Arte del Plagio, il Plagiarismo verso una rivalutazione della copia
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Arte del Plagio, il Plagiarismo verso una rivalutazione della copia
0 - ARTE DEL PLAGIO Il Plagiarismo, verso una rivalutazione della copia di Stefano Cortese numero di matricola AMB17 relatore Massimo Cittadini corso biennale Net Art e Culture Digitali sessione esame di diploma 8 Luglio 2011 Accademia di Belle Arti di Carrara 2010/2011 Viareggio, Giugno 2011 si ringrazia per la gentile collaborazione (in ordine alfabetico) Amy Alexander Vittore Baroni Stefano Genick Salvatore Iaconesi Indice Introduzione L’arte è un bene comune Marx e Stirner Morris e Ruskin Il Dadaismo Rinnovare I baffi della Gioconda L’arte delle possibilità Legge 633 Il plagio come negazione della cultura Verso un’arte del plagio Taglia/Incolla We in 1984 Blob Saccheggio sonoro L’uso del plagio Vaticano.org e Luther Blissett Dalla guerriglia al pop: Scream Deprogrammazione POPlagiarismo Dov’è la fregatura? Esercizio creativo Vi sarete chiesti… “Plagiarism” e “Plagiarism” L’etica del plagio Il concetto plagiarista Conclusioni Bibliografia e Webliografia Ringraziamenti 6 14 18 21 23 27 31 35 40 47 59 60 67 78 81 88 93 95 98 100 106 111 113 118 127 151 176 184 186 “Il plagio è necessario. Lo implica il progresso.” Isidore Lucien Ducasse (Conte di Lautréamont), Poésies II, 1870 Introduzione Introduzione Ovidio e Shakespeare, 1984 (George Orwell) e We (Yevgeny Zamjatin), La Gioconda e L.H.O.O.Q.; prendendo in esame soltanto questi tre binomi ci accorgeremmo che poco della cultura dell’uomo è davvero originale. Dopotutto non potrebbe essere altrimenti. Le competenze di ognuno sono composte di produzioni, ideali e pensieri formulati da altri individui, primi fra tutti i nostri progenitori. È inutile e pretenzioso pensare che tutto ciò che produciamo non sia, anche in minima parte, riconducibile a un’ispirazione che trae le sue fonti dal passato; ed è molto difficile creare qualcosa di originale senza prendere in analisi le esperienze fatte in passato da altri. “Non sperate di avere successo senza copiare da altri autori”, così esordì il mio professore di Storia e Teoria del Fumetto, Ivo Milazzo (autore di Ken Parker) prima di cominciare la sua lezione. Sulle prime rimasi sbigottito e quasi indignato da un’affermazione del genere, fatta tra l’altro da una delle 6 Introduzione personalità più affermate del fumetto internazionale. Perché all’epoca pensavo ingenuamente che ogni mia creazione fosse frutto di una costante e dedita ponderazione delle mie capacità e di un’attitudine creativa che ritenevo inedita e personale; in sintesi, pretendevo di essere originale pur evitando di prendere in esame la possibilità dell’affermazione di Milazzo. Quello che ho scoperto nell’affrontare il tema del plagio, e del Plagiarismo, sbugiarda ogni mia precedente convinzione ed effettivamente svela la veridicità di ciò che passa sotto gli occhi di tutti ogni giorno, ma che tutti, sistematicamente, preferiamo non esaminare a fondo (e quindi partendo dalla fonte). Chiunque, almeno una volta nella vita, spera nell’unicità delle sue idee. Inizialmente vedevo il Plagiarismo come un modo rapido e astuto di speculare a spese dei valenti, originari autori; in realtà stavo commettendo un errore grossolano, poiché associavo il Plagiarismo al plagio basandomi semplicemente sulla somiglianza dei due termini, senza considerare che dietro ogni pratica culturale e/o artistica ci sia spesso un’etica. Vorrei introdurre il Plagiarismo partendo dai quei movimenti che hanno ispirato il suo “fondatore”, Stewart Home. Il Plagiarismo fa parte dell’ambiente anticulturale sociopolitico dei primi anni ottanta; è bene porre l’accento sull’aspetto artistico di questa corrente, poiché le controculture sono radicate negli anni precedenti la nascita del Plagiarismo e rispecchiano le necessità culturali di una certa parte della società. Si pensi al movimento hippie, al punk, o ancora alla Beat Generation, o al decadentismo. Le controculture sono caratterizzate da una collettività ideologica in contrasto con l’espandersi della cultura capitalista di un certo periodo storico, e sono sospinte da forti e influenti ideali politici e sociali. Molto spesso influenzano svariati settori, dalla moda al cinema e certe pratiche, slogan o frammenti ideologici vengono 7 Introduzione talvolta inglobati dal mercato internazionale o da quella cultura massificata contro la quale essi si oppongono. Anche il Dadaismo, identificato nella figura dissacrante di Marcel Duchamp, fa parte di queste controculture, pur mantenendo la nomea di “movimento artistico”. Qui, il concetto è reso palpabile nelle pratiche di decontestualizzazione attuate dallo stesso Duchamp, che di fatto immette nell’ambito della galleria d’arte oggetti di uso comune strappandoli a ogni loro funzione d’origine. La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, di cui Walter Benjamin esamina l’inevitabile progresso nel suo libro L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica. Egli, tra l’altro, include persino i grandi capolavori del passato in questo goliardico “rimpasto” della cultura artistica accademica. La Gioconda era, e rimane oggi, non solo il simbolo di tutta la storia dell’arte, per via dell’alone di misero che la circonda, ma è divenuta uno dei beni di consumo più remunerativi di tutti i tempi: cartoline, poster, cartoni animati, citazioni, etichette per alimenti, graffiti, e molto altro ancora. Duchamp dimostra attraverso una provocazione che l’arte, per quanto consacrata, non è intoccabile, ma interpretabile e quindi plasmabile. Oggi identifichiamo ne La Gioconda con i Baffi (L.H.O.O.Q.) il primo vero “plagio d’autore”, dopo il quale persino applicare o disegnare dei baffi, per canzonare qualcuno o qualcosa, è divenuta una pratica quasi tanto celebre quanto La Gioconda stessa. Duchamp non solo ostenta ciò che Benjamin ha confermato, ma introduce un elemento che già all’epoca è tipico delle moderne controculture. Il gioco, la spensieratezza del gesto artistico, la frivolezza del concetto, e soprattutto la satira, diventano le nuove modalità di una produzione artistica molto più vicina all’individuo medio di quanto non lo siano tutti i movimenti precedenti. Con il collage, un assemblaggio di elementi preesistenti o 8 Introduzione prefabbricati, gli artisti sperimentano un nuovo modo di comporre le loro opere, intensificando il legame tra concetto e materia. La Pop Art offre la possibilità di agire secondo questo criterio: l’uso del collage diviene una pratica diffusa in ogni campo artistico, dalla pittura alla musica. Basti pensare che il concetto di “collage” in musica è oggi conosciuto come remix. Tale concetto, però, non vede la luce durante gli anni della Pop Art, bensì si sviluppa molto prima. Il romanzo di George Orwell, 1984 (1949), è un chiaro esempio moderno di collage, o cut up. Si tratta di una tecnica che permette di copiare un testo cambiandone qualche parola, o frasi intere, o paragrafi, pur mantenendo lo spirito del testo copiato. Il quale, in questo caso, è il romanzo distopico We (1921) di Yevgeny Zamjatin. Se però intendiamo esaminare più specificatamente l’associazione “Plagiarismo-plagio” allora dovremmo citare alcune opere “plagiariste” di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, in cui il plagio non si ferma alla semplice appropriazione di materiale protetto da copyright, ma a una rivalutazione e ricontestualizzazione di esso. Non si tratta più dei ready-made duchampiani, oggetti quotidiani strappati alla loro funzione e inseriti in un circuito culturale. La Pop Art agisce a livello “popolare” esponendo oggetti e icone riconoscibili da chiunque con qualsiasi predisposizione culturale; perciò anche queste prime opere plagiariste non sono del tutto decontestualizzate, poiché vengono comunque inserite in un contesto culturalmente medio, esattamente come quello da cui provengono i ritagli di vignette Marvel di Lichtenstein o il Popeye di Warhol. Stewart Home, ricordiamo, fa parte dei movimenti anarchici e partecipa tuttora all’attivismo politico, per cui è logico supporre che ogni sua produzione, compresa quella letteraria, sia strettamente collegata a questi due aspetti. I quali plasmano 9 Introduzione la sua vita fin dall’adolescenza, spingendolo ad abbandonare gli studi e le scuole, da lui visti come luoghi di manipolazione culturale. Il suo bagaglio intellettuale e artistico si basa sui movimenti Fluxus e Internazionale Situazionista, dai quali apprende che ogni opera viene ridimensionata dal contesto in cui è inserita e che acquista corpo dal momento in cui il concetto prende il sopravvento sulla materialità, scontrandosi con l’etica dei canoni accademici classici. Vede nella soppressione dell’arte, come ultima vera opera, il giusto incentivo che lo porterà a formare un movimento suo che, dalle radici del Neoismo, prenderà il nome di Plagiarismo. Esso si distingue dal comune plagio, e separa nettamente il plagiario dal plagiarista, in quanto presenta una predisposizione al gioco, cioè a quell’aspetto ludico dell’arte che nella contemporaneità è stato completamente ignorato in favore di un ritorno all’esclusività culturale del museo, della galleria e alla figura dell’artista quale mecenate di se stesso. Il gioco permette al plagiarista di produrre una satira apparentemente frivola e “disimpegnata” contro il sistema culturale artistico che regola le leggi del mercato contemporaneo. Tali leggi, tra le quali il copyright, traggono vantaggio da un ritorno all’esclusività del bene culturale, soprattutto di massa (e quindi un bene di consumo ormai privo di un’”aura”). Home non accetta di far parte del sistema capitalistico occidentale che regola ancora il mercato artistico odierno, e decide di reagire aderendo, tra le altre cose, a uno Sciopero dell’Arte proposto dal gruppo Praxis, e che avrebbe dovuto svolgersi dal 1990 al 1993. In ballo vi sono l’abbattimento delle gerarchie imposte dall’arte a livello sociale e il ritorno a un’arte che renda collettiva la proprietà intellettuale. Su quest’ultimo punto, secondo il parere di Vittore Baroni, è fondamentale porre particolare attenzione, poiché l’identità stessa dell’artista può essere resa “collettiva”. 10 Introduzione Monty Cantsin e Luther Blissett sono entità, composte da un numero variabile d’individui, che creano certamente confusione circa la questione sulla “proprietà”, in quanto non è possibile identificare in un’opera collettiva lo sforzo creativo del singolo individuo. L’adottamento di tale metodo crea inevitabilmente un détournement, una diversione culturale antialienante; pratica politico-artistica già elaborata all’interno di Internazionale Situazionista. L’“elemento plagiarista” nel nome collettivo risiede nell’appropriazione indebita, ma effettivamente legale, del nome stesso: creare opere firmandole Luther Blissett, senza temere alcun procedimento penale, contribuisce ad accrescere tanto il depistaggio quanto la visibilità del collettivo stesso e delle opere da esso prodotte, dando progressivamente corpo a una vera e propria istituzione socioculturale distaccata dal Sistema. Il Plagiarismo è riconducibile, sia dallo stesso Luther Blissett sia dal giornalista/scrittore Tom Vague, a un esercizio fortemente creativo più che a un vero e proprio movimento artistico o sociale; ciononostante rispecchia le stesse modalità di una pratica universalmente ritenuta illegale, immettendole però in un circuito etico che, dalla sfera dell’arte, ormai ritenuta popolare (e quindi di massa), trasferiscono il Plagiarismo nel panorama sociale. Poiché il plagio è sempre esistito e ha sempre in qualche modo giustificato una crescita e un avanzamento culturale nella storia dell’uomo (comunemente i brevetti scientifici vengono copiati e migliorati per creare nuovi prodotti). Ciò che il Plagiarismo mette in luce, invece, è un’“etica del plagio”, non scritta, attraverso la quale il neoplagiarista manipola e crea nuove situazioni da elementi preesistenti o da opere concepite e prodotte da altri. Le nuove realtà che scaturiscono da questo esercizio creativo si presentano completamente differenti dall’originale: le prime 11 Introduzione sperimentazioni nel rap e nell’hip-hop degli anni ottanta si avvalgono spesso di basi musicali prese da altri gruppi, una pratica che in seguito viene modificata con il mash-up, sovrapposizione di due diversi brani per comporre un’unica traccia musicale, e il remix. Lo sviluppo di queste nuove metodologie è identificabile all’interno del panorama della cosiddetta “cultura underground”, in cui John Oswald e Negativland iniziano a produrre i loro primi “collage musicali”, o plunderfonie: un contesto più che stimolante per rimettere in campo argomenti quali la lotta di classe, la proprietà culturale e l’anticostituzionalità delle restrizioni sul diritto d’autore. Oggi il Plagiarismo è quasi del tutto sconosciuto; in fondo si è trattato di un fenomeno di breve durata, che persino al suo apice non ha avuto forti riscontri. D’altra parte sarebbe pretenzioso, nell’era di Internet, delle reti peer-to-peer, dei motori di ricerca, tentare di mantenere un’aura culturale “alta” che differenzi il Plagiarismo dal comune esercizio creativo che oramai chiunque mette in atto, copiando e incollando materiale preso in rete. Le nuove tecnologie hanno messo il punto sulla pratica ideata da Home. Qualche anno fa non esistevano software in grado di facilitare la rielaborazione di materiale altrui. Per ottenere un mash-up era necessario srotolare i nastri delle cassette e tagliare e incollare con forbici e colla, ed anche così facendo il risultato finale non era poi così soddisfacente. In quegli anni il Plagiarismo è ancora una sperimentazione riservata a pochi praticanti. Oggi non è più così. E forse il Plagiarismo non è del tutto scomparso; forse è stato inglobato da un nuovo contesto socioculturale che vede nella copia una prassi creativa. Che il Plagiarismo abbia “plagiato” la quotidianità? 12 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Capitolo 1 L’arte è un bene comune Idee sullo sviluppo dell’arte da Marx a Warhol Già nelle prime sperimentazioni di Art Nouveau si riscontrano similitudini tra artisti e artigiani, tanto nel modus operandi quanto nelle metodologie di produzione. “Produzione”, come se l’arte sia improvvisamente sfociata nel più materiale campo del lavoro, in questo caso dell’artigianato; come se alla fine del diciannovesimo secolo si rimettesse in discussione ciò che nel tardo quattrocento sembra essere stato appurato, e cioè che l’artista non è un artigiano, poiché trascende la materialità dell’opera verso una simbologia e concetti estranei ai “lavoratori dell’arte”. “Ci rivolgiamo a voi tutti, senza guardare alla classe sociale o alla condizione economica. Non conosciamo la differenza tra “arte maggiore” e “arte minore”, tra l’arte per i ricchi e l’arte per i poveri: l’arte è un bene comune”. (estratto dal Manifesto della Secessione Viennese, 1897) 1 14 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Dal Manifesto della Secessione Viennese scaturisce un modo nuovo di interpretare non solo l’arte, ma il ruolo e la figura dell’artista, che si dedica a diversi campi divenendo uno sperimentatore delle arti, una sorta di alchimista moderno che intreccia metodi, tecniche e contenuti in nome di un’arte totale in cui si rimuovono le barriere tra arti minori e maggiori, tra artisti e artigiani. Questa è l’essenza democratica già riscontrata nel filone politico marxista dell’epoca, che si ripercuoteva in ogni campo per eliminare le tensioni derivate dalle lotte di classe. Al programma secessionista aderiscono Gustav Klimt, Josef Engelhart, Carol Moll, Otto Wagner, che evitano, assieme a scrittori, poeti e critici d’arte, di formulare un vero e proprio manifesto come effige di un pensiero comune; tale manifesto resta generico dal punto di vista ideologico, ma concreto in termini di praticità. Alla fine del diciannovesimo secolo il conservatorismo delle caste più alte della società impedisce ancora uno sviluppo multidirezionale dell’arte, consolidata in quei canoni accademici fruibili solo da un certo livello sociale e culturale. Nel 1894 viene a crearsi una vera e propria istituzione composta da alcuni giovani che ipotizzano una società in cui la censura e non la sperimentazione artistica non sarebbe più stata fattore degradante tanto per l’esperienza artistica quanto per quella libertà di espressione già intravista, secondo loro, da Monet e Degas; ovvero la labilità della rappresentazione e l’emancipazione del contenuto. A scatenare il distacco è proprio l’atteggiamento rigido dei conservatori, che per ragioni morali impediscono a un impressionista, tale Josef Engelhart, di esporre un nudo 15 Capitolo 1 L’arte è un bene comune femminile 2. Un atteggiamento contraddittorio, se pensiamo che quei conservatori tessono le lodi del nudo artistico classico del David di Michelangelo. A prova di ciò si allestiscono mostre e padiglioni espositivi in cui spiccano i nudi e le provocazioni figurative, concettuali e stilistiche di Klimt. L’innovazione è tangibile, poi, se prendiamo in esame uno dei fattori più “democratici” in termini di “opera d’arte”, ovvero l’arte applicata, già ampiamente diffusa nell’Art Nouveau. I padiglioni secessionisti sono tappezzati di locandine, di copertine e manifesti di Tolouse Loutrec, Ludwig Moser e Klimt; tali opere dimostrano la versatilità dell’arte in un contesto aperto alla ricerca di uno stile nuovo e riconoscibile, con gli stessi presupposti di un comune manifesto pubblicitario. Moser, fra tutti, riesce in un modo del tutto armonioso a compenetrare scritto e decorazione, facendo sì che il carattere tipografico diventi parte di un’unità a metà strada tra le miniature amanuensi e i caratteri liberty. Un’arte democratica che necessariamente deve abbandonare il canone accademico per risultare fruibile da tutti. A prova di ciò vengono organizzati, durante le mostre, visite guidate a prezzo ridotto e con catalogo in omaggio, per tendere una mano anche a coloro i quali pensano, fino a quel momento, all’arte come a un surplus della società e a un bene di lusso. Un’arte accessibile a tutti tanto nei musei quanto per le strade, incoraggiata, inoltre, da una serie cospicua d’incarichi pubblici commissionati da un Governo occupato a tenere a bada il nazionalismo che logora il vecchio Impero. Un Governo che vede nello spirito cosmopolita dei secessionisti un mezzo per calmare le acque. Ciò che distingue in maniera rivoluzionaria l’arte viennese dall’Art Nouveau, è la reinterpretazione della linea, della forma di uno stile parsimonioso e funzionale che, secondo lo storico dell’arte Alois Riegel, consolida la parità tra arti decorative e 16 Capitolo 1 L’arte è un bene comune .Manifesto della Secessione Viennese 17 Capitolo 1 L’arte è un bene comune figurative. È l’armonia della forma nella semplicità delle geometrie basilari a dare funzionalità a oggetti di uso comune. Artista e artigiano firmano assieme l’oggetto che nasce dall’unione dell’idea del primo e dalla lavorazione e ricerca dei materiali del secondo: un connubio che va sempre più sfaldandosi con la fine del Rinascimento. .Marx e Stirner In precedenza, nella prima metà dell’ottocento, Johann Kaspar Schmidt, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Max Stirner, ammette la validità dell’organizzazione del lavoro solo per l’uomo “comune”. Vede nell’uomo un elemento della società deliberatamente escluso dall’ordinario, un “unico”. Egli afferma che “nessuno può sostituire i lavori di Raffaello” 3, mentre Karl Marx gli contrappone un ordine sociale in cui a nessuno si richiede di lavorare come Raffaello, ma in cui chiunque, dimostrando un certo talento, debba avere il diritto e la possibilità di esprimersi senza impedimento o censura alcuna. Marx nega sia la ristrettezza di uno sviluppo professionale dato dalla dipendenza alla divisione del lavoro, sia all’unicità e l’originalità del lavoro artistico in una società massificata dalle conseguenze della divisione del lavoro. Nel 1848 questi pensieri passano nel Manifesto del Partito Comunista 4, in cui si esige il libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti. Si tratta di un’intuizione ideologica in linea con le successive tematiche della Secessione 18 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Viennese, in cui è possibile riscontrare ampiamente il pensiero marxista secondo cui, in definitiva, l’arte, per potersi sviluppare, deve essere necessariamente un bene comune svincolato da restrizioni contenutistiche. Marx sostiene che, dall’antichità fino ad oggi, l’abilità artistica sia sempre presente soltanto in singoli individui particolari e non nel resto dell’umanità. Ciò è dovuto a quella divisione del lavoro che ha sempre accompagnato la storia e che sarà mandata in pezzi dalla rivoluzione comunista: “La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro.” 5 In una simile prospettiva, Marx non prende in considerazione chi, come Stirner, pensa di poter spiegare la grandezza di Raffaello facendo riferimento soltanto al suo genio individuale, prescindendo completamente dalle condizioni oggettive in cui egli poté fiorire. Scrive significativamente Marx: “Raffaello, come ogni altro artista, era condizionato dai progressi tecnici dell’arte compiuti prima di lui, dall’organizzazione della società e dalla divisione del lavoro nella sua città e infine dalla divisione del lavoro in tutti i paesi con i quali la sua città era in relazione. Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo talento dipende completamente dalla divisione del lavoro e dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano.” 6 Nella società divisa in classi e permeata dalla divisione del lavoro, è normale, spiega Marx, che vi siano individui destinati a fare gli artisti e altri a fare gli operai. Tuttavia, quando si sarà superata la divisione in classi e la divisione del lavoro, quando 19 Capitolo 1 L’arte è un bene comune cioè si sarà instaurata la società comunistica e ogni individuo sarà un individuo “onnilaterale”, che potrà cacciare, dipingere e pescare, secondo il proprio capriccio, ecco che, secondo Marx, sparirà la figura dell’artista, come del resto sparirà ogni altra figura di lavoratore parziale e limitato. Più precisamente, secondo Marx: “In un’organizzazione comunistica della società in ogni caso cessa la sussunzione dell’artista sotto la ristrettezza locale e nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e la sussunzione dell’individuo sotto quest’arte determinata, per cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro.” 7 Nessuno sarà più inchiodato alla sfera di attività particolare che gli è attualmente imposta e potrà finalmente svolgere le attività più disparate, tra cui quella artistica: in questo modo, secondo Marx, l’uomo potrà finalmente recuperare la propria essenza di “ente generico”, ossia di ente non geneticamente prefissato a creare a una sola forma di oggettivazione sociale. Di qui la nota conclusione che trae Marx: “In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più uomini che, tra l’altro, dipingono anche.” 8 Solo quando sarà definitivamente superata l’alienazione sarà finalmente possibile un’esperienza estetica a trecentosessanta gradi, perché è solo allora che potranno finalmente svilupparsi pienamente, in maniera illimitata, i sensi dell’uomo: tutti gli uomini potranno fruire dell’arte, e tutti potranno contribuire a crearla. 20 Capitolo 1 L’arte è un bene comune .Morris e Ruskin Per distaccarsi definitivamente dalla produzione di massa sempre più pressante, William Morris, pittore e scrittore vicino ai secessionisti, teorizza e dona nuova linfa ad una ritrovata unione tra arti maggiori e arti minori, tra artista e artigiano, verso una nuova concezione di arte come simbolo del distacco dalla produzione seriale e dall’industria. Morris è ispirato dalle tesi anti-industriali del critico e scrittore John Ruskin, il quale afferma: “Il mondo non può diventare tutto un’officina... come si andrà imparando l’arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose belle sono anche necessarie.” 9 In questo tentativo è possibile riconoscere la volontà nel raggiungere un’arte totale, già teorizzata da Richard Wagner, in cui vengono abbattuti i muri creati dall’eterogeneità dei generi artistici e delle categorie sociali. Il modello proposto da Morris è simile a quello medievale, quando, per sua stessa dichiarazione, “tutti gli artigiani erano artisti, e artisti dovremmo ricominciare a chiamarli”. È dunque chiaro che i secessionisti interpretino l’epoca medioevale come uno stato ideale che non conosce le contraddizioni tra bello e brutto, causate dall’utilitarismo cresciuto con l’avvento del Rinascimento; ma qui sorge una contraddizione. Morris rifiuta di ammettere l’inevitabile aristocratismo del suo 21 Capitolo 1 L’arte è un bene comune tentativo, pur rifiutando la produzione di massa in nome di un impegno da parte degli artisti/artigiani nel contrastare l’esclusività dell’arte. Inevitabilmente, però, una produzione condotta su base artigianale non è accessibile al vasto pubblico, per quanto possa essere raffinata, funzionale, innovativa. Il concetto estensivo di “arte totale”, che vuole fare di ogni oggetto un oggetto d’arte, risulta eccessivo ed inflazionistico, soprattutto in una società che predilige l’economicità del prodotto seriale. L’utopia di Morris sembra ormai un romantico avvenire, un ritorno a quell’epoca priva di contraddizioni che lui identifica addirittura nel medioevo, quando l’artista era artigiano e le sue opere erano frutto di quel miscuglio di arte e scienza che contribuivano a rendere l’arte la simbiosi di tutte le discipline: un’arte totale, appunto. Nella seconda metà dell’ottocento si assiste al ritorno della committenza pubblica: disegni per francobolli, per valute, insegne, facciate di pubblici edifici. L’arte ritorna nelle strade e tende la mano al cittadino, che ora ne contempla una nuova formalità, rinvigorita anche al di fuori di ciò che finora era stato un contesto consolidato: il museo. Adolf Loos, architetto secessionista, protesta apertamente contro l’idea romantica di Morris, affermando di non voler essere ostile verso l’arte in sé, ma di sostenere un’idea rigorosa ed esclusiva dell’opera e quindi attaccando l’esibizionismo formale che cerca di mettersi in mostra su ogni oggetto; stesso concetto che, in futuro, i dadaisti radicalizzeranno, privando quasi del tutto l’arte di quell’aura culturale che la distingue. 22 Capitolo 1 L’arte è un bene comune .Il Dadaismo Il ready-made simboleggia un’esclusività fortemente associata alla decontestualizzazione. Marcel Duchamp dà all’oggetto un’autorità (un’”aura”, tanto per citare Walter Benjamin) che non possiede come prodotto pensato appositamente per il mercato; lo isola, ponendolo su quello stesso piedistallo che fu il simbolo del distaccamento tra oggettività e opera d’arte o, in parole povere, della stratificazione sociale. Duchamp offre una gamma infinita di possibili interpretazioni, un pluralismo semantico contenuto nelle figure assolutamente riconoscibili dei ready-made, sostenendo che ogni cosa viene rideterminata dal suo ambiente. Una tendenza di spiccato valore borghese che va sempre più prendendo piede, infatti, è la beatificazione della mano. Il distacco con i canoni accademici non potrà mai del tutto avvenire se si continua a vedere nel pennello l’unico giusto metodo, e non solo un semplice strumento del fare arte in nome di un’idea. Secondo il poeta Guillarme Apollinaire: “Uno può dipingere con quello che vuole, con i fischietti, i francobolli, con le cartoline e le carte da gioco, con pezzettini di tela cerata, con giornali o con la carta da parati.” 10 Apollinaire è in accordo, quindi, anche con i Secessionisti, secondo cui l’arte deve subire una “sdivinizzazione” per potersi liberare. Egli aggiunge un ulteriore mezzo contro la canonicità e la stereotipizzazione dei procedimenti artistici classici, andando addirittura oltre l’ideologia secessionista di rendere l’arte “per tutti”. 23 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Apollinaire suggerisce un’arte “con tutto”, contro sia l’estetica dell’opera, sia l’estetica nel realizzare l’opera. Ovviamente la denuncia non riguarda solo la pittura, poiché ciò comporterebbe un ritorno alla classificazione delle varie discipline e andrebbe contro ogni idea nel raggiungimento dell’arte dell’anti –stratificazione; ma andiamo per gradi. Come già accennato, i ready-made non sono altro che oggetti di uso comune strappati alla loro funzione ed uso originari ed inseriti in un ambiente a loro estraneo, decontestualizzati. Duchamp anticipa ciò che Piero Manzoni porterà all’eccesso con la sua Merda d’Artista, sconfessando la sacralità non solo del pensiero e dei concetti della figura dell’artista, ma anche la sua corporeità, la produzione dell’artista in ogni sua manifestazione, compresa, appunto, quella corporale. Manzoni proclama “sono un artista: tutto ciò che produco è arte”. Estremizza, radicalizza un modo di fare arte concettuale rendendo chiunque un potenziale artista o spingendo ad autoproclamarsi tale. Siamo di fronte, in parte, al ritorno di una qualche specie di categorizzazione sociale, sebbene Duchamp renda il suo ruolo più goliardico e irriverente nei confronti della venerabilità dell’arte contemporanea, inclusa quella concettuale. Egli diviene portavoce dell’estremo realismo di un movimento più sociale che artistico, più filosofico e ideologico che estetico e materico; la realtà non viene restituita al soggetto dalla tela, l’assenza dello strumento artistico quale il pennello diviene manifestazione intangibile del completo distacco tra canone e sperimentazione. E se da una parte vi è la rinuncia parziale o meno alla manipolazione artistica della realtà oggettiva e della materia, dall’altra l’estremo realismo scaturito dagli oggetti esposti in quanto tali dona ai ready-made una palpabilità che la semplice rappresentazione non può offrire. Dada promuove l’antiestetismo in nome di un ritorno alla 24 Capitolo 1 L’arte è un bene comune purezza delle forme preesistenti in natura, e quindi contro quel pensiero industrializzato secondo cui l’arte estetizza e formalizza ogni prodotto dell’uomo. Prodotto che nella società di massa perde ogni legame con i principi dell’opera d’arte e diviene semplice oggetto d’uso. Morris vorrebbe abbattere le barriere erette dall’esclusività dell’opera e del mondo dell’arte, mentre Loos protesta contro la visione di una società in cui qualsiasi oggetto può essere esibito come opera d’arte. Duchamp va oltre, conferendo ad oggetti quotidiani quell’aura che scaturisce solo in presenza dell’intervento dell’artista. Come la scintilla che dal nulla diede modo alla vita di potersi sviluppare, un concetto e un’idea quale produzione dell’artista dona nuova linfa al soggetto scelto (in questo caso già esistente) innalzandolo ad opera pur mantenendo intatta l’assenza di ogni tipo di rappresentazione o intervento artistico: l’oggetto è soltanto semplicemente decontestualizzato. A tal proposito cito Hans Arp, poeta e scrittore: “La legge del caso che comprende in sé tutte le leggi, inafferrabile come la causa prima da cui si origina la vita, ora può essere sentita abbandonandosi completamente all’inconscio. Chi segue questa legge, io sostengo, crea vita pura.” 11 Si può dire che il Dadaismo, quindi, trascende la concezione canonica di arte appellandosi soprattutto alla casualità, all’istinto, al corso naturale delle cose; contro l’ottimismo progressista dei futuristi, i dadaisti pongono attenzione alla riflessione, alla contemplazione del mondo e alla rivalutazione del caso (e del caos). Quando Hans Arp dispone dei pezzi di carta strappata secondo leggi casuali, non solo entra nell’ambito dell’astrazione, ma in 25 Capitolo 1 L’arte è un bene comune quell’ambiguo confine in cui “arte senza fatti” regredisce in “fatti senza arte”. Alla luce di questo verrebbe da porsi un semplice quanto interessante quesito: chi e in che modo proclama l’artista tale? La Fontana di Duchamp e la Merda d’Artista di Manzoni potrebbero rappresentare il ritorno di una nuova .La Fontana, Marcel divisione di classe tra artista ed Duchamp individuo. Si tratta, effettivamente, di barriere quando una produzione esplicitamente corporale di un uomo diviene automaticamente opera d’arte, grazie ad un concetto frutto di una mente artistica. Affermare il contrario dimostrerebbe un’ipocrisia ideologica che rende chiunque capace di produrre .Merda d’Artista, Piero opere d’arte a discapito di un effettivo Manzoni talento. Le convinzioni di Manzoni, per quanto si dimostrino in accordo ai concetti di Duchamp, in termini di produzione artistica, differiscono dal pensiero autodistruttivo dei dadaisti in generale l’impeto antiartistico impediva loro di atteggiarsi a geni, le loro produzioni dimostravano valori che si annullavano a vicenda e che contribuivano all’auto-soppressione dell’arte stessa. Duchamp mette in mostra opere d’arte rese tali da un’artista che non è più un’artista. Si può intuire la natura puramente concettuale di ogni ready-made, tenendo presente la loro funzione originaria; quando il concetto in essi verrà a galla inevitabilmente Laura di cui l’opera è pervasa e l’autorevolezza della figura dell’artista sprofonderanno. 