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In abbinata obbligatoria con Italia Oggi. Tre foto e una mimosa Narrazione normale e resistenza civile di FILIPPO VELTRI È DIFFICILE tentare una narrazione normale, una ordinaria normalità nel racconto della Calabria (così come ha avviato domenica scorsa su questo giornale il direttore Matteo Cosenza) quando ti capitano tra le mani storie come quella di Cetta. E’ difficile, assai difficile. Da lì, da qui, bisogna continua a pagina 20 Il coraggio le donne e la speranza di MICHELE GRAVANO BISOGNA essere grati al direttore Cosenza per il suo editoriale a commento di episodi tragici che hanno visto protagoniste donne calabresi che hanno pagato con la morte la volontà di liberarsi dalla condizione di ricatto, di oppressione, di mortificazione che segna l’appartenenza a cosche mafiose. Il nudo continua a pagina 20 La grande forza del cuore delle mamme di EMMA LEONE e FRANCESCA MUNNO EGREGIO direttore, abbiamo letto ieri sul “Quotidiano della Calabria”, la lettera che Maria Concetta Cacciola scrisse nel maggio 2011 alla madre prima di andare via da casa sua e collaborare con la giustizia. Maria Concetta andava via da una realtà che la opprimeva, da continua a pagina 20 Direzione: via Rossini 2/A - 87040 Castrolibero (CS) Telefono 0984 4550100 - 852828 • Fax (0984) 853893 Amministrazione: via Rossini 2, Castrolibero (Cs) Redazione di Reggio: via Cavour, 30 - Tel. 0965 818768 - Fax 0965 817687 - Poste Italiane spedizione in A.P. - 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - DCO/DC-CS/167/2003 Valida dal 07/04/2003 Via l’Afor Nasce l’Agenzia per la forestazione e la montagna Anno record nel settore delle truffe 4.383 denunce Dimensionamento scolastico Approvato il piano Ecco come cambierà Per i nuovi assunti contratti da “privati” Il bilancio del 2011 tracciato dalle Fiamme gialle Individuati in tutto il territorio 99 istituti di troppo a pagina 12 S. PAPALEO a pagina17 G. VERDUCI a pagina 14 L’assessore Michele Trematerra Sabato 11 febbraio 2012 www.ilquotidianodellacalabria.it L’assessore Mario Caligiuri Lotta alle ’ndrine. Blitz dei carabinieri a Marina di Gioiosa Jonica Manette al superlatitante Rocco Aquino aveva un bunker ricavato nel sottotetto di casa • Era ricercato da 19 mesi Di recente era riuscito a sfuggire alla cattura LA MORSA DEL GELO Saviano «Un boss seduto in prima fila al Politeama» • In un processo il Ros racconta la lobby che “gestisce” Reggio • Lettere intimidatorie al sindaco di Siderno e al deputato Laratta BELCASTRO, CORDOVA, INSERRA, PAPASIDERO E VERDUCI alle pagine 8 e 9 La vicenda della pentita suicida Maria Concetta Le paure confidate all’amica del cuore ALBANESE, ANASTASI e GALATÀ a pagina 7 Catanzaro ROBERTO MARINO a pagina 51 Una zona della parte più vecchia di Cosenza sotto la neve L’impegno di tutti per trarre dal male il bene I fiocchi in serata hanno ripreso a cadere su Roma di ENNIO STAMILE Bufere di neve al Centrosud Imbiancata anche Cosenza Calabria: situazioni difficili in alcune aree interne A VOLTE, anche dalle pagine di questo giornale, oso proporre all'attenzione dei lettori delle note di commento su alcuni eventi che accadono in Calabria, in Italia e all'estero. Francamente, non CIAMPA alle pagine 4, 5 e 6 continua a pagina 19 Reggio. In 170 hanno manifestato rumorosamente davanti a un hotel per richiamare l’attenzione di Bonanni (Cisl) Sombrero Zombi I DIRIGENTI del Pd hanno subito preso le distanze da lui, anche perché non si dicesse che sono col-Lusi, e lo hanno espulso dal partito. Ma è ben strano che nessuno per anni ha visto niente, che tutti hanno firmato i bilanci, ed è dovuta intervenire la magistratura. Ora, dopo la Margherita, si annuncia un altro scandalo per Alleanza Nazionale. Tutti partiti che non esistono più, ma continuano a prendere e gestire soldi. Insomma è molto meglio avere un partito sciolto, che uno in attività. Se Rifondazione Comunista si sciogliesse, forse, Liberazione sarebbe ancora in edicola. Sit-in improvvisato dei cassintegrati dell’ex Gdm I 170 cassintegrati dell’ex Gdm hanno improvvisato un sit-in davanti all’Excelsior per attirare l’attenzione del leader della Cisl, Bonanni. ENRICO DE GRAZIA a pagina 21 E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro ANNO 18 - N. 41 - € 1,20 Testimoni coraggiose Il calvario della pentita suicidatasi ingerendo acido muriatico Le paure di Maria Cacciola I dubbi e le indecisioni confidate all’amica del cuore dalla località sotto protezione di DOMENICO GALATÀ ROSARNO – Proseguire con la collaborazione o accettare di tornare a casa per amore dei figli? Maria Concetta Cacciola è stata a lungo combattuta da questi pensieri durante il periodo in cui è stata lontano da Rosarno dopo aver aderito al programma di protezione. Il dilemma della donna è ben fotografato dal Gip Fulvio Accurso quando nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti dei familiari della Cacciola scrive di del «grande travaglio e la grande indecisione che pervadevano l’animo della Cacciola, tentata di ritornare a casa per la sofferenza che la lontananza dai figli le procurava e d’altro canto ben consapevole che in caso di suo ritorno fra le mura domestiche avrebbe corso seri rischi per la sua vita e, soprattutto, avrebbe perso nuovamente, e definitivamente,la libertà che da poco tempo aveva assaporato». Le parole del giudice si riferiscono in particolare alla telefonata che il 6 agosto del 2011 Maria Concetta, mentre si trovava a Genova, fa ad Emanuela Gentile, quella che lei stessa aveva qualificato in precedenza «come sua amica del cuore nonché depositaria di confidenze che lei non aveva mai riferito a nessun’altro». Una telefonata in cui la Cacciola confida che, in qualche modo, i suoi familiari erano riusciti ad avere i tabulati delle telefonate con il suo amante. Maria Concetta: «Sai perché ho un po’ di paura? Ti dico la verità, che se torno loro sanno perché devo tornare! Loro mi fanno tornare apposta così loro dicono: “mi cacci sti cose che c’erunu” (ritratti quello che hai detto) hai capito?»; Emanuela: «Uhm»; Maria Concetta : «Eh, tu torna, questo è quello che mi fa paura Manuela le sappiamo queste cose come vanno nelle nostre famiglie no?! Almeno nella famiglia mia»; Emanuela: «Cetta io penso che una volta che finisce così incom….»; Maria Concetta: «Manuela che so io se non è una cosa fatta apposta.. perché quella sera.. va bene.. adessotidico laverità .. quel giorno che ho chiamato mia madre lei mi ha detto.. “Cetta”... Manuela però questa cosa non dirla a nessuno»; Emanuela: «Tu puoi stare tranquilla»; Maria Concetta: «mia madre mi ha detto che ci sono i tabulati con quella persona»; Emanuela: «Eh»; Maria Concetta: «Ed io gli ho detto incomp.. ma poi amia madre gli ho detto la verità»; Emanuela: «Eh»; Maria Concetta: «Non sono riuscita a dirle di no e lei mi ha detto: “vedi che loro sanno tutto”. Quando ti dicono vedi che loro sanno tutto tu cosa fai?». La Cacciola sapeva che tornare a Rosarno sarebbe significato interrompere la collaborazione, ma il pensiero principale erano i figli. Maria Concetta: «E ma io in queste cose Manuela non sai cosa fareperché ti senti confusa.. mi sento imbarazzata non so come devo fare.. credimi, nonso proprio come devo fare»; Emanuela: «Nemmeno io.. ma tu ce l’’hai l’avvocato?»; Maria Concetta: «No»; Emanuela: «Niente?»; Maria Concetta: «L’avvocato che ho messo.. che voglio mettere è quello che ha messo mia mamma.. mettendo questo già si sanno come vanno le cose no?!»; Maria Concetta: «Io non so Manuela.. io non ho l’idea.. io vorrei tornare a casa mia per i miei figli.. perché i figli non me li mandano.. non vedi che non me li hanno mandati?»; Emanuela: «Ah non te li hanno mandati i figli?»; Maria Concetta: «Non me li hanno mandati i figli e non melimandano perchélorohannocapito che se mi mandano i figli è finita non torno più»; Emanuela: «Ah quindi tu .. incomp… e figli non te li hanno mandati»; Maria Concetta: «No.. no non me li hanno mandati io li ho cercati e non me li hanno dati.. hai capito?». E più avanti, Maria Concetta:«Guarda miamadre poverina le cose li fa facili»; Emanuela: «E’ distrutta, tua madre è distrutta»; Maria Concetta: «E’distrutta ma daquando mi sente le fa facili.. incomp.. chiamami non ti.. però Manuela io mi sento.. tu lo sai io ho paura Manuela.. io ho paura». «Loro mi fanno tornare apposta così mi dicono di ritrattare» Il parere di chi la vide fuori Rosarno Le tappe della collaborazione «Era una ragazza Da una denuncia allegra e socievole» per lettere anonime ROSARNO – Così «debole e depressa» da dover prendere il Tavor, un noto farmaco antidepressivo. Il 29 agosto dello scorso anno Anna Rosalba Lazzaro (foto) ed il marito Michele Cacciola vengono sentiti dai magistrati in meritoal suicidio della figlia. In quell’occasione la madre disse che la causa della depressione psichica cui era affetta Maria Concetta era da ricercare nel fatto che il marito fosse in carcere. Una situazione che, secondo il racconto dei genitori, l’aveva resa psicologicamente fragile costringendola a ricorrere ai farmaci. Di tutt’altra opinione, però, sembrano essere i magistrati. La convinzione dei giudici si basa su alcune elementi. Primo tra tutti le dichiarazioni rese da proprietari e dipendenti del complesso turistico dove Maria Concetta è stata temporaneamente ospitata dopo aver lasciato Rosarno in seguito alla decisione di aderire al programma di protezione. Dal loro racconto, emerge un ritratto della Cacciola come «una ragazza molto aperta e solare e piuttosto socievole, in quanto aveva notato che dava facilmente confidenza a persone che non conosceva». Impressione suscitata anche in un avventore della struttura, che avendo avuto modo di conoscere Maria Concetta, ha confermato che la giovane stava bene fisicamente e psicologicamente ed era allegra e socievole. Le stesse impressioni la Cacciola le ha riferite anche ad una dipendente del villaggio turistico che l’aveva notata parlare frequentemente con persone sconosciute.Un quadroche, come scrive il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare, «cozza irrimediabilmente con l’immagine descritta dai genitori». Del Tavor gli inquirenti non trovano traccia nemmeno farmaci che erano nella disponibilità della Cacciola. «Tale circostanza - scrive il Gip - risulta clamorosamente smentita non solo dalle dichiarazioni di chi la conosceva più o meno bene ma anche dal fatto che la stessa Cacciola dichiarava all’assistente psicologica del Nop di non fare uso di antidepressivi. Peraltro, tra i farmaci rinvenuti nella sua disponibilità non era presente il Tavor, ma solo prodotti di erboristeria a scopo dietetico». Maria Concetta, quindi, per gli investigatori, era tutt’altro che depressa e dire che lo fosse sarebbe stato parte di una strategia per diminuire la portata delle dichiarazioni fatte alle forze dell’ordine. La sua è una storia emblematica, scrive il Gip, perché «é il ripetersi di altre storie, specie di donne, già drammaticamente conclusesi in modo analogo, ma è soprattutto la riprova che molte persone come questa giovane donna ancora oggi vivono all'interno di famiglie che non consentono il minimo spazio alle aspirazioni di vita diversa e libera». do. ga. Ma i genitori «Era depressa per il marito in carcere» | di MICHELE ALBANESE ROSARNO - Era l’11 maggio dello scorso anno quando Maria Concetta Cacciola (foto) si presentò presso la Tenenza carabinieri di Rosarno, dove era stata convocata per avere la notifica di un atto riguardante il figlio minore Alfonso Figliuzzi. Approfittò dell’occasione per raccontare ai carabinieri alcune vicende personali e familiari a causa delle quali riteneva di essere in pericolo di vita. Disse che a partire dall’estate 2010 giungevano presso l’abitazione dei suoi genitori alcune lettere anonime, nelle quali vi era scritto che lei intratteneva una relazione extraconiugale. E questo fatto rappresentava l’inizio dei suoi problemi. Da quel momento, suo fratello Giuseppe e alcuni cugini avevano iniziato a pedinarla alla ricerca di una prova della sua relazione. Dichiarazioni importanti queste, che spinsero i militari a farla tornare presso la Tenenza. Negli incontri successivi Maria Concetta iniziò a raccontare alcune vicende legate alla sua vita coniugale. Disse che il suo non era stato un matrimonio felice e che, a suo avviso, l’unico interesse del Figliuzzi era stato quello di inserirsi all’interno di alcune famiglie mafiose. Una volta il marito le avrebbe persino puntato una pistola in seguito ad un litigio per futili motivi. Raccontando il fatto al pa- IL PROCESSO dre, questi le avrebbe risposto: «questo è il tuo matrimonio, e te lo tieni per tutta la vita». La Cacciola aveva manifestato poi agli investigatori di avere molta paura del fratello Giuseppe, in merito al quale aveva affermato: «Mio fratello ha un brutto carattere ed è capace di fare qualsiasi cosa, anche di farmi sparire». Se il fratello non l’aveva uccisa, raccontò ai carabinieri, era stato solo perché era alla ricerca di qualche conferma sulla sua relazione extraconiugale. La sua voglia di scappare era così forte che raccontò di aver acquistato più volte biglietti presso un’agenzia di viaggi ma aveva sempre rinunciato per timore di essere uccisa o comunque di coinvolgere altre persone. Il 25 maggio del 2011, Maria Concetta rese ai magistrati della Dda dichiarazioni su fatti di cui era a conoscenza come persona informata, chiedendo espressamente di essere sottoposta a misure di protezione, in quanto riteneva di essere in pericolo di vita a causa delle dichiarazioni che aveva reso e che intendeva rendere in futuro. Quel giorno i magistrati reggini l’avevano proposta per l’adozione di un piano provvisorio di protezione in qualità di testimone di giustiziae pertalemotivo, nellanotte tra il 29 e il 30 maggio, Maria Concetta venne prelevata da Rosarno da uomini del Ros di Reggio Calabria per essere condotta in località protetta. Ai carabinieri «Mio fratello è capace anche di farmi sparire» | La Corte d’assise di Milano acquisisce la relazione della polizia penitenziaria sull’episodio «Sei infame»: agli atti le minacce a un imputato Decisione dei giudici chiamati a valutare l’omicidio di Lea di ANTONIO ANASTASI Lea Garofalo PETILIA POLICASTRO - La Corte d’Assise di Milano ieri ha acquisito l’annotazione di servizio della polizia penitenziaria secondo cui, in occasione di uno dei trasferimenti dal carcere all’aula in cui si sta celebrando il processo per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro scomparsa nel nulla nel novembre 2009, uccisa e forse sciolta nell’acido, uno degli imputati, l’unico non petilino, il salernitano Massimo Sabatino, sarebbe stato minacciato. «Sei un infame», gli avrebbe detto il coimputato Carmine Venturino. E Sabatino: «Mi faccio sei anni per colpa vostra». Secondo la Corte, che ha accolto la richiesta del pm Marcello Tatangelo, l’episodio potrebbe essere valutato come minaccia nei confronti di un imputato, ovvero come ritorsione che metterebbe a rischio la genuinità delle sue dichiarazioni. I sei imputati, come già riferito dal Quotidiano, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. La Corte ha anche acquisito le dichiarazioni, sempre su richiesta del pm, rese durante le indagini preliminari da Sabatino, reo confesso soltanto per il tentato rapimento della Garofalo, avvenuto a Campobasso, addirittura mentre la donna era sottoposta al programma di protezione. Nell’ottobre 2010, due giorni dopo gli arresti per l’omicidio, Sabatino fu condannato a sei anni di reclusione, con il rito abbreviato, dal Tribunale di Cambobasso, per il primo tentativo di sequestro della donna, materializzatosi nel maggio 2009 nel centro storico del capoluogo molisano. Sabatino, però, sostiene che col delitto non c’entra nulla e che a Campobasso era andato a recuperare droga. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Primo piano 7 Sabato 11 febbraio 2012 Sabato 11 febbraio 2012 La cattura del boss Dopo 19 mesi di latitanza incastrato a Marina di Gioiosa Rocco Aquino Il “colonnello” era nel sottotetto Blitz all’ora di pranzo nell’abitazione nell’ex patron della locale squadra di calcio di MICHELE INSERRA MARINA DI GIOIOSA JONICA - Sono da poco passate le tredici. In via Porticato, primo tronco, al civico 11, il presunto boss Rocco Aquino, si accinge a ultimare il pranzo. Ma non sarà un giorno come i tanti trascorsi in 19 lunghi mesi di latitanza. Sarà il suo ultimo pasto tra le mura domestiche. Questa volta, dopo diversi tentativi da parte dei carabinieri, “u colonnello” non ha via di scampo. Era inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi in ambito nazionale, era ricercato per associazione mafiosa, estorsione ed altro. E per mettere fine alla sua “corsa” c’è voluta un’operazione condotta alla perfezione tatticamente e militarmente e soprattutto frutto di un’azione sinergica da parte dei carabinieri del Ros del tenente colonnello Stefano Russo, del gruppo Locri del tenente colonnello Giuseppe De Liso e dello squadrone eliportato dei cacciatori di Vibo. Aquino non ha opposto resistenza, ha preparato un borsone con all’interno indumenti personali e si è fatto ammanettare. Soltanto qualche familiare ha fatto “sceneggiate” di disperazione per la sua cattura. Ma lui nulla, anzi sempre pronto a tranquillizzare tutti. All’uscita dall’abitazione di via Porticato in compagnia dei militari qualcuno ha accennato ad applaudirlo per osannare il capo che lasciava il posto di comando per raggiungere la galera. Da buon capo Aquino non aveva mai lasciato la sua base, la città di Marina di Gioiosa, dove tra l’altro gestiva attività economiche ed era stato il patron della locale squadra di calcio. Aquino è uno che sapeva fiutare gli affari e sapeva come attirare il consenso popolare: lo sport che dava visibilità “pulita” e che fungeva da lavanderia di soldi sporchi, la politica che rafforzava il potere (tra l’altro l’ex sindaco Rocco Femia è stato arrestato per mafia nel maggio 2011 e si trova tuttora in galera), le imprese che garantivano lavoro e pertanto “benevolenza” tra la cittadinanza, la ‘ndrangheta che lo proiettava nel paradiso del potere. E da latitante aveva mantenuto salde le alleanze con gli altri clan della Locride. Il mammasantissima era consapevole sin dall’ottobre del 2010 che i carabinieri avevano già localizzato tre dei bunker da lui utilizzati per nascondersi. E per questo motivo Aquino aveva pensato ad uno stratagemma, il primo tra l’altro sinora utilizzato dai fuggiaschi di ‘ndrangheta. Invece che realizzare il nascondiglio nel sottosuolo e dietro l’intercapedine di una parete l’aveva fatto costruire nel sottotetto della sua casa. Per accedervi è stato necessario aprire una botola attivata da sofisticati congegni elettromeccanici. Dietro le sbarre attenderà ora l'esito del processo con rito abbreviato che lo vede imputato insieme ad altre 119 persone per l’inchiesta “Il Crimine”. Per lui il pubblico ministero Nicola Gratteri ha chiesto la condanna a 20 anni di carcere. Dall'operazione “Il Crimine” del 13 luglio 2010, era infatti emerso come proprio Rocco Aquino avesse partecipato attivamente alle discussioni tra i maggiori esponenti delle cosche del mandamento Jonico (tra cui quelle con Giuseppe Commisso, “u mastru” di Siderno), per la risoluzione delle diverse problematiche insorte all'interno della 'ndrangheta documentate anche da altre attività investigative come quelle relative all'omicidio di Carmelo Novella, e ad una scissione interna al locale di Marina di Gioiosa Jonica con la nomina a capo società di Rocco Aquino, subentrato a Nicola Rocco Aquino. L’arresto del boss di Marina di Gioiosa Rocco Aquino | GRATTERI IL PARTICOLARE | »La ’ndrangheta non è invincibile» Il capo che era diventato un fantasma REGGIO CALABRIA - «E' stata una cattura importante quella di Rocco Aquino: sia perchè si tratta del capo dell’omonima cosca, sia perchè, nonostante le difficoltà, abbiamo dimostrato che la 'ndrangheta non è invincibile. eliminando qualsiasi forma di mitizzazione del personaggio». Lo ha detto il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri che, con il sostituto Maria Luisa Miranda, ha coordinato le operazioni della cattura dell’uomo ricercato dallo scorso anno. Rocco Aquino, infatti, si era resto irreperibile dopo essere sfuggito all’operazione «Crimine» che ha portato all’arresto di oltre trecento persone in tutta Italia. L’arresto di Rocco Aquino si aggiunge al lungo elenco di latitanti che, anche grazie all’intuito investigatori del procuratore aggiunto Nicola Gratteri, le forze dell’ordine reggina sono riuscite ad assicurare alla giustizia. Nei mesi scorsi era sfuggito a un blitz nonostante le intercettazioni di GIOVANNI VERDUCI L’Aggiunto Nicola Gratteri REGGIO CALABRIA - Rocco Aquino era diventato un fantasma. C’era già chi era pronto a vaticinare per lui una lunga latitanza. La sua fuga era diventata una sorta di romanzo. Nonostante la stazza, il boss di Marina di Gioiosa Jonica era scappato alle manette in diverse occasioni. L’ultima solo un paio di mesi addietro, quando in pochi secondi riuscì a sparire da casa: l’elegante villetta di contrada Porticato, quando già i carabinieri del Nucleo investigativo del Gruppo Locri, diretti dal colonnello Giuseppe De Liso e coordinati dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, erano convinti di averlo catturato. I militari che lo stavano cercando da luglio 2010, dal giorno in cui scattò dell’operazione “Crimine”: il blitz antimafia che ha disgregato gli assetti criminali della ‘ndrangheta reggina, erano sicuri che il loro obiettivo fosse in casa, lo avevano “sentito” grazie alle tecnologie messe in campo per arrivare alla sua cattura. Rocco Aquino, però, quando i carabinieri “bussarono”al portone di casa sparì nel nulla e a nulla valsero le attività di ricerca che i carabinieri effettuarono all’interno dell’abitazione di contrada Porticato. Ieri ha tutto questo è stato data una spiegazione. Rocco Aquino, che dentro casa si era fatto costruire un paio di bunker sotterranei, aveva alzato l’ingegno e si era fatto costruire un nascondiglio nel sottotetto della mansarda di casa. E dentro quel riparo si era nascosto per sfuggire all’arresto. Mentre i carabinieri riducevano a groviera gli scantinati della villetta di Marina di Gioiosa Jonica, quindi, il boss in fuga se la rideva nascondendosi a quasi dieci metri d’altezza. Lo scorso anno, poi, i carabinieri erano ritornati in contrada “Porticato” e avevano scoperto e sequestrato una serie di bunker realizzati sotto la casa di Giuseppe Aquino, il fratello di Rocco tuttora latitante. Covi senza molti comfort ma piccole “panic room”, dove nascondersi e sfuggire ai controlli degli investigatori che stavano dando la caccia ai fratelli Aquino. Con l’arrivo dei fondi per la realizzazione della variante alla statale 106 nessuno vuol essere tagliato fuori Gli appalti fanno gola e creano divisioni nella cosca REGGIO CALABRIA - Gli appalti fanno gola e, come spesso accade, per i soldi ci si può anche dividere. Così è stato a Marina di Gioiosa Jonica con l’arrivo dei fondi per la realizzazione della variante alla Strada statale 106. Su questo affare gli Aquino si tuffarono a capo fitto, ma una parte della cosca ne rimase tagliata fuori, finendo per produrre una scissione dentro il gruppo e per ripercuotersi sulla gestione del voto e sulle strategie elettorali nelle comunali del 2008. Anche questo processo è stato fotografato dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria nell’informativa “Campo base”. «Pare opportuno – si legge nell’informativa scritta dai carabinieri della compagnia di Roccella Jonica - voler riferire quanto verificatosi in seno alla cosca Aquino proprio in occasione delle elezioni amministrative in questione, relativamente ad una scissione Una informativa dei carabinieri reggini “fotografa” tutti i movimenti per l’affare interna alla stessa famiglia, che ha visto lo schierarsi di alcuni componenti nella lista contrassegnata dal numero 2 ritenuta di “riferimento” dell’opposta famiglia dei Mazzaferro. In particolare da notizie qualificate, apprese sia prima che ad elezioni concluse, all’interno della citata cosca mafiosa si è creata una frattura: da un lato, i fratelli Giuseppe e Francesco Aquino, appoggiati dal nipote Giovanni Faranna (figlio di Immacolata Aquino, sorella del boss Salvatore classe 1941) e dall’altra, i restanti componenti della famiglia». «La spaccatura – spiegano ancora gli investigatori dell’Arma - si sarebbe creata a causa del fatto che i primi (dissidenti), di cui farebbe parte anche l’assessore Marrapodi, per vole- re dei secondi, ossia del nucleo storico più nutrito della famiglia Aquino, sarebbero stati estromessi dall’affare derivante dalla costruzione della variante esterna (nuova Strada statale 106) al centro abitato di Marina Gioiosa Jonica, nonché dal giro dei ricevimenti nuziali. Infatti, come sopra accennato, il Marrapodi Francesco, se pur imparentato per il tramite del fratello Antonio, con la famiglia Aquino, si è schierato con la lista di Femia Rocco, sicuramente più vicina alla famiglia Mazzaferro.A seguito diciò,i “Mazzaferro”, tradizionalmente avversi agli “Aquino”, avrebberogoduto, oltreche dell’appoggio dei propri familiari o comunque persone tradizionalmente ad essi vicini, anche del nutrito numero di consensi del gruppo dei cosiddetti “Aquino dissidenti”, sostenendo assieme la lista capeggiata dall’attuale sindaco». La rottura era stata consumatainnomedel diodenaroelaprima occasione buona per tirare le somme era la tornata elettorale dell’aprile del 2008. «La candidatura del Marrapodi – spiegano i carabinieri - ha significato per la lista dell’attuale sindaco Femia Rocco poter contare su ulteriori voti avuti verosimilmente sia dalla famiglia di Faranna Giovanni che dalla famiglia di Aquino Teresa, sorella del boss Aquino Salvatore classe 1941, nonché madre di Femia Rossella, a sua volta cognata del candidato Marrapodi. Il Marrapodi Francesco, infatti, è stato eletto con 126 voti di preferenza e gli è stata assegnata la delega più importante in seno all’amministrazione locale, di Assessore ai Lavori Pubblici, urbanistica e arredo urbano». E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 8 Primo piano Processo “Meta”, il colonnello del Ros parla dei rapporti del Comune con le cosche Lotta alle ’ndrine «Reggio gestita da una lobby» Politica, voti, clan, imprenditoria e forze dell’ordine. Giardina racconta gli intrecci di CLAUDIO CORDOVA REGGIO CALABRIA - “Una lobby politico-imprenditoriale-‘ndranghetistica gestisce gli appalti e la vita sociale di Reggio Calabria”. Il Colonnello Valerio Giardina usa un’espressione durissima ma tutto sommato “fredda”, da ufficiale dei Carabinieri. In realtà dal racconto del graduato, nell’ambito del processo “Meta”, emerge uno spaccato