Arte del Plagio, il Plagiarismo verso una rivalutazione della copia

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Arte del Plagio, il Plagiarismo verso una rivalutazione della copia
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- ARTE DEL PLAGIO Il Plagiarismo, verso una rivalutazione della copia
di
Stefano Cortese
numero di matricola
AMB17
relatore
Massimo Cittadini
corso biennale
Net Art e Culture Digitali
sessione esame di diploma
8 Luglio 2011
Accademia di Belle Arti di Carrara 2010/2011
Viareggio, Giugno 2011
si ringrazia per la gentile collaborazione
(in ordine alfabetico)
Amy Alexander
Vittore Baroni
Stefano Genick
Salvatore Iaconesi
Indice
Introduzione
L’arte è un bene comune
Marx e Stirner
Morris e Ruskin
Il Dadaismo
Rinnovare
I baffi della Gioconda
L’arte delle possibilità
Legge 633
Il plagio come negazione della cultura
Verso un’arte del plagio
Taglia/Incolla
We in 1984
Blob
Saccheggio sonoro
L’uso del plagio
Vaticano.org e Luther Blissett
Dalla guerriglia al pop: Scream
Deprogrammazione
POPlagiarismo
Dov’è la fregatura?
Esercizio creativo
Vi sarete chiesti…
“Plagiarism” e “Plagiarism”
L’etica del plagio
Il concetto plagiarista
Conclusioni
Bibliografia e Webliografia
Ringraziamenti
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“Il plagio è necessario. Lo implica il progresso.”
Isidore Lucien Ducasse (Conte di Lautréamont), Poésies II,
1870
Introduzione
Introduzione
Ovidio e Shakespeare, 1984 (George Orwell) e We (Yevgeny
Zamjatin), La Gioconda e L.H.O.O.Q.; prendendo in esame
soltanto questi tre binomi ci accorgeremmo che poco della
cultura dell’uomo è davvero originale. Dopotutto non potrebbe
essere altrimenti.
Le competenze di ognuno sono composte di produzioni, ideali
e pensieri formulati da altri individui, primi fra tutti i nostri
progenitori. È inutile e pretenzioso pensare che tutto ciò che
produciamo non sia, anche in minima parte, riconducibile a
un’ispirazione che trae le sue fonti dal passato; ed è molto
difficile creare qualcosa di originale senza prendere in analisi
le esperienze fatte in passato da altri.
“Non sperate di avere successo senza copiare da altri autori”,
così esordì il mio professore di Storia e Teoria del Fumetto, Ivo
Milazzo (autore di Ken Parker) prima di cominciare la sua
lezione. Sulle prime rimasi sbigottito e quasi indignato da
un’affermazione del genere, fatta tra l’altro da una delle
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Introduzione
personalità più affermate del fumetto internazionale. Perché
all’epoca pensavo ingenuamente che ogni mia creazione fosse
frutto di una costante e dedita ponderazione delle mie capacità
e di un’attitudine creativa che ritenevo inedita e personale; in
sintesi, pretendevo di essere originale pur evitando di prendere
in esame la possibilità dell’affermazione di Milazzo.
Quello che ho scoperto nell’affrontare il tema del plagio, e del
Plagiarismo, sbugiarda ogni mia precedente convinzione ed
effettivamente svela la veridicità di ciò che passa sotto gli
occhi di tutti ogni giorno, ma che tutti, sistematicamente,
preferiamo non esaminare a fondo (e quindi partendo dalla
fonte). Chiunque, almeno una volta nella vita, spera
nell’unicità delle sue idee.
Inizialmente vedevo il Plagiarismo come un modo rapido e
astuto di speculare a spese dei valenti, originari autori; in realtà
stavo commettendo un errore grossolano, poiché associavo il
Plagiarismo al plagio basandomi semplicemente sulla
somiglianza dei due termini, senza considerare che dietro ogni
pratica culturale e/o artistica ci sia spesso un’etica.
Vorrei introdurre il Plagiarismo partendo dai quei movimenti
che hanno ispirato il suo “fondatore”, Stewart Home.
Il Plagiarismo fa parte dell’ambiente anticulturale sociopolitico
dei primi anni ottanta; è bene porre l’accento sull’aspetto
artistico di questa corrente, poiché le controculture sono
radicate negli anni precedenti la nascita del Plagiarismo e
rispecchiano le necessità culturali di una certa parte della
società. Si pensi al movimento hippie, al punk, o ancora alla
Beat Generation, o al decadentismo. Le controculture sono
caratterizzate da una collettività ideologica in contrasto con
l’espandersi della cultura capitalista di un certo periodo storico,
e sono sospinte da forti e influenti ideali politici e sociali.
Molto spesso influenzano svariati settori, dalla moda al cinema
e certe pratiche, slogan o frammenti ideologici vengono
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Introduzione
talvolta inglobati dal mercato internazionale o da quella cultura
massificata contro la quale essi si oppongono.
Anche il Dadaismo, identificato nella figura dissacrante di
Marcel Duchamp, fa parte di queste controculture, pur
mantenendo la nomea di “movimento artistico”.
Qui, il concetto è reso palpabile nelle pratiche di
decontestualizzazione attuate dallo stesso Duchamp, che di
fatto immette nell’ambito della galleria d’arte oggetti di uso
comune strappandoli a ogni loro funzione d’origine. La
riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, di cui Walter
Benjamin esamina l’inevitabile progresso nel suo libro L’opera
d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica. Egli, tra l’altro,
include persino i grandi capolavori del passato in questo
goliardico “rimpasto” della cultura artistica accademica. La
Gioconda era, e rimane oggi, non solo il simbolo di tutta la
storia dell’arte, per via dell’alone di misero che la circonda, ma
è divenuta uno dei beni di consumo più remunerativi di tutti i
tempi: cartoline, poster, cartoni animati, citazioni, etichette per
alimenti, graffiti, e molto altro ancora. Duchamp dimostra
attraverso una provocazione che l’arte, per quanto consacrata,
non è intoccabile, ma interpretabile e quindi plasmabile. Oggi
identifichiamo ne La Gioconda con i Baffi (L.H.O.O.Q.) il
primo vero “plagio d’autore”, dopo il quale persino applicare o
disegnare dei baffi, per canzonare qualcuno o qualcosa, è
divenuta una pratica quasi tanto celebre quanto La Gioconda
stessa. Duchamp non solo ostenta ciò che Benjamin ha
confermato, ma introduce un elemento che già all’epoca è
tipico delle moderne controculture. Il gioco, la spensieratezza
del gesto artistico, la frivolezza del concetto, e soprattutto la
satira, diventano le nuove modalità di una produzione artistica
molto più vicina all’individuo medio di quanto non lo siano
tutti i movimenti precedenti.
Con il collage, un assemblaggio di elementi preesistenti o
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Introduzione
prefabbricati, gli artisti sperimentano un nuovo modo di
comporre le loro opere, intensificando il legame tra concetto e
materia. La Pop Art offre la possibilità di agire secondo questo
criterio: l’uso del collage diviene una pratica diffusa in ogni
campo artistico, dalla pittura alla musica. Basti pensare che il
concetto di “collage” in musica è oggi conosciuto come remix.
Tale concetto, però, non vede la luce durante gli anni della Pop
Art, bensì si sviluppa molto prima.
Il romanzo di George Orwell, 1984 (1949), è un chiaro
esempio moderno di collage, o cut up. Si tratta di una tecnica
che permette di copiare un testo cambiandone qualche parola, o
frasi intere, o paragrafi, pur mantenendo lo spirito del testo
copiato. Il quale, in questo caso, è il romanzo distopico We
(1921) di Yevgeny Zamjatin.
Se però intendiamo esaminare più specificatamente
l’associazione “Plagiarismo-plagio” allora dovremmo citare
alcune opere “plagiariste” di Andy Warhol e Roy Lichtenstein,
in cui il plagio non si ferma alla semplice appropriazione di
materiale protetto da copyright, ma a una rivalutazione e
ricontestualizzazione di esso. Non si tratta più dei ready-made
duchampiani, oggetti quotidiani strappati alla loro funzione e
inseriti in un circuito culturale. La Pop Art agisce a livello
“popolare” esponendo oggetti e icone riconoscibili da chiunque
con qualsiasi predisposizione culturale; perciò anche queste
prime opere plagiariste non sono del tutto decontestualizzate,
poiché vengono comunque inserite in un contesto
culturalmente medio, esattamente come quello da cui
provengono i ritagli di vignette Marvel di Lichtenstein o il
Popeye di Warhol.
Stewart Home, ricordiamo, fa parte dei movimenti anarchici e
partecipa tuttora all’attivismo politico, per cui è logico
supporre che ogni sua produzione, compresa quella letteraria,
sia strettamente collegata a questi due aspetti. I quali plasmano
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Introduzione
la sua vita fin dall’adolescenza, spingendolo ad abbandonare
gli studi e le scuole, da lui visti come luoghi di manipolazione
culturale. Il suo bagaglio intellettuale e artistico si basa sui
movimenti Fluxus e Internazionale Situazionista, dai quali
apprende che ogni opera viene ridimensionata dal contesto in
cui è inserita e che acquista corpo dal momento in cui il
concetto prende il sopravvento sulla materialità, scontrandosi
con l’etica dei canoni accademici classici. Vede nella
soppressione dell’arte, come ultima vera opera, il giusto
incentivo che lo porterà a formare un movimento suo che, dalle
radici del Neoismo, prenderà il nome di Plagiarismo.
Esso si distingue dal comune plagio, e separa nettamente il
plagiario dal plagiarista, in quanto presenta una predisposizione
al gioco, cioè a quell’aspetto ludico dell’arte che nella
contemporaneità è stato completamente ignorato in favore di
un ritorno all’esclusività culturale del museo, della galleria e
alla figura dell’artista quale mecenate di se stesso. Il gioco
permette al plagiarista di produrre una satira apparentemente
frivola e “disimpegnata” contro il sistema culturale artistico
che regola le leggi del mercato contemporaneo. Tali leggi, tra
le quali il copyright, traggono vantaggio da un ritorno
all’esclusività del bene culturale, soprattutto di massa (e quindi
un bene di consumo ormai privo di un’”aura”).
Home non accetta di far parte del sistema capitalistico
occidentale che regola ancora il mercato artistico odierno, e
decide di reagire aderendo, tra le altre cose, a uno Sciopero
dell’Arte proposto dal gruppo Praxis, e che avrebbe dovuto
svolgersi dal 1990 al 1993. In ballo vi sono l’abbattimento
delle gerarchie imposte dall’arte a livello sociale e il ritorno a
un’arte che renda collettiva la proprietà intellettuale. Su
quest’ultimo punto, secondo il parere di Vittore Baroni, è
fondamentale porre particolare attenzione, poiché l’identità
stessa dell’artista può essere resa “collettiva”.
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Introduzione
Monty Cantsin e Luther Blissett sono entità, composte da un
numero variabile d’individui, che creano certamente
confusione circa la questione sulla “proprietà”, in quanto non è
possibile identificare in un’opera collettiva lo sforzo creativo
del singolo individuo. L’adottamento di tale metodo crea
inevitabilmente un détournement, una diversione culturale antialienante; pratica politico-artistica già elaborata all’interno di
Internazionale Situazionista.
L’“elemento plagiarista” nel nome collettivo risiede
nell’appropriazione indebita, ma effettivamente legale, del
nome stesso: creare opere firmandole Luther Blissett, senza
temere alcun procedimento penale, contribuisce ad accrescere
tanto il depistaggio quanto la visibilità del collettivo stesso e
delle opere da esso prodotte, dando progressivamente corpo a
una vera e propria istituzione socioculturale distaccata dal
Sistema.
Il Plagiarismo è riconducibile, sia dallo stesso Luther Blissett
sia dal giornalista/scrittore Tom Vague, a un esercizio
fortemente creativo più che a un vero e proprio movimento
artistico o sociale; ciononostante rispecchia le stesse modalità
di una pratica universalmente ritenuta illegale, immettendole
però in un circuito etico che, dalla sfera dell’arte, ormai
ritenuta popolare (e quindi di massa), trasferiscono il
Plagiarismo nel panorama sociale. Poiché il plagio è sempre
esistito e ha sempre in qualche modo giustificato una crescita e
un avanzamento culturale nella storia dell’uomo (comunemente
i brevetti scientifici vengono copiati e migliorati per creare
nuovi prodotti). Ciò che il Plagiarismo mette in luce, invece, è
un’“etica del plagio”, non scritta, attraverso la quale il neoplagiarista manipola e crea nuove situazioni da elementi
preesistenti o da opere concepite e prodotte da altri.
Le nuove realtà che scaturiscono da questo esercizio creativo si
presentano completamente differenti dall’originale: le prime
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Introduzione
sperimentazioni nel rap e nell’hip-hop degli anni ottanta si
avvalgono spesso di basi musicali prese da altri gruppi, una
pratica che in seguito viene modificata con il mash-up,
sovrapposizione di due diversi brani per comporre un’unica
traccia musicale, e il remix. Lo sviluppo di queste nuove
metodologie è identificabile all’interno del panorama della
cosiddetta “cultura underground”, in cui John Oswald e
Negativland iniziano a produrre i loro primi “collage musicali”,
o plunderfonie: un contesto più che stimolante per rimettere in
campo argomenti quali la lotta di classe, la proprietà culturale e
l’anticostituzionalità delle restrizioni sul diritto d’autore.
Oggi il Plagiarismo è quasi del tutto sconosciuto; in fondo si è
trattato di un fenomeno di breve durata, che persino al suo
apice non ha avuto forti riscontri.
D’altra parte sarebbe pretenzioso, nell’era di Internet, delle reti
peer-to-peer, dei motori di ricerca, tentare di mantenere
un’aura culturale “alta” che differenzi il Plagiarismo dal
comune esercizio creativo che oramai chiunque mette in atto,
copiando e incollando materiale preso in rete. Le nuove
tecnologie hanno messo il punto sulla pratica ideata da Home.
Qualche anno fa non esistevano software in grado di facilitare
la rielaborazione di materiale altrui. Per ottenere un mash-up
era necessario srotolare i nastri delle cassette e tagliare e
incollare con forbici e colla, ed anche così facendo il risultato
finale non era poi così soddisfacente. In quegli anni il
Plagiarismo è ancora una sperimentazione riservata a pochi
praticanti.
Oggi non è più così. E forse il Plagiarismo non è del tutto
scomparso; forse è stato inglobato da un nuovo contesto
socioculturale che vede nella copia una prassi creativa. Che il
Plagiarismo abbia “plagiato” la quotidianità?
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Idee sullo sviluppo dell’arte da Marx a Warhol
Già nelle prime sperimentazioni di Art Nouveau si riscontrano
similitudini tra artisti e artigiani, tanto nel modus operandi
quanto nelle metodologie di produzione. “Produzione”, come
se l’arte sia improvvisamente sfociata nel più materiale campo
del lavoro, in questo caso dell’artigianato; come se alla fine del
diciannovesimo secolo si rimettesse in discussione ciò che nel
tardo quattrocento sembra essere stato appurato, e cioè che
l’artista non è un artigiano, poiché trascende la materialità
dell’opera verso una simbologia e concetti estranei ai
“lavoratori dell’arte”.
“Ci rivolgiamo a voi tutti, senza guardare alla classe sociale o
alla condizione economica. Non conosciamo la differenza tra
“arte maggiore” e “arte minore”, tra l’arte per i ricchi e
l’arte per i poveri: l’arte è un bene comune”.
(estratto dal Manifesto della Secessione Viennese, 1897) 1
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Dal Manifesto della Secessione Viennese scaturisce un modo
nuovo di interpretare non solo l’arte, ma il ruolo e la figura
dell’artista, che si dedica a diversi campi divenendo uno
sperimentatore delle arti, una sorta di alchimista moderno che
intreccia metodi, tecniche e contenuti in nome di un’arte totale
in cui si rimuovono le barriere tra arti minori e maggiori, tra
artisti e artigiani.
Questa è l’essenza democratica già riscontrata nel filone
politico marxista dell’epoca, che si ripercuoteva in ogni campo
per eliminare le tensioni derivate dalle lotte di classe.
Al programma secessionista aderiscono Gustav Klimt, Josef
Engelhart, Carol Moll, Otto Wagner, che evitano, assieme a
scrittori, poeti e critici d’arte, di formulare un vero e proprio
manifesto come effige di un pensiero comune; tale manifesto
resta generico dal punto di vista ideologico, ma concreto in
termini di praticità.
Alla fine del diciannovesimo secolo il conservatorismo delle
caste più alte della società impedisce ancora uno sviluppo
multidirezionale dell’arte, consolidata in quei canoni
accademici fruibili solo da un certo livello sociale e culturale.
Nel 1894 viene a crearsi una vera e propria istituzione
composta da alcuni giovani che ipotizzano una società in cui la
censura e non la sperimentazione artistica non sarebbe più stata
fattore degradante tanto per l’esperienza artistica quanto per
quella libertà di espressione già intravista, secondo loro, da
Monet e Degas; ovvero la labilità della rappresentazione e
l’emancipazione del contenuto.
A scatenare il distacco è proprio l’atteggiamento rigido dei
conservatori, che per ragioni morali impediscono a un
impressionista, tale Josef Engelhart, di esporre un nudo
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
femminile 2. Un atteggiamento contraddittorio, se pensiamo che
quei conservatori tessono le lodi del nudo artistico classico del
David di Michelangelo. A prova di ciò si allestiscono mostre e
padiglioni espositivi in cui spiccano i nudi e le provocazioni
figurative, concettuali e stilistiche di Klimt.
L’innovazione è tangibile, poi, se prendiamo in esame uno dei
fattori più “democratici” in termini di “opera d’arte”, ovvero
l’arte applicata, già ampiamente diffusa nell’Art Nouveau. I
padiglioni secessionisti sono tappezzati di locandine, di
copertine e manifesti di Tolouse Loutrec, Ludwig Moser e
Klimt; tali opere dimostrano la versatilità dell’arte in un
contesto aperto alla ricerca di uno stile nuovo e riconoscibile,
con gli stessi presupposti di un comune manifesto pubblicitario.
Moser, fra tutti, riesce in un modo del tutto armonioso a
compenetrare scritto e decorazione, facendo sì che il carattere
tipografico diventi parte di un’unità a metà strada tra le
miniature amanuensi e i caratteri liberty.
Un’arte democratica che necessariamente deve abbandonare il
canone accademico per risultare fruibile da tutti. A prova di ciò
vengono organizzati, durante le mostre, visite guidate a prezzo
ridotto e con catalogo in omaggio, per tendere una mano anche
a coloro i quali pensano, fino a quel momento, all’arte come a
un surplus della società e a un bene di lusso.
Un’arte accessibile a tutti tanto nei musei quanto per le strade,
incoraggiata, inoltre, da una serie cospicua d’incarichi pubblici
commissionati da un Governo occupato a tenere a bada il
nazionalismo che logora il vecchio Impero. Un Governo che
vede nello spirito cosmopolita dei secessionisti un mezzo per
calmare le acque.
Ciò che distingue in maniera rivoluzionaria l’arte viennese
dall’Art Nouveau, è la reinterpretazione della linea, della forma
di uno stile parsimonioso e funzionale che, secondo lo storico
dell’arte Alois Riegel, consolida la parità tra arti decorative e
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
.Manifesto della Secessione Viennese
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
figurative. È l’armonia della forma nella semplicità delle
geometrie basilari a dare funzionalità a oggetti di uso comune.
Artista e artigiano firmano assieme l’oggetto che nasce
dall’unione dell’idea del primo e dalla lavorazione e ricerca dei
materiali del secondo: un connubio che va sempre più
sfaldandosi con la fine del Rinascimento.
.Marx e Stirner
In precedenza, nella prima metà dell’ottocento, Johann Kaspar
Schmidt, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Max Stirner,
ammette la validità dell’organizzazione del lavoro solo per
l’uomo “comune”. Vede nell’uomo un elemento della società
deliberatamente escluso dall’ordinario, un “unico”. Egli
afferma che “nessuno può sostituire i lavori di Raffaello” 3,
mentre Karl Marx gli contrappone un ordine sociale in cui a
nessuno si richiede di lavorare come Raffaello, ma in cui
chiunque, dimostrando un certo talento, debba avere il diritto e
la possibilità di esprimersi senza impedimento o censura alcuna.
Marx nega sia la ristrettezza di uno sviluppo professionale dato
dalla dipendenza alla divisione del lavoro, sia all’unicità e
l’originalità del lavoro artistico in una società massificata dalle
conseguenze della divisione del lavoro.
Nel 1848 questi pensieri passano nel Manifesto del Partito
Comunista 4, in cui si esige il libero sviluppo di ciascuno come
condizione del libero sviluppo di tutti. Si tratta di un’intuizione
ideologica in linea con le successive tematiche della Secessione
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Viennese, in cui è possibile riscontrare ampiamente il pensiero
marxista secondo cui, in definitiva, l’arte, per potersi
sviluppare, deve essere necessariamente un bene comune
svincolato da restrizioni contenutistiche.
Marx sostiene che, dall’antichità fino ad oggi, l’abilità artistica
sia sempre presente soltanto in singoli individui particolari e
non nel resto dell’umanità. Ciò è dovuto a quella divisione del
lavoro che ha sempre accompagnato la storia e che sarà
mandata in pezzi dalla rivoluzione comunista:
“La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni
individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa
è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro.” 5
In una simile prospettiva, Marx non prende in considerazione
chi, come Stirner, pensa di poter spiegare la grandezza di
Raffaello facendo riferimento soltanto al suo genio individuale,
prescindendo completamente dalle condizioni oggettive in cui
egli poté fiorire. Scrive significativamente Marx:
“Raffaello, come ogni altro artista, era condizionato dai
progressi tecnici dell’arte compiuti prima di lui,
dall’organizzazione della società e dalla divisione del lavoro
nella sua città e infine dalla divisione del lavoro in tutti i paesi
con i quali la sua città era in relazione.
Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo
talento dipende completamente dalla divisione del lavoro e
dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano.” 6
Nella società divisa in classi e permeata dalla divisione del
lavoro, è normale, spiega Marx, che vi siano individui destinati
a fare gli artisti e altri a fare gli operai. Tuttavia, quando si sarà
superata la divisione in classi e la divisione del lavoro, quando
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
cioè si sarà instaurata la società comunistica e ogni individuo
sarà un individuo “onnilaterale”, che potrà cacciare, dipingere e
pescare, secondo il proprio capriccio, ecco che, secondo Marx,
sparirà la figura dell’artista, come del resto sparirà ogni altra
figura di lavoratore parziale e limitato. Più precisamente,
secondo Marx:
“In un’organizzazione comunistica della società in ogni caso
cessa la sussunzione dell’artista sotto la ristrettezza locale e
nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e
la sussunzione dell’individuo sotto quest’arte determinata, per
cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi
che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo
professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro.” 7
Nessuno sarà più inchiodato alla sfera di attività particolare che
gli è attualmente imposta e potrà finalmente svolgere le attività
più disparate, tra cui quella artistica: in questo modo, secondo
Marx, l’uomo potrà finalmente recuperare la propria essenza di
“ente generico”, ossia di ente non geneticamente prefissato a
creare a una sola forma di oggettivazione sociale.
Di qui la nota conclusione che trae Marx:
“In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più
uomini che, tra l’altro, dipingono anche.” 8
Solo quando sarà definitivamente superata l’alienazione sarà
finalmente possibile un’esperienza estetica a trecentosessanta
gradi, perché è solo allora che potranno finalmente svilupparsi
pienamente, in maniera illimitata, i sensi dell’uomo: tutti gli
uomini potranno fruire dell’arte, e tutti potranno contribuire a
crearla.
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
.Morris e Ruskin
Per distaccarsi definitivamente dalla produzione di massa
sempre più pressante, William Morris, pittore e scrittore vicino
ai secessionisti, teorizza e dona nuova linfa ad una ritrovata
unione tra arti maggiori e arti minori, tra artista e artigiano,
verso una nuova concezione di arte come simbolo del distacco
dalla produzione seriale e dall’industria. Morris è ispirato dalle
tesi anti-industriali del critico e scrittore John Ruskin, il quale
afferma:
“Il mondo non può diventare tutto un’officina... come si andrà
imparando l’arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose
belle sono anche necessarie.” 9
In questo tentativo è possibile riconoscere la volontà nel
raggiungere un’arte totale, già teorizzata da Richard Wagner, in
cui vengono abbattuti i muri creati dall’eterogeneità dei generi
artistici e delle categorie sociali.
Il modello proposto da Morris è simile a quello medievale,
quando, per sua stessa dichiarazione, “tutti gli artigiani erano
artisti, e artisti dovremmo ricominciare a chiamarli”. È dunque
chiaro che i secessionisti interpretino l’epoca medioevale come
uno stato ideale che non conosce le contraddizioni tra bello e
brutto, causate dall’utilitarismo cresciuto con l’avvento del
Rinascimento; ma qui sorge una contraddizione.
Morris rifiuta di ammettere l’inevitabile aristocratismo del suo
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
tentativo, pur rifiutando la produzione di massa in nome di un
impegno da parte degli artisti/artigiani nel contrastare
l’esclusività dell’arte. Inevitabilmente, però, una produzione
condotta su base artigianale non è accessibile al vasto pubblico,
per quanto possa essere raffinata, funzionale, innovativa. Il
concetto estensivo di “arte totale”, che vuole fare di ogni
oggetto un oggetto d’arte, risulta eccessivo ed inflazionistico,
soprattutto in una società che predilige l’economicità del
prodotto seriale.
L’utopia di Morris sembra ormai un romantico avvenire, un
ritorno a quell’epoca priva di contraddizioni che lui identifica
addirittura nel medioevo, quando l’artista era artigiano e le sue
opere erano frutto di quel miscuglio di arte e scienza che
contribuivano a rendere l’arte la simbiosi di tutte le discipline:
un’arte totale, appunto.
Nella seconda metà dell’ottocento si assiste al ritorno della
committenza pubblica: disegni per francobolli, per valute,
insegne, facciate di pubblici edifici. L’arte ritorna nelle strade
e tende la mano al cittadino, che ora ne contempla una nuova
formalità, rinvigorita anche al di fuori di ciò che finora era
stato un contesto consolidato: il museo.
Adolf Loos, architetto secessionista, protesta apertamente
contro l’idea romantica di Morris, affermando di non voler
essere ostile verso l’arte in sé, ma di sostenere un’idea rigorosa
ed esclusiva dell’opera e quindi attaccando l’esibizionismo
formale che cerca di mettersi in mostra su ogni oggetto; stesso
concetto che, in futuro, i dadaisti radicalizzeranno, privando
quasi del tutto l’arte di quell’aura culturale che la distingue.
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Capitolo 1
L’arte è un bene comune
.Il Dadaismo
Il ready-made simboleggia un’esclusività fortemente associata
alla decontestualizzazione. Marcel Duchamp dà all’oggetto
un’autorità (un’”aura”, tanto per citare Walter Benjamin) che
non possiede come prodotto pensato appositamente per il
mercato; lo isola, ponendolo su quello stesso piedistallo che fu
il simbolo del distaccamento tra oggettività e opera d’arte o, in
parole povere, della stratificazione sociale.
Duchamp offre una gamma infinita di possibili interpretazioni,
un pluralismo semantico contenuto nelle figure assolutamente
riconoscibili dei ready-made, sostenendo che ogni cosa viene
rideterminata dal suo ambiente.
Una tendenza di spiccato valore borghese che va sempre più
prendendo piede, infatti, è la beatificazione della mano. Il
distacco con i canoni accademici non potrà mai del tutto
avvenire se si continua a vedere nel pennello l’unico giusto
metodo, e non solo un semplice strumento del fare arte in nome
di un’idea.
Secondo il poeta Guillarme Apollinaire:
“Uno può dipingere con quello che vuole, con i fischietti, i
francobolli, con le cartoline e le carte da gioco, con pezzettini
di tela cerata, con giornali o con la carta da parati.” 10
Apollinaire è in accordo, quindi, anche con i Secessionisti,
secondo cui l’arte deve subire una “sdivinizzazione” per potersi
liberare. Egli aggiunge un ulteriore mezzo contro la canonicità
e la stereotipizzazione dei procedimenti artistici classici,
andando addirittura oltre l’ideologia secessionista di rendere
l’arte “per tutti”.
23
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Apollinaire suggerisce un’arte “con tutto”, contro sia l’estetica
dell’opera, sia l’estetica nel realizzare l’opera. Ovviamente la
denuncia non riguarda solo la pittura, poiché ciò
comporterebbe un ritorno alla classificazione delle varie
discipline e andrebbe contro ogni idea nel raggiungimento
dell’arte dell’anti –stratificazione; ma andiamo per gradi.
Come già accennato, i ready-made non sono altro che oggetti
di uso comune strappati alla loro funzione ed uso originari ed
inseriti in un ambiente a loro estraneo, decontestualizzati.
Duchamp anticipa ciò che Piero Manzoni porterà all’eccesso
con la sua Merda d’Artista, sconfessando la sacralità non solo
del pensiero e dei concetti della figura dell’artista, ma anche la
sua corporeità, la produzione dell’artista in ogni sua
manifestazione, compresa, appunto, quella corporale.
Manzoni proclama “sono un artista: tutto ciò che produco è
arte”. Estremizza, radicalizza un modo di fare arte concettuale
rendendo chiunque un potenziale artista o spingendo ad
autoproclamarsi tale.
Siamo di fronte, in parte, al ritorno di una qualche specie di
categorizzazione sociale, sebbene Duchamp renda il suo ruolo
più goliardico e irriverente nei confronti della venerabilità
dell’arte contemporanea, inclusa quella concettuale.
Egli diviene portavoce dell’estremo realismo di un movimento
più sociale che artistico, più filosofico e ideologico che estetico
e materico; la realtà non viene restituita al soggetto dalla tela,
l’assenza dello strumento artistico quale il pennello diviene
manifestazione intangibile del completo distacco tra canone e
sperimentazione. E se da una parte vi è la rinuncia parziale o
meno alla manipolazione artistica della realtà oggettiva e della
materia, dall’altra l’estremo realismo scaturito dagli oggetti
esposti in quanto tali dona ai ready-made una palpabilità che la
semplice rappresentazione non può offrire.
Dada promuove l’antiestetismo in nome di un ritorno alla
24
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
purezza delle forme preesistenti in natura, e quindi contro quel
pensiero industrializzato secondo cui l’arte estetizza e
formalizza ogni prodotto dell’uomo. Prodotto che nella società
di massa perde ogni legame con i principi dell’opera d’arte e
diviene semplice oggetto d’uso.
Morris vorrebbe abbattere le barriere erette dall’esclusività
dell’opera e del mondo dell’arte, mentre Loos protesta contro
la visione di una società in cui qualsiasi oggetto può essere
esibito come opera d’arte.
Duchamp va oltre, conferendo ad oggetti quotidiani quell’aura
che scaturisce solo in presenza dell’intervento dell’artista.
Come la scintilla che dal nulla diede modo alla vita di potersi
sviluppare, un concetto e un’idea quale produzione dell’artista
dona nuova linfa al soggetto scelto (in questo caso già esistente)
innalzandolo ad opera pur mantenendo intatta l’assenza di ogni
tipo di rappresentazione o intervento artistico: l’oggetto è
soltanto semplicemente decontestualizzato.
