Francesco: il Papa della tenerezza

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Francesco: il Papa della tenerezza
Anno LXI n. 2 - Giugno 2013 - C.C.P. 13647714
Spedizione in Abb. Post. Art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Foggia
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Provincia di S
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Francesco: il Papa della tenerezza
Provincia
di San Michele
Arcangelo
dei Frati Minori
di Puglia e Molise
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3
Un Papa Gesuita dal cuore francescano
di fr. Leonardo Civitavecchia, ofm
ATTUALITà
4
Il Sogno di Francesco
di Ignazio Loconte
CHIESA
6
Papa Francesco come Francesco...
di Francesco Armenti
FRANCESCANESIMO
Anno LXI n° 2
giugno 2013
C.C.P. 13647714
Spedizione in Abb. Post.
Art. 2 comma 20/C legge 662/96
Filiale di Foggia
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In copertina:
La tenerezza di Papa Francesco
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Francesco di nome, Francesco di fatto!
di fr. Alessandro M. Mastromatteo, ofm
10 Come un Magnificat
Le Sorelle Clarisse
12 Fr. José Rodriguez Carballo
Arcivescovo di Belcastro e Segretario IVC e SVA
13 Fr. Micheal Perry, ofm, è il nuovo Ministro Generale
14 Panorama Francescano
PRIMO PIANO
16 Vivere con Maria l’Anno della Fede
di Antonio Ucciardo
18 Excursus sulla cultura e la religiosità del popolo armeno
di Paula Dobrescu
22 Sempre più poveri
VITA DI FAMIGLIA
24 La nostra Storia:
Convento S. Giovanni ai Gelsi in Campobasso
di Michele D’Alessandro
26 Seguire l’Agnello per diventare pastori
di fr. Roberto Raffaele Maria Quero
27 Festa della Provincia
28 100° Genetliaco di fra Bernardino Loverro
di fr. Giuseppe Tomiri, Ministro Provinciale
29 Centenario della terziaria Maria Donnanno
di Natina Mascolo - Vaira
FOCUS
30 Una scultura lignea dell’artista Nick Petruccelli
di p. Francesco Taronna
Editoriale
un Papa Gesuita
dal Cuore francescano
Carissimi lettori: pace e gioia a tutti!
Che grande fascino, cari amici, il nostro
Papa Francesco cui vogliamo dedicare
alcune delle nostre pagine. è proprio
vero: i gesti sono certamente più eloquenti e comprensibili delle parole o ragionamenti contenuti in un’enciclica. è
bello quindi vedere papa Francesco scrivere le prime encicliche con l’esempio e
gli atteggiamenti che ha assunto, lanciando messaggi ben precisi a Cristiani
e non. Mi piace citare John L. Allen, jr. in
cui intitola proprio “Le dieci ‘encicliche’ di
papa Francesco” (Ancora editrice) il libro
nel quale elenca dieci gesti del nuovo
pontefice che hanno colpito il mondo.
Non si tratta di “gesti meditati di chi si
trovi in un ruolo non suo”, avverte, quanto del “frutto della riflessione di una vita
intera su quello che significa essere vicario di Cristo nel mondo di oggi”.
POVERTÀ. Il primo aspetto è il desiderio del papa - e ci auguriamo anche
nostro - che la Chiesa sia “povera, e per
i poveri”. L’idea guida è che Cristo è venuto per offrire amore e salvezza a tutti,
ma in particolare agli “ultimi”, a livello
economico ma anche sociale, gli emarginati visti dagli altri “con le lenti del pregiudizio e della paura”. Allo stesso modo,
papa Francesco “sembra intenzionato a
fare piazza pulita di tutti gli oggetti e
gli usi legati al papato che sanno di ricchezza e privilegio”, perché il vescovo
di Roma sia “un testimone credibile” del
messaggio di povertà che lancia.
UMILTÀ. Grande testimone dell’amore, l’attenzione per i poveri e la pas-
sione per la giustizia, invita la Chiesa a
vivere e mostrare, con il loro stile di vita,
Cristo povero e umile.
VICINANZA ALLA GENTE. Il nuovo
papa vuole stare vicino alla gente. Per questo, non si sottrae al contatto personale.
PERDONO. Ha lanciato da subito l’invito a non dimenticare che “Dio non si
stanca mai di perdonarci”, e “che sembra candidarsi a essere la ‘firma’ di papa
Francesco”.
IL NOME FRANCESCO. Quando si
pensa alla Chiesa, ai cattolici vengono
in mente due volti diversi della stessa realtà: quello dell’istituzione, che ha a che
fare con risorse e strutture, regolamenti
e una catena gerarchica di comando, e
quello spirituale, delle piccole comunità
in cui si cerca vivere in concordia e amore fraterno. Prendendo il nome di Francesco, “Jorge Mario Bergoglio ha detto in
sostanza che il ‘secondo volto’ della Chiesa deve prevalere sul primo. Ha insomma annunciato un intero programma di
azione, una compiuta visione della realtà
della Chiesa, con una sola parola”.
UNA FEDE PROPOSTA. Allen prosegue poi parlando di “una fede da proporre, non da imporre”. Il papa incontrando
i giornalisti il 16 marzo, ha impartito la
benedizione in silenzio, sapendo che alcuni non erano cattolici e altri non erano credenti, per rispettare “la coscienza
di ciascuno”.
CHIESA NON COME ONG. La Chiesa
non è un’organizzazione umanitaria. “Se
non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non
va. Diventeremo una ONG assistenziale
ma non la Chiesa, Sposa del Signore”.
PESSIMISMO. Nell’omelia della messa
per l’inizio del ministero petrino, il papa
ha affermato che accogliere il messaggio cristiano è un modo per vedere la
luce della speranza “davanti a tanti tratti
di cielo grigio”.
UMORISMO. La speranza si lega alla
capacità di saper sorridere, e il senso
dell’umorismo è un tratto tipico del
nuovo pontefice. Il papa parla di Cristo
al mondo intero, e sa che farlo con un
sorriso gli può garantire “migliore accoglienza e ascolto”.
UNITÀ. Francesco, conclude Allen,
“non sarà mai favorevole a quella falsa
uniformità che annebbia artificiosamente le differenze”; “sa che le tensioni
devono essere affrontate con coraggio e
sincerità, non soppresse o ignorate nella
vana speranza che prima o poi si annullino”. Proprio perché apprezza le diversità
nella Chiesa, tuttavia, sa anche quanto
sia importante cercare sempre l’unità,
perché senza un impegno costante in
questo senso le tensioni “possono paralizzare invece di arricchire”.
In questo Anno della Fede abbiamo
davvero un grande programma e opportunità per il futuro della chiesa e nostro
che il Papa ci sta offrendo. E tutto ciò in
appena tre mesi di pontificato. Già immagino: se vinciamo la paura e ci apriamo
agli orizzonti di Dio, come fece San Francesco, usciremo dalla “Crisi” e da noi stessi,
con il coraggio di percorrere le strade del
mondo e portare il Vangelo di Cristo.
A tutti buona estate…in cammino con Dio.
fr. Leonardo Civitavecchia, ofm
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Attualità
Il sogno
di francesco
di Ignazio Loconte
Scrivo quest’articolo mentre Papa
Francesco incede con la sua caratteristica andatura leggermente claudicante all’inseguimento del Santissimo
Corpo di Cristo, che ondeggia sotto il
baldacchino piantato come un albero sul trabiccolo vaticano. è giovedi
del Corpus Domini, quel giovedi che
vedeva i nostri paesi riempirsi di fiorescenze multicolori e coperte del corredo esposte alla bisogna sui balconi,
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in un tripudio di dorami trionfali, che
oggi purtroppo sono scomparsi nel
nome di un malinteso patto di non
aggressione con un mondo secolare che vuol essere lasciato in pace e
preferisce la banalità della ferialità alla
magnificenza della solennità.
Un barocco non capito e sottostimato, come fanno quei molti che visitando le chiese rinnovate nel settecento
lamentano la scomparsa delle sottostanti vestigia gotiche-romaniche.
Odiamo la festa, tanto che oramai ci
lavoriamo anche, con la scusa che bi-
sogna incassare due euro in più. Alla
faccia dei diritti sindacali sanciti dal riposo divino del settimo giorno.
è incredibile come noi cristiani ci facciamo passare tutto sotto il naso, accidiosi nella reazione, capaci al massimo
di produrre geremiache lamentazioni
nella settimanale riunione dell’associazione di appartenenza.
Intanto Papa Francesco incede claudicante, come Giacobbe reduce dalla
lotta angelica che gli meritò una vittoria su Dio e un cambio di nome, oltre
Attualità
alla gamba sciancata: procede svelto, mentre il pick-up costeggia i cancelli della
basilica antoniana. Ricorda l’immagine dantesca per la quale il suo omonimo
correva dietro la sposa, e correndo gli pareva esser tardo.
Va di prescia perchè è conscio che la Chiesa non ha la stessa velocità delle
donne che dal sepolcro si catapultavano al Cenacolo, ebbre di una barocca
festività femminile che stava per impattare con la seriosità pratica della fede
claudicante tipica del maschile.
Non di tutto il maschile, grazie a Dio.
Papa Francesco irrompe nella storia come l’ennesimo mistero di una coroncina mariana, non saprei quanto lunga, di Pontefici validi e santi.
Cresciuto nei liceali meandri ove la storia cristiana veniva dipinta come una
sequenza di pontefici indegni e mondani, ho dovuto sempre fare i paragoni
con i Papi contemporanei: Giovanni il buono, Paolo l’incompreso, Giovanni Paolo primo il sorprendente, Giovanni Paolo II il senza paura, Benedetto il mansueto
e Francesco il restauratore. Che fila di grandi personaggi!
La considerazione di questa novità suscita però altre riflessioni, ad esempio: la
Chiesa è società di uomini, e per questo sempre in “crisi” per definizione. Due
i motivi: il primo è che costitutivamente tali uomini, per quanto assistiti dallo
Spirito, non possono essere mai pienamente all’altezza del compito affidato.
“Anche il Papa commette peccati” ha ricordato pubblicamente Francesco!
Il secondo è che la Chiesa ha a che fare con la modernità, che per sua indole
è effimera: appena ti ci sei adeguato essa è cambiata. Eternità contro il tempo.
Ebbene, la Chiesa usciva sempre dalle crisi con movimenti dal basso, provocati
da uomini che oggi chiamiamo santi, pezzi di popolo che ricordavano alla gerarchia la relativa missione.
Oggi le parti appaiono invertite. La riforma non è auspicata da un monaco
francese, un predicatore cataro, né tantomeno da un figlio di mercante umbro
o un militare spagnolo, ma da un Papa. Un padre che incita, invita, corregge,
precede. C’è da chiedersi chi seguirà il suo invito. Se dovessi fare una classifica
delle precedenze, credo che i più sensibili dovrebbero essere i pilastri di questa
chiesa: i Vescovi, pastori che dovrebbero sentire l’odore del gregge, gregge che
spesso del proprio pastore non conosce neppure il nome.
Abbiamo la fortuna di aver avuto in Puglia un fulgido esempio di tale emergenza pastorale: don Tonino Bello, guardiano di un ovile senza recinto i cui
agnelli non hanno troppa paura dei lupi. La sua mancanza di timore, virtù che
ogni francescano dovrebbe avere a cuore, virtù che faceva di don Tonino un
vero terziario, dovrebbe ispirare chiunque ha un compito di ordinariato nel corpo di Cristo, dai cardinali alle badesse, dai provinciali ai ministri, dai parroci ai
catechisti.
Invece siamo ancora qui, tremebondi, a seguire lo spread e le notizie del tiggi,
pensando al futuro come ad un qualcosa che verrà da sè e non come ad opportunità da cogliere, un campo in cui seminare il progetto.
Intanto le cose vanno cambiando: mentre cerco la conclusione dell’articolo
san Giovanni in Laterano resta vuota, il corteo giunto a santa Maria Maggiore.
