Alpin 61 - ANA Gruppo Alpini Milano Centro

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Alpin 61 - ANA Gruppo Alpini Milano Centro
Numero 61 - Anno XI/3 - Giugno 2010
Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Milano - Gruppo Milano Centro “Giulio Bedeschi”
Redazione: Via Vincenzo Monti 36 - 20123 Milano - tel. 02 48519720 - Responsabile: Alessandro Vincenti - Inviato gratis ai Soci sito internet www.alpinimilanocentro.it e-mail [email protected]
VISIBILIO VISIBILE
Mi è venuto in mente l’articolo del nostro
CG intitolato “Il Rumore del silenzio” che
scrisse nel luglio 2007 dopo l’adunata di
Cuneo, dove esprimeva con forte rammarico il silenzio della stampa nazionale di
fronte a quell’evento.
Mi è venuto in mente una prima volta
quando ho letto il Corriere della Sera di
martedì 11 maggio u.s., dove c’era mezza
pagina sulle cronache lombarde riservato
al “day after” bergamasco. Lo scritto di
quel giorno chiudeva una serie di articoli
comparsi fin dal venerdì 7!
Il cronista riportava la sorpresa nel constatare come la città fosse ritornata
“normale” e senza strascichi negativi dopo
il passaggio di 500 mila presenze.
Embé? … dove sta la sorpresa? È sempre
stato così ad ogni adunata, anzi noi alpini di solito - lasciamo la città ospitante con
qualcosa di materiale in più come segno di
ringraziamento per l’accoglienza ricevuta.
L’articolo “Il Rumore del silenzio” mi è
anche venuto in mente quando il mio dentista, che stava togliendomi i punti dalla
gengiva (prima di partire per Bergamo mi
ero fatto togliere un dente del giudizio,
con tutte le conseguenze del caso, oltre
alla perdita di … giudizio!), mi ha raccontato delle abbondanti letture che ha fatto
sui quotidiani, descrivendomi con meraviglia l’Adunata che lui ha letto e visto in
televisione, constatando che ne sapeva più
del sottoscritto (che all’Adunata, nonostante tutto, c’era!).
Credo di essere stato l’unico dei suoi pazienti che, sotto i ferri, abbia riso di gusto.
Così è la prima volta che persone estranee
al nostro mondo, hanno parlato stupefatti
di Alpini, adunate, feste e Tricolore evidenziando anche una delle nostre caratteristiche: lo spirito di corpo …
Per noi alpini, tutto ciò è sempre stato
così! Nessuna sorpresa, nessuna meraviglia; è nella nostra normalità.
stranee alla nostra realtà, è compito grave
e delicato.
Sicuramente nelle alte sfere della nostra
Associazione ci si muoverà con un
“Ufficio di pubbliche relazioni” ancora
più professionale e preparato, adatto ad
“istruire” i giornalisti non alpini, cui spetta
l’altissimo e delicatissimo compito di comunicare con i loro potenti mezzi i nostri
valori fondamentali; il Presidente Perona e
il Direttore de “L’Alpino”, mi pare che –
velatamente – abbiano previsto la cosa al
recente convegno della Stampa Alpina.
Spiegare – ad esempio – che il nostro spirito di corpo è cosa nata sulle Dolomiti o
sui ghiacciai durante la Grande Guerra
dove gli alpini, rientrando dalla battaglia,
constatavano che i migliori erano andati
avanti; che questo spirito di corpo non è
sprofondato nel fango della Grecia; che
questo spirito è stato caricato sulle slitte
portanti nella gelida steppa russa i corpi
raggomitolati di sconosciuti; che lo spirito
di corpo è stato plasmato in una pala e in
un piccone che ha rotto le macerie delle
case distrutte dai terremoti; che il medesimo spirito è diventato un’arma potente
data in mano ai “bocia” che dovranno
combattere la guerra contro le calamità
naturali, che questo spirito di corpo si manifesta come una Grande Famiglia che fa
ala alle bare di chi cade mantenendo il
Giuramento al Popolo italiano e si stringe
ai Famigliari che non possono essere mai
più lasciati nella solitudine, … ecco, spiegare tutto ciò in poche righe a disposizione dei giornalisti, è certamente impresa
ardua! Ora, dunque, che abbiamo gli occhi
puntati e – probabilmente – anche le speranze della gente comune riposte su di noi,
non ci resta che darci da fare più di prima
e meglio!
Allora sì che sarà un vero … visibilio visiA volte lo scrivere e' difficile e la bravura non e' bile!
tutto: altre armi occorrono per far breccia a un
Abbì
Bergamo, riflettendo bene invece, ha aperto
ulteriormente gli occhi a noi: il popolo non
alpino ha incontrato il popolo alpino attraverso un’abbondante informazione proveniente da organi di stampa non “di parte”!
I mass media non alpini, a portata nazionale,
hanno evidenziato come non mai l’evento
Adunata, narrando del nostro strano modo
d’aggregazione, parlando di Valori condivisi, di solidarietà, di amor di Patria … I giornalisti quasi avevano dimenticato come si
scrivono queste cose, mentre la gente comune non sapeva che potessero essere rievocate sulla carta stampata e nei telegiornali.
