Performance e postura nella scherma

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Performance e postura nella scherma
Pubblicazione trimestrale tecnico-scientifica
Anno V - Numero 17 Marzo 2012
REGISTRAZIONE N. 31/2008 RILASCIATA IL
14/10/2008 DAL TRIBUNALE DI PERUGIA
SEMPRE PRIMI NEL
CAMPO
DELL’INFORMAZIONE
ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA
NELLA PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E
EDITORIALE
CAMMINARE FA BENE, MA COME
CAMMINARE CORRETTAMENTE?
PERFORMANCE E POSTURA NELLA
SCHERMA
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO
ED EQUILIBRIO.
ANALISI DELLE CARATTERISTICHE DI
E Q U I L I B R I O I N PAT T I N ATO R I S U
GHIACCIO DI ALTO LIVELLO
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLA
DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA
Journal
Direttore Responsabile
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Direttore Scientifico
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Direttore Editoriale
Luca Russo
Progetto Grafico
ELAV snc
Segreteria di Redazione
ELAV snc
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Hanno collaborato a questo numero:
Umberto D’Eramo
Fabiana Di Natale
Alberto D’Ovidio
Renato Manno
Marcello Luca Marasco
Fabio Rastelli
Gabriele Rossi
Luca Russo
Fabrizio Villa
Pubblicazione Trimestrale Tecnico-Scientifica
Anno V - numero 17 Marzo 2012
REGISTRAZIONE N. 31/2008 RILASCIATA
IL 14/10/2008 DAL TRIBUNALE DI PERUGIA
I
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ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
ELAV
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
EDITORIALE
“OOOPS, I DID IT AGAIN” non è stato solo il titolo di un vecchio album musicale di una nota cantante statunitense, ma è stata la frase che tutto l’intero Staff di ELAV ha pensato appena dopo la conclusione dei lavori del secondo ELAV Fitness Science National Congress. Per il secondo anno consecutivo ELAV ha unito le proprie forze con la FIPE e ha portato a Roma uno degli eventi congressuali più importanti e all’avanguardia per scientificità ed innovazione dei contenuti nel panorama del fitness. La location del Forum Sport Center di Roma ha permesso di ospitare oltre 120 partecipanti e ben 7 stand dedicati ai partner tecnici di ELAV, mentre la collaborazione tra ELAV e le Università, in particolare con le Facoltà di Scienze Motorie, ha visto la presenza di 10 relatori
con altrettanti contributi di altissimo livello di scienza applicata al fitness. ELAV in questa edizione ha avuto anche il piacere di avere ospite tra i propri relatori il Prof. Jurgen Weineck che sapientemente ha mostrato come
sia possibile adattare le metodologie sportive al fitness permettendo ai praticanti di ottenere ottimi livelli di forma.
Gli obiettivi di ELAV per il 2012 non si fermano qui e in cantiere vi sono altri due eventi congressual: a Giugno il
congresso sportivo e a Novembre il congresso medical.
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FITNESS E SALUTE
CAMMINARE FA BENE, MA COME CAMMINARE CORRETTAMENTE?
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
CAMMINARE FA BENE, MA COME CAMMINARE
CORRETTAMENTE?
Russo Luca Ph.D.1, D’Eramo Umberto2
1
Docente ELAV, Facoltà Scienze Motorie L’Aquila
2
Tecnico ortopedico, Docente Master Posturologia
Roma "La Sapienza" e Palermo
INTRODUZIONE
È ormai sempre più comune, se non addirittura diventata una prassi costante, che medici di base e/o specialisti suggeriscano ed invitino i propri assistiti a fare
attività motoria e per lo più ad aumentare la quantità
di passi svolti in un giorno dal momento che orami nel
2012 è abbastanza accertato che uno stile di vita attivo possa offrire una serie di benefici sulla salute che
altrimenti sarebbero difficili da ottenere. La prima forma di attività fisica che viene pertanto iniziata e svolta
da una popolazione adulta è proprio il cammino.
Camminare è l’azione motoria attraverso cui l’uomo
vive la propria vita relazionale e un’interruzione per
un qualsivoglia motivo più o meno grave di questa
attività comporta senza dubbio una modifica importante dello stile di vita dei soggetti. Per tutta una serie
di motivi,ma principalmente per il ruolo fondamentale
che il cammino svolge nella vita di relazione, appare
allora chiara l’importanza di mantenere correttamente
funzionanti le strutture, ma soprattutto gli schemi e i
pattern di movimento corretti preposti alla realizzazione di questo gesto così importante per la nostra quotidianità e la nostra salute. L’articolo affronterà le problematiche inerenti alla deambulazione, gli schemi di
cammino scorretti e gli aspetti su cui focalizzare l’attenzione nel cammino dei soggetti che seguiamo in
palestra.
LE STRUTTURE DEL CAMMINO
Per quanto possa sembrare banale, l’azione motoria
del cammino è in realtà un’azione complessa che
svolgiamo con relativa naturalezza perché siamo
“allenati” e adattati ad essa da diversi milioni di anni.
Camminare prevede sostanzialmente la messa in
moto di due sistemi (Perry, 2005): l’unità Locomotrice
e l’unità Passeggero (Figura 1).
Per unità Locomotrice si intende sostanzialmente la
porzione del corpo umano con funzione motoria,
mentre il Passeggero viene inteso come quella massa che viene trasportata durante il cammino. Sebbene alcuni dati scientifici (Perry, 2005) indicano che un
comportamento attivo o passivo degli arti superiori
non modifichino il costo energetico della camminata
va comunque sottolineato quanto precedentemente
detto, ovvero che il cammino attiva entrambe le unità.
Il Passeggero infatti, seppur non principalmente coinvolto nello spostamento in avanti del corpo intero deve per forza di cose essere attivato muscolarmente in
quanto la posizione più o meno eretta del rachide può
alterare la meccanica del cammino, così come anche
la contrazione attiva del torchio addominale che trasferisce e gestisce le forze dall’unità Locomotrice al
Passeggero.
La complessità del gesto si trova nella continua atti-
Figura 1 - Unità Locomotrice
e Passeggero
vazione e disattivazione di un gran numero di muscoli
che lavorano contemporaneamente.
Tra le porzioni anatomiche più rilevanti durante il
cammino senza dubbio va citato il piede, in quanto
unico vincolo con il terreno e deputato a svolgere una
doppia funzione: approcciare il terreno e adattarvisi,
sorreggere la massa corporea e rimandare vero i segmenti articolari superiori le informazioni per una corretta cinematica del movimento. Questo ruolo, che
viene dato per scontato da molti (operatori del settore
compresi) è invece spesso la prima motivazione di
dolori, fastidi e limitazioni funzionali che si avvertono
durante il cammino.
Facciamo un esempio pratico: se le ruote della nostra
auto sono equilibrate male e sono consumate asimmetricamente inevitabilmente il nostro sterzo comincerà a vibrare fastidiosamente, allo stesso tempo un
appoggio del piede errato durante il cammino fornirà
delle informazioni geometrico-spaziali errate alle ginocchia, queste alle anche e queste al rachide. Ecco
spiegato con un banale esempio come alcuni dolori
cervicali (in alcune situazione) possono derivare da
un uso scorretto del piede. Questo avviene semplicemente perché il nostro sistema biologico è “un sistema cibernetico, che possiede due caratteristiche: è
autoregolato e auto adattato. In effetti si comporta
come un sistema che si autoadatta nel suo squilibrio
ma che non può correggersi da solo”(Bricot 1998).
Pertanto, prendendo per vero questo assunto come si
può trasformare la camminata dei soggetti che seguiamo da una potenziale fonte di tensioni muscolari
anomale ad una salutare attività fisica? Come per
ogni quesito inerente alla maggior parte dei fenomeni
dell’ambito biologico la risposta è scritta nella conoscenza stessa del fenomeno.
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FITNESS E SALUTE
LE FASI DEL CAMMINO
L’essere umano si muove sostanzialmente attraverso
una perdita dell’equilibrio statico al fine di creare un’inerzia (Figura 2), questa strategia permette quindi al
corpo di avanzare (in maniera economica) unitamente
alla contrazione muscolare del piede in spinta, ma
lascia il corpo in completa “caduta libera” durante gli
ultimi 1-2 cm di movimento prima di toccare terra
(Figura 3). Questa situazione pone il calcagno sotto
un forte stress ad ogni passo che in circa 2 centesimi
di secondo deve assorbire il 60% circa del peso corporeo (Perry, 2005). Appena dopo questo istante è la
porzione anteriore del piede che rapidamente va a
terra frenata dal tibiale anteriore (Figura 4).
Da quanto appena riportato appare quindi chiaro che
la fase di contatto al suolo sia un momento estremamente delicato dell’intero ciclo del passo, in cui la fase di contatto al suolo ha una durata maggiore della
fase aerea del piede (Figura 5). Proprio la fase di appoggio al suolo è il momento in cui vi verificano gli
assetti errati e in cui l’intervento del Laureato in
Scienze Motorie è fondamentale per valutare innanzi
tutto la corretta esecuzione o meno del gesto e poi
per mettere in atto strategie di insegnamento e correzione del gesto del passo.
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CAMMINARE FA BENE, MA COME CAMMINARE CORRETTAMENTE?
Figura 5 - Ciclo del passo
Figura 2 - Sbilanciamento anteriore del centro di massa
Durante la fase di appoggio, al momento del contatto
iniziale del piede che possiamo definire “filogravitaria”
possono verificarsi sostanzialmente tre tipologie di
approccio al terreno:
1. Modalità corretta: il calcagno approccia il terreno
in posizione neutra, dirigendo successivamente il
peso verso la porzione laterale del piede (Figura
6)
2. Modalità Valga: il calcagno approccia il terreno in
posizione di valgo con la porzione mediale, dirigendo inevitabilmente il peso sul comparto mediale del piede (Figura 7)
3. Modalità Vara: il calcagno approccia il terreno in
posizione di varo con la porzione laterale, dirigendo inevitabilmente il peso sul comparto laterale del piede (Figura 8).
Figura 3 - Fase di caduta libera del
corpo in deambulazione
Figura 3 - Discesa parte
anteriore del piede
Figura 6 - Appoggio corretto
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FITNESS E SALUTE
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CAMMINARE FA BENE, MA COME CAMMINARE CORRETTAMENTE?
Figura 7 - Appoggio valgo
Figura 9 - Andamento dei valori fisiologici di cammino (in
bianco) e di corsa (in nero) in
funzione delle velocità
(Saibene e Minetti, 2003)
Figura 8 - Appoggio varo
Escludendo il primo caso che è stato già definito come modalità corretta, appare chiaro che gli altri due
portino inevitabilmente a condizioni di disequilibrio del
piede e conseguentemente dei segmenti superiori.
Un appoggio in valgo o in varo reiterato nel tempo
posso portare ad una marcata iperpronazione (nel
primo caso) o ipersupinazione (nel secondo caso) del
piede e quindi ad un uso scorretto del piede in fase di
spinta il quale non utilizzerà al meglio la muscolatura
plantare per la propulsione, venendo meno in entrambi i casi la capacità di deformarsi sotto carico e restituire dell’energia elastica utile alla propulsione. Queste condizioni impediranno al soggetto in questioni di
camminare per lungo tempo oppure di camminare a
velocità sostenute o vicine alla velocità di transizione
cammino-corsa, che sembrerebbe essere la migliore
in termini di consumo energetico (Figura 9).
L’andamento ottimale di ogni appoggio a terra prevede allora un appoggio del calcagno in posizione neutra, un appoggio dell’istmo e quindi un passaggio del
peso del corpo sulla porzione laterale del piede ed
Figura 10 - Movimento ideale del piede durante
la deambulazione (Software Milletrix DIASU)
infine uno svincolo del piede dal suolo attraverso una
spinta attiva dei metatarsi e dell’alluce (Figura 10).
Questa condizione, del tutto ideale, è da insegnare e
sviluppare nei soggetti che svolgono la camminata
come base del loro esercizio fisico, al fine di massimizzare i benefici di questa attività, limitando quanto
più possibile le problematiche che invece potrebbero
insorgere nel caso di un esercizio svolto scorrettamente e reiterato nel tempo.
CONCLUSIONI E APPLICAZIONI PRATICHE
Al quindi di migliorare la tecnica di cammino in soggetti che mostrano delle difficoltà come quelle fin qui
evidenziate risultano molto utili delle progressioni di
esercitazioni di sensibilizzazione del piede che possono essere svolti pre allenamento, quali ad esempio
deambulazioni sul bordo mediale o laterale del piede
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FITNESS E SALUTE
a seconda di quello che il soggetto utilizza di meno a
causa della tecnica di cammino alterata, oppure l’inserimento di esercizi cavizzanti per il piede (Raimondi
e Vincenzini, 2006) alla fine della seduta di allenamento da svolgere senza le scarpe per i soggetti tendenti al piede piatto-valgo o adeguate sessioni si allungamento e rilassamento della muscolatura plantare per i soggetti tendenti al piede cavo-varo. Infine,
ma non certo per ordine di importanza, dal momento
che la camminata è una fase importante per l’allenamento di molti soggetti praticanti attività fisica non
agonistica, andrebbero assolutamente vietate le cattive abitudini coordinative che possono scompensare
l’esercizio stesso: come ad esempio camminare sul
treadmill in salita ma restando aggrappati alla maniglia anteriore e lasciando così buona parte del lavoro
alle braccia che mantengono il peso piuttosto che agli
arti inferiori che dovrebbero spingere il peso del corpo, oppure utilizzare durante l’esercizio apparecchi
elettronici come telefonini etc. perché è evidente che
l’utilizzo di alcune funzioni di questi apparecchi porti
inevitabilmente ad un calo dell’attenzione e ad una
camminata alterata (Demura e Uchiyama, 2009).
Vanno quindi sensibilizzati i soggetti che scelgono
questi tipo di esercizio per migliorare la propria fitness
che durante l’allenamento andrebbe posta attenzione
nello svolgimento della deambulazione al fine di evitare sovraccarichi funzionali ma soprattutto di riportare
nella vita di tutti i giorni quanto appreso in palestra.
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CAMMINARE FA BENE, MA COME CAMMINARE CORRETTAMENTE?
BIBLIOGRAFIA
1.
Bricot B. (1998). La riprogrammazione posturale globale. Marsiglia; Statipro.
2.
Demura S., Uchiyama M. (2009). Influence of
cell phone email use on characteristics of gait.
Eur J Sport Sci; 9(5):303-309.
3.
Perry J. (2005). Analisi del movimento. Milano;
Elsevier.