A tal proposito cito Hans Arp, poeta e scrittore:
“La legge del caso che comprende in sé tutte le leggi,
inafferrabile come la causa prima da cui si origina la vita, ora
può essere sentita abbandonandosi completamente
all’inconscio.
Chi segue questa legge, io sostengo, crea vita pura.” 11
Si può dire che il Dadaismo, quindi, trascende la concezione
canonica di arte appellandosi soprattutto alla casualità,
all’istinto, al corso naturale delle cose; contro l’ottimismo
progressista dei futuristi, i dadaisti pongono attenzione alla
riflessione, alla contemplazione del mondo e alla rivalutazione
del caso (e del caos).
Quando Hans Arp dispone dei pezzi di carta strappata secondo
leggi casuali, non solo entra nell’ambito dell’astrazione, ma in
25
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
quell’ambiguo confine in cui “arte
senza fatti” regredisce in “fatti senza
arte”.
Alla luce di questo verrebbe da porsi
un semplice quanto interessante quesito:
chi e in che modo proclama l’artista
tale? La Fontana di Duchamp e la
Merda d’Artista di Manzoni potrebbero
rappresentare il ritorno di una nuova
.La Fontana, Marcel
divisione di classe tra artista ed
Duchamp
individuo. Si tratta, effettivamente, di
barriere quando una produzione
esplicitamente corporale di un uomo
diviene automaticamente opera d’arte,
grazie ad un concetto frutto di una
mente artistica. Affermare il contrario
dimostrerebbe un’ipocrisia ideologica
che rende chiunque capace di produrre
.Merda d’Artista, Piero
opere d’arte a discapito di un effettivo
Manzoni
talento.
Le convinzioni di Manzoni, per quanto si dimostrino in
accordo ai concetti di Duchamp, in termini di produzione
artistica, differiscono dal pensiero autodistruttivo dei dadaisti
in generale l’impeto antiartistico impediva loro di atteggiarsi a
geni, le loro produzioni dimostravano valori che si annullavano
a vicenda e che contribuivano all’auto-soppressione dell’arte
stessa.
Duchamp mette in mostra opere d’arte rese tali da un’artista
che non è più un’artista. Si può intuire la natura puramente
concettuale di ogni ready-made, tenendo presente la loro
funzione originaria; quando il concetto in essi verrà a galla
inevitabilmente Laura di cui l’opera è pervasa e l’autorevolezza
della figura dell’artista sprofonderanno.
26
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Dada perciò mescola i pensieri di Morris e di Loos e, attraverso
le loro teorie, mette implicitamente in luce un atteggiamento
tipico della cultura occidentale, divisa tra buon gusto e
venerazione dell’arte in quanto tale; attraverso tali concetti
dunque si rielabora una rivalutazione della purezza estetica
presente solo in natura.
.Rinnovare
“ …La cospirazione culturale neoista incoraggia il
Plagiarismo perché il Plagiarismo fa risparmiare tempo e
fatica, migliora i risultati e sviluppa l’iniziativa da parte del
singolo plagiarista…”
(estratto dal Primo Manifesto Internazionale Neoista,
contenuto nei Manifesti Neoisti, Stewart Home, 1987) 11
Stewart Home la chiama “grande vantaggio” nel suo Primo
Manifesto Internazionale Neoista e gli 01.org, seguendo il
filone ideologico e culturale della Net Art, ne fanno il cardine
della loro intera produzione sostituendola con l’ironia, con la
beffa, con il gioco: è l’assenza del talento. È proprio di questo
che si parla, se andiamo a rielaborare tutto ciò che il panorama
artistico moderno ci ha offerto fino ad oggi in larga misura, dal
Dadaismo fino al Postmodernismo. È il connubio tra
sperimentazione e gioco che permette all’artista di liberare il
proprio pensiero, di trasporre materialmente la propria sfera
27
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
sensoriale.
L’arte si è fatta sempre più “leggera”, talvolta frivola, libertina
e provocatoria. Koons con i suoi vistosi conigli cromati, Calder
con i suoi mobiles, solo per citarne alcuni; gli artisti hanno
lasciato libero sfogo ad un’attitudine del tutto estranea, se non
addirittura sacrilega, all’approccio borghese per le belle arti.
Seguendo e perpetrando, fino ad esasperare i concetti dell’idea
dadaista, si ritrova la freschezza del gesto ludico, l’innocenza
intrinseca dell’istinto scaturita dal rifiuto dagli stereotipi
propugnati dalla cultura tradizionalista. Si ritrova il desiderio di
giocare tanto con la propria creatività quanto con il proprio
talento, spesso ridicolizzando l’estetica a vantaggio di una
ricerca concettuale approfondita e complessa, talvolta avulsa o
addirittura assente; tutto per un bisogno irriverente di
autoironia, parodia, satira.
Un concetto in sé non ha valenza artistica poiché chiunque è
teoricamente in grado di elaborare le proprie idee seguendo
metodologie personali. E inoltre chiunque può esporle nel
modo che ritiene più congeniale secondo la propria natura.
Un’artista ha la capacità di dare forma ad un concetto agendo
secondo pratiche fornitegli dalla sua esperienza culturale. Nel
Rinascimento il talento è il frutto della capacità di riprodurre la
realtà seguendo anche un metodo scientifico appreso da studi
applicati e specifici. L’elemento chiave dell’intera produzione
artistica dell’epoca è, come lo chiameremmo oggi, il
fotorealismo.
L’arte è ancora considerata un prodotto d’elite, appartenente ad
una sfera culturale accessibile ai meno. Eppure essa nasce dalle
frenetiche mani di appassionati bottegai che decidono
deliberatamente di applicare le proprie capacità espressive alla
materialità dei colori, del marmo, della carta, eccetera. D’altro
canto la committenza esige un livello qualitativo raggiungibile
soltanto attraverso uno studio scrupoloso dell’anatomia, della
28
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
geometria e persino della chimica. L’apprendimento e la
pratica di ogni disciplina sono mirati ad una rappresentazione
più che mai fedele alla realtà, una prerogativa quasi necessaria,
in mancanza di meccanismi di riproduzione del reale.
Benché esista una canonizzazione del modus operandi, alcuni
artisti fanno della sperimentazione un’arte a sé, poiché le
risorse espressive dell’uomo non si racchiudono entro regole
matematiche, ma al contrario sono interpretabili e possono
svilupparsi in uno stile al quale associare il proprio nome.
La tecnica pittorica di Caravaggio, ormai universalmente
riconosciuta, non è l’unica innovazione che l’ha reso celebre;
non bisogna dimenticare che un rapporto tra materia e pensiero,
che sia caratterizzato da concetti solidi e ragionamenti
inconfutabili, prescinde il livello culturale e l’etica di chi lo
mette in atto. Caravaggio traspone la società in cui vive, con i
suoi costumi e le sue figure, in rappresentazioni fino a quel
momento canonizzate; critica sottilmente la sua società
inserendola in un contesto dislocato temporalmente. La
Vocazione di San Matteo e La Cattura di Cristo sono chiari
esempi di questa trasposizione, e in essi potremmo addirittura
riscontrare una critica contro il Sistema che a oggi risulterebbe
“controculturale”. La storia dell’arte, in particolare, ci insegna
che molte innovazioni non trovano quasi mai quell’immediata
accoglienza riservata a “normali” fattori di crescita
socioculturale.
Oggi la provocazione è la chiave per la “visibilità rapida”.
Spesso incompreso e prontamente condannato, tuttavia il
desiderio di provocazione getta le basi per nuove modalità,
strumenti, tecniche e sperimentazioni artistiche.
Da molti considerato come l’“orlo del baratro” della creatività,
il Dadaismo è il primo movimento che rende la
decontestualizzazione il metodo portante attraverso cui si
produce arte.
29
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
.La Vocazione di San Matteo, Caravaggio
.La Cattura di Cristo, Caravaggio
30
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Le opere si legano indissolubilmente al concetto che l’artista
trae per esse, comunicando diversi fattori, come la sua
personale opinione sul panorama politico e sociale della società
in cui vive.
I barattoli di zuppa Campbell e le bottiglie di Coca-Cola
riprodotte da Andy Warhol confermano questa teoria. L’opera
diviene lo specchio di un contesto di cui l’artista prende atto,
plasmandolo con un metodo che comunichi l’unione tra stato
d’animo e idea. Un metodo che spesso si trasforma in un’esca
per attirare l’attenzione di un pubblico sempre più vasto, che
riconosca nelle opere simboli e icone alla portata del proprio
livello culturale. Massificare l’arte equivale a privarla di
un’esclusività che William Morris tentò invano di arginare e
che Walter Benjamin predisse. La perdita dell’“unico” vede
nella produzione seriale un accostamento tra opera e bene di
consumo, che si concretizza nel ben più popolare “oggetto
d’arte”. Oggi chiunque può usufruire dei mezzi necessari per
creare qualcosa, non importa cosa; poiché il flusso
d’informazioni messo a disposizione dai media e da Internet è
virtualmente infinito. Su quest’ultimo punto sorge però una
problematica, che ridefinisce il concetto di “arte” come
prodotto di software che permettono lo sviluppo creativo di
qualsiasi utente. L’artista non è più colui che produce opere,
ma colui che fornisce i mezzi.
.I baffi della Gioconda
31
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Il concetto che Stewart Home, fondatore del Neoismo, mette in
dubbio, col suo cinismo, ciò che fino a poco tempo fa
pensavamo fosse il motore della creazione artistica: vale a dire
il talento.
Home afferma che “il bello del Plagiarismo è l’assenza del
talento” 12. È praticamente vero, poiché chiunque possiede un
computer è in grado di fare copia/incolla. Chi vuole plagiare
riconosce in una fonte la credibilità e l’originalità del contenuto
senza soffermarsi su concetti come “giusto” o “sbagliato”.
Esiste però un metodo, un’etica del plagio? È possibile
sfruttare tale attitudine in modo creativo, culturalmente valido,
moralmente accettabile?
Generalmente il plagio in sé, come sappiamo, è un reato
perseguibile penalmente e, anche nel caso in cui si riveli
implicito o ben nascosto, esso è comunque disprezzato dalla
comunità (ma anche da quegli artisti che del Sistema
Merceologico fanno un’arte).
Duchamp intuisce che screditando diversi fattori, come
l’universalità di un dipinto come la Gioconda e la figura stessa
di artista quale conservatore di talenti accessibile ai meno, si
sarebbe raggiunta una nuova concezione dell’arte.
Ridicolizzandola e sminuendola diviene null’altro che uno
svago realizzato con poco; opere prodotte in un contesto del
genere appaiono pretenziose, create appositamente per
soddisfare l’ego di acquirenti e critici. E, inevitabilmente,
l’artista diventa commerciante.
Con il Dadaismo si attacca apertamente il Sistema dell’arte e le
sue intoccabili tradizioni, andando a sconvolgere direttamente i
canoni classici che fino a quel momento secessionisti e futuristi
avevano condannato solo per iscritto. Si gioca con irriverenza
con l’opera maestra di Leonardo Da Vinci applicando, a mo’ di
firma, un paio di baffi al volto della Monna Lisa.
Duchamp mette in luce la riproducibilità tecnica dell’opera nel
32
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
modo più semplice e allo stesso tempo pericoloso, e comincia
la sua campagna verso l’inevitabile destino dell’arte: la sua
auto soppressione. Egli non si definisce artista, ma messaggero
dei nuovi sistemi sociali. Duchamp è artista solo per chi
riconosce nelle sue opere un connubio tra concetti, tematiche e
tecniche che condussero alla produzione (o appropriazione) di
oggetti come i ready-made. Ostenta volontariamente la
mancanza o la perdita di quel talento che nell’eccellenza e nella
creatività trova la sua massima espressione.
Alla fine degli anni venti si sta avverando ciò che i
secessionisti perseguirono per il raggiungimento di un’arte per
tutti; ma, contrariamente alle loro utopiche previsioni, che
escludevano l’avvento di un contesto merceologico-industriale,
l’arte diventa mercato.
Qui non il talento, ma la
novità
è
l’elemento
maggiormente riconosciuto e
apprezzato.
Naturalmente,
dove la novità può fare a meno
del talento, il mercato si
amplia, poiché chi non
possiede la tecnica può
comunque produrre qualcosa
di concettualmente valido,
riducendo l’estetica a opzione.
L.H.O.O.Q. è l’emblema di
questo
nuovo
Sistema,
insieme con opere come La
Fontana o La Ruota di
Bicicletta.
La provocazione esplicita dei
ready-made suscita interesse
nel bene e nel male. Tutti .L.H.O.O.Q., Marcel Duchamp
33
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
questi oggetti possono essere inclusi nell’ideologia tipica della
comune pubblicità.
Non importa il modo in cui se ne parla, basta parlarne.
Malgrado L.H.O.O.Q. remi contro tutti i “dogmi” delle arti
classiche e delle arti in senso generico, ancora oggi la vediamo
figurare tra pagine di libri traboccanti di grandi opere.
L’autosoppressione dell’arte è una profezia che molti ritengono
frutto di movimenti postmoderni come Fluxus e Internazionale
Situazionista, che applicano metodi artistici, discutibili e
improbabili all’attivismo politico. Forse stiamo già vivendo da
tempo questa fase: l’arte, nella sua concezione più classica ed
elitaria, non può, di fatto, accostarsi alla sfera commerciale per
divenire incentivo della produzione seriale; questo proprio per
tentare di mantenere quell’esclusività che la rendeva un bene
per pochi.
E forse, inconsapevolmente, proprio i secessionisti hanno
gettato le basi di questo fenomeno volendo accostare l’arte
all’intera popolazione, acculturata o meno, ricchi e poveri,
intellettuali e operai. È fondamentale comprendere quanto
rilievo si possa ancora attribuire al talento come manifestazione
di eccellenza nella tecnica.
In un mercato dell’arte che trae ispirazione da un’ideologia
capitalistica ancora attuale, in cui l’indice di gradimento
diviene il timone dei metodi e dei movimenti artistici a venire,
il talento non è importante quanto il concetto in un’opera.
Potremmo, seguendo quest’idea, andare ancora più indietro e
riconoscere agli espressionisti, pionieri della rappresentazione
del pensiero sulla tela, le cause del conseguente declino
dell’arte. Tuttavia non sarebbe corretto, poiché essi stessi
dichiarano il mantenimento di un’aura che rende l’arte simbolo
e dimostrazione di elitarietà nella tecnica.
Pertanto, viene attribuito al talento un significato particolare; si
tratta di una qualità che indica una sensibilità che non tutti
34
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
sviluppano, ma che tutti potenzialmente hanno. Karl Marx
stesso afferma che tutti debbano avere il diritto di accostarsi
all’arte e la possibilità di svilupparla.
.L’arte delle possibilità
La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle
potenzialità creative di ognuno.
Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura,
universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i
milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro
che si definiscono tali; ma queste etichette vengono
accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono
offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video
eccetera.
I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale,
rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa
catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa
ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse
celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico.
Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione
trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza
del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e
manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In
questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte
come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di
uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la
35
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche
l’essenza culturale.
È ciò che fa Amy Alexander quando, prendendo il busto della
figura al centro del dipinto, trasforma e amplia quello che
l’opera rappresenta; segue le leggi che oggi regolano la
distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La
Alexander decontestualizza il dipinto, privandolo di quella
drammaticità che l’ha reso celebre e riplasma, inoltre, l’estetica
del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”, se
vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su
magliette o da usare come adesivo; o ancora, nel caso
dell’opera della Alexander, trasformato in un’applicazione per
sistemi operativi con cui si possa interagire 13. Di questo,
parleremo approfonditamente più avanti.
In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È
evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e
un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità
del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre.
È il modo in cui essa viene rimodellata che rende il
Plagiarismo creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti
non solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma
soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il
Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per
alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che
agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del
materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un
metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può
lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso
spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo
distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi
riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per
non parlare dei remake, che trasformano decine di brani
musicali in produzioni a sé.
36
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Oggi si parla molto di arte in modo abbastanza vago, come se
avesse perso quasi del tutto il suo valore culturale.
Fenomeni contemporanei quali capitalismo, industrializzazione
e serialità hanno condotto gli artisti su una strada parallela al
sistema merceologico che regola la produzione di beni di
consumo per la massa. Una strada puntellata di opportunità
molto redditizie. L’arte moderna non vede più l’artista come un
individuo specializzato in un certo campo o in una certa
disciplina; non è facile dire con certezza se sia più sculture che
pittore. Oggigiorno l’artista sfrutta quanti più metodi e tecniche
possibili per soddisfare sia una sua ricerca a livello
sperimentale sull’uso dei materiali, sia per fare in modo che il
grande pubblico accolga la sua arte, in modo da ricavarne un
guadagno. Vi si riscontrano due livelli di crescita, due
opportunità: la crescita spirituale dell’accostamento tra materia
e concetti, e quella più concreta del denaro e della fama.
Quest’ultima, forse, sembra essere quella che più attira la
maggior parte non solo degli artisti, ma di tutti coloro che
regolano il flusso di denaro che circola tra autore, opera,
galleria o privato. In questo modo si crea un contesto in cui
l’arte diviene una pratica conforme alle richieste del pubblico,
senza tenere conto dell’attività creativa offerta dalla
sperimentazione nei diversi campi artistici.
Bisogna considerare, però, che non ci troviamo di fronte ad un
fenomeno che è frutto del capitalismo contemporaneo, ma a un
vincolo che esiste già dal Rinascimento. Un legame che oggi
come ieri decreta lo sviluppo dell’arte, quello con il denaro.
Esso ripaga l’artista e fornisce valore all’opera, che viene così
quotata in base a fattori specifici che solo i critici sembrano in
grado riscontrare.
37
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
Note
1-10-11
(cfr.) Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano,
Giunti Editore, 1999;
2-3
(cfr.) I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner
Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996;
4
Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura dell’intero
Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di Mario Cassa, Sapere,
1974;
5-6-7-8-9
L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels,
traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000;
12
(cfr.) Primo Manifesto Internazionale Neoista, Stewart Home,
traduzione di Luther Blissett, 1987
(da http://www.lutherblissett.net/archive/008_it.html);
13
(cfr.) http://scream.deprogramming.us
38
Capitolo 1
L’arte è un bene comune
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Capitolo 2
Legge 633
Capitolo 2
Legge 633
La proprietà intellettuale:
intervento a cura del Dott. Stefano Genick
Prima di esaminare il Plagiarismo nelle sue metodologie,
applicazioni e valori etici, sarebbe importante soffermarsi sulla
questione legale che riguarda la proprietà intellettuale. Spesso,
infatti, molti artisti che praticano il plagio in forma creativa si
avvalgono delle conoscenze di avvocati e legali specializzati
nel settore. Questo non tanto per evitare di realizzare opere
esplicitamente plagiate, ma per individuare eventuali “falle”
legislative che potrebbero essere volte a uso e consumo del
lavoro plagiarista. Molti compositori di remix e mash up hanno
identificato queste mancanze e le hanno sfruttate per creare le
loro opere. In caso contrario, data la mole di frammenti di
musica altrui, questi artisti dovrebbero pagare royalties da
migliaia di dollari (o euro) l’una. I contenuti che seguono sono
estratti da un colloquio avuto con il Dott. Stefano Genick,
laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Pisa.
40
Capitolo 2
Legge 633
…
Il problema del plagio si pone nel momento in cui si trae
ispirazione dall’opera, ovvero quando il prodotto finale è
costruito su quella base.
La proprietà intellettuale è un diritto di proprietà tutelato
dall’Articolo 42 della Costituzione. Tutela la proprietà privata
attinente ai beni materiali e la estende ai beni immateriali. La
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne
determina modi di acquisto e godimento allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile.
La proprietà intellettuale è a sé stante perché tutela un bene
immateriale, un’opera dell’ingegno.
L’acquisto di tale opera avviene “a titolo originario”. Il
creatore dell’opera è proprietario dell’opera stessa. L’unico
modo d’acquisto effettivo del diritto d’autore (per diritto
d’autore intendo il diritto morale, ovvero il diritto alla paternità
dell’opera) avviene semplicemente nel momento in cui si crea
l’opera. Quindi io sono, al contempo, autore e proprietario
dell’opera, che diviene soggetta alla regolamentazione della
materia relativa alle opere d’ingegno.
La legge fondamentale è la 633 (Protezione del Diritto
d’Autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) del 22 aprile
1941, riformata per effetto delle direttive comunitarie sulle
problematiche derivanti dall’introduzione dei software digitali.
L’oggetto del diritto va scisso in due parti. Il diritto morale, il
diritto alla paternità dell’opera che si acquisisce in via
originaria, con la semplice creazione dell’opera; perciò è un
diritto intrasmissibile, non negoziabile e incontestabile.
Viceversa, il diritto di utilizzazione economica del bene è
41
Capitolo 2
Legge 633
gestibile e negoziabile. Si produce un effetto fondamentale che
è l’opponibilità; dal momento in cui si va in S.I.A.E. si ottiene
un effetto, all’interno dei confini nazionali, di pubblicità
dell’opera che difende un diritto morale sull’opera e un diritto
di utilizzazione della stessa, gestibile come si vuole. È chiaro
che i contratti intervengono su questa seconda parte, in cui vige
la volontà di disporre del bene distribuendolo o producendolo
in vari modi.
Si possono stipulare dei contratti limitati alla fase di
distribuzione dell’opera nel momento in cui si ha la forza di
produrre e di sostenere i costi effettivi di produzione, che è
consistente, soprattutto se di natura teatrale.
Contratti di produzione discografica: dopo aver creato un cd e
averlo registrato, si va dal produttore e si richiede la
registrazione, la messa su supporto e la commercializzazione. I
diritti di utilizzazione economica hanno un limite di settanta
anni e rientrano nel diritto di successione; gli eredi possono
disporne.
Il diritto morale d’autore rimane importante: nonostante si
deleghino i diritti di utilizzo economico dell’opera, essa rimane
del proprietario e diventa opponibile verso tutti. La legge
consente di intervenire su quel soggetto cui si conferisce un
utilizzo economico per imporre un’azione inibitoria, cioè
un’azione giuridica volta a imporre, a un soggetto,
l’interruzione di un’attività o il diritto morale, quando si
presentano modifiche non richieste o danni di vario genere
all’opera originale (in pratica, quando si ferisce il diritto
morale). Il risarcimento del danno segue due specifiche
direzioni: patrimoniale e morale. Il risarcimento patrimoniale è
conseguente alla produzione di una nuova opera, non
corrispondente a quella iniziale e che ha come effetto la perdita
di occasioni contrattuali. Il risarcimento morale è quello che si
richiede quando l’azione di chi produce il danno corrisponde a
42
Capitolo 2
Legge 633
una fattispecie di reato, sanzionabile dal codice penale. In
questo caso qualora un soggetto disponga abusivamente di un
altrui diritto morale o di utilizzazione, oltre alla tutela civile si
può disporre di quella penale: perciò oltre alla richiesta di
risarcimento dei danni, si può intentare una causa penale.
In ambito civilistico quando si fanno contrattazioni, si produce
e si distribuisce, per evitare modifiche e storpiature, si stipula
una clausola penale, regolata dall’Articolo 1385 del Codice
Civile, che consente di valutare, a priori, il danno di una
determinata azione volta a ledere l’opera.
È difficile riuscire a dimostrare l’entità del danno: perciò è
necessaria la nomina di un perito contrattuale che possa
prefigurare un certo danno, seguendo dei criteri valutativi. In
questo modo si possono evitare tutti quei costi derivanti da
eventuali processi.
Per quanto riguarda un programma come Blob (che mi hai
portato ad esempio) è un’attività che prende in considerazione
spunti che hanno profili pubblicitari, cioè che hanno già avuto
una loro pubblicizzazione. Essendo prodotti già distribuiti si
tratta di una seconda pubblicità, non è una disposizione
originaria dei beni, ed è possibile disporne liberamente. Inoltre,
gli autori dei filmati da cui sono stati presi gli spezzoni
possono comunque godere di un ritorno di visibilità, o
pubblicità, dato da un utilizzo alternativo, in un secondo
momento, del materiale originale.
Infine, hai accennato alla scadenza del copyright di Popeye,
avvenuta il 1 Gennaio 2009 in Europa, e di un suo possibile
riutilizzo da parte tua. Resta il fatto che, come tu mi hai
spiegato, il denominativo “Popeye” rimane tuttora proprietà
dell’azienda statunitense King Features Syndicate. 1
In Europa, infatti, esiste una tutela giuridica che deriva dal
“pre-uso” del marchio, rispetto alla registrazione. Questa tutela
non la si può contestare.
43
Capitolo 2
Legge 633
La contestazione del pre-uso, non solo è inutile, ma è perfino
rischiosa. Se si contesta un marchio pre-usato, non si può più
opporre la buona fede nella registrazione dello stesso. È, infatti,
una registrazione fatta ad hoc per sottrarre ad altri il libero uso
di quel marchio a qualsiasi livello. La registrazione in mala
fede è nulla, cioè come se non esistesse.
Infine, nel caso si volesse registrare un marchio compreso di
immagine figurativa e denominativo, questi verrebbero scissi
secondo le normative sulla registrazione. Ciò comporta un uso
separato dell’immagine e del denominativo a essa riferito.
…
44
Capitolo 2
Legge 633
Note
1
(cfr.) estratto da:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/base/grubrica.asp?I
D_blog=47&ID_articolo=274&ID_sezione=70&sezione=
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Capitolo 2
Legge 633
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
Un saggio di Stewart Home
Non c’è da stupirsi che il Plagiarismo venga spesso
minimizzato e accostato al furto dall’opinione pubblica, data
l’apparente semplicità dei concetti al quale forniscono sostanza.
Le metodologie sono le stesse: l’appropriazione indebita
permane e il rapporto tra arte e commercio è più che mai
presente, come vedremo più attentamente avanti.
Il Plagiarismo, nella concezione di “movimento”, è stato un
fenomeno effimero e scarsamente conosciuto (e riconosciuto);
in pochi gli hanno dedicato attenzione, soffermandosi più sui
cavilli legati al copyright che sull’aspetto creativo e artistico
dell’argomento.
In effetti, trattandosi di una corrente durata all’incirca un anno,
non è possibile elaborare una critica approfondita senza tirare
in ballo le questioni legali e le procedure penali legate ai fattori
che accomunano Plagiarismo e plagio.
Per questi motivi, ho pensato di introdurre il Plagiarismo
riportando ciò che Stewart Home ha scritto in proposito nel suo
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
libro Neoismo e altri scritti - idee critiche sull’avanguardia
contemporanea 1. Si tratta di una delle stesure più approfondite
ed esaustive sul tema, forse, a mio parere, la più illustre; poiché
il Plagiarismo è una branca, se così si può dire, del Neoismo, il
cui fondatore è appunto lo stesso Home.
Molto interessante notare, come vedremo, che l’autore non fa
riferimento a una propaganda del movimento all’interno delle
gallerie; ciò conferma un possibile inserimento ipodermico del
Plagiarismo nel circuito dei media, da cui è possibile ipotizzare
che esso non sia effettivamente scomparso, ma si sia inserito
tra questi; un’idea che Home riprende da Fluxus e
Internazionale Situazionista, ai quali s’ispira molto.
…
Data la totale colonizzazione della vita quotidiana ad opera del
Capitale, siamo costretti a parlare il linguaggio imposto dai
media.
E’ sempre stato impossibile dare un’espressione coerente ai
pensieri e alle pratiche che si oppongono all’ideologia
dominante. Tuttavia, non perseguiamo la creazione di nuovi
linguaggi. Un atto del genere è condannato al fallimento e fa il
gioco del Capitale (rafforzando i miti dell’“originalità” e della
“creatività individuale”). Al contrario, il nostro obiettivo è di
reinventare il linguaggio di chi vorrebbe controllarci.
Mentre rifiutiamo il concetto di “originalità”, non troviamo
problematica l’idea che il plagio implichi un originale. Sebbene
riteniamo che tutta la “creatività umana” sia “accumulativa”
(vale a dire che tutte le “innovazioni” sono costruite dalla
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
somma totale di ciò che è venuto prima), non ci turba che nel
passato ci sia un “punto di inizio”. Non possiamo dare conto di
questo “punto di inizio” e non perderemo il nostro tempo
facendo speculazioni filosofiche su cose così irrilevanti.
Il plagio è il polo negativo di una cultura che ha la sua
giustificazione ideologica nell’“unico”. Infatti, è soltanto
attraverso la creazione di identità uniche che può esserci
mercificazione. Così, la ricerca priva di esito di un linguaggio
nuovo e universale, da parte degli artisti “modernisti”,
dovrebbe essere vista come un momento avanzato del progetto
capitalista. Comunque,. Questo non significa assolutamente
che il “postmoderno” sia in qualche modo più “radicale” del
suo precursore. Entrambi i movimenti sono stati soltanto tappe
di un’unica traiettoria. Tali sviluppi riflettono l’abilità del
sistema di recuperare le azioni e i concetti che precedentemente
hanno
minacciato
proprio
la
sua
costituzione.
L’“appropriazione postmoderna” è molto diversa dal plagio.
Mentre la teoria postmoderna afferma che non c’è più nessuna
realtà fondamentale, quella plagiarista riconosce che il Potere è
sempre una realtà nella società storica.
I postmoderni sono di due categorie. La prima annovera i cinici,
che comprendono il processo ideologico nel quale essi hanno
un ruolo minore e manipolano il sistema per il proprio
guadagno personale. Alla seconda categoria appartengono i
postmoderni semplicemente ingenui. Bombardati dalle
immagini dei media, credono che la “normalità” sempre in
cambiamento presentata dalla stampa e dalla TV sia una
perdita della “realtà”. I plagiaristi, di contro, riconoscono il
ruolo che svolgono i media nel mascheramento dei meccanismi
del Potere, e cercano attivamente di disgregare quest’attività.
Ricostruendo e soggettivizzando le immagini del dominio ci
prefiggiamo di creare una “normalità” che venga meglio
incontro alle nostre esigenze rispetto all’incubo massmediale
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
imposto dal Potere. Comunque, non abbiamo mai creduto che
questo si possa ottenere soltanto attraverso mostre in “galleria”.
Le immagini utilizzate per vendere detersivi hanno una forte
presa sulle nostre coscienze proprio perché questi cliché sono
riprodotti dai media spessissimo. Perché un’immagine abbia
effetto, occorre che sia continuamente riprodotta dalla stampa e
alla televisione. L’unica praticabile alternativa alla nostra
strategia di fare mostre utilizzando immagini ricostruite col
procedimento del plagio è la distruzione fisica delle stazioni
televisive e delle tecnologie della stampa.
.Il plagio
Il plagio consiste nella manipolazione consapevole di elementi
preesistenti per la creazione di opere “estetiche”. Il plagio è
insito in tutta l’attività “artistica”, poiché sia la pittura sia la
letteratura funzionano grazie ad un linguaggio ereditato, anche
quando chi le pratica si prefigge di abbattere la sintassi ricevuta
(come accadde con il modernismo e il postmoderno).
