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8 Primo piano
Giovedì 26 gennaio 2012
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“Light in the woods”
di GIANLUCA PRESTIA
Colpo alla cosca di Ariola, nel Vibonese: 30 arresti in tre
province. Svelato il sistema delle infiltrazioni negli appalti
La strage
di Ariola
rappresentò
il culmine
da sinistra: Borrelli, Lombardo, Consolo, Roca e Ruperti
L’INTERCETTAZIONE
LA CURIOSITÀ
La “mala” elegge anche un sindaco
In manette il nipote del boss Altamura
alla guida del Comune di Gerocarne
CATANZARO-La ‘ndrangheta del
localedi AriolaaGerocarne chefaceva capo alle famiglie Loielo e
Maiolo tra il 1994 e 1991 aveva ben
radicato le sue radici sul territorio
costituendo una consorteria mafiosa con il riconosciuto capo del
locale, Antonio Altamura. Il locale
aveva influenza sui paesi del circondario e grazie alla forza intimidatrice derivante dal voncolo asociativo, teneva sotto scacco l’intero
territorio delle Preserre vibonesi
da Gerocarne a Sorianello, Soriano calabro, Dasà, Arena e Acquaro. Gli interessi della cosca erano
indirizzati prevalentemente al
controllo e allo sfruttamento delle
risorse ecomnomiche. In particolare dei settori imprenditoriali boschivo ed edilizio, come emerge
dalle carte dell’operazione “Light
in the woods” messa a segno ieri
dagli uomini della squdra mobile
di Catanzaro coordinata dalla
Dda. Ma soprattutto la cosca era
riuscita a mettere le mani sugli appalti pubblici grazie anche al fatto
che nel 2005 riuscì a fare eleggere
un suo uomo, Michele Altamura
nipote del boss del locale di Ariola,
Antonio Altamura.Un esempio acclarato della commistione tra mafia e politica che la dice lunga su come funzionano le cose in Calabria.Con questa “mossa del cavallo”, lacosca potè garantirsiper anni il controllo incontrastato del
territorio e stroncare ogni alzata
VIBO VALENTIA - Prima erano un'unica entità,
ma dopo il 1988 iniziarono a combattersi senza
esclusione di colpi. Quella che ha contrapposto la
famiglia dei Maiolo con quella dei Loielo affonda,
quindi, le sue radici nella fine degli anni '80. Questa zona delle Serre vibonesi diventa, quindi, teatro di morte. Un territorio evidentemente troppo
piccolo per entrambe le fazioni che miravano al
predominio dell'area e allagestione della più che
redditizia attività estorsiva ai danni degli imprenditori boschivi.
I Maiolo potevano contare sulle famiglie Emanuele-Oppedisano-Ida (Gerocarne, Soriano Calabro, Arena, Dasà, Acquaro, Dinami), mentre i
Loielo venivano affiancai dai Gallace; Mamone e
Nesci-Montagnese” (Fabrizia); Tassone (Nardodipace) e Oppedisano (Dinami).
La fine dell'unione dei due
sodalizi criminali avviene nel
mese di marzo del 1989 quando i due fratelli Vincenzo e
Giovanni Loielo, approfittando di alcuni benefici di
legge riuscirono a sottrarsi
alle maglie della giustizia iniziando un periodo di latitanza terminato con il loro arresto avvenuto nell'aprile del
1991. Durante questo biennio, i due avevano messo in
atto un'azione di contrasto del clan Maiolo divenuto rivale a seguito dell'agguato subito il 13
marzo 1989 da parte proprio di Vincenzo Loielo,
con l'uccisionedi diversi avversari. Traquesti figuravano Antonio Donato, Gaetano Inzillo, Rocco Maiolo e Raffaele Fatiga. Con i due fratelli tornati in carcere la cosca fu capeggiata militarmente da Francesco Loielo, almeno fino al 1994,
anno in cui finì anch'egli nelle maglie della giustizia per una condanna definitiva in quanto
coinvolto, insieme al fratello Vincenzo, nel sequestro di persona di Cataldo Albanese, di Massafra (TA). A descrivere con dovizia di particolari
la composizione della famiglia Loielo era stato il
collaboratore di giustizia Enzo Taverniti nel corso del processo “Domino”celebrato a Vibo Valentia e relativo al tentato omicidio di Bruno Nesci.
Avevaspiegatodiaver fattopartedelclancapeggiato dai fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo,
quest'ultimo suo cognato, che aveva esteso gli affari illeciti su Gerocarne, Pizzoni, Vazzano e Soriano, e successivamente di aver avuto nel clan
Loielo il grado di “capo giovane” sino al 22 aprile
del 2002, quando i due fratelli vennero eliminati
nella strage di Ariola, frazione di Gerocarne. Entrambi caddero sotto i colpi dei killer che crivellarono la Fiat-Panda sulla quale viaggiavano e gli
occupanti, riducendola ad un colabrodo.
Il 9 settembre del 2003, invece, lo stesso collaboratore di giustizia era riuscito a sottrarsi alla
morte. Gli avevano teso un agguato a colpi di arma da fuoco mentre si trovava in macchina nei
pressi di Acquaro, ma fece in tempo ad abbandonare il veicolo e a fuggire nella boscaglia. Episodio che portò alla condanna dei fratelli Maiolo
(Francesco ed Angelo, figli del desparecido Rocco, vittima di lupara bianca, e cugini dello stesso
Taverniti). Parlando della “società” della ndrangheta di Fabrizia, sempre il collaboratore aveva
riferito che questa era capeggiata da Umberto
Maiolo (assassinato il 2 agosto del 2003 a Gardone Valtrompia, in provincia di Brescia) che aveva
L’ex sindaco Michele Altamura
di testa da parte di qualunque imprenditore locale, ed eliminando
ogni ostacolo che si trovava sul suo
cammino. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, inchiodano
l’ex sindaco Michele Altamura, assessore anziano del Comune di Gerocarne, facendo emergere come
lui fosse parte integrante del progetto pianificato dallo zio Antonio
che nmirava a far crescere politicamente il nipote, allora laureando in Architettura. Come emerge
dalle carte della corposa ordinan-
za di custodia cautelare in carcere
che ha portato all’arresto di trenta
presunti affiliatial locale.In particolare c’è un’intercettazione in cui
l’ex sindaco di Gerocarne riferiva
al suo interlocutore, Franco Taverniti il proposito di aggiudicarsi
con la compiacenza di alcune ditte
edili del luogo, l’appalto per le opere fognarie da realizzare nel Comune di Gerocarne.
Franco- «Per la fognatura quanto
tempo passa?»
Michele-«Poi dipende... dopo
che... 15 giorni per l’affidamento...Poi la ditta si prende altri 15
giorni... si deve mettere qualcuno...devono(..) il materiale... l’importante che incominciamo prima
delle elezioni..poi!!»
Franco- «Subito se la prendo io...
subito.. inizio e finisco...!!
Michele-« Prima delle elzioni...
anche perchè a te se ti interessa»
Franco - «Non solo a me interessa...!»Michele- «Solo che lì abiamo
il problema.. prima devi fare il
tratto... altrimenti come fai... va be
che ».... Franco- «..Prima?»
Michele- «Prima devi fare il tratto a valle.. altrimenti come fai a
scaricare..»
Franco - «Come non ho capito
scusa»-Michele - «Una volta che
rompi là»
Franco - «No i maschi li faccimao a parte». Michele -«E quindi
inzi da là, dal tratto a valle».
a. f.
Il blitz anche in Toscana
UNO dei presunti appartenenti alla cosca di Ariola è' stato arrestato in provincia di Massa Carrara. Si tratta di Antonio
Condina, originario di Vibo Valentia, di
professione artigiano, che da qualche
anno si era trasferito a Casola, un piccolo paesino della Lunigiana, dove viveva
con la moglie e due figli. Lo hanno scovato gli uomini della Squadra mobile di
Massa. Anche per lui sono scattate le
manette per il 416 bis, associazione a
delinquere di stampo mafioso. Secondo
gli inquirenti, era un elemento di spicco
affiliato al clan. Adesso si trova in carcere a Massa.
La strage di Ariola, del 2003, in cui morirono Francesco e Giovanni Gallace e Stefano Barillaro
accanto a sé Bruno Nesci ed i fratelli Cosimo ed
Antonio Mamone. A metàdegli anni '90 sarebbero stati quindi i Loielo a nascondere nel territorio
di Gerocarne l'allora latitante Umberto Maiolo
che avrebbe voluto realizzare «un'industria di
acqua». E, al riguardo, aveva riferito, sempre nel
corso del processo “Domino”di aver portato a Fabrizia, insieme al cognato Vincenzo Loielo, “le
ambasciate”di UmbertoMaioloai fratelliMamone ed a Bruno Nesci.
Ma la strage tra i boschi serresi raggiunge il
suo apice la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini
Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito,
Ilario Antonio Chiera. Tutti si trovavano a bordo
di un fuoristrada quandoil commando, uscendo
all'improvviso dalla boscaglia, tese loro la trappola. Una tempesta di piombo con mitraglietta,
lupara e pistole; i bossoli e le ogive, non si contavano. Macol passare deglianni, e deimorti, nonchè degli arresti, la potenzialità di queste due
consorterie, dunque, per come scriveva sempre
la Commissione parlamentare antimafia, si era
ridotta «ma a Soriano c'è ancora una forte aggressività che è un rischio serio per lo sviluppo e
per le attività economiche in questa zona che venivano fatte oggetto di attentati dinamitardi.
Episodi criminosi di questo genere, finalizzati il
più delle volte all'estorsione, sono occasioni per
proporre e consolidare un controllo dei gruppi
criminali sul territorio, sulle realtà produttive e
sulla vita della società. Società che, intimorita da
questa presenza asfittica offriva - riportava ancora la relazione antimafia - scarsa collaborazione delle vittime con le attività investigative e con
le forze di polizia».
In questo contesto si inseriva anche l'uccisione di Placido Scaramozzino, il parrucchiere
43enne di Acquaro scomparso il 28 settembre
del 1993 e il cui cadavere non fu mai trovato. A
parlare delle modalità con le quali venne assassinato erano stati i collaboratori Taverniti e Francesco Loielo. Quest'ultimo aveva iniziato nel
2010 lasua collaborazionecon lagiustizia. Nelle
varie circostanze, i due collaboratori di giustizia
riferirono episodi fondamentali e preziosi che
portarono gli inquirenti a ricostruire una delle
pagine più cruentedella scia di sangueche negli
ultimi trent'anni ha toccato le Preserre.
Scaramozzino - secondo la prospettazione accusatoria - fu ucciso sulla scorta di meri sospetti
a causa della sua frequentazione con Antonio
Maiolo, boss locale antagonista del gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni fa Taverniti si trovava in macchina
conil cognatoVincenzoLoielo.E fuproprioquest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio
alla persona con l'auto bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola “357”dopo averlo estratto dalla macchina. Poi,
l'uomo venne legato e trascinato lungo un sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di spostare l'autovettura della vittima. Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il
clan rivale. Infine l'epilogo: Dopo aver scavato
una buca il parrucchiere fu denudato (lasciato
soloconglislip),lafaccia insuelemanilegatein
avanti e colpito con una zappa sul petto e alla testa.Dunque, lasepolturaquando eratramortito
ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle
Malogne” ad Acquaro, solo qualche giorno dopo
la scomparsa.
Per quell'episodio, il 13 aprile 2011 la il pm della Dda, Boninsegna, sulla scorta delle indagini
della Mobile di Catanzaro presentò un'ordinanza
di custodia cautelare al gip Tiziana Macrì, che
poi l'accolse, nei confronti di Antonio Altamura,
Antonio Gallace e Vincenzo Taverniti.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
La storia del locale
di ’ndrangheta
fino a oggi
che operano nella zona di Cassano Jonio (Cosenza), e con le famiglie di Rosarno (Reggio Calabria). Gli investigatori hanno anche saputo della partecipazione
ad un funerale svoltosi a Gerocarne, di Domenico Oppedisano, che
l’inchiesta
“Crimine-Infinito”
coordinata dalle Dda di Reggio
Calabria e Milano ha indicato come il capo “crimine” della 'ndrangheta e “custode delle regole
dell’associazione. Il procuratore
capo Lombardo e il procuratore
generale Consolo inoltre ieri hanno lanciato un Sos in merito al fatto che oggi l’organico della Dda di
Catanzaro è sottodimensionato e
non ha i mezzi sufficienti per contrastare un’organizzazione criminale come la ‘ndrangheta, una
tra le più potenti e pericolose al
mondo, con continue «richieste
di applicazione alle Procure circondariali di Cosenza, Crotone e
Vibo Valentia, con la conseguenza che la Dda è stata identificata
nel singolo magistrato».
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La guerra contrapponeva il gruppo dei Loielo a quello di Maiolo
Luce sulla faida
lunga vent’anni
tano Eamanuele, 36, di Gerocarne; Franco Idà, 46, di Gerocarne;
CATANZARO -Il Locale di 'n- Vincenzo Bartone, 43, di Gerodrangheta di Ariola, a Gerocarne carne; Francesco Maiolo, 32, di
nelle Preserre del Vibonese che fa Acquaro; Angelo Maiolo, 27, di
capo alla cosca Loielo - Maiolo poi Acquaro; Francesco Maiolo, 28,
scissi, tra il 1990 e il 2009 era di- residente in provincia di Torino;
ventata così potente da essere Francesco Capomolla, 28, di Geegemone. E riuscendo non solo a rocarne; Piero Sabatino, 29, di
controllare il territorio, ad infil- Gerocarne; Salvatore Zannino,
trasi nell'economia locale , ad ac- 33, di Sorianello; Salvatore Grilcaparrarsi anche i lucrosi appalti lo, 32, di Soriano Calabro; Giuseppubblici ma perfino riuscendo a pe La Robina, 21, di Arena; Giufar eleggere un suo uomo, Miche- seppe Degirolamo, 21, di Arena;
le Altamura nipote del boss nel Pasquale De Masi, 30, di Gerocar2005, a sindaco del paese. Insom- ne. L'operazione, coordinata dalma, le mani della criminalità or- la Procura distrettuale di Catanganizzata sulla città che rende zaro, ha interessato anche le città
asfittica l’economia e succhia fino di Torino, Firenze, Genova, Masl’ultima goccia di sangue agli im- sa Carrara e Parma.Tutti i particolari dell’operazione sono stati
prenditori locali.
E la lunga storia di uno tra i più resi noti ieri durante una confepotenti locali di 'ndrangheta del- renza stampa in questura a Catanzaro alla quale
la Calabria, le scishanno partecipato
sioni, le infiltrazioil procuratore geni nella pubblica
nerale, Santi Conamministrazione,
solo, il procuratore
le estorsioni e la
capo Vincenzo Ansanguinosa faida
tonio Lombardo,
durata vent’anni
l’aggiunto Giusepche ha segnato col
pe Borrelli, il quesangue il territostore di Catanzaro
rio, è stata ricoVincenzo
Rostruita dagli inquica.«Con questa operenti nelle 1600 parazione - ha detto il
gine della corposa
procuratore capo
ordinanza di custoLombardo - abbiadia cautelare in carmo scritto la storia
cere firmata dal gip
del locale di GeroTiziana Macrì su ricarne fino ai giorni
chiesta dei sostituti
nostri».
della Procura diI primi scontri
strettuale, Marisa Antonio Altamura
all’interno della coManzini e Giamsca di Gerocarpaolo Boninsegna e
ne,con influenza
del procuratore agnei comuni di Sogiunto
Borrelli
rianello,Soriano
nell’ambito
calabro, Vazzan,
dell’operazione “LiPizzoni, Arena, Daght in the woods”
sà ed Acquaro riovvero “Luce nei bosalgono addirittuschi” condotta dara ai tempi del segli uomini della
Squadra mobile della questura di questro di Marco Celadon, avveCatanzaro guidata da Rodolfo nuto a Vicenza il 25 gennaio
1988. Grazie alle intercettazioni
Ruperti e coordinati dalla Dda.
fatte all’epoca dalla Squadra moGLI ARRESTI
In manette sono finiti con l’ac- bile veneta emerse come fosse in
cusa di associazione a delinquere atto uno scontro tra le famiglie
di stampo mafioso, trenta pre- Maiolo e Loielo, fino ad allora alsunti affiliati al clan di Ariola: leate, per la supremazia. Dal
Antonio Altamura, 65 anni, di 1998, dopo l’omicidio di Antonio
Gerocarne; Nazzareno Altamu- Maiolo, era stata raggiunta una
ra, 46, di Gerocarne; Vincenzo sorta di pax interrotta, però il 22
Loielo, 64 anni, di Gerocarne già aprile 2002 con l’omicidio dei fradetenuto a San Gimignano; Gio- telli Vincenzo e Giuseppe Loielo.
vanni Loielo, 57, residente a Bre- In seguito furono ritrovati sul
scia; Rocco Loielo, 60, residente luogo del delitto alcuni cellulari
in provincia di Torino; Michele che diedero una svolta alle indaRizzuti, 49, di Gerocarne; Anto- gini, anche grazie alle cantatine
nio Condina, 51, di Lucca; Giu- di alcuni collaboratori di giustiseppe Taverniti, 34, di Gerocar- zia che ieri hanno portato alle orne; Francesco Taverniti, 37, di Vi- dinanze di custodia cautelare in
bo Valentia; Leonardo Bertucci, carcere emesse dal gip su richie41, di Soriano Calabro; Antonio sta della Dda catanzarese. L’inGallace, 46, di Gerocarne, già de- chiesta ha anche fatto luce su un
tenuto in provincia di Caserta; atto intimidatorio compiuto ai
Nazzareno Gallace, 40, di Arena; danni del sindaco di Arena, al
Vincenzo Taverniti, 52, di Stilo; quale fu fatta saltare l’auto per inMichele Altamura, 41, di Vibo Va- durlo a rilasciare una licenza per
lentia; Ilario Chiera, 70, di Gero- l’apertura di una sala giochi. Dalcarne; Giuseppe Prestanicola, le indagini è emerso anche che gli
59, di Soriano Calabro; Bruno affiliati al locale di Ariola erano in
Emanuele, 39, di Gerocarne; Gae- collegamento con i Forastefano,
LA STORIA
Sangue tra le Serre
Operazione condotta dalla
squadra mobile e diretta dalla Dda
di AMALIA FEROLETO
Primo piano 9
Giovedì 26 gennaio 2012
BREVI
DENUNCIA PER TRUFFA
INFORMAZIONE DIRETTA
I GIOVANI DI CORIGLIANO
Morto da 10 anni ma non per l’Inpdap
La Regione attiva servizio newsletter
«Cicciolina candidati a sindaco»
ERA morto da oltre 10 anni, ma l'Inpdap continuava a
pagargli la pensione che finiva su un conto corrente
su cui sono confluiti 175 mila euro. A scoprirlo sono
stati i finanzieri di Cosenza che hanno sequestrato il
conto e stanno cercando il cointestatario.
LA Regione Calabria ha istituito un servizio di «newsletter» finalizzato alla condivisione di informazioni sull'attività degli uffici regionali. Per scoprirne il funzionamento
basta collegarsi al sito istituzionale www.regione.calabria.it e cliccare su «la Regione informa».
IL movimento Giovani Insieme per Corigliano propone la
candidatura a sindaco di Ilona Staller. «La signora Staller
– dicono i giovani del grosso centro della piana di Sibari –
ha annunciato che la fine di gennaio, massimo i primi di
febbraio, presenterà ufficialmente il suo nuovo partito».
I legali dell’avvocato contro i media: «E’ solo accusato di concorso in falso ideologico»
Cetraro
«Con la mafia non c’entro»
Vescovo
solidale
con il prete
intimidito
Interrogatorio per Cornicello, coinvolto nell’inchiesta Ippocrate-Reale
di MASSIMO CLAUSI
COSENZA - Non ci stanno i legali di Francesco Cornicello,
l’avvocato coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio
Calabria “Reale 4 -Ippocrate”, a quello che definiscono il
massacro mediatico nei confronti del loro assistito. Ai legali, in particolare, non va
giù che il nome del loro collega-assistito sia accostato ad
episodi legati alla criminalità organizzata,visto che il
reato contestatogli dai magistrati è semplicemente quello di concorso in falso ideologico. In particolare, ricordano gli avvocati Giovanni Zagarese e Dario Cornicello del
foro di Rossano, che Fornicello è stato indagato per fatti
non indicativi di attuati illeciti favori per imputati mafiosi bensì di un ben definito e
circoscritto episodio relativo
a tutt'altra vicenda verificatasi nell'anno 2010 e rispetto
alla qualeil Gipdi ReggioCalabria ha già dichiarato la
propria incompetenza e
stralciato la sua posizione
dagli altri indagati.
Difatti Cornicello è finito
nelle maglie dell’nchiesta in
qaualità di un poliziotto, arrestato per tentato uxoricidio, che all’epoca dei fatti era
ricoverato presso la casa di
cura “Villa degli Oleandri”di
Mendicino (Cs).
Quindi nessuna imputazione legata in un qualsivoglia modo alla ‘ndrangheta.
Tutti questi argomenti sono
stati già affrontati dai due legali in occasione dell’interrogatorio di garanzia avvenuto
a Reggio Calabria il 24 gennaio scorso, ma soprattutto il
ragionamento verrà ribadito
con forza dinanzial Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, già da alcuni giorni
investito della richiesta di
riesame della misura di custodia cautelare (Cornicello è
al momento agli arresti domiciliari). Fra l’altro questa
misura secondo gli avvocati
Zagarese e Cornicello è da ritenersi profondamente, scrivono in una nota, «iniqua ed
ingiusta, per insussistenza
sia di indizi di colpevolezza,
per quell'unico ipotizzato
reato di concorso in falso
ideologico che di qualsivoglia esigenza cautelare».
I fatti contestati si racchiudono, spiegano i legali in un
Francesco M. Cornicello
solo episodio risalente a due
anni fa. «Avrebbero dovuto
interrogarsi gli estensori
dell'informative stampa scrivono i due legali - semmai
potevano ritenersi sussistenti a distanza di 2 anni dai
fatti ragioni di urgenza di rilevanza tale da spingere un
Giudice consapevolmente
incompetente per territorio
ad emettere una misura cautelare nei confronti di un professionista incensurato!»
Insomma per i difensori la
riduzione della libertà di Cornicello è stata una misura assolutamente non condivisibile. «Avremmo invero preferito attendere l'esito delle attivate iniziative difensive -
In un container nel porto di Gioia Tauro trovati 90.000 “made in China”
Contraffatti anche i preservativi
GIOIA TAURO – Il porto di Gioia
Tauro punto di snodo anche dei
traffici internazionali di prodotti
usati per fare sesso. A molti probabilmente dispiacerà.
Ma importare merce contraffatta in Italia è reato. Specie se si tratta
di qualcosa che
dev’essere soggetto
a specifiche prescrizioni mediche. Ed è
così che ieri le Fiamme Gialle del Gruppo della Guardia di
Finanza di Gioia
Tauro hanno messo
i sigilli ad un container proveniente dalla Cina, e diretto in
Spedizione
diretta
in uno scalo
albanese
Albania, pieno zeppo di preservativi.
L'operazione, condotta dalla Procura della Repubblica di Palmi, ha
consentito, dopo una serie di incroci documentali e successivi meticolosi controlli eseguiti su numerosi
container in transito presso il porto di Gioia Tauro, l’individuazione
del carico sospetto occultato tra altri prodotti “made in China”, in un
contenitore imbarcato presso il
porto cinese di Ningbo. La merce è
stata sottoposta ad un esame peritale da parte dei tecnici di una nota
società titolare del marchio, i quali
hanno confermato l’intuizione dei
finanzieri e dei funzionari doganali, ossia che i prodotti recavano un
marchio illecitamente riprodotto.
Si è proceduto, quindi, al sequestro
della merce contraffatta. Già nello
scorso settembre i finanzieri del
Gruppo di Gioia Tauro e i funzionari della locale Agenzia delle Dogane avevano eseguito il sequestro di
oltre 3 milioni di profilattici contraffatti sempre provenienti dalla
Cina e diretti in Albania. Così come,
nel luglio scorso, la Gdf aveva provveduto a sequestrare dieci tonnellate di Viagra contraffatto. Nel
frattempo è già partita l’attività investigativa per fare piena luce sul
traffico illecito di profilattici e, soprattutto, per individuare i responsabili dell’illecita importazione della merce contraffatta.
Il consigliere regionale accusato a Reggio di corruzione elettorale
Rappoccio davanti al gup
L’indagine della Procura nata dalla denuncia di Aurelio Chizzoniti
REGGIO CALABRIA - Avrà
inizio stamattina, davanti al
Gup di Reggio, Silvana
Grasso, l’udienza preliminare del processo che vede
come unico imputato il consigliere regionale del Pri,
Antonio Rappoccio.
La Procura della Repubblica accusa il politico reggino del reato di corruzione
elettorale aggravata. Dopo
la conclusione delle indagini preliminari i magistrati
avevano infatti depositato
all’ufficio Gip-Gup la richiesta di rinvio a giudizio che,
appunto, sarà discussa oggi. L’esponente di maggioranza di Palazzo Campanella era stato indagato per
corruzione elettorale, ma
successivamente la Procura aveva deciso di contestargli anche l’aggravante. Un
articolo di legge con il quale
si ipotizza la corruzione
elettorale in una fumula secondo la quale il consenso
elettorale sarebbe stato carpito in maniera fraudolenta.
Tra l’altro, secondo l’accusa (l’inchiesta è coordinata dal Procuratore aggiunto
Ottavio Sferlazza e dal sosti-
concludono i due legali nella
nota - ma la non più tollerabile divulgazione di notizie false e tendenziose riguardo la
posizione dell'Avv. Cornicello che, si ripete estranea ed
avulsa dalla ipotesi di contestazione mafiosa, con esecrabile determinazione diffamatoria, ci induce a richiedere ai
sensi della vigente Legge
sulla Stampa, la pubblicazione della presente nota chiarificatrice e tanto senza rinuncia alcuna alle iniziative di repressione in sede penale delle
fornite inveritiere notizie
che hannogià lesonell'onore
e nella dignità di uomo e di
professionista il nostro difeso».
Antonio Rappoccio
Aurelio Chizzoniti
tuto Stefano Musolino), il
politico regionale non
avrebbe agito da solo, ma i
concorso con altri soggetti.
Soggetti per i quali si sta
procedendo separatamente, ed questa la ragione per
la quale Rappoccio figura
oggi come unico imputato.
Un’inchiesta bis che sarebbe, di fatto, uno stralcio
della prima. Un fascicolo voluto dai magistrati reggini
per far luce su possibili altri
“delitti” collegati all’imbro-
glio principale.
L’inchiesta nasce da una
corposa denuncia presentata, e poi alimentata da una
serie di integrazioni, dall’ex
presidente del Consiglio comunale di Reggio Calabria,
Aurelio Chizzoniti.
Rappoccio, in piena campagna per le regionali
avrebbe promesso posti di
lavoro in cambio del sostegno elettorale. Secondo la
ricostruzione della polizia
giudiziaria della Guardia di
Finanza, Rappoccio sarebbe
l’ispiratore di cooperative finalizzate, almeno ufficialmente, a gestire tutta una
serie di servizi e strutture
produttive (tra queste
un’orto botanico, una clinica sanitaria per la riabilitazione e persino un’azienda
per il fotovoltaico). Tali cooperative, o meglio una di
queste pochi mesi prima
delle regionali aveva bandito una selezione per l’assunzione di personale. Assunzione che doveva essere fatta a termine di un concorso
in due fasi: una prova scritta ed una orale. Dopo gli
scritti, sempre secondo l’inchiesta, Rappoccio iniziò a
incontrare gli aspiranti dipendenti lasciando intendere che avrebbero ricevuto
una spintarella nella seconda prova (mai svolta), fissata dopo il voto, se lo avessero
aiutato per le elezioni.