4.
Raimondi P., Vincenzini O. (2003). Teoria e
metodologia del movimento compensativo rieducativo preventivo. Perugia; Casa Editrice
Margiacchi-Galeno.
5.
Saibene F., Minetti A.E. (2003). Buomechanical
and physiological aspects of legged locomotion
in humans. Eur J Appl Physiol; 88:297-316.
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SPORT
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
Villa Fabrizio
Tecnico della Nazionale U20 di Fioretto Maschile e
Femminile, Responsabile Settore Fioretto Club
Scherma Roma
INTRODUZIONE
La ricerca di ulteriori metodologie di allenamento suscitano sempre notevole interesse tra i tecnici, soprattutto, quando possono essere di ausilio alle performance degli atleti.
Attualmente la scienza dell’allenamento si sta sempre
più orientando verso la ricerca dell’equilibrio e la sua
capacità di migliorare la prestazione.
Nella scherma non è mai stato affrontato in maniera
approfondita questo tipo di indagine.
Infatti, molti sport già da diverso tempo dedicano spazi sempre più ampi a queste metodologie, svolgendo
diverse sedute di allenamento che implicano l’esecuzione del gesto tecnico, curando il lavoro, anche in
condizione di instabilità posturale.
L’allenamento nella scherma, come tra l’altro in altri
sport, seppure finalizzato al solo gesto tecnico, produce costantemente una modificazione posturale finalizzata a favorire e sostenere l’esecuzione che richiede
continuamente l’aggiustamento di atteggiamenti e
posizione corporee.
Questo progetto vuole provare a documentare le implicazioni e i condizionamenti degli schermidori nella
postura in pedana.
Sicuramente l’allenamento fisico che comprenda una
adeguata “ginnastica posturale”, ove necessita, definisce un rapporto inscindibile tra atleta e ambiente
circostante.
Sembrerebbe, che una corretta postura, consenta
una migliore economia energetica e l’assenza di dolore, anche in presenza di soggetti particolarmente
strutturati e qualitativamente attivi, quali gli atleti di
alto livello agonistico.
Infatti, molti di questi atleti, nel corso del tempo, con
opportuni aggiustamenti posturali, hanno migliorato
anche il proprio gesto tecnico.
A tal fine, è stata effettuata una ricerca con la collaborazione della Filippi Ortopedia del Dott. Massimiliano
Filippi su un campione di 10 schermidori di alto livello
agonistico (nazionale U.20).
L’oggetto dello studio è stata l’analisi attraverso le
pedane multifunzione di misurazione Zebris: sono
stati eseguiti degli accertamenti di routine sulle caratteristiche statiche e dinamiche dell’appoggio podalico,
durante gli allenamenti dei soggetti, ai quali erano
state diagnosticate alcune alterazioni posturali, provando a trattare gli atleti con le “solette propriocettive”.
Lo scopo del nostro lavoro è di individuare, attraverso
il monitoraggio strumentale (postura), e lo svolgimento di alcuni test (performance), la reale funzionalità
delle “solette propriocettive”, utilizzate durante l’allenamento.
Tale utilizzo, comparato successivamente con le im-
magini dei precedenti esami dell’appoggio podalico,
può verificare se le eventuali variazioni posturali ottenute attraverso l’appoggio plantare “corretto” conduce
al ripristino funzionale delle catene cinetiche coinvolte, con la conseguente risposta terapeutica di alcune
patologie muscolo-scheletriche.
I risultati dei test servono per verificare la conseguente correlazione tra il miglioramento posturale e della
relativa performance degli schermidori.
METODI
Le valutazioni sono state eseguite con la gentile e
competente collaborazione di una ortopedia specializzata in piede e postura, che ci ha permesso di effettuare l’analisi attraverso le pedane multifunzione di
misurazione Zebris ed alle solette sensorizzate flessibili del Sistema F.P.S. II, per evidenziare le caratteristiche della base di appoggio plantare, con particolare
riferimento alle dimensioni statiche e dinamiche dell’appoggio.
Il lavoro di analisi, finalizzato a valutare se ci potesse
essere una correlazione tra gli opportuni aggiustamenti posturali ed un miglioramento del proprio gesto
tecnico, è iniziato su un campione totale di 20 schermidori, di età compresa tra i 16 e 22 anni.
Nel corso della ricerca, per motivi di gare, allenamenti
fuori sede, studio e infortuni siamo riusciti a monitorare in maniera continuativa solamente 9 atleti scelti tra:
Nazionale della specialità fioretto “under 20” (maschile e femminile), Nazionale “under 23” di
fioretto e sciabola femminile.
Nessuno degli atleti esaminati, nei sei mesi precedenti aveva subito un infortunio che lo aveva tenuto lontano dalla pedana per più di tre settimane.
Gli schermidori della Nazionale si allenavano quasi
tutti i giorni gli altri almeno quattro volte a settimana e
l’esperimento è stato condotto in un periodo che si
avviava alla preparazione alla fase finale del Campionato Italiano Assoluti (gara nazionale più importante
della stagione agonistica).
Si specifica che i qualificati alla Prova Finale Assoluta
sono risultati solamente i cinque schermidori della
Nazionale. I dati dei soggetti partecipanti allo studio
hanno tenuto conto delle variabili soggettive come
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SPORT
Atleta
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Età (anni)
22
17
18
17
17
17
18
20
22
Altezza (cm)
1.64
1.70
1.83
1.78
1.84
1.62
1.86
1.87
1.84
Peso (kg)
55
57
74
70
67
55
80
88
78
Scarpa (n.)
40
38
44
43
43
38
45
46
43
Tabella 1 - Dati antropometrici dei soggetti partecipanti allo studio
peso, altezza, età e lunghezza del piede (n. scarpe)
degli atleti (Tabella 1).
Al fine di snellire i numerosi dati ottenuti dalle analisi
baropodometriche abbiamo pensato di considerare
alcuni parametri fondamentali ottenuti dagli atleti prima e dopo la correzione posturale con l’applicazione
delle “solette propriocettive”.
Gli atleti prima di sottoporsi alla valutazione delle due
attrezzature hanno effettuato il riscaldamento preallenamento come d’abitudine.
Le valutazioni, svolte in tre giornate non consecutive,
sono state, a loro volta, effettuate dividendo in tre fasi
il periodo di allenamento:
• I fase iniziale esame statico e successivo dinamico; (effettuato a “freddo” prima di iniziare il riscaldamento)
• II fase mediana esame statico e dinamico;
(effettuato dopo circa 45 minuti di allenamento)
• III fase finale esame statico e dinamico.
(effettuato dopo circa 1 ora e 30 minuti di allenamento o al termine dello stesso)
Mentre per alcuni atleti le alterazioni si sono evidenziate già dal primo esame statico per altri si è dovuto
aspettare la seconda o la terza fase dell’indagine.
Dal gruppo che abbiamo sottoposto a tali test, dopo
aver studiato e valutato gli esami effettuati, tre in particolare ci sono sembrati di migliore interesse clinico e
quindi di aver bisogno anche dei plantari.
I tre atleti, infatti, hanno evidenziato alcune alterazioni
delle catene muscolari, della morfologia del corpo e
dell’alterato o errato appoggio plantare.
Gli atleti restanti, pur evidenziando alcune problematiche, ma meno rilevanti, hanno cominciato a lavorare
soltanto sulla correzione del gesto motorio attraverso
le tecniche di ginnastica posturale.
Invece con il gruppo dei tre siamo intervenuti con l’applicazione di “solette propriocettive” non correttive ma
di compenso che svolgono un’azione di riprogrammazione della postura limitando nel tempo anche le alterazioni dei carichi a terra e interagendo sull’appoggio
plantare solo quando l’atleta esprime il suo gesto motorio da correggere.
Si crede che l’innovazione di queste solette, rispetto
ad altri trattamenti passati, sia che non si limitano ad
agire solamente sull’apparato scheletrico ma agiscono anche a livello cinetico sulle catene muscolari, favorendo l’aspetto terapeutico.
Tale procedura, monitorata attraverso i citati strumen-
ti diagnostici, ci ha consentito, dopo un periodo di applicazione, di rivalutare l’atleta per confermare l’eventuale utilità terapeutica.
Le solette sono realizzate con una sottile base in talin
di circa 1 mm sulla quale vengono applicati stimoli di
compenso in caucciù o sughero di circa 2-3 mm.
Questi vengono posti in corrispondenza della catena
di chiusura o apertura a seconda della necessità rilevata dal test effettuato.
Gli spessori stimolano fisiologicamente la catena muscolare attivando il riflesso da stiramento e tendendo
a ristabilire l’equilibrio muscolare.
Tale trattamento di riprogrammazione ha una durata
di circa tre mesi, dopo tale periodo vengono effettuati
nuovamente i test specifici (test della stazione monopodalica, marcia sul posto, baropodometria, stabilometria) per verificare i risultati ottenuti.
La pedana Zebris ci ha permesso l’analisi delle forze
statiche e dinamiche e della distribuzione pressoria
del piede nudo e con calzatura. Le aree di applicazione comprendono la semplice e veloce analisi dinamica del rotolamento e l’analisi statica della distribuzione dei carichi. Si sono evidenziate così le funzionalità
del piede l’equilibrio e tutte le informazioni inerenti
alle asimmetrie dei carichi.
Il Sistema F.P.S. si compone di solette sensorizzate
flessibili da inserire all’interno delle calzature. Tramite
queste solette è stato registrato, tramite Bluetooth,
tutto l’andamento pressorio del piede in movimento
effettuando i test durante allenamenti tecnici o gare.
I test effettuati hanno messo in evidenza, attraverso
l’acquisizione dati effettuate con strumenti di analisi
del movimento, eventuali disturbi legati al movimento
stesso in relazione alle sue varianti ortopediche, biomeccaniche e muscolari.
Al fine di ricercare una possibile relazione tra postura,
gesti tecnici e performance, sono stati testati i soggetti coinvolti con dei test tecnici (sviluppati per l’occasione) prima e dopo il trattamento con le solette.
Il primo test si basava sulla precisione della stoccata:
ovvero dieci azioni di attacco con stoccata portata
con successo sulla spalla di un avversario, con bersaglio in movimento. Il secondo test si basava sulla velocità d’esecuzione: ovvero 10 azioni di attacco con
stoccata portata su quattro punti posti su un bersaglio
statico, si è sviluppata la media dei tempi dopo averlo
effettuato dieci volte ricercando il minor tempo di esecuzione.
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ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
10
SPORT
Atleta
1*
2*
3*
4
5
6
7
8
9
Punto valido sulla spalla su
10 azioni (prima)
7 su 10
5 su 10
7 su 10
6 su 10
4 su 10
3 su 10
4 su 10
8 su 10
8 su 10
Punto valido sulla spalla su
10 azioni (dopo)
9 su 10
7 su 10
8 su 10
7 su 10
5 su 10
4 su 10
4 su 10
8 su 10
7 su 10
Tabella 2 - Risultati pre-post della stoccata in movimento: precisione di movimento (Test 1)
* = utilizzo soletta propriocettiva
Atleta
1*
2*
3*
4
5
6
7
8
9
Tempo impiegato colpire 4
punti su bersaglio statico media su 10 prove (prima)
1,02 sec
1,07 sec
1,06 sec
1,06 sec
1,10 sec
1,13 sec
1,10 sec
1,05 sec
1,00 sec
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
Tempo impiegato colpire 4
punti su bersaglio statico media su 10 prove (dopo)
0,87 sec
0,99 sec
0,88 sec
0,90 sec
1,02 sec
1,09 sec
1,10 sec
1,00 sec
0,90 sec
Tabella 3 - Risultati pre-post della stoccata statica: velocità di movimento (Test 2)
* = utilizzo soletta propriocettiva
RISULTATI
In generale i risultati dell’indagine sono stati molto
incoraggianti e omogenei, in quanto in quasi tutti gli
atleti testati (sia femmine che maschi, destrimani che
mancini) si è riscontrato un miglioramento a livello di
esecuzione del gesto tecnico schermistico sia dal
punto di vista della precisione che della velocità di
esecuzione (Tabella 2, 3).
Da un punto di vista della valutazione soggettiva degli
atleti si è riscontrato visivamente, per molti, un notevole miglioramento a riguardo dell’armonia del movimento tecnico in pedana: qualcuno sembrava avere
un maggior controllo del corpo in quanto effettuava
minori oscillazioni con il busto a parità di gesto tecnico.
Alcuni di loro, a causa di minori interruzioni durante il
test dovute al miglior equilibrio posturale, sono riusciti
a migliorare la propria velocità di esecuzione, ed altri
sono migliorati anche in precisione grazie ad una migliore stabilità.
Si è osservato che le variazioni dei parametri posturali ottenuti con i vari monitoraggi successivi al primo
(Figura 1, 2), corrispondevano con le sensazioni positive provate dagli atleti intervistati dopo aver effettuato
gli assalti di scherma.
Infatti le sensazioni che hanno riscontrato i ragazzi
dopo un periodo, seppur breve, di “training motorio”
sono state facilmente riconducibili alla pratica, in
quanto i soggetti che inizialmente riuscivano brillante-
mente a parare una azione di attacco del loro avversario molto spesso non riuscivano ad eseguire l’azione di contrattacco con efficacia; dopo il periodo di
trattamento, tutto questo avveniva con percentuali
significativamente apprezzabili da atleti e staff.
L’aspetto più interessante che si è verificato e che
non avevamo preso in considerazione all’inizio dello
studio, è stata la diminuzione ed in alcuni casi la
scomparsa di eventi del tipo contratture muscolari,
dolori articolari e sovraffaticamento di alcune catene
muscolari che erano invece precedentemente interessate e che in alcuni movimenti venivano sollecitate in
maniera esasperata.
Tutto questo ha permesso di non interrompere, a causa degli infortuni, l’attività di questi giovani atleti che
spesso sono costretti a periodi di pausa forzati che li
rendono lontani dal principio di continuità dell’allenamento.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
“Essere un buono schermitore significa essere un
fulmine con la potenziale velocità di una molla. Come
il cobra, uno schermitore deve rimanere in una posizione rilassata, ma essere immediatamente pronto a
scattare dall’immobilità, con precisione e forza, con la
velocità massima.”
La nostra indagine ha preso spunto da un vecchio
trattato di scherma, di uno dei massimi esponenti della scherma italiana, il Maestro di scherma Aldo Nadi,
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11
SPORT
Figura 1 - Strategia pressoria media di un
soggetto pre trattamento
Figura 2 - Strategia pressoria media di un
soggetto post trattamento
che scrisse nel 1934 un trattato sulla scherma dal
titolo “On Fencing”.
