine unverwechselbare Ausdrucksform gefunden hatte. Gerne hätte ich mehr über ihn erfahren. Bilder von Hans Purrmann, der während seiner Inselaufenthalte überwiegend in Porto gewohnt hatte, gaben der Bar ein ganz eigenes Licht. Sie ließen mich an ein 36 La Rassegna d’Ischia 3/2009 Nella mia ricerca del pittore di nature morte floreali, che avevo scoperto in una galleria di Hannover più di venticinque anni prima, il conducente di un pittoresco microtaxi nel frattempo divenuto raro mi fu di prezioso aiuto. Lui mi indicò il ristorante Epomeo, dove potevo incontrare Ernst Bursche ogni sera. Così il mio percorso personale mi condusse lì. Acquarelli, litografie a colori di Eduard Bargheer, che aveva vissuto a Forio per molti anni, nella prima stanza. Particolarmente impressionante un’opera con veduta su un emblema della città: la più imponente e splendida torre di difesa ancora in piedi risalente al periodo degli assedi dei temuti Saraceni. Nel corridoio verso le camere interne notai un quadro di Ernst Bursche che avevo sempre ammirato nelle mie precedenti visite. Il proprietario Camillo Calise al solo menzionare il nome di Bursche si mostrò molto lieto. I suoi bei quadri di oleandro si trovavano invero nella kleines Buch denken, das mir Dolly Barricelli vor Jahren geschenkt hatte; eine Ausgabe, die ich besonders liebte. 1963 unter dem Titel „Sommer auf Ischia“ im Insel - Verlag erschienen, zeigt es Abbildungen von Werken des Malers: den Hafen und Häuser von Porto, Landschaften und Küsten um Lacco Ameno, „ Olivenbäume mit Mauer“ und ein „Rotes Haus mit Palme“. Gemälde, die von der mediterranen Schönheit der Insel erzählen. Und diese Farben! Das leuchtende Gelb, das tiefe Rot, das reine Blau und schimmernde Grün. An jenem Abend in der Bar Maria fiel es mir schwer, mich vom Anblick der Originale Purrmans wieder zu lösen. Auf meiner Suche nach dem Maler von Blumenbildern, die ich in einer Galerie in Hannover vor mehr als fünfundzwanzig Jahren entdeckt hatte, war mir bei meinem ersten Besuch der Insel 1982 der Fahrer eines der inzwischen selten gewordenen malerischen Mikrotaxis eine wertvolle Hilfe. Er wies mich auf das Ristorante Epomeo hin, wo ich Ernst Bursche jeden Abend antreffen könne. Dorthin führte mich nun mein Weg. Aquarelle und Farblithos von Eduard Bargheer, der viele Jahre in Forio gelebt hatte, im ersten Raum. Besonders beeindruckend ein Werk mit Blick auf ein Wahrzeichen der Stadt: den mächtigsten und prächtigsten der acht noch erhaltenen Wehrtürme aus der Zeit der Überfälle durch die gefürchteten Sarazenen. Am Durchgang zu den hinteren Räumen vermisste ich ein Blumenbild von Ernst Bursche, das ich bei früheren Besuchen immer wieder bewundert hatte. Camillo Calise, der Besitzer kam mir entgegen, zeigte sich schon bei der bloßen Erwähnung des Namens von Ernst Bursche sehr erfreut. Des- sua casa privata, fece sapere dispiaciuto. Ma volle mostrarmi un ritratto di suo zio Pasquale, l’ex proprietario, appeso alla parete sinistra accanto alla cucina. Mentre lo guardavo, cominciò a parlare del pittore, un cliente di vecchia data e amico della casa; vantò la sua umanità e generosità, la sua gioia di vivere, la predilezione per la buona tavola e il vino dell’isola. Aveva ccasionalmente pagato, come altri artisti, anche coi suoi quadri. Il ritratto magistrale di suo zio era un esempio del genere. Furono rivissuti quegli anni di Forio, quando artisti di molti Paesi vivevano nella suggestiva località. Mentre l’uomo dagli occhi scuri raccontava, credevo di rivedere davanti a me Ernst Bursche, come mi salutò ridendo al nostro primo incontro. L’ultima tappa della mia ricerca di tracce a Forio – la casa di Eduard Bargheer – fu preceduta, alla fine dell’inverno, da una mia seconda visita al dr. Klinheisterkamp a Krefeld: speravo in ulteriori informazioni sulla vita di Werner Gilles a Ischia. Qualche tempo dopo, poco prima di Pasqua del 2004, ricevetti da Ischia una sorprendente telefonata di Dirk Justus, uno degli eredi di Bargheer. Lui aveva saputo dal dr. Klinheisterkamp del mio progetto di scrivere un libro sui pittori tedeschi a Sant’Angelo. Anche Eduard Bargheer aveva fatto parte di quel circolo, come certamente conoscevo. Già alla fine degli anni Trenta lui aveva scoperto il villaggio di pescatori, Sant’Angelo, e alloggiava nell’Hotel Minderop. Erano in suo possesso quadri di quel periodo. Prendemmo un appuntamento per un incontro entro breve tempo a Forio. La luce della primavera permeava via Cardinale Lavitrano, l’antica strada che avevo già percorso molti anni prima per visitare Ernst Bursche nella sua dimora estiva. Alla fine mi trovai di fronte alla alta imbiancata facciata di una grande casa, alla ricerca dell’ingresso dell’ex domicilio dell’artista. Dopo aver suonato più volte, mi aprì un uomo di mezza età sen schöne Oleanderbilder befänden sich zur Zeit in seinem Privathaus, ließ er mich bedauernd wissen. Doch er wolle mir ein Portrait seines Onkels Pasquale, des früheren Inhabers, zeigen; es hänge an der Wand links neben der Küche. Beim gemeinsamen Betrachten begann er von dem Künstler, einem langjährigen Gast und Freund des Hauses, zu erzählen. Wie schon Michele Zunta, rühmte auch er seine Menschlichkeit und Großzügigkeit, seine Freude am Leben, an gutem Essen und den Weinen der Insel. Gelegentlich habe er, wie andere, mit seinen Arbeiten dafür bezahlt. Das meisterliche Portrait seines Onkels sei solch ein Beispiel. Nur kurz war unser Gespräch. Doch jene Jahre in Forio wurden dabei wieder lebendig, als Künstler aus vielen Ländern in dem malerischen Städtchen gelebt hatten. Während der Mann mit den dunklen Augen erzählte, glaubte ich, Ernst Bursche wieder vor mir zu sehen, wie er mich bei unserer ersten Begegnung lachend begrüßte. Der letzten Station meiner Spurensuche in Forio – dem Haus von Eduard Bargheer – war im zurückliegenden Winter ein zweiter Besuch von Dr. Kleinheisterkamp in Krefeld vorausgegangen: Ich hoffte auf weitere Informationen über das Leben von Werner Gilles in Ischia. Einige Zeit später, kurz vor Ostern 2004, bekam ich einen überraschenden Anruf aus Forio von Dirk Justus, einem der Erben Bargheers. Er habe durch Dr. Kleinheisterkamp von meinem Plan gehört, ein Buch über deutsche Maler in Sant` Angelo zu schreiben. Auch Eduard Bargheer habe zu diesem Kreis gehört, sicher sei mir dies bekannt. Bereits Ende der 1930iger Jahre habe er das damalige Fischerdorf für sich entdeckt und im Hotel vestito decorosamente, Dirk Justus, che mi salutò con anseatica gentilezza. Entrata con un corridoio pavimentato in legno. Salita al primo piano. Lunghi corridoi pavimentati con mattonelle ornamentali. Una ripida scala di legno conduceva alla terrazza sul tetto che il pittore amava particolarmente nelle serate dei caldissimi mesi estivi. Una terrazza con ampia vista sul groviglio di case, dove sono state eseguite molte raffigurazioni di Forio. Di nuovo giù; all’esterno in un giardino romantico e selvaggio con nicchie disposte sotto vecchi alberi dispensatori di ombra. Un mondo magico dietro alti muri. Con un’aria intrisa dei profumi inebrianti della tarda primavera. Soltanto pochi minuti trascorsi in quell’oasi di pace e di silenzio. Mi auguravo di trattenermi lì per lunghe ore. Passando velocemente per l’ampia casa, scoprii in una delle stanze per gli ospiti un acquarello: “Il padre di Luigi sulla spiaggia di Sant’Angelo”: Minderop gewohnt. Gemälde aus jener Zeit seien in seinem Besitz. Wir verabredeten uns für ein baldiges Treffen in Forio. Frühlingslicht lag über der via Cardinale Lavitrano, die an der Basilika und dem Konvent vorbei dem Epomeo entgegenführt. Es war derselbe Weg, den ich viele Jahre zuvor schon einmal gegangen war, um Ernst Bursche in seinem Sommerhaus zu besuchen. Schließlich stand ich an der via Roma vor der hohen, abweissenden Fassade eines großen Hauses, auf der Suche nach Einlass in das ehemalige Domizil von Eduard Bargheer. Nach mehrmaligem Klingeln öffnete mir ein Mann mittleren Alters – Dirk Justus, der mich mit hanseatischer Höflichkeit begrüßte. Eintreten in einen dielenartigen Torweg. Aufstieg ins Obergeschoß. Lange Flure, die mit ornamental geschmückten Fließen ausgelegt waren. Über eine steile Stiege hinauf zur Dachterrasse, die der Maler während der heißen Sommermonate an den Abenden besonders liebte. Eine Terrasse mit weitem Blick über das Häusergewirr, auf der viele Darstellungen von Forio entstanden sind. Wieder nach unten, nach draußen in einen wildromantischen Garten mit verwunschenen Nischen unter schattenspendenden alten Bäumen. Eine Zauberwelt hinter hohen Mauern. Mit einer Luft, erfüllt von den verführerischen Düften des späten Frühlings. Nur wenige Minuten verbrachte ich in dieser Oase der Ruhe und Stille. Ich wünschte mir, dort einmal eine lange Stunde zu verweilen. Beim raschen Gang durch das weitläufige Haus entdeckte ich in einem der Gästezimmer ein Aquarell: „Die Luigi Padre am Strand von S.Angelo“ – ein prachtvolles Segelschiff La Rassegna d’Ischia 3/2009 37 un magnifico veliero sotto un cielo tempestoso. Uno dei lavori dell’artista degli anni in cui visse lì. Infine ci sedemmo ancora in un’anticamera dell’ex atelier di Bargheer arredata con stile. Durante il nostro colloquio guardai con insistenza i quadri alle pareti, al cavalletto, alle cassette dei colori e agli altri utensili che erano rimasti sempre nella stanza in tutta la loro molteplicità e varietà. Ricordi preziosi di un luogo suggestivo, raro da vedere anche a Forio. Rivissi un tempo che mi sembrò essere ritornato. Una stanza grande scura rivolta a levante, ma rischiarata dalla luce, come potei desumere da un contributo in un vecchio catalogo. Mobilio sobrio, una mensola con libri. Un tavolo da lavoro con tubetti di colori e vasi pieni di pennelli. Un cavalletto, una tavolozza. Durante il colloquio con Dirk Justus continuavo a guardare gli utensili per la pittura che nella loro molteplicità erano rimasti ancora nell’atelier e i quadri alle pareti. In quel momento mi ricordai di una visita alla Galleria Del Monte alla periferia di Forio durante uno dei miei soggiorni negli anni Ottanta a Ischia. La mostra era dedicata a Eduard Bargheer con una selezione dei suoi lavori eseguiti sull’isola: pescatori che tiravano le reti, una processione del Corpus Domini e impressioni dell’amata Forio. La città del Sud in una luce tremolante, giardini con fiori subtropicali e piante, un giardino con palme. La vista dei quadri dapprima mi irritò, mi suscitò stupore con le loro forme geometriche come piante che si disponevano in mosaici splendenti. Non avevo mai visto prima una tal maniera di dipingere, in cui un artista aveva ritratto la natura come Malinconico commiato: la Conchiglia a Sant’Angelo Nella mia ricerca di tracce di opere di pittori tedeschi a Ischia, dopo il mio incontro con Ernst Bursche, mi ero limitato dapprima a Sant’Angelo. Dovetti alle mie visite a Forio altre preziose scoperte. Ma alla fine avvertii l’esigenza di ritornare in quel posto, la cui pittoresca piazza - all’entrata del Pescatore e nell’angolo pietroso del Ridente - molti anni prima fu uno dei punti d’incontro di quella piccola comunità di artisti. Nel mio primo viaggio (autunno del 1982) trascorsi alcune sere nel risto- unter stürmischem Himmel. Eine der Arbeiten des Künstlers aus den Jahren, in denen er dort gelebt hatte. Anschließend saßen wir noch in einem stilvoll eingerichteten Vorraum zum früheren Atelier von Bargheer. Ein großer, an dem Morgen abgedunkelter Raum –sonst von Licht durchstrahlt, wie ich einem Beitrag in einem älteren Katalog entnehmen konnte. Sparsame Möblierung, ein Bücherbord. Ein Arbeitstisch mit Aquarellfarbtöpfen, Farbtuben und Gefäßen voller Pinsel. Eine Staffelei, eine Palette. Während des Gesprächs mit Dirk Justus schaute ich immer wieder auf die Malutensilien, die in ihrer Vielfalt noch in dem Atelier verblieben waren - und auf die Bilder an den Wänden. In diesem Augenblick erinnerte ich mich an einen Besuch der am Rande von Forio gelegenen Galerie del Monte während eines meiner Aufenthalte in den 1980er Jahren in Ischia. Die Ausstellung war Eduard Bargheer gewidmet und zeigte eine Auswahl seiner auf der Insel entstandenen Arbeiten: Fischer beim Einholen der Netze, eine Prozession „Corpus Domini“ und Impressionen vom geliebten Forio. Die südliche Stadt in flimmerndem Licht, Gärten mit subtropischen Blumen und Pflanzen, ein Palmengarten. Der Anblick der Bilder irritierte mich zunächst, setzte mich in Erstaunen: mit ihren geometrischen, pflanzenartigen Formen, die sich zu schimmernden Mosaiken fügten. Nie zuvor war ich einer Malweise begegnet, in der ein Künstler die von ihm wahrgenommene Natur, eine Stadt und Landschaften so vermeintlich offen 38 La Rassegna d’Ischia 3/2009 la percepiva, una città e paesaggi così apparentemente aperti e trasparenti, ma nello stesso tempo così misteriosi e segreti. Un acquerello in particolare mi colpì. Era un giardino autunnale con alberi, cespugli e fiori in ricchi colori che brillavano scuri. Il loro ultimo fiorire, prima del definitivo spegnersi. Credo di vedere davanti a me ancora oggi quel quadro. Lasciando la casa di Bargheer ero consapevole di un cosa: avevo conosciuto con emozione un luogo con ricordi preziosi, come ce ne sono oggi ancora pochi anche a Forio. Avevo respirato un tempo che mi sembrò rivivere. und transparent, zugleich so geheimnisvoll, im Verborgenen ruhend „abgebildet“ hatte. Ein Aquarell der Ausstellung beeindruckte mich besonders. Es war ein herbstlicher Garten mit Bäumen, Büschen und Blumen in reichen, dunkel leuchtenden Farben. Ihr letztes Aufglühen vor dem endgültigen Erlöschen. Auch heute noch glaube ich, dies Bild vor mir zu sehen. Beim Verlassen des Bargheer – Hauses wurde mir bewusst: Ich hatte einen Ort mit kostbaren Erinnerungen erlebt, den es auch in Forio heute nur noch selten gibt. Ich hatte eine Zeit geatmet, die für mich wieder zu leben schien. Wehmütiger Abschied La Conchiglia in Sant`Angelo Auf meiner Spurensuche nach Werken deutscher Maler hatte ich mich nach meiner Begegnung mit Ernst Bursche zunächst auf Sant’Angelo beschränkt. Meinen Besuchen in Forio verdankte ich weitere wertvolle Entdeckungen. Doch schließlich empfand ich das Verlangen, zu dem Ort zurückzukehren, auf dessen kleiner malerischer Piazza – am Eingang zum Ristorante Pescatore und in der „steinernen Ecke“ der Bar Ridente – vor vielen