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Comune di Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro di Documentazione Fotografica nel Comeune di Pontedera e nel Territorio della Valdera Anno 2008 BOLLETTINO pubblicazione periodica delle attività del Centro a cura di Mario Lupi Testi di: Africano Paffi, Anna Vanni, Benozzo Gianetti, Davide Mancini, Enzo Gaiotto, Giovanni Lupi, Jonath Del Corso, Lara Parisotto, Mario Lupi, Nancy Barsacchi, Valentina Reino Redazione: Anna Vanni, Mario Lupi, Nancy Barsacchi Fotografie di: Angelo Bani, Alessandro Salvini, Brunero Tognoni, Carla Burgalassi, Enzo Gaiotto, Giorgio Tani, Holger Stumpf, Luca Lupi, Magali Leone, Mario Lupi, Massimiliano Pratelli, Massimo Bottoni, Nancy Barsacchi, Roberto Filomena, Silvia Guarnieri, Stefano Marinari, Stefano Stacchini ©Copyright 2008 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera BOLLETTINO Il numero unico del BOLLETTINO di quest’anno, oltre alle consuete pagine che riguardano l’informazione artistica e la lettura dell’Opera d’Arte, dedica una larga parte del suo spazio all’immagine fotografica. La fotografia che ha una parte di notevole rilievo nelle attività del Centro, permea costantemente la nostra vita sociale ed è per questo che il Centro ha cominciato fin dal primo numero del BOLLETTINO a pubblicare le opere di fotografi che operano nel nostro territorio e di immagini che appartengono al nostro archivio fotografico. In questo numero mettiamo insieme vari aspetti dei generi fotografici: il reportage gli spettacoli, il reportage naturalistico, la fotografia sportiva e immagini aeree che visualizzano le rotatorie. I nostri ricercatori hanno individuato, tra i faldoni dell’archivio comunale, notizie sull’illuminazione pubblica di Pontedera, una tra le prime città italiane a installare la lampada elettrica. C’è parso doveroso pubblicarlo. Come sempre vengono pubblicate esperienze che riguardano la didattica dell’Arte; questa volta viene presentata un’esperienza sulla caricatura. C’è infine un articolo che elabora un discorso abbastanza complesso, per un invito a dibattere i temi dell’arte contemporanea e il loro insegnamento. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera DUE RIPRODUZIONI DONATE DAL ROTARY a cura della redazione del Centro L a Presidenza del Rotare Club di Pontedera ha acquistato e donato al Centro due riproduzioni di Opere di Andrea da Pontedera. Si tratta di due Opere che furono collocate originariamente sul Campanile di Giotto per decorarne i fianchi. La prima è la ripro- duzione di una formella esagonale con l’immagine della Creazione di Eva. La seconda è la riproduzione della lunetta della Madonna col bambino che era collocata sopra la porta del Campanile e collegava con un ponte il Campanile alla chiesa di Santa Maria del Fiore. Su questo numero ne pubblichiamo le schede tecnico-storiche. Ringraziamo il Rotary Club di Pontedera per la sensibilità dimostrata verso il Centro. Madonna col bambino Lunetta ogivale originariamente posta sopra la porta, sul lato nord del campanile, che collegava con un passaggio sopraelevato la cattedrale (utilizzato fino al XV° secolo) di Santa Maria del Fiore al campanile. Copia in gesso dell’originale che si trova nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Misura cm. 84 sull’asse verticale e cm. 88 di base. La figurazione in altorilievo inscritta in una cornice ogivale si posa sopra la parte anteriore della modanatura e si evidenzia contro il fondo a losanghe in maiolica azzurra, ottenuta con l’impiego di solfato di rame (Luca della Robbia utilizzava l’ossido di cobalto). Nella lunetta la Madonna col bambino in un episodio dell’infanzia di Gesù è rappresentata di tre quarti rivolta verso il bambino, con la mano sinistra lo sorregge mentre con la destra fa un gesto affettuoso al collo del bambino che regge con entrambe le mani la destra della madre. Maria, citata nel Vangelo di Luca, in giovane età, viene descritta come una vergine gentile e premurosa come ogni madre verso il figlio. Una rappresentazione piena di poesia espressa dallo sguardo della madre e dal lieve sorriso del bambino. Una copia, in stucco, della lunetta, si trova oggi a Berlino, attribuita a Alberto Arnoldi. Creazione di Eva 4 5 Collocazione: Formella esagonale posta sul lato ovest del campanile, dalia parte della facciata del Duomo. E’ una copia in resina dell’originale che si trova nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze; sul campanile, oggi, c’è una copia in cemento data !a cattiva conservazione dell’originale. Esagono inscritto in un cerchio di cm. 80 di diametro, è perimetrata da una cornice semplice. La figurazione ad alto rilievo si evidenzia contro il fondo uniforme dove risaltano le figure e elementi vegetali . Eva chiamata “isshah” donna da “ish” uomo perchè è stata generata da una costola di Adamo. Eva ha un riferimento alla parola ebraica “hawwah”, vita, madre di tutti gli esseri umani. In questa formella è rappresentata la scena della creazione di Eva come narrato dalla Bibbia (“Genesi”- 2,27); rappresenta i! Signore che rivolto verso Adamo dormiente ne suscita la nascita di Eva da! suo costato. Adamo disteso sul fianco sinistro giace in un sonno profondo mentre da una costola si solleva Eva che si voige a Dio che infonde a lei lo spirito della vita. Sul fondo ai centro I’albero della conoscenza del bene e del male “simbolo delle morali”, a sinistra, l’albero della vita che indica “l’immortalità”. La creazione di Eva è un episodio fondamentale nelle narrazioni della Bibbia ed è una rappresentazione ricorrente nelle opere ispirate alla teologia e alla filosofia Scolastica sia in pittura sia in scultura in diverse epoche. Dalia Bibbia (Gen.2,18) “II Signore Iddio disse: -Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto simile a lui”....”e Adamo esclamò (Gen. 2,23) “Questa, si, è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Questa sarà chiamata donna, perchè è stata tratta dall’uomo”. L’opera è caratterizzata da un profondo chiaroscuro e da un intenso plasticismo proprio del carattere stilistico di Andrea da Pontedera, dove la luce modella le forme con delicati passaggi tonali. ANDREA, NINO E TOMMASO PISANO di Sara Taglialagamba L a fortuna critica della bottega di Andrea Pisano, al di là dei seppur legittimi problemi attributivi che ne derivano, ha vissuto nei secoli circostanze alterne. Sappiamo con certezza che Andrea fu un artista grandemente stimato dai suoi contemporanei: anche il Vasari gli dedica nelle Vite un profilo biografico ampio ed articolato. Diversa sorte toccò invece ai figli Nino e Tommaso: Nino fu ricordato soltanto nella seconda redazione vasariana delle Vite con termini di elogio, tanto che fu colui che “cominciò a cavare la durezza de’ sassi e ridurli alla lividezza delle carni”. Il nome di Tommaso invece risulta appena accennato dal Vasari, che sembra definirlo come un artista dal ductus poco incisivo, se confrontato con le opere del padre e del fratello. La critica tende purtroppo ad ignorare la figura di Tommaso a causa sia della mancanza di opere certe, sia della pressoché totale inesistenza di documentazione a lui relativa, indispensabile a chiarirne la po- sizione all’interno della bottega. E’ per questo che sarebbe interessante tracciare i rapporti che intercorsero tra il padre Andrea ed i figli Nino e Tommaso, e come quest’ultimi contribuirono, pur nel proprio linguaggio, a ereditare la bottega paterna ed assicurargli vita per oltre tre decenni. Pur partendo da una minuziosa indagine storica, è dunque indispensabile tentare di ricostruire i rapporti all’interno della bottega, lo stile che, sotto la guida di quello paterno, i due fratelli ricrearono ed infine seguire la situazione della produzione artistica dopo l’assenza del padre Andrea a seguito della partenza per Orvieto, e, in particolare, dopo la sua morte. Essenziale, dunque, si pone la ricostruzione delle testimonianze documentarie ed anche letterarie, a sua volta suffragate dall’analisi stilistica delle opere. La prima testimonianza storica-documentaria registra Nino nel 1349 ad Orvieto, quando subentra al padre, presumibilmente morto nel 1348, nella carica di capomastro dell’Opera del Duomo di Orvieto: a questa data dunque doveva essere già un artista affermato per ereditare una carica così importante. Il suo nome ricompare in un documento pisano del 1358, quando è sicuramente a Pisa perché risiede nella Cappella di San Lorenzo alla Rivolta ed riceve la commissione, da parte degli Anziani del Popolo, di una tavola in argento da collocare sull’altare maggiore del Duomo di Pisa. Dal documento sappiamo che la commissione sono coinvolti altri due orafi pisani, Coscio di Gaddo e Simone detto Baschiera, ma soprattutto apprendiamo che il padre Andrea SARA TAGLIALAGAMBA È nata il 2 giugno 1977 a Pisa. Qui si è laureata nel luglio 2004 in Conservazione dei Beni Culturali discutendo una tesi dal titolo “Il problema del Grottesco in Leonardo. Ricapitolazione del problema” con i professori A. Ambrosini e R.P. Ciardi. In congedo per il terzo anno della Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte indirizzo Medioevale e Moderno, attualmente frequenta il secondo anno del Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte presso l’Università di Siena con un progetto di ricerca sulla scultura cinquecentesca dal titolo “Niccolò Pericoli detto il Tribolo e bottega: Pierino da Vinci, Antonio e Stoldo Lorenzi”. Andrea da Pontedera (detto Pisano), La Scultura, formella esagonale Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Tommaso Pisano, pala d’altare, Chiesa di San Francesco, Pisa 6 7 è sicuramente già morto a questa data perchè che al nome Nino segue il patronimico preceduto da condam. Seguono poi il pagamento per l’esecuzione della tavola, registrato nel 1358 “pro altura quam fecit de una tuba de Argento Pisani Comunis”, mentre all’anno successivo risale la nuova commissione di aggiungere alcune insegne da applicare alla tavola in argento. Infine, al 1363 dovrebbe collocarsi la stipula di un contratto a Nino “artifex et magister et sculptor lapidum” per la commissione del monumento funebre per il defunto vescovo Giovanni Scherlatti. Per Tommaso invece la situazione è più curiosa: le testimonianze documentarie che abbiamo non ci aiutano molto a far luce sulla sua attività come orafo e scultore. Infatti in un documento del 1363 risulta impiegato come balestriere, insieme ad altri orafi, alla presa del Castello di Figline: l’esordio si potrebbe dunque collocare come orafo anche se non figura nelle importanti commissioni di oreficeria affidate precedentemente al fratello Nino. Nel 1368 invece è testimone per la redazione di un inventario dei beni dell’Opera del Duomo. Successivamente si registra una certa attività sotto il doge Giovanni Dell’Agnello: si potrebbe, dunque, supporre che Tommaso avesse finalmente acquisito una certa fama e notorietà in particolare dopo la morte del fratello Nino. Sappiamo che il doge aveva commissionato a Nino il proprio monumento funebre prima della sua cacciata da Pisa e ne abbiamo notizia indiretta da un documento, datato 5 dicembre 1368, dove si afferma che, essendo morto Nino, assicura il pagamento al figlio ed erede Andrea. Il pagamento è assicurato dagli Anziani del Popolo grazie alla vendita dei beni confiscati al doge dopo la sua cacciata da Pisa. Interessante è che viene pagato anche Tommaso per alcuni disegni per la progettazione del palazzo del doge, del monumento funebre della moglie, per un “cimiero” in gesso e per un trono da porsi in Duomo. Nel 1369 Tommaso lavora per l’Opera del Duomo dove esegue alcuni angeli marmorei. Nel 1370 è arbitro in una lite, successivamente la situazione economiche non è delle più fiorenti se, nello stesso anno, si indebita per 67 fiorini d’oro e chiede alcuni prestiti l’anno successivo. Le testimonianze letterarie non fanno che assegnare a Nino una posizione di assoluta preminenza all’interno della bottega, tanto che con tutta probabilità collaborò a lungo con il padre, forse già a partire dalle porte bronzee del Battistero di Firenze e protrattosi fino all’ultimo cantiere orvietano. La collaborazione con il padre fu la palestra dove Nino forgiò il suo stile personale: debitore della matrice grottesca e dell’ispirazione all’antico che aveva precedentemente caratterizzato lo stile paterno, si presenta infatti debitore delle figure solide e monumentali eseguite da Andrea, anche se è nelle opere di piccole formato che risulta libero di affermare il proprio registro. Il suo ductus sembra trovare la sua naturale interpretazione e coniugazione in opere più esili e longilinee, come ad esempio l’Annunciazione della Chiesa di Santa Caterina a Pisa oppure l’angelo ligneo conservato al Victoria & Albert Museum di Londra. In queste sculture infatti è riprodotta, senza alterazione alcuna, la sinuosità dell’ancheggiamento e la solidità strutturale delle figure paterne, anche se le immagini sono rese più suadenti grazie alla tecnica raffinatissima e virtuosistica, così come all’incessante ricerca dell’estemporaneità delle pose e degli atteggiamenti, quasi volesse cogliere le figure in attimi di terrena quotidianità e di umana tenerezza, che non scalfisce, anzi potenzia, la raffinata regalità di queste creature eteree. Poco sappiamo invece delle creazioni di Tommaso: l’unica opera firmata è il dossale della Chiesa di San Francesco, caratterizzato da volti con marcate accentuazioni fisionomiche e dall’impiego di un tratto “vernacolare”, se confrontato con quello “tragico e grandioso” di Nino. Indispensabile è dunque una corretta ricostruzione storico-documentaria e un’organica ricontestualizzazione stilistica dei ductus dei due fratelli Nino e Tommaso, capace di gettar luce nell’intricata produzione di opere della bottega che si diffusero rapidamente su tutto il territorio, consacrando e perpetuando l’amato stile paterno. Nino Pisano, Angeli annuncianti, chiesa di Santa Caterina, Pisa Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera IL DUCTUS DI ANDREA PISANO: “il maggior uomo che avessino avuto insino ai tempi suoi i Toscani” di Sara Taglialagamba A 8 9 ndrea da Pontedera, scultore, orafo ed architetto: seppe fondere in una sintesi perfetta lo stile aulico ed elitario di una cultura alta ed eterogenea, che faceva di Pisa, tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, una delle città più vive ed aggiornate sul piano culturale ed artistico. Pisa, infatti, nel campo dell’architettura, della pittura, della scultura e dell’oreficeria, grazie a un nugolo di artisti eccellenti, locali come Nicola e Giovanni Pisano, ma anche di importazione tra cui alcuni lapicidi nordici oppure i senesi come Agostino di Giovanni, Tino da Camaino e Simone Martini, primeggiava sulle altre città, ritagliandosi a buon diritto il titolo di centro artistico attivo per eccellenza, capace di intessere un dialogo con le altri città non soltanto italiane, ma anche europee. Il Vasari individua come determinanti per la formazione di Andrea “il nuovo disegno di Giotto e quelle poche anticaglie che gli erano note”. Vasari non è mosso dal senso campanilistico di subordinare l’attiva di Andrea al primato fiorentino, ma l’osservazione scaturisce da un’attenta valutazione critica. A ben vedere infatti l’imitazione degli antichi, a partire dall’epoca carolingia passando anche dall’operato di Nicola Pisano, è prassi affermata tra gli artisti ancor prima del predomino della sua consacrazione umanistica: inevitabile dunque doveva essere l’impatto in particolar modo con l’esercizio scultoreo, oltre che in quello pittorico. Le cosiddette anticaglie, che, ricordiamolo, giunsero a Pisa grazie alle vittorie e ai bottini riportati “per mare”, divennero pertanto modelli irripetibili e preziosi da cui trarre stilemi, composizioni, soluzioni iconografiche ed elementi morfologici che concorrevano alla formazione del nuovo Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera linguaggio scultoreo. Se l’antico, dunque, diventava un modello d’ispirazione, la rivoluzione attuata da Giotto dovette conquistare letteralmente, oltre il cuore, anche la mano di Andrea: è infatti attraverso l’inspirazione giottesca che si crea una scossa nel nuovo modo di fare e di intendere le arti e la pratica artistica, capace di portare a compimento la morfologia del ductus del maestro. Le figure sono dunque costruite “classicamente” come sereni idoli che si ritrovano, loro malgrado, in una ambientazione reale, viva, quotidiana. La nuova consapevolezza del reale infatti ambienta ogni immagine in un ambiente naturale caratterizzato da connotazioni spaziali ben precise. La connessione tra ispirazione dei modelli antichi e matrice giottesca, infatti, irrompe nel dipanarsi della storia dell’arte, rivoluzionandola dall’interno, proponendosi come un filo rosso capace di accomunare tra loro molti degli scultori che si formarono ed adoperarono nel corso del XIV secolo. Ma Andrea ha molto di più di questo: nel suo linguaggio sembrano fondersi all’unisolo ispirazioni oltralpe e senesi, creando un linguaggio elegante e semplice, antico ed aggiornato, prezioso e cangiante, forte e dolce al tempo stesso. Da un lato infatti è possibile registrare l’influsso di una cultura “gotica e d’oltralpe” per il fluire continuo di linee, modulate e mai interrotte, capace di impreziosire le vesti e donare eleganza raffinata ai gesti e alle pose. La notizia, ancora tutta da verificare, tramandataci dal Vasari per cui Andrea creò un “crocifisso di getto” recato in dono da Giotto al papa ad Avignone tenderebbe a confermare una possibile apertura di Andrea alla cultura d’oltralpe. Dall’altro lato, comunque, Andrea non rimase indifferente alla influenza senese grazie all’influsso dei già citati artisti, Agostino di Giovanni, Tino da Camaino e Simone Martini. Essa si traduce in giochi formali sottilissimi, in una organizzazione modulare e vibrante, in una composizione ritmica delle scene e dei personaggi: tutti elementi che creano un’arte aulica ed elegante, capa- Indagine stilistica sulle opere di Andrea ce di rispondere in maniera grandiosa ai voleri della committenza. L’unica opera certa di Andrea, grazie alla positura della sua firma e della datazione (1330), è la Porta Sud del Battistero di Firenze: proviamo ad individuare le caratteristiche formali del suo linguaggio. I massimi artisti del tempo avevano lavorato quasi contemporaneamente sia a Pisa che a Firenze, lasciando nelle due città cicli pittorici o monumenti che crearono un forte impatto: pensiamo che Giotto, proprio all’arrivo di Andrea a Firenze, ha appena terminato la Cappella Bardi in Santa Croce. Nelle formelle infatti Andrea, letteralmente ammaliato dalle possibilità di resa dei risultati plastici e cromatici raggiunti da Giotto, modula le scene della Vita del Battista entro nicchie a compasso quadrilobato, creando un susseguirsi di piani continui ed ininterrotti, entro cui si muovono verosimilmente le figure create da volumi nitidi e ben definiti. L’impaginazione delle scene è caratterizzata da una diversa connotazione spaziale ricreata da particolari naturalistici o architettonici che racchiudono in una perfetta corrispondenza di sigle e di moduli compositivi, ogni episodio. Le eleganze formali di ascendenza senese impreziosiscono ogni dettaglio, che si fa elegante e vibrante, così come il fluire “gotico” delle linee che descrivono ogni elemento trasformandolo in un raffinato arabesco. Ogni scena è resa in maniera semplice e razionale con pochi elementi: come se si trattasse, al tempo stesso, di un estremo omaggio alle porte pisane di Bonanno ed aggiornamento d’avanguardia con le elegantissime immagini francesi che campeggiavano a Brouges e a Notre-Dame. A sigillo della paternità di Andrea è infine l’acuta capacità di definizione delle forme e della loro collocazione nello spazio, cesellate in un linguaggio vibrante e ricettivo, capace di fondere in un unico ductus personalissimo le esperienze più significative dell’arte del tempo. Andrea da Pontedera, L’aratura Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ANDREA, NINO E TOMMASO PISANO ATTRAVERSO I DOCUMENTI DEGLI ARCHIVI PISANI di Jonath Del Corso JONATH DEL CORSO Nato a Pisa il 31/08/1980. Nel 1998 si diploma all’Istituto Statale d’Arte di Cascina per poi proseguire gli studi presso l’Università di Pisa e lurearsi in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo storico-artistico, presentando una tesi su inediti disegni d’ornato degli allievi della Scuola d’Arte di Cascina dell’anno scolastico 1899-1900. Dopo varie esperienze lavorative lavora attualmente presso la cooperativa Impegno e Futuro, prestando servizio presso l’Opera della Primaziale Pisana. È docente di Storia dell’arte Medievale ed Archeologia presso la scuola di formazione ENAIP di Pisa e docente di Legislazione Turistica e Legislazione dei Beni Culturali ed Ambientali presso l’Istituto Universitario Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Contemporaneamente collabora con il sito Teknemedia.net per lo sviluppo dell’arte contemporanea in Italia recensendo mostre ed eventi. 