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8 Primo piano Giovedì 26 gennaio 2012 | “Light in the woods” di GIANLUCA PRESTIA Colpo alla cosca di Ariola, nel Vibonese: 30 arresti in tre province. Svelato il sistema delle infiltrazioni negli appalti La strage di Ariola rappresentò il culmine da sinistra: Borrelli, Lombardo, Consolo, Roca e Ruperti L’INTERCETTAZIONE LA CURIOSITÀ La “mala” elegge anche un sindaco In manette il nipote del boss Altamura alla guida del Comune di Gerocarne CATANZARO-La ‘ndrangheta del localedi AriolaaGerocarne chefaceva capo alle famiglie Loielo e Maiolo tra il 1994 e 1991 aveva ben radicato le sue radici sul territorio costituendo una consorteria mafiosa con il riconosciuto capo del locale, Antonio Altamura. Il locale aveva influenza sui paesi del circondario e grazie alla forza intimidatrice derivante dal voncolo asociativo, teneva sotto scacco l’intero territorio delle Preserre vibonesi da Gerocarne a Sorianello, Soriano calabro, Dasà, Arena e Acquaro. Gli interessi della cosca erano indirizzati prevalentemente al controllo e allo sfruttamento delle risorse ecomnomiche. In particolare dei settori imprenditoriali boschivo ed edilizio, come emerge dalle carte dell’operazione “Light in the woods” messa a segno ieri dagli uomini della squdra mobile di Catanzaro coordinata dalla Dda. Ma soprattutto la cosca era riuscita a mettere le mani sugli appalti pubblici grazie anche al fatto che nel 2005 riuscì a fare eleggere un suo uomo, Michele Altamura nipote del boss del locale di Ariola, Antonio Altamura.Un esempio acclarato della commistione tra mafia e politica che la dice lunga su come funzionano le cose in Calabria.Con questa “mossa del cavallo”, lacosca potè garantirsiper anni il controllo incontrastato del territorio e stroncare ogni alzata VIBO VALENTIA - Prima erano un'unica entità, ma dopo il 1988 iniziarono a combattersi senza esclusione di colpi. Quella che ha contrapposto la famiglia dei Maiolo con quella dei Loielo affonda, quindi, le sue radici nella fine degli anni '80. Questa zona delle Serre vibonesi diventa, quindi, teatro di morte. Un territorio evidentemente troppo piccolo per entrambe le fazioni che miravano al predominio dell'area e allagestione della più che redditizia attività estorsiva ai danni degli imprenditori boschivi. I Maiolo potevano contare sulle famiglie Emanuele-Oppedisano-Ida (Gerocarne, Soriano Calabro, Arena, Dasà, Acquaro, Dinami), mentre i Loielo venivano affiancai dai Gallace; Mamone e Nesci-Montagnese” (Fabrizia); Tassone (Nardodipace) e Oppedisano (Dinami). La fine dell'unione dei due sodalizi criminali avviene nel mese di marzo del 1989 quando i due fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo, approfittando di alcuni benefici di legge riuscirono a sottrarsi alle maglie della giustizia iniziando un periodo di latitanza terminato con il loro arresto avvenuto nell'aprile del 1991. Durante questo biennio, i due avevano messo in atto un'azione di contrasto del clan Maiolo divenuto rivale a seguito dell'agguato subito il 13 marzo 1989 da parte proprio di Vincenzo Loielo, con l'uccisionedi diversi avversari. Traquesti figuravano Antonio Donato, Gaetano Inzillo, Rocco Maiolo e Raffaele Fatiga. Con i due fratelli tornati in carcere la cosca fu capeggiata militarmente da Francesco Loielo, almeno fino al 1994, anno in cui finì anch'egli nelle maglie della giustizia per una condanna definitiva in quanto coinvolto, insieme al fratello Vincenzo, nel sequestro di persona di Cataldo Albanese, di Massafra (TA). A descrivere con dovizia di particolari la composizione della famiglia Loielo era stato il collaboratore di giustizia Enzo Taverniti nel corso del processo “Domino”celebrato a Vibo Valentia e relativo al tentato omicidio di Bruno Nesci. Avevaspiegatodiaver fattopartedelclancapeggiato dai fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, quest'ultimo suo cognato, che aveva esteso gli affari illeciti su Gerocarne, Pizzoni, Vazzano e Soriano, e successivamente di aver avuto nel clan Loielo il grado di “capo giovane” sino al 22 aprile del 2002, quando i due fratelli vennero eliminati nella strage di Ariola, frazione di Gerocarne. Entrambi caddero sotto i colpi dei killer che crivellarono la Fiat-Panda sulla quale viaggiavano e gli occupanti, riducendola ad un colabrodo. Il 9 settembre del 2003, invece, lo stesso collaboratore di giustizia era riuscito a sottrarsi alla morte. Gli avevano teso un agguato a colpi di arma da fuoco mentre si trovava in macchina nei pressi di Acquaro, ma fece in tempo ad abbandonare il veicolo e a fuggire nella boscaglia. Episodio che portò alla condanna dei fratelli Maiolo (Francesco ed Angelo, figli del desparecido Rocco, vittima di lupara bianca, e cugini dello stesso Taverniti). Parlando della “società” della ndrangheta di Fabrizia, sempre il collaboratore aveva riferito che questa era capeggiata da Umberto Maiolo (assassinato il 2 agosto del 2003 a Gardone Valtrompia, in provincia di Brescia) che aveva L’ex sindaco Michele Altamura di testa da parte di qualunque imprenditore locale, ed eliminando ogni ostacolo che si trovava sul suo cammino. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, inchiodano l’ex sindaco Michele Altamura, assessore anziano del Comune di Gerocarne, facendo emergere come lui fosse parte integrante del progetto pianificato dallo zio Antonio che nmirava a far crescere politicamente il nipote, allora laureando in Architettura. Come emerge dalle carte della corposa ordinan- za di custodia cautelare in carcere che ha portato all’arresto di trenta presunti affiliatial locale.In particolare c’è un’intercettazione in cui l’ex sindaco di Gerocarne riferiva al suo interlocutore, Franco Taverniti il proposito di aggiudicarsi con la compiacenza di alcune ditte edili del luogo, l’appalto per le opere fognarie da realizzare nel Comune di Gerocarne. Franco- «Per la fognatura quanto tempo passa?» Michele-«Poi dipende... dopo che... 15 giorni per l’affidamento...Poi la ditta si prende altri 15 giorni... si deve mettere qualcuno...devono(..) il materiale... l’importante che incominciamo prima delle elezioni..poi!!» Franco- «Subito se la prendo io... subito.. inizio e finisco...!! Michele-« Prima delle elzioni... anche perchè a te se ti interessa» Franco - «Non solo a me interessa...!»Michele- «Solo che lì abiamo il problema.. prima devi fare il tratto... altrimenti come fai... va be che ».... Franco- «..Prima?» Michele- «Prima devi fare il tratto a valle.. altrimenti come fai a scaricare..» Franco - «Come non ho capito scusa»-Michele - «Una volta che rompi là» Franco - «No i maschi li faccimao a parte». Michele -«E quindi inzi da là, dal tratto a valle». a. f. Il blitz anche in Toscana UNO dei presunti appartenenti alla cosca di Ariola è' stato arrestato in provincia di Massa Carrara. Si tratta di Antonio Condina, originario di Vibo Valentia, di professione artigiano, che da qualche anno si era trasferito a Casola, un piccolo paesino della Lunigiana, dove viveva con la moglie e due figli. Lo hanno scovato gli uomini della Squadra mobile di Massa. Anche per lui sono scattate le manette per il 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo gli inquirenti, era un elemento di spicco affiliato al clan. Adesso si trova in carcere a Massa. La strage di Ariola, del 2003, in cui morirono Francesco e Giovanni Gallace e Stefano Barillaro accanto a sé Bruno Nesci ed i fratelli Cosimo ed Antonio Mamone. A metàdegli anni '90 sarebbero stati quindi i Loielo a nascondere nel territorio di Gerocarne l'allora latitante Umberto Maiolo che avrebbe voluto realizzare «un'industria di acqua». E, al riguardo, aveva riferito, sempre nel corso del processo “Domino”di aver portato a Fabrizia, insieme al cognato Vincenzo Loielo, “le ambasciate”di UmbertoMaioloai fratelliMamone ed a Bruno Nesci. Ma la strage tra i boschi serresi raggiunge il suo apice la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito, Ilario Antonio Chiera. Tutti si trovavano a bordo di un fuoristrada quandoil commando, uscendo all'improvviso dalla boscaglia, tese loro la trappola. Una tempesta di piombo con mitraglietta, lupara e pistole; i bossoli e le ogive, non si contavano. Macol passare deglianni, e deimorti, nonchè degli arresti, la potenzialità di queste due consorterie, dunque, per come scriveva sempre la Commissione parlamentare antimafia, si era ridotta «ma a Soriano c'è ancora una forte aggressività che è un rischio serio per lo sviluppo e per le attività economiche in questa zona che venivano fatte oggetto di attentati dinamitardi. Episodi criminosi di questo genere, finalizzati il più delle volte all'estorsione, sono occasioni per proporre e consolidare un controllo dei gruppi criminali sul territorio, sulle realtà produttive e sulla vita della società. Società che, intimorita da questa presenza asfittica offriva - riportava ancora la relazione antimafia - scarsa collaborazione delle vittime con le attività investigative e con le forze di polizia». In questo contesto si inseriva anche l'uccisione di Placido Scaramozzino, il parrucchiere 43enne di Acquaro scomparso il 28 settembre del 1993 e il cui cadavere non fu mai trovato. A parlare delle modalità con le quali venne assassinato erano stati i collaboratori Taverniti e Francesco Loielo. Quest'ultimo aveva iniziato nel 2010 lasua collaborazionecon lagiustizia. Nelle varie circostanze, i due collaboratori di giustizia riferirono episodi fondamentali e preziosi che portarono gli inquirenti a ricostruire una delle pagine più cruentedella scia di sangueche negli ultimi trent'anni ha toccato le Preserre. Scaramozzino - secondo la prospettazione accusatoria - fu ucciso sulla scorta di meri sospetti a causa della sua frequentazione con Antonio Maiolo, boss locale antagonista del gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni fa Taverniti si trovava in macchina conil cognatoVincenzoLoielo.E fuproprioquest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio alla persona con l'auto bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola “357”dopo averlo estratto dalla macchina. Poi, l'uomo venne legato e trascinato lungo un sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di spostare l'autovettura della vittima. Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il clan rivale. Infine l'epilogo: Dopo aver scavato una buca il parrucchiere fu denudato (lasciato soloconglislip),lafaccia insuelemanilegatein avanti e colpito con una zappa sul petto e alla testa.Dunque, lasepolturaquando eratramortito ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle Malogne” ad Acquaro, solo qualche giorno dopo la scomparsa. Per quell'episodio, il 13 aprile 2011 la il pm della Dda, Boninsegna, sulla scorta delle indagini della Mobile di Catanzaro presentò un'ordinanza di custodia cautelare al gip Tiziana Macrì, che poi l'accolse, nei confronti di Antonio Altamura, Antonio Gallace e Vincenzo Taverniti. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro La storia del locale di ’ndrangheta fino a oggi che operano nella zona di Cassano Jonio (Cosenza), e con le famiglie di Rosarno (Reggio Calabria). Gli investigatori hanno anche saputo della partecipazione ad un funerale svoltosi a Gerocarne, di Domenico Oppedisano, che l’inchiesta “Crimine-Infinito” coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e Milano ha indicato come il capo “crimine” della 'ndrangheta e “custode delle regole dell’associazione. Il procuratore capo Lombardo e il procuratore generale Consolo inoltre ieri hanno lanciato un Sos in merito al fatto che oggi l’organico della Dda di Catanzaro è sottodimensionato e non ha i mezzi sufficienti per contrastare un’organizzazione criminale come la ‘ndrangheta, una tra le più potenti e pericolose al mondo, con continue «richieste di applicazione alle Procure circondariali di Cosenza, Crotone e Vibo Valentia, con la conseguenza che la Dda è stata identificata nel singolo magistrato». | La guerra contrapponeva il gruppo dei Loielo a quello di Maiolo Luce sulla faida lunga vent’anni tano Eamanuele, 36, di Gerocarne; Franco Idà, 46, di Gerocarne; CATANZARO -Il Locale di 'n- Vincenzo Bartone, 43, di Gerodrangheta di Ariola, a Gerocarne carne; Francesco Maiolo, 32, di nelle Preserre del Vibonese che fa Acquaro; Angelo Maiolo, 27, di capo alla cosca Loielo - Maiolo poi Acquaro; Francesco Maiolo, 28, scissi, tra il 1990 e il 2009 era di- residente in provincia di Torino; ventata così potente da essere Francesco Capomolla, 28, di Geegemone. E riuscendo non solo a rocarne; Piero Sabatino, 29, di controllare il territorio, ad infil- Gerocarne; Salvatore Zannino, trasi nell'economia locale , ad ac- 33, di Sorianello; Salvatore Grilcaparrarsi anche i lucrosi appalti lo, 32, di Soriano Calabro; Giuseppubblici ma perfino riuscendo a pe La Robina, 21, di Arena; Giufar eleggere un suo uomo, Miche- seppe Degirolamo, 21, di Arena; le Altamura nipote del boss nel Pasquale De Masi, 30, di Gerocar2005, a sindaco del paese. Insom- ne. L'operazione, coordinata dalma, le mani della criminalità or- la Procura distrettuale di Catanganizzata sulla città che rende zaro, ha interessato anche le città asfittica l’economia e succhia fino di Torino, Firenze, Genova, Masl’ultima goccia di sangue agli im- sa Carrara e Parma.Tutti i particolari dell’operazione sono stati prenditori locali. E la lunga storia di uno tra i più resi noti ieri durante una confepotenti locali di 'ndrangheta del- renza stampa in questura a Catanzaro alla quale la Calabria, le scishanno partecipato sioni, le infiltrazioil procuratore geni nella pubblica nerale, Santi Conamministrazione, solo, il procuratore le estorsioni e la capo Vincenzo Ansanguinosa faida tonio Lombardo, durata vent’anni l’aggiunto Giusepche ha segnato col pe Borrelli, il quesangue il territostore di Catanzaro rio, è stata ricoVincenzo Rostruita dagli inquica.«Con questa operenti nelle 1600 parazione - ha detto il gine della corposa procuratore capo ordinanza di custoLombardo - abbiadia cautelare in carmo scritto la storia cere firmata dal gip del locale di GeroTiziana Macrì su ricarne fino ai giorni chiesta dei sostituti nostri». della Procura diI primi scontri strettuale, Marisa Antonio Altamura all’interno della coManzini e Giamsca di Gerocarpaolo Boninsegna e ne,con influenza del procuratore agnei comuni di Sogiunto Borrelli rianello,Soriano nell’ambito calabro, Vazzan, dell’operazione “LiPizzoni, Arena, Daght in the woods” sà ed Acquaro riovvero “Luce nei bosalgono addirittuschi” condotta dara ai tempi del segli uomini della Squadra mobile della questura di questro di Marco Celadon, avveCatanzaro guidata da Rodolfo nuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Grazie alle intercettazioni Ruperti e coordinati dalla Dda. fatte all’epoca dalla Squadra moGLI ARRESTI In manette sono finiti con l’ac- bile veneta emerse come fosse in cusa di associazione a delinquere atto uno scontro tra le famiglie di stampo mafioso, trenta pre- Maiolo e Loielo, fino ad allora alsunti affiliati al clan di Ariola: leate, per la supremazia. Dal Antonio Altamura, 65 anni, di 1998, dopo l’omicidio di Antonio Gerocarne; Nazzareno Altamu- Maiolo, era stata raggiunta una ra, 46, di Gerocarne; Vincenzo sorta di pax interrotta, però il 22 Loielo, 64 anni, di Gerocarne già aprile 2002 con l’omicidio dei fradetenuto a San Gimignano; Gio- telli Vincenzo e Giuseppe Loielo. vanni Loielo, 57, residente a Bre- In seguito furono ritrovati sul scia; Rocco Loielo, 60, residente luogo del delitto alcuni cellulari in provincia di Torino; Michele che diedero una svolta alle indaRizzuti, 49, di Gerocarne; Anto- gini, anche grazie alle cantatine nio Condina, 51, di Lucca; Giu- di alcuni collaboratori di giustiseppe Taverniti, 34, di Gerocar- zia che ieri hanno portato alle orne; Francesco Taverniti, 37, di Vi- dinanze di custodia cautelare in bo Valentia; Leonardo Bertucci, carcere emesse dal gip su richie41, di Soriano Calabro; Antonio sta della Dda catanzarese. L’inGallace, 46, di Gerocarne, già de- chiesta ha anche fatto luce su un tenuto in provincia di Caserta; atto intimidatorio compiuto ai Nazzareno Gallace, 40, di Arena; danni del sindaco di Arena, al Vincenzo Taverniti, 52, di Stilo; quale fu fatta saltare l’auto per inMichele Altamura, 41, di Vibo Va- durlo a rilasciare una licenza per lentia; Ilario Chiera, 70, di Gero- l’apertura di una sala giochi. Dalcarne; Giuseppe Prestanicola, le indagini è emerso anche che gli 59, di Soriano Calabro; Bruno affiliati al locale di Ariola erano in Emanuele, 39, di Gerocarne; Gae- collegamento con i Forastefano, LA STORIA Sangue tra le Serre Operazione condotta dalla squadra mobile e diretta dalla Dda di AMALIA FEROLETO Primo piano 9 Giovedì 26 gennaio 2012 BREVI DENUNCIA PER TRUFFA INFORMAZIONE DIRETTA I GIOVANI DI CORIGLIANO Morto da 10 anni ma non per l’Inpdap La Regione attiva servizio newsletter «Cicciolina candidati a sindaco» ERA morto da oltre 10 anni, ma l'Inpdap continuava a pagargli la pensione che finiva su un conto corrente su cui sono confluiti 175 mila euro. A scoprirlo sono stati i finanzieri di Cosenza che hanno sequestrato il conto e stanno cercando il cointestatario. LA Regione Calabria ha istituito un servizio di «newsletter» finalizzato alla condivisione di informazioni sull'attività degli uffici regionali. Per scoprirne il funzionamento basta collegarsi al sito istituzionale www.regione.calabria.it e cliccare su «la Regione informa». IL movimento Giovani Insieme per Corigliano propone la candidatura a sindaco di Ilona Staller. «La signora Staller – dicono i giovani del grosso centro della piana di Sibari – ha annunciato che la fine di gennaio, massimo i primi di febbraio, presenterà ufficialmente il suo nuovo partito». I legali dell’avvocato contro i media: «E’ solo accusato di concorso in falso ideologico» Cetraro «Con la mafia non c’entro» Vescovo solidale con il prete intimidito Interrogatorio per Cornicello, coinvolto nell’inchiesta Ippocrate-Reale di MASSIMO CLAUSI COSENZA - Non ci stanno i legali di Francesco Cornicello, l’avvocato coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria “Reale 4 -Ippocrate”, a quello che definiscono il massacro mediatico nei confronti del loro assistito. Ai legali, in particolare, non va giù che il nome del loro collega-assistito sia accostato ad episodi legati alla criminalità organizzata,visto che il reato contestatogli dai magistrati è semplicemente quello di concorso in falso ideologico. In particolare, ricordano gli avvocati Giovanni Zagarese e Dario Cornicello del foro di Rossano, che Fornicello è stato indagato per fatti non indicativi di attuati illeciti favori per imputati mafiosi bensì di un ben definito e circoscritto episodio relativo a tutt'altra vicenda verificatasi nell'anno 2010 e rispetto alla qualeil Gipdi ReggioCalabria ha già dichiarato la propria incompetenza e stralciato la sua posizione dagli altri indagati. Difatti Cornicello è finito nelle maglie dell’nchiesta in qaualità di un poliziotto, arrestato per tentato uxoricidio, che all’epoca dei fatti era ricoverato presso la casa di cura “Villa degli Oleandri”di Mendicino (Cs). Quindi nessuna imputazione legata in un qualsivoglia modo alla ‘ndrangheta. Tutti questi argomenti sono stati già affrontati dai due legali in occasione dell’interrogatorio di garanzia avvenuto a Reggio Calabria il 24 gennaio scorso, ma soprattutto il ragionamento verrà ribadito con forza dinanzial Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, già da alcuni giorni investito della richiesta di riesame della misura di custodia cautelare (Cornicello è al momento agli arresti domiciliari). Fra l’altro questa misura secondo gli avvocati Zagarese e Cornicello è da ritenersi profondamente, scrivono in una nota, «iniqua ed ingiusta, per insussistenza sia di indizi di colpevolezza, per quell'unico ipotizzato reato di concorso in falso ideologico che di qualsivoglia esigenza cautelare». I fatti contestati si racchiudono, spiegano i legali in un Francesco M. Cornicello solo episodio risalente a due anni fa. «Avrebbero dovuto interrogarsi gli estensori dell'informative stampa scrivono i due legali - semmai potevano ritenersi sussistenti a distanza di 2 anni dai fatti ragioni di urgenza di rilevanza tale da spingere un Giudice consapevolmente incompetente per territorio ad emettere una misura cautelare nei confronti di un professionista incensurato!» Insomma per i difensori la riduzione della libertà di Cornicello è stata una misura assolutamente non condivisibile. «Avremmo invero preferito attendere l'esito delle attivate iniziative difensive - In un container nel porto di Gioia Tauro trovati 90.000 “made in China” Contraffatti anche i preservativi GIOIA TAURO – Il porto di Gioia Tauro punto di snodo anche dei traffici internazionali di prodotti usati per fare sesso. A molti probabilmente dispiacerà. Ma importare merce contraffatta in Italia è reato. Specie se si tratta di qualcosa che dev’essere soggetto a specifiche prescrizioni mediche. Ed è così che ieri le Fiamme Gialle del Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro hanno messo i sigilli ad un container proveniente dalla Cina, e diretto in Spedizione diretta in uno scalo albanese Albania, pieno zeppo di preservativi. L'operazione, condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi, ha consentito, dopo una serie di incroci documentali e successivi meticolosi controlli eseguiti su numerosi container in transito presso il porto di Gioia Tauro, l’individuazione del carico sospetto occultato tra altri prodotti “made in China”, in un contenitore imbarcato presso il porto cinese di Ningbo. La merce è stata sottoposta ad un esame peritale da parte dei tecnici di una nota società titolare del marchio, i quali hanno confermato l’intuizione dei finanzieri e dei funzionari doganali, ossia che i prodotti recavano un marchio illecitamente riprodotto. Si è proceduto, quindi, al sequestro della merce contraffatta. Già nello scorso settembre i finanzieri del Gruppo di Gioia Tauro e i funzionari della locale Agenzia delle Dogane avevano eseguito il sequestro di oltre 3 milioni di profilattici contraffatti sempre provenienti dalla Cina e diretti in Albania. Così come, nel luglio scorso, la Gdf aveva provveduto a sequestrare dieci tonnellate di Viagra contraffatto. Nel frattempo è già partita l’attività investigativa per fare piena luce sul traffico illecito di profilattici e, soprattutto, per individuare i responsabili dell’illecita importazione della merce contraffatta. Il consigliere regionale accusato a Reggio di corruzione elettorale Rappoccio davanti al gup L’indagine della Procura nata dalla denuncia di Aurelio Chizzoniti REGGIO CALABRIA - Avrà inizio stamattina, davanti al Gup di Reggio, Silvana Grasso, l’udienza preliminare del processo che vede come unico imputato il consigliere regionale del Pri, Antonio Rappoccio. La Procura della Repubblica accusa il politico reggino del reato di corruzione elettorale aggravata. Dopo la conclusione delle indagini preliminari i magistrati avevano infatti depositato all’ufficio Gip-Gup la richiesta di rinvio a giudizio che, appunto, sarà discussa oggi. L’esponente di maggioranza di Palazzo Campanella era stato indagato per corruzione elettorale, ma successivamente la Procura aveva deciso di contestargli anche l’aggravante. Un articolo di legge con il quale si ipotizza la corruzione elettorale in una fumula secondo la quale il consenso elettorale sarebbe stato carpito in maniera fraudolenta. Tra l’altro, secondo l’accusa (l’inchiesta è coordinata dal Procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza e dal sosti- concludono i due legali nella nota - ma la non più tollerabile divulgazione di notizie false e tendenziose riguardo la posizione dell'Avv. Cornicello che, si ripete estranea ed avulsa dalla ipotesi di contestazione mafiosa, con esecrabile determinazione diffamatoria, ci induce a richiedere ai sensi della vigente Legge sulla Stampa, la pubblicazione della presente nota chiarificatrice e tanto senza rinuncia alcuna alle iniziative di repressione in sede penale delle fornite inveritiere notizie che hannogià lesonell'onore e nella dignità di uomo e di professionista il nostro difeso». Antonio Rappoccio Aurelio Chizzoniti tuto Stefano Musolino), il politico regionale non avrebbe agito da solo, ma i concorso con altri soggetti. Soggetti per i quali si sta procedendo separatamente, ed questa la ragione per la quale Rappoccio figura oggi come unico imputato. Un’inchiesta bis che sarebbe, di fatto, uno stralcio della prima. Un fascicolo voluto dai magistrati reggini per far luce su possibili altri “delitti” collegati all’imbro- glio principale. L’inchiesta nasce da una corposa denuncia presentata, e poi alimentata da una serie di integrazioni, dall’ex presidente del Consiglio comunale di Reggio Calabria, Aurelio Chizzoniti. Rappoccio, in piena campagna per le regionali avrebbe promesso posti di lavoro in cambio del sostegno elettorale. Secondo la ricostruzione della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, Rappoccio sarebbe l’ispiratore di cooperative finalizzate, almeno ufficialmente, a gestire tutta una serie di servizi e strutture produttive (tra queste un’orto botanico, una clinica sanitaria per la riabilitazione e persino un’azienda per il fotovoltaico). Tali cooperative, o meglio una di queste pochi mesi prima delle regionali aveva bandito una selezione per l’assunzione di personale. Assunzione che doveva essere fatta a termine di un concorso in due fasi: una prova scritta ed una orale. Dopo gli scritti, sempre secondo l’inchiesta, Rappoccio iniziò a incontrare gli aspiranti dipendenti lasciando intendere che avrebbero ricevuto una spintarella nella seconda prova (mai svolta), fissata dopo il voto, se lo avessero aiutato per le elezioni. Danneggiato, proprio per questa pratica, sarebbe stato (tra gli altri) proprio Chizzoniti, candidato nella stessa lista di Rappoccio e risultato essere il primo dei non eletti. g. bal. CETRARO –Ilvescovo di San Marco Argentano-Scalea, mons. Leonardo Bonanno, con il Presbiterio diocesano, è scritto in una nota, esprime «fraterna vicinanza nella preghiera al sacerdote don Ennio Stamile, parroco di San Benedetto in Cetraro e responsabile diocesano dell’Ufficio Migrantes, la cui auto parcheggiata nella piazza della cittadina di tirrenica è stata gravemente danneggiata, con evidenti segni di sfregio ad opera di ignoti». Nel ribadire la ferma condanna verso queste forme di violenza il Vescovo, conferma la sua «fiducia nel confratello e nella sua opera pastorale rivolta specialmente verso le categorie più deboli. Confida, infine –è scritto nella nota – nel lavoro degli inquirenti per individuare ed isolare chi si è reso responsabile dell’ignobile atto che non può turbare la serenità di una comunità che presenta tratti assai chiari di operosità e di civile convivenza, valori che la Chiesa intende incrementare con opera dei presbiteri e dei fedeli laici». E il presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, ha scritto al sindaco di Cetraro Giuseppe Aieta, per manifestare solidarietà e vicinanza a lui, al Consiglio comunale, all’intera cittadinanza e al parroco, don Ennio Stamile, «per il vile attentato subito nei giorni scorsi». Oliverio sottolinea «l'impegno e il coraggio con cui state portando avanti la vostra quotidiana lotta contro ogni ingerenza della malavita nella vostra comunità». TRIBUNALE CIVILE DI CATANZARO Ricorso per dichiarazione di morte presunta Con ricorso del 09.11.2011 Citraro Francesco ha chiesto al Tribunale di Catanzaro la dichiarazione di morte presunta del fratello Citraro Antonio, nato a Borgia il 17.08.1943, il quale il 20.03.1978 ha abbandonato la sua dimora in Borgia, senza più dare notizie di sé. Chi potrà fornire notizie è invitato a farle pervenire allo stesso Tribunale entro sei mesi dall’ultima pubblicazione. Avv. Giovambattista Sgromo Tribunale di Catanzaro Esec. Imm. n. 108/07 R.G.E. G.E. Dott.ssa Giovanna Gioia Lotto unico: in Sersale (CZ), via Laco n. 23, immobile con annesso garage, in catasto al fg. 26 p.lla 474 sub. 9, meglio descritto nella relazione di stima in atti. Prezzo base: Euro 16.958,50. Offerte minime in aumento in caso di gara Euro 500,00. Vendita senza incanto 14.03.2012 ore 9.30 presso il Tribunale di Catanzaro. 