Jahren einer der Treffpunkte jener Künstlergemeinde war. Bei meiner ersten Reise im Herbst 1982 verbrachte ich manche Abende im Ristorante La Conchiglia. Während um W. Gilles - Das Sommergewitter (Temporale d'estate) H. Purrmann - Weg mit Palme (Via con Palma) U. Neujaar - S. Angelo, Arabisches Viertel (Quartiere arabo)) E. Bargheer - Forio H. Kiessling - Sonntag (Domenica) in S. Angelo La Rassegna d’Ischia 3/2009 39 rante La Conchiglia. Mentre intorno all’antico villaggio di pescatori e alla Torre imperversavano i primi temporali d’autunno, trovai in quelle alte stanze calore e sostegno affettivo. A cena incontravo ospiti eccezionali, per lo più signore non più giovani e signori dei Paesi di lingua tedesca, ma anche provenienti dall’Inghilterra e dalla Francia. Con una bottiglia di vino sul tavolo, in piacevole attesa delle prelibatezze della cucina di Agnesina, la locandiera. Quando in un tardo mattino d’autunno del 2006 fui di nuovo davanti a La Conchiglia, sentii la lunga, mutevole storia della più vecchia Casa di Sant’Angelo - una tabella accanto all’entrata lo ricorda. Era un periodo con pittori, le cui opere avevo già scoperto in occasione della mia prima visita. Quadri alle pareti, l’uno sull’altro in parecchie file. Soltanto nella grande sala da pranzo dell’Hotel Conte avevo incontrato una volta, anni dopo, una tale profusione di quadri. Il mio desiderio di vedere le opere degli artisti mi aveva spinto a visitare quella Casa. Dopo un cortese scambio di saluti cercai di spiegare a Gennaro, l’attuale gestore del locale - un nipote di Agnesina defunta da molto tempo - la mia richiesta. Mi fece capire che “naturalmente” potevo osservare tutti i quadri alle pareti ed eventualmente anche fotografarli. Gli acquarelli ben conservati dello svizzero Ulrich Schmid, di Ernst Bursche e di Gertrud Helmholt, mi erano familiari da tempo: Sant’Angelo e la Torre immersi in colline e monti splendenti, nel verde e nel blu; l’antico villaggio di pescatori con le sue case inserite le une nelle altre come scatole e le viuzze dispensatrici di ombra; Ischia Ponte col Castello Aragonese. Notai la mancanza di alcuni quadri che conoscevo dalle mie precedenti visite. In compenso feci un‘interessante scoperta: un ritratto della precedente proprietaria dipinto da Ulrich Neujahr: Agnesina in un vestito blu chiaro, confezionato con raffinatezza, nella mano destra das alte Fischerdorf und den Torre frühe Herbststürme tobten, fand ich in den hohen Räumen Wärme und Geborgenheit. Beim Abendessen begegnete ich außergewöhnlichen Gästen. Vorwiegend älteren Damen und Herren aus deutschsprachigen Ländern, aber auch aus England und Frankreich: Mit einer Flasche Wein auf dem Tisch, in freudiger Erwartung der Köstlichkeiten aus der Küche von Agnesina, der Wirtin. Als ich an einem Herbstmorgen des Jahres 2006 wieder vor La Conchiglia stand, spürte ich die lange, wechselvolle Geschichte des ältesten Hauses von Sant’ Angelo - eine Tafel neben dem Eingang erinnert daran. Es war eine Zeit mit Malern, deren Arbeiten ich hier schon bei meinem ersten Aufenthalt immer wieder betrachtet hatte. Bilder an den Wänden, in mehreren Reihen übereinander. Nur im Speisesaal des Hotel Conte ist mir Jahre später eine solche Fülle noch einmal begegnet. In dies Haus führte mich nun mein Besuch. Nach einer freundlichen Begrüßung versuchte ich, Gennaro, dem jetzigen Betreiber des Lokals – einem Verwandten der längst verstorbenen Agnesina - mein Anliegen zu erklären. Er gab mir zu verstehen, dass ich naturalmente alle Bilder an den Wänden anschauen und sie gegebenenfalls auch fotografieren könne. Die gut erhaltenen Aquarelle des Schweizers Ulrich Schmid, von Ernst Bursche und Gertrude Helmholtz waren mir seit langem vertraut: Sant’Angelo und der Torre, eingebettet in grün und blau leuchtende Hügel und Berge; das alte Fischerdorf mit seinen ineinandergeschachtelten Häusern und 40 La Rassegna d’Ischia 3/2009 un mazzolino di fiori. Una giovane donna, quasi ancora una ragazza, con un viso dai lineamenti aggraziati e i capelli neri. Con occhi seri e un po’ tristi. Mentre guardavo il ritratto, pensai a Dolly Barricelli che qualche anno prima, d’inverno, mi aveva parlato dei ricordi personali di Agnesina. Pensavo anche a Michele Zunta, il mio amico, i cui genitori avevano alloggiato più di settantacinque anni rima i loro primi ospiti nelle stanze prese fittate da Agnesina. Mentre uscivo, un ultimo sguardo indagatore. Allora mi balzò agli occhi, di fronte all’entrata della cucina, proprio sotto l’alto soffitto arcuato, un altro quadro, i cui colori mi sembrarono familiari. Osservandoli più da vicino, mi fu chiaro: era un acquarello di Ernst Bursche. Presumibilmente dipinto dalle dirupate formazioni rocciose vicino a Punta Chiarito, un’ampia veduta sul mare sino a Sant’Angelo e alla Torre. Un acquarello nella luce del Sud, che l’artista amava. Dipinto nel suo blu schattenspendenden Gassen; Ponte mit dem Castello Aragonese. Ich vermisste einige Bilder, die ich aus früheren Besuchen kannte. Dafür machte ich eine interessante Entdeckung: ein Portrait der früheren Besitzerin, gemalt von Ulrich Neujahr. Agnesina in einem hellblauen, zart gemusterten Kleid, in der rechten Hand ein kleiner Blumenstrauß. Eine junge Frau, fast noch ein Mädchen, mit einem fein geschnittenen Gesicht und dunklem Haar. Mit Augen, die ernst und etwas traurig blickten. Ein reizvolles Portrait, das durch Stockflecken leider schon stark gelitten hatte. Bei seinem Betrachten dachte ich an Dolly Barricelli, die mir vor ein paar Jahren im Winter von ihren persönlichen Erinnerungen an Agnesina erzählt hatte. Auch dachte ich an Michele Zunta, meinen Freund, dessen Eltern ihre ersten Gäste vor mehr als fünfundsiebzig Jahren in gemieteten Räumen bei Agnesina untergebracht hatten. Im Hinausgehen ein letzter suchender Blick. Da fiel mir dem Eingang zur Küche gegenüber, dicht unter der hohen, gewölbten Decke - noch ein weiteres Bild auf, dessen Farben mir vertraut schienen. Bei näherem Hinsehen wurde mir klar: Es war ein Aquarell von Ernst Bursche. Vermutlich von den schroffen Felsformationen bei Punta di Chiarito aus gemalt, eine weite Sicht übers Meer bis nach Sant` Angelo und den Torre. Ein Aquarell im Licht des Südens, das der Künstler liebte. Gemalt in seinem für mich unverwechselbaren Blau, das wegen einer Staubschicht auf dem Glas eher zu ahnen war. Als ich La Conchiglia schließlich verließ, begleiteten mich per me inconfondibile che per uno strato di polvere sul vetro era piuttosto da intuire. Quando alla fine lasciai La Conchiglia, mi accompagnarono diversi pensieri e sentimenti. In nessun altro luogo, questa era la mia impressione, avevo vissuto storie così condensate e nel contempo così frammentate. Sentivo riconoscenza per la gran quantità di quadri che mi facevano vedere con gli occhi degli artisti uomini e paesaggi dell’isola. Riconoscenza anche per i molti incontri che talvolta diventarono amicizia, pur sempre con la debita distanza critica; sorse in me un nuovo, più profondo, legame con Ischia e i suoi abitanti. Sulla strada, alla luce autunnale la malinconia mi pervase. Sentivo che la mia ricerca di tracce di molti anni era alla fine. Ma restava un deside- unterschiedliche Gedanken und Gefühle. An keinem anderen Ort, so mein Eindruck, hatte ich Geschichte so verdichtet, zugleich so gebrochen erlebt. Ich empfand Dankbarkeit für die Vielfalt der Bilder, die mich Menschen und Landschaften der Insel mit den Augen der Künstler sehen ließen. Auch Dankbarkeit für die vielen Begegnungen, die manchmal zu Freundschaften wurden. Bei aller immer wieder erfahrenen kritischen Distanz entstand in mir eine neue, tiefere Verbindung mit Ischia und seinen Bewohnern. Auf dem Weg nach draußen in das herbstliche Licht war mir rio: l’esperienza preziosa di quei pittori doveva essere conservata per il futuro. Hans Dieter Eheim Le considerazioni su Ernst Bursche e Karl Schneider sono tratte in parte dal libro di Hans Dieter Eheim, apparso nel 2006 col titolo: “Der Ginsterberg - Leben in Sant’Angelo d’Ischia”. wehmütig zumute. Ich fühlte, daß meine Spurensuche über viele Jahre zu Ende war. Doch es blieb mir der Wunsch: Das kostbare Erbe dieser Maler werde für die Zukunft bewahrt. Hans Dieter Eheim Die Ausführungen über Ernst Bursche und Karl Schneider sind zum Teil dem 2006 erschienenen Buch von Hans Dieter Eheim„ Der Ginsterberg – Leben in Sant´ Angelo d´ Ischia“ entnommen. Verzeichnis der Maler. deren Bilder in dem Beitrag "Auf Spurensuche" besonders erwähnt werden Pittori i cui quadri sono particolarmente citati nell’articolo "Alla ricerca di tracce". Bargheer, Eduard (1901 – 1979 ) : Sant`Angelo und Forio: 1936-39, 1946-79 Bursche, Ernst ( 1907-1989) : Sant`Angelo und Forio: 1958, 1962-88 Ferenz, Albert ( 1907-1994) : Sant`Angelo: 1965-ca 1975 Gilles, Werner (1894-1961) : Sant`Angelo: 1931, 1936-41, 1949-61 Hardtke, Jürgen: Sant`Angelo und Succhivo : 1980er und `90er Jahre Helmholtz, Gertrude : Sant`Angelo: 1927-1966 Kiessling, Hugo (1910) : Sant`Angelo: 1950er und ´60er Jahre Kirchpfenning, Hans-Peter (1928-1996) : Sant´Angelo: 1950er und ´60er Jahre Kusmin, Arkady ( 1896-1971) : Sant`Angelo: 1951-71 Neujahr, Ulrich ( 1898-1977) : Sant`Angelo: 1931, ca 1949 -77 Niederreuther, Thomas (1909-1990) : Sant´Angelo: 1960-89 Purrmann, Hans (1880-1966) : Porto, Lacco Ameno, Forio: 1921-26, 1953-58 Sertürner, Wernhera (1913-2001) : Sant´Angelo: 1961-1976 Schneider, Karl (1908-1994) : Sant´Angelo: 1954-94 La Rassegna d’Ischia 3/2009 41 Rassegna MOSTRE Napoli, Museo Pignatelli - sino al 5 luglio 2009 Vincenzo Gemito Sono esposte oltre duecento opere: dalle terrecotte giovanili, di prodigiosa precocità, fino ai superbi bronzi della maturità; circa ottanta tra i disegni più significativi, realizzati a penna, matita, carboncino, seppia, acquerello. Le opere provengono da raccolte pubbliche e private. Sono esposte anche opere bibliografiche custodite presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli. La rassegna, ampia e articolata, della produzione di Gemito, costituisce un’occasione unica per riscoprire e far conoscere un grande esponente delle arti e della civiltà a Napoli tra Otto e Novecento, documentando anche aspetti poco noti della sua attività, come le piccole sculture cesellate, con ossessiva precisione, in metalli preziosi, secondo metodi sperimentali di grande modernità, ma al tempo stesso eredi di una lunga e fortunata tradizione locale, che affondava le sue radici fin in età ellenistico-romana. Nella mostra al Museo Pignatelli è presentata, inoltre, un’ampia selezione di opere dell’artista – sculture e disegni – appartenenti alla celebre raccolta di Achille Minozzi, che, in stretti rapporti con l’artista, realizzò, con passione e competenza, tra fine Ottocento e inizi Novecento. La collocazione delle opere secondo criteri sia cronologici che tipologici consente un percorso che documenta l’intero itinerario artistico di Gemito, evidenziando, tra l’altro, affinità e diversità che caratterizzano la sua produzione grafica da quella plastica. Nel percorso della mostra sono esposte anche opere di pittori e scultori che con lui condivisero esperienze umane e artistiche. Infatti, nel complesso 42 La Rassegna d’Ischia 3/2009 panorama dell’arte dell’Ottocento, tra istanze realistiche e tensioni simboliste, Gemito - che visse a Parigi tra il 1877 e il 1880 - pur mantenendo una forte autonomia, intrattenne costanti relazioni con i maggiori protagonisti del tempo, da Boldini a Rodin. www.beniculturali.it A Vincenzo Gemito è intitolata una strada nel Comune d’Ischia. Pietro Serra nella sua Bibliografia Isclana (marzo 1980) cita due opere di Gemito: Il Golfo di Napoli [olio – raccolta V. Colucci (?)] e Casamicciola [tempera – raccolta Cesiano (?)]. Don Pietro Monti dice che il Signor Pasquale Angeloni, proprietario di una parte di Villa Arbusto, ospitò per un lungo periodo lo scultore napoletano. Qui «Vincenzo Gemito dette l’ultimo tocco di martello ad un bronzeo volto di vecchietto. Un mattino dell’estate 1928, entrando nel suo studio al Belvedere il solito pescatore (Cristofaro Pascale) con la “spasella” piena di ricci di mare, Gemito pieno di fervore e di gioia, gli disse: “Se indovini a chi rassomiglia questo vecchio, ti regalo”. L’astuto marinarello, volgendo lo sguardo sulla parete dello studio tappezzata di figure, ne intuì subito l’accostamento e avvicinandosi al capolavoro, rispose: “Professò, chistu ccà è ‘u pate vuoste”. E Gemito, soddisfattissimo ed agitandosi con i suoi lunghi capelli che gli pendevano dietro le spalle, gridò: “Hai indovinato, hai indovinato, ora ti regalo!”» (Pietro Vincenzo Gemito - Autoritratto Vincenzo Gemito - Zingara Monti, La collina dell’Arbusto e la Villa del Duca d’Atri, in Ricerche, Contributi e Memorie, vol. II, 1970-1984, settembre 1984). Vincenzo Gemito - Pescatoerello Al Museo Madre di Napoli Alighiero & Boetti Osare qualcosa per guardare il cielo di Carmine Negro Al Museo Madre visito con Francesco la mostra di un artista che non conoscevo: Alighieri Boetti. Il lunedì l’ingresso è libero e questo mi sembra di buon auspicio per una città che deve cercare anche nell’arte le sue risposte. Il primo contatto con l’arte di Boetti ha luogo nel grande salone centrale. Una grande istallazione sul pavimento della sala bianca Alternando da uno a cento e viceversa è composta da una miriade di Kilim disposti con cura meticolosa. Alle pareti una rigorosa partitura di opere costituita da serie cartacee che mi colpiscono perché, per come sono allestite, sottendono la ricerca di un ordine. Simmetria, unità e dualismo, singolarità e pluralismo… non riesco a sintonizzarmi con questa miriade di lavori concentrati in un’opera. Con Francesco gioco sulle simmetrie e scherzo sulle forme; le trovo discoste. I suoi suggerimenti mi costringono ad una riflessione. In questi lavori non devo ricercare la tradizionale intenzionalità dell’opera, la decisione che presiede il fare. Certe volte le opere, grazie alla disposizione dei suoi elementi, sono costruite in modo tale da riuscire a sviluppare una catena di nuovi sensi, anche fuori dal volere e dal potere dell’artista. Mentre salgo le scale e rileggo la frase di Brancusi: Si è fatta l’arte per dominare, Alighiero Boetti - Alternando da uno a cento e viceversa per piangere, per pregare. Noi la stiamo facendo per vivere, parte integrante