Francesco: il Papa della tenerezza
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Francesco: il Papa della tenerezza
Anno LXI n. 2 - Giugno 2013 - C.C.P. 13647714 Spedizione in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Foggia an Mic Provincia di S hele Arcangelo dei Frati Minori di Puglia e Molis e Francesco: il Papa della tenerezza Provincia di San Michele Arcangelo dei Frati Minori di Puglia e Molise s o m m a r i o 3 Un Papa Gesuita dal cuore francescano di fr. Leonardo Civitavecchia, ofm ATTUALITà 4 Il Sogno di Francesco di Ignazio Loconte CHIESA 6 Papa Francesco come Francesco... di Francesco Armenti FRANCESCANESIMO Anno LXI n° 2 giugno 2013 C.C.P. 13647714 Spedizione in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Foggia Direttore: fra Leonardo Civitavecchia [email protected] Dir. Resp.: Apollonio Giammaria Con approvazione dei Superiori dell’Ordine Autorizzazione Tribunale di Foggia n. 55 del 19.06.1953 Direzione e Amministrazione: CURIA PROVINCIALE O.F.M. Convento S. 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Roberto Raffaele Maria Quero 27 Festa della Provincia 28 100° Genetliaco di fra Bernardino Loverro di fr. Giuseppe Tomiri, Ministro Provinciale 29 Centenario della terziaria Maria Donnanno di Natina Mascolo - Vaira FOCUS 30 Una scultura lignea dell’artista Nick Petruccelli di p. Francesco Taronna Editoriale un Papa Gesuita dal Cuore francescano Carissimi lettori: pace e gioia a tutti! Che grande fascino, cari amici, il nostro Papa Francesco cui vogliamo dedicare alcune delle nostre pagine. è proprio vero: i gesti sono certamente più eloquenti e comprensibili delle parole o ragionamenti contenuti in un’enciclica. è bello quindi vedere papa Francesco scrivere le prime encicliche con l’esempio e gli atteggiamenti che ha assunto, lanciando messaggi ben precisi a Cristiani e non. Mi piace citare John L. Allen, jr. in cui intitola proprio “Le dieci ‘encicliche’ di papa Francesco” (Ancora editrice) il libro nel quale elenca dieci gesti del nuovo pontefice che hanno colpito il mondo. Non si tratta di “gesti meditati di chi si trovi in un ruolo non suo”, avverte, quanto del “frutto della riflessione di una vita intera su quello che significa essere vicario di Cristo nel mondo di oggi”. POVERTÀ. Il primo aspetto è il desiderio del papa - e ci auguriamo anche nostro - che la Chiesa sia “povera, e per i poveri”. L’idea guida è che Cristo è venuto per offrire amore e salvezza a tutti, ma in particolare agli “ultimi”, a livello economico ma anche sociale, gli emarginati visti dagli altri “con le lenti del pregiudizio e della paura”. Allo stesso modo, papa Francesco “sembra intenzionato a fare piazza pulita di tutti gli oggetti e gli usi legati al papato che sanno di ricchezza e privilegio”, perché il vescovo di Roma sia “un testimone credibile” del messaggio di povertà che lancia. UMILTÀ. Grande testimone dell’amore, l’attenzione per i poveri e la pas- sione per la giustizia, invita la Chiesa a vivere e mostrare, con il loro stile di vita, Cristo povero e umile. VICINANZA ALLA GENTE. Il nuovo papa vuole stare vicino alla gente. Per questo, non si sottrae al contatto personale. PERDONO. Ha lanciato da subito l’invito a non dimenticare che “Dio non si stanca mai di perdonarci”, e “che sembra candidarsi a essere la ‘firma’ di papa Francesco”. IL NOME FRANCESCO. Quando si pensa alla Chiesa, ai cattolici vengono in mente due volti diversi della stessa realtà: quello dell’istituzione, che ha a che fare con risorse e strutture, regolamenti e una catena gerarchica di comando, e quello spirituale, delle piccole comunità in cui si cerca vivere in concordia e amore fraterno. Prendendo il nome di Francesco, “Jorge Mario Bergoglio ha detto in sostanza che il ‘secondo volto’ della Chiesa deve prevalere sul primo. Ha insomma annunciato un intero programma di azione, una compiuta visione della realtà della Chiesa, con una sola parola”. UNA FEDE PROPOSTA. Allen prosegue poi parlando di “una fede da proporre, non da imporre”. Il papa incontrando i giornalisti il 16 marzo, ha impartito la benedizione in silenzio, sapendo che alcuni non erano cattolici e altri non erano credenti, per rispettare “la coscienza di ciascuno”. CHIESA NON COME ONG. La Chiesa non è un’organizzazione umanitaria. “Se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale ma non la Chiesa, Sposa del Signore”. PESSIMISMO. Nell’omelia della messa per l’inizio del ministero petrino, il papa ha affermato che accogliere il messaggio cristiano è un modo per vedere la luce della speranza “davanti a tanti tratti di cielo grigio”. UMORISMO. La speranza si lega alla capacità di saper sorridere, e il senso dell’umorismo è un tratto tipico del nuovo pontefice. Il papa parla di Cristo al mondo intero, e sa che farlo con un sorriso gli può garantire “migliore accoglienza e ascolto”. UNITÀ. Francesco, conclude Allen, “non sarà mai favorevole a quella falsa uniformità che annebbia artificiosamente le differenze”; “sa che le tensioni devono essere affrontate con coraggio e sincerità, non soppresse o ignorate nella vana speranza che prima o poi si annullino”. Proprio perché apprezza le diversità nella Chiesa, tuttavia, sa anche quanto sia importante cercare sempre l’unità, perché senza un impegno costante in questo senso le tensioni “possono paralizzare invece di arricchire”. In questo Anno della Fede abbiamo davvero un grande programma e opportunità per il futuro della chiesa e nostro che il Papa ci sta offrendo. E tutto ciò in appena tre mesi di pontificato. Già immagino: se vinciamo la paura e ci apriamo agli orizzonti di Dio, come fece San Francesco, usciremo dalla “Crisi” e da noi stessi, con il coraggio di percorrere le strade del mondo e portare il Vangelo di Cristo. A tutti buona estate…in cammino con Dio. fr. Leonardo Civitavecchia, ofm 3 Attualità Il sogno di francesco di Ignazio Loconte Scrivo quest’articolo mentre Papa Francesco incede con la sua caratteristica andatura leggermente claudicante all’inseguimento del Santissimo Corpo di Cristo, che ondeggia sotto il baldacchino piantato come un albero sul trabiccolo vaticano. è giovedi del Corpus Domini, quel giovedi che vedeva i nostri paesi riempirsi di fiorescenze multicolori e coperte del corredo esposte alla bisogna sui balconi, 4 in un tripudio di dorami trionfali, che oggi purtroppo sono scomparsi nel nome di un malinteso patto di non aggressione con un mondo secolare che vuol essere lasciato in pace e preferisce la banalità della ferialità alla magnificenza della solennità. Un barocco non capito e sottostimato, come fanno quei molti che visitando le chiese rinnovate nel settecento lamentano la scomparsa delle sottostanti vestigia gotiche-romaniche. Odiamo la festa, tanto che oramai ci lavoriamo anche, con la scusa che bi- sogna incassare due euro in più. Alla faccia dei diritti sindacali sanciti dal riposo divino del settimo giorno. è incredibile come noi cristiani ci facciamo passare tutto sotto il naso, accidiosi nella reazione, capaci al massimo di produrre geremiache lamentazioni nella settimanale riunione dell’associazione di appartenenza. Intanto Papa Francesco incede claudicante, come Giacobbe reduce dalla lotta angelica che gli meritò una vittoria su Dio e un cambio di nome, oltre Attualità alla gamba sciancata: procede svelto, mentre il pick-up costeggia i cancelli della basilica antoniana. Ricorda l’immagine dantesca per la quale il suo omonimo correva dietro la sposa, e correndo gli pareva esser tardo. Va di prescia perchè è conscio che la Chiesa non ha la stessa velocità delle donne che dal sepolcro si catapultavano al Cenacolo, ebbre di una barocca festività femminile che stava per impattare con la seriosità pratica della fede claudicante tipica del maschile. Non di tutto il maschile, grazie a Dio. Papa Francesco irrompe nella storia come l’ennesimo mistero di una coroncina mariana, non saprei quanto lunga, di Pontefici validi e santi. Cresciuto nei liceali meandri ove la storia cristiana veniva dipinta come una sequenza di pontefici indegni e mondani, ho dovuto sempre fare i paragoni con i Papi contemporanei: Giovanni il buono, Paolo l’incompreso, Giovanni Paolo primo il sorprendente, Giovanni Paolo II il senza paura, Benedetto il mansueto e Francesco il restauratore. Che fila di grandi personaggi! La considerazione di questa novità suscita però altre riflessioni, ad esempio: la Chiesa è società di uomini, e per questo sempre in “crisi” per definizione. Due i motivi: il primo è che costitutivamente tali uomini, per quanto assistiti dallo Spirito, non possono essere mai pienamente all’altezza del compito affidato. “Anche il Papa commette peccati” ha ricordato pubblicamente Francesco! Il secondo è che la Chiesa ha a che fare con la modernità, che per sua indole è effimera: appena ti ci sei adeguato essa è cambiata. Eternità contro il tempo. Ebbene, la Chiesa usciva sempre dalle crisi con movimenti dal basso, provocati da uomini che oggi chiamiamo santi, pezzi di popolo che ricordavano alla gerarchia la relativa missione. Oggi le parti appaiono invertite. La riforma non è auspicata da un monaco francese, un predicatore cataro, né tantomeno da un figlio di mercante umbro o un militare spagnolo, ma da un Papa. Un padre che incita, invita, corregge, precede. C’è da chiedersi chi seguirà il suo invito. Se dovessi fare una classifica delle precedenze, credo che i più sensibili dovrebbero essere i pilastri di questa chiesa: i Vescovi, pastori che dovrebbero sentire l’odore del gregge, gregge che spesso del proprio pastore non conosce neppure il nome. Abbiamo la fortuna di aver avuto in Puglia un fulgido esempio di tale emergenza pastorale: don Tonino Bello, guardiano di un ovile senza recinto i cui agnelli non hanno troppa paura dei lupi. La sua mancanza di timore, virtù che ogni francescano dovrebbe avere a cuore, virtù che faceva di don Tonino un vero terziario, dovrebbe ispirare chiunque ha un compito di ordinariato nel corpo di Cristo, dai cardinali alle badesse, dai provinciali ai ministri, dai parroci ai catechisti. Invece siamo ancora qui, tremebondi, a seguire lo spread e le notizie del tiggi, pensando al futuro come ad un qualcosa che verrà da sè e non come ad opportunità da cogliere, un campo in cui seminare il progetto. Intanto le cose vanno cambiando: mentre cerco la conclusione dell’articolo san Giovanni in Laterano resta vuota, il corteo giunto a santa Maria Maggiore. Nella piazza della cattedrale del Papa restano solo alcune candele votive che rotolano per terra intorno alla statua del Poverello che, come narrato dal biografo, ha le braccia alzate nell’atto di mantenere la Chiesa. É la rappresentazione plastica, come è noto, del famoso sogno che fece Innocenzo III: la chiesa rischiava di crollare, ma nel sogno veniva sorretta da uno sconosciuto che più tardi avrebbe riconosciuto in un mendico di nome Francesco, proveniente da Assisi. I tempi sono cambiati, dicevo: oggi forse sarebbe