All’inizio del ventesimo secolo, grazie alla scoperta del collage,
le modalità con cui nelle produzioni “artistiche” venivano usati
elementi preesistenti si svilupparono notevolmente.
Due o più elementi divergenti sono accostati per creare nuovi
significati. La somma risultante è maggiore delle singole parti.
I lettristi, e più tardi i situazionisti, chiamarono questo
procedimento détournement (“diversione” è la traduzione
letterale del termine francese), ma quest’attività a livello
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
popolare è tuttora conosciuta come “plagio”, termine che ha
usato Lautréamont.
Il plagio arricchisce il linguaggio umano. E’ un’impresa
collettiva estremamente lontana dalle “teorie” postmoderne
dell’“appropriazione”. Il plagio comporta il senso della storia e
conduce a una progressiva trasformazione sociale.
Al contrario, l’“appropriazione” degli ideologi postmoderni è
individualistica e alienata.
Il plagio è per la vita, il postmoderno è cristallizzato nella
morte.
.I nomi multipli
I nomi multipli sono “etichette” che l’avanguardia degli anni
Settanta e Ottanta ha proposto per un uso seriale. Hanno avuto
svariate forme, ma per lo più si tratta di “nomi di persone
inventate” che, come affermano i sostenitori, chiunque può
assumere come “contesto” o “identità”. Di solito, l’idea è la
creazione di un corpo collettivo di opere artistiche che fanno
uso di un’“identità inventata”.
Klaos Oldanburg, la prima di queste “identità collettive”, fu
diffusa dai mail-artisti britannici Stefan Kokowski e Adam
Czarnowski a metà degli anni settanta. Pochi anni dopo, il
mail-artista americano David Zack propose Monty Cantsin
come nome della “prima open pop-star”, un nome che
chiunque poteva utilizzare.
Le differenze sostanziali tra le persone che ricorrevano
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
all’etichetta di Monty Cantsin emersero grazie ai nomi “rivali”
di No Cantsin e Karen Eliot, entrambi venuti fuori a metà degli
anni Ottanta. Numerosi individui e gruppi hanno “dato origine”
indipendentemente, a concetti simili. Per esempio, a metà degli
anni Ottanta, il gruppo raccolto intorno a Sam Durant a Boston,
negli Stati Uniti, propose come identità multipla Bob Jones.
Ci sono stati nomi multipli per rivista (come Smile, che nacque
in Inghilterra nel 1984) e per gruppi pop (come White Colours
proposto per la prima volta in Inghilterra nel 1982).
I nomi multipli cono connessi alle teorie radicali relative al
gioco. L’idea è di creare una “situazione aperta” di cui nessuno
sia responsabile. Alcuni tra i sostenitori di tale idea affermano
anche che questo è un modo per “analizzare praticamente, e
distruggere, le nozioni filosofiche occidentali di identità,
individualità, valore e verità”.
.Presto…
Il presente testo, nonostante la sua ovvia funzione di guida
all’installazione Anon 2, non è stato scritto con l’intenzione di
assegnare un significato unico alla mostra.
L’installazione Anon è stata fatta con l’intenzione di disgregare
le procedure produttive e burocratiche che tendono a ridurre il
ruolo del pubblico (almeno apparentemente) a quello di
spettatore passivo. Il titolo della mostra evidenzia il desiderio
dei partecipanti di mettere in questione lo status assegnato al
cosiddetto “creatore” nella produzione di cultura. Tuttavia,
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
nonostante il titolo, per i partecipanti alla mostra sarebbe
controproducente rimanere “completamente anonimi”, dato che
questo avrebbe l’effetto di un’attenzione non dovuta
focalizzata sulle loro possibili identità (come succede, ad
esempio, con The Residents). Così, mentre non abbiamo dato
“risonanza” ai nostri nomi (per esempio mettendoli sulla
cartolina di invito all’“inaugurazione”), non abbiamo tenuto
granché segreto “chi siamo”.
Numerose tattiche sono state impiegate nel tentativo di
impedire agli individui resi furbi dall’infingardaggine e dal
potere di adottare un atteggiamento puramente contemplativo
nei riguardi dell’installazione. Appena entrati nella galleria i
visitatori si trovano un faretto puntato contro, di fronte a un
banco. Per andare avanti bisogna girare a destra. L’intenzione
qui non è di rafforzare (per analogia) la consapevolezza del
fatto che i pianificatori urbani, gli architetti, eccetera, cercano
di predeterminare i nostri movimenti all’interno dell’ambiente
della città; allo stesso tempo, intendo provocare una risposta
critica all’“arte dello spazio” come luogo di Potere.
Mentre il flusso del Potere non è mai unidirezionale, bisogna
darsi ancora un gran daffare per riportare tali flussi a uno stato
di equilibrio. All’interno del dominio delle “arti”, una
ricognizione generale sul ruolo produttivo svolto dal pubblico
nella creazione di cultura sarebbe un netto progresso verso il
contenimento dello snobismo e dell’elitarismo endemici a tutta
quanta la scena culturale contemporanea.
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
.Una breve orazione sulla nostra “condizione culturale”
Con la riduzione delle spese pubbliche in ambito culturale,
diventa possibile per gli elementi “autonomi”, specialmente nei
campi più “sperimentali”, distruggere l’egemonia delle
iniziative insulse favorite dagli enti che amministrano i
sovvenzionamenti. In particolari ambiti, che non saranno mai
“finanziariamente praticabili” o “attraenti” per gli sponsor
economici, il taglio delle sovvenzioni, che i monetaristi
credono consegni la cultura al “libero mercato” (come se la
cultura fosse qualcosa di diverso da un effetto sovrastrutturale
dell’economia!), permette di fatto il controllo di interi settori
delle arti ai più fanatici avversari del capitalismo (e che sono
del tutto preparati a “lavorare” senza nessun “riconoscimento”
finanziario).
Uno degli elementi principali di questo genere di “fanatismo” è
il rifiuto di fare affermazioni universalistiche riguardo a ogni
forma di produzione culturale (e di deridere questa e altre
affermazioni simili, che gli artisti hanno tradizionalmente
utilizzato per “giustificare” il proprio lavoro). Una pratica
culturale sinceramente “radicale” deve rifiutare l’essenzialismo
e, allo stesso tempo, riconoscere la realtà dei rapporti di potere
che caratterizzano la nostra società. I postmoderni rifiutano
l’essenzialismo in teoria, ma nello stesso tempo sfruttano
l’ideologia umanista dell’arte “romantica” e “moderna”, il cui
lascito li mette in grado di ricevere sussidi e di trarre profitto da
carriere di insegnamento finanziate dallo stato. Riguardo a ciò
che caratterizza questa società, questi nouveaux nietzschiani, o
per lo meno l’ala boudrillardiana di questo “movimento”,
fanno l’affermazione assolutamente ridicola che il potere sia
“scomparso”.
Tuttavia, quanto detto sopra non deve essere frainteso come
una qualche forma di neomarxismo: nonostante la società
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
capitalista sia caratterizzata da gravi ineguaglianze di Potere,
non c’è (al presente) un’unica classe capace di portare a
termine un programma collettivo di trasformazione dei rapporti
sociali (nemmeno c’è l’“inevitabilità” storica che una tale
formazione di classe appaia nel futuro prossimo). Per queste
ragioni ho adottato la strategia della lotta, qui e ora, in un
ambito che sia di interesse immediato per me (invece di tentare
di “organizzare la classe” o agire come “fiaccola” per gli altri).
In ogni caso, un’organizzazione basata sui “nuovi movimenti
sociali” appare molto più sensata del tentativo di imporre i
tradizionali modelli di classe marxiani a una società che ha
subito enormi cambiamenti da quando essi sono stati delineati
per la prima volta (ma perfino centocinquanta anni fa tali
modelli erano davvero inutili, poiché ogni interpretazione di
classe “genuina” necessita di qualcosa di più di un mero
riduzionismo economico).
L’affermazione marxista-leninista che la società è composta da
una base economica e da una sovrastruttura culturale e politica
è completamente priva di senso; c’è interazione dinamica tra
economia, cultura e politica (ognuna di queste categorie può
assumere il dominio in un momento specifico a seconda
dell’azione reciproca dei fattori storici).
Un’interazione simile si verifica tra produzione e consumo:
dall’inizio dell’industrializzazione nessuna di queste due
categorie ha goduto di una condizione di dominio permanente
sull’altra. Da qui la mia preoccupazione di sottolineare il ruolo
produttivo svolto dal pubblico nella sfera culturale.
Concomitante a tale interesse è il rifiuto dell’idea che ci sia
un’“entità radicale e politicizzata di consumatori semipassivi”
che aspetta con ansia l’opportunità di assistere a eventi come
l’installazione Anon (ed è per questa ragione che ho colto al
volo l’opportunità di collocare il mio lavoro in posti dove sia
visto da persone che non hanno pianificato di vederlo, cioè le
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
vetrine del centro commerciale di Luton).
…
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
Note
1
Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia
contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda, Costa &
Nolan, 1997;
(ndr.) “Un certo numero di tattiche sono state impiegate nel
tentativo di evitare quegli individui arrestati dalla pigrizia, che
mutano l’interesse in un atteggiamento puramente contemplativo
verso l’installazione. Entrando nella galleria, i visitatori si trovano
sotto dei riflettori davanti ad un banco della reception. Per
procedere si deve girare a destra. L’intento è di rafforzare (per
analogia) la consapevolezza di come gli urbanisti, gli architetti e
altri cercano di predeterminare i nostri movimenti all’interno di un
ambiente urbano; contemporaneamente, l’installazione intende
provocare una risposta critica nei confronti dello “spazio dell’arte”
come luogo del Potere”.
(estratto da http://www.stewarthomesociety.org/art/anon.htm).
2
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Capitolo 3
Il plagio come negazione della cultura
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Capitolo 4
Verso un’arte del plagio
La versatilità del collage
Se ripercorressimo l’intera cronologia della storia dell’arte (e
non solo), potremmo imbatterci in opere e in artisti, ma anche
in tecniche, che si caratterizzano per una spiccata attitudine al
rimaneggiamento di materiale altrui. Il collage è una di queste
tecniche, e gli artisti che ne hanno fatto uso sono tanto
innumerevoli quanto inaspettati; quando non era impegnato a
realizzare quelle opere che oggi gli attribuiamo, Pablo Picasso
si dilettava nell’arte “minore” del collage, realizzando i suoi
cosiddetti papiers collés (carte incollate).
Ci troviamo di fronte, quindi, a una pratica consolidata
nell’arte da una delle sue personalità più influenti. Il collage,
come concetto, è applicabile in svariate forme: collage
audiovisivi, musicali e letterari sono solo alcuni esempi della
versatilità di questa, a mio parere, piccola, grande arte. Poiché,
malgrado il messaggio percepibile poggi anche su fattori come
il nonsense, la composizione segue quasi sempre una logica,
una “metrica” ben precisa.
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Considerando, inoltre, che il Plagiarismo, tema principale di
questa tesi, pone l’accento sul ripescaggio e sulla
reinterpretazione di opere preesistenti, potremmo dedurre che il
collage è l’antesignano di una pratica ideata da Home
settant’anni più tardi.
.Taglia/Incolla
Se pensiamo a un collage, probabilmente la prima cosa che
immagineremmo potrebbe essere un foglio di carta su cui sono
stati applicati con la colla dei pezzi di figure ritagliate da riviste,
quotidiani, fumetti, e disposti in modo da comporre
un’immagine, o casualmente. I più “estrosi” potrebbero
ricondurre il collage a quelle lettere di riscatto che il cinema ha
contribuito a rendere tanto note.
Entrambe le interpretazioni sono esatte; lo stesso Richard
Hamilton avrebbe riconosciuto tale pratica in queste definizioni,
applicandole al suo Just What Is It Makes Today’s Homes So
Different, So Appealing?, collage del 1956 considerato da
molti come la prima opera “pop”. Non a caso il collage è un
metodo accessibile a tutti, in termini di attuabilità; ma non di
contestualità. C’è una netta differenza fra un collage fatto in
casa e un collage fatto da Hamilton: quest’ultimo si trova in un
museo, e più precisamente presso la galleria d’arte Kunsthalle,
a Tübingen, in Germania 1. Il motivo è da attribuirsi alla nomea
dell’autore, che è un artista. Ma cosa rende l’artista tale, in
questo specifico caso?
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
. Just What Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?,
Richard Hamilton
Egli crea una situazione attraverso cui si può cogliere un
messaggio, un concetto con il quale è possibile decifrare una
visione soggettiva della società contemporanea. Dall’altra parte,
tale concetto è interpretabile, poiché l’artista non pretende di
rappresentare l’oggettività del mondo; crea invece doppi sensi,
trappole cognitive, diversioni, détournement appunto.
Le figure che compongono il collage di Hamilton non sono di
certo messe lì a casaccio. Sono però pervase di una carica
satirica e di un gusto per il grottesco che sollecitano più
l’attenzione visiva che quella cognitiva: la particolare ricerca
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
estetica e compositiva
dell’opera spinge lo
spettatore
a
una
critica
superficiale
che la condanna a una
perdita
dell’aura
.Whaam!, Roy Lichtenstein
culturale
di
alto
livello. Si tratta di un’affermazione sbrigativa, certamente, in
quanto l’obiettivo di Hamilton non è di proporre qualcosa fatto
in poco tempo e comunque remunerativo, ma è di canzonare la
società capitalistica occidentale con i suoi stessi prodotti. La
semplicità esecutiva e materica
dell’opera è uno di questi, e
Duchamp, si sa, ne ha fatto scuola.
L’obiettivo dell’arte, nel Dadaismo,
è smontare pezzo a pezzo le
fondamenta stesse della cultura
elitaria, e quale modo migliore se
non rendere l’arte un’attività
“leggera”, frivola, provocatoria e
pungente,
ma
altrettanto
praticabile quanto, ad esempio,
.Popeye, Andy Warhol
una striscia a fumetti?
Il paragone, qui, non è casuale, poiché nella Pop Art le icone
della cultura popolare divengono le nuove figure universali di
un modo (non così) innovativo di concepire l’opera d’arte, ora
divenuta molto più simile a un bene commerciale; e
commerciabile. Non si fa altro che catturare i soggetti più
celebri dell’immaginario collettivo e innalzarli a un livello non
di molto superiore al contesto da cui sono stati presi. Roy
Lichtenstein attua tale concetto, e per farlo si avvale di
anonime vignette Marvel in cui cambia il significato dei testi
presenti all’interno dei balloon; più radicale è invece
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
l’intervento di Andy Warhol, che ripropone su tela una
copertina del famigerato Popeye. Il metodo di questi ultimi due
autori ha però contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello
nello sviluppo di quelli che in seguito saranno i movimenti
anticulturali dei primi anni ottanta, e più avanti esamineremo
più attentamente questo punto.
Di solito, con l’avvento di una tecnica riutilizzata per fini
artistici, si creano quasi naturalmente nuove forme praticabili, e
ciò è dovuto a uno spirito sperimentale che esclude un
approccio unilaterale dell’arte verso gli svariati livelli,
metodologie e processi culturali.
Il collage potrebbe quindi essere ritenuto una semplice pratica
ricreativa, se lasciato rinchiuso all’interno di un contesto al
quale la cultura altisonante non vuole mescolarsi. È invece un
punto di partenza per uno sviluppo progressivo di un’opera:
sovrapponendo tra loro tanti piccoli tasselli, senza considerarne
troppo l’origine, è possibile giungere a una percezione
polisemantica di un “unico”: come percepire i singoli mattoni
senza perdere di vista la figura dell’intero edificio. Un
fotomontaggio a buon mercato e meno impegnativo.
È chiaro che persino un bambino sarebbe in grado di comporre
il suo collage personale, pur non tenendo conto di una serie di
aspetti concettuali e cognitivi: e con ciò non è da escludere un
certo valore creativo e tematico nel suo lavoro, percepito come
un semplice gioco, ma permeato di quell’istintività che tanto
piaceva ai dadaisti.
Un criterio progettuale è però fondamentale se si vuole
comunicare un messaggio, e Hamilton non fa eccezione. Le
figure sono in apparenza assoggettate al caso e al gusto estetico
dell’artista, mentre in realtà comunicano un certo punto di vista
che riflette un pensiero. E non importa quale sia l’origine dei
ritagli, dal momento in cui essi assumono un valore nuovo,
divenendo unità di un prodotto concettualmente opposto ai
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
magazine da cui provengono. Appropriarsi di materiali altrui
per trasformarli in qualcosa di completamente diverso equivale
a creare il nuovo.
Come accennato precedentemente, da una tecnica possono
derivarne altre, ed è un dato di fatto.
Se il collage di Hamilton propone raffigura un’idea dei soggetti
e della situazione presenti nell’opera, lasciando lo spettatore
libero d’immaginarsi come possano presentarsi nella realtà,
Robert “Milton Ernst” Rauschenberg vi aggiunge un ulteriore
fattore, la tridimensionalità.
Probabilmente ispirato da sperimentazioni dada quali, ad
esempio, Cadeau (1921) di Man Ray, egli amplia un campo di
scelta già di per sé vastissimo. Nel suo Monogram (1955), in
cui spicca la figura grottesca di un montone imbalsamato
intrappolato in uno pneumatico, Rauschenberg pone attenzione
all’uso dei materiali preesistenti in natura e crea i suoi primi
assemblage, o combines, come lui stesso definisce. Il concetto
operativo ricorda molto quello dei ready-made, se a
distinguerlo non fosse un’infinità di combinazioni date dalla
manipolazione della materia e dalla fisicità palpabile delle
rappresentazioni, talvolta al limite del surreale.
Qui non occorre immaginarsi alcunché: il montone intrappolato
nello pneumatico è lì, davanti a noi. È la rappresentazione di
una situazione alquanto grottesca, ma resa reale. Il passo
successivo sarebbe l’utilizzo di un montone vivo, ma le
conseguenze, tanto per usare un eufemismo, sarebbero
spiacevoli.
Con i ready-made Duchamp si avvale di oggetti pronti all’uso,
ma decontestualizzati, mentre Rauschenberg li manipola e li
assembla tra loro, appunto, dando vigore a concetti più
elaborati e a un presenza estetica alla quale la Fontana non può
di fatto anelare. Mescolare materiali tridimensionali non
esclude un ulteriore intervento dell’artista, che arricchisce il
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
.Monogram, Robert Rauschenberg
tutto con altrettanti collage, spruzzi di vernice, pennellate e
quant’altro; il che caratterizza l’assemblage anche a livello
contestuale. La vastità di scelta nel mescolare tecniche,
metodologie, concetti e discipline artistiche è tale da renderlo
un contenitore di esperienze, un simbolo di eterogeneità, un
assemblage culturale oltre che pratico.
Più volte l’arte ci ha insegnato che non sempre la presenza di
un soggetto sia sufficiente a dare pathos all’opera. Talvolta è
l’assenza stessa del soggetto a conferire un certo tipo di aura: si
pensi a una delle monocromie di Yves Klein, in cui l’unicità
deriva dalla presenza di un singolo colore che ricopre l’intera
superficie della tela, colore che diventa a priori il soggetto
incontrastato dell’opera. Può avvenire lo stesso per un metodo
di lavoro come il collage?
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Oltre che come rappresentazione artistica dell’espressività
urbana, per rotella il manifesto, il cartellone pubblicitario si
sono rivelati terreni fertili sui quali far crescere un tipo di arte
quasi del tutto privata dei soggetti. Le procedure che Rotella
mette in atto non hanno nulla a che vedere con il metodo di
Klein, ma il concetto di “immateriale” è comune. Il decollage è
chiaramente la manifestazione di tale concetto, che Rotella usa
per creare, nel 1955, il cosiddetto Manifesto Lacerato.
Invece di aggiungere elementi, egli fa uso di un oggetto
prelevato dal suo ambiente
(e quindi decontestualizzato,
netta ispirazione ai readymade “duchampiani”) dal
quale vengono tolte alcune
parti.
L’appropriazione
indebita
è
altrettanto
evidente, e qui si rivela in
tutta la sua fisicità, con un
artista che esce di casa e
strappa via da un muro un
manifesto pubblicitario, al
quale poi conferito un
significato
del
tutto
.Manifesto Lacerato, Mimmo Rotella
rinnovato. È la città,
l’ambiente urbano che ridefinisce il livello comunicativo delle
opere di Rotella, le quali suggeriscono sia un atteggiamento
riottoso nei confronti della passività dello spettatore, sia un
desiderio di rappresentazione logora e lacerante della società,
abbrutita dalla sua stessa cultura. Nello specifico, comunque, il
decollage rimane una tecnica che mira alla spersonalizzazione
dell’opera e che potrebbe, magari, attuare un’operazione di
“riciclaggio” dei pezzi tolti; in questo modo si potrebbe
ridefinire un metodo che sembra essere univoco, ma che in
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
realtà offre all’opera molte variabili, tanto nella sua
scomposizione quanto nella sua ricomposizione. Detto
volgarmente, sarebbe come prendere due piccioni con una fava;
del resto, qualsiasi cosa prescinde il suo contrario, e all’artista
non resta che capire quale di queste sia attuabile, se non
entrambe.
.We in 1984
In una rappresentazione figurativa non è poi così difficile
capire se il plagio sia stato effettivamente attuato, poiché
facciamo meno fatica nel ricollegare un’immagine a un ricordo.
Ad esempio, in un collage composto da ritagli di celebrità il
nostro occhio riconoscerà le figure e la memoria le ricollegherà
automaticamente al mondo del cinema, o della televisione.
Anche se nell’opera è presente un concetto che sfrutta le figure
delle celebrità rappresentate per comunicare qualcosa di
completamente distaccato, la mente le riporterà alla loro
origine; attraverso un esame più attento si potrebbe allora
carpire il messaggio, ma solo dopo l’impatto visivo.
Il mondo che percepiamo è fatto di immagini che la memoria
archivia continuamente: perciò se vedessimo una foto di
Marilyn Monroe il soggetto risulterebbe tanto riconoscibile
quanto nel celebre dipinto di Warhol, poco importa se il
significato delle due rappresentazioni è differente. Quella
donna, sia su tela artistica che su carta fotografica, è e rimane
Marilyn Monroe, una vera e propria icona oltre che un’attrice.
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
.We, Yevgeny Zamyatin
.1984, George Orwell
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Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Finora abbiamo parlato di immagini, tralasciando un aspetto
che spesso, purtroppo, non viene associato direttamente all’arte
come tutti la intendono; vale a dire la scrittura.
Le parole sono assolutamente riconoscibili, assimilate dalla
mente e interpretabili quanto le immagini stesse, poiché il loro
obiettivo è determinato dal contesto in cui vengono dette. Per
la scrittura vale la stessa cosa. Il genere e il target di uno scritto
danno sostanza al pensiero dell’autore e ne caratterizzano
l’impostazione; ad esempio, in un testo satirico non bisogna
prendere alla lettera ogni singola parola all’interno di una frase,
ma percepire la frase nella sua interezza per coglierne le
sottigliezze, l’ironia, le sfumature, il messaggio.
Ora, in un’opera narrativa come un romanzo è raro riscontrare
un impatto visivo, o cognitivo, dato dalle parole, poiché in
questo caso contribuiscono a farci immaginare una certa
situazione in modo lineare, senza troppi espedienti.
A nessuno, però, è vietato appropriarsi di un testo qualsiasi in
modo del tutto personale. L’argomento centrale che stiamo
esaminando è la serie d’implicazioni che si hanno dal momento
in cui si decide di plagiare qualcosa: opere letterarie incluse.
In questo caso il plagio assume forme molto più complesse, tra
le quali può risultare non facile identificarlo. È possibile, infatti,
copiare un testo parola per parola, nel qual caso non potremmo
parlare di Plagiarismo nel senso “creativo” del termine
(risulterebbe un semplice plagio); o ancora, prendere un testo e
usarlo come base per creare un inedito. Non a caso, però,
abbiamo parlato di collage, dal momento che può essere
applicato praticamente a qualsiasi supporto cartaceo (e non,
come si è visto).
Sarebbe forse più costruttivo analizzare una possibile perdita
dell’immutabilità del testo. Il risultato finale, il significato se
vogliamo, rimane sempre in sospeso e aperto a una molteplicità
di percorsi e di conclusioni.
69
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
William Burroughs utilizzava qualcosa simile al decollage, un
metodo di scomposizione, e lo sperimentava applicandolo in
diversi modi. La forma basilare del suo cut up, consiste nel
tagliare una pagina in quattro sezioni, per poi fornirle di una
sequenza nuova. Si prosegue suddividendo queste parti in unità
ancora più frammentate, e così via.
Ma il cut up può trovare dei modi di utilizzo anche in forme
diverse dal testo scritto: anche il nastro di una cassetta audio
può essere ritagliato e ricomposto in modo casuale o meno; ma
di questo parleremo più avanti.
Dalle sperimentazioni condotte in questo campo, Burroughs
pone attenzione all’inintelligibilità delle parole originali, che
lasciano il posto a nuove parole composte dai diversi pezzi; in
tal modo si creano situazioni totalmente differenti dall’opera
originale, mentre il destinatario diverrà parte attiva nella
manipolazione dell’informazione; assumerà uno spirito critico
nei confronti dei messaggi a cui viene sottoposto fino a
riutilizzare la tecnica per i suoi scopi.
Con il cut up, in pratica, si mantiene lo spirito del testo
originale per creare nuovi significati. Si pensi a una serie di
romanzi distopici scritti in periodi caratterizzati da forti tumulti
politici e diplomatici, dittature, regimi.
Yevgeny Zamyatin e George Orwell (ai quali aggiungerei
J.R.R. Tolkien, per le similitudini che ho trovato tra la figura di
Sauron, de Il Signore degli Anelli, e Il Grande Fratello di 1984)
descrivono società, regolate da potenze totalitarie, in cui il
libero pensiero viene bandito e la cultura ridotta al minimo del
suo spessore. Dei romanzi We (Zamyatin) e 1984 (Orwell) si è
parlato spesso, poiché si ritiene che il primo sia la fonte da cui
è stato massicciamente tratto il secondo 2. Ma sarebbe giusto
accusare Orwell di plagio e non di Plagiarismo?
Secondo Stewart Home, attraverso un’analisi non troppo
scrupolosa del testo di 1984, sarebbe possibile riscontrare una
70
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
forte somiglianza non solo con lo stile di We, ma anche con
alcune intere frasi, liberamente copiate e rimaneggiate con la
tecnica del cut up.
D’altra parte sarebbe ingiusto non riconoscere in Zamyatin una
prospettiva della società e una contenutistica di grande impatto
emotivo, una qualità che rende la sua narrativa, a mio parere,
fonte di grande ispirazione per un genere letterario tra i più
difficili e avveniristici (il fantapolitico, a cui la letteratura
cyberpunk dei primi anni ottanta deve molto).
È logico supporre, quindi, che molti altri autori in seguito si
siano liberamente ispirati agli scenari ideati dallo scrittore
russo, particolarmente dettagliati e originali. Qualsiasi
proprietà intellettuale in grado di suscitare grande interesse
diventa automaticamente un patrimonio culturale, poco importa
se è protetta da copyright. Questo è un altro degli aspetti che
sintetizzano e caratterizzano il Plagiarismo: l’ispirazione da
altri non può essere incriminabile, poiché non si tratta di una
pratica a tutti gli effetti imputabile, pur esistendo dei parametri
che identificano eventuali casi di plagio. Per questo motivo ho
citato Il Signore degli Anelli: chi avesse letto o anche solo
sentito parlare di 1984 e del suo misterioso Grande Fratello,
come non potrebbe ricondurlo al grande occhio “che tutto vede”
e che si erge a Mordor? È solo un’ipotesi, che nel caso fosse
attestata, non sarebbe comunque sufficiente per accusare
Tolkien di plagio vero e proprio; tutt’al più per incolparlo
d’ispirazione. Stessa ispirazione che nel 1929 influenzò il
regista russo Dziga Vertov nel film/documentario L’Uomo con
la Macchina da Presa, in cui fa la sua comparsa, verso la fine
del film, il primo piano dell’obiettivo di una macchina da presa;
anche qui, l’accostamento tra mezzo di riproduzione e
organismo di controllo delle masse appare eloquente. Come si
può notare, il contesto storico non contempla il furto
intellettuale, dal momento che l’ispirazione creativa diventa
71
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
comunitaria a causa di fattori sociopolitici che influenzano il
pensiero di tutti. Tornando al cut up, esso può essere
interpretato in diverse forme; si pensi al cosiddetto “flusso di
coscienza” applicato da Filippo Marinetti alla poetica futurista
(1909), o al “monologo interiore” presentato ne L’Ulisse (1922)
di James Joyce 3. In entrambi i casi, pur non trattandosi di un
collage “materico”, il cut up è sfruttato quasi a livello
inconscio, come un flusso di parole, onomatopee e spesso
formule matematiche; è come se la memoria dell’artista fosse
la fonte da cui vengono tagliati dei pezzi e assemblati su carta
per comporre il cut up. Forse è stata proprio la poesia visiva dei
futuristi a ispirare il concetto di “ritaglio/ricomposizione” di
Burroughs. Già di per sé ritenuta una tecnica irriguardosa nei
confronti della ricerca dell’originalità e del valore delle idee, il
cut up è anche un modo per manipolare l’informazione e,
quindi, la realtà oggettiva. Non ci sono limiti nell’adeguatezza
delle fonti, qualsiasi opera può essere “cutuppata” per suscitare
una reazione programmata nel lettore. Per Luther Blissett
dissacrare un testo come l’Apocalisse per esprimere la sua
visione di un mondo utopico, libero dal capitalismo e
dall’egemonia delle informazioni, è un modo tanto
provocatorio quanto rapido per attirare l’attenzione (e le
polemiche). Reinterpreta a modo suo un evento che, da quanto
si può notare nel cut up che segue, assume quasi i tratti di un
proclama sociopolitico, non più profondo, a livello di
personaggi e situazioni, di un moderno romanzo fantasy.
Il testo seguente è tratto dal suo libro Mind Invaders e, benché
la traduzione dall’inglese non sia proprio identica al testo in
italiano dell’Apocalisse (come anche l’impaginazione), il cut
up appare comunque più che evidente:
72
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
.Apocalisse 4
Primo Sigillo
Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli,
vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava
come con voce di tuono: “Vieni”. Ed ecco mi apparve un
cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli
fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere
ancora.
(Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo 6, 3-4)
Secondo Sigillo
Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo,
udii il secondo essere vivente che gridava: “Vieni”.
Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo
cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra
perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una
grande spada.
(Apocalisse 6,5-6)
Terzo Sigillo
Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo,
udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni”. Ed ecco,
mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava
aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in
mezzo ai quattro esseri viventi: “Una misura di grano per
un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino
non siano sprecati”.
73
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
(Apocalisse 6,7- 8)
Quarto Sigillo
Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo,
udii la voce del quarto essere vivente che diceva: “Vieni”.
Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo
cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno.
Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per
sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con
le fiere della terra.
(Apocalisse 6,9-11)
Quinto Sigillo
Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo,
vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati
a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli
avevano resa. E gridarono a gran voce:
Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e verace,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?
Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e
fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse
completo il numero dei loro compagni di servizio e dei
loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.
74
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
(Apocalisse 6,12-17)
Sesto Sigillo
Quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un
violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di
crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del
cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico,
sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il
cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i
monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re
della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e
infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti
nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti
e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla
faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello,
perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può
resistere?
(Apocalisse 8,1-5)
Settimo Sigillo
Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio
in cielo per circa mezz’ora. Vidi che ai sette angeli ritti
davanti a Dio furono date sette trombe. Poi venne un
altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere
d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse
insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli
sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano
dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio,
insieme con le preghiere dei santi. Poi l’angelo prese
l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo
75
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori,
fulmini e scosse di terremoto.
.Mind Invaders 5
I sette sigilli
Quando il novello Luther aprì il primo dei sette sigilli,
udii in visione il primo dei quattro Viventi dire con una
voce di tuono: “Vieni!” E vidi apparire un cavallo bianco,
su cui sedeva un cavaliere neoista con il volto di Luther:
venne dunque per vittorioso per vincere ancora.
All’apertura del secondo sigillo udii il secondo Vivente
esclamare: “Vieni!”. Allora usci un cavallo rosso vivo, a
colui che lo cavalcava era stata data la potestà di togliere
via dalla Terra la pace e le mezze misure. Per questo
portava nelle mani un Transmaniacon.
All’apertura del terzo sigillo udii il terzo Vivente dire:
“Vieni!” Apparve allora un cavallo nero cavalcato da un
hacker: le sue mani recavano floppy disk e sulla sua
corona bruciava una password. Udii fra i quattro viventi
come una voce dire: “Un fascicolo elettronico per un
denaro e tre password per un denaro. Ma ai nostri archivi
non recar danno”.
All’apertura del quarto sigillo udii il quarto Vivente dire:
“Vieni!”. Ed ecco, apparve un cavallo verdastro, colui
che lo montava aveva il nome di Creatore di Interzone, e
76
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Sabotaggio e Occupazione e Faccio del Mio Meglio lo
seguivano
All’apertura del quinto sigillo apparvero le facce stanche
di coloro che erano stati martoriati per le ragioni
d’azienda. Essi si misero a gridare a gran voce:
Fino a quando Luther
continuerai con le tue pippe
e non farai giustizia
sugli abitanti del centro!
Ma a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu detto
di pazientare ancora un poco, finché non si completi il
numero dei loro compagni che ancora dovranno partire.
All’apertura del sesto sigillo apparve ai miei occhi questa
visione: si udì un gran terremoto, il Sole si offuscò, da
apparire nero come un sacco di crine, e vidi Bill Gates ed
Elisabetta di Inghilterra e Bobby di Dallas giacere su
sedie di plastica in un corridoio della Asl di Bari
circondati da altre centinaia di (im) pazienti in attesa e
tutti dicevano ai muri verdi lavabili e ai regolamenti
ingialliti: “Chi potrà resistere?”.
All’apertura del settimo sigillo si fece silenzio per circa
mezz’ora. Poi mezz’ora di handbag music, poi mezz’ora
di ohm. Quindi vidi che ai sette Luther ritti davanti a
Luther furono date sette trombe e i sette Luther si
disposero a dar fiato.
(Luther Blissett, Mind Invaders, Castelvecchi, 2000)
77
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
.Blob
A questo punto potremmo dire che il collage, in ogni sua forma,
è teoricamente applicabile a qualsiasi supporto. Lo sviluppo dei
mezzi di comunicazione rende possibile una sperimentazione
senza freni di nuove forme artistiche che con il tempo si
conformano al target cui è destinato il mezzo.
L’arte interpreta il periodo in cui si sviluppa e la società,
soprattutto quella capitalistica, plasma l’arte in diverse forme,
che vanno dal design al mezzo mediatico; si crea una simbiosi
quasi naturale, in cui entrambi i fenomeni si evolvono, legati
indissolubilmente. Ma quale dei due influenza l’altro?
In realtà non c’è modo di dirlo con certezza.
Da una parte gli artisti rappresentano esteticamente il panorama
socioculturale che li circonda, spesso mettendo le arti
direttamente al servizio pratico, e non solo cognitivo, della
comunità.
Dall’altra, e qui forse troveremmo molti più riscontri, la società
capitalistica ha comprato l’arte, rendendola un lussuoso,
esclusivo bene di consumo. Probabilmente la simbiosi è
attuabile solo in questo contesto, in cui l’arte tenta di cambiare
una società che ha il potere di appropriarsene e di sfruttarla.
Non è facile, se non addirittura impossibile, che un movimento
controculturale trovi spazio nel calderone dei media, proprio a
causa delle sue caratteristiche principali, la satira e la
provocazione, fattori ritenuti antietici e scomodi dalle autorità
che controllano i mezzi di comunicazione.
78
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
È probabile, però, che malgrado le restrizioni burocratiche, una
certa corrente di pensiero riscuota ampi riscontri in un periodo
storico particolare, caratterizzato da un’ideologia rivoluzionaria
collettiva; in un ambiente del genere la sperimentazione
artistica trova terreno fertile per riassumere la sua autonomia,
anche come servizi d’informazione.
Se, come abbiamo già detto, la linea culturale si riflette sulla
società, allora in un contesto rivoluzionario anche l’arte diventa
rivoluzionaria; un metodo artistico “virale”, che s’insinua a
livello ipodermico attraverso gli strati culturali, media inclusi.
La caduta del Muro di Berlino nel 1989 è stato il segnale più
evidente dei forti mutamenti ideologici iniziati anni prima. In
un clima del genere, sia prima che dopo il fatto, è plausibile
che la cultura si sviluppi in un certo modo, più o meno in linea
con il pensiero collettivo legato a un evento così simbolico e
internazionalmente condiviso.
Non andremo a esaminare l’eventuale comparsa di correnti e
opere legate a questo periodo, ma ci soffermeremo su un
prodotto in particolare che per molti è stato, e forse rimane,
unico nel suo genere. Non consideriamo i primi collage
cinematografici di Luis Buñuel, né la vivacità compositiva di
Dziga Vertov, né i collage inclusi nelle sperimentazioni
audiovisive di Nam Jun Paik.
Da un’idea del direttore di Rai Tre, Angelo Guglielmi,
nell’aprile dello stesso anno due critici televisivi, Enrico
Ghezzi e Marco Giusti, realizzano una trasmissione che da quel
momento, in Italia, sarà una delle più seguite e longeve.
Blob, attualmente in onda tutte le sere alle 20.00, è un collage
televisivo che si avvale di spezzoni di varie trasmissioni per
comporre una situazione apparentemente casuale.
In realtà le immagini sono intrecciate tra loro da un metodo
narrativo che le ridefinisce per raccontare qualcosa a cui, prese
individualmente, sono estranee. La chiave satirica è spesso
79
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
evidente: in effetti l’idea stessa che dà corpo al programma è
ironica, dal momento in cui ogni spezzone proveniente da
qualsiasi tipo di prodotto può essere decontestualizzato.
Come è accaduto per il Muro, Blob abbatte le barriere tra gli
strati culturali portando l’informazione a un livello
sperimentale, pur mantenendo l’attendibilità delle fonti e la
legalità dei procedimenti con cui è costruito l’intero
programma. Sono già stati fatti esperimenti di “video collage”
in passato, in particolare da dadaisti e surrealisti (ma
probabilmente da qualsiasi movimento avesse un’attitudine
sperimentalista), ma nessuna opera precedente a Blob è mai
riuscita a sbarcare su una rete pubblica riscuotendo, malgrado
tutto, un successo inaspettato e una longevità degna delle serie
televisive più seguite.
In poche parole, si tratta di un collage mediatico, non soltanto
televisivo, per via della varietà di scelta nella manipolazione
degli spezzoni; infatti alcuni di questi presentano solo l’audio,
altri rimangono muti, altri ancora vengono rallentati o
velocizzati a seconda delle necessità comunicative, e vengono
aggiunti filtri o effetti particolari. Il più delle volte, comunque,
lo spezzone viene lasciato così com’è proprio per favorire la
purezza del metodo narrativo.
La forza di Blob, a mio parere, è la sua capacità di trasformare
l’abitudine in eccezione: nell’interezza di un programma non è
facile cogliere i punti nodali all’interno dei suoi contenuti, si
tende a fare una stima approssimativa delle tematiche
trasmesse; la programmazione fa perdere di vista ciò che Blob
sfrutta per raccontare una certa situazione.
Ciò che per noi è un programma ormai assimilato, abitudinario,
viene frammentato in modo da ricavarne materiale che, una
volta messo a fuoco nella varietà del collage mediatico, appare,
a seconda dei casi, scandaloso, deprimente, divertente, ironico,
riflessivo. Si sviluppa un metodo autocritico che dalla semplice
80
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
fruizione sposta l’attenzione sulla selettività dei prodotti
mediatici che più rispettano i propri gusti e le proprie
aspettative. Inoltre suggerisce diverse interpretazioni su una
singola scena o soggetto, a dispetto dell’impatto emotivo o
visivo.
.Saccheggio sonoro
Quando parliamo di plagio, una delle prime cose al quale lo
associamo è la musica, a causa di una quantità di episodi
praticamente incalcolabile. Ora, sarebbe inutile per me, e per
voi, cominciare a elencare alcuni dei plagi musicali più
conosciuti; se siete però incuriositi da quest’argomento potrete
sempre consultare Falso è Vero, della AAA Edizioni, oppure
l’innumerevole mole di informazioni su Internet. Trovo invece
più interessante esaminare un fenomeno che ancora oggi offre
spunti e contributi al moderno remix, mettendo a fuoco metodi,
tecniche e pratiche ideate per permettere a chiunque di fare
musica.
Quando Stewart Home afferma che il bello del praticare il
Plagiarismo sta nell’assenza del talento, e che quindi
teoricamente tutti potrebbero sviluppare una loro creatività,
probabilmente prende molto in considerazione il fenomeno del
“saccheggio sonoro”.
Thomas Edison parla, già nella seconda metà dell’ottocento,
del suo grammofono come di un tentativo nel creare “il più
grande strumento musicale di tutti i tempi” 6. Riesce già a
81
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
intravedere un ulteriore uso, oltre la funzione originaria della
sua invenzione.
Nell’accezione comune, il grammofono non è altro che uno
strumento di riproduzione sonora, ma l’affermazione di Edison
parte da un’esperienza diretta con esso; esperienza che si
riferisce a una valutazione tecnica dello strumento che solo un
visionario può avere.
In effetti, se pensiamo al moderno scratching, s’intuisce che
con il grammofono la modificazione del suono è praticamente
a portata di mano già sul finire del diciannovesimo secolo. Un
ingegnere parigino, Pierre Schaeffer, raccoglie positivamente il
messaggio di Edison e lo mette in pratica in diversi modi;
siamo nei primi anni venti. È possibile, infatti, variare la
velocità o invertire la rotazione del disco, o ancora intervenire
a livello materiale sulla superficie del disco creando graffi,
solchi e altro. Prendete il caso di Steve Stein, produttore di
Master Mix. I deejay di Master Mix usano i dischi come
macrocampionamenti, cambiando, combinando costantemente i
suoni protetti da copyright di vari brani. I collage di Stein sono
conglomerati di registrazioni originali di Otis Redding, Walter
Cronkite, Led Zeppelin e una serie di altri autori mescolati in
eccentriche sovrapposizioni. 7
L’evoluzione del grammofono si concretizza nel meno
versatile nastro magnetico di Luca D’Ammora nel 1925, al
quale i tedeschi applicano alcune modifiche dopo la Seconda
Guerra Mondiale. In tal modo, la rivalutazione del nastro
magnetico fu tale che ancora oggi, nell’era del CD e del mp3, i
remixer più nostalgici mettono in atto i loro interventi creativi
proprio sulle ormai dimenticate cassette a nastro, con forbici e
adesivo.
Ma è negli ambienti urbani delle periferie, teatro della cultura
underground, che sul finire degli anni settanta si sviluppano
metodi ed esperienze innovative e sperimentali in campo
82
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
musicale, o meglio, sonoro.
L’eterogeneità
etnica
mette
insieme contesti culturali diversi
tra loro e li mescola per creare
nuove forme artistiche che si
riferiscono a una serie di
metodologie creative considerate
“basse”, ma comunque in ascesa.
Ci troviamo di fronte, inoltre, a
una periodo storico fortemente .Plunderphonic, John Oswald
caratterizzato da controculture di
vario genere; tra queste, il movimento hippie, il punk e tutta
una serie di gruppi antirazzisti, come le Pantere Nere. È quindi
intuibile che in un ambiente del genere le nuove arti si sono
fortemente ispirate alla lotta di classe, all’attivismo politico e a
una profonda rivalutazione dei diritti umani e civili. La musica
è forse uno dei campi più influenzati dall’ascesa della cultura
underground in cui, tra l’altro, si riconsidera l’importanza del
suono grezzo.
Partendo da queste considerazioni, un compositore canadese,
tale John Oswald getta le basi della plunderfonia, da plunder,
“saccheggio” con l’aggiunta di phony, “fonia” (il termine
“phony”, in qualità di aggettivo, si traduce come “falso”: è una
pura coincidenza?).
È la cosiddetta corrente di “musica plagiarista” o plunderfonica,
che appunto si serve di materiali già registrati per comporre i
propri dischi, e si diffonde massicciamente con la comparsa di
computer e campionatori che rendono il “taglia/incolla” di
brani musicali più rapido e meno costoso.
Sul piano teorico, la musica plagiarista riprende i vecchi temi
del riciclaggio artistico e dell’ibridazione di stili già utilizzati
da Duchamp in poi. Stili che non comprendono solo la musica,
ma anche il packaging e il merchandise dell’opera.
83
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Non potremmo fare a meno
di notare il titolo a tutta
pagina dell’album U2, dei
Negativland. Contestatissimo
dal punto di vista pubblico e
perseguito
legalmente,
l’album rappresenta una
provocazione satirica nei
confronti
dei
cavilli
burocratici sul copyright e
dell’ingenuità della società.
.U2, Negativland
In principio, infatti, nel 1991,
tutti pensavano che “Negativland”, scritto a caratteri molto più
piccoli di U2, che occupa quasi l’intera copertina, fosse il titolo
dell’ennesima produzione della celebre rock band irlandese.
Immaginate la reazione di quei fan che, acquistato il CD, si
trovarono ad ascoltare eclettici campionamenti dei loro
beniamini. La Island Records, etichetta di produzione degli U2,
fece causa ai Negativland accusandoli di violazione del
copyright e di aver volutamente confuso i fan della band per
ottenere grande visibilità e grande guadagno.
Riferendosi alla clausola del Fair Use 8, i Negativland
contestarono l’esclusività del nominativo U2, poiché è anche il
nome di un aereo-spia, e quindi utilizzabile in quel termine.
Tornando alla musica, la plunderfonia non è altro che un
elaborato remix, da non confondere con altre pratiche, come il
mash up (una sovrapposizione di due brani musicali diversi tra
loro). Secondo le norme legislative che tutelano la proprietà
intellettuale, ogni pezzo preso da un’opera altrui deve essere
riconosciuto, accreditato e pagato in base a criteri precisi; ma
se John Oswald, o i Negativland, o ancora Girl Talk, dovessero
denunciare l’utilizzo di tutti i frammenti presenti nelle loro
composizioni, le cifre delle royalties ammonterebbero a
84
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
centinaia di migliaia di dollari, o euro.
Si esclude a priori un’originalità nella composizione dei brani
remixati e, quindi, di un possibile ritorno di pubblicità per quei
musicisti che hanno concesso (involontariamente) l’uso delle
loro opere.
85
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
Note
1
I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner Hofmann,
traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996;
2-6-7
Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,
Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora
Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini,
Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo
Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output,
Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998;
3
(cfr.) L’Ulisse, James Joyce, 1914-1921;
4
Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette Sigilli,
San Giovanni Apostolo;
3
Mind Invaders – come fottere i media: manuale di guerriglia e
sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000;
8
(ndr.) Il Fair Use (in italiano “uso” o “utilizzo legale”, “equo” o
“corretto”) è una clausola legislativa presente nel Copyright Act
(Articolo 17, Paragrafo 107), la legge statunitense sul copyright. La
clausola stabilisce come lecita la citazione non autorizzata o
l’incorporazione di materiale protetto da copyright nell’opera di un
altro autore, tenendo conto di varie condizioni e clausole.
86
Verso un’arte del plagio
Capitolo 4
87
L’uso del plagio
Capitolo 5
Capitolo 5
L’uso del plagio
Esempi pratici di Plagiarismo
.I primi Romeo e Giulietta
Non tutti sanno, o vogliono sapere, che anche i più grandi
autori della storia della letteratura si sono, in qualche caso,
“fortemente ispirati” ad opere a loro precedenti.
Niente di più comprensibile; dopotutto, come accade il più
delle volte, il futuro si costruisce dal passato.
Come già accennato nel capitolo Dov’è la fregatura?, Stewart
Home dichiara di aver riscontrato un “metodo plagiarista”
nientemeno che in William Shakespeare, senza però specificare
l’opera da cui è stato “ispirato”.
Ebbene, si tratta della tragica vicenda di Piramo e Tisbe nel
poema epico Le Metamorfosi, un’ampia raccolta di racconti in
versi del poeta romano Ovidio.
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L’uso del plagio
Capitolo 5
.Le Metamorfosi, Libro IV, Piramo e Tisbe, Publio Ovidio
Nasone, 8 d.C. 1
Piramo e Tisbe, due fanciulli babilonesi, abitano in due
case contigue; grazie alla vicinanza si conoscono e col
tempo nasce l’amore. Si sarebbero uniti in legittime
nozze, se non l’avessero impedito i genitori, ma il loro
amore cresceva sempre più. Non si confidano con
nessuno e si parlano con cenni e gesti. Il muro comune
alle due case è solcato da una sottile fessura, la quale si
era formata al tempo in cui era stato costruito.
La crepa viene così usata dagli innamorati per parlarsi e
sussurrarsi dolci parole. Restando divisi, una sera si
salutano e ciascuno dà alla sua parte del muro dei baci
che non arrivano di là. L’indomani tornano tutti e due al
solito posto. Allora, dopo essersi a lungo lamentati,
stabiliscono di eludere la vigilanza e di tentar di uscire di
casa nel silenzio della notte, e una volta fuori, di lasciare
anche l’abitato e incontrarsi al sepolcro del re Nino e
nascondersi al buio sotto l’albero. C’è lì infatti un albero
tutto carico di bacche bianche come neve, e un alto gelso
sull’orlo di una freschissima fonte. Rimangono d’accordo
così.
Di soppiatto, aperta con cautela la porta, Tisbe esce nelle
tenebre senza farsi sentire dai suoi, e col volto velato
arriva al sepolcro e si siede sotto l’albero prestabilito.
Quand’ecco che una leonessa, che aveva appena fatto
strage di buoi, giunge con la schiuma alla bocca e il muso
intriso di sangue a dissetarsi alla fonte lì accanto. Tisbe di
Babilonia la vede al chiarore della luna, e con piede
trepidante corre a rifugiarsi in una grotta oscura, ma
mentre fuggiva il velo le scivola dalle spalle. La leonessa,
sedata la sete, stava tornando nel bosco, quando per caso
89
L’uso del plagio
Capitolo 5
trova il delicato velo abbandonato, e lo straccia con le
fauci insanguinate. Piramo, uscito più tardi, scorge
nell’alta polvere le orme inconfondibili di una belva e
impallidisce dalla paura. Quando poi trova anche la veste
macchiata di sangue piange la morte della sua amata e
invoca anche per se stesso la morte, essendo causa della
tragedia dell’amata. Raccolti i brandelli del velo di Tisbe,
li porta ai piedi dell’albero convenuto e si conficca il
pugnale nel ventre. Morente, lo ritrae dalla gorgogliante
ferita e cade a terra supino. Il sangue schizza in alto e i
frutti della pianta, spruzzati di sangue, divengono scuri;
la radice inzuppata continua a tingere di rosso cupo i
grappoli di bacche. Nel frattempo Tisbe ritorna al luogo
stabilito e cerca il giovane innamorato. Ritrova e
riconosce la forma della pianta, ma il colore dei frutti la
fa restare incerta. Mentre è in dubbio, vede un corpo
agonizzante a terra, in una pozza di sangue, e
rabbrividisce.
Riconosciuto il suo amore, si batte le braccia, si straccia i
capelli, abbraccia il corpo amato e bacia il suo gelido
volto. Piramo alza per un attimo gli occhi e li richiude.
Tisbe riconobbe il suo velo e, preso il pugnale di Piramo,
si uccide. Prima di morire però rivolge ai genitori di
entrambi una preghiera: di restare uniti nella morte in un
unico sepolcro, mentre all’albero di serbare il ricordo di
questa tragedia e in segno di lutto di conservare dei suoi
frutti il colore scuro. Puntandosi il pugnale sotto il petto,
si curva sulla lama che ancora era calda di sangue. Per
questo il colore delle bacche, quando sono mature, è nero,
e ciò che è avanzato dal rogo riposa in un’unica urna.
90
L’uso del plagio
Capitolo 5
.Romeo e Giulietta, William Shakespeare, 1594-1596 2
Romeo, figlio ed erede della famiglia Montecchi, è
innamorato della bella Rosalina e non teme di affrontare
a questo riguardo gli scherzi dei suoi amici Benvolio e
Mercuzio. Capuleti, il capo della famiglia rivale, si
prepara a dare una grande festa per permettere a sua
figlia, Giulietta, di incontrare il Conte di Parigi.
Quest’ultimo, in effetti, l’ha richiesta in matrimonio ed i
genitori di Giulietta sono favorevoli a quest’unione.
Romeo, che crede di trovarvi Rosalina, si autoinvita con
gli amici Benvolio e Mercuzio a questo grande ballo
mascherato. Scorge Giulietta e resta folgorato dalla sua
bellezza cadendo follemente innamorato di lei; è il colpo
di fulmine reciproco. Le si avvicina e l’abbraccia due
volte quindi si ritira. Romeo e Giulietta scoprono adesso
la loro identità reciproca. Disperati si rendono conto di
essersi innamorati ciascuno del proprio peggior nemico.
Al cader della notte, Romeo si nasconde nel giardino del
Capuleti. Quindi si avvicina sotto il balcone di Giulietta e
le dichiara il suo amore.
Tutti e due fanno a gara nel pronunciare dichiarazioni
d’amore appassionate. Perdutamente innamorato, Romeo
si confida il giorno dopo con Fra Lorenzo, il suo
confessore. Inizialmente incredulo, Fra Lorenzo promette
tuttavia a Romeo di aiutarlo e di celebrare il suo
matrimonio, nutrendo anche la speranza di riconciliare
Capuleti e Montecchi. Tebaldo, cugino di Giulietta, sfida
Romeo a duello. Ma il giovane, al colmo della felicità e
pieno di una simpatia “fraterna” per l’aggressore, rifiuta
di battersi. Mercuzio, il confidente e amico di Romeo,
giovane coraggioso e brillante, si affretta a sostituirlo
battendosi contro Tebaldo. Quest’ultimo lo ferisce a
91
L’uso del plagio
Capitolo 5
morte. Mercuzio muore maledicendo il litigio delle due
famiglie nemiche. Romeo vendica la morte del suo amico
e uccide Tebaldo. Romeo ormai ricercato deve fuggire in
esilio. Giulietta è in preda al dolore. Suo padre, reso
inquieto dallo stato d’animo della figlia, decide di
accelerarne il matrimonio con il Conte di Parigi. Il
matrimonio avrà luogo il giorno dopo. Giulietta si rifiuta.
Suo padre la minaccia: o sposa il Conte, o la disereda.
Lei corre da Fra Lorenzo che le propone di bere un filtro
che può darle l’aspetto della morta per quaranta ore:
credendola morta, la chiuderanno nella tomba del
Capuleti. Fra Lorenzo verrà allora con Romeo a liberarla.
Il frate promette di informare Romeo dello stratagemma.
Giulietta accetta il piano. Rimasta sola nella sua camera,
beve il filtro. La mattina del giorno dopo la governante la
scopre inanimata. Tutta la famiglia piange la morte di
Giulietta. Fra Lorenzo fa sì che tutto si svolga secondo i
suoi piani. A Mantova, dove Romeo è in esilio, riceve la
visita di Baldassarre, suo servo, che gli annuncia la morte
di Giulietta. Ha soltanto un rapido pensiero: procurarsi
del veleno e ritornare a Verona per morire accanto alla
sua Giulietta. Durante questo lasso di tempo, Fra Lorenzo
apprende che un intoppo ha impedito al suo messaggero
di informare Romeo del suo stratagemma. Decide di
recarsi alla tomba del Capuleti per liberare Giulietta. Ma
il dramma precipita. Romeo si reca sulla tomba di
Giulietta e v’incontra il Conte di Parigi venuto a portare
fiori alla fidanzata morta. Un duello ha luogo tra i due
giovani e il Conte, morente, chiede a Romeo che accetta,
di adagiarlo vicino a Giulietta. Romeo contempla la
bellezza luminosa di Giulietta e la abbraccia prima di
bere il veleno e morire a sua volta. Fra Lorenzo è
sconvolto nello scoprire i corpi di Romeo e del Conte di
92
L’uso del plagio
Capitolo 5
Parigi. Assiste al risveglio di Giulietta e tenta di
convincerla a seguirlo e andarsi a rifugiare in convento.
Ma Giulietta che scopre il corpo di Romeo mortogli
vicino si pugnala con la spada del suo amante e muore al
suo fianco.
.Vaticano.org e Luther Blissett
Nel 1999 il gruppo 01.org pubblica una sua personale versione
del sito ufficiale del Vaticano, che riesce a rimpiazzare
l’originale per ben un anno. Anche qui, si tratta di
détournament, poiché i visitatori del sito restano increduli o
turbati nel vedere pubblicati testi sacrileghi e brani scaricabili
degli 883 3. Un esercizio plagiarista del genere mette in luce la
labilità dei sistemi che controllano e tutelano la proprietà
intellettuale attraverso i temi dell’ironia, della provocazione e
della satira più libertaria. Si riafferma, inoltre, un’assenza di
compromessi che l’arte d’avanguardia concretizza nello
sviluppo di opere che entrano nella sfera della fruizione
mediatica.
A un primo impatto visivo, Vaticano.org è la copia quasi esatta
del sito originale, URL incluso. 01.org, quindi, sfrutta appieno
sia le potenzialità delle nuove tecnologie, che permettono di
evitare facilmente i controlli primari di base, sia l’attendibilità
dei materiali che vengono rimaneggiati. In questo caso
specifico, si parla anche di appropriazione, volta a indurre
nell’utente la stessa sicurezza che avrebbe se si trovasse a
93
L’uso del plagio
Capitolo 5
navigare sul vero sito del Vaticano.
I concetti di “appropriazione” e “attendibilità” sono alla base
dell’intera produzione di 01.org, creatori, tra l’altro, del nome
multiplo Luther Blissett. Il nome multiplo, come già anticipato
da Stewart Home nei capitoli precedenti, è liberamente
utilizzabile da chiunque voglia aderirne; da quel momento in
poi, le opere del singolo saranno firmate “Luther Blissett”.
Comunque, l’adesione a un collettivo che rende la
provocazione una tattica per ottenere una rapida visibilità non
si rivela molto allettante; l’elenco delle cause intentate ai danni
di Luther Blissett è pari alla quantità di opere da esso realizzate.
Una delle “performance” più divertenti (e oltraggiose) è, a mio
parere, la beffa del 1995 alla trasmissione di RaiTre Chi l’ha
visto? 4. L’arte è stimata dal gruppo come un mezzo influente
per sviluppare argomenti politici e sociali privi di mezze
misure. L’individuo è immerso quotidianamente in flussi
continui di messaggi di ogni tipo, mentre l’artista non si limita
a riappropriarsi di tale flusso, ma ne ricrea un panorama
mediatico in cui è protagonista. I media costruiscono la
percezione della realtà e manipolare i media significa
modificare la realtà.
Partendo da questi concetti, Luther Blissett crea a sua volta una
personalità fittizia di nome Harry Kipper, un performer inglese
scomparso tra Italia e Gran Bretagna. Dopo aver arginato i
controlli ANSA, la descrizione del personaggio, della sua
vicenda unita a una mole dettagliatissima di materiale sulla sua
vita, opere e poetica (viene addirittura creato un sito autobiografico) è tale da indurre negli autori della trasmissione la
fondatezza della segnalazione; le ricerche vengono interrotte
solo dopo una confessione telefonica dello stesso Blissett alla
redazione del programma.
Pur trattandosi di individui e situazioni mai esistiti, 01.org e
Luther Blissett, attraverso l’appropriazione indebita (o forse
94
L’uso del plagio
Capitolo 5
debita, dato che comunque ci troviamo di fronte a fatti e
persone inventate) di personalità, delineano nuove metodologie
nella campagna anti-mediatica delle controculture, intaccando
direttamente l’autorità degli strumenti e dei mezzi di diffusione
informatica.
.Dalla guerriglia al pop: Scream
La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle
potenzialità creative di ognuno.
Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura,
universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i
milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro
che si definiscono tali; ma queste etichette vengono
accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono
offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video
eccetera.
I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale,
rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa
catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa
ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse
celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico.
Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione
trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza
del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e
manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In
questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte
95
L’uso del plagio
Capitolo 5
come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di
uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la
ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche
l’essenza culturale.
Dalla guerriglia psicologica di Blissett si passa a un metodo più
“ipodermico” di diffusione dell’opera plagiarista e
dell’ideologia controculturale. È ciò che ha fatto Amy
Alexander quando, prendendo il busto della figura al centro del
dipinto, ha trasformato e ampliato quello che l’opera
rappresenta; ha seguito le leggi che oggi regolano la
distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La
Alexander ha decontestualizzato il dipinto, privandolo di quella
drammaticità che l’ha reso celebre e ha riplasmato, inoltre,
l’estetica del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”,
se vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su
t-shirt o da usare come adesivo; o ancora, nel caso dell’opera
della Alexander, trasformato in un’applicazione per sistemi
operativi con cui si possa interagire. 5
In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È
evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e
un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità
del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre.
È il modo in cui essa è rimodellata che rende il Plagiarismo un
esercizio creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti non
solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma
soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il
Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per
alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che
agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del
materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un
metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può
lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso
spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo
96
L’uso del plagio
Capitolo 5
.http://amy-alexande.com/Alexander_Artistic_Software.html
.Scream, applicazione per
Windows, Amy Alexander
.http://scream.deprogramming.us/
97
L’uso del plagio
Capitolo 5
distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi
riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per
non parlare dei remake, attualmente molto in voga in campo
cinematografico (credo per giustificare una mancanza di idee a
dir poco imbarazzante).