di un’opera di Domenico Bianchi, un’altra riflessione mi passa per la mente. I Kilim sono stati dati in esecuzione a donne di paesi orientali come l’Afghanistan e il Pakistan. Affidare l’esecuzione di un’opera ad altri soggetti vuol dire accrescere l’opera di altre esperienze e di altre sensibilità, farle acquistare una identità plurale, luogo di incontro tra l’io singolare creativo e il plurale esecutivo del corpo sociale. Nell’arte di Boetti fatto mentale e manualità, progetto ed esecuzione non sono in contrapposizione ma coincidono e si integrano nel fare arte. Nel 1969 decide di sdoppiarsi mettendo la congiunzione “e” tra nome e cognome per ribadire non un conflitto con sé stesso ma una dualità alla base della complessità e molteplicità delle cose. Achille Bonito Oliva che ha curato in modo originale la scrittura espositiva di questa mostra ha per l'occasione sostituito la congiunzione “e” con la “&” per sottolineare la relazione tra l’artista che concepisce l’opera e gli artefici che la realizzano (1). Il titolo dell’esposizione, “Mettere all’Arte il Mondo”, riecheggia quello di una sua opera famosa e per il curatore vuole indicare l’attitudine di questo grande artista: far socializzare la propria creatività, sviluppando come metodo l’interattività e la comunicazione dell’arte nella società di massa. « Ci sono cinque sensi e il sesto è il pensiero ovvero la cosa più straordinaria che l’uomo possieda, e che non ha niente a che vedere con la natura. Per cui se io devo dire quali sono state le grandi emozioni della mia vita, confesso che non sono state di ordine naturale. Una farfalla, un tramonto possono essere cose bellissime, però le grandi emozioni, secondo me, si provano ascoltando Mozart, leggendo una poesia, perché c’è un pensiero fatto di mille coincidenze, sincronismi, ricordi quasi biologici, forse di tempi antichissimi in cui eravamo un’altra cosa e forse non eravamo neanche sulla terra. Insomma, di quando eravamo forse più vicini agli dei». Alighiero Boetti è uno degli artisti che hanno maggiormente influenzato la scena artistica contemporanea italiana. La sua figura, inizialmente emersa nell’ambito dell’Arte Povera, dalla quale si staccò precocemente, e approdata successivamente all’Arte Concettuale, è difficile da inquadrare nei confini di un movimento. Per Boetti l’ispirazione maggiore è sempre venuta dal pensiero, che considerava a tutti gli effetti, come abbiamo letto precedentemente, il sesto senso. Di qui il suo interesse a interagire con matematica, musica, esoterismo e quanto creato dalla mente umana per rimanipolarlo con ironia e narcisismo. Un percorso cerebrale pensato per creare emozione nello spettatore tra arazzi, francobolli, ordine e disordine. Il pensiero come 1 Alighiero & Boetti, Mettere all’arte il mondo, 1993/1962 Catalogo mostra Electa 2009 pag. 30 La Rassegna d’Ischia 3/2009 43 facoltà superiore, capace di comprendere il “manifestarsi del disegno delle cose”; l’idea che detiene il primato sull’esecuzione, affidata ad assistenti ufficiali e non ufficiali, alle donne di Kabul, al libero e casuale succedersi degli eventi (2). Un flusso di coscienza artistico che rende Boetti un artista da conoscere assolutamente. Alighiero Fabrizio Boetti nasce a Torino nel 1940. Approda all’arte dopo aver abbandonato gli studi di Economia e Commercio. Fra le sue letture preferite filosofia, alchimia e esoterismo, Hermann Hesse, Paul Klee; si appassiona fin da giovane alla matematica e alla musica. A diciassette anni scopre l’arte tantrica, gli acquarelli di Wols e poi i tagli di Fontana. Il suo sguardo è rivolto da subito alle culture extra-europee, soprattutto orientali, Medio ed Estremo Oriente e Africane. Grande viaggiatore, subisce il fascino della figura di un suo antenato del XVIII sec., il monaco domenicano Giovanni Battista Boetti, missionario in terre caucasiche sotto il nome di “Profeta Mansur”. A vent’anni dipinge paesaggi ad olio, influenzato dal pittore russo Nicholas De Staël. Studia e pratica incisione a Parigi. In terra di Francia, a Vallauris, dove l’artista si reca per comprare delle ceramiche da rivendere in Italia, conoscerà la sua futura moglie Annemarie Sauzeau, è il 1962. Le sue prime opere sono disegni su carta a china di oggetti industriali per la registrazione come microfoni, cineprese o macchine fotografiche. Sperimenta con materiali quali il gesso, la masonite, plexiglass e congegni luminosi; saggia l’impiego di materiali industriali come l’eternit. Fa riferimento a oggetti di uso quotidiano privati del loro scopo, l’applicazione di gesti semplici come il raddoppiare, l’accumulare, il dilatare. « Il ‘ 67 è stato un anno esplosivo, per me e per tutti. Era un momento di grande eccitamento, anche a livello materiale: la scoperta, l’entusiasmo dei materiali, che hanno portato alla nausea. Era tutto molto empirico allora...» (3). Negli anni sessanta spedisce ad una cinquantina di amici la cartolina postale Gemelli, la quale attraverso un fotomontaggio mostra l’artista che tiene per mano un altro sé stesso. Sul retro scrive frasi come “De-cantiamoci su” oppure “Non marsalarti”. Alighiero, quindi, prende per mano Boetti in Corso Peschiera una mattina d’autunno e i due avanzano insieme nel viale alberato. […] Questo sdoppiamento è all’origine del principio della delega, della scissione tra ideazione ed esecuzione dell’opera […]. È degli anni settanta la serie dei Viaggi postali (o Dossier postale). Inizia i primi lavori in cui i francobolli apposti sulle buste esaudiscono tutte le possibili combinazioni e permutazioni. «Ho usato i francobolli per i loro colori come un artista usa un pennello o i pastelli» (4). Alla fine dell’estate del 1970 si spinge nella catalogazione di una parte della geografia molto controversa, la lunghezza dei grandi fiumi. Insieme alla moglie inizia un lungo lavoro 2 http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=26680&IDCate goria=71 3 Intervista di M. Bandini a A. Boetti in “NAC” n. 3, marzo 1973 4 Interview with Alighiero Boetti, “Art Agency Toyo”, giugno 1980 44 La Rassegna d’Ischia 3/2009 A. Boetti - Gemelli A. Boetti - Viaggi postali 1969/70 - 19 plichi affrancati e timbrati contenenti ciascuno le buste delle precedenti tappe. che sfocerà, appunto solo nel ‘77, nel libro in 500 esemplari Classificando i mille fiumi più lunghi del mondo. In questo lavoro che evidenzia in particolare il tema dell’errore, raggiunto però con la tipica ironia di Boetti attraverso il paradosso: classificando i mille fiumi più lunghi del mondo, e quindi partendo da una rigorosa ricerca e consultazione di pubblicazioni e istituti geografici, Boetti incontra l’incongruenza di misurazioni fallaci in cui ci illudiamo di trovare certezze. […] La fede nella notizia scientifica vacilla, ma attenzione, se le misure sono tutte inesatte e quindi false, sono tutte contemporaneamente vere nell’elenco che l’artista ne fa (5). 5 Laura Cherubini da Alighiero Boetti-Quasi tutto Catalogo mostra Silvana Editoriale 2004. Realizza il video Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo, Boetti di spalle è ripreso nell’atto di scrivere questa frase con entrambe le mani in modo speculare. Compie una serie di viaggi: Guatemala, Oriente e poi soprattutto Afghanistan. Considerata dall’artista come una seconda patria, vi si recherà frequentemente. A Kabul nasce il suo primo ricamo su tessuto, ma Boetti inizia con la fine, 16 dicembre 2040 - 11 luglio 2023: due pezze di stoffa riportano il centenario della sua data di nascita e quella presunta per la sua morte. Intrecciato a questo lavoro è quello dei telegrammi che prende inizio dopo il suo ritorno. Il 4 maggio ‘71, primo telegramma (“2 giorni fa era il 2 maggio 1971”) della sequenza che durerà tutta la vita dell’artista. La regola del raddoppio implica, per il 6 maggio, un secondo telegramma (“4 giorni fa era il 2 maggio 1971”), poi “8 giorni fa...”, “16 giorni fa...” Così i primi sei telegrammi sono concentrati nel primo anno, il settimo e l’ottavo nel ‘72... (6). A settembre riparte con la moglie per l’Afghanistan con il progetto dell’opera Mappa, il planisfero del mondo nel quale ogni nazione è tessuta con i colori della propria bandiera. Il perimetro del tessuto di questi lavori è arricchito da un testo ricamato colorato con la firma, la data, il luogo di esecuzione e un’eventuale dedica o elementi narrativi, a volte in italiano, altre volte in persiano o afgano. Nel1972 inizia la realizzazione dei lavori a biro con Mettere al mondo il mondo e i ricami basati sulla quadratura di parole e frasi, come Ordine e disordine. «Quel che la biro rappresenta (rappresentava) per un occidentale, per un afgano è il ricamo, che come una memoria sovraindividuale reca in sé parti della biografia collettiva» (7). Inizia a firmarsi “Alighiero e Boetti”, compiendo così la quadratura del suo nome e cognome, che diventa di 16 lettere, e contemporaneamente il suo sdoppiamento simbolico fra sfera privata, il nome, e sfera pubblica, il cognome. Le opere di Boetti proliferano in crescendo espandendosi sia 6 Shaman showman Alighiero e Boetti, Annemarie Sauzeau, Luca Sassella editore, Roma, 2006 7 J. C. Amman, “Dare tempo al tempo". per delega, di mani e teste altrui, sia attraverso una personale realizzazione (8). « ...che questo lavoro venga fatto da me, da te, da Picasso o da Ingres, non importa. È il livellamento della qualità che mi interessa» (9). Negli Anni ottanta le sue opere si infittiscono di scritte con la mano sinistra, dove le lettere sembrano disegnate come nelle calligrafie orientali e arabe. «Scrivere è disegnare. Le mie scritture sono tutte fatte con la sinistra, una mano che non sa scrivere, mostrano quindi anche una punta di sofferenza fisica, ma scrivere è un gran piacere. Ci sono parole che uccidono, parole che fanno un male tremendo, parole come sassi, parole leggerissime, parole reali come in numeri. Ma se vuoi veramente qualcosa mettilo per iscritto. E poi ci sono i colpi di pennello, dati con semplicità senza nessuna maestria, soprattutto colpi di rosso, è il primo colore» (10). Con il contributo delle donne afghane rifugiatesi a Peshawar in Pakistan proseguono i lavori a ricamo dell’artista: le mappe aggiornate del mondo, nuove scacchiere di lettere colorate, arazzi monocromi e il nuovo progetto Tutto. In questi anni sono presentate per la prima volta le Copertine, 1984, incominciate l’anno prima. Consistono in ricalchi a matita della prima pagina dei periodici di informazione più diffusi nel mondo. «In quel mese, le immagini erano milioni. Oggi, forse qualche centinaio. Poi, rimarrà solo questa copia sbiadita di un tempo coloratissimo» (11) (A. Boetti, 1984). Nel marzo 1990 realizza Passepartout, un grande mosaico pensato appositamente per il pavimento della galleria francese di Lucio Amelio Piece Unique. L’opera consiste in un pentagono all’interno del quale, su ogni lato, sono stagliati 8 http://it.wikipedia.org/wiki/Alighiero_Boetti 9 Maurizio Fagiolo dell’Arco, “In quell’artista c’è uno sciamano”, intervista a Boetti in “Il Messaggero”, Roma, 23 marzo 1977 10 Francesca Pasini, Il gioco del doppio – La giungla colorata di Alighiero e Boetti, intervista in “Il Manifesto”, 23 aprile 1987. 11 Alighiero Boetti – Quasi tutto, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, Corrado Levi, Silvana Editoriale, Milano, 2004 A. Boetti - Mappa (ricamo su tessuto) - Ogni nazone è presenatata con i colori della propria bandiera La Rassegna d’Ischia 3/2009 45 A. Boetti - Arazzi: lettere colorate in negativo cinque tipologie di archi appartenenti a periodi e culture diverse. Arco romanico, arco gotico, a ogiva, arco a tutto sesto, arco islamico e arco bizantino a ferro di cavallo. Nel ‘91 intraprende in Pakistan la tessitura di cinquanta kilim sul tema Alternando da uno a cento e viceversa precedentemente concepiti nelle variazioni grafiche dagli studenti di alcune accademie francesi. I kilim incarnano un’idea matematica secondo le regole dettate dall’artista. Un quadrato bianco, poi due neri, poi tre bianchi e così via fino ai novantanove dell’ultimo scomparto della scacchiera, dove la presenza di un unico quadrato di colore opposto suggerisce un punto di partenza per il percorso inverso. Questo lavoro ha richiesto la collaborazione di trenta scuole d’arte più altre venti persone e per una volta i “delegati” di Boetti non restano anonimi, come pure hanno un volto i tessitori, che appaiono per la prima volta nelle pagine del catalogo. Il 24 aprile 1994, Alighiero Boetti si spegne nella sua abitazione in via del Teatro Pace a Roma. L’esposizione al terzo piano del museo Madre vuole confermare la peculiarità dell’opera di Boetti che ha sempre lavorato sulla coesistenza della differenza, Alighiero e Boetti, Gemelli, Ordine e Disordine, Sale e Zucchero, Geopolitica e Confine, Classificazione e Indeterminazione, Scrittura e Numero, Identità e Metamorfosi, Trama e Intervallo, Regola e Imprevisto, Modulare e Manuale, Organico e Geometrico, Lineare e Circolare, Concavo e Convesso e riproporre una circolarità i cui punti focali sono ben definiti dalla struttura stessa. Questo motivo implica che le entrate e le uscite del percorso espositivo coincidano, in un andamento che richiama una circolarità, come principio filosofico, che caratterizza tutta la sua produzione e che non predilige l’ingresso da destra o da sinistra, proponendo una congiunzione tra oriente e occidente. Da una parte l’ingresso dominato dalla riproduzione 46 La Rassegna d’Ischia 3/2009 fotografica di Oggi venerdì ventisette marzo millenovecentosettanta, che si fa traccia ideale della specularità ricercata anche sul piano dell’allestimento; dall’altra la sala dove sono concentrati alcuni dei lavori più interessanti degli anni ’60, tra i quali Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 e il fotomontaggio Gemelli, primo passo verso quella scissione poi consacrata dall’aggiunta della “e” tra il nome e il cognome. Il tutto presentato “a ritroso”, ovvero partendo dagli anni ‘90 per arrivare ai ‘70 e ‘60, forse i più documentati. Ad accompagnare il visitatore, non ci sono i pannelli didattici ma le parole di Boetti, chiavi passepartout per accedere alla profondità della ricerca dell’artista e per scoprire i passaggi di realizzazione delle opere, come per i Viaggi postali del 1969-70. Una ricerca, quella di Boetti, costante e