26 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Dada perciò mescola i pensieri di Morris e di Loos e, attraverso le loro teorie, mette implicitamente in luce un atteggiamento tipico della cultura occidentale, divisa tra buon gusto e venerazione dell’arte in quanto tale; attraverso tali concetti dunque si rielabora una rivalutazione della purezza estetica presente solo in natura. .Rinnovare “ …La cospirazione culturale neoista incoraggia il Plagiarismo perché il Plagiarismo fa risparmiare tempo e fatica, migliora i risultati e sviluppa l’iniziativa da parte del singolo plagiarista…” (estratto dal Primo Manifesto Internazionale Neoista, contenuto nei Manifesti Neoisti, Stewart Home, 1987) 11 Stewart Home la chiama “grande vantaggio” nel suo Primo Manifesto Internazionale Neoista e gli 01.org, seguendo il filone ideologico e culturale della Net Art, ne fanno il cardine della loro intera produzione sostituendola con l’ironia, con la beffa, con il gioco: è l’assenza del talento. È proprio di questo che si parla, se andiamo a rielaborare tutto ciò che il panorama artistico moderno ci ha offerto fino ad oggi in larga misura, dal Dadaismo fino al Postmodernismo. È il connubio tra sperimentazione e gioco che permette all’artista di liberare il proprio pensiero, di trasporre materialmente la propria sfera 27 Capitolo 1 L’arte è un bene comune sensoriale. L’arte si è fatta sempre più “leggera”, talvolta frivola, libertina e provocatoria. Koons con i suoi vistosi conigli cromati, Calder con i suoi mobiles, solo per citarne alcuni; gli artisti hanno lasciato libero sfogo ad un’attitudine del tutto estranea, se non addirittura sacrilega, all’approccio borghese per le belle arti. Seguendo e perpetrando, fino ad esasperare i concetti dell’idea dadaista, si ritrova la freschezza del gesto ludico, l’innocenza intrinseca dell’istinto scaturita dal rifiuto dagli stereotipi propugnati dalla cultura tradizionalista. Si ritrova il desiderio di giocare tanto con la propria creatività quanto con il proprio talento, spesso ridicolizzando l’estetica a vantaggio di una ricerca concettuale approfondita e complessa, talvolta avulsa o addirittura assente; tutto per un bisogno irriverente di autoironia, parodia, satira. Un concetto in sé non ha valenza artistica poiché chiunque è teoricamente in grado di elaborare le proprie idee seguendo metodologie personali. E inoltre chiunque può esporle nel modo che ritiene più congeniale secondo la propria natura. Un’artista ha la capacità di dare forma ad un concetto agendo secondo pratiche fornitegli dalla sua esperienza culturale. Nel Rinascimento il talento è il frutto della capacità di riprodurre la realtà seguendo anche un metodo scientifico appreso da studi applicati e specifici. L’elemento chiave dell’intera produzione artistica dell’epoca è, come lo chiameremmo oggi, il fotorealismo. L’arte è ancora considerata un prodotto d’elite, appartenente ad una sfera culturale accessibile ai meno. Eppure essa nasce dalle frenetiche mani di appassionati bottegai che decidono deliberatamente di applicare le proprie capacità espressive alla materialità dei colori, del marmo, della carta, eccetera. D’altro canto la committenza esige un livello qualitativo raggiungibile soltanto attraverso uno studio scrupoloso dell’anatomia, della 28 Capitolo 1 L’arte è un bene comune geometria e persino della chimica. L’apprendimento e la pratica di ogni disciplina sono mirati ad una rappresentazione più che mai fedele alla realtà, una prerogativa quasi necessaria, in mancanza di meccanismi di riproduzione del reale. Benché esista una canonizzazione del modus operandi, alcuni artisti fanno della sperimentazione un’arte a sé, poiché le risorse espressive dell’uomo non si racchiudono entro regole matematiche, ma al contrario sono interpretabili e possono svilupparsi in uno stile al quale associare il proprio nome. La tecnica pittorica di Caravaggio, ormai universalmente riconosciuta, non è l’unica innovazione che l’ha reso celebre; non bisogna dimenticare che un rapporto tra materia e pensiero, che sia caratterizzato da concetti solidi e ragionamenti inconfutabili, prescinde il livello culturale e l’etica di chi lo mette in atto. Caravaggio traspone la società in cui vive, con i suoi costumi e le sue figure, in rappresentazioni fino a quel momento canonizzate; critica sottilmente la sua società inserendola in un contesto dislocato temporalmente. La Vocazione di San Matteo e La Cattura di Cristo sono chiari esempi di questa trasposizione, e in essi potremmo addirittura riscontrare una critica contro il Sistema che a oggi risulterebbe “controculturale”. La storia dell’arte, in particolare, ci insegna che molte innovazioni non trovano quasi mai quell’immediata accoglienza riservata a “normali” fattori di crescita socioculturale. Oggi la provocazione è la chiave per la “visibilità rapida”. Spesso incompreso e prontamente condannato, tuttavia il desiderio di provocazione getta le basi per nuove modalità, strumenti, tecniche e sperimentazioni artistiche. Da molti considerato come l’“orlo del baratro” della creatività, il Dadaismo è il primo movimento che rende la decontestualizzazione il metodo portante attraverso cui si produce arte. 29 Capitolo 1 L’arte è un bene comune .La Vocazione di San Matteo, Caravaggio .La Cattura di Cristo, Caravaggio 30 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Le opere si legano indissolubilmente al concetto che l’artista trae per esse, comunicando diversi fattori, come la sua personale opinione sul panorama politico e sociale della società in cui vive. I barattoli di zuppa Campbell e le bottiglie di Coca-Cola riprodotte da Andy Warhol confermano questa teoria. L’opera diviene lo specchio di un contesto di cui l’artista prende atto, plasmandolo con un metodo che comunichi l’unione tra stato d’animo e idea. Un metodo che spesso si trasforma in un’esca per attirare l’attenzione di un pubblico sempre più vasto, che riconosca nelle opere simboli e icone alla portata del proprio livello culturale. Massificare l’arte equivale a privarla di un’esclusività che William Morris tentò invano di arginare e che Walter Benjamin predisse. La perdita dell’“unico” vede nella produzione seriale un accostamento tra opera e bene di consumo, che si concretizza nel ben più popolare “oggetto d’arte”. Oggi chiunque può usufruire dei mezzi necessari per creare qualcosa, non importa cosa; poiché il flusso d’informazioni messo a disposizione dai media e da Internet è virtualmente infinito. Su quest’ultimo punto sorge però una problematica, che ridefinisce il concetto di “arte” come prodotto di software che permettono lo sviluppo creativo di qualsiasi utente. L’artista non è più colui che produce opere, ma colui che fornisce i mezzi. .I baffi della Gioconda 31 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Il concetto che Stewart Home, fondatore del Neoismo, mette in dubbio, col suo cinismo, ciò che fino a poco tempo fa pensavamo fosse il motore della creazione artistica: vale a dire il talento. Home afferma che “il bello del Plagiarismo è l’assenza del talento” 12. È praticamente vero, poiché chiunque possiede un computer è in grado di fare copia/incolla. Chi vuole plagiare riconosce in una fonte la credibilità e l’originalità del contenuto senza soffermarsi su concetti come “giusto” o “sbagliato”. Esiste però un metodo, un’etica del plagio? È possibile sfruttare tale attitudine in modo creativo, culturalmente valido, moralmente accettabile? Generalmente il plagio in sé, come sappiamo, è un reato perseguibile penalmente e, anche nel caso in cui si riveli implicito o ben nascosto, esso è comunque disprezzato dalla comunità (ma anche da quegli artisti che del Sistema Merceologico fanno un’arte). Duchamp intuisce che screditando diversi fattori, come l’universalità di un dipinto come la Gioconda e la figura stessa di artista quale conservatore di talenti accessibile ai meno, si sarebbe raggiunta una nuova concezione dell’arte. Ridicolizzandola e sminuendola diviene null’altro che uno svago realizzato con poco; opere prodotte in un contesto del genere appaiono pretenziose, create appositamente per soddisfare l’ego di acquirenti e critici. E, inevitabilmente, l’artista diventa commerciante. Con il Dadaismo si attacca apertamente il Sistema dell’arte e le sue intoccabili tradizioni, andando a sconvolgere direttamente i canoni classici che fino a quel momento secessionisti e futuristi avevano condannato solo per iscritto. Si gioca con irriverenza con l’opera maestra di Leonardo Da Vinci applicando, a mo’ di firma, un paio di baffi al volto della Monna Lisa. Duchamp mette in luce la riproducibilità tecnica dell’opera nel 32 Capitolo 1 L’arte è un bene comune modo più semplice e allo stesso tempo pericoloso, e comincia la sua campagna verso l’inevitabile destino dell’arte: la sua auto soppressione. Egli non si definisce artista, ma messaggero dei nuovi sistemi sociali. Duchamp è artista solo per chi riconosce nelle sue opere un connubio tra concetti, tematiche e tecniche che condussero alla produzione (o appropriazione) di oggetti come i ready-made. Ostenta volontariamente la mancanza o la perdita di quel talento che nell’eccellenza e nella creatività trova la sua massima espressione. Alla fine degli anni venti si sta avverando ciò che i secessionisti perseguirono per il raggiungimento di un’arte per tutti; ma, contrariamente alle loro utopiche previsioni, che escludevano l’avvento di un contesto merceologico-industriale, l’arte diventa mercato. Qui non il talento, ma la novità è l’elemento maggiormente riconosciuto e apprezzato. Naturalmente, dove la novità può fare a meno del talento, il mercato si amplia, poiché chi non possiede la tecnica può comunque produrre qualcosa di concettualmente valido, riducendo l’estetica a opzione. L.H.O.O.Q. è l’emblema di questo nuovo Sistema, insieme con opere come La Fontana o La Ruota di Bicicletta. La provocazione esplicita dei ready-made suscita interesse nel bene e nel male. Tutti .L.H.O.O.Q., Marcel Duchamp 33 Capitolo 1 L’arte è un bene comune questi oggetti possono essere inclusi nell’ideologia tipica della comune pubblicità. Non importa il modo in cui se ne parla, basta parlarne. Malgrado L.H.O.O.Q. remi contro tutti i “dogmi” delle arti classiche e delle arti in senso generico, ancora oggi la vediamo figurare tra pagine di libri traboccanti di grandi opere. L’autosoppressione dell’arte è una profezia che molti ritengono frutto di movimenti postmoderni come Fluxus e Internazionale Situazionista, che applicano metodi artistici, discutibili e improbabili all’attivismo politico. Forse stiamo già vivendo da tempo questa fase: l’arte, nella sua concezione più classica ed elitaria, non può, di fatto, accostarsi alla sfera commerciale per divenire incentivo della produzione seriale; questo proprio per tentare di mantenere quell’esclusività che la rendeva un bene per pochi. E forse, inconsapevolmente, proprio i secessionisti hanno gettato le basi di questo fenomeno volendo accostare l’arte all’intera popolazione, acculturata o meno, ricchi e poveri, intellettuali e operai. È fondamentale comprendere quanto rilievo si possa ancora attribuire al talento come manifestazione di eccellenza nella tecnica. In un mercato dell’arte che trae ispirazione da un’ideologia capitalistica ancora attuale, in cui l’indice di gradimento diviene il timone dei metodi e dei movimenti artistici a venire, il talento non è importante quanto il concetto in un’opera. Potremmo, seguendo quest’idea, andare ancora più indietro e riconoscere agli espressionisti, pionieri della rappresentazione del pensiero sulla tela, le cause del conseguente declino dell’arte. Tuttavia non sarebbe corretto, poiché essi stessi dichiarano il mantenimento di un’aura che rende l’arte simbolo e dimostrazione di elitarietà nella tecnica. Pertanto, viene attribuito al talento un significato particolare; si tratta di una qualità che indica una sensibilità che non tutti 34 Capitolo 1 L’arte è un bene comune sviluppano, ma che tutti potenzialmente hanno. Karl Marx stesso afferma che tutti debbano avere il diritto di accostarsi all’arte e la possibilità di svilupparla. .L’arte delle possibilità La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle potenzialità creative di ognuno. Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura, universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro che si definiscono tali; ma queste etichette vengono accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video eccetera. I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale, rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico. Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la 35 Capitolo 1 L’arte è un bene comune ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche l’essenza culturale. È ciò che fa Amy Alexander quando, prendendo il busto della figura al centro del dipinto, trasforma e amplia quello che l’opera rappresenta; segue le leggi che oggi regolano la distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La Alexander decontestualizza il dipinto, privandolo di quella drammaticità che l’ha reso celebre e riplasma, inoltre, l’estetica del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”, se vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su magliette o da usare come adesivo; o ancora, nel caso dell’opera della Alexander, trasformato in un’applicazione per sistemi operativi con cui si possa interagire 13. Di questo, parleremo approfonditamente più avanti. In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre. È il modo in cui essa viene rimodellata che rende il Plagiarismo creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti non solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per non parlare dei remake, che trasformano decine di brani musicali in produzioni a sé. 36 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Oggi si parla molto di arte in modo abbastanza vago, come se avesse perso quasi del tutto il suo valore culturale. Fenomeni contemporanei quali capitalismo, industrializzazione e serialità hanno condotto gli artisti su una strada parallela al sistema merceologico che regola la produzione di beni di consumo per la massa. Una strada puntellata di opportunità molto redditizie. L’arte moderna non vede più l’artista come un individuo specializzato in un certo campo o in una certa disciplina; non è facile dire con certezza se sia più sculture che pittore. Oggigiorno l’artista sfrutta quanti più metodi e tecniche possibili per soddisfare sia una sua ricerca a livello sperimentale sull’uso dei materiali, sia per fare in modo che il grande pubblico accolga la sua arte, in modo da ricavarne un guadagno. Vi si riscontrano due livelli di crescita, due opportunità: la crescita spirituale dell’accostamento tra materia e concetti, e quella più concreta del denaro e della fama. Quest’ultima, forse, sembra essere quella che più attira la maggior parte non solo degli artisti, ma di tutti coloro che regolano il flusso di denaro che circola tra autore, opera, galleria o privato. In questo modo si crea un contesto in cui l’arte diviene una pratica conforme alle richieste del pubblico, senza tenere conto dell’attività creativa offerta dalla sperimentazione nei diversi campi artistici. Bisogna considerare, però, che non ci troviamo di fronte ad un fenomeno che è frutto del capitalismo contemporaneo, ma a un vincolo che esiste già dal Rinascimento. Un legame che oggi come ieri decreta lo sviluppo dell’arte, quello con il denaro. Esso ripaga l’artista e fornisce valore all’opera, che viene così quotata in base a fattori specifici che solo i critici sembrano in grado riscontrare. 37 Capitolo 1 L’arte è un bene comune Note 1-10-11 (cfr.) Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano, Giunti Editore, 1999; 2-3 (cfr.) I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996; 4 Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura dell’intero Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di Mario Cassa, Sapere, 1974; 5-6-7-8-9 L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels, traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000; 12 (cfr.) Primo Manifesto Internazionale Neoista, Stewart Home, traduzione di Luther Blissett, 1987 (da http://www.lutherblissett.net/archive/008_it.html); 13 (cfr.) http://scream.deprogramming.us 38 Capitolo 1 L’arte è un bene comune 39 Capitolo 2 Legge 633 Capitolo 2 Legge 633 La proprietà intellettuale: intervento a cura del Dott. Stefano Genick Prima di esaminare il Plagiarismo nelle sue metodologie, applicazioni e valori etici, sarebbe importante soffermarsi sulla questione legale che riguarda la proprietà intellettuale. Spesso, infatti, molti artisti che praticano il plagio in forma creativa si avvalgono delle conoscenze di avvocati e legali specializzati nel settore. Questo non tanto per evitare di realizzare opere esplicitamente plagiate, ma per individuare eventuali “falle” legislative che potrebbero essere volte a uso e consumo del lavoro plagiarista. Molti compositori di remix e mash up hanno identificato queste mancanze e le hanno sfruttate per creare le loro opere. In caso contrario, data la mole di frammenti di musica altrui, questi artisti dovrebbero pagare royalties da migliaia di dollari (o euro) l’una. I contenuti che seguono sono estratti da un colloquio avuto con il Dott. Stefano Genick, laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Pisa. 40 Capitolo 2 Legge 633 … Il problema del plagio si pone nel momento in cui si trae ispirazione dall’opera, ovvero quando il prodotto finale è costruito su quella base. La proprietà intellettuale è un diritto di proprietà tutelato dall’Articolo 42 della Costituzione. Tutela la proprietà privata attinente ai beni materiali e la estende ai beni immateriali. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina modi di acquisto e godimento allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile. La proprietà intellettuale è a sé stante perché tutela un bene immateriale, un’opera dell’ingegno. L’acquisto di tale opera avviene “a titolo originario”. Il creatore dell’opera è proprietario dell’opera stessa. L’unico modo d’acquisto effettivo del diritto d’autore (per diritto d’autore intendo il diritto morale, ovvero il diritto alla paternità dell’opera) avviene semplicemente nel momento in cui si crea l’opera. Quindi io sono, al contempo, autore e proprietario dell’opera, che diviene soggetta alla regolamentazione della materia relativa alle opere d’ingegno. La legge fondamentale è la 633 (Protezione del Diritto d’Autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) del 22 aprile 1941, riformata per effetto delle direttive comunitarie sulle problematiche derivanti dall’introduzione dei software digitali. L’oggetto del diritto va scisso in due parti. Il diritto morale, il diritto alla paternità dell’opera che si acquisisce in via originaria, con la semplice creazione dell’opera; perciò è un diritto intrasmissibile, non negoziabile e incontestabile. Viceversa, il diritto di utilizzazione economica del bene è 41 Capitolo 2 Legge 633 gestibile e negoziabile. Si produce un effetto fondamentale che è l’opponibilità; dal momento in cui si va in S.I.A.E. si ottiene un effetto, all’interno dei confini nazionali, di pubblicità dell’opera che difende un diritto morale sull’opera e un diritto di utilizzazione della stessa, gestibile come si vuole. È chiaro che i contratti intervengono su questa seconda parte, in cui vige la volontà di disporre del bene distribuendolo o producendolo in vari modi. Si possono stipulare dei contratti limitati alla fase di distribuzione dell’opera nel momento in cui si ha la forza di produrre e di sostenere i costi effettivi di produzione, che è consistente, soprattutto se di natura teatrale. Contratti di produzione discografica: dopo aver creato un cd e averlo registrato, si va dal produttore e si richiede la registrazione, la messa su supporto e la commercializzazione. I diritti di utilizzazione economica hanno un limite di settanta anni e rientrano nel diritto di successione; gli eredi possono disporne. Il diritto morale d’autore rimane importante: nonostante si deleghino i diritti di utilizzo economico dell’opera, essa rimane del proprietario e diventa opponibile verso tutti. La legge consente di intervenire su quel soggetto cui si conferisce un utilizzo economico per imporre un’azione inibitoria, cioè un’azione giuridica volta a imporre, a un soggetto, l’interruzione di un’attività o il diritto morale, quando si presentano modifiche non richieste o danni di vario genere all’opera originale (in pratica, quando si ferisce il diritto morale). Il risarcimento del danno segue due specifiche direzioni: patrimoniale e morale. Il risarcimento patrimoniale è conseguente alla produzione di una nuova opera, non corrispondente a quella iniziale e che ha come effetto la perdita di occasioni contrattuali. Il risarcimento morale è quello che si richiede quando l’azione di chi produce il danno corrisponde a 42 Capitolo 2 Legge 633 una fattispecie di reato, sanzionabile dal codice penale. In questo caso qualora un soggetto disponga abusivamente di un altrui diritto morale o di utilizzazione, oltre alla tutela civile si può disporre di quella penale: perciò oltre alla richiesta di risarcimento dei danni, si può intentare una causa penale. In ambito civilistico quando si fanno contrattazioni, si produce e si distribuisce, per evitare modifiche e storpiature, si stipula una clausola penale, regolata dall’Articolo 1385 del Codice Civile, che consente di valutare, a priori, il danno di una determinata azione volta a ledere l’opera. È difficile riuscire a dimostrare l’entità del danno: perciò è necessaria la nomina di un perito contrattuale che possa prefigurare un certo danno, seguendo dei criteri valutativi. In questo modo si possono evitare tutti quei costi derivanti da eventuali processi. Per quanto riguarda un programma come Blob (che mi hai portato ad esempio) è un’attività che prende in considerazione spunti che hanno profili pubblicitari, cioè che hanno già avuto una loro pubblicizzazione. Essendo prodotti già distribuiti si tratta di una seconda pubblicità, non è una disposizione originaria dei beni, ed è possibile disporne liberamente. Inoltre, gli autori dei filmati da cui sono stati presi gli spezzoni possono comunque godere di un ritorno di visibilità, o pubblicità, dato da un utilizzo alternativo, in un secondo momento, del materiale originale. Infine, hai accennato alla scadenza del copyright di Popeye, avvenuta il 1 Gennaio 2009 in Europa, e di un suo possibile riutilizzo da parte tua. Resta il fatto che, come tu mi hai spiegato, il denominativo “Popeye” rimane tuttora proprietà dell’azienda statunitense King Features Syndicate. 1 In Europa, infatti, esiste una tutela giuridica che deriva dal “pre-uso” del marchio, rispetto alla registrazione. Questa tutela non la si può contestare. 43 Capitolo 2 Legge 633 La contestazione del pre-uso, non solo è inutile, ma è perfino rischiosa. Se si contesta un marchio pre-usato, non si può più opporre la buona fede nella registrazione dello stesso. È, infatti, una registrazione fatta ad hoc per sottrarre ad altri il libero uso di quel marchio a qualsiasi livello. La registrazione in mala fede è nulla, cioè come se non esistesse. Infine, nel caso si volesse registrare un marchio compreso di immagine figurativa e denominativo, questi verrebbero scissi secondo le normative sulla registrazione. Ciò comporta un uso separato dell’immagine e del denominativo a essa riferito. … 44 Capitolo 2 Legge 633 Note 1 (cfr.) estratto da: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/base/grubrica.asp?I D_blog=47&ID_articolo=274&ID_sezione=70&sezione= 45 Capitolo 2 Legge 633 46 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura Un saggio di Stewart Home Non c’è da stupirsi che il Plagiarismo venga spesso minimizzato e accostato al furto dall’opinione pubblica, data l’apparente semplicità dei concetti al quale forniscono sostanza. Le metodologie sono le stesse: l’appropriazione indebita permane e il rapporto tra arte e commercio è più che mai presente, come vedremo più attentamente avanti. Il Plagiarismo, nella concezione di “movimento”, è stato un fenomeno effimero e scarsamente conosciuto (e riconosciuto); in pochi gli hanno dedicato attenzione, soffermandosi più sui cavilli legati al copyright che sull’aspetto creativo e artistico dell’argomento. In effetti, trattandosi di una corrente durata all’incirca un anno, non è possibile elaborare una critica approfondita senza tirare in ballo le questioni legali e le procedure penali legate ai fattori che accomunano Plagiarismo e plagio. Per questi motivi, ho pensato di introdurre il Plagiarismo riportando ciò che Stewart Home ha scritto in proposito nel suo 47 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura libro Neoismo e altri scritti - idee critiche sull’avanguardia contemporanea 1. Si tratta di una delle stesure più approfondite ed esaustive sul tema, forse, a mio parere, la più illustre; poiché il Plagiarismo è una branca, se così si può dire, del Neoismo, il cui fondatore è appunto lo stesso Home. Molto interessante notare, come vedremo, che l’autore non fa riferimento a una propaganda del movimento all’interno delle gallerie; ciò conferma un possibile inserimento ipodermico del Plagiarismo nel circuito dei media, da cui è possibile ipotizzare che esso non sia effettivamente scomparso, ma si sia inserito tra questi; un’idea che Home riprende da Fluxus e Internazionale Situazionista, ai quali s’ispira molto. … Data la totale colonizzazione della vita quotidiana ad opera del Capitale, siamo costretti a parlare il linguaggio imposto dai media. E’ sempre stato impossibile dare un’espressione coerente ai pensieri e alle pratiche che si oppongono all’ideologia dominante. Tuttavia, non perseguiamo la creazione di nuovi linguaggi. Un atto del genere è condannato al fallimento e fa il gioco del Capitale (rafforzando i miti dell’“originalità” e della “creatività individuale”). Al contrario, il nostro obiettivo è di reinventare il linguaggio di chi vorrebbe controllarci. Mentre rifiutiamo il concetto di “originalità”, non troviamo problematica l’idea che il plagio implichi un originale. Sebbene riteniamo che tutta la “creatività umana” sia “accumulativa” (vale a dire che tutte le “innovazioni” sono costruite dalla 48 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura somma totale di ciò che è venuto prima), non ci turba che nel passato ci sia un “punto di inizio”. Non possiamo dare conto di questo “punto di inizio” e non perderemo il nostro tempo facendo speculazioni filosofiche su cose così irrilevanti. Il plagio è il polo negativo di una cultura che ha la sua giustificazione ideologica nell’“unico”. Infatti, è soltanto attraverso la creazione di identità uniche che può esserci mercificazione. Così, la ricerca priva di esito di un linguaggio nuovo e universale, da parte degli artisti “modernisti”, dovrebbe essere vista come un momento avanzato del progetto capitalista. Comunque,. Questo non significa assolutamente che il “postmoderno” sia in qualche modo più “radicale” del suo precursore. Entrambi i movimenti sono stati soltanto tappe di un’unica traiettoria. Tali sviluppi riflettono l’abilità del sistema di recuperare le azioni e i concetti che precedentemente hanno minacciato proprio la sua costituzione. L’“appropriazione postmoderna” è molto diversa dal plagio. Mentre la teoria postmoderna afferma che non c’è più nessuna realtà fondamentale, quella plagiarista riconosce che il Potere è sempre una realtà nella società storica. I postmoderni sono di due categorie. La prima annovera i cinici, che comprendono il processo ideologico nel quale essi hanno un ruolo minore e manipolano il sistema per il proprio guadagno personale. Alla seconda categoria appartengono i postmoderni semplicemente ingenui. Bombardati dalle immagini dei media, credono che la “normalità” sempre in cambiamento presentata dalla stampa e dalla TV sia una perdita della “realtà”. I plagiaristi, di contro, riconoscono il ruolo che svolgono i media nel mascheramento dei meccanismi del Potere, e cercano attivamente di disgregare quest’attività. Ricostruendo e soggettivizzando le immagini del dominio ci prefiggiamo di creare una “normalità” che venga meglio incontro alle nostre esigenze rispetto all’incubo massmediale 49 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura imposto dal Potere. Comunque, non abbiamo mai creduto che questo si possa ottenere soltanto attraverso