Ci ha entusiasmato molto l’attenzione da parte del
Maestro Aldo Nadi posta sulla posizione della
“guardia” (postura statica) e la relativa evoluzione, da
quella posizione di partenza, del movimento da compiere con le gambe e braccia (dinamica). Il trattato
sebbene scritto nel 1934 è di un attualità sbalorditiva
se pensiamo che, in quel periodo un assalto di scherma non era cosi dinamico come quelli dei tempi attuali dove invece la rapidità del movimento è uno dei requisiti fondamentali.
“La gamba sinistra (immaginiamo sia posteriore perché destro) non serve solo di sostegno. E’ come la
candela, o meglio ancora, il pistone dell’intera macchina schermistica. Quella gamba fornisce l’energia e
la velocità necessarie per un affondo corretto e veloce. In preparazione a questo, il tallone sinistro dovrebbe sempre essere leggermente alzato dal suolo
(circa un cm. e mezzo). Tutti gli insegnanti di scherma
vi diranno di tenere continuamente entrambi e i piedi
appoggiati alla pedana. Io dico di no. Alzando il tallone sinistro (posteriore) di poco preparate la gamba a
spingere per eseguire un movimento di affondo. Sfrut-
tate al massimo una delle molle più potenti dell’intera
creazione, l’arco del piede, che nell’affondo rilascia la
sua grande potenza attraverso la pressione esercitata
dalla pianta del piede stesso sulla pedana….”
Come si evidenzia dal brano riportato già allora si
tendeva a ricercare una posizione statica ottimale che
potesse agevolare il successivo movimento in maniera da renderlo veloce e preciso.
Allo stesso tempo, rimanere ancorati a delle tecniche
metodologiche appartenenti al passato, seppur vincenti, potrebbe creare degli schemi motori adattati in
cui è prioritaria l’assenza di dolore generando quadri
adattativi meno confortevoli e più dispendiosi. Sarebbe allora auspicabile riuscire ad applicare delle metodologie di lavoro sulle capacità psicomotorie, con le
Società di scherma che desiderano tale assistenza, a
partire dagli atleti delle categorie degli under 14. Questi lavori ci fanno pensare che potrebbero far incrementare e raffinare il loro controllo posturale e conseguentemente migliorare il puro gesto tecnico dei giovani schermitori.
Ne consegue che il Maestro, per non cadere nella
“trappola” di porre attenzione unicamente ai classici
gesti tecnici stereotipati, dovrebbe provare ad insegnare a lasciare al corpo ed al cervello la possibilità di
prendere coscienza del movimento e di studiare e
proporre i gesti più appropriati per le esigenze di ogni
atleta. Quindi, si dovrebbe provare ad “allenare” per
far nascere un atteggiamento spontaneo verso determinate posture corporee che non siano presenti solo
durante l’attività sportiva, ma nella vita, riducendo il
rischio infortuni e deformazioni posturali. In tal modo
gli atleti potrebbero esprimere in piena funzionalità le
loro potenzialità.
Sulla base di queste considerazioni, le più autorevoli
bibliografie sulle disfunzioni posturali sottolineano le
complessità della materia e le difficoltà di fornire risposte definitive. Il sistema posturale è un insieme
molto complesso, che vede coinvolte strutture del
sistema centrale e periferico e soprattutto l’occhio, il
piede, il sistema cutaneo, i muscoli, le articolazioni,
l’apparato stomatognatico (sistema occlusale e lingua) e l’orecchio interno (Gallozzi, 2003; Chetta, 2011).
Solamente attraverso una attenta valutazione del singolo individuo si potrà decidere come intervenire nei
confronti del sistema posturale, in maniera strettamente individuale. Considerato ciò, dobbiamo tener
presente che ormai il lavoro del Maestro di scherma
come per i Tecnici di molti altri sport è un lavoro di
equipe svolto a 360° ed ha bisogno dell’ausilio di molte figure professionali a seconda delle esigenze richieste quali Medico, Fisioterapista, Psicologo, Preparatore Fisico, Videoanalista ecc., ne consegue
quindi che dopo un primo intervento da parte dell’allenatore anche le tecniche di intervento sulla postura
dovrebbero essere affrontate e guidate da un
“esperto”. Le tecniche di rieducazione posturale che il
Maestro comunque potrebbe prevedere di far rientrare in maniera importante nella preparazione fisica
prevedono:
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ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
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SPORT
• Lavoro meccanico-ortopedico: stretching delle
catene muscolari; recupero della mobilità articolare; potenziamento dei muscoli della dinamica;
lavoro di resistenza dei muscoli della statica.
• Educazione allo schema corporeo: presa di
coscienza del proprio corpo; apprendimento delle
sensazioni esterocettive; apprendimento delle
sensazioni propriocettive; percezione globale del
corpo in riferimento allo spazio.
• Ginnastica posturale: individuazione dell’elemento da correggere; coinvolgimento dell’elemento da correggere; compito posturale specifico dell’elemento da correggere; interferenza durante
l’esecuzione dinamica dell’elemento da correggere;
• Educazione respiratoria: presa di coscienza della dinamica respiratoria capacità di controllo volontario e cosciente delle varie componenti, diaframmatica e toracica.
Ovviamente queste tecniche come già specificato
precedentemente dovrebbero essere individualizzate per problematica e soggetto.
A questo punto, ove si ritenga necessario, si può intraprendere anche la strada da noi perseguita: intervenire con l’ausilio delle “solette propriocettive” per il
raggiungimento di quel ri-equilibrio posturale che tanto necessitano alcuni sportivi sia per migliorare la prestazione che per meglio sopportare le forti sollecitazioni sul sistema muscolo scheletrico, il quale se non
equilibrato può fungere da amplificatore in presenza
di un eventuale danno o infortunio.
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PERFORMANCE E POSTURA NELLA SCHERMA
APPLICAZIONI PRATICHE
Riteniamo che nei risultati prestativi ottenuti nel corso
dell’applicazione delle metodologie e correzioni abbia
influito in modo rilevante la novità durante gli allenamenti dell’intervento posturale, suscitando a livello
motivazionale una spinta importante di cui è interessante verificarne anche in futuro i relativi risultati.
Quindi, visti i risultati ottenuti, le nostre osservazioni
sono soddisfacenti e ci invitano a proseguire su questa strada in quanto per quasi tutti gli atleti si è riscontrata la scomparsa della sintomatologia dolorosa e
delle contratture muscolari, migliorando l’assetto posturale in relazione alla resistenza e allo sforzo in corso di allenamento.
Si ringrazia per la realizzazione di questo studio il
collega Giorgio Mascellini e l’Ortopedia Filippi del
Dott. Massimiliano Filippi
BIBLIOGRAFIA
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piede_e_postura.htm (Accesso 11 Febbraio 2012)
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algico-posturali.htm (Accesso 11 Febbraio 2012)
3. Nadi A. On fencing.Laureate press, Egg Harbor
City; seconda edizione 1994, prima edizione 1934.
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BIOMECCANICA
ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA NELLA
PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E RISCHIO INFORTUNI
D’ovidio Alberto1, Russo Luca Ph.D.2
1
Dottore in Scienze Motorie, Facoltà Scienze Motorie
L’Aquila
2
Docente ELAV, Facoltà Scienze Motorie L’Aquila
INTRODUZIONE
Durante la sua prestazione, il giocatore di pallavolo,
esegue differenti movimenti di salto in base alle azioni
che lo stesso deve svolgere in campo, come ad esempio le azioni di attacco attraverso il fondamentale
della schiacciata (Figura 1). Come ben sappiamo, il
gesto tecnico dello spike jump si conclude con la fase
dell’atterraggio, un frangente molto delicato in cui l’atleta riacquista il contatto con il suolo; questa frazione
di tempo è considerata, dagli addetti ai lavori, come il
momento più critico durante il quale si verificano la
maggior parte delle lesioni in questo sport (Schäfle
1993, Solgård et. al. 1995, Briner & Kacmar 1997,
Bisseling et. al. 2007). Questa considerazione implica
necessariamente una maggiore comprensione di tale
movimento, proponendo così una corretta tecnica di
esecuzione per evitare l’insorgere degli infortuni. Molti
studi hanno affrontato la fase di atterraggio (Lobietti
et. al. 2010, Marquez et. al. 2009, Tillman et. al., 2004), ma alcuni aspetti di questo momento così delicato
della perfomance restano ancora poco chiari. Lo scopo dello studio, è stato quello di analizzare la cinematica di atterraggio (landing phase LP) successivo al
salto in schiacciata, osservando il comportamento dei
giocatori durante le azioni in gara.
METODI
Per lo svolgimento dello studio, sono stati analizzati
complessivamente 35 videoregistrazioni di attacchi da
prima e da seconda linea. I criteri di scelta dei video
da analizzare erano basati sulla mancanza di ostruzioni visive in modo tale da permettere la corretta rilevazione dei dati necessari.
I video, sono stati registrati a 120 Hz, offrendo quindi
una immagine ogni 0,008 secondi; in questo modo
era possibile osservare molti più dettagli del movimento degli atleti durante le azioni di attacco, cosa
che non sarebbe stata possibile acquisire con delle
riprese classiche televisive, filmate a velocità naturale
(25 Hz).
Una volta ottenute le registrazioni, i file video ricavati,
venivano inseriti all’interno di personal computer ed
analizzati tramite software di video analisi dedicati
(Kinovea e Dartfish), che permettono di gestire correttamente il calcolo del tempo dei filmati ad alta velocità.
Lo studio è stato svolto attraverso delle misurazioni di
cinematica, ovvero studiando lo spazio e il tempo del
movimento. I parametri spaziali sono stati analizzati
per contestualizzare e collocare il gesto svolto nel
campo, prendendo come riferimento la rete e valutando quindi le distanze di stacco e di atterraggio come
distanze relative ad essa. Queste distanze sono state
calcolate in forma discreta attraverso una griglia in 3D
con quadranti di larghezza di 0,5 m che occupavano
tutta la zona di campo della prima linea (Figura 2).
I parametri temporali che sono stati analizzati, sono
stati utili per determinare in forma indiretta altri parametri.
Le misurazioni effettuate per ogni singolo attacco analizzato, sono state:
• Distanza di stacco dalla rete – DS;
• Distanza di atterraggio dalla rete – DA;
• Numero di piedi che toccano terra al momento
dell’atterraggio – PIEDI;
• Tempo di arrivo a terra del secondo piede rispetto al primo (solo in caso di atterraggio in monopodalico) – T2P;
• Tempo di volo (intervallo temporale che trascorre
dall’ultimo frame del piede a terra prima dello
stacco fino al primo frame di contatto del piede a
terra in fase di atterraggio) – TdV;
• Tempo di “ammortizzazione” (intervallo di tempo
che trascorre dal primo frame di contatto del piede a terra fino al primo frame della posizione più
bassa del bacino) – TAM;
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA NELLA PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E RISCHIO INFORTUNI
Figura 1 - Completa esecuzione del gesto della schiacciata (da Tilp 2008)
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BIOMECCANICA
l’impatto in percentuale del peso corporeo dell’atleta) – %KI.
Per testare l’ipotesi nulla di differenze significative nei
parametri studiati stratificati per zona di attacco, si è
utilizzato un disegno ANOVA con correzione di Bonferroni per l’analisi delle multiple comparison, per la
verifica di possibili correlazioni tra i dati si è utilizzato
un coefficiente prodotto momento di Pearson. Il livello
di significatività delle analisi statistiche è stato fissato
a p=0,05. Valori al di sopra di questa soglia non sono
stati considerati come statisticamente significativi.
Figura 2 - Griglia 3D per la valutazione della distanza
di stacco
•
Movimento successivo all’atterraggio (movimento
che il giocatore compie dopo l’atterraggio, suddiviso in 5 categorie: stasi, movimento in avanti,
movimento in dietro, movimento a destra, movimento a sinistra) – MSA.
Da queste 9 registrazioni dirette di dati sono stati calcolati in forma derivata e quindi misurati altri parametri:
• Altezza teorica di caduta (altezza teorica dalla
quale il soggetto inizia la fase di discesa qualora
salti perfettamente verticale, calcolata attraverso
la formula h=tempo di volo2*1,226 – Asmussen
1974) – ATC;
• Velocità teorica di atterraggio (velocità a cui è
teoricamente sottoposto il soggetto durante la
fase di discesa dal salto, calcolata attraverso il
principio della conservazione dell’energia meccanica v2=2gh – Giordano 2009) – VTA;
• Forza teorica di impatto al suolo (forza teorica
che il soggetto deve contrastare per rimanere in
piedi al momento dell’atterraggio, calcolata attraverso il teorema dell’impulso F=∆p/∆t, in cui p è
la quantità di moto del soggetto e t è il tempo che
il soggetto impiega ad assorbire la forza ovvero il
tempo di ammortizzamento – Giordano 2009) –
FTI;
• Forza teorica di impatto al suolo normalizzata per
il peso (è il quantitativo di forza di reazione al
suolo per ogni kg di peso corporeo dell’atleta) –
FTIN;
• Kilogrammi teorici di massa del soggetto all’impatto (è la massa teorica che peserebbe il soggetto al momento dell’impatto) – KI;
• % peso del soggetto all’impatto (è la massa teorica che “peserebbe” il soggetto al momento del-
RISULTATI
I valori ottenuti descrivono in media il comportamento
degli atleti prima, durante e dopo l’azione di attacco.
Ci soffermeremo però su quello che nel nostro studio,
abbiamo riscontrato al momento dell’atterraggio dei
giocatori al suolo.
Per alcuni dei dati sono state trovate delle differenze
significative (evidenziate con un asterisco) tra i valori
registrati nei diversi posti da cui avveniva l’azione.
Questi parametri sono stati ricondotti nei seguenti
grafici a barre.
Nel primo grafico (Figura 3), si nota che l’intervallo di
tempo tra il primo contatto del piede a terra fino alla
posizione più bassa del bacino, è significativamente
maggiore in posto 1 in relazione alle altre zone di attacco.
Nella FTIN i risultati emersi (Figura 4), indicano dei
valori significativamente maggiori in posto 2 e in posto 4, in relazione al posto 1. Non risultano esserci
differenze con le altre zone di attacco.
Per quanto riguarda il parametro della %KI, posto 2 e
posto 4 (Figura 5) mostrano dei valori significativamente maggiori rispetto al posto 1. Non risultano esserci differenze con le altre zone di attacco.