curiosa, che trasforma gli ordini mentali trascrivendoli in disordini visivi, rivendicando la componente materica e percettiva a scapito di quella puramente concettuale. Ecco la forza di tutto il lavoro boettiano: la perfetta integrazione di manuale e mentale, la sintesi delle dicotomie in un concetto più grande, generale, collettivo. La forza “del far parlare il corpo in silenzio” e la forza del pensiero. Quello che governa le emozioni e che è in grado di riportarci a quando, in tempi antichissimi, “eravamo forse più vicini agli dei”. Nel cortile esterno del Madre è possibile ammirare la scultura fontana in bronzo “Autoritratto”. Si tratta del calco in bronzo dell’artista. Con una mano innaffia la testa che, riscaldata da una resistenza interna, fuma in una nube di pensiero. L’altra mano indica la terra come in un movimento di danza “derviscia” che si colloca tra terra e cielo. Allude ad un ironico narcisismo dell’uomo ma descrive anche una dimensione più intima quella dell’artista fatta di ricerca e di poesia. «Come si può dare la definizione di un artista. Un artista è… e poi una serie di elementi... Eh, sì. Proprio di questo si tratta: di osare qualcosa. È un po’ come camminare a testa in giù. Si vede il mondo capovolto. E si guarda il cielo. Per un momento si può avere la sensazione di essere altrove, liberi dalla forza di gravità che ci spinge verso il basso, verso la terra. Ci si può sentire parte di un mondo più grande, non di questo qui dove ci tiene fermi la forza di gravità. Forse, a ben pensare, noi non avremmo mai dovuto essere qui, non era scritto da nessuna parte che noi dovessimo stare qui. C’è stato un incidente ed eccoci qui» (12). Carmine Negro 12 Alighiero & Boetti Mettere all’arte il mondo 1993/1962 Catalogo mostra Electa 2009 pag. 43. CINEMA Villa Amalia Nel film di Benoît Jacquot “Villa Amalia”, Isabelle Huppert si evolve in uno scenario di una bellezza da togliere il respiro. Grande conoscitore dell’Italia, il cineasta è riuscito a fare dei paesaggi un personaggio a pieno titolo. Ci racconta i suoi retroscena. di Catherine Schwaab Paris Match L’Italia, ci vado il più spesso possibile, soprattutto nel golfo di Napoli, che conosco dall’adolescenza: vi avevo portato la mia primissima piccola amica. A quell’età, ero stata già conquistata dalla forza del luogo. Ho molto viaggiato nella mia vita, ma questo luogo rimane indiscutibilmente quello che mi entusiasma di più. Del resto, quando lo sorvolo in aereo, qualunque sia la mia destinazione, occorre che mi sposti verso un oblò per guardare la costa amalfitana: da Ravello a Positano, Sorrento, da Pompei a Napoli, Procida, Ischia, Forio... Ogni volta che vi ritorno, è un nuovo stupore. Allontanan- A Ischia, un tournage avec Isabelle Huppert Dans le film de Benoît Jacquot «Villa Amalia», Isabelle Huppert évolue dans un décor d’une beauté à couper le souffle. Grand connaisseur de l’Italie, le cinéaste a réussi à faire des paysages un personnage à part entière. Il nous raconte ses coulisses. Catherine Schwaab - Paris Match L’Italie, j’y vais le plus souvent possible, surtout dans le golfe de Naples, que je connais depuis l’adolescence: j’y avais emmené ma toute première petite copine. A cet âge, j’avais déjà été touché par la force du lieu. J’ai beaucoup voyagé dans ma vie, mais cet endroit demeure sans conteste celui qui me transporte le plus. D’ailleurs, quand je le survole en Isabelle Huppert tra le rocce che cesellano l’isola di Ischia Isabelle Huppert, entre deux prises sur les falaises qui cisèlent l’île d’Ischia. (Photo Jérôme Prébois) dosi dai ritrovi turistici, ci si può ritrovare solo, abbagliato. Non c’è persona che amo che non l’abbia portato là. E come amo Isabelle (Huppert)... Per questo film, cercavo una villa che l’autore del libro, Pascal Quignard, aveva completamente inventato. Una colombaia improbabile: appartata sull’isola di Ischia, a picco sul mare e con vista panoramica a 180 gradi. Mi dicevo che non l’avrei trovata mai. L’angoscia e l’eccitazione delle localizzazioni. La mia produzione italiana mi aveva proposto un elenco di sette od otto ville, e, come in margine, questa baracca inaccessibile. Evidentemente, è quella che ho voluto visitare per prima! E là, quale viaggio! Attraverso strade di villaggio mal fatte a zigzag sul mare, si raggiunge una gola dove si teme di incrociare un camioncino folle e di piombare sulle rocce. È di una bellezza... pericolosa. La mia produzione voleva fare dietro-front. Mi son dovuta imporre per continuare. Si prosegue. Si avion, quelle que soit ma destination, il faut que je me déplace vers un hublot pour regarder cette côte amalfitaine : de Ravello à Positano, Sorrente, de Pompéi à Naples, Procida, Ischia, Forio... A chaque fois que j’y reviens, c’est un nouvel émerveillement. En s’éloignant des balises touristiques, on peut s’y retrouver seul, ébloui. Il n’y a pas une personne que j’aime que je n’aie pas emmenée là. Et comme j’aime Isabelle (Huppert)... Pour ce film, je cherchais une villa que l’auteur du livre, Pascal Quignard, avait complètement inventée. Un pigeonnier improbable : isolé sur l’île d’Ischia, à pic sur la mer et au large à 180 degrés. Je me disais que je ne trouverais jamais. C’est à la fois l’angoisse et l’excitation des repérages. Ma production italienne m’avait dressé une liste de sept ou huit villas, et, comme en marge, cette baraque inaccessible. Evidemment, c’est celle que j’ai voulu visiter en premier ! Et là, quel voyage ! De routes de village mal foutues en zigzags au-dessus de la mer, on atteint un goulot où l’on tremble de croiser une camionnette folle et de basculer dans les rochers. C’est d’une beauté... dangereuse. Ma production voulait faire demi-tour. J’ai dû m’imposer pour continuer. On poursuit. On finit par tomber sur un type qui nous La Rassegna d’Ischia 3/2009 47 finisce per imbattersi in un tipo che ci aspetta, a torso nudo (si era in novembre!), il fazzoletto annodato intorno alla sua bella testa di Giove degli altipiani. Ci conduce verso la sua casa attraverso una morsa argillosa che si sbriciola, dotato di una corda di richiamo per aggrapparsi se si precipita! Venti, trenta minuti di cammino tra le viti, il mare ed il cielo. Un isolamento vertiginoso e, in lontananza, Capri. Infine, lo choc: sulla rupe, il tipo, beffardo, ci mostra un inizio di casa in costruzione, o piuttosto due blocchi di cemento. Ho la certezza assoluta che è là, inutile andare a vedere altro. La squadra tecnica costruirà la Villa Amalia del mio film, posta nella luce infinita, nel mezzo di un mare infinito. Si tratta il prezzo, mercato concluso. Ho sognato anche di affittarla al nostro uomo per le vacanze più tardi. Nessun problema, dopo il film, ha dovuto tutto rompere per renderla al suo stato iniziale: per segnare la sua proprietà senza farsi classificare zona costruibile dal catasto, occorre un abbozzo di costruzione! Quid di Isabelle? La mia produzione si chiedeva come convincerla. Sebbene molto robusta, malgrado la sua taglia, otto ore di lavoro al giorno impongono un minimo di freschezza. Si è trovato un sistema di portantina: una specie di lettiga tirata da un trattore largo quanto il percorso. Isabelle arrivava così, come una regina orientale, già truccata, con un parasole nella sua vecchia automobile! Si è impegnata poi a fondo, come sempre quando lavora. Si è anche escoriato il ginocchio sulla strada. La cinquantina di persone della squadra si è adattata: portare i materiali, cineprese, riflettori, luci su questo minuscolo terrazzo, senza balaustra! Hanno saputo rendere l’appello irreprensibile ed inquietante di questa immensità. Durante la ripresa, Isabelle ed io avevaattend, torse nu (on était en novembre !), le mouchoir noué autour de sa belle tête de Jupiter des plateaux. Il nous emmène vers sa maison à travers un étau argileux qui s’émiette, doté d’une corde de rappel pour se rattraper si on dévale ! Vingt, trente minutes de marche entre les vignes, la mer et le ciel. Un isolement vertigineux et, au loin, Capri. Enfin, le choc : au bord de la falaise, le type, goguenard, nous montre un début de maison en construction, ou plutôt deux blocs de béton. J’ai la certitude absolue que c’est là, inutile d’aller voir autre chose. L’équipe technique va construire la Villa Amalia de mon film, posée dans l’infinie lumière, au milieu d’une mer éternelle. Isabelle, telle une reine orientale dans la lumière... On négocie le prix, marché conclu. J’ai même rêvé de la louer à notre homme pour des vacances plus tard. Pas question, après le film, il a fallu tout casser pour la rendre à son état initial : pour marquer sa propriété sans se faire classer zone constructible par le cadastre, il faut une ébauche de construction ! Quid d’Isabelle ? Ma production se demandait comment la convaincre. Elle a beau être très robuste malgré sa taille, huit heures de jeu par jour imposent un minimum de fraîcheur. On a trouvé un système de palanquin : une sorte de litière tirée par un tracteur de la largeur de l’étau. Isabelle arrivait ainsi, telle une reine orientale, déjà maquillée, avec une ombrelle dans sa teufteuf ! Ensuite, elle a joué le jeu à fond, 48 La Rassegna d’Ischia 3/2009 no affittato una bella villa: due saloni, due cucine, dieci camere, tre sale da bagni... per una somma ragionevole, visti i prezzi di qui, circa 1500 euro per settimana. Ma ci sono hotel per tutte le borse, ed alcuni palazzi. Uno ha ospitato Brad Pitt, Matt Damon e Gwyneth Paltrow che giravano “Il talento di M. Ripley”. Lussuosi, molto cari, ma meno che a Capri. È una città termale, v’incrontrate dei tedeschi che fanno le cure termaliu, un po’ rétro, affascinanti. Evidentemente, bisogna andarci fuori stagione e provare a trattare un forfait con un canotto che vi porti a pranzare nelle baie, a visitare le grotte di acqua bollente, a bagnarvi nelle spiagge di sabbia vulcanica. Se volete esplorare tutta la costa e Napoli, consiglierei di scegliere Ischia come ancoraggio. Non andate lì per la giornata, soggiornatevi. L’isola è grande, la popolazione è varia, occorre andare a spasso. O non fare niente. Essere, semplicemente. Al paradiso. comme toujours quand elle s’engage. Elle s’est même démis le genou dans un chemin. La cinquantaine de personnes de l’équipe s’est adaptée : apporter les matériaux, caméras, réflecteurs, lumières sur cette minuscule terrasse, sans balustrade ! Ils ont su restituer l’appel irrépressible et inquiétant de cette immensité. Brad Pitt a tourné à Ischia Pendant le tournage, Isabelle et moi avions loué une villa de rêve – deux salons, deux cuisines, dix chambres, trois salles de bains... – pour une somme raisonnable vu les barèmes là-bas, dans les 1500 euros par semaine. Mais il y a des hôtels pour toutes les bourses, et quelques palaces. L’un a d’ailleurs abrité Brad Pitt, Matt Damon et Gwyneth Paltrow qui tournaient “Le talentueux M. Ripley”. Luxueux, très chers, mais moins qu’à Capri. C’est une ville thermale, vous y croisez des curistes allemands, un peu rétros, charmants. Évidemment, il faut y aller hors saison et essayer de négocier un forfait avec un canot qui vous emmène déjeuner dans les criques, visiter les grottes d’eau bouillonnante, vous baigner sur des plages de sable volcanique. Si vous voulez explorer toute la côte et Naples, je conseillerais de choisir Ischia comme ancrage. N’y allez pas pour la journée, séjournez-y. L’île est grande, la population est diverse, il faut s’y promener. Ou ne rien faire. Etre, tout simplement. Au paradiso. Water Il racconto è accompagnato da una regia magistrale e da una fotografia di rara bellezza. Per quanto in alcuni momenti la trama si lasci troppo facilmente affascinare da tentazioni Hollywoodiane, il film è altamente apprezzabile per la delicatezza dei toni e per la rara capacità di aver saputo rendere in immagini l’atmosfera, i colori e le sensazioni che ieri, come oggi si respirano in India. Un film di Deepa Mehta, con Lisa Ray, Seema Biswas, John Abraham, Kulbhushan Kharbanda, Waheeda Rehman, Raghubir Yadav, Vinay Pathak. Produzione: Canada, India - Fotografia: Giles Nuttgens - Scenografia: Dilip Mehta - Montaggio: Colin Monie - Costumi: Dolly Ahluwallia - Musiche: Mychael Danna http://www.videa-cde.it/water/ Water è ambientato nell’India del 1938. Gandhi gettava le basi della sua protesta pacifista, infiammando gli animi di un paese oppresso dal colonialismo mentre l’indipendenza dagli inglesi era ancora lontana da venire. Il film, sullo sfondo di questo contesto storico, narra le vicende di una sposa bambina, Chuyia, che all’età di otto anni, subito dopo essere stata data in moglie ad un uomo malato, rimane vedova, e per questo sposa predestinata di un futuro di miseria e privazioni. Il film, che ha preso lo spunto dagli ashram, di Varanasi, la città sacra dell’Uttar Pradesh nel centro dell’India, è ambientato nella città di Rawalpur. Racconta la storia della vedovanza di Chuyia, dall’esilio forzato dentro l’ashram, termine sanscrito che indica luogo di eremitaggio, nel quale viene relegata dalla sua famiglia, sino alla perdita del diritto ad esistere come persona ed all’annullamento di tutti i pregressi diritti di casta. Per i testi sacri, infatti, le vedove indù hanno a disposizione solo tre scelte: morire bruciate sulla pira del marito, sposarne il fratello o passare una vita di castità e privazioni, confinate ai margini della società e costrette a vivere dentro la “casa delle vedove!. Chuya, la protagonista, (interpretata dalla debuttante dello Sri Lanka, Sarala), si trova improvvisamente a vivere di elemosina con le altre vedove, la bella Kalyani (Lisa Ray), vedova-prostituta che si innamora del laureato in legge Narayan (John Abraham) seguace di Gandhi, e la religiosissima Sadananda (Kulbhushan Kharbanda), che vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e coscienza. L’innocenza della bambina si dovrà così scontrare con i destini delle altre donne, più o meno rassegnate al loro fato, mentre lentamente il paese prende coscienza dei propri diritti ed iniziano i primi movimenti nazionalisti indiani. Terzo ed ultimo film della trilogia della regista indiana Deepa Mehta, Water chiude il percorso dedicato dalla regista agli elementi naturali -- acqua, fuoco e terra - e grazie alla metafora dell’acqua, tratta il tema controverso della religione, la dove il suo film precedente Fire (1998) si occupava del