Nella piazza della cattedrale del Papa restano solo alcune candele votive che
rotolano per terra intorno alla statua del Poverello che, come narrato dal biografo, ha le braccia alzate nell’atto di mantenere la Chiesa. É la rappresentazione
plastica, come è noto, del famoso sogno che fece Innocenzo III: la chiesa rischiava di crollare, ma nel sogno veniva sorretta da uno sconosciuto che più tardi
avrebbe riconosciuto in un mendico di nome Francesco, proveniente da Assisi.
I tempi sono cambiati, dicevo: oggi forse sarebbe il figlio del mercante, preoccupato dal fallimento delle economie globalizzate, a sognare il crollo del sistema, il venir giù delle aziende e delle certezze, della propria ecclesia autocostruita
tra i dibattiti dei talk e le urla dall’apocalittico di turno.
E proprio quando tutto sembra inclinarsi sul piano irreversibile della decadenza, ecco un piccolo uomo, claudicante e sorridente, giungere e sorreggere la
costruzione sostituendosi al pilastro frantumato. Si chiama anche lui Francesco,
e di mestiere fa il Papa.
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Chiesa
2012 - 2013 • Anno della Fede e della Nuova Evangelizzazione
Papa Francesco come Francesco…
dal Pontefice sfide profetiche alla vita francescana
di Francesco Armenti
L’urgenza del carisma francescano
Con l’elezione di Papa Francesco si è
aperta, in continuità con il pontificato di Benedetto XVI e di tutta la storia
della Chiesa, un tempo nuovo in cui
il popolo di Dio e il mondo devono
saper accogliere l’azione dello Spirito
che agisce, sempre e comunque, nel
tempo.
Facciamo alcuni passi indietro per
riscoprire la vitalità del carisma francescano (Vivere il Santo Evangelo sine
glossa), oggi quanto mai necessario
alla vita della Chiesa e al bisogno di
conversione dei cristiani. Bonaventura
da Bagnoregio, negli anni 1260-1263,
scrivendo la biografia del Poverello d’Assisi, inizia con queste parole:
«La grazia di Dio, nostro salvatore, in
questi ultimi tempi è apparsa nel suo
servo Francesco». Il Cardinale vedeva
in Francesco un alter Christus, un testimone eccezionale del rapporto con
Cristo e, appunto, dell’azione della
grazia di Dio nell’uomo. Ancor prima,
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Tommaso da Celano, soffermandosi
sulla conversione di vita del giovane
Francesco, della forza della Parola e
dell’incontro con Cristo nella sua vita
e spiegando, in un certo senso, i frutti
dell’accoglienza da parte dell’uomo
della grazia di Dio, lo definisce un
«uomo veramente nuovo» (FF,462).
La riconsegna della Regola
Questi due quadri iniziali ci introducono nell’obiettivo di fondo di questa
riflessione: quale messaggio, diretto
e indiretto, il gesuita Papa Francesco
lancia ai francescani? E perché ai figli
di Francesco d’Assisi? Il mondo francescano deve sentirsi particolarmente
interpellato dalle parole del Pontefice, non perché sia il solo ed unico
destinatario ma perché è chiamato,
per identità e storia, a “ salvare la Chiesa”, vivendo con radicalità il Vangelo.
Una vocazione che è all’origine della
chiamata di Francesco e dei suoi figli:
«Francesco, va’, ripara la mia casa che,
come vedi, è tutta in rovina» (2Cel 10,
FF,593). Vi è un’altra motivazione individuabile nelle aspettative del Papa.
San Francesco ha avuto sempre rap-
porti profetici e di obbedienza con i
vicari di Cristo: da Innocenzo III (1209)
cui chiese l’approvazione della Regola
a Gregorio IX (1228) che lo ha proclamato santo recandosi personalmente
ad Assisi. Gli atti, l’arte (soprattutto gli
affreschi di Assisi firmati da Giotto) evidenziano le aspettative e la fiducia che
il Papa, anche dopo alcuni dubbi iniziali, depone nell’ Assisiate. è sintomatico, a tal proposito, il noto sogno della
cadente Basilica del Laterano sostenuta dalle deboli spalle di quell’ uomo,
povero e misero. Un sogno che convinse Papa Innocenzo III ad approvare
la Regola di vita pensata e presentata
dal giovane Francesco. In un affresco,
attiguo a quel che racconta il sogno,
Giotto illustra Innocenzo III nell’atto di
consegnare a Frate Francesco la sua
Regola perché convinto del sostegno
che quel nuovo Ordine poteva offrire ad una Chiesa vacillante per la sua
ricchezza, la corruzione, per la sua collusione con il potere civile del tempo
e la sua incoerenza evangelica. Partendo da ciò i Francescani del nostro tempo devono rivivere le stesse sfide e la
Chiesa
medesima chiamata. Papa Francesco
riconsegna oggi a tutti i figli di Francesco quello stesso rotolo, quella stessa
Regola che Papa Innocenzo III, dopo il
sogno, rimise nelle mani del Poverello.
Che grande responsabilità e vocazione! Sostenere e convertire la Chiesa di
oggi che «va’ in rovina». In che modo i
figli di Francesco possono continuare
a “sostenere” la Chiesa?
Chi “ salverà” la Chiesa?
è un interrogativo capitale e reale
e che si è imposto con più forza con
Papa Bergoglio. Saranno, come sempre, i poveri, i semplici, i misericordiosi, i giusti a salvare la Chiesa. Lo ha dimostrato Francesco d’Assisi con la sua
vita, le sue scelte e il suo essere sposo
di «Madonna povertà». Agli osservatori attenti balza subito, dinanzi agli occhi e all’intelligenza, il contrasto che,
negli affreschi di Giotto, emerge tra la
miseria e la povertà di san Francesco e
il lusso del portico di San Giovanni in
Laterano e del padiglione del Papa. Un
contrasto che richiama una verità: «la
Chiesa ricca è salvata dai poveri di Cristo». Sì, sono i poveri a rendere bella e
a far risplendere la Chiesa con l’amore
di Cristo. Papa Francesco ha spiegato,
sin dal giorno dopo l’elezione, i motivi
della scelta del nome quando, durante l’incontro con i giornalisti (16 marzo 2013) ha detto: «Come vorrei una
Chiesa povera e per i poveri». I Francescani devono, con la loro vita povera
e sobria, vita del cuore, vita del corpo,
dei luoghi…, realizzare il desiderio
del Pontefice di una Chiesa che non
sia soltanto vicina ai poveri ma che si
faccia povera e, quindi, ricca dell’unica
vera ricchezza che è il Signore. Farsi
poveri, inoltre, significa, coniugare
il verbo «servire» in un tempo in cui
la cupidigia del potere è un idolo rischioso e disumanizzante. I figli di
Francesco devono testimoniare la vita
e la vocazione con la vera identità della Chiesa che è il Vangelo dell’amore,
del dono, della verità, della fraternità.
Chiesa umana perché di Dio
Altra parola di Papa Francesco che
occorre accogliere e vivere è l’umiltà.
E Papa Francesco non si impone di
essere umile ma lo è nel cuore, nella
coscienza, per scelta e vocazione. Ai
cardinali ha ripetuto più volte che chi
guida la Chiesa è Cristo per mezzo dello Spirito Santo. E ciò significa che è il
Signore, che deve essere al centro, non
il papa. Chi serve nella Chiesa deve
conoscere la responsabilità profetica di rinviare continuamente a Gesù
con una vita povera, semplice, dedita
agli ultimi, infiammata dal fuoco delle
verità e dalla passione per la giustizia.
L’umiltà è stato da sempre il “cavallo di
Battaglia” di Bergoglio sin da quando
era Superiore Provinciale del suo Ordine. Nei suoi incontri di formazione,
tra gli altri, amava citare e consegnare
come riflessione dei testi di Doroteo
da Gaza, monaco e padre della Chiesa
bizantina del VI secolo: «In verità, nulla è più prezioso dell’umiltà, nulla più
importante di essa. Se all’umile capita
qualche male, immediatamente fa ritorno su di sé, ed egualmente giudica
che lo ha meritato. E non si permette
di riprovare altri né di incolpare chicchessia. Semplicemente sopporta,
senza turbamento, senza angoscia e
in tutta quiete. “L’umiltà non si irrita né
irrita nessuno”. Bene ha detto il Santo: prima di ogni altra cosa abbiamo
bisogno dell’umiltà» (in, Jorge Mario
Bergoglio, Papa Francesco, Umiltà, la
strada verso Dio, p. 42). Nel clima di
rissosità diffusa, di individualismo, orgoglio è vitale una Chiesa che sappia
essere discepola e imitare Colui che
è «mite e umile di cuore». E l’umiltà
di cuore non è un vocabolo ma un
vocabolario: tenerezza, misericordia,
perdono vicendevole, comprensione
reciproca, compunzione del cuore…
La vita fraterna può e deve essere luogo e scuola di questa mitezza e dell’umiltà del Signore, così come l’Assisiate
voleva, casa del perdono, dell’amore,
dell’aiuto, della minorità.
Chiesa nella città
«Dio vive nella sua città»! è una verità profondamente creduta da Papa
Francesco e per la quale si è impegnato anche nella sua patria. Se Dio vive
nella città, la Chiesa deve essere nella
città. Un tema che acquista vitalità nel
tempo della Nuova evangelizzazione.
Come aiutare l’indifferenza e il postsecolarismo della città a scoprire la
presenza di Dio nelle sue vie? è la fede
che «scopre e crea la città». Da cardinale, l’attuale Pontefice proponeva
alla Chiesa argentina una riflessione
del Documento di Aparecida che spiega questo rapporto tra fede e città: «La
fede ci insegna che Dio vive nella città,
in mezzo alle sue gioie, ai suoi desideri e alle sue speranze, come anche
nei suoi dolori e nelle sue sofferenze.
Le ombre che segnano la quotidianità
della città, la violenza, la povertà, l’individualismo e l’esclusione, non possono
impedirci di cercare e di contemplare
il Dio della vita anche negli ambienti
urbani. Le città sono luoghi di libertà
e di opportunità. In esse le persone
hanno la possibilità di conoscere altre
persone, di interagire e di convivere
con esse. Nelle città è possibile sperimentare vincoli di fraternità, solidarietà e universalità. In esse l’essere umano
è chiamato a camminare sempre più
incontro all’altro, a convivere con il diverso, ad accettarlo e ad essere accettato da lui» (n.514). Tornare nelle città,
partendo dai conventi, aiutare l’uomo
a riscoprire Dio e i risultati negativi
della sua assenza nella storia, educare l’uomo a guardare la città con lo
sguardo di Dio è compito dei discepoli
di Cristo e dei figli di Francesco.
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Francescanesimo
Francesco di nome,
Francesco di fatto!
Dalla povertà di Francesco d’Assisi
a quella di papa Francesco: un unico filo rosso…
di fra Alessandro M. Mastromatteo, ofm
“Qui sibi nomen imposuit…Franciscum”. A quella proclamazione, un’insolita esplosione di gioia! Il nome del
Serafico Padre aveva, in quel tardo
pomeriggio del 13 marzo, determinato il programma del ministero petrino
del neo-eletto. Un papa che, come
Francesco d’Assisi, avrebbe riportato
la Chiesa sui sentieri dell’essenzialità e
della letizia. E così si è rivelato! La sua
scelta non è stata solo di contorno o di
facciata, ma si è già concretizzata attraverso parole, atteggiamenti, proposte.
Cosa sta suggerendo papa Francesco
per “amare e custodire sempre nostra signora la santa povertà”? (Testamento di
Siena, 4). Egli ha già più volte affermato che la povertà è un atteggiamento
interiore, fatto di conoscenza di sé,
di umiltà, di condivisione, di minorità
personale e comunitaria. San Fran-
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cesco ha scoperto tale povertà e l’ha
resa possibile per il suo tempo, e i tratti essenziali di questo percorso sono
giunti fino all’epoca contemporanea.