Come e perché è successo ora, non è il caso
d’indagare: ognuno di noi può trovare tutte
le giustificazioni del caso che saranno sicuramente veritiere. Comunque sia, essendo
ora stata Bergamo “la Breccia di Porta Pia”
per sfondare nel campo della visibilità
dell’informazione e nella mente dei non
alpini, approfittiamo – dico io – di questa
breccia per il futuro!
Non è per immodestia che lo dico, ma perché sia cosciente anche in noi che questo
“essere in cronaca” è giusto ed equo!
Orgoglio e soddisfazione, dunque, ma …
cautela, anche! Mettere in bocca i concetti
che esprimono i nostri valori a persone e-
vasto pubblico!
Alpin del Domm – 1
Gli alpini come il jazz:
Variazioni sul tema
L’emozionante epopea degli Alpini raccontata senza parole
Riportiamo di seguito la presentazione
offerta da Gianluca Marchesi quale introduzione per il Concerto “La tradizione in
movimento” tenuto il 22 maggio 2010
presso la Sala Puccini del Conservatorio
di Milano.
L’Associazione Nazionale Alpini venne
fondata nel 1919 da un gruppo di reduci
della prima guerra mondiale. Una guerra
che,secondo la strategia dell’epoca, fu
prevalentemente di posizione e quindi
particolarmente idonea a creare lunghi
periodi di vita insieme fra i combattenti.
In questo contesto il soldato ha vissuto un
“lungo momento della verità”, perché la
guerra è il momento della verità: nessuno
può presentarsi diversamente da come é.
Perciò le amicizie nate in guerra continuano e durano, anche se la frequentazione
delle persone è modesta.
Il naturale sentimento di solidarietà, nel
miglior significato della parola, cosí spontaneo tra i combattenti, lo era in modo
particolarmente intenso tra gli
alpini, proprio per il magico filo
che unisce la gente legata alla
montagna. C’é inoltre da considerare che la struttura stessa dei
reparti alpini, costituiti su base
territoriale e valligiana, e la spontanea naturale solidarietà della
gente di montagna, contribuivano
a rinsaldare i legami personali
fra i vecchi commilitoni tornati
alla vita civile. Dunque, al termine della grande guerra, fra i reduci alpini non venne meno lo spirito di solidarietà e di cameratismo
che li aveva contraddistinti durante il conflitto. Uno spirito ancora in stato embrionale fortemente dominato dalla inevitabile
dimensione reducistica della giovane Associazione
Nazionale
Alpini
e
dall’avvento di un regime teso a militarizzare tutto e tutti.
La tragica esperienza della seconda guerra
mondiale, ripropone la figura dei cappellani Militari tra i quali risplende la figura di
Don Gnocchi al quale è toccato in sorte di
farsi tradizione presso gli alpini di ogni
generazione. In una sua lettera dal fronte
greco-albanese dichiarava: “Vi assicuro
che questi alpini sono la mia meditazione
giornaliera ed ho imparato ed imparo
molte cose da loro. Attuarle però è
un’altra cosa”. Invece imparerà così bene
che assumerà la stessa mentalità e metterà
in atto i medesimi comportamenti anche
dopo la guerra, nella vita civile, quando,
alle prese con l’immensa Opera che stava
fondando, userà l’identica tenacia e una
straordinaria capacità di concretezza da2 – Alpin del Domm
vanti alle innumerevoli difficoltà che man
mano gli si pareranno davanti come picchi
da scalare.
.L’associazione si riconosce nell’opera di
don Gnocchi e nel corso degli anni, traendo
esempio sia dalla vicenda del Beato, sia dal
ripetuto utilizzo degli alpini in armi per alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite
da calamità naturali, utilizza le sue competenze e la sua diffusione sul territorio per
trasformare in realtà operativa i propri ideali.
Dopo la seconda guerra mondiale, alle generazioni di ex combattenti si affiancano i
giovani di leva verso i quali sono riposte le
aspettative e la continuità dei valori.
L’esperienza di una nuova coscienza civica
vissuta nel periodo del servizio militare dalle generazioni più giovani, che li ha visti
operare in varie occasioni d’emergenza in
soccorso alle popolazioni colpite da calamità, diventa patrimonio di nuovi concetti che
può sintetizzarsi nel motto di un nuovo indi-
rizzo “Onorare i morti aiutando i vivi”. Gli
alpini in congedo e la loro associazione assumono via,via un ruolo sempre più incisivo
nella realtà sociale che li circonda, privilegiando la dimensione del “fare” rispetto a
quella dell’ “apparire”. Questa caratteristica
accompagnerà l’ANA fino ai giorni nostri:
pensate che quest’anno, ai fini della pubblicazione del libro verde della solidarietà, la
sede nazionale è riuscita a fatica a farsi inviare dalle sezioni il 64% delle opere solidali
svolte. Il terremoto del Friuli rappresenta un
momento importante per l’associazione.
