corruzione e mafia a milano: il caso duomo connection
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corruzione e mafia a milano: il caso duomo connection
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE, ECONOMICHE E SOCIALI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE CORRUZIONE E MAFIA A MILANO: IL CASO DUOMO CONNECTION Elaborato finale di: Federico Bergna Relatore: Prof. Fernando Dalla Chiesa Anno Accademico: 2012/2013 INDICE Prefazione 3 1 La capitale (im)morale 1.1 La capitale morale 1.2 Corruzione 5 6 Fenomeno Corruzione burocratica Corruzione politica Regolazione mafiosa corruzione Italia 6 12 13 15 18 2 Milano, Italia 2.1 Regolazione automatica delle tangenti 2.2 La finanza nera Sindona Calvi 23 24 24 27 2.3 Tangentopoli 29 3 Cosa Nostra a Milano 3.1 Gente di passaggio 3.2 Cosa Nostra 32 35 Origini Affari Via Larga 13 35 36 38 3.3 ‘Ndrangheta 3.4 Scandalo dei casinò 3.5 La mattanza 3.6 Operazioni giudiziarie e repressione 42 43 45 46 4 La connection 4.1 I ragazzi del bar Nat & Johnny 4.2 La famiglia Carollo 4.3 L’inchiesta 50 51 53 Frequentazioni Associazione Fase due: intercettazioni e colletti bianchi Riciclaggio Rapporti con Cosa Nostra Assessori, funzionari e tangenti 53 55 57 60 63 67 4.5 Processo 74 Conclusione Bibliografia, documentazione e sitografia 76 78 2 PREFAZIONE Mafia e corruzione i due mali principali del Paese sono connessi intimamente da un filo passante per Milano. Città simbolo del potere economico e finanziario, capitale morale e nucleo della modernità. Palcoscenico del potere e cabina di regia dei giochi politici, con meccanismi talvolta spregiudicati che in pochi anni la trasformano nel feudo del malaffare e dei rapporti sottobanco. Emerge un sistema sotterraneo che per anni si era espanso autorafforzandosi. Un sistema retto su tangenti e relazioni personali, sotto la cortina di invisibilità dei meccanismi economici, politici e imprenditoriali. Ambiente al quale inevitabilmente le organizzazioni di stampo mafioso guardano e mirano come nuovo paradiso. L’ambiente è fertile ed offre ai clan ciò di cui necessitano, favori, protezione e appalti in cambio dei contanti facilmente sviluppati con i traffici di droga, di cui Milano rappresenta la principale piazza, e le possibilità offerte dalla grande metropoli. Ma ancor di più il capoluogo meneghino offre l’invisibilità, la copertura geografica data dal contesto, dalla distanza dai centri d’origine e una ancor più forte invisibilità materiale. La mafia non esiste e qualora esistesse è un problema del sud, Milano è una capitale europea immune da fenomeni di controllo territoriali e prepotenze più o meno marcate di qualche capo. I cittadini non sono gli stessi delle aree rurali o cittadine del sud e non accetterebbero mai il controllo da parte di uno stato parallelo. Sono gettate le basi per l’insediamento. Un’espansione relativamente semplice sfruttando i canali tanto fatalmente diffusi nell’ambiente a cui si punta, servendo la città su un piatto d’argento. Palermo è sempre più vicina. Ciò che è sotto gli occhi di tutti viene alla luce solo più tardi, grazie alla determinazione di magistrati che non si piegano alle pressioni e senza timori nello scoperchiare il vaso di Pandora della società milanese e non solo. In questo lavoro mi pongo l’obiettivo di portare alla luce questa sottile relazione tra i due fenomeni intimamente connessi e allo stesso tempo diversi, sulla base del saldo principio distinguere senza separare, unire senza confondere1. Uno sguardo sulla storia recente del Paese caratterizzata da un fenomeno onnipresente di oblio, rimozione di vicende, storie, nomi che hanno segnato la vita pubblica come quella sotterranea e dimenticati. Dimenticati per la patologica brevità della memoria storica 1 Prof. Dalla Chiesa, Corso di sociologia della criminalità organizzata anno 2011. 3 dei cittadini e per una più generale indifferenza che porta a non interessarsi e guardare oltre, non vedendo e non sentendo. La domanda che mi pongo è come le organizzazioni di stampo mafioso approfittano dei meccanismi diffusi nell’ambiente politico-ammnistrativo-imprenditoriale portati alla luce da Mani Pulite e come da questi sono favorite. L’analisi parte da uno sguardo generale sul fenomeno della corruzione con la sua definizione, le logiche che vi stanno alla base, i meccanismi di espansione, per poi concentrarsi più nel dettaglio sulle tre fattispecie di corruzione politica, burocratica e mafiosa. La prima parte si conclude con una breve panoramica del caso italiano con le sue particolarità in relazione al fenomeno e la presentazione di due casi emblematici per descrivere i fenomeni trattati: la finanza nera e Tangentopoli. Nella seconda parte il lavoro si concentra sulla presenza mafiosa a Milano, i clan di Cosa Nostra e le attività svolte, con il supporto di due casi: L’Operazione San Valentino – che porta alla luce la presenza di uffici e menti di Cosa Nostra a Milano a due passi dal Duomo- e lo scandalo casinò con la regia occulta delle due principali forze politiche –Dc e Psi-, oltre a quella mafiosa, nella spartizione dei principali casinò del Nord Italia, concludendo con una breve parentesi sull’attività di repressione. L’attenzione dell’analisi –e la conseguente scelta dei casi trattati- è rivolta alla realtà milanese nel periodo 70-92 dal periodo di massima espansione delle tangenti sottobanco allo spartiacque di Mani Pulite e l’esplosione pubblica del sistema. Il nucleo dell’analisi si concentra attorno all’inchiesta Duomo Connection, prima grande inchiesta a portare alla luce i legami tra clan e amministrazione comunale in un grande centro del Nord coinvolgendo funzionari, assessori (e lo stesso sindaco) ed anticipatrice del più generale scandalo che pochi mesi dopo darà vita a Tangentopoli. La scelta del tema è spinta ad approfondire il legame tra temi talvolta mischiati e confusi, altre trascurati o ignorati. Alla base vi è l’amore per una città, Milano, in grado anche nei momenti peggiori della propria storia di rialzarsi e sviluppare gli anticorpi necessari per ritornare laboratorio culturale, civile e città aperta. 4 1 LA CAPITALE (IM)MORALE C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema (…) aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente. (…) Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema (…) nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. (…)In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare2. 1.1 LA CAPITALE MORALE C’era una città che era il traino dell’Italia, il suo cuore e la mente. Una città diversa dalle altre, seria, schiva e laboriosa, così come le strane persone che la abitavano. Laboratorio di idee e cultura che la facevano sentire lontana dal resto del Paese, vicina e simile a quelle lontane capitali europee. Centro della modernità e dell’economia era spesso chiamata dai suoi abitanti “capitale morale”, un po’ nostalgicamente, come per restituirgli un titolo negato e da affibbiare per riparare a un torto subito. Moralità costruita su valori semplici, l’onestà, l’impegno quotidiano, la laboriosità, il dialogo, il tutto impreziosito dalla ricchezza culturale e dai personaggi che l’hanno fatta grande aggiungendo un piccolo pezzo di sé. C’era una volta, ora non è più. 2 Calvino, I. Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, “La Repubblica”, 15 marzo 1980. 5 1.2 LA CORRUZIONE Del nostro ponte disse: ”O Malebranche, ecco un de li anzïan di santa Zita! Mettel sotto, ch’i’ torno per anche a quella terra, che n’è ben fornita: ogn’uomo v’è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar, vi si fa ita”3. FENOMENO Il concetto di corruzione porta intrinsecamente in sé una certa dose di ambiguità. Ad esso sono associati fenomeni vari e dissimili che rendono il concetto vago. Secondo l’organizzazione non governativa Transparency International, è corruzione “l’abuso di un potere delegato a fini privati. Può esso essere classificato come grande, piccolo e politico, a seconda delle quantità di denaro coinvolto e del settore in cui si verifica”4. Nelle scienze sociali la definizione del tema si è sviluppata attorno a tre criteri, che concorrono a determinare anche la sua estensione effettiva: a) le norme giuridiche -condotte devianti rispetto a un comportamento sancito da una norma giuridica-, b) l’opinione pubblica -condotte confliggenti con le norme sociali e il tessuto culturale, per definizione profondamente variabili e soggettive-, c) l’interesse collettivo -concetto ambiguo-. La metafora più utile ed elementare nella definizione del fenomeno è probabilmente quella del corrotto come di un Arlecchino servitore di due padroni.5 Il corrotto è una sorta di Arlecchino, a cui il vero padrone -lo Stato o i cittadini a seconda del caso specifico- ha affidato la cura dei propri interessi, ma che all’insaputa del principale vende le proprie prestazioni a un secondo padrone, il corruttore; realizzando così un gioco a tre. Più formalmente per la realizzazione della corruzione deve esservi la compartecipazione di quattro elementi: 1)violazione di norme formali o informali; 2) che essa avvenga nel corso di uno scambio che si svolge in modo clandestino tra arene politiche e mercato economico; 3) che tale violazione abbia come finalità 3 Alighieri, D., Divina Commedia, Inferno canto XXI versi 37-‐42 da Sermonti, V., L’Inferno di Dante, Milano, Bur, 2007. 4 Trasparency International, Anti-‐Corruption Plain Language Guide, July 2009. 5 Della Porta, D. e Vannucci, A., Corruption Exchanges, New York, Aldine de Gruyter, 1999. 6 l'appropriazione da parte di individui o gruppi che operano nelle arene politiche o nel mercato economico di risorse d'uso o di scambio di provenienza pubblica per una loro utilizzazione non prevista normativamente; 4) che tutto questo abbia come conseguenza a livello politico (voluta o accettata) di modificare di fatto i rapporti di potere nei processi decisionali, nonché di accrescere sempre più il divario tra potere e responsabilità, mentre, a livello sociale ed economico, all'impossibilità 'legale' di far rispettare i contratti di scambio consegue la violenza come elemento di sanzione6. La definizione e identificazione della corruzione è di fondamentale importanza per definire il come agire, ma è resa ancora più complessa dalla natura sotterranea del fenomeno, a seguito del quale si può conoscere solo la parte affiorante in superficie attraverso la denuncia dei reati, ma che rappresenta la cima di un iceberg dalle dimensioni ignote costituito dalla sua cifra nera (i reati commessi e non denunciati). Nel mercato della corruzione merce di scambio sono le decisioni dell’autorità, la carriera nella pubblica amministrazione, il tempo di risposta agli appalti, la cessione di informazioni riservate, la protezione stessa dei diritti individuali. Ogni presentino, cortesia, occhio di riguardo configura elementarmente una forma di corruzione. Il patto corruttivo produce una relazione di mercato che determina o condiziona l’esito decisionale o il percorso dei processi nel settore pubblico, che sarebbero regolati da procedure e norme precise; modificando a proprio vantaggio la distribuzione di risorse soggette al controllo dello Stato. Il motore della corruzione è alimentato dalle rendite allocate a vantaggio del corruttore e restituite in parte all’agente pubblico sotto forma di tangente. Questo processo può avvenire attraverso 3 tipologie di intervento pubblico: 1) l’acquisto di beni e servizi offerti da privati allo Stato a prezzi superiori a quelli di mercato (appalti, forniture, servizi, consulenze); 2) vendita o assegnazione a privati di beni, servizi e diritti senza alcun corrispettivo oppure in cambio di un prezzo inferiore a quello di mercato (accelerazione pratiche, licenze, concessioni); 3) attività di controllo e applicazione di sanzioni che attribuisce agli agenti il potere di imporre costi, espropriare o ridurre il valore di risorse private (l’attore evita l’applicazione 6 Padioleau, J.-‐G., De la corruption dans les oligarchies pluralistes, in "Revue française de sociologie", 1975 7 punitiva) 7. Alla base vi è sempre una transazione nascosta con il quale il corruttore trasmette all’agente pubblico risorse nella propria disponibilità come denaro o altra utilità8. Dietro questa formula vi può essere una vastità di prestazioni e beni, dalle tangenti sessuali assai diffuse in Italia alle tangenti canine ai regalini tecnologici per concludere con i pagamenti in natura con carni, formaggi, pesce. Le pratiche corruttive, di qualsiasi natura, comportano alti rischi riconducibili principalmente a 2 fattispecie: il rischio di venire scoperti e condannati, sempre presente vista la natura criminogena degli scambi, che può portare una perdita di prestigio e stima socio-professionale; e il rischio di venire truffati o peggio ricattati dalla controparte. Alla base dello scambio vi è infatti una promessa riguardante uno scambio di risorse e prestazioni differite nel tempo che da luogo a una obbligazione incerta fino alla sua esecuzione completa. L’illegalità del rapporto amplifica l’incertezza non essendovi generalmente la possibilità di agire in caso di truffa. Questa profonda incertezza è minimizzabile nel momento in cui si manifestino regolarmente pratiche di corruzione e vi è la presenza di norme di comportamento interiorizzate, prassi informali e codici, relazioni bilaterali e intermediari che rendono altamente probabile il buon esito. I meccanismi regolativi sono tanto più sofisticati e complessi quanto più il fenomeno è pervasivo e l’ammontare di risorse rende conveniente la specializzazione nel fornire protezione e l’espansione del fenomeno. Dall’incrocio tra il tipo di risorse utilizzate e la natura degli attori coinvolti si può costruire una tipologia delle strutture di applicazione delle sanzioni adottabili per regolare e coordinare gli scambi grazie all’azione di una “terza parte”9 7 Vannucci, A., Atlante della corruzione, Torino, Edizioni gruppo Abele, 2012. 8 Art.318 Codice Penale. 9 Della Porta, D. e Vannucci, A., Mani Impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia, Roma, Laterza, 2007. 8 Tab 1.1 -Tipi di corruzione, “terze parti” che garantiscono l’adempimento degli scambi e principali risorse utilizzate. Risorse d’autorità Risorse economiche e ideologiche e d’informazione Il garante è un attore Corruzione politico-burocratica Corruzione di clan pubblico (amministratori elettivi, (boss degli enti pubblici) dirigenti burocratici) Il garante è un attore tra il settore pubblico e quello privato Corruzione di partito Il garante è un attore privato Corruzione mafiosa Corruzione imprenditoriale (boss mafiosi) (imprenditori con legami politici) (cassieri di partito, leader di partito) Corruzione mediata (intermediari, faccendieri) I centri di potere divengono garanti delle relazioni con la possibilità di commiare sanzioni e riducendo i costi attesi, regolano e stabilizzano il rapporto creando un vincolo duraturo, necessità primaria per gli attori coinvolti. Attraverso una lenta socializzazione alla corruzione si giunge all’apprendimento di strumenti e tecniche per allargare e concludere gli affari, processo che porta a imparare strada facendo, tramite errori e successi, prendendo esempio dai protagonisti con più successo. La spregiudicatezza e capacità di muoversi nell’ambiente creando sempre nuove reti di relazioni, chiudono il cerchio del perfetto corruttore minimizzando ulteriormente i rischi. La scelta del se corrompere o farsi corrompere è data dalla somma tra la valutazione dei costi e il calcolo dei possibili vantaggi con una inseparabile relazione alle preferenze etico-morali dell’individuo. Secondo una prospettiva della scelta razionale riguardante il se -corrompere e farsi corrompere-, la scelta non è altro che un semplice calcolo tra costi -circa la possibilità di venire scoperti e sanzionati più o meno duramente- e benefici attesi dallo scambio. Da un punto di vista analitico si può rappresentare attraverso la formula: C=M+D-A10. Posizioni monopolistiche M –cioè l’interventismo dello Stato e l’effetto sui prezzi in economia- più la discrezionalità D -attribuita a funzionari e politici nell’esercizio delle loro funzioni- meno l’accountability, il dover rendere conto del proprio operato, la circolazione di informazioni, la trasparenza e l’efficacia 10 Klitgaard, R., International Cooperation Against Corruption. In Finance & Development Vol. 35, n.1, 1998, p. 4. 9 del controllo delle attività. Quanto meno risulta trasparente l’esercizio del potere, più aumentano le probabilità di corruzione, meno incisivi sono i controlli e minori le ricadute in caso di sanzione. Oltre alla scelta razionale alla base della corruzione vi è una struttura di costi morali, che riflettono le norme sociali e le preferenze etiche, potenzialmente coinvolti negli scambi corrotti. In un paese con alte barriere morali tali violazioni di valori diffusi e assimilati sono capaci di suscitare un personale senso di colpa e la riprovazione degli altri. 11 Essi si traducono infatti anche nei criteri con i quali vengono giudicate le azioni nei vari gruppi sociali, ai quali gli individui guardano per valutare le conseguenze delle azioni compiute. Spesso nell’individuo vi è un dualismo tra onestà e voglia di fare carriera, ed è frequente il riferimento da parte di corruttori a buoni sentimenti e affetti che spingono al crimine –necessità di soldi per la famiglia o di arrotondare il misero stipendio-. La disuguale diffusione della corruzione misurata e percepita è spiegata anche da specifici valori nazionali, diversità di credenze religiose, fiducia nello Stato e orientamenti verso la famiglia. Una prova di ciò è dato dal caso scandinavo. I Paesi del nord Europa pur essendo caratterizzati da modelli economici altamente funzionali alla corruzione – elevato interventismo statale in economia e vita sociale, alti margini di discrezionalità dei funzionari, controlli allo stesso livello degli altri paesi europei e strumenti repressivi non particolarmente severi- svettano da lungo tempo in tutte le classifiche sulla trasparenza e ai più bassi livelli di corruzione12. Capitale sociale e valori civici diffusi fanno percepire la politica come orientata al bene pubblico e sia politici che cittadini si comportano di conseguenza13. La propensione di politici, funzionari e cittadini a ricorrere alle tangenti è legata dunque alle convinzioni interiorizzate che riflettono o meno valori positivi al rispetto della legge. Un’ulteriore prova a conferma di ciò è data dallo studio di Fisman e Miguel sul legame tra numero di multe per divieto di sosta dei diplomatici stranieri a New York –dotati di immunità e libertà di sosta nella metropoli- e livello percepito di corruzione nei paesi d’origine. Emerge una forte correlazione tra le due variabili considerate: il tessuto dei valori ha un peso significativo nel determinare la propensione verso 11 Della Porta, D. e Vannucci, op. cit., p. 11-‐12. 12 Vedi l’indice CPI (Corruption Perception Index) di Trasparency International o i sondaggi di Eurobarometer. 13 Putnam, R., La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993. 10 atteggiamenti più disinvolti riguardo al rispetto delle regole, siano del codice della strada o di condotta nel proprio operato. I Paesi che presentano livelli più alti livelli di corruzione svettano nella classifica multe, viceversa quelli più trasparenti sono in pratica immuni alla tentazione di parcheggio abusivo14. Si può applicare allo studio della corruzione anche il concetto di familismo amorale15 per descrivere come gli individui immersi in una particolare realtà culturale rispondono alla regola della massimizzazione dei vantaggi egoistici, per la propria famiglia o gruppo ristretto, senza avere un’ottica collettiva e producendo una crescente sfiducia verso gli altri. In questo contesto la richiesta di tangenti diviene facile strumento per sopperire ai bisogni familiari. Con la stabilizzazione dei rapporti corruttivi, saldati dalla presenza di un garante, in un tessuto sociale ospitale specie se con diffuso senso di impunità – così fan tutti-, la corruzione può compiere salti di qualità e autoalimentarsi allargando i suoi confini espansivi. Attraverso la classificazione in Tab 1.2 si possono distinguere i diversi tipi di corruzione basati sulle variabili frequenza degli scambi con cui i soggetti interagiscono e operano, e ammontare delle risorse in gioco, valore dei vantaggi assegnati dall’autorità pubblica e delle tangenti pagate dalla controparte. Dalla combinazione di queste variabili si generano 4 modelli generali di corruzione. Tab. 1.2 – Tipi di corruzione e meccanismi di regolazione Risorse in gioco Bassa Frequenza degli scambi corrotti fra gli stessi attori Alta Poche Corruzione pulviscolare (regole impersonali di reciprocità, fiducia nella “buona fede” della controparte) Corruzione strutturale (reputazione, reciproco potere di ricatto, minaccia di “uscita” dal gioco) Molte Corruzione individuale (intermediari) Corruzione sistemica (“terze parti”) Fonte: Della Porta, D. e Vannucci, op. cit., p. 68 14 Fisman, R. e Miguel, E., Cultures of corruption: Evidence from Diplomatic Parking Tickets, in NBER Working Paper Series, June 2006, p. 16. 15 Banfield, E., Le basi morali di una società arretrata, Bologna, Il Mulino, 2006. 11 1) Microcorruzione (pulviscolare): Si tratta di incontri casuali e solitamente non ripetuti tra agenti pubblici e cittadini privati aventi per oggetto piccoli favori e benefici. L’esigua quantità di risorse e limitatezza dei vantaggi in gioco rendono la sanzione un valido deterrente a delinquere o, almeno, reiterare la violazione. Il rapporto si caratterizza per l’asimmetria di potere tra le parti specie in cui i corruttori sono più deboli (prostitute, immigrati, turisti). 