Ma ora tocca a noi, afferma il Santo
Padre, trovare il modo di esprimere e
attuare la stessa radicalità nel mondo
di oggi. Francesco d’Assisi è stato talmente identificato con la povertà che
l’espressione “il Poverello” è diventata
quasi un altro suo nome proprio. La
sua scelta, però, è fondata non tanto
su motivazioni sociali, quanto piuttosto sulla conformità a Gesù Cristo:
“Tutti si impegnino a seguire l’umiltà e
la povertà di nostro Signore […], ricordino che fu un povero e un ospite e visse di elemosine […], che per noi si fece
povero in questo mondo […], lui ricco
al di sopra di tutto volle, con sua madre,
scegliere la povertà” (Regola non bollata
9, 1ss.). La povertà di Dio (Se quella di
Dio è un’attitudine…tutti, la pratica
della rinuncia ai beni materiali…) è
un’attitudine dettata dall’amore, dal
dono di sé fino alla morte e di servizio
incondizionato verso tutti. La scelta e
la pratica della povertà materiale, il rifiuto di ogni proprietà collettiva o del
denaro, il ricorso all’elemosina in caso
di bisogno, sono una manifestazione
tangibile dell’atteggiamento interiore
fondamentale, che egli affermava con
forza: “Questa è la sublimità di quell’altissima povertà che ha costituito voi eredi e re del regno dei cieli […] alla quale
bisogna aderire totalmente” (Regola
bollata 6, 1-6). Quindi, la concezione
del Poverello è molto più complessa
e più sfumata di quella che si pensa
abitualmente. La prima povertà è
quella di Dio e del suo Cristo che ogni
credente è chiamato a seguire e che
consiste in un dono di sé per amore,
in un servizio nei confronti degli altri,
in una condivisione di ciò che si è e di
ciò che si possiede, in umili gesti. L’altro aspetto della povertà (la carenza,
Francescanesimo
il linguaggio diretto e semplice, ossia
tutto ciò che fa scattare nel popolo
l’identificazione con un pastore che è
uno di loro, è invece la dimostrazione
evidente, per coloro che sono immersi nel disagio assoluto, della rivincita
della Chiesa del Vangelo su quella
della Curia, della teologia della liberazione su quella tradizionale, della
Chiesa vicina agli ultimi contro quella
che ama i salotti del potere. “Essere lieti
quando vivono tra i poveri…” (Regola
non bollata 9, 2), implica un atteggiamento fondamentale di rispetto della
loro dignità umana, la comprensione
amorevole verso le condizioni disagiate, la condivisione delle reali difficoltà,
la disponibilità a servirli per farli uscire
da uno stato di prostrazione. Non solo
essere “con” loro, ma “come” loro. Francesco d’Assisi ha conosciuto concretamente il mondo dei poveri attraverso
il contatto con i lebbrosi; papa Fran-
cesco l’ha sperimentato nelle ripetute
visite alle favelas nella sua Argentina e
continuerà a farlo attraverso gli innumerevoli sguardi che incrocerà, le benedizioni che impartirà, le carezze che
offrirà, i sorrisi che regalerà, le parole
che pronuncerà, le scelte che farà, le
preghiere che eleverà, le lacrime che
asciugherà, le speranze che rafforzerà e il volto di Cristo che nel cuore di
ciascun uomo riuscirà ad imprimere.
“Francesco: l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”: è questa la descrizione
che da subito ha fatto papa Francesco
del Poverello d’Assisi; un papa che ha
voluto identificarsi non solo nel nome
di una santità conosciuta e riconosciuta, ma anche nel carisma di colui
che ottocento anni fa ha riformato la
Chiesa tutta. Un filo rosso che si riannoda; un altro Francesco…non solo di
nome, ma anche di fatto!
SPIEGAZIONE DELLO STEMMA
“miserando atque eligendo”
l’insufficienza e la miseria) è un male
che Dio detesta e che l’uomo deve
neutralizzare a tutti i costi in quanto
distrugge la dignità umana. Tra l’altro
è Dio stesso che ce lo ricorda: “Che
non ci sia mai un povero tra di voi” (Dt
15, 4). È ciò che vive papa Francesco;
è ciò che auspica papa Francesco.
Quanto al primo significato di povertà egli esclama: “Quanto vorrei una
Chiesa povera e per i poveri”; quanto al
secondo, invece, esorta: “Dovremmo
vendere le chiese per sfamare i poveri…”, oppure denuncia: “La politica non
s’interessa se la gente muore di fame, se
non ha niente. Si preoccupa delle banche o della finanza”. Il suo annuncio,
però, non si ferma alle parole, ma si
trasforma in fatti; in altri termini, la sua
non è solo una povertà “pensata” ma
anche una povertà “vissuta”. Le scarpe
nere consumate, l’anello d’argento, la
croce pettorale di ferro, la camicia senza gemelli, il conto pagato all’albergo,
LO SCUDO
Nei tratti, essenziali, il Papa Francesco ha deciso di
conservare il suo stemma anteriore, scelto fin dalla
sua consacrazione episcopale e caratterizzato da una
lineare semplicità.
Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità
pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso). In alto,
campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù:
un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero.
In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione
araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione
iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in
mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria
particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.
IL MOTTO
Il motto del Santo Padre Francesco è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile,
sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico
della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo
guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).
Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia
delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e
nell’itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell’anno 1953, il
giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all’età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì
toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di
tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola.
Una volta eletto Vescovo, S.E. Mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che
segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Beda miserando atque
eligendo, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.
9
Francescanesimo
Come un Magnificat
Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!
Come comunità federale abbiamo numerosi motivi per rendere
grazie al Signore per i suoi doni e
per innalzare a Lui il nostro canto di
lode, insieme a Maria, madre di Dio
e ai nostri santi Francesco e Chiara
d’Assisi.
10
Francescanesimo
2 marzo 2013
Iniziazione alla Vita Religiosa e Vestizione di Sr. Angela Benedetta
Terriaca
Monastero S. Chiara – Mola di Bari
Grate a Dio per il dono di questa pianticella, affidiamo Sr. Angela Benedetta
alla preghiera e alla custodia di tutti,
affinché il Signore le conceda di avanzare confidente, lieta e sollecita nella
via della sequela di Cristo.
20 aprile 2013
Iniziazione alla Vita Religiosa e Vestizione di Sr. Chiara Luisa Sorrentino
Monastero S. Luigi – Bisceglie
Auguriamo a Sr. Chiara Luisa di mantenersi fedele a Dio, vivendo nella testimonianza gioiosa e coerente della
bellezza e novità del Vangelo.
29 aprile 2013
Professione Solenne di Sr. Francesca Persano
Monastero S. Nicolò – Otranto
Rendiamo grazie al Signore che ha
unito per sempre a sé Sr. Francesca
nel vincolo della professione solenne
e preghiamo perché le conceda di essere un costante dono d’amore a Dio
e alla Chiesa per il bene dell’umanità.
31 maggio 2013
XXV Anniversario di Professione
Religiosa di Sr. Chiara Crocifissa De
Palma
Monastero S. Chiara – Mola di Bari
Rendiamo lode a Dio per la sua fedeltà ed il suo amore, che ha manifestato
con abbondanza nel cammino di Sr.
Chiara Crocifissa; Lui che le ha donato
di raggiungere questa tappa, le conceda di crescere sempre più nel bene
e di perseverarvi fino alla fine.
11
Francescanesimo
Fr. José Rodríguez Carballo
Arcivescovo di Belcastro e Segretario della Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
S. E. R. Mons. Fr. José Rodríguez Carballo, OFM, nominato, il 6 Aprile dal Santo Padre Francesco, Arcivescovo titolare di Belcastro e Segretario della Congregazione per gli
Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, è
stato ordinato vescovo nella Santa Apostolica Cattedrale Metropolitana di Santiago de Compostela, Sabato 18
maggio 2013, solennità di Pentecoste.
Il Vescovo Consacrante il Cardinale Tarcisio Bertone,
Segretario di Stato di Sua Santità Francesco. I Vescovi
Co consacranti il Cardinale Carlos Amigo Vallejo, OFM
e Mons. Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago de
Compostela.
Oltre a numerosi, Cardinali e Arcivescovi e Vescovi, molti sacerdoti hanno concelebrato e religiosi, con un gran
numero di Frati Minori arrivati da molte parti del mondo. Hanno Accompagnato a Monsignor Carballo anche
religiose, amici e familiari. Alla Celebrazione era presente
anche il nostro Ministro Provinciale fra Giuseppe Tomiri.
12
Francescanesimo
Fr. Micheal Perry, OFM
è il nuovo Ministro Generale
Fr. Michael Anthony Perry, è stato
eletto Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori ‘ad complendum
sexennium’. Fr. Michael ha di 59 anni,
è americano, è succeduto il 22 maggio 2013, a Fr. José Rodríguez Carballo, nominato da papa Francesco segretario della Congregazione per gli
Istituti di Vita Consacrata.
Nato a Indianapolis (USA) nel 1954,
Fr. Michael era in servizio come Vicario generale dell’Ordine. è stato Ministro Provinciale del Sacratissimo Cuore di Gesù Provincia (USA). Ha servito
la sua Provincia nella formazione teologica, formazione post-noviziato,
lavoro internazionale GPIC, e per
dieci anni ha lavorato nelle Missioni
(Repubblica Democratica del Congo).
Ha anche lavorato con i Catholic Relief
Services e nella Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.
Il suo curriculum accademico include un Dottorato in Antropologia Religiosa, un Master in Missionologia, un
M. Div. nella Formazione Sacerdotale
e due B.A. in Storia e Filosofia.
Durante la sua prima omelia il 23
maggio, ha parlato di come i Frati Minori non devono fare affidamento su
nessuno, ad esclusione dello Spirito di
Dio.
Ha continuato dicendo che nel
mondo di oggi i giovani hanno fame
di una vita significativa, gli anziani
sono assetati di qualcuno per dare
loro nuovi spazi di vita. I poveri e gli
emarginati sono desiderosi di essere
riconosciuti nella loro dignità umana,
e noi, frati, sempre più abbiamo bisogno di una testimonianza comune e
fraterna della misericordia di Dio.
Alla fine della sua omelia, ha sottolineato l’importanza di diventare una
fraternità profetica, testimoniando
la nostra fraternità come luogo della
presenza sacramentale di Dio, imparando insieme come leggere i desideri e le sofferenze del nostro tempo per
lasciarsi permeare dal Vangelo, che è
Gesù Cristo stesso. Questo ci permetterà di diventare un mistero vivente
dello Spirito di Dio dato a noi dal Padre mediante il Figlio.
13
panorama
Francescanesimo
f
panorama
I Francescani
al GMG 2013
È con il cuore pieno di gioia che attendiamo la Giornata
Mondiale della Gioventù, che
si svolgerà tra il 23 e il 28 luglio
nella città di Rio de Janeiro, RJ,
Brasile. È un vero dono della
generosa grazia di Dio, che offre ai giovani di tutto il mondo,
accolti con le braccia aperte
dal Cristo Redentore e inviati in
missione dallo stesso Signore
che esorta: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” Pertanto,
la Famiglia francescana in Brasile si sta muovendo per fornire un vero incontro fraterno a
tutti coloro che sono legati o
sono attratti dal cammino di
San Francesco e Santa Chiara
di Assisi, che continua ad avere
milioni di seguaci e sostenitori
14
del carisma in tutto il mondo. Per
info http://www.ofm.org
Congresso Internazionale per
i Segretari F&S
La preparazione
del Congresso Internazionale per i Segretari per la Formazione e Studi che si svolgerà in
Italia (Santa Maria degli Angeli, Assisi) dall’8 al 22 settembre 2013, procede e Vi
chiediamo di riempire
(obbligatoriamente)
il modulo di registrazione (iscrizione):
www.ofm.org
Corso di Formazione sul Dialogo
ecumenico ed interreligioso
La Fraternità Internazionale “Santa
Maria Draperis” d’Istanbul, in collaborazione con la Com-
missione del Servizio per il
Dialogo e la Segreteria generale per la Missione e l’Evangelizzazione, offre
ai Frati Minori
e ai membri
della Famiglia
Francescana
un Corso di
Formazione permanente
sul Dialogo ecumenico ed
f
francescano
Francescanesimo
francescano
interreligioso ad Istanbul in italiano e spagnolo. Questo corso
si svolgerà dal 14 al 28 ottobre
2013.