agghiacciante del modo in cui, negli anni passati, sarebbe stata gestita la Cosa Pubblica in città. Nel racconto di Giardina, chiamato a deporre dal pm Giuseppe Lombardo, c’è spazio anche per una lunga serie di episodi a dir poco sospetti, tra presunti “amici” dei clan, politici, tecnici comunali e membri delle forze dell’ordine. I POLITICI Molte delle storie narrate da Giardina riguardano infatti i due ex consiglieri comunali Manlio Flesca e Michele Marcianò, entrambi in contatto con gli esponenti della famiglia Barbieri, che tra il 2006 e il 2007 avrebbero rivestito un ruolo ben più grande rispetto a quello di classici imprenditori mafiosi: “Domenico Barbieri è la cerniera tra politica, istituzioni e ‘ndrangheta” ha detto Giardina. Alle elezioni comunali del 2007, che videro la schiacciante vittoria di Giuseppe Scopelliti, oggi Presidente della Giunta Regionale, i Barbieri sarebbero attivissimi nel procacciare voti, in cambio di favori. Ampiamente documentati i rapporti tra Flesca e Vincenzo Barbieri, l’uomo che avrebbe dirottato circa duecento preferenze nei confronti del candidato, fedelissimo di Scopelliti, in cambio dell’assunzione della moglie Vincenza Musarella alla Reges. Una vicenda che si incastra nelle elezioni del 2007, in cui Scopelliti e la sua coalizione trionfarono con percentuali bulgare e per cui Flesca è stato rinviato a giudizio nell’ambito di un procedimento separato. Tanti i contatti tra Flesca, candidato nei ranghi di Alleanza Nazionale, e i Barbieri, in cui il politico si accorderebbe affinché questi si comportassero come avevano fatto, alle precedenti consultazioni, allorquando avrebbero procacciato circa centocinquanta voti a Michele Marcianò, esponente di Forza Italia. E sarebbe lo stesso Flesca a chiedere a Barbieri che questi si interessasse per racimolare voti negli ambienti mafiosi, anche attraverso l’appoggio del boss di Sinopoli Cosimo Alvaro: “La politica è ben cosciente delle grandi capacità di cui dispone l’imprenditoria mafiosa” ha commentato Giardina. I TECNICI COMUNALI Tanti i nomi che ricorrono nel racconto con cui il Colonnello ha riper- Il colonnello Valerio Giardina corso anche una lunga serie di contatti con tecnici comunali, come l’ingegnere Domenico Basile, dirigente dell’Ufficio Lavori Pubblici, che con Mimmo Barbieri avrebbe vissuto un’amicizia assai stretta, tanto da consigliare e avvertire l’imprenditore edile quando l’Ente avrebbe bandito contratti interessanti dal punto di vista economico: “Il sistema degli appalti a Reggio Calabria – ha detto Giardi- | na –è frutto di un accordo tra le cosche e i tecnici comunali”. Un rapporto piuttosto stretto dato che Basile interpellerà lo stesso Barbieri, allorquando si metterà alla ricerca della propria autovettura rubata. Dalle conversazioni degli indagati, peraltro, emergerebbe anche un radicato sistema di concorsi truccati (anche prima dell’era Scopelliti) in cui i codici a barre sistemati sugli elaborati dei candidati, sarebbero stati spostati su altre buste che contenevano test perfettamente corretti e quindi in grado di assicurare il superamento dell’esame. LE TALPE Ma il racconto di Giardina si è soffermato anche su alcune fughe di notizie che avrebbero favorito Barbieri: già il 28 gennaio 2007, infatti, di parla di una maxioperazione con circa 300 arresti. Un numero che rimanda all’operazione “Crimine”, scattata nel luglio 2010, ma già in quel periodo in fase d’indagine. Carabinieri e Finanzieri tra le presunte fonti confidenziali dell’uomo: e in questo contesto si inquadra la figura del Maresciallo Sberna, comandante a Catona, sottoufficiale che prometterebbe i suoi voti e quelli dei suoi sottoposti a Manlio Fle- LA CATTURA DI MAZZA sca e che viene indicato come persona in ottimi rapporti con Santo Le Pera, condannato a 13 anni nel procedimento abbreviato “Meta”. Lo stesso Sberna andrà a trovare Barbieri dopo un interrogatorio fittizio dell’imprenditore (chiamato a testimoniare con un pretesto proprio nel tentativo di “stanare” la talpa). Un interrogatorio cui parteciperebbe anche un sedicente “Maggiore del Ros”, che gli inquirenti, anche ascoltando Sberna (che in passato è stato indagato per rivelazione di segreto d’ufficio) non sono riusciti a individuare: “Al Ros, sotto di me, che ero Tenente Colonnello, avevo solo Capitani in qualità di ufficiali, e nessun Maggiore. E, d’altra parte, non risulta che da altre città siano stati inviati ufficiali per ascoltare Barbieri” ha chiarito in aula Giardina. Vicende oscure che richiamano, ancora una volta, lo zampino dei Servizi Segreti. Scenari inquietanti, quelli narrati da Giardina, che proseguirà la propria deposizione per oltre un mese. A cominciare dalla prossima udienza, quando i protagonisti saranno i rapporti di Giuseppe Scopelliti con i presunti affiliati alla ‘ndrangheta. | Stanato il boss di Primavalle di FRANCESCO PAPASIDERO ROMA - Il presunto boss di Primavalle, Raffaele Mazza, 46enne originario di Taurianova, popoloso centro della Piana di Gioia Tauro, è finito in manette dopo un blitz della Squadra mobile di Roma. L'uomo era nascosto in un villetta bunker a Riano Flaminio, e ora dovrà rispondere di tentato omicidio. Mazza viene ritenuto dagli inquirenti il capo dei calabresi a via Andersen, una delle vie principali di Primavalle, un noto quartiere di Roma. Secondo gli investigatori, fu lui a sparare a Mauro Diofebbo, il 27enne gambizzato proprio in Il capo clan dei calabresi a Roma si nascondeva in una villa-fortino via Andersen il maggio scorso, colpito con due proiettili in mezzo alla strada perché aveva mancato di rispetto al nipote del boss. Ma il 46enne originario di Taurianova è molto di più. Dai residenti è considerato il boss del quartiere, capo clan dei calabresi, e vanta un sinistro curriculum criminale che porta gli inquirenti a ritenerlo a tutti gli effetti il boss di Primavalle, non solo per la sua disinvoltura nell'uso delle armi. Mazza era nascosto in una villetta bunker con telecamere piaz- Il Consiglio aveva votato la costituzione di parte civile contro la ’ndrangheta zate ovunque all'esterno e si trovava in compagnia dei fidati nipoti, denunciati per favoreggiamento. Il boss, che era armato, ha cercato di scappare attraverso una finestra, ma lo schieramento degli agenti lo ha fatto desistere. Dopo il blitz che ha condotto all’arresto Mazza, gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Roma, guidati da Vittorio Rizzi, hanno proseguito le perquisizioni presso la casa bunker di Riano. Setacciando l’immobile “palmo a palmo” sul tet- to gli agenti hanno trovato occultate due pistole. Le due armi, rispettivamente calibro 6,35 e 9 x 21, sono state sottoposte a sequestro e saranno ora oggetto di rilievi balistici per accertare l’eventuale coinvolgimento in alcuni recenti episodi che hanno fatto registrare l’utilizzo di armi da fuoco. Gli agenti erano convinti della presenza delle armi anche per aver sorpreso l’arrestato con una cinta completa di fondina, ma al momento dell’irruzione vuota. Si chiude il cerchio, quindi su un uomo ritenuto esponente di spicco della “mala” romana, ed in questo caso di un boss proveniente dalla Piana di Gioia Tauro. Una missiva anonima lo invita a non occuparsi dei fatti di Reggio Lettera di minacce di morte inviata Intimidazione per il parlamentare al Comune di Siderno per il sindaco del Partito Democratico Franco Laratta di PINO ALBANESE SIDERNO – Minacce di morte per il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto. La lettera con le intimidazioni è stata segnalata al primo cittadino dal segretario generale dell’Ente, Mario Ientile. Riccardo Ritorto ha denunciato l’accaduto al comandante della locale stazione dei carabinieri Luigi Zeccardo. I militari hanno avviato le indagini per risalire agli autori. Da poco il sindaco e il consiglio comunale ha deciso di costituirsi parte civile nei processi di ‘ndrangheta. Al primo cittadino sono arrivati tanti attestati di solidarietà. La giunta comunale “condanna con assoluta fermezza il vile gesto perpetrato nei suoi confronti. Le liste “Per Siderno io ci sto” e “Tempi Nuovi” censurano il gesto che “offende la città e tutte le istituzioni democratiche”. Domenico Panetta, consigliere di minoranza, esprime sdegno “è un gesto vile Il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto che offende la coscienza della comunità democratica sidernese”. Il consigliere di minoranza Antonio Sgambelluri e il movimento Siderno Libera esprimono vicinanza al sindaco. Il presidente del consiglio Vincenzo Mollica a nome di tutti i consiglieri manifesta la piena solidarietà a Ritorto. COSENZA - E' stata posta sotto sequestro dai Carabinieri di San Giovanni in Fiore, nel Cosentino, una lettera indirizzata al deputato del Pd Franco Laratta ed inviata al Comune di San Giovanni in Fiore. Spesso al comune del centro silano arrivano lettere per il deputato da parte di cittadini ed elettori che non conoscono il suo indirizzo privato. La lettera, che è stata spedita nei giorni scorsi dalla città di Lamezia Terme, contiene una serie di minacce al deputato del Pd e fa riferimento alle denunce e alle interpellanze depositate alla Camera dall’on. Laratta e riguardanti i fatti di Reggio Calabria. Ne dà notizia l'ufficio stampa del parlamentare del Pd. Laratta non ha voluto commentare l’episodio anche se ha detto di sentirsi sereno. L’intimidazione Franco Laratta non riguarda quindi la politica cittadina, piuttosto quella regionale. Continua però il pesante clima a San Giovanni in Fiore dove anche il primo cittadino, Antonio Barile, è stato oggetto di diverse minacce anche nei confronti della sua famiglia. BRANCALEONE A Brancaleone revocati i lavori a ditta in odor di mafia di AGOSTINO BELCASTRO BRANCALEONE - Revocata dal Comune di Brancaleone l’aggiudicazione definitiva dell’appalto ad un’impresa di costruzioni di Reggio Calabria, la “Caridi costruzioni” poiché “in odore di mafia”. E’ quanto ha stabilito il responsabile dell’ufficio tecnico comunale di Brancaleone, Domenico Vitale, il quale con propria determina, ha adottato il provvedimento restrittivo. La revoca in questione riguarda la gara d’appalto dei lavori di “Recupero e risanamento urbano area ex campo nomadi in località pantano Piccolo di Brancaleone” a suo tempo esperita dalla Sua (Stazione Unica Appaltante) della Provincia di Reggio Calabria per l’importo complessivo di euro 276.094,46 oltre iva di cui euro 272.269,10 per lavori al netto del ribasso d’asta del 30,766% in quanto “la Stazione Unica Appaltante, trasmetteva informativa antimafia – si legge nella determina del dirigente comunale– di cui all’art.10 del Dpr 252/98 a carattere interditivo emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria a carico della ditta”. E’ un “incidente di percorso” che sicuramente dilaterà i tempi di inizio dei lavori in un sito bisognoso quanto mai di essere urbanizzato. Il progetto definitivo ed esecutivo era stato redatto dall’ingegnere Vincenzo Freno di Brancaleone, vincitore della gara di appalto a suo tempo espletata. Il contributo per la realizzazione dell’opera era stato concesso dal Ministero dell’Interno con i fondi per la realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico. L’ex accampamento nomadi situato sul greto del torrente Pantano Piccolo era stato fatto smantellare dal Commissario Straordinario dell’epoca, dottoressa Francesca Crea, in seguito all’assegnazione alla comunità rom degli alloggi popolari costruiti dall’Aterp. La zona, situata nel cuore propulsivo del centro urbano, versava in uno stato di degrado indicibile sia dal punto di vista sanitario che ambientale. Di conseguenza è sorta la necessità di bonificare il sito con la realizzazione di opere strutturali allo scopo di renderlo fruibile per fini istituzionali che l’Amministrazione Comunale intenderà programmare. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Primo piano 9 Sabato 11 febbraio 2012 BREVI CATANZARO A CATANZARO A MAIDA Ciliberto direttore scientifico Irccs a Napoli Case a luci rosse sulla costa, 2 denunce Contrabbando di fumo, bulgari in manette GENNARO Ciliberto, Ordinario di Biologia molecolare all’Università Magna Graecia di Catanzaro, è stato nominato Direttore scientifico dell’Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico (Irccs) di diritto pubblico Istituto nazionale tumori Fondazione “G. Pascale” di Napoli. I CARABINIERI di Maida hanno tratto in arresto due bulgari per contrabbando di sigarette. Si tratta di Yusein Ahmedov di 35 anni e Atanas Merimanov di anni 38, entrambi residenti all’estero. I due sono stati fermati in una via del centro cittadino. ALCUNEcase a luci rosse sono state scoperte dagli agenti della polizia nella zona di Catanzaro Lido, Roccelletta di Borgia, Copanello e Stalettì. Due quarantenni sono stati denunciati per sfruttamento della prostituzione. Negli appartamenti sono state trovate 11 ragazze straniere. Catanzaro. I giudici dell’Appello ricostruiscono i rapporti per l’affidamento del progetto «Perché Loiero è colpevole» Depositate le motivazioni della sentenza scaturita dal processo Why Not di TERESA ALOI CATANZARO - Incontri ripetuti anche in sede extraistituzionale, contatti diretti e, ancora, comprovati rapporti di “stretta cooperazione”. Sonomoltiper igiudicidellaCorte d'appello gli argomenti «per smentire l'interpretazione giuridica del primo giudice e si tratta degli stessi argomenti in forza dei quali appare evidente la piena consapevolezza di Loiero Agazio e di Durante Nicola di contribuire in maniera determinante all'affidamento del progetto “Censimento del patrimonio immobiliare” direttamente al Consorzio Brutium». Lo scrivono a chiare lettere i magistrati nelle motivazioni della sentenza con la quale il 27 gennaio hanno condannato l'ex presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, ed il suo capo di Gabinetto, Nicola Durante, ad un anno di reclusione ciascuno - oltre all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, il tutto con concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale per il reato di abuso d'ufficio, contestatogli nell'ambito del processo “Why not” su presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici destinati allo sviluppo della Calabria. Entrambi, il 2 marzo 2010 avevano incassato una sentenza di assoluzione al termine delgiudizio abbreviato.Decisione impugnata dalla Procura generale che attraverso i sostituti procuratori Eugenio Facciola e Massimo Lia avevano sollecitato la condanna relativamente al solo capo d'imputazione attinente al progetto regionale finalizzato al censimento del patrimonio immobiliare. Un appello, quello della Procura lo ricorda la Corte nelle 50 pagine di motivazione - incentrato non «tanto sulla rappresentazione dei motivi per cui l'affidamento oggetto di questo capo sia avvenuto contra legem, Agazio Loiero Giuseppe Chiaravalloti bensì sulla valutazione in forza della quale il gup haritenuto estranei a tale condotta illecita gli imputati Loiero e Durante». Ed infatti per l'operazione «affidata direttamente al consorzio “Brutium” in consonanza alla delibera n.107 del 13 febbraio 2006, il giudice ha rinviato a giudizio l'assessore proponente Morrone Giuseppe Ennio, la dirigente del Dipartimento autrice del decreto di affidamento Marasco Rosalia nonchè Franzè Giancarlo ed ha condannato Lillo Giuseppe Antonio Maria, che ha firmato l'accordo in rappresentanza del consorzio» poiché «aveva ravvisato l'illiceità» mentre aveva assolto «il presidente della Giunta e il segretario generale poichè, sebbene risultassero pacificamente avvenuti diversi incontri tra costoro e taluni rappresentanti del consorzio “Brutium” e della società “Why Not”, aventi ad oggetto la fattibilità di un simile affidamento, il risultato dei colloqui intercorsi era sfociato in un mero atto di indirizzo, come tale penalmente irrilevante». Eppure secondo l'accusa - ricordano ancora i giudici-«gli incontriavvenutiacasa del presidente della Regione e gli accordi che con il placet del Durante furono trasfusi nella delibera di indirizzo altro non sono che antecedenti causali necessari del decreto di affidamento». Ne consegue che «gli ispiratori di detta delibera si pongono, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo, in veste di coautori dell'abuso, al pari del Morrone, della Marasco e del Franzè (rinviati a giudizio) e del Lillo (condannato)». Una interpretazione condivisa dall'Appello su più elementi « tra cui «i ripetuti incontri, anche in sedi extra-istituzionali, con soggetti che, stando al loro dire, non avrebbero avuto titolo per interloquire (e allora, in sintesi, perchè intrattenersi)» o, ancora, «il contenuto invero fin troppo dettagliato della delibera di Giunta» e ancora, i numerosi «paletti imposti dal Durante alla delibera di Giunta». Senza dimenticare la «pervicacia con cui la Merante, anche approfittandodelrapporto amicaleconilfratello del presidente della Giunta regionale, ha cercato di instaurare un contatto diretto con il massimo espo- nente dell'Ente e, poi avendone percepito il potere di influenza su questo, si è spesa per ottenere il consenso del fidato consigliere giuridico Durante su una soluzione condivisa». Rispetto poi alla esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali - tema ribadito dalla difesa - è evidente per la Corte che, se l'ente avesse voluto esternalizzare il servizio, avrebbe potuto ottenere lo scopo adottando procedure legali anzichè protrarre un affidamento illegittimo «e, così, di fatto continuare a favorire i soliti raccomandati e foraggiare le solite clientele ». La posizione di Giuseppe Chiaravalloti L'assoluzione in primo grado dell'ex presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti, fu una «forzatura e la ricostruzione fatta non convince» oltre al fatto che «risulta frutto di un'incompleta panoramica degli elementi offerti dall'attività investigativa». Nei confronti dell'ex governatore, imputato del reato di abuso d'ufficio, la Corte d'appello ha emesso una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. La ricostruzione del giudice di primo grado «non convince - sostengono i giudici - perchè è frutto di una forzatura nella parte in cui si attribuire a Chiaravalloti un atteggiamento di colposa leggerezza laddove neanche lo stesso imputato era giunto a tanto». Nelle motivazioni si ricorda inoltre che «in una delle agende del Saladino sono stati rinvenuti numeri telefonici, fissi e mobili, istituzionali e privati, personali e intestati a persone dell'entourage familiare e lavorativo dell'uomo politico, disponibilità denotante una conoscenza tutt'altro che superficiale». «Dalle captazioni alle quali - proseguono i giudici - è Secondo i giudici andava compresa la tredicesima. L’ente farà appello L’esodo e le indennità da rivedere condanne a raffica per la Regione di FRANCESCO CIAMPA CATANZARO - Sulla carta è un rimedio per consentire alla Regione di contenere le spese e di riorganizzarsi nel segno dell'efficienza. E però, l'esodo anticipato dei dipendenti, quello del 2005, sembra un grande pasticcio dal quale potrebbero derivare costi milionari per la pubblica amministrazione. Una sessantina i ricorsi accolti dal giudice del lavoro, che ha condannato la Regione a rivedere le indennità corrisposte come incentivo all'esodo. In pratica, nella stragrande maggioranza dei casi finora decisi dal tribunale di Catanzaro, il giudice dice che la Regione ha fatto male ad escludere la tredicesima dal calcolo dell'indennità. La Regione, dal canto suo, farà appello: è doveroso - spiegano dall'ente - fare di tutto per evitare un ulteriore esborso di danaro pubblico che potrebbe allertare la magistratura contabile. In secondo luogo - dicono sempre fonti del “palazzo”- si va avanti forti anche delle sentenze, cinque-sei, che danno torto ad alcuni ex impiegati, anche loro pronti, nelle intenzioni e in alcuni casi già nei fatti, a rivolersi al giudice d'appello. La vicenda prende le mosse da alcune norme della legge regionale 8 del 2 marzo 2005 che hanno consentito ai dipendenti assunti a tempo indeterminato e in servizio per almeno due anni di chiedere l'esodo anticipato e di ottenere co- me incentivo un'indennità supplementare. L'indennità - in base a questa legge - è pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data di fine rapporto, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l'età anagrafica del lavoratore, calcolati per un massimo di sei anni. Sempre la legge 8 autorizza la giunta regionale a stilare le direttive per l'applicazione delle norme. E a maggio del 2005 la giunta approva la delibera. Dunque si passa alla firma dei contratti che aprono le porte all'esodo. E poco dopo scatta la diatriba: i lavoratori sostengono che i conti non tornano e chiedono alla Regione di applicare la delibera in modo da includere la tredicesima nel calcolo. In un primo momento l'Amministrazione regionale dice che costituirà un gruppo di lavoro “che avrà il compito di provvedere al ricalcolo”. Ma niente di fatto. E in tutta risposta gli ex dipendenti insistono a colpi di diffide stragiudiziali. A questo punto il Consiglio regionale approva la legge 15 del 2008: l'articolo 44, poi bocciato dalla Corte costituzionale, chiariva il senso delle disposizioni del 2005 stabilendo che per il calcolo non si doveva considerare la tredicesima. Da qui la pioggia di ricorsi. Un giudice del lavoro del tribunale di Catanzaro sottopone la questione alla Corte costituzionale, che boccia l'articolo 44. La Consulta dichiara illegittima la norma perchédi fattoessa determinava in modo retroattivo, dunque rispetto a situazioni del passato, il senso da dare alle disposizioni del 2005. Questa norma, in pratica, avrebbe tradito l'affidamento che i dipendenti avevano riposto nella certezza di poter contare anche sul calcolo della tredicesima. Due gli orientamenti finora emersi al tribunale di Catanzaro. Due giudici del lavoro - gli stessi che hanno danno torto alla Regione - si basano sulle conclusioni della Consulta: in più si sottolinea che in base alla delibera del 2005 l'indennità si compone degli elementi aventi natura di compenso fisso, costante e generale e dunque deve comprendere anche la tredicesima. Un terzo giudice, invece, ha rigettato diversi ricorsi basandosi sui contratti che hanno determinato l'importo accettato senza alcuna riserva dagli ex impiegati. Su questo aspetto anche la Regione dice la sua e sostiene che sia il regolamento contenuto in delibera sia gli schemi contabili allegati al contratto non fanno riferimento alla tredicesima. Ma tant'è. La battaglia continua. Intanto altri sperano nell'esodo 2012. Stavolta la legge dice chiaro che il calcolo della tredicesima non è consentito. Resta, però, il nodo della riforma previdenziale targata Fornero. I tecnici della Regione sarebbero al lavoro per capire come salvare il salvabile. stata soggetta Nadia Di Donna, una delle collaboratrici di Saladino nella fase di selezione delle domande e di avviamento al lavoro, la Di Donna fa riferimento a dipendenti della Why Not raccomandati dal Chiaravalloti nonchè ad accordi intervenuti tra questi e Saladino per l'invio dei curricula dei lavoratori da assumere L’esistenza dell’associazione per delinquere Per i giudici dell’Appello «è erroneo sostenere che non sia configurabile l'accusa diassociazione adelinquere mossa nell'ambito dell'inchiesta». Nell’affrontare il tema, i giudici sostengono che «l’argomentazione del giudice di primo grado è stata ritenutaerronea dallaCorte diCassazione adita dalla Procura generale controilproscioglimento dalreatoassociativo di alcuni coimputati che non avevano chiesto di essere ammessi al giudizio abbreviato poichè il ragionamento con cui la sentenza nega l'esistenza stessa dell'associazione non regge dal punto di vista logico». «Più in particolare - aggiungono i giudici viene smentita la tesi, sostenuta dal gup, secondo cui un'associazione per delinquere costituita per realizzare reati contro la pubblica amministrazione è configurabile solo se facciano parte funzionari pubblici o, in genere, soggetti che appartengano all'Amministrazione». Nell'affrontare il ruolo di Antonio Saladino - nel processo di secondo grado l’imprenditore lametino è stato condannato a 3 anni e 10 mesi di reclusione (2 anni la pena in primo grado) i giudici della Corte d'appello di Catanzaro sostengono che «il giudice di primo grado nonha disconosciutoil ruoloverticistico del Saladino, nè i suoi legami con la politica e le alte sfere della burocrazia regionale». L’assoluzione di Chiaravalloti «non convince» Tribunale di Castrovillari Proc. Esec. n. 49/07 R.G.E. - G.E. Dr.ssa Francesca Sicilia Professionista Delegato e Custode Giudiziario Dott. Vincenzo Cerbini Piena proprietà dei seguenti beni entrambi siti nel Comune di Tarsia (CS): - LOTTO n. 1 (IMMOBILE A): appezzamento di terreno di qualità uliveto, esteso ha 0.97.00, sito sulla strada Comunale Matrangolo-Fontanelle a circa 1 km dalla strada delle Terme di Spezzano Albanese ex SS 283. Il fondo non è facilmente accessibile, di configurazione geometrica irregolare, sorge su un pendio con accentuata pendenza verso sud-est ed allo stato attuale è incolto. Secondo il PRG ricade in zona agricola - E2, con destinazione d’uso agricola a valenza produttiva. - LOTTO n. 2 (IMMOBILE B): appezzamento di terreno di qualità seminativo, esteso ha 3.26.30, geometricamente di forma parallelepipeda con un lato minore parallelo alla strada delle Terme di Spezzano Albanese ex SS 283 alla quale è adiacente. Il fondo è di configurazione geometrica regolare, facilmente accessibile, sorge su un pianoro con andamento subpianeggiante. Secondo il PRG ricade in zona agricola - E2, con destinazione d’uso agricola a valenza produttiva. Tuttavia si fa presente che la dimensione dell’immobile in questione supera l’unità minima aziendale (UMA) richiesta dallo strumento urbanistico predetto, al punto che sullo stesso esiste una potenzialità edificatoria, secondo determinati indici per i quali si rinvia alla perizia. Vendita senza incanto 20.03.2012 h. 10.00 presso lo studio del delegato Dott. Vincenzo Cerbini in Castrovillari (CS) alla via delle Peonie n. 24/c. Prezzo base Lotto 1 Euro 14.550,00; Lotto 2 Euro 73.418,00 con offerte minime in aumento in caso di gara 1,5% del prezzo base, per ciascun lotto. Presentare offerte entro le h. 13.00 del 19.03.2012 presso lo Studio del Professionista Delegato sopraindicato. Eventuale vendita con incanto 21.03.2012 h. 10.00 presso lo Studio sopraindicato, con rilanci minimi 2% del prezzo base. Maggiori informazioni in Cancelleria, presso il Professionista Delegato e Custode Dott. Vincenzo Cerbini Tel. 0981 483226 Fax 0981 983113, siti www.asteannunci.it e www.tribunaledicastrovillari.it E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Calabria 13 24 ore Sabato 11 febbraio 2012 IN VENA L’impegno di tutti a trarre dal male il bene segue