2) Corruzione strutturale: La ripetizione del gioco fa si che vincoli fiduciari, gerarchici e la reputazione divengano parte integrante nel calcolo dei vantaggi attesi, determinando un’espansione delle attività dei corrotti. I servizi sono richiesti in maniera ripetuta e coinvolgono generalmente funzionari ed agenti di basso livello. Ad oggetto vi è la cancellazione di multe, assenza di controlli, mancata denuncia di traffici (contrabbando) o furti minori, ovvero la richiesta di informazioni riservate su indagini o controlli. Nella maggioranza dei casi il corruttore è un piccolo criminale. 3) Corruzione individuale: Caso in cui a un aspirante corruttore si presenta un’occasione estremamente lucrosa di guadagno il cui esito dipende dalla decisione di un singolo o pochi agenti pubblici. Lo scambio non avviene simultaneamente ed occorre perciò fidarsi della parola data in fase di contrattazione. L’ordine di esecuzione delle prestazioni può variare a seconda del caso. Destinatari della tangente sono singoli amministratori di vertice con potere decisionale, quasi sempre coinvolti giudici – o p.m.- oppure ufficiali di polizia di alto livello. 4) Corruzione sistemica: Si allarga la rete corruttiva, l’illecito diventa la regola e viene premiato chi lo attua. Un complesso di regole di comportamento e ruoli permette il funzionamento del sistema con un coordinamento in ogni fase. Le relazioni si fanno frequenti e abituali e i coinvolti sono molti –potenzialmente tutticomponenti dei pubblici uffici. Offerta e domanda possono essere monopolizzati da una sola industria criminale con protezione delle reciproche attività illegali. Sono previste sanzioni per chi non si adegua al sistema (es. trasferimento). CORRUZIONE BUROCRATICA Dall’inchiesta mani pulite emergono essenzialmente 2 forme di coinvolgimento dei burocrati: da soli –rilasciando licenze, curando iter burocratici, fornendo 12 informazioni in cambio di tangenti di bassa entità- oppure complici di politici nominati o eletti -con cui instaurano relazioni durature e sfruttando risorse date dalla carica duratura. Le aree di intervento sono: a)fornitura privata di beni e servizi richiesti dallo Stato –rendita creata da scelta pubblica di pagare per le risorse private più del loro valore-, b) Vendita o distribuzione di beni e servizi amministrati, prodotti, o precedentemente posseduti dallo Stato –si accetta meno di quanto il compratore sarebbe disposto a pagare-, c) imposizione di sanzioni o decisioni che creano costi –potere dell’agente di evitare punizioni o costi-16. L’applicazione di sanzioni dipende dall’onestà e competenza dei funzionari e dall’efficienza delle procedure. Barriere morali più deboli, controlli meno incisivi e bassi salari, rafforzano a parità di condizioni gli incentivi degli attori pubblici a vendere i loro poteri al miglior offerente. L’estesa moltiplicazione di norme, la loro ambiguità e contraddizione indebolisce i diritti individuali ed aumenta la libertà di movimento per i corrotti. CORRUZIONE POLITICA Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica. (…) I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità(…). Ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.17 16 Rose-‐Ackerman, S.,Corruption: a study in political economy, New York, Acedemic Press, 1978 17 Discorso di Bettino Craxi alla Camera dei Deputati, 3 luglio 1992 13 Gli scandali politici evidenziano come i partiti si siano trasformati in macchine capaci di fornire protezione politica a svariati clienti, mobilitandosi in un mercato corruttivo. I vertici dei partiti diventano destinatari di quote di tangenti compensando la protezione di carriere ed affari. Dotati di sufficienti risorse di influenza essi divengono arbitri nell’osservanza delle norme non scritte che regolano le condotte dei partecipanti, la socializzazione e l’adempimento agli impegni; potendo spenderle per manipolare appalti e carriere oltre rappresentare un forte strumento di ricatto. La comune appartenenza politica cementa e spesso incoraggia le relazioni tra imprenditori, burocrati e politici allargando le reti relazionali. Il controllo degli enti pubblici da parte di nominati, rappresenta un trampolino di lancio per acquisire nuove risorse (economiche e di consenso) reinvestibili nei partiti stessi. Il consenso rappresenta la linfa di cui si nutrono i politici per garantirsi la rielezione e vengono sfruttati tutti i mezzi a disposizione come ad esempio la distribuzione di posti di lavoro –specie in periodi di forte disoccupazione- oppure il controllo dei tesserati. Con i fondi illeciti riconducibili ai rapporti con gli imprenditori –tangenti ottenute per protezione, concessioni, appalti, pratiche- vengono finanziate le varie sedi locali dei partiti ed acquistati pacchetti di tessere, strumento per regolare i conti interni e valido per garantirsi le cariche. Il denaro diventa strumento per avere più potere. Questo sistema distorce la democrazia e le dinamiche della competizione elettorale favorendo i corrotti. Le stesse campagne sono state spesso finanziate con i proventi illeciti. Significativo è il discorso di Bettino Craxi, politico tra i più coinvolti nelle vicende corruttive come emergerà da Tangentopoli, vi è stato per anni un tacito consenso e connivenza tra partiti formalmente contrapposti, nella spartizione di tangenti e nella successiva copertura omertosa: “tutti sapevano e nessuno parlava”18. I dissidi dati dalla diversa appartenenza sono limitati attraverso due possibilità di compromesso: una divisione consensuale delle tangenti o una stabile spartizione del potere secondo sfere di influenza cementata dal silenzio sull’altrui corruzione19. Ruolo decisivo è svolto dai cassieri di partito specializzati nella raccolta e distribuzione delle tangenti, giungendo fino alla presenza di cassieri collettivi incaricati di organizzare incontri a livello nazionale, per definire di comune accordo 18 Ibidem. 19 Della Porta, D. e Vannucci, op. cit., p. 110 14 le strategie migliori da seguire per ottenere contribuzioni dalle imprese anche al di fuori della legge sul finanziamento 20 come nel caso degli Onorevoli Balzamo e Citaristi, rispettivamente segretari amministrativi di PSI e DC. Dopo Mani Pulite le strutture dei partiti si fanno più leggere, perdono le solide ideologie alla loro base e si basano su divisioni affaristiche. Il principale incentivo all’ingresso in politica è l’arricchimento personale e le risorse connesse alla posizione. Emergono esponenti delle professioni abili ad utilizzare i ruoli pubblici imprenditorialmente, ponendo le basi per nuovi possibili sbocchi per la corruzione e i suoi meccanismi. REGOLAZIONE MAFIOSA DELLA CORRUZIONE I grandi lavori pubblici rappresentano indubbiamente una forte attrattiva per le organizzazioni mafiose, facilmente ottenibili grazie ai contatti politici, essi sono però afflitti dal problema della scarsa affidabilità offerta dal politico, mosso da una logica elettorale che induce a rispondere a molteplici e divergenti interessi, oltre a spendere con disinvoltura la propria parola. Alla base della regolazione mafiosa della corruzione vi è proprio il problema della fiducia e l’offerta di garanzie. Le organizzazioni mafiose possono disporre di specifiche risorse (intimidazione, violenza, relazioni, informazioni) spendibili per fornire servizi di garanzia, salvaguardando situazioni e affari dall’esito incerto. La richiesta può essere promossa dal mafioso ma molto spesso è lo stesso cliente a ricercarla, specie quando non è disponibile da parte di terze parti ed il suo costo è elevato o inefficace. Le differenti modalità di rapporto instaurato appartengono principalmente a due categorie: Gli imprenditori subordinati e gli imprenditori collusi21. Ai subordinati è imposta una protezione passiva: essi sono assoggettati alla mafia attraverso un rapporto non interattivo, fondato sull’intimidazione o pura coercizione e il rapporto è fondato sul meccanismo della estorsione-protezione (Catanzaro). Gli imprenditori collusi invece possono usufruire di una protezione attiva, stabilendo un rapporto interattivo con il mafioso fondato su legami personali di fedeltà o un agire motivato 20 Camera dei Deputati, domande di autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dell’On. Craxi, XI legislatura, doc. IV, N. 210, p. 10. 21 Sciarrone, R., Mafie vecchie mafie nuove, Roma, Donzelli, 2009. 15 razionalmente in vista di uno scopo –vantaggi economici, rapporto amicizia, fede al sistema dell’omertà-. I collusi godono di un certo margine di cooperazione e azione e da essi si aspettano prestazioni diffuse. Specie nelle regioni di tradizionale insediamento i costi per la “protezione-estorsione” sono diventati parte della routine e calcolati ancor prima dell’effettivo avvio di un investimento. In alcuni contesti la mafia finisce per detenere un monopolio nell’offerta di servizi protettivi fungendo da arbitro negli scambi e nella risoluzione delle controversie. La minaccia dell’uso della violenza è un sufficiente deterrente e chiunque faccia il furbo sa quanto rischia quando è la locale famiglia mafiosa a svolgere la funzione di “tribunale”. Solidità e stabilità delle reti della corruzione sono dunque un effetto collaterale della presenza di organizzazioni criminali capaci e disposte a offrire servizi di salvaguardia di aspettative in gioco negli scambi, indirizzando ai politici corrotti i pacchetti di voti controllati22. La necessità di ricorso alla violenza è proporzionale a un’altra risorsa fondamentale, la reputazione, che crea aspettative diffuse riguardo alla sua capacità di impiegare validi strumenti di dissuasione. Grazie a questa risorsa, quando la tutela è credibile ed efficace, gli individue si adeguano automaticamente alle regole di condotta ed il mafioso si limita a riscuotere il prezzo della protezione offerta. In alcune occasioni il mafioso trova conveniente sfruttare la corruzione per allargare il proprio profitto e posizione in un mercato illecito. Pagando tangenti a politici, agenti o funzionari, si riducono i rischi e si assesta un colpo alla concorrenza. Garantendosi la diminuzione o azzeramento dei controlli si può giungere a una condizione prossima all’impunità, essenziale per il mafioso -specie se latitante- e garantirsi una relativa tranquillità. La diffusa collusione nel settore degli appalti pubblici è mutata nel coso del tempo attraversando numerose fasi 23 . Limitato inizialmente il coinvolgimento a una richiesta di pizzo o “messa a posto”, nella fase successiva all’aggiudicazione della gara, viene garantita una ridotta concorrenza agli imprenditori collusi e ai cartelli di cui fanno parte, potendo così accrescere i prezzi con la spartizione. Alla base del cartello vi deve essere una fiducia reciproca tra le imprese sulla futura disponibilità a ricambiare i favori, facendo nascere una domanda di protezione. Tra la fine degli 22 Vannucci, A., Atlante della corruzione, Torino, Edizioni gruppo Abele, 2012, p. 65. 23 Della Porta, D. e Vannucci, op. cit.. 16 anni ’70 e inizio ’80, con la fine di alcuni centri di potere su cui si fondava il sistema24 e la vittoria dei corleonesi nella guerra di mafia (1983)25, l’organizzazione si fa garante dell’applicazione delle regole sugli appalti e la loro assegnazione a turno. I corleonesi trovano in Angelo Siino l’imprenditore criminale capace di combinare risorse e competenze necessarie per far funzionare la macchina e gestire gli attori coinvolti. La concorrenza è definitivamente eliminata e ogni fase del processo rigidamente stabilita grazie al “metodo Siino”. Le gare per i pubblici appalti sono già in precedenza assegnate e le defezioni all’interno dello stesso cartello scoraggiate definitivamente. Le imprese si aggiudicano le gare con un minimo ribasso, i turni riducono l’incertezza, politici e amministratori riscuotono più elevate tangenti e i mafiosi una rendita più elevata a scapito dei bilanci pubblici, aumentando le risorse. “La percentuale era così divisa: 2% la mafia, 2% al gruppo andreottiano, lo 0,50% era per la commissione provinciale di controllo. (…) Stiamo parlando del solo accordo provincia. Perché poi ce ne erano altri”26. La percentuale è intesa relativamente all’importo dei lavori. Successivamente nel 1989 con l’estensione del meccanismo di controllo degli appalti e le trattative con imprenditori non siciliani, su iniziativa di Bernardo Provenzano la gestione passerà ad altri soggetti – Giuseppe Lipari, Giovanni Bini e soprattutto Filippo Salamone, quest’ultimo ritenuto più adeguato nella gestione delle relazioni- e si ha la regolazione “del tavolino” come è definita dagli stessi protagonisti. Vi è inoltre l’aggiunta di una quota ulteriore dello 0,8%, la “tassa Riina”, diretta al nucleo centrale dell’organizzazione. Il meccanismo progettato pur essendo estremamente funzionante e riducendo notevolmente i problemi di coordinazione è esposto a rischi di collasso in caso di coinvolgimento in procedimenti giudiziari di imprese o mafiosi27. Negli ultimi anni si è tornati quindi a una ridistribuzione di compiti tra più soggetti e a cartelli gestiti con più autonomia dagli imprenditori, senza coordinamento unificato di un mediatore. Nonostante 24 Primo su tutti il dominio di Ciancimino a Palermo, arrestato nel 1984: “erano venuti a mancare quelli che erano i cardini su cui si basava la gestione dell'appalto mafioso che non era un fatto solo mio; c'era stato l'arresto di VITO CIANCIMINO”. Tribunale di Palermo, sentenza di I grado contro Andreotti Giulio, 23 ottobre 1999, deposizione di Angelo Siino p. 777. 25 Rilevante è il rigido accentramento del potere che annulla di fatto l’autonomia delle famiglie capi mandamento su cui si reggeva precedentemente Cosa Nostra. 26 Tribunale di Palermo, sentenza di I grado contro Andreotti Giulio, p. 776 27 Lo stesso Angelo Siino arrestato nel 1991, nel 1997 inizia a collaborare facendo arrestare i successori. 17 questo nella fase di esecuzione degli appalti gli imprenditori rimangono acquirenti privilegiati della protezione da parte delle famiglie mafiose del luogo. ITALIA Con un tasso di corruzione percepita superiore a quello di molti paesi in via di sviluppo l’Italia rappresenta un caso anomalo tra le democrazie occidentali e consolidate. L’osservazione dei dati statistici è drammatica: - In base l’indice di corruzione percepita CPI l’Italia si trova al 71° del ranking su 173 paesi, con un punteggio di 42 punti (scala da 0 alta corruzione a 100 molto pulito) a pari merito con Bosnia Erzegovina e São Tome and Principe28, con un progressivo aggravarsi della situazione nel corso degli ultimi anni. A riferimento i primi 3 paesi (Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda) hanno un punteggio di 90. La media UE (27 paesi) si attesta a 63,6 e al di sotto dell’Italia si trovano solo Bulgaria (75° CPI 43) e Grecia al 94° posto (CPI 36). - Nella percezione di corruzione dei cittadini per istituzione, emerge questo quadro, basato su una scala da 1-5 con 1 non corrotto e 5 estremamente corrotto. PUBLIC OFFICIALS 3,6 POLICE 3,4 HEALTH MEDICAL AND 3,0 JUDICIARY 3,6 SYSTEM 3,2 EDUCATION 3,4 VATE SECTOR RELIGIOUS 2,8 BUSINESS/PRI MEDIA 2,8 BODIES NGOS LEGISLATURE PARLAMENT/ 4,1 MILITARY 4,5 PARTIES POLITICAL Tab. 1.3 – Percezione di corruzione per istituzione. 2,9 3,8 FONTE: elaborazione da Trasparency International, Global Corruption Barometer, Berlin 2013 -Dai sondaggi Eurobarometro29 emerge che il 95% dei cittadini intervistati ritiene vi sia corruzione nelle istituzioni nazionali, mentre il 92% in quelle regionali e locali. - Le analisi della Banca mondiale sul livello di controllo della corruzione30 evidenziano un chiaro trend di costante peggioramento nell’ultimo decennio. 28 Trasparency International, Corruption Percepition Index, Berlin, 2012. 29 Special Eurobarometer 374, wave EB76.1-‐ TNS opinion & social, february 2012. 30 World Bank, Rating Control of Corruption 2011 da http://info.worldbank.org/governance/wgi/pdf/c110.pdf, p.7. 18 Fig. 1 -Indicatori aggregati di corruzione, Italia 1996-2011 Fonte: WorldBank La corruzione ha conosciuto uno sviluppo molto maggiore rispetto agli altri paesi occidentali ed ha avuto grazie alle indagini giudiziarie il massimo di esposizione al pubblico. Inizialmente gli scandali di Tangentopoli hanno mostrato la capacità di reazione dell’opinione pubblica, di alcuni soggetti politici e istituzionali di fronte alla corruzione dilagante emersa. A questa fase è seguita negli anni successivi una sistematica rimozione del problema, partendo dai programmi elettorali di tutte le forze politiche. Si è assistito inoltre a una costante denuncia delle indagini giudiziarie che riguardano esponenti politici, come intromissione di una magistratura politicizzata in sfere legittimate dall’elettorato che non le competono. Dopo le inchieste dei primi anni ‘90 il principale effetto nei meccanismi corruttivi è stata la lievitazione delle tangenti pagata, piuttosto che una riduzione della quantità. Si allargano i campi di penetrazione del fenomeno coinvolgendo altri ambiti: esami universitari, prescrizione di farmaci ed esami inutili, forniture medicali, primari, arbitri, partecipazioni a festival canori31. Emerge una corruzione non solo politica ma radicata nella società civile. È da tempo che si è avuto modo di rilevare che la corruzione è divenuta da fenomeno burocratico/pulviscolare, fenomeno politico-amministrativo-sistemico. La natura sistemica ha comportato un ingigantimento del bene giuridico offeso e una rarefazione del contenuto di disvalore dei singoli comportamenti di corruzione32. 31 Articoli dall’archivio online de “la Repubblica” http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/ 32 Relazione orale del presidente della corte dei Conti Luigi Giampaolino, Inaugurazione anno giudiziario 2013, Roma, 5 febbraio 2013. 19 Emerge un quadro in cui la corruzione deborda dai suoi livelli fisiologici permeando qualsiasi ambito pubblico e per questo paragonabile solo ai paesi in via di sviluppo e alle democrazie non consolidate. Il nostro Paese gode di particolari caratteristiche vantaggiose a corrotti e corruttori, come le strutture di opportunità, la scarsa trasparenza, meccanismi deboli di controllo, incapacità di reagire al problema, presenza di un’infinità di leggi talvolta contradditorie, scarsità di senso civico, istituzionale e dello Stato. Un fattore molto rilevante è l’altissimo grado di impunità relativa ai reati di corruzione e concussione negli ultimi anni. Dalle statistiche giudiziarie emerge una progressiva diminuzione nel corso degli anni dei reati denunciati e delle sentenze di condanna per questi reati33. Fig. 2- Sentenze di condanna per il reato di corruzione 1200 1000 800 600 400 200 0 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 FONTE: Elaborazione dati da statistiche Ministero della Giustizia, Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione ed altre forme di illecito nella PA A fronte di questo occorre considerare tre aspetti del problema: la relazione tra numero di reati denunciati e le effettive condanne, la legislazione a riguardo e il generale funzionamento del sistema giudiziario. In tema di legislazione è patologica la mancata applicazione delle prescrizioni della Convenzione di Strasburgo34 firmata anche dall’Italia nel 1999 come quella di corruzione privata e in generale la 33 Istat Statistiche giudiziarie e Rapporto della commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella PA, ottobre 2012 34 Convenzione penale sulla corruzione, Strasburgo, 27 gennaio 1999. 20 mancanza di una restrittiva legislazione su corruzione e concussione, mancanze solo in parte sopperite dalla nuova legge anticorruzione del Governo Monti 35 e la discussione di nuove riforme nell’agenda del successivo governo Letta. Vi è stata una progressiva depenalizzazione dei reati sentinella di falso in bilancio e abuso d’ufficio, essenziali per allargare la percezione e controllo sul fenomeno. Manca una indipendente, stabile ed effettiva autorità anti-corruzione che deve essere istituita36, un effettivo codice di condotta per i parlamentari e l’esecutivo, infine è necessaria una legislazione whistleblower che incentivi la pubblica denuncia dei reati con un’adeguata protezione. In ambito processuale si rileva una progressiva diminuzione dei tempi di prescrizione37 con l’interruzione della maggior parte dei procedimenti già sul nascere –specie per politici e alti funzionari che possono permettersi avvocati abili nel prolungamento dei tempi fino a prescrizione raggiunta-. L’Italia si configura come unico paese in Europa con un regime di prescrizione che prevede l’esaurirsi dei processi anche dopo una precedente condanna non definitiva. Attualmente la prescrizione varia da 6 a 8 anni mentre la durata media di un processo varia da 6 mesi a 2 anni, più le indagini preliminari che variano da 6 mesi a 2 anni38. La passività di istituzioni e opinione pubblica peggiora le conseguenze del problema sempre più evidenti e drammatiche: lede il principio di eguaglianza -non tutti sono uguali davanti alla legge, chi ha maggiori risorse pesa di più nelle scelte- facendo regnare opacità e imprevedibilità, inquina la competizione elettorale che è la traduzione del volere dei cittadini nella selezione politica –con tessere e campagne sostenute con fondi illeciti-, rafforza le mafie -con accesso facile a servizi e favori che allungano aspettativa criminale, oltre a essere una risorsa facilmente spendibile preferibile in alcune situazioni all’uso della violenza-, vi è una diminuzione nella qualità dei servizi pubblici erogati –aumentando lungaggini e inefficienze-, la sistematica diffusione erode i legami sociali –la sensazione di corruzione diffusa indebolisce il riconoscimento sociale del valore positivo della legge e del servizio 35 Legge 6 novembre 2012, n. 190. 36 Rilevanti le pressochè inutili e senza poteri istituzioni della commissione legislativa anticorruzione nata nel 1996 alla Camera dei deputati e l’Alto Commissario anti corruzione, figura creata nel 2003 alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio e degradato nel 2008 a Servizio anticorruzione e trasparenza. 37 Legge n. 251, 5 dicembre 2005 ex Cirielli. 