mostre in “galleria”. Le immagini utilizzate per vendere detersivi hanno una forte presa sulle nostre coscienze proprio perché questi cliché sono riprodotti dai media spessissimo. Perché un’immagine abbia effetto, occorre che sia continuamente riprodotta dalla stampa e alla televisione. L’unica praticabile alternativa alla nostra strategia di fare mostre utilizzando immagini ricostruite col procedimento del plagio è la distruzione fisica delle stazioni televisive e delle tecnologie della stampa. .Il plagio Il plagio consiste nella manipolazione consapevole di elementi preesistenti per la creazione di opere “estetiche”. Il plagio è insito in tutta l’attività “artistica”, poiché sia la pittura sia la letteratura funzionano grazie ad un linguaggio ereditato, anche quando chi le pratica si prefigge di abbattere la sintassi ricevuta (come accadde con il modernismo e il postmoderno). All’inizio del ventesimo secolo, grazie alla scoperta del collage, le modalità con cui nelle produzioni “artistiche” venivano usati elementi preesistenti si svilupparono notevolmente. Due o più elementi divergenti sono accostati per creare nuovi significati. La somma risultante è maggiore delle singole parti. I lettristi, e più tardi i situazionisti, chiamarono questo procedimento détournement (“diversione” è la traduzione letterale del termine francese), ma quest’attività a livello 50 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura popolare è tuttora conosciuta come “plagio”, termine che ha usato Lautréamont. Il plagio arricchisce il linguaggio umano. E’ un’impresa collettiva estremamente lontana dalle “teorie” postmoderne dell’“appropriazione”. Il plagio comporta il senso della storia e conduce a una progressiva trasformazione sociale. Al contrario, l’“appropriazione” degli ideologi postmoderni è individualistica e alienata. Il plagio è per la vita, il postmoderno è cristallizzato nella morte. .I nomi multipli I nomi multipli sono “etichette” che l’avanguardia degli anni Settanta e Ottanta ha proposto per un uso seriale. Hanno avuto svariate forme, ma per lo più si tratta di “nomi di persone inventate” che, come affermano i sostenitori, chiunque può assumere come “contesto” o “identità”. Di solito, l’idea è la creazione di un corpo collettivo di opere artistiche che fanno uso di un’“identità inventata”. Klaos Oldanburg, la prima di queste “identità collettive”, fu diffusa dai mail-artisti britannici Stefan Kokowski e Adam Czarnowski a metà degli anni settanta. Pochi anni dopo, il mail-artista americano David Zack propose Monty Cantsin come nome della “prima open pop-star”, un nome che chiunque poteva utilizzare. Le differenze sostanziali tra le persone che ricorrevano 51 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura all’etichetta di Monty Cantsin emersero grazie ai nomi “rivali” di No Cantsin e Karen Eliot, entrambi venuti fuori a metà degli anni Ottanta. Numerosi individui e gruppi hanno “dato origine” indipendentemente, a concetti simili. Per esempio, a metà degli anni Ottanta, il gruppo raccolto intorno a Sam Durant a Boston, negli Stati Uniti, propose come identità multipla Bob Jones. Ci sono stati nomi multipli per rivista (come Smile, che nacque in Inghilterra nel 1984) e per gruppi pop (come White Colours proposto per la prima volta in Inghilterra nel 1982). I nomi multipli cono connessi alle teorie radicali relative al gioco. L’idea è di creare una “situazione aperta” di cui nessuno sia responsabile. Alcuni tra i sostenitori di tale idea affermano anche che questo è un modo per “analizzare praticamente, e distruggere, le nozioni filosofiche occidentali di identità, individualità, valore e verità”. .Presto… Il presente testo, nonostante la sua ovvia funzione di guida all’installazione Anon 2, non è stato scritto con l’intenzione di assegnare un significato unico alla mostra. L’installazione Anon è stata fatta con l’intenzione di disgregare le procedure produttive e burocratiche che tendono a ridurre il ruolo del pubblico (almeno apparentemente) a quello di spettatore passivo. Il titolo della mostra evidenzia il desiderio dei partecipanti di mettere in questione lo status assegnato al cosiddetto “creatore” nella produzione di cultura. Tuttavia, 52 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura nonostante il titolo, per i partecipanti alla mostra sarebbe controproducente rimanere “completamente anonimi”, dato che questo avrebbe l’effetto di un’attenzione non dovuta focalizzata sulle loro possibili identità (come succede, ad esempio, con The Residents). Così, mentre non abbiamo dato “risonanza” ai nostri nomi (per esempio mettendoli sulla cartolina di invito all’“inaugurazione”), non abbiamo tenuto granché segreto “chi siamo”. Numerose tattiche sono state impiegate nel tentativo di impedire agli individui resi furbi dall’infingardaggine e dal potere di adottare un atteggiamento puramente contemplativo nei riguardi dell’installazione. Appena entrati nella galleria i visitatori si trovano un faretto puntato contro, di fronte a un banco. Per andare avanti bisogna girare a destra. L’intenzione qui non è di rafforzare (per analogia) la consapevolezza del fatto che i pianificatori urbani, gli architetti, eccetera, cercano di predeterminare i nostri movimenti all’interno dell’ambiente della città; allo stesso tempo, intendo provocare una risposta critica all’“arte dello spazio” come luogo di Potere. Mentre il flusso del Potere non è mai unidirezionale, bisogna darsi ancora un gran daffare per riportare tali flussi a uno stato di equilibrio. All’interno del dominio delle “arti”, una ricognizione generale sul ruolo produttivo svolto dal pubblico nella creazione di cultura sarebbe un netto progresso verso il contenimento dello snobismo e dell’elitarismo endemici a tutta quanta la scena culturale contemporanea. 53 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura .Una breve orazione sulla nostra “condizione culturale” Con la riduzione delle spese pubbliche in ambito culturale, diventa possibile per gli elementi “autonomi”, specialmente nei campi più “sperimentali”, distruggere l’egemonia delle iniziative insulse favorite dagli enti che amministrano i sovvenzionamenti. In particolari ambiti, che non saranno mai “finanziariamente praticabili” o “attraenti” per gli sponsor economici, il taglio delle sovvenzioni, che i monetaristi credono consegni la cultura al “libero mercato” (come se la cultura fosse qualcosa di diverso da un effetto sovrastrutturale dell’economia!), permette di fatto il controllo di interi settori delle arti ai più fanatici avversari del capitalismo (e che sono del tutto preparati a “lavorare” senza nessun “riconoscimento” finanziario). Uno degli elementi principali di questo genere di “fanatismo” è il rifiuto di fare affermazioni universalistiche riguardo a ogni forma di produzione culturale (e di deridere questa e altre affermazioni simili, che gli artisti hanno tradizionalmente utilizzato per “giustificare” il proprio lavoro). Una pratica culturale sinceramente “radicale” deve rifiutare l’essenzialismo e, allo stesso tempo, riconoscere la realtà dei rapporti di potere che caratterizzano la nostra società. I postmoderni rifiutano l’essenzialismo in teoria, ma nello stesso tempo sfruttano l’ideologia umanista dell’arte “romantica” e “moderna”, il cui lascito li mette in grado di ricevere sussidi e di trarre profitto da carriere di insegnamento finanziate dallo stato. Riguardo a ciò che caratterizza questa società, questi nouveaux nietzschiani, o per lo meno l’ala boudrillardiana di questo “movimento”, fanno l’affermazione assolutamente ridicola che il potere sia “scomparso”. Tuttavia, quanto detto sopra non deve essere frainteso come una qualche forma di neomarxismo: nonostante la società 54 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura capitalista sia caratterizzata da gravi ineguaglianze di Potere, non c’è (al presente) un’unica classe capace di portare a termine un programma collettivo di trasformazione dei rapporti sociali (nemmeno c’è l’“inevitabilità” storica che una tale formazione di classe appaia nel futuro prossimo). Per queste ragioni ho adottato la strategia della lotta, qui e ora, in un ambito che sia di interesse immediato per me (invece di tentare di “organizzare la classe” o agire come “fiaccola” per gli altri). In ogni caso, un’organizzazione basata sui “nuovi movimenti sociali” appare molto più sensata del tentativo di imporre i tradizionali modelli di classe marxiani a una società che ha subito enormi cambiamenti da quando essi sono stati delineati per la prima volta (ma perfino centocinquanta anni fa tali modelli erano davvero inutili, poiché ogni interpretazione di classe “genuina” necessita di qualcosa di più di un mero riduzionismo economico). L’affermazione marxista-leninista che la società è composta da una base economica e da una sovrastruttura culturale e politica è completamente priva di senso; c’è interazione dinamica tra economia, cultura e politica (ognuna di queste categorie può assumere il dominio in un momento specifico a seconda dell’azione reciproca dei fattori storici). Un’interazione simile si verifica tra produzione e consumo: dall’inizio dell’industrializzazione nessuna di queste due categorie ha goduto di una condizione di dominio permanente sull’altra. Da qui la mia preoccupazione di sottolineare il ruolo produttivo svolto dal pubblico nella sfera culturale. Concomitante a tale interesse è il rifiuto dell’idea che ci sia un’“entità radicale e politicizzata di consumatori semipassivi” che aspetta con ansia l’opportunità di assistere a eventi come l’installazione Anon (ed è per questa ragione che ho colto al volo l’opportunità di collocare il mio lavoro in posti dove sia visto da persone che non hanno pianificato di vederlo, cioè le 55 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura vetrine del centro commerciale di Luton). … 56 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura Note 1 Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda, Costa & Nolan, 1997; (ndr.) “Un certo numero di tattiche sono state impiegate nel tentativo di evitare quegli individui arrestati dalla pigrizia, che mutano l’interesse in un atteggiamento puramente contemplativo verso l’installazione. Entrando nella galleria, i visitatori si trovano sotto dei riflettori davanti ad un banco della reception. Per procedere si deve girare a destra. L’intento è di rafforzare (per analogia) la consapevolezza di come gli urbanisti, gli architetti e altri cercano di predeterminare i nostri movimenti all’interno di un ambiente urbano; contemporaneamente, l’installazione intende provocare una risposta critica nei confronti dello “spazio dell’arte” come luogo del Potere”. (estratto da http://www.stewarthomesociety.org/art/anon.htm). 2 57 Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura 58 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Capitolo 4 Verso un’arte del plagio La versatilità del collage Se ripercorressimo l’intera cronologia della storia dell’arte (e non solo), potremmo imbatterci in opere e in artisti, ma anche in tecniche, che si caratterizzano per una spiccata attitudine al rimaneggiamento di materiale altrui. Il collage è una di queste tecniche, e gli artisti che ne hanno fatto uso sono tanto innumerevoli quanto inaspettati; quando non era impegnato a realizzare quelle opere che oggi gli attribuiamo, Pablo Picasso si dilettava nell’arte “minore” del collage, realizzando i suoi cosiddetti papiers collés (carte incollate). Ci troviamo di fronte, quindi, a una pratica consolidata nell’arte da una delle sue personalità più influenti. Il collage, come concetto, è applicabile in svariate forme: collage audiovisivi, musicali e letterari sono solo alcuni esempi della versatilità di questa, a mio parere, piccola, grande arte. Poiché, malgrado il messaggio percepibile poggi anche su fattori come il nonsense, la composizione segue quasi sempre una logica, una “metrica” ben precisa. 59 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Considerando, inoltre, che il Plagiarismo, tema principale di questa tesi, pone l’accento sul ripescaggio e sulla reinterpretazione di opere preesistenti, potremmo dedurre che il collage è l’antesignano di una pratica ideata da Home settant’anni più tardi. .Taglia/Incolla Se pensiamo a un collage, probabilmente la prima cosa che immagineremmo potrebbe essere un foglio di carta su cui sono stati applicati con la colla dei pezzi di figure ritagliate da riviste, quotidiani, fumetti, e disposti in modo da comporre un’immagine, o casualmente. I più “estrosi” potrebbero ricondurre il collage a quelle lettere di riscatto che il cinema ha contribuito a rendere tanto note. Entrambe le interpretazioni sono esatte; lo stesso Richard Hamilton avrebbe riconosciuto tale pratica in queste definizioni, applicandole al suo Just What Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?, collage del 1956 considerato da molti come la prima opera “pop”. Non a caso il collage è un metodo accessibile a tutti, in termini di attuabilità; ma non di contestualità. C’è una netta differenza fra un collage fatto in casa e un collage fatto da Hamilton: quest’ultimo si trova in un museo, e più precisamente presso la galleria d’arte Kunsthalle, a Tübingen, in Germania 1. Il motivo è da attribuirsi alla nomea dell’autore, che è un artista. Ma cosa rende l’artista tale, in questo specifico caso? 60 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 . Just What Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?, Richard Hamilton Egli crea una situazione attraverso cui si può cogliere un messaggio, un concetto con il quale è possibile decifrare una visione soggettiva della società contemporanea. Dall’altra parte, tale concetto è interpretabile, poiché l’artista non pretende di rappresentare l’oggettività del mondo; crea invece doppi sensi, trappole cognitive, diversioni, détournement appunto. Le figure che compongono il collage di Hamilton non sono di certo messe lì a casaccio. Sono però pervase di una carica satirica e di un gusto per il grottesco che sollecitano più l’attenzione visiva che quella cognitiva: la particolare ricerca 61 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 estetica e compositiva dell’opera spinge lo spettatore a una critica superficiale che la condanna a una perdita dell’aura .Whaam!, Roy Lichtenstein culturale di alto livello. Si tratta di un’affermazione sbrigativa, certamente, in quanto l’obiettivo di Hamilton non è di proporre qualcosa fatto in poco tempo e comunque remunerativo, ma è di canzonare la società capitalistica occidentale con i suoi stessi prodotti. La semplicità esecutiva e materica dell’opera è uno di questi, e Duchamp, si sa, ne ha fatto scuola. L’obiettivo dell’arte, nel Dadaismo, è smontare pezzo a pezzo le fondamenta stesse della cultura elitaria, e quale modo migliore se non rendere l’arte un’attività “leggera”, frivola, provocatoria e pungente, ma altrettanto praticabile quanto, ad esempio, .Popeye, Andy Warhol una striscia a fumetti? Il paragone, qui, non è casuale, poiché nella Pop Art le icone della cultura popolare divengono le nuove figure universali di un modo (non così) innovativo di concepire l’opera d’arte, ora divenuta molto più simile a un bene commerciale; e commerciabile. Non si fa altro che catturare i soggetti più celebri dell’immaginario collettivo e innalzarli a un livello non di molto superiore al contesto da cui sono stati presi. Roy Lichtenstein attua tale concetto, e per farlo si avvale di anonime vignette Marvel in cui cambia il significato dei testi presenti all’interno dei balloon; più radicale è invece 62 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 l’intervento di Andy Warhol, che ripropone su tela una copertina del famigerato Popeye. Il metodo di questi ultimi due autori ha però contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello nello sviluppo di quelli che in seguito saranno i movimenti anticulturali dei primi anni ottanta, e più avanti esamineremo più attentamente questo punto. Di solito, con l’avvento di una tecnica riutilizzata per fini artistici, si creano quasi naturalmente nuove forme praticabili, e ciò è dovuto a uno spirito sperimentale che esclude un approccio unilaterale dell’arte verso gli svariati livelli, metodologie e processi culturali. Il collage potrebbe quindi essere ritenuto una semplice pratica ricreativa, se lasciato rinchiuso all’interno di un contesto al quale la cultura altisonante non vuole mescolarsi. È invece un punto di partenza per uno sviluppo progressivo di un’opera: sovrapponendo tra loro tanti piccoli tasselli, senza considerarne troppo l’origine, è possibile giungere a una percezione polisemantica di un “unico”: come percepire i singoli mattoni senza perdere di vista la figura dell’intero edificio. Un fotomontaggio a buon mercato e meno impegnativo. È chiaro che persino un bambino sarebbe in grado di comporre il suo collage personale, pur non tenendo conto di una serie di aspetti concettuali e cognitivi: e con ciò non è da escludere un certo valore creativo e tematico nel suo lavoro, percepito come un semplice gioco, ma permeato di quell’istintività che tanto piaceva ai dadaisti. Un criterio progettuale è però fondamentale se si vuole comunicare un messaggio, e Hamilton non fa eccezione. Le figure sono in apparenza assoggettate al caso e al gusto estetico dell’artista, mentre in realtà comunicano un certo punto di vista che riflette un pensiero. E non importa quale sia l’origine dei ritagli, dal momento in cui essi assumono un valore nuovo, divenendo unità di un prodotto concettualmente opposto ai 63 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 magazine da cui provengono. Appropriarsi di materiali altrui per trasformarli in qualcosa di completamente diverso equivale a creare il nuovo. Come accennato precedentemente, da una tecnica possono derivarne altre, ed è un dato di fatto. Se il collage di Hamilton propone raffigura un’idea dei soggetti e della situazione presenti nell’opera, lasciando lo spettatore libero d’immaginarsi come possano presentarsi nella realtà, Robert “Milton Ernst” Rauschenberg vi aggiunge un ulteriore fattore, la tridimensionalità. Probabilmente ispirato da sperimentazioni dada quali, ad esempio, Cadeau (1921) di Man Ray, egli amplia un campo di scelta già di per sé vastissimo. Nel suo Monogram (1955), in cui spicca la figura grottesca di un montone imbalsamato intrappolato in uno pneumatico, Rauschenberg pone attenzione all’uso dei materiali preesistenti in natura e crea i suoi primi assemblage, o combines, come lui stesso definisce. Il concetto operativo ricorda molto quello dei ready-made, se a distinguerlo non fosse un’infinità di combinazioni date dalla manipolazione della materia e dalla fisicità palpabile delle rappresentazioni, talvolta al limite del surreale. Qui non occorre immaginarsi alcunché: il montone intrappolato nello pneumatico è lì, davanti a noi. È la rappresentazione di una situazione alquanto grottesca, ma resa reale. Il passo successivo sarebbe l’utilizzo di un montone vivo, ma le conseguenze, tanto per usare un eufemismo, sarebbero spiacevoli. Con i ready-made Duchamp si avvale di oggetti pronti all’uso, ma decontestualizzati, mentre Rauschenberg li manipola e li assembla tra loro, appunto, dando vigore a concetti più elaborati e a un presenza estetica alla quale la Fontana non può di fatto anelare. Mescolare materiali tridimensionali non esclude un ulteriore intervento dell’artista, che arricchisce il 64 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 .Monogram, Robert Rauschenberg tutto con altrettanti collage, spruzzi di vernice, pennellate e quant’altro; il che caratterizza l’assemblage anche a livello contestuale. La vastità di scelta nel mescolare tecniche, metodologie, concetti e discipline artistiche è tale da renderlo un contenitore di esperienze, un simbolo di eterogeneità, un assemblage culturale oltre che pratico. Più volte l’arte ci ha insegnato che non sempre la presenza di un soggetto sia sufficiente a dare pathos all’opera. Talvolta è l’assenza stessa del soggetto a conferire un certo tipo di aura: si pensi a una delle monocromie di Yves Klein, in cui l’unicità deriva dalla presenza di un singolo colore che ricopre l’intera superficie della tela, colore che diventa a priori il soggetto incontrastato dell’opera. Può avvenire lo stesso per un metodo di lavoro come il collage? 65 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Oltre che come rappresentazione artistica dell’espressività urbana, per rotella il manifesto, il cartellone pubblicitario si sono rivelati terreni fertili sui quali far crescere un tipo di arte quasi del tutto privata dei soggetti. Le procedure che Rotella mette in atto non hanno nulla a che vedere con il metodo di Klein, ma il concetto di “immateriale” è comune. Il decollage è chiaramente la manifestazione di tale concetto, che Rotella usa per creare, nel 1955, il cosiddetto Manifesto Lacerato. Invece di aggiungere elementi, egli fa uso di un oggetto prelevato dal suo ambiente (e quindi decontestualizzato, netta ispirazione ai readymade “duchampiani”) dal quale vengono tolte alcune parti. L’appropriazione indebita è altrettanto evidente, e qui si rivela in tutta la sua fisicità, con un artista che esce di casa e strappa via da un muro un manifesto pubblicitario, al quale poi conferito un significato del tutto .Manifesto Lacerato, Mimmo Rotella rinnovato. È la città, l’ambiente urbano che ridefinisce il livello comunicativo delle opere di Rotella, le quali suggeriscono sia un atteggiamento riottoso nei confronti della passività dello spettatore, sia un desiderio di rappresentazione logora e lacerante della società, abbrutita dalla sua stessa cultura. Nello specifico, comunque, il decollage rimane una tecnica che mira alla spersonalizzazione dell’opera e che potrebbe, magari, attuare un’operazione di “riciclaggio” dei pezzi tolti; in questo modo si potrebbe ridefinire un metodo che sembra essere univoco, ma che in 66 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 realtà offre all’opera molte variabili, tanto nella sua scomposizione quanto nella sua ricomposizione. Detto volgarmente, sarebbe come prendere due piccioni con una fava; del resto, qualsiasi cosa prescinde il suo contrario, e all’artista non resta che capire quale di queste sia attuabile, se non entrambe. .We in 1984 In una rappresentazione figurativa non è poi così difficile capire se il plagio sia stato effettivamente attuato, poiché facciamo meno fatica nel ricollegare un’immagine a un ricordo. Ad esempio, in un collage composto da ritagli di celebrità il nostro occhio riconoscerà le figure e la memoria le ricollegherà automaticamente al mondo del cinema, o della televisione. Anche se nell’opera è presente un concetto che sfrutta le figure delle celebrità rappresentate per comunicare qualcosa di completamente distaccato, la mente le riporterà alla loro origine; attraverso un esame più attento si potrebbe allora carpire il messaggio, ma solo dopo l’impatto visivo. Il mondo che percepiamo è fatto di immagini che la memoria archivia continuamente: perciò se vedessimo una foto di Marilyn Monroe il soggetto risulterebbe tanto riconoscibile quanto nel celebre dipinto di Warhol, poco importa se il significato delle due rappresentazioni è differente. Quella donna, sia su tela artistica che su carta fotografica, è e rimane Marilyn Monroe, una vera e propria icona oltre che un’attrice. 67 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 .We, Yevgeny Zamyatin .1984, George Orwell 68 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Finora abbiamo parlato di immagini, tralasciando un aspetto che spesso, purtroppo, non viene associato direttamente all’arte come tutti la intendono; vale a dire la scrittura. Le parole sono assolutamente riconoscibili, assimilate dalla mente e interpretabili quanto le immagini stesse, poiché il loro obiettivo è determinato dal contesto in cui vengono dette. Per la scrittura vale la stessa cosa. Il genere e il target di uno scritto danno sostanza al pensiero dell’autore e ne caratterizzano l’impostazione; ad esempio, in un testo satirico non bisogna prendere alla lettera ogni singola parola all’interno di una frase, ma percepire la frase nella sua interezza per coglierne le sottigliezze, l’ironia, le sfumature, il messaggio. Ora, in un’opera narrativa come un romanzo è raro riscontrare un impatto visivo, o cognitivo, dato dalle parole, poiché in questo caso contribuiscono a farci immaginare una certa situazione in modo lineare, senza troppi espedienti. A nessuno, però, è vietato appropriarsi di un testo qualsiasi in modo del tutto personale. L’argomento centrale che stiamo esaminando è la serie d’implicazioni che si hanno dal momento in cui si decide di plagiare qualcosa: opere letterarie incluse. In questo caso il plagio assume forme molto più complesse, tra le quali può risultare non facile identificarlo. È possibile, infatti, copiare un testo parola per parola, nel qual caso non potremmo parlare di Plagiarismo nel senso “creativo” del termine (risulterebbe un semplice plagio); o ancora, prendere un testo e usarlo come base per creare un inedito. Non a caso, però, abbiamo parlato di collage, dal momento che può essere applicato praticamente a qualsiasi supporto cartaceo (e non, come si è visto). Sarebbe forse più costruttivo analizzare una possibile perdita dell’immutabilità del testo. Il risultato finale, il significato se vogliamo, rimane sempre in sospeso e aperto a una molteplicità di percorsi e di conclusioni. 69 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 William Burroughs utilizzava qualcosa simile al decollage, un metodo di scomposizione, e lo sperimentava applicandolo in diversi modi. La forma basilare del suo cut up, consiste nel tagliare una pagina in quattro sezioni, per poi fornirle di una sequenza nuova. Si prosegue suddividendo queste parti in unità ancora più frammentate, e così via. Ma il cut up può trovare dei modi di utilizzo anche in forme diverse dal testo scritto: anche il nastro di una cassetta audio può essere ritagliato e ricomposto in modo casuale o meno; ma di questo parleremo più avanti. Dalle sperimentazioni condotte in questo campo, Burroughs pone attenzione all’inintelligibilità delle parole originali, che lasciano il posto a nuove parole composte dai diversi pezzi; in tal modo si creano situazioni totalmente differenti dall’opera originale, mentre il destinatario diverrà parte attiva nella manipolazione dell’informazione; assumerà uno spirito critico nei confronti dei messaggi a cui viene sottoposto fino a riutilizzare la tecnica per i suoi scopi. Con il cut up, in pratica, si mantiene lo spirito del testo originale per creare nuovi significati. Si pensi a una serie di romanzi distopici scritti in periodi caratterizzati da forti tumulti politici e diplomatici, dittature, regimi. Yevgeny Zamyatin e George Orwell (ai quali aggiungerei J.R.R. Tolkien, per le similitudini che ho trovato tra la figura di Sauron, de Il Signore degli Anelli, e Il Grande Fratello di 1984) descrivono società, regolate da potenze totalitarie, in cui il libero pensiero viene bandito e la cultura ridotta al minimo del suo spessore. Dei romanzi We (Zamyatin) e 1984 (Orwell) si è parlato spesso, poiché si ritiene che il primo sia la fonte da cui è stato massicciamente tratto il secondo 2. Ma sarebbe giusto accusare Orwell di plagio e non di Plagiarismo? Secondo Stewart Home, attraverso un’analisi non troppo scrupolosa del testo di 1984, sarebbe possibile riscontrare una 70 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 forte somiglianza non solo con lo stile di We, ma anche con alcune intere frasi, liberamente copiate e rimaneggiate con la tecnica del cut up. D’altra parte sarebbe ingiusto non riconoscere in Zamyatin una prospettiva della società e una contenutistica di grande impatto emotivo, una qualità che rende la sua narrativa, a mio parere, fonte di grande ispirazione per un genere letterario tra i più difficili e avveniristici (il fantapolitico, a cui la letteratura cyberpunk dei primi anni ottanta deve molto). È logico supporre, quindi, che molti altri autori in seguito si siano liberamente ispirati agli scenari ideati dallo scrittore russo, particolarmente dettagliati e originali. Qualsiasi proprietà intellettuale in grado di suscitare grande interesse diventa automaticamente un patrimonio culturale, poco importa se è protetta da copyright. Questo è un altro degli aspetti che sintetizzano e caratterizzano il Plagiarismo: l’ispirazione da altri non può essere incriminabile, poiché non si tratta di una pratica a tutti gli effetti imputabile, pur esistendo dei parametri che identificano eventuali casi di plagio. Per questo motivo ho citato Il Signore degli Anelli: chi avesse letto o anche solo sentito parlare di 1984 e del suo misterioso Grande Fratello, come non potrebbe ricondurlo al grande occhio “che tutto vede” e che si erge a Mordor? È solo un’ipotesi, che nel caso fosse attestata, non sarebbe comunque sufficiente per accusare Tolkien di plagio vero e proprio; tutt’al più per incolparlo d’ispirazione. Stessa ispirazione che nel 1929 influenzò il regista russo Dziga Vertov nel film/documentario L’Uomo con la Macchina da Presa, in cui fa la sua comparsa, verso la fine del film, il primo piano dell’obiettivo di una macchina da presa; anche qui, l’accostamento tra mezzo di riproduzione e organismo di controllo delle masse appare eloquente. Come si può notare, il contesto storico non contempla il furto intellettuale, dal momento che l’ispirazione creativa diventa 71 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 comunitaria a causa di fattori sociopolitici che influenzano il pensiero di tutti. Tornando al cut up, esso può essere interpretato in diverse forme; si pensi al cosiddetto “flusso di coscienza” applicato da Filippo Marinetti alla poetica futurista (1909), o al “monologo interiore” presentato ne L’Ulisse (1922) di James Joyce 3. In entrambi i casi, pur non trattandosi di un collage “materico”, il cut up è sfruttato quasi a livello inconscio, come un flusso di parole, onomatopee e spesso formule matematiche; è come se la memoria dell’artista fosse la fonte da cui vengono tagliati dei pezzi e assemblati su carta per comporre il cut up. Forse è stata proprio la poesia visiva dei futuristi a ispirare il concetto di “ritaglio/ricomposizione” di Burroughs. Già di per sé ritenuta una tecnica irriguardosa nei confronti della ricerca dell’originalità e del valore delle idee, il cut up è anche un modo per manipolare l’informazione e, quindi, la realtà oggettiva. Non ci sono limiti nell’adeguatezza delle fonti, qualsiasi opera può essere “cutuppata” per suscitare una reazione programmata nel lettore. Per Luther Blissett dissacrare un testo come l’Apocalisse per esprimere la sua visione di un mondo utopico, libero dal capitalismo e dall’egemonia delle informazioni, è un modo tanto provocatorio quanto rapido per attirare l’attenzione (e le polemiche). Reinterpreta a modo suo un evento che, da quanto si può notare nel cut up che segue, assume quasi i tratti di un proclama sociopolitico, non più profondo, a livello di personaggi e situazioni, di un moderno romanzo fantasy. Il testo seguente è tratto dal suo libro Mind Invaders e, benché la traduzione dall’inglese non sia proprio identica al testo in italiano dell’Apocalisse (come anche l’impaginazione), il cut up appare comunque più che evidente: 72 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 .Apocalisse 4 Primo Sigillo Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: “Vieni”. Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora. (Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo 6, 3-4) Secondo Sigillo Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: “Vieni”. Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada. (Apocalisse 6,5-6) Terzo Sigillo Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni”. Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: “Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati”. 73 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 (Apocalisse 6,7- 8) Quarto Sigillo Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: “Vieni”. Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra. (Apocalisse 6,9-11) Quinto Sigillo Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra? Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. 74 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 (Apocalisse 6,12-17) Sesto Sigillo Quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere? (Apocalisse 8,1-5) Settimo Sigillo Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe. Poi venne un altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo 75 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto. .Mind Invaders 5 I sette sigilli Quando il novello Luther aprì il primo dei sette sigilli, udii in visione il primo dei quattro Viventi dire con una voce di tuono: “Vieni!” E vidi apparire un cavallo bianco, su cui sedeva un cavaliere neoista con il volto di Luther: venne dunque per vittorioso per vincere ancora. All’apertura del secondo sigillo udii il secondo Vivente esclamare: “Vieni!”. Allora usci un cavallo rosso vivo, a colui che lo cavalcava era stata data la potestà di togliere via dalla Terra la pace e le mezze misure. Per questo portava nelle mani un Transmaniacon. All’apertura del terzo sigillo udii il terzo Vivente dire: “Vieni!” Apparve allora un cavallo nero cavalcato da un hacker: le sue mani recavano floppy disk e sulla sua corona bruciava una password. Udii fra i quattro viventi come una voce dire: “Un fascicolo elettronico per un denaro e tre password per un denaro. Ma ai nostri archivi non recar danno”. All’apertura del quarto sigillo udii il quarto Vivente dire: “Vieni!”. Ed ecco, apparve un cavallo verdastro, colui che lo montava aveva il nome di Creatore di Interzone, e 76 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Sabotaggio e Occupazione e Faccio del Mio Meglio lo seguivano All’apertura del quinto sigillo apparvero le facce stanche di coloro che erano stati martoriati per le ragioni d’azienda. Essi si misero a gridare a gran voce: Fino a quando Luther continuerai con le tue pippe e non farai giustizia sugli abitanti del centro! Ma a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu detto di pazientare ancora un poco, finché non si completi il numero dei loro compagni che ancora dovranno partire. All’apertura del sesto sigillo apparve ai miei occhi questa visione: si udì un gran terremoto, il Sole si offuscò, da apparire nero come un sacco di crine, e vidi Bill Gates ed Elisabetta di Inghilterra e Bobby di Dallas giacere su sedie di plastica in un corridoio della Asl di Bari circondati da altre centinaia di (im) pazienti in attesa e tutti dicevano ai muri verdi lavabili e ai regolamenti ingialliti: “Chi potrà resistere?”. All’apertura del settimo sigillo si fece silenzio per circa mezz’ora. Poi mezz’ora di handbag music, poi mezz’ora di ohm. Quindi vidi che ai sette Luther ritti davanti a Luther furono date sette trombe e i sette Luther si disposero a dar fiato. (Luther Blissett, Mind Invaders, Castelvecchi, 2000) 77 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 .Blob A questo punto potremmo dire che il collage, in ogni sua forma, è teoricamente applicabile a qualsiasi supporto. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione rende possibile una sperimentazione senza freni di nuove forme artistiche che con il tempo si conformano al target cui è destinato il mezzo. L’arte interpreta il periodo in cui si sviluppa e la società, soprattutto quella capitalistica, plasma l’arte in diverse forme, che vanno dal design al mezzo mediatico; si crea una simbiosi quasi naturale, in cui entrambi i fenomeni si evolvono, legati indissolubilmente. Ma quale dei due influenza l’altro? In realtà non c’è modo di dirlo con certezza. Da una parte gli artisti rappresentano esteticamente il panorama socioculturale che li circonda, spesso mettendo le arti direttamente al servizio pratico, e non solo cognitivo, della comunità. Dall’altra, e qui forse troveremmo molti più riscontri, la società capitalistica ha comprato l’arte, rendendola un lussuoso, esclusivo bene di consumo. Probabilmente la simbiosi è attuabile solo in questo contesto, in cui l’arte tenta di cambiare una società che ha il potere di appropriarsene e di sfruttarla. Non è facile, se non addirittura impossibile, che un movimento controculturale trovi spazio nel calderone dei media, proprio a causa delle sue caratteristiche principali, la satira e la provocazione, fattori ritenuti antietici e scomodi dalle autorità che controllano i mezzi di comunicazione. 78 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 È probabile, però, che malgrado le restrizioni burocratiche, una certa corrente di pensiero riscuota ampi riscontri in un periodo storico particolare, caratterizzato da un’ideologia rivoluzionaria collettiva; in un ambiente del genere la sperimentazione artistica trova terreno fertile per riassumere la sua autonomia, anche come servizi d’informazione. Se, come abbiamo già detto, la linea culturale si riflette sulla società, allora in un contesto rivoluzionario anche l’arte diventa rivoluzionaria; un metodo artistico “virale”, che s’insinua a livello ipodermico attraverso gli strati culturali, media inclusi. La caduta del Muro di Berlino nel 1989 è stato il segnale più evidente dei forti mutamenti ideologici iniziati anni prima. In un clima del genere, sia prima che dopo il fatto, è plausibile che la cultura si sviluppi in un certo modo, più o meno in linea con il pensiero collettivo legato a un evento così simbolico e internazionalmente condiviso. Non andremo a esaminare l’eventuale comparsa di correnti e opere legate a questo periodo, ma ci soffermeremo su un prodotto in particolare che per molti è stato, e forse rimane, unico nel suo genere. Non consideriamo i primi collage cinematografici di Luis Buñuel, né la vivacità compositiva di Dziga Vertov, né i collage inclusi nelle sperimentazioni audiovisive di Nam Jun Paik. Da un’idea del direttore di Rai Tre, Angelo Guglielmi, nell’aprile dello stesso anno due critici televisivi, Enrico Ghezzi e Marco Giusti, realizzano una trasmissione che da quel momento, in Italia, sarà una delle più seguite e longeve. Blob, attualmente in onda tutte le sere alle 20.00, è un collage televisivo che si avvale di spezzoni di varie trasmissioni per comporre una situazione apparentemente casuale. In realtà le immagini sono intrecciate tra loro da un metodo narrativo che le ridefinisce per raccontare qualcosa a cui, prese individualmente, sono estranee. La chiave satirica è spesso 79 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 evidente: in effetti l’idea stessa che dà corpo al programma è ironica, dal momento in cui ogni spezzone proveniente da qualsiasi tipo di prodotto può essere decontestualizzato. Come è accaduto per il Muro, Blob abbatte le barriere tra gli strati culturali portando l’informazione a un livello sperimentale, pur mantenendo l’attendibilità delle fonti e la legalità dei procedimenti con cui è costruito l’intero programma. Sono già stati fatti esperimenti di “video collage” in passato, in particolare da dadaisti e surrealisti (ma probabilmente da qualsiasi movimento avesse un’attitudine sperimentalista), ma nessuna opera precedente a Blob è mai riuscita a sbarcare su una rete pubblica riscuotendo, malgrado tutto, un successo inaspettato e una longevità degna delle serie televisive più seguite. In poche parole, si tratta di un collage mediatico, non soltanto televisivo, per via della varietà di scelta nella manipolazione degli spezzoni; infatti alcuni di questi presentano solo l’audio, altri rimangono muti, altri ancora vengono rallentati o velocizzati a seconda delle necessità comunicative, e vengono aggiunti filtri o effetti particolari. Il più delle volte, comunque, lo spezzone viene lasciato così com’è proprio per favorire la purezza del metodo narrativo. La forza di Blob, a mio parere, è la sua capacità di trasformare l’abitudine in eccezione: nell’interezza di un programma non è facile cogliere i punti nodali all’interno dei suoi contenuti, si tende a fare una stima approssimativa delle tematiche trasmesse; la programmazione fa perdere di vista ciò che Blob sfrutta per raccontare una certa situazione. Ciò che per noi è un programma ormai assimilato, abitudinario, viene frammentato in modo da ricavarne materiale che, una volta messo a fuoco nella varietà del collage mediatico, appare, a seconda dei casi, scandaloso, deprimente, divertente, ironico, riflessivo. Si sviluppa un metodo autocritico che dalla semplice 80 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 fruizione sposta l’attenzione sulla selettività dei prodotti mediatici che più rispettano i propri gusti e le proprie aspettative. Inoltre suggerisce diverse interpretazioni su una singola scena o soggetto, a dispetto dell’impatto emotivo o visivo. .Saccheggio sonoro Quando parliamo di plagio, una delle prime cose al quale lo associamo è la musica, a causa di una quantità di episodi praticamente incalcolabile. Ora, sarebbe inutile per me, e per voi, cominciare a elencare alcuni dei plagi musicali più conosciuti; se siete però incuriositi da quest’argomento potrete sempre consultare Falso è Vero, della AAA Edizioni, oppure l’innumerevole mole di informazioni su Internet. Trovo invece più interessante esaminare un fenomeno che ancora oggi offre spunti e contributi al moderno remix, mettendo a fuoco metodi, tecniche e pratiche ideate per permettere a chiunque di fare musica. Quando Stewart Home afferma che il bello del praticare il Plagiarismo sta nell’assenza del talento, e che quindi teoricamente tutti potrebbero sviluppare una loro creatività, probabilmente prende molto in considerazione il fenomeno del “saccheggio sonoro”. Thomas Edison parla, già nella seconda metà dell’ottocento, del suo grammofono come di un tentativo nel creare “il più grande strumento musicale di tutti i tempi” 6. Riesce già a 81 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 intravedere un ulteriore uso, oltre la funzione originaria della sua invenzione. Nell’accezione comune, il grammofono non è altro che uno strumento di riproduzione sonora, ma l’affermazione di Edison parte da un’esperienza diretta con esso; esperienza che si riferisce a una valutazione tecnica dello strumento che solo un visionario può avere. In effetti, se pensiamo al moderno scratching, s’intuisce che con il grammofono la modificazione del suono è praticamente a portata di mano già sul finire del diciannovesimo secolo. Un ingegnere parigino, Pierre Schaeffer, raccoglie positivamente il messaggio di Edison e lo mette in pratica in diversi modi; siamo nei primi anni venti. È possibile, infatti, variare la velocità o invertire la rotazione del disco, o ancora intervenire a livello materiale sulla superficie del disco creando graffi, solchi e altro. Prendete il caso di Steve Stein, produttore di Master Mix. I deejay di Master Mix usano i dischi come macrocampionamenti, cambiando, combinando costantemente i suoni protetti da copyright di vari brani. I collage di Stein sono conglomerati di registrazioni originali di Otis Redding, Walter Cronkite, Led Zeppelin e una serie di altri autori mescolati in eccentriche sovrapposizioni. 7 L’evoluzione del grammofono si concretizza nel meno versatile nastro magnetico di Luca D’Ammora nel 1925, al quale i tedeschi applicano alcune modifiche dopo la Seconda Guerra Mondiale. In tal modo, la rivalutazione del nastro magnetico fu tale che ancora oggi, nell’era del CD e del mp3, i remixer più nostalgici mettono in atto i loro interventi creativi proprio sulle ormai dimenticate cassette a nastro, con forbici e adesivo. Ma è negli ambienti urbani delle periferie, teatro della cultura underground, che sul finire degli anni settanta si sviluppano metodi ed esperienze innovative e sperimentali in campo 82 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 musicale, o meglio, sonoro. L’eterogeneità etnica mette insieme contesti culturali diversi tra loro e li mescola per creare nuove forme artistiche che si riferiscono a una serie di metodologie creative considerate “basse”, ma comunque in ascesa. Ci troviamo di fronte, inoltre, a una periodo storico fortemente .Plunderphonic, John Oswald caratterizzato da controculture di vario genere; tra queste, il movimento hippie, il punk e tutta una serie di gruppi antirazzisti, come le Pantere Nere. È quindi intuibile che in un ambiente del genere le nuove arti si sono fortemente ispirate alla lotta di classe, all’attivismo politico e a una profonda rivalutazione dei diritti umani e civili. La musica è forse uno dei campi più influenzati dall’ascesa della cultura underground in cui, tra l’altro, si riconsidera l’importanza del suono grezzo. Partendo da queste considerazioni, un compositore canadese, tale John Oswald getta le basi della plunderfonia, da plunder, “saccheggio” con l’aggiunta di phony, “fonia” (il termine “phony”, in qualità di aggettivo, si traduce come “falso”: è una pura coincidenza?). È la cosiddetta corrente di “musica plagiarista” o plunderfonica, che appunto si serve di materiali già registrati per comporre i propri dischi, e si diffonde massicciamente con la comparsa di computer e campionatori che rendono il “taglia/incolla” di brani musicali più rapido e meno costoso. Sul piano teorico, la musica plagiarista riprende i vecchi temi del riciclaggio artistico e dell’ibridazione di stili già utilizzati da Duchamp in poi. Stili che non comprendono solo la musica, ma anche il packaging e il merchandise dell’opera. 83 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Non potremmo fare a meno di notare il titolo a tutta pagina dell’album U2, dei Negativland. Contestatissimo dal punto di vista pubblico e perseguito legalmente, l’album rappresenta una provocazione satirica nei confronti dei cavilli burocratici sul copyright e dell’ingenuità della società. .U2, Negativland In principio, infatti, nel 1991, tutti pensavano che “Negativland”, scritto a caratteri molto più piccoli di U2, che occupa quasi l’intera copertina, fosse il titolo dell’ennesima produzione della celebre rock band irlandese. Immaginate la reazione di quei fan che, acquistato il CD, si trovarono ad ascoltare eclettici campionamenti dei loro beniamini. La Island Records, etichetta di produzione degli U2, fece causa ai Negativland accusandoli di violazione del copyright e di aver volutamente confuso i fan della band per ottenere grande visibilità e grande guadagno. Riferendosi alla clausola del Fair Use 8, i Negativland contestarono l’esclusività del nominativo U2, poiché è anche il nome di un aereo-spia, e quindi utilizzabile in quel termine. Tornando alla musica, la plunderfonia non è altro che un elaborato remix, da non confondere con altre pratiche, come il mash up (una sovrapposizione di due brani musicali diversi tra loro). Secondo le norme legislative che tutelano la proprietà intellettuale, ogni pezzo preso da un’opera altrui deve essere riconosciuto, accreditato e pagato in base a criteri precisi; ma se John Oswald, o i Negativland, o ancora Girl Talk, dovessero denunciare l’utilizzo di tutti i frammenti presenti nelle loro composizioni, le cifre delle royalties ammonterebbero a 84 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 centinaia di migliaia di dollari, o euro. Si esclude a priori un’originalità nella composizione dei brani remixati e, quindi, di un possibile ritorno di pubblicità per quei musicisti che hanno concesso (involontariamente) l’uso delle loro opere. 85 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 Note 1 I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996; 2-6-7 Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj, Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini, Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output, Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998; 3 (cfr.) L’Ulisse, James Joyce, 1914-1921; 4 Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette Sigilli, San Giovanni Apostolo; 3 Mind Invaders – come fottere i media: manuale di guerriglia e sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000; 8 (ndr.) Il Fair Use (in italiano “uso” o “utilizzo legale”, “equo” o “corretto”) è una clausola legislativa presente nel Copyright Act (Articolo 17, Paragrafo 107), la legge statunitense sul copyright. La clausola stabilisce come lecita la citazione non autorizzata o l’incorporazione di materiale protetto da copyright nell’opera di un altro autore, tenendo conto di varie condizioni e clausole. 86 Verso un’arte del plagio Capitolo 4 87 L’uso del plagio Capitolo 5 Capitolo 5 L’uso del plagio Esempi pratici di Plagiarismo .I primi Romeo e Giulietta Non tutti sanno, o vogliono sapere, che anche i più grandi autori della storia della letteratura si sono, in qualche caso, “fortemente ispirati” ad opere a loro precedenti. Niente di più comprensibile; dopotutto, come accade il più delle volte, il futuro si costruisce dal passato. Come già accennato nel capitolo Dov’è la fregatura?, Stewart Home dichiara di aver riscontrato un “metodo plagiarista” nientemeno che in William Shakespeare, senza però specificare l’opera da cui è stato “ispirato”. Ebbene, si tratta della tragica vicenda di Piramo e Tisbe nel poema epico Le Metamorfosi, un’ampia raccolta di racconti in versi del poeta romano Ovidio. 88 L’uso del plagio Capitolo 5 .Le Metamorfosi, Libro IV, Piramo e Tisbe, Publio Ovidio Nasone, 8 d.C. 1 Piramo e Tisbe, due fanciulli babilonesi, abitano in due case contigue; grazie alla vicinanza si conoscono e col tempo nasce l’amore. Si sarebbero uniti in legittime nozze, se non l’avessero impedito i genitori, ma il loro amore cresceva sempre più. Non si confidano con nessuno e si parlano con cenni e gesti. Il muro comune alle due case è solcato da una sottile fessura, la quale si era formata al tempo in cui era stato costruito. La crepa viene così usata dagli innamorati per parlarsi e sussurrarsi dolci parole. Restando divisi, una sera si salutano e ciascuno dà alla sua parte del muro dei baci che non arrivano di là. L’indomani tornano tutti e due al solito posto. Allora, dopo essersi a lungo lamentati, stabiliscono di eludere la vigilanza e di tentar di uscire di casa nel silenzio della notte, e una volta fuori, di lasciare anche l’abitato e incontrarsi al sepolcro del re Nino e nascondersi al buio sotto l’albero. C’è lì infatti un albero tutto carico di bacche bianche come neve, e un alto gelso sull’orlo di una freschissima fonte. Rimangono d’accordo così. Di soppiatto, aperta con cautela la porta, Tisbe esce nelle tenebre senza farsi sentire dai suoi, e col volto velato arriva al sepolcro e si siede sotto l’albero prestabilito. Quand’ecco che una leonessa, che aveva appena fatto strage di buoi, giunge con la schiuma alla bocca e il muso intriso di sangue a dissetarsi alla fonte lì accanto. Tisbe di Babilonia la vede al chiarore della luna, e con piede trepidante corre a rifugiarsi in una grotta oscura, ma mentre fuggiva il velo le scivola dalle spalle. La leonessa, sedata la sete, stava tornando nel bosco, quando per caso 89 L’uso del plagio Capitolo 5 trova il delicato velo abbandonato, e lo straccia con le fauci insanguinate. Piramo, uscito più tardi, scorge nell’alta polvere le orme inconfondibili di una belva e impallidisce dalla paura. Quando poi trova anche la veste macchiata di sangue piange la morte della sua amata e invoca anche per se stesso la morte, essendo causa della tragedia dell’amata. Raccolti i brandelli del velo di Tisbe, li porta ai piedi dell’albero convenuto e si conficca il pugnale nel ventre. Morente, lo ritrae dalla gorgogliante ferita e cade a terra supino. Il sangue schizza in alto e i frutti della pianta, spruzzati di sangue, divengono scuri; la radice inzuppata continua a tingere di rosso cupo i grappoli di bacche. Nel frattempo Tisbe ritorna al luogo stabilito e cerca il giovane innamorato. Ritrova e riconosce la forma della pianta, ma il colore dei frutti la fa restare incerta. Mentre è in dubbio, vede un corpo agonizzante a terra, in una pozza di sangue, e rabbrividisce. Riconosciuto il suo amore, si batte le braccia, si straccia i capelli, abbraccia il corpo amato e bacia il suo gelido volto. Piramo alza per un attimo gli occhi e li richiude. Tisbe riconobbe il suo velo e, preso il pugnale di Piramo, si uccide. Prima di morire però rivolge ai genitori di entrambi una preghiera: di restare uniti nella morte in un unico sepolcro, mentre all’albero di serbare il ricordo di questa tragedia e in segno di lutto di conservare dei suoi frutti il colore scuro. Puntandosi il pugnale sotto il petto, si curva sulla lama che ancora era calda di sangue. Per questo il colore delle bacche, quando sono mature, è nero, e ciò che è avanzato dal rogo riposa in un’unica urna. 90 L’uso del plagio Capitolo 5 .Romeo e Giulietta, William Shakespeare, 1594-1596 2 Romeo, figlio ed erede della famiglia Montecchi, è innamorato della bella Rosalina e non teme di affrontare a questo riguardo gli scherzi dei suoi amici Benvolio e Mercuzio. Capuleti, il capo della famiglia rivale, si prepara a dare una grande festa per permettere a sua figlia, Giulietta, di incontrare il Conte di Parigi. Quest’ultimo, in effetti, l’ha richiesta in matrimonio ed i genitori di Giulietta sono favorevoli a quest’unione. Romeo, che crede di trovarvi Rosalina, si autoinvita con gli amici Benvolio e Mercuzio a questo grande ballo mascherato. Scorge Giulietta e resta folgorato dalla sua bellezza cadendo follemente innamorato di lei; è il colpo di fulmine reciproco. Le si avvicina e l’abbraccia due volte quindi si ritira. Romeo e Giulietta scoprono adesso la loro identità reciproca. Disperati si rendono conto di essersi innamorati ciascuno del proprio peggior nemico. Al cader della notte, Romeo si nasconde nel giardino del Capuleti. Quindi si avvicina sotto il balcone di Giulietta e le dichiara il suo amore. Tutti e due fanno a gara nel pronunciare dichiarazioni d’amore appassionate. Perdutamente innamorato, Romeo si confida il giorno dopo con Fra Lorenzo, il suo confessore. Inizialmente incredulo, Fra Lorenzo promette tuttavia a Romeo di aiutarlo e di celebrare il suo matrimonio, nutrendo anche la speranza di riconciliare Capuleti e Montecchi. Tebaldo, cugino di Giulietta, sfida Romeo a duello. Ma il giovane, al colmo della felicità e pieno di una simpatia “fraterna” per l’aggressore, rifiuta di battersi. Mercuzio, il confidente e amico di Romeo, giovane coraggioso e brillante, si affretta a sostituirlo battendosi contro Tebaldo. Quest’ultimo lo ferisce a 91 L’uso del plagio Capitolo 5 morte. Mercuzio muore maledicendo il litigio delle due famiglie nemiche. Romeo vendica la morte del suo amico e uccide Tebaldo. Romeo ormai ricercato deve fuggire in esilio. Giulietta è in preda al dolore. Suo padre, reso inquieto dallo stato d’animo della figlia, decide di accelerarne il matrimonio con il Conte di Parigi. Il matrimonio avrà luogo il giorno dopo. Giulietta si rifiuta. Suo padre la minaccia: o sposa il Conte, o la disereda. Lei corre da Fra Lorenzo che le propone di bere un filtro che può darle l’aspetto della morta per quaranta ore: credendola morta, la chiuderanno nella tomba del Capuleti. Fra Lorenzo verrà allora con Romeo a liberarla. Il frate promette di informare Romeo dello stratagemma. Giulietta accetta il piano. Rimasta sola nella sua camera, beve il filtro. La mattina del giorno dopo la governante la scopre inanimata. Tutta la famiglia piange la morte di Giulietta. Fra Lorenzo fa sì che tutto si svolga secondo i suoi piani. A Mantova, dove Romeo è in esilio, riceve la visita di Baldassarre, suo servo, che gli annuncia la morte di Giulietta. Ha soltanto un rapido pensiero: procurarsi del veleno e ritornare a Verona per morire accanto alla sua Giulietta. Durante questo lasso di tempo, Fra Lorenzo apprende che un intoppo ha impedito al suo messaggero di informare Romeo del suo stratagemma. Decide di recarsi alla tomba del Capuleti per liberare Giulietta. Ma il dramma precipita. Romeo si reca sulla tomba di Giulietta e v’incontra il Conte di Parigi venuto a portare fiori alla fidanzata morta. Un duello ha luogo tra i due giovani e il Conte, morente, chiede a Romeo che accetta, di adagiarlo vicino a Giulietta. Romeo contempla la bellezza luminosa di Giulietta e la abbraccia prima di bere il veleno e morire a sua volta. Fra Lorenzo è sconvolto nello scoprire i corpi di Romeo e del Conte di 92 L’uso del plagio Capitolo 5 Parigi. Assiste al risveglio di Giulietta e tenta di convincerla a seguirlo e andarsi a rifugiare in convento. Ma Giulietta che scopre il corpo di Romeo mortogli vicino si pugnala con la spada del suo amante e muore al suo fianco. .Vaticano.org e Luther Blissett Nel 1999 il gruppo 01.org pubblica una sua personale versione del sito ufficiale del Vaticano, che riesce a rimpiazzare l’originale per ben un anno. Anche qui, si tratta di détournament, poiché i visitatori del sito restano increduli o turbati nel vedere pubblicati testi sacrileghi e brani scaricabili degli 883 3. Un esercizio plagiarista del genere mette in luce la labilità dei sistemi che controllano e tutelano la proprietà intellettuale attraverso i temi dell’ironia, della provocazione e della satira più libertaria. Si riafferma, inoltre, un’assenza di compromessi che l’arte d’avanguardia concretizza nello sviluppo di opere che entrano nella sfera della fruizione mediatica. A un primo impatto visivo, Vaticano.org è la copia quasi esatta del sito originale, URL incluso. 01.org, quindi, sfrutta appieno sia le potenzialità delle nuove tecnologie, che permettono di evitare facilmente i controlli primari di base, sia l’attendibilità dei materiali che vengono rimaneggiati. In questo caso specifico, si parla anche di appropriazione, volta a indurre nell’utente la stessa sicurezza che avrebbe se si trovasse a 93 L’uso del plagio Capitolo 5 navigare sul vero sito del Vaticano. I concetti di “appropriazione” e “attendibilità” sono alla base dell’intera produzione di 01.org, creatori, tra l’altro, del nome multiplo Luther Blissett. Il nome multiplo, come già anticipato da Stewart Home nei capitoli precedenti, è liberamente utilizzabile da chiunque voglia aderirne; da quel momento in poi, le opere del singolo saranno firmate “Luther Blissett”. Comunque, l’adesione a un collettivo che rende la provocazione una tattica per ottenere una rapida visibilità non si rivela molto allettante; l’elenco delle cause intentate ai danni di Luther Blissett è pari alla quantità di opere da esso realizzate. Una delle “performance” più divertenti (e oltraggiose) è, a mio parere, la beffa del 1995 alla trasmissione di RaiTre Chi l’ha visto? 4. L’arte è stimata dal gruppo come un mezzo influente per sviluppare argomenti politici e sociali privi di mezze misure. L’individuo è immerso quotidianamente in flussi continui di messaggi di ogni tipo, mentre l’artista non si limita a riappropriarsi di tale flusso, ma ne ricrea un panorama mediatico in cui è protagonista. I media costruiscono la percezione della realtà e manipolare i media significa modificare la realtà. Partendo da questi concetti, Luther Blissett crea a sua volta una personalità fittizia di nome Harry Kipper, un performer inglese scomparso tra Italia e Gran Bretagna. Dopo aver arginato i controlli ANSA, la descrizione del personaggio, della sua vicenda unita a una mole dettagliatissima di materiale sulla sua vita, opere e poetica (viene addirittura creato un sito autobiografico) è tale da indurre negli autori della trasmissione la fondatezza della segnalazione; le ricerche vengono interrotte solo dopo una confessione telefonica dello stesso Blissett alla redazione del programma. Pur trattandosi di individui e situazioni mai esistiti, 01.org e Luther Blissett, attraverso l’appropriazione indebita (o forse 94 L’uso del plagio Capitolo 5 debita, dato che comunque ci troviamo di fronte a fatti e persone inventate) di personalità, delineano nuove metodologie nella campagna anti-mediatica delle controculture, intaccando direttamente l’autorità degli strumenti e dei mezzi di diffusione informatica. .Dalla guerriglia al pop: Scream La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle potenzialità creative di ognuno. Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura, universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro che si definiscono tali; ma queste etichette vengono accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video eccetera. I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale, rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico. Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte 95 L’uso del plagio Capitolo 5 come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche l’essenza culturale. Dalla guerriglia psicologica di Blissett si passa a un metodo più “ipodermico” di diffusione dell’opera plagiarista e dell’ideologia controculturale. È ciò che ha fatto Amy Alexander quando, prendendo il busto della figura al centro del dipinto, ha trasformato e ampliato quello che l’opera rappresenta; ha seguito le leggi che oggi regolano la distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La Alexander ha decontestualizzato il dipinto, privandolo di quella drammaticità che l’ha reso celebre e ha riplasmato, inoltre, l’estetica del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”, se vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su t-shirt o da usare come adesivo; o ancora, nel caso dell’opera della Alexander, trasformato in un’applicazione per sistemi operativi con cui si possa interagire. 