il figlio del mercante, preoccupato dal fallimento delle economie globalizzate, a sognare il crollo del sistema, il venir giù delle aziende e delle certezze, della propria ecclesia autocostruita tra i dibattiti dei talk e le urla dall’apocalittico di turno. E proprio quando tutto sembra inclinarsi sul piano irreversibile della decadenza, ecco un piccolo uomo, claudicante e sorridente, giungere e sorreggere la costruzione sostituendosi al pilastro frantumato. Si chiama anche lui Francesco, e di mestiere fa il Papa. 5 Chiesa 2012 - 2013 • Anno della Fede e della Nuova Evangelizzazione Papa Francesco come Francesco… dal Pontefice sfide profetiche alla vita francescana di Francesco Armenti L’urgenza del carisma francescano Con l’elezione di Papa Francesco si è aperta, in continuità con il pontificato di Benedetto XVI e di tutta la storia della Chiesa, un tempo nuovo in cui il popolo di Dio e il mondo devono saper accogliere l’azione dello Spirito che agisce, sempre e comunque, nel tempo. Facciamo alcuni passi indietro per riscoprire la vitalità del carisma francescano (Vivere il Santo Evangelo sine glossa), oggi quanto mai necessario alla vita della Chiesa e al bisogno di conversione dei cristiani. Bonaventura da Bagnoregio, negli anni 1260-1263, scrivendo la biografia del Poverello d’Assisi, inizia con queste parole: «La grazia di Dio, nostro salvatore, in questi ultimi tempi è apparsa nel suo servo Francesco». Il Cardinale vedeva in Francesco un alter Christus, un testimone eccezionale del rapporto con Cristo e, appunto, dell’azione della grazia di Dio nell’uomo. Ancor prima, 6 Tommaso da Celano, soffermandosi sulla conversione di vita del giovane Francesco, della forza della Parola e dell’incontro con Cristo nella sua vita e spiegando, in un certo senso, i frutti dell’accoglienza da parte dell’uomo della grazia di Dio, lo definisce un «uomo veramente nuovo» (FF,462). La riconsegna della Regola Questi due quadri iniziali ci introducono nell’obiettivo di fondo di questa riflessione: quale messaggio, diretto e indiretto, il gesuita Papa Francesco lancia ai francescani? E perché ai figli di Francesco d’Assisi? Il mondo francescano deve sentirsi particolarmente interpellato dalle parole del Pontefice, non perché sia il solo ed unico destinatario ma perché è chiamato, per identità e storia, a “ salvare la Chiesa”, vivendo con radicalità il Vangelo. Una vocazione che è all’origine della chiamata di Francesco e dei suoi figli: «Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina» (2Cel 10, FF,593). Vi è un’altra motivazione individuabile nelle aspettative del Papa. San Francesco ha avuto sempre rap- porti profetici e di obbedienza con i vicari di Cristo: da Innocenzo III (1209) cui chiese l’approvazione della Regola a Gregorio IX (1228) che lo ha proclamato santo recandosi personalmente ad Assisi. Gli atti, l’arte (soprattutto gli affreschi di Assisi firmati da Giotto) evidenziano le aspettative e la fiducia che il Papa, anche dopo alcuni dubbi iniziali, depone nell’ Assisiate. è sintomatico, a tal proposito, il noto sogno della cadente Basilica del Laterano sostenuta dalle deboli spalle di quell’ uomo, povero e misero. Un sogno che convinse Papa Innocenzo III ad approvare la Regola di vita pensata e presentata dal giovane Francesco. In un affresco, attiguo a quel che racconta il sogno, Giotto illustra Innocenzo III nell’atto di consegnare a Frate Francesco la sua Regola perché convinto del sostegno che quel nuovo Ordine poteva offrire ad una Chiesa vacillante per la sua ricchezza, la corruzione, per la sua collusione con il potere civile del tempo e la sua incoerenza evangelica. Partendo da ciò i Francescani del nostro tempo devono rivivere le stesse sfide e la Chiesa medesima chiamata. Papa Francesco riconsegna oggi a tutti i figli di Francesco quello stesso rotolo, quella stessa Regola che Papa Innocenzo III, dopo il sogno, rimise nelle mani del Poverello. Che grande responsabilità e vocazione! Sostenere e convertire la Chiesa di oggi che «va’ in rovina». In che modo i figli di Francesco possono continuare a “sostenere” la Chiesa? Chi “ salverà” la Chiesa? è un interrogativo capitale e reale e che si è imposto con più forza con Papa Bergoglio. Saranno, come sempre, i poveri, i semplici, i misericordiosi, i giusti a salvare la Chiesa. Lo ha dimostrato Francesco d’Assisi con la sua vita, le sue scelte e il suo essere sposo di «Madonna povertà». Agli osservatori attenti balza subito, dinanzi agli occhi e all’intelligenza, il contrasto che, negli affreschi di Giotto, emerge tra la miseria e la povertà di san Francesco e il lusso del portico di San Giovanni in Laterano e del padiglione del Papa. Un contrasto che richiama una verità: «la Chiesa ricca è salvata dai poveri di Cristo». Sì, sono i poveri a rendere bella e a far risplendere la Chiesa con l’amore di Cristo. Papa Francesco ha spiegato, sin dal giorno dopo l’elezione, i motivi della scelta del nome quando, durante l’incontro con i giornalisti (16 marzo 2013) ha detto: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». I Francescani devono, con la loro vita povera e sobria, vita del cuore, vita del corpo, dei luoghi…, realizzare il desiderio del Pontefice di una Chiesa che non sia soltanto vicina ai poveri ma che si faccia povera e, quindi, ricca dell’unica vera ricchezza che è il Signore. Farsi poveri, inoltre, significa, coniugare il verbo «servire» in un tempo in cui la cupidigia del potere è un idolo rischioso e disumanizzante. I figli di Francesco devono testimoniare la vita e la vocazione con la vera identità della Chiesa che è il Vangelo dell’amore, del dono, della verità, della fraternità. Chiesa umana perché di Dio Altra parola di Papa Francesco che occorre accogliere e vivere è l’umiltà. E Papa Francesco non si impone di essere umile ma lo è nel cuore, nella coscienza, per scelta e vocazione. Ai cardinali ha ripetuto più volte che chi guida la Chiesa è Cristo per mezzo dello Spirito Santo. E ciò significa che è il Signore, che deve essere al centro, non il papa. Chi serve nella Chiesa deve conoscere la responsabilità profetica di rinviare continuamente a Gesù con una vita povera, semplice, dedita agli ultimi, infiammata dal fuoco delle verità e dalla passione per la giustizia. L’umiltà è stato da sempre il “cavallo di Battaglia” di Bergoglio sin da quando era Superiore Provinciale del suo Ordine. Nei suoi incontri di formazione, tra gli altri, amava citare e consegnare come riflessione dei testi di Doroteo da Gaza, monaco e padre della Chiesa bizantina del VI secolo: «In verità, nulla è più prezioso dell’umiltà, nulla più importante di essa. Se all’umile capita qualche male, immediatamente fa ritorno su di sé, ed egualmente giudica che lo ha meritato. E non si permette di riprovare altri né di incolpare chicchessia. Semplicemente sopporta, senza turbamento, senza angoscia e in tutta quiete. “L’umiltà non si irrita né irrita nessuno”. Bene ha detto il Santo: prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno dell’umiltà» (in, Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, Umiltà, la strada verso Dio, p. 42). Nel clima di rissosità diffusa, di individualismo, orgoglio è vitale una Chiesa che sappia essere discepola e imitare Colui che è «mite e umile di cuore». E l’umiltà di cuore non è un vocabolo ma un vocabolario: tenerezza, misericordia, perdono vicendevole, comprensione reciproca, compunzione del cuore… La vita fraterna può e deve essere luogo e scuola di questa mitezza e dell’umiltà del Signore, così come l’Assisiate voleva, casa del perdono, dell’amore, dell’aiuto, della minorità. Chiesa nella città «Dio vive nella sua città»! è una verità profondamente creduta da Papa Francesco e per la quale si è impegnato anche nella sua patria. Se Dio vive nella città, la Chiesa deve essere nella città. Un tema che acquista vitalità nel tempo della Nuova evangelizzazione. Come aiutare l’indifferenza e il postsecolarismo della città a scoprire la presenza di Dio nelle sue vie? è la fede che «scopre e crea la città». Da cardinale, l’attuale Pontefice proponeva alla Chiesa argentina una riflessione del Documento di Aparecida che spiega questo rapporto tra fede e città: «La fede ci insegna che Dio vive nella città, in mezzo alle sue gioie, ai suoi desideri e alle sue speranze, come anche nei suoi dolori e nelle sue sofferenze. Le ombre che segnano la quotidianità della città, la violenza, la povertà, l’individualismo e l’esclusione, non possono impedirci di cercare e di contemplare il Dio della vita anche negli ambienti urbani. Le città sono luoghi di libertà e di opportunità. In esse le persone hanno la possibilità di conoscere altre persone, di interagire e di convivere con esse. Nelle città è possibile sperimentare vincoli di fraternità, solidarietà e universalità. In esse l’essere umano è chiamato a camminare sempre più incontro all’altro, a convivere con il diverso, ad accettarlo e ad essere accettato da lui» (n.514). Tornare nelle città, partendo dai conventi, aiutare l’uomo a riscoprire Dio e i risultati negativi della sua assenza nella storia, educare l’uomo a guardare la città con lo sguardo di Dio è compito dei discepoli di Cristo e dei figli di Francesco. 7 Francescanesimo Francesco di nome, Francesco di fatto! Dalla povertà di Francesco d’Assisi a quella di papa Francesco: un unico filo rosso… di fra Alessandro M. Mastromatteo, ofm “Qui sibi nomen imposuit…Franciscum”. A quella proclamazione, un’insolita esplosione di gioia! Il nome del Serafico Padre aveva, in quel tardo pomeriggio del 13 marzo, determinato il programma del ministero petrino del neo-eletto. Un papa che, come Francesco d’Assisi, avrebbe riportato la Chiesa sui sentieri dell’essenzialità e della letizia. E così si è rivelato! La sua scelta non è stata solo di contorno o di facciata, ma si è già concretizzata attraverso parole, atteggiamenti, proposte. Cosa sta suggerendo papa Francesco per “amare e custodire sempre nostra signora la santa povertà”? (Testamento di Siena, 4). Egli ha già più volte affermato che la povertà è un atteggiamento interiore, fatto di conoscenza di sé, di umiltà, di condivisione, di minorità personale e comunitaria. San Fran- 8 cesco ha scoperto tale povertà e l’ha resa possibile per il suo tempo, e i tratti essenziali di questo percorso sono giunti fino all’epoca contemporanea. Ma ora tocca a noi, afferma il Santo Padre, trovare il modo di esprimere e attuare la stessa radicalità nel mondo di oggi. Francesco d’Assisi è stato talmente identificato con la povertà che l’espressione “il Poverello” è diventata quasi un altro suo nome proprio. La sua scelta, però, è fondata non tanto su motivazioni sociali, quanto piuttosto sulla conformità a Gesù Cristo: “Tutti si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà di nostro Signore […], ricordino che fu un povero e un ospite e visse di elemosine […], che per noi si fece povero in questo mondo […], lui ricco al di sopra di