38 Dati Corte Suprema della Cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia 2011, Roma, 26 gennaio 2012 21 pubblico- infine la corruzione uccide39. Sull’arricchirsi di alcuni attori, c’è chi paga con la vita o la salute, si segnalano casi di forniture mediche di dubbia qualità o difettose40, accaparramento di aiuti umanitari o speculazione edilizia e appalti senza attenzione alla sicurezza41 o i controlli svolti da ispettori sul libro paga. Non ultimo il danno all’economia e alla crescita nazionale, all’immagine del Paese e sugli investimenti. La Commissione Europea ha stimato il costo della corruzione all’economia UE pari a circa 120 milioni l’anno, l’1% del PIL europeo42, per la Corte dei Conti italiana si attesta a circa 50-60 milioni di euro l’anno sui bilanci pubblici43. 39 Conseguenze in Vannucci, A., Atlante della corruzione, Torino, Edizioni gruppo Abele, 2012, 40 Vedi caso valvole cardiache all’ospedale Le Molinette di Torino con 9 morti nel 2002. http://www.repubblica.it/online/cronaca/cardiochi/tangenti/tangenti.html 41 Numerosissime le vite salvabili in caso di sisma o calamità se le strutture fossero state a norma o in altre situazioni i rischi di danno evitabili (celebre l’assenza di un pilastro, le assenze strutturali e scadenza dei materiali alla casa dello studente dell’Aquila e le conseguenti 8 morti causate dal crollo) . 42relazione presentata al Parlamento europeo 6 giugno 2011 su modalità partecipazione UE al GRECO 43 Corte dei Conti, Giudizio sul rendiconto generale dello Stato 2008, memoria del Procuratore generale, Roma, 25 giugno 2009 22 2 MILANO, ITALIA 2.1 REGOLAZIONE AUTOMATICA DELLE TANGENTI Quando la corruzione si fa sistemica, o vi è anche solo la credenza che essa sia prassi corrente e l’onestà non paghi, scatta una molla che spinge a delinquere, ad allargare lo spazio del si fa ma non si dice fino a renderlo la regola. È il via di un circolo vizioso. Gli imprenditori onesti sono spinti a dirottare altrove i propri investimenti e quelli che rimangono sono i più arrendevoli, o chi non può permettersi di spostare gli affari e si ritrova schiacciato dal sistema. L’aumento di scala del fenomeno diventa prassi attenuando le resistenze morali –così fan tutti-, chi non si adegua deve fare i conti con una qualità delle pratiche pubbliche sempre più scarsa e i tempi interminabili, giungendo a una inevitabilità di adesione. La corruzione è sistemica e l’impunità dilaga portando –fatalisticamente- alla fine dello Stato. Questo effetto valanga si fa realtà nella Milano degli anni 70-90 come testimoniato dai suoi scandali che fanno emergere la natura nascosta che si finge di non vedere, di capitale immorale del paese, cuore del malaffare e così simile ad altre realtà guadate con disprezzo. Un ruolo guadagnatosi con il sangue e le tangenti che sono la regola con i suoi meccanismi ben oliati, sofisticati e automatici nascosti dietro la facciata seria e schiva di eleganti politici e funzionari. Tutto avviene senza macchia, senza lasciare traccia alcuna con il passaggio di una bustarella o una ricevuta “leggermente” ritoccata, i movimenti si fanno rapidi e normali, il linguaggio in codice spontaneo. Non serve più neanche contrattare il prezzo delle prestazioni, il tariffario è fisso, comune e il calcolo automatico in relazione al valore dell’appalto o servizio, con percentuali fisse. È tanto lontana Palermo? In questo non si riflette una patologia, ma quella che ormai è diventata la fisiologia dell’intero sistema politico-amministrativo dell’Italia repubblicana44. Non solo Milano ma tutta l’Italia. 44 Rodotà, S., prefazione al libro di Barbacetto, G. e Veltri, E., Milano degli scandali, Bari, Laterza, 1992, p. VII. 23 1.3 LA FINANZA NERA Gli anni ’60-’70 sono gli anni del boom economico, gli anni in cui la finanza si espande promettendo miracoli e Milano spalanca le sue porte –con le tasche aperte- a personaggi dalle dubbie origini senza nulla chiedere, pretendendo solo risultati e guadagni sicuri. È la Milano della Finanza nera, un sistema non formato da cellule impazzite ma costruito su rapporti organici tra banche, un mondo di protezioni clientelari e corruzione politica. In un contesto di uomini riveriti, di rapporti ambigui e operazioni oscure si aprono spazi invitanti per le organizzazioni mafiose. SINDONA Il caso Sindona, massimo esempio di spregiudicatezza nella gestione del potere finanziario, con volontà di onnipotenza, passando su leggi nazionali, internazionali e bancarie, dietro lo scudo di protezioni politiche ed economiche. Storia di un eroe borghese contro un genio del male45. Michele Sindona giunge a Milano nel 1946 da Patti (Messina) e in pochi anni fa la sua fortuna partendo dal mattone e concludendo grandi affari con le gestioni delle imposte patrimoniali, fino a diventare banchiere nel 1961. La sua capacità di persuasione, l’abilità e spregiudicatezza, il suo saper muoversi in un rimarcato alone di segretezza sono alimentati dalla coscienza di poter usufruire costantemente di una protezione non politica e poi politica46. Le carte che usa nella costruzione del suo impero sono i rapporti con la mafia italo-siciliana, la massoneria (Gelli e la P2), il Vaticano, i servizi segreti. Nel ‘61 Sindona diventa socio di maggioranza della Banca Privata Finanziaria e nel 1968 diventa proprietario della Banca Unione. Con rapporti organici con la finanza inglese, svizzera e americana in pochi anni diviene finanziere di fama internazionale e proprietario di innumerevoli società. Il metodo Sindona si basa sull’accaparramento di depositi miliardari degli enti pubblici concedendo oltre a interessi superiori alla media, un 2% di interessi ai politici. Non tradendo le sue origini nonostante la fama, diviene eminenza grigia di una società finanziaria fuorilegge che imbroglia emigranti con 45 Stajano, C. Un eroe borghese, Torino, Einaudi, 1991. 46 Stajano, C., ibidem. 24 l’appoggio della mafia agrigentina47, aprendo una ventina di sportelli bancari della Interfinanziaria spa, con sede a Milano, nella provincia di Agrigento, una delle zone più povere d’Italia, con l’assunzione di personale quasi interamente riconducibile a parenti delle famiglie mafiose locali. Sulla sponda politica il riferimento è lo stesso Giulio Andreotti, di cui è consigliere, che lo definirà “Salvatore della Lira” nel 197348 e al cui partito –la DC- offre più volte finanziamenti per diversi miliardi di lire, come alla vigilia del referendum sul divorzio49. Fino all’ultimo –vicino al crollo, con doppio mandato di cattura e scaricato dal mondo economico- manderà il suo avvocato e un uomo di fiducia50 e una successiva lettera per chiedere aiuto all’amico, in quel momento Presidente del Consiglio, per “contrastare l’estradizione voluta dai giudici sulla base di un giudizio di preconcetta e preordinata colpevolezza; esercitare una pressione sull’apparato giudiziario e amministrativo”51. Per anni i sospetti sulle sue origini sono via via cancellati o fatti tacere dalla sua forza economica 52 e utilizzando società finanziarie in gran parte collocate in paradisi fiscali con estrema spregiudicatezza, per consentire il trasferimento di capitali all’estero, nascondere proprietà di aziende, rendere impossibile ricostruire le singole operazioni ed impedire di conoscere le dimensioni reali e situazione effettiva del gruppo53. Le banche forniscono risorse alle imprese realizzando strategie in Borsa e allargando la cerchia di investitori. Esse sono captive banks, “banche di gruppo”, che hanno interessi in società e viceversa, violando sistematicamente codice civile, leggi bancarie e amministrative con contabilità nere, violazioni norme sui fidi e riserve obbligatorie54. Nel 1971 il governatore della Banca d’Italia Carli ferma il grande progetto di Sindona che lo avrebbe portato ad essere una delle principali banche 47 Rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Doc XXIII, n.2. 48 Dicembre 1973 al Saint Regis di New York. 49 Quando offre nell’aprile 74 2 miliardi di lire divisi su 3 libretti di risparmio al portatore nella filiale romana dell Banca Finanziaria consegnati all’avvocato Scarpitti mandatario del segretario amministrativo DC. Vedi Stajano p. 77-‐78. 50 Paul Rao e Philip Guarino con un incontro il 23 agosto 1976. 51 Commissione Sindona. Relazione di minoranza Teodori, p. 567 52 Nel 1967 viene respinta senza nessuna seria indagini la segnalazione da parte del capo della International Criminal Police Organization di Washington di presunti traffici illeciti in cui era implicato lo stesso Sindona. 53 Commissione Sindona. Relazione di minoranza D’Alema, Minervini, Cafiero., p. 218. 54 Stajano, op. cit., p.55 25 finanziarie d’Europa55. In quell’occasione scattano le prime ispezioni che inizieranno a far emergere l’intreccio di irregolarità alla base del sistema con operazioni ad altissimo rischio ma nonostante le gravissime irregolarità e carenze riscontrate Carli decide questa volta di seguire la tendenza di cautela e prudenza tipica della Banca d’Italia, comunicando solo all’autorità giudiziaria gli illeciti di natura penale da accertare in quella sede le responsabilità, “considerando il momento economico non è opportuno inserire sulla piazza di Milano ulteriori motivi di disturbo”56, lasciando libero Sindona di trasferirsi negli Stati Uniti dove acquista la Franklin National Bank. Solo nel 1974 il crollo del sistema è alle porte, nel maggio la Secutity National Bank sospende la Franklin Bank dalle quotazioni in borsa, mentre ancora una volta la Banca d’Italia rinuncia a drastici interventi e tenta un salvataggio attraverso l’erogazione di prestiti da parte del Banco di Roma per un totale di 100 nonostante l’emorragia di fondi e perdite non sia arrestabile data l’inestinguibilità di tutta una pare dell’attivo costituita da depositi fiduciari. Inoltre viene permessa la fusione delle due banche sindoniane nel luglio 74 nella nuova Banca Privata Italiana. Solo il 24 settembre 1974 si arriva alla liquidazione coatta amministrativa con dichiarazione dello stato d’insolvenza il 27 settembre 197457 . Un solo uomo è incaricato di districare le oscure operazioni, scoperchiare il sistema Sindona con le sue società matrioske, i gusci voti, con tutte le sue protezioni: questo uomo è Giorgio Ambrosoli. Ambrosoli è un giovane avvocato, non è famoso, non ha legami politici, è un onesto professionista, non è uomo arrivato58, si pensa forse che sia più influenzabile e controllabile di quanto non sarà. Uomo rigido, intransigente, serio, brusco, sicuro delle sue scelte e dedito al lavoro, l’avvocato si rende ben presto conto della portata dell’indagine e in quale posizione si trova, dopo i primi mesi di lavoro59 ed è consapevole che, in ogni caso, come scrive, “pagherò a molto caro prezzo l’incarico (…), ho sempre operato nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo 55 Controllo e fusione della Bastogi, Centrale e controllo Banca nazionale dell’agricoltura. 56 La segnalazione delle irregolarità alla magistratura avverrà solo dopo 8 mesi, per Banca Unione 24 marzo 1972 per Banca Privata Finanziaria 26 febbraio. 57 Relazione di minoranza D’Alema, Minervini, Cafiero., p. 313. 58 Stajano, C., op. cit. p.39 59 la magistratura il 4 ottobre emette un mandato di cattura per false comunicazioni e illegale ripartizione di utili nei confronti di Sindona, e un secondo il 24 ottobre per bancarotta fraudolenta 26 nemici”60. Nel suo cammino è lasciato solo, senza aiuti, senza coperture, senza protezione, senza appoggio 61, gli è negato da tutte le forze politiche anche un intervento in Parlamento nel 1977. Riceverà diverse minacce di morte di cui una telefonata sarà ricondotta a Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontate. L’avvocato Giorgio Ambrosoli è stato ucciso sul passo carraio della sua casa. Esattamente quattro piani sotto l’angolo del soggiorno dove lavorava fino a notte fonda62, l’11 luglio 1979. Si conclude con una frase “Mi scusi, signor Ambrosoli” pronunciata dal killer William Arico, la vita di un uomo libero e solo, eroe borghese che per passione e onestà decide di battersi contro un sistema sorretto da forze occulte, e fu sconfitto63. Sindona morirà in carcere64 stroncato da un caffè al veleno nella sua cella nel carcere di massima sicurezza di Voghera, il 22 marzo 198665, secondo l’inchiesta si tratta di suicidio ma sono molti i dubbi che sia stato ucciso per volontà di chi avrebbe potuto temere eventuali rivelazioni. CALVI Dalla finestra dell’ufficio di Michele Sindona al quarto piano di via Verdi 7 a Milano, è visibile, dietro l’imponente sagoma della Scala, la figura del Banco Ambrosiano, sede dell’impero dell’amico-nemico Roberto Calvi. Figura per anni parallela a quella di Sindona, Calvi è il secondo volto indiscusso della finanza nera milanese. In ottimi rapporti dal 1970 i due si frequentano e condividono i modi d’agire. Dal banchiere di Patti eredita ed affina i metodi illegali nella gestione bancaria, oltre a una continuità con gli ambienti frequentati66. Calvi ha 60 Lettera-‐testamento alla moglie Annalori. 61 Se non 4 finanzieri guidati dal maresciallo maggiore Silvio Novembre, l’uomo più vicino ad Ambrosoli negli ultimi 5 anni, che è sottoposto a 2 tentativi di trasferimento forzato, di cui uno sul Monte Bianco. 62 Stajano,C., ibidem, p.8. 63 ibidem 64 L’arresto avviene il 16 ottobre 1979 a New York, quando si consegna a seguito del fallimento di un finto sequestro orchestrato con John Gambino, Salvatore Inzerillo e Stefano Bontate per cercare di salvare le banche sindoniane in cui avevano investito. Sarà condannato per vari reati negli Stati Uniti e all’ergastolo in Italia come mandante dell’omicidio Ambrosoli nell’86. 65 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, F., Mafia a Milano, Sessant’anni di affari e delitti, Milano, Melampo, 2001, p.107. L’avvocato fu lasciato solo anche dopo la morte senza partecipazioni di autorità ai funerali o commemorazioni, come consuetudine, durante il consiglio comunale. 66 ibidem p.116. 27 una differente area politica di riferimento, preferendo i socialisti, con il nuovo corso del garofano e del suo segretario Craxi a Milano e in Italia, partito che gli segnerà la carriera in diversi momenti. Il Banco Ambrosiano è inoltre la destinazione dei fondi accumulati nella stagione dei sequestri -come dimostrato nel processo a Luciano Liggio-. Direttore generale del Banco dal 1971, Calvi attraverso l’apertura di filiali in paradisi fiscali, creando reti di società nelle quali fa fluire denaro proveniente dai conti della banca –previo anticipati passaggi di somme ai conti di Licio Gelli- e acquisto di azioni sul mercato speculativo trasferite alle sue azioni chiedendo prestiti per pagarle, per diventare il padrone dell’istituto. Negli anni 80 diventato più difficoltoso il meccanismo di credito si butta sui contratti fiduciari in stile Sindona avendo cura, a differenza del primo, di stipulare gli accordi oralmente senza lasciare tracce tangibili. I rapporti con l’amico Sindona terminano nel 1977 quando scatena una campagna pubblica per denigrare Calvi, con affissioni di manifesti 67 , provocazioni, minacce. Fino all’arresto nel 1981 per esportazione illecita di capitali e alla bancarotta del banco ambrosiano l’anno successivo, nonostante le sue amicizie tutti si fideranno di lui e dei suoi miliardi –diventerà anche vicedirettore dell’università Bocconi-. La sua figura scomoda però qualcuno, il 27 aprile 1982 Roberto Rosone, vicepresidente del Banco viene ferito alle gambe da due uomini in moto, uno dei quali, colpito e ucciso da una guardia giurata, si rivelerà Danilo Abbruciati, esponente di primo piano della banda della Magliana e collegato a Milano a Francis Turatello68. La mattina del 18 giugno 1982 il corpo di Roberto Calvi viene trovato impiccato a Londra sotto il Black friars bridge con cinque chili di pietre in tasca. Secondo una sentenza inglese si è ucciso per poi esprimersi successivamente per un verdetto aperto. Il tribunale di Milano nel processo tra le Assicurazioni Generali e gli eredi di Calvi per una polizza vita- si esprime per omicidio, confermata nel 2007 dalla Corte d’Assise di Roma che assolve gli imputati per insufficienza di prove. Dato per assodato l’uso della banca per il riciclaggio 67 Alcuni riportanti i numeri di conti correnti segreti svizzeri, altri richiedenti la cattura con l’elenco dei reati in relazione alla vendita di pacchetti azionari di società del gruppo Sindona al Banco ambrosiano. 68 Ibidem, p. 121. Il pentito Antonino Calderone dirà che Abbruciati era uomo di Pippo Calò ed è stata perciò la mafia a commissionare l’azione. 28 mafioso (corleonesi) la causa può essere l’inadempienza nei confronti di qualche famiglia69. TANGENTOPOLI Nel 1992 il velo si squarcia, presentando un desolante scenario di corruzione senza eguali nei Paesi democratici. Da quel momento il sistema sotterraneo sarà sotto gli occhi di tutti –anche di chi non voleva vedere- e innegabile. Mani Pulite scoppia in uno Stato trascinato a un passo dalla bancarotta, nella città di Sindona e Calvi. Tutto ha inizio da un singolo episodio il 17 febbraio con l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio -socialista e con aspirazioni alla poltrona di sindaco-, una scena come tante un imprenditore70 che consegna una mazzetta per garantirsi l’appalto, 7 milioni isolati che faranno nascere Mani Pulite. Il sostituto procuratore che si occupa del caso Antonio Di Pietro conduce già da tempo indagini su Chiesa –per un presunto giro di tangenti da parte di un’impresa di pompe funebridecide di andare a fondo e ottenendo le prime confessioni dell’imprenditore, abbandonato dal partito e in carcere, inizia a svelare il sistema. Ne uscirà l’inchiesta chiamata “Mani Pulite” o dai giornali “Tangentopoli” nome coniato da Piero Colaprico. Dalle parole di Chiesa emerge un diffuso modo di operare basato su gare d’appalto truccate e tangenti ai partiti nella gestione degli ospedali di Milano che causano i primi arresti e scatena un cortocircuito. Gli imprenditori sanno che Chiesa parla sapendo che altri stanno cominciando a collaborare e viceversa gli altri parlano sapendo che Chiesa e altri imprenditori collaborano o collaboreranno, facendo iniziare un inaspettato effetto domino71. Dietro questa spinta nascerà il pool formato da Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo guidati da Francesco Saverio Borrelli e Gerardo D’Ambrosio 72 . L’indagine si allargherà a macchia d’olio 69 Come emerso da sentenza primo grado 6 giugno 2007 e successivamente negli altri gradi di giudizio. 70 Luca Magni, titolare dell’impresa di pulizie Ilpi, denuncia il corrotto non essendo più in grado di pagare e si fa seguire dai carabinieri mentre consegna l’ultima mazzetta. 71 Barbacetto, G., Gomez, P., Travaglio, M., Mani Pulite. La vera storia 20 anni dopo, Milano, Chiarelettere, 2012, p. 36. 72 Cui successivamente si aggiungeranno Francesco Greco e per un breve periodo Tiziana Parenti. 29 arrivando a fine aprile a non avere un solo giorno senza un arresto e coinvolgendo a Milano alcune delle principali aziende pubbliche: Atm, Aem, Sea, Mm, Ferrovie Nord, Piccolo Teatro e ai primi politici arrestati73. L’inchiesta arriverà dall’arresto dei cassieri delle tangenti nei partiti, facendo emerge la “dazione ambientale”: qualcosa in più della tangente, un sistema di regolazione dei rapporti tra le imprese e i politici. Le prime si spartiscono, in accordo con i partiti, gli appalti pagati con il denaro pubblico. I secondi ricevono, in cambio dell’assegnazione, una percentuale da destinare ai “costi della politica”. Il sistema è generale, pervasivo e automatico74. Nel giro di un paio di anni d’indagine il sistema svelato da Milano sarà esteso a tutta Italia coinvolgendo le Procure di tutta Italia. Saranno coinvolti tutti i principali partiti, Psi, Dc, Pds, Pli, Pri, Psdi, Msi fino alla Lega Nord presentatasi come partito dalla faccia pulita, creando un terremoto politico che porterà alla scomparsa dei tradizionali partiti dell’Italia repubblicana che avevano governato per quasi 50 anni, causando la fine della “Prima Repubblica”. Tra pressioni politiche, dossier dei servizi segreti sui magistrati, poker75, soluzioni politiche76, montature per mafia e una onnipresente macchina del fango, il lavoro del pool va avanti fino al 1994 coinvolgendo politici, leader di partito –dai cassieri Balzamo Citaristi e Pollini fino a Craxi, Martelli e Forlani- e alcuni dei principali gruppi imprenditoriali con i loro dirigenti, Fiat, Eni, Montedison, Ligresti, Iri, De Benedetti, Fininvest. La stima -non esiste un preciso conto, data la scarsa informatizzazione e la frammentarietà dei processi- è di 4520 posizioni considerate, 3200 rinvii a giudizio, 609 condannate dal gup, 480 prosciolte da gup (269 nel merito e 211 per estinzione reato),645 condannati dal tribunale (34 con patteggiamento, 304 al dibattimento), 430 prosciolti dal tribunale (161 nel merito, 269 per estinzione reato di cui 243 prescrizione) totale giudicati con sentenza definitiva 1121. L’assoluzione nel merito è stata solo per il 5- 73 Indagati a maggio i due ex sindaci di Milano socialisti divenuti parlamentari Tognoli e Pillitteri (cognato di Craxi) 74 Ibidem, p.49. 75 materiale informativo giunto a Craxi da polizia e servizi segreti contenete prove di rapporti ”tutt’altro che chiari” tra Di Pietro e alcune figure coinvolte nelle indagini. 76 Su tutte il “Pacchetto Conso” decreto legge del 5 marzo 1993 frenato dalla protesta di pool e opinione pubblica che avrebbe portato a depenalizzazione finanziamento illecito ai partiti, allargato il patteggiamento a corruzione e concussione con sconti di pena e ripristino segreto istruttorio. 30 6% degli imputati, circa il 40% si sono salvati grazie a prescrizione, a cavilli giudiziari o norme su misura77. Quello che colpisce oltre ai numeri è la qualità degli arresti. I personaggi finiti in carcere sono tutti “colletti bianchi”: politici, amministratori, imprenditori, fino a quel punto considerati intoccabili. 