10 11 Nino e Andrea Pisano, Sepolcro di Simone Saltarelli, chiesa di Santa Caterina, Pisa U n’opera d’arte, che sia una scultura o un quadro, porta con sé elementi che fanno capire di quale artista l’opera è figlia. Più delle volte il lavoro è semplificato dalla firma dello stesso maestro, la quale tuttavia può trarre in inganno perché realizzata più tardi, errore che almeno una volta può essere certamente perdonato visto che uno dei più autorevoli storici dell’arte, quali Giorgio Vasari, se n’è macchiato. È il caso dell’annunciazione in Santa Caterina realizzata da Nino Pisano, indiscutibilmente opera del nostro scultore di cui però la firma, incisa alla base delle due statue, risulta apocrifa e realizzata in un secondo momento probabilmente dal fratello Tommaso. Infatti, le statue risalirebbero al 1370, data in cui Nino era già morto come testimonia lo stesso Bonaini pubblicandone il documento dal quale risulta che lo scultore muore nel 1368. Altre volte invece la paternità di un’opera d’arte è data dai riscontri con altre opere dello stesso maestro, riscontri che permettono, attraverso l’individuazione di determinati particolari, di risalire alla ma- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera niera dell’artista: la cura del panneggio, dei volti, dei capelli, dei corpi, etc…. Importante risulta infine la nutrita documentazione scritta che può interessare direttamente o indirettamente l’opera d’arte, e grazie a tali documenti riuscire a determinare l’ambito cronologico, chi l’ha commissionata, la sua collocazione originaria e più delle volte anche il nome dell’artista. Unendo quindi alla ricerca stilistica quella documentaria risulterà più facile collegare opere d’arte ad un determinato pittore o scultore. È questo il percorso da me seguito per catagolare l’attività di Andrea da Pontedera e della sua bottega a Pisa, che preferì definirsi pisano anziché pontederese per dare maggiore prestigio alla sua arte e discendere così da quella scuola scultorea a cui avevano dato i natali l’arte di Nicola e Giovanni Pisano. Il Nostro maestro fu prima di essere scultore grande orafo e certamente aveva avviato una grande bottega dalla quale uscirono allievi di alto livello, uno dei quali Giglio Pisano, recatosi a Pistoia per lavorare all’altare di San Jacopo. Della preziosa produzione d’oro e d’argento proveniente dalla bottega dei da da Pontedera non è rimasto niente, ma i pregiati ornamenti della cintola della cattedrale conservati oggi presso il Museo dell’Opera del Duomo e attribuiti ad ignoto orafo toscano realizzati agli inizi del XIV secolo, ed in particolare le cornici delle piccole formelle poste sul damasco rosso composte da sei semicerchi, richiamano la formella impigata a mò di decoro per la copertina del libro di San Giacomo realizzato tra il 1349 e il 1351 da Giglio Pisano. Molte delle opere realizzate andarono certamente perse nell’incendio che divampò in cattedrale nella notte del 1595, altre invece vennero utilizzate come risorsa finanziaria dal comune di Pisa per far fronte alle continue lotte con Firenze. Che la bottega di Andrea, Nino e Tommaso avesse raggiunto ormai grandissimi livelli è testimoniato dal documento relativo alla commis- sione a Nino Pisano ed altri due orafi, Cascio di Gaddo da Cascina e Simone detto Boschiera, di una tavola d’argento da collocare sopra l’altare maggiore del Duomo in occasione di grandi eventi. Parallela all’attività di oreficeria i documenti rivelano altresì una nutrita produzione scultorea, testimoniando opere realizzate per ornare gli edifici religiosi di Piazza dei Miracoli, ed altre destinate ad arricchire le chiese pisane. Dall’alto della facciata della cattedrale spicca la grande statua della Madonna con Bambino anticamente posta all’interno di un edicola marmorea. Non ci sono documenti attestanti la mano di Andrea o di Nino, ma l’opera è identificabile con la “Nostra Signora sopra la porta reale” per la quale era stato acquistato, da Bertuccio di Ugolino da Carrara per 94 lire, un pezzo di marmo, il quale, per 12 lire pagate a Puccio di Lando da Limite, fu trasportato da Carrara a Pisa. Sempre sulla facciata del Duomo ai lati dei due spioventi superiori troviamo attualmente due angeli realizzati da Tino di Camaino, angeli che successivamente si è ritenuto facessero parte del monuemtno funebre di Arrigo VII, come del resto testimoniano anche gli stessi cartigli che reggono tra le mani. Ciò che incuriosisce però è che se questi angeli erano in Duomo ad ornare il monumento di Arrigo, quali sono gli angeli, di marmo, riportati dalla Descrizione di Pisa ed elenco dei corpi dei santi venerati in Pisa, testo anonimo riconducibile agli inizi del Quattrocento? Per rispondere a questa domanda ci viene incontro un documento che rivela la commissione a Tommaso Pisano di due angeli marmorei. Forse sono questi i due angeli che la Descrizione di Pisa… aveva visto e non come qualcuno ha pensato fossero invece gli attuali (gli originali sono conservati nel Museo dell’Opera del Duomo), e ancora, visto che le ali di questi sarebbero state in bronzo, ancora di più si rafforza l’idea che non siano quelli di Tino di Camaino, altrimenti alla Descrizione di Pisa… non sarebbe certo sfuggito questo particolare, e la presenza di angeli è testimoniata anche dalle rappresentazioni pittoriche di più epoche: un affresco trecentesco di Domenico Veneziano, un’incisione di Francisco de Holanda e un’incisione dei fratelli Melani. È possibile, come del resto lo fece incidendo le iscrizioni sulle due statue dell’Annunciazione in Santa Caterina per terminare l’opera del fratello Nino, che Tommaso abbia continuato l’opera del padre. Ovvero dopo la realizzazione della Madonna con Bambino sulla cuspide, al tempo racchiusa in un’edicola di marmo poi tolta dopo i restauri dovuti all’incendio del 1595 dall’artista Cosimo Cioli, Tommaso concludesse il complesso con l’inserimento di due angeli ai due spioventi superiori. L’incendio del 1595 danneggiò anche i monumenti Scherlatti e Moricotti realizzati rispettivamente nel 1362 e 1365, pertanto, bisognosi di restauri, vennero eseguiti nel 1601 e una volta terminati, i due monumenti furono trasferiti in Camposanto dove compaiono in un inventario del 1906. Qui vennero però rimontati in maniera errata, scambiando le casse dei sarcofagi e ci si rese conto dell’errore solamente nel 1904 grazie al ritrovamento da parte del Supino del documento di allogagione a Nino, in base al quale non solo era descritto che cosa dovesse essere rappresentato sul fronte del monumento dello Scherlatti, ma anche come si dovesse presentare tutto il complesso funebre, ovvero sormontato da un arco con archetti inginocchiati. Del monumento Scherlatti e del monumento Moricotti facevano parte rispettivamente due stauette: un San Pietro e un San Paolo e un Santo Vescovo e un San Francesco. Dai documenti rintracciati risulta che il San Pietro rimase fino al 1623 in Duomo per poi essere spostato in Battistero insieme al San Francesco, e posto sopra l’acquasantiera realizzata nel 1618 da Bastiano Bitozzi. Dal 1815 il San Pietro, a causa della caduta dell’acquasantiera, viene trasferito in Camposanto dove viene elencato nell’inventario del 1833, per Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera In basso: la facciata del Duomo di Pisa con al centro, sulla cuspide, la Madonna col Bambino di Andrea Pisano 12 13 Bibliografia Baracchini C., I marmi di Lasinio. La collezione di sculture medievali e moderne nel Camposanto di Pisa, Firenze 1993. Bellini Pietri A., Guida di Pisa, Pisa 1913. Bonaini F., Memorie inedite intorno alla vita e ai dipinti di Francesco Traini, Pisa 1846. Da Morrona A., Pisa illustrata nelle arti del disegno, Tomo II, Pisa 1812 Da Morrona A., Pregi di Pisa, Pisa 1826. Grassi R., Pisa e le sue adiacenze, Pisa 1851. Lasinio E., Il Camposanto e l’Accademia di Belle Arti di Pisa dal 1806 al 1838, Pisa 1923. Lasinio G. P., Raccolta di sarcofagi, urne e altri monumenti di scultura del Campo Santo di Pisa intaggliati da Paolo Lasinio figlio, Pisa 1814. Propseri R., Descrizione della città di Pisa, Pisa 1792. Rosini G., Descrizione delle pitture del Campo Santo di Pisa coll’indicazione dei monumenti ivi raccolti, Pisa 1829. Supino I. B., Arte pisana, Firenze 1904. Titi P., Guida di Pisa. Pittura, scultura e arcitettura, Lucca 1751. Abbreviazioni: ASP: Archivio di Stato di Pisa ASF: Archivio di Stato di Firenze AOP: Archivio dell’Opera del Duomo ACP: Archivio Capitolare di Pisa poi essere raggiunto, sempre nel 1833, dal San Francesco, il quale compare a sua volta nell’inventario del 1906. Sopra la porta del Camposanto, vicina alla porta del Leone, fino al 1790 anno in cui fu trasferita nella Chiesa di San Michele in Borgo, era possibile vedere un crocifisso realizzato da Nino Pisano. Il Supino attribuisce l’opera a Nino Pisano in riferimento alle analogie che tale Cristo presenta con quello realizzato sulla cassa del monumento funebre Scherlatti. I rapporti tra i due cristi sono notevoli: le proporzioni della figura, l’andamento modulato del panneggio, il modellato del torace e le sottili cesellature (quasi di mano orafa) dei lineamenti della barba e dei capelli. A conferma della possibilità di riferire a Nino il crocifisso c’è un documento in base al quale l’Opera del Duomo acquistò il 26 marzo del 1369, una spugna e una pomice per pulire il crociffisso posto sopra la porta del Camposanto in vista della sua pintura la quale avverrà solamente nel 1390 ad opera del pittore pisano Jacopo di Michele detto il Gera e per la quale si cominciarono a stanziare i fondi: una donazione da parte di Donna Giovanna, vedova di un carpentiere, di quattro fiorini d’oro e di dieci soldi stanziati dall’Opera. Come abbiamo visto attraverso l’esa- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera me di documenti archivistici e riscorntri pittorici e stilistici ho potuto ricostruire le vicende di alcune opere presenti nelle principali fabbriche religiose della città di mano dei nostri tre scultori, riuscendone a determinare le loro collocazioni originarie e i loro spostamenti, aiutato anche dalle testimonianze dei più atorevoli studiosi di arte pisana, i quali hanno sentito la necessità di testimoniare la presenza delle opere di vari artisti nelle diverse chiese pisane e addirittura stare in pena per opere che più delle volte venivano addirittura lasciate all’abbandono, come capitò al dossale della chiesa di San Francesco di Tommaso Pisano visto nel 1794 dal Da Morrona nella sala del Capitolo di San Francesco come appoggio per attrezzi da lavoro e così trasferito nel 1810 in Camposanto dal Lasinio, luogo in cui venivano raccolte le varie testimonianze scultoree e pittoriche della grande scuola pisana. Altri documenti hanno invece rilevato, in particolare quello relativo al pagamento del monumento dell’Agnello, altre qualità dei nostri artisti come quelle architettoniche di Tommaso Pisano, il quale provvide ai disegni per il palazzo dell’Agnello, fornendo così solide basi a chi lo volle come ideatore ed esecutore della cella campanaria della celebre torre pendente. PAOLO CIAMPINI a cura della redazione del Centro P aolo Ciampini è un artista che percorre le sua vicenda umana con passione e fiducia, non sempre ricambiata, nelle possibilità dell’Uomo. La sua indagine cerca nel profondo dell’anima, alla ricerca di quelle vibrazioni di cui è permeato il nostro intimo stato emotivo. Nel suo lavoro si avverte il recupero delle esperienze dei grandi incisori rivisitati con intensa passione artistica. Il Ciampini ha elaborato una tecnica incisoria che si avvale di passaggi di tono raffinati, con una notevole gamma di gradazioni, che vanno dai bianchi puri ai neri profondi per esplorare tutti i meandri dell’anima. La sua vi- PAOLO CIAMPINI É nato a Montopoli in Valdarno. Diplomato all’Istituto d’Arte di Cascina (Pisa), conclude nell’89 i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dopo molti anni dedicati all’insegnamento di materie artistiche in diversi istituti italiani, diviene assistente d’incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e poi di Bologna e di Firenze. Oggi è titolare della cattedra di tecniche dell’incisione presso l’accademia fiorentina. Fra i riconoscimenti internazionali segnaliamo il Terzo premio alla Biennale di Orense, nel 2000, il Gran Premio alla Biennale di Seul nel 2004 e il Primo premio speciale della giuria alla Biennale di Parigi nel 2002 dove, nella sede di Villa Medici, gli è stata dedicata un’importante retrospettiva. Ha vinto altri numerosi premi internazionali tra cui: First prize, 7a edizione “Kochi International” Triennal Exibition of Agawa Gun Kochi-ken (Japan) 2007; The Grand Prix Award of the city of Varna, 13a International Print Biennal, Varna (Bulgaria), 2005; First Grand Prize, 4a International Graphic Triennal, 2003 Bitola (Macedonia); Prix Special du Marie, Biennale de l’Estampe de Saint MAur: “Nature”, 2003, Paris (France); First Prize “Artoz Media Art Award Europe kunstfestival 2002”, Fürth (Germania); First Grand Prize, 5a Bharat Bhavan International Biennal of Print Art, 2001 Bhopal (India); First Prize Gold Medal, IV Bienal internacional de Gabrado, 1996 (Premio “Julio Prieto Nespereira”), Caixnova-Ourense (Spagna). Metenpsychosis n°1, 2004 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Sotto da sinistra: Butterfly, 2007 For ever, 2004 Life memories, 2005 Metenpsychosis n°1, 2004 sione è un perenne equilibrio tra forma e contenuto, il suo linguaggio è struggente ma non romantico, è un recupero dei nostri sogni e delle nostre illusioni per farne immagini di pregnante vitalità mediante una tecnica evoluta che ripercorre l’universo dei grandi artisti della tradizione incisoria. Paolo Ciampini è un uomo che valuta l’affermazione personale, il suo percorso artistico, non sugli onori ricevuti, (e ne avrebbe la possibilità), ma sul dialogo con se stesso e sulla sua ricerca di verità. PIETRO KUFFERLE SCULTORE NEOCLASSICO di M. L. S ulla facciata del Duomo di Pontedera in quattro nicchie addossate alla facciata, sono state poste negli anni intorno al 1920, 4 statue in marmo opere dello scultore Pietro Kufferle. Le statue, trovate opere minori di proprietà di alcune famiglie locali quali i Lowley, i Degli Azioni, Francolini, Guidi, Fassorra (nipote dell’Artista). Ho verificato poi che le tracce del passaggio dello scultore si trovano in varie città italiane dove l’artista ha intallato vari monumenti (Prandino-Cremona, Milano, Padova, Pisa, Pontedera) celebrativi. Ricostruendo la sua biografia at- Pietro Kufferle Il Duomo di Pontedera senza il pronaos in una foto di inizio secolo scorso 14 15 realizzate secondo i canoni neoclassici come tutta la facciata della chiesa, rappresentano i 4 Evangelisti. Le statue di onesta fattura mettono in evidenza una buona capacità tecnica, ma sono state considerate opere di maniera, per cui la critica più attenta non se ne era mai interessata. In questi ultimi anni ho avuto occasione di occuparmi di queste statue perché messe in relazione con altra opera di Kufferle nella stessa chiesa: un altorilievo dietro il fonte battesimale. Iniziate le ricerche ho avuto ben presto la sensazione che l’artista avesse avuto un percorso molto tortuoso ma ricco rispetto alle scarse notizie di cui ero in possesso. Intanto, ampliando le ricerche al territorio della Valdera sono state ri- Il Duomo di Pontedera come lo vediamo oggi Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera I quattro evangelisti di Pietro Kufferle posti sulla facciata del Duomo di Pontedera Duomo di Pontedera: fonte battesimale con un altorilievo di Kufferle 16 17 Monumento ai caduti di Kufferle, oggi disperso traverso varie fonti ho appreso che Pietro Kufferle nacque a Verona nel 1871, studiò scultura come allievo dello scultore Grazioso Spazi famoso esecutore di monumenti, di scuola neoclassica, accademica, ispirato dal Canova. Il Kufferle partì giovane da Verona, sostò in vari paesi dell’Est europeo e approdò a San Pietroburgo in Russia nel 1898. Rientrò in Italia dopo la Rivoluzione Russa del 1917; soggiornò a Pontedera dove si sposò e mori nell’anno 1942. Le opere di Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Pietro Kufferle sono sparse in vari Paesi europei, molte di queste sono andate perdute. Le opere realizzate in Russia prima della rivoluzione del 1917 sono di difficile reperibilità; si pensa che molte siano state disperse contemporaneamente agli avvenimenti succedutisi in quel periodo. Il fatto che abbia diretto per 16 anni la scuola di scultura dei Paggi dello Zar Nicola II° non deve certo aver giocato a suo favore con il nuovo clima politico instaurato in Russia. Il suo passaggio è stato segnalato in vari Paesi: Austria, Cecoslovacchia, Svizzera, dove si presume abbia pur lasciato qualche traccia del suo lavoro. Pietro Kufferle ha avuto una formazione artistica all’interno di quel filone neoclassico che ha avuto tante sfaccettature romantiche che per alcuni si evolverà in ricerche formali deteriori e per altri resterà il punto di partenza per nuove e più ardite esperienze creative. Allievo di G. Spazi , fornito di una capacità tecnica e di abilità non comuni, lascia tuttavia qualche perplessità per i contenuti delle sue figurazioni populiste. I temi ricorrenti, oltre ai ritratti per cui ha una spiccata attitudine, sono spesso a carattere religioso o agiografico (il monumento allo Zar Nicola II° a Mosca). Una parte notevole della sua produzione riguarda l’arte funeraria con notevoli lavori lasciati in Russia. Un esempio la tomba del consigliere Atryganiev al Newskaja Lavra- San Pietroburgo meta di visite dello scrittore Leone Tolstoy che considerò l’opera come una mirabile rappresentazione della figura di Cristo. Un giudizio critico sull’opera di Kufferle non può prescindere dalla visione estetica del tempo legata all’accademismo neoclassico che dal Canova in poi aveva permeato il concetto di scultura, con il recupero della memoria classica, specialmente quella monumentale legata al culto dei morti e alla realizzazione dei cimiteri. Dopo l’editto di Napoleone in cui si proibivano le tumulazioni nelle chiese e nei Luoghi Pubblici; si Alcune opere di Pietro Kufferle Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera CARLA BURGALASSI CERAMISTA a cura della redazione del Centro L e “botteghe” artigiane sono una risorsa importante, sia per l’acquisizione delle tecniche artistiche degli operatori che dal punto di vista del rapporto umano. In queste “botteghe” si sperimentavano tecniche che poi venivano utilizzate in forma industriale da ditte che conquistavano il mercato utilizzando queste esperienze senza aver finanziato la ricerca. Dal punto di vista dei rapporti umani, 18 19 sviluppò tutto un “edificare” attorno alle “Città dei Morti” e la scultura ebbe un impulso nell’impiego agiografico nella architettura cimiteriale. P. Kufferle allievo di G. Spazi, portò questa sua visione estetica nelle sue opere che ereditano il linguaggio classico, che per alcuni fu una prigione da cui liberarsi verso una diversa concezione dell’arte: anticlas- sicismo, antiaccademismo secondo una nuova visione estetica delle Avanguardie del XX° secolo. Altri come Kufferle legati alla tradizione accademica dettero alle loro opere un contenuto spesso moralistico-religioso producendo opere di rigore tecnico da buon artigiani restando però nel solco della tradizione neoclassica. l’artigiano che è a contatto con il prodotto della propria creatività e con il fruitore dell’opera, diffonde un senso di fiducia che il bel prodotto, curato con amore, suscita e diffonde anche attraverso il contatto umano le conoscenze e la cognizione tecnologica. Il ceramista crea un prodotto che spesso raggiunge valenze artistiche elevate. La ceramica è un’arte antica, nella storia dell’uomo le prime terrecotte risalgono al paleolitico e da lì fino a noi; nella Grecia ci fu una grande produzione di ceramica dipinta con figure nere su fondo rosso e viceversa. In Cina nel 700 si metteva l’invetriatura colorata che ren- CARLA BURGALASSI È nata e risiede a Pontedera dove svolge la professione di ceramista in via Marconcini. Diplomata presso L’Istituto per l’Industria e l’Artigianato “G. Fascetti di Pisa”. Successivamente ha insegnato per molti anni l’arte della ceramica nello stesso istituto e in altre scuole della provincia di Pisa. Produzione artigiana di ceramiche L’artigianato ha una notevole importanza nel nostro territorio. Le prime fabbriche risalgono al Medioevo Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera EMANUELA CAVALLINI di M. L. D deva lucide come vetro le superfici; nel XIV° secolo, sempre in Cina si diffuse la tecnica della porcellana. In Italia nel primo Rinascimento Luca della Robbia eseguiva altorilievi in terracotta invetriata. Faenza nel ‘500 era un importante centro per le maioliche. Nel ‘700 a Meissen si creavano animali in ceramica a grandezza naturale. Nel 1750 a Capodimonte si producevano statuine della “Commedia dell’arte”, nello stesso periodo a Sèvres si fabbricavano porcellane con i famosi colori tra i quali il bleu e l’oro. 20 21 A Pisa nel Museo di San Matteo c’è una interessante raccolta di ceramiche provenienti dai Paesi del Megreb; collezione curata dalla dott. Tongiorgi, ceramiche provenienti dai muri delle chiese pisane, ceramiche di origine araba che indicano i rapporti di questa città col mondo arabo. C’è una “bottega artigiana” ancora in attività in via Marroncini in Pontedera e è condotta da Carla Burgalassi ceramista che ha alternato l’insegnamento alla produzione artistica. i Emanuela Cavallini presentiamo alcune opere, frutto della sua ricerca quotidiana e altre che provengono dalla mostra parigina dello scorso maggio 2007. Queste opere sono il risultato delle sue ricerche attuali, il frutto di una intensa ultima stagione vissuta con passione e lucida intenzionalità. Di Lei si può affermare che la sua creatività è il risultato di componenti emotive e razionali dove intuizione e conoscenza sono essenziali e costituiscono la grammatica e la sintassi del suo linguaggio. Da tempo Emanuela coerente con se stessa, compie un percorso consequenziale, non concede nulla al caso e non dando nulla per scontato: il suo linguaggio coerente è una conquista non da poco. Ricordiamo i bianchi e neri a grafite espressi con un linguaggio concluso, maturo e pregnante in cui tutta la carica emotiva, non solo sensuale, evocava un aspetto onirico nella figurazione. In seguito il periodo delle “Rievocazioni”, grandi tele con le “sequenze”, le “spaccature”, le “ferite”, lo “strappo” e l’”angoscia”, tutti motivi per la titolazione di una situazione fortemente emotiva. Successivamente scoprendo che nei luoghi di frequentazione a lei consueti esisteva un mondo che da lungo tempo produceva scarti di una vita ormai corrosa e corrosibile di archeologia industriale e di concia, ha rivolto la sua attenzione a oggetti di lavoro quotidiano della conceria. Questi oggetti a cui mancava una dignità, se non per la funzione specifica (le fustelle), sono stati da lei reinventati con una funzione decorativa. La vicinanza a questi nuovi interessi ha fatto sì che prendesse visione dei residui di pelli , gli “scarnicci”, scartate come funerei trofei, come soggetti di disumana empietà; e forse per rimuovere al fondo dell’anima un senso di colpevole indifferenza che colpisce tutti noi al cospetto di una violenza immaginata. Li ha esposti nella mostra “ Fior di pelle” come trofei negativi di una disumana superbia a cui l’uomo non rinuncia; forse nell’orrido c’è qualcosa di affascinante, di decorativo, di intrigante se le varie posture di questi resti appesi al muro ci attirano per osservarli e colloquiarci. Emanuela ha da sempre un atteggiamento di ricercatrice che opera percorsi personali che sembrano più scaturire da rapporti fisici col divenire che da percorsi celebrali tortuosi; Lei avverte la fisicità del materiale che tratta, lo elabora, lo penetra fino a che lo sente “suo”, fino a che si esaurisce l’interesse per pensare a quello successivo. Le opere che ha esposto alla mostra recente fatta al Fauburg Saint-Honoré alla CCIF di Parigi “Rosse Sinergie” sono una parte della ricerca da alcuni definita informale che a me sembra invece di una concretezza formale eccezionale in quanto la concreta materia delle “Rosse Sinergie” altro non è che una visione chiara di una figurazione del mondo delle immagini della nostra civiltà della comunicazione. É nata a Santa Maria a Monte (Pisa) vive e lavora a Montecalvoli, si è diplomata all’Istituto Statale d’Arte di Cascina. HA frequentato il Magistero presso l’Istituto Statale d’Arte di Firenze. Ha insegnato ad Acqui Terme (Al) dal 1972 al 1978. Attualmente insegna all’Istituto Statale d’Arte di Cascina. Ha esposto le sue opere in numerose mostre in Italia. Nella pagina successiva In alto; Fustelle n°1,2,3,4,5,6; matite colorate e grafite su cartone In basso a sinistra: Fustella; suste, schiuma, stoffa, acrilico In basso a destra: Primavera; fustelle, schiuma, pelle, fiori artificiali Sotto: Ferita Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera L’ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI PONTEDERA di Lara Parisotto L Nella pagina precedente: Forme recondite. Sopra: Strappo. Sotto a sinistra: Strappo; inchiostri su cartone. Sotto a destra: Strappo; inchiostri su cartone. ’Archivio Storico del Comune di Pontedera è aperto al pubblico dal 24 Febbraio 2005. Per quasi quarant’anni è stato lontano dai pontederesi e da Pontedera: nel 1966, infatti, immediatamente dopo l’alluvione fu depositato presso l’Archivio di Stato di Pisa. Il provvisorio trasferimento si è prolungato oltre il previsto (soprattutto per motivi burocratici) ma grazie alla ferma volontà dell’Amministrazione di Pontedera, alla disponibilità dell’Archivio di Stato, diretto allora dalla dottoressa Timpanaro, e al lavoro del personale del Comune, guidato dall’ingegnere Fantozzi, è stato raggiunto l’obiettivo di riportare “a casa” una raccolta di documenti di grande importanza. L’archivio è stato collocato in un locale dell’edificio che ospita anche l’Università della Terza Età e il Centro Studi Andrea da Pontedera - Centro di Documentazione Fotografica; nelle immediate vicinanze troviamo il Centro per l’Arte “Otello Cirri”, la Biblioteca Comunale e la Biblioteca dei Ragazzi: una sorta di “distretto della cultura”. Oltre a questa locale, l’archivio di Pontedera fa parte anche di un’altra rete: la Rete Archivistica della Provincia di Pisa. Nata nel 2001 per iniziativa e stimolo proprio della Provincia e di alcuni Comuni, tra cui proprio Pontedera, la Rete comprende molti Comuni del Valdarno e della Valdera, nonché l’Archivio Arcivescovile di Pisa . L’archivio del Comune di Pontedera è suddiviso in una sezione pre- unitaria e in una post – unitaria; la prima è costituita dalle Deliberazioni del Magistrato, del Consiglio generale e del Gonfaloniere, organi di governo locale reintrodotti dopo la fine della dominazione napoleonica. Nella sezione post – unitaria spiccano le Delibere del Consiglio Comunale e della Giunta Municipale, gli enti dell’organizzazione amministrativa istituiti dopo l’Unità d’Italia. Una serie di documenti da cui si possono attingere una notevole quantità di notizie è quella del Carteggio e Atti degli affari comunali, particolarmente per il periodo fascista e per la seconda guerra mondiale. La forza sempre viva dei documenti d’archivio è nella loro capacità di raccontare la storia perché fanno parte di essa, non sono nati per lasciare ai posteri una visione soggettiva degli eventi. Al contrario, i documenti vengono redatti per scopi pratici, testimoniano gli eventi così come sono accaduti; per quanto riguarda il linguaggio, a volte sono caratterizzati da uno stile burocratico freddo e sintetico, altre da una forma fin troppo colloquiale, in cui alcuni dati sono sottintesi perché conosciuti sia dal compilatore che dal destinatario. Quanto si è conservato ed è arrivato fino a noi è un bene inestimabile: ciascun documento è un esemplare unico e, sottoposto ad una attenta analisi, leggendo e indagando tra le righe, può fornire nuovi spunti di riflessione e forse nuove chiavi di lettura di eventi noti. LARA PARISOTTO Nasce a Livorno il 5 Luglio 1975. Da Maggio 2004 lavora per la Rete Archivistica della Provincia di Pisa, occupandosi di vari archivi comunali tra cui quello di Pontedera. Ha partecipato alla realizzazione della mostra “La guerra, l’occupazione, la Resistenza, la Liberazione. Manifesti, documenti e cinema. Mostra fotografica e documentaria sul periodo 1940 – 1950” tenutasi a San Giuliano Terme dal 24 Settembre al 15 Ottobre 2005. In occasione del 60° anniversario del Referendum Costituzionale, ha realizzato un’esposizione di documenti d’archivio per il Comune di Calcinaia; la mostra ha dato luogo ad una pubblicazione da lei interamente curata dal titolo “Calcinaia e Fornacette dalla Resistenza alla Repubblica. Appunti di Storia e Microstoria attraverso le fonti”. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera APPUNTI PER UN DIBATTITO di Mario Lupi Marcel Duchamp, Fountain,1916-17 26 27 Tony Cragg, Barbabietole,1987 G li uomini e le civiltà che si sono succedute sulla terra hanno lasciato tracce della propria esistenza. La Storia indaga e segue queste tracce e le organizza perché siano interpretabili. Le tracce possono essere di tipo diverso: documenti scritti, opere dell’ingegno umano, strumenti di lavoro, oggetti quotidiani. Un tipo di testimonianze particolari sono le opere d’arte: architetture, sculture, pitture, ecc. che sono tracce particolarmente ricche di informazioni sulla vita degli uomini che ci hanno preceduto. Queste opere non hanno solo una funzione pratica ma esprimono soprattutto l’esigenza intima e sentimentale dell’uomo e del suo atteggiamento verso la vita e il mondo. Queste opere a volte ci presentano lo stile personale di un individuo a volte gli orientamenti culturali di una comunità. La Storia dell’Arte organizza, studia, interpreta le componenti di ogni opera artistica individuando il suo Autore, analizzando le componenti stilistiche, accerta il periodo storico in cui è stata prodotta . La Storia dell’Arte è quindi un racconto visivo nel quale l’uomo racconta di sé Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera nelle varie epoche storiche e di come ha modificato le proprie esigenze sociali e i valori culturali e spirituali. L’Arte e gli artisti. Il concetto di “bello” varia secondo i tempi. Il concetto di “Arte” varia secondo i tempi. Se oggi io mi domando che cosa è l’Arte, non posso che dare la stessa risposta che ho sempre dato: “…è una visione appassionata della nostra vita”, qualunque sia il mezzo con cui mi esprimo, questo è il concetto base. Oggi però, il concetto di “Arte” non ha più lo stesso valore che ha avuto nella Storia dell’Arte fino al secolo scorso. Viviamo in un’ epoca in cui le valutazioni sul prodotto dell’ingegno umano sono indipendenti dai valori estetici, storici, etici, a volte anche creativi. Vorrei a questo proposito proporre alcuni spunti di riflessione per iniziare un dibattito che dia motivo di un qualche chiarimento e anche una chiave interpretativa finalizzata all’Educazione Artistica che è lo scopo di questo Bollettino. Nel “momento” che stiamo vivendo sembra siano stati persi i punti di riferimento di lettura dell’opera d’Arte: a) Il riconoscimento della figurazione (cioè il fatto, i personaggi, l’ambiente). b) La lettura delle funzioni estetiche ( la linea, l’equilibrio, la composizione,il ritmo,l’atmosfera). c) Il riconoscimento della tecnologia. d) I rapporti nell’ambito culturale e storico. Tutto questo è ormai relativo; il prodotto “artistico” è ormai considerato un prodotto economico, commerciabile, e a questi parametri si riferiscono i riconoscimenti dell’”artisticità”. L’ “Artista” espone un oggetto banale nella consuetudine umana, solo per il fatto che lo evidenzia è un oggetto artisticamente importante, ma a differenza degli “oggetti” esposti da Marcel Duchamp, che avevano un loro collocamento nella dialettica storica del momento, cent’anni dopo il valore ideale e la motivazione che aveva valore in quell’epoca sono caduti. Resta solo un gioco a cui i mercanti sono i più sensibili. E l’”Artista” quali requisiti lo fanno definire tale, chi e che cosa lo certifica? Il mercato? Forse i diplomi distribuiti a piene mani ai più? Vi è oggi una giustificazione teorica, ideale, estetica, alla banalità dell’oggetto esposto? Il concetto di mercato sta corrompendo un settore tra i più pregiati. Con quali criteri si stabiliranno le opere valide e degne di restare a testimoniare per il futuro? E’ proprio questo il concetto? Non resterà che una testimonianza che non testimonia. Dobbiamo definire certi “Artisti” come “produttori” di Opere come si usava definirli fino a ieri, creativi, ricercatori, idealisti, progettisti, ecc., ecc., o come “produttori” tout-court ? Cerchiamo di vedere storicamente la nostra attuale cultura artistica che permea i soggetti e gli Enti: c’è stato un periodo, diciamo dal dopoguerra agli anni ’80, in cui la stragrande produzione artistico-culturale si è identificata come posizione in un area militante, vuoi per un fatto ereditario dell’antifascismo, vuoi per la concezione positivista della cultura storicamente espressa in quel momento,sostenuta dai libri di Umberto Barbaro, dalle intuizioni di Georges Lukasc, poi di Antonio Banfi in “Filosofia dell’arte” (ed. Riuniti) in cui l’azione creativa è legata all’idea in contrapposizione allo spontaneismo in cui l’idea, Marcel Duchamp, Scolabottiglie,1914 Per i dadaisti qualsiasi oggetto può diventare “opera d’arte” se lo si etichetta come tale. vaga, talvolta nasconde una creatività assente o casuale. In contemporanea le Avanguardie storiche procedevano, pur su strade diverse, creando un humus per un’Arte astratta rifiutando ogni criterio estetico tradizionale ma procedevano però concettualmente, direi quasi razionalmente con un’espressione legata al divenire della critica e all’estetica pseudocrociana. Negli anni 2000, sedimentata ogni esperienza di quella stagione di contrasti, ma di grande impegno culturale , si è via via lasciato scivolare il concetto di Arte intesa come espressione poetico-culturale in un populismo artistico a cui anche i Movimenti progressisti, per incapacità o incompetenza hanno approdato, dando forma a un grumo pestilenziale di attività “pseudoculturali” gabellate per attività culturali, approdando a programmi indefinibili in altri modi se non come “populismo in arte”. Lo spontaneismo creativo è passato dalla destra alla sinistra.Lo spontaneismo creativo, e per certi versi l’alibi informale cosi adatto a mistificare insipiense artistiche può dare la paternità a produzioni insulse disorientando. L’affievolirsi dei valori tradizionali ha portato ad un individualismo esaperato per cui ognuno è depositario di un con- Michel Goulet, Mobili,1987 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera 28 29 Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta,1913 Per i dadaisti l’opera d’arte non è importante in quanto tale, ma soltanto perché può suscitare una riflessione. Il Ready-made (già pronbto) è proporre come opera d’arte un oggetto già pronto senza riferimenti cetto di Arte e cultura legato all’”ego” senza componenti di altro tipo. In questo individualismo esasperato l’idea vaga di Arte e cultura si lega allo spontaneismo per una “creatività assente” o peggio un “deja vu” riciclato e riproposto come ricerca autentica. L’azione creativa è legata all’idea. In un articolo sui giornali l’ex soprintendente alle Belle Arti di Firenze e ora responsabile delle Opere Vaticane, Paolicchi, parlando di avvenimenti come le grandi mostre, scriveva che queste vanno ripensate in un contesto in cui la scientificità sia curata e la fruizione sia didatticizzata altrimenti c’è il rischio che tutto ciò serva solo agli organizzatori. E’ chiaro che mentre si sviluppavano queste tendenze artistiche tra figurativi e informali di varie diramazioni, ampi spazi si sono riempiti di “Artisti” o pseudo tali senza ideali e motivazioni estetiche che con le loro azioni disorientano e diseducano un pubblico attento. Vogliamo un’Arte che abbia un senso nella nostra vita o un “trastullo” come dicono i cittadini riferendosi ad alcune opere in giro per la città? Dobbiamo, poi, se vogliamo fare opera educativa, fare attenzione anche al linguaggio che adoperiamo perché iperbole e frasi sbagliate non favoriscono la comprensione. Ho sentito più volte, negli interventi fatti alle mostre d’arte, parlare del concetto del “bello”. Credevamo ormai che questa parola tanto cara nell’Ottocento fosse ormai desueta, cancellata dalla Avanguardie del Novecento proponendo l’opera d’Arte come documento svincolata, dal solo giudizio estetico per cui parlar del “bello” era un parlar retorico. Il concetto di “classico” e “accademico” hanno perso ogni significato in una realtà globalizzata in Arte come in altro ambito, per cui dobbiamo adottare un nuovo linguaggio sia nelle attività d’Arte tradizionali come la pittura o nelle attività contemporanee come la computer-art, ecc. Non si può gustare nella sua pienezza l’Arte contemporanea se non si è fatto Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera il percorso culturale che la giustifica. L’Arte contemporanea non è un fatto a se stante, ma il prodotto di correnti di pensiero, esperienze, creatività che si è andate sviluppando su precedenti movimenti che hanno le loro radici nella Storia dell’Arte dei secoli precedenti. L’Arte contemporanea è il frutto di precedenti esperienze svoltesi in un’attività di ricerca sui concetti, sui materiali, sui linguaggi in un’ epoca in cui la tecnologia sperimenta nuovi materiali, nuove forme di comunicazione e nuovi codici si pongono nel campo più vasto della comunicazione globale. Tutto questo è un fenomeno complesso dove è difficile individuare le varie correnti perché è un fenomeno ancora in corso. Resterà ciò che vale. Una attività nel campo delle arti visive può essere espletata anche dagli Enti Pubblici se vi è chiarezza di idee sulla funzione che può avere questa attività e quale sia lo scopo e le finalità. La città si è dotata di un considerevole numero di opere che caratterizzano angoli e spazi modificando l’arredo urbano con elementi che lo caratterizzano. Scelte spontanee o disorganiche. La scelta di Ubi fluxus ibi motus, Opera collettiva,1990 “Il suo spirito anti-storicistico. Un’arte che non ama la cronologia o l’idealità” “Nel riciclare il quotidiano la possibilità della sopravvivenza culturale” Andy Warhol, Dittico di Marilyn,1964 fare o non fare una determinata azione in campo culturale è consequenziale ad una visione o a un’ idea che abbiamo delle cose . scelta che avviene dentro un programma stabilito o una linea da seguire. Non sono riuscito a vedere questa linea e non si è percepita se non una attivazione di varie scelte empiriche non giustificate da un concetto chiaro che abbia un logico divenire storico-artistico. Questo non vuol dire che l’espressione artistica sia divenuta un‘empirica attività giustificabile solo con la teatralità scenografica narcisistica che ignora ogni legame con l’ambiente e con la storia (essere privi di senso critico non è una colpa, ma un po’ di ironia, oltretutto è importante e necessaria). Come giustificare o sostenere dialetticamente certe scelte che vanno dalla statua d’Autore ( Cascella, Vangi) a certe infantili manifestazioni d’”arredo urbano” ? L’alibi di testimoniare il tempo delle inquietudini o quello di un’avventua, un viaggio immaginario e fantasioso nell’arte contemporanea non può giustificare nulla. Alcune note sulle iniziative “artistiche” che hanno coinvolto la scuola: alcuni artisti e alcuni critici molto favorevoli all’iniziativa in pubblico, con pareri contrari in privato. Si è teorizzato che l’Artista prenda per mano gli allievi e forse immaginando l’oggetto, sbrogliando un filo ci si avvicini all’Arte. Si crede che il contattare gli artisti educhi all’arte, è vero solo in parte perché c’è il pericolo che i ragazzi si modellino sul personaggio e l’ “esperienza culturale di prima mano” si trasformi in disorientamento. Il personaggio per sua natura impone la sua visione come si è visto con l’officine di vari artisti presenti. Per avvicinare i ragazzi all’arte è necessario proporre loro esempi che abbiano la facoltà e la mediazione dell’educatore, la didattica dell’Arte segue strade diverse: conoscenza, informazione, tecnologie che solo un docente può fornire. Educarli allo spontaneismo vuol dire affossare per sempre la possibilità di diventare produttori coscienti di opere creative. C’è da chiedersi: la cultura e l’arte concepita come “visione appassionata della nostra vita” non ha più ragione di essere? La nostra storia, la filosofia che ha radici nell’Illuminismo, nel Positivismo, nel Realismo, nelle Avanguardie, nei Movimenti del Primo Dopoguerra e Secondo Dopoguerra, crediamo sia stata tutta un’illusione ? Si acquisisce solo la filosofia della “dimensione interiore”, dell’emotività ? Questo si presta ai più banali giochi dove l’originalità ad ogni costo diventa il segno distintivo dell’artista. Niki De Saint Phalle, L’albero dei serpenti,1979 (3 tarocchi) Il Giardino dei Tarocchi: “la vita è una festa ad un tavolo di gioco, allora siamo invitati a giocare”. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera “BABBE” a cura della redazione del Centro Se vogliamo capire le opere di Giorgio Dal Canto, il popolare “Babbe”, bisogna cominciare dal principio, cioè dall’artista-artigiano. Le opere di “Babbe” non sono nate per caso ma si sono sviluppate nei lunghi anni del suo lavoro manuale di decoratore su vetro che gli ha consentito di sviluppare la sua capacità grafica nella ricerca della per- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera fezione della linea e delle forme. Il lungo apprendistato tecnico ha dato infatti a “Babbe” la sicurezza grafica e la padronanza della forma, non ultima una sicura capacità creativa. Capacità creativa che lui ha nutrito con un suo ideale populista che lo ha portato ad assorbire dal vivere quotidiano i suoi soggetti ispiratori. “Babbe” nelle sue opere ha sempre portato un sentimento di ribellione verso il Potere costituito, ha sempre scelto di stare tra i perdenti, non per masochismo, ma per intima convinzione di stare dalla parte giusta pur sapendo che è perdente. Non risparmia critiche alla sua “Parte”, quasi acefala o animalescamente giuliva quando questa si genuflette al “Bombetta”, cioè al Potere. Non voglio però collocare la sua pittura nel ristretto ambito di un ghetto di “arte sociologica”, perchè la visione di ampio respiro che traspare dalle sue opere diviene motivo di supera- mento di ogni richiamo al momento contingente per assumere un valore di grande significato d’arte. E’ stato scritto della “provocazione” delle sue opere. Io non credo che siano provocazioni. “Babbe” prende atto di una realtà e la fa vedere, magari con ironia o con commiserazione, mai con cattiveria. E’ l’artista che crede in ciò che “dice” e in ciò che “fa”. E’ la normalità di ogni uomo che “pensa”. Città, litografia 30 31 Città, litografia Torre a Pisa, litografia Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera UN PITTORE A PONTEDERA di M. L. LUIGI LOSCALZO Nato ad Accettura (MT), vive ed opera a Pontedera (PI) in via Tosco Romagnola, 169/a. Ha tenuto numerose mostre personali in varie città italiane. Ha partecipato a rassegne e concorsi di pittura ricevendo premi e segnalazioni in merito. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Quotidiani e riviste specializzate si sono interessate al suo lavoro con servizi di cronaca e recensioni critiche. A destra: Ferita, olio Nelle pagine successive: Collina e papaveri, olio; Aspettando il sereno, olio; Senza titolo, olio; Senza titolo, olio Sotto: Sognando il sereno, olio 32 33 L uigi Loscalzo da anni percorre con impegno e fatica una strada che lo ha condotto alla produzione delle attuali figurazioni pittoriche. Giunto alla pittura con il suo bagaglio di immagini e ricordi legati alla sua terra d’origine, la Lucania, al suo paese Accettura, di cui per fortuna non è mai riuscito a liberarsi, ha dato vita oggi ad una figurazione che ha radici antiche ma un’espressione di largo respiro che ci ha favorevolmente sorpreso. Si avverte ancora il suo attaccamento alla terra, alla naturale bellezza della vita agreste, alla poesia di un fiore, di una farfalla, al colore rosso-papavero nel campo ampio del paesaggio. Le forme, dalle iniziali riproduzioni figurali, si sono dilatate, ampliate, colorate, mantenendo Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera però nell’intimo il ricordo del sole, del mare, delle piante. Si avverte come lui stesso sia in simbiosi con le sue tele, come una cornucopia piena d’amore. Luigi Loscalzo ha avuto un percorso di vita, di impegno e fatica nel campo artistico ed è la sua caparbietà a risultare vincente in un campo, la pittura, dove non si può mistificare. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera LA “BOTTEGA” ARTIGIANA di M. L. N el Medio Evo la “bottega” artigiana, dove l’artigiano insegnava ai discepoli le arti meccaniche, aveva una funzione didattica e spesso in quelle “fucine” si forgiavano ingegni che hanno fatto meraviglie per il Genere Umano. La “bottega” è stata fondamentale perché le conoscenze acquisite dal magister “capomastro” (detentore delle conoscenze acquisite) venivano trasmesse ai discepoli e agli eredi che a loro volta accrescvano il patrimonio delle conoscenze adeguandolo ai tempi nuovi e facendo sì che i saperi fossero sempre più ampi e le tecniche più raffinate. Oggi nel mondo occidentale, in quello dell’economia di mercato, di un capitalismo selvaggio, non è più possibile l’esistenza della “bottega” artigiana che anche noi all’inizio di questo secolo abbiamo conosciuto. Oggi i “fast food”, la fretta, la superficialità che questa civiltà ci propone non consente più momenti di riflessione, di approfondimento propri di un lavoro curato con gusto e attenzione proprio della “bottega” artigiana. Gustavo Lanini E’ vero però che esiste ancora qualche superstite che ha fatto della sua “bottega” uno scrigno di conoscenze, una fucina di intelligenze e capacità che ancora opera nella contemporaneità. Gustavo Lanini, artigiano falegname Loris Lanini e alcune delle sue opere: Paesaggio, 1963 (particolare) e Figura spagnola, 1972 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Loris Lanini, Visione marina, 1978 e musicista sceso a Pontedera dalla natia Marti è stato il capostipite di una famiglia di artisti che molto hanno dato a questa città per il loro ingegno e la loro sensibilità in campo artistico. Il figlio di Gustavo, Loris Lanini modellista, liutaio,eccellente pittore è stato un eclettico artista che ha percorso molti aspetti della capacità creativa in campi diversi: i suoi violini suonano in tutto il mondo; pittore intuitivo di grande sensibilità, ha lasciato opere di ampio respiro che travalicano i confini 36 37 Violino costruito da Loris Lanini. Foto con dedica: “Al giovane liutaio Loris Lanini con ammirazione, Fanfulla Lari, Firenze 20 ottobre 1978” provinciali di una produzione locale. La lunga consuetudine di questa famiglia con le cose d’arte, non poteva che produrre personalità impegnate che di padre in figlio, quasi per eredità genetica, si sono passati il testimone della creatività. Il nipote di Gustavo, figlio di Loris, Paolo Lanini, ottimo pittore e artigiano di raffinate capacità, ha ereditato dal padre e dal nonno il mestiere di modellista e pittore che ancora esercita con passione e professionalità. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Paolo Lanini I figli di Paolo, Alessandro e Andrea hanno respirato l’atmosfera di questa famiglia: Alessandro ha preso la strada del concertista (la passione per la musica è sempre stata una costante in questa famiglia, il nonno Gustavo suo- 38 39 Un angolo della “bottega” di Paolo Lanini Nelle pagine seguenti due opere pittoriche di Paolo Lanini nava e insegnava il clarinetto, il padre Loris buon esecutore al violino, il figlio Paolo ottimo chitarrista, il nipote Alessandro pianista e Andrea diplomato in chitarra). La creatività è un dono che deve essere curato e nutrito dalla conoscenza e dalla sensibilità perché si sviluppi e si manifesti e questo percorso è stato sviluppato in questa “bottega” dove il padre Loris ha impostato e dedicato gran parte della sua esistenza alla pittura in cui ha dato prova della sua sensibilità con un linguaggio che ha percorso le varie fasi della pittura contemporanea inserendosi in un percorso di ricerca che ha visto grandi autori come Borlotti, Venna, Zigaina, dove la forma, pur nella elaborazione libera, manteneva la possibilità di essere letta per la sua verosimiglianza al reale. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ARTI FIGURATIVE A CASCIANA TERME Il nipote di Paolo Lanini a lezione con un maestro liutaio di Africano Paffi N Andrea Lanini (a sinistra) e Alessandro Lanini con Katia Ricciarelli (a destra) Il figlio Paolo, anche lui pittore, ha infranto i canoni della visione reale per depositare sulla tela colori e materie che propongono una lettura più intima e personale dove l’opera sembra essere creata sotto l’impulso dell’improvvisazione mentre in realtà è stata ben costruita e preceduta da un’idea di pittura come colore e forme che dialogano in perfetto equilibrio. Una “bottega” d’arte nel XXI° secolo è un anacronismo o è il segno di una volontà di recuperare una dimensione in cui si riconoscono alcuni valori che questa Società sta completamente alienando? Comunque sia, un vero auspicio è quello che di queste “botteghe” ne esistano ancora perché dove esistono, là troviamo ricchezza di idee e di operosità artigiana. elle due precedenti edizioni del Bollettino abbiamo visto le fígure artistiche che hanno operato a Casciana, fíno aglí anni successivi al boom economico, intomo alle dominanti personalitá di Mario Tamburini e Dino Banchelli, che, agli inizi degli anni ‘70, iníluenzarono e coinvolsero diversi giovani verso l’amore per la pittura. Infatti nel 1974 a Casciana Terme si forma un Sodalizio artistico che prende il nome “Club pittori cascianesi”costituito da pittori residenti a Casciana Terme, che organizzano una prima esposizione delle loro opere nella tipica “Via dell’Arco”1 in accordo con l’Associazione Albergatori A.C.A.R.2 che all’epoca Locandina, 1981 Andrea; al gruppo locale si unirono anche i pittori Fomugli Ennio di Livomo e Galli Giulio di Pontedera e altri giovani interessatí alla pittura. Presidente del club verme eletto Antonio De Faveri e segretario Africano Paffi. La prima edizione della mostra si svolse nel mese di settembre 1974 ed ebbe un notevole successo. Nelle successive edizioni vennero invitati pittori estemi a Casciana, alcuni dei quali giá noti, tra questi Alberto Fremura, Marc Sardelli, Alva Favilli, Bianca Simonetti, ecc. Tutto ció fece nascere nei pittori cascianesi un certo entusiasmo competitivo e nella cittadinanza curiositá e interesse per l’iniziativa. La collaborazione tra “Club Pittori” e “A.C.A.R.” permise inizialmente di invitare personaggi noti del mondo dello spettacolo, che richiamavano in genere un folto pubblico. NelPedizione 1975 Peppino A destra: mostra-mercato “Via dell’Arco” Inaugurazione sede “Club pittori cascianesi” in Piazza Garibaldi, novembre 1975, dal quotidiano “La Nazione” A destra: mostra-mercato “Via dell’Arco”, settembre 1975, Peppino Di Capri ospite d’onore 40 41 era presieduta da Enrico Falomi. La strada in questione venne scelta per la caratteristica struttura ottocentesca, successivamente trasformata: infatti dalla piazza si accedeva nella stradina «attraverso un vero e proprio arco, che nel 1946/”47 fu modificato per la necessitá di un consolidamento strutturale degli edificí sovrasíanti. (Foto - 1-2 ) I pittori deí gruppo erano: Bupgalassi Franco, Calloni Gioacchino, De Faveri Antonio, Del Picchia Giampiero, Gherardi Luca, Gherardi Pierluigi, Giacomelli Alfredo, Paffí Africano, Sonetti Ritrovo del Forestiero, via Cavour, Casciana Terme NOTE: 1 Premio “Via dell’Arco” Salvatore Amodei – Africano Paffi, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1989. 2 Nel 1974 si costituì l’A.C.A.R. Associazione Cascianese Alberghi Ristoranti, il cui attuale presidente è Carlo Felice Galleschi. Nel 1989 sorge la C.OP.TUR. (Consorzio Operatori Turistici), l’attuale presidente è Giorgio Nocchi. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Locandina, 1983 Di Capri é l’ospite d’onore. (Foto -34-5) Confluisce cosi alla mostra mercato, oltre ai visitatori cascianesi e ai clíenti termali un pubblico eterogeneo , proveniente dai comuni della Valdera. II “Club” rimase attivo solo tre anni; igoi lo spiccato individualismo creó disaccordo tra i pittori, cosi il sodalizio si sciolse, ma i pitíori proseguirono le loro esposizioni nella “Via dell’Arco” in collaborazione con l’Associa- Premio “Via dell’Arco” Giuria del Premio, con i critici: Domenico Pugliese, Guido Carlesi, Riccardo Ferrucci, 1985 Assegnazione dei premi nel giardino del “Ritrovo del Forestiero”, 1985 Giuria della rassegna del 1987, da sinistra a destra: Su zanne Newell, Diana Giovanneschi, Enzo Cecchini, Luciana Cerne, Maria Teresa Innocenti, Benozzo Gianetti, Alfiero Rocchi, Commissario straordinario dell’Azienda Autonoma di Casciana Terme, Africano Paffi, Silvio Loffredo, Riccardo Ferrucci e Salvatore Amodei Giuria della Rassegna del 1989, da sinistra a destra: Enzo Cecchini, Silvio Loffredo, Bruno Polpacci, Africano Paffi, Alfiero Rocchi, Anna Scagliola, Salvatore Amodei 42 43 bergatori, anche le Terme e l’Azienda Autonoma di Cura e Soggiomo. Si utilizzarono per le mostre nuovi spazi, oltre alla via dell’Arco, anche i locali del Ritrovo del Forestiero3, delle Terme e il cenlTO storico di Casciana. Nel 1983 la gestione del Premio passó all’Azienda Autonoma di Cura e Soggiomo che aggiunse la pittura studio, la pittura estemporanea, la grafica, nonché una sezione di poesia; in seguito vennero incluse altre due sezioni, relative alla fotografia e all’artigianato, estendendo le esposizioni a tutto il mese di settembre. Le integrazioni continuarono fino a far divenire la “Via dell’Arco” una “Rassegna” con spazi culturali,, inerenti al teatro, aí cinema, a tavole rotonde suU’arte contemporanea, impostazione tuttora mantenuta. (Foto -10-11-12) Con i5 riordino del seítore turistico nel 1990 e la soppressione delS’Azienda Autonoma di Casciana, la gestione della manifestazione passó alla costituenda Pro Loco, che ancor oggi Sa gestisce. La “Via dell’Arco” nel corso degli anni ha costituito un fertile terreno di confronto tra le diverse esperienze artistiche provinciaíi e regionali continuando ad essere un riferimento importante sul piano espositivo e culturale per Casciana e la Valdera. (Foto-13-14-15-16-17) Nel Salone delle Terme nel settembre 2004, in occasione della XXXI Rassegna della “Via dell’Arco” vennero poste a confronto le diverse esperienze espressive di artisti attivi neíl’ambito locale sin dagli anni ‘70. Tra questí figuravano i pittori Gioacchino Calloni, Giampiero Del Picchia, Luca Gherardi, Africano Paffí, giá presenti nel “Club Pittori Cascianesi”, e altri pittori e artigiani sopraggiunti negli anni successivi, tra questi, Brunero Bemardini, Franco Del Picchia, Anna Marynowska e Ubaldo Sgherri. (Foto - 18 - 19) L’ultima edizione della Rassegna di “Via dell’Arco”, relativa al 2007, si é conclusa nel mese di settembre ed ha completato con la XXXIV edizione la stagione estiva cascianese. (Foto-20-21-22) Locandina 1993 “Ritrovo dei Forestiero”, mostra foíografica, 1990 Maxitela di 12 metri sul tema “COLOR CASCIANA”, 1990 Pittori al lavoro sulla “maxitela”’, 1990 Via dell’Arco, 2000 Ritrovo del Forestiero, sala superiore, mostra di grafica pittura e fotografia, 2000 Presentazione della “Mostra dei Maestri cascianesi”, settembre 2004 Opere dei Maestri cascianesi”, settembre 2004 A destra: Locandina 2007 Programma della Rassesna 2007 Giuria della Rassegna del 1990, da sinistra a destra: Africano Paí’fi, Riccardo Ferrucci, Pepi, Domenico Pugliese, Salvatore Amodei, Luca Gherardi NOTE: 3 Ritrovo del Forestiero – L’edificio, sede dell’Agenzia Autonoma di Cura e Soggiorno di Casciana Terme, fu ricavato dall’antica pensione Veronesi; la trasformazione, iniziata nel 1953, fu completata dalla ditta Ricci Del Picchia nel 1965, su progetto dell’Ing. Santini. L’opera fu realizzata in accordo tra l’Azienda Autonoma, retta dall’allor Presidente cav. Lidamo Ciurli, con il Presidente dell’E. P.T. di Pisa Comm. Carlo Vallini. Attualmente è sede della Pro Loco e dell’Ufficio Informazioni Turistiche di Casciana Terme Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera zione Albergaíori. (Foto -6-7-8-9) Nel 1981 l’Assessorato alía Cultura de! Comune di Casciana, attraverso una Commissione apposiíamente formata consolidó l’iniziativa, che suscitava largo interesse nel pubblíco e nei pittori, cosi trasformó la Mostra - Mercato m Premio di Pittura e Grafica “Via dell’Arco”, coinvolgendo oltre agli al- Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Civiltà passate, cm. 46 x 64 Un sorriso in più, 1996, olio su tela, cm. 25 x 35, collezione privata GIOACCHINO CALLONI E’ nato a Ponsacco nel 1933 dove risiede; il suo studio é a Pontedera in via dei Vecchi Macelli. Pittore attivo in passato anche a Ceppato (Casciana Terme), vanta un vasto curriculum, con mostre e riconoscimenti in ambito regionale e nazionale. Le sue opere sono presenti in raccolte pubbliche e private in Italia e all’estero. Di lui hanno scritto critici d’arte e giornalisti, tra cui Salvatore Amodei, Giulio Panzani, Orazio Pettinelli, Luigi Servolini etc. Salvatore Amodei cosi scrive: “Calloni riesce a sintetizzare, nei suoi quadri, la realtá quale che sia il soggetto prescelto, un grande esempio di felicitá espressiva e di raggiunta maturitá... Una pittura ancorata alla realtá, dove il colore tende a solidificare cose e persone”. GIAMPIERO DEL PICCHIA Nato nel 1936 a Pisa, risiede in Piazza Garibaldi a Casciana Terme (Pisa). Autodidatta, si é formato pittoricamente negli anni ‘60 a contatto con i pittori Mario Tamburini e Dino Banchelli. Ha partecipato a molteplici esposizioni provinciali e regionali, riportando unanimi consensi di pubblico e di critica. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private regionali e nazionali. “Pittore chiaramente figurativo, attento alla realtá ambientale e sociale, che interpreta in chiave personale con una certa tendenza macchiaiola, ora pervasa da humor; ora da una velata malinconia”. Girasoli, 1982, acrilico su tavola, cm. 50 x 70 LUCA GHERARDI Nato nel 1952 a Casciana Terme (Pisa), dove risiede in via del Commercio Sud e lavora come architetto. Le sue mostre sono state numerose fino agli anni ‘80, con premi conseguiti a livello regionale e nazionale, le sue opere figurano in collezioni pubbliche e private. Di lui hanno scritto molti critici d’arte, tra questi Italo Carlo Sesti su “Scena Illustrata”, Luciano Marrucci, Pier Orlando Martini, etc. Luciano Marrucci scrive di lui: “Le tele di Gherardi ci offrono orditi cromatici e passaggi tonali fortemente caratterizzati da una vitalitá che giunge a riscattarli da un gioco aridamente geometrico fino a dare animazione a forme che esistono in quanto sono rappresentate e come rivissute dall’artista”. Devolution, 2004, tecnica mista, cm. 50 x 70, collezione privata AFRICANO PAFFI Nato nel 1938 a Pisa, risiede a Casciana Terme, con studio in Piazza Martiri della Libertá. Docente di Linguaggi visivi e Storia dell’Arte nei Licei, ha operato in piu settori delle arti visive. Il suo curriculum personale é ricco di riconoscimenti, le sue opere si trovano presso collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Hanno scritto di lui Nicola Micieli, Salvatore Amodei, Jolanda Pietrobelti, Dino Carlesi, Riccardo Ferrucci, Giulio Panzani etc. Rosa Galli Pellegrini scrive di lui: “In queste recenti opere, l’artista supera la rappresentazione realistica, per inserire su di esse un discorso concettuale ispirato all’oggetto quotidiano o all’elemento naturale, coniugando nell’opera il movimento del fondo con la fissitá dell’oggetto. II risultato crea un’unione inusuale e ossimorica del leggero e del pesante, del mobile e dello statico, in relazione alla sua personale ricerca espressiva”. 44 45 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Prendiamo ora in esame Coloro che si sono aggiunti successivamente al gruppo del “ Club pittori cascianesi” BRUNERO BERNARDINI Nato nel 1930, é residente a Parlascio di Casciana Terme (Pisa). Non piú giovanissimo si é dedicato per diletto alla pittura. Ha partecipato a rassegne e mostre collettive provinciali conseguendo consensi di pubblico e critica. Le sue opere figurano in diverse collezioni pubbliche e private. “I suoi riferimenti pittorici sono quelli della tradizione labronica e della pittura dal vero. 1 suoi dipinti si basano sul riscatto delle profonditá prospettiche che sublimano evocativamente la realtá contingente.” FRANCO DEL PICCHIA Nato nel 1937 a Casciana Terme (Pisa), dove vivc e risiede in viale della Vittoria. La sua principale atíivitá è stata quella dell’artigianato artistico (decorazione su vetro e cartellonistica). Dal 1999 si è dedicato con entusiasmo alla pittura ottenendo riconoseimenti e consensi di pubblico e critica. Le sue opere si trovano prevalentemente in collezioni private. “II suo linguaggio espressivo é preciso, permeato di reminescenze stilistiche ispirate alla pittura postmacchiaiola. Le sue piú recenti opere raggiungono una gradevolezza espressiva grazie all’acquisizione di nuovi valori tonali”. ANNA MARYNOWSKA Nata nel 1960 a Wroclaw in Polonia, vive e opera a Casciana Terme in via Cavour. Inizialmente pittrice, dopo la formazione acquisita in Polonia, si é dedicata all’arte del vetro ed é riuscita con creativitá ad elaborare nuove soluzioni, attingendo da uno studio attento sulle opere medievali, rinascimentali fino alle piú moderne ricerche espressive e tecniche dell’Art Nouveau. “La sua produzione artigianale é un cosciente recupero di stili di epoche diverse e cronologicamente distanti; tuttavia rielaborate con un personale linguaggio espressivo ricco di insoliti ma gradevoli accostamenti cromatici”. UBALDO SGHERRI Nato nel 1938 a Livorno, vive e opera a Casciana Terme in via Vecchia Pontederese. Si é dedicato per hobby alla tarsia lignea sin dall’adolescenza. Dal 1980 partecipa a mostre collettive provinciali e regionali, comprcsa la “Via dell’Arco” ottenendo consensi e riconoscimenti critici. “Gli intarsi lignei di Ubaldo Sgherri sono la testimonianza di una perizia tecnica acquisita dopo un lungo apprendistato, che prosegue la tradizione artigianale creando con le proprie mani gli strumenti adatti alla realizzazione creativa”. Natura morta, olio su tavola Quercione al tramonto, olio su tavola, cm. 20 x 34, collezione privata Grisaglie, pittura fuoco alto Intarsio, 1998, cm. 50 x 70, collezione privata Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera L’ALMANACCO di Benozzo Gianetti S BENOZZO GIANETTI 46 47 Insegnante elementare in pensione, ha svolto la sua attività professionale nelle scuole di Pisa e di Ponsacco. Ricercatore e studioso di storia locale, ha pubblicato quattro libri su Casciana e le sue acque termali. Ha curato per la Casa Editrice CLD libri l’ “Odeporico per le Colline Pisane” di Giovanni Mariti, nove volumi annotati e illustrati. Ha curato per l’Ass. Amici della Musica la stampa del libro “Canti popolari della Valdera” e altri volumi. Attualmente è condirettore del mensile di cronaca e cultura “Il Ponte di Sacco”, fondato nel 1998. Nel 2004 ha pubblicato con il giornalista Fausto Pettinelli il libro “La civiltà del legno”, storia dei falegnami, della Mostra del mobile e del museo del legno di Ponsacco. Nel 2005, ha curato per l’Università della Terza Età, il libro “La nostra gioventù” e nel 2007 “Mattonai ponsacchini, vita e lavoro” una ricerca imperniata sui ricordi e sui documenti dei mattonai ancora in vita. Nel 2006, ha pubblicato “Ponzacco e ‘r su’ vernàolo”, glossario di parole e modi di dire ponsacchini. Nel 2007 è uscito “Vie di terra e d’acqua di Ponsacco”. Dal 1985, dirige “Er Tramme”, trimestrale di vernacolo pisano e delle tradizioni popolari L’almanacco riporta spesso documenti storici ono trascorsi 25 anni da quando l’“Almanacco Pontederese” entra benevolmente nelle case dei pontederesi, portando gli auguri di buon anno. La pubblicazione della Casa Editrice Bandecchi e Vivaldi, è curata da Benozzo Gianetti, conosciuto come Direttore de “Er Tramme”, il trimestrale di vernacolo pisano e delle tradizioni popolari, fondato nel 1985. Le illustrazioni della copertina e dell’interno sono opera di Giorgio Dal Canto (babe), che annualmente crea un’immagine grafica di grande effetto artistico. L’almanacco, come dice la parola, è un calendario che oltre ai giorni, alle festività, alle ricorrenze, alle fasi lunari, si aggancia alla cronaca di una cinquantina di anni fa per citare fatti e avvenimenti belli e brutti che si svolsero in città. E’ questo un utile confronto tra il passato ed il presente per conoscere e valutare la vita degli antenati in momenti storici diversi da quelli attuali. Ci fanno sorridere i costi del pane, della pasta, degli ortaggi: 100 lire al Kg, 120, 200!…I guadagni della gente, i divertimenti, i veglioni, le partite, i piccoli incidenti che nulla hanno che vedere con ciò che oggi sta succedendo. I confronti continuano, dando continue emozioni e nuovi ripensamenti. Ogni pagina è illustrata con vignette, con proverbi e modi di dire. Ci sono, inoltre, pagine con poesie in lingua e in vernacolo, con storie, aneddoti e fatti per brevi divagazioni letterarie e storiche, Altre con ricette di cucina nostrana, di erbe officinali. La seconda parte tratta di temi e informazioni utili: numeri di telefono, indirizzi di interesse pubblico come forze dell’ordine, vigili del fuoco, Amministrazione Comunale, ospedale, scuole, alberghi, ristoranti, associazionismo cittadino. Sono circa un centinaio di pagine che parlano di Pontedera, dei pontederesi, di storia, di cronaca che fa bene rileggere e commentare Alcune copettine dell’Almanacco Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera DIDATTICA DELL’ARTE di Anna Vanni ESPERIENZA DIDATTICA SULLA CARICATURA L Honoré Daumier, La mère des Gracques 48 49 a società in cui viviamo, contraddistinta da una iconografia sempre più standardizzata e condizionata dai MASS-MEDIA, ha riproposto alla mia attenzione l’attualità di un’esperienza effettuata in collaborazione con la sezione didattica del Museo di San Matteo di Pisa. In occasione di una mostra organizzata da Lucia Tongiorgi Tomasi e Donata Levi sulle litografie di Honoré Daumier, mi fu offerta la possibilità di sperimentare con i miei alunni un percorso nuovo, nell’ambito Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera scolastico,sulla caricatura. Il problema era complesso in quanto si trattava di fare i conti con l’età dei ragazzi(4° elementare) e con la difficoltà di didatticizzare la caricatura a livello di Scuola primaria per la molteplicità degli elementi, iconico, letterario, psicologico che in essa interagiscono. Nella convinzione però che, per le numerose prospettive che l’esperienza offriva, potesse costituire un valido aiuto nel perseguire l’importantissima finalità educativa che è la formazione critica dei ragazzi fu inserita nella programmazione del curricolo della classe. ALCUNI COMMENTI DEGLI ALUNNI: … non saprei riconoscere i personaggi rappresentati. … Sono Romani, l’ho capito dai vestiti. … Sono Tiberio e Caio Gracco da piccoli con la loro madre. … La signora Cornelia si vantava dei suoi figli e quando le amiche le facevano vedere i loro gioielli, lei diceva:” Qusti sono i miei gioielli!” e indicava i figli. Cornelia e le sue amiche erano boriose, perchè una si vantava dei suoi gioielli e Cornelia era convinta di essere madre di due figli migliori di tutti…, invece, erano dei maleducati! Questa prima esperienza è risultata gratificante e ha stimolato i ragazzi alla lettura spontanea della caricatura: “La mère est dans le feu de la composition, l’enfant est dans l’eau de la baignoire “ (La madre è nel fuoco della composizione,il bambino è nell’acqua della tinozza). Ha determinato anche in alcuni alunni atteggiamenti di identificazione personale e pensieri bonariamente critici e non, relativi al rapporto interpersonale madre-figlio o madre-figlia. Con i disegni hanno anche evidenziato varie tipologie del rapporto stesso. ARTICOLAZIONE DELLA METODOLOGIA IMPIEGATA L’approccio alle opere di Daumier è avvenuta in modo apparentemente casuale. Sono state appese alle pareti dell’aula le copie di alcune litografie che hanno immediatamente suscitato la curiosità dei ragazzi. Come primo soggetto ho cercato di indirizzare l’attenzione dei ragazzi su “ La mère des Gracques”. La litografia, introdotta nell’ambito scolastico si è rivelata un efficace strumento per stimolarli ad analizzare criticamente episodi e personaggi storici che nei libri di testo della scuola primaria, talvolta, sono stati presentati in modo edulcorato e acritico. La mèere est dans le feu de la composition, l’enfant est dans l’eau de la baignoire! Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera PRIMI TENTATIVI DI PRODUZIONE DI IMMAGINI CARICATURALI DOPO LA LETTURA DELLE DUE LITOGRAFIE DI HONORE’ DAUMIER MADRI E FIGLI 50 51 Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ... la mia mamma è buona ma quando è arrabbiata diventa severa e a volte mi dà anche qualche ceffone. La mia mamma si trasforma in una furia quando faccio male la lezione. ... quello che mi piace di più della mia mamma sono le mani quando mi accarezza ... se faccio qualcosa di brutto, lei mi tira uno schiaffo che mi lascia le ditate sul viso. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera MAESTRI E SCOLARI Certe mamme... sono anche... tanto paurose!!! Litografia di Honoré Daumier ...e noiose!!! 52 53 Il lavoro di analisi delle litografie e l’esercizio del senso critico hanno spinto i ragazzi ad ampliare ulteriormente il loro raggio di osservazione analizzando con sorprendente ironia il rapporto MAESTROSCOLARO . DAI TESTI SCRITTI DAGLI ALUNNI A me piacerebbe che i nostri maestri stessero alla lavagna a fare le divisioni e io alla cattedra a comandare!! Quello che ho detto,purtroppo, non potrà essere mai vero perché,se fosse vero…Dio avrebbe fatto un miracolo! Io desidererei che sbagliassero sempre,in continuazione,per dare a loro…tanta lezione a casa! La caricatura fa ridere perché quel bambino,invece di ringraziare il maestro,gli fa i versacci mentre lui scrive e non si accorge di nulla. Ma …chissà perché…i maestri ce li beccano quasi sempre gli scolari… specialmente la mia maestra che sembra abbia gli occhi anche di dietro! Mentre scrivo questo testo,dentro di me rido. E’ proprio divertente questo lavoro! Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera LAVORO INTERDISCIPLINARE In considerazione dell’esito soddisfacente del tentativo effettuato di DIDADICIZZARE la caricatura, mi è sembrato opportuno tentare di far superare ai ragazzi la fase dello SPONTANEISMO facendo loro conoscere una fra le varie tecniche utilizzate nel campo della caricatura. a questo livello è stata indispensabile la collaborazione di una collega del Team,insegnante di Geometria. Insieme ci siamo impegnate per far acquisire agli alunni la TECNICA DELL’INGRANDIMENTO DI UNA FORMA SU MAGLIA QUADRETTATA. 54 55 Sucessivamente, dopo che la maggioranza degli alunni ha mostrato di aver acquisito una sufficiente padronanza del mezzo, sono state effettuate con l’aiuto dell’insegnante esperienze operative di deformazione fisionomica di un volto attraverso la fotografia. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Conclusioni 56 57 Dopo questa analisi approfondita (compatibilmente col livello d’età e di comprensione degli alunni) della tecnica litografica di Daumier, sarebbe stato auspicabile che i ragazzi, attraverso esperienze pratiche di laboratorio, avessero potuto avvicinarsi al mezzo litografico per penetrarne le tecniche, impossessarsene per quanto fosse stato loro possibile e confrontarle con altre forme di espressioni grafiche al fine di comprendere l’importanza del dato tecnico come elemento determinante del processo creativo. E’ ovvio che, essendo indispensabili laboratori atti a consentire esperienze scolastiche di questo tipo, l’apporto delle istituzioni diventa indispensabile.In questo caso specifico, la collaborazione con la Sezione Didattica del Museo di S. Matteo di Pisa, è stata risolutiva per la conclusione ottimale dell’esperienza stessa. PANNELLO PER ANDREA DA PONTEDERA Stefano Stacchini ci ha regalato, con una elaborazione digitale di cm. 112,5x146, un’immagine che rappresenta Andrea da Pontedera sul piedistallo del suo monumento, situato nella piazza omonima. La grande immagine fa parte delle opere della stessa mostra “Pontedera open arted” che Stacchini ha fatto alla galleria “O. Cirri” a Pontedera. Nell’interessante mostra sono state proposte ricerche digitali su temi che riguardano molti aspetti minori della città per una rivisitazione con suggestioni visive e fantasie. Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica Reflex Camera Obscura o Oculus Artificialis di Johann Zahn DA ARISTOTELE A EASTMAN: LE SCOPERTE CHE HANNO FATTO LA FOTOGRAFIA di Nancy Barsacchi L a parola fotografia significa scrivere con la luce (dalle parole greche phos, luce e graphis, pennello). È già intorno al 400 a.c. che Aristotele osserva i raggi del sole che, passando per una piccola apertura, producono un’immagine circolare, ma solo nel 1267 il frate inglese Roger Bacon descrive la camera oscura e l’uso dello specchio da anteporre al “forame” per raddrizzare le immagini. Nel 1515 Leonardo da Vinci, studiando la riflessione della luce sulle superfici sferiche descrisse una camera oscura che chiamò Oculus Artificialis (occhio artificiale). Ma questo strumento, ancora rudimentale, venne utilizzato soprattutto dagli artisti del Rinascimento per proiettare, su pareti o su tele, immagini che servivano da falsariga per realizzare un disegno o un dipinto. Ma chi inventò la camera oscura “moderna”? Di sicuro, c’è il disegno dataLeonardo Da Vinci 58 59 Johann Heinrich Schultze to 1545 dell’olandese Rainer Frisius che illustra la grande camera oscura utilizzata per l’osservazione dell’eclissi solare del 24 gennaio 1544. Girolamo Cardano, invece, nel 1550 applica una lente alla camera oscura ed ottiene un’immagine più luminosa, mentre Daniele Barbaro adotta il diaframma per ridurre le aberrazioni. Il salto di qualità arriva dopo più di cento anni, nel 1685, quando il monaco Johann Zahn progetta una camera oscura con specchio a 45° dietro la lente per rinviare l’immagine verso l’alto e consentire un più facile ricalco sul vetro smerigliato. Con il Settecento, lo scenario cambia; il boom della camera oscura è ormai consolidato, ma anche la chimica fa i suoi progressi. Nel 1727 Johann Heinrich Schultze, professore all’Università di Altford dove insegnava anatomia, scopre che l’esposizione alla luce annerisce alcuni composti contenenti argento. Il primo tentativo di fissare un’immagine su un supporto però fu quello di Thomas Wedgwood, figlio del famoso ceramista inglese. Probabilmente, il suo scopo era quello di industrializzare l’uso della camera oscura di cui si servivano gli artigiani della ditta paterna per riprodurre su piatti e zuppiere le ville ed i castelli della clientela. Dopo vari esperimenti condotti tra il 1796 ed il 1802, riesce a registrare i profili degli oggetti che appoggiava su piccoli pezzi di pelle bianca sensibilizzata e che esponeva alla luce del sole. Ma le immagini non erano permanenti e Wedgwood poteva osservarle solo per pochi minuti a lume di candela. Nel 1819 l’inglese John Herschel scoprì che l’iposolfito di sodio fonde i sali d’argento, fatto che servirà a fissare l’immagine. Infatti nel 1826 il francese Joseph-Nicéphore Niépce ottiene Sopra: macchina per dagherrotipie Eliografia di JosephNicéphore Niépce, 1826 A sinistra: eliografia raffigurante il cardinale George d’Amboise (a sinistra l’incisione originale del 1650, a destra la copia in eliografia del 1826 di Niépce la riproduzione su peltro di una stampa del cardinale George d’Amboise. Gli esperimenti avanzano e Niépce è ad una svolta. Mette la camera oscura alla finestra del suo studio decine di volte, esponendo numerose lastre finché, dopo una posa di 8 ore non ottiene un’immagine A destra: dagherrotipo ben visibile. Si tratta della fotografia più antica mai ritrovata conservata! Negli stessi anni Louis Mandé Daguerre era un pittore che stava facendo fortuna col un grande spettacolo ad effetti, con giochi di luci e fondali mobili che lui stesso dipingeva con l’ausilio della camera oscura. Si associò con Niépce e lavorarono insieme allo sviluppo di una nuova tecnica di stampa. Nel 1833 Niépce muore, ma Daguerre ottiene i primi successi. Anche in Inghilterra qualcuno lavorava attorno alla stessa A sinistra: Louis Mandé Daguerre A destra: dagherrotipo Centro di Documentazione Fotografica Sopra: William Henry Fox Talbot 60 61 In alto: un esemplare di calotipia A fianco: Frederick Scott Archer idea: è William Henry Fox Talbot che nel 1834 riesce a fissare un’immagine negativa di 2,5x2,5 cm che chiama disegno fotogenico. La ottiene attraverso il processo positivo-negativo della calotipia (o talbotipia dal nome del suo inventore) che gli consente, a partire da un negativo, di stampare dei multipli su carta al cloruro d’argento. C’è un altro oscuro personaggio che gli storici francesi della fotografia amano citare e di cui si sono scoperte le ricerche nel 1973, Hercule Florence, tipografo emigrato in Brasile, avrebbe utilizzato fin dal 1832 lastre sensibilizzate con nitrato d’argento per realizzare a contatto etichette per bottiglie e per la stampa di diplomi onorifici. Nel 1836 Daguerre inventò un processo allo ioduro d’argento, su lastra di rame, il tempo di posa si ridusse ad una ventina di minuti. Questo tipo di stampa fu chiamato dagherrotipo. Non era Centro di Documentazione Fotografica certo la migliore delle proposte rivolte all’Accademia delle Scienze e all’Accademia delle Belle Arti di Francia per l’approvazione; il metodo era costoso e l’immagine non era facilmente visibile sulla lastra a specchio, la copia era unica ed appariva con i lati invertiti, ma con l’appoggio dall’accademico Arago ebbe un grande successo. Nel 1839 il funzionario del Ministero delle finanze Hippolyte Bayard aveva messo a punto un sistema decisamente più avanzato del dagherrotipo. Le immagini erano ottenute esponendo nella camera oscura un foglio di carta al cloruro d’argento che veniva sviluppato in una soluzione di ioduro di potassio. Nello stesso anno nasce ufficialmente la parola fotografia. La suggerisce Herschel in una lettera del 28 febbraio indirizzata a Talbot come alternativa al termine eliografia di Niépce. Se il calotipo di Talbot non era in grado di offrire un’immagine perfettamente nitida, così non fu nemmeno per il negativo di vetro all’albumina introdotto nel 1847 da Abel Niépce de Saint-Victor. Nello stesso anno però il francese Louis Désiré BlanquartEvrard migliorò il metodo di preparazione della carta utilizzata per i negativi e fondò a Lille in Francia la prima fabbrica per la stampa di fotografie (da 450 a 500 immagini al giorno). Nel 1851, un determinante impulso alla qualità viene offerto dallo scultore inglese Frederick Scott Archer che utilizzò la tecnica del collodio umido. Il procedimento prevede la sensibilizzazione della lastra poco prima dell’uso, ciò richiedeva però l’esposizione con la lastra ancora umida. L’alta sensibilità e la definizione delle lastre al collodio umido, fanno sparire dalla circolazione le negative di carta e quelle all’albume. Nel 1954 l’americano James Ambrose Cutting brevettò l’ambrotipo. La tecnica consisteva nel posizionare un negativo al collodio in vetro davanti a uno sfondo nero per ottenere l’immagine positiva. Nel Nuovo Continente si diffuse ben presto una variante del processo, chiamata ferrotipo. Inventata da Adolphe Alexandre Martin fu perfezionata dal professor Hamilton Smith; il vetro veniva qui sostituito con lastre metalliche laccate. Nel 1855 Alphonse Louis Poitevin sperimentò la tecnica del potassio bicromato (collotipia) dando avvio alla fotolitografia e alla stampa al carbone. Questo processo offrì un’ampia gamma tonale e una grande stabilità nel tempo. Dopo anni di coloriture a mano all’anilina, nel 1861 il fisico scozzese James Clerk Maxwell ottiene la prima immagine a colori visibile solo proiettando contemporaneamente tre negativi ottenuti attraverso i filtri rosso, verde e blu. Nel 1869 Louis Ducos du Hauron ottiene la prima stampa fotografica a colori con la tecnica della tricromia e pubblica il libro “Les Coleurs en Photographie: Solution du Probleme” nel quale indicò il procedimento adottato; du Hauron, al contrario di Maxwell, usa per la ripresa filtri nei colori complementari stampando, poi, su carta al carbone con pigmenti dei tre colori primari. Nel 1871 Richard Leach Maddox annuncia un sistema per la produzione delle lastre a secco al bromuro d’argento (sistema argentico). Sono, questi, gli anni di Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar. Ma anche della fotografia stereoscopica, dei primi reportage di guerra, della fondazione di moltissime industrie: Voigtlaender, Zeiss, Steinheil, Dallmeyer, Agfa, llford, Kodak, Konica, Leitz. L’ottica fa passi da gigante, tanto che già qualcuno pensa alla scansione dell’immagine: Paul Nipkow, padre della televisione, nel 1884 realizza un disco per la trasmissione delle immagini. Anche l’Italia, benché in condizioni di arretratezza industriale, ha le sue firme: Michele Cappelli, i Murer, gli Alinari, l’appassionato Francesco Negri, Carlo Ponti e tanti altri. Nel 1888, George Eastman, uomo di frontiera e capitano d’industria, capisce che il momento è venuto, e lancia la Kodak N.1. A lui va riconosciuto il merito di aver reso popolare l’uso della macchina fotografica. Da quel momento non fu più necessario essere alchimisti per scattare una fotografia. Bastò “premere il bottone”, proprio come ricordava l’astuto slogan pubblicitario. In alto a sinistra: James Clerk Maxwell Sopra: Gaspard-Félix Tournachon (Nadar) Sotto: i tre fratelli Alinari A sinistra: George Eastman e a destra la sua Kodak n°1 Sotto: George Eastman e Thomas Alva Edison Centro di Documentazione Fotografica BRUNERO TOGNONI COLLEZIONISTA PER PASSIONE di M. L. BRUNERO TOGNONI Nato a Lajatico (Pi), vive da più di 50 anni a Pontedera dove svolge l’attività di odontotecnico nel suo laboratorio. I suoi hobby sono la fotografia e la cinematografia. 62 63 I l collezionismo è una malattia molto diffusa nel mondo occidentale; si potrebbe dire che è un vizio, un vizio molto costoso. Per un oggetto da collezione si possono pagare cifre enormi e quasi sempre sono cifre in perdita che non saranno mai recuperate da chi le paga. Però è grazie a questi appassionati raccoglitori che oggi il nostro Paese può vantare belle raccolte che sono poi diventate oggetto di esposizioni che possono essere fruite da un vasto pubblico di appassionati. Nel nostro territorio ci sono molti collezionisti d’arte e di strumenti vari: quello che proponiamo all’attenzione è un collezionista di macchine fotografiche e cinematografiche che ha raccolto centinaia di pezzi di varie epoche, dall’ottocento fino ad oggi. Brunero Rognoni, odontotecnico, la cui passione per la foto e la cinematografia è partita da lontano, da quan- Centro di Documentazione Fotografica do bambino a dodici anni cominciò a seguire l’operare dei vecchi fotografi pontederesi e con questi, (era il dopoguerra e molti facevano la fame) scambiava alimenti, olio e pane in cambio di acidi e carta fotografica e discorsi sulla fotografia. Questa iniziale curiosità si trasformò piano piano in una vera passione per la foto prima e per la cinematografia poi. Con il passare del tempo Tognoni è diventato un esperto cineamatore e con le sue pellicole ha partecipato a concorsi e vinto premi fino a che nel 1960 ha fondato il Cineclub Pontedera. Nel 1968 è divietato presidente della Consulta Regionale della Federazione Nazionale del Cinema, un punto di riferimento per tutti i cineamatore della Toscana. La sua attività creativa non ha soste. Lui ha documentato tutti gli avvenimenti della sua città, dalle mostre ed esposizioni di vario tipo, all’alluvione del 1966. Contemporaneamente ha però cominciato a raccogliere tutti quegli strumenti fotografici che riusciva a reperire iniziando così una bella collezione di macchine d’epoca, sia fotografiche che cinematografiche. Una bella collezione di un centinaio di pezzi, alcuni molto pregiati e rari. Il sogno di Brunero Tognoni è di farne una collezione fruibile per tutti i cittadini magari sotto l’egida di un Ente Pubblico. Questa proposta mi auguro sia presa in considerazione perché potrebbe essere l’inizio di una ancora più ampia futura raccolta. Una parte della collezione di Brunero Tognoni Motion Picture DeVry, made in Chicago, Usa. Cinepresa 35 mm funzionante. Si carica a molla con un’autonomia di 30 minuti, funziona an Sotto, da sinistra: Eumig, 16 mm, 3 obbiettivi a torretta, caricamento a molle, cellula, 1960. Murer Express, cassetta a lastre, 1900 D 802 Newness. Cinepresa Bolex Paillard, 3 obbiettivi 30 m di pellicola 8 mm, 1968. Winzer Dresdn Venedigi Dresa, cassetta in legno, 2 mirini a lente brillante, fuoco fisso con meccanismo per la caduta delle lastre esposte, 1910-1920. Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica A fianco: Brunero Tognoni tra i pezzi della sua collezione. Sotto, da sinistra: Leica obbiettivo Leitz Elmar F.50 mm 1:3,5, 1955 Rolleiflex 4x4 con filtro e paraluce, 1942. Sopra, a sinistra: il premio alla carriera vinto in occasione del 1° concorso televisivo di cortometraggi dedicato a Pisa ed ai Comuni della Provincia, Raccorti pisani 2004. A destra: Woigtlander Brillant tipo Roller, 1940 Proiettore Palkè Bab 9,5 m, funzionante con pellicola a trascinamento manuale. Fu acquistato con una pellicola datata Bari 1932 (sfilata sul lungomare) più 11 pellicole del film La mort du duc Deguise. La pellicola ha il trascinamento con foro centrale. 1905 e 1920. 64 65 Premiazione a Mazzinghi, campione del mondo. Brunero Tognoni è sulla sinistra. Telecamera 1980 Normende 1980; Diaproiettore a carburo 1900 modificato per l’utilizzo con una lampada da auto. Corredato da 200 diapositive in vetro inserite in 3 cassette di legno Tika per controspionaggio, 1920. L’inventore fu Magus Niell. Pocket Watch, obbiettivo Minisuus 2,5 m F. 16 fuoco fisso, otturatore a ghigliottina, 25 fotogrammi 15x22 mm su pellicola 17,5 Targa a Brunero Tognoni offerta dal Comune di Pontedera il 4 settembre 2001 per l’impegno di documentazione audiovisiva profuso a servizio della città. Centro di Documentazione Fotografica FOTOGRAFIA: LA COLLEZIONE DEL CENTRO a cura della redazione del Centro I l Centro di Documentazione Fotografica che opera nel Comune di Pontedera e nel Territorio della Valdera, ha iniziato a collezionare una serie di apparati fotografici che puntualizzano la storia della fotografia. Per il momento, in attesa di una loro collocazione ottimale, sono esposti nella sede in due vetrine. Le Alcune macchine fotografiche della futura collezione del Centro 66 67 Una vetrina del Centro con alcune macchine fotografiche Centro di Documentazione Fotografica macchine fotografiche che provengono da una collezione privata, momentaneamente sono state date in prestito ma potrebbe esserci anche una donazione se venisse loro assicurata una cura e un’esposizione dignitosa. I pezzi sono circa 110 e costituiscono solo parte di una più vasta collezione che potrebbe diventare patrimonio del Centro. La collezione potrebbe essere utile a studenti, ricercatori, giornalisti, fotoamatori, ecc.. Sarebbe anche possibile ampliarla con altre collezioni analoghe già disponibili sul territorio locale. Centro di Documentazione Fotografica 3C CASCINA SILVIO BARSOTTI: UNA LUNGA STORIA COSTELLATA DI SUCCESSI di Enzo Gaiotto (BFI-AFI) ENZO GAIOTTO Socio dal ’76 del “3C Cascina-Silvio Barsotti”, il Circolo più premiato d’Italia. Per il suo costante e particolare impegno fotografico la Fiaf gli ha concesso due onorificenze: “Benemerito della Fotografia Italiana”, (’94) e “Artista della Fotografia Italiana” (’04). E’ l’Addetto Stampa del “3C”. Diverse sue immagini hanno riscosso riconoscimenti nelle maggiori manifestazioni nazionali e sono apparse su riviste, annuari e pubblicazioni settoriali. Collabora con alcune riviste fotografiche e diversi giornali, tra cui “Tuttolibri” de “La Stampa” di Torino e “Il Tirreno” di Livorno. Riscuotendo confortanti consensi, nella seconda metà del 2007 ha debuttato nella narrativa pubblicando il romanzo “La finestra socchiusa” (Ed. “Il Molo”). L a misura del tempo che scorre lungo un cammino intrapreso tanti anni fa è il migliore viatico per raccontare una storia. E la storia del “3C Cinefoto Club Cascina-Silvio Barsotti” affonda le sue radici da oltre quarant’anni nel terreno della fotografia amatoriale italiana; un terreno fertile che fa sbocciare stagione dopo stagione, l’imprevedibile e inquieta visualità del nostro vivere. Il 3C nasce nel 1967 a Cascina. Alcune persone del posto, appassionate di fotografia, fondano, ospitati nei locali della Pubblica Assistenza, un circolo che battezzano con un bel “3C” ricavato dalle iniziali delle parole con le quali denominano il gruppo. Nel ’69 il Circolo si iscrive alla Federazione Italiana Associazioni fotografiche, ufficializzando la propria esistenza nel mondo fotoamato- Centro di Documentazione Fotografica riale. In breve il gruppetto si allarga e acquisisce prestigio. Con entusiasmo i soci del “3C” danno vita al “Truciolo d’Oro”, un concorso ormai ultraquarantennale che nel giro di pochi anni acquista rilievo nazionale; l’unico in Italia che dalla sua nascita fino ad oggi non ha mai sospeso o interrotto il proprio svolgimento annuale. Per un autore portarsi a casa il mitico “Truciolo”, trofeo esteticamente preso in prestito dallo scarto del legno lavorato, significa aver vinto un piccolo “Oscar” della fotografia amatoriale italiana. Sotto la guida di Silvio Barsotti, lo storico presidente recentemente scomparso, il Circolo accentua le proprie prerogative: si delinea tra i più importanti d’Italia e collabora con enti ed istituzioni, mettendo a disposizione della FIAF diversi soci per assolvere importanti incarichi federativi. Tra gli interventi più significativi svolti in ambito locale, sono da ricordare la realizzazione dell’archivio fotografico della Gipsoteca dell’Istituto Statale d’Arte di Cascina; la documentazione del restauro degli affreschi trecenteschi dell’Oratorio di San Giovanni; la raccolta, il recupero e la classificazione di antiche foto riguardanti la Cascina del passato; le collaborazioni con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Pisa; la ripresa fotografica delle opere dei fratelli Gioli, pittori di tradizione macchiaiola. Inoltre collabora all’allestimento di diverse mostre, tra cui quella dedicata all’aviatore Giuseppe Cei, promossa dalla Banca di Credito Cooperativo di Cascina. Intanto i fotografi del “3C” crescono e sono apprezzati in tutto il mondo: le loro foto fanno incetta di riconoscimenti e vengono esposte e pubblicate ovunque. La vita del Circolo è intensa di iniziative, aggiornamenti e collaborazioni. Nel 1985 il Circolo viene insigni- to dell’onorificenza di “Benemerito della Fotografia italiana” per il costante impegno profuso nel diffondere e promuovere culturalmente l’immagine fotografica Con l’avvento dell’era informatica il “3C” si adegua subito alle nuove esigenze tecnologiche impiegandole anche per la conservazione e catalogazione delle immagini che i soci sfornano a ciclo continuo. Realizzano audiovisivi per le proiezioni di raccolte personali e collettive. Da una costola del “Truciolo” nasce il “Pixel d’Oro”, uno dei primi concorsi italiani dedicati ad immagini digitali. I “ragazzi” del “3C” progettano libri fotografici che la FIAF pubblica nelle proprie collane. SILVIO BARSOTTI Nel lontano 1967 Silvio Barsotti fu socio fondatore del “3C-Cinefoto Club Cascina”. Cinque anni dopo, nel ’72, venne eletto all’unanimità Presidente del Circolo. Per i suoi meriti fotografici nel ’76 venne insignito dell’onorificenza internazionale di Afiap. La “3M Italia” gli conferì nel ’96 il riconoscimento “Una Vita per la Fotografia”. Nel ’99 la Federazione lo nominò “Seminatore della Fiaf”. Dal ’93 al ’99 è stato Consigliere Nazionale della Fiaf e Direttore del Dipartimento Promozione e Immagine della stessa Associazione. Dal ’99 a per cinque anni ha fatto parte del Collegio dei Probiviri della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche. Giorgio Tani, Ritratto di Silvio Barsotti Enzo Gaiotto, Alla Biennale di Venezia Roberto Filomena, Il pattinatore sulla curva 68 69 Nella pagina precedente: Self-Portrait di Enzo Gaiotto. Enzo Gaiotto, Libeccio a Livorno Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica Il “Cinefoto Club Cascina - Silvio Barsotti” da sempre tiene aperte le sue porte ai giovani appassionati di fotografia: i corsi fotografici che organizza periodicamente sotto l’egida di Istituzioni e Associazioni, regi- strano sempre il “tutto esaurito”. Senza dubbio questo riuscire a calamitare e sviluppare l’interesse verso la fotografia, da parte delle nuove generazioni, è la miglior garanzia per il domani del Circolo cascinese. Sopra: i soci Coop in estemporanea Alessandro Salvini, Predominio 70 71 Angelo Bani, Body Building in palestra Massimo Bottoni, Due uccelli che si contendono Centro di Documentazione Fotografica FOTOGRAFANDO LA MUSICA di Davide Mancini MAGALI LEONE 72 73 Nata a Parigi nel 1979. Diplomata in economia e commercio, nutre da sempre una vera passione per le arti plastiche. Passa con successo il concorso d’ingresso alla scuola superiore nazionale di arti applicati Olivier de Serre a Parigi, ma non finisce gli studi per un trasferimento in Sardegna dove continua la sua formazione nella decorazione su legno in un laboratorio di artigianato artistico. Oggi lavora come artista-pittrice, e dà lezioni di sperimentazione pittorica. Parrallelamente alla sua formazione nel campo della pittura, studia da autodidatta la fotografia analogica. Lavora tuttora in analogico, e solo in bianco e nero, curandone lo sviluppo e la stampa in camera oscura. Nel 2000 inizia la sua collaborazione artistica come fotografa di scena con l’associazione culturale Botti du schoggiuCarloforte, Sardegna- documentando per archivio e publicazioni il backstage e la scena di rapresentazioni teatrali. Fotografa ufficiale di diversi festival culturali come « dall’isola dell’isola di una penisola »(20002007)-carloforte, Festival Musicastrada 2007-Pisa-, partecipa al workshop sulla fotografia di spettacolo 2007-Sant’Anna Arresi. Le immagini in queste pagine fanno parte di un reportage in Valdera al seguito di Musicastrada “Fotografando la Musica”, Il concorso Fotografico a tema nato nel 2004 grazie alla felice intuizione di Stefano Guidi, patron de “Il Fotoamatore”, azienda leader nella distribuzione e vendita di prodotti per la fotografia, è giunto alla quarta edizione. Un neonato si direbbe. Un neonato che però cresce molto in fretta e a dirlo non siamo noi ma sono i risultati. 