Danneggiato, proprio per
questa pratica, sarebbe stato (tra gli altri) proprio Chizzoniti, candidato nella stessa lista di Rappoccio e risultato essere il primo dei non
eletti.
g. bal.
CETRARO –Ilvescovo di San
Marco Argentano-Scalea,
mons. Leonardo Bonanno,
con il Presbiterio diocesano,
è scritto in una nota, esprime
«fraterna vicinanza nella
preghiera al sacerdote don
Ennio Stamile, parroco di
San Benedetto in Cetraro e
responsabile
diocesano
dell’Ufficio Migrantes, la cui
auto parcheggiata nella
piazza della cittadina di tirrenica è stata gravemente danneggiata, con evidenti segni
di sfregio ad opera di ignoti».
Nel ribadire la ferma condanna verso queste forme di
violenza il Vescovo, conferma la sua «fiducia nel confratello e nella sua opera pastorale rivolta specialmente verso le categorie più deboli.
Confida, infine –è scritto nella nota – nel lavoro degli inquirenti per individuare ed
isolare chi si è reso responsabile dell’ignobile atto che non
può turbare la serenità di
una comunità che presenta
tratti assai chiari di operosità e di civile convivenza, valori che la Chiesa intende incrementare con opera dei presbiteri e dei fedeli laici». E il
presidente della Provincia di
Cosenza, Mario Oliverio, ha
scritto al sindaco di Cetraro
Giuseppe Aieta, per manifestare solidarietà e vicinanza
a lui, al Consiglio comunale,
all’intera cittadinanza e al
parroco, don Ennio Stamile,
«per il vile attentato subito
nei giorni scorsi». Oliverio
sottolinea «l'impegno e il coraggio con cui state portando avanti la vostra quotidiana lotta contro ogni ingerenza della malavita nella vostra
comunità».
TRIBUNALE CIVILE DI CATANZARO
Ricorso per dichiarazione
di morte presunta
Con ricorso del 09.11.2011 Citraro
Francesco ha chiesto al Tribunale di
Catanzaro la dichiarazione di morte
presunta del fratello Citraro
Antonio, nato a Borgia il
17.08.1943, il quale il 20.03.1978
ha abbandonato la sua dimora in
Borgia, senza più dare notizie di sé.
Chi potrà fornire notizie è invitato a
farle pervenire allo stesso Tribunale
entro sei mesi dall’ultima pubblicazione.
Avv. Giovambattista Sgromo
Tribunale di Catanzaro
Esec. Imm. n. 108/07 R.G.E.
G.E. Dott.ssa Giovanna Gioia
Lotto unico: in Sersale (CZ), via Laco n. 23, immobile con annesso garage, in catasto al fg. 26 p.lla 474
sub. 9, meglio descritto nella relazione di stima in
atti.
Prezzo base: Euro 16.958,50.
Offerte minime in aumento in caso di gara Euro
500,00.
Vendita senza incanto 14.03.2012 ore 9.30 presso il
Tribunale di Catanzaro.
Termine presentazione offerte entro le ore 12.00 del
giorno antecedente la vendita presso la Cancelleria
Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di Catanzaro,
unitamente al deposito cauzionale.
Maggiori informazioni in Cancelleria, sul sito
www.asteannunci.it.
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Calabria 13
24 ore
Giovedì 26 gennaio 2012
Il gup chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per 28 persone della Dda della capitale
Roma processa gli Alvaro
A luglio il Tribunale di Reggio aveva confiscato patrimoni per 200 milioni di euro
di GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA - Ristoranti e bar di lusso della
Capitale erano già stati confiscati il 25 luglio scorso.
Ora però i presunti affiliati
alla cosca Alvaro devono comunque affrontare il giudizio del Gup che dovrà valutare le richieste della Procura di Roma.
Sono 28 le persone che rischiano di finire sotto processo nell’ambito dall’inchiesta condotta dalla Dda
sui patrimoni nella capitale
riconducibili alla ‘ndrangheta. Il reato contestato è
quello di trasferimento
fraudolento di valori finalizzato all’acquisizione di
quote societarie (prevalentemente bar e ristoranti),
per eludere la normativa in
materia di misure di prevenzione. Nel mirino dei pm
della Capitale sono finiti i
presunti componenti di una
cosca ricollegata al clan degli Alvaro, in cui spiccano i
nomi di Vincenzo Alvaro e
Damiano Villari.
Il 20 febbraio prossimo
sarà il gup Cinzia Parasporo a pronunciarsi sulle richieste della procura i cui
accertamenti hanno riguardato l’acquisto di quote
societarie poi intestate a
soggetti di comodo (per lo
più parenti stretti o compaesani dei componenti del
clan), molti dei quali già oggetto di indagini a Reggio
Calabria. Stando all’accusa,
Vincenzo Alvaro, attualmente ai domiciliari, avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali a Roma, intestati a prestanome. Tra le attività nel settore della ristorazione citate
nel capo di imputazione e
gestite da società ritenute
sospette figurano il «Cafè de
Paris» in via Veneto, il
«Gran Caffè Cellini» in piazza Capecelatro, il «Time out
Cafè» di via Santa Maria del
Buon Consiglio, il ristorante «la Piazzetta» in via Tenuta di Casalotto, il bar Clementi di via Gallia, il bar Cami di viale Giulio Cesare, il
bar California in via Bissolati, il ristorante «Federico
I» in via della Colonna Antonina e il ristorante Georges’s di via Marche.
Come accennato il patrimonio degli Alvaro è stato
confiscato dal Tribunale
delle misure di prevenzione
di Reggio Calabria, presieduto da Olga Tarsia, che accolse la richiesta del pm Sara Ombra. Certo, i legali degli imputati possono anco-
Il Cafè de Paris
ra fare ricorso, ma a giudicare dalle 150 pagine del
provvedimento i margini di
manovra sembrano ridotti
al lumicino. La collettività si
riprenderà tutto. Non a caso
nel corso della conferenza
stampa delle Fiamme gialle
traspariva una certa soddi-
sfazione. Lo Stato passa
dunque all’incasso. E in
questo senso la confisca decisa dalla Tarsia non è roba
di poco conto, tutt’altro.
Basti pensare alle perle
restituite al pubblico. Il “Cafè de Paris” innanzitutto,
tappa della dolce vita roma-
na. E poi ancora il “Gran
Caffè Cellini”, il “Time Out
Caffè”, il “George’s”, il “Clementi”. Bar e ristoranti notissimi della capitale. Di
grande valore sia dal punto
di vista economico che simbolico. Nell’elenco figuravano poi imprese individuali e
appartamenti, quote societarie e auto di lusso. Secondo gli inquirenti all’epoca fu
confiscato tutto quello che
don Vincenzo Alvaro aveva
accatastato in dieci anni di
business e malaffare. E’ lui
secondo i magistrati di Procura e Tribunale «la mente
operativa dell’omonima cosca a Roma».
Nella capitale l’uomo
c’era arrivato nel 2001, dopo essersi fatto assumere
come aiuto cuoco in uno dei
ristoranti intestati ad uno
dei suoi prestanome. Successivamente la rete si era
allargata, pezzo dopo pezzo,
a suon di contanti messi sopra il tavolo di società rilevate quando erano in difficoltà
economica. Il deus ex machina dei calabresi, aveva
acquisito il meglio che c’era
su piazza. Fino al colpaccio
finale. Quello che gli aveva
consentito di portarsi a casa
il “Cafè de Paris” per solo
due milioni di euro.
IL CASO
Presunto boss ferma
l’avvocato in aula
TORINO – Pur di procla- si stava discutendo la rimare subito la sua inno- chiesta delle difese di tracenza un presunto boss sferire il processo a Regdella 'ndrangheta tori- gio Calabria e il penalinese è arrivato a inter- sta, che è stato apostrofarompere
seccamente to con un “dica le cose
uno degli avvocati che, in giuste», si stava limitando a ripercorreaula, tentavare i fatti e i perno di parlare
sonaggi elennell’interesse
cati nel capo
di tutti gli imd’accusa. Gli
putati. E' sucimputati sono,
cesso ieri in trioltre a Giusepbunale alla ripe Catalano, il
presa del profratello
Giocesso “Crimivanni con Carne», dove Giumelo Cataldo e
seppe CatalaRocco Zangrà,
no, considerato dagli inqui- Giuseppe Catalano arrestati nel
2010 nel quarenti al vertice
del «locale» di Siderno- dro di una serie di inchieTorino, ha preso all’im- ste che portarono al coinprovviso la parola e, con volgimento di trecento
severità, ha affermato di persone. Il procedimento
chiamato
«non avere fatto niente». principale,
Con ogni probabilità Ca- «Minotauro», è sfociato
talano ha frainteso il sen- nei giorni scorsi all’invio
so dell’intervento dell’av- dell’avviso di chiusura
vocato. In quel momento indagini a 184 soggetti.
Nel Mezzogiorno l’attività mafiosa è causa di mancato sviluppo del 15-20% del Pil
«Imprese condizionate dai clan»
Per la Commissione antimafia il fenomeno riguarda il 53% delle aziende
ROMA – E' stata approvata la relazione sulla prima fase dei lavori della
Commissione Antimafia con particolare riguardo al condizionamento
delle mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno.
La relazione non è però ancora pubblica perchè in attesa dell’inserimento di
un emendamento, anch’esso approvato ieri. In una parte della relazione
emerge che nel Mezzogiorno l’attività
mafiosa «è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del Pil»
delle quattro regioni (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia). «E' accertato inoltre che circa un terzo delle imprese meridionali subisce una qualche influenzadelle mafie,con datiche
oscillano tra il 53% della Calabria e il
18% della Puglia». Nella relazione,
approvata all’unanimità si legge che
nonostante la presenza mafiosa in Italia appaia «concentrata» soprattutto
in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, «una tendenza non meno preoccupante si verifica nel Centro-nord,
specialmente in vaste aree del Lazio,
A cura della Publifast. Segue dalla pagina precedente
dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, della Liguria, del Piemonte, della
Val d’Aosta e del Trentino Alto Adige». Nella relazione si sottolinea che
«dopo l’inabissamento delle cosche,
dopo il lungo silenzio imposto alle armi e la parallela espansione delle attività economico-finanziarie» occorre
«riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio “sistema criminale” che
va «oltre i confini tradizionali delle
singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamendosi con la
vita ordinaria dell’economia, della società e delle istituzioni».
«Tuttociòrende piùinsidiosalaminaccia delle mafie e più difficile il compitodi individuarle,prevenirle ecombatterle. Non si spezza la spirale della
criminalità, il suo crescente e oscuro
reclutamento, se non si riformano l'economia e la società del Mezzogiorno». Nella relazione, approvata
all’unanimità si legge che nonostante
la presenza mafiosa in Italia appaia
«concentrata» soprattutto in Sicilia,
Calabria, Campania e Puglia, «una
tendenza non meno preoccupante si
verifica nel Centro-nord, specialmente in vaste aree del Lazio, dell’EmiliaRomagna, della Lombardia, della Liguria,delPiemonte, dellaVald’Aosta
e del Trentino Alto Adige». Nella relazione si sottolinea che «dopo l’inabissamento delle cosche, dopo il lungo silenzio imposto alle armi e la parallela
espansione delle attività economicofinanziarie» occorre «riconsiderare il
trinomio mafia-affari-politica come
l'espressione di un vero e proprio «sistema criminale» che va «oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e
amalgamendosi con la vita ordinaria
dell’economia, della società e delle istituzioni». «Tutto ciò rende più insidiosa la minaccia delle mafie e più difficile il compito di individuarle, prevenirle e combatterle. Non si spezza la spirale della criminalità, il suo crescente
e oscuro reclutamento, se non si riformano l'economia e la società del Mezzogiorno».
Giuseppe Pisanu
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Calabria 17
24 ore
Giovedì 26 gennaio 2012
L’imprenditore di Melito sentito in aula sul giro di immigrazione clandestina
Foti depone al processo Leone
Su richiesta del pm De Bernardo ha raccontato delle minacce subite
SOLO termini e circostanze piuttosto generali nella prima, breve, parte della deposizione
dell’imprenditore Saverio Foti
nell’ambito del procedimento
“Leone”. Le dichiarazioni Foti
sono state sollecitate dal pubblico ministero Antonio De Bernardo che sostiene l’accusa contro
una presunta organizzazione
criminale che avrebbe gestito
l’immigrazione clandestina nella provincia di Reggio Calabria.
L’indagine, che culminò con
una maxioperazione della Squadra Mobile, trae la propria origine dall’inchiesta “Ramo Spezzato”, in cui lo stesso Foti accusò il
clan Iamonte di Melito Porto Salvo. E sarebbero state proprio le
famiglie Cordì, di Locri, e Iamonte, di Melito Porto Salvo, a gestire
almeno una parte del traffico,
che vede coinvolti anche sindacalisti e dipendenti pubblici,
nonché numerosi cittadini di nazionalità indiana. Il reato contestato agli indagati è l’associazione a delinquere, finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Secondo le risultanze investigative, i cittadini stranieri, dai
Paesi di origine, contattavano
gli organizzatori, connazionali
presenti sul territorio italiano
anche da diversi anni, i quali, a
fronte di un anticipo dell’ingente somma richiesta, consegnavano la fotocopia dei loro docu-
menti agli imprenditori compiacenti che richiedevano, a favore
degli stranieri, il nulla osta per
l’avvio al lavoro presso le aziende. In realtà, però, si trattava solo di una copertura: gli immigrati, in quelle aziende, non avrebbero mai lavorato. Risultando
poi dimissionari nel giro al massimo di pochi giorni.
Piuttosto breve, dunque, la
prima parte della deposizione di
Foti, protrattasi per circa un’ora
al cospetto del Tribunale Collegiale presieduto da Olga Tarzia.
L’imprenditore ha ripercorso le
tappe che portarono all’apertura
della propria attività di imprenditore agricolo, attivo anche nel
settore della macellazione di car-
ni, a Melito Porto Salvo.
Foti ha anche parlato
delle minacce e dei danneggiamenti subiti, come l’incendio di alcune
stalle. E ancora una volta l’uomo ha puntato il
dito, con grande vee- Antonio De Bernardo
menza, contro il boss
Antonino
Iamonte
(difeso indagato in reato connesso. In
dall’avvocato Maurizio Puntu- questo traffico, infatti, anche Forieri), già condannato in appello ti avrebbe avuto un ruolo: per lui,
nel procedimento “Ramo Spez- però, l’Ufficio di Procura sta prozato”, ma alla sbarra anche nel cedendo separatamente. Lo stesprocesso “Leone”. E se nell’inda- so imprenditore Foti infatti
gine “Ramo Spezzato”, l’impren- avrebbe accolto, attestando il falditore Foti, attualmente sotto so, i lavoratori extracomunitari
scorta, rispondeva da testimone nella propria azienda agricola di
di giustizia, in questo procedi- Melito.
mento l’uomo risponde invece da
cla. cor.
Il pentito della cosca Cordì deporrà nel corso dell’appello di “Shark”
Sequestro a S. Gregorio
Oppedisano sarà in aula
Proseguono
i controlli
sul demanio
marittimo
L’audizione chiesta dal sostituto procuratore generale Fimiani
di CLAUDIO CORDOVA
LA CORTE d’Appello di Reggio
Calabria ascolterà la deposizione
del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano nell’ambito
processo d’appello “Shark”, scaturito da un’operazione del settembre 2009 contro il clan Cordì
in cui la Dda di Reggio Calabria
ha contestato i reati di associazione mafiosa, furto, danneggiamento e danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto d’armi, estorsione, procurata
inosservanza della pena, assistenza agli associati, usura, abusiva attività finanziaria, riciclaggio.
L’audizione di Oppedisano era
stata richiesta nel corso
dell’udienza dell’11 gennaio
scorso dal sostituto procuratore
generale Adriana Fimiani. Le difese, invece, avevano richiesto
l’audizione di un altro collaboratore, Vincenzo Marino, che però
la Corte ha ritenuto non utile ai
fini del procedimento. Il Collegio, presieduto da Antonino Napoli, ha però accolto una serie di
richieste di acquisizione documentale proposte dall’avvocato
Giovanni Taddei, uno dei legali
del folto collegio difensivo.
Oppedisano sarà invece ascoltato il prossimo 8 febbraio. L’uomo è il fratellastro di Salvatore
Cordì e iniziò a collaborare quando la sua cosca gli chiese di dichiarare il falso nel processo a carico dei presunti assassini dello
stesso Cordì, per salvaguardare
la nuova pax mafiosa con i Cataldo, avvenuta dopo decenni di
guerra.
Oppedisano però si rifiutò e
con le proprie dichiarazioni fu
fondamentale per l’esecuzione
dell’operazione “Locri è unita”
che andò a investigare proprio
sulle nuove alleanze mafiose nel
centro della Locride.
Il processo “Shark” nasce invece dall’operazione eseguita per
stroncare il traffico di usura che
la ‘ndrina Cordì avrebbe messo in
atto nei confronti di alcuni commercianti di Locri. Fondamentali, nel teorema accusatorio, le deposizioni di due negozianti, Rocco Rispoli e Luca Rodinò, che riferirono tempi e dinamiche dello
strozzinaggio messo in atto dalla ‘ndrangheta. In primo grado
resse il teorema accusatorio portato avanti dai pubblici ministeri
Marco Colamonici e Antonio De
Bernardo. Dei ventitré imputati
che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, ben
venti vennero condannati, dopo
diverse ore di camera di consiglio, dal Gup di Reggio Calabria,
Cinzia Barillà. Sono stati condannati: Domenico Audino (5
anni di reclusione), Guido Bru-
saferri (8 anni), Cosimo Cordì (8
anni), Domenico Cordì (4 anni e 6
mesi), Salvatore Cordì classe ’73
(6 anni), Attilio Cordì (7 anni),
Cesare Antonio Cordì (7 anni),
Leo Criaco (5 anni), Carmelo Crisalli (5 anni), Antonio Dessì (7
anni e 6 mesi), Salvatore Dieni (8
anni), Ennio Floccari (10 anni),
Silvio Floccari (5 anni), Cosimo
Ruggia (7 anni e 6 mesi), Alessio
Antonio Scali (6 anni), Pasquale
Scali (5 anni), Domenico Spanò
Panetta (3 anni e 2 mesi), Antonio e Francesco Tallura (4 anni e
6 mesi, escluse le aggravanti mafiose previste dall’articolo 7 L.
203/1991), Gerardo Zucco (5 anni e 4 mesi). Assolti, invece, Massimo Floccari (perché il fatto non
sussiste), Antonio e Attilio Giorgi (per non aver commesso il fatto).
Uno dei summit registrati dalle forze dell’ordine
DIRITTO DI REPLICA
Lo svolgimento delle udienze sia riportato bene
RICEVIAMO e pubblichiamo una puntualizzazione di Maurizio Cortese imputato nel processo Epilogo.
Affermano che Cortese Maurizio in una intercettazione ha detto che per uno schiaffo può partire
una guerra. Che lo ha dichiarato ieri in aula Vitagliano, e non è così come non ha dichiarato che io e
il Giardinieri abbiamo telefonate, inoltre Cordova
Claudio del Quotidiano ha scritto che il Cortese
all’interno della gabbia un po’ intemperatamente
ha richiamato i ragazzi che a suo dire avevano un
comportamento poco consono tutto questo è falso.
Quindi invito i giornalisti a seguire il processo e
a scrivere quello che in realtà viene detto in aula
senza capire male anche in realtà delle cose importanti e delle cose che hanno richiesto i nostri legali
e non lo hanno scritto proprio, perché? Quindi si
invitano i giornalisti a seguire il processo e a riportare correttamente lo svolgimento delle udienze.
Ringrazio.
Maurizio Cortese
PROSEGUONO le attività a tutela del demanio marittimo da parte degli uomini della Capitaneria
di Porto di Reggio Calabria.
Su disposizione della Procura
della Repubblica di Reggio Calabria, a seguito di informativa circostanziata
e
redatta
nell’ambito
dell’aggiornamento
del
documento programmatico regionale
di mappatura delle coste calabresi, sono stati
posti i sigilli
ad
una
struttura,
della zona di
San Gregorio via Stra- L’area sequestrata
da ferrata Prima traversa - nel comune di
Reggio Calabria.
Nello specifico si è accertato
che l’indagato G.M. di Reggio
Calabria, non era in possesso della concessione demaniale marittima che ne legittimasse e autorizzasse l’occupazione e l’utilizzo. L’intera area demaniale marittima è stata posta sotto sequestro preventivo d’urgenza su disposizione del sostituto procuratore Stefano Musolino della Procura della Repubblica di Reggio
Calabria, ed affidata in custodia –
senza facoltà d’uso - allo stesso
indagato.
I tabaccai rinnovano gli organismi per i prossimi cinque anni
De Carlo alla guida della Fit
Sopra
De Carlo
e accanto
Parisi
SI SONO svolte nei giorni
scorsi, presso la sede di Confcommercio di Reggio Calabria, le elezioni riguardo il
rinnovo delle cariche sociali
della sezione provinciale della
Fit – Federazione italiana tabaccai, alla presenza degli
stessi commercianti eletti delegati per la provincia reggina.
Dopo l’ufficializzazione dei
risultati elettorali, avvenuta,
come accennato, pochi giorni
fa, al vertice del sindacato è
stato rieletto all’unanimità il
cavaliere ufficiale Francesco
De Carlo. A coadiuvare il presidente della Fit reggina ci saranno tre i vicepresidenti che
collaboreranno fianco a fianco con De Carlo. Si tratta in
particolare di Giuseppe Bagnato, Alessandro Parisi e
Guido Pellicanò.
Sono otto poi i consiglieri
eletti che faranno parte del
Consiglio direttivo: Giuseppe
Rota, Raffaele Nucera, Domenico Carrozzo, Natale Scappatura, Carlo Ruso, Francesco
Mazza, Giovanni Ceccarini e
Vincenzo Carbone.
La squadra di categoria così
composta avrà, quindi, il compito di guidare il sindacato ta-
baccai della provincia reggina per il prossimo mandato di
cinque anni. La categoria in
questo momento riveste particolare
importanza
per
l’espletamento di diversi servizi rivolti ai cittadini. Non solo tabacchi insomma, ma anche pagamenti di bollettini di
luce, gas, acqua, la tarsu e
tante altre imposte che è possibile pagarle, già da tempo,
nelle tabaccherie, dribblando
così l’incubo delle file presso
l’ufficio postale.
Ed il presidente Francesco
De Carlo è consapevole del
ruolo che, peraltro, ha rivestito con grande professionalità
nei diversi mandati.
«La Fit è il sindacato che tutela tutti i 54 mila tabaccai
sparsi per l’Italia – esordisce il
presidente - ed oggi ci ponia-
mo come utile supporto allo
Stato, alle Regioni e ai Comuni per poi erogare un servizio
a favore dell’utenza che deve
pagare i diversi tributi. A tale
scopo diverse sono state le
convenzioni firmate tra la Fit
e gli enti pubblici di diverso
ordine e grado».
«Un servizio - aggiunge che contribuisce ad alleviare
tutti i disagi e le difficoltà ai
cittadini. La gente va sempre
di corsa, non vuole perdere
tempo. Ma la cosa più importante è che non vuole perdere
tempo ed esige un servizio improntato alla massima precisione e correttezza. La sfida
l’abbiamo raccolta da tempo e
siamo pronti a continuare ad
andare avanti arricchendo
sempre più i servizi».
d.g.
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Reggio 27
Giovedì 26 gennaio 2012
32
Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected]
Stava nella Locride una delle figure di spicco coinvolte nell’inchiesta che ha decapitato i clan del Vibonese
Stilo era la base per “Cenzo”
Taverniti scampò a un omicidio ed era considerato un vero capo a Gerocarne
FAIDA DEI BOSCHI
di PASQUALE VIOLI
SIDERNO - «Vincenzo Taverniti, quello di
Stilo, Cenzu d’Ariola, tentarono di ammazzarlo e lui sapeva chi era stato. Per un
periodo con alcuni della famiglia in galera
era stato lui a reggere il controllo della zona dell’Ariola nel vibonese». Sono queste
le parole di alcuni pentiti, uno di questi parente di Vincenzo Taverniti, che spiegano
il coinvolgimento dell’uomo residente a
Stilo nelle dinamiche criminali dei boschi
vibonesi.
E proprio per Vincenzo Taverniti sono
scattate le manette ai polsi nell’ambito
dell’inchiesta della Dda di Catanzaro chiamata “Light in the woods”e che ha fatto luce sulla faida sanguinosa per il controllo
del territorio interno del vibonese andata
avanti, tra tregue e recrudescenze, dai primi anni '90 sino alla fine del 2009: a ricostruire lo scontro che ha insanguinato la
zona di Gerocarne, nella Preserre vibonesi, è stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro sfociata ieri nell’operazione della squadra mobile catanzarese, denominata «Luce nel bosco», che ha portato all’arresto di
30 persone accusate di associazione mafiosa e, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento, estorsione,
armi e turbativa d’asta.
«Con questa operazione –ha detto il procuratore di Catanzaro
Vincenzo
Antonio
Lombardo – abbiamo
scritto la storia del 'localè di Gerocarne fino
ai giorni nostri». Ma
non solo omicidi ed
estorsioni. Gli investigatori sono convinti di
avere accertato anche
le infiltrazioni della cosca nel comune di Gerocarne con l’elezione a
sindaco, nel 2005, di
Michele Altamura, nipote del boss Antonio
Altamura, L’ex sindaco
è tra gli arrestati.
Per lui l’accusa è associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti si
sarebbe attivato per
aiutare gli affiliati ad
ottenere i lavori di tre
appalti pubblici. E Vincenzo Taverniti, alias
“Cenzu d’Ariola” era inVincenzo Taverniti
serito proprio nel contesto criminale che cercava di mettere le
mani su appalti e affari, almeno secondo
quanto rivelano almeno due collaboratori
di giustizia, ed anche dalla lontana Stilo
era attivo e partecipe agli affari e ai movimenti del suo clan di riferimento. Quello
di Taverniti era un ruolo senza dubbio di
vertice per quanto ritengono i magistrati
della Dda e anche per quanto emerso dalle
parole dei pentiti che ne hanno raccontato
anche il tentato omicidio perchè Taverniti
faceva parte di una delle fazioni contrapposte per il controllo delle preserre vibonesi.
E i primi scontri all’interno della cosca
operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono addirittura ai tempi del sequestro di Marco Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla
squadra mobile veneta venne fuori come
fosse in atto uno scontro tra le famiglie
Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate, per
la supremazia. Dal 1998, dopo l’omicidio
di Antonio Maiolo, era stata raggiunta
una sorta di tregua, interrotta, però il 22
aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. Grazie al ritrovamento sul luogo del delitto di alcuni telefonini e grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori, le indagini hanno avuto un impulso che ha portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse
dal gip su richiesta della Dda catanzarese.
L’inchiesta ha anche messo fatto luce su
un’attentato intimidatorio compiuto ai
danni del sindaco di Arena, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi.
Interessi per appalti, droga e potere che
per i magistrati Vincenzo Taverniti ha seguito con grande interesse anche da Stilo.
Nella zona
dell’Ariola
aveva avuto
un ruolo
di primo piano
Attenzionate tre
intere province
SIDERNO - Il duro colpo inferto dalla
Dda di Catanzaro alle cosche delle
preserre vibonesi potrebbe essere solo la prima parte di un cerchio che potrebbe stringersi sulle cosche dei “boschi” delle tre province. I movimenti
che da anni interessavano Gerocarne
e l’entroterra di Vibo Valentia, al confine con la Piana di Gioia Tauro e lo
Stilaro jonico, non sono diversi da
quelli che le forze dell’ordine stanno
attenzionando da tempo anche nel
“mandamento” reggino che tocca anche la provincia catanzarese. E proprio sulla base di numerose attività di
indagine che si sta cercando di capire
come le cosche si stiano muovendo
per gestire gli affari del territorio a
cavallo tra “i boschi” di Vibo Valentia,
Reggio Calabria e Catanzaro. Gli investigatori studiano ogni dettaglio,
dai piccoli attentati e intimidazioni
agli efferati omicidi degli ultimi anni,
che hanno segnato senza dubbio un
riacutizzarsi delle lotte interne per la
gestione degli affari in un territorio
immenso.