77 Dati Barbacetto, Gomez, Travaglio da Procura della Repubblica di Milano periodo 17 febbraio92-‐6 marzo 202 31 3 COSA NOSTRA A MILANO “Qui nella nostra città una piovra, si una grande criminalità mafiosa non esiste… Io dico che Milano è una città talmente ricca che se anche il fatturato della mafia fosse di mille miliardi l’anno non inquinerebbe comunque le strutture sane della Borsa e della Finanza dove girano ventimila miliardi puliti”78. “Cinque anni fa abbiamo approvato una delibera sulla trasparenza degli appalti. E la cosa ha funzionato, tanto che ci possiamo considerare al sicuro da infiltrazioni organizzate”79. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente, mentre per anni si è negata l’evidenza, con modalità fin troppo simili alla Sicilia di pochi decenni prima, l’infiltrazione è progressivamente avvenuta a Milano come probabilmente nello stesso Palazzo Marino sede del Comune. Dalle origini risalenti agli anni Cinquanta fino ai primi anni Novanta l’espansione delle organizzazioni criminali è avvenuta seguendo tre direttrici: 1) lo sviluppo di una malavita autoctona che dà vita alla stagione della mala e del gangsterismo; 2) la progressiva diffusione -sulla base dell’emigrazione meridionale e i primi soggiorni obbligati- di una criminalità mafiosa dalla forte tradizione (Cosa Nostra); 3) la comparsa di una criminalità emergente di stampo mafioso nella zona dell’hinterland (‘ndrangheta). 3.1 GENTE DI PASSAGGIO Gli anni Settanta-Ottanta sono gli anni dei gangster e della mala, dei boss come Vallanzasca, Turatello e Epaminonda che si contendono il controllo della città, portando a Milano a colpi di mitra un clima simile alla Chicago di Al Capone80. Nella città l’attenzione delle forze dell’ordine è assorbita dal terrorismo e dalla strategia della tensione, iniziata con la strage di Piazza Fontana il 12 dicembre 1969, apice del progressivo acutizzarsi delle tensioni sociali e delle proteste nate dal 78 Intervista al sindaco di Milano Paolo Pillitteri di Federico Bianchessi, Il Giornale, 25 marzo 1898 79 Intervista al sindaco Pillitteri, Corriere della Sera, 7 luglio 1990. 80 Buccini, G., Gomez, P., O mia bedda madonnina, Milano, Rizzoli, 1993, p. 98 32 “Sessantotto” e il successivo autunno caldo con il suo progressivo estendersi a quasi ogni settore sociale; nel successivo riflusso degli anni Settanta si ha l’isolamento delle componenti più estremiste dei movimenti e una permanente tensione sociale che sfocia nel movimento del ’77, con una acuta ripresa della critica alla politica e alle sinistre in particolare, colpevoli di essere lontani dai movimenti, di non aver colto le domande della base e di aver chiuso ogni tentativo rivoluzionario appoggiando le riforme e favorendo così l’avvicinarsi ai gruppi terroristici e alla strategia del gesto isolato. Mentre si guarda alla tensione sociale e al terrorismo la criminalità endogena prospera. I personaggi protagonisti di questa fase sono nati o comunque cresciuti -figli dell’immigrazione meridionale in giovanissima età o dalle regioni vicine come il Veneto per Vallanzasca- nella città e in quei quartieri (Lambrate per Vallanzasca e Turatello) nei quali si formano muovendo i primi passi criminali. Sono figure accomunate dalla voglia di comandare, emergere lasciando alle spalle la vita grigia e operosa dei genitori e arricchirsi rapidamente per potersi dare alla bella vita. Per riuscire nel loro obiettivo di diventare padroni incontrastati della città usano tutti i mezzi a disposizione. Retato Vallanzasca, il Bel Renè, con la sua Banda della Comasina, è il precursore, facendosi strada con rapine e sequestri e giungendo al controllo del quartiere in cui è temuto e riverito per la sua spietatezza. Il suo personaggio è in quegli anni oggetto di ammirazione monopolizzando con le sue “gesta” l’attenzione dei media e divenendo una figura mitizzata di bandito dall’animo gentile nonostante la ferocia e quasi romantico. Un delinquente alla Robin Hood81. La sua strada si intreccia con quella di un personaggio diverso e dal differente calibro, Francis Turatello. La cronaca dedica molta attenzione alla rivalità tra i due, riportando lo scontro tra le bande come un romanzo nero. In realtà pur condividendo il quartiere di origine, in cui nasce l’ostilità reciproca, la disputa è impari e il calibro criminale diverso. Mentre Vallanzasca –nonostante l’alone che lo accompagna- è leader di periferia che riesce a giungere al controllo di quel territorio, Faccia d’angelo è a capo di una organizzazione criminale che, sfruttando gli appoggi e i propri affari, giungerà al controllo della città. Turatello può vantare l’amicizia di Frank Coppola -che la leggenda vuole essere il suo padre naturale- che gli fa ottenere la protezione di coloro che a Milano gestiscono gli affari veri, Tano Badalamenti, 81 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, op. cit., p. 61. 33 Salvatore Greco e Gerlando Alberti, in cambio di una buona fetta di profitti, fino alla firma della sua condanna a morte, avvenuta rompendo gli accordi e volendo mettersi in proprio. Prostituzione, racket, case da gioco e traffici di droga nelle bische, sono gli affari avviati da Turatello sotto il benestare di una mafia ancora in ombra nella città. In particolare sono le case da gioco il grande business nella Milano degli anni Settanta post boom economico, sono il luogo dove tra una partita e l’altra di chemin de fer si incontrano politici, industriali, personaggi dello spettacolo e malavitosi. Le principali bische in Corso Sempione, via Savona, via Cellini, via Panizza e il Brera bridge di via Formentini82 fruttano decine di milioni a sera facendo la fortuna dei clan autoctoni, fino alla loro definitiva uscita di scena. Con lo spostamento dell’intera scena criminale in mani mafiose, le case da gioco saranno considerate affari di poco conto e l’ambizione criminale si volgerà al controllo dei grandi casinò. Mentre alla fine degli anni 70’ si spegne l’astro di Renato Vallanzasca, lo scontro si sposta tra quel che resta del clan Turatello e il nuovo padrone delle bische, Angiolino Epaminonda “il Tebano”– con i suoi “Indiani”- che all’arresto di Faccia d’Angelo, il vecchio capo di cui per anni è stato il braccio destro, ha deciso di prendere il controllo sostituendolo83. Questo gesto da luogo a una feroce guerra con decine di morti tra i due clan per il controllo della scena ed episodi hollywoodiani con pistolettate e sparatorie nelle strade84. Il tutto si conclude nei primi anni ’80, con l’uccisione di Turatello in carcere85 e l’arresto del Tebano nel 1984 – e la sua successiva collaborazione con la giustizia-, che segnano una svolta storica. Finisce a San Vittore un’intera generazione86 e termina una stagione con la caduta dell’ultimo uomo che ha saputo opporsi alla mafia siciliana. Non esiste più la Milano dei gangster: “La mafia è un’altra storia, hanno una tradizione, hanno i boss tutti capaci 82 Quest’ultimo celebre per la rapina a opera di Turatello il 27 dicembre 1976 in cui spicca la presenza tra i tavoli di Alfredo Bono, fratello di Pippo. 83 La spaccatura si ha nel 1979 quando il Tebano pretende il 60% degli introiti delle case da gioco contro il 50% pattuito. Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, op. cit., p. 79. 84 Come la sera del 14 febbraio 1979 per la gestione della bisca in Corso Sempione con venti minuti di fronteggiamento in strada fino all’arrivo della polizia, oppure il 3 novembre dello stesso anno in cui si ha un assalto dei killer alla trattoria “La Strega” di Moncucco che causa otto morti. 85 Ucciso a coltellate nel carcere sardo di Bad ‘e Carros il 17 maggio 1981, vicenda su cui resta il mistero riguardo ai mandanti (è stato fatto il nome di Raffaele Cutolo)e le cause. Buccini, Gomez, op. cit, p. 100 86 Al processo di primo grado si segnano 118 imputati, 301 capi d’accusa, 1315 anni di carcere. Ibidem, p.101. 34 di usare la testa. Noi con loro potevamo convivere ma facendo attenzione. Ho capito che gente come noi è di passaggio. A Milano le grandi bande reggono una decina d’anni, poi succede qualcosa. I loro boss, invece, muoiono a ottant’anni e non li conosce nessuno”87. Per affrontare la “questione Milano” e studiare le mosse vi sarà dopo l’arresto del Tebano un vertice ad Atlantic City dove ancora una volta gli equilibri saranno decisi dal confronto tra le cinque famiglie americane e i siciliani, con il cambiamento degli equilibri e la salda guida dei corleonesi a seguito della guerra di mafia88. Da quel momento Milano diventa crocevia mondiale del traffico di eroina e cocaina e sotto la protezione della pax mafiosa decisa ad Atlantic City, nascono tanti personaggi di medio livello in equilibrio tra loro, finiscono le sparatorie e con la tranquillità i siciliani, diventati ancor di più padroni del narcotraffico, possono riciclare i guadagni nelle finanziarie e nelle immobiliari. Lo scontro si sposterà nell’hinterland tra i clan emergenti89. 3.2 COSA NOSTRA Origini Negando la presenza –e talvolta l’esistenza- mafiosa si vuole ignorare la storia della terra promessa in cui hanno deciso di vivere due figure chiave nella storia di Cosa Nostra, precursori delle generazioni successive: Joe Adonis e Luciano Liggio. Il primo è il boss padre della anonima assassini americana90, personaggio di primo piano incaricato, sfruttando la sua abilità di parola e intelligenza, di mantenere i contatti tra le cinque famiglie e politici, giudici, avvocati e funzionari. A questa qualità si somma la disposizione di immensi capitali –tra gli affari cospicuo è il controllo di 15000 slot machines tra San Francisco, Las Vegas e Chicago- che lo rendono ospite fisso a pranzi e ricevimenti. Dopo l’espulsione dagli Stati Uniti nel 1956 -per falsa testimonianza circa la nazionalità americana- passa da Palermo, 87 Intervista a Epaminonda di Piero Colaprico, la Repubblica, 4 maggio 1989. 88 All’incontro partecipano oltre agli esponenti newyorkesi Bonanno, Gambino, Colombo, Lucchese e Genovese i siciliani guidati da Totò Riina e Bernardo Provenzano, i palermitani Michele e Salvatore Greco e il catanese Nitto Santapaola. Ma gli equilibri sono cambiati rispetto ai precedenti vertici, ora la capitale della mafia è Palermo e sono i siciliani a dettare legge. 89 Buccini, Gomez, op. cit, p. 103. 90 Buccini, G., Gomez, P., op. cit. 35 incaricato dalle cinque famiglie americane di convincere i siciliani ad organizzarsi secondo il modello americano, creando una rete di traffici di droga e contrabbando con tutto il nord Europa91 , ponendo le basi per il successivo summit all’hotel Des Palmes del 1957. Terminato il compito Adonis si trasferisce quasi indisturbato a Milano divenendo punto di riferimento per una nuova generazione mafiosa –tra cui i fratelli Bono e Buscetta92 e frequentando trafficanti internazionali e i vertici siciliani. Luciano Liggio, la “Primula Rossa” di Corleone, è l’uomo della svolta nei rapporti tra le famiglie siciliane, che porterà alla guerra di mafia e allo spostamento della centralità del potere da Palermo alla campagna corleonese. Trasferitosi a Milano per godere delle connivenze e protezioni politiche durante la latitanza, vive sotto le sembianze del tranquillo signor Antonio Ferruggia fino al suo arresto il 16 maggio 1974 nella sua casa di via Ripamonti. Affari Gli affari dei clan trapiantati a Milano sono molteplici e interessano principalmente i sequestri, la droga, il riciclaggio e l’edilizia. Il primo grande settore in cui investono i siciliani è quello dei sequestri. Gli anni Settanta sono gli anni in cui, sotto la guida di Luciano Liggio, si ha una prima svolta, che permette alla mafia l’apertura di nuovi e più lucrosi confini in cui investire. Trasferitosi a Milano contando soprattutto sulla compagnia di conterranei di Trezzano sul Naviglio93, da vita all’anonima sequestri, incrementando fortemente la liquidità a disposizione -con le richieste di riscatto- e colpendo nella maggior parte dei casi imprenditori. Si conta che dal 1972 al 1977 i sequestri di persona sono stati circa 6094. Quello dei sequestri è però un settore troppo visibile, che comporta un alto tasso di riprovazione sociale, con una conseguente perdita di legittimità e forte repressione da parte dello Stato, per questo viene abbandonato a seguito di una dura critica nei mezzi all’interno della stessa cupola mafiosa. 91 Apripista della corsa all’oro di Milano, gestisce i suoi affari liberamente mentre fa scuola a uomini d’onore e gangster, fino al suo arresto nel 1971. 92 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, op. cit., p. 28. 93 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, op. cit., p. 44. 94 Dati Buccini, Gomez, p. 84 36 Il grande salto di qualità si ha con il definitivo ingresso nel mercato della droga. Esso rappresenta più di ogni altro uno spartiacque per l’organizzazione, dopo discussioni circa valori morali e necessità, la definitiva soglia criminale è attraversata. Da quel punto non si torna. Mentre i tradizionali affari su cui si reggeva l’economia mafiosa fino a quel momento –latifondo, urbanizzazione e spesa pubblica- potevano avere margini di legalità, con l’ingresso nel narcotraffico, avvenuto dietro il consiglio e le forti pressioni delle famiglie americane, questi cessano di esistere. Approfittando della crisi del clan dei marsigliesi, Cosa Nostra entra pienamente nel traffico di stupefacenti mirando al controllo dell’intero Mediterraneo95. Milano diviene, con la sua posizione strategica, la capitale di questi traffici, il centro logistico per lo smercio e la principale piazza italiana. Non è un caso che proprio a Milano sarà trovato il 13 novembre 1979 –in via Atene- il primo laboratorio italiano per la trasformazione della morfina base in eroina96. Rilevante il clima cittadino di quegli anni con la “Milano da bere” – questa Milano da vivere, da sognare, da godere… questa Milano da bere, seguendo il popolare spot dell’Amaro Ramazzotti da cui è stata tratta l’espressione- craxiana del rampantismo sociale; fase caratterizzata da un’immagine alla moda, dalla movida, la frequentazione di locali, discoteche, a ritmi sregolati con un conseguente aumento del consumo e della richiesta di droga sulla piazza. I sequestri nel corso degli anni sono innumerevoli, ogni volta si contano svariati chili di eroina e cocaina. Dopo il grande salto di qualità acquisire sempre nuova liquidità non è più un problema e la mafia può utilizzare questa risorsa come arma in suo possesso, condizionando politici -promettendo o meno fondi per le campagne elettorali-, ambienti finanziari -attraverso i capitali investiti in Borsa di cui può minacciare il ritiro 97 - e l’economia reale dove i boss investono per riciclare i proventi dei traffici. Gli orizzonti sono ampi, si cercano le economie più ricche e si investe in ogni ambito –tranne nelle industrie ad alto contenuto tecnologico o forte concorrenza di mercato98- cercando di differenziare il più possibile. Sulla base di questi presupposti si dà il via alla conquista delle città con l’acquisto di bar, ristoranti, discoteche, negozi, tabaccherie, finanziarie, imprese edilizie e terreni. 95 Appunti di Sociologia della criminalità organizzata, anno 2011. 96 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, op. cit., p. 81 97 Società civile, anno 5, n. 9, ottobre 1990, p.15. 98 Appunti di Sociologia della criminalità organizzata, anno 2011. 37 L’edilizia è sempre stato un settore centrale nell’economia mafiosa anche in trasferta, con la migrazione verso le grani città, l’esodo meridionale che porta al Nord circa due milioni di persone tra ’51 e ‘6199 e l’intensa urbanizzazione degli anni 50-60. L’assalto alle città inizia con l’acquisto di terreni periferici ai bordi delle metropoli, che si trasformeranno, contando su decisioni politiche favorevoli – ad esempio un terreno passa da agricolo a edificabile in pochi giorni-, nella costruzione di palazzi e interi villaggi di ogni genere, alcuni dei quali diventano i nuclei abitativi per la manodopera meridionale emigrata o veri e propri ghetti-fortezza in cui si gestiscono i traffici e talvolta permette la nascita del racket degli alloggi, affidati spesso a prezzi esorbitanti agli immigrati clandestini. Via Larga 13 Quasi a voler rappresentare fisicamente l’infiltrazione delle organizzazioni di stampo mafioso a Milano, sbeffeggiando i negazionisti così come la totalità dei cittadini –in particolare chi le combatte-, Cosa Nostra ha un ufficio in città e ha voluto aprirlo proprio nel suo cuore, nel punto più caro dei milanesi: all’ombra del Duomo. Cosa Nostra c’è ed è avanzata in città fino a giungere (quasi) indisturbata nel nucleo pulsante del sistema economico, permettendosi un ufficio come una grande società, come un illustre professionista nel salotto buono. Da quel piccolo ufficio in via Larga 13, sede legale di una lunga serie di inafferrabili società a responsabilità limitata100, passano abitualmente alcuni tra i principali esponenti di Cosa Nostra e le indagini, giunte lì per caso partendo da un tentato sequestro, faranno emergere dall’azione congiunta di forze dell’ordine, Criminalpol e Fbi un enorme rete, con filoni connessi da diverse inchieste, tra Italia, Stati Uniti e Svizzera. Tra i personaggi che passano per quegli uffici ci sono Gaetano Carollo, Ugo Martello “Tanino” boss della Bolognetta e latitante, Alfredo Bono –fratello di Pippo latitante a Caracas dove dirige gli affari in compagnia dei leader del narcotraffico internazionale-, Gerlando Alberi “zu’ Paccarè”, Salvatore Inzerillo, Tommaso Buscetta e Vittorio Mangano. Proprio le indagini su quest’ultimo porteranno ad aprire il canale investigativo. Mangano è infatti la figura di contatto tra Cosa Nostra e l’imprenditore in più rapida ascesa nel 99 Sabbatucci, G., Vidotto, V., Storia Contemporanea, Roma-‐Bari, Edizioni Laterza, 2010, p.335. 100 Citam, Datra, Maprial, Prodalit collegate ad altre Monfina, Diamond, Promotrade, Natko, Staco. Da Buccini, Gomez, p. 178 38 panorama della città: Silvio Berlusconi. Presentato dall’amico Marcello Dell’Utri Mangano verrà assunto nel 1974 come stalliere nella villa di Berlusconi ad Arcore e da lì svolgerà il ruolo di fatto di parafulmini per il datore di lavoro e la famiglia101, riparando, con il suo notorio spessore criminale, l’imprenditore da minacce e attentati102 -cosa che al momento teme di più visto l’interesse nei suoi confronti da parte di criminalità e ‘ndrangheta-. Dal racconto di Filippo Alberto Rapisarda, finanziere siciliano protagonista di vicende controverse e datore di lavoro di Dell’Utri, emerge il ruolo di mediatore e la conferma delle abituali frequentazioni mafiose –in primis Cinà, Teresi e Bontade -oltre all’investimento di cospicue somme da investire nei progetti di una società televisiva privata di proprietà di Berlusconi103. Il processo nei confronti di Dell’Utri e Cinà renderà più chiaro il quadro di rapporti. Marcello Dell’Utri ha agito da intermediario per gli investimenti a Milano di Stefano Bontate104. Nella sentenza del processo di primo grado105 la condanna di Dell’Utri è motivata dal fatto che “la pluralità di attività posta in essere (…) ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra” e ha permesso “di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti”. Nel giudizio di secondo grado 106 “vi è un’indiretta conferma del fatto che anche Silvio Berlusconi pur di risolvere quel tipo di problemi, non esitava a ricorrere alle amicizie “particolari” dell’amico (…) riacquistando la serenità perduta a un costo per lui tollerabile” inoltre “l’invio del Mangano presso Berlusconi, pur finalizzato a proteggerlo (…) non poteva comunque avvenire “a costo zero” essendo destinato inevitabilmente a diventare nell’ottica di Cosa nostra il canale attraverso cui ricercare e ottenere profitti illeciti”. Questi profitti si traducono, oltre alla somma iniziale per la protezione da lui stesso richiesta -100 milioni secondo gli atti giudiziari- in tributi ricorrenti, al quale si aggiunge il 101 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 140 102 Tribunale di Palermo, sentenza di appello nei confronti di Dell’Utri Marcello e Cinà Gaetano, 29 giugno 2010. 103 Deposizione di Filippo Rapisarda al giudice Giorgio Della Lucia, 5 maggio 1987. Buccini, Gomez, p. 181. 104 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 152 105 Tribunale di Palermo, 11 dicembre 2004. 106 Tribunale di Palermo, sentenza di appello nei confronti di Dell’Utri Marcello e Cinà Gaetano, 29 giugno 2010. 39 pizzo per le antenne televisive in Sicilia107. Per la corte è chiaro he il denaro giunge alla mafia “dal 1989-90 in poi e comunque fino a pochi mesi prima della strage di Capaci del 23 maggio 1992, evento tragico che deve dunque ritenersi abbia prodotto, con la sua devastante gravità, un’interruzione nei pagamenti.” Tenendo sotto controllo Mangano108, attraverso intercettazioni telefoniche, si riesce a ricostruire il sistema degli scambi attorno alla sede di via Larga. Già il 25 giugno 1980 era stato tentato un blitz negli uffici, fallito a seguito dell’allarme lanciato dalla portineria, in cui gli agenti trovano solo due impiegati che, interrogati, confermano le frequentazioni attorno al luogo aggiungendo nomi. In particolare si parla di due persone, il signor Virgilio e il signor Monti, che allargano definitivamente lo scenario mostrando i contatti tra mafia e “colletti bianchi”. Antonio Virgilio è un immobiliarista con diverse proprietà a Milano tra cui quattro prestigiosi hotel nel centro e un complesso totale da 100 miliardi. Il secondo è Luigi Monti concessionario per l’Italia di Panasonic e Sanyo, rampante della finanza milanese divenuto in pochi anni titolare di un labirinto societario formato da una quarantina di sigle109. La Criminalpol nel 1981 trasmette alla Procura di Milano un rapporto di 500 pagine sul narcotraffico e in particolare il riciclaggio di capitali coperti da attività all’apparenza pulite. Il meccanismo è a servizio del mercato internazionale di droga controllato da Cosa nostra americana e nel rapporto oltre a nomi eccellenti nel panorama mafioso si fanno i no di insospettabili colletti bianchi110. Nel 1983 si conclude l’operazione, pochi mesi dopo le parole sul riciclaggio del procuratore generale di Milano111, scatta l’Operazione San Valentino, nella notte tra 14 e 15 febbraio 37 persone vengono arrestate112 e un altro centinaio riceve comunicazioni giudiziarie, con imputazioni dal narcotraffico al riciclaggio, dall’associazione per delinquere a quella mafiosa. Monti e Virgilio rappresentavano la dirigenza 107 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 157. 