La maggior parte degli atterraggi (88,6%), si sono
verificati entro 1 metro dalla rete (Figura 6), e una
quantità davvero considerevole di atterraggi (91,4%)
sono avvenuti ad un piede, rispetto ad un quantitativo
ridotto (8,6%) di atterraggi a due piedi (Figura 7).
Nel movimento successivo all’atterraggio (Figura 8), i
giocatori restavano in stasi il 34,9% delle volte mentre
per quanto riguarda le restanti situazioni i giocatori si
muovevano in avanti o indietro per il 22,86% delle
volte e infine i movimenti laterali avvenivano per un
totale del 20% sommando le due direzioni (DX - SX).
Sono state inoltre trovate delle correlazioni significative tra i parametri studiati (Tabella 1) che evidenziano
lo stretto legame esistente tra le diverse fasi del gesto
tecnico. I valori di r delle correlazioni non sono altissimi, ma la significatività statistica ci fa intendere che
sono comunque dei trend esistenti nel gesto tecnico
studiato e che quindi vanno presi in considerazione.
All’aumentare della distanza di stacco aumenta in
maniera direttamente proporzionale il tempo di ammortizzazione (Figura9), per cui uno stacco molto
vicino a rete tendenzialmente porta ad un atterraggio
più rigido e meno ammortizzato.
Allo stesso tempo all’aumentare della distanza di
stacco diminuisce significativamente la forza norma-
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ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA NELLA PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E RISCHIO INFORTUNI
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BIOMECCANICA
Figura 3 - Differenze nel TAM tra le zone d’attacco
* p<0,05
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ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA NELLA PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E RISCHIO INFORTUNI
Figura 6 - Distribuzione delle distanza di atterraggio
dalla rete
Figura 4 - Differenze nella FTIN tra le zone d’attacco
* p<0,05
Figura 7 - Distribuzione degli atterraggi ad
uno e due piedi
Figura 5 - Differenze nel TAM tra le zone d’attacco
* p<0,05
lizzata per il peso all’impatto (Figura 10). Uno stacco
più lontano tende a diminuire la forza di reazione alla
quale è sottoposto il soggetto all’atterraggio.
A conferma di quanto detto e come logica conseguenza si ha una correlazione forte e importante tra il
tempo di ammortizzamento e la forza normalizzata
per il peso al momento dell’impatto. All’aumentare del
primo diminuisce il secondo valore (Figura 11), per
cui una ammortizzazione maggiore diminuisce la forza di reazione al suolo che il giocatore deve sopportare all’impatto.
Figura 8 - Distribuzione delle tipologie di movimento
dopo l’atterraggio
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BIOMECCANICA
Correlazioni significative
Coeff r
TdV vs DA
-0,51
DS vs TAM
0,44
DS vs FTIN
-0,36
TAM vs FTIN
-0,95
Tabella 1 - Correlazioni significative tra parametri
Figura 9 - DS vs TAM
Figura 10 - DS vs FTIN
Figura 11 - TAM vs FTIN
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Rispetto agli altri studi è risultato evidente che affrontando in maniera differente la problematica dell’atterraggio dopo la schiacciata si riescono ad analizzare
degli elementi fino ad ora trascurati. La sostanziale
differenza con altri studi era la velocità di campionamento dei filmati fissata a 120 Hz.
La maggiore velocità di campionamento ha quindi
permesso di valutare il numero di atterraggi ad un
piede con una percentuale del 91%: profondamente
diversa e di gran lunga maggiore rispetto a quella
riportata dalla letteratura (Tillman et al., 2004).
Affermare che sia presente una quantità così alta di
atterraggi ad un piede non fornisce in realtà un quadro completo del fenomeno, al momento e con i dati
relativi a questo campione di studio si è notato che
dopo ogni atterraggio monopodalico era necessario
un tempo medio di 0,08±0,10 secondi per appoggiare
a terra anche l’altro piede. Questo dato seppur non
completamente certo vista la scarsa numerosità del
campione lascia intuire un potenziale rischio di infortunio per l’arto inferiore in quanto dalla letteratura
sembra che sia un lasso di tempo sufficiente per potersi procurare una lesione di caviglia in caso di errato
appoggio plantare (Tik-Pui Fong, 2009; Mok, 2011).
Per questo motivo reputiamo sia fondamentale insegnare una corretta tecnica di atterraggio e di gestione
della stabilità monopodalica al fine di evitare possibili
infortuni acuti.
Ciò che può ulteriormente incidere sulla qualità e
sulla sicurezza dell’atterraggio, secondo noi, è il movimento che si effettua appena dopo aver riconquistato
l’appoggio con il terreno. Nel nostro caso, si è osservato che la maggiore percentuale dei movimenti, dopo l’atterraggio è riconducibile ad una situazione di
stasi (34,29%) seguito dal movimento successivo all’atterraggio in avanti e indietro entrambi del 22,86%.
Dopo un attacco il dirigersi in una direzione o in un’altra prevede una corretta attivazione delle catene muscolari pertanto conoscere questo dato di movimento
post schiacciata consente di creare esercitazioni specifiche che allenino il giocatore ai movimenti richiesti
in campo con forza e velocità richieste dal contesto
gara, creando magari sin dalle fasce più giovani d’età
i presupposti coordinativi per gestire tali movimenti.
Un dato importante che non va sicuramente escluso è
quello del TAM, cioè il tempo di “ammortizzazione”
ovvero l’intervallo di tempo compreso tra il primo frame di contatto del primo piede a terra fino al primo
frame della posizione più bassa del bacino. Un tempo
di ammortizzazione più lungo è senz’altro più idoneo
per permettere all’atleta pallavolista di dissipare il proprio peso a terra, e contrastare le forza di reazione
del suolo all’impatto con il terreno riducendo il rischio
di traumi. Più il tempo di ammortizzazione sarà corto,
più l’impatto sarà marcato, e avere anche dei disturbi
alle restanti parti del corpo come ad esempio la probabilità di verificarsi dei fastidi a livello della colonna
vertebrale. Allo stesso tempo un tempo di ammortizzazione maggiore prevede che il soggetto possa essere più lento nell’eseguire i movimenti successivi
all’atterraggio per cui bisogna anche in questa situazione allenare i giocatori ad eseguire un corretto atterraggio gestendolo nella maniera coordinativa migliore e più funzionale alla loro struttura.
È necessario porre attenzione alla %KI, tenendo presente che questo dato, può esercitare influenze sul
lavoro del preparatore atletico, in termini di prevenzione agli infortuni. La % di peso del soggetto all’impatto
è in pratica la massa teorica che “peserebbe” l’atleta
pallavolista al momento dell’impatto in percentuale
della propria massa corporea. In questo caso il preparatore atletico deve programmare delle esercitazioni
che abituino il giocatore a gestire queste masse in
gioco così da permettere agli atleti di riuscire a dissipare in maniera ottimale le forze, scaricandole tramite
il tessuto muscolare e non a discapito delle articolazioni. Tutto ciò è possibile solo se in allenamento vengono proposte esercitazioni anche “a secco” che pre-
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ANALISI VIDEO DELLA SCHIACCIATA NELLA PALLAVOLO: ATTERRAGGIO E RISCHIO INFORTUNI
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BIOMECCANICA
vedano la gestione neuromuscolare e coordinativa di
carichi elevati ma non necessariamente e perfettamente simmetrici in quanto il numero di atterraggi ad
un piede (per l’appunto asimmetrici) sono di gran lunga maggiori rispetto a quelli a due piedi.
Si sottolineano per concludere alcuni limiti di questo
studio, come ad esempio la mancata misurazione di
dati importanti come gli angoli del corpo relativi al ginocchio, alla caviglia o al busto; dati questi ritenuti
essere importanti dalla letteratura. Tale mancanza,
che avrebbe fornito un quadro ancora più chiaro del
fenomeno, dipende sostanzialmente dalla di videoripresa e dalle possibili ostruzioni che avvenivano tra la
telecamera e il soggetto analizzato (giocatori in movimento, rotazioni in aria e all’atterraggio del giocatore
analizzato etc.). Si auspica la possibilità di indagare
su questi ed altri essenziali parametri con successivi
studi.
APPLICAZIONI PRATICHE
Da un punto di vista funzionale e operativo, l’allenamento della ricaduta da un salto in schiacciata, deve
essere assolutamente affrontato durante la preparazione degli atleti pallavolisti, e soprattutto, durante la
fase di formazione dei giovani atleti, per evitare l’insorgere delle lesioni; a tale proposito deve essere
fondamentale l’apporto su questo problema da parte
dei preparatori atletici, per fare in modo che vengano
introdotte all’interno della programmazione del lavoro
in palestra, esercitazioni che creino i presupposti
strutturali e che aiutino a ricreare le situazioni di gara
durante l’allenamento, e permettere in questo modo
agli atleti di sapere affrontare (soprattutto da un punto
di vista coordinativo) tali situazioni nella dovuta sicurezza durante le partite.
Tale studio è un ottimo aiuto che può incentivare sicuramente gli allenatori ad osservare i movimenti dei
loro atleti in gara, ed agevolarli così nelle sedute di
preparazione, in quanto tutto ciò consentirà di creare
delle abitudini motorie nei giocatori, fornendo a loro
stessi delle situazioni di allenamento realistiche che
potrebbero riproporsi durante il match, in forma controllata e graduale.
Punti cardine delle proposte allenanti per ottimizzare
la gestione degli atterraggi saranno quindi: lavori di
propriocezione per il complesso dei piedi e del ginocchio, rafforzamento della zona del “core” o torchio
addomino-lombare, intervento tecnico di insegnamento delle tecniche corrette di atterraggio al suolo durante l’attività giovanile.
4. Giordano NJ. (2009). College Physics. Reasoning and relationships. Belmont, Brooks/Cole:
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3. Briner WW., Kacmar L. (1997). Common injuries
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SPORT
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED
EQUILIBRIO. ANALISI DELLE CARATTERISTICHE
DI EQUILIBRIO IN PATTINATORI SU GHIACCIO DI
ALTO LIVELLO
Di Natale Fabiana1, Rastelli Fabio2, Manno Renato3
1
Federazione Italiana Sport Ghiaccio
2
Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare, CNR
3
Istituto di Scienza e Medicina dello Sport, CONI
INTRODUZIONE
Il pattinaggio artistico su ghiaccio è uno sport in cui
l’arte del movimento viene utilizzata per dare valore
alle difficoltà atletiche che prendono vita dalla musica.
Il pattinaggio artistico su ghiaccio, per le sue caratteristiche motorie, viene inserito nelle attività sportive di
destrezza con notevole impegno muscolare ed elevato livello di preparazione tecnico-coordinativa (Dal
Monte, 1983).
L’esecuzione degli esercizi sul ghiaccio prevede una
componente atletica, determinata dall’esecuzione
degli elementi tecnici, ed una componente artistica,
data da fluidità, armonia ed eleganza delle posizioni.
In particolare, il pattinatore deve dimostrare di saper
eseguire con ottima padronanza e precisione gli elementi tecnici tipici del programma di gara e, contemporaneamente, deve interpretare il motivo principale
della musica.
Procedendo verso un’analisi della scala gerarchica
delle capacità coordinative fondamentali nelle diverse
discipline sportive, possiamo evidenziare che la componente principale del pattinaggio artistico su ghiaccio è la capacità di mantenere l’equilibrio (Starosta e
Schnabel, 2000).
La capacità di mantenere l’equilibrio dipende da diversi fattori di stabilità, tra i quali la dimensione della
superficie di appoggio; un pattinatore deve eseguire i
vari elementi tecnici su una superficie di appoggio di
soli pochi millimetri, è necessario, dunque, che questi
atleti dispongano di una capacità di controllo dell’equilibrio sviluppata in maniera estremamente fine.
Inoltre gli esercizi di gara prevedono elementi in cui il
pattinatore deve continuamente contrastare situazioni
di riassetto posturale; l’equilibrio nel pattinaggio su
ghiaccio si esprime in condizioni statico-dinamiche
(spiral sequence, step sequence, spins) e in condizioni di volo (jumps).
Benché il Delos Postural Proprioceptive System® sia
un valido strumento per l’analisi del controllo posturale e della capacità di equilibrio (Riva, 2000; 2002), in
letteratura sono esigui i riscontri bibliografici relativi
all’utilizzo di questo strumento nei pattinatori su
ghiaccio.
Studi in merito sono stati condotti da Riva e i suoi collaboratori (Riva et al., 2001-a,b,c), e riguardano l’analisi della presenza di differenti strategie posturali utilizzate nel pattinaggio di figura. Gli autori hanno indagato se le due discipline, artistico e danza, influenzano
in modo diverso la capacità di gestione del disequilibrio e il controllo posturale statico e dinamico.
In tal senso, ci si propone di analizzare le caratteristi-
che coordinative di equilibrio in pattinatori di alto livello tecnico, tramite Delos Postural Proprioceptive
System®, attraverso un test aspecifico.
METODI
Nel nostro studio sono stati testati 13 pattinatori della
Nazionale Italiana, categoria Junior e Senior, di cui 8
di sesso femminile e 5 di sesso maschile; tutti i soggetti, dopo essere stati informati delle modalità di
svolgimento del protocollo di ricerca, hanno aderito
volontariamente. Il campione in oggetto aveva un’età
media di 18,4 anni (S.D.2,29); un peso medio di 56,3
Kg (S.D. 7,81); ed una statura media di 164,5 cm
(S.D. 8,09). Per quanto riguarda, la programmazione
del carico di lavoro annuale, il campione presenta in
media un carico di lavoro on ice, di circa 672 ore annuali, mentre un carico di lavoro off ice (preparazione
atletica e/o danza classica), in media, di 390 ore annuali.
Per la valutazione della capacità di equilibrio e della
modalità di gestione del controllo posturale, è stato
utilizzato il Delos Postural Proprioceptive System®
(DPPS). Strumento costituito di una tavola basculante-traslante elettronica con feedback visivo, denominata “Delos Equilibrium Board” (DEB), di un dispositivo elettronico per la lettura del controllo posturale del
tronco, denominato “Delos Vertical Controller” (DVC)
e di una struttura metallica di sostegno dotata di sensore ad infrarossi, denominata “Delos Postural Assistance” (DPA).