5 In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre. È il modo in cui essa è rimodellata che rende il Plagiarismo un esercizio creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti non solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo 96 L’uso del plagio Capitolo 5 .http://amy-alexande.com/Alexander_Artistic_Software.html .Scream, applicazione per Windows, Amy Alexander .http://scream.deprogramming.us/ 97 L’uso del plagio Capitolo 5 distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per non parlare dei remake, attualmente molto in voga in campo cinematografico (credo per giustificare una mancanza di idee a dir poco imbarazzante). .Deprogrammazione http://amy-alexander.com/Alexander_Artistic_Software.html Scream è un software per Windows che reagisce alle urla umane; si scontra con una passività data dalla frustrazione e dalla disfunzionalità umane all’interno di una sfera culturale caratterizzata dai software. Così come nega l’apparente perdita di fascino del disturbo emotivo e dell’espressione pubblica. Il software Scream può essere scaricato solo dagli utenti membri; insieme al software scaricabile, il sito stesso fa parte dell’intero progetto. Il sito, inoltre, sfida il territorio dei software e dell’arte digitale, proponendo, quasi ironicamente, Scream in un contesto memonico localizzato nella Street Art; come quello rappresentato, nella Street Art tradizionale, da opere come Shepard Fairey di Obey Giant. http://scream.deprogramming.us 98 L’uso del plagio Capitolo 5 Scream è un software che ti spinge a urlare. Scream risiede tranquillamente nel menù di sistema del vostro computer, e automaticamente entra in azione quando viene rilevato un urlo. Scream distorce l’interfaccia di Windows. Ma non si occupa soltanto di confondere le immagini del computer. In un contesto dove “la rabbia” è spesso collegata alla “gestione”, Scream incoraggia il ritorno alla ribalta dell’urlo quale pratica in declino. Come Howard Beale afferma nel 1976, “Non devo dirvelo io che le cose vanno male […] Tutto quello che so è che prima di tutto dovete arrabbiarvi…” 6. Ma mentre Howard consiglia ai suoi spettatori di spegnere i loro televisori per potersi arrabbiare, Scream propone che si lasci il computer acceso. Scream può essere utilizzato in privato. O in pubblico. Può essere utilizzato a casa, al lavoro, o per strada; al centro commerciale o presso il vostro locale preferito. […] Usa Scream per dare inizio a un’ideologia. O semplicemente come atto casuale di deprogrammazione. Scream, The Screaming Enhancer (L’Intensificatore di Urla) (Indicato con l’utilizzo di liti domestiche, porte sbattute ed elicotteri della polizia.) Scream-In Portate Scream al vostro prossimo raduno, concerto rock o evento Fluxus. Raccogliete uno, mille amici e organizzate uno Scream-In. Portate con voi un telefono cellulare e catturate uno Scream-A-Thon! 99 L’uso del plagio Capitolo 5 Realizza una Scream T-Shirt È divertente e alla moda. Scarica qui l’immagine di Scream e trasferiscila su una t-shirt applicandola con il ferro da stiro (l’immagine può anche essere usata per fare adesivi o qualsiasi altra cosa!). .POPlagiarismo Lo indica il nome stesso dell’URL del sito della Alexander: “deprogramming.us” 7. Indica, cioè, una volontà in linea con l’intero pensiero che distingue le teorie controculturali di Home e, facendo un balzo indietro, con le tematiche già focalizzate dal Dadaismo. “Deprogrammar.ci” sarebbe la traduzione letterale, e mette in luce una serie di concetti che meritano una certa riflessione. In primo luogo, l’accostamento tra uomo e macchina, poiché sappiamo che la deprogrammazione è un’azione associabile specificatamente alla sfera artificiale. Attraverso di essa, una macchina, o un meccanismo, subisce la cancellazione totale o parziale di una o più funzioni che lo caratterizzano. Seppur in modo particolare e metaforico, stiamo parlando di “memoria”. L’uomo si evolve proprio in base alla memoria, ai ricordi, alle esperienze che accumula nel corso della vita. Uno stile di vita è continuamente influenzato da un’ideologia comunitaria veicolata dall’andamento politico, economico e sociale di una civiltà. Allo stesso modo mutano le nostre abitudini, il nostro pensiero che, se non assistiti da una volontà autocritica, 100 L’uso del plagio Capitolo 5 possono portare all’opinione di massa, all’alienazione. La Alexander affranca la mente umana alla scheda madre di un computer. Attraverso la deprogrammazione, quale liberazione da un pensiero collettivo pilotato dall’alto, l’individuo diventa realmente singolare, unico. L’ipocrisia del buon costume induce la massa ad adottare una morale che scinda l’uomo dall’animale, cioè un essere che agisce per istinto. Dando adito a un atteggiamento ribelle contro questi “dogmi”, l’individuo comunica il suo stato d’animo in modo spontaneo e personale. In pratica, la Alexander vuole dirci “Se avete voglia d’incazzarvi, se non sapete come sfogarvi… urlate! Perché non dovreste farlo?”. Una volta definito questo punto, non resta da dire che l’opera di Amy Alexander, composta da software e sito web insieme, non è molto dissimile dalle consuete manovre di merchandising e di promozione di un prodotto commerciale, più che culturale. Per inserirsi a livello “ipodermico”, talvolta un pensiero deve trovare dei compromessi; lo stesso vale per un’opera che voglia lasciare un’impronta nell’immaginario collettivo. Come già accennato, il Plagiarismo si avvale di questa sorta di “mimesi”: non solo nella caratterizzazione dei soggetti delle opere, che spesso sono riconoscibili in altri autori, ma anche nella circolazione di quest’ultime. Con Scream, il Plagiarismo assume le sembianze di una manovra commerciale con intenti sociali mirati alla diffusione di un’ideologia contro il mercato dell’arte e il Sistema. Rende visibili (e vendibili) i suoi prodotti attraverso metodi troppo popolari per l’arte “alta”, e allo stesso tempo rema contro il Sistema assumendone le sembianze. È fin troppo evidente che il soggetto di Scream fa riferimento a L’Urlo di Edvard Munch. L’esercizio creativo, qui, sta nel reinterpretare e nel decontestualizzare la figura dell’opera originale. 101 L’uso del plagio Capitolo 5 Al soggetto viene conferito un aspetto più contemporaneo attraverso una tecnica che ricorda il rastering, cioè una ridefinizione digitale mediante pixel di un’immagine analogica; una tecnica che si riferisce a un tipo di grafica tornato in voga negli ultimi tempi, oltre che molto popolare. L’aura culturale che circonda la fama del dipinto di Munch, in Scream viene completamente abbandonata. Il dipinto diventa un’applicazione che capta le urla umane trasformandole in impulsi che distorcono l’interfaccia del computer. Mette in evidenza la partecipazione attiva dell’utente, in parole povere, l’interazione; una caratteristica propria delle tecnologie informatiche moderne, ancora troppo ignorata dalle arti accademiche che spingono gli spettatori alla mera contemplazione dell’opera. La commerciabilità rimane il fattore chiave e le istruzioni sulle possibilità d’uso di Scream indicate dalla Alexander sono accattivanti, moderne e alla portata di tutti. Decontestualizzano la sacralità del dipinto di Munch, che viene rimodellato per poter essere trasferito su supporti che nulla hanno a che vedere con una prospettiva canonica di arte: magliette, cellulari e computer, vale a dire beni di consumo. 102 L’uso del plagio Capitolo 5 Note 1 (cfr.) Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici, 1964; 2 (cfr.) Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001; 3-4 http://www.lutherblissett.net/archive/033_it.html; 5-7 http://scream.deprogramming.us; 6 Howard Beale (Peter Finch), giornalista TV fittizio dal film Network, USA (1976): “Non devo dirvelo io che le cose vanno male. Tutti sanno che le cose vanno male. Parliamo di depressione. Chiunque può perdere il proprio lavoro o ha paura di perdere il proprio posto di lavoro. Il dollaro comincia a non valere più di un nichelino; le banche stanno andando a rotoli; i negozianti hanno una pistola sotto il bancone; i punk corrono per le strade come impazziti, e pare non ci sia nessuno in giro che sappia cosa fare, in un circolo senza fine. Sappiamo che l’aria che respiriamo e il cibo che ingeriamo sono nocivi. E ci sediamo a guardare la TV, mentre un notiziario locale ci informa che oggi ci sono stati quindici omicidi e altri sessantatre reati di violenza, come se questo fosse la normale routine! Tutti sappiamo che le cose vanno male (peggio che male) che si tratta di follia. È come se dappertutto ogni cosa stesse impazzendo, spingendoci a non uscire più. Ci sediamo nelle nostre case mentre il mondo in cui viviamo si fa sempre più piccolo, e tutto quello che abbiamo da dire è: “Ti prego, fa’ che possa restare in pace almeno nel mio salotto. Lascia stare il mio tostapane, la mia TV, i miei cerchioni cromati, ed io non dirò nulla. Lasciami in pace e basta”. Beh, io non ho alcuna intenzione di lasciarvi in pace. Voglio che vi arrabbiate! Non voglio che protestiate. Non voglio farvi ribellare. Non voglio 103 L’uso del plagio Capitolo 5 che scriviate a un membro del Congresso, perché non saprei proprio cosa possiate scrivere. Non so che fare riguardo alla depressione e all’inflazione e ai russi e al crimine per strada. Tutto quello che so è che prima di tutto dovete arrabbiarvi. Dovete dire: “Sono un essere umano! La mia vita ha un valore!” Quindi, voglio che ora vi alziate. Voglio che tutti vi alziate dalle vostre sedie. Voglio che vi alziate subito e andiate alla finestra, aprirla, e ficchiate la testa fuori per urlare. “Sono incazzato di brutto, e non ho più intenzione di sopportare tutto questo!”. 104 L’uso del plagio Capitolo 5 105 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 Capitolo 6. Dov’è la fregatura? Analisi del saggio Nessuno osi chiamarlo plagio, di “Tom Vague” Premessa: l’analisi che segue è tratta dal libro di Tommaso Tozzi, Arte di Opposizione. Ogni citazione o opera riportate in questo capitolo sono contenute nel testo di Tozzi (vedi note). “Il grande problema dell’arte del ventesimo secolo è la continua richiesta di qualcosa di nuovo e originale, con la conseguenza che ogni cosa sembra cambiare, per quanto di fatto niente cambi realmente […]. Sono necessari migliaia di anni per sviluppare del prospettive, mentre oggi la gente richiede innovazioni radicali ogni settimana. Il risultato è che ottengono ciò che si meritano: insulti.” (da Nessuno osi chiamarlo plagio, “Tom Vague”) 1 “Tom Vague” associa il fattore della novità all’insulto, inteso come dissociazione dalle etiche imposte dalla cultura borghese e come trasgressione dal pensiero comune e dalle religioni. In 106 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 poche parole si tratta di provocazione. Seguendo ancora le leggi che regolano il flusso pubblicitario/commerciale, la provocazione diviene così la via più rapida per il successo nel bene e nel male. Del resto non ci vuole molto per destare una certa reazione quando si vuole remare contro qualche principio: basta fare ciò che le istituzioni sanciscono come “sbagliato, distruttivo, intollerabile”, nel caso dell’arte, “anti canonico”; da qui è possibile ipotizzare che dall’espressionismo a oggi l’artista abbia desiderato provocare, in misura sempre maggiore, il pubblico proponendo continuamente qualcosa di nuovo. “Tom Vague”, però, ci allontana da questa visione. Afferma che in realtà queste innovazioni, dalla committenza rinascimentale in poi, non hanno effettivamente influenzato il modo di vedere l’arte e, in particolare, non hanno influenzato l’opinione pubblica che percepisce ancora l’arte come attività elitaria, sebbene i movimenti che la caratterizzano abbiano provato spesso ad accostarsi al grande pubblico. In molti casi i risultati sono stati ininfluenti, frivoli e, perciò, effimeri. Secondo “Vague”, si esigono cambiamenti radicali in tempi molto ristretti; esattamente la stessa necessità che regola il Mercato. Qui però non si tratta di produrre qualcosa che soddisfi le necessità del consumatore, bensì qualcosa che abbia un valore aggiuntivo in un contesto culturale (e magari, in seguito, economico). L’arte non vuole soddisfare i bisogni materiali del potenziale acquirente, ma deve in qualche modo coinvolgerlo attraverso i suoi contenuti, per trarre tutti i benefici possibili. Benefici quali una buona visibilità e il “passaparola”; sono fattori che incrementano la domanda. Ciò che in un primo momento, però, risulta efficace e d’impatto (o provocatorio) potrebbe venir meno nello sviluppo di opere successive, poiché l’elemento fondamentale rimane 107 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 sempre la ricerca dell’originalità. Purtroppo, pur di non perdere questo primato, non si può fare a meno di rielaborare qualcosa che già esiste, ad esempio un’opera altrui: si parla di plagiare. Il plagio è la base dell’incremento culturale ed è tra i fattori primi del miglioramento. “Tom Vague” lo dimostra, seppur sommariamente, citando Shakespeare e Marlowe i quali spesso plagiavano trame e idee da scrittori a loro precedenti. Più avanti vedremo come il plagio, o meglio il Plagiarismo, sia un metodo in uso da molto più tempo di quanto crediamo e in modi che non ci aspetteremmo. Le “prospettive” di cui parla “Vague” sono frutto di teorie solide sulle quali è possibile costruire un nuovo livello socioculturale che sia riconosciuto dalle generazioni a venire; evidentemente i tempi dell’arte si sono susseguiti tanto rapidamente da rendere impossibile, a oggi, lo sviluppo di un bagaglio contenutistico realmente valido da applicare alle opere, sia a livello sociale che culturale. Ciò crea inevitabilmente una situazione in cui il plagio diviene la base su cui costruire il proprio “fare” creativo. Del resto è anche un metodo tanto rapido quanto pratico, soprattutto nell’era della digitalizzazione, in cui la copia viene riconosciuta come punto di partenza nella creazione di qualcosa di nuovo (si pensi al remix). Analogamente alla musica, per i plagiaristi il terreno più fertile su cui iniziare la propria attività è sicuramente la scrittura. Sia “Vague” che Home concordano sulla possibile assenza di talento, poiché il plagio offre un raggio di azione molto ampio che non prevede necessariamente un’innata creatività né particolari doti artistiche e concettuali. Entrambi indicano al neoplagiarista di scegliere un testo da plagiare e di copiarlo: non vi è alcun talento in questo, tuttavia “Vague” in particolare, incita a una manipolazione, o rilettura, del testo attraverso 108 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 l’introduzione di piccole frasi o parole che possano, in qualche modo, sconvolgere o addirittura invertire il significato stesso del testo originale. Con la stessa facilità si potrebbe copiare un testo parola per parola, ma questo porterebbe quasi spontaneamente ad applicare un qualche intervento creativo, poiché il plagio schietto risulterebbe obsoleto. Ancora, “Vague” cita alcuni esempi di questo Plagiarismo creativo: “1984 di Orwell è una riscrittura precisa di We di Zamyatin” e nel riff di Simpathy for the Devil dei Rolling Stones “Vague” riconosce il principio dell’intera produzione rock moderna. Questo riff è, a sua volta, un plagio del brano Lust for life di Iggy Pop. Lo stesso Ivo Milazzo, autore del celebre Ken Parker e mio docente di Tecniche e Teoria del Fumetto, presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, durante la sua prima lezione affermò: “Non abbiate la presunzione di intraprendere una carriera creativa credendo di inventare qualcosa di nuovo e non pensiate che l’originalità porti dei risultati a breve termine; se volete avere successo dovete necessariamente copiare da altri autori”. Da tutte queste riflessioni e dalle esperienze vissute da chi si è trovato plagiato o plagiario (o plagiarista) torna di nuovo un argomento affrontato in precedenza, ovvero il talento. Da quanto riportato finora, risulta evidente l’assenza di un talento pratico nell’esercizio di selezione e plagio di materiale; soprattutto oggi, quando persino un bambino è in grado di fare “copia/incolla” dal suo computer. Dal canto suo però, “Vague” non affranca in alcuna occasione il termine “Plagiarismo” a “arte”, ma, come lui stesso afferma, “è un esercizio fortemente creativo”. Se il Plagiarismo fosse 109 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 riconosciuto come movimento artistico, allora chiunque in grado di copiare qualcosa diverrebbe, quasi automaticamente, un artista, senza nemmeno il bisogno di autoproclamarsi tale. Non diversamente dai processi in atto nel progresso scientifico, in cui un progetto può essere analizzato e migliorato. Perciò il talento risiede nella capacità di rimodellare l’idea e lo spirito di un’opera senza copiarla semplicemente e quindi di farne assumere una funzione, un messaggio, un concetto differenti se non complementari all’opera già esistente. “Per selezionare materiale bisogna essere dei geni” conclude “Vague”, riprendendo una massima di Pablo Picasso (“I mediocri imitano, i geni copiano.”). Egli conferma il fatto che, se si volesse racchiudere il Plagiarismo all’interno di un’area culturale con valenza artistica, esso risulterebbe concettuale non meno della Merda d’Artista; poiché è nel messaggio e nel contesto che si richiede un talento contenutistico non accessibile a tutti. Il Plagiarismo, comunque, non ha questa pretesa e Home stesso lo ripete più volte negando a esso persino l’etichetta di “movimento”; infatti egli consolida l’arte in una “celebrazione acritica e snob dello stile di vita borghese”. La tesi più specifica e che più ha ispirato pensieri e critiche rimane quella di “Vague”, dunque, che riassume la pratica del plagio nel talento di stravolgere un contenuto senza violare i diritti di copia e nell’esercizio di sviluppo delle capacità creative di ognuno. In definitiva non è altro che la parodia di un metodo in uso da anni, che nel nostro secolo trova non poche difficoltà sia in termini di legalità che di opinione pubblica a causa delle restrizioni del copyright, frutto “delle forze capitalistiche che controllano la cultura occidentale”. Il Plagiarismo è una controcultura d’avanguardia che ricorda in particolare le azioni di “estetizzazione” del quotidiano, già teorizzate da Fluxus e concretizzate nell’opera letteraria 110 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 minimalista di George Brecht, Water Yam (1964). Si tratta di un libro d’artista, all’interno del quale sono riportati bizzarri elenchi di azioni da eseguire: in tal modo il lettore può dislocarsi dalla comune fruizione del mondo che lo circonda. Non si tratta di semplice detournément, ma di una vera e propria ispirazione applicata contro il Sistema, inteso nel più ampio quadro delle regole che determinano il modo di agire di chiunque. Three Thelephone Events ne è un esempio 3. Non bisogna ignorare o accusare precipitosamente le similitudini che l’opinione pubblica percepisce tra Plagiarismo e furto di proprietà intellettuale; al contrario, ciò autentica il lavoro di produzione artistica, in cui i plagiaristi si trasformano in una specie di sociologi/antropologi che tentano un approccio culturale non stereotipato in una società disinteressata. E su questo concetto basilare, partendo da Internazionale Situazionista, passando da Fluxus fino ad arrivare al Neoismo, Home affronta il problema dell’estetica del plagio. .Esercizio creativo La visione di Plagiarismo come arte è irta di contraddizioni. Se ci soffermiamo sull’idea che si possa liberamente produrre arte, copiando un’opera altrui già esistente, si rischierebbe di incappare nella concezione comune che il Plagiarismo è solo un tentativo di istituzionalizzare e in qualche modo incentivare il furto intellettuale. Ciò che il Plagiarismo prevede, è l’esercizio dello sviluppo 111 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 culturale, estetico e concettuale che prevede l’uso e il consumo di opera che sono liberamente fruibili dal momento che sono anche pubbliche. Tentando di non infrangere apertamente il copyright, il neoplagiarista cerca in modo creativo di mutare il concetto implicito dell’opera originale, dando forma pian piano a un prodotto distaccato e fondamentalmente diverso. Si tratta dunque di una pratica innegabilmente liberale, che non prevede margini di errore, ma che dà accesso a un’infinita gamma di soluzioni e possibilità, sulla scia dell’ideologia sperimentalista che accompagna tuttora le avanguardie. La si potrebbe etichettare come “arte democratica”, o meglio “attività democratica”; ciò fornisce un ulteriore valore al Plagiarismo, valore che ne ridetermina tanto il campo d’azione quanto il contesto, poiché si definisce attività una serie di azioni che naturalmente esulano il semplice “fare” artistico. Tra queste azioni vi è anche l’esercizio creativo citato da “Vague”. Duchamp dimostra che effettivamente il divario tra arte e ordinario, e tra opera e oggetto, è regolato dal contesto. Bertolt Brecht tenta, ottenendo scarsi risultati, di elevare una serie di azioni quotidiane a un livello estetico/poetico, immettendole direttamente nella sfera del quotidiano; egli vuole rendere l’arte un bene fruibile dalle varie classi sociali, nessuna esclusa. Citando l’ideologia Fluxus, Home definisce l’opera di Brecht una “produzione di semplici compiti che possono in teoria essere svolti da chiunque”. 4 Allo stesso modo, chi oggi possiede un computer è in grado di copiare praticamente tutto ciò che vede sullo schermo, e di disporne come vuole. È fondamentale ricordare che Home non pretende di enfatizzare il Plagiarismo, ma di presentarlo sotto le vesti della parodia di una pratica insita nell’evoluzione della cultura stessa, software inclusi. 112 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 L’arte si rende democratica rendendosi oggettivamente semplice, facilmente utilizzabile e mimetizzata tra le azioni quotidiane; azioni che normalmente svolgiamo quasi inconsciamente e a cui Fluxus ha tentato di fornire spessore estetico e artistico. Quando Duchamp abbatte le barriere che separano forma e funzione, allo stesso tempo dichiara che l’arte, dalla Fontana in poi, sarà sempre più concettuale e quindi sempre più dislocata dalla riproduzione oggettiva del reale. A dimostrazione del fatto che l’arte sia diventata un palcoscenico sul quale le opere vengono esposte in base alla celebrità degli autori e degli indici di gradimento (o del passaparola), Duchamp stesso ammette di non saper dipingere. Si è avverato ciò che Marx profetizza già alla fine del diciannovesimo secolo: che tutti debbano avere il diritto di accostarsi all’arte e la possibilità di svilupparla. Nel qual caso, ciò includerebbe una circolazione di cultura libera dalle restrizioni giuridiche. Quest’ideologia ha però condotto gli artisti a pretendere che ogni cosa da loro prodotta fosse ritenuta arte, probabilmente a causa dell’avanzante scarsità di idee. A oggi non è semplice (forse impossibile) creare qualcosa di originale, e forse è proprio per questo che il Plagiarismo, da esercizio finalizzato alla creatività, è divenuto probabilmente il metodo più usato nell’arte, soprattutto in quella digitale. È bastato semplicemente fornire i mezzi per farlo. .Vi sarete chiesti… 113 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 Vi sarete forse chiesti il perché di una tale abbondanza di virgolette. “Tom Vague”: è un nome proprio di persona, non una citazione, né un discorso diretto, né una parola o frase gergale, né un neologismo. Allora perché le virgolette? Prima di tutto, una premessa: questo capitolo è stato scritto prendendo in esame un breve saggio dal titolo Nessuno osi chiamarlo plagio, realizzato da “Tom Vague” e inserito .Vague, n. 14, Tom Vague nel libro di Tommaso Tozzi (mio docente di Net Art e Culture Digitali), Arte di Opposizione. Ebbene, apporre le virgolette mi è sembrato un modo ironico per indicare che la persona a cui si fa riferimento in realtà non è Tom Vague, ma Stewart Home; il quale ha creato volutamente questo détournement plagiando lo stile di Vague e appropriandosi temporaneamente del suo nome. Quanto gli è bastato, evidentemente, per pubblicare un editoriale dal titolo Nessuno osi chiamarlo plagio inserito nel numero 18/19 della rivista underground britannica Vague (di proprietà, appunto, del vero Tom Vague, complice dell’idea di Home). La fonte di questo confronto è contenuta in Falso è Vero, della AAA Edizioni di Vittore Baroni, nel quale è riportato lo stesso testo contenuto nel libro di Tozzi. 2 A questo punto, però, sorge una problematica del tutto inaspettata. La traduzione dall’inglese di None dare call it plagiarism non è chiara nel libro di Tozzi, né in quello di AAA. Nel primo si legge Nessuno osi chiamarlo plagio, mentre nel secondo è Nessuno osi chiamarlo Plagiarismo. Non è facile capire quale possa essere la giusta traduzione, se consideriamo 114 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 che, in inglese, “plagiarism” significa sia “plagio” che “Plagiarismo”: è una questione, a mio parere, importante, che merita un’analisi. Nel capitolo successivo tratterò appunto questa dicotomia in modo del tutto personale, assolutamente opinabile. Vorrei concludere confermando pienamente la carica ironica di tutte quelle arti che aboliscono una cultura “seria”, come appunto fanno Neoismo e Plagiarismo. Devo dire che, quando ho scritto che “sia “Vague” che Home concordano sulla possibile assenza di talento”, mi sono divertito, e non poco. Ovvio che entrambi siano d’accordo: sono la stessa persona! 115 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 Note 1 (cfr.) Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008; 2 (cfr.) Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj, Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini, Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output, Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998. 116 Dov’è la fregatura? Capitolo 6 117 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism” Ipotesi di détournement È interessante notare la differenziazione che vige attualmente sulla sintassi stessa della parola “Plagiarism”. In lingua italiana c’è una netta distinzione nella struttura lessicale, data dall’aggiunta del suffisso “-ismo”, che si usa per associare un nome comune a una categorizzazione di varia entità, come un movimento, un gruppo, un comportamento, eccetera. Senza di esso, ovviamente, della parola resterebbe il termine “plagio”, inteso come appropriazione di materiale altrui, o furto. Un’accortezza del genere nasce dalla necessità di porre una netta distinzione tra entità originaria e categoria derivante da essa, in tal caso “plagio” e “Plagiarismo”, con lo scopo di delineare la specificità dei singoli termini. Difatti, se al primo vengono riconosciuti elementi associabili a una violazione della legge, ciò non accade nel secondo caso, in cui s’intende mantenere un distacco da un’interpretazione semplicistica derivante dalla semantica del termine d’origine. 118 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 Nell’accezione comune, spesso la parola “Plagiarismo” viene comunque collegata al plagio in senso stretto, risultando una categoria in relazione a pratiche illegali quali il furto e l’appropriazione indebita di materiale prodotto da terzi. D’altro canto la distinzione semantica delle due parole attenua la percezione negativa di “Plagiarismo”, che invita a porre le basi per una riflessione critica sulle procedure, sulle caratteristiche e sull’etica del plagio culturale, o artistico. Inoltre, a mio parere, offre una visione rincuorante sull’illegalità di certe procedure, dando un’idea di “accettazione” del plagio, poiché, in fin dei conti, l’intera cultura si fonda su basi in cui il plagio getta le fondamenta del continuum creativo, cambiando, trasformando, rimodellando, rimanipolando; fino a produrre elementi completamente differenti dalle fonti originarie. È altrettanto interessante notare l’assenza di questa distinzione nel lessico inglese, in cui la parola “Plagiarism” ha avuto origine. Qui non esiste un distacco tra i due termini: se in italiano “plagio” e “Plagiarismo” offrono una riflessione sintattica dei termini, in inglese si uniscono in un’unica parola. “Plagiarism”, in definitiva, indica e mescola entrambe le cose, confondendole. Per dimostrarlo, riporto una parte di un questionario inviato per e-mail all’artista californiana Amy Alexander sulla questione dell’etica del plagio: STEFANO Can we talk about an ethic of the crib? [Si può parlare di un’etica del plagio?] AMY I don’t understand this question, must be a translation problem. 119 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 [Non ho capito questa domanda, deve esserci un problema di traduzione.] STEFANO Oh, sorry, I forgot to explain the 8 question: can we talk about an ethic of the crib (“crib” is for “plagiarized stuff” XD)? [Scusa, ho dimenticato di spiegarti l’ottava domanda: si può parlare di un’etica del plagio? (“plagio” sta per “cose plagiate” XD)?] AMY Aha... ok, ethics of Plagiarism... [Aha… ok, etica del plagio…] (o Plagiarismo?) Benché, precedentemente, la Alexander abbia distinto chiaramente i termini “copy”, “appropriation” e “Plagiarism”. Riporto un frammento (tradotto) del questionario a cui lei ha risposto: AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni termini: “copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei “copia” per indicare una semplice duplicazione: come l’inserimento di un video che appartiene a qualcun altro su YouTube, in cui i dati dell’autore originario sono comunque ben visibili. Con “plagio” indicherei il tentativo di spacciare per propria un’opera altrui. Infine, definirei “appropriazione” un procedimento col quale si usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa di nuovo. Ecco che la confusione si fa più pressante. La Alexander identifica nell’“appropriazione” le caratteristiche del 120 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 Plagiarismo, mentre associa “Plagiarism” al furto intellettuale. In seguito Amy non ha risposto direttamente a questa domanda. Evidentemente, “crib”, che tra l’altro significa “piccolo furto”, non è sufficiente a fornire una chiara percezione di “plagio” come furto. Non viene associato al termine universalmente riconosciuto come “plagio” e in tal modo finisce inesorabilmente per stravolgere una frase in cui è necessario distinguere nettamente l’atto illegale dall’esercizio creativo. Osserviamolo nel dettaglio: n. crib (krĭb) 1. A bed with high sides for a young child or baby. 2. a. A small building, usually with slatted sides, for storing corn. b. A rack or trough for fodder; a manger. c. A stall for cattle. 3. A small crude cottage or room. 4. Slang Onès home. 5. A framework to support or strengthen a mine or shaft. 6. A wicker basket. 7. a. A petty theft. b. Plagiarism. c. See pony. 8. Games A set of cards made up from discards by each player in cribbage, used by the dealer. 