dalla prima pagina avrei mai potuto neanche lontanamente immaginare che sarei stato costretto a farlo su un fatto che riguarda la mia persona e soprattutto il mio ministero. Ho usato volutamente il termine “costretto”, primo perché ne avrei fatto volentieri a meno, poi perché in casi simili, come è ovvio, non dev'essere l'interessato a scrivere. Chiedo venia ai lettori anche per questo. In questi giorni, mi vado sempre più convincendo che i potenti mezzi di comunicazione di cui tutti possiamo fruire spesso non aiutano a leggere correttamente i fatti che accadono nella nostra quotidianità. I motivi sono molteplici, fra questi, quello che più fa specie, è quel particolare “filtro culturale e ideologico” attraverso il quale vengono interpretati. Nel mio caso, ad esempio, vista l'enfasi mediatica con la quale è stata divulgata la notizia, ho subito chiarito di «non essere un eroe e che la Calabria non ha bisogno di eroi, ma di persone che si sforzano di fare quotidianamente il loro dovere. Di non essere neanche un prete “anti” qualcosa o qualcuno». In Italia siamo arrivati al punto in cui, paradossalmente, chi fa il proprio dovere viene ritenuto un eroe nazionale che dev'essere addirittura premiato. Inoltre, ho evidenziato di essere semplicemente un prete e che il ministero sacerdotale - e non solo quello a recente approvazione del piano-casa da parte della Giunta regionale rappresenta un rischio concreto di nuove colate di cemento, che si abbatterebbero su un territorio già segnato da abusivismo selvaggio, degrado, dissesti diffusi; ormai è sotto gli occhi di tutti come qualsiasi accidente meteoclimatico (e purtroppo nel prossimo futuro se ne aspettano di sempre più frequenti) si trasforma in un disastro ambientale e sociale. Tutto ciò avviene in una regione che si avvia verso la “favolosa” quota del miliardo di metri cubi costruiti per poco più di 2 milioni di abitanti, immigrati compresi: ciascun “abitante” -calabrese o meno- dovrebbe teoricamente possedere un grande appartamento di almeno 500 metri cubi; ma in realtà la gran parte del costruito resta ormai vuota, inabitata e invenduta, appannaggio di una speculazione in crisi nelle proprie dinamiche finanziarie, che alimenta così la crisi economica globale già in atto. Anche un comparto un tempo sicuro come quello dell’edilizia turistica costiera registra ormai da anni il permanere di una crescente e ormai preoccupante quota di vuoto e inutilizzato. Oggi dovrebbe essere chiaro anche ai bambini che ulteriori costruzioni e consumo di suolo significano aggravamento del degrado sociale e vantaggi solo per mafia e ’ndrangheta, che utilizzano il settore per riciclare capitale illegale e accrescere il controllo dell’economia reale e legale. Peraltro, come dimostra ciò che sta emergendo in di- L giacché il battesimo ci rende tutti oltre che sacerdoti anche re e profeti - prevede l'esercizio della profezia attraverso i diversi volti della stessa: annunciare, denunciare, rinunciare, oltre che la profezia come comunione e come speranza. La denuncia per noi sacerdoti è sempre tesa a tener in debita considerazione la necessaria distinzione tra l'errore e l'errante. Siamo chiamati a denunciare il male e non a condannare l'uomo che lo compie. Il nostro è un difficile compito educativo teso al riconoscimento del male che l'uomo sperimenta fuori da sé, nel cuore del fratello, come specchio di quello che ognuno di noi si porta dentro. Solo così evitiamo di cadere nella trappola diabolica di ritenere il male che vediamo fuori un obbrobrio, quello che sperimentiamo dentro, conforme al nostro essere a tal punto da ripetere a mo' di autogiustificazione: «In fondo siamo fatti così». Il nostro, inoltre, è un preciso mandato ad annunciare la misericordia di Dio nei confronti di tutti gli uomini anche nei confronti di coloro, e sono tanti, che si ritengono giusti. Anche quando denunciamo, quindi, lo facciamo per offrire una occasione di conversione. Ma questo, purtroppo, a volte viene travisato e letto come una sorta di sfida spesso con la complicità di alcuni giornali che farebbero un grande servizio alla pubblica informazione se si dedicassero solo, ed esclusivamente, alle noti- zie relative al traffico ed al clima... Anche per il caso che mi riguarda sono state dette e scritte diverse notizie non corrette. Innanzitutto, circa il presunto colpevole che si sarebbe costituito alle forze dell'ordine dichiarando di aver agito per una ritorsione nei miei confronti per non averlo aiutato a trovare un posto di lavoro. A parte ciò che ho già dichiarato - e che come al solito è stato ripreso solo in parte - che cioè gli inquirenti non hanno ancora comunicato nulla di ufficia- le e che stanno ancora indagando, non ci vuole nessuna capacità investigativa alla “Don Matteo” per comprendere che questo tipo di ritorsioni è avvenuto in due momenti ben precisi: di pomeriggio e in pubblica piazza l'auto; ancora di pomeriggio la testa di maiale mozzata con un pezzo di stoffa attorno alla bocca, che ha un significato preciso comprensibile ripeto, a tutti, anche ai novelli Sherlock Holmes: «Devi tacere». I livelli “alti” delle ’ndrine non avrebbero mai fatto un errore così madornale quello, cioè, di attirare l'attenzione della stampa nazionale e delle forze dell'ordine che, tra l'altro, stanno facendo un ottimo lavoro che sta portando i suoi frutti. Allora, evidentemente, si tratta di “dilettanti allo sbaraglio” (in tutti i sensi) da poco coalizzati per raggiungere scopi delittuosi di “bassa manovalanza”. Ma quello che non si riesce a comprendere, e che anche se dovesse risultare vera la confessione del presunto colpevole con le sue dichiarazioni “spontanee”, è che non è vero che la mafia non c'entra. C'entra eccome! Anche quest'ultimo (ritorsione-avvertimento) è un gesto di prepotenza mafiosa, dimostrazione di quella “mentalità mafiosa” molto più diffusa di quanto si possa pensare non solo in Calabria, addirittura più pericolosa della ’ndrangheta stessa. Fatta di logica dell'appartenenza, di collusione, di zona grigia, di raccomandazioni da chiedere al potente di turno, di mancanza di trasparenza, di rifiuto della legalità, di scarso interesse per il bene comune, di sfruttamento delle risorse ambientali secondo il proprio uso e consumo, di riciclaggio di denaro, di omertà, di omissioni, di prestanomi e... chi più ne ha più ne aggiunga... Venerdì 10 febbraio ho incontrato, insieme al sindaco di Cetraro, i ragazzi del liceo di Belvedere che mi hanno invitato a parlare di legalità. In marzo incontrerò gli universitari della Cattolica di Milano e i ragazzi delle scuole medie e superiori di Pisa. Dio sa trarre anche dal male che noi compiamo il bene. Impegniamoci a farlo anche noi semplicemente, per dirla alla Baden Powell, «per lasciare il mondo meglio di come lo abbiamo trovato». Ennio Stamile Calabria, è sempre emergenza territorio urge un piano di riassetto idrogeologico GIUSEPPE FERA e ALBERTO ZIPARO verse aree del Paese -dalla Liguria all’Alessandrino, da Milano alla Romagna- da tempo la criminalità usa edilizia e lavori pubblici per penetrare e controllare territori anche lontani da quelli di origine. Ormai da tempo abbiamo evidenziato come la Calabria, come del resto anche altre regioni del paese, abbia l’assoluta necessità di dotarsi di un Piano di riassetto idrogeologico e di difesa del suolo, e di un processo di tutela e valorizzazione delle risorse paesaggistiche per promuovere un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e durevole. In tale direzione si era mossa con coerenza la precedente amministrazione regionale, e in particolare l’assessore Michelangelo Tripodi, che in pochi anni hanno realizzato una serie di strumenti e norme ancora oggi operanti nel contesto regionale, per garantire un minimo di difesa contro lo sfascio e il degrado: dagli aggiornamenti alla Legge Urbanistica, alle Linee guida per la Pianificazione pienamente cogenti, alla ratifica -previo protocollo con il ministero dei Beni Culturali- della vincolistica sui beni paesaggistici nazionali; fino alla promozione della nuova strumentazione ai diversi livelli: dai Piani provinciali oggi adottati o in ul- La frana a Cavallerizzo, nel Cosentino timazione, alla nuova pianificazione strutturale comunale in itinere. Quell’esperienza era stata conclusa con l’adozione di Giunta dello strumento principale di riferimento per la pianificazione dello spazio regionale: il Quadro territoriale regionale a valenza paesaggistica. Purtroppo il primo atto della nuova Giunta Scopelliti è stato quello di congelare quello strumento e bloccarne l’approvazione definitiva “per adeguarlo alle linee programmatiche della nuova amministrazione”. Obiettivo politicamente legittimo se non fosse che per l’adeguamento si è finora consumato lo stesso tempo impie- gato per l’elaborazione e da allora sono passati quasi due anni di assordante silenzio, interrotto talvolta da qualche chiacchiera inconcludente. Negli ultimi giorni, l’attuale assessore regionale ha dichiarato di volere procedere all’approvazione del Qtr, apportando le opportune variazioni allo strumento già redatto. Tali intenzioni sono da salutare positivamente, purché non si perda ancora tempo. Perché, dopo due anni di immobilismo, per passare dalle declaratorie ai fatti, è necessario tener conto che più si introducono modifiche nello strumento già redatto, più se ne allontana l’approvazione. Non vorremmo che per inseguire il traguardo del “piano perfetto” si facesse ancora trascorrere del tempo senza risultati. Memori della battuta di un noto grande politico italiano che “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”, non vorremmo che tutta questa ricerca di perfezione e miglioramento fosse solo una scusa per perdere tempo. Nessuno può pretendere di considerare il proprio lavoro perfetto e immodificabile, ma certamente l’elaborato del Qtr consegnato nel marzo 2010 è stato realizzato con un grande coscienza professionale e grande attenzione mirata a evitare quegli errori e contraddizioni che avevano compromesso, anche negli anni recenti – progetti disciplinari pure significativi. L’innovazione più significativa del Qtr è stata quella di volere trovare una forte integrazione fra pianificazione territoriale e paesaggistica. Ora, se si vuole operare delle modifiche, bisogna tener conto -come faceva il Qtr a valenza paesaggistica oggi sospeso- della comune matrice ecologica delle due dimensioni -territoriale e paesaggistica- dello strumento; ovvero, bisogna pur sempre considerare che territorio e paesaggio appartengono comunque a due ambiti legislativi e normativi diversi e distinti che hanno origine nell’art. 9 della Costituzione italiana, che inserisce il paesaggio tra i valori fondativi dei principi dell’assetto sociale nazionale affidando la sua tutela direttamente allo Stato; mentre è noto come il governo del territorio rappresenti una materia in toto trasferita alle regioni. Mettere assieme sullo stesso piano le due dimensioni rischia di creare una confusione fra la dimensione normativa e strutturale dell’assetto paesaggistico (con norme e vincoli di legge) e quella strategica dell’organizzazione territoriale, al quale concorrono a diversi livelli e per proprie competenze Regione, Provincie e Comuni; mentre le titolarità delle azioni paesaggistiche sono statali e solo “delegate” alle Regioni, le quali non possono a loro volta sub-delegare. Nell’esperienza recente, allorché si è registrata sovrapposizione totale ai limiti del disinvolto tra le due dimensioni, si è finito per vanificare tutto; compromettendo l’impianto progettuale e soprattutto normativo degli strumenti interessati (vedi annullamento da parte della Consulta dapprima della sezione paesaggistica del Pit Toscano e quindi addirittura del Titolo paesaggistico della relativa legge regionale 1/05). Bisogna avere ben chiare e tenere nel dovuto conto tali problematiche. A meno di non volere costruire intenzionalmente uno strumento inefficace e inoperante per continuare a lasciare l’ambiente regionale in mano agli interessi speculativi di tutti i tipi. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro La Tribuna 19 Sabato 11 febbraio 2012 SPECIALE Sabato 11 febbraio 2012 Adesioni alla dedica dell’8 marzo a Pesce, Cacciola e Garofalo Stessa scelta, tre destini diversi Tre foto e una mimosa ADESIONI, commenti, messaggi, lettere sulla proposta contenuta in un editoriale del direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza, di dedicare il prossimo 8 Marzo a tre donne, Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, accomunate dalla decisione di ribellarsi a contesti criminali, mettendosi anche contro –e accusando –gli affetti più cari e collaborando con la giustizia. Tre scelte fatte probabilmente tutte per dare un futuro migliore ai figli, sebbene Lea sia stata uccisa e Maria Concetta si sia tolta la vita, non reggendo alle pressioni dei familiari. La segreteria regionale della Cgil della Calabria ha aderito annunciando una serie di iniziative. In questa pagina pubblichiamo i primi contributi. Giuseppina Pesce Narrazione normale e resistenza civile segue dalla prima pagina partire e ne hai voglia di dividere le cose buone da quelle cattive quando leggi di una storiaccia come quella e poi ti ricordi di altre un anno fa e altre ancora due anni fa e così via. E poi ti leggi la relazione dell’Antimafia con la sua terribile parola “strutturale’’ a proposito della ’ndrangheta. E poi quei dati dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Da qui, da lì, bisogna ripartire e da un corridoio stretto stretto nel quale ci si può incamminare ma che bisogna percorrere con onestà intellettuale, coraggio e rigore. Tanto rigore. Perché si può cadere da un lato ma anche dall’altro e cioè nell’omettere, anche in buona fede, i dati di fatto per cercare quella normalità di narrazione. La Calabria non ha bisogno di questo ma di un racconto senza sconti per nessuno, lucido nella sua analisi sulle tante cose che non vanno e sulla pervasità mafiosa dunque in primo luogo. Ha bisogno anche che le poche luci che fiammeggiano non si spengano, non vadano disperse, non si affievoliscano ma anzi crescano e si sviluppino. Questo è un compito di un giornale onesto ma è compito che ognuno dei calabresi onesti – anche qui finiamola con i luoghi comuni sulla “stragrande maggioranza”... io non so se siano la stragrande maggioranza – faccia la propria parte, si spenda, si aiuti e aiuti. Non è un punto di partenza minimale, come potrebbe apparire in prima battuta, ma un grande approdo, decisivo per una società che è cresciuta nel suo complesso male, aggrovigliata in un inestricabile patto scritto e non scritto tra istituzioni, politica, cultura, economia in cui i meriti sparivano e saliva l’imperscrutabile, il favore, poi l’affare e alla fine spuntava e spunta il convitato di pietra, che assume sembianze diverse ma che alla fine muta la convivenza civile, ne fa un’altra cosa, cambia le regole del gioco, inserisce lì dove è possibile il governo mafioso. Questa è la verità, dura da accettare magari, ma vera. Non tutto è Rosarno? Certo che è così, ma anche dentro Rosarno non tutto è come nella storia di Cetta. Ma cosa cambia questo nel giudizio complessivo che noi calabresi, ancor prima degli altri, dobbiamo dare di noi stessi e della nostra terra? Torniamo, allora, al fare ognuno qualcosa e farla bene. Questo giornale ha organizzato – ormai tempo fa – una grande manifestazione di resistenza civile alla ’ndrangheta a Reggio Calabria. Come è noto andò benissimo. Poi nessuno ha raccolto quella bandiera, quelle bandiere. È stato lasciato morire tutto. Mi sono chiesto e torno a chiedermi il perché. Una manifestazione, due manifestazioni, dieci manifestazioni non cambiano, certo, la vita ma forse curvano la storia, almeno la cronaca. Se non altro mutano la percezione nostra al di là del Pollino. Torniamo allora a quella assenza di resistenza civile (scusatemi per la retorica) che però è indispensabile in questo momento, e ai motivi di questo stato dell’arte. Parliamo di resistenza civile ma è la stessa cosa degli spettatori che stanno a guardare di cui ha parlato il procuratore Pignatone. Dopo la storia di Cetta da Rosarno ancora una volta l’unica proposta – giusta, sbagliata, insufficiente, fate voi – è venuta ieri dal direttore di questo giornale. Per il re- sto il piattume – credetemi ormai vomitevole – delle dichiarazioni a raffica di solidarietà, di condanna etc etc. Decine, centinaia… Don Luigi Ciotti un giorno mi disse: non di questo abbiamo bisogno, non di solidarietà vacue ma di condivisioni vere. Mi chiedo e vi chiedo: si può andare avanti così? Come può avanzare quella ordinaria normalità se contestualmente non fa passi da gigante quella resistenza civile di cui non si vede nemmeno l’inizio? E chi la deve fare quella resistenza civile? E chi la deve promuovere? Qui si arriva al problema dei problemi, sul quale con tutta onestà negli ultimi tempi ho anche cambiato prospettiva: la società – si diceva – la buona società civile, la cultura la buona cultura, l’università la buona università, il sindacato…Tutto vero ma tutto viene dopo, se non incardiniamo la discus- sione su un binario di verità: il problema drammatico della Calabria di oggi è la politica. E non lo è tanto e non lo è solo negli evidenti tratti di contiguità, di legami, di rapporti. Quello è il tracciato addirittura più semplice da combattere. No, il vero problema è che siamo in presenza nel suo complesso, nel suo sentire comune direi, di una classe politica che non è in grado oggi di cogliere lei quella domanda di narrazione normale, di farvi fronte con gli strumenti di governo delle istituzioni che ha e, dunque, alla fine di rappresentare quella parte migliore della società. Una parte che è china, muta ma non sorda, che vorrebbe gridare “ma io che c’entro con la mafia?” Ma che alla fine si ritrova sempre più sola, sempre più muta, sempre più inascoltata e alla fine diventa anche sorda, e quindi la battaglia l’abbiamo persa. In questo sentiero stretto stretto qualcuno deve pure incamminarsi, deve sporcarsi le mani, deve ragionare con rigore ma con intelligenza, altrimenti alla fine le macerie cadranno su tutto e tutti, e non ci pare né giusto né normale. Filippo Veltri Maria Concetta Cacciola Lea Garofalo Il coraggio, le donne e la speranza segue dalla prima pagina elencare la cronaca giudiziaria e investigativa è quanto mai eloquente e sollecita riflessioni e interrogativi che devono riguardare tutti: laici e cattolici. Intendo dare un contributo alla riflessione ed essere compartecipe della proposta avanzata dal direttore. Il contrasto comune alle tre donne tra l'aspirazione a una vita normale, libera, civile, rispettosa degli altri, delle altre e di sé, cozza tragicamente con la dura logica della prepotenza mafiosa che non ammette nulla al di fuori dei propri sanguinosi traffici, dei riti di omertà maschilista, della cultura della violenza e della morte, dell'arrogante e ostentata accumulazione di ricchezza. In questo contrasto si decide il destino di queste tre donne e chissà di quante altre che non sono emerse agli onori della cronaca. Giustamente si dice che non possiamo La grande forza del cuore delle mamme segue dalla prima pagina un marito (Salvatore Figliuzzi, che appartiene a una delle famiglie di ’ndrangheta di Rosarno) che aveva sposato a soli 13 anni. Maria Concetta andava via da quella vita che non le permetteva di vivere liberamente sin dall’infanzia. Una figlia che scrive alla madre, una madre che prova a proteggere i figli, e un'altra madre che chiude il suo cuore e, invece di proteggere la figlia e i suoi nipoti, versa violenza su di loro! Sofferenza nelle parole e nell'ultimo gesto di Maria Concetta, “suicidatasi” con l’acido muriatico il 20 Agosto 2011. Spesso ci siamo fermate a riflettere sulle donne che sono nate in una famiglia di ’ndrangheta. Spesso abbiamo riflettuto sul ruolo della donna sia all’interno della società che dentro le famiglie mafiose. Ci siamo sempre chieste come fa una donna a vivere così, priva di libertà, ma soprattutto: il cuor di mamma dove va a finire? La lettera che abbiamo letto ieri mattina è di una ragazza di 31 anni, cresciuta troppo in fretta, cresciuta in ambiente malavitoso, ma è anche di una figlia che tenta di aggrapparsi proprio a quel “cuor di mamma” con una richiesta d’aiuto, non per se stessa, ma per i suoi figli. Maria Concetta sentiva di non appartenere a quel sistema criminale, pur facendo parte di quella famiglia. Lei subiva violenze, privazioni, era solo e semplicemente una ragazza di 31 anni che non si è amalgamata a quel tessuto sociale a cui apparteneva la famiglia. Stava scegliendo di vivere, di dare un futuro diverso a lei e ai suoi figli. In quelle parole di Maria Concetta si legge benissimo quanto era consapevole del sistema criminale, di quell’ “Onore” che deve essere rispettato e lei com- prendeva lo stato della madre, sapeva che non era facile uscire da quella “famiglia”. Si appellò alla coscienza di una donna; quelle parole di figlia si rivolgono al cuore di una madre. Nonostante le violenze psicologiche che le aveva riservato, Maria Concetta va oltre, le chiede perdono per la scelta che aveva fatto: collaborare con la giustizia. E nonostante tutto, lei, figlia, madre, scrisse a sua madre: “Ti supplico non fare l’errore a loro che hai fatto con me... Dagli i suoi spazi ... se la chiudi è facile sbagliare, perché si sentono prigionieri di tutto. Dagli quello che non hai dato a me”. Quegli spazi che le hanno privato sin da quando era piccola. Prigionieri in una casa, prigionieri di quelle catene che la ’ndrangheta con forza e arroganza mette alla famiglia. La madre di Maria Concetta è vittima anche lei del sistema della “’ndrangheta”. E allora perché tanta violenza psicologica?! Perché una madre si riduce a tutto questo? Non voleva niente Maria Concetta, lo scrisse lei: “Mi sono resa conto che in fondo sono sola, sola con tutti e tutto, non volevo soldi ... era la serenità, l’amore...” Già, quell’amore negato, ma anche quell’amore infinito per i suoi figli. Non sappiamo se si poteva far prima qualcosa. Non sappiamo perché i figli erano rimasti ai genitori di Maria Concetta. Lei ha deciso di suicidarsi perché le avevano detto, in maniera errata, che non avrebbe più rivisto i suoi figli, e quell’amore di madre non avrebbe mai sopportato quel dolore. Noi non sappiamo se si poteva fare di più e meglio per evitare il suicidio, per “proteggere” lei e i suoi figli, ma oggi, per quanta rabbia si possa provare, da donna, questa lettera non può che suscitare sofferenza, dolore. È uno spaccato crudele di una realtà all’interno di una famiglia ’ndranghetista, ma è uno spaccato che richiede una riflessione più profonda, seria, perché nessun altro può vivere con le catene dell’oppressione, della mancata libertà di scegliere. Oggi però il nostro pensiero va ai figli di Maria Concetta Cacciola, alla figlia di Lea Garofalo, che con coraggio sta testimoniando al processo per la morte atroce di sua madre a Milano, ai figli di Giuseppina Pesce, a cui auguriamo quella vita di libertà che le loro madri desideravano per loro. Spero che possano curare quelle “ferite” che hanno procurato loro, madri che amavano e amano i loro figli, e che da quell’amore possa ricominciare un’altra vita, priva di violenze, priva di pressioni, semplicemente una vita di libertà e di serenità. Nessun altro bambino, nessun’ altra donna, nessun altro uomo, deve subire tutto questo. Non loro che hanno scelto di VIVERE LIBERI. È di quella libertà di cui tutti noi abbiamo bisogno, ecco perché, direttore, la sua proposta dell’8 Marzo è un’idea bellissima, perché chi sceglie il coraggio di denunciare ha bisogno di essere ricordato. Tre giovani donne, nate in ambienti “ostili” ma che hanno preferito la dignità e l’amore per i propri figli: pur pagando un prezzo altissimo, tutto questo, la loro esperienza, possa essere ricordato per stimolare donne che ancora vivono in famiglie di ’ndrangheta, possa nascere davvero la forza delle donne e di quelle madri che per amore dei loro figli possono cambiare la Calabria. E far risplendere quella mimosa come simbolo che nulla è perduto. Emma Leone e Francesca Munno essere spettatori e che a tutti tocca inserirsi in questi interstizi della coscienza, luoghi decisivi nei quali si gioca la partita con la consapevolezza che un elemento di complicazione sta nei legami e nella cultura della famiglia. Queste tre donne hanno vissuto un tormento interiore nel dover combattere tra gli affetti di una vita, che sono i più cari e i più difficili da spezzare. Non si può andare contro il padre, la madre, le sorelle, i fratelli, senza tensioni e indicibili lacerazioni. Lo scontro è duro tra la logica e il desiderio di affrancarsi ed essere normali e i ricatti, le sottili e insistenti insinuazioni che tutto ciò è fuori dall'interesse familiare, dalle convenienze e dalle oppressive connessioni con il tessuto connettivo della comunità. È difficile ancor più per una donna e per una donna in Calabria. Le debolezze, le continue oscillazioni tra il desiderio di riscatto e il cedimento ai ricatti ne segna l'esistenza fino all'autodistruzione. È pur tuttavia già questo tormento segno di un coraggio profondo e di rotture che si annunciano come possibili, di un fiume carsico che si muove e cresce progressivamente per irrompere nella razionalità e in modalità di vita civile. Anche la Chiesa deve riflettere su queste storie e far sentire la propria voce e la propria condanna. Sul terreno della coscienza e dei valori della famiglia la Chiesa ha strumenti e autorevolezza. Queste famiglie (sicuramente cattoliche) vanno condannate. Questi atteggiamenti vanno riprovati fino alla scomunica e vanno onorate come martiri, le vittime. Sì, bisogna riflettere, non dimenticare. Onorare, da parte di tutti quelli che lottano quotidianamente le mafie, e utilizzare anche le potenzialità che queste storie segnalano. Le donne e la Cgil Calabria hanno inteso e intendono cogliere la proposta di Matteo Cosenza: il prossimo 8 marzo sia dedicato a Giuseppina e alla memoria di Maria Concetta e Lea e di tutte le donne assassinate dalla ’ndrangheta. Ritroviamoci tutti e tutte assieme per ricordare e onorare in uno o in tanti appuntamenti e rilanciare un grande impegno comune a laici e cattolici. La proposta del direttore è segno di sensibilità democratica profonda. Ci auguriamo, mi auguro, che altri e altre con essa si misurino e che Matteo Cosenza voglia promuovere altri momenti di incontro di quella bella Calabria che non si piega, si indigna e con orgoglio vuol cambiare il volto e l'immagine della sua terra. Michele Gravano segretario generale Cgil Calabria E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 20 Sabato 11 febbraio 2012 L’ex presidente del Comitato di gestione