Durante questo tragico evento, l’ANA mobilita tutte le sue forze alle quali si affianca
un nutrito numero di simpatizzanti, persone
non alpine ma da sempre vicine ai nostri
valori ai quali con riconoscenza e lungimiranza, viene concessa l’iscrizione con la
qualifica di amici degli alpini. Questi ultimi
insieme a moltissimi dei soci alpini , concorreranno a formare la protezione civile
dell’ANA, gioiello dell’associazione. Quanta strada è stata percorsa da quel lontano
1919, quando pochi reduci decisero, in
una birreria di Milano di fondare l’ANA!
Quante cose sono cambiate ma ... attenzione: qui sta il vero segreto dei nostri alpini!
Essere figli del proprio tempo, vivere la
realtà nel territorio, saper cambiare in funzione delle esigenze della società in cui
viviamo senza tradire, ma anzi rendendo
testimonianza degli ideali dei nostri veci,
essere fautori di quella “tradizione in movimento” che fedele al motto scolpito sulla colonna dell’ Ortigara, “per non dimenticare”, si fa tramite tra le generazioni. A
questo scopo si deve la nascita del gruppo
Milano Centro, che propone, da sempre,
la promozione di avvenimenti culturali,
spesso anche attraverso moduli innovativi
nella forma ma inalterati nella sostanza,
tesi a sottolineare quella “tradizione in
movimento” che è anche musica e canto
popolare, A questo proposito ci è parso
interessante proporvi la novità di una trasposizione in jazz delle più note cante
alpine, Un operazione che se
in apparenza può sembrarvi
azzardata,a un approfondito
esame
rivela,invece,
l’insospettabile analogia della dinamica musicale del
jazz, caratterizzata da chiari e
definiti motivi iniziali che
via,via sembrano perdersi in
infinite variabili virtuosistiche che però ritrovano sempre la strada di casa terminando di nuovo col motivo
guida, un’ analogia, dicevamo, con lo spirito, il modo di
essere degli alpini, determinato nel fare
riferimento ai propri valori ma allo stesso
tempo un po’ anarcoide, riluttante alla
gerarchia eccessiva, alla forma esagerata,
popolare e disinvolto nel mettersi in gioco
riguardo le novità o la solidarietà verso gli
altri, a volte un po’ eccessivo nei raduni
conviviali e popolari, ma pronto a scattare
sull’attenti quando il dovere istituzionale e
civile lo chiama.
Ma … bando alle ciance, veniamo al dunque.
La serata che vi vogliamo offrire, è strutturata in maniera molto semplice: sull'introduzione musicale di ogni brano verrà
recitato il testo rivisto in chiave poetica,
così da permettervi di riconoscerlo sin
dalle prime note.
La musica è interpretata dal trio DAVIDE
CALVI..composto da Davide Calvi pianoforte, Cesare Pizzetti contrabbasso e Marco Caputo batteria.
Le letture saranno effettuate dall’attrice
Paola Caramel
MOTTI DEGLI ALPINI
E DELL’ARTIGLIERIA
DA MONTAGNA
MOTTI RINTRACCIATI SULLE
CARTOLINE STORICHE.
Da: I motti araldici dei Corpi del R.° Esercito, serie A, vol. I - 1936
ALPINI
Reggimenti:
I rgt (1882) Nec descendere nec morari
II rgt (1882) Vigilantes
III rgt (1882) Altius Tendo
IV rgt (-) In alto vigilando
V rgt (1882) Mai tardi al V°!
V rgt (1917) A noi le porte delle Alpi
VI rgt (1882) Più salgo, più valgo
VII rgt (1887) Ad excelsa tendo
VIII rgt (1909) O là o rompi
IX rgt (1919) Ad ardua super Alpes Patria vocat.
I Rgt. Alpini: ACRITER PUGNARE (Combattere audacemente);
II Rgt Alpini: ALPINUM CUSTOS (Custode delle Alpi);
III Rgt. Alpini: ALTIUS TENDO (Tendo più in alto);
IV Rgt Alpini: IN ADVERSA, ULTRA ADVERSA (contro la
sventura e oltre la sventura);
V Rgt. Alpini: NEC VIDEAR DUM SIM (che io non sia veduto,
purché io ci sia);
VI Rgt. Alpini: PIU’ SALGO, PIU’ VALGO;
VII Rgt. Alpini: NEC SPE, NEC METU (né colla speranza, né col
timore);
VIII Rgt. Alpini: PER CULMINA ESTREMA, ESTREMA AUDENTES (osiamo cose estreme attraverso estreme altezze);
IX Rgt Alpini: AD ARDUA SUPER ALPES PATRIA VOCAT
( la Patria ci invita a cose ardue sopra le Alpi);
Battaglioni:
AOSTA (II) – 1931: Ch’a cousta lon ch’a cousta, viva
l’Aousta.
BASSANO (VI e IX) – 1916: Che trionfano del nemico e della Montagna. G. D’Annunzio.
CADORE (VII) – 1934: In puritate robur
CIVIDALE (VIII) – 1917: Vincere bisogna.
DRONERO (II) – 1932: I l’oma fait polissia
EDOLO (V) – 1932: Oltre la meta
EXILLES (III) – 1929: Sali come il camoscio, piomba come
l’aquila, resisti come il macigno.
GEMONA (VIII) – 1933: O là o rompi
IVREA (IV) – 1918: Tucc un (grido di guerra del Canavese,
1386-91 ad indicare la forza del Tuchinagio, associazione di
popolani canavesi stretti in lega contro i loro feudatari).