52 partecipanti la prima dizione, 94 la seconda, 146 lo scorso anno e 147 quest’anno, per un totale di 605 opere ricevute da autori provenienti da tutta Italia. Una crescita esponenziale che ne decreta ulteriormente il successo, considerando anche che è un concorso a tema obbligato e senza restituzione delle opere... Legato al MUSICASTRADA FESTIVAL il concorso fotografico raccoglie opere provenienti sia dal festival che da altre manifestazioni…L’idea semplice, ma a quanto pare originale, è quella di fotografare “La Musica”, termine questo che può racchiudere molteplici significati. Non Centro di Documentazione Fotografica soltanto quindi il musicista nell’atto di suonare, ma anche l’ascoltatore, il balletto, il liutaio all’opera, l’allestimento di uno spettacolo musicale… insomma tutto ciò che ruota attorno a questa forma d’arte.La storia della fotografia va infatti di pari passo con la storia della musica moderna stessa. Non possiamo fare a meno di notare come tanti musicisti rock, folk, jazz etc. siano stati immortalati da grandi fotografi. Scatti questi che hanno contribuito non poco a rendere famosi i musicisti stessi. E grazie proprio alla unicità nel genere il concorso in quattro anni ha triplicato il numero dei partecipanti. Ma un’altra caratteristica importante è anche la composizione della giuria, da sempre formata sia da fotografi che da musicisti e altri professionisti (quest’anno due musicisti, due fotografi e un architetto) che con “occhio” diverso giudicano l’opera. “Addetti” e “Non Addetti” quindi. Qualche cifra: 605 opere di 147 autori, dei quali, il 27% sono donne (40 in totale), il 49% sono residenti al di fuori della Toscana (72 in totale), il 20% sono residenti nella provincia di Pisa (29 in totale), il 25% sono Under 29 (37 in totale). Un concorso quindi ben equilibrato con una for- te partecipazione di Giovani, Donne e Fotografi da tutta Italia,ma molto ben radicato nella Provincia di Pisa ad ulteriore riprova del legame instaurato con il territorio da Musicastrada. Centro di Documentazione Fotografica 74 75 Centro di Documentazione Fotografica Centro di Documentazione Fotografica LA FOTO DI GIUSEPPE GARIBALDI a cura della redazione del Centro I l Centro Studi possiede un ingrandimento fotografico a colori di Garibaldi. La storia di questa fotografia è alquanto singolare e ancora non siamo riusciti a ricostruire esaurientemente tutto il suo percorso prima di approdare al Centro. La foto a colori applicata su un pannello di legno, è stata regalata da Sandra Bucci, figlia del fotografo Ranieri Bucci morto nel 1985. Si ritiene che l’autore della fotografia originale sia stato il fotografo Leone Bartoli (testimonianze dei familiari) che nel 1880, su incarico del suo principale Pietro Tempestini, si recò a Caprera, per fotografare Giuseppe Garibaldi, come era in uso in quel periodo storico presso i fotografi di tutto il mondo. La fotografia fu esposta nello studio di Leone Bartoli e da qui sparì, rubata, si diceva, da un altro fotografo geloso. Non sappiamo da quante mani sia passata fino a riapparire nello studio del fotografo Ottavio Bonini negli anni ’40. Nel dopoguerra, si racconta che la fotografia fu rubata di nuovo, nel passaggio delle truppe tedesche prima e americane poi, da Vicopisano dove il fotografo si era trasferito. Si temeva che la foto fosse scomparsa per sempre fino a quando, nel 2001, riapparve una sua riproduzione su una negativa fatta da un privato che la portò a stampare dal Bucci. Il Bucci ne fece una copia per sé in B.&N. e poi a Firenze ne fece fare un ingrandimento di cm.70x50 a colori che poi espose nella vetrina del suo negozio. Questo ingrandimento è quello che noi abbiamo oggi al Centro. Centro di Documentazione Fotografica L’ESPLORAZIONE FOTOGRAFICA a cura della redazione del Centro I LUCA LUPI 78 79 41 anni, esploratore, fotografo, e scrittore. L’idea di fare l’esploratore lo ha affascinato fin da ragazzo e la passione per le Scienze della Terra gli hanno fatto intraprendere gli studi universitari del corso di laurea di Scienze Geologiche dell’Università di Pisa, scegliendo l’indirizzo vulcanologico. Durante gli studi universitari ha fondato la Vulcano Esplorazioni e avvalendosi della collaborazione di vulcanologi italiani e stranieri, ha studiato e organizzato numerose spedizioni scientifiche ed naturalistiche sui vulcani italiani e greci, nelle aree vulcaniche di Islanda, Africa Orientale, Centro e Sud America. Negli anni ‘90 ha ideato “Rift Valley 2000”, un progetto di cinque spedizioni scientifiche, culturali e umanitarie nella grande Rift Valley. Durante le spedizioni relative a questo progetto (Tanzania ‘95, ’96, ’97; Etiopia ’97; Zaire ‘95) ha collaborato alla realizzazione di vari documentari per le maggiori reti televisive nazionali, relativi ai vulcani e alle popolazioni delle aree visitate. In particolare due documentari realizzati in novembre ’98 e gennaio ‘99 per la trasmissione Geo & Geo della RAI, ambientati nel deserto della Dancalia nel territorio del popolo guerriero Afar. Negli anni successivi questi (continua a pagina 82) l fotografo viaggiatore si può dire che è nato con la fotografia; la tradizione iconografica conosciuta, fino alla nascita della fotografia, per documentare il mondo era affidata ai disegnatori-viaggiatori, i “Reisezeichner” che percorrevano terre lontane riportando album pieni di disegni e pitture dai quali si attingeva per illustrare libri o immagini da appendere alle pareti. Ancora prima si realizzavano i famosi “portolani” che illustravano i profili costieri, ma anche libri e relazioni di viaggi disegnati da famosi cartografi. Fin dall’antichità, Erodoto, Plinio, Tolomeo e Marco Polo con il “Milione”, sollecitarono la fantasia dei nostri antenati e ispirarono i grandi viaggi di scienziati e navigatori. Più tardi, una istituzione famosa come la “Società Geografica di Londra”, favorì le spedizioni con compiti politico-scientifici, di James Cook e Charles Darwin che ebbero la possibilità di fare nuove scoperte ed enunciare teorie. La fotografia ha aggiunto un nuovo strumento di indagine alla ricerca e alla conoscenza del mondo tanto che fin dalla sua nascita gli esploratori e Centro di Documentazione Fotografica i viaggiatori si resero conto di quale potenzialità si offriva loro con il nuovo mezzo aprendo un nuovo capitolo nella storia iconografica delle esplorazioni L’esplorazione fotografica ci ha lasciato una traccia dei pionieri americani alla conquista del West, ma anche in Europa sono state documentate l’esplorazione dell’Africa, dei Poli, delle zone vergini del sud America raccontando terre sconosciute, uomini e ambienti che sollecitano l’immaginazione creando il mito delle “Terre lontane”,delle imprese impossibili,misteriose. In Italia si è sviluppato il reportage fotografico e molti libri sono stati pubblicati. Il taglio usato è quello del reportage di esplorazione antropologica o naturalistica, altri, come quello specialistico di Luca Lupi sui vulcani del mondo,con particolare attenzione alle manifestazioni dei vulcani attivi. Luca Lupi, pontederese è il fotografo esploratore che prendiamo in visione in questo numero. Il moderno fotografo viaggiatore documenta per noi, con moderne attrezzature, una realtà che la nostra cultura occidentale, molto legata alla tradizione letteraria, spesso non ci consente di cogliere pienamente. La comunicazione visiva invece ci fornisce informazioni più puntuali e esaurienti su fenomeni e accadimenti che vengono documentati ai fini della conoscenza. L’esploratore fotografo oggi opera con disponibilità di mezzi che i fotografi della passata generazione non potevano avere: aerei, fuori strada, computer, internet per comunicare un’ immagine in tutto il mondo. Resta comunque il difficile compito di riprendere immagini inedite e questo comporta rischi maggiori e pericoli per ottenere nuovi risultati con nuove sfide. La scalata ad un vulcano, con i cambiamenti veloci delle condizioni di sicurezza, mette a prova il coraggio del fotografo che dopo una faticosa salita, controllando le emozioni, può riprendere lo spettacolo in tutta la sua bellezza. La foto più bella, dopo aver sofferto nell’attraversare la giungla, aver dormito per terra sotto la pioggia, atteso che un animale si mostrasse anche solo un per attimo è quella che riesce a riprenderlo correndo tutti i rischi del caso, è la soddisfazione più grande per il fotografo esploratore. Il fotografo esploratore è un amante della natura di cui vuole mostrarci i momenti più belli e le forme più accattivanti e irripetibili. Dobbiamo quindi guardare questi ambienti come a qualcosa di prezioso. La funzione del fotografo viaggiatore contemporaneo è quella di mostrarci un mondo da rispettare e conservare, prima che tutto sia contaminato dall’egoismo dell’uomo. Pagina precedente: in alto a sinistra: deserto del Namib, Namibia 2008 In basso: spedizione nel deserto della Dancalia, Etiopia, 1997 Allagamenti tra Betioky e Ampany sud dell’altopiano. Spedizione Madagascar 2000 Nella giungla del Parco di Isalo alla ricerca dei lemuri. Spedizione Madagascar 2000 Centro di Documentazione Fotografica Scogliere di Grindavik. Spedizione Islanda 1997 Iceberg nella laguna del Vatnajokull, il più grande ghiacciaio d’Europa. Spedizione Islanda 1997 Campo base nella giungla sulle pendici del vulcano Santa Maria-Santiaguito. Spedizione Guatemala 2000 80 81 Nella pagina seguente. impegnativo passaggio aereo con corda per raggiungere area inesplorata nella regione di confine tra i due paesi. Spedizione CostaricaNicaragua 1999 Centro di Documentazione Fotografica 82 83 filmati sono andati in onda in Italia e all’estero per canali specializzati nella documentaristica. Sempre nell’ambito dell’attività della Vulcano Esplorazioni in quegli anni ha curato diverse consulenze scientifiche, fornendo testi per articoli, immagini, dati e schemi, per riviste specializzate e non del settore naturalistico e viaggi come (Airone, Geos, Gulliver, Gente Viaggi, No-Limits, Max, L’Espresso, Panorama, “D” di Repubblica, etc..). La sua formazione scientifica e l’esperienza di spedizioni e viaggi gli hanno permesso di collaborare con alcuni editori alla stesura di testi scientifici, divulgativi e per guide di viaggio varie. Ad esempio ha curato la parte di testi relativa alla geologia del volume “Ecuador e Galapagos” edito da Fuorithema nel 1997. Ha contribuito alla realizzazione di diversi libri divulgativi sulle Scienze della Terra come ad esempio “La Terra”, Discovery edito da De Agostini nel 1999 e fascicoli come “Vulcani il fuoco degli dei” (collana Natura estrema) edito da Fabbri editore nel 2001. Tra i volumi più significativi realizzati vi è la guida “Vulcani” (collana Tutto) edita nel 1999 e 2001 da Arnoldo Mondatori, tradotta in francese “Guide des Volcans” edita da Delachaux et Niestlé nel 2000 e nel 2006 col titolo “100 volcans actifs dans le monde”, tradotta ancora in francese e pubblicata nel 2007 per la catena di negozi Nature et Decouvertes, tradotta in inglese “Volcanoes” edita da A Firefly Guide nel 2003. Nel 2003 ha realizzato la monografia “Leopoldo Traversi, dieci anni di esplorazioni africane (1884-1894)”, della collana “Explora” patrocinata dalla Società Geografica Italiana, da lui curata ed edita da Tagete Edizioni di Pontedera. Per la stessa collana. ha realizzato nel 2007 il volume “Maurizio Buonfanti, dal Sahara all’Africa equatoriale (1881-1885)”. Nel 2006 è entrato a far par- Centro di Documentazione Fotografica te come autore del progetto internazionale “Encyclopaedia Aethiopica” gestito dall’Università di Amburgo e come autore nel bollettino “Archivio per l’Antropologia e la Etnologia” della Società Italiana di Antropologia e Etnologia. Nel 2007 anche come collaboratore per “The Encyclopaedia of Exploration” pubblicata dall’editore australiano Hordern House. Nel 2008 pubblicherà “Dancalia, L’esplorazione dell’Afar, un’avventura italiana”, due volumi tratti da una sua ricerca storico-geografica decennale, patrocinati da vari ministeri e dipartimenti universitari italiani, coedizione Tagete edizioni-Istituto Geografico Militare. Nella pagina precedente: eruzione con colata piroclastica del vulcano Santa Maria-Santiaguito. Spedizione Guatemala 2000 Eruzione stromboliana del vulcano Arenal. Spedizione Costarica 1997. Arrampicata fino alla vetta del cratere del vulcano Rincòn de la Vieja. Spedizione Costarica 1997 In questa pagina: Avvicinamento alle fontane di lava per prelevare campioni. Eruzione 2001, Etna Il lago di lava attivo del pit craterico del vulcano Erta Ale. Spedizione in Dancalia, Etiopia 1997 L’arrivo delle grandi piogge monsoniche nella pianura del Serengeti. Spedizione Tanzania 2002 Centro di Documentazione Fotografica Sopra. Cratere di Ngorongoro, lo sguardo attento di tre leoni maschi, spedizione Tanzania 1995. Sotto. Attrezzatura alpinistica per la discesa nel cratere del vulcano Erta Ale a campionare il lago di lava attivo, spedizione in Dancalia, Etiopia 1997. Ippopotami, lungo le rive del Maasai Mara, spedizione Tanzania 2002. Nella pagina successiva. Leopardo sorpreso sui rami di un albero durante l’esplorazione dell’Empaakai Crater, spedizione Tanzania 1995 84 85 Centro di Documentazione Fotografica LOMOGRAFIA: NON PENSARE, SCATTA! di Valentina Reino L eggenda narra che la Lomo-mania sia esplosa nel ‘91 a Praga, quando i due studenti austriaci Matthias Fiegl e Wolfgang Stranzinger trovano in un mercatino alcune macchine fotografiche Lomo Compact Automat 35mm (Lca). I due ragazzi scattano foto a raffica e le portano a stampare nel formato più piccolo ed economico 7x10, futuro formato standard dei lomografi. LOMO è la sigla che li contraddistingue in quanto acronimo del produttore della macchina fotografica da loro utilizzata: Leningradkoje Optiko Mechanitscheskoje Objedienieine, il Sindacato degli Ottici e dei Meccanici di Leningrado1. Tornati a Vienna l’entusiasmo di Fiegl e Stranzinger contagia gli amici. Durante le settimane successive raccolgono un numero straordinario di immagini sulle pareti del loro appartamento, nasce il primo esplosivo Lomowall, un grande mosaico di fotografie fatte con macchinette Lomo. Fiegl e Stranzinger firmarono nel 1996 un accordo con Vladimir Putin, allora sindaco di San Pietroburgo, per assicurarsi la distribuzione esclusiva della Lca. La particolarità di questa macchinetta, oltre alle caratteristiche dell’obiettivo, paragonabile ad un grandangolare medio (focale di 32 mm), consistono nel- 86 87 Il cavallo in movimento di Muybridge Centro di Documentazione Fotografica la relativa luminosità (f/2.8), che unita alle piccole dimensioni della lente fornisce immagini estremamente sature e con una vignettatura di sottoesposizione, quindi una sorta di effetto “tunnel”, grazie alla quale si inverte il punto di vista e precipitiamo nella foto. I contorni a volte nitidissimi e a volte indefiniti, non sono più il fedele confine del vero, ma movimento e colore. La lente ha un rivestimento che rende sia di giorno che di notte con incredibile ricchezza e brillantezza. Per la parte ottica il Dr Radionov inventò l‘“autofocus” in modo che la fotocamera, come l’occhio umano, vedesse in interni e di notte senza bisogno del flash. Spesso i risultati sono scatti fuori fuoco, striati, offuscati o dai colori sgargianti ma dall’effetto incredibilmente fresco. Lomo ha molte facce: dagli obiettivi multipli che dividono gli scatti in quattro, fino agli apparecchi con filtri colorati, passando per il fisheye e la sua visione a 170 gradi. Alcuni fotografi utilizzano pellicole scadute che accentuano i contrasti nei soggetti rossi e blu. Anche il regista Almodovar ha iniziato la sua carriera usando pellicole scadute, la brillantezza dei colori e degli interni è divenuta il suo marchio di fabbrica. Per capire l’importanza data alle tinte da questi fotografi, possiamo ricordare il ruolo dato ai colori nei film di Kieslowski, in particolare nella trilogia film blu, film rosso, film bianco, in cui un ricordo può apparire blu, un uomo rosso e una donna bianca! Alcuni apparecchi posseggono più obiettivi, ad esempio la pop 9 moltiplica la visuale come già fece Andrè Eugene Disderi, che nel 1854 brevettò le sue macchine munite di quattro obiettivi, utilizzate per le cartes-de-visite, oppure come la super sampler che dà un effetto filmato, grazie a immagini in sequenza riconducibili a quelle di Muybridge2, naturalmente con tutto un’altro intento, in modo da catturare oltre allo spazio il tempo, antagonista per eccellenza della fotografia. Prima di essere fenomeno mondiale per la sua creatività, la Lca si fece spazio già nel 1982, quando la fabbrica di Leningrado vendette milioni di pezzi di questa mini macchina fotografica a basso prezzo, sensibile alla luce, robusta e con esposizione automatica, un clone dei modelli occidentali. Il modello Lca è la copia della Cosina CX2, prodotto dell’ingegno nipponico, entrambe costruite per competere nella categoria Minox, che nel periodo tra gli anni ‘70 ed ‘80 del secolo scorso controllava una buona fetta di mercato. Prima dell’esplosione della moda Lomo negli anni ‘90, i sovietici e i loro compagni socialisti, da Pechino a Cuba, utilizzarono la Lca per documentare con ironia gli anni Ottanta. Inizialmente sembra fosse stata realizzata per facilitare le missioni di spionaggio degli agenti del Kgb, in questo modo si spiegherebbero le sue peculiarità. I difetti tecnici e la mancanza di affidabilità facevano della Lca un prodotto tecnico considerato dai fotografi poco credibile. Oggi gli stessi difetti vengono rivendicati dai suoi sostenitori come una nuova forma di linguaggio fotografico, in testa Inghilterra e Spagna. Si viene a creare così un fenomeno che, ormai da anni, si è esteso in tutto il mondo con Lomoambasciate, Lomomissioni, Lomoconcorsi. Lo sviluppo a livello mondiale di questa fotografia sperimentale è dovuto alla Lomographic Society, l’organizzazione che ha raggiunto il mezzo milione di membri e ha superato le 100 “ambasciate”, con l’intenzione di documentare il mondo in un infinito diario visivo: il Lomo World Archive. La filosofia dei lomografi si basa sullo scatto casuale e sull’instant-fotografia, essere veloci e cogliere l’attimo. Il loro manifesto respinge la corsa alla perfezione tecnica in quanto tale, da cui nascerebbero immagini impeccabili ma prive di vita e sentimenti. La macchina viene usata come un prolungamento del braccio, è pronta a scattare ogni qualvolta se ne senta l’impulso, l’unico consiglio è quello di essere comunicativi e aperti all’ ambiente esterno. In particolare americani e asiatici sembrano apprezzare della digigrafia3 lo stile tipicamente europeo, il gusto per una comunicazione libera e spontanea. Da qui nasce il concetto di Toy foto, Super sampler Note 1. Dal 1914 produce strumenti ottici e dal ‘30 macchine fotografiche, nel 1976 vantava il più grande telescopio del mondo con un diametro di 6 metri. 2. Pioniere della fotografia di movimento (cronofotografia), nel 1878 fotografò un cavallo in corsa utilizzando cinquanta fotocamere e sconvolgendo l’opinione fino ad allora avuta della corsa del cavallo, inoltre progettò lo Zoopraxiscopio, strumento simile al Zoetropio, precursore del cinema. 3. La digigrafia è una nuova moda della fotografia. Essa puo’ essere chiamata a seconda del nome del costruttore della camera, ad esempio nikografia da Nikon, olympugrafia da Olympus, lomografia da Lomo. Con la digigrafia non si cerca di fare immagini perfette, ma di documentare la propria vita spontaneamente. Centro di Documentazione Fotografica Lomowall a Londra Sotto: Cartes-de-visite di Disderi Manifesto dei Lomografi Porta la tua Lomo ovunque vai Usala sempre, giorno e notte La Lomografia non è un’interferenza con la tua vita: è parte di essa 88 89 Avvicinati più che puoi ai tuoi soggetti Non pensare Sii veloce Non preoccuparti in anticipo di quello che rimarrà impresso Non preoccupartene neppure dopo Scatta senza guardare nel mirino Dimentica queste regole nella quale occorre adottare una visione senza pregiudizi e lasciarsi andare alla spensieratezza del “raccogliere attimi”. Nel 1994 il movimento acquisisce una dimensione globale, quando i due fondatori della nuova corrente creativa organizzano una gigantesca esposizione a New York e una contemporanea a Mosca, durante le quali radunano più di 10.000 foto fatte con macchinette Lomo. L’ultimo congresso mondiale si è tenuto a Londra, dal 17 al 23 settembre 2007, dove oltre mezzo milione di Lomografi si sono uniti nel progetto di costituire un archivio di oltre 5 milioni di foto. Un evento precongressuale italiano si è tenuto a Firenze il 14 luglio 2007 dove sono state esposte le foto che hanno formato parte del Lomo World Wall di Trafalgar Square, a Londra. Alcuni giornalisti li hanno definiti gli “Andy Wahrol della foto”, in molti si chiedono se sia arte oppure no, ma questo dibattito non interessa gli appassionati. Questo entusiasmo, secondo Stranzinger, è dovuto alla totale assenza di concetti. Secondo la filosofia che si dovrebbe adottare con una Lca, il fotografo diventa creativo spogliandosi del suo ruolo, ovvero lo scatto non testimonia ciò che il fotografo Centro di Documentazione Fotografica vuol far vedere del mondo, non è più il suo occhio, ma diventa un elemento dinamico che dialoga con la realtà. La fotografia viene concepita come vita, è la cattura dell’istante, ma i colori saturi ci inducono a individuare una quotidianità “fantastica”, lontana dalla realtà. Esaminando un’immagine Lomo si ha lo stravolgimento del ruolo della fotografia in quanto documento del reale, l’osservatore viene sedotto e trasportato in una realtà immaginaria, da qui scaturisce l’aspetto giocoso di questa tendenza, grazie alla luce, ai colori e ai molti obiettivi. Questa fotografia richiama lo stesso senso di sperimentazione creativa delle polaroid (la cui azienda dopo 60 anni di attività abbandona l’istantanea e si converte al digitale) e entrambe si inseriscono perfettamente nel contesto pubblicitario degli anni ‘80/’90. Sia per le atmosfere sognanti di luci e toni, sia per la concezione ludica della realtà e per la leggerezza, tutto il mondo Lomo potrebbe essere paragonato per analogia al film “Il favoloso mondo di Amelie” di Jean-Pierre Jeunet, con la fotografia di Bruno Delbonnel. Nonostante i dibattiti riguardo il fenomeno Lomo, che sia arte oppure no, resta pur sempre un evento collettivo che fa sentire le persone protagoniste di un’arte contemporanea, troppe volte avvertita come estranea. Con una Lomo in tasca e senza troppe pretese ognuno può sentirsi parte di un fenomeno mondiale, sperimentare e creare liberamente. Macchinetta LOMO In basso a sinistra: fotogrammi del film Il favoloso mando di Amelie Fisheye In basso a destra: due lomografie Centro di Documentazione Fotografica MASSIMILIANO PRATELLI: LA FOTOGRAFIA SPORTIVA di M. L. Nato a Cascina, il 4 giugno del 1971. Da sempre attratto dalle arti visive; disegno, grafica, geometria e pittura lo accompagnano nella sua formazione ma l’amore per la fotografia “scatta” nel 1994, quando nota la presenza nella sua cittadina di uno dei fotoclub più prestigiosi d’Italia: il Cinefotoclub “3C Silvio Barsotti”. Inizia a frequentare il fotoclub muovendo i primi passi nel mondo fotoamatoriale. Nel frattempo segue il percorso di studi tecnici frequentando la facoltà di ingegneria di Pisa e lavorando come disegnatore presso alcuni studi tecnici della zona e collaborando con una società di servizi come insegnante di applicativi per l’ufficio, database e CAD. Lavora anche nel settore della grafica e del web publishing avendo così la possibilità, oltre a pagarsi gli studi, di comprarsi il minimo L a fotografia e lo sport un connubio inscindibile. La necessità di ricordare un evento è sempre stata una volontà espressa fin dall’antichità nei giochi documentati sia attraverso la letteratura che l’iconografia. Dagli antichi giochi nell’isola dei Feaci, ricordati da Omero nell’Odissea, ai giochi nella piana di Troia chiesti da Achille per la morte di Patroclo, e ai giochi di Olimpia nel 776 a.C., la volontà di ricordarli è testimoniata dai meravigliosi vasi fittili che ne ricordano le gesta. Nelle prime documentazioni fotografiche, poco dopo l’invenzione della fotografia si leggono annotazioni che appartengono a una documentazione privata, ingenua, ma si avverte già come il mezzo fotografico si caratterizzi come il più idoneo a ricordare un evento. Per analizzare il movimento dell’atleta già Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Muybridge usò il mezzo fotografico che “congelava” il movimento per un’indagine scientifica; infatti la tecnica dell’atleta, la rapidità di riflessi, la postura , tutto è osservato per osservare e raggiungere una maggiore efficienza nei risultati. I muscoli contratti, il controllo degli arti, la smorfia drammatica tutto il corpo proteso verso il momento del risultato, sono le immagini più belle che la fotografia ci restituisce della personalità dell’atleta, e, oltre a dare una versione umana e psicologica, oltre alla eleganza formale del gesto armonico, ci documenta la passione, la volontà dell’uomo che si impegna fisicamente e moralmente a superare gli altri atleti ma anche se stesso. Massimiliano Pratelli è un “ragazzo” cresciuto nel 3C cascinese che è stata la fucina di molti fotografi di “qualità”. La sua passione è indirizzata verso la fotografia sportiva dove esprime creativamente la sua viva personalità nella ricerca sia formale che di contenuti documentando nei suoi scatti la forza, l’agilità, l’organizzazione, l’aggressività, i momenti drammatici dell’atleta o della squadra che vengono colti nel momento Mugello, 22 aprile 2007 Campionato italiano velocità 2007 90 91 Torino, 4 febbraio 2007 Speed Skating, Essent ISU World Cup, un atleta della nazionale italiana in azione Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Marsiglia, Stade Velodrome 6 ottobre 2007 RWC 2007, quarti di finale, Inghilterra v Australia: Esplode la gioia di Andy Gomarsall dopo il fischio finale, l’inghilterra è in semifinale Centro di Documentazione Fotografica Sopra: Londra, Twickenham Stadium, 12 maggio 2007 - Finale della Guinness Premiership - Alesana Tuilagi decisivo per la vittoria dei “Tigers”, travolge la difesa del Gloucester Sotto: Parigi, Stade de France, 20 ottobre 2007 - Il capitano John Smith alza la coppa: il Sud Africa è campione del mondo La ferita della Maddalena Centro di Documentazione Fotografica 94 95 dell’attrezzatura necessaria per “studiare” sul campo la fotografia. La prima macchina fotografica, a parte la “Fujica” del padre, è una Nikon F601M che ancora conserva gelosamente. Si dedica immediatamente alla fotografia sportiva, subendo il fascino creativo del “mosso” e scoprendo il Rugby. La volontà di completare gli studi gli impediscono però, di dedicarsi con più attenzione alla ricerca fotografica. Dopo la laurea in ingegneria e l’abilitazione alla professione, comincia a lavorare prima a Lucca poi a Livorno, città vivacemente dedita allo sport. Riprende a fotografare con continuità nel 2003 passando alla tecnologia digitale e aprendosi al mondo professionistico, continuando con lo sport ma con maggiore attenzione al fotogiornalismo, alla ricerca dell’attimo, del gesto altletico compiuto, del dinamismo e del colore. Inizia da qui la collaborazione con alcune testate locali fino alla stampa specializzata. E’iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Toscana, fa parte del gruppo NPS Italia di Nikon (Nikon Professional Service) ed è membro dell’Associazione nazionale fotografi professionisti Tau Visual. Continua a frequentare attivamente il fotoclub “3C Silvio Barsotti” credendo nel mondo dell’associazionismo e nel confronto a tutti i livelli. L’Amicizia con alcuni dei soci è oramai decennale. Attualmente si divide tra l’ingegneria e la fotografia, lavorando nel suo studio a Cascina. Collabora con la stampa specialistica tra cui il mensile “AllRugby” al fianco di Daniele Resini, fotografo che Massimiliano considera suo maestro e punto di riferimento professionale. Segue il campionato nazionale Super 10, le coppe europee e gli incontri della nazionale italiana. Con Daniele Resini segue il rugby in italia per conto dell’agenzia anglosassone Fotosport. Ha collaborato con la LIRE, Lega italiana rugby d’Eccellenza. E’ stato fotografo accreditato a “France 2007”, i mondiali di rugby disputatisi a partire dallo scorso Settembre vinto poi dai Sudafricani. Centro di Documentazione Fotografica Nella pagina precedente: Edimburgo, 23 settembre 2007 - RWC2007 - Scozia v Nuova Zelanda: un off-load in volo di Sitiveni Sivivatu poco prima della linea di meta; Londra, 20 maggio 2008, Twickenham Stadium, finale Heineken Cup (la coppa dei campioni del rugby): London Wasps e Leicester Tigers si contendono il titolo. Sopra: Edimburgo, 23 settembre 2007 - RWC2007 - Scozia v Nuova Zelanda: giocatori neozelandesi impegnati nella “Kapa o pango” prima dell’inizio della partita; la danza di guerra maori, diversa dalla più conosciuta “Haka”, con il discusso gesto del taglio della gola. Sotto: Marsiglia, 8 settembre 2007 - RWC2007 - Italia v Nuova Zelanda: il mediano di mischia neozelandese Brendon Leonard in acrobazia della massima espressività evidenziando linee drammatiche ed elementi ritmici. Massimiliano Pratelli si interessa di vari sport, ma quello che lo attira di più oggi è il Rugby un gioco duro fatto di mischie dove la prestanza fisica è essenziale ( si dice oggi che i giocatori di Rugby sono sempre più grossi, alti, robusti ). I volti e le parti tumefatte sono motivo d’orgoglio dei giocatori. Nel libro “Fratelli per forza” di Daniele Resini famoso fotografo, ammirato dal Pratelli come esegeta del Rugby, parla di forza e intelligenza, disciplina e sacrificio. Gli atleti sono visti simili a lottatori dell’antichità con atteggiamenti da feroci combattenti posti a “testuggine” e veloci come uomini volanti. In effetti certi sport come il Rugby possono eccitare la fantasia del fotografo e se a questo aggiungiamo la necessaria cultura visiva avremo una buona qualità iconografica. Oggi lo sport, con i nostri attuali mezzi di comunicazione è diventato sempre più gioco e spettacolo per masse sempre più vaste di persone e questo appaga i nostri bisogni complessi: gioia, impulsi di vitalità collettiva che oltre a tributare onori agli atleti vincitori spesso eccede in negativo. Il barone Pierre De Coubertin ci ha ricordato che è importante che l’atleta impersoni il simbolo dell’Uomo, il fotografo è questo che, a parer mio, deve fare. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera VECCHIO ELETTRICISTA U 96 97 n abitante di Roma raccontava ad una radio la difficoltà del vivere nelle periferie. Viveva in un ottimo quartiere, curato, senza fenomeni di piccola criminalità, ricco di verde ma malgrado ciò non ci viveva bene. Sentiva la mancanza di quanto era presente nei piccoli centri, la piazza e la via principale dove passeggiare ed incontrarsi, la chiesa alla quale collegare tanti ricordi, la Cresima, la Comunione ed anche i funerali; anche quelli erano occasione d’incontro, di ritrovare gli amici ed i parenti. Sentiva soprattutto la mancanza di quel piccolo mondo fatto di vecchi bar e soprattutto di vecchi negozi che egli definiva elementi focali per la vita della comunità. Sapere dove trovare un certo tipo di formaggio, uno strano bottone, dove chiedere un consiglio per cambiare una pila e dove risolvere con un rapporto diretto tanti piccoli problemi. Cose che il grande magazzino non può dare. Questo tipo di organizzazione è alla base di una piccola scoperta che è oggetto di queste pagine. Un vecchio elettricista andando a comprare il pane al forno Casati e Migliorini in Via Rossini, notò alcuni ingrandimenti fotografici della vecchia Pontedera: il bagno Rosina ed il bagno l’Acquaviva sull’Arno, la piazza del Tram, una trebbiatrice sull’aia e infine la copia di una stampa datata 5 agosto 1888 emessa a ricordo di tre avvenimenti: L’inaugurazione della R. Scuola di Arti e Mestieri. L’inaugurazione del Ginnasio Andrea da Pontedera. Ed infine l’inaugurazione dell’illuminazione elettrica della città. Il vecchio elettricista spalancò gli occhi a quest’ultimo riferimento, tanto da dubitare che la stampa fosse un’invenzione di qualche bello spirito. Chieste informazioni sull’origine della stessa, fu indirizzato alla corniceria Nannelli vecchia e famosa in città. Nannelli tirò fuori l’originale che aveva avuto chissà come e ne confermò l’autenticità. A beneficio di chi non è vecchio elettricista è opportuno considerare alcune date. Edison presentò la sua prima lampada nell’ottobre del 1879, ma solo nel 1882 mise in funzione a New York la prima centrale elettrica al mondo, la prima in grado di alimentare una vera illuminazione. A quei tempi gli unici mezzi di comunicazione tra Europa e America erano le navi e le notizie si muovevano quindi con ritardi di mesi. Non c’era il telegrafo tra le sponde dell’Atlantico e Marconi avrebbe reso la radio un po’ più di in giocattolo solo nel 1897. La prima illuminazione in Italia si ebbe sperimentalmente in Piazza Duomo a Milano nel 1877 ma non con lampade ad incandescenza, ma con una lampada ad arco elettrico, una tecnologia non adatta ad un impiego semplice e diffuso. D’altra parte la prima importante centrale elettrica in Europa arrivò a Milano solo nel giugno 1883 per merito dell’Ingegner Colombo che aveva acquisito i macchinari necessari dallo stesso Edison e nello stesso anno fu illuminato il Teatro alla Scala. Mancava ancora tutto il materiale impiantistico necessario per una vera istallazione. I portalampade arrivavano probabilmente dall’America, gli isolatori per le condutture si stavano inventando, l’isolamento dei conduttori poteva derivare solo dagli impianti telegrafici e dai laboratori di fisica dove già troneggiavano marchingegni dai nomi strani, solenoide, rocchetto di Runkorff, elettrocalamite ed altri i cui conduttori, avvolti in strati, dovevano essere isolati. E’ vero che la lampada elettrica, il primo elettrodomestico, era talmente interessante da mettere ali alla ricerca dei mezzi necessari a renderla facilmente commerciabile, ma trovare l’illuminazione elettrica a Pontedera solo cinque anni dopo queste avventure di pionieri, il vecchio elettricista non se lo aspettava. Ancora dubbioso, andò per lumi non elettrici dal suo celebre amico Mario Lupi, faro ed esegeta della fotografia pontederese, chiedendogli aiuto per trovare i vecchi verbali delle riunioni di Consiglio comunale dell’epoca. Il celebre amico, coordinatore del Centro, per toglierselo di torno, lo spedì all’Archivio Storico Comunale, dove con l’aiuto dell’incaricata, la brava Dottoressa Lara Parisotto, in poco tempo uscì fuori - datato 30 aprile 1887- proprio il verbale in questione. Miracoli della piccola città, in pochi passi, partendo da una panetteria si giungeva alla prova di un avvenimento, se non eccezionale, quantomeno eccellente e meritevole di non essere dimenticato. Veniva in mente la solitudine dell’abitante di Roma che per risolvere qualcosa di simile chissà quanto avrebbe dovuto penare. Ma la scoperta più importante il vecchio elettricista l’ha fatta vedendo l’importanza dei rapporti personali ed immediati che esistono nelle piccole città e la ricchezza del tessuto che la costituisce. Vista l’audacia e la lungimiranza dei vecchi Amministratori, resta solo da sperare che dopo oltre un secolo i nuovi amministratori abbiano il coraggio di mettere mano ad un vecchio impianto, aiutare e consolidare la rete di queste piccole attività, gestite ormai da persone anziane e con rari inserimenti di giovani, per permettere anche ai figli ed ai nipoti, questo piccolo miracolo di risolvere i problemi alla faccia delle complicazioni delle burocrazie. G. L. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera UNA PICCOLA STORIA ESEMPLARE di Giovanni Lupi Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera che costituivano un sistema integrato e che sapeva sfruttare i mezzi pubblicitari di allora. La prima illuminazione elettrica a Pontedera D 98 99 ovendo sintetizzare in poche battute il XIX secolo, vengono subito alla mente sicuramente tre aspetti: Le rivendicazioni Nazionali, l’estrema povertà delle classi popolari, lo sfarzo delle corti e delle grandi famiglie. Queste poche righe non sono un trattato di storia, perciò sintetizziamo brevemente. Per il primo aspetto scriviamo solo Garibaldi e Kossuth, per il secondo un ricordo di vecchi pontederesi che recitava “ Ai tempi di RE CANE, sette soldi la libbra il pane, esaminiamo un po’ meglio l’ultimo aspetto. A questo proposito quadrerie e films ci hanno consegnato una vastissima documentazione, ma fra tutti i soggetti il più scenografico è quello delle grandi feste nelle corti, nelle grandi famiglie, nelle chiese, nei locali famosi. Abiti preziosi nella fattura e nei materiali, gioielli e tanti lampadari che illuminavano quelle occasioni. La luce e la sua tecnologia, anche se si avvaleva solo del gas e delle candele, poteva avvalersi di sistemi evoluti per estetica e tecnica, supportata da industrie, artigiani e distributori un impianto complesso con punti di luce anche negli stanzini, ed in tutti gli altri ambienti con bassa utilizzazione che ha comunque lo stesso costo della sala da pranzo. Nella delibera del Comune di Pontedera N° 196 del 30 Aprile 1887 relativa all’illuminazione pubblica, si fa preciso riferimento a che non solo il Comune, ma che anche i privati potessero avere la possibilità di accedere a questa illuminazione. Occorreva veder lontano, ed ora cerchiamo di dimostrarlo. Ma consideriamo un attimo cosa era la tecnica nell’anno 1888. Già si volava, L’On.Presidente comunica essere pervenuta la risposta della Compagnia Franco-Italiana circa l’impianto della illuminazione elettrica e ritenenendo l’affare di grande importanza propone che venga studiato da una apposita Commissione. La Giunta Udito il presidente Nomina per l’esame dell’affare una Commissione composta dai Sigori Ing. Luigi Bellincioni, Emilio Morini, Benigno Bellincioni, Damiano Chiarini e Avv. Pietro Ridolfi. A pieni voti resi debitamente Dalla pila di Volta (1799) all’anello di Pacinotti (1858), i primi veri generatori di energia elettrica, passano 59 anni e ne passano altri 24 (1882) per giungere al primo impianto d’illuminazione che Edison eseguì con le ferrovie sferragliavano in tutta la Toscana, Anche oggi qualunque casalinga di La Rotta o casalingo di Pontedera se deve illuminare una stanza, col primo pensiero va alla cristalliera di Boemia o di Murano ed all’appliques con i calici molati tipici di quei tempi. Ci dobbiamo domandare quale interesse potevano destare allora le luce elettrica. Se è un po’ più facile identificare le ragioni di tale scelta per l’illuminazione pubblica, è più difficile comprendere l’interesse per l’illuminazione domestica. Nell’illuminazione pubblica sicuramente convinceva la semplicità di accensione e spegnimento, il poter evitare di rifornire le lanterne a petrolio, di contare sulla semplicità dell’impianto elettrico – solo due fili – contro la complessità dell’impianto per la distribuzione del gas. D’accordo, ma in casa? La lampada elettrica non si può spostare da una stanza all’altra e quindi richiede DELIBERA della Giunta Municipale n° 334 del 4 Febbraio 1884 Illuminazione elettrica. Nomina di una commissione. Nota Se la Risposta della Comp. Franco-Italiana è riferita alla Giunta con la data riportata, cioè 4/2/1884 praticamente Interno della Stazione Maria Antonia a Firenze, poi Stazione Santa Maria Novella la sua lampada ad incandescenza. Dopo questa data l’elettrotecnica si arricchisce velocemente di numerose applicazioni. E’ difficile non ammettere che la luce elettrica sia stata un catalizzatore di questo processo, portando un impiego così utile e spettacolare a contatto col grande pubblico e non solo con i laboratori di fisica o con poche particolari industrie. Essa in effetti è stata uno dei più importanti elementi della modernizzazione successiva. E’ perciò importante aver ricercato e ritrovato i documenti del Comune di Pontedera segnalati dal “Vecchio elettricista” ed in parte riportati in questo articolo. e non mancavano altre meraviglie. Per l’elettricità c’era l’utilissimo telegrafo. Si disponeva di apparecchiature di conforto e di ausilio culturale come il fono- ad inizio anno, si può ritenere che l’interesse alla cosa fosse nato nell’anno 1883, cioè solo 5 anni dopo la nascita ufficiale della lampadina di Edison (Ottobre 1879) e nello stesso anno della inaugurazione dell’illuminazioen elettrica del Teatro La Scala di Milanoa. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera DELIBERA della Giunta Municipale n° 591 DEL 18 Dicembre 1882 Robert M. e Ci. Montatura dei Campanelli Elettrici L’On.Sindaco Comunica alla Giunta che essendo stata stabilita in Bilancio la montatura dei campanelli elettrici per l’Ufficio Comunale, il referente si è dato cura di farsi rimettere dai competenti fabbricanti i rapporti dettagliati, previa loro visita sopra luogo, dell’importo complessivo di tal lavoro il quale secondo una Perizia della Casa M. Robert di Parigi si eleva a Lire 440,00 e secondo alla perizia del Sig. Balestracci di Pisa a Lire 367. E’ però da avvertire che la casa Robert grafo con possibilità di scelte spartane o tecnologicamente sofisticate. Anche la fotografia già si valeva di mo- 100 101 prevede un numero maggiore di pile, uno sviluppo maggiore di fili, un numero ugualmente maggiore di campanelli e bottoni. Inoltre il materiale che impiega questa casa a cominciare dal quadro, è senza dubbio e non di poco superiore a quello del Sig. Balestracci per cui tutto considerato, l’On. Sindaco esprime l’avviso che convenga attenersi alla offerta della casa M. Robert e Ci La Giunta Senza discussione approva la proposta dell’On. Sindaco autorizzando l’esecuzione immediata del lavoro. A pieni voti dernissime apparecchiature, sia per fotografare, come per proiettare. Nonostante questo, per la stampa ancora si usavano i clichés, come dimostrano molte delle illustrazione di questo Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera articolo, provenienti da un manuale di fisica stampato nel 1915 ma forse dello stesso periodo di cui parliamo, trattandosi della terza edizione. Le pile erano ormai affidabili e di facile impiego, si utilizzavano già per il telegrafo ma anche per i campanelli elettrici ed a questo proposito è da notare che nel 1888, mentre a Parigi la torre Eiffel era in costruzione, da noi una Ditta Parigina i campanelle elettrici già li aveva istallati, come deliberato dalla Giunta Municipale, addirittura nel 1882. Anche i campanelli ed il relativo impianto, a quei tempi, attenevano alle alte tecnologie e perciò, di fianco, si riporta la Delibera relativa. Ma per il resto tutto si reggeva sull’agricoltura, sui commerci e su poche industrie che usavano come energia principalmente l’uomo, gli animali, le cadute idrauliche per mulini, cartiere e magli, il vento ed in qualche caso le macchine a vapore. In questo contesto è giusto andare con la memoria a coloro che l’illuminazione elettrica a Pontedera la vollero già nel 1884, come dimostra la Delibera della Giunta Municipale n° 334 che istituiva una Commissione per l’esame delle problematiche relative, e che quattro anni dopo la realizzarono. Come mostra una ricerca gentilmente effettuata per conto di questo rivista, dal solerte personale dell’Ufficio Anagrafe del Comune, erano Amministratori cresciuti sotto il Granducato di Toscana, ricco delle relazioni che questo aveva con l’Impero Austro-Ungarico, uno degli stati più grandi e meglio organizzati dell’Occidente. Con i Granduca di Casa d’Austria, in Toscana erano arrivate le bonifiche con opere ingegneristicamente importanti e ardite, come il sifone che sottopassa l’Arno per scaricare in mare le acque del Padule di Bientina, le ferrovie e si era curato il territorio come mai era stato fatto prima, né purtroppo dopo. Valgano come esempio i grandi rimboschimenti, la cura dei corsi d’acqua, ed inoltre l’impegno per le strade, le industrie , le miniere, gli acquedotti e tanto altro. Erano quindi persone esperte e capaci, abituati alla cultura del fare, ma da qui ad accettare una novità come l’illuminazione elettrica, il passo non era scontato e dobbiamo riconoscergliene il merito. DOCUMENTI DALL’ARCHIVIO DEL COMUNE DI PONTEDERA Sessione Ordinaria di Primavera Prima Convocazione DELIBERA 196 DEL 30 Aprile 1887 Illuminazione elettrica nella città di Pontedera Discussione e approvazione progetto d’impianto. L’Anno 18ottantasette e questo giorno 30 Aprile alle ore 10 ant/ si è riunito il Consiglio Comunale in ordine agli avvisi scritti diramati dall’ On: Sindaco in tempo debito al domicilio dei Signori Consiglieri residenti nel Comune e fuori, all’oggetto di trattare i seguenti affari i cui atti da 24 ore erano sul banco della Presidenza a disposizione dei Signori consiglieri Presiede l’On.Sindaco 1. Ciompi Niccolò Assiste l’infrascritto Segretario Sono presenti i Consiglieri Signori 2. Zeppini Ugo 3. Agostini Conte Alfredo 4. Baccini Francesco 5. Orsini Cav: Francesco 6. Del Guerra Luca 7. Pacchiani Antonio 8. Degl’Innocenti Virgilio 9. Capecchi Cav. Avv: nEnrico 10. Fezzi Michele 11. Giuliani Faustino 12. Bellincioni Cav. Cesare 13. Ciaccio Dr Calogero 14. Francini Leone 15. Bellincioni Faustino 16. Magnani Esculapio 17. Naldini Marziale 18. Bartoli Palmiro 19. Lori Roberto 20. Chiarini Damiano E’ sensata l’assenza dei Consiglieri Pachò, Antinori, Bellincioni Luigi e Ciompi. L’ordine del giorno reca = Discussione e approvazione del progetto d’impianto della illuminazione elettrica nella Città di Pontedera = Si da lettura della seguente relazione Onorevoli Colleghi In nome delle Commissioni permanenti di Finanza, Lavori, e Contenzioso ho l’onore di riferivi sopra un importante argomento sottoposto al vostro esame dalla Giunta Municipale. Si tratta come lo dice l’ordine del giorno del problema della pubblica illuminazione nel capoluogo del Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera ... DOCUMENTI DALL’ARCHIVIO DEL COMUNE DI PONTEDERA (continua dalla pagina precedente) Comune, problema intorno al quale da molti anni la Giunta Municipale ha fatto studi e ricerche diligenti e che varie volte è stata in procinto di sottoporre all’esame del Consiglio, lo che se non è avvenuto fin qui deve ricercarsene la causa nei rapidi, anzi negli straordinari ed imprevedibili progressi manifestatisi nella meccanica applicata a questo ramo dei pubblici servigi. Mentre infatti ferveva la gara degli studi sulla semplificazione degli apparecchi destinati alla produzione del Carburo d’idrogeno (gas d’illuminazione) così da rendere possibile la istallazione di officine gazogenere anche in piccole località , un poderoso concorrente alla illuminazione a gas si faceva strada dapprima stentatamente e mano mano più largamente dappertutto, tanto che oggi può affermarsi essere esso rimasto incontrastato vincitore del campo, poiché l’illuminazione a gas si sostiene a mala pena laddove è istituita, ed anche in grazia dei privilegi speciali ad essa assicurati dai Contratti in corso. Questo poderoso concorrente del gas è come tutti sanno, la corrente d’induzione che si genera dal dinamo - elettriche messe in moto da una forza qualsiasi, ed è appunto a questo sistema illuminante per tutti i riguardi preferibile al gas che si è rivolta l’attenzione della Giunta, la quale, dopo lunghe trattative è riuscita a conchiudere con l’Egregio Sig. Giovanni Caterini nome ben noto fra noi, il contratto che oggi è sottoposto alla vostra disanima e sul quale io vi debbo riferire i resultati degli studi delle commissioni permanenti I quali studi poi non potevano avere altri obiettivi che i seguenti. 