tema scottante dell’omosessualità tra donne ed Earth (1999), il primo film della trilogia, trattava il tema del settarismo, sullo sfondo della divisione politica del 1947 tra India e Pakistan. La chiusura della trilogia non si è rivelata semplice come previsto, e le riprese del film iniziate nel 2000 a Varanasi, sono state interrotte a causa delle ripetute sommosse dei gruppi di estrema destra induisti che accusavano Deepa Mehta di offendere la religione e di denigrarne i contenuti sacri. Il film è stato ultimato solo nel 2005, dopo che regista e intero cast sono stati costretti a lasciare prima Varanasi e poi l’India, per le continue minacce subite, e a girare in gran segreto in Sri Lanka, dove è stato ricostruito il set bruciato a Varanasi. Il film Water è uno di quei capolavori che non si scordano, e questo perché ogni immagine trasuda emozioni che difficilmente riescono a passare inosservati. Vedere questo film fa provare sensazioni tali che, anche chi non ha vissuto in India, riesce a comprendere cosa significhi vivere in un mondo di tradizioni, dove il colore non è solo un ornamento, ma parte integrante della vita di tutti i giorni. Sin dall’inizio del film lo scorrere delle immagini è accompagnato da un taglio fotografico di una delicatezza talmente inusuale, da incollare allo schermo anche lo spettatore più distratto, ed il film, diversamente di quanto accade in altre pellicole, mantiene le promesse sino ai titoli di coda. Questo film consente di leggere la realtà umana che si cela dietro la pur antichissima civiltà indiana. Il matrimonio, ancora oggi, viene deciso dai genitori degli sposi, che contrattano sulla dote che la famiglia della sposa dovrà elargire a quella dello sposo, in quella sorta di matrimonio-contratto che suggella più i termini di un accordo finanziario che il coronamento di un sogno d’amore. E così accade che, anche le bambine in tenera età, vengano date in moglie per alleviare i genitori da un peso troppo oneroso. In questo modo, il matrimonio precoce è visto come un vantaggio economico, come un’ulteriore dote da portare allo sposo e che servirà ad alleggerire la dote in gioielli o in elettrodomestici. Infatti, una figlia bella, giovane e vergine è la più alta merce di scambio nelle trattative matrimoniali, per quanto in questa maniera alle bambine spose si ruba l’infanzia, l’innocenza ed il gioco. Per le famiglie più povere significa una bocca da sfamare in meno o una serva in più per quelle più ricche, e può servire a consolidare i legami familiari e patrimoniali e ad evitare scontri tra clan. Spesso le bambine restano nella famiglia d’origine fino alla pubertà e poi si trasferiscono nella famiglia del marito, ma in molti casi la bambina lascia subito la scuola e viene mandata a vivere con la nuova famiglia. Carmine Negro La Rassegna d’Ischia 3/2009 49 Rassegna LIBRI Villa Arbusto e il suo parco Centro culturale polivalente e sede del Museo Archeologico di Maurizio Di Stefano De Luca Editori d’Arte, 2007 (Incontro con una vocazione - Introduzione dell'autore Maurizio Di Stefano) - Dal momento in cui, intorno al 1785, un’antica masseria si trasforma in casino di cura e di delizie del ventunesimo duca d’Atri, Carlo Acquaviva, il complesso dell’Arbusto lega indissolubilmente la sua storia al graduale concretizzarsi della vocazione turistico-termale di Lacco e più in generale di Ischia. Già da un secolo, con la fondazione nel 1602 dello stabilimento di cura del Pio Monte della Misericordia a Casamicciola, la nobiltà napoletana aveva mostrato piena consapevolezza del valore terapeutico delle risorse ischitane; la predilezione del duca - che pure possedeva numerose altre residenze di villeggiatura nel Napoletano, in Abruzzo e in Puglia - testimonia una fase importante. Come gli studi su vari contesti italiani hanno dimostrato, una sorta di ideologia comune delle città d’acqua si stabilisce (...) nel XVIII secolo, determinata dall’aristocrazia committente, e ciò costituisce l’indispensabile prologo della successiva fase di straordinario sviluppo delle città termali, allorché il pubblico da aristocratico diventa borghese. La trasformazione della costruzione rurale in comoda dimora contempla tra l’altro la realizzazione di una cappella, di un corpo secondario, di una stufa per l’uso terapeutico delle fumarole. Dotata dei necessari spazi e delle strutture adeguate ai nuovi proprietari, essa non doveva essere però improntata ai criteri di magnificenza che ad esempio caratterizzano le ville vesuviane, situate in prossimità della corte e tutte rivolte alla pompa del ricevere e dell’ostentare; in questa fase le rare dimore nelle isole del Napoletano, come quella dei baroni di Costanzo a Capri o la Torre dei duchi Guevara sempre ad Ischia, hanno piuttosto la funzione di un buen retiro tutto privato. La nuova dignità della fabbrica, e per un certo periodo anche la presenza del gentiluomo, rendono il sito di villa Arbusto, già di per sé eccezionale per la posizione paesistica privilegiata, un luogo imprescindibile della tappa ischitana nell’ambito del tour della costa napoletana. Una precoce, eccezionale testimonianza visiva è data dal disegno del 1792 di Philipp Hackert, A Ischia dalla loggia del palazzo del sig. Duca d’Atria (sic), già appartenuto alla collezione personale di Goethe. Si tratta di una veduta che, al di là della qualità intrinseca, è importante per la sua impostazione: per la prima volta si individua nella villa un punto privilegiato di osservazione, fissando quanto diverrà un topos consacrato del vedutismo isolano, e in particolare nell’ambito della crescente attenzione riservata a Lacco nella prima metà dell’Ottocento da artisti come Giacinto Gigante, Jacop Wilhelm Huber, Teodoro Duclère, Johan Georg von Dillis, Achille Vianelli. Più raramente invece la villa del Duca diventa oggetto di una veduta; pertanto, pur in una certa approssimazione del tratto, assume notevole valore documentario l’acquaforte posta a corredo illustrativo di A voyage up the Mediterranean, il resoconto pubblicato nel 1802 dal reverendo Cooper Willyams (1762-1816), relativo ai luoghi toccati da Orazio Nelson e dalla flotta britannica durante le battaglie napoleoniche (1). Alla morte del duca d’Atri, per il disinteresse della sua erede, contessa Acquavìva di Conversano, si giunge alla vendita della proprietà. Ancora la sorte di villa Arbusto testimonia di una nuova fase dello sviluppo di Lacco. Viene infatti acquistata dall’avvocato giacobino Saverio Biondi, e, mentre si apre una nuova e intensa stagione del turismo nel golfo di Napoli, la casa comincia ad accogliere ospiti e clienti; un’attività che proseguiranno i suoi eredi e i successivi proprietari. Non stupisce questa destinazione per la residenza di un professionista: basti pensare quanto avviene negli stessi anni a Capri, dove la casa del notaio Manfredi Pagano comincia in sordina 1) Resoconto riportato ne "La Rassegna d'Ischia" n. 2/2009 alle pagine 25-31 (nota editoriale) 50 La Rassegna d’Ischia 3/2009 un’attività ricettiva che nel giro di poco tempo trasforma la piccola locanda in un albergo di notorietà internazionale. Certo risulta assai più limitato nel corso dell’Ottocento lo sviluppo dell’albergo all’Arbusto - che comunque nella fase postunitaria accoglie eminenti ospiti stranieri -inevitabilmente legato alla più lenta crescita turistica di Lacco che, mentre sconta la concorrenza della vicina e accorsata Casamicciola, condividerà con essa la tragedia del terremoto del 1883. È significativo però che nei primi del Novecento proprietario dell’Arbusto sia proprio l’ingegnere Nicola Ciannelli che nel 1898 ha costruito il nuovo e pretenzioso stabilimento delle Terme Regina Isabella. Le cartoline degli anni Trenta mostrano, quale sfondo del giardino e delle terme di Santa Restituta, Villa Arbusto: articolata in due corpi di fabbrica principali collegati pittorescamente dal lungo pergolato panoramico, scandito da bianche colonne doriche. Più che un motivo architettonico si tratta di un’icona tradizionale dell’edilizia del profilo del golfo di Napoli, a partire dall’albergo dei Cappuccini a Sorrento per finire alla Villa San Michele ad Anacapri. È alla metà del secolo successivo che le vicende della villa si intrecciano di nuovo indissolubilmente con un nuovo destino di Lacco, e più in generale dell’isola. E un medico milanese, Piero Malcovati, il primo a maturare la piena consapevolezza delle potenzialità del luogo e delle sue risorse naturali, impegnandosi a trovare nel capoluogo lombardo due figure di primo piano da coinvolgere nel suo sogno: dapprima un architetto di fama, Ignazio Gardella (1905-1999), e poi un imprenditore di successo, Angelo Rizzoli (1889-1970). Nel giro di poco tempo, ad inizio anni Cinquanta, mentre l’editore diviene ideatore e proprietario dei principali stabilimenti termali - Regina Isabella e Santa Restituta - nonché dell’antica villa del duca d’Atri, l’architetto elabora per Lacco un complesso organico di interventi, ispirati all’ideologia imperante della modernizzazione: la ricostruzione delle Terme Regina Isabella, la sistemazione della piazza del Muncipio, il progetto per gli alberghi Arbusto e Santa Restituta, la ricostruzione del quartiere Genala e un piano regolatore. Arriva ora per Lacco - e per una si-nergia di congiunture concomitanti - quel momento di svolta, in cui un cospicuo programma architettonico è premessa ad un rilancio dell’attività termale, momento che altre località campane - come ad esempio Castellammare e Agnano - avevano conosciuto durante la belle epoque. L’interruzione, nel 1954, dei rapporti di Rizzoli con Gardella farà sì che in larga parte progetti e studi di quest’ultimo restino inattuati con l’eccezione dell’edificio termale dove la posizione conservatrice della Soprintendenza diventa occasione per salvare un frammento isolato delle terme tardo-ottocentesche: il porticato neoclassico, per farne un segno caratterizzante del nuovo complesso. La felice soluzione, a lungo incompresa dai critici di fede intransigentemente modernista (ivi compreso Giulio Carlo Argan (12), si configura come poetica interpretazione del tema allora assai sentito dell’incontro tra antico e nuovo, e riprende - forse inconsapevolmente - un motivo tipico del prospetto della chiesa napoletana di San Paolo Maggiore ai Tribunali. Resta sulla carta e sommariamente prefigurato quindi anche il progetto per l’albergo Arbusto, dove si prevedeva la demolizione della villa settecentesca per realizzare un ampio complesso ricettivo, costituito da una grande piastra basamentale con i servizi comuni e di ristoro su cui spiccavano i corpi delle camere, liberamente disposti verso il panorama. Sarebbe stata, secondo quanto documentano i grafici custoditi nell’archivio di Gardella, dell’architettura di buona qualità, tuttavia non ci si può rammaricare della mancata realizzazione, perché avrebbe comportato il sacrificio di un’antica struttura che, pur priva di un carattere architettonico o artistico eccezionale, per il suo felice posizionamento paesitico e per la sua storia, assume un rilevante valore. Sopravvissuta, Villa Arbusto diviene invece la residenza estiva di Rizzoli, e come tale pure contribuisce alla graduale elezione dell’isola verde a elegante località turistica frequentata dal “jet-set”. Una interessante sequenza di immagini scattate da Gardella e custodite nel suo archivio documentano l’aspetto di Villa Arbusto allorché viene acquisita da Rizzoli (13). Nei decenni in cui è abitata da quest’ultimo, mentre il parco si arricchisce di essenze pregiate, le costruzioni in cui si articola il complesso vengono in parte ampliate e in parte sottoposte a inevitabili rimaneggiamenti, senza però rinnegare il suo aspetto tradizionale anche nelle finiture. Rizzoli si avvale della col- laborazione dell’architetto Mario (Mosè) Tufaroli Luciano, un professionista che negli anni Trenta aveva collaborato con colleghi del calibro di Luigi Moretti e Concrezio Petrucci ad opere e a piani di un certo rilievo e innovativi. Qui però non esprime uno stile moderno. Nuovi loggiati e ambienti voltati sono andati ad aggiungersi agli antichi, così come nei rivestimenti in maiolica motivi floreali neo-tradizionali, realizzati dalle botteghe artigianali napoletane e vietresi degli anni Cinquanta e Sessanta, sono andati ad accostarsi ai disegni tardo-ottocenteschi, tra cui spicca quello notissimo, derivato da un’idea di Filippo Palizzi, dei petali di rosa sparsi. Tanto verrà mantenuto l’aspetto di vecchia dimora senza età, da potersi accogliere persino una sorta di replica di buona fattura delle panche del chiostro maiolicato di Santa Chiara a cura di Stingo. La villa torna poi per un breve periodo ad essere sede di attività alberghiera per iniziativa dell’ing. Salvatore Leonessa. Si confrontano nel progetto di recupero valenti tecnici come il prof. Aldo Capasso, ma la villa ha l’aria di essersi trasformata nel tempo senza soluzione di continuità tra una fase e l’altra, senza che vi si possa scorgere la mano troppo invadente di un progettista, e nemmeno il gusto troppo deciso di un committente. Finalmente e felicemente il Comune di Lacco acquisisce non senza un impegnativa battaglia legale il complesso grazie agli accorti programmi di conservazione e di musealizzazione condotti da chi scrive, che ne curerà l’intera realizzazione per conto del Comune mantenendo l’impronta che le stratificazioni storiche le hanno dato e dotandola delle infrastrutture impiantistiche necessarie per l’utilizzo integrato del complesso polifunzionale. Il nuovo destino della villa, al termine di una vicenda complessa divenuta di proprietà municipale, segna ancora una diversa stagione dello sviluppo di Lacco. Acquisendo la villa di un personaggio importante che ha simboleggiato un’intera fase dello sviluppo turistico, conservando l’impianto architettonico complessivo, preservandola tanto da un temuto frazionamento in mini appartamenti quanto da una pesante trasformazione alberghiera, offrendo alla pubblica fruizione quegli scorci elevati al rango di icone dal vedutismo ottocentesco, il Muncipio fa qualcosa di analogo a quello La Rassegna d’Ischia 3/2009 51 che, per esempio, farà Capri molti anni più tardi con l’acquisto di villa Fersen. Ma fa anche qualcosa di più, e di molto più importante: perché sin dall’inizio lega la conservazione dell’antica struttura