*-*-*
MONDOVI’ (I) – 1932: i nostri silenzi e le cime.
MORBEGNO (V) – 1918: saldi sulle Alpi
ARTIGLIERIA DA MONTAGNA
PIEVE DI TECO (VII) – 1918: in puritate robur
I Rgt Art. Mont.: AD CULMINA FERRE IGNEM (portare il fuo- PINEROLO, 27^ cp Alpina (III) – 1917: Nihil alpinis arduum
est
co alle supreme altezze);
II Rgt. Art. Mont.: PER ARDUA ARDENS (Ardente attraverso le SALUZZO (II) – 1932: droit quoi qu’ il soit
TRENTO (VI) – 1924: audacemente ascendere
difficoltà);
III Rgt. Art. Mont.: NOBIS INCENDENTIBUS RUPES RUUNT TRENTO (VI) – 1930: circola o fiamma del sacrificio
ARVENIS (VIII) – 1918: Et nunc et semper
(Cadano le rupi alla nostra avanzata).
ASSIETTA (III) – 1917: Si come falchi a meditar la caccia
PELMO (VII) – 1916: fortiter per aspera
abbì MONTE
TONALE, 286^ cp Alpina (V) – 1917: Ad libertatem
VAL BRENTA (VI) – 1916: fino alle ultime vette d’Italia
VOLONTARI ALPINI DEL CADORE – 1917: Cade il camoscio a colpi sicuri e il nemico quando la Patria chiama, cade.
G. Carducci – Ode al Cadore.
558^ cp Mitraglieri Alpini – 1917: celerrimo ictu – impavida
fide.
LII° reparto d’assalto alpino - 1918:
I^ cp: fatti e non parole;
II^ cp: come la valanga;
III^ cp: vita e vittoria.
abbì
Alpin del Domm – 3
4 – Alpin del Domm
Alpin del Domm – 5
Bozzetto originale a matita: Paul Wilcke
TITOLI DI CODA
Alle pagine 4 e 5 la visione dell’Adunata Fotografie: Luca Geronutti
di Bergamo secondo noi, Alpin del Domm. Realizzazione della prima versione, discosta dall’originale: Renzo Giusto
Idea originale: Paul Wilcke e Luca Gero- Progetto Grafico: Andrea Bianchi
Realizzazione effettiva: Andrea Bianchi
nutti
Varianti: Luca Geronutti
Analisi della versione in bianco e nero:
Paul Wilcke
Autocongratulazioni: tutti e quattro
(Per la nuova legge sull’evidenza dei compensi: costo della
puntata e retribuzione dei sunnominati € 0,00 pagati dal
Capogruppo)
LA CITTADELLA miniMILITARE A BERGAMO
Oramai è uno degli appuntamenti fissi di
ogni alpino durante le ultime edizioni
dell’Adunata, fare un giro alla cd. Cittadella
Militare. Allestita dal Comando Truppe
Alpine di Bolzano, il luogo è interessante
per andare a vedere quelle novità in armamenti, in tecnologie, in mezzi e strumentazione militare che durante la naia non abbiamo potuto vedere (sfido io … alcuni nostri
veci erano sotto la naia con degli schioppi
ancora a pietra focaia … cosa volete che
sapessero di telemetria al laser, visori infrarossi, ecc …)
Dicevo dunque che è ormai tradizione gironzolare fra le tende militari illustranti tutte
le novità offerte per la nostra difesa, le varie
specialità del Corpo degli Alpini, i mezzi
dell’Esercito. I commenti di chi fece la naia
“all’epoca”, denotavano lo
stato di sbalordimento mista a
malinconica perplessità, constatando in un minuto secondo
che “dalla naia è passato davvero un bel po’ di tempo”
L’installazione della Cittadella
a Bergamo era collocata in un
ampio parco cittadino in mezzo a prati ed alberi; simile
nell’esposizione a quella di
Bassano e di Latina, tuttavia
quella di Bergamo, per chi ha
avuto occhio attento, ha riserbato una ulteriore novità …
In mezzo alla tendopoli, spiccava un’area stranamente recintata: staccionata in legno
dai vivi colori gialli e rossi, lucine steroscopiche sbarluscenti e suoni extraterresti.
Perplesso, mi son fermato a vedere quel
popo’ di nuova area recintata, pensando a
quali terribili armamenti celasse il tutto;
purtroppo nessun cartello esplicativo, nessun alpino in divisa che potesse dare esauriente spiegazione alla mia curiosità ed ignoranza. L’area in quel momento si presentava pressoché deserta, quasi a rimarcare
che la zona era “strictly reserved”.
Senza varcare la suddetta staccionata, il mio
occhio ha constatato che l’area conteneva
tutte le attrezzature per preparare i soldati ad
ogni tipologia d’addestramento. Subito ho
notato il tracciato dei binari di un trenino
tutto colorato, struttura predisposta certamente per addestrare gli artificieri a qualche
operazione di sabotaggio contro i treni veri
che avrebbero potuto trasportare materiale e
personale nemico. Le ridotte dimensioni del
6 – Alpin del Domm
trenino che vidi erano dovute certamente
al risultato della soluzione di un problema
logistico, cioè di trasporto e di costi: anziché usare un treno vero da sabotare, i soldati potevano impratichirsi con un simulacro. I vagoncini colorati potevano indicare
che alcuni portavano armi, altri uomini ed
altri ancora – supponevo – prigionieri,
quindi da non colpire. Giustissimo!