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Ora però i presunti affiliati alla cosca Alvaro devono comunque affrontare il giudizio del Gup che dovrà valutare le richieste della Procura di Roma. Sono 28 le persone che rischiano di finire sotto processo nell’ambito dall’inchiesta condotta dalla Dda sui patrimoni nella capitale riconducibili alla ‘ndrangheta. Il reato contestato è quello di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all’acquisizione di quote societarie (prevalentemente bar e ristoranti), per eludere la normativa in materia di misure di prevenzione. Nel mirino dei pm della Capitale sono finiti i presunti componenti di una cosca ricollegata al clan degli Alvaro, in cui spiccano i nomi di Vincenzo Alvaro e Damiano Villari. Il 20 febbraio prossimo sarà il gup Cinzia Parasporo a pronunciarsi sulle richieste della procura i cui accertamenti hanno riguardato l’acquisto di quote societarie poi intestate a soggetti di comodo (per lo più parenti stretti o compaesani dei componenti del clan), molti dei quali già oggetto di indagini a Reggio Calabria. Stando all’accusa, Vincenzo Alvaro, attualmente ai domiciliari, avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali a Roma, intestati a prestanome. Tra le attività nel settore della ristorazione citate nel capo di imputazione e gestite da società ritenute sospette figurano il «Cafè de Paris» in via Veneto, il «Gran Caffè Cellini» in piazza Capecelatro, il «Time out Cafè» di via Santa Maria del Buon Consiglio, il ristorante «la Piazzetta» in via Tenuta di Casalotto, il bar Clementi di via Gallia, il bar Cami di viale Giulio Cesare, il bar California in via Bissolati, il ristorante «Federico I» in via della Colonna Antonina e il ristorante Georges’s di via Marche. Come accennato il patrimonio degli Alvaro è stato confiscato dal Tribunale delle misure di prevenzione di Reggio Calabria, presieduto da Olga Tarsia, che accolse la richiesta del pm Sara Ombra. Certo, i legali degli imputati possono anco- Il Cafè de Paris ra fare ricorso, ma a giudicare dalle 150 pagine del provvedimento i margini di manovra sembrano ridotti al lumicino. La collettività si riprenderà tutto. Non a caso nel corso della conferenza stampa delle Fiamme gialle traspariva una certa soddi- sfazione. Lo Stato passa dunque all’incasso. E in questo senso la confisca decisa dalla Tarsia non è roba di poco conto, tutt’altro. Basti pensare alle perle restituite al pubblico. Il “Cafè de Paris” innanzitutto, tappa della dolce vita roma- na. E poi ancora il “Gran Caffè Cellini”, il “Time Out Caffè”, il “George’s”, il “Clementi”. Bar e ristoranti notissimi della capitale. Di grande valore sia dal punto di vista economico che simbolico. Nell’elenco figuravano poi imprese individuali e appartamenti, quote societarie e auto di lusso. Secondo gli inquirenti all’epoca fu confiscato tutto quello che don Vincenzo Alvaro aveva accatastato in dieci anni di business e malaffare. E’ lui secondo i magistrati di Procura e Tribunale «la mente operativa dell’omonima cosca a Roma». Nella capitale l’uomo c’era arrivato nel 2001, dopo essersi fatto assumere come aiuto cuoco in uno dei ristoranti intestati ad uno dei suoi prestanome. Successivamente la rete si era allargata, pezzo dopo pezzo, a suon di contanti messi sopra il tavolo di società rilevate quando erano in difficoltà economica. Il deus ex machina dei calabresi, aveva acquisito il meglio che c’era su piazza. Fino al colpaccio finale. Quello che gli aveva consentito di portarsi a casa il “Cafè de Paris” per solo due milioni di euro. IL CASO Presunto boss ferma l’avvocato in aula TORINO – Pur di procla- si stava discutendo la rimare subito la sua inno- chiesta delle difese di tracenza un presunto boss sferire il processo a Regdella 'ndrangheta tori- gio Calabria e il penalinese è arrivato a inter- sta, che è stato apostrofarompere seccamente to con un “dica le cose uno degli avvocati che, in giuste», si stava limitando a ripercorreaula, tentavare i fatti e i perno di parlare sonaggi elennell’interesse cati nel capo di tutti gli imd’accusa. Gli putati. E' sucimputati sono, cesso ieri in trioltre a Giusepbunale alla ripe Catalano, il presa del profratello Giocesso “Crimivanni con Carne», dove Giumelo Cataldo e seppe CatalaRocco Zangrà, no, considerato dagli inqui- Giuseppe Catalano arrestati nel 2010 nel quarenti al vertice del «locale» di Siderno- dro di una serie di inchieTorino, ha preso all’im- ste che portarono al coinprovviso la parola e, con volgimento di trecento severità, ha affermato di persone. Il procedimento chiamato «non avere fatto niente». principale, Con ogni probabilità Ca- «Minotauro», è sfociato talano ha frainteso il sen- nei giorni scorsi all’invio so dell’intervento dell’av- dell’avviso di chiusura vocato. In quel momento indagini a 184 soggetti. Nel Mezzogiorno l’attività mafiosa è causa di mancato sviluppo del 15-20% del Pil «Imprese condizionate dai clan» Per la Commissione antimafia il fenomeno riguarda il 53% delle aziende ROMA – E' stata approvata la relazione sulla prima fase dei lavori della Commissione Antimafia con particolare riguardo al condizionamento delle mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno. La relazione non è però ancora pubblica perchè in attesa dell’inserimento di un emendamento, anch’esso approvato ieri. In una parte della relazione emerge che nel Mezzogiorno l’attività mafiosa «è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del Pil» delle quattro regioni (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia). «E' accertato inoltre che circa un terzo delle imprese meridionali subisce una qualche influenzadelle mafie,con datiche oscillano tra il 53% della Calabria e il 18% della Puglia». Nella relazione, approvata all’unanimità si legge che nonostante la presenza mafiosa in Italia appaia «concentrata» soprattutto in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, «una tendenza non meno preoccupante si verifica nel Centro-nord, specialmente in vaste aree del Lazio, A cura della Publifast. Segue dalla pagina precedente dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte, della Val d’Aosta e del Trentino Alto Adige». Nella relazione si sottolinea che «dopo l’inabissamento delle cosche, dopo il lungo silenzio imposto alle armi e la parallela espansione delle attività economico-finanziarie» occorre «riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio “sistema criminale” che va «oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamendosi con la vita ordinaria dell’economia, della società e delle istituzioni». «Tuttociòrende piùinsidiosalaminaccia delle mafie e più difficile il compitodi individuarle,prevenirle ecombatterle. Non si spezza la spirale della criminalità, il suo crescente e oscuro reclutamento, se non si riformano l'economia e la società del Mezzogiorno». Nella relazione, approvata all’unanimità si legge che nonostante la presenza mafiosa in Italia appaia «concentrata» soprattutto in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, «una tendenza non meno preoccupante si verifica nel Centro-nord, specialmente in vaste aree del Lazio, dell’EmiliaRomagna, della Lombardia, della Liguria,delPiemonte, dellaVald’Aosta e del Trentino Alto Adige». Nella relazione si sottolinea che «dopo l’inabissamento delle cosche, dopo il lungo silenzio imposto alle armi e la parallela espansione delle attività economicofinanziarie» occorre «riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio «sistema criminale» che va «oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamendosi con la vita ordinaria dell’economia, della società e delle istituzioni». «Tutto ciò rende più insidiosa la minaccia delle mafie e più difficile il compito di individuarle, prevenirle e combatterle. Non si spezza la spirale della criminalità, il suo crescente e oscuro reclutamento, se non si riformano l'economia e la società del Mezzogiorno». Giuseppe Pisanu E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Calabria 17 24 ore Giovedì 26 gennaio 2012 L’imprenditore di Melito sentito in aula sul giro di immigrazione clandestina Foti depone al processo Leone Su richiesta del pm De Bernardo ha raccontato delle minacce subite SOLO termini e circostanze piuttosto generali nella prima, breve, parte della deposizione dell’imprenditore Saverio Foti nell’ambito del procedimento “Leone”. Le dichiarazioni Foti sono state sollecitate dal pubblico ministero Antonio De Bernardo che sostiene l’accusa contro una presunta organizzazione criminale che avrebbe gestito l’immigrazione clandestina nella provincia di Reggio Calabria. L’indagine, che culminò con una maxioperazione della Squadra Mobile, trae la propria origine dall’inchiesta “Ramo Spezzato”, in cui lo stesso Foti accusò il clan Iamonte di Melito Porto Salvo. E sarebbero state proprio le famiglie Cordì, di Locri, e Iamonte, di Melito Porto Salvo, a gestire almeno una parte del traffico, che vede coinvolti anche sindacalisti e dipendenti pubblici, nonché numerosi cittadini di nazionalità indiana. Il reato contestato agli indagati è l’associazione a delinquere, finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo le risultanze investigative, i cittadini stranieri, dai Paesi di origine, contattavano gli organizzatori, connazionali presenti sul territorio italiano anche da diversi anni, i quali, a fronte di un anticipo dell’ingente somma richiesta, consegnavano la fotocopia dei loro docu- menti agli imprenditori compiacenti che richiedevano, a favore degli stranieri, il nulla osta per l’avvio al lavoro presso le aziende. In realtà, però, si trattava solo di una copertura: gli immigrati, in quelle aziende, non avrebbero mai lavorato. Risultando poi dimissionari nel giro al massimo di pochi giorni. Piuttosto breve, dunque, la prima parte della deposizione di Foti, protrattasi per circa un’ora al cospetto del Tribunale Collegiale presieduto da Olga Tarzia. L’imprenditore ha ripercorso le tappe che portarono all’apertura della propria attività di imprenditore agricolo, attivo anche nel settore della macellazione di car- ni, a Melito Porto Salvo. Foti ha anche parlato delle minacce e dei danneggiamenti subiti, come l’incendio di alcune stalle. E ancora una volta l’uomo ha puntato il dito, con grande vee- Antonio De Bernardo menza, contro il boss Antonino Iamonte (difeso indagato in reato connesso. In dall’avvocato Maurizio Puntu- questo traffico, infatti, anche Forieri), già condannato in appello ti avrebbe avuto un ruolo: per lui, nel procedimento “Ramo Spez- però, l’Ufficio di Procura sta prozato”, ma alla sbarra anche nel cedendo separatamente. Lo stesprocesso “Leone”. E se nell’inda- so imprenditore Foti infatti gine “Ramo Spezzato”, l’impren- avrebbe accolto, attestando il falditore Foti, attualmente sotto so, i lavoratori extracomunitari scorta, rispondeva da testimone nella propria azienda agricola di di giustizia, in questo procedi- Melito. mento l’uomo risponde invece da cla. cor. Il pentito della cosca Cordì deporrà nel corso dell’appello di “Shark” Sequestro a S. Gregorio Oppedisano sarà in aula Proseguono i controlli sul demanio marittimo L’audizione chiesta dal sostituto procuratore generale Fimiani di CLAUDIO CORDOVA LA CORTE d’Appello di Reggio Calabria ascolterà la deposizione del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano nell’ambito processo d’appello “Shark”, scaturito da un’operazione del settembre 2009 contro il clan Cordì in cui la Dda di Reggio Calabria ha contestato i reati di associazione mafiosa, furto, danneggiamento e danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto d’armi, estorsione, procurata inosservanza della pena, assistenza agli associati, usura, abusiva attività finanziaria, riciclaggio. L’audizione di Oppedisano era stata richiesta nel corso dell’udienza dell’11 gennaio scorso dal sostituto procuratore generale Adriana Fimiani. Le difese, invece, avevano richiesto l’audizione di un altro collaboratore, Vincenzo Marino, che però la Corte ha ritenuto non utile ai fini del procedimento. Il Collegio, presieduto da Antonino Napoli, ha però accolto una serie di richieste di acquisizione documentale proposte dall’avvocato Giovanni Taddei, uno dei legali del folto collegio difensivo. Oppedisano sarà invece ascoltato il prossimo 8 febbraio. L’uomo è il fratellastro di Salvatore Cordì e iniziò a collaborare quando la sua cosca gli chiese di dichiarare il falso nel processo a carico dei presunti assassini dello stesso Cordì, per salvaguardare la nuova pax mafiosa con i Cataldo, avvenuta dopo decenni di guerra. Oppedisano però si rifiutò e con le proprie dichiarazioni fu fondamentale per l’esecuzione dell’operazione “Locri è unita” che andò a investigare proprio sulle nuove alleanze mafiose nel centro della Locride. Il processo “Shark” nasce invece dall’operazione eseguita per stroncare il traffico di usura che la ‘ndrina Cordì avrebbe messo in atto nei confronti di alcuni commercianti di Locri. Fondamentali, nel teorema accusatorio, le deposizioni di due negozianti, Rocco Rispoli e Luca Rodinò, che riferirono tempi e dinamiche dello strozzinaggio messo in atto dalla ‘ndrangheta. In primo grado resse il teorema accusatorio portato avanti dai pubblici ministeri Marco Colamonici e Antonio De Bernardo. Dei ventitré imputati che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, ben venti vennero condannati, dopo diverse ore di camera di consiglio, dal Gup di Reggio Calabria, Cinzia Barillà. Sono stati condannati: Domenico Audino (5 anni di reclusione), Guido Bru- saferri (8 anni), Cosimo Cordì (8 anni), Domenico Cordì (4 anni e 6 mesi), Salvatore Cordì classe ’73 (6 anni), Attilio Cordì (7 anni), Cesare Antonio Cordì (7 anni), Leo Criaco (5 anni), Carmelo Crisalli (5 anni), Antonio Dessì (7 anni e 6 mesi), Salvatore Dieni (8 anni), Ennio Floccari (10 anni), Silvio Floccari (5 anni), Cosimo Ruggia (7 anni e 6 mesi), Alessio Antonio Scali (6 anni), Pasquale Scali (5 anni), Domenico Spanò Panetta (3 anni e 2 mesi), Antonio e Francesco Tallura (4 anni e 6 mesi, escluse le aggravanti mafiose previste dall’articolo 7 L. 203/1991), Gerardo Zucco (5 anni e 4 mesi). Assolti, invece, Massimo Floccari (perché il fatto non sussiste), Antonio e Attilio Giorgi (per non aver commesso il fatto). Uno dei summit registrati dalle forze dell’ordine DIRITTO DI REPLICA Lo svolgimento delle udienze sia riportato bene RICEVIAMO e pubblichiamo una puntualizzazione di Maurizio Cortese imputato nel processo Epilogo. Affermano che Cortese Maurizio in una intercettazione ha detto che per uno schiaffo può partire una guerra. Che lo ha dichiarato ieri in aula Vitagliano, e non è così come non ha dichiarato che io e il Giardinieri abbiamo telefonate, inoltre Cordova Claudio del Quotidiano ha scritto che il Cortese all’interno della gabbia un po’ intemperatamente ha richiamato i ragazzi che a suo dire avevano un comportamento poco consono tutto questo è falso. Quindi invito i giornalisti a seguire il processo e a scrivere quello che in realtà viene detto in aula senza capire male anche in realtà delle cose importanti e delle cose che hanno richiesto i nostri legali e non lo hanno scritto proprio, perché? Quindi si invitano i giornalisti a seguire il processo e a riportare correttamente lo svolgimento delle udienze. Ringrazio. Maurizio Cortese PROSEGUONO le attività a tutela del demanio marittimo da parte degli uomini della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Su disposizione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a seguito di informativa circostanziata e redatta nell’ambito dell’aggiornamento del documento programmatico regionale di mappatura delle coste calabresi, sono stati posti i sigilli ad una struttura, della zona di San Gregorio via Stra- L’area sequestrata da ferrata Prima traversa - nel comune di Reggio Calabria. Nello specifico si è accertato che l’indagato G.M. di Reggio Calabria, non era in possesso della concessione demaniale marittima che ne legittimasse e autorizzasse l’occupazione e l’utilizzo. L’intera area demaniale marittima è stata posta sotto sequestro preventivo d’urgenza su disposizione del sostituto procuratore Stefano Musolino della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ed affidata in custodia – senza facoltà d’uso - allo stesso indagato. I tabaccai rinnovano gli organismi per i prossimi cinque anni De Carlo alla guida della Fit Sopra De Carlo e accanto Parisi SI SONO svolte nei giorni scorsi, presso la sede di Confcommercio di Reggio Calabria, le elezioni riguardo il rinnovo delle cariche sociali della sezione provinciale della Fit – Federazione italiana tabaccai, alla presenza degli stessi commercianti eletti delegati per la provincia reggina. Dopo l’ufficializzazione dei risultati elettorali, avvenuta, come accennato, pochi giorni fa, al vertice del sindacato è stato rieletto all’unanimità il cavaliere ufficiale Francesco De Carlo. A coadiuvare il presidente della Fit reggina ci saranno tre i vicepresidenti che collaboreranno fianco a fianco con De Carlo. Si tratta in particolare di Giuseppe Bagnato, Alessandro Parisi e Guido Pellicanò. Sono otto poi i consiglieri eletti che faranno parte del Consiglio direttivo: Giuseppe Rota, Raffaele Nucera, Domenico Carrozzo, Natale Scappatura, Carlo Ruso, Francesco Mazza, Giovanni Ceccarini e Vincenzo Carbone. La squadra di categoria così composta avrà, quindi, il compito di guidare il sindacato ta- baccai della provincia reggina per il prossimo mandato di cinque anni. La categoria in questo momento riveste particolare importanza per l’espletamento di diversi servizi rivolti ai cittadini. Non solo tabacchi insomma, ma anche pagamenti di bollettini di luce, gas, acqua, la tarsu e tante altre imposte che è possibile pagarle, già da tempo, nelle tabaccherie, dribblando così l’incubo delle file presso l’ufficio postale. Ed il presidente Francesco De Carlo è consapevole del ruolo che, peraltro, ha rivestito con grande professionalità nei diversi mandati. «La Fit è il sindacato che tutela tutti i 54 mila tabaccai sparsi per l’Italia – esordisce il presidente - ed oggi ci ponia- mo come utile supporto allo Stato, alle Regioni e ai Comuni per poi erogare un servizio a favore dell’utenza che deve pagare i diversi tributi. A tale scopo diverse sono state le convenzioni firmate tra la Fit e gli enti pubblici di diverso ordine e grado». «Un servizio - aggiunge che contribuisce ad alleviare tutti i disagi e le difficoltà ai cittadini. La gente va sempre di corsa, non vuole perdere tempo. Ma la cosa più importante è che non vuole perdere tempo ed esige un servizio improntato alla massima precisione e correttezza. La sfida l’abbiamo raccolta da tempo e siamo pronti a continuare ad andare avanti arricchendo sempre più i servizi». d.g. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Reggio 27 Giovedì 26 gennaio 2012 32 Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected] Stava nella Locride una delle figure di spicco coinvolte nell’inchiesta che ha decapitato i clan del Vibonese Stilo era la base per “Cenzo” Taverniti scampò a un omicidio ed era considerato un vero capo a Gerocarne FAIDA DEI BOSCHI di PASQUALE VIOLI SIDERNO - «Vincenzo Taverniti, quello di Stilo, Cenzu d’Ariola, tentarono di ammazzarlo e lui sapeva chi era stato. Per un periodo con alcuni della famiglia in galera era stato lui a reggere il controllo della zona dell’Ariola nel vibonese». Sono queste le parole di alcuni pentiti, uno di questi parente di Vincenzo Taverniti, che spiegano il coinvolgimento dell’uomo residente a Stilo nelle dinamiche criminali dei boschi vibonesi. E proprio per Vincenzo Taverniti sono scattate le manette ai polsi nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro chiamata “Light in the woods”e che ha fatto luce sulla faida sanguinosa per il controllo del territorio interno del vibonese andata avanti, tra tregue e recrudescenze, dai primi anni '90 sino alla fine del 2009: a ricostruire lo scontro che ha insanguinato la zona di Gerocarne, nella Preserre vibonesi, è stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro sfociata ieri nell’operazione della squadra mobile catanzarese, denominata «Luce nel bosco», che ha portato all’arresto di 30 persone accusate di associazione mafiosa e, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento, estorsione, armi e turbativa d’asta. «Con questa operazione –ha detto il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – abbiamo scritto la storia del 'localè di Gerocarne fino ai giorni nostri». Ma non solo omicidi ed estorsioni. Gli investigatori sono convinti di avere accertato anche le infiltrazioni della cosca nel comune di Gerocarne con l’elezione a sindaco, nel 2005, di Michele Altamura, nipote del boss Antonio Altamura, L’ex sindaco è tra gli arrestati. Per lui l’accusa è associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati ad ottenere i lavori di tre appalti pubblici. E Vincenzo Taverniti, alias “Cenzu d’Ariola” era inVincenzo Taverniti serito proprio nel contesto criminale che cercava di mettere le mani su appalti e affari, almeno secondo quanto rivelano almeno due collaboratori di giustizia, ed anche dalla lontana Stilo era attivo e partecipe agli affari e ai movimenti del suo clan di riferimento. Quello di Taverniti era un ruolo senza dubbio di vertice per quanto ritengono i magistrati della Dda e anche per quanto emerso dalle parole dei pentiti che ne hanno raccontato anche il tentato omicidio perchè Taverniti faceva parte di una delle fazioni contrapposte per il controllo delle preserre vibonesi. E i primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono addirittura ai tempi del sequestro di Marco Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla squadra mobile veneta venne fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate, per la supremazia. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. Grazie al ritrovamento sul luogo del delitto di alcuni telefonini e grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori, le indagini hanno avuto un impulso che ha portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip su richiesta della Dda catanzarese. L’inchiesta ha anche messo fatto luce su un’attentato intimidatorio compiuto ai danni del sindaco di Arena, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi. Interessi per appalti, droga e potere che per i magistrati Vincenzo Taverniti ha seguito con grande interesse anche da Stilo. Nella zona dell’Ariola aveva avuto un ruolo di primo piano Attenzionate tre intere province SIDERNO - Il duro colpo inferto dalla Dda di Catanzaro alle cosche delle preserre vibonesi potrebbe essere solo la prima parte di un cerchio che potrebbe stringersi sulle cosche dei “boschi” delle tre province. I movimenti che da anni interessavano Gerocarne e l’entroterra di Vibo Valentia, al confine con la Piana di Gioia Tauro e lo Stilaro jonico, non sono diversi da quelli che le forze dell’ordine stanno attenzionando da tempo anche nel “mandamento” reggino che tocca anche la provincia catanzarese. E proprio sulla base di numerose attività di indagine che si sta cercando di capire come le cosche si stiano muovendo per gestire gli affari del territorio a cavallo tra “i boschi” di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro. Gli investigatori studiano ogni dettaglio, dai piccoli attentati e intimidazioni agli efferati omicidi degli ultimi anni, che hanno segnato senza dubbio un riacutizzarsi delle lotte interne per la gestione degli affari in un territorio immenso. Una veduta della Vallata dello Stilaro Lo stilese indicato come partecipe al delitto del 1993 Ebbe un ruolo fondamentale nell’omicidio di Scaramozzino SIDERNO - Placido Scaramozzino scomparve nel nulla nel 1993, il classico caso di lupara bianca. Oggi, grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia si sa che è stato brutalmente assassinato e seppellito. A partecipare a quell’omicidio, secondo quanto rivelato dal pentito Loielo, ci fu anche Vincenzo Taverniti. La scomparsa del parrucchiere rientrerebbe nell’ambito della faida tra le famiglie del vibonese culminata con la strage tra i boschi serresi raggiunge la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito, Ilario Antonio Chiera. E nel contesto dello scontro tra clan si inseriva anche l'uccisione di Placido Scaramozzino, il parrucchiere 43enne di Acquaro scomparso il 28 settembre del 1993 e il cui cadavere non fu mai trovato. A parlare delle modalità con le quali venne assassinato erano stati i collaboratori Taverniti e Francesco Loielo. Quest'ultimo aveva iniziato nel 2010 la sua collaborazione con la giustizia. Scaramozzino, secondo quanto ricostruito dai magistrati, fu ucciso sulla scorta di meri sospetti a causa della sua frequentazione con Antonio Maiolo, boss locale antagonista del gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni fa Vincenzo Taverniti si trovava in macchina con il cognato Vincenzo Loielo. E fu proprio quest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio alla persona con l'auto bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola “357” dopo averlo estratto dalla macchina. Poi, l'uomo venne legato e trascinato lungo un sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di spostare l'autovettura della vittima. Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il clan rivale. Dopo aver scavato una buca il parrucchiere fu denudato (lasciato solo con gli slip), la faccia in su e le mani legate in avanti e colpito con una zappa sul petto e alla testa. Dunque, la sepoltura quando era tramortito ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle Malogne” ad Acquaro, solo qualche giorno dopo la scomparsa. Una volante della Squadra mobile di Catanzaro che ha condotto le indagini Il capo dei capi della ’ndrangheta reggina “omaggiò” la cosca vibonese della sua presenza Anche Oppedisano ai funerali del padrino SIDERNO - I clan delle preserre vibonesi avevano forti contatti anche con alcune famiglie del reggino, specialmente della Piana di Gioia Tauroma anche della jonica. Anche questo emerge dalle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che mettendo insieme le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, le intercettazioni telefoniche e ambientali, il lavoro immane portato avanti dalla squadra Mobile, è stato possibile scrivere la storia del locale di Gerocarne con continue scissioni all’interno, numerosi omicidi e collegamenti di rilievo con le cosche del Reggino e del Domenico Oppedisano Catanzarese. Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione del padrino don Mico Oppedisano, storicoboss delReggino, aun funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche gli interessi malavitosi sui sequestri di persona degli anni Novanta. Tra questi, quello di Carlo Celadon, figlio di un noto imprenditore di Vicenza, avvenuto nel 1988, e di un altro imprenditore pugliese di Massafra. I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal carcere usufruendo di vari permessi, nel 1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi. L'avvio della faida è stata aggravata anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino ai Loielo, nel tentativo di guadagnare nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del 2002, per il quale lo scorso anno è stato arrestato proprio Emanuele. Ma la faida e la scissione tra i gruppi ha anche portato le due fazioni a trovare contatti con altre realtà criminali, in particolare il gruppo dei Loielo aveva agganciato dei buoni contatti con le cosche del reggino riuscendo a gestire in qualche occasione anche degli affari relativi al traffico di droga o a piazzare sub appalti. La presenza del super boss Mico Oppedisano, considerato a capo di tutta la ndrangheta reggina, al funerale di un padrino di Gerocarne testimonia per la Dda la grande condivisione di interessi tra gruppi criminali. p.v. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Locride Giovedì 26 gennaio 2012 36 REDAZIONE: via Cavour, 30 - 89100 Reggio Calabria - Tel. 0965.818768 - Fax 0965.817687 E-mail: [email protected] Dalla darsena del porto di Gioia l’urlo di disperazione dei manifestanti arrivati da Jonio e Tirreno Scoppia la rivolta dei pescatori «Costretti a pagare la nafta per intero. Al massimo pareggiamo i costi con i ricavi» di ALESSANDRO TRIPODI GIOIA TAURO - Anche la categoria dei pescatori, dopo quella degli autotrasportatori, dissente. Un disagio a 360 gradi che ha le sue radici nell’impossibilità di svolgere la propria attività a causa dei costi ordinari diventati insostenibili e finisce, come conseguenza diretta, per ripercuotersi nella vita quotidiana fatta di stenti e privazioni. «Dormiamo quando non abbiamo sonno e mangiamo quando non abbiamo fame». Riassumono così gli uomini di mare, in una frase, tutta la fatica profusa per fare il pescatore. Sui visi di alcuni di loro, Francesco Madafferi, Rocco Parrello, Ferdinando Megna, pescatori della Piana di Gioia Tauro, sono ben cesellati i solchi di una vita dura, determinata da un’attività lontana dai canoni lavorativi tradizionali. Andare per mare non è certo come stare su una sedia avendo di fronte una scrivania corredata di computer. Gli attrezzi dei pescatori sono diversi e molto più pesanti da maneggiare. Reti, funi, carretti e quant’altro. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro quanto costa comprare un’imbarcazione per intraprendere l’attività ittica. «I risparmi di due generazioni» ci hanno risposto. Cioè? «Duecentomila euro per un peschereccio di medie dimensioni». Poi ci sono le spese di manutenzione. In sintesi, «circa 5000 euro ogni due anni», dicono i “lupi di mare”, «per non parlare dei guasti, che si verifica- no con una certa frequenza». E gli introiti sono quelli che sono. «Si riesce al massimo a pareggiare i costi con i ricavi, ma niente di più. Anzi – ci raccontano i pescatori con un filo di amarezza – a volte andiamo anche in perdita». Di qui, la protesta. Mentre era in corso il presidio dei pescatori, una cinquantina, nella darsena del porto di Gioia Tauro, intorno alle 11.30, giungeva sul posto anche il coordinatore della sommossa degli autotrasportatori, Tommasso Alessi, che incontrava il rappresentante della categoria dei pescatori in agitazione, Francesco Madafferi. Un colloquio di circa un’ora fra i due, nel quale sono state espresse parole di reciproca solidarietà per le problematiche in atto, alcune delle quali comuni ad entrambe le categorie, come, ad esempio, quella del rincaro del gasolio. In attività come la pesca e il trasporto, infatti, gli aumenti del costo del carburante sono dei veri e propri salassi che incidono in maniera assai significativa nel rapporto entrate/uscite. «A causa dell’abolizione delle agevolazioni sull’Iva della nafta per le barche, prevista dal governo Monti, saremo costretti a pagare la nafta per intero», lamentano i pescatori provenienti da Gioia Tauro, Bagnara, Nicotera, Catanzaro Lido, Soverato e Roccella Jonica. Il gasolio costa ai pescherecci 80 centesimi al litro, a cui si dovrà sommare l'Iva al 21%, arrivando a costare così quasi un euro. L’altra divergenza riguarda la licenza di pesca a punti per la quale l'Italia ha dovuto adeguarsi alle disposizioni comunitarie europee. «Si parte da zero –dicono i pescatori - e vengono assegnati punti in base alle eventuali infrazioni compiute, prevedendo tre scalini di gravità, da 18, 36 e fino a 90 punti, quando scatta il ritiro della licenza e la cancellazione della barca dal registro. In caso di vendita del peschereccio – affermano i pescatori - le penalità subite passano automaticamente al nuovo acquirente». Il comandante Diego Tomat a colloquio con i pescatori Sopralluogo dei tecnici di via Foti con i sindaci di Canolo e Cittanova Nuovi disagi sulla Strada provinciale carreggiata dissestata dalle piogge di ANTONINO RASO CITTANOVA – La Strada provinciale 1 non trova pace. Da una settimana, alle ormai note vicende legate alla stabilità del terreno, si è aggiunta una nuova grana. Nell’area coinvolta dalla frana gigantesca del marzo 2010 si sono verificati –a causa delle piogge insistenti degli ultimi giorni - nuovi episodi di dissesto che hanno ulteriormente compromesso la praticabilità della carreggiata. Nella mattinata di ieri i tecnici della Provincia, accompagnati dai sindaci di Cittanova, Alessandro Cannatà, e Canolo, Rosita Femia, hanno effettuato dei sopralluoghi per quantificare i danni e la mole di interventi da mettere in preventivo. Di fatto la strada rimane chiusa per ora, ma Cannatà a margine dell’incontro ha affermato: «La priorità è che si riapra il tratto di provinciale. Le Amministrazioni interessate rimarranno vigili sull’evolversi della situazione, consce dei disagi considerevoli che interessano da troppo tempo le popolazioni del nostro territorio, facendo tutto il possibile perché la Sp1 torni al più presto praticabile». Altri disagi quindi per gli automobilisti chepercorrono abitualmente il tratto di provinciale che da Cittanova si inerpica verso l’altopiano dello Zomaro. La storia recente della Sp1 è un susseguirsi di frane e cedimenti. Nel marzo di due anni fa il gigante si sveglia.Un enormecostonedi montagnasi stacca ricoprendo di massi, fango e arbusti il manto d’asfalto per oltre duecento metri. Poi i lavori di rimozione del materiale, il ripristino e la messa in sicurezza. Il 22 novembre 2011, nel bel mezzo dell’alluvione che ha duramente colpito Cittanova e diversi altri Comuni della Piana, una seconda frana –più contenuta rispetto alla prima - si riversa sulla strada montana. I tecnici, in quell’occasione, stimarono i danni per circa cinquantamila euro. Il rischio idrogeologico, per quell’area immersa nell’Aspromonte, è stato valutato come “R4”: il livello massimo secondo le stime del Pai. I blocchi degli autotrasportatori contro il caro gasolio mettono in crisi la raccolta della spazzatura Cinquefrondi e Polistena, Sos rifiuti Gli scarti delle lavorazioni non possono essere trasferiti dall’inceneritore alle discariche di SIMONA GERACE CINQUEFRONDI – È di nuovo emergenza rifiuti nella Piana. Lo sciopero nazionale dei trasportatori contro il caro gasolio, ha provocato qualche conseguenza nei diversi centri pianigiani, in particolare a Cinquefrondi e Polistena. Alla carenza di benzina, ormai merce rara e introvabile da giorni, e agli scaffali semivuoti e poco riforniti di alimentari e supermercati, si va ad aggiungere anche l’arrivo dell’emergenza rifiuti dal momento che gli stessi non verranno, almeno finché la situazione non tornerà alla normalità, ritirati dagli appositi cassonetti. Ad informare di questo, una nota diramata ieri dal comandante di polizia municipale, Domenico Muzzupapa, su delega del primo cittadino, Marco Cascarano, in cui è stato precisato che per qualche giorno, finché il regolare servizio di raccolta sarà compromesso, i rifiuti non verranno ritirati dagli appositi cassonetti. Un Decisione della Polizia municipale Ira di Tripodi Camion fermi davanti al termovalorizzatore provvedimento cautelativo questo, comunicato ieri ai cittadini e su cui l’amministrazione comunale si è riservata di fornire, con l’evolversi della vicenda, ulteriori comunicazioni. La sospensione della raccolta della spazzatura dai cassonetti sembrerebbe dipendere dal fatto che, con l’agitazione e il blocco degli autotrasportatori, gli scarti dei rifiuti lavorati non possono essere trasferiti, come è avvenuto fino ad oggi, dal termovalorizzatore di Gioia Tauro alle discariche. Per questi motivi gli amministratori hanno invitato i cittadini ad una razionalizzazione del conferimento dei rifiuti nei cassonetti, con lo scopo di evitare la creazione di ammassi di immondizia, lo sparpagliamento di sacchetti ai margini delle strade e la conse- guente formazione di micro discariche a cielo aperto, che rischiano di causare problemi e implicazioni igienico-sanitarie. Il blocco dei Tir sta creando notevoli disagi non solo a Cinquefrondi, ma anche a Polistena, dove il primo cittadino Michele Tripodi, ha sentito il dovere di intervenire sulla questione mettendo in rilievo «la fragilità del sistema calabrese dei rifiuti, che ci costringe, ogni qualvolta ci sia un intoppo anche esterno al ciclo di smaltimento e stoccaggio della spazzatura, a dover vedere cumuli di rifiuti per le strade senza avere responsabilità alcuna». Per il sindaco Tripodi non è una cosa accettabile il fatto che «basti un colpo di tosse per far precipitare la Calabria» e per questo ha invitato i cittadini ad un corretto senso civico, fornendo anche indicazioni sulla separazione dei rifiuti secchi. Anche in questo caso si conta quindi, per l’ennesima volta, sul senso di responsabilità dei cittadini, i quali, nonostante siano fortemente provati dalla crisi incombente e dai disagi che lo sciopero degli autotrasportatori sta provocando, dovranno anche limitare la produzione dei rifiuti. Molochio isolata Chiude l’unica banca di ANGELA GARIBALDI MOLOCHIO - La comunità molochiese, a causa dell’aggravarsi della crisi finanziaria che colpisce tutto il settore del credito (così UBI Banca), a partire da domani verrà privata del minisportello bancario della Carime, unico istituto di credito presente in loco; un importante servizio che, aggiunto all’esiguità diquello postale,va aparalizzare l’attività economica del centro aspromontano. «La chiusura dell’unico sportello bancario – sostiene il sindaco di Molochio, Beniamino Alessio – significa privare il paese di uno dei servizi essenziali. Ci troviamo ancora una volta di fronte alla supremazia delle logiche di mercato rispetto all’interesse della collettività». Secondo Alessio è altamente penalizzante per il territorio perdere questo sportello bancario che va a creare un grave danno per la comunità a scapito dellepersone perlo più anziane che hanno difficoltà fisiche a spostarsi presso la filiale più vicina per depositare o prelevare i propri risparmi. «E’ da sottolineare - prosegue il primo cittadino che a queste difficoltà fisiche dobbiamo aggiungere quelle della tortuosità delle vie di comunicazione. La questione non è politica ma privata e per questo poco o niente possono fare le amministrazioni locali, come mi è stato risposto dalla Direzione milanese dell’istituto di credito, anzi mi è stato aggiunto che “queste azioni di pietismo vanno lasciate all’ormai sorpassato libro Cuore di De Amicis”. E’ vero che ci troviamo di fronte ad una crisi nazionale ma è pur vero che ancora un volta a pagarne le conseguenze sono i piccoli centri e per di più quelli montani, depauperati da ogni sorta di servizi necessari». E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Piana Giovedì 26 gennaio 2012 Piana Giovedì 26 gennaio 2012 Rosarno. La Stasi interviene dopo le accuse della Cgil Piana «La Regione assicura impegno e attenzione sui migranti» ROSARNO - «Abbiamo la massima attenzione per i migranti nella piana di Gioia Tauro». La vicepresidente della Regione Antonella Stasi ribadisce l’impegno della Regione sulla questione migranti nella piana di Gioia Tauro e replicando alla Cgil che aveva accusato la giunta regionale di aver abbandonato al suo destino la città di Rosrano dice: «E’ bene ricordare che sul tema dell’accoglienza dei migranti in Calabria e nello specifico nel ter- «Sul tema ci sono tanti progetti» ritorio di Rosarno, l’attuale Giunta regionale ha da subito affrontato il problema, impegnandosi, di comune accordo con le istituzioni locali e la Prefettura, a superare le emergenze, avviando una serie di progetti coordinati. Il nostro impegno come Regione è di circa 14,5 milioni di euro, coinvolgendo cinque comuni per ogni provincia. Proprio nel comune rosarnese, lo scorso mese di settembre abbiamo presentato il progetto “Immigrati in Calabria” (con fondi Por Fesr), alla presenza, tra gli altri, dello stesso Sindaco Elisabetta Tripodi, un’iniziativa avviata dall’assessorato all’urbanistica e dell’assessora- to al lavoro rivolta all’accoglienza, con soluzioni alloggiative per i lavoratori immigrati con regolare permesso di soggiorno o richiedenti asilo. Precedentemente, - continua la Stasi - nel mese di febbraio, abbiamo cercato, insieme alla Protezione Civile regionale, di alleviare il problema abitativo con l’allestimento di un campo d’accoglienza in contrada Testa dell’Acqua attraverso l’istallazione di 20 moduli per 80 migranti. In entrambi i casi l’amministrazione comunale di Rosarno si dichiarò soddisfatta di tali interventi, che sono arrivati a seguito di una difficile pagina di cronaca che coinvolse il territorio, pro- Uno scorcio della tendopoli di Rosarno prio sul tema dell’immigrazione. In ultimo la Prefettura di Reggio Calabria ha chiesto alla Regione, un contributo economico straordinario, quantifica- to in cinquantamila euro per fronteggiare le emergenze sui territori. A questa richiesta la Regione ha risposto positivamente». Cinquefrondi. Dopo la querelle Conia risponde a Roselli Rosarno. Polemica in maggioranza «Rinascita è un’associazione aperta a tutti i contributi» L’assessore Brilli non replica ai suoi e tiene il profilo basso di SIMONA GERACE CINQUEFRONDI - «Chi è Alfredo Roselli? Che ruolo occupa nella politica locale? A nome di chi parla? Risolva prima i problemi del suo partito, a oggi senza segretario, e poi si metta a parlare di altri». Queste le parole del presidente dell’associazione “Rinascita per Cinquefrondi”, Michele Conia, dopo i commenti rilasciati, nei giorni scorsi, dall’ex primo cittadino cinquefrondese. Il leader di “Rinascita” non è riuscito a ingoiare il rospo e ad accettare di passare per “chiuso e settario”, come sempre più spesso viene definito, e perciò ha precisato che “Rinascita” è un’associazione «apertissima, a chiunque voglia dare il proprio contributo, al punto tale che tutti hanno avuto la possibilità, nell’iniziativa di sabato, di prendere la parola. Quello che dico è dimostrato da numerose adesioni provenienti anche dall’area dei Democrat o da quella cattolica. Mi chiedo però – ha precisato - come abbia fatto Roselli a giudicare un’iniziativa a cui né lui né alcuno dei suoi erano presenti». Una precisazione, questa di Conia, densa di risentimento poiché, a suo parere, gettare fango su “Rinascita” potrebbe essere una strategia per far passare nel di- di KETY GALATI Il Municipio di Cinquefrondi e, a destra, Michele Conia menticatoio altre questioni. «Questo della chiusura è un tema utilizzato ad arte da chi teme il confronto sulla programmazione e sui progetti, e tende a confondere le acque e a mascherare gravi difficoltà, non riuscendo a spiegare alla propria base i motivi di un’unione tra due parti che per 25 anni si sono scontrate frontalmente». Poi un riferimento al motivo per cui, nel 2010, si è creata l’associazione che auspica un cambiamento politico locale. «”Rinascita” nasce per rompere i vecchi sistemi politici e per contrapporsi alle vecchie no- menclature. – ha detto Conia – Va oltre i partiti e chi vuole aderire può farlo solo a titolo personale e non attraverso vecchie logiche di accordi. Le decisioni sono prese collettivamente e non al chiuso di una stanza tra due o tre persone». Infine una precisazione in merito ad un mancato accordo tra i rappresentanti della sinistralocale. Unasintonia su cui lo stesso Michele Galimi, appena entrato nel Pd, si era dimostrato scettico e Conia aveva chiesto una smentita. «A noi non interessa unire le sigle. – ha precisato il consigliere di “Rinasci- ta” – Questa tattica ha portato già al fallimento dell’amministrazione di Roselli, che è rimasto distrutto e isolato. Forse per questo, e per il fatto che il popolo gli ha impedito di essere consigliere che parla senza conoscere le cose, come ha fatto sull’osservatorio, dove “Rinascita” ha aderito in sede istituzionale, totale adesione, purché non diventi solo una passerella. In ogni caso voglio precisareha concluso - che noi siamo aperti a chiunque, anche al Pd, se vuole un confronto pubblico su temi, programmi e questioni concrete». Cittanova. Fli all’attacco del primo cittadino dopo la sentenza della Corte dei Conti «Cannatà faccia chiarezza sul personale» di ANTONINO RASO CITTANOVA - «Avevamo ragione, in merito al richiamo della Corte dei Conti, quando chiedemmo al Sindaco la motivazione sulla nomina esterna di un dirigente di categoria D all’ufficio tecnico. Oggi ci aspettiamo dal primo cittadino Cannatà un atteggiamento di sincerità politica e di responsabilità attraverso le dimissioni dell’assessore al Bilancio Giuseppe Dangeli. Chiediamo dunque al sindaco di fare chiarezza in merito alla gestione del personale dell’ufficio tecnico». Questa la richiesta di Futuro e libertà, coordinamento di Cittanova, in merito alle vicende all’ufficio tecnico cittadino. Fli, per bocca del suo coordinatore Domenico Fonti, attacca sulla gestione delle «nomine» da parte dei governanti, sottolineando la presunta «incapacità dell’assessore ai Lavori Alessandro Cannatà pubblici, Domenico Sicari, di pianificare il lavoro del suo settore di competenza». E porta alcuni nodi al pettine, chiamando in causa il primo cittadino: «Il sindaco Alessandro Cannatà – afferma Fonti - almeno per una volta ammetta di aver peccato di presunzione, anche nei confronti della Corte de Conti che nei fatti pare abbia avuto ragione. Soprattutto il sindaco faccia chiarezza e da vero ”democratico” spieghi ai cittadini la necessità di una nomina esterna all’ufficio tecnico». «Sappiamo - continua - che è consueta abitudine del sindaco imputare ad altri le proprie malefatte. Ma a chi imputerà la colpa per la decadenza della nomina fiduciaria a dirigente dell’ufficio tecnico al professionista esterno?». Poi conclude: «Al professionista in questione esprimiamo la nostra solidarietà per il metodo improprio di amministrare la cosa pubblica da parte di questa giunta. Al sindaco, infine, ci sentiamo di fare una semplice raccomandazione: valorizzi i tanti impiegati del nostro comune nel pieno interesse della nostra comunità della comunità». la situazione generale economica e sociale della cittaROSARNO –La vendetta, si dina di Rosarno, nella quasa, anche in politica , è un le urge una sana e costante piatto che va servito fred- fase amministrativa che do. Potrebbe essere questa punti ad una vera svolta». la strategia di Michele Bril- Bruzzese ha dichiarato di li, attuale assessore comu- non essere interessato al nale alla Cultura ed alle Po- ruolo di capogruppo consiliare del Pd all’interno del litiche sociali. comunale. La ragione è semplice. consiglio Mentre parte del Partito Sull’accanimento di ItaliaDemocratico di Rosarno no contro Brilli non si è tenta tutte le carte per silu- esposto. Adesso dopo rare l’attuale assessore, ac- quanto accaduto sono in cusato di tenere atteggia- tanti a chiedersi cosa accamenti «offensivi ed imper- drà nel Pd rosarnese? Il donabili contro i suoi stessi passo indietro di Italiano alleati», quest’ultimo stra- prova come la maggioranza rischi il caos namente tace, evipiù totale o cotando ogni replimunque uno ca. Non prende scossone dagli nessuna posizioesiti non ancora ne. percettibili. AnBrilli si limita a che il sindaco da sorridere dietro la parte sua sembra scena pur involer attendere. goiando l’attacco Non rilascia didi Italiano, autore chiarazioni uffidello scontro orciali su quanto mai aperto, il quasta avvenendo le, non è riuscito Michele Brilli all’interno del ad isolare la sua gruppo del Pd in delusione sul piaconsiglio comuno politico ed ha nale. Prima o poi deciso di rassedovra scegliere. gnare le dimissioDarà ragione ad ni da capogruppo Italiano? Difendel Partito Demoderà Brilli? Cercratico. Tra le mocherà una mediativazioni della rizione tra le parti nuncia di Italiano in causa? Nessuc’è «l’assoluta e inno al momento sa sanabile incompacosa accadrà. tibilità politica» Quel che però tra lui e l’assessosembra certo e re Brilli che per che qualcosa non Italiano deve lafunzioni più sciare la giunta all’interno quel guidata dal primo gruppo che avecittadino di Rosarva stravinto le ulno, Elisabetta Tritime elezioni ampodi. Brilli, semministrative. Albrerebbe non intra domanda da cassare più il soporsi è: la richiestegno da parte sta della testa di dei componenti Brilli è solo un del Partito Demopretesto? O ci socratico del quale fa Franco Bruzzese no altre motivaparte. Lo dimostra il fatto che quasi tutti i con- zioni all’interno del Partito siglieri “democrat” inter- Democratico che hanno pellati sulla querelle non scatenato questo putiferio hanno voluto rilasciare al- politico? Intanto, mentre i cuna dichiarazione, eccet- pezzi del Pd ufficialmente to, Franco Bruzzese, il qua- tacciono, le altre forze polile, ha respinto senza esita- tiche ed i gruppi all’interno zioni le dimissioni del consiglio comunale «dell’amico Pippo Italiano, aspettano di capire cosa acpersona stimata sia sul cadrà e soprattutto cosa campo professionale che provocheranno nella magsu quello politico». Non so- gioranza le dimissioni da capo gruppo di Pippo Italo. Bruzzese ha invitato il liano. Saranno solo polemiconsigliere Italiano a ri- che superficiali oppure si è pensarci, invitandolo «ad davanti a divisioni inarreuna attenta riflessione sul- stabili. Anche il sindaco evita di alimentare lo scontro E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 40 Reggio 32 Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected] Stava nella Locride una delle figure di spicco coinvolte nell’inchiesta che ha decapitato i clan del Vibonese Stilo era la base per “Cenzo” Taverniti scampò a un omicidio ed era considerato un vero capo a Gerocarne FAIDA DEI BOSCHI di PASQUALE VIOLI SIDERNO - «Vincenzo Taverniti, quello di Stilo, Cenzu d’Ariola, tentarono di ammazzarlo e lui sapeva chi era stato. Per un periodo con alcuni della famiglia in galera era stato lui a reggere il controllo della zona dell’Ariola nel vibonese». Sono queste le parole di alcuni pentiti, uno di questi parente di Vincenzo Taverniti, che spiegano il coinvolgimento dell’uomo residente a Stilo nelle dinamiche criminali dei boschi vibonesi. E proprio per Vincenzo Taverniti sono scattate le manette ai polsi nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro chiamata “Light in the woods”e che ha fatto luce sulla faida sanguinosa per il controllo del territorio interno del vibonese andata avanti, tra tregue e recrudescenze, dai primi anni '90 sino alla fine del 2009: a ricostruire lo scontro che ha insanguinato la zona di Gerocarne, nella Preserre vibonesi, è stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro sfociata ieri nell’operazione della squadra mobile catanzarese, denominata «Luce nel bosco», che ha portato all’arresto di 30 persone accusate di associazione mafiosa e, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento, estorsione, armi e turbativa d’asta. «Con questa operazione –ha detto il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – abbiamo scritto la storia del 'localè di Gerocarne fino ai giorni nostri». Ma non solo omicidi ed estorsioni. Gli investigatori sono convinti di avere accertato anche le infiltrazioni della cosca nel comune di Gerocarne con l’elezione a sindaco, nel 2005, di Michele Altamura, nipote del boss Antonio Altamura, L’ex sindaco è tra gli arrestati. Per lui l’accusa è associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati ad ottenere i lavori di tre appalti pubblici. E Vincenzo Taverniti, alias “Cenzu d’Ariola” era inVincenzo Taverniti serito proprio nel contesto criminale che cercava di mettere le mani su appalti e affari, almeno secondo quanto rivelano almeno due collaboratori di giustizia, ed anche dalla lontana Stilo era attivo e partecipe agli affari e ai movimenti del suo clan di riferimento. Quello di Taverniti era un ruolo senza dubbio di vertice per quanto ritengono i magistrati della Dda e anche per quanto emerso dalle parole dei pentiti che ne hanno raccontato anche il tentato omicidio perchè Taverniti faceva parte di una delle fazioni contrapposte per il controllo delle preserre vibonesi. E i primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono addirittura ai tempi del sequestro di Marco Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla squadra mobile veneta venne fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate, per la supremazia. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. Grazie al ritrovamento sul luogo del delitto di alcuni telefonini e grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori, le indagini hanno avuto un impulso che ha portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip su richiesta della Dda catanzarese. L’inchiesta ha anche messo fatto luce su un’attentato intimidatorio compiuto ai danni del sindaco di Arena, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi. Interessi per appalti, droga e potere che per i magistrati Vincenzo Taverniti ha seguito con grande interesse anche da Stilo. Nella zona dell’Ariola aveva avuto un ruolo di primo piano Attenzionate tre intere province SIDERNO - Il duro colpo inferto dalla Dda di Catanzaro alle cosche delle preserre vibonesi potrebbe essere solo la prima parte di un cerchio che potrebbe stringersi sulle cosche dei “boschi” delle tre province. I movimenti che da anni interessavano Gerocarne e l’entroterra di Vibo Valentia, al confine con la Piana di Gioia Tauro e lo Stilaro jonico, non sono diversi da quelli che le forze dell’ordine stanno attenzionando da tempo anche nel “mandamento” reggino che tocca anche la provincia catanzarese. E proprio sulla base di numerose attività di indagine che si sta cercando di capire come le cosche si stiano muovendo per gestire gli affari del territorio a cavallo tra “i boschi” di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro. Gli investigatori studiano ogni dettaglio, dai piccoli attentati e intimidazioni agli efferati omicidi degli ultimi anni, che hanno segnato senza dubbio un riacutizzarsi delle lotte interne per la gestione degli affari in un territorio immenso. Una veduta della Vallata dello Stilaro Lo stilese indicato come partecipe al delitto del 1993 Ebbe un ruolo fondamentale nell’omicidio di Scaramozzino SIDERNO - Placido Scaramozzino scomparve nel nulla nel 1993, il classico caso di lupara bianca. Oggi, grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia si sa che è stato brutalmente assassinato e seppellito. A partecipare a quell’omicidio, secondo quanto rivelato dal pentito Loielo, ci fu anche Vincenzo Taverniti. La scomparsa del parrucchiere rientrerebbe nell’ambito della faida tra le famiglie del vibonese culminata con la strage tra i boschi serresi raggiunge la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito, Ilario Antonio Chiera. E nel contesto dello scontro tra clan si inseriva anche l'uccisione di Placido Scaramozzino, il parrucchiere 43enne di Acquaro scomparso il 28 settembre del 1993 e il cui cadavere non fu mai trovato. A parlare delle modalità con le quali venne assassinato erano stati i collaboratori Taverniti e Francesco Loielo. Quest'ultimo aveva iniziato nel 2010 la sua collaborazione con la giustizia. Scaramozzino, secondo quanto ricostruito dai magistrati, fu ucciso sulla scorta di meri sospetti a causa della sua frequentazione con Antonio Maiolo, boss locale antagonista del gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni fa Vincenzo Taverniti si trovava in macchina con il cognato Vincenzo Loielo. E fu proprio quest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio alla persona con l'auto bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola “357” dopo averlo estratto dalla macchina. Poi, l'uomo venne legato e trascinato lungo un sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di spostare l'autovettura della vittima. Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il clan rivale. Dopo aver scavato una buca il parrucchiere fu denudato (lasciato solo con gli slip), la faccia in su e le mani legate in avanti e colpito con una zappa sul petto e alla testa. Dunque, la sepoltura quando era tramortito ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle Malogne” ad Acquaro, solo qualche giorno dopo la scomparsa. Una volante della Squadra mobile di Catanzaro che ha condotto le indagini Il capo dei capi della ’ndrangheta reggina “omaggiò” la cosca vibonese della sua presenza Anche Oppedisano ai funerali del padrino SIDERNO - I clan delle preserre vibonesi avevano forti contatti anche con alcune famiglie del reggino, specialmente della Piana di Gioia Tauroma anche della jonica. Anche questo emerge dalle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che mettendo insieme le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, le intercettazioni telefoniche e ambientali, il lavoro immane portato avanti dalla squadra Mobile, è stato possibile scrivere la storia del locale di Gerocarne con continue scissioni all’interno, numerosi omicidi e collegamenti di rilievo con le cosche del Reggino e del Domenico Oppedisano Catanzarese. Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione del padrino don Mico Oppedisano, storicoboss delReggino, aun funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche gli interessi malavitosi sui sequestri di persona degli anni Novanta. Tra questi, quello di Carlo Celadon, figlio di un noto imprenditore di Vicenza, avvenuto nel 1988, e di un altro imprenditore pugliese di Massafra. I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal carcere usufruendo di vari permessi, nel 1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi. L'avvio della faida è stata aggravata anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino ai Loielo, nel tentativo di guadagnare nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del 2002, per il quale lo scorso anno è stato arrestato proprio Emanuele. Ma la faida e la scissione tra i gruppi ha anche portato le due fazioni a trovare contatti con altre realtà criminali, in particolare il gruppo dei Loielo aveva agganciato dei buoni contatti con le cosche del reggino riuscendo a gestire in qualche occasione anche degli affari relativi al traffico di droga o a piazzare sub appalti. La presenza del super boss Mico Oppedisano, considerato a capo di tutta la ndrangheta reggina, al funerale di un padrino di Gerocarne testimonia per la Dda la grande condivisione di interessi tra gruppi criminali. p.v. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Locride Giovedì 26 gennaio 2012 33 Email: [email protected] - Amantea E-mail [email protected] - [email protected] Paola E-mail [email protected], [email protected], [email protected] San Lucido Email [email protected] Scalea Email [email protected] Belvedere Email [email protected] Amantea. Accuse all’amministrazione dell’epoca che non rispettò l’appalto Nepetia, «non ci furono pressioni» Un testimone parla dell’assunzione del capoclan Gentile nell’Ati del porto di PAOLO VILARDI AMANTEA – “Non ricevetti nessuna imposizione di comportamenti illeciti da Gentile, né tantomeno pressioni di qualsiasi genere”. Sono le dichiarazioni del campano Gaetano Improta, rilasciate martedì scorso a Paola nel processo Nepetia, durante l’esame del Pm della Dda Giampaolo Boninsegna. Il testimone, nel 2002, fu il responsabile dell’Ati, associazione temporanea d’impresa, che per tre mesi ebbe in gestione il porto di Campora San Giovanni, opera al centro dell’inchiesta penale che per un certo periodo di tempo venne posta sottosequestro dall’autorità giudiziaria. Il teste ha raccontato della sua esperienza ad Amantea, troncata dopo aver aperto un contenzioso con il Comune, ente che non avrebbe rispettato le condizioni scritte nell’appalto: «Con una società del posto, che non aveva le caratteristiche per la gestione, costituimmo un’Associazione temporanea di imprese con tutti i requisiti per aggiudicarci la gara d’appalto, che alla fine vincemmo. Iniziammo quindi a li riportati nel voluminoso fascicolo della Dda di Catanzaro: “Alla nostra richiesta di apportare modifiche all’appalto non ci venne data risposta alcuna, nonostante discussioni forti e accese. Abbiamo continuato a gestire l’approdo turistico fine a settembre, il mese che decidemmo di fare causa al comune poiché perseverava a non rispettare quanto previsto nell’appalto”. Sempre il teste ha quindi elencato le problematiche principali riscontrate nella gestione: “A nostro avviso c’erano problemi strutturali e l’opera non era mai lavorare per la gestione del porto, che portammo avanti per tre mesi, da luglio a settembre. Col passare delle settimane ci trovammo però a gestire situazioni diverse rispetto a quanto previsto nel progetto iniziale. Tra l’altro il porto non ci fu mai ufficialmente consegnato». Improta, sollecitato dalle domande del Pubblico ministero, ha quindi fatto luce su quanto avveniva nella gestione della struttura portuale, nel vortice dell’inchiesta Nepetia – Enigma. Non ha però fornito particolari che rasentassero gli illeciti pena- stata sottoposta a collaudo definitivo”. Quindi i rapporti con Tommaso Gentile, che a suo dire non gli creò problema alcuno: “Era un signore che lavorava con noi, assunto dall’Ati per vigilare nell’area della struttura dove non vi era recinzione”. Improta non ha infine raccontato nulla di particolare, né tantomeno i suoi sospetti, sul danneggiamento che subì il gabbiotto del porto, presunto gesto di intimidazione, che insieme agli scontri col comune sarebbero state le cause che lo avrebbero indotto a lasciare; una situazione che lo stesso ha smentito: “Ce ne andammo esclusivamente per gli attriti con l’allora amministrazione comunale e perché il lavorare lontano dalla nostra sede ci comportava costi imprevisti”. Il processo Nepetia, che si sta celebrando dinanzi al collegio del Tribunale di Paola, riprenderà il prossimo 14 febbraio. Scalea. All’interno anche materiale pericoloso e carcasse di mezzi arrugginiti Belvedere Marittimo Faceva prostituire una minorenne La Guardia di Finanza sequestra quindicimila metri di terreno Condannata Rifiuti in area industriale di MATTEO CAVA SCALEA – Da qualche tempo l'area industriale era nelle attenzioni degli uomini della Guardia di finanza. Nella giornata di ieri le Fiamme gialle, coordinate dal tenente Eliana Minoia, e dal Comando provinciale di Cosenza, hanno posto sotto sequestro un'ampia area. L'attività della Guardia di finanza è stata avviata a tutela dell'ambiente circostante, a due passi dal mar Tirreno e vicino al fiume Lao. I sigilli sono stati apposti a ben 15mila metri quadrati di terreni. Secondo i finanzieri della Tenenza di Scalea sarebbero stati adibiti a discariche abusive. Tant'è che in quell'area sono stati posti sotto sequestro anche rifiuti speciali e pericolosi per oltre duemila tonnellate. I finanzieri della tenenza di Scalea dopo complesse attività investigative e l’effettuazione di sopralluoghi, accertamenti ed acquisizioni documentali, anche topografiche, hanno dato esecuzione al sequestro di cinque aree adibite a discariche abusive. L’attività eseguita ha comportato il sequestro di alcune migliaia di tonnellate di rifiuti. Materiale che è stato abbandonato in quell'area, in violazionedilegge. Ifinanzierihannoinformato dettagliatamente anche la Procura della Repubblica di Paola che da tempo segue con attenzione le problematiche ambientali. I reati contestati hanno comportato, fra l'altro, la segnalazione all’autorità giudiziaria di quattro persone per ipotesi legate alla violazione della normativa ambientale. Della circostanza sono stati interessati gli uffici competenti per le analisi del caso, al fine di verificare l’eventuale grado di inquinamento attuale del suolo e del sottosuolo. Diverse carcasse di materiale ferroso erano in cattivo stato di conservazione e non si esclude che parte dei materiali contenuti siano andati a finire nel terreno. L’attività ha riguardato la zona industriale del comune di Scalea. Un'area che arriva alle sponde del fiume Lao. Sono stati rinvenuti rifiuti di ogni genere e tipologia: solidi urbani e speciali, anche pericolosi, tra cui pneumatici usati, fusti e bidoni adibiti al trasporto di oli industriali e diluenti, autoveicoli dismessi e parti meccaniche, stampi di barche in vetroresina in evidente stato di ossidazione, materiale di risulta edile e scarti derivanti dalla estrazione e lavorazione di inerti. Per la tenenza della Guardia di Finanza di Scalea non ci sono dubbi: a due passi dal Comune di Scalea ed al confine con il territorio comunale di Santa Maria del Cedro, sono state portate alla luce delle vere e proprie discariche a cielo aperto. Elevato il degrado ambientale riscontrato nell'area industriale, sottoposta al vincolo paesaggistico-ambientale ed idrogeologico. «La difesa dell’ambiente – si legge in una nota del Comando provinciale - è oggetto di attenzione da parte della Guardia di finanza e si inserisce nel più ampio contesto della cornice di sicurezza economico-finanziaria, anche per i profili di natura fiscale sottesi, riguardanti il tributo speciale per l’illegale conferimento in discarica di rifiuti solidi urbani. In taleottica econ riguardoanche ai profili di tutela degli interessi erariali locali, l’attività svolta si inserisce nel lavoro di costante monitoraggio del territorio attuato dalle Fiamme gialle nell’ambito del capillare dispositivo di controllo predisposto dal comando provinciale di Cosenza». Il materiale ferroso posto sotto sequestro Processo Azimut: manca il pm, rinviata l’udienza CETRARO – Il processo denominato Azimut si ferma allo stop. Dopo l’udienza dello scorso mese di luglio, è ripreso ieri mattina e subito è stato rinviato per l’assenza del Pubblico ministero della Direzione distrattuale antimafia. Il collegio del Tribunale di Paola, presidente Paola Del Giudice, ha soltanto deciso che nella prossima udienza sarà conferito ad un perito l’incarico per le trascrizioni delle intercettazioni rilevate. Il processo vede quindici imputati, tra i quali anche Franco Muto, che nel 2005 furono prosciolti dalle accuse del noto procedimento principale a carico del clan Muto con sentenza di non luogo a procedere, ma rinviati a giudizio l’8 novembre del 2010 dalla Corte d’Appello di Catanzaro, a seguito di ricorso della Procura. L’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso e singoli episodi di usura ed estorsione, nonché altri reati di minore entità. Questi gli imputati del processo del Tirreno cosentino: Francesco Muto (71 anni), di Cetraro; Luigi Muto (49) di Cetraro; Delfino Lucieri (52) di Cetraro; Carmelita Cesareo (49) di Cetraro; Giuseppe Nigro (51) di Belvedere Marittimo; Giuseppe D’Elia (60) di Belvedere Marittimo. Si ritorna il aula il prossimo 7 marzo. pa. vi. BELVEDERE M. – Aveva mediato per far avere un rapporto sessuale con una minorenne ad un soggetto della zona. La protagonista di questa vicenda giudiziaria è una donna di nazionalità bielorussa, condannata ieri mattina dal collegio del Tribunale di Paola per prostituzione minorile. Il presidente Paola Del Giudice, al termine della camera di consiglio, ha sentenziato per l’unica imputata di questo procedimento penale la pena di due anni di reclusione. I fatti risalgono al 2 maggio del 2007, quando la donna condannata, Nina Valiuzhenick, di 53 anni, suggerì ad una connazionale con meno di 18 anni di età, riuscendo a convincerla, di avere un rapporto sessuale con un uomo del posto, M.T., previo pagamento di una cifra di denaro. Fornì quindi a quest’ultimo il numero di cellulare della minore per concordare un appuntamento finalizzato alla consumazione del rapporto sessuale. Ciò non avvenne per l’intervento repentino dei carabinieri, che nel contesto di un’indagine su un presunto giro di prostituzione in città pedinarono l’uomo e la ragazza. I militari approfondirono quindi l’indagine da cui la procura aprì l’inchiesta penale.L’imputata, difesa d’ufficio dall’avvocato Emanuela Gasparri, lavorava come collaboratrice scolastica. Per questa condanna, 2 anni di reclusione con pena sospesa e 6 mila euro di multa, è stata interdetta da incarichi nelle scuole di ogni ordine e greco. Il pm aveva chiesto la condanna di 4 anni e 10 mila euro di multa. pa. vi. Amantea. Gli investigatori indagano sull’atto intimidatorio a La Rupa Collegamenti con la bomba La strada che conduce alla villa estiva di PAOLO OROFINO AMANTEA – Atti alla Dda di Catanzaro. Come da disposizione del procuratore di Paola, per quegli episodi sospetti in odor di criminalità organizzata, sull’esplosione a casa La Rupa, indagherà pure la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro a cui è stata inviata copia dell’informativa sull’accaduto. Lunedì sera, poco dopo le 20.30 un ordigno rudimentale è stato fatto esplodere davanti la villa la mere di Franco La Rupa, ex consigliere regionale ed ex sindaco di Amantea. Un esplosione che ha provocato solo danni agli infissi esterni della casa ed a una parte del cornicione. La villa non è dotata di sistema di videosorveglianza esterna ed al momento del boato dentro non c’era nessuno. Per di più la casa è situata proprio in una zona isolata e buia, per cui c’è un’assoluta ca- renza d’indizi, almeno per adesso. E allora si cerca di risalire ad un plausibile movente e gli investigatori a tal proposito stanno valutando determinati elementi e certe coincidenze. Per esempio, la magistratura inquirente ed ai carabinieri stanno cercando di capire se possa esserci o meno, un nesso temporale fra l’esplosione ed il processo Nepetia in corso. Dato che la bomba è stata piazzata proprio alla vigilia di un importante udienza del dibattimento in cui, fra gli altri esponenti delle ndrine del tirreno cosentino, è imputato lo stesso La Rupa. Questi ha già subito una con- danna di primo grado in altro simile procedimento. Inoltre, si stanno mettendo in relazione all’episodio, recenti provvedimenti sollecitati dalla procura antimafia. Si stanno assemblando diversi tasselli al fine di individuare un movente , dietro al gesto. Si indaga al largo raggio e nessuna pista viene esclusa. Certamente appare strano quanto verificatosi, poiché La Rupa da tempo non ricopre più cariche politiche e non esercita attività lavorative soggette ad azioni estorsive. Quindi, salvo colpi di scena, per trovare una spiegazioni le ricerche vanno anche indietro negli anni. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Tirreno Giovedì 26 gennaio 2012 21 Giovedì 26 gennaio 2012 REDAZIONE: corso V. Emanuele III, 58 - Vibo Valentia - Tel. 0963/471595- Fax 472059 -E-mail: [email protected] Omicidio Muller Palazzo Luigi Razza Il pm chiede l’assoluzione dei due fratelli Bellissimo Rifiuti, Rifondazione Comunista mette il sindaco sotto accusa a pagina 24 a pagina 25 La faida ventennale e il sostegno all’ex sindaco di Gerocarne ritenuto interno alla cosca Un Comune assoggettato al clan Lights on the Woods: 30 arresti nelle Preserre a opera della Mobile di Catanzaro ANNI di faide ed estorsioni, cambi al vertice delle organizzazioni criminali, ma anche sequestri di persona e omicidi, passando per il controllo delle amministrazionipubbliche. L’operazione “Light in the woods”, hapermesso difare piena luce sulla storia di mafia che ha caratterizzato le Pre Serre Vibonesi dal 1989 ad oggi, chiarendo una serie di delitti che negli anni avevano anche trovato soluzioni parziali. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip Tiziana Macrì, riguarda 30 persone, tutte accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, oltre che, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento ed estorsione, armi ed esplosivi, turbativa dei pubblici incanti per gli appalti riferiti al Comune di Gerocarne. Arrestato anche l’ex sindaco Altamura. di GIANLUCA PRESTIA alle pagine 22 e 23 L’OPERAZIONE Lo sbancamento lungo la spiaggia L’immagine della strage di Ariola, avvenuta nel 2003 e inserita nel contesto della faida tra i Loielo e i Maiolo Comune di Mileto Joppolo Scioglimento in arrivo Rubato il gasolio della scuola GIORNI contati, forse qualche settimana ma non di più per il Consiglio comunale della città normanna. Secondo indiscrezioni estremamente affidabili, infatti, l’indagine della commissione di accesso agli atti abbia fatto emergere anomalie. Il giudizio della prefettura è quindi negativo. JOPPOLO - Ignoti, la notte tra martedì e mercoledì si sono introdotti nei locali della scuola elementare e materna di Caroniti e hanno portato via il carburante che serviva ad alimentare i riscaldamenti. Il sindaco Dato ha affrontato l’emergenza mandando delle stufe elettriche. a pag. 24 Il Comune di Mileto a pag. 28 La scuola elementare di Caroniti LA SEGNALAZIONE Tre giorni di blackout telefonico Una donna al telefono NEI giorni scorsi in città si è registrato un vero e proprio black-out delle linee telefoniche e Adsl del Gestore telefonico Telecom Italia. Il guasto, che sarebbe durato tre giorni, ha riguardato alcuni quartieri cittadini intensamente abitati: in particolare, sono state interessate le zone di Via Moderata Durant, Feudotto e Bitonto. L'isolamento forzato ha causato non pochi disagi agli utenti, privati e non, che si sono visti improvvisamente interrompere la linea, senza alcun preavviso, per più di 72 ore. La fastidiosa circostanza ha provocato un fiume di reclami al 187, servizio clienti Telecom Italia, che tuttavia non ha potuto dare alcuna agevole soluzione al problema. Addirittura, nella disattenta gestione dell'emergenza, ad alcuni abbonati sarebbero stati assegnati numeri provvisori, appartenenti ad altri clienti Telecom, che si sono visti dirottare le proprie chiamate in entrata ad altra destinazione. A dare notizia dell'accaduto è stata l'Assoconsum, associazione a tutela dei diritti dei consumatori, presente sul nostro territorio, che ha attivato un tavolo di trattative con l'azienda Telecom, per rimborsare nel più breve tempo possibile il danno subito dagli utenti. Chi avesse necessità potrà pertanto contattare l'Assoconsum, dove un pool di esperti è a disposizione dei cittadini a titolo gratuito, non solo per fornire indicazioni utili, ma anche per coordinare le iniziative tese a tutelare il rapporto con il gestore telefonico. Per il caso di specie l'Assoconsum è a disposizione a Vibo Valentia ed in tutta la Calabria ai seguenti recapiti telefonici 329.1080991/333.4930954 - e.mail [email protected] d. m. Sbancamenti sulla spiaggia a Ricadi Arrestato il padre del vicesindaco Carone FURTO aggravato in concorso, alterazione e deturpamento di bellezze naturali, modificazione dello stato dei luoghi ed abusivismo edilizio. Queste le accuse di cui sono ritenuti responsabili i due soggetti tratti in arresto ieri pomeriggio dai Carabinieri della stazione di Spilinga. Nel pomeriggio verso le 14, a Ricadi, nel corso di servizio finalizzato alla prevenzione e repressione di reati in materia ambientale, i militari dell’Arma hanno tratto in arresto in flagranza Vincenzo Carone, 62enne di Ricadi, frazione Santa Domenica, imprenditore turistico proprietario e titolare di villaggio sito a Ricadi in località Vincenzo Carone “Tono” e padre dell’attuale vicesindaco di Ricadi (Vera), e Paolo Ripepi, 46enne di Ricadi, imprenditore edile. I due, presso la spiaggia antistante il villaggio turistico di proprietà di Carone, mediante l’uso di un escavatore di proprietà e condotto da Ripepi, stavano asportando svariati metri cubi Paolo Ripepi di sabbia e materiale roccioso utilizzandoli al fine di creare, privi di qualsiasi titolo autorizzativo, una barriera frangiflutti a beneficio della struttura ricettiva di Carone, su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale. Area e mezzo d’opera sono stati sottoposti a sequestro dal personale della Benemrita. Gli arrestati, espletate le formalità di rito, sono stati sottoposti al regime degli arresti domiciliari a disposizione dell’autorità giudiziaria. gl. p. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Vibo 22 Vibo Giovedì 26 gennaio 2012 Vibo 23 Giovedì 26 gennaio 2012 A Vincenzo Taverniti affidato il compito di eliminare i rivali L’operazione “Lights on the Woods” Il ruolo degli altri sodali Un gruppo organizzato Il sostegno al gruppo, le riunioni e le attività estorsive Le attività criminali, l’appoggio elettorale, il procacciamento di voti e l’elezione del candidato a sindaco nipote del boss di GIANLUCA PRESTIA mente controllati dai fratelli Loielo, successivamente uccisi, e. per loro conto dal collaboratore di giustizia Enzo Taverniti, ma attualmente sono posti al controllo dei fratelli Francesco ed Angelo Maiolo, del cugino Francesco Maiolo e dell’altro cugino Francesco Capomolla. Il comune di Soriano è sotto il controllo di Salvatore Grillo su delega di Bruno Emanuele che ha la supervisione sui territori di Sorianello, Pizzoni e Vazzano. Il gruppo aveva messo gli occhi sulle attività del comune di Gerocarne. Una pervasività emersa in sede di indagine e che, per gli inquirenti, rappresenta uno degli aspetti più pericolosi dell’associazione mafiosa. «L’infiltrazione nelle strutture amministrative viene ritenuta indispensabile dalla cosca allo scopo di poter piegare l’attività politico-amministrativa al soddisfacimento degli esclusivi interessi della struttura associativa». L’attività investigativa ha consentito di verificare come «gli accoliti alla conserteria forniscano il loro sostegno politico con l’unico scopo di ottenere la garanzia, da parte, degli organi politici, di poter gestire in modo privato gli appalti pubblici, condizionando gravemente le decisioni degli organi istituzionali». Gaetano Emanuele reggente in sostituzione del fratello Bruno E da qui, viene evidenziato come la cosca abbia «sostenuto un proprio candidato durante la competizione elettorale delle amministrative del 2005: Michele Altamura». Eralui, inbasealle risultanzeinvestigative a mettersi a «disposizione della cosca a favore della quale si adoperava per garantire l’assegnazione dei lavori pubblici indetti dall’amministrazione comunale. In questo modo diviene il candidato del sodalizio in occasione delle elezioni comunali dell’aprile del 2005» che lo vedranno vincente. In particolare, gli elementi acquisiti permettono di accertare che l’ex primo cittadino, la cui amministrazione cadde dopo 10 mesi dall’insediamento, «è un partecipe del gruppo e, come tale, si propone per assumere la carica di sindaco del comune montano, consentendo un completo asservimento dell’istituzione pubblica ai desideri dell’associazione criminale di appartenenza». Tutto questo e molto altro risulta dalle preziose dichiarazioni fornite non solo dai collaboratori di giustiza Enzo Taverniti, Michele Iannello e Francesco Loielo, ma anche di Michele Ganino, Giuseppe La Robina, Rocco Oppedisano, Luciano Oliva, William Lucchetta, Domenica Lucia Bariova, Antonio Forastefano e Vitaliano Turrà. Un momento della conferenza stampa dell’operazione “Lights in the Woods” GLI ARRESTATI Una veduta di Gerocarne cosca mettendosi a disposizione del gruppo in qualità di titolare di impresa edile riconducibile anche a Leonardo Bertucci, al fine di accaparrarsi lavori appaltati e comunque concessi dall'ente comunale di Gerocarne. Leonardo Bertucci:stretto coadiutore del capo locale con incarichi diretti a mantenere stretti contatti tra i diversi partecipi del gruppo mafioso e iAntonio Altamura; svolge un ruolo di supporto del medesimo e, nell'ambito del gruppo, insieme a Francesco Taverniti, intestatario fittizio della relativa impresa, interagisce con gli organi comunali assicurandosi i lavori di volta in volta appaltati ed eseguibili dalla citata impresa. Vincenzo Taverniti: con ruolo di partecipe qualificato del gruppo stanziato sul territorio di Gerocarne, con compiti di mantenimento della potenza della cosca, anche attraverso l'esecuzione di omicidi di soggetti contrapposti al gruppo di appartenenza. Ha mantenuto stretti rapporticon AntonioAltamurae, primadella loro morte, ha agito in stretto contatto con i Vincenzo e Giuseppe Loielo. Ilario Chiera: partecipa alla consorte- GLI ARRESTATI LA CURIOSITÀ Numerosi gli agenti impiegati IL blitz della scorsa notte ha visto impiegato un cospicuo numero di agenti in proprio in virtù della quantità di persone da arrestare che sono state fermate non solo in Calabria ma anche in altre regioni della Penisola, specialmente al Nord. Giovanni Loielo Antonio Altamura Michele Altamura Leonardo Bertucci Francesco Capomolla Vincenzo Loielo Angelo Maiolo Antonio Gallace Giuseppe Prestanicola Antonio Condina Francesco Taverniti Nazzareno Altamura Ilario Chiera Pasquale De Masi Rocco Loielo Francesco Maiolo Michele Rizzuti Piero Sabatino Franco Idà Francesco Maiolo Gaetano Emanuele Bruno Emanuele Nazzareno Gallace Salvatore Grillo Vincenzo Taverniti Salvatore Zannino Vincenzo Bartone Giuseppe La Robina Giuseppe Taverniti ria mantenendo stretti rapporti economici, finalizzati a fare progredire la cosca attraverso l'acquisizione di lavori pubblici, quali il taglio dei boschi appaltati dal Comune di Gerocarne, in collaborazione e concorso con il capo locale Altamura Antonio. Giuseppe Prestanicola: partecipa alla consorteria dell'Ariola mantenendo stretti contatti con i vertici militari del gruppo e fungendo da collettore delle estorsioni nei grandi lavori pubblici a favore del gruppo mafioso. Gaetano Emanuele:svolge il ruolo di " reggente" dello articolazione militare della cosca dell' Ariola in assenza del fratello Bruno in carcere. Partecipa alla cosca mettendosi a disposizione del medesimo, portando a termine gli incarichi illeciti affidatiglie sostenendolonel periodo di latitanza. Vincenzo Bartone:è uomo di fiducia di EmanueleBruno,si occupadelsostentamento dei sodali su incarico del capo cosca e collabora con questi nell'esecuzione di fatti rientranti nel programma dell'organizzazione. Piero Sabatino: è l'alter ego del "capo cosca Bruno Emanuele, predilige il settore relativo al traffico di stupefacenti (è imputato nel processo Ghost su un presunto traffico di droga), partecipando anche alla esecuzione di delitti contro il patrimonio. Salvatore Zannino: partecipa alla consorteria capeggiata da Bruno Emanuele svolgendo attività illecite per conto delgruppo soprattuttonelsettore deidelitti contro il patrimonio. Giuseppe La Robina e Giuseppe De Girolamo:con funzioni prettamente esecutive e, in particolare, di esecuzione di ordini e incarichi dati da Gateano Emanuele nelperiodo direggenza dellacosca e, in particolare tra la fine dell'anno 2008 e ottobre 2009. Pasquale De Masi: partecipa alla consorteria capeggiata da Emanuele Bruno svolgendo attivita' illecite per conto del gruppo, con funzioni prettamente esecutive e, in particolare, di esecuzione di ordini e incarichi dati dal capo. gl. p. | IL BLITZ | Condina arrestato in Toscana L’OPERAZIONE Lights in the woods è stata condotta non solo in Calabria e, specificatamente, nel territoro vibonese, ma ha interessato anche altre regioni, specialmente del Nord Italia. In provincia di Massa Carrara, ad esempio è stato tratto in arresto uno dei 30 presunti esponenti della cosca Ariola. Si tratta di un Antonio Condina, che da qualche anno si era trasferito a Casola, un piccolo paesino della Lunigiana, dove viveva con la moglie e due figli. Lo hanno scovato gli uomini della Squadra mobile di Massa. Anche per lui sono scattate le manette per il 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo gli inquirenti, era un elemento di spicco affiliato al clan. Nello specifico, secondo le risultanze della Squadra mobile di Catanzaro, l’uomo parteciperebbe al sodalizio con funzione di supporto dei capi, favorendone la latitanza e assumendo compiti operativi. Allo stesso tempo manterebbe i rapporti con i fratelli Loielo, Vincenzo e Giovanni, assicurando loro piena disponibilità. gl. p. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro UN sodalizio che aveva la base a Gerocarne e precisamente nella frazione Ariola ma che si estendeva ai comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro. Tutti i componenti contribuivano alla realizzazione degli scopi del gruppo attraverso la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e le conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivavano nei territori su cui è insediata la consorteria criminale; scopi, in particolare diretti ad accrescerne il potere. Questo il giudizio espresso dal gip Tiziana Macrì nell’ordinanza di custodia cautelare a carico delle trenta persone coinvolte nell’operazione “Lights in the Woods”. Ordinanza nella quale si sottolinea come l’azione del sodalizio fosse diretta al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, con specifico riferimento al controllo dei settori imprenditoriali, boschivo ed edilizio; alla "gestione illecita degli appalti pubblici" banditi dall'amministrazione comunale di Gerocarne; al compimento di delitti contro il patrimonio e contro la persona con la totale e preventiva accettazione della necessità di compiere azioni ben più gravi per garantirsi l'assoluto controllo del territorio, per stroncare qualunque infiltrazione e per eliminare qualsiasi opposizione; con la dotazione e la disponibilità di armi comuni e da guerra attraverso il reclutamento e la iniziazione ai riti di ammissione alla associazione 'ndranghetistica con attribuzione di gradi ed osservanza di rituali. Una menzione particolare viene data alle «riunioni mafiose» per disporre la spartizione dei territori, la predisposizione dei meccanismi di controllo dell'attività amministrativa pubblica e lo sfruttamento delle potenzialità economiche sulla base di un criterio di rigida territorialità: Riunioni che servivano, inoltre, per comporre controversie tra aderenti all'organizzazione, per imporre ove necessario la pacificazione L’associazione in questione vedeva al vertice Antonio Altamura, soprannominato “Il sindaco”, “capo società del Locale” (e come tale riconosciuto anche dai vertici della "ndrangheta") composta da un'articolazione militare capeggiata, negli anni dal 1989 al 1991, da Vincenzo e Giovanni Loielo, successivamente sostituiti (a causa del loro arresto) dal fratello Loielo Francesco e, a far data dal 1994 (epoca di carcerazione di Loielo Francesco), dai cugini Vincenzo e Giuseppe Loielo, uccisi il 22 aprile 2002. Un episodio che aprirà la strada al vertice a Bruno Emanuele che aveva compiti di decisione dell'articolazione militare della cosca, di pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere, degli obiettivi da perseguire, delle attività economiche da vessare, spesso sostituito, a causa dei periodi di carcerazione, dal fratello Gaetano. Gli altri soggetti erano sovraordinati rispetto a più rami operativi autonomi nei territori sottoposti al controllo della cosca. In particolare il comune di Arena era posto sotto il diretto controllo di Antonio Gallace che, detenuto, aveva incaricato della reggenza Nazzareno Gallace. I comuni di Dasà ed Acquaro erano originaria- LA cosca dell’Ariola poteva contare su un cospicuo numero di sodali, ognuno con un compito ben preciso e stabilito nel tempo. Nazzareno Altamura: stretto collaboratore delcapo localeAntonio Altamura, ha agito in qualità di azionista sin dall'epoca in cui il gruppo era militarmente capeggiato dai Loielo. Partecipa alle riunioni indette per la predisposizione dei meccanismi di controllo dell'attività amministrativa pubblica. Rocco Loielo: si è prestato ad ausiliare i capi nella gestione dell'organizzazione, sostenendone l'azione anche con la partecipazione ad omicidi e mantenendo un rapporto diretto nel periodo della carcerazione dei fratelli Loielo al fine di ottenere e trasmettere messaggi agli altri partecipi, rendendosi disponibile ad acquisire ogni utile notizia per programmare un'azione vendicativa nei confronti dei soggetti che si erano resi responsabili del grave duplice delitto ai danni dei cugini Giuseppe e Vincenzo Loielo. Michele Rizzuti: partecipa al sodalizio, in qualità di azionista, con compiti di porre in essere danneggiamenti finalizzati ad ottenere proventi estorsivi sostenendo l'azione dei capi mantenendo un rapporto diretto nel periodo della carcerazione dei fratelli Loielo al fine di ottenere e trasmettere messaggi agli altri partecipi; rendendosi disponibile ad acquisire ogni utile notizia per programmare un'azione vendicativa nei confronti dei soggetti che si erano resi responsabili del grave duplice delitto ai danni dei cugini Loielo. Giuseppe Taverniti: partecipa con funzione di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e degli obiettivi da perseguire, nonché quale percettore degli utili illeciti provenienti dall'attività delittuosa compiuta sul territorio di Arena a seguito di delega ricevuta da Antonio Gallace. Francesco Taverniti: Partecipa alla Giovedì 26 gennaio 2012 Sarebbe negativa la relazione della Commissione di accesso agli atti inviata dal prefetto Si va verso lo scioglimento Probabili infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale di Mileto FRANCESCO RIDOLFI GIORNI contati, forse qualche settimana ma non di più per il Consiglio comunale di Mileto. Secondo indiscrezioni estremamente affidabili, infatti, la commissione di accesso agli atti per l’accertamento di eventuali infiltrazioni o ingerenze della criminalità organizzata nell’attività amministrativa dell’ente oggi guidato dal sindaco Vincenzo Varone avrebbe concluso il proprio lavoro di indagine e dalla Prefettura di Vibo Valentia (dove il prefetto Luisa Latella è in procinto di partire per il suo nuovo incarico assegnatole a Palermo per rivestire il ruolo di commissario straordinario del Comune) pare che nelle scorse ore, nel corso della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, sia stato affrontato il fascicolo “Mileto”, sia stato giudicato negativamente e sia, infine, giunta la decisione diretta a chiedere lo scioglimento del consiglio comunale per la presenza di infiltrazioni mafiose. Ancora niente di ufficiale, è bene chiarirlo, solo voci e indiscrezioni sottovoce uscite dalle stanze dell’Ufficio territoriale del Governo e d’altronde la decisione ultima sullo scioglimento non compete alla prefettura bensì al Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’Interno, ma la notizia che la prefettura avrebbe dato il via libera alla richiesta di scioglimento del civico consesso costituisce un argomento più che legittimo per ritenere che l’attività del consiglio comunale eletto il 25 giugno 2009 stia volgendo prematuramente al termine. Nel caso in cui l’iter previsto dalla normativa dovesse concludersi con l’accoglimento della richie- Primo scarcerato dopo la sentenza Processo “Odissea” Francesco Zaccaro torna in libertà Il palazzo municipale di Mileto sta, e fino ad oggi tutte le richieste di scioglimento avanzate dalla Prefettura sotto la gestione Latella sono state accolte, nell’arco di pochi giorni giungerebbe il decreto del presidente della Repubblica di scioglimento del Consiglio comunale, e allora la città, prestigiosa sede vescovile da quasi mille anni, subirebbe per la prima volta nella sua storia un commissariamento della massima assemblea cittadina per infiltrazioni mafiose. Evenienza questa che presuppone l’arrivo in città di una commissione straordinaria di nomina ministeriale composta da tre componenti con il compito di guidare, con i pieni poteri del sindaco e del consiglio comunale, il municipio per i successivi 18 mesi fino a quando, cioè, non sarà restituita al popolo la sovranità di eleggere il proprio governo cittadino. Il tutto, naturalmente, salvo eventuali e possibili Le risultanze saranno spedite ai ministri proroghe del mandato che nel territorio provinciale si sono verificate anche con una certa frequenza. A questo punto, dunque, non resta che attendere la decisione ultima del Consiglio dei ministri che, qualora dovesse essere confermata l’indiscrezione, giungerà nel corso delle prossime settimane. La commissione di accesso agli atti, formata dal viceprefetto Filippo Romano e dai capitani Stefano Di Paolo per i carabinieri e Luca Bonatesta per la Guardia di Finanza, a cui si affiancavano, in qualità di consulenti, Luigi Pontuale, dirigente dei servizi economico-finanziari della prefettura, e il vicequestore Onofrio Marcello, si era insediata il 31 agosto scorso con il compito di studiare le carte e indagare gli atti compiuti dall’amministrazione comunale dalla data del suo insediamento (25 giugno 2009) alla data del 25 agosto 2011. Nel corso dei tre mesi trascorsi dal loro primo insediamento gli uomini inviati a Mileto dal prefetto Latella hanno acquisito documentazione e ascoltato gli amministratori, tuttavia il termine scaduto il 30 novembre si è rivelato insufficiente è la commissione ai primi di dicembre si vide prorogato il mandato di altri 90 giorni, nelle scorse ore l’accelerazione nella trattazione della questione, accelerazione dettata, probabilmente, anche dall’imminente partenza del prefetto. Nel corso delle ultime settimane altri due comuni del Vibonese sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose, si tratta di Briatico, il cui consiglio comunale è stato sciolto lo scorso venerdì, e Nardodipace, sciolto, invece, il 14 dicembre dello scorso anno. Attualmente, inoltre, nel Vibonese risulta commissariata per infiltrazioni mafiose anche il comune di Nicotera sciolto il 13 agosto 2010. In due anni sciolti già tre consessi È IL primo scarcerato di na e tirarlo fuori dal carce“Odissea”, la nota operazio- re. ne della Squadra Mobile di Come primo atto, il penaVibo Valentia, che nel set- lista tropeano aveva chiesto tembre 2006 portò in carce- la unificazione delle due re 35 persone ritenute orga- condanne sotto il profilo niche o comunque collega- della continuazione, sostete, a vario titolo, alle cosche nendo che i reati che portaMancuso e La Rosa per una rono alle due condanne eraserie di delitti come estor- no collegati da un unico disioni, usura, riciclaggio, segno criminoso, cosa che intestazione fittizia di beni, avrebbe comportato una ridetenzione e porto illegale duzione di pena. La Corte di di armi, gestioappello di Cane di bische tanzaro reclandestine e spingeva però altro. Il succesla istanza con so dell'indagimotivata ordine fu possibile nanza. L'avvoanche per le dicato D'Agostichiarazioni di no non si ardue collaborarendeva e protori e altrettanponeva ricorso ti testimoni di per Cassazione giustizia. contro la deciA lasciare il sione dei giucarcere dopo dici di secondo cinque anni e grado. La Suquattro mesi prema corte, tranne una breaccogliendo le ve uscita (fu ar- Francesco Zaccaro argomentaziorestato il 19 setni del difensotembre 2006) è stato Fran- re, annullava la ordinanza cesco Zaccaro (cl. '77) di della Corte di appello, rinTropea che a suo tempo, in viando gli atti ad una diverdue processi per due distin- sa sezione della stessa Corte te vicende, fu condannato a e questa volta D'Agostino complessivi 8 anni e 6 mesi faceva centro. di reclusione, di cui 5 anni e Infatti, la sua richiesta è 6 mesi per estorsione (nel- stata accolta e Francesco l'ambito di Odissea) e 3 anni Zaccaro ha avuto ridotta la per usura non collegato al- pena per l'usura della metà, l'altro processo. vale a dire di un anno e mezGran merito della sua zo. Grazie a questo “sconto” scarcerazione va al suo di- il giovane ha potuto lasciafensore di fiducia, avvocato re il carcere di Bari, dove si Sandro D'Agostino, che ha trovava detenuto e raggiocato tutte le sue carte, giungere in nottata Tronell'ambito della procedu- pea. d. m. ra, per fargli ridurre la pe- Omicidio Muller. Non ci sarebbero prove sufficienti per condannare i due fratelli BREVI Il pm chiede l’assoluzione dei Bellissimo DA MESI SENZA STIPENDIO Lavoratori di Filadelfia, oggi il sit-in davanti alla Prefettura L’assassinio dell’agricoltore di Soriano Calabro di GIANLUCA PRESTIA COLPO di scena al processo per l’omicidio dell’agricoltore Giuseppe Muller, avvenuto l’1 novembre del 2008 a Soriano e che vede imputati i due fratelli Bellissimo, Michele di 32 anni e Domenico di 35, entrambi compaesani della vittima. Sì, perché, il pubblico ministero Mario Spagnuolo, al termine della sua requisitoria di ieri mattina in corte di assise a Catanzaro (Neri e Commodaro) ha chiesto l’assoluzione per entrambi gli imputati. Una decisione dettata, sostanzialmente, dal fatto che non sono state rilevati aspetti con una certezza tale da consentire alla pubblica accusa di ritenere ragionevolmente i due congiunti responsabili dell’evento delittuoso. Nello specifico ha pesato indubbiamente le forti perplessità rimaste all’esito della superperizia balistica dello stub eseguita dai consulenti nominati dalla Corte, Claudio Gentile e Pietro Benedetti, chiamati per dirimere Il luogo dell’omicidio dell’agricoltore Giuseppe Muller. In alto Michele Bellissimo e il fratello Domenico la controversia sorta tra le perizie di accusa e difesa. La conclusioni alle quali sarebbero giunti i due superperiti, ed esposte nel corso dell’udienza dello scorso 29 dicembre non avrebbero, quindi dissipato i dubbi. I due superperiti, che hanno operato nei laboratori delle università di Messina e Trento, avevano svolto la loro attività incentrandola, in particolare, sulla comparazione tra le particelle rilevate con lo stub e quelle dei bossoli rinvenute sul luogo del delitto, in località “Pioppo Tre Pepi” del comune di Soriano. Non hanno escluso, e ciò tuttavia, in contrasto con le risul- tanze del perito del pubblico ministero, Mario Spagnuolo, che i bossoli rinvenuti sul luogo dell’omicidio e sistemati in contenitori di cellophane abbiano subito forme di inquinamento presentando, a quanto pare, della sostanza riconducibile a fanghiglia. E questo potrebbe essere determinato dal fatto che i due imputati lavoravano in terreni attigui a quelli dell’agricoltori ed erano, quindi, a contatto con un suolo del tutto simile sotto l’aspetto chimico, minerale ed organico, a quello in cui fu rinvenuto il cadavere. Al riguardo, i giudici dell’Assise avevano disposto il riesa- me del consulente tecnico del pm, il maresciallo del Ris di Messina, Marco Romeo, che è avvenuta ieri, prima della requisitoria del pubblico ministero. Nella prossima udienza, fissata al 16 febbraio, inizieranno le arringhe dei difensori dei due imputati: Vincenzo Galeota, Francesco Sorrentino, Michele Ciconte e Giancarlo Pittelli. L’omicidio di Giuseppe Muller, secondo le risultanze investigative, fu provocato a seguito dell’inasprirsi dei rapporti tra la vittima e i due fratelli inerenti a questioni di confini di terreno. UNA delegazione di lavoratori della Casa protetta Madonnina di Montesoro di Filadelfia darà vita oggi, a Vibo Valentia, ad una manifestazione di protesta davanti alla sede della Prefettura. I dipendenti della struttura, che hanno proclamato lo stato di agitazione, lamentano di non ricevere lo stipendio da due anni e chiedono di incontrare il prefetto di Vibo Valentia per metterlo al corrente della propria situazione di estremo disagio. «Non ce la facciamo più – dicono – ad andare avanti senza stipendio. Siamo stati abbandonati da tutti e anche dai sindacati». I lavoratori minacciano di interrompere l’assistenza ai malati e annunciano un possibile sciopero ad oltranza. DA UNA RIVISTA TEDESCA Riconoscimento alla distilleria Caffo LA rivista tedesca di settore Selection ha premiato le grappe prodotte dalla Distilleria calabrese Caffo. «Le grappe del Gruppo Caffo, prodotte in Calabria nella sede di Limbadi – riporta un comunicato – continuano a conquistare la Germania. Ad essere premiate con le tre stelle (85/90 su 100 Punti), e con la medaglia d’argento, sono state la grappa Stravecchia, Bis Cabernet & Sauvingon e la Pololux Vodka dry. Due stelle sono andate a la Vecchia Grappa Caffo» E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 24 Vibo dal POLLINO alloSTRETTO calabria ora GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 6 “luce tra i boschi” ’Ndrina... istituzionale: 30 arresti nel Vibonese Un momento della conferenza stampa In manette l’ex sindaco di Gerocarne: “eletto” dalla cosca Vent’anni di malavita ricostruiti dalla Dda di Catanzaro “SINDACO” L’ex sindaco di Gerocarne, ora finito in manette, Michele Altamura: la sua candidatura sarebbe stata decisa dalle famiglie di mala delle Pre Serre CATANZARO Dal 1989 al 2009. Vent’anni di storia scritta con il sangue dal locale di Ariola, a Gerocarne, nelle Preserre Vibonesi, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro. Un’organizzazione di ’ndrangheta caratterizzata da forti organismi statutari, ma anche da continue scissioni interne e da nuove leve che per contare all’interno della cosca dovevano uccidere. Boss e accoliti avrebbero avuto il controllo delle risorse economiche della zona, incidendo nei settori imprenditoriali, boschivo ed edilizio. È stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro, sfociata ieri nell’operazione “Light in the woods”, che ha portato all’esecuzione di 28 su 30 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip Tiziana Macrì, a fare luce sulla faida e a ricostruire la storia del locale. L’operazione è stata condotta dalla Squadra mobile di Catanzaro sotto la guida del dirigente Rodolfo Ruperti, coadiuvata dagli agenti delle altre quattro province calabresi, insieme a quelli di Torino, Firenze, Genova, Massa Carrara e Parma, e con l’ausilio dei Reparti di prevenzione crimine di Rosarno, Siderno e Cosenza. I dettagli sono stati illustrati ieri nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli - che insieme al sostituto pg Marisa Manzini e al pm Giampaolo Boninsegna hanno firmato la richiesta di ordinanza -, il procuratore generale Santi Consolo, il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, il capo della mobile Rodolfo Reperti, il vice capo della mobile Angelo Paduano e il responsabile della pg Massimiliano Russo. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, alla gestione illecita de- gli appalti pubblici banditi dall’amministrazione comunale di Gerocarne, alle estorsioni, ai danneggiamenti, ai reati in materia di armi ed esplosivi, alla turbativa dei pubblici incanti. L’epicentro degli affari, secondo gli investigatori, era la frazione di Ariola, a Gerocarne, con a capo Antonio Altamura, 65enne già arrestato nell’operazione “Crimine”, lo zio di Michele Altamura, ex sindaco di Gerocarne finito ieri in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. La carriera politica di Altamura, eletto a primo cittadino nel 2005, secondo i magistrati catanzaresi sarebbe stata pianificata dallo zio presunto boss, e la sua candidatura a sindaco sarebbe stata il frutto di un accordo interno alle varie famiglie appartenenti al “locale” di ’ndrangheta. Prima assessore e poi sindaco, Michele Altamura avrebbe fornito il suo supporto alle cosche avvalendosi del suo ruolo istituzionale. Le ’ndrine, in questo modo, sarebbero riuscite facilmente ad infiltrarsi nella gestione degli appalti pubblici del Comune di Gerocarne. Secondo gli inquirenti, Altamura si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati al fine di ottenere i lavori di tre appalti pubblici. I primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono ai tempi del sequestro di Carlo Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla Squadra mobile di Venezia venne fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. I killer fecero però un errore: avevano lasciato sul posto del delitto dei telefonini che hanno poi consentito agli investigatori, anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia di arrivare, dopo sette anni di indagini, all’ordinanza del gip. I TRENTA ARRESTATI DI “LIGHT IN THE WOODS” 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. Antonio Altamura Nazzareno Altamura Vincenzo Loielo Giovanni Loielo Rocco Loielo Michele Rizzuti Antonio Condina Giuseppe Taverniti Francesco Taverniti Leonardo Bertucci Antonio Gallace Nazzareno Gallace Vincenzo Taverniti detto “Cenzo D’Ariola” Michele Altamura Ilario Chiera Giuseppe Prestanicola Bruno Emanuele Gaetano Emanuele Franco Idà Vincenzo Bartone Francesco Maiolo Angelo Maiolo Francesco Maiolo Francesco Capomolla Piero Sabatino Salvatore Zannino Salvatore Grillo Giuseppe La Robina Giuseppe Degirolamo Pasquale De Masi 65 anni 46 anni 64 anni 57 anni 60 anni 49 anni 51 anni 34 anni 37 anni 41 anni 46 anni 40 anni 52 anni 41 anni 70 anni 59 anni 39 anni 36 anni 46 anni 43 anni 32 anni 27 anni 28 anni 28 anni 29 anni 33 anni 32 anni 21 anni 21 anni 30 anni GABRIELLA PASSARIELLO [email protected] la parola agli inquirenti LUTTO L’editore il direttore i giornalisti i poligrafici e il personale amministrativo di Calabria Ora partecipano al lutto che ha colpito il collega Marco Cribari per la perdita del caro zio Attilio Perrelli Branca Cosenza, 25 gennaio 2012 «Un’indagine complessa, ultimata nonostante la carenza di organico» CATANZARO Sette anni d’indagine. Forse troppi, nonostante il forte impegno. Come ha detto ieri nel corso della conferenza stampa il procuratore capo di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, la giustizia «tarda ad arrivare ma prima o poi arriva». La causa? «La Procura di Catanzaro è sottodimensionata, ha un organico al limite del sostenibile e in questi anni si sono trovati rimedi non adeguati ai mali con continue richieste di applicazione di magistrati provenienti da altre Procure». L’esito delle indagini che ieri ha portato ventotto arresti sui trenta disposti con ordinanza dal gip, è stato possibile grazie all’applicazione di un magistrato della Procura generale, Marisa Manzini. « In questa operazione sono state emesse misure restrittive nei confronti di persone coinvolte tutte in associazione a delinquere di stampo mafioso - ha detto il procuratore generale Santi Consolo - con reati satellite che vanno dall’omicidio, alle estorsioni alla turbativa d’asta. A dimostrazione che la ’ndrangheta è la più forte e la più aggressiva tra le organizzazioni criminali. Se si vuole cambiare rotta nella battaglia alla criminalità occorre una rivisitazione dell’organico. Non è più accettabile andare avanti con provvedimenti di applicazione». La storia della locale di ’ndrangheta è stata rico- struita tassello per tassello dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dal sequestro di Marco Celadon all’attentato intimidatorio compiuto ai danni del sindaco di Arena Gesuele Schinella, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi, a Bruno Emanuele prima braccio destro dei fratelli Loielo e poi arrestato con l’accusa di averli uccisi entrambi. A Emanuele non sarebbe bastato più essere affiliato al clan. Secondo gli inquirenti Bruno Emanuele avrebbe così dato seguito alle sue aspirazioni di diventare boss, cosa che poi effettivamente si sarebbe verificata grazie alla collaborazione criminale tra lo stesso Emanuele e i Maiolo, intercorsa negli anni successivi all’omicidio dei Loielo. Un’attività investigativa complessa non solo per la tipologia di attività svolta e per la carenza di organico, ma anche per le condizioni in cui spesso è costretta a muoversi la mobile. «Questa operazione ha presentato aspetti ardui - ha affermato il dirigente della mobile Rodolfo Ruperti - ci siamo trovati a lavorare in case inavvicinabili con cani robusti, liberi e pericolosi. Nel coordinamento ci siamo avvalsi delle Squadre mobili di Torino, Lucca e Massa Carrara». ga. pa. 7 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O L’inchiesta della Dda sfociata nell’operazione della Mobile ha fatto luce su una storia scritta con il sangue dal locale di Ariola, a Gerocarne, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro SUPERPOLIZIOTTO Nella foto sopra, Rodolfo Ruperti. A lato, uno degli arrestati E tra i pentiti c’è anche Ganino CATANZARO L’ultimo pentito è Rocco Oppedisano. La sua collaborazione con la giustizia, d’altronde, era nota. Il penultimo è stato invece Michele Ganino, che solo ora balza agli onori della cronaca. Collabora dal 6 dicembre del 2010. Le sue dichiarazioni si aggiungono ad una sfilza di verbali che il sostituto procuratore generale Marisa Manzini, il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli ed il pm Giampaolo Boninsegna, hanno accatastato grazie alle rivelazioni fornite da numerosi altri gola profonda. Tra questi non rientra Giuseppe La Robina, uno dei soggetti indagati, che dopo le prime dichiarazioni autoaccusatorie ha deciso di interrompere il percorso si collaborazione. I più preziosi, nell’ambito dell’indagine condotta dai magistrati e dalla Squadra mobile di Catanzaro rimangono comunque Enzo Taverniti detto il “Cinghiale”, solo omonimo di uno degli indagati di “Light in the woods”, e Francesco Loielo, esponente dell’omonima famiglia annientata dall’ascesa di Bruno Emanuele. Le loro dichiarazioni sono suffragate in parte da quelle fornite dai vecchi pentiti, ad iniziare da Michele Iannello, il più importante nella storia della ’ndrangheta vibonese, e in parte dai neopentiti cosentini: Tonino Forastefano, Lucia Bariova, Domenico Falbo, Luciano Oliva e William Lucchetta. Preziosi, per gli inquirenti, a riscontro del compendio indiziario acquisito attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, documenti e servizi d’investigazione tradizionale. Utili a chiudere un’indagine come gip comanda. p. com. Il clan di Ariola Dalla fratellanza allo sterminio La storia di uno dei gruppi più sanguinari e la faida tra i boschi delle Preserre Marisa Manzini Nel racconto dei pentiti la scia di sangue durata più di tre lustri CATANZARO Coppola, fucili in spalla e sequestri di persona. Vent’anni fa, o poco più, il «locale dell’Ariola» era così, l’archetipo della ’ndrangheta padrona tra i boschi lussureggianti delle Preserre vibonesi. “Famiglie” alleate: i Loielo-Gallace in pax con i Maiolo. Poi la guerra di mafia per la supremazia di un gruppo sull’altro; gli agguati e la lupara bianca a mietere vittime sui fronti contrapposti, fino all’instaurazione di un ordine nuovo. Dieci anni, dal 1989 al 1998, per annientare i Maiolo. Altri cinque sullo sfondo della nuova faida tra i Gallace, decimati, ed i Loielo, gli ultimi a cadere, decapitati, al capitolo finale, sotto le armi in pugno a Bruno Emanuele, l’ex cane sciolto diventato padrino. Parlano i pentiti, vecchi e nuovi, che la scia di sangue durata più di tre lustri la raccontano quasi con disincanto. Pentiti come Enzo Taverniti, detto “il Cinghiale”. «La società - spiega ai magistrati - era una, una soltanto. Quella dell’Ariola, quella di Antonio Altamura». Perché il sanguinario era Emanuele, ma il perno, il capomafia legittimato anche dal Crimine di Polsi e da don Micu Oppedisano, rimase «’Ntoni il Sindaco». Taverniti, il primo gola profonda delle Preserre, i segreti di “famiglia” li conosce tutti, o quasi. Trentacinque anni, coniugato, due figli, una licenza media, ufficialmente bracciante agricolo. Era cognato di Vincenzo Loielo, il cui cadavere venne trovato martoriato, assieme a quello del fratello Giuseppe, a bordo di una vecchia Fiat Panda nei pressi dell’acquedotto di Gerocarne. Era il 22 aprile 2002. Un anno dopo, il 25 ottobre 2003, un’altra strage, ad Ariola di Gerocarne: massacrati sotto una pioggia di fuoco i cugini Giovanni e Francesco Gallace e Francesco Barilaro; si salvò il solo Antonio Chiera. L’onorata società, così com’era nata, finì nel sangue e dopo anni vissuti da uomo libero, ma braccato, salvata la pelle da un agguato, il Cinghiale vuotò il sacco. D’altronde i fratelli Loielo, i capi della sua famiglia, erano finiti tutti in carcere tra il ’91 ed il ’94. I cugini, quelli assassinati nel 2002, vivevano di luce riflessa. Antonio Gallace passò all’ergastolo e diversi suoi parenti sotto terra. Restava solo ’Ntoni Altamura, che nell’incedere della mattanza fu gra- dall’ordinanza Così la mafia decise di candidare Michele “luce tra i boschi” gole profonde ora S T R E T T O CATANZARO S’era scelto il sindaco, la malavita di Gerocarne: Michele Altamura, nipote del presunto capomafia “’Ntoni” Altamura che l’appellativo di «Sindaco» lo teneva solo come alias. Era la vigilia delle elezioni comunali del 2005. Ed il boss convocò gli associati per una sorta di summit “politico”. Dovevano decidere, lui e gli accoliti, chi candidare contro Alfonsino Grillo, attuale consigliere regionale del centrodestra, che ritenevano vicino ad «Angela Napoli», ai «carabinieri» e, quindi, era «contro la mafia». E la mafia - secondo la ricostruzione degli inquirenti - scelse Michele, la cui amministrazione ebbe però vita breve, perché Grillo ricorse al Tar che accertò come fosse stata falsificata la documentazione sanitaria di troppi sospetti elettori “accompagnati” alle urne. Amministrazione sciolta e di nuovo a votare. La mala tornò punto e a capo ma le correnti si divisero. Servì un summit, del capomafia e dei suoi attendenti, per sciogliere il nodo. C’era chi puntava a riproporre Michele Altamura e chi spingeva invece per Bruno Schipano (non indagato), oggi vicesindaco del Comune. La spuntò il primo che, però, contro Grillo stavolta perse. La mafia – secondo il gip – riuscì comunque parzialmente nel suo intento, visto che il suo candidato venne “infiltrato” come consigliere d’opposizione. L’indagine apre inquietanti scenari anche per ciò che concerne il suo condizionamento alle elezioni provinciali. In base ai racconti dei pentiti sarebbe stato offerto sostegno a due consiglieri, dei quali uno ancora in carica alla Provincia di Vibo Valentia oltre che amministratore in un Comune delle Preserre vibonesi. p. com. ziato scalando i gradi della mala ed assurgendo, fino ad oggi, alla «Santa». Sotto di lui quanti gli agenti della Squadra mobile di Catanzaro hanno buttato giù dal letto ieri all’alba. Sa, Taverniti, che la società dell’Ariola ammazzava ma vedeva pure i suoi cadere ammazzati: Salvatore Gallace venne assassinato poco prima che facessero sparire Placido Scaramozzino, il parrucchiere torturato e seppellito vivo, sol perché, disse il pentito, qualcuno doveva essere eliminato. Era il 1989. Undici anni dopo, il 25 aprile, venne crivellato tra i boschi anche il figlio di Gallace, Francesco, con altri due. Epilogo di una guerra iniziata con i Maiolo. Poi, una volta annientati i Maiolo, ai ferri corti ci finirono gli ultimi casati alleati: i Loielo contro i Gallace. Racconta anni ed anni di malavita, dalla prima lupara bianca alle tensioni del sodalizio Loielo-Gallace. Le sue dichiarazioni collimano con quelle dell’altro nuovo gola profonda delle Preserre, Francesco Loielo, testimone diretto, perché interessato, di una raffica di “sparizioni” ed omicidi. Placido Scaramozzino non fu il primo morto ammazzato di cui entrambi riferiscono agli inquirenti di Catanzaro. Oltre Scaramozzino ne liquidarono diversi altri: Rocco Maiolo, Raffaele Fatiga, Gaetano Inzillo e Antonio Donato. Donato, più o meno, come il barbiere: l’hanno rapito,interrogato, sotterrato e poi ne hanno fatto sparire le tracce simulando un allontanamento. Con una sola differenza. «La macchina di Donato – racconta Francesco Loielo - non l’ho chiusa a chiave». Così, un morto dietro l’altro. Alcuni sdraiati col piombo, altri mangiati dal fuoco, molti spariti sotto terra. Nel cimitero dei boschi tra Gerocarne e Acquaro sul quale si apre un fascio di luce. Parte da Catanzaro, nuova postazione per Marisa Manzini, il magistrato, e Rodolfo Ruperti, il poliziotto, ad un passo dalla chiusura del lavoro interrotto nel 2007, nella provincia di Vibo Valentia, dove dal 2003 inaugurarono una stagione di legalità spartiacque tra il passato ed il futuro. PIETRO COMITO [email protected] 8 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O S T R E T T O ora Numerosi i precedenti ascritti alle “famiglie” operanti nell’area della Preserre vibonesi, ma di indubbia rilevanza sono le accuse riferite alla compartecipazione della cosca nei sequestri di persona: tre i casi accertati dagli inquirenti che s’imbatterono anche nel rapimento di Carlo Celadon “luce tra i boschi” Un “locale” specializzato nei sequestri Il ruolo nodale dei fratelli Loielo nei rapimenti Giorgetti, Fiocchi e Albanese Nella foto a lato, Gerocarne; nel riquadro, Paolo Giorgetti In alto, Carlo Celadon CATANZARO Mazzette nei cantieri, rapine a furgoni portavalori e, soprattutto, sequestri di persona. Erano queste le attività alle quali si dedicava il “locale dell’Ariola”, l’organizzazione che univa le famiglie mafiose dei Loielo e dei Maiolo fino alla faida esplosa nel marzo 1989, che vedrà resta- la politica nel mirino Una bomba per “piegare” il Comune COSENZA «Non ho mai ricevuto minacce o altro. Evidentemente, il nostro lavoro, schierato contro la criminalità, dà fastidio». E diceva bene, tre anni fa, l’ex sindaco di Arena Giosuele Schinella (foto). Aveva intuito che il diniego opposto a richieste poco consone alle esigenze di rilancio della comunità poteva aver determinato la pronta reazione di chi nutriva interessi di carattere personale collegati in qualche modo agli interessi della criminalità organizzata. Una reazione che, oggi, contempla responsabilità oggettive. Nella notte tra l’11 e il 12 gennaio del 2009 qualcuno collocò, facendolo esplodere, un potentissimo ordigno sotto l’auto del primo cittadino. La Ford Focus, parcheggiata sotto casa, venne fatta “brillare” quasi integralmente. E l’onda d’urto provocò danni all’abitazione del sindaco, che si trovava in casa insieme a moglie e figli. Schinella, 55 anni, geologo, restò di sasso. E si lasciò andare a quella dichiarazione d’istinto che preconizzava gli esiti delle attività investigative affidate alla Mobile. Dopo l’attentato seguirono attestati di solidarietà a iosa, vertici politici e si tenne anche un consiglio comunale aperto sul tema della sicurezza. Qualcuno nutrì il timore che anche quell’episodio fosse destinato a restare nel novero degli attentati senza padri. I fatti di oggi, invece, dicono l’esatto contrario: anche quell’attentato ha una spiegazione con responsabili che saranno chiamati a dare conto della propria azione. Secondo la Dda di Catanzaro, a collocare la bomba, fu Francesco Capomolla. Attraverso questa azione, l’uomo intendeva piegare l’ex sindaco a concedere una licenza per aprire una sala giochi proprio nel centro del paese, in piazza Pagano ad Arena. Anche quello fu un gesto eclatante mirato non soltanto ad ottenere un beneficio di natura personale, ma soprattutto ad affermare in paese e nella stessa area delle Pre Serre la presenza di una ’ndrina determinata ad imporre le proprie regole in tutto, per tutto e su tutti... r. r. re sull’asfalto i corpi senza vita di diversi soggetti appartenenti ai due gruppi. I sequestri di persona erano in particolare la specialità dei Loielo. Si legge nell’ordinanza (che riporta al riguardo quanto ricostruito dalla Squadra Mobile di Catanzaro) che «i componenti anche anagrafici della famiglia Loielo, a vario titolo, si erano resi protagonisti, fino al 1990, di gravissimi reati, fra i quali quelli di più sequestri di persona a scopo di estorsione». Per questi reati furono arrestati i fratelli Vincenzo, Giuseppe, Antonino, Giovanni e Francesco. Tutti, a eccezione di Giovanni, recentemente condannati in Appello. Tre le vittime accertate che finirono nelle mani del clan. Alcuni non riuscirono a uscirne vivi. Paolo Giorgetti aveva sedici anni quando venne rapito, il 9 novembre 1978. Figlio di Luigi Giorgetti, uno degli imprenditori mobilieri più no- la banda, un colpo alla nuca che nelle inti della Brianza, stava andando a piedi a tenzioni dei rapitori doveva servire solo a scuola, il liceo scientifico “Curie” di Me- stordirlo. Per il sequestro finirono in mada, quando venne inghiottito nel nulla. A nette Vincenzo, Antonino, Giuseppe e dare l’allarme fu il macchinista di un con- Giovanni Loielo, poi condannati anche voglio delle Ferrovie Nord della linea Mi- per la morte del ragazzino. Andò meglio a Pietro lano-Asso, che dai fineFiocchi, il “re delle cartucstrini assistette all’inutile Ma dalle carte ce” di Lecco, imprenditotentativo del ragazzo di dell’inchiesta re nel campo delle munisottrarsi ai suoi rapitori, zioni rapito nel 1977 e poi scappando e lanciandospunta anche sano e salvo, gli contro la cartella coi il nome di Carlo rilasciato, dietro il pagamento di un libri, prima di essere traCeladon riscatto. E così pure a Cascinato in un’auto, una taldo Albanese, figlio di 128 verde. Il mistero sulla sorte toccata al ragazzo durò poco, ma un imprenditore di Massafra (Taranto), Paolo non fece più ritorno a casa. Il suo sequestrato il 9 ottobre 1989 e liberato il corpo fu ritrovato tre giorni dopo, nel ba- 29 marzo 1990 dopo che la famiglia (che gagliaio di un’auto, carbonizzato. La sco- però ha sempre negato) ebbe pagato un perta a Cesano, periferia nord di Milano, miliardo e mezzo di lire. Per il primo rain una zona nota come “cimitero della pimento furono condannati Antonino e mala”. A ucciderlo, raccontò poi uno del- Giuseppe Loielo; per il secondo – porta- to a compimento con la collaborazione di alcuni pregiudicati pugliesi – Vincenzo, Giovanni e Francesco Loielo assieme a Domenicantonio Gallace e ai fratelli Pietro, Carmelo, Vincenzo e Vitaliano Turrà. E tra le carte dell’inchiesta “Light in the woods” spunta anche il nome di un’altra vittima di sequestro, Carlo Celadon, figlio dell’industriale conciario di Arzignano, nel Vicentino, Candido Celadon. Fu rapito a 19 anni nel 1988 e rimase nelle mani dei criminali per 831 giorni, la prigionia più lunga della stagione dei sequestri. Fu grazie alle intercettazioni effettuate dalla squadra mobile di Vicenza nell’ambito delle indagini relative a questo caso che si scoprì che era in corso una faida tra i Loielo e i Maiolo, gli ex compari che avevano iniziato a sporcare con il proprio sangue le Preserre vibonesi. MARIASSUNTA VENEZIANO [email protected] danneggiamenti a raffica Ecocall e Proserpina Il business dei rifiuti go la Strada provinciale 110 COSENZA Gli eventi erache da Serra San Bruno conno noti. Tristemente noti. duce a Sorianello, intimato al Non i protagonisti, però. Che conducente di abbandonare il solamente oggi assurgono agli “onori” della cronaca. Attorno alla raffica di intimidazioni mezzo (poi incendiato) per costringere i rappresentanti delperpetrate ai danni di amministratori pubblici, aziende pri- la società - scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare vate e imprenditori nell’area delle Pre Serre c’era la mano in carcere - a corrispondere «una somma di denaro non medei “riolisi”. Di quei malandrini, cioè, avvezzi all’uso scrite- glio precisata» allo stesso Emanuele. Una vicenda che inneriato delle armi per imporre la legge del racket. Sono nume- scò ovunque reazioni sdegnate, anche perché stava per farne le spese proprio l’incolpevole dipendente rosi gli episodi riscontrati dagli uomini della cui venne addirittura puntato il fucile alla Mobile. Tanti e di tale “qualità” criminale da Le richieste tempia. Ma una vicenda non meno grave rifornire una definitiva conferma sulla spreestorsive di spetto a quella che costò danni materiali, ed giudicatezza e la caratura della ’ndrina attiva nell’entroterra vibonese. Emanuele dietro esborso di danaro (sostengono sempre gli inai rappresentanti della Ecocall: Due casi, su tutti, meritano dignità di resogli attentati alle quirenti), l’azienda con sede a Vazzano venne interesconto giornalistico, non foss’altro che per lo aziende vibonesi sata da numerosissimi atti intimidatori culscalpore che fecero all’epoca: le intimidaziominati con l’esplosione, a marzo del 2003, di ni ai danni delle aziende Proserpina ed Ecocall, impegnate nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Il diversi colpi di arma da fuoco contro la sede dello stabiliprimo episodio contestato dai magistrati agli uomini del clan mento. L’autore delle azioni delittuose - si scopre oggi, grarisale al 2003, e vede quale protagonista assoluto (in chiave zie alle indagini condotte dagli uomini di Rodolfo Ruperti negativa, ovviamente) Gaetano Emanuele: sarebbe stato pro- fu proprio Gaetano Emanuele coadiuvato nell’occasione da prio lui il malvivente che, “doppietta” in pugno, avrebbe bloc- Rocco Oppedisano. r. r. cato insieme a un complice un furgone della Proserpina lun- GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 13 l’ora di Reggio tel. 0965 324336-814947 - fax 0965 300790 - mail [email protected] - indirizzo via Nino Bixio, 34 PIANO DI RIENTRO Protocollo tra amministrazione e costruttori > pagina 16 MELITO PORTO SALVO BLOCCO TIR Evoli, inaugurato il reparto di Medicina Zampogna: «La Piana si rivela fragile» > pagina 21 > pagina 23 I camionisti sul Torbido: «Abbandonati» > pagina 28 > riunione dei presidenti «Beni confiscati Controlli e gestioni per noi prioritari» L’assessore Minasi non fa sconti alla Musella «Avremmo preferito un confronto diverso» LOCRIDE CITTA’ E AREE METROPOLITANE SUMMIT A FIRENZE Clotilde Minasi «Il monitoraggio ed il controllo dei beni confiscati alla criminalità ed assegnati ad associazioni e sodalizi, rappresenta uno degli obiettivi prioritari dell’Amministrazione Comunale. Ci saremmo aspettati un confronto diverso, improntato al dialogo piuttosto che ad un pesante quanto grave ‘j’accuse’, in modo da spiegare che l’Amministrazione municipale ha tutto l’interesse di vigilare sui beni assegnati, per rendersi conto che davvero questi vengano utilizzati per servizi che coinvolgano la collettività in ogni periodo dell’anno e per ogni tipo di necessità, così come attestano tanti esempi che, assicuriamo, non è difficile rintracciare sull’intero territorio comunale». È affidata all’assessore all’Am- I locali assegnati a Riferimenti e, nel riquadro, Adriana Musella biente, Tilde Minasi, la risposta ufficiale dell’amministrazione comu- ta per non poter far fronte alle ri- usufruisce di un luogo operativo nale all’associazione Riferimenti di chieste, che risultano supeiori alla per il suo movimento di cui, ovviaAdriana Musella che venerdì scor- disponibilità di locali a disposizio- mente, è opportuno evidenziare so in una conferenza stampa ani- ne di questa importante destina- l’opera meritoria». D’altra parte, mata si era scagliata contro il Co- zione d’uso, con altrettanto ram- aggiunge la Minasi, se Riferimenmune e l'Agenzia nazionale dei be- marico rispedisce al mittente le ac- ti volesse, potrebbe richiedere alcuse di chi «aven- l’Amministrazione comunale di ni confiscati dedo avuto accesso usufruire temporaneamente di alnunciando energiquestione ad uno di questi tri locali per incontri pubblici da camente le condibeni, getta coni organizzare con quei tanti giovani zioni in cui versa amianto d’ombra in merito e cittadini che coinvolge nella senl'edificio (presenza C’è una alle procedure con sibile cultura dell’antimafia. Ribadi aminato, ndr) cui gli stessi vengo- dendo comunque che diversi sosede dell'associa- ordinanza no consegnati e, dalizi hanno avuto beni confiscati zione in via XXV del sindaco, in gestione, ma proprio perché conseguentemenluglio (confiscato anche Riferimenti te, gestiti». Con ri- quest’ultima compete all’assegnaalla cosca Lo Giuguardo alla desti- tario hanno provveduto, e non con dice) e una gestio- compili nazione dei locali pochi sacrifici, a rendere ancor più ne clientelare degli la scheda di alla Croce rossa, la idonei i locali, avendo un