tutto volle, con sua madre, scegliere la povertà” (Regola non bollata 9, 1ss.). La povertà di Dio (Se quella di Dio è un’attitudine…tutti, la pratica della rinuncia ai beni materiali…) è un’attitudine dettata dall’amore, dal dono di sé fino alla morte e di servizio incondizionato verso tutti. La scelta e la pratica della povertà materiale, il rifiuto di ogni proprietà collettiva o del denaro, il ricorso all’elemosina in caso di bisogno, sono una manifestazione tangibile dell’atteggiamento interiore fondamentale, che egli affermava con forza: “Questa è la sublimità di quell’altissima povertà che ha costituito voi eredi e re del regno dei cieli […] alla quale bisogna aderire totalmente” (Regola bollata 6, 1-6). Quindi, la concezione del Poverello è molto più complessa e più sfumata di quella che si pensa abitualmente. La prima povertà è quella di Dio e del suo Cristo che ogni credente è chiamato a seguire e che consiste in un dono di sé per amore, in un servizio nei confronti degli altri, in una condivisione di ciò che si è e di ciò che si possiede, in umili gesti. L’altro aspetto della povertà (la carenza, Francescanesimo il linguaggio diretto e semplice, ossia tutto ciò che fa scattare nel popolo l’identificazione con un pastore che è uno di loro, è invece la dimostrazione evidente, per coloro che sono immersi nel disagio assoluto, della rivincita della Chiesa del Vangelo su quella della Curia, della teologia della liberazione su quella tradizionale, della Chiesa vicina agli ultimi contro quella che ama i salotti del potere. “Essere lieti quando vivono tra i poveri…” (Regola non bollata 9, 2), implica un atteggiamento fondamentale di rispetto della loro dignità umana, la comprensione amorevole verso le condizioni disagiate, la condivisione delle reali difficoltà, la disponibilità a servirli per farli uscire da uno stato di prostrazione. Non solo essere “con” loro, ma “come” loro. Francesco d’Assisi ha conosciuto concretamente il mondo dei poveri attraverso il contatto con i lebbrosi; papa Fran- cesco l’ha sperimentato nelle ripetute visite alle favelas nella sua Argentina e continuerà a farlo attraverso gli innumerevoli sguardi che incrocerà, le benedizioni che impartirà, le carezze che offrirà, i sorrisi che regalerà, le parole che pronuncerà, le scelte che farà, le preghiere che eleverà, le lacrime che asciugherà, le speranze che rafforzerà e il volto di Cristo che nel cuore di ciascun uomo riuscirà ad imprimere. “Francesco: l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”: è questa la descrizione che da subito ha fatto papa Francesco del Poverello d’Assisi; un papa che ha voluto identificarsi non solo nel nome di una santità conosciuta e riconosciuta, ma anche nel carisma di colui che ottocento anni fa ha riformato la Chiesa tutta. Un filo rosso che si riannoda; un altro Francesco…non solo di nome, ma anche di fatto! SPIEGAZIONE DELLO STEMMA “miserando atque eligendo” l’insufficienza e la miseria) è un male che Dio detesta e che l’uomo deve neutralizzare a tutti i costi in quanto distrugge la dignità umana. Tra l’altro è Dio stesso che ce lo ricorda: “Che non ci sia mai un povero tra di voi” (Dt 15, 4). È ciò che vive papa Francesco; è ciò che auspica papa Francesco. Quanto al primo significato di povertà egli esclama: “Quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri”; quanto al secondo, invece, esorta: “Dovremmo vendere le chiese per sfamare i poveri…”, oppure denuncia: “La politica non s’interessa se la gente muore di fame, se non ha niente. Si preoccupa delle banche o della finanza”. Il suo annuncio, però, non si ferma alle parole, ma si trasforma in fatti; in altri termini, la sua non è solo una povertà “pensata” ma anche una povertà “vissuta”. Le scarpe nere consumate, l’anello d’argento, la croce pettorale di ferro, la camicia senza gemelli, il conto pagato all’albergo, LO SCUDO Nei tratti, essenziali, il Papa Francesco ha deciso di conservare il suo stemma anteriore, scelto fin dalla sua consacrazione episcopale e caratterizzato da una lineare semplicità. Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero. In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe. IL MOTTO Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola. Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Beda miserando atque eligendo, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio. 9 Francescanesimo Come un Magnificat Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Come comunità federale abbiamo numerosi motivi per rendere grazie al Signore per i suoi doni e per innalzare a Lui il nostro canto di lode, insieme a Maria, madre di Dio e ai nostri santi Francesco e Chiara d’Assisi. 10 Francescanesimo 2 marzo 2013 Iniziazione alla Vita Religiosa e Vestizione di Sr. Angela Benedetta Terriaca Monastero S. Chiara – Mola di Bari Grate a Dio per il dono di questa pianticella, affidiamo Sr. Angela Benedetta alla preghiera e alla custodia di tutti, affinché il Signore le conceda di avanzare confidente, lieta e sollecita nella via della sequela di Cristo. 20 aprile 2013 Iniziazione alla Vita Religiosa e Vestizione di Sr. Chiara Luisa Sorrentino Monastero S. Luigi – Bisceglie Auguriamo a Sr. Chiara Luisa di mantenersi fedele a Dio, vivendo nella testimonianza gioiosa e coerente della bellezza e novità del Vangelo. 29 aprile 2013 Professione Solenne di Sr. Francesca Persano Monastero S. Nicolò – Otranto Rendiamo grazie al Signore che ha unito per sempre a sé Sr. Francesca nel vincolo della professione solenne e preghiamo perché le conceda di essere un costante dono d’amore a Dio e alla Chiesa per il bene dell’umanità. 31 maggio 2013 XXV Anniversario di Professione Religiosa di Sr. Chiara Crocifissa De Palma Monastero S. Chiara – Mola di Bari Rendiamo lode a Dio per la sua fedeltà ed il suo amore, che ha manifestato con abbondanza nel cammino di Sr. Chiara Crocifissa; Lui che le ha donato di raggiungere questa tappa, le conceda di crescere sempre più nel bene e di perseverarvi fino alla fine. 11 Francescanesimo Fr. José Rodríguez Carballo Arcivescovo di Belcastro e Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica S. E. R. Mons. Fr. José Rodríguez Carballo, OFM, nominato, il 6 Aprile dal Santo Padre Francesco, Arcivescovo titolare di Belcastro e Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, è stato ordinato vescovo nella Santa Apostolica Cattedrale Metropolitana di Santiago de Compostela, Sabato 18 maggio 2013, solennità di Pentecoste. Il Vescovo Consacrante il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Sua Santità Francesco. I Vescovi Co consacranti il Cardinale Carlos Amigo Vallejo, OFM e Mons. Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago de Compostela. Oltre a numerosi, Cardinali e Arcivescovi e Vescovi, molti sacerdoti hanno concelebrato e religiosi, con un gran numero di Frati Minori arrivati da molte parti del mondo. Hanno Accompagnato a Monsignor Carballo anche religiose, amici e familiari. Alla Celebrazione era presente anche il nostro Ministro Provinciale fra Giuseppe Tomiri. 12 Francescanesimo Fr. Micheal Perry, OFM è il nuovo Ministro Generale Fr. Michael Anthony Perry, è stato eletto Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori ‘ad complendum sexennium’. Fr. Michael ha di 59 anni, è americano, è succeduto il 22 maggio 2013, a Fr. José Rodríguez Carballo, nominato da papa Francesco segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata. Nato a Indianapolis (USA) nel 1954, Fr. Michael era in servizio come Vicario generale dell’Ordine. è stato Ministro Provinciale del Sacratissimo Cuore di Gesù Provincia (USA). Ha servito la sua Provincia nella formazione teologica, formazione post-noviziato, lavoro internazionale GPIC, e per dieci anni ha lavorato nelle Missioni (Repubblica Democratica del Congo). Ha anche lavorato con i Catholic Relief Services e nella Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Il suo curriculum accademico include un Dottorato in Antropologia Religiosa, un Master in Missionologia, un M. Div. nella Formazione Sacerdotale e due B.A. in Storia e Filosofia. Durante la sua prima omelia il 23 maggio, ha parlato di come i Frati Minori non devono fare affidamento su nessuno, ad esclusione dello Spirito di Dio. Ha continuato dicendo che nel mondo di oggi i giovani hanno fame di una vita significativa, gli anziani sono assetati di qualcuno per dare loro nuovi spazi di vita. I poveri e gli emarginati sono desiderosi di essere riconosciuti nella loro dignità umana, e noi, frati, sempre più abbiamo bisogno di una testimonianza comune e fraterna della misericordia di Dio. Alla fine della sua omelia, ha sottolineato l’importanza di diventare una fraternità profetica, testimoniando la nostra fraternità come luogo della presenza sacramentale di Dio, imparando insieme come leggere i desideri e le sofferenze del nostro tempo per lasciarsi permeare dal Vangelo, che è Gesù Cristo stesso. Questo ci permetterà di diventare un mistero vivente dello Spirito di Dio dato a noi dal Padre mediante il Figlio. 13 panorama Francescanesimo f panorama I Francescani al GMG 2013 È con il cuore pieno di gioia che attendiamo la Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà tra il 23 e il 28 luglio nella città di Rio de Janeiro, RJ, Brasile. È un vero dono della generosa grazia di Dio, che offre ai giovani di tutto il mondo, accolti con le braccia aperte dal Cristo Redentore e inviati in missione dallo stesso Signore che esorta: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” Pertanto, la Famiglia francescana in Brasile si sta muovendo per fornire un vero incontro fraterno a tutti coloro che sono legati o sono attratti dal cammino di San Francesco e Santa Chiara di Assisi, che continua ad avere milioni di seguaci e sostenitori 14 del carisma in tutto il mondo. Per info http://www.ofm.org Congresso Internazionale per i Segretari F&S La preparazione del Congresso Internazionale per i Segretari per la Formazione e Studi che si svolgerà in Italia (Santa Maria degli Angeli, Assisi) dall’8 al 22 settembre 2013, procede e Vi chiediamo di riempire (obbligatoriamente) il modulo di registrazione (iscrizione): www.ofm.org Corso di Formazione sul Dialogo ecumenico ed interreligioso La Fraternità Internazionale “Santa Maria Draperis” d’Istanbul, in collaborazione con la Com- missione del Servizio per il Dialogo e la Segreteria generale per la Missione e l’Evangelizzazione, offre ai Frati Minori e ai membri della Famiglia Francescana un Corso di Formazione permanente sul Dialogo ecumenico ed f francescano Francescanesimo francescano interreligioso ad Istanbul in italiano e spagnolo. Questo corso si svolgerà dal 14 al 28 ottobre 2013. Leclerc Eloi, François d’Assise, Éditions Franciscaines, Paris 2013, pp. 114. In questa biografia inedita, l’Autore ci presenta, con linguaggio semplice e poetico, l’itinerario del Poverello, tracciando così un’eccellente introduzione alla vita del Santo di Assisi. Convegno nazionale Araldini Il Convegno nazionale Araldini si terrà a S. Maria degli Angeli in Assisi dal 10-14 Luglio. Le prenotazioni dovranno pervenire entro il 23 giugno all’indirizzo email [email protected] Nuovo Consiglio regionale della Gioventù Francescana di Puglia I Ministri delle Fraternità locali Gifra, riuniti a Monopoli nello scorso week-and in Capitolo regionale elettivo, hanno scelto i membri del nuovo Consiglio regionale Gifra. Presidente Laura Russo (Fraternità Scorrano), già membro del Coordinamento uscente. Il suo Sì, accompagnato da un caloroso e commosso applauso di tutti i gifrini presenti, è stato succeduto da quello della Vice Presidente eletta Teresa Valente (Gravina), anch’essa membro del Coordinamento uscente. Alla prima votazione sono stati eletti i 13 consiglieri: Anna Rita Zazzera (Foggia Sant’Anna), Michele Losapio (Trinitapoli), Carmelo Presicce (Scorrano), Alessio Caposiena (San Severo), Cristian Politi (Lecce), Chiara Bonomo (Francavilla), Giuseppe Girardi (Sannicandro di Bari), Veronica Angino (Foggia/Sant’Antonio), Anna Lisco (Bari/Immacolata), Anna Chiara Leggieri (San Severo), Francesco Pastorelli (Lizzano), Marika Introna (Bari/San Francesco) e Roberto Saracino (Barletta). 