reggino–tirrenico si scaglia contro la Provincia Scoppia la pace Pdl-Grande città, Romeo vola verso Intanto all’Atc Rc 1 inizia l’era del commissario Biagio Di Vece il vertice «Caccia, ricorso al Tar» di ANTONINO RASO «IL COMMISSARIAMENTO dall’Atc rc1 è un atto illegittimo perpetrato dalla Provincia e contro il quale ricorreremo presso il Tar di Reggio Calabria». Questa, in sintesi, la reazione dell’ormai ex presidente del Comitato di gestione reggino–tirrenico Domenico Iero. «L’Atc è un organo finalizzato alla gestione dell’ambiente e delle risorse – ha affermato il numero uno uscente di via Aspromonte – e il danno arrecato al territorio da questo provvedimento sarà ingente. I soldi che la Provincia chiede appartengono ai cacciatori, e ad essi devono tornare senza se e senza ma. Del resto la gestione contestata è quella precedente al mio mandato iniziato nel 2009, e tuttavia gli atti formali emanati dal 2006 in poi, tutti protocollati, non hanno evidenziato in alcun modo una gestione illegittima delle risorse. I problemi sono nati a distanza di due anni dall’investimento fatto per implementare il ripopolamento di aree montane». Dunque Iero passa all’attacco, e annuncia ricorso. Un appello a cui prenderanno parte quasi tutte le associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste. «Avevamo iniziato un dialogo positivo con l’assessore Rao sull’argomento – ha continuato – ma il commissariamento non era un epilogo da noi previsto. La presunta disattenzione del 2006, riguardante fondi destinati al massiccio ripopolamento dell’Aspromonte, doveva essere risolta entro quattro anni. Noi abbiamo i soldi da restituire, sono depositati nel conto corrente dell’Atc, ma attendevamo di sapere le modalità ed i tempi certi». In realtà l’Azienda territoriale di caccia era già di fatto sottoposta ad un commissariamento ad acta, ed il dottor Crupi ha lavorato in questo senso per diverso tempo. L’amarezza dell’ex presidente reggino appare evidente, alla luce soprattutto Domenico Iero Riferimenti invita a chiarire i termini della polemica «Lamberti faccia nomi e cognomi» DUE giorni fa,il coordinamento giovanile di Riferimenti, in una lettera aperta alla stampa ha chiesto al dottor Lamberti Castronuovo nominato, anche se non dalla volontà popolare, assessore alla legalità presso la provincia di Reggio Calabria, di chiarire gravi affermazioni da lui fatte in un intervento nell'ambito di un convegno organizzato da "Futuro e libertà". Nella stessa nota, si chiedeva di conoscere a quali magistrati servissero "vetrine e passerelle "sempre in merito ad affermazioni al vetriolo fatte dallo stesso che, non si capisce perchè da tempo lanci invettive nei confronti dell'antimafia con illazioni varie, cercando di screditare l'operato altrui che ,invece come amministratore dovrebbe sostenere”. Vento del Nord la Pg chiede la conferma della sentenza di I grado di CLAUDIO CORDOVA destinate alla dirigente del settore caccia Scolaro e al direttore generale della Provincia nella quali chiedo spiegazioni sui reali motivi del provvedimento. La documentazione che in passato ho provveduto ad inviare presso l’Ente, in cui si spiegavano le modalità delle nostre attività, evidentemente è rimasta chiusa in qualche cassetto. Ora speriamo che questo passaggio non comprometta il lavoro svolto con profitto in questi anni, soprattutto per quello che concerne la gestione della caccia al cinghiale». Intanto già da oggi dovrebbe prendere il via il mandato di Biagio Di Vece a commissario dell’Atc Rc1. Domenico Iero «Subito un danno ingente per il territorio» Aveva inflitto pene per un secolo di carcere LA Procura Generale di Reggio Calabria ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado nel procedimento “Vento del Nord”, celebrato contro la cosca Bellocco di Rosarno. Secondo l’accusa, dunque, va avvalorata la sentenza emessa il 20 dicembre 2010 dal Gup Tommasina Cotroneo che ha condannato tutti gli imputati, infliggendo pene per quasi un secolo di carcere: quattordici anni di reclusione vennero inflitti a Carmelo Bellocco; dieci a Domenico Bellocco cl. 77; dieci anni e quattro mesi a Domenico Bellocco cl. 80; otto anni e quattro mesi di reclusione a Maria Teresa D’Agostino; otto anni di reclusione ciascuno per Umberto Bellocco e Rocco Gaetano Gallo; otto anni e otto mesi ad Antonino Scordino; quattro anni di reclusione ciascuno per Elisabetta Maiolo, Giuseppe Spasaro, Luigi Amante, Angelo D’Agostino, Alfredo Romeo, Filippo Scordino; tre anni a Maria Stella Zungri; due anni ad Annunziato Barrese; sedici mesi ciascuno ad Antonella Mirenda, Maria Rosaria dell’impegno profuso in questi anni di attività: «I progressi fatti dall’Atc in questi ultimi quattro anni sono stati impressionanti. Posso affermare di essere stato io il vero fondatore dell’Azienda territoriale Reggio 1». Eppure l’assessore Gaetano Rao nei giorni scorsi aveva spiegato i motivi che hanno portato la Provincia a commissariare l’Ente di gestione territoriale. Ma proprio Iero fornisce un'altra versione dei fatti a riguardo: «Ho inviato nei giorni scorsi due missive, Larosa e Alessandro Mercuri. Per questi ultimi quattro la pena fu sospesa. Rispetto a tali, durissime, pene, l’accusa ha chiesto una riduzione di quattro mesi per Domenico Bellocco classe 1980, e l’assoluzione per la moglie Antonella Mirenda, entrambi non ritenuti colpevoli di un capo d’imputazione riguardante l’intestazione fittizia di beni. Il processo scaturisce da un’operazione congiunta tra le Questure di Reggio Calabria e Bologna. Proprio a Bologna, secondo le risultanze investigative, la cosca Bellocco avrebbe impiantato una propria “cellula”, che curava, arricchendosi, ingenti giri di affari. Nell’indagine finì una delle consorterie storiche della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, egemone, insieme ai Pesce, sul territorio di Rosarno. Secondo le ipotesi investigative, così come avvenuto a Gioia Tauro, allorquando la storica alleanza tra i Piromalli e i Molè si ruppe con l’omicidio del boss Rocco Molè, anche a Rosarno il sodalizio storico tra i Pesce e i Bellocco sarebbe in crisi. Contro la cosca Bellocco Da Lamberti ricordano dal coordinamento “non è arrivata nessuna risposta,anzi la sua televisione non solo non ha dato notizia della nota,ma nella rassegna stampa ha omesso la pagina dei quotidiani che riportavano la notizia”. I responsabili del Coordinamento giovani di Riferimenti, ancora una volta chiedono di conoscere il soggetto della frase impersonale pronunciata dall’assessore alla legalità Lamberti, ossia vogliono sapere «Chi,utilizzerebbe soldi pubblici per combattere il crimine organizzando settimane bianche. Due sono le cose o l'assessore risponde o dimostra a tutti la validità e fondatezza delle sue affermazioni e soprattutto darà prova del suo coraggio. E allora ,assessore vogliamo il nome, il soggetto» . HOSPICE Ampliato l’organico Cda DURANTE il mese di febbraio c.a. il CDA ( Consiglio di amministrazione ) della Fondazione Via delle Stelle di Reggio Calabria, che gestisce l’Hospice Via delle Stelle, rappresentato dal Presidente Clotilde Minasi, ha deciso di cooptare nuovi membri per allargare la rappresentatività dell’Hospice. I seguenti membri saranno in qualità di soci benemeriti: Vincenzo Trapani Lombardo, già direttore sanitario dell’Hospice; Salvatore Vita, in rappresentanza dei medici di medicina generale; Pasquale Veneziano in rappresentanza dell’Ordine dei Medici. Accusato di fare parte del clan Tegano di Archi Annullata l’ordinanza a carico di Emilio Firriolo L’avvocato Politi IL CASO Due funzionari liberi dal servizio arrestano un indiano per furto IL pronto intervento di due funzionari della Polizia di Stato, fuori servizio, ha permesso di fare scattare le manette intorno ai polsi di un cittadino indiano, accusato di tentato furto con strappo. I due poliziotti della Questura di Reggio Calabria, Gianluca Rapisarda e Giuseppe Giliberti, rispettivamente dirigente della terza sezione della squadra Mobile e vice dirigente dell’Upgsp, hanno infatti notato il tentativo di scippo nei confronti di una cittadina rumena da parte di H.K., 27 anni, cittadino indiano irregolare sul territorio nazionale. Il fatto è accaduto in pieno giorno, all’altezza dell’ingresso del Palazzo della Regione, con la donna che stava cercando di divincolarsi. I due poliziotti sono, quindi, riuscitia soccorrerela malcapitatae adarrestare l’uomo. LA cortedi Cassazione ( Isezione penale Presidente Chieffi e Relatore Caprioglio ) ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale della Libertà di Reggio Calabria a carico di Emilio Firriolo, arrestato nell’aprile del 2011 con l’accusa di far parte dell’associazione mafiosa facente capo a Giovanni Tegano. L’inchiesta, denominata operazione Archi, è un’ulteriore sequela della più nota denominata operazione Agathos scaturita da numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali con le quali si era fatta luce su numerose estorsioni che la cosca Tegano faceva alla ditta New Labor, appaltatrice dei lavori di pulizia del materiale rotabile alla platea lavaggio delle Ferrovie di Reggio Calabria.Emilio Firriolo è indicato dai collaboratori ( Moio, Fracapane e Logiudice ) come un componente della cosca Tegano legato da fraterna amicizia con Franco Benestare e, quindi, collettore di mazzette della cosca, uomo di fiducia nel settore dell’edilizia, con ruoli attivi durante la seconda guerra di mafia. Nonostante la lamentata genericità delle accuse il TDL reggino (Pres. Leonardo relatore Aliquò ) aveva confermato il titolo custodiale con ordinanza impugnata per cassazione dal Prof. Dario Grosso e dall’avv. Corrado Politi, difensori del Firriolo. Nei giorni scorsi la Corte, in accoglimento dei motivi degli avv.ti Grosso e Politi, ha annullato la predetta ordinanza recependo le tesi difensive, avallate dalla più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui “la convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che attestino la conosciuta appartenenza al sodalizio criminoso configura la gravità indiziaria imposta dall’art. 273 c.p.p». Daniele Romeo CANE non mangia cane ed alla fine scoppia la pace dentro il Pdl, o forse meglio finisce in boutade. Tacciono i malumori e c’è, sembra davvero, la convergenza sul nome di Daniele Romeo. Una pax fatta perchè conviene a tutti che il partito sappia camminare con le proprie gambe ed anche perchè, sussurrano in tanti beninformati alla fine, Scopelliti potrebbe essere riconoscente ai tanti che gli consentono di uscire dai cinque congressi con la forza dell’acclamazione all’unanimità. Ed allora via libera e nessuna sorpresa alla ratifica formale del nome di Daniele Romeo, candidato a capo del Coordinamento Grande Città del partito. Una volta preso atto dell’incompatibilità, per via degli incarichi assessorili di Luigi Tuccio e di Demetrio Berna, si sta ormai procedendo a tambur battente. Giovedì sera la ratifica al coordinamento Grande Città della mozione che vede Danele Romeo, delfino di Scopelliti, a capo del coordinamento e suo vicario, il consigliere comunale Antonio Pizzimenti. Una scelta che soddisfa entrambe le anime del Pdl, la corrente ex an, incarnata da Romeo e quella forzista che vede espressione l’altro giovane consigliere comunale Antonio Pizzimenti. La nomina, di fatto, verrà ratificata e diventerà elettiva dopo il congresso del prossimo venerdì 17 febbraio. A guidare il coordinamento metropolitano reggino sarà quindi il consigliere comunale, affiancato dal vicario Antonio Pizzimenti. A completare i seggi del coordinamento politico comunale poi andranno i nomi che usciranno dal congresso di venerdi prossimo. Tra questi ed è la chiara dimostrazione della pax raggiunta tra le aree di Scopelliti e quella di Nino Foti ci saranno due nomi vicini a quest’ultimo. Tra i nominati sono pressocchè certi quelli di Giuseppe Agliano, Paolo Arillotta, Amedeo Canale, Giuseppe Eraclini, Franco Germanò. Intanto fino all’ultimo minuto, però circolava insistentemente la voce di una mozione a sostegno di una giovanissima figlia d’arte, alla carica di coordinatrice di Grande città. Stefania Eraclini, 21 anni, figlia del consigliere comunale, Giuseppe, e da sempre iscritta a Forza Italia prima ed al Pdl dopo. Una scelta, dicono, per coniugare una volta per tutte, giovani e quote rosa al vertice del partito. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 24 Reggio 32 Reggio Locride Sabato 11 febbraio 2012 Reggio 33 Locride Sabato 11 febbraio 2012 La cattura del boss. Il voto del 2008 “spacca” gli Aquino Il boss era il presidente del Marina di Gioiosa calcio Liste dei clan per le elezioni La fede: è giallorossa CALCIO, politica e malaffare. A Marina di Gioiosa ogni gusto viene soddisfatto. Per attrarre il consenso popolare pare che i clan abbiano investito nella passione sportiva. L’ex patron del Marina di Gioiosa calcio, che milita nel campionato di promozione, Rocco Aquino, sieraresoirreperibiledal luglio2010.Alvagliodegli inquirenti finirono anche i rapporti tra Aquinoe l’ex direttoresportivo Carmelo Carbone, candidato alla carica di sindaco nella primavera del 2008. Da contatti telefonici (in gran parte finalizzati adincontri di persona oa discussioni sulla gestione della squadra di calcio) censurati sull'utenza dell'Aquino a partire dal 16 febbraio 2009 al 16 settembre 2009), “si comprende - scrivono i magistrati - come tra i due esista un rapporto che va ben oltre alla normale conoscenza, ma anzi appare assoDopo lutamente familiare e, quindi, giustificativo della cattura il boss Rocco l'appoggio fornito precedentemente (rispetto alle censure telefoniche) al già candidato sindaco CarAquino bone per la sua lista. in una Antonio Coluccio di Siderno, anche lui nella lista gazzella dei fermati vuole intervenire finanziariamente a dei sostegno della squadra giallorossa, presieduta carabinieri viene tradotto proprio da Aquino. E’quantosi evidenza nella conversazione delle ore 21.32 del 07.11.2009 in entrain carcere ta sull'utenza di Aquino e proveniente dall'utenza Da Coluccio aiuto economico alla squadra di MICHELE INSERRA Gli incontri al vertice Il covo dentro la cantina Le ricerche approfondite Perquisizioni e sequestri ROCCO Aquino, come verificato nell’ambito dell’inchiesta “Crimine”, si recava spesso presso la lavanderia “Ape green” di Siderno per incontrare e confrontarsi con Giuseppe Commisso “u mastru”. I CARABINIERI del comando provinciale di Reggio Calabria sono “passati” diverse volte da contrada Porticato. Durante i controlli è stato scoperto un bunker realizzato dietro una cantina. PER RIUSCIRE a scovare i latitanti della cosca Aquino di Marina di Gioiosa Jonica, gli investigatori dell’Arma hanno utilizzato dei piccoli bobcat con tanto di trivella ed escavatore. DURANTE i controlli e le perquisizioni nelle case della famiglia Aquino i carabinieri del Gruppo Locri hanno effettuato il sequestro di numerosi computer e di materiale cartaceo utile per nuove inchieste. I legami con i gruppi di Siderno dei Commisso e degli Ursini di Gioiosa Jonica Don Totò, “u mastru” e gli affari I colloqui sul raid a Novembre e il delitto di Vallelonga a Riace MARINA DI GIOIOSA - Il mastro e l’allora patron della squadra. Un legame ferreo che si evince dalle intercettazioni telefoniche e dalle riunioni di ‘ndrangheta. E’ il 2 febbraio 2008. La conversazione ambientale “riprende” l’incontro tra Giuseppe Commisso e Rocco Aquino “u culunnellu”. Per gli investigatori si tratta di due personaggi di primissimo piano, sia a livello “provinciale” sia all'interno del “mandamento ionico”. In particolare l’attenzione degli inquirenti si concentra su alcuni passaggi dell’incontro tra i due “intercettati” dai poliziotti del commissariato di Siderno. Commisso e Aquino snocciolano diversi argomenti: le problematiche relative al locale di Gioiosa Jonica, con riferimenti alle figure di Mario Ursini e Antonio Ursino, quest'ultimo tra l’altro aspramente criticato; le vicende relative al delitto di Damiano Vallelonga a Riace, l’attentato a Vincenzo Novembre e la scomparsa a Torino di Rocco Ursini; le problematiche relative al locale di Caulonia, altre di livello “provinciale”, con riferimenti alla figura di Vincenzo Pesce. Commisso si informa con il suo amico sull'avvio o meno di alcuni “affari”di 'ndrangheta: “C'è movimento, dite che fanno qualcosa?”. Aquino conferma di aver incontrato Mario Ursino il quale gli avrebbe detto: “Sappiamo che ci sono sette o otto della famiglia mia per appalti, che li hanno puntati.”, come a voler sottolineare il fatto che il suo clan avrebbe acquisito una sorta di diritto di prelazione su determinati lavori pubblici. Tuttavia, Aquino avrebbe sollecitato l'uomo ad intervenire nei confronti di tale “Totò”, suggerendogli di “estrometterlo” da quel tipo di affari: “Ma quello, Totoò è scemo. Totò, non capisce niente. quasi ...quasi che. gli ho det- Giuseppe Commisso “u mastru” to: oh Mario, digli se si raddrizza e che si vada a sedere da una parte se vuole...”. Per di più, Giuseppe Commisso si lamenta del fatto che Antonio Ursino avrebbe lasciato in giro troppi debiti: “Ma quei soldi glieli ha dati là, allora poi... ma come cazzo si trova, ma io.”, tra cui quelli contratti con suo fratello Antonio, allo stato detenuto presso la Casa Circondariale di Nuoro. Una passività che, come precisa, ammonterebbe a circa duecento mila euro: “Mannaggia la puttana pare che a me li ha dati quelli di mio fratello?... adesso mio fratello è come una bestia con lui. non può parlare.”, e per la quale egli stesso avrebbe minacciato Antonio Ursino, esortandolo a rifondere la somma: “.ma Totò vedete che non voglio che litighiamo per fatti di soldi, gli ho detto io, vedete che io... io gli ho detto: che cazzo dovete fare?”. Un comportamento molto scorretto, rivela Rocco Aquino, dal momento che, spiega, costui avrebbe dovuto agire in maniera leale nei confronti del detenuto Antonio Commisso, l’ “avvocatu” di Siderno: “Lui sapete che doveva fare per un carcerato?... andare a vendersi quello che ha e dargli i soldi.”. Tra le altre cose, aggiunge, anch'egli vanterebbe un credito nei confronti di quell'uomo di: “Una sessantina di mila euro.”. Volgendo l'argomento sui preparativi di un incontro di 'ndrangheta, che, in effetti, si terrà l'indomani a Bovalino, Aquino si informa con il suo amico su che tipo di cariche criminali bisognerà assegnare: “E allora. non ho capito. a questi cosa gli dobbiamo dare?”. Facendo mente locale, il “mastro” cerca di rammentare l'ultimo mandato assegnato a un uomo di quel clan: “Loro hanno. che gli abbiamo dato all'epoca?... la Santa gliela abbiamo data?”. Poi, riflettendo sulla figura del candidato, si chiede: “A compare Franco, poveretto. non so che cosa gli dobbiamo dare...”. Aquino si mostra in linea con tali conferimenti, e, comprovando la propria stima, non mostra alcuna remora a concedere loro qualsiasi tipo di incarico: “Cosa vorrebbero che gli sia dato noi gli diamo.”. Dal suo canto Commisso pone un veto assoluto su altri soggetti che ambirebbero ad ottenere quello stesso genere di attribuzioni: “Ma non a questi di Guardavalle che stanno sparando.”, riferendosi, con ciò, all'omicidio di Damiano Vallelunga. mi.in. Dopo l’arresto del capoclan Salvatore a comandare sono Rocco e Giuseppe | IL PATRIMONIO | Alla cosca sequestrati beni per sette milioni Si interessavano anche degli amici sidernesi in difficoltà con la legge Dalla cella si tessono alleanze Vincenzo Tavernese MARINA DI GIOIOSA - E’ l’ottobre del 2010. Lo Stato opera un maxi sequestro beni tra Marina di Gioiosa e Siderno. Il Ros e il Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, supportato dallo Squadrone Eliportato Cacciatori, danno esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo per 7 milioni di euro, emesso dal Gip su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. I sigilli sono stati posti alle proprietà riconducibili a Rocco e Giuseppe Aquino e a Vincenzo Tavernese, tutti coinvolti nell'operazione “Il Crimine”, scattata il 13 luglio del 2010. Tra i beni sottratti alla cosca ci sono 19 immobili tra cui ville e terreni posti tra Marina di Gioiosa e Siderno, una imbarcazione, una decina di autovetture di grossa cilindrata, due società operanti nei settori edilizio e turistico, in particolare un lido balneare di Siderno, il “Paradise beach”, e 22 conti correnti e depositi al risparmio. Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, il clan Aquino sarebbe a capo del locale di 'ndrangheta di Marina di Gioiosa Jonica mentre Vincenzo Tavernese sarebbe un affiliato e un partecipe dell'associazione, nonostante fosse residente a Toronto in Canada, secondo gli inquirenti sarebbe strettamente collegato alla cosca Aquino. MARINA DI GIOIOSA - Dal carcere di investigatori è emerso che il ruolo asL’Aquila Salvatore Aquino intrattene- sunto dai fratelli Rocco e Giuseppe (anva le alleanze con le altre cosche della cora latitante) Aquino nell'ambito della loro famiglia è stato volu‘ndrangheta. to e deciso all'unanimità E’ quanto emerge dalla da tutti i congiunti. corrispondenza acquisita Questa è stata la scelta dal penitenziario abruzzeobbligata adottata a sese, ricevuta e inviata da Salguito della cattura del cavatore Aquino, dalla quale po cosca anche in previsiosono venuti alla luce collene dei lunghi tempi di degamenti e relazioni epistotenzione che lo attendevalari con capi o comunque no. Dal suo canto Rocco personaggi di vertice di Aquino risulta essere in storici sodalizi criminali ottimi rapporti con la faoperanti in altri territori Giuseppe Aquino miglia Coluccio di Siderdel provincia di Reggio Cano, di cui fanno parte i più labria, dello spessore di Orazio De Stefano e Giuseppe Pansera. noti Giuseppe e Salvatore. È lui ad interessarsi di mantenere i Da una corposa analisi da parte degli | L’INTERCETTAZIONE | Oppedisano si pente: «Questo è pazzo» MARINA DI GIOIOSA - All'indomani dell'uscita sul Quotidiano delle rivelazioni del pentito Domenico Oppedisano, fratellastro di Salvatore Cordì ucciso nel 2005, sono due personaggi di primo piano a commentare le parole del collaboratore di giustizia, Rocco Aquino, e Giuseppe Commisso all’interno della lavanderia di Siderno. Aquino: «Questo è diventato pazzo “mastro”». Commisso: «Avete visto quante cose ha detto» Aquino: «Sii». Commisso: «Si però potevano fare a meno di andarlo a chiamare. Che cazzo lo chiamate non vedete che questo è fuso ha problemi di soldi». Aquino: «Io non lo conosco neanche». Commisso: «Non lo conosco neanche io, se viene non lo riconosco er con una donna, non serviva a niente e lo hanno chiamato per prendere posizione,ed hadecisodidiventare pazzo,vuole soldi, ma non credo che lo calcolano, però ha fatto danni, lo hanno fatto entrare in queste cose ed è peggio ancora che le ha dette». Aquino:«E' logico». Commisso: «Un testimone deve essere buono, altrimenti con uno schiaffo cambia tutto, e poi devono menare di più per farlo stare zitto». Aquino: «Eh ma scherziamo». Commisso: «Lo maltrattano avete capito, io penso che lo maltrattano ed è sbiellato». Appresa la notizia dal giornale contatti con l'unico dei tre fratelli Coluccio in quel momento non colpito da alcun provvedimento restrittivo. A seguito della cattura di Giuseppe, la madre di quest'ultimo contatta proprio Rocco per il disbrigo di pratiche che interessano il figlio recluso nelle patrie galere. E poi ci sono elementi a fiume che mostrano l'interesse della famiglia Aquino per gli esiti delle amministrative nel comune di Marina di Gioiosa Jonica del 13 aprile 2008 e la conseguente “spaccatura” all'interno della famiglia. I dati raccolti all'esito delle investigazioni delegate alla Compagnia dei carabinieri di Roccella Jonica si incastrano perfettamente con le risultanze delle indagini delegate agli uomini del Ros. In particolare, tale risultanze “consentono - secondo i magistrati della Dda di Reggio Calabria - di individuare l'esatta chiave di lettura di quanto finora esposto (con specifico riferimento ai colloqui in carcere tra Aquino Salvatore ed i germani Rocco e Giuseppe Aquino) e di comprendere il ruolo svolto, all'interno della consorteria da Aquino Salvatore, Aquino Nicola Rocco ed Aquino Rocco (in un contesto che vede il vecchio boss Aquino Salvatore quale punto di riferimento del sodalizio, costretto però a causa della prolungata detenzione ad affidare ai prossimi congiunti la “reggenza” della famiglia, e Rocco Aquino leader incontrastato, appoggiato dai “poteri forti” della 'ndrangheta, che ha oramai preso il posto al vertice della consorteria del più anziano Aquino Nicola Rocco)”. Lo spunto per mettere a fuoco tutto ciò saranno proprio alcune conversazioni aventi ad oggetto le consultazioni elettorali amministrative di Marina di Gioiosa Jonica della primavera del 2008. m.i. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro flotta sono entrati nel Comune, come sono chiusi nel loro ghetto, perchè loro sono tutti compatti, perchè... “dice Maria D. a Maurizio L. in una conversazione telefonica. Ma la spaccatura negli Aquino, secondo i magistrati, si ricava anche da un altro aspetto: dal locale scelto dal vincitore delle elezioni per festeggiare la conquista del comune. C’è da premettere che nella scissione sono intervenuti anche i Femia, quelli dell’Hotel ristorante “Sabbia d'oro”. “In particolare - scrivono i magistrati chiarito che Francesco Marrapodi è sicuramente uno dei dissociati, poiché sua cognata (moglie del fratello Antonio) è la figlia di Teresa Aquino (sorella di Salvatore classe 1944), occorre ora precisare perché anche la famiglia di Aquino Giuseppe classe 1934 (anch'egli fratello di Salvatore) si è schierata con la lista n. 2 (quella dei Mazzaferro)”. Una circostanza che si ricaverebbe dal fatto che il neo eletto sindaco, Rocco Femia, con tutta la sua “squadra”, ha deciso di organizzare la festa per la vittoria elettorale al Sabbia d'oro, di cui è proprietario Domenico Femia, classe 1939, da sempre è ritenuto legato alla cosca Aquino, sia per i suoi trascorsi giudiziari, sia per il fatto che la figlia Rosanna classe 1968 è coniugata con Domenico Aquino classe 1961, figlio di Giuseppe classe 1934. Per gli investigatori il riferimento esplicito che viene fatto al Sabbia d'oro è da ricollegare a questa “spaccatura” e ciò è la causa della loro sconfitta elettorale. Il sindaco Rocco Femia, alias “pichetta” venne poi arrestato per mafia nel corso dell’operazione “Circolo formato” del maggio 2011. Qualche giorno fa anche la Cassazione ha negato la scarcerazione dell’ex primo cittadinol IL FILM Ecco tutti i nomi dei componenti delle fazioni Vinse “pichetta” Femia, che poi venne arrestato MARINA DI GIOIOSA - La scissione nella cosca Aquino è stata determinata dalla elezioni comunali. O meglio la costituzione del gruppo degli scissionisti di Torre Galea (così come venne anticipato dal Quotidiano nell’edizione del 23 giugno 2010) è avvenuta a causa del mancato accordo sui candidati da appoggiare alle elezioni amministrative. E poi è stata generata dalla spartizioni di autorizzazioni edilizie. E’ quanto emerge da una serie di intercettazioni contenute nell’ordinanza dell’operazione “Il crimine”. In particolare la spaccatura è stata in qualche modo causata dal comportamento di Nicola Rocco Aquino, 61 anni che, secondo gli interlocutori, non ha saputo assecondare le esigenze dell'intera famiglia, mettendo in cattiva luce Rocco LA CURIOSITÀ Aquino, 50 anni, patron della locale squadra di calcio, e Giuseppe Aquino, 48 anni, La stampa era agli occhi degli altri familiari. Una spaccatura all’interuna tensione no degli Aquino che durava ANCHE la stampa locale da tempo senza che fosse stata individuata una soluziodiventa una grana per gli ne. Aquino. Il 17 settembre E l’unico che poteva sanci2008 c’è una telefonata tra Rocco Aquino e Anto- re la pace all’interno del nucleo familiare era Salvatore nio Coluccio. Nella circoAquino, storico capo bastone stanza il primo contatta attualmente detenuto e che l'altro per lamentarsi di presto potrebbe uscire da gaalcuni articoli di giornali, pubblicati qualche giorno lera. Il boss era l’unico che prima, nei quali viene de- con il suo carisma era capace di poter ricompattare la fascritto un episodio delitmiglia. In particolare in una tuoso di cui sarebbe staintercettazione ambientale, to vittima il fratello Giusembra quasi che i veri canseppe Aquino. Rocco si didati non fossero coloro che riferiva all'episodio accasi erano presentati alle eleduto a fine agosto del zioni comunali, ma i vari 2008, in cui il fratello Giucomponenti degli schieraseppe è stato raggiunto menti criminali. Nell’ordidi striscio da alcuni colpi nanza si evidenzia come i d'arma da fuoco esplosi componenti dei gruppi mada Luca Mazzaferro. lavitosi avevano deciso di Nell'occasione Aquino comportarsi in vista delle lamenta il fatto che i quoamministrative. E’ l’aprile tidiani locali hanno pubblicato delle notizie false. del 2008. Di fronte si trovano Rocco Femia e Carmelo CarAl contrario, però, come bone. C’è da scommettere sul è emerso dai successivi cavallo vincente. Una vittoaccertamenti condotti ria elettorale sarebbe vista dalla Compagnia dei carabinieri di Roccella Joni- anche come l’affermazione ca, Luca Mazzaferro, do- della supremazia di un gruppo un breve inseguimen- po malavitoso. Ecco, secondo i magistrati, il quadro che to (lui sulla moto e Peppe si presentò alla vigilia delle a bordo della Nuova elezioni che poi portò alla Panda 4x4), ha esploso sulla pubblica via di Mari- rottura nella famiglia Aquino. Da un lato c’era la frangia na di Gioiosa Jonica (nei riconducibile al ceppo di pressi del comune) alcuRocco Aquino (classe 60) e ni colpi di pistola contro Giuseppe (classe 62), a quell'autovettura, danneglo di Nicola Rocco Aquino giandola nella parte po(classe 44), nonché ai fratelli steriore. L'auto, rinvenuColuccio, dall'altro la franto dai Carabinieri veniva gia facente capo a Giovanni sottoposta a sequestro Faranna e ai figli di Francepoiché all'esterno della carrozzeria venivano no- sco Aquino che si erano alleati con gli Agostino-Maztati alcuni fori riconducizaferro per supportare l'elebili alla perforazione delzione del candidato a sindaco l'ogiva di un proiettile del professor Rocco Femia, esploso da una pistola. me (lista civica Uniti per Marina di Gioiosa Jonica), poi eletto con il 50,85% delle preferenze contro il 49,15 ottenuto dall'altro candidato Carmelo Carbone (lista “Per un Futuro migliore”) che sarebbe stato, invece, preferito dai fratelli Rocco Aquino e Giuseppe e dai Coluccio, con il loro entourage. Il coinvolgimento e l'interesse per quanto stava accadendo alla metà di aprile del 2008 era infatti allargato anche ai rappresentanti del locale di Grotteria, legati ai fratelli Rocco e Giuseppe Aquino, nonché ai Coluccio. Ma ci sono una lunga serie di intercettazioni che mostrano l’interesse della malavita per la politica. “Dopo di che quando hanno vinto, appena hanno vinto sai che hanno fatto? tutti a flotta, tutta la Galea...infatti questo è che non abbiamo capito, che non comanderanno quelli ma comanderà la Galea, tutti a di Coluccio. Antonio: vedi che ora con Federico ti mando l'assegno Rocco: eh, si si...è andata bene? Antonio: si, abbiamo raccolto tredicimila dollari Rocco: quanto? Antonio: tredicimila dollari Rocco: e...a lire italiane...a coso quanti sono? Antonio: sono novemila euro, ottomila e cinquecento, novemila euro a seconda di come è il cambio quando vengono Rocco: e poi lo versiamo in banca Antonio: si lo versi, come quello dell'altro anno, lo versi in banca Rocco: si si...lo intesti a nome della squadra, hai capito? Antonio: si si Rocco: eh...e che volevo dire...Asd Marina di Gioiosa metti Antonio: A.S.? Rocco: A.S.D. Marina di Gioiosa Antonio: A.S.D. Rocco: A puntata S puntata D puntata Marina di Gioiosa Antonio: ah, ok Rocco: hai capito? così risulta che è per la squadra tutto bello e pulito Antonio: si si si 35 Ufficio di Corrispondenza: Piazzetta 21 Marzo, 9 - 89024 Polistena Tel/Fax 0966.935320 E-mail: [email protected] Operazione Califfo. Nelle carte dell’inchiesta che ha colpito il clan Pesce le ritorsioni del boss Il linciaggio ordinato in carcere Il detenuto che restituì il “pizzino” all’agente aggredito dai sodali della cosca di MICHELE ALBANESE PALMI - «Datemi stu biglietto cà sugnu rovinatu». Ciccio Pesce, il presunto giovane boss di Rosarno, cercò in tutti i modi di farsi restituire quel pizzino che aveva scritto e che aveva consegnato ad un altro detenuto. Dopo il suo arresto la sera del 9 agosto2011, avvenutoall’interno di un bunker abilmente occultato sotto un piazzale di cemento armato, protetto da una botola telecomandata e costruito all’interno della ditta “Demolsud” di Pronestì Antonio & C. sas”, Pesce venne portato nel carcere di Palmi dove due giorni dopo, mentre la Polizia Penitenziaria stava per trasferirlo in altro penitenziario, si verifica il sequestro del pizzino che Pesce aveva tentato di consegnare ad un altro detenuto rosarnese. Erano le 20.10 dell’11 agosto quando nel fare uscire il detenuto dalla propria cella, un poliziotto si accorgeva che lo stesso, in modo molto discreto, consegnava un biglietto nella mano di un altro detenuto, tale Giovinazzo Salvatore.Dopo averprovveduto arinchiudere Pesce nella propria cella, il poliziotto si fece consegnare il biglietto da Giovinazzo. In seguito, Pesce supplicava di dargli il biglietto, dicendogli: «Datemi stu biglietto c’à già sugnu rovinatu, vi giuru c’a u sciancu davanti a vui». Visto chi aveva di fronte il poliziotto informava il comandante del reparto di Polizia Penitenziaria che dava disposizione di perquisire il detenuto Pesce. Il quale continuava anche durante il tragitto in carcere a chiedere di poter strappare il bigliettino in quanto era rovinato di suo e con il suddetto biglietto si aggravava di molto la sua posizione giudiziaria. «Il detenuto era nervoso e tanto preoccupato, solo ed esclusivamente per il rinvenimento del bigliettino», tanto che il comandante disponeva l’immediato allocamento del detenuto presso il reparto infermeria. La vicenda poneva in luce, sin dall’immediatezza, sia la natura criminale delle disposizioni impartite da Pesce nel “pizzino”, che la caratura dei destinatari delle stesse. In pratica il giovane boss, consapevole dell’imminente trasferimento in strutturapenitenziaria lontanadal territorio d’origine e della possibile applicazione del regime detentivo di cui all’art. 41bis, si era premurato di impartire gli ordini essenziali per il mantenimento dell’operatività dell’associazione criminale da lui comandata, spiazzata dal suo recente arresto. Quanto accaduto ha avuto strascichi perché il 25 agosto l’agente che aveva proceduto al sequestro del biglietto subiva l’incendio della propriaautovettura privata il giorno successivo, inoltre, il detenuto Giovinazzo evidentemente colpevole di aver consegnato il manoscritto alla guardia, veniva «accerchiato da una decina di altri detenuti» e solo l’intervento della Polizia Penitenziaria interrompeva quello che secondo i magistrati era un vero e proprio «linciaggio». L’aggressione perpetrata ai danni di Giovinazzo nel cortile passeggi del carcere non era stato un episodio casuale, bensì la manifestazione concreta della «dura condanna nei confronti del Giovinazzo per aver ceduto il pizzino al poliziotto penitenziario che gli ordinava di consegnarglielo. Evidentemente, per i sodali di Pesce Francesco, il Giovinazzo mai avrebbe dovuto obbedire all’ordine ricevuto, ma distruggere piuttosto il pizzino». Evidentemente, l’ordine di scuderia impartito ai detenuti era che il giovane rosarnese dovesse pagare l’affronto patito dal giovane boss. Giovinazzo pur riportando «escoriazioni al dorso e narici del naso, discromie rossastre… escoriazioni al gomito sx superficiale» negò di essere stato aggredito e sostenne che era caduto in maniera accidentale. IL RETROSCENA Pronto il battesimo per il geometra Nel foglietto requisito dalla polizia penitenziaria le indicazioni per l’inserimento di Berrica nell’organigramma della ’ndrina ROSARNO – Nel pizzino sequestrato in carcere e scritto da Ciccio Pesce compare anche la frase “Geometra Luca Santino”. Secondo i magistrati quel nome farebbe riferimento a Luca Berrica. Le ragioni per le quali viene accostato al nome di battesimo anche quello di Santino sarebbe da ricondurre all’affiliazione alla cosca del geometra. Il termine “Santino”, nel linguaggio ‘ndranghetista, rappresenta l’affiliazione all’onorata società di un giovane “contrasto onorato”. Infatti tradizionalmente, durante la cerimonia di affiliazione, l’aspirante picciotto è chiamato a prestare un giuramento di fedeltà stringendo tra le mani un santino, spesso costituito dalla rappresenta- zione iconografica di San Michele Arcangelo. Le relazioni semiotiche applicabili alla simbologia legata al “Santino” trovavano larghe conferme nelle indagini sulla ‘ndrangheta. Nell’ordinanza Califfo vengono riportati stralci di alcune dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Luciano Piccolo, in cui quest’ultimo descriveva la sua personale esperienza di affiliazione alla ‘ndrangheta: «Durante le fasi del battesimo mi praticarono un taglio a forma di croce sulla parte superiore del pollice destro vicino all’unghia …dal mio dito destro dovevano cadere tre gocce di sangue dentro un piatto, quindi ...omissis... prese un santino di S. Michele Arcangelo, lo bruciò parzialmente e mise la cenere sulla ferita in modo tale che essa guarisse…». Ciccio Pesce dimostrava di nutrire profonda stima e fiducia nelle capacità del geometra Luca. L’inserimento da parte di Pesce del nome del “Geometra Luca” nella lista di cui al “pizzino”, con l’indicazione “Santino”, pertanto, dimostra la volontà del boss detenuto di inserire nell’organigramma della cosca il geometra. E che Berrica fosse «un uomo a disposizione della cosca Pesce» secondo i magistrati veniva confermato il 19.10.2011, quando alcuni militari effettuavano una perquisizione nell’abitazione del latitante Pesce finalizzata al suo arresto. Dopo l’ingresso dei carabinieri veniva convocato proprio Berrica il quale prontamente si sarebbe presentato per perorare la causa dei Pesce fornendo, addirittura, la planimetria dell’immobile perquisito. mi.al. Il pizzino scritto in carcere da Pesce e intercettato Nelle scritture di “Cicciu u testuni” i conti del gruppo criminale e gli stipendi degli affiliati Tra gli appunti i negozi sotto torchio I ritagli sequestrati all’esame di esperti per decifrarne i contenuti occulti ROSARNO - Secondo i magistrati il sequestro del pizzino aveva, pertanto, scatenato una reazione a catena che andava ben oltre la posizione processuale del singolo detenuto Francesco Pesce, investendo gli equilibri criminali dell’intera famiglia mafiosa. Il clima di tensione creato all’interno del carcere era talmente palpabile per gli operatori penitenziari, che veniva avanzata richiesta di trasferimento per tutti i sodali della cosca Pesce. «…Io quando una cosa me la scrivo è quella (…) con certezza…». Ciccio Pesce aveva l’abitudine maniacale di annotarsi tutto, con particolare riguardo alle somme di denaro che provenivano dalle estorsioni: la corretta tenuta delle scritture contabili gli consentiva di monitorare lo stato dei conti della cosca e, al contempo, di poter contestare un mancato pagamento “con certezza” aveva ribadito. Scriveva e annotava il giovane boss ed era certo che quanto scritto o appuntato corrispondeva alla verità. Già nel 2007 i carabinieri accertarono che il giovane boss usava mettere su carta tutte le entrate e le uscite mensili del gruppo criminale da lui diretto. Nel corso di una perquisizione effettuata il 21 settembre del 2007 a casa della nonna Maria Grazia Messina, dove lui abitava prima di sposarsi, i militari dell’Arma acquisivano del carteggio – per lo più manoscritto – Una fase dell’operazione condotta dai carabinieri a Rosarno e, a destra, Ciccio Pesce detto “u testuni” contenente sigle, cifre e nominativi che riscontravano molti punti del pizzino sequestrato in carcere. L’agenda 2007 di Pesce che ad un primo sguardo poteva sembrare una confusionaria accozzaglia di dati, forniva pieno riscontro dell’esatta identificazione di ben nove dei soggetti inseriti all’interno del pizzino: Muzzupappa Francescantonio, Alviano Giuseppe, Tocco Francesco Antonio, Marafioti Saverio, D’Amico Danilo, Delmiro Biagio, Berrica Giovanni Luca , Fortugno Domenico e Pesce Giuseppe. Il carteggio sequestrato a casa di Pesce Francesco conteneva una serie di nomi, date, numeri e somme di denaro, relativi a: numerosi esercizi commerciali del circondario di Rosarno presumibili parti offese del reato di estorsione, attività di riciclaggio in favore della cosca, appuntamenti con i sodali, contabilità delle imprese riconducibili alla cosca e persino gli stipendi pagati agli affiliati. Dati, cifre, spesso riportati in codice sulle quali sono in corso altre indagini che puntano a fare chiarezza sugli esercenti sottoposti ad estorsione. Anche durante la latitanza, Ciccio Pesce portava sempre con sé tutta la documentazione necessa- ria per dirigere le complesse articolazioni del suo gruppo criminale. Infatti, pochi istanti prima che i militari dell’Arma irrompessero all’interno del bunker all’interno della ditta intestata a Pronesti la sera del 9 agosto 2011 all’interno del quale si nascondeva, “Cicciu u Testuni” dava fuoco ad un quantitativo notevole di appunti, il cui contenuto, evidentemente, doveva restare segreto. Ma qualcosa, piccoli ritagli, si è riuscito a salvare ugualmente ed ora sono all’esame di esperti investigatori per decifrarne i contenuti occulti. mi.al. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Piana Sabato 11 febbraio 2012 Sabato 11 febbraio 2012 Il film girato in Calabria sarà proiettato oggi e il 14 febbraio nel festival tedesco “Aspromonte” punta alla Berlinale Con Franco Neri e le musiche di Peppe Voltarelli, la pellicola di Krissane si mette in vetrina nel consueto spazio European film market di ANTONIETTA CATANESE IL film “Aspromonte” sbarca a Berlino: Obiettivo: promozione. Girato in Calabria, ed anche nel Comasco, la pellicola di Hedy Krissane sarà alla Berlinale. Oggi e il 14 febbraio verrà, infatti, proiettata l'anteprima all'Efm, European Film Market, appuntamento del festival dedicato al business internazionale dell'audiovisivo. Il 14 febbraio, a seguire la proiezione, è prevista anche la conferenza stampa di presentazione con il regista Hedy Krissane, l'attore protagonista Franco Neri, il producer per Publiglobe Luca Perna e Carlo Ferrucci del Corpo Forestale dello Stato. Si tratta infatti di un film sposato dal Gal Batir (Gruppo di Azione Locale Basso Tirreno), sostenuto dalla Fondazione Calabria Film Commission e realizzato con la collaborazione del Corpo Forestale dello Stato. Si è girato in location suggestive come Reggio Calabria, Scilla, Bova, Pentedattilo, il film “Aspromonte”. Un lavoro “on the road”, così nelle intenzioni del regista, caratterizzato dai set allestiti in ogni anfratto dei monti reggini e della provincia: a Riace, a Gambarie d'Aspromonte, Gerace, Canolo e Montalto, per citarne alcuni. Anzi, il 29 settembre scorso a Gerace si era tenuto un vero e proprio evento: l'intera piazza della cittadina si era infatti trasformata in set, con un concerto dal vivo dei Quartaumentata e la partecipazione di tutta la cittadinanza alle riprese. L'obiettivo dichiarato del progetto cinematografico, anche secondo la Fondazione Calabria Film Commission è quello di valorizzare il territorio, la cultura, le risorse professionali calabresi. Questa opera prima di Krissane, con Franco Neri e Pier Maria Cecchini protagonisti, ha ottenuto il sostegno della Fondazione proprio perché rispondeva a queste caratteristiche. Le musiche, poi, firmate dalcantautore Peppe Voltarelli sono una ennesima conferma della scelta di puntare su artisti calabresi, ma di levatura nazionale e internazionale, dunque sulle eccellenze. Un film che ha lanciato anche un forte messaggio: prova ne siano le riprese nel Santuario di Polsi. Scelto, secondo quanto dichiarato dal responsabile location della Fondazione Calabria film commission Geria, come location non solo perché si tratta di un set naturale, come il resto del nostro territorio, ma per lanciare un messaggio forte: questi luoghi non sono della 'ndrangheta, ma nostri, della gente, di chi ogni anno si reca qui con fede. E “Aspromonte on the road” richiama alla mente “Basilica coast to coast”. Lo stesso Michele Geria della Fondazione Calabria Film Commission aveva sottolineato che questo film «vuole essere proprio un volano di promozione turistica. Non per niente la Fondazione ha avviato rapporti Significative le location al Santuario di Polsi con le Film Commission della Puglia, della Toscana e della Campania. Per passare a sinergie concrete con produzioni interregionali». La commedia ha le carte in regola per imporsi all'attenzione dei filmmaker: gioca infatti sull’equivoco, sui pregiudizi e gli stereotipi che la gente del Nord ha nei confronti del Sud e dei suoi abitanti, ed in particolare nei confronti dell´Aspromonte, zona turisticamente sconosciuta ma nota per essere stata teatro di tristi fatti di cronaca. Oltre agli attori protagonisti, Franco Neri, Pier Maria Cecchini e Maria Pia Calzone, il film coinvolge diverse personalità del territorio. Sopra l’attrice Maria Pia Calzone e il regista Hedy Krissane in due delle location calabresi del film “Aspromonte”, che oggi sarà proiettato al festival del cinema di Berlino Carlei torna negli Usa con “Romeo e Giulietta” Watts sarà Lady Diana, Redford scippa Di Caprio di GIORGIO GOSETTI ll regista lametino Carlei BERLINO –Gli operatori economici ci speravano, gli organizzatori lo avevano promesso sia pure con debiti scongiuri: a poche ore dal tappeto rosso della serata iniziale il 62/o Festival di Berlino segna un nuovo punto a favore grazie alla frenesia operosa dei partecipanti al mercato parallelo alla rassegna (European Film Market). E naturalmente fanno quasi più notizia i progetti firmati o rivelati delle trattative sui film in passerella in questi giorni. Ecco il primo, che riguarda l’Italia. La nuova compagnia di distribuzione internazionale (Speranza 13) di Carmela Galano, ex presidente di New line, annuncia il ritorno del regista lametino Carlo Carlei (“La corsa di un innocente”), che dirigerà una nuova versione di “Romeo e Giulietta”, ancora negli Usa, con lo sceneggiatore Julien Fellowes. Poi i rumors internazionali. Sarà la giovane star americana Naomi Watts a impersonare la principessa Diana, nel film “Caught in flight”, scritto da Stephane Jeffreys. A dirigere questa biografia a cavallo tra immagine pubblica e privata, è il tedesco Oliver Hirschbiegel assoldato per l'occasione da produttori anglo-americani. Ancora, dopo mesi di trattative e indiscrezioni è con- fermato il ritorno sul set, da protagonista assoluto, di Robert Redford. Sarà l’unico attore del nuovo film del regista-rivelazione dell’anno, J.C. Chandor, “Tutto è perduto”, un’esilarante tragicommedia sulle avventure di un uomo solo disperso in mare. Sembra che all’inizio Chandor avesse immaginato Leonardo di Caprio nel ruolo del protagonista ma è sicuro per Redford si tratterà di un’autentica sfida contro il tempo e l’età. Ritorna poid’attualità, per l'ennesima volta, la fiaba de “La bella e la bestia”. La nuova versione, diretta da Christophe Gans vedrà Vincent Cassel nel ruolo della Bestia e Lea Seydoux in quelli di Belle. CURIOSITÀ MUSICA INDIPENDENTE Cris, star del talent latino gira videoclip a Cosenza Il reggino Eugenio Ripepi al Mei Nel giorno di San Valentino parteciperà a un contest di brani sull’amor e COSENZA - Nei giorni visiva. Venezuelano di nascorsi è stato girato a Co- scita ma cosmopolita (parsenza un videoclip del mu- la 5 lingue), Cris dopo un sicista venezuelano Jerry breve periodo trascorso in Gabriel Vale de Los Rios, in Italia ora è in Spagna. A arte Cris. Il brano, dal titolo breve il video girerà nelle principali ra“De Vez En dio e televisioCuando” (in ni sudameriitaliano “Ogni cane e in Eurotanto”) è una pa. E’ stato gicanzone d'arato grazie al more molto contributo di melodica, e Moris Orsold l'artista ha riproduzione, cevuto l'apcon la modella poggio del noVanessa Apoto produttore lito, mentre la Jasmil Marufotografia è a fo. Testi e arCris e Vanessa nel video cura di Amerangiamenti deo Greco e il sono composti interamente dal cantante, coordinamento e la promoche proviene dal talent su- zione di Andrea Cantelmi. damericano “Estrellas de Cris ha commentato: «Sola musica”e spaziadal can- no innamorato dell'Italia, e to alla chitarra, dal piano- il mio prossimo singolo saforte alla conduzione tele- rà in lingua italiana». REGGIO C. - Lo avevamo incontrato l'anno scorso in occasione del lancio del suo ultimo lavoro, “La buccia del buio”. Eugenio Ripepi, cantautore nato a Reggio ma imperiese d'adozione, continua a mettersi in evidenza. Sarà infatti ospite a Sanremo del Meeting degli indipendenti (Mei) per la presentazione del World music Word. Il 14 febbraio, nella Casa Sanremo (Sala Ranuncolo del Palafiori) sarà infatti tra i protagonisti del primo social working musicale. L'artista e gli altri ospiti si esibiranno con un brano del loro repertorio sul tema dell'amore: verrà premiata la canzone indipendente più votata nel contest promosso sulla pagina Facebook ufficiale del Mei. Eugenio, nato a Reggio nel 1979, cresce in terra calabrese fino all'età di 18 anni. “La buccia del buio”, registrato all'Ithil World di Fabrizio Noè ad Imperia (insieme al fonico Giovanni Nebbia) aveva visto la partecipazione di diversi arrangiatori di prestigio: Valter Ferrandi, Corrado Trabuio, Matteo Eugenio Ripepi Dolla (Bluvertigo, Lacuna Coil, Giorgia) e Claudio Lugo. Eugenio, come su queste colonne ci raccontava, a 18 anni decideva di lasciare la sua città, dopo essersi formato in ambienti come quelli del Rhegium Julii, tra poesia, letteratura e musica. A Venezia avrebbe infine abbracciato la sua prima chitarra. I cinque anni successivi in Laguna avrebbero segnato l'inizio della sua carriera artistica come attore di prosa. Ripepi è regista di diversi allestimenti e direttore artistico di stagioni di spettacoli. Leesperienze di palcoscenico si contaminano con il cinema. Ha inoltre pubblicato due libri di componimenti poetici (“La luce scalza” nel 2002 e “Eredi del punto su tele di carne” nel 2004). Sono in attesa di pubblicazione un terzo volume di poesie ed i suoi studi accademici sul cantautore Piero Ciampi e sul Teatro-Canzone. Tra gli ultimi riconoscimenti c’è la menzione speciale al concorso letterario inediTo 2011 nella sezione testo canzone all’ultimo salone del libro di Torino. Il sogno di Eugenio ancora nel cassetto? «Il desiderio più grande - ci raccontava poco tempo fa - è esibirmi nella mia città, e nel nostro teatro, il Cilea». ant. cat. E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro 52 Spettacoli e televisione 21 Sabato 11 febbraio 2012 REDAZIONE: via Rossini, 2 - 87040 Castrolibero (CS) - Tel. (0984) 852828 - Fax (0984) 853893 - E-mail: [email protected] Cassano L’Intervento Il sindaco si dimette sceglie la Regione Sull’Unical bisogna essere più prudenti San Marco Argentano Sigilli all’ambulatorio dell’ospedale a pagina 31 L’ospedale di S. Marco a pagina 35 Gianluca Gallo I legali: «La normativa in materia è complessa, ma i nostri clienti sono innocenti» Confidi, tutti in libertà Vecchione e Carotenuto ai domiciliari, per Falanga solo la firma IL Tribunale del riesame ha revocato gli arresti domiciliari al commercialista Giovanni Falanga, arrestato la settimana scorsa insieme al consigliere provinciale Giuseppe Carotenuto e Gianfranco Vecchione, accusati di associazione a delinquere, truffa e peculato. L’indagato difeso gli avvocati Carlo Salvo del foro di Castrovillari e Franco Vincenzo Locco del foro di Cosenza ha ottenuto dal tribunale la misura cautelare meno afflittiva dell'obbligo di dimora. Il sede di interrogatorio di garanzia il commercilista avava giù pottenuto dal giudice per le indagini prleiminari il beneficio di potersi recare al lavoro, nel suo studio commerciale, ogni giorno dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 20. Con provvedimento depositato sempre in data odierna il Tribunale del riesame di Catanzaro, in accoglimento della richiesta difensiva, ha revocato la misura custodiale applicata dal Gip disponendo l’applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di Gianfranco Vecchione e di Pino Carotenuto, che nel primo pomeriggio di ieri hanno lasciato liberi il carcere di Cosenza. Naturalmente grande soddisfazione per i provvedimenti è stata espressa dal collegio difensivo composto dagli avvocati Franco Locco, Emiliano Iaquinta e Carlo Salvo. «Prendiamo atto con moderata soddisfazione della decisione del Tribunale di Catanzaro - si legge in una nota dei legali - che, pur decidendo in pochissimi giorni su di un voluminoso fascicolo d’indagine accresciuto di nuovi elementi di prova in sede di discussione prodotti dal P.M. , ha saputo mantenere una linea di equilibrio e di garanzia. Per conoscere gli esatti termini del ragionamento seguito occorrerà leggere attentamente il dispositivo e, soprattutto, le motivazioni; certamente i fatti saranno stati considerati ridimensionati e le condotte saranno state riviste». «Rimane il fatto - continua la nota - che il Tribunale, pur alla presenza di un quadro probatorio che era peggiorato a carico degli indagati , ha ritenuto di adottare una misura custodiale meno grave , nonostante che il P.M. in udienza avesse concluso per la conferma della misura che, a questo punto, poteva e doveva essere adottata sin dall’inizio in