Il DPPS è collegato ad un personal computer, che
elabora e fornisce una serie di variabili. Le variabili
prese in esame nel presente lavoro sono state le seguenti: 1) scostamento medio del DVC, che indica di
quanti gradi, mediamente durante la prova, il tronco
del soggetto si è flesso in senso antero-posteriore e
latero-laterale; 2) valore medio della DEB, che indica
di quanti gradi la tavola basculate-traslante, mediamente durante la prova, si è scostata dalla posizione
orizzontale (parallela al suolo); 3) rapporto DEB/DVC;
4) Instabilità Uomo-Tavola (IUT), che è la somma delle due variabili del sistema (DEB e DVC); 5) il contributo della DEB all’IUT, che indica quanta parte dell’instabilità totale uomo-tavola è data dalla DEB; 6) il
contributo del DVC all’IUT, che indica quanta parte
dell’instabilità totale uomo-tavola è data dal DVC.
Il campione è stato valutato con il test aspecifico di
posturometria dinamica di Riva (Riva, 2000). La posturometria dinamica prevede che i soggetti, in appoggio monopodalico sulla tavola basculantetraslante (piano frontale), mantengano la posizione di
equilibrio. Il test prevede due modalità di esecuzione:
con vincolo degli arti superiori (mani ai fianchi) (CV) e
senza vincolo degli arti superiori (SV).
Ciascun soggetto, dopo la rilevazione dei parametri
antropometrici di peso e altezza, ha eseguito il test
sia con l’arto dominante (AD) che con l’arto non dominante (ND) per entrambe le modalità previste dal protocollo (CV e SV).
Nel presente studio, all’interno del campione preso in
esame, sono stati effettuati due diversi confronti: “arto
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ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
19
SPORT
dominante VS arto non dominante” e “test eseguito
senza vincolo degli arti superiori VS test eseguito con
vincolo degli arti superiori”.
Entrambi i confronti sono stati operati su tutti i parametri presi in considerazione, utilizzando il test tstudent per dati appaiati e ponendo la significatività
per p<0,05.
46,43% dell’IUT è derivato dalla DEB e il 53,57% dal
DVC, mentre per ND il 47,56% è dovuto alla DEB e il
52,44% al DVC.
Le tabelle 3 e 4 mostrano i valori medi e per singolo
soggetto dei parametri registrati durante il test di Riva
CV eseguito con AD (Tabella 3) e con ND (Tabella 4).
Come mostrano anche i dati riportati nelle tabelle, il
confronto tra le due modalità di test (SV e CV) ha riportato differenze significative solo nell’AD; in particolare nei valori di DEB (SV: 2,54°; CV: 3,98°;
p=0,0107), di DEB/DVC (SV: 0,82°; CV: 1,00°;
p=0,0243), del contributo di DEB (SV: 41,00%; CV:
46,43%; p=0,0119), dunque anche del contributo di
DVC (SV: 59,00%; CV: 53,57%; p=0,0119). Le differenze significative relative alla DEB sono meglio visibili nella figura 1.
RISULTATI
Nella modalità SV del test eseguito, nessuno dei confronti tra i due arti ha fatto registrare differenze significative (p>0,05); i valori medi relativi a ciascun arto
sono dunque sovrapponibili. I valori medi della DEB
sono stati di 2,54° (SD 0,75°) e 2,85° (SD 0,84°)
(Figura 1), rispettivamente per AD e ND, il DVC si è
attestato a 4,52° (SD 2,96°) per AD e 3,98° (SD
2,04°) per ND (Figura 2), dunque la media del rapporto DEB/DVC è risultata, rispettivamente per AD e ND,
di 0,82° (SD 0,51°) e 0,95° (SD 0,61°); la media dei
valori di IUT è risultata pari a 7,05° (SD 3,23°) per AD
e 6,84° (SD 2,47°) per ND (Figura 3); di questi per AD
il 41,00% è derivato dalla DEB e il 59,00% dal DVC,
mentre per ND il 44,64% è attribuibile alla DEB e il
restante 55,36% al DVC.
Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati i valori medi e per
singolo soggetto dei parametri analizzati relativamente al test di Riva SV eseguito con AD (Tabella 1) e
con ND (Tabella 2).
Anche nella modalità CV del test, nessuno dei confronti tra i due arti ha fatto registrare differenze significative (p>0,05).
I valori medi registrati nel test CV mostrano, rispettivamente per AD e ND, un valor medio della DEB di
3,08° (SD 0,91°) e 2,98° (SD 0,95°) (Figura 1) e una
media del DVC di 4,17° (SD 2,50°) e 3,60° (SD 1,84°)
(Figura 2), quindi la media del rapporto DEB/DVC è
risultata pari a 1,00° (SD 0,54°) e 1,04° (SD 0,59°);
l’IUT ha mostrato una media di 7,25° (SD 2,83°) per
AD e 6,58° (SD 2,42°) per ND (Figura 3); per AD il
Soggetto 1
Soggetto 2
Soggetto 3
Soggetto 4
Soggetto 5
Soggetto 6
Soggetto 7
Soggetto 8
Soggetto 9
Soggetto 10
Soggetto 11
Soggetto 12
Soggetto 13
Media
SD
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nel presente studio è stata indagata la capacità di
equilibrio in atleti altamente specializzati in uno sport
dove questa capacità rappresenta una delle principali
determinanti della performance. Tale valutazione è
stata operata mediante il test aspecifico di posturometria dinamica di Riva (Riva, 2000) eseguito in equilibrio sull’AD e sul ND in due diverse modalità: CV e
SV; le misurazioni sono state effettuate mediante un
sistema di tavola basculante elettronica con feedback
visivo.
La mancanza di differenze significative tra gli arti in
entrambe le modalità di esercizio indagate (CV e SV)
dimostra che l’alta specializzazione nel pattinaggio
artistico su ghiaccio conduce (o è in qualche modo
legata) ad un equilibrio funzionale tra gli arti inferiori,
almeno per ciò che riguarda la capacità di controllo
dell’equilibrio, che, come abbiamo precedentemente
indicato, è una delle capacità principalmente coinvolte
nella performance di questo sport. Questo dato è in
contrasto con quanto rilevato in altri sport, quali, ad
esempio, il calcio; è stato infatti dimostrato che nel
DEB (°)
DVC (°)
DEB/DVC
(°)
IUT (°)
Contributo
DEB (%)
Contributo
DVC (%)
2,5
2,2
2,0
1,1
3,4
2,5
2,9
2,4
1,3
2,8
3,4
3,4
3,1
7,9
6,8
1,3
6,2
5,6
2,3
3,5
1,6
1,4
4,5
2,0
11,1
4,5
0,3
0,3
1,5
0,2
0,6
1,1
0,8
1,5
0,9
0,6
1,7
0,3
0,7
10,4
9,0
3,3
7,3
9,0
4,8
6,4
4,0
2,7
7,3
5,4
14,5
7,6
24,0
24,4
60,6
15,1
37,8
52,1
45,3
60,0
48,1
38,4
63,0
23,4
40,8
76,0
75,6
39,4
84,9
62,2
47,9
54,7
40,0
51,9
61,6
37,0
76,6
59,2
2,54 *
4,52
0,82 *
7,05
41,00 *
59,00 *
0,75
2,96
0,51
3,23
15,76
15,76
Tabella 1 - Test dinamico SV, valori relativi a AD. * differenza significativa rispetto alla modalità CV
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SPORT
DEB (°)
DVC (°)
DEB/DVC
(°)
IUT (°)
Contributo
DEB (%)
Contributo
DVC (%)
2,2
3,2
2,4
2,9
3,7
3,6
1,9
1,3
1,8
3,8
3,1
3,6
3,6
5,6
7,4
1,0
6,2
4,6
2,2
3,7
2,8
1,3
3,5
2,1
5,6
5,8
0,4
0,4
2,4
0,5
0,8
1,6
0,5
0,5
1,4
1,1
1,5
0,6
0,6
7,8
10,6
3,4
9,1
8,3
5,8
5,6
4,1
3,1
7,3
5,2
9,2
9,4
28,2
30,2
70,6
31,9
44,6
62,1
33,9
31,7
58,1
52,1
59,6
39,1
38,3
71,8
69,8
29,4
68,1
55,4
37,9
66,1
68,3
41,9
47,9
40,4
60,9
61,7
Media
2,85
3,98
0,95
6,84
44,64
55,36
SD
0,84
2,04
0,61
2,47
14,23
14,23
Soggetto 1
Soggetto 2
Soggetto 3
Soggetto 4
Soggetto 5
Soggetto 6
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Soggetto 8
Soggetto 9
Soggetto 10
Soggetto 11
Soggetto 12
Soggetto 13
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
Tabella 2 - Test dinamico SV, valori relativi a ND
Soggetto 1
Soggetto 2
Soggetto 3
Soggetto 4
Soggetto 5
Soggetto 6
Soggetto 7
Soggetto 8
Soggetto 9
Soggetto 10
Soggetto 11
Soggetto 12
Soggetto 13
Media
SD
DEB (°)
DVC (°)
DEB/DVC
(°)
IUT (°)
Contributo
DEB (%)
Contributo
DVC (%)
2,3
4,0
2,1
1,7
3,3
3,0
3,3
2,9
1,8
4,6
3,2
4,2
3,6
4,9
7,0
1,3
8,4
5,2
2,1
4,0
1,9
1,8
2,9
1,7
8,2
4,8
0,5
0,6
1,6
0,2
0,6
1,4
0,8
1,5
1,0
1,6
1,9
0,5
0,8
7,2
11,0
3,4
10,1
8,5
5,1
7,3
4,8
3,6
7,5
4,9
12,4
8,4
31,9
36,4
61,8
16,8
38,8
58,8
45,2
60,4
50,0
61,3
65,3
33,9
42,9
68,1
63,6
38,2
83,2
61,2
41,2
54,8
39,6
50,0
38,7
34,7
66,1
57,1
3,08 *
4,17
1,00 *
7,25
46,43 *
53,57 *
0,91
2,50
0,54
2,83
14,70
14,70
Tabella 3 - Test dinamico CV, valori relativi a AD. * differenza significativa rispetto alla modalità SV
calcio, a prescindere dal periodo di allenamento effettuato, le differenze funzionali tra gli arti inferiori restano significative (Teixeira e Caminha, 2003; Teixeira e
Teixeira, 2008). Ovviamente il differente impatto sull’asimmetria bilaterale (differenza tra AD e ND) dipende dalla tipologia di performance richiesta dallo sport
in questione, che influenza pesantemente le metodiche di allenamento utilizzate, quindi la possibilità o
meno di ridurre l’asimmetria bilaterale.
I valori di controllo su pedana basculante evidenziati
indicano che l’AD costituisce l'unico fattore discriminante tra pattinatori di alto livello nel confronto tra le
due modalità di esecuzione del test (SV e CV).
È interessante constatare come i valori relativi alla
DEB rappresentino il punto centrale per il controllo
propriocettivo e per la gestione del disequilibrio in
condizioni dinamiche. Il campione presenta differenze
significative riguardo il livello di precisione nell'eseguire il compito motorio assegnato e in riferimento alla
gestione del controllo propriocettivo a livello dell'articolazione tibio-tarsica. La massima attivazione del
sistema propriocettivo e delle risposte muscolari riflesse si ottiene quando si riesce a gestire il corpo
umano come un sistema rigido, con un unico punto di
snodo a livello dell'articolazione tibio-tarsica (Riva e
al., 2000).
Sono diversi gli studi, che per anni, hanno posto l'attenzione sul ruolo e sulla funzione del training propriocettivo in ambito rieducativo e compensativo
(Lephart et al., 1997; Jensen et al., 2002; Reider et
al., 2003); invece, solo di recente si è compresa l'importanza di spostare tale attenzione in ambito sporti-
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SPORT
DEB (°)
DVC (°)
DEB/DVC
(°)
IUT (°)
Contributo
DEB (%)
Contributo
DVC (%)
2,0
3,7
2,1
3,5
3,8
3,2
1,3
2,0
2,1
4,4
3,6
3,4
3,6
4,3
5,7
1,3
5,9
5,7
2,2
2,8
2,9
1,0
2,9
1,9
3,9
6,3
0,5
0,6
1,6
0,6
0,7
1,5
0,5
0,7
2,1
1,5
1,9
0,9
0,6
6,3
9,4
3,4
9,4
9,5
5,4
4,1
4,9
3,1
7,3
5,5
7,3
9,9
31,7
39,4
61,8
37,2
40,0
59,3
31,7
40,8
67,7
60,3
65,5
46,6
36,4
68,3
60,6
38,2
62,8
60,0
40,7
68,3
59,2
32,3
39,7
34,5
53,4
63,6
Media
2,98
3,60
1,04
6,58
47,56
52,44
SD
0,95
1,84
0,59
2,42
13,33
13,33
Soggetto 1
Soggetto 2
Soggetto 3
Soggetto 4
Soggetto 5
Soggetto 6
Soggetto 7
Soggetto 8
Soggetto 9
Soggetto 10
Soggetto 11
Soggetto 12
Soggetto 13
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
Tabella 4 - Test dinamico CV, valori relativi a ND
Figura 1 - valori medi e deviazioni standard di DEB per entrambi gli
arti e le modalità di test * p<0,05
Figura 2 - valori medi e deviazioni standard di DVC per entrambi gli
arti e le modalità di test nessuna differenza significativa
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SPORT
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
Figura 3 - valori medi e deviazioni standard di IUT per entrambi gli arti
e le modalità di test nessuna differenza significativa
vo per valutare come l'allenamento neuromuscolare e
propriocettivo possa essere utilizzato per la prevenzione dagli infortuni e per il miglioramento della capacità di equilibrio (Sannicandro, 2002; Petersen et al.,
2002; Stasinopoulos, 2004).
L'attenzione della preparazione atletica nei confronti
di queste componenti di prestazione trova giustificazione metodologica nelle conoscenze relative alle
informazioni che influenzano i circuiti di controllo e
gestione del disequilibrio: a differenza di quanto si
possa comunemente pensare le afferenze vestibolari
non rappresentano i canali di informazione più rapidi
(Riva e Trevisson, 2000). Al controllo vestibolare e
posturale, insieme ai propriocettori (fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi, recettori del Pacini e del
Ruffini, ecc.), concorrono tutte le afferenze sensoriali,
capaci di surclassare quelle vestibolari grazie a velocità di trasmissione più elevate: 50 m/s delle prime
rispetto agli 80 m/s delle seconde (Bessou et al., 1998).
