Document 6554866
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIV n. 232 (46.774) Città del Vaticano sabato 11 ottobre 2014 . Appello dei padri sinodali per la pace in Iraq, in Siria e in tutto il Medio oriente I raid aerei non fermano l’offensiva dell’Is Vicini alle famiglie vittime di conflitti Ankara esclude di intervenire da sola in territorio siriano Vicinanza alle famiglie che soffrono a causa dei conflitti, in particolare a quelle della Siria, dell’Iraq e di tutto il Medio oriente, è stata espressa dai padri del Sinodo dei vescovi nel seguente messaggio reso noto venerdì 10 ottobre. Riuniti attorno al Successore dell’Apostolo Pietro, noi Padri sinodali della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, insieme a tutti i partecipanti, condividiamo la paterna sollecitudine del Santo Padre, esprimendo profonda vicinanza a tutte le famiglie che soffrono a causa dei numerosi conflitti in corso. In particolare, eleviamo al Signore la nostra supplica per le famiglie ira- chene e siriane, costrette, a causa della fede cristiana che professano o dell’appartenenza ad altre comunità etniche o religiose, ad abbandonare tutto e a fuggire verso un futuro privo di ogni certezza. Con il Santo Padre Francesco ribadiamo che «nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza» e che «uccidere in nome di Dio è un grande Intervista al cardinale segretario di Stato Non bisogna rassegnarsi «Non dobbiamo dimenticare, non dobbiamo rassegnarci». È questo l’appello lanciato in un’intervista all’O sservatore Romano dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, di fronte alle tragiche notizie che continuano a pervenire dalle aree di conflitto nel Medio oriente e in particolare dalle zone colpite dall’offensiva del cosiddetto Stato islamico, con centinaia di migliaia di persone perseguitate a causa della loro fede. Con l’ottava congregazione di giovedì pomeriggio 9 ottobre — dedicata al tema «La Chiesa e la famiglia di fronte alla sfida educativa» — si è conclusa la fase del dibattito generale, durante la quale sono stati pronunciati 180 interventi programmati, ai quali vanno aggiunti gli 80 svolti nella discussione libera. Nella nona congregazione di venerdì mattina, invece, i padri hanno ascoltato le testimonianze degli uditori e delle uditrici. Hanno preso la parola venti laici e un sacerdote impegnato nella pastorale familiare. Al termine si sono riuniti per la prima volta i dieci circoli minori suddivisi per aree linguistiche (tre per l’inglese, tre per l’italiano, due per il francese e due per lo spagnolo) che hanno eletto i loro moderatori. PAGINA 3 PAGINA 8 DAMASCO, 10. La richiesta turca di costituire una zona cuscinetto e di non volo al confine con la Siria non ha trovato spazio nei colloqui di ieri ad Ankara del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Al tempo stesso, il Governo turco ha escluso un intervento solo delle sue truppe oltre frontiera a Kobane, dove le milizie peshmerga curde siriane resistono all’offensiva del cosiddetto Stato islamico (Is), un’offensiva che i bombardamenti aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti non riescono a fermare. Stamani sono segnalati violenti combattimenti intorno al quartier generale curdo a Kobane. Sull’ipotesi di costituire una zona di non volo al confine turco siriano c’erano stati alcuni appoggi occidentali, in particolare dalla Francia, ma una sostanziale frenata da parte di Washington. Ieri, però, ad Ankara si sono recati anche l’inviato speciale statunitense per la coalizione contro l’Is, John Allen, e il suo vice, Brett McGurk. Il dipartimento di Stato americano ha riferito di colloqui costruttivi con gli interlocutori turchi, tra cui il primo ministro Ahmet Davutoğlu. Il Governo di Damasco, da parte sua, ha sostenuto che un eventuale intervento turco oltre frontiera, al di fuori di un contesto deciso dal Consiglio di sicurezza dell’O nu, equivarrebbe a un’aggressione. Anche Mosca ha chiarito che ogni decisione deve essere prima approvata dal Consiglio di sicurezza. Al momento, comunque, secondo il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, «non è realistico aspettarsi che la Turchia conduca da sola un’operazione terrestre». A questa scelta si oppongono migliaia di manifestanti, soprattutto curdi, che in Turchia continuano a scendere in piazza per chiedere di portare soccorso ai difensori di Ko- A Gaza la prima riunione del nuovo Governo palestinese Settanta milioni di giovanissime costrette a matrimoni precoci Ricostruzione e riconciliazione Ferite per sempre GAZA CITY, 10. Ricostruzione e riconciliazione: con questi due obiettivi il premier del nuovo Governo di unità palestinese, Rami Hamdallah, si è recato ieri nella Striscia di Gaza. È stata la prima volta dal 2007 che un esponente di Al Fatah con un ruolo governativo ha potuto recarsi nel territorio controllato da Hamas. «Porto al popolo palestinese la speranza nel futuro» ha detto il premier in rappresentanza del presidente Mahmoud Abbas, dopo aver passato il valico di Erez per presiedere la prima riunione del nuovo Esecutivo. Rami Hamdallah ha visitato, con un massiccio apparato di sicurezza, le rovine di Beit Hanun e quelle di Sajaya, due dei luoghi più colpiti dai raid di Israele durante il conflitto di questa estate. Il premier ha poi spiegato che gli obiettivi sono ora la «ricostruzione, la fine dell’assedio alla Striscia, l’apertura di tutti i valichi di Gaza e la messa in opera di un passaggio sicuro» tra y(7HA3J1*QSSKKM( +[!#!"!#!=! sacrilegio!» (Discorso ai leader di altre religioni e altre denominazioni cristiane, Tirana, 21 settembre 2014). Nel ringraziare le Organizzazioni internazionali e i Paesi per la loro solidarietà, invitiamo le persone di buona volontà ad offrire la necessaria assistenza e l’aiuto alle vittime innocenti della barbarie in atto, e allo stesso tempo chiediamo alla Comunità internazionale di adoperarsi per ristabilire la convivenza pacifica in Iraq, in Siria e in tutto il Medio oriente. Parimenti, il nostro pensiero va alle famiglie lacerate e sofferenti nelle altre parti del mondo, che subiscono persistenti violenze. A loro vogliamo assicurare la nostra costante preghiera perché il Signore misericordioso converta i cuori e doni pace e stabilità a quanti ora sono nella prova. La Santa Famiglia di Nazareth che ha patito la «via dolorosa dell’esilio» (Angelus, 29 dicembre 2013) faccia di ogni famiglia, «comunità di amore e di riconciliazione» (ibid.), una sorgente di speranza per il mondo intero. Paolo VI e Duns Scoto maestro di dialogo Un uomo per tutte le stagioni PIETRO MESSA A PAGINA 5 la Striscia stessa e il resto dei Territori palestinesi. L’obiettivo della ricostruzione (l’Ap ha stimato necessaria una somma di circa tre miliardi di euro) è stato sottolineato con forza da Hamdallah in vista anche della conferenza dei Paesi donatori al Cairo il 12 ottobre, alla quale parteciperanno almeno trenta ministri degli Esteri, le delegazioni di cinquanta Paesi, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine Ashton, e il segretario di Stato americano, John Kerry, oltre naturalmente al presidente Abbas e al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Il tema del futuro a lungo termine di Gaza è attualmente sul tavolo degli incontri indiretti con Israele volti a cementare il cessate il fuoco raggiunto oltre un mese fa e a delineare un accordo più complessivo. Hamdallah ha sottolineato tuttavia l’importanza di un rafforzamento della riconciliazione interna palestinese per dare slancio ai negoziati. Nel giugno 2007 gli uomini di Hamas — vincitore delle elezioni palestinesi un anno prima — cacciarono con la forza gli esponenti di Al Fatah dalla Striscia di Gaza, assumendo il completo controllo e aprendo così una lunga fase di scissione amministrativa dei Territori palestinesi. Più volte negli anni Hamas e Al Fatah, spesso con l’aiuto del Cairo, hanno cercato la riconciliazione, ma senza successo. GINEVRA, 10. Ferite per sempre, senza diritti e costrette a ogni forma di abuso: le bambine sono una delle categorie più deboli e discriminate del mondo. Nei Paesi in via di sviluppo circa settanta milioni di bambine sono state costrette a sposarsi in età minorile: i tassi più elevati di diffusione dei matrimoni precoci si registrano nell’Asia meridionale (46 per cento) e nell’Africa subsahariana, che sono le regioni del mondo in cui sono massimamente diffusi altri fenomeni, come la mortalità materna e Una bambina pakistana (Reuters) infantile, la malnutrizione e l’analfabetismo. Sposarsi in età precoce — sottolinea l’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia — comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce, e dunque pericolosa sia per la neomamma che per il suo bambino. Le gravidanze precoci, inoltre, provocano ogni anno 70.000 morti fra le ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni, e costituiscono una quota rilevante della mortalità materna complessiva. Per fermare questa tragica reazione a catena si tiene domani, sabato, la Giornata mondiale delle bambine, promossa dall’Unicef e da altri agenti del settore. A tal proposito, l’organizzazione Change.org — la più grande piattaforma di petizioni on line al mondo — ha lanciato ieri una petizione dal titolo «Se studio non debbo sposarmi a 13 anni: l’istruzione è la nostra unica arma». La povertà, le guerre, le violenze e i matrimoni anticipati — dice l’organizzazione — «impediscono l’accesso all’istruzione a 32 milioni di bambine e ciò significa preparare un mondo di 516 milioni di donne adulte analfabete». Le bambine — si legge ancora nella petizione — «sono il gruppo più marginalizzato e più discriminato del mondo perché subiscono la doppia discriminazione dell’età e del genere». Così impegnarsi perché esse siano in grado di non sottostare a questa violazione, «può voler dire restituire loro il più importante dei diritti». bane. In diverse località è appena trascorsa un’altra notte di scontri tra polizia e manifestanti, con un bilancio di una decina di morti, il che porta il totale dall’inizio dei disordini a oltre trenta. Sulla questione è intervenuto di nuovo anche il Governo iraniano. Il vice ministro degli Esteri, Hossein Amir Abdollahian, ha detto che «dai nostri primi colloqui con la Turchia abbiamo capito che questo Paese non è favorevole all’aggravarsi della crisi nella regione e speriamo che avrà un ruolo positivo». Nel frattempo, la violenza continua a dilagare anche sugli altri fronti di guerra siriani, oltre che su quelli in Iraq. Oltre all'Is, a combattere sono i ribelli siriani di diversa estrazione, sia tra loro sia contro le forze governative siriane, in alcuni casi sostenute dai miliziani sciiti libanesi di Hezbollah. Ieri ci sono stati scontri ad Handarat, a nord di Aleppo, e nella regione meridionale di Dar’ā, mentre fonti dell’opposizione siriana hanno denunciato un bombardamento dell’aviazione governativa che avrebbe provocato ventidue morti, compresi quattro bambini e diverse donne, in un mercato di Arbin, un sobborgo di Damasco. In Iraq, intanto, ieri pomeriggio ci sono stati nove morti e una decina di feriti in un attentato suicida contro le forze di sicurezza a Baquba, area a sessanta chilometri da Baghdad. Nobel per la pace a chi difende i bambini OSLO, 10. Il premio Nobel per la pace è stato assegnato all’indiano Kailash Satyarthi e alla pakistana Malala Yousafzai, un indu e una musulmana, «per il loro comune impegno a favore dei diritti dei bambini e contro l’estremismo». È quanto si legge nel comunicato del comitato norvegese che assegna il prestigioso riconoscimento. Malala, 17 anni, è la più giovane a ricevere un Nobel, in 114 anni di storia del premio. Nel 2012 rimase vittima di un attentato dei talebani in Pakistan per il suo impegno a favore del diritto all’istruzione delle bambine. Meno conosciuto a livello internazionale, Kailash Satyarthi, 60 anni, è stato promotore di diverse iniziative — tutte pacifiche — per denunciare il grave sfruttamento dei bambini a fini economici. E ha anche contribuito alla definizione di importanti convenzioni internazionali per tutelare i diritti dei più piccoli. NOSTRE INFORMAZIONI Nomina di Vescovo Coadiutore Il Santo Padre ha nominato Vescovo Coadiutore della Diocesi di Beja (Portogallo) il Reverendo Canonico José João dos Santos Marcos, del clero di Lisboa, finora Direttore Spirituale dei Seminari Maggiori «Cristo Rei» e «Redemptoris Mater» nel Patriarcato di Lisboa. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 11 ottobre 2014 Si moltiplicano i timori per casi sospetti fuori dall’Africa occidentale Si diffonde l’allarme ebola In Liberia rinviate per il rischio di contagio le elezioni per il Senato MONROVIA, 10. L’allarme per l’ebola si diffonde in tutto il mondo, mentre la virulenza dell’epidemia non sembra scemare in Africa occidentale, dove i morti sono ormai oltre quattromila e dove conseguenze anche politiche — in Liberia sono state rinviate a data da destinarsi le elezioni Cruento attacco ai caschi blu nella Repubblica Centroafricana BANGUI, 10. La violenza non si allontana dalla Repubblica Centroafricana e ha provocato altre vittime nelle ultime ore. Un casco blu della Minusca, la missione dell’Onu, è stato ucciso e otto suoi commilitoni feriti in un agguato a un loro convoglio teso oggi da un gruppo armato non identificato alla periferia della capitale Bangui, nel distretto cosiddetto Pk11, già teatro negli ultimi mesi di cruenti scontri tra le milizie che si combattono nel Paese. Il casco blu ucciso era un ufficiale pakistano, mentre i feriti appartengono ai contingenti del Bangladesh e appunto del Pakistan. Secondo quanto riferito dalla missione dell’Onu, uno di loro è in gravi condizione, mentre gli altri non sono in pericolo di vita. La Minusca, il cui dispiegamento in sostituzione di una precedente missione dei Paesi dell’area è stato deciso lo scorso aprile con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, è operativa dal 15 settembre e conta di 12.000 tra soldati e poliziotti. Né i caschi blu dell’Onu, né la Eufor-Rca, la missione dell’Unione europea, né il contingente inviato autonomamente dalla Francia, sono comunque riusciti finora ad arginare le violenze. Nella stessa Bangui due persone erano state uccise nella notte tra mercoledì e giovedì. Le vittime sono due senegalesi che viaggiavano a bordo di una vettura. Nei giorni scorsi c’erano stati almeno cinque morti negli scontri nella capitale tra le milizie rivali del Paese. A combattersi sono gli ex ribelli della Seleka (alleanza, in lingua locale sango) che nel marzo del 2013 avevano rovesciato con un colpo di Stato il presidente François Bozizè e mesi dopo erano state costrette a lasciare il potere dalle pressioni dei Paesi vicini, e quelle cosiddette antibalaka (Balaka, sempre in sango, significa machete, in riferimento all’arma tipica dei combattenti della Seleka). Le autorità di transizione non hanno per ora fatto alcuna dichiarazione ufficiale su queste violenze, le peggiori avvenute a Bangui dalla fine di agosto, quando erano morte cinque persone in un conflitto a fuoco tra soldati europei del contingente EuforRca e un gruppo di miliziani armati. A frenare le violenze non è valso il varo, il mese scorso, di un nuovo Governo con rappresentanti sia della Seleka sia delle milizie antibalaka. Nelle ultime ore, tra l’altro, Younous Ngardia, consigliere dello stato maggiore della Seleka, ha formalizzato una richiesta di dimissioni della presidente di transizione, Catherine Samba Panza. Nei giorni scorsi a chiedere a Samba Panza di lasciare erano state anche le milizie antibalaka. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va per il Senato fissate per martedì prossimo — si aggiungono alla spaventosa crisi sanitaria, sociale ed economica provocata dal virus. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha avvertito che l’ebola è ormai radicata nelle capitali dei tre Paesi più colpiti, Guinea, Sierra Leone e appunto Liberia, e che la sua corsa sta accelerando. Secondo Bruce Aylward, uno dei responsabili dell’Oms, l’epidemia scoppiata all’inizio dell’anno è stata pericolosamente sottovalutata dalla comunità internazionale, la cui risposta non ha tenuto il passo con la diffusione del virus. La durata dell’epidemia è uno degli aspetti che ne spiegano la pericolosità. Tutte quelle precedenti — a partire da quella registrata nel 1976 in villaggi costieri del fiume congolese Ebola, che dà il nome alla malattia — si erano infatti esaurite nel giro di poche settimane. A giudizio di alcuni esperti, questo dimostra la resistenza del particolare ceppo di ebola che si è diffuso in Africa occidentale, una zona mai colpita prima dalla malattia, e potrebbe rivelare una sua capacità di mutazione. Le autorità sanitarie degli Stati Uniti, dove questa settimana è morto un liberiano arrivato dall’Africa e che aveva sviluppato i sintomi della malattia in Texas, non nascondono di ritenere la minaccia dell’ebola la maggiore da quando si manifestò l’Aids. In questo senso si è espressa ieri, fra gli altri, Sylvia Mathews Burwell, segretario alla Salute, ammonendo che nel Paese potrebbero manifestarsi altri casi. Nelle ultime ore casi sospetti, dopo quelli già accertati in Spagna e in Germania di persone che avevano contratto il morbo in Africa o che avevano avuto contatti con costoro, sono stati segnalati anche in altri Paesi non africani. Per la prima volta, tra l’altro, è accaduto in America latina. In Brasile, infatti, viene tenuto sotto osservazione a Cascavel, nello Stato di Paraná, un uomo di 47 anni tornato il 19 settembre dalla Guinea. A Cipro è ricoverato cittadino del Togo. In Francia, questa mattina, le autorità sanitarie hanno co- municato di ritenere probabile il contagio in una donna parigina finora considerata un caso sospetto. Si è invece rivelato infondato l’allarme a Praga per un uomo d’affari di 56 anni di recente tornato dalla Liberia, ricoverato giovedì scorso con sintomi sospetti e messo in isolamento. Il ministro della Salute, Svatopluk Němeček, ha comunicato questa mattina che il contagio dell’ebola è stato escluso e che l’uomo probabilmente ha la malaria. Anche le autorità dell’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia hanno smentito ieri che l’ebola sia stata la causa della morte di due cittadini britannici nella capitale Skopje. L’albergo nel quale i britannici alloggiavano e nel quale era morto uno dei due e l’ospedale dove era stato ricoverato l’altro erano stati messi in quarantena. Stessa decisione, ieri, è stata presa per un ospedale di Harare, la capitale dello Zimbabwe, distante decine di migliaia di chilometri dall’Africa occidentale, dove si sono registrati sintomi sospetti su un paziente. Controlli all’aeroporto di Los Angeles (Reuters) Un morto e gravi danni Avvertimento dell’Fmi Alluvione a Genova L’Europa sull’orlo della recessione ROMA, 10. Il maltempo torna a colpire pesantemente Genova. A tre anni dall’alluvione del 2011, il capoluogo della Liguria è stato di nuovo travolto dalle piogge torrenziali, che hanno fatto esondare numerosi fiumi e torrenti, tra cui il Bisagno e il Rio Fereggiano. L’acqua ha trascinato via numerose auto parcheggiate e cartelli stradali, allagando completamente la zona dietro lo stadio Ferraris. Al momento si conta una vittima, nella zona di Brignole, con le strade allagate e coperte di fango. Comune e Protezione civile hanno rivolto un appello alla cittadinanza a non uscire di casa e a raggiungete i piani alti. Nel Levante, a Pian dei Ratti, i vigili del fuoco sono intervenuti per liberare una persona rimasta intrappolata in una fabbrica allagata. Altre persone sono state portate in salvo a Prato Officioso, frazione di San Colombano Certenoli, dove è esondato il torrente Lavagna. Abitazioni e magazzini sono finiti sott’acqua nelle frazioni di Micheloni, Maggi e Cogozzale. A Chiavari il fiume Entella ha superato gli argini allagando i giardini della Foce e il sottopasso di via Grotto. A Recco, l’omonimo torrente è tracimato. WASHINGTON, 10. «C’è un serio rischio che la zona euro scivoli nella recessione: ci sono il 35-40 per cento di possibilità». Si è espressa in questi termini, ieri, Christine Lagarde, direttore generale dell’Fmi (Fondo monetario internazionale), intervenendo al summit annuale organizzato dal suo istituto e dalla Banca mondiale a Washington. Tuttavia, Lagarde ha avvertito: «Se saranno attuate le giuste politiche, se tutti i Paesi faranno quello che devono fare, la recessione si potrà evitare». Per questo il Fondo — ha aggiunto — «due anni fa aveva messo in guardia contro i rischi legati a una situazione di bassa inflazione persistente» e adesso auspica che «si faccia di più per contrastare questo fenomeno». Lagarde ha dunque invitato i Paesi Ue ad avviare «politiche di bilancio a favore delle riforma del mercato del lavoro». E le riforme «devono essere specifiche per ogni Paese» e vanno attuate. «Non bisogna solo parlarne». E sempre sulla situazione economica europea è intervenuto il presidente della Bce (Banca centrale europea), Mario Draghi, il quale ha voluto sottolineare come le riforme sul mercato del lavoro debbano rendere più facile per le aziende «assumere giovani, non licenziarli, o almeno non licenziarli così facilmente». L’attuale situazione di disoccu- pazione giovanile — ha spiegato Draghi — è legata alle riforme degli anni 2002, con l’introduzione di nuovi contratti molto flessibili, destinati soprattutto ai giovani. Contratti che «hanno depresso la domanda; con la crisi queste posizioni sono state eliminate». Da qui la necessità, per le riforme del mercato del lavoro, di rendere «più facile per le aziende assumere i giovani». I Governi «hanno un forte incentivo a fare le riforme perché se non le faranno sono consapevoli che spariranno dalla scena politica. Perché non saranno rieletti». Il premier cinese in Europa BRUXELLES, 10. Il primo ministro cinese, Li Keqiang, è partito per un tour europeo di otto giorni, che lo porterà in Germania, Russia e Italia per firmare numerosi accordi finanziari, commerciali ed energetici. Tra gli impegni in agenda ci sono anche le consultazioni con la Germania e l’incontro sui rapporti bilaterali con il primo ministro russo, Dmitry Medvedev. In Italia, Li arriverà martedì prossimo per essere ricevuto dal presidente, Giorgio Napolitano, e dal premier, Matteo Renzi. Prevista anche una visita al quartiere generale della Fao. Venerdì prossimo sarà poi a Milano per partecipare al decimo Un euroscettico a Westminster Strade di Genova invase dalle acque (Ansa) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Carlo Di Cicco vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va LONDRA, 10. Cinque mesi dopo la vittoria alle elezioni europee, l’euroscettico Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) torna a scuotere la scena politica britannica, conquistando, per la prima volta da quando è stato fondato (1993), un seggio nel Parlamento di Westminster. Stando ai risultati diffusi la scorsa notte, il partito di Nigel Farage ha vinto le elezioni suppletive tenute ieri a Clacton-on-Sea, nell’Essex, località sulla costa orientale della Gran Bretagna. Douglas Carswell, ex deputato conservatore Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale (che lo scorso agosto ha abbandonato i Tories del primo ministro, David Cameron accusandolo di indecisione su Europa e immigrazione), ha infatti conquistato il 59,75 per cento dei voti. Nell’altra suppletiva, nella circoscrizione settentrionale di Heywood e Middleton, indetta per rimpiazzare un deputato laburista scomparso di recente, il Labour dovrebbe invece riconfermare il suo seggio. L’Ukip, però, dovrebbe riuscire a conquistare un prezioso secondo posto, battendo anche in questo caso i conservatori. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 vertice Asem (Asia-Europe Meeting). La prima tappa del viaggio sarà Berlino, dove Li si reca per la seconda volta da quando, nel marzo dello scorso anno, si è insediato come primo ministro. La Germania rappresenta il primo partner commerciale della Cina all’interno dell’Unione europea. La visita di Li segue di tre mesi quella compiuta in Cina dal cancelliere tedesco, Angela Merkel. In quell’occasione vennero firmati contratti in diversi settori industriali e per la realizzazione di due nuovi stabilimenti della Volkswagen in Cina. A marzo, invece, si era recato in Germania il presidente cinese, Xi Jinping, che aveva inaugurato la linea ferroviaria per il trasporto merci tra Chongqing e Duisburg. La visita era stata segnata anche dall’accordo tra la Banca popolare cinese e la Bundesbank per fare di Francoforte l’hub europeo per le transazioni finanziarie in yuan, preferendo per questo ruolo la capitale finanziaria della Germania a Parigi e Lussemburgo. Alla vigilia della partenza per l’Europa, Li ha sottolineato l’importanza per Cina e Germania di aprire i rispettivi mercati e di puntare sull’innovazione. In un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco «Die Welt», a firma dello stesso Li, il primo ministro ha rinnovato l’impegno cinese all’apertura del proprio mercato e a ridurre le barriere di accesso per i gruppi stranieri, mentre Pechino ha in corso la ristrutturazione della propria economia che prevede un maggiore ruolo del mercato. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 11 ottobre 2014 pagina 3 Intervista al cardinale segretario di Stato sulla tragica situazione in Medio oriente Non bisogna rassegnarsi Fondamentale il ruolo dei leader religiosi per favorire il dialogo «Non dobbiamo dimenticare, non dobbiamo rassegnarci». È questo l’appello lanciato dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, di fronte alle tragiche notizie che continuano a pervenire dalle aree di conflitto nel Medio oriente, e in particolare dalle zone colpite dall’offensiva del cosiddetto Stato islamico, con centinaia di migliaia di persone perseguitate a causa della loro fede. In un’intervista all’Osservatore Romano, il cardinale Parolin ribadisce l’impegno della Santa Sede a favore delle popolazioni della regione e ricorda come, per discutere della delicata situazione, Papa Francesco abbia indetto un concistoro il prossimo 20 ottobre, a poco più di due settimane dall’incontro dei nunzi apostolici nel Medio oriente convocato in Vaticano. Eminenza, perché un incontro dei rappresentanti pontifici del Medio oriente in Vaticano? Il Santo Padre ha deciso di convocare i nunzi apostolici in Medio oriente per dedicare una riflessione sulla drammatica situazione che da tempo si vive nella regione e per manifestare la vicinanza e la solidarietà, da parte sua e di tutta la Chiesa, verso le persone che soffrono le conseguenze dei conflitti in atto. Particolare attenzione è stata dedicata ai cristiani e agli altri gruppi che sono perseguitati a causa del loro credo religioso, specialmente in alcune zone dell’Iraq e della Siria, da parte del cosiddetto Stato islamico. All’incontro hanno partecipato pure i capi dei dicasteri della Curia romana che hanno responsabilità dirette verso la Chiesa cattolica in Medio oriente. La presenza degli osservatori permanenti della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York e a Ginevra e del nunzio apostolico presso l’Unione europea ha voluto sottolineare la dimensione e le conseguenze internazionali di questo dramma. Questi rappresentanti del Papa danno voce in ambiti multilaterali alla posizione della Santa Sede su diverse questioni e intrattengono continui contatti con i rappresentanti diplomatici di numerosi Paesi. Così è stato possibile un ricco scambio di informazioni e una valutazione della situazione partendo dall’esperienza diretta sul terreno per valuta- re cosa può fare la Chiesa e cosa può essere richiesto alla comunità internazionale e venire incontro alla triste situazione attuale. Un’ulteriore conferma di quanto tutto questo stia a cuore al Santo Padre viene dalla sua volontà di dedicare il concistoro del prossimo 20 ottobre al Medio oriente. Sulla base delle informazioni dei Nunzi cosa può dire delle comunità cristiane e degli altri gruppi che soffrono