15 Primo piano Vivere con Maria Anno della Fede l’ di Antonio Ucciardo docente all’I.S.S.R. “S. Luca” di Catania seconda parte La Chiesa non può tenere per sé l’incommensurabile ricchezza di cui è depositaria. Tradirebbe il mandato del Suo Signore se si limitasse a chiudersi in se stessa. Solo che la sua missione, comunque e dovunque venga esercitata, dev’essere la risposta all’amore di Dio con il sì immacolato e puro della fede. Essa la dona innanzitutto ai figli che ha generato, e ne rende parte- 16 cipi coloro che non conoscono ancora il vero Dio. Tutto nella sua vita deve poter dire questo slancio d’amore fedele, che viene prima di qualsiasi manifestazione del suo essere. è dalla sua sovrabbondanza che la fede dei singoli trae vigore ed efficacia. Se la fede della Chiesa fosse la somma dei sentimenti di ciascuno dei suoi membri, il suo sì risulterebbe contaminato dalle resistenze delle creature a quella risposta totale e trasparente che Dio si attende. Per questo la fede della Chiesa ci precede. Da essa possiamo attingere, totalmente intatta, la risposta che noi dobbiamo dare alla Rivelazione di Dio. Quando ciascuno di noi dice “io credo”, sta confessando di aver fatta sua la fede della Chiesa, impegnandosi a renderla feconda con la sua generosa accoglienza della grazia e con la novità della sua vita. In quest’apertura della mente e del cuore, in questa docile conformazione all’attesa di Dio e ai doni della sua misericordia, il sì della Madre ci rappresenta e ci sostiene. Come ai piedi della Croce Ella ha pronunciato il sì per tutti, anche per gli Apostoli, così adesso, con la sua intercessione e la sua mediazione, sostiene i figli che le sono stati donati. Anche i successori Primo piano degli Apostoli; anche Pietro, che deve confermare nella fede tutti, pastori e fedeli. Il sì di Maria e il sì di Pietro non appartengono a due ambiti diversi, come se nella Chiesa dovessero coesistere due entità contrapposte e bisognose di armonia. Lo Spirito santo, che ha reso possibile il mistero dell’incarnazione nel grembo della Vergine, non smette di rendere fecondo anche il grembo della Chiesa, che in Pietro non ha soltanto la guida visibile, la manifestazione dell’autorità cui è concesso il potere di legare e di sciogliere, ma anche, e soprattutto, la certezza di poter confessare nella storia la sola parola di verità: “Tu sei il Cristo, tu sei il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). A volte si ha l’impressione che l’impeto carismatico debba pronunciare la parola determinante. Ed invece questa spetta alla confessione di fede di Pietro, che è un carisma essa stessa. I doni suscitati dallo Spirito non sono concessi perchè vi siano maestri e profeti senza numero, come pare di scorgere tra gli entusiasmi di questa germinazione continua. Il carisma profetico, derivante dal battesimo - e non da nuove manifestazioni della Pentecoste - è il dono di poter dire le parole stesse di Dio. Parole che, tutte, convergono nell’unica parola: “Tu sei il Cristo”. è la parola generata non dalla carne e dal sangue, bensì dalla sorgente stessa della filiazione divina. è il Padre che rivela il Figlio e lo dona! I carismi che non conducono all’unità della fede sono spesso il modo nuovo di affermare le ragioni della carne, vale a dire la pretesa di poter dire le parole di Dio con la presunzione e la fragilità di ciò che è umano e limitato. Bisogna ripartire dalla Professione di fede, dalla comprensione del mistero della salvezza nel suo dispiegarsi, e rileggere la nostra vita cristiana con la stessa memoria sapienziale della Vergine. Attraverso la Chiesa e il suo sì immacolato, anche noi possiamo diventare un sì gradito a Dio: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato” (Ef 1, 4-6). Siamo stati gratificati! Paolo adotta lo stesso verbo che compare nel racconto lucano dell’Annunciazione. Maria è la totalmente gratificata, nel senso che in lei la grazia ha operato una trasformazione che è privilegio singolare, in vista della sua missione di genitrice del Figlio di Dio. Ma se Ella è l’Immacolata, la sola creatura preservata dal peccato originale, noi veniamo trasformati dalla grazia per essere figli d’adozione. Il sì della fede ci consente non solo di conoscere questa elezione, ma di potervi anche aderire con il cammino della personale santificazione. Chi ci ha creati senza di noi - direbbe S. Agostino- non ci salverà senza di noi! Nella stessa Lettera agli Efesini, l’Apostolo scrive: “In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati - secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà - a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1, 11-14). Il sigillo dello Spirito, indispensabile per ogni ulteriore carisma, deriva dall’ascolto della parola della verità e dalla risposta della fede! Il sì di Dio e il sì dell’uomo si incontrano, per così dire, nell’offerta di Cristo al Padre. L’Anno che vivremo, e la stessa devozione alla Vergine, conducono alla riscoperta della dignità della celebrazione Eucaristica. Forse non è casuale che la Messa venga vissuta come una festa -molto simile alle feste mondane - là dove l’esuberanza di certi carismi traduce un modo umano di comprensione del mistero della salvezza. La nostra personale memoria, come quella della Chiesa, deve confluire incessantemente nel memoriale del Signore morto e Risorto. Partecipi della donazione di Cristo, noi veniamo consacrati, resi cioè capaci di pronunciare il sì della fede all’opera del Padre, che per mezzo del Figlio ci dona la grazia della santificazione. Adorare, contemplare, ringraziare: sono i verbi dell’autentica festa della fede. Sono i verbi della nostra memoria. Vivere con Maria l’Anno della Fede, significa riscoprire il proprio cammino di discepolato. L’ascolto della parola deve assumere i tratti della propria disponibilità alla preghiera e alla docilità dell’abbandono. Dobbiamo saper ascoltare per saper anche accogliere. Come ricorda S. Leone Magno, “lo Spirito che fa nascere il Cristo dal seno di una madre senza macchia, fa ugualmente rinascere dal seno della Santa Chiesa il cristiano, per il quale la vera pace consiste nel non separarsi dalla volontà di Dio e di non cercare delizie se non in ciò che Dio ama” (Sermone 29,1). Guardiamo a Maria per apprendere come amare e seguire il Signore. Guardiamo a Maria per apprendere come dev’essere amata la Chiesa. Chiediamole di conservare la nostra fedeltà nel suo cuore immacolato e fedele. “La parola fedeltà - scrive il B. John Henry Newman- significa lealtà a un superiore, e impegno rigoroso nell’adempiere a una promessa. In questo secondo senso, si applica all’Onnipotente in persona che, nel suo amore per noi, ha voluto limitare il suo potere in atto con la sua parola di promessa e di alleanza con le sue creature. Egli ha dato la sua parola, secondo la quale, se noi lo sceglieremo come nostra parte e ci metteremo nelle sue mani, egli ci guiderà attraverso tutte le prove e tutte le tentazioni, e ci porterà al sicuro in Cielo (...) Maria è fedele al suo Signore e Figlio in modo supereminente. Nessuno dubiti per un solo istante che ella non sia piena di supremo zelo per il suo onore, o che, come immaginano coloro che non sono cattolici, esaltare lei significa non essere fedeli a lui. Come Maria ricompensa largamente i suoi amici, così ella non riterrebbe certo vero amico, ma traditore, colui che anteponesse lei al Figlio. Come Cristo è geloso dell’onore di Maria, così Maria è gelosa dell’onore di Cristo. è Cristo infatti la fonte della grazia e tutti i doni di Maria vengono dalla sua munificenza. O Maria, insegnaci ad adorare sempre tuo Figlio come l’unico Creatore, e ad essere devoti a te come alla più diletta tra tutte le creature” (J. H. Newman, Vergine fedele, in Litanie Lauretane, Piemme 1985, pp. 105-106). 17 Primo piano Excursus sulla cultura e la religiosità del popolo armeno U n fiore all’ombra della croce di Simona Paula Dobrescu Pochi popoli hanno avuto, nella Storia del mondo, il destino degli Armeni. Situata in una posizione geografica pur strategica, tuttavia vulnerabile, l’Armenia ha conosciuto nel corso della sua storia di circa 2.500 anni la magnificenza, ma anche il declino. Il suo territorio è costituito dall’altopiano armeno (1600-1700 m. di quota media), dominato dalle vette montuose di Ararat, Sipan e Aragats e bagnato dai laghi Van, Sevan ed Urmia. Dalle montagne dell’Armenia nascono i fiumi dell’Asia occidentale Tigri (Dicle), Eufrate (Firat), Araks e 18 Kura. Fortezza naturale, circondata come un’isola dall’altopiano dell’Anatolia e da quello iraniano, l’Armenia storica confinava con la Mesopotamia, l’Asia minore e la Transcaucasia. Discendenti diretti degli urartei, popolazione preindoeuropea e legittimi eredi della loro civiltà, gli armeni hanno “edificato” i propri valori etnici distinguendosi nel crogiuolo di popoli della regione. Costituita come regno indipendente nel III secolo a. C., l’Armenia è arrivata all’apice della gloria nel I secolo a. C., quando, governata dal re Tigrane il Grande, si estendeva “dal mare al mare”, cioè tra il Mar Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar Caspio, diventando così la terza potenza del mondo antico. Lungo i secoli, essa ha percorso la via sinuosa dello splendore e del tramonto, fino alla scomparsa nel 1375 del regno dell’Armenia minore, la Cilicia. Per un lungo periodo, durato cinque secoli e mezzo, il popolo armeno è vissuto ed è sopravvissuto in assenza di un proprio Stato, fino a quando, nel 1918, a seguito di una battaglia decisiva contro l’armata ottomana, si è costituita in Repubblica Armena indipendente. Sotto la minaccia dell’espansionismo turco divenne Repubblica socialista nel 1920 e, nel 1922, costituì, con