con la creazione di una struttura museale in grado di valorizzare l’eccezionale patrimonio dell’antica Pythecusae. La destinazione d’uso individuata è sicuramente tra le più prestigiose che i vari comuni di Ischia scelgono, incoraggiando l’acquisizione di significative dimore quali Torre Guevara a Ischia Porto, anch’essa appartenuta al gruppo Rizzoli, la Colombaia di Luchino Visconti di Modrone a Forio, villa Bellavista a Casamicciola, inaugurando una nuova fase di sviluppo turistico dell’isola più attenta ai valori della cultura. A questa nuova fase chi scrive ha costantemente partecipato come progettista dei principali interventi di architettura urbana nella consapevolezza che, mentre non si può più soltanto contare sulle pur eccezionali risorse naturali, si deve operare per conservare queste stesse risorse creando un connubio tra turismo e cultura. A Lacco inoltre si tratta anche di offrire adeguato riscontro ad un patrimonio dell’isola, inteso oggi come imprescindibile tassello nell’ambito della Camorra e camorristi di Ferdinando Russo Il volume comprende il saggio Camorra e camorristi [da “La lettura”, fasc. 5/maggio 1911] e la raccolta “Tipi e persone di camorristi” [da E. Serao e F. Russo, La camorra, 1907]. Imagaenaria, Ischia, 2009. di Nicola Luongo Nel volume “Camorra e camorristi”, pubblicato dalla Casa Editrice Imagaenaria con illustrazioni di Francesco Galante, sono compresi il saggio “Camorra e camorristi” (1911) che dà il titolo al libro e la raccolta “Tipi e personaggi di camorristi”(1907), scritti da Ferdinando Russo (lo scrittore e poeta dialettale amico di Gabriele D’Annunzio che tendeva a conferire una rappresentazione realistica alla vita napoletana, descrivendo una galleria di personaggi popolari nobili, ma anche abietti, frequentando di preferenza gli strati più bassi della popolazione e non esitò a infiltrarsi nella “onorata società” per meglio descriverne le usanze. Ferdinando Russo fu anche autore di versi di canzoni famose come “Scetate”, musicata da Pasquale Mario Costa, di “Quanno tramonta ‘o sole” con musica di Salvatore Gambardella e di “Canzone amorosa” con musica di Leopoldo Mugnone. Nella prima parte del libro viene riferita l’origine della camorra “trista genìa”, “idra dalle cento teste”, diffusasi nel Napoletano sotto la dominazione spagnola e cresciuta a partire dall’Ottocento con lo scopo di taglieggiare ogni sorta di attività legale o illegale. Circa le origini antichissime della camorra, l’autore concorda con il filo52 La Rassegna d’Ischia 3/2009 sofo Benedetto Croce, secondo il quale un personaggio di quell’associazione malavitosa è già presente nella novella “Andreuccio da Perugia” del Decamerone del Boccaccio, come risulta anche da un documento del re Roberto risalente al 1336. Anche il guappo, personaggio con velleità da camorrista, prepotente e spaccone, che si vanta di capacità e imprese poco credibili, per certi aspetti ricorda il Miles gloriosus di Plauto o il Don Chisciotte di Cervantes o addirittura il Capitan Fracassa di Théophile Gautier. Ma soprattutto il poeta burlesco napo- complessiva storia del Mediterraneo, ma che, prima dell’inzio degli scavi di Giorgio Buchner nel 1952, era quasi del tutto sconosciuto. Come ancora di recente ha annotato Stefano De Caro, l’apertura del Museo di Pythecusae a Lacco Ameno corrisponde sul piano museale a quella che è stata una tappa fondamentale nella storia archeologica della Magna Grecia. Resta aperto il capitolo della costruzione del Centro Congressi che è da considerare solo rinviata ad una maggiore maturità culturale nell’affrontare il rapporto tra architettura ed archeologia e tra conservazione integrata e tutela ambientale. letano Giulio Cesare Cortese, inventore con Bracciolini e Tassoni del genere eroicomico, amico di Giambattista Basile che dedicò agli smargiassi molti versi dialettali, riuscì a fornire una visione realistica, anche se a tratti paradossali, della plebe napoletana nel suo poema del 1619 “Micco Passaro ‘nammurato“, per la quale ogni mutamento sociale appare impossibile, ogni ribellione è punita, il bene può venire solo dai padroni che impongono la legge della sopraffazione e dello sfruttamento tramite i loro sgherri prezzolati e spietati. Secondo l’autore, all’interno della camorra si è verificata una grave degenerazione nel momento in cui cominciarono a capitare nelle ”mani del popolino le prime pistole e le prime rivoltelle”per il cui uso non occorre alcuna particolare abilità. Invece maneggiare il coltello o il pugnale richiede straordinarie doti di destrezza e di sprezzo del pericolo, la necessità di studiare le mosse dell’avversario per colpire al momento giusto e imporsi sull’avversario-nemico. Tra le figure più famose dei camorristi particolarmente abili nel prevalere con il coltello nei loro sanguinosi duelli, l’autore rievoca Nicola Alossa che, passato alla legalità e divenuto commissario di polizia, ricorrendo anche a metodi poco ortodossi, costrinse al pagamento alcuni prepotenti riottosi a pagare il dazio, garantendo a Garibaldi e ai liberali la più oculata sorveglianza e il più perfetto ordine. Un altro personaggio ben noto a Napoli, “famoso nei fasti del coltello”, fu Ciccio Cappuccio, un vero e proprio “camorrista-gentiluomo”, come lo de- finisce, con un’immagine ossimorica, l’autore e che ricorda, per certi aspetti “Il sindaco del Rione Sanità”, interpretato dal grande Eduardo De Filippo. Ebbene, Ciccio Cappuccio, avendo saputo che a un maestro di musica era stato rubato il pianoforte, unica sua fonte di sostentamento, fece restituire lo strumento musicale al legittimo proprietario che dopo il furto subìto “quasi moriva di stenti, di rabbia e di inedia”. Il camorrista non pretese nulla in cambio, anzi respinse con sdegno, quasi un oltraggio al suo onore, la ricompensa del maestro. Ma Ferdinando Russo non apprezza affatto tali gesti, anzi non nasconde il suo disprezzo per i camorristi, i quali “fanno disonore a Napoli anche all’estero”, “scuotono le basi dell’edificio sociale”, anche se sfoggiano abiti lussuosi e si dimostrano generosi e filantropi al solo scopo di carpire la buona fede delle persone in difficoltà economiche per convincerle a prendere somme di denaro a interessi sproporzionati nell’ottica perversa e ignominiosa degli usurai. Per una comprensione più esaustiva della “onorata società” risultano appropriate anche le cinque lettere che un fantomatico” V.L .detto lo studente, amico e ladro” scrive al Cav. Ferdinando Russo, in cui, tra l’altro, si vanta di aver turlupinato il prossimo e di conoscere i modi per fare parte della camorra, tra i quali quello di farsi giustizia da solo e di non rivolgersi mai alle autorità costituite, perché ciò sarebbe segno di codardia e di debolezza. Inoltre gli svela il gergo della camorra e le sentenze di punizioni esemplari che spesso sfociavano nell’assassinio della vittima designata. Anche in carcere i camorristi im- Lucio Battisti – Emozioni ischitane di Anna Maria Chiariello Valentino Editore, dicembre 2008. Prefazione di Peppino di Capri. «Nel 1963 Lucio Battisti - scrive Peppino di Capri nella Prefazione - si esibiva a Forio d'Ischia, dall'altro lato dell'isola c'ero pure io. C'era Mina. Assaporavamo il successo che nel frattempo aveva voluto baciarci. C'erano grandi artisti di fama internazionale». Anna Maria Chiariello ha voluto unire questi momenti (Ischia, Battisti, artisti che dall'isola salparono per traguardi nazionali e internazionali...) e ne ha messo in evidenza le varie emozioni che si vissero in quegli anni. Ecco come l'autrice ne illustra l'origine. «Cinquant’anni fa nasceva il Rangio Fellone. Cinquanta anni fa due giovani iniziavano a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo. Quei due giovani sono diventati due simboli della canzone italiana. Mina e Peppino di Capri. Tutti e due hanno cantato a Ischia il primo successo della loro vita. Mina che si chiamava Baby Gate e si innamorò della Tintarella di Luna dei Campioni di Roby Matano. Peppino con l’interpretazione magistrale di Nun è peccato di Ugo Calise. Sempre al Rangio Fellone. E quando nel ‘63 Lucio Battisti muoveva i primi passi sull’isola, ad Ischia loro erano le star. Poi Peppino ha cantato con i Beatles, ha avuto un successo enorme, ha messo insieme quello che per Lucio era il massimo e cioè la grande canzone napoletana con la musica anglosassone. E Mina ha cantato, duettando alla grande con Battisti. Ce n’è abbastanza perché tutti insieme possano essere il simbolo di un’estate, dell’estate, di tutte le estati ischitane. Ecco perché Emozioni ischitane. Le emozioni di quando ragazzini ci facevamo accompagnare dalle canzoni di Battisti-Mogol, mentre i nostri fratelli più grandi di poco facevano la colletta per andare a sentire Peppino di Capri al Castillo d’Aragon. Io avevo un mangiadischi verde, probabilmente era fra i regali della prima comunione e me lo portavo dietro dovunque, sentivo quasi sempre Battisti ma a quell’epoca non voleva dire essere battistiani, non ancora per lo meno. Poi il mangiadischi si ruppe perché mio fratello Michele la notte se lo “fruculiava” per portarselo in spiaggia dove andava a ballare. La sabbia mi rovinò un sacco di dischi ma le canzoni del grande Lucio mi piacevano lo stesso, pure se dovevo dare ogni tanto un pugno all’apparecchio, mentre ero seduta ad ascoltarle con altre ragazzine davanti al bar Calise, a Ischia. Allora di fronte al bar c’era soltanto una pongono la loro legge, comunicano con l’interno e l’esterno, nonostante la severissima sorveglianza. I detenuti ricorrono anche al canto con stornelli dai versi incomprensibili ai non affiliati e apparentemente prive di senso, in cui emerge anche una fantasia poetica. Nei dieci sonetti alla fine del testo viene raffigurato un basista il quale inizia la sua carriera nella malavita facendo da palo in cambio del terzo della refurtiva ricavata dagli appartamenti disabitati, diventa ricco e temuto, ma alla fine viene colpito a morte a tradimento e, anche nei suoi ultimi momenti di vita, non disdegna parole di disprezzo verso i suoi aguzzini, andando incontro a una fine violenta, comune a molti che vivono nell’illegalità e nel ricorso ai reati e alla violenza. tettoia e lì sotto era il ricovero dei motorini e delle comitive sciamanti di ragazzi. Non c’erano spinelli, la droga più forte era un whisky e coca (cola) in discoteca e una tirata con i mezzi davanti al bar. Qualche anno più tardi mi sono unita anch’io a quelli delle moto con la mia Vespa rossa, faro tondo, ufficialmente 50 ce, in realtà molti di più. Poi Battisti è stato un po’ la colonna sonora del mio matrimonio con Paolo: suonava Fabrizio Fierro con la sua orchestra e a gentile richiesta gli chiedemmo un po’ di Fiori rosa, fiori di pesca, un taglietto di Emozioni, una strofa del mio canto libero. E lui ci accontentò e tutti ci mettemmo a cantare. Conoscendo le parole una ad una. Ecco la grandezza di La Rassegna d’Ischia 3/2009 53 Battisti: giovani, adulti, anziani conoscono le sue canzoni, tutti le cantano e si sentono liberi di stonarle. Credo che nessun artista faccia lo stesso effetto e questo rende Battisti immortale. E aggregante. Tanto che per il sesto anniversario di matrimonio (a proposito mio marito di cognome fa Chiariello come me, proprio come i genitori di Lucio si chiamavano Battisti e Battisti...) chiedemmo a LucaVicari delle Anime latine di suonare a Is chia per noi. Avevo conosciuto Le Anime in forma di duo a Ponza, durante una brevissima vacanza. Per tre volte avevo praticamente costretto Paolo a concludere la serata al baretto al porto per sentirli suonare. Repertorio: solo Battisti. E così li invitai a suonare a casa nostra, per una festa con gli amici, fu una serata bellissi- ma inguaiata dal solito rompiscatole, un romano che aveva fittato l’appartamento nel palazzo a fianco che ancora prima che scadesse la mezzanotte ci fece trovare la polizia municipale a casa. E pensare che era sabato 26 agosto, Sant’Alessandro, e c’era la festa a Ischia Ponte con bancarelle, orchestrine e tanta ammuina dopo la tradizionale sfilata. Mi sono sempre chiesta se ce l’avesse con noi perché non l’avevamo invitato. O forse non amava Battisti. Così terminammo la serata con un canto libero e rabbioso che si sarà sentito fin sopra il Castello Aragonese. Grazie a quella festa, come leggerete, scoprii che Lucio era stato a suonare a Ischia. Ed è nato Emozioni ischitane. La camorra Origini, usi, costumi e riti dell’annorata società di Ernesto Serao Ristampa dell’opera pubblicata nel 1907 e considerata un classico della storia della camorra. Imagaenaria, Ischia, 2009 L’opera La camorra. Origini, usi, costumi e riti dell’annurata suggietà di Ernesto Serao, caporedattore de “Il Mattino”, saggista, narratore, poeta, pubblicata per la prima volta nel 1907 e riedito di recente dalla Imagaenaria Edizioni, è ritenuta un classico della storia di questa “associazione delittuosa”. L’autore ne disvela la genesi, la tipologia degli affiliati, il loro ambiente, 54 La Rassegna d’Ischia 3/2009 i personaggi più noti, “eroi del coltello” e della loro abilità a “sfregiare l’avversario dopo averlo stancato con una infinità di mosse”, la loro bravura nell’inserirsi nei gangli della politica, nonché altre attività criminose come l’usura praticata “con maggior profitto sui meno abbienti che sugli agiati”, visto che «per il popolo napoletano l’impulso a ricorrere a questa forma spietata e abietta di sfruttamento è come l’assenzio per il popolo di Francia». Secondo l’autore, l’usura è connessa indissolubilmente con il gioco del lotto. Molti napoletani, pur non avendo un soldo per comprarsi un tozzo di pane, vogliono trovare ad ogni costo i soldi necessari per tentare la sorte e perciò ricorrono all’usuraio sempre in agguato e, poiché il giocatore non è in grado di saldare il debito ad interessi altissimi, spesso diventa lui stesso affiliato alla camorra alle dipendenze del suo creditorestrozzino. Secondo Ernesto Serao, il primo crimine che suscitò particolare scalpore e portò la malavita napoletana alla ribalta nazionale, fu l’efferato omicidio di Gennaro Cuocolo, basista della camorra, e di sua moglie Maria Cutinelli, un fatto di sangue avvenuto in una città come Napoli dove, secondo l’autore, la camorra «esiste ed esisterà fin tanto che permarranno le profonde condizioni contingenti di depressione