.Deprogrammazione
http://amy-alexander.com/Alexander_Artistic_Software.html
Scream è un software per Windows che reagisce alle urla
umane; si scontra con una passività data dalla frustrazione e
dalla disfunzionalità umane all’interno di una sfera culturale
caratterizzata dai software. Così come nega l’apparente perdita
di fascino del disturbo emotivo e dell’espressione pubblica. Il
software Scream può essere scaricato solo dagli utenti membri;
insieme al software scaricabile, il sito stesso fa parte dell’intero
progetto. Il sito, inoltre, sfida il territorio dei software e
dell’arte digitale, proponendo, quasi ironicamente, Scream in
un contesto memonico localizzato nella Street Art; come quello
rappresentato, nella Street Art tradizionale, da opere come
Shepard Fairey di Obey Giant.
http://scream.deprogramming.us
98
L’uso del plagio
Capitolo 5
Scream è un software che ti spinge a urlare.
Scream risiede tranquillamente nel menù di sistema del vostro
computer, e automaticamente entra in azione quando viene
rilevato un urlo.
Scream distorce l’interfaccia di Windows. Ma non si occupa
soltanto di confondere le immagini del computer. In un
contesto dove “la rabbia” è spesso collegata alla “gestione”,
Scream incoraggia il ritorno alla ribalta dell’urlo quale pratica
in declino. Come Howard Beale afferma nel 1976, “Non devo
dirvelo io che le cose vanno male […] Tutto quello che so è
che prima di tutto dovete arrabbiarvi…” 6.
Ma mentre Howard consiglia ai suoi spettatori di spegnere i
loro televisori per potersi arrabbiare, Scream propone che si
lasci il computer acceso.
Scream può essere utilizzato in privato. O in pubblico. Può
essere utilizzato a casa, al lavoro, o per strada; al centro
commerciale o presso il vostro locale preferito. […] Usa
Scream per dare inizio a un’ideologia. O semplicemente come
atto casuale di deprogrammazione.
Scream, The Screaming Enhancer (L’Intensificatore di Urla)
(Indicato con l’utilizzo di liti domestiche, porte sbattute ed
elicotteri della polizia.)
Scream-In
Portate Scream al vostro prossimo raduno, concerto rock o
evento Fluxus. Raccogliete uno, mille amici e organizzate uno
Scream-In. Portate con voi un telefono cellulare e catturate uno
Scream-A-Thon!
99
L’uso del plagio
Capitolo 5
Realizza una Scream T-Shirt
È divertente e alla moda. Scarica qui l’immagine di Scream e
trasferiscila su una t-shirt applicandola con il ferro da stiro
(l’immagine può anche essere usata per fare adesivi o qualsiasi
altra cosa!).
.POPlagiarismo
Lo indica il nome stesso dell’URL del sito della Alexander:
“deprogramming.us” 7. Indica, cioè, una volontà in linea con
l’intero pensiero che distingue le teorie controculturali di Home
e, facendo un balzo indietro, con le tematiche già focalizzate
dal Dadaismo.
“Deprogrammar.ci” sarebbe la traduzione letterale, e mette in
luce una serie di concetti che meritano una certa riflessione.
In primo luogo, l’accostamento tra uomo e macchina, poiché
sappiamo che la deprogrammazione è un’azione associabile
specificatamente alla sfera artificiale. Attraverso di essa, una
macchina, o un meccanismo, subisce la cancellazione totale o
parziale di una o più funzioni che lo caratterizzano. Seppur in
modo particolare e metaforico, stiamo parlando di “memoria”.
L’uomo si evolve proprio in base alla memoria, ai ricordi, alle
esperienze che accumula nel corso della vita. Uno stile di vita è
continuamente influenzato da un’ideologia comunitaria
veicolata dall’andamento politico, economico e sociale di una
civiltà. Allo stesso modo mutano le nostre abitudini, il nostro
pensiero che, se non assistiti da una volontà autocritica,
100
L’uso del plagio
Capitolo 5
possono portare all’opinione di massa, all’alienazione.
La Alexander affranca la mente umana alla scheda madre di un
computer. Attraverso la deprogrammazione, quale liberazione
da un pensiero collettivo pilotato dall’alto, l’individuo diventa
realmente singolare, unico.
L’ipocrisia del buon costume induce la massa ad adottare una
morale che scinda l’uomo dall’animale, cioè un essere che
agisce per istinto.
Dando adito a un atteggiamento ribelle contro questi “dogmi”,
l’individuo comunica il suo stato d’animo in modo spontaneo e
personale. In pratica, la Alexander vuole dirci “Se avete voglia
d’incazzarvi, se non sapete come sfogarvi… urlate! Perché non
dovreste farlo?”.
Una volta definito questo punto, non resta da dire che l’opera
di Amy Alexander, composta da software e sito web insieme,
non è molto dissimile dalle consuete manovre di merchandising
e di promozione di un prodotto commerciale, più che culturale.
Per inserirsi a livello “ipodermico”, talvolta un pensiero deve
trovare dei compromessi; lo stesso vale per un’opera che voglia
lasciare un’impronta nell’immaginario collettivo.
Come già accennato, il Plagiarismo si avvale di questa sorta di
“mimesi”: non solo nella caratterizzazione dei soggetti delle
opere, che spesso sono riconoscibili in altri autori, ma anche
nella circolazione di quest’ultime. Con Scream, il Plagiarismo
assume le sembianze di una manovra commerciale con intenti
sociali mirati alla diffusione di un’ideologia contro il mercato
dell’arte e il Sistema. Rende visibili (e vendibili) i suoi prodotti
attraverso metodi troppo popolari per l’arte “alta”, e allo stesso
tempo rema contro il Sistema assumendone le sembianze.
È fin troppo evidente che il soggetto di Scream fa riferimento a
L’Urlo di Edvard Munch. L’esercizio creativo, qui, sta nel
reinterpretare e nel decontestualizzare la figura dell’opera
originale.
101
L’uso del plagio
Capitolo 5
Al soggetto viene conferito un aspetto più contemporaneo
attraverso una tecnica che ricorda il rastering, cioè una
ridefinizione digitale mediante pixel di un’immagine analogica;
una tecnica che si riferisce a un tipo di grafica tornato in voga
negli ultimi tempi, oltre che molto popolare.
L’aura culturale che circonda la fama del dipinto di Munch, in
Scream viene completamente abbandonata. Il dipinto diventa
un’applicazione che capta le urla umane trasformandole in
impulsi che distorcono l’interfaccia del computer. Mette in
evidenza la partecipazione attiva dell’utente, in parole povere,
l’interazione; una caratteristica propria delle tecnologie
informatiche moderne, ancora troppo ignorata dalle arti
accademiche che spingono gli spettatori alla mera
contemplazione dell’opera.
La commerciabilità rimane il fattore chiave e le istruzioni sulle
possibilità d’uso di Scream indicate dalla Alexander sono
accattivanti, moderne e alla portata di tutti. Decontestualizzano
la sacralità del dipinto di Munch, che viene rimodellato per
poter essere trasferito su supporti che nulla hanno a che vedere
con una prospettiva canonica di arte: magliette, cellulari e
computer, vale a dire beni di consumo.
102
L’uso del plagio
Capitolo 5
Note
1
(cfr.) Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una
rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici, 1964;
2
(cfr.) Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore
Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001;
3-4
http://www.lutherblissett.net/archive/033_it.html;
5-7
http://scream.deprogramming.us;
6
Howard Beale (Peter Finch), giornalista TV fittizio dal film
Network, USA (1976):
“Non devo dirvelo io che le cose vanno male. Tutti sanno che le cose
vanno male. Parliamo di depressione. Chiunque può perdere il
proprio lavoro o ha paura di perdere il proprio posto di lavoro. Il
dollaro comincia a non valere più di un nichelino; le banche stanno
andando a rotoli; i negozianti hanno una pistola sotto il bancone; i
punk corrono per le strade come impazziti, e pare non ci sia nessuno
in giro che sappia cosa fare, in un circolo senza fine.
Sappiamo che l’aria che respiriamo e il cibo che ingeriamo sono
nocivi. E ci sediamo a guardare la TV, mentre un notiziario locale ci
informa che oggi ci sono stati quindici omicidi e altri sessantatre
reati di violenza, come se questo fosse la normale routine!
Tutti sappiamo che le cose vanno male (peggio che male) che si
tratta di follia.
È come se dappertutto ogni cosa stesse impazzendo, spingendoci a
non uscire più. Ci sediamo nelle nostre case mentre il mondo in cui
viviamo si fa sempre più piccolo, e tutto quello che abbiamo da dire
è: “Ti prego, fa’ che possa restare in pace almeno nel mio salotto.
Lascia stare il mio tostapane, la mia TV, i miei cerchioni cromati, ed
io non dirò nulla. Lasciami in pace e basta”.
Beh, io non ho alcuna intenzione di lasciarvi in pace.
Voglio che vi arrabbiate!
Non voglio che protestiate. Non voglio farvi ribellare. Non voglio
103
L’uso del plagio
Capitolo 5
che scriviate a un membro del Congresso, perché non saprei proprio
cosa possiate scrivere. Non so che fare riguardo alla depressione e
all’inflazione e ai russi e al crimine per strada. Tutto quello che so è
che prima di tutto dovete arrabbiarvi. Dovete dire: “Sono un essere
umano! La mia vita ha un valore!”
Quindi, voglio che ora vi alziate. Voglio che tutti vi alziate dalle
vostre sedie. Voglio che vi alziate subito e andiate alla finestra,
aprirla, e ficchiate la testa fuori per urlare.
“Sono incazzato di brutto, e non ho più intenzione di sopportare
tutto questo!”.
104
L’uso del plagio
Capitolo 5
105
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
Capitolo 6.
Dov’è la fregatura?
Analisi del saggio Nessuno osi chiamarlo plagio,
di “Tom Vague”
Premessa: l’analisi che segue è tratta dal libro di Tommaso
Tozzi, Arte di Opposizione. Ogni citazione o opera riportate in
questo capitolo sono contenute nel testo di Tozzi (vedi note).
“Il grande problema dell’arte del ventesimo secolo è la
continua richiesta di qualcosa di nuovo e originale, con la
conseguenza che ogni cosa sembra cambiare, per quanto di
fatto niente cambi realmente […]. Sono necessari migliaia di
anni per sviluppare del prospettive, mentre oggi la gente
richiede innovazioni radicali ogni settimana. Il risultato è che
ottengono ciò che si meritano: insulti.”
(da Nessuno osi chiamarlo plagio, “Tom Vague”) 1
“Tom Vague” associa il fattore della novità all’insulto, inteso
come dissociazione dalle etiche imposte dalla cultura borghese
e come trasgressione dal pensiero comune e dalle religioni. In
106
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
poche parole si tratta di provocazione.
Seguendo ancora le leggi che regolano il flusso
pubblicitario/commerciale, la provocazione diviene così la via
più rapida per il successo nel bene e nel male.
Del resto non ci vuole molto per destare una certa reazione
quando si vuole remare contro qualche principio: basta fare ciò
che le istituzioni sanciscono come “sbagliato, distruttivo,
intollerabile”, nel caso dell’arte, “anti canonico”; da qui è
possibile ipotizzare che dall’espressionismo a oggi l’artista
abbia desiderato provocare, in misura sempre maggiore, il
pubblico proponendo continuamente qualcosa di nuovo.
“Tom Vague”, però, ci allontana da questa visione. Afferma
che in realtà queste innovazioni, dalla committenza
rinascimentale in poi, non hanno effettivamente influenzato il
modo di vedere l’arte e, in particolare, non hanno influenzato
l’opinione pubblica che percepisce ancora l’arte come attività
elitaria, sebbene i movimenti che la caratterizzano abbiano
provato spesso ad accostarsi al grande pubblico. In molti casi i
risultati sono stati ininfluenti, frivoli e, perciò, effimeri.
Secondo “Vague”, si esigono cambiamenti radicali in tempi
molto ristretti; esattamente la stessa necessità che regola il
Mercato.
Qui però non si tratta di produrre qualcosa che soddisfi le
necessità del consumatore, bensì qualcosa che abbia un valore
aggiuntivo in un contesto culturale (e magari, in seguito,
economico). L’arte non vuole soddisfare i bisogni materiali del
potenziale acquirente, ma deve in qualche modo coinvolgerlo
attraverso i suoi contenuti, per trarre tutti i benefici possibili.
Benefici quali una buona visibilità e il “passaparola”; sono
fattori che incrementano la domanda.
Ciò che in un primo momento, però, risulta efficace e
d’impatto (o provocatorio) potrebbe venir meno nello sviluppo
di opere successive, poiché l’elemento fondamentale rimane
107
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
sempre la ricerca dell’originalità.
Purtroppo, pur di non perdere questo primato, non si può fare a
meno di rielaborare qualcosa che già esiste, ad esempio
un’opera altrui: si parla di plagiare.
Il plagio è la base dell’incremento culturale ed è tra i fattori
primi del miglioramento. “Tom Vague” lo dimostra, seppur
sommariamente, citando Shakespeare e Marlowe i quali spesso
plagiavano trame e idee da scrittori a loro precedenti. Più
avanti vedremo come il plagio, o meglio il Plagiarismo, sia un
metodo in uso da molto più tempo di quanto crediamo e in
modi che non ci aspetteremmo.
Le “prospettive” di cui parla “Vague” sono frutto di teorie
solide sulle quali è possibile costruire un nuovo livello
socioculturale che sia riconosciuto dalle generazioni a venire;
evidentemente i tempi dell’arte si sono susseguiti tanto
rapidamente da rendere impossibile, a oggi, lo sviluppo di un
bagaglio contenutistico realmente valido da applicare alle
opere, sia a livello sociale che culturale. Ciò crea
inevitabilmente una situazione in cui il plagio diviene la base
su cui costruire il proprio “fare” creativo. Del resto è anche un
metodo tanto rapido quanto pratico, soprattutto nell’era della
digitalizzazione, in cui la copia viene riconosciuta come punto
di partenza nella creazione di qualcosa di nuovo (si pensi al
remix).
Analogamente alla musica, per i plagiaristi il terreno più fertile
su cui iniziare la propria attività è sicuramente la scrittura. Sia
“Vague” che Home concordano sulla possibile assenza di
talento, poiché il plagio offre un raggio di azione molto ampio
che non prevede necessariamente un’innata creatività né
particolari doti artistiche e concettuali. Entrambi indicano al
neoplagiarista di scegliere un testo da plagiare e di copiarlo:
non vi è alcun talento in questo, tuttavia “Vague” in particolare,
incita a una manipolazione, o rilettura, del testo attraverso
108
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
l’introduzione di piccole frasi o parole che possano, in qualche
modo, sconvolgere o addirittura invertire il significato stesso
del testo originale.
Con la stessa facilità si potrebbe copiare un testo parola per
parola, ma questo porterebbe quasi spontaneamente ad
applicare un qualche intervento creativo, poiché il plagio
schietto risulterebbe obsoleto.
Ancora, “Vague” cita alcuni esempi di questo Plagiarismo
creativo: “1984 di Orwell è una riscrittura precisa di We di
Zamyatin” e nel riff di Simpathy for the Devil dei Rolling
Stones “Vague” riconosce il principio dell’intera produzione
rock moderna. Questo riff è, a sua volta, un plagio del brano
Lust for life di Iggy Pop.
Lo stesso Ivo Milazzo, autore del celebre Ken Parker e mio
docente di Tecniche e Teoria del Fumetto, presso l’Accademia
di Belle Arti di Carrara, durante la sua prima lezione affermò:
“Non abbiate la presunzione di intraprendere una carriera
creativa credendo di inventare qualcosa di nuovo e non
pensiate che l’originalità porti dei risultati a breve termine; se
volete avere successo dovete necessariamente copiare da altri
autori”.
Da tutte queste riflessioni e dalle esperienze vissute da chi si è
trovato plagiato o plagiario (o plagiarista) torna di nuovo un
argomento affrontato in precedenza, ovvero il talento. Da
quanto riportato finora, risulta evidente l’assenza di un talento
pratico nell’esercizio di selezione e plagio di materiale;
soprattutto oggi, quando persino un bambino è in grado di fare
“copia/incolla” dal suo computer.
Dal canto suo però, “Vague” non affranca in alcuna occasione
il termine “Plagiarismo” a “arte”, ma, come lui stesso afferma,
“è un esercizio fortemente creativo”. Se il Plagiarismo fosse
109
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
riconosciuto come movimento artistico, allora chiunque in
grado di copiare qualcosa diverrebbe, quasi automaticamente,
un artista, senza nemmeno il bisogno di autoproclamarsi tale.
Non diversamente dai processi in atto nel progresso scientifico,
in cui un progetto può essere analizzato e migliorato. Perciò il
talento risiede nella capacità di rimodellare l’idea e lo spirito di
un’opera senza copiarla semplicemente e quindi di farne
assumere una funzione, un messaggio, un concetto differenti se
non complementari all’opera già esistente.
“Per selezionare materiale bisogna essere dei geni” conclude
“Vague”, riprendendo una massima di Pablo Picasso (“I
mediocri imitano, i geni copiano.”). Egli conferma il fatto che,
se si volesse racchiudere il Plagiarismo all’interno di un’area
culturale con valenza artistica, esso risulterebbe concettuale
non meno della Merda d’Artista; poiché è nel messaggio e nel
contesto che si richiede un talento contenutistico non
accessibile a tutti. Il Plagiarismo, comunque, non ha questa
pretesa e Home stesso lo ripete più volte negando a esso
persino l’etichetta di “movimento”; infatti egli consolida l’arte
in una “celebrazione acritica e snob dello stile di vita
borghese”.
La tesi più specifica e che più ha ispirato pensieri e critiche
rimane quella di “Vague”, dunque, che riassume la pratica del
plagio nel talento di stravolgere un contenuto senza violare i
diritti di copia e nell’esercizio di sviluppo delle capacità
creative di ognuno. In definitiva non è altro che la parodia di
un metodo in uso da anni, che nel nostro secolo trova non
poche difficoltà sia in termini di legalità che di opinione
pubblica a causa delle restrizioni del copyright, frutto “delle
forze capitalistiche che controllano la cultura occidentale”. Il
Plagiarismo è una controcultura d’avanguardia che ricorda in
particolare le azioni di “estetizzazione” del quotidiano, già
teorizzate da Fluxus e concretizzate nell’opera letteraria
110
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
minimalista di George Brecht, Water Yam (1964). Si tratta di
un libro d’artista, all’interno del quale sono riportati bizzarri
elenchi di azioni da eseguire: in tal modo il lettore può
dislocarsi dalla comune fruizione del mondo che lo circonda.
Non si tratta di semplice detournément, ma di una vera e
propria ispirazione applicata contro il Sistema, inteso nel più
ampio quadro delle regole che determinano il modo di agire di
chiunque. Three Thelephone Events ne è un esempio 3.
Non bisogna ignorare o accusare precipitosamente le
similitudini che l’opinione pubblica percepisce tra Plagiarismo
e furto di proprietà intellettuale; al contrario, ciò autentica il
lavoro di produzione artistica, in cui i plagiaristi si trasformano
in una specie di sociologi/antropologi che tentano un approccio
culturale non stereotipato in una società disinteressata. E su
questo concetto basilare, partendo da Internazionale
Situazionista, passando da Fluxus fino ad arrivare al Neoismo,
Home affronta il problema dell’estetica del plagio.
.Esercizio creativo
La visione di Plagiarismo come arte è irta di contraddizioni. Se
ci soffermiamo sull’idea che si possa liberamente produrre arte,
copiando un’opera altrui già esistente, si rischierebbe di
incappare nella concezione comune che il Plagiarismo è solo
un tentativo di istituzionalizzare e in qualche modo incentivare
il furto intellettuale.
Ciò che il Plagiarismo prevede, è l’esercizio dello sviluppo
111
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
culturale, estetico e concettuale che prevede l’uso e il consumo
di opera che sono liberamente fruibili dal momento che sono
anche pubbliche.
Tentando di non infrangere apertamente il copyright, il
neoplagiarista cerca in modo creativo di mutare il concetto
implicito dell’opera originale, dando forma pian piano a un
prodotto distaccato e fondamentalmente diverso. Si tratta
dunque di una pratica innegabilmente liberale, che non prevede
margini di errore, ma che dà accesso a un’infinita gamma di
soluzioni e possibilità, sulla scia dell’ideologia sperimentalista
che accompagna tuttora le avanguardie.
La si potrebbe etichettare come “arte democratica”, o meglio
“attività democratica”; ciò fornisce un ulteriore valore al
Plagiarismo, valore che ne ridetermina tanto il campo d’azione
quanto il contesto, poiché si definisce attività una serie di
azioni che naturalmente esulano il semplice “fare” artistico.
Tra queste azioni vi è anche l’esercizio creativo citato da
“Vague”.
Duchamp dimostra che effettivamente il divario tra arte e
ordinario, e tra opera e oggetto, è regolato dal contesto. Bertolt
Brecht tenta, ottenendo scarsi risultati, di elevare una serie di
azioni quotidiane a un livello estetico/poetico, immettendole
direttamente nella sfera del quotidiano; egli vuole rendere l’arte
un bene fruibile dalle varie classi sociali, nessuna esclusa.
Citando l’ideologia Fluxus, Home definisce l’opera di Brecht
una “produzione di semplici compiti che possono in teoria
essere svolti da chiunque”. 4
Allo stesso modo, chi oggi possiede un computer è in grado di
copiare praticamente tutto ciò che vede sullo schermo, e di
disporne come vuole. È fondamentale ricordare che Home non
pretende di enfatizzare il Plagiarismo, ma di presentarlo sotto
le vesti della parodia di una pratica insita nell’evoluzione della
cultura stessa, software inclusi.
112
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
L’arte si rende democratica rendendosi oggettivamente
semplice, facilmente utilizzabile e mimetizzata tra le azioni
quotidiane; azioni che normalmente svolgiamo quasi
inconsciamente e a cui Fluxus ha tentato di fornire spessore
estetico e artistico.
Quando Duchamp abbatte le barriere che separano forma e
funzione, allo stesso tempo dichiara che l’arte, dalla Fontana in
poi, sarà sempre più concettuale e quindi sempre più dislocata
dalla riproduzione oggettiva del reale. A dimostrazione del
fatto che l’arte sia diventata un palcoscenico sul quale le opere
vengono esposte in base alla celebrità degli autori e degli indici
di gradimento (o del passaparola), Duchamp stesso ammette di
non saper dipingere. Si è avverato ciò che Marx profetizza già
alla fine del diciannovesimo secolo: che tutti debbano avere il
diritto di accostarsi all’arte e la possibilità di svilupparla. Nel
qual caso, ciò includerebbe una circolazione di cultura libera
dalle restrizioni giuridiche.
Quest’ideologia ha però condotto gli artisti a pretendere che
ogni cosa da loro prodotta fosse ritenuta arte, probabilmente a
causa dell’avanzante scarsità di idee. A oggi non è semplice
(forse impossibile) creare qualcosa di originale, e forse è
proprio per questo che il Plagiarismo, da esercizio finalizzato
alla creatività, è divenuto probabilmente il metodo più usato
nell’arte, soprattutto in quella digitale.
È bastato semplicemente fornire i mezzi per farlo.
.Vi sarete chiesti…
113
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
Vi sarete forse chiesti il perché di una
tale abbondanza di virgolette. “Tom
Vague”: è un nome proprio di persona,
non una citazione, né un discorso
diretto, né una parola o frase gergale,
né un neologismo. Allora perché le
virgolette?
Prima di tutto, una premessa: questo
capitolo è stato scritto prendendo in
esame un breve saggio dal titolo
Nessuno osi chiamarlo plagio,
realizzato da “Tom Vague” e inserito
.Vague, n. 14, Tom Vague
nel libro di Tommaso Tozzi (mio
docente di Net Art e Culture Digitali), Arte di Opposizione.
Ebbene, apporre le virgolette mi è sembrato un modo ironico
per indicare che la persona a cui si fa riferimento in realtà non
è Tom Vague, ma Stewart Home; il quale ha creato
volutamente questo détournement plagiando lo stile di Vague e
appropriandosi temporaneamente del suo nome. Quanto gli è
bastato, evidentemente, per pubblicare un editoriale dal titolo
Nessuno osi chiamarlo plagio inserito nel numero 18/19 della
rivista underground britannica Vague (di proprietà, appunto,
del vero Tom Vague, complice dell’idea di Home).
La fonte di questo confronto è contenuta in Falso è Vero, della
AAA Edizioni di Vittore Baroni, nel quale è riportato lo stesso
testo contenuto nel libro di Tozzi. 2
A questo punto, però, sorge una problematica del tutto
inaspettata. La traduzione dall’inglese di None dare call it
plagiarism non è chiara nel libro di Tozzi, né in quello di AAA.
Nel primo si legge Nessuno osi chiamarlo plagio, mentre nel
secondo è Nessuno osi chiamarlo Plagiarismo. Non è facile
capire quale possa essere la giusta traduzione, se consideriamo
114
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
che, in inglese, “plagiarism” significa sia “plagio” che
“Plagiarismo”: è una questione, a mio parere, importante, che
merita un’analisi. Nel capitolo successivo tratterò appunto
questa dicotomia in modo del tutto personale, assolutamente
opinabile.
Vorrei concludere confermando pienamente la carica ironica di
tutte quelle arti che aboliscono una cultura “seria”, come
appunto fanno Neoismo e Plagiarismo. Devo dire che, quando
ho scritto che “sia “Vague” che Home concordano sulla
possibile assenza di talento”, mi sono divertito, e non poco.
Ovvio che entrambi siano d’accordo: sono la stessa persona!
115
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
Note
1
(cfr.) Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli
anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008;
2
(cfr.) Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,
Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora
Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini,
Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo
Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output,
Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998.
116
Dov’è la fregatura?
Capitolo 6
117
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
Capitolo 7
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Ipotesi di détournement
È interessante notare la differenziazione che vige attualmente
sulla sintassi stessa della parola “Plagiarism”. In lingua italiana
c’è una netta distinzione nella struttura lessicale, data
dall’aggiunta del suffisso “-ismo”, che si usa per associare un
nome comune a una categorizzazione di varia entità, come un
movimento, un gruppo, un comportamento, eccetera. Senza di
esso, ovviamente, della parola resterebbe il termine “plagio”,
inteso come appropriazione di materiale altrui, o furto.
Un’accortezza del genere nasce dalla necessità di porre una
netta distinzione tra entità originaria e categoria derivante da
essa, in tal caso “plagio” e “Plagiarismo”, con lo scopo di
delineare la specificità dei singoli termini.
Difatti, se al primo vengono riconosciuti elementi associabili a
una violazione della legge, ciò non accade nel secondo caso, in
cui s’intende mantenere un distacco da un’interpretazione
semplicistica derivante dalla semantica del termine d’origine.
118
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
Nell’accezione comune, spesso la parola “Plagiarismo” viene
comunque collegata al plagio in senso stretto, risultando una
categoria in relazione a pratiche illegali quali il furto e
l’appropriazione indebita di materiale prodotto da terzi.
D’altro canto la distinzione semantica delle due parole attenua
la percezione negativa di “Plagiarismo”, che invita a porre le
basi per una riflessione critica sulle procedure, sulle
caratteristiche e sull’etica del plagio culturale, o artistico.
Inoltre, a mio parere, offre una visione rincuorante
sull’illegalità di certe procedure, dando un’idea di
“accettazione” del plagio, poiché, in fin dei conti, l’intera
cultura si fonda su basi in cui il plagio getta le fondamenta del
continuum creativo, cambiando, trasformando, rimodellando,
rimanipolando; fino a produrre elementi completamente
differenti dalle fonti originarie.
È altrettanto interessante notare l’assenza di questa distinzione
nel lessico inglese, in cui la parola “Plagiarism” ha avuto
origine. Qui non esiste un distacco tra i due termini: se in
italiano “plagio” e “Plagiarismo” offrono una riflessione
sintattica dei termini, in inglese si uniscono in un’unica parola.
“Plagiarism”, in definitiva, indica e mescola entrambe le cose,
confondendole.
Per dimostrarlo, riporto una parte di un questionario inviato per
e-mail all’artista californiana Amy Alexander sulla questione
dell’etica del plagio:
STEFANO
Can we talk about an ethic of the crib?
[Si può parlare di un’etica del plagio?]
AMY
I don’t understand this question, must be a
translation problem.
119
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
[Non ho capito questa domanda, deve esserci un
problema di traduzione.]
STEFANO
Oh, sorry, I forgot to explain the 8 question: can
we talk about an ethic of the crib (“crib” is for
“plagiarized stuff” XD)?
[Scusa, ho dimenticato di spiegarti l’ottava
domanda: si può parlare di un’etica del plagio?
(“plagio” sta per “cose plagiate” XD)?]
AMY
Aha... ok, ethics of Plagiarism...
[Aha… ok, etica del plagio…] (o Plagiarismo?)
Benché, precedentemente, la Alexander abbia distinto
chiaramente i termini “copy”, “appropriation” e “Plagiarism”.
Riporto un frammento (tradotto) del questionario a cui lei ha
risposto:
AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni
termini: “copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei
“copia” per indicare una semplice duplicazione: come
l’inserimento di un video che appartiene a qualcun altro
su YouTube, in cui i dati dell’autore originario sono
comunque ben visibili. Con “plagio” indicherei il
tentativo di spacciare per propria un’opera altrui. Infine,
definirei “appropriazione” un procedimento col quale si
usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa
di nuovo.
Ecco che la confusione si fa più pressante. La Alexander
identifica nell’“appropriazione” le caratteristiche del
120
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
Plagiarismo, mentre associa “Plagiarism” al furto intellettuale.
In seguito Amy non ha risposto direttamente a questa domanda.
Evidentemente, “crib”, che tra l’altro significa “piccolo furto”,
non è sufficiente a fornire una chiara percezione di “plagio”
come furto. Non viene associato al termine universalmente
riconosciuto come “plagio” e in tal modo finisce
inesorabilmente per stravolgere una frase in cui è necessario
distinguere nettamente l’atto illegale dall’esercizio creativo.
Osserviamolo nel dettaglio:
n. crib (krĭb)
1. A bed with high sides for a young child or baby.
2.
a. A small building, usually with slatted sides, for storing
corn.
b. A rack or trough for fodder; a manger.
c. A stall for cattle.
3. A small crude cottage or room.
4. Slang Onès home.
5. A framework to support or strengthen a mine
or shaft.
6. A wicker basket.
7.
a. A petty theft.
b. Plagiarism.
c. See pony.
8. Games A set of cards made up from discards by each
player in cribbage, used by the dealer.
121
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
v. To crib, cribbed, cribbing, cribs
1. To confine in or as if in a crib.
2. To furnish with a crib.
3.
a. To plagiarize (an idea or answer, for example).
b. To steal.
Come si può vedere, “crib” non è associato direttamente al
plagio, ma possiede una serie di significati diversi tra loro. Lo
stesso vale per il verbo, che inoltre presenta “to steal”, che
tradotto significa letteralmente “rubare”.
Si potrebbe giungere presto alla conclusione che plagio e
Plagiarismo, secondo gli inglesi, hanno lo stesso valore e che
non esiste un bisogno concreto di separare le due cose, dal
momento che una appare illegale quanto l’altra. Però non credo
che un intellettuale come Stewart Home abbia tralasciato un
punto importante come questo, poiché una distinzione concreta
tra le due cose, di fatto, esiste. Il plagio è un furto, è
un’appropriazione indebita volta, nella maggior parte dei casi,
a scopo di lucro; il Plagiarismo è sempre un’appropriazione
indebita, finché non viene riplasmata, al compiersi della quale
il prodotto finito dovrà essere così concettualmente diverso
dalla fonte d’origine da risultare un elemento a sé (questo
accade solo nel caso si voglia seguire un’etica creativa).