la Georgia e l’A zerbaigian, la Repubblica sovietica della Transcaucasia. Nel 1936 ottenne l’autonomia (Repubblica socialista sovietica dell’Armenia) e nel 1991, durante il processo di disgregazione dell’U.R.S.S., ha proclamato l’indipendenza. Primo piano I contrasti con i confinanti azeri hanno portato a una situazione di aperto conflitto per il controllo della provincia autonoma di Nagorno-Karabakh. La Repubblica Armena, il nuovo stato indipendente, occupa, oggi, solo la decima parte della superficie dell’Armenia storica di oltre 300.000 km2. L’ambito geografico ma anche le strutture politiche dell’antichità e del medioevo, hanno modellato il carattere degli armeni, rendendolo forte, nonostante le dure condizioni climatiche, le soppressioni territoriali e demografiche. Due sono le caratteristiche che hanno definito da sempre lo spazio geo-politico armeno: l’individualità pregnante del Paese in rapporto ai territori vicini, e la divisione interna in base ai governi e alla rivalità regionali. Esse hanno determinato fortemente gli elementi dicotomici della storia armena: una forte personalità dell’etnia che ha permesso la sopravvivenza della Nazione nonostante le invasioni, le egemonie, i cataclismi e una feudalità consolidata, che ha costituito la causa delle debolezze e delle discordie tra i principati. La posizione geografica dell’Armenia, punto di convergenza tra l’Europa e l’Asia, ha fatto sì che essa fosse da sempre una spinta in avanti dell’Occidente verso l’Oriente, un punto di riferimento della civiltà europea verso il mondo asiatico. In questa posizione strategica, all’incrocio delle grandi vie commerciali, essa è rimasta isolata, come un’oasi della cristianità in mezzo al paganesimo ed al mondo islamico. L’Armenia è il primo regno nella Storia ad aver accolto ufficialmente il cristianesimo in una continuità che resterà ininterrotta; la tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in Armenia agli apostoli Taddeo e Bartolomeo, mentre la conversione del Regno armeno è dovuta all’apostolato di San Gregorio l’Illuminatore, che battezzò il re Tiridate III e la sua corte e fu consacrato in Cesarea di Cappadocia Catholicos (primate) dell’Armenia (301-303). La Chiesa armena fa parte delle chiese chiamate dell’antico Oriente; essa adopera un proprio rito liturgico, risalente al V° secolo, uno dei cinque riti principali dell’Oriente cristiano (alessandrino, antiocheno, ar- 19 Primo piano meno, caldeo e costantinopolitano). La grande maggioranza degli Armeni, residenti in Armenia o sparsi per il mondo (circa settemilioni) appartiene alla Chiesa apostolica armena; il 10% circa di Armeni costituisce la comunità cattolica armena in comunione con Roma con il proprio Catholicos-patriarca, istituito nel 1742 e residente a Bzommar (Libano). La religione ha mantenuto in vita, in mancanza di una forma statale, ai piedi di una montagna biblica, considerata il suo simbolo nazionale, questo popolo in maniera continua, attaccato e dominato dagli oppressori stranieri: persiani, bizantini, arabi, selciucidi, mongoli, tatari, ottomani, russi. Vittime spesse volte di un esilio involontario, gli Armeni non hanno mai perso il legame con la madrePatria; essi, come gli Ebrei, hanno vissuto per centinaia e centinaia di anni, una diaspora, senza avere un proprio Stato, e l’ampiezza e la consistenza del fenomeno in entrambi i popoli ne avvicina la storia. La diaspora armena, pur beneficiando di una propria organizzazione amministrativa, è rimasta legata alla madre-Patria, che a sua volta si è spesso “nutrita” del flusso di informazioni e di valori arrivati dalle comunità sparse per il mondo, anche attraverso il commercio. Attraverso l’Armenia storica, passavano, già dall’antichità, le principali vie commerciali, inclusa la “Via regale”, che ha permesso agli armeni di valorizzare la vocazione genetica per 20 la mercanzia, con effetti benefici per il resto del mondo. Utilizzando le vie esistenti, intensificando il commercio internazionale attraverso la creazione di case e società commerciali, stabilendosi nei borghi favorevoli al traffico di merci, i commercianti armeni si sono integrati nel sistema interstatale, contribuendo alla sua estensione. Lì dove si sono stabiliti, gli armeni hanno innalzato una chiesa, hanno costruito una scuola, hanno istituito pubblicazioni periodiche al fine di preservare la fede, la lingua e lo spirito di appartenenza1. Così, il primo giornale armeno è stato pubblicato a Madras nel 1794 e il primo libro stampato in armeno è stato edito a Venezia nel 1512. Nella cultura e nella civiltà del popolo armeno, gli architetti, i tagliapietre ed i costruttori hanno utilizzato il talento, l’intelligenza, l’esperienza e la forza creatrice, per esprimere le proprie aspirazioni e i messaggi per il futuro proprio attraverso la pietra; utilizzando il basalto e il tufo vulcanico hanno costruito case e ponti, hanno edificato castelli, palazzi, fortezze e, in primis, hanno innalzato templi, monasteri e cattedrali, contribuendo allo sviluppo dell’architettura religiosa già dall’antichità e dopo, nel medioevo. Nell’evoluzione dell’architettura si riconoscono due periodi: quello paleocristiano, in cui l’Armenia era diventata uno dei più importanti centri della cultura ellenistica del Medio Oriente, e quello cristiano, caratterizzato dalla similitudine tra i motivi ornamentali scolpiti nella pietra delle chiese e dei monasteri, riprodotti nelle miniature dei manoscritti, realizzati negli stessi luoghi di culto, a dimostrare l’unità di pensiero e di creatività armena. A partire dal IV secolo d.C., sul territorio dell’Armenia sono stati innalzati quei monumenti ornamentali chiamati “Khatchkar”, che rappresentano, secondo il parere di molti studiosi, una modalità di espressione artistica, che appartiene esclusivamente allo stile architettonico armeno, caratterizzati dall’irripetibilità e dall’unicità. Si tratta di monoliti cruciferi, più di 40.000 sparsi sul territorio dell’Armenia, di dimensioni tra 2 e 4 metri, in verticale. Il termine “Khatchkar”, in traduzione mot-a-mot dalla lingua armena, significa “croce di pietra”. Dal punto di vista storico, queste stele crucifere derivano dai monoliti degli urartei, creati a partire dall’VIII e dal IX secolo a. C., portatori di lunghe scritte in caratteri cuneiformi. L’apparizione dei “Khatchkar” segnati dalla croce cristiana e da diverse iscrizioni in caratteri armeni, si registra solo dopo l’anno 301 d. C., quando è avvenuta la cristianizzazione del popolo armeno, e dopo l’anno 400 d. C. quando è stato inventato l’alfabeto armeno dal grande erudita Mesrop Mashtots. Tra i pezzi più antichi occorre ricordare i “Khatchkar” della regina Katranide a Garni (879) e di Grigor Amimersehi, principe di Siunik e Aghvank a Metz Mazra (881). I “Khatchkar” si diffondono come simboli votivi, celebrativi e funerari e di confine, innalzati sia isolati sia raggruppati in vaste distese cimiteriali sul territorio (nei dintorni della località di Hin Djugha – Vecchia Giulfa, nel Siunik meridionale, oggi Nakhidjevan); oppure inclusi fra i conci nei paramenti murari degli edifici o ricavati direttamente sui fronti rocciosi (la Chiesa rupestre del Monastero di Geghard del 1282). Nonostante la forma, le dimensioni e i programmi decorativi dei “Khatchkar” mutassero sensibilmente nel progresso della loro vicenda artistica, in ordine all’epoca, ai luoghi di produzione, alla destinazione e alle Primo piano maestranze, il segno iconografico caratterizzante la croce si mantiene sostanzialmente immutato nelle sue linee essenziali: la croce si trasforma da un simbolo della morte in uno dell’essere, cioè nell’albero della vita, rappresentato dalle radici e dalle foglie d’acanto. Il disegno geometrico molto complesso che appare sui “Khatchkar” è evidenziato di solito da una sola linea continua magistralmente eseguita, che rappresenta l’infinito e l’eternità, mentre il disco spesso scolpito in bassorilievo nella parte inferiore del monumento rappresenta in modo stilizzato la ruota della vita. A partire, invece, dal XIII secolo, fece la sua comparsa anche la variante figurativa dei “Khatchkar”: la croce tradizionale è sostituita dalla scena della Crocifissione, espressa nella sua redazione iconografica ampliata, con la Madre di Dio e San Giovanni dolenti; altri, invece, riproducono, accanto ai più consueti soggetti della Madonna col Bambino e del Pantokrator, figurazioni chiaramente allusive alla tematica della salvezza come: l’Anastasis, l’Ascensione, fra le più diffuse la Deisis, cioè l’intercessione della Vergine e del Battista (frammento di “Khatchkar” del principe Prosh, oggi al Museo storico di Stato di Jerevan; “Khatchkar” di Grigor Khaghbakian da Imirzek, oggi a Edjmiatzin, 1233; “Khatchkar” di Momik da Noravank di Amaghu). Ritornando ai nostri giorni, ricordiamo che Bari può orgogliosamente mostrare la sua stele “Khatchkar”, donata alla città dalla comunità armena e dal suo rappresentante Rupen Timurian, l’11 gennaio 2013; si tratta di un simbolo di fede, pace e amore, che testimonia e ricorda il forte legame instaurato fra i due popoli, già a partire dal 1913, quando uomini, donne e bambini scampati alle stragi turche, trovarono, nel capoluogo pugliese, asilo e ospitalità, proprio perché “essere fratelli significa dividere il Pane e il Cuore e aiutare colui che piange”. Collocata all’interno del giardino antistante la Casa Portuale “Nazario Sauro”, la “Croce di pietra” si erge a due passi dalla piccola Cappella dedicata a San Nicola, “di fronte a mare, da dove sono arrivate le reliquie del Vescovo di Myra”, notava P. Lorenzo Lorusso o.p., priore della Basilica di San Nicola, il quale ha ricordato anche a tutti i presenti alla cerimonia, la vocazione ecumenica e di pace della terra pugliese, che da sempre accoglie bisognosi e stranieri. Il “Khatchkar” di Bari è stato scolpito dall’architetto armeno Ashot Grigorian nel cortile del Portico dei Pellegrini, intorno agli anni 2000. Ai suoi piedi, su una pietra rettangolare si leggono le parole del poeta Hrand Nazariantz: “Perdonare: profumare i cuori ai fiori del calvario… Essere il segno della croce sulla terra e sul cielo, essere fratelli, essere semplici e puri: Credere, Amare… credere, all’Armonia, ai Ritmi supremi, alla Giustizia dei Cieli, i poveri, credere sempre, le braccia tese alle Cime, vivere bene, realizzare la propria anima, la carne è nulla… E poi, chiudere gli occhi di carne per aprire quelli dello Spirito, essere il Bacio di pace sulla bocca dei morenti e poi, a nostra volta sorridere, sorridere nell’ora felice della Morte…”. L’autore della creazione conserva tuttora il bel ricordo dell’amicizia instaurata con la gente della Città Vecchia; nonché di alcune bellezze naturali ed architettoniche viste in Puglia, molto vicine a quelle dell’Armenia. All’evento hanno preso parte numerosi rappresentanti di associazioni e personalità Armene e Italiane. Il Sindaco, dott. Michele Emiliano, riconoscendo agli Armeni “la straordinaria capacità di tramandare un’identità cultuale praticando la pace”, ha precisato che “con questa cerimonia rendiamo il giusto onore a una storia bellissima, ma anche piena di dolore e malinconia, una storia segnata dalla diaspora e dal genocidio di questo popolo”. La comunità armena ha sentitamente ringraziato e ha espresso tutto il proprio apprezzamento per la fattiva azione del Comune di Bari, che ha consentito la realizzazione dell’evento, adoperandosi per la perfetta riuscita in ogni suo aspetto. 