per la violenza nella regione? Abbiamo ascoltato con commozione e con grande preoccupazione la testimonianza delle atrocità inaudite perpetrate da più parti, ma soprattutto dai fondamentalisti del gruppo denominatosi Stato islamico: le decapitazioni, la vendita di donne al mercato, l’arruolamento di bambini in combattimenti sanguinosi, la distruzione dei luoghi di culto. Ciò ha costretto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case e cercare rifugio altrove in condizioni di precarietà. Sono persone umiliate nella loro dignità e sottoposte a sofferenze fisiche e morali. Al riguardo, i rappresentanti pontifici e i superiori dei dicasteri presenti all’incontro hanno riaffermato il diritto dei profughi di fare ritorno e di vivere in dignità e sicurezza nel proprio Paese e nel proprio ambiente. Si tratta di un diritto che deve essere sostenuto e garantito tanto dalla comunità internazionale quanto dagli Stati di cui essi sono cittadini. Cosa può fare la comunità internazionale? La situazione è veramente complessa. Alla radice dello sradicamento forzato di milioni di persone nel Medio oriente sta una conflittualità violenta e disumana che vede coinvolti apertamente o nella penombra gruppi di mercenari, gruppi non statali, potenze regionali e globali. La scelta della lotta armata, invece del dialogo e del negoziato, moltiplica la sofferenza di tutte le popolazioni coinvolte. La via della violenza porta solo alla distruzione; la via della pace porta alla speranza e al progresso. A più riprese e con iniziative assunte in primo luogo dal Santo Padre — come il suo pellegrinaggio in Terra Santa, la preghiera in Vaticano con i Colpi di artiglieria al 38° parallelo PYONGYANG, 10. Colpi d’artiglieria sono stati sparati oggi tra le forze armate della Corea del Nord e della Corea del Sud lungo il confine. Lo scrive l’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap. Un colpo è stato sparato dall’artiglieria nordcoreana ed è caduto in territorio sudcoreano, dopo che alcuni attivisti di Seoul avevano liberato alla frontiera tra i due Paesi alcuni palloncini con appese scritte anti-Pyongyang. L’artiglieria di Seoul ha immediatamente risposto al fuoco, ha fatto sapere in una nota un ufficiale dello Stato maggiore dell’esercito sudcoreano. Lo scambio di colpi di artiglieria ha avuto luogo mentre la Corea del Nord festeggiava il sessantanovesimo anniversario della fondazione del Partito dei lavoratori, la struttura che, assieme alle forze armate, fa da cassaforte del potere. E alimentando i dubbi e le voci sempre più incontrollate sulla sua sorte, il leader nordcoreano, Kim Jong-un, ha ancora una volta disertato un appuntamento ufficiale. È ormai dal 3 settembre che il numero uno del regime comunista non appare in pubblico. Kim Jong-un — al potere dal 2011, dopo la morte del padre, il «caro leader» Kim Jong-il — non si era mai assentato così a lungo dalle occasioni pubbliche. La nuova mancata apparizione del leader nordcoreano è destinata, quindi, a fare aumentare le voci di una sua grave malattia che, secondo un think tank di intellettuali nordcoreani in esilio, avrebbe portato la sorella minore, Kim Yo Jong, ad assumere, almeno temporaneamente, il potere a Pyongyang. Ufficialmente, si è parlato di una leggera indisposizione, ma la stampa sudcoreana ha ipotizzato disturbi fisici molto più gravi. Presidenti israeliano e palestinese, e i suoi messaggi al mondo intero — la Santa Sede ha ribadito la convinzione provata dall’esperienza che con la guerra tutto è perduto e con la pace tutto è guadagnato. Il primo passo urgente per il bene della popolazione della Siria, dell’Iraq, e di tutto il Medio oriente è quello di deporre le armi e di dialogare. La distruzione di città e villaggi, l’uccisione di civili innocenti, di donne e bambini, di giovani reclutati o forzati a combattere, la separazione di famiglie, ci dicono che è un obbligo morale per tutti tutti dire basta a tanta sofferenza e ingiustizia e cominciare un nuovo cammino in cui tutti partecipino con uguali diritti e doveri come cittadini impegnati nella costruzione del bene comune, nel rispetto delle differenze e dei talenti di ciascuno. Più volte Papa Francesco ha denunciato come il traffico delle armi sia alla base di tutte le guerre. È vero, tristemente. Speculare e guadagnare sulla vita degli altri suscita serie questioni etiche. In un momento di particolare gravità, dato il numero crescente di vittime causate dai conflitti esplosi in Medio oriente, la comunità internazionale deve affrontare la questione. Più le armi diventano disponibili, più facile diviene la tentazione di usarle. Per quanto riguarda il cosiddetto Stato islamico la questione è ancora più grave e bisognerebbe anche prestare attenzione alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche attraverso un più o meno chiaro appoggio politico, nonché tramite il commercio illegale di petrolio e la fornitura di armi e tecnologia. È lecito l’uso della forza per fermare il cosiddetto Stato islamico? Come è stato affermato anche nel comunicato finale, i partecipanti all’incontro hanno ribadito che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale. Quando il Santo Padre, rispondendo a una domanda dei giornalisti ha affermato che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, ha precisato: «Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati». Da parte mia ho vo- luto sviluppare alcune idee al riguardo nel mio recente discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In qualsiasi caso, come è stato ribadito nell’incontro, non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. Esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. La comunità internazionale attraverso le Nazioni Unite e le strutture che si è data per simili emergenze dovrà agire per prevenire possibili genocidi e per assistere i numerosi rifugiati che rischiano una vita di stenti e una morte lenta ma certa. Nel caso specifico delle violazioni e degli abusi commessi dal cosiddetto Stato islamico sembra opportuno che gli Stati della regione siano direttamente coinvolti, assieme al resto della comunità internazionale, nelle azioni da intraprendere, con la consapevolezza che non si tratta di proteggere l’una o l’altra comunità religiosa o l’uno o l’altro gruppo etnico, ma persone che sono parte dell’unica famiglia umana e i cui diritti fondamentali sono sistematicamente violati. Come rispondere alla grave emergenza umanitaria nella regione? È necessaria una rinnovata volontà di solidarietà da parte della comu- E i leader religiosi? I leader religiosi, ebrei, cristiani e musulmani, possono e debbono svolgere un ruolo fondamentale per favorire il dialogo tra le religioni e le culture, e l’educazione alla reciproca comprensione. Inoltre, essi devono denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza. Nel caso concreto del cosiddetto Stato islamico una responsabilità particolare ricade sui leader musulmani non soltanto per sconfessare la sua pretesa di formare un califfato e di denominarsi “Stato islamico”, ma anche per condannare più in genere le pratiche indegne dell’uomo commesse dagli estremisti, come l’uccisione delle persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa. Come ha detto il Santo Padre in Albania: «Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano». Al riguardo vanno rilevate e apprezzate le espressioni di solidarietà con i cristiani e gli altri gruppi che soffrono in Iraq da parte di alcuni leader musulmani e responsabili politici islamici che hanno condannato l’operato dello Stato isla- A Hong Kong torna a salire la tensione HONG KONG, 10. Torna a salire la tensione a Hong Kong dopo che il Governo dell’ex colonia britannica ha cancellato l’incontro, previsto ieri, con i leader del movimento di protesta. Questi ultimi hanno convocato nuove proteste e occupazioni. Già la notte scorsa migliaia di giovani sono di nuovo scesi in piazza, e diverse centinaia sono tornati ad accamparsi nelle aree centrali della città. I colloqui di ieri sono stati cancellati perché — questa la motivazione ufficiale — il Governo riteneva che non avrebbero portato a un risultato costruttivo. Era stato l’annuncio dell’avvio di questo dialogo a far rientrare nei giorni scorsi le proteste e le occupazioni andate avanti per due settimane nel centro di Hong Kong. Carrie Lam, il capo gabinetto del Governo locale che era stato incaricato di condurre i mico. Esse meritano di essere incoraggiate. Come afferma un’importante recente dichiarazione del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso: «La situazione drammatica dei cristiani, degli yazidi e di altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono condannare unanimemente, senza alcuna ambiguità, questi crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli. Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro adepti e i loro capi? Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso ricercato con pazienza in questi ultimi anni?». colloqui con i manifestanti, ha attribuito la responsabilità del fallimento agli studenti che avevano organizzato una manifestazione in contemporanea dell’incontro. Dal canto loro, gli studenti hanno accusato il Governo di «non essere mai stato sincero nel voler ascoltare le preoccupazione del popolo di Hong Kong». Come noto, la protesta a Hong Kong è scattata dopo la decisione del Governo cinese di restringere a una rosa di massimo tre nomi il numero dei candidati eleggibili alla carica di chief executive nelle prossime elezioni previste per il 2017, le prime che si svolgeranno a suffragio universale. Pechino ha inoltre stabilito che le candidature dovranno essere passate al vaglio di un apposito comitato composto da 1.400 persone e anch’esso nominato dal Governo cinese. nità internazionale e delle sue strutture umanitarie per provvedere cibo, acqua, abitazione, educazione per i giovani, assistenza medica, per gli sfollati e rifugiati in tutto il Medio oriente. Le cifre del dramma umanitario sono sconvolgenti. In Siria, ad esempio, la metà della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria, per non parlare del dramma dei rifugiati, che si contano a milioni. E dietro ogni numero c’è una persona concreta che soffre, un nostro fratello che ha bisogno di aiuto. La Chiesa da parte sua cerca di dare il suo contributo, in particolare tramite le Caritas locali aiutate dalle diverse agenzie caritative cattoliche che assistono non solo i cristiani ma tutti quelli che soffrono, senza alcuna discriminazione. Al riguardo mi preme segnalare che l’assistenza umanitaria ai bisognosi può offrire anche una cornice di collaborazione tra cristiani e musulmani. Cosa si può dire a chi soffre in Medio oriente? A tutte le vittime di ingiustizie e di violenza i partecipanti all’incontro hanno assicurato la loro vicinanza spirituale e il loro impegno a sostenere ogni iniziativa pratica che porti alla riconciliazione e alla pace e assicuri i mezzi necessari per assistere chi è nel bisogno, fino all’auspicata normalizzazione della situazione nei Paesi interessati. Nello stesso tempo, essi hanno pregato e hanno riaffermato l’importanza di rivolgersi al Signore che solo può dare la vera pace. In particolare per i cristiani la parola di speranza non è altro che Gesù Cristo stesso, che ha vinto il male, il peccato e la morte e ci assicura che il male non ha mai l’ultima parola. Come dice l’esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, «i cristiani sanno che solo Gesù, essendo passato attraverso le tribolazioni e la morte per risuscitare, può portare la salvezza e la pace a tutti gli abitanti di questa regione del mondo» [n. 8]. Sento come una responsabilità di tutta la Chiesa sostenere con la preghiera e con ogni mezzo possibile i nostri fratelli cristiani che confessano la loro fede in Medio oriente e incoraggiarli a continuare a essere nelle loro terre una presenza significativa per il bene di tutta la società. E a tutti rivolgo un accorato appello: non dobbiamo dimenticare e non dobbiamo rassegnarci. Nuove accuse tra India e Pakistan NEW DELHI, 10. Si riaccende la tensione nel Kashmir, con Pakistan e India che ieri si sono nuovamente scambiati accuse reciproche di violazioni del cessate il fuoco, inasprendo i toni di una crisi bilaterale come non succedeva da anni. In una giornata in cui hanno preso la parola ministri delle due parti, e anche il premier indiano, Narendra Modi (quello pakistano, Nawaz Sharif, era invece impegnato in una visita nel Waziristan settentrionale), è parso evidente come i margini di dialogo fra New Delhi e Islamabad siano, al momento, ridottissimi. È stato il ministro della Difesa indiano, Arun Jaitley, a lanciare il primo avvertimento quando ha sostenuto che il Pakistan deve sospendere «le sparatorie e i bombardamenti» alla frontiera del Kashmir e che se ciò non avverrà «l’India farà diventare insostenibile il costo di questo avventurismo». I violenti scontri a fuoco e i bombardamenti alle frontiera del Kashmir, una delle aree più militarizzate del mondo, vanno avanti ormai da giorni e hanno già provocato la morte di almeno diciassette persone. Da parte sua, il ministro della Difesa pakistano, Khawaja Muhammad Asif, ha sostenuto che il Governo di Islamabad «non vuole che tensioni di frontiera fra due vicini dotati del nucleare si trasformino in uno scontro armato», aggiungendo che «il Pakistan è pienamente capace di rispondere alle aggressioni dell’India» sulla Linea di controllo (Loc, il confine provvisorio tra i due Paesi). Oggi, fra l’altro, a Islamabad si terrà una riunione del Comitato nazionale per la sicurezza convocata dal premier Sharif per discutere proprio delle «recenti violazioni da parte dell’India». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 11 ottobre 2014 Aligi Sassu affresco dedicato al concilio Vaticano II (chiesa di Sant’Andrea, Pescara 1964) Come aiutare a crescere un bambino con la sindrome di Down Un giorno festa e un altro battaglia di SILVIA GUSMANO Che vita è quella di un bimbo a cui in prima elementare la maestra non vuole insegnare lo stampatello, convinta che, date le sue difficoltà, possa bastargli conoscere il carattere minuscolo? Che vita è quella di una madre che deve battersi perché suo figlio, al pari dei compagni, impari a leggere e scrivere anche le lettere maiuscole? È la vita delle persone con trisomia 21 e delle loro famiglie, «un’avventura, a volte festa, altre battaglia», raccontata in tante sue sfumature nel volume curato da Lucia Landoni, in collaborazione con l’associazione Amici Team Down, Che vita è? (Saronno, Editrice Monti, 2014, pagine 174, euro 15). A scrivere sono i familiari — genitori, fratelli, nonni — di dieci ragazzi down di età differente, che condividono con il lettore stati d’animo e momenti cruciali di vite intense, sempre in bilico tra gioia e preoccupazione, rabbia e riconoscenza, dubbi e fede. Destinatari del libro, i genitori. Coloro che crescono bimbi trisomici e possono appoggiarsi alle confidenze di chi vive la stessa esperienza. E, soprattutto, coloro che, davanti a una diagnosi prenatale della sindrome di Down, vengono indotti dal protocollo medico a fare una scelta definitiva, senza avere informazioni corrette e sufficienti su quanto li aspetta. Per individuare la trisomia 21 in un feto di neanche tre mesi, oggi basta infatti un’analisi del sangue materno, un test non invasivo che presenta margini di errore molto bassi. E ciò, complice in molti Paesi lo Stato stesso, rischia di spalancare ulteriormente le porte al cosiddetto aborto terapeutico. A meno che la sindrome di Down smetta di essere uno spettro sconosciuto e spaventoso e l’opinione pubblica arrivi a conoscerne tutti i risvolti. Le generose testimonianze raccolte in Che vita è? concordano infatti su un punto: nelle settimane critiche che seguono la scoperta della trisomia 21 nel nascituro, come nel bimbo appena venuto al mondo, l’unico aiuto concreto viene da quanti vivono la medesima realtà, una rete di «persone davvero grandi nell’amore» che con un prezioso passaparola, stemperano la solitudine dei neogenitori e accendono una luce infondo al tunnel dell’angoscia e del senso di colpa. Da qui la scelta di aprire una finestra sulle proprie vite e di mostrare a una «società non affatto pronta ad accogliere le persone con disabilità», qualche istantanea di famiglia. L’istantanea in cui la piccola Federica nel vedere il fratello grande piangere per la prima volta e il suo labbro sanguinare, scoppia in lacrime e capisce che non ce la farebbe proprio senza Fabio, «Fabio così com’è». O quella in cui un’altra sorella, Melissa, confessa di «invidiare un po’ Zacky per il suo carattere estroverso» e di essergli grata per le tante volte in cui la spinge a vincere la timidezza e a fare nuove amicizie. Commovente anche l’abbraccio quotidiano tra Zacky e il suo papà: un rito che si consuma dopo la colazione per controlla- no in ascolto dei nuovi arrivati, si lasciano sorprendere, si lasciano educare: imparano il valore della pazienza in «un mondo regolato dalla fretta», scoprono «un punto di vista più profondo» sui rapporti umani e diventano genitori migliori, capaci di amare i figli in quanto tali e «non in quanto concretizzazione dei propri sogni». Non stupisce, quindi, il loro desiderio di dire la propria in tema di trisomia 21 o, meglio, di dire la verità. Mattia, Denise, Gabriele e gli altri sono tutt’altro che «persone confinate ai bordi della vita» o condannate a un’esistenza a tinte fosche. Come i loro coetanei, studiano, amano, cambiano, lavorano, maturano. E tanto di più potrebbero fare se una maggiore informazione infrangesse i tanti luoghi comuni e i troppi stereotipi che li riguardano. A dimostrarlo, un felice esperimento televisivo, inventato in Svezia e andato in onda in Italia lo scorso inverno, il docu-film Hotel 6 stelle. Infrangendo la regola non scritta che tiene lontano le persone disabili dal piccolo schermo, salvo rarissime eccezioni, il programma ha raccontato in più puntate l’esperienza lavorativa di sei ragazzi trisomici durante il loro tirocinio in un albergo di Roma. «Le offerte di lavoro ai ragazzi con disabilità — affermano oggi all’Associazione Italiana persone Down, protagonista attiva nella realizzazione di Hotel 6 stelle — si sono impennate. A chiedere tirocinanti e lavoratori con un cromosoma in più non solo le grandi aziende, obbligate per legge all’assunzione di una quota di personale con disabilità varie, ma tanti piccoli imprenditori, impressionati dalle capacità dei protagonisti e desiderosi di offrire a ragazzi simili a loro una possibilità. Così da qualche mese Agnese lavora in un fast food di Roma, Alessandra in una trattoria di Firenze e Marta in una galleria d’arte di Milano. Certo si tratta sempre di piccoli numeri — l’Italia con il 13 per cento dei down che lavora rappresenta un record europeo — ma il trend di crescita conforta e conferma: il rifiuto e la paura sono frutto dell’ignoranza, laddove la conoscenza dell’altro porta quasi sempre alla sua accoglienza. I concili nella storia Grande racconto È sempre meritevole parlare e studiare il concilio Vaticano II che — per dirla con san Giovanni Paolo II — per la Chiesa cattolica resta un orizzonte valido per affrontare il terzo millennio. È perciò meritevole la fatica di Luigi Sandri che ai concili e, in particolare, al Vaticano II ha dedicato una vasta opera di oltre mille pagine. Sfogliando il volume dal titolo Dal Gerusalemme I al Vaticano III (Trento, Il Margine, 2013, pagine 1080, euro 30) si percepisce l’impegno dell’autore a introdurre il lettore in un mondo poco conosciuto ma importante per capire le radici della vita cristiana e come nei seco- la celebrazione e l’applicazione clamando Roncalli santo e Montini beato. dell’ultimo concilio. La grande domanda sottesa a Nessuna assise conciliare precedente, infatti, era stata tanto tutto il volume sembra essere numerosa e seguita da una così proprio questa: riuscirà la Chievasta opinione pubblica di cre- sa cattolica a rinnovare la sua videnti e non credenti. Gli anni ta spirituale e istituzionale così Sessanta del Novecento sono da presentare in modo traspastati una stagione per tanti versi rente il Vangelo agli uomini di irripetibile che hanno spinto in oggi e ci sta riuscendo concretaavanti il distacco dall’età prece- mente dopo il Vaticano II? È dente con grandi trasformazioni stato sufficiente questo concilio per entrare nella modernità o è scientifiche, tecniche (si pensi stato la spinta iniziale che ha biallo sbarco sulla Luna), politisogno di essere completato da che ed economiche (si pensi alla un nuovo e ravvicinato concilio? fine del colonialismo). E in par- Il volume di Sandri racconta ticolare al fatto che il concilio si con linguaggio chiaro e minucelebrava potendo contare su zioso, i passaggi fondamentali di mezzi di comunicaognuno dei grandi concili. Non zione di massa ima caso di ciascuno, da vero giorpensabili nei secoli nalista di professione, coglie i Una narrazione che va oltre passati. In tal modo punti nodali che hanno creato un evento di Chiesa l’interesse specialistico appassionati dibattiti nel loro tanto importante è tempo e nei secoli successivi. In Per tuffarsi nella storia dell’umanità diventato popolare particolare, come si è detto, e dei contesti concreti nell’intero pianeta quelli del concilio Vaticano II. considerato ormai un Tuttavia, specialmente la parvillaggio globale, dote finale, quella riservata al temve l’informazione in po del dopoconcilio fino ai noli i credenti in Gesù abbiano tempo reale ha contribuito a stri giorni, assume in crescendo sempre ricercato il modo di in- cambiare profondamente i co- lo stile della cronaca più che della storia. Del resto uno dei carnare la propria fede nell’evo- stumi. La maggiore coscienza che meriti di questo volume sta proluzione dei tempi. Sandri non nasconde la pro- l’uomo ha acquistato di sé e prio nell’essere riuscito a rendere spettiva da cui si pone in questa dell’universo può spiegare anche la storia dei concili un grande dirivisitazione; si legge infatti nel l’appassionato sottotitolo: «I concili nella sto- battito su scala plaria tra Vangelo e potere». In netaria che ha acCi si chiede se il Vaticano II realtà gran parte del testo è ri- compagnato la prere quanto stia crescendo «giorno parazione, l’evento sia stato sufficiente per giorno, ora per ora». servato alla preparazione, allo conciliare e specialSono famiglie unite quelle racsvolgimento e all’applicazione per entrare nella modernità mente la sua applicontate da questi autori d’eccezione. del concilio Vaticano II, conside- cazione. Grazie anO se sia stato solo la spinta iniziale Famiglie in cui per alleggerire le anrato la pietra miliare, uno spar- che a figure di Ponsie sul futuro e le difficoltà del quotiacque nella storia bimillenaria tefici di straordinatidiano le si divide su più spalle e in del cristianesimo. E questo non rio carisma come cui la sofferenza dei momenti bui si tanto per una diversità intrinse- Giovanni XXIII e Paolo VI che racconto, impegnativo ma tirato rivela sempre feconda, nella certezca del Vaticano II rispetto agli hanno realizzato le diverse fasi fuori dal semplice interesse ecza, scrive il papà di Simone, che altri concili che pure, in qualche del concilio lasciando ai loro clesiastico e tuffato pienamente «non di sventura si tratta ma di reforma, l’autore rileva, quanto successori un sentiero valido an- nella storia dell’umanità e dei ciproco amore, puro e disinteressapiuttosto per il contesto che ha che oggi come è stato ricono- contesti concreti delle epoche to». Dopo lo stordimento e l’angoaccompagnato la preparazione, sciuto da Papa Francesco pro- che si sono succedute da Geruscia iniziali, questi genitori si mettosalemme, sede del primo concilio apostolico, forse nell’anno 48, fino al 2013, anno dell’elezione di un Papa di nome Francesco che da subito ha suscitato interessanti riflessioni e revisioni La WDR Sinfonieorchester inaugura la stagione dei concerti del Lingotto a Torino anche nell’ambito dei non credenti o dei critici dell’esperienza cristiana. (c.d.c.) Sette orchestre per sette direttori di MARCELLO FILOTEI È stata la WDR Sinfonieorchester diretta da Jukka-Pekka Saraste con Un requiem tedesco di Brahms a inaugurare il 6 ottobre a Torino la nuova stagione dei concerti del Lingotto, articolata in otto appuntamenti presso l’Auditorium «Giovanni Agnelli». La chiusura, il 29 maggio 2015, sarà affidata alla Mahler Chamber Orchestra con Daniele Gatti sul podio. Sette grandi orchestre, sette direttori e diversi solisti per una serie di concerti che spazia dal barocco di Monteverdi al Novecento storico, con uno speciale riguardo per Beethoven e per il repertorio sinfonico russo. In particolare prende il via quest’anno un nuovo progetto beethoveniano — riallacciandosi a quello appena concluso dedicato ai concerti per pianoforte — che vedrà nell’arco di due stagioni l’esecuzione integrale delle sinfonie. Sono previsti inoltre ritorni di importanti direttori come Riccardo Chailly con la Gewandhausorchester di Lipsia, Antonio Pappano con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Valery Gergiev con la Mariinskij Orchestra, András Schiff nella doppia veste di solista e direttore con la Jukka-Pekka Saraste Chamber Orchestra of Europe e il Concerto Italiano di Rinaldo Alessandrini. Altri appuntamenti hanno come protagonisti alcuni solisti molto apprezzati nel panorama internazionale: oltre a Schiff, saranno tra gli altri ospiti a Torino il pianista Alexander Romanovsky e il violinista Julian Rachlin. Parallelamente ai concerti del Lingotto prosegue la rassegna cameristica dedicata ai migliori talenti emergenti che da quest’anno prende il nome di «Lingotto Giovani» e si arricchisce di un appuntamento per un totale di sei serate. Nuovi e più rigidi criteri di selezione rispetto al passato porteranno sul podio della Sala Cinquecento i vincitori di recenti edizioni di prestigiosi concorsi internazionali: in particolare la violinista Alexandra Conunova (vincitrice dello Joachim di Hannover nel 2012), la giovanissima violoncellista Lea Galasso (Premio Speciale allo Janigro di Zagabria nel 2012) e il pianista Boris Giltburg (che ha vinto il Reine Elisabeth del Belgio nel 2013). Due formazioni cameristiche — il Synch Brass e l’Avos Piano Quartet — e il gruppo vocale e strumentale Pequeñas Huellas completano il calendario. Gli otto secoli della Magna Charta In occasione dell’ottavo centenario della firma da parte del re Giovanni d’Inghilterra, le quattro copie esistenti in pergamena della Magna Charta del 1215 saranno riunite in febbraio a Londra per una mostra alla British Library. Per la prima volta dai tempi della firma tutte le copie saranno nello stesso posto. Due degli esemplari sono conservati proprio presso la British Library, mentre gli altri due sono custoditi rispettivamente presso la cattedrale di Lincoln e presso la cattedrale di Salisbury, che per l’occasione li concederanno in prestito. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 11 ottobre 2014 pagina 5 Giovanni Battista Montini alla Pontificia Accademia Ecclesiastica La lettera apostolica Alma parens datata 14 luglio 1966 fu l’occasione per evidenziare il possibile apporto del pensiero scotista al pensiero conciliare di PIETRO MESSA aolo VI il 14 luglio 1966 firmava la lettera apostolica Alma parens in occasione del secondo congresso Scolastico — tenutosi a Oxford in occasione del settimo centenario della nascita di Giovanni Duns Scoto — indicando i motivi della attualità del suo pensiero. Successivamente nell’udienza generale di mercoledì 24 agosto sempre del 1966 lo stesso Paolo VI indicò il congresso citato non solo come un segno della vitalità della Chiesa, ma anche come una delle manifestazioni a cui la Sede Apostolica dà un certo qual «riconoscimento d’autenticità». L’Alma parens può essere considerata come punto di osservazione del magistero di Papa Montini come si può constatare da alcuni aspetti ivi presenti. Ad esempio se Leone XIII nella lettera enciclica Aeterni Patris segnalando la posizione del pensiero di Tommaso d’Aquino rispetto agli altri dottori scolastici enunciava longe eminet Thomas Aquinas — come ricorda lo stesso Paolo VI mediante una citazione dello scritto leonino — nell’Alma parens il raffronto tra Scoto e il pensiero tomista è indicato mediante una formula più attenuata, ossia quamvis dissimili structura et mole (“pur dissimile per struttura e mole”) e non, ad esempio, longe dissimili structura et mole come sarebbe stato più logico se avesse voluto mantenere una continuità P Papa Montini e Duns Scoto maestro di dialogo Un uomo per tutte le stagioni mata dalla citazione storica del giudizio di successivamente in latino nella rivista Gerson, avesse nel 1966 una grande attua- «Antonianum». Qui Balić, ispiratore, faulità, è dimostrato dal fatto che soltanto tore e cooperatore nella stesura della stesdue anni prima lo stesso Paolo VI nella sa lettera apostolica in quanto presidente sua enciclica programmatica Ecclesiam della Commissione scotista, presenta prosuam indicava come via privilegiata del prio il dialogo come una delle peculiarità suo pontificato quella del dialogo, non so- di Scoto riconosciute dalla Alma, con un lo ecumenico, ma anche con il mondo intero paragrafo su Duns Scotus et dialogus contemporaneo. extra et intra Ecclesiam catholicam, e conQuindi Scoto come un antesignano del cludendo indicando Scoto come via per dialogo ecumenico e del dialogo con il l’unità e la pace. mondo contemporaQueste affermazioni riprendono quanto neo auspicato dalla lo stesso Balić scrisse nell’aprile precedenEcclesiam suam, anche te su «L’Osservatore Romano» con un arse l’enciclica non è ticolo diviso in due parti proprio dal titolo citata nella lettera Al- Giovanni Duns Scoto e il “dialogo”: la prema parens. La porta senza “anticipata” di tanti temi toccati era aperta perché dalla Alma parens, credo che mostrino in molti — in particolari modo evidente il grande apporto di Balić francescani — scrives- stesso, se non proprio alla stesura, certasero a proposito della mente alla formulazione, del documento attualità del pensiero pontificio. Egli in tale articolo precursore scotista, prendendo presenta esplicitamente Scoto come colui soprattutto spunto che incarna la via auspicata dal concilio dal documento ponti- Vaticano II e proclamata dalla Ecclesiam ficio; c’è tuttavia da suam: dialogo non significa che si deve esriconoscere che que- sere sempre d’accordo, ma «deve intendersta contemporaneità si piuttosto come studio sereno e la cononon sempre è giudi- scenza reciproca, che comporta rispetto e cata totalmente posi- comprensione delle diverse opinioni». tiva; anzi a volte è Concludendo il suo articolo, riferendosi considerata come se- a Scoto, formula un auspicio che sarà reagno evidente della lizzato dall’Alma parens: «Ma ci sembra problematicità del che da quanto abbiamo detto si possa rapensiero scotista. gionevolmente additare in lui un teorico e Senza voler passare un esemplare del dialogo che la Chiesa in rassegna l’immen- vuole instaurare in quest’epoca postconciso numero di opere liare». in merito, è imporIl tema del dialogo abbinato a Scoto tante analizzarne al- non appare nella lettera enciclica che Cocune per mettere in stantino Koser, vicario generale dell’O rdievidenza in cosa con- ne dei frati minori — in quanto suprema sista questa attualità autorità nell’Ordine fino al Capitolo del Manoscritto del secolo XIV-XV con le «Quaestiones» di Giovanni Duns Scoto di Scoto. 1967, essendo nel 1965 il ministro generale (raffigurato all’interno dell’iniziale decorata) La lettera apostoli- Agostino Sépinski eletto vescovo come ca Alma parens fu Delegato apostolico di Gerusalemme e Papubblicata su «L’O s- lestina — ha inviato a tutto l’Ordine solo con il giudizio perentorio di Leone XIII servatore Romano» del 24 luglio e nei dopo un mese dalla lettera Alma parens. precedentemente citato. Un piccolo cam- giorni successivi apparvero sul medesimo Tuttavia nel discorso di apertura del biamento, da longe a quamvis, che indica giornale alcuni articoli di padre Carlo Ba- Congresso di Oxford il delegato apostoliuno spostamento non soltanto di prospet- lić a commento della stessa; sostanzial- co, monsignor Igino Eugenio Cardinale, si tiva, ma di proporzioni, come può ben mente corrispondono a essi ciò che sem- sofferma proprio sull’attualità del pensiero notare soprattutto un buon esperto di lati- pre Balić scrisse in un articolo apparso di Scoto in merito al dialogo: «Scoto apno. Tale cambiamento può essere preso partiene a quel periodo come espressione della modifica del metro quando l’unità dell’O ccidi misura dell’ortodossia del pensiero di dente cristiano non era anScoto: infatti ancora nel 1920 il cardinale cora stata frantumata nelle domenicano Andrea Frühwirth definiva la diverse denominazioni e la dottrina di Scoto contraria alla fede essendottrina cristiana non era do in molti aspetti difforme al pensiero di divenuta monopolio del san Tommaso d’Aquino prescritto dalla Continente. L’ortodossia Chiesa. Fu nel 1971 che gli scritti di Scoto fondamentale della sua furono approvati e proprio perché il metro dottrina, comunemente indi misura non furono più le opere di san segnata in Gran Bretagna, Tommaso ma la dottrina della Chiesa; un per tre secoli prima della cambiamento secondo alcuni epocale, per rottura con la Santa Sede, cui questa vicenda della causa di Scoto è e il suo amore per la auda inserirsi nei manuali di teologia e storia tentica tradizione presentaecclesiastica. no una solida base per il Quindi, dopo aver riconosciuto la didialogo fra cristiani e tutta gnità del pensiero del maestro minorita inl’umanità. Più che mai, in dicando una nuova valutazione rispetto al questa era postconciliare, giudizio di Leone XIII, modificandone il il dialogo è il mezzo più giudizio sulla proporzione di Scoto rispetefficace delle relazioni to a Tommaso, tra le altre cose il Pontefiumane. Attraverso il dialoce auspicava che la dottrina scotista potesgo si tende a ristabilire se dare elementi utili al dialogo, soprattutcontatti amichevoli fra i to con gli anglicani, che aveva avuto un diversi gruppi che consenmomento importante nell’incontro del 23 tano uno studio sereno, marzo 1966 nella Cappella Sistina con il nella mutua conoscenza, più alto dignitario anglicano, l’arcivescovo fraterna comprensione e di Canterbury, Michael Ramsey. sincero rispetto». In ciò il Papa si appellava al giudizio Quindi il pensiero di dato da Giovanni di Gerson secondo il Scoto si presenta non solo quale Scoto era mosso «non dalla contenimportante dal punto di ziosa singolarità di vincere, ma dall’umiltà vista ecumenico in quanto di trovare un accordo». Scoto è presentato capace di offrire strumenti Albert Küchler (frate Pietro da Copenaghen), «Immacolata con i santi nell’Alma parens come modello esemplare per «un serio dialogo» tra Bonaventura, Francesco, Antonio e Giovanni Duns Scoto» (1851) di dialogo. E che tale immagine, confercattolici e anglicani, come disse Paolo VI, ma rappresenta anche «una solida base per il dialogo fra cristiani e tutta l’umanità». Continuando, monsignor cardinale afferma che «la Chiesa in concilio era desiderosa di stabilire mezzi efficaci di contatto con gli uomini di buona volontà. Nella sua prima enciclica, Paolo VI la presentava al mondo come Chiesa del dialogo. Il decreto conciliare sull’ecumenismo e la costituzione pastorale sulla presenza della Chiesa nel mondo sviluppano il tema del dialogo della Chiesa con i fratelli di altre confessioni e con il mondo moderno, mentre segretariati speciali sono stati incaricati di stabilire vie di comunicazioni con altri credenti cristiani e non-cristiani, come anche con i non credenti di buona questi presupposti, le conclusioni non possono essere che l’affermazione secondo cui Scoto «giustamente è stato chiamato “un uomo per tutti i tempi”»: infatti «il suo sforzo di riconciliare i bisogni crescenti e le richieste del suo tempo con le tradizioni della Chiesa, la sua sincera ricerca della verità nella carità di Cristo, il suo atteggiamento irenico e aperto e sensibile verso i problemi da trattare, tutto questo aumenta il suo valore come modello ideale per il dialogo nel quale sono impegnati tutti gli uomini di buona volontà». Quindi Scoto quale «modello ideale per il dialogo nel quale sono impegnati tutti gli uomini di buona volontà» e in ciò monsignor cardinale rafforza la sua affermazione citando Paolo VI che aveva manifestato la speranza che gli insegnamenti di Scoto potessero fornire «un quadro soddisfacente per un serio dialogo». Ecco l’ attualità di Scoto: uomo del dialogo per una Chiesa del dialogo! Nello stesso congresso di Oxford Carlo Balić fece un intervento parlando De methodo Ioannis Duns Scoti in cui nel terzo paragrafo ha illustrato De aliquibus aspectibus extrinsecis methodum Scoti illustrantibus tra i quali appare anche inquisitio veritatis pacifica, cum modestia et omni reverentia. La lettera Alma parens fu occasione per evidenziare il possibile apporto del pensiero scotista al pensiero conciliare. Gerardo Cardaropoli nel 1967 riconosce che il documento papale inerente Scoto evidenzia «diversi aspetti della sua dottrina in chiave di attualità» e che il pensiero scotista è riscoperto «specialmente là dove si cerca un contatto tra il pensiero cristiano e le esigenze dei tempi». Riconoscendo che tale sintonia conciliare con il pensiero scoti- Una scena del film «Duns Scoto» (2010) diretto e sceneggiato da Fernando Muraca e interpretato da Adriano Braidotti volontà. Come afferma Paolo VI, i princìpi che furono l’anima del metodo critico di Scoto possono esercitare una influenza positiva per l’efficacia di questi contatti. Quindi ancora una volta Scoto è indicato come possibile via per stabilire e affrontare contatti con cristiani di altre confessioni, non-cristiani e anche non-credenti. Se nella lettera Alma parens non vi era Secondo il filosofo scozzese insufficienza del sapere pigrizia mentale o assenza di abilità possono viziare il ragionamento Anche di uomini eminenti menzione dell’Ecclesiam suam, ora il suddetto monsignore rimanda a tale enciclica ricordando che se con essa Paolo VI presentava al mondo la comunità cattolica come Chiesa del dialogo, il pensiero di Scoto non può essere che un modello. Nell’elencare questi principi di Scoto che ancora oggi possono presentarsi come via per il dialogo, presenta per primo il seguente: «La conoscenza della verità è sempre progredita di pari passo con l’umanità», benché la verità in se stessa non può mai cambiare. Insufficienza della conoscenza, pigrizia mentale, cattiva volontà, o assenza d’abilità, dice Scoto, possono viziare il ragionamento di uomini anche eminenti. Dati sta è forse più che tutto una coincidenza, afferma che «appunto per questo occorre riesaminare la dottrina di Scoto in una prospettiva nuova». Preceduta da una descrizione del tempo storico di Scoto — nel rileggerla non si può non scorgervi la proiezione di problematiche contemporanee all’autore, certamente l’uso di immagini e linguaggio dell’immediato post-concilio — Cardaropoli sostiene che «se non nel metodo, almeno in tanta parte della sua dottrina Scoto appartiene più all’epoca moderna che al medioevo». Egli stesso riconosce che «l’affermazione può sembrare troppo apologetica» e la stessa affermazione successiva secondo la quale «con ciò non si vuole mitizzare Duns Scoto» fa intuire che qualche sospetto nel senso inverso in lui sorgeva. Una contemporaneità caratterizzata dalla ricerca dell’unità dell’umanità mediante il dialogo a cui la cristologia di Scoto può dare un apporto; Cardaropoli, con grande onestà intellettuale, scrive che «certo, non tutto il suo pensiero è ugualmente valido: lo è solo nella proporzione in cui la sua situazione storica ha elementi comuni col nostro tempo». Riconoscendo rispetto ai tempi «l’anticipazione di Scoto» afferma che, grazie anche alla sua cristologia, «è più facile trovare un punto di incontro per il dialogo ecumenico, e perfino un punto di intesa con i non cristiani». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 11 ottobre 2014 Cristiani e propaganda dello Stato islamico in Pakistan Solamente con la preghiera e la solidarietà BRUXELLES, 10. Gli attuali sistemi e procedure di accoglienza europei non riescono a tutelare i principi della dignità umana, dell’ospitalità e dell’equità. È quanto emerge dai risultati di un rapporto redatto dal Servizio dei gesuiti per i rifugiati (Jesuit refugee service, Jsr) dal titolo: «Soccorsi — e poi? Richiedenti protezione internazionale abbandonati in Sicilia», presentato nei giorni scorsi a Bruxelles. Lo studio, basato su interviste e testimonianze, dimostra quanto il tanto annunciato “Sistema comune d’asilo europeo”, che dovrebbe garantire standard minimi di protezione e di accoglienza, sia ancora insufficiente. Soprattutto, il rapporto dei gesuiti chiede una maggiore collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea per sostenere economicamente servizi di accoglienza e procedure d’asilo, ma anche operazioni di ricerca, soccorso e salvataggio. Secondo l’ente caritativo cattolico, tra il 2007 e il 2013, l’Unione europea ha stanziato circa 700 milioni di euro a sostegno delle procedure d’asilo, ma quasi 1.820 milioni di euro per il controllo delle frontiere esterne. Un anno dopo la tragica morte di quasi 400 migranti proprio davanti alle coste siciliane di Lampedusa, l’operazione italiana di ricerca e soccorso “Mare Nostrum” ha salvato più di Secondo un rapporto del Jesuit Refugee Service Sistemi di accoglienza inadeguati per i richiedenti asilo in Europa 140.000 vite umane. Ma né l'Italia né gli altri Stati europei — sostengono i promotori dello studio — hanno fatto abbastanza per rispondere ai bisogni essenziali dei richiedenti asilo in Europa. «Salviamo persone in mare perché è la cosa giusta da fare — ha commentato Stefan Kessler, responsabile senior delle politiche del Jesuit Refugee Service Europa — ma poi dovremmo penalizzarli perché chiedono asilo? Non ha senso». Secondo Kessler, l’Unione europea non riesce ad assicurare pienamente libertà e diritti umani. Nel rapporto risuonano forti e chiare le voci di chi è in fuga da guerre e persecuzioni, persone che arrivano da Paesi come Afghanistan, Pakistan e Nigeria. Si sentono completamente esclusi dalla vita degli italiani e soffrono a causa di procedure amministrative lunghe e complesse. Iniziativa ecumenica Una cultura della pace per lo Zimbabwe HARARE, 10. «Vogliamo rafforzare e amplificare la voce delle Chiese, facilitando un migliore coordinamento delle diverse iniziative di pace per promuovere la libera e pacifica partecipazione dei cittadini alla vita nazionale, in particolare alle elezioni e al referendum». È quanto ha affermato Tendaiwo Maregere, direttore dell’Ecumenical Peace Observation Initiative in Zimbabwe. Si tratta di un’iniziativa promossa dallo Zimbabwe Heads of Christian Denominations, l’organismo ecumenico al quale partecipano le diverse comunità cristiane del Paese, tra le quali la Chiesa cattolica, rappre- sentata dalla locale Conferenza episcopale. «Il nostro scopo — ha affermato Maregere — è quello di mettere insieme le vittime e gli autori delle violenze e di educarli alla cultura della pace». Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Cisa di Nairobi, il programma prevede l’invio di rappresentanti ecumenici in tutte le province per predicare i valori della pace e della riconciliazione alla luce degli insegnamenti evangelici, coinvolgendo responsabili religiosi, leader tradizionali e rappresentanti della politica, dell’amministrazione pubblica, dell’imprenditoria e dei mass media. Lo Zimbabwe dal 2000 attraversa una crisi politica-istituzionale profonda, derivante dal confronto acceso tra l’opposizione e il presidente Robert Mugabe, e una grave crisi economica, che continua ad avere pesanti conseguenze sulla popolazione. Secondo lo Zimbabwe Peace Project, la maggior parte degli incidenti registrati durante il mese di giugno erano basati sulla discriminazione per le intolleranze politiche all’interno delle comunità. In una dichiarazione della Conferenza episcopale viene sottolineato che «le linee di divisione politica e il loro impatto su ogni aspetto della vita dei cittadini non solo si sono approfondite, ma impediscono il progresso e la pace. Notiamo con apprensione che non vi sono prospettive di miglioramento in ogni sfera della vita dello Zimbabwe». «Siamo venuti qui — ha raccontato Marcel, ospite del Centro di accoglienza per i rifugiati di Mineo, un centro che accoglie quattromila richiedenti asilo in mezzo alla campagna siciliana — per ottenere libertà e non per trovare nuovi problemi, o per essere rinchiusi in un posto isolato dove siamo tagliati fuori da tutto». «Semplicemente ascoltando i migranti, persone che hanno sacrificato tutto per raggiungere un luogo sicuro — ha spiegato il direttore del Jrs Europa, Michael Schöpf — ci si rende conto di quanto le politiche nazionali ed europee non rispettino la loro dignità e non siano in grado di creare opportunità di impiego né di supportare in alcun modo la loro integrazione nelle comunità. Questo rapporto vuole essere un invito a chi legge di rendersi conto della realtà. Non possiamo continuare a focalizzarci esclusivamente sulla difesa dei confini. Abbiamo l’obbligo internazionale di sviluppare in Europa sistemi d’asilo equi ed efficienti, che proteggano effettivamente le persone e le aiutino a ricostruire le proprie vite». Intanto, in Francia il Jesuit Refugee Service ha istituito una rete di famiglie e comunità religiose per ospitare, fino a quando non troveranno un alloggio stabile, le centinaia di rifugiati e richiedenti asilo che ogni sera dormono per le strade di Parigi. Il progetto “Welcome”, iniziato con tre persone a Parigi soltanto cinque anni fa, oggi è una rete di trecento realtà dislocate in ben quindici città della Francia. Le famiglie e le comunità forniscono al richiedente asilo un letto e almeno un pasto a settimana. Il Jesuit Refugee Service assegna un tutor per ogni richiedente asilo, per aiutarlo con la burocrazia relativa alla richiesta di status di rifugiato e per offrire un sostegno generale al fine di facilitare il suo inserimento nella società. LAHORE, 10. La preghiera e l’amicizia tra le diverse comunità religiose sono le migliori armi per respingere l’avanzata del fondamentalismo islamico. Ne sono convinti i cristiani pakistani che in questi giorni guardano con estrema preoccupazione alla barbarie che le milizie dello Stato islamico vanno compiendo in Iraq e Siria. Tanto più che recentemente il gruppo dei talebani «Tehrik-e-Taliban Pakistan» ha annunciato il suo aperto sostegno allo Stato islamico ordinando a tutti i militanti della regione di «unirsi contro il nemico». In particolare, a Peshawar e nelle province pakistane al confine con l’Afghanistan sono stati distribuiti degli opuscoli in cui si invita al reclutamento e si fa appello alla popolazione locale per sostenere la creazione di un califfato islamico. Una notizia che ha creato preoccupazione nella società civile pakistana, soprattutto tra i giovani cristiani e tra le organizzazioni che difendono i diritti umani, che hanno chiesto al Governo di estremisti e terroristi, per lo scarso rispetto della libertà religiosa, per la discriminazione delle minoranze», in realtà «è un Paese nato dall’unione di fedi, culture e valori diversi, e che i membri delle minoranze religiose sono pienamente cittadini di questo Paese. Ora, di fronte alla minaccia dello Stato islamico, è tempo di rafforzare questa visione nella società pakistana». I cristiani pakistani guardano pertanto con crescente preoccupazione e solidarietà alle sofferenze dei cristiani iracheni e siriani. E «l’arma» con cui intendono contrastare la diffusione della velenosa ideologia fondamentalista è la preghiera, come riferito dal francescano Francis Nadeem. A Karachi, per esempio, i frati cappuccini hanno organizzato nei giorni scorsi uno specifico incontro di preghiera per i cristiani iracheni e siriani. «I militanti dell’autoproclamato Stato islamico uccidono senza pietà persone innocenti, rapiscono, stuprano, decapitano. È in corso uno spargimento di sangue che deve interro- bloccare la diffusione di una simile propaganda. Per Sardar Mushtaq Gill, avvocato cristiano in prima linea nella difesa dei diritti umani, «questi slogan e il desiderio smodato di dominio sono le principali minacce alla convivenza e alla libertà religiosa in Pakistan, missione per la quale noi, attivisti dei diritti umani, lavoriamo senza sosta». In Pakistan — ha dichiarato Gill all’agenzia Fides — «continuiamo a organizzare seminari e incontri per promuovere l’armonia interreligiosa, cerchiamo di costruire la pace e vivere in un clima di dialogo e di rispetto tra fedi diverse. La convivenza e la libertà religiosa sono un bene non solo per i cristiani, ma per ogni cittadino pakistano e per ogni credente». Infatti, spesso si dimentica che il Pakistan, che «vive già una situazione a rischio per la presenza di gruppi gare l’intera umanità», ha detto padre Nadeem. «I frati cappuccini — ha aggiunto — hanno innalzato una accorata supplica a Dio onnipotente perché protegga i cristiani innocenti e le altre minoranze religiose in Iraq. Abbiamo pregato anche per la pace e l’armonia in Pakistan». Infatti, ha detto ancora l’avvocato Gill, «non possiamo ignorare la crescente minaccia dello Stato islamico in Pakistan. Come cristiani, possiamo svolgere il nostro ruolo nella società, nel campo della cultura e dell’editoria, per contrastare questa ideologia di morte, portando una visione basata su valori come il rispetto della vita, la dignità di ogni uomo, i diritti umani, l’armonia. Auspichiamo che il Governo pakistano dia una risposta efficace a livello federale, provinciale o locale, impedendo allo Stato islamico di penetrare in Pakistan». Nella Repubblica Centroafricana Con l’aiuto della Chiesa riaprono le scuole BANGUI, 10. Nonostante la situazione nella Repubblica Centroafricana non si sia del tutto stabilizzata — gli scontri tra fazioni si ripetono ancora con una certa frequenza — continua l’impegno della Chiesa cattolica a fianco delle popolazioni in difficoltà. Gli accordi di Brazzaville e il dispiegamento di una forza di pace dell’Onu non hanno garantito condizioni di sicurezza accettabili. «Abbiamo riaperto le scuole e ripreso le attività pastorali, anche se la situazione non è certo pienamente stabilizzata», ha dichiarato all’agenzia Fides padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano, parroco a Bozoum, nel nord-ovest della Repubblica Centroafricana, nazione che cerca di uscire a fatica dalla crisi seguita alla guerra civile scoppiata alla fine del 2012. Al momento numerose sacche di insicurezza rimangono nell’est e nell’ovest del Paese. I gruppi armati non rispettano l’accordo di Brazzaville e le loro divisioni e scissioni interne accentuano ulteriormente le violen- ze. In questo contesto, le scuole del Paese hanno riaperto i battenti, sia quelle cattoliche che quelle statali. «Le nostre scuole qui alla missione (dall’asilo al liceo) — sottolinea ancora padre Aurelio — accolgono anche quest’anno più di millecento alunni. A Bozoum rispetto ad altre zone della Repubblica Centroafricana la situazione è un po’ più tranquilla, anche se c’è ancora molta tensione e dobbiamo continuamente reagire a quello che accade attorno a noi», anche perché spesso si avverte «la mancanza delle autorità». In qualche modo, prosegue il missionario, «cerchiamo di sopperire alla latitanza dello Stato con il nostro Comitato di mediazione (composto tra gli altri dal segretario generale della prefettura, dal sindaco, dal parroco, da un pastore protestante, dal presidente delle Wali-Gala, cioè le donne commercianti del mercato). La scorsa settimana — ha detto ancora il religioso — è venuta in visita una delegazio- ne delle Nazioni Unite e degli organismi ad esse associati (Pam, Unicef e Unhcr). I rappresentanti di questi organismi ci hanno ringraziato per quello che facciamo come Comitato di mediazione, ed hanno sollecitato le autorità ad essere presenti a Bozoum». Secondo monsignor Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale, «la crisi politica e sociale che scuote la Repubblica Centroafricana, a seguito della guerra civile, sta portando diversi cattolici verso la deriva del sincretismo religioso. È venuta l’ora — ha sottolineato il presule — di uscire da questa ambivalenza, facendo chiaramente ed esclusivamente la scelta di Gesù Cristo per affidargli la nostra vita e ricevere la redenzione. È venuto il momento di accogliere Dio come nostro Padre. Un Padre universale che non fa distinzioni di razze, tribù, religioni, quartieri. È il Padre che ci ha inviato Gesù, che ci ha rivelato il suo cuore universale». † Nella serata del giovedì 9 ottobre u.s. il Signore ha chiamato a sé Monsignor VITTORINO CANCIANI Canonico Vaticano Sua Eminenza Reverendissima il Signor Card. Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Papale Vaticana, e i Capitolari di San Pietro mentre danno l’annuncio della sua scomparsa e ricordano con edificazione il Confratello, innalzano al Signore preghiere di suffragio. Il rito Esequiale avrà luogo il lunedì 13 ottobre p.v., alle ore 9.30, all’Altare della Cattedra, nella Basilica Papale Vaticana. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 11 ottobre 2014 pagina 7 Negli Stati Uniti i vescovi invitano all’incontro con le comunità religiose Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice Le opere e i giorni della vita consacrata WASHINGTON, 10. «I nostri fratelli e sorelle consacrati danno un grande contributo alla nostra società con la loro opera pastorale in numerosi ambiti: insegnano nella nostre scuole, assistono i poveri e gli ammalati, portano la compassione e l’amore di Cristo a chi è respinto dalla società, mentre altri conducono una vita di preghiera contemplativa per il mondo». Parola del presidente dell’episcopato statunitense, l’arcivescovo di Louisville, Joseph Edward Kurtz, che sottolinea così l’importanza della vita consacrata in occasione dei prossimi “Days with Religious”. Mentre la Chiesa universale si prepara a celebrare l’Anno della vita consacrata indetto da Papa Francesco dal prossimo 29 novembre, prima domenica di Avvento, al 2 febbraio 2016, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti lancia infatti una nuova iniziativa volta alla promozione vocazionale. Si tratta, appunto, delle “Days with Religious”, un calendario ricco di incontri in cui religiosi e religiose potranno condividere con le famiglie le loro esperienze di preghiera, di servizio e di vita comunitaria. Iniziativa che, rende noto il sito in rete dell’episcopato statunitense, dal 2 all’8 novembre sarà preceduta dalla National Vocation Awareness Week, la settimana nazionale per le vocazioni. Un’ulteriore opportunità, quest’ultima, per sostenere con la preghiera e la sensibilizzazione delle comunità parrocchiali una vera cultura delle vocazioni. Quanto ai “Days with Religious”, sono promossi in collaborazione con le tre organizzazioni dei superiori e superiore degli ordini femminili e maschili degli Stati Uniti: il Council of Major Superiors of Women Religious, la Leadership Conference of Women Religious e la Conference of Major Superiors of Men. «Le Giornate saranno una grande occasione per far vedere ai fedeli in quanti modi i religiosi e le religiose che rispondono alla chiamata alla vita consacrata servono Cristo e la Chiesa», ha spiegato monsignor Michael Francis Burbidge, vescovo di Raleigh e presidente della commissione episcopale per il clero, la vita consacrata e le vocazioni. L’iniziativa, come accennato, si inserisce nel cammino tracciato da Papa Francesco, che ha indetto per il 2015 uno speciale Anno per la vita consacrata nel cinquantesimo anniversario della Perfectae caritatis, il decreto del Vaticano II sul rinnovamento della vita religiosa, come pure della Lumen gentium, la costituzione conciliare, che nel suo sesto capitolo si sofferma specificamente sulla vita consacrata. Tre i principali appuntamenti già