Una veduta della Vallata dello Stilaro
Lo stilese indicato come partecipe al delitto del 1993
Ebbe un ruolo fondamentale
nell’omicidio di Scaramozzino
SIDERNO - Placido Scaramozzino
scomparve nel nulla nel 1993, il classico caso di lupara bianca. Oggi, grazie
alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia si sa che è stato brutalmente assassinato e seppellito. A partecipare a
quell’omicidio, secondo quanto rivelato dal pentito Loielo, ci fu anche Vincenzo Taverniti. La scomparsa del parrucchiere rientrerebbe nell’ambito
della faida tra le famiglie del vibonese
culminata con la strage tra i boschi
serresi raggiunge la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta
nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito, Ilario Antonio Chiera.
E nel contesto dello scontro tra clan
si inseriva anche l'uccisione di Placido
Scaramozzino, il parrucchiere 43enne
di Acquaro scomparso il 28 settembre
del 1993 e il cui cadavere non fu mai
trovato. A parlare delle modalità con le
quali venne assassinato erano stati i
collaboratori Taverniti e Francesco
Loielo.
Quest'ultimo aveva iniziato nel
2010 la sua collaborazione con la giustizia. Scaramozzino, secondo quanto
ricostruito dai magistrati, fu ucciso
sulla scorta di meri sospetti a causa
della sua frequentazione con Antonio
Maiolo, boss locale antagonista del
gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni
fa Vincenzo Taverniti si trovava in
macchina con il cognato Vincenzo
Loielo. E fu proprio quest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli
di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio alla persona con l'auto
bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola
“357” dopo averlo
estratto dalla macchina. Poi, l'uomo
venne legato e trascinato lungo un
sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di
spostare l'autovettura della vittima.
Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il clan
rivale. Dopo aver scavato una buca il
parrucchiere fu denudato (lasciato solo con gli slip), la faccia in su e le mani
legate in avanti e colpito con una zappa
sul petto e alla testa. Dunque, la sepoltura quando era tramortito ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto
venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle Malogne” ad Acquaro,
solo qualche giorno dopo la scomparsa.
Una volante
della
Squadra
mobile di
Catanzaro
che ha
condotto
le indagini
Il capo dei capi della ’ndrangheta reggina “omaggiò” la cosca vibonese della sua presenza
Anche Oppedisano ai funerali del padrino
SIDERNO - I clan delle preserre vibonesi
avevano forti contatti anche con alcune
famiglie del reggino, specialmente della
Piana di Gioia Tauroma anche della jonica. Anche questo emerge dalle carte
dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che
mettendo insieme le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, le intercettazioni telefoniche e ambientali, il
lavoro immane portato avanti dalla
squadra Mobile, è
stato possibile scrivere la storia del locale di Gerocarne
con continue scissioni all’interno,
numerosi omicidi e
collegamenti di rilievo con le cosche
del Reggino e del
Domenico Oppedisano
Catanzarese.
Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione del padrino don Mico Oppedisano, storicoboss delReggino, aun funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche
gli interessi malavitosi sui sequestri di
persona degli anni Novanta. Tra questi,
quello di Carlo Celadon, figlio di un noto
imprenditore di Vicenza, avvenuto nel
1988, e di un altro imprenditore pugliese
di Massafra.
I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal
carcere usufruendo di vari permessi, nel
1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi.
L'avvio della faida è stata aggravata
anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino
ai Loielo, nel tentativo di guadagnare
nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei
fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del
2002, per il quale lo scorso anno è stato
arrestato proprio Emanuele.
Ma la faida e la scissione tra i gruppi ha
anche portato le due fazioni a trovare
contatti con altre realtà criminali, in particolare il gruppo dei Loielo aveva agganciato dei buoni contatti con le cosche del
reggino riuscendo a gestire in qualche
occasione anche degli affari relativi al
traffico di droga o a piazzare sub appalti.
La presenza del super boss Mico Oppedisano, considerato a capo di tutta la
ndrangheta reggina, al funerale di un
padrino di Gerocarne testimonia per la
Dda la grande condivisione di interessi
tra gruppi criminali.
p.v.
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Locride
Giovedì 26 gennaio 2012
36
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Dalla darsena del porto di Gioia l’urlo di disperazione dei manifestanti arrivati da Jonio e Tirreno
Scoppia la rivolta dei pescatori
«Costretti a pagare la nafta per intero. Al massimo pareggiamo i costi con i ricavi»
di ALESSANDRO TRIPODI
GIOIA TAURO - Anche la
categoria dei pescatori, dopo quella degli autotrasportatori, dissente.
Un disagio a 360 gradi
che ha le sue radici nell’impossibilità di svolgere la
propria attività a causa dei
costi ordinari diventati insostenibili e finisce, come
conseguenza diretta, per
ripercuotersi nella vita
quotidiana fatta di stenti e
privazioni.
«Dormiamo quando non
abbiamo sonno e mangiamo quando non abbiamo fame».
Riassumono così gli uomini di mare, in una frase,
tutta la fatica profusa per
fare il pescatore. Sui visi di
alcuni di loro, Francesco
Madafferi, Rocco Parrello,
Ferdinando Megna, pescatori della Piana di Gioia
Tauro, sono ben cesellati i
solchi di una vita dura, determinata da un’attività
lontana dai canoni lavorativi tradizionali.
Andare per mare non è
certo come stare su una sedia avendo di fronte una
scrivania corredata di computer. Gli attrezzi dei pescatori sono diversi e molto
più pesanti da maneggiare.
Reti, funi, carretti e
quant’altro.
Abbiamo chiesto ad alcuni di loro quanto costa comprare un’imbarcazione per
intraprendere l’attività ittica.
«I risparmi di due generazioni» ci hanno risposto.
Cioè? «Duecentomila euro
per un peschereccio di medie dimensioni». Poi ci sono
le spese di manutenzione.
In sintesi, «circa 5000 euro
ogni due anni», dicono i “lupi di mare”, «per non parlare dei guasti, che si verifica-
no con una certa frequenza». E gli introiti sono quelli che sono.
«Si riesce al massimo a
pareggiare i costi con i ricavi, ma niente di più. Anzi –
ci raccontano i pescatori
con un filo di amarezza – a
volte andiamo anche in perdita».
Di qui, la protesta. Mentre era in corso il presidio
dei pescatori, una cinquantina, nella darsena del porto di Gioia Tauro, intorno
alle 11.30, giungeva sul posto anche il coordinatore
della sommossa degli autotrasportatori, Tommasso
Alessi, che incontrava il
rappresentante della categoria dei pescatori in agitazione, Francesco Madafferi. Un colloquio di circa
un’ora fra i due, nel quale
sono state espresse parole
di reciproca solidarietà per
le problematiche in atto, alcune delle quali comuni ad
entrambe le categorie, come, ad esempio, quella del
rincaro del gasolio.
In attività come la pesca e
il trasporto, infatti, gli aumenti del costo del carburante sono dei veri e propri
salassi che incidono in maniera assai significativa
nel rapporto entrate/uscite.
«A causa dell’abolizione
delle agevolazioni sull’Iva
della nafta per le barche,
prevista dal governo Monti, saremo costretti a pagare la nafta per intero», lamentano i pescatori provenienti da Gioia Tauro, Bagnara, Nicotera, Catanzaro
Lido, Soverato e Roccella
Jonica. Il gasolio costa ai
pescherecci 80 centesimi al
litro, a cui si dovrà sommare l'Iva al 21%, arrivando a
costare così quasi un euro.
L’altra divergenza riguarda la licenza di pesca a punti per la quale l'Italia ha dovuto adeguarsi alle disposizioni comunitarie europee.
«Si parte da zero –dicono i
pescatori - e vengono assegnati punti in base alle
eventuali infrazioni compiute, prevedendo tre scalini di gravità, da 18, 36 e fino
a 90 punti, quando scatta il
ritiro della licenza e la cancellazione della barca dal
registro. In caso di vendita
del peschereccio – affermano i pescatori - le penalità
subite passano automaticamente al nuovo acquirente».
Il comandante Diego Tomat a colloquio con i pescatori
Sopralluogo dei tecnici di via Foti con i sindaci di Canolo e Cittanova
Nuovi disagi sulla Strada provinciale
carreggiata dissestata dalle piogge
di ANTONINO RASO
CITTANOVA – La Strada provinciale 1
non trova pace. Da una settimana, alle
ormai note vicende legate alla stabilità
del terreno, si è aggiunta una nuova
grana. Nell’area coinvolta dalla frana
gigantesca del marzo 2010 si sono verificati –a causa delle piogge insistenti degli ultimi giorni - nuovi episodi di dissesto che hanno ulteriormente compromesso la praticabilità della carreggiata.
Nella mattinata di ieri i tecnici della Provincia, accompagnati dai sindaci di Cittanova, Alessandro Cannatà, e Canolo,
Rosita Femia, hanno effettuato dei sopralluoghi per quantificare i danni e la
mole di interventi da mettere in preventivo. Di fatto la strada rimane chiusa per
ora, ma Cannatà a margine dell’incontro ha affermato: «La priorità è che si
riapra il tratto di provinciale. Le Amministrazioni interessate rimarranno vigili sull’evolversi della situazione, consce dei disagi considerevoli che interessano da troppo tempo le popolazioni del
nostro territorio, facendo tutto il possibile perché la Sp1 torni al più presto praticabile». Altri disagi quindi per gli automobilisti chepercorrono abitualmente il tratto di provinciale che da Cittanova si inerpica verso l’altopiano dello Zomaro. La storia recente della Sp1 è un
susseguirsi di frane e cedimenti. Nel
marzo di due anni fa il gigante si sveglia.Un enormecostonedi montagnasi
stacca ricoprendo di massi, fango e arbusti il manto d’asfalto per oltre duecento metri. Poi i lavori di rimozione del materiale, il ripristino e la messa in sicurezza. Il 22 novembre 2011, nel bel mezzo
dell’alluvione che ha duramente colpito
Cittanova e diversi altri Comuni della
Piana, una seconda frana –più contenuta rispetto alla prima - si riversa sulla
strada montana. I tecnici, in quell’occasione, stimarono i danni per circa cinquantamila euro. Il rischio idrogeologico, per quell’area immersa nell’Aspromonte, è stato valutato come “R4”: il livello massimo secondo le stime del Pai.
I blocchi degli autotrasportatori contro il caro gasolio mettono in crisi la raccolta della spazzatura
Cinquefrondi e Polistena, Sos rifiuti
Gli scarti delle lavorazioni non possono essere trasferiti dall’inceneritore alle discariche
di SIMONA GERACE
CINQUEFRONDI – È di nuovo
emergenza rifiuti nella Piana. Lo
sciopero nazionale dei trasportatori contro il caro gasolio, ha provocato qualche conseguenza nei
diversi centri pianigiani, in particolare a Cinquefrondi e Polistena.
Alla carenza di
benzina, ormai merce rara e introvabile
da giorni, e agli scaffali semivuoti e poco
riforniti di alimentari e supermercati, si
va ad aggiungere
anche
l’arrivo
dell’emergenza rifiuti dal momento
che gli stessi non
verranno, almeno finché la situazione non tornerà alla normalità,
ritirati dagli appositi cassonetti.
Ad informare di questo, una nota
diramata ieri dal comandante di
polizia municipale, Domenico
Muzzupapa, su delega del primo
cittadino, Marco Cascarano, in
cui è stato precisato che per qualche giorno, finché il regolare servizio di raccolta sarà compromesso, i rifiuti non verranno ritirati
dagli appositi cassonetti. Un
Decisione
della Polizia
municipale
Ira di Tripodi
Camion fermi davanti al termovalorizzatore
provvedimento cautelativo questo, comunicato ieri ai cittadini e
su cui l’amministrazione comunale si è riservata di fornire, con
l’evolversi della vicenda, ulteriori
comunicazioni.
La sospensione della raccolta
della spazzatura dai cassonetti
sembrerebbe dipendere dal fatto
che, con l’agitazione e il blocco degli autotrasportatori, gli scarti
dei rifiuti lavorati non possono
essere trasferiti, come è avvenuto
fino ad oggi, dal termovalorizzatore di Gioia Tauro alle discariche.
Per questi motivi gli amministratori hanno invitato i cittadini
ad una razionalizzazione del conferimento dei rifiuti nei cassonetti, con lo scopo di evitare la creazione di ammassi di immondizia,
lo sparpagliamento di sacchetti
ai margini delle strade e la conse-
guente formazione di micro discariche a cielo aperto, che rischiano di causare problemi e implicazioni igienico-sanitarie.
Il blocco dei Tir sta creando notevoli disagi non solo a Cinquefrondi, ma anche a Polistena, dove il primo cittadino Michele Tripodi, ha sentito il dovere di intervenire sulla questione mettendo
in rilievo «la fragilità del sistema
calabrese dei rifiuti, che ci costringe, ogni qualvolta ci sia un
intoppo anche esterno al ciclo di
smaltimento e stoccaggio della
spazzatura, a dover vedere cumuli di rifiuti per le strade senza avere responsabilità alcuna».
Per il sindaco Tripodi non è una
cosa accettabile il fatto che «basti
un colpo di tosse per far precipitare la Calabria» e per questo ha invitato i cittadini ad un corretto
senso civico, fornendo anche indicazioni sulla separazione dei rifiuti secchi.
Anche in questo caso si conta
quindi, per l’ennesima volta, sul
senso di responsabilità dei cittadini, i quali, nonostante siano
fortemente provati dalla crisi incombente e dai disagi che lo sciopero degli autotrasportatori sta
provocando, dovranno anche limitare la produzione dei rifiuti.
Molochio isolata
Chiude
l’unica
banca
di ANGELA GARIBALDI
MOLOCHIO - La comunità
molochiese,
a
causa
dell’aggravarsi della crisi
finanziaria che colpisce
tutto il settore del credito
(così UBI Banca), a partire
da domani verrà privata
del minisportello bancario
della Carime, unico istituto di credito presente in loco; un importante servizio
che, aggiunto all’esiguità
diquello postale,va aparalizzare l’attività economica
del centro aspromontano.
«La chiusura dell’unico
sportello bancario – sostiene il sindaco di Molochio,
Beniamino Alessio – significa privare il paese di uno
dei servizi essenziali. Ci
troviamo ancora una volta
di fronte alla supremazia
delle logiche di mercato rispetto all’interesse della
collettività». Secondo Alessio è altamente penalizzante per il territorio perdere
questo sportello bancario
che va a creare un grave
danno per la comunità a
scapito dellepersone perlo
più anziane che hanno difficoltà fisiche a spostarsi
presso la filiale più vicina
per depositare o prelevare i
propri risparmi.
«E’ da sottolineare - prosegue il primo cittadino che a queste difficoltà fisiche dobbiamo aggiungere
quelle della tortuosità delle vie di comunicazione. La
questione non è politica
ma privata e per questo poco o niente possono fare le
amministrazioni locali,
come mi è stato risposto
dalla Direzione milanese
dell’istituto di credito, anzi
mi è stato aggiunto che
“queste azioni di pietismo
vanno lasciate all’ormai
sorpassato libro Cuore di
De Amicis”. E’ vero che ci
troviamo di fronte ad una
crisi nazionale ma è pur vero che ancora un volta a pagarne le conseguenze sono
i piccoli centri e per di più
quelli montani, depauperati da ogni sorta di servizi
necessari».
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Piana
Giovedì 26 gennaio 2012
Piana
Giovedì 26 gennaio 2012
Rosarno. La Stasi interviene dopo le accuse della Cgil Piana
«La Regione assicura impegno
e attenzione sui migranti»
ROSARNO - «Abbiamo la massima attenzione per i migranti
nella piana di Gioia Tauro».
La vicepresidente della Regione Antonella Stasi ribadisce
l’impegno della Regione sulla
questione migranti
nella
piana di Gioia
Tauro e replicando alla Cgil
che aveva accusato la giunta regionale di
aver abbandonato al suo destino la città di Rosrano dice: «E’
bene ricordare che sul tema
dell’accoglienza dei migranti in
Calabria e nello specifico nel ter-
«Sul tema
ci sono tanti
progetti»
ritorio di Rosarno, l’attuale
Giunta regionale ha da subito
affrontato il problema, impegnandosi, di comune accordo
con le istituzioni locali e la Prefettura, a superare le emergenze, avviando una serie di progetti coordinati. Il nostro impegno
come Regione è di circa 14,5 milioni di euro, coinvolgendo cinque comuni per ogni provincia.
Proprio nel comune rosarnese,
lo scorso mese di settembre abbiamo presentato il progetto
“Immigrati in Calabria” (con
fondi Por Fesr), alla presenza,
tra gli altri, dello stesso Sindaco
Elisabetta Tripodi, un’iniziativa avviata dall’assessorato
all’urbanistica e dell’assessora-
to al lavoro rivolta all’accoglienza, con soluzioni alloggiative
per i lavoratori immigrati con
regolare permesso di soggiorno
o richiedenti asilo. Precedentemente, - continua la Stasi - nel
mese di febbraio, abbiamo cercato, insieme alla Protezione Civile regionale, di alleviare il problema abitativo con l’allestimento di un campo d’accoglienza in contrada Testa dell’Acqua
attraverso l’istallazione di 20
moduli per 80 migranti. In entrambi i casi l’amministrazione
comunale di Rosarno si dichiarò soddisfatta di tali interventi,
che sono arrivati a seguito di
una difficile pagina di cronaca
che coinvolse il territorio, pro-
Uno scorcio della tendopoli di Rosarno
prio sul tema dell’immigrazione. In ultimo la Prefettura di
Reggio Calabria ha chiesto alla
Regione, un contributo economico straordinario, quantifica-
to in cinquantamila euro per
fronteggiare le emergenze sui
territori. A questa richiesta la
Regione ha risposto positivamente».
Cinquefrondi. Dopo la querelle Conia risponde a Roselli
Rosarno. Polemica in maggioranza
«Rinascita è un’associazione
aperta a tutti i contributi»
L’assessore Brilli
non replica ai suoi
e tiene il profilo basso
di SIMONA GERACE
CINQUEFRONDI - «Chi è Alfredo Roselli? Che ruolo occupa nella politica locale? A
nome di chi parla? Risolva
prima i problemi del suo partito, a oggi senza segretario,
e poi si metta a parlare di altri».
Queste le parole del presidente dell’associazione “Rinascita per Cinquefrondi”,
Michele Conia, dopo i commenti rilasciati, nei giorni
scorsi, dall’ex primo cittadino cinquefrondese. Il leader
di “Rinascita” non è riuscito
a ingoiare il rospo e ad accettare di passare per “chiuso e
settario”, come sempre più
spesso viene definito, e perciò ha precisato che “Rinascita” è un’associazione «apertissima, a chiunque voglia
dare il proprio contributo, al
punto tale che tutti hanno
avuto la possibilità, nell’iniziativa di sabato, di prendere
la parola. Quello che dico è dimostrato da numerose adesioni provenienti anche
dall’area dei Democrat o da
quella cattolica. Mi chiedo
però – ha precisato - come abbia fatto Roselli a giudicare
un’iniziativa a cui né lui né
alcuno dei suoi erano presenti». Una precisazione, questa
di Conia, densa di risentimento poiché, a suo parere,
gettare fango su “Rinascita”
potrebbe essere una strategia per far passare nel di-
di KETY GALATI
Il Municipio di Cinquefrondi e, a destra, Michele Conia
menticatoio altre questioni.
«Questo della chiusura è un
tema utilizzato ad arte da chi
teme il confronto sulla programmazione e sui progetti,
e tende a confondere le acque
e a mascherare gravi difficoltà, non riuscendo a spiegare
alla propria base i motivi di
un’unione tra due parti che
per 25 anni si sono scontrate
frontalmente». Poi un riferimento al motivo per cui, nel
2010, si è creata l’associazione che auspica un cambiamento politico locale. «”Rinascita” nasce per rompere i
vecchi sistemi politici e per
contrapporsi alle vecchie no-
menclature. – ha detto Conia
– Va oltre i partiti e chi vuole
aderire può farlo solo a titolo
personale e non attraverso
vecchie logiche di accordi. Le
decisioni sono prese collettivamente e non al chiuso di
una stanza tra due o tre persone». Infine una precisazione in merito ad un mancato
accordo tra i rappresentanti
della sinistralocale. Unasintonia su cui lo stesso Michele
Galimi, appena entrato nel
Pd, si era dimostrato scettico
e Conia aveva chiesto una
smentita. «A noi non interessa unire le sigle. – ha precisato il consigliere di “Rinasci-
ta” – Questa tattica ha portato già al fallimento dell’amministrazione di Roselli, che
è rimasto distrutto e isolato.
Forse per questo, e per il fatto
che il popolo gli ha impedito
di essere consigliere che parla senza conoscere le cose, come ha fatto sull’osservatorio, dove “Rinascita” ha aderito in sede istituzionale, totale adesione, purché non diventi solo una passerella. In
ogni caso voglio precisareha concluso - che noi siamo
aperti a chiunque, anche al
Pd, se vuole un confronto
pubblico su temi, programmi e questioni concrete».
Cittanova. Fli all’attacco del primo cittadino dopo la sentenza della Corte dei Conti
«Cannatà faccia chiarezza sul personale»
di ANTONINO RASO
CITTANOVA - «Avevamo ragione, in
merito al richiamo della Corte dei
Conti, quando chiedemmo al Sindaco
la motivazione sulla nomina esterna
di un dirigente di categoria D all’ufficio tecnico. Oggi ci aspettiamo dal primo cittadino Cannatà un atteggiamento di sincerità politica e di responsabilità attraverso le dimissioni
dell’assessore al Bilancio Giuseppe
Dangeli. Chiediamo dunque al sindaco di fare chiarezza in merito alla gestione del personale dell’ufficio tecnico».
Questa la richiesta di Futuro e libertà, coordinamento di Cittanova, in
merito alle vicende all’ufficio tecnico
cittadino. Fli, per bocca del suo coordinatore Domenico Fonti, attacca sulla
gestione delle «nomine» da parte dei
governanti, sottolineando la presunta «incapacità dell’assessore ai Lavori
Alessandro Cannatà
pubblici, Domenico Sicari, di pianificare il lavoro del suo settore di competenza». E porta alcuni nodi al pettine,
chiamando in causa il primo cittadino: «Il sindaco Alessandro Cannatà –
afferma Fonti - almeno per una volta
ammetta di aver peccato di presunzione, anche nei confronti della Corte de
Conti che nei fatti pare abbia avuto ragione. Soprattutto il sindaco faccia
chiarezza e da vero ”democratico”
spieghi ai cittadini la necessità di una
nomina esterna all’ufficio tecnico».
«Sappiamo - continua - che è consueta abitudine del sindaco imputare
ad altri le proprie malefatte. Ma a chi
imputerà la colpa per la decadenza
della nomina fiduciaria a dirigente
dell’ufficio tecnico al professionista
esterno?». Poi conclude: «Al professionista in questione esprimiamo la
nostra solidarietà per il metodo improprio di amministrare la cosa pubblica da parte di questa giunta. Al sindaco, infine, ci sentiamo di fare una
semplice raccomandazione: valorizzi
i tanti impiegati del nostro comune
nel pieno interesse della nostra comunità della comunità».
la situazione generale economica e sociale della cittaROSARNO –La vendetta, si dina di Rosarno, nella quasa, anche in politica , è un le urge una sana e costante
piatto che va servito fred- fase amministrativa che
do. Potrebbe essere questa punti ad una vera svolta».
la strategia di Michele Bril- Bruzzese ha dichiarato di
li, attuale assessore comu- non essere interessato al
nale alla Cultura ed alle Po- ruolo di capogruppo consiliare del Pd all’interno del
litiche sociali.
comunale.
La ragione è semplice. consiglio
Mentre parte del Partito Sull’accanimento di ItaliaDemocratico di Rosarno no contro Brilli non si è
tenta tutte le carte per silu- esposto. Adesso dopo
rare l’attuale assessore, ac- quanto accaduto sono in
cusato di tenere atteggia- tanti a chiedersi cosa accamenti «offensivi ed imper- drà nel Pd rosarnese? Il
donabili contro i suoi stessi passo indietro di Italiano
alleati», quest’ultimo stra- prova come la maggioranza rischi il caos
namente tace, evipiù totale o cotando ogni replimunque
uno
ca. Non prende
scossone dagli
nessuna posizioesiti non ancora
ne.
percettibili. AnBrilli si limita a
che il sindaco da
sorridere dietro la
parte sua sembra
scena pur involer attendere.
goiando l’attacco
Non rilascia didi Italiano, autore
chiarazioni uffidello scontro orciali su quanto
mai aperto, il quasta avvenendo
le, non è riuscito Michele Brilli
all’interno
del
ad isolare la sua
gruppo del Pd in
delusione sul piaconsiglio comuno politico ed ha
nale. Prima o poi
deciso di rassedovra scegliere.
gnare le dimissioDarà ragione ad
ni da capogruppo
Italiano? Difendel Partito Demoderà Brilli? Cercratico. Tra le mocherà una mediativazioni della rizione tra le parti
nuncia di Italiano
in causa? Nessuc’è «l’assoluta e inno al momento sa
sanabile incompacosa
accadrà.
tibilità politica»
Quel che però
tra lui e l’assessosembra certo e
re Brilli che per
che qualcosa non
Italiano deve lafunzioni
più
sciare la giunta
all’interno quel
guidata dal primo
gruppo che avecittadino di Rosarva stravinto le ulno, Elisabetta Tritime elezioni ampodi. Brilli, semministrative. Albrerebbe non intra domanda da
cassare più il soporsi è: la richiestegno da parte
sta della testa di
dei componenti
Brilli è solo un
del Partito Demopretesto? O ci socratico del quale fa Franco Bruzzese
no altre motivaparte. Lo dimostra
il fatto che quasi tutti i con- zioni all’interno del Partito
siglieri “democrat” inter- Democratico che hanno
pellati sulla querelle non scatenato questo putiferio
hanno voluto rilasciare al- politico? Intanto, mentre i
cuna dichiarazione, eccet- pezzi del Pd ufficialmente
to, Franco Bruzzese, il qua- tacciono, le altre forze polile, ha respinto senza esita- tiche ed i gruppi all’interno
zioni
le
dimissioni del consiglio comunale
«dell’amico Pippo Italiano, aspettano di capire cosa acpersona stimata sia sul cadrà e soprattutto cosa
campo professionale che provocheranno nella magsu quello politico». Non so- gioranza le dimissioni da
capo gruppo di Pippo Italo.
Bruzzese ha invitato il liano. Saranno solo polemiconsigliere Italiano a ri- che superficiali oppure si è
pensarci, invitandolo «ad davanti a divisioni inarreuna attenta riflessione sul- stabili.
Anche
il sindaco
evita
di alimentare
lo scontro
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Redazione: via D. Correale, 13 - 89048 Siderno (Rc) - Tel/Fax 0964.342451 - E-mail: [email protected]
Stava nella Locride una delle figure di spicco coinvolte nell’inchiesta che ha decapitato i clan del Vibonese
Stilo era la base per “Cenzo”
Taverniti scampò a un omicidio ed era considerato un vero capo a Gerocarne
FAIDA DEI BOSCHI
di PASQUALE VIOLI
SIDERNO - «Vincenzo Taverniti, quello di
Stilo, Cenzu d’Ariola, tentarono di ammazzarlo e lui sapeva chi era stato. Per un
periodo con alcuni della famiglia in galera
era stato lui a reggere il controllo della zona dell’Ariola nel vibonese». Sono queste
le parole di alcuni pentiti, uno di questi parente di Vincenzo Taverniti, che spiegano
il coinvolgimento dell’uomo residente a
Stilo nelle dinamiche criminali dei boschi
vibonesi.