Le situazioni in cui l'atleta si trova, sono caratterizzate
da continue sollecitazioni, che impongono allo stesso
di transitare incessantemente da una condizione di
disequilibrio ad una di equilibrio e viceversa (Riva e
Trevisson, 2000), dunque è evidente che il preparatore atletico deve orientare il suo lavoro, in particolare
con gli atleti di alto livello, verso sollecitazioni percettive in condizioni sensoriali alterate. Acquisteranno
rilevanza esercitazioni dinamiche di forza reattiva per
il comparto gamba-piede; tipologie di esercitazioni di
coordinazione intermuscolare e di stimolazione propriocettiva in particolare a livello dell'articolazione tibio-tarsica. L'utilizzo delle classiche tavole di Freeman e delle pedane basculanti elettroniche rendono
più funzionale il training specifico, ma anche il monitoraggio della capacità di controllo posturale e di gestione dell'equilibrio (quindi del disequilibrio).
In particolare, nel caso specifico del pattinaggio artistico su ghiaccio di alto livello, gli atleti non mostrano
differenze tra i due arti inferiori nel controllo dell’equilibrio, ma l’AD permette di discriminare tra condizione
CV e SV.
APPLICAZIONI PRATICHE
La valutazione della gestione del disequilibrio e del
controllo delle informazioni propriocettive mediante
tavola basculante elettronica permette di ottenere sul
campo informazioni sia sull'utilizzo da parte del soggetto dei segnali afferenti, sia sulla sua effettiva capacità di gestione ai fini del mantenimento dell'equilibrio.
Potremmo definire questi strumenti un ulteriore e valido supporto tecnico sul quale basare i fondamenti
necessari per un corretto ed efficace programma di
allenamento. A tal proposito, partendo da quanto
emerso dal presente lavoro, possiamo consigliare la
pedana Delos Postural Proprioceptive System come
un efficace strumento di lavoro per stimolare e affinare la qualità di gestione del disequilibrio.
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ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
PATTINAGGIO ARTISTICO SU GHIACCIO ED EQUILIBRIO
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLA DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA
Marasco Marcello Luca
Osteopata DomROI
Direttore Abe Osteopathy School
INTRODUZIONE
L'etimologia di distorsione deriva dal latino dis
(alterato o separato) e torsio (rotazione), non sarebbe
pertanto questa la terminologia clinica da utilizzare
per il tema che stiamo trattando. Andrebbe preferito il
termine distrazione (la cui etimologia è il latino distrahere, tirare da parte) e che ha una definizione consona: forma di dislocazione con separazione delle superfici articolari senza rottura dei legamenti (AA.VV.,
1997). L'uso comune del linguaggio corrente clinico
riporta la terminologia di distorsione probabilmente
intendendo l'implicazione (con la torsione del piede)
di un intero sistema funzionale. Nell'articolo ci adegueremo a questa formulazione (Figura 1).
La distorsione della caviglia è un evento con una discreta incidenza nella vita di relazione, l'incidenza
diviene elevata nella pratica sportiva soprattutto negli
sport come il calcio, la pallacanestro e la pallavolo
(Marasco, 1990).
Il termine che viene genericamente utilizzato per questo evento patologico è appunto "distorsione della
caviglia", nella realtà clinica dobbiamo specificare le
diverse realtà articolari e legamentose coinvolte. L'evento distorsivo della caviglia va infatti ad interessare
una regione anatomica che include il ginocchio, il retropiede e il mesopiede.
Figura 1 - Distorsione in inversione della caviglia
MODALITÀ DI INFORTUNIO
Il movimento fisiologico del complesso funzionale tibiotarsica-piede si realizza sull'asse di Henke che è
quell'asse obliquo tra astragalo e calcagno passante
per il seno del tarso. Un movimento su un asse obliquo è la combinazione di più movimenti sui piani anatomici di base (sagittale, frontale e orizzontale). Nella
fattispecie del piede i movimenti possibili sono due:
inversione ed eversione. L'inversione si realizza con
la pianta del piede che torce verso la linea mediana
del corpo ed è la sommazione di tre movimenti di base: adduzione, supinazione ed estensione (o flessione plantare). L'eversione si realizza con la pianta del
piede che va in torsione verso l'esterno del corpo ed è
la sommazione dei tre movimenti di base opposti ai
precedenti: abduzione, pronazione e flessione (o flessione dorsale).
Il meccanismo distorsivo della caviglia è l'esasperazione di uno di questi due movimenti, la distorsione in
inversione è altamente più incidente di quella in eversione. Nelle situazioni dinamiche come un passo di
cammino o di corsa o nell'atterraggio da un salto l'eventuale componente distorsiva in inversione si realizza per diversi fattori:
• l'alta dinamicità (energia cinetica);
• per una prima questione anatomica predisponente: il malleolo tibiale (interno) è più craniale del
malleolo peroneale (esterno), questo piano inclinato verso l'esterno della puleggia astragalica nel
suo rapporto con il calcagno (articolazione sottoastragalica) tende a scaricare in quella direzione
le forze;
• per una seconda questione anatomica predisponente: il sistema legamentoso è decisamente più
consistente nel comparto interno rispetto a quello
esterno, infatti abbiamo nella caviglia due distinti
strati di legamenti collaterali interni.
La distorsione in eversione, decisamente meno incidente, è generalmente associata a traumi con una più
bassa potenza dinamica spesso legati a cedimenti dei
piani di appoggio del piede in carico.
Le articolazioni coinvolte nella distorsione della caviglia sono molteplici. La tibiotarsica e la sottoastragalica in primis ma anche il perone con le quindi le articolazioni tibioperoneali superiore (nel sistema del ginocchio funzionale) e tibioperoneale inferiore (nel sistema del retropiede funzionale). Sono coinvolte anche
le interlinee (articolazioni false anatomicamente ma
vere funzionalmente) di Chopart (tra retro e mesopiede) e del Lisfranc (tra medio e avampiede).
Nella distorsione della caviglia l'evento distrattivo dell'astragalo all'interno del mortaio tibioperoneale
(distrazione tibiotarsica) determinerà come primo esito, evidente clinicamente, un'elongazione (strain) dei
legamenti collaterali. Sarà coinvolto il comparto esterno nelle distorsioni in inversione e quello interno viceversa nel trauma in eversione. I primi segni clinici sono rappresentati dal dolore ed, eventualmente, dall'edema. Il dolore non ha una proporzionalità tra intensità e gravità clinica, anzi, è spesso vero il contrario
con intenso dolore nelle distorsioni benigne per i flussi sanguigni dirottati e le lesioni delle terminazioni
nervose (Besnier, 1988).
Quando il movimento di eversione o di inversione
possiede un'energia che non può essere contenuta
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APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLA DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
dallo strain legamentoso si arriva alla lesione dei legamenti. Quando la lesione è completa si esce da un
quadro di sola distrazione e si deve parlare di distrazione-lussazione (Figura 2).
Figura 2 - Distorsione in eversione: distrazione e lussazione della
tibiotarsica per lesione completa
del legamento collaterale interno
(deltoideo) e della sindesmosi
tibioperoneale (tratto da Kapandji)
MODALITÀ OPERATIVE DI RECUPERO
La terapia nelle fasi immediatamente successive al
trauma distorsivo è la crioterapia (applicazione di
freddo) assicurando una posizione della caviglia interessata più alta rispetto al bacino e al cuore soprattutto nella notte successiva al trauma. Altro momento
importante a posteriori del trauma è l'innalzamento
del tasso di idratazione generale, meglio se con l'integrazione di bicarbonati per l'innalzamento del ph. Con
l'infiammazione si ha un abbassamento del valore del
ph (acidosi) nella sede della lesione, è un esito fisiologico correlato ai mediatori dell'infiammazione come
istamina, serotonina, chinine, prostaglandine, ecc.
(Zangara 1992). Quando si lavora con gli sportivi è
opportuno contrastare un Ph basso sistemico perché
sarà un fattore di rallentamento dei tempi di recupero;
ecco quindi che l'assunzione di acqua in abbondanza
(1,5 o 2 litri al giorno) ed eventualmente l'integrazione
con elementi alcalinizzanti come i bicarbonati diviene
una strategia per la riduzione della ripresa sportiva
(Figura 4).
Se l'energia del movimento distorsivo è capace di
superare anche questa barriera di dissipazione dell'energia (tale è una lesione dei legamenti) si può arrivare addirittura ad una frattura ossea. In questo caso
parleremo di frattura-lussazione. Nello specifico il movimento e l'energia esasperata di inversione potrà:
lesionare il comparto legamentoso esterno, fratturare
il malleolo interno (con la leva dell'astragalo), fratturare il malleolo peroneale esterno (per strappo da parte
dei legamenti esterni). Viceversa l'inversione esagerata potrà (Pietrogrande, 1984): lesionare il comparto
legamentoso interno, fratturare il malleolo esterno
(con la leva dell'astragalo), fratturare il malleolo tibiale
interno per strappo da parte del doppio strato legamentoso interno (Figura 3).
Figura 4 - Esito di distorsione in inversione del collo
del piede, si manifesta edema perimalleolare esterno
e versamenti infiltrati tra i tessuti
Figura 3 - Distorsione in eversione:
distrazione e lussazione della tibiotarsica per lesione completa del
legamento collaterale interno
(deltoideo) con frattura dell'estremo
distale del malleolo peroneale
(tratto da Kapandji)
La prima fase della terapia in una distorsione della
tibiotarsiaca senza lesione legamentosa è a carico
dell'osteopata e del fisioterapista. L'osteopata può
intervenire immediatamente con tecniche sul sistema
fasciale e quindi sulla matrice intercellulare per favorire la diffusione e l'azione dei mediatori dell'infiammazione localmente nella regione traumatizzata (Bonetti
2008), potrà altresì intervenire sistematicamente in
presenza di edema perimalleolare per drenare il versamento, generalmente queste tecniche vengono
somministrate al cranio (AAVV, 2012).
Sempre riferendoci ad un distorsione senza lesione
legamentosa sarà opportuno un bendaggio funzionale
(Figura 5, 6) con cerotti elastici ed anelastici oppure
un taping (Chiesa, Contigliani, 2012). Lo scopo è di
favorire il drenaggio dell'edema, il bendaggio può essere realizzato anche con obiettivi di stabilizzazione
di quei legamenti elongati patologicamente nell'evento traumatico. E' fondamentale non bloccare la caviglia quando lo strain è di 1° perché si rallenterebbe
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
Figura 5 - Esempio di applicazione di
bendaggio funzionale per distorsione
in inversione
Figura 6 - Esempio di applicazione di
taping drenante (nastro giallo) per
edema perimalleolare esterno
inutilmente e in modo dannoso il recupero, soprattutto
neurologico. Il gesso è opportuno solo quando la lesione del legamento è completa o importante. La lesione di 2° si pone in border-line per questo discorso,
è una lesione non completa ma discreta, qui una doccia in materiale termoplastico (splint) diviene la situazione ideale in quanto si realizza una stabilità pari al
gesso ma è possibile la rimozione per la terapia. Ovviamente per le lesioni complete dei legamenti, o peggio nelle fratture ossee, il lavoro è a carico dell'ortopedico per l'immobilizzazione gessata o addirittura la
chirurgia riparativa dei legamenti lesionati. Chiaramente spetta proprio all'ortopedico diagnosticare la
gravità e il livello patologico del trauma.
La fase subacuta vede protagonista il lavoro fisioterapico soprattutto con la fisioterapia strumentale. E'
molto importante trattare i singoli legamenti interessati con laserterapia che, per personale esperienza, è
da preferire a puntale in modo da seguire il decorso
del legamento punto a punto (Lieven, 1990). Molto
indicate sono anche la Tecarterapia (Contigliani, Marasco, 2009) e gli ultrasuoni, questi ultimi da somministrare in caso di necessità di ulteriore drenaggio dell'edema e degli eventuali versamenti. La magnetoterapia è importante come primo soccorso entro le 24
ore dal trauma, viene somministrata in fase subacuta
solo quando il trauma è particolarmente vasto nel
senso che sappiamo essere presenti interessamenti
patologici diffusi a molte articolazioni e legamenti del
piede.
Fase importante della terapia è recuperare il R.O.M.
(Range Of Movement) completo e senza dolore, di
fatto questa fase inizia immediatamente a posteriori
dell'evento traumatico ma diventa protagonista nel
passaggio dalla fase acuta a subacuta, quindi con un
dolore al movimento che progressivamente si riduce
(Hunt, McPoil, 1999).
Quando i tessuti sono guariti biologicamente non lo
saranno ancora da un punto di vista neurologico e
funzionale. Il rischio di una seconda distorsione è elevatissimo in quanto nel trauma molte terminazioni
nervose periarticolari sono state distrutte oppure sono
ancora silenti perché la matrice extracellulare è ancora infarcita di cataboliti, residui della lesione, ecc. In
questa fase non esiste un corretto feed back tra l'articolazione infortunata e il sistema nervoso centrale. E'
come se, ad esempio, il piede in fase di guarigione
appoggiasse e caricasse il peso su un piano inclinato,
l'informazione che arriva al sistema nervoso centrale
(e quindi al sistema vestibolare) potrebbe essere di
un inclinazione di 5° sull'orizzontale quando, nella
realtà, la stessa inclinazione potrebbe essere di 15°,
quindi è un'informazione pericolosa. E' una questione
legata alla complessità e alla ricchezza dei recettori
nervosi articolari (Vitale, 2012). La recidiva della distorsione nasce proprio qui: da un afferenza con informazione falsata deriva una risposta efferente incongrua alla situazione reale ed il sistema si procura
facilmente un nuovo trauma. Bisognerà quindi stimolare al massimo e più precocemente possibile la comunicazione tra sistema neurologico periferico e centrale (riprogrammazione neurosensoriale e neuromotoria). Questa fase terapeutica possiamo definirla rieducazione propriocettiva che è parte della rieducazione funzionale.
La rieducazione propriocettiva si avvale sia di un lavoro a corpo libero e sia di un lavoro con piccoli attrezzi: i piani instabili (Figura 7). Esistono molti tipi di
piani instabili ma il concetto di lavoro sarà sempre
comune: somministreremo esercizi con una doppia
progressione. La prima è sul versante del carico
(quindi esercizi da totalmente in scarico ad esercizi in
appoggio monopodalico sul piano instabile). La seconda progressione è di andare dal semplice
(neurologicamente parlando) al complesso.