Leclerc Eloi, François d’Assise, Éditions Franciscaines,
Paris 2013, pp. 114. In questa
biografia
inedita,
l’Autore ci presenta,
con linguaggio semplice e poetico, l’itinerario del Poverello, tracciando così un’eccellente
introduzione alla vita del Santo
di Assisi.
Convegno nazionale Araldini
Il Convegno nazionale Araldini
si terrà a S. Maria degli Angeli in Assisi dal
10-14 Luglio. Le prenotazioni dovranno
pervenire entro il 23
giugno all’indirizzo email
[email protected]
Nuovo Consiglio regionale
della Gioventù Francescana di
Puglia
I Ministri delle Fraternità locali Gifra, riuniti a Monopoli nello
scorso week-and in
Capitolo regionale elettivo,
hanno scelto
i membri del
nuovo Consiglio regionale Gifra.
Presidente
Laura Russo
(Fraternità
Scorrano),
già membro
del Coordinamento uscente. Il
suo Sì, accompagnato da un caloroso e commosso applauso di
tutti i gifrini presenti, è stato succeduto da quello della Vice Presidente eletta Teresa
Valente (Gravina),
anch’essa membro
del Coordinamento
uscente.
Alla prima votazione sono stati eletti i 13 consiglieri: Anna Rita Zazzera (Foggia Sant’Anna), Michele Losapio
(Trinitapoli), Carmelo Presicce
(Scorrano), Alessio Caposiena
(San Severo), Cristian Politi (Lecce), Chiara Bonomo (Francavilla),
Giuseppe Girardi (Sannicandro
di Bari), Veronica Angino (Foggia/Sant’Antonio), Anna Lisco
(Bari/Immacolata), Anna Chiara
Leggieri (San Severo), Francesco Pastorelli (Lizzano),
Marika Introna (Bari/San
Francesco) e Roberto Saracino (Barletta).
15
Primo piano
Vivere con Maria
Anno della Fede
l’
di Antonio Ucciardo
docente all’I.S.S.R. “S. Luca” di Catania
seconda parte
La Chiesa non può tenere per sé l’incommensurabile ricchezza di cui è depositaria.
Tradirebbe il mandato del Suo Signore se
si limitasse a chiudersi in se stessa. Solo
che la sua missione, comunque e dovunque venga esercitata, dev’essere la risposta all’amore di Dio con il sì immacolato e
puro della fede. Essa la dona innanzitutto
ai figli che ha generato, e ne rende parte-
16
cipi coloro che non conoscono ancora il
vero Dio. Tutto nella sua vita deve poter
dire questo slancio d’amore fedele, che
viene prima di qualsiasi manifestazione
del suo essere. è dalla sua sovrabbondanza
che la fede dei singoli trae vigore ed efficacia. Se la fede della Chiesa fosse la somma
dei sentimenti di ciascuno dei suoi membri, il suo sì risulterebbe contaminato dalle
resistenze delle creature a quella risposta
totale e trasparente che Dio si attende. Per
questo la fede della Chiesa ci precede. Da
essa possiamo attingere, totalmente intatta, la risposta che noi dobbiamo dare alla
Rivelazione di Dio. Quando ciascuno di noi
dice “io credo”, sta confessando di aver fatta sua la fede della Chiesa, impegnandosi
a renderla feconda con la sua generosa accoglienza della grazia e con la novità della
sua vita. In quest’apertura della mente e
del cuore, in questa docile conformazione
all’attesa di Dio e ai doni della sua misericordia, il sì della Madre ci rappresenta e
ci sostiene. Come ai piedi della Croce Ella
ha pronunciato il sì per tutti, anche per gli
Apostoli, così adesso, con la sua intercessione e la sua mediazione, sostiene i figli
che le sono stati donati. Anche i successori
Primo piano
degli Apostoli; anche Pietro, che deve confermare nella fede
tutti, pastori e fedeli. Il sì di Maria e il sì di Pietro non appartengono a due ambiti diversi, come se nella Chiesa dovessero
coesistere due entità contrapposte e bisognose di armonia. Lo
Spirito santo, che ha reso possibile il mistero dell’incarnazione nel grembo della Vergine, non smette di rendere fecondo
anche il grembo della Chiesa, che in Pietro non ha soltanto la
guida visibile, la manifestazione dell’autorità cui è concesso il
potere di legare e di sciogliere, ma anche, e soprattutto, la certezza di poter confessare nella storia la sola parola di verità: “Tu
sei il Cristo, tu sei il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). A volte si
ha l’impressione che l’impeto carismatico debba pronunciare
la parola determinante. Ed invece questa spetta alla confessione di fede di Pietro, che è un carisma essa stessa. I doni suscitati
dallo Spirito non sono concessi perchè vi siano maestri e profeti senza numero, come pare di scorgere tra gli entusiasmi di
questa germinazione continua. Il carisma profetico, derivante
dal battesimo - e non da nuove manifestazioni della Pentecoste - è il dono di poter dire le parole stesse di Dio. Parole che,
tutte, convergono nell’unica parola: “Tu sei il Cristo”. è la parola
generata non dalla carne e dal sangue, bensì dalla sorgente
stessa della filiazione divina. è il Padre che rivela il Figlio e lo
dona! I carismi che non conducono all’unità della fede sono
spesso il modo nuovo di affermare le ragioni della carne, vale a
dire la pretesa di poter dire le parole di Dio con la presunzione
e la fragilità di ciò che è umano e limitato. Bisogna ripartire
dalla Professione di fede, dalla comprensione del mistero della
salvezza nel suo dispiegarsi, e rileggere la nostra vita cristiana
con la stessa memoria sapienziale della Vergine.
Attraverso la Chiesa e il suo sì immacolato, anche noi possiamo diventare un sì gradito a Dio: “In lui ci ha scelti prima della
creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte
a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua
volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha
gratificati nel Figlio amato” (Ef 1, 4-6). Siamo stati gratificati! Paolo adotta lo stesso verbo che compare nel racconto lucano
dell’Annunciazione. Maria è la totalmente gratificata, nel senso
che in lei la grazia ha operato una trasformazione che è privilegio singolare, in vista della sua missione di genitrice del Figlio
di Dio. Ma se Ella è l’Immacolata, la sola creatura preservata
dal peccato originale, noi veniamo trasformati dalla grazia per
essere figli d’adozione. Il sì della fede ci consente non solo di
conoscere questa elezione, ma di potervi anche aderire con il
cammino della personale santificazione. Chi ci ha creati senza
di noi - direbbe S. Agostino- non ci salverà senza di noi! Nella
stessa Lettera agli Efesini, l’Apostolo scrive: “In lui siamo stati
fatti anche eredi, predestinati - secondo il progetto di colui che
tutto opera secondo la sua volontà - a essere lode della sua
gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo
della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il
sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1,
11-14). Il sigillo dello Spirito, indispensabile per ogni ulteriore
carisma, deriva dall’ascolto della parola della verità e dalla risposta della fede! Il sì di Dio e il sì dell’uomo si incontrano, per
così dire, nell’offerta di Cristo al Padre. L’Anno che vivremo, e la
stessa devozione alla Vergine, conducono alla riscoperta della dignità della celebrazione Eucaristica. Forse non è casuale
che la Messa venga vissuta come una festa -molto simile alle
feste mondane - là dove l’esuberanza di certi carismi traduce
un modo umano di comprensione del mistero della salvezza.
La nostra personale memoria, come quella della Chiesa, deve
confluire incessantemente nel memoriale del Signore morto e
Risorto. Partecipi della donazione di Cristo, noi veniamo consacrati,
resi cioè capaci di pronunciare il sì della fede all’opera del Padre, che
per mezzo del Figlio ci dona la grazia della santificazione. Adorare,
contemplare, ringraziare: sono i verbi dell’autentica festa della fede.
Sono i verbi della nostra memoria.
Vivere con Maria l’Anno della Fede, significa riscoprire il proprio
cammino di discepolato. L’ascolto della parola deve assumere i tratti della propria disponibilità alla preghiera e alla docilità dell’abbandono. Dobbiamo saper ascoltare per saper anche accogliere. Come
ricorda S. Leone Magno, “lo Spirito che fa nascere il Cristo dal seno
di una madre senza macchia, fa ugualmente rinascere dal seno della Santa Chiesa il cristiano, per il quale la vera pace consiste nel non
separarsi dalla volontà di Dio e di non cercare delizie se non in ciò
che Dio ama” (Sermone 29,1). Guardiamo a Maria per apprendere
come amare e seguire il Signore. Guardiamo a Maria per apprendere come dev’essere amata la Chiesa. Chiediamole di conservare la
nostra fedeltà nel suo cuore immacolato e fedele. “La parola fedeltà - scrive il B. John Henry Newman- significa lealtà a un superiore, e impegno rigoroso nell’adempiere a una promessa. In questo
secondo senso, si applica all’Onnipotente in persona che, nel suo
amore per noi, ha voluto limitare il suo potere in atto con la sua
parola di promessa e di alleanza con le sue creature. Egli ha dato
la sua parola, secondo la quale, se noi lo sceglieremo come nostra
parte e ci metteremo nelle sue mani, egli ci guiderà attraverso tutte
le prove e tutte le tentazioni, e ci porterà al sicuro in Cielo (...) Maria
è fedele al suo Signore e Figlio in modo supereminente. Nessuno
dubiti per un solo istante che ella non sia piena di supremo zelo per
il suo onore, o che, come immaginano coloro che non sono cattolici, esaltare lei significa non essere fedeli a lui. Come Maria ricompensa largamente i suoi amici, così ella non riterrebbe certo vero
amico, ma traditore, colui che anteponesse lei al Figlio. Come Cristo
è geloso dell’onore di Maria, così Maria è gelosa dell’onore di Cristo.
è Cristo infatti la fonte della grazia e tutti i doni di Maria vengono
dalla sua munificenza. O Maria, insegnaci ad adorare sempre tuo
Figlio come l’unico Creatore, e ad essere devoti a te come alla più
diletta tra tutte le creature” (J. H. Newman, Vergine fedele, in Litanie
Lauretane, Piemme 1985, pp. 105-106).
17
Primo piano
Excursus sulla cultura e la religiosità del popolo armeno
U n fiore all’ombra della croce
di Simona Paula Dobrescu
Pochi popoli hanno avuto, nella
Storia del mondo, il destino degli
Armeni. Situata in una posizione geografica pur strategica, tuttavia vulnerabile, l’Armenia ha conosciuto nel
corso della sua storia di circa 2.500
anni la magnificenza, ma anche il declino.
Il suo territorio è costituito dall’altopiano armeno (1600-1700 m. di
quota media), dominato dalle vette
montuose di Ararat, Sipan e Aragats
e bagnato dai laghi Van, Sevan ed
Urmia. Dalle montagne dell’Armenia
nascono i fiumi dell’Asia occidentale
Tigri (Dicle), Eufrate (Firat), Araks e
18
Kura. Fortezza naturale, circondata
come un’isola dall’altopiano dell’Anatolia e da quello iraniano, l’Armenia
storica confinava con la Mesopotamia, l’Asia minore e la Transcaucasia.
Discendenti diretti degli urartei, popolazione preindoeuropea e legittimi
eredi della loro civiltà, gli armeni hanno “edificato” i propri valori etnici distinguendosi nel crogiuolo di popoli
della regione.
Costituita come regno indipendente
nel III secolo a. C., l’Armenia è arrivata all’apice della gloria nel I secolo a.