quanto il quadro indiziario sussistente al momento della decisione del Gip di Cosenza era meno grave e meno solido. Gli indagati si protestano innocenti e confidano che, una lettura serena , imparziale e non frettolosa delle carte e della complessa normativa in materia, dimostrerà l’inconsistenza delle accuse a loro carico». Per il pm le misure erano da confermare La conferenza stampa degli inquirenti Maltempo La nuova Piazza Bilotti La neve imbianca la città Il progetto della discordia ARRIVA la neve in città. Cosenza si sveglia imbiancata ma senza grossi disagi. Le strade, infatti, sono percorribili fin dalle prime ore del mattino. Il sindaco, per precauzione, ordina la chiusura delle scuole per ieri e oggi. IL PROGETTO della nuova piazza Bilotti continua a far discutere. L’opposizione dà ragione a Caruso: «Il Comune ha fatto solo piccole modifiche». Per l’architetto Palazzo dei Bruzi ha solo leggermente cambiato l’idea originaria a pag. 22 a pag. 23 UDIENZA DAVANTI AL GUP Truffa alla 104, il pm ribadisce il rinvio a giudizio Professori accusati di aver raggirato l’ufficio scolastico per ottenere assegnazioni vicino a casa SONO ventiquattro le persone, tutte gravitanti nel mondo della scuola, accusate dalla Procura di Cosenza di falso ideologico. Ieri davanti al gup Livio Cristofaro la requisitoria del pm che ha confermato le accuse, il procuratore aggiunto Domenico Airoma ha ribadito nell’udienza davanti al gup la richiesta di rinvio a giudizio per i professori accusati di aver beneficiato della legge 104 senza averne i requisiti richiesti. A detta dell’accusa avrebbero dichiarato il falso pur di salire in graduatoria e ottenere l’assegnazione di incarichi vicino al luogo di residenza per assistere in modo “costante e assiduo” genitori, nonni e nipoti con problemi di invalidità. In realtà, almeno così è risultato dalle indagini, questi ultimi erano già accuditi da altri congiunti, in alcuni casi pure da badanti; alcuni di essi, poi, sono risultati residenti da tutt’altra parte, certi anche in case di riposo. Da qui, lo scorso giugno, la chiusura delle indagini preliminari, con venticinque persone sotto accusa, alla quale in questi giorni ha fatto seguito la richiesta di rinvio a giudizio per i ventiquattro indiziati (uno in meno, dunque), che rispondono ai nomi di Maria Bisceglia, 56 di Rende, Giuseppina Caputo, 55 di Rende, Orietta Cosentino, 42 di Rende, Pasquale Cozza, 52 di Rende, Selene Giannuzzi, 42 di Rende, Luigi Gaudio, 59 di Fagnano Castello, Rosaria Ginese,43di Acri,AdeleGranato,52 di Cosenza, Rosa Alba Rita Guarascio, 54 di Pedace, Emanuela Anto- nella Lucirino, 32 di Cosenza, Maria Mancuso, 51 di Montalto, Rosanna Mannarino, 57 di Castrolibero, Olimpia Marini, 54 di Santo Stefano di Rogliano, Franca Luisa Marrelli, 56 di Montalto, Maria Francesca Massaro, 45 anni di Castrolibero, Gennaro Migliano, 55 di Rende, Francesco Giovanni Naccarato, 55 di Cosenza, Rita Paoli, 60 di Rende, Silvana Scicchitano, 60, originaria di Crotone con residenza a Rende, Luigi Serpa,46 anni diCosenza, Giuseppina Surace, 50, originaria di Reggio Calabria con residenza a Rende, Vittoria Amedeo, 53, originaria di Messina con residenza a Cosenza, Giuseppina Branda, 46 di Cosenza, ed Emanuela Ominelli, 37 di Castrolibero. Secondo il procuratore Gra- nieri e l’aggiunto Airoma in tutti e ventiquattro i casi presi in esame non sussiste “il presupposto della effettività dell’assistenza”. Proprio sui presupposti di effettività dell’assistenza e sulla continuità sono intervenuti ieri davanti al gup alcuni degli avvocati del collegio difensivo che hanno portato ad esempio alcune sentenze del Consiglio di Stato e hanno sottolineato come negli ultimi anni siano cambiati i contorni della legge 104. I ventiquattro sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Maurizio Nucci, Francesco Costabile, Concetta Coscarella, Giustino Mauro, Pietro Perugini, Innocenzo Palazzo, Nicola Carratelli e Ornella Nucci. La prossima udienza si terrà il 26 marzo. tiz. a. LA Segreteria Uil ritiene che la notizia sull’allargamento delle indagini ad «altre Facoltà» dell’Università della Calabria, in relazione alla regolarità di alcuni esami, sia stata riportata dalla stampa locale con troppa evidenza. Il Quotidiano della Calabria ne ha fatto il titolo di apertura nell’edizione del 9 gennaio scorso. Si tratta di un’indagine lunga e difficile, che non ha ancora individuato responsabilità precise e, comunque, i casi sotto osservazione, sempre da fonti giornalistiche, sono circoscritti. Oggi, la decisione della Procura di fare altre verifiche ha “guadagnato” gli onori della prima pagina. Fermo restando il diritto di cronaca, l’iniziativa giornalistica, più che i contenuti, sembra ricercare lo scoop, tralasciando tutte le implicazioni negative che possono generarsi ad una lettura dell’articolo, priva delle necessarie contestualizzazioni. L’Università della Calabria, benché operante in un contesto evidentemente sfavorevole, sia per ragioni socio-economiche legate a un territorio povero sotto tutti gli aspetti, sia per tutte le difficoltà finanziarie proprie, dovute ai tagli ministeriali, ogni giorno combatte le propria battaglia per proseguire la missione, originariamente assegnatale dalla legge istitutiva. Nei quaranta anni di vita dell’ateneo, il tempo non è trascorso invano. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: grande attrattività (34.000 studenti); carattere internazionale per la presenza di numerose compagine studentesche straniere; attività di ricerca di qualità, atteso che la partecipazione ai bandi Ministeriali destinati al finanziamento per lo sviluppo della Ricerca e per la competitività delle imprese ha premiato, in modo consistente, i progetti presentati dai nostri ricercatori; grande impegno ad impedire che il nostro capitale umano possa essere costretto ad abbandonare questi territori, attraverso il sostegno delle iniziative imprenditoriali dei giovani ricercatori (spin-off e start-up); garanzia del diritto allo studio, attraverso l’erogazione di tutte le risorse disponibili e di strutture ricettive sempre più di qualità; grandi opportunità di lavoro per tutto il sistema indotto, che garantisce sostegno e reddito a tante famiglie,eccetera. Questirisultati sono anche frutto del grande impegno del personale tecnico amministrativo, dei ricercatori e dei docenti, che oggi, di fronte alla notizia da cui trae spunto questa riflessione, manifestano il tutto il loro disagio. Impegno, partecipazione, grancontinua a pag. 26 E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro Cosenza Poste Italiane SpA - Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art. 1, comma 1, DR/CBPA-SUD/CS/56/2006 valida dal 06/04/2006 sabato 11 febbraio 2012 anno VII numero 41 € 1,00 direttore piero sansonetti WHY NOT «Saladino al vertice dell’associazione» Le motivazioni della Corte d’Appello CATANZARO La Corte di appello di Catanzaro nel motivare la sentenza sul processo “Why Not” relativa a presunti illeciti nella gestione dei finanziamenti pubblici spiega come si è arrivati a condannare Saladino anche per il reato di associazione a delinquere a 3 anni e 10 mesi. quotidiano d’informazione regionale pd D’Attorre indica la strada Rinviata l’assemblea dei circoli del Pd a causa del maltempo. Il commissario D’Attorre, alla presenza del coordinatore nazionale Maurizio Migliavacca, ha incontrato gruppo regionale, amministratori e parlamentari. > pagina 8 > pagina 3 Atene brucia Cinque ministri si dimettono > pagina 9 Preso “u Colonnello” Viveva in un bunker Il boss Rocco Aquino era nella sua casa di Marina di Gioiosa ATENE Guerriglia in strada e implosione nel governo: Atene è in ginocchio nel primo dei due giorni di sciopero generale proclamato dai sindacati. contro la nuova austerità. Lo scontro sul piano dei tagli ha provocato una raffica di dimissioni nel governo di Lucas Papademos che ora è in affanno. > pagina 8 “Vento del Nord” Le richieste del pm REGGIO CALABRIA «Confermare la sentenza di primo grado per tutti gli imputati». Non ammette sconti la requisitoria del sostituto procuratore generale Santo Melidona. Nel corso del suo intervento il magistrato ha chiesto la conferma di tutto l’impianto accusatorio per gli imputati del processo “Vento del Nord”. Troppi parti cesarei I Nas nelle cliniche > pagina 2 Malasanità, Scopelliti: dati in calo, fare meglio MARINA DI GIOIOSA (RC) Come tutti i boss latitanti del suo spessore non aveva abbandonato il territorio su cui esercita il predominio, anche per poter continuare a gestire direttamente, ed in loco, gli affari della cosca. Per questo Rocco Aquino, 52 anni, detto il “colonnello”, ritenuto il capo indiscusso dell'omonima cosca che ha la sua base a Marina di Gioiosa Ionica, aveva deciso di starsene a casa. Il nascondiglio, però, non è sfuggito ai carabinieri che dopo oltre un anno di indagini hanno individuato e arrestato Aquino, il cui nome era inserito nell'elenco dei 100 latitanti di massima pericolosità. Non è stato facile per lo squadrone cacciatori, riuscire ad individuare il nascondiglio dove Aquino, probabilmente, si nascondeva dal luglio 2010, quando si rese latitante sfuggendo alla cattura nell'ambito dell'operazione Crimine. > pagine 6 e 7 REGGIO Bilancio comunale 2011 Demi Arena: è in attivo > pagina 11 > pagina 10 maltempo Mezza Calabria sotto la neve > pagina 4 LUNA ROSSA di Pasquino Resa La Camera dei deputati ha approvato il decreto, subito battezzato, per terrorizzare l'opinione pubblica, come decreto svuota carceri. Per Di Pietro, al quale dovrebbero essere dati almeno dieci anni di carcere duro per offesa al sentimento di conoscenza comune lingua italiana, è qualcosa di peggio.E’ la “resa incondizionata dello Stato ai criminali”. Sarebbe così se Di Pietro sapesse che cosa significhi “resa incondizionata”. dal POLLINO alloSTRETTO calabria ora SABATO 11 febbraio 2012 PAGINA 5 La stampa nazionale Ieri tutti i principali quotidiani hanno parlato della vicenda di Maria Concetta Cacciola. L’Unità ha dedicato l’apertura del giornale a questa triste storia. Storie di donne che denunciano, si ribellano e, talvolta, vengono uccise o non reggono. Come Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola E l’Italia scoprì le donne antimafia La vicenda di Maria Concetta Cacciola ripresa da tutti i quotidiani nazionali REGGIO CALABRIA In principio fu il silenzio. Adesso il clamore. Se il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, voleva una conferma sul fatto che quel “cono d’ombra” sulla ’ndrangheta fosse stato ampiamente squarciato, la vicenda degli arresti dei familiari di Maria Concetta Cacciola, ne ha dato ampia testimonianza. Come e più di altre indagini anche di maggiore portata. Sono stati tantissimi, infatti, i media nazionali che hanno dato risalto all’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Palmi, coordinata da Giuseppe Creazzo. L’arresto degli aguzzini della Cacciola, indotta a suicidarsi a seguito di continui e ripetuti maltrattamenti, ha fatto in poche ore il giro d’Italia. E se internet oramai consente di acquisire informazioni precise ed estratti di provvedimenti giudiziari (spesso – e senza capire come sia possibile – ancor prima delle usuali conferenze stampa) ciò che più ha impressionato nella mattinata di ieri è stato leggere le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali che hanno quasi tutti richiamato la notizia rimbalzata da Reggio Calabria. L’Unità, addirittura, con un ampio servizio a firma del collega Gianluca Ursini, ci ha fatto la copertina. Trattandosi di una testata quasi sempre attenta alle tematiche politiche più che a quelle di cronaca spicciola, si comprende come le vicende concernenti le “donne di ’ndrangheta” stiano diventando sempre più centrali nel pa- norama dell’informazione nazionale. A fare da apripista a questo fenomeno è stata la tristissima storia di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia scomparsa nella notte tra il 24 ed il 25 novembre 2009. Lea aveva deciso di saltare il fossato e dire tutto ciò che sapeva. Lei che era moglie di Carlo Cosco, esponente di spicco della ’ndrangheta, si era ribellata. Così aveva vuotato il sacco, fatto nomi e cognomi, descritto fatti e circostanze. Ed erano arrivati gli arresti. Ma la ’ndrangheta non dimentica guardia di finanza Truffe, 4383 persone denunciate nel 2011 Nel corso del 2011 la Guardia di finanza ha denunciato in Calabria 4.383 persone responsabili di truffe ai danni dell’Unione europea, dello Stato e della Regione Calabria, recuperando risorse per oltre 83 milioni di euro. È quanto riferisce il Comando regionale facendo un resoconto dell’attività svolta lo scorso anno. Nel contrasto alle truffe perpetrate in materia di finanziamenti comunitari, sono stati denunciate 231 persone che avevano illecitamente richiesto aiuti comunitari per oltre 68 milioni di euro, 20 dei quali sono stati bloccati prima della loro erogazione. Nel settore delle truffe in materia di finanziamenti nazionali sono state denunciate 4.152 persone che avevano richiesto finanziamenti per circa 24 milioni di euro. Di questi, circa tre milioni sono stati bloccati prima della loro erogazione. e soprattutto non perdona. Lea doveva pagare per aver disonorato la sua famiglia. Lo ha fatto nel modo più cruento per mano del marito. Cosco ha deciso che di quella donna non doveva più rimanere traccia e così l’ha sciolta nell’acido, quasi a voler intendere una cancellazione anche materiale della donna che lo aveva “tradito”. Dalla furia della malapianta, è chiaro, non si scappa. E se non uccide induce ad uccidersi. Maria Concetta Cacciola ha scelto di morire usando anche lei l’aci- do muriatico. Un rituale che ritorna. Lo Stato non è riuscito a proteggerla dalle malversazioni cui era sistematicamente sottoposta, nonostante dalle intercettazioni emergesse la gravità della situazione che la donna stava vivendo. L’amore verso i figli ha avuto il sopravvento e Maria Concetta ha detto basta. Indotta da continui maltrattamenti fisici, certo, ma soprattutto psicologici. Anche lei aveva tradito. È stata costretta a ritrattare, così dicono le indagini. Ma ciò che nessuna inchiesta po- Migliorano le condizioni del giovano ferito a Sinopoli PALMI (RC) Migliorano le condizioni del giovane Francesco Lupoi, il venticinquenne di Sinopoli colpito nella mattinata di giovedì da due colpi di arma da fuoco davanti al bar nel quale presta servizio assieme al fratello. Il ragazzo era stato trasportato in ospedale subito dopo l’agguato da alcuni familiari, che dopo averlo raccolto da terra lo hanno caricato in macchina lanciandosi di corsa verso gli ospedali Riuniti di Reggio Calabria, dove Lupoi è stato immediatamente sottoposto ad intervento chirurgico per l’asportazione dei due proiettili che lo avevano colpito alla gamba e al basso ventre. Il barista è attualmente in prognosi riservata ma non è in pericolo di vita. Proseguono intanto le indagini dei carabinieri della compagnia di trà mai dire è che le donne di ’ndrangheta che hanno la forza di dire basta, molto spesso non possiedono quella di continuare da sole in quel cammino di “redenzione” e libertà. Ecco perché se Lea e Cetta sono oggi l’emblema del volto rosa che si ribella dall’interno al crimine, divengono anche l’emblema più spietato di uno Stato che ha ancora tanta strada da fare sul fronte delle garanzie nei confronti di chi si getta più o meno disperatamente tra le sue “braccia”. Consolato Minniti sparatoria. Tra qualche giorno, quando cioè le condizioni dell’aggredito lo consentiranno, verrà ascoltato lo stesso Lupoi che poVilla San Giovanni guidati dal ca- trebbe fornire agli inquirenti inpitano Occhiogrosso che, avvisati formazioni utili sul movente e suldai medici del pronto soccorso so- la dinamica dell’aggressione. Un’aggressione che nelle ricono accorsi sul luogo dell’agguato assieme agli esperti della scienti- struzioni della prima ora appare fica che hanno rinvenuto i tre bos- molto simile ad un agguato in piesoli calibro 7,65 (un calibro picco- no stile mafioso, visto che l’aglo ma che ultimamente viene uti- gressore ha colpito il suo bersaglio lizzato sempre più spesso negli in pieno giorno (tra le 10 e le 11 del mattino) e a episodi di sangue in due passi dalla questo pezzo di CaInterrogati chiesa principalabria) esplosi dalfamiliari e amici le del piccolo l’aggressore. centro asproLupoi risulta indel 25enne montano, incucensurato e sembreLupoi risulta rebbe slegato dal rante delle perincensurato mondo del crimine sone che a quelorganizzato presenl’ora affollavano te in città, anche se nessuna pista la piazza. L’indagine rimane nelle viene per ora esclusa dagli inqui- mani del procuratore capo di Palrenti che stanno interrogando, per mi, Francesco Creazzo e il suo soora senza riscontri, familiari e stituto Antonio D’Amato. amici della giovane vittima della vimp 6 SABATO 11 febbraio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O ora S T R E T T O lotta alla ’ndrangheta IN TRAPPOLA Sopra, il boss Rocco Aquino. A destra, i carabinieri dello squadrone cacciatori schierati nei pressi della villetta Preso il boss Rocco Aquino Latitante da due anni, spingeva il rosone sul soffitto e si infilava nel bunker cercati più pericolosi, è stato catturato. Lo hanno preso al Una scala in alluminio, termine di un’operazione che una spintarella al rosone ag- ha visto oltre cinquanta uoganciato al soffitto ed ecco il mini in divisa dispiegati nelrifugio del superlatitante la periferia di Marina di GioRocco Aquino, il padrino di iosa, in via Primo Tronco, per Marina di Gioiosa sfuggito al circondare una villetta in cima alla saliblitz “Crimita. Dopo aver ne”. Il boss, Sentendosi fatto irruzio52 anni, si in trappola ha ne nell’abitanascondeva urlato: «Sono io zione, una in un minucostruzione scolo anfratRocco Aquino. in cemento to ricavato Complimenti» nascosta dai nel sottotetto rami degli aldi casa, dove si era portato anche un cusci- beri, i carabinieri dello Squano per poggiare la testa. Ap- drone cacciatori si sono acpena sentiva puzza di sbirri, quartierati lungo il corridoio, se ne stava nel suo covo se- tra il bagno e la camera da greto. Ore e ore accovaccia- letto. Qui hanno iniziato a to. Nel pomeriggio di ieri, do- picchiettare il solaio. Quanpo quasi due anni di latitan- do il padrino si è sentito in za, “il colonnello”, il fuggia- trappola, è uscito allo scopersco inserito dal ministero del- to urlando:«Sono io, Rocco l’Interno nella lista dei 100 ri- Aquino. Complimenti» ha MARINA DI GIOIOSA J. (RC) poi sorriso ai militari. Il capomafia è stato subito accompagnato nel carcere di Reggio Calabria. Per la Procura distrettuale, è un mammasantissima della Cupola calabra. Il suo arresto, in serata, è stato commentato dal magistrato Nicola Gratteri: «È uno ’ndranghetista di primo piano. La sua cattura insegna a non mitizzare l’invincibilità di questi uomini», ha detto il procuratore aggiunto della Dda. Il boss era ricercato dal luglio 2010, quando scatta il blitz denominato “Crimine”. Gli agenti, quel giorno, si presentarono in via Primo Tronco per ammanettarlo, ma non lo trovarono. I dialoghi captati lo avevano indicato come un capo, ma lui era sfuggito all’arresto. Anche l’intercettato Giu- seppe Commisso, l’autorevo- avevano fatto irruzione nelle le padrino di Siderno, si ri- case dei suoi fedelissimi. In volgeva spesso a lui: «Ne par- quattro abitazioni hanno rinlo con Rocco e si decide in- venuto dei bunker abilmente sieme», rispose una volta a occultati. Nascondigli, all’inun tipo che era andato a far- terno dei quali sono stati segli visita. Rocco Aquino, bat- questrati cinque computer, tezzato boss di rango, con- ricevute relative a vincite trollava Ma(Lotto e Surina di Gioioperenalotto) Era nell’elenco e alcune letsa, un tempo dei cento feudo dei tere. Il naricercati Mazzaferro, scondiglio ed era il pascovato ieri più pericolosi tron della non è un rifudel Paese squadra di gio high tech, calcio. Il suo supertecnopotere, però, si è via via este- logico. Per accedere, basta inso. Documenti in mano agli filare una scala e spingere in investigatori lo raccontano dentro il rosone fissato al sofcome un narcotrafficante fitto. Una volta all’interno, ci omaggiato e riverito dai clan si trova in un buco lungo due di Reggio Calabria e dintorni. metri e alto poco meno. Tempo addietro, convinti di Niente soldi, né armi. Solo un prenderlo, i carabinieri sono cuscino. Il fuggiasco lo usava entrati nella sua villa con i come poggiatesta. Durante i martelli pneumatici. Prima ripetuti sopralluoghi degli in- quirenti, se ne stava disteso ad aspettare, protetto dai suoi familiari. Ieri, dopo la cattura, i carabinieri hanno perquisito la casa del capomafia. Due piani setacciati da cima a fondo dai militari dello Squadrone cacciatori. Nei confronti del clan di Marina di Gioiosa, lo scorso ottobre, è stato emesso un provvedimento di sequestro. Sono stati sottratti ville, terreni, una lussuosissima barca, auto fiammanti e quote societarie. Un tesoro nascosto nella disponibilità dei fratelli Giuseppe e Rocco Aquino. Giuseppe è ancora latitante. Come l’altro fratello, Domenico, e lo zio, Nicola Rocco. «Oramai sono entrati nel vero business, fanno parte della mafia d’elite» dicono gli investigatori. ILARIO FILIPPONE [email protected] lo squadrone cacciatori I “Falchi”, gli specialisti dei covi Ecco chi ha catturato il padrino COSENZA Uomini ombra? No, materia cangiante che appare e scompare. Non è la variazione cromatica a rendere visibili - o invisibili - i “Falchi”; non i colori delle divise che, multiformi, si adattano alle esigenze mimetiche dei contesti operativi più impensabili. Ma l’addestramento. E la preparazione tecnica che, negli ambienti degni delle migliori sceneggiature dei film d’azione, non ha eguali. Sono i migliori, i “Cacciatori di Calabria” quando di mezzo c’è il rischio. I migliori in assoluto. Non nasce oggi la notorietà del reparto d’élite dell’Arma. Non ieri. Ma neanche in un passato troppo remoto. È dal 1991 che sono pienamente operativi i ragazzi dello Squadrone eliportato Cacciatori, di stanza al Gruppo operativo Calabria con sede a Vibo Valentia. Ed è dal ’91 che alla loro perizia operativa s’affidano gli apparati dello Stato che intendono riappropriarsi del controllo di quelle aree della regione considerate inaccessibili. Furono istituiti allo scopo di battere palmo a palmo i boschi d’Aspromonte tra le cui fronde intrecciate a nodi strettissimi mai nessuno s’era inoltrato. E fu affidato loro un compito gravoso: stanare gli uomini che s’erano resi protagonisti di un delitto gravissimo: l’aver sottratto la libertà ai figli o ai nipoti o ai congiunti in genere di gente danarosa. Furono istituiti per contrastare i sequestri di persona. E il loro modello operativo, subito risultato efficace e spesso vincente, venne immediatamente replicato in Sardegna, dove imperversava quasi incontrastata l’Anonima sequestri che sotto la regia di Graziano Mesina nascondeva in Supramonte le vittime d’una violenza barbara di cui anche Fabrizio De Andrè fece le spese... Ben presto, però, la mission dei “Falchi” di Calabria venne trasformata in corsa, sulla scorta delle mutate esigenze di polizia giudiziaria che sempre si adattano alla tipologia di reato che bisogna contrastare. Tra i monti calabresi, prima, venivano cercati i covi dei sequestratori; tra i monti calabresi, poi, furono cercati i bunker degli ’ndranghetisti che avevano deciso di darsi alla macchia e diventare, appunto, classici uccel di bosco. Molti malavitosi - di altissimo spessore criminale - sono stati assicurati alla giustizia proprio grazie all’intervento determinate dei “Falchi” che hanno sviluppato tecniche raffinatissime di intervento, capaci di mandare fuori pista anche i più incalliti uomini del malaffare costretti a convivere quotidianamente con la paura. Agiscono “di iniziativa”, infatti, i Cacciatori calabresi al contrario di quelli sardi, che prevalentemente sono di “supporto” ai reparti territoriali. Interventi di iniziativa che hanno consentito di stringere le manette ai polsi ai principali capi delle ’ndrine reggine che in Aspromonte hanno trovato “accoglienza”. Quella di Rocco Aquino è l’ultima cattura in ordine di tempo, una tra le più importanti, ennesima conferma delle spiccate doti d’azione d’un gruppo operativo che all’Arma dei carabinieri le altre forze di polizia invidiano. PIER PAOLO CAMBARERI [email protected] 7 SABATO 11 febbraio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O ora S T R E T T O lotta alla ’ndrangheta Il “colonnello” nipote prediletto di zio Salvatore Si occupava tra le altre cose di mantenere i rapporti con i gruppi della Lombardia REGGIO CALABRIA Non ha mai tradito cluso in carcere per lungo tempo ed in regime la tradizione il boss Rocco Aquino. I carabinie- di 41 bis, ha deciso di designare i suoi nipoti ri del Ros lo hanno trovato all’interno di un bun- quali reggenti del clan. Rocco e Giuseppe hanker realizzato in casa sua nel suo territorio di no avuto quindi il compito di assumere tutte le Marina di Gioiosa Jonica. Lui, da capofamiglia decisioni più importanti concernenti le attività consumato, aveva deciso di non allontanarsi illecite della cosca. Questi, non avendo alcun tidalla sua terra d’origine. Del resto, la sua inve- po di condanna alle spalle o provvedimenti definitivi in materia di mafia, stitura a capo società era stata hanno potuto mettere su più volte confermata da diverEra sempre lui un’organizzazione capillare desi esponenti della ’ndrangheta che teneva dita alle “attività” di famiglia che gli riconoscevano un carispartendosi compiti e gestioni. sma decisamente elevato. Lo i contatti Sono uomini che conoscono le chiamano “il colonnello”, simcon la famiglia regole, gli Aquino. Sanno che il bolo di “alto grado”, ma anche Coluccio loro zio vuole essere informato di servizio. su tutto. Giuseppe e Rocco si Aquino, probabilmente, sapeva già in anticipo che gli uomini del Ros lo recano con regolarità in carcere e parlano, lo stavano cercando. Lo sapeva ben prima del 13 aggiornano e lo rassicurano: «Potete stare tranluglio 2010 quando fu data esecuzione all’ope- quillo che stiamo tutti bene in famiglia». In rerazione “Il Crimine”. Ed è proprio tra le pagine altà la famiglia, come evidenzia l’inchiesta, non di quel decreto di fermo che si scorge la figura è così unita, anzi vi sono delle spaccature sodi assoluto rilievo di un uomo di ’ndrangheta prattutto per quanto concerne l’attività di concome Rocco Aquino. È lui il nipote prediletto dizionamento politico. Il ruolo di Rocco Aquino emerge nel settore del vecchio boss Salvatore Aquino. Questi, re- LATITANZA FINITA Rocco Aquino al momento dell’arresto (foto Cufari) economico-imprenditoriale, in quello edile ed anche in quello turistico-alberghiero, con atti di concorrenza sleale, intestazione fittizia