1 S.P. Dobrescu, Il lungo cammino degli Armeni in Romania, in O Odigos (1/2012) 26-27. 21 Primo piano sempre più poveri: In Italia oltre 4 milioni nel 2013 La notizia la dà la Confcommercio attraverso il nuovo indicatore macroeconomico mensile denominato Misery index: nel 2013 il numero dei poveri nel nostro Paese supererà quota quattro milioni, oltre il 6% della popolazione rispetto al 3,9% registrato nel 2006. Un dato sconcertante e che va ben oltre i tre milioni e mezzo di cittadini in accertata condizione di povertà identificati dall’Istat nel 2011. Il rapporto dell’associazione dei commercianti traccia un quadro desolante della condizione dell’Italia prevedendo una riduzione del Pil intorno al -1,7% e dei consumi del -2,4%. Il disagio sociale è in aumento rispetto agli anni precedenti. Basti pensare che le persone “povere” nel 2006 erano meno di 2,3 milioni. In cinque anni, dunque, l’Italia ha prodotto ben 615 nuovi poveri al giorno e la tendenza sembra essere in aumento. Gli elementi utilizzati dal nuovo misuratore del disagio sociale della Confcom- 22 mercio che determinano la rilevazione dei livelli di povertà sono il numero dei disoccupati accertati, il numero dei dipendenti in cassa integrazione, quello degli scoraggiati (chi ha smesso di cercare lavoro), il tasso di variazione dei prezzi di beni di consumo e di servizi e i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro. Dalle ricerche dell’associazione dei commercianti emerge però un dato paradossale: gli italiani lavorano molto più dei colleghi europei. Una media, nel 2011, di 1.774 ore a testa ovvero il 26% in più dei tedeschi e il 20% in più dei francesi. I lavoratori autonomi, inoltre, lavorano il 50% in più dei colleghi dipendenti. In pratica 2.338 ore contro 1.604, ovvero tre mesi in più, sabati e domeniche compresi. Questo stesso fenomeno, è giusto precisarlo, si verifica anche negli altri Paesi presi in esame. Da cosa è causato dunque l’abbassamento della soglia di povertà? Tutto è legato alla produttività. Ogni lavoratore italiano produce in media una ricchezza di circa 36 euro per ora lavorata. A differenza nostra, tedeschi e francesi producono molto di più, rispettivamente il 25% e il 40%. Inoltre negli altri paesi la produttività oraria è cresciuta nel tempo. Tra il 2007 e il 2011 in Germania è aumentata del 20%, in Francia anche più del 20%, in Spagna dell’11% mentre in Italia solo del 4%. E la pressione fiscale cui è sottoposto il nostro Paese non rende certo la situazione più sostenibile. La pressione “apparente” sarà del 44,8% ma quella reale si aggira intorno al 54,3%. Entrambi livelli mai visti. I consumi sono crollati nel 2012 del -4,3% e quest’anno siamo già al -2,4%. E la Chiesa? Da www.caritasitaliana.it/ Le risorse e le risposte della Chiesa, un grande sforzo comunitario: •oltre 3.000 Centri di Ascolto in tutte le diocesi italiane; •14 mila servizi ecclesiali impegnati in attività sanitarie, socio-sanitarie e Primo piano sociali. Di questi, sono 4.991 i servizi che svolgono azione di contrasto della povertà economica; •ad agosto 2012, sono 985 le iniziative anti-crisi economica sorte negli ultimi 2 anni, per iniziativa delle diocesi italiane (aumento, rispetto al 2011, del 22,2 %); •nel 2011 Caritas Italiana ha accompagnato quasi la metà delle Caritas diocesane nella presentazione di 185 progetti otto per mille. Più di 11 milioni di euro sono stati richiesti alla Conferenza episcopale italiana per questi progetti, che vedono una partecipazione economica delle diocesi interessate, nella misura di circa 8,5 milioni di euro; •dal 2009 ad oggi 1.662 sono le famiglie sostenute dal Prestito della Speranza, per un totale di oltre 10 milioni di euro di finanziamenti erogati. Ascoltiamo con estrema attenzione questo intervento del card. Jorge Mario Bergoglio (ora Papa Francesco) sulla scelta preferenziale per i poveri alla conferenza della Caritas Argentina (2009): http://blog.libero.it/padernovillaggio/12019251.html “Chi mi dà del comunista rivoluzionario si legga i santi padri, san Gerolamo e i padri dei primi secoli. Sono durissimi su questo punto: la scelta dei poveri. Il lavoro è per tutti gli uomini, il cristiano deve provare angoscia per chi non può raggiungere questa dignità a causa degli idoli che si incontrano nei supermercati del consumo. Come entra nella tua vita la scelta preferenziale per i poveri? Ti porta a cambiare lo stile di vita? Se non c’è la scelta preferenziale per i poveri non c’è autentico lavoro di promozione e liberazione. La Chiesa chiede gesti concreti, evitando paternalismi e facendosi compagni del cammino dei poveri. Ti viene chiesta vicinanza e solidarietà, prossimità con i poveri. I poveri van- no accolti, inclusi, la solidarietà si deve manifestare in scelte e gesti visibili. Potrei sembrarvi comunista, ma è inevitabile diventando amici dei poveri impoverire il proprio stile di vita, nella sobrietà. La Chiesa è avvocata di giustizia e difensore dei poveri contro le tante intollerabili diseguaglianze sociali ed economiche che gridano al cielo. Se non c’è speranza per i poveri non si avrà per nessuno. L’opzione preferenziale per i poveri ci chiede di portare una speciale attenzione a chi è responsabile di cambiare le strutture. Il servizio della carità è uguale all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei sacramenti ed è espressione irrinunciabile dell’essenza della Chiesa. Non credete di essere cattolici perché andate a Messa la domenica, vi confessate di tanto in tanto... ci viene chiesto di rinunciare a tutta la mondanità. E chi non potè accettare Gesù e odiò Gesù e lo odia, non può accettare noi.” 23 Vita di famiglia La nostra storia Convento San Giovanni ai Gelsi in Campobasso di Michele D’Alessandro Segretario del Consiglio Pastorale Parrocchiale La presenza dei Frati Minori Osservanti nella città di Campobasso affonda le radici in una dimensione storica che viene da molto lontano. Occorre, infatti, tornare parecchi secoli indietro, precisamente al quindicesimo, per datare il loro arrivo e il connubio tra essi e la città è stato sempre perfetto, non si è mai interrotto. La costruzione della Chiesa e del suggestivo Convento, dedicati a San Giovanni Battista, viene fatta risalire intorno all’anno 1418, fondati dal Beato Giovanni da Stroncone. La Chiesetta quattrocentesca comprendeva il coro e la sacrestia che riceveva luce da due romaniche finestrelle. Nel cinquecento, con la costruzione del grande Convento la cappella fu ampliata e negli anni 1845-1854 fu restaurata ed ingrandita in maniera consistente. Nel 1968 i francescani vollero compiere altre opere di restauro, rinnovando le tettoie e rivestendo in marmo le pareti della attuale Chiesa, nel cui interno, nell’Abside dell’Altare maggiore, è collocato il dipinto della Madonna delle 24 Grazie, recuperato tra le macerie del Convento omonimo, distrutto dal terribile terremoto del 1805. Il dipinto, ad olio, rappresenta la Madonna assisa in maestà col Bambino sulle ginocchia. La tela, di mano ignota, si può far risalire alla fine del 1300, realizzata quasi sicuramente dalla scuola senese. Sul secondo altare, nella navata sinistra, si può vedere il simulacro che riproduce S. Giovanni Battista, opera dell’artista molisano Paolo Saverio Di Zinno, tra l’altro, autore delle famose macchine viventi “gli ingegni” che sfilano per le vie della città di Campobasso nella giornata del Corpus Domini. La Chiesa è arricchita da numerose statue di santi ed è impreziosita da un’urna che custodisce le reliquie di sei Beati dell’Ordine Francescano. Nella parte antistante il Convento si può ammirare il monumento al Serafico Padre S. Francesco realizzato in marmo bianco di Carrara. Il chiostro è la caratteristica peculiare dei Conventi e non poteva mancare nell’antico Convento di San Giovanni Battista, che ha dato il nome anche al popoloso quartiere San Giovanni. Esso è situato nel cuore della struttura conventuale ed ha un lungo corridoio, che gira intorno. C’è anche una cisterna grande, coperta da tettoia con embrici, circondata da un pavimento realizzato con lastre calcaree. Ben visibile è il pozzo, delle dimensioni quadrate e dell’altezza di circa 1,20 m. Attraversando il chiostro ci si immette, mediante una porta situata sulla sinistra, nei locali della splendida e fornitissima Biblioteca intitolata a “p. Dionisio Piccirilli” da San Giovanni in Galdo, che proprio nel Convento scrisse le sue opere filosofiche e giuridiche. Dopo la soppressione murattiana, il Convento S. Giovanni divenne Centro studi della Provincia Religiosa di S. Ferdinando del Molise. Il primo fondo librario fu quello ricevuto dal Convento S. Maria delle Grazie, fondo che i francescani salvarono dalle rovine causate dal disastroso terremoto del 1805. Vita di famiglia Nel corso degli anni, la Biblioteca, grazie al lavoro dei frati che si sono avvicendati nel Convento, è diventata sempre più ricca di opere e oggi, a giusta ragione, può essere considerata come una delle più importanti e ricche della Regione Molise. I volumi, regolarmente catalogati, sono sistemati in scaffali metallici e protetti in ambienti asciutti e accoglienti, dotati di sistema di allarme. La testimonianza e il servizio resi dalle varie comunità che si sono avvicendate, sono stati contraddistinti dal carisma proprio del fondatore S. Francesco. Nei secoli sono riusciti a testimoniare nella povertà e nella semplicità il servizio agli ultimi, la presenza presso il vicino cimitero cittadino e l’impegno nell’attività religiosa e culturale. I frati hanno rappresentato e rappresentano attualmente un sicuro ed insopprimibile punto di riferimento per la intera collettività campobassana in generale e per il quartiere S. Giovanni ai Gelsi, in particolare. Una presenza indispensabile sotto ogni profilo ad iniziare, ovviamente, da quello spirituale. Tante, tantissime, sono state le attività, le iniziative, le manifestazioni, che nel corso degli anni sono state avviate e continuano ad essere messe in piedi, a beneficio della intera comunità che, in cambio, manifesta tutta la propria benevolenza e gratitudine nei loro confronti. Il quartiere S. Giovanni che, come si è detto, ha preso il nome dall’omonima Chiesa e dall’omonimo Convento, nato intorno agli anni ottanta, e sviluppatosi in maniera frettolosa e confusa, rappresenta oggi uno degli agglomerati più popolosi di Campobasso. La sua variegata