121 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 v. To crib, cribbed, cribbing, cribs 1. To confine in or as if in a crib. 2. To furnish with a crib. 3. a. To plagiarize (an idea or answer, for example). b. To steal. Come si può vedere, “crib” non è associato direttamente al plagio, ma possiede una serie di significati diversi tra loro. Lo stesso vale per il verbo, che inoltre presenta “to steal”, che tradotto significa letteralmente “rubare”. Si potrebbe giungere presto alla conclusione che plagio e Plagiarismo, secondo gli inglesi, hanno lo stesso valore e che non esiste un bisogno concreto di separare le due cose, dal momento che una appare illegale quanto l’altra. Però non credo che un intellettuale come Stewart Home abbia tralasciato un punto importante come questo, poiché una distinzione concreta tra le due cose, di fatto, esiste. Il plagio è un furto, è un’appropriazione indebita volta, nella maggior parte dei casi, a scopo di lucro; il Plagiarismo è sempre un’appropriazione indebita, finché non viene riplasmata, al compiersi della quale il prodotto finito dovrà essere così concettualmente diverso dalla fonte d’origine da risultare un elemento a sé (questo accade solo nel caso si voglia seguire un’etica creativa). La questione si complica se mettiamo in gioco il vero motore di questo “movimento”, e cioè gli artisti, o meglio i plagiaristi. Se andiamo a sfogliare un qualsiasi dizionario inglese noteremo che immediatamente sotto il termine “Plagiarism” compare “plagiarist”; ma se il primo viene tradotto in “plagio”, 122 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 ciò trasforma il significato del secondo, che da “plagiarista” diventa “plagiario”. Un’affermazione del tutto inesatta, vista la natura del lavoro svolto dal plagiarista, che copia-pertrasformare (e solo in alcuni casi, per vendere), e non ruba-perlucrare. L’attività creativa del plagiarista non ha nulla a che vedere con il furto compiuto per fini economici. Di fatto, nella definizione da vocabolario, “crib” non è associato direttamente al plagio, ma presenta una serie di vari significati, mentre “Plagiarism” possiede un’unica possibile traduzione; in effetti, nemmeno il vocabolario italiano presenta il termine “Plagiarismo”, poiché ritengo si tratti di un neologismo. C’è da domandarsi perché in Italia si sia rivelato necessario creare un nuovo termine che indicasse un movimento altrettanto inedito, mentre in Gran Bretagna (Stewart Home è londinese) questo bisogno non si sia manifestato, se di “bisogno” si possa realmente parlare. Si tratta forse di un tentativo di détournament. Un’altra ipotesi potrebbe risiedere nell’impossibilità di creare, in inglese, un neologismo conforme alla pratica e al contesto ideologico che Home aveva in mente. In effetti, se consideriamo “Plagiarism” inteso come “plagio”, ci accorgiamo subito della presenza del suffisso “-ism”, che rende la parola molto simile all’italiano “Plagiarismo”. Abbiamo già detto, inoltre, che tale suffisso serve a fornire una categorizzazione della parola che lo precede, quindi risulterebbe non proprio semplice coniare il nome di un movimento da una parola che possiede già quel suffisso. Se pensiamo, ad esempio, a “surreal”, con l’aggiunta di “-ism” diverrebbe “surrealism” che, benché di rado venga riportato nei vocabolari, è comunque riconosciuto nel lessico inglese come il celebre movimento artistico (ironicamente “Plagiarism” diventerebbe “Plagiarismism”). D’altra parte quasi tutti i 123 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 movimenti artistici moderni sono identificati da neologismi e perciò non sempre compaiono nei vocabolari. Nel nostro caso invece, tra “Plagiarism” e (perdonate il gioco di parole) “Plagiarism” esiste una chiara e netta distinzione solo a livello concettuale; è come se in ogni altro caso, lessicale, sintattico, colloquiale, si volesse omettere la differenza tra le due cose. O ancora, sappiamo che il metodo plagiarista consiste nel copiare e manipolare materiale altrui; ma non esiste un’etica che dica al neo-plagiarista di non usare ciò che plagia a fini di lucro, né che lo costringa a riplasmare ciò che plagia. Bisogna inoltre considerare che non sempre la legge riesce a intercettare un possibile plagio, sempre che esso non risulti sfacciatamente visibile. Non c’è un’etica che pone effettivamente un limite al metodo da utilizzare, poiché il Plagiarismo si affida alla sensibilità autocritica dell’artista o del creativo, che può produrre un’opera plagiarista o un’opera semplicemente plagiata e decidere liberamente se venderla e produrla, o soltanto esporla. Nel caso più semplice, quello del plagio, l’esercizio creativo identificato da Home diverrebbe una pratica illegale senza alcuno scopo artistico e sociale. E non è solo un caso, ma una possibilità concreta, che, di fatto, trasformerebbe il “Plagiarism/movimento” nel “Plagiarism/reato”, eliminando così ogni differenza. Quindi è la mancanza di un’etica che rende il Plagiarismo una branca possibile, ma illegittima, del plagio. Ritengo probabile che la posizione politica di Home abbia influenzato la “scelta di termini” per il movimento che intendeva fondare, contro il Sistema e contro il Potere. La parola “Plagiarism” contiene già il suffisso “-ism” pur non indicando una categorizzazione del nome comune che lo precede: che sia un espediente per includere il plagio entro un certo tipo di violazioni? Non potrei affermarlo con certezza. 124 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 Come non potrei accertare il fatto che Home abbia “plagiato” il termine con il preciso scopo di confondere le acque, d’inserire una pratica creativa (per quanto rischiosa) nell’ambito dell’illegalità, enfatizzando un’ideologia anti-sistemica presente sia nelle controculture sia nell’attivismo politico di stampo anarchico, di cui Home fa parte. Oppure per indicare, senza mezzi termini, un nuovo fenomeno che vede nel plagio la possibilità di fare satira “copiando” persino il nome del movimento che lo pratica. Resta il fatto che, qualunque sia il motivo, questo crei confusione; e, a tal proposito, non mi stupirei se Home avesse volutamente evitato una differenziazione tra “plagio” e “Plagiarismo”, poiché l’intento delle controculture (ispirate, ricordiamo, da Fluxus e Internazionale Situazionista) è di sconquassare il sistema culturale corrente. Sotto quest’aspetto, dunque, la coniazione di un termine che divida il plagio dal Plagiarismo si rivelerebbe superflua, inefficace da un punto di vista ideologico. Sono solo supposizioni, che però, forse, meritano una certa attenzione. Nel colloquio con Vittore Baroni, durante una pausa riflessiva, ho dichiarato di avere posto un questionario anche a, Salvatore Iaconesi e ad Amy Alexander. Nel momento in cui gli ho esposto il mio dubbio sul termine “Plagiarism”, Baroni mi ha confessato di non aver mai fatto caso a questo particolare; ed è stato proprio questo che mi ha spinto a esaminare l’argomento. La mia conclusione è che, nella lingua inglese, il termine “Plagiarism” sia facilmente confondibile, dal momento che non si riscontra alcuna differenza tra l’atto illegale e l’esercizio creativo. 125 “Plagiarism” e “Plagiarism” Capitolo 7 126 L’etica del plagio Capitolo 8 Capitolo 8 L’etica del plagio Amy Alexander, Salvatore Iaconesi, Vittore Baroni Ho pensato che sarebbe stato molto interessante, sia per me sia per il lettore, raccogliere le autorevoli testimonianze di chi ha vissuto e vive in prima persona le esperienze dell’arte contemporanea e delle avanguardie. Il questionario che segue pone attenzione alle diverse problematiche inerenti al Plagiarismo e a una sua possibile applicazione etica, viste attraverso gli occhi di alcune importanti personalità che vi hanno partecipato, attivamente o meno. Amy Alexander, artista audiovisiva e performer californiana, pone l’accento sulle modalità con cui le società controllano i media. È autrice, tra l’altro, del sito www.plagirist.org. Salvatore Iaconesi è un giovane net-artista italiano ispirato fortemente dalla cultura hacker; con molto entusiasmo, vede nelle nuove tecnologie un mezzo con cui ridefinire il concetto di proprietà intellettuale. Infine, Vittore Baroni, uno dei pionieri della Mail Art in Italia, 127 L’etica del plagio Capitolo 8 ha condiviso personalmente le influenze neoiste diffuse da Home stesso sul nostro territorio. Ha registrato cassette e dischi “plagiaristi” come Lieutenant Murnau, e dal 1991 fa parte del gruppo, sempre plagiarista, Le Forbici di Manitù. … Ancora oggi pratiche e artisti coinvolti nel Plagiarismo rimangono spesso incompresi e/o denigrati, quando non vengono addirittura perseguiti penalmente. Gli artisti plagiaristi ritengono le loro opere una delle forme per comunicare il dissenso sulle restrizioni applicate alla circolazione di cultura e informazioni. La comunità invece reputa tali pratiche come semplice plagio o furto di materiale altrui. Secondo te, come può essere ridotta questa differenza nella considerazione delle operazioni plagiariste? AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni termini: “copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei “copia” per indicare una semplice duplicazione: come l’inserimento di un video che appartiene a qualcun altro su YouTube, in cui i dati dell’autore originario sono comunque ben visibili. Con “plagio” indicherei il tentativo di spacciare per propria un’opera altrui. Infine, definirei “appropriazione” un procedimento col quale si usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa di nuovo. Naturalmente tra queste pratiche restano delle zone ambigue, spesso non esenti da manipolazioni. Ad esempio, una società, che non vuole parodisti che critichino i suoi prodotti, 128 L’etica del plagio Capitolo 8 trasformerebbe la parodia in plagio al fine d’intraprendere un’azione legale. In molti casi si tratta effettivamente di appropriazione, e probabilmente dovrebbe essere legale secondo il Fair Use; o al limite moralmente difendibile. Ma presentandola come plagio, inteso come “furto di proprietà intellettuale”, “violazione di copyright”, eccetera, allora l’opinione pubblica potrebbe essere manipolata. Questo accade al tal punto che spesso anche appropriazioni più evidenti vengono indicate dal pubblico stesso come plagi, perché si è persa l’idea che una distinzione tra i due non esista. Ironicamente se chiunque scovasse in un’opera un riferimento a un’altra, allora non sarebbe possibile parlare di plagio. Un’altra cosa da considerare è l’opinione all’interno della comunità artistica. Dato che l’appropriazione è così prevalente nella cultura mainstream (ne è un esempio il remix musicale e video) la comunità artistica sembra essere divisa sul parere di considerarla come una pratica dell’arte. Alcuni artisti la considerano positivamente e la ritengono una pratica essenziale per riflettere sulla cultura mainstream, mentre per altri non è che un rimaneggiamento di pratiche antiquate o una mancanza di originalità da parte dell’artista. SALVATORE: Penso che si tratti di una questione di linguaggio e di immaginario. Perché in realtà non è nemmeno verissima questa cosa. Nel senso che molti artisti sono riusciti a formare linguaggi e immaginari capaci di comunicare in maniera accessibile e suggestiva le possibilità che sono oramai alla portata di tutti: la fine di un’idea e di una definizione di “realtà” e “originalità” che deriva sostanzialmente dall’autorità e dal potere. Volendo avvicinare la questione da un punto di vista storico, questo è un tema che si apre tanti anni fa e che diventa evidente all’inizio del novecento. Non si può parlare di plagio, ma i temi 129 L’etica del plagio Capitolo 8 del Surrealismo, di Dada e, dopo, delle arti concettuali e delle avanguardie riguardano molto l’idea dell’originalità, dell’unicità, dell’autorialità e, più in generale, della possibilità o opportunità di definire il “reale”. Che sono i presupposti su cui si fondano le pratiche che utilizzano le tecniche del plagio, del fake, del re-enactment (ricostruzione, riemanazione). Con l’arrivo del postmoderno, poi, c’è proprio un’accelerazione in questo senso, e ne sentiamo gli effetti ancora oggi. In sintesi: artisti come Andy Warhol hanno trovato chiavi di lettura interessanti. E solo per citare un’esperienza eclatante. Basta andare a un concerto di Girl Talk 1 per vedere come l’idea del “furto” scompaia completamente in quanto rimpiazzata da una esperienza che è creata in maniera molto intelligente, fondandosi su studi e/o sensibilità profonde verso le culture visuali, le possibilità offerte dalle tecnologie e dalle reti, e le loro ripercussioni sulla nostra concezione di società e sulla nostra percezione delle possibilità di espressione. Io ho l’impressione che quando interviene un giudizio tipo “è solo un plagio” in realtà sia più “colpa” del progetto piuttosto che della “gente”. Mi pare, per usare una terminologia lontanissima da quella dell’arte, che manchi il “valore aggiunto” che potrebbe essere la poetica, l’emozione, la strategia di comunicazione, l’immaginario. Nei lavori più interessanti questo non avviene. Magari qualcuno ti deve spiegare quello che stai vedendo, perché potrebbe non essere poi così ovvio o di semplice e immediata comprensione, ma se, dopo aver compreso il concetto, il giudizio dovesse rimanere semplicemente e costantemente “sì, ma l’artista ha solo rubato una canzone/rifatto una performance/estratto una parte di testo” o cose simili, forse è anche l’artista che dovrebbe/potrebbe mettersi un po’ in discussione. D’altra parte è da qualche anno che siamo oramai consapevoli che lo status di “opera d’arte” 130 L’etica del plagio Capitolo 8 non lo possiamo assegnare noi, ma è significativo solo quando riconosciuto dagli altri. In sintesi ancora maggiore: io non ho questa esperienza, quindi. I progetti che usano il Plagiarismo come strumento o tecnica, quando colgono, al modo dell’arte, una tensione del mondo, riconoscibile, sentita e riconosciuta (o quantomeno sospettata), suscitano delle reazioni molto belle. Tanto che diventa immediata la percezione di come si possa usare un “falso” per creare realtà in maniera libera. VITTORE: Credo che la situazione non stia esattamente in questi termini. Gli artisti “plagiaristi”, in particolare i musicisti, sono ben consapevoli di infrangere in molti casi alcune norme vigenti in materia di copyright, eque o sbagliate che queste siano. L’eventuale azione penale nei loro confronti non è tanto il frutto di una volontà censoria preconcetta né di un particolare accanimento persecutorio nei loro confronti da parte della comunità (accanimento ci può essere casomai da parte di alcune “parti lese”, come le società che rappresentano i diritti degli autori), quanto il risultato della normale e prevedibile applicazione di norme vigenti. Va detto che in molti casi, la querela è ampiamente prevista o addirittura cercata ad arte dall’autore, sia per generare pubblicità attorno al proprio lavoro sia per accelerare il dibattito intorno ad una normativa comunque obsoleta e in larga parte iniqua. Il successo di un’operazione plagiarista si misura anche sulla risposta mediatica che questa riesce a generare, comprese le cause legali e il conseguente interessamento degli organi di stampa. Quindi, paradossalmente, i lavori plagiaristi più “incompresi” alla fine sono proprio quelli che vengono meno “denigrati”! 131 L’etica del plagio Capitolo 8 I nuovi mezzi d’informazione permettono una circolazione di materiale libera e fruibile da tutti in modo semplice e rapido. Inoltre tali mezzi incoraggiano non solo la circolazione, ma anche la manipolazione di materiale seppure protetto da copyright. Quali potrebbero essere le conseguenze nella disputa tra le multinazionali e il fenomeno della condivisione tramite reti peer-to-peer? AMY: Credo che questo non sia quel grande cruccio che affligge la gente. Non sono una grande esperta riguardo quest’argomento, ma credo che la filosofia del “meglio che libero” permeerà e le grandi compagnie distribuiranno ancora i mezzi mediatici. Sembra inoltre che queste compagnie abbiano ottime opportunità per la distribuzione di media, rendendoli semplici da trovare e da scaricare con una qualità migliore rispetto alle reti peer-to-peer. D’altra parte ci sarà sempre gente che ha più tempo che denaro, che affianca la cultura peer-topeer, o che vede nella duplicazione in peer-to-peer il modo più etico per ottenere dei media. Però, una trentina di anni fa, c’erano già delle persone che non acquistavano dischi. Li registravano direttamente da quelli di altri o dai brani che passavano dalla radio. Naturalmente il confronto con la nostra epoca non è possibile, poiché oggi è molto più semplice copiare una grande mole di materiale. Però dovrebbe essere anche più facile ed economico per le società distribuire dei media che non richiedono l’uso di materie prime, mezzi di trasporto e immagazzinaggio. Quindi credo che il prezzo medio del “meglio che libero” debba essere adeguato di conseguenza. Altro fattore di cui tenere conto è che ogni brano disponibile 132 L’etica del plagio Capitolo 8 gratuitamente su una rete peer-to-peer ha valore promozionale anche per gli altri lavori dell’autore di quel brano, alcuni dei quali sono invece acquistabili. Talvolta ho il sospetto che gli avvocati delle grosse aziende interessati alla proprietà intellettuale siano il peggior nemico delle compagnie! SALVATORE: Forse l’idea di base in questa disputa è che siamo in un momento di profonda trasformazione. Siamo sul bordo del “nuovo” e del “vecchio” e i bordi, i confini, sono i luoghi in cui avvengono gli scontri. Questo conflitto, in particolare, è tra una tipologia di soggetto che è già un cadavere e un altro tipo di soggetto che ancora non ha bene capito cosa farà da grande. Il modello proposto dalle multinazionali e, in generale, dall’autorità è già morto. Non può più esistere. Se non attraverso la repressione e l’esercizio dell’autorità. Ma la storia ci insegna come questa modalità (che è quella che questi soggetti stanno cercando di mettere in atto in tutti i modi a loro disposizione) non può durare in maniera indefinita: non si può resistere per sempre a una trasformazione della società che, di fatto, è già avvenuta. Sempre la storia ci racconta anche le vicende degli ordinamenti giuridici, e del sedimentarsi delle pratiche sociali, che sono sempre in ritardo con la società stessa. Gli ordinamenti giuridici in particolare hanno, secondo temi e luoghi del pianeta, ritardi colossali con lo stato attuale delle società del mondo: dieci, venti, cento anni! Questo perché l’autorità non ama abbandonare il suo ruolo e il suo potere e quindi nel conflitto si crea attrito che rallenta in modo enorme la trasformazione a livello formale. E quindi, come già successo per altri temi per esempio anche nei riguardi della sessualità e della famiglia, ci si riconduce a situazioni paradossali in cui, stando allo stato delle cose per 133 L’etica del plagio Capitolo 8 come questo è definito dal potere e dagli ordinamenti giuridici, la maggior parte della popolazione si trova in un sostanziale stato d’illegalità. Perché rendiamoci conto che la quasi totalità delle persone viola sistematicamente il diritto d’autore per come questo è definito dalle nostre leggi. Quali sono gli effetti di questa situazione? Sono effetti estremamente sfortunati per chi si trova nel “posto sbagliato al momento sbagliato”, perché, ad esempio su questi temi, ci saranno molte persone che riceveranno multe, incriminazioni e altri fastidi da una cosa che non è più come la definiscono le leggi e che, tra pochissimi anni, sarà cambiata radicalmente. E, per quanto riguarda il conflitto in maniera più diretta, non c’è in realtà nulla di nuovo: tutto questo s’inserisce nello stato di perenne nomadismo ed evoluzione dei tanti confini su cui si muove lo scontro tra società e autorità. Come dire che non c’è fine al conflitto. Quello che è nuovo su questi temi è la portata del conflitto. Che riguarda l’informazione, la cultura e la libertà di espressione e comunicazione a livello globale. Simultaneamente, attraverso nazioni, lingue, società, religioni. È un cambiamento globale e, quindi, un conflitto i cui effetti avranno rilevanza globale. VITTORE: La gente utilizza la tecnologia che ha a disposizione, fregandosene bellamente della legge, è sempre stato così e sempre così sarà. Nell’Europa dell’Est, prima della caduta del muro, in paesi come la Polonia era proibito fare liberamente fotocopie, occorreva un permesso dalla locale questura per ogni singola copia, eppure tutti gli “artisti postali” con cui ero allora in contatto fotocopiavano e spedivano di nascosto tutto quello che volevano, bastava avere un amico compiacente che possedesse una fotocopiatrice. Il peer-to-peer, 134 L’etica del plagio Capitolo 8 sia che veicoli contenuti in modo legale (materiali esenti da vincoli di copyright) sia che lo faccia in violazione di qualche norma, è nella pratica quotidiana inarrestabile. È ormai una situazione di fatto, del tutto impossibile da contenere e arginare. E come passano materiali del tutto illegali, passano anche materiali “plagiaristi”, come quelli che fanno un “fair use” creativo delle varie opere campionate/riciclate. Le multinazionali, fossero intelligenti, dovrebbero attuare una politica di apertura e integrazione col mondo del peer-to-peer, non mantenersi su posizioni di scontro muro-contro-muro dettate da miopi interessi economici, suicide sulla lunga distanza. Ovvero, se l’acquisto legale di prodotti musicali via internet avesse un costo molto più contenuto, magari con l’aggiunta di bonus di vario tipo (brani inediti, grafiche, testi, eccetera), molti fruitori sarebbero tentati di ricorrere meno frequentemente al download selvaggio. Allo stesso modo, se il libero riutilizzo di “campioni” da opere altrui prevedesse costi estremamente contenuti, o anche formule volontaristiche (come i programmi shareware che prevedono la possibilità di effettuare una donazione all’autore), forse molti più artisti sarebbero invogliati a “regolarizzare” il loro impiego di campioni altrui, mentre oggi per far ciò occorre spendere una fortuna in studi legali. Credo che fino a quando l’industria non comprenderà che il rapporto col pubblico deve basarsi sulla reciproca fiducia e onestà (una pura utopia?), sarà inevitabile che larghe fette di pubblico e di artisti continuino a preferire di operare nella semi-illegalità. Spesso innovazioni e miglioramenti si basano sulla manipolazione o la rivisitazione di materiale già esistente. 135 L’etica del plagio Capitolo 8 Nelle pratiche di produzione culturale e materiale del mondo tecnologizzato la copia ha già un valore positivo riconosciuto e sfruttato. Come può essere riconosciuto tale valore anche nel senso comune? SALVATORE: L’innovazione è per definizione una manipolazione dell’esistente: innovo qualcosa che esiste, una realtà precedente e, quindi, la manipolo, la rivisito, la reinvento. Non si sfugge a questo meccanismo. Si può essere più o meno creativi nel farlo, ma tutto ciò che facciamo è per definizione una manipolazione delle cose che sappiamo, che abbiamo visto, che abbiamo imparato, letto, sentito, usato. Il “problema” è sempre comunicativo, di linguaggio e di immaginario. Se la nostra “innovazione” è in grado di comunicare, allora il suo valore viene percepito. E, tra l’altro, la storia è piena di esempi per cui l’autore (o il designer, o l’ingegnere, o lo scienziato) era convinto di aver inventato qualcosa che poi si è rivelata innovativa per qualcos’altro di completamente differente. Quindi è anche interessante mettere in mezzo a questo “gioco” anche il tentativo di comprendere chi e come rende una cosa innovativa. Ma, affrontando un argomento per volta, l’idea di rendere percepibile un’innovazione è un problema sottile e delicato, ed è fondato sulla costruzione del progetto e sulla strategia che usiamo nel comunicarlo. Non vedo, in realtà, una differenza in quei progetti che trattano copie o reinvenzioni di cose esistenti. Progettando la comunicazione in maniera intelligente è possibile addirittura raggiungere degli estremi abbastanza interessanti, come ad esempio non intervenire del tutto sull’oggetto reinventato (o copiato, o plagiato, o piratato...) facendolo percepire come qualcosa di nuovo e innovativo comunicandolo in maniera 136 L’etica del plagio Capitolo 8 differente. VITTORE: Io credo che il senso comune sia perfettamente in grado di riconoscere un valore positivo in un’opera plagiarista di buona qualità. Ad esempio, tutti siamo capaci di cogliere il valore satirico/drammatico dei montaggi nel programma televisivo Blob, uno “smontaggio” plagiarista della TV del giorno prima che difatti esiste da molti anni, segno di un alto rating di ascolti. Il problema casomai è che l’indistinta area plagiarista (non solo musica e arti visive, ma anche letteratura, fumetto, cinema, ecc.) non ha prodotto tanti “capolavori” quanti forse sarebbe stato lecito attendersi. ma se un’operazione plagiarista è ben fatta, credo abbia le medesime potenzialità di conquistarsi un suo pubblico di altre forme espressive. Il concetto di copia è da tempo parte del nostro dna, nessuno più si scandalizza se in una galleria d’arte viene esposta al muro una fotocopia, o la fotocopia manipolata di una celebre opera d’arte. Del resto, da Warhol fino a Banksy, l’arte contemporanea si è ampiamente caratterizzata in senso citazionista, autoreferenziale e plagiarista. Il Plagiarismo può essere considerato di valore aggiuntivo al panorama artistico contemporaneo? Oppure è sbagliato parlare di Plagiarismo come “movimento artistico” e se ne dovrebbe parlare come di una forma di attivismo sociale e politico che ha segnato un punto di svolta nella percezione sociale dell’uso dei media? SALVATORE: Le arti che lavorano con il plagio sono importantissime. 137 L’etica del plagio Capitolo 8 Come detto già prima, l’idea di realtà (e quindi di originalità) è un prodotto dell’autorità e del potere. Se accettiamo l’idea di una realtà unica, di un oggetto che può essere solo una cosa, di un luogo che può servire solo a una specifica destinazione d’uso, cediamo alla violenza del potere e alla possibilità di “scrivere sul mondo” la nostra interpretazione di luoghi, cose e processi. La moltiplicazione dei significati prevede un atto performativo: la copia. La copia è per definizione un “falso” e, sempre per definizione, è anche un “vero”, un altro vero, differente dall’oggetto “originario” (piuttosto che originale). È un’altra cosa, perché copiandolo posso reinterpretarlo, riutilizzarlo, rimetterlo in scena, reinventarlo completamente. Attuare il plagio, o falsificare qualcosa, equivale a creare un nuovo pezzo di realtà. Che è un modo molto bello e positivo di percepire il mondo, perché come io copio un qualcosa, creando un nuovo pezzo di reale che esprime la mia visione del mondo, così lo possono fare altri. Le tecnologie digitali (con un occhio, in particolare, a quelle che chiamiamo ubique) portano questo genere di visione del mondo all’estremo in maniera molto potente, perché questa moltiplicazione di significati, questa falsificazione-che-crearealtà, ora la si può fare in maniera completamente libera e autonoma. Tutto questo è oltre l’arte. O, forse, è una nuova arte. E, però, in questo caso, è anche una nuova architettura, una nuova letteratura, una nuova poesia, una nuova politica, un nuovo marketing, un nuovo attivismo, una nuova economia. Invade e rimischia tutte le discipline e le scienze, facendole convergere verso una modalità che è polifonica dalla nascita, che ospita molte voci che descrivono molte visioni sulla stessa realtà. VITTORE: Le tecniche del collage fanno parte, almeno 138 L’etica del plagio Capitolo 8 dall’inizio del secolo scorso, del bagaglio degli artisti visivi e anche degli scrittori (vedi in particolare il cut up letterario di William S. Burroughs e Brion Gysin). Nel momento in cui gli strumenti di registrazione e riproduzione del suono lo hanno permesso, anche i musicisti hanno iniziato a far uso di tecniche di collage, utilizzando materiali grezzi (come nella Musique Concrete) ma anche porzioni di opere già registrate. Il fatto di operare un collage di materiali altrui non esaurisce però l’operazione plagiarista, che può avere gli intenti più diversi e ibridare i più diversi linguaggi, in chiave satirica, umoristica, di denuncia, ma anche puramente astratta, enigmatica, provocatoria. Se esiste un nucleo di autori che negli anni Ottanta/Novanta ha fatto uso del termine Plagiarismo (o plunderfonia) dando forma a una sorta di corrente artistica (Negativland, The Tape Beatles, John Oswald, eccetera), l’utilizzo di tecniche di collage e riappropriazione è in realtà talmente più vasto e diversificato che dovremmo parlare, più che di un vero e proprio movimento artistico, di una delle caratteristiche più originali e caratterizzanti dell’espressione artistica (in senso lato, incluse le forme di attivismo di base) a cavallo tra secondo e terzo millennio. Sono tecniche alla portata di tutti e che tutti usano, è quindi difficile e forse poco corretto volerle racchiudere e limitare a un “movimento” con precise coordinate storiche e un numero relativamente esiguo di affiliati. C’è la possibilità che i concetti, le tecniche, gli strumenti plagiaristi siano sviluppati in modi riconoscibili di realizzazione di opere definendo metodi, parametri, vincoli e regole nelle pratiche di copia e mescolamento delle fonti? 139 L’etica del plagio Capitolo 8 SALVATORE: Questa cosa è molto bella, e qui mi rendo conto che parlando di questi argomenti si va avanti per cose che sembrano sempre degli enormi paradossi. Le tecniche del plagio sono uno strumento potentissimo per far emergere le espressioni personali. Copiando faccio un’affermazione. La copia dimostra la mia scelta. La copia è libera: non è l’originale, è meglio. La posso sfasciare, mettere in contesti paradossali, farla sembrare il più possibile come l’”originale”, distorcerla, aggiungervi caos, cristallizzarla, moltiplicarla milioni di volte, trasformarla in un gadget. È il luogo dell’invenzione, della libertà e, soprattutto, è un atto performativo e, come tale, è quello che modifica il mondo secondo le mie inclinazioni, desideri, forme, azioni. Facendo un falso divento un agente di mutazione performativa del mondo, definendo la realtà: un altro pezzettino di realtà che posso determinare in maniera libera grazie alla libertà della copia, alla sua non originalità e alla fluidità, all’assenza di vincoli, che ne consegue. Questa mutazione che io metto in atto copiando e usando la copia per i miei liberi fini, ha la mia forma e, quindi, è riconoscibile. La differenza è nel mondo, che può ospitare infinite di queste copie, fatte da infiniti soggetti e quindi questa modalità è la modalità dell’espressione, ben oltre l’idea dell’autorialità intesa in senso classico, che invece di forme di espressione ne ospita solo una, quella accettata dall’autorità, riconosciuta nell’autore. VITTORE: Parte dell’impatto di un’opera plagiarista è dovuta al fatto che questa si pone, più o meno consapevolmente, in aperta contrapposizione con i materiali di cui si appropria. È una pratica anarchica e di confine, a cui poco si adattano regole e parametri riconoscibili, anche se poi molte soluzioni finiscono con l’assomigliarsi. 