E proprio per Vincenzo Taverniti sono
scattate le manette ai polsi nell’ambito
dell’inchiesta della Dda di Catanzaro chiamata “Light in the woods”e che ha fatto luce sulla faida sanguinosa per il controllo
del territorio interno del vibonese andata
avanti, tra tregue e recrudescenze, dai primi anni '90 sino alla fine del 2009: a ricostruire lo scontro che ha insanguinato la
zona di Gerocarne, nella Preserre vibonesi, è stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro sfociata ieri nell’operazione della squadra mobile catanzarese, denominata «Luce nel bosco», che ha portato all’arresto di
30 persone accusate di associazione mafiosa e, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento, estorsione,
armi e turbativa d’asta.
«Con questa operazione –ha detto il procuratore di Catanzaro
Vincenzo
Antonio
Lombardo – abbiamo
scritto la storia del 'localè di Gerocarne fino
ai giorni nostri». Ma
non solo omicidi ed
estorsioni. Gli investigatori sono convinti di
avere accertato anche
le infiltrazioni della cosca nel comune di Gerocarne con l’elezione a
sindaco, nel 2005, di
Michele Altamura, nipote del boss Antonio
Altamura, L’ex sindaco
è tra gli arrestati.
Per lui l’accusa è associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti si
sarebbe attivato per
aiutare gli affiliati ad
ottenere i lavori di tre
appalti pubblici. E Vincenzo Taverniti, alias
“Cenzu d’Ariola” era inVincenzo Taverniti
serito proprio nel contesto criminale che cercava di mettere le
mani su appalti e affari, almeno secondo
quanto rivelano almeno due collaboratori
di giustizia, ed anche dalla lontana Stilo
era attivo e partecipe agli affari e ai movimenti del suo clan di riferimento. Quello
di Taverniti era un ruolo senza dubbio di
vertice per quanto ritengono i magistrati
della Dda e anche per quanto emerso dalle
parole dei pentiti che ne hanno raccontato
anche il tentato omicidio perchè Taverniti
faceva parte di una delle fazioni contrapposte per il controllo delle preserre vibonesi.
E i primi scontri all’interno della cosca
operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono addirittura ai tempi del sequestro di Marco Celadon, avvenuto a Vicenza il 25 gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla
squadra mobile veneta venne fuori come
fosse in atto uno scontro tra le famiglie
Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate, per
la supremazia. Dal 1998, dopo l’omicidio
di Antonio Maiolo, era stata raggiunta
una sorta di tregua, interrotta, però il 22
aprile 2002 con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. Grazie al ritrovamento sul luogo del delitto di alcuni telefonini e grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori, le indagini hanno avuto un impulso che ha portato alle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse
dal gip su richiesta della Dda catanzarese.
L’inchiesta ha anche messo fatto luce su
un’attentato intimidatorio compiuto ai
danni del sindaco di Arena, al quale fu fatta saltare l’automobile per indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi.
Interessi per appalti, droga e potere che
per i magistrati Vincenzo Taverniti ha seguito con grande interesse anche da Stilo.
Nella zona
dell’Ariola
aveva avuto
un ruolo
di primo piano
Attenzionate tre
intere province
SIDERNO - Il duro colpo inferto dalla
Dda di Catanzaro alle cosche delle
preserre vibonesi potrebbe essere solo la prima parte di un cerchio che potrebbe stringersi sulle cosche dei “boschi” delle tre province. I movimenti
che da anni interessavano Gerocarne
e l’entroterra di Vibo Valentia, al confine con la Piana di Gioia Tauro e lo
Stilaro jonico, non sono diversi da
quelli che le forze dell’ordine stanno
attenzionando da tempo anche nel
“mandamento” reggino che tocca anche la provincia catanzarese. E proprio sulla base di numerose attività di
indagine che si sta cercando di capire
come le cosche si stiano muovendo
per gestire gli affari del territorio a
cavallo tra “i boschi” di Vibo Valentia,
Reggio Calabria e Catanzaro. Gli investigatori studiano ogni dettaglio,
dai piccoli attentati e intimidazioni
agli efferati omicidi degli ultimi anni,
che hanno segnato senza dubbio un
riacutizzarsi delle lotte interne per la
gestione degli affari in un territorio
immenso.
Una veduta della Vallata dello Stilaro
Lo stilese indicato come partecipe al delitto del 1993
Ebbe un ruolo fondamentale
nell’omicidio di Scaramozzino
SIDERNO - Placido Scaramozzino
scomparve nel nulla nel 1993, il classico caso di lupara bianca. Oggi, grazie
alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia si sa che è stato brutalmente assassinato e seppellito. A partecipare a
quell’omicidio, secondo quanto rivelato dal pentito Loielo, ci fu anche Vincenzo Taverniti. La scomparsa del parrucchiere rientrerebbe nell’ambito
della faida tra le famiglie del vibonese
culminata con la strage tra i boschi
serresi raggiunge la mattina del 25 ottobre del 2003. Anche questa avvenuta
nella frazione Ariola. Episodio che vide il barbaro omicidio dei cugini Francesco e Giovanni Gallace, e Stefano Barillaro. Si salvò a stento, benché gravemente ferito, Ilario Antonio Chiera.
E nel contesto dello scontro tra clan
si inseriva anche l'uccisione di Placido
Scaramozzino, il parrucchiere 43enne
di Acquaro scomparso il 28 settembre
del 1993 e il cui cadavere non fu mai
trovato. A parlare delle modalità con le
quali venne assassinato erano stati i
collaboratori Taverniti e Francesco
Loielo.
Quest'ultimo aveva iniziato nel
2010 la sua collaborazione con la giustizia. Scaramozzino, secondo quanto
ricostruito dai magistrati, fu ucciso
sulla scorta di meri sospetti a causa
della sua frequentazione con Antonio
Maiolo, boss locale antagonista del
gruppo Loielo capeggiato da Altamura. La sera del 28 settembre di 19 anni
fa Vincenzo Taverniti si trovava in
macchina con il cognato Vincenzo
Loielo. E fu proprio quest'ultimo, secondo il racconto, ad offrirgli di andare a fare una passeggiata per poi dirgli
di scendere dalla macchina e di chiedere un passaggio alla persona con l'auto
bianca. Una volta fermata, Loielo, colpì il 43enne con il calcio di una pistola
“357” dopo averlo
estratto dalla macchina. Poi, l'uomo
venne legato e trascinato lungo un
sentiero nella boscaglia, in un luogo isolato. Nel frattempo Antonio Gallace si occupò di
spostare l'autovettura della vittima.
Adagiato per terra, a testa in giù, fu interrogato sui suoi rapporti con il clan
rivale. Dopo aver scavato una buca il
parrucchiere fu denudato (lasciato solo con gli slip), la faccia in su e le mani
legate in avanti e colpito con una zappa
sul petto e alla testa. Dunque, la sepoltura quando era tramortito ma, sembrerebbe, ancora in vita. La sua auto
venne ritrovata abbandonata in località Pietre delle Malogne” ad Acquaro,
solo qualche giorno dopo la scomparsa.
Una volante
della
Squadra
mobile di
Catanzaro
che ha
condotto
le indagini
Il capo dei capi della ’ndrangheta reggina “omaggiò” la cosca vibonese della sua presenza
Anche Oppedisano ai funerali del padrino
SIDERNO - I clan delle preserre vibonesi
avevano forti contatti anche con alcune
famiglie del reggino, specialmente della
Piana di Gioia Tauroma anche della jonica. Anche questo emerge dalle carte
dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che
mettendo insieme le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, le intercettazioni telefoniche e ambientali, il
lavoro immane portato avanti dalla
squadra Mobile, è
stato possibile scrivere la storia del locale di Gerocarne
con continue scissioni all’interno,
numerosi omicidi e
collegamenti di rilievo con le cosche
del Reggino e del
Domenico Oppedisano
Catanzarese.
Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione del padrino don Mico Oppedisano, storicoboss delReggino, aun funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche
gli interessi malavitosi sui sequestri di
persona degli anni Novanta. Tra questi,
quello di Carlo Celadon, figlio di un noto
imprenditore di Vicenza, avvenuto nel
1988, e di un altro imprenditore pugliese
di Massafra.
I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal
carcere usufruendo di vari permessi, nel
1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi.
L'avvio della faida è stata aggravata
anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino
ai Loielo, nel tentativo di guadagnare
nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei
fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del
2002, per il quale lo scorso anno è stato
arrestato proprio Emanuele.
Ma la faida e la scissione tra i gruppi ha
anche portato le due fazioni a trovare
contatti con altre realtà criminali, in particolare il gruppo dei Loielo aveva agganciato dei buoni contatti con le cosche del
reggino riuscendo a gestire in qualche
occasione anche degli affari relativi al
traffico di droga o a piazzare sub appalti.
La presenza del super boss Mico Oppedisano, considerato a capo di tutta la
ndrangheta reggina, al funerale di un
padrino di Gerocarne testimonia per la
Dda la grande condivisione di interessi
tra gruppi criminali.
p.v.
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Locride
Giovedì 26 gennaio 2012
33
Email: [email protected] - Amantea E-mail [email protected] - [email protected]
Paola E-mail [email protected], [email protected], [email protected]
San Lucido Email [email protected]
Scalea Email [email protected]
Belvedere Email [email protected]
Amantea. Accuse all’amministrazione dell’epoca che non rispettò l’appalto
Nepetia, «non ci furono pressioni»
Un testimone parla dell’assunzione del capoclan Gentile nell’Ati del porto
di PAOLO VILARDI
AMANTEA – “Non ricevetti nessuna imposizione di comportamenti illeciti da Gentile, né tantomeno pressioni di qualsiasi
genere”. Sono le dichiarazioni
del campano Gaetano Improta,
rilasciate martedì scorso a Paola
nel processo Nepetia, durante
l’esame del Pm della Dda Giampaolo Boninsegna.
Il testimone, nel 2002, fu il responsabile dell’Ati, associazione
temporanea d’impresa, che per
tre mesi ebbe in gestione il porto
di Campora San Giovanni, opera
al centro dell’inchiesta penale
che per un certo periodo di tempo
venne posta sottosequestro
dall’autorità giudiziaria.
Il teste ha raccontato della sua
esperienza ad Amantea, troncata dopo aver aperto un contenzioso con il Comune, ente che
non avrebbe rispettato le condizioni scritte nell’appalto: «Con
una società del posto, che non
aveva le caratteristiche per la gestione, costituimmo un’Associazione temporanea di imprese con
tutti i requisiti per aggiudicarci
la gara d’appalto, che alla fine
vincemmo. Iniziammo quindi a
li riportati nel voluminoso fascicolo della Dda di Catanzaro: “Alla nostra richiesta di apportare
modifiche all’appalto non ci venne data risposta alcuna, nonostante discussioni forti e accese.
Abbiamo continuato a gestire
l’approdo turistico fine a settembre, il mese che decidemmo di fare causa al comune poiché perseverava a non rispettare quanto
previsto nell’appalto”.
Sempre il teste ha quindi elencato le problematiche principali
riscontrate nella gestione: “A
nostro avviso c’erano problemi
strutturali e l’opera non era mai
lavorare per la gestione del porto, che portammo avanti per tre
mesi, da luglio a settembre. Col
passare delle settimane ci trovammo però a gestire situazioni
diverse rispetto a quanto previsto nel progetto iniziale. Tra l’altro il porto non ci fu mai ufficialmente consegnato».
Improta, sollecitato dalle domande del Pubblico ministero,
ha quindi fatto luce su quanto
avveniva nella gestione della
struttura portuale, nel vortice
dell’inchiesta Nepetia – Enigma.
Non ha però fornito particolari
che rasentassero gli illeciti pena-
stata sottoposta a collaudo definitivo”. Quindi i rapporti con
Tommaso Gentile, che a suo dire
non gli creò problema alcuno:
“Era un signore che lavorava
con noi, assunto dall’Ati per vigilare nell’area della struttura dove non vi era recinzione”.
Improta non ha infine raccontato nulla di particolare, né tantomeno i suoi sospetti, sul danneggiamento che subì il gabbiotto del porto, presunto gesto di intimidazione, che insieme agli
scontri col comune sarebbero
state le cause che lo avrebbero indotto a lasciare; una situazione
che lo stesso ha smentito: “Ce ne
andammo esclusivamente per
gli attriti con l’allora amministrazione comunale e perché il
lavorare lontano dalla nostra sede ci comportava costi imprevisti”.
Il processo Nepetia, che si sta
celebrando dinanzi al collegio
del Tribunale di Paola, riprenderà il prossimo 14 febbraio.
Scalea. All’interno anche materiale pericoloso e carcasse di mezzi arrugginiti Belvedere Marittimo
Faceva
prostituire
una minorenne
La Guardia di Finanza sequestra quindicimila metri di terreno Condannata
Rifiuti in area industriale
di MATTEO CAVA
SCALEA – Da qualche tempo l'area
industriale era nelle attenzioni degli uomini della Guardia di finanza.
Nella giornata di ieri le Fiamme
gialle, coordinate dal tenente Eliana
Minoia, e dal Comando provinciale
di Cosenza, hanno posto sotto sequestro un'ampia area. L'attività
della Guardia di finanza è stata avviata a tutela dell'ambiente circostante, a due passi dal mar Tirreno e
vicino al fiume Lao.
I sigilli sono stati apposti a ben
15mila metri quadrati di terreni. Secondo i finanzieri della Tenenza di
Scalea sarebbero stati adibiti a discariche abusive. Tant'è che in quell'area sono stati posti sotto sequestro
anche rifiuti speciali e pericolosi per
oltre duemila tonnellate. I finanzieri della tenenza di Scalea dopo complesse attività investigative e l’effettuazione di sopralluoghi, accertamenti ed acquisizioni documentali,
anche topografiche, hanno dato esecuzione al sequestro di cinque aree
adibite a discariche abusive. L’attività eseguita ha comportato il sequestro di alcune migliaia di tonnellate di rifiuti. Materiale che è stato
abbandonato in quell'area, in violazionedilegge. Ifinanzierihannoinformato dettagliatamente anche la
Procura della Repubblica di Paola
che da tempo segue con attenzione le
problematiche ambientali. I reati
contestati hanno comportato, fra
l'altro, la segnalazione all’autorità
giudiziaria di quattro persone per
ipotesi legate alla violazione della
normativa ambientale. Della circostanza sono stati interessati gli uffici competenti per le analisi del caso,
al fine di verificare l’eventuale grado di inquinamento attuale del suolo e del sottosuolo. Diverse carcasse
di materiale ferroso erano in cattivo
stato di conservazione e non si esclude che parte dei materiali contenuti
siano andati a finire nel terreno.
L’attività ha riguardato la zona industriale del comune di Scalea.
Un'area che arriva alle sponde del
fiume Lao. Sono stati rinvenuti rifiuti di ogni genere e tipologia: solidi urbani e speciali, anche pericolosi, tra cui pneumatici usati, fusti e
bidoni adibiti al trasporto di oli industriali e diluenti, autoveicoli dismessi e parti meccaniche, stampi
di barche in vetroresina in evidente
stato di ossidazione, materiale di risulta edile e scarti derivanti dalla
estrazione e lavorazione di inerti.
Per la tenenza della Guardia di Finanza di Scalea non ci sono dubbi: a
due passi dal Comune di Scalea ed al
confine con il territorio comunale di
Santa Maria del Cedro, sono state
portate alla luce delle vere e proprie
discariche a cielo aperto. Elevato il
degrado ambientale riscontrato
nell'area industriale, sottoposta al
vincolo paesaggistico-ambientale
ed idrogeologico.
«La difesa dell’ambiente – si legge
in una nota del Comando provinciale - è oggetto di attenzione da parte
della Guardia di finanza e si inserisce nel più ampio contesto della cornice di sicurezza economico-finanziaria, anche per i profili di natura fiscale sottesi, riguardanti il tributo
speciale per l’illegale conferimento
in discarica di rifiuti solidi urbani.
In taleottica econ riguardoanche ai
profili di tutela degli interessi erariali locali, l’attività svolta si inserisce nel lavoro di costante monitoraggio del territorio attuato dalle
Fiamme gialle nell’ambito del capillare dispositivo di controllo predisposto dal comando provinciale di
Cosenza».
Il materiale ferroso posto sotto sequestro
Processo Azimut: manca il pm, rinviata l’udienza
CETRARO – Il processo denominato Azimut si ferma allo stop.
Dopo l’udienza dello scorso mese di luglio, è ripreso ieri mattina e subito è stato rinviato per
l’assenza del Pubblico ministero
della Direzione distrattuale antimafia. Il collegio del Tribunale
di Paola, presidente Paola Del
Giudice, ha soltanto deciso che
nella prossima udienza sarà
conferito ad un perito l’incarico
per le trascrizioni delle intercettazioni rilevate.
Il processo vede quindici imputati, tra i quali anche Franco
Muto, che nel 2005 furono prosciolti dalle accuse del noto procedimento principale a carico
del clan Muto con sentenza di
non luogo a procedere, ma rinviati a giudizio l’8 novembre del
2010 dalla Corte d’Appello di Catanzaro, a seguito di ricorso della Procura. L’accusa è di associazione a delinquere di stampo
mafioso e singoli episodi di usura ed estorsione, nonché altri
reati di minore entità.
Questi gli imputati del processo del Tirreno cosentino:
Francesco Muto (71 anni), di Cetraro; Luigi Muto (49) di Cetraro; Delfino Lucieri (52) di Cetraro; Carmelita Cesareo (49) di Cetraro; Giuseppe Nigro (51) di
Belvedere Marittimo; Giuseppe
D’Elia (60) di Belvedere Marittimo.
Si ritorna il aula il prossimo 7
marzo.
pa. vi.
BELVEDERE M. – Aveva mediato
per far avere un rapporto sessuale
con una minorenne ad un soggetto
della zona. La protagonista di questa vicenda giudiziaria è una donna
di nazionalità bielorussa, condannata ieri mattina dal collegio del Tribunale di Paola per prostituzione
minorile. Il presidente Paola Del
Giudice, al termine della camera di
consiglio, ha sentenziato per l’unica
imputata di questo procedimento
penale la pena di due anni di reclusione.
I fatti risalgono al 2 maggio del
2007, quando la donna condannata,
Nina Valiuzhenick, di 53 anni, suggerì ad una connazionale con meno
di 18 anni di età, riuscendo a convincerla, di avere un rapporto sessuale
con un uomo del posto, M.T., previo
pagamento di una cifra di denaro.
Fornì quindi a quest’ultimo il numero di cellulare della minore per
concordare un appuntamento finalizzato alla consumazione del rapporto sessuale. Ciò non avvenne per
l’intervento repentino dei carabinieri, che nel contesto di un’indagine su un presunto giro di prostituzione in città pedinarono l’uomo e la
ragazza. I militari approfondirono
quindi l’indagine da cui la procura
aprì l’inchiesta penale.L’imputata,
difesa d’ufficio dall’avvocato Emanuela Gasparri, lavorava come collaboratrice scolastica. Per questa
condanna, 2 anni di reclusione con
pena sospesa e 6 mila euro di multa,
è stata interdetta da incarichi nelle
scuole di ogni ordine e greco. Il pm
aveva chiesto la condanna di 4 anni e
10 mila euro di multa.
pa. vi.
Amantea. Gli investigatori indagano sull’atto intimidatorio a La Rupa
Collegamenti con la bomba
La strada
che conduce
alla villa
estiva
di PAOLO OROFINO
AMANTEA – Atti alla Dda di
Catanzaro. Come da disposizione del procuratore di Paola, per
quegli episodi sospetti in odor
di criminalità organizzata,
sull’esplosione a casa La Rupa,
indagherà pure la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro a cui è stata inviata copia
dell’informativa sull’accaduto.
Lunedì sera, poco dopo le 20.30
un ordigno rudimentale è stato
fatto esplodere davanti la villa
la mere di Franco La Rupa, ex
consigliere regionale ed ex sindaco di Amantea.
Un esplosione che ha provocato solo danni agli infissi
esterni della casa ed a una parte
del cornicione. La villa non è dotata di sistema di videosorveglianza esterna ed al momento
del boato dentro non c’era nessuno. Per di più la casa è situata
proprio in una zona isolata e
buia, per cui c’è un’assoluta ca-
renza d’indizi, almeno per adesso.
E allora si cerca di risalire ad
un plausibile movente e gli investigatori a tal proposito stanno valutando determinati elementi e certe coincidenze. Per
esempio, la magistratura inquirente ed ai carabinieri stanno cercando di capire se possa
esserci o meno, un nesso temporale fra l’esplosione ed il processo Nepetia in corso. Dato che
la bomba è stata piazzata proprio alla vigilia di un importante udienza del dibattimento in
cui, fra gli altri esponenti delle
ndrine del tirreno cosentino, è
imputato lo stesso La Rupa.
Questi ha già subito una con-
danna di primo grado in altro
simile procedimento. Inoltre, si
stanno mettendo in relazione
all’episodio, recenti provvedimenti sollecitati dalla procura
antimafia.
Si stanno assemblando diversi tasselli al fine di individuare
un movente , dietro al gesto. Si
indaga al largo raggio e nessuna pista viene esclusa. Certamente appare strano quanto
verificatosi, poiché La Rupa da
tempo non ricopre più cariche
politiche e non esercita attività
lavorative soggette ad azioni
estorsive. Quindi, salvo colpi di
scena, per trovare una spiegazioni le ricerche vanno anche
indietro negli anni.
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Tirreno
Giovedì 26 gennaio 2012
21
Giovedì 26 gennaio 2012
REDAZIONE: corso V. Emanuele III, 58 - Vibo Valentia - Tel. 0963/471595- Fax 472059 -E-mail: [email protected]
Omicidio Muller
Palazzo Luigi Razza
Il pm chiede l’assoluzione
dei due fratelli Bellissimo
Rifiuti, Rifondazione Comunista
mette il sindaco sotto accusa
a pagina 24
a pagina 25
La faida ventennale e il sostegno all’ex sindaco di Gerocarne ritenuto interno alla cosca
Un Comune assoggettato al clan
Lights on the Woods: 30 arresti nelle Preserre a opera della Mobile di Catanzaro
ANNI di faide ed estorsioni,
cambi al vertice delle organizzazioni criminali, ma anche
sequestri di persona e omicidi, passando per il controllo
delle amministrazionipubbliche. L’operazione “Light in
the woods”, hapermesso difare piena luce sulla storia di
mafia che ha caratterizzato le
Pre Serre Vibonesi dal 1989
ad oggi, chiarendo una serie
di delitti che negli anni avevano anche trovato soluzioni
parziali. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip Tiziana Macrì, riguarda 30 persone, tutte accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso,
oltre che, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento ed
estorsione, armi ed esplosivi,
turbativa dei pubblici incanti
per gli appalti riferiti al Comune di Gerocarne. Arrestato anche l’ex sindaco Altamura.
di GIANLUCA PRESTIA
alle pagine 22 e 23
L’OPERAZIONE
Lo sbancamento lungo la spiaggia
L’immagine della strage di Ariola, avvenuta nel 2003 e inserita nel contesto della faida tra i Loielo e i Maiolo
Comune di Mileto
Joppolo
Scioglimento
in arrivo
Rubato il gasolio
della scuola
GIORNI contati, forse qualche
settimana ma non di più per il
Consiglio comunale della città
normanna. Secondo indiscrezioni estremamente affidabili, infatti,
l’indagine della commissione di
accesso agli atti abbia fatto emergere anomalie. Il giudizio della
prefettura è quindi negativo.
JOPPOLO - Ignoti, la notte tra
martedì e mercoledì si sono introdotti nei locali della scuola
elementare e materna di Caroniti e hanno portato via il carburante che serviva ad alimentare i
riscaldamenti. Il sindaco Dato
ha affrontato l’emergenza mandando delle stufe elettriche.
a pag. 24
Il Comune di Mileto
a pag. 28
La scuola elementare di Caroniti
LA SEGNALAZIONE
Tre giorni di blackout telefonico
Una donna al telefono
NEI giorni scorsi in città si è
registrato un vero e proprio
black-out delle linee telefoniche e Adsl del Gestore telefonico Telecom Italia. Il guasto, che sarebbe durato tre
giorni, ha riguardato alcuni quartieri cittadini intensamente abitati: in particolare, sono state interessate
le zone di Via Moderata Durant, Feudotto e Bitonto.
L'isolamento forzato ha
causato non pochi disagi
agli utenti, privati e non,
che si sono visti improvvisamente interrompere la linea, senza alcun preavviso,
per più di 72 ore. La fastidiosa circostanza ha provocato
un fiume di reclami al 187,
servizio clienti Telecom Italia, che tuttavia non ha potuto dare alcuna agevole soluzione al problema.
Addirittura, nella disattenta gestione dell'emergenza, ad alcuni abbonati
sarebbero stati assegnati
numeri provvisori, appartenenti ad altri clienti Telecom, che si sono visti dirottare le proprie chiamate in
entrata ad altra destinazione. A dare notizia dell'accaduto è stata l'Assoconsum,
associazione a tutela dei diritti dei consumatori, presente sul nostro territorio,
che ha attivato un tavolo di
trattative con l'azienda Telecom, per rimborsare nel più
breve tempo possibile il danno subito dagli utenti.
Chi avesse necessità potrà
pertanto contattare l'Assoconsum, dove un pool di
esperti è a disposizione dei
cittadini a titolo gratuito,
non solo per fornire indicazioni utili, ma anche per
coordinare le iniziative tese
a tutelare il rapporto con il
gestore telefonico.
Per il caso di specie l'Assoconsum è a disposizione a
Vibo Valentia ed in tutta la
Calabria ai seguenti recapiti
telefonici
329.1080991/333.4930954
- e.mail [email protected]
d. m.
Sbancamenti
sulla spiaggia a Ricadi
Arrestato il padre
del vicesindaco Carone
FURTO aggravato in concorso, alterazione e deturpamento di bellezze naturali,
modificazione dello stato dei luoghi ed
abusivismo edilizio. Queste le accuse di
cui sono ritenuti responsabili i due soggetti tratti in arresto ieri pomeriggio dai
Carabinieri della stazione di Spilinga.
Nel pomeriggio verso le 14, a Ricadi,
nel corso di servizio finalizzato alla prevenzione e repressione di
reati in materia ambientale, i militari
dell’Arma hanno tratto in arresto in flagranza Vincenzo Carone, 62enne di Ricadi, frazione Santa Domenica, imprenditore
turistico proprietario
e titolare di villaggio
sito a Ricadi in località Vincenzo Carone
“Tono” e padre dell’attuale vicesindaco di
Ricadi (Vera), e Paolo
Ripepi, 46enne di Ricadi,
imprenditore
edile. I due, presso la
spiaggia antistante il
villaggio turistico di
proprietà di Carone,
mediante l’uso di un
escavatore di proprietà e condotto da Ripepi, stavano asportando svariati metri cubi Paolo Ripepi
di sabbia e materiale
roccioso utilizzandoli al fine di creare,
privi di qualsiasi titolo autorizzativo, una
barriera frangiflutti a beneficio della
struttura ricettiva di Carone, su un’area
sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale. Area e mezzo d’opera sono stati
sottoposti a sequestro dal personale della
Benemrita.