in calendario, per i quali l’episcopato ha messo in rete sussidi e materiale informativo. Il primo è stato fissato per l’8 febbraio 2015 ed è rivolto in particolare alle famiglie in vista del prossimo incontro mondiale a Philadelphia. Tra le attività previste: visite guidate in monasteri, conventi, abbazie e case religiose; conferenze sulla storia dei vari ordini religiosi. Il secondo appuntamento sarà la giornata della missione e del servizio con i religiosi che si terrà l’estate prossima: i fedeli saranno invitati a partecipare alle varie attività di apostolato svolte dagli ordini religiosi con gli anziani, i poveri, i senza tetto e i meno fortunati. Infine, il 13 settembre è prevista una giornata di preghiera con i religiosi, in cui i fedeli potranno partecipare alla liturgia delle ore e alla recita del rosario. «Cultura delle vocazioni» è invece il tema scelto dall’episcopato per la tradizionale settimana di sensibilizzazione che prenderà il via all’inizio di novembre. Le comunità parrocchiali saranno infatti chiamate a promuovere soprattutto tra i giovani un clima di riflessione e di preghiera sulla necessità di rispondere alla chiamata che Dio fa alla vita sacerdotale, diaconale e religiosa. Presentando l’iniziativa il sito in rete dell’episcopato ricorda come nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco abbia sottolineato la necessità di costruire una vera cultura vocazionale. «È la vita fraterna e fervorosa della comu- Domenica XXIX del tempo ordinario Cappella papale nità che risveglia il desiderio di consacrarsi interamente a Dio e all’evangelizzazione, soprattutto se tale vivace comunità prega insistentemente per le vocazioni e ha il coraggio di proporre ai suoi giovani un cammino di speciale consacrazione» (n. 107). Insomma, sintetizza monsignor Burbidge, un’autentica cultura vocazionale è quella che aiuta gli altri ad ascoltare e a rispondere alla chiamata di Dio. «Con la grazia di Dio — è l’invito del presule — aiutiamo a costruire questa cultura attraverso la fervente preghiera, la testimonianza della nostra vita e il sostegno che diamo a coloro che vivono il discernimento della vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata». Del resto, viene ricordato come una ricerca condotta nel 2012 dalla Georgetown University per conto dell’episcopato statunitense abbia dimostrato come il sostegno della comunità sia determinante nel processo di discernimento vocazionale. «Il numero tre sembra essere fondamentale nel fare la differenza nella vita di chi cerca di capire la propria vocazione», ha detto padre Shawn McKnight, direttore esecutivo del segretariato per il clero, la vita consacrata e le vocazioni. «Quando tre o più persone incoraggiano una persona a prendere in considerazione una vocazione religiosa, lui o lei è più disposto a esaminare la serietà della chiamata». NOTIFICAZIONE La sfida della pastorale sanitaria Accanto alla famiglia anche nel dolore ASSISI, 10. La parola d’ordine è “accompagnare”. La comunità cristiana è chiamata ad «accompagnare la famiglia» che lotta contro la malattia e la sofferenza. Lo ha ribadito don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana (Cei), intervenuto al trentesimo convegno nazionale dell’Associazione italiana di pastorale sanitaria, svoltosi ad Assisi dal 6 al 9 ottobre sul tema «La famiglia nella gioia e nel dolore». L’accompagnamento pastorale, precisa il sacerdote, è anzitutto “ascolto” vero, «un ascolto che cura e che sana». Per don Arice, che ha ricordato come su questo tema sia particolarmente sensibile il magistero di Papa Francesco, la famiglia «è soggetto di pastorale della salute ogni qual volta è testimone credibile del Vangelo della vita, anzitutto prendendosi cura delle sue membra sofferenti», ma essa è, al tempo stesso, «destinataria di pastorale della salute, “oggetto” privilegiato della sua attenzione». In questo senso, la parola d’ordine è, appunto, “accompagnare”. Infatti, chiarisce il direttore dell’ufficio Cei, «nessuno può sostituirsi a un altro nel suo cammino di vita, tanto meno alla sua sofferenza», ma «abbiamo il dovere (e la grazia) di farci compagni di viaggio di chi è nella notte, poiché se un membro soffre, tutto il corpo soffre». La malattia di un congiunto è infatti un trauma per tutta la famiglia. E, quindi, per quanto il malato sia il primo destinatario della pastorale della salute, non si può dimenticare che la sofferenza invade l’ambiente familiare, ridisegnando le abitudini e mettendo in crisi le certezze di una vita. La famiglia, sottolinea ancora don Arice, «chiede compagni di viaggio che sostengano i passi indeboliti di chi lotta con la malattia e il dolore; chiede operatori capaci di accompagnare la perdita di certezze e aiutare un futuro che la malattia ha reso oscuro, con un rapporto empatico capace di essere mediazione e sacramento di quella speranza che viene dall’Alto». Anche perché la situazione italiana deve fare i conti con dati allarmanti. Oltre tre milioni e duecentomila anziani non autosufficienti vivono in famiglia, mentre gli stanziamenti per il mondo della disabilità si sono ridotti drasticamente: dal miliardo di euro del 2004 ai 250 milioni del 2014. Di qui, alcune indicazioni operative: anzitutto passare «dalle diagnosi delle situazioni a risposte operative». Non sono sufficienti gli annunci e i propositi di presa in carico ma «occorrono buone pratiche anche da far conoscere». E ancora: una pastorale della salute «che abbia al suo centro l’attenzione alle famiglie deve integrarsi in un progetto più globale», in sintonia e in sinergia con «tutta la comunità ecclesiale nelle sue diverse espressioni», per una presa in carico integrale della famiglia. L’invito, infine, alla comunità cristiana ad avere il coraggio di farsi voce di chi è vittima della «cultura dello scarto» perché quanti hanno responsabilità amministrative «favoriscano una sanità a misura di famiglia». Non ci sono alunni in transito L’orientamento è oggi indicato tra le finalità di tutto il sistema educativo italiano di istruzione e formazione, ma è anche solo una questione di buon senso sostenere che l’azione educativa scolastica abbia una funzione orientativa: ogni volta che si devono fare delle scelte si ricorre a tutto il bagaglio di conoscenze di cui si dispone e la scuola rientra sicuramente in questo patrimonio di esperienze. Si tratta però di passare da un orientamento informale e casuale a un orientamento consapevole, che appartenga intenzionalmente agli obiettivi educativi di una scuola e che non si riduca a interventi estemporanei e aggiuntivi ma faccia parte della stessa proposta curricolare, non tanto come contenuti particolari da apprendere quanto come finalità educativa di fondo e come metodologia comune alle diverse discipline. La scelta dell’orientamento come tema di questo XVI Rapporto non è dovuta a motivi di attualità, ma alla convinzione che esso possa essere una chiave di lettura unitaria dell’azione di una scuola nella sua dimensione più squisitamente educativa. Orientare significa avere a cuore la “persona” non solo nella sua particolare condizione di alunno in transito nella scuola ma in quanto soggetto in crescita, costretto a fronteggiare una serie di sollecitazioni — ambientali, familiari, scolastiche, culturali, economiche — che tendono a determinare la sua futura personalità adulta. Per questo soggetto in crescita la principale fatica non è tanto l’acquisizione di contenuti disciplinari più o meno attraenti quanto la ricerca di una propria identità, spesso in con- La strada dell’orientamento Verrà presentato sabato 18 a Roma il sedicesimo rapporto sulla scuola cattolica in Italia dedicato al tema dell’orientamento, inteso come accompagnamento nelle scelte decisive della vita scolastica e personale (Una scuola che orienta, Brescia, Editrice La Scuola, 2014, pagine 507, euro 45). Anticipiamo, a firma del direttore del Centro studi per la scuola cattolica, stralci delle conclusioni. flitto con i modelli e le attese dell’ambiente circostante. Porre l’orientamento al centro dell’attenzione di una scuola è dunque il modo per esplicitare concretamente la cura educativa che si intende promuovere e quindi esso dovrebbe costituire la prospettiva naturale di una scuola cattolica, che dell’educatività dell’istruzione fa il motivo della sua stessa esistenza. Molte scuole dichiarano di fare orientamento, ma limitano la propria attività ad interventi extracurricolari di prevalente informazione sulle strade che si aprono alla fine di un percorso scolastico (fine del primo ciclo per la scelta del proseguimento degli studi; fine del secondo ciclo per la scelta dell’università o dell’ingresso nel mondo del lavoro): sono azioni utili, che possono aiutare senz’altro studenti e famiglie, sempre più in crisi di fronte al numero e alla varietà delle alternative tra cui scegliere, ma non possono bastare né possono soddisfare il concetto di orientamento. Ciò su cui vale la pena investire oggi è un “orientamento educativo”, cioè un impegno a trasformare tutto il percorso scolastico in una continua azione di orientamento, in cui le discipline sono solo strumenti offerti agli studenti per comprendere meglio se stessi e co- Città del Vaticano, 11 ottobre 2014 Per mandato del Santo Padre Mons. Guido Marini Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Nomina episcopale in Portogallo La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Portogallo. José João dos Santos Marcos coadiutore di Beja Sedicesimo rapporto sulla scuola cattolica in Italia di SERGIO CICATELLI Domenica 19 ottobre 2014, XXIX del Tempo Ordinario, alle ore 10.30, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa in occasione della chiusura dell’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi e presiederà il rito della beatificazione del Servo di Dio Paolo VI, Papa (1897-1978). Potranno concelebrare con il Santo Padre: — i Cardinali e i Patriarchi, che si troveranno, alle ore 9.30, nella Cappella di San Sebastiano in Basilica, portando con sé la mitria bianca damascata; — gli Arcivescovi e i Vescovi, muniti di apposito biglietto dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice (la richiesta deve essere inviata entro mercoledì 15 ottobre all’indirizzo: [email protected]), che si troveranno, alle ore 9.15, nella Cappella di San Pio X in Basilica, portando con sé amitto, camice, cingolo e mitria bianca; — i Sacerdoti, muniti di apposito biglietto dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice (la richiesta deve essere inviata entro mercoledì 15 ottobre all’indirizzo: [email protected]), che si troveranno, alle ore 9, al Braccio di Costantino, portando con sé amitto, camice, cingolo e stola bianca. *** I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi e tutti coloro che, in conformità al Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e, muniti della Notificazione, desiderano partecipare alla celebrazione liturgica senza concelebrare, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 9.30 sul Sagrato della Basilica, per occupare il posto che verrà loro indicato. struire progressivamente la propria identità umana e culturale. Sul piano più concreto e operativo l’orientamento costituisce una sfida per le scuole cattoliche per almeno due motivi: da un lato si tratta di orientare alla scelta della scuola cattolica in quanto tale; dall’altro si tratta di inserire organicamente l’orientamento nei progetti educativi delle scuole cattoliche. Funzionale a questi aspetti può poi trovare spazio un terzo obiettivo di investimento nella formazione dei docenti per attrezzarli alle nuove finalità orientative. Dal primo punto di vista, quello della scelta della scuola cattolica, occorre andare a infrangere alcuni luoghi comuni, che vogliono la stessa informazione orientativa rivolta quasi sempre solo all’offerta scolastica statale. È vero che talvolta tutto dipende da rapporti personali sul territorio, ma la questione investe la fondamentale libertà di scelta educativa, che può esercitarsi solo se l’informazione è completa e precisa. Anche a livello istituzionale, per esempio, il fatto che la nuova procedura di iscrizione on line al primo anno di ogni ordine e grado di scuola sia limitata alle sole scuole statali costituisce già una prova di scarsa permeabilità all’interno del sistema nazionale di istruzione. Nato il 17 agosto 1949 a Monte Perobolso, nella diocesi di Guarda, è stato ordinato sacerdote il 23 giugno 1974, per il patriarcato di Lisboa. Dopo la scuola elementare, è entrato nel seminario minore di Santarém — allora del patriarcato — passando poi al seminario maggiore di San Paolo (Almada) e successivamente a quello di Cristo Re (Olivais), frequentando l’Istituto superiore degli studi teologici di Lisbona. Ha seguito anche un corso di pittura presso la scuola superiore di belle arti della capitale portoghese. Nel corso del ministero, è stato membro del gruppo sacerdotale di formazione in Merceana (1973), parroco di São Miguel in Milharado (19851993) e poi di São Tiago in Camarate e di Nossa Senhora da Encarnação in Apelação (1993-2002), direttore spirituale nel seminario maggiore di Cristo Re (Olivais) del patriarcato di Lisboa (dal 1995) e poi nel seminario Redemptoris Mater di Lisbona (dal 2001), membro del consiglio pastorale del patriarcato (dal 2001). Nel 2003 è stato nominato canonico del capitolo della cattedrale. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 11 ottobre 2014 Messa a Santa Marta Cuori in guardia William Blake «Gesù tentato da Satana» (1815-1819) Facciamo bene la guardia al nostro cuore? Lo custodiamo dai continui tentativi del demonio di entrarvi e prendervi dimora? Lo ha chiesto Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta venerdì mattina, 10 ottobre, riflettendo sul brano liturgico del Vangelo di Luca (11, 15-26): «una storia triste», ha detto, che comincia con Gesù che scaccia un demonio «e finisce nel momento che i demoni tornano all’anima della persona dalla quale sono stati scacciati». È una situazione ricorrente nella vita di ogni uomo perché, ha ricordato il Pontefice citando il passo lucano, «quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti, cercando sollievo, e non trovandone dice: ritornerò nella mia casa». Ecco allora che il demonio, trovando l’anima in pace, «va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora». E così «la successiva condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». Il demonio infatti, ha spiegato il vescovo di Roma, non si scoraggia mai, «ha pazienza» e torna continuamente, anche «alla fine della vita» perché lui «non lascia quello che vuole per sé». Anche Gesù ha sperimentato questa realtà: nel Vangelo di Luca si legge che «dopo le tentazioni nel deserto» il demonio lo lasciò in pace per un periodo, ma poi «tornava e tornava». E i demoni «gli tendevano delle trappole» fino alla fine, fino alla passione, «fino alla Croce», dicendogli: «Se tu sei il Figlio di Dio... ma vieni, vieni da noi, così noi possiamo credere». È — ha spiegato Francesco — quello che capita anche a noi quando qualcuno ci tenta domandandoci: «Ma tu sei capace?». E maliziosamente ci sfida dicendo: «No, non sei capace». Per questo «Gesù parla di un uomo forte, ben armato, che fa la guardia al suo palazzo, fa la guardia alla sua casa», perché il cuore di ognuno di noi è come una casa. E allora, si è domandato il Pontefice, «io faccio la guardia al mio cuore?». Occorre infatti «custodire questo tesoro dove abita lo Spirito Santo, perché non entrino gli altri spiriti». E bisogna farlo «come si custodisce una casa, a chiave». Del resto, ha detto il Papa, nelle nostre case utilizziamo «tanti mezzi di sicurezza» per difenderci dai ladri. Facciamo lo stesso con il nostro cuore? Oppure lasciamo «la porta aperta»? Bisogna «vigilare», si è raccomandato Francesco, perché il demonio, anche se «è stato cacciato via col battesimo, va, cerca altri sette peggiori di lui e torna». Ecco allora la necessità di un’attenzione continua. Occorre sempre chiedersi: «Cosa succede lì» dentro di noi? «Io sono la sentinella del mio cuore?». Impariamo, ha suggerito il Pontefice, dalla nostra vita quotidiana: «Chi di noi, quando è a casa, sia in cucina, sia alla nostra scrivania, sia dove sia, e vede passare una persona che non conosce, chi di noi rimane tranquillo? Nessuno!». Tanto che subito si rivolge allo sconosciuto: «Ma lei chi è? Chi lo ha fatto entrare? Da dove è entrato?». Anche in noi può accadere lo stesso. «Quante volte — ha sottolineato il vescovo di Roma — entrano i cattivi pensieri, le cattive intenzioni, le gelosie, le invidie. Tante cose, che entrano. Ma chi ha aperto quella porta? Da dove sono entrati?». E se non ci accorgiamo di chi facciamo entrare nel nostro cuore, questo «diviene una piazza, dove tutti vanno e vengono». Viene a mancarvi l’intimità. E lì «il Signore non può parlare e nemmeno essere ascoltato». Succede allora che, anche se il nostro cuore «è proprio il posto per ricevere lo Spirito Santo», senza la giusta vigilanza «lo Spirito finisce all’angolo», come se lo chiudessimo in «un armadio». E lì lo Spirito è «triste». Come fare quindi per evitare che questo accada? Per dare una risposta il Papa ha trovato spunto ancora dal Vangelo. E ha citato un’espressione usata da Gesù «che sembra un po’ strana: “Chi non raccoglie con me, disperde”». Partendo dalla parola “raccogliere”, Francesco ha spiegato che bisogna «avere un cuore raccolto», un cuore nel quale riusciamo a essere consapevoli di «cosa succede». Raccomandabile in questo senso può essere la pratica, tanto antica «ma buona», dell’esame di coscienza. «Chi di noi — ha chiesto il Pontefice — la sera, prima di finire la giornata, rimane da solo» e nel silenzio «si fa la domanda: cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Che cose sono passate attraverso il mio cuore?». È un esercizio importante, una vera e propria «grazia» che può aiutarci a essere dei buoni custodi. Perché, ha ricordato il Papa, «i diavoli tornano, sempre. Anche alla fine della vita». E per vigilare che i demoni non entrino nel nostro cuore bisogna saper «stare in silenzio davanti a se stessi e davanti a Dio», per verificare se nella nostra casa «è entrato qualcuno» che non conosciamo e se «la chiave è a posto». Questo, ha concluso il Pontefice, «ci aiuterà a difenderci da tante cattiverie, anche da quelle che noi possiamo fare». Perché «questi demoni sono furbissimi», e sono capaci di ingannare tutti. Il ruolo formativo dei genitori al centro dell’ottava congregazione generale Preparati a educare Non basta curare la formazione dei candidati al matrimonio; occorre puntare anche a quella dei sacerdoti e degli operatori della pastorale familiare. È una delle indicazioni venute dal dibattito durante l’ottava congregazione generale sul tema «La Chiesa e la famiglia di fronte alla sfida educativa», svoltasi giovedì pomeriggio, 9 ottobre, alla presenza di Papa Francesco. Negli interventi che hanno animato la sessione di lavoro, alla quale erano presenti 181 padri sinodali — fra gli altri hanno preso la parola i cardinali Yeom Soo-Jung, Calcagno, Turkson, Njue, Vegliò, e gli arcivescovi Nashenda, Menichelli e Nzapalainga — si è avvertita da più parti l’esigenza di una maggiore preparazione dei coniugi al compito educativo nei confronti dei figli. È stato sottolineato come le sfide che deve affrontare la famiglia in questo ambito sono molteplici e spesso i genitori avvertono di essere impreparati. L’attenzione dei padri si è focalizzata anche sulla situazione dei figli di coppie divorziate o separate. In particolare, è stato ricordato che proprio loro rappresentano la parte più debole e sono dunque destinati a portare i segni della sofferenza a causa della divisione dei genitori. Quanto ai divorziati risposati, è emersa la necessità di un percorso penitenziale, accompagnato anche da una riflessione su coloro che restano soli e spesso soffrono in silenzio ai margini della vita sociale. Nel corso dei 21 interventi programmati e degli 11 interventi liberi sono stati delineati anche i problemi delle convivenze prematrimoniali, delle coppie di fatto, della poligamia o delle nascite fuori del matrimonio. Si è parlato dei bambini lasciati soli o senza riferimenti parentali sicuri e sereni. Non è mancato un riferimento alla questione della contraccezione e al significato dei metodi naturali di regolazione della fertilità. Unione e procreazione, è stato ribadito, non sono separate dall’atto coniugale. Vanno dunque condannate pratiche come la manipolazione genetica e la crioconservazione degli embrioni. Da più parti è stato denunciato il tentativo perpetrato da Paesi e organizzazioni del mondo occidentale di fare pressioni su alcune nazioni — soprattutto in Africa — per introdurre realtà come l’aborto e le unioni omosessuali, dando loro lo statuto di «diritti umani» e condizionando la loro recezione alla concessione di aiuti economici. In proposito è stato anche evidenziato che l’espressione “diritti alla salute sessuale e riproduttiva” non ha, nell’ambito del diritto internazionale, una definizione precisa, e finisce per racchiudere principi in contraddizione tra loro. Oltretutto la promozione di tali “diritti”, pur privi di valore vincolante, rappresenta un rischio, perché può influenzare l’interpretazione di altre norme, in particolare nella lotta contro la discriminazione della donna. È stata posta inoltre la questione riguardante la sostanza di alcuni matrimoni, che appaiono talvolta come una celebrazione meramente esteriore «di nozze» e non comportano la verità del sacramento. In questo caso, dunque, non si tratterebbe di matrimoni validi. Ecco perché, oggi più che nel passato, non si può dare per scontato che la celebrazione delle nozze equi- valga di per sé alla effettiva celebrazione del sacramento. Va fatta salva, in ogni caso, un’attenta verifica secondo le norme canoniche. Norme che alcuni padri sinodali hanno chiesto di rivedere, in particolare rendendo la procedura più semplice e unica in tutta la Chiesa. Si è parlato anche dei condizionamenti ambientali alla famiglia, quali la povertà, le diseguaglianze sociali, la mancanza di lavoro, la mentalità edonistica che distoglie i giovani dal matrimonio cristiano e li spinge a trovare altre soluzioni che non impegnino il loro futuro in maniera definitiva. Per questo è stato chiesto di curare maggiormente la preparazione al matrimonio, perché quando questa manca, alla prima difficoltà i due coniugi sono tentati di imboccare la strada del divorzio come via più facile per risolvere i loro problemi. Prima degli interventi dei padri sinodali — nelle otto congregazioni generali quelli programmati sono stati in tutto 180, ai quali vanno aggiunti gli 80 svolti nel dibattito libero — è stata ascoltata la testi- monianza dei coniugi francesi Olivier e Xristilla Roussy, responsabili di Amour et Vérité, il ramo apostolico della comunità dell’Emannuel, sposati da vent’anni e con sette figli. Lei ha i genitori divorziati, lui proviene da una famiglia numerosa. Insieme decidono di ripetere quest’ultimo modello e si affidano a metodi contraccettivi naturali, ma dopo la nascita del terzo bambino la donna «era esausta, non eravamo più in grado di vivere serenamente il nostro rapporto», ha ricordato Oliver, spiegando la decisione di ricorrere alla pillola. Però — ha proseguito — «Xristilla era spesso di cattivo umore, il desiderio era assente e la gioia era sparita. Nella vita coniugale avevamo chiuso la porta al Signore». Di lì il ritorno a «un cammino apparentemente più difficile, perché impone di essere continenti nei periodi fertili anche se abbiamo desiderio», quello dei metodi naturali. «Tuttavia lo viviamo in due — hanno testimoniato — e siamo felici». Ascoltati gli uditori Più spazio ai laici Anonimo, «Famiglia» Difficoltà economiche, incomprensioni, mancanza di dialogo, violenze, ma anche alcune questioni pratiche dell’educazione dei figli — a cominciare dalla semplice «puzza dei pannolini» — sono state presentate al Sinodo dai laici, presenti in veste di uditori. Ai loro interventi è stata riservata la nona congregazione generale, venerdì mattina, 10 ottobre, presieduta dal cardinale Tagle con la partecipazione del Papa e di 185 padri sinodali. Hanno preso la parola, in tutto, venti laici e un sacerdote impegnato nella pastorale familiare. Medici, soprattutto ginecologi, politici, docenti e comunque «agenti pastorali», da anni alle prese con le questioni pratiche della vita di tante coppie e della bioetica, hanno insistito sulla necessità non di nuove teorie ma di testimonianze vive per dare una svolta positiva alla famiglia. E tutti hanno chiesto più sintonia, in questo campo, tra sacerdoti e famiglie. Di più, è stata proposta una vera e propria «alleanza» attraverso una più accurata preparazione dei pastori fin dagli anni del seminario, in modo che siano capaci di accompagnare realmente il cammino delle famiglie nel loro specifico contesto. E non è mancata an- che la richiesta di omelie più vicine alla quotidianità e più comprensibili. Serve un linguaggio nuovo, insomma. E in questo stile si è inserito, nell’omelia dell’ora terza, il vescovo Orowae, suggerendo di iniziare a leggere il Vangelo in famiglia e a pregare insieme. Le testimonianze hanno evidenziato anche come, a livello mondiale, le questioni pratiche di vita familiare non siano le stesse: in Africa e nelle città secolarizzate della vecchia Europa, dove invece dominano le solitudini, i problemi non coincidono. E nello specifico i protagonisti della pastorale familiare africana hanno anche chiesto al Sinodo un sostegno per opporsi più efficacemente a pressioni e piani lanciati dalle organizzazioni sanitarie che non tengono conto dei valori cristiani ma neppure delle tradizioni locali. La famiglia, è stato riaffermato sempre partendo da esperienze vissute sul campo, è uno dei temi forti dell’impegno dei laici cristiani in politica. Serve però, è stato segnalato, un vero dialogo tra Stato e Chiesa per rendere possibile la promozione di politiche in favore della persona e della famiglia in generale. La pianificazione naturale delle nascite è stata una questione presentata con particolare attenzione perché, è stato fatto notare, una sua corretta applicazione ha effetti positivi sulla vita di coppia, contribuendo alla riuscita del matrimonio. E nella preparazione al matrimonio, è stato ricordato, si deve insistere di più sulla paternità responsabile. È stata inoltre rimarcata l’importanza di una sinergia tra l’ambito accademico — con la proposta di istituire una rete mondiale di istituti universitari — e quello pastorale, per formare non tanto dei tecnici ma dei discepoli e missionari. Proprio come suggerisce la più volte citata Conferenza di Aparecida. E da qui anche la richiesta di affidare al laicato un ruolo più incisivo. I laici, è stato detto, vanno ascoltati di più, in particolare per ciò che riguarda la sfera dell’intimità della vita di coppia. Inoltre un punto fermo per gli uditori è il ruolo chiave che hanno le famiglie cristiane nella formazione e nella crescita delle coppie più giovani. In aula sono stati denunciati i drammi della guerra e dei profughi in Iraq, in Libano ma anche in Rwanda, visti con gli occhi di famiglie letteralmente disintegrate. In questi contesti di violenza e precarietà, è stato riconosciuto, la Chiesa risulta come un punto di riferimento sicuro. Ed è utile, in quelle regioni, che le coppie si preparino a essere mediatrici di pace e riconciliazione. È stata pure presentata l’esperienza della morte di un familiare con il conseguente «deserto degli affetti». Sono riemerse, poi, le questioni delle violenze dentro le mura domestiche, specie contro le donne, e dei matrimoni misti. Infine c’è stato anche l’invito al Papa, con tanto di partecipazione, per il matrimonio della figlia di una coppia di uditori. I lavori sono proseguiti, in mattinata, con la prima riunione dei dieci circoli minori suddivisi per aree linguistiche: tre per l’inglese, tre per l’italiano, due per il francese e due per lo spagnolo. Nel pomeriggio prendono la parola i delegati fraterni.