C., quando, governata dal re Tigrane
il Grande, si estendeva “dal mare al
mare”, cioè tra il Mar Mediterraneo, il
Mar Nero e il Mar Caspio, diventando
così la terza potenza del mondo antico. Lungo i secoli, essa ha percorso
la via sinuosa dello splendore e del
tramonto, fino alla scomparsa nel
1375 del regno dell’Armenia minore,
la Cilicia. Per un lungo periodo, durato cinque secoli e mezzo, il popolo
armeno è vissuto ed è sopravvissuto
in assenza di un proprio Stato, fino
a quando, nel 1918, a seguito di una
battaglia decisiva contro l’armata ottomana, si è costituita in Repubblica
Armena indipendente. Sotto la minaccia dell’espansionismo turco divenne
Repubblica socialista nel 1920 e, nel
1922, costituì, con la Georgia e l’A zerbaigian, la Repubblica sovietica della
Transcaucasia. Nel 1936 ottenne l’autonomia (Repubblica socialista sovietica dell’Armenia) e nel 1991, durante il
processo di disgregazione dell’U.R.S.S.,
ha proclamato l’indipendenza.
Primo piano
I contrasti con i confinanti azeri hanno portato a una situazione di aperto
conflitto per il controllo della provincia autonoma di Nagorno-Karabakh.
La Repubblica Armena, il nuovo
stato indipendente, occupa, oggi,
solo la decima parte della superficie
dell’Armenia storica di oltre 300.000
km2.
L’ambito geografico ma anche le
strutture politiche dell’antichità e del
medioevo, hanno modellato il carattere degli armeni, rendendolo forte,
nonostante le dure condizioni climatiche, le soppressioni territoriali e
demografiche. Due sono le caratteristiche che hanno definito da sempre
lo spazio geo-politico armeno: l’individualità pregnante del Paese in rapporto ai territori vicini, e la divisione
interna in base ai governi e alla rivalità regionali. Esse hanno determinato
fortemente gli elementi dicotomici
della storia armena: una forte personalità dell’etnia che ha permesso la
sopravvivenza della Nazione nonostante le invasioni, le egemonie, i cataclismi e una feudalità consolidata,
che ha costituito la causa delle debolezze e delle discordie tra i principati.
La posizione geografica dell’Armenia, punto di convergenza tra
l’Europa e l’Asia, ha fatto sì che essa
fosse da sempre una spinta in avanti dell’Occidente verso l’Oriente, un
punto di riferimento della civiltà
europea verso il mondo asiatico. In
questa posizione strategica, all’incrocio delle grandi vie commerciali, essa
è rimasta isolata, come un’oasi della
cristianità in mezzo al paganesimo
ed al mondo islamico. L’Armenia è il
primo regno nella Storia ad aver accolto ufficialmente il cristianesimo
in una continuità che resterà ininterrotta; la tradizione fa risalire il primo
annuncio del Vangelo in Armenia agli
apostoli Taddeo e Bartolomeo, mentre la conversione del Regno armeno
è dovuta all’apostolato di San Gregorio l’Illuminatore, che battezzò il re Tiridate III e la sua corte e fu consacrato
in Cesarea di Cappadocia Catholicos
(primate) dell’Armenia (301-303).
La Chiesa armena fa parte delle
chiese chiamate dell’antico Oriente;
essa adopera un proprio rito liturgico, risalente al V° secolo, uno dei
cinque riti principali dell’Oriente cristiano (alessandrino, antiocheno, ar-
19
Primo piano
meno, caldeo e costantinopolitano).
La grande maggioranza degli Armeni, residenti in Armenia o sparsi per
il mondo (circa settemilioni) appartiene alla Chiesa apostolica armena;
il 10% circa di Armeni costituisce la
comunità cattolica armena in comunione con Roma con il proprio Catholicos-patriarca, istituito nel 1742 e
residente a Bzommar (Libano).
La religione ha mantenuto in vita,
in mancanza di una forma statale, ai
piedi di una montagna biblica, considerata il suo simbolo nazionale,
questo popolo in maniera continua,
attaccato e dominato dagli oppressori stranieri: persiani, bizantini, arabi,
selciucidi, mongoli, tatari, ottomani,
russi. Vittime spesse volte di un esilio
involontario, gli Armeni non hanno
mai perso il legame con la madrePatria; essi, come gli Ebrei, hanno vissuto per centinaia e centinaia di anni,
una diaspora, senza avere un proprio
Stato, e l’ampiezza e la consistenza
del fenomeno in entrambi i popoli ne
avvicina la storia. La diaspora armena,
pur beneficiando di una propria organizzazione amministrativa, è rimasta legata alla madre-Patria, che a sua
volta si è spesso “nutrita” del flusso di
informazioni e di valori arrivati dalle
comunità sparse per il mondo, anche
attraverso il commercio.
Attraverso l’Armenia storica, passavano, già dall’antichità, le principali
vie commerciali, inclusa la “Via regale”, che ha permesso agli armeni di
valorizzare la vocazione genetica per
20
la mercanzia, con effetti benefici per
il resto del mondo. Utilizzando le vie
esistenti, intensificando il commercio
internazionale attraverso la creazione
di case e società commerciali, stabilendosi nei borghi favorevoli al traffico di merci, i commercianti armeni
si sono integrati nel sistema interstatale, contribuendo alla sua estensione. Lì dove si sono stabiliti, gli armeni
hanno innalzato una chiesa, hanno
costruito una scuola, hanno istituito
pubblicazioni periodiche al fine di
preservare la fede, la lingua e lo spirito di appartenenza1. Così, il primo
giornale armeno è stato pubblicato
a Madras nel 1794 e il primo libro
stampato in armeno è stato edito a
Venezia nel 1512.
Nella cultura e nella civiltà del popolo armeno, gli architetti, i tagliapietre ed i costruttori hanno utilizzato il
talento, l’intelligenza, l’esperienza e
la forza creatrice, per esprimere le
proprie aspirazioni e i messaggi per
il futuro proprio attraverso la pietra;
utilizzando il basalto e il tufo vulcanico hanno costruito case e ponti, hanno edificato castelli, palazzi, fortezze
e, in primis, hanno innalzato templi,
monasteri e cattedrali, contribuendo
allo sviluppo dell’architettura religiosa già dall’antichità e dopo, nel medioevo.
Nell’evoluzione dell’architettura si
riconoscono due periodi: quello paleocristiano, in cui l’Armenia era diventata uno dei più importanti centri della cultura ellenistica del Medio
Oriente, e quello cristiano, caratterizzato dalla similitudine tra i motivi
ornamentali scolpiti nella pietra delle
chiese e dei monasteri, riprodotti nelle miniature dei manoscritti, realizzati
negli stessi luoghi di culto, a dimostrare l’unità di pensiero e di creatività armena.
A partire dal IV secolo d.C., sul territorio dell’Armenia sono stati innalzati
quei monumenti ornamentali chiamati “Khatchkar”, che rappresentano,
secondo il parere di molti studiosi,
una modalità di espressione artistica,
che appartiene esclusivamente allo
stile architettonico armeno, caratterizzati dall’irripetibilità e dall’unicità.
Si tratta di monoliti cruciferi, più di
40.000 sparsi sul territorio dell’Armenia, di dimensioni tra 2 e 4 metri, in
verticale. Il termine “Khatchkar”, in
traduzione mot-a-mot dalla lingua
armena, significa “croce di pietra”.
Dal punto di vista storico, queste
stele crucifere derivano dai monoliti
degli urartei, creati a partire dall’VIII
e dal IX secolo a. C., portatori di lunghe scritte in caratteri cuneiformi.
L’apparizione dei “Khatchkar” segnati
dalla croce cristiana e da diverse iscrizioni in caratteri armeni, si registra
solo dopo l’anno 301 d. C., quando è
avvenuta la cristianizzazione del popolo armeno, e dopo l’anno 400 d. C.
quando è stato inventato l’alfabeto
armeno dal grande erudita Mesrop
Mashtots.
Tra i pezzi più antichi occorre ricordare i “Khatchkar” della regina Katranide a Garni (879) e di Grigor Amimersehi, principe di Siunik e Aghvank
a Metz Mazra (881). I “Khatchkar” si
diffondono come simboli votivi, celebrativi e funerari e di confine, innalzati sia isolati sia raggruppati in vaste
distese cimiteriali sul territorio (nei
dintorni della località di Hin Djugha
– Vecchia Giulfa, nel Siunik meridionale, oggi Nakhidjevan); oppure inclusi fra i conci nei paramenti murari
degli edifici o ricavati direttamente
sui fronti rocciosi (la Chiesa rupestre
del Monastero di Geghard del 1282).
Nonostante la forma, le dimensioni e i programmi decorativi dei
“Khatchkar” mutassero sensibilmente
nel progresso della loro vicenda artistica, in ordine all’epoca, ai luoghi di
produzione, alla destinazione e alle
Primo piano
maestranze, il segno iconografico
caratterizzante la croce si mantiene
sostanzialmente immutato nelle sue
linee essenziali: la croce si trasforma
da un simbolo della morte in uno
dell’essere, cioè nell’albero della vita,
rappresentato dalle radici e dalle foglie d’acanto. Il disegno geometrico molto complesso che appare sui
“Khatchkar” è evidenziato di solito da
una sola linea continua magistralmente eseguita, che rappresenta l’infinito e l’eternità, mentre il disco spesso scolpito in bassorilievo nella parte
inferiore del monumento rappresenta in modo stilizzato la ruota della
vita. A partire, invece, dal XIII secolo,
fece la sua comparsa anche la variante figurativa dei “Khatchkar”: la croce
tradizionale è sostituita dalla scena
della Crocifissione, espressa nella sua
redazione iconografica ampliata, con
la Madre di Dio e San Giovanni dolenti; altri, invece, riproducono, accanto
ai più consueti soggetti della Madonna col Bambino e del Pantokrator,
figurazioni chiaramente allusive alla
tematica della salvezza come: l’Anastasis, l’Ascensione, fra le più diffuse
la Deisis, cioè l’intercessione della
Vergine e del Battista (frammento di
“Khatchkar” del principe Prosh, oggi
al Museo storico di Stato di Jerevan;
“Khatchkar” di Grigor Khaghbakian
da Imirzek, oggi a Edjmiatzin, 1233;
“Khatchkar” di Momik da Noravank di
Amaghu).
Ritornando ai nostri giorni, ricordiamo che Bari può orgogliosamente
mostrare la sua stele “Khatchkar”, donata alla città dalla comunità armena
e dal suo rappresentante Rupen Timurian, l’11 gennaio 2013; si tratta di
un simbolo di fede, pace e amore, che
testimonia e ricorda il forte legame
instaurato fra i due popoli, già a partire dal 1913, quando uomini, donne
e bambini scampati alle stragi turche,
trovarono, nel capoluogo pugliese,
asilo e ospitalità, proprio perché “essere fratelli significa dividere il Pane e il
Cuore e aiutare colui che piange”.
Collocata all’interno del giardino
antistante la Casa Portuale “Nazario
Sauro”, la “Croce di pietra” si erge a due
passi dalla piccola Cappella dedicata
a San Nicola, “di fronte a mare, da dove
sono arrivate le reliquie del Vescovo di
Myra”, notava P. Lorenzo Lorusso o.p.,
priore della Basilica di San Nicola,
il quale ha ricordato anche a tutti i
presenti alla cerimonia, la vocazione
ecumenica e di pace della terra pugliese, che da sempre accoglie bisognosi e stranieri.
Il “Khatchkar” di Bari è stato scolpito
dall’architetto armeno Ashot Grigorian nel cortile del Portico dei Pellegrini, intorno agli anni 2000. Ai suoi
piedi, su una pietra rettangolare si
leggono le parole del poeta Hrand
Nazariantz: “Perdonare: profumare i
cuori ai fiori del calvario…
Essere il segno della croce sulla terra e
sul cielo,
essere fratelli, essere semplici e puri:
Credere, Amare…
credere, all’Armonia, ai Ritmi supremi,
alla Giustizia dei Cieli,
i poveri, credere sempre, le braccia tese
alle Cime,
vivere bene, realizzare la propria anima, la carne è nulla…
E poi, chiudere gli occhi di carne per
aprire quelli dello Spirito,
essere il Bacio di pace sulla bocca dei
morenti
e poi, a nostra volta sorridere,
sorridere nell’ora felice della Morte…”.