Poco lungi, collocate in circolo sul prato,
c’erano sette statuette nane in gesso,
anch’esse sgargiatamente colorate: certamente sagome per il tiro di precisione,
create per addestrare invisibili e precisissimi tiratori scelti. Le sagome-statuine erano state studiate – dicevo io – di piccole
dimensioni
proprio
per
rendere
l’addestramento più “tosto”; tuttavia le
sagome avevano una faccia paffuta e sorridente, tutte! Ho pensato che forse gli
psicologi militari avranno voluto sdrammatizzare lo stress mentale degli alpini
tiratori scelti, rendendo così l’ addestramento più sopportabile.
Molto bene!
Oltre a queste sette sagome-statuine, ecco
dei mezzi meccanici di varie forme: camioncini, jeep, motociclette ecc. I camioncini e le jeep avevano pure delle luci colorate giroscopiche; ho letto su delle riviste
scientifiche che durante le esercitazioni –
dato l’alto costo dovuto dall’usare vere
munizioni – si usano ormai armi con raggi
laser; quando il raggio colpisce il bersaglio, le luci poste sull’obiettivo
s’accendono e un segnale acustico avverte
il tiratore che ha fatto centro. Ebbene quel
che ho visto e udito, era certamente uno di
quei sistemi che le avveniristiche riviste
hanno descritto. In più – pensate un po’ – i
mezzi si potevano muovere: non proprio
andare in giro, ma potevano oscillare a
destra e a sinistra, avanti e in dietro. Insomma, dopo un po’ fui dell’idea che mi
trovavo di fronte a dei veri e propri simulatori di ultima generazione per addestrare
i conducenti a tutte le accidentalità di terreno; anche qui, qualche illuminato
manager con le stellette, prendendo a cuore il fatto che durante le esercitazioni si
sprecava troppo gasolio, ha deciso di utilizzare i simulatori. Risparmio di carburante, sicurezza per le reclute, maggiore
professionalità. Ottimo!
Mentre stavo osservando tutto ciò, capii a
quale scelto reparto alpino era destinata
l’area: era il C. A. M., Centro Addestramento Minireclute, destinato appunto ai ragazzi della cd. Mininaia!
Logico! E il mio ragionamento era
a prova di “bomba” …
Di fronte a questa novità non ho
esitato ad infrangere una delle regole
più
sacrosante
che
s’impongono in un area militare
“top secret”: tirare fuori la mia
digitale e … fotografare!
Feci in tempo a farne una che, subito subito, il mio Capogruppo mi
apostrofò severamente:
“Ma che fai? Lascia perdere il parco giochi e vieni di qua che c’è la
palestra di roccia; è divertentissssssimaaaa ahaha !!!”.
Per lo spavento (avevo pensato che essendo stato beccato in flagranza di reato, mi
avrebbero fucilato), misi via la macchina
fotografica e corsi a vedere la palestra,
dove i papà, ringalluzziti dal gesto fisicoatletico, potevano dimostrare ai figli quanto ancora erano “ganzi, tosti, duri e puri
come …anta anni fa”; le mogli guardavano fra il perplesso e il preoccupato il loro
“bel ciccino” pronto a fare … una di quelle figure da sprofondare per il resto della
vita!
Lì si che era severamente proibito far foto.
Parco giochi? Eh ,no caro Capogruppo …
ancora oggi non mi hai mica convinto che
quello che ho descritto prima era un parco
giochi e non il nuovo Centro Addestramento Minireclute per quelli della mininaia; la palestra di roccia, invece, quella
sì, era un parco giochi per i vecianaia …
Abbì
la BIBLIOTHECA
di Marco Dalla Torre
L’Iraq dalla
A alla Z
Vale sempre la pena di
leggere un libro del
generale Marizza; anche quando ha quasi
cinquecento pagine.
Perché all’alta competenza (laureato in
Scienze Strategiche, assegnato dopo lunga
esperienza operativa al Centro Alti Studi
della Difesa, coordinatore del master in
Geopolitica presso l’Università di Roma
“La Sapienza”) e all’esperienza sul campo, Marizza coniuga la capacità di rendere
accessibile e stimolante la lettura dei suoi
testi. E ci riesce adottando una struttura
fortemente originale. La parte maggiore
del testo è impostata – lo enuncia il titolo
– come un manuale-vocabolario, con diverse voci per lettera alfabetica, connesse
tra loro (ogni voce termina con il vocabolo
di quella successiva). Il lettore viene così
condotto per un percorso solo apparentemente disordinato: un andirivieni tra attualità e storia, geografia e cultura, cronaca e
precisa analisi tecnico-militare, che alla
fine costruisce un quadro netto e informatissimo. Dopo lunga militanza nella
“Tridentina” e nella “Taurinense” e dopo
aver comandato la gloriosa Brigata
“Julia”, Marizza è stato Vicecomandante
del Corpo d’Armata Multinazionale in
Iraq, costituito da 160.000 soldati di ventisette Paesi della Coalizione, tra l’estate
2005 e la primavera 2006. Con modestia
definisce queste pagine «un semplice blocco-note messo in bella copia» (p. 10). Mi
sento di dire piuttosto che il notevole spessore informativo e interpretativo è reso
accessibile a tutti da uno stile sornione, al
tempo stesso preciso e aneddotico, bonariamente ironico quando si tratta di colmare le lacune della disinformazione, graffiante quando riscontra l’abuso e la distorsione delle notizie ad uso di meschine
beghe politiche italiane.