popolazione, anche e soprattutto dal punto di vista sociale, guarda con infinita attenzione alla fraternità religiosa dalla quale viene ripetutamente coinvolta nelle innumerevoli attività tendenti a portare la lieta novella in quasi tutti i condòmini. Negli ultimi anni, poi c’è stata una significativa accelerata di coinvolgimento dei fedeli con iniziative che hanno richiesto tanto impegno da parte dei frati, coadiuvati da laici, ma che hanno prodotto tanti buoni frutti. La casa del Signore viene sempre più frequentata, diventando rifugio per numerosi gruppi che oggi pullulano nella struttura.. Una realtà viva, in continuo movimento, in continua crescita, in continua espansione anche dal punto di vista degli ambienti, resi più moderni ed accoglienti. La fraternità non è numericamente numerosa, ma le forze in campo hanno provocato un focolaio di brillanti idee tradotte in innumerevoli e significative attività. Sono spuntati come funghi nuovi gruppi che hanno allargato i confini relazionali e consentito di avere iniziative frenetiche e tutto il Convento, frequentato in ogni ora del giorno e, in alcuni casi, anche di notte, e aperto a chiunque volesse avvicinarsi a Colui che tutto può, il nostro Signore Gesù Cristo. Ordine Francescano Secolare, GiFra, Araldi e arladini, Comunità neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito, Pia Unione S. Giovanni, Pia Unione S. Giuseppe, Caritas francescana, etc. animano incessantemente la vita del ConventoParrocchia Numerosi servizi vengono promossi a favore della collettività di San Giovanni, della intera città di Campobasso e, con la meravigliosa realizzazione della casa di accoglienza “Santa Elisabetta”, anche a favore dei cittadini di altre regioni che, per motivi di salute sono costretti a recarsi in Molise per assistere i propri familiari o per curarsi direttamente. La Casa di accoglienza, però, è solo la classica ciliegina sulla torta del variegato panorama di produzioni che i frati sono riusciti a mettere in cantiere negli ultimi anni. Certo, la realizzazione della struttura improntata all’accoglienza va senz’altro catalogata tra le più significative in assoluto, per il nobile e cristiano scopo a cui è destinata. Un fiore all’occhiello che non può essere sottaciuto, una delle più belle opere che si potessero realizzare, perché diretta al prossimo, al prossimo sofferente, che al dolore fisico e morale deve aggiungere anche quello economico per la permanenza a Campobasso. La Casa di accoglienza si regge sulle offerte e sul volontariato dei laici. Ma, ultimamente, ci sono state anche ulteriori importanti situazioni che hanno, in primis, ridato tono e vigore al convento, proprio dal punto di vista strutturale: all’inizio del 2011, infatti, si è provveduto ad inaugurare, alla presenza del Ministro Provinciale, la realizzazione, o meglio, il recupero, attraverso radicali trasformazioni, di nuovi e più accoglienti ambienti completamente inutilizzati. Si tratta di nuovi locali, anche essi fruibili dal prossimo, dalla città di Campobasso, ricavati nella parte bassa del Convento, appositamente rimessi in condizioni di vivibilità e quindi utilizzabili. Sono state ricavate e allestite due sale, di diversa capienza, che saranno a disposizione di quanti, privati o pubblico, le richiederanno. è stata organizzata, altresì, un’altra sala di accoglienza con cucina, in grado di ospitare gruppi di persone molisane e non. In ciò si può tranquillamente affermare che i frati stanno dando una mano alla città capoluogo di regione che, in molti casi, non riesce a far fronte alla richiesta di locali per convegni, seminari, conferenze e incontri vari. Insomma una attività veramente frenetica è incessante quella che viene sviluppata dai frati in Parrocchia e in Convento, che coinvolge non solo le realtà parrocchiali, ma l’intera cittadinanza. 25 Vita di famiglia s a b at o 20 Aprile 2 013 • Chiesa S ant ’Antonio i riz ni e fr. Mau n a v o i G . r f , o t r e b o R . r f i d e l n B a r i • O rd i n a z i o n e D i a c o n a io Seguire l’A gnello per diventare pastori di fra Roberto Raffaele Maria Quero Prima di tutto mi sento di dire grazie alla mia fraternità provinciale che in questi anni mi è stata sempre vicina aiutandomi a fare discernimento nel modo giusto. Mi torna in mente una Parola di Dio rivolta al profeta Geremia «se separi le scorie dal metallo pregiato, sarai al mio servizio e sarai la mia bocca» (Ger 15,19); ogni volta che mi sono trovato a celebrare un momento importante della mia vita mi è stata riconsegnata una Parola che avevo già ascoltato ma che forse non avevo compreso in pienezza. Il giorno dopo la mia ordinazione diaconale alle 10 avevo la mia prima messa a Bitonto presieduta da Padre Antonio Narici. Una messa del fanciullo nella domenica del Buon Pastore. Alla processione offertoriale, dovendo presentare dei doni che meglio facessero cogliere il senso di quella domenica, le catechiste hanno pensato bene di portare un agnello vero; ovviamente tutti i bambini, man mano che avanzava nella navata, si sono precipitati per accarezzarlo nonostante la catechista cercasse di spiegare il segno. Dovevo fare un pensiero breve (tenendo a mente la Parola, quello che era accaduto ed anche l’anniversario di ordinazione di 26 Antonio che ricorreva quella domenica). Alla fine il senso di quello che ho detto era: se è bello andare incontro all’agnello che ci ispira un senso d’amore ma anche di fragilità quanto più bello deve essere andare incontro a Gesù che è Pastore si ma è anche il “bambino di Betlemme” come diceva Francesco. Anch’io come Francesco al mio primo vangelo ho belato ricordando a me stesso che il Bel Pastore si è fatto agnello. Mentre tutto questo accadeva però pensavo alla mia prima comunione quando, tutto vestito di bianco con tanto di mantellina, Don Oronzo Valerio (allora mio parroco) mi faceva portare all’offertorio un agnello. Io però non volevo portarlo perché era pesante. I nuovi lezionari solitamente affiancano al vangelo del giorno un’immagine e quella mattina c’era la testa “dell’agnello” ad aspettarmi. La prima Parola che ho baciato, la prima Parola che ho spezzato era su quell’agnello che non volevo portare e che invece mi stava aspettando da una vita. Ecco mi sento come se questa vita che sto vivendo è proprio la mia. Ne intravedo il senso. Separare le scorie lasciando emergere il metallo pregiato davvero mi fa aprire la bocca nel rendimento di grazie e nell’annuncio di un Dio che, nella mia vita, è stato fedele e misericordioso. Mentre io celebravo a Bitonto mia madre era a Cassano e Don Nicola (il mio attuale parroco) le chiedeva di dire due parole alla comunità che non era stata presente all’ordinazione e Lei, a modo suo e secondo i suoi occhi, dagli ultimi banchi ha urlato lo stesso aneddoto che avevo pensato anch’io: il cesto con l’agnello che non volevo portare. Con questa semplice condivisione non voglio ferire la preparazione teologica dei miei fratelli più grandi nella fede né confondere esegeticamente l’etimo degli ovini decisamente diverso ma quello che volevo fare, visto che non con tutti ho avuto modo di celebrare questo dono grande, è farmi conoscere un po’. Farmi vedere per quello che sono visto che non ci conosciamo mai abbastanza. Certo non sarà la visione di Agostino e Monica ad Ostia però in ogni storia il Signore fa nuove le cose. Il Signore ci ha fatto “vedere” la stessa cosa. C’è una dimensione contemplativa della vita che ci supera bisogna solo imparare ad ascoltarla. E di questo vedere e credere io sarò sempre grato ad i miei fratelli in Cristo che con il loro buon esempio mi hanno fatto scoprire la bellezza di questa lettura della vita che prima non conoscevo. Vita di famiglia Provincia di San Michele Arcangelo dei frati Minori di Puglia e Molise F esta della Provincia 9 maggio 2013 Monte Sant’Angelo (Fg) Nel Santuario di Monte Sant’Angelo ci siamo ritrovati per celebrare, come Fraternità provinciale, la Festa della Provincia nell’Anno della Fede e della nuova Evangelizzazione. Dopo il momento di preghiera iniziale, ci siamo messi in ascolto di fra Jacopo Pozzerle, ofm della Fraternità Missionaria di Palestrina introducendoci al tema “Frati Minori...testimoni di una fede umanizzante”. Cuore della giornata la Celebrazione Eucaristica nella Grotta dell’Arcangelo Michele presieduta dal Ministro Provinciale fra Giuseppe Tomiri e la ricca agape fraterna. Ringraziamo il Signore per quanto ci ha dato portando nel cuore le parole di Papa Francesco ascoltate all’inizio della giornata di Festa: “….lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore”. 27 Vita di famiglia 100° Genetliaco 1913-2013 di fra Bernardino Loverro Foggia - 15 Giugno 2013 Una parola sincera e trasparente Giurare significa affermare e promettere invocando Dio. Dio, però, non va strumentalizzato per affermare una propria verità o idea o scelta. Il nostro parlare deve essere si si e no no, come deve esserlo tutto il nostro stile di vita. La nostra parola deve essere sempre chiara, limpida, vera, trasparente, essenziale, come la nostra vita. La verità non ha bisogni di appoggi, anche divini. Quello che decido devo farlo senza calcoli umani. I cristiani devono non aver paura degli uomini. Oggi celebriamo i 100 anni di età del nostro confratello fra Bernardino Loverro al secolo Francesco nato a Cassano Murge il 13 giugno 1913. Vesti l’abito di san Francesco il 22 dicembre 1947. Fece la Professione solenne il 19 marzo 1952. Ha vissuto in diversi conventi della Provincia Casacalenda, Foggia Gesù e Maria, Sepino, Castellana Grotte, San pasquale Foggia, Molfetta, Sepino dal 1988 fino a tre mesi fa, ricoprendo gli uffici di cuoco, questuante, sacrista e vicario della fraternità di Sepino. All’improvviso nel mese di gennaio 2013 mi chiese di lasciare Sepino. All’inizio ho fatto qualche difficoltà e ancora oggi non ho mai capito il perché della sua scelta di esssere trasferito, so solo, oggi, che nel Convento di San Pasquale sta bene. Fra Bernardino mi ha dato e ci ha dato l’esempio dell’umiltà del vero frate minore, soprattutto in questi ultimi tempi, dove l’obbedienza, per alcuni frati, significa ascolto ai propri interessi e calcoli umani. Concludo salutando il fratello ed i nipoti che sono arrivati da Cassano per gioire con tutti noi. Fra Giuseppe Tomiri Ministro provinciale Auguri sinceri Il 22 maggio 2013 è stato eletto Ministro Provinciale dei Frati Minori del Salento Fr. Alfonso Polimena da Salice Salentino (Le). Il Vicario Provinciale fra Paolo Quaranta e i definitori: fra Francesco Zecca, fra Milko Gigante, fra Massimo Tunno, fra Cosimo Pro, fra Giancarlo Greco. 