La questione si complica se mettiamo in gioco il vero motore
di questo “movimento”, e cioè gli artisti, o meglio i plagiaristi.
Se andiamo a sfogliare un qualsiasi dizionario inglese
noteremo che immediatamente sotto il termine “Plagiarism”
compare “plagiarist”; ma se il primo viene tradotto in “plagio”,
122
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
ciò trasforma il significato del secondo, che da “plagiarista”
diventa “plagiario”. Un’affermazione del tutto inesatta, vista la
natura del lavoro svolto dal plagiarista, che copia-pertrasformare (e solo in alcuni casi, per vendere), e non ruba-perlucrare.
L’attività creativa del plagiarista non ha nulla a che vedere con
il furto compiuto per fini economici. Di fatto, nella definizione
da vocabolario, “crib” non è associato direttamente al plagio,
ma presenta una serie di vari significati, mentre “Plagiarism”
possiede un’unica possibile traduzione; in effetti, nemmeno il
vocabolario italiano presenta il termine “Plagiarismo”, poiché
ritengo si tratti di un neologismo.
C’è da domandarsi perché in Italia si sia rivelato necessario
creare un nuovo termine che indicasse un movimento
altrettanto inedito, mentre in Gran Bretagna (Stewart Home è
londinese) questo bisogno non si sia manifestato, se di
“bisogno” si possa realmente parlare. Si tratta forse di un
tentativo di détournament.
Un’altra ipotesi potrebbe risiedere nell’impossibilità di creare,
in inglese, un neologismo conforme alla pratica e al contesto
ideologico che Home aveva in mente.
In effetti, se consideriamo “Plagiarism” inteso come “plagio”,
ci accorgiamo subito della presenza del suffisso “-ism”, che
rende la parola molto simile all’italiano “Plagiarismo”.
Abbiamo già detto, inoltre, che tale suffisso serve a fornire una
categorizzazione della parola che lo precede, quindi
risulterebbe non proprio semplice coniare il nome di un
movimento da una parola che possiede già quel suffisso. Se
pensiamo, ad esempio, a “surreal”, con l’aggiunta di “-ism”
diverrebbe “surrealism” che, benché di rado venga riportato nei
vocabolari, è comunque riconosciuto nel lessico inglese come
il celebre movimento artistico (ironicamente “Plagiarism”
diventerebbe “Plagiarismism”). D’altra parte quasi tutti i
123
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
movimenti artistici moderni sono identificati da neologismi e
perciò non sempre compaiono nei vocabolari. Nel nostro caso
invece, tra “Plagiarism” e (perdonate il gioco di parole)
“Plagiarism” esiste una chiara e netta distinzione solo a livello
concettuale; è come se in ogni altro caso, lessicale, sintattico,
colloquiale, si volesse omettere la differenza tra le due cose.
O ancora, sappiamo che il metodo plagiarista consiste nel
copiare e manipolare materiale altrui; ma non esiste un’etica
che dica al neo-plagiarista di non usare ciò che plagia a fini di
lucro, né che lo costringa a riplasmare ciò che plagia. Bisogna
inoltre considerare che non sempre la legge riesce a intercettare
un possibile plagio, sempre che esso non risulti sfacciatamente
visibile.
Non c’è un’etica che pone effettivamente un limite al metodo
da utilizzare, poiché il Plagiarismo si affida alla sensibilità
autocritica dell’artista o del creativo, che può produrre
un’opera plagiarista o un’opera semplicemente plagiata e
decidere liberamente se venderla e produrla, o soltanto esporla.
Nel caso più semplice, quello del plagio, l’esercizio creativo
identificato da Home diverrebbe una pratica illegale senza
alcuno scopo artistico e sociale. E non è solo un caso, ma una
possibilità concreta, che, di fatto, trasformerebbe il
“Plagiarism/movimento” nel “Plagiarism/reato”, eliminando
così ogni differenza. Quindi è la mancanza di un’etica che
rende il Plagiarismo una branca possibile, ma illegittima, del
plagio.
Ritengo probabile che la posizione politica di Home abbia
influenzato la “scelta di termini” per il movimento che
intendeva fondare, contro il Sistema e contro il Potere.
La parola “Plagiarism” contiene già il suffisso “-ism” pur non
indicando una categorizzazione del nome comune che lo
precede: che sia un espediente per includere il plagio entro un
certo tipo di violazioni? Non potrei affermarlo con certezza.
124
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
Come non potrei accertare il fatto che Home abbia “plagiato” il
termine con il preciso scopo di confondere le acque, d’inserire
una pratica creativa (per quanto rischiosa) nell’ambito
dell’illegalità, enfatizzando un’ideologia anti-sistemica
presente sia nelle controculture sia nell’attivismo politico di
stampo anarchico, di cui Home fa parte. Oppure per indicare,
senza mezzi termini, un nuovo fenomeno che vede nel plagio la
possibilità di fare satira “copiando” persino il nome del
movimento che lo pratica.
Resta il fatto che, qualunque sia il motivo, questo crei
confusione; e, a tal proposito, non mi stupirei se Home avesse
volutamente evitato una differenziazione tra “plagio” e
“Plagiarismo”, poiché l’intento delle controculture (ispirate,
ricordiamo, da Fluxus e Internazionale Situazionista) è di
sconquassare il sistema culturale corrente. Sotto quest’aspetto,
dunque, la coniazione di un termine che divida il plagio dal
Plagiarismo si rivelerebbe superflua, inefficace da un punto di
vista ideologico.
Sono solo supposizioni, che però, forse, meritano una certa
attenzione.
Nel colloquio con Vittore Baroni, durante una pausa riflessiva,
ho dichiarato di avere posto un questionario anche a, Salvatore
Iaconesi e ad Amy Alexander. Nel momento in cui gli ho
esposto il mio dubbio sul termine “Plagiarism”, Baroni mi ha
confessato di non aver mai fatto caso a questo particolare; ed è
stato proprio questo che mi ha spinto a esaminare l’argomento.
La mia conclusione è che, nella lingua inglese, il termine
“Plagiarism” sia facilmente confondibile, dal momento che non
si riscontra alcuna differenza tra l’atto illegale e l’esercizio
creativo.
125
“Plagiarism” e “Plagiarism”
Capitolo 7
126
L’etica del plagio
Capitolo 8
Capitolo 8
L’etica del plagio
Amy Alexander, Salvatore Iaconesi, Vittore Baroni
Ho pensato che sarebbe stato molto interessante, sia per me sia
per il lettore, raccogliere le autorevoli testimonianze di chi ha
vissuto e vive in prima persona le esperienze dell’arte
contemporanea e delle avanguardie.
Il questionario che segue pone attenzione alle diverse
problematiche inerenti al Plagiarismo e a una sua possibile
applicazione etica, viste attraverso gli occhi di alcune
importanti personalità che vi hanno partecipato, attivamente o
meno.
Amy Alexander, artista audiovisiva e performer californiana,
pone l’accento sulle modalità con cui le società controllano i
media. È autrice, tra l’altro, del sito www.plagirist.org.
Salvatore Iaconesi è un giovane net-artista italiano ispirato
fortemente dalla cultura hacker; con molto entusiasmo, vede
nelle nuove tecnologie un mezzo con cui ridefinire il concetto
di proprietà intellettuale.
Infine, Vittore Baroni, uno dei pionieri della Mail Art in Italia,
127
L’etica del plagio
Capitolo 8
ha condiviso personalmente le influenze neoiste diffuse da
Home stesso sul nostro territorio. Ha registrato cassette e dischi
“plagiaristi” come Lieutenant Murnau, e dal 1991 fa parte del
gruppo, sempre plagiarista, Le Forbici di Manitù.
…
Ancora oggi pratiche e artisti coinvolti nel Plagiarismo
rimangono spesso incompresi e/o denigrati, quando non
vengono addirittura perseguiti penalmente. Gli artisti
plagiaristi ritengono le loro opere una delle forme per
comunicare il dissenso sulle restrizioni applicate alla
circolazione di cultura e informazioni. La comunità invece
reputa tali pratiche come semplice plagio o furto di
materiale altrui.
Secondo te, come può essere ridotta questa differenza nella
considerazione delle operazioni plagiariste?
AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni termini:
“copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei “copia” per
indicare una semplice duplicazione: come l’inserimento di un
video che appartiene a qualcun altro su YouTube, in cui i dati
dell’autore originario sono comunque ben visibili. Con “plagio”
indicherei il tentativo di spacciare per propria un’opera altrui.
Infine, definirei “appropriazione” un procedimento col quale si
usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa di
nuovo. Naturalmente tra queste pratiche restano delle zone
ambigue, spesso non esenti da manipolazioni. Ad esempio, una
società, che non vuole parodisti che critichino i suoi prodotti,
128
L’etica del plagio
Capitolo 8
trasformerebbe la parodia in plagio al fine d’intraprendere
un’azione legale. In molti casi si tratta effettivamente di
appropriazione, e probabilmente dovrebbe essere legale
secondo il Fair Use; o al limite moralmente difendibile. Ma
presentandola come plagio, inteso come “furto di proprietà
intellettuale”, “violazione di copyright”, eccetera, allora
l’opinione pubblica potrebbe essere manipolata. Questo accade
al tal punto che spesso anche appropriazioni più evidenti
vengono indicate dal pubblico stesso come plagi, perché si è
persa l’idea che una distinzione tra i due non esista.
Ironicamente se chiunque scovasse in un’opera un riferimento
a un’altra, allora non sarebbe possibile parlare di plagio.
Un’altra cosa da considerare è l’opinione all’interno della
comunità artistica. Dato che l’appropriazione è così prevalente
nella cultura mainstream (ne è un esempio il remix musicale e
video) la comunità artistica sembra essere divisa sul parere di
considerarla come una pratica dell’arte.
Alcuni artisti la considerano positivamente e la ritengono una
pratica essenziale per riflettere sulla cultura mainstream,
mentre per altri non è che un rimaneggiamento di pratiche
antiquate o una mancanza di originalità da parte dell’artista.
SALVATORE: Penso che si tratti di una questione di
linguaggio e di immaginario. Perché in realtà non è nemmeno
verissima questa cosa. Nel senso che molti artisti sono riusciti a
formare linguaggi e immaginari capaci di comunicare in
maniera accessibile e suggestiva le possibilità che sono oramai
alla portata di tutti: la fine di un’idea e di una definizione di
“realtà” e “originalità” che deriva sostanzialmente dall’autorità
e dal potere.
Volendo avvicinare la questione da un punto di vista storico,
questo è un tema che si apre tanti anni fa e che diventa evidente
all’inizio del novecento. Non si può parlare di plagio, ma i temi
129
L’etica del plagio
Capitolo 8
del Surrealismo, di Dada e, dopo, delle arti concettuali e delle
avanguardie riguardano molto l’idea dell’originalità,
dell’unicità, dell’autorialità e, più in generale, della possibilità
o opportunità di definire il “reale”. Che sono i presupposti su
cui si fondano le pratiche che utilizzano le tecniche del plagio,
del fake, del re-enactment (ricostruzione, riemanazione). Con
l’arrivo del postmoderno, poi, c’è proprio un’accelerazione in
questo senso, e ne sentiamo gli effetti ancora oggi.
In sintesi: artisti come Andy Warhol hanno trovato chiavi di
lettura interessanti. E solo per citare un’esperienza eclatante.
Basta andare a un concerto di Girl Talk 1 per vedere come
l’idea del “furto” scompaia completamente in quanto
rimpiazzata da una esperienza che è creata in maniera molto
intelligente, fondandosi su studi e/o sensibilità profonde verso
le culture visuali, le possibilità offerte dalle tecnologie e dalle
reti, e le loro ripercussioni sulla nostra concezione di società e
sulla nostra percezione delle possibilità di espressione.
Io ho l’impressione che quando interviene un giudizio tipo “è
solo un plagio” in realtà sia più “colpa” del progetto piuttosto
che della “gente”. Mi pare, per usare una terminologia
lontanissima da quella dell’arte, che manchi il “valore aggiunto”
che potrebbe essere la poetica, l’emozione, la strategia di
comunicazione, l’immaginario. Nei lavori più interessanti
questo non avviene.
Magari qualcuno ti deve spiegare quello che stai vedendo,
perché potrebbe non essere poi così ovvio o di semplice e
immediata comprensione, ma se, dopo aver compreso il
concetto, il giudizio dovesse rimanere semplicemente e
costantemente “sì, ma l’artista ha solo rubato una
canzone/rifatto una performance/estratto una parte di testo”
o cose simili, forse è anche l’artista che dovrebbe/potrebbe
mettersi un po’ in discussione. D’altra parte è da qualche anno
che siamo oramai consapevoli che lo status di “opera d’arte”
130
L’etica del plagio
Capitolo 8
non lo possiamo assegnare noi, ma è significativo solo quando
riconosciuto dagli altri.
In sintesi ancora maggiore: io non ho questa esperienza, quindi.
I progetti che usano il Plagiarismo come strumento o tecnica,
quando colgono, al modo dell’arte, una tensione del mondo,
riconoscibile, sentita e riconosciuta (o quantomeno sospettata),
suscitano delle reazioni molto belle. Tanto che diventa
immediata la percezione di come si possa usare un “falso” per
creare realtà in maniera libera.
VITTORE: Credo che la situazione non stia esattamente in
questi termini. Gli artisti “plagiaristi”, in particolare i musicisti,
sono ben consapevoli di infrangere in molti casi alcune norme
vigenti in materia di copyright, eque o sbagliate che queste
siano. L’eventuale azione penale nei loro confronti non è tanto
il frutto di una volontà censoria preconcetta né di un particolare
accanimento persecutorio nei loro confronti da parte della
comunità (accanimento ci può essere casomai da parte di
alcune “parti lese”, come le società che rappresentano i diritti
degli autori), quanto il risultato della normale e prevedibile
applicazione di norme vigenti.
Va detto che in molti casi, la querela è ampiamente prevista o
addirittura cercata ad arte dall’autore, sia per generare
pubblicità attorno al proprio lavoro sia per accelerare il
dibattito intorno ad una normativa comunque obsoleta e in
larga parte iniqua.
Il successo di un’operazione plagiarista si misura anche sulla
risposta mediatica che questa riesce a generare, comprese le
cause legali e il conseguente interessamento degli organi di
stampa. Quindi, paradossalmente, i lavori plagiaristi più
“incompresi” alla fine sono proprio quelli che vengono meno
“denigrati”!
131
L’etica del plagio
Capitolo 8
I nuovi mezzi d’informazione permettono una circolazione
di materiale libera e fruibile da tutti in modo semplice e
rapido. Inoltre tali mezzi incoraggiano non solo la
circolazione, ma anche la manipolazione di materiale
seppure protetto da copyright.
Quali potrebbero essere le conseguenze nella disputa tra le
multinazionali e il fenomeno della condivisione tramite reti
peer-to-peer?
AMY: Credo che questo non sia quel grande cruccio che
affligge la gente. Non sono una grande esperta riguardo
quest’argomento, ma credo che la filosofia del “meglio che
libero” permeerà e le grandi compagnie distribuiranno ancora i
mezzi mediatici. Sembra inoltre che queste compagnie abbiano
ottime opportunità per la distribuzione di media, rendendoli
semplici da trovare e da scaricare con una qualità migliore
rispetto alle reti peer-to-peer. D’altra parte ci sarà sempre gente
che ha più tempo che denaro, che affianca la cultura peer-topeer, o che vede nella duplicazione in peer-to-peer il modo più
etico per ottenere dei media. Però, una trentina di anni fa,
c’erano già delle persone che non acquistavano dischi. Li
registravano direttamente da quelli di altri o dai brani che
passavano dalla radio.
Naturalmente il confronto con la nostra epoca non è possibile,
poiché oggi è molto più semplice copiare una grande mole di
materiale. Però dovrebbe essere anche più facile ed economico
per le società distribuire dei media che non richiedono l’uso di
materie prime, mezzi di trasporto e immagazzinaggio. Quindi
credo che il prezzo medio del “meglio che libero” debba essere
adeguato di conseguenza.
Altro fattore di cui tenere conto è che ogni brano disponibile
132
L’etica del plagio
Capitolo 8
gratuitamente su una rete peer-to-peer ha valore promozionale
anche per gli altri lavori dell’autore di quel brano, alcuni dei
quali sono invece acquistabili.
Talvolta ho il sospetto che gli avvocati delle grosse aziende
interessati alla proprietà intellettuale siano il peggior nemico
delle compagnie!
SALVATORE: Forse l’idea di base in questa disputa è che
siamo in un momento di profonda trasformazione.
Siamo sul bordo del “nuovo” e del “vecchio” e i bordi, i
confini, sono i luoghi in cui avvengono gli scontri. Questo
conflitto, in particolare, è tra una tipologia di soggetto che è già
un cadavere e un altro tipo di soggetto che ancora non ha bene
capito cosa farà da grande.
Il modello proposto dalle multinazionali e, in generale,
dall’autorità è già morto. Non può più esistere. Se non
attraverso la repressione e l’esercizio dell’autorità. Ma la storia
ci insegna come questa modalità (che è quella che questi
soggetti stanno cercando di mettere in atto in tutti i modi a loro
disposizione) non può durare in maniera indefinita: non si può
resistere per sempre a una trasformazione della società che, di
fatto, è già avvenuta. Sempre la storia ci racconta anche le
vicende degli ordinamenti giuridici, e del sedimentarsi delle
pratiche sociali, che sono sempre in ritardo con la società stessa.
Gli ordinamenti giuridici in particolare hanno, secondo temi e
luoghi del pianeta, ritardi colossali con lo stato attuale delle
società del mondo: dieci, venti, cento anni!
Questo perché l’autorità non ama abbandonare il suo ruolo e il
suo potere e quindi nel conflitto si crea attrito che rallenta in
modo enorme la trasformazione a livello formale.
E quindi, come già successo per altri temi per esempio anche
nei riguardi della sessualità e della famiglia, ci si riconduce a
situazioni paradossali in cui, stando allo stato delle cose per
133
L’etica del plagio
Capitolo 8
come questo è definito dal potere e dagli ordinamenti giuridici,
la maggior parte della popolazione si trova in un sostanziale
stato d’illegalità.
Perché rendiamoci conto che la quasi totalità delle persone
viola sistematicamente il diritto d’autore per come questo è
definito dalle nostre leggi.
Quali sono gli effetti di questa situazione? Sono effetti
estremamente sfortunati per chi si trova nel “posto sbagliato al
momento sbagliato”, perché, ad esempio su questi temi, ci
saranno molte persone che riceveranno multe, incriminazioni e
altri fastidi da una cosa che non è più come la definiscono le
leggi e che, tra pochissimi anni, sarà cambiata radicalmente.
E, per quanto riguarda il conflitto in maniera più diretta, non
c’è in realtà nulla di nuovo: tutto questo s’inserisce nello stato
di perenne nomadismo ed evoluzione dei tanti confini su cui si
muove lo scontro tra società e autorità. Come dire che non c’è
fine al conflitto. Quello che è nuovo su questi temi è la portata
del conflitto.
Che riguarda l’informazione, la cultura e la libertà di
espressione e comunicazione a livello globale.
Simultaneamente, attraverso nazioni, lingue, società, religioni.
È un cambiamento globale e, quindi, un conflitto i cui effetti
avranno rilevanza globale.
VITTORE: La gente utilizza la tecnologia che ha a
disposizione, fregandosene bellamente della legge, è sempre
stato così e sempre così sarà. Nell’Europa dell’Est, prima della
caduta del muro, in paesi come la Polonia era proibito fare
liberamente fotocopie, occorreva un permesso dalla locale
questura per ogni singola copia, eppure tutti gli “artisti postali”
con cui ero allora in contatto fotocopiavano e spedivano di
nascosto tutto quello che volevano, bastava avere un amico
compiacente che possedesse una fotocopiatrice. Il peer-to-peer,
134
L’etica del plagio
Capitolo 8
sia che veicoli contenuti in modo legale (materiali esenti da
vincoli di copyright) sia che lo faccia in violazione di qualche
norma, è nella pratica quotidiana inarrestabile. È ormai una
situazione di fatto, del tutto impossibile da contenere e arginare.
E come passano materiali del tutto illegali, passano anche
materiali “plagiaristi”, come quelli che fanno un “fair use”
creativo delle varie opere campionate/riciclate.
Le multinazionali, fossero intelligenti, dovrebbero attuare una
politica di apertura e integrazione col mondo del peer-to-peer,
non mantenersi su posizioni di scontro muro-contro-muro
dettate da miopi interessi economici, suicide sulla lunga
distanza. Ovvero, se l’acquisto legale di prodotti musicali via
internet avesse un costo molto più contenuto, magari con
l’aggiunta di bonus di vario tipo (brani inediti, grafiche, testi,
eccetera), molti fruitori sarebbero tentati di ricorrere meno
frequentemente al download selvaggio. Allo stesso modo, se il
libero riutilizzo di “campioni” da opere altrui prevedesse costi
estremamente contenuti, o anche formule volontaristiche (come
i programmi shareware che prevedono la possibilità di
effettuare una donazione all’autore), forse molti più artisti
sarebbero invogliati a “regolarizzare” il loro impiego di
campioni altrui, mentre oggi per far ciò occorre spendere una
fortuna in studi legali.
Credo che fino a quando l’industria non comprenderà che il
rapporto col pubblico deve basarsi sulla reciproca fiducia e
onestà (una pura utopia?), sarà inevitabile che larghe fette di
pubblico e di artisti continuino a preferire di operare nella
semi-illegalità.
Spesso innovazioni e miglioramenti si basano sulla
manipolazione o la rivisitazione di materiale già esistente.
135
L’etica del plagio
Capitolo 8
Nelle pratiche di produzione culturale e materiale del
mondo tecnologizzato la copia ha già un valore positivo
riconosciuto e sfruttato.
Come può essere riconosciuto tale valore anche nel senso
comune?
SALVATORE: L’innovazione è per definizione una
manipolazione dell’esistente: innovo qualcosa che esiste, una
realtà precedente e, quindi, la manipolo, la rivisito, la reinvento.
Non si sfugge a questo meccanismo. Si può essere più o meno
creativi nel farlo, ma tutto ciò che facciamo è per definizione
una manipolazione delle cose che sappiamo, che abbiamo visto,
che abbiamo imparato, letto, sentito, usato.
Il “problema” è sempre comunicativo, di linguaggio e di
immaginario. Se la nostra “innovazione” è in grado di
comunicare, allora il suo valore viene percepito. E, tra l’altro,
la storia è piena di esempi per cui l’autore (o il designer, o
l’ingegnere, o lo scienziato) era convinto di aver inventato
qualcosa che poi si è rivelata innovativa per qualcos’altro di
completamente differente. Quindi è anche interessante mettere
in mezzo a questo “gioco” anche il tentativo di comprendere
chi e come rende una cosa innovativa.
Ma, affrontando un argomento per volta, l’idea di rendere
percepibile un’innovazione è un problema sottile e delicato, ed
è fondato sulla costruzione del progetto e sulla strategia che
usiamo nel comunicarlo.
Non vedo, in realtà, una differenza in quei progetti che trattano
copie o reinvenzioni di cose esistenti. Progettando la
comunicazione in maniera intelligente è possibile addirittura
raggiungere degli estremi abbastanza interessanti, come ad
esempio non intervenire del tutto sull’oggetto reinventato (o
copiato, o plagiato, o piratato...) facendolo percepire come
qualcosa di nuovo e innovativo comunicandolo in maniera
136
L’etica del plagio
Capitolo 8
differente.
VITTORE: Io credo che il senso comune sia perfettamente in
grado di riconoscere un valore positivo in un’opera plagiarista
di buona qualità. Ad esempio, tutti siamo capaci di cogliere il
valore satirico/drammatico dei montaggi nel programma
televisivo Blob, uno “smontaggio” plagiarista della TV del
giorno prima che difatti esiste da molti anni, segno di un alto
rating di ascolti. Il problema casomai è che l’indistinta area
plagiarista (non solo musica e arti visive, ma anche letteratura,
fumetto, cinema, ecc.) non ha prodotto tanti “capolavori”
quanti forse sarebbe stato lecito attendersi. ma se
un’operazione plagiarista è ben fatta, credo abbia le medesime
potenzialità di conquistarsi un suo pubblico di altre forme
espressive.
Il concetto di copia è da tempo parte del nostro dna, nessuno
più si scandalizza se in una galleria d’arte viene esposta al
muro una fotocopia, o la fotocopia manipolata di una celebre
opera d’arte. Del resto, da Warhol fino a Banksy, l’arte
contemporanea si è ampiamente caratterizzata in senso
citazionista, autoreferenziale e plagiarista.
Il Plagiarismo può essere considerato di valore aggiuntivo
al panorama artistico contemporaneo? Oppure è sbagliato
parlare di Plagiarismo come “movimento artistico” e se ne
dovrebbe parlare come di una forma di attivismo sociale e
politico che ha segnato un punto di svolta nella percezione
sociale dell’uso dei media?
SALVATORE: Le arti che lavorano con il plagio sono
importantissime.
137
L’etica del plagio
Capitolo 8
Come detto già prima, l’idea di realtà (e quindi di originalità) è
un prodotto dell’autorità e del potere. Se accettiamo l’idea di
una realtà unica, di un oggetto che può essere solo una cosa, di
un luogo che può servire solo a una specifica destinazione
d’uso, cediamo alla violenza del potere e alla possibilità di
“scrivere sul mondo” la nostra interpretazione di luoghi, cose e
processi.
La moltiplicazione dei significati prevede un atto performativo:
la copia. La copia è per definizione un “falso” e, sempre per
definizione, è anche un “vero”, un altro vero, differente
dall’oggetto “originario” (piuttosto che originale). È un’altra
cosa, perché copiandolo posso reinterpretarlo, riutilizzarlo,
rimetterlo in scena, reinventarlo completamente. Attuare il
plagio, o falsificare qualcosa, equivale a creare un nuovo pezzo
di realtà.
Che è un modo molto bello e positivo di percepire il mondo,
perché come io copio un qualcosa, creando un nuovo pezzo di
reale che esprime la mia visione del mondo, così lo possono
fare altri. Le tecnologie digitali (con un occhio, in particolare, a
quelle che chiamiamo ubique) portano questo genere di visione
del mondo all’estremo in maniera molto potente, perché questa
moltiplicazione di significati, questa falsificazione-che-crearealtà, ora la si può fare in maniera completamente libera e
autonoma.
Tutto questo è oltre l’arte. O, forse, è una nuova arte. E, però,
in questo caso, è anche una nuova architettura, una nuova
letteratura, una nuova poesia, una nuova politica, un nuovo
marketing, un nuovo attivismo, una nuova economia. Invade e
rimischia tutte le discipline e le scienze, facendole convergere
verso una modalità che è polifonica dalla nascita, che ospita
molte voci che descrivono molte visioni sulla stessa realtà.
VITTORE: Le tecniche del collage fanno parte, almeno
138
L’etica del plagio
Capitolo 8
dall’inizio del secolo scorso, del bagaglio degli artisti visivi e
anche degli scrittori (vedi in particolare il cut up letterario di
William S. Burroughs e Brion Gysin). Nel momento in cui gli
strumenti di registrazione e riproduzione del suono lo hanno
permesso, anche i musicisti hanno iniziato a far uso di tecniche
di collage, utilizzando materiali grezzi (come nella Musique
Concrete) ma anche porzioni di opere già registrate. Il fatto di
operare un collage di materiali altrui non esaurisce però
l’operazione plagiarista, che può avere gli intenti più diversi e
ibridare i più diversi linguaggi, in chiave satirica, umoristica, di
denuncia, ma anche puramente astratta, enigmatica,
provocatoria.
Se esiste un nucleo di autori che negli anni Ottanta/Novanta ha
fatto uso del termine Plagiarismo (o plunderfonia) dando forma
a una sorta di corrente artistica (Negativland, The Tape Beatles,
John Oswald, eccetera), l’utilizzo di tecniche di collage e
riappropriazione è in realtà talmente più vasto e diversificato
che dovremmo parlare, più che di un vero e proprio movimento
artistico, di una delle caratteristiche più originali e
caratterizzanti dell’espressione artistica (in senso lato, incluse
le forme di attivismo di base) a cavallo tra secondo e terzo
millennio.
Sono tecniche alla portata di tutti e che tutti usano, è quindi
difficile e forse poco corretto volerle racchiudere e limitare a
un “movimento” con precise coordinate storiche e un numero
relativamente esiguo di affiliati.
C’è la possibilità che i concetti, le tecniche, gli strumenti
plagiaristi siano sviluppati in modi riconoscibili di
realizzazione di opere definendo metodi, parametri, vincoli
e regole nelle pratiche di copia e mescolamento delle fonti?
139
L’etica del plagio
Capitolo 8
SALVATORE: Questa cosa è molto bella, e qui mi rendo
conto che parlando di questi argomenti si va avanti per cose
che sembrano sempre degli enormi paradossi. Le tecniche del
plagio sono uno strumento potentissimo per far emergere le
espressioni personali.
Copiando faccio un’affermazione. La copia dimostra la mia
scelta. La copia è libera: non è l’originale, è meglio. La posso
sfasciare, mettere in contesti paradossali, farla sembrare il più
possibile come l’”originale”, distorcerla, aggiungervi caos,
cristallizzarla, moltiplicarla milioni di volte, trasformarla in un
gadget. È il luogo dell’invenzione, della libertà e, soprattutto, è
un atto performativo e, come tale, è quello che modifica il
mondo secondo le mie inclinazioni, desideri, forme, azioni.
Facendo un falso divento un agente di mutazione performativa
del mondo, definendo la realtà: un altro pezzettino di realtà che
posso determinare in maniera libera grazie alla libertà della
copia, alla sua non originalità e alla fluidità, all’assenza di
vincoli, che ne consegue. Questa mutazione che io metto in atto
copiando e usando la copia per i miei liberi fini, ha la mia
forma e, quindi, è riconoscibile. La differenza è nel mondo, che
può ospitare infinite di queste copie, fatte da infiniti soggetti e
quindi questa modalità è la modalità dell’espressione, ben oltre
l’idea dell’autorialità intesa in senso classico, che invece di
forme di espressione ne ospita solo una, quella accettata
dall’autorità, riconosciuta nell’autore.
VITTORE: Parte dell’impatto di un’opera plagiarista è dovuta
al fatto che questa si pone, più o meno consapevolmente, in
aperta contrapposizione con i materiali di cui si appropria. È
una pratica anarchica e di confine, a cui poco si adattano regole
e parametri riconoscibili, anche se poi molte soluzioni
finiscono con l’assomigliarsi.
140
L’etica del plagio
Capitolo 8
Il pericolo del “manierismo” è doppiamente insidioso in
un’opera plagiarista e forse nulla è altrettanto noioso di un
collage sonoro privo d’inventiva e gusto della sorpresa. Meglio
quindi che non esista alcuna “accademia” del Plagiarismo, che
le regole del taglia-e-cuci siano riscritte ogni giorno da
chiunque si cimenti in un’opera di questo tipo. E non si pensi
che sia più facile realizzare un buon collage da materiali altrui
rispetto a comporre un’opera ex novo, direi anzi che è vero
l’esatto contrario.