Tanto informato e lucidamente intelligente
da non risultare “politically correct”. Non
vengono risparmiate critiche all’alleato
statunitense (talvolta carente in visione
geopolitica, come denota la triste storia
della CPA), ma riconosce la grande capacità di lavoro dei suoi soldati e stigmatizza
l’antiamericanismo di matrice criptosovietica. Così come ne riconosce la linearità di
intervento, a fronte della mentalità a volte
poco chiara dei Paesi della vecchia Europa. Regge questa libertà di giudizio, la
grande professionalità e lealtà del generale
Marizza, non a caso insignito della
“Legion d’Onore” francese e della
“Legione di Merito” degli Stati Uniti
d’America.
Il saggio aiuta a districarsi nel quadro
irakeno, della sua complessa identità
(ingredienti fondamentali ne sono
l’arabismo, l’Islam e il tribalismo), certamente non rispettata quando esso fu creato
come Stato autonomo, sulle ceneri
dell’Impero ottomano, tracciando a tavolino
confini ampiamente irrispettosi della situazione reale della popolazione.
Un limite – del resto inevitabile in un saggio
su una situazione di scottante attualità e in
velocissima evoluzione – è il venire subito
superato dallo scorrere degli avvenimenti.
Ma la cronaca quotidiana affonda radici e
moventi nella storia recente. Per questo
L’Iraq dalla A alla Z resta un’utile chiave di
lettura degli avvenimenti odierni (si veda,
ad esempio, l’interessantissima voce “AlQaeda”). Alle analisi e ai giudizi soggiace
un’opinione di più vasta portata: «Più che
una guerra, dunque, il caso irakeno potrebbe essere solo una battaglia di una più vasta guerra che è appena all’inizio del suo
imprevedibile, inquietante sviluppo» (p.
279). E ancora: «Chi vincerà questa guerra? Nessuno lo sa, ma la risposta più plausibile è “nessuno”. Gli USA non potranno
mai avere ragione, militarmente parlando,
di un’organizzazione diffusa a livello globale, che muta in continuazione, che non si
materializza e che gode le simpatie di una
vasta fetta di popolazione islamica. AlQaeda, dal canto suo, non potrà mai sconfiggere l’iperpotenza americana […]» (p.
203).
Di certo le motivazioni all’intervento
dell’Amministrazione Bush non si sono
dimostrate convincenti. Dapprima fu dichiarato che l’Iraq era un altro episodio della
“Global War on Terrorism”; ma è fin troppo
evidente che Saddam non solo non aveva
legami con Al-Qaeda, ma anzi era uno spietato avversario del fondamentalismo islamico (che invece oggi è presente in Iraq). Poi
fu detto che l’obiettivo era l’eliminazione
delle armi di distruzione di massa, di cui
però non è stata trovata traccia. Infine fu
affermato che la giustificazione della guerra
era l’eliminazione stessa di Saddam Hussein
e del suo regime per consolidare la democrazia in Medio Oriente (cfr. p. 283).
La persistenza dell’insorgenza, amplificata dai media, sembra dare torto anche
a quest’ultima speranza; ma con obiettività Marizza sottolinea gli indubbi passi in
avanti. E chiude con una nota di realismo
ottimista: «viene da chiedersi: ce la farà
l’Iraq a diventare una moderna, efficiente
democrazia? Penso che, in fondo, la risposta debba essere affermativa. Ma ci
vuole tempo. L’Europa non ha forse dovuto attraversare secoli di guerre di religione e di guerre mondiali prima di arrivare
ad essere quella che oggi chiamiamo democrazia? […] Perché mai l’Iraq dovrebbe diventare un paese normale
all’improvviso, poche settimane dopo la
ratifica della costituzione? […]. Non bisogna cedere al pessimismo» (pp. 290-291).
P.S.: E cosa c’entrano gli Alpini in tutto
questo? Presenti quasi senza interruzione
in Afghanistan, nessuna delle brigate alpine si è recata sul territorio irakeno. Ma
Marizza (che, tra l’altro, cita più volte il
nostro Giovanni Parigi) è alpino da sempre. E «a Bagdad mi ritrovo con un team
di stretti collaboratori provenienti dagli
alpini. Anche gli alpini della scorta sono
ranger del battaglione alpini paracadutisti del 4° reggimento alpini di Bolzano.