108 Arrestato due volte dopo l’allontanamento da casa Berlusconi, nel 1974 e nel 1975. 109 Ibidem. 110 Ibidem, p. 165. 111 All’inaugurazione dell’anno giudiziario Antonio Corrias parlerà di “una mafia che a Milano si manifesta con la costituzione di società in cui riciclare il denaro sporco, e con attività più o meno lecite, che possono dar luogo ad altre fonti illecite di proventi”. 12 gennaio 1983. 112 Tra gli altri: Luigi Monti, Antonio Virgilio, Carmelo Gaeta, Giuseppe Bono, Nicola Capuano, -‐ Romano Conte, Nicolò Salamone, mandati per boss già detenuti come Gerlando Alberti, Gaetano e Antonino Fidanzati, Alfredo Bono, Salvatore Enea, Ugo Martello e Vittorio Mangano (gli ultimi due arrestati l’anno precedente). 40 finanziaria del riciclaggio dei proventi della droga sulla piazza milanese. Il patrimonio societario sequestrato riconducibile ai due imprenditori è di quasi duecento miliardi. Ugo Martello, loro socio, è alle strette dipendenze di Alfredo Bono, che ha incaricato, su mandato della commissione americana, il fratello Giuseppe con il compito di controllare i flussi di denaro e raggiungere accordi per la spartizione dei mercati con gli uomini della camorra113. Della famiglia fa parte Nicolò Salamone, imparentato con i Greco, che fa spola settimanale con il Venezuela114. Altro colletto bianco dal ruolo importante è Carmelo Gaeta presidente della Borgosesia Lane, in rapporti con Ignazio Lo Presti –genero di nino Salvo e legato agli Spatola-Inzerillo-Bontate-. Per capire cosa sta succedendo a Milano, bisogna guardare oltreoceano e all’operazione denominata Pizza Connection. È chiaro all’inizio dell’inchiesta milanese l’organigramma che collega tramite Giuseppe Bono, mafiosi e colletti bianchi in città, con i vertici americani. A questo si aggiungono i rapporti con la Svizzera, paradiso dei riciclatori. L’Fbi indaga sul signor Della Torre, finanziere di Lugano che dal 24 marzo al 23 aprile ’82 ha investito, per mezzo della società Merril Lynch115, 4 milioni e 900 mila dollari in Borsa116. Successivamente costretto a trasferire i conti alla concorrente Hutton fra luglio e settembre trasferiscono otto milioni e duecentocinquantamila dollari, in sei mesi 18 milioni spostati. I soldi secondo l’Fbi sono il frutto dei traffici di droga della famiglia newyorkese Bonanno –guidato da Salvatore Catalano-. I partner del clan sono Giuseppe Ganci, Onofrio Catalano, Salvatore Greco, Gaetano Badalamenti, Frank Castronovo, Philip Salamone. Il clan dal ‘79 all’84 riesce a importare quasi mille kg di eroina, spostando a Milano, Roma e la Sicilia 30 milioni di dollari “lavati”117. La mente finanziaria che gestisce il giro attraverso Della Torre è un uomo della provincia di Brescia, Oliviero Tognoli, che investe in attività apparentemente lecite i profitti del narcotraffico. A Milano Carmelo Gaeta è il coordinatore di un 113 L’inchiesta si gonfia riassumendo dieci anni di crimine organizzato nel nord, coinvolgendo il clan Turatello, i mafiosi-‐camorristi Zaza, Nunzio Guida e Nunzio Barbarossa. Buccini, Gomez, p.185. 114 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 166 115 La più grande società di brokeraggio al mondo. 116 Buccini, Gomez, p. 187. 117 Ibidem. 41 meccanismo di rimesse internazionali che rastrella soldi puliti per gli investimenti di Cosa nostra operando come agente di Borsa per decine di industrialotti brianzoli118. L’indagine milanese sarà ridotta a favola dopo essere passata dalla prima sezione della Corte di Cassazione presieduta dal giudice “ammazzasentenze” Corrado Carnevale, incidendo profondamente negli anni successivi per due motivi: la città abbasserà nuovamente la guardia e non si tenteranno più indagini di così vasta portata nei confronti delle cosche119. In particolare peseranno le motivazioni della sentenza incidendo sull’opera di tutti i magistrati che volessero cimentarsi in inchieste di mafia: “ è di tutta evidenza che le semplici frequentazioni, per parentela, affetti, comune estrazione ambientale o sociale, amicizia o rapporti d’affari, non possono essere di per sé utilizzate come prova dell’organizzazione criminale o dell’appartenenza ad essa, bensì (…), come motivi di sospetto. I motivi di sospetto, in se stessi giustificano (…) le indagini, ma se ad essi non vengono dati riscontri probatori o apporti indiziari promananti da dati certi, non possono essere utilizzati quali prove, nemmeno indirette o puramente logiche. I rapporti finanziari e d’affari, appunto perché tali, anche se continui e protratti con persone ritenute malavitose, non possono essere valutati come elementi di prova di appartenenza a un sodalizio criminale”120. Negli Stati Uniti l’operazione Pizza Connection arriva al termine senza intoppi. 3.3 ‘NDRANGHETA Mentre Cosa Nostra si prende la città sfruttando i capitali economici a disposizione e moltiplicati con i traffici, nell’hinterland e nelle periferie è presente una criminalità emergente che, sfruttando elementi di mimetismo sociale121 forniti dal gran numero di emigranti calabresi, riesce a ricostruire piccole comunità che mantengono le tradizioni d’origine e in un secondo tempo iniziano a delinquere ed utilizzare le risorse “tradizionali” fino a trapiantare il modello mafioso. Può contare su un fortissimo legame con le famiglie di origine, sfruttato in diverse occasioni, ad 118 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 169 119 Buccini, Gomez. 120 Sentenza prima sezione della Corte di Cassazione , presidente Corrado Carnevale, 21 agosto 1991. 121 Appunti di Sociologia della criminalità organizzata, anno 2011. 42 esempio per i sequestri di persona, uno dei primi affari dei calabresi in trasferta, con l’invio dei rapiti nelle impervie aree montuose calabresi –specie nell’Aspromonte-. Dopo al stagione dei sequestri a partire dagli anni ’80 le ‘ndrine utilizzeranno il denaro accumulato per gli investimenti nei settori dell’edilizia, gli appalti e la droga collaborando con i siciliani e iniziando una lenta ascesa che la farà diventare negli anni Novanta la principale organizzazione di stampo mafioso in Lombardia –e non solo-. 3.4 SCANDALO DEI CASINÒ Vicenda rilevante riguardo ai rapporti e alla commistione tra imprenditori, politici ed esponenti della criminalità mafiosa si ha con riferimento alla politica dei casinò nei primi anni ’80. Tutto inizia con la gara per l’affidamento della gestione del casinò di Sanremo. La prima società candidata è la Flower’s paradise di proprietà del conte Giorgio Borletti Dell’Acqua, erede della nobile famiglia che fondò la Rinascente e già proprietario di tre casinò in Kenya. Per assicurarsi la vittoria il rampollo si incontra con Bruno Marra, vicesindaco socialista di Sanremo e Mauro Bettarini esponente di rilievo del partito in città e candidato rappresentante nella commissione che dovrà esaminare le richieste122. È chiaro fin da subito che per assicurarsi il casinò occorrono “molti bigliettoni rosa” e che tutti devono avere la loro parte. Borletti dopo un fallito tentativo per la gestione del casinò di Venezia, per andare sul sicuro sfrutta le “amicizie di famiglia” e viene indirizzato da Bettino Craxi verso due esponenti milanesi del Psi, Giorgio Gangi prima – l’incontro si rivelerà fallimentare- e Antonio Natali successivamente. Natali è padre politico di Craxi e di una generazione di esponenti milanesi, oltre a essere presidente della Metropolitana milanese123, con cui il conte ha i due successivi incontri. La richiesta di “bigliettoni rosa” presentata in quelle occasioni è prima di 2 e poi di 3 miliardi di lire da versare al partito, due per i politici della cittadina ligure e uno per quelli nazionali124. Il conte non paga. L’altra società in corsa per la gara è la Sit di Michele Merlo in intesa con la Democrazia Cristiana cittadina e Manfredo Manfredi, parlamentare di Imperia e sottosegretario al 122 Barbacetto, G. e Veltri, E., Milano degli scandali, Bari, Laterza, 1992, p. 3. 123 Da dove raccoglie fiumi tangenti per il partito. Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni. 124 Barbacetto, G. e Veltri, E. p. 5. 43 Tesoro. Natali tenta di strappare ai concorrenti il finanziatore e mente Ilario Legnaro dietro l’offerta del 30 per cento della Flower’s paradise. Legnaro è uomo legato al clan di Nitto Santapaola e alla mafia catanese, oltre a essere socio d’affari di Gaetano Corallo, anch’esso vicino a Santapaola e vincitore della gara al casinò di Campione d’Italia125. Vi mistero attorno alla gara alla quale Borletti partecipa sicuro della sconfitta –annunciatagli pochi giorni prima dell’aggiudicazione dallo stesso Natali-, ma si aggiudica la vittoria a causa dell’offerta troppo alta della controparte, che sfonda il tetto imposto dal regolamento e a cui fa seguito la richiesta di denaro da parte di Natali. Ancora più sorprendente è la cessione, pochi mesi dopo nell’agosto 1983, della gestione del casinò da parte del conte alla Sit per alcuni miliardi. Nella notte dell’11 novembre 1983 le forze dell’ordine fanno irruzione nei casinò di Sanremo, Saint Vincent e Campione con il blitz di San Martino. I padrini di Cosa nostra presi dalla necessità di riciclare i fiumi di denaro provenienti dalle attività illecite puntano ai casinò come opportunità di riciclaggio e concessione di prestiti a usura. In quell’occasione si scoprono le amicizie del conte, dietro il quale si trova Lello Liguori il re dei night in affari con Salvatore Enea e Giuseppe Bono. Epaminonda nella sua confessione parla di un accordo tra Liguori e Borletti circa l’assegnazione del 3 per cento degli utili da destinare al primo. Il processo di primo grado confermerà le ipotesi accusatorie e la presenza mafiosa, condannando i personaggi coinvolti e assolvendo per insufficienza di prove Santapaola e il conte Borletti. Tre anni dopo nel 1993 la corte di appello condanna il conte imputandogli l’articolo 416 bis, associazione per delinquere di stampo mafioso, che la Cassazione annullerà verso tutti gli imputati, per poi essere riconfermato nel secondo appello il 25 giugno 1996 con l’esclusione del solo Borletti a cui è riconosciuta la sola associazione a delinquere –estinta per prescrizione-. Nonostante la difficoltà di applicazione dell’articolo 416 bis a Milano in quegli anni, è ormai chiara la presenza di legami radicati tra organizzazioni di stampo mafioso e le élite economica e politica. 125 Ibidem. 44 3.5 LA MATTANZA Negli anni Ottanta la città si trova in un contesto nel quale da un lato si ha –con il tramonto della criminalità endogena- la pax mafiosa sancita ad Atlantic City e l’accordo tra i siciliani per un tranquillo svolgimento dei reciproci affari a Milano, dall’altro la crescita della criminalità in ascesa –specie ‘ndrangheta- nelle periferie e zone limitrofe alla città, che porta al suo interno le alleanze, le faide e le guerre nate nei territori d’origine. Con lo spostarsi degli scontri alla periferia la situazione esplode e scatta alla fine degli anni ‘80 una feroce guerra per il controllo delle attività illecite con decine di morti. Si sviluppa un sistema di vendette trasversali eseguite da killer professionisti con reti di collegamento che fanno capire che l’uso della violenza e dell’intimidazione è diventato il sistema principale per regolare le controversie d’affari e conti in sospeso126. Sono gli anni della mattanza in cui in un clima di impunità il metodo dilaga. Achille Piovella, direttore generale dell’Unione Commercianti denuncia che un commerciante su dieci dichiara di pagare tangenti127. La media dal 1987 al 1989 è impressionante: 45 esecuzioni, quasi un omicidio ogni quindici giorni128. Le modalità sono in perfetto stile mafioso, luparate che non danno scampo e per lo più eclatanti, in mezzo alla gente in pieno centro o su strade dei comuni limitrofi al capoluogo, il tutto accompagnato da sequestri di ingenti carichi di droga, riciclaggio di narcodollari e valuta falsa. Gli assassinati sono tutte persone dall’apparente vita tranquilla o in buona parte sotto controllo -semilibertà o soggiorno obbligato-. Uccidono tutti: siciliani, campani e calabresi. In una città impietrita e sorpresa non si comprende che la partita in corso è quella per il controllo del traffico della droga. I numeri sono quelli di una città di mafia. Durante il triennio 1990-1992 le associazioni di tipo mafioso sul territorio milanese sono 14 e la città sale al terzo posto nell’infausta graduatoria degli omicidi. 126 Società civile, Anno 4, n 11, dicembre 1989. 127 26 gennaio 1989. 128 Dati Società civile. 45 3.6 OPERAZIONI GIUDIZIARIE E REPRESSIONE La città non ha tratto insegnamenti dalle vicende di Sindona e Calvi, dai numerosi casi di accoglienza di figure spregiudicate nei salotti che “contano”129, non ha risposto agli appelli della Camera di Commercio e del suo presidente Piero Bassetti prima130, e del rapporto della Guardia di finanza alla Commissione parlamentare antimafia poi131 e non è stata in grado di sviluppare i necessari anticorpi a combattere e prevenire il malaffare. Governata da una classe politica incapace di reagire ed essa stessa collusa –come dimostrano scandali come quello dei casinò- non può cambiare senza l’intervento di una forza esterna. Nel corso degli anni qualcosa cambia, mentre il silenzio e la negazione diventano sussurri imbarazzati, si inizia a indagare con forza sui clan che hanno messo le mani sulla città. La repressione si fa più forte e si fa luce su ciò che prima non si capiva o non si voleva capire. La presenza e distribuzione territoriale dei clan, con i relativi affari, può essere ricostruita utilizzando come elemento di supporto le dieci operazioni condotte dalla magistratura nel periodo 1989-1993 132, che permetteranno la ricostruzione della trama intessuta dalle organizzazioni mafiose dalle origini fino a quel momento. Da un’analisi spaziale delle aree in ci sono state condotte le indagini è chiara una distribuzione con una massiccia presenza di ‘ndrangheta in città e hinterland e di colonie di Cosa Nostra più ristrette territorialmente all’area Sud Est della città. La Fig.3 riporta la distribuzione dei luoghi in cui sono state rinvenute le principali sedi mafiose in città e nel suo hinterland. Per quanto riguarda la mafia, si parte con l’operazione Duomo connection che tra 1989 e 1990 mette a nudo il sistema di rapporti tra mafia e politica a Milano, vicenda che coinvolge le aree Ronchetto e Trezzano sul Naviglio, ad opera del clan Carollo e i suoi affari nell’edilizia. Nel giugno 1992 si ha l’operazione Pinhacolada con la scoperta della prima raffineria di cocaina in Italia rinvenuta a Olda di Val Taleggio (BG), di provenienza colombiana e inscatolata con ananas sciroppato. I coinvolti 129 Società Civile, ibidem. 130 Il 13 marzo 1987 Bassetti, in un convegno con la presenza del giudice Falcone, denuncia pubblicamente che il denaro sporco è ormai entrato nella Borsa. 131 Rapporto marzo 1989, denuncia l’entrata del denaro sporco in Borsa “che reca pregiudizio alla libertà di mercato” 132 Cronologia, operazioni e distribuzione spaziale da Società Civile, anno 8, n.7, luglio-‐agosto 1993 46 fanno parte del clan Fidanzati con sede in zona Corvetto e basi logistiche a Pioltello e Novegro e in altre aree a sud est della città. Lo stesso anno, in ottobre, si tiene l’operazione autoparco, partita a Firenze dalle indagini su un gruppo accusato di preparare un attentato ad Antonio Di Pietro e giunta a Milano al quartier generale dei siciliani legati ai clan vincenti nell’autoparco di via Salomone (zona TaliedoForlanini) in cui si decidono le strategie dei siciliani in città e al nord Italia. I coinvolti fanno parte dei corleonesi (a capo dell’organizzazione sembra esserci Giacomo Riina, zio di Totò), Santapaola, Madonia ed esponenti cursoti. Nel marzo 1993 si ha l’operazione Isola nel quartiere Gratosoglio. La trattoria Isola Anita è sede di ritrovo del clan Mannino-Fidanzati da cui si coordinano ingenti traffici di droga ed armi con la ex Jugoslavia e il riciclaggio in attività commerciali della zona. Nel periodo 1990-93 sono condotte 6 operazioni che coinvolgono la ‘ndrangheta in città e nell’hinterland: operazione Hoca tuca (1989-90) con traffici di droga tra i turchi e il gruppo di Saverio Morabito e Francesco Sergi (assolti in secondo grado) nella zona Corsico-Buccinasco, operazione Vimercate (giugno 90) ed il clan Miriadi con società nel settore edilizio e diversi omicidi all’attivo, operazione Fior di loto (0ttobre 1990) nei confronti di Santo Pasquale Morabilto, volto imprenditoriale della ‘ndrangheta con il riciclo del denaro proveniente dai traffici di armi, eroina e cocaina boliviana manovrando un giro da 350 milioni di lire. Nel 1992 si ha l’operazione Aspromonte che ancora una volta coinvolge i paesi dell’hinterland a sud-ovest di Milano (Assago, Buccinasco, Corsico, Cesano Boscone) con i clan Papalia-Sergi, ritenuti i più importanti riciclatori del nord Italia, l’operazione Quarto Oggiaro (aprile ‘93)che porta all’arresto esponenti delle famiglie Di Giovine-Serraino padroni dei quartieri Quarto Oggiaro-Musocco con il monopolio dei traffici di droga, riciclaggio in bar, ristoranti e circoli, oltre al racket, infine dal giugno 1993 si ha l’operazione Wall Stret, occasione in cui per la prima volta viene contestata l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso e l’articolo 416 bis con l’arresto di 72 persone dei clan Coco-Trovato-Flachi che dagli anni Ottanta operavano in area Bruzzano-Comasina facendosi strada a colpi d’arma da fuoco e prendendo possesso del quartiere gestendo il traffico di droga e racket. 47 Fig. 3- Mappa delle operazioni FONTE: elaborazione Società civile, anno 8, n. 7, luglio-agosto 1993. La carta si basa sulla vecchia suddivisione in 20 zone del comune di Milano, in vigore dal 1978 al 1999, quando vengono raggruppate in sole 9 zone di decentramento. 48 4 LA CONNECTION Ci sono fenomeni che crescono sotto gli occhi di tutti, eppure sono invisibili. E invisibili non perché non offrano segni della propria esistenza, ma perché la loro visibilità è come offuscata da consuetudini di pensiero, pigrizie dell’intelligenza, pregiudizi, malintese rispettabilità da difendere133. In una città retta su una politica del malaffare, con una rodata pratica delle tangenti, l’interesse economico imperante sulla morale, una sistematica negazione di ogni segnale di presenza di organizzazioni criminali –mentre nelle strade i morti si contano a decine- nasce l’operazione che dimostrerà come Cosa Nostra approfitta di questo clima, avanzando attraverso i canali già preparati, e lo fa entrando dalla porta principale delle istituzioni cittadine. Quella stessa dirigenza politica che con patriottismo nega una presenza mafiosa che non è ancora infiltrazione ma che mostra segni di ampia permeabilità, bollando le accuse come “dichiarazioni infondate” ad opera di “professionisti della divisione134” e ammettendo al massimo la presenza sotto diverse forme da quelle tradizionali, sarà la stessa che viene condotta alla sbarra per la prima volta a Milano al fianco di imputati di associazione mafiosa, riciclaggio e traffico di stupefacenti. La stessa classe politica pochi mesi dopo sarà l’oggetto di Mani Pulite e mostrerà tutte le sue ombre e contraddizioni. Alle mancanze della classe dirigente si aggiungono una società civile talvolta passiva e con lo stesso atteggiamento negazionista e una stampa simile in modo allarmante al “Giornale di Sicilia”135, evidenziando quanto meno una comunanza con la Palermo di pochi anni prima. Questo è il clima in cui scoppia la Duomo Connection che farà emergere i rapporti tra imprenditori prestanome, esponenti corleonesi, funzionari comunali e politici, giocati attorno a una pratica di lottizzazione sbloccata con gli “ordinari” metodi delle tangenti che avrebbe permesso il riciclaggio di svariati miliardi di narcolire. 133 Barbacetto, G., editoriale Società Civile, Anno 5, n. 6, giugno 1990. 134 Dichiarazioni del sindaco Paolo Pillitteri, “Avanti!”, 23 maggio 1990. 135 Albini, R., dalla Chiesa, N., Società Civile, Anno 5, n. 10, novembre 1990, p. 5. 49 4.1 I RAGAZZI DEL BAR NAT & JOHNNY L’inchiesta nasce per caso alla fine del 1988 da un bar frequentato da spacciatori vicino ai casermoni popolari di Cesano Boscone. Alla guida degli uomini vi è il giovane capitano Sergio De Caprio –il capitano Ultimo che arresterà cinque anni dopo Totò Riina- che inizia una serie di ricognizioni e appostamenti con oggetto il bar Nat & Jhonny di via f.lli Rosselli, frequentato da un volto conosciuto, Gaetano La Rosa detto Taninello136, accusato di aver ucciso tre carabinieri a Torino otto anni prima. Gli appostamenti conducono ad altri personaggi del giro come Antonino Zacco, il Sommelier, figura strategica nel mondo del narcotraffico, con in capo una condanna a 17 anni per la conduzione di una raffineria di eroina ad Alcamo137 per conto di Cosa Nostra, smantellata nel 1985. Alla squadra guidata dal capitano non basta l’arresto di qualche nome, desiderano fare terra bruciata nel sistema del narcotraffico e ottenere qualche resa, andando fino in fondo sulla base del presupposto che seguendo giorno e notte il pesce piccolo si sarebbe giunti prima o poi a quello grosso. Su questa ferma convinzione nasce l’Impegno Violino138 -solo in seguito battezzato dalla stampa Duomo Connection-. E con questa strada ottengono le prime straordinarie conferme: seguendo La Rosa gli investigatori giungono in via Anguissola, una traversa che costeggia il Pio Albergo Trivulzio, dove per ore vi è un via vai di gente seduta in attesa in auto, incontri, fa il giro dell’isolato, si ferma e riparte139 e lì sfilano davanti ai loro occhi gli uomini inseguiti da anni dalle squadre anticrimine, i protagonisti del panorama mafioso cittadino provenienti da Corleone e Platì. Al fianco di Zacco e la Rosa vi sono Luigi Bonanno, Francesco Sergi, Saverio Morabito e Antonio Papalia140. Il 9 marzo la squadra ferma Domenico Palazzolo, ragazzo semilibero dal carcere che durante il giorno, durante la pausa pranzo, frequenta le vie vicine al Pio Albergo, rinvenendo a bordo un pacco 136 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 235 137 ibidem 138 Colaprico, P., Fazzo, L., Duomo Connection. Indagine sulla fine della capitale morale. Siena, Edizioni Sisifo, 1991, p.41. 