L’autore della creazione conserva
tuttora il bel ricordo dell’amicizia instaurata con la gente della Città Vecchia; nonché di alcune bellezze naturali ed architettoniche viste in Puglia,
molto vicine a quelle dell’Armenia.
All’evento hanno preso parte numerosi rappresentanti di associazioni
e personalità Armene e Italiane.
Il Sindaco, dott. Michele Emiliano,
riconoscendo agli Armeni “la straordinaria capacità di tramandare un’identità cultuale praticando la pace”,
ha precisato che “con questa cerimonia
rendiamo il giusto onore a una storia
bellissima, ma anche piena di dolore
e malinconia, una storia segnata dalla diaspora e dal genocidio di questo
popolo”.
La comunità armena ha sentitamente ringraziato e ha espresso tutto
il proprio apprezzamento per la fattiva azione del Comune di Bari, che
ha consentito la realizzazione dell’evento, adoperandosi per la perfetta
riuscita in ogni suo aspetto.
1
S.P. Dobrescu, Il lungo cammino degli Armeni in Romania, in O Odigos (1/2012) 26-27.
21
Primo piano
sempre più poveri:
In Italia oltre 4 milioni nel 2013
La notizia la dà la Confcommercio
attraverso il nuovo indicatore macroeconomico mensile denominato Misery index: nel 2013 il numero
dei poveri nel nostro Paese supererà
quota quattro milioni, oltre il 6% della
popolazione rispetto al 3,9% registrato nel 2006. Un dato sconcertante e
che va ben oltre i tre milioni e mezzo
di cittadini in accertata condizione di
povertà identificati dall’Istat nel 2011.
Il rapporto dell’associazione dei commercianti traccia un quadro desolante della condizione dell’Italia prevedendo una riduzione del Pil intorno al
-1,7% e dei consumi del -2,4%. Il disagio sociale è in aumento rispetto agli
anni precedenti. Basti pensare che
le persone “povere” nel 2006 erano
meno di 2,3 milioni. In cinque anni,
dunque, l’Italia ha prodotto ben 615
nuovi poveri al giorno e la tendenza
sembra essere in aumento. Gli elementi utilizzati dal nuovo misuratore
del disagio sociale della Confcom-
22
mercio che determinano la rilevazione dei livelli di povertà sono il numero
dei disoccupati accertati, il numero
dei dipendenti in cassa integrazione,
quello degli scoraggiati (chi ha smesso di cercare lavoro), il tasso di variazione dei prezzi di beni di consumo e
di servizi e i dati relativi all’andamento
del mercato del lavoro.
Dalle ricerche dell’associazione dei
commercianti emerge però un dato
paradossale: gli italiani lavorano molto
più dei colleghi europei. Una media,
nel 2011, di 1.774 ore a testa ovvero
il 26% in più dei tedeschi e il 20% in
più dei francesi. I lavoratori autonomi,
inoltre, lavorano il 50% in più dei colleghi dipendenti. In pratica 2.338 ore
contro 1.604, ovvero tre mesi in più,
sabati e domeniche compresi. Questo
stesso fenomeno, è giusto precisarlo,
si verifica anche negli altri Paesi presi
in esame. Da cosa è causato dunque
l’abbassamento della soglia di povertà? Tutto è legato alla produttività.
Ogni lavoratore italiano produce in
media una ricchezza di circa 36 euro
per ora lavorata. A differenza nostra,
tedeschi e francesi producono molto
di più, rispettivamente il 25% e il 40%.
Inoltre negli altri paesi la produttività oraria è cresciuta nel tempo. Tra il
2007 e il 2011 in Germania è aumentata del 20%, in Francia anche più del
20%, in Spagna dell’11% mentre in
Italia solo del 4%. E la pressione fiscale
cui è sottoposto il nostro Paese non
rende certo la situazione più sostenibile. La pressione “apparente” sarà del
44,8% ma quella reale si aggira intorno al 54,3%. Entrambi livelli mai visti.
I consumi sono crollati nel 2012 del
-4,3% e quest’anno siamo già al -2,4%.
E la Chiesa? Da www.caritasitaliana.it/
Le risorse e le risposte della Chiesa,
un grande sforzo comunitario:
•oltre 3.000 Centri di Ascolto in tutte
le diocesi italiane;
•14 mila servizi ecclesiali impegnati
in attività sanitarie, socio-sanitarie e
Primo piano
sociali. Di questi, sono 4.991 i servizi che svolgono azione di contrasto
della povertà economica;
•ad agosto 2012, sono 985 le iniziative
anti-crisi economica sorte negli ultimi 2 anni, per iniziativa delle diocesi
italiane (aumento, rispetto al 2011,
del 22,2 %);
•nel 2011 Caritas Italiana ha accompagnato quasi la metà delle Caritas
diocesane nella presentazione di
185 progetti otto per mille. Più di 11
milioni di euro sono stati richiesti alla
Conferenza episcopale italiana per
questi progetti, che vedono una partecipazione economica delle diocesi
interessate, nella misura di circa 8,5
milioni di euro;
•dal 2009 ad oggi 1.662 sono le famiglie sostenute dal Prestito della Speranza, per un totale di oltre 10 milioni di euro di finanziamenti erogati.
Ascoltiamo con estrema attenzione questo intervento del card. Jorge
Mario Bergoglio (ora Papa Francesco)
sulla scelta preferenziale per i poveri
alla conferenza della Caritas Argentina
(2009): http://blog.libero.it/padernovillaggio/12019251.html
“Chi mi dà del comunista rivoluzionario si legga i santi padri, san Gerolamo e i padri dei primi secoli. Sono
durissimi su questo punto: la scelta
dei poveri.
Il lavoro è per tutti gli uomini, il cristiano deve provare angoscia per chi
non può raggiungere questa dignità a
causa degli idoli che si incontrano nei
supermercati del consumo.
Come entra nella tua vita la scelta
preferenziale per i poveri? Ti porta a
cambiare lo stile di vita?
Se non c’è la scelta preferenziale per i
poveri non c’è autentico lavoro di promozione e liberazione.
La Chiesa chiede gesti concreti, evitando paternalismi e facendosi compagni del cammino dei poveri. Ti
viene chiesta vicinanza e solidarietà,
prossimità con i poveri. I poveri van-
no accolti, inclusi, la solidarietà si deve
manifestare in scelte e gesti visibili.
Potrei sembrarvi comunista, ma è inevitabile diventando amici dei poveri
impoverire il proprio stile di vita, nella
sobrietà.
La Chiesa è avvocata di giustizia e
difensore dei poveri contro le tante
intollerabili diseguaglianze sociali ed
economiche che gridano al cielo. Se
non c’è speranza per i poveri non si
avrà per nessuno. L’opzione preferenziale per i poveri ci chiede di portare
una speciale attenzione a chi è responsabile di cambiare le strutture.
Il servizio della carità è uguale all’annuncio della Parola e alla celebrazione
dei sacramenti ed è espressione irrinunciabile dell’essenza della Chiesa.
Non credete di essere cattolici perché
andate a Messa la domenica, vi confessate di tanto in tanto... ci viene chiesto di rinunciare a tutta la mondanità.
E chi non potè accettare Gesù e odiò
Gesù e lo odia, non può accettare noi.”
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Vita di famiglia
La nostra storia
Convento San Giovanni ai Gelsi
in Campobasso
di Michele D’Alessandro
Segretario del Consiglio Pastorale Parrocchiale
La presenza dei Frati Minori Osservanti
nella città di Campobasso affonda le radici in una dimensione storica che viene
da molto lontano. Occorre, infatti, tornare parecchi secoli indietro, precisamente
al quindicesimo, per datare il loro arrivo
e il connubio tra essi e la città è stato
sempre perfetto, non si è mai interrotto.
La costruzione della Chiesa e del suggestivo Convento, dedicati a San Giovanni
Battista, viene fatta risalire intorno all’anno 1418, fondati dal Beato Giovanni da
Stroncone.
La Chiesetta quattrocentesca comprendeva il coro e la sacrestia che riceveva luce da due romaniche finestrelle.
Nel cinquecento, con la costruzione
del grande Convento la cappella fu ampliata e negli anni 1845-1854 fu restaurata ed ingrandita in maniera consistente.
Nel 1968 i francescani vollero compiere altre opere di restauro, rinnovando
le tettoie e rivestendo in marmo le pareti della attuale Chiesa, nel cui interno,
nell’Abside dell’Altare maggiore, è collocato il dipinto della Madonna delle
24
Grazie, recuperato tra le macerie del
Convento omonimo, distrutto dal terribile terremoto del 1805. Il dipinto, ad olio,
rappresenta la Madonna assisa in maestà
col Bambino sulle ginocchia.
La tela, di mano ignota, si può far risalire
alla fine del 1300, realizzata quasi sicuramente dalla scuola senese.
Sul secondo altare, nella navata sinistra,
si può vedere il simulacro che riproduce S. Giovanni Battista, opera dell’artista
molisano Paolo Saverio Di Zinno, tra l’altro, autore delle famose macchine viventi “gli ingegni” che sfilano per le vie della
città di Campobasso nella giornata del
Corpus Domini.
La Chiesa è arricchita da numerose statue di santi ed è impreziosita da un’urna
che custodisce le reliquie di sei Beati
dell’Ordine Francescano.
Nella parte antistante il Convento si
può ammirare il monumento al Serafico
Padre S. Francesco realizzato in marmo
bianco di Carrara.
Il chiostro è la caratteristica peculiare dei Conventi e non poteva mancare
nell’antico Convento di San Giovanni
Battista, che ha dato il nome anche al
popoloso quartiere San Giovanni.
Esso è situato nel cuore della struttura
conventuale ed ha un lungo corridoio,
che gira intorno.
C’è anche una cisterna grande, coperta
da tettoia con embrici, circondata da un
pavimento realizzato con lastre calcaree.
Ben visibile è il pozzo, delle dimensioni
quadrate e dell’altezza di circa 1,20 m.
Attraversando il chiostro ci si immette,
mediante una porta situata sulla sinistra,
nei locali della splendida e fornitissima
Biblioteca intitolata a “p. Dionisio Piccirilli”
da San Giovanni in Galdo, che proprio nel
Convento scrisse le sue opere filosofiche
e giuridiche. Dopo la soppressione murattiana, il Convento S. Giovanni divenne
Centro studi della Provincia Religiosa di S.
Ferdinando del Molise.
Il primo fondo librario fu quello ricevuto dal Convento S. Maria delle Grazie,
fondo che i francescani salvarono dalle
rovine causate dal disastroso terremoto
del 1805.
Vita di famiglia
Nel corso degli anni, la Biblioteca, grazie
al lavoro dei frati che si sono avvicendati
nel Convento, è diventata sempre più ricca di opere e oggi, a giusta ragione, può
essere considerata come una delle più
importanti e ricche della Regione Molise.
I volumi, regolarmente catalogati, sono
sistemati in scaffali metallici e protetti in
ambienti asciutti e accoglienti, dotati di
sistema di allarme.
La testimonianza e il servizio resi dalle
varie comunità che si sono avvicendate, sono stati contraddistinti dal carisma
proprio del fondatore S. Francesco.
Nei secoli sono riusciti a testimoniare
nella povertà e nella semplicità il servizio
agli ultimi, la presenza presso il vicino cimitero cittadino e l’impegno nell’attività
religiosa e culturale.
I frati hanno rappresentato e rappresentano attualmente un sicuro ed insopprimibile punto di riferimento per la intera collettività campobassana in generale
e per il quartiere S. Giovanni ai Gelsi, in
particolare. Una presenza indispensabile
sotto ogni profilo ad iniziare, ovviamente, da quello spirituale.
Tante, tantissime, sono state le attività,
le iniziative, le manifestazioni, che nel
corso degli anni sono state avviate e
continuano ad essere messe in piedi, a
beneficio della intera comunità che, in
cambio, manifesta tutta la propria benevolenza e gratitudine nei loro confronti.