sociale, di povertà economica e intellettuale». Gli statuti e i costumi della camorra derivarono dalla Spagna e furono introdotti nel Regno delle Due Sicilie, dove la losca associazione imponeva la sua legge con metodi terroristici, spesso con il tacito appoggio di funzionari dello Stato conniventi e corrotti che non reagivano di fronte alle estorsioni sistematiche e organizzate, ai furti, alla pratica della prostituzione, del lenocinio e del contrabbando di matrice camorristica. Ci fu un tempo in cui era titolo di onore essere “guaglione ‘e malavita”, come del resto attesta una canzone di grande successo di Mario Merola, tanto amato dai napoletani. Naturalmente anche le carceri, popolate da “colonie di coatti”, fu l’humus ideale per la malavita che si affermò appunto nel contesto di una città dove “il povero popolo non vide luce di libertà, di benessere, di cultura, di condizioni abitative decenti” e dove i ragazzi sono costretti a vivere sulla strada, unica loro scuola di vita. Uno dei più famosi camorristi fu Ciccio Cappuccio ai cui funerali «accorse gente in maggior numero che se si fosse trattato di un autentico sovrano di corona». Anche in questo caso Ernesto Serao lascia trasparire il suo sentimento di risoluta disistima per i partecipanti a quei funerali che «Dante avrebbe collocato in un nuovo girone e Lombroso avrebbe trovato conferme alle sue teorie riguardanti la personalità fisico-psichica dei delinquenti, osservando quelle facce da far rabbrividire». Un altro segno che connotava il camorrista era il tatuaggio, ritenuto quasi un emblema nobiliare. Il delinquente si sente più importante nel suo ruolo di prevaricazione e di imposizione della sua volontà. Una pagina del testo riporta i tatuaggi più importanti che designavano i differenti gradi della camorra, noti soltanto ai suoi affiliati e a certi strati del popolino. Il libro riporta alla fine gli otto articoli dello statuto della camorra spagnola, redatto a Toledo nel 1420, in cui sono elencate le norme più importanti, tra le quali quella più vincolante di non tra- dire né denunziare mai un affiliato, ma piuttosto affrontare la morte quasi come segno di martirio nel rispetto di un codice d’onore e di lealtà. Ernesto Serao ritiene che, per debellare la camorra o almeno circoscriverla nei suoi nefasti effetti sociali, occorre coinvolgere tutte le energie sane non solo di Napoli, ma di tutta la nazione. Le istituzioni devono vigilare soprattutto sui giovani detenuti nei carceri per minorenni, nonché sul fenomeno del vagabondaggio, del contrabbando e di altre attività illecite. È necessario prevenire aprendo numerose scuole, perché solo la cultura dischiude la mente a interpretare la realtà con razionalità ed equilibrio, a rendere l’uomo consapevole dei suoi diritti e doveri e a considerare la prepotenza e lo sfruttamento dei disvalori presenti solo in individui amorali, refrattari alle norme di umanità e di educazione. Questo libro di Ernesto Serao ha avuto il merito di anticipare molte teorie sul fenomeno della camorra da lui ritenuta “pietra infernale della civiltà” e “piovra Ischia tra sogni e bisogni L’Isola Verde nel cinema e nell’immaginario di Luigi Caramiello e Marianna Sasso Edizioni della Meridiana, prefazione di Gerardo Ragone, aprile 2009. «In questo bel libro su Ischia e sul suo sviluppo turistico – scrive Gerardo Ragone nella Prefazione - Caramiello e Sasso indagano il modo attraverso il quale il mondo della cinematografia ha messo in moto e lungamente sorretto la trasformazione dell’isola verde, rurale e povera, in un moderno distretto turistico. Si tratta di una vicenda storica e sociologica che forse non è mai stata investigata con tanta attenzione e dovizia di particolari. Al cui centro vi è, appunto, l’industria cinematografica: non solo nel senso di avere attirato sull’isola notevoli capitali, ma anche in quanto portatrice di una cultura imprenditoriale fino a quel momento sconosciuta a Ischia, come d’altronde nella gran parte del Mezzogiorno. Un’industria che scuote il torpore tradizionale della comunità, che attenua le resistenze all’innovazione nei costumi e nelle abitudini di vita, e che crea nuove aspettative in una popolazione fino a quel momento povera e spesso rassegnata. In altre località turistiche nostrane, altri fattori esogeni hanno favorito questo passaggio dalla comunità rurale all’economia turistica. Mentre a Ischia la grande trasformazione la produsse l’industria del cinema, a Maratea, ad esempio, questo ruolo lo svolse il settore tessile, così come a Ponza fu, probabilmente, anche la lunga presenza di confinati politici a favorire lo sbocco dell’economia locale verso il turismo. C’è però una significativa differenza tra questi vari eventi di trasformazione socioeconomica, essa è rappresentata dal fatto che, essendo, quella del cinema, non una qualunque attività produttiva, ma un’industria con un elevatissimo riverbero nella moda, nel costume collettivo, cioè con un’altissima capacità evocativa e comunicativa, a livello di massa, l’isola verde ha goduto del notevole vantaggio di poter contare, per lunghi anni, su un apparato assai potente di promozione dell’immagine, un vero e proprio attrattore di turisti e viaggiatori. In effetti, si era già embrionalmente formata, a poco a poco nei secoli - scrivono gli autori in riferimento alla relativa notorietà di cui l’isola pure godeva in passato - un’immagine fertile, una dimensione della memoria. Insomma, è anche a causa della sua antica storia, della sua mitica tradizione, della sua fascinazione in campo letterario, che Ischia attrae il mondo del cinema, ma d’altra parte è proprio questo mondo ad aprire all’isola verde, molto meglio e molto più rapidamente di quanto non abbiano fatto altri tipi di eventi in altri luoghi, la strada dello sviluppo turistico». Non manca un repertorio dei film girati sull’isola, in alcuni dei quali il nome Ischia compare già nel titolo ed in cui dai mille tentacoli” e che recentemente sono state ribadite da scrittori come Roberto Saviano che ha conferito voce e ascolto a coloro che ne parlano con coraggio e senza reticenze e il professore inglese Tom Behan dell’università di Kent, autore de Il libro che la camorra non ti farebbe mai leggere, secondo il quale solo una risposta di massa può battere i clan e affermare i principi della legalità e della trasparenza civile e morale. Nicola Luongo il territorio ha un ruolo fondamentale, presente dall’inizio alla fine; in altri sono soltanto alcune vicende che vi si svolgono marginalmente. Fu soprattutto il periodo in cui fu preponderante la partecipazione di Angelo Rizzoli per lo sviluppo turistico a caratterizzarsi sotto l’aspetto cinematografico, anche perché qui confluiva il mondo degli attori, delle attrici, dei registi. Un contesto che poi continuò per alcuni anni anche con il Premio intitolato a Rizzoli, di cui si parla nel libro, con film proiettati, ad ingresso libero, nelle varie sale e con una assegnazione popolare alla migliore proiezione. Peraltro c’è da dire che in epoca passata non c’erano molta attenzione e interesse specifico per la localizzazione, come si evidenzia dalla lettura di qualsiasi riassunto delle trame, in cui è difficile trovare riferimenti specifici ai luoghi. *** La Rassegna d’Ischia 3/2009 55 Ferrante d'Avalos e Vittoria Colonna in «Les Dames galantes» di Pierre Brantôme di Giovanni Castagna Pierre de Bourdeille, detto Brantôme, in una delle sue opere, «Les Dames galantes», riporta una fra le tante avventure amorose di Ferrante d’Avalos e, in un’altra sezione dell’opera, accenna a Vittoria Colonna. Tutte le opere di Brantôme furono pubblicate per la prima volta nel 1655 molto tempo dopo la sua morte (1614). Pochissime le traduzioni in italiano de «Le Dame galanti» e una delle prime, se non la prima, fu quella di Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea de Chirico, fratello di Giorgio (1). Nel presentare la sua traduzione Savinio definisce «Le dame galanti» l’opera più significativa di Brantôme: «Per il carattere, essa opera, vastissima e ciclica, di grande interesse per la storia del secolo XVI si può qualificare un trattato naturalistico dell’amore» e lamentava che «fossero state relegate in certo sconfinamento cauteloso che puzza di clandestino e di turpe». Ne metteva, fra l’altro, in risalto «gli ammaestramenti di arguzia, di malizia e d’ironia che vi si trovano». Nel secondo discorso, Brantôme riporta l’avventura di Ferrante d’Avalos, avventura che gli era stata raccontata a Milano (2). Sembra che il marchese di Pescara si fosse innamorato d’una bellissima signora, moglie di un nobile di grado inferiore al suo; altri, invece, sostenevano che fosse la moglie del suo maggiordomo. Un mattino, pensando che il marito fosse assente, le fece visita e la trovò ancora a letto, ma ottenne soltanto di poterla contemplare a suo agio appena velata d’un finissimo lenzuolo e di sfiorarla con la mano. All’improvviso giunse il marito e il marchese non ebbe il tempo di ritirare il guanto che si era perduto fra le lenzuola. Scambiate poche parole, il marito lo accompagnò alla porta e, ritornato nella camera, scoprì il guanto, che la moglie non aveva visto, lo prese, lo strinse, guardò freddamente la moglie e, da quel giorno «demeura longtemps sans coucher avec elle ni la toucher». Ed un giorno, sola nella sua stanza, la dama scrisse questa quartina: Vigna era, vigna son. Era podata, or più non son; 1) Edita a Roma nel 1937 dall’editore Formiggini e ripresentata al pubblico italiano nel 1967 dagli editori Avanzini e Torraca, con la traduzione di Savinio, riveduta e annotata da G. Balzi e le illustrazioni della prima edizione dovute a Mario Vellari Marchi. 2) Brantôme, Les Dames galantes, Préface de Paul Morand, texte établi par Pascal Pia, Gallimard, Collection Folio Classique, r. 1260, 56 La Rassegna d’Ischia 3/2009 E non so per qual cagion Non mi poda il mio patron. Lasciò questo scritto sul tavolo. Il marito lo lesse, prese la penna e scrisse la risposta, lasciandola, a sua volta, sul tavolo: Vigna eri, vigna sei. Eri podata, e più non sei. Per la granfa del leon, Non ti poda il tuo patron. Le due quartine furono portate, non sappiamo da chi, a Ferrante d’Avalos, il quale vi aggiunse una quartina di risposta e inviò il tutto al marito della dama: A la vigna che voi dite Io fui, e qui restai; Alzai il pamparo; guardai la vite; Ma, se Dio m’ajuti, non toccai. Il marito, spogliandosi dei sospetti, fu soddisfatto di questa risposta e riprese a coltivare la vigna come prima. Brantôme conclude «ci sono dame, che si compiacciono di loro stesse, si guardano e si contemplano nude tanto che vanno in estasi, come Narciso, scoprendosi così belle. Cosa possiamo fare noi, vedendole e contemplandole?» Anche nel primo capitolo (Delle dame amorose e dei mariti becchi) Brantôme parla di Ferrante d’Avalos, rivelandoci che, venuto a conoscenza della congiura tramata da Carlo Gesualdo, principe di Venosa, marito di Maria d’Avalos, cercò di avvertire lei e il suo amante, ma invano: i due furono trucidati. «Se a costui» (al marchese di Pescara), scrive Brantôme, «dopo un qualunque dei suoi molti amori, fosse toccata simile sorte, a quest’ora sarebbe nella tomba già da molti anni» (3). Vittoria Colonna viene ricordata nel capitolo, in cui Brantôme parla di quelle donne nel cui cuore regna l’ambizione di dominare, di regnare e di comandare e cercano di soddisfarla con ogni mezzo. Come esempio contrario cita appunto la marchesa di Pescara, facendo riferimento alla lettera inviata al marito, nella quale protestava «ch’ella non desiderava punto essere moglie di re, ma di quel gran Capitano che, in pace e in guerra, col suo valore saputo havea vincere i Re» (4). 3) Ibidem, pp. 37-38. 4) Ibidem, pp.410-411. Brantôme cita un brano del testo della lettera di Vittoria Colonna in spagnolo e, in nota, si fa riferimento a Valles, Historia del fortissimo y prudetissimo capitan don Hernandez de Avalos, Marques de Pescara, Anvers 1570. «Cette femme», afferma Brantôme, «parloit d’un grand courage, d’une grande vertu et de verité en tout: car de regner par un vice est fort vilain et de commander aux royaumes et aux rois par la vertu est très beau.» A questo episodio, peraltro, fa anche riferimento Honoré de Balzac in «La cousine Bette»:«Supposez madame Marneffe vertueuse!… vous avez la marquise de Pescaire! Ces grandes et illustres femmes, ces belles Diane de Poitiers vertueuses, on les compte» (5). Sembra, del resto, che Balzac avesse una profonda ammirazione per Vittoria Colonna. In questi ultimi tempi, purtroppo, la «Divina marchesa» ha subito non pochi attacchi per quanto concerne la sua salute, la sua femminilità e la sua castità. Romeo de Maio sostiene che si negava al marito, come traspare dai suoi scritti «sotto veli poetici», non perché fosse frigida, ma perché affetta da sifilide, malattia che spiegherebbe la sua poesia coniugale «come eccesso di nevrastenia», secondo Francesco Galdi. Perché poi soltanto la poesia coniugale? (6) Vi sono, è vero, alcuni versi da cui sembra trasparire che la grande passione fra di loro e di cui spesso si favoleggia non sia affatto esistita. (La ragion) Ella d’un saldo laccio il cor m’avvolse non fur i sensi semplici e leggieri; (7) il nostro casto e vero parrebbe forse amor falso e leggiero, (8) e forse grida troppo quel suo grande amore per crederlo sincero Chi può troncar quel laccio che m’avinse? Se Ragion porse il stame, Amor l’avolse, né Sdegno il rallentò, né Morte il sciolse, la Fede l’annodò, Tempo lo strinse. (9) Situa, d’altra parte, ad un livello superiore l’amore che prova per il marito morto rispetto a quello che forse provava quando lo sposo era ancora in vita. Si legga il sonetto «Questo nodo gentil che l’alma stringe» (10) con quell’affermazione nel verso finale: «quest’amor d’ora è ‘l fermo, il buono e ‘l vero», affermazione che, implicitamente, contiene, se non una condanna, almeno una svalutazione dell’altro amore: un amore, quindi, traspor5) H. de Balzac, La Cousine Bette, Gallimard, Folio classique n°138, pag 317. 6) Vittoria Colonna, Rime amorose, prefazione di Romeo di Maio, Valentino Editore | Il Tirso,2001, pp. 6-7. 7) Vittoria Colonna, Rime a cura di Alan Bullock, Roma-Bari, 1982, A1, 66,5-6, p.36 8) Ibidem, A1 62,6-7, p. 34. 9) Ibidem, A1,10 1-4, p. 8. 