Gli arrestati, espletate le formalità di rito, sono stati sottoposti al regime degli
arresti domiciliari a disposizione dell’autorità giudiziaria.
gl. p.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
Vibo
22 Vibo
Giovedì 26 gennaio 2012
Vibo 23
Giovedì 26 gennaio 2012
A Vincenzo Taverniti affidato il compito di eliminare i rivali
L’operazione “Lights on the Woods”
Il ruolo degli altri sodali
Un gruppo
organizzato
Il sostegno al gruppo, le riunioni e le attività estorsive
Le attività criminali, l’appoggio elettorale, il procacciamento
di voti e l’elezione del candidato a sindaco nipote del boss
di GIANLUCA PRESTIA
mente controllati dai fratelli Loielo, successivamente uccisi, e. per
loro conto dal collaboratore di giustizia Enzo Taverniti, ma attualmente sono posti al controllo dei
fratelli Francesco ed Angelo Maiolo, del cugino Francesco Maiolo e
dell’altro cugino Francesco Capomolla.
Il comune di Soriano è sotto il
controllo di Salvatore Grillo su delega di Bruno Emanuele che ha la
supervisione sui territori di Sorianello, Pizzoni e Vazzano.
Il gruppo aveva messo gli occhi
sulle attività del comune di Gerocarne. Una pervasività emersa in
sede di indagine e che, per gli inquirenti, rappresenta uno degli
aspetti più pericolosi dell’associazione mafiosa. «L’infiltrazione nelle strutture amministrative viene
ritenuta indispensabile dalla cosca
allo scopo di poter piegare l’attività
politico-amministrativa al soddisfacimento degli esclusivi interessi della struttura associativa».
L’attività investigativa ha consentito di verificare come «gli accoliti
alla conserteria forniscano il loro
sostegno politico con l’unico scopo
di ottenere la garanzia, da parte,
degli organi politici, di poter gestire in modo privato gli appalti pubblici, condizionando gravemente
le decisioni degli organi istituzionali».
Gaetano
Emanuele
reggente
in sostituzione
del fratello Bruno
E da qui, viene evidenziato come
la cosca abbia «sostenuto un proprio candidato durante la competizione elettorale delle amministrative del 2005: Michele Altamura».
Eralui, inbasealle risultanzeinvestigative a mettersi a «disposizione
della cosca a favore della quale si
adoperava per garantire l’assegnazione dei lavori pubblici indetti
dall’amministrazione comunale.
In questo modo diviene il candidato del sodalizio in occasione delle
elezioni comunali dell’aprile del
2005» che lo vedranno vincente.
In particolare, gli elementi acquisiti permettono di accertare che
l’ex primo cittadino, la cui amministrazione cadde dopo 10 mesi
dall’insediamento, «è un partecipe
del gruppo e, come tale, si propone
per assumere la carica di sindaco
del comune montano, consentendo un completo asservimento
dell’istituzione pubblica ai desideri
dell’associazione criminale di appartenenza».
Tutto questo e molto altro risulta
dalle preziose dichiarazioni fornite non solo dai collaboratori di giustiza Enzo Taverniti, Michele Iannello e Francesco Loielo, ma anche
di Michele Ganino, Giuseppe La
Robina, Rocco Oppedisano, Luciano Oliva, William Lucchetta, Domenica Lucia Bariova, Antonio Forastefano e Vitaliano Turrà.
Un momento
della conferenza
stampa
dell’operazione
“Lights
in the Woods”
GLI ARRESTATI
Una veduta di Gerocarne
cosca mettendosi a disposizione del
gruppo in qualità di titolare di impresa
edile riconducibile anche a Leonardo
Bertucci, al fine di accaparrarsi lavori
appaltati e comunque concessi dall'ente
comunale di Gerocarne.
Leonardo Bertucci:stretto coadiutore
del capo locale con incarichi diretti a
mantenere stretti contatti tra i diversi
partecipi del gruppo mafioso e iAntonio
Altamura; svolge un ruolo di supporto
del medesimo e, nell'ambito del gruppo,
insieme a Francesco Taverniti, intestatario fittizio della relativa impresa, interagisce con gli organi comunali assicurandosi i lavori di volta in volta appaltati ed
eseguibili dalla citata impresa.
Vincenzo Taverniti: con ruolo di partecipe qualificato del gruppo stanziato
sul territorio di Gerocarne, con compiti
di mantenimento della potenza della cosca, anche attraverso l'esecuzione di omicidi di soggetti contrapposti al gruppo di
appartenenza. Ha mantenuto stretti rapporticon AntonioAltamurae, primadella loro morte, ha agito in stretto contatto
con i Vincenzo e Giuseppe Loielo.
Ilario Chiera: partecipa alla consorte-
GLI ARRESTATI
LA CURIOSITÀ
Numerosi gli agenti
impiegati
IL blitz della scorsa notte ha
visto impiegato un cospicuo
numero di agenti in proprio
in virtù della quantità di persone da arrestare che sono
state fermate non solo in
Calabria ma anche in altre
regioni della Penisola, specialmente al Nord.
Giovanni Loielo
Antonio Altamura
Michele Altamura
Leonardo Bertucci
Francesco Capomolla
Vincenzo Loielo
Angelo Maiolo
Antonio Gallace
Giuseppe Prestanicola
Antonio Condina
Francesco Taverniti
Nazzareno Altamura
Ilario Chiera
Pasquale De Masi
Rocco Loielo
Francesco Maiolo
Michele Rizzuti
Piero Sabatino
Franco Idà
Francesco Maiolo
Gaetano Emanuele
Bruno Emanuele
Nazzareno Gallace
Salvatore Grillo
Vincenzo Taverniti
Salvatore Zannino
Vincenzo Bartone
Giuseppe La Robina
Giuseppe Taverniti
ria mantenendo stretti rapporti economici, finalizzati a fare progredire la cosca
attraverso l'acquisizione di lavori pubblici, quali il taglio dei boschi appaltati
dal Comune di Gerocarne, in collaborazione e concorso con il capo locale Altamura Antonio.
Giuseppe Prestanicola: partecipa alla consorteria dell'Ariola mantenendo
stretti contatti con i vertici militari del
gruppo e fungendo da collettore delle
estorsioni nei grandi lavori pubblici a favore del gruppo mafioso.
Gaetano Emanuele:svolge il ruolo di "
reggente" dello articolazione militare
della cosca dell' Ariola in assenza del fratello Bruno in carcere. Partecipa alla cosca mettendosi a disposizione del medesimo, portando a termine gli incarichi illeciti affidatiglie sostenendolonel periodo di latitanza.
Vincenzo Bartone:è uomo di fiducia di
EmanueleBruno,si occupadelsostentamento dei sodali su incarico del capo cosca e collabora con questi nell'esecuzione
di fatti rientranti nel programma dell'organizzazione.
Piero Sabatino: è l'alter ego del "capo
cosca Bruno Emanuele, predilige il settore relativo al traffico di stupefacenti (è
imputato nel processo Ghost su un presunto traffico di droga), partecipando
anche alla esecuzione di delitti contro il
patrimonio.
Salvatore Zannino: partecipa alla
consorteria capeggiata da Bruno Emanuele svolgendo attività illecite per conto
delgruppo soprattuttonelsettore deidelitti contro il patrimonio.
Giuseppe La Robina e Giuseppe De
Girolamo:con funzioni prettamente esecutive e, in particolare, di esecuzione di
ordini e incarichi dati da Gateano Emanuele nelperiodo direggenza dellacosca
e, in particolare tra la fine dell'anno 2008
e ottobre 2009.
Pasquale De Masi: partecipa alla consorteria capeggiata da Emanuele Bruno
svolgendo attivita' illecite per conto del
gruppo, con funzioni prettamente esecutive e, in particolare, di esecuzione di ordini e incarichi dati dal capo.
gl. p.
|
IL BLITZ
|
Condina
arrestato
in Toscana
L’OPERAZIONE Lights in
the woods è stata condotta
non solo in Calabria e, specificatamente, nel territoro vibonese, ma ha interessato anche altre regioni,
specialmente del Nord Italia. In provincia di Massa
Carrara, ad esempio è stato
tratto in arresto uno dei 30
presunti esponenti della
cosca Ariola. Si tratta di un
Antonio Condina, che da
qualche anno si era trasferito a Casola, un piccolo
paesino della Lunigiana,
dove viveva con la moglie e
due figli. Lo hanno scovato
gli uomini della Squadra
mobile di Massa. Anche
per lui sono scattate le manette per il 416 bis, associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo gli inquirenti, era un elemento
di spicco affiliato al clan.
Nello specifico, secondo
le risultanze della Squadra
mobile di Catanzaro, l’uomo parteciperebbe al sodalizio con funzione di supporto dei capi, favorendone la latitanza e assumendo compiti operativi. Allo
stesso tempo manterebbe i
rapporti con i fratelli Loielo, Vincenzo e Giovanni,
assicurando loro piena disponibilità.
gl. p.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
UN sodalizio che aveva la base a Gerocarne e precisamente nella frazione Ariola ma che si estendeva ai
comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena,
Dasà ed Acquaro. Tutti i componenti contribuivano alla realizzazione degli scopi del gruppo attraverso la forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e le
conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivavano nei territori su cui è insediata la consorteria criminale; scopi, in particolare diretti ad accrescerne il potere.
Questo il giudizio espresso dal
gip Tiziana Macrì nell’ordinanza
di custodia cautelare a carico delle
trenta persone coinvolte nell’operazione “Lights in the Woods”. Ordinanza nella quale si sottolinea
come l’azione del sodalizio fosse diretta al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche
della zona, con specifico riferimento al controllo dei settori imprenditoriali, boschivo ed edilizio; alla
"gestione illecita degli appalti pubblici" banditi dall'amministrazione comunale di Gerocarne; al compimento di delitti contro il patrimonio e contro la persona con la totale
e preventiva accettazione della necessità di compiere azioni ben più
gravi per garantirsi l'assoluto controllo del territorio, per stroncare
qualunque infiltrazione e per eliminare qualsiasi opposizione; con
la dotazione e la disponibilità di armi comuni e da guerra attraverso il
reclutamento e la iniziazione ai riti
di ammissione alla associazione 'ndranghetistica con attribuzione di
gradi ed osservanza di rituali.
Una menzione particolare viene
data alle «riunioni mafiose» per disporre la spartizione dei territori,
la predisposizione dei meccanismi
di controllo dell'attività amministrativa pubblica e lo sfruttamento
delle potenzialità economiche sulla base di un criterio di rigida territorialità: Riunioni che servivano,
inoltre, per comporre controversie
tra aderenti all'organizzazione,
per imporre ove necessario la pacificazione
L’associazione in questione vedeva al vertice Antonio Altamura,
soprannominato “Il sindaco”, “capo società del Locale” (e come tale
riconosciuto anche dai vertici della
"ndrangheta") composta da un'articolazione militare capeggiata,
negli anni dal 1989 al 1991, da Vincenzo e Giovanni Loielo, successivamente sostituiti (a causa del loro
arresto) dal fratello Loielo Francesco e, a far data dal 1994 (epoca di
carcerazione di Loielo Francesco),
dai cugini Vincenzo e Giuseppe
Loielo, uccisi il 22 aprile 2002. Un
episodio che aprirà la strada al vertice a Bruno Emanuele che aveva
compiti di decisione dell'articolazione militare della cosca, di pianificazione e di individuazione delle
azioni da compiere, degli obiettivi
da perseguire, delle attività economiche da vessare, spesso sostituito, a causa dei periodi di carcerazione, dal fratello Gaetano.
Gli altri soggetti erano sovraordinati rispetto a più rami operativi
autonomi nei territori sottoposti al
controllo della cosca.
In particolare il comune di Arena
era posto sotto il diretto controllo
di Antonio Gallace che, detenuto,
aveva incaricato della reggenza
Nazzareno Gallace. I comuni di Dasà ed Acquaro erano originaria-
LA cosca dell’Ariola poteva contare su un
cospicuo numero di sodali, ognuno con
un compito ben preciso e stabilito nel
tempo.
Nazzareno Altamura: stretto collaboratore delcapo localeAntonio Altamura,
ha agito in qualità di azionista sin dall'epoca in cui il gruppo era militarmente capeggiato dai Loielo. Partecipa alle riunioni indette per la predisposizione dei
meccanismi di controllo dell'attività amministrativa pubblica.
Rocco Loielo: si è prestato ad ausiliare
i capi nella gestione dell'organizzazione,
sostenendone l'azione anche
con la partecipazione ad omicidi e mantenendo un rapporto diretto nel periodo della
carcerazione dei fratelli Loielo al fine di ottenere e trasmettere messaggi agli altri partecipi, rendendosi disponibile ad acquisire ogni utile notizia per programmare un'azione vendicativa nei confronti dei soggetti che si erano resi responsabili del grave
duplice delitto ai danni dei cugini Giuseppe e Vincenzo
Loielo.
Michele Rizzuti: partecipa al sodalizio, in qualità di azionista, con compiti di
porre in essere danneggiamenti finalizzati ad ottenere proventi estorsivi sostenendo l'azione dei capi mantenendo un
rapporto diretto nel periodo della carcerazione dei fratelli Loielo al fine di ottenere e trasmettere messaggi agli altri partecipi; rendendosi disponibile ad acquisire ogni utile notizia per programmare
un'azione vendicativa nei confronti dei
soggetti che si erano resi responsabili del
grave duplice delitto ai danni dei cugini
Loielo.
Giuseppe Taverniti: partecipa con
funzione di decisione, pianificazione e di
individuazione delle azioni da compiere e
degli obiettivi da perseguire, nonché
quale percettore degli utili illeciti provenienti dall'attività delittuosa compiuta
sul territorio di Arena a seguito di delega
ricevuta da Antonio Gallace.
Francesco Taverniti: Partecipa alla
Giovedì 26 gennaio 2012
Sarebbe negativa la relazione della Commissione di accesso agli atti inviata dal prefetto
Si va verso lo scioglimento
Probabili infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale di Mileto
FRANCESCO RIDOLFI
GIORNI contati, forse qualche settimana ma non di più
per il Consiglio comunale di
Mileto. Secondo indiscrezioni estremamente affidabili,
infatti, la commissione di accesso agli atti per l’accertamento di eventuali infiltrazioni o ingerenze della criminalità organizzata nell’attività
amministrativa
dell’ente oggi guidato dal
sindaco Vincenzo Varone
avrebbe concluso il proprio
lavoro di indagine e dalla
Prefettura di Vibo Valentia
(dove il prefetto Luisa Latella è in procinto di partire per
il suo nuovo incarico assegnatole a Palermo per rivestire il ruolo di commissario
straordinario del Comune)
pare che nelle scorse ore, nel
corso della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, sia stato affrontato il fascicolo “Mileto”,
sia stato giudicato negativamente e sia, infine, giunta la
decisione diretta a chiedere
lo scioglimento del consiglio
comunale per la presenza di
infiltrazioni mafiose.
Ancora niente di ufficiale,
è bene chiarirlo, solo voci e
indiscrezioni sottovoce uscite dalle stanze dell’Ufficio
territoriale del
Governo e d’altronde la decisione ultima sullo
scioglimento
non compete alla
prefettura bensì
al Consiglio dei
ministri su proposta del ministero dell’Interno, ma la notizia che la prefettura avrebbe dato il via libera alla richiesta di scioglimento del
civico consesso costituisce
un argomento più che legittimo per ritenere che l’attività del consiglio comunale
eletto il 25 giugno 2009 stia
volgendo prematuramente
al termine. Nel caso in cui
l’iter previsto dalla normativa dovesse concludersi con
l’accoglimento della richie-
Primo scarcerato dopo la sentenza
Processo “Odissea”
Francesco Zaccaro
torna in libertà
Il palazzo municipale di Mileto
sta, e fino ad oggi tutte le richieste di scioglimento
avanzate dalla Prefettura
sotto la gestione Latella sono
state accolte, nell’arco di pochi giorni giungerebbe il decreto del presidente della Repubblica di scioglimento del
Consiglio comunale, e allora
la città, prestigiosa sede vescovile da quasi mille anni,
subirebbe per la
prima volta nella
sua storia un
commissariamento della massima assemblea
cittadina per infiltrazioni mafiose.
Evenienza
questa che presuppone l’arrivo in città di
una commissione straordinaria di nomina ministeriale composta da tre componenti con il compito di guidare, con i pieni poteri del sindaco e del consiglio comunale, il municipio per i successivi 18 mesi fino a quando,
cioè, non sarà restituita al
popolo la sovranità di eleggere il proprio governo cittadino. Il tutto, naturalmente,
salvo eventuali e possibili
Le risultanze
saranno spedite
ai ministri
proroghe del mandato che
nel territorio provinciale si
sono verificate anche con
una certa frequenza. A questo punto, dunque, non resta che attendere la decisione ultima del Consiglio dei
ministri che, qualora dovesse essere confermata l’indiscrezione, giungerà nel corso delle prossime settimane.
La commissione di accesso agli
atti, formata dal
viceprefetto Filippo Romano e
dai capitani Stefano Di Paolo per
i carabinieri e
Luca Bonatesta
per la Guardia di
Finanza, a cui si affiancavano, in qualità di consulenti,
Luigi Pontuale, dirigente
dei servizi economico-finanziari della prefettura, e il vicequestore Onofrio Marcello, si era insediata il 31 agosto scorso con il compito di
studiare le carte e indagare
gli atti compiuti dall’amministrazione comunale dalla
data del suo insediamento
(25 giugno 2009) alla data
del 25 agosto 2011. Nel corso
dei tre mesi trascorsi dal loro
primo insediamento gli uomini inviati a Mileto dal prefetto Latella hanno acquisito documentazione e ascoltato gli amministratori, tuttavia il termine scaduto il 30
novembre si è rivelato insufficiente è la commissione ai
primi di dicembre si vide prorogato il mandato di altri 90
giorni,
nelle
scorse ore l’accelerazione nella
trattazione della
questione, accelerazione dettata, probabilmente, anche dall’imminente partenza del prefetto.
Nel corso delle ultime settimane altri due comuni del
Vibonese sono stati sciolti
per infiltrazioni mafiose, si
tratta di Briatico, il cui consiglio comunale è stato sciolto
lo scorso venerdì, e Nardodipace, sciolto, invece, il 14 dicembre dello scorso anno.
Attualmente, inoltre, nel Vibonese risulta commissariata per infiltrazioni mafiose
anche il comune di Nicotera
sciolto il 13 agosto 2010.
In due anni
sciolti già
tre consessi
È IL primo scarcerato di na e tirarlo fuori dal carce“Odissea”, la nota operazio- re.
ne della Squadra Mobile di
Come primo atto, il penaVibo Valentia, che nel set- lista tropeano aveva chiesto
tembre 2006 portò in carce- la unificazione delle due
re 35 persone ritenute orga- condanne sotto il profilo
niche o comunque collega- della continuazione, sostete, a vario titolo, alle cosche nendo che i reati che portaMancuso e La Rosa per una rono alle due condanne eraserie di delitti come estor- no collegati da un unico disioni, usura, riciclaggio, segno criminoso, cosa che
intestazione fittizia di beni, avrebbe comportato una ridetenzione e porto illegale duzione di pena. La Corte di
di armi, gestioappello di Cane di bische
tanzaro
reclandestine e
spingeva però
altro. Il succesla istanza con
so dell'indagimotivata ordine fu possibile
nanza. L'avvoanche per le dicato D'Agostichiarazioni di
no non si ardue collaborarendeva e protori e altrettanponeva ricorso
ti testimoni di
per Cassazione
giustizia.
contro la deciA lasciare il
sione dei giucarcere dopo
dici di secondo
cinque anni e
grado. La Suquattro mesi
prema corte,
tranne una breaccogliendo le
ve uscita (fu ar- Francesco Zaccaro
argomentaziorestato il 19 setni del difensotembre 2006) è stato Fran- re, annullava la ordinanza
cesco Zaccaro (cl. '77) di della Corte di appello, rinTropea che a suo tempo, in viando gli atti ad una diverdue processi per due distin- sa sezione della stessa Corte
te vicende, fu condannato a e questa volta D'Agostino
complessivi 8 anni e 6 mesi faceva centro.
di reclusione, di cui 5 anni e
Infatti, la sua richiesta è
6 mesi per estorsione (nel- stata accolta e Francesco
l'ambito di Odissea) e 3 anni Zaccaro ha avuto ridotta la
per usura non collegato al- pena per l'usura della metà,
l'altro processo.
vale a dire di un anno e mezGran merito della sua zo. Grazie a questo “sconto”
scarcerazione va al suo di- il giovane ha potuto lasciafensore di fiducia, avvocato re il carcere di Bari, dove si
Sandro D'Agostino, che ha trovava detenuto e raggiocato tutte le sue carte, giungere in nottata Tronell'ambito della procedu- pea.
d. m.
ra, per fargli ridurre la pe-
Omicidio Muller. Non ci sarebbero prove sufficienti per condannare i due fratelli
BREVI
Il pm chiede l’assoluzione dei Bellissimo
DA MESI SENZA STIPENDIO
Lavoratori di Filadelfia, oggi
il sit-in davanti alla Prefettura
L’assassinio
dell’agricoltore
di Soriano Calabro
di GIANLUCA PRESTIA
COLPO di scena al processo per
l’omicidio dell’agricoltore Giuseppe Muller, avvenuto l’1 novembre del 2008 a Soriano e
che vede imputati i due fratelli
Bellissimo, Michele di 32 anni e
Domenico di 35, entrambi compaesani della vittima. Sì, perché, il pubblico ministero Mario Spagnuolo, al termine della
sua requisitoria di ieri mattina
in corte di assise a Catanzaro
(Neri e Commodaro) ha chiesto
l’assoluzione per entrambi gli
imputati.
Una decisione dettata, sostanzialmente, dal fatto che
non sono state rilevati aspetti
con una certezza tale da consentire alla pubblica accusa di
ritenere ragionevolmente i due
congiunti
responsabili
dell’evento delittuoso. Nello
specifico ha pesato indubbiamente le forti perplessità rimaste all’esito della superperizia
balistica dello stub eseguita dai
consulenti nominati dalla Corte, Claudio Gentile e Pietro Benedetti, chiamati per dirimere
Il luogo dell’omicidio
dell’agricoltore Giuseppe
Muller. In alto Michele
Bellissimo e il fratello
Domenico
la controversia sorta tra le perizie di accusa e difesa.
La conclusioni alle quali sarebbero giunti i due superperiti, ed esposte nel corso
dell’udienza dello scorso 29 dicembre non avrebbero, quindi
dissipato i dubbi. I due superperiti, che hanno operato nei
laboratori delle università di
Messina e Trento, avevano
svolto la loro attività incentrandola, in particolare, sulla
comparazione tra le particelle
rilevate con lo stub e quelle dei
bossoli rinvenute sul luogo del
delitto, in località “Pioppo Tre
Pepi” del comune di Soriano.
Non hanno escluso, e ciò tuttavia, in contrasto con le risul-
tanze del perito del pubblico
ministero, Mario Spagnuolo,
che i bossoli rinvenuti sul luogo dell’omicidio e sistemati in
contenitori di cellophane abbiano subito forme di inquinamento presentando, a quanto
pare, della sostanza riconducibile a fanghiglia. E questo potrebbe essere determinato dal
fatto che i due imputati lavoravano in terreni attigui a quelli
dell’agricoltori ed erano, quindi, a contatto con un suolo del
tutto simile sotto l’aspetto chimico, minerale ed organico, a
quello in cui fu rinvenuto il cadavere.
Al riguardo, i giudici dell’Assise avevano disposto il riesa-
me del consulente tecnico del
pm, il maresciallo del Ris di
Messina, Marco Romeo, che è
avvenuta ieri, prima della requisitoria del pubblico ministero.
Nella prossima udienza, fissata al 16 febbraio, inizieranno
le arringhe dei difensori dei
due imputati: Vincenzo Galeota, Francesco Sorrentino, Michele Ciconte e Giancarlo Pittelli.
L’omicidio di Giuseppe Muller, secondo le risultanze investigative, fu provocato a seguito dell’inasprirsi dei rapporti
tra la vittima e i due fratelli inerenti a questioni di confini di
terreno.
UNA delegazione di lavoratori della Casa protetta Madonnina di Montesoro di
Filadelfia darà vita oggi, a Vibo Valentia, ad una manifestazione di protesta
davanti alla sede della Prefettura. I dipendenti della struttura, che hanno
proclamato lo stato di agitazione, lamentano di non ricevere lo stipendio da
due anni e chiedono di incontrare il prefetto di Vibo Valentia per metterlo al
corrente della propria situazione di
estremo disagio. «Non ce la facciamo
più – dicono – ad andare avanti senza
stipendio. Siamo stati abbandonati da
tutti e anche dai sindacati». I lavoratori
minacciano di interrompere l’assistenza ai malati e annunciano un possibile
sciopero ad oltranza.
DA UNA RIVISTA TEDESCA
Riconoscimento
alla distilleria Caffo
LA rivista tedesca di settore Selection
ha premiato le grappe prodotte dalla Distilleria calabrese Caffo. «Le grappe del
Gruppo Caffo, prodotte in Calabria nella sede di Limbadi – riporta un comunicato – continuano a conquistare la Germania. Ad essere premiate con le tre
stelle (85/90 su 100 Punti), e con la medaglia d’argento, sono state la grappa
Stravecchia, Bis Cabernet & Sauvingon
e la Pololux Vodka dry. Due stelle sono
andate a la Vecchia Grappa Caffo»
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24 Vibo
dal POLLINO
alloSTRETTO
calabria
ora
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 6
“luce tra i boschi”
’Ndrina... istituzionale:
30 arresti nel Vibonese
Un momento della conferenza stampa
In manette l’ex sindaco di Gerocarne: “eletto” dalla cosca
Vent’anni di malavita ricostruiti dalla Dda di Catanzaro
“SINDACO”
L’ex sindaco di
Gerocarne, ora
finito in
manette,
Michele
Altamura: la sua
candidatura
sarebbe stata
decisa dalle
famiglie di mala
delle Pre Serre
CATANZARO Dal 1989 al 2009. Vent’anni di
storia scritta con il sangue dal locale di Ariola, a Gerocarne, nelle Preserre Vibonesi, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro.
Un’organizzazione di ’ndrangheta
caratterizzata da forti organismi
statutari, ma anche da continue
scissioni interne e da nuove leve che
per contare all’interno della cosca
dovevano uccidere. Boss e accoliti
avrebbero avuto il controllo delle
risorse economiche della zona, incidendo nei settori imprenditoriali,
boschivo ed edilizio. È stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro, sfociata
ieri nell’operazione “Light in the
woods”, che ha portato all’esecuzione di 28 su 30 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal
gip Tiziana Macrì, a fare luce sulla
faida e a ricostruire la storia del locale. L’operazione è stata condotta dalla Squadra
mobile di Catanzaro sotto la guida del dirigente Rodolfo Ruperti, coadiuvata dagli agenti delle altre
quattro province calabresi, insieme a quelli di Torino, Firenze, Genova, Massa Carrara e Parma, e con
l’ausilio dei Reparti di prevenzione crimine di Rosarno, Siderno e Cosenza. I dettagli sono stati illustrati
ieri nel corso di una conferenza stampa alla quale
hanno partecipato il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli - che
insieme al sostituto pg Marisa Manzini e al pm
Giampaolo Boninsegna hanno firmato la richiesta di
ordinanza -, il procuratore generale Santi Consolo,
il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, il capo della mobile Rodolfo Reperti, il vice capo della mobile
Angelo Paduano e il responsabile della pg Massimiliano Russo. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, alla gestione illecita de-
gli appalti pubblici banditi dall’amministrazione comunale di Gerocarne, alle estorsioni, ai danneggiamenti, ai reati in materia di armi ed esplosivi, alla turbativa dei pubblici incanti. L’epicentro degli affari,
secondo gli investigatori, era la frazione di Ariola, a
Gerocarne, con a capo Antonio Altamura, 65enne
già arrestato nell’operazione “Crimine”, lo zio di Michele Altamura, ex sindaco di Gerocarne finito ieri in
carcere con l’accusa di associazione mafiosa. La carriera politica di Altamura, eletto a primo cittadino nel
2005, secondo i magistrati catanzaresi sarebbe stata pianificata dallo zio presunto boss, e la sua candidatura a sindaco sarebbe stata il frutto di un accordo interno alle varie famiglie appartenenti al “locale” di ’ndrangheta.