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Figura 6 - Esempio di piano
instabile per rieducazione propriocettiva
Nello specifico delle attrezzature i piani oscillanti più
utilizzati sono di vario genere ma tutti si rifanno a due
tipologie fondamentali (Marasco, 2000): il Disco di
Freeman e il P.E.P. (Figura 8). Il Disco di Freeman è
un piatto sotto al quale viene fissata una semisfera
cosicché il piatto stesso possa avere una inclinazione
massima di circa 45°. E’ uno strumento che ha avuto
una grossa applicazione con l’avvento delle conoscenze sulla propriocettività. E’ per questo motivo che
si usa moltissimo nel recupero di traumi delle strutture
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RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
Figura 8 - Disco di Freeman e Piano di Educazione
Propriocettiva
articolari soprattutto degli arti inferiori. Con lo sviluppo
delle conoscenze scientifiche nella propriocettività le
grosse inclinazioni che il piatto del Disco di Freeman
può raggiungere si sono rivelate un limite all’utilizzo
dell’attrezzo. Per questi motivi è stato ideato il piatto
di educazione propriocettiva (PEP) che presenta un
piano che raggiunge al massimo i 10° d’inclinazione.
La differenza tra i due attrezzi, che apparentemente
può sembrare minima, è invece importante perchè di
tipo concettuale. Il Disco di Freeman per il fatto di
inclinarsi velocemente e di parecchi gradi attiva soprattutto le fibre dinamiche (fasiche) del muscolo
chiamato a contrarsi (e quindi i suoi sensori); il PEP
viceversa, attiva le fibre antigravitarie (toniche) in
quanto lo sbilanciamento in gradi e velocità rimane
sotto una soglia controllata dalla sfera non cosciente
del nostro sistema nervoso (Marasco 2000). Con questo non abbandoniamo l'utilizzo del disco di Freeman
ma lo collochiamo in un'ottica ragionata.
Prima di avviare l'altro versante del recupero funzionale che sarà la restituzione di una fisiologica tonicità
muscolare ed un allungamento di quella muscolatura
eventualmente retratta a causa o della postura antalgica o degli effetti dell'immobilità bisogna valutare
l'assetto posturale del paziente (Hunt, 1999). E' pertanto molto importante che lo stesso venga valutato
nella sua globalità da un punto di vista osteopatico e
posturologico prima appunto dell'avvio della fase di ritonificazione muscolare. Un paziente che inizia un
programma di rinforzo con un "assetto" posturale non
in equilibrio potrebbe probabilmente autodanneggiarsi. I vettori di forza della postura eretta umana a contrasto della forza di gravità terrestre infatti partono dai
piedi ma arrivano al cranio passando per i visceri
(Marasco, 2009).
BIBLIOGRAFIA
1. AAVV. (1997). Dorland's illustrated medical dictionary – Reed Elsevier.
2. AAVV (2012). Appunti delle lezioni della Scuola
di Osteopatia AbeOS
3. Besnier J.P. et Al. (1988). Distorsioni e lussazioni
– Ed. Oriens.
4. Bonetti O. (2008). Tensegrità e sistema fasciale CERDO.
5. Chiesa V., Contigliani R (2012). Appunti delle
lezioni dei corsi Abe di taping linfoneuromuscolare e viscerale
6. Contigliani R., Marasco M.L. (2009). Manuale di
Osteopatia – Macro Edizioni.
7. De Filippo M. (2012). Imaging dei traumi di caviglia e piede. Disponibile su http://www.congressi
monselice.it/allegati/relazioni/de_filippo_caviglia_
traumatica.pdf (Accesso 10 Febbraio 2012).
8. Hunt G.C., McPoil T. (1999). Terapia fisica del
piede e della caviglia - UTET.
9. Lievens P.C. (1990). Laser thérapie – Editions
Frison-Roche.
10. Kapandji I.A. (1983). Fisiologia articolare, Volume
II – Marrapese Editore Demi.
11. Marasco M.L. (1990). Traumi distorsivi della tibiotarsica nella pallavolo: considerazioni sulla biomeccanica, sull'eziopatogenesi e sulla terapia –
Tesi Università degli Studi di Milano Scuola per
Terapisti della Riabilitazione.
12. Marasco M.L. (2009). Archi funzionali e biomeccanica di John Martin Littlejohn – Marrapese Editore.
13. Marasco M.L. (2000). Back School – Amaltea
Edizioni.
14. Pietrogrande V. (1984). Lezioni di clinica ortopedica e traumatologica – Edizioni Libreria Cortina
15. Vitale D. (2002). Introduzione alla diagnostica
strumentale. Disponibile su http://www.scuola
osteopatia.net/materiale_didattico/Introduzione%
20alla%20diagnostica%20differenziale.pdf Accesso (10 Febbraio 2012).
16. Zangara (1992). Patologia medica Volume I –
Piccin.
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APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLA DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA
CONCLUSIONI E APPLICAZIONI PRATICHE
A questo punto il collo del piede è guarito ormai da
tempo da un punto di vista biologico grazie ai suoi
mediatori dell'infiammazione coadiuvati dalla fisioterapia strumentale, quindi ha progressivamente riprogrammato la comunicazione afferente-efferente tra la
periferia traumatizzata e il sistema nervoso centrale
(con il bendaggio funzionale prima, il taping dopo e la
propriocettività durante). Appena viene riequilibrato
nella sua globalità può accelerare con l'ultima fase del
recupero delle ampiezze del range articolare (con
mobilizzazioni passive in condizione di non dolore) e,
soprattutto, con il recupero del tono muscolare che lo
condurrà dal lettino alla palestra al campo di gioco o
alla vita di relazione.
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NEWS
ALIMENTAZIONE
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
L’IMPATTO DEL SALE, GRASSI E ZUCCHERO
SUL CONSUMO DI CIBO NEI BAMBINI.
L’INFLUENZA MATERNA E DEL MIGLIORE AMICO
SULL’ABITUDINE DI SALTARE I PASTI.
La comprensione dei fattori determinati dell’assunzione di cibo, in particolare il ruolo dei sensori di qualità
del cibo è un passo necessario per migliorare la prevenzione di abitudini alimentari non salutari. Tuttavia,
la misura in cui l’assunzione di cibo varia in base al
contenuto di sale, grasso e zucchero non è perfettamente conosciuta. Lo scopo di questo studio è stato
quello di valutare se il consumo di cibo vari durante il
pranzo o gli snack (nel contenuto di sale, grassi o
zucchero) mangiando dei cibi modificati rispetto a
quelli comunemente mangiati. Alla ricerca hanno partecipato 74 bambini (30 +/- mesi di vita). Il test è stato
svolto nel loro asilo nido. Durante la settimana sono
stati serviti pasti composti tra l’altro da fagiolini, pasta
con diverse quantità di sale (0, 0.6 e 1,2% di aggiunta
di sale) e di burro (0, 2,5 e 5% di burro aggiunto),
mentre sono stati modificati i livelli di zucchero presenti nel purè di frutta consumato nel pomeriggio (0, 5
e 10% di zucchero aggiunto). Durante ogni pasto i
bambini potevano mangiare a volontà ciascun tipo di
alimento. Ogni alimento è stato pesato prima e dopo il
pasto. Il livello di sale ha avuto un impatto positivo sul
consumo dei cibi. Al contrario, non sono stati riscontrati delle modificazioni di consumo con il variare delle
percentuali di zucchero e di burro. Ciò implica che
l’aggiunta di grassi e zuccheri potrebbero essere evitati negli alimenti per bambini senza che ciò abbia un
effetto sull’appetibilità, permettendo quindi di limitare
la densità energetica degli alimenti. Inoltre il consumo
di sale dovrebbe essere limitato, ma la sua soppressione nelle verdure (che dovrebbero essere consumate regolarmente) dovrebbe essere valutata con
cautela.
Bouhlal S, Issanchou S, Nicklaus S.
Br J Nutr. 2011
Saltare i pasti è particolarmente comune durante l’adolescenza e può avere un effetto negativo su diversi
aspetti della salute dei giovani. Lo scopo di questo
studio è stato quello di esaminare l’influenza materna
e del migliore amico sull’abitudine di saltare i pasti
negli adolescenti. La frequenza con cui si salta la colazione, il pranzo e la cena è stata valutata attraverso
un sondaggio on-line svolto su un campione del 3001
ragazzi e ragazze di età compresa tra i 7 e i 9 anni. È
stata valutata la frequenza con cui madre e migliore
amico saltino i pasti, il tipo di alimentazione (mangiare
cibo sano, limitare il junk food, mangiare frutta e verdura) ed è stato misurato il peso. Per esempio i ragazzi e le ragazze che hanno percepito che il loro
migliore amico saltava i pasti erano più propensi a
saltare il pranzo (OR = 2.01, 95% CI 1.33, 3.04 e OR
= 1,93, IC 95%: 1 · 41, 2,65, P <0,001). Ragazzi e
ragazze che hanno percepito che la loro madre spesso saltava i pasti erano più propensi a saltare la prima
colazione (OR = 1,48, 95% CI 1,01, 2,15, P <0.05 e
OR = 1,93, IC 95% 1,42, 2,59, P <0,001) e il pranzo
(OR = 2,05, 95% CI 1.35, 3.12 e OR = 2,02, 95% CI
1,43, 2,86 p <0,001). Educare gli adolescenti su come
valutare e interpretare i comportamenti alimentari non
salutari che osservano nelle persone vicine potrebbe
essere una strategia per promuovere una corretta
alimentazione e ridurre il rischio di salto del pasto. Il
coinvolgimento delle madri potrebbe essere particolarmente utile in questa situazione.
Pearson N, Williams L, Crawford D, Ball K.
Br J Nutr. 2012
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NEWS
BIOMECCANICA
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
FATTORI CINEMATICI CHE INFLUENZANO I TEMPI DI ACCELERAZIONE NELLA CORSA E NEI
CAMBI DI DIREZIONE.
EFFETTO DELL’AMPIEZZA DELLA PRESA SULL’ATTIVITÀ ELETTROMIOGRAFICA DURANTE L’ESECUZIONE DI UNA TIRATA AL MENTO.
In molti sport, ai giocatori è richiesto di accelerare e
immediatamente dopo cambiare direzione (COD) prima di eseguire un movimento successivo. Pertanto
questi giocatori non raggiungono la loro velocità massima prima del cambio di direzione. Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare quali fattori
cinematici influenzassero un’accelerazione lineare
(SA) lenta e veloce e un cambio di direzione (COD). I
giocatori della Nazionale Under 21 di Netball hanno
partecipato allo studio che prevedeva tre prove di
sprint per 2,5 m SA, un COD di 180° e immediatamente dopo uno sprint di 2,5m. I giocatori sono stati
raggruppati in diverse categorie di velocità in base al
tempo impiegato nello sprint di 2,5 m. Nel gruppo di
giocatori più veloci è stata osservata una media della
frequenza di passo maggiore (4%, p=0,03) rispetto al
gruppo più lento. Per la prova SA, i tempi più veloci
sono stati associati ad un’ampiezza del passo significativamente ridotta (SL 7%, p=0,03), maggiori angoli
del tronco (cioè una maggiore inclinazione in avanti) e
l’angolo dell’anca più chiuso nel primo passo. La prova SA è stata associata ad un’ampiezza media del
passo maggiore rispetto ai risultati ottenuti nella prova
COD. E’ stato associato al primo passo della prova
SA un aumento significativo dell’inclinazione in avanti
(34%) e della salita del ginocchio nel primo e nel secondo passo della prova SA (11-22% rispettivamente). Queste differenze cinematiche potrebbero essere
utilizzate per lo sviluppo di programmi di allenamento
specifici.
Hewit JK, Cronin JB, Hume PA.
J Strength Cond Res. 2012
La tirata al mento è utilizzata comunemente per sviluppare la muscolatura del deltoide posteriore e superiore. Tuttavia, esistono poche informazioni riguardanti il reclutamento muscolare nelle diverse variati di
questo esercizio. Alla ricerca hanno partecipato sedici
uomini allenati che hanno svolto due ripetizioni per
ogni condizione di tirata al mento (50, 100, 200% della larghezza biacromiale (BAB)). Il carico è rimasto
inalterato per tutte le condizioni di presa (85% 1RM
determinata al 100% della BAB). Il test RMANOVA è
stato utilizzato per confrontare l’attività massima del
deltoide anteriore (AD), di quello laterale (LD) di quello posteriore (PD), del trapezio superiore (UT), del
trapezio medio (MT) e del bicipite brachiale (BB) durante l’esecuzione di un movimento eccentrico e concentrico eseguito con le tre prese. Sono state registrate delle differenze significative (p<0,05) nell’attività concentrica dei muscoli LD e PD (p<0.001), e in
quella eccentrica dei muscoli AD (p<0.023), LD
(p<0.001), UT (p<0.001), MT (p<0.001) e BB
(p<0.003). Un’analisi di Bonferroni post hoc ha rilevato differenze significative nell’azione concentrica di
LD (50% BAB vs 200% BAB e 100% vs 200% BAB) e
PD (50% BAB vs 200% BAB e 100% vs 200% BAB),
nell’azione eccentrica di LD (tutti i confronti), UT ( tutti
i confronti), MT (50% BAB vs 200% BAB e 100% vs
200% BAB), e BB (50% BAB vs 200%), con effetti da
ampi a molto ampi. È stato notato un effetto da moderato ad ampio per alcune comparazioni non significative. La principale scoperta di questa ricerca è l’aumento dell’attività del trapezio e del deltoide con l’aumento della larghezza delle presa, e una corrispondente minore attività del bicipite brachiale. Pertanto
coloro che cercano di massimizzare il coinvolgimento
dei muscoli deltoidi e del trapezio durante le tirate al
mento dovrebbero utilizzare una presa più larga.
McAllister MJ, Schilling BK, Hammond KG, Weiss
LW, Farney TM.
J Strength Cond Res. 2012
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NEWS
FITNESS E SALUTE
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
L’ALLENAMENTO CON I PESI, L’OBESITÀ E LA
RISPOSTA INFIAMMATORIA.
INFLUENZA
DELLA
MODIFICAZIONE
DEL
FITNESS AEROBICO SULLO SVILUPPO DELLA
SINDROME METABOLICA.
L’obesità intra-addominale è un fattore di rischio per
le infiammazioni di piccola entità che sono associate
ad un aumento del rischio per il diabete mellito e le
patologie cardiovascolari. Principalmente, i consigli
per il trattamento e la prevenzione dell’obesità suggeriscono di svolgere attività fisica aerobica poiché questo tipo di attività è associata ad una maggiore spesa
energetica rispetto a quella prodotta durante una sessione di allenamento con i sovraccarichi. Tuttavia, a
causa delle differenze metaboliche di una massa muscolare ridotta, non è chiaro se la normale diminuzione dell’attività fisica correlata all’età possa portare ad
una maggiore prevalenza di patologie metaboliche.