140 L’etica del plagio Capitolo 8 Il pericolo del “manierismo” è doppiamente insidioso in un’opera plagiarista e forse nulla è altrettanto noioso di un collage sonoro privo d’inventiva e gusto della sorpresa. Meglio quindi che non esista alcuna “accademia” del Plagiarismo, che le regole del taglia-e-cuci siano riscritte ogni giorno da chiunque si cimenti in un’opera di questo tipo. E non si pensi che sia più facile realizzare un buon collage da materiali altrui rispetto a comporre un’opera ex novo, direi anzi che è vero l’esatto contrario. Le nuove tecnologie di comunicazione permettono una circolazione rapida e semplice d’informazioni e di cultura. Lo stesso vale per quei mezzi che permettono teoricamente a chiunque di realizzare opere proprie ed originali senza pagare nulla ai creatori di tali mezzi (basti pensare ai software open-source). Perché, secondo te, nel momento in cui la cultura open ha reso universalmente più facile la creazione di opere originali, il Plagiarismo si è concentrato sull’attenzione alle fonti altrui? AMY: È una domanda molto interessante. Hai ragione, c’è un gran fermento di produzioni originali in atto. Ma in qualche modo continuiamo a sentire cose come “YouTube è pieno di materiale illegalmente copiato, rubato dai media!”. Facciamo attenzione alla provenienza di questi commenti perché spesso vengono dalle stesse aziende mediatiche. Il loro scopo potrebbe essere quello di mettere a tacere i produttori indipendenti dei mezzi di comunicazione in modo da eliminare più concorrenza possibile. Ma potrebbe anche rivelarsi un’interpretazione eccessivamente sospettosa. È più plausibile 141 L’etica del plagio Capitolo 8 che vogliano richiamare quanta più attenzione possibile dalla gente che copia la loro proprietà intellettuale per ottenere un maggior controllo; ad esempio, legislazioni o politiche fatte per YouTube che rendano più semplice ad una compagnia denunciare una violazione. Ma più interessante ancora, credo, è che critici e teorici citino spesso una duplicazione dilagante, non a livello giuridico o etico, ma critico. Ad esempio, i critici a volte si lamentano di quanto Twitter sia invaso da retweet 2, come se fosse prova di una mancanza enorme di originalità. Ma in realtà ci sono più contenuti originali su Twitter di quanto chiunque possa desiderare! Inoltre, il retweet stesso rappresenta di per sé una forma di creazione-di-contenuto populista. Scegliendo cosa “retweettare”, gli utenti di Twitter diventano in qualche modo editori. È altrettanto interessante notare che abbiamo una lunga storia di editoria fatta di libri composti spesso da materiale di altri scrittori. Però nessuno ha mai condannato il libro come una minaccia per la creatività. SALVATORE: Partiamo da un concetto: definire cos’è un’opera originale non è semplice come sembra. L’originalità non è in un campionamento audio, o nel fatto che io abbia scattato una fotografia o che io abbia materialmente mosso un pennello su una tela o cose del genere. Questa idea in generale non vale neanche per gli artisti del passato, che conoscevano il collage, la copia, la citazione ed anche l’outsourcing, la produzione in serie e il falso. Quindi in realtà possiamo invertire la domanda senza nessun problema ovvero concentrarsi su quali sono le opportunità che abbiamo a disposizione cercando di lavorare secondo modelli più “ecosistemici” (come ad esempio quelli suggeriti dall’open source). Perché il nodo è qui. Tutte queste tematiche sono un “problema” solo per le autorità, per quelli che traggono 142 L’etica del plagio Capitolo 8 vantaggio da poteri centralizzati e dal coprire il ruolo dell’intermediario. La cultura è diversa da così: la cultura è una rete, si crea per differenze, per discorsi tra soggetti che si contaminano a vicenda. La cultura è open source. Come l’arte e tante altre cose. Senza il dialogo con la sua realtà contemporanea, senza il confronto con il mondo e, quindi, senza il prendere a piene mani, secondo la sensibilità e possibilità del tempo, da ciò che lo circonda, l’artista non è nulla, è un essere inutile messo sotto vetro che potrà pure produrre l’artefatto più esteticamente bello del mondo, ma quell’artefatto non avrà nessun valore. Quindi l’attenzione (e quindi l’uso, e il riuso) alle cose che producono gli altri (o che produce il mondo col suo incedere) è un ritorno alle origini piuttosto che una novità. Il plagio, la copia, il falso, riattivano una modalità naturale dell’essere umano: quella di produrre, tramite la sua esistenza, un’interpretazione del mondo, una performance, la propria espressione. Le tecnologie digitali cambiano la scala e la velocità, permettendoci di essere liberi e autonomi in questo (sempre se scegliamo tecnologie e metodologie “giuste”, altrimenti ci infiliamo in altri tipi di labirinti di schiavitù, ma questo è un altro discorso). VITTORE: La cultura open ha permesso a tutti di diventare scrittori aprendo un blog personale o pubblicando libri in digitale on demand, ha permesso a tutti di diventare registi diffondendo video su YouTube, di diventare musicisti mettendo in rete canzoni, ecc. Il risultato è la totale saturazione, per cui nessuno più ascolta nessuno perché tutti parlano a tutti. Di questa situazione caotica approfitta soprattutto l’ancient regime, per continuare a spacciare i suoi libri best seller ideati a 143 L’etica del plagio Capitolo 8 tavolino, le sue superstar musicali, ecc.: il pubblico disorientato preferisce ripiegare su abitudini acquisite, quindi continua a comprare il nuovo album di Vasco o Madonna, l’industria continua a costruire personaggi di quel tipo. Il Plagiarismo s’inserisce in tutto ciò come un grillo parlante, una mosca bianca, una zanzara insidiosa, ricicla il già fatto per additare le nudità regali, per rendere palesi certi meccanismi subdolamente autoritari (e per mille altri motivi). Non tutto il Plagiarismo però, per come la vedo io, deve per forza di cose riciclare quanto fatto da altri. Si possono plagiare identità inesistenti, ad esempio, moltiplicandole all’infinito, come ha fatto il progetto Luther Blissettt. Si può operare un auto-Plagiarismo, rimontando i propri lavori passati. Le possibilità, concettuali e pratiche, sono più vaste di quanto si possa pensare. Quale può essere la distinzione tra programmatori e utenti, o autori e fruitori, nel momento in cui i ruoli si mescolano nella produzione globalizzata dei contenuti software? SALVATORE: Questa è una cosa interessantissima. Perché col software si rimescola tutto. Le discipline iniziano a convergere le une sulle altre, attraversando arti, scienze, pratiche. È oramai difficilissimo, se non inutile, cercare di capire chi è il programmatore, chi il designer, chi l’artista, chi lo scrittore, chi il ballerino, chi il saltimbanco, chi l’attivista, chi il politico, chi l’imprenditore e così via. E inizia anche a essere difficilissimo immaginare di fare le cose da soli, senza coinvolgere tante discipline, senza aprire conversazioni. Il grande cambiamento è quello, è in una fluida convergenza. Non si tratta nemmeno più di usare parole come “autore- 144 L’etica del plagio Capitolo 8 fruitore” o “pro-sumer” o cose del genere. Siamo già oltre quel punto. Siamo in un momento in cui per capirci qualcosa bisogna immaginare le persone come immerse contemporaneamente in molte reti che operano tutte simultaneamente. In questa situazione la persona può assumere molti ruoli contemporaneamente, in maniera disgiunta, congiunta, fluida, non c’è una regola. L’unica cosa che assomigli vagamente a una regola è la moltiplicazione. Cosa ci possiamo aspettare? Forse, se proprio dobbiamo formulare delle ipotesi, ci potremo aspettare dei nuovi modi di operare. Saremo costretti ad assumerne. Lo siamo già. Dei modi di operare in cui ci sentiremo un po’ spaesati, probabilmente, un po’ persi e senza senso. Perché saremo costantemente in preda ad una specie di nomadismo mentale, che ci porterà con continuità di concetto in concetto, di ruolo in ruolo, d’interfaccia in interfaccia, di rapporto in rapporto, simultaneamente e continuamente. Però, a fronte del senso di smarrimento e di difficoltà di attenzione che questa modalità comporta, ci si apriranno probabilmente molte strade nuove, che portano a mutare quello che noi intendiamo per i concetti di conoscenza, apprendimento, sensazione, valore, comprensione, collocazione, lettura, scrittura. E potremmo andare avanti per un bel po’. Non penso si tratti di un valutare questi cambiamenti in positivo o negativo. Penso che siano da prendere per quello che sono: trasformazioni. E usarli per decidere le prossime mosse, contromisure, strategie. Di sicuro c’è il rischio di soccombere: c’è la possibilità di non riuscire a trovare senso, significati e valore, e di sentirsi soli e smarriti. Ma c’è anche la possibilità che assumendo il nomadismo e l’autonomia come strategia si possano inventare nuovi modi di relazionarsi col mondo e con le persone, più liberi ed efficaci. 145 L’etica del plagio Capitolo 8 VITTORE: In una condizione ideale di tecnologia “open” i ruoli sono elasticamente reversibili, un utente può suggerire una miglioria a un programma che viene poi recepita e integrata al software stesso, se giudicata utile. Un brano musicale può essere remixato e perfino migliorato da altri, si può creare una catena infinita in cui il remixatore è remixato e così via. Ogni caso quindi va valutato singolarmente, per cercare di capire quale può essere, se c’è, la linea di demarcazione fra autore e fruitore. Del resto, questo accade dall’inizio dei tempi. Le canzoni popolari tramandate dalla tradizione orale, ad esempio, spesso hanno perso memoria del loro autore originale e sono disponibili in una varietà infinita di variazioni: diverse persone in diverse epoche, anonimamente, hanno aggiunto o modificato una strofa. Quando in un disco un brano viene classificato come “traditional” senza specificarne l’autore, quello è già un bell’esempio di creazione condivisa. Qualcosa di simile potrebbe benissimo verificarsi anche oggi con nuove composizioni originate dalla “cultura popolare” della rete. Si può parlare di un’etica del plagio? AMY: Non capisco questa domanda, deve esserci un problema di traduzione. Ma vorrei ricordare ancora una cosa, che credo si riferisca a diverse domande di cui sopra. Quando ho lanciato il sito www.plagiarist.org nel 1998, c’era molta paura fra tutti, dagli artisti ai media; si temeva che Internet potesse significare la morte della paternità in favore di un plagio dilagante e della perdita totale dell’”originale”. Lo stesso timore si è riscontrato 146 L’etica del plagio Capitolo 8 già in passato per tecnologie quali fotocopiatrici, e persino per la fotografia. Il mio intento è di rendere plagiarist.org un luogo per sfatare ironicamente alcuni di questi scenari di “plagio fuori controllo”. Ad esempio, un plagiarista potrebbe cercare di rubare dei manifesti famosi, mescolarli e spacciarli per il vero Manifesto Plagiarista; ma ovviamente i risultati sono spesso insignificanti e comunque il “furto” resta evidente. Volevo dimostrare che tutte quelle teorie su un plagio incontrollato in rete non avrebbero trovato riscontri, perché i furti sarebbero stati immediatamente riconosciuti. Internet, che permette a tutti di prendere da tutti, consente inoltre a chiunque di identificare chiunque. Dopo tredici anni da allora credo ancora che ciò sia vero, ma ho dovuto appurare le mie teorie sulla base delle mie osservazioni nel corso degli anni. Sembra ancora impossibile plagiare bene opere molto conosciute perché troppe persone conoscono il lavoro originale e finiscono per accorgersi del plagio. Tuttavia le opere meno note sono spesso plagiate senza che la fonte venga riconosciuta. Sto parlando di Plagiarismo, non di copia. Ma la confusione creata da questi termini ha spostato il discorso sui temi della proprietà intellettuale delle grandi società che controllano i media, temi che vedono le società come vittime e le persone come responsabili. Chi esce vincitore da questo contesto? I legali d’impresa che si occupano della proprietà intellettuale. Forse c’è bisogno di ricordare che anche le persone che non hanno o che non possono permettersi un avvocato riescono a creare mezzi di comunicazione! SALVATORE: Assolutamente sì! E coincide probabilmente con una cosa che ricorre nelle mie risposte: un abbandono dell’idea di un reale, definito in maniera autoritaria, in favore di una realtà che può essere costruita in maniera libera e autonoma. 147 L’etica del plagio Capitolo 8 VITTORE: Se vediamo il plagiarista come una sorta di Robin Hood, allora esiste un’etica del “furto sonoro”, per cui è lecito rubare alle major del disco, ma un po’ più antipatico “rubare” senza chiedere il permesso ad autori indipendenti. Rubare qualcosa dallo scaffale di un grande magazzino non è la stessa cosa che rubare in un cassetto a casa di un amico. Anche se quello “plagiarista” è solo un furto virtuale che perlopiù non causa alcun danno a quanti ne restano vittime, credo che si dovrebbe sempre rispettare una sorta di “etichetta” (netiquette 3) dettata dalla sensibilità di ciascuno. … 148 L’etica del plagio Capitolo 8 Note 1 (cfr.) Rip! A Remix Manifesto, Brett Gaylor, USA, 2008 (edito e distribuito in Italia da Feltrinelli, DVD + libro); 2 (ndr.) Un retweet è un post su Twitter che fa riferimento direttamente ad un altro post, al quale viene aggiunta la sigla RT ed un reply all’utente citato; 3 (ndr.) Una specie di codice etico, un insieme di regole non scritte che regolano il comportamento di un utente di Internet nei confronti degli altri utenti (modalità nella condivisione di risorse, nello scambio di informazioni, ecc). 149 L’etica del plagio Capitolo 8 150 Capitolo 9 Concetto plagiarista Capitolo 9 Concetto plagiarista Colloquio con Vittore Baroni (18 Aprile 2011, Viareggio) Il Plagiarismo è frutto del Neoismo e delle controculture, ma può essere veramente considerato come un movimento vero e proprio? Ricordarlo o meno come “movimento” nei libri di storia dell’arte sarebbe uno sbaglio; secondo me si trattava più di una satira dell’arte, di una presa in giro, di un gioco. D’altro canto, però, non possiamo dire che la controcultura non abbia avuto una certa rilevanza nei primi anni ottanta. In quel periodo c’erano vari festival sul Neoismo, alcuni anche in Italia; mi ricordo in particolare di uno di questi svoltosi a Ponte Nossa, in provincia di Bergamo 1, presso il quale conobbi di persona Stewart Home e altri scrittori neoisti. 151 Capitolo 9 Concetto plagiarista Anche il Neoismo, come il Plagiarismo, aveva la caratteristica di essere un movimento artistico alquanto fittizio, perché costituito soltanto da un prefisso, neo, cioè nuovo, e da un suffisso, ismo, che sta ad indicare vagamente una caratteristica d’insieme, o in questo caso di un movimento o di un gruppo, come il dadaismo o il surrealismo; è una sorta di parodia di un movimento artistico, una satira senza troppe pretese. Quando ho tentato di intervistarlo tramite un questionario via e-mail, Stewart Home si è dimostrato restio a fornirmi informazioni sul Plagiarismo. Secondo te quale può essere il motivo? Sul Plagiarismo c’è poco da dire. Non credo che lo stesso Stewart Home abbia basi solide per fornire una spiegazione di questo “movimento”. Quando io e Piermario Ciani, verso la metà degli anni novanta, scrivemmo Assalto alla Cultura 2, Home venne qua per promuoverlo e mi regalò un timbro che recava la scritta “PLAGIARISM”; allora pensava che non l’avrebbe più usato, e non sapeva effettivamente cosa farsene. Tuttavia erano state fatte diverse operazioni tra mail art e controculture, sfociate poi in un festival a tema di cui non ricordo il nome; ma non c’era molto. Era una mostra il cui invito era stato diffuso tramite e-mail, e il tema era, appunto, il Plagiarismo. Ognuno poteva spedire quello che voleva e in particolare ricordo che c’erano imitazioni di dipinti di Pollock; comunque alcuni presero la cosa quasi per gioco, mentre altri proposero opere più “concettuali”. La mostra era abbinata ad una conferenza svoltasi in Scozia e tenuta da Pete Horobin, anch’egli neoista, nonché stretto collaboratore di Stewart Home, che cambiò nome varie volte, 152 Capitolo 9 Concetto plagiarista seguendo lo stesso concetto del nome collettivo, come nel caso di Luther Blissett. Fra i partecipanti vi era anche un certo Lloyd Dunn, membro di un gruppo musicale simile ai Negativland, i The Tape Beatles; e lì si parlò già delle problematiche del Plagiarismo. Infatti non ha preso piede e non ci furono già all’epoca molte persone disposte a farne parte, per così dire, altrimenti troveresti sicuramente più fonti. Anche le mostre erano occasionali e gli artisti spedivano le loro opere pur non sapendo effettivamente nulla sul Plagiarismo, o sul Neoismo. Per me il Plagiarismo rimane un esperimento che ha avuto un’eco molto limitata, e comunque andrei cauto nel chiamarlo “movimento”. Al contrario, il Plagiarismo, inteso come concetto e non come movimento vero e proprio, è molto fertile e d’impatto dalla seconda metà del secolo scorso, poiché i mezzi tecnici hanno incoraggiato musicisti e artisti ad appropriarsi liberamente di lavori già esistenti. Quindi è per questo che il Plagiarismo non può essere un movimento: non si può farne parte. È un’attività cui tutti possono partecipare. Di fatto noi stessi oggi viviamo in un’epoca molto “plagiarista”, perché la tecnologia permette di copiare facilmente quasi ogni cosa. Ho un gruppo musicale, Le Forbici di Manitù, con cui compongo musica prendendo pezzi di brani già esistenti e suoni campionati. La tecnologia oggi permette di fare musica pur essendo privi sia di strumenti sia di conoscenze applicate allo studio della musica. 153 Capitolo 9 Concetto plagiarista Nel caso il Plagiarismo fosse diventato una corrente artistica, attualmente avrebbe quindi perso ogni significato? Sì, ed è meglio così; i movimenti lasciano il tempo che trovano, pur portando avanti un’idea concreta. Parlavi di fenomeno sociale, e probabilmente è così. Il Plagiarismo è anche un fenomeno creativo; i dadaisti facevano dei bellissimi fotomontaggi, purtroppo le risorse tecniche erano limitate e la produzione esigeva uno studio considerevole dei materiali e delle procedure. Oggi persino un bambino che abbia un po’ di dimestichezza con Photoshop è in grado di produrre un fotomontaggio, magari qualitativamente e concettualmente inferiore ai lavori dadaisti, facendo semplicemente copia/incolla. Prendendo ad esempio un fenomeno del genere è logico supporre che nessuno crei qualcosa. Anche quando ti pare di scrivere una poesia di tua invenzione, in realtà in essa riversi tutto ciò che hai acquisito in precedenza da scritti di altri autori che magari hanno fatto la stessa cosa prima di te. Il plagiarista è solo un individuo che produce alla luce del sole ciò che altri farebbero di nascosto. La questione non è dunque copiare, ma usare degli strumenti e riuscire a produrre opere valide. Probabilmente è molto più facile scrivere un romanzo partendo da zero, inventando situazioni e personaggi, che non fare come certi scrittori, come William Burroughs o Kathy Acker, che hanno costruito dei romanzi “campionando” frasi da libri già prodotti; è un lavoro certosino che richiede comunque una grande abilità, ed è un’operazione altrettanto complessa quella di ottenere un filo logico a questo collage di parole. 154 Capitolo 9 Concetto plagiarista La Gioconda con i Baffi, o L.H.O.O.Q., di Marcel Duchamp, può essere considerato uno dei primi espliciti esperimenti di Plagiarismo? Certo, è uno dei più famosi. Ci sono vari modi di impossessarsi di un’opera altrui, come il cut up, ideato da William Burroughs e Brion Gysin negli anni cinquanta, che ne fecero una vera e propria scuola basata sull’aleatorietà e sul caso: producevano libri tagliando pagine da altri scritti e le componevano in strisce che, muovendole, rendevano le frasi senza senso, o talvolta assumevano significati sensati per quanto bizzarri, pur costruiti sul caso, appunto. Sempre negli anni cinquanta cominciano ad apparire i primi registratori a nastro disponibili al pubblico, pur essendo abbastanza costosi; Burroughs e Gysin sperimentarono con questi registratori sempre sul filone del cut up. Era una sorta di primitivo mixaggio, che assumeva gli aspetti di un collage di suoni e parole che loro in seguito componevano o trascrivevano. Mi ricorda la poetica Fluxus. Sì, difatti anche Fluxus fece sperimentazioni simili, che hanno in qualche modo anticipato il Plagiarismo. Il rap e l’hip hop dei primi anni ottanta sono stati comunque i primi segnali che hanno esplicitamente usato strumenti, come il campionatore, per cantare sopra dischi o ritmiche altrui, anche se a volte suonavano con il consenso dei musicisti dei quali usavano i pezzi. Inizialmente comunque non c’erano molte cause legali legate al copyright, poiché quello del remix era un fenomeno 155 Capitolo 9 Concetto plagiarista ancora molto underground, che riusciva a sfuggire al “radar” della diffusione commerciale; l’effetto era la scarsa notorietà. Sul loro manifesto i secessionisti di Vienna scrissero “… noi non conosciamo alcuna differenza tra “arte maggiore” e “arte minore”, tra arte per ricchi e arte per poveri. L’arte è bene comune”. Potrebbe essere d’ispirazione a una cerchia di artisti, come i neoisti, che rifiutano l’esclusività dell’arte? Può essere, ma personalmente non credo che i secessionisti abbiano ispirato le controculture, o i primi plagiaristi. Dovresti cercare di focalizzare una serie di opere e artisti che identifichino meglio il fenomeno del plagio, come nel caso della Gioconda con i Baffi appunto, o il ritratto di Leonardo da Vinci con il sigaro in bocca di Man Ray. Nella Plagiarismo ci sono molti esempi di questo genere; le serigrafie di Wharol, oppure i collage di Hamilton sono opere associate in qualche modo al Plagiarismo e ricordano in qualche modo i cut up di Burroughs. Comunque non credo sia facile associare i secessionisti al Plagiarismo vero e proprio. Infatti recuperare del materiale in merito non è facile, poiché le fonti a disposizione sono scarse. Inizialmente potevo solo intuire qualcosa dal nome, che mi faceva pensare al plagio, appunto. In effetti non è associato ai movimenti artistici come li conosciamo. Facendo una piccola indagine fra libri d’arte contemporanea che si occupano di underground o movimenti 156 Capitolo 9 Concetto plagiarista minori potresti trovare qualcosa, poiché in fin dei conti si trova sulla scia dell’arte contemporanea. Ma non sono molto sicuro di questo. Nell’ambito del festival Galaxia Medicea, presso Seravezza, gruppi come Negativland e artisti mediatici anti-copyright come RT Mark fanno riferimento a un’etichetta discografica di nome Illegal Art che promuove quei gruppi che fanno uso della plunderfonia. In Italia, per esempio, un dj di Roma, tale Okapi, ha creato la pagina su Wikipedia di un musicista italo africano, un certo Aldo Kapi, che fa riferimento a una raccolta postuma mai esistita, pubblicata appunto per l’Illegal Art. Quest’anno il tema principale del festival sarà il rapporto tra design e suono di Bruno Munari, tematica riflessa nell’Opera Rotta, per la realizzazione della quale Munari collaborò con un musicista, Davide Mosconi. Era un’opera che permetteva di creare un collage di varie opere, e fu presentata un’unica volta a Milano negli anni sessanta. Oggi un procedimento del genere sarebbe facilmente attuabile attraverso il remix, ma all’epoca non esisteva il campionatore; pezzi di scenografie e un sacco di musicisti e cantanti venivano diretti e composti per creare un remix delle più celebri opere sinfoniche, dal vivo e in tempo reale. Ho proposto agli organizzatori del festival di contattare Okapi per riprendere quest’opera in chiave moderna, che poi lui ha ribattezzato Opera Riparata: in pratica si tratta di riprendere lo stesso schema compositivo di Munari e di riprodurlo, assieme ad un collage video, con il computer. Hai parlato di plunderfonia: che cos’è? Il nome, coniato dal suo ideatore, un musicista californiano di nome John Oswald, deriva dal verbo inglese to plund, che 157 Capitolo 9 Concetto plagiarista significa rubare. Egli non fa altro che prendere pezzi di brani e pezzi di copertine da dischi altrui, per poi ricomporli in un collage sia audio, per la musica, che grafico, per le copertine. C’era sempre una correlazione tra ciò che veniva raffigurato sulla copertina e ciò che conteneva il disco: per esempio, se era riportata un’immagine di Bruce Springsteen in copertina, significava che nei brani erano presenti pezzi di sue canzoni. Tutti questi riferimenti al collage, al remix e al cut up mi fanno pensare alla trasmissione Blob, di Enrico Ghezzi. Difatti è un ottimo esempio di cut up, cioè montare varie cose per dare un significato diverso rispetto a quello che vedi. Tra l’altro, quando per la prima volta intervistai i Negativland e loro mi parlarono della plunderfonia, scrissi un articolo in cui chiamai il loro genere Blob Music, tenendo conto anche del contenuto satirico all’interno delle tracce. Tornando a Blob, il montaggio, realizzato più da Marco Giusti che da Ghezzi, non è casuale, assolutamente, e, anzi, credo sia un programma unico al mondo. Sono riusciti ad avere spazio e fama proprio per quest’originalità narrativa. Forse definire Blob un programma “plagiarista” non è del tutto corretto: magari si tratta più di “citazionismo”? Sì, in fondo il concetto di plagio rimane sempre abbastanza vago, altrimenti dovresti escludere anche operazioni come il cut up o il collage, che in fin dei conti creano opere a sé. È importante quindi distinguere il Plagiarismo dal comune plagio, 158 Capitolo 9 Concetto plagiarista poiché quest’ultimo si riduce a una copia della fonte scelta. Un’operazione plagiarista, invece, mette assieme vari pezzi di materiale altrui per creare qualcosa di nuovo e concettualmente differente, spesso tenendo conto dei vari cavilli burocratici che fanno parte del copyright. Ma questa è una questione molto complicata, che riguarda gli avvocati e le procedure legali. Penso che la tua tesi proponga una panoramica sul Plagiarismo in termini più “creativi” che legali, o penali: in quest’ultimo caso, credo, rischieresti di impelagarti in questioni veramente intricate. Mi piaceva l’idea di includere un capitolo sulla questione legale, magari intervistando o avendo un confronto con un avvocato. Te lo sconsiglio, è una faccenda molto complicata. Nel libro di Tommaso Tozzi, Arte di Opposizione, viene riportato un capitolo scritto da Tom Vague, il quale dichiara che il Plagiarismo “è un esercizio fortemente creativo”. Lo è, ma non è altrettanto facile capire in quale momento il Plagiarismo si sia imposto maggiormente sulla storia dell’arte. A tal proposito sarebbe interessante costruire una linea cronologica degli esempi o delle opere plagiariste nel corso degli anni. Per esempio, il mash up, in seguito chiamato bastard pop, ispirato al cut up di Burroughs, si è sviluppato in un contesto 159 Capitolo 9 Concetto plagiarista favorevole alla sperimentazione musicale, alla creatività e alle culture underground. In fin dei conti si tratta di sovrapporre un brano musicale su un altro di un genere differente; il prodotto finale, puoi immaginare, non è qualitativamente eccellente e non potrebbe avere lo stesso riscontro di un brano originale. Infatti, un prodotto che in qualche modo è collegato alle pratiche di mixaggio, è altresì destinato a un successo effimero, ed è per questo che il materiale a disposizione è scarso. Rimane un genere musicale di nicchia. È un bene che resti tale? Diciamo che è logico che sia così. Il mercato attuale non pone attenzione a quel tipo di prodotto, ma ciò non preclude che un bravo musicista non sia tale. Per farti un esempio: Finnegan’s Wake, di James Joyce, non potrà mai essere un’opera di largo consumo, poiché richiede un metodo di lettura vincolato a un certo livello culturale. Ciò non significa che Joyce sia un pessimo scrittore. La stessa cosa vale per la plunderfonia, non si può apprezzarla se non si hanno gli strumenti critici necessari a decodificarla. Ci sono anche casi in cui un brano plunderfonico riscuote un discreto successo grazie ad un mixaggio ottenuto da frammenti di canzoni celebri; come nel caso di un certo Dj Mouse, che pubblicò The Grey Album, remixando interamente il famoso The White Album dei Beatles. O ancora, il caso dell’album dei Negativland intitolato U2; ciò crea un’eco mediatica che può accrescere la visibilità di un prodotto. Quando lavorai con lo pseudonimo di Liutenant Mourneau, che usai anche come nome collettivo (tipo Luther Blissett) il mio 160 Capitolo 9 Concetto plagiarista scopo era di coinvolgere quante più persone in questo progetto, senza troppi clamori. Come Liutenant Mourneau ho realizzato i miei primi “collage musicali” utilizzando le cassette a nastro. A quel tempo esistevano le Tape Label, etichette discografiche che si occupavano della distribuzione su cassette; una di queste, olandese, distribuì centocinquanta copie dei miei primi lavori. In seguito ho realizzato anche dei vinili, ma non mi rendevo conto effettivamente di creare un tipo di prodotto che aveva già preso piede attraverso quella tecnica che poi avrebbe preso il nome di plunderfonia; posso dire di averlo scoperto quasi per caso. Non sapevo di far parte, involontariamente, di questo piccolo movimento; realizzavo i miei collage più che altro per divertire la gente e me stesso, e tutto senza aver bisogno di uno strumento. Come del resto già Pierre Schaeffer, negli anni sessanta, faceva utilizzando giornali, oggetti vari e suoni registrati in ambienti urbani, creando collage di suoni che andavano a comporre quella che oggi conosciamo come musica concreta. Quella che poi è divenuta la noise music? Non è proprio così, poiché ancor prima, con il Futurismo, Russolo sperimentò il concetto di “rumore” come mezzo compositivo, realizzando anche apparecchi adatti allo scopo come, per esempio, l’Intonarumori. Questi concetti sono stati ripresi dopo l’avvento del punk, quando persone, che non sapevano effettivamente scrivere tre accordi, potevano realizzare musica partendo dai rumori. 