Prima assessore e poi sindaco, Michele Altamura
avrebbe fornito il suo supporto alle cosche avvalendosi del suo ruolo istituzionale. Le ’ndrine, in questo
modo, sarebbero riuscite facilmente ad infiltrarsi
nella gestione degli appalti pubblici del Comune di
Gerocarne. Secondo gli inquirenti, Altamura si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati al fine di ottenere i lavori di tre appalti pubblici.
I primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono ai tempi del
sequestro di Carlo Celadon, avvenuto a Vicenza il 25
gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla Squadra mobile di Venezia venne
fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie
Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta
una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002
con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. I killer fecero però un errore: avevano lasciato sul
posto del delitto dei telefonini che hanno poi consentito agli investigatori, anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia di arrivare, dopo
sette anni di indagini, all’ordinanza del gip.
I TRENTA ARRESTATI
DI “LIGHT IN THE WOODS”
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
Antonio Altamura
Nazzareno Altamura
Vincenzo Loielo
Giovanni Loielo
Rocco Loielo
Michele Rizzuti
Antonio Condina
Giuseppe Taverniti
Francesco Taverniti
Leonardo Bertucci
Antonio Gallace
Nazzareno Gallace
Vincenzo Taverniti
detto “Cenzo D’Ariola”
Michele Altamura
Ilario Chiera
Giuseppe Prestanicola
Bruno Emanuele
Gaetano Emanuele
Franco Idà
Vincenzo Bartone
Francesco Maiolo
Angelo Maiolo
Francesco Maiolo
Francesco Capomolla
Piero Sabatino
Salvatore Zannino
Salvatore Grillo
Giuseppe La Robina
Giuseppe Degirolamo
Pasquale De Masi
65 anni
46 anni
64 anni
57 anni
60 anni
49 anni
51 anni
34 anni
37 anni
41 anni
46 anni
40 anni
52 anni
41 anni
70 anni
59 anni
39 anni
36 anni
46 anni
43 anni
32 anni
27 anni
28 anni
28 anni
29 anni
33 anni
32 anni
21 anni
21 anni
30 anni
GABRIELLA PASSARIELLO
[email protected]
la parola agli inquirenti
LUTTO
L’editore
il direttore
i giornalisti
i poligrafici
e il personale
amministrativo
di Calabria Ora
partecipano al lutto
che ha colpito
il collega
Marco Cribari
per la perdita
del caro zio
Attilio Perrelli
Branca
Cosenza, 25 gennaio 2012
«Un’indagine complessa, ultimata nonostante la carenza di organico»
CATANZARO Sette anni d’indagine. Forse troppi, nonostante il forte
impegno. Come ha detto ieri nel corso della conferenza stampa il procuratore capo di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, la giustizia «tarda ad arrivare ma prima o poi arriva». La causa? «La Procura di Catanzaro è sottodimensionata, ha un organico al limite del sostenibile e in questi anni si sono trovati rimedi non adeguati ai mali con continue richieste di applicazione di magistrati provenienti da altre Procure». L’esito delle indagini che ieri
ha portato ventotto arresti sui trenta disposti con ordinanza dal gip, è stato
possibile grazie all’applicazione di un magistrato della Procura generale, Marisa Manzini. « In questa operazione sono state emesse misure restrittive nei
confronti di persone coinvolte tutte in associazione a delinquere di stampo
mafioso - ha detto il procuratore generale Santi Consolo - con reati satellite
che vanno dall’omicidio, alle estorsioni alla turbativa d’asta. A dimostrazione che la ’ndrangheta è la più forte e la più aggressiva tra le organizzazioni
criminali. Se si vuole cambiare rotta nella battaglia alla criminalità occorre
una rivisitazione dell’organico. Non è più accettabile andare avanti con provvedimenti di applicazione». La storia della locale di ’ndrangheta è stata rico-
struita tassello per tassello dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dal
sequestro di Marco Celadon all’attentato intimidatorio compiuto ai danni del
sindaco di Arena Gesuele Schinella, al quale fu fatta saltare l’automobile per
indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi, a Bruno
Emanuele prima braccio destro dei fratelli Loielo e poi arrestato con l’accusa di averli uccisi entrambi. A Emanuele non sarebbe bastato più essere affiliato al clan. Secondo gli inquirenti Bruno Emanuele avrebbe così dato seguito alle sue aspirazioni di diventare boss, cosa che poi effettivamente si sarebbe verificata grazie alla collaborazione criminale tra lo stesso Emanuele
e i Maiolo, intercorsa negli anni successivi all’omicidio dei Loielo. Un’attività investigativa complessa non solo per la tipologia di attività svolta e per la
carenza di organico, ma anche per le condizioni in cui spesso è costretta a
muoversi la mobile. «Questa operazione ha presentato aspetti ardui - ha affermato il dirigente della mobile Rodolfo Ruperti - ci siamo trovati a lavorare in case inavvicinabili con cani robusti, liberi e pericolosi. Nel coordinamento ci siamo avvalsi delle Squadre mobili di Torino, Lucca e Massa Carrara».
ga. pa.
7
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012
D A L
P O L L I N O
calabria
A L L O
L’inchiesta della Dda sfociata nell’operazione della Mobile ha fatto
luce su una storia scritta con il sangue dal locale di Ariola,
a Gerocarne, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello,
Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro
SUPERPOLIZIOTTO Nella foto sopra,
Rodolfo Ruperti. A lato, uno degli arrestati
E tra i pentiti
c’è anche Ganino
CATANZARO L’ultimo pentito è
Rocco Oppedisano. La sua collaborazione con la giustizia, d’altronde,
era nota. Il penultimo è stato invece
Michele Ganino, che solo ora balza
agli onori della cronaca. Collabora dal
6 dicembre del 2010. Le sue dichiarazioni si aggiungono ad una sfilza di
verbali che il sostituto procuratore
generale Marisa Manzini, il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli ed il
pm Giampaolo Boninsegna, hanno
accatastato grazie alle rivelazioni fornite da numerosi altri gola profonda.
Tra questi non rientra Giuseppe La
Robina, uno dei soggetti indagati, che
dopo le prime dichiarazioni autoaccusatorie ha deciso di interrompere il
percorso si collaborazione. I più preziosi, nell’ambito dell’indagine condotta dai magistrati e dalla Squadra
mobile di Catanzaro rimangono comunque Enzo Taverniti detto il “Cinghiale”, solo omonimo di uno degli
indagati di “Light in the woods”, e
Francesco Loielo, esponente dell’omonima famiglia annientata dall’ascesa di Bruno Emanuele. Le loro
dichiarazioni sono suffragate in parte da quelle fornite dai vecchi pentiti, ad iniziare da Michele Iannello, il
più importante nella storia della
’ndrangheta vibonese, e in parte dai
neopentiti cosentini: Tonino Forastefano, Lucia Bariova, Domenico Falbo, Luciano Oliva e William Lucchetta. Preziosi, per gli inquirenti, a riscontro del compendio indiziario acquisito attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, documenti e
servizi d’investigazione tradizionale.
Utili a chiudere un’indagine come gip
comanda.
p. com.
Il clan di Ariola
Dalla fratellanza
allo sterminio
La storia di uno dei gruppi più sanguinari
e la faida tra i boschi delle Preserre
Marisa Manzini
Nel racconto
dei pentiti la scia
di sangue
durata
più di tre lustri
CATANZARO Coppola, fucili in spalla e sequestri di persona. Vent’anni fa, o poco più, il «locale dell’Ariola» era così, l’archetipo della ’ndrangheta padrona tra i boschi lussureggianti delle Preserre vibonesi. “Famiglie” alleate: i Loielo-Gallace
in pax con i Maiolo. Poi la guerra di mafia per la supremazia di un gruppo sull’altro; gli agguati e la lupara bianca a mietere vittime sui fronti contrapposti, fino all’instaurazione di un ordine nuovo. Dieci anni, dal 1989 al 1998, per annientare i Maiolo.
Altri cinque sullo sfondo della nuova faida tra i Gallace, decimati, ed i Loielo, gli ultimi a cadere, decapitati, al capitolo finale, sotto le armi in pugno a
Bruno Emanuele, l’ex cane sciolto diventato padrino. Parlano i pentiti, vecchi e nuovi, che la scia
di sangue durata più di tre lustri la raccontano quasi con disincanto. Pentiti come Enzo Taverniti, detto “il Cinghiale”. «La società - spiega ai magistrati
- era una, una soltanto. Quella dell’Ariola, quella di
Antonio Altamura». Perché il sanguinario era
Emanuele, ma il perno, il capomafia legittimato
anche dal Crimine di Polsi e da don Micu Oppedisano, rimase «’Ntoni il Sindaco». Taverniti, il primo gola profonda delle Preserre, i segreti di “famiglia” li conosce tutti, o quasi. Trentacinque anni, coniugato, due figli, una licenza media, ufficialmente bracciante agricolo. Era cognato di Vincenzo Loielo, il cui cadavere venne trovato martoriato, assieme a quello del fratello Giuseppe, a bordo di
una vecchia Fiat Panda nei pressi dell’acquedotto
di Gerocarne. Era il 22 aprile 2002. Un anno dopo, il 25 ottobre 2003, un’altra strage, ad Ariola di
Gerocarne: massacrati sotto una pioggia di fuoco
i cugini Giovanni e Francesco Gallace e Francesco
Barilaro; si salvò il solo Antonio Chiera. L’onorata
società, così com’era nata, finì nel sangue e dopo
anni vissuti da uomo libero, ma braccato, salvata
la pelle da un agguato, il Cinghiale vuotò il sacco.
D’altronde i fratelli Loielo, i capi della sua famiglia, erano finiti tutti in carcere tra il ’91 ed il ’94. I
cugini, quelli assassinati nel 2002, vivevano di luce riflessa. Antonio Gallace passò all’ergastolo e diversi suoi parenti sotto terra. Restava solo ’Ntoni
Altamura, che nell’incedere della mattanza fu gra-
dall’ordinanza
Così la mafia decise
di candidare Michele
“luce tra i boschi”
gole profonde
ora
S T R E T T O
CATANZARO S’era scelto il sindaco,
la malavita di Gerocarne: Michele Altamura, nipote del presunto capomafia “’Ntoni”
Altamura che l’appellativo di «Sindaco» lo
teneva solo come alias. Era la vigilia delle
elezioni comunali del 2005. Ed il boss convocò gli associati per una sorta di summit
“politico”. Dovevano decidere, lui e gli accoliti, chi candidare contro Alfonsino Grillo, attuale consigliere regionale del centrodestra, che ritenevano vicino ad «Angela
Napoli», ai «carabinieri» e, quindi, era
«contro la mafia». E la mafia - secondo la
ricostruzione degli inquirenti - scelse Michele, la cui amministrazione ebbe però vita breve, perché Grillo ricorse al Tar che
accertò come fosse stata falsificata la documentazione sanitaria di troppi sospetti elettori “accompagnati” alle urne. Amministrazione sciolta e di nuovo a votare. La mala
tornò punto e a capo ma le correnti si divisero. Servì un summit, del capomafia e dei
suoi attendenti, per sciogliere il nodo. C’era
chi puntava a riproporre Michele Altamura e chi spingeva invece per Bruno Schipano (non indagato), oggi vicesindaco del Comune. La spuntò il primo che, però, contro
Grillo stavolta perse. La mafia – secondo il
gip – riuscì comunque parzialmente nel
suo intento, visto che il suo candidato venne “infiltrato” come consigliere d’opposizione. L’indagine apre inquietanti scenari
anche per ciò che concerne il suo condizionamento alle elezioni provinciali. In base ai
racconti dei pentiti sarebbe stato offerto sostegno a due consiglieri, dei quali uno ancora in carica alla Provincia di Vibo Valentia oltre che amministratore in un Comune delle Preserre vibonesi.
p. com.
ziato scalando i gradi della mala ed assurgendo, fino ad oggi, alla «Santa». Sotto di lui quanti gli
agenti della Squadra mobile di Catanzaro hanno
buttato giù dal letto ieri all’alba. Sa, Taverniti, che
la società dell’Ariola ammazzava ma vedeva pure
i suoi cadere ammazzati: Salvatore Gallace venne
assassinato poco prima che facessero sparire Placido Scaramozzino, il parrucchiere torturato e seppellito vivo, sol perché, disse il pentito, qualcuno
doveva essere eliminato. Era il 1989. Undici anni
dopo, il 25 aprile, venne crivellato tra i boschi anche il figlio di Gallace, Francesco, con altri due.
Epilogo di una guerra iniziata con i Maiolo. Poi,
una volta annientati i Maiolo, ai ferri corti ci finirono gli ultimi casati alleati: i Loielo contro i Gallace.
Racconta anni ed anni di malavita, dalla prima
lupara bianca alle tensioni del sodalizio Loielo-Gallace. Le sue dichiarazioni collimano con quelle dell’altro nuovo gola profonda delle Preserre, Francesco Loielo, testimone diretto, perché interessato, di
una raffica di “sparizioni” ed omicidi. Placido Scaramozzino non fu il primo morto ammazzato di
cui entrambi riferiscono agli inquirenti di Catanzaro. Oltre Scaramozzino ne liquidarono diversi altri: Rocco Maiolo, Raffaele Fatiga, Gaetano Inzillo
e Antonio Donato. Donato, più o meno, come il
barbiere: l’hanno rapito,interrogato, sotterrato e
poi ne hanno fatto sparire le tracce simulando un
allontanamento. Con una sola differenza. «La macchina di Donato – racconta Francesco Loielo - non
l’ho chiusa a chiave».
Così, un morto dietro l’altro. Alcuni sdraiati col
piombo, altri mangiati dal fuoco, molti spariti sotto terra. Nel cimitero dei boschi tra Gerocarne e Acquaro sul quale si apre un fascio di luce. Parte da
Catanzaro, nuova postazione per Marisa Manzini,
il magistrato, e Rodolfo Ruperti, il poliziotto, ad
un passo dalla chiusura del lavoro interrotto nel
2007, nella provincia di Vibo Valentia, dove dal
2003 inaugurarono una stagione di legalità spartiacque tra il passato ed il futuro.
PIETRO COMITO
[email protected]
8
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012
D A L
P O L L I N O
calabria
A L L O
S T R E T T O
ora
Numerosi i precedenti ascritti alle “famiglie” operanti nell’area della
Preserre vibonesi, ma di indubbia rilevanza sono le accuse riferite alla
compartecipazione della cosca nei sequestri di persona: tre i casi accertati
dagli inquirenti che s’imbatterono anche nel rapimento di Carlo Celadon
“luce tra i boschi”
Un “locale” specializzato nei sequestri
Il ruolo nodale dei fratelli Loielo nei rapimenti Giorgetti, Fiocchi e Albanese
Nella foto
a lato,
Gerocarne;
nel riquadro,
Paolo
Giorgetti
In alto, Carlo
Celadon
CATANZARO
Mazzette nei cantieri, rapine a furgoni
portavalori e, soprattutto, sequestri di
persona. Erano queste le attività alle quali si dedicava il “locale dell’Ariola”, l’organizzazione che univa le famiglie mafiose
dei Loielo e dei Maiolo fino alla faida
esplosa nel marzo 1989, che vedrà resta-
la politica nel mirino
Una bomba
per “piegare”
il Comune
COSENZA «Non ho mai ricevuto minacce o altro. Evidentemente, il nostro lavoro, schierato contro la criminalità, dà fastidio». E diceva bene, tre anni fa, l’ex sindaco di Arena Giosuele Schinella (foto).
Aveva intuito che il diniego opposto a richieste poco consone alle esigenze di rilancio della comunità
poteva aver determinato la pronta reazione di chi
nutriva interessi di carattere personale collegati in
qualche modo agli interessi della criminalità organizzata. Una reazione
che, oggi, contempla
responsabilità oggettive. Nella notte
tra l’11 e il 12 gennaio del 2009 qualcuno collocò, facendolo esplodere, un potentissimo ordigno
sotto l’auto del primo cittadino. La
Ford Focus, parcheggiata sotto casa,
venne fatta “brillare” quasi integralmente. E l’onda
d’urto provocò danni all’abitazione del
sindaco, che si trovava in casa insieme a moglie e figli. Schinella, 55 anni, geologo, restò di sasso. E si lasciò andare a quella dichiarazione d’istinto che preconizzava gli esiti
delle attività investigative affidate alla Mobile. Dopo
l’attentato seguirono attestati di solidarietà a iosa,
vertici politici e si tenne anche un consiglio comunale aperto sul tema della sicurezza. Qualcuno nutrì il
timore che anche quell’episodio fosse destinato a restare nel novero degli attentati senza padri. I fatti di
oggi, invece, dicono l’esatto contrario: anche quell’attentato ha una spiegazione con responsabili che saranno chiamati a dare conto della propria azione.
Secondo la Dda di Catanzaro, a collocare la bomba,
fu Francesco Capomolla. Attraverso questa azione,
l’uomo intendeva piegare l’ex sindaco a concedere
una licenza per aprire una sala giochi proprio nel
centro del paese, in piazza Pagano ad Arena. Anche
quello fu un gesto eclatante mirato non soltanto ad
ottenere un beneficio di natura personale, ma soprattutto ad affermare in paese e nella stessa area
delle Pre Serre la presenza di una ’ndrina determinata ad imporre le proprie regole in tutto, per tutto
e su tutti...
r. r.
re sull’asfalto i corpi senza vita di diversi
soggetti appartenenti ai due gruppi. I sequestri di persona erano in particolare la
specialità dei Loielo. Si legge nell’ordinanza (che riporta al riguardo quanto ricostruito dalla Squadra Mobile di Catanzaro) che «i componenti anche anagrafici della famiglia Loielo, a vario titolo, si
erano resi protagonisti, fino al 1990, di
gravissimi reati, fra i quali quelli di più
sequestri di persona a scopo di estorsione». Per questi reati furono arrestati i fratelli Vincenzo, Giuseppe, Antonino, Giovanni e Francesco. Tutti, a eccezione di
Giovanni, recentemente condannati in
Appello.
Tre le vittime accertate che finirono
nelle mani del clan. Alcuni non riuscirono a uscirne vivi. Paolo Giorgetti aveva
sedici anni quando venne rapito, il 9 novembre 1978. Figlio di Luigi Giorgetti,
uno degli imprenditori mobilieri più no- la banda, un colpo alla nuca che nelle inti della Brianza, stava andando a piedi a tenzioni dei rapitori doveva servire solo a
scuola, il liceo scientifico “Curie” di Me- stordirlo. Per il sequestro finirono in mada, quando venne inghiottito nel nulla. A nette Vincenzo, Antonino, Giuseppe e
dare l’allarme fu il macchinista di un con- Giovanni Loielo, poi condannati anche
voglio delle Ferrovie Nord della linea Mi- per la morte del ragazzino.
Andò meglio a Pietro
lano-Asso, che dai fineFiocchi, il “re delle cartucstrini assistette all’inutile
Ma dalle carte
ce” di Lecco, imprenditotentativo del ragazzo di
dell’inchiesta
re nel campo delle munisottrarsi ai suoi rapitori,
zioni rapito nel 1977 e poi
scappando e lanciandospunta anche
sano e salvo,
gli contro la cartella coi
il nome di Carlo rilasciato,
dietro il pagamento di un
libri, prima di essere traCeladon
riscatto. E così pure a Cascinato in un’auto, una
taldo Albanese, figlio di
128 verde. Il mistero sulla sorte toccata al ragazzo durò poco, ma un imprenditore di Massafra (Taranto),
Paolo non fece più ritorno a casa. Il suo sequestrato il 9 ottobre 1989 e liberato il
corpo fu ritrovato tre giorni dopo, nel ba- 29 marzo 1990 dopo che la famiglia (che
gagliaio di un’auto, carbonizzato. La sco- però ha sempre negato) ebbe pagato un
perta a Cesano, periferia nord di Milano, miliardo e mezzo di lire. Per il primo rain una zona nota come “cimitero della pimento furono condannati Antonino e
mala”. A ucciderlo, raccontò poi uno del- Giuseppe Loielo; per il secondo – porta-
to a compimento con la collaborazione di
alcuni pregiudicati pugliesi – Vincenzo,
Giovanni e Francesco Loielo assieme a
Domenicantonio Gallace e ai fratelli Pietro, Carmelo, Vincenzo e Vitaliano Turrà.
E tra le carte dell’inchiesta “Light in the
woods” spunta anche il nome di un’altra
vittima di sequestro, Carlo Celadon, figlio
dell’industriale conciario di Arzignano,
nel Vicentino, Candido Celadon. Fu rapito a 19 anni nel 1988 e rimase nelle mani
dei criminali per 831 giorni, la prigionia
più lunga della stagione dei sequestri. Fu
grazie alle intercettazioni effettuate dalla
squadra mobile di Vicenza nell’ambito
delle indagini relative a questo caso che si
scoprì che era in corso una faida tra i Loielo e i Maiolo, gli ex compari che avevano iniziato a sporcare con il proprio sangue le Preserre vibonesi.
MARIASSUNTA VENEZIANO
[email protected]
danneggiamenti a raffica
Ecocall e Proserpina
Il business dei rifiuti
go la Strada provinciale 110
COSENZA Gli eventi erache da Serra San Bruno conno noti. Tristemente noti.
duce a Sorianello, intimato al
Non i protagonisti, però. Che
conducente di abbandonare il
solamente oggi assurgono agli
“onori” della cronaca. Attorno alla raffica di intimidazioni mezzo (poi incendiato) per costringere i rappresentanti delperpetrate ai danni di amministratori pubblici, aziende pri- la società - scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare
vate e imprenditori nell’area delle Pre Serre c’era la mano in carcere - a corrispondere «una somma di denaro non medei “riolisi”. Di quei malandrini, cioè, avvezzi all’uso scrite- glio precisata» allo stesso Emanuele. Una vicenda che inneriato delle armi per imporre la legge del racket. Sono nume- scò ovunque reazioni sdegnate, anche perché stava per farne le spese proprio l’incolpevole dipendente
rosi gli episodi riscontrati dagli uomini della
cui venne addirittura puntato il fucile alla
Mobile. Tanti e di tale “qualità” criminale da
Le richieste
tempia. Ma una vicenda non meno grave rifornire una definitiva conferma sulla spreestorsive
di
spetto a quella che costò danni materiali, ed
giudicatezza e la caratura della ’ndrina attiva
nell’entroterra vibonese.
Emanuele dietro esborso di danaro (sostengono sempre gli inai rappresentanti della Ecocall:
Due casi, su tutti, meritano dignità di resogli attentati alle quirenti),
l’azienda con sede a Vazzano venne interesconto giornalistico, non foss’altro che per lo
aziende vibonesi sata da numerosissimi atti intimidatori culscalpore che fecero all’epoca: le intimidaziominati con l’esplosione, a marzo del 2003, di
ni ai danni delle aziende Proserpina ed Ecocall, impegnate nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Il diversi colpi di arma da fuoco contro la sede dello stabiliprimo episodio contestato dai magistrati agli uomini del clan mento. L’autore delle azioni delittuose - si scopre oggi, grarisale al 2003, e vede quale protagonista assoluto (in chiave zie alle indagini condotte dagli uomini di Rodolfo Ruperti negativa, ovviamente) Gaetano Emanuele: sarebbe stato pro- fu proprio Gaetano Emanuele coadiuvato nell’occasione da
prio lui il malvivente che, “doppietta” in pugno, avrebbe bloc- Rocco Oppedisano.
r. r.
cato insieme a un complice un furgone della Proserpina lun-
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 13
l’ora di Reggio
tel. 0965 324336-814947 - fax 0965 300790 - mail [email protected] - indirizzo via Nino Bixio, 34
PIANO DI RIENTRO
Protocollo tra
amministrazione
e costruttori
> pagina 16
MELITO PORTO SALVO
BLOCCO TIR
Evoli, inaugurato
il reparto
di Medicina
Zampogna:
«La Piana
si rivela fragile»
> pagina 21
> pagina 23
I camionisti
sul Torbido:
«Abbandonati»
> pagina 28
> riunione dei presidenti
«Beni confiscati
Controlli e gestioni
per noi prioritari»
L’assessore Minasi non fa sconti alla Musella
«Avremmo preferito un confronto diverso»
LOCRIDE
CITTA’ E AREE
METROPOLITANE
SUMMIT A FIRENZE
Clotilde Minasi
«Il monitoraggio ed il controllo
dei beni confiscati alla criminalità
ed assegnati ad associazioni e sodalizi, rappresenta uno degli obiettivi prioritari dell’Amministrazione Comunale. Ci saremmo aspettati un confronto diverso, improntato al dialogo piuttosto che ad un
pesante quanto grave ‘j’accuse’, in
modo da spiegare che l’Amministrazione municipale ha tutto l’interesse di vigilare sui beni assegnati, per rendersi conto che davvero
questi vengano utilizzati per servizi che coinvolgano la collettività in
ogni periodo dell’anno e per ogni
tipo di necessità, così come attestano tanti esempi che, assicuriamo, non è difficile rintracciare sull’intero territorio comunale».
È affidata all’assessore all’Am- I locali assegnati a Riferimenti e, nel riquadro, Adriana Musella
biente, Tilde Minasi, la risposta ufficiale dell’amministrazione comu- ta per non poter far fronte alle ri- usufruisce di un luogo operativo
nale all’associazione Riferimenti di chieste, che risultano supeiori alla per il suo movimento di cui, ovviaAdriana Musella che venerdì scor- disponibilità di locali a disposizio- mente, è opportuno evidenziare
so in una conferenza stampa ani- ne di questa importante destina- l’opera meritoria». D’altra parte,
mata si era scagliata contro il Co- zione d’uso, con altrettanto ram- aggiunge la Minasi, se Riferimenmune e l'Agenzia nazionale dei be- marico rispedisce al mittente le ac- ti volesse, potrebbe richiedere alcuse di chi «aven- l’Amministrazione comunale di
ni confiscati dedo avuto accesso usufruire temporaneamente di alnunciando energiquestione
ad uno di questi tri locali per incontri pubblici da
camente le condibeni, getta coni organizzare con quei tanti giovani
zioni in cui versa
amianto
d’ombra in merito e cittadini che coinvolge nella senl'edificio (presenza
C’è una
alle procedure con sibile cultura dell’antimafia. Ribadi aminato, ndr)
cui gli stessi vengo- dendo comunque che diversi sosede dell'associa- ordinanza
no consegnati e, dalizi hanno avuto beni confiscati
zione in via XXV del sindaco,
in gestione, ma proprio perché
conseguentemenluglio (confiscato
anche
Riferimenti
te, gestiti». Con ri- quest’ultima compete all’assegnaalla cosca Lo Giuguardo alla desti- tario hanno provveduto, e non con
dice) e una gestio- compili
nazione dei locali pochi sacrifici, a rendere ancor più
ne clientelare degli
la scheda di
alla Croce rossa, la idonei i locali, avendo un supporstessi beni.