10) Ibidem, A1, 31,p. 18. tato al di fuori dell’alienazione passionale, cristallizzando sull’essere ch’ora ama, forse perché assente, tutte le virtù in un’accumulazione di giudizi estetici e morali. Nunzio Albanelli vede in lei un’androgina, esitando, a quanto sembra, tra «monstrum ex viro et femina construens» e «virago, femina animum virilem agens» (11). Perfino la sua tanto lodata fama di castità, di donna fedele, viene messa in dubbio. Jean–Noël Schifano, nelle sue «Chroniques napolitaines», parlando delle amanti del cardinale Pompeo Colonna, scrive: ««Una di loro fu la delicata e casta amica di Michelangelo che l’enorme genio adorava senza poterla stringere, la Divina, la marchesa di Pescara, Vittoria Colonna, eterea Egeria per tutti, vase de chair acharné à l’amour pour son cousin le Cardinal[…]». Da notare come viene caratterizzata la «Divina»: «vase de chair», la parte per il tutto e, per usare una parola dotta d’uso scientifico, diventa solo «pudendum muliebre» (12). Gaia Servadio, ne «il Rinascimento allo specchio», le trova un altro amante, Galeazzo di Tarsia sempre celebrato come il suo «castissimo amante»: «Vittoria era una donna del Rinascimento, età in cui l’adulterio era frequente soprattutto tra persone delle classi alte, e Galeazzo era un uomo con cui era possibile comunicare e discutere, per chi avesse oltre alla sua ammirazione, un’affinità di interessi con lui. Il fatto che fosse più giovane, poi, deve avere stimolato gli istinti materni frustrati di Vittoria» (13). La scrittrice parla di adulterio che, secondo lei «allora era frequente» (solo allora?), il povero Ferrante era, quindi, ancora vivo, perciò l’adulterio dovette avvenire prima del 1525, specificando, inoltre, che «fosse più giovane di lei», dobbiamo pensare che si tratti del secondo Galeazzo, nato nel 1520. Un papa avrebbe tanto voluto bruciarla sul rogo per eresia, eresia tutta da dimostrare, la signora Servadio ce la manda per «détournement de mineur». Il titolo di donna fedele era caro a Vittoria, ma pur proclamandolo usa un «forse», sapendo che quella sua fedeltà per un uomo che poi non aveva tanto amato era uno scandalo per il suo tempo e per i tempi futuri: forse avrò di fedele il titol vero, caro a me sovr’ogn’altro eterno onore. (14) 11) Nunzio Albanelli, Vittoria Colonna e il suo mistero, prefazione di Giovanni Castagna, Valentino Editore, 2003. 12) Jean-Noël Schifano, Chroniques napolitaines, Gallimard, Collection Folio, n° 2008, p.46 13) Gaia Servadio, Il Rinascimento allo specchio, Salani Editore 2007, p.82. Per quanto concerne Vittoria Colonna in «Rinascimento allo specchio», si veda anche: «Vittoria Colonna, più fiction che vita» di Tobia R. Toscano in «Corriere del Mezzogiorno» del 2308-2008, p. 19. 14) Vittoria Colonna, Rime a cura di Alan Bullock. o.c. A2,29,1011, p.70. La Rassegna d’Ischia 3/2009 57 Ischia Global Film e Music Fest La settima edizione dell’Ischia Global Film & Music Fest, si svolgerà dal 12 al 19 luglio 2009. Dopo l’omaggio all’universo indiano (2003), all’analisi del fenomeno Cina (2004), all’esaltazione dell’industria artistica Russa (2005), all’operazione Germania (2006), al progetto Brasile (2007), al focus sul Giappone (2008), quest’anno sarà in primo piano la cinematografia del Sud Africa, in virtù della progressiva crescita dei suoi talenti e del loro inserimento nel tessuto dello showbiz. L’iniziativa 2009 presenterà numerose novità nell’arte, nello spettacolo e nella comunicazione audiovisiva grazie ad attività artistiche che faranno tendenza nell’industria e nel costume coinvolgendo i media globali. Il programma si articolerà attraverso: anteprime di film, cortometraggi, video-clip e spot e anche premiazioni, riflessioni e performance artistiche live, che consolideranno il forte legame tra le star globali e gli operatori dell’industria e dei mass-media al fianco dei giovani italiani. I numerosi incontri con artisti, registri e produttori, nel corso di forum, convegni e conferenze stampa, apriranno una finestra sulla società internazionale in generale, e su quella sudafricana in particolare, che valorizzerà le realtà culturali globali in un palcoscenico unico come l’Isola Verde e l’intero golfo di Napoli. A completamento delle attività culturali saranno allestite Ischia - Eventi 2009 Ischia Ponte - Piazzale delle Alghe 31 maggio DEFILE’ DI ABITI DA SPOSA a cura della RADIOSA S.p.A. (Aprilia-LT) ore 21,00 Presenta Ramona Badescu Ischia 5-11 Luglio ISCHIA FILM LOCATION FESTIVAL - 7a Ed. a cura dell’Associazione Art, Movie & Music. Un evento cinematografico internazionale che attribuisce un riconoscimento artistico alle opere audiovisive, ai registi, ai direttori della fotografia ed agli scenografi che hanno maggiormente valorizzato location italiane ed internazionali sottolineandone i paesaggi e l’identità culturale. Il progetto, nato nel 2003 da un’idea del Direttore Artistico Michelangelo Messina, mira altresì a favorire una sinergia tra le produzioni audiovisive ed il territorio, non solo per scopi commerciali, ma anche per salvaguardare e promuovere l’identità dei luoghi, la cultura e le bellezze del territorio. Ischia 20-26 Luglio 77a Edizione della Festa a Mare agli Scogli di Sant’Anna - Programma in allestimento 58 La Rassegna d’Ischia 3/2009 mostre fotografiche sul tema del cinema in generale e sudafricano in particolare. Sarà, tra l’altro, onorato il mito di Mina con una rassegna dei suoi film conservati dal Centro Sperimentale di Cinematografia, presentati dall’amico di sempre Tony Renis, e con una serata d’onore in stile anni ‘60. «È un’ idea entusiasmante, alla quale sto lavorando con passione – racconta Renis –, sarà un omaggio solare e originale alla grande Mina, alla quale mi uniscono ricordi indimenticabili di quegli anni». L’Ischia Global Fest lancia quindi un’altra grande iniziativa che coniuga cinema, grande musica e l’atmosfera magica di Ischia, l’isola che fece da sfondo a tanti “musicarelli” di quegli anni. Nei luoghi del festival Mina girò con Modugno il film “Appuntamento a Ischia” (1960). Ma la musica di Mina ha anche ispirato o accompagnato capolavori della cinematografia mondiale come “Rocco e i suoi fratelli” (1960) di Luchino Visconti, “La ragazza con la valigia” (1961) di Valerio Zurlini, “L’eclisse” (1962) di Michelangelo Antonioni e, più avanti con gli anni molti film di Pedro Almodovar. Sede della serata d’onore sarà il Piazzale delle Alghe, ai piedi del Castello Aragonese di Ischia Ponte, che ha già ospitato lo storico tributo a Pavarotti. Ischia Global Fest prodotto da Pascal Vicedomini è promosso dall’Accademia Internazionale Arte Ischia con l’Ente Provinciale per il Turismo di Napoli e il sostegno della Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e per le Attività Culturali. Ischia 13-30 Agosto ISCHIA EXPO 2009 Mostra Mercato del mobile e dell’arredamento. La fiera degli eventi, dello shopping e dell’estate ischitana. Negli anni, Expo Ischia, è riuscito a catalizzare l’attenzione dei tanti ospiti dell’isola con eventi di grande richiamo. Ogni anno cresce il cartellone degli eventi. Ischia 25-26 Agosto CORTEO STORICO DEL COSTUME ISCHITANO A cura della Proloco Sant’Alessandro. In occasione della Festa di San’Alessandro anche quest’anno si dipanerà per le strade del centro cittadino un corteo di centinaia di figuranti in costume storico dalla Magna Grecia ai Romani, al Rinascimento, ai Borboni etc Ischia (Parrocchia di S.Maria delle Grazie in S.Pietro) 1-8 Settembre 21a Edizione SETTEMBRE SUL SAGRATO - Programma in allestimento Ischia 6-10 Settembre ISCHIA JAZZ FESTIVAL 11a Ed. - Programma in allestimento *** segue dalla pagina 4 di copertina DAS HOTEL „CASA ROSA“ Der gesamte rosafarbene Komplex gehört zum 3-Sterne-Hotel „Casa Rosa“. Das 60-Zimmer-Haus hat einen Privatstrand, Tennisplätze, Pool und Fitness-Center L’Hotel „Casa Rosa“ Tutto il complesso rosa appartiene all’Hotel a tre stelle „Casa Rosa“. La Casa con 60 stanze ha una spiaggia privata, campi da tennis, piscina e un Centro Fitness. DIE ANTIKEN THERMEN Im Herzen der Bucht, 300 Meter ober- halb des Strandes, liegt „Cavascura“, ein 2000 Jahre altes Thermalbad, erbaut von den Römern. Es gibt Wasserfälle, natürliche Saunen und die 90-Grad-Quelle, die dem Berg entspringt Le antiche Terme Nel cuore della baia, a 300 metri sopra la spiaggia, si trova Cavascura, un bagno termale costruito dai Romani, che risale a 2000 anni addietro. Ci sono cascate, saune naturali e sorgenti a 90 gradi che sgorgano dal monte. DIE BUCHT Angela Merkel urlaubt auf der Sonnenseite in Sant’Angelo, im Süden der Insel, oberhalb der Maronti-Bucht. Der 2,3 Kilometer lange Kieselsteinstrand, einer der schönsten der Insel, erstreckt sich von der Punta della Signora bis zum Kap Sant’ Angelo La baia Angela Merkel trascorre le vacanze nella parte esposta al sole di Sant’Angelo, a sud dell’isola, sopra la baia dei Maronti. La spiaggia di chiaia lunga 2,3 km, una delle più belle dell’isola, si estende dalla Punta della Signora fino a Capo Sant’Angelo. DIE HEISSEN QUELLEN „Fumaroli“ nennen die Italiener die Quellen am Strand, in denen man sogar Kartoffeln garen kann. Vulkanischer Dampf tritt aus dem Strand aus (Foto), erhitzt den Sand auf 100 Grad. An der Stelle ist das kalte Wasser – das Meer hat gerade mal 14 Grad – etwas wärmer Le sorgenti calde Gli italiani chiamano fumarole le sorgenti sulla spiaggia, nelle quali si possono persino cuocere le patate. Un vapore vulcanico esce dalla spiaggia, riscalda la sabbia fino a 100 gradi. Sul posto l’acqua fredda – il mare talvolta raggiunge appena 14 gradi – è un po’ più calda. DIE MERKEL-VILLA Die „Villa Margherita“ schmiegt sich unterhalb der Straße an den Hang, von dem aus der Fotograf die Maronti-Bucht fotografierte, die Angela Merkel und Joachim Sauer von ihrem Zimmer aus sehen. Was sie für die Villa mit Terrasse und Garten bezahlen, halten die Vermieter Linda und Alberto geheim. Ihnen gehört auch das 4-Sterne-Hotel „Miramare“ auf Ischia, in dem Frau Merkel und Herr Sauer viele Jahre Stammgast waren La Villa di Merkel La „Villa Margherita“ si trova sul versante sottostante la strada, da cui il fotografo ha ripreso la baia dei Maronti, che Angela Merkel e Joachim Sauer vedono dalla loro camera. Quanto paghino per la Villa con terrazzo e giardino, i proprietari Linda e Alberto lo tengono segreto. A loro appartiene anche l’albergo a 4 stelle „Miramare“ di Ischia, dove la Signora Merkel e il Signor Sauer furono ospiti abituali per molti anni. Der Fischer Domenico (61) ist wie sein Vater Fischer auf Ischia. Er sagt: “Signora Merkel kaufte bei mir schon morgens um 7 Uhr Fisch, den sie später in ihrer Villa zubereitet hat”. Welche Sorte? “Ich weiss nicht mehr; ich verkaufe das ich gerade fange, das Kilo kostet 30 Euro”. Il pescatore Domenico (61 anni), come suo padre, fa il pescatore a Ischia. Dice: „La Signora Merkel ha comprato da me la mattina del pesce che ha preparato poi nella sua Villa“. Che tipo di pesce? „Non lo so più. Io vendo quello che prendo, al costo di 30 euro al chilo. „Lo Scoglio“ In „Lo Scoglio“ isst das Paar oft on zu Mittag. Wirt Ernesto (59) erzählte BamS-Reporterin Sonja Mulitze, dass der Lieblingsplatz der Kanzlerin ein Ecktisch am Fenster sei. Lieblingsgericht gegrillter Fisch mit Salat (20 Euro). Dazu trinkt das Paar Wasser und Weisswein. Il ristorante „Lo Scoglio“ La coppia pranza spesso allo „Scoglio“. Lo chef Ernesto (59 anni) ha riferito alla fotografa Sonja Mulitze di Bild am Sonntag che il posto preferito della cancelliera è un tavolo in un angolo vicino alla finestra. Piatto preferito: pesce alla griglia con insalata (20 euro). La coppia beve acqua e vino bianco. Angela Merkel und ihr Mann Joachim Sauer spazieren an Ostersamstag im Maronti-Strand. Über ihre Urlaubsvorlieben sagte die Kanzlerin eimal: „Wir verbringen unseren Urlaub grundsätzolich lieber in der Natur als in der Stadt. Mich faszinieren wilde Landschraften“. Angela Merkel e suo marito Joachim Sauer passeggiano sulla spiaggia dei Maronti il sabato di Pasqua. Una volta la cancelliera ha detto a riguardo delle sue preferenze per le vacanze: „Noi preferiamo trascorrere le nostre vacanze essenzialmente nella natura piuttosto che in città. Mi affascinano i paesaggi selvaggi“. Sant'Angelo e i Maronti su Bild am Sonntag (19 aprile 2009) - La baia della Cancelliera Was Sie hier sehen, sah die Kanzlerin von ihrer Ferienvilla auf Ischia. 8 Tage lang machten Angela Merkel (54) und Joachim Sauer (60) bei rund 20 Grad. Osterurlaub in der Maronti-Bucht. Seit mehr als 10 Jahren reist das Paar im Frühjahr auf die Inseln im Golf von Neapel. Ischia ist 32 Kilometer von Neapel entfernt. Die Autofähre braucht 90 Minuten, das Tragflächenboot 49. Die Insel ist 10 Kilometer lang und 7 Kilometer breit und hat 62.000 Einwohner. An diesem Wochenende wird die Kanzlerin wieder in Deutschland erwartet - ihr Mann feiert heute seinen 60. Geburtstag. Quello che si vede qui lo ha visto la cancelliera dalla sua Villa per le vacanze a Ischia. Angela Merkel (54 anni) e Joachim Sauer (60 anni) hanno trascorso 8 giorni per le vacanze pasquali nella Baia dei Maronti con circa 20 gradi di temperatura. Da più di dieci anni la coppia si reca, a primavera, sull’isola del golfo di Napoli. Ischia dista 32 km da Napoli. I traghetti impiegano 90 minuti, gli aliscafgi 49. L’isola è lunga 10 km e larga 7, ed ha 62.000 abitanti. La cancelliera è attesa di nuovo in Germania in questo fine settimana - suo marito oggi festeggia il suo compleanno. DIE THERME Heißes Wasser machte Ischia berühmt. Rund 200 Quellen sprudeln auf der Insel. Während ihres Osterurlaubs besuchte die Kanzlerin mehrmals die Aphrodite-Apollon-Thermalgärten, die zum 4-Sterne-Hotel „Miramare“ gehören. Tagesticket: 25 Euro. Zu der Anlage gehören zwölf Thermalschwimmbecken, Naturgrotten-Sauna, Wellness- und Beauty-Center (eine Anti-Stress-Behandlung kostet 70 Euro, eine Lifting-Behandlung 65 Euro) Le Terme L’acqua calda ha reso famosa Ischia. Sull’isola sgorgano circa 200 sorgenti. Durante le sue vacanze pasquali, la cancelliera ha visitato più volte i giardini termali Aphrodite-Apollon che appartengono all’albergo a 4 stelle „Miramare“. Biglietto per una giornata 25 euro. All’impianto appartengono anche dodici piscine con acqua termale, grotte naturali per sauna, centro di benessere e beauty (un trattamento anti stress costa 70 euro, un trattamento lifting 65 euro). continua all'interno - pagina 59