Ecco allora che può capitare che negli
austeri corridoi del palazzo “Al-Fau” di
Bagdad si diffondano talvolta le note del
“Trentatré” e di “Stelutis alpinis”, provenienti dal personal computer di Franco
Prozzo. E non solo il 15 ottobre, giorno
della ricorrenza della fondazione del Corpo» (pp. 19-20).
NOTE
1. Si veda, ad esempio, il bellissimo volume Il volo
di Albatros (Tipografia Valdostana, 2000, pp. 272),
sull’operazione ONUMOZ in Mozambico, della
quale Marizza fu Capo di Stato Maggiore. Da un
paio di mesi il sito www.alpinisusa.it mette in vendita copie del libro per un progetto di beneficenza in
Mozambico
(si
veda
http://
alpinialbatros.blogspot.com/2009/11/solidarieta-invendita-copie-del-libro.html).
2 . “C oal iti on Pro vi si onal Aut ho rit y” ,
l’Amministrazione provvisoria del Paese, affidata al
discusso Paul Bremer. Creata il 9 aprile 2003, ha
cessato di esistere il 30 giugno 2004, quando si è
insediato il governo locale provvisorio. Si legga, al
proposito la voce appositamente dedicata (“CAP”)
alle pp. 44-47.
GIOVANNI MARIZZA, L’Iraq dalla
A alla Z, Roma : Editrice Albatros, 2009, pp. 484, € 22,50
Alpin del Domm – 7
decennale del gruppo milano centro
Caro Sandro, caro Capogruppo,
quando il Gruppo Milano Centro, dieci anni fa,
venne costituito, i suoi fondatori avevano ben
presente che sul loro cammino avrebbero trovate molte difficoltà, e di vario tipo e calibro.
Un Gruppo cittadino? In una Sezione storica
come quella di Milano? In una Sezione che
faceva anche Gruppo, con centinaia di soci
però solo sulla carta? Una Sezione la cui Sede
era “abitata” soprattutto dalla Corvée, aggregazione dall’importante passato e dalle tradizioni
ben radicate?
Le scelte prese furono di puntare soprattutto
sulla comunicazione e sulla coniugazione delle
tradizioni e dei valori alpini con la vita della
città. Scelte elitarie, forse. Ma in fin dei conti,
da alpini, volevamo scalare delle vette, non
fare una scampagnata.
Sono state certamente vette conquistate le serate fatte a Palazzo Marino su Giulio Bedeschi,
al Teatro dal Verme con Bepi de Marzi ed i
Crodaioli e tante altre manifestazioni: tutte di
qualità. Alcune classificabili come un 8.000,
altre invece più europee come altitudine, come
le serate in lingua milanese o, in Sede, le cosiddette serate culturali con ospiti e argomenti
di rilievo (gli alpini Mörlin sul Duomo di Milano, e Galli sul sottomarino Toti e sul Museo
Nazionale della Scienza e della Tecnologia).
Quante volte abbiamo parlato e cantato di
montagne e di musica: recondite armonie di
bellezze diverse.
Un’altra vetta, se me lo consenti, è il caleidoscopico “Alpin del Domm”, che più premi ha
conseguito e cui sempre pervengono complimenti. Nella varietà dei temi che affronta, desta
l’interesse di lettori sempre diversi.
Questi progetti, queste tappe della nostra scalata, sono sempre stati dichiarati e hanno comunque sempre come tema di fondo il motto della
Associazione: Onorare i morti aiutando i vivi.
Non è mancata occasione che alla fine dei
nostri eventi chiedessimo un contributo da
devolvere ad una causa. Quindi si, un Gruppo
cittadino! perchè bella è la sfida di essere e fare
gli Alpini a Milano, città dalle mille alternative, ove promuovere i nostri eventi senza chiasso ma con forza e stile.
Saluti
e ringraziamenti
Pubblichiamo di seguito i ringraziamenti del
Capogruppo che non hanno trovato spazio nel
numero precedente
Carissimi Soci, Carissimi Amici,
quante volte avete dovuto sopportare i miei
mugugni, le mie lamentele, quando ero costretto a constatare che scarsa, troppo scarsa era la
partecipazione alle iniziative del Gruppo.
L’anno scorso, quelli che erano presenti avevano dovuto constatare, con tristezza che la Chiesa era mezza vuota.
Quest’anno, non so se è stato palese, quando,
all’inizio della cerimonia sono salito sul pulpito, mi sono commosso, nel vedere come la
Chiesa fosse piena.
Desidero ringraziare tutti voi che avete accolto
il mio invito e avete scelto di festeggiare insieme questo nostro primo importante anniversario.
8 – Alpin del Domm
Questa sfida è stata raccolta da sempre più soci,
specie dagli amici della Corvée. Molti di essi
hanno scorto la possibilità di trovare uno sviluppo alla loro storia ricca di esperienza, fatiche e
benemerenze. Uno sviluppo necessario perché il
ricordo di questa stretta condivisione nel lavoro
attorno a quello che fu il Rancio a Ponte Selva
rischiava di tenerli catturati come una morsa,
chiusi in se stessi.
Ed infatti grande è stato l’aiuto che la Corvée ha
dato al neonato Gruppo, un aiuto sia pratico,
manuale, sia nel tramandare tradizioni e sensibilità, a partire dall’amore per il canto alpino.