139 Ibidem 140 Ripetuti incontri segnalati dai carabinieri durante l’appostamento in via Anguissola singolarmente con Zacco o insieme, a partire dal marzo 1989. Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992,p. 33, 39, 40. 50 con due chili di eroina.141 Ma la vera svolta si avrà il mese dopo, quando Zacco li conduce in un capannone di via Salis, alla Comasina, dove ad aprire il cancello vi è un ragazzone alto sconosciuto agli agenti, che diventerà poco dopo il protagonista assoluto dell’inchiesta, Antonino Carollo. 4.2 LA FAMIGLIA CAROLLO Le indagini sull’identità di quel giovane cambiano lo scenario delle indagini. Antonino “Tony” Carollo nato a Palermo e trasferitosi a Milano quando ancora non aveva tre anni142, oltre a essere un geometra che si sta affermando nella periferia milanese, è il figlio erede di Gaetano Carollo, nome ben conosciuto agli ispettori. Giunto con la famiglia in Lombardia vive di truffe da poche centinaia di lire condotte con il cognato Giuseppe Ciulla 143 e di impieghi in cantieri edili come mastro muratore, cambiando città in base al lavoro, di pari passo alla costruzione di quartieri destinati alla manodopera meridionale –Opera, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Corsico-. Nel 1970 all’improvviso torna a Palermo e al rientro al Nord le sue credenziali giudiziarie sono cambiate, da qualche truffa e commercio abusivo si parla di mafia, droga, delitti e sequestri, etichettandolo come uomo di Gerlando Alberti e Gaetano Badalamenti144. È considerato vicino alla mafia corleonese che vincerà la guerra di mafia 1981-83 sterminando i rivali e a Milano uomo di Luciano Liggio. Da perfetto mafioso di primo piano condannato nel primo grande processo contro la mafia, il processo dei 114145, e poi prosciolto per insufficienza di prove dopo 21 mesi di carcere, inviato in soggiorno obbligato prima nel piacentino ed infine ad Abbiategrasso dove la famiglia si stabilisce. Lì inizia la nuova vita nel campo edilizio e immobiliare, facendosi conoscere dopo il rientro da Palermo con il 141 Ibidem, p. 47. 142 Ibidem, p. 33 143 Conosciuto anni dopo dalle Procura di Palermo come “Pinu u foddi”, Pino il Pazzo, il più importante dei luogotenenti dei corleonesi a Milano, fratello di Antonietta Ciulla moglie di Gaetano. 144 Ibidem, p.34. 145 Chiamato così per il numero dei procedimenti di rinvio a giudizio, condotto nel 1976 come epilogo della reazione dello Stato alle stragi mafiose di quegli anni, su tutti quella di Ciaculli del 30 giugno 1963. 51 nome di ingegner Tartaglia146, con al fianco il figlio geometra mentre il questore Pirella lo definisce “persona astuta e ambigua”, e precisa che “l’essere titolare di lecite attività imprenditoriali, certamente di copertura di altre illecite, costituisce la nota caratteristica del mafioso di rilievo” 147 ed è costantemente controllato per questo. Sfruttando le amicizie paterne nella Democrazia cristiana cittadina, Toni Carollo cerca di farsi strada nella politica. Prima tenta l’ingresso nel comune di Trezzano nel 1980, ma negli ultimi giorni qualche dirigente milanese scudocrociato lo cancella dalle liste spaventato per il nome e le voci a riguardo. Ritenta una seconda volta a Cinisello Balsamo dove è pressoché sconosciuto ma il pranzo offerto ai siciliani locali –con rosa rossa alle signore- gli vale solo 200 preferenze che interrompono le sue mire politiche. Nel frattempo si sposa con Rosalia Geraci, figlia di Nenè, boss di Partinico148. La vicenda che segnerà la vita di Tony è l’assassinio del padre Gaetano, il 1 giugno 1987, ad opera di killer mai scoperti a bordo di un’auto rubata a Napoli quattro mesi prima, davanti alla porta di casa. Come dirà il pentito Francesco Marino Mannoia sono quegli stessi uomini a cui da sempre era stato vicinissimo, “Carollo era in stretti contatti con altri uomini d’onore, con cui trafficava in eroina, e non andava più d’accordo con i Madonia. Era diventato troppo esuberante, scalpitava troppo”149. Già il fratello minore Pietro era scomparso vittima probabilmente della lupara bianca150, e il solo Tony si salva e continua i rapporti con la famiglia probabilmente responsabile dell’omicidio paterno. Dal padre Antonino eredita e la Immobiliare srl e la Edilimmobiliare spa151, “dispone di un patrimonio immobiliare superiore al miliardo e mezzo di lire (…) provento delle losche attività di suo padre Gaetano”152 e risulta amministratore unico delle stesse dal 1979 – 146 Buccini, Gomez, p.28. latitante per sfuggire al maxiprocesso e inseguito da un mandato di cattura dal 29.09.1984 del giudice istruttore di Palermo, per i delitti di cui agli artt. 416 bis c.p nella qualità di partecipe all’associazione per delinquere denominata “Cosa Nostra”. Tribunale di Milano, quinta sezione penale, presidente giudice Nicola Cerrato, 29 maggio 1984, p. 186. 147 Colaprico, P., Fazzo,, L. p.35 148 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 236 149 Buccini, Gomez. p.28. Carollo era stato sottocapo della famiglia di Resuttana comandata da Ciccio Madonia. 150 Ibidem. 151 Colaprico, P., Fazzo,, L. p.35. 152 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992 52 ancora ventenne- 153 oltre a divenire successivamente titolare dell’impresa edile Novedil. 4.3 L’INCHIESTA Frequentazioni L’attività di osservazione dinamica condotta dai carabinieri in un periodo di tempo superiore ai sei mesi, tra la metà di gennaio del 1989 e la fine si giugno, ha permesso la raccolta di una quantità smisurata di informazioni sulla vita degli indagati. Nonostante il perseguimento di un’azione tradizionale tipica in contesto di polizia giudiziaria, non è comune come una piccola unità operativa sia riuscita a convivere per un lasso così consistente di tempo con un gruppo di trafficanti di stupefacenti, condividendone la quotidianità senza la necessità di appoggi interni o infiltrazioni nell’organizzazione. La parte iniziale dell’inchiesta porta alla precisa identificazione del quadrilatero in cui opera il gruppo, formato dalle vie Anguissola, Cagnoni, Palma e fra’ Galgario, con l’osservazione di pratiche ripetute per tutto il periodo di pedinamento. Si ha un susseguirsi di auto in brevi periodi di tempo che pattugliano la zona a bassa velocità senza mostrare di aver notato i conoscenti a poca distanza, per poi procedere solo in un secondo tempo a parlare alla distanza di poche decine di metri, mentre chi non è direttamente impegnato nel dialogo sorveglia154. Altra pratica usuale da parte dei soggetti che si mostravano in condizioni di dar direttive, consisteva nel girare a bordo dell’auto caricando a bordo la persona con cui intrattenersi –dell’organizzazione o un terzo- per poi percorrere a bassa velocità le strade del quadrilatero scortato da gregari. I filmati girati dai carabinieri consentono di percepire appieno il fatto che tutti i comportamenti non erano casuali ma rispondevano ad una tattica accuratamente studiata per ridurre al minimo i rischi tipici della gestione del traffico di stupefacenti155, attività svolta con continuità durante il periodo di osservazione. In molte occasioni si è assistito al passaggio di buste, scatole, valigette che per le circostanze e le modalità con cui avvengono gli scambi, oltre che per l’identità degli attori riconducono allo scambio di sostanze 153 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 244 154 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.108. 155 Ibidem. 53 stupefacenti o denaro derivato dalla loro vendita. Oltre al quadrilatero vi è l’assidua frequentazione di alcuni immobili in via Creta 6, via Ricciarelli 1, la sede della società “Monti Immobiliare” e il cantiere della Novedil a Lainate. I primi due sono considerabili dei luoghi d’imbosco e gestione degli stupefacenti per i traffici, mentre i secondi due assumeranno un ruolo centrale nella seconda fase d’indagine. Durante questo arco temporale si assiste a ripetuti incontri con attori esterni all’associazione e dal riconosciuto spessore criminale, come i già citati Papalia e Morabito. Si osservano infatti ripetuti incontri tra i tre personaggi mafiosi 156 , in gruppo o singolarmente –specie nel caso di Morabito- con Carollo e Zacco, avvenuti in almeno nove occasioni157, a cui sono da aggiungere incontri occasionali con Antonio Papalia e un incontro avvenuto il 31.05 presso la baracca adibita ad ufficio vendite della Novedil, che per numero e qualità degli intervenuti può essere definita una “riunione operativa” 158 , protrattasi per circa due ore con tra i personaggi più assiduamente coinvolti nei traffici. Il più assiduo frequentatore della baracca di Lainate, sede di Carollo, è Saverio Morabito e in ogni occasione per avere un contatto con il primo e non per ragioni professionali connesse all’attività edilizia – così come gli altri personaggi coinvolti-. Emblematico il giorno 25.05 la visita in compagnia del fratello Antonio Morabito, portando con sé una scatola di cartone non presente all’uscita159. Episodio che conferma la relazione non basata su interessi lavorativi ma su un rapporto fiduciario legato al traffico di stupefacenti. Non secondario il fatto che il 21 maggio 1990 viene rinvenuta a Rota di Valle Imagna (BG) la prima raffineria di eroina al Nord su cui da anni sono concentrate le indagini di antidroga e Dea statunitense, centrale per lo smercio a Milano -sulla rotta dei tir turchi e vicino alla Svizzera-, e il rinvenimento di eroina purissima recante il marchio dei processi di raffinazione utilizzati da Cosa Nostra160. In quell’occasione verrà 156 Talvolta anche Sergi. 157 9/03/89, 10/03, 13/03, 4/04 (2 volte), 19/05, 23/05, 25/05, 25/05 e 31/05. Ibidem, p. 97. 158 Ibidem. Partecipano tutti i membri dell’organizzazione, oltre a Carollo, Schiattarella, Panaia,Morabito, Sergi, Bonanno e Zacco. 159 In fase processuale gli imputati sostenevano che l’incontro fosse avvenuto allo scopo di incontrarsi con il geom. Caruso, presente per pochi minuti all’incontro, che curava la fornitura di piastrelle per la Novedil, e in quanto lo stesso Morabito necessitava una simile fornitura aveva fornito dei campioni –contenuti nella scatola-‐ per la decisione. Versione poi smentita. Ibidem, p. 90 160 Colaprico, P., Fazzo,, L. p.97. 54 arrestato Nunziatino Romeo, nipote di Morabito che opera da anello mancante collegando la vicenda al traffico di droga161. All’attività di osservazione ne viene affiancata una più marcatamente di repressione, colpendo gli spacciatori nel momento in cui si trovano isolati, mediante l’intervento per controlli del Nucleo radiomobile –talvolta apparentemente casuali- portando a cinque sequestri tra stupefacenti e denaro nell’arco di due mesi e mezzo, tra il 9.03 e il 23.05162 Il 24 aprile viene effettuato il sequestro di un pacchetto in possesso di Girgenti contenente la somma di 10 milioni di lire riconducibili ai traffici di stupefacenti, ricevuti da un incontro con i membri dell’organizzazione (Zacco, Bonanno, Schiattarella e Panaia). Il 28.04 vengono sequestrati ad Antonio Arena 19 sacchetti e 2 pani di droga occultati tra gli intercapedini delle portiere e nel vano motore di un’auto Volvo proveniente dal capannone di via Salis 4, per un totale di quasi 10,5 kg di eroina rarissima color avorio. Il 17.05 viene sequestrata a Momcilo Nikolic, trafficante jugoslavo -più volte visto in compagnia di Zacco- giunto apposta da Vienna per l’occasione, una somma in contanti pari a 248.265.000 lire dalla chiara origine illecita. A seguito di questi eventi si assiste a una progressiva stasi sul territorio e diradamento delle visite, con lo spostamento delle attività da via Anguissola verso viale Legioni Romane prima –dall’aprile- e dall’estate la concentrazione degli incontri, e conseguentemente delle indagini, sulla baracca del cantiere Novedil. Associazione I numerosi sequestri e gli incontri emersi dall’attività investigativa hanno grande significato in relazione alla prova del delitto associativo. Sulla base di queste si può comprovare la sussistenza dell’associazione per delinquere163 in quanto il sodalizio criminoso poteva contare su ben più di quel “minimum” di struttura organizzativa che costituisce il presupposto per il vincolo associativo.164. Dal quadro emerso è 161 Ibidem. 162 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.101. 163 Ibidem, p.101. 164 Ibidem, p.111. 55 inoltre possibile già in questa fase delineare –compiutamente o parzialmente- i ruoli degli attori costituenti l’associazione165. Vi è la centralità e preminenza della figura di Antonino Zacco nella gestione operativa del traffico di stupefacenti, un’assidua presenza in tutti i casi di sequestro avvenuti, seguendo personalmente l’operato dei soggetti incaricati delle incombenze più rischiose, tenendo i rapporti con gli acquirenti e la rappresentanza esterna del gruppo come si evince dalla presenza a tutti gli incontri. Lo svolgimento di queste attività presume il possesso della titolarità di poteri decisionali nella gestione operativa dell’organizzazione, ruolo essenziale confermato dalla presenza nelle situazioni più rischiose –specie per un latitante-. Immediatamente subordinato a Zacco vi è Luigi Bonanno di importanza maggiore rispetto alle altre figure gregarie. La sua assidua presenza e la lunghezza dei dialoghi con Zacco –con gli altri interlocutori i contatti erano rapidi- fanno presumere che Bonanno fosse un interlocutore nella discussione sui problemi organizzativi e la gestione in generale, non un semplice esecutore. Inoltre Bonanno sostituisce Zacco in tutte le occasioni in cui quest’ultimo è assente. Vi sono poi Antonio Panaia e Vincenzo Schiattarella che agiscono come attori intercambiabili nella funzione di onnipresenti gregari con incondizionata fiducia verso i capi e gli altri membri, svolgendo professionalmente un lavoro essenziale per l’associazione, dalla sorveglianza alla gestione di imbosco e stupefacenti. Ruolo analogo è rappresentato da Gaspare Girgenti che differisce solo per il fatto di aver registrato un numero notevolmente minore di presenze, fattore che non incide però sulla qualità dell’apporto all’organizzazione. Ruolo gregario è svolto anche da Domenico Palazzolo nonostante la sua condizione di semi-libertà è più volte impegnato nel dare e ricevere pacchi in via Anguissola. Membro a pieno titolo è anche Gaetano La Rosa, da cui è partita l’inchiesta, nonostante la brevità di tempo in cui è sottoposto a osservazione –è il primo ad essere arrestato il 18.1.1989-, tempo sufficiente a ritenere il coinvolgimento risalente a tempo molto anteriore dall’inizio delle indagini e lo svolgimento di compiti di primaria importanza nel sodalizio, sostituendo talvolta lo stesso Zacco nel perfezionamento degli accordi per le forniture, sintomo di un ruolo di responsabilità. 165 I ruoli nell’associazione, le funzioni e i rapporti sono ricostruibili dall’analisi della sentenza di primo grado del processo (25 maggio 1992) e degli specifici episodi riportati dai carabinieri in fase di osservazione. 56 Dalla prima fase dell’inchiesta è possibile trarre anche i profili parziali di Carollo e Meli, il cui ruolo è disegnato in tutti i tratti solo nella fase successiva con l’ausilio delle intercettazioni ambientali, pur essendo già in questa fase chiaro il loro ruolo eminente. Fin dalla fase iniziale di investigazione sono evidenti gli stretti rapporti tra Antonino Carollo e Zacco, che era solito recarsi sempre nel cantiere del primo al termine dei “lavori” in via Anguissola, successivamente divenuta base operativa e luogo d’incontro dell’associazione. Si può ricondurre la presenza di Carollo nell’organizzazione e il suo ruolo di vertice dai numerosi incontri con criminali di primo piano come Morabito e Sergi, per discutere di comuni affari illeciti, sostituendo talvolta il ruolo di Zacco. Dall’insieme degli elementi ottenuti dall’indagine esterna si può già ricondurre la posizione di Carollo chiaramente al vertice dell’associazione per delinquere. Ruolo di primo piano era svolto anche da Remo Meli, gestore del luogo di imbosco di via Salis –collocato a pochi passi dalla sua casa e dalla gelateria gestita dalla moglie-, pur non frequentando via Anguissola ma solo il cantiere di Lainate, gli attori operanti nella zona erano soliti recarsi da lui. Solo dalle intercettazioni ambientali emerge il suo ruolo primario, ma già questi argomenti sono sufficienti per ritenere Meli parte dell’organizzazione. Con il termine dell’attività di osservazione condotta dai carabinieri, a seguito la concentrazione spostata sulla baracca della Novedil, si ha il passaggio alla seconda fase dell’inchiesta. Fase due: intercettazioni e colletti bianchi La svolta più grande nelle indagini è ottenuta grazie all’approvazione del nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore nell’ottobre 1989166. Dal 24.10.1989 è possibile utilizzare le intercettazioni ambientali ai fini delle indagini, e la piccola unità guidata dal Capitano De Caprio è tra i primi a cogliere l’opportunità, permettendo di seguire dall’interno le relazioni del gruppo. Il 29.11.1989 viene posta una microspia nella baracca della Novedil iniziando l’attività protrattasi, con alcune interruzioni, fino al 15.2.1990. Essendo questo mezzo investigativo totalmente nuovo e pressoché sconosciuto, si può escludere che i frequentanti dell’ufficio vendite nutrissero sospetti sulla possibilità di intercettazione, di conseguenza è escluso che i 166 Colaprico, P., Fazzo,, L. p.49. 57 soggetti interessati abbiano potuto utilizzare prudenza nelle conversazioni o un linguaggio criptico, elemento fondamentale per il successivo utilizzo in fase processuale. Già dalla prima intercettazione si ottengono i risultati sperati. Il 29.11.1989 da un’intercettazione tra Carollo e Giancarlo Lamoure, imprenditore agricolo piacentino, emerge una discussione circa l’utilizzo di un terreno nell’area di Ronchetto sul Naviglio, dove il fiume quasi si perde nella campagna e la Barona è terra di progetti edilizi sulla carta167, mentre la giunta rossoverde che governa la città tradisce la promessa di aree verdi168. Nel discorso intercettato si parla di un possibile intervento finanziario di Carollo per salvare un’azienda agricola dell’interlocutore e costruire una società per l’allevamento di cavalli da corsa. “C’ho venti ettari di terreno io a Ronchetto, tu lo sai meglio di me”169 è la frase centrale detta al vecchio proprietario di quel terreno (Lamoure), continuando con “perché a questo punto la situazione non la capisco più... dico: io l'allevamento lo posso fare dove voglio, c'ho i terreni qui a Ronchetto, son già miei son già' pagati per cui i soldi...”170. Più volte è rimarcato il possesso dei terreni nell’area Ronchetto, mentre Lamoure accetta la versione senza battere ciglio, con piena consapevolezza di ciò di cui si parla. In una intercettazione successiva (18.12) dal dialogo con l’imprenditore palermitano Salvatore Cangelosi (uomo che da molti anni intratteneva rapporti con la famiglia Carollo avendo venduto negli anni ’70 una casa a Gaetano 171 ) emerge la quantificazione del terreno in 70.000 metri residenziali -per cui attende la convenzione per il progetto- su 280.000 metri cubi di terreno posseduti a Milano172. Dall’analisi dei passaggi di proprietà aventi in questione l’area, colpisce il fatto che né Antonino Carollo né altri membri della famiglia risultano mai stati proprietari o promessi acquirenti di qualsiasi minima porzione del terreno del Ronchetto, né soci 167 Società civile, Anno 5, n. 9, ottobre 1990, p. 17. 168 Nel gennaio ’88 vi era stata la promessa di destinare il 50% delle aree dismesse a verde, solo l’anno successivo 5 milioni di metri quadri vengono cementificati giungendo in prossimità della fine della superficie edificabile, con le parole dell’assessore Schemmari che rimarcano come la città non abbia bisogno di pascoli. 169 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.157. 170 Ibidem, p.162. 171 Ibidem, p.167. 172 Ibidem, p.164. 58 di società interessate. Lemoure in data 26.11.1985 cedeva le sue quote societarie nella “La Rocca Costruzioni” (proprietaria di parte del terreno) alla “COSIED” di Firenze, proprietà di Gaetano Nobile, seguito dai soci che cedono alla S.p.a “FINCOS” dello stesso Nobile nei mesi successivi, mentre anche la ”Immobiliare Dorian” cedeva i suoi 130.000 mq in 17.12.1985 alla stessa società. Il 30.10.1985 veniva stipulato un preliminare di compravendita per la cessione di una porzione di terreno edificabile alla “Edil.ko” di Sergio Domenico Coraglia a cui seguiva un trasferimento alla “Immobiliare Ronchetto” S.r.l. il 16.11 appartenente allo stesso Coraglia. Il 28.3.1990 a seguito dell’adozione da parte del comune di Milano del piano di lottizzazione proposto dalla FINCOS, vengono ceduti 6.150 mq alla “Immobiliare Ronchetto”173. Emergono le figure di Nobile –già osservato in alcune occasioni in compagnia di Zacco e Carollo- e Coraglia, titolari dell’area di cui parla Toni Carollo nelle intercettazioni. Gaetano Nobile ingegnere palermitano, massone, rampollo di una famiglia non più agiata, titolare di una sfilza di società immobiliari e finanziarie a Milano, Palermo e Firenze; conosciuto salvatore della Roller, gloriosa azienda toscana di caravan, che ha rilevato dai curatori fallimentari174, inoltre gode di buoni agganci nella DC toscana 175 .Sergio Coraglia è il titolare della Montimmobiliare, l’uomo che sta cementificando l’hinterland milanese 176 , permettendo a migliaia di milanesi con pochi soldi di realizzare il sogno di un appartamento vero, di una casa tutta loro, con il sistema del “cambialone”, aggirando i regolamenti bancari177. Due “colletti bianchi” a pieno titolo. Il giorno 2.12 si rileva un’intercettazione tra Carollo e Adriano Cremascoli, il factotum dell’ingegner Nobile: “Guarda, noi stiamo… abbiamo messo su questa struttura Edilmoro… sono stato io a volerla la Edimoro (società di Nobile)” e subito dopo “Sono io ad aver voluto la Edilmoro”178. Nella stessa conversazione aggiunge importanti elementi, condizionati dal fatto che non si fida pienamente dell’interlocutore e vuole sondare le sue conoscenze: “Perché la Roller è sua, ma, 173 Ibidem, p.157-‐58. 