di beni. Su di lui ha indagato anche la Dda di Milano che ne ha delineato la centralità della figura nei rapporti con gli organismi operanti nella zona settentrionale dell’Italia, con specifico riferimento alla “Lombardia”. Rocco Aquino, come viene fuori dall’attività d’indagine delle forze dell’ordine è il braccio destro del “mastro” Giuseppe Commisso. È un uomo convinto di fare del bene, Rocco Aquino. Tanto che nel corso di un colloquio con lo zio Salvatore, non lesina parole d’elogio verso la sua famiglia: «Noi altri nel paese siamo ben voluti da tutti perché noi abbiamo fatto sempre del bene a tutti e brutte azioni non ne abbiamo fatto a nessuno». Sono tantissime le conversazioni intercetta- la “top ten” dei più pericolosi I nemici pubblici ancora in libertà 10 Con Messina Denaro tre calabresi: Condello, Giorgi e Varano COSENZA Sono tre i calabresi che il ministero dell’Interno ha inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi d’Italia. I loro cognomi – Condello, Giorgi e Varano – si accompagnano a quelli di altri nemici pubblici: Messina Denaro, Badalamenti, Scotti, Cubeddu, Motisi, Di Lauro, Matrone. Tutti, apparentemente, spariti nel nulla. Il “fiore all’occhiello” è lui, Matteo Messina Denaro, nato nel 1962 a Castelvetrano (Trapani). L’ultimo vero padrino di Cosa nostra è il delfino di don Ciccio, trovato morto in piazza nel 1998, vestito come se fosse pronto per il suo funerale. Lo chiamano “U siccu” e “Diabolik”, ma la sua natura di killer spietato è meglio riassunta da una frase a lui attribuita: “Con le persone che ho ammazzato, io potrei farci un cimitero”. È ricercato dal 1993, lo stesso anno delle stragi di mafia per le quali è stato condannato in via definitiva all’ergastolo. Nella stessa lista un altro figlio d’arte, Vito Badalamenti, nato a Cinisi (Palermo) nel 1957, erede di quel don Tano che fu il mandante dell’omicidio di Peppino Impastato. Irreperibile dal 1995, è l’unico dei 175 indagati di “Pizza connection” a essere stato assolto, poi condannato a sei anni nel “Maxi-quater”, il quarto troncone del maxiprocesso di Palermo contro Cosa nostra. Amante dei viaggi all’estero, si dice si stia godendo la latitanza in Brasile o in Australia. Entrambi personaggi “di peso” nel pa- norama criminale, non sono però loro i fuggiaschi di più lungo corso. Il più “anziano” della lista è infatti Pasquale Scotti, nato a Casoria (Napoli) nel 1958 e ricercato dal 1985, anche se secondo il pentito di ’ndrangheta Franco Pino sarebbe morto già nel 1984. Ex studente di medicina, elemento di spicco e “volto pulito” della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, Pasqualino “O’ collier” è considerato il braccio armato e vice del “professore” di Ottaviano. Subito dopo nella “top ten”, invisibile ai radar della giustizia dal 1993 come Messina Denaro, è “Micu u pacciu”, al secolo Domenico Condello. Nato a Reggio Calabria nel 1956, è il cugino di Pasquale Condello “il Supremo”. Di recente è stato colpito da un altro provvedimento emesso dalla Dda nell’ambito dell’operazione “Reggio nord”, che ha dimostrato come, nonostante sia “scomparso dalle scene”, continui a operare attraverso il sodalizio criminale che a lui fa capo. Imprendibile dal 1995 è poi un altro calabrese, Giuseppe Giorgi, nato nel 1961 a San Luca (Reggio Calabria). Affiliato al clan dei Pelle-Vottari, “U cicero” o “U capra” è considerato il responsabile dei traffici internazionali legati allo smaltimento illegale di scorie tossiche e radioattive. Nel 1997 si sono invece perse le tracce di Attilio Cubeddu, nato ad Arzana (Nuoro) nel 1947. Esponente storico dell’anonima sequestri sarda, è noto alle cronache soprattutto per il rapimento dell’im- te ed i colloqui videoambientali acquisiti, che hanno permesso di stabilire come il ruolo dei fratelli Rocco e Giuseppe Aquino si fosse accresciuto notevolmente con l’accordo unanime dei propri congiunti. E Rocco “il colonnello” era anche colui che teneva i contatti maggiori con la famiglia Coluccio, di cui fanno parte anche i due noti fratelli Giuseppe e Salvatore. Rocco Aquino si preoccupava anche di sbrigare delle pratiche per i Coluccio, ma aveva anche interessi particolari per gli aspetti elettorali. Come accennato in precedenza, infatti, ci fu una vera e propria spaccatura in occasione delle elezioni amministrative del comune di Marina di Gioiosa Jonica, il 13 aprile del 2008. Lì, lo storico scontro con i Mazzaferro divenne ancora più acuto. E gli Aquino ne escono sconfitti. CONSOLATO MINNITI [email protected] super latitanti Ecco i volti dei latitanti più pericolosi A destra il capo di “Cosa nostra” siciliana A seguire tutti gli altri. Tre i calabresi nell’elenco: Condello, Giorgi e Varano prenditore bresciano Giuseppe Soffiantini. Segue Giovanni Motisi, nato nel 1959 a Palermo, che risulta “uccel di bosco” fin dal 1998. Considerato vicino a Bernardo Provenzano, la figura di “Pacchione” è avvolta dal silenzio, tanto che alcune voci lo danno per morto. Più recente la scomparsa del terzo calabrese della lista, Michele Antonio Varano, nato nel 1951 a Centrache (Catanzaro) e inghiottito dal nulla nel 2000. Vito Badalamenti Tra i protagonisti della “Montenegro connection”, operava in Svizzera in contatto con gruppi criminali italiani. Le due latitanze più “giovani” sono quelle di due camorristi. Marco Di Lauro, nato nel 1980 a Napoli, manca all’appello dal 2005. Penultimo di dieci figli, dopo gli arresti in famiglia è rimasto, giovanissimo, a reggere l’omonimo clan, protagonista della sanguinosa faida di Secondigliano-Scampia. Nel 2007 è, infine, sparito Francesco Francesco Matrone Matrone, nato nel 1947 a Scafati (Salerno). È considerato, assieme a Pasquale Loreto, capo del clan camorrista LoretoMatrone, gruppo criminale di grande potere nella zona di Scafati almeno fino agli anni Novanta. Nomi, questi, che hanno firmato, tra affari sporchi e morti ammazzati, la storia criminale d’Italia degli ultimi cinquant’anni. MARIASSUNTA VENEZIANO [email protected] Pasquale Scotti Matteo M. Denaro Domenico Condello Michele Varano Attilio Cubeddu Giovanni Motisi Giuseppe Giorgi Marco Di Lauro 8 SABATO 11 febbraio 2012 D A L P O L L I N O calabria A L L O ora S T R E T T O I giudici: «Loiero? non poteva non sapere» Le motivazioni della sentenza d’Appello di Why Not CATANZARO «Saldino aveva intrecciato rapporti personali, di interesse e di reciproco scambio con dirigenti e pubblici amministratori della Regione». Il giudice di primo grado pur escludendo il reato associativo, non ha negato il ruolo verticistico di Antonio Saladino e i sui legami con la politica e le alte sfere della burocrazia regionale. E la Corte di appello di Catanzaro nel motivare la sentenza sul processo “Why Not” relativa a presunti illeciti nella gestione dei finanziamenti pubblici spiega come si è arrivati a condannare Saladino anche per il reato di associazione a delinquere a 3 anni e 10 mesi con un aggravio di pena rispetto ai due anni inflitti in primo grado: «Quel che gli sta a cuore, assegnati i servizi al consorzio Brutium, è che per gli stessi le società consorziate assumano, per chiamata diretta e nominativa, i soggetti raccomandati dai politici. Come afferma il primo giudice, Saladino non ha motivo, una volta che ha accontentato il referente politico, di preoccuparsi se il personale sia all’altezza o se, comunque, il lavoro venga più o meno correttamente svolto. È mancata in radice, da parte dell’ente committente, la volontà politica di effettuare i controlli». Per i giudici di secondo grado l’associazione esiste: «L’argomentazione del giudice di primo grado - si legge nelle motivazioni - è stata ritenuta erronea dalla Corte di Cassazione adita REGGIO CALABRIA «Confermare la sentenza di primo grado per tutti gli imputati». Non ammette sconti la requisitoria del sostituto procuratore generale Santo Melidona. Nel corso del suo intervento, infatti, il magistrato ha chiesto che la Corte d’appello di Reggio Calabria confermi tutto l’impianto accusatorio relativamente agli imputati del processo “Vento del Nord”. Alla sbarra alcuni presunti esponenti della cosca Bellocco di Rosarno. In realtà, il pg ha chiesto solo un’assoluzione per un capo d’imputazione riguardante Domenico Bellocco (classe ’80) e la moglie Antonella Mirenda. Si tratta dell’intestazione fittizia di un’automobile Audi A4. Così per Bellocco la richiesta di condanna è stata di dieci anni di reclusione (a fronte dei dieci anni e quattro mesi inflitti in primo grado), mentre un’assoluzione completa è stata chiesta per la Mirenda che era accusata della dalla Procura generale contro il pro- contribuire in maniera determinanscioglimento dal reato associativo di te all’affidamento» del progetto realcuni coimputati che non avevano lativo al censimento immobiliare. A chiesto di essere ammessi al giudizio conferma i giudici citano i «ripetuti abbreviato poiché il ragionamento incontri, anche in sedi extra-istitucon cui la sentenza nega l’esistenza zionali, con soggetti che non avrebstessa dell’associazione non regge dal bero avuto titolo per interloquire punto di vista logico». In particolare, (perché intrattenersi ripetutamente secondo i giudici d’appello viene con rappresentanti del consorzio che smentita la tesi, sostenuta dal gup, pressano per ottenere nuovi affidasecondo cui un’associazione per de- menti se poi ci si difende dicendo che linquere costituita per realizzare rea- tale decisione spettava al dirigente e ti contro la pubblica amministrazio- non al politico?)». A sostegno della ne è configurabile «solo se facciano loro tesi i magistrati sottolineano anparte funzionari che «la pervicacia pubblici o, in genecon cui la Merante, re, soggetti che apanche approfittando chiaravalloti partengano all’amdel rapporto amicaministrazione». Il le con il fratello del L’assoluzione in processo d'appello si presidente della primo grado non è concluso il 27 gengiunta regionale, ha convince, è frutto naio scorso con la dapprima cercato di condanna, tra gli alinstaurare un condi una forzatura tri, ad un anno per il tatto diretto con il quando si parla di reato di abuso delmassimo esponente l'ex presidente della dell’ente e, in un seun atteggiamento Regione Calabria, condo momento, di leggerezza Agazio Loiero, del avendone percepito centrosinistra; il il potere di influennon luogo a proceza su questo, si è dere per intervenuta prescrizione nei spesa per ottenere il consenso del ficonfronti dell'ex Governatore, Giu- dato consigliere giuridico Durante su seppe Chiaravalloti, del centrodestra. una soluzione condivisa». La giustificazione della salvaguardia occupaLoiero e Durante zionale e le pressioni da parte dei laPer la Corte d'appello non ci sono voratori, non convince i giudici. dubbi sulla «piena consapevolezza di «Quanto alla dedotta esigenza - scriLoiero Agazio e di Durante Nicola di vono - di salvaguardare i livelli occu- Agazio Loiero Giuseppe Chiaravalloti pazionali, risulta di tutta evidenza che se l’ente avesse voluto a tutti i costi esternalizzare il servizio, avrebbe potuto comunque ottenere lo scopo preso di mira adottando procedure legali anziché protrarre un affidamento illegittimo e, così, di fatto continuare a favorire i soliti raccomandati e foraggiare le solite clientele (o consolidarne di nuove)». buire a Chiaravalloti un atteggiamento di colposa leggerezza laddove neanche lo stesso imputato era giunto a tanto». Nelle motivazioni si ricorda inoltre che «in una delle agende del Saladino sono stati rinvenuti numeri telefonici, fissi e mobili, istituzionali e privati, personali e intestati a persone dell'entourage familiare e lavorativo dell’uomo politico, disponibilità denotante una conoscenza tutt’altro che superficiale. Dalle captazioni alle quali - proseguono i giudici - è stata soggetta Nadia Di Donna, una delle principali collaboratrici di Saladino nella fase di selezione delle domande e di avviamento al lavoro, la Di Donna fa espressamente riferimento a dipendenti della società Why Not raccomandati dal Chiaravalloti nonché ad accordi intervenuti tra questi ed il Saladino ai fini dell’invio dei curricula dei nuovi lavoratori da assumere». Giuseppe Chiaravalloti L’assoluzione in primo grado dell’ex presidente della Regione Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, del centrodestra, fu una «forzatura e la ricostruzione fatta non convince». Nei confronti di Chiaravalloti, imputato del reato di abuso d’ufficio, la Corte d’appello ha emesso una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. La ricostruzione del giudice di primo grado «non convince - sostengono i giudici di secondo grado - perché essa è frutto di una forzatura nella parte in cui si attri- GABRIELLA PASSARIELLO [email protected] «Confermare le condanne» mesi di giugno e luglio 2009. In questo periodo si sarebbe evidenziata l’egemonia perdurante della cosca Bellocco operante tra Rosarno e Granarolo inferiori ai dieci anni. Il gup ha dell’Emilia (Bo). Secondo l’acinoltre disposto la sospensione cusa, infatti, vi sarebbe un’asdella pena per Annunziato sociazione a delinquere di tiBarrese, Mariarosaria Larosa, po mafioso finalizzata alla Antonella Mirenda ed Ales- commissione di numerosi reasandro Mercuri. È stato dispo- ti con l’obiettivo di affermare il sto, infine, anche il risarcimen- predominio sul territorio. A to nei consostegno delfronti delle l’impostazioOltre 136 gli parti civili ne accusatoanni inflitti in (Regione, ria il gip, alProvincia di primo grado agli l’interno delReggio Calal’ordinanza, esponenti del bria, Comune ha sottolineaclan Bellocco di Rosarno) to la pregnannella misura za di alcune di 500mila euro nei riguardi espressioni pronunciate da di ciascuna parte civile. Umberto Bellocco, figlio di Il procedimento si fonda Carmelo: «Rosarno è nostro e sulle indagini portate avanti deve essere per sempre nodalla Direzione distrettuale stro…sennò non è di nessuantimafia di Bologna e da no». Il processo è stato aggiorquella di Reggio Calabria e nato al prossimo 24 febbraio, condotta dalle rispettive squa- quando gli avvocati inizierandre Mobili a partire dall’estate no le arringhe difensive. del 2008, in particolare nei Consolato Minniti Vento del Nord, in Appello il procuratore chiede solo un’assoluzione Tribunale di Reggio sola interposizione fittizia. Per il resto, dunque, il pg ha invocato le medesime condanne già inflitte dal giudice di primo grado, il quale aveva accolto pienamente le richieste della Dda di Reggio Calabria condannando gli esponenti della cosca Bellocco ad oltre 136 anni di carcere. Nel corso della giornata di ieri vi è stato anche l’intervento degli avvocati di parte civile (Regione, Provincia di Reggio e Comune di Rosarno) che hanno concluso richiamandosi alle determinazioni dell’ufficio di procura generale. La pena più pesante era stata inflitta a Carmelo Bellocco, 54 anni, ritenuto il capo dell’omonima consorteria mafiosa. Per lui l’accusa aveva chiesto una pena di 20 anni di reclusione, ma il gup ha deciso per una condanna a 14 anni di prigione. Dieci anni di prigione anche per l’altro Domenico Bellocco (classe ’77), mentre per tutti gli altri imputati le pene inflitte sono state politici nel mirino Lettere di minacce per il sindaco di Siderno e Laratta COSENZA Una lettera di minacce indirizzata al deputato del Pd, Franco Laratta, ed inviata al Comune di San Giovanni in Fiore è stata sequestrata ieri mattina dai carabinieri. A darne notizia è lo stesso Laratta. La lettera, che è stata spedita nei giorni scorsi dalla città di Lamezia Terme, contiene una serie di minacce al deputa- to del Pd e fa riferimento alle «denunce e alle interpellanze - è scritto in una nota - depositate alla Camera dall’onorevole Laratta e riguardanti i fatti di Reggio Calabria». Ma non sono le uniche minacce arrivate ieri mattina in Calabria. Il sindaco di Siderno, Riccardo Ritorto (Pdl), ha ricevuto una lettera di minacce. La lettera è giun- ta al municipio insieme ad altra posta indirizzata all’Ente. Nella missiva c’erano una serie di frasi minacciose rivolte al primo cittadino. «Se non fai quello che devi fare - è scritto nella lettera la pagherai». Il sindaco ha denunciato l’accaduto ai carabinieri ai quali ha consegnato la lettera di minacce. 13 SABATO 11 febbraio 2012 calabria ora R E G G I O «Talpe al servizio di Barbieri» “Meta”, la rivelazione del colonnello Giardina. Ecco i rapporti con Flesca Fuga di notizie sulle indagini di Meta e Crimine con beneficiario l'imprenditore arrestato Domenico Barbieri? Sembra proprio di sì sulla base delle intercettazioni illustrate dall'ex colonnello dei Ros Valerio Giardina nella deposizione di ieri nell'aula bunker nell'ambito del filone investigativo che riguarrda lo stretto legame tra l'imprenditore e la criminalità organizzata. Mentre descrive i contenuti di un'intercettazione tra Barbieri e l'avvocato Vitaliano Grillo Brancati del 28 gennaio 2007 in cui si fa anche riferimento a 310 ordinanze di custodia cautelare, il pm Giuseppe Lombardo chiede a Giardina: «Quali erano le fonti?». L'ex colonnello: «La fonte di conoscenza del Barbieri emerge da alcuni appartenenti alle forze di Polizia. Carabinieri e finanzieri individuati come persone che possono aver dato informazioni operanti a Catona, Reggio e Gallico, che erano impegnati nelle operazioni Crimine e Meta». In questo senso l'allarme, come spiega Giardina, era già scattato su alcune intercettazioni dell'ottobre 2006 in un contatto tra i fratelli Barbieri, Domenico e Vincenzo, dove il Il colonnello Giardina Il pm Giuseppe Lombardo primo riferiva al secondo, improvvisamente, di «dover andare a Catona per vedere ciò che era successo» dicendo al fratello, ad un certo punto, di chiudere la telefonata. Da qui Giardina ha chiesto informazioni, attraverso un'email, su un'indagine riguardante cittadini extracomunitari. «Barbieri – dice Giardina – viene interrogato nella stazione dei Carabinieri di Catona. Poi il comandante della stazione va nell'ufficio di Barbieri. Strano che alle 12 s'interroga una persona e alle 18 si va nel suo ufficio. Due giorni dopo, il 28 ottobre, Barbieri riceve Battesi- mo Sciarrone e si arriva alla concretezza della fuga di notizie della sezione anticrimine che curava l'operazione Meta. Barbieri dice a Sciarrone che l'ufficio è pulito». Sempre in merito a questa vicenda, Giardina aggiunge: «Non solo l'organo di pg non aveva riferito nulla all'organo territorialmente competente ma al colloquio tra il comandante dei Carabinieri e Barbieri si fa riferimento alla presenza di un maggiore dei Ros». Dal dialogo Barbieri-Sciarrone, Giardina evidenzia: «Mezze frasi tra loro stabiliscono l'acquisizione di indagini in corso ma non da parte di chi le fa. C'è il riferimento all'indagine sulla 'ndrangheta rivelata non da chi la sta svolgendo. Dopo Sciarrone, Barbieri incontra Pasquale Buda, a cui parla della presenza del maggiore del Ros all'interrogazione ma nel verbale questa figura non è presente e c'è solo il contenuto dell'email». Successivamente Giardina si è anche soffermato sui rapporti tra alcuni indagati e l'ambiente politico reggino rilevando le intercettazioni tra i fratelli Barbieri e l'ex consigliere comunale Manlio Flesca, quest'ultimo in udienza preliminare il 21 feb- Tenta uno scippo, arrestato L’autore è stato bloccato da due poliziotti liberi dal servizio Il furto con scippo è andato male a un cittadino indiano di 28 anni. Non sapeva che stava mettendo in azione il suo intento criminale mentre c’erano due poliziotti liberi dal servizio da quelle parti. Sfortunatamente per lui i funzionari della Polizia di Stato hanno osservato la scena e sono riusciti a bloccarlo. L’episodio è avvenuto in via Cardinale Portanova, praticamente all’ingresso del palazzo del Consiglio regionale della Calabria. A pochi passi dal palazzo istituzionale della massima assise legislativa regionale, il cittadino india- classiche pattuglie della no si è avvicinato a una don- squadra Volante. Il secondo è na e ha tentato di scipparle la il dirigente della terza sezioborsetta. ne della squadra mobile delImmediata la reazione del- la questura cittadina. la vittima che ha invocato Entrambi non hanno penaiuto. Proprio in quel mo- sato due volte a intervenire mento passain soccorso vano, liberi Azione fulminea della donna dal servizio e del vicedirigente e,to,soprattutsu un’auto per acprivata, i due ciuffare il radelle Volanti poliziotti. Si pinatore. e del collega tratta di GiuL’autore della Mobile seppe Gilidel reato è berti e Gianstato bloccaluca Rapisarda. Il primo è il to dai due poliziotti che gli vice dirigente dell’Ufficio di hanno stretto le manette ai prevenzione generale e soc- polsi con l’accusa di tentata corso pubblico, che guarda- rapina con scippo. caso predispone i servizi sul La borsetta è stata restituiterritorio proprio per evitare ta alla legittima proprietaria, reati predatori. Vale a dire le una donna di nazionalità ro- Finocchiaro si reca in visita alla Capitaneria mena, mentre l’indiano H. K. è stato portato in questura da una volante chiamata sul posto. Ai controlli negli uffici della Polizia di Stato su corso Garibaldi si è scoperto che il 28enne risultava cittadino straniero irregolare in Italia. La sua posizione, così, è risultata ancora più grave. Il responsabile è stato trattenuto nelle camere di sicurezza in attesa dell’udienza di convalida che si è svolta ieri mattina. Un bel risultato ottenuto con il senso del dovere che contradistingue chi ricopre ruoli di responsabilità in un corpo come quello della Polizia di Stato. r.r. Bruno Finocchiaro, presidente della Corte di Appello di Reggio Calabria, ha fatto visita alla Direzione Marittima dove è stato accolto dal Capitano di Vascello Gaetano Martinez, da poco insediatosi nella funzione di comandante regionale. L’alto magistrato ha visitato le strutture che ospitano gli uffici amministrativi e la sala operativa dove sono state illustrate la funzionalità e l’impiego delle strumentazioni tecnologiche e operative che consentono al “Centro Regionale di Soccorso Marittimo” la gestione dei soccorsi in mare, l’attività di tutela ambientale contro gli inquinamenti marini, il controllo delle unità da pesca, il monitoraggio del traffico navale che attraversa lo Stretto di Messina e il controllo dell’ambito portuale di Reggio Calabria. In ricordo della vista è stato consegnato il crest della Direzione Marittima. braio per il processo sulla corruzione elettorale. Riesaminando l'informativa di Meta, viene fuori che Flesca avrebbe offerto la disponibilità ad assumere Vincenza Musarella, moglie di Vincenzo Barbieri, alla Reges. Un dato molto importante, secondo gli inquirenti, per l'appoggio politico dei Barbieri allo schieramento politico di Flesca. Nella stessa informativa si fa menzione «all'appoggio incondizionato dei fratelli Barbieri al candidato Flesca, dettato anche dalla necessità di avere un loro candidato nell’amministrazione comunale, con delega ai Lavori pubblici, settore in cui gli stessi fratelli operavano con le loro imprese». Giardina, sempre con lo strumento delle intercettazioni, ha delineato poi il pieno inserimento di Barbieri nelle logiche del sistema 'ndranghetistico con riferimento agli affari sulla Piana. «Emerge - dice l'ex colonnello - un legame tra Barbieri-Pisano-Ciurleo e Bellocco che è fondamentale per capire perché il Barbieri lavorava senza problemi nel comprensorio di Rosarno». «Altri componenti?», chiede Lombardo. E Giardina fa riferimento alla famiglia Fazzari, «cellula ricon- ducibile a Giuseppe Bellocco. Nei lavori per la strada di Feroleto della Chiesa, Barbieri dice di essere stato costretto a far lavorare i camion dei Fazzari». «L'atteggiamento di Barbieri - sottolinea il colonnello - è chiaro: informare la cosca del territorio e accettare che si utilizzino i mezzi dell'impresa compiacente indicati dalla criminalità territoriale. Tutta l'indagine è permeata dal collegamento impresamafia con la necessità di avere una ditta di riferimento insita nell'organizzazione criminale». Da qui si arriva da dove siamo partiti, e cioè alla conversazione Barbieri-Grillo Brancati con quest'ultimo che, come riportato da Giardina, dice all'imprenditore: «”Il sequestro dei beni è l'azione più efficace dello Stato contro la mafia” dicendogli – rileva il colonnello - di stare attento a non farsi portare via i soldi con questa azione di contrasto. Barbieri segue fedelmente le regole criminali. In questo caso gli imprenditori, che spesso sono vittime, diventano protagonisti del sistema e ciò emerge dalla nostra indagine di Polizia giudiziaria». ALESSANDRO CRUPI [email protected] la querelle Polemica di Riferimenti «Lamberti faccia i nomi» Continua il botta e risposta tra Riferimenti e l’assessore provinciale Lamberti Castronuovo. «Due giorni fa -si legge in una nota- il coordinamento giovanile di Riferimenti, in una lettera aperta alla stampa ha chiesto al dottor Lamberti Castronuovo nominato, anche se non dalla volontà popolare, assessore alla legalità presso la provincia di Reggio Calabria, non si sa per quali meriti,di chiarire gravi affermazioni da lui fatte in un intervento nell'ambito di un convegno organizzato da “futuro e libertà”. Nella stessa nota -ricordano i referenti dell’area giovani del coordinamento nazionale antimafia Riferimenti Claudia Pratticò (Calabria) Francesco Iermito (Calabria) Sebastiano Di Paolo (Campania) Salvatore Calleri (Toscana) Andrea Vegher (Veneto)- si chiedeva di conoscere a quali magistrati servissero “vetrine e passerelle” sempre in merito ad affermazioni al vitriolo fatte dallo stesso che, non si capisce perchè da tempo lanci invettive nei confronti dell’antimafia con illazioni varie, cercando di discreditare l’operato altrui che, invece come amministratore dovrebbe sostenere. Dal de cuius, non è arri- vata nessuna risposta, anzi la sua televisione non solo non ha dato notizia della nota, ma nella rassegna stampa ha omesso la pagina dei quotidiani che riportavano la notizia». I responsabili del coordinamento giovani di Riferimenti «ancora una volta -si legge nella nota- chiedono di conoscere il soggetto della frase impersonale pronunciata dal Lamberti, ossia vogliono sapere chi utilizzerebbe soldi pubblici per combattere il crimine organizzando settimane bianche». «Due sono le cose: o l’assessore risponde o dimostra a tutti la validità e fondatezza delle sue affermazioni e soprattutto darà prova del suo coraggio». Il coordinamento esprime «un dubbio: che il soggetto di quella frase non venga pronunciato perchè si teme la querela che, d’altra parte siamo certi non potrà non arrivare se quelle affermazioni non saranno smentite». «E allora, assessore -si rivolgono direttamente a luivogliamo il nome, il soggetto. Chi è che organizzerebbe settimana antindrangheta con i soldi pubblici? Stiamo ancora aspettando un suo riscontro». 