Minasi ribadisce to del governo cittadino per interUna risposta autonotifica
che quel luogo è venti di natura realmente straordisenza sconti che
stato assegnato al- naria. Con riguardo alla copertura
tiene a precisare
che Palazzo San Giorgio è sempre la sede reggina dell’organizzazio- in amianto, l’assessore Minasi riattento e vigile in merito ai beni ne per poter godere di uno spazio corda che proprio nei giorni scorconfiscati, ma anche che «la colla- dove conservare il materiale pro- si il sindaco Demetrio Arena ha
borazione tra Ente, cittadino ed as- pedeutico ad interventi di prote- emesso un’ordinanza che prevede
sociazioni o movimenti deve però zione civile. «Questo il motivo per uno strutturato monitoraggio sul
restare il principio cardine di una il quale non è frequentato: per lo- territorio comunale a scopo conolotta sinergica alla criminalità che ro natura i depositi – spiega l’as- scitivo sulla diffusione dell’amianoffusca la crescita e lo sviluppo del- sessore - non vengono vissuti nel- to e procedere, quindi, alla messa
le rive dello Stretto, una battaglia la quotidianità ma servono, ap- in sicurezza. «Anche il Coordinanella quale non possono e non de- punto, ad immagazzinare e custo- mento perciò – è il consiglio delvono trovare spazio polemiche che dire, ma ciò non può tradursi nel- l’assessore - deve aderire al censiinstillano dubbi in merito alla cor- la sottrazione del piano alla Croce mento compilando la scheda di
rettezza di un processo così deli- Rossa come la Musella ha chiesto. ‘autonotifica’ reperibile all’assescato quale, appunto, la confisca, Non capisco perciò la presa di po- sorato all’Ambiente e sul sito inl’assegnazione e la tutela di questi sizione della presidente del Coor- ternet istituzionale».
cl. la.
immobili». Dicendosi rammarica- dinamento, la quale, comunque,
la querelle
Il “J’accuse”
di Adriana
colpì anche
l’antimafia
Era venerdì scorso
quando in una animata
conferenza stampa la presidente dell’associazione
Riferimenti, Adriana Musella, non ha risparmiato
accuse pesanti tanto al
Comune quanto all’Agenzia nazionale dei beni confiscati. In particolare la
Musella disse: «La gestione dei beni confiscati non
avviene secondo i criteri
di legge ma, come al solito, per clientela, leggi raccomandazioni, quando
invece bisogna tenere presente i veri bisogni».
«Inoltre - sostenne stizzita - non c'è alcun controllo sul loro uso effettivo e
ci sono beni, che sono stati richiesti, ma mai utilizzati. L'ente locale che lo
assegna, per legge, ha il
dovere del controllo. Sono stata zitta da tre anni
ma adesso basta». Nei
giorni successivi si aprì un
dibattito su queste affermazioni, senza dimenticare il Musella pensiero sull’antimafia di professione:
«Ormai l'antimafia è diventata un business quando invece è un sentimento. In Italia - aggiunse - ci
sono associazioni che si
sono fatte un ingente stato patrimoniale in nome
dell'antimafia». E per il
nodo amianto, la Musella
dice di essersi sentita rispondere da un funzionario del Comune: «Dovete
toglierlo voi perché soldi
non ne abbiamo».
Il Presidente
Giuseppe Raffa
sarà domani a Firenze per prendere parte a una
riunione sulle città metropolitane.
L’iniziativa – come si legge in una
nota del presidente della Provincia di Firenze
Andrea Barducci,
promotore del
vertice - ha come obiettivo l’avvio di «una
discussione seria sul tema e cercare di formulare assieme un progetto organico che
superi eventuali lacune della Calderoli e ci
renda protagonisti attivi di un processo istituzionale». Ai lavori sono stati invitati gli
altri presidenti delle provincie che rientrano nella legge sul federalismo fiscale, approvata dal Parlamento nell’aprile del
2009, che istituisce le dieci aree metropolitane del Paese, tra cui Reggio Calabria. Il
vertice sarà l’occasione per avviare un proficuo e costruttivo confronto delle diverse
esperienze e del lavoro fin qui svolto dalle
singole realtà territoriali, in vista dell’emanazione dei decreti delegati di competenza
governativa, e formalizzare «un progetto
di legge da presentare al Parlamento e al
Governo per cercare di non essere – scrive
Barducci - una volta tanto spettatori passivi ma diventare gli attori principali di un
processo che ci riguarda direttamente».
Rispetto ad altri territori metropolitani a
Reggio Calabria si è ancora indietro rispetto agli adempimenti previsti dalla legge.
Per superare questi ritardi, fin dal suo insediamento alla presidenza dell’Ente di via
Foti, Raffa ha assunto una forte iniziativa,
chiedendo il coinvolgimento del Comune
capoluogo di Provincia, per concludere
l’iter previsto dalla legge delega del 2009.
In altre realtà, da tempo, sono stati intrapresi percorsi che, tra l’altro, incidono direttamente sul sistema infrastrutturale e
sulla governante. «Abbiamo da tempo sottolinea Raffa - avviato un’azione d’ascolto del territorio, inviando un questionario
ai sindaci: azioni propedeutiche per insediare una commissione paritetica tra esperti e politici in modo da predisporre, in tempi brevi, un progetto in cui siano contenute le finalità del nuovo ente intermedio, le
funzioni e l’esatto dimensionamento territoriale, fino a definire una soluzione concordante tra tutti gli attori istituzionali interessati». Il Presidente Raffa, nel ricordare il lavoro che il suo staff sta portando
avanti per dare vita ad un incontro seminariale a cui sono stati invitati i 96 sindaci
della provincia di Reggio Calabria, sottolinea che si è già incontrato con il sindaco
della città dello Stretto Demetrio Arena per
«iniziare insieme questo percorso. A giorni, infatti, faremo, d’intesa con il Comune
capoluogo, una riunione congiunta per lavorare al fine di concludere una tappa importante per dare nuove prospettive e nuovo slancio al nostro territorio».
14
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012
calabria
ora
R E G G I O
“Imelda”, sedici optano
per il rito abbreviato
Traffico di droga, alla sbarra i clan più potenti del Reggino
In sedici optano per il rito
abbreviato, gli altri quindici
scelgono il rito ordinario. Inizia a delinearsi nei due tronconi principali il processo
“Imelda”. Alla sbarra 31 soggetti accusati di aver creato
una vera holding internazionale dedita al traffico di cocaina. Da una parte gli AsconeBellocco, dall’altra i NirtaStrangio-Pizzata. rinsaldando
vecchi legami d’amicizia tra i
capi ‘ndrina, hanno stretto
un’alleanza strategica al fine
di trafficare droga e creare
una rete efficiente di gestione
della latitanza degli esponenti delle cosche stesse. Proprio
su questi due binari si è imperniata l’attività della Dda
reggina e del Goa di Catanzaro: da un lato neutralizzare il
traffico di droga e dall’altro
catturati i soggetti latitanti ed
appartenenti all’organizzazione, che continuavano a gestire gli affari illeciti. Tra le figure di maggiore importanza, sicuramente quella di Antonio
Ascone, 57 anni, alias “nascarella”, e ritenuto il capo dell’omonima cosca, Bruno Pisa-
no, 28 anni, Umberto Bellocco, 28 anni e Michele Ascone,
figlio di Antonio, di 23 anni.
Erano loro ad intessere tutte
le trame che hanno portato le
cosche calabresi a gestire un
giro di droga che partiva dai
luoghi d’origine per arrivare
in Belgio, Germania ed Olan-
da, con basi logistiche anche
nel nord Italia.
Nel corso dell’udienza di ieri, dunque, dopo la scelta del
rito abbreviato da parte di 16
imputati, per tutti gli altri è
iniziata l’udienza preliminare.
Il pm ha insistito per il rinvio
a giudizio, mentre è stata poi
la volta degli avvocati difensori, tra i quali Armando Veneto, Domenico Putrino, Guido
Contestabile, Tonino Curatola e Alfredo G. D. Foti, che
hanno chiesto il non luogo a
procedere per i propri assistiti. La decisione del gup arriverà domani e stabilirà, oltre
agli eventuali rinvii a giudizio,
anche la competenza del tribunale collegiale e cioè se dovrà essere quello di Reggio
Calabria, Palmi o Locri.
Consolato Minniti
«Così iniziarono i miei guai»
“Leone”, la deposizione del testimone di giustizia Saverio Foti
«Sono un testimone di
giustizia e non un collaboratore, perché io con la ‘ndrangheta non c’entro nulla». Ha
il tono deciso Saverio Foti.
Ieri nell’aula del Cedir, il testimone di giustizia è stato
sentito nell’ambito del processo “Leone”. Foti ha risposto alle domande del sostituto procuratore Antonio De
Bernardo (in foto) ed ha ripercorso tutte le tappe della
vicenda che lo ha visto protagonista, a partire dagli anni
’90, «quando vendevo mucche e capre per conto terzi»
ha riferito in aula. I suoi problemi, però, sarebbero cominciati nel 1998, dopo
l’uscita dal carcere del boss
Nino Iamonte.
Il testimone ha raccontato
anche che una volta gli incendiarono tutto, mentre i
problemi di contabilità arrivarono nei primi anni del
2000, dopo aver ricevuto anche un finanziamento dall’Unione Europea.
«I commercialisti – ha
spiegato Foti – mi chiesero
24 milioni di lire. Io feci una
sciocchezza e andai da Nino
Iamonte che mi disse che se
ne avessi dati otto a lui, non
avrei avuto problemi. Sempre Iamonte mi disse che dato che operavo in un settore
che era di sua competenza ci
dovevamo mettere in società
e da qui iniziarono i miei
guai».
L’indagine “Leon” ha preso le mosse proprio dalle dichiarazioni del testimone di
giustizia Saverio Foti, che
raccontò alle forze dell’ordine quello che era il modus
operandi della criminalità la
quale aveva messo su un vero e proprio “mercato degli
indiani”, fenomeno attraverso il quale veniva favorito
l’ingresso nel territorio nazionale di persone di origine
prevalentemente indiana e
pakistana attraverso l’emissione di provvedimenti temporanei di nulla-osta lavorativo, scaturiti da domande di
assunzione da parte di compiacenti datori di lavoro italiani, ed in seguito mediante
la stipula di contratti di lavo-
COSÌ A PROCESSO
Imputati che hanno scelto il rito abbreviato
Ascone Vincenzo
Ascone Rocco
Avram Laurentiu Doru Lorenzo
Calderone Pasquale
Codespoti Domenico
Fabrizio Giuseppe
Marras Beniamino
Murdaca Carmine
Perri Vincenzo
Pizzata Giuseppe
Polifroni Giancarlo
Rechichi Filippo
Romeo Antonio
Romeo Giuseppe
Strangio Francesco
Vottari Antonio
32 anni
59 anni
31 anni
35 anni
62 anni
38 anni
40 anni
55 anni
32 anni
32 anni
38 anni
29 anni
42 anni
51 anni
46 anni
27 anni
Imputati che hanno scelto il rito ordinario
Ascone Antonio
Ascone Michele
Bellocco Umberto
Bonarrigo Gioacchino
Bonarrigo Nicola
Carretta Sergio
Costadura Antonio
Giorgi Salvatore
Nasso Aldo
Pisano Bruno
Pizzata Bruno
Rechichi Sebastiano
Romeo Antonio
Stelian State
Stilo Francesco
58 anni
33 anni
29 anni
28 anni
48 anni
52 anni
38 anni
38 anni
27 anni
29 anni
53 anni
52 anni
55 anni
62 anni
51 anni
“shark” in appello
Disposta l’audizione
del pentito Oppedisano
ro fittizi, in modo da consentire il rilascio di permessi di
soggiorno formalmente regolari, ma nella realtà basati
su presupposti falsi ed inesistenti, il tutto, ovviamente, a
fronte dell’esborso, da parte
dell’immigrato ed in favore
dell’organizzazione, di ingentissime somme di danaro
pagate in successive tranches
nel corso dell’operazione.
c. m.
spiaggia di san gregorio
Sequestrata area demaniale
Denunciato il soggetto che la occupava senza alcuna concessione
Proseguono le attività a tutela del demanio marittimo da parte degli uomini della
Capitaneria di Porto di Reggio Calabria.
Su disposizione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a seguito di
circostanziata informativa redatta nell’ambito dell’aggiornamento del documento
programmatico regionale di mappatura
delle coste calabresi, sono stati posti i sigilli ad una struttura, ubicata in località San
Gregorio via Strada ferrata 1^ traversa nel
comune di Reggio Calabria.
Nello specifico si è accertato che l’indagato G. M. di Reggio Calabria, non era in
possesso della concessione demaniale marittima che ne legittimasse l’occupazione e
l’utilizzo.
L’intera area demaniale marittima è stata posta sotto sequestro preventivo d’urgenza su disposizione del sostituto procuratore Stefano Musolino della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ed affidata in custodia – senza facoltà d’uso - all’indagato.
Verrà sentito l’otto febbraio prossimo il collaboratore
di giustizia Domenico Oppedisano. Lo ha deciso la corte
d’appello di Reggio Calabria
(Napoli presidente) nell’ambito del processo “Shark” che
vede alla sbarra numerosi
soggetti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo mafioso finalizzata alla commissione di una
pluralità di reati, tra cui rapine, estorsioni, usura, esercizio abusivo del credito, danneggiamento, detenzione e
porto illegale di armi ed altro. Tutti gli arrestati furono
ritenuti appartenenti alla cosca Cordì di Locri.
Nel corso dell’udienza di
ieri, dunque, i giudici di piazza Castello hanno sciolto la
riserva in merito alle richieste di accusa e difesa. E così,
l’audizione richiesta dal pg
Adriana Fimiani ha trovato
accoglimento, così come entreranno nel processo di secondo grado tutti gli atti prodotti dalla difesa. Per quanto
concerne l’audizione di Oppedisano, inoltre, la stessa si
è resa necessaria affinché il
pentito possa riferire dei rapporti tra i fratelli Antonio e
Francesco Tallura e la cosca
Cordì. Non ha trovato invece
accoglimento la richiesta di
sentire il collaboratore di giustizia Marino, in quanto si
tratta – per il collegio giudicante – di prova già acquisita in primo grado.
L’inchiesta “Shark” partì
dalla Compagnia Carabinieri di Locri ed ebbe un impulso notevole grazie alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Domenico Novella e Bruno Piccolo. Informazioni poi riscontrate dal
nucleo investigativo provinciale dei carabinieri e dal
commissariato di Siderno.
Ma un gioco fondamentale
fu giocato anche dalle parole di due testimoni come
Rocco Rispoli e Luca Rodinò. Sono stati molti i reati “fine” individuati dalle forze
dell’ordine. Tra questi una
pluralità di episodi di usura
ed estorsione nonché infiltrazione degli associati nell’aggiudicazione di appalti
pubblici banditi da enti locali, tra i quali il Comune e l’ex
As 9 di Locri. Questo sarebbe avvenuto sia mediante il
taglieggiamento della ditta
aggiudicataria, sia attraverso l’aggiudicazione diretta o
in sub-appalto dei lavori
commissionati a ditte riconducibili agli appartenenti alla cosca.
c. m.
24
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012
calabria
ora
P I A N A
“cent’anni di storia”
PALMI
La procura generale aveva impugnato la sentenza del gup di
Reggio Calabria, nella quale Carlo
Martelli e Rosario Schiavone venivano prosciolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’appello di Reggio
Calabria nel corso dell’udienza del
processo “Cent’anni di storia”, ha
deciso di trasmettere gli atti in Cassazione, sede per legge deputata a
decidere su un prnunciamento del
giudice per l’udienza preliminare.
Tra qualche mese, quindi, la Corte
PALMI
Ci sono i collegamenti tra i
Pesce le famiglie di ‘ndrangheta milanesi al centro dell’udienza di ieri nell’ambito
del procedimento All Inside
che vede alla sbarra 62 tra
capi e capetti della consorteria egemone a Rosarno.
Un collegamento saldo
quello tra le cosche reggine e
le loro propaggini “esterne”
e che sarebbe confermato
una volta di più dalla lettera
che il Sostituto procuratore
della distrettuale antimafia
Alessandra Cerreti, ha depositato a margine dell’udienza. Una lettera sequestrata
dalle forze dell’ordine a Biagio La Rocca subito dopo il
suo arresto, e dentro cui ci
sarebbe rappresentata, neanche troppo mimetizzata
tra le righe, tutta l’influenza
esercitata nella città meneghina da Pino “Mussuni”
Ferraro.
Una lettera che in calce
porta solo la scritta “Pino”,
ma che, sostiene l’accusa,
presenta la medesima grafia
dello zio della collaboratrice
di giustizia Giuseppina Pesce.
Una lettera “raccontata”
dal colonnello Pisani, in forza al Gico della guardia di finanza di Milano che ha curato le informative per conto
dei giudici antimafia milanesi, in cui Ferraro richiamava
all’ordine lo stesso Biagio La
Schiavone e Martelli, decide la Cassazione
La procura generale impugna il proscioglimento, la Corte manda gli atti a Roma
di Cassazione indicherà una data
nella quale le parti discuteranno
della questione. Ricordiamo che, la
Suprema corte, si era già pronunciata, su richiesta delle difese, sulla
posizione dei due ex amministratori della Piana di Gioia Tauro, accusati di avere cercato di agevolare la
riabilitazione di Gioacchino piromalli junior, condannato a risarci-
re in solido i comuni dell’area portuale dopo essere stato condannato per associazione mafiosa nel
processo “Porto”. In quel caso, la
Cassazione aveva ritenuto che non
ci fossero gli estremi per la custodia
cautelare scarcerando Martelli, all’epoca primo cittadino di Rosarno
appena decaduto, e Schiavone, ex
vicesindaco di Gioia. I giudici infat-
ti avevano ritenuto non sussistere
gravi indizzi di colpevolezza a loro
carico. Per lo stesso capo di imputazione era stato rinviato a giudizio
Giorgio Dal Torrione, ex sindaco di
Gioia Tauro, assolto in primo grado e per il quale, la procura generale, ha chiesto la conferma della sentenza del Tribunale di Palmi.
Francesco Altomonte
EX SINDACO Martelli
L’influenza di “Mussuni”
sugli equilibri milanesi
“All inside”, in aula la lettera di Ferraro a Biagio La Rocca
IL PROCESSO Il Tribunale di Palmi
Rocca (figlio di Carmela Pesce, sorella del mammasantissima Antonino), che negli
ultimi tempi aveva creato
problemi al clan con alcune
dichiarazioni che avrebbero
potuto minare i rapporti economici vigenti nel capoluogo
lombardo. Tutto ruota attorno alle estorsioni legate al
mondo della gestione dei locali notturni e dei “paninari”
che gravitano nelle vicinanze
degli stessi locali.
«Ci sono diverse intercettazioni tra La Rocca e il suo
sodale Colombo – racconta
il colonnello al Presidente del
collegio giudicante Concettina Epifanio – che non lasciano dubbi sulla natura dei loro interessi. I due si occupano del “recupero crediti” per
conto della famiglia Flachi
(cosca di origine calabrese
ma che opera in Lomabrdia,
ndr) e La Rocca si lamenta
spesso perché i rapporti di
forza all’interno del clan sono
cambiati con la nuova guida
del reggente. Dissidi che
avrebbero portato La Rocca a
ipotizzare l’inserimento negli affari di altre famiglie in
sostituzione dei Flachi».
Ma al boss rosarnese Pino
Mussuni, l’idea non va proprio a genio – troppo delicati e redditizi gli equilibri criminali ormai cristallizzati
per modificarli – e nella lettera lo mette nero su bianco,
richiamando il sodale al rispetto dei ruoli e delle competenze.
VINCENZO IMPERITURA
[email protected]
inchiesta “cafè de paris”
Chiesti 28 rinvii a giudizio
Per la procura gli indagati sono “teste di legno” degli Alvaro
PALMI - La procura di Roma ha
chiesto il rinvio a giudizio di 28 persone appartenenti ad una cosca collegata al clan della 'ndrangheta degli
Alvaro. Sono tutti accusati di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all'acquisizione di quote societarie,
prevalentemente bar e ristoranti, eludendo così la normativa riguardante
le misure di prevenzione antimafia.
Al centro dell'inchiesta l'acquisto
di quote societarie che venivano poi
intestate a soggetti di comodo molti
dei quali già al centro di un procedimento della procura di Reggio Calabria.
L'iniziativa della magistratura romana punta a chiarire la natura sospetta di una molteplicità di investimenti finanziari effettuati a Roma,
come l'acquisizione di quote di socie-
SEQUESTRATO Il Cafè de Paris di via Veneto a Roma
tà che gestiscono esercizi commerciali che hanno destato l'attenzione dei
carabinieri del Ros.
Secondo chi indaga Vincenzo Al-
varo, attualmente agli arresti domiciliari , avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali a Roma
intestati a teste di legno.
Tra i locali finiti nelle mani della
cosca ‘ndranghetista il noto "Cafè de
Paris", già al centro di altre vicende
giudiziarie. Poi il "Gran Caffè Cellini" in piazza Alfonso Capecelatro, il
"Time out Cafè" di via di Santa Maria
del Buon Consiglio, il ristorante "la
Piazzetta" in via Tenuta di Casalotto,
il bar Clementi di via Gallia, il bar Cami di viale Giulio Cesare, il bar California in via Bissolati, il ristorante
"Federico I" in via della Colonna Antonina, la società di pulizie "Miss Clean".
L'indagine culminò nel giugno dello scorso anno con 17 perquisizioni e
il sequestro dei bar "Pedone" al Tuscolano e "Il naturista" in zona Salaria. L’indagine, avviata nel 2007 dal
procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, documenta la penetrazione
della cosca Alvaro nell'economia della capitale. Sulle richieste il gup si pronuncerà il 20 febbraio prossimo.
[email protected]
Porto, sequestrati
90mila profilattici
contraffatti
Un container con
90mila profilattici contraffatti è stato bloccato
ieri mattina al porto di
Gioia Tauro. L'operazione
è stata condotta dalla
guardia di finanza di Gioia Tauro in collaborazione con i funzionari della
Dogana. Il container era
proveniente dalla Cina e
aveva come meta finale
l'Albania. L'operazione,
coordinata dalla procura
di Palmi, ha consentito,
l’individuazione del carico sospetto occultato tra
altri prodotti “made in
China”, in un contenitore
imbarcato nel porto cinese di Ningbo. La merce,
destinata in Albania e il
cui valore di mercato si
aggira intorno ai 15mila
euro, è stata sottoposta ad
un esame da parte dei tecnici di una nota società titolare del marchio, i quali hanno confermato l’intuizione dei finanzieri e
dei funzionari doganali,
ossia che i prodotti recavano un marchio illecitamente riprodotto.
Già nello scorso settembre i Finanzieri del
gruppo di Gioia Tauro e i
Funzionari della locale
Agenzia delle Dogane
avevano eseguito il sequestro di oltre 3 milioni di
prolifattici contraffatti
sempre provenienti dalla
Cina e diretti in Albania.
Sono in corso le indagini tese ad individuare i responsabili dell’illecita importazione di merce contraffatta.
r. p.
CRONACA
Sottratti alle Fdc
200 litri di gasolio
A Taurianova, ignoti hanno
asportato dai serbatoi di tre
autobus della società “Ferrovie
della Calabria”, circa 200 litri di
gasolio.
Cosoleto, rotti
infissi della scuola
A Cosoleto, nel corso della
notte ignoti hanno
danneggiato le porte e gli
infissi, della ex scuola media.
dal POLLINO
alloSTRETTO
calabria
ora
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 6
“luce tra i boschi”
’Ndrina... istituzionale:
30 arresti nel Vibonese
Un momento della conferenza stampa
In manette l’ex sindaco di Gerocarne: “eletto” dalla cosca
Vent’anni di malavita ricostruiti dalla Dda di Catanzaro
“SINDACO”
L’ex sindaco di
Gerocarne, ora
finito in
manette,
Michele
Altamura: la sua
candidatura
sarebbe stata
decisa dalle
famiglie di mala
delle Pre Serre
CATANZARO Dal 1989 al 2009. Vent’anni di
storia scritta con il sangue dal locale di Ariola, a Gerocarne, nelle Preserre Vibonesi, con i suoi tentacoli diramati nei comuni di Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà ed Acquaro.
Un’organizzazione di ’ndrangheta
caratterizzata da forti organismi
statutari, ma anche da continue
scissioni interne e da nuove leve che
per contare all’interno della cosca
dovevano uccidere. Boss e accoliti
avrebbero avuto il controllo delle
risorse economiche della zona, incidendo nei settori imprenditoriali,
boschivo ed edilizio. È stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro, sfociata
ieri nell’operazione “Light in the
woods”, che ha portato all’esecuzione di 28 su 30 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal
gip Tiziana Macrì, a fare luce sulla
faida e a ricostruire la storia del locale. L’operazione è stata condotta dalla Squadra
mobile di Catanzaro sotto la guida del dirigente Rodolfo Ruperti, coadiuvata dagli agenti delle altre
quattro province calabresi, insieme a quelli di Torino, Firenze, Genova, Massa Carrara e Parma, e con
l’ausilio dei Reparti di prevenzione crimine di Rosarno, Siderno e Cosenza. I dettagli sono stati illustrati
ieri nel corso di una conferenza stampa alla quale
hanno partecipato il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli - che
insieme al sostituto pg Marisa Manzini e al pm
Giampaolo Boninsegna hanno firmato la richiesta di
ordinanza -, il procuratore generale Santi Consolo,
il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, il capo della mobile Rodolfo Reperti, il vice capo della mobile
Angelo Paduano e il responsabile della pg Massimiliano Russo. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, alla gestione illecita de-
gli appalti pubblici banditi dall’amministrazione comunale di Gerocarne, alle estorsioni, ai danneggiamenti, ai reati in materia di armi ed esplosivi, alla turbativa dei pubblici incanti. L’epicentro degli affari,
secondo gli investigatori, era la frazione di Ariola, a
Gerocarne, con a capo Antonio Altamura, 65enne
già arrestato nell’operazione “Crimine”, lo zio di Michele Altamura, ex sindaco di Gerocarne finito ieri in
carcere con l’accusa di associazione mafiosa. La carriera politica di Altamura, eletto a primo cittadino nel
2005, secondo i magistrati catanzaresi sarebbe stata pianificata dallo zio presunto boss, e la sua candidatura a sindaco sarebbe stata il frutto di un accordo interno alle varie famiglie appartenenti al “locale” di ’ndrangheta.
Prima assessore e poi sindaco, Michele Altamura
avrebbe fornito il suo supporto alle cosche avvalendosi del suo ruolo istituzionale. Le ’ndrine, in questo
modo, sarebbero riuscite facilmente ad infiltrarsi
nella gestione degli appalti pubblici del Comune di
Gerocarne. Secondo gli inquirenti, Altamura si sarebbe attivato per aiutare gli affiliati al fine di ottenere i lavori di tre appalti pubblici.
I primi scontri all’interno della cosca operante nella frazione Ariola di Gerocarne, risalgono ai tempi del
sequestro di Carlo Celadon, avvenuto a Vicenza il 25
gennaio 1988. Nel corso di alcune intercettazioni fatte all’epoca dalla Squadra mobile di Venezia venne
fuori come fosse in atto uno scontro tra le famiglie
Maiolo e Loielo, fino ad allora alleate. Dal 1998, dopo l’omicidio di Antonio Maiolo, era stata raggiunta
una sorta di tregua, interrotta, però il 22 aprile 2002
con l’omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. I killer fecero però un errore: avevano lasciato sul
posto del delitto dei telefonini che hanno poi consentito agli investigatori, anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia di arrivare, dopo
sette anni di indagini, all’ordinanza del gip.