Le nuove tecnologie di comunicazione permettono una
circolazione rapida e semplice d’informazioni e di cultura.
Lo stesso vale per quei mezzi che permettono teoricamente
a chiunque di realizzare opere proprie ed originali senza
pagare nulla ai creatori di tali mezzi (basti pensare ai
software open-source).
Perché, secondo te, nel momento in cui la cultura open ha
reso universalmente più facile la creazione di opere
originali, il Plagiarismo si è concentrato sull’attenzione alle
fonti altrui?
AMY: È una domanda molto interessante. Hai ragione, c’è un
gran fermento di produzioni originali in atto. Ma in qualche
modo continuiamo a sentire cose come “YouTube è pieno di
materiale illegalmente copiato, rubato dai media!”.
Facciamo attenzione alla provenienza di questi commenti
perché spesso vengono dalle stesse aziende mediatiche. Il loro
scopo potrebbe essere quello di mettere a tacere i produttori
indipendenti dei mezzi di comunicazione in modo da eliminare
più concorrenza possibile. Ma potrebbe anche rivelarsi
un’interpretazione eccessivamente sospettosa. È più plausibile
141
L’etica del plagio
Capitolo 8
che vogliano richiamare quanta più attenzione possibile dalla
gente che copia la loro proprietà intellettuale per ottenere un
maggior controllo; ad esempio, legislazioni o politiche fatte per
YouTube che rendano più semplice ad una compagnia
denunciare una violazione.
Ma più interessante ancora, credo, è che critici e teorici citino
spesso una duplicazione dilagante, non a livello giuridico o
etico, ma critico. Ad esempio, i critici a volte si lamentano di
quanto Twitter sia invaso da retweet 2, come se fosse prova di
una mancanza enorme di originalità. Ma in realtà ci sono più
contenuti originali su Twitter di quanto chiunque possa
desiderare! Inoltre, il retweet stesso rappresenta di per sé una
forma di creazione-di-contenuto populista. Scegliendo cosa
“retweettare”, gli utenti di Twitter diventano in qualche modo
editori. È altrettanto interessante notare che abbiamo una lunga
storia di editoria fatta di libri composti spesso da materiale di
altri scrittori. Però nessuno ha mai condannato il libro come
una minaccia per la creatività.
SALVATORE: Partiamo da un concetto: definire cos’è
un’opera originale non è semplice come sembra. L’originalità
non è in un campionamento audio, o nel fatto che io abbia
scattato una fotografia o che io abbia materialmente mosso un
pennello su una tela o cose del genere.
Questa idea in generale non vale neanche per gli artisti del
passato, che conoscevano il collage, la copia, la citazione ed
anche l’outsourcing, la produzione in serie e il falso. Quindi in
realtà possiamo invertire la domanda senza nessun problema
ovvero concentrarsi su quali sono le opportunità che abbiamo a
disposizione cercando di lavorare secondo modelli più
“ecosistemici” (come ad esempio quelli suggeriti dall’open
source). Perché il nodo è qui. Tutte queste tematiche sono un
“problema” solo per le autorità, per quelli che traggono
142
L’etica del plagio
Capitolo 8
vantaggio da poteri centralizzati e dal coprire il ruolo
dell’intermediario.
La cultura è diversa da così: la cultura è una rete, si crea per
differenze, per discorsi tra soggetti che si contaminano a
vicenda. La cultura è open source. Come l’arte e tante altre
cose.
Senza il dialogo con la sua realtà contemporanea, senza il
confronto con il mondo e, quindi, senza il prendere a piene
mani, secondo la sensibilità e possibilità del tempo, da ciò che
lo circonda, l’artista non è nulla, è un essere inutile messo sotto
vetro che potrà pure produrre l’artefatto più esteticamente bello
del mondo, ma quell’artefatto non avrà nessun valore.
Quindi l’attenzione (e quindi l’uso, e il riuso) alle cose che
producono gli altri (o che produce il mondo col suo incedere) è
un ritorno alle origini piuttosto che una novità. Il plagio, la
copia, il falso, riattivano una modalità naturale dell’essere
umano: quella di produrre, tramite la sua esistenza,
un’interpretazione del mondo, una performance, la propria
espressione.
Le tecnologie digitali cambiano la scala e la velocità,
permettendoci di essere liberi e autonomi in questo (sempre se
scegliamo tecnologie e metodologie “giuste”, altrimenti ci
infiliamo in altri tipi di labirinti di schiavitù, ma questo è un
altro discorso).
VITTORE: La cultura open ha permesso a tutti di diventare
scrittori aprendo un blog personale o pubblicando libri in
digitale on demand, ha permesso a tutti di diventare registi
diffondendo video su YouTube, di diventare musicisti
mettendo in rete canzoni, ecc. Il risultato è la totale saturazione,
per cui nessuno più ascolta nessuno perché tutti parlano a tutti.
Di questa situazione caotica approfitta soprattutto l’ancient
regime, per continuare a spacciare i suoi libri best seller ideati a
143
L’etica del plagio
Capitolo 8
tavolino, le sue superstar musicali, ecc.: il pubblico disorientato
preferisce ripiegare su abitudini acquisite, quindi continua a
comprare il nuovo album di Vasco o Madonna, l’industria
continua a costruire personaggi di quel tipo.
Il Plagiarismo s’inserisce in tutto ciò come un grillo parlante,
una mosca bianca, una zanzara insidiosa, ricicla il già fatto per
additare le nudità regali, per rendere palesi certi meccanismi
subdolamente autoritari (e per mille altri motivi).
Non tutto il Plagiarismo però, per come la vedo io, deve per
forza di cose riciclare quanto fatto da altri. Si possono plagiare
identità inesistenti, ad esempio, moltiplicandole all’infinito,
come ha fatto il progetto Luther Blissettt. Si può operare un
auto-Plagiarismo, rimontando i propri lavori passati. Le
possibilità, concettuali e pratiche, sono più vaste di quanto si
possa pensare.
Quale può essere la distinzione tra programmatori e utenti,
o autori e fruitori, nel momento in cui i ruoli si mescolano
nella produzione globalizzata dei contenuti software?
SALVATORE: Questa è una cosa interessantissima. Perché col
software si rimescola tutto. Le discipline iniziano a convergere
le une sulle altre, attraversando arti, scienze, pratiche. È oramai
difficilissimo, se non inutile, cercare di capire chi è il
programmatore, chi il designer, chi l’artista, chi lo scrittore, chi
il ballerino, chi il saltimbanco, chi l’attivista, chi il politico, chi
l’imprenditore e così via. E inizia anche a essere difficilissimo
immaginare di fare le cose da soli, senza coinvolgere tante
discipline, senza aprire conversazioni.
Il grande cambiamento è quello, è in una fluida convergenza.
Non si tratta nemmeno più di usare parole come “autore-
144
L’etica del plagio
Capitolo 8
fruitore” o “pro-sumer” o cose del genere.
Siamo già oltre quel punto. Siamo in un momento in cui per
capirci qualcosa bisogna immaginare le persone come immerse
contemporaneamente in molte reti che operano tutte
simultaneamente.
In questa situazione la persona può assumere molti ruoli
contemporaneamente, in maniera disgiunta, congiunta, fluida,
non c’è una regola. L’unica cosa che assomigli vagamente a
una regola è la moltiplicazione.
Cosa ci possiamo aspettare? Forse, se proprio dobbiamo
formulare delle ipotesi, ci potremo aspettare dei nuovi modi di
operare. Saremo costretti ad assumerne. Lo siamo già. Dei
modi di operare in cui ci sentiremo un po’ spaesati,
probabilmente, un po’ persi e senza senso.
Perché saremo costantemente in preda ad una specie di
nomadismo mentale, che ci porterà con continuità di concetto
in concetto, di ruolo in ruolo, d’interfaccia in interfaccia, di
rapporto in rapporto, simultaneamente e continuamente. Però, a
fronte del senso di smarrimento e di difficoltà di attenzione che
questa modalità comporta, ci si apriranno probabilmente molte
strade nuove, che portano a mutare quello che noi intendiamo
per i concetti di conoscenza, apprendimento, sensazione, valore,
comprensione, collocazione, lettura, scrittura. E potremmo
andare avanti per un bel po’.
Non penso si tratti di un valutare questi cambiamenti in
positivo o negativo. Penso che siano da prendere per quello che
sono: trasformazioni. E usarli per decidere le prossime mosse,
contromisure, strategie. Di sicuro c’è il rischio di soccombere:
c’è la possibilità di non riuscire a trovare senso, significati e
valore, e di sentirsi soli e smarriti.
Ma c’è anche la possibilità che assumendo il nomadismo e
l’autonomia come strategia si possano inventare nuovi modi di
relazionarsi col mondo e con le persone, più liberi ed efficaci.
145
L’etica del plagio
Capitolo 8
VITTORE: In una condizione ideale di tecnologia “open” i
ruoli sono elasticamente reversibili, un utente può suggerire
una miglioria a un programma che viene poi recepita e
integrata al software stesso, se giudicata utile. Un brano
musicale può essere remixato e perfino migliorato da altri, si
può creare una catena infinita in cui il remixatore è remixato e
così via.
Ogni caso quindi va valutato singolarmente, per cercare di
capire quale può essere, se c’è, la linea di demarcazione fra
autore e fruitore. Del resto, questo accade dall’inizio dei tempi.
Le canzoni popolari tramandate dalla tradizione orale, ad
esempio, spesso hanno perso memoria del loro autore originale
e sono disponibili in una varietà infinita di variazioni: diverse
persone in diverse epoche, anonimamente, hanno aggiunto o
modificato una strofa. Quando in un disco un brano viene
classificato come “traditional” senza specificarne l’autore,
quello è già un bell’esempio di creazione condivisa. Qualcosa
di simile potrebbe benissimo verificarsi anche oggi con nuove
composizioni originate dalla “cultura popolare” della rete.
Si può parlare di un’etica del plagio?
AMY: Non capisco questa domanda, deve esserci un problema
di traduzione.
Ma vorrei ricordare ancora una cosa, che credo si riferisca a
diverse domande di cui sopra. Quando ho lanciato il sito
www.plagiarist.org nel 1998, c’era molta paura fra tutti, dagli
artisti ai media; si temeva che Internet potesse significare la
morte della paternità in favore di un plagio dilagante e della
perdita totale dell’”originale”. Lo stesso timore si è riscontrato
146
L’etica del plagio
Capitolo 8
già in passato per tecnologie quali fotocopiatrici, e persino per
la fotografia. Il mio intento è di rendere plagiarist.org un luogo
per sfatare ironicamente alcuni di questi scenari di “plagio
fuori controllo”. Ad esempio, un plagiarista potrebbe cercare di
rubare dei manifesti famosi, mescolarli e spacciarli per il vero
Manifesto Plagiarista; ma ovviamente i risultati sono spesso
insignificanti e comunque il “furto” resta evidente. Volevo
dimostrare che tutte quelle teorie su un plagio incontrollato in
rete non avrebbero trovato riscontri, perché i furti sarebbero
stati immediatamente riconosciuti. Internet, che permette a tutti
di prendere da tutti, consente inoltre a chiunque di identificare
chiunque. Dopo tredici anni da allora credo ancora che ciò sia
vero, ma ho dovuto appurare le mie teorie sulla base delle mie
osservazioni nel corso degli anni. Sembra ancora impossibile
plagiare bene opere molto conosciute perché troppe persone
conoscono il lavoro originale e finiscono per accorgersi del
plagio. Tuttavia le opere meno note sono spesso plagiate senza
che la fonte venga riconosciuta. Sto parlando di Plagiarismo,
non di copia. Ma la confusione creata da questi termini ha
spostato il discorso sui temi della proprietà intellettuale delle
grandi società che controllano i media, temi che vedono le
società come vittime e le persone come responsabili. Chi esce
vincitore da questo contesto? I legali d’impresa che si
occupano della proprietà intellettuale.
Forse c’è bisogno di ricordare che anche le persone che non
hanno o che non possono permettersi un avvocato riescono a
creare mezzi di comunicazione!
SALVATORE: Assolutamente sì! E coincide probabilmente
con una cosa che ricorre nelle mie risposte: un abbandono
dell’idea di un reale, definito in maniera autoritaria, in favore
di una realtà che può essere costruita in maniera libera e
autonoma.
147
L’etica del plagio
Capitolo 8
VITTORE: Se vediamo il plagiarista come una sorta di Robin
Hood, allora esiste un’etica del “furto sonoro”, per cui è lecito
rubare alle major del disco, ma un po’ più antipatico “rubare”
senza chiedere il permesso ad autori indipendenti.
Rubare qualcosa dallo scaffale di un grande magazzino non è la
stessa cosa che rubare in un cassetto a casa di un amico. Anche
se quello “plagiarista” è solo un furto virtuale che perlopiù non
causa alcun danno a quanti ne restano vittime, credo che si
dovrebbe sempre rispettare una sorta di “etichetta” (netiquette 3)
dettata dalla sensibilità di ciascuno.
…
148
L’etica del plagio
Capitolo 8
Note
1
(cfr.) Rip! A Remix Manifesto, Brett Gaylor, USA, 2008 (edito e
distribuito in Italia da Feltrinelli, DVD + libro);
2
(ndr.) Un retweet è un post su Twitter che fa riferimento
direttamente ad un altro post, al quale viene aggiunta la sigla RT ed
un reply all’utente citato;
3
(ndr.) Una specie di codice etico, un insieme di regole non scritte
che regolano il comportamento di un utente di Internet nei confronti
degli altri utenti (modalità nella condivisione di risorse, nello
scambio di informazioni, ecc).
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L’etica del plagio
Capitolo 8
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Capitolo 9
Concetto plagiarista
Colloquio con Vittore Baroni
(18 Aprile 2011, Viareggio)
Il Plagiarismo è frutto del Neoismo e delle controculture,
ma può essere veramente considerato come un movimento
vero e proprio?
Ricordarlo o meno come “movimento” nei libri di storia
dell’arte sarebbe uno sbaglio; secondo me si trattava più di una
satira dell’arte, di una presa in giro, di un gioco. D’altro canto,
però, non possiamo dire che la controcultura non abbia avuto
una certa rilevanza nei primi anni ottanta.
In quel periodo c’erano vari festival sul Neoismo, alcuni anche
in Italia; mi ricordo in particolare di uno di questi svoltosi a
Ponte Nossa, in provincia di Bergamo 1, presso il quale
conobbi di persona Stewart Home e altri scrittori neoisti.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Anche il Neoismo, come il Plagiarismo, aveva la caratteristica
di essere un movimento artistico alquanto fittizio, perché
costituito soltanto da un prefisso, neo, cioè nuovo, e da un
suffisso, ismo, che sta ad indicare vagamente una caratteristica
d’insieme, o in questo caso di un movimento o di un gruppo,
come il dadaismo o il surrealismo; è una sorta di parodia di un
movimento artistico, una satira senza troppe pretese.
Quando ho tentato di intervistarlo tramite un questionario
via e-mail, Stewart Home si è dimostrato restio a fornirmi
informazioni sul Plagiarismo. Secondo te quale può essere il
motivo?
Sul Plagiarismo c’è poco da dire. Non credo che lo stesso
Stewart Home abbia basi solide per fornire una spiegazione di
questo “movimento”. Quando io e Piermario Ciani, verso la
metà degli anni novanta, scrivemmo Assalto alla Cultura 2,
Home venne qua per promuoverlo e mi regalò un timbro che
recava la scritta “PLAGIARISM”; allora pensava che non
l’avrebbe più usato, e non sapeva effettivamente cosa farsene.
Tuttavia erano state fatte diverse operazioni tra mail art e
controculture, sfociate poi in un festival a tema di cui non
ricordo il nome; ma non c’era molto. Era una mostra il cui
invito era stato diffuso tramite e-mail, e il tema era, appunto, il
Plagiarismo. Ognuno poteva spedire quello che voleva e in
particolare ricordo che c’erano imitazioni di dipinti di Pollock;
comunque alcuni presero la cosa quasi per gioco, mentre altri
proposero opere più “concettuali”.
La mostra era abbinata ad una conferenza svoltasi in Scozia e
tenuta da Pete Horobin, anch’egli neoista, nonché stretto
collaboratore di Stewart Home, che cambiò nome varie volte,
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
seguendo lo stesso concetto del nome collettivo, come nel caso
di Luther Blissett.
Fra i partecipanti vi era anche un certo Lloyd Dunn, membro di
un gruppo musicale simile ai Negativland, i The Tape Beatles;
e lì si parlò già delle problematiche del Plagiarismo.
Infatti non ha preso piede e non ci furono già all’epoca molte
persone disposte a farne parte, per così dire, altrimenti
troveresti sicuramente più fonti. Anche le mostre erano
occasionali e gli artisti spedivano le loro opere pur non sapendo
effettivamente nulla sul Plagiarismo, o sul Neoismo. Per me il
Plagiarismo rimane un esperimento che ha avuto un’eco molto
limitata, e comunque andrei cauto nel chiamarlo “movimento”.
Al contrario, il Plagiarismo, inteso come concetto e non come
movimento vero e proprio, è molto fertile e d’impatto dalla
seconda metà del secolo scorso, poiché i mezzi tecnici hanno
incoraggiato musicisti e artisti ad appropriarsi liberamente di
lavori già esistenti.
Quindi è per questo che il Plagiarismo non può essere un
movimento: non si può farne parte. È un’attività cui tutti
possono partecipare.
Di fatto noi stessi oggi viviamo in un’epoca molto “plagiarista”,
perché la tecnologia permette di copiare facilmente quasi ogni
cosa. Ho un gruppo musicale, Le Forbici di Manitù, con cui
compongo musica prendendo pezzi di brani già esistenti e
suoni campionati. La tecnologia oggi permette di fare musica
pur essendo privi sia di strumenti sia di conoscenze applicate
allo studio della musica.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Nel caso il Plagiarismo fosse diventato una corrente
artistica, attualmente avrebbe quindi perso ogni significato?
Sì, ed è meglio così; i movimenti lasciano il tempo che trovano,
pur portando avanti un’idea concreta. Parlavi di fenomeno
sociale, e probabilmente è così. Il Plagiarismo è anche un
fenomeno creativo; i dadaisti facevano dei bellissimi
fotomontaggi, purtroppo le risorse tecniche erano limitate e la
produzione esigeva uno studio considerevole dei materiali e
delle procedure.
Oggi persino un bambino che abbia un po’ di dimestichezza
con Photoshop è in grado di produrre un fotomontaggio,
magari qualitativamente e concettualmente inferiore ai lavori
dadaisti, facendo semplicemente copia/incolla.
Prendendo ad esempio un fenomeno del genere è logico
supporre che nessuno crei qualcosa. Anche quando ti pare di
scrivere una poesia di tua invenzione, in realtà in essa riversi
tutto ciò che hai acquisito in precedenza da scritti di altri autori
che magari hanno fatto la stessa cosa prima di te.
Il plagiarista è solo un individuo che produce alla luce del sole
ciò che altri farebbero di nascosto. La questione non è dunque
copiare, ma usare degli strumenti e riuscire a produrre opere
valide. Probabilmente è molto più facile scrivere un romanzo
partendo da zero, inventando situazioni e personaggi, che non
fare come certi scrittori, come William Burroughs o Kathy
Acker, che hanno costruito dei romanzi “campionando” frasi
da libri già prodotti; è un lavoro certosino che richiede
comunque una grande abilità, ed è un’operazione altrettanto
complessa quella di ottenere un filo logico a questo collage di
parole.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
La Gioconda con i Baffi, o L.H.O.O.Q., di Marcel Duchamp,
può essere considerato uno dei primi espliciti esperimenti di
Plagiarismo?
Certo, è uno dei più famosi. Ci sono vari modi di impossessarsi
di un’opera altrui, come il cut up, ideato da William Burroughs
e Brion Gysin negli anni cinquanta, che ne fecero una vera e
propria scuola basata sull’aleatorietà e sul caso: producevano
libri tagliando pagine da altri scritti e le componevano in strisce
che, muovendole, rendevano le frasi senza senso, o talvolta
assumevano significati sensati per quanto bizzarri, pur costruiti
sul caso, appunto.
Sempre negli anni cinquanta cominciano ad apparire i primi
registratori a nastro disponibili al pubblico, pur essendo
abbastanza costosi; Burroughs e Gysin sperimentarono con
questi registratori sempre sul filone del cut up. Era una sorta di
primitivo mixaggio, che assumeva gli aspetti di un collage di
suoni e parole che loro in seguito componevano o
trascrivevano.
Mi ricorda la poetica Fluxus.
Sì, difatti anche Fluxus fece sperimentazioni simili, che hanno
in qualche modo anticipato il Plagiarismo. Il rap e l’hip hop dei
primi anni ottanta sono stati comunque i primi segnali che
hanno esplicitamente usato strumenti, come il campionatore,
per cantare sopra dischi o ritmiche altrui, anche se a volte
suonavano con il consenso dei musicisti dei quali usavano i
pezzi. Inizialmente comunque non c’erano molte cause legali
legate al copyright, poiché quello del remix era un fenomeno
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
ancora molto underground, che riusciva a sfuggire al “radar”
della diffusione commerciale; l’effetto era la scarsa notorietà.
Sul loro manifesto i secessionisti di Vienna scrissero “… noi
non conosciamo alcuna differenza tra “arte maggiore” e
“arte minore”, tra arte per ricchi e arte per poveri. L’arte è
bene comune”. Potrebbe essere d’ispirazione a una cerchia
di artisti, come i neoisti, che rifiutano l’esclusività dell’arte?
Può essere, ma personalmente non credo che i secessionisti
abbiano ispirato le controculture, o i primi plagiaristi. Dovresti
cercare di focalizzare una serie di opere e artisti che
identifichino meglio il fenomeno del plagio, come nel caso
della Gioconda con i Baffi appunto, o il ritratto di Leonardo da
Vinci con il sigaro in bocca di Man Ray. Nella Plagiarismo ci
sono molti esempi di questo genere; le serigrafie di Wharol,
oppure i collage di Hamilton sono opere associate in qualche
modo al Plagiarismo e ricordano in qualche modo i cut up di
Burroughs. Comunque non credo sia facile associare i
secessionisti al Plagiarismo vero e proprio.
Infatti recuperare del materiale in merito non è facile,
poiché le fonti a disposizione sono scarse. Inizialmente
potevo solo intuire qualcosa dal nome, che mi faceva
pensare al plagio, appunto.
In effetti non è associato ai movimenti artistici come li
conosciamo. Facendo una piccola indagine fra libri d’arte
contemporanea che si occupano di underground o movimenti
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
minori potresti trovare qualcosa, poiché in fin dei conti si trova
sulla scia dell’arte contemporanea. Ma non sono molto sicuro
di questo.
Nell’ambito del festival Galaxia Medicea, presso Seravezza,
gruppi come Negativland e artisti mediatici anti-copyright
come RT Mark fanno riferimento a un’etichetta discografica di
nome Illegal Art che promuove quei gruppi che fanno uso della
plunderfonia. In Italia, per esempio, un dj di Roma, tale Okapi,
ha creato la pagina su Wikipedia di un musicista italo africano,
un certo Aldo Kapi, che fa riferimento a una raccolta postuma
mai esistita, pubblicata appunto per l’Illegal Art.
Quest’anno il tema principale del festival sarà il rapporto tra
design e suono di Bruno Munari, tematica riflessa nell’Opera
Rotta, per la realizzazione della quale Munari collaborò con un
musicista, Davide Mosconi. Era un’opera che permetteva di
creare un collage di varie opere, e fu presentata un’unica volta
a Milano negli anni sessanta. Oggi un procedimento del genere
sarebbe facilmente attuabile attraverso il remix, ma all’epoca
non esisteva il campionatore; pezzi di scenografie e un sacco di
musicisti e cantanti venivano diretti e composti per creare un
remix delle più celebri opere sinfoniche, dal vivo e in tempo
reale. Ho proposto agli organizzatori del festival di contattare
Okapi per riprendere quest’opera in chiave moderna, che poi
lui ha ribattezzato Opera Riparata: in pratica si tratta di
riprendere lo stesso schema compositivo di Munari e di
riprodurlo, assieme ad un collage video, con il computer.
Hai parlato di plunderfonia: che cos’è?
Il nome, coniato dal suo ideatore, un musicista californiano di
nome John Oswald, deriva dal verbo inglese to plund, che
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
significa rubare. Egli non fa altro che prendere pezzi di brani e
pezzi di copertine da dischi altrui, per poi ricomporli in un
collage sia audio, per la musica, che grafico, per le copertine.
C’era sempre una correlazione tra ciò che veniva raffigurato
sulla copertina e ciò che conteneva il disco: per esempio, se era
riportata un’immagine di Bruce Springsteen in copertina,
significava che nei brani erano presenti pezzi di sue canzoni.
Tutti questi riferimenti al collage, al remix e al cut up mi
fanno pensare alla trasmissione Blob, di Enrico Ghezzi.
Difatti è un ottimo esempio di cut up, cioè montare varie cose
per dare un significato diverso rispetto a quello che vedi. Tra
l’altro, quando per la prima volta intervistai i Negativland e
loro mi parlarono della plunderfonia, scrissi un articolo in cui
chiamai il loro genere Blob Music, tenendo conto anche del
contenuto satirico all’interno delle tracce. Tornando a Blob, il
montaggio, realizzato più da Marco Giusti che da Ghezzi, non
è casuale, assolutamente, e, anzi, credo sia un programma
unico al mondo. Sono riusciti ad avere spazio e fama proprio
per quest’originalità narrativa.
Forse definire Blob un programma “plagiarista” non è del
tutto corretto: magari si tratta più di “citazionismo”?
Sì, in fondo il concetto di plagio rimane sempre abbastanza
vago, altrimenti dovresti escludere anche operazioni come il
cut up o il collage, che in fin dei conti creano opere a sé. È
importante quindi distinguere il Plagiarismo dal comune plagio,
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
poiché quest’ultimo si riduce a una copia della fonte scelta.
Un’operazione plagiarista, invece, mette assieme vari pezzi di
materiale altrui per creare qualcosa di nuovo e concettualmente
differente, spesso tenendo conto dei vari cavilli burocratici che
fanno parte del copyright. Ma questa è una questione molto
complicata, che riguarda gli avvocati e le procedure legali.
Penso che la tua tesi proponga una panoramica sul Plagiarismo
in termini più “creativi” che legali, o penali: in quest’ultimo
caso, credo, rischieresti di impelagarti in questioni veramente
intricate.
Mi piaceva l’idea di includere un capitolo sulla questione
legale, magari intervistando o avendo un confronto con un
avvocato.
Te lo sconsiglio, è una faccenda molto complicata.
Nel libro di Tommaso Tozzi, Arte di Opposizione, viene
riportato un capitolo scritto da Tom Vague, il quale
dichiara che il Plagiarismo “è un esercizio fortemente
creativo”.
Lo è, ma non è altrettanto facile capire in quale momento il
Plagiarismo si sia imposto maggiormente sulla storia dell’arte.
A tal proposito sarebbe interessante costruire una linea
cronologica degli esempi o delle opere plagiariste nel corso
degli anni.
Per esempio, il mash up, in seguito chiamato bastard pop,
ispirato al cut up di Burroughs, si è sviluppato in un contesto
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
favorevole alla sperimentazione musicale, alla creatività e alle
culture underground. In fin dei conti si tratta di sovrapporre un
brano musicale su un altro di un genere differente; il prodotto
finale, puoi immaginare, non è qualitativamente eccellente e
non potrebbe avere lo stesso riscontro di un brano originale.
Infatti, un prodotto che in qualche modo è collegato alle
pratiche di mixaggio, è altresì destinato a un successo effimero,
ed è per questo che il materiale a disposizione è scarso. Rimane
un genere musicale di nicchia.
È un bene che resti tale?
Diciamo che è logico che sia così. Il mercato attuale non pone
attenzione a quel tipo di prodotto, ma ciò non preclude che un
bravo musicista non sia tale. Per farti un esempio: Finnegan’s
Wake, di James Joyce, non potrà mai essere un’opera di largo
consumo, poiché richiede un metodo di lettura vincolato a un
certo livello culturale. Ciò non significa che Joyce sia un
pessimo scrittore. La stessa cosa vale per la plunderfonia, non
si può apprezzarla se non si hanno gli strumenti critici
necessari a decodificarla.
Ci sono anche casi in cui un brano plunderfonico riscuote un
discreto successo grazie ad un mixaggio ottenuto da frammenti
di canzoni celebri; come nel caso di un certo Dj Mouse, che
pubblicò The Grey Album, remixando interamente il famoso
The White Album dei Beatles. O ancora, il caso dell’album dei
Negativland intitolato U2; ciò crea un’eco mediatica che può
accrescere la visibilità di un prodotto.
Quando lavorai con lo pseudonimo di Liutenant Mourneau, che
usai anche come nome collettivo (tipo Luther Blissett) il mio
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
scopo era di coinvolgere quante più persone in questo progetto,
senza troppi clamori.
Come Liutenant Mourneau ho realizzato i miei primi “collage
musicali” utilizzando le cassette a nastro. A quel tempo
esistevano le Tape Label, etichette discografiche che si
occupavano della distribuzione su cassette; una di queste,
olandese, distribuì centocinquanta copie dei miei primi lavori.
In seguito ho realizzato anche dei vinili, ma non mi rendevo
conto effettivamente di creare un tipo di prodotto che aveva già
preso piede attraverso quella tecnica che poi avrebbe preso il
nome di plunderfonia; posso dire di averlo scoperto quasi per
caso. Non sapevo di far parte, involontariamente, di questo
piccolo movimento; realizzavo i miei collage più che altro per
divertire la gente e me stesso, e tutto senza aver bisogno di uno
strumento. Come del resto già Pierre Schaeffer, negli anni
sessanta, faceva utilizzando giornali, oggetti vari e suoni
registrati in ambienti urbani, creando collage di suoni che
andavano a comporre quella che oggi conosciamo come musica
concreta.
Quella che poi è divenuta la noise music?
Non è proprio così, poiché ancor prima, con il Futurismo,
Russolo sperimentò il concetto di “rumore” come mezzo
compositivo, realizzando anche apparecchi adatti allo scopo
come, per esempio, l’Intonarumori.
Questi concetti sono stati ripresi dopo l’avvento del punk,
quando persone, che non sapevano effettivamente scrivere tre
accordi, potevano realizzare musica partendo dai rumori.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Lo scopo dell’Internazionale Situazionista è la soppressione
dell’arte tramite un concetto ludico del “fare arte”?
In primo luogo, quello dei situazionisti era più un movimento
sociale che artistico. Guy Debord, che ne faceva parte, era più
un filosofo che poneva attenzione all’ingerenza dei media nella
società, e spesso si esprimeva attraverso brevi filmati
d’ispirazione dadaista (monologhi fuori campo, schermi neri,
eccetera). Anche i dadisti e fluxus riducono l’arte a una battuta
o a una satira, che nel caso del Dada trova espressione
soprattutto nei ready-made.