174 Colaprico, P., Fazzo, L., p.51. 175 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 237. 176 Colaprico, P., Fazzo, L., p.51. 177 Ibidem, p.21. 178 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.177. 59 dal punto di vista di Ronchetto, io ho una partecipazione. Infatti, il terreno di Ronchetto l'ho venduto io al Coraglia”179. Per la mancanza di fiducia Carollo si riserva di omettere il fatto di essere unico proprietario del terreno, come ha più volte ribadito ad alti interlocutori, rivelando solo una sua partecipazione. Nella stessa conversazione vi è una frase pronunciata da Carollo sintomatica della posizione di Nobile: -Cremascoli: “Io sono un uomo dell’ingegnere, quindi”. -Carollo: “Si, si, l’ingegnere è un uomo mio”180. Considerando il contenuto delle intercettazioni emerge come Nobile e le sue societa' costituivano uno "schermo" dietro il quale Carollo manteneva la titolarità occulta dell'area di Ronchetto sul Naviglio 181 . In fase processuale emerge anche la partecipazione di Toni Carollo con Nobile a due riunioni di trattative con Coraglia nonché alla riunione finale per la messa a punto e firma del contratto tra “FINCOS” e “Edil.ko”182. In questa occasione vi è anche la presenza di Gaetano Carollo, che aveva accompagnato il figlio per valutare la convenienza di rilevare da Coraglia una piccola quota di partecipazione183. In più di una intercettazione Carollo afferma a proposito del terreno di Ronchetto frasi come “Lì era un impegno di mio padre, io l'ho solo portato avanti", riconducendo l’affare al padre, di cui prosegue l’opera dopo la morte. Riciclaggio In connessione con l’avvio dell’affare Ronchetto veniva realizzata una consistente iniezioni di liquidità nella “La Rocca Costruzioni” (poi “Roller Finanziaria”) di Nobile. Nella vicenda Ronchetto, formalmente intestato a Nobile ma di proprietà riconducibile ai Carollo, si assiste a un coinvolgimento di questi nella provenienza del denaro, fittiziamente derivante da investitori esteri ed utilizzato da Nobile per 179 Ibidem, p.177. 180 Colaprico, P., Fazzo, L., p.56. 181 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.169. 182 Ibidem, p. 185. 183 Ibidem, p. 185. In fase processuale dalla testimonianza dei dipendenti della “Monti immobiliare” emergono ripetute visite –cinque, sei, sette-‐ di Gaetano Carollo insieme al figlio presso la sede della società, e presentato semplicemente come “l’ingegnere”, il proprietario del Ronchetto. Inoltre durante la sua latitanza risulta aver trovato rifugio in una casa costruita dalla “Immobiliare Rivoltana” a Liscate, facente parte del gruppo “Monti Immobiliare”. Ibidem, p. 397. 60 l’aumento di capitale della sua società, attuato in connessione temporale con l’investimento immobiliare184. In particolare il riferimento è rivolto all’immissione di 4.000.000.000 di lire di liquidità nella società, realizzata con la sottoscrizione di un aumento di capitale di tale importo da parte della “Ravenson” Ltd. Di Londra, in data 9.1.1986. Dai registri dello studio commerciale “De Giorgio & Company”, che operava per la Ravenson. emerge la copia di un contratto –datato 13.1.1986- in base al quale la “Aregal stiftung”, fondazione con sede nel Liechtenstein concedeva tale prestito alla Ravenson185, con un chiaro collegamento all’aumento di capitale della società di Nobile. Le disposizioni per la gestione provenivano dalla società “Management & Consulting” riconducibile al gruppo De Bernardi, soggetto noto gestore di molte società anonime in Lussemburgo, con la funzione di apparire negli organi delle società garantendo la riservatezza degli autentici titolari. Interessante è il movimento di denaro delle somme impiegate dalla “Aregal stiftung”, pervenute al conto della FINTER Bank attraverso un altro istituto svizzero, la Banca del Gottardo, che a sua volta riceveva i contanti da portavalori provenienti dall’Italia. Gli accrediti erano riconducibili a somme di Nobile186. L’ingegnere era solito incontrarsi a Milano con Tullio Mettel –padre del codirettore della FINTER Bank- a cui consegnava borse o pacchi contenenti denaro contante affidato subito ai porta-valori. Successivamente la Ravenson operava da punto di riferimento di transito. Nel periodo in questione sui conti erano stati accreditati complessivamente circa 8.600.000.000 di lire187. Sebbene non sia storicamente dimostrata la provenienza da Carollo delle borse piene di contante, il movimento avveniva nello stesso periodo in cui formalmente acquisiva la proprietà del terreno di Ronchetto, investimento di cui era in realtà titolare la famiglia Carollo. Vi è quindi una chiara e innegabile connessione tra le due vicende. Oltre a questa vicenda strettamente legata all’ambito immobiliare vi sono una serie di altre operazioni che si caratterizzano per l’avere Carollo come autore occulto di cospicui movimenti di denaro, simultanei o appena successivi alle attività di traffico 184 Ibidem, p.198. 185 Per una cifra di 4.982.618,15 fr. Sv. –controvalore 4.006.025.000 lire-‐ sul conto della Arenal stiftug presso la sede di Lugano della “FINTER” Bank. Ibidem, p. 201. 186 Ibidem, p. 201. 187 Ibidem, p. 205. 61 di stupefacenti, con apporti di liquidità da parte di Zacco, responsabile operativo dei traffici illeciti. Emblematico è il caso del prestito di 750 milioni di lire fatto da Carollo a Nobile emerso dall’intercettazione ambientale del 2.12.1989 con Cremascoli. In essa si parla di una somma in denaro contante che da anni Carollo teneva in bidoni di plastica sotterrati (“Io ero giu'. Vengo su proprio, vengo proprio su, arrivo io qui alle 10 di sera con l'aereo, prendo la macchina, faccio un 100, 200 chilometri, per dove erano i soldi, lavoro tutta la notte, perché erano due metri sotto terra... Quando li ho visti, mi son confuso. Li ho trovati, erano dei bidoni in plastica con un metro e mezzo d'acqua”188), consegnati a Nobile e depositati in banca da Tresoldi e Malu – personaggi che più volte tornano nella vicenda, il primo segue l’iter amministrativo della pratica Ronchetto, il secondo è il dipendente responsabile dei conti neri nella Monti immobiliare189-, dove, per lo stato in cui si trovavano (emanavano odore di marcio ed erano malconce) erano stai reputati in parte falsi (Cremascoli: “E' andato a fare dei circolari... gli hanno trattenuto 5, 6.000.000, dicendogli che nove o dieci pezzi erano falsi, quindi hanno mandato tutto alla Banca d'Italia”190), situazione poi sistematasi con l’intervento di Cremascoli e il controllo delle banconote andato a buon fine. Vi sono state inoltre altre immissioni di denaro nella Roller come il pagamento in contanti degli stipendi nel febbraio 1989, o altri versamenti per minori importi per una decina di volte in quell’anno in occasione di carenze di denaro della società191. Non vi sono ragioni che facciano pensare che Carollo abbia tenuto per dieci anni il contante sotterrato senza dargli alcuna destinazione192 più redditizia, con due cantieri edili aperti e la continua ricerca di nuovi investimenti. L’impiego del denaro soltanto nel 1989 è sintomatico di un’origine recente della disponibilità e le modalità di conservazione, unite ai tentativi di occultarne la provenienza, sono sintomatiche della formazione illecita del capitale 193 . Si tratta di un esempio scolastico di 188 Ibidem, p. 265. 189 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 54 190 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.263. 191 Ibidem, p. 281. 192 Ibidem, p. 283. 193 Ibidem, p. 283. 62 reinvestimento in attività economiche apparentemente lecite. Viene confermato come la figura di Nobile e le sue società non fossero altro che strumenti nelle mani di Carollo per il perseguimento dei suoi interessi economici. Per i fini del riciclaggio è infine stato impiegato il meccanismo delle cambiali con prestazione di sconto, firmate da terzi compiacenti, per ottenere liquidità pulita, con l’utilizzo delle società di Nobile e Coraglia a dissimulare il fatto che il pagamento finale era sempre effettuato con denaro proveniente da Carollo e dai suoi traffici. A questo scopo era stata preposta l’acquisizione della finanziaria “I.F.A.I.” di Treviso, che avrebbe potuto rappresentare uno strumento preferenziale per realizzare su larga scala la sostituzione di contante194, fermata solo dagli arresti del maggio 1990 che colpiscono i principali membri dell’associazione. Infine a conferma della fonte di provenienza del denaro è utile l’intercettazione del 29.1.1990. In essa si fa riferimento a un operazione con protagonisti Coraglia e Nobile con i riferimento a due cantieri - Cesano Boscone e Valleve- in cui una società agisce da committente, l’altra da appaltatore. In particolare Coraglia, rimasto con un conto scoperto per il mancato pagamento di una cambiale scaduta da parte di Nobile, si ritrova a chiamare Carollo per richiedere l’estinzione del debito (circa 400 milioni di lire). Alla promessa di questi di corrispondergli il denaro fa seguito la richiesta a Gaetano Zacco, fratello di Antonino, di chiedere al fratello di procurare i soldi in questione (Carollo: "Devo parlare con tuo fratello... (pp.ii.) quelle persone. ...(pp.ii.) dato anche i soldi... (pp.ii.) tuo fratello... sono fuori di quasi 500. Lui deve darmeli”) 195 . È questa la prova della compattezza e vitalità dell’associazione anche dopo l’azione repressiva che ha colpito i traffici di stupefacenti e la sintesi del sistema ben oliato di movimento del denaro, con una osmosi fra livello della criminalità tradizionale e quello legato alle attività di reinvestimento dei capitali derivanti dai traffici illeciti. Rapporti con Cosa Nostra Da un intercettazione datata 22.1.1990 è estrapolabile la “filosofia di vita” di Toni Carollo . La cosa più importante per lui è “fare il regolare”, condurre una vita che si 194 Ibidem, p. 291. 195 Ibidem, p. 334. 63 conciliasse con quella di un lavoratore, tranquilla e senza esternazione o comportamenti che potrebbero comprometterlo. Questo era funzionale anche al mantenimento dei rapporti con la fasce sane e produttive del tessuto sociale, lontano dal tipo criminologico del delinquente sottoculturale 196 . Nella conversazione avvenuta in quella data con uno sconosciuto, parla del vivere a Milano e delle differenze con Palermo “quando io ieri ti dicevo che quello che qua non c'è è l'invidia che c'è a Palermo. Qua tu basta che non rompi i coglioni. A me gli sbirri mi vengono continuamente a controllare a Milano. Si fanno vedere, non è che entrano con tutta la pistola: mi vengono dietro, mi controllano... A un certo punto io faccio il regolare, faccio una vita regolare, non ho problemi, non incontro nessun…197” aggiungendo indicazioni sul suo metodo per dissimulare i capitali e la condizione economica: “Ti fanno almeno lavorare. Dunque, io… è certo che in banca qua.. sì, faccio tutti i miei casini a fine mese, cerco sempre di coprire le banche, di tirare… perché chiaramente uno, anche avendo i soldi, non può metterli in banca”. “Perché coi soldi ci sono problemi. A questo punto io sono sempre scoperto. Minchia, io ho delle scoperture di conto che fan paura: io pago 150 milioni d’interessi l’anni, fra i mutui, fra le anticipazioni e fra gli incassi degli sconti… io pago sui 150 milioni l’anno d’interessi. E a me conviene così”198. Con riferimento più specifico all’ambiente sottoculturale di provenienza e ai valori mafiosi, da alcune intercettazioni è riscontrabile la forte presenza in Carollo. Dall’intercettazione ambientale del 29.1.1990 tra Carollo e Coraglia spicca per i termini utilizzati, pur non essendo del tutto comprensibile il contenuto: “Io sono il piccolino della famiglia che problemi non ne ha. Ora so che lo zio grande ha problemi, ... l'altro ha problemi...”199. È evidente la forte concezione di stampo patriarcale e l’uso di termini riconducibili alla cultura mafiosa, la “famiglia” di riferimento (non chiaro in questo passaggio a quale si riferisse), lo “zio” termine più volte usato in riferimento a Francesco Madonia –non è chiaro se qui si riferisse a luie indicante più in generale il capo della famiglia solitamente anziano. 196 Ibidem, p. 472. 197 Ibidem, p. 473. 198 Ibidem, p. 473. 199 Ibidem, p. 352. 64 Per quanto concernono più direttamente i rapporti con Cosa Nostra e suoi esponenti, dalle intercettazioni emergono importanti contenuti200, confermando la continuità storica tra Antonino Carollo e il padre Gaetano –in particolare la continuità di rapporti-. Un rilevante caso in cui si parla di Cosa Nostra e della conoscenza da parte di Carollo dell’ambiente si ha il 16.1.1990 quando parla –in un’intercettazionedell’allarmante notizia, poi rivelatasi infondata, del pentimento di Tanino Grado: “Comunque, fammici parlare, vediamo giù, che anche giù hanno... hanno dei grossi problemi, lui sta avendo grossi problemi pure giù”.. “Fanno casino. Ora 'sto cornuto di Tanino Grado, Totuccio Grado farà' un bordello, farà proprio letteralmente un bordello. Farà un bordello. Questo farà sdruscio (rumore) più assai di Mannoia, più assai di Buscetta, più assai di Contorno, perché Grado è stato a Milano, è stato.”201. Carollo esprime tutta la preoccupazione comune nell’ambiente derivante dal presunto pentimento, aggravato dal fatto che Grado, a differenza degli altri pentiti nominati, ha operato a Milano e conosce le dinamiche cittadine e gli attori operanti. Sollevato dal fatto che non è mai stato in rapporti diretti con Grado, la vicenda incide comunque sui traffici di stupefacenti e sulla decisione di smettere con quel genere di commercio ("Vogliono che smetta con questo tipo di articolo, fare un altro articolo. Puliscono un pochettino..."). Il giorno successivo -17.1- Carollo parla con Bonanno delle voci che girano a Palermo sul pentimento di Grado e il nome “Tanino” che circola, con il quale ci si riferisce o a Grado o a lui, e della rassicurazione data alle famiglie sulla sua assoluta fedeltà ed estraneità: “Guarda, è un discorso che ho affrontato io con amici miei, lo zio Ciccio e altre persone..."202.Il 23.1.1990 Carollo parla dei suoi rapporti con le famiglie palermitane e in particolare i Madonia: “Io andavo a giocare con Pippo Madonia, il capoccione di Pippo Madonia. Compagni di scuola eravamo, andavamo a giocare insieme. Io abitavo a Palonegro (nome non certo). Io era in casa loro, ti dico ... (pp.ii.), a me lo zio Ciccio mi teneva a me sulle ginocchia. Io sono nato in casa loro. Io sono nato in casa loro. A me mi venivano a prendere per andare in giro alla sera insieme a giocare, quando loro 200 Pur non essendo l’operazione Duomo Connection e più in generale il Tribunale di Milano la sede in cui stabilite l’appartenenza di Carollo all’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, ma il Tribunale di Palermo. 201 Ibidem, p. 490. 202 Ibidem, p. 492. 65 avevano... avevano i ... (pp.ii.) dei fiori, andavamo a raccogliere i fiori, quando avevano le galline, andavo a prendere le uova lì. Io sono innamorato di quella famiglia"203. Dopo la dichiarazione di amore verso la famiglia di “Resuttana”, il 22.1 Carollo parla di altri rapporti particolarmente stretti con i Galatolo della famiglia di Acquasanta, compresi nel mandamento sotto l’autorità di Francesco Madonia e rimarca ancora la forte aderenza ai valori. Carollo: “Allora vedi in parte, Palermo è un casino, Palermo è veramente un casino, io me ne accorgo… poi io ho la mia mentalità, e come mentalità… (pp.ii.).. di sangue ho dei codici…”… “Di lealtà, insegnamento che ho avuto da mio padre, da mio suocero, da tanti amici che ho, che mi vogliono molto bene... Mi rendo conto che si è rimasti in pochi, ogni tanto io mi guardo in faccia con Enzo, a cui voglio molto bene e lui ne vuole a me e... io con la famiglia Galatolo quello a cui... abbiamo più...”... ”confidenza, è con Enzo, è con Enzo, è con Enzo... poi c'è Pinuccio ma diciamo che ho più confidenza con Enzo... ci guardiamo in faccia, anzi..”204 Riguardo alle dichiarazioni che il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia ha fatto sul conto della famiglia di Carollo, Toni reagisce duramente: Carollo: “quello che ha detto della buonanima di mio padre ...(pp.ii.), quello che ha detto della buonanima di mio padre... è una cosa veramente... ti dico, a un certo punto..” Persona sconosciuta: “ Ma questo cosa spera di ottenere! Io non l’ho… Io vorrei entrare un attimo nel loro cervello per poter capire…” Carollo: “Non ci si riesce. Cioè, uno che ha un minimo di dignità, non dico una persona che abbia una forte dignità, come posso averla io...” … Carollo: “ Ma un minimo di dignità, proprio a livello proprio… proprio uno che dici che è un mezzo pagliaccio, però c’ha un minimo di dignità, non ci riesce a dire quelle parole. Renditi conto. Che è uno poi che ha un’età maggiore e riesce…” Persona Scon.: “Infatti si sta assistendo a una contro reazione che dalle nostre parti è inimmaginabile. Dico, ... (pp.ii.) donne e bambini. Pero', diciamo, questa controreazione è l'unica arma che si ha in possesso, perché se no... dopo si vanno vendendo tutto, si fanno salire e ..."205. In questo pezzo intercettato il 22.1 è chiaro lo sdegno per le parole usate da Mannoia, uomo d’onore della famiglia di “Santa Maria di Gesù”, in particolare in relazione alle dichiarazioni 203 Ibidem, p. 494. 204 Ibidem, p. 497. 205 Ibidem, p. 501 66 su Gaetano Carollo. Mannoia riferiva di Carollo come sottocapo della famiglia di Resuttana fino alla morte, di intensi traffici di eroina tra Milano e Palermo206 con Armando Bonanno –parlava di contatti avuti personalmente contatti con Carollo e Bonanno e per la produzione di alcune sostanze utili nella raffinazione-, strangolato dopo l’uccisione di Carollo perché ambiva a prendere il suo posto; inoltre l’omicidio dello stesso Carollo è maturato nell’ambito della famiglia di Resuttana, nella quale Gaetano Carollo “scalpitava troppo” e s’era mostrato troppo “esuberante”207. Infine un altro importante episodio riguardante i contatti con l’ambiente mafioso siciliano viene rilevato il 31.1.1990, quando, parlando con Zacco dei troppi affari in corso e della loro insostenibilità, Carollo replica con una frase che non necessita spiegazioni: “No, io infatti sto eliminando tutto. Ti dico, sono arrivato a parlare chiaro pure con i Corleoni. Io… (pp.ii.) con i Corleoni”208. Non entrando nel merito degli specifici rapporti e della loro sussistenza, basandosi puramente sulle intercettazioni ambientali e sulle dichiarazioni del pentito Mannoia, emerge la conferma dell’attualità di rilevanti rapporti mafiosi di Carollo –e Zacco-, in continuità con il padre Gaetano, in particolare nella famiglia di “Resuttana” di cui era sottocapo e più in generale con le famiglie uscite vincenti dalla guerra di mafia (riferimento ai corleonesi). Queste considerazioni evidenziano la pericolosità sociale dell’associazione, aggravata dalla qualità degli interlocutori milanesi e dalla capacità di movimento nel mondo economico reale, attraverso figure imprenditoriali, membri a pieno titolo dell’organizzazione. Assessori, funzionari e tangenti Mentre l’indagine si allarga con le prime intercettazioni in tema di mafia e amicizie siciliane, il 18 dicembre 1989 Carollo parla, facendo nomi pesanti che scuoteranno la città. Mentre conversa con Salvatore Cangelosi, riguardo al terreno del Ronchetto e della sua metratura, parla delle convenzioni in corso per lottizzare: “Sto facendo una convenzione che è alla firma di Schemmari, sono andato a firmare la convenzione, e 206 Sempre secondo Mannoia Carollo disponeva contatti a Milano per procurare l’anidride acetica, sostanza indispensabile per la raffinazione della morfina-base, e la forniva ai laboratori clandestini di Cosa Nostra, rappresentandone il primo fornitore negli anni Ottanta. 207 Ibidem, p. 504-‐5. 208 Ibidem, p. 511. 67 a quel punto…” …“Ora ho chiesto protezione politica, ho trovato protezione politica. L’ho trovata. Io là ho un contatto con Pillitteri, che ci chiamiamo giornalmente con Pillitteri, il sindaco di Milano ci chiamiamo giornalmente… per fissare.. accelerando questa pratica qua… Difatti è alla firma di Schemmari che dovrebbe firmare oggi o domani”209. I nomi emersi sono quelli dei due politici al vertice del PSI milanese e della politica cittadina. Paolo Pillitteri è il sindaco di Milano e cognato di Bettino Craxi, Attilio Schemmari assessore all’Edilizia da tutti indicato come futuro sindaco. Dopo la pausa natalizia nelle intercettazioni, si aggiungono alla rete di contatti altri ambienti. Il 7 gennaio 1990210 Gaetano Nobile telefona a Salvatore Spinello, gran maestro della loggia massonica di piazza del Gesù, convivente di Anita Garibaldi, pronipote di Garibaldi e dirigente del PSI con il ruolo di capo ufficio delle relazioni con l’Europa, facendo emergere rapporti in corso tra i due. Il 25.1 Nobile contatta direttamente la Garibaldi alla sede centrale del Psi in via del Corso a Roma, parlando in tono confidenziale e come risposta alle rimostranze dell’ingegnere circa la difficoltà di contattarla, risponde: “Ad ogni modo però non è che mi sono dimenticata delle cose, m’avean detto che avevi chiamato. E ho richiamato Milano due, tre volte… E mi hanno detto che la cosa è ancora lì”. …“ Allora ho detto: ma perché è ancora lì? Dice… niente, perché dobbiamo, dobbiamo farla così, dobbiamo firmarla. Dico: beh, e quando si firma?”