21 SABATO 11 febbraio 2012 calabria ora P I A N A “Califfo”, sentiti dal gip quattro degli 11 indagati Sono accusati di avere agevolato la latitanza di Ciccio Pesce PALMI Sono iniziati gli interrogatori per gli indagati rimasti coinvolti nell’operazione “Califfo”. Nel tardo pomeriggio di ieri, sono comparsi davanti al giudice per le indagini preliminari Fulvio Accurso, quattro degli 11 indagati, accusati di associazione mafiosa e, in particolare, di avere agevolato la latitanza di Francesco Pesce detto “Testuni”, arrestato a agosto 2010 a Rosarno, dopo più di un anno dall’ordinanza di custodia cautelare “All inside”. Nella giornata di ieri, sono stati sentiti dal gip Accurso gli indagati Saverio Marafioti, il muratore accusato di avere costruito alcuni bunker per proteggere le latitanze della cosca Pesce di Rosarno. Di lui ha parlato la collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce. Marafioti è difeso dall’avvocato Gregorio Cacciola (indagato nel procedimento legato al suicidio dell’ex testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola); il secondo a essere sentito è stati Giuseppe Rao, difeso dagli avvocati Michele No- INTERROGATORI Da sinistra Delmiro, Marafioti e Rao vella e Guido Contestabile. Secondo quanto appreso alla fine dell’interrogatorio, Rao si sarebbe difeso dalle accuse di essere legato a Marafioti nella costruzione dei bunker. Rao ha affermato che gli unici rapporti tenuti con Marafioti sarebbero di carettere lavorativo. I 7mila euro di cui si fa cenno nell’ordinanza di custodia cautelare sarebbero riconducibili al pagamento di materiale edile che l’azienda di Rao avrebbe venduto a Marafioti. Terzo indagato a presen- tarsi davanti al giudice Accurso è stato Giovanni Luca Berrica, entrato nell’operazione “Califfo” a causa del pizzino sequestrato da un agente della polizia penitenziaria a Francesco Pesce nel carcere di Palmi, dopo alcuni giorni dal suo arresto, prima del suo traferimento al 41bis. In quel pizzino Pesce impartiva gli ordini per la riscossione del pizzo, il passaggio di consegne a suo fratello Giuseppe, ancora latitante, la nomina dei sei affiliati che avreb- bero dovuto aiutare il fratello nella gestione della cosca e le nuove cariche. Tra queste, secondo la Dda ci sarebbe stato proprio Berrica. L’uomo, difeso dall’avvocato Marina Mandaglio ha rigettato tutte le accuse. L’ultimo a essere stato sentito è Biagio Delmiro, difeso dall’avvocato Nicola Rao. Domani verranno interrogati gli altri sei indagati, Furtugno, infatti, risulta irreperibile. FRANCESCO ALTOMONTE [email protected] cosa mia Torna libera la Bruzzise dopo due anni di carcere PALMI Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, presieduto dal dottor Filippo Leonardo, ha disposto le remissione il libertà di Elena Bruzzise accogliendo il ricorso degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli. Dopo quasi due anni di carcerazione preventiva torna in libertà, quindi, la figlia del presunto boss di Barritteri, Giuseppe Bruzzise che, secondo gli inquirenti, avrebbe ereditato la guida della cosca dopo l’omicidio del padre Giovanni detto “Spannavento”. I Pubblici Ministeri della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria contestano ad Elena Bruzzise il ruolo di partecipe alla cosca Bruzzise perché, a loro avviso, avrebbe fornito un importante contributo per la vita dell’associazione, recandosi ai LIBERA Elena Bruzzise colloqui con il padre Giuseppe, aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti e ricevendo da questi direttive, da eseguire direttamente e/o da comunicare a soggetti fuori dal carcere, più in generale mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo. Dopo l’annullamento con rinvio, da parte della prima sezione della Cassazione, dell’ordinanza che in sede di riesame aveva confermato la massima misura cautelare, il Tribunale della Libertà, accogliendo la tesi degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli, ha ritenuto che la condotta della giovane donna non configurasse la partecipazione al reato associativo. [email protected] tutto in famiglia ordine pubblico Scarcerati Garreffa, Nava e Hanoman Accolto parzialmente il ricorso di Feo Rosarno, Tripodi: impegno bipartisan per arginare il fenomeno criminalità PALMI Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria ha accolto i ricorsi proposti da Stefano Nava, 22 anni (difeso dagli avvocati Domenico e Giuseppe Alvaro), Francesco Hanoman, 21 anni (difeso dall’avvocato Marcella Belcastro), e Pasquale Garreffa, 74 anni (difeso dall’avv. Caterina Bonarrigo). I tre, tutti di San Martino di Taurianova, sono stati immediatamente scarcerati. Il Tribunale reggino ha, altresì, accolto parzialmente il ricorso proposto da Natale Feo, 67 anni (difeso dagli avvocato Domenico e Giuseppe Alvaro), annullando l’ordinanza impugnata con riferimento all’accusa di estorsione di somme di denaro, aggravata dal metodo mafioso. Le richieste di riesame riguardavano l’ordinanza custodiale emessa dal gip di Reggio Calabria il 3 gennaio scorso nei confronti di 19 persone, su richiesta della Dda reggina, nell’ambito dell’operazione denominata “Tutto in famiglia”, condotta dai carabinieri del comando provinciale, riguardante la presunta cosca, facente capo a Michele Maio, operante nel territorio di San Martino di Taurianova, ed attiva, in particolare, nel settore delle estorsioni e dell’usura. Il Collegio giudicante, che si è riservato di depositare la motivazione dei provvedimenti, trattandosi di posizioni processuali articolate e complesse, ha preso atto, anche sulla base delle indagini investigative svolte dai difensori nell’interesse dei rispettivi assistiti, della fragilità del quadro indiziario a carico dei soggetti incriminati. Sono state così accolte le tesi difensive, vol- GIOIA TAURO Il Cedir di Reggio Calabria te a dimostrare come l’asserita affiliazione degli indagati alla ‘ndrina di San Martino mancasse di fonti di prova affidabili, ed anzi era smentita da un esame approfondito delle intercettazioni ambientali e delle videoregistrazioni effettuate dagli inquirenti per monitorare l’ingresso al Bar Vecchio Lume. Qui, secondo l’accusa, sostenuta in udienza dal rappresentante della procura distrettuale, il giorno di Pasqua dello scorso anno ed il successivo 4 maggio, si erano svolte le cerimonie rituali per il “battesimo” dei nuovi affiliati e l’assegnazione di cariche di rilievo all’interno del sodalizio criminoso. Per effetto della decisione dei giudici del riesame, Stefano Nava, Francesco Hanoman e Pasquale Garreffa hanno immediatamente riacquistato la libertà dopo due mesi di restrizione in carcere. L’ordine pubblico è ritornato un tasto dolente per la città di Rosarno. Dopo la gestione dell’emergenza migranti, che grazie ai due campi attrezzati sta allentando la pressione degli africani sulla città medmea, c’è da fronteggiare la recrudescenza dei fenomeni criminali. Nonostante la forza con la quale lo Stato, attraverso operazioni di polizia contro le cosche rosarnesi, si sta riappropriando della città, rimangono ancora troppe zone oscure. La prima ad essere preoccupata è Elisabetta Tripodi, il primo cittadino che ha già annunciato un consiglio comunale che discuta di questa problematica, e magari convogli tutto lo sfor- Il municipio di Rosarno zo politico bipartisan per mandare un segnale alle istituzioni affinché stiano ancora parte dello Stato. Appare paradossale che più vicine alla città. Rosarno, infatti, in fra poco verrà smantellato il reparto antiqueste settimane ha assistito agli atti van- crimine, presente dagli albori del 2000, dalici ai danni della proprietà dell’assesso- che per ragioni economiche sarà spostato re Teodoro De Maria, ad a Vibo. un possibile – anche se su E c’è da aggiungere che L’Anticrimine questo non ci sono evidenl’ordine pubblico è garantrasferita a Vibo ze – gesto intimidatorio altito da una tenenza dei cal’assessore Michele Fabrirabinieri senza moltissimi carabinieri e zio, la cui automobile è e se non bastasse vigili urbani con uomini, stata divorata da un incenanche l’organico dei vigili poco personale urbani è assai carente. Di dio. Bisogna aggiungere che vi è un fenomeno defronte a questo quadro è gradante di prostituzioni lungo la statale 18 possibile che il consiglio comunale possa e anche nella strada di collegamento tra chiedere più uomini e mezzi a disposizioRosarno e San Ferdinando. In più non ne del sistema sicurezza, ma anche alla mancano i raid isolati, ai danni di commer- stessa società verrà chiesto di fare sforzi cianti e imprenditori. E’ bene chiarire che importanti verso il controllo ed il persenon siamo di fronte alla Gomorra di Cala- guimento di percorsi di legalità. bria, ma certamente esiste un contesto DOMENICO MAMMOLA complicato, che necessita di attenzione da [email protected] SABATO 11 febbraio 2012 PAGINA 28 l’ora della Locride Sede: Via Verdi, 89048 Siderno Tel. e fax 0964 342899 Mail: [email protected] GUARDIE MEDICHE Siderno Locri Marina di Gioiosa J. Gioiosa Jonica Roccella Jonica Bovalino Grotteria Caulonia tel. 0964/399602 tel. 0964/399111 tel. 0964/416314 tel. 0964/51552 tel. 0964/84224 tel. 0964/61071 tel. 0964/53192 tel. 0964/861008 FARMACIE EMERGENZA CINEMA Bovalino Bovalino Locri Cinema Vittoria tel. 3397153696 “Benvenuti al Nord” ore 18 - 20 - 22 Cristiano De Sandro Longo tel. 0964/66128 tel. 0964/61028 tel. 0964/356097 Gioiosa Jonica Martora & Crupi tel. 0964/51259 Satriano tel. 0964/51532 Scopacasa tel. 0964/58134 Carabinieri Polizia Capitaneria tel. 0964/61000 tel. 0964/67200 tel. 0964/787657 Gioiosa Jonica Carabinieri tel. 0964/51616 Marina di Gioiosa Jonica Carabinieri tel. 0964/415106 Siderno Cinema Nuovo tel. 0964/342776 “Benvenuti al Nord” ore 16 - 18- 20 Roccella Jonica Cinema Golden tel. 0964/85409 “La talpa” 18 - 20 - 22 «Stai attento che ti uccidiamo» Lettera minatoria indirizzata al sindaco di Siderno Riccardo Ritorto SIDERNO Il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto «Stai attento che ti uccidiamo». Per minacciare il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto non hanno usato mezzei termini e hanno messo tutto nero su bianco in una busta fatta arrivare come una qualsiasi lettera negli uffici del Comune di Siderno nella tarda mattinata di ieri. Gli autori del gesto, al momento ancora ignoti, hanno dunque impresso queste parole su un foglio a righe, come quelli utilizzati dai bambini delle scuole elementari. Poche parole ma incisive, per dire che quanto il sindaco sta portando avanti dall’inizio del suo mandato a qualcuno, per qualche motivo, non piace. La lettera, consegnata agli uffici del Comune da un postino, è arrivata nelle mani del segretario generale dell’Ente, Mario Ientile, che l’ha subito segnalata al sindaco, con il quale si è recato presso la locale stazione dei Carabinieri per denunciare l’accaduto. «Non so chi possa compiere gesti simili - ha commentato nel pomeriggio di ieri Ritorto - si tratterà di qualcuno che si diverte a mettere in cattiva luce tutto il comprensorio. La cosa non mi spaventa ma sicuramente mi rattrista e mi rammarica. Si tratta sicuramente di qualche elemento che lavora ai margini della società e che non riesce a comprendere il lavoro che facciamo quotidianamente. La cosa non mi scalfisce ma mi dispiace per la mia famiglia, che ovviamente ne risente. La cosa mi da solo conferma, semplicemente, che il mio lavoro è improntato sulla trasparenza e la legalità. Forse questo da fastidio». Il primo cittadino non ha idea su chi possa nascondersi dietro al gesto e non avanza alcun tipo di ipotesi, lasciando tutto in mano ai carabinieri, che ora stanno svolgendo le indagini del caso. «Non ho un motivo particolare per giustificare questo gesto, co- me ho detto anche ai carabinieri - aggiunge - secondo me si tratta del gesto di un irresponsabile, non ho elementi per dire che si tratti di un’intimidazione mafiosa». Nel pomeriggio di ieri Ritorto ha incontrato la sua maggioranza, un meeting già calendarizzato ma durante il quale il primo cittadino ha tranquillizzato i suoi esortandoli a continuare il percorso intrapreso con la consueta tranquillità Intanto sin dalle prime ore sono proliferati i messaggi di solidarietà nei confronti del sindaco intimidito. A farsi subito sentire è stato l’assessore provinciale Giovanni Calabrese, che ha manifestato la sua «vicinanza politica e personale all’amico Riccardo e l’incoraggiamento a continuare la propria attività con la stessa efficacia, con lo stesso coraggio e trasparenza fino ad oggi dimostrati, uniche e fondamentali armi per combattere e scoraggiare le forze occulte e criminali da possibili interferenze nelle at- Un “carcere” per ben novanta cani Brancaleone, scoperto un allevamento abusivo. Una denuncia Un controllo di routine, volto alla sorveglianza del territorio ha condotto al sequestro di un allevamento abusivo di cani, esattamente nella località di “Razzà” nel comune di Brancaleone. Il servizio di controllo predisposto dal Comando Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Reggio Calabria, finalizzato principal- mente alla prevenzione e repressione degli illeciti nel settore ambientale e agro-forestale, è stato operato dal personale del nucleo investigativo di Polizia Ambientale e Forestale congiuntamente ai Reparti di Brancaleone e San Luca. L’operazione ha condotto al rinvenimento di un allevamento abusivo di cani di pro- prietà di P. A. di 55 anni.Il luogo, posto attualmente sotto sequestro dalle autorità, si estende su una superficie di 240 metri quadri, sui quali erano stati allestiti 23 box con materiali di varia natura, come lamiere, brande metalliche nei quali erano detenuti 90 cani di varie razze di cui molti privi dell’obbligatorio microchip identificativo. A seguito di una capillare ispezione dei locali è stato possibile verificare l’assoluta inadeguatezza dei locali, inoltre, da un’attenta verifica delle condizioni igienico sanitarie del canile, è stato possibile riscontrare le carenze evidenti nella custodia degli animali, spesso costretti in soprannumero all’interno di an- tività della politica». Vicinanza anche dal presidente del consiglio comunale, dal capogruppo e da tutto il Pdl di Siderno, che hanno condannato con fermezza il gesto e invitato le forze dell’ordine ad intensificare l’azione di controllo per evitare il ripetersi di episodi simili. Solidarietà anche da Domenico Panetta e dal Pd. «Le minacce di morte contro gli amministratori - afferma - debbono trovare una ferma risposta da parte dello Stato ,di tutte le istituzioni democratiche e della parte sana della collettività, che vuole imboccare la strada del progresso e della legalità». Vicinanza è stata manifestata poi anche dal collega di Locri Giuseppe Lombardo insieme a tutta l’amministrazione comunale, dal capogruppo in consiglio comunale dell’Udc Antonio Ricupero e dai gruppi “Siderno Libera” e “Siderno tempi nuovi” che hanno fermamento condannato il gesto. Simona Musco gusti e sporchi box. Molti si presentavano con evidenti segni di malnutrizione, disidratazione e magrezza patologica come confermato dal veterinario incaricato. Per tali motivi P.A. veniva denunciato, in prima battuta, per maltrattamento di animali e tutti i cani e l’intera struttura venivano posti sotto sequestro penale. La legge 189 del 20 luglio 2004, infatti, ha definitivamente sancito, quale reato penale, il maltrattamento degli animali, pertanto P.A. dovrà rispondere del presunto reato sopra ipo- tizzato nonché del reato di gestione illecita di canile abusivo in precarie condizioni igieniche. Su delega della Procura della Repubblica, inoltre, sono in corso attualmente ulteriori accertamenti atti a fare chiarezza sull’intera vicenda. Viste le condizioni di salute degli animali e la fatiscenza ed inadeguatezza dei box dove erano custoditi, la stessa Procura ha disposto il loro trasferimento in strutture idonee dove potranno recuperare un’ottimale condizione di salute. Adelina B. Scorda locri Rubati i motori delle vasche della villa comunale E’ stata la Villa comunale di Piazza Re Umberto, antistante al Palazzo comunale, lo scenario del furto denunciato nel pomeriggio di ieri. Sono stati i dipendenti comunali, recatisi immediatamente alla Caserma dei Carabinieri, a denunciare la mancanza di due motori con rispettive centraline, utilizzati per il riciclo dell’acqua nella grandi vasche poste tra i giardini della villa, lato nord. L’episodio, segnalato al sindaco Giuseppe Lombardo, desta molta preoccupazione negli ambienti del Municipio, sia per il gesto vandalico che arreca danni alla collettività nonché al patrimonio cittadino, sia perché si è ve- rificato proprio dinanzi alle porte del Palazzo, nonché di fronte gli uffici della Polizia municipale. Il sindaco Lombardo, riservandosi di capire quanto è accaduto, dal momento che fino alle 19,00 di ieri i tecnici comunali erano ancora in Caserma per sporgere denuncia, ha condannato il gesto e ha affermato che sarà necessaria una azione di vigilanza più intensa ed efficace, concordandone l’operatività anche con la Polizia Municipale che, già nelle ore notturne, svolge funzioni di controllo. La zona centralissima, poco illuminata, è comunque abbastanza frequentata anche di notte e pertanto sarà cura del- la Giunta Lombardo vigilare più accuratamente affinché la villa non sia più soggetta ad atteggiamenti di vandalismo e possa essere, invece, considerata come luogo di relax, di passeggiate e di bellezza naturale tra il verde degli alberi e delle aiuole. La villa comunale è uno degli spazi verdi pubblici dove, principalmente, in estate si svolgono manifestazioni cittadine che attirano l’attenzioni di molti turisti. Sarà cura dell’Amministrazione nei giorni a seguire aggiornare, qualora ci fossero novità, la comunità locrese e gli organi di stampa. Domenica Bumbaca 12 SABATO 11 febbraio 2012 calabria ora C O S E N Z A Truffa sui fondi antiusura Gli indagati tornano a casa Il Riesame concede i domiciliari a Carotenuto e Vecchione Carotenuto e Vecchione passano dal carcere agli arresti domiciliari, Falanga torna in libertà: per lui, solo obbligo di firma. E’ questa la decisione presa ieri dal Tribunale della libertà di Catanzaro, chiamato a valutare la situazione dei tre professionisti cosentini indagati per la presunta truffa dei fondi antiusira da loro gestiti in qualità di titolari di due Confidi. Il pubblico ministero, invece, aveva chiesto la conferma della misura cautelare preesistente. Nel frattempo, l’inchiesta prosegue, ma i protagonisti ne seguiranno l’evoluzione da reclusi in casa. Com’è noto, Carotenuto e Vecchione erano finiti in galera lo scorso 26 gennaio con l'accusa di asso- ciazione a delinquere, truffa menti richiesti. Secondo la aggravata ai danni dello Stato Procura, però, nel caso di Cae peculato. Tutto ciò per ven- rotenuto e soci, quei venti miti milioni di euro. A tanto, in- lioni non furono erogati a sofatti, ammonterebbe la cifra cietà in crisi. Lo dimostrerebstornata indebitamente dai be da un lato, la falsificazione due uomini, entrambi ai ver- dei documenti operata dai tici del Confidue dirigenti di “Opus hodel Confidi e, Novità anche mini”. Si tratdall'altro, il su Falanga ta di denaro successivo che lo Stato utilizzo di Per lui solo assegna per quei fondi obbligo legge alle che i benefidi firma aziende in ciari avrebbedifficoltà che ro impiegato rischiano di cadere nelle grin- per acquistare beni di varia fie degli usurai. Aziende natura, ma non collegati in alsprovviste delle credenziali cun modo al risanamento dei utili per rivolgersi alle banche conti societari. Come se non e che, per questo motivo, tro- bastasse, i titolari delle azienvano nel Confidi un partner de, interpellati sull'argomenutile per ottenere i finanzia- to, avevano dichiarato di la precisazione ignorare che quei quattrini provenissero da un fondo antiusura. Un ulteriore sospetto poi è dettato dall’ipotesi che venisse utilizzato come sede politica da parte di Carotenuto che, nel 2010, fu eletto in consiglio provinciale. C’entrano qualcosa i finanziamenti elargiti con le sue fortune elettorali? Anche perché nell'ordinanza di custodia cautelare il giudice faceva chiaro riferimento al presunto andazzo che avrebbe caratterizzato il consorzio tra il 2009 e il 2010, con gli uffici che fungevano anche da segreteria elettorale. Staremo a vedere. Anche perché tra i tanti interrogativi ancora aperti, ce n’è uno particolarmente importante: che fine faranno ora i soldi? I venti milioni di euro saranno recuperati in qualche modo dalla magistratura o, piuttosto, ogni speranza è da considerarsi ormai perduta? Nel frattempo, proprio nei giorni scorsi, avevamo anticipato la notizia secondo cui l’inchiesta sarebbe destinata ad allargarsi. A quanto pare, infatti, in Procura sono arrivate nuove denunce e segnalazioni che, ben presto, potrebbero far crescere il numero di indagati. Nel frattempo, però, spazio ai legali dei tre indagati, gli avvocati Franco Locco, Emiliano Iaquinta e Carlo Salvo. «Prendiamo atto con moderata soddisfazione della decisione del Tribunale che, pur decidendo in pochissimi giorni su di un voluminoso fascicolo d’indagine accresciuto di nuovi elementi di prova in sede di discussione prodotti dal pm, ha saputo mantenere una linea di equilibrio e di garanzia. Gli indagati si protestano innocenti e confidano che, una lettura serena , imparziale e non frettolosa delle carte dimostrerà l’inconsistenza delle accuse a loro carico». mcr Falsi esami, la Uil difende l’ateneo Mai stato consulente del pm a “Ippocrate” «In quarant’anni di vita l’università ha centrato tutti gli obiettivi» Egregio Direttore, Le scrivo per rettificare alcune importanti inesattezze riportate sul vostro quotidiano nell’articolo apparso a pagina 14 pubblicato lo scorso 3 febbraio e intitolato “False visite mediche a Rende. Un consulente nel mirino”. In tale articolo lo scrivente è stato ripetutamente indicato come il consulente del pubblico ministero nell’ambito del procedimento “Ippocrate”. Quest’informazione non è corretta, dal momento che il sottoscritto non è stato e non è il consulente del pubblico ministero, e quindi non ha prodotto alcuna consulenza medica (o perizia cosiddetta) per l’organo inquirente. Sono stato sentito esclusivamente in qualità di persona informata sui fatti in merito alle modalità con cui si espletano le visite mediche per invalidità civile e legge 104/92. Certo di un suo rapido ed incisivo riscontro, colgo l’occasione per inviarle cordiali saluti. Arcangelo Fonti La segreteria Uil dell’Unical difende l’ateneo, all’indomani della notizia, ancora non ufficiale, secondo cui l’inchiesta sui falsi esami sfornati dalla facoltà di Lettere, sarebbe destinata a estendersi anche nelle altre facoltà. «L’Università della Calabria - è scritto nella nota - benché operante in un contesto evidentemente sfavorevole, L’inchiesta sia per ragioni socio-ecopartita nomiche legate a un territorio povero sotto tutti gli da Lettere aspetti, sia per tutte le si è estesa difficoltà finanziarie proad altre facoltà prie, dovute ai tagli ministeriali, ogni giorno combatte le propria battaglia per proseguire la missione, originariamente assegnatale dalla legge istitutiva». «Nei quaranta anni di vita dell’ateneo prosegue la Uil - il tempo non è trascorso invano. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: grande attrattività (34000 studenti); carattere internazionale per la presenza di numerose compagini studentesche stra- niere; attività di ricerca di qualità, garanzia del diritto allo studio, grandi opportunità di lavoro per tutto il sistema indotto, che garantisce sostegno e reddito a tante famiglie, ecc. Questi risultati sono anche frutto del grande impegno del personale tecnico amministrativo, dei ricercatori e dei docenti, che oggi, di fronte alla notizia da cui trae spunto questa riflessione, ma- Azzannata da un cane mentre passeggia a Rende La donna è stata aggredita da un maremmano posto a guardia di un capannone I sanitari del 118 le hanno applicato ben dieci punti di sutura a una gamba Da sinistra, Pino Carotenuto e Gianfranco Vecchione Giornata di grande paura sulla Strada statale 19, con un cane che si è scagliato contro una ragazza azzannandola a una coscia. Il fatto è accaduto in via Colombo nel comune di Rende, 250 metri prima del cancello di Magdalone. S.I., 26 anni, cosentina, si trovava a transitare a piedi nei pressi di un esercizio commerciale alla cui guardia, il proprietario aveva posto un un cane di razza maremmana. Per l’animale era stata allestita un’area tutta recintata con tanto di cancello che, ieri, intorno alle 10, era però aperto. Anche il cane si trovava libero dal guinzaglio. Evidentemente, per il guardiano a quattro zampe, la ragazza sarà sembrata un nemico da colpire e, inferocito, è uscito dal recinto per assalirla, ferendola poi a una gamba. Provvidenziale è risultato l’intervento di due signori che hanno salvato la ragazza dall’aggressione, evitando così guai ben peggiori. I due uomini sono riusciti a far allontanare il cane che è poi rientrato nel recinto, lasciando la ferita a terra e sanguinante. Mentre i soccorritori hanno avvertito i sanitari del 118, il proprietario del cane è accorso per capire cosa stesse succedendo e, secondo il racconto della ragazza, dopo aver chiesto scusa, ha chiuso il cancello del recinto ed è ritornato tranquillamente a lavorare nel capannone. Ipotesi queste che, in un futuro prossimo, la 26enne cercherà di chiarire molto probabilmente sporgendo querela. Per il momento ha riportato ben dieci punti di sutura e i medici le hanno prescritto tanto riposo, possibilmente lontano dai cani. Deborah Furlano nifestano il tutto il loro disagio. Impegno, partecipazione, grande senso di appartenenza sembrano passare in secondo piano, rispetto a fatti che sono ancora al vaglio dell’autorità inquirente. Sarà anche vero che tutto non gira per il verso giusto – come lavoratori siamo impegnati quotidianamente a vigilare, proporre iniziative, sollecitare buone pratiche – ma è ingeneroso non tener conto degli sforzi aggiuntivi, a cui siamo sottoposti, per superare tutte quelle oggettive situazioni di svantaggio, che un ateneo giovane è costretto ad affrontare, per rimanere al passo in un sistema competitivo. Bene hanno fatto il rettore e il preside della facoltà di Lettere e Filosofia a chiedere la verifica per alcuni casi sospetti – segno di pronta attenzione alla legalità – ma è opportuno attendere gli esiti delle indagini». «Nel frattempo - conclude la nota - tutti dovremmo presentare l’Unical per quello che è: un avamposto di speranza in un territorio che faticosamente tenta di recuperare il ritardo accumulato». fotonotizia Duomo, quel cornicione è pericolante Lavoro extra per i vigili del fuoco che, ieri mattina, sono dovuti intervenire per rimuovere pezzi di un cornicione pericolante dalla facciata laterale del Duomo. L’intervento è perfettamente riuscito.