Si può dire quindi che anch’essi facciano parte delle
controculture?
Le controculture esistono nel momento in cui nella società si
afferma un certo tipo di pensiero; in definitiva, c’è sempre chi
va “contro” qualcosa. Lo stesso vale nell’arte, da quando il
mercato ha cominciato ad affermarsi pesantemente su di essa.
L’esempio più lampante di controcultura, e probabilmente il
più influente, si è manifestato verso la seconda metà degli anni
sessanta con il movimento hippie, cioè una schiera politicizzata
di sostenitori dei diritti civili. Prese corpo soprattutto con
l’inizio della guerra in Vietnam e andò poi a influenzare vari
aspetti della società, dalla musica alla moda.
Fino a quel momento le controculture erano state piccole
frange di artisti e scrittori poco o per nulla note, come il
movimento esistenzialista o la Beat Generation del secondo
dopoguerra, che già si opponevano alle regole imposte dal
mercato ufficiale. Per esempio, un certo Wallace Berman, della
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Beat Generation, oltre a realizzare opere con oggetti di scarto e
rifiuti, allestiva le sue mostre in una casa abbandonata. Come
vedi, un’idea che sembra appartenere a uno squatter dei primi
anni ottanta, in realtà è ispirata un fenomeno in vigore già dalla
fine degli anni cinquanta, ma che è rimasto misconosciuto.
Il movimento hippie si è sviluppato un momento in cui si
esigeva un nuovo modo di pensare che portasse a un
rinnovamento nei rapporti sociali, un’esigenza cui oggi
sopperisce internet, se vogliamo. Successivamente, negli anni
settanta, è stata la volta del punk, che ha portato innovazioni
nel panorama musicale ampolloso degli Emerson, Lake &
Palmer; e non solo in quello musicale, basti pensare alle prime
fanzine, che sostituivano un tipo di stampa ufficiale che
impiegò molto tempo per adeguarsi a questa rivoluzione.
Tipi di espressione artistica che in qualche modo abbracciano il
concetto abbastanza vago di “Plagiarismo” sono sempre rimasti
un po’ fuori dal mercato dell’arte perché si riconoscono sia
nell’ambito dell’illegalità sia in un contesto ideologico di
controcultura.
Personalmente, intravedo nell’arte delle possibilità che la
trasformino in un evento collettivo e di scambio culturale e
sociale, per questo riterrei più costruttivo, per esempio, fondare
una casa editrice per distribuire materiale a un prezzo
accessibile, che vendere semplicemente le proprie opere a cifre
esorbitanti solo per fare soldi.
Mi pare che tutto ciò che è collegato al concetto plagiarista si
muove sul versante dell’arte alternativa, pur non essendo in
aperta opposizione con lo status quo dell’arte ufficiale: e
probabilmente nemmeno si pone il problema.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Però non credi che, intervenendo in un modo così “ludico”,
le controculture di stampo artistico possano contribuire a
donare nuovo spessore alle arti ufficiali? Insomma, non
rischiano di essere additate come frivoli prodotti di finti
artisti?
Tutto ciò che conosciamo fin dall’antichità ha segnato uno
stato rispetto a ciò che esisteva prima, e spesso anche una
rivoluzione. Qualunque epoca tu analizzi, non troverai un’arte
tronfia e ufficiosa che ha dettato legge sulla cultura di ieri: ai
tempi di Mozart la gente teneva più in considerazione Salieri,
proprio perché Mozart, che era un rivoluzionario a suo modo,
non trovò inizialmente un pubblico capace di apprezzare il suo
stile. Nella maggior parte dei casi il successo è postumo; molti
artisti, oggi quotati per milioni, sono morti poveri.
Io non so se a oggi esiste un’arte che è riuscita a caratterizzare i
primi anni del duemila, un’arte o un’opera che in futuro sarà
l’emblema della nostra epoca. Comunque penso che non sarà il
teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst a caratterizzare
questo periodo: quello è già l’“Emerson-Lake-&-Palmer” degli
anni settanta. Probabilmente nemmeno le operazioni artistiche
svolte su internet o via e-mail potranno giungere a questo
traguardo. Ciò che è certo è che la controcultura di ieri spesso
diventa l’accademia di oggi.
Comunque credo che la chiave per identificare un’ipotetica
“arte” del nostro tempo risieda in internet e nelle tecnologie
informatiche, di cui ancora non sfruttiamo il pieno potenziale.
Quando è scoppiata la rivolta in Egitto, mi sono accorto del
vero potere che internet e le sue varie applicazioni possono
offrire, poiché si pensi che la rivoluzione è stata organizzata e
coordinata con un massiccio scambio d’informazioni attraverso
canali video, blog, e-mail, eccetera.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
In generale, però, non sappiamo ancora utilizzare appieno le
nuove tecnologie, probabilmente a causa di un ingolfamento
creato da fattori economici e pubblicitari. La cosa più curiosa è
che il messaggio non passa poiché si è in troppi.
Cioè?
Ti faccio un esempio: anni fa, se si fosse pubblicato un disco
che potesse diventare un inno della controcultura lo si sarebbe
subito identificato e in seguito condiviso, poiché il panorama
artistico non era così saturo come oggi. Ci viene continuamente
proposto di tutto, senza filtri. Oggi vengono pubblicati talmente
tanti dischi che in quest’affollamento potresti trovare non uno,
ma cento dischi significativi come quello. Purtroppo è come se
non esistessero, persi in un mare magno dal quale non riescono
a emergere.
È possibile quindi che abbiamo assimilato passivamente le
controculture senza prestarvi realmente attenzione?
Forse un prodotto del genere non riesce a liberarsi da questo
sovraffollamento perché non è più originale: per renderlo
realmente diverso dagli altri dovresti usarlo in modo quasi
disperato, come se usassi un coltello per andare a caccia.
Ho passato trent’anni a creare progetti portandoli all’attenzione
degli altri attraverso lettere. Talvolta questo metodo si rivelava
futile, ma spesso funzionava, soprattutto se a sostenere la causa
c’era un fine sociale o ideologico; come la volta in cui siamo
riusciti a liberare dei prigionieri politici in Uruguay.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Se delle comuni lettere potevano ottenere un effetto così
importante, pensai, figuriamoci internet! Eppure il numero dei
net artisti oggi attivi è esiguo, se non addirittura quasi del tutto
assente; ciò è dovuto all’accanimento da parte di un sistema
antiquato che dà importanza all’oggetto e non al progetto
d’arte.
A mio parere, l’arte contemporanea risulta molto meno
credibile rispetto a dieci/venti anni fa; da quel periodo in poi
movimenti come le transavanguardie venivano creati a tavolino
dalle grandi gallerie.
C’è chi associa l’arte contemporanea di una serie di
produzioni commerciali, come il design e l’artigianato.
Magari! Con la permanenza dell’arte concettuale in molto casi
si è persa l’abilità manuale.
Però, un mio professore, Pierluigi Capucci, mi ha fatto
notare quanto negli ultimi tempi arte e design si siano
effettivamente avvicinati.
Per la verità anch’io ho notato che le cose più interessanti
prodotte negli ultimi anni sono legate all’ambito di un tipo di
design affine ai campi più disparati, dal fumetto all’edilizia.
Non dimentichiamo l’arte da strada, la Toy Art e il graffitismo,
che nel caso di Banksy, ha avuto anche molto successo;
secondo me, forse, movimenti del genere rispecchiano
maggiormente il nostro periodo. Anzi, spesso trovo più
ricchezza stilistica e impegno nei normali designer, grafici e
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
writer che in tutti quegli artisti contemporanei che espongono
le loro opere nei grandi musei.
Hai accennato a un accostamento tra design e fumetto.
Sì, ma già Andy Warhol utilizzò Popeye come soggetto di una
sua opera, facendo riferimento alla copertina di uno dei suoi
fumetti. O ancora, Roy Lichtenstein e i suoi soggetti copiati
dalle vignette di fumetti Marvel. Il problema rimane il
copyright.
Secondo me, comunque, non è molto interessante porre merito
alla faccenda del copyright e a tutte le cause legate a esso,
quanto dimostrare che di fronte ad un’opera concettualmente e
stilisticamente valida non si parli più di plagio vero e proprio.
In fondo l’artista, come chiunque del resto, riutilizza sempre
qualcosa di ciò che ha visto o imparato, elabora una sintesi di
ciò che ha assimilato dalla cultura del suo tempo e dalla sua
vita. L’opera che produce può contenere parti di materiali altrui,
ma con un significato totalmente diverso.
Una curiosità: pare che in Italia sia scaduto il copyright di
Braccio di Ferro, quindi, in teoria, saresti liberissimo di
stamparlo su delle magliette. Mentre in America alcune grandi
corporazioni, come la Walt Disney, sono riuscite nell’intento di
aumentare la durata del copyright da cinquanta a settant’anni.
Ultimamente la Disney sta avviando una causa legale per
portare il copyright del primo Topolino a una durata di cento
anni, dal momento che tra poco dovrebbe scadere.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Quindi, come sempre, è il contesto che distingue l’oggetto
comune dall’opera d’arte?
Certo, l’esempio lampante è proprio Duchamp e la sua Fontana.
Una volta a Milano, durante la presentazione di BAU, ebbi una
disquisizione con Arturo Schwartz, dove era ospite.
Egli, grande amico di Duchamp e autorevole storico e critico
d’arte, tendeva, a mio parere, a “romanzarne” un po’ troppo la
vita e le opere. La discussione nacque intorno all’opera readymade, Pala da Neve, alla quale Schwartz attribuiva una grande
presenza materica e contenutistica, pur essendo effettivamente
una comunissima pala da neve. Per me resta un oggetto di uso
comune privato della sua funzione originaria, semplicemente
decontestualizzato.
A questo proposito organizzai nel 2010 un evento, della durata
di un anno, chiamato Art Detox 3, per evidenziare il problema
della saturazione che sta invadendo il panorama artistico
odierno. L’operazione, tra l’altro, proponeva a coloro che
aderirono di infilarsi un sacchetto in testa durante le visite nei
musei, per “desensibilizzarsi” da ogni eccesso. Realizzai
inoltre un’installazione in cui si potevano pettinare delle
bambole (prendendo spunto dal famoso detto), come a indicare
che la nostra presenza nei musei è inutile. Quello che voglio
dire è che si possono compiere operazioni che magari
diventeranno artistiche, in qualsiasi modo possibile, bello o
brutto; sta poi ai critici o alla tua stessa sensibilità giudicare il
valore del tuo lavoro, che acquisterà un senso preciso in base al
tuo talento.
La mia tesi esposta ad Arturo Schwartz trovava probabilmente
conferma nella sorte toccata alla Fontana originale, che è
andata perduta: questo però non turbò più di tanto il suo autore,
poiché il valore della sua opera risiedeva non tanto nell’oggetto
quanto nell’idea.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Successivamente è stata fatta una copia, ma l’obiettivo di
Duchamp era ormai raggiunto. Proprio quest’appropriazione
indebita e ricontestualizzazione di oggetti o materiali vari ha
ispirato quasi tutti gli artisti e tutte le correnti successive.
Hai parlato di talento: a questo proposito Luther Blissett,
nel Manifesto Neoista, scrive che “il grande vantaggio del
Plagiarismo come metodo letterario é che elimina la necessità
del talento…”. È veramente così?
Non è esattamente così. Talvolta si tende a generalizzare
questo discorso, un po’ come si è fatto con il punk, sul quale si
è detto che non occorre saper effettivamente suonare, cosa non
vera per tutti i gruppi, ovviamente.
Nel caso del Plagiarismo, cito Pietro Grossi, uno dei più grandi
compositori di musica elettronica contemporanei, che ha anche
partecipato al festival Galaxia Medicea. Secondo lui non è più
necessario, con tutti i mezzi tecnologici che abbiamo a
disposizione, avere una grande abilità come violoncellista: in
quel senso non occorrono più certi talenti, perché le macchine
permettono di raggiungerli quasi del tutto. Però occorre un
criterio e una sensibilità che accompagnino le potenzialità delle
macchine verso un’opera che abbia un senso e concetti ben
definiti.
Quindi, in tal caso, un’operazione del genere, rende il
mondo artistico teoricamente accessibile a chiunque? È
sufficiente avere un concetto valido e preciso?
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
In realtà quest’affermazione è un po’ fittizia, poiché qualsiasi
cosa è accessibile a tutti, teoricamente. Persino i pittori
all’esterno del Louvre dopo qualche giorno sono in grado di
realizzare una copia quasi perfetta della Gioconda. La
Gioconda è un’opera valida non tanto perché tutti potrebbero
rifarla tale e quale, ma perché è stata realizzata in un periodo in
cui si richiedeva un certo tipo di qualità, sia contestuale sia
stilistica: è stata fatta seguendo l’idea giusta nel momento
giusto. Chiunque saprebbe ripetere i tagli sulle tele come
Fontana, ma è l’idea, la ricchezza di contenuto che dona corpo
all’opera, altrimenti si rischierebbe di confondere l’arte con
l’artigianato. Per esempio, se la mail art fosse fatta senza
perseguire un’idea che prescinda la funzione originaria del
sistema postale, allora in questo caso si realizzerebbero delle
comuni lettere, cartoline, e-mail; oppure tutta la posta nel
mondo potrebbe essere mail art. George Maciunas, avendo
focalizzato la possibilità di mettersi in contatto con vari artisti
sparsi per il mondo, è riuscito a fondare un movimento come
Fluxus; e questo solo perché egli andò oltre il normale uso
della posta.
Personalmente, a coloro che mi spediscono materiale
spacciandolo per mail art, io nemmeno rispondo, poiché nella
loro realizzazione non riesco a carpire il minimo impegno.
Ciò che rende l’arte democratica è la sua struttura.
Ciò è dato dal fatto che io posso realizzare un’opera contenente
un ideale che comunichi un mio punto di vista da condividere
con altri; per questo ho realizzato Art Detox, perché volevo
dare uno spunto di riflessione autocritica sul senso dell’arte
contemporanea.
Qualsiasi cosa s’intenda realizzare dovrà essere sempre
accompagnata da un’idea che porti innovazione, senza
rivangare troppo tra le cose già fatte. Ho conosciuto un gruppo
di ragazzi che avevano creato un nome collettivo, come Luther
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Blissettt, ma che non ottennero molto successo. L’originalità,
la novità è tanto forte inizialmente quanto effimera, e trovare
sempre nuove, valide idee non è cosa in cui tutti riescono. Sì,
ovviamente ci si può provare, ma il successo non è garantito.
L’arte è accessibile a tutti, ma non tutti riescono a creare
qualcosa di innovativo.
Vale a dire che le controculture (e il Plagiarismo) non sono
movimenti artistici, bensì correnti legate a un contesto
sociale?
Sono l’una e l’altra cosa. Spesso preferisco la “non-arte”
plagiarista che le opere di certi artisti che vedo esposte nelle
gallerie. D’altra parte, purtroppo, la controcultura ha avuto fine
da un pezzo, più precisamente nel momento in cui le nuove
tecnologie hanno permesso a tutti di costruire il proprio blog, o
il proprio forum, o comunità virtuali, e soprattutto da quando
tali tecnologie sono state rese economicamente accessibili al
grande pubblico.
Perciò è inutile voler dare nuova linfa a un’ideologia di quel
tipo in una società globalizzata. Aggiungiamo una saturazione
di materiale che confonde, o mescola, prodotti commerciali e
prodotti artistici, e ci accorgeremmo che del Plagiarismo
effettivamente resta soltanto il concetto; che può ancora essere
sfruttato, credo, e in modi originali.
In questo panorama, comunque, l’attenzione sugli artisti si è
ristretta assieme al mercato stesso, proprio a causa di questo
ingolfamento. Basti pensare che con Liutenant Mourneau, che
aveva un’etichetta indipendente, riuscivamo a pubblicare dalle
cinquecento alle mille copie attraverso canali di distribuzione
improvvisati. Oggi, pur svolgendo ogni operazione su internet,
171
Capitolo 9
Concetto plagiarista
con conseguente riduzione dei costi, la tiratura media di un
prodotto è di cinquanta/cento copie. Persino gli appassionati di
musica indipendente fanno fatica ad acquistare, o anche solo
scaricare, tutti i prodotti di tutti gli artisti che operano nel
settore: ce ne sono troppi.
Credi che in questo clima di saturazione possano ancora
essere realizzati prodotti d’arte validi e innovativi?
Oggi come oggi è una vera e propria sfida, ed è difficile che
qualcosa catturi l’attenzione come poteva accadere venti o
trent’anni fa.
Ho vissuto di persona il periodo delle controculture e devo dire
che è stato un modo appassionante di approcciarsi a un filone
letterario, musicale e artistico molto originale, all’epoca, ma
anche, purtroppo, effimero. L’ultima vera controcultura ad
avere ottenuto un discreto riscontro, probabilmente, è stata il
cyberpunk degli anni ottanta, un genere letterario molto
politicizzato in Italia, tanto da diventare un vero e proprio
movimento politico, che sicuramente avrà ispirato molti dei
tuoi stessi professori. La causa della rapida scomparsa del
contesto creato dalle controculture è da attribuirsi a una
progressiva diminuzione di un interesse culturale inghiottito da
un vortice mediatico, forse creato a tavolino. Si è sfaldato,
inoltre, quel tessuto ideologico che teneva insieme istituzioni e
ideologie.
Probabilmente stiamo vivendo un periodo segnato dall’assenza
di idee concrete, ma può darsi che si tratti solo di una fase,
come del resto è accaduto per tutta la storia dell’arte. Essa è
fatta di periodi caratterizzati da movimenti artistici più o meno
influenti, regolati in base ad un sistema dell’arte che
172
Capitolo 9
Concetto plagiarista
rispecchiava la società dell’epoca: Duchamp, o Maciunas, sono
riusciti a rovesciare quel sistema. Per me, quella è innovazione,
quella è arte.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
Note
1
(ndr.) Il nono Festival Neoista fu organizzato da Pete Horobin
presso l’Arte Studio Emilio Morandi di Ponte Nossa, in Italia, dall’1
al 7 Giugno 1985;
2
Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche, Lettrismo,
Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home, traduzione di Luther
Blissett, 2008;
3
(ndr.) Art Detox è un evento artistico di stampo sociale che pone le
basi per una riflessione sulla propaganda artistica e culturale. Vittore
Baroni ammette un’eccessiva quantità di annunci di mostre e gallerie
che circolano in rete tramite e-mail; spesso in forma di spam. A oggi
Art Detox è alla sua seconda edizione.
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Capitolo 9
Concetto plagiarista
175
Conclusioni
Conclusioni
Ho voluto deliberatamente evitare di esaminare troppo sia
l’infinita sequenza dei plagi più celebri della storia, sia la
spinosissima questione della circolazione legale o meno di
materiale in Internet; e ho voluto evitare gli ormai ridondanti
termini con i quali distinguiamo i vari software. Reti peer-topeer, open source, file sharing, e altro ancora. Non volevo
descrivere un fenomeno, una corrente che semplicemente
investe ogni campo della cultura e ogni ceto sociale; ho voluto
invece approfondire l’aspetto più creativo, in termini d’arte,
che circonda il Plagiarismo come “concetto”.
L’appropriazione è legittimata (che le autorità lo vogliano o no)
dal fatto che non si può farne a meno. Quando Karl Marx
identifica una fruizione comune dell’arte, vuole al contempo
comunicare che essa, essendo uno dei fondamenti della nostra
intera cultura, necessita anche di una libera circolazione in
quanto bene intellettuale; non, invece, “proprietà”. Sappiamo
che ormai la proprietà in pratica non esiste più; ci sono stati
176
Conclusioni
messi a disposizione fin troppi mezzi per appropriarci di opere
già esistenti e per trasformarle in un traffico così enorme da
sfuggire alla maggior parte dei controlli. Ricordo un evento in
particolare, un piccolo aneddoto che mi ha fatto riflettere a
lungo sull’autenticità del nostro sapere. Un episodio che, nella
sua goliardia e semplicità, pone l’attenzione su un fatto tanto
grave quanto cruciale, nell’arte come nella vita: l’attendibilità.
Tempo fa, nel 1984, fu organizzata a Livorno una grossa
operazione al Fosso Mediceo dove, secondo fonti non così
certe, Amedeo Modigliani avesse gettato alcune sue sculture.
Quando l’operazione stava ormai per concludersi
infruttuosamente, ecco che furono rinvenute alcune sculture di
granito. L’entusiasmo fu grande e furono subito esposte in un
museo, tra le acclamazioni della critica internazionale e
l’assalto di media e turisti provenienti da mezzo mondo. Un
entusiasmo fin troppo affrettato, poiché alcuni giorni dopo si
scoprì che tutte le opere, false, erano state abbozzate da alcuni
studenti con dei semplici trapani Black & Decker. La mostra fu
immediatamente sospesa, gli studenti furono invitati in diverse
trasmissioni e l’azienda Black & Decker avviò una grossa
campagna pubblicitaria, forte dello scalpore suscitato
dall’episodio.
Ecco che qui il détournement si esprime al suo massimo livello.
La burla, lo scherzo, il gioco, la goliardia fanno ormai parte di
un’arte contemporanea che sempre più si distacca da quei
fattori che caratterizzano la cultura “seria”. In un panorama in
cui l’attendibilità è soppressa da un entusiasmo quasi isterico
per i frutti che l’arte, sopratutto postuma, porta con sé, non è
obsoleto continuare a parlare di “proprietà”? Quest’ultima è
consolidata dalla sua attendibilità; ma se essa viene a mancare,
per di più in un secondo momento, dove sta la differenza fra
una ruota esposta da Duchamp e una esposta da me? Non c’è
differenza a livello visivo, ma concettuale; e il concetto è
177
Conclusioni
convalidato solo quando la fonte e la figura dell’artista sono
attendibili. Se George Maciunas fosse stato ancora in vita
all’epoca dei fatti di Livorno, probabilmente avrebbe
organizzato una mostra dove esporre quelle stesse teste che
hanno svergognato l’autorevolezza dei vertici dell’arte
contemporanea.
Stewart Home lo ribadisce continuamente nel suo libro Assalto
alla Cultura. Abbattere “quel” tipo di cultura è oggi diventata
un’operazione virale, quasi involontaria. Hanno contribuito
fortemente i media che, avviando un vero e proprio processo
di simbiosi con un’arte libertina e consenziente, hanno
condiviso le loro icone, le loro tematiche, le loro idee sul modo
di concepire un altro tipo di cultura. Una cultura più
commerciale, più vicina al ceto medio e sempre più distante da
un’ideologia borghese che acclamava il nudo del David e
disprezzava un nudo di Klimt. Oggi un programma dissacrante
e ironico come Blob, che è riuscito a entrare nelle case degli
italiani, sarebbe stato per Fluxus la materializzazione di
un’utopia che prevede una fusione tra arte e quotidianità, verso
la possibilità di un’estetizzazione anti-Sistema nello stile di vita
di ognuno. Purtroppo l’innovazione, tecnica o simbolica,
spesso non è accolta con immediato entusiasmo. È accaduto ai
secessionisti di Vienna, che proponevano un’arte molto vicina
alla grafica e al design, ai dadaisti, per l’estremo minimalismo
delle loro opere, alla Pop Art, che classicizzava il prodotto di
consumo; infine, a Fluxus, Internazionale Situazionista,
Neoismo e Plagiarismo, per il loro carattere autosoppressivo,
cinico, contro le regole e la standardizzazione culturale.
Spesso un atteggiamento riconoscitivo, nei confronti di
un’innovazione, giunge molto dopo la nascita del movimento,
della corrente o del singolo individuo che la propone. Per
questo, tutto ciò che in un primo momento può risultare
indegno o oltraggioso, a una successiva riflessione diventa
178
Conclusioni
prima opinabile, poi, col tempo, accettabile o, nei migliori casi,
riconosciuto.
Personalmente ho provato la stessa cosa nei confronti del
Plagiarismo. Dapprima non vedevo altro che un’assenza di idee,
frutto di un rimestamento quasi obbligato di materiale già
esistente; una pretesa di affermare il proprio talento attraverso
un modus operandi assai discutibile.
Grazie, però, agli interventi della Alexander, di Baroni e di
Iaconesi, ho cominciato a intravedere nell’“arte del plagio” un
metodo, ma soprattutto un’etica legata a un concetto
estremamente solido, seppur inizialmente difficile da accettare.
L’originalità è un derivato delle esperienze passate.
Inconsapevolmente creiamo qualcosa che è implicitamente
caratterizzato da un bagaglio esperienziale sviluppato da
conoscenze altrui. Consapevolmente, invece, prendiamo in
esame, sfruttiamo, ricomponiamo, trasformiamo l’opera di
qualcun altro per fare emergere la nostra, che potrà essere
totalmente differente dall’originale. O più semplicemente, in
mancanza di creatività e di un’etica, copiamo spudoratamente
un’opera sperando di affermare un talento che in realtà non c’è.
Quando iniziamo a entrare nell’esercizio del plagio creativo
dobbiamo tenere a mente una questione fondamentale; c’è la
possibilità che qualche altro neoplagiarista possa copiarci. Non
possiamo non accettare questa realtà, poiché significherebbe
rinunciare a un’etica che prevede, in primis, la condivisione
culturale. “L’arte è un bene comune”, affermano i secessionisti
di Vienna; deve, cioè, essere fruibile e praticabile da tutti a
dispetto delle possibilità. Per loro, l’arte, in ogni suo aspetto,
deve essere caratterizzata dalla condivisione e dalla libera
circolazione. Chi vuole fare arte deve avere tutte le opportunità
per sviluppare un proprio stile, per aggiungere un tassello al
mosaico che la compone, secondo Marx.
A tal proposito, sono rimasto un po’ sbigottito, lo ammetto,
179
Conclusioni
quando per la prima volta ho visto il documentario Rip! A
Remix Manifesto (Brett Gaylor, USA, 2008, edito in Italia da
Feltrinelli); un’elegia moderna contro la proprietà intellettuale,
un’inchiesta in cui si usano termini come copyleft (un marchio
contrapposto al copyright), o “open source”, o “condivisione”.
Non avevo ancora finito di guardare il video, che detti
un’occhiata sul retro della copertina del DVD: e cosa lessi, tra
le altre cose?
“… Sono assolutamente vietati e sono punibili a norma di
legge la duplicazione e l’utilizzo per la visione in pubblico e la
diffusione via cavo/etere in quanto costituiscono violazione dei
diritti di copyright.”
Ora, non dico che, forse, dietro alla distribuzione del DVD ci
siano degli obblighi contrattuali che prevedono un certo tipo di
uso del prodotto. Credo solo che non si possa affermare con
forza un’ideologia comunitaria e di libera condivisione
attraverso dei canali che privatizzano un bene culturale (poiché,
a dispetto del “taglio” spesso ironico del video, è di questo che
si tratta). Ma allora perché non cercare un altro distributore,
che magari permetta la copia e il libero utilizzo del prodotto?
Oppure, non si potrebbe cercare di annientare la validità delle
normative con un avviso scritto? Per esempio, nell’articolo in
cui si finge Tom Vague, Stewart Home spinge il lettore a
copiare il testo e ad utilizzarlo come vuole.
In ogni caso, non appena il video farà la sua comparsa su
Internet, automaticamente diverrà condivisibile ed utilizzabile;
nessuno terrà più conto delle norme che ne regolano la
distribuzione; esso sarà copiato, remixato, “uploadato” su
μTorrent o su qualche altro software open source.
La libera circolazione è ormai inevitabile; il Plagiarismo, sotto
le mentite spoglie del “copia/incolla”, sfrutta appieno questo
180
Conclusioni
fenomeno e decreta la nascita di nuovo Sistema dell’Arte in cui
il plagio è legittimato dalle infinite possibilità creative che i
software mettono a disposizione.
Non posso prevedere se l’attendibilità prescinderà sempre più
dalla fonte, come conseguenza di una progressiva perdita del
controllo sulla proprietà intellettuale. Però posso affermare che,
in una società globalizzata, il Plagiarismo potrebbe finalmente
rivelarsi in un modo che non gli è stato ancora riconosciuto;
potrebbe divenire un vero e proprio movimento artistico che
trae ispirazione dai simboli di una comunità internazionale
sempre più eterogenea, che si arricchisce di nuove forme,
contenuti, pratiche e tematiche. Fattori, questi, che descrivono
e rappresentano intere comunità e culture specifiche. Pensiamo
ai primi esperimenti di “remixaggio”, che si collocano in un
ambiente urbano underground composto da etnie diverse con
valori e ideologie diversi tra loro.
Pensiamo ai remix dei primissimi anni ottanta, alla
plunderfonia, ai primi mash up e alle prime manipolazioni dei
dischi in vinile; tutte tecniche nate da esperienze multietniche
che, con il passare del tempo, si sono affermate con grande
successo nel panorama musicale internazionale.
Non dobbiamo dimenticare che l’arte rispecchia una società in
un tempo circoscritto: è un fenomeno inevitabile quanto il
progresso stesso, e il progresso è la copia delle cose già
avvenute.
Che lo si voglia o no, nel momento in cui creiamo siamo tutti
plagiaristi.
181
Conclusioni
Stefano Cortese, Giugno 2011
182
Conclusioni
183
Bibliografia e Webliografia
Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano,
Giunti Editore, 1999;
I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner
Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore,
1996;
Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura
dell’intero Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di
Mario Cassa, Sapere, 1974;
L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels, traduzione
di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000;
Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia
contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda,
Costa & Nolan, 1997;
Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche,
Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home,
traduzione di Luther Blissett, 2008;
Falso è Vero - plagi, cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,
Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler,
Aurora Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana
Lipperini, Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico
Mascelloni, Carlo Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John
Oswald, Static Output, Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998;
184
Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette
Sigilli, San Giovanni Apostolo;
Mind Invaders - come fottere i media: manuale di guerriglia e
sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000;
Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una
rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici,
1964;
Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore
Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001;
Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli
anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008;
…
http://www.lutherblissett.net
http://scream.deprogramming.us
http://amy-alexander.com
http://www.lastampa.it
http://www.stewarthomesociety.org
185
Ringraziamenti
Vorrei dedicare questa tesi a tutti, ma veramente a tutti. A chi
mi è vicino e a chi non lo è, chi mi è amico e chi meno, a chi ha
contribuito e mi ha sostenuto e a chi non ha fatto alcuna di
queste cose. Non so se quest’opera possa essere definita un
“traguardo”, ma per me è sicuramente qualcosa di importante
che merita di essere ricordata, tenendo presenti tutti coloro che
fanno parte della mia memoria, nel bene e nel male. Per creare
un bel mosaico ci vogliono tanti colori, anche quelli che ci
piacciono meno.
In primis dedico questo libro ai miei genitori, Massimo e
Vincenza, e alla mia ragazza Silvia per il loro costante,
prezioso e paziente sostegno, e per il loro appoggio morale e
pratico. E a chi, con la sua esperienza, mi ha permesso di
sviluppare una coscienza sui temi affrontati; perciò dedico
questo libro anche a Vittore Baroni, Amy Alexander, Salvatore
Iaconesi, Stefano Genick. Il loro intervento è stato per me
preziosissimo.
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