1° L’esame dell’operazione conclusa dalla Giunta considerata dal lato finanziario . 2° L’esame del Compromesso nelle sue specifiche disposizioni tecniche ed amministrative. 102 103 Ora quanto alla prima indagine consistente nell’accertare se l’operazione finanziariamente ed economicamente era o meno plausibile, le Commissioni permanenti sono facilmente cadute d’accordo essere essa manifesta riprova della prudenza e della diligenza con le quali la Giunta conduce i pubblici servigi. E valga il vero: oggi come oggi il capoluogo del Comune in cui si trovano agglomerati meglio di 8000 abitanti è più che scarsamente, miseramente illuminato con 52 lampade a petrolio ciascuna delle quali costa circa £ 104 all’anno, somma enorme se si rifletta alle ore di accensione reali a cui è tenuto l’accollatario che, come è noto, in tutto il tempo nel quale splende la luna sull’orizzonte non è obbligato ad accenderne neppure una. Se alle 52 lampade pubbliche si aggiungono quelle del nuovo mercato delle vettovaglie, abbiamo una spesa attuale di circa Lire Seimila annue per una illuminazione serale del nostro Capoluogo, assolutamente insufficiente e inadeguata ai tempi. Né ciò è tutto. Il progresso costante e rapido delle costruzioni edilizie, che vuol dire ingrandimento costante della Città moltiplica necessariamente le insistenti richieste di nuovi lampioni: la nuova stazione di prossima eseguimento né renderà imprescindibilmente necessari altri ancora, cosicché le attuali 52 lampade saranno in breve ora accompagnate da non poche sorelle, poiché tale è la forza delle cose e dei tempi che sarebbe follia il lottare contro tuttociò che viene richiesto in nome del progresso e dell’aumento di pubbliche comodità, ed è ormai risaputo che a tale corrente non è dato di resistere. Così non errerebbe di gran lunga chi asserisse che in breve volger di tempo le attuali 52 lampade dovranno divenire 70 e la spesa consequenziale elevarsi a £ 7400 annue. Ora quando la Giunta ci presenta un progetto dal quale risulta che avremo 80 lampade elettriche di 16 candele ciascuna, vale a dire un potere illuminante almeno triplo dell’attuale senza una possibile alterazione di spesa, noi non possiamo che fare plauso alla operazione propostaci dagli Egregi Uomini deputati dalla nostra fiducia al reggimento continuo dei pubblici negozi. E che ciò sia veramente non spendiamo parole a dimostrarlo giacché dal Compromesso resulta in modo amplissima - Infatti il Comune con 80 lampade elettriche (riservandosi ampli diritti per i contingibili aumenti) pagherà all’impresa un canone annuo di £ 8250,00, ma per converso l’Impresa corrisponderà al Comune £ 1000 annue a titolo d’affitto dell’attuale mercato delle vettovaglie, il quale eretto con ottimi intendimenti di igiene e di polizia non ha corrisposto allo scopo a cui era preordinato. Il mercato, o Signori, non funziona né è prevedibile con le nostre abitudini, e data la disposizione topografica della città, possa funzionare in avvenire, per cui necessariamente viene a risolversi in una costruzione che costerà al Comune molto di mantenimento senza essere suscettibile di rendita apprezzabile. Proponendoci la Giunta di cederlo alla impresa per un annuo affitto di Lire 1000, non solo essa ha fatto buona opera restituendo a servigio utile il fabbricato stesso, oggi deserto di abitatori, ma percipendo dalla locazione un affitto come quello superiormente discorso, ha reso meno sensibile il costo della pubblica illuminazione, la quale se si consideri in totale disgravio il canone locatizio del fabbricato, verrebbe a residuarsi a sole £ 7250, e si consideri il valore che in una possibile locazione potrà raggiungere il fabbricato stesso, ascenderà ad un massimo di £ 7750,00. Comunque sia il dotare il nostro Paese del più perfetto e recente sistema d’illuminazione pubblica, il porre i privati cittadini in condizione di avere a buoni patti una luce per tutti i rispetti superiore a qualunque altra, in dare alle industrie paesane la possibilità di giovarsi della corrente elettrica per forza motrice, sono tali e così indiscutibili benefici di fronte ai quali la maggiore spesa di qualche centinaio di lire non può essere tenuta in alcun conto, e sarebbe davvero un fuor d’opera lo spendere maggiori parole sull’argomento - Basti sul proposito aggiungere che il costo di ogni lampada con un’ora d’accensione viene ad essere di 3 centesimi e 4 millesimi circa per giudicare se l’operazione dal lato finanziario sia discutibile. Restaci ora a parlarvi delle specifiche disposizioni del compromesso sul quale ci sembrano utili nell’interesse del Comune ed in quello stesso dell’Impresa, alcune aggiunte e raccomandazioni le quali lasciando intatte le basi fondamentali del compromesso, sono intese a togliere, almeno a senso nostro, la possibilità di contrasti e di attriti fra l’Amministrazione Comunale e la Società imprenditrice. All’Articolo 6° ci era venuto in mente che sarebbe stato utile aggiungere doversi l’impianto elettrico stabilire per modo che oltre che con macchine per l’uso serale dovesse stabilirsi l’obbligo dell’impresa di tenere una dinamo ed una motrice di minor potenza per i contingibili casi di necessità di luce elettrica nelle ore diurne, sia da parte del Municipio sia da parte dei privati utenti. Su questa aggiunta però non insistiamo in alcun modo dacché in pratica, come facilmente si comprende, la principale interessata è l’Impresa. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera In questo stesso Articolo VI non potremmo invece accettare senza un’importante modificazione il comma C nel quale si stabilisce che i fili conduttori potranno essere sotterranei o aerei, coperti nel primo caso ed in rame nudo elettrolitico nel secondo. - La conduzione aerea nuda o scoperta può essere, sebbene al momento dell’impianto non lo sia, pericolosissima, e quindi per ragione di pubblica sicurezza il Comune deve imporre dei limiti e delle condizioni all’impresa, limiti e condizioni che non possono davvero formare subietto di discussione da parte di quest’ultima essendo esse rivolte a tutelare la incolumità pubblica di fronte alla quale l’impresa stessa verserebbe in colpa se non attuasse i provvedimenti necessari a tutelarla. E’ perciò che al comma C dell’Art°: VI proponiamo di aggiungere il seguente inciso = Il Municipio potrà in ogni tempo obbligare l’Impresa a collocare fili bene isolati con apposite coperture quando ciò sia scientificamente dimostrato necessario e riconosciuto, ove occorra, dagli Arbitri Tecnici, di che all’Art°: XXX, dovendo la conduttura dei fili aerei essere assolutamente innocua e scevra da qualunque pericolo per i possibili contatti. Similmente all’Art°: VIII ci sembra interessante aggiungere che il Comune abbia sempre la facoltà di illuminare con lampade ad arco del miglior sistema le strade principali e le Piazze della Città. Perciò all’Art° VIII vi proponiamola seguente aggiunta. Il Comune avrà sempre facoltà di illuminare con lampade ad arco del miglior sistema, in sostituzione delle esistenti, le piazze e strade principali della Città. Il costo di tali lampade e delle diramazioni relative non che quanto altro è inerente alla loro installazione, sarà pagato dal Comune all’Impresa a pronti contanti ed ai prezzi correnti. Il corrispettivo consumo di tali lampade, o spesa d’esercizio delle medesime, sarà fissato d’accordo colle parti ed in caso di divergenza sarà stabilito dagli arbitri tecnici di cui all’Art°: XXX. A questo stesso articolo dopo le parole Edison o Swan ci sembrerebbe poi opportuno di aggiungere le seguenti = od altre di qualunque altro sistema da approvarsi dalla Amministrazione Comunale = In fine all’Art°: XXI nel quale si stabiliscono i massimi prezzi per la illuminazione privata, posto quest’ultimo in relazione col precedente Articolo XVI, ci sembrerebbe equo che nel caso di nuovi ritrovati di che parla l’Art°: XVI sopracitato, i quali riducessero notevolmente il costo della produzione della luce, non solo il Comune ma anche i privati avessero diritto di usufruirne, tanto più che tale diritto non verrebbe ad avere vita pratica se non dopo un breve lungo lasso di tempo dalla installazione dell’impianto. Se non che comprendendo che è nell’interesse massimo dell’impresa di scendere col prezzo della luce al più basso termine possibile, non facciamo di questa nostra idea una formale proposta di aggiunta al capitolato e la convertiamo in una semplice raccomandazione alla Giunta per il caso essa creda, d’accordo coll’Impresa, di modificare in quanto occorra sopra questo subietto, le disposizioni del Capitolato. Un ultima modificazione ci pare meritevole di proporvi all’Art°: XXVI del Capitolato nel quale alla lettera (a) è stabilita la penale di £ 5 per ogni mezz’ora di ritardo nell’accensione serale, mentre alla lettera (b) di questo stesso articolo è stabilita la penale di £ 10 per ogni ora anticipata di spegnimento. Per le stesse ragioni che determinarono la disposizione scritta nel comma (a) ci sembra che il comma (b) modificato nel senso di ridurre la penale alla metà, riducendo del pari alla metà il tempo, e che in conseguenza il comma b debba dire = Lire Cinque per ogni mezz’ora anticipata di spegnimento = Con tale premessa, e, almeno secondo l’avviso delle Tre Commissioni permanenti circa alle modificazioni al Progetto di Compromesso, modificazioni che per nulla affatto né immutano la sostanza e sono più che altro intese a dirimere possibilità di divergenze e di attriti fra Comune e Impresa, io sono lieto di proporre al Consiglio l’approvazione del progetto di illuminazione elettrica che dalla Giunta ci è stato sottoposto. IL RELATORE Terminata la lettura della relazione l’On: Sindaco fa dar lettura del progetto di compromesso stipulato dalla Giunta, lettura che vien fatta dal Segretario del Comune. Questo terminato l’On: Sindaco in nome della Giunta dichiara che le aggiunte proposte dalle Commissioni permanenti agli Articoli VI, VIII, e XXVI del Capitolato sono state dalla Giunta completamente accolte come che meramente esplicative del Capitolato stesso, interesse a dissipare possibili discrepenze e non immutative delle disposizioni fondamentali del Contratto. Sebbene su di esse non sia stata interpellata la Società assuntrice, l’On. Sindaco non dubita che anche da parte della medesima quelle aggiunte non siano per essere accettate, giacché, a parte la loro giustizia, esse tutelano tanto l’interesse del Comune quanto quello dell’Impresa. Del pari l’On: Sindaco dichiara di accettare in linea di raccomandazione il concetto esposto dalle Commissioni permanenti circa l’Art°: XXI riservando di farne subietto di trattativa con l’Impresa: e dopo di ciò è dichiarata aperta la discussione. Il Cons. On: Sig: Cav: Francesco Orsini quantunque non residente in Pontedera si dichiara lieto nello apprendere che una innovazione così importante in un ramo di pubblico servigio si sia dalla Giunta potuto eseguire senza alterare in alcun modo il Bilancio. Dichiara perciò che voterà di gran cuore il progetto della illuminazione elettrica sicuro di fare opera profittevole per l’interesse della Città. Nessun altro domandando di parlare, l’On: Sindaco dichiara che si procederà ai voti anzitutto sulle aggiunte proposte dalle Commissioni agli Articoli VI, VIII e XXVI del Progetto di Compromesso, essendo le medesime equiparate ad emendamenti. IL CONSIGLIO A voti unanimi resi per alzata e seduta approva le proposte delle Commissioni. L’On. Sindaco annunzia quindi che si procederà ai voti sull’intero Progetto di Contratto per la illuminazione elettrica, tenuto conto delle modificazioni sopra deliberate e della raccomandazione suggerita dalle Commissioni all’Articolo XVI. IL CONSIGLIO A voti unanimi resi per alzata e seduta approva. Centro di Documentazione Fotografica LE ROTATORIE di M. L. MARINARI STEFANO 104 105 Nasce a Pontedera nel 1965 e durante gli studi tecnici di perito aziendale comincia ad avvicinarsi al mondo della “musica da ballo” come DJ, iniziando un percorso che lo porterà lontano dalla sua formazione scolastica e dalle opportunità di lavoro cosiddette “tipiche”. Insieme ad un suo grande amico e collega dee jay apre un piccolo studio di registrazione e continua a dividere la sua vita tra il lavoro diurno e quello della notte. Dovrà sempre fare i conti con la realtà di tutti i giorni e sempre meno con quella artistica che dà soddisfazioni ma non porta il pane a casa e per questo interrompe il suo percorso musicale con grande rammarico. Ormai divenuto “adulto” rivolge i suoi interessi verso il mondo della fotografia e decide di frequentare un corso base che gli darà la possibilità di esplorare la realtà in modo diverso dal comune approccio visivo. Sperimenta inizialmente la classica pellicola per poi passare al mondo digitale dove si sentiva più a suo agio, libero di sperimentare senza l’obbligo di dover “rubare” ai gelosi e boriosi fotoamatori “esperti” nozioni ed informazioni gelosamente custodite nelle loro teste e diffuse controvoglia. Con una fotocamera digitale ed un elaboratore può sbagliare e riprovare, condividendo le sue esperienze con altri fotografi molto più velocemente e senza troppi orpelli. Non ama troppo pubblicizzare le cose che fa e soprattutto odia i concorsi fotografici di qualunque tipo; preferisce imparare dalle immagini altrui, sperimentare e curiosare in ogni campo della realtà e con ogni mezzo che al momento gli si presenta. I ndubbiamente la creazione delle “Rotatorie” stanno modificando l’assetto urbano della città. Nello scorso numero del Bollettino, Dini Carlesi sollevava il problema dell’arredo che queste “Rotatorie” potevano avere inserendovi delle opere d’arte che avrebbero consentito di evitare punti di degrado urbano con accumulo di sterpaglie e rifiuti. Le opere d’arte che vi si potevano installare avrebbero però dovuto avere un legame con il tessuto sociale nel quale Centro di Documentazione Fotografica andavano a incidere. Il problema è sorto quando altri cittadini hanno sostenuto la necessità di lasciare questi spazi liberi perché la installazione di opere, anche se di pregevole fattura, non potevano esser lette con la necessaria attenzione rendendo un cattivo servizio all’artista e all’utente della strada che non avrebbe potuto distrarre la sua attenzione per godere dell’opera. Noi approfittiamo delle foto aeree di Stefano Marinai per avere una panoramica di queste nuove realtà cittadine in modo che, se nascerà una discussione, si abbiano le informazioni visive a portata di mano evitando di cadere in una discussione sterile. Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera LA BIBLIOTECA DEL CENTRO SI AMPLIA NICOLA COLOMBINI a cura della redazione del Centro a cura di Anna Vanni N ANGELI ALL’INFERNO ella nostra pur breve vita del Centro Studi Andrea da Pontedera non credevamo di dover dare l’addio a un nostro pre- I racconti dello straccio di Paolo Baldereschi e Stefania Nicoli Bandecchi e Vivaldi Editori Dedicato alle donne e agli uomini che nella loro vita hanno indirizzato impegno e passione all’affermazione dei diritti sociali e del lavoro, il libro racconta “…situazioni di prevaricazione, di sopruso e violenza dei diritti personali, di sofferenza e mortificazione umana di cui spesso, troppo spesso, le vittime sono le donne”. zioso collaboratore, ma soprattutto un amico, che ci ha aiutato nelle nostre realizzazioni nel campo delle immagini. Non vogliamo fare un necrologio di Nik, ma ricordarlo allegro, vivace, spensierato, compagnone. Ciao Nik... VALLELONGA E LA SUA STORIA Ricerche storiche su Vallelonga e i suoi Casali di Bruno De Caria Firenze 2007 Il libro, contrassegnato da un forte sentimento del luogo, effettua una ricerca sulle vicende storiche di Vallelonga , un castello-fortezza ed un villaggio, situato nel gruppo montuoso delle Serre calabre, centro prima di una baronia e poi di un marchesato. L’indagine storica è scaturita dall’esigenza di salvaguardare l’identità e la memoria di Vallelonga dal rischio sempre più incalzante dell’Omologazione, insito nel concetto di Globalizzazione del nostro pianeta. CRESPINA E IL SUO TERRITORIO 106 107 Una ricerca attraverso le immagini del passato di Maurizio Camarlinghi Bandecchi e Vivaldi Editori La pubblicazione di questo bel libro “Crespina e il suo Territorio” è dovuta essenzialmente all’interesse appassionato dell’Autore per il proprio paese e al desiderio di conoscerne in modo approfondito aspetti inediti del suo passato. Sono stati appunto l’interesse e la passione a spingerlo a ricercare e collezionare cartoline d’epoca che coprono un arco di tempo che va dal 1900 alla fine degli anni ’30. Il volume si apre con un profilo storico scritto da Don Piero D’Ulivo che “ delinea, rifacendosi dalle origini alle situazioni e agli eventi verificatisi nel nostro secolo (20° secolo) accompagnandoci là dove inizia la nostra storia”. Centro di Documentazione Fotografica Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera LE ATTIVITÀ CULTURALI DEL CENTRO di Anna Vanni L ’anno 2007 è stato particolarmente interessante per quanto riguarda la pubblicazione di libri e cataloghi curati dal Centro. Le pubblicazioni rientrano nelle attività statutarie del Centro che cura, incoraggia, promuove, attività culturali riguardanti la Valdera. Due sono stati i libri pubblicati: “L’aeroporto a Pontedera” di M. Barabotti e M. Lupi e “Questa mia citta”, curato da M. Lupi, e con incisioni di Gennaro Strazzullo. Il libro, “L’aeroporto a Pontedera”, ricostruisce,dal 1935 al 1960, una parte della storia dell’aeroporto di Pontedera che ha avuto una funzione importante nel territorio della Valdera per la sua contiguità con la ditta Piaggio che fabbricava motori e aerei. Nel libro (210 pagine) sono state pubblicate foto (molte inedite) e documenti relativi alla produzione della Piaggio, all’attività svolta in circa 30 anni dall’aeroporto, ai primati conseguiti, ai personaggi, alcuni famosi, che vi hanno transitato o soggiornato. 108 109 Le copertine delle pubblicazioni realizzate con il contributo del Centro Studi Il libro “Questa mia città” (110 pagine) con 35 incisioni di Gennaro Strazzullo e commenti di M. Lupi, illustra il percorso sentimentale del pittore anche attraverso angoli riposti e desueti, ma ancora vivi, di una città che cambia ma sopravvive nel ricordo di molti pontaderesi e nell’immaginario collettivo. Tutto si sporse poi,entro trasparenze Nell’ora credula, quando, la quiete Stanca, da dissepolte arborescenze … E precedentemente a “La terra promessa” nella poesia “Tramonto” così scriveva: Il carnato del cielo sveglia oasi al nomade d’amore Il percorso di Holger Stumpf rievoca anche il “Gran Tour” di molti artisti europei in Italia da loro considerata un paradiso dell’arte. Nell’anno 2007 il Centro ha anche organizzato una interessante mostra fotografica. Protagonista il fotografo tedesco di Amburgo, Holger Stumpf, da anni appassionato frequentatore delle colline della Valdera che sono divenute i soggetti privilegiati delle sue fotografie. La mostra a lui dedicata che ha avuto luogo alla galleria “O. Cirri” con la presentazione del relativo catalogo, ha rappresentato un importante avvenimento culturale. Sono state esposte interessanti elaborazioni fotografiche che l’autore ha fatto avvalendosi di una tecnica raffinata. Le foto di Holger Stumpf ci offrono una visione poetica della natura a cui l’autore è giunto seguendo il filo conduttore dell’opera di Blaise Cendras “Le soleil retarde” e le emozioni in lui destate dalla lettura delle opere di Giuseppe Ungaretti che in “La terra promessa” scriveva: Sotto: due opere di Holger Stumpf, il fotografo tedesco al quale è stata dedicata un’importante mostra. Qui a fianco lo vediamo insieme a Mario Lupi, coordinatore del Centro Studi e promotore della mostra. INDICE Introduzione pag. 1 Due riproduzioni donate dal Rotary pag. 4 A cura della redazione del Centro Andrea, Nino e Tommaso Pisano Di Sara Taglialagamba Il ductus di Andrea Pisano: “il maggior uomo che avessino avuto insino ai tempi suoi i Toscani” Di Sara Taglialagamba Andrea, Nino e Tommaso Pisano attraverso i documenti degli archivi pisani Di Jonath Del Corso Paolo Ciampini A cura della redazione del Centro Pietro Kufferle scultore neoclassico pag. 5 58 Brunero Tognoni collezionista per passione pag. 62 Fotografia: la collezione del Centro pag. 66 3C Cascina - Silvio Barsotti: una lunga storia costellata di successi pag. 68 Fotografando la musica pag. 72 La foto di Giuseppe Garibaldi pag. 77 L’esplorazione fotografica pag. 78 Lomografia: non pensare, scatta! pag. 86 Massimiliano Pratelli: la fotografia sportiva pag. 90 Vecchio elettricista pag. 96 Una piccola storia esemplare pag. 98 Le rotatorie pag. 104 Nicola Colombini pag. 106 La biblioteca del Centro si amplia pag. 107 Le attività culturali del Centro pag. 108 A cura della redazione del Centro pag. 8 Di Enzo Gaiotto pag. 10 Di Davide Mancini pag. 13 A cura della redazione del Centro pag. 15 A cura della redazione del Centro Carla Burgalassi ceramista pag. 19 Emanuela Cavallini pag. 21 A cura della redazione del Centro Di M. L. L’archivio storico del Comune di Pontedera pag. 25 Appunti per un dibattito pag. 26 Di Lara Parisotto Di Mario Lupi “Babbe” pag. 30 Un pittore a Pontedera pag. 32 La “bottega artigiana” pag. 35 Arti figurative a Casciana Terme pag. 41 L’Almanacco pag. 46 Didattica dell’Arte pag. 48 pag. 57 A cura della redazione del Centro Di M. L. Di M. L. Di Africano Paffi Di Benozzo Gianetti Di Anna Vanni A cura della redazione del Centro pag. Di Nancy Barsacchi Di M. L. Di M. L. Pannello per Andrea da Pontedera Da Aristotele a Eastman: le scoperte che hanno fatto la fotografia Di Valentina Reino Di M. L. Di G. L. Di Giovanni Lupi Di M. L. A cura della redazione del Centro A cura di Anna Vanni Di Anna Vanni Finito di stampare nella Tipografia Bandecchi & Vivaldi Pontedera LOGO Marzo 2008