Il quartiere S. Giovanni che, come si è
detto, ha preso il nome dall’omonima
Chiesa e dall’omonimo Convento, nato
intorno agli anni ottanta, e sviluppatosi
in maniera frettolosa e confusa, rappresenta oggi uno degli agglomerati più
popolosi di Campobasso. La sua variegata popolazione, anche e soprattutto
dal punto di vista sociale, guarda con
infinita attenzione alla fraternità religiosa
dalla quale viene ripetutamente coinvolta nelle innumerevoli attività tendenti
a portare la lieta novella in quasi tutti i
condòmini. Negli ultimi anni, poi c’è stata
una significativa accelerata di coinvolgimento dei fedeli con iniziative che hanno richiesto tanto impegno da parte dei
frati, coadiuvati da laici, ma che hanno
prodotto tanti buoni frutti.
La casa del Signore viene sempre più
frequentata, diventando rifugio per numerosi gruppi che oggi pullulano nella
struttura..
Una realtà viva, in continuo movimento,
in continua crescita, in continua espansione anche dal punto di vista degli ambienti, resi più moderni ed accoglienti.
La fraternità non è numericamente
numerosa, ma le forze in campo hanno
provocato un focolaio di brillanti idee
tradotte in innumerevoli e significative
attività.
Sono spuntati come funghi nuovi gruppi che hanno allargato i confini relazionali e consentito di avere iniziative frenetiche e tutto il Convento, frequentato in
ogni ora del giorno e, in alcuni casi, anche di notte, e aperto a chiunque volesse
avvicinarsi a Colui che tutto può, il nostro
Signore Gesù Cristo.
Ordine Francescano Secolare, GiFra,
Araldi e arladini, Comunità neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito, Pia
Unione S. Giovanni, Pia Unione S. Giuseppe, Caritas francescana, etc. animano
incessantemente la vita del ConventoParrocchia
Numerosi servizi vengono promossi a
favore della collettività di San Giovanni,
della intera città di Campobasso e, con
la meravigliosa realizzazione della casa
di accoglienza “Santa Elisabetta”, anche
a favore dei cittadini di altre regioni che,
per motivi di salute sono costretti a recarsi in Molise per assistere i propri familiari
o per curarsi direttamente. La Casa di accoglienza, però, è solo la classica ciliegina sulla torta del variegato panorama di
produzioni che i frati sono riusciti a mettere in cantiere negli ultimi anni.
Certo, la realizzazione della struttura
improntata all’accoglienza va senz’altro
catalogata tra le più significative in assoluto, per il nobile e cristiano scopo a cui
è destinata.
Un fiore all’occhiello che non può essere sottaciuto, una delle più belle opere
che si potessero realizzare, perché diretta
al prossimo, al prossimo sofferente, che
al dolore fisico e morale deve aggiungere anche quello economico per la permanenza a Campobasso.
La Casa di accoglienza si regge sulle offerte e sul volontariato dei laici.
Ma, ultimamente, ci sono state anche
ulteriori importanti situazioni che hanno,
in primis, ridato tono e vigore al convento, proprio dal punto di vista strutturale:
all’inizio del 2011, infatti, si è provveduto
ad inaugurare, alla presenza del Ministro
Provinciale, la realizzazione, o meglio, il
recupero, attraverso radicali trasformazioni, di nuovi e più accoglienti ambienti
completamente inutilizzati.
Si tratta di nuovi locali, anche essi fruibili
dal prossimo, dalla città di Campobasso,
ricavati nella parte bassa del Convento,
appositamente rimessi in condizioni di
vivibilità e quindi utilizzabili.
Sono state ricavate e allestite due sale,
di diversa capienza, che saranno a disposizione di quanti, privati o pubblico, le
richiederanno.
è stata organizzata, altresì, un’altra sala
di accoglienza con cucina, in grado di
ospitare gruppi di persone molisane e
non. In ciò si può tranquillamente affermare che i frati stanno dando una mano
alla città capoluogo di regione che, in
molti casi, non riesce a far fronte alla richiesta di locali per convegni, seminari,
conferenze e incontri vari.
Insomma una attività veramente frenetica è incessante quella che viene sviluppata dai frati in Parrocchia e in Convento,
che coinvolge non solo le realtà parrocchiali, ma l’intera cittadinanza.
25
Vita di famiglia
s a b at o
20 Aprile 2
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io
Seguire l’A gnello per diventare pastori
di fra Roberto Raffaele Maria Quero
Prima di tutto mi sento di dire grazie
alla mia fraternità provinciale che in
questi anni mi è stata sempre vicina
aiutandomi a fare discernimento nel
modo giusto. Mi torna in mente una Parola di Dio rivolta al profeta Geremia «se
separi le scorie dal metallo pregiato, sarai
al mio servizio e sarai la mia bocca» (Ger
15,19); ogni volta che mi sono trovato
a celebrare un momento importante
della mia vita mi è stata riconsegnata
una Parola che avevo già ascoltato ma
che forse non avevo compreso in pienezza. Il giorno dopo la mia ordinazione diaconale alle 10 avevo la mia prima
messa a Bitonto presieduta da Padre
Antonio Narici. Una messa del fanciullo
nella domenica del Buon Pastore. Alla
processione offertoriale, dovendo presentare dei doni che meglio facessero
cogliere il senso di quella domenica, le
catechiste hanno pensato bene di portare un agnello vero; ovviamente tutti
i bambini, man mano che avanzava
nella navata, si sono precipitati per accarezzarlo nonostante la catechista cercasse di spiegare il segno. Dovevo fare
un pensiero breve (tenendo a mente
la Parola, quello che era accaduto ed
anche l’anniversario di ordinazione di
26
Antonio che ricorreva quella domenica). Alla fine il senso di quello che ho
detto era: se è bello andare incontro
all’agnello che ci ispira un senso d’amore ma anche di fragilità quanto più bello deve essere andare incontro a Gesù
che è Pastore si ma è anche il “bambino di Betlemme” come diceva Francesco. Anch’io come Francesco al mio
primo vangelo ho belato ricordando
a me stesso che il Bel Pastore si è fatto
agnello. Mentre tutto questo accadeva
però pensavo alla mia prima comunione quando, tutto vestito di bianco con
tanto di mantellina, Don Oronzo Valerio
(allora mio parroco) mi faceva portare
all’offertorio un agnello. Io però non volevo portarlo perché era pesante.
I nuovi lezionari solitamente affiancano al vangelo del giorno un’immagine
e quella mattina c’era la testa “dell’agnello” ad aspettarmi. La prima Parola
che ho baciato, la prima Parola che ho
spezzato era su quell’agnello che non
volevo portare e che invece mi stava
aspettando da una vita.
Ecco mi sento come se questa vita
che sto vivendo è proprio la mia. Ne intravedo il senso.
Separare le scorie lasciando emergere
il metallo pregiato davvero mi fa aprire la bocca nel rendimento di grazie e
nell’annuncio di un Dio che, nella mia
vita, è stato fedele e misericordioso.
Mentre io celebravo a Bitonto mia madre era a Cassano e Don Nicola (il mio
attuale parroco) le chiedeva di dire due
parole alla comunità che non era stata
presente all’ordinazione e Lei, a modo
suo e secondo i suoi occhi, dagli ultimi banchi ha urlato lo stesso aneddoto che avevo pensato anch’io: il cesto
con l’agnello che non volevo portare.
Con questa semplice condivisione non
voglio ferire la preparazione teologica
dei miei fratelli più grandi nella fede né
confondere esegeticamente l’etimo degli ovini decisamente diverso ma quello
che volevo fare, visto che non con tutti ho avuto modo di celebrare questo
dono grande, è farmi conoscere un po’.
Farmi vedere per quello che sono visto
che non ci conosciamo mai abbastanza. Certo non sarà la visione di Agostino
e Monica ad Ostia però in ogni storia il
Signore fa nuove le cose. Il Signore ci ha
fatto “vedere” la stessa cosa.
C’è una dimensione contemplativa
della vita che ci supera bisogna solo
imparare ad ascoltarla.
E di questo vedere e credere io sarò
sempre grato ad i miei fratelli in Cristo
che con il loro buon esempio mi hanno fatto scoprire la bellezza di questa
lettura della vita che prima non conoscevo.
Vita di famiglia
Provincia di San Michele Arcangelo dei frati Minori di Puglia e Molise
F esta della Provincia
9 maggio 2013
Monte Sant’Angelo (Fg)
Nel Santuario di Monte Sant’Angelo ci siamo ritrovati per celebrare,
come Fraternità provinciale, la Festa
della Provincia nell’Anno della Fede e
della nuova Evangelizzazione. Dopo
il momento di preghiera iniziale, ci
siamo messi in ascolto di fra Jacopo
Pozzerle, ofm della Fraternità Missionaria di Palestrina introducendoci
al tema “Frati Minori...testimoni di
una fede umanizzante”. Cuore della
giornata la Celebrazione Eucaristica
nella Grotta dell’Arcangelo Michele
presieduta dal Ministro Provinciale
fra Giuseppe Tomiri e la ricca agape
fraterna.
Ringraziamo il Signore per quanto ci
ha dato portando nel cuore le parole
di Papa Francesco ascoltate all’inizio
della giornata di Festa: “….lasciamoci
avvolgere dalla misericordia di Dio;
confidiamo nella sua pazienza che
sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di
dimorare nelle ferite del suo amore,
lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto
bella, sentiremo il suo abbraccio e
saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di
amore”.
27
Vita di famiglia
100° Genetliaco
1913-2013
di fra Bernardino Loverro
Foggia - 15 Giugno 2013
Una parola sincera e trasparente
Giurare significa affermare e promettere invocando Dio.
Dio, però, non va strumentalizzato per affermare una propria verità o idea o scelta. Il nostro parlare deve essere si si
e no no, come deve esserlo tutto il nostro stile di vita. La
nostra parola deve essere sempre chiara, limpida, vera, trasparente, essenziale, come la nostra vita. La verità non ha
bisogni di appoggi, anche divini. Quello che decido devo
farlo senza calcoli umani. I cristiani devono non aver paura
degli uomini.
Oggi celebriamo i 100 anni di età del nostro confratello fra
Bernardino Loverro al secolo Francesco nato a Cassano Murge il 13 giugno 1913. Vesti l’abito di san Francesco il 22 dicembre 1947. Fece la Professione solenne il 19 marzo 1952.
Ha vissuto in diversi conventi della Provincia Casacalenda,
Foggia Gesù e Maria, Sepino, Castellana Grotte, San pasquale
Foggia, Molfetta, Sepino dal 1988 fino a tre mesi fa, ricoprendo
gli uffici di cuoco, questuante, sacrista e vicario della fraternità di
Sepino. All’improvviso nel mese di gennaio 2013 mi chiese di lasciare Sepino. All’inizio ho fatto qualche difficoltà e ancora oggi
non ho mai capito il perché della sua scelta di esssere trasferito,
so solo, oggi, che nel Convento di San Pasquale sta bene.
Fra Bernardino mi ha dato e ci ha dato l’esempio dell’umiltà
del vero frate minore, soprattutto in questi ultimi tempi, dove
l’obbedienza, per alcuni frati, significa ascolto ai propri interessi
e calcoli umani. Concludo salutando il fratello ed i nipoti che
sono arrivati da Cassano per gioire con tutti noi.
Fra Giuseppe Tomiri
Ministro provinciale
Auguri sinceri
Il 22 maggio 2013 è stato eletto Ministro Provinciale dei Frati Minori del Salento Fr. Alfonso Polimena
da Salice Salentino (Le). Il Vicario Provinciale fra Paolo Quaranta e i definitori: fra Francesco Zecca, fra
Milko Gigante, fra Massimo Tunno, fra Cosimo Pro,
fra Giancarlo Greco.
28
OFS
L’OFS di San Nicandro Garganico
festeggia il centenario della terziaria
Maria Donnanno
di Natina Mascolo - Vaira
Il 20 febbraio del 2013, la Fraternità
OFS di San Nicandro Garganico ha
festeggiato il centenario di nascita
della terziaria Maria Donnanno.