Non è ancora chiaro se l’allenamento con i sovraccarichi alteri la composizione del grasso viscerale e i
livelli di alcune citochine pro-infiammatorie prodotte
nel tessuto adiposo. Alcuni studi suggeriscono che
l’allenamento con i sovraccarichi possa promuovere
un bilancio energetico negativo e possa modificare la
distribuzione del grasso corporeo, ciò è possibile poiché l’aumento della massa muscolare conseguente
ad un allenamento con i pesi potrebbe essere un mediatore chiave per il controllo metabolico. Considerando i benefici dell’allenamento con i sovraccarichi sul
grasso viscerale e sulla risposta infiammatoria, la domanda importante è: quale volume di allenamento
con i pesi è necessario per ottenere questi benefici?
Pertanto, lo scopo di questa review è stato quello di
valutare l’importanza dell’allenamento con i sovraccarichi sull’obesità addominale, viscerale e sulla risposta infiammatoria.
Strasser B, Arvandi M, Siebert U.
Obes Rev. 2012
La sindrome metabolica è il raggruppamento di diversi fattori di rischio cardiometabolici che possono portare allo sviluppo di una malattia coronarica e al diabete di tipo 2. Abbiamo valutato se un cambiamento
nella capacità aerobica risultante da una modificazione dello stile di vita sia in grado di modificare le probabilità di sviluppare la sindrome metabolica. Alla ricerca hanno partecipato 810 soggetti che sono stati
seguiti per 6 e 18 mesi. Il criterio primario di eleggibilità è stata la diagnosi di pre ipertensione o ipertensione di livello 1. I soggetti sono stati sottoposti in maniera a casuale a 2 interventi sullo stile di vita, entrambi
includevano l’aumento dell’attività fisica, mentre per il
gruppo di controllo si trattava solamente di un consiglio. I soggetti hanno svolto un test al treadmill sub
massimale: è stata utilizzata la riduzione della frequenza cardiaca per valutare l’aumento del fitness
aerobico. L’interventi nello stile di vita non hanno avuto effetti significativi sulla prevalenza di sindrome metabolica a 6 o 18 mesi. Mentre quando si confrontano
i risultati del gruppo d’intervento con quello di controllo, a 6 e 18 mesi, la riduzione di 1 un battito per minuto della frequenza cardiaca è stata associata ad una
riduzione del rischio di sviluppo della sindrome metabolica del 4%. Quando è stata testata la modificazione del peso come mediatore l’associazione non era
più significativa. L’aumento del fitness aerobico potrebbe ridurre lo sviluppo della sindrome metabolica.
Questa associazione appare mediata dalla concomitante riduzione di peso.
Crist LA, Champagne CM, Corsino L
Prev Chronic Dis. 2012
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NEWS
RIABILITAZIONE E POSTUROLOGIA
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POSTURA DEL PIEDE E TENDINOPATIA ROTULEA NEI GIOCATORI DI PALLAVOLO.
TRATTAMENTO EFFICACE DEL DOLORE E DELLA FUNZIONALITÀ DEL MENISCO DANNEGGIATO IN MANIERA IRREPARABILE.
Abbiamo ipotizzato che i soggetti con una postura dei
piedi normali abbiano una minore possibilità di sviluppare patologie a carico del tendine rotuleo rispetto ai
soggetti con un piede prono o supino. Alla ricerca
hanno partecipato dei giocatori di Pallavolo. La tendinopatia rotulea (PT) è un infortunio che colpisce gli
sportivi che saltano o corrono ed è in grado di limitare
la performance dell’atleta. Alcuni studi hanno analizzato i fattori eziologici potenziali per lo sviluppo della
PT, ma sono poche le conoscenze sull’associazione
tra PT e postura dei piedi. Alla ricerca hanno partecipato 78 giocatori di pallavolo (48 uomini e 30 donne)
a cui sono stati misurati i valori dell’indice di postura
statico (FPI), il dolore del tendine rotuleo durante uno
squat monopodalico ed è stata utilizzata un’immagine
ad ultrasuoni in scala di grigio. Gli uomini con dolore
rotuleo avevano una maggiore probabilità di avere
una postura normale dei piedi e gli uomini senza dolore avevano più probabilità di avere il piede prono (in
base alla valutazione svolta utilizzando FPI). Nelle
donne non è stata registrata un’associazione tra FPI
e dolore. Gli uomini con una postura dei piedi normale hanno maggiori probabilità di sviluppare una tendinopatia rotulea rispetto agli uomini con il piede in posizione prona.
de Groot R, Malliaras P, Munteanu S, Payne C,
Clin J Sport Med. 2012
È stato progettato un nuovo scaffold poliuretanico
biodegradabile in grado di soddisfare la necessità di
trattamento dei pazienti con dolori e difetti parziali
irreparabili al menisco. L’uso di uno scaffold poliuretanico acellulare per una nuova rigenerazione del tessuto utilizzato per la cura dei difetti irreparabili del
menisco fornisce sia un sollievo immediato dal dolore
che una migliore funzionalità. Alla ricerca hanno partecipato cinquantadue pazienti con il menisco danneggiato (34 mediale e 18 laterale, 88% con 1-3 interventi precedenti al menisco) a cui è stato impiantato
uno scaffold poliuretanico. La sicurezza è stata valutata attraverso il rapporto tra la scaffold-related serious adverse events (SAEs) e il confronto della risonanza magnetica (MRI) al basale (1 settimana) e dopo 24 mesi. I risultati clinici sono stati misurati attraverso la visual analog scale, International Knee Documentation Committee, Knee Injury and Osteoarthritis
Outcome Score (KOOS), and Lysholm score a 24
mesi dal basale (inizio dello studio). Sono stati registrati dei miglioramenti clinici (p<0,0001) rispetto al
basale in tutte le valutazioni eseguite (basale/24 mesi): visual analog scale (45.7/20.3), International Knee
Documentation Committee (45.4/70.1), KOOS
symptoms (64.6/78.3), KOOS pain (57.5/78.6), KOOS
activities of daily living (68.8/84.2), KOOS sports
(30.5/59.0), KOOS quality of life (33.9/56.6), and
Lysholm (60.1/80.7), dimostrando dunque una diminuzione del dolore e miglioramenti dal punto di vista
funzionale. L’incidenza del fallimento del trattamento
è stata del 17,3% (9 pazienti), 3 con un difetto al menisco mediale e 6 con un difetto al menisco laterale.
Ci sono stati 9 casi in cui è stato necessario intervenire nuovamente. È stata registrata nel 92,5% una valutazione stabile o migliorata nella International Cartilage Repair Society dal basale a 24 mesi. A distanza di
2 anni dall’intervento, la sicurezza e i risultati prodotti
da questo studio supportano l’utilizzo di uno scaffold
poliuretanico per il trattamento del dolore e della funzionalità nel menisco danneggiato irreparabilmente.
Verdonk P, Beaufils P, Bellemans J, Djian P.
Am J Sports Med. 2012
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NEWS
SPORT
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
INFLUENZA DI SPRINT BREVI O LUNGHI SUI PARAMETRI DI FITNESS DEI GIOVANI CALCIATORI.
SCOPERTE CLINICHE E DI UNA RISONANZA MAGNETICA SULLA SPALLA DEI GINNASTI.
Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare gli effetti della ripetizione di sprint brevi con un allenamento di sprint lunghi sui parametri del fitness nei
giovani calciatori. Alla ricerca hanno partecipato trenta ragazzi (14-15 anni) che sono stati assegnati, in
maniera casuale, al gruppo degli sprint brevi o al
gruppo di allenamento con gli sprint lunghi. I soggetti
hanno completato due batterie di test per la valutazione dei livelli di fitness simili prima e dopo sette settimane di allenamento. Il programma dei due gruppi di
allenamento era così composto: sprint brevi (4-6 serie
da 4x50m massimali), sprint lunghi (4-6 serie di 200m
di corsa al 85% della velocità max). Ogni allenamento
è stato ripetuto per 3 volte a settimana. Prima dell’allenamento non sono state registrate delle differenze
significative per i livelli di VO2, la lunghezza del salto
in lungo da fermo, il tempo nello sprint di 30m, il tempo di corsa nella navetta 4x10m e il tempo di corsa
nei 250m. Entrambi i programmi di allenamento hanno determinato un aumento significativo del VO2 max,
senza differenze tra i 2 gruppi (P=0,14). Entrambi gli
allenamenti hanno prodotto miglioramenti sulle variabili anaerobiche tempo nello sprint 30m, nella navetta
4x10m e del tempo nella corsa di 250m, senza differenze tra i gruppi. Nessuno dei due programmi ha
avuto un effetto significativo nel salto in lungo. Lo studio mostra che uno sprint di lunga durata vicino al
massimale, e uno sprint massimale breve (ma con la
distanza complessiva totale uguale) siano entrambi
efficaci per il miglioramento della variabili aerobiche
ed anaerobiche nei giovani calciatori. Pertanto per
mantenere alto l’interesse e l’entusiasmo degli atleti
durante gli allenamento suggeriamo di alternare questi due metodi.
Meckel Y, Gefen Y, Nemet D, Eliakim A.
J Strength Cond Res. 2011
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare gli
effetti di un overuse della spalla nei ginnasti
(sintomatici o asintomatici) d’elite. Alla ricerca hanno
partecipato 21 ginnasti d’elite appartenenti alla Nazionale Italiana da almeno 10 anni e un gruppo di controllo di 10 pazienti (20 spalle) della stessa età e sesso. I soggetti sono stati sottoposti ad una risonanza
magnetica (MRI). I dati sono stati interpretati da due
esperti radiologi muscolo scheletrici che hanno interpretato diverse variabili di ogni MRI (tendini della cuffia dei rotatori, il labral signal, e la capsula), misurando anche il tessuto molle (muscolo e tendine) per valutare le modificazioni globali della spalla. Sono stati
registrati segnali di anormalità in 36/36 (100%) delle
spalle dei ginnasti, e in 4/20 (20%) del gruppo di controllo. Sedici su 36 (44,4%) delle spalle, dei ginnasti,
analizzate hanno evidenziato la presenza di una consistente SLAP tears, bilaterale in 4 pazienti, una lesione del labrum anteroinferiore è stata riscontrata in
10/36 (27,7%) spalle, mentre non sono stati registrati
questi segni nel gruppo di controllo. Otto delle 36
(22%) spalle, dei ginnasti, hanno consistenti parziali o
complete tears del tendine della cuffia dei rotatori (0
nel gruppo di controllo). È stato registrato l’aumento
dello spessore del tendine e l’ipertrofia dei muscoli
della cuffia dei rotatori e del deltoide, modificazioni
risultate simmetriche tra l’arto dominante e quello non
dominante. La spalla dei ginnasti è molto diversa da
quella della popolazione normale. Le scoperte principali ottenute grazie alla MRI sono: la SLAP tears, l’ipertrofia e la simmetria. Le SLAP tears sembrano
responsabili dell’abbandono precoce dell’attività.
De Carli A, Mossa L, Larciprete M Ferretti M, Argento
G, Ferretti A.
J Sports Med Phys Fitness. 2012
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NEWS
UTILITA’ DALLA SCIENZA
ELAV JOURNAL Anno V Numero 17
NEWS A CURA DI Gabriele Rossi
IL DANNO MUSCOLARE INDOTTO DALL’ESERCIZIO HA IMPORTANZA NELL’IPERTROFIA MUSCOLARE?
CASO DI STUDIO: LA DENSITÀ OSSEA DI DUE
SOLLEVATRICI DI PESO SENIOR.
Il danno muscolare indotto dall’esercizio (EIMD) si
verifica soprattutto quando viene svolto un esercizio
fisico non abituale. La sua gravità è modulata dal tipo,
l’intensità e/o la durata dell’allenamento. Sebbene sia
l’azione eccentrica che quella concentrica contribuiscano al EIMD, il maggior danno muscolare viene
registrato dall’esercizio eccentrico, quando i muscoli
sono costretti ad un allungamento. I danni possono
essere specifici per poche macromolecole di tessuto
o riguardare grandi zone di sarcolemma, lamina basale e di tessuto connettivo, nonché indurre lesioni
degli elementi contrattili e del citoscheletro. Anche se
l’EIMD può avere effetti dannosi a breve termine sui
marker della performance e sul dolore, è stato ipotizzato che l’associazione tra l’infiammazione del muscolo scheletrico e l’aumento del turnover proteico sia
necessario per un adattamento ipertrofico a lungo
termine. È stata proposta una base teorica di questo
principio, per cui i cambiamenti strutturali associati
con l’EIMD influenzino l’espressione genetica con
conseguente rafforzamento del tessuto e così la protezione del muscolo contro gli infortuni. Altri ricercatori, invece, hanno messo in dubbio questa ipotesi, sottolineando che l’ipertrofia possa avvenire in relativa
assenza di danno muscolare. Pertanto lo scopo di
questo studio sarà duplice: 1) rivedere la letteratura e
tentare di determinare il ruolo del EIMD nella promozione dell’ipertrofia muscolare, e 2) formulare delle
linee guida per la programmazione di un allenamento
con i sovraccarichi.
Schoenfeld B.
J Strength Cond Res. 2012
Lo scopo di questo caso di studio è stato quello di
esaminare la densità ossea (BMD) di due donne di 48
e 54 anni, che seguivano un allenamento ad alta intensità con i sovraccarichi da più di 30 anni partecipando anche a competizioni nazionali di sollevamento
peso. Ogni soggetto è stato analizzato utilizzando
una dual x-ray absorptiometry (GE Lunar Prodigy,
Fairfield, CT, USA) e sono stati valutati, per entrambi i
soggetti, i valori di BMD (grammi per centimetro quadrato) e il contenuto di minerali in grammi della colonna vertebrale, del femore e di tutto il corpo. I punteggio Z e T del soggetto di 49 anni sono stati significativamente maggiori rispetto ai valori normali per età e
sesso (colonna vertebrale + 2,2 Z, T + 1,8, media femorale Z + 1.1, T + 0.6, total body Z + 2.4, T + 2.0). Il
punteggio Z e T del soggetto di 54 anni sono stati
maggiori rispetto a quelli presenti in letteratura per
una donna caucasica della stessa età e sesso
(colonna vertebrale Z + 2.8, T + 2.2, femoral mean Z
+ 1.4, T + 1.9, total body Z + 2.6, T + 3.0). Sebbene
questi risultati non dimostrino alcuna relazione causale tra l’allenamento a lungo termine e ad alta intensità
della forza e la BMD nelle donne, esse evidenziano la
possibilità che possa coesistere un certo tipo di rapporto.
Walters PH, Jezequel JJ, Grove MB.
J Strength Cond Res. 2012
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