I TRENTA ARRESTATI
DI “LIGHT IN THE WOODS”
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
Antonio Altamura
Nazzareno Altamura
Vincenzo Loielo
Giovanni Loielo
Rocco Loielo
Michele Rizzuti
Antonio Condina
Giuseppe Taverniti
Francesco Taverniti
Leonardo Bertucci
Antonio Gallace
Nazzareno Gallace
Vincenzo Taverniti
detto “Cenzo D’Ariola”
Michele Altamura
Ilario Chiera
Giuseppe Prestanicola
Bruno Emanuele
Gaetano Emanuele
Franco Idà
Vincenzo Bartone
Francesco Maiolo
Angelo Maiolo
Francesco Maiolo
Francesco Capomolla
Piero Sabatino
Salvatore Zannino
Salvatore Grillo
Giuseppe La Robina
Giuseppe Degirolamo
Pasquale De Masi
65 anni
46 anni
64 anni
57 anni
60 anni
49 anni
51 anni
34 anni
37 anni
41 anni
46 anni
40 anni
52 anni
41 anni
70 anni
59 anni
39 anni
36 anni
46 anni
43 anni
32 anni
27 anni
28 anni
28 anni
29 anni
33 anni
32 anni
21 anni
21 anni
30 anni
GABRIELLA PASSARIELLO
[email protected]
la parola agli inquirenti
LUTTO
L’editore
il direttore
i giornalisti
i poligrafici
e il personale
amministrativo
di Calabria Ora
partecipano al lutto
che ha colpito
il collega
Marco Cribari
per la perdita
del caro zio
Attilio Perrelli
Branca
Cosenza, 25 gennaio 2012
«Un’indagine complessa, ultimata nonostante la carenza di organico»
CATANZARO Sette anni d’indagine. Forse troppi, nonostante il forte
impegno. Come ha detto ieri nel corso della conferenza stampa il procuratore capo di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, la giustizia «tarda ad arrivare ma prima o poi arriva». La causa? «La Procura di Catanzaro è sottodimensionata, ha un organico al limite del sostenibile e in questi anni si sono trovati rimedi non adeguati ai mali con continue richieste di applicazione di magistrati provenienti da altre Procure». L’esito delle indagini che ieri
ha portato ventotto arresti sui trenta disposti con ordinanza dal gip, è stato
possibile grazie all’applicazione di un magistrato della Procura generale, Marisa Manzini. « In questa operazione sono state emesse misure restrittive nei
confronti di persone coinvolte tutte in associazione a delinquere di stampo
mafioso - ha detto il procuratore generale Santi Consolo - con reati satellite
che vanno dall’omicidio, alle estorsioni alla turbativa d’asta. A dimostrazione che la ’ndrangheta è la più forte e la più aggressiva tra le organizzazioni
criminali. Se si vuole cambiare rotta nella battaglia alla criminalità occorre
una rivisitazione dell’organico. Non è più accettabile andare avanti con provvedimenti di applicazione». La storia della locale di ’ndrangheta è stata rico-
struita tassello per tassello dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dal
sequestro di Marco Celadon all’attentato intimidatorio compiuto ai danni del
sindaco di Arena Gesuele Schinella, al quale fu fatta saltare l’automobile per
indurlo a rilasciare una licenza per l’apertura di una sala giochi, a Bruno
Emanuele prima braccio destro dei fratelli Loielo e poi arrestato con l’accusa di averli uccisi entrambi. A Emanuele non sarebbe bastato più essere affiliato al clan. Secondo gli inquirenti Bruno Emanuele avrebbe così dato seguito alle sue aspirazioni di diventare boss, cosa che poi effettivamente si sarebbe verificata grazie alla collaborazione criminale tra lo stesso Emanuele
e i Maiolo, intercorsa negli anni successivi all’omicidio dei Loielo. Un’attività investigativa complessa non solo per la tipologia di attività svolta e per la
carenza di organico, ma anche per le condizioni in cui spesso è costretta a
muoversi la mobile. «Questa operazione ha presentato aspetti ardui - ha affermato il dirigente della mobile Rodolfo Ruperti - ci siamo trovati a lavorare in case inavvicinabili con cani robusti, liberi e pericolosi. Nel coordinamento ci siamo avvalsi delle Squadre mobili di Torino, Lucca e Massa Carrara».
ga. pa.
GIOVEDÌ 26 gennaio 2012 PAGINA 27
l’ora di Vibo
Telefono: 0963.547589 - 45605 Fax: 0963.541775 Mail: [email protected] - [email protected]
L’OPERAZIONE
LA PROTESTA
Mafia, omicidi
appalti e politica
trenta arresti
> pagine 28 e 29
Autotrasportatori
paralizzata anche
Vibo Marina
> pagina 30
PIZZO
MILETO
Psc, Nicotra
contro la proposta
di Stillitani
Accesso agli atti
Comune in attesa
delle risposte
> pagina 30
> pagina 31
Il saluto del prefetto alla città
E il ringraziamento delle istituzioni: «E’ stato un onore lavorare con lei»
«Quando il ministero chiama noi andiamo». Luisa Latella non si sottrae ai propri
doveri istituzionali. Lascia Vibo «con rammarico», consapevole di dover assumere un
incarico di grande responsabilità. A Palermo l’attendono i
“forconi”, ed una situazione
non facile da gestire. Non per
questo, lei, si chiama fuori. Anzi, le sfide sono il suo pane
quotidiano. Da buon servitore dello Stato non si sottrae a
quelli che sono i compiti di un
prefetto in trincea. Il monito
per chi resta è di proseguire,
«tutti insieme», lungo il percorso avviato, senza lasciarsi
intimorire dalle difficoltà quotidiane, consapevole di cedere
la Prefettura in buone mani.
«Vi lascio in eredità - chiosa uno staff preziosissimo e preparato, fatto di gente che lavora con dedizione e spirito di
servizio». Gente, giovane e
meno giovane, che, in questi
anni, condivide con lei la passione per il proprio lavoro, certi dell’importanza di operare
in un contesto difficile, mai sazio di legalità. Per ciascuno di
loro Luisa Latella ha un pensiero affettuoso, di ringraziamento. Cita i nomi dei componenti del suo staff uno ad uno,
avendo cura di non dimenticare nessuno. Il suo essere
donna forte e di carattere non
è svilito da quella emozione
Il prefetto Luisa Latella con i vertici delle Fiamme gialle
che contraddistingue un rappresentante dello Stato che
non vuole «andare via nella
notte». L’atmosfera che si respira è familiare. Del resto, per
tutti, rimane un punto di riferimento importante. Si commuove, quasi fino alle lacrime,
il viceprefetto vicario Stefania
Caracciolo, nel consegnare alla Latella un pensiero a nome
di tutto il personale dell’Utg.
Parole semplici ma efficaci:
«Ringrazio il prefetto in questa giornata lieta per lei, triste
per noi. E’ stato un onore lavorare al suo fianco. E’ stata, è
sarà sempre, un punto di riferimento per tutti noi». La La-
tella, di rimando chiede ai suoi
collaboratori di riservare
l’identico supporto a «chi verrà dopo di me». Poi è la volta
dei saluti dei rappresentanti
delle istituzioni e delle forze
dell’ordine. Franco Sammarco rompe il ghiaccio, ricordando l’impegno di un «servitore
dello Stato che ha lasciato il segno nella comunità», unitamente all’augurio per «una luminosa carriera». Il sindaco
Nicola D’Agostino imprime
sulla carta il suo saluto, consegnandolo nelle mani della Latella che lei condivide con i
presenti. Parola di ringraziamento anche da parte del pre-
sidente della Provincia, Fran- lo, e quello della Benemerita
cesco De Nisi, e delle organiz- con il tenente colonnello Dazazioni sindacali di Cgil, Cisl, niele Scarnecchia, che ricorda
Uil e Ugl, rappresentati da Vit- il «coraggio delle donne, supetoria Toscano, Sergio Pititto, riore a quello di noi uomini».
Luciano Prestia e Domenico Per il questore Giuseppe CucRusso, mentre il segretario na- chiara «è stato un onore lavozionale della Cisal, Francesco rare con un grande prefetto».
Cavallaro, la
Simpatico
raggiunge tel’ingresso dei
le
parole
lefonicamenvertici della
te. Incisivo il
Guardia di fidella latella
saluto
di
nanza. «Non
Lascio
in
monsignor
si preoccupi»,
eredità uno staff
Giuseppe
è l’esordio di
Fiorillo, che prezioso, a cui
Giovanni Lericorda come,
gato, Michele
con lei, « Vibo chiedo di riservare
Di Nunno e
può conti- l’identico supporto
Paolo Marzio,
nuare a speche le consea
chi
verrà
rare sul fatto
gnano
un
che qualcosa dopo di me
pensiero per
possa camdirle «grabiare davvezie». Il finale è
ro. A noi il compito di far ger- per i suoi più stretti collaboramogliare ciò che è stato semi- tori, il «prezioso staff della
nato». Per il magistrato Santi Prefettura», prima che Luisa
Cutroneo, «con il sorriso dei Latella, in procinto di apprograndi se ne va un pezzo dello dare a Palermo dopo la ratifiStato che ricorderemo per le ca da parte del Consiglio dei
sue qualità», augurandole «di ministri, attesa per domani, si
raggiungere sempre maggiori congedi dalla città con l’augutraguardi». Di punto di riferi- rio affinché «tutti voi, possiamento parla anche il giudice te lavorare per costruire un fuFabio Regolo, che si congeda turo degno di quella straordidalla Latella con una promes- naria storia che questo territosa: «Lavoreremo con più inci- rio è in grado di esprimere. Vi
sività per mettere a frutto gli porterò sempre nel cuore».
insegnamenti del prefetto». Luisa Latella lascia, per altri
Non manca il saluto della prestigiosi incarichi.
Salvatore Berlingieri
stampa, affidato a Peppe Sar-
la precisazione
Carburante al 118
Talesa chiarisce:
garantito dall’Asp
In merito alla notizia
apparsa ieri sulla presunta mancanza di fondi ai
quali gli operatori del 118
avrebbero fatto fronte
personalmente per pagare il carburante delle autoambulanze, il direttore del
Suem, Antonio Talesa,
smentisce categoricamente: «Quanto riportato non
corrisponde al vero. La
commissione dell’Asp è
stata da subito sensibile al
problema, interessando
gli organi istituzionali preposti, ovvero la Prefettura, attivando tutti i mezzi
per scongiurare l’eventualità di una mancanza di
carburante. Eventualità
che, tengo a precisare,
non si è mai verificata, né
si verificherà dato che è
stata posta in essere un’attività volta ad eliminare
ogni possibilità del genere. Il carburante nelle autoambulanze, inoltre, nonostante il blocco, viene
comunque garantito e pagato dall’Asp».
omicidio muller
«Assoluzione per i Bellissimo»
La richiesta del pm Mario Spagnuolo per «insufficienza di prove»
Assoluzione per insufficienza di prove. È questa la richiesta del procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, avanzata alla
Corte d’Assise di Catanzaro
nei confronti di Domenico e
Michele Bellissimo, fratelli di
31 e 34 anni, di Soriano Calabro, imputati per l’omicidio
dell’agricoltore 61enne Giuseppe Muller, ucciso a colpi di
fucile nel pomeriggio del primo novembre del 2008 a bordo del suo trattore. La decisione del pubblico ministero è
maturata in seguito all’analisi
della superperizia effettuata
dagli ingegneri balistici Claudio Gentile e Pietro Benedetti,
la quale non ha dipanato tutti
i dubbi sugli elementi di compatibilità tra le particelle chimiche cristallizzatesi nello
stub, sugli indumenti degli imputati, sugli indumenti della
vittima e su tutti gli altri elementi balistici repertati. Il procuratore, insomma, si è attenuto ai fatti: non essendoci
certezza del reato ha chiesto
l’assoluzione per insufficienza
di prove. «Non si chiede l’ergastolo per qualcuno - ha com-
mentato - se vi sono dei dubbi
sulla vicenda». Le risultanze
della superperizia, infatti, erano discordanti rispetto a quelle cui erano giunti i Ris di Messina.
Proprio sulla «inefficacia
probatoria» delle perizie balistiche, effettuate dal momento dell’arresto dei fratelli Bellissimo, si sono incardinate le
argomentazioni difensive portate avanti dall’avvocato Enzo
Galeota, coadiuvato dai colleghi Michele Ciconte e Francesco Sorrentino, i quali hanno
sostenuto sin dall’inizio che gli
elementi portati a carico dalla
Procura non potevano assurgere a prova certa.
Domenico e Michele Bellissimo, cugini della vittima, erano stati arrestati dai carabinieri della Compagnia di Serra
San Bruno il 19 febbraio 2010.
I motivi dell’omicidio, secondo
l’accusa, erano da ricondurre a
dissapori familiari alimentati
dal pascolo abusivo delle pecore dei fratelli Bellissimo sul
terreno di Giuseppe Muller. La
conclusione cui si è giunti ieri,
comunque, non era da considerare remota data proprio la
IMPUTATI I fratelli Domenico e Michele Bellissimo
difficoltà che gli inquirenti
hanno avuto nel condurre le
indagini (basate su una mole
di indizi), in particolare per il
«contesto di assoluta omertà fu spiegato nella conferenza
stampa del febbraio 2010 - intorno al quale si era verificato
il fatto di sangue».
Il presidente della Corte
d’Assise di Catanzaro, Giuseppe Neri, ha quindi disposto il
rinvio dell’udienza al prossimo
7 febbraio, giorno nel quale la
Corte scioglierà le riserve e deciderà se accogliere la richiesta del pm.
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“luce tra i boschi”
LO STATO
Un
momento
della
conferenza
stampa di
ieri a
Catanzaro,
nel corso
della quale
gli inquirenti
hanno
illustrato i
dettagli
dell’operazione che ha
portato
all’arresto di
trenta
persone
Il settore boschivo era appetibile, nelle montagne vibonesi può far fruttare tanti
quattrini. Quello edile non era
da meno. Tutto condito da
una buona dose di “influenza”
nella pubblica amministrazione, per garantirsi appalti nei
lavori pubblici. Il “locale” di
Ariola - secondo la Squadra
mobile e la Dda di Catanzaro
- dettava legge. E lo faceva
«attraverso la forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo - scrive nell’ordinanza il gip Tiziana Macrì - e le conseguenti condizioni di assoggettamento ed
omertà che ne derivano nei
territori in cui è insediata la
consorteria criminale».
Il centro nevralgico della
presunta associazione mafiosa è Ariola, la minuscola frazione di Gerocarne bagnata
dal sangue negli ultimi vent’anni. Sangue di morti ammazzati in guerre infinite. Per
spartirsi il territorio, per prendere il comando. L’operazione
“Light in the woods - Luce nei
boschi” ha scattato una fotografia limpida delle dinamiche
criminali e del controllo della
zona operato dai trenta indagati ammanettati ieri mattina
all’alba.
Delitti contro il patrimonio e
la persona, «con totale e preventiva accettazione della necessità di compiere azioni ben
più gravi per garantirsi l’assoluto controllo del territorio,
per stroncare qualunque infiltrazione e per eliminare qualsiasi opposizione», attuati con
«disponibilità di armi comuni
e da guerra», attraverso il «reclutamento e la iniziazione ai
riti di ammissione alla società
‘ndranghetistica con attribuzione di gradi ed osservanza di
rituali». Questi gli elementi alla base dell’associazione descritti dal gip. Un’associazione
di tipo «militare». Lassù, ad
Ariola, si tenevano «riunioni
mafiose per disporre spartizioni di territori», per predisporre «meccanismi di controllo
dell’attività amministrativa
pubblica», sfruttando le potenzialità economiche «sulla
base di un criterio di rigida territorialità». Le riunioni, inoltre, si tenevano anche per
«comporre controversie tra
aderenti all’organizzazione,
per imporre, ove necessario, la
pacificazione». E dove non
c’era pace, c’era morte. Di rivali, ma anche di affiliati.
Al vertice di tutto vi sarebbe
Antonio Altamura, «“capo società” del locale e come tale riconosciuto anche dai vertici
Il “locale” dell’Ariola
tra malavita e appalti
I ruoli degli arrestati
Al vertice del gruppo Emanuele e Altamura
Affari e territorio
da spartire
Alla base delle attività
del presunto sodalizio
criminale la divisione
dei proventi illeciti
frutto di estorsioni e
appalti del Comune
di Gerocarne
Capo società
e cosche affiliate
Al vertice del locale
vi sarebbero Antonio
Altamura e Bruno
Emanuele. Sotto di
loro i «delegati» nei
centri limitrofi, Dasà,
Soriano, Arena...
della ‘ndrangheta calabrese».
Oggi. Perché dal 1989 al 1991 a
Gerocarne comandavano Vincenzo e Giovanni Loielo (classe ‘47). Poi loro furono arrestati, e il bastone passò nelle mani del fratello Francesco. Nel
1994 anche Francesco finì in
carcere, e il suo posto lo presero i suoi cugini, i fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo (classe ‘66). Caddero in un agguato, Giuseppe e Vincenzo. Il 22
aprile 2002. Per quell’omicidio è accusato, oggi, colui che
prese il comando allora: Bruno
Emanuele. Che per gli inquirenti ha assunto i compiti di
decisione dell’articolazione
militare della cosca dell’Ariola, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere,
degli obiettivi da perseguire.
Sostituito, nei suoi periodi di
detenzione, dal fratello Gaetano.
Tutti gli altri «rami della cosca», oggi, sarebbero sotto di
lui. Ad Arena il controllo lo
avrebbe assunto Antonio Gallace, il quale, essendo detenuto, avrebbe incaricato per la
“reggenza” Nazzareno Gallace. Dasà ed Acquaro un tempo
erano controllati dai fratelli
Loielo fin quando erano in vita; e per loro conto da Enzo
Taverniti, ora collaboratore di
giustizia. Dasà ed Acquaro oggi sarebbero sotto il controllo
dei fratelli Francesco (classe
‘79) ed Angelo Maiolo, e dei
cugini cugini Francesco Maiolo (classe ‘83) e Francesco Capomolla. A Soriano Bruno
Emanuele avrebbe «delegato»
Salvatore Grillo. Mentre lui direttamente, «e i suoi più stretti sodali», avrebbero il controllo dei comuni di Sorianello,
Pizzoni e Vazzano.
L’impalcatura accusatoria,
basata su anni di indagine, ha
permesso inoltre di delineare i
compiti e i ruoli di ognuno dei
presunti affiliati al locale dell’Ariola. Ad affiancare Antonio
Altamura vi sarebbe il congiunto Nazzareno Altamura,
che agiva in qualità di «azionista sin dall’epoca in cui il
gruppo era militarmente capeggiato dai Loielo». Rocco
Loielo, dopo l’omicidio dei cugini Giuseppe e Vincenzo, si
era prodigato per avere ogni
notizia del fatto e pianificare
eventuali vendette. Stesso ruolo di Michele Rizzuti, che secondo il gip avrebbe effettuato
danneggiamenti per estorsioni e avrebbe sostenuto l’azione
dei capi. A disposizione di Vincenzo e Giovanni Loielo, invece, vi era Antonio Condina, il
quale avrebbe assunto anche
«compiti operativi». Giuseppe Taverniti pianificava le
azioni da compiere ad Arena
«per accaparrarsi utili illeciti
provenienti da attività delittuosa», su delega di Antonio e
Nazzareno Gallace. Francesco
Taverniti è il titolare dell’impresa riconducibile anche a
Leonardo Bertucci. Impresa
che si sarebbe accaparrata i lavori appaltati dal Comune di
Gerocarne. Lo stesso Bertucci, poi, avrebbe mantenuto i
rapporti tra i diversi partecipi
del gruppo e il capo locale Antonio Altamura. Vincenzo Taverniti aveva il compito di
«mantenere la potenza della
cosca, anche attraverso l’esecuzione di omicidi di soggetti
contrapposti al gruppo di appartenenza». L’appoggio dall’amministrazione comunale
veniva dato - riportano le carte giudiziarie - da Michele Altamura, prima assessore e poi
sindaco di Gerocarne. Ilario
Chiera si sarebbe occupato di
acquisire i lavori pubblici, come il taglio dei boschi appaltato dal Comune, «in collaborazione e concorso con il capo locale Altamura», mentre a fungere da «collettore delle estorsioni a favore del gruppo» era
Giuseppe Prestanicola. Al
fianco di Bruno Emanuele vi
erano Franco Idà, che lo
avrebbe sostenuto nel periodo
di latitanza, e Vincenzo Bartone, «uomo di fiducia», che si
occupava del «sostentamento
dei sodali». Piero Sabatino,
coinvolto pure in “Ghost”, per
gli inquirenti è l’alter ego di
Bruno Emanuele e «predilige
il settore del traffico di stupefacenti». Alla consorteria
avrebbero partecipato, con
funzioni di «appoggio» ai capi,
anche Salvatore Zannino, Giuseppe De Girolamo e Giuseppe La Robina, e Pasquale De
Masi. Trenta persone, un capo. Nei boschi dell’Ariola.
Giuseppe Mazzeo
Antonio Altamura
Bruno Emanuele
Michele Altamura
Nazzareno Altamura
Vincenzo Bartone
Leonardo Bertucci
Francesco Capomolla
Ilario Chiera
Antonio Condina
Pasquale De Masi
Gaetano Emanuele
Antonio Gallace
Nazzareno Gallace
Salvatore Grillo
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“luce tra i boschi”
Bruno Emanuele story
Da cane sciolto a padrino
Franco Idà
Giovanni Loielo
Rocco Loielo
Vincenzo Loielo
Angelo Maiolo
Francesco Maiolo (‘79)
Francesco Maiolo
Giuseppe Prestanicola
Michele Rizzuti
Piero Sabatino
Francesco Taverniti
Giuseppe Taverniti
Vincenzo Taverniti
Salvatore Zannino
Un’ascesa scritta nel sangue delle Preserre vibonesi
Bruno conobbe la guerra da bambino. Aveva
cinque anni quando gli ammazzarono il padre.
Si chiamava Nazzareno Salvatore, Emanuele il
cognome. Era un pezzo da novanta della mala in
Vazzano e dintorni. Fu ucciso il 28 marzo del
1978, un delitto che porta alle radici della prima
faida dei boschi. Bisogna andare indietro nel
tempo, ad una sagra paesana del 1963. Quel
giorno s’incrociò il cammino di due capobastone: uno era Bruno Vallelunga, capostipite dei
«viperari delle Serre», l’altro era don Nazzareno.
Duellarono a colpi di coltello ed il primo sfregiò
il viso del rivale. Usciti di galera i due s’incontrarono di nuovo. Ed Emanuele pretese che fosse
Vallelunga a pagare l’intervento di plastica facciale per cancellare lo sfregio. L’impegno assunto non fu mantenuto, così il 22 settembre del
1977 Bruno Vallelunga finì morto ammazzato.
Ebbe inizio da qui la prima faida dei boschi.
Era destino che il primo a cadere, secondo la legge della vendetta, fosse Nazzareno Salvatore
Emanuele. E così fu, sei mesi dopo l’uccisione di
don Bruno: il 28 marzo del ’78, appunto. Venne
subito arrestato Cosimo Vallelunga, nipote del
patriarca dei viperari, che inchiodato dal guanto di paraffina confessò, mentre la guerra di mafia divenne una carneficina.
Bruno intanto cresceva. Nel 1985, quando al
giustiziere del padre venne concessa la semilibertà, aveva tredici anni. Adottato da Gerocarne osservò l’esplosione di un’altra guerra, nella
quale, all’epilogo dopo quattordici anni, ci finì
mani e piedi, ed in piedi, da boss.
Era il 13 marzo 1989 e Vincenzo Loielo, uomo
d’onore della «società dell’Ariola», cadde in
un’imboscata. Fu ordita dai Maiolo, potente famiglia d’Acquaro, ammanicata coi viperari delle Serre e le cosche dell’Angitolano. Loielo salvò
però la pelle: il suo destino era quello di finire in
carcere, coi fratelli, per il sequestro Albanese. Fino ad allora, e pure dopo, la famiglia Loielo ebbe tempo e modo per regolare i conti. E così,
uno dietro l’altro, vennero giustiziati Antonio
Donato, Gaetano Inzillo e Raffaele Fatiga. E Rocco Maiolo. Lupara bianca per lui, così come per
Antonio Maiolo, che s’era messo a cercare mandanti ed esecutori dell’omicidio del fratello. Lupara bianca anche per Placido Scaramozzino,
che i Loielo ritenevano un accoscato ai nemici sol
perché «accompagnava Ciccio Maiolo», cugino
dei capi d’Acquaro. Poco prima venne liquidato
pure Giuseppe Gallace.
Una scia di sangue che si protrasse per tutti gli
anni ’90 e che assestò i fragili equilibri che Bruno Emanuele, ad un certo punto, all’alba del
nuovo millennio, decise di fare saltare, per prendersi tutto. Non era più un «cane sciolto», cooptato dai Loielo dopo la scarcerazione per una rapina avvenuta a Vazzano.
S’era fatto le ossa, aveva provato il carcere ed
aveva una banda alla quale fu affidato il controllo dei territori di Pizzoni, Sorianello e Vazzano,
sempre per conto dei “grandi”. Rispetto ai capi
via via divenne sempre più autonomo, osando
perfino sfidare l’ingerenza dei Mancuso nelle zone a lui inizialmente delegate. Due anni gli bastarono per compiere quel duplice delitto che
avrebbe aperto un nuovo capitolo del romanzo
criminale nelle Preserre: il 22 aprile del 2002 fu
lui, secondo gli inquirenti, ad assassinare Vincenzo Loielo e Giuseppe Loielo.
Un anno dopo, il 25 ottobre 2003, un’altra
strage, ad Ariola di Gerocarne, questa ancora da
chiarire: massacrati sotto una pioggia di fuoco i
cugini Giovanni e Francesco Gallace e Francesco
Barilaro; si salvò il solo Antonio Chiera. La vecchia società dell’Ariola finì tra la galera ed il sangue. Dei vecchi capi-bastone restava solo ’Ntoni
Altamura. Ma il boss, quello vero, quello temuto delle Preserre, ora è lui. Ed è in carcere. Culmine ed epilogo della sua storia criminale.
p.com.
la conferenza stampa
Il procuratore generale:
«Ruperti è il migliore»
«I miei complimenti a Rodolfo lupara bianca, sui quali Ruperti aveRuperti, nel suo settore è il miglio- va iniziato ad indagare quando si trore». Parole, testuali, espresse dal pro- vava a Vibo Valentia. Le indagini sue
curatore generale di Catanzaro San- e dell’allora pm Marisa Manzini aveti Consolo a margine della conferen- vano colpito al cuore il clan Mancuza stampa tenuta ieri, da magistrati so di Limbadi e, via via, tutte le maged ufficiali di polizia giudiziaria, per giori cosche del Vibonese, fino ad alillustrare i dettagli della maxiopera- lora mai riconosciute con sentenze
zione “Light woods – Luce nei bo- passate in giudicato dalla magistraschi”, attraverso la quale è stata deca- tura. Sulle Preserre, d’altronde, il lapitata un’organizzazione criminale voro non è ancora terminato. Adesevolutasi dopo vent’anni di faide e at- so è contestato ad una parte degli intentati nei boschi delle Preserre vi- dagati raggiunti dalla misura cautebonesi. Il superpoliziotto già alla gui- lare anche l’omicidio di Rocco Maioda della Squadra mobile di Vibo Va- lo e Raffaele Fatiga. Restano però dilentia, prima di passare a Caserta e, versi altri casi d’omicidi da risolvere
e ancora altri morpoi, a Catanzaro, con l’operazione
ti da sotterrare
condotta a termine ieri, che reca la
tra i boschi
firma - oltre che del procuratore Andelle Presertonio Vincenzo Lombardo, dell’agre.
giunto Giuseppe Borrelli e del pm
Giampaolo Boninsegna - anche del
sostituto procuratore generale Marisa Manzini, aggiunge così un altro riconoscimento alla sua carriera. Ciò
dopo aver riassemblato, con l’informativa depositata nel 2011, sette anni d’indagini condotte su un santuario pressoché inviolato
dalla controffensiva che
le forze inquirenti, sin
dal 2003, avviarono sul
territorio vibonese.
“Luce nei boschi”,
dopo l’arresto di
mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Placido Scaramozzino e
del duplice delitto
dei fratelli Loielo,
apre uno squarcio su uno dei capitoli più sanguinari della storia
della ‘ndrangheta, con una scia
d’omicidi e morti di Il capo della Squadra mobile di Catanzaro Rodolfo Ruperti