La Santa Messa, celebrata presso la
Parrocchia di Santa Maria delle Grazie,
presieduta dal Parroco Padre Antonio
D’Orsi, è stata concelebrata da Padre
Lorenzo Ricciardelli e da Padre Giuseppe Muscerino. Gremita la Chiesa di fedeli, dei famigliari della Donnanno e
della Fraternità OFS; la celebrazione
eucaristica è stata accompagnata da
suggestivi canti francescani eseguiti
dal Coro Parrocchiale. Tra gli intervenuti, per il saluto e l’omaggio alla festeggiata, oltre al Parroco, anche la
Ministra Teresa Scanzano e il sub commissario Maffei Trinio, che ha rappresentato l’Amministrazione Comunale.
Alla celebrazione religiosa è seguito
un momento gioioso e fraterno di festa nella sala “Zaccaria” del convento,
annesso alla Parrocchia. Gremita la
sala di terziari, fedeli e parrocchiani,
nonché parenti della Donnanno che
serena come sempre ha ringraziato
tutti i partecipanti.
Maria Donnanno quest’anno celebrerà anche il giubileo del suo 50°
di professione nell’OFS, avvenuta il
19 novembre del 1963. All’atto della
professione era già vedova. Sposatasi
nel 1933 con Antonio Vocino aveva
avuto un figlio, Michele, purtroppo
deceduto all’età di tre anni. Il 3 maggio del 1937 Maria rimase vedova. In
appena cinque mesi perse il marito e
il figlio.
Continuò, intanto a gestire un negozio di generi alimentari che aveva aperto ancor prima del suo matrimonio;
questa attività la svolse nel rione “Terra
rossa” fino al 1960 circa e in proposito
afferma che spesso si andava avanti con
le annotazioni sul “quaderno”, sul quale
registrava il nome dei clienti che non
potevano pagarla, con relativa somma.
Sin da piccola Maria Donnanno ha frequentato l’Azione Cattolica locale, nonché il Preziosissimo Sangue, ma si sentì
affascinata dall’ideale francescano.
Di carattere mite, socievole e riservata
nel contempo, silenziosa, ha frequentato la Fraternità dell’Ordine Francescano
Secolare fino a quando le è stato possibile, collaborando e contribuendo
alle varie necessità, con un fare sempre
umile, gentile, collaborativo e caritativo, caratterizzato da un sorriso sempre pronto e gioviale. Alla domanda se
ricorda qualcosa di spiacevole in tale
contesto lei mi ha risposto: “No, per noi è
stato sempre bello. A Graziellina Donatacci Ercolino, la mia Ministra di allora, io la
chiamavo sempre “mamma” anche se lei
è quasi 20 anni più giovane di me. Tutti mi
vogliono bene e io faccio altrettanto. Non
ho mai litigato con nessuno. Ho partecipato alle varie attività della Fraternità e specialmente alle preghiere che si svolgevano
presso le consorelle francescane. Ricordo
con affetto tutti e le varie Ministre. Con alcune consorelle: Teresa Gravina, Emanuela
Campanozzi, Grazia Campanozzi, Lucietta
Cruciano, ci recavamo ogni giorno a piedi
fino al convento. Il mio impegno era quello di guidare la recita del rosario e i canti
durante la S. Messa. Anzi, quando recitavo
il rosario, nell’intermezzo inserivo sempre
qualche giaculatoria o un pezzetto di canto dedicato alla Madonna”.
Ciò lo ha fatto fino all’età di settantacinque anni. Tuttora Maria è autonoma
nelle sue necessità: riesce a cucinare da
sola, aprire la porta, rispondere al telefono. Ogni giorno segue in TV la celebrazione delle Sante Messe, la recita delle
lodi e dei vespri.
Racconta con orgoglio che fino a 75
anni si recava ogni giorno al Convento
di Santa Maria delle Grazie e partecipava regolarmente alle riunioni settimanali di Fraternità; poi fino a 99 anni si
faceva accompagnare a Messa, almeno
una volta al mese.
Nel salutarmi, col suo consueto sorriso
buono e materno sulle labbra, Maria
mi ha raccomandato di portare il suo
saluto alle terziarie che incontrerò e ricordando la sua vita attiva svolta nella
Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare, ancora una volta mi ha confermato di non essersi scontrata mai con
nessuno: “Non ho mai visto cose cattive
in chiesa, ma ho trovato sempre tutto bello e buono”.
Con questa testimonianza la terziaria
francescana Maria Donnanno conferma
quanto espresso dagli evangelisti Matteo (15, 18-20) e Marco (7, 21-23): ciò
che esce dalla bocca proviene dal cuore, poiché da esso provengono i vari
propositi. La nostra “centenaria” ci insegna a operare con letizia francescana ricercando e sperimentando uno stile di
vita che valorizzi tutto quanto è “vero,
nobile, giusto, puro, amabile, onorato,
quello che è virtù e merita lode”. (Fil. 4,8).
29
Focus
di P. Francesco Taronna
Una Scultura Lignea
Dell’artista Nick Petruccelli
NELLA SALA DELLE CONFESSIONI
DEL CONVENTO SAN MATTEO A SAN MARCO IN LAMIS.
30
Non è La prima volta che parliamo
dell’artista Nick Petruccelli di San Marco in Lamis. Già in altra occasione lo
abbiamo presentato al pubblico per
una personale di quadri e sculture,
queste ultime realizzate con materiale
nobile come anche con materiale di
risulta che lui ricicla come francescano e maestro, amante, com’è, dello
sviluppo sostenibile dell’ambiente per
il rispetto del creato.
Petruccelli riesce sempre a sorprendere gli estimatori con i suoi artistici
manufatti in ferro, in pietra, in legno
ed altri materiali.
Dopo anni di lavoro come artigiano
ma con intenti artistici, oggi le sue
opere sono tante. La maggior parte
di esse abbiamo avuto modo di ammirarle nelle sue due ultime personali,
esposte nel nostro convento di san
Matteo: la prima sul loggiato cinquecentesco prospiciente il chiostro con
opere ottenute attraverso fantastici
intagli di pietra del Gargano e di vario
legno per una spiritualità arcaica ottenuta anch’essa attraverso forme tribali
ed iconografie totemiche conciando e
lavorando cuoi; la seconda nei corridoi
del piano superiore con pitture acriliche su tele dall’occhio penetrante con
tema personale obbligato sulla Shoah
e sulle Foibe come denuncia, sono sue
parole, della malvagità umana.
A suo tempo ne parlammo come appendice ai diversi critici che avevano
già presentato ed esaurientemente
apprezzato ogni singola opera prima
di noi attraverso il Catalogo meraviglioso delle sue opere dal 1968 al
2008.
Specialmente nella sezione riservata
alla pittura avemmo modo di notare come l’occhio umano, presente in
quasi tutte le opere che erano in mostra, nell’intenzione dell’artista doveva
perdersi in quello divino in una simbiosi, come tra musica e poesia, talmente forte da togliere la possibilità
all’osservatore di separare l’umano dal
divino. Perché Nick Petruccelli è credente cristiano cattolico praticante ed
anche francescano. Ed è talmente forte la suggestione di questo suo sentire interiore di credente da sintetizzare artisticamente anche certi valori
teologici e proporli come connubio
inscindibile tra le possibilità umane e
la creatività divina.
È proprio il caso del presente lavoro
offerto alla nostra attenzione e rifles-
Focus
sione, collocato temporaneamente nella penitenzieria
all’interno della chiesa.
Si tratta di un tronco contorto di ulivo, destinato dalla
malvagità umana a finire i suoi giorni nel fuoco divorante
di un incendio doloso. L’artista ha guardato questo resto
del quasi distrutto oliveto, l’ha selezionato tra altri scampati all’incendio, l’ha prelevato, s’è fatto venire un’idea e lo
ha trasformato in un’opera d’arte, accarezzando un progetto sacro di elevata rilevanza artistica oltre che religiosa.
È venuto fuori, a nostro avviso, un significativo e religioso manufatto doubleface che da qualche mese fa mostra di sé nell’anzidetta penitenzieria del nostro glorioso
monastero-convento-santuario di San Matteo.
Da un lato è visibile un bassorilievo con un Cristo Crocifisso sofferente secondo la tematica francescana del
“Christus patiens”, sorretto soltanto dalla presenza di
Maria, la Mamma sua, e da Maria Maddalena mentre su,
in alto, completa il bassorilievo un angelo che porge la
mano al Cristo Crocifisso e nel contempo sorregge un
lato della croce. Girando poi attorno al manufatto e osservandone il lato opposto, un altro bassorilievo, a chiara
simbologia di cuore tondeggiante, prende tutta la scena e
racchiude un altro volto di Cristo, ancora più sofferente, dal
quale, con ardite volute artistiche spinte verso l’alto, prende
vita e consistenza sovrumana la Mamma del Crocifisso, quale teologico tentativo di voler tradurre l’immagine dantesca
della “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio” nel contesto del
mistero trinitario.
Questo secondo bassorilievo dell’artistico tronco ha in alto
una Colomba, simbolo dello Spirito Santo e terza Persona
della SS. Trinità, mentre il Padre, nella realizzazione teologica
del Dio Uno e Trino, si arrende alla Vergine Madre e si attualizza nella Mamma di Gesù, Tempio della SS. Trinità, nell’atto
di protendersi verso l’alto, guadagnando le altezze e compendiando nel Mistero l’intero bassorilievo.
Nella scultura non figurano elementi pittorici, ma questi
scaturiscono dalle venature del legno stesso e si completano
con qualche tenue traccia del legno bruciato e misteriosamente scampato all’incendio.
Dire che si tratta di un’opera d’arte è lapalissiano.
Inoltre crediamo di non esagerare se ammettiamo che da
un tronchetto di ulivo salvato dalle fiamme e dalla cenere è
venuto fuori un condensato artistico di popolare teologia,
cristologia, mariologia ed ecclesiologia.
Nell’Anno della Fede, questa scultura doubleface, sistemata temporaneamente nella Sala delle Confessioni, non soltanto esprime forma, colore e proporzioni per consentire alla realtà del mistero
realizzato di esprimersi nella sua globalità,
ma è un incentivo a fare la confessione dei
propri peccati con maggiore fiducia e
spontaneità.
Secondo noi è qualcosa di bello e ciò
che è bello suscita contemplazione.
“Davanti alla bellezza, è stato scritto,
l’animo trova la quiete e in essa si
rifugia per ricercare la verità su se
stesso e sul mondo che lo circonda”. È quello che attestava già S.
Agostino quando scriveva che la
bellezza trova posto nell’intimo
dove giace la verità: “Tardi ti amai,
diceva, bellezza così antica e così
nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu
eri dentro di me e io fuori. Lì ti
cercavo”.
Il linguaggio della bellezza è
una strada privilegiata per una
nuova evangelizzazione oggi, il
cui compito è quello di annunciare la fede in Gesù, “il più bello
tra i figli dell’uomo” (Salmo 45).
Come già è stato osservato, nella scultura non figurano elementi
pittorici, se non qualche simbolica
ed evanescente traccia di sangue.
L’unica pennellata veramente significativa, e che è servita a valorizzare
l’intera opera, è costituita dalle ottime
fotografie realizzate dall’amico Giuseppe Bonfitto, al quale va il ringraziamento
dell’autore della scultura e in parte del sottoscritto, il quale con esse ha tentato di sintetizzare meglio tutta l’opera con la presente
testimonianza strettamente personale.
31
24-26 Giugno
ndo
Centro di Accoglienza “Approdo” in San Giovanni Roto
ASSEMBLEA PROVINCIALE
A
C
lla ricerca
della nostra identità…
on la bisaccia del cercatore
Buona
Estate
vieni a visitarci
www.fratiminoripugliamolise.it
In caso di mancato recapito, rispedire al mittente, che si impegna a pagare quanto dovuto per legge. Grazie!
Curia Provinciale OFM Convento San Pasquale - 71121 Foggia

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