28 OFS L’OFS di San Nicandro Garganico festeggia il centenario della terziaria Maria Donnanno di Natina Mascolo - Vaira Il 20 febbraio del 2013, la Fraternità OFS di San Nicandro Garganico ha festeggiato il centenario di nascita della terziaria Maria Donnanno. La Santa Messa, celebrata presso la Parrocchia di Santa Maria delle Grazie, presieduta dal Parroco Padre Antonio D’Orsi, è stata concelebrata da Padre Lorenzo Ricciardelli e da Padre Giuseppe Muscerino. Gremita la Chiesa di fedeli, dei famigliari della Donnanno e della Fraternità OFS; la celebrazione eucaristica è stata accompagnata da suggestivi canti francescani eseguiti dal Coro Parrocchiale. Tra gli intervenuti, per il saluto e l’omaggio alla festeggiata, oltre al Parroco, anche la Ministra Teresa Scanzano e il sub commissario Maffei Trinio, che ha rappresentato l’Amministrazione Comunale. Alla celebrazione religiosa è seguito un momento gioioso e fraterno di festa nella sala “Zaccaria” del convento, annesso alla Parrocchia. Gremita la sala di terziari, fedeli e parrocchiani, nonché parenti della Donnanno che serena come sempre ha ringraziato tutti i partecipanti. Maria Donnanno quest’anno celebrerà anche il giubileo del suo 50° di professione nell’OFS, avvenuta il 19 novembre del 1963. All’atto della professione era già vedova. Sposatasi nel 1933 con Antonio Vocino aveva avuto un figlio, Michele, purtroppo deceduto all’età di tre anni. Il 3 maggio del 1937 Maria rimase vedova. In appena cinque mesi perse il marito e il figlio. Continuò, intanto a gestire un negozio di generi alimentari che aveva aperto ancor prima del suo matrimonio; questa attività la svolse nel rione “Terra rossa” fino al 1960 circa e in proposito afferma che spesso si andava avanti con le annotazioni sul “quaderno”, sul quale registrava il nome dei clienti che non potevano pagarla, con relativa somma. Sin da piccola Maria Donnanno ha frequentato l’Azione Cattolica locale, nonché il Preziosissimo Sangue, ma si sentì affascinata dall’ideale francescano. Di carattere mite, socievole e riservata nel contempo, silenziosa, ha frequentato la Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare fino a quando le è stato possibile, collaborando e contribuendo alle varie necessità, con un fare sempre umile, gentile, collaborativo e caritativo, caratterizzato da un sorriso sempre pronto e gioviale. Alla domanda se ricorda qualcosa di spiacevole in tale contesto lei mi ha risposto: “No, per noi è stato sempre bello. A Graziellina Donatacci Ercolino, la mia Ministra di allora, io la chiamavo sempre “mamma” anche se lei è quasi 20 anni più giovane di me. Tutti mi vogliono bene e io faccio altrettanto. Non ho mai litigato con nessuno. Ho partecipato alle varie attività della Fraternità e specialmente alle preghiere che si svolgevano presso le consorelle francescane. Ricordo con affetto tutti e le varie Ministre. Con alcune consorelle: Teresa Gravina, Emanuela Campanozzi, Grazia Campanozzi, Lucietta Cruciano, ci recavamo ogni giorno a piedi fino al convento. Il mio impegno era quello di guidare la recita del rosario e i canti durante la S. Messa. Anzi, quando recitavo il rosario, nell’intermezzo inserivo sempre qualche giaculatoria o un pezzetto di canto dedicato alla Madonna”. Ciò lo ha fatto fino all’età di settantacinque anni. Tuttora Maria è autonoma nelle sue necessità: riesce a cucinare da sola, aprire la porta, rispondere al telefono. Ogni giorno segue in TV la celebrazione delle Sante Messe, la recita delle lodi e dei vespri. Racconta con orgoglio che fino a 75 anni si recava ogni giorno al Convento di Santa Maria delle Grazie e partecipava regolarmente alle riunioni settimanali di Fraternità; poi fino a 99 anni si faceva accompagnare a Messa, almeno una volta al mese. Nel salutarmi, col suo consueto sorriso buono e materno sulle labbra, Maria mi ha raccomandato di portare il suo saluto alle terziarie che incontrerò e ricordando la sua vita attiva svolta nella Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare, ancora una volta mi ha confermato di non essersi scontrata mai con nessuno: “Non ho mai visto cose cattive in chiesa, ma ho trovato sempre tutto bello e buono”. Con questa testimonianza la terziaria francescana Maria Donnanno conferma quanto espresso dagli evangelisti Matteo (15, 18-20) e Marco (7, 21-23): ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, poiché da esso provengono i vari propositi. La nostra “centenaria” ci insegna a operare con letizia francescana ricercando e sperimentando uno stile di vita che valorizzi tutto quanto è “vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode”. (Fil. 4,8). 29 Focus di P. Francesco Taronna Una Scultura Lignea Dell’artista Nick Petruccelli NELLA SALA DELLE CONFESSIONI DEL CONVENTO SAN MATTEO A SAN MARCO IN LAMIS. 30 Non è La prima volta che parliamo dell’artista Nick Petruccelli di San Marco in Lamis. Già in altra occasione lo abbiamo presentato al pubblico per una personale di quadri e sculture, queste ultime realizzate con materiale nobile come anche con materiale di risulta che lui ricicla come francescano e maestro, amante, com’è, dello sviluppo sostenibile dell’ambiente per il rispetto del creato. Petruccelli riesce sempre a sorprendere gli estimatori con i suoi artistici manufatti in ferro, in pietra, in legno ed altri materiali. Dopo anni di lavoro come artigiano ma con intenti artistici, oggi le sue opere sono tante. La maggior parte di esse abbiamo avuto modo di ammirarle nelle sue due ultime personali, esposte nel nostro convento di san Matteo: la prima sul loggiato cinquecentesco prospiciente il chiostro con opere ottenute attraverso fantastici intagli di pietra del Gargano e di vario legno per una spiritualità arcaica ottenuta anch’essa attraverso forme tribali ed iconografie totemiche conciando e lavorando cuoi; la seconda nei corridoi del piano superiore con pitture acriliche su tele dall’occhio penetrante con tema personale obbligato sulla Shoah e sulle Foibe come denuncia, sono sue parole, della malvagità umana. A suo tempo ne parlammo come appendice ai diversi critici che avevano già presentato ed esaurientemente apprezzato ogni singola opera prima di noi attraverso il Catalogo meraviglioso delle sue opere dal 1968 al 2008. Specialmente nella sezione riservata alla pittura avemmo modo di notare come l’occhio umano, presente in quasi tutte le opere che erano in mostra, nell’intenzione dell’artista doveva perdersi in quello divino in una simbiosi, come tra musica e poesia, talmente forte da togliere la possibilità all’osservatore di separare l’umano dal divino. Perché Nick Petruccelli è credente cristiano cattolico praticante ed anche francescano. Ed è talmente forte la suggestione di questo suo sentire interiore di credente da sintetizzare artisticamente anche certi valori teologici e proporli come connubio inscindibile tra le possibilità umane e la creatività divina. È proprio il caso del presente lavoro offerto alla nostra attenzione e rifles- Focus sione, collocato temporaneamente nella penitenzieria all’interno della chiesa. Si tratta di un tronco contorto di ulivo, destinato dalla malvagità umana a finire i suoi giorni nel fuoco divorante di un incendio doloso. L’artista ha guardato questo resto del quasi distrutto oliveto, l’ha selezionato tra altri scampati all’incendio, l’ha prelevato, s’è fatto venire un’idea e lo ha trasformato in un’opera d’arte, accarezzando un progetto sacro di elevata rilevanza artistica oltre che religiosa. È venuto fuori, a nostro avviso, un significativo e religioso manufatto doubleface che da qualche mese fa mostra di sé nell’anzidetta penitenzieria del nostro glorioso monastero-convento-santuario di San Matteo. Da un lato è visibile un bassorilievo con un Cristo Crocifisso sofferente secondo la tematica francescana del “Christus patiens”, sorretto soltanto dalla presenza di Maria, la Mamma sua, e da Maria Maddalena mentre su, in alto, completa il bassorilievo un angelo che porge la mano al Cristo Crocifisso e nel contempo sorregge un lato della croce. Girando poi attorno al manufatto e osservandone il lato opposto, un altro bassorilievo, a chiara simbologia di cuore tondeggiante, prende tutta la scena e racchiude un altro volto di Cristo, ancora più sofferente, dal quale, con ardite volute artistiche spinte verso l’alto, prende vita e consistenza sovrumana la Mamma del Crocifisso, quale teologico tentativo di voler tradurre l’immagine dantesca della “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio” nel contesto del mistero trinitario. Questo secondo bassorilievo dell’artistico tronco ha in alto una Colomba, simbolo dello Spirito Santo e terza Persona della SS. Trinità, mentre il Padre, nella realizzazione teologica del Dio Uno e Trino, si arrende alla Vergine Madre e si attualizza nella Mamma di Gesù, Tempio della SS. Trinità, nell’atto di protendersi verso l’alto, guadagnando le altezze e compendiando nel Mistero l’intero bassorilievo. Nella scultura non figurano elementi pittorici, ma questi scaturiscono dalle venature del legno stesso e si completano con qualche tenue traccia del legno bruciato e misteriosamente scampato all’incendio. Dire che si tratta di un’opera d’arte è lapalissiano. Inoltre crediamo di non esagerare se ammettiamo che da un tronchetto di ulivo salvato dalle fiamme e dalla cenere è venuto fuori un condensato artistico di popolare teologia, cristologia, mariologia ed ecclesiologia. Nell’Anno della Fede, questa scultura doubleface, sistemata temporaneamente nella Sala delle Confessioni, non soltanto esprime forma, colore e proporzioni per consentire alla realtà del mistero realizzato di esprimersi nella sua globalità, ma è un incentivo a fare la confessione dei propri peccati con maggiore fiducia e spontaneità. Secondo noi è qualcosa di bello e ciò che è bello suscita contemplazione. “Davanti alla bellezza, è stato scritto, l’animo trova la quiete e in essa si rifugia per ricercare la verità su se stesso e sul mondo che lo circonda”. È quello che attestava già S. Agostino quando scriveva che la bellezza trova posto nell’intimo dove giace la verità: “Tardi ti amai, diceva, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo”. Il linguaggio della bellezza è una strada privilegiata per una nuova evangelizzazione oggi, il cui compito è quello di annunciare la fede in Gesù, “il più bello tra i figli dell’uomo” (Salmo 45). Come già è stato osservato, nella scultura non figurano elementi pittorici, se non qualche simbolica ed evanescente traccia di sangue. L’unica pennellata veramente significativa, e che è servita a valorizzare l’intera opera, è costituita dalle ottime fotografie realizzate dall’amico Giuseppe Bonfitto, al quale va il ringraziamento dell’autore della scultura e in parte del sottoscritto, il quale con esse ha tentato di sintetizzare meglio tutta l’opera con la presente testimonianza strettamente personale. 31 24-26 Giugno ndo Centro di Accoglienza “Approdo” in San Giovanni Roto ASSEMBLEA PROVINCIALE A C lla ricerca della nostra identità… on la bisaccia del cercatore Buona Estate vieni a visitarci www.fratiminoripugliamolise.it In caso di mancato recapito, rispedire al mittente, che si impegna a pagare quanto dovuto per legge. Grazie! Curia Provinciale OFM Convento San Pasquale - 71121 Foggia