Sono passati ormai dieci anni dagli inizi. La
scalata continua ed il passare del tempo si fa
sentire, le stanchezze affiorano. Nessuno si sorprende di ciò. Alcuni soci si sono fermati, sono
usciti dal Gruppo, altri li ha fermati l’anagrafe o
la sfortuna. Altri invece hanno deciso di continuare o di iniziare il cammino con noi, e sono tanti!
La nostra scalata non è però un percorso fisico,
per cui si può – e alcune volte si deve – rinunciare a dei compagni di avventura se si vuole proseguire. È invece un percorso dello spirito. Il lavorare insieme per tenere giovani i valori che chiamiamo “alpinità”, in maniere sempre nuove, ci
obbliga alla creatività, all’elasticità, allo stare
dietro all’evoluzione della società che ci circonda: insomma tiene giovani anche noi. È
un’occasione da non sprecare.
Una grande occasione invece è stata sprecata da
molti dei soci: il concerto di musica jazz su temi
di cante alpine tenuto il 22 maggio 2010 al Conservatorio. Come descriverlo? Come parlare di
musica, perfetta astrazione dello spirito (è forse
per questo che gli Alpini cantano così tanto)?
Con delle metafore visive, forse. Ecco, la singola
canta veniva presentata come il bagliore lontano
di un uccello che si librava nell’aria (un’aquila,
ovviamente!) e che fluttuava verso gli spettatori
e diveniva via via più nitido e più riconoscibile.
Poi si tuffava in valli, scompariva alla vista per
tornare alla luce con i suoi colori e poi disperderli, in un turbine ove ogni colore si espande e si
adagia negli altri colori, e poi torna se stesso,
improvvisamente.
Così è spesso per il canto degli Alpini: lo stesso
canto, ma sempre nuovo, ora mesto, ora vigoroIl Gruppo ha bisogno di Voi, del Vostro costante
sostegno, che ci aiuti nel nostro impegno a creare
sempre qualcosa di meglio, nel cercare sempre
nuovi traguardi.
La Messa è stata quindi resa più solenne dalla
presenza del neo Presidente Sezionale Luigi
Boffi che si è sobbarcato viaggi per mezza Italia
per essere con noi, gratificandoci ulteriormente
portandoci il Vessillo Sezionale, che dall’altare
faceva bella mostra di sé circondato dai tre Gagliardetti. Con l’occasione abbiamo voluto, oltre
che ringraziare il “giovane” (per la carica) Presidente, che è entrato così nella Storia del Gruppo,
anche confermargli che il Gruppo risponderà
sempre “Presente” tutte le volte che la Sezione
chiamerà.
La Messa è stato solamente il primo appuntamento, importante, di questo nostro rotondo anniversario. Ve ne riferiremo certamente per tempo
Per il momento, tanti carissimi auguri a tutti.
Il Vostro Capogruppo felice
note e commenti
so. Ne ha detto qualcosa Bedeschi, come ci ha
insegnato il professor Cantamessa nella serata
sopra ricordata.
Al Conservatorio quanti saremo stati? Una
quarantina? Quaranta fortunati. Ci sarà stata
pure la concomitanza – per noi improvvida –
della partita di Champions League, ci sarà stata
anche la concomitanza – da noi voluta – della
Festa Sezionale in Piazza del Cannone, ma
l’orario e l’organizzazione erano stati calibrati
in modo tale da permettere al più sfegatato
interista ed al più affamato Alpino di godere di
tutte le gioie date in quella serata. Ripeto: quaranta fortunati, gli altri sfortunati.
Caro Sandro, te l’ho detto anche l’altra sera in
Consiglio di Gruppo. Si ripresentasse
l’occasione, rifarei il concerto allo stesso modo. Perché in fin dei conti bisogna anche scegliere e saper scegliere. Fare parte del Gruppo
Milano Centro, per chi è iscritto, non deve
essere semplicemente la passiva certezza di
venire informati sulle iniziative del Gruppo,
talvolta di altri Gruppi, della Sezione, della
Sede Nazionale, e non parteciparvi. Essere
iscritti al Gruppo non è una cosa ordinata dal
medico! È una scelta personale. Molti Soci
(nota la maiuscola!) hanno messo la firma sul
foglio di iscrizione con consapevolezza. Altri
Soci hanno capita col tempo la consapevolezza
di far parte di una associazione bella e vitale, e
si sono affiatati. Altri invece non hanno ancora
capito. Mi dispiace però per quelli che
l’entusiasmo lo hanno perso.
Fossi al tuo posto (ma non voglio esserlo) non
trarrei motivi di scoramento dall’accaduto. Il
concerto è stata la più alta vetta finora raggiunta. Adesso i pochi esploratori che l’hanno scalata scenderanno dalla montagna e racconteranno il panorama che si vede di lassù, dove si
dilatano le montagne in sorsi d’ombra lilla e
vogano col cielo, dove il canto che intesse di
cristallina eco col cuore le stelle si è levato
all’infinito. Vedrai che la prossima volta saremo di più. Tu non proporci però il Monte Stella, per timore di non fare numero. Ci piace
l’aria rarefatta!
Paul
La nuova possente Aquila
che orna i nostri Gagliardetti