… “E dice… ma, penso entro la settimana. Questa è stata l’ultima cosa.”… “Ho parlato con lui direttamente ma ovviamente lui non segue la cosa personalmente, capisci?” “ Per cui mi ha detto: guarda, ti faccio sapere dov’è immediatamente. Ovviamente non mi ha richiamato lo abbiamo richiamato noi(…) gli feci presente che era urgente, che poi conveniva tutto sommato, perché aveva la sua campagna elettorale eccetera” 211 . Si fa quindi riferimento in questa occasione a pressioni attraverso Anita Garibaldi, per lo sblocco di una procedura, su un interlocutore di un livello tale da potersi permettere di non richiamare dopo numerose chiamate di un dirigente nazionale socialista e in quel momento impegnato in campagna elettorale, quindi una figura di primaria importanza. Confrontando questo passaggio con le intercettazioni che contemporaneamente avvenivano a Lainate, è chiaro che la pratica di cui si attende la 209 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 62. 210 Ibidem, p. 63. 211 Ibidem, p. 74-‐75. 68 firma è quella del Ronchetto, che in quel momento si trova ferma in attesa di approvazione. Il 6 febbraio –giorno successivo all’arresto di Zacco- la vicenda si fa più chiara per voce dello stesso Carollo: ”No no, no, lascia stare che Schemmari è l’assessore e non fa un cazzo, perché Schemmari lo conosco. Se non passa alla commissione Grandi Opere, il progetto Schemmari non può fare nulla”, aggiungendo: “Schemmari da me ha già preso 200 milioni, Schemmari da me, per il progetto di Ronchetto sulle Rane. Schemmari ha preso 200 milioni, da me, personalmente da me, c’ero andato con 200 milioni, io resto ancora fermo due anni… adesso adesso, perché ho avuto l’incontro con Pillitteri e con Schemmari, forse andiamo alla firma dell’intera convenzione, forse in questi giorni…” “E poi, meno male, ci han fatto richieste del cazzo, ci han chiesto solo 20 milioni (…) qui mangian tutti” 212 . Si ha ora la conferma che la procedura ferma è quella del Ronchetto213 , di cui si attende la firma in commissione edilizia (erroneamente chiamata grandi opere, a cui aggiunge le cifre versate all’assessore e agli uffici burocratici per velocizzare l’iter, nonostante sia fermo. Per sbloccare la situazione ci si muove su tre fronti: Cremascoli, Nobile e Tresoldi. Adriano Cremascoli sfrutta la conoscenza avvenuta in vacanza di Fabio Treves214, consigliere comunale dei Verdi, bluesman da sempre vicino ai movimenti e uomo pulito dell’opposizione, che più volte cerca l’assessore a questo scopo, come confermato dalla segretaria215, ma il cui contributo fu ritenuto del tutto ininfluente e senza seguito216. Nobile effettua pressioni per mezzo di Anita Garibaldi, del figlio Francis Hibbert e di Spinelli, che si trovano a Milano rispettivamente il 28 e 27 febbraio, pur non essendo chiaro con chi si incontrano tra Schemmari o Pillitteri217. E infine da parte di Renzo Tresoldi che si occupa di seguire la pratica all’interno dell’amministrazione218 facendo pressione costante sulla burocrazia, su Giuseppe Maggi, capo ripartizione dell’Urbanistica e Pietro Predella caposervizio. Non casuale 212 Ibidem, p. 79. 213 Di cui Carollo confonde il nome chiamandolo Ronchetto delle Rane anziché sul Naviglio. 214 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 239. 215 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.674. 216 Ibidem, p.668. Si segnala inoltre un tentativo di corruzione per mezzo di un orologio acquistato da Cremascoli per Treves. 217 Ibidem, p.695. 218 Come compenso gli è corrisposta una percentuale del 2% sulle future vendite. Ibidem, p.628 69 è il fatto che Tresoldi entri in gioco proprio nel momento in cui Vito Totaro, capo ufficio lottizzazioni che per tutto per tutto l’iter aveva tenuto un comportamento favorevole alla pratica, è costretto da una malattia a stare lontano per diversi mesi dagli uffici 219 . A conferma del pagamento della tangente rilevato nell’intercettazione220 si ha il fatto che per tutto l’iter si è assistito a un cammino favorevole, con estrema velocità e rapporti contrassegnati dalla dicitura “urgente- via breve”. Per la pratica del piano di lottizzazione C1615 area Martinelli-Coppin, si succedono 5 progetti presentati dal 1986 al 1989, elemento che conferma la presenza di contatti interni all’amministrazione comunale, per l’insistenza nonostante le difficoltà occorse. Il piano è fermo dal dicembre 1989 sulla scrivania di Schemmari 221 , e nel suo corso è rimasta ferma a causa di imprevisti e fatti imprevedibili che lo rallentano, per i quali gli appoggi interni non possono agire: si ha l’inchiesta sulle aree d’oro, il richiamo del piano da parte del direttore generale per quattro mesi, problemi per la valutazione di alcune aree in cui era necessario il passaggio di proprietà da comune a privato e infine la legge Tognoli che obbliga a rivedere parte del piano222. La cosa certa è che le pressioni funzionano, e permettono di sbloccare la pratica. Il 21.2 Cremascoli chiama Nobile, comunicando che “Questa mattina è arrivato sul tavolo dell’assessore, dopo le varie firme di Pradella, Maggi, eccetera; domani sera c’è consiglio comunale e quindi sono d’accordo di andare lì in comune e poter parlare con Treves e l’assessore”223. Il 1 marzo alle 21,08 si ha la conferma della firma dell’assessore per voce di Tresoldi a Nobile: “Senta, tra tante tristezze devo dirle che c’è una bella notizia, è stata firmata”224. A questo seguono le firme il 6 marzo in giunta comunale e il 29 in consiglio. Nella fase finale dell’iter procedurale la pratica in un solo giorno giunge dall’assessore a Maggi e da questi passa alla 219 Ibidem, p.628. 220 oltre a un accredito sul conto di Totaro pari 34.900.000 lire non giustificati in quel periodo. Ibidem, p.623. 221 Ibidem, p. 674. 222 Ibidem, p.615-‐16. 223 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 80. 224 Ibidem, p. 82. 70 Commessione edilizia225, mostrando tutta la sua celerità. Dietro questa attivazione vi è la scadenza rappresentata dall’ultimo consiglio comunale disponibile per l’approvazione, a causa dello scioglimento previsto per le elezioni, che avrebbe comportato una netta dilatazione dei tempi. L’approvazione avviene su una pratica viziata da numerose irregolarità nella sua forma e in tutte le sue fasi: la mancanza del rispetto dell’art27 della Variante generale al PGT del 26/08/1980226; la prassi di ricevere direttamente le tavole modificate senza transitare per l’ufficio protocollo227; presenza di data non corrispondente all’epoca delle modifiche avvenute, importante poiché il progetto apparisse di data più risalente, in modo da far credere che fosse stato oggetto di istruttoria completa 228; inoltre non vengono inoltrati gli atti al consiglio di zona 16 per il rischio di un’attesa di 30 giorni per esprimere un parere, anomalia celata inserendo il lotto sotto la zona 14229 –vi è l’obbligo di partecipazione dei rappresentanti di zona interessati, alle sedute in commissione edilizia-. Il 2 maggio viene presentata la richiesta d’arresto da parte del pubblico ministero Ilda Bocassini, il 15 maggio il giudice dell’indagine preliminare Edoardo d’Avossa firma i mandati di cattura e nella notte tra il 15 e il 16 maggio vengono arrestati i protagonisti della vicenda: Carollo, Nobile –mentre si trovava a Treviso per l’acquisto della finanziaria Ifai-, Bonanno, Girgenti e Coraglia. La fase successiva scatta la mattina presso le sedi di Roller e Montiimmobiliare per raccogliere pratiche e contabilità230. In breve tempo vengono a galla conti neri e doppia contabilità di Coraglia per far sparire miliardi dalla dichiarazione dei redditi231. All’esterno delle caserme e del Tribunale non trapela nulla, solo un comunicato in cui si segnala una rilevante operazione che dopo due anni di lavoro “colpisce consolidati interessi economici e finanziari di organizzazioni mafiose, operanti da più tempo a Milano nel 225 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.636. 226 Che stabilisce le percentuali di utilizzo delle zone residenziali rispettivamente; residenziale 75%, funzioni compatibili max 25% e uffici pubblici o privati max 10%. Nell’ultimo progetto presentato vengono eliminate le funzioni compatibili e nel corso d’opera nella riunione con la proprietà di febbraio ’90 gli uffici, mentre più volte si è fatta pressione per l’aumento di superficie da desttinare a negozi. Ibidem. 227 Ibidem, p. 618. 228 Ibidem, p. 637. 229 Ibidem, p. 638. 230 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 89. 231 Ibidem, p.90. 71 grande traffico delle sostanze stupefacenti e nel reinvestimento degli illeciti guadagni in attività apparentemente pulite”232. Il caso viene alla luce il giorno successivo con una conferenza stampa trionfale in cui si parla dei rapporti con Nobile e Coraglia e della droga “raffinata sotto il diretto controllo dei clan corleonesi”, i contatti politici sono omessi. Il caso pubblico scoppia solo a settembre quando gli atti vengono depositati in cancelleria, mentre il 15 settembre vengono colpiti i comuni dell’hinterland in cui Coraglia aveva sedi233, interessando funzionari, assessori e sindaci -in testa Elio Aquino, ex sindaco di Bollate, amico di Craxi che aveva introdotto Coraglia ai piani alti del partito socialista 234 -, il 19 settembre “La Repubblica” inizia la pubblicazione delle intercettazioni, con una ricostruzione della vicenda 235 . Il 20 settembre intitola “Banche, fidi, conti neri, la Piovra dentro Milano”, nella cronaca di Milano si ripercorre l’iter della pratica con il titolo: “Le licenze della Piovra, così la mafia beffò il Comune”, seguito da “Aree, case, promesse: la Mafia entra in gioco”. Il 22 settembre sulla stessa testata: “Il presunto boss Toni Carollo affermerebbe di aver versato una sostanziosa tangente ad un politico milanese”. Le intercettazioni si diffondono anche sugli altri quotidiani cittadini, presentando le sole parti su Schemmari e Pillitteri, come armi a scopo politico. Scoppia il caso a Palazzo Marino mentre le opposizioni chiedono con forza le dimissioni di tutta la giunta, socialisti e comunisti gridano all’attacco politico. Dal comune esce un comunicato lo stesso 20 settembre annunciando che “il piano di lottizzazione proposto dalla Fincos è stato bloccato tempestivamente su proposta dell’assessorato competente” 236 , dichiarazione palesemente falsa e contrattacca denunciando ignoti per “millantato credito”237 a carico di ignoti il 27 settembre238. Oltre al millantatore si vocifera la presenza di una “talpa”, personaggio molto noto a Palazzo Marino che si sarebbe assiduamente interessato alla pratica in questione. Il giorno successivo i quotidiani identificano la talpa come Fabio Treves, il cui nome è stato fatto ai giornalisti da Gaetano Morazzoni, capogruppo democristiano in 232 Ibidem, p. 91. 233 Bollate, Cesano Boscone, Opera, Liscate. 234 Ibidem, p. 106. 235 Colaprico, P., Pasolini, C. “La Repubblica”, 19 settembre 1990, p.8. 236 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 108. 237 Ibidem. 238 Mafia, Pillitteri mette le mani avanti, “La Repubblica”, 28 settembre 1990, p.19. 72 Comune e Maurizio Ricotti capogruppo psi in regione239. È l’assessore verde, molto conosciuto in città per le sue campagne politiche, colui contro si punta il dito. E per tre giorni non si ottiene nessuna risposta, fino alla conferenza stampa dove, con la voce spezzata dal pianto, ammette confusamente il ruolo svolto “conoscente di un vecchio amico”240. Pedina inservibile di Cremascoli, Treves non verrà incriminato ma sarà chiamato a testimoniare dal p.m. Bocassini ed esce dalla vicenda politicamente distrutto. In una città in cui la tangente è la norma si può trascurare la mazzetta, ma non se questa arriva dalle mani di Cosa Nostra direttamente in Comune. Inizia la denuncia al clima imperante in città. Demetrio Costantino, presidente dell’ordine degli architetti ed ex segretario provinciale psi spiega come ormai “la corruzione è la norma”, cosa che tutti sanno in città. La dose è rincarata da Gianfranco Ballarin, ex segretario provinciale dc: “esiste un partito trasversale della tangente, in consiglio comunale si fa finta di dividersi tra maggioranza e opposizione, poi ci si mette d’accordo, tutte le grandi decisioni passano attraverso il consenso dei tre partiti maggiori. Comunisti, socialisti e democristiani si spartiscono i grandi progetti” 241 . Il contrattacco del Comune parte il 22 settembre, tutte le carte del Ronchetto vengono inviate al P.M. e parte un’indagine interna che individua i colpevoli in Maggi e Predella, i due più importanti funzionari all’Urbanistica che vengono rimossi e accusati di corruzione. Nei primi giorni d’ottobre giunge anche la commissione antimafia per cercare di fare chiarezza sul caso. La designazione della democristiana Fumagalli Carulli come relatore del gruppo studio, incaricata dal presidente Chiaromonte, accende ulteriormente il caso politico, ritenendola responsabile di voler demolire l’immagine rosso-‐verde. Ma la giunta nonostante le continue arie di crisi e una situazione paralizzata resta in sella, con il solo trasloco di Schemmari al Bilancio. Il 28 febbraio il Giornale di Montanelli pubblica in prima pagina un rapporto riservato del prefetto Carmelo Caruso242, dal titolo “Un assessore milanese sotto inchiesta per mafia”. La resa 239 “La Repubblica”, 29 settembre 1990, p.8 240 Colaprico, P., Fazzo, L., p. 109.. 241 Ibidem. p.113. 242 Ibidem. p.126. 73 dei conti si ha il 6 marzo. La procura invia l’invito a comparire ad Attilio Schemmari con ipotesi di reato di corruzione, seguite dalle dimissione dell’assessore, respinte da Pillitteri. Mentre la situazione precipita, il sindaco il 17 si presenta con il suo avvocato nella caserma di viale Umbria facendosi interrogare. Segue un comunicato che annuncia l’archiviazione della posizione di Pillitteri, frase ambigua che conferma della sua presenza tra gli indagati. Quel giorno si conclude la vicenda politica, con il solo Schemmari tra gli imputati, accusato di abuso d’ufficio, primo politico della storia milanese a finire in un processo di mafia e riciclaggio. 4.4 Processo Il 31 maggio inizia il processo, uno unico per tutti gli imputati, mafiosi, trafficanti, funzionari, come deciso dal presidente del tribunale. Conterà 144 udienze in un susseguirsi di testimoni di ogni natura, con una richiesta di pena di 270 anni complessivi243. La sentenza arriva il 25 maggio 1992, 2 giorni dopo la strage di Capaci, con la condanna di tutti i 20 imputati244: Antonino Carollo è condannato a 27 anni di reclusione per associazione a delinquere, i delitti connessi e corruzione, Nobile 21 anni245, Coraglia 15, Bonanno 21 anni, Meli 20 anni , Zacco 25, Schiattarella, Panaia e Girgenti 11 anni, La Rosa 8 e Malu 3 anni. Per i funzionare: Totaro 3 anni 2 mesi, Maggi e Pradella 3 anni, Cremascoli e Tresoldi 2 anni 4 mesi, l’assessore Schemmari 1 anno e 8 mesi246. Il commento di Ilda Bocassini, tra le lacrime per la morte dell’amico e ispiratore dell’indagine Giovanni Falcone, è significativo: “ è la dimostrazione che non sono invincibili, che se si lavora con cura, con attenzione, con pazienza si possono raggiungere questi risultati” 247 .Nel processo d’appello il quadro è sostanzialmente 243 Fazzo, L. “Duomo Connection l’accusa chiede 270 anni di carcere”, La Repubblica, 17 aprile 1992, p.17. 244 Tribunale di Milano, sentenza di I grado, settima sezione, presidente Renato Caccamo, 25 maggio 1992, p.520-‐ 245 Non aveva una sfera di interessi patrimoniali autonomi e distinti da Carollo a differenza di Coraglia. Per l’estrazione sociale e il ruolo imprenditoriale, è resa più grave la posizione di questi due, messisi al servizio di pericolosi settori criminali. 246 Ibidem, p.716. 247 Portanova, M., Rossi, G., Stefanoni, p. 246. 74 confermato con alcuni lievi sconti di pena248: a Carollo 24 anni, 11 Coraglia, 22 Zacco, 18 Bonanno e un forte sconto a Nobile che passa da 21 a 12 anni dopo aver collaborato249. Per i funzionari all’Urbanistica le pene sono ridotte da 3 a 2 anni, confermata la pena di Schemmari. Alcuni mesi dopo è la V sezione penale della Corte di Cassazione ad annullare la sentenza, il 14 novembre 1995, causando uno scontro tra giudici milanesi e romani. Tutto è rinviato alla Corte di Appello, ritenendo illegale l’uso delle intercettazioni ambientali utilizzate per le indagini e sollevando eccezioni sulle deposizioni del pentito Saverio Morabito250. Nel secondo processo di appello vengono confermate le condanne del primo processo d’appello con lievi sconti: pena confermata a 1 anno 8 mesi per Schemmari, 24 anni Carollo, 22 Bonanno, 21 Zacco, 15 Meli, Schiattarella e Panaia, 10 Girgenti, 9 Nobile, per Coraglia la condanna scende a 2 anni e 4 mesi, con la sola accusa di corruzione251. L’ultimo atto si ha il 23 dicembre 1997 quando la Corte di Cassazione emette la sentenza definitiva. Confermati i 22 anni per Carollo e la condanna di Nobile, Schemmari ottiene la prescrizione del reato, Coraglia viene assolto, la prescrizione cancella anche i reati di Totaro e Maggi252 248 La sentenza si ha l’11 novembre 1996 da parte della terza Corte d’Appello (presidente Fenizia), dopo 12 ore di camera di consiglio. 249 Ibidem. 250 Ibidem. 251 Corriere della Sera, 12 novembre 1996, p.47. 252 Corriere della sera, 24 dicembre 1997, p. 45. 75 CONCLUSIONI La Milano degli anni Ottanta è una città che dietro la facciata di vivace capitale europea alla moda versa in uno stato di decadenza morale. Lo scenario politicoeconomico si regge sull’illecito, con una corruzione sistemica e un flusso di tangenti che automatiche si riproducono, coinvolgendo ogni settore e rafforzandosi. La mazzetta è preventivata al momento della firma di un progetto o una pratica, come un sovrapprezzo necessario, perché “tutti devono mangiare” e così conviene ad ambo le parti. La tangente assume i connotati di una “messa a posto” necessaria per essere o restare competitivi, perché per lavorare è necessario adattarsi al sistema, l’alternativa di non cedere alla consuetudine diffusa porta a restarne al di fuori, scartati dalla perversa selezione naturale. In questo clima la politica corrotta che si spartisce sottobanco gli incarichi e i lavori, gridando allo scandalo solo quando emerge l’errore di qualche incauto ingranaggio -per poi mettere a tacere le voci il giorno dopo e ritornare alla collaborazione-, non può prendere decisioni contro se stessa, contro la macchina di finanziamento delle sue stesse correnti di partito, e non resta che adattarsi contribuendo alla cassa o acconsentendo nel silenzio. Gli anticorpi non sono presenti neanche in un’opinione pubblica passiva, impegnata nella vita di tutti i giorni, non interessata ai teatrini politici e agli scandali contro cui inveisce, per tornare poi alle più “serie” preoccupazioni quotidiane, rimuovendo. Cittadini distratti e non senza colpe nell’accettare il sistema sotto gli occhi di tutti che non vuole essere visto, che abbassano la testa davanti alle voci di condanna che giungono da isolati circoli che non vogliono arrendersi alla immobilità del malaffare. In questo contesto distratto, debole e compromesso, può espandersi senza resistenze una criminalità che facilmente si sviluppa trovando elementi propizi ed è libera di espandersi alla luce del sole. Le basse resistenze morali fanno il resto, accogliendo le cellule criminali che possono liberamente contagiare il corpo cittadino, sfruttando semplicemente le sue stesse regole e nutrendosi delle sue debolezze. Mentre si distribuiscono mazzette nei palazzi, le organizzazioni mafiose colonizzano Milano, collaborando tra loro e spartendosi i ricavati dei traffici, inserendosi nell’economia lecita e nella Borsa, portando i soldi sporchi che la città brama, fino a bussare ai palazzi del potere. Mafia e ‘ndrangheta si adattano al contesto e alle sue regole, sfruttando lo schermo di imprenditori e professionisti corruttibili, potendo attuare solidi investimenti con una 76 reciproca collaborazione. È questo il contesto in cui si sviluppa l’inchiesta Duomo Connection, la dimostrazione che la mafia sia penetrata a fondo in città sfruttando i canali del sistema corruttivo. In una Milano decadente, alla vigilia del crollo del sistema politico su cui si reggeva da decenni, si ha una scossa, un risveglio delle coscienze sulla scia di una magistratura e un corpo di forze dell’ordine che interviene a testa alta, iniziando ad indagare a fondo su un frammento del sistema criminale cittadino, giungendo in un corso rapido di eventi all’interno del Comune stesso e all’inizio dell’emersione di una parte dell’imperante illecito regolarizzato. Si ha la prima grande indagine che porta mafiosi, imprenditori, politici e funzionari in una stessa aula di tribunale, fianco a fianco, dimostrando che lavorando duramente è possibile sconfiggere la criminalità e fermarne l’avanzata, che è possibile reagire non accettando lo status quo e cambiare le cose volendolo. Non è casuale probabilmente che dopo questa prima prova di reazione, l’anno successivo si ha Tangentopoli e la condanna dell’intero sistema partitico italiano che permetterà l’emergere completo del sistema corruttivo, come non è un caso che alla Duomo connection seguiranno in pochi anni nove inchieste sulla criminalità organizzata nel milanese, dimostrando da un lato come diffusa sia stata la crescita delle organizzazioni mafiose, pienamente capaci di adattarsi al contesto, dall’altro confermando che la repressione è possibile mantenendo alta la guardia. 77 BIBLIOGRAFIA Alighieri, D., Divina Commedia, Inferno canto XXI versi 37-42 da Sermonti, V., L’Inferno di Dante, Milano. Bur, 2007. Banfield, E., Le basi morali di una società arretrata, Bologna, Il Mulino, 2006. Barbacetto, G., Gomez, P., Travaglio, M., Mani Pulite. La vera storia 20 anni dopo, Milano, Chiarelettere, 2012. Barbacetto, G. e Veltri, E., Milano degli scandali, Bari, Laterza, 1992. 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