supporstessi beni. Minasi ribadisce to del governo cittadino per interUna risposta autonotifica che quel luogo è venti di natura realmente straordisenza sconti che stato assegnato al- naria. Con riguardo alla copertura tiene a precisare che Palazzo San Giorgio è sempre la sede reggina dell’organizzazio- in amianto, l’assessore Minasi riattento e vigile in merito ai beni ne per poter godere di uno spazio corda che proprio nei giorni scorconfiscati, ma anche che «la colla- dove conservare il materiale pro- si il sindaco Demetrio Arena ha borazione tra Ente, cittadino ed as- pedeutico ad interventi di prote- emesso un’ordinanza che prevede sociazioni o movimenti deve però zione civile. «Questo il motivo per uno strutturato monitoraggio sul restare il principio cardine di una il quale non è frequentato: per lo- territorio comunale a scopo conolotta sinergica alla criminalità che ro natura i depositi – spiega l’as- scitivo sulla diffusione dell’amianoffusca la crescita e lo sviluppo del- sessore - non vengono vissuti nel- to e procedere, quindi, alla messa le rive dello Stretto, una battaglia la quotidianità ma servono, ap- in sicurezza. «Anche il Coordinanella quale non possono e non de- punto, ad immagazzinare e custo- mento perciò – è il consiglio delvono trovare spazio polemiche che dire, ma ciò non può tradursi nel- l’assessore - deve aderire al censiinstillano dubbi in merito alla cor- la sottrazione del piano alla Croce mento compilando la scheda di rettezza di un processo così deli- Rossa come la Musella ha chiesto. ‘autonotifica’ reperibile all’assescato quale, appunto, la confisca, Non capisco perciò la presa di po- sorato all’Ambiente e sul sito inl’assegnazione e la tutela di questi sizione della presidente del Coor- ternet istituzionale». cl. la. immobili». Dicendosi rammarica- dinamento, la quale, comunque, la querelle Il “J’accuse” di Adriana colpì anche l’antimafia Era venerdì scorso quando in una animata conferenza stampa la presidente dell’associazione Riferimenti, Adriana Musella, non ha risparmiato accuse pesanti tanto al Comune quanto all’Agenzia nazionale dei beni confiscati. In particolare la Musella disse: «La gestione dei beni confiscati non avviene secondo i criteri di legge ma, come al solito, per clientela, leggi raccomandazioni, quando invece bisogna tenere presente i veri bisogni». «Inoltre - sostenne stizzita - non c'è alcun controllo sul loro uso effettivo e ci sono beni, che sono stati richiesti, ma mai utilizzati. L'ente locale che lo assegna, per legge, ha il dovere del controllo. Sono stata zitta da tre anni ma adesso basta». Nei giorni successivi si aprì un dibattito su queste affermazioni, senza dimenticare il Musella pensiero sull’antimafia di professione: «Ormai l'antimafia è diventata un business quando invece è un sentimento. In Italia - aggiunse - ci sono associazioni che si sono fatte un ingente stato patrimoniale in nome dell'antimafia». E per il nodo amianto, la Musella dice di essersi sentita rispondere da un funzionario del Comune: «Dovete toglierlo voi perché soldi non ne abbiamo». Il Presidente Giuseppe Raffa sarà domani a Firenze per prendere parte a una riunione sulle città metropolitane. L’iniziativa – come si legge in una nota del presidente della Provincia di Firenze Andrea Barducci, promotore del vertice - ha come obiettivo l’avvio di «una discussione seria sul tema e cercare di formulare assieme un progetto organico che superi eventuali lacune della Calderoli e ci renda protagonisti attivi di un processo istituzionale». Ai lavori sono stati invitati gli altri presidenti delle provincie che rientrano nella legge sul federalismo fiscale, approvata dal Parlamento nell’aprile del 2009, che istituisce le dieci aree metropolitane del Paese, tra cui Reggio Calabria. Il vertice sarà l’occasione per avviare un proficuo e costruttivo confronto delle diverse esperienze e del lavoro fin qui svolto dalle singole realtà territoriali, in vista dell’emanazione dei decreti delegati di competenza governativa, e formalizzare «un progetto di legge da presentare al Parlamento e al Governo per cercare di non essere – scrive Barducci - una volta tanto spettatori passivi ma diventare gli attori principali di un processo che ci riguarda direttamente». Rispetto ad altri territori metropolitani a Reggio Calabria si è ancora indietro rispetto agli adempimenti previsti dalla legge. Per superare questi ritardi, fin dal suo insediamento alla presidenza dell’Ente di via Foti, Raffa ha assunto una forte iniziativa, chiedendo il coinvolgimento del Comune capoluogo di Provincia, per concludere l’iter previsto dalla legge delega del 2009. In altre realtà, da tempo, sono stati intrapresi percorsi che, tra l’altro, incidono direttamente sul sistema infrastrutturale e sulla governante. «Abbiamo da tempo sottolinea Raffa - avviato un’azione d’ascolto del territorio, inviando un questionario ai sindaci: azioni propedeutiche per insediare una commissione paritetica tra esperti e politici in modo da predisporre, in tempi brevi, un progetto in cui siano contenute le finalità del nuovo ente intermedio, le funzioni e l’esatto dimensionamento territoriale, fino a definire una soluzione concordante tra tutti gli attori istituzionali interessati». Il Presidente Raffa, nel ricordare il lavoro che il suo staff sta portando avanti per dare vita ad un incontro seminariale a cui sono stati invitati i 96 sindaci della provincia di Reggio Calabria, sottolinea che si è già incontrato con il sindaco della città dello Stretto Demetrio Arena per «iniziare insieme questo percorso. A giorni, infatti, faremo, d’intesa con il Comune capoluogo, una riunione congiunta per lavorare al fine di concludere una tappa importante per dare nuove prospettive e nuovo slancio al nostro territorio». 14 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 calabria ora R E G G I O “Imelda”, sedici optano per il rito abbreviato Traffico di droga, alla sbarra i clan più potenti del Reggino In sedici optano per il rito abbreviato, gli altri quindici scelgono il rito ordinario. Inizia a delinearsi nei due tronconi principali il processo “Imelda”. Alla sbarra 31 soggetti accusati di aver creato una vera holding internazionale dedita al traffico di cocaina. Da una parte gli AsconeBellocco, dall’altra i NirtaStrangio-Pizzata. rinsaldando vecchi legami d’amicizia tra i capi ‘ndrina, hanno stretto un’alleanza strategica al fine di trafficare droga e creare una rete efficiente di gestione della latitanza degli esponenti delle cosche stesse. Proprio su questi due binari si è imperniata l’attività della Dda reggina e del Goa di Catanzaro: da un lato neutralizzare il traffico di droga e dall’altro catturati i soggetti latitanti ed appartenenti all’organizzazione, che continuavano a gestire gli affari illeciti. Tra le figure di maggiore importanza, sicuramente quella di Antonio Ascone, 57 anni, alias “nascarella”, e ritenuto il capo dell’omonima cosca, Bruno Pisa- no, 28 anni, Umberto Bellocco, 28 anni e Michele Ascone, figlio di Antonio, di 23 anni. Erano loro ad intessere tutte le trame che hanno portato le cosche calabresi a gestire un giro di droga che partiva dai luoghi d’origine per arrivare in Belgio, Germania ed Olan- da, con basi logistiche anche nel nord Italia. Nel corso dell’udienza di ieri, dunque, dopo la scelta del rito abbreviato da parte di 16 imputati, per tutti gli altri è iniziata l’udienza preliminare. Il pm ha insistito per il rinvio a giudizio, mentre è stata poi la volta degli avvocati difensori, tra i quali Armando Veneto, Domenico Putrino, Guido Contestabile, Tonino Curatola e Alfredo G. D. Foti, che hanno chiesto il non luogo a procedere per i propri assistiti. La decisione del gup arriverà domani e stabilirà, oltre agli eventuali rinvii a giudizio, anche la competenza del tribunale collegiale e cioè se dovrà essere quello di Reggio Calabria, Palmi o Locri. Consolato Minniti «Così iniziarono i miei guai» “Leone”, la deposizione del testimone di giustizia Saverio Foti «Sono un testimone di giustizia e non un collaboratore, perché io con la ‘ndrangheta non c’entro nulla». Ha il tono deciso Saverio Foti. Ieri nell’aula del Cedir, il testimone di giustizia è stato sentito nell’ambito del processo “Leone”. Foti ha risposto alle domande del sostituto procuratore Antonio De Bernardo (in foto) ed ha ripercorso tutte le tappe della vicenda che lo ha visto protagonista, a partire dagli anni ’90, «quando vendevo mucche e capre per conto terzi» ha riferito in aula. I suoi problemi, però, sarebbero cominciati nel 1998, dopo l’uscita dal carcere del boss Nino Iamonte. Il testimone ha raccontato anche che una volta gli incendiarono tutto, mentre i problemi di contabilità arrivarono nei primi anni del 2000, dopo aver ricevuto anche un finanziamento dall’Unione Europea. «I commercialisti – ha spiegato Foti – mi chiesero 24 milioni di lire. Io feci una sciocchezza e andai da Nino Iamonte che mi disse che se ne avessi dati otto a lui, non avrei avuto problemi. Sempre Iamonte mi disse che dato che operavo in un settore che era di sua competenza ci dovevamo mettere in società e da qui iniziarono i miei guai». L’indagine “Leon” ha preso le mosse proprio dalle dichiarazioni del testimone di giustizia Saverio Foti, che raccontò alle forze dell’ordine quello che era il modus operandi della criminalità la quale aveva messo su un vero e proprio “mercato degli indiani”, fenomeno attraverso il quale veniva favorito l’ingresso nel territorio nazionale di persone di origine prevalentemente indiana e pakistana attraverso l’emissione di provvedimenti temporanei di nulla-osta lavorativo, scaturiti da domande di assunzione da parte di compiacenti datori di lavoro italiani, ed in seguito mediante la stipula di contratti di lavo- COSÌ A PROCESSO Imputati che hanno scelto il rito abbreviato Ascone Vincenzo Ascone Rocco Avram Laurentiu Doru Lorenzo Calderone Pasquale Codespoti Domenico Fabrizio Giuseppe Marras Beniamino Murdaca Carmine Perri Vincenzo Pizzata Giuseppe Polifroni Giancarlo Rechichi Filippo Romeo Antonio Romeo Giuseppe Strangio Francesco Vottari Antonio 32 anni 59 anni 31 anni 35 anni 62 anni 38 anni 40 anni 55 anni 32 anni 32 anni 38 anni 29 anni 42 anni 51 anni 46 anni 27 anni Imputati che hanno scelto il rito ordinario Ascone Antonio Ascone Michele Bellocco Umberto Bonarrigo Gioacchino Bonarrigo Nicola Carretta Sergio Costadura Antonio Giorgi Salvatore Nasso Aldo Pisano Bruno Pizzata Bruno Rechichi Sebastiano Romeo Antonio Stelian State Stilo Francesco 58 anni 33 anni 29 anni 28 anni 48 anni 52 anni 38 anni 38 anni 27 anni 29 anni 53 anni 52 anni 55 anni 62 anni 51 anni “shark” in appello Disposta l’audizione del pentito Oppedisano ro fittizi, in modo da consentire il rilascio di permessi di soggiorno formalmente regolari, ma nella realtà basati su presupposti falsi ed inesistenti, il tutto, ovviamente, a fronte dell’esborso, da parte dell’immigrato ed in favore dell’organizzazione, di ingentissime somme di danaro pagate in successive tranches nel corso dell’operazione. c. m. spiaggia di san gregorio Sequestrata area demaniale Denunciato il soggetto che la occupava senza alcuna concessione Proseguono le attività a tutela del demanio marittimo da parte degli uomini della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Su disposizione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a seguito di circostanziata informativa redatta nell’ambito dell’aggiornamento del documento programmatico regionale di mappatura delle coste calabresi, sono stati posti i sigilli ad una struttura, ubicata in località San Gregorio via Strada ferrata 1^ traversa nel comune di Reggio Calabria. Nello specifico si è accertato che l’indagato G. M. di Reggio Calabria, non era in possesso della concessione demaniale marittima che ne legittimasse l’occupazione e l’utilizzo. L’intera area demaniale marittima è stata posta sotto sequestro preventivo d’urgenza su disposizione del sostituto procuratore Stefano Musolino della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ed affidata in custodia – senza facoltà d’uso - all’indagato. Verrà sentito l’otto febbraio prossimo il collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano. Lo ha deciso la corte d’appello di Reggio Calabria (Napoli presidente) nell’ambito del processo “Shark” che vede alla sbarra numerosi soggetti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo mafioso finalizzata alla commissione di una pluralità di reati, tra cui rapine, estorsioni, usura, esercizio abusivo del credito, danneggiamento, detenzione e porto illegale di armi ed altro. Tutti gli arrestati furono ritenuti appartenenti alla cosca Cordì di Locri. Nel corso dell’udienza di ieri, dunque, i giudici di piazza Castello hanno sciolto la riserva in merito alle richieste di accusa e difesa. E così, l’audizione richiesta dal pg Adriana Fimiani ha trovato accoglimento, così come entreranno nel processo di secondo grado tutti gli atti prodotti dalla difesa. Per quanto concerne l’audizione di Oppedisano, inoltre, la stessa si è resa necessaria affinché il pentito possa riferire dei rapporti tra i fratelli Antonio e Francesco Tallura e la cosca Cordì. Non ha trovato invece accoglimento la richiesta di sentire il collaboratore di giustizia Marino, in quanto si tratta – per il collegio giudicante – di prova già acquisita in primo grado. L’inchiesta “Shark” partì dalla Compagnia Carabinieri di Locri ed ebbe un impulso notevole grazie alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Domenico Novella e Bruno Piccolo. Informazioni poi riscontrate dal nucleo investigativo provinciale dei carabinieri e dal commissariato di Siderno. Ma un gioco fondamentale fu giocato anche dalle parole di due testimoni come Rocco Rispoli e Luca Rodinò. Sono stati molti i reati “fine” individuati dalle forze dell’ordine. Tra questi una pluralità di episodi di usura ed estorsione nonché infiltrazione degli associati nell’aggiudicazione di appalti pubblici banditi da enti locali, tra i quali il Comune e l’ex As 9 di Locri. Questo sarebbe avvenuto sia mediante il taglieggiamento della ditta aggiudicataria, sia attraverso l’aggiudicazione diretta o in sub-appalto dei lavori commissionati a ditte riconducibili agli appartenenti alla cosca. c. m. 24 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 calabria ora P I A N A “cent’anni di storia” PALMI La procura generale aveva impugnato la sentenza del gup di Reggio Calabria, nella quale Carlo Martelli e Rosario Schiavone venivano prosciolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’appello di Reggio Calabria nel corso dell’udienza del processo “Cent’anni di storia”, ha deciso di trasmettere gli atti in Cassazione, sede per legge deputata a decidere su un prnunciamento del giudice per l’udienza preliminare. Tra qualche mese, quindi, la Corte PALMI Ci sono i collegamenti tra i Pesce le famiglie di ‘ndrangheta milanesi al centro dell’udienza di ieri nell’ambito del procedimento All Inside che vede alla sbarra 62 tra capi e capetti della consorteria egemone a Rosarno. Un collegamento saldo quello tra le cosche reggine e le loro propaggini “esterne” e che sarebbe confermato una volta di più dalla lettera che il Sostituto procuratore della distrettuale antimafia Alessandra Cerreti, ha depositato a margine dell’udienza. Una lettera sequestrata dalle forze dell’ordine a Biagio La Rocca subito dopo il suo arresto, e dentro cui ci sarebbe rappresentata, neanche troppo mimetizzata tra le righe, tutta l’influenza esercitata nella città meneghina da Pino “Mussuni” Ferraro. Una lettera che in calce porta solo la scritta “Pino”, ma che, sostiene l’accusa, presenta la medesima grafia dello zio della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce. Una lettera “raccontata” dal colonnello Pisani, in forza al Gico della guardia di finanza di Milano che ha curato le informative per conto dei giudici antimafia milanesi, in cui Ferraro richiamava all’ordine lo stesso Biagio La Schiavone e Martelli, decide la Cassazione La procura generale impugna il proscioglimento, la Corte manda gli atti a Roma di Cassazione indicherà una data nella quale le parti discuteranno della questione. Ricordiamo che, la Suprema corte, si era già pronunciata, su richiesta delle difese, sulla posizione dei due ex amministratori della Piana di Gioia Tauro, accusati di avere cercato di agevolare la riabilitazione di Gioacchino piromalli junior, condannato a risarci- re in solido i comuni dell’area portuale dopo essere stato condannato per associazione mafiosa nel processo “Porto”. In quel caso, la Cassazione aveva ritenuto che non ci fossero gli estremi per la custodia cautelare scarcerando Martelli, all’epoca primo cittadino di Rosarno appena decaduto, e Schiavone, ex vicesindaco di Gioia. I giudici infat- ti avevano ritenuto non sussistere gravi indizzi di colpevolezza a loro carico. Per lo stesso capo di imputazione era stato rinviato a giudizio Giorgio Dal Torrione, ex sindaco di Gioia Tauro, assolto in primo grado e per il quale, la procura generale, ha chiesto la conferma della sentenza del Tribunale di Palmi. Francesco Altomonte EX SINDACO Martelli L’influenza di “Mussuni” sugli equilibri milanesi “All inside”, in aula la lettera di Ferraro a Biagio La Rocca IL PROCESSO Il Tribunale di Palmi Rocca (figlio di Carmela Pesce, sorella del mammasantissima Antonino), che negli ultimi tempi aveva creato problemi al clan con alcune dichiarazioni che avrebbero potuto minare i rapporti economici vigenti nel capoluogo lombardo. Tutto ruota attorno alle estorsioni legate al mondo della gestione dei locali notturni e dei “paninari” che gravitano nelle vicinanze degli stessi locali. «Ci sono diverse intercettazioni tra La Rocca e il suo sodale Colombo – racconta il colonnello al Presidente del collegio giudicante Concettina Epifanio – che non lasciano dubbi sulla natura dei loro interessi. I due si occupano del “recupero crediti” per conto della famiglia Flachi (cosca di origine calabrese ma che opera in Lomabrdia, ndr) e La Rocca si lamenta spesso perché i rapporti di forza all’interno del clan sono cambiati con la nuova guida del reggente. Dissidi che avrebbero portato La Rocca a ipotizzare l’inserimento negli affari di altre famiglie in sostituzione dei Flachi». Ma al boss rosarnese Pino Mussuni, l’idea non va proprio a genio – troppo delicati e redditizi gli equilibri criminali ormai cristallizzati per modificarli – e nella lettera lo mette nero su bianco, richiamando il sodale al rispetto dei ruoli e delle competenze. VINCENZO IMPERITURA [email protected] inchiesta “cafè de paris” Chiesti 28 rinvii a giudizio Per la procura gli indagati sono “teste di legno” degli Alvaro PALMI - La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di 28 persone appartenenti ad una cosca collegata al clan della 'ndrangheta degli Alvaro. Sono tutti accusati di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all'acquisizione di quote societarie, prevalentemente bar e ristoranti, eludendo così la normativa riguardante le misure di prevenzione antimafia. Al centro dell'inchiesta l'acquisto di quote societarie che venivano poi intestate a soggetti di comodo molti dei quali già al centro di un procedimento della procura di Reggio Calabria. L'iniziativa della magistratura romana punta a chiarire la natura sospetta di una molteplicità di investimenti finanziari effettuati a Roma, come l'acquisizione di quote di socie- SEQUESTRATO Il Cafè de Paris di via Veneto a Roma tà che gestiscono esercizi commerciali che hanno destato l'attenzione dei carabinieri del Ros. Secondo chi indaga Vincenzo Al- varo, attualmente agli arresti domiciliari , avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali a Roma intestati a teste di legno. Tra i locali finiti nelle mani della cosca ‘ndranghetista il noto "Cafè de Paris", già al centro di altre vicende giudiziarie. Poi il "Gran Caffè Cellini" in piazza Alfonso Capecelatro, il "Time out Cafè" di via di Santa Maria del Buon Consiglio, il ristorante "la Piazzetta" in via Tenuta di Casalotto, il bar Clementi di via Gallia, il bar Cami di viale Giulio Cesare, il bar California in via Bissolati, il ristorante "Federico I" in via della Colonna Antonina, la società di pulizie "Miss Clean". L'indagine culminò nel giugno dello scorso anno con 17 perquisizioni e il sequestro dei bar "Pedone" al Tuscolano e "Il naturista" in zona Salaria. L’indagine, avviata nel 2007 dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, documenta la penetrazione della cosca Alvaro nell'economia della capitale. Sulle richieste il gup si pronuncerà il 20 febbraio prossimo. [email protected] Porto, sequestrati 90mila profilattici contraffatti Un container con 90mila profilattici contraffatti è stato bloccato ieri mattina al porto di Gioia Tauro. L'operazione è stata condotta dalla guardia di finanza di Gioia Tauro in collaborazione con i funzionari della Dogana. Il container era proveniente dalla Cina e aveva come meta finale l'Albania. L'operazione, coordinata dalla procura di Palmi, ha consentito, l’individuazione del carico sospetto occultato tra altri prodotti “made in China”, in un contenitore imbarcato nel porto cinese di Ningbo. La merce, destinata in Albania e il cui valore di mercato si aggira intorno ai 15mila euro, è stata sottoposta ad un esame da parte dei tecnici di una nota società titolare del marchio, i quali hanno confermato l’intuizione dei finanzieri e dei funzionari doganali, ossia che i prodotti recavano un marchio illecitamente riprodotto. Già nello scorso settembre i Finanzieri del gruppo di Gioia Tauro e i Funzionari della locale Agenzia delle Dogane avevano eseguito il sequestro di oltre 3 milioni di prolifattici contraffatti sempre provenienti dalla Cina e diretti in Albania. Sono in corso le indagini tese ad individuare i responsabili dell’illecita importazione di merce contraffatta. r. p. CRONACA Sottratti alle Fdc 200 litri di gasolio A Taurianova, ignoti hanno asportato dai serbatoi di tre autobus della società “Ferrovie della Calabria”, circa 200 litri di gasolio. Cosoleto, rotti infissi della scuola A Cosoleto, nel corso della notte ignoti hanno danneggiato le porte e gli infissi, della ex scuola media. dal POLLINO alloSTRETTO calabria ora GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 6 “luce tra i boschi” ’Ndrina... istituzionale: 30 arresti nel Vibonese Un momento della conferenza stampa In manette l’ex sindaco di Gerocarne: “eletto” dalla cosca Vent’anni di malavita ricostruiti dalla Dda di Catanzaro “SINDACO” L’ex sindaco di Gerocarne, ora finito in manette, Michele Altamura: la sua candidatura sarebbe stata decisa dalle famiglie di mala delle Pre Serre CATANZARO Dal 1989 al 2009. Vent’anni di storia scritta con il sangue dal locale di Ariola, a Gerocarne, nelle Preserre Vibonesi, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro. Un’organizzazione di ’ndrangheta caratterizzata da forti organismi statutari, ma anche da continue scissioni interne e da nuove leve che per contare all’interno della cosca dovevano uccidere. Boss e accoliti avrebbero avuto il controllo delle risorse economiche della zona, incidendo nei settori imprenditoriali, boschivo ed edilizio. È stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro, sfociata ieri nell’operazione “Light in the woods”, che ha portato all’esecuzione di 28 su 30 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip Tiziana Macrì, a fare luce sulla faida e a ricostruire la storia del locale. L’operazione è stata condotta dalla Squadra mobile di Catanzaro sotto la guida del dirigente Rodolfo Ruperti, coadiuvata dagli agenti delle altre quattro province calabresi, insieme a quelli di Torino, Firenze, Genova, Massa Carrara e Parma, e con l’ausilio dei Reparti di prevenzione crimine di Rosarno, Siderno e Cosenza. I dettagli sono stati illustrati ieri nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli - che insieme al sostituto pg Marisa Manzini e al pm Giampaolo Boninsegna hanno firmato la richiesta di ordinanza -, il procuratore generale Santi Consolo, il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, il capo della mobile Rodolfo Reperti, il vice capo della mobile Angelo Paduano e il responsabile della pg Massimiliano Russo. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, alla gestione illecita de- gli appalti pubblici banditi dall’amministrazione comunale di Gerocarne, alle estorsioni, ai danneggiamenti, ai reati in materia di armi ed esplosivi, alla turbativa dei pubblici incanti. L’epicentro degli affari, secondo gli investigatori, era la frazione di Ariola, a Gerocarne, con a capo Antonio Altamura, 65enne già arrestato nell’operazione “Crimine”, lo zio di Michele Altamura, ex sindaco di Gerocarne finito ieri in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. La carriera politica di Altamura, eletto a primo cittadino nel 2005, secondo i magistrati catanzaresi sarebbe stata pianificata dallo zio presunto boss, e la sua candidatura a sindaco sarebbe stata il frutto di un accordo interno alle varie famiglie appartenenti al “locale” di ’ndrangheta. Prima assessore e poi sindaco, Michele Altamura avrebbe fornito il suo supporto alle cosche avvalendosi del suo ruolo istituzionale. Le ’ndrine, in questo modo, sarebbero riuscite facilmente ad infiltrarsi nella gestione degli appalti pubblici del Comune di Gerocarne. Secondo gli inquirenti, Altamura si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati al fine di ottenere i lavori di tre appalti pubblici. I primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono ai tempi del sequestro di Carlo Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla Squadra mobile di Venezia venne fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. I killer fecero però un errore: avevano lasciato sul posto del delitto dei telefonini che hanno poi consentito agli investigatori, anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia di arrivare, dopo sette anni di indagini, all’ordinanza del gip. I TRENTA ARRESTATI DI “LIGHT IN THE WOODS” 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. Antonio Altamura Nazzareno Altamura Vincenzo Loielo Giovanni Loielo Rocco Loielo Michele Rizzuti Antonio Condina Giuseppe Taverniti Francesco Taverniti Leonardo Bertucci Antonio Gallace Nazzareno Gallace Vincenzo Taverniti detto “Cenzo D’Ariola” Michele Altamura Ilario Chiera Giuseppe Prestanicola Bruno Emanuele Gaetano Emanuele Franco Idà Vincenzo Bartone Francesco Maiolo Angelo Maiolo Francesco Maiolo Francesco Capomolla Piero Sabatino Salvatore Zannino Salvatore Grillo Giuseppe La Robina Giuseppe Degirolamo Pasquale De Masi 65 anni 46 anni 64 anni 57 anni 60 anni 49 anni 51 anni 34 anni 37 anni 41 anni 46 anni 40 anni 52 anni 41 anni 70 anni 59 anni 39 anni 36 anni 46 anni 43 anni 32 anni 27 anni 28 anni 28 anni 29 anni 33 anni 32 anni 21 anni 21 anni 30 anni GABRIELLA PASSARIELLO [email protected] la parola agli inquirenti LUTTO L’editore il direttore i giornalisti i poligrafici e il personale amministrativo di Calabria Ora partecipano al lutto che ha colpito il collega Marco Cribari per la perdita del caro zio Attilio Perrelli Branca Cosenza, 25 gennaio 2012 «Un’indagine complessa, ultimata nonostante la carenza di organico» CATANZARO Sette anni d’indagine. Forse troppi, nonostante il forte impegno. Come ha detto ieri nel corso della conferenza stampa il procuratore capo di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, la giustizia «tarda ad arrivare ma prima o poi arriva». La causa? «La Procura di Catanzaro è sottodimensionata, ha un organico al limite del sostenibile e in questi anni si sono trovati rimedi non adeguati ai mali con continue richieste di applicazione di magistrati provenienti da altre Procure». L’esito delle indagini che ieri ha portato ventotto arresti sui trenta disposti con ordinanza dal gip, è stato possibile grazie all’applicazione di un magistrato della Procura generale, Marisa Manzini. « In questa operazione sono state emesse misure restrittive nei confronti di persone coinvolte tutte in associazione a delinquere di stampo mafioso - ha detto il procuratore generale Santi Consolo - con reati satellite che vanno dall’omicidio, alle estorsioni alla turbativa d’asta. A dimostrazione che la ’ndrangheta è la più forte e la più aggressiva tra le organizzazioni criminali. Se si vuole cambiare rotta nella battaglia alla criminalità occorre una rivisitazione dell’organico. Non è più accettabile andare avanti con provvedimenti di applicazione». La storia della locale di ’ndrangheta è stata rico- struita tassello per tassello dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dal sequestro di Marco Celadon all’attentato intimidatorio compiuto ai danni del sindaco di Arena Gesuele Schinella, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi, a Bruno Emanuele prima braccio destro dei fratelli Loielo e poi arrestato con l’accusa di averli uccisi entrambi. A Emanuele non sarebbe bastato più essere affiliato al clan. Secondo gli inquirenti Bruno Emanuele avrebbe così dato seguito alle sue aspirazioni di diventare boss, cosa che poi effettivamente si sarebbe verificata grazie alla collaborazione criminale tra lo stesso Emanuele e i Maiolo, intercorsa negli anni successivi all’omicidio dei Loielo. Un’attività investigativa complessa non solo per la tipologia di attività svolta e per la carenza di organico, ma anche per le condizioni in cui spesso è costretta a muoversi la mobile. «Questa operazione ha presentato aspetti ardui - ha affermato il dirigente della mobile Rodolfo Ruperti - ci siamo trovati a lavorare in case inavvicinabili con cani robusti, liberi e pericolosi. Nel coordinamento ci siamo avvalsi delle Squadre mobili di Torino, Lucca e Massa Carrara». ga. pa. GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 27 l’ora di Vibo Telefono: 0963.547589 - 45605 Fax: 0963.541775 Mail: [email protected] - [email protected] L’OPERAZIONE LA PROTESTA Mafia, omicidi appalti e politica trenta arresti > pagine 28 e 29 Autotrasportatori paralizzata anche Vibo Marina > pagina 30 PIZZO MILETO Psc, Nicotra contro la proposta di Stillitani Accesso agli atti Comune in attesa delle risposte > pagina 30 > pagina 31 Il saluto del prefetto alla città E il ringraziamento delle istituzioni: «E’ stato un onore lavorare con lei» «Quando il ministero chiama noi andiamo». Luisa Latella non si sottrae ai propri doveri istituzionali. Lascia Vibo «con rammarico», consapevole di dover assumere un incarico di grande responsabilità. A Palermo l’attendono i “forconi”, ed una situazione non facile da gestire. Non per questo, lei, si chiama fuori. Anzi, le sfide sono il suo pane quotidiano. Da buon servitore dello Stato non si sottrae a quelli che sono i compiti di un prefetto in trincea. Il monito per chi resta è di proseguire, «tutti insieme», lungo il percorso avviato, senza lasciarsi intimorire dalle difficoltà quotidiane, consapevole di cedere la Prefettura in buone mani. «Vi lascio in eredità - chiosa uno staff preziosissimo e preparato, fatto di gente che lavora con dedizione e spirito di servizio». Gente, giovane e meno giovane, che, in questi anni, condivide con lei la passione per il proprio lavoro, certi dell’importanza di operare in un contesto difficile, mai sazio di legalità. Per ciascuno di loro Luisa Latella ha un pensiero affettuoso, di ringraziamento. Cita i nomi dei componenti del suo staff uno ad uno, avendo cura di non dimenticare nessuno. Il suo essere donna forte e di carattere non è svilito da quella emozione Il prefetto Luisa Latella con i vertici delle Fiamme gialle che contraddistingue un rappresentante dello Stato che non vuole «andare via nella notte». L’atmosfera che si respira è familiare. Del resto, per tutti, rimane un punto di riferimento importante. Si commuove, quasi fino alle lacrime, il viceprefetto vicario Stefania Caracciolo, nel consegnare alla Latella un pensiero a nome di tutto il personale dell’Utg. Parole semplici ma efficaci: «Ringrazio il prefetto in questa giornata lieta per lei, triste per noi. E’ stato un onore lavorare al suo fianco. E’ stata, è sarà sempre, un punto di riferimento per tutti noi». La La- tella, di rimando chiede ai suoi collaboratori di riservare l’identico supporto a «chi verrà dopo di me». Poi è la volta dei saluti dei rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine. Franco Sammarco rompe il ghiaccio, ricordando l’impegno di un «servitore dello Stato che ha lasciato il segno nella comunità», unitamente all’augurio per «una luminosa carriera». Il sindaco Nicola D’Agostino imprime sulla carta il suo saluto, consegnandolo nelle mani della Latella che lei condivide con i presenti. Parola di ringraziamento anche da parte del pre- sidente della Provincia, Fran- lo, e quello della Benemerita cesco De Nisi, e delle organiz- con il tenente colonnello Dazazioni sindacali di Cgil, Cisl, niele Scarnecchia, che ricorda Uil e Ugl, rappresentati da Vit- il «coraggio delle donne, supetoria Toscano, Sergio Pititto, riore a quello di noi uomini». Luciano Prestia e Domenico Per il questore Giuseppe CucRusso, mentre il segretario na- chiara «è stato un onore lavozionale della Cisal, Francesco rare con un grande prefetto». Cavallaro, la Simpatico raggiunge tel’ingresso dei le parole lefonicamenvertici della te. Incisivo il Guardia di fidella latella saluto di nanza. «Non Lascio in monsignor si preoccupi», eredità uno staff Giuseppe è l’esordio di Fiorillo, che prezioso, a cui Giovanni Lericorda come, gato, Michele con lei, « Vibo chiedo di riservare Di Nunno e può conti- l’identico supporto Paolo Marzio, nuare a speche le consea chi verrà rare sul fatto gnano un che qualcosa dopo di me pensiero per possa camdirle «grabiare davvezie». Il finale è ro. A noi il compito di far ger- per i suoi più stretti collaboramogliare ciò che è stato semi- tori, il «prezioso staff della nato». Per il magistrato Santi Prefettura», prima che Luisa Cutroneo, «con il sorriso dei Latella, in procinto di apprograndi se ne va un pezzo dello dare a Palermo dopo la ratifiStato che ricorderemo per le ca da parte del Consiglio dei sue qualità», augurandole «di ministri, attesa per domani, si raggiungere sempre maggiori congedi dalla città con l’augutraguardi». Di punto di riferi- rio affinché «tutti voi, possiamento parla anche il giudice te lavorare per costruire un fuFabio Regolo, che si congeda turo degno di quella straordidalla Latella con una promes- naria storia che questo territosa: «Lavoreremo con più inci- rio è in grado di esprimere. Vi sività per mettere a frutto gli porterò sempre nel cuore». insegnamenti del prefetto». Luisa Latella lascia, per altri Non manca il saluto della prestigiosi incarichi. Salvatore Berlingieri stampa, affidato a Peppe Sar- la precisazione Carburante al 118 Talesa chiarisce: garantito dall’Asp In merito alla notizia apparsa ieri sulla presunta mancanza di fondi ai quali gli operatori del 118 avrebbero fatto fronte personalmente per pagare il carburante delle autoambulanze, il direttore del Suem, Antonio Talesa, smentisce categoricamente: «Quanto riportato non corrisponde al vero. La commissione dell’Asp è stata da subito sensibile al problema, interessando gli organi istituzionali preposti, ovvero la Prefettura, attivando tutti i mezzi per scongiurare l’eventualità di una mancanza di carburante. Eventualità che, tengo a precisare, non si è mai verificata, né si verificherà dato che è stata posta in essere un’attività volta ad eliminare ogni possibilità del genere. Il carburante nelle autoambulanze, inoltre, nonostante il blocco, viene comunque garantito e pagato dall’Asp». omicidio muller «Assoluzione per i Bellissimo» La richiesta del pm Mario Spagnuolo per «insufficienza di prove» Assoluzione per insufficienza di prove. È questa la richiesta del procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, avanzata alla Corte d’Assise di Catanzaro nei confronti di Domenico e Michele Bellissimo, fratelli di 31 e 34 anni, di Soriano Calabro, imputati per l’omicidio dell’agricoltore 61enne Giuseppe Muller, ucciso a colpi di fucile nel pomeriggio del primo novembre del 2008 a bordo del suo trattore. La decisione del pubblico ministero è maturata in seguito all’analisi della superperizia effettuata dagli ingegneri balistici Claudio Gentile e Pietro Benedetti, la quale non ha dipanato tutti i dubbi sugli elementi di compatibilità tra le particelle chimiche cristallizzatesi nello stub, sugli indumenti degli imputati, sugli indumenti della vittima e su tutti gli altri elementi balistici repertati. Il procuratore, insomma, si è attenuto ai fatti: non essendoci certezza del reato ha chiesto l’assoluzione per insufficienza di prove. «Non si chiede l’ergastolo per qualcuno - ha com- mentato - se vi sono dei dubbi sulla vicenda». Le risultanze della superperizia, infatti, erano discordanti rispetto a quelle cui erano giunti i Ris di Messina. Proprio sulla «inefficacia probatoria» delle perizie balistiche, effettuate dal momento dell’arresto dei fratelli Bellissimo, si sono incardinate le argomentazioni difensive portate avanti dall’avvocato Enzo Galeota, coadiuvato dai colleghi Michele Ciconte e Francesco Sorrentino, i quali hanno sostenuto sin dall’inizio che gli elementi portati a carico dalla Procura non potevano assurgere a prova certa. Domenico e Michele Bellissimo, cugini della vittima, erano stati arrestati dai carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno il 19 febbraio 2010. I motivi dell’omicidio, secondo l’accusa, erano da ricondurre a dissapori familiari alimentati dal pascolo abusivo delle pecore dei fratelli Bellissimo sul terreno di Giuseppe Muller. La conclusione cui si è giunti ieri, comunque, non era da considerare remota data proprio la IMPUTATI I fratelli Domenico e Michele Bellissimo difficoltà che gli inquirenti hanno avuto nel condurre le indagini (basate su una mole di indizi), in particolare per il «contesto di assoluta omertà fu spiegato nella conferenza stampa del febbraio 2010 - intorno al quale si era verificato il fatto di sangue». Il presidente della Corte d’Assise di Catanzaro, Giuseppe Neri, ha quindi disposto il rinvio dell’udienza al prossimo 7 febbraio, giorno nel quale la Corte scioglierà le riserve e deciderà se accogliere la richiesta del pm. Giuseppe Mazzeo 28 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 calabria ora V I B O “luce tra i boschi” LO STATO Un momento della conferenza stampa di ieri a Catanzaro, nel corso della quale gli inquirenti hanno illustrato i dettagli dell’operazione che ha portato all’arresto di trenta persone Il settore boschivo era appetibile, nelle montagne vibonesi può far fruttare tanti quattrini. Quello edile non era da meno. Tutto condito da una buona dose di “influenza” nella pubblica amministrazione, per garantirsi appalti nei lavori pubblici. Il “locale” di Ariola - secondo la Squadra mobile e la Dda di Catanzaro - dettava legge. E lo faceva «attraverso la forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo - scrive nell’ordinanza il gip Tiziana Macrì - e le conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano nei territori in cui è insediata la consorteria criminale». Il centro nevralgico della presunta associazione mafiosa è Ariola, la minuscola frazione di Gerocarne bagnata dal sangue negli ultimi vent’anni. Sangue di morti ammazzati in guerre infinite. Per spartirsi il territorio, per prendere il comando. L’operazione “Light in the woods - Luce nei boschi” ha scattato una fotografia limpida delle dinamiche criminali e del controllo della zona operato dai trenta indagati ammanettati ieri mattina all’alba. Delitti contro il patrimonio e la persona, «con totale e preventiva accettazione della necessità di compiere azioni ben più gravi per garantirsi l’assoluto controllo del territorio, per stroncare qualunque infiltrazione e per eliminare qualsiasi opposizione», attuati con «disponibilità di armi comuni e da guerra», attraverso il «reclutamento e la iniziazione ai riti di ammissione alla società ‘ndranghetistica con attribuzione di gradi ed osservanza di rituali». Questi gli elementi alla base dell’associazione descritti dal gip. Un’associazione di tipo «militare». Lassù, ad Ariola, si tenevano «riunioni mafiose per disporre spartizioni di territori», per predisporre «meccanismi di controllo dell’attività amministrativa pubblica», sfruttando le potenzialità economiche «sulla base di un criterio di rigida territorialità». Le riunioni, inoltre, si tenevano anche per «comporre controversie tra aderenti all’organizzazione, per imporre, ove necessario, la pacificazione». E dove non c’era pace, c’era morte. Di rivali, ma anche di affiliati. Al vertice di tutto vi sarebbe Antonio Altamura, «“capo società” del locale e come tale riconosciuto anche dai vertici Il “locale” dell’Ariola tra malavita e appalti I ruoli degli arrestati Al vertice del gruppo Emanuele e Altamura Affari e territorio da spartire Alla base delle attività del presunto sodalizio criminale la divisione dei proventi illeciti frutto di estorsioni e appalti del Comune di Gerocarne Capo società e cosche affiliate Al vertice del locale vi sarebbero Antonio Altamura e Bruno Emanuele. Sotto di loro i «delegati» nei centri limitrofi, Dasà, Soriano, Arena... della ‘ndrangheta calabrese». Oggi. Perché dal 1989 al 1991 a Gerocarne comandavano Vincenzo e Giovanni Loielo (classe ‘47). Poi loro furono arrestati, e il bastone passò nelle mani del fratello Francesco. Nel 1994 anche Francesco finì in carcere, e il suo posto lo presero i suoi cugini, i fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo (classe ‘66). Caddero in un agguato, Giuseppe e Vincenzo. Il 22 aprile 2002. Per quell’omicidio è accusato, oggi, colui che prese il comando allora: Bruno Emanuele. Che per gli inquirenti ha assunto i compiti di decisione dell’articolazione militare della cosca dell’Ariola, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere, degli obiettivi da perseguire. Sostituito, nei suoi periodi di detenzione, dal fratello Gaetano. Tutti gli altri «rami della cosca», oggi, sarebbero sotto di lui. Ad Arena il controllo lo avrebbe assunto Antonio Gallace, il quale, essendo detenuto, avrebbe incaricato per la “reggenza” Nazzareno Gallace. Dasà ed Acquaro un tempo erano controllati dai fratelli Loielo fin quando erano in vita; e per loro conto da Enzo Taverniti, ora collaboratore di giustizia. Dasà ed Acquaro oggi sarebbero sotto il controllo dei fratelli Francesco (classe ‘79) ed Angelo Maiolo, e dei cugini cugini Francesco Maiolo (classe ‘83) e Francesco Capomolla. A Soriano Bruno Emanuele avrebbe «delegato» Salvatore Grillo. Mentre lui direttamente, «e i suoi più stretti sodali», avrebbero il controllo dei comuni di Sorianello, Pizzoni e Vazzano. L’impalcatura accusatoria, basata su anni di indagine, ha permesso inoltre di delineare i compiti e i ruoli di ognuno dei presunti affiliati al locale dell’Ariola. Ad affiancare Antonio Altamura vi sarebbe il congiunto Nazzareno Altamura, che agiva in qualità di «azionista sin dall’epoca in cui il gruppo era militarmente capeggiato dai Loielo». Rocco Loielo, dopo l’omicidio dei cugini Giuseppe e Vincenzo, si era prodigato per avere ogni notizia del fatto e pianificare eventuali vendette. Stesso ruolo di Michele Rizzuti, che secondo il gip avrebbe effettuato danneggiamenti per estorsioni e avrebbe sostenuto l’azione dei capi. A disposizione di Vincenzo e Giovanni Loielo, invece, vi era Antonio Condina, il quale avrebbe assunto anche «compiti operativi». Giuseppe Taverniti pianificava le azioni da compiere ad Arena «per accaparrarsi utili illeciti provenienti da attività delittuosa», su delega di Antonio e Nazzareno Gallace. Francesco Taverniti è il titolare dell’impresa riconducibile anche a Leonardo Bertucci. Impresa che si sarebbe accaparrata i lavori appaltati dal Comune di Gerocarne. Lo stesso Bertucci, poi, avrebbe mantenuto i rapporti tra i diversi partecipi del gruppo e il capo locale Antonio Altamura. Vincenzo Taverniti aveva il compito di «mantenere la potenza della cosca, anche attraverso l’esecuzione di omicidi di soggetti contrapposti al gruppo di appartenenza». L’appoggio dall’amministrazione comunale veniva dato - riportano le carte giudiziarie - da Michele Altamura, prima assessore e poi sindaco di Gerocarne. Ilario Chiera si sarebbe occupato di acquisire i lavori pubblici, come il taglio dei boschi appaltato dal Comune, «in collaborazione e concorso con il capo locale Altamura», mentre a fungere da «collettore delle estorsioni a favore del gruppo» era Giuseppe Prestanicola. Al fianco di Bruno Emanuele vi erano Franco Idà, che lo avrebbe sostenuto nel periodo di latitanza, e Vincenzo Bartone, «uomo di fiducia», che si occupava del «sostentamento dei sodali». Piero Sabatino, coinvolto pure in “Ghost”, per gli inquirenti è l’alter ego di Bruno Emanuele e «predilige il settore del traffico di stupefacenti». Alla consorteria avrebbero partecipato, con funzioni di «appoggio» ai capi, anche Salvatore Zannino, Giuseppe De Girolamo e Giuseppe La Robina, e Pasquale De Masi. Trenta persone, un capo. Nei boschi dell’Ariola. Giuseppe Mazzeo Antonio Altamura Bruno Emanuele Michele Altamura Nazzareno Altamura Vincenzo Bartone Leonardo Bertucci Francesco Capomolla Ilario Chiera Antonio Condina Pasquale De Masi Gaetano Emanuele Antonio Gallace Nazzareno Gallace Salvatore Grillo 29 GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 calabria ora V I B O “luce tra i boschi” Bruno Emanuele story Da cane sciolto a padrino Franco Idà Giovanni Loielo Rocco Loielo Vincenzo Loielo Angelo Maiolo Francesco Maiolo (‘79) Francesco Maiolo Giuseppe Prestanicola Michele Rizzuti Piero Sabatino Francesco Taverniti Giuseppe Taverniti Vincenzo Taverniti Salvatore Zannino Un’ascesa scritta nel sangue delle Preserre vibonesi Bruno conobbe la guerra da bambino. Aveva cinque anni quando gli ammazzarono il padre. Si chiamava Nazzareno Salvatore, Emanuele il cognome. Era un pezzo da novanta della mala in Vazzano e dintorni. Fu ucciso il 28 marzo del 1978, un delitto che porta alle radici della prima faida dei boschi. Bisogna andare indietro nel tempo, ad una sagra paesana del 1963. Quel giorno s’incrociò il cammino di due capobastone: uno era Bruno Vallelunga, capostipite dei «viperari delle Serre», l’altro era don Nazzareno. Duellarono a colpi di coltello ed il primo sfregiò il viso del rivale. Usciti di galera i due s’incontrarono di nuovo. Ed Emanuele pretese che fosse Vallelunga a pagare l’intervento di plastica facciale per cancellare lo sfregio. L’impegno assunto non fu mantenuto, così il 22 settembre del 1977 Bruno Vallelunga finì morto ammazzato. Ebbe inizio da qui la prima faida dei boschi. Era destino che il primo a cadere, secondo la legge della vendetta, fosse Nazzareno Salvatore Emanuele. E così fu, sei mesi dopo l’uccisione di don Bruno: il 28 marzo del ’78, appunto. Venne subito arrestato Cosimo Vallelunga, nipote del patriarca dei viperari, che inchiodato dal guanto di paraffina confessò, mentre la guerra di mafia divenne una carneficina. Bruno intanto cresceva. Nel 1985, quando al giustiziere del padre venne concessa la semilibertà, aveva tredici anni. Adottato da Gerocarne osservò l’esplosione di un’altra guerra, nella quale, all’epilogo dopo quattordici anni, ci finì mani e piedi, ed in piedi, da boss. Era il 13 marzo 1989 e Vincenzo Loielo, uomo d’onore della «società dell’Ariola», cadde in un’imboscata. Fu ordita dai Maiolo, potente famiglia d’Acquaro, ammanicata coi viperari delle Serre e le cosche dell’Angitolano. Loielo salvò però la pelle: il suo destino era quello di finire in carcere, coi fratelli, per il sequestro Albanese. Fino ad allora, e pure dopo, la famiglia Loielo ebbe tempo e modo per regolare i conti. E così, uno dietro l’altro, vennero giustiziati Antonio Donato, Gaetano Inzillo e Raffaele Fatiga. E Rocco Maiolo. Lupara bianca per lui, così come per Antonio Maiolo, che s’era messo a cercare mandanti ed esecutori dell’omicidio del fratello. Lupara bianca anche per Placido Scaramozzino, che i Loielo ritenevano un accoscato ai nemici sol perché «accompagnava Ciccio Maiolo», cugino dei capi d’Acquaro. Poco prima venne liquidato pure Giuseppe Gallace. Una scia di sangue che si protrasse per tutti gli anni ’90 e che assestò i fragili equilibri che Bruno Emanuele, ad un certo punto, all’alba del nuovo millennio, decise di fare saltare, per prendersi tutto. Non era più un «cane sciolto», cooptato dai Loielo dopo la scarcerazione per una rapina avvenuta a Vazzano. S’era fatto le ossa, aveva provato il carcere ed aveva una banda alla quale fu affidato il controllo dei territori di Pizzoni, Sorianello e Vazzano, sempre per conto dei “grandi”. Rispetto ai capi via via divenne sempre più autonomo, osando perfino sfidare l’ingerenza dei Mancuso nelle zone a lui inizialmente delegate. Due anni gli bastarono per compiere quel duplice delitto che avrebbe aperto un nuovo capitolo del romanzo criminale nelle Preserre: il 22 aprile del 2002 fu lui, secondo gli inquirenti, ad assassinare Vincenzo Loielo e Giuseppe Loielo. Un anno dopo, il 25 ottobre 2003, un’altra strage, ad Ariola di Gerocarne, questa ancora da chiarire: massacrati sotto una pioggia di fuoco i cugini Giovanni e Francesco Gallace e Francesco Barilaro; si salvò il solo Antonio Chiera. La vecchia società dell’Ariola finì tra la galera ed il sangue. Dei vecchi capi-bastone restava solo ’Ntoni Altamura. Ma il boss, quello vero, quello temuto delle Preserre, ora è lui. Ed è in carcere. Culmine ed epilogo della sua storia criminale. p.com. la conferenza stampa Il procuratore generale: «Ruperti è il migliore» «I miei complimenti a Rodolfo lupara bianca, sui quali Ruperti aveRuperti, nel suo settore è il miglio- va iniziato ad indagare quando si trore». Parole, testuali, espresse dal pro- vava a Vibo Valentia. Le indagini sue curatore generale di Catanzaro San- e dell’allora pm Marisa Manzini aveti Consolo a margine della conferen- vano colpito al cuore il clan Mancuza stampa tenuta ieri, da magistrati so di Limbadi e, via via, tutte le maged ufficiali di polizia giudiziaria, per giori cosche del Vibonese, fino ad alillustrare i dettagli della maxiopera- lora mai riconosciute con sentenze zione “Light woods – Luce nei bo- passate in giudicato dalla magistraschi”, attraverso la quale è stata deca- tura. Sulle Preserre, d’altronde, il lapitata un’organizzazione criminale voro non è ancora terminato. Adesevolutasi dopo vent’anni di faide e at- so è contestato ad una parte degli intentati nei boschi delle Preserre vi- dagati raggiunti dalla misura cautebonesi. Il superpoliziotto già alla gui- lare anche l’omicidio di Rocco Maioda della Squadra mobile di Vibo Va- lo e Raffaele Fatiga. Restano però dilentia, prima di passare a Caserta e, versi altri casi d’omicidi da risolvere e ancora altri morpoi, a Catanzaro, con l’operazione ti da sotterrare condotta a termine ieri, che reca la tra i boschi firma - oltre che del procuratore Andelle Presertonio Vincenzo Lombardo, dell’agre. giunto Giuseppe Borrelli e del pm Giampaolo Boninsegna - anche del sostituto procuratore generale Marisa Manzini, aggiunge così un altro riconoscimento alla sua carriera. Ciò dopo aver riassemblato, con l’informativa depositata nel 2011, sette anni d’indagini condotte su un santuario pressoché inviolato dalla controffensiva che le forze inquirenti, sin dal 2003, avviarono sul territorio vibonese. “Luce nei boschi”, dopo l’arresto di mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Placido Scaramozzino e del duplice delitto dei fratelli Loielo, apre uno squarcio su uno dei capitoli più sanguinari della storia della ‘ndrangheta, con una scia d’omicidi e morti di Il capo della Squadra mobile di Catanzaro Rodolfo Ruperti