161 Capitolo 9 Concetto plagiarista Lo scopo dell’Internazionale Situazionista è la soppressione dell’arte tramite un concetto ludico del “fare arte”? In primo luogo, quello dei situazionisti era più un movimento sociale che artistico. Guy Debord, che ne faceva parte, era più un filosofo che poneva attenzione all’ingerenza dei media nella società, e spesso si esprimeva attraverso brevi filmati d’ispirazione dadaista (monologhi fuori campo, schermi neri, eccetera). Anche i dadisti e fluxus riducono l’arte a una battuta o a una satira, che nel caso del Dada trova espressione soprattutto nei ready-made. Si può dire quindi che anch’essi facciano parte delle controculture? Le controculture esistono nel momento in cui nella società si afferma un certo tipo di pensiero; in definitiva, c’è sempre chi va “contro” qualcosa. Lo stesso vale nell’arte, da quando il mercato ha cominciato ad affermarsi pesantemente su di essa. L’esempio più lampante di controcultura, e probabilmente il più influente, si è manifestato verso la seconda metà degli anni sessanta con il movimento hippie, cioè una schiera politicizzata di sostenitori dei diritti civili. Prese corpo soprattutto con l’inizio della guerra in Vietnam e andò poi a influenzare vari aspetti della società, dalla musica alla moda. Fino a quel momento le controculture erano state piccole frange di artisti e scrittori poco o per nulla note, come il movimento esistenzialista o la Beat Generation del secondo dopoguerra, che già si opponevano alle regole imposte dal mercato ufficiale. Per esempio, un certo Wallace Berman, della 162 Capitolo 9 Concetto plagiarista Beat Generation, oltre a realizzare opere con oggetti di scarto e rifiuti, allestiva le sue mostre in una casa abbandonata. Come vedi, un’idea che sembra appartenere a uno squatter dei primi anni ottanta, in realtà è ispirata un fenomeno in vigore già dalla fine degli anni cinquanta, ma che è rimasto misconosciuto. Il movimento hippie si è sviluppato un momento in cui si esigeva un nuovo modo di pensare che portasse a un rinnovamento nei rapporti sociali, un’esigenza cui oggi sopperisce internet, se vogliamo. Successivamente, negli anni settanta, è stata la volta del punk, che ha portato innovazioni nel panorama musicale ampolloso degli Emerson, Lake & Palmer; e non solo in quello musicale, basti pensare alle prime fanzine, che sostituivano un tipo di stampa ufficiale che impiegò molto tempo per adeguarsi a questa rivoluzione. Tipi di espressione artistica che in qualche modo abbracciano il concetto abbastanza vago di “Plagiarismo” sono sempre rimasti un po’ fuori dal mercato dell’arte perché si riconoscono sia nell’ambito dell’illegalità sia in un contesto ideologico di controcultura. Personalmente, intravedo nell’arte delle possibilità che la trasformino in un evento collettivo e di scambio culturale e sociale, per questo riterrei più costruttivo, per esempio, fondare una casa editrice per distribuire materiale a un prezzo accessibile, che vendere semplicemente le proprie opere a cifre esorbitanti solo per fare soldi. Mi pare che tutto ciò che è collegato al concetto plagiarista si muove sul versante dell’arte alternativa, pur non essendo in aperta opposizione con lo status quo dell’arte ufficiale: e probabilmente nemmeno si pone il problema. 163 Capitolo 9 Concetto plagiarista Però non credi che, intervenendo in un modo così “ludico”, le controculture di stampo artistico possano contribuire a donare nuovo spessore alle arti ufficiali? Insomma, non rischiano di essere additate come frivoli prodotti di finti artisti? Tutto ciò che conosciamo fin dall’antichità ha segnato uno stato rispetto a ciò che esisteva prima, e spesso anche una rivoluzione. Qualunque epoca tu analizzi, non troverai un’arte tronfia e ufficiosa che ha dettato legge sulla cultura di ieri: ai tempi di Mozart la gente teneva più in considerazione Salieri, proprio perché Mozart, che era un rivoluzionario a suo modo, non trovò inizialmente un pubblico capace di apprezzare il suo stile. Nella maggior parte dei casi il successo è postumo; molti artisti, oggi quotati per milioni, sono morti poveri. Io non so se a oggi esiste un’arte che è riuscita a caratterizzare i primi anni del duemila, un’arte o un’opera che in futuro sarà l’emblema della nostra epoca. Comunque penso che non sarà il teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst a caratterizzare questo periodo: quello è già l’“Emerson-Lake-&-Palmer” degli anni settanta. Probabilmente nemmeno le operazioni artistiche svolte su internet o via e-mail potranno giungere a questo traguardo. Ciò che è certo è che la controcultura di ieri spesso diventa l’accademia di oggi. Comunque credo che la chiave per identificare un’ipotetica “arte” del nostro tempo risieda in internet e nelle tecnologie informatiche, di cui ancora non sfruttiamo il pieno potenziale. Quando è scoppiata la rivolta in Egitto, mi sono accorto del vero potere che internet e le sue varie applicazioni possono offrire, poiché si pensi che la rivoluzione è stata organizzata e coordinata con un massiccio scambio d’informazioni attraverso canali video, blog, e-mail, eccetera. 164 Capitolo 9 Concetto plagiarista In generale, però, non sappiamo ancora utilizzare appieno le nuove tecnologie, probabilmente a causa di un ingolfamento creato da fattori economici e pubblicitari. La cosa più curiosa è che il messaggio non passa poiché si è in troppi. Cioè? Ti faccio un esempio: anni fa, se si fosse pubblicato un disco che potesse diventare un inno della controcultura lo si sarebbe subito identificato e in seguito condiviso, poiché il panorama artistico non era così saturo come oggi. Ci viene continuamente proposto di tutto, senza filtri. Oggi vengono pubblicati talmente tanti dischi che in quest’affollamento potresti trovare non uno, ma cento dischi significativi come quello. Purtroppo è come se non esistessero, persi in un mare magno dal quale non riescono a emergere. È possibile quindi che abbiamo assimilato passivamente le controculture senza prestarvi realmente attenzione? Forse un prodotto del genere non riesce a liberarsi da questo sovraffollamento perché non è più originale: per renderlo realmente diverso dagli altri dovresti usarlo in modo quasi disperato, come se usassi un coltello per andare a caccia. Ho passato trent’anni a creare progetti portandoli all’attenzione degli altri attraverso lettere. Talvolta questo metodo si rivelava futile, ma spesso funzionava, soprattutto se a sostenere la causa c’era un fine sociale o ideologico; come la volta in cui siamo riusciti a liberare dei prigionieri politici in Uruguay. 165 Capitolo 9 Concetto plagiarista Se delle comuni lettere potevano ottenere un effetto così importante, pensai, figuriamoci internet! Eppure il numero dei net artisti oggi attivi è esiguo, se non addirittura quasi del tutto assente; ciò è dovuto all’accanimento da parte di un sistema antiquato che dà importanza all’oggetto e non al progetto d’arte. A mio parere, l’arte contemporanea risulta molto meno credibile rispetto a dieci/venti anni fa; da quel periodo in poi movimenti come le transavanguardie venivano creati a tavolino dalle grandi gallerie. C’è chi associa l’arte contemporanea di una serie di produzioni commerciali, come il design e l’artigianato. Magari! Con la permanenza dell’arte concettuale in molto casi si è persa l’abilità manuale. Però, un mio professore, Pierluigi Capucci, mi ha fatto notare quanto negli ultimi tempi arte e design si siano effettivamente avvicinati. Per la verità anch’io ho notato che le cose più interessanti prodotte negli ultimi anni sono legate all’ambito di un tipo di design affine ai campi più disparati, dal fumetto all’edilizia. Non dimentichiamo l’arte da strada, la Toy Art e il graffitismo, che nel caso di Banksy, ha avuto anche molto successo; secondo me, forse, movimenti del genere rispecchiano maggiormente il nostro periodo. Anzi, spesso trovo più ricchezza stilistica e impegno nei normali designer, grafici e 166 Capitolo 9 Concetto plagiarista writer che in tutti quegli artisti contemporanei che espongono le loro opere nei grandi musei. Hai accennato a un accostamento tra design e fumetto. Sì, ma già Andy Warhol utilizzò Popeye come soggetto di una sua opera, facendo riferimento alla copertina di uno dei suoi fumetti. O ancora, Roy Lichtenstein e i suoi soggetti copiati dalle vignette di fumetti Marvel. Il problema rimane il copyright. Secondo me, comunque, non è molto interessante porre merito alla faccenda del copyright e a tutte le cause legate a esso, quanto dimostrare che di fronte ad un’opera concettualmente e stilisticamente valida non si parli più di plagio vero e proprio. In fondo l’artista, come chiunque del resto, riutilizza sempre qualcosa di ciò che ha visto o imparato, elabora una sintesi di ciò che ha assimilato dalla cultura del suo tempo e dalla sua vita. L’opera che produce può contenere parti di materiali altrui, ma con un significato totalmente diverso. Una curiosità: pare che in Italia sia scaduto il copyright di Braccio di Ferro, quindi, in teoria, saresti liberissimo di stamparlo su delle magliette. Mentre in America alcune grandi corporazioni, come la Walt Disney, sono riuscite nell’intento di aumentare la durata del copyright da cinquanta a settant’anni. Ultimamente la Disney sta avviando una causa legale per portare il copyright del primo Topolino a una durata di cento anni, dal momento che tra poco dovrebbe scadere. 167 Capitolo 9 Concetto plagiarista Quindi, come sempre, è il contesto che distingue l’oggetto comune dall’opera d’arte? Certo, l’esempio lampante è proprio Duchamp e la sua Fontana. Una volta a Milano, durante la presentazione di BAU, ebbi una disquisizione con Arturo Schwartz, dove era ospite. Egli, grande amico di Duchamp e autorevole storico e critico d’arte, tendeva, a mio parere, a “romanzarne” un po’ troppo la vita e le opere. La discussione nacque intorno all’opera readymade, Pala da Neve, alla quale Schwartz attribuiva una grande presenza materica e contenutistica, pur essendo effettivamente una comunissima pala da neve. Per me resta un oggetto di uso comune privato della sua funzione originaria, semplicemente decontestualizzato. A questo proposito organizzai nel 2010 un evento, della durata di un anno, chiamato Art Detox 3, per evidenziare il problema della saturazione che sta invadendo il panorama artistico odierno. L’operazione, tra l’altro, proponeva a coloro che aderirono di infilarsi un sacchetto in testa durante le visite nei musei, per “desensibilizzarsi” da ogni eccesso. Realizzai inoltre un’installazione in cui si potevano pettinare delle bambole (prendendo spunto dal famoso detto), come a indicare che la nostra presenza nei musei è inutile. Quello che voglio dire è che si possono compiere operazioni che magari diventeranno artistiche, in qualsiasi modo possibile, bello o brutto; sta poi ai critici o alla tua stessa sensibilità giudicare il valore del tuo lavoro, che acquisterà un senso preciso in base al tuo talento. La mia tesi esposta ad Arturo Schwartz trovava probabilmente conferma nella sorte toccata alla Fontana originale, che è andata perduta: questo però non turbò più di tanto il suo autore, poiché il valore della sua opera risiedeva non tanto nell’oggetto quanto nell’idea. 168 Capitolo 9 Concetto plagiarista Successivamente è stata fatta una copia, ma l’obiettivo di Duchamp era ormai raggiunto. Proprio quest’appropriazione indebita e ricontestualizzazione di oggetti o materiali vari ha ispirato quasi tutti gli artisti e tutte le correnti successive. Hai parlato di talento: a questo proposito Luther Blissett, nel Manifesto Neoista, scrive che “il grande vantaggio del Plagiarismo come metodo letterario é che elimina la necessità del talento…”. È veramente così? Non è esattamente così. Talvolta si tende a generalizzare questo discorso, un po’ come si è fatto con il punk, sul quale si è detto che non occorre saper effettivamente suonare, cosa non vera per tutti i gruppi, ovviamente. Nel caso del Plagiarismo, cito Pietro Grossi, uno dei più grandi compositori di musica elettronica contemporanei, che ha anche partecipato al festival Galaxia Medicea. Secondo lui non è più necessario, con tutti i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione, avere una grande abilità come violoncellista: in quel senso non occorrono più certi talenti, perché le macchine permettono di raggiungerli quasi del tutto. Però occorre un criterio e una sensibilità che accompagnino le potenzialità delle macchine verso un’opera che abbia un senso e concetti ben definiti. Quindi, in tal caso, un’operazione del genere, rende il mondo artistico teoricamente accessibile a chiunque? È sufficiente avere un concetto valido e preciso? 169 Capitolo 9 Concetto plagiarista In realtà quest’affermazione è un po’ fittizia, poiché qualsiasi cosa è accessibile a tutti, teoricamente. Persino i pittori all’esterno del Louvre dopo qualche giorno sono in grado di realizzare una copia quasi perfetta della Gioconda. La Gioconda è un’opera valida non tanto perché tutti potrebbero rifarla tale e quale, ma perché è stata realizzata in un periodo in cui si richiedeva un certo tipo di qualità, sia contestuale sia stilistica: è stata fatta seguendo l’idea giusta nel momento giusto. Chiunque saprebbe ripetere i tagli sulle tele come Fontana, ma è l’idea, la ricchezza di contenuto che dona corpo all’opera, altrimenti si rischierebbe di confondere l’arte con l’artigianato. Per esempio, se la mail art fosse fatta senza perseguire un’idea che prescinda la funzione originaria del sistema postale, allora in questo caso si realizzerebbero delle comuni lettere, cartoline, e-mail; oppure tutta la posta nel mondo potrebbe essere mail art. George Maciunas, avendo focalizzato la possibilità di mettersi in contatto con vari artisti sparsi per il mondo, è riuscito a fondare un movimento come Fluxus; e questo solo perché egli andò oltre il normale uso della posta. Personalmente, a coloro che mi spediscono materiale spacciandolo per mail art, io nemmeno rispondo, poiché nella loro realizzazione non riesco a carpire il minimo impegno. Ciò che rende l’arte democratica è la sua struttura. Ciò è dato dal fatto che io posso realizzare un’opera contenente un ideale che comunichi un mio punto di vista da condividere con altri; per questo ho realizzato Art Detox, perché volevo dare uno spunto di riflessione autocritica sul senso dell’arte contemporanea. Qualsiasi cosa s’intenda realizzare dovrà essere sempre accompagnata da un’idea che porti innovazione, senza rivangare troppo tra le cose già fatte. Ho conosciuto un gruppo di ragazzi che avevano creato un nome collettivo, come Luther 170 Capitolo 9 Concetto plagiarista Blissettt, ma che non ottennero molto successo. L’originalità, la novità è tanto forte inizialmente quanto effimera, e trovare sempre nuove, valide idee non è cosa in cui tutti riescono. Sì, ovviamente ci si può provare, ma il successo non è garantito. L’arte è accessibile a tutti, ma non tutti riescono a creare qualcosa di innovativo. Vale a dire che le controculture (e il Plagiarismo) non sono movimenti artistici, bensì correnti legate a un contesto sociale? Sono l’una e l’altra cosa. Spesso preferisco la “non-arte” plagiarista che le opere di certi artisti che vedo esposte nelle gallerie. D’altra parte, purtroppo, la controcultura ha avuto fine da un pezzo, più precisamente nel momento in cui le nuove tecnologie hanno permesso a tutti di costruire il proprio blog, o il proprio forum, o comunità virtuali, e soprattutto da quando tali tecnologie sono state rese economicamente accessibili al grande pubblico. Perciò è inutile voler dare nuova linfa a un’ideologia di quel tipo in una società globalizzata. Aggiungiamo una saturazione di materiale che confonde, o mescola, prodotti commerciali e prodotti artistici, e ci accorgeremmo che del Plagiarismo effettivamente resta soltanto il concetto; che può ancora essere sfruttato, credo, e in modi originali. In questo panorama, comunque, l’attenzione sugli artisti si è ristretta assieme al mercato stesso, proprio a causa di questo ingolfamento. Basti pensare che con Liutenant Mourneau, che aveva un’etichetta indipendente, riuscivamo a pubblicare dalle cinquecento alle mille copie attraverso canali di distribuzione improvvisati. Oggi, pur svolgendo ogni operazione su internet, 171 Capitolo 9 Concetto plagiarista con conseguente riduzione dei costi, la tiratura media di un prodotto è di cinquanta/cento copie. Persino gli appassionati di musica indipendente fanno fatica ad acquistare, o anche solo scaricare, tutti i prodotti di tutti gli artisti che operano nel settore: ce ne sono troppi. Credi che in questo clima di saturazione possano ancora essere realizzati prodotti d’arte validi e innovativi? Oggi come oggi è una vera e propria sfida, ed è difficile che qualcosa catturi l’attenzione come poteva accadere venti o trent’anni fa. Ho vissuto di persona il periodo delle controculture e devo dire che è stato un modo appassionante di approcciarsi a un filone letterario, musicale e artistico molto originale, all’epoca, ma anche, purtroppo, effimero. L’ultima vera controcultura ad avere ottenuto un discreto riscontro, probabilmente, è stata il cyberpunk degli anni ottanta, un genere letterario molto politicizzato in Italia, tanto da diventare un vero e proprio movimento politico, che sicuramente avrà ispirato molti dei tuoi stessi professori. La causa della rapida scomparsa del contesto creato dalle controculture è da attribuirsi a una progressiva diminuzione di un interesse culturale inghiottito da un vortice mediatico, forse creato a tavolino. Si è sfaldato, inoltre, quel tessuto ideologico che teneva insieme istituzioni e ideologie. Probabilmente stiamo vivendo un periodo segnato dall’assenza di idee concrete, ma può darsi che si tratti solo di una fase, come del resto è accaduto per tutta la storia dell’arte. Essa è fatta di periodi caratterizzati da movimenti artistici più o meno influenti, regolati in base ad un sistema dell’arte che 172 Capitolo 9 Concetto plagiarista rispecchiava la società dell’epoca: Duchamp, o Maciunas, sono riusciti a rovesciare quel sistema. Per me, quella è innovazione, quella è arte. 173 Capitolo 9 Concetto plagiarista Note 1 (ndr.) Il nono Festival Neoista fu organizzato da Pete Horobin presso l’Arte Studio Emilio Morandi di Ponte Nossa, in Italia, dall’1 al 7 Giugno 1985; 2 Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche, Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home, traduzione di Luther Blissett, 2008; 3 (ndr.) Art Detox è un evento artistico di stampo sociale che pone le basi per una riflessione sulla propaganda artistica e culturale. Vittore Baroni ammette un’eccessiva quantità di annunci di mostre e gallerie che circolano in rete tramite e-mail; spesso in forma di spam. A oggi Art Detox è alla sua seconda edizione. 174 Capitolo 9 Concetto plagiarista 175 Conclusioni Conclusioni Ho voluto deliberatamente evitare di esaminare troppo sia l’infinita sequenza dei plagi più celebri della storia, sia la spinosissima questione della circolazione legale o meno di materiale in Internet; e ho voluto evitare gli ormai ridondanti termini con i quali distinguiamo i vari software. Reti peer-topeer, open source, file sharing, e altro ancora. Non volevo descrivere un fenomeno, una corrente che semplicemente investe ogni campo della cultura e ogni ceto sociale; ho voluto invece approfondire l’aspetto più creativo, in termini d’arte, che circonda il Plagiarismo come “concetto”. L’appropriazione è legittimata (che le autorità lo vogliano o no) dal fatto che non si può farne a meno. Quando Karl Marx identifica una fruizione comune dell’arte, vuole al contempo comunicare che essa, essendo uno dei fondamenti della nostra intera cultura, necessita anche di una libera circolazione in quanto bene intellettuale; non, invece, “proprietà”. Sappiamo che ormai la proprietà in pratica non esiste più; ci sono stati 176 Conclusioni messi a disposizione fin troppi mezzi per appropriarci di opere già esistenti e per trasformarle in un traffico così enorme da sfuggire alla maggior parte dei controlli. Ricordo un evento in particolare, un piccolo aneddoto che mi ha fatto riflettere a lungo sull’autenticità del nostro sapere. Un episodio che, nella sua goliardia e semplicità, pone l’attenzione su un fatto tanto grave quanto cruciale, nell’arte come nella vita: l’attendibilità. Tempo fa, nel 1984, fu organizzata a Livorno una grossa operazione al Fosso Mediceo dove, secondo fonti non così certe, Amedeo Modigliani avesse gettato alcune sue sculture. Quando l’operazione stava ormai per concludersi infruttuosamente, ecco che furono rinvenute alcune sculture di granito. L’entusiasmo fu grande e furono subito esposte in un museo, tra le acclamazioni della critica internazionale e l’assalto di media e turisti provenienti da mezzo mondo. Un entusiasmo fin troppo affrettato, poiché alcuni giorni dopo si scoprì che tutte le opere, false, erano state abbozzate da alcuni studenti con dei semplici trapani Black & Decker. La mostra fu immediatamente sospesa, gli studenti furono invitati in diverse trasmissioni e l’azienda Black & Decker avviò una grossa campagna pubblicitaria, forte dello scalpore suscitato dall’episodio. Ecco che qui il détournement si esprime al suo massimo livello. La burla, lo scherzo, il gioco, la goliardia fanno ormai parte di un’arte contemporanea che sempre più si distacca da quei fattori che caratterizzano la cultura “seria”. In un panorama in cui l’attendibilità è soppressa da un entusiasmo quasi isterico per i frutti che l’arte, sopratutto postuma, porta con sé, non è obsoleto continuare a parlare di “proprietà”? Quest’ultima è consolidata dalla sua attendibilità; ma se essa viene a mancare, per di più in un secondo momento, dove sta la differenza fra una ruota esposta da Duchamp e una esposta da me? Non c’è differenza a livello visivo, ma concettuale; e il concetto è 177 Conclusioni convalidato solo quando la fonte e la figura dell’artista sono attendibili. Se George Maciunas fosse stato ancora in vita all’epoca dei fatti di Livorno, probabilmente avrebbe organizzato una mostra dove esporre quelle stesse teste che hanno svergognato l’autorevolezza dei vertici dell’arte contemporanea. Stewart Home lo ribadisce continuamente nel suo libro Assalto alla Cultura. Abbattere “quel” tipo di cultura è oggi diventata un’operazione virale, quasi involontaria. Hanno contribuito fortemente i media che, avviando un vero e proprio processo di simbiosi con un’arte libertina e consenziente, hanno condiviso le loro icone, le loro tematiche, le loro idee sul modo di concepire un altro tipo di cultura. Una cultura più commerciale, più vicina al ceto medio e sempre più distante da un’ideologia borghese che acclamava il nudo del David e disprezzava un nudo di Klimt. Oggi un programma dissacrante e ironico come Blob, che è riuscito a entrare nelle case degli italiani, sarebbe stato per Fluxus la materializzazione di un’utopia che prevede una fusione tra arte e quotidianità, verso la possibilità di un’estetizzazione anti-Sistema nello stile di vita di ognuno. Purtroppo l’innovazione, tecnica o simbolica, spesso non è accolta con immediato entusiasmo. È accaduto ai secessionisti di Vienna, che proponevano un’arte molto vicina alla grafica e al design, ai dadaisti, per l’estremo minimalismo delle loro opere, alla Pop Art, che classicizzava il prodotto di consumo; infine, a Fluxus, Internazionale Situazionista, Neoismo e Plagiarismo, per il loro carattere autosoppressivo, cinico, contro le regole e la standardizzazione culturale. Spesso un atteggiamento riconoscitivo, nei confronti di un’innovazione, giunge molto dopo la nascita del movimento, della corrente o del singolo individuo che la propone. Per questo, tutto ciò che in un primo momento può risultare indegno o oltraggioso, a una successiva riflessione diventa 178 Conclusioni prima opinabile, poi, col tempo, accettabile o, nei migliori casi, riconosciuto. Personalmente ho provato la stessa cosa nei confronti del Plagiarismo. Dapprima non vedevo altro che un’assenza di idee, frutto di un rimestamento quasi obbligato di materiale già esistente; una pretesa di affermare il proprio talento attraverso un modus operandi assai discutibile. Grazie, però, agli interventi della Alexander, di Baroni e di Iaconesi, ho cominciato a intravedere nell’“arte del plagio” un metodo, ma soprattutto un’etica legata a un concetto estremamente solido, seppur inizialmente difficile da accettare. L’originalità è un derivato delle esperienze passate. Inconsapevolmente creiamo qualcosa che è implicitamente caratterizzato da un bagaglio esperienziale sviluppato da conoscenze altrui. Consapevolmente, invece, prendiamo in esame, sfruttiamo, ricomponiamo, trasformiamo l’opera di qualcun altro per fare emergere la nostra, che potrà essere totalmente differente dall’originale. O più semplicemente, in mancanza di creatività e di un’etica, copiamo spudoratamente un’opera sperando di affermare un talento che in realtà non c’è. Quando iniziamo a entrare nell’esercizio del plagio creativo dobbiamo tenere a mente una questione fondamentale; c’è la possibilità che qualche altro neoplagiarista possa copiarci. Non possiamo non accettare questa realtà, poiché significherebbe rinunciare a un’etica che prevede, in primis, la condivisione culturale. “L’arte è un bene comune”, affermano i secessionisti di Vienna; deve, cioè, essere fruibile e praticabile da tutti a dispetto delle possibilità. Per loro, l’arte, in ogni suo aspetto, deve essere caratterizzata dalla condivisione e dalla libera circolazione. Chi vuole fare arte deve avere tutte le opportunità per sviluppare un proprio stile, per aggiungere un tassello al mosaico che la compone, secondo Marx. A tal proposito, sono rimasto un po’ sbigottito, lo ammetto, 179 Conclusioni quando per la prima volta ho visto il documentario Rip! A Remix Manifesto (Brett Gaylor, USA, 2008, edito in Italia da Feltrinelli); un’elegia moderna contro la proprietà intellettuale, un’inchiesta in cui si usano termini come copyleft (un marchio contrapposto al copyright), o “open source”, o “condivisione”. Non avevo ancora finito di guardare il video, che detti un’occhiata sul retro della copertina del DVD: e cosa lessi, tra le altre cose? “… Sono assolutamente vietati e sono punibili a norma di legge la duplicazione e l’utilizzo per la visione in pubblico e la diffusione via cavo/etere in quanto costituiscono violazione dei diritti di copyright.” Ora, non dico che, forse, dietro alla distribuzione del DVD ci siano degli obblighi contrattuali che prevedono un certo tipo di uso del prodotto. Credo solo che non si possa affermare con forza un’ideologia comunitaria e di libera condivisione attraverso dei canali che privatizzano un bene culturale (poiché, a dispetto del “taglio” spesso ironico del video, è di questo che si tratta). Ma allora perché non cercare un altro distributore, che magari permetta la copia e il libero utilizzo del prodotto? Oppure, non si potrebbe cercare di annientare la validità delle normative con un avviso scritto? Per esempio, nell’articolo in cui si finge Tom Vague, Stewart Home spinge il lettore a copiare il testo e ad utilizzarlo come vuole. In ogni caso, non appena il video farà la sua comparsa su Internet, automaticamente diverrà condivisibile ed utilizzabile; nessuno terrà più conto delle norme che ne regolano la distribuzione; esso sarà copiato, remixato, “uploadato” su μTorrent o su qualche altro software open source. La libera circolazione è ormai inevitabile; il Plagiarismo, sotto le mentite spoglie del “copia/incolla”, sfrutta appieno questo 180 Conclusioni fenomeno e decreta la nascita di nuovo Sistema dell’Arte in cui il plagio è legittimato dalle infinite possibilità creative che i software mettono a disposizione. Non posso prevedere se l’attendibilità prescinderà sempre più dalla fonte, come conseguenza di una progressiva perdita del controllo sulla proprietà intellettuale. Però posso affermare che, in una società globalizzata, il Plagiarismo potrebbe finalmente rivelarsi in un modo che non gli è stato ancora riconosciuto; potrebbe divenire un vero e proprio movimento artistico che trae ispirazione dai simboli di una comunità internazionale sempre più eterogenea, che si arricchisce di nuove forme, contenuti, pratiche e tematiche. Fattori, questi, che descrivono e rappresentano intere comunità e culture specifiche. Pensiamo ai primi esperimenti di “remixaggio”, che si collocano in un ambiente urbano underground composto da etnie diverse con valori e ideologie diversi tra loro. Pensiamo ai remix dei primissimi anni ottanta, alla plunderfonia, ai primi mash up e alle prime manipolazioni dei dischi in vinile; tutte tecniche nate da esperienze multietniche che, con il passare del tempo, si sono affermate con grande successo nel panorama musicale internazionale. Non dobbiamo dimenticare che l’arte rispecchia una società in un tempo circoscritto: è un fenomeno inevitabile quanto il progresso stesso, e il progresso è la copia delle cose già avvenute. Che lo si voglia o no, nel momento in cui creiamo siamo tutti plagiaristi. 181 Conclusioni Stefano Cortese, Giugno 2011 182 Conclusioni 183 Bibliografia e Webliografia Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano, Giunti Editore, 1999; I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996; Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura dell’intero Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di Mario Cassa, Sapere, 1974; L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels, traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000; Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda, Costa & Nolan, 1997; Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche, Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home, traduzione di Luther Blissett, 2008; Falso è Vero - plagi, cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj, Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini, Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output, Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998; 184 Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette Sigilli, San Giovanni Apostolo; Mind Invaders - come fottere i media: manuale di guerriglia e sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000; Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici, 1964; Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001; Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008; … http://www.lutherblissett.net http://scream.deprogramming.us http://amy-alexander.com http://www.lastampa.it http://www.stewarthomesociety.org 185 Ringraziamenti Vorrei dedicare questa tesi a tutti, ma veramente a tutti. A chi mi è vicino e a chi non lo è, chi mi è amico e chi meno, a chi ha contribuito e mi ha sostenuto e a chi non ha fatto alcuna di queste cose. Non so se quest’opera possa essere definita un “traguardo”, ma per me è sicuramente qualcosa di importante che merita di essere ricordata, tenendo presenti tutti coloro che fanno parte della mia memoria, nel bene e nel male. Per creare un bel mosaico ci vogliono tanti colori, anche quelli che ci piacciono meno. In primis dedico questo libro ai miei genitori, Massimo e Vincenza, e alla mia ragazza Silvia per il loro costante, prezioso e paziente sostegno, e per il loro appoggio morale e pratico. E a chi, con la sua esperienza, mi ha permesso di sviluppare una coscienza sui temi affrontati; perciò dedico questo libro anche a Vittore Baroni, Amy Alexander, Salvatore Iaconesi, Stefano Genick. Il loro intervento è stato per me preziosissimo. 186